Stairway to heaven

di Sasita
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** (Death) is a highway ***
Capitolo 2: *** All I want ***
Capitolo 3: *** Imitation of life ***
Capitolo 4: *** Pictures of You ***
Capitolo 5: *** (Everything I do) I do it for you ***
Capitolo 6: *** Close your eyes ***
Capitolo 7: *** Warmer ***
Capitolo 8: *** Are you gonna kiss me or not? ***
Capitolo 9: *** Watching over me ***
Capitolo 10: *** Faithfully from Heaven ***
Capitolo 11: *** Just like heaven ***
Capitolo 12: *** Home ***
Capitolo 13: *** Bless the broken road ***
Capitolo 14: *** Father and Son ***
Capitolo 15: *** All our own ***
Capitolo 16: *** Reality ***
Capitolo 17: *** You can't always get what you want ***
Capitolo 18: *** Love of a lifetime ***



Capitolo 1
*** (Death) is a highway ***


NdA. Nel caso in cui voleste ascoltare la canzone che ispira questo capitolo, e che accompagna Dean nel suo flusso di coscienza, vi lascio il collegamento a YouTube. E ovviamente, come sempre, nè i personaggi, nè le loro azioni, nè il copyright, e neppure la musica sono di mia proprietà.
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione!

 


CAPITOLO I

(Death) is a highway

 

"That kid of yours before he went... wherever, made some changes here. Busted my ass out. And then he -- Well, he set some things right. Tore down all the walls up here. Heaven ain't just reliving your golden oldies anymore. It's what it always should've been. Everyone happy. Everyone together. Rufus lives about five miles that way -- with Aretha. Thought she'd have better taste. And your mom and dad... they got a place over yonder. It ain't just Heaven, Dean. It's the Heaven you deserve. And we've been waiting for you.”

 

“So Jack did all that…”

 

“Well… Cas helped. It’s a big new world out there… you’ll see. You have everything you could ever want, or need… dream. So I guess the question is… what are you gonna do now, Dean?”

 

“Well, I think I’ll go for a drive…”

 

 

Il ruggito del motore cullava la mente di Dean lungo quella strada sconosciuta, eppure così familiare. L’impala sembrava ancora più splendente in Paradiso di quanto non fosse mai stata sulla Terra, e probabilmente lo era davvero. La carrozzeria era liscia e lucida come uno specchio nero, le manovelle dei finestrini giravano perfettamente oleate, il volante era morbido e levigato, ma privo di qualunque imperfezione. I sedili, poi, avevano perso tutta quella patina di vecchiaia che si era accumulata nel tempo, per quanto Dean avesse sempre trattato la sua macchina come un tempio: niente più fori di proiettile, graffi di coltelli o artigli, niente vecchie macchie di sangue e sudore sulle cuciture. Difetti a parte, tutti quelle caratteristiche che facevano dell’impala la sua Baby c’erano ancora, aveva controllato. Dopo essere montato in groppa alla sua piccola ed aver guidato per un po’, Dean si era fatto curioso, e l’aveva perlustrata tutta da cima a fondo. C’erano ancora il soldatino di Sam incastrato nel posacenere dello sportello posteriore, i lego di Dean persi nell’aeratore, le loro iniziali incise nel retro. Per quanto gli sembrasse che la macchina “volasse” sull’asfalto umido su cui viaggiava, non c’erano differenze nemmeno nel motore: un 327 con carburatore quadricorpo e 275 cavalli di pura potenza. Una macchina elegante, eppure possente. Non per nulla l’avevano scelta come base per progettare la Batmobile. Dean si lasciò sfuggire un sorriso soddisfatto accarezzando il volante con entrambe la mani. E poi, quell’impala era casa: lì sopra ci era cresciuto, ci aveva cantato, viaggiato, dormito, amato, sbagliato, ucciso. Era stata il tetto di lui e Sam quando non avevano una dimora fissa. Certo, una mancanza quella versione celeste ce l’aveva: l’artiglieria. Non c’era traccia, nella sua impala 2.0, di armi o simboli protettivi; neanche un filo di scolorita vernice bianca. C’era un solo, piccolo bossolo, incastrato tra il tappetino e la scocca interna che nasconde lo pneumatico, in un angolo del bagagliaio. Era abbastanza sicuro che anche quello fosse un ricordo, però, solo che non riusciva a farsi venire in mente di cosa. Forse non era neanche un suo ricordo. Se ciò che aveva detto Bobby era vero, quello non era il suo paradiso, ma il paradiso di tutti. Anche quello di Sam, di suo padre, di sua madre. “Chissà”, pensò, dopotutto, aveva l’eternità per rimuginarci. 
Al pensiero dell’eternità sul suo viso passò un’ombra. Era qualcosa a cui aveva cercato di non pensare per tutto il brevissimo tempo che aveva passato in Paradiso fino a quel momento. Neanche un giorno, o almeno così gli era sembrato, ma poi vai a sapere come l’avrebbe dovuto quantificare. Per un attimo il sorriso beato che l’aveva accompagnato in quella tranquilla corsa in macchina si contrasse fino a trasformarsi nella sua tipica espressione frustrata di quando non capiva qualcosa; i tendini della mandibola si contrassero facendo sbucare quella fossetta che gli aveva fatto conquistare tanti trascorsi tra le lenzuola, e le sopracciglia si aggrottarono sugli occhi fissi sulla strada. Deglutì. In un riflesso involontario si passò una mano sulle labbra e sul mento e poi la scosse per liberarsi il polso dalla giacca e guardare l’orologio, che era inevitabilmente fermo. Facendosi ridere da solo alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. 
«Idiota», si disse. 
Inspirò profondamente. Dal finestrino abbassato filtrava una brezza primaverile che gli scompigliava i capelli castani chiari, e il sole si rifletteva come tanti piccoli cristalli sulla sua pelle ruvida baluginando attraverso il paesaggio circostante. La conversazione con Bobby gli rimbalzava nella testa: già, che avrebbe fatto adesso? Non sapeva nemmeno perché il suo primo pensiero non fosse stato quello di andare a trovare i suoi genitori, o gli amici di una vita. L’avrebbe fatto, questo era sicuro, ma per il momento preferiva guidare. Dove, non lo avrebbe saputo dire con certezza. Non avrebbe saputo dire neanche dove si trovasse esattamente; non era sicuro che il Paradiso ricalcasse dei luoghi della Terra, o se piuttosto fosse stato ricreato da zero dalla fantasia di Jack e Castiel. 

Quel nome conflagrò come un tuono nella sua testa, costringendolo a rallentare. Quando Bobby l’aveva nominato, una pietra gigante si era sollevata dal suo cuore. Certo, Sam era una delle mancanze che sentiva di più, ma nel profondo della sua anima beata sapeva che l’avrebbe rivisto quando aveva accettato la morte. Mentre per quanto riguardava Castiel, era convinto di non potergli mai più parlare, di non poterci più scherzare, di non poter più fare quei loro stupidi giochetti. Eppure, nonostante si fosse sentito sollevato, subito dopo si era propagata in lui una sensazione di ansia che non gli permetteva di pensare all’angelo, anzi non voleva proprio: farlo gli apriva uno squarcio tra le costole, lasciandolo ferito come dopo una coltellata. E sapeva esattamente cosa si provava con una coltellata. Eppure non pensare a Castiel era come cercare di non pensare a un elefante: il suo pensiero gli riempiva la mente gonfiandosi sempre di più, schiacciando e spingendo tutto il resto ai confini. Aveva fatto di tutto per non pensare a Castiel, prima e dopo quel maledetto chiodo nel muro. Prima di morire aveva relegato il suo nome nell’angolo più remoto della mente perché il dolore di saperlo abbandonato al nulla per l’eternità, immune ad ogni emozione, ad ogni ricordo, ad ogni stilla di esistenza, era troppo forte, un tormento che non voleva e non poteva concedersi. E dopo che si era ritrovato in Paradiso aveva comunque cercato di non pensarci, forse perché non riusciva a metabolizzare il loro addio, quello che Cas gli aveva detto, la sofferenza lacerante che gli aveva procurato vederlo risucchiato dal nulla. Forse era per questo che la prima cosa che aveva fatto era stata salire in macchina e viaggiare senza meta. Lui non stava guidando, comprese all’improvviso, stava scappando. Per quanto fosse stupido il suo comportamento, stava fuggendo dall’enorme elefante che continuava a creare scompiglio nella sua mente, ovviamente senza successo. Eppure anche se avesse voluto pensarci, Dean non sapeva cosa pensare. La sua mente si soffermava sulle cose più stupide, sui ricordi più insignificanti, quasi facesse zapping tra le scene di una serie tv. 
Castiel che scopriva il porno sul ragazzo delle pizze. 
Castiel che lo guardava inquietantemente mentre dormiva. 
Castiel che non capiva mai una battuta, un riferimento a un film, una canzone, una maledetta citazione anche banale.
Castiel e le sue uscite imbarazzanti, fuori contesto, in ogni occasione. 
Castiel e il suo badge ridicolo da agente Beyoncé, che si ostinava ogni singola volta ad aprire al contrario. 
Castiel, che non aveva bisogno di imporre le mani sul corpo degli altri per guarire, ma a lui l’aveva sempre toccato per farlo.
Castiel, che era morto più volte di quante se ne potessero sopportare, ma era sempre ricomparso in un modo o in un altro, ma che ad ogni dipartita più o meno lunga apriva una voragine nel cuore di Dean, mettendogli sempre più davanti agli occhi la realtà dei suoi sentimenti.
Castiel che lo tradiva.
Dean scosse la testa, cercando di scacciare quell’elefante. Se avesse continuato a rimuginare sarebbe caduto in un loop depressivo e non voleva farlo. Dopotutto era convinto che se Castiel avesse voluto trovarlo, l’avrebbe fatto a prescindere da quanto lui lo desiderasse o lo fuggisse. Se avesse voluto fargli sapere che stava bene, che era vivo, sarebbe sceso sulla Terra per farlo senza che uno stupido chiodo lo dovesse ammazzare. Se non l’aveva fatto aveva sicuramente le sue ragioni, e comunque lui non era certo di essere pronto ad affrontarlo, quindi meglio così.
Il petto gli si fece pesante a quel pensiero, così cercò di distrarsi guardando fuori dal parabrezza, dritto davanti a sé, mentre la strada che si apriva graziosamente su un paesaggio quasi fiabesco: sulla destra, al di là della corsia opposta a dove guidava, si estendeva un bel boschetto di aceri campestri e rossi, alternati ad alti larici. Il sole si rifrangeva sulle foglie creando un gioco di colori che trasformava tutto in un caleidoscopio. A sinistra, dal suo lato della strada, una bassa staccionata di legno levigato incorniciava un declivio sempre più profondo, coperto da una distesa di fitta erba verdeggiante qua e là punteggiata di piccoli arbusti fioriti. Non riusciva a capire cosa ci fosse più avanti, l’erba e le piante nascondevano l’orizzonte alla vista, ma gli pareva di veder luccicare qualcosa. Quel posto era veramente bello, non si poteva negare, e la precisione di ogni dettaglio era disarmante: addirittura la radio suonava bassa una qualche canzone heartland rock, di quelle perfette per guidare attraverso posti nuovi e godersi ogni singolo istante. Con un respiro profondo alzò il volume e si concentrò tutto sulla musica, cercando di scacciare i fantasmi che la sua mente si ostinava ad evocare. All’inizio del bridge che apriva il ritornello i suoi occhi si accesero, e le parole gli esplosero nella testa costringendolo a cantare a squarciagola come amava fare da vivo. 
«Accidenti, adoro questa canzone!», disse tra sé e sé, inglobando tutta l’energia che le note di Life is a Highway dei Rascal Flatts gli infondevano. «2008… che periodo! Sembra passata una vita». Ed effettivamente era passata davvero.


We won't hesitate
To break down the garden gate
There's not much time left today, yeah


Le dita di una mano tamburellavano sul volante, e quelle dell’altra sulla carrozzeria dello sportello, mentre l’aria gli accarezzava il cuore, facendolo sentire molto più vivo di quanto non si sentisse da tempo. Per quanto ossimorica potesse essere un’idea simile: ci si poteva sentire più vivi da morti che in vita? 

 

Life is a highway
I wanna ride it all night long
If you're goin' my way
Well, I wanna drive it all night long

 

Una miriade di ricordi si affastellarono di nuovo davanti ai suoi occhi, sprigionati dal potere della musica. È incredibile come delle note possano risvegliare qualcosa che esiste addormentato in un cassetto della mente, trasformandosi in Deja-vu. Si ricordò che l’ultima volta che aveva sentito quella canzone era in viaggio con Castiel, stavano tornando da un caso verso cui avevano guidato perché Dean si era rifiutato si farsi teletrasportare dall’angelo, che di contro aveva mantenuto un atteggiamento insofferente per tutto il tempo, lamentandosi di come avrebbero fatto più veloce se solo lui fosse stato meno… com’è che aveva detto? Delicato, o qualcosa di simile. Aveva alzato il volume della musica come in quel momento e si era goduto la strada, mentre l’altro piano piano sembrava dimostrare un maggiore apprezzamento, quanto meno per la canzone se non per la sua guida. Una miriade di altri ricordi vissuti con lui ripresero a sfarfallargli nella testa. 
Castiel che gli teneva il broncio dai sedili posteriori, offeso dalla sua mancanza di… cos’era? gratitudine, già.
Castiel che lo guardava di sbieco dopo l’ennesimo battibecco, o che alzava gli occhi al cielo per qualche sua stupida freddura.
Castiel che lanciava un’altra delle sue bombe cosmiche su lui e Sam, o che perdeva e ritrovava i suoi poteri nelle situazioni più inopportune.
Castiel quando aveva conosciuto sua madre Mary.
Castiel quando aveva scoperto il sapore degli hamburger, e si era ubriacato con un paio di birre flirtando con lui.
Un lieve rossore si diffuse sulle sue guance illuminate dalla luce dorata del sole, e una strana sensazione di vuoto si impossessò del suo stomaco. «Oh, per la miseria, non sei una ragazzina…», si rimbrottò.

 

There's no load I can't hold
A road so rough, this I know
I'll be there when the light comes in
Just tell 'em we're survivors

 

Dean scosse lievemente la testa. Il panorama accanto a lui stava lentamente prendendo l’aspetto di una macchia verde nei pressi di un litorale, ma ancora non riusciva a scorgere altro che alberi, erba, terra, colline e montagne solcate da quell’asfalto tanto simile a quello su cui aveva viaggiato milioni di volte, con così tante persone da non riuscire quasi a contarle tutte. Appena avesse avuto la forza e la voglia di fermarsi avrebbe dovuto fare una lista, si disse nel tentativo di distrarsi: Bobby l’aveva già visto, ma sicuramente avrebbe dovuto godersi ben più di una birra scadente in sua compagnia, poi suo padre, sua madre, Charlie, Ellen, Jo, Pamela, Kevin - Jack doveva sicuramente averlo portato in Paradiso -, Rufus, Missouri… Castiel. Gli sfuggì un grugnito.
Gli tornò in mente la prima volta che l’aveva visto, e la bruciatura che gli aveva lasciato sulla spalla salvandolo dalla perdizione dell’inferno. E poi gli tornò in mente quella terribile ora del loro addio, e l’impronta insanguinata che gli aveva stampato sulla giacca. Non l’aveva lavata, non aveva mai avuto intenzione di farlo. Chissà se Sam l’aveva fatto al posto suo. Strano quel parallelismo, pensò: il loro inizio e la loro fine avevano sempre avuto un filo conduttore. Il tocco che secondo gli altri angeli l’aveva reso perduto, e che secondo Castiel l’aveva cambiato per renderlo qualcuno di migliore.
Dean si passò di nuovo una mano sul viso, cercando un conforto che non riusciva a trovare. L’auto continuava a sfrecciare sull’asfalto quasi a ritmo di musica, e quasi senza accorgersene si insinuò in una galleria barba e ben illuminata, che si estendeva nella montagna in un percorso curvilineo. Nel petto sentiva un’emozione particolare, indecifrabile. Era un miscuglio di pienezza e vuoto, di soddisfazione beata e di mancanza raggelante. Forse non era neanche un’emozione vera e propria, ma piuttosto uno stato d’animo confuso.

 

Life is a highway
I wanna ride it all night long (whoo!)
If you're goin' my way
I wanna drive it all night long (all night long)

 

L’ennesimo ricordo gli riaffiorò alla mente; era il momento decisivo in cui avrebbe dovuto definitivamente ospitare Micheal nel suo corpo, come tramite designato. Gli angeli l’avevano preso, era finita: gli restavano solo i suoi hamburger preferiti da mangiare; un ultimo pasto da condannato a morte. Ma Castiel era arrivato, aveva tradito tutto ciò che conosceva, tutto ciò in cui credeva, per lui. Si era sacrificato per la prima di una serie troppo lunga di volte, per lui. E quante altre volte era successo? Anche quando l’aveva tradito, Castiel l’aveva fatto solo e soltanto per proteggere lui e di conseguenza tutti gli altri. Il dolore di quando era stato sicuro di averlo perso veramente per l’ultima volta, e l’aveva compianto come si dovrebbe fare per un compagno, per l’amore della propria vita, si riversò tutto nel suo cuore. Erano ad un solo passo dalla vittoria, dall’aver intrappolato Lucifero nell’altra dimensione, Cas era tornato attraverso la fessura. E poi era esploso nella sua stessa luce abbacinante, colpito alle spalle. Dean non si era neanche curato di cosa stesse accadendo intorno a lui, si era dimenticato di Lucifero, di Sam, di sua madre, del Nephilim che stava nascendo, ed era caduto in ginocchio per il pensiero di non avere mai più la possibilità di stringere Castiel in un abbraccio per l’ultima volta. Era certo che fosse la volta definitiva, e si era buttato nell’alcol, era affogato nel dolore. Poi Castiel era tornato come sempre, ma mai Dean aveva provato una disperazione più grande di quella, paragonabile solo a quando aveva perso Sam, eppure diversa.
Una fitta gli trapassò le costole. Non era più capace di trattenere i suoi pensieri. 
«E pensare che ho trattenuto un arcangelo racchiuso nella mia testa per mesi», si schernì. «E non riesco a smettere di pensare a questo, maledizione», imprecò.
Quante volte l’aveva deluso? E quante volte l’aveva protetto? Quante volte si erano sacrificati a vicenda, in una costante commistione di autoannullamento ed egoismo, di paura e rabbia, di possessività e libero arbitrio? Immagini e parole apparivano come illuminati da fulmini improvvisi, nella sua mente. Ad ogni sacrificio, ad ogni avventura mortale che avevano vissuto insieme, ad ogni perdita, ad ogni ritrovamento, Dean si era sentito sempre più incapace di separarsi da Castiel. Non poteva negarlo. E l’ultima volta che l’aveva visto morire - o meglio, la penultima - aveva sentito uno strappo talmente forte dentro di sé da aver creduto fermamente, per un po’, di non riuscire più a tornare intero. Poi quando era tornato per un po’ tutto era sembrato perfetto, una vittoria, finalmente. Ma tra di loro non era mai niente perfetto: c’era sempre qualche contingenza che cambiava le cose, qualche stupidaggine, qualche omissione, qualche bugia, qualche orribile discussione in cui l’uno o l’altro finivano per dirsi cose terribili, che ferivano molto più di una pallottola. Forse anche per questo Castiel aveva ragione quando gli aveva detto che di tutte le cose in cui credeva, di tutte le cose che erano state il frutto della manipolazione di Chuck, ce n’era una che credeva fermamente vera: loro due.

 

There was a distance between you and I (between you and I)
A misunderstanding once
But now we look it in the eye, ooh, yeah
Mmm, yeah (whoo!)

 

Gli scappò un sorriso nervoso: quella canzone era veramente azzeccata. O magari erano i suoi pensieri che si stavano conformando alle parole, pensò. Comunque fosse, quella distanza e quelle incomprensioni che c'erano state tra lui e Castiel erano solo il passato. L’ultimo incontro in Purgatorio aveva sgomberato dalle nuvole degli errori passati il cielo del loro rapporto di… cosa? amicizia? fratellanza? amore? Un nodo gli chiuse la gola a quella parola, e Dean fu sollevato quando il suo flusso di coscienza venne interrotto dalla luce che finalmente si allargava dal fondo della galleria. Curioso di scoprire cosa lo aspettava dall’altra parte si sporse tutto in avanti, in attesa di vedersi svelare quel nuovo panorama. Non era assolutamente pronto alla vista che gli si aprì quando quel sole celestiale sbucò di nuovo attraverso la pietra. All’iniziò rimase accecato dal biancore della luce che si rifletteva abbacinante alla sua sinistra, ma quando mise a fuoco la bellezza di quel posto lo colpì quasi come uno schiaffo, distogliendolo del tutto dalla canzone e dai suoi pensieri erranti: alla sua destra c’erano ancora gli alberi vibranti nel vento, ma a sinistra la china si era trasformata in una discesa gentile che si perdeva nel mare, su cui il sole sembrava sul punto di tramontare senza nuvole o foschia a schermarne lo spettacolo. Era un golfo stretto, con in basso una spiaggia dorata rinchiusa da alte scogliere di pietra candida che si tuffavano nell’acqua. Non era un paesaggio estremo o altro, ma era talmente straordinario che lo catturò come raramente gli era capitato. Di colpo si sentì euforico e percepì la necessità di fermarsi; senza esitazione cercò uno spiazzo da godersi quella vista, alzando la musica che intanto scemava sull’ultimo ritornello, prima di passare alla canzone successiva.

 

Life is a highway
I wanna ride it all night long
(Yeah, I wanna drive it all night long, baby)
If you're goin' my way (if you're goin' my way)
I wanna drive it all night long (all night long)

 

Non ci volle molto per trovare un punto dove fermarsi; anche se, doveva ammetterlo, probabilmente avrebbe potuto tranquillamente lasciare la macchina in mezzo alla strada, tanto non avrebbe disturbato nessuno. Quel luogo sembrava deserto, il che era sconvolgente pensando a quanta gente doveva essere morta nel corso della storia dell’uomo.
Insomma, erano tutti all’inferno per caso? Oppure il nuovo Paradiso era così esteso da contenere decine - o centinaia, magari? - di miliardi di anime senza che queste si incrociassero affatto? Sull’onda di quello strambo pensiero lasciò la macchina accesa per farsi cullare dal beat che mescolava la canzone appena finita con quella che stava seguendo. Scese chiudendosi lo sportello alle spalle con il finestrino abbassato, aprì il bagagliaio, spalancò il mini frigo e afferrò una bella birra ghiacciata, tutto senza staccare gli occhi dal sole infuocato all’orizzonte, ripetendo movimenti automatici che aveva già compiuto altre mille volte. Il tappo saltò con un singolo gesto, e il liquido dorato gli scese in gola prima ancora che Dean arrivasse ad appoggiare la schiena alla carrozzeria. 
Quante volte si era fermato con Sam a godersi un momento di pace davanti a un tramonto o ad un’alba? E quante volte l'aveva fatto anche con Castiel, o anche con Jack, o con sua madre o suo padre? Di tutti i momenti che ricordava, di tutte le avventure, le tragedie, i dolori, ma anche le risate, le sciocchezze, le follie, alcuni dei suoi ricordi più belli si svolgevano proprio in attimi di pura quotidianità come quello. Un sorriso, una parola di conforto, uno scambio di opinioni davanti a una qualunque cosa da mangiare o da bere. Solo loro e il mondo, senza pensare almeno per qualche istante al bastardo di turno che cercava di ammazzarli. Gli venne in mente quando Castiel si era riuscito anche ad insinuare nei suoi sogni, trovandolo intento a pescare beato in un laghetto. Un sorriso gli si stampò sul viso: Castiel non mancava mai di invadere il suo spazio personale. Eppure col trascorrere del tempo si era tanto abituato che era proprio quando non accadeva che si sentiva più solo. Un sospiro gli uscì dalle labbra appena schiuse, il calore gli riscaldava gli zigomi abbronzati. Voleva solo concentrarsi su un tramonto, non gli sembrava di chiedere molto dopotutto. Anche se ne aveva un’infinità ancora da vedere, il primo tramonto in paradiso non poteva certo perderselo, no? Inspirò più volte, rilassò le spalle e poi chiuse un istante gli occhi per imprimersi addosso quella sensazione di beatitudine un po’ acciaccata, ma pur sempre piacevole, incrociando i piedi a terra per trovare una posizione comoda mentre un altro sorso di birra gli scorreva sulla lingua.

«Ti godi il panorama, Dean?»

Quel sorso non oltrepassò mai l’epiglottide.










TO BE CONTINUED
 

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Capitolo 2
*** All I want ***


NdA. Ecco qui il secondo capitolo... un po' più lunghino di quanto volessi, ma penso che questi due abbiano bisogno di farsi davvero una bella chiacchierata. E direi che questa non è affatto esaustiva! E, beh, non è finita qui... questa long fic seguirà i nostri dumbass preferiti per un bel po'... e per questo spero di avere il vostro supporto emotivo... quindi, come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione! La canzone è accompagnata dalla canzone All I want, che ne ispira anche il titolo, e se volete ascoltarla ve la lascio in collegamento. 





Capitolo II
All I want

 

Spalancando gli occhi, con il cuore - il cuore? Era possibile che battesse anche dopo la morte? - che gli tamburellava nel petto come dopo una gara di velocità, involontariamente Dean portò la mano alla cintola per cercare la pistola, ma ovviamente non la trovò.

Quello che aveva davanti non era niente che potesse riconoscere. La voce, però, quella sì che l’aveva riconosciuta.

«Ma che diamine—», strizzò gli occhi e si raddrizzò, cercando di dare una forma a quella assurdità che gli si parava davanti. «—Cas?»

D’improvviso sentì tutto il calore confluirgli sul viso, e il cuore battere a una velocità diversa, strana, ben lontana dalla paura. Possibile che quella strana visione fosse Castiel?

«Sì», fu l’unica risposta.

Dean aprì più volte la bocca per parlare, guardando su e giù, a destra e a sinistra, quell’inquietante ammasso di ali, piume e occhi. «Ma che caz…», tossicchiò per darsi un tono, «Cosa ti è successo?»

Castiel emise una risata. O almeno, quella cosa luminosa senza senso con almeno quattro ali - o erano sei? - che diceva di essere Castiel emise una risata. Un suono che Dean non ricordava di aver sentito tanto spesso, ma di cui si rese improvvisamente conto di sentire una dolorosa mancanza. 

«Niente, Dean…», la calma nella sua voce era straziante. «Vedi, quando Jack mi ha riportato indietro dal Nulla aveva bisogno di me per ricostruire il Paradiso… voleva che mettessi la mia esperienza a servizio delle anime che si trovano qui, così ha ristabilito il mio ultimo status angelico precedente… beh, si, precedente alla caduta, a quando Metatron mi ha espropriato della mia grazia, e delle mie ali…»

Dean annuì vagamente, cercando di non sembrare ancora più scortese del solito davanti a quella rivelazione inutile, che tutto faceva tranne che rispondere alla sua domanda. Era così scioccato che non riusciva neanche a tirare su la birra per dargli un sorso, neanche per dissimulare una nonchalance che non aveva.

«Non ti seguo, Cas… voglio dire amico, dove è l’impermeabile, eh?»

Ma il Winchester non voleva chiedergli dell’impermeabile, quanto piuttosto del corpo umano a cui si era abituato, di quegli occhi azzurri accesi che l’ultima volta l’avevano guardato pieno di lacrime e di… beh, quello. Nel petto sentiva lancinante il dolore di uno spillo che si conficcava nella carne. Era quello Castiel, adesso? Una creatura spaventosa fatta di ali e luce e catene di occhi inquietanti? Aveva veramente sprecato per sempre l’ultima occasione di abbracciarlo in quel bunker, troppo esterrefatto dalla sua confessione, troppo represso dalla sua stessa maschera, troppo spaventato da tutto quello che stava succedendo, per ritrovarsi davanti un Castiel privo di consistenza fisica, privo di quei connotati così familiari a cui con il tempo aveva imparato ad affezionarsi? Si rese improvvisamente conto dell’egoismo del suo dolore: se quello era Cas, ed era destinato ad avere quell’unico aspetto per sempre, avrebbe preferito che non fosse mai uscito dal Nulla, perché almeno il ricordo avrebbe potuto confortarlo, mentre quella cosa non lo confortava affatto. 

«Io sono un serafino, Dean, non avevo mai potuto mostrarti il mio aspetto perché, beh, non saresti sopravvissuto… anche se credo che, se ci pensi, ti ricorderai di avermi già visto in questa forma, quando eri un demone», disse semplicemente. Dean ebbe la sensazione che quella cosa, quel serafino facesse spallucce. Ma era difficile dirlo sotto a quella coltre di piume bianche e luminose. «Ma ora sei in Paradiso, e… questo è quello che sono»

Un lampo di memoria si accese dietro gli occhi di Dean: stava quasi per ammazzare Sam e realizzare il guilty plesure di Chuck, ormai completamente soggiogato dal marchio e abbandonato alla malvagità del suo essere demoniaco, ma Castiel era intervenuto per sventare ancora una volta quel piano, salvandolo dall’oblio, dalla perdizione, dalla colpa. L’aveva bloccato tra le braccia e Dean aveva cercato di divincolarsi dalla stretta, lanciandogli uno sguardo rabbioso: si era dovuto voltare a riguardare l’angelo due volte, perché ciò con cui l’aveva avviluppato non erano solo quelle piccole, misere braccia umane che erano state di proprietà di Jimmy Novak, ma un possente armamentario di ali giganti e splendide, che lo avvolgevano impedendogli ogni movimento. Si ricordò che sotto l’influenza infernale ne aveva sentito la repulsione, ma la parte umana di lui, resa disinibita dagli impulsi demoniaci, l’aveva trovato straordinariamente magnifico, rilucente di potenza e splendore. Se non ricordava male, glielo aveva anche detto. Cas, di contro, non riusciva neanche a guardarlo quando era un demone. E in quel momento gli sovvenne che forse il motivo era proprio che la natura demoniaca che gli ribolliva dentro distorceva le sue fattezze, lo rendeva orribile fuori quanto era dentro, e se Castiel era davvero già tanto legato a lui, doveva essere stato terribilmente scosso da quella vista. 

Dean deglutì, annuendo debolmente. Era vero, quella breve vista sulla terra lo aveva attratto e repulso, ma era stata sicuramente stravolgente. Quello che invece provava in quel momento era solo disillusione, malessere, negazione. Nonostante si fosse sforzato di non immaginare un possibile incontro con Castiel, Dean non c’era riuscito: aveva vagliato diversi scenari nella sua testa, e li aveva scacciati tutti uno dopo l’altro per la sofferenza che gli procuravano. Ma nessuno, assolutamente nessuno, si avvicinava anche solo vagamente a quell’assurdità. Deglutì di nuovo, con la bocca secca e la gola stranamente chiusa, ma si costrinse a fingere un atteggiamento tranquillo. «Che vorrebbe dire?»

«Quello che ho detto», disse semplicemente. «Posso capire che ti intimidisca, ma—»

«No, Cas…», lo interruppe Dean scuotendo la testa, con un’urgenza e una rabbia nella voce che non riusciva a contenere o spiegare, e che stava cercando con tutto sé stesso di nascondere. «No. Non mi intimidisce, mi…», chiuse un attimo gli occhi per raccogliere le parole, nel tentativo di non suonare aggressivo e meschino come gli era capitato in troppe altre occasioni. Si schiarì la voce. «Tu sei così? Cioè, sempre?»

«Sono esattamente come devo essere…»

Dean grugnì, al limite della pazienza. «Voglio dire…», si stizzì, «…non hai un… non so, un tramite, un aspetto— un corpo “umano”?»

Il serafino davanti a lui rimase in silenzio, con la sua luce che vibrava intensamente, rendendo  a tratti impossibile sostenerne lo sguardo. «Se lo desideri, certo…»

Dean aggrottò la fronte, in un’espressione di totale incomprensione. «Non capisco, Cas… È inquietante—», si sentì in colpa non appena quella parola uscì dalle sue labbra. «Cioè, è…», tossicchiò di nuovo; era frustrante non riuscire a trovare delle parole per descrivere ciò che vedeva. Si sentiva un po’ come quell’invasato che piaceva tanto a Sam, da cui diceva di aver “imparato tanto dei regni celesti”, vai a sapere cosa intendeva dire, quell’antico poeta di cui tutti a quanto pare andavano pazzi in Italia, quel Dante Alighieri. Neanche lui aveva trovato le parole per descrivere gli angeli, pensò, e se non c’era riuscito uno che di lavoro faceva lo scrittore - o, almeno, probabilmente lo faceva, pensò Dean -, figuriamoci se avrebbe potuto trovarle lui. «…terrificante, potente… bello, credo?», tentò. «Non so, non so misurare la bellezza in termini biblici», accompagnando quell’uscita con una risatina nervosa che fallì miseramente nel tentativo di distendere la tensione. 

«Cosa ti turba?»

Dean si sentiva esausto da quella conversazione. Già non si sentiva pronto ad affrontare Castiel in quel momento, e inoltre di sicuro non era pronto a farlo in quel modo. Tutto quello che avrebbe voluto, una volta che si fosse chiarito le idee, era abbracciare il suo angelo, come ai vecchi tempi. Ma forse quei vecchi tempi non erano che un ricordo lontano. «È solo che… non credevo che sarebbe andata così»

Castiel di contro sembrava immerso in una bolla di beatitudine celeste. «Cosa?»

«Hai preso una passione per le domande…». Dean era in imbarazzo.

L’angelo esitò. «Ti ho sempre fatto molte domande, Dean»

«Sì, era…», l’uomo si rassegnò ad appoggiare la birra sul tettuccio, lanciò uno sguardo al sole che ormai si era tuffato sotto l’orizzonte, e si strofinò gli occhi con le dita, esasperato. «Era una battuta, Cas.», gesticolò. «Almeno questo non è cambiato», poi si voltò a guardare di nuovo verso il suo vecchio angelo. «Solo non lo immaginavo così il nostro incontro in Paradiso»

«E come lo immaginavi?»

Dean si stizzì una volta per tutte. «Non lo immaginavo, per l’amor di Di— beh, di Jack… Cas!— Tu… tu sei sparito, inghiottito da una poltiglia nera ed io ero convinto che non ti avrei mai più rivisto… mi hai detto—», si mise a gesticolare con le mani, incapace di proseguire il discorso. «Si, insomma, non credevo che ci saremmo più rivisti…», disse, abbassando il tono di voce. «E quando ho saputo che eri qui, non lo so, ero arrabbiato. Ho pensato che saresti tornato sulla Terra se avessi voluto rivedere me e Sam… da vivi, intendo. Ma evidentemente eri troppo impegnato a fare il world-builder o qualcosa del genere», grugnì.

«La mia presenza era necessaria qui, Dean. Jack aveva bisogno del mio aiuto…»

La mascella del Winchester si serrò, gli occhi si indurirono. Non aveva voluto farlo, aveva cercato in tutti i modi si smussare i suoi angoli duri, ma quella frase scatenò tutta la rabbia e l’egoismo che risiedeva ribollente di risentimento dentro di lui. Guardò quell’impersonale ammasso di luce con una freddezza che non credeva di riuscire più ad avere per Castiel, e che invece non mancava mai di sorprenderlo. «Anche io avevo bisogno del tuo aiuto, Cas!», sbraitò gesticolando. Poi fece un respirò, si appoggiò con le mani alla balaustra di legno che lo separava dalla china davanti a sé, e lasciò ricadere la testa tra le spalle, verso il petto, con gli occhi chiusi. «E anche Sam ne aveva bisogno… sulla Terra, dove tutto mi è sembrato vuoto e spento e senza senso… e dove ho finito per farmi ammazzare perché sono un maledetto coglione e non sono mai stato in grado di affrontare le cose, ma piuttosto non faccio che affogarle in altre emozioni…», non aveva mai parlato così apertamente. Si sentì strano, quasi stupefatto. Era liberatorio parlare, far uscire le cose che aveva dentro. Per un attimo gli passò per la mente che forse la sua incapacità di esprimersi altro non era che un altro dei giochetti di Chuck, che si era divertito a rendergli la vita un inferno in Terra, piena di frustrazioni continue. Ma poi scosse la testa: non voleva distrarsi da quella conversazione dando spazio a quello stronzo che non si meritava neanche un istante della sua eternità. Non aveva voluto affrontare Castiel, questo era vero, ma ormai che era in ballo doveva ballare. Alzò di nuovo gli occhi verso l’orizzonte, si passò la lingua sulle labbra e poi rivolse di nuovo lo sguardo sgomento sull’angelo, pronto ad accogliere la sua giustificazione, qualunque fosse. Ma era incapace di fissare le pupille su un solo punto. Sbuffò, e si passò una mano sul viso, digrignando i denti. «Per la miseria, Cas! Prendi una maledetta forma… non riesco a guardarti!»

La luce di Castiel tentennò, si affievolì. Forse, pensò Dean dispiaciuto, l’aveva ferito come quando gli aveva dato del “bambino in impermeabile” - beh, neanche la più grave tra le varie altre volte che l’aveva ferito. 

«Pensavo che avresti apprezzato la mia vera forma…», disse. «Ero sicuro che avresti capito»

Dean scosse la testa, improvvisamente consapevole che per l’ennesima volta gli era sfuggito un dettaglio. Ma era troppo stanco per mettersi di nuovo a dare la caccia agli indizi, quella vita era finita, letteralmente. «Capito… cosa? E perché dovrei—»

«Questo è ciò che sono, Dean», lo interruppe Castiel, tranquillo eppure non privo di urgenza nella voce celestiale che giungeva come separata dal quella forma divina. «Non sono mai stato Jimmy Novak o qualunque altro tramite che abbia mai avuto nel corso della mia lunghissima esistenza… io non sono… niente di umano», disse quasi sforzandosi. «E anche se sono stato nel corpo di Jimmy quando lui ormai non c’era più, e anche se per un po’ non ho avuto poteri, e sono stato umano, almeno in parte… diciamo che sono stato “mortale”, terreno in un certo senso, è stata solo una minuscola frazione della mia esistenza e… io non ho nessuna di quelle caratteristiche innate in me. Sono stato in corpi umani maschili e femminili, e sono stato solo luce per molto, molto più tempo di quello che ho passato nel tramite che tu hai conosciuto… ed è per questo che mi sono mostrato a te in questa forma»

Il maggiore dei Winchester iniziava a capire, eppure non voleva farlo. Gli sembrava troppo offensivo anche per la stupida mente contorta e sprovveduta di Castiel. «Perché mi dici questo?» 

L’eco dell’ultima volta che gli aveva detto quelle parole gli aprì uno squarcio nel petto, costringendolo di nuovo a sposare lo sguardo.

«Perché voglio che tu capisca, Dean, che…», sembrava assurdo che quella creatura possente e aliena non trovasse le parole, eppure era così. Sembrava quasi che la sua voce tremasse di incertezza, che temesse la sua reazione. E Dean si sentiva uno schifo all’idea che quell’angelo che si era sacrificato tante volte per salvargli il culo si sentisse intimidito da lui, nonostante  tutto quello che gli aveva detto prima di farsi risucchiare dal vuoto.

L’ex cacciatore di mostri strizzò le palpebre serrate e strinse le dita sul legno dello steccato fino a farsi sbiancare le nocche, poi si rimise dritto, fissando gli occhi su un punto a caso in cui - credeva - potesse ragionevolmente immaginare che si trovassero gli occhi effettivi di Castiel.«Cosa?», lo incalzò. 

L’angelo si agitò nella sua luce. «Che io posso essere qualunque cosa tu voglia. Posso prendere la forma che ti faccia sentire più a tuo agio, più te stesso, più… felice», disse.

Dean non ci credeva: Castiel aveva veramente detto una cosa tanto stupida? Aggrottò la fronte, si guardò le mani ruvide, poi l’orizzonte il cui rosso andava sempre più a scemare nel nero del cielo trapunto di stelle. «No», rispose.

Castiel rimase in silenzio, incapace di capire, ma Dean non dava segno di voler articolare la sua reazione. «No, cosa?»

«Non voglio che tu prenda nessuna altra forma, se è quello che stai suggerendo», gli disse con  un’espressione avvilita eppure triste. Dopotutto, se Castiel era arrivato a dirgli una cosa del genere era solo colpa sua e del suo comportamento tossico da idiota frustrato. Espirò con vigore. «Non voglio che tu cambi per mettermi più… a mio agio— ma che diavolo di proposta è?»

Castiel sembrava titubante, quasi timido. Se Dean non l’avesse conosciuto bene, avrebbe creduto che fosse imbarazzato, ma in realtà sapeva bene che non riusciva veramente a capire perché reagisse così a quella che sicuramente gli sembrava una proposta estremamente logica e razionale. «Io… pensavo solo che forse, con un aspetto diverso— io so che tu— che non ti…», le parole morirono senza trovare la strada per trasformarsi in un discorso di senso compiuto, e si rassegnò. «Ho sbagliato, ho creduto che in Paradiso le cose potessero essere diverse nonostante il passato… sai, che potesse essere come con—»

«Come con Anna», lo interruppe l’altro, serrando ancora di più la mandibola.

«Beh… sì», ammise Castiel.

Il viso di Dean si arrossò appena, ma la barba sottile e le ombre create dal tramonto lo nascosero. Inspirò ed espirò più volte, in cerca di una via d’uscita da quella conversazione surreale. Castiel era sempre il solito angelo incapace di comprendere le più banali emozioni umane, anche se credeva di farlo. Per lui bastava trovare una soluzione logica adesso che poteva farlo, bastava schioccare le dita e tutto nella sua testa sarebbe stato facile, banale, semplice. Magari pensava addirittura di fargli un favore, ad affrontare così la questione, di punto in bianco, come se niente fosse. Come se Dean non dovesse già metabolizzare molte altre cose; come il fatto di essere morto ad appena quarant’anni impalato da uno stupido chiodo per colpa di una stupida vampira che quell’idiota di Sam non aveva voluto far fuori quindici anni prima, per esempio. O come il fatto che aveva passato un’intera vita a ritrarsi anche con sé stesso come un vero donnaiolo senza scrupoli e senza sentimenti, senza dubbi, ma che erano anni che in realtà sopprimeva dietro a pacche sulle spalle, abbracci “fraterni” e altre cazzate una verità che non aveva avuto il coraggio di rivelare neanche a sé stesso. Ma no, Castiel cercava sempre di risolvere le cose da solo, poco importava se così facendo creava ancora più confusione. E, sì, da una parte un mea culpa Dean se lo sarebbe anche dovuto fare dato che a sua discolpa Castiel provava quei sentimenti da anni, aspettando in silenzio, mentre lui si crogiolava nel suo bellissimo armadio pieno di pizzi e minigonne che non gli davano altro che un brivido, ma nessuna emozione. Dean sospirò. Non era colpa di Castiel, si disse, anche se avrebbe potuto usare un po’ più di tatto. Era solo colpa sua, e della sua stupida inutile vita di bugie… o forse era colpa di Chuck, chi lo sa. «Tu non sei Anna, Cas», si ritrovò a dire. «E non mi importa… non voglio che tu lo sia. Vorrei che, per favore, ti mostrassi per come ti conosco, ok? È tutto quello che voglio che tu sia, niente di diverso…»

«Ma…»

«Basta, Castiel!», gridò articolando il suo nome per intero. «Basta. Questa discussione è andata anche fin troppo avanti», disse stizzito. «Non mi importa che aspetto hai… non cambia niente! Niente! E voglio solo poter… sì, insomma, poterti abbracciare di nuovo come tutte le altre dannate volte in cui sei morto e poi sei riapparso dal nulla su una stupida strada o accanto a una maledetta cabina telefonica. Non ti voglio…» fece una smorfia seccata e aprì le virgolette con le dita delle mani, «…“versione femminile”, se è quello che intendevi propormi e— Maledizione, è la cosa più stupida che potessi dirmi, eppure ne hai dette di stronzate in questi anni!»

Dean non lo vide neanche, sentì solo un rumore di ali che sbattono, e poi nel tempo di un battito di ciglia quella creatura fatta di piume, luce e occhi era svanita, lasciando al suo posto una figura familiare dai capelli corvini avvolta da un consunto impermeabile beige. E ci provò con tutte le forze, davvero, con una volontà smodata, ma non riuscì a frenare l’emozione che gli montava nel petto. Sentiva gli occhi lucidi come l’ultima volta che l’aveva visto, in quel terribile parallelo che gli aveva fatto ricordare il giorno in cui gli era apparso la prima volta. 

«Cas…», espirò, finalmente leggero; la rabbia, il dolore e la frustrazione che si dissipavano alla velocità di un battito di cuore.

«…Dean», gli rispose lui con un sorriso beato. Il sorriso che Dean ricordava, quello che… beh, il suo sorriso.

Dimenticando tutto il resto il Winchester gli si avvicinò in pochissime lunghe falcate, e gli si infranse addosso in un abbraccio bisognoso, impaziente. Gli strinse le spalle con le braccia, aggrappandosi alla stoffa dell’impermeabile come se avesse paura che svanisse da un momento all’altro. Nella sua mente le idee correvano, le sensazioni si accavallavano l’una sull’altra incapaci di prendere un nome, di concretizzarsi. Sentiva il cuore rimbalzargli nel petto all’impazzata, così forte che se non fosse già stato morto avrebbe temuto un infarto. Fu proprio in quel momento che la radio angelica pensò bene di far partire All I want di Kodaline. Non certo una scelta in tema con i gusti di Dean, ma sicuramente il testo era azzeccato, per quanto forse non avrebbe saputo usare ancora tutte quelle parole.

 

All I want is nothing more
To hear you knocking at my door
'Cause if I could see your face once more
I could die as a happy man I'm sure

 

 

Non voleva nient’altro in quel momento. Non voleva staccarsi, non voleva allontanarsi, non voleva neanche guardare in faccia Castiel: qualunque movimento avesse fatto avrebbe rotto quel momento così perfetto, avrebbe aperto la via a discorsi che sapeva di non essere pronto ad affrontare, l’avrebbe costretto ad elaborare, ma soprattutto gli avrebbe tolto il calore familiare, terapeutico, che solo quell’abbraccio era in grado di dargli in quel momento. Prima di morire sapeva che un giorno, vicino o lontano che fosse, avrebbe rivisto tutti i suoi cari, e che anche Sam, prima o dopo, sarebbe stato al suo fianco. Dopotutto, sapere dell’esistenza dell’aldilà concedeva un certo grado di tranquillità per quanto riguardava l’idea della morte. Ma se le anime umane potevano andare solo all’inferno o in paradiso, e con Jack al comando era sicuro che si sarebbe assicurato un biglietto di sola andata per i piani alti qualunque cosa fosse capitata, Dean sapeva che angeli e demoni non avevano la stessa sorte. Ed era vero che prima Chuck, poi Jack, avevano riportato Castiel in vita talmente tante volte da averne ormai perso il conto, ma quando l’aveva visto svanire era sicuro che sarebbe stata la fine, per sempre. Aveva creduto che il Nulla non l’avrebbe mai lasciato andare. 

 

When you said your last goodbye
I died a little bit inside
I lay in tears in bed all night
Alone without you by my side

 

Dean aveva cercato di non mostrarlo a nessuno, nemmeno a Sam. Ma quel distacco così improvviso, così inaspettato, l’aveva lasciato spezzato. E nel buio della sua camera, nel conforto dell’alcol, nel silenzio delle mura che lo circondavano si era lasciato andare alle lacrime, lasciando che la sua testa urlasse fino a spezzarsi le corde vocali. E si era chiesto perché, perché se Castiel ci teneva tanto a lui, non aveva trovato un altro modo per salvare entrambi, o per tornare. Che razza di modo di fare era… aprirgli il cuore, spezzare il suo in mille pezzi, dichiararsi… per poi scomparire nel Nulla?

 

But if you loved me
Why did you leave me

 

Ferito nel profondo, ancora incapace di liberarsi di quel dolore, gli parve del tutto naturale prolungare quell’abbraccio tanto più di quanto non avrebbe fatto sulla Terra. Dopotutto non c’era niente da rincorrere, da cacciare, da uccidere. Non c’erano pericoli, non c’era tempo che si potesse perdere. Ma Castiel si allontanò, ponendo fine a quell’unico momento di pura serenità. Fece un passo indietro con quel sorriso maledettamente serafico, e Dean non riuscì a trovare qualcosa di intelligente o arguto da dire. Si sentiva solo in colpa.

«Che ti succede?», gli chiese l’angelo. «Il topo ti ha mangiato la lingua?»

Bastò quella battuta a stemperare l’intensità del momento. «Si dice “il gatto”, Cas… non il topo»

«Ah, giusto»

Dean gli lanciò un’occhiata serena, di traverso, e si appoggiò di nuovo alla macchina. Castiel lo imitò, portandosi le mani in grembo come era solito fare quando non sapeva dove altro metterle. Dean percepiva che indossare di nuovo quel tramite lo faceva sentire strano, vulnerabile forse. Dopotutto stando alle sue parole era il tramite con cui aveva provato per la prima volta la pura felicità, ma anche quello con cui aveva patito le più grandi sofferenze, interiori ed esteriori, e di questo il Winchester si imputava molte responsabilità.

«Dean, io…» , iniziò l’angelo. 

«Cas…», disse l’altro contemporaneamente. 

Castiel gli fece segnò di continuare, ma Dean scosse la testa.

«Volevo dirti che mi dispiace se quello che ti ho detto quando… sì, insomma, non volevo turbarti…»

Dean rimase in silenzio, con gli occhi fissi nel cielo. La fossetta appariva e scompariva dalla sua mandibola scolpita, il sottile nido di lentiggini chiarissime che gli si apriva sugli zigomi era lievemente illuminato dagli ultimi bagliori del tramonto. «Non l’hai fatto, io—»

«Non serve che tu dica nulla, Dean, davvero. Pensavo ciò che ho detto, ogni parola, e so benissimo che non puoi ricambiarmi; come ho detto, so che quello che desidero di più non posso averlo e dopotutto era moltissimo tempo che lo pensavo. Per cui se lo desideri possiamo fingere che non sia successo, possiamo… dimenticare, e tornare ad essere quello che eravamo prima», si affrettò a dire, con un’urgenza quasi dolorosa, eppure estremamente calma e calcolata.

Dean mugugnò un ironico assenso. «È questo che vuoi? Fingere per l’eternità?»

Castiel sembrava confuso. «Io? No, io voglio che tu sia—»

«Non ti ho chiesto cosa vuoi che io sia, faccia, abbia, respiri o beva…», roteò gli occhi, «…ma cosa vuoi tu»

L’angelo rimase interdetto, in silenzio. Sul suo viso scese un’espressione imperscrutabile. «Non c’è niente che io voglia, che non riguardi te», disse con una semplicità e una sincerità disarmanti.

Il Winchester si sentì riempire di un calore intenso, di un benessere macchiato da quella vischiosa sensazione di colpevolezza: avrebbe voluto liberarsi di ogni blocco, di ogni imposizione che si era sempre dato in vita, e a cui probabilmente non si era mai reso conto di aver fatto ricorso, ma non ci riusciva. Non ancora almeno. E dentro di sé sentiva pungente la paura di non riuscirci affatto, nonostante tutto. La paura di non potersi sentire sé stesso neanche in Paradiso, di non meritarsi o di non riuscire a prendersi davvero quella libertà che a quanto pareva gli si stava sventolando davanti, ma che era così disabituato a riconoscere da non riuscire neanche a contemplarla. Ma non voleva farsi sopraffare dalla paura. Non importava quanto tempo ci sarebbe voluto, ma si sarebbe impadronito della sua vita - o almeno, della sua nuova vita, per così dire. Castiel gli aveva detto che da quando l’aveva tirato fuori dall’inferno, Dean l’aveva cambiato. Eppure, a parti inverse, era Dean a pensare esattamente la stessa cosa. Dal primo momento in cui l’aveva toccato Castiel aveva sconvolto la sua vita: aveva salvato la sua anima, l’aveva riportata sulla Terra, e poi l’aveva vista spezzarsi tante altre volte ed ogni volta gli aveva dimostrato solo volontà, affetto, perdono. Ne avevano fatti di errori durante la strada, e Dean sicuramente più di chiunque altro. Si era nascosto dietro la sua virilità, così esasperata, e si era fatto scudo di ogni stilla di dolore che aveva accumulato dentro di sé fin dall’infanzia, per schermarsi dalle emozioni che lo spaventavano. Ma per quanto ci avesse provato, Castiel aveva fatto breccia dentro di lui, e l’aveva cambiato. Ne aveva avuto la dimostrazione quando Chuck l’aveva chiamato “il killer perfetto e spietato”, e lui aveva risposto senza esitazione che non era affatto quello, o almeno non solo. E se era arrivato a vedere sé stesso come qualcosa di diverso rispetto a un assassino a sangue freddo, era solo merito di Castiel, che era riuscito a liberare la sua versione migliore. 

 

'Cause you brought out the best of me
A part of me I'd never seen
You took my soul wiped it clean
Our love was made for movie screens

 

«Io non voglio fingere», sussurrò dopo un po’. «Onestamente non so neanche cosa fossimo prima»

«Amici?»

«Forse, per un po’… una volta ti ho detto che eri come un fratello», recuperò la bottiglia dal tettuccio dietro la sua testa, e tracannò il resto della birra in un solo sorso. «Beh, se così fosse immagino che quei fanatici che hanno scritto il Musical sui libri di Chuck avrebbero un altro incesto da esplorare con il loro “sottotesto”…», sogghignò soddisfatto della sua battuta.

Castiel lo guardò confuso, aggrottando la fronte. 

L’altro gli lanciò uno sguardo alla “Dean-il-nerd-comico-Winchester”, speranzoso che cogliesse il riferimento, ma finì per stamparsi sul viso la classica espressione delusa di quando credeva di aver detto qualcosa di assolutamente geniale senza scatenare l’effetto sperato. «Lascia perdere», disse schioccando le labbra. «Voglio dire…», proseguì, tornando a guardare l’orizzonte ormai immerso nell’oscurità, «…che credo che tu non sia più un amico o un fratello per me da parecchio tempo»

Non era sicuro che Castiel avesse mai veramente respirato, o se ne avesse in qualche modo bisogno considerato che era un angelo, ma Dean poteva assolutamente scommettere che in quel momento l’angelo stava trattenendo il fiato. 

«Non posso dirti quello che desideri sentire, però», proseguì. L’aria uscì di nuovo dai polmoni del serafino, quasi impercettibile, e Dean sentì spezzare qualcosa dentro di sé al pensiero che stava lo ferendo per l’ennesima volta. «Non perché non provi qualcosa…», disse, tanto maldestro quanto non era mai stato. «Ma perché non sono pronto ad affrontare la sua natura…»

Castiel annuì, indulgente. «Non è importante», lo rassicurò.

 

All I want is
All I need is
To find somebody
I'll find somebody
Like you, ooh

 

La musica scemò e poi finì, confondendosi in qualcos’altro, lasciando per qualche istante lo spazio sonoro riempito solo dal vento e dai loro respiri.

Dean sospirò. «Lo è, invece. Ma non ci ho mai…», parlare gli faceva male, fisicamente e psicologicamente. «…o meglio, ci ho pensato, a volte, in alcuni momenti, ma anche se… ho pensato… sai ho anche confessato a un prete che—» rise senza gioia, poi si ammutolì. Spostò i piedi più volte e si passò le dita tra i capelli, grattandosi la nuca nervosamente. «il punto è che ho bisogno di tempo, Cas», proruppe tutto d’un fiato.

L’angelo sorrise. «Quello direi che non ci manca…»

«No, infatti», sorrise nel buio.









TO BE CONTINUED

 

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Capitolo 3
*** Imitation of life ***


NdA. Eccoci al terzo capitolo... speravo in un po' più di commenti per avere un po' di riscontro sulla mia storia ma non mi perderò d'animo per questo! In questo capitolo, dopo aver affrontato Castiel, Dean deve affrontare un altro scalino per curare il suo inner child, e parlare con chi più di ogni altro gli ha provocato fin troppi complessi. Spero che questo capitolo vi piaccia, nonostante sia effettivamente lungo, devo ammetterlo. Ho pensato di spezzarlo, ma poi non avrebbe avuto senso. In ogni caso, la canzone che accompagna e ispira questo aggiornamento è Imitation of Life, dei REM, perché quella a cui John per colpa di Azazel per colpa di Mary per colpa di Lucifero per colpa di Chuck ha costretto Dean altro non era che un'imitazione di vita. O almeno questo crede Dean... e forse uno dei passi da fare per accettare accettarsi è proprio capire che non tutto è stato un teatro, e che qualcosa di vero, oltre la mimesis, c'è sempre stato.




CAPITOLO III
Imitation of life

 

That sugar cane that tasted good
That cinnamon, that's Hollywood
Come on, come on
No-one can see you try

No-one can see you cry

That sugar cane that tasted good
That' freezing rain, that's what you could
Come on, come on
No-one can see you cry

This sugar cane, this lemonade
This hurricane, I'm not afraid
Come on, come on
No-one can see me cry

This lightning storm, this tidal wave
This avalanche, I'm not afraid
Come on, come on
No-one can see me cry

That sugar cane that tasted good
That's who you are, that's what you could
Come on, come on
No-one can see you cry



Dean si sentiva insolitamente nervoso. Si strofinò le mani umidicce sui jeans stropicciati e passò più volte da un piede all’altro, indeciso sul da farsi. Era sempre stato uno tutto d’un pezzo all’apparenza. Quello sfrontato tra i due fratelli Winchester: c’erano sempre stati il riflessivo, assennato, affabile ed empatico Sammy, e l’impulsivo, imprudente, attraente ed alessitimico Dean. Non era una gran scoperta che il minore dei Winchester avesse imparato fin da piccolo ad esprimere la sua interiorità e ad abbracciarla, mentre il maggiore l’aveva presto repressa per crescere prima del dovuto. E non si poteva negare che tutta l’espansività e l’esuberanza che aveva dimostrato in passato nel suo strafare con le donne non fossero altro che un modo per nascondere l’interiorità con una grande, eccessiva, dose di esteriorità. In ogni caso, la maturità gli aveva portato via un po’ della sua effervescenza naturale lasciandosi dietro la stessa incapacità di affrontare le emozioni. Esattamente come in quel momento, in cui tutta la sua irruenza e istintività sembrava essere sparita. 

Era fermo davanti a quella porta da almeno cinque minuti. Era una bella colonica, pensò. Tutta bianca e terracotta, piccola ma calorosa all’apparenza. Il portone color “Grand Canyon” si stagliava possente con un bel battente di ottone nel mezzo. Non c’erano vetri o altro, ma ai lati si aprivano due belle finestre ben pulite, schermate da dense tende chiare. Sulla sinistra se ne stava inciso a lettere chiare il cognome della famiglia, con sotto un piccolo campanello; “Whinchester”, diceva. A Dean non restava che suonare, eppure sembrava incapace di farlo. L’ultima volta che aveva visto suo padre era stato per caso, quando una perla aveva espresso il suo desiderio più profondo, riavere la famiglia finalmente riunita, rivivere quel sogno infantile che lo aveva lasciato spezzato per tanto tempo. In un certo qual modo aveva curato un po’ il suo bambino interiore, così bistrattato, così malconcio. Eppure John probabilmente non lo ricordava neanche… magari Mary gliene aveva parlato, magari no.

Dean ricordava bene come si era sentito quando suo padre gli aveva detto ciò che avrebbe voluto sentigli dire molto tempo prima. Che era orgoglioso di lui, e dispiaciuto della vita che l’aveva condannato a vivere. Ma dopotutto Dean sapeva bene che quella vita non era colpa di John, né sua, né di Sam o Azazel o chi per loro. Per tanto tempo non erano stati che pedine. Qualunque fosse la verità, comunque, era nervoso. Emozionato addirittura. In paradiso non c’era niente, assolutamente nulla da temere: nessun mostro, fantasma, vampiro, demone o chiodo arrugginito che lo distogliesse da fare ciò che voleva; nessuna apocalisse ad interrompere il suo flusso di coscienza. E forse il problema era proprio quello. Era talmente abituato a respingere nel fondo della mente i pensieri intrusivi che cercavano di fargli affrontare le sue ferite interiori per via delle troppe ferite esteriori, che trovarsi in una situazione in cui non c’era niente a cui aggrapparsi, niente in cui nascondersi, era terrificante. 

Dean scosse la testa, si passò una mano tra i capelli e strinse i denti come suo solito, dandosi di stupido da solo, poi si decise e si tuffò contro il campanello quasi come se avesse preso la rincorsa. 

Ormai era troppo tardi per scappare, pensò.

Sentì qualche rumore dentro la casa, poi qualche parola ovattata dalle mura e infine la porta si aprì. Mary se ne stava davanti a lui, ancora rivolta verso John, appena dietro le sue spalle. 

«Dean…», disse suo padre senza esitare un solo istante.

Mary si voltò di scatto verso il figlio, con un sorriso radioso ad illuminarle il volto ringiovanito. Nè lei né suo padre erano la versione adulta che aveva visto l’ultima volta, ma non erano neanche quella giovane che aveva incontrato nel suo viaggio nel tempo. Una via di mezzo, esattamente come li vedeva nei suoi ricordi di bambino. La loro vista così fresca e giovanile lo destabilizzò un attimo, rendendosi conto che probabilmente dimostravano anche meno anni di lui.

«Dean!», ripetè lei, abbracciandolo di slancio. «Noi… ti aspettavamo…»

«…non così presto, però», disse John, con un cenno misto di disappunto e dispiacere nella voce.

«Uhm», mugugnò Dean in risposta.

Mary lanciò un’occhiata storta al marito, poi tornò a rivolgersi al figlio, ancora fermo sulla soglia di casa. «Entra, ti preparo un sandwich se ti va…»

Il viso di Dean si illuminò tutto in un istante, e volò dentro casa senza farselo ripetere due volte. L’interno non somigliava affatto alla loro vecchia abitazione a Lawrence. Niente celeste, grigio o blu, e nessuna scala subito davanti all’ingresso. Al contrario, la porta si apriva su un ampio salone illuminato da calde luci a vista che si estendeva per tutta la lunghezza fino a quello che sembrava un cortile sul retro, o un giardino un po’ buio. Nel centro della stanza c’era un tavolo di legno grezzo coperto di diversi fiori sparsi e alcuni vasi che aspettavano di essere riempiti. A destra invece si trovava il salotto, dove due divani di pelle color cuoio con dei grossi cuscini di corda bianca erano sistemati intorno a un tavolino da caffè ricavato da un vecchio baule. Tutta la stanza era circondata da finestre alte che lasciavano libera una sola parete, occupata da un caminetto spento ben delineato da una grossa asse di legno massiccio su cui erano sistemanti accuratamente alcuni libri sui mostri europei e americani, un paio di stelle anti-demone realizzate con dei bastoncini, qualche porta candela di dimensioni diverse e quattro foto incorniciate. Dean diede uno sguardo di sfuggita a sua madre che spariva nella cucina a sinistra del salone, e poi si avvicinò con passo deciso a quei piccoli cimeli. Sentiva imperante alle sue spalle la presenza di suo padre, ma ignorò la sensazione di ansia che gli procurava.

Sfiorò appena con la vista tutti gli oggetti, soffermandosi sulle foto. Una ritraeva Mary e John il giorno del loro matrimonio in posa davanti all’Impala; lei tanto rock e grintosa e lui tanto spaurito e impettito da fargli scappare una risatina. La seconda foto ritraeva tutti loro quattro insieme, con Sammy ancora infante e Dean senza un incisivo, mentre la terza raffigurava solo Dean e Sam da bambini. Lui stava placcando il suo fratellino con le braccia, sollevandolo da terra come una piuma; sul viso di entrambi era acceso un sorriso genuino. Dean non sapeva neanche dell’esistenza di quella foto; forse effettivamente non era mai stata scattata, eppure si ricordava perfettamente quel momento. Lui e Sammy erano in una delle tante scuole della loro infanzia, stavano giocando da soli a mosca cieca nel cortile. Erano già tre mesi che si trovavano lì, e Dean sapeva che presto sarebbero dovuti ripartire, ma Sam aveva avuto una crisi di pianto solo la sera prima all’idea di dover lasciare di nuovo i suoi amici, e Dean l’aveva consolato dicendogli che non importava se fossero dovuti andare altrove, perché lui non l’avrebbe mai lasciato solo. Per distrarlo gli aveva promesso che il giorno dopo avrebbe passato tutta la ricreazione a giocare con lui, invece di stare con quelli della sua classe. Poco importava che Dean non avesse fatto amicizie, proprio perché consapevole che le avrebbe perse molto presto: Sam non lo sapeva, e tanto bastava per fargli credere che avrebbe tolto del tempo a sé stesso per dedicarlo a lui. Proprio mentre giocavano John era arrivato con la macchina già carica delle loro cose, e Dean aveva stretto forte la spalla di Sam mentre lui si voltava triste e sconsolato verso i suoi amichetti che scuotevano le mani per salutarlo, inconsapevoli che non l’avrebbero mai più rivisto. 

Dean fu colpito da una stretta al cuore, e un lieve risentimento gli riempì il petto e la mente, ma scacciò quell’emozione in fretta, come era abituato a fare. L’ultima foto lo aiutò a distrarsi, lasciandolo quasi a bocca aperta. Erano di nuovo loro quattro, ma adulti, nel bunker, la sera della loro ultima e unica cena tutti insieme riuniti. La sera in cui quella perla maledetta aveva esaudito il suo più grande desiderio e con esso quasi distrutto completamente le loro vite per come le conoscevano. Erano tutti a tavola, ridevano con gli occhi lucidi, i bicchieri pieni di vino rosso e fin troppe bottiglie di birra già vuote abbandonate nel mezzo; brindavano.

«È un ricordo di Mary», disse velocemente John. «È una delle simpatiche novità che ha introdotto quel vostro ragazzo, Jack…»

Dean si voltò verso suo padre con il mento alzato e l’espressione incerta, incuriosita. «Cioè?»

«In pratica possiamo “stampare” i ricordi, come se fossero foto… sai, visto che adesso il paradiso non riproduce più i ricordi più belli del passato, ma ti permette di vivere una vita “futura”, ha pensato di dare comunque la possibilità di rivivere quelle memorie attraverso le fotografie…»

«Piccolo bastardo…», disse Dean con un gran sorriso sul volto, annuendo vigorosamente. «È un gran bravo Dio», concluse con un ghigno divertito.

John annuì. «Avete fatto un bel lavoro con lui»

Dean aggrottò la fronte, sorpreso. «Oh, io ho fatto ben poco… ho pensato di ucciderlo o rinchiuderlo più volte di quante mi piace ammettere ma—»

«Non è questo il momento per la modestia, figliolo…», lo interruppe John. «…so la storia, un Nephilim figlio di Lucifero in persona, che ha scelto Castiel, te e Sam come famiglia… mi ha aggiornato su tutto quello che non sapevo su di voi, e poi ha detto a me e tua madre quello che avete fatto sulla Terra…»

Il maggiore dei Winchester si lasciò sfuggire un sospiro tra l’imbarazzato e il sardonico, spostò il peso sul piede sinistro, si infilò le mani in tasca e alzò il mento verso suo padre. «Ah sì? E quale delle tante cose che abbiamo fatto?»

John alzò un sopracciglio. «Credevo non fossi più tanto sprezzante…»

Dean si lasciò andare a una risata senza gioia. «E cosa te l’ha fatto pensare?»

«L’ultima volta che ci siamo visti credevo che avessimo risolto i nostri… problemi. Anche con Sam»

«Quindi lo ricordi anche te?», chiese Dean, di nuovo colpito da una mistura di strane emozioni: aspettativa, inquietudine, nostalgia, durezza e mitezza insieme.

John annuì. «L’ho sempre ricordato, Dean», disse semplicemente. «Solo che non potevo— sai, dirtelo… dirvelo»

«Chiaro», rispose lui. «So esattamente cosa vuoi dire…»

Distolse lo sguardo da suo padre e lo posò per un attimo sulla foto di lui e Sammy da bambini. «E questa invece?»

Il sorriso di John arrivò fino agli occhi. «Oh, questo è un mio ricordo…», disse soddisfatto. «…eravate così belli insieme, così spensierati, così—»

«Soli», concluse Dean.

L’uomo sospirò. «Mi dispiace, figliolo… mi rendo conto di non avervi dato la vita che meritavate, spero solo che questo non significhi che mi porterai rancore per l’eternità»

«Nossignore», rispose Dean tutto d’un fiato. «L’ultima volta che ci siamo visti è stato anche l’ultimo momento in cui ho provato rancore… e anche il primo in cui ho preso coscienza di averlo sempre provato», disse.

«Mi dispiace davvero, Dean. Tu e Sam meritavate di meglio… vorrei solo poterlo dire di nuovo anche lui»

«Lo sa», lo rincuorò Dean, in difficoltà per tutte quelle emozioni da sviscerare. Tossicchiò. «E in ogni prima poi glielo dirai e comunque lui ti ha perdonato, così come ho fatto io… beh, insomma, non che ci fosse nulla da perdonare. Volevi vendicare mamma, io ho fatto molto peggio per molto meno…», rise.

In quel momento Mary entrò in salotto con un vassoio con tre sandwich un po’ troppo fumanti. «Formaggio grigliato e bacon», disse.

Dean lanciò un’occhiata veloce al piatto con lo stomaco che gli brontolava dalla fame alimentata dalla gola, ma il suo entusiasmo fu subito smorzato dall’aspetto bruciacchiato della pancetta e dal sentore di plastica che proveniva da uno dei panini. «Il Paradiso non ha migliorato le tue doti culinarie, mamma…», le disse sardonico.

Lei lo fulminò scherzosamente, poi annuì accondiscendente. «Almeno ci provo», rispose, posando il tutto sul tavolino al centro della stanza e sedendosi sul divano più vicino. Dean la imitò, e si sistemò sul sofà opposto, teso eppure felice.

«Di cosa parlavate?», chiese Mary.

«Di niente», risposero in coro John e Dean.

Lei sospirò. «Vi somigliate più di quanto vorrei…»

«Oh, no», la corresse John. «Dean è esattamente come te—»

«Cocciuto? Impulsivo? Testardo?», chiese lei.

John rise di gusto. «No!», rispose. «O meglio, sì…», guardò di sottecchi la moglie con uno sguardo di scuse. «Ma intendevo grintoso, coraggioso, protettivo…»

Dean si sentì arrossire a quella inaspettata sequenza di complimenti, ma dissimulò afferrando un sandwich e iniziando a mangiarlo fin troppo rumorosamente.

«Una delle ultime volte che mi hai detto cose del genere…», disse con il boccone in bocca, «…ti ho quasi sparato. Sicuro di essere tu?», rise. «Quella volta eri stato posseduto da quello squallido demone dagli occhi gialli», biascicò.

Mary rabbrividì. «Certo che almeno a mangiare avresti potuto insegnarglielo, John…», cambiò discorso.

«In realtà ero convinto di averlo fatto», scherzò John.

Dean smise di masticare, si raddrizzò e cercò di darsi un tono più educato, finendo per sembrare un damerino impettito. I suoi si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi scoppiarono a ridere, e lui capì di essere stato preso in giro. «Ah!», esclamò con la bocca piena di cibo, «Davvero divertenti». Prese un fazzoletto, si pulì le labbra e finì di deglutire. «Come funziona il tempo quassù?», chiese sventolando il tovagliolo stretto in pugno. «A vedervi sembra che stiate di nuovo insieme da una vita…»

Mary storse le labbra. «È difficile da spiegare», rispose, e John annuì. «Il tempo passa molto lentamente e molto velocemente allo stesso tempo… si potrebbe dire che siano passati vent’anni, più o meno…»

Dean quasi si strozzò con il suo nuovo morso. «Venti? Da quando sei… sì, insomma, da quando sei rimorta?», quasi gli venne da ridere per l’assurdità delle loro vite.

«Oh, no, da quando Jack e Castiel hanno ricostruito da zero il paradiso…»

Il maggiore dei Winchester stava di nuovo mostrando ai suoi genitori il bolo alimentare che si trovava nella sua bocca. «Wow… quindi sono venti anni che Cas—», tossì, «Cioè, che tutti voi, mi aspettavate?»

Mary aggrottò le sopracciglia come per scandagliarlo nel profondo. «Non è esattamente così… vedrai, lo capirai con l’esperienza… noi siamo consapevoli del tempo che passa sulla Terra, anche se non sappiamo cosa accade, solo che qui si svolge più lentamente se sei felice, ecco…»

Dean osservò tra il nauseato e l’estatico lo sguardo di puro romanticismo che si scambiarono i suoi genitori. John prese tra le mani le piccole dita della sua Mary, e le strinse forte, prima di darle un bacio lieve sulle labbra. Sembrava così strano, pensò Dean, vederli così innocui e delicati, felici e “normali”, dopo averli visti entrambi uccidere a sangue freddo fin troppe creature e umani. Eppure a quella vista il cuore gli si riempì di gioia e gelosia. Gioia per avere finalmente la possibilità di nausearsi davanti alle effusioni dei propri genitori, come tutti figli a cui è concessa una vita normale; e gelosia, per la possibilità che loro avevano di provare qualcosa del genere. E poco importava che anche lui avrebbe potuto averla, se sono nella vita non avesse mandato all’aria ogni occasione. O nella morte, rimuginò all’immagine lampeggiante nella sua mente di Castiel, scacciando velocemente il pensiero. 

«Per quanto riguarda Castiel…», disse Mary, costringendolo invece a non liberarsene, «…non penso che per lui sia passato allo stesso modo il tempo. Dopotutto è un angelo e ha ricostruito il Paradiso insieme a Jack, credo che abbia una visione più d’insieme… magari potresti chiederglielo», suggerì. «L’hai visto?»

Dean percepì uno strano interesse in quella domanda, quasi che implicasse qualcosa che non era certo di capire. «Uhm?», mugugnò. «Oh… Cass, sì, sì, certo… ci siamo beccati, sì»

John lo scrutò con un sopracciglio alzato. «“Beccati”?», chiese. «Mi sembrava di averti insegnato a parlare meglio di un teppistello di quartiere…», lo rimbrottò.

Mary gli assestò una gomitata. «John…»

«Cosa? Anche se gli ho fatto cambiare molte scuole mi sono assicurato che finisse gli studi, e non certo per sentirlo parlare come un quindicenne a— beh, quanti anni hai di preciso?»

Dean fece spallucce, guardando in alto come per contare con un atteggiamento sarcastico. «Penso quarantuno», si sporse in avanti e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, tenendo stretto il sandwich quasi finito con entrambe le mani, e sogghignò con i denti tutti sporchi di cibo. «Ma potrebbero anche essere quattordici, dipende da che parte guardi il numero…»

John strinse le labbra. «A guardarti da fuori si direbbe decisamente più quarantuno che quattordici… ma a sentirti parlare…», disse alzando le braccia in segno di resa.

«Ehi! Sono esattamente identico a come ero da ragazzo… non fare come Sam!»

Mary si portò le mani in grembo, intrecciando le braccia e posando le spalle contro lo schienale del divano. «Che avrebbe fatto Sam?»

«Oh, niente…», biascicò Dean. «…quel coglione stempiato mi ha detto che io sarei invecchiato», rise. «Ma solo perché lui non si è guardato bene allo specchio! Io mi porto gli anni che è una meraviglia, a lui invece non sono bastati tutti quegli addominali a mantenersi altrettanto giovane…», rise al suo stesso scherno. «E chissà come sarà decrepito quando arriverà qui… allora sì che potrò prenderlo in giro come si merita, con quei capelli a tendina!», rise.

John e Mary si scambiarono un’occhiata. «Dean, lo sai che è possibile plasmare la propria anima in base all’immagine di noi stessi che più ci rappresenta, giusto?»

Dean aggrottò la fronte e si succhiò le punte delle dita fragorosamente. «In che senso?»

«Che la tua anima in Paradiso prende l’aspetto della fase della tua vita in cui sei stato più felice, più o meno…»

«Oh», disse Dean annuendo distrattamente e afferrando un altro panino. «Grande»

Mary si sporse verso suo figlio. «Quindi è questo? Il momento in cui sei stato più felice?»

«Che intendi dire?»

Lei si allungò per prendere una mano unta di Dean tra le sue. «Sono fiera di te»

Dean continuava a non capire.

«Avrei pensato che saresti comparso qui tutto pimpante nella tua versione womanizer di quando ti ho lasciato, ragazzo…», gli disse suo padre. «…e invece eccoti qui, con tutti i tuoi anni, senza essere andato indietro a ben altri fasti»

Il sorriso di Dean scomparse. «Mi sento offeso… vorrei farti notare che non ho neanche un capello bianco», disse con noncuranza. «E comunque non pensavo neanche che fosse un’opzione… », schioccò le labbra. «Quindi non vedrò mai Sam rugoso e decrepito? Che palle!», esclamò.

Mary tornò a sedersi come prima e guardò John scuotendo lievemente la testa. «Beh, sono contenta che tu fossi felice…»

Dean serrò i denti, e la fossetta apparì in mezzo alla mandibola. «Non lo ero di certo…», disse. «Probabilmente il mio inconscio è solo rotto», stemperò.

«Sicuramente c’è un motivo se hai questa forma… e comunque non sembri affatto vecchio, Dean», disse lei fulminando John. «Decisamente non dimostri quarant’anni…»

«Vorrei ben vedere!»

John schioccò la lingua. «Beh io sarei curioso di sapere cosa ti ha portato a perdere quella tua fastidiosa superficialità…»

«John!», lo sgridò Mary.

«Oh è questo che pensi?»

Suo padre fece spallucce. «Non puoi negare che eri un bel po’ superficiale qualche anno fa…»

Dean si lasciò andare a un risolino amaro, distendendo le spalle e guardando suo padre con un’espressione di sfida. «Oh, ti chiedo scusa se a vent’anni mi comportavo come un povero coglione perché temevo il tuo giudizio se fossi stato anche solo un po’ meno virile, papà»

Quella verità sviscerata con tale facilità sconcerto soprattutto Dean, che mai si sarebbe aspettato di sentirselo dire ad alta voce. Forse sua madre aveva ragione: forse davvero il suo inconscio aveva scelto quella forma perché era quella in cui si era realizzato più pienamente come persona. 

«Non mi pare di averti mai imposto nessuno standard…»

Dean rise ancora. «Certo che no, eri solo l’emblema del maschio alpha…», si passò la lingua sulle labbra. «…non piangere, piangere è da rammolliti; prima spara e poi fai le domande; sii uomo e prenditi le tue responsabilità; controlla che Sam non si faccia rammollire da quei libri di cui si imbottisce il cervello; i legami rendono deboli; le emozioni ti fanno sbagliare; i sentimenti sono un peso di cui liberarsi…»

Mary si succhiò un labbro in difficoltà. «Hai davvero detto queste cose?», chiese a John allontanandosi un po’ da lui per guardarlo bene in faccia.

«Io—»

«…“con quell’aria da mascalzone non avrai mai difficoltà a trovare una donna in ogni pub”…», proseguì Dean con una smorfia soddisfatta. «Oh, beh, comunque avevi ragione… non ho mai avuto difficoltà», disse facendogli l’occhiolino.

«Sono stato un pessimo esempio in questo, lo ammetto, ma… ero in un momento… la mia vita era… insomma, tua madre—»

Dean si passò una mano sulla bocca e fece spallucce di nuovo. «Oh, sì, lo so. Non devi giustificarti. Dopotutto sono venuto su bene: un perfetto killer di mostri che non si fa domande, agisce d’impulso, si prende ciò che vuole quando vuole e risolve casini apocalittici senza ricevere mai un riconoscimento. Non c’è niente di cui vi possiate lamentare… a parte la mia educazione a tavola, ovviamente», disse. Poi si distese indietro con le spalle abbracciando con l’intera ampiezza delle braccia lo schienale del divano. «Avete delle birre?», chiese poi senza distogliere lo sguardo da John. 

«Sì, se vuoi vado…», disse Mary sul punto di alzarsi.

Dean la fermò, pronto a scattare in piedi. «No, vado io…», disse.

John era già lontano. «Ci penso io», disse con un sospiro.

Appena si fu dileguato in cucina, Mary lanciò uno sguardo di disapprovazione a suo figlio. «Sai di non essere questo, Dean»

«Certo che lo so, adesso», rispose lui. E inevitabilmente la sua mente corse all’ultimo addio terreno di Castiel, e alle sue parole che l’avevano curato nel profondo. Ma quello era stato solo l’ultimo passo, l’ultimo scalino per arrivare all’accettazione di sé. Lungo la strada percorsa a fianco a Sam e a tutti coloro che aveva incontrato negli anni, insieme a Bobby, Jo, Castiel, Charlie, Jodie, Donna e anche Rowena e Crowley, finendo quanto più in basso possibile e poi risalendo faticosamente la china ogni singola volta, aveva imparato a piangere, a ridere, a liberarsi di moltissime catene. Aveva smesso piano piano di compensare le sue mancanze interiori con la ricerca di stimoli esteriori, aveva iniziato ad abbracciare la sua natura, nel bene e nel male, ad accettarla, a comprenderla. Aveva imparato a perdonare sé stesso e gli altri, sbagliando innumerevoli volte. Aveva imparato a non reprimere le emozioni, per quanto ancora non riuscisse ad esprimerle a parole. Aveva appreso l’importanza di distinguere i sentimenti: non tutto era rabbia, non tutto era furia, non tutto era delusione, non tutto era passione, attrazione, furia, vendetta, dolore. Esistevano anche la tenerezza, la stima, l’affetto, la tristezza, l’euforia, il cordoglio, la fiducia, l’interesse, la gioia, il perdono, l’amore. Quella parola detonò nella sua testa come una bomba, e il battito del suo cuore impennò appena.

«Sono felice che tu lo sappia…», disse John porgendogli un’ambrata doppio malto già stappata e abbastanza alcolica per essere una birra.

«Grazie», gli disse Dean, non esattamente certo per cosa.

L’uomo gli fece un cenno di assenso. «Mi rendo conto di non averti mai dato la libertà e lo spazio per esprimerti come meritavi, Dean», gli disse.

«Mh mh», rispose l’altro buttando giù un lunghissimo sorso. «È andata come è andata…»

John tentennò leggermente la testa, e si morse un labbro, dando una breve sorsata alla sua bottiglia. Mary si spostava la sua da una mano all’altra, guardando i suoi due uomini con interesse. «Beh, comunque lasciami dire quello che penso… e guardami mentre ti parlo», gli disse con un tono scherzoso ma autorevole.

«Sissignore», gli rispose Dean con l’atteggiamento sarcastico che aveva acquisito nel tempo.

«È vero, ti ho costretto a crescere troppo velocemente e ti ho dato degli esempi stupidi, ti ho forzato ad essere un uomo tutto d’un pezzo, uno stereotipo ambulante, solo perché non soffrissi come ho sofferto io… perdere tua madre mi ha distrutto. Tu eri troppo piccolo perché potessi capirlo davvero, eppure so che vedermi in quello stato ti ha segnato profondamente, e purtroppo io non sono riuscito a trattenermi. Mi sono indurito, è uscito il militare che era in me, e ho assunto metodi da generale, da despota. Ti ho fatto credere che nella vita fosse tutto bianco o nero, buono o cattivo, e che la vendetta, la rabbia, la giustizia fossero le uniche cose importanti», sospirò e buttò giù un altro sorso.

Dean era incapace di sostenere lo sguardo di suo padre. Tutto quel parlare lo lasciava esausto. Continuava a saettare gli occhi tra il collo della sua bottiglia, sua madre che aveva un’espressione afflitta e colpevole, e suo padre che si stava sforzando di parlare. Gli sembrava di rivivere un’esperienza adolescenziale che in realtà non aveva mai avuto, una di quelle che sicuramente caratterizzavano la vita un po’ di tutti. Non la sua, ovviamente. La cosa più vicina a un discorso “in famiglia” che aveva avuto con suo padre era stato quando John gli aveva dato dieci dollari per comprarsi i preservativi e gli aveva tirato uno scappellotto per essersi fatto beccare ad amoreggiare con una ragazza nel bagno della loro stanza del motel mentre Sam giocava con i soldatini in camera. Deglutì.

«In ogni caso, pensavo di fare la cosa giusta… di tenerti lontano dal dolore insegnandoti ad evitare i sentimenti, a reprimerli. La vita di un cacciatore non è fatta per l’amore, o per la famiglia, pensavo. Ma mi sbagliavo, e soprattutto, sbagliavo nel credere che non ci fosse altro tipo di vita per te e per Sam… non avrei mai dovuto cercare di fermarlo nel conseguire i suoi sogni, non avrei mai dovuto escluderlo per aver scelto di andare a Stanford… e non avrei mai dovuto ricorrere a quel sotterfugio con te, sparendo nel nulla, per spingerti a riportarlo alla caccia—»

«Sammy ha scelto di farlo…», borbottò Dean. «Non sei stato tu a costringerlo, è stato Azazel… uccidendo la sua ragazza. E comunque è stato tanto tempo fa…»

Mary si intromise con un lungo sospiro. «Ed è stata colpa mia se è successo tutto questo…», disse. «…sono stata io a fare un patto con quel demone, per salvare la vita di John»

«Non puoi sentirti in colpa per questo», la corresse Dean. «Se tu non l’avessi fatto, né io né Sam saremmo mai esistiti. Nel bene e nel male, tutto ciò che è accaduto ci ha portati qui… o meglio, dovrei dire che Chuck ci ha portati qui»

«Non credo che Chuck sia responsabile di tutto…», disse John.

Dean sbuffò sardonicamente. «Non mi pareva che ci fossi alla fine del mondo…»

«Voglio dire che sicuramente Dio aveva dei piani per voi, e ha fatto sì che prendeste le strade giuste perché poteste portarli a termine ma… se ci pensi… voi due— voi tre anzi a quanto mi ha raccontato tua madre su Castiel, avete sempre trovato il modo per non dargli soddisfazione. Avete sempre scelto voi, Dean. Non importa quanto la vostra strada fosse segnata, voi vi siete sempre ostinati a prendere le vie traverse, a cambiare rotta, a distruggere il sentiero prefissato e costruirlo da zero. E tutto quello che avete vissuto, le persone che avete conosciuto… i legami che avete instaurato, quelli erano reali, non devi pensare il contrario…»

«Già, che grande consolazione…», mugugnò Dean buttando giù quello che restava della sua birra. Sul suo viso si dipinse un’espressione afflitta nel rendersi conto che era finita, così Mary gli porse la sua, ancora intatta.

John sorrise debolmente. «Beh, figliolo… penso che l’eternità ti aiuterà a vedere le cose più chiaramente e fare pace con quel poco che ti resta da affrontare, come ha fatto con me… dici che non sembro io, e forse hai ragione. Sono fuori dai giochi terreni da abbastanza tempo da aver affrontato i miei demoni interiori, prima giù all’inferno e poi quassù», bevve di nuovo per bagnarsi la gola. «Per cui se posso contribuire a toglierti almeno questo peso dalle spalle e accorciare i tuoi tempi, sappi che a me non è mai interessato cosa, come, chi foste tu e Sam. Vi avrei amati come vi amo incondizionatamente a prescindere, anche se non ero in grado di dimostrarvelo. Anche se vi ho costretto a vivere un’”imitazione di vita”, in cui vi ho forzati a non mostrarvi deboli, a non piangere, a non farvileggere dentro da nessuno»

A Dean venne in mente quella canzone dei REM, Imitation of Life, e nonostante la solennità del momento gli scappò un sorrisetto. Era sempre il solito nerd musicale, pensò di sé stesso, facendosi gorgogliare un altro po’ di birra lungo la gola. Era buona, era forte, niente a che vedere con la prima che avesse mai bevuto.

«I miei traumi sono purtroppo diventati vostri…», continuò John, «…e sicuramente ancora più tuoi che di tuo fratello… tu l’hai protetto come io non ho saputo fare con te. Ti sei dimostrato il figlio e il fratello più altruista, generoso, onesto e buono che potessi chiedere, e non avrei mai dovuto importi quegli standard di virilità, di spietatezza, di durezza. Non avrei dovuto reprimere ciò che eri, che sei, che senti… se potessi ricominciare da zero ti direi di abbracciare ogni emozione, di non nasconderti mai dietro una maschera per paura delle critiche, neppure delle mie, e soprattutto di non soffocare mai ciò che sei per non sembrare debole. Essere sé stessi non significa essere deboli, amare non significa essere deboli, e neppure chi ami ti definisce in alcun modo…»

Una vampa di calore tinse le guance appena punteggiate di lentiggini di Dean, e il ripasso mentale della canzone dei REM andò in secondo piano. I suoi occhi verdi si spostarono velocemente da sua madre a suo padre. La vergogna e l’imbarazzo lo avvolsero, così come il terrore di essere stato letto dentro, con tutte le sue incertezze e i suoi dubbi, con tutti i punti interrogativi a cui da qualche tempo ormai aveva lasciato spazio per mettere in subbuglio la sua stessa identità, senza però concedersi di darlo a vedere. Deglutì e si concentrò tutto sulla bottiglia, con le parole di suo padre che gli bruciavano sulla pelle. Sentiva il peso che aveva sempre avuto nel petto farsi più pesante, quasi insostenibile, ma si finse disinteressato.

«…non avrei mai dovuto punirti per le tue debolezze o per gli errori che hai commesso da bambino. Eri un bambino, appunto, e ti ho dato responsabilità da adulto. Meritavi di non saper imbracciare un fucile, di non dover conoscere le insidie che si nascondono fuori dalla finestra, di non dover difendere tuo fratello da qualsivoglia mostro succhia anima…»

«Oh, beh, se non l’avessi saputo sarei stato come tutti quegli idioti inconsapevoli… e chissà cosa sarebbe successo a me e Sammy, e a tutte le persone che abbiamo salvato…», schioccò la lingua e piegò la testa di lato. «Grazie, ma no grazie»

«In ogni caso era presto, e ti ho costretto a mostrarti sempre duro, arrogante, forte… a imitarmi. E so bene che a volte ti sei sentito impotente, spaventato, incerto. Era normale che ti sentissi così. È normale. Non devi mai vergognarti dei tuoi dubbi e delle tue incertezze, Dean. Volevo solo che lo sapessi. Che sapessi che non mi importa, che ho sbagliato io, e che tu non devi punirti o controllarti… io e tua madre ti ameremo e ti accetteremo sempre, anche meno stronzo, te l’assicuro», finì con una risatina prima di tracannare la sua birra a sua volta.

Il peso nel petto di Dean, che si era fatto gradualmente sempre più pressante, quasi che il suo sterno fosse premuto tra due rocce in collisione, improvvisamente si spezzò, si sgretolò e scomparve, lasciandolo libero di respirare come non credeva di aver fatto per molto tempo, o forse mai. Si sentì leggero, sereno, svincolato da catene invisibili che l’avevano tenuto stretto per tutta la vita. Eppure sentiva ancora la morsa dell’imbarazzo intorno al collo.

Suo padre accettava la sua umanità, la sua imperfezione. Probabilmente neanche aveva idea di quanto in profondità quel discorso lo toccasse, non immaginava neanche quanto Dean avesse veramente bisogno di sentire quelle parole, di sentirsi liberato da colui che aveva addestrato così bene il suo carceriere. Era Dean stesso, e questo lui lo sapeva bene, a tenersi chiuso in gabbia, ma l’aveva sempre fatto perché così gli era stato insegnato, perché non voleva deludere suo padre. Non l’aveva voluto deludere neppure da morto, neppure quando ancora non sapeva dell’esistenza di un Aldilà celeste. Aveva accettato le regole non scritte, aveva fatto il perfetto figlio maschio maggiore, il perfetto erede del soldato John Winchester, cacciatore per necessità, autoritario per natura. Si era imposto un’immagine, una maschera, uno schermo che era venuto meno piano piano, mostrando con il tempo sempre più lati del suo carattere che aveva tenuto nascosti, sempre più passioni, sempre più stravaganze, sempre più scelte stilistiche discutibili per il classico Dean-solo-hard-rock-e-gonnelle-Winchester. Eppure in tutti quegli anni aveva ancora aspettato il benestare di suo padre, la persona che nonostante tutto quello di cui l’aveva privato, stimava più di ogni altra al mondo. O almeno, quasi. Negli anni si erano aggiunte diverse persone alla lista di coloro che stimava, e alcune di queste erano salite di grado ponendosi anche decisamente più in alto di John. Eppure era suo padre, e come tale rimaneva uno degli uomini a cui aveva sempre guardato come esempio, a cui aveva sempre teso, nonostante sapesse fin dall’infanzia di non essere esattamente come lui.

«Grazie», disse semplicemente, con la voce un po’ arrochita. «Apprezzo quello che hai detto…»

«Mi dispiace solo di averlo detto tardi»

Dean gli rivolse un sorrisetto affettato. «Meglio tardi che mai, no?» 

Non era abbastanza per abbattere del tutto quei muri che si era costruito attorno, ma era un inizio. Dean sapeva con certezza, adesso, che qualunque cosa avesse deciso di fare, qualunque apertura si fosse dato, qualunque emozione avesse deciso di abbracciare, non sarebbe stato una delusione. Si sentì completamente pieno di serenità all’idea che forse, dopotutto, avrebbe potuto afferrare quella libertà che gli si stava sempre più parando davanti, e avrebbe potuto sperimentarla senza freni. Aveva ancora qualche ferita da curare, qualche dubbio da scogliere, qualche freno da abbassare, per sentirsi completamente sé stesso e accettarsi completamente. E questo, pensò, prescindeva anche Castiel. Certo, l’angelo era parte del problema, o forse ne era la chiave di volta, ma non era il centro esatto di esso: il problema era Dean, e il suo bambino interiore, la sua mascolinità tossica, la sua costante ricerca di validazione esterna per sentirsi completo. Il problema era radicato nei trentasette anni di repressione e punizione che si era imposto in ogni ambito della vita, e che aveva solo appena iniziato a curare prima di morire. Non si poteva certo pretendere che cambiasse di punto in bianco, che si accettasse per quello che sentiva di essere come se non fossero mai esistiti gli anni precedenti. Certo gli ultimi quindici, ed in particolare gli ultimi undici, l’avevano cambiato profondamente, gli avevano fatto toccare il fondo più oscuro, ma anche vedere finalmente la luce, esprimere finalmente sé stesso, anche se non a pieno, a voce alta e senza timore. Doveva ancora imparare per bene a usare le parole, ad esprimersi, a liberarsi di ogni blocco.

Forse, pensò, non ci sarebbe mai riuscito del tutto: dopotutto lui era così, quella era la sua personalità, quello il suo carattere. Se avesse smesso di essere tale da un giorno all’altro non sarebbe più stato Dean Winchester, ma sarebbe diventato qualcun altro. E doveva ammettere che dopotutto gli piaceva davvero quella versione di sé che era diventato, e forse era proprio per questo che il suo subconscio aveva materializzato la sua anima nel suo corpo di quarantenne, al culmine della sua crescita interiore e della sua maturazione come uomo, piuttosto che nell’aspetto che aveva a venticinque anni, all’inizio della sua indipendenza da John. Qualcosa andava cambiato, ma non tutto. Non sarebbe mai stato come Sam, capace di sviscerare ogni singola stilla di emotività. Ma avrebbe comunque tentato, un passo alla volta. In fin dei conti, non meritava forse di vedersi esattamente come Castiel lo vedeva? Forse era proprio questo il primo passo per guarire, smettere di cercare nello specchio dei difetti da odiare, e concentrarsi su quelli che avevano permesso ad un angelo di innamorarsi di lui.

La facilità con cui pensò a quelle parole lo travolse, e lo spaventò. Ne era ancora terrorizzato, sgomentato, sconvolto, eppure adesso riusciva a pensare almeno alle parole. Un nodo gli aggrovigliò lo stomaco a quel pensiero, al pensiero delle lacrime di Castiel che si abbandonava al vuoto per salvarlo per amore. Per amore, ripetè nella sua testa. Che strana sensazione, pensò, riuscire a formulare quel pensiero senza sentire l’impulso di essere sul punto di esplodere o rigettare. 

«…Dean? Paradiso chiama Dean?»

Dean scosse la testa e alzò lo sguardo, sorpreso di vedere sia John che Mary in piedi davanti a lui che lo guardavano. Deglutì, con un sorriso contagioso che gli si stava espandendo sul volto.«…Sì?»

«Rimani a dormire qui?», gli chiese sua madre.

Il maggiore dei Winchester ci pensò un attimo, poi annuì felice. «Volentieri», rispose.

«Puoi rimanere quanto vuoi», gli disse suo padre. 

«Grazie»

Dopotutto aveva ancora bisogno di un po’ di tempo per elaborare. Il fatto di riuscire ad ammettere a sé stesso almeno quelli che erano i sentimenti di Castiel era un passo avanti, così come il sentirsi libero di pensare a quei sentimenti, di rigirarseli nella testa, di scomporli, ricomporli, aggregarli, accostarli a un volto. Ma ancora non riusciva a riconoscere i suoi, o ad accettarli del tutto. Quella parola che gli veniva tanto facile adesso pensando a sé stesso attraverso gli occhi dell’angelo, era ancora impronunciabile anche nel silenzio della sua mente, se a parti inverse era lui a pensare a Cas. Gli si formava ancora un nodo alla gola, e le lettere si rifiutavano di comporsi in quel preciso ordine. 

Tempo, si ripetè. Non troppo, comunque, si rese conto d’improvviso sorridendo.

«Resterò un po’… ma devo vedere delle persone», disse Dean, alzandosi e strofinandosi le mani sui jeans.

John annuì, e così fece Mary raccogliendo il piatto con ancora un sandwich e mezzo e le tre birre vuote. «Intanto se vuoi ti faccio vedere il resto della casa, e la tua camera…», disse lui.

Dean si abbandonò in un’espressione di gioia quasi infantile. «Ho una camera?»

Suo padre rise. «Certo, tua madre ha insistito perché costruissimo una camera per te e una per Sam, se e quando vorrà starci, ovviamente… anche solo come ospiti saltuari, ovviamente…»

«Fantastico… c’è la tv?»

«Siamo in Paradiso, Dean», lo rimbrottò John.

Sul volto del maggiore dei fratelli Winchester si dipinse un’espressione di puro orrore. Non aveva neanche lontanamente valutato l’idea che in Paradiso non ci fosse la connessione a internet, o la tv satellitare. «…quindi?»

«Certo che c’è la tv! C’è anche Netflix… anche se a quanto pare non è più una macchinetta per ritirare dvd, lo sapevi?»

Dean tirò un sospiro di sollievo, e ringraziò mentalmente Sam per aver introdotto Castiel a Netflix, e di conseguenza Castiel per averlo a sua volta mostrato a Jack e averlo introdotto in Paradiso. «Assurdo…», sussurrò in estasi, seguendo John lungo il salone fino alla vetrata che dava sul giardino sul retro. Con un’occhiata veloce Dean vide che non era buio o altro, ma era semplicemente pieno di alte piante in fiore e alberi. Accanto alla porta a vetri si aprivano delle belle scale larghe che salivano al piano di sopra. L’ex cacciatore si voltò per guardare sua madre, emozionato come un ragazzino davanti a un regalo. Tutto il nervosismo che aveva quando era arrivato era scomparso, sostituito da un senso di beatitudine sempre più forte.

Mary gli sorrise, socchiudendo e riaprendo gli occhi in un espressione di serena approvazione. «Che ne dite di un po’ del mio stufato?»

In quel momento, Dean non avrebbe potuto chiedere altro che questo per dirsi felice.

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Capitolo 4
*** Pictures of You ***


NdA. Nuova settimana, nuovo capitolo. Non sono finiti gli incontri per Dean, e non sarà neanche questo capitolo ad esaurirli. La canzone che ispira questo capitolo è Pictures of you, dei The Cure. Come sempre, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione!



CAPITOLO IV
Pictures of you

 

Remembering you fallen into my arms 
Crying for the death of your heart 
You were stone white
So delicate 
Lost in the cold 
You were always so lost in the dark
Remembering you how you used to be 
Slow drowned 
You were angels
So much more than everything 
Hold for the last time then slip away quietly 
Open my eyes 
But I never see anything

If only I'd thought of the right words 
I could have held on to your heart 
If only I'd thought of the right words
I wouldn't be breaking apart 
All my pictures of you

Looking so long at these pictures of you 
But I never hold on to your heart 
Looking so long for the words to be true
But always just breaking apart
My pictures of you

 

Un furtivo raggio di sole sfrigolò sulle palpebre chiuse di Dean. Dalla finestra appena accostata entrava una lieve brezza primaverile dall’intenso profumo di fiori ed erba tagliata, facendo svolazzare la tenda leggera. Con un mugolio si rigirò nelle lenzuola fresche, strofinando il viso contro la stoffa fino ad oscurare del tutto la luce impertinente del mattino, inutilmente però: ormai era sveglio. Un sorriso gli distese i lineamenti del volto, ancora ad occhi chiusi e abbandonato a pancia in giù sul materasso, le braccia che formavano un rombo intorno al cuscino. Si stiracchiò, prese un respiro profondo e si lasciò sfuggire un mugolio soddisfatto. 

In qualche battito di ciglia si abituò alla luminosità e lanciò uno sguardo fugace alla sveglia sul comodino. Gli ci volle solo un attimo per farsi comparire un’espressione orripilata sul viso.

«Mezzogiorno?», guaì scattando a sedere sul bordo del letto.

Non che gli importasse più di tanto che ore fossero, né che avesse chissà cosa da fare, ma era a casa di suo padre e sua madre, e se conosceva John non avrebbe perso l’occasione per commentare il fatto che alla veneranda età di quarant’anni non si vergognasse di dormire fino a tardi come un adolescente. Poco importava che se per la stragrande maggioranza della sua esistenza si fosse concesso poco più di quattro ore di sonno a notte. Rise di sé stesso e di quella situazione tragicomica. Dopotutto, cosa gliene importava? Distese le spalle, abbandonò i gomiti sulle ginocchia e si passò le mani sul viso per stropicciarlo dopo il lungo sonno, poi si distese i capelli con le dita affusolate.

Buffo, pensò, che il suo orologio da polso fosse fermo e non segnasse il tempo, mentre tutti gli altri orologi paradisiaci non sembravano aver alcun problema a fare il loro lavoro. Probabilmente c’era una motivazione inconscia simile a quella che avrebbe dovuto spiegare il suo aspetto maturo, ma Dean non aveva alcuna intenzione di andarla a cercare. 

Dopotutto, perché inseguire spiegazioni di cose che non avevano bisogno di risoluzioni.

Si alzò dal letto quasi barcollando, ancora pieno di sonno, e si dondolò un attimo davanti allo specchio per decidere come presentarsi al piano di sotto. Avrebbe potuto tranquillamente rimanere in pigiama, mettersi addosso una vestaglia come quella che aveva nel bunker, ma probabilmente si sarebbe guadagnato le occhiate di disapprovazione di suo padre. Oppure avrebbe potuto vestirsi, e perdere di colpo tutta quella beatitudine che i vestiti morbidi gli davano. Optò per una soluzione di compromesso. 

Scavando nei cassetti dell’armadio, stranamente già pieni di vestiti di vario genere, trovò una maglietta dei The Cure e una tuta composta di pantalone e felpa grigio scuro con la zip. Si guardò nello specchio senza riuscire a decidere se fosse l’abbigliamento adatto per affrontare la sua prima colazione - o meglio, pranzo - in famiglia da… beh, trentasette anni. Sembrava Sam prima di una delle sue corse di salute. Storse la bocca, si morsicchiò il labbro e decise che la soluzione migliore era vestirsi del tutto. 

Si mise un paio di jeans puliti, calzini e scarpe. Stava per cambiare anche la maglietta, ma decise di tenerla: dopotutto gli calzava a pennello. Agguantò la prima camicia sportiva che gli capitò a tiro e si passò di nuovo le mani nei capelli castani, leggermente più lunghi di quanto si ricordasse. Sorrise, finalmente soddisfatto, e si diresse al piano di sotto.

Appena aprì la porta, un profumo intenso di torta di mele, detersivo per i pavimenti, biscotti, pasta al forno e alcol etilico si insinuò nelle sue narici. Una cacofonia di voci e risate risalivano su per le scale come un vortice di parole e sillabe mozzate. A lunghi salti, scendendo gli scalini due a due, si ritrovò nell’atrio di casa davanti a una piccola folla di persone.

Un sorriso ancor più grande si aprì sul suo volto.

«Bobby!», disse avvicinandosi di slancio al più vicino degli ospiti. Strinse il buon vecchio padre putativo con un abbraccio filiale e poi si rivolse all’uomo accanto a lui stringendogli una spalla con la mano. «E Rufus, vecchia canaglia…», rise. «Spero che tu abbia trovato il miglior scotch possibile quassù!»

Rufus era irrigidito e schivo come al solito, ma ricambiò l’espressione gioviale. «Neanche un po’… in compenso non mi manca mai la musica in casa!», disse lanciando uno sguardo adorante all’angolo opposto della sala.

«Non ci credo!», esclamò Dean, emozionato come un bambino davanti alle caramelle. «Non mi dirai che è la vera Aretha!»

Bobby grugnì. «In carne ed ossa… oh, beh… più o meno. Uno con quella sua brutta faccia che si trova una donna così… assurdo», scosse la testa.

«Ehi, razza di imbecille…», gli rispose l’amico.

Dean rise e si strofinò le mani una contro l’altra. «È fantastico»

«Non so se ti ricordi di Karen, ragazzo…», gli disse Bobby ignorando Rufus.

Il maggiore dei Winchester si voltò verso il punto in cui lui stava guardando, e il suo viso si aprì in un sorriso caloroso. «Beh, più o meno…», rispose. «…ti trovo decisamente meglio dell’ultima volta», le disse.

La moglie di Bobby ridacchiò gentilmente. «Potrei dire la stessa cosa», rispose. «Benvenuto in Paradiso… tua madre mi ha chiesto di mettere a frutto le mie doti in cucina per darle una mano. So che ti piace la crostata di mele, non è vero?»

Il volto di Dean si illuminò d’immenso, e l’unica espressione che gli dipinse il volto fu quella di pura estasi. «Diavolo sì!», esclamò.

Una gigante massa nera gli si infranse contro le gambe, sferzandolo con la coda. «Rumsfeld!», squittì. «Stupido vecchio cane!», rise accasciandosi per dargli una grattata tra le orecchie sulla grossa testona pelosa.

«Dean…» La voce di Mary lo distrasse da quel momento di pura pace, costringendolo ad alzare lo sguardo. Lo guardava sorridente e radiosa.

«Ehi», rispose lui. «Scusami se sono sceso tardi ero… tra i miei pensieri», mentì, almeno parzialmente.

«Non preoccuparti, avevi molto da recuperare e metabolizzare», lo rincuorò lei. «Vieni in giardino, John sta preparando la griglia per la tua festa di “benvenuto permanente”», rise. 

Dean era convinto di non potersi sentire più raggiante, ma si sbagliava.

«Ci sono un paio di persone che vorrebbero vederti»

Senza farselo ripetere Dean fece un cenno a Bobby, Rufus e Karen e lanciò uno sguardo di pura adorazione verso Aretha Franklin, che neanche lo aveva visto, presa com’era a parlare con persone che lui non conosceva. Si morse un labbro. «Aspetta un attimo…», le disse.

Sua madre ridacchiò e intrecciò le braccia al petto. «Muoviti… non sparirà comunque!»

«Ma è una delle più grandi star della musica…», obiettò lui, contrariato come un ragazzino. «Oh, dai, ci metto un istante!», disse tutto entusiasta, sorridendo da un lobo all’altro e riempiendo lo spazio del salone a lunghe falcate.

Giunse accanto alla cantante in men che non si dica, con le mani che gli sudavano e un lieve colorito roseo che minacciava di trapelare dalle guance. Tra l’imbarazzato e l’emozionato, simile a una fan di Supernatural davanti a Jensen Ackles, Dean si grattò la testa.

«Oh! Tu devi essere Dean!», disse lei rendendosene conto. «Bobby mi ha parlato di te… sono felice di conoscerti… o meglio, mi dispiace che tu sia morto ovviamente, ma non vedevo l’ora di conoscere tu e tuo fratello, siete l’argomento principale di ogni nostro brunch a quattro!»

Dean lanciò uno sguardo di sfuggita a Bobby, che avvampò. «È… sono io che… wow, signora, è un onore per me conoscerla!»

«Oh, ma che sciocchino, dammi del tu ragazzo!», gli disse lei porgendogli la mano.

Dean iperventilò, si passò la lingua su un labbro e fece guizzare lo sguardo tra Aretha, sua madre che rideva insieme a Karen, Bobby imbarazzato, Rufus accigliato e le altre due donne accanto alla più grande voce della storia che non aveva degnato neanche di uno sguardo. Le prese la mano e la strinse tra entrambe le sue. «Wow… non ci credo che sto stringendo la mano a Aretha Franklin! E… non ci credo che quel co— che Rufus abbia avuto una fortuna sfacciata come questa…», si voltò verso il vecchio collega cacciatore, «…grazie!», gli disse.

La donna rise, con la sua voce potente e cristallina. «Ha più doti di quante gliene concediate…», scherzò facendo l’occhiolino a Rufus prima e a Dean poi.

Il maggiore dei Winchester si lasciò sfuggire un esclamazione divertita. «Oh Di— Jack!, questo paradiso si che è una figata, dannazione!»

«Dean!», lo chiamò di nuovo Mary. «Ti assicuro che nessuno di loro se ne andrà, ora vieni in giardino…»

A malincuore lui lasciò andare la mano di Aretha con gli occhi spalancati e gioiosi, e le fece segno con le dita che sarebbe tornato. Passando accanto a Rufus gli tirò una sonora pacca sulla spalla, e poi seguì sua madre verso la grande finestra vetrata sul retro, non senza voltarsi più del necessario per assicurarsi di non star sognando.

«Oh, incredibile, ero convinto che Bobby mi prendesse per il culo…»

«Dean, ti prego, le parole!»

Lui rise. «Da quando sei così puritana, mamma?»

«Da quando tutta la tua famiglia è qui per salutarti…» Suo padre sorrise andandogli incontro. «Ce l’hai fatta a raggiungerci alla fine, eh?» John gli mise una mano sulla spalla e gli piantò le iridi scure negli occhi, scrutandolo nel profondo. «Spero ti sia riposato», gli disse semplicemente. «Venire quassù non è facile per nessuno», lo giustificò. 

«Famiglia?», chiese semplicemente Dean, con la fronte aggrottata e le sopracciglia che quasi si toccavano. Era abbastanza sicuro che Sam non fosse ancora morto, o almeno lo sperava, e non era certo che i suoi considerassero effettivamente Castiel o Jack membri della sua famiglia, per quanto lo fossero per Dean. Per cui non rimanevano che i famigliari di sangue. Ricordava bene i Campbell. Ricordava la prima volta che li aveva finalmente conosciuti, nel suo viaggio nel tempo, e quanto suo nonno fosse scontroso, scostante e selvatico e quanto sua nonna fosse al contrario, seppur timida, gioviale e gentile. Ricordava poi il disastro che lui e i cugini avevano fatto insieme al Sam senza anima. Ricordava anche Henry, il padre di suo padre, e la tragica morte che aveva incontrato per colpa di Abbadon. Ma a giudicare dallo sguardo di sfuggita che aveva dato alle spalle di John, c’erano molte persone in quel giardino, più di quante sapeva di conoscere.

Suo padre sembrava euforico. Una strana emozione da immaginare in faccia a John Winchester. «Sì, sono tutti qui!», disse. Poi prese suo figlio per la spalla e gli si pose al fianco.

Impacciato e schivo, Dean lanciò uno sguardo in tralice a sua madre, che lo guardava emozionata. «Grandioso…», esclamò lui deglutendo. Com’era che tutti si erano messi in testa che doveva fare indigestione di rimpatriate condensate in così poco tempo? Non aveva forse l’eternità per incontrare le persone della sua vita un po’ alla volta? Possibile che nessuno si rendesse conto che aveva solo bisogno di tempo per adattarsi? Ma dopotutto, pensò, la sua vita non era stata poi così diversa. Un caso dopo l’altro, un disastro dopo l’altro, una scoperta dopo l’altra, senza mai una pausa, senza mai un momento per metabolizzare il precedente. Audace da parte sua credere che in Paradiso sarebbe stato diverso.

«Samuel! Deanna!», chiamò suo padre. 

«Ma lui non ti odiava?», scherzò Dean lanciandogli uno sguardo.

John rise appena. «Mortalmente…», confermò, «…ma prima che diventassi un cacciatore anche io. Ora abbiamo qualcosa in comune, almeno»

Dean ci pensò su, poi inarcò le labbra in un’espressione di persuasa comprensione. 

I suoi nonni si voltarono verso lui e John, avvicinandosi sorridenti. «Dean! Che piacere rincontrarti in momenti migliori…», gli disse sua nonna stampandogli un bacio sulla guancia.

«Ragazzo…», disse l’uomo, con le spalle ben dritte e l’espressione austera. «…vale anche per me»

Dean annuì, non troppo sicuro di cosa dire. In mente gli venivano solo battute sagaci e taglienti, non senza una punta di insolenza, per cui preferì tacere. 

«Ti ricordi anche di Gwen?», gli chiese Samuel indicandole la cugina.

«Certo!», rispose lui. «E Mark e Christian?», chiese stringendo la mano a Gwen.

I suoi nonni si scambiarono un’occhiata. «Non sono quassù…»

«Oh… brutta storia», disse solo. Non gli sembrava il caso di confermare che non ne era affatto sorpreso. Quelle due teste calde erano talmente arroganti che avevano finito per farsi ammazzare, e avrebbero fatto uccidere anche lui, Sam e tutti gli altri se non fosse stato per il sangue freddo e la consapevolezza di Dean, e il sacrificio di Gwen. E poi, combattevano solo per i motivi sbagliati, si sentivano superiori a chiunque altro e provavano piacere nel vedere soffrire gli altri. Sì, probabilmente era meglio che Dean se ne stesse zitto a riguardo. 

«Questi invece sono Carl e Gabrielle, mia sorella e suo marito, i genitori di Gwen», li presentò Samuel.

Dean alzò lo sguardo verso quelle persone, tutte stranamente giovani, tutte stranamente sorridenti. Lui si sentiva già sopraffatto. Probabilmente lo avevano scambiato per Sam, sempre a suo agio in situazioni come quelle, in cui dover gestire una moltitudine insopportabile di rapporti umani, anche con persone di cui non sapeva nulla e di cui non gli importava nulla. Avrebbe voluto sentire qualcosa, provare un legame familiare con tutti loro, ma l’unica cosa che sentiva era una gran fame. In ogni caso sorrise, si mise le mani in tasca, e fece un cenno a tutti loro. Seguì una sfilza di altre presentazioni. Rivide suo nonno Henry e conobbe finalmente sua nonna Millie e insieme a loro altri Winchester, di diverse generazioni e gradi di familiarità. 

«Vado a mettere la carne sul fuoco», si congedò John, lasciandolo circondato da quello stuolo di parenti.

«Oh, grazie al cielo…», si lasciò sfuggire Dean. «Spero ci siano abbastanza hamburger», mugugnò.

«E birre!», esclamò qualcuno alle sue spalle.

Bastò la voce a trasportare Dean in un’altra dimensione, a svegliarlo dal torpore in cui era caduto, a trarlo fuori dall’imbarazzo della situazione, e a farlo voltare di scatto. Un flash gli accese nella mente una carrellata di ricordi che si affastellavano l’uno sull’altro, come la sequenza di slide impazzita nel film Tarzan.

«Jo!», esclamò. «Ellen!»

Senza pensarci due volte buttò loro le braccia al collo, e alzò lo sguardo verso Bobby, di poco alle loro spalle, ringraziandolo con una strizzata di palpebre. Una fitta di rimorso, di senso di colpa, si impadronì di lui. Ma fu solo il dolore di un momento. 

«Sono così felice di rivedervi… di sapere che state bene! È stupendo…», esclamò.

«È lo stesso per noi, bel faccino!», gli rispose Ellen, ricambiando l’abbraccio.

Jo gli lanciò un’occhiata furtiva. «Insomma, alla fine ci sei arrivato anche te, eh? Ci eravamo convinti un po’ tutti che tu e Sam foste immortali…»

Dean rise. «Mi sa che ne ero convinto anche io…», disse. «Comunque, ho appeso le armi a un chiodo…», scherzò. «Quasi letteralmente!»

Ellen gli posò una mano sul braccio. «Hai conosciuto tutta la tua famiglia?»

Lui fece una smorfia, lanciandosi uno sguardo alle spalle con un sorriso tirato stampato sulla faccia. Tutti i Winchester e i Campbell se ne stavano dispersi in gruppetti di persone, un po’ lo guardavano, un po’ parlavano del più e del meno, un po’ si stavano già perdendo in cibo e bevande. «Beh… se è così che li vogliamo chiamare», disse, grattandosi la nuca.

«Lo sono…», lo rimbrottò la donna.

Dean inclinò la testa da un lato. «Sono dell’idea che la famiglia sia più quella che si sceglie che quella ci capita…», disse sottovoce. «Comunque… non vi immaginate neanche come sia felice di vedervi!»

Jo schioccò le labbra e gli tirò una botta sulla spalla. «Saremmo rimasti in pace ancora anche se non ci avessi raggiunto così presto, idiota!»

Dean rise e le scompigliò i capelli. Sembrava così strano, adesso, con l’esperienza, la vita e l’aspetto di un quarantenne che era morto e risorto fin troppe volte, che si era trovato disperso in purgatorio, che aveva passato quaranta altri anni all’inferno, che era diventato un demone, poi un angelo, poi la strana ossessione di una creatura primordiale, guardare Jo. Ricordava bene cosa aveva provato per lei, quell’affetto sul filo sottile tra fratellanza e attrazione. E sapeva benissimo cosa lei aveva provato per lui a quel tempo, fin troppi anni prima. Ricordarlo così, in Paradiso, quando tutto nel frattempo era cambiato e si era stravolto centinaia di volte, creava uno strano iato nella sua mente. Quasi che tutta la vita nel mezzo fosse stata solo una strana bolla di sogni lucidi privi di senso. 

Eppure guardandola adesso, sentiva che tutto ciò che poteva provare per Jo altro non era che un sentimento di fraterna protezione.

«Sai com’è… ho smesso di essere nelle grazie di Dio e il nuovo capo ha pensato bene di non tirare le fila per evitarmi di crepare ogni volta che faccio qualcosa di stupido— oh, beh, facevo. Immagino che adesso qualunque idiozia io possa fare non morirei comunque, quindi…», disse facendo spallucce.

Jo rise, e lo abbracciò di nuovo. «È strano vederti così vecchio», lo schernì.

«Ehi! Ragazzina…», si indignò lui, liberandosi dell’abbraccio. «Non sono affatto vecchio…»

«Sicuramente hai un bel po’ più di rughe su quel tuo bel faccino!», rincarò Ellen. «Ma sei sempre un gran bel ragazzo…»

«Mamma!», la rimproverò Jo.

Dean si mise in posa da modello. «Non ho mai negato di esserlo», rise.

«Oh, ma piantala…», si intromise Bobby.

«E Ash che fine ha fatto?»

Il viso di Ellen si distese in un sorriso sereno. «Oh, è partito qualche tempo fa con un gruppo di hippie per fare il “giro del Paradiso”…», rise. «È riuscito a scovare un po’ di gente famosa che piaceva a lui… sai tipo Janis Joplin, Bob Marley, Freddie Mercury… hanno fatto un pulmino e sono partiti»

Dean rise con lei. «Oh, sì, ce lo vedo!»

Mary si avvicinò, e gli porse una birra chiara. «Allora?»

Lui fece spallucce, ringraziandola con un gesto della testa. «Non mi aspettavo tutto questo», disse semplicemente.

«Spero non sia troppo… John voleva… sai… penso fare il padre normale, per una volta»

Dean rise e alzò le sopracciglia, bevendo un po’ di quella euforia liquida. «Oh, beh, allora ne vedremo delle belle!»

Mary lo guardò con un pizzico di severità. «Sai che ci sta provando… e ha molto da recuperare ma—»

«Oh, ma dai Mary!», si intromise Bobby, «Questo ragazzo si è praticamente cresciuto da solo a scatole di fagioli, cereali e proiettili… e ha fatto da fratello e da padre a Sammy. Voglio veramente tanto bene a John, lo sai, è stato un amico per me e ci siamo aiutati entrambi in momenti molto bui della nostra vita… ma non basteranno una grigliata in famiglia in stile Labor Day e una bella rimpatriata per cambiare le cose!»

Ellen annuiva in silenzio, con le braccia incrociate sul petto. «Sì, insomma, io e John abbiamo avuto… un’amicizia travagliata. Ed è stato un vero stronzo con questi ragazzi… li ha amati, e amava te più di ogni altra cosa, Mary— ma il modo in cui li ha cresciuti…»

«Anche tu hai fatto crescere tua figlia in un pub per cacciatori», la rimbeccò Mary, con un’occhiata serafica.

Dean tossicchiò. «Papà ha fatto quello che riteneva di dover fare… non gli porto rancore per questo, e neppure Sam. Ne abbiamo già parlato…»

«E allora perché non gli dai un po’ di soddisfazione?», gli chiese la madre.

Dean fece uscire l’aria di netto dal naso, in un brevissimo sbuffo di incredulità. «Cosa vorresti che facessi esattamente? Sono qui da neanche due giorni e già mi avete presentato l’intero albero genealogico e ora vorreste che io fossi—»

Mary gli mise una mano sulla spalla. «Vogliamo solo che ti senta a tuo agio qui…»

«Ascolta… tu mi hai conosciuto per troppo poco tempo, e in un momento abbastanza concitato della mia vita— non che ce ne siano stati di meno impegnativi… ma comunque non hai veramente idea di chi io sia e di come sia fatto. Vi ringrazio per tutto questo, lo apprezzo… ma se vi aspettavate tante effusioni e molte chiacchiere avete preso il figlio sbagliato…», disse semplicemente. 

«Oh, ma smettila, da quando sei il tipo che si lamenta di una bella giornata goliardica piena di cibo?», scherzò Jo per stemperare un po’ gli animi.

Dean annuì e bevve un altro sorso. «Su questo hai ragione… sono sicuro che dopo un paio di queste e qualche bel pezzo di carne arrostita nello stomaco sarò molto più gioviale!», rise. «E poi mi sono praticamente appena svegliato e non sono neanche passato dal caffè…», disse pensandoci un attimo.

Mary gli lanciò un’occhiata tra il dispiaciuto e l’incuriosito, ma Dean non le lasciò il tempo di controbattere o ragionare troppo sul loro breve diverbio. Se lo voleva gioviale, l’avrebbe avuto tale. Dopotutto era sua madre, aveva passato letteralmente un’intera vita in attesa di poter passare del tempo con lei, e ora che ne aveva - di nuovo - l’occasione stava rovinando tutto facendo il ragazzino offeso. 

D’altro canto però aveva vissuto tutti i suoi anni mascherando la propria sofferenza, e in quel momento in realtà il suo cuore era spaccato in due: da una parte una serenità, un appagamento e una gioia profondi lo riempivano di beatitudine, dall’altra sentiva un vuoto, una mancanza, un fastidio che lo rendevano indisponente. Sentiva anche una stilla di invidia. Tutte quelle persone erano insieme già da moltissimo tempo, avevano avuto modo di ricostruire rapporti, di ricominciare a frequentarsi, a conoscersi, a rinnamorarsi. A lui tutto questo non era stato concesso, ancora, e già era stato catapultato nel bel mezzo della mischia.

Non poteva neanche negare di essere su di giri per tutta quell’attenzione, per tutto quell’affetto e quell’interesse che quelle persone, familiari di sangue o per scelta, gli stavano dimostrando. Ma avrebbe voluto fare tutto con i suoi tempi. Si era fatto una sorta di scaletta mentale, in cui aveva distribuito in un opportuno lasso di tempo e per ordine di necessità personale tutti gli incontri che avrebbe voluto fare in Paradiso. Sicuramente non era bello da pensare, ma era pur vero che Campbell e Winchester non erano in cima alla lista. Sua madre e suo padre, certamente, erano stati i primi che aveva voluto affrontare… ma tutti quei famigliari? 

Dean aveva passato tutta la sua vita a considerare Sam, Castiel, Bobby, Mary e John la sua unica famiglia. Poi si erano aggiunti Charlie, Jack e incredibilmente anche Rowena e Crowley. Non aveva mai sentito il bisogno di altro. E certamente, quando aveva conosciuto i suoi nonni la prima volta si era sentito emozionato, euforico perfino, ma il secondo incontro con Samuel non era stato poi così piacevole, e dopotutto, comunque, non aveva mai sentito di poterlo veramente considerare famiglia. Per Dean si trattava di un qualcosa di elezione. Poteva capire il legame di sangue che lo univa a loro, ma non lo sentiva. E trovarsi in quella situazione, in cui impulsivamente si sentiva di dare molta più considerazione a Bobby, Ellen e Jo piuttosto che a tutta quella lauta e stramba combriccola di cacciatori e uomini di lettere, lo destabilizzava. 

E comunque la sua lista prevedeva di incontrare per prime tutte quelle persone che aveva perso lungo la strada e per le quali sentiva ancora, profondo, lacerante, il dolore del senso di colpa. Ed era felice di aver già visto Ellen e Jo, ma mancavano ancora Charlie, Kevin, Adam. Una fitta al cuore lo ferì, rendendosi conto che da quel piccolo rendez-vous suo padre aveva escluso un figlio che non gli aveva mai rivelato di avere, un fratello a cui non l’aveva mai riunito, qualcuno che non aveva istruito alla pericolosità del mondo come aveva fatto con lui e Sam, sperando forse di proteggerlo come non aveva saputo fare con loro, ma che aveva finito per soccombere per primo a quella realtà abominevole di creature malvagie. 

Per un attimo gli si chiuse lo stomaco, ma il profumo inebriante di salsicce arrostite e formaggio fuso al grasso degli hamburger lo rinvigorì. Si congedò velocemente da sua madre e gli altri e percorse a lunghe falcate tutto il giardino rivestito di fiori e alberi fino all’angolo del barbecue; si trovava in un patio riparato, di belle pietre grigie levigate.

«È pronto?»

Suo padre sobbalzò per la sorpresa, un’eco dell’uomo che era stato che ancora si mostrava attraverso il suo atteggiamento. «Sì», esclamò lanciando uno sguardo a Dean.

Senza farselo ripetere, il maggiore dei Winchester prese il primo piatto che trovò a disposizione e lo riempì di diversi tipi di carne.

«Lasciane un po’ anche per gli altri…», lo rimproverò John.

Ma Dean aveva già pezzi di cibo in bocca che colavano grasso dovunque. Sgranò gli occhi con l’espressione di uno scoiattolo con le guance piene di ghiande, e sorrise mostrando tutti i denti impiastricciati. «È la mia festa o no?», biascicò.

John storse le labbra, ma non rispose. Di contro, Dean si ricordò che in casa lo aspettavano altre prelibatezze. Scendendo aveva sentito odore di pasta al forno, e ci avrebbe scommesso che si trattava di mac’n cheese della migliore fattura. Con la birra sotto braccio, il piatto stracolmo in una mano e uno spiedino di carne colante nell’altra, ripercorse tutto il tragitto e rientrò nel salone senza degnare nessuno di uno sguardo. Svoltò dal lato opposto del salotto e si infiltrò in cucina con passo felpato. 

Se fosse stato di nuovo in Scooby-Do i suoi occhi sarebbero diventati a forma di cuoricino, come in ogni cartone animato che si rispetti: sull’isola centrale, coperti da tovaglioli e carta stagnola, si trovavano montagne di cibo, quasi che i suoi genitori si aspettassero un reggimento. Karen stava tirando fuori dal forno un’altra teglia, ma non si spaventò quando voltandosi si trovò Dean intento a scrutare con interesse ogni singolo vassoio.

«Hai fatto tutto te?», le chiese.

La donna rise. «Oh, no!», disse appoggiando la teglia sul ripiano di marmo chiaro. «Aretha e tua nonna Deanna mi hanno aiutato… insieme a quelle due biondine… Ellen e Jo!», ricordò. «Soprattutto Ellen in verità… Jo ha fatto da aiuto chef, è molto più brava con i coltelli che con i fornelli!», rise di nuovo, con un suono cristallino, gentile. Non si poteva certo dubitare, sentendola parlare, che Bobby l’avesse amata tanto in vita. «Ma anche Rufus e Bobby sono stati d’aiuto, e anche Mary… almeno ci ha provato»

Dean le sorrise e le chiese con tutto il garbo di cui era capace chi aveva preparato cosa, e come, e di cosa si trattasse. Ovviamente c’era il mac’n cheese che aveva fiutato fin dal momento in cui aveva messo un piede fuori dalla sua stanza, ma c’era anche una montagna del pollo fritto tipico di Memphis e uno splendido brisket dal profumo speziato e affumicato. Il purè di patate dolci sembrava chiamarlo cantando, così come le alette di pollo piccanti che gli fecero tornare in mente Donatello, insieme alle frittelle di mele e al cornbread. Una vera e propria vasca di patatine fritte dorate e luccicanti di granelli di sale lo ipnotizzò.

«Questo è un sogno…», esclamò con la bocca piena.

Con ampie cucchiaiate, scusandosi con Karen per la sua rozzezza, si riempì un secondo piatto di ogni prelibatezza possibile, scansando accuratamente verdure e insalate come suo solito. La prima forchettata di mac’n cheese gli provocò una scarica di piacere così intensa che non riuscì a trattenere un gemito, che si intensificò con il primo morso a quel pollo fritto perfettamente croccante fuori e succoso dentro. Gli occhi gli si ribaltarono dietro le palpebre e tutto il suo corpo fu pervaso da scariche di endorfine da cibo.

In quel limbo di beatitudine lo colpì, inaspettato e pungente come una stilettata tra le costole, la mancanza di Sam e Castiel. Li percepì come se fossero stati lì al suo fianco, come sempre. Castiel che lo guardava fisso, con quel suo modo strano, che adesso avrebbe saputo descrivere come innamorato, e Sam, che scuoteva la testa per le sue scelte discutibili in fatto di dieta. 

«Non vorrai strozzarti!»

Improvvisamente distratto sia da quel piccolo momento nostalgico sia dalla sua ingozzata, Dean spalancò gli occhi, e deglutì tutto d’un colpo, provocandosi una terribile fitta allo sterno per il boccone troppo grande. Davanti a lui una faccia leggermente squadrata circondata da rossi capelli sbarazzini lo guardava con un sorriso enorme, e gli occhi lucidi di gioia.

«Charlie…», soffiò.

Lei aprì le braccia in segno di ovvietà. «La sola e unica… o meglio, mi hanno detto che in realtà ora ce n’è un’altra sulla Terra di me… ma… si ecco… direi che sono almeno l’originale», disse scuotendo la testa come a pensarci su.

«Charlie», ripetè Dean, abbandonando i piatti sull’isola e raggiungendola di volata per prenderla tra le braccia.

La giovane ricambiò l’abbraccio. «Ehi! Mi stai stritolando…»

«Mi dispiace», disse lui semplicemente.

«Ma smettila…»

«No, non avrei mai dovuto… sono stato un’idiota, uno stronzo, un— e Sam…»

Lei si staccò dall’abbraccio e lo guardò imbronciata. «Smettila, Dean! Non è stata colpa vostra, sapevo a cosa andavo incontro… ho scelto di restare al vostro fianco, la mia corsa era finita. Ma ora sono qui, siamo entrambi qui, siamo in pace—»

Dean continuava a tenerla per le braccia. «Non sarebbe andata così se non fossi—»

«No. Se non ci foste stati tu e Sam probabilmente non sarei neanche qui in Paradiso…», disse lei con serenità.

«Ora stai sparando stronzate…», rise lui.

Lei tentennò la testa, poi si stampò un sorriso sul viso, con gli occhi socchiusi. «Forse sì, forse no… comunque questo non è il posto per i sensi di colpa!»

«Sto imparando a capirlo…»

Charlie annuì, felice. «Vedo che ti sei già buttato sul cibo… tipico!»

Dean le fece strada con il braccio in modo teatrale. «Benvenuta all’abbuffata del secolo… penso che i miei siano impazziti… dannazione, hanno fatto preparare da mangiare per tutto il Paradiso!»

«Immagino che se lo aspettino, probabilmente», rise lei.

«Ma tu come—»

«Come faccio ad essere qui?»

Nel frattempo Dean aveva ricominciato a rimpinzarsi, sporcandosi tutte le mani con le alette di pollo. «Mhm», annuì, spronandola a continuare.

«Beh un po’ come tutti i tuoi amici che i tuoi non hanno conosciuto di persona… hanno chiesto a Castiel!»

Quella volta Dean rischiò veramente di strozzarsi. Tossì, e si scolò tutto il resto della birra per ritrovare la forza di parlare. «Ora tutto ha senso…», disse. «Mi sembrava strano che fosse tutta opera loro…»

Lei fece spallucce, prese una manciata di patatine e si piegò in avanti sull’isola appoggiando i gomiti per fronteggiare Dean faccia a faccia. «Penso in realtà che buona parte dell’idea sia proprio dell’angelo…»

«Ci scommetto…», brontolò lui. «Lui e le sue idee…»

Charlie ridacchiò. «Quando ieri ha passato la comunicazione sulla mia radio sono quasi caduta dalla finestra dallo spavento…»

Dean alzò un sopracciglio e si pulì la bocca con il polso, peggiorando la situazione. «E che ci facevi sulla finestra?»

Lei gli porse un tovagliolo. «Oh, non vuoi saperlo…», gli disse facendogli l’occhiolino.

Lui la guardò con lo sguardo vuoto di quando non capiva qualcosa, e Charlie scoppiò a ridere. Dean rise con lei e d’un tratto tutto il tempo che era passato, tutta la vita che si era frapposta tra quell’orribile scenario nel bagno del motel, la rabbia che aveva provato per Sam, la solitudine e la tristezza di aver perso l’unica amica con cui sentiva di poter essere sé stesso senza neanche saperlo, sembrò sparire, trasformato in una strana bolla all’interno di un sogno molto lontano. Un altro pezzetto del peso che gli aveva oppresso il petto per tanto tempo cadde e sparì, come aveva fatto il giorno prima durante la conversazione con suo padre. In quel momento di spensieratezza alzò lo sguardo e vide passare Bobby, Rufus, Ellen e Jo, che ridevano e scherzavano come ragazzini, con i volti distesi e una luce negli occhi che non credeva di avergli mai visto in vita. Era un’emozione strana, pensò, la serenità. Così lontana da ogni sentimento e sensazione forti che avesse mai provato, così docile, così setosa, eppure così prorompente. La sentiva scorrere nelle vene come un fluido caldo che lo riempiva fino ai più piccoli e lontani millimetri del suo corpo. Non gli faceva battere il cuore all’impazzata o imperlare la fronte di sudore, non gli faceva prudere le mani dal desiderio di battersi, di rompere qualcosa, non gli faceva provare niente di prepotente, nel bene e nel male, eppure gli faceva provare tutto.

«A proposito di Castiel…», lo interruppe Charlie che nel frattempo aveva afferrato un panino al pulled pork. «…come mai non è qui?»

Dean aggrottò la fronte. «Non sapevo neanche che ci sarebbe stata una festa per me… quindi come dovrei fare a saperlo!»

Lei sollevò un sopracciglio. «Che succede tra voi?»

Lui iperventilò un istante, ma dissimulò stringendo la mascella e sbattendo gli occhi molto lentamente. Quella donna l’aveva sempre letto dentro più di quanto non riuscisse a fare lui. Non che ci volesse molto, lui non si leggeva affatto. «Che vuoi dire?»

Charlie fece spallucce. «Non saprei… siete sempre stati strani, come due stupide calamite girate dal lato della stessa polarizzazione»

Dean si leccò e mordicchiò il labbro inferiore, poi rise nervosamente. «Stronzate», disse.

«Quindi vi siete finalmente girati dai poli opposti?», chiese lei schioccando le labbra e assottigliando lo sguardo.

Una vampata di rossore tinse gli zigomi di Dean non appena i suoi neuroni compresero la battuta. «Cos— no! Ma che…»

«Ma dai, Dean! Ti ricordi quando hai flirtato con quella guardia tramite me?», rise lei con quel suo sguardo vispo di quando sapeva di avere in tasca la carta vincente. «Sei fin troppo sveglio per non renderti conto che hai un talento naturale con gli uomini…», lo schernì.

Il viso dell’ex cacciatore si fece di marmo. «Avevamo detto che non ne avremmo mai fatto parola!», le ricordò.

«Non l’ho mai promesso…», disse lei semplicemente. «…e poi diciamocelo, ne è passato di tempo da allora. Speravo che avessi superato quella fase ormai!»

Gli occhi di Dean guizzarono intorno a loro per controllare che nessuno li stesse origliando. «Quale fase?»

«Quella del coglione»

Lo sguardo gli si piantò sul viso dell’amica, con un’espressione contrariata stampata sul volto, e poi i suoi occhi rotearono, seccati e divertiti contemporaneamente.

«Lo so… credevi di esserti liberato di me, non è vero?», chiese lei con uno squittio.

«Mai», rispose lui solerte. «Non avrei mai voluto liberarmi di te!»

Charlie si lasciò sfuggire un guaito di tenerezza, abbandonò il panino nel piatto e strinse Dean in un altro abbraccio, cingendolo con le braccia intorno al busto. Lui sorrise e ricambiò, assorbendo come una spugna tutto il calore che quel ritrovo gli dava. Dentro, però, era turbato. 

«Sai, avevo un cassetto in camera mia, nel Bunker… dove custodivo alcune foto. Ce n’erano alcune nostre… una durante quella rivisitazione medievale, una di te con il braccio rotto…», rise. «…una tua con Dorothy…», si guardò intorno. «…le tenevo insieme a quelle di mia madre, di Sammy da piccolo, di me e Sammy con la mia bellissima baby…», fece un rumore come se stesse facendo le fusa. «…e poi c’erano foto di Lisa e Ben - diavolo mi ero promesso di non rinominarli mai più… - di Castiel e Jack, Kevin…», lanciò uno sguardo a Bobby, Ellen e Jo. «…c’era anche una foto di me e Crowley durante la nostra “estate di fuoco”», rise di nuovo, poi un brivido gli corse lungo la schiena al ricordo. «…comunque…», tossicchiò. «…le guardavo continuamente per ricordarmi perché facevo quello che facevo, perché non avevo ancora mollato. Ed era per tutti voi. Per te…»

La ragazza alzò lo sguardo verso il viso di Dean. 

«…ho perso moltissimo lungo la strada. Ho— beh, perdere tutti voi, perdere te in quel modo, dopo quello che ti ho fatto, dopo quello che è successo… vendicarvi era l’unica cosa che mi spingeva ad andare avanti», rivelò.

«Oh, Dean…», commentò lei semplicemente. 

«Vederti così… in quel bagno… io—»

«…quella vita è finita. Sei libero adesso, sei… in pace. Qui non c’è niente che possa attentare alla nostra esistenza, niente che possa interrompere la nostra serenità, la nostra beatitudine eterna…», ci pensò su. «…beh a pensarci bene è un po’ una gran palla, ma questo significa che sta a noi mettere un po’ di pepe in questa nuovo capitolo. Nessuno tira le fila se non noi, e nessuno può farci del male… se non noi, Dean», gli pose un palmo sul cuore. «…smetti di farti male, vivi quello che vuoi vivere, non ci sono più motivi di fermarti. So che hai paura di soffrire ma… non accadrà. Non quassù, non se non rovinerai tutto con le tue stesse mai»

«Non so se ne sono capace… tutto quello che mi si avvicina— che mi si avvicinava… non finiva bene»

«Smettila di torturarti», lo redarguì lei. «Tu hai fatto del tuo meglio. Sia tu che Sam. Avete cercato di salvare tutti senza che nessuno ve ne fosse mai riconoscente… è stato un onore per me lavorare al vostro fianco, ruotarvi intorno anche solo per un po’… grazie a voi ho vissuto veramente. Ho conosciuto un mondo che avevo solo immaginato, che credevo esistesse solo nei libri… ho frequentato una fata!», disse sognante. «E poi sono andata ad Oz… e ho avuto esperienze davvero assurde e wow… il sesso con le creature soprannaturali è—»

«Si, okay, ho capito…»

Lei rise. «Oh, beh… in ogni caso meriti di perdonarti. Nessuno di noi ti porta rancore, Dean. Tu sei l’uomo più—»

«“Generoso e altruista del mondo?”», concluse lui, riecheggiando un altro noto momento ben più solenne con una vena di sarcasmo.

Charlie aggrottò le sopracciglia. «Non so se del mondo, ma sicuramente di coloro che conosco… tu e Sam avete fatto del vostro meglio, è il momento che lo accetti, che ci credi e ti lasci andare»

«Mi sto impegnando per riuscirci», commentò lui in un sussurro.

Charlie lo guardò fisso finché non catturò il suo sguardo, incatenandolo con il proprio. Gli occhi chiari di lei, sulla pelle diafana e coperta di lentiggini, ancora più enfatizzata dal rosso acceso dei capelli lo ipnotizzò. «È proprio questo il punto! Devi smettere di impegnarti… è tutto già dentro di te, Dean. Tutti noi lo sappiamo, tutti noi lo vediamo. Lasciati andare e soprattutto…», si spostò, lo prese per un braccio e lo trascinò via dalla cucina. Dean fece appena in tempo ad afferrare i suoi piatti per non lasciare il suo agognato cibo incustodito.

Giunsero in giardino, dove il profumo della carne si era fatto ancora più intenso e dove un denso fumo di griglia si stendeva come nebbia nell’aria. Da uno stereo suonava la canzone Pictures of You dei The Cure. Dean schioccò le labbra; “ovviamente”, pensò, lanciando uno sguardo fugace alla sua maglietta.

«Soprattutto?», chiese a Charlie guardandola dritta in faccia.

Lei sorrise. «Goditi la felicità che meriti… qui non ti servono le foto per riviverla»

Gli fece un occhiolino e poi un cenno verso i capannelli di persone che serpeggiavano in quello spazio grande, eppure angusto. Gli occhi di Dean saettarono da un volto all’altro, e il suo fu di nuovo illuminato dal sorriso. Chiunque avesse fatto parte della sua vita almeno per un po’, chiunque credeva di aver perso per sempre, chiunque aveva alimentato, con la propria dipartita, il suo senso di colpa e di impotenza, era lì.

Era vero, non aveva più bisogno delle loro foto. Tutto quello che gli serviva era un respiro profondo, tanta birra, musica al massimo volume e un’overdose di proteine e carboidrati, per vivere a pieno la prima vera festa che avesse mai avuto in suo onore. Si sentì bambino e adulto insieme, come se quel benvenuto celeste comprimesse in sé tutti i compleanni che non aveva mai veramente festeggiato, e si sentì appagato.

Si volse di nuovo verso Charlie, le tirò una leggera pacca sulla spalla e si stampò un’espressione stupidamente felice sulla faccia. 

«Grazie», disse. 

E lo intendeva davvero dal profondo del cuore.




 

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Capitolo 5
*** (Everything I do) I do it for you ***


 



CAPITOLO V
(Everything I do) I do it for you

Don't tell me it's not worth tryin' for
You can't tell me it's not worth dyin' for
You know it's true
Everything I do
I do it for you
 
Look into your heart
You will find
There's nothin' there to hide
Take me as I am
Take my life
I would give it all
I would sacrifice

I'll be there, yeah
I'd walk the wire for you
I will die for you

Oh yeah
I would die for you
I'm going all the way, all they way, yeah

«Ehi, principessa… disturbo?»

Charlie si affacciò alla porta semiaperta della camera bussando piano sullo stipite. Dean se ne stava seduto sul baule ai piedi del letto, con le ginocchia aperte e i piedi ben piantati a terra; tutto il suo corpo era proteso in avanti e il peso sbilanciato sui gomiti che premevano sulle cosce. Si guardava le mani quasi in contemplazione, un’espressione crucciata gli solcava il viso.

Alzò lo sguardo verso l’amica al di là della spalla, accennando un sorriso sghembo. «Ehi», le disse dopo un piccolo colpo di tosse. «Per niente…»

Lei gli rivolse uno dei suoi sorrisi totali, che le illuminavano tutto il visto, e si chiuse la porta alle spalle per poi avvicinarsi e sedersi sul bordo del letto, alle spalle di Dean. «Tutto bene?»

Lui scrollò le spalle ad annuì, distratto.

«Di sotto stanno facendo a gara a chi si mette più in ridicolo», scherzò Charlie.

Dean si lasciò sfuggire un risolino. «Ci scommetto»

Con un movimento fluido, quasi automatico, si sistemò in modo da offrire il fianco all’amica, e non più le spalle, ma continuò a rivolgere gli occhi nel vuoto tra le sue gambe e il pavimento fissando senza vederle le proprie mani che si congiungevano e scioglievano. Aveva passato tutto il pomeriggio e gran parte della sera a parlare, mangiare, bere e parlare ancora. Una miriade di persone era arrivata e andata nel corso delle ore: alcuni volti erano sconosciuti, altri li aveva visti di sfuggita, altri ancora avevano riempito lunghi periodi della sua vita. Aveva anche rivisto Kevin, e aveva avuto finalmente l’occasione per abbracciarlo e ringraziarlo per tutto quello che aveva sacrificato per il mondo. Quel ragazzo aveva sofferto oltre ogni immaginazione; aveva perso la sua adolescenza, il suo futuro, la sua ragazza, la sua libertà, le sue ambizioni, sua madre, la sua vita e infine anche il suo aldilà, schiavo di un destino scritto da uno stronzo megalomane. Dean aveva sperato che Jack avesse rimesso a posto le cose, ed era stato felice di scoprire che effettivamente così era stato, ma vedere Kevin l’aveva scosso, nonostante fosse arrivato tutto sorridente con un enorme vassoio di kimchi piccante preparato da sua madre, che lo seguiva a ruota con il suo solito sguardo severo. Dean era stato felice di vederlo, di sentirsi liberato da quell’enorme peso della colpa, ma allo stesso tempo si era sentito sfibrato, mortificato dalla sua stessa serenità. Certo, Kevin stava bene. Ma era comunque morto per il suo egoismo, per la sua cecità e ingenuità. Non avrebbe mai avuto la possibilità di vivere una vita normale sulla terra, di andare ad Harvard, di invecchiare. La consapevolezza di avere in qualche modo contributo alla dipartita prematura di molte delle persone al piano di sotto alla fine gli aveva chiuso lo stomaco, e l’aveva fatto sentire tanto sopraffatto da avere bisogno di una pausa da quella giornata mondana. Si era rintanato nei suoi pensieri come faceva nel Bunker, isolato nella sua stanza, ma senza il conforto della musica.

«Sei pensieroso…», provò Charlie.

Dean mugugnò. «Che spirito di osservazione»

«Non fare il saccente con me, lo sai che il mio QI è troppo alto per il sarcasmo», scherzò lei.

Lui le lanciò un sorriso tirato. «Hai ragione… hai trovato qualcosa da hackerare anche qui?»

Charlie fece spallucce. «Non esattamente», disse. «In compenso posso partecipare o organizzare tutte le rievocazioni medievali che voglio… peccato che non ci siano fate quassù»

Dean storse le labbra al ricordo del suo ultimo incontro con una fata e i suoi capezzoli di luce. «Mhm… una vera perdita»

La ragazza si soffermò a guardarlo, lasciando che tra di loro cadesse un lungo silenzio. Dean sembrava angosciato: la camicia si piegava a metà della sua schiena seguendo la linea della spina dorsale, incastrata lungo il solco creato dai suoi muscoli tesi. I tendini dei polsi guizzavano ai continui movimenti delle mani, che si intrecciavano a scioglievano come mosse da un potere proprio. Gli occhi del Winchester, poi, sembravano non darsi pace, scandagliando nel buio semi-rischiarato della stanza come alla ricerca di qualcosa che tardava ad apparire. 

«Cosa c’è che non va, Dean?»

Lui assottigliò lo sguardo e si passò la lingua sul labbro inferiore in un gesto involontario. «Niente»

«Dean», insistette lei.

«Non so che dirti…», soffiò. «…niente di importante comunque. Dovresti tornare a goderti la festa…»

«È la tua festa»

«Ma io non me la merito»

Charlie alzò gli occhi al cielo, roteandoli tanto più platealmente possibile. «Devi smetterla di fare così!»

«Non ho fatto niente», la corresse lui.

Lei gli posò una mano sulla spalla, costringendolo a guardarla. «Non sei questo tipo di persona…»

«Ah sì?», la schernì, imbarazzato.

Lei annuì. «Sì, hai sempre tenuto dentro tanta oscurità, tanta colpa… ma sei anche un idiota»

Sul viso di Dean si dipinse la sua tipica espressione ostentatamente scocciata. «Oh, adesso sì che sto meglio, ti ringrazio davvero…»

«Voglio dire…», continuò lei scoccandogli un’occhiataccia, «…che sei una di quelle persone che trova sempre qualcosa di cui ridere! Ti basta uno stupido cappello da cowboy o una canzone rock e diventi un bambino sorridente… quest’aria da cucciolo bastonato, tutto rimorsi e sensi di colpa… dona più a Sam che a te»

Dean soffiò fuori l’aria in un’espressione pensosa, e alzò velocemente un sopracciglio prima di stamparsi un sorrisetto sulle labbra. «Sammy sembra sempre sull’orlo del pianto…»

«…o di un disturbo gastrointestinale», rise Charlie.

«Ah, sì, lui e la sua stupida bitch-face»

La ragazza annuì. «Già…», concordò. «…ma tu sei quello che si è travestito da cavaliere, che diventa pazzo quando vedere una crostata, che sa citare ogni film horror in circolazione, anche quello più di bassa lega… che conosce le canzoni dei Led Zeppelin a memoria e si emoziona davanti alla foto di qualche pistolero!»

«Sono proprio un bel coglione»

Lei gli tirò una spallata. «Sei diverso… è questo che ti rende speciale»

Sospirò. «Essere speciale non mi ha impedito che ti capitasse del male, però—»

«Dean, te l’ho già detto, io—»

«No, aspetta, fammi parlare…», la interruppe lui. «…lo so che ho fatto del mio meglio, e che sei felice che le cose comunque siano andate come sono andate ma… non ti meritavi di morire in quel modo. Ti meritavi di vivere, di continuare spaccare i culi a Dungeons and Dragons, di divertirti con tutte le ragazze che volevi… o fate, o cacciatrici, o ragazzine di Oz…»

«Non è stata colp—»

Dean la guardò storto. «Non sarà stata colpa mia, ma non sono stato abbastanza bravo per impedire che accadesse e comunque, anche se ho imparato a perdonarmi, a guardare me stesso e la mia vita da un altro punto di vista, non posso evitare di sentirmi sopraffare ad ogni persona che mi viene incontro là sotto… vedo Kevin che sorride e lo immagino senza occhi, steso sul pavimento del Bunker. Vedo Jo e la immagino seduta per terra morente in quel negozio sul ciglio della strada. Vedo te e… e l’immagine di quella vasca da bagno mi tormenta. Così come quando ho visto Cass non riuscivo a smettere di rivivere il momento in cui il vuoto l’ha preso… non riesco a smettere di pensarci neanche adesso»

Charlie lo guardò, e aggrottò le sopracciglia per scandagliarlo nel profondo. «Vuoi parlarne?»

«Di cosa?»

«Di Castiel…»

Dean scrollò le spalle di nuovo. «Non c’è molto di cui parlare…»

«Castiel è morto un sacco di volte, Dean… quasi più di te e Sam. Perché questa volta è stata diversa?»

«Perché credevo che fosse quella definitiva. Si è fatto prendere dal Nulla, l’ha evocato sulla terra per sacrificarsi, è sparito. Caput. Finish. Puff!», esclamò in un’escalation di suoni accompagnati dalle sue mani sempre più frenetiche.

«Ma non è stato così… Castiel è qui, in Paradiso…», disse lei come se fosse una cosa ovvia e normale. «…anche se non capisco perché non sia qui-qui…», disse indicando il pavimento.

Dean rievocò per un attimo la loro ultima conversazione, quando gli aveva detto che aveva bisogno di tempo. Avevano continuato a guardare l’orizzonte insieme, lui gli aveva offerto una birra e ne aveva presa un’altra per sé, erano rimasti in silenzio per un po’ e poi Cas l’aveva salutato, sparendo nel nulla così come era apparso, lasciando Dean con la strana sensazione di aver immaginato tutto. Poi lui aveva passato un intero mese a girovagare senza meta, rintanandosi nei ricordi, prima di prendere coraggio e andare dai suoi genitori. Aveva anche scoperto che in effetti il paradiso non era vuoto, era solo molto grande, e aveva fatto il giro di tutti i pub di quell’area paradisiaca che somigliava un po’ a una fusione tra il Kansas e la Cornovaglia, deciso a soffocare ogni rimorso e rimpianto prima di affrontare veramente ciò che lo frenava. Guarda caso, non era servito a niente. Era comunque un coglione pieno di lividi che non riusciva a smettere di pensare ai suoi fallimenti in vita, e soprattutto al più grande dei suoi fallimenti, quello che circondava ogni singola interazione che avesse mai avuto con Castiel, che gli sembrava di aver inzaccherato con tutta la sua negatività. «Immagino che non volesse invadere il mio spazio personale…», disse scuotendo la testa e schioccando la lingua.

Charlie lo guardò senza parlare, spronandolo a continuare. Dean intercettò i suoi occhi per un momento, ma non riuscì a sostenerne l’intensità, così si concentrò sul luccichio della luna oltre il vetro della finestra. Tossì. «L’ultima volta che ci siamo visti… beh, la penultima in realtà, è stato… insomma, lui ha evocato il Nulla perché portasse via Billy e per farlo ha dovuto… uhm… tener fede a un patto che aveva fatto per salvare Jack e… si, beh, ecco… è una lunga storia», concluse, incapace di proseguire. Perle di sudore minacciavano di apparirgli lungo l’attaccatura dei capelli.

«E io ho un’interna eternità per sentirla», insistette lei.

Dean si morse il labbro. «Non sei una che molla, eh?»

«Mai»

Il Winchester si contorse. Incapace di rimanere seduto si alzò, si passò le mani nei capelli, camminò fino alla finestra e lanciò uno sguardo verso il giardino, dove le luci del barbecue e delle lampadine a catena sospese poco sotto rischiaravano l’immagine della festa che proseguiva indisturbata anche in sua assenza. Tossicchiò, camminò di nuovo su e giù lungo la stanza, si infilò le mani in tasta. «Aveva fatto un patto con il Nulla perché prendesse lui invece che Jack… ma il Nulla non… maledizione, non lo so, credo che volesse vederlo soffrire, okay? Quindi non l’ha voluto prendere subito e… uhm… gli ha detto che sarebbe apparso in un… ma che ne so, nel maledetto momento di più grande felicità della sua vita eterna… o qualche stronzata del genere, credo… e guarda un po’, c’ero io in quel momento di felicità», disse a bassa voce, quasi inudibile, alzando gli occhi al cielo alla sua stessa idiozia.

Charlie era sempre più corrucciata. Si protese verso Dean, accavallò le gambe e approfondì lo sguardo, portandosi pollice e indice al mento in una posizione che gridava desiderio di ascoltare e capire. Dean, di contro, sembrava sul punto di svenire.

«Non credo di capire…», lo incitò lei. «…se sapeva che evocandolo sarebbe morto in che modo ha vissuto un momento di felicità?»

Dean iperventilò. Come erano arrivati a parlare di questo? Neanche se lo ricordava. Aveva la gola secca. «Io… Lui… sì, beh, Cass voleva salvarmi… credo, si, cioè… quindi penso…»

Charlie rise. «Cosa avrà mai fatto che non riesci neanche a ripetere… ma dai! Sei un uomo adulto! Morto per giunta… cosa può averti tagliato la lingua in questo modo?», gli chiese. «Non ti avrà mica confessato amore eterno, no?»

La ragazza stava ancora ridendo, ma Dean si bloccò come se fosse stato colpito in piena faccia fa uno schiaffo inaspettato. Sentì le budella contorcersi e percepì perfettamente il suo viso che si piegava in un’espressione costipata. Quando Charlie se ne accorse, smise immediatamente di ridere, e i suoi occhi si fecero grandi e profondi, pieni di sorpresa e trepidazione. Le sue labbra si schiusero a formare una piccola “o”, che si affrettò presto a coprire con le mani, per evitare di peggiorare la situazione.

«Vuoi dire che…», si interruppe, ci pensò un secondo, poi sorrise, gli occhi che luccicavano. «… finalmente!», squittì.

Dean era interdetto. «Finalmente?»

Lei alzò le spalle. «Non dirmi che non lo sapevi…»

«Che non sapevo cosa?»

«Non puoi essere veramente sempre stato così chiuso nell’armadio da non esserti mai reso conto dei segni… e poi dai! Vi hanno preso in giro al Paradiso e all’Inferno per anni…»

Dean aveva un’espressione di puro terrore dipinta sulla faccia. «Non— io… non ero in un armadio, io—»

«Oh, ma smettila! Per chi pensi che parlassi quando siamo andati a fare shopping e ti ho chiesto di Castiel?»

Lui la guardò senza capire. «Dean! Ti ho chiesto cosa ne pensassi di Castiel… ho detto che sembrava un tipo interessante… per chi credi che te lo stessi chiedendo?»

«Io—»

Lei alzò gli occhi al cielo, scattò in piedi e fece volare le braccia in alto e poi in basso in un gesto di pura esasperazione. «Sono lesbica Dean! Non sarei riuscita neanche a flirtare con un uomo senza il tuo aiuto… il tuo aiuto, Dean!»

«E questo cosa—», annaspò l’ex cacciatore.

«Oddio», soffiò lei, «…molto etero da parte tua guidare una ragazza nel flirting con un uomo… molto “womanizer”, davvero. Pensi che stessi chiedendo di Castiel per me? O, non so, per un amica, forse? Stavo cercando di capire quanto fossi stupido tu, a non esserti ancora reso conto del vostro…», gesticolò con le mani qualcosa che doveva somigliare a una matassa, «…qualunque cosa ci fosse di inespresso tra voi!»

«Non c’era niente di inespresso!», si difese lui.

Lei alzò un sopracciglio e intrecciò le braccia al petto. «Oh, davvero? Quindi immagino che quando ti ha dichiarato il suo amore tu fossi perfettamente pronto ad affrontare quella conversazione, giusto?»

«Io non—»

«Non te lo aspettavi, no?»

Dean si passò una mano sulla fronte, prese un respiro profondo e sbottò. «No!», esplose. «No, non me lo aspettavo, d’accordo? Soprattutto non mi aspettavo che un fottuto “angelo del signore”, che a quanto pare ha perso tutta la sua santità nel maledetto momento in cui ha salvato il mio dannato culo dalla dannazione, decidesse di sacrificarsi, di nuovo, davanti a me, per salvare la mia stupida inutile e incasinata vita dall’ennesima assurda stronzata in cui l’avevo appena trascinato… non mi aspettavo che una benedettissima creatura celeste potesse vedere me - me! - come il motivo per “tenere al mondo”, come se io fossi un qualche cazzo di premio di non so che cosa e come se fossi un fottuto punto di riferimento, okay? E no. No, non mi aspettavo che il momento più felice della sua intera dannata eternità fosse rendersi conto che “quell’unica cosa che voleva non poteva averla”, ma che “bastava dirla”, e che quell’unica fortuitissima cosa fossi io… un minuscolo, insignificante umano arrabbiato, incasinato, incapace di esprimere una sola cazzo di emozione!»

Finito di parlare, Dean era senza fiato. Con un singhiozzo involontario sentì che tutto il dolore e l’insicurezza si impossessavano di lui, costringendolo a rannicchiarsi per evitare di cadere. Si abbassò, sedendo sui suoi talloni appena rialzati e abbandonando le braccia lunghe distese appoggiate alle ginocchia rialzate. Era talmente disgustato da sé stesso e dalla sua infantilità che non riusciva neanche ad incrociare lo sguardo di Charlie, che nel frattempo si era fatto triste.

«…e io non ne valgo la pena», continuò Dean, deglutendo un altro singhiozzo che minacciava di trasformarsi in pianto. Aveva già sprecato abbastanza lacrime quando aveva creduto che non avrebbe mai più rivisto Castiel, nel buio e nell’intimità della sua stanza nel Bunker. Non l’avrebbe fatto di nuovo davanti a Charlie. «…sono stato un pessimo amico per Cas. Non ho mai saputo leggere tra le righe, non sono mai stato grato per ogni suo sforzo… ha tradito tutto il fottuto paradiso per me, cazzo! E più di una volta. Ha dato fuoco con una molotov a suo fratello… ha… ha—», pensò a quanto la sua presa su Castiel fosse forte anche senza averne piena consapevolezza, quando tre sole parole uscite dalla sua bocca piena di sangue nella cripta della tavoletta degli angeli avessero liberato l’angelo dalla lobotomia che gli aveva inferto Naomi. «—e io cosa ho fatto in cambio? Ho giocato con i suoi sentimenti, me ne sono fregato delle conseguenze… gli ho detto che non mi fidavo di lui, che era— l’ho cacciato dal Bunker, l’ho lasciato solo… l’ho ferito e non ho mai… mai dimostrato davvero di apprezzarlo. Sono stato un vero stronzo, un coglione… un emerito sacco di merda per tutti questi anni! Con tutti voi… ho sputtanato tutte le mie occasioni nella vita e ho lasciato che anche te, Kevin, Sam… e Pamela, Jo… che tutti voi buttaste via la vostra vita… e per cosa? Per prendere spunto da uno come me? Non sono certo un modello da seguire…», una risatina amara gli sfuggì dalle labbra mentre parlava.

«Tu sei solo un vigliacco…», gli disse Charlie, duramente.

Quell’attacco improvviso trascinò Dean fuori dal suo vortice di dolore, costringendolo a guardarla di scatto.

«Tu sai che non è vero nulla di quello che stai dicendo… Tutti noi, io, Jo, Bobby, tua madre, tuo padre, Sam!, Kevin, chiunque altro e anche Castiel— soprattutto Castiel!, sappiamo esattamente cosa hai fatto per il mondo… e cosa hai fatto per noi, cosa avresti fatto per noi… e, Dean, basta! Non è colpa tua. La battaglia è finita— finita! Contro cosa stai combattendo? Pensi veramente che io non veda la realtà in tutto questo tuo stupido monologo? Cos’è? Porti sfortuna, è questo che dici? Sei solo uno stupido sacco di merda… pensi che qualunque sacco di merda avrebbe passato praticamente trent’anni della sua vita a uccidere mostri per salvare gli altri? E comunque… tutti noi abbiamo fatto le nostre scelte e tu non c’entri niente con esse! Non è mai stata una tua responsabilità e Castiel… beh lui ha scelto ogni singola volta te! Se l’ha fatto vuol dire che forse non sei così pessimo come credi, no?»

Dean era senza parole, non avrebbe saputo cosa ribattere neanche se avesse voluto farlo.

«No, infatti…», si rispose Charlie da sola. «L’unico stupido motivo per cui sei qui a crogiolarti in quanto tu sia insignificante e su quanto ingiustificato sia l’amore di Castiel per te… è che non riesci a uscire dal tuo stupido armadio e abbracciare chi sei!»

«Pensi che sia facile?», gli chiese lui, con gli occhi sottili e lo sguardo tagliente come una lama.

Charlie sbuffò, un’espressione feroce stampata sul viso. «Io so che non è facile, Dean. A differenza tua ho preso coscienza di me stessa molto tempo fa, ed ho affrontato le conseguenze… cos’è? Pensi che ammettere che anche tu lo ami ti renda meno “maschio alpha”?»

«Io—»

«Oppure non lo ami anche tu? È questo che vuoi dirmi?»

Dean sembrava sul punto di vomitare, il calore gli avviluppava il viso come un sacchetto pieno d’acqua bollente, impedendogli di respirare. «Io…»

«Non voglio spingerti a dire qualcosa che non vuoi o che non sei pronto a dire… ma cazzo, Dean! Sei tornato in Purgatorio per Castiel… hai messo a repentaglio le leggi dell’universo per lui… hai pianto la sua morte come quella di un compagno di vita, hai… hai tenuto il suo impermeabile sporco di sangue in macchina come un cimelio— come nel cazzo di film Brokeback Mountain! Dai, si può essere più ovvi di così? Angeli e demoni ti hanno lanciato milioni di frecciatine e tu… tu veramente pensi che questo possa in qualche modo farti sembrare meno virile? Meno Dean-sono-un-osso-duro-Winchester? Beh, lascia che ti dica una cosa… tu non sei mai sembrato un osso duro, se non in battaglia. Tutti meritiamo l’amore, e tu non sei da meno… quant’è che non hai una donna, eh?»

«Ma…»

«Quanto?»

Dean ci pensò su, con un’espressione persa. Gli occhi che saettavano a destra e sinistra, rivolti all’indietro, verso la sua stessa mente. «Anni», ammise.

«E perché mai? Te lo sei chiesto? Un uomo tanto… beh, sì, tanto legato alla propria intimità come te… che non ha una donna da anni… perché?»

«Io non…»

Charlie lo guardò ancora un po’, poi si morse l’interno della guancia. Vedere Dean così perso, così indifeso, era troppo anche per una convinta portatrice di verità come lei. «Dean…», gli disse con voce addolcita avvicinandosi a lui. Si chinò al suo fianco, e gli posò una mano sul braccio destro. «…so che non sei uno stupido coglione», sorrise un po’, «…e so che non sei un omofobo né un idiota… ma se c’è una cosa che sei, è inconsapevole. Non so perché tu l’abbia fatto ma è ovvio che hai passato anni a nasconderti dietro a un dito, e per cosa poi? Nessuno ti avrebbe giudicato, nessuno ti avrebbe denigrato… non certo tuo fratello, non certo i tuoi amici e sono sicura che non l’avrebbero fatto neanche i tuoi genitori. E se ti guardi indietro vedrai che non è neanche una questione di sessualità o genere… tu hai sempre tenuto a distanza le persone che avevi paura di ferire. Me l’hai raccontato tu stesso… di Lisa e Ben… di tutte le porte che hai chiuso per paura che lasciandole aperte sarebbero entrati i mostri insieme a te. Ma—»

Dean tossì. «Sono solo un coglione, Charlie…», ammise, gli occhi pieni di lacrime che non volevano scendere. «…Ho chiuso tutte quelle porte in passato perché non volevo che quelle persone soffrissero, che morissero per colpa mia… ma con Cass— Castiel era diverso. L’ho messo in pericolo milioni di volte, e lui ha cambiato tutta la sua esistenza per me, ha fatto qualunque cosa solo perché gliel’ho chiesto io… l’ho dato per scontato, l’ho visto sacrificarsi mille volte e… per anni, nonostante l’evidenza, nonostante le mie stesse pulsioni… non ho mai neanche lontanamente pensato che potesse essere qualcosa di più di un amico, di un fratello… ho spinto in fondo ogni indizio che mi avrebbe dovuto far capire che c’era qualcosa di diverso tra di noi perché… perché io—»

«Te ne vergognavi…», concluse lei in un sospiro amaro.

«Io… sì», ammise Dean, abbassando lo sguardo. «E ogni volta che uno stupido angelo o un disgustoso demone faceva menzione del “legame profondo” tra me e Cas… o mi ricordava quanto io fossi la sua debolezza, beh, non faceva che ricoprirmi di vergogna nel farmi rendere conto, anche solo per un momento, che lui era la mia debolezza a sua volta… esattamente come lo era Sam, eppure in un modo diverso. Io… ci sto provando», disse poi. «Ti giuro che ci sto provando a capire… a capirmi. Ad accettare… e sono arrivato a comprendere i sentimenti di Cas, a dirli… almeno da solo. Sì, Castiel mi ama. E, penso, in un modo romantico… ma io… io…»

«Non lo sai?»

Dean scosse la testa. «Ho paura»

«E di cosa?»

Lui grugnì. «Non ci sono mai stato, okay? Non ci sono mai stato con un uomo… e sì, cazzo, d’accordo, sarei un fottuto bugiardo se non ammettessi che ci sono state volte… con Cas, ma anche con altri ragazzi, in cui ho pensato… ho immaginato… ho, non lo so, fantasticato— e ci sono stati momenti in cui mi sarei anche sentito pronto ad ammettere a me stesso che forse… forse non ero tutto tanga di pizzo e rossetti, ma che c’erano anche altre cose che mi piacevano… come… come i glutei scolpiti di qualche modello o il modo in cui la cravatta calzava al collo di Cas, o la sua pelle appariva appena da sotto la camicia bianca, o le vene delle sue mani…»

Charlie tossicchiò, per fargli proseguire il discorso senza scendere nei dettagli delle sue fantasie. Dean gli lanciò un’occhiata di striscio e mosse le labbra convulsamente. 

«Il punto è che ne ero consapevole, ma non volevo… razionalizzarlo. E, beh, un conto è pensare che una cosa o qualcuno… è bello, o attraente… e un conto è passare dalla fantasia all’azione e soprattutto… beh, sì, soprattutto è un gran bel passo passare dall’attrazione all’amore. E io non sono neanche sicuro di sapere esattamente cosa si prova, quando si ama…» 

La ragazza continuò a guardarlo, con un sopracciglio alzato. 

«Sono stato innamorato… certo, molte volte anche… e ho avuto meravigliose esperienze intime…», ridacchiò e si inumidì le labbra con la lingua, ma quando vide che Charlie non rideva insieme a lui continuò a parlare, «…ma l’amore… l’amore ti fa soffrire. E penso di averlo sempre respinto, soffocato, nascosto in fondo al cuore e… beh ecco, sostituito con la rabbia, il possesso, la furia e con Cas—»

«Hai sempre tirato fuori queste emozioni…»

«In un certo senso… sì, credo…»

Charlie annuì. «Non devi sforzarti, se non vuoi… hai tutto il tempo dell’universo per capire cosa vuoi e cosa senti ma… non pensi di meritarti un po’ di gioia, finalmente? Non pensi di meritare di lasciarti andare? Io posso solo dirti questo… da fuori, tu e Castiel… siete come due calamite. Vi attraete a vicenda. Lui rifulge in tua presenza e tu sei… come una batteria caricata al massimo. Tirate fuori il peggio e il meglio di voi stessi quando siete nelle stessa stanza—»

«Io penso di amarlo», disse Dean, tutto d’un fiato. La testa gli girava vorticosamente, l’aria fu d’improvviso completamente risucchiata fuori dai suoi polmoni. No, lui non pensava di amarlo. Lui sapeva di amarlo, si rese conto. E una miriade di farfalle si mise a vorticare come uno sciame nel suo stomaco.

Charlie si bloccò, lo guardò stupefatta. «E allora?»

«Ma non so come amarlo…», disse ancora lui, colpito come dal fulmine della consapevolezza. «E ho una paura fottuta… non mi sono mai lasciato andare in questo modo, con nessuna… e certamente con nessuno… ho paura di perdere il controllo, di non saper gestire la cosa, di rovinare tutto… e non voglio perdere il mio migliore amico per questo per— una stupida pulsione ormonale!»

La ragazza gli rivolse ancora uno sguardo, poi sorrise e gli buttò le braccia al collo, abbracciandolo. Dean tremò appena tra le sue braccia, improvvisamente nudo, scevro di ogni armatura si fosse mai messo addosso. L’aveva detto, l’aveva detto ad alta voce. Aveva ammesso quello che avrebbe creduto di non poter ammettere mai, l’aveva fatto a sé stesso e alla sua migliore amica nello stesso momento, di getto, senza pensare. Dopotutto Dean aveva sempre fatto le sue scelte migliori, e avuto i suoi impulsi migliori, senza pensare. 

«Non devi avere paura dell’intimità Dean… di nessun tipo. Non c’è niente che deve spaventarti… imparerete strada facendo, l’inesperienza fisica ed emotiva si cureranno da sole… devi solo…»

«Buttarmi?»

«No», lo corresse lei. «Sentirti pronto almeno ad affrontare quello che senti», gli disse.

Dean digrignò i denti, il peso che sentiva sul cuore che minacciava di schiacciarlo di nuovo. «Ho paura di quello che potrebbero pensare… sai, mio padre, mia madre… la mia famiglia e anche… beh, tutti», tossicchiò e poi rise, per dissimulare la tensione. «Sai, mi sono fatto una reputazione sulla terra»

Charlie roteo gli occhi, ma Dean non la vite, stretto nel suo abbraccio. «A nessuno frega un cazzo della tua reputazione, solo a te interessa…»

La consapevolezza della verità di quell’affermazione lo colpì dritto allo stomaco, lasciandolo incapace di replicare per un po’. Si sentiva stordito, affannato come dopo uno scontro corpo a corpo con un goul. Nella testa mille diverse immagini si affastellavano inseguendosi senza un nesso logico, ma tutto alla fine tornava a quel momento, a quando Cas si era fatto inghiottire dal Nulla, alle sue lacrime di gioia, al suo sorriso beato, alle sue parole libere. 

Era così bello, pensò d’improvviso. Ancora bello, ancora Castiel, anche in quel momento tanto tragico. Bello dentro e fuori, con quegli occhi azzurri come il cielo di una mattina d’estate, il suo impermeabile sempre stropicciato e logoro, quella cravatta mai legata nel modo giusto. Bello in ogni suo sacrificio, in ogni suo errore, in ogni loro scontro, in ogni occasione. Ed era vero, lo vedeva ripercorrendo a velocità supersonica tutti gli anni che avevano vissuto insieme, tutte le loro battaglie, tutti i loro scontri, ogni volta che si erano persi, ogni volta che si erano ritrovati: lui aveva cambiato Castiel, l’aveva reso più umano, l’aveva rotto in un certo senso, mettendo in dubbio un’eternità di fedeltà cieca e insindacabile per gli angeli e Dio. Ma anche Castiel aveva cambiato lui; l’aveva fatto sentire degno di fiducia, degno di tradimento, degno di considerazione, di ascolto. 

«Lui ha messo in dubbio tutto per me e io…»

«Anche tu l’hai fatto»

«Non lo so… non so se avrei mai… abbandonato Sam…»

Charlie sorrise e si staccò dall’abbraccio, gli pose una mano sulla spalla, e cercò i suoi occhi per catturarli nei propri, nel tentativo di trasmettere attraverso lo sguardo tutta la comprensione, l’accettazione, l’amicizia possibile. «Dean… non è su questo che devi basare il confronto tra i tuoi sentimenti e i suoi, non su questa scelta. Tu sei stato un fratello e un padre per Sam, vi siete cresciuti a vicenda, vi siete sostenuti, vi siete condannati l’uno per l’altro, vi siete anche mandati a fanculo più volte di quanto sia considerabile normale…», disse con un risolino. «Ma per tanto tempo, per quasi tutta la vita, siete stati solo voi due. E qualunque cosa fosse successa, qualunque cosa sia successa, sapevate che avreste sempre potuto contare l’uno sull’altro… solo l’uno sull’altro. Poi è arrivato Castiel e…»

Dean deglutì. «Sapevo che potevo contare su di lui»

«Ma a volte ti ha deluso… come ha fatto Sam…»

«Come ho fatto io», concordò lui.

«E hai provato la stessa cosa?»

Lui tentennò. «No… con Cass era diverso, con lui mi sono arrabbiato… di più»

Charlie annuì. «Come se ti avesse tradito un compagno?»

Dean si morse il labbro inferiore, gli occhi pieni di paura. Si maledisse da solo; un uomo adulto, che aveva affrontato più apocalissi di chiunque altro, che aveva stravolto il disegno di Dio, dannazione, e aveva paura dei suoi stessi sentimenti. Idiota. «…forse»

«Non avresti mai potuto tradire Sam per Castiel, ed è normale… ma sei stato capace di tradire e uccidere e distruggere chiunque altro per lui, o no?»

«Era la mia famiglia…», ammise Dean, esausto.

«E non pensi che questo abbia un valore?»

Lui scrollò le spalle. «Io—», poi una consapevolezza lo colpì dritto in faccia. In un certo senso aveva tradito Sam per Castiel, nel momento in cui aveva scelto di smettere di lottare, di lasciarsi andare. «Io non sapevo che Jack aveva modificato il paradiso…», disse.

Charlie lo guardò, rimanendo in silenzio.

«Quando sono morto io… beh ero convinto che sarei stato catapultato in un eternità di ricordi, sai, i ricordi più felici della mia vita. E quando quel chiodo mi ha trapassato la spina dorsale io… ho pensato soltanto… finalmente. Ho scelto di lasciarmi andare, di non combattere, di non chiedere aiuto e… ho scelto di lasciare Sam, di abbandonarlo perché… perché qui l’avrei rivisto…»

Charlie gli accarezzò ancora la spalla. «Dean…», soffiò, una lieve tenerezza nella voce.

«Ed ero pronto ad affrontare la consapevolezza che sarebbe stato solo un ricordo, intangibile, eternamente identico a sé stesso… ma tanto mi bastava. Non potevo… non volevo continuare a vivere una vita sulla Terra senza quello stupido angelo… ero infelice, e ho lasciato Sam per questo…», si sentì disgustato da sé stesso. «Ho abbandonato mio fratello… solo per la speranza di un ricordo»

«Dean… tu meriti di essere felice. Hai sacrificato ogni cosa per il resto del mondo per tutta la vita… ora meriti di sacrificare il resto per te stesso. Meriti di accantonare ogni blocco per essere… in pace»

Il Winchester strinse forte gli occhi, si passò una mano sul viso e fece pressione sulle palpebre finché la sua vista non fu macchiata di tante piccole striscioline di luce arancione. «Non so se ci riesco»

«E perché no?»

«Ho passato un’intera vita a dipingermi in un modo»

«Ma quella vita è finita, Dean. Letteralmente. Per tutti noi… hai la possibilità di ricominciare—»

Dean si stizzì. Non era arrabbiato con Charlie, anche se sentiva il peso della sua insistenza come un macigno che premeva contro le tempie, minacciando di provocargli la peggiore emicrania della sua vita. «Ho ricominciato più volte di quante dovrebbero essere concesse a un uomo… eppure ho fottuto ogni possibilità! Ogni volta mi sono ripromesso di fare le cose diversamente e invece? Sono arrivato a dire a Castiel che avrei voluto che fosse morto… sono arrivato a… a…», grugnì, poi si alzò in piedi, liberandosi da quella posizione fetale. «Non gli ho detto nulla, Charlie! Lui mi ha aperto il suo cuore, si è sacrificato per me— ancora una volta e io… ancora una volta non gli ho detto nulla!»

Charlie sospirò, si alzò a sua volta e si sedette sul letto, scivolando fino alla testata per poggiare la schiena contro il cuscino. Poi colpì piano piano il posto accanto a lei, invitando Dean a sedersi. 

«Che ne dici se ripartiamo dall’inizio?»

Lui aggrottò la fronte e la guardò. «Quale inizio?»

«Ricominciamo dall’inizio… come se fossimo due adolescenti che parlano delle loro cotte… alla fine, io sono lesbica e tu… beh, tu sei palesemente bisessuale, amico mio… che ti piaccia o no ammetterlo, è il momento che esci dal tuo armadio preferito e che ti guardi dentro»

Dean si contorse come un serpente in agonia. «Non mi piacciono le etichette—»

«Oh, ma non dire stronzate! Non ti piace questa etichetta forse, perché ti spaventa e mette in dubbio tutto quello che hai creduto fino ad ora… ma in generale le etichette ti sono sempre piaciute… e questa non è da meno. Devi solo imparare ad accettarla»

Lui tentennò la testa, pensandoci un po’. In effetti le etichette gli erano sempre piaciute. Per quanto tempo si era nascosto dietro una di esse, o alcune di esse, per mostrarsi al mondo in quello che pensava fosse l’unico modo per essere rispettato? «E cosa proponi?»

«Beh… facciamo finta che sia io che te siamo… due amici delle superiori, okay?»

Dean si avvicinò piano piano al letto, con le mani in tasca. «E?»

«E parliamo… tu mi parli di Castiel, dall’inizio. Da quanto vi siete visti la prima volta… ma lo devi fare senza freni…» 

«Mi servirà del Whiskey…», disse lui in un grugnito.

Lei fece spallucce, «Non dirmi che non ne hai una scorta qui…»

Dean la guardò con un’espressione eloquente, poi sorrise a sessantaquattro denti. «Ovviamente», si piegò e aprì lo sportello del comodino al fianco al letto, tirando fuori una bottiglia di whiskey e una di scotch. Le aveva rubate dall’armadietto del salone prima di rintanarsi in camera. 

«Allora vieni qua, dai… principessa», lo schernì Charlie.

«Ehi!», le rispose lui, saltando sul letto come un bambino e mettendosi comodo.

«Da dove vuoi iniziare?»

Dean prese un respiro profondo, stappò la bottiglia, buttò giù un lunghissimo sorso gorgogliante che gli inebriò corpo e mente, e poi iniziò a parlare. E raccontò di rumori assordanti, di luci scoppiate, di ombre di ali sul fondo di un capanno, di occhi celesti e terribili e di una mano stampata sulla spalla come un marchio indelebile fatto con il fuoco. E poi parlò di risate, di scherzi, di progetti, di piani, di distintivi tenuti al contrario. Di cose che aveva imparato, ed altre che aveva insegnato. Raccontò di sensazioni nuove che aveva provato, che gli avevano attanagliato le budella e gliele avevano fatte solleticare, parlò di attrazione che aveva nascosto, di sogni e di speranze. E parlò anche di perdita, di pire che non avrebbe mai voluto dover accendere, di rabbia e di desiderio di vendetta, di incapacità di perdonare, di capire… parlò di un dolore e di un cordoglio profondi come gli abissi infernali, più strazianti di qualunque tortura avesse mai subito, o inflitto. E più parlava, più si sentiva leggero, più si sentiva libero.

E più ricordava, con la lingua resa sciolta e lesta dall’alcol che gli infiammava la mente, e più si rendeva conto che in effetti, tutto quello che aveva fatto negli ultimi dodici anni, qualunque decisione, ogni singola cosa che non riguardasse Sam, l’aveva fatta per Castiel, così come l’angelo l’aveva fatta per lui. E così, tra un racconto e un altro la durezza si trasformò in risate, in spensieratezza, in doppi sensi e scambi di battute, come se fosse tornato ragazzo e stesse parlando di una cosa normalissima. Come se non stesse parlando dell’essersi innamorato di un fottuto angelo del signore che l’aveva trasportato in braccio fuori dall’inferno e risollevato dalla perdizione. Perso com’era nei suoi ragionamenti, ispirato dalla sua epifania, reso disinibito e spavaldo dall’alcol prese la bottiglia di whiskey quasi finita e la impugnò come un microfono, mettendosi a cantare a squarciagola Everything I do di Bryan Adams, con Charlie che sghignazzava e si rotolava sul letto, le costole che gli facevano male dal ridere e il cuore che gli faceva male dopo essere stato stretto in una morsa tanto a lungo, finalmente libero di battere.



 

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Capitolo 6
*** Close your eyes ***


NdA. Siamo arrivati alla chiave di volta. Spero che la mia interpretazione di come mi immagino che sia la prima volta che i due scemi finalmente vivono un momento comune di felicità pura vi piaccia! Se così fosse, ma anche se non vi piacesse, lasciatemi una recensione per farmelo sapere! Le recensioni scaldano il cuore... 
 


Close your eyes

 

Qualche unità celeste più lontano Castiel aveva lo sguardo fisso nel vuoto davanti a sé, nella grande stanza bianca dell’headquarter angelico. Il suo tramite se ne stava scomodamente seduto su una sedia, con i muscoli delle gambe intorpiditi e le braccia appoggiate sulla superficie lievemente riflettente del grande tavolo centrale davanti a lui. Da quando Dean gli aveva chiesto di “indossare” un corpo umano, l’angelo non aveva più abbandonato il vecchio aspetto di Jimmy Novak, e ne era rimasto legato soprattutto per riabituarsi alle sue varie estremità, così qualora l’uomo l’avesse cercato, Castiel avrebbe evitato di irritarlo di nuovo. 

Nonostante fosse rimasto dentro a quel corpo limitato e tangibile, la sua essenza di serafino era libera di estendere la propria coscienza agli angoli più estremi del paradiso, per controllarli in assenza di Jack: se i suoi occhi fisici erano persi nel bianco davanti a lui, la miriade di occhi interiori erano ben concentrati sull’enorme regno celeste sotto la sua supervisione, simili a una rete di telecamere di sicurezza. 

Parte della sua concentrazione era rivolta a una vasta zona urbana che ritraeva fedelmente la città di Costantinopoli e ospitava molte anime piuttosto vetuste, almeno secondo una scala di giudizio umana. L’imperatore Adriano stava giusto entrando in un supermercato insieme ad Alcinoo; a quanto Castiel aveva capito, aspettavano a cena Saffo, Pericle, Nefertari e Ji Ru insieme a Virginia Woolf, Federico Garcia Lorca e Donatello. Aveva sentito nominare anche un altro paio di persone, ma non le aveva riconosciute. In ogni caso, un bel simposio di menti per una sola cena. Da quando Jack l’aveva riportato indietro dal Nulla ne aveva viste di rimpatriate particolari. Sembrava quasi che le persone collidessero in base a strani disegni, e soprattutto coloro che lungo il tragitto lineare del tempo erano nati più tardi erano stati quasi calamitati verso i loro idoli del passato, creando meravigliose connessioni che solo il nuovo Paradiso poteva rendere possibili. Una volta aveva osservato affascinato una sorta di improvvisazione artistica a dieci mani: Raffaello, Van Gogh, Picasso, Frida Khalo e Artemisia Gentileschi si erano ritrovati per realizzare un enorme dipinto che rappresentava una versione molto letteraria del Paradiso da regalare a Dante Alighieri. E a proposito di scrittori, Joyce e Shakespeare erano soliti andare a bere insieme all’Old Lantern Pub, dove servivano il miglior liquore di malto di tutto il regno celeste, mentre Oscar Wilde sembrava aver trovato in Boccaccio e Catullo i sui migliori amici, e poco di meno si poteva dire del legame tra Tolkien e Luciano di Samosata. Ogni volta che quei due si vedevano sicuramente un nuovo universo di fantasia avrebbe preso vita. A quanto ne sapeva, la trilogia sul Sovrano delle Nubi aveva già surclassato qualunque altra saga fantasy mai scritta fino a quel momento… era un vero peccato che la Terra non ne avrebbe mai sentito parlare. In ogni caso, sicuramente il fatto che in Paradiso la punizione divina seguita alla Torre di Babele fosse venuta meno, e tutti potessero capirsi senza difficoltà, aiutava ad avvicinare anche i più lontani nel tempo e nello spazio. 

Castiel si era concentrato su queste simpatiche riunioni di cervelli da quando aveva lasciato Dean sul ciglio della strada quasi due mesi addietro; prima era sempre stato attento a controllare cosa facessero John e Mary, Bobby e tutte le altre persone importanti per il cacciatore. Una delle primissime cose che aveva fatto insieme a Jack una volta completata la ristrutturazione di Paradiso e Inferno era stata andare a ripescare l’anima persa di Kevin Tran sulla Terra. L’aveva trovato sull’orlo della follia, ma l’aveva ripreso appena in tempo, portandolo in Paradiso in prima persona. Non avrebbe mai voluto che Dean soffrisse sapendolo solo e abbandonato a vagare in pena per il resto dell’eternità. In ogni caso, da quando lui era tornato, Castiel non aveva avuto il coraggio di rivolgere anche solo uno dei suoi occhi verso quel piccolo lembo di Paradiso che racchiudeva la gran parte dei protagonisti della vita dei Winchester: non poteva rischiare, neanche per un istante, di incrociare Dean. Non sarebbe stato capace di allontanare lo sguardo, e non voleva assolutamente spiare nella sua mente e nella sua vita. Lui gli aveva chiesto tempo, e a Castiel andava bene.

La sua coscienza tornò tutta di colpo dentro al suo tramite quando qualcuno gli toccò una spalla.

«Castiel», lo chiamò l’angelo davanti a lui. «C’è un messaggio per te»

Il serafino sbatté le palpebre un paio di volte, adattando la sua vista sovrumana a quel piccolo corpo, e come sempre gli scappò un sorriso: Jack aveva voluto ricreare nell’headquarter il salone del bunker. C’erano le stesse sedie, le stesse librerie, la stessa scalinata e gli stessi mobili, solo tutto in un’unica sfumatura di bianco. Il grosso tavolo davanti a lui, però, poteva riflettere qualunque mappa volesse: al momento rimandava un’immagine molto vivida del gigantesco Paradiso, ma poteva anche mostrare la Terra e l’Inferno, oltre agli altri mondi che Jack era andato a ricostruire. 

«Castiel», ripetè Shiraz.

Lui si alzò, prese un profondo respiro e sorrise. «Sì?»

«C’è un messaggio per te»

Castiel annuì. «Quale messaggio?»

«È di Charlie Bradbury»

 

 

******

 

Da quando Rowena era al comando dell’inferno, i rapporti tra i due regni dell’aldilà si erano trasformati in una mutua collaborazione. Lei e Jack avevano avuto una conversazione molto proficua sull’importanza di trasformare l’Inferno in un luogo di espiazione, e non solo di tortura. I demoni, dunque, non avevano più niente da guadagnare dagli accordi con le anime umane, ma svolgevano quel lavoro solo quando chiamati volontariamente dagli uomini sulla Terra. Jack era stato categorico: niente doveva cambiare in apparenza. Gli esseri umani dovevano poter scegliere, nel bene e nel male, se condannarsi a una lunga permanenza ai piani inferiori (o, nei casi peggiori, un’eternità), o consacrarsi alla beatitudine del Paradiso. Sarebbero state le loro decisioni e le loro azioni a decidere, e lui si sarebbe occupato di cercare di tenere il più possibile insieme l’universo, cercando di evitare tragedie di proporzioni più che bibliche. Per il resto, le singole anime avrebbero continuato il loro corso, chiedendo favori ai demoni o consegnandosi nelle mani degli angeli. Compito degli uni e degli altri sarebbe stato quello di valutare ogni minimo cambiamento degli uomini, dando massima considerazione alle eventuali prese di consapevolezza, assicurandosi di spiegare molto bene i termini e le condizioni delle eventuali scelte, e cercando, dove possibile, di ripotare le anime sulla buona strada. Non sorprendeva nessuno che, nonostante le accortezze e nonostante fosse universalmente illegale far cadere gli umani in tentazione di proposito, loro ci si lanciassero di testa spontaneamente alla prima difficoltà la vita gli ponesse davanti. 

Poco male, comunque. Con i poteri di Jack e la consapevolezza di Rowena al servizio di una ristrutturazione totale dei regni celesti, l’Inferno era diventato qualcosa di decisamente più complesso di quello che era stato fino a quel momento. Una specie di specchio del Paradiso, ma alla rovescia, in una struttura tra il dantesco e il platonico. Le anime erano legate ai loro peccati, e in base ad essi venivano punite fino al momento in cui non fossero state chiamate ad essere analizzate, non poco dolorosamente, da una giuria di angeli e demoni selezionati e chiamati a collaborare gomito a gomito. In questo modo il neo-Dio aveva revocato la regola per cui le anime dell’inferno non potevano accedere in paradiso, e aveva girato in lungo e in largo per tutta la Terra insieme a Castiel per ritrovare le anime buone che Chuck aveva condannato alla dannazione per divertimento e che poi erano rimaste nel velo dopo che aveva spalancato le porte dell’inferno nel tentativo di incasinare ancora di più la vita di Sam e Dean. Poi, prima di partire a tempo indeterminato per risolvere gli altri innumerevoli danni che Chuck aveva creato nell’universo, Jack aveva controllato che tutti i regni celesti funzionassero a dovere, aveva chiuso il Purgatorio e spedito le anime dei mostri effettivamente malvagi all’inferno e quelle dei buoni in Paradiso e annientato i Leviatani una volta per tutte. Infine aveva stabilito che i custodi di un regno non fossero banditi dall’altro, così da facilitare al massimo la collaborazione tra Cielo, Inferi e Terra e snellire la burocrazia, soprattutto in sua assenza, dato che era l’unico essere nell’intero creato a poter vedere e sentire ogni singolo atomo nello spazio e nel tempo, anche attraverso le pieghe dei mondi. Grazie a Dean, Sam, Castiel, Mary ma anche Rowena, Jack aveva imparato l’importanza del lavoro di squadra, e aveva deciso di fare di tutto pur di mantenere la pace e la concordia per il bene di tutte le creature, fossero esse viventi, celesti o infernali. Per ultima cosa quindi poi aveva abbracciato la strega, le aveva restituito i suoi poteri ed era sparito lasciando dietro di sé un sorriso largo e sincero e una nube di fumo rosso.

 

Crowley sedeva annoiato sullo scranno al fianco di quello di sua madre. Da quando era tornato dal Nulla lui e Rowena si alternavano nella risoluzione della miriade di problemi che sorgevano costantemente tra Terra e piani bassi, soprattutto in seguito allo stravolgimento del sistema del libero arbitrio, messo finalmente in funzione a pieno regime. L’inferno era un vero caos, i demoni non facevano che ripetere sempre le stesse domande banali. 

«Ma quindi non posso andare a comprare anime a Las Vegas in cambio di vittorie facili?»

Il custode degli inferi roteò gli occhi per l’ennesima volta. Era seduto scomposto sul trono con il peso tutto spostato su un lato e il viso appoggiato all’indice e il pollice della mano destra. «No, Flegias, maledetto idiota, te l’ho già ripetuto almeno un milione di volte…»

«Ma perché!»

Crowley stava giusto per perdere la pazienza e schioccare le dita per farla finita con quella conversazione inutile e sfiancante, quando Rowena rientrò nella sala del trono vestita di un lungo abito a sirena in raso verde smeraldo e i capelli perfettamente acconciati. I suoi occhi, ormai eternamente viola per il luccichio dei suoi poteri, sprizzavano euforia.

«Perché è così e basta, Flegias, stupida capra… se gli umani ti chiamano, tu vai, gli spieghi per bene tutte le conseguenze in cui potrebbero incorrere, e se insistono gli compri l’anima e li fai vincere. Dopodiché ci penseranno gli Osservatori, vedi di ficcartelo in testa, va bene?», disse lei concludendo con una risatina a labbra strette. «E… non ti azzardare a non spiegare bene termini e condizioni del contratto, altrimenti sai che il patto si annulla in automatico e avrai fatto un lavoro inutile. Adesso vattene»

Crowley si alzò dallo scranno scrocchiandosi le ossa del collo. «Finalmente, sono passati eoni! Quanto impiegherà mai un maledetto massaggio shatzu!»

«Oh, ma dai Fergus… avevo bisogno di una pausa! Su, su!», sghignazzò la rossa. «E comunque sono stata contattata da Aphizrael proprio a metà del massaggio… sciocco angelo, scommetto che non ha ancora fatto il suo periodo sulla Terra, altrimenti saprebbe benissimo che non bisogna mai interrompere una dama durante la sua pausa di bellezza…»

«Madre», la rimbeccò Crowley. «Che voleva l’angelo?»

Rowena sorrise e arricciò le labbra, poi fece un breve applauso che liberò una nuvoletta di luce violacea tra i suoi palmi. «Mettiti pure un abito nuovo, mio caro… siamo stati convocati ai piani alti!»

 

******

 

Alla roadhouse l’aria era leggera e distesa. Ellen stava passando uno straccio pulito sul bancone dopo che l’ultimo avventore ci aveva rovesciato sopra metà della sua birra, mentre Jo serpeggiava tra i tavoli per consegnare le ordinazioni. Rufus e Bobby erano già al terzo giro di scotch, mentre Karen rideva ascoltando per l’ennesima volta il racconto di quando suo marito era stato pestato da una baby gang che aveva incontrato mentre cacciava una strega. Li aveva avvertiti che stare in mezzo alla strada era pericoloso perché c’era una “persona pericolosa” e aveva tirato fuori il suo finto badge dell’FBI e i ragazzini l’avevano assalito al grido di “fanculo la polizia”, e dandogli di vecchio coglione. Rufus aveva guardato la scena ridendo sotto i baffi prima di intervenire tirando fuori il suo fucile da caccia per far scappare la gang, ma non senza godersi prima la scena esilarante di Bobby che si faceva sopraffare da dei bimbetti di dodici anni. Aretha, invece, aveva già preso il monopolio del palco e stava cantando Respect a squarciagola insieme alla band chiamata per allietare la serata. 

Mary e John erano seduti a un tavolino tondo proprio davanti ai musicisti, e si tenevano mano nella mano senza una parola. Tra loro aleggiava quell’intesa leggera delle coppie che hanno attraversato l’inferno per poi ritrovarsi. Charlie invece era arrampicata su uno sgabello laterale al bancone, il corpo teso in tutta la sua iperattività. Il suo sguardo guizzava tra la porta d’ingresso e quello splendore angelico davanti a lei. Da quando Jack e Castiel avevano ristrutturato il paradiso era la regola che angeli e anime si mescolassero: il serafino era stato categorico a riguardo, e il neo-Dio non aveva avuto niente da ridire. Ogni angelo avrebbe dovuto passare del tempo sulla Terra o a contatto con le anime del Paradiso, non per intervenire nelle questioni umane, ma per imparare di più sugli uomini, sulle loro vite, sulle emozioni, sul dubbio e sul libero arbitrio. Entrambi erano convinti che esperienze simili potessero essere propedeutiche per svolgere meglio il proprio ruolo nell’equilibrio delle cose.

La ragazza lanciò un’altra occhiata alla porta basculante che lasciava poco spazio alla vista della strada, poi tornò a posare gli occhi su Ruth, un metro e settanta di splendente pelle color caramello e una cascata di riccioli del bruno più caldo che avesse mai visto, in grado di accendere ancor di più due brillantissimi occhi verde acqua. Ellen le porse un cocktail analcolico alla ciliegia e le fece un occhiolino d’intesa. 

Dall’ingresso un sorridente Kevin Tran sbucò a braccetto con una giovanissima versione della scienziata Rosalind Franklin. Il ragazzo fece un cenno con la mano prima a Charlie e poi a Bobby, incrociando il loro sguardo, e insieme alla sua compagna andò alla ricerca di un posto abbastanza tranquillo, in cui potessero sedersi dando le spalle al muro e lo sguardo a tutta la sala. In poco tempo la Roadhouse si riempì di anime e angeli; Pamela entrò seguita da una statua dalla pelle color ebano e gli occhi chiari come il cielo del circolo polare artico nei mesi di sole e una bella donna sulla cinquantina in abiti da rocker e una lunga treccia brizzolata che le scivolava sulla spalla sinistra, e si diresse senza esitazioni al tavolo dove sedevano Bobby, Rufus e Karen, che si strinsero un po’ per fare loro spazio. Missouri era già arrivata quel pomeriggio insieme ad Ash, trasportati senza grandi cerimonie da un messo angelico. 

Charlie aveva fatto del suo meglio per rendere speciale quella serata, cercando di raggruppare tutte le persone importanti per Dean per dargli la carica necessaria. Tutti, a dire il vero, si erano spesi anima e corpo perché tutto fosse il più perfetto possibile: Jo e Ellen avevano annullato il loro tradizionale Soul Sunday Sandwich scambiandolo con un Pie Hard and Rock a Pint Sunday, Bobby e Rufus avevano spostato il loro ritrovo settimanale alla Roadhouse, Karen aveva disdetto la lezione di cucina con le sue amiche e Missouri aveva abbandonato la riunione delle “medium per il bene” senza fare neanche il suo intervento. 

«Non sarà mica già arrivato il testone, vero?»

Rowena e Crowley si materializzarono in mezzo al locale in un guizzo violetto. Charlie si catapultò giù dal suo sgabello scusandosi con Ruth e lanciò le braccia al collo della custode dell’inferno. «Siete venuti!»

«Che succede?», tagliò corto lui, spazzolandosi con le mani il completo damascato nero e verde scuro.

«Shhh!», lo zittì Charlie. «È una sorpresa»

«Per chi, di preciso?», le domandò Rowena con la sua tipica espressione incuriosita.

Charlie fece una faccia entusiasta. «Intanto per Dean…»

«Quindi il non-testone alla fine è riuscito a farsi ammazzare…», disse Crowley, non troppo sorpreso.

La ragazza lo guardò storto. «Lui ha organizzato tutta questa serata ma non sa… non sa niente dei rapporti tra Paradiso e Inferno, insomma, non volevamo dargli troppe informazioni in una volta sola e soprattutto non sa che—»

«Charlie!», la voce di Dean arrivò potente dalla cucina alle spalle del bancone. «Charlie!», ripetè. «Ho imparato a fare la crema pasticciera!», esclamò sbucando dalla porta e affacciandosi dalle spalle di Ellen per guardare la sala con un’espressione estatica. «Char—», la voce gli morì in gola. «—Ma che caz— cavolo…», si corresse.

«Appunto…», sussurrò la ragazza contraendo il viso prima di voltarsi verso l’amico.

«Non può essere…», disse ancora Dean. Con uno sguardo veloce valutò la possibilità di saltare il bancone come in un film, facendo leva solo sulla mano, ma poi riconsiderò la sua decisione e si diresse in tutta fretta verso l’uscita e raggiunse in tre falcate il piccolo gruppo in mezzo al salone.

«Tu sei morto…», disse guardando Crowley, «…e tu sei all’inferno!», continuò guardando Rowena. Poi si voltò di scatto verso Charlie, con gli occhi spalancati di un bambino.

«Beh… Jack ha cambiato un po’ di cose», disse la ragazza.

Dean sfiorò con lo sguardo tutti loro. «Non ci credo», disse. «Oh, amico, ci avrei scommesso un testicolo che non ti avrei mai più rivisto…», esclamò sporgendosi per abbracciare Crowley. «…e l’avrei perso!»

Il demone si irrigidì, batte imbarazzato il palmo della mano sulla spalla dell’uomo e poi tossicchiò. «Ora non vuoi più uccidermi con le tue mani?»

Dean rise. «Nah! Siamo stati una bella squadra…», disse, poi si rivolse a Rowena con le braccia aperte.

Lei lo guardò storcendo un po’ le labbra sottili. «Oh, e va bene», accordò, lasciandosi abbracciare.

«Ma come… che…?», chiese l’uomo, senza riuscire a formulare a pieno il suo dubbio. 

«Il vostro ragazzo ha trascinato il mio culo fuori dal Nulla…», disse Crowley, ancora stupito dal suono delle sue stesse parole.

«Non ti ha neanche mai conosciuto!», commentò Dean altrettanto sorpreso, grattandosi la nuca. Aveva ancora la frusta macchiata di crema in mano e il grembiule bianco sporco degli albumi che si era rovesciato addosso nel separarli dai tuorli. 

Rowena fece spallucce. «Immagino che abbia voluto esaudire un mio piccolo desiderio… ma è possibile che ci abbia messo lo zampino Amara»

La bocca di Dean si piegò a formare una piccola “o”, poi annuì ricordandosi del dono che la sorella di Dio gli aveva fatto prima di sparire, prima dell’ennesimo disastro cosmico, prima di troppe cose per ripeterle tutte. «Sì, è un’appassionata di queste piccole sorpresine…», concordò. «Ma… cosa ci fate qui?»

Rowena e Crowley si guardarono, poi si voltarono verso Dean e Charlie. «Ci avete convocato…»

Lui alzò un sopracciglio. «Io non sapevo neanche che fosse una possibilità…»

Charlie si morse un labbro. «Sono stata io…», disse. «…sapevo quanto ci tenessi che questa sera fosse speciale, per cui ho cercato di fare del mio meglio»

Sul volto di Dean si aprì un largo sorriso. «Pazzecco! Ma come hai…?»

La ragazza fece spallucce, si portò l’indice alla tempia e lo picchiettò un paio di volte. «Alla fine ho trovato qualcosa da hackerare… tipo il sistema di comunicazione inferno-paradiso», rise. «E ho spedito il primo messo angelico in ascolto a fare una “commissione importantissima per il custode del Paradiso”»

«Che sarebbe?», domandò Dean con un’espressione sciocca.

Charlie roteò gli occhi. «Castiel, ovviamente», rispose insieme a Rowena. Le due donne si scambiarono un’occhiata e ridacchiarono. 

«Ginger power!», squittì la ragazza alzando in alto il palmo della mano destra.

Rowena la guardò incuriosita, alzando un sopracciglio, senza muoversi di un centimetro.

Charlie sbuffò e si batté il cinque da sola. «Comunque—»

«Sta arrivando!», Ruth apparve accanto ai quattro con gli occhi verdi che brillavano, attivati dalla sua grazia stuzzicata dal radar angelico.

D’improvviso Dean si fece teso, tutti i suoi muscoli si irrigidirono e sul viso gli si dipinse un’espressione costipata. Crowley lo guardò tra l’incuriosito e il disgustato, con quella sua tipica faccia da poker. Rowena invece lo osservò con attenzione, scrutandone il linguaggio del corpo, poi saettò uno sguardo a Charlie, che le annuì. Le due donne proseguirono il loro dialogo silenzioso fatto di espressioni e sguardi, poi la custode dell’inferno sorrise eloquentemente. «Oh», disse. «Sei pronto a scoprire la quinta base?», chiese non senza una punta di malizia divertita.

Detto fatto, l’uomo si fece rosso e ancora più rigido, incapace di controbattere.

«Qualcuno vuole aggiornare anche me, per tutti i segugi infernali?», si stizzì Crowley.

Rowena stava per rispondergli, ma Charlie la frenò con un’occhiata. «Sediamoci in un punto degno del nostro rango, Fergus, ti spiego tutto…», ridacchiò trascinando con sé il figlio.

I due si allontanarono un po’, sedendosi al posto più vicino al palco che trovarono. Con un guizzo della mano la strega trasformò un banalissimo tavolino basso di legno rovinato in uno rialzato in elegantissimo marmo di Carrara, e rese le due sedie degli alti sgabelli di bronzo completati da morbidi cuscini di velluto verde.

«Ehi!», le gridò Ellen. «Quello è il mio materiale…»

Rowena le lanciò uno sguardo indifferente. «Meno male che ci sono io a risollevare almeno un angolo di questo posto, mia cara…», e si sedette.

Ellen scosse la testa e fulminò Charlie con lo sguardo, mimandole con le labbra qualcosa tipo “è tutta colpa tua”.

Charlie le mostrò i palmi in un atteggiamento di scuse, e tornò a guardare Dean, che non si era mosso. «Sei pronto?»

Lui sembrava sul punto di svenire. «Uhm…», mugugnò.

«Andrà benissimo!», lo sostenne lei. Poi lo squadrò. «Magari però togliti questo grembiule e lascia la frusta in cucina…»

Dean guardò la sua mano e sé stesso come un automa, e annuì, senza però fare nulla. 

«Ehi!», Charlie gli schioccò le dita davanti al viso. «Paradiso chiama Dean Winchester! Stai bene?»

Lui scosse la testa come per togliersi qualcosa di dosso, poi soffiò fuori tutta l’aria e strizzò forte gli occhi. Quando li riaprì, una luce determinata ne illuminava il verde caldo delle iridi. «Sì», esclamò. 

In poche falcate raggiunse il bancone, consegnò indumento e strumento da cucina a Ellen e con un solo movimento dell’indice chiese un bicchiere di whiskey, che buttò giù in un unico sorso. Guardò il suo bicchiere vuoto e poi di nuovo Ellen, che roteando gli occhi glielo riempì per la seconda volta. «Dai ragazzo! Puoi farcela!»

Dean la ringraziò con lo sguardò e trangugiò anche il secondo bicchiere. Poi batte forte i palmi sul ripiano del bancone e si voltò verso Charlie. Un’espressione decisa rendeva i suoi lineamenti ancora più netti. «Puoi scommetterci che posso farcela», disse a sé stesso. 

Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli, si sistemò il colletto della camicia di flanella e alzò il pollice verso Charlie. «Vado», disse.

Lei gli rispose alzando entrambi i pollici in un gesto di incoraggiamento, mentre tornava con Ruth a sedersi al bancone e lo guardava dirigersi senza esitazione al palco dove la band continuava a suonare canzoni di diverse sfumature di rock. 

Dean salì tra i musicisti e si rivolse al chitarrista, sussurrandogli qualcosa all’orecchio che Charlie, da dove si trovava, non potè sentire. Il ragazzo annuì e poi rivolse alcuni comandi veloci agli altri, che iniziarono a provare una nuova melodia confondendosi nell’improvvisazione con la canzone precedente. Dean afferrò il microfono e fece saettare lo sguardo su e giù lungo la sala, soffermandosi un poco su tutti gli astanti. Sua madre gli rivolse un sorriso incoraggiante, annuendo piano. Suo padre lo guardava sereno, senza un solo segno di giudizio nello sguardo. Bobby stava tirando gomitate nelle costole a Rufus, e Dean, pur non riuscendo a sentirlo oltre la cacofonia degli strumenti che si accordavano, ebbe l’impressione che gli dicesse “ecco il mio ragazzo”. Una sensazione di calore si avvolse intorno al cuore di Dean, che non riusciva comunque a diminuire il ritmo dei battiti. Si soffermò su Rowena e Crowley, che lo guardavano la prima con un’espressione maliziosa e il secondo con le braccia incrociate e una certa faccia da “era l’ora”. Pamela e Missouri stavano borbottando qualcosa tra di loro, senza staccare gli occhi dal palco, mentre Ellen aveva interrotto il servizio e si era messa in un angolo insieme a Jo e Ash. Kevin dal fondo della sala gli fece un cenno con la testa, mettendo in pausa per un po’ la conversazione con uno dei cervelli più belli della storia. Charlie invece era rivolta verso di lui e nel tentativo di trasmettergli telepaticamente tutta la forza possibile cercava di non battere le palpebre. Il chitarrista alle spalle di Dean gli picchiettò la spalla, facendogli cenno che lui e gli altri musicisti erano pronti a suonare.

 

Fu in quel momento che Castiel entrò nella Roadhouse, con il suo impermeabile sgualcito, la cravatta annodata male come sempre e un’espressione confusa stampata sul volto. Si guardò intorno cercando di capire come mai tutte quelle persone si trovassero nello stesso posto nello stesso istante, e fece qualche passo al centro del salone, spostando lo sguardo su tutti gli avventori. Poi riconobbe un profumo, e i suoi occhi azzurri scattarono fulminei verso un punto in fondo al pub. 

Lì se ne stava Dean, piantato a terra con i piedi abbastanza distanti da garantirgli l’equilibrio, aggrappato all’asta del microfono come se ne dipendesse della sua permanenza in Paradiso. Castiel inclinò piano la testa da un lato, in un gesto automatico. Tutta la sua grazia ebbe un fremito, facendo brillare un poco il suo tramite. Era così bello, pensò, come era sempre stato. Gli occhi di Dean catturarono i suoi, e il fremito si fece più forte. Senza capire cosa stesse succedendo, la musica che gli stuzzicava le meningi e la grazia che minacciava di sgusciare dal suo corpo, Castiel rimase in silenzio mentre una strana forza lo spingeva ad avvicinarsi al palco.

«Finalmente siamo tutti», esordì Dean con uno strano tremolio nella voce. 

L’angelo lo guardò ancora più confuso, con le sopracciglia che piano piano gli si abbassavano sulle palpebre.

«Forse qualcuno di voi si sarà domandato perché vi ho chiesto di venire qui stasera…», continuò l’uomo, sempre più aggrappato al microfono. «…Beh, si, ecco siete qui perché… perché…», sembrava che Dean non avesse ben chiaro il motivo, e soprattutto non sapesse come continuare la frase. Castiel lo guardò mentre scambiava uno sguardo con Charlie, seduta al bancone, e si voltò a sua volta per capire cosa stesse guardando. Quando tornò a posare gli occhi su Dean, l’uomo incatenò lo sguardo al suo, tossicchiò e poi si raddrizzò. I suoi muscoli si distesero visibilmente e Castiel sentì uno strano fuoco accendersi dentro al suo petto. 

«Siete qui perché per tutta la mia vita ho finto di essere qualcuno che non ero…», iniziò. Fece spallucce e sorrise di sghembo, tra l’imbarazzato e l’esaltato. «…un duro, uno stronzo, un vero coglione con tanto di patentino. Un assassino a sangue freddo. Mi sono negato le più tenere emozioni, mi sono chiuso all’amore, mi sono imposto un’immagine… temevo il giudizio degli altri quando in realtà ero io a guardarmi allo specchio e odiare ciò che vedevo. E mi sono rifugiato nella caccia, nell’alcol, nelle— nel sesso», disse tossicchiando, «nel tentativo di riempire un vuoto che non riuscivo a colmare diversamente perché avevo… paura. Paura di perdere chiunque mi si fosse avvicinato come avevo già perso… beh, tutti», disse sfiorando con lo sguardo sua madre Mary per un istante, prima di tornare a guardare Castiel.

L’angelo sentì la sua grazia pulsare come il battito di un cuore sempre più rapido e aritmico. Avrebbe potuto scommettere su qualunque cosa che la sua agitazione gli fosse manifesta sulla pelle, baluginando come una patina luminosa intorno a tutto il suo corpo. Per quanto cercasse di trattenerlo, non ci riusciva. Sentiva dentro di sé come una corda annodata tirata dalle estremità, che si stringeva sempre di più intorno al suo spirito angelico, destabilizzandolo. Era come l’atomo in scissione, sul confine sottile tra esplodere distruttivamente o diventare una fonte eterna di energia pura.

«E per anni ho nascosto a me stesso oltre che agli altri quello che provavo davvero… e ci ho provato a costruire relazioni ma ogni volta ho mandato tutto a puttane… ma ora non sono più sulla Terra, sono qui, e ho avuto modo di riconciliarmi con tutti voi e… e di comprendere davvero le parole di qualcuno di speciale: credevo di fare quello che facevo per odio, ma l’ho sempre fatto per amore… sbagliando e facendo un casino dopo l’altro, ma cercando di fare del mio meglio…»

Con i suoi sensi di angelo attivi al massimo, Castiel percepì prima ancora che si materializzassero le lacrime negli occhi di Mary.

«…e devo essere stato un vero idiota… un vero… coglione, se ho finito per far credere a quel qualcuno di speciale che l’unica cosa che voleva era qualcosa che non poteva avere», disse tutto d’un fiato.

Castiel si accorse di aver trattenuto il fiato nel momento in cui tutta l’aria uscì di getto dai suoi polmoni, e sentì gli occhi bruciare. Si rese conto d’improvviso che lacrime calde si stavano addensando sulla soglia delle sue palpebre. 

«Sono sempre stato molto meno di bravo di Sam con le parole…», disse poi Dean con un risolino nervoso e la fossetta nella mandibola che appariva e spariva intermittente. «…ma sicuramente sono un cantante migliore», scherzò. «Quindi vorrei dedicare questa canzone a quel qualcuno di speciale…»

Il serafino lo osservò mentre l’uomo faceva un cenno con il capo ai musicisti dietro di lui. Dean prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e li riaprì. Le sue iridi verdi rifulgevano nelle luci del locale quando le posò di nuovo in quelle umide di Castiel.

«Close your eyes/ Let me tell you all the reasons why/ Think you're one of a kind/ Here’s to you/ The one that always pulls us through/ Always do what you gotta do/ You’re one of a kind…»

Con la voce graffiata di Dean e il ritmo molto più rock, la canzone di Bublè sembrava una cover radiofonica in grado di sbancare le classifiche per settimane. 

Il Winchester sbatté le palpebre in modo eloquente, senza staccare per un attimo lo sguardo da Castiel, che da parte sua stava vivendo un’emozione stranissima, una delle più forti che avesse mai vissuto in tutta la sua eternità. 

«…Thank Jack you’re mine…», continuò l’uomo con una risata nascosta nella voce. «…You’re an angel dressed in armor/ You’re the fair in every fight/ You’re my life and my safe harbor/ Where the sun sets every night/ And if my love is blind/ I don't want to see the light…»

La corda annodata che Castiel sentiva dentro di sé d’improvviso si sciolse, e una vampata di potere angelico eruppe dal suo corpo, illuminando tutta la sala come la notte di capodanno. Guardò Dean preoccupato, ma lui gli sorrideva soddisfatto e sereno allo stesso tempo; un luccichio speculare al suo gli sfavillava negli occhi. 

«…It’s your beauty that betrays you/ Your smile gives you away/ Cause you're made of strength and mercy/ And my soul is yours to save…»

Per quanto strano potesse essere per un angelo, a quelle parole Castiel sentì come se tutto il calore gli confluisse al viso. Si sentì pieno di gioia e di serenità e soprattutto, guardando Dean come se ci fossero solo loro due in quella sala piena di gente, si sentì amato.

«…I know this much is true/ When my world was dark and blue/ I know the only one who rescued me was you…»

La sensazione si dilatò dentro di lui, mentre la sua memoria angelica si prolungava all’indietro nel tempo per accarezzare ogni singolo istante che lui e Dean avevano vissuto insieme. Si sentì ridere, come se si trovasse a distanza di chilometri dal suo stesso corpo, al solo pensiero di aver creduto di vivere un momento di felicità quando aveva rivelato i suoi sentimenti. Quello non era niente, niente, paragonato a ciò che sentiva in quel momento. Da una parte lo colpì l’amarezza di aver creduto, in quei terribili attimi, che quello sarebbe stato l’apice della sua intera eterna esistenza. Da un’altra lo attanagliò la paura al pensiero che il Nulla apparisse da un momento all’altro per portarlo di nuovo via. Gli ci volle una grande concentrazione per ricomporsi e ricordarsi che Jack aveva fatto un patto con quell’entità cosmica, che non avrebbe mai più potuto avvicinarsi a Castiel e in cambio avrebbe avuto un sonno eternamente indisturbato. Quelle due sensazioni furono comunque presto sostituite da un’euforia pura. Castiel sentiva le ali che prudevano e minacciavano di spalancarsi da un momento all’altro, richiamate dal potere immenso che sentiva gorgogliare dentro di sé.

«…When your love pours down on me/ I know I'm finally free/ So I tell you gratefully/ Every single beat in my heart is yours to keep…», continuò Dean. «Cass…», disse poi lasciando spazio agli strumenti, senza ripetere il ritornello un’altra volta, «…la cosa che vuoi e pensi di non poter avere… puoi averla…», sussurrò nel microfono. Ma anche se la voce flebile con cui aveva detto quelle parole non fosse stata amplificata, Castiel l’avrebbe sentita comunque. 

Istintivamente, a una velocità inumana, si mosse lungo la sala e arrivò ai piedi del palco, con gli occhi spalancati e pieni di aspettativa. Dean staccò il microfono dall’asta e con un salto scese dal suo punto rialzato, e si fermò a poco meno di mezzo metro dall’angelo, senza distogliere lo sguardo da lui. Intorno a loro, a parte la musica, nessuno parlava, nessuno quasi respirava.

L’uomo grattò un po’ la gola, poi schiuse le labbra per completare la canzone. «…You’re the reason why I'm breathing/ With a little look my way/ You’re the reason that I'm feeling/ It’s finally safe to stay»

Fermi in quella posizione, a una distanza ben inferiore del rispettivo rispetto dello spazio personale, Dean e Castiel lasciarono che la musica scemasse e che tutta la Roadhouse cadesse nel più tombale silenzio. L’angelo aveva la stessa espressione di quando si era sacrificato nel bunker, con le iridi azzurre brillanti di un’ammirazione e un amore difficili da descrivere a parole. Dean, invece, aveva il volto disteso, un lieve sorriso a increspargli le labbra, gli occhi verdi sereni, parlanti, e neanche una ruga a solcargli la pelle. Rimasero in silenzio per quelli che parvero a tutti minuti, poi il Winchester ruppe quella staticità e buttò le braccia intorno all’angelo, stringendolo come non l’aveva mai stretto. Gli affondò il viso nell’incavo tra il collo e la spalla, con le labbra a pochi millimetri dalla sua pelle luminosa, e Castiel sentì con tutta la precisione di cui la sua natura divina era capace il calore del respiro di Dean che gli provocava un esplosione di brividi. In un movimento automatico, bisognoso, si aggrappò forte alla camicia dell’uomo. Sentì una lacrima rotolargli giù prima su una guancia, poi sull’altra. 

No, pensò, non aveva mai provato veramente la felicità fino a quel momento, e difficilmente ne avrebbe provata una più grande. Ovviamente, si sbagliava. Dean si mosse un po’ nell’abbraccio, senza lasciarlo andare, e in un istante la bolla di silenzio che si era protratta fino a quel momento esplose. Struscii di sedie sul pavimento si unirono a risate e ad applausi, ma tutto quello che loro riuscivano a sentire era un suono lontano, ovattato.

«Scusami se ci ho messo tanto…», sussurrò Dean, soffiando appena nell’orecchio di Castiel. Un’esplosione di grazia e luce riempì di nuovo la sala. «Cas, davvero, scusami se…», l’angelo lo sentì grugnire, poi l’uomo si allontanò un poco, abbastanza da poterlo guardare negli occhi. Castiel sentì tutto il suo corpo prudere, fremere e solleticare. Niente che avesse mai provato era anche solo lontanamente simile a quello che provava in quel momento.

«Anche io ti amo, Cas—Castiel», sussurrò Dean. Così piano che in quel caos che li circondava solo l’angelo lo sentì. 

E andava bene così.





 

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Capitolo 7
*** Warmer ***


NdA. dal prossimo capitolo avremo un po' di... "spice", finalmente. In questo capitolo i nostri dumbass preferiti si confrontano un po' dopo gli avvenimenti alla Roadhouse, e si prendono una meritata pausa da tutto.
Fatemi sapere cosa ne pensate! Un grazie speciale va a strugatta, che mi rincuora ogni volta con una recensione!



Warmer

 
Everything that I like-like
Eyes on you like a spotlight
Going off of what I know-know
Killing me with what I don't know
But when I get close, I feel the cold
Coming on like a storm
Why can't you say if you you feel the same?
Just give me something

Tell me, am I getting warmer?
'Cause I can't read the thoughts in your head
Every time I turn the corner
I'm feeling like I know less and less
I give you all of my time (time)
All day, all day, all night
So baby, don't lie (lie)
Tell me, tell me, am I
Am I getting warmer?

Poker face, don't you dare tell
Feeling like what in the world girl
Did I do to make you reclusive?
But I know what the truth is
You think you'll get hurt expecting the worst
But baby, I've been hurt too
We don't have to rush, a little's enough
Just give me somethin'


 
Need to know, am I getting colder?
Are we good, are we almost over?
Need to know we're not gettin' colder
I need to know, need to know, yeah
'Cause I can't read the thoughts in your head
Every time I turn the corner
I'm feelin' like I know less and less
I give you all of my time (my time)
All day, all day, all night
So baby don't lie (don't lie)
Tell me, tell me, am I
Am I getting warmer?
Are we good, are we almost over?

 

Tutto quanto era successo dopo aver pronunciato quelle poche, profonde parole, Dean lo ricordava confusamente. Aveva passato la sera a farsi ubriacare di chiacchiere da tutti i suoi amici e parenti, trascinato da una parte all’altra della Roadhouse come se fosse il giorno del suo compleanno e tutti avessero avuto un qualche augurio da fargli. Ognuno voleva dirgli qualcosa: sua madre che era orgogliosa di lui, Bobby che era “la fottutissima ora”, Jo che era felice che avesse trovato sé stesso, Rowena che era soddisfatta di essere stata la loro terapista di coppia, Missouri e Pamela che, entrambe, lo avevano visto accadere. Crowley gli aveva lanciato un’occhiata di sottecchi con il suo sorriso furbo e poi se n’era uscito con un “se ci hai messo così tanto a capirlo forse non è Sam il Testone”. Charlie aveva stretto le braccia al collo a tutti e due in un abbraccio tanto soffocante che se non fossero stati uno un’anima e l’altro un angelo probabilmente sarebbero svenuti per la mancanza di ossigeno.

Il resto era tutto in una nube di fumo; le voci ovattate, i colori sbiaditi. Dean ricordava solo che per tutto il tempo aveva cercato gli occhi di Castiel nel salone, incrociandoli una volta mentre parlava con Ellen, una mentre parlava con suo padre, una mentre parlava con Bobby. Sembrava tranquillo, a suo agio, anche se la sua pelle continuava a brillare, quasi che il suo tramite fosse incapace di trattenerne tutta la grazia. L’aveva notato anche mentre cantava, e poi quando gli aveva detto che lo amava. Era bello in maniera devastante. 

Per tutta la sera erano stati sballottati da una parte e dall’altra, presto le conversazioni si erano spostate su altri argomenti, tutti avevano alzato un po’ il gomito a forza di pinte di birra, e gli zuccheri delle crostate non avevano certo aiutato a mantenere bassi i livelli di euforia. Prima che potessero accorgersene la serata si era trasformata in una gara canora, con la povera band che doveva sopportare le peggiori richieste. Dean aveva vissuto tutto in una bolla finché Castiel non era finalmente riuscito a farsi strada verso di lui, e gli aveva porto una fetta enorme di crostata alle mele. Non si erano detti niente: l’uomo l’aveva ringraziato e si era abbuffato, come al solito. Tutto sembrava così naturale, così normale, che Dean non riusciva quasi a credere che avesse aspettato tanto ad accettare quello che provava per paura che qualcosa cambiasse. Come avrebbe potuto cambiare? Dirlo ad alta voce o meno non cambiava la natura del loro rapporto, erano sempre gli stessi, e Dean avrebbe aperto squarci tra i mondi adesso come prima pur di recuperare il suo angelo, anche a costo di disintegrare l’universo. 

Quando tutti avevano iniziato ad andarsene, a gruppi più o meno piccoli, Dean aveva ringraziato Ellen e Jo per la splendida serata, abbracciato sua madre e fatto un cenno col capo a suo padre, scompigliato i capelli di Charlie e poi raggiunto Castiel sulla porta. I due si erano diretti in silenzio verso l’impala, come avevano fatto altre mille volte. Nessuna stranezza, nessuna incomprensione, almeno per una volta. 

 

L’uomo e l'angelo entrarono in macchina insieme come se fosse una cosa scontata, senza neanche averne discusso prima.

Castiel si schiarì la voce. «Dove vorresti andare, Dean?» 

«Non saprei, Cas… battiamo la strada come al solito, che ne pensi?»

L’angelo tentennò. «Ti fidi di me?»

Dean alzò gli occhi su di lui, confuso da quella domanda. Le sue iridi verdi incontrarono i pozzi azzurri di Castiel, vibranti e brillanti di vampate di grazia. Sul volto del serafino c’era un’espressione serena e divertita insieme.

«Che vuoi fare?», gli chiese sospettoso.

«Rispondi prima alla mia domanda»

Dean assottigliò lo sguardo. «Certo che mi fido di te, ma—»

Non finì la frase, Castiel gli sfiorò appena la fronte con due dita della mano e in meno di un battito di ciglia tutto fu prima invaso da una forte luce azzurrina e poi l’impala si materializzò su un selciato di piccole pietre grigio perla circondato da grosse piante di lavanda profumata. 

Dean sbatte le palpebre più volte, e si rese conto che doveva avere sul viso un’espressione demenziale. Si guardò intorno cercando di capire dove si trovasse, poi guardò Castiel.

«Mi hai appena teletrasportato— dove, di preciso?», chiese, poi scosse la testa. «Lo sai che quando mi—»

«Non accadrà niente al tuo apparato gastroinstestinale, Dean», lo rassicurò Castiel, garantendosi un’occhiataccia in risposta.

«Sarà meglio per te», lo minacciò l’uomo, ben poco credibile. «Dove siamo?»

«In Provenza», rispose l’altro. «O meglio… in una parte del Paradiso che riproduce la Provenza», si corresse. «È quasi l’alba, guarda», gli indicò poi con un dito oltre il finestrino. 

Dean guardò in quella direzione; una luce delicata iniziava a filtrare dall’orizzonte frastagliato. Senza aggiungere una parola, si liberò della cintura che aveva inutilmente allacciato e uscì dall’auto, stregato dal profumo e dal panorama ancora immerso nel buio brumoso e umido del primo mattino. In un fruscio Castiel gli fu accanto, i lembi del suo impermeabile sfioravano il braccio di Dean, abbandonato sul fianco. A quanto riusciva a vedere nella notte che piano piano si rischiarava, si trovavano sulla cima di una collina, circondati da centinaia di metri di lunghe strisce di cespugli di lavanda. Il dolce versante si perdeva in una piccola vallata, interrotta di netto da quella che sembrava una scogliera che si gettava su un’enorme macchia scura e densa, da cui saliva un leggero, lontano sciabordio. L’uomo roteò su sé stesso, per guardarsi intorno quanto poteva. Fiori e piante si estendevano a vista d’occhio e dietro la sua Baby si apriva morbida catena di monti, che non riusciva a distinguere perfettamente. Alla sua destra si allungava una strada e alla sua sinistra, proprio davanti all’auto, si trovava un piccolo cottage di pietre coperte di uno strato erbacee, chiuso da uno spesso tetto spiovente. 

Dean posò gli occhi su Castiel. «Ma che…»

«Ti ho derubato del tuo primo tramonto in Paradiso, speravo di poterti regalare un’alba che potesse sostituirlo degnamente…»

L’uomo si sentì riempire di calore. «Cas—»

«Ti ho anche portato della crostata avanzata», sorrise l’angelo. «Che ne dici se ci sediamo sul tettuccio e ci godiamo lo spettacolo? Questo è uno degli angoli di Paradiso che preferisco per guardare l’alba»

«Dico che è un’ottima idea!», concordò Dean afferrando il contenitore di polistirolo e lanciandolo sul tettuccio prima di issarcisi a sua volta.

Piano piano il silenzio della notte si riempì dei suoni del risveglio; gli uccellini iniziarono a cinguettare, così come le api iniziarono piano piano ad accorrere in piccoli sciami sui fiori schiusi e pieni di polline. L’aria fresca iniziò a intiepidirsi a contatto con i primi raggi solari che fecero esplodere il cielo di un rosa tanto intenso quanto Dean non l’aveva mai visto. Piccole nuvole soffici riflettevano la luce, rifrangendola in tante sfumature diverse di rosso e violetto, accendendo l’intero mondo di colore. Piano piano il panorama si fece più nitido; in fondo alla collina non si apriva propriamente una vallata, ma una piccola gola di sabbia chiarissima, racchiusa da bianche rocce calcaree trapuntante di piccoli cespugli di lavanda che si facevano via via più fitti, fino a coprire in onde lillà l’intera terra emersa intorno a loro. Il piccolo lembo di mare che si intravedeva aveva il colore più turchese che si potesse immaginare, ed era tanto limpido e calmo che anche a distanza Dean riusciva a intravedere il fondale sabbioso. Le montagne alle sue spalle erano verdeggianti, coperte da macchie boschive di svariate tonalità di verde. 

Il sole stava lentamente sbucando da dietro la collina vicina, anch’essa coperta di splendide piantagioni di lavanda, e filtrando tra i fiori e le foglie creava un gioco di luci e ombre su tutto ciò che iniziava a illuminare, compreso il volto di Castiel. Dean si voltò a guardarlo mentre se ne stava in silenzio, rapito dallo spettacolo della natura, e a sua volta fu rapito. Quante volte, si domandò, aveva frenato il suo sguardo in momenti come quello? Quante volte aveva sfiorato il viso di Castiel e l’aveva guardato con la stessa espressione che immaginava di avere in quel momento, e non se ne era accorto? Quante volte aveva iniziato a pensare a quanto fosse affascinante, e si era fermato prima di concludere il pensiero? Quante volte aveva semplicemente sorriso fino agli occhi, guardandolo? E quante volte, ancora, gli era sembrato così naturale, così semplice, così innato, trovarsi vicino a Castiel senza dire niente, semplicemente condividendo un momento. Quasi fosse stato attirato dal suono rumoroso dei pensieri di Dean, il serafino si voltò a guardarlo e gli sorrise, addentando un pezzetto della sua crostata e tornando a fissare gli occhi sull’orizzonte.

Presto tutto fu inondato di luce. Il rosa del cielo si confuse con l’azzurro, il sole comparve del tutto oltre l’orizzonte e la brezza mattutina iniziò a soffiare tra i fuscelli di lavanda, riempiendo l’aria di un profumo inebriante. Insieme al vento si alzarono anche delle piccole onde sulla battigia, in fondo alla gola sabbiosa, increspandosi e ritirandosi in una candida schiuma. Tutto intorno a loro era viola, bianco e verde, anche la casetta a fianco all’auto: quello che inizialmente Dean aveva creduto fosse uno strato di edera, non era che un manto di gelsomino fiorito che abbracciava le pietre fin quasi al tradizionale tetto di paglia. Due piccole finestrelle riflettevano il cielo e il paesaggio, mentre una bella porta di massiccio legno dipinto di bianco nascondeva del tutto alla vista l’interno. Dean chiuse gli occhi, inspirò a fondo quell’aria serena, quei profumi fioriti, e si lasciò avvolgere dalla tiepida sensazione del sole sulla pelle. Uno sbadiglio lo sorprese mentre si stava stiracchiando beatamente.

«Devi essere stanco», osservò Castiel.

Dean ridacchiò. «Niente a cui non sia abituato»

L’angelo lo guardò piegando un po’ la testa di lato. «Puoi riposare se vuoi, la casa è a tua disposizione»

L’uomo alzò un sopracciglio, guardandolo di sbieco. «In che senso “a mia disposizione”?»

«Nel senso che è tua»

Dean non si lasciò neanche il tempo di processare l’informazione. «Mia

«Sì, Dean… se la vuoi, ovviamente», si corresse poi il serafino, temendo di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato.

«Cioè tu mi hai regalato una casa?», disse Dean ancora sconvolto, «è questo che stai dicendo…»

Castiel lo guardò incerto. «Beh, tecnicamente il Paradiso è pieno di case sfuse, ma questa l’ho scelta l’ultima volta che sono venuto, nel caso in cui—», si schiarì la gola. «È tua, se la vuoi…»

L’uomo la guardò con gli occhi ancora pieni di stupore. «Cazzo sì!», esclamò poi, balzando giù dalla macchina. «Ci schiaccerò il pisolino più pacifico di tutta la mia vita… beh, più o meno», disse facendo la sua tipica faccia buffa, per poi dirigersi svelto vero il portone.

L’angelo gli sorrise. «Ti aspetterò qui»

Dean si fermò a metà passo e si volse. «Come scusa?»

«Non vorrei essere inquietante…», rispose Castiel con semplicità.

L’uomo lo guardò storto. «Tu non dormi più», disse poi come se fosse un’ovvietà a cui non aveva pensato. «Di nuovo»

Castiel fece spallucce e scese dalla macchina a sua volta. «La cosa ti turba?»

«Beh, no, ma io ho bisogno di riposo sicuramente…»

«Non preoccuparti per me», rispose il serafino. «Mi godrò il paesaggio e controllerò che non ci siano problemi in Paradiso»

Dean lo guardò, poi posò lo sguardo sulla casa, sul panorama e poi di nuovo su Castiel. Si morse un labbro e si torturò le mani. Perché era ancora così difficile esprimersi, pensò? Perché non poteva semplicemente fare come aveva fatto mille volte con chissà quante donne? Prese un respiro profondo, tossicchiò e poi gli piantò gli occhi nei suoi. «Vorrei che entrassi anche tu», disse.

«Ma io non—»

Dean sbuffò. «Senti, Cas… non rendere le cose difficili, okay? Vieni dentro… per favore»

Castiel annuì e lo seguì senza aggiungere una sola parola.

 

*****

 

Quando Dean si svegliò, gli ultimi raggi del pomeriggio stavano danzando sulle finestre del cottage. Si stiracchiò e si rigirò sul divano un paio di volte, strofinando il viso sul cuscino ruvido, prima di alzare la testa e guardarsi intorno con un’occhio chiuso e uno semi aperto. I capelli scompigliati gli davano un’aria sbarazzina. 

«Cas?», chiamò in un suono rauco e assonnato. Ricordava che quando si era addormentato l’angelo era seduto sulla poltrona all’angolo della stanza, ma non c’era più. «Cass!», chiamò ancora, inutilmente. Con un grugnito si sforzò di trascinarsi in piedi e si stropicciò gli occhi con le mani, nel tentativo di liberarli dal sonno, poi sbadigliò.

A passo lento girò in tondo nella stanza; era un salottino tutto sui toni del bianco e del legno, con linee morbide e calde, travolte dalla luce del sole, che si univa a una piccolissima cucina composta da mobiletti e pensili, dei fornelli in ghisa e un ampio acquaio di ceramica che si affacciava su una finestrella aperta verso la distesa di lavanda. Al centro della stanza, quasi a dividere gli ambienti, si trovava un bel tavolo da pranzo in un legno grezzo reso lucido da un bello strato di cera, probabilmente ricavato da un vecchio tavolo da lavoro di un fioraio. Dean si guardò intorno corrucciato ancora un po’, prima di accorgersi dal bigliettino lasciato sul ripiano, scritto in una calligrafia disordinata.

«“Torno presto”», lesse ad alta voce.

Con una scrollata di spalle si stiracchiò di nuovo, e vagò in cerca del bagno per darsi una rinfrescata. Trovò un piccolo disimpegno, una specie di tozzo corridoio che dava su un paio di porte laterali e su una porta finestra sul fondo da cui si vedevano un patio coperto, altri filari di lavanda, quello che sembrava un pozzo di pietra tipicamente medievale e le morbide montagne verdeggianti. Osservò un po’ il panorama, poi scelse una porta a caso e si trovò davanti una camera da letto.

Istintivamente, stupidamente, si sentì arrossire. La stanza era grande e luminosa, con il tetto leggermente spiovente che andava a chiudersi su una parete interamente di pietra contro cui era poggiato un bel letto matrimoniale dall’aspetto morbido e fresco, ai piedi del quale si trovava un baule verde, vintage, che faceva insieme da panca e probabilmente da spazio per conservare biancheria. Al lato della porta si estendeva un armadio di legno alto fin quasi al soffitto che conduceva lo sguardo verso una larga finestra ad arco divisa in tanto riquadri da listelli di legno verniciato di bianco e leggermente schermata da lunghe tende semitrasparenti. Ma non erano i classici elementi d’arredo come i comodini, la poltrona dall’aspetto comodo a fianco al letto, il tappeto chiaro accuratamente posato sul pavimento in parquet o il ventilatore a soffitto a farlo arrossire, quanto piuttosto la spropositatamente grande vasca da bagno di ceramica sotto la finestra. Attratto, con la mente che correva a tutte le sue passate notti di divertimento in un misto di imbarazzo e compiacimento, si avvicinò per osservarla da vicino. Era una di quelle tipiche vasche in stile francese, con i piedini, il miscelatore, il tubo e il soffione in ottone dorato, ed era perfettamente a portata di sguardo sia dal letto che dalla finestra, oltre che, si accorse voltandosi per osservare la stanza da quell’angolatura, dall’enorme specchio a muro che rifletteva tutto sulla parete opposta. Le immagini delle sue fantasie, nascoste tanto a lungo nei meandri della sua mente, esplosero tutte insieme, accendendogli un sorriso sghembo sul viso. Vide, come una scena ripresa da una telecamera che scivola sul riflesso nello specchio, la vasca piena d’acqua ormai fredda e bolle di sapone,   delle impronte bagnate sul pavimento, un cumulo di vestiti sulla panca, delle lenzuola scomposte e umide abbandonate qua e là, e infine due corpi nudi inginocchiati sul materasso, confusi in un abbraccio. Fu quando il suo sguardo reale incontrò quello di Castiel nell’immagine riflessa dello specchio, e si rese conto che non era lo stesso Castiel avviluppato a lui sul letto prodotto dalla sua immaginazione, ma quello vero che lo salutava sorridente oltre il vetro della finestra con un sacchetto in mano, che si riscosse dalla sua fantasia e le sue guance si fecero paonazze. Dean sbatté le palpebre, deglutì e si passò una mano sul viso, forzando un sorriso scemo e ricambiando il saluto nello specchio. Poi Castiel fece segno con l’indice verso il lato della finestra, a dire che avrebbe fatto il giro per entrare in casa, e lui si sforzò di comportarsi normalmente, come se non avesse appena dato libero sfogo alle sue fantasie. 

Il portone d’ingresso sbatté, «Ho preso del cibo», dichiarò Castiel a voce alta. 

Dean sorrise, sbucò dalla stanza con solo la testa e un’espressione eccitata a nascondere la sua reale agitazione e incrociò lo sguardo dell’angelo, in piedi davanti al tavolo.

«Pensavo potessi avere fame», continuò Castiel con un sorriso incerto, indicando a braccia aperte il cibo sparso sul ripiano.

Dean annuì e gli mostrò il pollice alzato. «Spero che ci sia anche qualche bella birra ghiacciata»

Il serafino sollevò una cassetta con un’espressione compiaciuta, e Dean schioccò le labbra. «Questo è il mio angelo!», esclamò, godendosi il baluginio luminoso che si accese per un istante sulla pelle di Castiel. «Vado a darmi un lavata e arrivo! Non iniziare senza di me, eh!», scherzò.

Con un passo svelto si precipitò oltre la porta difronte, che era effettivamente quella del bagno, e se la chiuse alle spalle con un colpo deciso. Con tutto il peso franò sul lavandino, poggiando le mani sui bordi e lasciando cadere la testa in avanti tra le spalle con gli occhi persi sul miscelatore, e inveì tra sé e sé. Tutto il suo corpo era invaso da pulsazioni.

Doveva calmarsi, questo era certo. Aveva dentro una confusione che mai aveva provato: eccitazione, euforia, emozione ma anche paura, imbarazzo, incertezza. Se si fosse trovato in un terreno conosciuto, e al posto del suo migliore amico, peraltro un serafino fatto di sei ali, luce e catene di occhi nel corpo di un prestante uomo in impermeabile ci fosse stata una qualunque ragazza, non avrebbe esitato un attimo a mettere in atto le sue fantasie più sfacciate. Dopotutto l’aveva fatto centinaia di volte: era Dean Winchester, prendeva ciò che voleva nel momento in cui ne aveva voglia, e niente e nessuno era mai riuscito a impedirglielo. Ma quella era tutta un’altra storia.

Aprì il getto d’acqua con un movimento secco, e gettò il viso nell’acqua fredda nell’intento di frenare il suo spirito. Castiel non era una persona qualunque. Non che sarebbe stato più semplice se fosse stato un ragazzo qualsiasi appena incontrato, ma sicuramente non ci sarebbero state tutte le altre variabili che interferivano tra lui e la realizzazione dei suoi desideri. Certo, in una situazione diversa probabilmente non ci avrebbe pensato due volte, sarebbe uscito dal bagno e avrebbe infranto il proprio corpo contro il suo seguendo le sue pulsioni più basse, ma con Castiel… non poteva. Gli aveva detto che lo amava, e sicuramente quello era stato un grande passo avanti, ma non avevano avuto modo di parlare veramente e di confrontarsi. C’erano undici anni di amicizia, un lungo arco se paragonato a tutte le relazioni che Dean avesse mai avuto, e tante cose non dette a frapporsi tra loro, che rendevano l’uomo più nervoso di quanto non fosse mai stato nel trovarsi solo con qualcuno per cui provava qualcosa. Ma a pensarci bene, il punto era proprio quello: è vero, aveva amato Lisa, e aveva provato forti emozioni per molte altre donne, ma quello che provava per Cas era diverso. Una sorta di riconoscimento, di comunione, di amore totalizzante che non aveva neanche capito di provare finché non ci aveva sbattuto la faccia. 

Si spruzzò altra acqua sul viso, lanciò uno sguardo di sfuggita alla doccia in fondo alla stanza. Una nuova valanga di immagini gli apparve dietro agli occhi; due corpi uniti, l’acqua corrente, piccole nuvolette di schiuma sparse qua e là sulla pelle umida e accaldata, lui appoggiato con gli avambracci contro le piastrelle bianche del muro, Castiel… 

Si riscosse, e grugnì di nuovo. Il suo subconscio era chiaramente stanco di frenarsi, ed essersi finalmente liberato del blocco emotivo che gli impediva di usare le parole per esprimere ciò che provava doveva aver tolto il tappo al filtro della sua immaginazione. O magari era il profumo dei fiori che lo stava drogando e inebetendo. Si guardò allo specchio con un’espressione stranita, mista di gioia e ansia, poi prese un respiro profondo e si passò le mani tra i capelli. 

Da quando aveva iniziato a pensarci, si era reso conto di una cosa: aveva sempre trovato Castiel attraente, ma anche spaventoso allo stesso tempo. Lui era un uomo, un umano, fragile e mortale, che poteva essere spezzato con il solo schiocco di due dita, mentre l’altro era una creatura celeste, alta come il Chrysler Building, dotata di piume, ali, molti occhi e molta luce, eterna per natura. Solo quando Castiel era stato umano per un po’ Dean si era lasciato effettivamente andare a qualche emozione in più, e aveva sentito qualcosa di diverso. Aveva sentito dentro di sé una possibilità, ma l’aveva frenata prima ancora che il pensiero si formasse davvero nel suo cervello, e alla fine l’occasione era andata persa. A parte quel fugace, singolo e relativamente breve momento, lui e Castiel non erano mai stati fatti della stessa pasta, almeno fino a quel momento. Dean era mortale, ma l’angelo no; la possibilità che si innamorassero era infinitesimale, eppure era successo, ma viaggiavano su due binari troppo distanti per potersi incrociare. O almeno, Dean l’aveva percepito a volte. Ma adesso lui era morto, eternato dalla stessa condizione di essere un’anima e non più una creatura terrena, e Castiel era un angelo, eterno e immortale per sua stessa fattezza. E a quanto pareva in Paradiso non c’era assolutamente niente di immateriale, anzi, a giudicare dalle risposte del suo corpo alle sue stesse fantasie, si sentiva ben più tangibile di quanto ricordasse di essere mai stato. Non c’era nulla che potesse frapporsi tra loro, se non la sua stessa paura di mettersi a nudo, letteralmente e figurativamente.

«Un passo alla volta…», si disse allo specchio.

La voce di Castiel gli giunse dalla cucina, spaventandolo. «Per cosa?»

«Ma che caz—», tossì. «Niente, stavo… mi stavo ricordando le battute di un film!», mentì.

Ci fu un attimo di silenzio. «“Un passo alla volta, un pugno alla volta, una ripresa alla volta”?», sentì dire poi a Castiel. «È di quel film con le dentiere e quell’attore muscoloso con il naso storto che si prende a pugni con la gente?»

Nonostante tutto quello che succedeva dentro di lui, gli venne da ridere. «Creed», confermò Dean a voce alta. «Te l’ho fatto vedere…»

Quel piccolo scambio così quotidiano, così normale, lo confortò. Si dondolò sui piedi un paio di volte e uscì dal bagno, avvicinandosi al tavolo della sala dove Castiel si era seduto capotavola in contemplazione dell’etichetta della birra davanti a lui.

«Ehi!», lo salutò Dean.

«Ehi», rispose l’angelo. «Dormito bene?»

«Non mi lamento»

Dean scostò la sedia di fronte a dove era seduto Castiel per sedersi, ma ci ripensò e scelse quella al suo fianco. «Che hai preso?», chiese.

«Sono… uhm, baguette con del… formaggio e… carne marinata e… miele, credo? E poi…»

Dean iniziò subito a rovistare nella busta. «Cibo, perfetto, grazie Cas»

L’angelo gli sorrise. «Come stai, Dean?»

«Alla grande», rispose l’uomo, stappando prima una birra per Castiel e poi una per sé. «E intendo… davvero, alla grande»

«Mi fa piacere»

Dean addentò il suo panino e sbirciò in direzione dell’angelo; ci mise un attimo di stupefatta curiosità per rendersi conto che Castiel era nervoso quasi quanto lui.

«E tu?»

Il serafino alzò gli occhi azzurri, aperti e sinceri, colmi di una strana emozione. «Non penso…», chiuse le labbra, se le morse, abbassò lo sguardo sulla baguette fra le sue mani e poi di nuovo su Dean. «Non penso di essere mai stato tanto felice», confessò.

Dentro di sé, l’uomo sentì il suo cuore battere più forte e la testa gli si fece leggera. «Neanche io, Cas»

«Sono— sai… non vorrei, uh, metterti in difficoltà parlando di quello che— di ieri, ecco»

Dean sorrise a bocca piena. «Le difficoltà se ne sono andate tutte insieme su quel palco», gli rispose, mentendo parzialmente. Sicuramente si sentiva più libero e tranquillo, ma non era certo di essere completamente pronto per parlare di tutto quanto aveva dentro, anche se doveva provarci.

Castiel annuì. «Non credevo che fosse possibile»

«Cosa?»

«Che mi ricambiassi…», rispose. «Ero convinto che… tu… sai, che tu…»

Dean addentò un’altro morso. «Che mi piacessero solo le donne?»

«Sì», ammise. «In parte, almeno»

«In parte cosa?»

Il serafino era titubante. «Pensavo che comunque, tu mi considerassi solo un amico»

«Il mio migliore amico, ad essere sincero…», lo corresse Dean, guardandolo di sottecchi e buttando giù un sorso di birra. «E con questo?»

Castiel aggrottò la fronte. «Pensavo che voi umani… gli amici… non sono due cose diverse?»

«Dipende» Dean deglutì, posò la baguette sul tovagliolo e si appoggiò con i gomiti sul tavolo, fissando l’angelo dritto negli occhi. «A volte l’amicizia è diversa dall’amore, a volte sono la stessa cosa, spesso c’è amicizia senza amore… o amore senza amicizia e poi— beh, a volte ci sono entrambe…», disse guardando in alto come in cerca di ispirazione. «È un po’ complicato»

Castiel sembrava confuso. «Tutta questa cosa delle emozioni… è strana per me, per noi… come angelo…»

L’uomo fu colpito da un dubbio improvviso. «Non… non provi… più…?»

Il serafino alzò gli occhi su di lui, con la bocca socchiusa dallo stupore. «No, io, cioè, sì! Io…io ti amo, Dean, assolutamente…»

Inutile quante volte Dean si fosse rigirato nella mente il ricordo di quando Castiel glielo aveva detto, sentirglielo ripetere con tale facilità lo fece sentire di nuovo come se fosse sul punto di svenire.

«Voglio dire…», ringhiò Castiel sottovoce, «…per gli angeli le emozioni sono… diverse, credo. Quando sono stato umano era tutto… più…»

«Intenso?», provò Dean.

Castiel lo guardò. «Al contrario… delicato», disse.

Dean aggrottò la fronte. «Quindi pensi che i sentimenti umani siano meno forti di quelli angelici?»

«No…», rispose Cas, «…forse, credo, siano più… mescolati»

L’uomo annuì, guardò un attimo il cibo davanti a lui e bevve un altro sorso di birra, poi posò lo sguardo su Castiel con le labbra assottigliate in un’espressine pensosa. «Sai, Cas… noi umani siamo un casino… penso che tu l’abbia capito ormai. Siamo confusi, e ottusi, e bloccati da tante stronzate che ci raccontiamo fin da bambini e poi ci sono… beh ci sono i traumi, e a volte le emozioni, si… beh, si confondono, si mescolano… per tanto tempo ho pensato che tu… uhm, che fossi solo un amico ma poi… sai, soprattutto nell’ultimo periodo, prima che— quando abbiamo litigato, ho iniziato a pensare— e poi te ne sei andato e io… insomma—», le parole faticavano ad uscire, così si schiarì la gola e riprovò. «Sei morto molte volte», disse. «Più di quante ne potevo sopportare. E ogni volta… ogni volta è stato peggio. Quando Lucifero ti ha ucciso e sei stato via… quanto? Due settimane? Sono diventato… autodistruttivo. Bevevo, ero cattivo, riversavo sul ragazzo e su Sam tutta la mia frustrazione e non riuscivo neanche a… a dire che eri morto— il solo pensiero mi tormentava…», bevve di nuovo. «…è da allora che ho veramente iniziato a intuire qualcosa ma non— ho schiacciato il pensiero in fondo, l’ho nascosto, mi sono raccontato che mi mancavi perché eri il mio migliore amico…» 

Dean schioccò le labbra e alzò le sopracciglia in un’espressione sprezzante. «Poi sei tornato, poi abbiamo litigato, poi fatto pace, poi abbiamo litigato di nuovo… insomma, lo sai da solo, è la storia della mia vita…», rise senza gioia. «E poi abbiamo scoperto di Chuck, e tutto mi è sembrato perduto, ho pensato: “è tutta una farsa, siamo solo pedine, non posso comandare ciò che sento, è solo un gioco”… ma tu mi hai detto che di tutto quello che era successo e sarebbe potuto succedere, eri certo che una cosa almeno fosse reale, e che quella cosa fossimo noi…»

«Dean», lo interruppe Castiel. «Sapevo che eravamo reali… ti ricordi quando ero sotto l’influenza di Naomi?»

L’uomo annuì e ridacchiò. «Stavi per farmi fuori una volta per tutte…»

«Sei stato tu», disse, «Sei stato tu a rompere la connessione… Naomi mi aveva ordinato di ucciderti e io non rispondevo del mio corpo… era lei a controllarlo io ero… ero nel suo ufficio che cercavo di riprendere il controllo ma non… non riuscivo e poi… mi è arrivata la tua voce— hai detto, “ho bisogno di te”… e io l’ho seguita, e sono tornato da te… tu hai rotto la connessione»

Dean sorrise. «Lo sapevo, in realtà… o meglio, l’avevo capito. Dopotutto hai lasciato un esercito di angeli… per un solo uomo, per me…»

«Se è per questo sarei stato pronto a bruciare tutto il Paradiso, l’Inferno e la Terra, per te…»

L’uomo lo guardò di sottecchi, poi sospirò. «Quando ero più giovane sapevo che sarei morto con la pistola in mano…», iniziò. «…sapevo che la mia vita sarebbe finita più o meno come era iniziata, nel dolore. E sapevo che non potevo aspirare ad altro e che… presto o tardi, una pallottola o una zanna mi avrebbero preso e, boom, chiuso. Ed effettivamente è successo più di un paio di volte…», scherzò. «…sono tornato in vita più volte di quante mi piaccia ammettere, e ogni volta sono tornato con una speranza nuova… sapevo che la vita perfetta, che “il sogno americano”, non erano per me… o per Sammy, e che in ogni caso mi avrebbe aspettato un futuro burrascoso come tutta la mia vita, ma ho iniziato a pensare, sai… che forse meritavo anche un po’ di serenità e che… che magari l’avrei trovata con qualcuno… qualcuno come me— qualcuno che capisse la mia vita…», disse.

Castiel lo guardava in silenzio, con uno sguardo tra la contemplazione e l’ascolto sul viso. Dean distolse lo sguardo e lo fissò sul vuoto davanti a sé: se si fosse concentrato sul viso dell’angelo non sarebbe riuscito a dire quello che voleva.

«Ho visto Sam e Eileen e ho pensato… “ecco, ecco cosa voglio”… e quando Chuck ha confermato che lui non aveva previsto niente di tutto ciò per loro… per… per tutti noi, intendo… i sentimenti, le emozioni… che su questo noi eravamo… sfuggiti ai personaggi, per così dire, ho iniziato a capire… più o meno… e ho pensato che se tutto fosse andato bene, magari, avrei potuto andare in pensione, sopravvivere e… andare, non so, su una spiaggia a godermi il resto degli anni, con Sam… e con te», continuò. «Poi Chuck… lui ci ha mostrato il futuro, beh, quello che lui voleva farci vedere almeno… e se l’avessimo ucciso, uhm… secondo lui se l’avessimo sconfitto, insomma, alla fine il mondo sarebbe andato nel caos… lo stronzo non immaginava che avessimo Jack pronto a prendere le redini dell’universo, idiota…», rise, «…e in ogni caso non lo sapevamo neanche noi, quindi quel prospetto sembrava anche troppo reale… ma, insomma, lui ci ha mostrato il futuro e in quel futuro tu… tu non c’eri— avevi dovuto prendere il marchio di Caino ed eri impazzito e io avevo dovuto… chiuderti nella gabbia Malak’ e…», fece una pausa per raccogliere le idee.

«Oh, Dean—»

Lui gli piantò di nuovo gli occhi sul viso. «E… avevo perso la luce. Ero pronto ad arrendermi, non vedevo più un motivo per combattere, per il futuro, per… quella spiaggia. Ero con Sam, ma non aveva… senso, senza di te e, ricordo vivamente… in quel futuro dicevo che avevo pensieri suicidi, così come li aveva Sam dal momento che anche Eileen era morta e… ci arrendevamo, entrambi», disse. «…credo di non aver capito in quel momento, ma quel… quella vista mi è rimasta dentro, e quando sei morto davvero… ho capito— tutti i propositi, tutti i desideri di andare in pensione, tutto quel parlare di farla finita con la caccia, con le stronzate, con le cose pericolose… sono andati a puttane. Volevo soffocare il dolore nel lavoro, sapevo di nuovo che sarei morto con una pistola in mano, nessuna seconda occasione, nessun ritorno di fiamma… o almeno, lo credevo perché ti credevo morto, per sempre, definitivamente…»

«Dean—»

«No, non serve che ti scusi… ho capito, non importa, in ogni caso doveva andare così comunque…», disse. «…mi ero arreso, Cas», continuò. «Sam… Sam forse l’aveva capito, forse è per questo che mi ha lasciato andare, io… quando ho capito che stavo morendo, quando—», chiuse forte gli occhi per sopprimere il dolore che affiorava a quel ricordo, così tragico e liberatorio allo stesso tempo. «…non volevo lasciare Sam, razionalmente, ma… non vedevo più la luce nella mia vita, non vedevo più… te», soffiò. «E immagino di averci messo fin troppo tempo a capirlo, ma è stato in quel momento che ho chiuso il cerchio… tu hai sacrificato tutto per me e io… beh alla fine io ho sacrificato la mia stessa vita, per te… ho abbandonato Sam a chissà quale dest—»

«Sam sta bene», lo interruppe Cas tutto d’un fiato. «Sam ha… ha intrapreso un lavoro più organizzativo, di supporto ad altri cacciatori. Ha sposato Eileen, lei aspetta un figlio… stanno bene. Lui non piange dalla tua pira… sa che ti rivedrà in Paradiso, lo sento pregare… non devi, non devi preoccuparti per lui»

Tutta l’aria uscì dalle labbra di Dean, che si rese conto in quel momento di avere gli occhi pieni di lacrime. «Io… grazie, grazie di avermelo detto»

Castiel annuì con un sorriso gentile. Dean lo guardò e per un attimo i suoi occhi si posarono sulla sua mano abbandonata sul tavolo, a pochi centimetri dal suo gomito. Fu un impulso, uno slancio di un momento, ma senza pensarci ci posò sopra la sua. Al tocco della sua pelle fu percorso da un fremito, e vide chiaramente il bagliore fugace che emise il tramite dell’angelo; una luce dorata si diffuse su tutto il suo corpo e lo attraversò come un’onda. Dean combatté con tutto sé stesso contro l’istinto di spostare la mano, e la lasciò lì, immobile, incapace di fare qualunque movimento. I suoi occhi verdi sfiorarono tutto l’angelo davanti a lui, dall’attaccatura dei suoi capelli scuri alle iridi azzurre, e poi alle loro mani poggiate l’una sopra all’altra, per tornare su e soffermarsi sulle sue labbra leggermente chiuse. Si inumidì le proprie con la lingua, e sentì il cuore pulsare rumoroso nelle tempie.

«Se fossi tornato prima… se non fossi stato così… vigliacco», si incolpò Castiel, diventando cupo tutto d’un tratto.

«No…», rispose Dean, scuotendo la testa. «Non avrebbe potuto funzionare comunque… io ero un uomo, mortale, destinato a invecchiare e morire… e tu… tu sei una creatura divina, sei un angelo, sei… eterno—»

«Avrei…», Castiel mosse gli occhi veloce davanti a sé, guardando a destra e a sinistra a intermittenza, perso nei suoi pensieri. «Avrei potuto…», poi li fissò in quelli di Dean, umidi e spalancati. «Avrei potuto rinunciare alla grazia, sarei potuto essere… umano, come te, come Sam o Eileen»

Dean scosse la testa. «Non avrei mai potuto permettertelo—»

«E io non avrei dovuto permettere che tu morissi!», rispose Castiel.

L’uomo rise, e una lacrima gli scivolò sulla guancia. Se la pulì con la mano libera e poi, in una spinta di coraggio, strinse le dita intorno alla mano dell’angelo, che ricambiò la stretta. In meno di un secondo, le loro falangi erano intrecciate, e Dean sentiva delle scosse elettriche partire dal minuscolo lembo di pelle in cui il pollice di Castiel sfiorava il dorso della sua mano. Deglutì. «Siamo entrambi due imbecilli, un mix di egoismo e autoannullamento…», esordì Dean, pensoso. «…non riesco a ricordare quante volte mi hai proposto di accompagnarmi in una missione suicida, e viceversa, e quante volte ci siamo impediti l’un l’altro di sacrificarci a vicenda, per poi farlo lo stesso, con la consapevolezza che facendolo… avremmo distrutto l’altro… tu l’hai fatto», lo accusò senza rabbia. «…te ne sei andato, mi hai lasciato dopo esserti tolto un peso dal petto e non mi hai dato modo di risponderti, di… metabolizzare— avrei voluto che avessi avuto il coraggio di dirmelo prima…»

«…avrei comunque attirato il Vuoto, mi avrebbe comunque portato via, e non ti avrei salvato, nel farlo, non avrei fatto un sacrificio utile…»

Dean aggrottò la fronte. «E cosa sarebbe successo se io avessi avuto un’epifania, avessi aperto gli occhi e avessi scatenato la tua felicità, inconsapevolmente?»

«Immagino che sarebbe stato ancora peggio… non ho idea e non oso pensare… ma se io non avessi avuto la mia grazia, se fossi stato umano, il Vuoto non avrebbe potuto prendermi… se non fossi stato tanto egoista da cercare a tutti i costi di riavere i miei poteri… forse avremmo…», chiuse gli occhi. «…ma mi sentivo inutile, un fallimento— ero convinto che tu non vedessi in me altro che un’arma, e non volevo che… tu mi avevi allontanato quando ero umano, come spazzatura—»

«Era solo per Sam… o meglio, per Gadreel, lui… io… ho commesso un errore, okay? Non ho mai pensato che fossi inutile quando eri umano, anzi io… per un momento ho pensato che non essendo più un gigante di luce immortale forse… cioè non l’ho pensato, ma l’ho sentito, non so se abbia senso… ma quando ti ho accompagnato a casa di quella tua collega, e ti ho detto di toglierti quell’orribile panciotto e di sbottonarti un po’ la camicia… l’ho sentita l’attrazione e ho sentito… una possibilità… e ti assicuro che mi ha spaventato a morte, ma forse…»

«La storia non si fa con i “se” ed i “forse”», lo interruppe Castiel notando il sudore che gli imperlava la fronte. 

«No, infatti…», concordò Dean, tornando a guardare le loro mani unite. «…quello che è stato è stato. Adesso siamo qui… entrambi eterni… tu perché sei immortale, e io perché sono morto… e… beh, sì, io ti amo», disse, non senza un certo sforzo. «E forse non te lo dirò mai abbastanza e sicuramente non te lo dirò spesso, perché per me è difficile… usare le parole, ma spero di riuscire sempre a dimostrartelo»

«Già lo fai…», gli sorrise Castiel, dando una strizzata alle sue dita.

Dean annuì. «So che ci sono stati alti e bassi, che sono stato freddo e austero e meschino… vorrei mettere tutto questo alle spalle, senza dimenticare niente però… ogni attimo insieme mi ha… mi ha reso quello che sono adesso. Tu hai illuminato la mia vita e…», una folgorazione lo colpì mentre parlava, e scoppiò a ridere. «Sì, beh, immagino che il mio subconscio sapesse tutto questo molto prima di me…»

Castiel aggrottò la fronte. «Che…?»

Dean si perse nel ricordo offuscato che stava cercando di tirare fuori dalla nebbia. «Ti ricordi quando Chuck ci ha tolto la fortuna? Io e Sammy siamo finiti da Garth, c’era quel locale per i combattimenti tra mostri e…»

«Sì, tu e Sam avete ridotto il Bunker a un disastro… c’era pasta per terra in cucina e…»

«Esatto! Ecco, Garth mi ha sistemato le carie… a quanto pare, uno dei bonus dell’essere i favoriti di Chuck era non avere mai nessun problema fisico… avrei dovuto immaginarlo considerato quello che mangiavo—», pensò con un’espressione compiacente.

Castiel continuava a guardarlo con un sopracciglio alzato. «Sì, insomma, quando Garth mi ha addormentato ho fatto un sogno stranissimo, eravamo io e lui che ballavamo su una sorta di palco, poi lui è sparito e io mi sono messo a ballare da solo… con una lampada»

Lo sguardo eloquente di Dean fece intuire a Castiel che il racconto era finito, ma evidentemente non l’aveva capito. «Una lampada», ripetè senza inflessione.

«Sì… una lampada, una luce… ti ho detto che tu hai illuminato la mia vita, hai cambiato la prospettiva l’hai… stravolta, tu sei, inoltre, letteralmente fatto di luce… eri tu la lampada»

«Io ero una lampada? Dean… non sono una lampada»

L’uomo roteò gli occhi. «Era un indizio… evidentemente non ero ancora pronto per personificare quel sogno, e poi io e te eravamo distanti, avevamo litigato… Rowena era morta, Jack era morto e tu ti eri fatto sfuggire l’occasione di chiudere l’inferno e tutto era contro di noi e… insomma, lo sai… te ne eri andato, e io da bravo coglione che sono - che ero - ti ho lasciato fare e quando siamo stati da Garth ero ancora arrabbiato e comunque non ero pronto ad ammetterlo come pensiero razionale, forse… ma la lampada eri tu, sei sempre stato tu…»

Castiel ci pensò un attimo, poi lo guardò e sorrise.

«Ero pronto a “scaldarmi”, sai? Dopo il Purgatorio, ero pronto forse… se avessimo avuto più tempo… se il Vuoto non ti avesse preso, le tue parole, forse…»

«Mi dispiace che sia andata così»

Dean gli sorrise, e strinse la mano più forte. «A me no. Sam è sulla Terra e sta bene, con Eileen, e io sono in Paradiso, con te, e non sono mai stato meglio. Questo posto poi è una figata… molto meglio della spiaggia con i cocktail con l’ombrellino che mi ero immaginato…»

Castiel rise. «Che ne dici di vedere la spiaggia che c’è qui?»

Il volto dell’uomo si illuminò, e sulla faccia gli si dipinse un’espressione bambinesca, euforica. «Diamine sì!»




 

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Capitolo 8
*** Are you gonna kiss me or not? ***


 


Are you gonna kiss me or not?

 

 

La sensazione dei primi granelli di sabbia tra le dita dopo anni fu un dolce solletico per l’anima di Dean. Con il sole basso che si rifletteva sulla superficie del mare, lo sciabordio delle onde che si infrangevano sulla battigia e il cinguettio degli uccelli che gli risuonavano nelle orecchie, l’atmosfera era quanto più paradisiaca si potesse immaginare. L’uomo si era  tolto scarpe e calzini prima ancora di arrivare alla spiaggia, poi si era arrotolato i jeans fino al ginocchio e sfilato la camicia, rimanendo con una t-shirt dei Led Zeppelin e un sorriso enorme stampato sul viso. Castiel, da parte sua, si era fermato al limitare della gola, in piedi su una roccia, impettito e immobile.

«Che diamine fai, Cas! Vieni a goderti la sabbia…», gli gridò Dean saltellando verso la risacca come un bambino.

Castiel si lasciò andare a un sospiro scettico e si sporse un po’ verso la spiaggia, testandone la compattezza per poterci camminare sopra.

Dean non lo stava neanche guardando. «E togliti le scarpe… solo gli psicopatici stanno al mare con le scarpe!»

L’angelo roteò gli occhi, sconsolato. «E va bene…», concesse. Si chinò e si sfilò gli stivali e poi i calzini, e imitando Dean si arrotolò i pantaloni del completo finché non furono troppo stretti, attorno al polpaccio. 

«Anche impermeabile e giacca, a meno che tu non voglia bagnare quel tuo bel completino…», lo schernì l’uomo, lanciandogli un’occhiata oltre le spalle con il suo tipico sorriso divertito.

Castiel sollevò un sopracciglio, guardandolo di sbieco. «Dean, non ho intenzione di—»

Non finì la frase; Dean-simpaticissimo-Winchester si avvicinò all’onda in arrivo e gli tirò uno schiaffo nel tentativo di schizzare il serafino, con il solo risultato di bagnare sé stesso e raggiungere l’altro solo un paio di gocce salate sulla faccia contrariata.

«Dean», lo redarguì Castiel nascondendo un sorriso.

L’uomo rise e si lasciò andare a un piccolo urlo euforico. «Che spettacolo, erano anni che non mi godevo una cosa del genere…»

L’angelo, vedendolo così felice e spensierato, cedette; si tolse in un solo gesto impermeabile e giacca, si allentò un po’ di più la cravatta e poi, sfiorando i propri avambracci con lo sguardo, decise di arrotolare le maniche della camicia fin sotto ai gomiti. Dean, che lo stava guardando distrattamente, si bloccò sul posto e lo guardò da capo a piedi, leccandosi inconsapevolmente le labbra.

Castiel allargò le braccia e gli fece un sorriso. «Meglio?»

Il ricordo di un momento molto simile risvegliò in Dean la medesima reazione. Strinse le mani, spostò il peso da un piede all’altro e deglutì, annuendo piano. Era così poco abituato a vedere lembi di pelle di Castiel, che quel solo, piccolo cambiamento nel suo aspetto gli faceva venire le vertigini.

«Ottimo», disse l’angelo, saltando sulla spiaggia a piedi uniti e avvicinandosi a Dean in pochi passi. «Allora, cosa vorresti fare?»

L’uomo era ancora un po’ inebetito, ma si riscosse e sorrise mostrando i denti, si guardò intorno e ci pensò un po’. «Costruiamo un castello di sabbia?»

Castiel alzò gli occhi al cielo. «Dean…»

«Oh, ma dai… che ci siamo venuti a fare quaggiù altrimenti?»

L’altro arricciò le labbra e sollevò le mani in segno di resa. «Avrei dovuto prevedere dei costumi da bagno, ci sporcheremo tutti i vestiti…»

Dean lo guardò con un sopracciglio alzato, già chino a terra a raccogliere la sabbia con le mani. «E quindi?»

«E quindi…», lo scimmiottò Castiel, «…i vestiti bagnati e sporchi di sabbia diventano scomodi»

«Toglili allora», gli suggerì l’uomo. Era una proposta istintivamente innocente, ma non appena gli uscì dalla bocca arrossì, e tossì per dissimulare, riportando velocemente gli occhi sulle sue mani.

Castiel non colse la provocazione, o forse la ignorò semplicemente. Imitando Dean, si chinò e poggiò un po’ titubante le ginocchia nella sabbia. L’uomo gli lanciò uno sguardo oltre le sopracciglia, sorridente e allegro. «Tu costruisci il fosso, e io faccio il castello centrale…», suggerì.

«Non so di cosa stai parlando…»

Dean schioccò le labbra. «Hai mai visto i castelli medievali?»

«Certo, Dean, ho migliaia di anni…», rispose l’angelo roteando gli occhi.

«Sì sì, okay, come ti pare… comunque, un bel fosso per gli alligatori, un ponte levatoio… che ovviamente non si eleva, visto che è fatto di sabbia, ma potresti farlo con un… una corteccia o qualcosa del genere…», più parlava e più sembrava euforico come un bambino, «E poi… e poi mettiamo della lavanda per fare i pennacchi sulle torri e usiamo le conchiglie e i sassi per impermeabilizzare il fondo del fossato e facciamo un canale per farci arrivare l’acqua del mare e poi…», si guardò intorno, «…sì e poi costruiamo una cinta muraria e… deve essere enorme!», concluse mimando con le braccia una cupola gigante.

Castiel rise, e annuì, mettendosi al lavoro. Iniziò a scavare con le mani, e quando Dean non lo guardava si aiutava un po’ con la sua grazia. Un po’ più fondo qui, un muro un po’ più dritto lì. Quando l’uomo si alzò e si mise a correre verso le piante sul limitare del piccolo golfo per raccogliere qualche ramoscello di lavanda, Castiel passò le mani luminose sopra il castello un po’ goffo e storto che Dean aveva tirato su con le sue mani, e lo rese più stabile e grande. Il Winchester era così preso dal gioco che non capì l’aiuto angelico che il serafino stava dando alla realizzazione del suo “castello dei sogni”, e di contro Castiel non ne fece menzione. Anzi, si lasciava guidare dalle decise direttive architettoniche di Dean, che gli chiedeva di fare questo e quello, di tirare su una torretta qui e smussare una parete si sabbia là, mentre lui faceva su e giù dalla battigia per raccogliere l’acqua nelle mani, che puntualmente arrivava dimezzata, colandogli su tutti i vestiti già umidi e insabbiati.

Con la brezza e l’aria salmastra i capelli di entrambi erano già pieni di sale e sabbia, tutti spettinati e inzaccherati. Alla fine Castiel aveva abbandonato ogni remora e si era seduto prima a gambe incrociate, poi lungo disteso a pancia in giù sulla spiaggia, per guardare bene nei buchi per le porte del fortino e assicurarsi di aver fatto degli archi perfetti. Dean, da parte sua, guardava guizzare i suoi muscoli dissimulando l’attrazione dietro battute maldestre, prendendolo in giro per come si contorceva per realizzare tutte le sue richieste. Ovviamente, provocato dalle sue beffe, l’angelo faceva di tutto per esasperare ogni movimento e provocare in Dean delle risate sincere. Pochi suoni nell’intero universo lo rendevano più appagato della melodia della sua felicità. E lo stesso valeva per Dean. Passarono così tutto il tardo pomeriggio, a motteggiarsi e ridere, rivivendo tutti i ricordi più divertenti e felici che avevano passato insieme. 

Quando l’uomo si alzò per cercare la corteccia per il ponte levatoio e qualche sasso e conchiglia per il fosso, Castiel gli lanciò un’occhiata fugace oltre la spalla, poi passò velocemente le mani su tutto il loro operato ormai quasi terminato, e lo rese due volte più grande; appuntì le guglie, squadrò i merli delle torri e dei torrioni e definì le entrate e le uscite, per poi far filtrare l’acqua attraverso la sabbia e riempire il fossato.

«Ehi, Cas che ne dici di ques—», Dean si voltò appena in tempo per vedere il viso colpevole di Castiel che ritraeva le mani e la grazia. «Ehi!», tornò come un tornado verso di lui.

«Io… Dean, scus—»

Ma Dean aveva sulla faccia un’espressione estatica. «Ma è… pazzesco! Quanto più grande puoi farlo?»

L’angelo si sentì sciogliere per lo sguardo ammirazione che leggeva negli occhi dell’uomo. «Non lo so, Dean…», scosse le spalle, «Quanto vuoi, immagino»

Dean saltò con le braccia alzate, «Puoi farlo così?»

Castiel alzò un sopracciglio. «Immagino di sì…»

Mosse una mano, i suoi occhi si fecero più accesi e luminosi, e un fascio di luce proruppe dal suo palmo, investendo il castello di sabbia. Dean lo guardava a bocca aperta, con gli occhi colmi di meraviglia. Ovviamente, aveva visto fare ben altro a Castiel con la sua grazia. L’aveva visto uccidere e guarire, l’aveva visto alzare oggetti pesantissimi, distruggere impianti elettrici e combattere creature primordiali, ma non si era mai davvero soffermato sul suo potere, quasi dandolo per scontato. Ma vederlo così, dargli sfogo per puro divertimento, solo per accontentare un suo capriccio, lo riempiva di incanto e amore.

Quell’angelo del Signore, che aveva fatto ogni cosa in suo potere per lui. Che aveva tradito il Paradiso, che aveva abbandonato il suo credo, la sua fede, che aveva perso i poteri, ucciso i suoi fratelli, si era lasciato abbandonare in Purgatorio, aveva dimenticato sé stesso, era stato ucciso, raggirato, tradito, beffeggiato, schernito, torturato, picchiato, anche dallo stesso Dean, era lì su una spiaggia, con i pantaloni sporchi e la camicia umida, i capelli scompigliati e la grazia al lavoro solo per lui, una piccola e insignificante anima umana che voleva soltanto un castello di sabbia più grande.

«Sai, non ho ricordi di aver mai costruito un castello di sabbia… forse prima che morisse la mamma, ma non riesco a ricordarmelo, e dopo… mai», disse Dean, osservando la loro costruzione farsi più grande e realistica.

Castiel si fermò e abbassò la mano, la luce che gli brillava intorno scemò fino a rientrare completamente nel suo corpo. «Mi dispiace»

L’altro fece spallucce. «C’è una prima volta per tutto…», sussurrò, distogliendo lo sguardo. «È già l’ora del tramonto…», disse poi, accorgendosi solo in quel momento che il sole stava calando a picco sull’orizzonte. 

L’angelo seguì la direzione dei suoi occhi, posandoli lontano, sulla palla gialla che si stava tuffando esattamente al centro della piccola gola, e sorrise. «Anche i tramonti non sono malvagi, qui…», disse compiaciuto.

«Albe rosa e tramonti sul mare? Qui qualcuno si è fatto una cultura pop sulle commedie romantiche…»

Castiel lo squadrò. «Beh, con Netflix e Metatron mi sono sicuramente messo in pari, ma…»

Dean alzò gli occhi al cielo, e le sue labbra si piegarono in un mezzo sorriso. «Sei sempre lo stesso», sospirò. «Imparerai mai a cogliere le battute?»

«Oh»

L’angelo si guardò le punte dei piedi nudi, poi posò di nuovo gli occhi sul litorale. Dean lo osservò per un po’, poi gli si avvicinò quanto bastava per colpirlo piano con una spallata. «Sono felice che nonostante tutto, tu non sia cambiato»

«Me lo hai chiesto tu, Dean»

Il Winchester rise piano, poi si lasciò cadere seduto sulla battigia, le dita affondate nella sabbia e la pelle delle caviglie che veniva sfiorata dall’acqua salata e fresca. Castiel percorse il suo corpo con lo sguardo, soffermandosi sulle sue braccia nude, stese all’indietro per sostenerne il peso, e notò dei piccoli brividi che gli affioravano sulla pelle. In un lampo d’idea, si avvicinò veloce al mare e vi immerse una mano; un bagliore dorato si propago su tutta la superficie. Dean osservò la scena rapito, mentre lentamente sentiva l’acqua che gli lambiva le gambe farsi più tiepida, e infine calda. Gli sfuggì un sospiro beato, mentre guardava la figura di Castiel che si muoveva contro sole, tornando verso di lui con un sorriso soddisfatto sulle labbra. L’angelo si sedette al suo fianco, abbastanza vicino perché Dean potesse percepire il calore che emanava dal suo corpo, ma fin troppo lontano perché le loro braccia potessero casualmente sfiorarsi. Si morse un labbro e in piccoli e quasi impercettibili movimenti gli si fece più vicino.

Castiel si voltò, «Non vuoi il tuo spazio personale?», lo canzonò.

«Nah», mugugnò Dean, stendendosi all’indietro fino a posare tutto il suo peso sugli avambracci.

Il suo sguardo si perse nell’orizzonte, nel tentativo di ignorare la sensazione rovente che gli davano gli occhi di Castiel scrutandolo silenziosi. Il suo cuore immortale gli batteva nelle tempie, nella gola e nei polsi, ed era sicuro che l’angelo lo sentisse bene quanto lui, per quanto fingesse di non farci caso. «Ci vorrebbe un po’ di musica… e un paio di pinte», si sentì dire.

In un fruscio e un fulmineo battito d’ali, Castiel scomparve e riapparve nello stesso punto in cui era, ma con la cassetta delle birre in una mano, uno stereo portatile nell’altra e un largo sorriso sulla faccia.

«Chiedi e ti sarà dato…»

Dean sbatté gli occhi e scoppiò a ridere. «Dove— non c’era uno stereo in casa!»

L’angelo fece spallucce. «L’ho preso altrove…»

«Beh…», disse l’uomo afferrando una birra e stappandola in un gesto meccanico, «…sempre sul pezzo!»

Il liquido gli gorgogliò in gola, e Castiel sorrise guardando i tendini del suo collo che si tendevano. Si stappò una bottiglia per sé e ne prese un piccolo sorso, poi posò lo stereo sulla sabbia e lo accese distrattamente.

«Grazie», disse Dean, tossicchiando piano. Aveva la fronte corrucciata e lo sguardo perso verso il mare.

«Ho solo addormentato un tizio a qualche chilometro di distanza per prendergli uno stereo, Dean, non mi sembra un gran—»

L’uomo rise. «Non di questo, idiota…», lo schernì, rimettendosi a sedere fino a posare le braccia sulle proprie ginocchia piegate. «…dico in generale, di tutto quello che hai fatto per me… per Sammy… per il mondo insomma»

«L’ho fatt—»

Dean tagliò corto con un gesto della mano. «Sì, per me, lo so… ma comunque sia, io non sono che un uomo e tu sei… beh, sei tu…», disse con un cenno del capo, sfiorandolo con lo sguardo. «…e il fatto che tu abbia fatto tutto quanto per me è… difficile da ripagare»

Castiel rimase un attimo in silenzio, titubante. I suoi occhi saettavano dal viso di Dean alla sua mano, a pochi centimetri dalla sua, abbandonata sulla battigia. «Non hai niente da ripagarmi…», rispose dopo un po’, prendendo il coraggio necessario a colmare quella piccola distanza tra le loro dita. Dean fremette al contatto della loro pelle, ma non si ritrasse; ruotò la mano finché i loro palmi non combaciarono, e intrecciò le dita alle sue, sentendone la pressione e assorbendone ogni dettaglio tattile. Mentre osservava le loro mani unite, poteva sentire lo sguardo profondo di Castiel che gli bruciava la pelle. 

In vita erano state molte le occasioni in cui si erano trovati a sfiorarsi, casualmente o di proposito. Si erano scontrati, avevano combattuto, si erano sostenuti a vicenda. Dean aveva messo le mani sul viso di Castiel per sostenergli la testa, gli aveva preso la mano per tenerlo in piedi, e viceversa Cas aveva toccato Dean innumerevoli volte, anche inutilmente, per verificare che stesse bene, per guarirlo. A pensarci a posteriori, l’uomo era convinto di aver spesso abusato di motivazioni futili, di essersi schermato dietro a quelle piccole fugaci e incontestabili ragioni, pur di toccare il suo angelo una volta di più. Si era soffermato tante volte a guardarlo, senza neanche farci caso, o pregando che nessun altro se ne accorgesse. I suoi occhi mille volte gli avevano sfiorato le labbra, la mandibola, la linea curva del collo, le spalle, sentendo dentro di sé il fremito e il solletico della propria pelle che anelava a congiungersi a quella di lui. Ma non l’aveva mai fatto, non si era mai lasciato andare, e adesso che le loro dita erano unite e niente si frapponeva tra loro, nessun freno e nessun pregiudizio, si sentiva un coglione totale nell’essersi fatto sfuggire anni interi insieme a Castiel. Poco male, si poteva pensare, cosa saranno mai pochi anni rispetto all’eternità? Nulla, sicuramente, ma se erano stati abbastanza per far innamorare di lui una creatura immortale, sicuramente valevano più di quanto si potesse credere.

Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, Castiel sospirò e strinse un po’ più forte la presa. «È stato nel capanno…», disse, «…è lì che ho iniziato a… percepire… un cambiamento»

Dean lo guardò di sottecchi, in silenzio.

«Avrei dovuto vedere in te solo uno strumento… un guscio vuoto da addestrare per accettare il grande arcangelo Michele», continuò in tono altisonante. Poi scosse la testa, con un sorriso amaro, e si voltò verso Dean, incatenando gli occhi ai suoi. «E invece dal momento in cui ti ho afferrato all’Inferno non ho fatto altro che pensare a trovare un modo per vederti… da umano, diciamo…», rivelò, senza interrompere il contatto visivo. «…non ero tenuto a farlo, a rivelarmi… ma volevo… vederti. Così ho preso questo corpo, ho rubato la vita di quest’uomo, e sono venuto in quel capanno per capire… come mai… come mai sentivo questa pulsione verso di te. Credevo di trovarmi davanti la dimostrazione che gli umani in realtà non sono altro che scimmie ammaestrate, come mi diceva Zacharia… e invece tu hai cercato di contrastarmi e l’unica cosa che ho pensato è stata… “non pensavo che gli uomini potessero essere così stupidi”»

Dean, che si aspettava tutt’altre parole, si dipinse in faccia un’espressione corrucciata. «Ah, beh… non c’è male», rise, e bevve un altro sorso di birra.

Castiel gli diede una strizzata alla mano, tirandola su insieme alla sua davanti ai suoi occhi. «Così stupidi da condannarsi all’Inferno per salvare un altro essere umano, così stupidi da farsi abbindolare da un angelo per diventarne il tramite, così stupidi da… credersi indegni di salvezza, e d’amore, nonostante siano la creatura più bella che ci sia mai stata nell’intera storia della Terra», concluse.

L’uomo arrossì di colpo. La luce danzava sulla loro pelle, colorando d’ambra i lineamenti dell’angelo, dandogli un aspetto ancor più seducente. Le ombre che si creavano sul suo volto ne facevano risaltare gli zigomi e la forma della mascella, enfatizzandone le labbra morbide. Dean si passò la lingua sul labbro inferiore, sforzandosi di staccare gli occhi dalla bocca di Castiel.

«Io credo di aver pensato di non aver mai visto niente di così… incredibile, prima di allora», disse Dean con la voce arrochita.

L’angelo sorrise, continuando a studiare con una strana espressione le loro mani. Dean si sentiva bruciare e fremere, l’acqua che gli lambiva le caviglie era tiepida e piacevole, i raggi solari gli riscaldavano corpo e mente e la brezza profumata lo inebriava. Il cielo intanto era esploso di una miriade di sfumature del rosso e dell’arancione, mentre il sole era per più di metà oltre il confine del mare. Il mondo sembrava un dipinto impressionista, fatto di pennellate e macchie di colore, capace di trasmettere aspettativa da ogni sua angolazione. Dean accarezzò il volto di Castiel con le sue iridi verdi; sfiorò il suo pomo d’Adamo immaginando di passarci le labbra, poi la giuntura scolpita della sua mandibola fino al lobo dell’orecchio. Si sentì deglutire percepì, come a distanza, tutto il suo corpo che si tendeva verso il serafino. Il suo sguardo si posò sulle palpebre rilassate, leggermente abbassate sugli occhi a nascondere i pozzi azzurri che Castiel aveva tutti concentrati sulle loro mani, mentre le apriva e chiudeva per testarne la compattezza e la compatibilità. Immaginò di baciare quegli occhi che tante volte l’avevano guardato fin dentro l’anima, quegli occhi che aveva visto colmi di lacrime, di sangue, di dolore, di ammirazione, di stima, di gioia, a volte, d’amore. Gli sfiorò il naso senza osare toccarlo, poi la guancia e la ruga che si formava al lato della sua bocca tesa in un sorriso concentrato, e si fermò all’incrocio delle sue labbra, immaginandone la consistenza, l’umidità, il sapore.

Fu in quel momento di stasi, tra agitazione e serenità, che Dean riconobbe la canzone che stava casualmente passando alla radio, e si ridestò dalle sue fantasticherie.

«Dimmi la verità… la musica non è casuale, vero?», domandò.

Castiel riemerse dalla sua contemplazione. «Come?»

«La musica… sembra che ogni volta che faccio qualcosa o penso qualcosa venga sempre fuori la canzone più adatta!»

L’angelo corrugò la fronte. «Io… non saprei, Dean, è solo musica… non—»

«Quindi questa è una cosa del tutto casuale?», chiese, iniziando a mugugnare la canzone fra sé e sé. 

 

We were sittin' up there on your momma's roof
Talkin' 'bout everything under the moon
With the smell of honeysuckle and your perfume
All I could think about was my next move

 

«Non capisco, non siamo sul tetto di tua madre e ancora non c’è la luna quindi non vedo che nesso…», contestò Castiel, scuotendo la testa.

Dean allungò la mano libera e gli impose l’indice sulle labbra. Una scarica elettrica gli scosse tutto il corpo. Era stato un gesto istintivo, per far star zitto l’angelo, ma adesso che il suo polpastrello aveva saggiato la morbidezza della sua bocca, sentiva il calore diffondersi in ogni sua parte. Si sentì stranito, con la testa leggera, e quasi non si accorse di starsi piano piano avvicinando. Una forza lo attraeva, qualcosa che non riusciva più a tenersi dentro, ma che allo stesso tempo cercava di frenarlo. Paura e agitazione, desiderio e attrazione, incertezza, tutte gli rimbalzavano in testa, aumentando il suo battito cardiaco.

 

Oh, but you were so shy, so was I
Maybe that's why it was so hard to believe
When you smiled and said to me

 

Dean continuava a canticchiare le parole sottovoce, per sottolinearle. Castiel avrebbe ribattuto, se la mano che l’uomo aveva sulla sua faccia non si fosse mossa, mandando in tilt la sua grazia. Dean osservò tra il compiaciuto e l’incantato mentre vampate di luce entravano e uscivano dalla palle e dagli occhi di Castiel, che aveva iniziato a respirare più velocemente, nel momento esatto in cui dal solo indice anche le altre dita di Dean si erano posate sulle sue labbra. Impietrito, immobile per il solo pensiero che un suo singolo, piccolo gesto avrebbe potuto far ritrarre il Winchester come un gatto selvatico, Castiel rimase in attesa, incapace di trattenere la sua natura angelica dentro il tramite. Non erano passati che pochi secondi, forse anche meno, eppure sembrava un tempo lunghissimo. La mano di Dean ruotò, e le sue dita si spostarono dalla bocca al collo di Castiel, lasciando sul labbro inferiore solo il pollice, che imprimeva un po’ di pressione. L’angelo lasciò cadere le loro altre mani unite e combatté contro l’impulso di inumidirsi le labbra con la lingua. Dean spostò anche l’altra mano sul collo dell’altro, afferendogli tutta la testa fino a sfiorare con i polpastrelli i capelli sulla sua nuca.

 

"Are you gonna kiss me or not?
Are we gonna do this or what?
I think you know I like you a lot
But you're 'bout to miss your shot
Are you gonna kiss me or not?”

 

«Dean… cosa...», sussurrò Castiel, tra l’insicuro e il bramoso.

Lui mosse lo sguardo veloce dalla sua bocca ai suoi occhi, poi di nuovo sulla sua bocca. «Oh, sta zitto, Cas!», ringhiò, passandosi la lingua su entrambe le labbra. 

Fu questione di un istante. L’angelo fu sopraffatto dalla sua natura, la sua grazia proruppe da ogni suo lembo di pelle scoperta, in una vampa dorata che investì anche Dean. L’uomo prese un respiro, chiuse gli occhi e si infranse completamente contro Castiel, che rimase senza fiato.

Le loro bocche si scontrarono come due stelle in collisione, avide, insaziabili e distruttive. Se Castiel sembrava una lampadina ad intermittenza, Dean di contro sentiva tutta la pelle solleticare per le onde di brividi che gli percorrevano il corpo dai capelli alle gambe. La sensazione delle labbra di Castiel contro le sue era qualcosa di diverso rispetto a qualunque altra avesse mai provato: era piacere e sollievo insieme, era liberazione e brama, e amore e violenza. Era necessità pura. Erano quarant’anni di bugie e undici di desiderio represso. Era come l’esplosione di una supernova nel petto, come un fiume in piena che rompe gli argini e si riversa nell’oceano. Dean sentiva il calore del fiato di Castiel nella sua bocca, i loro respiri si confondevano mentre le loro labbra si mischiavano, si cercavano, si assaggiavano. L’uomo percepiva il calore, la densità, la forma di quello che era a tutti gli effetti il bacio che aveva bramato più di ogni altro in tutta la sua intera esistenza. Mai, mai in tutta la sua vita, aveva aspettato tanto per baciare qualcuno. Per fare qualunque cosa volesse a qualcuno, a dire il vero. E mai aveva voluto più ardentemente fare quello che stava facendo con Castiel con chiunque altro prima di allora. Il vigore di quel pensiero lo pervase, spingendolo ad approfondire il bacio. Si sentiva tremare, ma non si lasciò irretire dalla codardia del suo corpo. Strinse le dita sui capelli dell’angelo, e tirò piano, provocando nell’altro un piccolo gemito che gli schiuse le labbra, lasciando a Dean la possibilità di avventurarcisi.

Al tocco della sua lingua, Castiel si risvegliò dalla staticità in cui era caduto nel tentativo di trattenere la sua forza. Dean percepì in un istante il cambio nell’angelo sotto di lui; se prima era lui a sopraffarlo, in meno di un battito di ciglia l’uomo si ritrovò con la schiena a terra, sbattuto senza troppe cerimonie. Le loro bocche erano distanti pochi millimetri, e già sentiva freddo per quel breve distacco.

«Dean», la voce di Castiel era un ringhio sommesso eppure assordante. Sembrava che stesse cercando di parlare a bassa voce, ma invece dalla sua gola usciva un suono profondo e gutturale, tanto potente da far vibrare le pietre che circondavano la spiaggia. L’uomo si sentì scosso nel profondo, le sue palpebre vibrarono rivelando le sue iridi verdi assottigliate dallo spazio conquistato dalle sue pupille colme di desiderio.

«Cas…», rispose. La sua voce era rauca e stranamente flebile, se confrontata a quella di Castiel. 

 

It was the best dang kiss that I ever had
Except for that long one after that
And I knew if I wanted this thing to last
Sooner or later I'd have to ask for your hand

 

L’angelo lo guardò un istante come per assicurarsi che fosse tutto vero, che non sarebbe scappato da un momento all’altro e non si sarebbe risvegliato da un sogno, poi si inumidì le labbra e lo baciò. Ancora e ancora, per un tempo che parve infinito. Dean si sistemò sotto al peso di Castiel, spingendogli le braccia intorno alle spalle e tirandolo ancora di più a sé. Il serafino colse l’invito per premere tutto il corpo contro il suo, e gli afferrò i capelli con una mano. Dean emise un suono simile a un guaito e schiuse le labbra a sua volta; Castiel sembrava impostato sul pilota automatico, come se avesse fatto o immaginato la stessa cosa milioni di volte. La sua lingua sfiorò il labbro inferiore dell’uomo, poi passò oltre, trovando quella di Dean già pronta all’incontro. Si sfiorarono in una scintilla di inaspettato piacere, vampe di luce e calore che si irradiavano in tutta la spiaggia inondata degli ultimi bagliori rossi del cielo. Poi le loro lingue si intrecciarono in una danza bisognosa, e le loro mani corsero dovunque, sfiorandosi le guance, il collo, la cute, le spalle. Dean sentì una mano di Castiel che lo stringeva all’attaccatura del braccio, e piccoli fuochi d’artificio esplosero dietro alle sue palpebre, togliendogli il fiato e provocandogli un piccolo lamento. Castiel se ne accorse, e si ritrasse, spalancando gli occhi.

«Va tutto bene? Io—», l’angelo si guardò intorno, costernato, e si scostò. «—scusami, non so cosa mi…»

«No…», grugnì Dean. «No, no, no, non azzardarti a scusarti per avermi appena dato il bacio più fottutamente incredibile della mia esistenza…», lo sgridò, tirandosi su con un braccio e afferrando Castiel dalla nuca con l’altro. Lo baciò di nuovo, con lo stesso bisogno di prima, ma un po’ meno violenza. Poi l’angelo lo sfiorò di nuovo sulla spalla nuda, e Dean sentì di nuovo quelle fitte, accompagnate da lampi di luce che sembravano voler rivelare qualche immagine confusa.

«Ma cosa…?», chiese, guardandosi intorno per capire se ci fosse qualcosa che lo stava pungolando.

I loro sguardi si incrociarono, poi Dean percorse tutto il braccio di Castiel fino alla sua spalla, poi di nuovo sui suoi occhi blu. 

Castiel aggrottò la fronte, e sembrò pensarci un attimo. «Forse…», intanto la canzone scemava intorno a loro, senza che se ne accorgessero.

Dean non riusciva a staccare gli occhi dalle labbra del serafino; lo vedeva parlare e l’unica cosa che sentiva dentro di sé era il bisogno di rimanere incollato a quel viso per ore. «F-forse?», balbettò, avvicinandosi per baciarlo di nuovo.

Castiel si lasciò coinvolgere dal bacio sempre più delicato e veloce, e spostò la mano sulla guancia di Dean, accarezzandola con il pollice. «Forse…», mugugnò, tra uno scambio di labbra e un altro, «…forse…»

«Si..?», sussurrò Dean contro la sua bocca. 

Nessuno dei due riusciva a pensare razionalmente. Il Winchester sentiva la testa annebbiata, il corpo in tensione, i vestiti che improvvisamente gli sembravano di una scomodità inaudita. Il serafino aveva la sensazione che la sua grazia stesse bruciando ogni centimetro di quel fragile, limitato, tramite umano. 

«Forse…», continuò Castiel. Incapace di formulare una frase in quella situazione, si scostò da Dean definitivamente e gli piantò li occhi nei suoi, poi spostò la mano dal suo viso alla spalla, toccandolo di nuovo a mano aperta. Fu in quel momento che lo vide.

Gli occhi verdi di Dean, al tocco di Castiel, si tinsero d’azzurro ed emisero un bagliore. L’angelo, esterrefatto, allontanò la mano. 

«Che succede?», chiese l’uomo, incerto e ferito da quell’improvvisa distanza. Adesso che quell’argine si era infranto, che quella supernova era esplosa, che quell’ostacolo era stato finalmente rimosso, voleva fondersi con Castiel con tutto sé stesso. Non voleva altro che quello, e ne voleva tanto da poter compensare tutti quegli anni di attesa. Fece per sporgersi di nuovo verso di lui, ma Castiel lo fermò.

«Credo che sia per via della cicatrice che ho lasciato su di te quando ti ho portato fuori dall’inferno», disse.

Dean aggrottò le sopracciglia, indispettito e confuso insieme. «E quindi? Non ho più quella cicatrice…»

Castiel piegò la testa di lato col volto corrucciato e il respiro ancora ansante. «Forse non ce l’hai più visibile, ma è rimasta sulla tua anima… sfiorandoti in quel punto io… non so… è come se attivassi il nostro…»

«Legame?», provò Dean.

«Esattamente…», confermò Castiel.

Dean si sistemò più comodo. Ormai il cielo era scuro e la sera si stava trasformando in notte. «Ed è un problema?»

Castiel era titubante. «Non lo so, non credo… non vorrei però… farti male»

Dean gli si avvicinò, spostando tutto il peso sulle ginocchia e sedendosi sui talloni. Gli posò una mano sulla guancia, costringendolo a guardarlo, poi con l’altra afferrò la sua e se la portò di nuovo alla spalla. Gli mancò il fiato e sentì di nuovo una fitta attraversargli il corpo, ma la trattenne lì anche se Castiel, spaventato, cercava di ritrarla.

«Aspetta», grugnì Dean, soffocando la sensazione lievemente dolorosa che provava. Prese dei respiri profondi, combattendo l’impulso di trattenere il fiato, e si abbandonò a quel tocco abbastanza a lungo da lasciarsi sopraffare. 

Castiel, costernato, guardò a bocca aperta gli occhi di Dean che si infuocavano di luce blu. L’uomo, di contro, si sentì come trasportato fuori dal suo stesso corpo. Percepì tutto il Paradiso  e vide ogni suo angolo, come se fosse anche lui dotato di lunghe catene di occhi. Sentì il potere scorrergli dentro, sentì ogni emozione separata e destabilizzante, proprio come l’aveva descritta Castiel quella mattina. Sentì ogni atomo del mondo e dell’universo e sentì sé stesso, attraverso Castiel. Si vide attraverso lui; vide i suoi occhi di luce e percepì il terrore dentro l’angelo, l’amore, la passione e il desiderio, la paura, l’euforia e la gioia, ma anche la violenza con cui lo voleva. Si sentì piccolo e gigantesco allo stesso tempo, e si sentì colmo di comprensione, e di accettazione. Tornò nel suo corpo come in un sogno, e sbatté le palpebre lasciando cadere la mano di Castiel dalla sua spalla. Deglutì, poi lo guardò di nuovo.

«È questo che provi?», gli chiese con la voce graffiata.

Castiel era stranito. «Cosa…?»

Dean tossì e gli prese la mano tra le sue. «Questo… legame. Se mi tocchi nel punto in cui mi hai afferrato io… posso vedere l’universo attraverso di te», disse. 

L’angelo spalancò gli occhi, sorpreso. 

«Non devi avere paura», lo rassicurò Dean. «Non sento niente… non è doloroso è solo… travolgente»

«Dean, io…»

L’uomo sorrise. «Ho sentito… quello che provi ed è… lo stesso che provo io, e che voglio… e sicuramente è molto più angelico, non so in che altro modo dirlo, ma… puoi»

«Posso cosa?»

«Lasciarti andare», disse Dean.

Castiel aveva gli occhi umidi e le labbra ancora gonfie, così come quelle di Dean. Si infransero di nuovo l’uno contro l’altro, e stavolta Castiel si lasciò andare a tutta la sua forza e al suo desiderio. Dean sentì le sue dita conficcarsi nel corpo invulnerabile della sua anima, sentì la grazia di Castiel che lo saggiava come tanti tessuti nervosi che si connettevano a lui; la brama di quel bacio era ricca di necessità e passione, e anche un po’ di violenza. 

Ma dopotutto, era sempre stato così tra loro, anche quando non si esprimevano in altro che scontri e sguardi. Castiel lo morse e Dean gemette, afferrandogli la camicia con entrambe le mani per non cadere, sentì la lingua dell’angelo avvilupparsi alla sua, si sentì tirare, stringere e soffocare. 

Poi si staccarono, e Dean sapeva che non avrebbe voluto altro per il resto della sua eternità.



 

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Capitolo 9
*** Watching over me ***


NdA. La canzone che ispira questo capitolo, che in realtà inizialmente doveva essere il capitolo decisivo per il rapporto... diciamo fisico tra i nostri due eroi, è di Radio Company. Se qualcuno non lo sapesse, è il duo musicale di cui Jensen Ackles è autore e voce. Nel corso dell'ultima convention, tenutasi a Indianapolis, Misha Collins ha rivelato che la canzone in questione, Watching over me, è stata scritta da Jensen proprio per Castiel. Per cui ho pensato che fosse il caso di rimandare la riscoperta fisica tra Dean e Castiel di un capitolo, per usare questo per l'ultimo tassello che mancava alla serenità di Dean per sentirsi finalmente amato, o meglio meritevole d'amore. Castiel ha passato tutti gli ultimi anni a vegliare su Dean, ma Dean ha passato tutta la sua vita a vegliare su Sam, a vegliare su tutto il mondo a dire il vero, e merita di rendersene conto. Solo così potrà riconoscere il proprio valore, e comprendere che non potrà mai essere una delusione per chi lo ama, sentendosi così finalmente libero di osare. Spero che questo capitolo vi piaccia, e che siate pronti per un bel po' di spice nel prossimo!
 

 

 


CAPITOLO IX
Watching over me

 

Lay it on now 
That I can see
Couldn’t bare to talk 
Without the will  to breathe
Didn’t hear the 
Strength within your words 
And what they mean
You were watching over me

Trying to find the peace 
In always knowing I was never really free
You were watching over me

With the will to look away
When I was falling down
Crawling in the dirt
Is it fair enough to say
That I needed you through the crazy pain

Didn’t hear the strength within  your words
And what they mean
You were watching over me

 

La volta celeste era trapunta di una miriade di piccolissime stelle luminose che riflettevano il loro bagliore lunare sull’acqua placida. Nel buio tiepido sella sera il vento era calato, e la superficie del mare si era distesa, trasformandosi in uno specchio nero appena increspato. Dean era immerso fino alla cintola, con gli occhi fissi sul sottilissimo spicchio di luna calante, mentre Castiel lo guardava dalla riva, in attesa.

«Dove si trova, il Paradiso?», gli domandò il Winchester. l’atmosfera era tanto silenziosa che anche un sussurro era abbastanza udibile. Non che servisse, Castiel avrebbe potuto sentire Dean anche a distanza di anni luce, anche fosse stato solo un bisbiglio. Il suo intero essere era rivolto verso quel magnifico, fragile, straordinario essere umano.

L’angelo ci pensò un po’. «Non è un posto preciso… direi che è come se coincidesse con la Terra, ma è fuori dallo spazio-tempo, come in una piega tra i mondi…»

«E tu puoi… attraversare quella piega e viaggiare dal Paradiso all’Inferno… e anche alla Terra, giusto?», gli chiese.

Castiel annuì, ma Dean non lo stava guardando. «Sì, esatto», confermò.

«Quindi potresti… andare da Sam per dirgli che sto bene…»

«Dean…»

L’uomo scosse la testa e si voltò verso l’angelo, sorridendo nel buio appena rischiarato. «Non era una richiesta… era solo… una curiosità»

«Sì, potrei, ma…», qualunque cosa stesse per dire, Castiel ci ripensò. «…se lo desideri posso farlo»

Dean chinò il capo. «Non lo so… è solo che vorrei… vorrei che non soffrisse per me, che sapesse…», alzò gli occhi sul serafino, sorridendo ancora, «…che sono felice, adesso»

Castiel aggrottò la fronte, facendo un piccolo passo verso la delicata risacca notturna. 

«Non eri felice, prima?»

L’uomo alzò un sopracciglio ed emise una risatina amara, tornando a guardare lontano. «Dipende… forse a volte, non proprio comunque… e penso che lo sapesse, Sam dico… sono sicuro che lo sapesse, e credo sia per questo che mi ha lasciato andare… che ha lasciato che mi arrendessi, sai per— per tornare da te», disse sbattendo piano le palpebre.

L’angelo fremette. Era ancora strano sentir dire a Dean quello che pensava, soprattutto se riguardava lui. Quando si era dichiarato, poco prima di essere risucchiato dal nulla, avrebbe scommesso la sua intera immortalità, tutta la sua vita eterna, che non avrebbe mai potuto neanche sperare di avere da Dean un confronto, una sorta di comprensione. Sapeva che l’avrebbe accettato, ovviamente, ma era convinto che probabilmente non lo avrebbe mai ricambiato. Comunque fosse, era pronto a morire definitivamente pur di salvarlo. Era pronto a smettere di esistere per lui, tanto non aveva senso farlo in ogni caso, se non poteva avere ciò che desiderava di più. E Dean non aveva mai fatto mistero dei suoi desideri, delle sue preferenze. Amava le donne, gli piacevano le donne, lui era un amico, il suo migliore amico, quasi un fratello; niente di più, niente di meno, niente di diverso. 

E Castiel l’aveva accettato. Aveva imparato a fare tesoro di piccoli momenti, di piccoli scambi, di piccole parole e sguardi, e si era rassegnato al fatto che il massimo momento di gioia di tutta la sua esistenza non sarebbe mai potuto essere altro che guardare Dean negli occhi, e dirgli che lo amava, e perché. Dirgli che mai in tutta l’eternità aveva conosciuto qualcuno di speciale come lui, e che mai più l’avrebbe potuto conoscere, perché avrebbe preferito il vuoto, l’annullamento di sé e di tutto, piuttosto che vederlo morire. Ma in realtà la sua era stata una scelta egoista: voleva provare la felicità almeno una volta, e visto che aveva un bersaglio dipinto sulla schiena, tanto valeva provarla in un momento utile. Tanto valeva metterla al servizio della salvezza dell’unica creatura che lui, un angelo del Signore, avesse mai amato. L’unica che l’avesse mai cambiato. 

Ma si era sbagliato eccome. Aveva creduto che la felicità fosse nel dire quello che provava, prima ancora che nell’avere ciò che desiderava. E forse era vero, in parte, perché credendo che non avrebbe mai potuto avere Dean, il solo rivelargli quanto fosse importante per lui gli aveva dato la sensazione di gioia più forte che avesse mai provato fino ad allora. Ma quando Dean gli aveva detto che lo amava a sua volta era stato ancora più felice, più felice di quanto credesse di poter mai essere.

E aveva sbagliato di nuovo. Quando le loro labbra si erano sfiorate, bisognose e avide, aveva sentito il potere di tutto il creato dentro di sé. Era come avere dentro un’eternità di albe e tramonti nei luoghi più belli dell’universo, come la nascita delle stelle, come lo sbocciare di miliardi di fiori, come tutta la storia in un istante. Struggente, potente, splendido. Era felicità allo stato puro. 

E Castiel non aveva idea di cosa avesse provato Dean, e non aveva idea di cosa provassero gli umani quando erano felici: era stato umano solo una volta, e aveva provato ben poca felicità in quei momenti. Solo alcuni attimi di lieve contentezza, di eccitazione, di aspettativa. Ma era tutto così mescolato, tutto così confuso. E dopotutto c’era stata molta delusione e poca gioia. Castiel quindi non era sicuro di cosa significasse essere felice per un uomo, e sapeva che Dean aveva avuto una vita anche troppo difficile, che avrebbe meritato molto di più e molto di meglio, ma basandosi sulle sue poche esperienze, non era neanche certo che la felicità a cui si riferiva Dean fosse anche solo somigliante a quella che intendeva lui. Ma dopotutto aveva poca importanza: loro due erano due creature diverse che avevano imparato ad amarsi e che avevano trovato la felicità l’uno nell’altro, per quanto assurdo potesse essere anche solo pensarlo.

«Per me?»

Dean lo guardò ancora. «Io… uhm», si grattò la nuca. «…pensavo che non ti avrei più rivisto se non nei miei ricordi e nei miei sogni e— basandomi sulla mia esperienza i sogni spesso sono delle fregature… mentre il Paradiso era… non lo so, il modo migliore per rintanarmi in alcuni attimi del passato… vivere dei ricordi, trasformarli in sogni tangibili… uhm… pensavo che in Paradiso ti avrei rivisto… anche se non fossi stato tu-tu, ecco…», rise. «A volte ho ancora paura che tutto questo sia il frutto della mia immaginazione, e che tu non sia davvero reale…»

«Lo sono», rispose Castiel d’impulso. «Non avrai…»

«Non mi sono… sì, insomma, non è che sono morto di proposito per raggiungere prima questo posto… cioè, non mi ero arreso a priori… anche se, uhm, beh, sì… ero stanco e tu mi mancavi e non sapevo più come nasconderlo, anche a me stesso… e non ho cercato la morte, ma quando mi ha trovato… l’ho salutata come un’amica, e le uniche due cose che pensavo erano… “almeno rivedrò Cas nei miei ricordi più belli” e “spero solo che Sam mi perdoni se lo abbandono”… per questo ti chiedevo… se…»

Castiel sospirò. «Posso dirglielo, se vuoi…», gli disse.

«Quanto tempo è passato?», domandò il Winchester.

«Dipende»

Dean aggrottò la fronte di nuovo. «Da cosa?»

L’angelo piegò la testa di lato, dissociandosi un attimo. «In totale sono passati circa tre anni…»

«Non capisco… i miei mi hanno detto che loro sono qui in Paradiso, insieme, da quasi quindici anni… io sono qui da appena, quanto? Due mesi?»

«Il tempo in Paradiso scorre in modo diverso rispetto alla Terra, e in modo diverso per ognuno… come ti dicevo, sono passati tre anni per Sam in questi due mesi ma… da ieri sera, invece, non è passato altro che un pomeriggio…»

Castiel guardò Dean intensamente. Lui per primo si stava rendendo conto di cosa significassero le sue stesse parole.

«Il tempo passa più veloce in Paradiso se non sei felice»

«E più lentamente quando invece lo sei…», completò Dean.

«Già», confermò l’angelo con un sorriso beato sul volto. 

«E io sono felice dal momento in cui ti ho… e quindi ora…»

Castiel tentennò. «Passerà più tempo prima che tu possa rivedere tuo fratello, sì… per questo non vorrei che tu potessi… soffrire, all’idea che io potrei scendere sulla Terra e vederlo, e tu no…»

Dean annuì, e gli sorrise di sbieco. Per Castiel era un mistero come tutto quello fosse stato possibile. Come fossero arrivati a quel punto. Era stato convinto per anni che Dean non vedesse in lui altro che un’arma, e pensava che dal momento in cui l’aveva tradito, lavorando con Crowley in sua insaputa, tra di loro si fosse creata una frattura resa sempre più grande dei suoi costanti fallimenti. Era convinto che Dean non l’avrebbe mai visto come Castiel vedeva lui, e soprattutto, era convinto di non avere assolutamente niente a che fare con la sua felicità.

«Ripensavo ad alcune delle volte in cui sei morto o quasi morto…», disse Dean, interrompendo il suo flusso di coscienza. «Come quando April ti ha pugnalato… c’eravate te e Sam, e Sam era svenuto in un angolo, aveva battuto la testa e io… stavo per andare a soccorrerlo ma c’eri tu che… ed è a te che ho dato soccorso, è per te che ho pregato, è te che ho voluto far tornare indietro…»

«Sapevi che Sam non si era fatto male…»

Dean fece spallucce. «Probabilmente sì… non dico che preferissi te a lui… Sam è mio fratello, avrei fatto a pezzi il mondo per lui e sono sempre stato… felice, appagato, contento quando lui è tornato dall’inferno o dal paradiso o da qualunque altro maledetto loop divino cadesse… ma quando tornavi tu, io ero sempre raggiante. Non avevo mai provato una disperazione simile a quella che provavo a perdere Sam, prima di conoscere te, anche solo all’idea di perdere qualcuno che non fosse lui… e lui è mio fratello, ci siamo stati sempre solo noi due per tutta la nostra vita… perderlo era come perdere una parte di me… e perdere te, era esattamente lo stesso… avrei dovuto capirlo allora che eri causa delle mie più grandi delusioni, dei miei più grandi dolori, delle mie gioie più grandi… proprio perché per me eri importante quanto Sammy, ma in modo diverso…»

«Dean—»

L’uomo lo guardò; aveva un’espressione strana, contrita e serena insieme. Le sue labbra erano tese in una linea sottile, gli occhi grandi e lucidi. «Se tu vedi Sam— tu sei parte di me, Cas… non potrei mai soffrire sapendo che tu puoi vederlo, e io no, perché io e te siamo… siamo come… uhm— noi due siamo uniti, il nostro legame profondo, la… la cicatrice che hai lasciato su di me, e il… l’amore che ci lega…», disse a denti stretti, «…mi avvicina alla tua natura e a te… e penso… anche viceversa. Se tu vedi Sam, è come se io lo vedessi…»

Castiel era commosso, ma non sapeva cosa dire. Trovarsi a fare una conversazione simile con Dean Winchester era già qualcosa di surreale di per sé. 

«Ovviamente, se vuoi farlo…», tentennò Dean, vedendolo esitare.

«Farò qualunque cosa tu voglia, se ti rende felice…», rispose, «Vuoi che… che vada adesso?», domandò.

«No», disse Dean velocemente, quasi senza lasciargli concludere la domanda. «No», ripetè con più calma, voltandosi verso Castiel, «O almeno, non subito, non voglio che tu te ne vada…»

«D’accordo»

L’uomo guardò la superficie del mare che gli lambiva la pelle attraverso i vestiti, poi si passò una mano sul viso a distenderne i lineamenti e asciugare una lacrima rotolata lungo la guancia, poi posò gli occhi sull’angelo. «Per l’amor del cielo, Cas— puoi smetterla di fare quello che stai facendo ed entrare in acqua anche tu? Grazie tante!», tagliò corto.

Castiel fu colto alla sprovvista da quel repentino cambio di atteggiamento. «Io…»

«Sbaglio o hai detto che farai qualunque cosa io voglia? Voglio che smetti di fare il damerino e ti muovi… che c’è, hai paura di bagnarti le piume?»

L’altro neanche si degnò di replicare, né di camminare nell’acqua salata del golfo. Piuttosto si mosse alla sua velocità angelica, e comparve accanto a Dean, mugugnando per i vestiti fradici.

«Si può sapere che ti prende oggi con questi vestiti?»

Castiel lo guardò di traverso. «Niente», rispose. «Solo che mi sento a disagio»

«Per quale motivo? Ti ho visto coperto di sangue e altre… beh, altri liquidi e melme molto meno profumate dell’acqua di mare, ad essere onesto…»

«Non lo so, non ho mai fatto un bagno in mare, immagino che sia per questo»

«In tutta l’eternità?»

«C’erano cose più importanti»

«Tipo sterminare i figli primogeniti, provocare catastrofi e aiutare Keanu Rives a far fuori qualche demone?»

«Non sono mai apparso in Constantine…»

Dean rise. «Giusto, giusto… te l’ho fatto vedere»

«Sì, e devo dire che non è molto aderente alla realtà come film…», disse Castiel con la fronte aggrottata.

«Uhm?»

«Comunque sì, non mi sono mai avvicinato abbastanza agli umani e alle loro usanze… prima di te, intendo. E in ogni caso è una convenzione piuttosto recente per voi umani, quella di fare il bagno in mare per divertimento»

«Pensa te…», commentò l’altro, «In pratica mi stai dicendo che non sai nuotare…», lo schernì con un ampio sorriso.

«Non serve nuotare quando puoi volare»

«Ouch…»

Dean, tutto vestito come era, si tuffò nell’acqua tiepida e fece qualche bracciata. Castiel lo guardò senza muoversi, aspettando che riemergesse da qualche parte. Ma l’uomo evidentemente aveva altri piani: si fermò a un paio di metri dall’angelo e issò la testa sopra la superficie quanto bastava per guardarsi intorno, poi un sorriso malizioso gli si dipinse sulle labbra. In un movimento fulmineo, inaspettato, si immerse di nuovo, si riavvicinò e poi ruotò su sé stesso, iniziando a battere i piedi nell’acqua fino a coprire Castiel di uno scroscio di schizzi. 

«Dean— ma che— che fai!»

Con le braccia e le mani il serafino cercò di ripararsi, ma finì per perdere l’equilibrio e cadere faccia in avanti nell’acqua, bagnandosi completamente anche il resto del corpo che fino a quel momento aveva salvato dalla tempesta-Dean. Annaspando, con il Winchester che rideva sguaiatamente a poca distanza da lui, Castiel rispose alla dichiarazione di guerra schizzandolo con le mani. Dean non si lasciò cogliere alla sprovvista, e replicò, tra una risata e una boccata di acqua salata, finché entrambi non si immersero nel mare, vicini fino a toccarsi, e trasformarono quel gioco infantile in uno scambio di sguardi divertiti.

Fu di nuovo Dean a fare la prima mossa; fradicio fino alle punte dei capelli, con la salsedine che gli induriva le ciglia, prese Castiel per le braccia seminude e lo tirò a sé, fino a baciarlo. L’angelo sentì un fremito scorrergli dentro, come ogni volta che l’uomo faceva qualcosa che lo sorprendeva, e lo faceva sentire bene. Da quando Jack l’aveva riportato indietro non aveva mai indossato di nuovo il suo tramite umano finché Dean non glielo aveva chiesto, per cui non aveva idea di che effetto avrebbe avuto in Paradiso costringere la sua grazia dentro un corpo tanto limitato. L’arcano era presto stato svelato: il suo tramite poteva trattenerlo, dargli un aspetto umano, non poteva in alcun modo frenare le manifestazioni del suo potere. In Paradiso gli angeli erano come batterie caricate al massimo, e lui, come serafino, era come un reattore nucleare. Non sarebbe certo esploso, e le sue esalazioni non erano assolutamente tossiche, ma il suo potere era incontenibile. 

La cosa non sarebbe stata un problema se non fosse stato per Dean: era l’unico in grado di mettere a repentaglio l’autocontrollo di Castiel. L’unico in grado di accendere la sua grazia in quel modo. L’angelo poteva sentire il potere che gli scorreva dentro lampeggiare fuori di lui, infrangersi su tutto ciò che lo circondava. Ma l’uomo non sembrava farci caso, anzi, ne sembrava del tutto compiaciuto. 

Castiel ricambiò il bacio; la sensazione che le mani di Dean gli procuravano nello sfiorargli la pelle sotto la superficie dell’acqua increspata dai loro movimenti era qualcosa che non avrebbe saputo descrivere. Si abbracciarono sotto il bagliore tenue della luna, gocce di mare gli colavano lungo tutto il viso dai capelli, confondendosi al sapore delle loro labbra umide.

Quando Dean trovò una fessura tra la sua camicia scomposta e i pantaloni e insinuò una mano sotto la stoffa leggera che gli copriva il busto, Castiel fremette e si staccò dal bacio, con gli occhi spalancati. Ma l’uomo lo guardava sereno e determinato, tranquillo, senza osare togliere la mano dal suo torso. Timidamente, con ben meno sicurezza di Dean, l’angelo gli si avvicinò di nuovo e posò le sue mani sui suoi fianchi scoperti dalla gravità marina, che gli sollevava un po’ la maglietta scura. Dean tremò, ma non si mosse. Piuttosto fissò i suoi occhi verdi in quelli blu di Castiel, pur senza riuscire a vederne il colore nel mondo in bianco e nero della notte, e posò la fronte contro quella di lui, prendendo respiri profondi per calmare il suo cuore martellante. 

Castiel lo sentiva battere impetuoso. In realtà, era solo un’illusione: le anime non avevano bisogno del cuore, non avevano bisogno di niente a dire il vero. Esistevano e basta, senza fame, né sete, né sonno, né altri bisogni di alcun tipo. Era la natura umana, così legata a certe piccole sfumature terrestri, a tenersi stretta quei tratti così futili, così mortali, eppure così affascinanti. Nel Paradiso di Chuck, gli uomini vivevano i propri ricordi per come erano accaduti in vita, a volte potevano modificarli o crearne di nuovi, riviverli in loop: era normale che le anime conservassero in essi le loro caratteristiche umane, perché erano quelle a rendere il ricordo, per sua stessa natura, reale. Ma quando lui e Jack avevano abbattuto i muri e ristrutturato il tutto, avevano notato che i beati soffrivano senza quelle piccole abitudini a cui erano tanto cari: cosa avrebbero fatto per tutta l’eternità, se non avessero potuto perlomeno simulare la vita? Così Jack aveva fatto sì che ogni anima potesse mantenere le sue peculiarità umane, come il battito del cuore e la fame, il sonno, il piacere. E per far sì che gli angeli ne capissero l’importanza, aveva fatto sì che anche se non ne potevano provare il bisogno, potessero perlomeno comprenderne la piacevolezza. E per farlo aveva concesso agli angeli il dono del gusto, adeguato quello dell’olfatto e della vista, così che potessero usare le proprie capacità angeliche o meno, ma potessero in ogni caso anche sperimentare tutto ciò che era umano. 

Per questo Dean aveva un battito cardiaco accelerato che rispecchiava le sue emozioni, e Castiel poteva percepire nella sua bocca la salinità del mare mista alla calda e umida dolcezza della sua lingua, e non solo insipide e sciatte molecole. Le labbra di Dean sapevano di pane, formaggio e birra, di salsedine e di lacrime, quelle che gli aveva nascosto mentre parlavano di Sam, ma sapeva anche di qualcosa di dolce, come il caramello. Castiel si lasciò inebriare.

Era ancora ai limiti del credibile, per lui, l’idea che Dean potesse veramente baciarlo. Che potesse amarlo. Che potesse desiderarlo. Andava oltre i suoi sogni più sfrenati, ed era ogni istante in più la conferma di quanto potesse avere ancora molto da imparare su sé stesso e su di lui: ogni volta che Dean gli parlava, o lo sfiorava, o lo guardava, Castiel era convinto che quello fosse un momento di felicità massima, per poi sentirsi smentire un attimo dopo, dall’ennesimo tocco, dall’ennesimo sguardo. I baci, poi, erano qualcosa che non riusciva a metabolizzare.

Aveva già baciato altre persone e creature in passato. C’era stata Meg, e April, - e anche Chastity in realtà prima che scappasse dandogli di stronzo -, ma non aveva mai provato nulla. Piacere, forse. Come se farlo gli stimolasse un qualche recettore angelico in grado di produrre una versione celeste delle endorfine, ma mai nulla che fosse paragonabile a quello che provava quando le labbra di Dean sfioravano le sue, bramose e pressanti. Era un piacere che passava attraverso il cuore, figurativamente parlando, che dialogava con tutto il suo essere, che lo trasfigurava. 

La sua presa sui fianchi di Dean si fece più forte; sentì l’uomo gemere sotto al suo tocco, e si rese conto di aver affondato i polpastrelli nella sua carne morbida. I loro visi erano così vicini che se fossero stati liquidi invece che solidi si sarebbero già fusi in un unico fluido danzante. La mano di Dean percorse tutto il torso di Castiel fino alle costole, poi corse dietro la sua schiena, tirandolo a sé, e anche lui gemette. La pelle iniziava ad essere calda al tatto, le labbra turgide e gonfie, e le estremità tese. 

Rimanere vestiti in mezzo al mare si stava rivelando un po’ scomodo dopotutto, ma Castiel non si sarebbe potuto lamentare anche se avesse voluto: tutto ciò che aveva sempre desiderato, e che aveva sempre creduto di dover conservare solo nell’intimità dei suoi sogni, era tra le sue braccia. Anche se tutto il suo essere fremeva per avere di più, lui era felice così, e non avrebbe mai chiesto altro.

Dean, invece, la pensava evidentemente in modo diverso. «Cas…», sussurrò, soffiando il suo fiato caldo tra le labbra di Castiel. «…andiamo a casa», suggerì in un suono roco, gutturale.

L’angelo non se lo fece ripetere due volte. Lo strinse a sé, premette le loro bocche insieme e sbatté le sue ali prima ancora che Dean se ne potesse accorgere, riportandoli in meno di un istante tra le mura del cottage.

«Woah… è stato veloce», mugolò Dean, in preda a quello che sembrava un breve capogiro.

Castiel lo sorresse con le sue braccia. «Scusa…»

«Stiamo bagnando tutto il pavimento», rise l’uomo, come in preda a una strana euforia.

L’angelo si guardò intorno nella penombra rischiarata da una piccola lampada all’angolo del salotto. Era vero: una pozza d’acqua più larga dei loro due corpi abbracciati si stava diffondendo ai loro piedi. «Non importa», disse.

«Sono d’accordo», concesse Dean, prendendogli il viso tra le mani e baciandolo di nuovo. Castiel si lasciò guidare nel bacio, posando appena i suoi palmi sulle spalle dell’altro, facendo attenzione a non sfiorargli la pelle nuda dove un tempo gli aveva lasciato un’impronta. Gli sfiorò il collo, giocò con le punte dei suoi corti capelli bagnati, intrecciò la lingua alla sua e saggiò con le proprie le labbra dell’uomo, succhiandone piano la superficie liscia per testarne la compatta morbidezza. Dean gemette a quel gesto, e Castiel sentì le sue mani corrergli lungo tutto il corpo, accarezzargli il petto e poi le costole, scendere lungo il suo addome e solleticargli l’ombelico, prima di soffermarsi sulla linea netta dei pantaloni.

L’angelo trattenne il fiato e le loro bocche si staccarono, lasciando che i loro sguardi si incontrassero, fiammanti di desiderio e aspettativa, ma anche di paura. Castiel sentiva il rombo del cuore di Dean nelle orecchie, così come sentiva pulsare ogni centimetro delle sue membra, alla sola vicinanza con il corpo di lui.

Negli occhi di Dean, però, leggeva anche qualcosa di diverso. «Va tutto bene?», gli chiese, scostandosi un po’.

«Sì…», rispose l’altro, che intanto cercava di armeggiare con i bottoni della sua camicia. 

Castiel strinse gli occhi, lo osservò un attimo, poi gli prese le mani e lo fermò. Sentiva il desiderio di Dean, ne poteva percepire l’odore che si confondeva con il suo. Sentiva il suo corpo che fremeva, il suo respiro spezzato e veloce, i suoi movimenti che andavano con il pilota automatico. Ma oltre a questo, sentiva anche altro: insicurezza, timore, esitazione. L’angelo percepiva con ogni fibra del suo essere che Dean lo desiderava, ma sentiva anche il dubbio che lo pervadeva. E per quanto lui avesse sognato e immaginato, nell’intimità della sua mente, di fare a Dean e con Dean cose che non aveva mai neanche lontanamente provato con nessuno, di mettere in pratica tutto quello che aveva imparato guardando PizzaMan e i tanti altri filmini e video che aveva trovato (non poi tanto) casualmente nel computer dell’uomo, non voleva assolutamente, in alcun modo, forzargli la mano.

«Non c’è fretta, Dean», gli disse, carezzandogli i palmi con i pollici.

«Io… Cas, io non—»

Castiel gli diede un bacio leggero come una carezza. «Facciamo così…», suggerì tenendogli strette le mani tra le sue. «…ora io vado a prendere qualcosa da mangiare e tu… beh, mi aspetti, e magari, se ti va, scegli un film da vedere…»

Dean non era convinto. Anzi, sembrava alquanto contrariato. «Cos’è una specie di tortura? Un giochino che hai imparato nelle tue incursioni nel mio computer?»

Castiel arrossì. «Io— veramente non…»

Ma Dean rise. «D’accordo, hai ragione… non c’è fretta e poi… questi vestiti iniziano a prudere, forse è il caso che mi faccia una doccia», disse, dandosi uno sguardo eloquente. «Potrei avere voglia di Nachos, che dici? Oppure pizza! O Hamburger… oppure… no, ci sono, pizza con Nachos e chili, guacamole, panna acida e tantissimo cheddar… ecco, perfetto!», concluse, con un luccichino gioioso negli occhi. 

Castiel gli sorrise beato, annuì, e lo guardò mentre Dean gli dava le spalle e spariva dietro la porta del bagno.

 

 

*****

 

Quando Castiel gli apparve davanti alla porta di Casa, Sam quasi ebbe un infarto. 

«Cas!», soffiò, lasciando cadere il sacchetto della spazzatura che teneva in mano. «Tu— tu eri morto! Che cosa…»

Senza pensarci due volte, il gigante dai capelli lunghi strinse l’angelo in un abbraccio fraterno.

Castiel lo ricambiò per qualche istante, poi si allontanò. Si era dato un contegno dopo aver lasciato Dean al cottage, in Paradiso. Era andato a recuperare gli indumenti sulla spiaggia e con uno schiocco di dita si era dato una ripulita, prima di scendere sulla Terra per portare a termine quello che sentiva essere un compito importante, fondamentale, da svolgere perché Dean fosse effettivamente felice. «Sono qui per dirti che Dean sta bene», disse con una certa sonorità. 

«Dean… tu… cosa..?», Sam lo guardò con gli occhi lucidi. La ruga tra le sue sopracciglia si approfondì e la sua bocca si strinse in un’espressione dolorosa. 

«Sam, Dean è in Paradiso, con vostra madre, vostro padre, Bobby e Charlie e… e me. Sta bene, è felice, è… appagato. Voleva che tu lo sapessi…»

Sam si portò la mano al viso, stringendo il pollice e l’indice all’attaccatura del naso. Fu inutile, le lacrime gli comparvero al limitare delle palpebre, e iniziarono a rotolare giù lungo le guance. Si passò il palmo sulla pelle ruvida dove una leggera barba incolta iniziava a mostrare i primi fili bianchi. «Ti ha chiesto lui di…», chiese senza finire la frase.

«Sì… e no. Voleva che sapessi che sta bene, che non devi soffrire per lui, che non devi… piangerlo. Lui ti aspetterà per tutto il tempo che ci vorrà… e gli dispiace»

Sam ormai era un fiume in piena. Incapace di stare dritto, si lasciò cadere seduto sui gradini del suo portico. «Lui… cosa?»

«Di averti abbandonato, di essersi arreso»

«Non deve, non deve sentirsi in colpa lui— ha sempre vegliato su di me, io non… grazie, Cas», disse poi, rialzandosi di scatto per abbracciare il serafino. «Grazie»

«Siamo una famiglia», rispose Castiel. «E tuo fratello ti ama molto, tu questo lo sai… non poteva essere completamente felice se non… se non sapendo che tu sei sereno. Vi rincontrerete presto… beh, presto se paragoni la vita umana all’eternità, ovviamente… e lassù vi aspetta un’eternità senza mostri e senza pericoli e…»

«Sam!», la voce di Eileen giunse da dentro Casa. «Sei caduto nella spazzatura?»

La testa della cacciatrice comparve oltre lo stipite. «Sam… Castiel?»

«Eileen», la salutò l’angelo.

«Ma tu eri…?»

«Jack»

«Oh… Dean, vieni, vieni a conoscere lo zio Castiel…», disse la donna. 

Castiel si sentì sciogliere alla vista di un piccolissimo bambino che compariva, timido e schivo, dietro le gambe di Eileen. Lei lo prese in braccio, poi scese i gradini e passò accanto a Sam, che stava ancora piangendo, e gettò le braccia al collo di Castiel. 

«Che succede?»

«Dean», rispose Sam, provocando la risposta automatica di suo figlio, che si girò verso di lui. «Lui sta bene, è in Paradiso, è felice…»

Eileen si staccò da Castiel e posò a terra il bambino, per accorrere ad abbracciare suo marito. Il piccolo Dean, immobile in quella strana scena, alzò gli occhietti verdi su Castiel, guardandolo dal basso nella sua buffa salopette di jeans giallo canarino. Alzò una manina chiusa e stese il suo piccolo indice verso l’impermeabile. Cas si piegò sulle ginocchia, portando il viso all’altezza del bambino, e poi lo imitò, alzando l’indice per portarlo sul suo piccolo nasino.

«Boop», gli fece, facendolo scoppiare a ridere.

«Cas…», lo chiamò Sam. «Posso… posso darti qualcosa da portare a Dean, tu puoi…?»

«Posso portare solo ricordi con me… messaggi, pensieri… niente di fisico»

Sam annuì, strinse la mano ad Eileen e le lanciò uno sguardo. Le sue guance erano rigate di lacrime di gioia. «D’accordo», si allontanò dalla moglie e si avvicinò a Castiel. «Puoi… posso— vorrei raccontargli di quello che ho fatto in questi anni, e vorrei… vorrei sapere di lui»

L’angelo si sentì leggermente in imbarazzo, ma non lo diede a vedere. «Per Dean non sono passate che poche settimane», disse.

«Come? Ma all’inferno…»

«L’inferno è studiato come un luogo di tortura, il tempo passa più lentamente lì per tutti… ma in Paradiso… il tempo passa più veloce quando… si aspetta qualcuno», disse, raccontando una mezza verità, «E più lentamente quando si è completi, felici…»

«Ma tu… hai detto che Dean è felice», controbatté Sam.

«E lo è», confermò Castiel, mentre il piccolo Dean giocava con la cintura del suo impermeabile correndogli intorno. «Ma ti aspetta, ti aspetterà per tutto il tempo… ma posso comunque mostrarti qualcosa, se vuoi…», disse allungando due dita per toccare la fronte dell’uomo.

Sam lo guardò. Scrutò Castiel da testa e piedi e il suo sguardo si assottigliò, un sorriso gli piegò le labbra. Si passò una mano sul viso, poi scosse la testa. «No… sarà lui a dirmi tutto quando vorrà, se vorrà…», disse. «…ma io vorrei farti avere qualcosa da mostrargli, se puoi»

«Certo»

 

*****

 

Quando Castiel tornò al cottage, Dean lo stava aspettando seduto sul divano con le gambe incrociate e i piedi appoggiati al tavolino da caffè. 

«Mi sono reso conto che in questo posto non c’è la tv…», disse voltandosi lentamente verso l’angelo con un’espressione seccata. «…e che tu non hai bisogno di uscire o impiegare del tempo per andare chissà dove a prendere chissà cosa per cena»

«Dean…»

«Quindi mi piacerebbe capire… perché mi prendi per il culo, Castiel?»

L’angelo aprì la bocca per replicare, poi distolse lo sguardo e si diresse verso il tavolo della cucina per appoggiare il grosso sacchetto pieno di vaschette di diverse dimensioni. 

«Non ho fatto niente del genere, Dean»

«A me sembra proprio di sì…», replicò l’altro schioccando le labbra e alzandosi dal divano. «…ti aspetto da almeno un’ora e, beh, almeno che tu non sia andato in un altro universo a prendere… qualunque cosa tu abbia preso», disse facendo un cenno con la mano al sacchetto abbandonato, «…non capisco come un angelo, un serafino anzi, il braccio destro di Dio nonché il custode del Paradiso abbia bisogno di assentarsi tanto a lungo per svolgere un compito così semplice»

«Dean…»

«Cos’è? Hai cambiato idea? Forse non è l’amore fisico quello che vuoi da me? Eh? Pensi di poter scombussolare la mia vita, mettere in discussione tutto ciò in cui credo… anzi, in cui credevo, e poi evitare tutto il resto? Cos’è, non sono abbastanza angelico per te?»

«No, Dean, non è que—»

Dean assottigliò lo sguardo e gli si fece più vicino. «Oppure ora vuoi raccontarmi cazzate sul… non so, il sesso degli angeli magari, e qualche stronzata biblica sul fatto che voi splendenti creature di luce siete fatti come Ken di Barbie o che lo siamo noi anime…», aveva le mani sui fianchi e l’espressione dura, arrabbiata. «Beh, sappi che non ci casco perché l’ultima volta che ho controllato…», continuò muovendo il capo di lato e piegando le labbra in un sorriso al contrario, «beh almeno nel mio caso era tutto al posto giusto e tu… mi pare di ricordare anche che almeno una volta tu abbia fatto sesso…»

Castiel arrossì. «Non volevo correre, per te… non voglio che tu sia… spinto a fare qualcosa che non ti senti pronto a—»

«Oh ma sta’ zitto, Cas!», lo interruppe Dean roteando gli occhi, «Ti ho dato dimostrazione di reticenza per caso, sulla spiaggia? Ti pare che abbia esitato a… beh, a baciarti?», disse alzando un braccio per indicare Castiel con una mano, e poi facendolo ricadere lungo disteso al suo fianco.

«Sono anni che giriamo intorno a questa cosa, Dean… ed è passato quanto, due ore a confronto?, da quando hai preso coscienza di— e comunque, non è niente di tutto questo», disse imperativo. «Non ti sto evitando… io ho solo—»

«Se non mi stai evitando perché te ne sei andato dicendomi una stronzata? E anche stamani… sei scomparso, per far cosa? Oh, giusto, prendere dei panini e delle birre… molto credibile, davvero, uhm»

L’espressione di Dean era dura, contrita, le sue labbra erano una linea sottile e tutto il suo corpo esprimeva distacco.

«Non ti sto evitando, Dean», riprese Castiel, stavolta mettendo molta più potenza nella voce. «E a te sarà anche sembrato di non esitare, ma a me è sembrato che tu lo facessi e io non vorrei mai metterti in una situazione di obbligo, di farti sentire in dovere di fare qualcosa solo perché credi che io lo voglia, e soprattutto…»

«Soprattutto se—»

Castiel lo fulminò con lo sguardo. Una luce azzurra baluginava nelle sue iridi celestiali. «Sto parlando io», lo fermò. «E sto dicendo che soprattutto non ho fatto niente di tutto ciò che dici, e mi pare abbastanza evidente che tra noi due quello che ci ha impiegato del tempo a fare i propri passi sei tu, quindi perdonami signor Winchester se ho pensato di evitarti un brutto risveglio…»

«Tu hai solo paura»

«Io paura? E di cosa dovrei averne?»

Dean fece spallucce. «Dimmelo tu, visto che sai tutto… ora sei tipo la seconda creatura più potente dell’universo, no? Forse ero un bel bocconcino quando io non ero che un uomo e tu un angelo spezzato, ma adesso che sei una specie di supernova volante…»

Castiel lo guardò con gli occhi spalancati, la rabbia che gli ribolliva nel petto mista a un altro sentimento. Più Dean parlava, più lui sentiva dentro di sé il bisogno di sbatterlo contro il muro e zittirlo una volta per tutte. «Non mi sorprende che dopo tutto questo tempo tu ancora non abbia capito assolutamente nulla di te stesso, di me e di tutto quanto… io sono caduto per te, Dean. Sono caduto in ogni modo possibile. E tu… tu mi vieni a dire che pensi che abbia intenzione di fare un passo indietro? Che io— sono venuto io a cercarti, stupido idiota, e sei stato tu a dirmi che avevi bisogno di tempo, quindi, scusami se ho pensato che stessi facendo come sempre il passo più lungo della gamba solo per compiacere qualcun altro invece di pensare a cosa vuoi tu…»

«Beh ma hai sbagliato», gli rispose Dean, stizzito e anche sorpreso dalla veemenza delle parole di Castiel. «Perché io non voglio compiacere proprio nessuno, e tutto ciò…», disse gesticolando con le mani nello spazio tra lui e l’altro, «è esattamente quello che io voglio… ma mi pare che sia tu a non volerlo più»

Castiel roteò gli occhi e si portò una mano alla faccia, strofinandola con vigore. «Stamani sono andato all’headquarter per dire che avrei preso un periodo di “ferie”», disse mimando le virgolette con le mani, «e a dare gli “incarichi” agli altri angeli perché tengano il Paradiso “sotto controllo” per me adesso, e per dire loro che “in generale” d’ora in avanti avrò bisogno di essere affiancato in questo “lavoro” perché… beh, perché per me non sei uno da una “botta e via”…», disse, continuando con le dita in aria come ogni volta in cui era nervoso. «…e mi piacerebbe, se tu lo vuoi ovviamente, poter passare del tempo insieme piuttosto che sparire e starmene rintanato sul trono per tutta l’eternità, okay?»

Dean era interdetto.

«E stasera…», proseguì l’angelo, con un tono esasperato, «…beh, sapevo che qualunque cosa avessi fatto con te, qualunque cosa fosse “successa”… tu comunque non saresti stato completamente concentrato su te stesso perché hai… questa “tendenza” a pensare sempre al bene degli altri, prima che al tuo e così… beh, sì, ho fatto quello che ritenevo giusto, ovvero esaudire il tuo desiderio perché Sam potesse essere sereno e tranquillo e vivere… “in pace” e—»

Dean lo interruppe. «Sei andato da Sam?»

«Sì, genio…», lo apostrofò Castiel con sarcasmo. «…e te lo avrei detto non appena entrato qui dentro se tu non avessi iniziato questa inutile tirata come sei solito fare… visto che hai l’abitudine autodistruttiva di rovinare tutto ciò che hai di buono per paura… di cosa? Di perderlo? Di rimanere ferito? Siamo in Paradiso!», gli disse in tono di ovvietà, avvicinandosi al suo viso con le palpebre calate duramente sulle iridi azzurre fiammeggianti. «…non c’è niente che possa ferirti se non te stesso»

Dean mosse gli occhi sui suoi piedi, poi di nuovo su Castiel. Spostò il peso da una gamba all'altra, con i muscoli del viso che fremevano. «I-Io… mi dispiace, Cas… sono…», guardò a destra e a sinistra, in imbarazzo, poi fece un passo indietro, per sedersi sul bracciolo del divano, e si passò una mano sul viso e poi sul collo, grattandosi la nuca. «…sono un coglione e… hai ragione»

Castiel alzò un sopracciglio, colmando la distanza tra di loro fino a torreggiare sull’uomo, seduto in una posizione abbandonata. «Su cosa?»

«Sul fatto che ero… titubante…», svelò incapace di alzare lo sguardo. Le sue parole colpirono il silenzio come un macigno, e Dean sentì Castiel sospirare e lo vide mentre stava per fare un passo indietro, ma lo fermò, prendendogli una mano per trattenerlo dove era. «…non perché non voglio tutto questo… perché credimi…», soffiò una breve risata, «…lo voglio eccome, con tutto me stesso ma… sono fottutamente terrorizzato. Non ho mai… provato niente del genere, prima e h-ho paura che sia… troppo, troppo per me, che non sono ancora— tu mi guardi, e io vedo nei tuoi occhi il modo in cui mi vedi e io… non riesco a vedermi in quel modo e poi tu sei… e io…», grugnì. «Ho fatto sesso con molte donne, Cas… ma l’amore con poche. E ho provato attrazione per molte, molte persone, a volte nascondendolo anche a me stesso e mi sono innamorato, qualche volta, ma… quello che provo quando— accanto a te, beh è qualcosa di diverso, e di… spaventoso», disse con un sospiro. I suoi occhi erano umidi ma duri. «E poi non so neanche da che parte iniziare…», ammise. Poi tossicchiò e indicò brevemente la camicia di Castiel con un cenno del capo. «…Non ho mai sbottonato una camicia da quel lato, non so se mi spiego…»

L’espressione dell’angelo si addolcì. Gli si avvicinò, facendosi spazio tra le sue ginocchia aperte, fino ad essere ad un solo palmo da lui, completamente immerso nel suo spazio personale. Dean lo guardò dal basso, sentendosi colpevole, ed ebbe l’istinto di distogliere lo sguardo ma Castiel gli prese il viso con la mano libera, intrecciando le dita dell’altra a quelle dell’uomo, e gli sollevò la testa delicatamente. «Neanche io, Dean… ma vorrei tanto impararlo insieme a te, un passo alla volta»

Dean annuì e le sue palpebre tremarono chiudendosi sulle sue iridi verdi; si lasciò andare al tocco della mano di Castiel, abbandonando la guancia nel suo palmo come se quel tocco fosse tutto ciò che poteva trattenerlo dal cadere a terra. Sentiva il cuore battergli nel petto, e si sentiva leggero, rincuorato. «Ho paura di deluderti come ho deluso tutti, Cas», disse.

«In tal caso, lascia che ti mostri una cosa…»

L’uomo aprì gli occhi con un espressione confusa, mentre Castiel si piegava sulle ginocchia per mettersi alla sua altezza, guardandolo come per chiedere il suo permesso. Dean prima annuì, poi lo fermò quando vide che stava per imporgli le dita sulla sua fronte: nell’attesa si era cambiato, e adesso indossava una maglietta bianca e una felpa blu, lasciata aperta, sopra a un paio di pantaloni del pigiama a quadri che aveva trovato nell’armadio in camera. Si abbassò la felpa e arrotolò la manica corta della t-shirt per rivelare la pelle della spalla. 

Castiel tentennò. «Sei sicuro?»

Dean annuì, prendendo un respiro profondo e socchiudendo gli occhi lentamente. L’angelo lo guardò con un mezzo sorriso e poi posò il suo palmo e le sue dita sulla carne morbida e calda dell’altro. Una scossa attraversò tutto il corpo di Dean, che si sentì come lacerare per un breve istante, poi sentì il fuoco invadergli la gola e arrivare fino agli occhi, che si fecero brillanti di luce azzurra sotto le palpebre serrate. D’improvviso il dolore scomparve, e apparve una casa bianca; la vedeva esattamente come se si trovasse lì davanti. C’era un portico con qualche scalino, un bel giardino e qualche alberello, la facciata era fatta di lunghi listelli di legno smaltato. Sam scendeva le scale con un sacchetto della spazzatura in mano, poi lo vedeva e si lanciava in un abbraccio. Dean comprese che ciò che stava vivendo era il momento in cui Castiel aveva rivisto suo fratello. Ne percepì l’affetto, ne sentì l’abbraccio commosso. Come in un sogno sentì quello che lui e Sam si erano detti, poi comparvero Eileen e un bimbetto e Dean non si accorse che la sua anima aveva iniziato a piangere nel momento in cui aveva sentito chiamare il figlio di Sam con il suo nome. Poi Castiel aveva imposto le dita su suo fratello, che a quanto pare aveva un messaggio per lui.

Nella sua testa esplosero le immagini e percepì con violenza l’amore che Castiel aveva provato nel ricevere quei ricordi da Sam. Erano bambini, lui e Sam giocavano, Dean gli cantava una ninna nanna, poi correvano insieme in un prato, poi erano in un motel e lui gli stava preparando l’ennesima brodaglia di fagioli. I ricordi scorrevano veloci gli uni sugli altri, e in ognuno di essi c’era una triade di sentimenti che li pervadeva: stima, affetto e gratitudine. Dean vedeva e sentiva il modo in cui Sam lo vedeva, come il fratello maggiore su cui contare, come un padre, come un amico, come la sua unica sicurezza, come un esempio. E nella percezione di Sam si mescolava quella di Castiel, abbandonato completamente all’adorazione più completa.

Tutta la sua vita gli scorse davanti, vista dagli occhi di Sam; rivide le loro corse in macchina, percepì la tristezza di averlo deluso, percepì la gioia di averlo reso felice, la contentezza di aver fatto qualcosa per cui il suo fratellone era fiero di lui. Rivide l’arrivo di Castiel, e si vide negli occhi di Sam e si sentì liberato: Sam sapeva, e aveva saputo ben prima di lui, anzi forse l’aveva sempre saputo a differenza sua, ma questo non aveva cambiato niente, anzi, l’aveva reso ancora più fiero. Proseguendo sul viale dei ricordi, Dean si vide morire: e nel sentire il dolore di Sam sentì, ancora più forte, la disperazione di Castiel. In suo fratello percepiva tristezza, cordoglio ma anche serenità, consapevolezza, attesa, comprensione. Le emozioni di Sam erano quanto mai confuse con quelle dell’angelo in quella scena; Castiel sembrava spezzato, disintegrato, come se a morire fosse stato lui. E per quanto strano potesse sembrare, si riconobbe in quella sensazione di vuoto, in quella disperazione cocente, quel senso di morte interiore: era la stessa cosa che aveva provato Dean quando era stato Castiel a morire. 

Poi la scena cambiò, e vide la sua pira, sentì le preghiere di Sam a Jack perché vegliasse su di lui, e sentì anche suo fratello rivolgerglisi direttamente, per dirgli che capiva, che andava tutto bene, che si sarebbero rivisti presto. Vide Sam guidare la sua baby, incontrarsi con Eileen, baciarla: li vide scegliere una casa, appendere le armi al chiodo, andare prima da Jody e le ragazze, poi da Garth e tutti i loro amici ancora vivi, con delle buste in mano per invitarli al loro matrimonio, li vide sposarsi, sentì la sua gioia, sentì le preghiere di Sam ogni sera, in cui gli raccontava di come la sua vita stesse percorrendo, di come sperava che Dean fosse fiero di lui. Poi vide Eileen con un grosso pancione e il viso tutto rosso per lo sforzo, con Sam che le teneva forte la mano mentre lei spingeva, circondata da infermieri e ostetriche in un lettino d’ospedale. Sentì forte l’emozione di Sam nel sentire il primo vagito di suo figlio, e fu come se quell’emozione fosse anche sua, come se fosse stato lì. Lo sentì dire alla dottoressa che si chiamava Dean, e poi lo vide crescere, fare i primi passi, e sentì Sam e Eileen raccontagli le storie della buonanotte: parlavano tutte di suo zio, dell’eroe che aveva salvato il mondo, del suo angelo custode Castiel, e di tutte le loro avventure, seppure un po’ romanzate. 

E Dean percepiva nelle sue parole la stima che suo fratello aveva per lui, l’affetto, il modo in cui faceva ogni passo nella consapevolezza che lui ne era fiero. 

L’uomo era già abbastanza sopraffatto, ma Castiel non aveva finito di mostrargli ciò che doveva; evidentemente, anche Eileen gli aveva recapitato un messaggio, mostrandogli la propria gratitudine per aver sempre protetto Sam, per averlo reso l’uomo che era. Tutto nella mente della donna diceva che era merito suo.

Quando Castiel abbassò la mano dalla spalla di Dean, liberandolo dalla visione, lui si accorse di essere rotto dal pianto. Non delle semplici lacrime, non degli occhi gonfi di gocce salate che non volevano scendere: ma un vero e proprio pianto liberatorio, di quelli che non si era mai veramente concesso se non nell’intimità della sua stanza, e a volte in realtà neanche in quel caso. I singhiozzi gli rompevano il respiro, le lacrime gli ruzzolavano in lunghe autostrade salate sul viso arrossato. Si aggrappò a Castiel con entrambe le mani, e lui lo strinse a sé, lasciando che affondasse il viso nella sua camicia stropicciata. Posò il capo sul suo, tenendolo forte, e lasciò che tirasse fuori tutto ciò che aveva dentro.

Mai Dean si era sentito tanto libero come in quel momento. Mai si era sentito amato come in quel momento. Mai, sicuramente, si era sentito capace di affrontare qualunque timore con la stessa forza, sicurezza e consapevolezza che quelle lacrime gli stavano dando, trascinando fuori da lui ogni stilla di odio, di delusione, di avversione che poteva ancora avere per sé stesso.

La strada era ancora lunga perché potesse vedersi nello stesso modo in cui le persone che lo amavano lo vedevano veramente, e forse non ci sarebbe mai arrivato del tutto, ma non importava. Era amato, e poteva amare. 

Per cui gli sembrò del tutto naturale quando, tra il pianto e i “grazie” che mugugnava contro il petto di Castiel, le sue mani si mossero da sole per liberargli i bottoni dalle asole.



 

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Capitolo 10
*** Faithfully from Heaven ***


NdA. Come promesso, ecco il punto di rottura. Spero che il capitolo vi piaccia, io ne vado molto fiera. Le due canzoni che lo ispirano sono Faithfully dei Journey, e Heaven, di Bryan Adams. Piccola chicca: la versione di Heaven in link nel titolo è cantata niente di meno che da Jensen Ackles.


 


CAPITOLO X
Faithfully from Heaven 

 

Oh boy, you stand by me
I'm forever yours, faithfully

 

Oh once in your life you find someone
Who will turn your world around
Bring you up when you're feelin' down
Yeah nothin' could change what you mean to me
Oh there's lots that I could say
But just hold me now
'Cause our love will light the way

 

Circus life
Under the big top world
We all need the clowns
To make us smile
Through space and time
Always another show
Wondering where I am
Lost without you

 

And baby, you're all that I want
When you're lyin' here in my arms
I'm findin' it hard to believe
We're in heaven
Yeah and love is all that I need
And I  found it there in your heart
It isn't too hard to see
We're in Heaven, yeah

 

And being apart ain't easy on this love affair
Two strangers learn to fall in love again
I get the joy of rediscovering you
Oh boy, you stand by me

 

I've been waitin' for so long
For somethin' to arrive
For love to come along
Now our dreams are comin' true
Through the good times and the bad
Yeah I'll be standin' there by you

 

I'm forever yours

 

You're all that I want
You're all that I need

 

Faithfully

 

 

«Dean, ti prego…», lo fermò Castiel. «Sei turbato»

Dean sentiva le sue mani tremare, ma non aveva nessun tremore dentro. «No… No, Cas. Sono— non sono mai stato più sereno», disse. «I-Io… non voglio più aspettare. Sono stanco di aspettare. Sono stanco di frenarmi— io… sarò sempre un maledetto casino, e farò un sacco di errori ma… non voglio farne adesso, adesso voglio solo… lasciarmi andare a quello— io voglio te, Cas, e ci ho messo anche troppo tempo per capirlo e troppo tempo per accettarlo e adesso ogni istante di attesa è un tormento…»

Castiel gli prese il viso tra le mani e affondò le dita tra i suoi capelli, spingendosi contro di lui, labbra contro labbra. «Allora lascia che te ne liberi…», gli sussurrò sulla bocca schiusa. Dean fremette, poi attorcigliò le braccia al suo collo e lo tirò ancora più a sé, finendo per franare insieme sul divano. 

L’angelo fermò la caduta con un braccio, socchiuse gli occhi nel bacio e li fissò in quelli dell’altro, poi gli aprì le labbra a forza e ci si insinuò. I loro respiri si confondevano. 

Dean ruotò i fianchi per scontrarli contro quelli di Castiel, provocandogli un gemito rauco. Le mani dell’uomo correvano lungo tutto quel corpo sopra di lui, incapaci di scegliere un solo punto su cui fermarsi. Alla fine si decisero a finire il lavoro iniziato, sganciando un bottone dopo l’altro. Le dita calde di Dean avanzavano decise, come mosse da un potere proprio: forse era vero che non aveva mai sfilato dei vestiti a qualcuno con cui condivideva forme e taglie, ma si rese conto che non era poi una grande mancanza. 

La passione è passione verso chiunque sia rivolta, soprattutto se coinvolge qualcuno che ami tanto quanto Dean sentiva, in quel momento, di amare Castiel. 

Con i polpastrelli gli sfiorò le costole e correndo su tutta la loro lunghezza risalì prima verso lo sterno, poi fino alle spalle, insinuandosi sotto gli strati di vestiti che ancora nascondevano quel corpo alla sua vista con la sola esclusione del sottile triangolo della camicia aperta. Dean si separò dalle labbra di Castiel, scostò un po’ il viso per guardarlo mentre tentava di sciogliergli il nodo della cravatta; non era abituato a farlo da quell’angolazione, ed era troppo impaziente per imparare in quel momento, così semplicemente infilò le dita nel colletto e la sfilò in un paio di strattoni, lasciandola cadere sul pavimento. 

Gli occhi di Castiel gli arroventavano la pelle celata dalla stoffa e Dean sentiva il calore scorrergli sul viso come lava che risaliva dal petto fino al collo e le guance. Gli riportò le mani sulle spalle e spinse perché camicia, giacca e impermeabile scivolassero via in un colpo solo. Castiel lo aiutò, senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi verdi, provocandogli scosse di eccitazione e adrenalina: spostò un braccio e poi l’altro, mantenendosi eretto sopra di lui con un’espressione famelica e stupefatta insieme. 

Dean gli liberò finalmente i muscoli tesi, e sospirò: aveva gli occhi erano accesi di uno sguardo estatico, la bocca piegata in una piccola “o” da cui l’aria entrava e usciva al tempo aritmico del suo cuore. In vita sua aveva visto molti corpi nudi o seminudi. Per lavoro o per svago, dal vivo o su uno schermo. Aveva accarezzato donne bellissime, alcune dalle morbide curve femminili, altre androgine; alte e meno alte, più e meno giovani, dalla pelle chiara come la panna o scura come l’ebano. A volte aveva nascostamente percorso con lo sguardo le forme di qualche ragazzo. 

Con le mani ai lati della sua testa, il torso nudo dalla cintola in su, vestito solo dei pantaloni neri del suo completo, Castiel non era forse il corpo canonicamente più bello che avesse mai visto, ma per lui era semplicemente perfetto. Il solo guardarlo, dopo anni passati solo ad immaginarlo, copriva di brividi tutta la pelle di Dean. Castiel non era mai stato un tipo muscoloso o statuario, esattamente come non lo era lui: non era il tipo da braccia gonfie, trapezi sporgenti, addominali perfettamente definiti e pettorali larghi e pieni. Piuttosto era atletico e asciutto, la sua pelle era morbida ed elastica, calda, le sue spalle erano stondate ma forti, le sue braccia mostravano appena il segno dei bicipiti, il suo petto era snello e flessuoso e il suo addome piatto e compatto. Tutto in Castiel gridava normalità, eppure Dean poteva sentire sotto quella pelle leggermente olivastra il potere sovrannaturale che nascondeva, e ne era rapito: poteva percepire attraverso ogni stilla del suo essere il desiderio che gli montava dentro. Si leccò le labbra. Con gli occhi accompagnò le proprie mani, beandosi del respiro tremante e spezzato che il suo tocco provocava in Castiel. 

Anche il suo respiro era spezzato. Si sentiva di nuovo quindici anni più giovane. Si sentiva invincibile e spensierato, innamorato ed eccitato. La sola consapevolezza che era lui, un semplice, piccolo e incasinato uomo, a scatenare quelle reazioni umane e sovrumane nella creatura celeste davanti a lui, la creatura che era caduta, si era rialzata, si era fatta uomo, si era sacrificata, aveva perso le ali, aveva accettato il suo destino, l’aveva combattuto, che lui aveva chiamato amico e fratello, lo sconvolgeva.

Con un largo sorriso che gli illuminava il viso arrossato, incatenò di nuovo le pupille a quelle di Castiel, fece scorrere le mani fino ai suoi capelli e lo tirò a sé. L’angelo si lasciò guidare, docile, dentro quel bacio. Dean spostò i palmi sulle sue guance per tenere i loro visi vicini e gli morse il labbro inferiore. La sua bocca gli scivolò sul suo mento e percorse tutta la linea della mandibola fino al lobo del suo orecchio, per poi ridiscendere, abbandonando baci roventi e incalzanti lungo il suo collo fino all’incavo della spalla, dove affondò il viso. Castiel emise un lungo suono gutturale, la sua pelle emanava luce e calore a ogni piccolo tocco di Dean. Quando i denti dell’ex cacciatore affondarono nella pelle della sua spalla, l’angelo inspirò rumorosamente, spalancò gli occhi azzurri e sorreggendosi con un solo braccio usò l’altro per costringere Dean sui cuscini del divano, tenendolo fermo mentre opponeva resistenza. 

Una bolla di eccitazione gli esplose nel ventre, mentre guardava dal basso Castiel che spostava il peso sulle ginocchia ai lati dei suoi fianchi lasciando che i loro bacini si toccassero, impedendogli di spostarsi. Con entrambe le mani il serafino afferrò i bordi della sua maglietta e gliela sfilò da sopra la testa insieme alla felpa, per poi lanciarle da qualche parte oltre al divano. Adesso erano entrambi a torso nudo, bloccati in un’impasse. Castiel si fermò a guardarlo, e Dean si sentì vulnerabile; un’emozione che non aveva mai veramente apprezzato. Quello che gli stava riservando il serafino non era lo sguardo malizioso ed eccitato che gli era stato spesso rivolto dalla ragazza di turno; non era il tipo di sguardo che lo divertiva titillando il suo ego: no, era uno sguardo adorante e innamorato, eppure possessivo. Era come se attraverso le linee tese del suo corpo Castiel potesse vedere oltre, vedergli dentro. Il suo sterno si abbassava e si alzava al ritmo scostante dei suoi respiri, finché Dean non riuscì più a sopportare di essere guardato così. 

Non era ancora pronto a quel tipo di sguardo, non era ancora sicuro di meritarlo davvero. 

Così cerco di sollevare il busto per avvicinarsi, ma Castiel glielo impedì: con una sola mano gli afferrò i polsi e glieli bloccò sopra la testa, avvicinando pericolosamente i loro corpi seminudi. Dean sentiva il calore della sua pelle, le vibrazioni del suo respiro, il suono del suo cuore, i brividi che sembravano passare dalle membra dell’uno a quelle dell’altro. E in quella vicinanza, ancora troppo distante, cercava con tutto sé stesso di colmare quei pochi millimetri che ancora separavano il petto di Castiel dal suo. Si divincolò, cercò di ruotare i fianchi, di inarcare la schiena, di spostare le mani, ma non c’era modo: in confronto all’angelo Dean non era che un fuscello, e per spezzarlo a Castiel sarebbe bastato anche solo un millesimo della sua vera potenza.

La consapevolezza di essere completamente succube, di non avere alcun potere in quella situazione, di essere per la prima volta dall’altra parte della barricata, alla totale mercé di Castiel, lo fece esplodere di eccitazione e desiderio. Il suo respirò accelerò, non era più capace di accumulare abbastanza aria senza respirare con la bocca; i suoi occhi erano spalancati, le pupille dilatate, il cuore martellante. Immobilizzato come era, con solo la testa in grado di spostarsi un poco, la inclinò per poter sfiorare con lo sguardo la sottile ma dolorosa fessura creata dai loro corpi paralleli. Le labbra di Castiel erano così vicine alle sue, eppure così irraggiungibili. Si sentì sul punto di pregarlo di colmare quello spazio.

Fu allora che lo colpì, la consapevolezza. I suoi occhi verdi si spostarono in quelli di Castiel in cerca di conferma. «Mi stai torturando…», soffiò, la voce ridotta a un ringhio.

«Mi sto solo godendo la vista di Dean Winchester che si lascia sopraffare da un bambino con l’impermeabile», sussurrò l’altro vicino al suo orecchio, talmente vicino da solleticargli la pelle. Lunghi brividi gli corsero lungo il collo. 

Dean deglutì e sbatte le palpebre. «Smettila»

«Di fare cosa?»

«Di fare co—», grugnì nel tentativo di essere sarcastico. Aveva un’espressione esasperata e infiammata insieme. 

«Sì…», insistette Castiel. «Cos’è che vuoi, Dean?», chiese con una punta di finta innocenza.

Dean aveva il fuoco dentro. «Per fav—»

«Credevo che tu non… pregassi», lo schernì l’angelo, continuando a percorrere con il respiro la linea della sua mandibola. «Credevo che per te fosse come… com’è che hai detto? Supplicare»

Dean tremava. «Smettila di fare lo stronzo…»

«Dimmi cosa vuoi»

La bocca di Castiel adesso era a pochissimi millimetri dalla sua, e lui non riusciva a pensare ad altro che era una maledetta sfortuna che non si fosse rimesso i jeans invece del pigiama; il suo corpo non era più sotto al suo controllo, ed era difficile mentire su cosa volesse.

«Basta… Cas… non—»

«Dillo»

«Baciami e basta, maledetto stronzo…», ringhiò, cercando inutilmente di liberarsi dalla stretta.

«Non mi sembra una gran preghiera»

«Sei proprio—»

«Dean»

L’uomo esalò un respiro tremulo, il desiderio gli gorgogliava dentro. «Cas…», tossicchiò e si corresse. «Castiel, ti prego…»

«Si, Dean?»

Il suono del suo nome sussurrato sulla sua bocca era come un incendio che gli irretiva i sensi.

«Baciami»

Castiel franò su di lui, gli liberò i polsi e fece scivolare le braccia sotto la sua schiena, stringendolo a sé in un abbraccio smanioso, pelle contro pelle, cuore contro cuore.

Libero dalla presa, con i muscoli doloranti per la resistenza che gli aveva opposto, Dean portò le mani sulle scapole dell’angelo, vi ci conficcò i polpastrelli, si lasciò affogare dal suo bacio. Poi le sue dita corsero più in basso, raggiunsero la base della schiena, sfiorarono le fossette di venere che si acuivano ad ogni movimento; sentì i brividi scorrere sulla pelle di Castiel ovunque passasse, ne percepì il calore della luce che divampava intermittente. Raggiunse il bordo dei pantaloni ed esitò. Bastò quell’incertezza a riportare Castiel alla realtà.

«Sei— va tutto bene?»

«Benissimo», rispose Dean, ansante. «Perché non… perché non ci spostiamo in camera?»

La vista di Castiel nervoso, tanto in contrasto con la determinazione di un attimo prima, riempì Dean di tenerezza e allo stesso tempo di ardore.

L’angelo si morse un labbro, ma non fece cenno di volersi spostare. «E la cena?»

«Sono sicuro che puoi riscaldarla dopo…»

«Ma…»

«La camera. Adesso

Dean era pronto ad andarci camminando, ma Castiel non la pensava allo stesso modo. In un fruscio furono sul letto, nella stessa identica posizione. 

«Non mi ci abituerò mai…», rise.

«Probabilmente neanche io»

Dean gli accarezzò i fianchi; gli avambracci di Castiel erano ancora intrecciati dietro la sua schiena. Riuscì a scostarsi, liberandosi dal peso del suo corpo per mettersi in una posizione più comoda. Poggiò le ginocchia sul materasso e sollevò il busto, e l’angelo lo imitò, fronteggiandolo. Dean si avvicinò per riprendere il bacio, ma l’altro lo guardò schivo.

«Hai esitato»

«E quindi?»

«Perché?»

«Non sapevo—»

«Non dobbiamo—»

«Cas—»

«Ti assicuro, non—»

«Cas!», Dean abbassò un po’ la testa, le sue labbra erano una linea tesa che si piegava appena in un sorriso malizioso, i suoi occhi scrutavano Castiel attraverso le ciglia. «Non sapevo come infilare le mani sotto i tuoi dannati pantaloni per raggiungere le tue belle chiappe, con questa maledetta cintura che hai addosso…»

Castiel arrossì, e Dean si godette quella piccola rivincita. Spinse i fianchi contro i suoi e gli afferrò le spalle per portarlo di nuovo incollato a sé, baciandolo con foga. Un piccolo gemito gli uscì dalle labbra quando sentì le mani di Castiel che scendevano lungo la sua schiena, giù, giù fino all’elastico del pigiama. 

Volle batterlo sul tempo; le sue dita gli scivolarono sull’addome, superarono l’ombelico e arrivarono ai pantaloni. Staccandosi di getto dal bacio, occhi negli occhi, Dean slacciò la fibbia e strattonò via la cintura in un gesto violento, lasciandola cadere sulla panca con un tonfo sordo. Poi si mosse di nuovo, tra baci e sguardi e respiri spezzati, e armeggiò impaziente con il bottone, che sembrava non voler cedere.

«Accidenti», imprecò, staccandosi dal bacio per capire dove stesse sbagliando.

Castiel sorrise, pose una mano sulla sua e cercò i suoi occhi. «Lascia fare a me», disse.

Dean annuì e si inumidì ancora le labbra, secche riarse e gonfie. Allontanò riluttante le mani dal corpo di Castiel e osservò i suoi movimenti fluidi mentre con un solo gesto si sbottonava i pantaloni e apriva la cerniera. Si sentì arrossire come un ragazzino alla sua prima esperienza; il calore gli invadeva le guance annebbiandogli i pensieri. Quando l’angelo sollevò gli occhi su lui, lo trovò rosso e affannato: aveva le mani sudate appoggiate sulle cosce ancora coperte dal pigiama, e fissava esitante la stoffa grigia, tesa, che intravedeva sotto la lampo.

«Va tutto bene?»

Dean deglutì, i suoi occhi tremolarono da una parte all’altra prima di incontrare quelli di Castiel. Sorrise e annuì, spostò le mani all’elastico dei suoi pantaloni e se li tolse. L’angelo lo imitò. Entrambi respiravano appena, non sapendo dove guardare, tanto avrebbero voluto immergersi in ciò che vedevano senza doverne scegliere un singolo segmento. Quando tutti e due ebbero le gambe libere, Dean tornò presto all’attacco. Dritto sulle ginocchia, il peso tutto sulle tibie, si sporse verso Castiel, scontrando ancora le labbra con le sue. Fece aderire i loro corpi e intrecciò le loro cosce, ansante.

Ormai non c’erano che pochi, sottili ed effimeri centimetri di cotone a dividerli. Niente che fosse in grado di nascondere ciò che entrambi provavano.

Con un braccio a far da bilanciamento intorno al busto di Castiel, Dean fece scorrere l’altra mano sui suoi fianchi; il suo tocco era sempre più timido via via che scendeva, finché non raggiunse il limitare dei boxer e si trovò di fronte a un bivio: se avesse esitato, Castiel avrebbe interrotto di nuovo il flusso dei loro movimenti, ma se non l’avesse fatto… ci pensò, ed effettivamente non avrebbe avuto niente da perdere. Deciso seppur tremante lasciò che le sue dita oltrepassassero l’elastico e si insinuassero su quel suo lembo di pelle ancora invisibile, all’attaccatura dell’anca. Castiel fremette, un’altra vampa di luce riempì la camera illuminata solo dalla luna. 

Tremavano entrambi, tanto incerti quanto impazienti. Dean spostò la mano sul gluteo di Castiel, approfondì il loro bacio e lo tirò a sé, facendo scontrare i loro bacini. Una scossa elettrica e un brivido eccitato e spaventato insieme gli corsero lungo tutta la spina dorsale, facendogli rizzare i capelli sulla nuca. Castiel inspirò rumorosamente e l’aria gli si fermò in gola; scostò un poco il viso, guardò Dean negli occhi e gli prese il volto tra le mani. I loro corpi pulsavano l’uno contro l’altro.

«Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata in tutti i millenni che ho vissuto», gli disse. Nei suoi occhi l’uomo poteva leggerci molte cose: brama, desiderio, attesa, bisogno, ardore, timore. Ma una spiccava sopra tutte le alte. «Io ti amo, Dean Winchester»

Tutta la tensione e la paura che Dean sentiva scemarono. Qualunque cosa fosse successa, qualunque cosa avesse provato, non aveva niente da temere: lui e Castiel avrebbero trovato il modo per affrontarla insieme.

«Puoi averla», soffiò, gli occhi fissi nei suoi.

Castiel gli accarezzò lo zigomo con il pollice, sul viso aveva dipinta l’espressione più sorpresa  e beata che si potesse immaginare. «Cosa?»

«Ogni parte di me». La sua voce era graffiata, il suo viso in fiamme. 

L’angelo non si trattenne più, un’esplosione luminosa uscì dal suo petto e in un attimo Dean si trovò con la schiena schiacciata sul materasso e le labbra dell’altro che gli scorrevano sul mento, poi sul collo. La sua grazia gli solleticava ogni atomo del corpo, connettendosi con esso. Castiel si fermò un istante a saggiare il suo pomo d’Adamo, poi scivolò sulla clavicola. Dean tremò di aspettativa, un mugolio emerse dalla sua gola. Aveva gli occhi serrati, le lenzuola strette nei pugni abbandonati lungo i fianchi. Castiel scese sul suo sterno, poi gli sfiorò il petto. Dean sollevò un ginocchio, strusciando la coscia contro il fianco dell’angelo. 

Il tocco leggero della corta barba di Castiel gli lasciò linee roventi lungo la linea degli addominali fino all’ombelico. Dean aprì la bocca per respirare, tremiti sempre più forti gli scuotevano il corpo e il rombo del cuore gli ovattava l’udito. Ogni suo muscolo era in tensione.

Castiel si sollevò un po’ guardandolo dall’alto: sentendosi osservato, l’uomo aprì gli occhi e lo vide sorridere mentre con le mani ripercorreva la strada spianata dai suoi baci fino ai suoi boxer. Ogni parte di Dean gridava desiderio. L’odore salino della sua pelle umida, appena intriso di ansia e aspettativa, riempiva l’aria della stanza. Ma Castiel esitò.

Stava per parlare di nuovo, ma Dean non ce la faceva più con tutte quelle parole. In un gesto impulsivo si portò le mani ai fianchi e finì di spogliarsi da solo.

Nudo, eccitato, vulnerabile.

Castiel assorbì ogni centimetro di quella vista, incapace di muoversi, terrorizzato alla sola idea di fare qualcosa di sbagliato.

Dean lo vide e prese un respiro profondo, appena tremolante. «Pudding!», esclamò in una risata nervosa, muovendo impacciatamente i fianchi in un moto circolare.

Al suo gesto inaspettato e improvviso Castiel arrossì, e un’espressione confusa gli apparve sul viso. «Dean, tutto mi sembra tranne che mollic—»

Quella reazione lo fece scoppiare a ridere, abbassando la tensione del momento. «Oh, ci puoi scommettere… infatti mi chiedo perché diamine tu stia esitando…», e così facendo gli afferrò una mano e se la portò all’interno coscia.

Non si aspettava che il suo corpo reagisse così violentemente. Il tocco delle dita di Castiel sulla sua pelle sensibile lo fece sussultare; un’onda di piacere e desiderio lo fece quasi affogare nel suo stesso respiro, e istintivamente sollevò i fianchi per andare incontro alla sua mano.

Spinto dalla reazione di Dean, Castiel si issò sopra di lui posando il peso lateralmente su un avambraccio, mentre con la mano libera gli accarezzava la coscia, su verso il ginocchio e giù verso l’inguine, in un movimento lento e pressante.

«Cas…», mugugnò Dean, incapace di attendere oltre. Il suo corpo era pervaso dai brividi, la sua voce era spezzata, gutturale.

Castiel stava sfiorando con i polpastrelli ogni suo lembo di pelle, evitando accuratamente di accarezzarlo dove Dean lo desiderava di più. «Si?»

«Non—», un gemito gli ruppe a metà la frase. «Non farmi pregare di nuovo»

«Per cosa?»

Dean non sapeva se Castiel volesse essere seducente, fargliela pagare per tutti quegli anni di attesa, fare lo stronzo oppure se avesse studiato tanto bene la sua cronologia dei siti a luci rosse da aver imparato perfettamente cosa avrebbe voluto avere da un rapporto in cui non fosse lui ad essere dominante. 

Ma una parte dell’uomo percepiva che Castiel stava esitando anche perché in cuor suo, proprio come lui, aveva paura. 

Esisteva un punto di rottura, tra il passato e il futuro, in ciò che stavano facendo in quel momento. Sicuramente si erano spinti molto oltre, ma c’era ancora un filo sottile che li teneva separati dallo stravolgere tutto. Superato quel limite, tagliato quel filo, tutto sarebbe stato diverso. Non sarebbe cambiato nulla, e insieme sarebbe cambiato tutto. E Dean aveva una paura fottuta di perdersi in quel cambiamento, di non saper più camminare su quel terreno sconosciuto. E anche Castiel, sicuramente, ne aveva. Forse lui aveva più paura per Dean, piuttosto che temere per la propria, di incapacità di camminare. Castiel sapeva benissimo cosa voleva, di questo lui ne era consapevole. Eppure esitava. In parte per torturarlo, in parte per rimandare quel momento decisivo in cui non ci sarebbero più stati un Dean Winchester il cacciatore e un Castiel l’angelo del signore: sarebbero diventati uno, avrebbero rotto il cerchio intorno al quale si erano rincorsi per anni, e si sarebbero uniti al centro, senza più possibilità di tornare indietro. Ma Dean era stanco. Stanco di pensare solo alle conseguenze, stanco di nascondersi, stanco di fare passi indietro e ritrarsi dal tocco di Castiel.

La presa stretta che adesso agognava non era quella che l’avrebbe risollevato dalla perdizione, ma quella che ce lo avrebbe potuto far precipitare. Eppure non c’era perdizione più bella, più profonda e oscura e eterna che potesse desiderare, di quella in cui tagliare quell’ultimo filo avrebbe potuto scagliarlo.

«Castiel», lo chiamò ancora.

«Sì, Dean»

Un gemito gli gorgogliò in gola, ma si costrinse ad aprire gli occhi e fissarli in quelli chiari e luminosi del suo angelo. Aprì la bocca per parlare, ma non gli uscì alcun suono. Il solletico che sentiva gli faceva tremare le cosce, gli faceva girare la testa. Non si era mai sentito così in tutta la sua vita. Così sul punto di rompersi. Deglutì, sbatté le palpebre. 

«Toccami», lo pregò.

E Castiel lo fece.

Un’esplosione di puntini luminosi si accese nel buio dietro le palpebre di Dean. Il sollievo e il piacere si diffusero dentro di lui come un liquido caldo. Con movimenti ritmici andò incontro alla presa di Castiel, accompagnandola, tra ansiti e bassi ringhi. 

Cercò di spostarsi con fatica, senza smettere di muoversi insieme alla sua mano, e tirò l’angelo a sé in un bacio accaldato. Era in caduta libera. Ogni spinta in quella presa era un metro in più nell’oblio.

Quando sentì di non poter reggere oltre, portò la sua mano su quella di Castiel, e lo fermò. Aprì gli occhi e gli sorrise, poi invertì leggermente i loro corpi, pregandolo con lo sguardo perché si lasciasse sopraffare anche solo per un istante. Mordendosi un labbro, con le iridi verdi che non sapevano dove posarsi, liberò anche Castiel dell’ultimo indumento che gli rimaneva indosso. 

Gli mancò il respiro.

Fino a quel momento ben poco se non la consapevolezza di trovarsi con quell’angelo che era comparso distruggendo un intero impianto elettrico undici anni prima era stato diverso dalle sue esperienze del passato. E la barba, certo. Anche il fatto che avessero tutti e due la barba, anche se sottile, era un cambiamento abbastanza evidente. 

Ma adesso aveva davanti agli occhi l’intero corpo nudo di Castiel, che di contro lo stava guardando esitante, insicuro, trattenendo il respiro. Dean si passò la lingua sulle labbra, fu pervaso da un tremito ma lo soppresse, prese un respiro profondo. Alzò gli occhi fino ad incontrare quelli di Castiel, aggrottati, scuri, impauriti.

«Sei bellissimo»

Bastò quello a trasformare la sua espressione corrugata in un sorriso in grado di illuminare  letteralmente tutta la stanza. 

Dean deglutì e prese coraggio. Voleva farlo da troppo tempo da farsi fermare da qualche stupido freno inibitore, da qualche stupida paura infondata. Sapeva esattamente cosa doveva fare perché era perfettamente consapevole di cosa, a parti inverse, lui avrebbe voluto, e di come l’avrebbe voluto. I loro corpi funzionavano allo stesso modo, e non si sarebbe lasciato sfuggire questo vantaggio: avrebbe dato a Castiel tutto il piacere e il sollievo e la gioia che meritava, che aspettava, che voleva.

Quando le dita di Dean lo sfiorarono, Castiel si irrigidì, i suoi occhi si spalancarono e dalla sua bocca uscì un respiro rotto, rumoroso. Poi si mossero e l’angelo si inarcò istintivamente, il suo petto si abbassava e si alzava allo stesso ritmo della mano dell’uomo. Dean si beò di ogni reazione, di ogni gemito, di ogni brivido e tremito e fascio di luce Castiel emettesse. Più si muoveva, più si sentiva sicuro, più le sue barriere di sabbia franavano sotto il vento della libertà, più voleva dare sfogo alla sua audacia e alla sua fantasia. 

Per quanto avesse creduto di aver represso quei pensieri in passato, la sua immaginazione sapeva benissimo cosa avrebbe voluto fare a Castiel se mai ce ne fosse stata l’occasione. E ora che l’occasione si era presentata, non si sarebbe trattenuto.

Con gli occhi fissi sul viso di Castiel, che faticava a mantenere la concentrazione, avvicinò la bocca alla sua coscia, mordicchiò piano, passò la lingua sulle piccole aree sollecitate dai suoi denti. Castiel gemette, il suo corpo pulsò, i suoi muscoli guizzarono. Dean assorbì ogni ansito del suo piacere come una pozione che alimentava il proprio.

«D-Dean», balbettò l’angelo.

Era consapevole che lo stava portando al limite, ma non aveva intenzione di fermarsi, e gli parve del tutto naturale colmare quell’ultima distanza: quando le sue labbra umide e calde lo abbracciarono, Castiel tremò e la luce si fece così forte che se Dean fosse stato vivo, sulla Terra, non ne avrebbe potuto sostenere lo vista. Ma in Paradiso poteva, e l’emozione che provò era un’esplosione di euforia.

Si sentiva la testa leggera. Il sapore di Castiel sulla lingua lo inebriava e sorprendeva allo stesso tempo. L’angelo si muoveva, dettava il ritmo, ormai completamente assorbito e abbandonato; aveva le mani aggrappate alle spalle di Dean, strette fino a conficcargli le unghie nella carne, ma a lui non importava. Anzi, quel lieve dolore lo spingeva a proseguire, aizzandolo e inebriandolo. Poi Castiel per sbaglio spostò un po’ la mano e sfiorò il punto dove un tempo si trovava la cicatrice che gli aveva lasciato. 

L’uomo ansimò, ma strinse gli occhi e si concentrò con tutto sé stesso per non fermarsi, mentre Castiel riversava inconsapevolmente in lui tutto ciò che stava provando. Come una supernova, Dean sentì detonare dentro di sé il vigore delle sue emozioni. Si vide muoversi ritmicamente tra le sue gambe attraverso i suoi occhi. La vigoria del suo desiderio si unì a quello di Castiel, fondendosi con la sensazione di sorpresa, di gioia, di sollievo, di piacere, d’amore. Le loro emozioni si confusero, Dean era incapace di distinguerle: chi dei due non era mai stato tanto felice come in quel momento in tutta la sua esistenza, lui o Castiel? Probabilmente entrambi. 

Sentì i brividi percorrergli tutto il corpo, l’angelo serrò ancora di più la stratta sulla sua pelle, forse ignaro della forza che stava usando. Dean non si fermò. Immerso in una bolla tra le sue azioni e il suo viaggio attraverso le sensazioni di Castiel sentì dentro di sé montare qualcosa che non sarebbe mai stato in grado di descrivere, neanche con tutte le parole più belle e profonde di ogni lingua del mondo, era qualcosa di troppo potente, di troppo struggente, per essere descritto. Era l’amore divino, qualcosa di totalizzante e annichilente insieme. Concentrandosi, sentì Castiel arrivare al limite, tendersi, spezzarsi e lasciarsi andare. Lo sentì dentro e fuori, sulla lingua e nello spirito.

Quando ansimante, pulsante, in preda agli spasmi, Castiel lasciò andare la presa sulle sue spalle interrompendo il loro collegamento, Dean si sentì quasi svenire. Deglutì, si passò il dorso della mano sulle labbra e si sdraiò accanto a Castiel, respirando a fatica. 

Lui aprì gli occhi con le palpebre tremanti, il respiro affannato.

«L’hai sentito»

Non era una domanda, ma Dean rispose comunque. «Sì»

«Non saprò mai descriverlo… ma potrò sempre mostrartelo»

«Posso mostrartelo anche io?»

Castiel annuì. Dean gli prese il volto tra le mani, e lo baciò con passione; cercò di imprimere in quel bacio ogni sua emozione, ogni suo sentimento, ogni sua frustrazione del passato spazzata via. Si concentrò sugli sguardi che avevano scambiato, su tutte le volte che l’aveva desiderato, su tutte le volte che l’aveva perso, su quelle in cui l’aveva ritrovato. Si concentrò sulla sua prima confessione, in uno dei momenti più bui di tutta la sua esistenza, sulla prima volta in cui gli aveva detto “ti amo”. Si concentrò sul momento in cui aveva capito, a sua volta, di amarlo. Pensò ai loro baci, alle loro parole, alle loro carezze, alla soddisfazione e il piacere impareggiabili e indescrivibili che aveva appena provato, quale causa della sua felicità. Poi i suoi pensieri scivolarono su qualcosa di nuovo che emergeva dalle profondità del suo essere, formandosi sulla scia della sua immaginazione: era desiderio, era volontà, era sicurezza.

Si staccò dal bacio trovando gli occhi di Castiel spalancati di fronte ai suoi, umidi, grandi, amorevoli.

«Ne sei sicuro?»

Dean annuì, il cuore gli martellava nel petto. Si stese di schiena sul materasso e in un istante Castiel gli fu sopra, sorreggendosi su una mano, incastonato tra le sue ginocchia aperte. I loro occhi si incontrarono, Dean aveva il respiro tremante ma lo sguardo sicuro. Con due dita della mano libera, Castiel gli sfiorò la fronte: un fascio di luce dorata si sprigionò lieve, rilassandolo completamente. Dean sentì ogni suo muscolo distendersi e un’umidità oleosa diffondersi dentro di lui; gli venne da ridere.

«Non ti pare blasfemo usare la grazia per questo?», esalò.

Castiel piegò le labbra in un sorriso. «Non vedo nessun migliore utilizzo possibile»

Con la stessa mano l’angelo percorse l’addome di Dean fino al punto in cui i loro bacini si scontravano, e iniziò ad accarezzarlo di nuovo, accompagnando la stretta e i movimenti ritmici a piccole vampate di grazia. L’uomo affondò la testa tra i cuscini dietro di lui, inspirò, chiuse gli occhi. Poi si ricordò dello specchio e si voltò per incontrare la sua immagine riflessa. 

Vide il sorriso di Castiel mentre lo toccava e vide il proprio viso rosso e la propria pelle sudata.
Vide il proprio corpo teso, pronto.
Si vide ruotare i fianchi e muovere le labbra come spinte da una volontà a parte, stregate dal potere del suo inconscio, quando parlò.

«Prendimi», pregò. E sembrava proprio una supplica.

Vide Castiel che lo guardava. 

E poi lo sentì, quando in un travolgente, singolo movimento, cessarono di essere due, e divennero uno.




 

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Capitolo 11
*** Just like heaven ***


NdA. scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare... lo scorso capitolo è stato un bel macigno, ma soprattutto mi sono persa nella lettura di una fanfiction stupenda su Ao3! Comunque sia, eccomi qui, con un capitolo abbastanza discorsivo e dialogico. Penso che questi due debbano recuperare parecchio e che debbano farlo parlando ancora un po' di alcune cose. Ci avviciniamo comunque alla fine, prevedo più o meno di finire con una quindicina di capitoli! Aspetto e spero nei vostri commenti, fatemi sapere cosa ne pensate!
 



CAPITOLO XI
Just like heaven

 

Show me, show me, show me how you do that trick
The one that makes me scream" he said
"The one that makes me laugh" he said
And threw her arms around my neck

 

You
Soft and only
You
Lost and lonely
You
Strange as angels
Dancing in the deepest oceans
Twisting in the water
You're just like a dream
You're just like a dream

 

Al suo risveglio, Dean fu colpito da due cose. Prima di tutto, era ancora completamente svestito. Il che portava direttamente alla seconda constatazione.

«Buongiorno», lo salutò Castiel, baciandogli la cima della testa.

Con un grugnito, Dean alzò il capo dal petto dell’angelo per incontrare il suo sguardo. Si sentiva strano, smarrito e beato insieme.

«Che ore sono?»

«Quando ti toglierai di dosso questa abitudine umana agli orari?»

«Mai», rispose Dean, con la voce ancora arrochita dal sonno, ancora incapace di formare frasi più lunghe di tre parole.

«Presto»

«Uhm»

Assorbendo ogni singola sensazione, Dean estese la sua percezione ad ogni terminazione del suo corpo. Sdraiato su un fianco, un braccio di Castiel a cingergli le spalle facendogli da cuscino, una sua gamba avvolta a quelle di lui, la propria mano abbandonata sull’addome dell’angelo, uno strano nodo gli stringeva lo stomaco. 

«Tutto bene?»

«Sì»

Pur non vedendolo, Dean avrebbe scommesso che Castiel lo stava guardando con la fronte aggrottata. 

«Dean?»

«Sto bene, Cas…»

«Dean»

Con un sospiro a metà tra uno sbuffo e un ruggito, sbadigliando, Dean si liberò da quell’incastro di membra e si tirò su a sedere, poggiando la schiena contro la testata del letto. Il suo sguardo si perse oltre la finestra, nelle distese di lavanda appena illuminate dal sole mattutino.

«Non… è solo che…», Dean grugnì. «Prima il caffè, poi le parole, okay?»

Castiel piegò la testa di lato, guardandolo in quel suo strano modo, senza battere le palpebre. «D’accordo»

E così dicendo sparì e riapparve, nel giro di un battito di cuore. 

«Cas…», Dean tossicchiò, un sorriso divertito gli apparve ai margini delle labbra. Con un piccolissimo cenno del capo accompagnato dal movimento delle sopracciglia indicò il petto di Castiel, la cui pelle luccicava sotto la luce dei raggi solari.

«Sì, me ne sono accorto»

«Già, sei ancora nudo»

Castiel annuì, guardandolo come se fosse un dato di fatto che non aveva bisogno di essere sottolineato, poi si mosse per schioccare le dita, ma Dean lo fermò afferrandolo per il polso.

«C’è una cucina»

«Ne sono consapevole»

«E immagino anche una macchinetta del caffè»

«Certamente»

«Allora che ne pensi se invece di andarlo a prendere in… Jamaica—», tentò.

«Honduras»

Dean gli mostrò il palmo della mano ruotando il polso, accompagnando il gesto con le parole, «Come ti pare… Honduras, d’accordo, ecco, che ne pensi se ce lo facciamo, il caffè?»

L’angelo soppesò le sue parole come se avessero un significato profondo. «D’accordo»

Così facendo, si alzò dal letto scostando le lenzuola. In piedi, investito in pieno dalla luce del sole, Castiel sembrava davvero un angelo del Signore: i suoi muscoli atletici, la sua pelle bronzea, la sua figura virile, longilinea e ben lontana dalle curve femminili a cui Dean era abituato. Il nodo nel suo stomaco si fece più stretto. Controluce Castiel non nascondeva nessuno dei suoi tratti maschili, a partire dalla diffusa peluria che un tempo era appartenuta a Jimmy Novak. Deglutendo, Dean fece scorrere lo sguardo su quel corpo così familiare, eppure alieno. Mai in tutta la sua vita si sarebbe immaginato di svegliarsi una mattina abbracciato a qualcuno così; mai si sarebbe immaginato di svegliarsi sentendo ogni muscolo del suo corpo perfettamente illeso dopo aver passato la notte con un uomo, dopo aver usato parti del suo corpo che non aveva mai esplorato prima. 

Non che Castiel fosse effettivamente un uomo, questo Dean lo sapeva. Tecnicamente era un angelo e gli angeli non avevano genere né sesso, e Castiel in passato era stato anche in corpi femminili. Eppure Dean aveva finito per innamorarsi di lui in quel tramite, con il “vestito di carne” che aveva un tempo avvolto l’anima di un normalissimo, decisamente etero e molto devoto marito e padre di famiglia. I suoi occhi accarezzarono per un istante le natiche di Castiel, e un calore inaspettato si diffuse sul suo viso, al pensiero della notte precedente. Si costrinse a distogliere lo sguardo. 

Quando lo guardò di nuovo, Castiel lo scrutava con uno sguardo indecifrabile, già vestito da capo a piedi nella sua consueta tenuta da esattore delle tasse.

«Senti…», tossì cercando di reprimere il leggero disagio che lo attanagliava. «che ne dici di provare un altro… abbinamento di vestiti?»

«Cioè?»

Dean tentennò la testa, muovendosi nelle coperte senza scoprirsi del tutto. Si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle sue gambe incrociate davanti a sé. «Non lo so… qualcosa di meno… uhm…»

«Da esattore delle tasse?»

«Esattamente», sorrise.

«Cosa suggerisci?»

Dean alzò le spalle. «Stavi bene…», si grattò la nuca, «…sai, quando eri umano… con…»

Castiel strizzò gli occhi, come se stesse cercando di ricordare. «La felpa?»

«No, no…», rispose l’altro, scuotendo la testa. «…prova con un paio di jeans e una camicia…»

«Non è il tuo tipico abbigliamento?»

«Adesso!», grugnì Dean, quasi esasperato. Poi ci pensò. «Aspetta…», disse.

Con una mano sulle lenzuola per evitare che gli scivolassero via dalle gambe, usò l’altra per cercare i boxer. «Accidenti!», imprecò.

«Dean, lo sai che ti ho già visto nudo, vero?»

«Non è— io…», ma non trovò nulla da dire, così rimase in silenzio, passandosi una mano sulla faccia per dissimulare la tensione.

«Cosa ti prende?»

«Io… nulla, davvero, Cas»

Castiel lo scrutò. Il suo sguardo era profondo e stranito, quasi diffidente. «Hai dei rimorsi su stanotte?»

«Cos— no, Cas… Castiel, no. Non è questo…»

Così dicendo Dean si abbandonò a uno sbuffo frustrato, si passò la mano sul viso un paio di volte e poi si alzò dal letto, in tutta la gloria del suo corpo nudo. Nonostante quello che avevano condiviso quella notte, però, si sentiva vulnerabile, insicuro. Per dissimulare si stampò un sorriso e un’espressione sciocca sulla faccia, allargò le braccia e fece una piroetta. 

Castiel, di contro, lo guardò ancora più sospettoso. Le sue labbra erano socchiuse, e Dean poteva vedere che dietro la sua espressione titubante si nascondeva qualcosa di diverso, di più profondo. Brividi caldi gli corsero lungo tutta la schiena quando Castiel si passò la lingua sulle labbra, in un gesto apparentemente involontario, facendo scivolare lo sguardo su tutta la sua pelle, da capo a piedi. Poi distolse gli occhi, si voltò verso l’armadio e schioccò le dita. Senza neanche rendersene conto Dean si ritrovò vestito degli stessi abiti della sera prima, con la felpa e la maglietta bianca sopra a dei morbidi pantaloni del pigiama. 

D’improvviso si sentì colpevole, ma ignorò il pensiero, scosse la testa e deglutì, avvicinandosi all’armadio.

«Allora…», iniziò aprendo le ante in cerca di qualcosa da far indossare a Castiel. «…questi dovrebbero andare bene», disse tirando fuori un paio di pantaloni blu scuro. Era il tipo di indumento casual abbastanza versatile; abbastanza da “tutti i giorni” e abbastanza da “agente della polizia sexy”, inoltre potevano tranquillamente essere abbinati a una giacca dello stesso tessuto e colore come a una camicia o una maglietta più informali. Ma soprattutto richiamavano perfettamente la sfumatura di blu nell’esterno delle iridi dell’angelo. «Con… questa, per adesso…», continuò prendendo una maglietta bianca con il colletto a camicia. «Com’è che si chiama… pal— pul… polo!», concluse schioccando le dita e indicando Castiel con un occhiolino.

L’angelo lo guardava ancora, un sopracciglio ancora piegato verso l’altro in un’espressione che Dean avrebbe potuto definire come insicura, ma gli sorrise. Un sorriso tenero e incerto, ma che gli illuminò lo sguardo.

Senza neanche toccare i vestiti, in un battito di ciglia Castiel indossava già l’outfit scelto da Dean, che lo studiò con un sorriso sempre più largo.

I pantaloni blu notte perfettamente tagliati all’altezza del tallone, della giusta misura intorno alle cosce, alti al punto perfetto dei fianchi, abbracciavano perfettamente le gambe dell’angelo, dandogli un aspetto slanciato e rifinito. La polo a sua volta gli fasciava perfettamente il busto, mostrando lievemente le pieghe del petto e definendo con il taglio delle maniche i muscoli asciutti ma guizzanti delle sue braccia. Inavvertitamente Dean si trovò a fissarlo, affascinato e attratto.

«Allora?»

«Perfetto», la voce gli uscì più bassa e gutturale di quanto volesse, e Dean si sentì costretto a voltarsi per raffreddare il suo spirito, «Ora, caffè»

 

*****

 

Seduto al tavolo da pranzo della cucina con la sua tazza fumante tra le mani e gli occhi affogati nel liquido scuro e fragrante al suo interno, Dean mugugnò un suono di inarticolata soddisfazione. Sentiva lo sguardo di Castiel su di sé, delicato eppure pungente. Sapeva che doveva in qualche modo tirare fuori quello che aveva dentro, parlare di quello che gli passava per la testa, ma non sapeva neanche lui che cosa fosse, né da dove iniziare.

«Dean»

«Cas»

Alzò gli occhi sull’angelo, trovandolo con la testa leggermente piegata e un paio di piccole rughe a solcargli la pelle tra le sopracciglia.

«Come stai?»

Dean aprì la bocca per rispondere “bene” in un riflesso involontario, ma si frenò. Inghiottì un lungo sorso di caffè per buttare giù il nodo alla gola e si passò una mano sulle labbra, strofinandole tra le dita. «Senti, Cas… onestamente non lo so, okay?»

«È per quello che è successo stanotte? Dean, io non avrei voluto… tu—», Castiel sbuffò. «Se hai rimorsi—»

«No, Cas, fammi parlare»

Castiel chiuse le labbra, le piegò in un sorriso delicato. «Ti ascolto»

«Non ho rimorsi», iniziò subito Dean, scegliendo di partire da qualcosa di cui era assolutamente certo. «Non potrei mai averne… penso ogni cosa che ti ho detto, ho voluto ogni cosa che abbiamo fatto— e la voglio!», si affrettò a dire, vedendo la preoccupazione affiorare sul viso di Castiel. «È solo che io non ho mai… insomma, non mi era mai successo prima e anche se non ho rimorsi, e anche se io ti— beh, insomma, nonostante quello che provo per te, quello che c’è tra noi io… uhm, certo, ho sempre guardato alcuni uomini, non posso certo negarlo ma io…»

«Dean, abbiamo già parlato di questo…»

«Sì, lo so, ma il punto è che…», Dean era già esasperato. Bevve un altro po’ di caffè, si raddrizzò sulla sedia. «…so che gli angeli non hanno genere e sesso, e so quale è la tua vera forma e… beh, è una cosa pazzesca ma anche spaventosa… e il fatto che tu sia… quello, e che su sia dentro a questo», fece un gesto con le mani, indicando il corpo di Castiel. «…mi confonde»

«Non c’è molto su cui confondersi… io sono un angelo, è vero, e per natura non sono né maschile né femminile, anche se devo dire… mi sono legato a questo corpo negli anni che è stato mio, è il corpo in cui— con cui mi sono presentato a te, quello in cui ho provato le prime emozioni, il dubbio… quello in cui ho capito di poter amare, e quello in cui ho amato… sai che però sarei disposto a separarmene se tu… se per te fosse più facile, io—»

«Cas…», Dean grugnì di nuovo e allungò il braccio per mostrare all’angelo il palmo della sua mano, perché smettesse di parlare. «…io mi sono… uhm… innamorato di te per quello che sei, dentro e fuori. E non— è solo che è difficile abituarsi e adesso che tu… che noi siamo andati ben oltre quanto io avessi mai immaginato per noi… è strano, è sconvolgente e io…»

«Dean»

«Aspetta, per favore… fammi parlare. Non sono bravo con le parole e voglio provarci perché voglio che sia chiaro, voglio— voglio fare le cose per bene, Cas…», Dean alzò gli occhi su Castiel. «Ho paura… e non ho paura perché sei un angelo nel corpo di un uomo, ma perché io sono un idiota e aspetta, prima di interrompermi, non sto dicendo che sono un idiota totale ma solo che sono incapace di tenermi strette le cose belle… per paura di perderle. E onestamente anche se non potrei mai dire di non aver avuto delle… boh, come chiamarle, cotte, forse? Beh, insomma, c’è stato Dr. Sexy e…», ci pensò un attimo, poi scosse la testa. «…ma non avrei mai creduto di riuscire davvero a… come dire— camminare su entrambe le sponde?»

«Quali sponde?»

Dean sbuffò. «È un modo di dire… sta per il fatto che qualcuno possa apprezzare sia la compagnia femminile che maschile, per…»

«Ah, parli del fatto che sei bisessuale»

«Per l’amor del cielo, Cas!», sbottò l’uomo. Poi sospirò. «…beh, sì, mi piacevano anche gli uomini, okay, quindi? Ma non avrei mai pensato che da fantasia diventasse realtà e forse per un po’… per tanto, anzi, non sono stato neanche consapevole che questa fantasia ci fosse! Diciamo che avevo questa sensazione dentro ma… in ogni caso, non si può negare che avessi una certa attrazione anche per le donne, quindi comunque era facile, sai, pretendere che il resto non ci fosse ma tu… tu hai cambiato tutto. E dopo quattro decenni passati ad autoconvincermi che non ci fosse niente di meglio di una pelle liscia e sottile, senza peluria, delle curve morbide… beh, rendermi conto che stare abbracciato a te che tutto hai tranne che questo mi ha reso…»

«Felice?»

«Eccitato, Cas. Eccitato»

«Oh»

Il rossore lieve che affiorò sugli zigomi di Castiel si rifletteva nei suoi. «E fa davvero strano dirlo ad alta voce, accidenti… ma è bene che mi ci abitui, perché tutto il mio corpo freme per saltare questo tavolo, piombarti sulle gambe e baciarti fino a non sentire più le labbra, okay? E voglio farlo, dal profondo. Soprattutto con questi vestiti nuovi… ma il punto è che è strano perché non avrei mai creduto di… trovare attraente qualcuno come te e quello che cerco di dire è che… anche se qualcuno come te mi fosse piaciuto, un tempo, non mi ci sarei mai avvicinato perché l’unico motivo per cui l’ho fatto e potrei farlo di nuovo è solo che quel qualcuno sei tu, ed è Castiel che amo, non Jimmy Novak e soprattutto…»

Dean neanche si accorse del movimento. Semplicemente le sue parole, troppo concitate, troppo veloci, troppo accatastate, troppo tutto, furono risucchiate via dalla sua bocca da un bacio delicato. Castiel aveva il suo viso tra le mani e le labbra sulle sue. Dean sentì tutta la tensione scivolare via, le sue dita gli corsero al collo, afferrando il colletto della polo per tirarlo a sé, e gli venne da sorridere nel bacio a quel gesto così istintivo.

Quando si separarono, i suoi occhi si persero nel blu delle iridi dell’altro. «Vedi, Cas…», ricominciò in uno sforzo sovrumano di reprimere il suono gutturale che gli risaliva da dentro. «…c’è questo film, Brokeback Mountain… non c'entra niente con noi, però comunque c’è una cosa… uhm… nel film i due protagonisti si amano ma non se lo dicono davvero, cioè stanno insieme ma per poco, perché hanno paura delle conseguenze e finiscono per sposarsi con delle altre persone e fanno delle scelte sbagliate e alla fine uno dei due muore e l’altro non lo sa e quando lo scopre è troppo tardi e…», tossì. «A me è capitato troppe volte, con te, di pensare che fosse troppo tardi…», rise, «…e proprio come Ellis ho finito per tenere il tuo impermeabile quando credevo che fossi morto in quel lago perché credevo che fosse l’unica cosa che mi sarebbe rimasta di te e… il punto è che non voglio rischiare questa volta. Non voglio che mi rimanga solo il tuo impermeabile, okay?»

«Ma…», Dean vide la frase scemare negli occhi di Castiel, come se avesse cambiato idea su cosa dire. «Non può succedere, davvero. Qui siamo in Paradiso, nel Paradiso che tu meriti, che io merito, che tutti meritano, e qui non ci sono mostri, non ci sono pericoli, non ci sono…»

«Ci sono io»

«E tu sei tutto fuorché un mostro, Dean… quante volte ancora devo—»

«Io voglio te perché sei te, Cas. E non perché sei un angelo e non perché sei un uomo e non ti vorrei di più o di meno in nessun altra veste… voglio te per quello che abbiamo vissuto insieme, perché sei tu e non so neanche spiegarlo, sono un coglione vero e proprio ma il fatto è che so… so che a volte potrei ritrarmi, so che potrei sembrare schivo, come stamani, ma non voglio che tu pensi che sia perché ho dei rimorsi, non ne avrò mai… come potrei avere rimorsi con te? Tu sei… una delle cose più belle che mi siano mai capitate. In tutto il brutto, il terribile, il male, il dolore, in tutto quello che ho vissuto e abbiamo vissuto, anche il tradimento, la… tutto, insomma, tutto quanto è successo… tu mi hai salvato, mi hai cambiato, mi ha aperto gli occhi e…», rise di nuovo. «…beh, sì, mi hai tirato fuori dall’armadio in un certo senso»

«Non… sei mai stato in un arm…»

«È un—»

«Un modo di dire, certo»

«Già», Dean gli prese il volto tra le mani. «Ti ho chiesto una volta di non cambiare mai… eppure l’hai fatto. Per me, con me. Ecco io posso provarci ma non posso prometterti che a volte non venga fuori il vecchio me e…»

«Ci penseremo lungo la strada», rispose Castiel, lasciandogli un altro bacio sulle labbra prima di tornare a sedersi.

Dean annuì. «E poi c’è un’altra cosa…»

«Cosa?»

«La prossima volta vorrei… farlo in modo più umano»

«In che senso?»

«È stato… beh, sì…», il ricordo delle sensazioni che aveva provato quella notte gli infuocò le membra, facendogli correre i brividi lungo la schiena. «…paradisiaco. Meraviglioso, davvero, Cas. Ho avuto tante, tante, esperienze sessuali nella mia vita eppure… non ti dirò che è stata la più bella perché non è questo il punto, e sarebbe una considerazione davvero… svilente per quello che è stato davvero. Posso solo dirti che se ho fatto tanto sesso in vita, raramente ho fatto l’amore e con te… con te vorrei fare l’amore per sempre»

Il rossore e il tremore che le sue parole scaturivano in Castiel lo riempivano di piacere, soddisfazione e tenerezza.

«…e il nostro legame è qualcosa che rende tutto ancora più speciale e davvero, questo posso dirlo, non ho mai provato niente di simile a quello che ho provato stanotte… e ne voglio ancora, ne voglio in eterno ma…»

«Ma?», la voce di Castiel era bassa, le pupille dilatate. 

Dean si passò una mano sulla bocca, fissando gli occhi sulle labbra di Castiel prima di leccarsi le proprie.

«Ma vorrei che non usassi la grazia la prossima volta… almeno, non per rendere le cose più facili»

Castiel parve preoccupato. «Ma, Dean… io—»

«Niente scuse alla Edward Cullen, Cas», l’angelo sembrò spaesato a quel riferimento, così Dean scosse la testa e continuò. «Sono un’anima, non puoi rompermi, e poi ci sono molti… strumenti che… sulla terra si usano per fare le cose… uhm… per bene, perché non… beh, ecco»

«Perché non facciano male?»

«Beh… si ma anche perché facciano bene!», Dean sentiva il viso in fiamme. «Vorrei… ecco, vorrei andare per gradi la prossima volta, prendere il giusto tempo per arrivare lì, sai per…»

«Fare s—»

«Sì, non serve che analizzi tutto in modo chirurgico. Insomma, vorrei farlo da essere umano, come se fossi ancora vivo, come se fossimo entrambi di carne ed ossa e voglio… sentirlo la mattina dopo, quello che abbiamo fatto, intendo— io voglio avere il tuo odore sulla pelle e sentire i muscoli dolenti e magari qualche livido, insomma… le cose normali, terrene»

«Va bene»

«Dovremo prendere alcuni prodotti…», pensò Dean perdendosi nella sua testa.

Immagini della notte appena trascorsa gli lampeggiavano nella mente, come fulmini nel buio, lasciandogli addosso una sensazione euforica e spaventata insieme. In un battito di ciglia rivide Castiel che gli accarezzava la pelle, che scendeva con le labbra sul suo addome. Vide sé stesso reclinare indietro la testa contro i cuscini, aggrapparsi alle lenzuola, con gli occhi fissi sull’immagine riflessa nello specchio, incapace di metabolizzare del tutto quelle sensazioni inusuali, potenti e inesprimibili, che lo sconvolgevano ad ogni movimento, che lo riempivano di scosse elettriche e di brividi. Vide il sudore imperlargli la fronte, una mano correre ai fianchi di Castiel per indirizzarne le spinte e l’altra a dettarne le carezze, il suo pomo d’Adamo fare su e giù lungo la gola in un tentativo disperato di inghiottire i propri gemiti. Sentì chiaramente i respiri ansanti che accompagnavano i loro nomi ripetuti all’infinito. Il tono gutturale e profondo della voce di Castiel che lo chiamava ancora e ancora. Vide le sue gambe piegarsi, i muscoli flettersi, i movimenti ritmici, bisognosi, che accompagnavano ogni parola, ogni suono. Si rivide impacciato, sbagliare angolazione, sbagliare ritmo, riprendere a muoversi ridendo tra i baci. E poi si vide raggiungere l’apice, le labbra schiuse alla ricerca d’aria, gli occhi fissi sul viso di Castiel che a sua volta si avvicinava al culmine, il suo petto che si alzava e si abbassava in preda agli spasmi. 

Non era stato perfetto, ma era stato meraviglioso, intenso, incredibile. 

Deglutì.

«Se qualcuno mi avesse detto qualche anno fa saremmo finiti davvero come Thelma e Luise…», rise.

«Non ci siamo buttati giù da un dirupo, mi pare…», Castiel ci pensò, «E comunque ce l’hanno detto diverse volte, se non mi sbaglio»

Dean soppesò il pensiero. «Effettivamente sì… Paradiso e Inferno! Avremmo dovuto ascoltarli…», ridacchiò, poi pensò al salto dal dirupo. «Peggio, direi», commentò. «Tu sei morto… quante volte esattamente? Sei?»

Castiel rise con lui. «Più o meno, sì», confermò. «Ma anche tu hai avuto la tua buona dose di dipartire, Dean»

Il suono del suo nome pronunciato da Castiel lo faceva sempre fremere. «Già… che idioti»

«Abbiamo salvato il mondo»

Dean sollevò gli occhi su di lui, un mezzo sorriso gli piegò le labbra. «Fin troppe volte, e a che prezzo?»

«Non meritavi di avere tutto quel peso sulle spalle»

«Nessuno ha mai ciò che merita…», rispose Dean amaramente, sorseggiando un po’ del suo caffè.

«Ora puoi averlo, in Paradiso… con me, se vuoi»

L’uomo aggrottò la fronte. «Certo che lo voglio, mi pare che abbiamo superato abbondantemente la fase dell’insicurezza, no?», gli fece un occhiolino, «Penso di averlo detto abbastanza chiaramente stanotte cosa voglio, mi pare…»

Come previsto, Castiel fissò i suoi occhi blu sulle labbra di Dean, che non tanto sottilmente ci passò sopra la lingua, in un invito silenzioso. Quante volte avevano già fatto questo gioco, in vita? Quante volte si erano fissati a vicenda, visti e non visti, e avevano mantenuto le distanze nonostante dentro volessero tutt’altro. Dean se le ricordava tutte quelle volte, quelle in cui si era trovato troppo vicino, troppo tentato, e si era semplicemente barricato dietro il suo stupido orgoglio, dietro i suoi stupidi pregiudizi. Quanto tempo aveva perso.

Aggrappandosi a quel pensiero, buttò giù un altro sorso di caffè e poi fece esattamente quello che prima si era frenato dal fare. Spostò la tazza, saltò il tavolo come in un film western, posando una mano sulla superficie per issarsi dal suo bordo e saltare oltre quello opposto, e finì direttamente a un palmo da Castiel, che lo guardava con i suoi occhi spalancati, la bocca socchiusa e il respiro leggermente più veloce. 

Con il suo sorriso soddisfatto e compiacente, Dean chiuse la distanza tra di loro, posando le labbra sulle sue in un bacio prepotente. Gli prese il viso tra le mani e lo tenne contro il suo, con forza.

«Avrei dovuto fare questo…», un bacio all’incrocio delle labbra, «…quando sei riapparso dopo il lago…», sussurrò staccandosi dal viso di Castiel solo per il tempo necessario a parlare, «E in Purgatorio, davanti a Benny…», proseguì. «…e tutte le volte che mi hai sbattuto al muro, o io ho sbattuto al muro te… e in quella cripta…», ogni ricordo era accompagnato da un bacio ancora più bisognoso. «…e quando sono diventato una supernova per fare fuori Amara, e ogni volta che mi hai detto “vengo con te” e— alla cabina del telefono, soprattutto alla cabina del telefono…», sussurrò ancora, «…e dopo il sanatorio, quando mi hai detto di essere “maledetto”…»

«Volevo dirtelo allora», rispose Castiel nel tentativo di prendere il comando di quel gioco.

«Cosa?»

«Che ti amavo»

Un brivido corse lungo la schiena di Dean.

«Mi hai chiesto se mi sembravi un “porta fortuna”, io ho riso, mi hai chiesto “cosa” e io ti ho detto che non—»

«Non volevi mettermi a disagio»

«Già»

La consapevolezza colpì Dean come uno schiaffo, il suo viso si fece caldo, così vicino a quello di Castiel. «Così presto?»

«Oh… molto prima, in realtà. Anche se non so esattamente quando l’ho capito davvero, quando l’ho… messo in parole nella mia testa, diciamo»

«Molto prima?»

«Ti ricordi Anna?»

Dean annuì, il cuore gli batteva forte nel petto. I suoi occhi continuavano a guizzare tra le iridi di Castiel e le sue labbra morbide, così perfette. Deglutì.

«Quando l’hai baciata, io non sapevo cosa sentissi allora, ma era doloroso. Solo molto dopo ho capito che era invidia, nei confronti di Anna e gelosia, per te, e desiderio, struggimento… amore, in definitiva… eppure non ne sapevo niente allora, ma ricordo— ricordo che pensai di sentirmi a disagio perché, non so, lei era un angelo e noi…», scosse la testa. «Ma poi ricordo quello che ho provato quando ho saputo che voi due eravate andati oltre il bacio, e… vedi, io avevo abbandonato tutto per te, mi ero ribellato, avevo perso tutto, ero caduto e lei invece… lei non aveva fatto nulla, ma poteva averti e—»

Dean lo fermò con un bacio che gli svuotò i polmoni delle parole restanti. «Era presto, allora. Troppo presto. Non credo che sarei stato in grado di capire, di reagire nel modo giusto e poi…», ci pensò. «Sai, Cas… è vero che ho avuto sempre un occhio anche per i corpi maschili, e non posso negare di aver flirtato qualche volta, anzi spesso, anche con gli uomini, di solito per farmi strada in un caso, o solo per divertimento, ma in generale… ecco, tutto si era sempre fermato lì e non ci avevo mai davvero pensato almeno fino a quando… penso fino al Purgatorio. È stato lì… perderti, poi ritrovarti… lì ho capito, credo, che era diverso. Ed era diverso perché tu eri… beh, tu. E non sarebbe stato lo stesso qualche anno prima perché non avrei imparato a… insomma, a capirti… ad amarti, per ciò che eri, per ciò che sei— e anche allora, non potevo, non volevo, non capivo… perché sei stato tu ad insegnarmi ad accettare me stesso, a vedermi come qualcuno e non qualcosa, tu mi hai fatto capire che potevo… amare, vivere, meritare di meglio, ecco ma— poi quando l’ho capito è stato troppo tardi»

Questa volta fu Castiel ad interromperlo con un bacio che sapeva di necessità, di tempo perso da recuperare. «Adesso non c’è più il tempo a metterci limiti», gli soffiò sulle labbra. «Non importa quanto ne abbiamo sprecato in passato, entrambi convinti di non di non potere? Di non essere ricambiati? Io, perlomeno, ero convinto che non avrei mai potuto averti…»

«Lo so», rispose Dean in un sorriso, spostando le mani dalle guance di Castiel alle sue spalle. «Me lo ricordo… ed è colpa mia se credevi di non potermi avere— che arrogante, che idiota che… coglione che sono stato… sono riuscito a far credere a un fottutissimo angelo del Signore che io, un ridicolo essere umano, non l’avrei mai voluto… devo essere più bravo a fingere di quanto non dia a vedere…»

«Tu non sei un ridicolo umano, Dean»

«Sì, lo so, sono il più amorevole…»

«No, non è questo… è anche questo ma soprattutto… sei il mio essere umano, Dean. Quello che mi ha cambiato, quello che… che amo. E anche se tu fossi meno importante e incredibile di quanto io creda, per me sarai sempre la creatura più meravigliosa dell’intero creato…», il petto di Castiel si alzava e si abbassava aritmicamente, avvolto nella maglietta bianca, i suoi occhi luccicavano. «…tu non puoi neanche immaginare quanto tu… rifulgessi, in quell’abisso infernale. Eri un torturatore, è vero, ti hanno piegato laggiù ma nonostante questo, nonostante gli anni che hai passato all’inferno, tu eri… pura luce, almeno ai miei occhi e… anche in tutto il tempo che abbiamo passato insieme sulla Terra tu non hai mai smesso di brillare e— ci siamo feriti, a vicenda, moltissimo, troppo ma ogni volta che ti guardavo io non vedevo altro che un’anima meravigliosa, e poterlo dire ora, così apertamente, così… senza filtri, senza paura di metterti a disagio, è il dono più grande che abbia ricevuto in miliardi di anni di esistenza»

Dean tirò su col naso, sicuro di essere sul punto di non riuscire a trattenere le lacrime. Era incredibile quanto fosse diventato sensibile negli anni. Le dichiarazioni non avevano mai fatto per lui, le emozioni lo spaventavano a morte, ma con Castiel sembrava facile. C’erano voluti dodici anni della sua vita per arrivare fino a lì, per non distogliere lo sguardo istintivamente, per non buttare un discorso serio sul ridere pur di stemperare l’aria.

«Cas… io non—»

«Non devi dire niente, Dean. Come ti ho detto, la felicità per me è già racchiusa nell’essere libero di dirti ciò che sento… non puoi immaginare quanto mi renda felice anche averti…»

L’altro sorrise, gli baciò teneramente le labbra. La sensazione della barba di Castiel che strusciava sulla sua era inusuale, ma piacevole in un modo quasi struggente.

«Quando sei scomparso nel lago, per i Leviatani, sai…», tossì, «…uhm, ti ho detto che ho tenuto il tuo accappatoio, giusto?», non attese la risposta, «Ma non l’ho solo tenuto… in quei sette mesi abbiamo cambiato non so quante macchine, troppe… non potevamo usare baby perché eravamo braccati costantemente, e non abbiamo fatto altro che vivere alla giornata, rubare macchine, come dei criminali… non potevo attaccarmi a nulla, non avevo nulla… più nulla di te— quell’impermeabile era l’unica cosa che mi fosse rimasta ed era sporco e pieno di macchie di sangue e di muffa ma… l’ho spostato da una macchina all’altra, sempre, nella speranza che riapparissi da un momento all’altro e non… non importava che avessimo discusso, che non ci fossimo lasciati da amici, che… che mi avessi tradito, non importava— volevo solo riaverti con me»

Castiel gli sorrise, uno di quei sorrisi in grado di sciogliergli il cuore. «Mi ricordo il momento in cui me l’hai restituito… è stato uno dei pochi momenti in cui ho creduto— pensavo che, sai… ma poi non potevo fare la prima mossa, non potevo metterti in difficoltà e tu non facevi niente e… ho perso ogni occasione»

«Io ho perso ogni occasione, Cas… quando sei tornato dal Purgatorio e sei uscito dal bagno tutto pulito, di nuovo tu, di nuovo lì… non riuscivo neanche a parlare, ero… in estasi, ed ero talmente coglione da non rendermene conto… se la mia vita fosse stata anche solo un po’ diversa, se fossi stato meno… represso, forse— mi sarei alzato da quella sedia e ti avrei risucchiato la grazia a forza di baci», rise, «E a quella cabina telefonica…», la sua voce si ruppe.

Castiel gli prese il viso tra le mani, di nuovo, tirandolo a sé per un altro bacio. «Mi dispiace tanto…»

Dean tirò su col naso di nuovo, sbatté le palpebre, deglutì. «Quando sei apparso nel mondo dell’apocalisse per batterti con Lucifero stavo per saltarti addosso per impedirtelo, stavo per intervenire, ma Sam… Sam mi ha trascinato via, lui— ha fatto la stessa cosa che avevo fatto con lui tredici anni prima, quando Azazel ha ucciso Jess… perdere te, per me, era come perdere Jess per Sam, e lui lo sapeva… accidenti se lo sapeva, se ci penso…», scosse la testa, si passò una mano sul viso, «…e quando sei uscito dalla breccia io ero… non lo so, non so neanche che parole usare, maledizione, sono una frana— anche lì, col senno di poi, avrei dovuto buttarmi tra le tue braccia e baciarti, ma anche se avessi voluto… se avessi potuto, Lucifero ti ha pugnalato e— le tue ali, Cas… le tue ali bruciate mi hanno spezzato il cuore e…», inspirò, alzò gli occhi posandoli sulle labbra di Castiel, poi incontrò il suo sguardo, «…sai, Billy sapeva che volevo morire. Nelle due settimane o quello che era dopo che sei morto e credevo che fosse la volta definitiva, ecco, lei mi ha detto… lei sapeva che desideravo la morte…»

«Dean», la voce di Castiel racchiudeva tutto il suo dolore.

«…ero nell’oblio, in una spirale di disperazione e depressione e so che avrei fatto qualche idiozia se tu non fossi ricomparso davanti a quella cabina telefonica e lì, in quel momento, io ho capito… ho capito che tutto quello che avevo provato fino a quel momento era qualcosa di diverso, qualcosa che avrei dovuto imparare ad accettare e infatti poi… quando… in quella chiesa, in quel confessionale, ero pronto— ho detto a quel prete che avevo sempre vissuto sulla cresta dell’onda, pronto a morire da un momento all’altro ma che ultimamente avevo capito che c’era molto di più nella vita, cose, persone, sentimenti che avrei voluto sperimentare in modo diverso, o per la prima volta… e forse non lo stavo realizzando del tutto neanche io, era solo un pensiero in formazione, ma parlavo di te— e davanti a quella cabina telefonica, ricordo vividamente di aver avuto l’istinto di stringerti a me senza lasciarti più andare, di posare le mie labbra sulle tue e non staccarle più… ma non potevo, non riuscivo… non—»

Castiel lo interruppe con un bacio. Non tenero come quello precedente e neanche bramoso come quelli prima. Un bacio disperato, emozionato ed emozionante, in grado di trasmettere tutto quello che aveva dentro. Dean sentì di nuovo, come sulla spiaggia, le sue cellule fremere, come colpite da una scossa leggera. Poteva percepire la grazia di Castiel che si connetteva al suo sistema nervoso, al pannello di controllo della sua anima. 

Le sue labbra erano morbide e calde, umide nel modo più dolce possibile; il suo respiro tiepido, l’interno della sua bocca salato. Dean si abbandonò a quel tocco, si immerse nel bacio come se ne dipendesse della sua sopravvivenza, si aggrappò al colletto della polo tenendo Castiel stretto a sé.

In un movimento repentino l’angelo si alzò dalla sedia, che cadde in un tonfo sul pavimento, lo afferrò per i fianchi e lo fece sedere sul bordo del tavolo, con una facilità e una forza che gli fecero ribollire il sangue. Castiel l’aveva sollevato come se fosse stato una piuma, l’aveva sbattuto sul tavolo senza cerimonie, e ancora aveva le labbra incollate a quelle di Dean, che si staccò un istante a prendere fiato. Gli occhi dell’uomo erano spalancati, scuri, le sue labbra gonfie e piegate in una piccola “o”, i suoi capelli spettinati. Sbatté le palpebre una volta, quanto bastava per fotografare nella sua mente il viso di Castiel, fiero e potente come quella prima volta nel capanno, innamorato e appassionato come quell’ultima volta nel bunker, poi gli buttò le braccia al collo e lo tirò di nuovo a sé.

I palmi di Castiel si posarono sulla sua schiena, scorrendo su e giù tra le scapole e lungo la spina dorsale; una mano si fermò alla base, poco sopra l’elastico dei pantaloni, mentre l’altra corse fino al collo, risalendo fino ai capelli, dove le sue dita si intrecciarono alle ciocche tirando leggermente nello stringere. Dean gemette nel bacio, incapace di trattenersi. Si sentiva impotente, dominato. Tutto il suo corpo ribolliva. 

Le sue mani corsero alla maglietta di Castiel, si insinuarono al di sotto, gli accarezzarono la pelle accaldata, scorrendo sui muscoli asciutti e tonici, che sembravano tanto normali all’aspetto pur nascondendo una forza sovrumana. Un altro brivido gli passò lungo la schiena.

“Oh, Cas, le cose che potresti farmi…”, pensò nel bacio.

La voce con cui l’angelo gli rispose era qualcosa di diverso rispetto a qualunque altra volta che l’aveva sentito parlare. Aveva sentito Castiel ringhiare, quasi, con la sua voce straordinariamente bassa, durante i combattimenti, quando si scontrava con qualcuno, ma il ringhio con cui uscirono le sue parole in quel momento non era un suono da battaglia, ma qualcosa che veniva dal profondo delle sue viscere, e risuonava nel petto di Dean facendo tremare le sue. «Cosa vorresti che ti facessi?»

Dean avvampò, ma presi com’erano dal bacio probabilmente Castiel non se ne accorse. «Come?»

«Cosa pensi che potrei farti», rielaborò l’altro, soffiandogli sulle labbra e premendo con più vigore le sue mani contro il corpo dell’uomo, spingendolo a sé come se fosse una bambola di pezza; la presa delle dita di Castiel sui suoi capelli si fece più forte, costringendo Dean a un altro gemito.

«Non ho… non ho detto nulla»

«Ma hai pregato, e io posso sentire tutte le tue preghiere, ricordi?»

Dean neanche sapeva come facesse Castiel a formulare frasi così complesse quando lui non riusciva neanche a mettere insieme tre parole in quel momento. «Io…», deglutì, si staccò di pochi centimetri dalle sue labbra e fissò gli occhi in quelli dell’angelo; un sorriso furbo gli si accese sul viso. 

“Cas, puoi sentirmi così?”, pensò.

Castiel annuì, i suoi occhi erano infuocati. 

“Allora lasciati guidare… mostrami questo trucchetto…”, continuò Dean, concentrandosi con tutto sé stesso su quello che desiderava. Nella sua testa si illuminò il ricordo di Castiel che sbatteva Meg contro un muro, baciandola come aveva imparato nel film con il fattorino delle pizze. Gli sorrise, intrappolato nella sua presa, e lui eseguì.

La sensazione di vuoto nello stomaco di Dean allo spostamento repentino fu nulla rispetto al fuoco che gli montava dentro. Con la schiena contro il muro, le gambe intrecciate intorno alla vita di Castiel, un braccio al collo capace di bloccargli ogni movimento del busto e una mano che gli correva lungo tutto il corpo, l’uomo si sentiva completamente alla mercé. E non poteva negare di trovarlo fin troppo eccitante. Castiel lo guardava con quei suoi occhi magnetici, senza sbattere le ciglia, le sue labbra erano rosse e gonfie, umide e lucide. Dean si morse le proprie, poi Castiel gli si infranse contro, aprendogli la bocca quasi con la forza, insinuandocisi dentro quasi Dean fosse stato fatto di burro. Le sensazioni esplosero dentro di lui come una pioggia di fuochi d’artificio.

“Che ne dici di provare qualcos’altro da Pizzaman?”

Castiel ringhiò nel bacio, spinse più forte tutto il suo corpo contro quello di Dean, in un disperato tentativo di fondersi con lui. E Dean lo sentiva, nella vicinanza dei loro corpi, il desiderio di entrambi che premeva contro i troppi vestiti. 

“Troppa stoffa”, pensò. E Castiel, del tutto ignorando la richiesta di prima di fare le cose in modo più umano, li liberò entrambi con un solo movimento del polso. Brividi correvano lungo la pelle di Dean, che adesso poteva sentire ogni cosa sopra e sotto di lui, pelle a pelle. Si sentì arrossire, cercò di liberarsi dalla presa di Castiel per guardarlo negli occhi, per dirgli—

Quando le dita della mano dell’angelo si spostarono dai suoi capelli per toccarlo altrove, ancora sospeso a mezz’aria, ancora bloccato contro il muro, ancora con le labbra impegnate in un bacio insaziabile, il suo cervello andò in black out, e “non smettere” fu tutto quello che riuscì a telegrafare a Castiel con la mente, prima di abbandonarsi del tutto.



 

 

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Capitolo 12
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CAPITOLO XII
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Free, nothing feels like free
Though it sometimes means
We don't get along
'Cause same, no we're not the same
But that's what makes us strong

From the mountains high
To the wave-crashed coast
There's a way to find
Better days, I know
It's been a long hard ride
Got a ways to go
But this is still the place
That we all call home

Brave, gotta call it brave
To chase that dream across the sea
Names, then they signed their names
For something they believed
Red, how the blood ran red
We laid our dead in sacred ground
Just think, wonder what they'd think
If they could see us now

It's been a long hard ride
Got a ways to go
But this is still the place
That we all call home

 

Per pranzo Castiel aveva riscaldato la cena che aveva preso per la sera precedente, usando la sua grazia per renderla come nuova. Dean aveva insistito per fare un picnic sulla spiaggia, e per andarci a piedi, così avevano impacchettato tutto in un cestino che Castiel aveva “trovato” in un mobiletto e si erano incamminati lungo i filari di lavanda fino alla piccola gola sabbiosa. Dean aveva indossato un paio di jeans e una camicia di lino bianca, Castiel aveva cambiato i pantaloni blu con un paio di cargo simili a quelli che aveva indossato nei panni di Steve, ma color kaki. Per tutta la passeggiata Dean aveva sentito le dita prudere dal desiderio di prendere Castiel per mano, ma non l’aveva fatto. Aveva preferito camminargli appresso, poco dietro di lui, per godersi la vista del suo corpo atletico fasciato da vestiti che non ne nascondessero la grazia mascolina. 

Arrivati sulla spiaggia avevano adagiato un grosso asciugamano sulla sabbia e avevano sistemato il cestino nel mezzo, poi si erano seduti a contemplare il mare, con una cassa di birre ghiacciate e i cartoni di pizza aperti davanti a loro. Le loro mani continuavano a scontrarsi, volontariamente e involontariamente, nell’alternarsi per prendere il cibo. Era strano per entrambi trovarsi lì, così spensierati e senza preoccupazioni, a godersi l’ennesimo giorno senza impegni, senza pericoli, insieme. Dean neanche si ricordava di aver mai avuto una vera vacanza, e quella che stavano vivendo lui e Cas sembrava proprio questo: la brezza tiepida che scompigliava loro i capelli, la sabbia tra le dita, lui e Castiel a godersi il suono del mare contro la battigia e un pranzo pieno di tutte le schifezze più amate da Dean. Sembrava quasi il sogno che aveva dipinto quando aveva pensato di potersi prendere una pausa; mancavano solo Sam e delle ballerine. Non che delle ballerine gli importasse più di tanto, anzi.

«Com’è?», chiese Dean, sorseggiando la sua weissbier.

Castiel lo guardò. «Cosa?»

«La vita di Sam»

L’angelo lo guardò con un sorriso tenue, gli posò una mano sul ginocchio. «Molto bella», rispose. «Ha una bella casa di legno bianco, te l’ho mostrata, no?»

Dean annuì, lanciò uno sguardo di sbieco a Castiel con un piccolo sorriso.

«E’ in un piccolo quartiere residenziale, niente di speciale, ma adatto a loro, sinceramente… qualcosa di intimo, familiare, sereno…», l’angelo ricambiò il sorriso, poi si rivolse al mare. «Con Eileen si sono trasferiti a Nashua, in New Hampshire. È considerata tra le quindici città più sicure di tutti gli Stati Uniti, lo sapevi? Sam ha finito l’università di legge, solo per soddisfazione personale, poi si è iscritto alla facoltà di Letteratura e si è specializzato in Folklore Popolare, nel frattempo ha lavorato in una piccola biblioteca comunitaria, mentre Eileen ha aperto un piccolo asilo e insieme hanno fondato un’associazione per aiutare i bambini sordi nell’integrazione, aiuta i genitori a pagare per gli impianti acustici, per la logopedia, e forniscono lezioni di ASL per grandi e piccoli, e tutto il resto… l’hanno chiamata MADE…», disse rivolgendo un’occhiata a Dean.

«Made?»

Castiel annuì. «MADE. Sta per Maura e Mary, e Dean…», chiarì.

Dean tirò su col naso e annuì, perdendosi con gli occhi nel fondo della sua bottiglia di birra, un sorriso sghembo gli apparve sulle labbra. «E bravo il mio fratellino…»

«Una volta laureato Sam ha iniziato ad insegnare alla Rivier University», proseguì Castiel inspirando l’aria salmastra, «Insegna Storia del Folklore Antico e Medievale», rise.

«Hanno smesso di cacciare?», Dean si sorprese della nota di sollievo nella sua voce. Un tempo credeva che la caccia fosse tutta la sua vita, che lo definisse come uomo, come persona. Aveva costretto Sam a cacciare con lui, l’aveva riportato indietro nonostante lui avesse scelto un’altra vita. Chissà cosa sarebbe accaduto se non l’avesse fatto. Chissà se le cose sarebbero state diverse. Magari avrebbe scoperto del piano di Azazel di uccidere Jess, l’avrebbe sventato vendendo la sua anima, sarebbe finito all’inferno e avrebbe finito per essere salvato comunque da Castiel. Magari avrebbe combattuto in tutti i modi per proteggere Sammy dal suo destino di diventare il tramite di Lucifero, l’avrebbe tenuto lontano dal sangue di demone, l’avrebbe controllato da lontano, senza entrare a stravolgere la sua vita. Magari Sam sarebbe diventato un avvocato di successo e chissà, forse senza lui intorno, senza il suo sguardo, senza la necessità costante di provargli di essere all’altezza del loro padre, di essere sempre lo stesso maschio alpha sempre pronto alla zuffa, forse Dean si sarebbe lasciato andare prima. Forse avrebbe capito per tempo i suoi sentimenti, forse non avrebbe sprecato tanti anni della sua vita e sicuramente non avrebbe sprecato la vita di Sam. 

Scosse la testa, si concentrò sul viso di Castiel. Ormai non importava più. Sam era felice, la sua vita era completa, e Dean era sereno, in pace. 

«Sì e no», rispose Castiel, guardandolo come se cercasse di scavare oltre le sue iridi, in cerca del turbamento che sicuramente gli vedeva negli occhi. «Ogni tanto vanno in aiuto ad altri cacciatori… hanno creato una rete molto grande che connette tutti i cacciatori d’America, sono il centralino per le ricerche e per l’organizzazione delle battute. Ha un canale diretto con Garth, e si vedono qualche volta, è una delle poche persone della vecchia vita e di… diciamo di un’altra specie, con cui lui e Eileen hanno un rapporto, per quanto saltuario. Oh, e da quando sono andato a trovarlo Sam sa anche di Crowley, ovviamente, aveva comunque già un contatto abbastanza frequente anche con Rowena, insieme tengono le cose sotto controllo, sai… anche se non serve più, ormai i demoni hanno altre regole, ma a volte qualcuno fa di testa propria e allora i cacciatori intervengono, li liberano, li curano, come abbiamo fatto con te… anche se Sam ha abbandonato il bunker poco dopo che sei… che sei morto, ha portato con sé i libri e alcuni strumenti e armi… conserva ancora le chiavi in una scatola però, ha in programma di darla a suo figlio quando sarà abbastanza grande…»

Il viso di Dean si illuminò. «Sempre un passo avanti a tutti, non avevo dubbi che si sarebbe rialzato nel migliore dei modi… E il bambino? Com’è? Lui… sa?»

Castiel strizzò appena il ginocchio di Dean con la mano. «Oh… è identico ad Eileen», rise, «Gli stessi lineamenti… ma a giudicare da quanto è alto per l’età che ha penso proprio che potrebbe diventare alto come Sam. Gli piace giocare a baseball, a volte vanno a fare qualche partita al parco… passano moltissimo tempo insieme, vanno a fare lunghe passeggiate lungo il fiume, a volte partono per qualche viaggio on the road, come ai vecchi tempi… sono le uniche occasioni in cui Sam fa uscire la tua macchina dal garage. Lui e Eileen si sono promessi di mostrare al piccolo Dean Jr la maggior parte degli Stati Uniti, per “fargli conoscere suo zio”, gli ha detto Sam una volta… gli hanno raccontato tante storie su di te, e anche su di me a dire il vero…», Castiel sorrise guardandosi le punte dei piedi nudi, un’espressione tenera gli si dipinse sul viso. «…ancora non sono storie di paura, ma gli hanno detto che eri un supereroe che cacciava i mostri cattivi, e che non dovrà mai avere paura perché ci sarai sempre tu a vegliare su di lui… e da quanto sono andato a trovarli hanno iniziato a dirgli che anche io veglio su di lui, che lo proteggiamo dall’alto…»

«Ma noi…», iniziò a controbattere Dean.

Castiel ridacchiò. «Non preoccuparti, io lo tengo d’occhio anche se non posso intervenire ma ci pensano già i suoi genitori…», sbuffò una risatina, «…la sua stanza è più sicura del Bunker. Sam ha usato ogni sigillo e ogni simbolo conosciuto per rendere la casa inattaccabile. Ci sono strisce di sale in ogni muro, in ogni stipite, dovunque… e Dean Jr porta con sé una collanina fatta da Rowena, che lo protegge da ogni pericolo fuori casa… non sa a cosa serva esattamente, ancora, sa solo che deve sempre tenerlo stretto, e poi ha effettivamente un po’ del tuo carattere, è un… come si dice… beh, una calamita sociale! Il solo fatto che lui indossasse quella catenina ha fatto partire una moda nella sua scuola, e adesso inconsapevolmente tutti i bambini sono protetti… Rowena ha dovuto avviare una specie di produzione in serie… e ovviamente, quando sarà abbastanza grande, Sam e Eileen gli spiegheranno tutto, e gli faranno fare il tatuaggio per proteggerlo dai demoni… in ogni caso quel bambino è in una botte di ferro, Dean»

L’uomo sorrise, si passò una mano sugli occhi e tossì per dissimulare l’emozione. «E… com’è? È un secchione come suo padre o un vero macho come lo zio?»

«Nessuno delle due, direi… è un bambino sereno, felice, gli piacciono le rane e i pesci, va bene a scuola e come ti ho detto molti amici, è popolare nonostante abbia interessi un po’ lontani dai tuoi… gli piace leggere e pescare»

«Anche a me piace pescare», commentò Dean, piegando le labbra in un’espressione compiacente. «Dovremmo farlo qualche volta…»

«Possiamo fare tutto quello che vuoi»

Dean sospirò, annuì delicatamente. Sentiva gli occhi di Castiel scorrere su di lui, amorevoli e protettivi. Stappò un’altra birra, prese un pezzo di pizza e gli rivolse un sorriso soddisfatto, iniziando a masticare a bocca aperta come suo solito quando si sentiva tranquillo e disinibito, senza bisogno di fare attenzione alle sue azioni. La sua mente corse lontano, cercò di immaginarsi il piccolo Dean, in base a come l’aveva visto nella mente di Castiel quando gli aveva riportato il messaggio di Sam, e lo vide correre su un prato, con i suoi genitori sorridenti. Lo immaginò imparare la lingua dei segni, giocare con i soldatini nell’impala durante un lungo viaggio, scoprire le iniziali incise nel vano posteriore, domandare cosa sia questo e quello, e il perché del colore del cielo. Lo vide ridere con quella voce tipica dei bambini, tutta sghignazzi umidi e acuti rotondi, con gli occhi stretti stretti e la testa rovesciata indietro. Lo vide mangiare un hamburger…

«Mica gli faranno mangiare solo verdure?», chiese, improvvisamente preoccupato.

«A chi?», chiese Castiel, che evidentemente aveva seguito tutto un altro filo di pensieri.

«Al Piccolo Dean», rispose l’altro. «Nessun Dean può abbassare il baluardo dell’uomo della carne!»

Castiel lo guardò fisso, con un sopracciglio alzato. «Non cibano il loro figlio solo di insalata e tofu, Dean, no… anche se devo dire che da quanto ho visto fanno un uso molto morigerato di alimenti animali, ma niente—»

«Sammy non è diventato un vegan-nazi, vero?»

«No, anche se evita ancora di mangiare carne… sai, per il pianeta e per la salute, dice… ma no, Dean Jr mangia parecchi hamburger, se è la cosa che ti preoccupa»

Dean si abbandonò a un sospirò plateale, fingendo di asciugarsi il sudore dalla fronte. «Sarà meglio»

«Anche se non credo che dovresti criticare le scelte di tuo fratello, ha sempre avuto uno stile di vita più sano del tuo, non lo si può negare…»

«Oh, ma falla finita»

Castiel rise e si sporse per prendere un pezzo di pizza a sua volta. 

«Mi sono sempre chiesto come sarebbe stato…», commentò Dean, di punto in bianco.

«Cosa?»

«Un figlio mio»

«Oh», Castiel lasciò nel cartone la fetta che aveva appena afferrato, e si avvicinò a Dean quanto bastava per potergli dare un piccolo bacio sulla tempia, e gli strizzò ancora il ginocchio. «Sicuramente sarebbe stato molto amato, tu saresti stato un padre meraviglioso…»

Dean sorrise e chiuse gli occhi, abbandonandosi a quel tocco. «Per un po’ ho pensato che Ben fosse mio, sai, il figlio di Lisa…»

«Lo so»

«E?»

«Cosa vuoi sapere?»

«Era così? Era… mio?»

Castiel strinse le labbra, il suo viso si dipinse di dispiacere. «No, Dean»

L’altro annuì. «Sai, credo che sarei stato bravo con lui… come padre, dico, se… beh, uhm, se non fossi stato chiamato a un progetto più grande, insomma…»

«Saresti potuto rimanere con Lisa comunque», gli disse Castiel. La sua voce nascondeva un filo di tensione.

Dean lo guardò. «No… non avrei potuto. Escludendo il fatto che sono già stato abbastanza egoista per un anno, esponendola a rischi inutili e ingiusti, e mettendo in pericolo Ben con le mie ossessioni, e soprattutto con il mio passato che… beh, diciamoci la verità, non mi avrebbe mai dato tregua… sì, oltre a questo credo che comunque non avrebbe funzionato…»

«Perché dici così?»

L’uomo fece spallucce. «Sai, il senno di poi…», commentò alzando gli occhi su Castiel, «…a pensarci adesso, dopo tutto quello che è successo e soprattutto dopo, beh, noi, penso che tutto ciò che mi legava a lei fosse il desiderio di stabilità, di avere una famiglia mia, di poter essere di nuovo qualcosa per qualcuno, è come se non avessi la capacità allora di esistere per solo me stesso, e credo in realtà di non aver sviluppato questa capacità ancora oggi, o comunque ci sto ancora lavorando… avevo perso Sam, tu eri… beh, non so, in Paradiso a fare cose da angelo, e guarda che schifo è successo, senza di me hai fatto un gran bel casino, mentre io giocavo a fare il bravo impiegato, il bravo compagno, il bravo padre… non ho fatto una scelta emotiva, ho fatto una scelta utilitaristica… avevo promesso a Sam che avrei inseguito la stabilità e la felicità, ma in fin dei conti quella era la sua storia, non la mia… penso di essermi sentito in debito con lui, e anche di essermi sentito in dovere di fare ciò che mi aveva chiesto, e inoltre mi sentivo solo, senza uno scopo…»

«Quindi non l’amavi?»

Dean ridacchiò. «Non sarai geloso?»

«Devo ammettere, non senza una certa riluttanza, che mi sono riscoperto alquanto… possessivo, nei tuoi confronti», commentò Castiel, ricambiando con un sorriso largo e genuino.

«Non lo so, onestamente», rispose Dean. «Sicuramente le ero affezionato, e c’era una certa chimica, non so se mi spiego…», disse con un occhiolino, poi tirò all’angelo una spallata. «…ma amare, non so. Se guardo a ciò che provavo confrontandolo con quello che c’è tra di noi, probabilmente no, ma se penso a quello che condividevo con lei in quel momento, in base alla persona che ero allora, allora sì, in un modo molto sciocco, molto infantile, molto egoistico, molto umano e molto, molto meno spirituale di quanto ora so possa essere l’amore, sì, l’amavo…»

Castiel annuì, ricambiò con una spallata leggera. «Ti osservavo, sai?»

«Quando?», chiese Dean, spalancando gli occhi con un’espressione terrorizzata. «Piccolo perverso di un angelo…»

«No!», squittì Castiel, «No! Ma perché vai sempre a pensare al sesso?»

L’uomo ridacchiò, cambiò leggermente posizione per stare più comodo e trangugiò il resto della pizza che aveva ancora in mano. «Perché altrimenti non sarei io», rispose con il boccone in bocca, facendogli l’occhiolino.

«Intendevo dire…», disse Castiel scuotendo la testa come se si stesse interrogando sulle sue scelte di vita, «…che ti ho osservato nella tua vita con lei, con loro… ti ho guardato mentre ripulivi il giardino dalle foglie, per esempio»

«Perché?»

Castiel sbuffò dal naso, mosse una spalla e alzò le sopracciglia in un gesto arrendevole. «Ero in preda al dubbio… volevo chiedere il tuo aiuto prima del patto con Crowley, volevo… avevo bisogno di te ma sembravi così in pace, non volevo— non potevo portarti via da quella bolla per il mio mero egoismo»

Dean aggrottò la fronte. «Se tu ti fossi mostrato a me forse non sarebbe successo quello che è successo…»

«Forse no»

«Grazie»

«Di cosa?»

«Di avermi protetto, di aver cercato… sbagliando, ovviamente, come tuo solito, ma… beh, di fare la cosa giusta»

L’angelo sorrise, un sorriso luminoso, i suoi occhi brillarono di quel loro blu elettrico appena visibile sotto le iridi azzurre. «A volte mi chiedo come sarebbe andata se avessimo fatto scelte diverse…»

«Anche io»

«Ad esempio mi chiedo cosa sarebbe successo se ti avessi detto prima quello che stava succedendo con Crowley, se ti avessi… rivelato il piano e ti avessi ascoltato»

Dean tentennò la testa. «Io mi domando invece cosa sarebbe successo se fossi stato mandato avanti nel tempo a vedere quello che saremmo diventati nel 2014 qualche anno più tardi rispetto a quando mi ci ha spedito Zacharia…»

«Che intendi?», chiese Castiel con la fronte aggrottata.

L’uomo si morse le labbra. «Beh, in quel futuro tu eri… molto diverso dal tuo tipico te—», ridacchiò, «ti facevi le canne, e soprattutto organizzavi delle frequenti sessioni… uhm, come dire, intime e di gruppo»

«Io organizzavo orge?»

Dean arrossì e scoppiò a ridere sguaiatamente. «Esattamente»

La distanza tra le sopracciglia di Castiel diminuì, il suo sguardo si incantò su una conchiglia che aveva raccolto nella mano destra. «È per questo che mi hai chiesto di non cambiare mai?»

«Anche»

«E cosa centra quando ti ha mandato Zacharia?»

«Ero ancora troppo giovane e… chiuso», commentò Dean. «Ero ancora il tipo di ragazzo che cercava inconsciamente di compiacere suo padre… non importa quanti anni avessi già passato all’inferno e quante altre stronzate mi fossero già capitate, ero ancora molto… immaturo, inconsapevole… quello che ho visto alla “fine del mondo”—»

«Che hai visto?»

«Sono abbastanza sicuro che il Dean del futuro e il Cas del futuro avessero una relazione, perlomeno una relazione sessuale… loro l’hanno definita come “un gran casino” e non sono scesi nei dettagli ma… il modo in cui interagivano, il modo in cui quel Cas parlava con me e il me del futuro… era abbastanza palese che avessimo ben superato la fase dei “migliori amici”»

Castiel annuì, la sua presa sul ginocchio di Dean tremò appena. «Capisco»

«Ma era troppo presto… forse se l’avessi visto un po’ più avanti, forse se… non lo so, credo che mi avrebbe aperto gli occhi sulla realtà, su me stesso, ma soprattutto sulle possibilità che mi stavo negando…»

«Beh, siamo qui adesso, no?»

Dean fece un mezzo sorriso, mosse le sopracciglia su e giù e bevve un lungo sorso di birra, poi guardò lontano sull’orizzonte. «Sì», ammise, «Ma io sono morto e tu sei… beh, un serafino»

«Io sono sempre stato un angelo, Dean… e il fatto che tu sia un’anima e non un essere mortale rende tutto più facile, tra noi, non credi?» 

Castiel cercò di catturare il suo sguardo, ma Dean gli rivolse solo un’occhiata fugace, poi schioccò le labbra. «Questo sì»

«E puoi percepire il tuo “corpo”, anche se non è proprio un corpo, come lo percepivi sulla Terra, giusto?»

«Sì…»

Castiel sospirò. «Dean, tu sai che mi sono sacrificato perché tu potessi vivere e… avrei voluto che rispettassi il mio sacrificio un po’ più a lungo, che tenessi duro, che sopravvivessi, che vivessi… anche se questo avesse significato vederti con qualcun altro, se avesse significato sentirti sempre più lontano da me… anche se tu mi avessi dimenticato nel frattempo, io avrei voluto che tu vivessi, che fossi felice… ma non posso negarti che quando… uhm, quando sei t-trapassato, una parte di me si è spezzata… penso di aver provocato un’onda d’urto in tutto il Paradiso, una specie di terremoto celeste, per il dolore… ma poi ho sentito qualcosa di cui provo molta vergogna, ma che credo sia giusto tu sappia…»

Dean lo scrutò con un sopracciglio alzato. «Di che parli, Cas?»

«Speranza», disse Castiel, distogliendo lo sguardo, «Quando ti ho sentito passare in questo piano di esistenza io ho provato un dolore immenso ma anche una grande gioia egoistica, ho sentito la speranza crescermi dentro ed è per questo che ho atteso un po’, e poi sono venuto di corsa da te… in quella forma, nella speranza che accettassi la mia offerta che… che mi volessi con te, anche se questo avesse significato cambiare tramite, trovarne uno più vicino a… a te, non so… ho sbagliato, ho sbagliato tutto e questo lo capisco adesso, ma ero… ecco…»

«Disperato?»

«In un certo senso, sì… vedi io sono legato a questo corpo, sono stato umano al suo interno e il tempo… il tempo qui dentro è passato in modo così diverso rispetto ai millenni precedenti, è stato sì un battito di ciglia in confronto all’interezza della mia vita, ma mi è sembrato di aver vissuto eoni al tuo fianco… ho sanguinato per la prima volta, in questo corpo, ho toccato, amato, pianto, provato emozioni e separarmene sarebbe stato… sgradevole, ma l’avrei fatto per te… pur di averti»

Dean scosse la testa. «Come credi che avrei potuto accettare la tua offerta, Cas! Anche se tu ti fossi presentato a me in un corpo da donna, pensi che ti sarei saltato addosso seduta stante? Non importa che aspetto hai, te l’ho già detto, non è di questo… non è solo di questo che mi sono innamorato, ma di ciò che hai dentro… e sono troppo abituato a te così, e soprattutto ho imparato ad amarti e ad amare me stesso insieme a te con questo aspetto e… vedi, Cas, se anche tu fossi arrivato con un corpo femminile, io avrei sempre visto questo… avrei sempre visto questo Castiel e non lo avrei voluto in nessun altro modo… sono solo stato troppo idiota prima per rendermene conto e soprattutto per accettarlo, ma sono anni che ti guardo di nascosto, che sento il bisogno di toccarti, anche solo un tocco leggero, furtivo… diamine, Cas, tu non hai idea di quante volte mi sono accorto di fissarti le labbra, ero veramente un coglione!», disse, sbattendosi il palmo della mano sulla fronte. Usare tutte queste parole lo drenava ancora di tutte le energie, ma piano piano diventava sempre più facile parlare, esprimersi. Sembrava così strano avere il tempo di esprimere davvero i propri pensieri, e farlo liberamente, senza vergognarsene, senza durare eccessivamente fatica. 

Castiel rise, gli si avvicinò abbastanza da invadere completamente tutto il suo spazio personale. Dean deglutì, i suoi occhi corsero alla bocca dell’angelo e si leccò le labbra in una risposta involontaria. Castiel rise di nuovo, annuì, e poi chiuse la distanza tra di loro con un bacio appassionato ma fugace.

«Devo essere stato proprio cieco per non rendermene conto», commentò, staccandosi da Dean e prendendo finalmente il pezzo di pizza che aveva abbandonato.

«Una vera coppia di idioti», rispose Dean sogghignando. Bevve un altro sorso, la sua testa continuava a vorticare intorno a pensieri che non era certo di riuscire a formulare. «Però avrei voluto provare… sai, a stare con te, sulla Terra… avremmo messo in imbarazzo Sam costantemente, avremmo passato i Natali a giocare insieme a Monopoli o a Pictionary, e avremmo fatto i regali più pazzeschi a Piccolo Dean… e ci saremmo baciati sotto al vischio e tu mi avresti regalato… non lo so, dei dischi musicali, e avremmo ballato tutta la notte… avremmo portato Piccolo Dean a vedere i fuochi del quattro luglio e tu ci avresti raccontato della nascita delle api o qualcosa del genere… e poi avrei indossato dell’intimo di raso da uomo, solo per farti vedere il mio bel sedere avvolto in un bel tessuto lussuoso…», rise, ripensando a quando una sua versione demoniaca che esisteva ancora solo nella sua testa gli aveva ricordato di quando quella ragazza con cui era uscito al liceo gli aveva fatto provare i suoi slip di seta e pizzo. Inutile negarlo ulteriormente, gli era piaciuto, eccome, e non se ne vergognava affatto. Aver gradito la sensazione di una stoffa pregiata contro la sua pelle più intima non gli aveva impedito di spaccare i culi a tutti i mostri biblici possibili e immaginabili, e addirittura a Chuck, né di conquistare tutte le ragazze che gli pareva. No, decisamente non c’era niente di cui vergognarsi, anzi, probabilmente adesso che era in Paradiso poteva anche riprovarle qualche volta. Si accorse che Castiel lo guardava con uno sguardo incuriosito. «…lascia perdere, ricordi di gioventù…», disse, «…comunque saremmo andati a Rio a vedere il carnevale, e sicuramente avremmo portato Piccolo Dean a vedere le ballerine brasiliane… e se fossimo stati giovani insieme e io fossi stato anche solo un po’ diverso, chissà, saremmo potuti andare al ballo di fine anno insieme… non che io ci sia mai andato, sai, ci sono andato vicino una volta ma poi mio padre mi ha portato via, mi si è spezzato il cuore… ma comunque avremmo potuto portare Piccolo Dean al suo ballo, o aiutarlo con la ragazza - o il ragazzo, sai che non sono uno che giudica -», lo sguardo esasperato dell’altro lo fece sogghignare, «…e poi avremmo corretto il punch e saremmo andati a qualche festa super elegante solo per adulti, mettendo tutti in imbarazzo con i nostri balli e i nostri baci schifosamente romantici… e—e magari saremmo andati a pescare insieme, e avremmo fatto uno stupido matrimonio a Las Vegas o alle Hawaii, a piedi nudi nella sabbia con delle orribili camicie a fiori, e Piccolo Dean avrebbe portato le fedi o magari… magari l’avrebbe fatto un figlio tutto nostro…», disse soprappensiero. 

Il significato delle parole che aveva appena pronunciato lo colpì tutto insieme. Aveva appena detto a Castiel che, magari, se il destino gliel’avesse concesso in vita, avrebbero potuto avere una vita insieme, vivere in una casa tutta loro, magari cacciare qualche volta come Sam e Eileen, e trovare anche una stabilità diversa, solo per loro. Condividere le festività con le persone care e qualche perversione a letto nell’intimità delle loro mura, avrebbero potuto fare dei viaggi solo loro due, e magari qualche volta coinvolgere il loro nipote - sì, pensò Dean, loro, non solo suo - e magari avrebbero addirittura potuto sposarsi, adottare un bambino, dare vita a una famiglia tutto loro. Improvvisamente sentì il cuore farsi pesante, il viso bruciare. 

Castiel incrociò il suo sguardo con un’espressione dolorosa negli occhi. «Non credevo che— non ho neanche mai pensato che fosse una possibilità»

«Neanche io, onestamente… mai fino ad ora…», disse Dean, nella sua voce c’era una leggera incrinatura. «Ma ora che ci ho pensato, è difficile togliermi dalla testa questa immagine… ma resterà sempre un sogno…»

L’angelo sospirò, gli prese il viso tra le mani e lo baciò di nuovo, con tenerezza stavolta. «Molte delle cose che hai detto purtroppo sono… lontane dalle possibilità del Paradiso», disse in un sussurro, «ma questo non significa che non possiamo avere molto di quello che hai immaginato… possiamo viaggiare dove vuoi, e vedere tutti i fuochi d’artificio che ti va, per ogni festività possibile… possiamo andare a un ballo, praticamente in ogni epoca che ti possa venire in mente, possiamo anche fare tutti i giochetti tra le lenzuola che ti vengono in mente e possiamo… certo, sì, potremmo anche sposarci su una spiaggia—»

Dean sentì il suo cuore battere all’impazzata contro lo sterno, troppo rumoroso, troppo forte, troppo veloce. Sentì i suoi occhi farsi larghi nel perdersi in quei pozzi blu, pieni di amore e di devozione. «Sì e— E-Elvis potrebbe officiare…», il pensiero lo colpì come uno schiaffo, riempiendolo di euforia, «Il vero Elvis, per giunta!», squittì, poi il suo cuore perse un battito, il suo viso si fece caldo, «Anche se, mi rendo conto forse… beh, uhm, è— sì, presto per pensare una cosa del genere, forse è strano… abbiamo iniziato solo ieri, praticamente a… beh, cosa facciamo esattamente, stiamo insieme? Cosa siamo? Fidanzati… no, Parter? Amanti?»

«Partner mi piace», ammise Castiel. «E non esiste concetto di tempo in Paradiso, qui tutto scorre in modo diverso… ma certo, abbiamo un’eternità davanti e se questo è ciò che desideri Dean, che sia oggi o che sia tra mille anni, io sarò pronto a renderti felice e ad esaudire ogni tuo desiderio…»

Dean si sentiva il cuore pieno di gioia, talmente ricolmo da sentirlo quasi esplodere. Baciò di nuovo Castiel, con più foga e più passione, poi si staccò e strusciò la guancia contro la sua, barba contro barba, per poi adagiare piano la sua fronte contro quella dell’altro. «Io voglio tutto con te… ogni cosa a suo tempo, quando il nostro Paradiso sarà completo»

Castiel annuì senza staccarsi da Dean, i suoi occhi erano chiusi. «Sai mi…», sospirò, aprì gli occhi e li affondò in quelli dell’uomo, così verdi e vivi, «…mi dispiace che tu non possa vivere l’infanzia di Piccolo Dean, che tu non possa… trasmettergli una parte di te di persona, e mi dispiace che tu non possa esaudire il tuo desiderio di paternità… vorrei poterti dire che se vuoi puoi avere anche questo, ma purtroppo in Paradiso non è possibile creare la vita, neanche per gli angeli… noi nasciamo già adulti, già formati, e in ogni caso deve essere un’entità superiore, come era Chuck, come è Jack, a crearci… e non possiamo creare, sai, piccoli umani dal nulla… non è come il caffè o una pizza…»

«Non ti preoccupare, Cas… non è colpa tua. Ho fatto le mie scelte, ho dedicato la mia vita alla caccia, ho messo da parte ogni possibilità e alla fine sono morto, sulla cresta dell’onda come avevo immaginato, in un certo senso, ma ho finito lo stesso per poter sperimentare quei sentimenti, per vivere le emozioni che avrei voluto abbracciare prima, che non avevo mai accettato, ma che ora fanno parte di me, con te… non ho rimpianti, davvero… non ho cercato la morte ma quando è arrivata l’ho salutata come una vecchia amica. Ero così stanco, Cas…»

«Dean, io—»

«E sono felice che tu non sia intervenuto, sai?», disse accarezzandogli una guancia con il pollice, occhi negli occhi, «Se tu mi avessi salvato… chissà, forse sarei riuscito ad uscire dal circolo vizioso, forse dopo quello che mi avevi detto anche se fossi rimasto nel mio corpo umano, mortale, avrei trovato la forza di abbattere i miei… blocchi, diciamo, ma non avremmo avuto davanti l’eternità, e comunque… ho paura che sarei potuto ricadere negli errori del passato… adesso non c’è più margine, non ho niente da perdere quassù, se non te… e non ti voglio perdere, mai, per nulla al mondo…»

Castiel sorrise, gli baciò piano le labbra. «Se fossi intervenuto avrei rinunciato alla mia natura angelica», gli disse, «Non avrei potuto sopportare oltre di vederci girare intorno a tutto questo solo per il… per l’evidente divario che ci allontanava. Non avrei potuto vederti invecchiare, sapendo che non avrei potuto farlo al tuo fianco… so che tu avresti fatto di tutto per liberarmi dal peso della tua vecchiaia, che non avresti accettato di essere un fardello alle mie ali, so che avresti creduto di non meritarlo, così ci avrei semplicemente rinunciato… sarei stato umano, sarei invecchiato, avrei fatto un lavoro normale, magari da esattore delle tasse», rise, «e un giorno ci saremmo addormentati l’uno a fianco all’altro, nel nostro letto, nella nostra piccola casa…»

«Ma, Cas… tu sei un angelo, non puoi semplicemente smettere di esserlo a comando…»

«No, ma avrei potuto togliere la grazia che ho dentro, adattarmi… diventare mortale», spiegò.

Dean aggrottò la fronte. «E cosa succede a un angelo divenuto mortale, se muore? Dove va?»

Castiel alzò un sopracciglio. «Non saprei… gli angeli non hanno l’anima, quindi credo… comunque nel Nulla?»

L’espressione sul viso dell’uomo si distorse in una maschera di dolore. «No, non avresti potuto, non avresti dovuto… posso rinunciare a tutto, Cas, a un figlio, a una vita terrena, ad invecchiare, a uno stupido lavoro in uno stupido posto normale in una stupida città, ma non a te, non per tutta l’eternità…»

Castiel gli posò una mano sulla spalla, la sua espressione era serafica quanto la sua natura, eppure i suoi occhi nascondevano un’emozione potente. «Allora avrei potuto semplicemente riprendere la mia grazia, a un certo punto… tornare ad essere un angelo, dopo che fossi trapassato naturalmente, vecchio e canuto… e ti avrei comunque incontrato di nuovo qui…»

«Sarebbe stato troppo rischioso», rispose Dean, scuotendo la testa. «Noi umani siamo… così fragili, basta una malattia, una coltellata, un… un chiodo», un brivido gli corse lungo la schiena. «No», disse, «Non importa cosa avremmo potuto fare sulla Terra, preferisco sapere di avere l’eternità con te e poi… diciamoci la verità, laggiù la tentazione sarebbe stata troppa, non sarei mai riuscito a smettere di cacciare mentre qui… qui sono libero di fare… non so…»

Castiel sorrise. «Tutto quello che vuoi»

«Posso…», Dean ci pensò un attimo, «Possiamo avere un posto tutto nostro?»

L’angelo schiuse le labbra, la fronte corrugata, il suo sguardo corse in direzione del cottage in cui avevano appena passato la loro prima notte insieme - e anche la prima mattina, decisamente intensa. 

«Voglio dire… un posto fisso, una casa?»

L’espressione sul volto di Castiel si distese. «Certo»

«E possiamo costruirla insieme?», chiese Dean con una strana euforia.

«Assolutamente», rispose l’altro, «Oppure possiamo semplicemente farla materializzare», disse alzando una mano per mostrare le sue dita pronte a scattare. 

Dean gliela abbasso. «No, vorrei costruirla… certo, magari con un po’ d’aiuto come hai fatto con il castello di sabbia… soprattutto perché non possiamo certo viaggiare tra il cantiere e questo posto per fare sesso tutte le volte che vogliamo», il ghigno sul suo viso si allargò alla vista degli occhi di Castiel che si facevano più grandi e scuri, «E di certo non possiamo farlo sempre in macchina… ed escluderei decisamente la camera a casa dei miei…»

Castiel deglutì, i suoi occhi corsero lungo i lineamenti del volto di Dean, gli accarezzarono tutte le piccole lentiggini chiare. «Possiamo fare ogni cosa tu voglia, possiamo creare la nostra casa come vogliamo…»

«E poi potrei… potrei avere un piccolo locale tutto mio», disse l’uomo, con gli occhi che luccicavano. «…mi è sempre piaciuto, sai? Se mi fossi—»

«Se ti fossi ritirato», concluse Castiel, ricordando quella volta in cui Dean glielo aveva detto, anni prima, «Avresti voluto un posto tutto tuo come la Roadhouse, da gestire…»

Dean annuì. «Potrei servire birre da tutto il mondo, le più particolari… e ovviamente Whiskey, e Scotch… e potremmo fare gli hamburger alla Elvis, con due ciambelle al posto del pane…»

L’angelo sorrise. «Non dimenticare i cheeseburger… mi piacciono quelli»

«Certo che sì! Che pub sarebbe senza cheeseburger!», rise separandosi da Castiel dopo un altro piccolo bacio, e tracannò il resto della birra. «…anche se non vorrei, sai, andare in conflitto con Ellen e Jo, magari potrei lavorare con loro!»

«Beh, Dean…», lo rincuorò l’altro, «…in Paradiso lavorare non è necessario, tutti hanno esattamente ciò di cui hanno bisogno, non solo quello che vogliono, e soprattutto hanno quello che meritano… Ellen e Jo hanno la loro Roadhouse perché è la loro casa e loro, come te, amano passarci il tempo ma… ovviamente credo che sarebbero ben felici di alternare giorni di apertura ad altri di chiusura— poi è ovvio che se preferisci condividere con loro la Roadhouse invece che aprire un posto tutto tuo, puoi farlo… ti ripeto, non c’è limite quassù…»

«Dovrei pensarci, parlarne con loro…»

Castiel annuì, pronto ad alzarsi. «Vuoi andare allora?»

Dean lo scrutò senza capire, poi serrò le labbra e scosse il capo. «Oh, no…», disse, tirandolo a sé, «Non crederai mica che abbia finito con te…», sussurrò, il tono della sua voce era caldo e carezzevole, profondo.

L’altro deglutì. Dean lo tirò più forte e lui si sbilanciò, franandogli addosso. «Uhm?»

«Abbiamo ancora molti altri muri da provare… e il tavolo, e il divano… e la vasca, la doccia…»

«Dean…», la voce di Castiel era un suono rauco e profondo.

«Mi serve solo una cosa…», sussurrò, facendo scorrere le mani lungo tutta la schiena di Castiel, i cui occhi si scurivano sempre di più ad ogni carezza.

«Cosa?»

Dean gli telegrafò l’immagine di un flacone di plastica e delle decine di utilità che poteva avere. Gli mostrò con la mente cosa avrebbe voluto che l’angelo ci facesse, e cosa avrebbe voluto farci lui stesso, restituendo a Castiel le sensazioni che lui gli aveva dato quella notte. Ad ogni immagine, ad ogni fantasia che Dean gli proiettava nella mente con la forza di una preghiera ben poco pia, il respiro di Castiel si faceva pesante, rumoroso, profondo, finché non ne potè più, e si avventò famelico sulle sue labbra.





 

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Capitolo 13
*** Bless the broken road ***


NdA. Ci avviciniamo al capolinea di questa storia e devo dire che è davvero una pietra miliare nella mia storia come fanwriter... mai prima d'ora avevo portato a compimento una longfic. Che dire, si cresce... mancano ancora un paio di capitoli dopo questo, e forse (forse) un epilogo! 
Grazie a chi è rimasto sintonizzato fino a qui, e grazie a chi commenta sempre. Fatemi sapere cosa ne pensate anche di questo capitolo! 

 


CAPITOLO XIII
Bless the broken road

 

I set out on a narrow way many years ago
Hoping I would find true love along the broken road
But I got lost a time or two
Wiped my brow and kept pushing through
I couldn't see how every sign pointed straight to you

That every long lost dream led me to where you are
Others who broke my heart, they were like Northern stars
Pointing me on my way into your loving arms
This much I know is true
That God blessed the broken road
That led me straight to you
Yes, He did

I think about the years I spent just passin' through
I'd like to have the time I lost and give it back to you
But you just smile and take my hand
You've been there, you understand
It's all part of a grander plan that is coming true

 

 

I giorni trascorrevano sereni, tra passeggiate nei filari e gite in spiaggia. Un giorno Castiel aveva insistito per mostrare a Dean le sue api; e dato che erano completamente abituate alla presenza dell’angelo e in Paradiso non c’era assolutamente nulla da temere, nessuno dei due aveva indossato alcuna protezione. Nonostante questo, mentre Castiel aveva raccolto un po’ di miele direttamente dalle arnie per farglielo assaggiare, Dean si era comunque tenuto a distanza: il ricordo del caso con la città invasa dagli insetti maledetti di quindici anni prima gli faceva ancora contorcere lo stomaco. Il miele era buono però, dolce e denso, dal lontano sentore di lavanda. Gli aveva fatto solleticare il palato, lasciando esplodere il retro della sua mente in una miriade di piccole stelline che gli avevano provocato una buffa euforia da zuccheri. Piegati dal dolore agli addominali e con le lacrime agli occhi, ubriachi di miele e col cuore riscaldato dal sole, Dean e Castiel si erano trovati a ridere come due ragazzini sciocchi ripensando alle situazioni più esilaranti in cui si erano trovati in passato.

Un altra volta Dean aveva deciso di andare a visitare qualche villaggio vicino. Castiel gli aveva spiegato che il Paradiso riproduceva abbastanza fedelmente la Terra, con alcuni necessari ampliamenti, e che vivevano al suo interno anime provenienti da tutte le epoche. Alcune di esse si erano adattate alla modernità, dopo un certo periodo di aggiustamento, altre invece avevano preferito rimanere nel proprio secolo, creando piccoli nuclei simili a bolle temporali in cui far un viaggio attraverso la storia. Nei pressi del loro cottage si potevano trovare sia cittadine moderne, ricalcate su luoghi come Arles, Avignone o Cassis, e altre più lontane nel tempo, come le medievali Bonnieux e Gordes, o l’ottocentesca Isle-sur-la-Sorgue. Ma c’erano molti altri agglomerati, alcuni anche molto antichi. Dean aveva deciso di fare un piccolo road-trip, scegliendo di visitare per primo il villaggio gallo-romano dove secondo Castiel si potevano trovare ottimi salumi e carne essiccata di cacciagione, da abbinare a pane grezzo di cereali antichi e marmellate di bacche boschive. I due si erano fermati in una taverna dall’aspetto autentico, fatta di pietre, terracotta, legno e paglia. Sedie e tavoli erano stati ricavati da vecchi ciocchi di legno e l’aria calda faceva evaporare dalla terra un’odore umido misto ad erba fresca, sottobosco e stalla. Una giovane dalle lunghe trecce castano chiaro e gli occhi quasi più chiari di quelli di Castiel aveva portato loro due bicchieri di terracotta pieni di sidro fermentato e due grossi piatti di leccornie molto particolari. Felice come un bambino davanti a un giocattolo nuovo, Dean aveva spazzolato tutto dando sfogo a tutta la sua allegria e stravaganza, enumerando ogni film trash che avesse mai visto sull’antichità, tra cui anche qualche “porno d’autore”, come l’aveva chiamato lui. 

Dopo aver gironzolato un po’ per il villaggio erano rientrati in macchina e si erano diretti verso un paese che ricalcava la versione medievale di Bonnieux. Qui Castiel aveva scovato una piccola locanda dall’aspetto logoro, da cui però proveniva un profumo intenso di limone. Se fosse stato possibile, a Dean sarebbero venuti gli occhi a forma di stella come nei cartoni animati, davanti all’assortimento di crostatine, tortine e biscotti, dolciumi zuccherini e mielosi di ogni genere e specie, al limone, all’arancia o alle ciliegie. Castiel gli aveva dovuto spiegare che il cioccolato non era ancora contemplato all’epoca, e Dean non si era poi risentito tanto, aveva preso quante più leccornie possibili e insieme si erano seduto su una panchina di pietra nella piazza più alta del paese per godersi il panorama. Avevano preso dell’idromele aromatizzato ai chiodi di garofano e Castiel aveva parlato della Via della Seta, delle fiere di Champagne e dei mercanti che correvano lungo le strade del mondo per unire Oriente ed Occidente, portando con sé spezie e pietre dure, considerate quasi dello stesso valore. Dean l’aveva ascoltato con gli occhi grandi, trangugiando un dolcetto dopo l’altro, finché non si era stancato ed aveva iniziato a giocare col cibo, sporcandosi un dito con una crema appiccicosa al limone per passarlo sulla faccia di Castiel. Il ricordo di quando Sam gli aveva schiaffato la fetta di torta in faccia al festival della crostata gli aveva punto un po’ il cuore, provocandogli una fitta tra le costole, ma era passata velocemente, con l’espressione di totale disappunto che era apparsa sulla faccia dell’angelo. Senza dargli il tempo di difendersi, Castiel gli aveva stretto i polsi con le mani e si era strusciato contro la sua faccia, riempiendolo a sua volta di crema. Avevano riso come bambini e poi si erano baciati fino a ripulirsi il viso, mescolando il sapore dei dolciumi a quello delle loro labbra. 

Nel tardo pomeriggio erano arrivati a visitare un vecchio monastero, un posto dove si trovavano le “anime dei devoti benedettini” di un qualche periodo tra il 1500 e il 1800, tutti raggruppati nonostante le diverse epoche di provenienza grazie al simile stile di vita, immutato nel tempo. Qui si erano ubriacati con un po’ troppo di quel vino bianco prodotto dai monaci, che avevano anche servito loro  una sorta di bassa focaccia al rosmarino calda e croccante insieme a una miriade di formaggi diversi, alcuni a pasta dura, altri spalmabili, altri che puzzavano più di un Goul. Dean era in estasi, mangiava e rideva e parlava a bocca aperta, sventolando la tazza di vino e gesticolando, con i pezzi di cibo che volavano dovunque. Castiel lo guardava con un sorriso fisso sul viso, con la schiena abbandonata contro lo schienale della panca e gli occhi azzurri che brillavano. Si erano seduti a uno dei pochi tavoli lunghi e rettangolari di lato alla chiesa, vicino al piccolo negozio di liquori, vini e prelibatezze fatte in casa che si incastonava in una parte del monastero. Il sole basso colpiva in pieno quell’angolo con i suoi raggi dorati, creando splendide ombre e giochi di luce che accarezzavano i lineamenti di entrambi, facendo loro ogni sorta di favore. Le lentiggini di Dean sembravano piccole macchie di bronzo fuso, i suoi capelli riflettevano come ambra scura, mentre gli zigomi alti e la mandibola scolpita di Castiel erano enfatizzati dando alle sue guance quella stessa ombreggiatura caravaggesca che aveva quando era apparso la prima volta.

Si erano spostati di nuovo solo al calare del sole, quando ormai il cielo era un’esplosione di colori che virava dal blu cobalto al rosso purpureo, passando da nuvole arancioni e rosate. In pochi giri di motore, come se la strada si accorciasse o si allungasse in base alle necessità di chi la percorreva, erano arrivati a quella che Castiel aveva chiamato la “Arles Celeste”, ovvero la versione perfezionata e paradisiaca della reale cittadina francese. Dean aveva insistito per mangiare di nuovo, e prima che Castiel potesse controbattere si era lanciato in una patisserie da cui usciva un profumo di burro e cioccolato da far venire l’acquolina in bocca. Da vero turista americano, l’uomo aveva ordinato una quantità spropositata di pan-au-chocolate ancora fumanti, e lui e l’angelo avevano passeggiato per le vie del paese che si animava per la sera, con le mani abbastanza vicine da sfiorarsi pur senza stringersi, mangiando quelle pagnotte di sfoglia al cioccolato in un silenzio rilassato. Quando ormai la sera era calata si erano ritrovati nel bel mezzo di una festa in centro città, con tutti i locali e i ristoranti aperti e una banda musicale che suonava qualche classico più o meno recente della musica francese; c’erano giovani e vecchi che cantavano e brindavano, alcuni ballavano, e tanti se ne stavano seduti a scherzare, mangiare e bere a piccoli tavolini tondi di ferro battuto. Dean aveva scelto un bistrot all’angolo tra la piazza e la strada principale illuminato a giorno dalle luminarie, e senza neanche pensarci aveva ordinato sia una fonduta di formaggio che una di carne, sotto lo sguardo esasperato di Castiel, che era già abituato alla capacità di mangiare ininterrottamente di Dean sulla Terra, ma che non aveva fatto i conti con la possibilità di autoregolarsi dono del Paradiso 2.0. Pur senza troppa convinzione avevano ordinato anche dell’acqua insieme a due gigantesche pinte di birra; testuali parole di Dean, era “stanco di fare il ragazzo altolocato” e aveva bisogno di un po’ di “buona vecchia birra per risciacquarsi da tutta questa delicatezza francese”. Castiel aveva riso, e poi avevano mangiato la loro cena parlando di tecnicismi da Paradiso. Dean aveva domandato come mai ci fossero persone con un aspetto più giovane ed altre un aspetto più anziano; sua madre gli aveva già spiegato che le anime si manifestavano nell’aspetto che avevano nel momento di massima espressione di sé della propria vita, ma lui si chiedeva se fosse possibile scegliere che aspetto avere, e se quindi alcuni scegliessero deliberatamente di mantenere l’aspetto che avevano quando erano morti, con le rughe e i capelli bianchi, o se invece fosse qualcosa su cui non potevano avere influenza. Inoltre la grande quantità di giovani lo incupiva. Castiel aveva sorriso con quel suo luccichio adorante negli occhi, e aveva spiegato come ognuno potesse bene o male modellare il proprio aspetto, ma che spesso si trattava di una scelta involontaria. Molti si risvegliavano in Paradiso freschi e giovani come non erano più da decenni, solo perché inconsciamente si sentivano più felici in quei panni, mentre altri, magari per qualche motivo legato alla propria esistenza, si risvegliavano esattamente come si erano addormentati. O, almeno, nell’aspetto. Le funzionalità del corpo “celeste” di ogni anima del Paradiso erano tali e quali a quelle che erano state proprie di ognuno al massimo della propria vigoria. Comunque la gran parte delle persone, aveva spiegato, finivano per materializzarsi in un’età di mezzo; non troppo giovani né troppo anziani. In quell’età della piena maturità e consapevolezza, della pienezza dei sensi e del cuore. All’apice della vita, in un certo senso. Dean aveva chiesto se qualcuno si fosse mai risvegliato bambino, e tentennando la testa Castiel aveva risposto di sì, ma aveva spiegato che spesso chi da adulto o anziano si trovava bambino in Paradiso lo faceva per un tempo limitato, come se volesse curare delle ferite rivivendo la propria vita in un modo diverso, pacifico. Neanche i bambini veri e propri, che per qualche motivo non avevano potuto concludere la propria vita terrena, crescevano in Paradiso prima o poi, con tempi e modi molto diversi rispetto a quelli terrestri.

Tra chiacchiere, cibo e alcol, alla fine Dean era stato talmente preso dal momento che aveva trascinato Castiel in mezzo alla piazza insieme alle altre persone, e insieme avevano ballato come due idioti. L’uomo scatenato e sciocco, l’angelo impalato e maldestro. Stanco e frastornato, alla fine Dean aveva preferito non tornare al cottage, così avevano optato per prendere una bella camera in un albergo in paese, e non appena avevano toccato il materasso l’uomo era crollato in un sonno pesante. Castiel, che per natura non dormiva, gli si era sdraiato accanto e lo aveva tirato a sé, senza svegliarlo, per fargli appoggiare la testa contro il suo petto. Il cuore umano che aveva dentro al suo tramite era così colmo di gioia e amore che se non fosse stato un angelo avrebbe dovuto temere che potesse scoppiare. Mai in tutta la sua esistenza aveva creduto di potersi sentire così, mai aveva anche solo immaginato che esistesse una sensazione di pienezza più dolce e stravolgente di quella che provava. Quando Dean si era accoccolato contro di lui nel sonno, cingendogli la vita con un braccio, Castiel si era beato di quella vista appena rischiarata dalla luce lunare, poi aveva deciso di dissociarsi per un po’ dal suo corpo per dare uno sguardo al Paradiso e assicurarsi che andasse tutto bene, pur senza abbandonare del tutto la coscienza per non perdere il contatto caldo e confortante della pelle di Dean contro la sua.

Nonostante secondo il loro progetto iniziale quel piccolo viaggio su ruote sarebbe dovuto durare solo una giornata, Dean si era svegliato il giorno dopo con la voglia di vedere Parigi. La mattina a colazione, davanti a una valanga di brioches e pan-au-chocolate e una tazza stracolma di caffè bollente, si era messo a parlare di come in vita avesse fatto migliaia di migliaia di chilometri su e giù per gli Stati Uniti, ma non fosse mai uscito dal Nord America, quindi ora che ne aveva la possibilità voleva cogliere l’occasione. A poco era valso il tentativo di rincuorarlo da parte di Castiel, che gli aveva assicurato che con tutta l’eternità davanti avrebbero sicuramente potuto visitare tutto il Paradiso più e più volte; e non solo i tanti luoghi ispirati alla Terra, ma anche moltissimi altri per i quali Jack aveva preso ispirazione dalla cultura pop. A quell’accenno gli occhi di Dean si erano fatti grandi e aveva iniziato a chiedere di questo e di quello, riempiendo le sue domande di citazioni cinematografiche e romanzesche che andavano sprecate se rivolte a Castiel. Così si era ripromesso di organizzare una gita nerd con Charlie e Kevin, e ovviamente avrebbe trascinato con loro anche il serafino, che lo volesse o meno, perché adesso che erano finalmente uniti non lo avrebbe lasciato indietro per nessun motivo. 

In ogni caso, Dean era stato categorico: Parigi sarebbe stata la loro tappa successiva, e nonostante le rimostranze di Castiel, che riteneva che la distanza fosse troppa per percorrerla in macchina, aveva insistito per guidare lungo i panorami francesi. Alla fine c’erano voluti tre giorni a raggiungere la città in macchina, tra interruzioni più o meno necessarie: una volta Dean aveva voluto per forza provare con Castiel una scena da un film erotico degli anni settanta in un campo di girasoli, e un’altra era stato l’angelo a stuzzicarlo a tal punto a forza di baci mentre guidava da costringerlo a fermarsi in mezzo alle colline sotto il cielo stellato, nascosti in un groviglio di braccia, gambe, mani e labbra sul sedile posteriore dell’impala. Arrivati nella copia della capitale francese Dean era stato attratto da ogni sorta di vetrina di boulangerie e patisserie. Nel secondo arrodissement si erano fermati per prendere una decina di eclair diverse, alla meringa, alle noci pecan, al cioccolato, al frutto della passione e altre ancora, in una piccolissima pasticceria in angolo. Castiel l’aveva spuntata sui musei: Dean aveva il diritto di scegliere di fermarsi a mangiare quello che voleva quando voleva, ma in cambio doveva sopportare delle visite culturali. Pur storcendo la bocca l’uomo aveva acconsentito, non senza volgere a suo favore il “quando voleva” che Castiel si era lasciato scappare. Avevano finito per visitare il museo d’Orsay nonostante le rimostranze di Dean, che in cambio aveva ottenuto di poter prendere dei waffle  giganti coperti di cioccolato e praline a forma di organi genitali, in una viuzza laterale, e aveva gongolato per almeno una mezz’ora sventolando il suo dolciume che, a suo dire, era decisamente meno imponente della controparte fisica di sua proprietà. Castiel aveva roteato gli occhi e si era domandato ad alta voce cosa avesse fatto di male per essersi innamorato di un tale deficiente, ma era bastato un bacio di Dean - che tra l’altro gli aveva lasciato uno stampo di cioccolato a forma di labbra sulla guancia - a far crollare la sua maschera di finta insofferenza. 

Passeggiando per il quartiere latino dopo un altro paio di tappe culturali, poi, Dean aveva notato un sexy shop e senza troppe cerimonie aveva preso Castiel per mano e ci si era lanciato dentro, finendo per uscire con un sacchetto fin troppo grande e fin troppo vistoso di “cose assolutamente necessarie”, almeno secondo lui. Per il resto del giorno Dean non aveva detto nulla a voce alta, ma si era divertito a flirtare con Castiel tramite preghiera, stuzzicandolo fino all’esasperazione: con uno schiocco di dita l’angelo li aveva trasportati in un istante nella piccola camera con vista sull’Arco di Trionfo che avevano preso quando erano arrivati, e avevano finito per saltare la merenda, troppo intenti a provare quei nuovi balocchi che a Dean sembrava piacessero tanto. Non che Castiel non avesse apprezzato, anzi. Quel giorno, per la prima volta, avevano fatto di nuovo l’amore e anche se l’angelo avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato usando la sua grazia, l’immagine di Dean che si spremeva il flacone di gel sulle mani senza mai smettere di fissarlo negli occhi era qualcosa che non avrebbe mai potuto dimenticare e che gli aveva provocato un’emozione tanto potente da trasformarlo in pura luce per qualche secondo, prima di riuscire riprendere il controllo. 

La sera avevano optato per una passeggiata lungo la Senna fino alla Torre Eiffel e dato che il Paradiso non era la Terra e che Castiel era il secondo al comando dopo Jack, in un battito d’ali si erano trovati sulla cima a contemplare la città dall’alto, viva e pulsante di milioni di anime in festa. Poi Dean aveva deciso di avere il suo momento alla Pretty Woman e, entrambi in smoking, avevano deciso di cenare al lume di candela con ostriche, champagne, escargot e paté de foie gras in un ristorante di lusso nella zona di Saint Germain. Dean aveva provocato Castiel per tutto il tempo, vezzeggiandolo telepaticamente per il suo aspetto, proiettandogli le sue stesse fantasie. L’angelo era rimasto abbastanza impassibile se si escludevano le occhiate infuocate che gli aveva lanciato per tutta la cena. Poi l’uomo aveva lanciato per sbaglio una lumaca al tavolo accanto ed entrambi erano scoppiati a ridere, finendo in lacrime a prendere bonariamente in giro sottovoce gli altri avventori. Dopo la splendida cena, comunque, il ragazzo americano di periferia che era in Dean era riemerso, e con uno schiocco di dita di Castiel avevano entrambi indossato vestiti più casual e si erano infilati in un locale a luci rosse con ballerine seminude e molti alcolici; Si erano seduti a un tavolino piuttosto centrale, l’uno accanto all’altro, così vicini da toccarsi dalla spalla al piede. Le loro quattro mani erano unite in un nodo inestricabile sopra al tavolo, liberandosi di tanto in tanto solo per afferrare i rispettivi drink. Si erano baciati senza ritegno e senza vergogna, dolci quasi fino al diabete, ignorando quasi del tutto le ballerine. Stranamente, Dean si era reso conto che nonostante le trovasse tutte estremamente attraenti e decisamente sensuali, non avrebbe voluto provarci con nessuna di loro. Il calore e la vicinanza di Castiel erano tutto ciò che voleva, e quello che gli si parava davanti non era che un piacevole spettacolo di burlesque come un altro. L’unica cosa che Dean aveva continuato a cercare era lo sguardo di Castiel, tra le risate e il divertimento generale: quella notte, tornati in camera, gli aveva fatto indossare di nuovo lo smoking, e si era goduto lo spettacolo del suo spogliarello sulle note di je t’aime moi non plus; schifosamente romantico e schifosamente cliché, ma non importava a nessuno. Mentre guardava il suo angelo che si spogliava per lui, Dean si era sentito pieno di un’emozione profonda, stravolgente, e si era sorpreso a pensare a quanto fosse incredibile il potere di un sentimento come l’amore.

Quando finalmente, dopo una settimana on the road, erano tornati al loro cottage in Provenza, Dean si sentiva letteralmente e figurativamente in Paradiso. 

Entrarono nella piccola casetta e si buttarono entrambi sul divano, accesero la televisione e si accoccolarono l’uno contro l’altro: Castiel quasi seduto, con la schiena dritta contro lo schienale, e Dean quasi sdraiato, con la testa sulle gambe dell’angelo e un braccio di lui a cingergli le spalle. Scelsero di guardare un western già visto e rivisto, solo come sottofondo, per rilassarsi un po’ senza impiegare troppe energie.

Fu Castiel a rompere il silenzio. «Come ti senti?»

«Molto bene», rispose Dean con un mugolio.

«Possiamo rifarlo ogni volta che vogliamo, andare ovunque ci venga in mente»

L’uomo annuì, sorridendo. «Tu dove stai, Cas? Di solito, dico…»

«Che intendi?»

«Abbiamo parlato di costruire un posto, una casa… ma non ti ho chiesto se ne hai già una»

Castiel sorrise, i suoi occhi accarezzarono per un attimo i lineamenti di Dean, disteso sulle sue cosce. «Non ho ritenuto necessario averla, almeno fino ad ora… come sai, non ho quasi mai avuto un tramite da quando Jack mi ha riportato indietro dal Nulla fino al momento in cui tu mi hai chiesto di… uhm, indossarlo

Dean fece una smorfia. «Detto in questo modo suona veramente male, Cas»

«Hai ragione…», concordò Castiel, «…ma il punto non cambia. Sono rimasto nella mia forma autentica per tutto il tempo che ti ho aspettato. Certo, a Bobby e Charlie e tua madre mi sono mostrato con questo corpo, ovviamente, ma a parte quelle sporadiche volte non ho mai avuto nessun corpo materiale da far riposare in qualsivoglia luogo», poi ci pensò, «Non che io riposi, comunque»

«Però hai dormito con me in questi giorni»

«Più precisamente ti ho osservato dormire, sdraiato nel letto con te…»

«Non dormi proprio mai?»

Castiel sbuffò una risatina leggera, il suo sorriso si allargò fino agli occhi, increspando la pelle intorno al naso. «Non mi serve dormire per sognare di te, quando ti ho già tra le mie braccia»

Dean schioccò le labbra. «Bastardo adulatore», commentò sorridendo. «Quindi dove stavi? O, dove stai?»

«Al quartier generale», rispose Castiel con un sospiro. «È buffo, sai? Devo portarti a vederlo… Jack l’ha creato a immagine e somiglianza del bunker… la sala centrale è esattamente identica alla stanza del tavolo con la mappa, solo in bianco. È tutto bianco, in effetti… molto…»

«Freddo?»

«Da un punto di vista umano probabilmente sì…»

«Allora perché l’ha fatto così?»

Castiel ci pensò un po’. «Quasi tutti gli altri angeli— beh, a parte quelli nuovi… sono abituati a un certo tipo di luogo… il modo in cui io e Jack abbiamo rivoluzionato il Paradiso li ha destabilizzati, almeno in parte… immaginati di vivere in un luogo che è rimasto uguale per secoli, anzi… millenni, anche se dovrei dire ere geologiche… ecco, e all’improvviso, quel luogo è completamente stravolto da un Nephilim che ha assorbito il potere di Dio, che nel frattempo era scomparso, e da un angelo morto più volte di quante sia dignitoso ricordare che l’ultima volta che ha preso il potere ha ucciso centinaia di fratelli… beh, avevano bisogno di un po’ di… sicurezza, diciamo»

«Capisco…», sussurrò Dean. «…un po’ come quando casa di Bobby ha preso fuoco»

«All’incirca»

L’uomo inspirò, si grattò la nuca e si sollevò, sedendosi accanto a Castiel per poterlo guardare negli occhi. Come aveva fatto a meritarsi una cosa del genere? Dieci giorni di pura serenità, di gioia e di passione, di scoperta, con una creatura come quella? Certo, Castiel aveva avuto la sua bella dose di stronzate lungo la strada. Ne aveva combinati di casini, accidenti, eppure in retrospettiva Dean non poteva che pensare a come ogni cosa che aveva fatto, ogni singolo passo e ogni singola scelta, stupida e arrogante e presuntuosa che fosse, l’aveva fatta solo per lui. Aveva cercato di diventare la creatura più potente dell’universo per proteggere la Terra, e solo perché Dean ci teneva. Aveva preso il dolore di Sam, la sua follia dopo che la sua anima era tornata dall’inferno e il blocco messo da Morte era crollato, e se ne era fatto carico, perdendosi in una spirale di allucinazioni. All’epoca Dean era convinto che l’avesse fatto per entrambi, per proteggere le “migliori chance di sopravvivere della Terra”, ma ora sapeva bene che non era così: tutto ciò che Castiel aveva fatto, nel bene e nel male, l’aveva fatto per lui. E come l’aveva ripagato? Cacciandolo dal bunker per fare un piacere all’ultimo angelo caduto che gli si era parato davanti, che l’aveva imbrogliato, che gli aveva mentito, che l’aveva usato, e che alla fine aveva ucciso Kevin e fatto sì che Dean, idiota com’era, lasciasse Castiel da solo, fragile nella sua nuova e innaturale umanità, a cavarsela in un mondo di mostri umani e disumani. 

«Che razza di stronzo che sono stato…», disse ad alta voce seguendo il flusso dei suoi pensieri.

Castiel aggrottò la fronte. «Di che parli?»

«Avrei dovuto trattarti meglio»

«Dean… non devi, ti prego, smettila di punirti»

L’uomo sorrise, gli posò una mano sulla guancia. «Non lo sto facendo», rispose, la sua voce era una carezza appena graffiata dalla sua costante difficoltà di esprimere i propri sentimenti. «Sto solo esponendo un fatto… sono stato un vero bastardo con te, avrei dovuto trattarti molto meglio… ma ero così cieco e così arrabbiato, così incapace di… perdonare. E di vedere. Non avrei mai dovuto mandarti via dal bunker… tu eri… umano e fragile e disorientato e… a portata di mano. Forse, non so, col senno di poi se tu fossi rimasto nel bunker, umano com’eri… chissà che io non avrei lasciato cadere le mie rimostranze prima… se non fosse stato per Gadreel, ma… io— Sammy…»

«Dean, non hai colpe. Non importa, è passato»

«Non voglio mentirti, Cas…», disse Dean lasciando cadere la mano. «…Sono venuto tante volte a vederti lavorare, con quel tuo giubbetto blu… ma non mi sono mai mostrato. Non volevo… stravolgere di nuovo la tua vita, l’equilibrio che stavi costruendo e— quando eri in macchina con me e dovevi andare a quell’appuntamento…»

«Che poi non era un appuntamento, che stupido ed ingenuo che sono stato… a credere che un altro essere umano potesse trovarmi interessante, in quei panni»

«Tu eri interessante, Cas. Lo sei», gli disse Dean di getto, «Sempre stato!», lo rincuorò ancora, cercando i suoi occhi. «E quando ti ho visto uscire dalla macchina, prendere quella rosa, quello scambio di sguardi… maledizione, Cas! Che razza di pagliacci che siamo stati entrambi! Io che tutto volevo tranne che tu andassi da lei… e tu… me lo ricordo sai, ora me ne rendo conto e non so perché lì per lì non ho reagito diversamente, ero così… stupidamente cieco… beh, se ci ripenso, lo vedo lo sguardo che mi hai dato quando ti ho detto che non potevo lasciartelo fare… e poi ti ho detto che mi riferivo ad andare all’appuntamento con la casacca da cassiere—»

«Speravo in un altro motivo, in effetti… c’è stato un lampo di speranza, in me… ma poi mi sono ricreduto»

«Non avresti dovuto… non so, davvero, non so cosa avrei potuto fare e come avrei potuto reagire se tu… non lo so, mi avessi, per dire, baciato… penso che non mi sarei ritratto, probabilmente. Sai, da umano mi sembravi— nonostante la mia cecità, il mio negare l’evidenza… mi sembravi accessibile, naturale… ma poi ovviamente è andato tutto a rotoli e gran parte della colpa è mia»

Castiel piegò le labbra in un piccolo sorriso timido. «La colpa è nostra… siamo stati entrambi due stupidi»

«Non voglio che capiti più, Cas», commentò Dean con un cenno assertivo del capo.

«Cosa?»

«Essere allontanato da te… per qualunque motivo»

L’angelo sorrise un po’ di più. «E non accadrà…»

«Ovviamente qualche volta possiamo anche prenderci del tempo per noi stessi, sai… tu puoi fare i tuoi giri angelici o qualunque cosa sia che devi fare, mentre io posso passare del tempo con i miei amici, anche da soli, ovviamente, o insieme, certo… insomma, quello che voglio dire è che anche se a volte dovremo separarci per un po’— non più di qualche ora, sia chiaro, e mai per la notte a meno che non sia strettamente necessario… voglio sempre tornare a casa da te»

Castiel annuì.

Dean schioccò le labbra. «Quindi sono pronto, voglio tornare… voglio costruire una casa per noi, insieme a te, e voglio che sia calda e accogliente, piccola ma comoda… voglio un bel giardino con una piccola serra, dove puoi coltivare le tue piante… come mi hai detto una volta, ti ricordi? E poi voglio che tu abbia un’arnia… o più arnie, insomma, quante ne vuoi… e poi voglio—»

«Un garage e un piccolo parco macchine, dove puoi lavorare su baby tutte le volte che vuoi?»

Il viso dell’uomo si illuminò all’idea. «Sì! E voglio che sia vicino a casa di Bobby, perché è da lui che prenderò tutti i pezzi di ricambio… quel vecchio bastardo ne avrà a sfare, ci scommetto. E poi voglio avere un bel salotto accogliente, con una cucina a vista… come si dice? Un open space… che dia su… su… sul giardino, con una parte di patio coperto a cui si accede da delle porte vetrate scorrevoli, che si possono aprire e chiudere, così da avere uno spazio grande per fare le feste con i nostri amici e organizzare le grigliate e… ci vorranno due griglie, ovviamente, perché non esiste che io mescoli le verdure con la mia carne e quel testone di Sam quando arriverà vorrà i suoi terribili hamburger di tofu o quella roba là…»

Castiel rise e scosse la testa. «Che ne dici di una piscina? Mi sono sempre sembrate un ottimo luogo di ritrovo per voi umani… vi piace, no, fare le feste e poi lanciarvi vestiti nell’acqua? Su Netflix ho visto molte scene del genere…»

Dean si unì alla risata. «Sì…», ammise. «E ovviamente voglio un bar… anzi, due bar. Uno esterno…», i suoi occhi si fecero enormi mentre guardavano nel vuoto oltre la spalla dell’angelo davanti a lui, la sua bocca si spalancò, «…in mezzo alla piscina!», urlò quasi, facendo scoppiare a ridere Castiel un’altra volta. «…e ovviamente uno in casa, con un assortimento di whiskey e scotch che neanche Catch potrebbe immaginarsi. E birre, ovviamente… e senza dubbio una taverna per i film! Sarà la Dean-Caverna… anzi, no, com’è che ci avevano chiamato quei mezzi matti di quella scuola? Deas… Das… Destiel! Sarà la Destiel-Caverna», asserì schioccando le dita.

Castiel sorrise. «Potremmo anche avere una stanza-studio d’arte in soffitta?»

L’uomo si concentrò di nuovo sul viso dell’altro, con gli occhi stretti in un’espressione incuriosita. «Certo…», rispose interessato.

«Sai… mi piacerebbe, non so, provare a dipingere o creare qualcosa… con le mani. Per noi angeli, soprattutto per me come serafino, in particolare dopo aver dato vita a questo nuovo Paradiso con Jack… creare è qualcosa di naturale, di privo di sforzi… con uno schiocco di dita noi diamo vita a intere città celesti, a cascate e montagne… possiamo curare e uccidere, possiamo cambiare il giorno in notte… ma ho sempre invidiato la capacità umana di immaginare e creare e dare vita a qualcosa seppur di inanimato… mi piacerebbe, non so, scrivere delle poesie e dipingere dei quadri e… non lo so, magari farò schifo ma voglio farlo come un umano»

L’espressione di Dean si ammorbidì, le sue iridi verdi si riempirono di tenerezza. «Non potresti mai fare schifo e poi… hai sempre la grazia per correggere le sbavature», gli disse con una spallata.

«E poi penso che dovremmo avere un lucernario, per guardare le stelle anche da dentro casa… come in quel film, come si chiama? Kilo e Stitch?»

«Lilo», rise Dean, «Lilo e Stitch»

«Uhm»

«Va bene»

«Che altro?», chiese Castiel.

«Una camera da letto con un bel letto matrimoniale… ma non troppo grande, perché mi piace starti attaccato»

«Anche a me piace starti accanto», annuì, «E una cucina ben attrezzata… potremmo avere un forno per la pizza, magari? Un vero forno a legna, di quelli italiani»

Dean si illuminò. «Ooh, sì! Ma chiunque si azzardi a mettere dell’ananas sulla pizza fatta in casa nostra sarà bandito in eterno…»

Castiel ridacchiò. «Che problemi hai con l’ananas?»

«Con il frutto in sé, assolutamente nessuno… con il fatto che qualcuno pensi di mettere della frutta sui carboidrati, molti»

«Sei consapevole che i pomodori sono frutti, vero?»

Dean parve pensarci un po’, come se stesse valutando qualcosa a cui non aveva mai davvero fatto caso. «Beh, qualcuno avrà sbagliato a catalogarli… non mi interessa…»

«Anche l’avocado è un frutto, eppure la gente lo spalma sul pane… e lo mangia con la carne»

«Altro banale errore», commentò l’uomo, «e poi comunque sono le eccezioni alla regola e… in ogni caso, la pizza è italiana, giusto?»

Castiel alzò un sopracciglio. «Sì…»

Dean gli fece un sorriso furbo. «E gli italiani ci mettono sopra l’ananas per caso?»

«Beh, no, ma…»

«E allora cento punti a Grifondoro, ovvero alla mia casa, e niente ananas sulla pizza!»

L’angelo scosse la testa. «Va bene»

Dean rise, si alzò dal divano e andò al frigo per prendersi una birra. Con uno scambio di occhiate chiese a Castiel se ne volesse una e lui annuì, afferrandola al volo quando l’uomo gliela lanciò dall’altro lato della stanza. Tornando a sedersi al suo fianco, con il film che scorreva nella televisione, Dean stappò la bottiglia e ne bevve un lungo sorso, annuendo con gli occhi fissi davanti a sé come se stesse soppesando tutta la loro conversazione.

«Direi che abbiamo dipinto un bel progetto…», disse. «…pensi che gli altri ci aiuteranno a realizzarlo?» 

«Sicuramente»

L’uomo annuì ancora. «Però per prima cosa, quando torniamo, dovremmo andare dai miei… siamo fuggiti senza dire nulla, credo che dovrei… uhm, presentarti ufficialmente, ecco»

«Mi conoscono già, Dean»

Lui tentennò la testa. «Mia madre sì, come amico però. E mio padre non proprio… non penso di avervi mai presentato ufficialmente…»

«Beh, no, ma—»

Dean alzò una spalla e piegò le labbra verso il basso, in un’espressione decisa. «E sono proprio curioso di vedere se il mio vecchio ha qualcosa da ridire…»

Castiel gli lanciò uno sguardo oltre la spalla. «Dean, non sei costretto a farlo se temi che…»

«Non temo niente, Cas… mio padre è stato un vero stronzo, un vero bastardo, e ha rovinato l’infanzia a me e Sam e sicuramente non è mai stato un modello per quanto riguarda le relazioni, e non ti nego che non mi ha mai lasciato intuire che sarebbe stato tutto tranquillo e sereno se avessi portato a casa un ragazzo invece che una ragazza… che pensi? Ho sempre percepito che mi piacevano anche i maschi, almeno fisicamente, ma ho sempre pensato che fosse sbagliato perché John ha sempre parlato solo di donne, di come comportarsi con loro, di come flirtare, di come proteggersi, sai… e non con la lama angelica, Cas», rise, «…e ha sempre usato parole spregevoli nei confronti degli uomini che si rifiutavano di combattere, appellandoli con tutta una serie di offese legate all’omosessualità, come se fosse una cosa sbagliata, negativa diciamo… penso sia normale che io sia cresciuto pensando che amare una persona del mio stesso sesso fosse sinonimo di debolezza, in un certo senso…»

«Ma—», cercò di interromperlo Castiel, senza successo. 

Dean era nel pieno di una rivelazione, e sembrava che parlasse più con sé stesso che con l’angelo. «…eppure sai, non è che abbia mai avuto atteggiamenti aggressivi o altro, quando abbiamo incontrato coppie di due uomini, o due donne, non ha mai… non è mai stato effettivamente omofobo. Credo di essere stato io a… interiorizzare, in un certo senso, l’omofobia in modo— di riflesso, ecco. Se un poliziotto era pigro, mio padre usava termini offensivi come… beh, non importa quali… sta di fatto che ho come sempre percepito che fosse sbagliato, innaturale… che ti indebolisse, non so— e ovviamente ogni volta che era ubriaco e ci trovavamo a discutere urlava contro Sammy le stesse cose, perché lui sai… era tutto libri e soldatini, ben poca azione… e io… beh, credo di aver compensato indurendomi, convincendomi non solo che non potevo avere niente di diverso dalle donne, ma che anche con loro non avrei dovuto instaurare rapporti seri, profondi… perché, ehi, gli uomini duri sono quelli che sanno accettare un no per risposta quando approcciano una donna, ma mirano a quanti più sì diversi in una settimana, giusto? E poi avrei messo a rischio chiunque, in una relazione… meglio essere un uomo insensibile, un vero sciupa femmine… un vero coglione, in definitiva»

«Dean, non sei mai stato così…»

«Oh, sì che lo sono stato… o meglio, fingevo di esserlo… me l’ha anche detto Sam una volta… che le persone ci scambiavano per una coppia perché io ero un coglione sempre sull’attenti, pronto a prendere a schiaffi chiunque, con quell’aria arrogante ed altezzosa, sempre sul filo della discussione… come se dovessi nascondermi… in un certo senso era vero. Non sono una persona insensibile, Cas… non lo sono mai stato, e credo che fingere di esserlo abbia finito per incrinare anche il modo in cui io vedevo me stesso… sei tu che hai cambiato quell’immagine riflessa che avevo di me», confessò.

Castiel gli sorrise. «Hai fatto tanta strada da allora, Dean… e anche John. Sono sicuro che sia consapevole di aver sbagliato, con te, con Sam, con tua madre… sono anni che è qui in Paradiso… il tempo cambia le persone, lo sai, no? O meglio, le mette davanti alle loro scelte, ai loro errori, e le fa maturare… e tu sei cresciuto, così come è cresciuto lui… ma ovviamente, Dean, se tu non te la senti, non devi farlo per me… io sono felice in una bolla solo con te, non mi importa di nient’altro»

«Importa a me», controbatté Dean, con una scossa della testa, fissando gli occhi in quelli di Castiel. «Voglio vivere la mia verità… ora che mi rendo conto che questa non influisce su di me, come persona… che non mi definisce. Io sono sempre lo stesso, e ho sempre lo stesso carattere e sono sempre così come sono anche ammettendo di essere… uhm, sì, credo bisessuale? Beh, insomma, etichette a parte… sono sempre lo stesso anche se sono innamorato di un angelo— anzi, di un serafino senza sesso e genere vestito del corpo di un uomo, e questo… questo mi rende fiero. Ho accettato me stesso e non voglio nasconderlo a nessuno, non voglio viverlo come una cosa di cui vergognarmi… inconsapevolmente Chuck ha benedetto la via che mi ha portato direttamente a te, e Jack… beh Jack l’ha consacrata…»

Castiel lo guardò intensamente, poi sospirò e annuì. «Sappiamo entrambi che non aveva bisogno di me per ricostruire il Paradiso…»

«Già», confermò Dean.

«Tu non hai idea di quanto l’ho pregato… o magari ce l’hai, dato che puoi sentire le preghiere… ma l’ho pregato fino allo sfinimento, perché ti riportasse indietro… non sapevo che mi avesse ascoltato, non ne avevo la certezza… e sinceramente non ci credevo neanche perché Chuck aveva detto di non aver potere sul Nulla… eppure, l’ha fatto… e sicuramente l’ha fatto perché sei suo padre, per lui, ma penso… in un certo senso credo che…»

«L’ha fatto anche per te, Dean», sospirò Castiel. «Sapeva che non saresti mai stato felice… qualunque cosa ci fosse tra noi, sapeva che il tuo Paradiso non sarebbe stato completo senza di me… che ti saresti sempre sentito in colpa»

Dean sbuffò una risata. «Il piccolo stronzetto la sapeva lunga»

«Se è per questo nel suo Paradiso… ti ricordi, quando sono andato a recuperarlo?» 

«Sì, quando così stupidamente hai fatto un patto con il Nulla»

Castiel tentennò la testa. «Esattamente… beh, nel suo Paradiso c’eravamo anche noi, era un ricordo di uno dei nostri viaggi, eravamo parcheggiati davanti a una stazione di servizio e sul cofano della tua macchina c’erano bibite e cibo… beh, quattro persone, tre bibite, di cui una con due cannucce… e dubito che fosse divisa tra te e Sam»

«Eww», commentò Dean al solo pensiero. «Stai dicendo che nel Paradiso di Jack io e te condividevamo una bibita?»

Castiel rise. «Già»

«Piccolo bastardo», rise.

«In ogni caso, Dean… sono felice che tu voglia essere aperto riguardo a questo, riguardo a noi», disse gesticolando nello spazio tra lui e Dean.

Lui gli sorrise, lanciandogli uno sguardo di sottecchi. «Non c’è più motivo di non esserlo… e poi, sarebbe difficile tenere nascosto per l’eternità quanto mi piace vederti gemere nel nostro letto»

Castiel arrossì tutto d’un colpo, affogandosi quasi con la birra. «Dean

«Che c’è?»

«Non puoi dire queste cose mentre sto bevendo!»

«Oh, sì che posso…», rispose l’altro, avvicinandosi all’orecchio di Castiel fino a soffiarci dentro, a un millimetro di distanza. «…e ora che ci penso, mi piacerebbe proprio provare quella vasca che abbiamo in camera… potremmo sempre averne una copia nella nostra nuova casa, se ci piace…»

L’angelo fremette, un piccolo bagliore uscì dalla sua pelle. Quando parlò, la sua voce era un suono gutturale, caldo e graffiato, i suoi occhi pozzi blu cobalto. «Fammi strada»




 

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Capitolo 14
*** Father and Son ***


NdA. questo sarebbe dovuto essere il penultimo capitolo, ma credo che invece il penultimo sarà il prossimo perché mi sono resa conto che questo confronto è andato più lungo di quanto credessi e ci sono ancora alcune cose che vorrei che Dean e Castiel facessero prima di chiudere il cerchio di questa storia. Questi ultimi capitoli si stanno un po' scrivendo da soli... non che siano più semplici, anzi, ma è come se fossero i personaggi a portarmi dove vogliono adesso, e non sono più solo io a comandarne le mosse. Comunque, grazie a chi è rimasto fino a qui. Grazie a chi ha letto e commentato, e anche a chi ha soltato letto. Il titolo di questo capitolo è ispirato dalla famosa canzone di Cat Stevens, Father and Son, che credo si adatti molto bene al rapporto di non ascolto reciproco che c'è spesso tra genitori e figli, e in particolare, credo, tra John e Dean.
Fatemi sapere cosa ne pensate!


 


CAPITOLO XIV
Father and Son

 

I was once like you are now
And I know that it's not easy
To be calm when you've found
Something going on
But take your time, think a lot
Think of everything you've got
For you will still be here tomorrow
But your dreams may not

All the times that I've cried
Keeping all the things I knew inside
It's hard, but it's harder to ignore it
If they were right I'd agree
But it's them they know, not me
Now there's a way
And I know that I have to go away
I know I have to go

 

«Sei pronto?»

Dean se ne stava seduto in macchina, gli occhi fissi sul portone verde al di là del finestrino del passeggero, le mani strette sul volante. Gli occhi di Castiel lo pungevano, fissi sulla sua pelle. «Certo», rispose in automatico.

«Sei sicuro?»

«Assolutamente sì», disse ancora. Accennò un sorriso e incrociò lo sguardo dell’altro per un breve istante, prima di tentennare il capo con una leggera risatina. Strinse le labbra e deglutì.

Castiel sospirò, e gli posò una mano sulla spalla per rassicurarlo. «Non sei costretto a fare niente»

«Lo so», annuì appena, «Ma voglio farlo. E poi… non possiamo rimandare ancora»

«Non ci corre dietro nessuno, lo sai vero?»

Dean piegò le labbra in un mezzo sorriso, stavolta fissando gli occhi in quelli dell’angelo. «Adesso è il momento»

Così dicendo sbirciò di nuovo verso il portone, si schiaffeggiò una coscia con la mano e annuì, deciso, aprendo lo sportello e lanciandosi fuori dalla macchina. Castiel lo seguì con molta meno foga, cercando di infondere un po’ di calma a Dean con il suo spirito serafico. Poteva percepire a distanza il suo nervosismo, la sua aspettativa; era come un ronzio dimesso che irradiava dal suo corpo teso. 

Quando in pochi passi furono davanti alla porta, si scambiarono un’occhiata fugace. Castiel prese la mano di Dean nella sua e la strinse leggermente, un secondo, e l’altro gli sorrise, ricambiò la stretta e si abbassò un po’ per un piccolo bacio.

Il rumore di passi che seguì il tintinnio del campanello anticipò di poco lo schiocco della serratura, poi la porta si aprì rivelando il sorriso genuino e smagliante di Mary. Indossava una blusa celeste e un paio di jeans chiari, i capelli le ricadevano in morbide onde chiare sulle spalle. Era ancora strano, per Dean, vederla così giovane.

«Ragazzi!», gettò subito le braccia al collo del figlio, poi fece lo stesso con Castiel. «Siete in anticipo! Il pasticcio è ancora in forno!»

Con un gesto del braccio li invitò ad entrare, scostandosi quanto bastava per tenere aperta la porta mentre passavano, per poi richiuderla alle loro spalle. «E John sta tornando… ci siamo accorti troppo tardi di non avere niente da bere…»

«Casa Winchester senza alcolici? Sembra una barzelletta!», commentò Dean. Le sue spalle, che fino a quel momento erano state tese e alte, si rilassarono. 

Mary rise. «In realtà l’abbiamo finito ieri sera, con Bobby e Karen»

«Come stanno?», chiese Castiel.

«Molto bene… anche se pure loro si sono chiesti che fine aveste fatto! Dovresti fargli visita, Dean…»

Lui lanciò uno sguardo a Castiel, che gli sorrise. «Lo faremo sicuramente»

Mary annuì, i suoi occhi scorsero su entrambi. Senza dire niente fece loro strada fino al piccolo salotto. Dean si gettò sul divano come un sacco di patate, un braccio abbandonato sul bracciolo e le ginocchia larghe davanti a sé. Castiel, invece, rimase in piedi alla sua destra, appena dietro le sue spalle. 

Dean gli aveva fatto indossare un paio di jeans quasi neri, una maglia girocollo grigia - Castiel aveva controbattuto dicendo che fosse tortora, ma Dean non sembrava cogliere quella sfumatura - e una giacca da abito abbastanza casual, dalla stoffa ruvida, leggermente più scura. Nel complesso l’angelo aveva quell’aspetto pulito adatto a una prima presentazione ufficiale ai genitori, ma senza troppi fronzoli. Non sarebbe stato da Castiel, e soprattutto non sarebbe stato da Dean, che invece indossava il suo tipico outfit: jeans in classico color denim, una t-shirt nera e la sua camicia verde scuro con le tasche davanti. Mary scrutò entrambi con interesse, poi si sedette di fronte a Dean, con un sopracciglio alzato e un’espressione consapevole stampata sulla faccia.

«Castiel… hai cambiato genere di abiti, vedo», commentò.

L’angelo soffiò un sorriso. «Sì, Dean ritiene che il mio tipico abbigliamento sia diventato… obsoleto»

Dean si irrigidì, e sua madre strinse gli occhi posandoli su di lui. «Dean», lo chiamò.

Lui tossì. «È proprio il mio nome»

«Cosa ti turba?»

«Io… nulla, di che parli?», gli rispose, evitando il contatto visivo.

Lei schioccò la lingua, il ritratto dell’esasperazione dipinto sul volto. «Dean», lo chiamò di nuovo, «Se ti preoccupa tuo padre, beh… non serve. Sappiamo già tutto»

Dean saettò gli occhi su Mary, fulmineo. La sua espressione passò da fintamente serena a preoccupata in un istante. «Cosa?»

«Forse non te lo ricordi… sai, c’eravamo anche noi alla Roadhouse due settimane fa»

L’uomo inspirò, il suo sguardo si fece attento, le sue labbra si schiusero. Castiel gli posò una mano sulla spalla, stringendo a pena, poi la tolse. «Non ho detto— non ho fatto…»

Mary le sorrise. «Non importava che tu facessi o dicessi niente, Dean… io e tuo padre, beh, noi abbiamo gli occhi sai?», disse indicandoseli con gli indici di entrambe le mani. «E ti abbiamo visto… e poi, sinceramente… ci ho messo un po’ di tempo quando Amara mi ha riportato in vita per capire che voi due non stavate già insieme…»

Dean avvampò, il suo viso si fece rosso e caldo e le sue mani sudarono un poco, così le strusciò sui jeans, cambiando posizione per dissimulare la tensione. «Non stavamo insieme!»

«Eh», rispose lei, «L’ho capito. Dopo un po’.»

«Perché pensavi che…?»

La donna sbuffò, si portò il pollice e l’indice alla radice del naso in un gesto che aveva passato inconsapevolmente a Sam, e scosse la testa, cercando di non ridacchiare. «Ma dai, Dean… il modo in cui me l’hai presentato, quel tuo luccichio negli occhi, l’abbraccio che vi siete scambiati, la voce di Castiel quando ti ha visto… e poi tutto il resto… beh, eravate abbastanza, come dire… palesi?»

Dean deglutì. «A quanto pare non abbastanza da capirlo da soli»

Mary alzò una spalla. «Mi dispiace non esserci stata per insegnarti che fingere che una cosa non esiste non è abbastanza per farla sparire», commentò con una leggera amarezza, «e quando poi mi sono ritrovata a fare la mamma dopo trentasei anni… beh, non sapevo neanche dove iniziare e non volevo… sai, uhm… superare dei confini che non sapevo identificare. Il mondo era già abbastanza cambiato e tu eri già un uomo fatto… non sapevo quanto fossi consapevole e fino a che… estensione, diciamo, potessi intervenire. E ho finito per non intervenire affatto. E mi dispiace»

«Non devi dispiacerti», disse Dean, improvvisamente sollevato. «Non è stata certo colpa tua»

«La colpa di cosa?», tuonò una voce dall’ingresso.

Da sollevato che si era sentito, Dean fu di nuovo spedito in un turbine di tensione e nervosismo. Percepì Castiel che sollevava la mano per posarla di nuovo sulla sua spalla, per calmarlo, ma gli lanciò un’occhiata fugace, chiedendogli silenziosamente di non farlo. L’espressione dell’angelo era contrariata, ma annuì, un piccolo gesto appena percepibile, e gli sorrise. 

«Papà», salutò Dean.

«Signor Winchester», disse Castiel.

«Tesoro», soffiò Mary, alzandosi per andargli incontro.

John era uguale a sempre. Aveva un paio di pantaloni scuri, una camicia di jeans e la sua tipica giacca consunta di pelle marrone scuro. Il suo viso era un’espressione indecifrabile, eppure tranquilla. Si tolse la giacca e l’appese all’attaccapanni, poi si avvicinò a Mary e le diede un piccolo bacio sulla tempia, prendendola per mano. «Mary», la salutò lui, «figlioli», disse poi rivolto a Dean e Castiel.

Dean deglutì e si alzò, ma John gli sorrise e si rivolse prima all’angelo. «Castiel», disse, allungando una mano, «è un piacere conoscerti, finalmente», disse, quando l’altro gliela afferrò e la strinse.

«Anche per me», rispose.

«Mary mi ha raccontato tutto di te… di voi», sottolineò.

Gli occhi di Dean si fecero grandi e volarono su sua madre, che sbatté lentamente le palpebre e accennò un sorriso. Deglutì.

«Ah sì?», chiese, con un tono più di sfida di quanto avesse voluto. «E che ti ha detto di preciso?»

«Che avete salvato il mondo… più volte. E ovviamente sono consapevole della ristrutturazione del Paradiso… io e tua madre eravamo insieme anche nell’altra versione, ma sai… così è molto meglio. Niente più ricordi passati, ora ne possiamo creare di nuovi, insieme… tu e quel Jack avete fatto un gran bel lavoro, e sono felice di potertelo dire finalmente!», disse con uno sguardo dolce rivolto solo a Mary.

Castiel sorrise educatamente. «Ehm, grazie… anche se sono stati Dean e Sam, a dire la verità, a fare la gran parte delle cose grandiose che sicuramente Mary le avrà raccontato… e sono loro che hanno aiutato Jack a comprendere la natura umana e ad… averne cura, ecco. Sono loro ad aver salvato il mondo ripetute volte… io piuttosto, mi sono trovato a combinare più danni di quanti ne abbia risolti, in effetti, quindi il merito è quasi sempre stato suoi figli…»

«Non ho mai dubitato di loro, anche se forse non gliel’ho mai detto o dimostrato abbastanza», disse lanciando un’occhiata fugace a Dean, «Oh, e… dammi pure del tu, raga—», si interruppe a metà parola, leggermente in imbarazzo. Dean si morse l’interno della guancia. «…beh, no, non sei proprio un ragazzo, vero? Intendo dire… sei un angelo, quindi decisamente meno giovane di me»

«Di qualche millennio sicuramente», rispose il serafino, del tutto disinteressato all’errore. «Ma in termini di eternità… in confronto agli anni umani, probabilmente sono ancora un ragazzo», scherzò.

John tirò un sorriso. «Bene, gli amici di Dean sono sempre i benvenuti, a prescindere dalla loro… antichità, direi», disse con una certa goffaggine. «In ogni caso, Dean… di cosa stavi parlando?», chiese spostando gli occhi da Castiel a suo figlio.

Dean deglutì di nuovo, la gola era tanto secca da bruciargli. «Io—»

«John», lo richiamò Mary.

Castiel stava per dire qualcosa, ma Dean lo guardò, prese un respiro profondo e poi si spostò di un passo, posizionandosi dritto al suo fianco. Cercò le parole da dire, scavando nella mente come se si trovasse davanti a un vocabolario, ma niente sembrava andare bene. Dopotutto Dean era sempre stato un tipo più fisico, uno che agisce senza troppe cerimonie, senza troppe spiegazioni. Così, in mancanza di un modo migliore, decise di passare all’azione e in un movimento repentino, deciso ma forse troppo brusco, prese la mano di Castiel e intrecciò le dita alle sue, in modo quasi plateale. «Io e Cas— Castiel non siamo amici… noi, uhm, stiamo insieme»

Dean la notò, la piccola vena sulla tempia di suo padre, ma John sbatté le palpebre un paio di volte, sospirò e sorrise debolmente. «La cosa non mi sorprende, figliolo», commentò.

Il suo cuore quasi si fermò. «Come… cosa?»

John si morse un po’ il labbro inferiore, alzò la mano aperta in aria e scosse un po’ la testa, alzando le spalle. «Ti ho sentito parlare di Castiel prima… e poi, beh, il modo in cui tua madre…», le lanciò uno sguardo per avere un po’ di supporto, «…ha parlato di lui era, non so, eloquente? E poi c’è stata la Roadhouse, e quella canzone, e tutto quel… teatrino che hai montato», disse.

«Teatrino?», chiese Dean, più aggressivo del necessario.

«Non fraintendermi», rispose suo padre, «Intendo dire che è stato… molto… romantico, per uno come te»

Stavolta fu Mary a guardarlo con la fronte corrugata e un sopracciglio alzato. «Per uno come lui?»

John sbuffò, si passò una mano tra i capelli e si grattò la nuca, in difficoltà. Tossì e fece per parlare, senza riuscirci. Invece, alzò la mano sinistra, da cui penzolavano ancora una cassa di birra e un sacchetto di carta spessa che nascondeva sicuramente un vino, e con un cenno del capo indicò il tavolo della sala da pranzo, già apparecchiato. Nessuno lo seguì.

Dean lo osservò con le braccia abbandonate lungo i fianchi, la sua mano era ancora stretta in quella di Castiel. La mandibola di John si serrò, e la stessa fossetta che apparteneva anche a Dean si formò sul suo viso, poi abbassò gli occhi e in pochi gesti decisi afferrò un apribottiglie e stappò il vino, iniziando a versarlo nei calici vuoti.

«Dean», sospirò, «quello che intendo dire è semplicemente che negli anni in cui ti ho cresciuto… con tutti gli errori che ho fatto, e che sicuramente hanno influenzato il tuo atteggiam— il tuo modo di vivere certi rapporti… in tutto quel tempo, ecco, hai sempre avuto un certo… distacco», disse, calcolando ogni parola. «E sono sicuro che abbia avuto il suo peso il fatto che io non ti abbia mai spinto a tirare fuori le tue emozioni… che ti abbia cresciuto come un soldato. Quello che voglio che tu sappia adesso però è che… non importa. Non posso dirti però che non sarebbe importato quindici o venti anni fa, questo non posso farlo, sarebbe una bugia… onestamente figliolo, non sapevo neanche che fosse diventato legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso in America! E, sì, non ho mai avuto niente in contrario ma… mio figlio? Sarebbe stato difficile da digerire, e probabilmente in un altra situazione avrei potuto… reagire male. Ma sinceramente… in questo momento non riesco neanche a ricordare perché avrei reagito male. Mi sembra tutto così… distante e stupido, visto da questa prospettiva»

Mary guardò il marito, poi Dean e Castiel che si tenevano ancora per mano. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ce ne fu bisogno.

«Il motivo era che non avresti accettato un figlio debole…», la anticipò Dean, «…e-e l’hai reso chiaro tante volte in cui hai ritenuto opportuno farmi notare quanto “effeminato” fosse qualcuno che incontravamo se si comportava in modo codardo— per te essere g-gay significava essere deboli… beh, devo dire che per fortuna ho avuto modo di conoscere persone che ti avrebbero dimostrato il contrario… uomini e donne che hanno fatto il culo strisce a cattivi che neanche ti immagini… veri cacciatori con le palle d’acciaio, molto più coraggiosi e… straordinari di tanti maschi alpha dalle mani troppo veloci e la lingua troppo lunga… ed è anche grazie a persone come loro, come Charlie e-e… Jessy e Ceasar e— non importano i loro nomi, comunque, è grazie a loro che ho capito che ti sbagliavi, e che invece non c’è assolutamente niente, niente di debole nell'essere gay!», disse come in un’eruzione vulcanica di parole. Non sapeva neanche se le stava dicendo più per John o per sé stesso. «Non che io sia gay, comunque»

«Non siamo tipi da etichette», commentò Castiel, stringendogli un po’ la mano.

Dean sorrise debolmente. «Ma se dovessi usarne una… penso che la dicitura corretta per me sarebbe… bi— uhm, bisessuale», commentò, la sua voce più tremante di quanto volesse. «Sto ancora cercando di imparare tutte le sfumature, non mi sono mai sentito davvero libero di farlo prima d’ora…»

«Dean…», iniziò sua madre.

«Non posso mentirti, ragazzo. È vero. Sono un uomo degli anni cinquanta e…»

«Beh, Elton John è nato nel 1947… eppure…», lasciò in sospeso Mary, alzando le spalle e piegando le labbra in un’espressione eloquente.

John sospirò di nuovo, si passò una mano sulla faccia. «Il modo in cui sono stato cresciuto… con una madre single, la necessità di diventare uomo presto… non è una giustificazione—», si affrettò a dire, vedendo Mary già pronta a controbattere, «…e ho la sensazione che stiamo sviando dal punto», proseguì, esasperato. «Quando sono rimasto solo…», ricominciò, «…non volevo che nessuno di voi, né tu né Sam, viveste il dolore che avevo vissuto io… e inoltre tutto quello che era successo mi ha reso più duro, più arrogante, caparbio, cattivo e-e avevo un problema, non posso negarlo, tu c’eri Dean e mi hai visto… bevevo, ero in una spirale di distruzione e autodistruzione… e mi sono concentrato sulla vendetta per attaccarmi a qualcosa e nel farlo ho perso me stesso, mi sono dimenticato di voi, della vostra età. E, Dean, lo so che ti ho messo sulle spalle un peso troppo grande, con tutte le volte che ti ho lasciato a badare a Sammy, con tutte le volte che ti ho detto che mi avevi… deluso», inspirò ed espirò, poi i suoi occhi si concentrarono su un punto imprecisato del soffitto, rossi e lucidi. «Se fossi stato più attento, se fossi stato più consapevole e sensibile forse avrei capito che le cose che ti dicevo ti ferivano e ti— sono stato un pessimo padre per te… anche per Sam, ma soprattutto per te. Se potessi tornare indietro con la consapevolezza di adesso farei tutto diversamente… ma non si può, e sono orgoglioso dell’uomo che sei diventato nonostante me… e onestamente, non mi interessa chi ami, purché tu abbia preso il mio insegnamento sull’amore e l’abbia buttato nella spazzatura. Non importa quanto fa male, amare vale sempre tutto il dolore… e sono felice che tu abbia trovato lungo la strada delle persone che ti abbiano dato degli esempi migliori del mio…», disse lasciando scivolare lo sguardo su Mary, «…e altre che ti abbiano dato l'amore che meritavi, e meriti», finì guardando brevemente Castiel, prima di incrociare di nuovo lo sguardo di Dean.

Lui tirò su col naso, liberò dalla presa dell’angelo la propria mano sudata e si avvicinò al tavolo per sedersi.

John lo guardò, poi si sistemò a capotavola, mentre Castiel rimase un attimo immobile ad osservare la scena prima di accomodarsi accanto a Dean. Mary strinse le labbra, annuì tra sé e sé e si diresse in cucina. Il rumore dei piatti e dei vassoi preannunciava che il pranzo era quasi pronto.

«Figliolo…», riprese l’uomo, stavolta con un tono più basso, guardandolo fisso negli occhi. «…al di là di ciò che non mi hai detto, o che io non ho avuto la capacità di vedere, sappi che mi dispiace. Sono stato sciocco, cieco, paternalistico… ti ho visto sull’orlo delle lacrime tante volte e ho finto di non vederti, ho minimizzato il tuo dolore, la tua sofferenza, ti ho riversato addosso tutto me stesso— Sammy se n’è andato e tu hai sentito l’obbligo di rimanere, sono stato crudele, con lui, con te… ed è il mio rimpianto più grande, aver ignorato ciò che era evidente, prima ancora di ogni altra cosa…»

Dean annuì, incapace di sostenere oltre lo sguardo di suo padre. «Mi fa venire in mente quella canzone di Cat Stevens», mugugnò, dissimulando la tensione.

Deglutì e si passò una mano sulla faccia, prese il calice e bevve un lungo sorso di vino. Sentiva ancora un certo nervosismo; nell’aria aleggiava un senso di non finito, come se tra tutti loro risuonasse assordante il rumore di parole non dette. John, seduto in una posizione quasi militaresca, con le larghe spalle dritte e il collo perfettamente steso, la testa eretta e l’espressione fissa, finì di versare il vino nei calici. Prese un respiro come se stesse per parlare, ma poi chiuse la bocca senza dire niente. Quando Mary rientrò nella sala con la teglia calda piena di pasticcio di carne, Castiel si alzò per aiutarla, seguendola in cucina per portare a tavola il purè di patate dolci, i maccheroni al formaggio e l’insalata. 

«Grazie di questo splendido pranzo, Mary», disse dopo essersi seduto di nuovo, «Sembra tutto buonissimo»

«Sono stata aiutata», ammise lei, «Karen ieri si è offerta di darmi una mano»

Dean sorrise. «Era un’ottima cuoca anche in versione zombie…»

«Zombie?», chiese John, servendosi un cucchiaio abbondante di maccheroni.

«Sì, sono successe diverse cose assurde in questi anni», commentò Dean, riempiendosi il piatto con un’espressione buffa sulla faccia. «La moglie di Bobby e il figlio di Jody sono entrambi tornati dal mondo dei morti per fare una visitina alle proprie famiglie e hanno finito per… beh, cibarsi di loro»

Suo padre lo guardò con le sopracciglia alzate. «Vorrei dire di essere sorpreso ma ho imparato a mie spese che in questo mondo ci sono più cose assurde che cose credibili», commentò prendendo un lungo sorso di vino. «Chi è Jody?»

«Oh, lo sceriffo Jody Mills! È una delle persone più straordinarie che abbia mai conosciuto! È una vera tosta»

Mary sorrise. «E ha fatto un po’ le nostre veci negli ultimi anni, non è vero Dean?»

«Lei e Donna sono state fondamentali…», annuì lui, «…e fenomenali. Ci sono state quando tutto il resto si sgretolava»

«E hanno fatto un ottimo lavoro anche con mia figlia—», disse Castiel soprappensiero. Dean lo fulminò con lo sguardo. «O meglio, la figlia del mio tramite, Jimmy Novak»

John lo guardò con un sopracciglio alzato. «La figlia del tuo…? Non penso di aver capito»

Castiel lo guardò con un’espressione leggermente colpevole. «Quando ho condotto Dean fuori dall’inferno ho cercato di mostrarmi a lui nella mia vera forma, credendo che fosse abbastanza forte da poterla… vedere, in un certo senso, ma non poteva, così ho dovuto trovare un corpo umano… e quest’uomo», disse indicando il suo corpo con entrambe le mani, «era un devoto marito e padre di famiglia ed ha accettato di ospitarmi perché io compissi il destino prescritto per Dean e Sam… anche se, beh, poi le cose sono andate molto diversamente»

Dean si morse le labbra, improvvisamente inappetente. «Sì, beh, comunque Jimmy era consenziente e consapevole»

«Sì, mi ha fatto entrare dentro di lui consensualmente»

Mary scoppiò a ridere, portandosi il tovagliolo al viso per nascondere il cibo che stava ancora masticando.

«Non… non l’avrei detto in questo modo, Cas», sussurrò Dean.

Castiel scrollò le spalle. «Beh, ma è letteralmente la verità. Abbiamo entrambi accettato le conseguenze di quella coabitazione: io mi sono dovuto adeguare ai limiti di un corpo umano e lui ha accettato di lasciarmi le redini»

«Aspetta un attimo», lo interruppe John. «Quindi tu hai… posseduto il corpo di un tizio che aveva una famiglia per… per cosa?»

«Per compiere il disegno di Dio… anche se poi non l’abbiamo compiuto, perché Dean mi ha convinto a ribellarmi e da allora comunque abbiamo scoperto che—»

«Hai posseduto il corpo di un tizio?»

Castiel aggrottò la fronte, piegando la testa di lato. «Non esattamente… gli angeli non possono possedere il corpo di un essere umano senza il suo consenso, e quando ho chiesto a Jimmy se potessi entrare dentro di lui, mi ha pregato di farlo… lo voleva»

Dean si strozzò con il cibo. «Oh, Cas, ti prego non raccontarlo più in questo modo»

«Non capisco»

Mary bevve un altro lungo sorso. «Jimmy comunque non è più con te, giusto Castiel?»

«No, infatti», concordò lui, ancora confuso. «Jimmy sfortunatamente è morto poco dopo… Raffaele ci ha fatti esplodere e poi Chuck mi ha riportato in vita, più volte. Quello che ho adesso è un corpo tutto mio… mentre Jimmy è… in pace, direi»

«Anche lui in Paradiso?», chiese John.

Castiel annuì. «Sì, assolutamente»

«E non gli dà fastidio che tu e lui abbiate lo stesso aspetto? In un certo senso l’hai derubato della sua vita, no?»

Dean guardò suo padre, poi Castiel. «Quando Jimmy è morto era molto più giovane, credo che quasi non si riconoscerebbe se vedesse Cas adesso e poi… ora hanno uno stile molto diverso», disse gongolando, «Comunque sia, sì, probabilmente Jimmy ci porta un po’ di rancore ma sono passati anni e Claire è cresciuta proprio bene»

«Claire?»

«La figlia di Jimmy… per un po’ ho provato a farle da padre, ma non è nella nostra natura… nella natura di noi angeli, ecco, e poi ovviamente lei per un po’ mi ha accusato della sorte di suo padre»

«Ragionevolmente», commentò John, addentando un altro pezzo di pasticcio. «E quindi il tuo… corpo», disse, indicandolo con la forchetta, «è solo un… uhm… come un, come dire—»

«Abito?»

Dean guardò Castiel con un’espressione esasperata. 

John tentennò il capo. «Più o meno, sì. Lo è?»

«Si può dire così»

«E quindi tu cosa sei… voglio dire, come… come vi definite voi angeli?»

Castiel increspò le labbra. «Stiamo parlando di sesso?»

Dean tossì, se la sua faccia fosse stata di cera si sarebbe squagliato in un istante dal calore che gli affiorava alle guance. 

«Immagino di sì», rispose John, impassibile.

«John», lo redarguì Mary.

Lui la guardò, piegò la testa. «Non voglio… ovviamente non voglio essere irrispettoso»

«Assolutamente», gli sorrise Castiel. «Comunque, io sono un serafino. Il più alto e potente degli ordini angelici… beh, sono anche l’unico serafino al momento ma— comunque, gli angeli di norma non hanno né sesso né genere. Siamo luce e intenti, ogni tanto prendiamo una forma grazie alla devozione degli umani, ma altrimenti… nulla, non siamo né maschi né femmine»

John sembrava confuso. «Ma tu… beh, hai scelto un tramite maschile, quindi immagino che tu ti senta… ti identifichi… insomma, che tu sia effettivamente—»

«John», insistette Mary, fulminandolo con lo sguardo.

«La scelta di Jimmy è stata casuale… mi serviva un tramite abbastanza potente da contenermi, e lui era quello più vicino a Dean al momento necessario… nel corso della mia esistenza ho condiviso la coscienza di umani sia di sesso maschile che femminile, e in un’epoca in cui tutta questa storia della sessualità e del genere era vissuta con davvero molta più naturalità, ho avuto modo di spendere del tempo anche dentro umani che non si interessavano affatto alle preferenze sessuali degli altri, anzi…»

Dean voleva sprofondare; il boccone che aveva in bocca non ne voleva sapere di oltrepassare l'epiglottide. «Sì… beh, Cas è… Cas», disse, strofinandosi la fronte e gli occhi con la mano.

John annuì, a disagio. Nonostante tutto la sua espressione non era meno confusa, ma ritenne più saggio di non chiedere altro.

«In ogni caso», disse Castiel, che invece non percepiva alcun imbarazzo in quella situazione, «con il tempo ho iniziato a sentire una connessione con questo tramite, è diventato il mio corpo nel momento in cui è stato solo mio e… credo… sì, penso di potermi identificare abbastanza con esso. Non ho mai avuto un genere, ma credo che se fossi stato un umano sarei sicuramente stato un uomo. Infatti sono felice che Dean abbia rifiutato la mia offerta di prendere delle sembianze femminili, quando è arrivato in Paradiso…»

«Come, scusa?», chiese Mary con un sopracciglio alzato. «Cos’è che gli hai offerto?»

Castiel le sorrise. «Sì, mi sono mostrato a lui nella mia vera forma e gli ho chiesto se preferisse che io fossi più simile a quelle che ero convinto fossero le sue preferenze sessuali ma—»

«Oh, Gesù! Cas, stai zitto!», lo interruppe Dean, lasciando definitivamente cadere le posate. Tossì. «Sì, Cas è un uomo, a me sta bene che sia un uomo, è anche il primo essere dall’aspetto maschile con cui mi sia mai effettivamente rapportato, se questa curiosità dovesse in qualche modo passarvi per la testa… possiamo finalmente porre fine a questo discorso surreale? Non sono un dannato adolescente, porca miseria!»

John lo guardò. «Quando…», ma si interruppe, come se la parola gli fosse scappata più velocemente di quanto volesse senza riuscire a frenare il flusso di pensieri. Si morse la lingua e guizzò lo sguardo tra Dean e Mary.

«Cosa?», chiese Dean, chiudendo gli occhi e lasciando cadere la testa nel palmo della mano.

«No… io…», John grugnì e bevve un altro lungo sorso di vino. «Non fraintendermi, non voglio davvero essere invadente, vorrei solo… capire, capirti! Insomma, io mi rendo conto di aver detto diverse stronzate e che questo potrebbe averti… uhm… spinto a reprimere una parte di te, diciamo ma, ecco, credo che me ne sarei accorto se—»

«Se mi fosse piaciuto saltare di sponda in sponda?»

Gli occhi di John si fecero grandi, la sua espressione dura. «Non voglio dire che… cioè, te l’ho già detto, non importa, voglio solo capire… quando… se, ecco, avrei dovuto cogliere i segnali— non che avrei saputo cosa dirti, anzi, temo che avrei dato un pessimo spettacolo come genitore, e sicuramente non avrei saputo che tipo di discorso farti, sai, non c’ero quello delle api con il miele ma—»

«Oh, ma per l’amore del cielo! No, papà», rispose Dean con un sospiro. «Niente discorso okay? Uh-uh», disse, scuotendo la testa con le labbra strette in una linea sottile. «Inoltre le donne mi sono sempre piaciute e sinceramente mi piacciono ancora, quindi non ho mai dovuto fingere che mi piacessero e non ho mai mostrato di avere interesse per gli uomini, almeno non razionalmente, poi non lo so, ma comunque quindi non ti sei… non ti sei perso nulla, d’accordo? E anche se tu l’avessi fatto direi che è andata meglio così»

John si mosse sulla sedia. Un piccolo movimento, quasi impercettibile e sicuramente di poco conto per una qualsiasi altra persona. Ma si trattava di John “Generale” Winchester, ed ogni piccolo movimento nervoso stonava con ogni stilla del suo essere. «Ma hai sempre saputo che… insomma…?»

«Che mi piacevano anche gli uomini?», concluse Dean roteando gli occhi, «Sì e no… penso di non averlo mai razionalizzato finché non è arrivato questo figlio di puttana», disse facendo un cenno con la testa a Castiel. «Ma in retrospettiva, anche se non l’ho sempre saputo saputo, è sempre stato così, comunque… se ci penso, ricordo di aver sempre trovato attraenti anche i ragazzi, solo che non ho mai… uhm, trasformato quell’attrazione inconscia in un pensiero consapevole, ecco»

«Capisco», commentò John, «E immagino che sia colpa mia»

«Non solo…», disse Dean, «Ma sicuramente in parte»

«Di questo mi dispiace»

«Ormai è passato»

«Mi dispiace di aver detto cose volgari e fuori luogo, ragazzo… mi dispiace se ti ho fatto sentire in pericolo all’idea di vivere la tua verità. Mi dispiace se ti sei sentito in obbligo di nasconderti, di—»

Dean sghignazzò. «Non preoccuparti, anche se solo con metà dei carri armati che avrei potuto avere ho giocato delle belle partire a risiko, e ho conquistato una gran quantità di territori… mi sono divertito abbastanza»

Mary ridacchiò e John lo guardò attraverso le sopracciglia, per nulla sorpreso anche se leggermente infastidito della sua sfacciataggine. Decise di ignorare la vena militare che era in lui e rispondere nello stesso tono. «Non ne dubito, figliolo… ricordo bene che facevi stragi di cuori in tutte le scuole, per non parlare di quando lavoravamo insieme»

Dean ondeggiò la testa, muovendo in alto e in basso le sopracciglia e passandosi la lingua sulle labbra piegate in un sorriso buffo. «Ho sempre avuto un certo fascino… sono uno dei pochi uomini che può dire di aver letteralmente rimorchiato “un angelo caduto dal cielo», scherzò.

Castiel lo fulminò.

«Beh, in ogni caso figliolo… sono felice che tu abbia trovato qualcuno da amare»

«Papà», disse Dean, improvvisamente serio, fissando gli occhi in quelli di suo padre, «Castiel non è  semplicemente qualcuno da amare… lui è l’unica pers— creatura… che abbia mai amato davvero», disse in un soffio.

John annuì, guardò Mary e sorrise.

 

*****

 

Chiusi gli argomenti più seri, il pranzo era proseguito in un generale senso di serenità. John aveva voluto che Dean e Castiel gli raccontassero dal loro punto di vista gli anni che si era perso. Dean aveva raccontato di Paris Hilton, dei Ghostfacers, del verme di Khan, di tutti i vari incontri con i pagliacci assassini che avevano spaventato a morte Sam. Il suo viso si era illuminato raccontando del bunker, anche se John l’aveva già visto e ne aveva già sentito parlare; aveva descritto tutte le armi pazzesche che avevano trovato e poi aveva raccontato di quella volta che avevano trovato la chiave di Oz e Charlie era andata a farci un giro insieme a Dorothy dopo che avevano sconfitto la Malvagia Strega dell’Ovest. Così gli era venuta in mente la ninfa dei boschi che avevano liberato casualmente dalle mura del bunker che, a quanto pareva, era sempre stato in modalità risparmio e aveva delle funzionalità veramente fighissime. Aveva detto di come la ninfa fosse stata una manna dal cielo finché non aveva cercato di uccidere Jack. Poi aveva buttato giù alla goccia il calice di vino e aveva riordinato le idee: aveva raccontato delle maschere terrificanti in grado di trasformare in assassini fondendosi con la testa di chi le indossava, dei giocattoli che prendevano vita e del modellino a grandezza naturale ispirato all’horror Route 666. Poi si era ricordato anche di quando l’arcangelo Gabriele si era finto un trickster, poi Loki, e aveva rinchiuso Dean e Sam in un loop in stile “il giorno della marmotta” e in una programmazione televisiva, e parlando di cose divertenti gli era tornato in mente di aver conosciuto l’amico immaginario di Sam. Nella storia più recente gli era sembrata degna di nota quella volta in cui, per non farsi scoprire da Chuck nelle loro macchinazioni, avevano tirato fuori da una piega nello spazio tempo i loro doppelganger di un universo dove John aveva avviato un’attività di caccia ai mostri di successo e San e Dean erano due ragazzi viziati abituati a viaggiare in jet privato. Parlando degli altri universi di Chuck si era ricordato di quando Zacharia li aveva spediti in una realtà alternativa in cui Sam e Dean non erano altro che dei personaggi di un telefilm veramente trash, interpretati da due attori texani. Ogni avventura, raccontata nel tipico modo buffo di Dean, aveva provocato una serie di lunghe digressioni e risate, ma quella che aveva lasciato maggiormente perplesso John era stata proprio quella di cui Dean andava più fiero: quando erano finiti in Scooby Doo e avevano salvato la Scooby-gang da un vero fantasma e fatto arrestare il cattivo. 

Tra un racconto e l’altro si era inserito Castiel, che aveva riempito i buchi di trama narrando di tutte le altre avventure più serie e di tutte le apocalissi che avevano sventato. Era partito dal suo ruolo nella lotta tra Michele e Lucifero, per poi proseguire cronologicamente sulla guerra civile in Paradiso, la sua stupida decisione di allearsi con il demone Crowley per impossessarsi delle anime del Purgatorio, Eva e i Leviatani, la altrettanto stupida decisione di provare a chiudere le porte dell’Inferno con il solo risultato di far quasi morire Sam e far cadere tutti gli angeli dal Paradiso, il marchio di Caino e la guerra contro Metatron e i principi dell’Inferno, in particolare Abbadon, che era finita con Dean trasformato in demone. Aveva fatto avanti veloce raccontando di come Sam avesse trovato la cura tra i gli annali degli uomini di lettere e avesse riportato Dean all’umanità, e di come poi avessero trovato il modo di spezzare il marchio di Caino, solo per liberare la fantomatica sorella di Dio, Amara, l’oscurità, che comunque si era dimostrata meno terribile di quanto credessero. Castiel aveva detto poche parole sugli uomini di lettere britannici, soprattutto per non mettere in imbarazzo Mary, ma anche perché secondo lui avevano ben poco spessore rispetto al resto, si era piuttosto concentrato su Kelly Kline e Jack, il mondo dell’apocalisse, le brecce tra gli universi, Rowena e Crowley diventati definitivamente degli alleati dopo essere stati alternativamente dei nemici giurati, delle noiose palle al piede e dei buffi collaboratori. Si era commosso pensando a Claire, Alex, Kaja, Jody, Donna e tutti i cacciatori venuti dal mondo dell’apocalisse, tutte quelle splendide persone che si erano sacrificate per un mondo migliore. Dean gli aveva stretto la mano sotto al tavolo, e lui aveva proseguito il racconto con una menzione veloce di Michele nel corpo di Dean e infine aveva parlato di Chuck. Di tanto in tanto Dean aveva aggiunto qualche dettaglio, come quando si era trovato ad avere un rapporto fin troppo ravvicinato con un alieno tentacolare in uno dei tanti quartier generali degli uomini di lettere sparsi per gli Stati Uniti, o quando aveva avuto a che fare con un lepricano e delle fate. 

Nessuno dei due aveva fatto menzione del Purgatorio né di quella terribile notte nel bunker. 

L’alternanza tra i racconti ironici di Dean e quelli seri di Castiel, arricchiti dalle parole di Mary quando la storia la coinvolgeva direttamente, finì per protrarre il pranzo più delle aspettative iniziali. Era ormai tardo pomeriggio quando, seduti sui divani in salotto con un paio di bottiglie di liquori diversi posate sul tavolino e ben più di un bicchierino per uno, Mary si era ricordata del dolce.

«Ho fatto la crostata di caramello e noci pecan!», squittì.

Dean spalancò gli occhi e il suo sorriso si allargò fino alle orecchie. «Oh!», esclamò, con la bocca schiusa e gli angoli degli occhi arricciati in tante piccole rughe di gioia.

«Ti va di darmi una mano a tagliarla e servirla, Dean?»

Scattando in piedi, lui annuì e la seguì in silenzio, lanciando un’occhiata a Castiel, che gli sorrise rassicurante. La cucina era abbastanza vicina da poter controllare la conversazione tra l’angelo e suo padre, ma anche abbastanza distante da schermarne le voci. Per quanto si sentisse abbastanza tranquillo, considerato che la parte più difficile della giornata era passata, non riusciva a distogliere l’attenzione dal salotto, cercando di aguzzare l’udito per cogliere le parole di John.

Mary gli posò una mano sulla schiena, tra le scapole, e lo guardò con un grande sorriso. «Sono felice per te, Dean», gli disse.

Lui la guardò, spostando finalmente l’attenzione su sua madre e sulla splendida crostata che lo stava aspettando sul ripiano della cucina. «Anche io sono felice per me…», disse con un sorrisetto, «e ovviamente anche per te e papà… lo sai, uno dei miei sogni è sempre stato quello di riavere tutta la famiglia unita e ora… beh, ora manca solo Sam, e dovremo aspettare un bel po’ perché quel testone con la sua dieta naturista e lo stile di vita da fitness model non schiatterà prima dei novant’anni, ci scommetto»

Un certo fastidio pungente gli ferì il cuore, ma Dean scacciò via la sensazione scuotendo la testa impercettibilmente.

Lei inclinò la testa, soffiò una risata sottile arricciando il labbro superiore. «Tuo fratello sarà qui prima che tu te ne accorga, vedrai… il tempo passa diversamente in Paradiso»

«Più veloce se sei infelice, più lento se sei beato», sintetizzò lui, «Immagino che se fossi stato lontano da Castiel probabilmente mi sarebbe bastato un viaggio in macchina di qualche ora per vedermelo apparire, non so, su un ponte…»

Mary lo guardò dolcemente, poi iniziò ad affettare la crostata, mentre Dean le porgeva i piatti da dessert da riempire. «Non è così banale, Dean… non è solo una questione di tristezza o felicità. Il Paradiso si muove in base alle tue necessità, in base ai tuoi bisogni… ci saranno momenti in cui avrai bisogno di più tempo da solo, per te e Castiel o solo per te stesso, e allora il Paradiso rallenterà, e poi ci saranno momenti in cui invece fremerai dall’impazienza di riabbracciare Sam, e allora il Paradiso farà avanti veloce come su una videocassetta, e ti sembrerà che sia passato ben poco dal vostro ultimo incontro…»

Dean aggrottò la fronte, la guardò confuso. Lasciò l’ultimo piatto sul ripiano e si appoggiò con la base della schiena contro il bordo della cucina, incrociando le braccia davanti a sé. «Non capisco…», disse, «Se è così perché tu e papà siete stati qui quasi vent’anni mentre sulla Terra ne erano passati, quanti? Due?»

Lei tentennò la testa. «Vedi, Dean… è difficile spiegartelo. Non è una tua scelta, non è una cosa razionale… il Paradiso credo si muova in base all’inconscio. Io e tuo padre… noi abbiamo avuto ben poco tempo insieme e avevamo tanto da recuperare, tanto di cui… discutere. Non sono stati vent’anni solo facili, sappilo… sia io che lui abbiamo vissuto più anni da soli che insieme, se si contano gli anni sulla Terra, gli anni prima all’Inferno e poi in Paradiso per lui e quelli solo qui per me… lui ha avuto un figlio oltre a voi, e questo mi ha davvero lasciata senza parole. Il modo in cui ha tenuto Adam fuori da tutto questo e invece ha costretto voi a vivere quello che io— Dean, tu lo sai che non avrei mai voluto crescere i miei figli perché diventassero cacciatori… era la mia paura più grande ed è stato anche il mio rimpianto più grande…»

«Mamma, non è stata colpa tua»

Lei sbuffò leggermente. «Eppure lo è stata, Dean… sono io che ho fatto il patto con Azazel, sono io che ho scelto di riavere John… non sapevo in cambio di cosa, sapevo che i demoni non sono creature di cui fidarsi ma— ero sola, non avevo più nessuno, solo lui…», disse, lanciando uno sguardo fugace a John, che continuava a parlare tranquillamente con Castiel.

«Se non l’avessi fatto né io né Sam ci saremmo stati, lo sai»

Mary annuì. «È l’unica cosa che mi rincuora, onestamente», sorrise, «E poi siete venuti su davvero bene, come giustamente ha detto John, nonostante noi»

«Oh beh, ce ne abbiamo messo di tempo per diventare così… di errori ne abbiamo fatti decisamente tanti lungo la strada»

«Com’è giusto…»

Dean sorrise, mise le braccia di lato posando i palmi delle mani sul ripiano della cucina, spostando il peso indietro. «Eppure ancora non capisco perché per me il tempo di attesa per Sam dovrebbe essere più breve»

«Io e John siamo i vostri genitori e… vi abbiamo amato moltissimo, anche se forse non ve lo abbiamo dimostrato abbastanza… ma come quando sono tornata, sai— sia io che lui, non siamo solo questo. Non siamo solo genitori. E ovviamente neanche tu e Sam siete solo figli o fratelli, e credo che il Paradiso voglia farti capire proprio questo… tu adesso hai bisogno di tempo per imparare ad essere solo Dean, come io e John abbiamo dovuto imparare ad essere solo Mary, solo John, e poi Mary e John insieme… e tu, tu hai passato tanto tempo a prenderti cura di Sam come un padre, come un angelo custode— ti sei sacrificato, letteralmente, per lui… hai messo da parte tutta la tua vita per lui e adesso credo che tu debba riprenderti quella vita, per quanto sia nell’aldilà…»

«E questo cosa ha a che fare con l’attesa?»

Mary sospirò. «Per quanto tu debba realizzarti come persona, c’è anche quello che vuole il tuo cuore… e adesso il tuo cuore vuole Castiel, per cui il Paradiso ti darà quanto più tempo possibile con lui, prima di immettere nella tua eternità anche tuo fratello… ma tu non ti senti comunque completo, senza Sam, quindi vedrai che piano piano il tempo si aggiusterà sulla base dei tuoi bisogni, che ora sono sommati ai nostri, dato che condividiamo lo stesso spazio-tempo in Paradiso, e credo che non passerà molto qui, perché tutti noi possiamo riabbracciarci di nuovo…»

Dean ci pensò, confuso ma più sereno. «Mi pare un gran casino»

«Lo è», concordò Mary, ridendo. «Ma non è il suo bello?»



 

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Capitolo 15
*** All our own ***


NdA. E niente, questi personaggi non vogliono che la storia finisca, perché continuano a fare quello che vogliono e ad allungare il brodo con tutta la loro voglia di fare altre cose. Quindi, niente, il prossimo sarà il penultimo capitolo. Di questo sono sicura. La canzone a cui mi sono ispirata è di Radio Company, il duo di Jansen Ackles!




CAPITOLO XV
All our own


Listened to yesterday
Long before the way it has become
And it all came down to you
I don't really know the way
It played out stranger than it seemed
But what went down came true
Like an all day dream

I don't want to be the one to say it's wrong
When the heavens open and a new day comes along
I know I would rather be together alone
In a big top circle and a world we can call our own
It's all our own

 

Dean si alzò con uno scricchiolio delle ginocchia. Sollevò il bordo della maglietta grigia e si asciugò il sudore che gli colava dalla fronte. Castiel, in piedi con un rullo da vernice in mano, raccolse la bottiglietta dell’acqua da terra e gliela lanciò. 

Bevve avidamente, e l’acqua gli scivolò fuori dalla bocca, oltre il mento, bagnandogli il collo e la maglietta, già piuttosto umida. «Non credevo che costruire una casa fosse così faticoso…», disse.

L’angelo gli rivolse uno sguardo penetrante, si leccò le labbra. «Neanche io…», rise.

Dean gli fece l’occhiolino. «Più tempo passiamo a saltarci addosso e più ce ne vorrà a finire»

«Sai che mi basterebbe uno schiocco di dita per evitare tutto questo lavoro, vero?», disse Castiel, posando il rullo nella scatola di vernice. Accostò pollice e medio della mano destra e li mosse; in un attimo tutta la stanza era pitturata alla perfezione, di quel color cemento chiaro che avevano scelto oltre al verde scuro del muro principale.

«Non sarebbe divertente in questo modo», lo redarguì Dean, con un sopracciglio alzato.

Castiel gli si avvicinò, si morse il labbro inferiore e inclinò un po’ il capo, quanto bastava perché quella loro piccola differenza di altezza gli permettesse di guardare Dean dal basso, con uno sguardo tra l’innocente e il provocatorio. «Ma ci salverebbe molto tempo per essere… sessualmente intimi»

L’uomo deglutì una risata tra l’eccitato e il divertito. «Adoro quando trasformi una frase da manuale di educazione sessuale in una frase da rimorchio»

«Ognuno ha i suoi assi nella manica», sussurrò l’angelo. Intensificò lo sguardo, infuocando la pelle di Dean con le sue iridi azzurre che brillavano attraverso le ciglia scure. «E ognuno ha le sue piccole debolezze, non è così?»

In un istante Castiel spinse Dean contro il muro, facendogli sbattere la schiena sulla vernice fresca. Il calore del corpo dell’angelo premuto contro il suo e la sensazione fredda della parete umida creavano un contrasto che lo fece rabbrividire. Castiel lo teneva fermò con tutto il suo peso, e gli premeva sulla gola con l’avambraccio nudo. Con gli occhi spalancati e le pupille dilatate, Dean si morse l’interno della guancia e come attratto da una forza magnetica concentrò tutta la sua attenzione sulle sue labbra, una tentazione morbida e rosea che si manteneva fin troppo lontana.

«Penso di sì», ammise con un filo di voce.

Castiel si avvicinò ancora un po’; il suo viso era a pochi millimetri da quello di Dean, le loro labbra si sfioravano quasi. «E mi permetti di approfittare delle tue?», soffiò in un respiro caldo sulla sua bocca.

Dean deglutì di nuovo, faticosamente, tentò di spostarsi per coprire la distanza che li separava, senza riuscirci. «Diamine sì», grugnì.

Le loro labbra si fusero in un movimento famelico. Castiel spostò le mani sul suo collo, tenendogli la testa vicino alla propria, mentre Dean gli fece scorrere le dita lungo la schiena, spingendo a sé il suo busto avvolto in una sottile maglietta bianca. I polpastrelli corsero sulla sua spina dorsale, facendo una pressione costante, lenta e struggente, fino a raggiungere il bordo dei suoi pantaloni cargo.  Una mano scese ancora, serrando la presa sul gluteo di Castiel da sopra la stoffa, mentre l’altra si insinuò sotto la maglietta, ripercorrendo verso l’altro la schiena fino allo spazio tra le scapole. L’angelo mugugnò un suono gutturale nel bacio, aprì gli occhi per incontrare quelli di Dean, blu nel verde, e sorrise. 

In un battito di ciglia si trovarono in camera da letto; per quanto avessero concordato di realizzare la maggior parte della casa con le loro mani, come avrebbero fatto due normalissimi esseri umani, dopo poco meno di un paio di giorni si erano resi conto che la terra nuda o il sedile posteriore dell’Impala non erano il massimo considerata la frequenza con cui si trovavano senza vestiti, così avevano optato per far apparire almeno quella stanza dal nulla con l’aiuto della grazia. Dean non aveva avuto nulla da ridire, anzi. Fare l’amore in macchina come i ragazzini era sicuramente eccitante e divertente, ma dopo un po’ faceva venire mal di schiena. In ogni caso, anche se aveva accettato la stanza, non aveva voluto per nessun motivo che Castiel la completasse con i suoi trucchetti di magia angelica. Quindi non era altro che un parallelepipedo di cemento grezzo con una lampadina penzolante dal soffitto e un materasso buttato sul pavimento. Ma andava benissimo così. 

«Penso di aver sporcato la coperta con la vernice…», rise Dean ritrovandosi con la schiena sul morbido all’improvviso. Il peso di Castiel si era spostato dallo spingerlo in verticale contro il muro al premerlo in orizzontale contro il materasso. L’angelo aveva una gamba tra le sue e gli avambracci ai lati della sua testa, i loro corpi erano perfettamente allineati dallo sterno al bacino.

«Ci penso io», con uno schiocco di dita i vestiti che avevano indosso scomparvero insieme alle coperte, lasciandoli nudi sul lenzuolo.

Lunghi brividi percorsero la pelle di Dean al contatto con quella di Castiel. Tutto il suo corpo pulsava alla sensazione di pressione che sentiva. Assorbì quell’emozione e accolse tutto il calore dell’eccitazione che gli montava nel petto, sbatté le palpebre e si passò la lingua sul labbro inferiore, poi lo afferrò per le spalle e in un movimento repentino ribaltò le loro posizioni. 

A cavalcioni sui suoi fianchi, un ginocchio per lato, Dean bevve con gli occhi l’immagine dell’angelo sotto di lui, fintamente vulnerabile. Era perfettamente consapevole del potere che si nascondeva dietro quel corpo, che ribolliva al suo interno, e il fatto che Castiel scegliesse di tenerlo a freno per lui, per lasciargli il comando e il potere, faceva bruciare ogni centimetro delle sue membra, e si vedeva. 

L’angelo schiuse le labbra, e gli regalò un’espressione innocente, provocandogli una scarica di bramosia che gli risalì dall’ombelico alla gola. Nel tentativo di soffocare un basso ringhio che gli vibrava nel petto si piegò su Castiel, gli afferrò le mani e gliele portò sopra la testa, fermando entrambi i polsi nella sua presa. 

Dean sapeva che il serafino non avrebbe dovuto usare neanche un milionesimo della sua forza per liberarsi da quella stretta, ma il fatto che non lo facesse, e si abbandonasse del tutto alla sua mercé, fiducioso, lo faceva sentire potente. Potente nel suo essere meritevole dell’amore e del desiderio di un angelo, potente nella scelta di Castiel di lasciarsi guidare e comandare, potente nell’anima prima che nel corpo. Strinse di più le dita, spinse il suo peso sui suoi polsi e usò l’altra mano per mantenere l’equilibrio mentre si calava sulla linea netta della mascella dell’angelo, sfiorandola con le labbra.

«Cerchi di torturarmi?», sussurrò Castiel con la sua voce profonda arrochita dal desiderio.

Dean ridacchiò contro la sua bocca, gli catturò il labbro inferiore succhiandolo appena. «È uno dei miei assi nella manica… ho una certa esperienza, sai…», disse percorrendo di piccoli baci e morsi il collo di Castiel. «…vent’anni sulla terra, altri quaranta all’inferno…»

«Spero che non sia stato Alastair ad insegnarti questo metodo…», soffiò l’angelo, sempre più in difficoltà. Si schiarì la gola.

Dean rise contro il lobo del suo orecchio. «Oh, no, questo l’ho imparato da solo», disse mordicchiandolo.

«E funzionava? Non credo che sia il metodo giusto per ottenere—»

«Dipende dal tipo di vittima… e da cosa si vuole ottenere», gli sussurrò nell’orecchio, ricominciando a percorrere la strada della sua mandibola a ritroso. Per sottolineare le sue parole, premette un po’ di più il bacino contro quello di Castiel.

L’angelo rovesciò la testa indietro, le sue palpebre tremolarono e dalle labbra gli uscì un respiro spezzato. «E dalle loro debolezze?»

«Esattamente», lo stuzzicò Dean, chiudendo finalmente la distanza tra di loro con un bacio.

Castiel si abbandonò nella presa, mettendo da parte ogni stilla di potere angelico. La sua pelle rifulgeva di vampate di luce dorata. Le sue labbra si muovevano in sincrono con quelle di Dean, esplorando l’uno la bocca dell’altro con passione e dolcezza. 

Liberandogli i polsi e senza smettere di baciarlo, l’uomo fece scorrere la mano lungo il suo fianco, accarezzandogli i muscoli tesi. Le sue dita sfiorarono le ossa affilate del suo bacino, accarezzandolo dall’addome alla coscia, in un movimento lento e pressante, avvicinandosi sempre di più al centro senza toccarlo davvero. 

Castiel fremette, roteo i fianchi, ansimò nel bacio. «Vorrei…», provò a dire, ma Dean si impossessò della sua voce catturando di nuovo quella labbra tra le sue. Allora l’angelo portò i propri palmi sul suo petto e spinse appena, per allontanarlo quanto bastava per parlare. 

Gli occhi dell’uomo, profondi ed eccitati, lo scrutarono. Ogni volta che lo guardava si domandava cosa avesse fatto per meritarsi qualcosa del genere; per meritarsi di essere la persona capace di provocare quei tremori, quei brividi, quei respiri spezzati. Si domandava come potesse un uomo tanto banale come lui essere la più grande felicità di una creatura celeste, l’unica cosa desiderata da un angelo, da qualcuno che l’aveva visto letteralmente al suo peggio, nei momenti più bassi della sua esistenza, e l’amava lo stesso. La sua mano scivolò oltre ombelico di Castiel, sfiorò distrattamente la pelle delicata tra le sue gambe. «Cosa vorresti?», gli chiese, iniziando a far scorrere i polpastrelli dove l’angelo voleva più essere toccato.

«Vorrei— uhm…», mugugnò lui. Il suo petto si alzava e abbassava con un ritmo spezzato, il suo respiro era pesante. «…sai, pensavo… mi piacerebbe—», Dean serrò la presa, e l’angelo gemette. «Dean…», ansimò quando l’uomo iniziò a muovere la mano, «…ti prego, fermati, non r-riesco a… uhm, non riesco a p-pensare…», disse. Sentirlo balbettare era ancora una cosa strana per Dean, ma non per questo meno eccitante. 

Dean rallentò il movimento, senza smettere del tutto, e allentò la presa, roteando piuttosto un po’ il polso. «È per questo che è divertente», gli sussurrò nell’orecchio, la voce ridotta a un basso suono rauco.

Castiel deglutì, chiuse gli occhi per concentrarsi. «Vorrei provare a… cambiare»

«Cambiare cosa?», domandò Dean, mordendogli l’angolo perfetto creato dalla mandibola, poco sotto al lobo.

«Vorrei— voglio sapere cosa si prova…», espirò, gemendo all’ennesimo movimento lento e struggente dell’uomo. Il suo corpo era come una torcia ardente, caldo, pulsante e luminoso. Dean lo guardava tra le ciglia, l’eccitazione che lo travolgeva unita alla soddisfazione di vedere Castiel piegato dal suo tocco. «…a-a… a sentirti— uhm a…»

Dean si leccò le labbra, la consapevolezza lo colpì forte come uno schiaffo e gli provocò un’ondata di calore che gli infuocò le orecchie. La sua mano si fermò, il suo corpo tremò impercettibilmente. Alzò la testa per guardare Castiel negli occhi, trovando le sue iridi azzurre che lo fissavano, chiare e genuine, piene di desiderio e fiducia. 

«Mi piacerebbe… uhm, che fossi tu— vorrei provare, sì…», balbettò.

Ogni parte del corpo di Dean pulsava. «Uhm…», finse di pensarci per dissimulare la tensione, «…sicuro che questo tramite possa contenermi?», scherzò.

Ottenne l’effetto desiderato, distendendo la tensione di entrambi. «Mi piacerebbe scoprirlo», disse Castiel.

Dean annuì e ricominciò a muovere la sua mano con movimenti calcolati, pressanti, ritmici. La testa di Castiel si rovesciò di nuovo indietro, e lui lo guardò mentre le sue labbra si schiudevano per far passare l’aria, i suoi occhi si chiudevano e il suo petto ricominciava ad alzarsi e abbassarsi tremando appena. «Va bene», sussurrò. 

Anche se non poteva vedersi, Dean sapeva che se avesse avuto uno specchio davanti a sé avrebbe rimandato il riflesso del suo viso quale maschera di pura estasi. Sentiva le proprie labbra piegate in una “o” silenziosa, i suoi occhi in pura contemplazione, le sopracciglia alzate, rilassate in un’espressione di totale incredulità. 

Cercando di non interrompere le sue carezze, si sporse un po’ oltre il bordo del materasso, tastando il pavimento in cerca del flacone di gel. Lo trovò e aspettò che Castiel lo guardasse di nuovo per aprirlo con il movimento del pollice della sola mano libera. Le narici dell’angelo si allargavano e si restringevano al ritmo dei suoi respiri difficoltosi, i suoi occhi lo fissavano attenti, pieni di aspettativa. Lo accompagnarono quando Dean si sollevò quanto bastava per stare in equilibrio sulle ginocchia, lasciò la presa il tempo necessario ad afferrare le mani di Castiel per spremergli il gel nei palmi e le condusse entrambe tra le proprie gambe. 

Lo sguardo dell’angelo guizzò quando sotto il suo tocco Dean si abbandonò a un gemito, e rimase in adorante contemplazione quando l’uomo unse anche le proprie dita.

Dean ricominciò a toccarlo, usando entrambe le mani in punti diversi per aiutarlo a rilassarsi e distendere i muscoli. Sapeva che probabilmente non ne aveva bisogno, ma fu lieto che Castiel si lasciasse andare completamente in balia del suo tocco, abbracciando un’umanità che non gli apparteneva, ma che amava. 

Quando sentì di essere pronto lui stesso, Dean si spostò, allargando le ginocchia di Castiel ai lati del proprio bacino, beandosi della vista di quel corpo sotto di lui. Si chinò sul suo viso mentre chiudeva lo spazio tra i loro corpi, abbastanza da sentire l’angelo pronto ad accoglierlo sotto di lui. Un brivido gli corse lungo la schiena.

«Apri gli occhi», gli sussurrò, premendo ancora un po’, senza spingersi troppo oltre.

Castiel gemette, il suo viso era una maschera rossa di desiderio. Aprì gli occhi con difficoltà, serrò le labbra cercando di trattenere i suoni che gli provenivano da dentro, poi finalmente incatenò gli occhi ai suoi.

Dean gli sorrise, gli baciò appena le labbra, portò una mano tra di loro per accarezzarlo ancora, mentre con piccolissimi movimenti circolari si faceva strada. «Voglio vederti…», disse, «…e voglio sentirti»

L’angelo deglutì, le sue labbra si schiusero e un altro gemito uscì all’ennesima pressione di Dean contro di lui. «Faccio sempre quello che mi chiedi», disse con uno sforzo sovrumano, combattendo contro l’impulso di chiudere gli occhi e nascondersi alla vista.

L’uomo annuì, spinse ancora un po’ il bacino. Tutto in lui era un’esplosione. Sentiva il corpo di Castiel che lo accoglieva, millimetro dopo millimetro. Sentiva il desiderio pulsante di muoversi più velocemente, di interrompere quella tortura reciproca e dare a entrambi l’appagamento che volevano.

Castiel gli afferrò i fianchi con le mani, cercando di spingerlo a sé, ma lui gli resistette, assorbendo tutta l’urgenza che sentiva, caricandosi come una batteria. Dean lo baciò ancora, si allontanò un po’ e poi si avvicinò di nuovo, stavolta con un movimento più netto che lo portò a metà strada, e a Castiel mancò il respiro.

Si allontanò di nuovo, accogliendo con piacere il suono sconfortato dell’angelo sotto di lui. «Ti amo, Cas», soffiò, un attimo prima di spingersi del tutto dentro di lui.

 

*****

 

Dean grugnì sollevando il piano di granito della cucina per sistemarlo al posto giusto. Bobby e John, che lo stavano aiutando, spinsero con tutte le loro forze per incastrare quell’unico pezzo gigante sopra i mobiletti.

«Certo che sei proprio un coglione, ragazzo», inveì scherzosamente Bobby, asciugandosi il sudore sulla fronte sotto al cappello. «A questo punto avresti già la casa finita se avessi lasciato fare al tuo fidanzatino»

John gli lanciò un’occhiata di traverso. «Io invece apprezzo il buon vecchio lavoro manuale… anche se, figliolo, perché proprio un unico pezzo? Non potevi tagliare il piano come tutti?»

Dean sollevò le spalle, afferrò la sua birra da terra e se la fece gorgogliare in gola. «Nah», commentò, rispondendo a entrambi.

Castiel era andato a fare quello che faceva quando non era a casa. Ovvero qualcosa che riguardava controllare il Paradiso, sistemare qualche buco nello spazio tempo, spiare le anime qua e là per assicurarsi che non ci fossero problemi. Insomma, cose da angelo. Dean quindi era rimasto da solo ad occuparsi della costruzione, e aveva pensato di invitare i suoi due padri per dargli una mano.

In totale c’erano voluti quasi tre mesi, ma ormai il più era fatto. I bagni erano finiti, uno nella camera principale e uno nel corridoio che univa la zona giorno con l’ingresso, così come le due camere, il patio esterno, la sala da pranzo e il salotto. In cucina mancava solo da sigillare il ripiano con il silicone e montare poche altre cose, e anche la “sala dell’arte”, come l’aveva chiamata Castiel, era già quasi pronta all’uso. Mancavano solo gli strumenti del mestiere. Salotto, la sala da pranzo e cucina erano un’unico ambiente grande, come Dean se l’era immaginato, che dava sul patio coperto grazie a un’ampia parete finestrata. Oltre al patio si apriva un vasto giardino verde in cui si trovavano una piscina ispirata all’architettura romana, sempre secondo Castiel, e poi una distesa di erba punteggiata da alberi da frutto e aiuole di rose. In fondo c’erano una bella serra bianca e le quattro arnie che l’angelo era andato a recuperare dal loro cottage francese. 

John interruppe la sua contemplazione mentale. «Mi ha detto tua madre che stasera sei a cena da noi…»

«Uhm?», Dean si voltò a guardarlo con un sopracciglio alzato. «Di che parli?»

«Non ne sapevi nulla?»

Lui sollevò le spalle e scosse la testa. «Sinceramente no, ma va bene… credo», disse. «Cas?»

«Penso sia scontato, Dean», gli rispose suo padre, mettendogli una mano sulla spalla a sottolineare le sue parole.

Bobby si avvicinò con le mani sui fianchi, il berretto tutto storto sulla testa. «Cos’è questo? Un momento per fare i lavativi? Se è così preferisco andarmene a casa a farmi fare un massaggio ai polpacci da mia moglie!», sbuffò.

Dean rise, si passò l’avambraccio sulla fronte per asciugarsi un po’ di sudore e tornò a lavoro. Dovevano ancora installare il lavabo di ceramica e gli elettrodomestici. Castiel aveva detto più volte che niente di tutto ciò serviva a nulla, considerato che in Paradiso non c’era alcuna necessità di continuare a fare cose che invece sulla Terra erano necessarie. Lavare i piatti? Una perdita di tempo. Avere un frigorifero in cui tenere il cibo? Una sciocca abitudine umana. 

Eppure, nonostante fosse tutto una “sciocca ed inutile abitudine perditempo”, l’angelo non si era poi opposto così fermamente. Quei piccoli argomenti erano stati solo il pretesto per ricadere in altre piccole abitudini. Erano stati anche troppo tempo senza battibeccare come una coppia di vecchi sposi, così superata la prima fase della luna di miele, avevano ricominciato a bisticciare sulle cose più stupide. A differenza di ciò che succedeva prima, sulla Terra, perlomeno adesso finivano per baciarsi e fare del buon sesso riparatore invece che dirsi cose sgradevoli e pretendere di non volersi parlare per giorni, senza alcun motivo. 

Solo una volta erano arrivati alla soglia del vero e proprio litigio, quando per qualche strano motivo erano finiti a parlare di Benny e della prima volta in cui si erano trovati in Purgatorio. Dean si era sorpreso di quanto fosse ancora incazzato - perché quella era la parola giusta, e anche fin troppo delicata. Forse la sua rabbia era aumentata proprio in retrospettiva, perché se era vero che Castiel era stato innamorato di lui almeno fin dalla storia di Anna, con che coraggio l’aveva abbandonato in Purgatorio? Con che coraggio aveva lasciato che lui lo pregasse per un anno intero, senza mai rispondere? Con che coraggio aveva potuto rinfacciare a Dean di aver trovato qualcuno con cui passare il tempo, con cui fare squadra, quando lui l’aveva abbandonato come un idiota in mezzo a un posto sconosciuto e pieno di mostri schifosi? Benny era stata una benedizione, un vero amico nell’ora più buia, mentre Castiel era semplicemente svanito. Ovviamente l’angelo reiterava noiosamente ancora e ancora che l’aveva fatto per proteggerlo. Gran bella protezione, gli aveva detto Dean, considerato che aveva rischiato di essere ammazzato un’innumerevole quantità di volte e sarebbe morto se non ci fosse stato Benny. Che poi, cosa sarebbe successo se fosse morto in Purgatorio? Dean neanche lo sapeva e non era riuscito a fare quella domanda per stemperare la discussione, che era diventata veramente troppo seria e troppo infuocata, perché Castiel era scattato come una molla e gli aveva iniziato a vomitare addosso quanto Benny fosse un mostro, che si era approfittato di lui ma, oh, certo, Benny era perfetto no? E allora perché non stava con Benny. Era stato a quel punto che per fortuna la discussione si era sgonfiata. Quell’improvvisa e insensata vampata di gelosia aveva provocato in Dean uno scroscio di risate. Avevano finito per fare l’amore dolcemente, perché a una scenata di gelosia bisogna sempre riparare in questo modo.

Dean installò il lavandino e fece scorrere l’acqua per assicurarsi che il tubo fosse montato bene e non avesse perdite. Si premiò con un’altra birra e si voltò per guardare Bobby che se ne stava piegato a terra con la testa infilata sotto alla cucina per attaccare i cavi del forno prima di farlo scivolare al suo posto. John era impegnato con la configurazione del frigo. Con un’occhiata fugace controllò che tutto il resto fosse al suo posto; mancavano solo i mobili, ma erano in dirittura d’arrivo. Charlie aveva preso un vecchio furgone dalla rimessa di Bobby e si era fatta aiutare da quell’angelo dalla pelle color caramello con cui stava flirtando spudoratamente alla Roadhouse per andare a recuperare tutte le cose assurde che Dean e Castiel volevano nella loro casa. Ovviamente il furgone serviva solo come container, il viaggio l’avrebbero fatto a forza di schiocchi delle dita. 

Dean sorrise, afferrò il cacciavite abbandonato per terra e trascinò il piccolo scaleo che aveva abbandonato al centro della stanza, e si mise ad avvitare gli sportelli dei pensili. Un sorrisetto gli apparve sulle labbra al pensiero dell’altra sciocchezza su cui lui e Cas erano finiti a discutere. Niente di serio comunque, ma aveva rischiato di diventare una bella faida quando Dean aveva sputato una delle sue sentenze da vero stronzo. Tutto era iniziato per il tavolo da pranzo; Dean voleva assolutamente una cosa in stile rustico, un bel tavolo recuperato da una sezione di albero magari, e possibilmente tondo. Castiel aveva detto che per quanto bello fosse, sarebbe stato “disfunzionale”. Lui e il suo vocabolario da creatura millenaria. Dean gli aveva detto che non gli interessava che fosse “disfunzionale”, bastava che piacesse a entrambi, e l’angelo aveva detto che a un tavolo del genere non potevano sedere più di sei persone e che secondo lui non andava bene visto che avevano parlato tanto di dare feste e cose del genere. Una vera sciocchezza su cui discutere, ma tant’è. Alla fine avevano deciso per un tavolo rettangolare recuperato da due sezioni di tronco d’albero, larghe e lunghe, ma avevano discusso sul tipo di albero. Dean voleva specificatamente il castagno, a Castiel non interessava. E lì l’uomo aveva dato fiato alla bocca senza pensare, e aveva finito per ferirlo, tanto che l’angelo si era vendicato evitando ogni tipo di contatto fisico per un giorno intero. In ogni caso Charlie aveva guardato entrambi con una bitch-face degna di Sam quando le avevano detto che sarebbe dovuta andare in qualche posto in Italia - quella celeste, ovviamente - a prendere quelle stramaledette assi di castagno. Poi aveva riso e li aveva abbracciati con il suo sorrisone stampato sulla faccia, vezzeggiandoli per quanto fossero carini. Dean se l’era scrollata di dosso tossicchiando, le labbra strette e arricciate.

In ogni caso la gran parte dei mobili venivano comunque dall’Italia e dall’Inghilterra. Dean aveva voluto uno di quei bauli verdi da usare come tavolo da caffè tra i divani - che voleva di cuoio e metallo, così come le poltrone. Castiel invece aveva avuto la faccia tosta di andare da Monet a commissionargli un quadro gigantesco da mettere sulla parete opposta alle vetrate che davano sul patio: qualcosa sui toni del verde, dell’ocra e del nero, che si abbinava ai colori che avevano scelto per la casa. Dean aveva scherzato dicendo che preferiva qualcosa di più accattivante di qualche ninfea, e che forse avrebbe dovuto chiedere a quell’altro - come si chiamava? Degas forse - di fargli qualche bel quadro con le ballerine, ma senza tutù. Se avesse potuto Castiel l’avrebbe incenerito con lo sguardo. Comunque, la parete che avrebbe ospitato il quadro era già stata dipinta di un profondo verde inglese, e aspettava solo di essere abbellita con tutte le chincaglierie. 

Finiti di montare gli sportelli Dean si spostò dall’altra parte della grande stanza per sistemare le applique delle luci a muro. Castiel aveva insistito per delle placche di ottone un po’ anni settanta, ma con un twist in stile liberty o art nouveau. Dean non l’aveva ascoltato troppo a lungo, ma adesso che le vedeva doveva ammettere che non erano poi così male. Quanto al resto delle cose, avevano estratto a sorte, dopo aver trovato un compromesso tra gli stili che piacevano ad entrambi, così da non trasformare la casa in una sorta di magazzino degli opposti. Dean voleva qualcosa di rustico western, mentre Castiel più eclettico francese. C’erano volute un bel po’ di discussioni e l’intervento di Christian Liaigre per mediare tra le due cose apparentemente inconciliabili. A quanto pareva, con l’occhio esperto di un interior designer di fama mondiale e qualche seduta di mediazione familiare ad opera di Charlie, non c’era assolutamente di inconciliabile tra di loro. In un paio d’ore avevano mappato la casa e scelto tutto quello che volevano, e adesso che stava prendendo forma Dean non poteva che ammettere che era bello riconoscere un po’ di sé e un po’ di Castiel nella loro casa. 

Suonarono alla porta d’ingresso, così Dean lasciò a metà il lavoro sulle applique passando il testimone a suo padre e si diresse lungo il largo corridoio dello stesso verde della parete del salotto che portava all’ingresso per andare ad aprire. Vista da davanti la casa era una normalissima villetta da classico quartiere residenziale. Avevano optato per dei mattoni bianchi invece che il legno, perché a Dean davano una maggiore sensazione di stabilità. C’era un piccolo portico con un divanetto a dondolo e delle lampade da esterno, a cui si accedeva attraverso quattro larghi scalini bassi. Il portone era color cuoio, a doppia anta, con sopra un bel lunotto vetrato che faceva entrare tanta luce nel corridoio che si apriva subito dietro. A sinistra dell’ingresso c’era la stanza con gli armadi e gli attaccapanni, già finita, dove chiunque sarebbe stato costretto a lasciare cappotti e scarpe una volta che la casa fosse stata completata. A destra, invece, si accedeva alla biblioteca. Castiel era stato irremovibile e Dean non aveva avuto poi così tanto da ridire. Da quando Metatron gli aveva infuso tutta la conoscenza della cultura pop fino ad allora esistita, l’angelo era diventato un vero appassionato di lettura. Così avevano deciso di realizzare una biblioteca casalinga, in cui si entrava attraverso un’apertura ad arco allungata. Il piano terra poi era particolarmente alto, quattro metri dal pavimento al soffitto, così ci stavano davvero tantissimi libri nelle scaffalature a tutta parete. Per accedere meglio ai ripiani più alti avevano installato una serie di scalette scorrevoli. Al centro della stanza ci sarebbero state, non appena fossero arrivate, due poltrone di cuoio e metallo come quelle del salotto e uno di quei divani da terapista, dove sdraiarsi. Castiel l’aveva chiamato triclinio, Dean chaise longue, ed erano finiti a bisticciare anche su quello. Sempre in biblioteca era già stato montato l’angolo bar che aspettava solo di essere fornito di tutto il necessario. Un’intera parete, infatti, era stata adibita solo ad ospitare gli alcolici: tra due scaffalature di libri avevano montato uno specchio fumé retroilluminato davanti a cui sarebbero state posizionate tutte le varie bottiglie. In basso c’era il bar, un po’ di vetro e un po’ di legno e un po’ di ottone. A Dean piaceva, anche se non avrebbe saputo dire cosa gli piacesse effettivamente. Dato che era un piccolo nerd ossessivo aveva voluto anche uno di quei mappamondi giganti che si aprono, dentro a cui mettere il loro miglior whiskey con due bicchieri speciali, solo per lui e Castiel. Per le luci, oltre all’illuminazione installata nelle librerie, avevano optato per delle lampade da terra che si alzavano e si arcuavano sopra le sedute, aprendosi a campana intorno alla lampadina. Ovviamente era tutto ancora nel rendering, perché non c’era neanche un mobile in casa. 

Ancora a sinistra, oltre alla stanza degli armadi, c’era un’altra stanza che avevano diviso in due parti: una a cui si accedeva dal corridoio, la lavanderia in cui si trovavano lavatrice, asciugatrice e mobili della biancheria, e una a cui si accedeva dalla cucina, in cui si trovava tutta la loro dispensa. A destra, invece, superata la biblioteca, si trovava il bagno degli ospiti, per cui Dean aveva dato sfogo a tutta la sua anima western: mattonelle in stile metropolitana fino a metà muro, vernice color cuoio e mobiletti dalle ante basculanti in stile saloon sarebbero stati completati da una quantità esorbitante e inimmaginabile di quadretti, foto, stampe e oggettistica varia sui cowboy - alternati a qualche ammennicolo francese, come una vecchia ruota di un carretto da giardinaggio, un forchettone di ferro battuto e qualche quadretto di fiori in stile impressionista.

«Ehi, stronzetto!», lo salutò proprio Charlie, con la sua tipica espressione e la mano alzata alla Spock, prima di abbracciarlo. «Guarda un po’ chi è arrivato», ridacchiò.

«Oh! La mia traslocatrice preferita e tutto il mio arredamento!», disse lui. «Forte!»

Da dietro le spalle della rossa, Dean scorse l’altro angelo che si stava già occupando di scaricare la roba davanti al portico. «Ehi, Ruth», la salutò.

«Ciao, Dean», rispose lei, sorridendogli con quei suoi incredibili occhi verde acqua. 

Charlie le lanciò uno sguardo ammirato, e Dean la scrutò un attimo prima di sghignazzare. «Gran bel chiappo, sorella», le sussurrò, sbirciando l’angelo oltre la sua spalla, mentre fletteva i muscoli apparentemente sottili per nulla nascosti dalla salopette di jeans striminzita che indossava. «Immagino che quell’indumento ben poco angelico sia opera tua…», rise.

«Oh, ma smettila… ho visto come hai rivestito Castiel, non hai assolutamente nessun diritto di parlare, principessina», lo prese in giro lei.

Dean rise a bocca aperta, genuino e sereno. «Sono contento per te, comunque»

Charlie schioccò le labbra, gli fece l’occhiolino. «Oh, altro che fatine… questi angeli ci sanno proprio fare, eh?», lo stuzzicò tirandogli una gomitata tra le costole.

Lui annuì, pensando a Castiel. Si concentrò un attimo. “Sono arrivati i mobili, Cas, la casa sta prendendo forma. È davvero il posto che possiamo chiamare nostro… tutto nostro. Non vedo l’ora che torni per provare ogni singolo angolo con te… sai, svestiti, magari coperti di olio da massaggio… potrei anche farti mettere quel completo da cowboy…”, condì le parole con qualche immagine tratta da un film porno western, e rise tra sé e sé, guadagnandosi un’occhiata da Charlie. 

«Quando hai voglia…», le sussurrò Dean all’orecchio, piegandosi per essere alla sua altezza, «…prova a pregare Ruth invece di dire le cose ad alta voce… ha un certo, uhm, fascino, diciamo»

Charlie alzò un sopracciglio e rise. «Oh, abbiamo un kink qui, vedo… bravo zio, ora sì che stai imparando a goderti la vita— beh, questa vita, almeno… gay is yay!», commentò con un altro occhiolino.

«Sì, come ti pare…», le sorrise lui. «Adesso però voglio finire questo posto, mi sono rotto le palle di queste ristrutturazioni…»

«Posso sempre usare la grazia per rendere le cose più veloci…», suggerì Ruth.

Dean scese gli scalini due per volta per andare a guardare da vicino i suoi mobili, un luccichio gli brillò negli occhi. «Vediamo… se siamo troppo stanchi tra un po’ potremmo approfittarne, effettivamente»

Così dicendo si piegò, afferrò le prime due poltrone a portata di mano, e iniziò a fare una staffetta per portare dentro tutto l’arredamento.

 

*****

 

Dean stava litigando con la maledetta testata del letto quando una mano gli toccò una spalla, facendolo saltare come un grillo. 

Bobby era tornato a casa già da un paio d’ore, lamentando un mal di testa da “troppe stronzate”, Charlie e Ruth invece avevano finito di aiutare Dean con l’arredamento del salotto, non senza qualche trucchetto di magia angelica, e poi erano andate alla Roadhouse per incontrarsi con Kevin e Ash per non aveva capito che tipo di torneo di non sapeva quale gioco di non era chiaro quale console. Comunque, una cosa da nerd nel loro stile. John invece l’aveva salutato per ultimo, dopo aver finito di lavorare in biblioteca e nei bagni, ricordandogli di non fare tardi a cena. Dean quindi era rimasto solo a casa, ed era talmente concentrato ad attaccare quei maledetti cuscini di pelle al tubo di ottone a muro che anche un soffio di vento l’avrebbe fatto scattare, figuriamoci una mano. E non poteva essere Castiel, perché avevano stabilito la regola per cui nessuno dei due poteva sorprendere l’altro alle spalle senza annunciarsi prima, se non voleva rischiare di finire a terra in un riflesso di difesa involontaria.

Dean si voltò di scatto, pronto a pugnalare chiunque fosse con il cacciavite per quanto stupida fosse la sua reazione. Ma la sua faccia si trasformò da una maschera di sospetto a una di incredulità nel tempo di un battito di ciglia.

«Jack?»

«Hey-oh, Dean», lo salutò il ragazzo, con quel suo sorriso sottile e largo.

L’uomo sbatté le palpebre un paio di volte. «Figlio di…», ma non finì la frase, lasciò cadere il cacciavite sul tappeto e gettò le braccia intorno al Nephilim, affettuosamente. «È bello rivederti»

«Anche per me», sorrise ancora Jack, guardandosi intorno, «E sono felice che tu abbia trovato i tuo equilibrio in questo nuovo Paradiso», disse. «Ti piace?»

«È fantastico!», ammise Dean, dandogli una pacca sulla spalla. «Hai fatto un ottimo lavoro»

Jack piegò la testa di lato, in un gesto tanto simile a Castiel da struggergli il cuore. «Oh, è gran parte merito di Castiel»

Dean bofonchiò qualcosa senza dire niente, poi rise. «Che fine avevi fatto, ragazzo? Sei sparito in mezzo a quella strada, ci hai lasciati a cavarcela da soli e… guarda che è successo, sono morto nel giro di sei mesi!»

Il Nephilim aggrottò la fronte. «Mi dispiace molto di quello, Dean… purtroppo io non ero in circolazione quando è successo e per quanto riguarda gli angeli, sai, non volevo che intervenissero in mia assenza senza il mio consenso, e volevo che gli esseri umani se la cavassero da soli per un po’, senza, uhm, i fili del burattinaio…», disse, imitando con le mani il gesto di tirare dei fili dall’alto, «…così ho inibito la loro capacità di percepire le cose umane mentre accadono. Le percepiscono, ma solo dopo che sono già accadute… così Castiel non ha potuto fare niente per salvarti… non è potuto intervenire prima, e mi dispiace molto perché ho sentito il suo dolore anche a distanza di tre o quattro universi. Non è stato bello da parte tua buttare via il suo sacrificio così…», disse poi, senza inflessione di sorta. Nessun giudizio, solo un dato di fatto.

«Sì, ecco, io… non l’ho fatto di proposito è solo capitato, ma immagino tu abbia ragione»

«Ne è valsa la pena?»

Dean lo guardò con un sopracciglio alzato. «Cosa?»

«Morire», disse semplicemente Jack.

L’uomo ci pensò, si guardò attorno, tirò su con il naso posando gli occhi sulla testata del letto con cui stava litigando fino a pochi minuti prima. Pensò a Castiel, a sua madre, a suo padre, a Charlie, Bobby, tutte le persone che aveva potuto riabbracciare, a sé stesso e a come si era riscoperto lungo la strada. Poi penso a Sam, e una fitta gli colpì il cuore, ma meno dolorosa di quanto credesse. «In un certo senso, sì…», disse. «La mia vita sulla Terra… sì, aveva le sue bellezze, ma onestamente ragazzo… ero così stanco già vent’anni fa, e senza Cas— beh, non mi sembrava di aver molto a cui aggrapparmi, a parte Sam, ovviamente… ma lui lo riabbraccerò comunque presto o tardi e, beh, questo mi basta a credere che nonostante volessi vivere, nonostante volessi invecchiare continuando a rompere le palle al mio fratellino e prendere a calci in culo i mostri, alla fine anche se non è una cosa positiva, essere qui ha i suoi vantaggi, ecco»

Jack annuì. «Mi dispiace comunque non aver potuto fare nulla», disse, «Ma ora che sono tornato volevo passare a salutarti, per dirti che sarò molto più spesso in giro, adesso…»

«Grandioso», commentò Dean, dandogli un’altra pacca sulla spalla. «Com’è andata, hai risistemato gli universi?»

«Quasi tutti, a parte quelli terribili che Chuck aveva creato solo per puro sadismo… sapevi che ce n’era uno in cui gli uomini erano costretti a mangiare sé stessi fino a che non riuscivano più a raggiungere parti del proprio corpo da mangiare e morivano di fame?»

«Accidenti ma è terribile!», mugugnò Dean con una faccia disgustata. «Quell’uomo era un maledetto maniaco, dannazione!»

Jack fece spallucce. «Ecco, quello non l’ho ricreato…», disse semplicemente. «Comunque, Dean, è stato bello rivederti… ora devo andare al quartier generale, ma tu divertiti stasera!»

«Divertirmi?», chiese Dean, confuso.

Il Nephilim gli lanciò uno sguardo strano, sorrise ed annuì, svanendo in una nuvoletta di luce biancastra.

 

*****

 

Aveva aspettato il più possibile che Castiel tornasse a casa, ma quando si era fatto troppo tardi senza che l’angelo desse segno di vita, Dean aveva optato per andare da solo dai suoi ed aspettarlo lì. Stranamente quando era arrivato, anche se era già ora di cena, non c’era ancora assolutamente niente di pronto. Sua madre e suo padre stavano armeggiando in cucina in modo misterioso, senza però fare effettivamente nulla.

Dean quindi si era seduto sul divano con il suo solito abbigliamento tutto denim e flanella, con un bicchiere di whiskey in mano. Era sicuro che anche John e Mary stessero tergiversando in attesa di Castiel, così gli spedì una preghiera silenziosa dicendogli di muoversi, perché aveva fame e comunque era scortese da parte sua fare tardi. Così quando qualcuno suonò al campanello di casa Cambell-Winchester, lui era convinto che si trattasse dell’angelo. Invece, sorprendentemente, si trattava di Charlie, Ruth, Jo e Kevin, stranamente vestiti da festa. Con le sopracciglia talmente sollevate da sfiorare quasi l’attacco dei suoi capelli, Dean guardò stranito Charlie con indosso niente meno che uno smoking giallo paglierino con il reverse in strass, Kevin un abito maschile con la giacca coreana, e Ruth e Jo con due splendidi vestiti da gala. Jo ovviamente aveva un abito nero, grintoso, di una stoffa tipo raso ma molto spessa, con degli spacchi dovunque. Mentre Ruth era più angelica che mai in un vestito di chiffon verde acqua come i suoi occhi, leggiadro e quasi intangibile, fatto di tanti strati di volant che comunque enfatizzavano la sua figura statuaria.

«Uhm…», iniziò Dean, «…c’è una festa e io non lo so?», chiese. «O avete solo sbagliato indirizzo?»

Charlie sghignazzò ed entrò in casa senza neanche chiedere il permesso, salutò a gran voce Mary e John e si buttò sul divano dove fino a un secondo prima era seduto Dean. «Te l’abbiamo fatta, eh?»

Gli altri entrarono, imitandola. Dean chiuse la porta alle loro spalle, poi si voltò a guardare quell’allegra combriccola senza senso. «Ma che diamine sta succedendo?»

Vide di sfuggita sua madre che usciva dalla cucina con un sorriso furbo sul viso, e suo padre che invece nascondeva un’espressione più seria, quasi patriarcale. Stava per ripetere la domanda, convinto ormai che ci fosse qualcosa che lui non sapeva, ma tutti gli altri sì, quando il campanello lo interruppe squillando di nuovo.

Aprì il portone con un’espressione scettica. Davanti ai suoi occhi si parò Castiel. Aveva i capelli stranamente simili a quando si erano conosciuti, i suoi occhi brillavano di una luce azzurrina estremamente accattivante, e non indossava nessuno dei vestiti che ormai era abituato a vedergli addosso: invece, aveva ai piedi delle scarpe da ballo in vernice nera lucida, un elegantissimo smoking blu notte con il reverse dritto di raso perfettamente proporzionato alla larghezza delle sue spalle, una camicia con i bottoni coperti e il colletto diplomatico e un papillon di una tonalità di blu leggermente più chiara. In mano aveva una buffa scatolina bianca con un fiocco blu. 

Dean sbatté le palpebre più volte, senza capire. Castiel rise leggermente e si avvicinò quanto bastava per sfiorargli la guancia con un bacio leggero, che fece infuocare il viso di Dean di un rosso paonazzo fortunatamente invisibile nella penombra del patio. I suoi occhi interiori corsero a suo padre, ma si rilassò presto. Al tocco delle sue labbra l’uomo sentì uno strano cambiamento sulla pelle. Quando Castiel si allontanò, Dean si guardò e si scoprì a sua volta vestito di tutto punto. Adesso anche lui indossava uno smoking nero come il Nulla, leggermente lucido, di una stoffa particolare che sembrava riflettere la luce. Il suo reverse era a punte di lancia, sempre di raso, mentre la sua camicia aveva un colletto normale ma il davanti a pieghe verticali. 

Deglutì, in faccia l’espressione della confusione più pura. «Ma che diamine..?», ripetè.

Castiel gli consegnò la scatolina e lui l’aprì, rivelando una piccola composizione floreale. «Mi è stato detto che in questa occasione alle ragazze si offre un bracciale fiorito… ma ho pensato che nel nostro caso fosse più adatta una spilla da giacca», disse l’angelo con un sorriso sempre più largo.

Dean continuava a non capire, ma un’idea gli si formò nella mente. I suoi occhi si fecero grandi, il suo cuore gonfio.

Castiel entrò in casa, sorrise a tutti. «Signore e signora Winchester…», salutò, plateale, intenzionato a fare le cose nel modo più preciso possibile. Poi guardò Dean negli occhi, l’emozione gli si poteva leggere in faccia insieme a una certa nota di subdola furbizia. «Dean Winchester», disse, «sarei onorato se volessi accompagnarmi al ballo»

La testa dell’uomo iniziò a vorticare come una trottola. Il ricordo dell’emozione che aveva provato all’idea di andare al suo primo ballo scolastico venticinque anni prima - o forse di più, sulla Terra - lo colpì forte. Sentì le lacrime avvicinarsi pericolosamente al bordo delle sue ciglia ed ebbe una strana sensazione di sollievo all’idea che non indossava del trucco. Idea che lo fece ridere da solo e lo aiutò a ristabilire un certo contegno. Sentiva gli occhi di tutti addosso, ma il suo sguardo era solo per Castiel, che aveva evidentemente fatto tutto questo solo per fargli vivere qualcosa che non aveva mai potuto avere. Qualcosa che gli era stato tolto a un passo dal realizzarsi. Qualcosa che aveva rimpianto per tanto, quell’occasione mancata di poter vivere una cosa normale, gioiosa, spensierata.

Dean tirò su col naso, sorrise ed annuì appuntandosi la spilla floreale al taschino della giacca. 

«Mi fai strada?»




 

 

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Capitolo 16
*** Reality ***


NdA. Siamo effettivamente al penultimo capitolo. Il prossimo vedrà chiudersi il cerchio di questa storia post-finale! Spero veramente che vi sia piaciuto seguirmi fino a qui, e sostare un po' insieme a me nella vita di questi due splendidi personaggi e di tutti i loro amici. Meritavano di meglio, e sicuramente ci sono persone che hanno scritto e scriveranno finali migliori del mio, ma questo è il mio contributo a quello che credo rimarrà per sempre uno degli show che io abbia più amato, per quanto poco convinta fossi prima di iniziarlo. Avverto anche che con questo capitolo ho toccato le 150 pagine in A4, per 101.111 parole, 604.063 caratteri. Forse non il mio record assoluto, ma sicuramente un record per la mia storia di fanwriter, soprattutto considerato che ormai so per certo che questa storia, a differenza di molte altre, purtroppo, la finirò davvero. Grazie a chi è rimasto con me fino a qui, e grazie a tutti coloro che hanno commentato, seguito, messo la storia tra le preferite, tra le ricordate... è davvero un dono grande quello dell'apprezzamento, anche silente. Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, forse un po' smielato, ma ogni tanto ci vuole! La canzone è citata nel testo, ed è il grande cult del film Il tempo delle mele, Reality, di Richard Sanderson.




CAPITOLO XVI
Reality

 

Castiel alzò la mano sventolando in aria le chiavi dell’impala.  «Con piacere»

«Non pensarci nemmeno…», gli rispose Dean con gli occhi sgranati, lanciandosi verso di lui per recuperarle.

«È una convenzione socialmente accettata che sia la persona che invita a guidare, Dean», rispose Castiel, tintinnando le chiavi a distanza di sicurezza.

Dean lo fulminò. «È anche una convenzione socialmente accettata che sia l’uomo a guidare»

Charlie schioccò la lingua. «Uh, questo sì che è un discorso fuori moda, anche per te!»

Jo annuì con uno sguardo eloquente. «Davvero antiquato, Winchester!»

«Inoltre l’ultima volta che abbiamo—», Castiel si zittì alla vista dello sguardo assassino di Dean, «Beh,  anche io sono un uomo, Dean», disse muovendo le mani stese all’altro in basso, indicando il proprio aspetto.

Kevin, seduto sulla poltrona in salotto, sospirò e roteò gli occhi. «Io mi preoccuperei proprio di questo, infatti», commentò. «Voi due— beh, in realtà tutti voi, escluso me, non avete affatto l’aspetto di liceali»

Castiel gli sorrise. «Non preoccuparti per quello», lo rassicurò.

«Sembrerete degli adescatori…», ridacchiò Jo. «…mentre noi…», disse, accennando con lo sguardo a sé stessa, a Charlie e a Ruth, «…saremo i bocconcini più sexy della festa!»

Dean le lanciò un’occhiataccia. «Cosa vorresti insinuare?»

La ragazza aveva le sopracciglia piegate e le labbra arricciate in un’espressione di puro divertimento. «Hai guadagnato qualche ruga, Winchester, dall’ultima volta che ci siamo visti sulla Terra…»

«Oh, ma smettila! Non sono cambiato affatto»

Charlie rise. «Certo, principessa», lo schernì.

«E comunque guido io, fine della storia!», tagliò corto Dean.

John si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla spalla, seguito da Mary «Non fare il bambino», gli disse lei.

«Non fate troppo tardi», disse lui, scherzando. «E non correggete il punch! Si fa ancora? Ai miei tempi era la consuetudine…»

Castiel annuì e con il palmo della mano colpì un paio di volte la giacca di Dean, all’altezza del petto. Lui aggrottò la fronte, si sganciò il bottone e infilò la mano nel taschino, trovandoci dentro la vecchia fiaschetta di Bobby. «Ma che… l’hai fatta apparire insieme al vestito?»

«Bobby me l’ha concessa per l’occasione», disse l’angelo, estremamente soddisfatto. «Un’altra tradizione che non voglio assolutamente farti perdere»

«Nessuno di noi vuole perdersela!», squittì Charlie. «Siamo la squadra del no-prom… è il momento di recuperare il tempo perso!», disse, saltando giù dal divano per infrangersi contro Dean, con un braccio innaturalmente piegato verso l’alto per cingergli le spalle.

«Mai andata a un ballo scolastico?», le chiese lui, con le sopracciglia alzate.

Lei fece spallucce. «Nah», rispose. «Ero troppo impegnata a scappare dalle case famiglia…»

«E voi?», chiese, adocchiando gli altri.

Kevin lo guardò con un’espressione tra l’annoiato e lo scocciato, alzò la mano e si indicò con l’indice. «Secchione prima, profeta durante, morto dopo», sintetizzò. «No, direi che non ho avuto tanto tempo per andare ad un ballo»

«Secondo papà era troppo pericoloso… era diventato paranoico, sai, dopo un caso in una scuola superiore dell’Iowa»

John annuì. «Sì, me lo ricordo quello…», disse, scrollando le spalle come per togliersi di dosso una brutta sensazione.

Castiel fece quel suo sorriso che gli arricciava gli occhi e il naso. «Sono stato troppo occupato a guardare le galassie formarsi», disse con estrema serietà.

«E per quanto riguarda me… non sono i luoghi più battuti da noi mietitori»

Dean si voltò di scatto a guardarla. «Mietitori?»

Ruth gli sorrise dolcemente. «Sì, Jack ha reso molti di noi angeli ordinari…», disse semplicemente.

«Fantastico!», disse l’uomo. «Un’ex mietitrice, un serafino, una nerd con un tatuaggio della principessa Leia, un profeta, e due cacciatori di mostri… siamo un gran bel gruppo», rise.

«Sei pronto?», chiese Castiel, piegando la testa di lato.

Dean sospirò dando un ultimo sguardo alle sue chiavi. «Andiamo»

Salutarono John e Mary e come una piccola processione si diressero all’impala, stringendosi un po’ per entrare tutti e sei. Castiel si posizionò al posto di guida, con Dean al fianco che lo guardava con estrema attenzione e un certo sospetto, e gli altri quattro stipati sul sedile posteriore.

«Lo sai che questa macchina non è omologata per sei, giusto?»

L’angelo lo squadrò con uno sguardo incuriosito. «Dean, non esistono le regole della strada in Paradiso… oltretutto, non dobbiamo comunque guidare molto», e così dicendo sorrise e schioccò le dita.

Un attimo dopo Baby stava sfrecciando a tutta velocità su una larga strada cittadina nella luce rossastra del tramonto; a destra, dal lato della strada che Dean vedeva dal suo finestrino, si estendevano degli alberi attraverso i quali si intravedevano dei campi da gioco, forse da tennis. A sinistra alcuni palazzi commerciali si alternavano a grandi parcheggi. Il cartello che indicava il nome della strada recitava Salem Turnpike. Una lampadina iniziò ad accendersi piano piano nella mente di Dean quando Castiel si fermò al semaforo rosso all’angolo di Sullivan Park, attivando la freccia per girare a destra su N Parish Rd. 

«Siamo a Lawrence»

Castiel annuì. «Più precisamente, siamo a Lawrence nel 1987»

Dean lo guardò con un sopracciglio sollevato mentre l’angelo svoltava cautamente sulla via. Qualche macchina imboccò la strada dietro di loro, altre li precedevano. Alcuni gruppi di ragazze e ragazzi camminavano ridendo sui marciapiedi. «Noi siamo— quando? Ma che— Ti dispiace elaborare?» Il suo sguardo scorreva sui giovani sempre più numerosi intorno a loro, tutti avvolti in vestiti che dovevano essere considerati eleganti negli anni ottanta.

Charlie si sporse dal sedile posteriore, sgusciando tra Kevin e Ruth per avvicinarsi. «La migliore musica dance di sempre, capi metallizzati e capelli pazzeschi!», disse con un luccichio negli occhi.

Gli occhi di Dean non accennavano a restringersi. «Ripeto, ti dispiace elaborare?»

«Jack è venuto a trovarti oggi, giusto?», chiese Castiel, in tono del tutto piatto.

«Uh-uh», rispose Dean, che continuava a far saettare lo sguardo tra l’angelo, i marciapiedi e lo specchietto retrovisore.

Castiel svoltò nel parcheggio della scuola e si insinuò nel primo posto libero, tirò il freno a mano e spense la macchina. «Gli ho chiesto un favore», sorrise, provò senza troppo successo a fare un occhiolino e scese dall’impala, chiudendosi la portiera alle spalle.

Dean sbatté le palpebre un paio di volte e si voltò verso gli altri per capire se sapevano di cosa stesse parlando. Loro lo ignorarono e si arrampicarono fuori dalla vettura senza una sola parola. Quando anche lui si decise ad uscirne, si trovò Castiel davanti al finestrino pronto ad aprirgli lo sportello in un gesto galante. «So aprirmi il mio maledetto sportello, Cas, grazie»

«E lasciati coccolare un po’, stronzetto!», lo schernì Charlie, «Ti assicuro che nessuno dubita della tua mascolinità!»

Dean arrossì. «Io— non…»

«Comunque», lo interruppe Castiel, richiudendo la portiera dietro di lui. «Ho chiesto a Jack di creare una piccola bolla temporale… niente di speciale, un piccolo salto nel passato senza veramente andare da nessuna parte. È come un ricordo, ma formato dalla memoria collettiva di tutti coloro che si trovavano qui nel 1987»

Un brivido gli corse lungo la schiena. «Spero che queste persone non siano tutte morte!»

«Quasi nessuno di loro lo è… a parte la preside, era già molto vecchia, non te ne devi preoccupare», lo rassicurò l’angelo.

«E l’effetto farfalla?», chiese Kevin.

Castiel piegò la testa. «Come dicevo, è una bolla temporale, non siamo nella memoria di nessuno e non cambieremo la memoria di nessuno, anche perché siamo in Paradiso, e non sulla Terra», spiegò. «In ogni caso, ho chiesto anche un altro favore a Jack…»

Dean osservò l’angelo mentre si sporgeva verso di lui, afferrandolo per il bavero della giacca. Il cuore gli batté nel petto un po’ più forte del normale, al pensiero delle persone che lo circondavano. Fu l’ansia di un secondo, perché Castiel gli posò semplicemente due dita sulla fronte e lui chiuse gli occhi istintivamente. Tutto quello che sentì fu un formicolio seguito da un piccolo coro di “oh”. 

Sbatté le palpebre un paio di volte, trovandosi davanti il sorriso largo di Castiel. «Ora nessuno penserà più che sei un adescatore», commentò semplicemente, e Charlie gli indicò con il mento lo specchietto laterale dell’impala. 

Dean si piegò. Il suo primo pensiero fu che si era dovuto piegare veramente poco per incontrare il suo riflesso. Il secondo fu una parolaccia; nel piccolo vetro, due giovani occhi verdi lo guardarono con un’espressione stupefatta. Si portò le mani al viso, scoprendo la propria pelle liscia e glabra, con un accenno di barba talmente leggero da essere quasi quasi impercettibile. Incredulo si passò le dita sulle labbra, piene e morbide, e si concentrò sugli angoli degli occhi, sulla fronte e sui lati del naso, non trovandoci neanche una ruga. Deglutì, si scostò dal vetro e guardò in basso, per studiare il proprio corpo. Le mani erano giusto un po’ più piccole, e in generale tutto il suo corpo sembrava essersi ridotto di qualche centimetro sia in larghezza che in altezza. Si passò una mano tra i capelli, trovandoli più lunghi del solito. 

«Che diamine—», non finì la frase. I suoi occhi si posarono su Castiel e se possibile si fecero ancora più larghi, le sue sopracciglia schizzarono in alto e la sua mascella penzolò un istante sotto la sua bocca aperta dallo stupore. «C-Cas?»

«Il mio aspetto è più giovane ma non credo così irriconoscibile», commentò l’altro.

Dean chiuse la bocca in uno scatto repentino e deglutì. Era così abituato a vedere Castiel con il suo aspetto maturo che vederlo rispedito indietro di più di vent’anni era uno shock più grande di quanto non fosse vedere sé stesso di un ventennio più giovane. L’angelo era quasi irriconoscibile. I capelli scompigliati di un bel castano scuro leggermente più chiari sulle punte, come se fossero stati baciati dal sole. La mascella netta sul viso magro, senza neanche un filo di barba, gli zigomi alti e prominenti sopra alle guance appena scavate, gli occhi azzurri così brillanti contro la pelle olivastra da illuminare tutto il parcheggio. Erano alti uguali, più o meno della stessa stazza. I loro vestiti si erano ridotti insieme ai loro corpi. Dean sbatté le palpebre più volte, nella più completa confusione e nel più totale sbalordimento. 

«Come?»

Charlie iniziò a saltellare, finendo per sbattere contro Dean, che quasi perse l’equilibrio. «Ma che figata!», squittì, afferrandosi le ciocche di capelli rosso fuoco dal taglio stranamente irregolare.

Castiel sorrise, con quel suo nuovo sorriso fatto di labbra lisce e piene da ragazzo. «Come stavo dicendo, Jack—»

«Ehi, ragazzi! State parlando di me?»

Sussultando, Dean si voltò di scatto, in sincrono con tutti gli altri. «Jack!»

Il ragazzo alzò la mano nel suo tipico saluto, stirando le labbra nel sorriso. «Hey-oh!», disse, «Dean sei proprio un ragazzino carino, e anche tu Cas! Charlie, Jo, Kevin», salutò, «e Ruth, ovviamente»

Jo lo guardò con le sopracciglia alzate. «Tu sei Jack? Quel Jack?»

Lui tentennò la testa. «Non saprei, tu conosci molti Jack? Io sì, effettivamente— adesso li conosco tutti!», disse gioviale, ridacchiando.

«Cioè… Jack Jack? Jack il nuovo dio?», domandò Kevin.

«In persona!», commentò lui, «Ma preferisco Jack, per favore»

Come un razzo, Charlie gli si lanciò addosso stringendolo tra le braccia così forte che se non fosse stato la creatura più potente dell’universo probabilmente gli sarebbe mancata l’aria. «Grazie di aver fatto tutto questo— questo Paradiso è molto meglio di quello di prima e tu sei un dio decisamente migliore di Chuck!»

«Solo Jack», ripetè lui, ricambiando l’abbraccio con un sorriso sincero.

Dean guardò prima Jack, poi Castiel, poi di nuovo Jack. «Tu cosa ci fai qui? Anzi, no, perché non facciamo un passo indietro e mi spiegate cosa sta succedendo?»

Jack si separò da Charlie e si avvicinò a Dean, invadendo il suo spazio personale in un modo che aveva imparato tutto da Castiel. «È un regalo per te…», disse con semplicità. «…Castiel mi ha chiesto se potevamo fare una prova, mescolare un po’ il vecchio Paradiso con il nuovo Paradiso per dare vita a delle bolle di ricordi, o delle bolle temporali per permettere alle anime di vivere cose che per qualche motivo non avevano potuto vivere in vita…»

«…è un’idea che mi hai dato tu, quando abbiamo parlato del modo in cui le persone appaiono in Paradiso, ovvero l’aspetto che hanno e quello che decidono di vivere. La parte inconscia e la parte razionale della loro presenza dell’aldilà…», continuò Castiel.

Jack annuì. «…e io ho pensato che fosse veramente una bella idea quella di dare alle persone la possibilità di rivivere certi ricordi, ma a scelta, non obbligati… e cambiarli in qualche modo, piegarli a loro piacere, solo per riviverli diversamente. E in queste bolle temporali possono anche scegliere che aspetto avere… beh, non in generale, non possono cambiare il loro aspetto, ma possono come dire…», lanciò uno sguardo a Castiel.

«…tornare a una loro versione precedente, tornare bambini o ragazzi, o anche anziani se il ricordo che vogliono rivivere è più avanti nella loro linea temporale rispetto all’aspetto che hanno inconsciamente preso in Paradiso…», proseguì l’angelo.

«…e così abbiamo fatto qualche prova, ci sono stati un paio di problemi all’inizio ma direi che abbiamo risolto bene!»

Castiel sorrise, si avvicinò a Dean e gli afferrò la mano, avvicinandosi quanto bastava per dargli un bacio leggero sulla guancia che lo fece arrossire. «Così ora puoi andare al tuo primo ballo senza sembrare un maniaco», rise.

Dean si addolcì, si guardò ancora nello specchietto, di sfuggita; sentiva il cuore di una pienezza tale da essere sul punto di esplodere. Mai in vita sua aveva percepito l’amore di qualcuno nei suoi confronti con quello stesso strenuo vigore. Castiel lo amava così apertamente, così profondamente, così visceralmente eppure in modo così discreto, rispettoso e dolce che il solo pensiero era un contrasto. Si domandò come fosse riuscito a non rendersene conto prima, come avesse potuto spendere dodici anni in una tale cecità selettiva. Castiel aveva sempre fatto qualunque cosa per lui. Era passato da “dovresti portarmi un po’ più di rispetto, come ti ho tirato fuori dall’Inferno posso riportartici” al “faccio sempre ogni cosa che mi chiedi, vengo sempre quando mi chiami”. Si era ribellato, era caduto, aveva tradito, aveva ucciso ed era stato ucciso ed ogni singola volta, senza giri di parole, aveva detto di averlo fatto per lui. Se solo l’inglese non fosse così stupidamente confusionario a volte. Se solo non fosse stupidamente scarno in certe parti cruciali della lingua rispetto a tante altre in cui ha una sovrabbondanza di termini. Perché mai tu e voi dovrebbero essere la stessa identica parola? Come si dovrebbe fare a capire se si parla al plurale o al singolare se non ci sono differenze? E la parola amore? Era frustrante ripensarci adesso, con tutto quanto era successo nel frattempo, con la consapevolezza che tanto dolore, tanta attesa, sarebbero potuti essere risparmiati ad entrambi. Eppure Castiel l’aveva detto che aveva fatto tutto per lui, anche se Dean aveva dato per scontato che fosse per loro. L’aveva detto che l’amava, e in retrospettiva che senso avrebbe avuto dire due volte la stessa cosa ripetendo la seconda solo per aggiungere “tutti voi”. E poi Dean si sentiva ancora più stupido al pensiero di aver scambiato per tanto tempo l’amore per il bene, il fuoco dell’emozione più profonda e forte che esista per il vigore dell’amicizia, della fratellanza. Era un maledetto idiota, e non meritava assolutamente niente di tutto questo. 

I suoi occhi giovani lo scrutavano dallo specchietto con uno sguardo inquisitore. Chissà quando sarebbe stato effettivamente pronto a ricevere quella dichiarazione, prima del momento cruciale in cui Castiel si era sacrificato per lui. Si soffermò a pensare se ci sarebbe stata un’altra occasione in cui se l’angelo gli avesse rivelato di amarlo Dean avrebbe reagito in modo ricettivo, piuttosto che distruttivo. Sicuramente, in ogni caso, non sarebbe stato capace di metabolizzare immediatamente; dopotutto, non l’aveva fatto neanche stavolta. Ma a pensarci bene forse per tanto tempo si era trattenuto più razionalmente che inconsciamente, convincendosi che fosse impossibile, che no, non lui, non Dean Winchester, e in ogni caso non Castiel, figuriamoci, Castiel era un angelo, e lui solo un uomo. Pensò all’armata angelica che Castiel aveva abbandonato per lui, al momento in cui era tornato dal Purgatorio, a quando era riapparso davanti a quella cabina telefonica, al periodo che era stato umano, alla seconda volta in Purgatorio, alla sua preghiera. In tutti quei momenti, se Castiel glielo avesse detto, forse Dean sarebbe momentaneamente uscito di testa, ma poi avrebbe metabolizzato. Ripensò alla cripta, al momento in cui il legame telepatico tra Castiel e Naomi si era spezzato. Era stato lui a spezzarlo, ora lo sapeva. Mise quel ricordo da parte, non voleva dirgli quello che stava pensando davanti a tutti gli altri. Per quanto adesso Dean fosse molto più a suo agio con i propri sentimenti, e con le parole necessarie ad esprimerli, ancora non era il tipo d’uomo che avrebbe detto “ti amo” davanti ad altri. Era un po’ come un tesoro privato, una parte di lui che apparteneva solo e soltanto a Castiel.

Piuttosto tirò su col naso, mise su la faccia più sfacciata che gli riuscì e si passò le dita tra i capelli per tirarli indietro. Si afferrò il colletto della camicia e lo tirò fuori dalla giacca, sganciandosi il papillon per lasciarselo penzolare dal collo sul petto, sganciando qualche bottone.

«Ora», disse, schioccando la lingua e lanciando uno sguardo eloquente a quella versione stranamente giovane di Castiel, «Ora è il momento di fare Tony Manero, Cas…»

Castiel rise, «Sei sicuramente una versione migliore della mia»

«Oh, no no no!», lo corresse Dean scuotendo la testa, «Io sono più uno alla Johnny Castle…», fece un suono plateale di apprezzamento, continuando a sistemarsi il completo e atteggiandosi più in stile anni 80 che poteva.

Jo gli tirò una gomitata nelle costole, e Dean si voltò a guardarla. Era oggettivamente una bella ragazzina, con i capelli biondi un po’ cotonati e i lineamenti ancora più giovani del solito. Una piccola fitta lo colpì, rendendosi conto che escluso Kevin, che non era cambiato a fatto, Jo era quella che era ringiovanita meno. «Avevi una cotta per Swayze?»

«Oh, no! Ho ancora una cotta per Swayze! Chi non l’avrebbe?»

Charlie e Kevin alzarono la mano in contemporanea, ridendo alla buffa coincidenza. «Ehi, qui, non dimentichiamoci che esistono persone a cui piacciono le donne, eh!», disse lei in una risatina gorgogliante. La sua voce era molto simile al solito, giusto un po’ più acuta, come quella di tutti loro, tranne che di Castiel e Ruth.

Mentre chiacchieravano iniziarono a dirigersi verso l’ingresso della scuola, seguendo la massa di studenti nei loro vestiti sgargianti e metallizzati attraverso i corridoi. 

«Beh, a me piacciono anche le donne», controbatté Dean, «Bisessuale, ricordi? The purple flag squad, eterno indeciso, mi piace camminare su entrambe le sponde, Adamo ed Eva, ho preso la BIbbia un po’ troppo seriamente, two is mel che one? Sai, quelle cose lì…»

Scesero le scale che portavano al piano semi interrato, e si trovarono in un corridoio largo che portava agli spogliatoi scolastici. Scoprirono presto che il tema era ispirato al film Labyrinth; le mura e il soffitto erano stati ricoperti di nuvole di cotone da cui penzolavano finte collane di perle e altri ammennicoli dorati, calici di finto metallo, piume e altre stranezze, e dalla palestra arrivavano le note di Teenage Wildlife.

Charlie rise di nuovo e Kevin li guardò scandalizzato, ma fu Jack a parlare. «Non è tipo… una cosa sbagliata scherzare sulla sessualità?»

Dean gli fece un occhiolino, prese Castiel per mano e gli stampò un bacio umido sulla guancia. «Non quando fai parte della gay-squad… e comunque, una cosa è ridere con e un’altra è ridere di, non trovi?»

Jack ci pensò un attimo, poi sorrise e annuì. «Immagino di sì», confermò soddisfatto.

Attraversarono l’ingresso del salone, che era stato mascherato con una tenda a righe che doveva simulare l’ingresso di un circo. Per quanto non si potesse assolutamente parlare di una riproduzione fedele dell’ambientazione del film, nell’aria aleggiava lo spirito giusto. Le macchine del fumo erano già attive, così come le luci colorate che guizzavano sulla sala attraversando la nebbia e le nuvolette di cotone, illuminando tutto di fasci di blu e viola. Lustrini e oggetti luccicanti facevano capolino un po’ ovunque. C’era anche un cartonato a grandezza naturale che ritraeva David Bowie nonché la riproduzione un po’ amatoriale dei mostriciattoli del film. In un angolo per le foto si trovavano qualche goblin e un grosso trono, e in un altro c’era un enorme minotauro meccanico da cavalcare. Dean era in estasi.

«Vuoi essere la Frances per il mio Johnny?», chiese rivolto a Castiel.

L’angelo lo guardò piegando la testa di lato. «Dean, tecnicamente saresti tu la mia Frances, oppure… visto che io sono Tony Manero, tu saresti la mia Stephanie, giusto?»

Il viso dell’uomo si distorse nei suoi lineamenti di ragazzo. Proseguirono lungo la pista da ballo fino all’uscita sul campo da football, che era stato tramutato in un grosso labirinto grazie a delle finte pareti di cartapesta.

«Oppure la Sandy per il mio Danny…», continuò Castiel, sghignazzando. «La Paula per il mio Zack»

«Oh, no, se qualcuno deve essere Richard Gere, quello sono io!»

Charlie rise. «Un’altra cotta, Dean?»

«Suvvia, ti sfido a trovare un attore - o un’attrice - degli anni ottanta che non ti faresti!», la schernì lui, puntandole al viso l’indice con un gran sorriso.

«La Leia per il mio Han?», provò di nuovo Castiel.

Dean roteò gli occhi e guardò di nuovo Charlie. «Appunto», le disse, pensando a Harrison Ford e Carrie Fisher.

«No, ho trovato… tu sei decisamente Ariel e io sono chiaramente Ren!», sentenziò Castiel.

L’uomo era sul punto di controbattere, ma ci pensò un attimo. Ren, il pesce fuor d’acqua, il ribelle, il progressista, e Ariel, l’ubbidiente figlia del pastore. In un certo senso non era una un riferimento poi così sbagliato, se non fosse che Dean tutto si sentiva tranne che una casta e santa ragazzina di provincia. «Footloose, davvero, Cas? Banale»

«Sei tu quello che apprezza i riferimenti cinematografici, mi adatto solo alla tua personalità… se la consideri banale allora dovresti rivalutare i tuoi hobby», soffiò, lasciando Dean senza la capacità di replica. «D’altro canto, però, a parti inverse tu potresti essere un ottimo Indiana Jones per la mia Marion, un fantastico Maverick per la mia Charlie - anche se, uhm, abbiamo una vera Charlie qui quindi… quello lasciamo perdere - e dato che dici sempre che sembro un esattore delle tasse, potrei anche essere la tua Loretta se tu fossi il mio Ronny»

«Siete schifosamente sdolcinati… diabetici», si intromise Jo facendo una boccaccia. «Penso proprio che andrò a correggere il punch e sbronzarmi… e poi a cercare qualche bel tipo con cui ballare!»

Charlie prese Ruth per mano e fece un cenno a Dean e Castiel. «Sì, penso che la seguiremo… siete veramente troppo anche per me», disse, scomparendo dietro a Jo.

Kevin li guardava con una faccia altrettanto disgustata e le braccia conserte. «Siete anche un po’ noiosi, dei veri boomer», confermò. «Andrò a provare il labirinto, penso»

«Posso venire con te?», chiese Jack con un sorriso largo. Kevin annuì, non senza un piccolo fremito. Dopotutto Jack era dio, e per quanto avesse l’aspetto di un diciottenne e l’età anagrafica di un bambino dell’asilo, la consapevolezza che conteneva in sé tutto il potere dell’universo, lo yin e lo yang, la luce e l’oscurità, letteralmente, poteva provocare qualche brivido. «E per quel che vale, io vi trovo molto carini», commentò. «Speravo che prima o poi i miei papà si mettessero insieme…», disse come se nulla fosse, prima di saltellare verso Kevin e sparire con lui nel labirinto.

«Cosa ha appena detto?», chiese Dean tanto stranito quanto divertito.

Castiel lo guardò con la sua tipica espressione tanto piatta da essere esilarante, le sopracciglia un po’ aggrottate e gli occhi larghi. «Che voleva che noi ci mettessimo insieme»

«Intendevo— saremmo i suoi “papà”?»

«Immagino di sì, effettivamente», confermò l’angelo pensandoci un po’.

Dean annuì e schioccò le labbra un paio di volte. «Mi piace come suona», ammise.

«Anche a me»

«E comunque, no, seriamente potremmo… potremmo essere—», Dean ci pensò, faticando a trovare un film prima del duemila in cui ci fossero due protagonisti dello stesso sesso, possibilmente uomini. Dovette scavare un po’ per farsene venire in mente uno. «…ci sono, Maurice e Clive?»

«Scusa ma Clive non lascia Maurice per sposarsi con una donna?»

Dean ci pensò, cercando di ricordare la trama. «Beh, sì, senza quella parte… e con molta più azione tra le lenzuola», disse, alzando e abbassando le sopracciglia.

Castiel arricciò le labbra. «Alla fine Maurice sta con Alec, però, che lo ama davvero…»

«Sì, ma Clive è più bello di Alec…», argomentò Dean.

«Per essere uno che odia le commedie romantiche e che per tutta la vita ha dichiarato di essere etero hai una conoscenza abbastanza estesa della cinematografia di genere— nonché un’opinione abbastanza estesa sull’avvenenza maschile»

«Oh, ma sta’ zitto!», disse l’uomo roteando gli occhi.

Castiel ci pensò e piegò la testa di lato un’altra volta. «Va bene, allora, escludendo la parte omofobica di Clive e il terribile finale tra loro due, chi di noi sarebbe l’uno e chi l’altro?»

Dean roteò gli occhi. «Beh, ovviamente io sono Clive, perché Hugh Grant è un gran figo e io sono chiaramente il più bello, e poi ho dei capelli pazzeschi, proprio come lui…»

«Non posso non darti ragione… Hugh Grant non è… brutto, direi»

«Non è brutto? Stai scherzando? È una delle icone maschili più sexy della storia, caso chiuso!»

Castiel gli lanciò uno sguardo eloquente, come a sottolineare il suo commento precedente. Poi gli si avvicinò con un sorriso, i suoi occhi blu intensi e vivaci lo scrutarono. Aspettandosi un bacio, Dean  arrossì ma istintivamente chiuse le sue palpebre e si sporse; l’angelo invece superò il suo viso e gli pose una mano sulla spalla, avvicinando le labbra al suo orecchio. «Io penso che tu sia molto più sexy, Dean… anche se ammetto che, per quanto tu sia molto carino nei panni di un diciottenne, il tuo aspetto normale è— beh, per parafrasarmi, mi provoca una dolorosa e bruciante sensazione…», disse, e Dean deglutì, arrossendo ancora di più. «…proprio qui», concluse, strusciando l’inguine contro la sua coscia.

«Cas!», si allontanò di scatto. «Non mi sembra il caso… non qui», poi sorrise. “Ma quando torniamo a casa ti strappo di dosso quei vestiti prima ancora di superare lo stipite della porta, dannato angelo— ma sì, prima riprendi il tuo aspetto di sempre, non voglio sentirmi un maniaco”, pregò.

«Non vedo l’ora», concordò Castiel, leccandosi le labbra, da piccolo stronzetto quale era. «E comunque ti ricordo che sono almeno di qualche millennio più vecchio di te, penso di potermi considerare già così un adescatore… il che fa di te il ragazzino ingenuo»

«Oh, figlio di—», sussurrò Dean, piegandosi su di lui per chiudere lo spazio tra di loro. Le loro labbra si schiusero le une sulle altre, abbandonandosi in un bacio tenero. Dean si sorprese di trovare il loro sapore esattamente identico a sempre, anche se la consistenza delle loro bocche era leggermente diversa. Castiel gli accarezzò la guancia con dolcezza, e Dean in automatico gli prese il viso tra le mani, approfondendo il bacio giusto un po’, perché le loro labbra si fondessero del tutto. Quando si separarono, la voce del Dj li raggiunse come emergendo dalle profondità della Terra.

«E adesso è il momento del nostro primo lento, ragazzi e ragazze, con una canzone intramontabile… tutti in pista, scegliete il vostro partner per questo ballo da veri innamorati!»

Dean arrossì, i suoi occhi corsero alle punte delle sue scarpe lucide. Sentiva che Castiel lo guardava mentre le prime note di Reality di Richard Sanderson riempivano la palestra. L’emozione che sentiva dentro, Dean non riusciva a spiegarla o ad esprimerla. Per quanto si fosse sempre ritratto come un insensibile testa calda ossessivamente contraria alle romanticherie da filmetti da ragazzine non aveva molto senso negare a sé stesso la verità, soprattutto adesso che non aveva veramente più niente da proteggere o da nascondere. Ebbene sì, era capitato un paio di volte di trovarsi davanti a una commedia sentimentale facendo zapping nelle televisioni dei motel, e forse qualcuna l’aveva guardata fino alla fine. E allora? Questo non faceva di lui uno sdolcinato. E, sì, probabilmente aveva visto anche il Tempo delle Mele, ma in sua difesa chi non avrebbe guardato con tenerezza quei due ragazzini vivere la loro prima cotta e scambiarsi il loro primo abbraccio sulle note di una canzone fin troppo scontata? Perché, certo, quella canzone era veramente troppo dolce e troppo scontata. Però, insomma, c’era davvero qualcuno che non avrebbe sorriso davanti a quella scena? D’accordo, Dean l’aveva visto più di una volta quel film e aveva guardando anche il seguito, anche se non era all’altezza dell’originale, ma questo non cambiava nulla. Lui era un duro, guardare qualche commedia romantica non cambiava quel dato di fatto, no?

«Dean?», lo chiamò Castiel.

Si schiarì la gola e alzò gli occhi su di lui, un lieve rossore ancora gli tingeva le guance. «Sì? Hai detto qualcosa?»

«Sì, ho detto: mi concedi questo ballo?», ripetè l’angelo con una certa deferenza e un sorriso furbo sulle labbra.

Dean sbiancò. «Oh… Oh, no, no… io non ballo»

Nel frattempo la band aveva iniziato a cantare, e le parole della canzone stavano già risuonando nella testa di Dean come un testo rivelatore, risvegliando dolci emozioni nel suo corpo fin troppo giovane per tutta la vita che aveva vissuto. 

“Met you by surprise,
I didn't realize
That my life would change forever
Saw you standing there,
I didn't know I cared
There was something special in the air”

Gli venne da ridere. Era sempre più convinto che la musica in Paradiso seguisse uno schema ben preciso, e onestamente in quel contesto, dato che la bolla temporale era stata realizzata appositamente per lui, probabilmente era proprio la verità. Non era forse vero? Incontrare Castiel non era forse stata una sorpresa scioccante nella sua vita? E non era altrettanto vero che non si era accorto prima che fosse troppo tardi che la sua vita, con quell’incontro, sarebbe cambiata per sempre? Gli era apparso davanti, così d’improvviso, e Dean l’aveva letteralmente pugnalato al cuore, inconsapevole di quanto di lì a poco la sola idea di perderlo l’avrebbe distrutto. Inconsapevole di quanto sarebbe stato importante, di quanto avrebbe tenuto a lui, finché non era stato troppo tardi per tornare indietro. A ripensarci avrebbe dovuto capirlo dall’esplosine delle lampadine: il loro primo incontro era stato, letteralmente, incorniciato dai fuochi d’artificio. Beh, più o meno.

«Dean, siamo ad un ballo… è esattamente quello che si fa, ballare», controbatte Castiel.

«Sì, lo so— grazie Signor Ovvietà…», rise nervosamente e si guardò intorno. Tutte quelle coppiette stavano già dondolando nella penombra della sala, circondate da nuvole di cotone e scie di nebbia artificiale. Il cuore gli balzò in gola e dovete deglutire più volte per rimandarlo giù, e le sue mani iniziarono a sudare. I suoi occhi scivolarono su quei ragazzi e la sua mente corse al ballo che si era perso, alla ragazza che ci avrebbe voluto portare, alla sua vita fatta di rinunce e di sogni infranti, ma anche di grandi soddisfazioni. Aveva salvato il mondo, per la miseria. E fin troppe volte. Poteva affrontare uno stupido ballo. Incontrò nella folla lo sguardo di Charlie, che ciondolava da un piede all’altro tra le braccia di Ruth, e non si sorprese di trovare Jo già abbracciata a un giovane dalla fiorente chioma corvina avvolto in un completo bianco molto anni ottanta. Poi li vide, due giovani ragazzi che ballavano mano nella mano, le fronti vicine e gli occhi chiusi, avvolti entrambi in una coltre di fumo dipinto d’azzurro dai faretti colorati che nascondeva i loro smoking identici. Sorrise, inspirò. «È che non ho… non ho mai—»

“Dreams are my reality,
The only kind of real fantasy
Illusions are a common thing
I try to live in dreams
It seems as if it's meant to be”

Niente che non fosse un dato di fatto. La vita di Dean era stata quella che tanti avrebbero considerato una fantasia, fatta di sogni, demoni e mostri, fantasmi e fate, streghe e angeli e apocalissi continue. Un manuale di letteratura fantasy e horror preso e trasportato in realtà. Una vita fatta di ruguru, mutaforma, vampiri e licantropi, i peggiori incubi dell’uomo fatti realtà, quasi letteralmente, come i tulpa. E tutto quel dolore, tutta quella corsa sovrannaturale per proteggere l’umanità, non visto, da incubo che era nato era diventato un sogno. Anche nelle ore più buie c’era sempre stato un bagliore, c’era sempre stata una luce, qualcosa in cui avere fiducia.

Castiel lo riscosse dai suoi pensieri. «Mai ballato un lento?», gli chiese.

«Beh… già», ammise Dean con una smorfia.

«Neanche io… ma possiamo sempre imparare insieme, no?»

«Niente corsi di liscio in Paradiso?»

«Non rientravano nel programma per soldati angelici di Chuck, no», scherzò Castiel con un’alzata di spalle. La sua mano era ancora tesa verso Dean, in attesa che l’afferrasse.

“Dreams are my reality,
A different kind of reality
I dream of loving in the night
And loving seems alright
Although it's only fantasy”

La sua realtà era sempre stata diversa rispetto a quella degli altri, e in un certo senso lui per una vita era stato il garante della realtà altrui, della stabilità e della tranquillità di chi viveva inconsapevole, potendo realizzare i propri sogni senza temere che si tramutassero in incubi. Ma Dean, invece, cosa aveva avuto in cambio? Sì, la Terra era salva, Sam era felice, sposato, realizzato, sua madre e suo padre erano di nuovo insieme, Paradiso e Inferno collaboravano, sul trono dell’universo sedeva un bambino con più moralità di una creatura primordiale millenaria e tutto sembrava al proprio posto. Ma lui quanto aveva perso lungo la strada? 

Le sue dita incontrarono quelle di Castiel sospese a mezz’aria, e un largo sorriso si aprì sul suo viso. L’angelo gli strinse la mano nella propria accarezzandone distrattamente il dorso con il pollice e lo trascinò al centro della sala. 

Dean aveva rinunciato a tutto. Ad essere un bambino, ad essere un figlio, ad essere uno studente, un adolescente, un ragazzo, un fidanzato, un compagno, un marito, un padre. Aveva rinunciato a tutto e tutta la sua vita era stata una costante di sacrifici inframezzati di tanto in tanto da qualche fugace soddisfazione carnale. C’era stato anche l’amore, certo, ma talmente sporadico e doloroso da farlo rinunciare a riprovarci dopo il secondo fallimento. C’era stata Cassie, il suo primo vero amore, e la somiglianza del suo nome a quello di Castiel lo fece sogghignare, ricordando come fosse consuetudine per lui chiamarla Cas di tanto in tanto. 

Scosse la testa mentre l’angelo gli si parava davanti e gli afferrava l’altra mano, portandosela al fianco. 

Con lei Dean si era sentito libero di rivelarsi, e ne aveva guadagnato solo un cuore spezzato. Non era colpa sua, ovviamente, e Cassie aveva tutto il diritto di scegliere di non entrare in quella vita, di non rimanere al suo fianco rischiando ogni giorno. Ora Dean sapeva che aveva fatto la scelta giusta. Ma il suo cuore di ventenne non aveva la stessa consapevolezza, la stessa maturità. E soprattutto, non aveva ancora trovato l’amore più grande, stravolgente e inaspettato della sua vita. 

Castiel lo avvicinò a sé, i loro corpi impacciati si allinearono, iniziando a dondolare a destra e sinistra.

C’erano state tante donne, dopo Cassie, ma Lisa invece era stata tutta un’altra storia. Un intero anno insieme, e lei era consapevole di cosa fosse Dean, di chi era stato e cosa aveva fatto. Eppure lui non era sé stesso con lei, non davvero. Aveva messo da parte la caccia e le sue mani tremavano ogni mattina dalla voglia di riprendere in mano la colt, avviare il motore di Baby e imboccare la strada. 

Dean istintivamente spostò anche l’altra mano sul fianco di Castiel, facendo scivolare le dita sulla sua schiena fino a intrecciarle, abbracciandolo intorno alla vita.

Lisa aveva cercato di dargli una vita normale, una famiglia, gli aveva aperto il suo cuore e aveva lasciato che diventasse una figura paterna nella vita di Ben. Ma la vecchia vita era tornata, e lei questo non poteva accettarlo o forse era lui che, consapevole delle conseguenze, non poteva metterli nella condizione di vivere così. Così aveva chiuso la storia e aveva chiesto a Sam di non nominare più Ben e Lisa. Faceva troppo male sapere cosa avrebbe potuto avere, essere consapevole del dolore che aveva procurato a sé stesso e a loro. Si era sentito un egoista sia ad entrare nella loro vita che ad uscirne.

Castiel gli sorrise con quel suo sorriso che raggiungeva gli occhi. Nel suo viso giovane le piccole rughe intorno al naso erano molto meno accentuate, ma erano ancora lì, segno indelebile della sua personalità riflesso nel suo aspetto. Una delle tante cose che Dean non si era mai accorto di amare di lui prima, ma che trovava assolutamente irresistibili adesso.

Dopo Lisa, l’amore era sempre stato off limits. Si era concesso qualche ragazza ogni tanto, qualche divertimento sporadico, qualche conquista da bar. Poi col tempo aveva sentito sempre meno la necessità di farlo per il solo scopo di divertirsi e si era reso conto di quanto, in fondo, avesse sempre e solo voluto qualcuno da abbracciare. Qualcuno con cui risvegliarsi la mattina. Qualcuno da amare la notte, in silenzio, tra baci salati e movimenti lenti, tra parole sussurrate e dita intrecciate sulle lenzuola. Amare non era mai sembrato altro che una fantasia però. Una bella fantasia, sicura e piacevole, ma nient’altro che questo. Un sogno per bambini.

I suoi occhi si posarono in quelli di Castiel, che lo guardavano pieni di un sentimento che non avrebbe saputo descrivere a parole. Amore, certo. Ma anche stima, ammirazione, rispetto, amicizia, tenerezza, desiderio, fiducia. Un insieme di emozioni messo insieme nel corso degli anni, costruito tassello dopo tassello, rottura dopo rottura, litigio dopo litigio. Adesso amare sembrava molto più che una fantasia, sembrava piuttosto un sogno molto simile alla realtà. O una realtà fin troppo simile a un sogno.

“If you do exist,
Honey don't resist
Show me a new way of loving
Tell me that it's true,
Show me what to do
I feel something special about you”

Oh, ma Castiel era reale. Così reale e tangibile che quando la sua testa si posò sulla spalla di Dean, e le sue braccia si fecero strada per stringerlo a sé, con le mani aperte sulle sue scapole in un abbraccio delicato, dolce, adolescenziale, il cuore di Dean batte più forte nella sua ridotta cassa toracica, scuotendolo in un movimento aritmico che gli fece perdere la coordinazione per un istante. Si pestarono i piedi, e risero nell’abbraccio senza staccarsi. Tutto quello che stavano vivendo era reale. E faceva schifo che avessero dovuto entrambi ritrovarsi in Paradiso, entrambi dopo essersi sacrificati, volenti o nolenti. Era orribile che avessero dovuto morire per vivere, un insegnamento veramente deprecabile da parte della vita stessa. Ma la vita non è mai giusta, questo Dean lo sapeva, o comunque non lo era stata con lui. Avrebbe dato qualunque cosa per tornare indietro, per risvegliarsi nel suo letto nel Bunker anche solo un giorno prima di quella notte con Billie, di quella terribile ora, e correre in camera di Castiel per dirgli tutto, per stringerlo a sé con il suo vero corpo, quello acciaccato, ferito, segnato dalle lotte e dall’età. Ma non poteva, e andava bene così. Sarebbe morto altre mille volte per Castiel, se quello fosse stato l’unico modo per averlo con sé. Lui gli aveva insegnato ad amare di nuovo, ad amare in modo diverso, ad amare sé stesso per primo, e solo dopo tutto il resto. 

Dean posò il mento nell’incavo del collo di Castiel, chiudendo gli occhi mentre continuavano a dondolare, l’uno fuso nell’altro come se fossero stati soli. 

“Dreams are my reality,
The only kind of reality
May be my foolishness has past
And may be now at last
I'll see how a real thing can be
Dreams are my reality,
A wonderous world where I like to be” 

Adesso era vero senza ombra di dubbio che la sua vita, la sua nuova vita, era bella come un sogno. Un sogno eterno, l’unica vera realtà che avrebbero mai vissuto entrambi. Non c’era la morte a separarli, né la loro diversa natura. Non c’erano mostri né demoni né spettri, non c’era la caccia, non c’erano pericoli. Solo loro due e l’eternità davanti, da passare con i loro amici. Certo, rimanevano due idioti, e come tali si sarebbero scontrati, avrebbero litigato, discusso, urlato. Forse non si sarebbero parlati per un paio di giorni, e poi avrebbero fatto pace facendo l’amore su ogni superficie orizzontale e verticale di casa. Per quanto potessero bisticciare, comunque, una cosa Dean la sapeva per certo: non c’era altro che avesse mai voluto tanto in vita sua come tenere Castiel stretto a sé per il resto dell’eternità. Così si strinse ancora di più a lui, beandosi del suono dolce che uscì dalle sue labbra quando con le dita iniziò ad accarezzargli la spina dorsale da sopra la giacca dello smoking.

Dean si scostò un po’, giusto quanto bastava per poter avvicinare la bocca all’orecchio dell’angelo. Gli baciò quel piccolissimo lembo di pelle dove un ricciolo ribelle si incurvava sul collo.

«I dream of holding you all night… and holding you seems right… perhaps that's my reality», cantò sottovoce, come un sussurro soffiato direttamente sul lobo di Castiel. Un piccolo segreto solo per loro che gli fece ricordare quello che gli avrebbe voluto dire prima nel parcheggio, ma che aveva preferito riservare per un momento di maggiore intimità. Anche se non lo vedeva, Dean sapeva che Castiel stava sorridendo, e l’immagine mentale che ne aveva lo fece sorridere di rimando. «Ti ricordi la cripta della tavoletta degli angeli?»

Castiel si irrigidì un attimo, alzò la testa dalla sua spalla e lo guardò, senza smettere di ballare e senza allontanarsi da lui di neanche un centimetro di più. «Uh-Uhm»

«Ti ho detto che avevo bisogno di te», ricordò Dean, spostando una mano da dietro la schiena dell’angelo per spostargli una ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi. «Ma in realtà stavo per dirti “ti amo”», rivelò.

«Che cosa?»

Dean annuì ancora. «Sì… l’ho pensato, è stato un pensiero volatile, veloce— quasi, quasi non l’ho neanche razionalizzato è solo che… è spuntato così, nella mia testa. Ma non l’ho detto perché— beh, penso perché tu sei un angelo e io ero solo un uomo… ma, ecco, in quel “ho bisogno di te” c’era già tutto il mio amore per te, anche se non lo sapevo ancora neppure io…»

Le percepì prima ancora di vederle, le lacrime che si addensarono minacciose sulle palpebre spalancate di Castiel. I suoi occhi erano pozzi limpidi di un azzurro lunare, le sue labbra una tentazione morbida, il suo respiro una brezza tiepida a pochi centimetri dal viso di Dean. «Io—»

«Met you by surprise… I didn't realize that my life would change forever… tell me that it's true, Feelings that are cue, I feel something special about you…», cantò ancora Dean, tornando ad affondare la faccia nella spalla di Castiel, stringendolo ancora a sé. 

Sentiva il respiro dell’angelo che si faceva più rarefatto, più spezzato, e sentì contro la guancia i brividi che gli erano apparsi sul collo. Il suo cuore era una bomba atomica di emozioni che per troppo tempo non aveva espresso, e che ora combattevano per esplodere. I suoi occhi si fecero improvvisamente pungenti, così li chiuse di nuovo, abbandonandosi a quell’abbraccio come se ne dipendesse della sua esistenza. Mugugnò il resto della canzone senza cantare effettivamente le parole, percependo uno strano formicolio sulla pelle, come se tutta la sua anima fosse protesa verso l’esterno. Quando aprì gli occhi lo vide, il bagliore della grazia di Castiel, i filamenti del suo potere, che si attaccavano a lui come un sistema nervoso. Consapevole di quanto stava succedendo, si guardò intorno senza darci comunque troppa importanza, scoprendo che erano rimasti solo loro al centro della palestra, mentre tutti gli altri erano fermi a guardarli da una leggera distanza. Scorse appena il completo giallo sgargiante di Charlie e riconobbe gli occhi felici di Jack, ma non vi badò. 

Piuttosto sollevò ancora la testa e incatenò gli occhi a quelli di Castiel, che lo fissavano profondi, silenziosi. «Dreams are my reality, I like to dream of you close to me, I dream of loving in the night, and loving you seems right… perhaps that's my reality»

Allora una lacrima solitaria evase dalla prigione delle ciglia scure dell’angelo, rotolandogli sullo zigomo aguzzo. Dean si chinò e la baciò via in un movimento leggero.

«Ti amo, Dean Winchester», gli disse Castiel, con un sorriso così dolce da sciogliere il cuore, e quel suo sguardo adorante che Dean troppo a lungo aveva ignorato.

Gli sorrise. «E io amo te, Castiel, angelo del signore»

La canzone finì, e presto cominciarono a risuonare le note dance più consone ad una festa. Tutti si buttarono di nuovo in pista e prima di rendersene conto la sera si era fatta notte. Corressero il punch, ovviamente, affrontarono il labirinto ubriachi e Dean dette spettacolo cavalcando il minotauro meccanico. Si scattarono tutti una quantità imbarazzante di foto, in molte delle quali Dean e Castiel si baciavano, disinteressati a tutto il resto. Ballarono i balli di gruppo pesandosi i piedi, Charlie e Dean sfoggiarono le loro mosse da Saturday Night Fever e Kevin si esibì in una strana danza un po’ robotica, mentre Jo non faceva che saltare. Ad ogni lento, Dean e Castiel si stringevano in un abbraccio struggente, ai limiti della decenza, guadagnandosi lo scherno degli altri quando le canzoni finivano. 

Ubriachi di punch, di felicità e di ricordi, tornarono all’Impala nel chiarore della notte prima dell’alba. In uno schiocco di dita ognuno si ritrovò nella propria casa, mentre Dean e Castiel apparvero parcheggiati nel vialetto davanti alla loro villetta, in silenzio. Si concessero un ultimo piccolo bacio leggero in quei corpi adolescenti e poi Castiel li fece tornare alla loro forma originale. ISbattendo le ciglia Dean gli afferrò la faccia e lo baciò con una foga tale da risucchiargli tutta l’aria che aveva nei polmoni. Si staccò giusto un istante per prendere fiato e balbettare qualche secco imperativo e senza neanche muoversi furono sul loro nuovo letto, nella loro nuova camera, nella loro nuova casa. 

E fecero l’amore per ore, nella luce tenue del mattino fino ai raggi caldi dell'ora di pranzo, stretti l'uno all'altro come se non avessero voluto mai più separarsi.

 



 

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Capitolo 17
*** You can't always get what you want ***


NdA. Ed ecco qui l'ultimo capitolo! L'Epilogo è già pronto... spero che questa storia vi sia piaciuta, e che vi piacerà la sua conclusione. L'idea era quella di realizzare una narrazione ad anello, tipica di Supernatural, con un inizio e una fine coincidenti. E infatti, eccoci qui. Se vi ricordate dove eravamo partiti, con Dean all'arrivo in paradiso, capirete questo finale. L'Epilogo è una chicca un po' diversa dal mio tipico stile... spero che vi piaccia anche quello! Lo posterò forse domani o dopo domani! Intanto, aspetto vostri feedback! La canzone che ispira il capitolo è "You can't Always get what you want", di Bob Dylan!

 


CAPITOLO XVII
You can't always get what you want

 

You can't always get what you want
You can't always get what you want
You can't always get what you want
But if you try sometimes, well, you might find
You get what you need
Ah, yeah
Oh

 

Alla fine Mary aveva ragione. Il tempo in Paradiso si assestò, seguendo leggi celesti inesplicabili.

Quando Jody arrivò, Dean aveva passato in Paradiso un totale di dieci mesi: due dall’arrivo alla serenata per Castiel alla Roadhouse, quindici giorni nel cottage nella Francia celeste, un mese e mezzo a tergiversare prima di iniziare effettivamente a costruire la casa, circa cinque mesi per completarla, un altro mese per abituarsi a quella nuova vita e intraprendere una routine sana e soddisfacente, tra la convivenza quotidiana, il lavoro saltuario con Ellen e Jo, le fughe spazio-temporali con Castiel, le cene da John e Mary o da Bobby e Karen, i ritrovi con Charlie, Ruth, Kevin, a volte Ash, a volte Jack e raramente, ma non poi troppo, con Crowley e Rowena.

Sulla Terra, invece, erano passati più di trent’anni. 

Jody era apparsa una domenica pomeriggio nel giardino di casa di Bobby; lui e Dean erano occupati a grigliare enormi quantità di carne, Castiel si stava intrattenendo in una conversazione sulle tecniche di pesca con John, Mary e Ellen erano impegnate a spiegare a Karen perché una pistola è sempre meglio di un coltello e infine Charlie e Jo stavano giocando una partita agli scacchi dei maghi di Harry Potter, sotto lo sguardo interessato di Ruth e Jack, che nel frattempo succhiava un lecca-lecca. La prima a vederla fu Mary. Ovviamente Jack sapeva già che sarebbe arrivata, ma data la sua politica del non interferire non aveva voluto dire niente a nessuno, aspettando semplicemente di vedere la sorpresa negli occhi egli altri. Jody aveva fatto qualche passo in quel giardino un po’ a chiazze, guardandosi intorno con aria spaesata, e poi Mary l’aveva chiamata e tutti si erano girati nella sua direzione. Dean aveva abbandonato il forchettone con le salsicce e le si era lanciato addosso, stringendola in un abbraccio stritolante.

Alla cruciale domanda, “come sei arrivata qui”, lei aveva scrollato le spalle e aveva detto che si era addormentata una notte di marzo alla veneranda età di ottantuno anni e si era ritrovata lì un attimo dopo e ancora non era sicura che fosse la realtà e non un sogno. Bobby le aveva tirato una pacca sulla spalla e le aveva fatto gli onori di casa, presentandole tutti coloro che non aveva avuto modo di conoscere. Erano scese lacrime e spuntati sorrisi e infine avevano stappato una bottiglia di birra anche per lei, mentre Mary le aveva detto che per un’ottantenne gli anni li portava proprio bene. In effetti Jody era apparsa con l’aspetto che aveva la prima volta che Dean l’aveva vista.

A quanto pareva, nonostante Castiel mantenesse un canale di osservazione abbastanza costante sugli affari terrestri e Jody non sembrasse invecchiata affatto, c’erano state tante novità negli anni trascorsi. Donna aveva finalmente trovato un uomo che la rispettasse: Dario, un cacciatore poco più grande, venuto dal Sud America ma con origini italiane, amico di Jesse e Cesar, che oltre a cacciare era anche un cuoco particolarmente bravo. Insieme avevano deciso di proporre a Jody di acquistare un ranch dove poter convivere tutti insieme, per dare vita a una sorta di quartier generale centrale per cacciatori, con un’area ricettiva dove potessero riposarsi e un piccolo ristorante a conduzione familiare. Per un po’ avevano vissuto tutti insieme, finché Claire e Kaia avevano avuto una brutta rottura, e avevano preso strade separate per un po’. Erano state via quattro anni, tornando alternativamente in momenti diversi per aiutare Jody, Donna, Alex e Patience nella conduzione dell’”Huntieri Eroici Ranch”. Una volta però avevano finito per incontrarsi casualmente dopo un caso, e dopo una litigata fin troppo violenta avevano fatto la pace. Sei mesi dopo si erano sposate con una piccola cerimonia estiva nel parco della tenuta, ed erano tornati a vivere tutti insieme. Patience dopo la laurea aveva intrapreso il lavoro di mediatrice familiare, usando le sue doti nascoste per aiutare le persone, e viaggiava molto per il Paese. A quanto pareva aveva scoperto di non essere particolarmente interessata alle relazioni di nessun tipo, ed era felice così com’era, con il suo dono, il suo lavoro, la sua famiglia acquisita e i cavalli. Alex invece ci aveva messo un po’ per superare il trauma relazionale provocatole da tutta la sua storia con l'Alpha e tutto quello che ne era conseguito, ma alla fine aveva trovato un bravo ragazzo, un medico che nel tempo libero aiutava i bambini vittime di violenza domestica, e anche lui aveva finito per scoprire il mondo al di là del sensibile. Invece di scappare si era trasferito a sua volta nel Ranch, allargando la famiglia. 

Jody e Donna poi avevano deciso di collaborare con Sam, Eileen e gli altri cacciatori “d’esperienza” per ridare vita alla rete di bunker degli uomini di lettere. Sam aveva concesso di dare loro una copia delle chiavi e si era detto disponibile ad aiutare, pur non volendo entrare nel loro vecchio bunker a Lebanon. Erano riusciti a recuperare una mappa con le posizioni di tutti i rifugi e anche se c’erano voluti anni, una discreta quantità di odiose trattative con gli uomini di lettere britannici per la liberazione delle ninfe dei boschi in modo da trovare un accordo direttamente con loro, l’aiuto dei demoni sotto la guida di Crowley e Rowena, di qualche angelo in “vacanza studio” sulla Terra, e soprattutto di tutti i cacciatori conosciuti, finalmente tutti i bunker erano tornati operativi. Erano stati ripuliti, ristrutturati e ordinati, rimessi in funzione a pieno regime, ed erano un luogo di studio, di approfondimento, di riposo e di riunione per un’enorme rete di persone dedite a proteggere l’umanità dai mostri. Dean si era sentito talmente orgoglioso a quel racconto che non era riuscito a trattenere tutta la sua euforia, e in uno dei suoi movimenti goffi era caduto dalla sedia distruggendo completamente il cestino porta ghiaccio accanto a lui, guadagnandosi una lista irripetibile di insulti da parte di Bobby. 

Avevano brindato tutti insieme e finita di raccontare la sua parte della storia, Jody aveva ascoltato senza il minimo stupore tutto quello che invece era successo in Paradiso. La questione del tempo che si muoveva in modo diverso l’aveva lasciata un po’ perplessa, ma in fin dei conti non era il tipo di donna che si sorprendeva, non più. La rivelazione del rapporto tra Dean e Castiel non la sconvolse minimamente, anzi. Il suo commento fu qualcosa tra “era l’ora che aprissi gli occhi” rivolto a Dean e un “tratta bene il mio ragazzo perché ha un cuore speciale” rivolto a Castiel, concluso con un abbraccio stretto attorno ad entrambi. Era stata felice per loro, gli aveva augurato ogni bene, e si era raccomandata di organizzare presto un pranzo o una cena, o quello che volevano. Dean l’aveva invitata ad andare alla Roadhouse ogni tanto e lei aveva accettato volentieri, ma poi i suoi occhi si erano spenti un po’, e Jack le si era avvicinato, le aveva toccato una spalla, e le aveva detto che c’era qualcuno che la aspettava, se era pronta per raggiungere il suo angolo di Paradiso, letteralmente. Lei si era accesa in un sorriso luminoso e aveva annuito, e insieme erano spariti nel nulla. Quando Jack era riapparso con il suo tipico sorriso e il suo sguardo tanto simile a quello di Castiel aveva spiegato loro che Jody si era riunita con suo marito e suo figlio.

Da quel momento l’impazienza di Dean si era fatta imperante. Per una settimana era passato da stati di euforia ad altri di insofferenza, incapace di darsi tregua e riversando inevitabilmente tutte le sue emozioni inesprimibili su Castiel. Avevano litigato per qualunque cosa, compresa la quantità di zucchero da mettere nel caffè. Dean poi aveva sviluppato uno strano senso di colpa, ed era stato necessario l’intervento incrociato di Castiel, Charlie e Mary per calmarlo. Aveva paura che Sam fosse arrabbiato con lui per averlo abbandonato, si sentiva male all’idea di non aver mai visto suo nipote, di non esserci stato al matrimonio di suo fratello. Si sentiva in colpa anche perché a quanto pareva il tempo in Paradiso era tornato a scorrere più veloce e temeva che Castiel si sentisse meno amato per questo, come se non riuscisse a rendere Dean abbastanza felice da far scorrere il tempo lentamente. Ovviamente avevano finito per discutere, perché il Winchester era ricaduto nelle vecchie abitudini e aveva detto qualcosa riguardo al suo “non meritare niente di tutto ciò”, riferendosi all’amore e alla felicità che aveva con Castiel, e l’angelo aveva detto qualcosa di stupido che aveva scatenato un vecchio rancore, trascinando quella litigata molto più a lungo del dovuto. Alla fine Dean era andato un paio di giorni da Charlie, perché non voleva assolutamente parlare con Castiel, ma non aveva resistito oltre e il terzo giorno l’aveva pregato. L’angelo era apparso con la sua faccia da “te l’avevo detto” e avevano bisticciato di nuovo, finché Charlie non li aveva schiaffeggiati entrambi e aveva spinto Castiel tra le braccia di Dean. 

Sorprendentemente, qualche settimana più tardi, fu Eileen ad arrivare in Paradiso. Apparve davanti all’impala parcheggiata nel vialetto, mentre Dean stava uscendo per andare alla Roadhouse. Erano entrambi rimasti impietriti, poi si erano corsi incontro e si erano abbracciati. Eileen aveva pianto e Dean aveva chiamato Castiel, che era tornato letteralmente volando dal suo giro di controllo insieme a Jack. Eileen era bella, giovane e spavalda nell’aspetto, ma i suoi occhi non nascondevano l’età. Erano passati trentasette anni da quando Dean era morto e rivederlo, giovane e prestante come un tempo, felice come non era mai stato, le aveva provocato un piccolo shock. Cosa che la rivelazione della sua relazione con Castiel, invece, non aveva fatto. Per quanto riguardava lei, non aveva idea di cosa fosse successo, ricordava solo che aveva sentito un senso di intorpidimento al viso e che i suoi muscoli avevano ceduto e improvvisamente aveva iniziato a vedere male. Non ricordava di aver avuto paura, né di aver sentito dolore, solo di essere caduta e di essersi rialzata lì. Mancava poco al suo settantatreesimo compleanno, ma meglio così, preferiva smettere di contare quegli stupidi anni. Dean l’aveva abbracciata di nuovo e aveva fatto un cenno a Castiel con la testa, pregandolo di andare, e l’angelo eseguì, scendendo sulla Terra per comunicare a Sam che Eileen stava bene, che era in Paradiso e che lo aspettava. L’aveva fatto anche con Jody, ed era già andato qualche altra volta, per qualche festività, quindi né Sam né Dean Jr. Erano stati sorpresi dal suo arrivo. Castiel era rimasto al funerale, aveva rassicurato Sam e poi aveva fatto ritorno in Paradiso, condividendo con Dean quello che aveva visto, come faceva sempre. Era strano vedere suo fratello invecchiare e suo nipote crescere in quel modo, come attraverso uno schermo, ma era meglio di niente. 

Eileen aveva aggiornato entrambi sulla vita che avevano vissuto, sugli sviluppi della MADE, sui successi accademici e professionali di Sam, sulle lotte ai clan di vampiri che avevano dovuto coordinare negli ultimi anni, sulle nuove generazioni di cacciatori, sull’impegno di Dean Jr, che loro non avevano voluto instradare alla professione di cacciatore, ma che si era comunque interessato agli affari di famiglia, iniziando a gestire in prima persona la rete di bunker e di rifugi sparsi per gli Stati Uniti. Si era laureato in Lingue Antiche, aveva conosciuto una studentessa di Sam e insieme erano partiti per un viaggio intorno al mondo per apprendere il più possibile del folklore internazionale, e ampliare le conoscenze a disposizione dell’American Hunter Organization, un’associazione segreta assimilabile agli uomini di lettere, ma con molta meno violenza gratuita e molta più mutua collaborazione. Tornati stabilmente dal viaggio, durato un paio d’anni in totale, si erano sposati e Eileen aveva appena visto nascere la sua prima nipotina. Dean aveva dovuto combattere contro le lacrime, e solo grazie alla mano forte e calda di Castiel sul ginocchio era riuscito a trattenersi davanti a lei, per poi lasciarsi andare a un pianto silenzioso nell’intimità della loro camera, di notte, nel buio rischiarato dalle stelle, con il viso nascosto sul petto dell’angelo e nessun altro in ascolto. Eileen aveva accettato l’invito a rimanere a dormire a casa loro per un po’, fino a quando non avesse capito cosa fare nell’attesa che anche Sam li raggiungesse. Non ritenendo che fosse compito loro presentarla ufficialmente a John e Mary, Dean aveva pensato che fosse meglio tacere sul suo arrivo finché non fosse stato il momento giusto, e Eileen era rimasta da loro qualche giorno, finché non si era sentita abbastanza tranquilla da stare da sola. Jack si era offerto di accompagnarla personalmente a cercare “il suo angolo”, e come per magia una villetta di legno bianco con il tetto azzurro era apparsa a poca distanza da casa loro, in un battito di ciglia. Castiel aveva guardato Dean di traverso, e si erano ritrovati a bisticciare sul tempo che avevano perso a costruire a mano la propria casa, quando avrebbero potuto risparmiare tempo e fatica con un solo schiocco di dita. Era una discussione futile e Dean sapeva benissimo che Castiel l’aveva avviata solo per distrarlo, per aiutarlo a tenere la mente occupata con qualcosa di diverso rispetto all’imminente arrivo di Sam.

Com’era prevedibile, il tempo iniziò a scorrere ancora più velocemente dopo il suo arrivo. Non che lo percepissero in Paradiso, ma Castiel e Jack lo sentivano in confronto con la Terra. Dean aveva iniziato a passare sempre più tempo a lavorare sull’impala, trovandole sempre nuovi difetti inesistenti da correggerle. Se non faceva niente, a volte si ritrovava a fissare il vuoto cercando di non dare sfogo al suo bisogno di fracassare cose. Sapeva che Sam aveva vissuto una vita lunga e felice fino a quel momento, e sapeva che non c’era assolutamente niente per cui essere tristi o arrabbiati, ma comunque, anche a distanza di quasi un anno celeste e quaranta terrestri dalla sua, la morte di Sam non era un argomento che riusciva ad affrontare a cuor leggero. Il giovane Winchester comunque si fece aspettare più del previsto, e Dean iniziò a rispondere all’ansia con il suo tipico atteggiamento sardonico, snocciolando battute sul fatto che neanche la Morte voleva Sam, perché era troppo noioso e petulante anche per lei. 

Arrivò anche Donna, seguita poco dopo dal suo ultimo e definitivo compagno, Dario; lei per un attacco di cuore, sorpresa di essere arrivata prima di lui che era malato da un po’ di tempo. In ogni caso, erano apparsi a distanza di un giorno l’una dall’altro alla Roadhouse, proprio come era successo con Dean, che in entrambi i casi era a dare una mano a Ellen e Jo per i turni del weekend. Il ritrovo con Donna era stato pieno di risate e sorrisi finché non era arrivata Jody, e per un po’ gli abbracci si erano fatti struggenti. La prima notte, dopo aver raccontato a tutti quello che era successo nei pochi anni trascorsi da quando era rimasta sola con Dario e le ragazze - che ormai erano donne - a gestire il Ranch, Donna aveva accettato di dormire a casa di Jody e suo marito, per conoscere finalmente l’uomo che non era mai riuscita a sostituire e il suo primo figlio. Quando il giorno dopo era apparso anche Dario, Dean aveva scoperto che nell’arco di una giornata erano passati sulla Terra più di sei mesi, e la sua ansia si era fatta ancora più grande, aspettandosi di vedere Sam da un momento all’altro. Ma Sam non era apparso, e così Castiel aveva deciso di organizzare una piccola rimpatriata nel loro giardino per distrarlo. Avevano acceso il focolare e Dean aveva insistito per fare gli s’mores, e l’angelo aveva accettato nonostante li detestasse, solo per farlo felice. Oltre a Jack, Jody era venuta con Sean e Owen, Donna con Dario, e avevano invitato anche Eileen, Charlie, Ruth, Kevin e Jo. Tutti avevano accettato l’accordo silenzioso di non dire a John, Mary e Bobby di Eileen, in attesa che fosse Sam, quando sarebbe arrivato, a presentarla ai suoi genitori, veri e acquisiti. Raccolti in cerchio intorno al fuoco, con i lunghi stecchini su cui erano infilzati i marshmallows stesi davanti a loro, i double-D avevano dato spettacolo susseguendosi in stupide battute e gare a chi fosse più imbarazzante. E ognuno aveva raccontato a turno una storia divertente e una strappalacrime. Dean e Castiel erano seduti ai lati opposti del focolare, e si scambiavano alternativamente occhiate colme di serenità. A un certo punto, mentre Eileen stava raccontando dei primi passi di Dean Jr., Castiel colse un luccichino negli occhi di Dean e con discrezione si spostò al suo fianco, quasi non visto, per stringergli una mano nelle sue, guadagnandosi un “grazie” silenzioso e uno sguardo intenso, di pura emozione.

 

*****

 

Qualche giorno dopo che Eileen si era spostata nella sua nuova casa, Dean e Castiel erano nella loro serra. L’angelo stava annaffiando le piante in una simpatica salopette di jeans chiaro tutta sporca di erba sulle ginocchia, mentre l’uomo se ne stava seduto su una mensola sporgente abbastanza larga, con i piedi penzoloni, e lo guardava lavorare con un piatto di fette biscottate coperte del miele delle loro api in mano. 

«Dean…», Castiel si immobilizzò con l’annaffiatoio stretto tra le dita, gli occhi fissi su un punto imprecisato alle spalle dell’altro.

Dean si voltò di scatto, facendo volare per terra una delle sue fette biscottate. «Cas… maledizione!», disse. Il cuore gli batteva forte nel petto, ma non c’era niente e nessuno fuori dalla serra, così si abbandonò a un sospiro e si chinò per raccogliere il suo cibo con un’espressione sconfortata in viso, «Non farlo più! Che diamine c’è?»

Castiel lo guardò. «È il tuo compleanno», rispose.

«Cosa? No che non è il mio compleanno, stupido culo piumato! Il mio compleanno è stato quattro mesi fa! Siamo andati a Santa Fe a giocare ai cowboy…», l’occhiata che lanciò a Castiel fu così sfrontata da farlo arrossire, «O ti sei dimenticato la nostra… cavalcata?», rise alla sua stessa battuta guadagnandosi un’espressione seccata in cambio. «Oggi è il sei maggio…», disse, e la consapevolezza lo colpì non appena le parole gli uscirono dalla bocca, cambiando repentinamente il suo stato d’animo. «Oh», sussurrò. «domani è il mio anniversario in Paradiso»

L’angelo lo guardò fisso. «Ovviamente mi ricordo che siamo andati a Santa Fe, Dean, e—», scosse la testa e non concluse la frase. «Voglio dire che sulla Terra, in questo momento, è il tuo compleanno… è il 24 gennaio. E… sì, domani è anche un anno che sei rientrato nella mia esistenza, e mi hai finalmente liberato dal tormento di un eternità senza di te»

Dean schioccò la lingua. «Non so se essere lusingato o disgustato dal fatto che riesci a rendere romantica anche una cosa come la morte…», ridacchiò nervosamente, ma dentro sentiva una piccola voragine. Un anno che era in Paradiso, un anno che era morto. Almeno, un anno per lui.

«Quanto tempo è passato? Sulla Terra, dico…»

«Dean…», iniziò Castiel roteando gli occhi nel tentativo di sviare la domanda. «Me lo chiedi praticamente tutti i giorni…»

«E faccio bene perché ogni giorno passa un sacco di tempo!», rispose Dean con le sopracciglia aggrottate e la bocca piena. Si pulì le labbra dalle briciole con il dorso della mano. «E comunque oggi è un giorno speciale, no? Quanti anni… quanti anni compirei oggi?»

«Oggi sono circa… anzi, oggi compiresti… ottantaquattro anni», si perse nella sua testa, come se stesse contando. «No, ottantacinque…». Lo disse con una finta noncuranza, ma il viso di Castiel tradì la sua tristezza, con un’ombra che oscurò un po’ i suoi lineamenti marcati.

Dean piegò la testa di lato, il suo viso si incupì. «Sono passati… quarantatré anni?»

«Quasi, sì», rispose Castiel. Consapevole di ciò a cui Dean stava pensando, posò l’annaffiatoio e gli altri strumenti da giardinaggio sul mobiletto al suo fianco, e gli si avvicinò. Gli tolse il piatto dalle mani e si fece strada tra le sue ginocchia allargate per stringergli le braccia intorno al busto in un abbraccio tenero. 

«Sono— è più del tempo che ho vissuto…», disse l’uomo a bassa voce.

Castiel annuì sulla sua spalla. «Ma tu sei vivo, Dean… la tua vita è continuata, solo su un piano di esistenza diverso»

«Mi sono comunque perso quarantatré anni della vita di Sam… non che mi sorprenda, ho sempre saputo che sarei morto con una pistola in mano— beh, in quel caso con un machete, ma la sostanza non cambia», cercò di scherzare.

«Se ci fossi stato non sarebbe successo»

Dean sorrise nell’abbraccio, strinse le sue braccia intorno a Castiel. «Non è colpa tua… sono stato un incosciente, avrei dovuto valutare la componente del libero arbitrio— senza Chuck a tirare le fila non eravamo più così imbattibili.»

«Avrei comunque potuto salvarti», contestò Castiel.

L’uomo sbuffò. «Sì? E per cosa? Per poi correre a salvarmi il culo altre mille volte? Certo, sarebbe stato bello avere tutto questo laggiù, con Sammy e Eileen e Piccolo Dean e le ragazze… ma non è andata così, e mi va bene. Ho imparato a capire chi sono, quassù, mi sono liberato della caccia, mi sono liberato delle dipendenze che avevo, ho… ho una vita, adesso, che prima non avevo. E sarebbe stato bello averla sulla Terra, ma non è andata così, e va bene lo stesso…»

L’angelo annuì, in silenzio. 

 

*****

 

Verso sera, Dean era raggomitolato sul divanetto della soffitta con una pizza extralarge sulle gambe. Stava osservando la schiena di Castiel che si muoveva impercettibilmente davanti a una tela, illuminato di lato da una lampada da set televisivo che rischiarava appena l’intera stanza. La finestra a tetto davanti a cui stava dipingendo rimandava il disco rotondo della luna circondata da tanti piccoli puntini luminosi. Dean stava mangiando a bocca aperta come al solito, sproloquiando sull’opportunità sprecata che una serie come quella della BBC avrebbe potuto sfruttare per riscrivere la relazione tra John e Sherlock, e che era assurdo che non l’avessero colta. L’ironia della cosa lo faceva alternativamente scuotere il capo, ridacchiare e snocciolare battute a doppio senso che riguardavano la simpatica somiglianza tra la relazione dei protagonisti della serie e quella di lui e Castiel prima del Paradiso. Castiel gli rispondeva a volte a monosillabi e a volte con frasi troppo lunghe, troppo articolate e fin troppo serie, e Dean sentiva la piena pace dei sensi. Era tutto così naturale, così normale. Così incredibilmente simile a prima, eppure così diverso. Si ritrovò a chiedersi da quanto tempo lui e Castiel avessero effettivamente una relazione senza essersene mai davvero accorti: da quando era tornato la prima volta dal vuoto? O da prima, magari, quando aveva fatto ritorno dal Purgatorio? Non lo sapeva, e non importava, sapeva solo che niente di tutto ciò che facevano, escluso baciarsi e fare l’amore, gli sembrava una cosa nuova. Certo, c’erano molte implicazioni diverse adesso rispetto al passato, ma la sostanza rimaneva quella. Mentre ci pensava un gruppo di tre pipistrelli volteggiò al di là della finestra, distogliendo la sua attenzione quanto bastava da liberare per un attimo la sua mente. All’improvviso una strana sensazione gli attanagliò la bocca dello stomaco, lasciandolo momentaneamente senza fiato. Poi una fitta, un dolore a metà tra un crampo e una coltellata diretta al fegato, lo costrinse a mettere da parte la pizza e piegarsi in avanti.

Doveva aver emesso uno rantolo, perché Castiel si voltò di scatto a guardarlo con gli occhi spalancati e in un istante gli fu accanto.

«Che succede?»

Dean fece una smorfia e posò il palmo della mano destra sul fianco, in un movimento istintivo. «Non lo so», disse, scuotendo la testa. «Un dolore… caz—»

L’espressione di Castiel non lo aiutò a calmarsi. «Un dolore? È impossibile, non dovresti sentire alcun dolore in Paradiso… cosa senti esattamente? Cosa… fammi sentire!», gli ordinò. 

«È-È— come un crampo, ma anche come una pugnalata, uno squarcio che pulsa e t-tira… non è fortissimo, come… come un’eco», disse Dean stringendo i denti. 

Castiel aveva gli occhi fissi sulla sua mano premuta contro la maglietta. Gliela spostò e in un gesto veloce, preciso, gli sollevò l’indumento per trovare il punto all’origine del dolore. Non c’era niente apparentemente, così avvicinandosi un po’ di più gli posò il palmo contro le costole e chiuse gli occhi. Dean sentiva i brividi provocati dal contatto tra la sua pelle calda e la mano appena più fresca di Castiel. Fece qualche respiro profondo, cercando di distendere i muscoli e dissolvere il dolore, che sembrò sparire, per poi tornare in ondate un istante più tardi. 

«Che diamine—»

Castiel rimase in silenzio ancora qualche secondo, poi annuì e aprì gli occhi, incontrando i suoi. Il suo viso era una piccola maschera di dispiacere. «Non è niente… tu stai bene»

Dean aggrottò la fronte. «Oh, non so cosa lei abbia sentito Dottor Castiel, ma non sto molto bene!»

«Ho detto che tu stai bene», ripetè l’angelo, con le labbra appena tirate e le sopracciglia che creavano una piccola ruga sopra il naso.

«Che accidenti vorrebbe dire? Ho dolore, non sto bene, io—», ci pensò. «Aspetta, che vuol dire che io sto bene?», chiese, ripetendo lo stesso tono di Castiel.

Lui inclinò la testa e fece ancora un po’ di pressione sulle costole e un attimo dopo il dolore si era attenuato, trasformandosi in una sorta di leggero rimbombo lontano. «Non posso farlo andare via del tutto purtroppo, perché non… non proviene da te», disse, «ma posso renderlo sopportabile… non dovrebbe durare molto comunque»

«Cas, ma di che diamine stai parlando?», mugugnò Dean. I suoi muscoli si stavano già distendendo, il suo respiro si fece nuovamente più regolare. Non era una sensazione piacevole, ma aveva patito di peggio. «Che vuol dire che non dovrebbe durare molto?»

Castiel si schiarì la gola, poi si alzò dal pavimento su cui era inginocchiato e si sedette al suo fianco sul divano, prendendogli le mani tra le sue. «Dean…», soffiò. «Hai detto bene, è un’eco», disse.

«Un’eco di cosa?», ma fondamentalmente sapeva già la risposta. «Di Sam»

«Di Sam», disse Castiel in contemporanea.

Dean annuì, un’ombra gli passò sul viso. «È in—», ma non seppe cosa dire, e chiuse la bocca rimanendo in silenzio.

«Vuoi che vada a trovarlo?»

«Io, uhm… non lo so», ammise l’uomo, «Sai… sai di cosa si tratta?»

Castiel socchiuse gli occhi, piegò di nuovo la testa di lato, si allungò allontanando una mano dalle loro dita incrociate per posarla di nuovo alla fonte della eco di dolore nell’addome di Dean. Inspirò profondamente, rimase in silenzio qualche secondo. «Cancro», disse. «Metastatico, terminale, pochi giorni… forse settimane, al massimo un mese»

«Grazie dell’onestà», gli sorrise appena l’altro, con una tenue tristezza in viso. «Quanti anni ha?»

«Ottantadue, compiuti poche settimane fa»

Dean era confuso e smarrito. «Ottant— solo stamani era il mio ottantatreesimo compleanno e adesso Sam ha già ottantadue anni?»

«Quante volte devo ripetere che il tempo scorre in modo diverso in Paradiso? Tu sei… sempre più impaziente ed agitato e il tempo ha iniziato a contrarsi»

«Tre anni in dodici ore?»

«Più o meno, sì»

Dean si morse il labbro, in difficoltà. «Soffre?», chiese. L’angelo non rispose, ma non ce n’era bisogno. Il modo in cui aveva abbassato lo sguardo era più eloquente delle parole. «Puoi togliergli il dolore?»

Castiel lo guardò di nuovo, le iridi azzurre velate da una patina di dispiacere. Un movimento sottile, quasi impercettibile espresse il suo diniego. «Vorrei, davvero»

«Perché no?»

«Sarebbe interferire e…»

Dean si allontanò un po’, gli occhi improvvisamente duri, il viso una maschera di rabbia e dolore. «Per me lo avresti fatto»

«Dean… io non—»

«Sei un egoista», sputò, senza pensare. 

Castiel sospirò. «Non posso, non è che non voglio… è la vita, Dean, non posso interferire. Tu fratello— Sam ha vissuto, lungamente e felicemente. Cambiare le cose sarebbe sbagliato e lo sai»

«Allora è per questo che non hai salvato neanche me, giusto? Tutte quelle storie su Jack, stronzate!»

«No, Dean!», sbottò Castiel, che ogni volta che la conversazione si faceva movimentata ripeteva il suo nome più del necessario. «No! Per te avrei fatto qualunque cosa— avrei… io… avrei distrutto l’intero universo per te, e l’ho fatto, non penso tu possa negarlo!»

Dean si allontanò ancora, schiaffeggiando le mani di Castiel perché le allontanasse da lui. «Perché?»

«Perché?», ripetè l’angelo, confuso, guardando le sue mani improvvisamente sole.

«Perché io sì e lui no?»

«Perché…», sbuffò una risata sprezzante, «…hai anche il coraggio di chiedermelo? La gran parte dei miei errori, Dean, sono dovuti a cose stupide che ho fatto e rifarei per te… perché— perché ti amo, ecco perché»

«Evidentemente non mi ami abbastanza!», sbottò Dean saltando in piedi, sulla difensiva. 

Castiel si alzò a sua volta. «Come puoi dirlo?»

«Altrimenti salveresti Sam!»

«Dean!», la voce del serafino era un rimbombo greve che fece tremare il pavimento. «Non fare lo stupido—»

Dean strinse gli occhi. «Oh! Oh, certo, adesso voler bene al proprio fratello significa essere stupidi— quindi sarei stupido!»

«Non ho detto questo»

«E cosa hai detto?»

«Che ti stai comportando da idiota, questo ho detto!», rispose Castiel cercando di avvicinarsi. «Capisco che soffri, e capisco che ti dispiaccia, ma non si può risolvere tutto così. Non si può, lo capisci? E poi, non vuoi rivedere Sam?»

Il petto di Dean si sgonfiò un po’. «Non voglio che muoia!», disse, la voce più acuta di quanto volesse.

«Non lo vorrei neanche io, Dean, non avrei mai voluto che nessuno di voi morisse… ma— è l’umanità, è… è così che deve andare. Ma lo sai, lo sai che non è la fine! Siamo qui, tu ed io, e tutti gli altri… c’è altro oltre la Terra, qua… no?»

«Bene, e allora non voglio che soffra!», si corresse l’uomo, lanciando a Castiel uno sguardo glaciale e allontanandosi ancora un po’ da lui.

«Ma—»

«Fallo smettere di soffrire!»

«Ci sono… ci sono i medici, e le medicine e—»

Il viso di Dean si contorse. «Lo sento io!», urlò. «Attraverso l’anima… attraverso— gli anni, la morte! Il mio corpo sarà stato bruciato più di quarant’anni fa eppure io sento il suo dolore! Direi che quelle dannate medicine non sono abbastanza, giusto?»

Castiel scosse il capo. «Cosa vuoi che ti dica? Che va bene? Che andrò da Sam e gli schioccherò via il dolore con un movimento delle dita? È questo che vuoi?»

«Sì, esattamente!»

«Non posso farlo»

«Perché?»

«Perché non—»

Dean tirò una botta a uno scaffale, facendo volare in terra tutti gli strumenti riposti con una serie assordante di rumori. Un barattolo di vetro si fracassò in mille pezzi. Il suo respiro era veloce, il suo petto si muoveva a intermittenza. I suoi occhi, serrati, erano pozzi neri quando li riaprì per fissarli su Castiel. «Ti prego», disse. «Vuoi che ti preghi? È meglio così? Devo umiliarmi come ho fatto mille altre volte… solo con il risultato di non ricevere alcuna risposta?»

«Dean…»

«No, Cas! Tu sai… lo sai quante volte ti ho pregato, in passato e sai che non sono il tipo che prega ma tu— tu mi hai cambiato e l’ho fatto, una miriade di dannatissime volte, per ottenere cosa? Ecco, adesso ti chiedo per favore di rispondere a questa mia preghiera, e far stare meglio Sam—»

«Non posso salvarlo!»

«Non ti chiedo di salvarlo, okay? Ma— fallo stare meglio, fagli… non lo so, fagli credere che non ci sia più il dolore, poi morirà lo stesso e io— lo accetto, okay, lo capisco. Ma non così… non è— non è giusto, non è giusto che soffra, non è giusto, lui— lui—», improvvisamente la rabbia si trasformò in disperazione, e lacrime salate gli scivolarono giù dalle palpebre.

Castiel gli si lanciò contro, lo strinse tra le braccia, lo tenne vicino a sé con forza. Dean si aggrappò a lui quasi contro la sua stessa forza di volontà, cedette al suo tocco e si lasciò andare, piangendo senza far rumore sul suo petto. L’angelo sospirò, chiuse gli occhi, annuì. «Va bene», disse. «Io gli… gli toglierò il dolore, va bene? Basta che— non posso fare altro, lo capisci questo, vero?»

Dean ringhiò tra le lacrime, la mano che aveva sul petto di Castiel si strinse a pugno intorno alla sua camicia di lino, e lo colpì piano. Annuì.

Castiel lo portò al divano, gli baciò una tempia e si staccò da lui. Un istante dopo era scomparso, lasciando Dean da solo nella penombra della stanza, in un silenzio rotto solo dal suo respiro sibilante. Passarono pochi secondi, forse un minuto, e improvvisamente l’eco tenue del dolore che sentiva tra le costole si affievolì fino a svanire, lasciandolo con uno strano vuoto dentro e la stessa sensazione di stranezza alla bocca dello stomaco. Quando Castiel riapparve, Dean lo guardò con gli occhi lucidi e le labbra schiuse, il dispiacere che gli distorceva i lineamenti dipinto su tutto il suo corpo raggomitolato.

«Sta bene», gli disse l’angelo, tornando al suo fianco per stringerlo tra le braccia. «È sereno… è con Dean Jr. Non vede l’ora di rivedere te e Eileen, e tutti gli altri… non devi— non piangere, Dean, ti prego»

«Grazie»

«Faccio sempre quello che mi chiedi»

Dean a quelle parole si sentì un po’ in colpa, ma zittì quella sensazione inghiottendola fino a cancellarla dalla sua mente razionale. «Sento… io—», si morse un labbro e alzò gli occhi per incrociare quelli di Castiel, che lo guardava con una tenerezza mista a dispiacere. «Mi dispiace»

«Non serve, va bene così», lo rassicurò l’angelo.

«No, Cas… perché— mi dispiace, lo sai, io…», soffiò fuori tutta l’aria e si passò le dita sugli occhi, facendo pressione con il pollice e l’indice. Scosse la testa, affondò un po’ di più tra le braccia di Castiel. «Sento…», gli prese una mano e se la portò all’altezza dello stomaco. «…come una morsa, non so. Un macigno. Un— una sensazione di… oppressione e vuoto insieme»

Castiel fece una leggera pressione con la mano, sospirò e lo strinse più forte, posando il mento sulla cima della sua testa. «È normale… tu e Sam siete stati legati molto a lungo e lo siete ancora. Quello che senti adesso è solo il vostro legame che ti… beh, ti avvisa che lui sta per—»

«Morire», completò Dean.

«Sì e no…», lo corresse l’altro, accarezzandogli la schiena. «…più che la sua morte, senti che si avvicina il passaggio a un altro livello, a questo livello… senti la sua anima che si avvicina alla tua… è difficile da spiegare»

Dean tirò su col naso, si sistemò più comodo lasciando che le dita calde dell’angelo lo cullassero. Il senso di colpa ancora gli inacidiva la gola, ma ogni carezza lo faceva sentire meglio. «Lo sento solo io?»

«No», gli rispose, «Anche io sento qualcosa… ma è come un sassolino rispetto a quello che senti tu. Non perché non mi importi, al contrario, ma il mio legame con Sam è più—», stava per dire “superficiale”, ma non era la parola giusta. «Meno profondo del tuo»

L’uomo annuì piano, mordendosi l’interno della guancia. «Lo sentono tutti quelli che hanno un legame con Sam? Anche la mamma? Eileen?»

«Sicuramente sì»

«L’hanno sentito anche quando sono arrivato io?»

Castiel mosse appena la testa in segno di assenso, in silenzio.

«È per questo che Bobby mi aspettava?»

«Immagino di sì…»

Dean ci pensò, la testa iniziava a pesargli ma un pensiero gli ronzava nelle orecchie, pressante. «Anche tu l’hai sentito? Hai sentito quello che senti per Sam?»

Castiel rise. Una risata nervosa, stupita. Si allontanò un po’ per guardare Dean negli occhi. «No, Dean… non ho sentito quello che sento adesso per Sam… e neanche quello che stai sentendo tu»

«Che vuoi dire?»

«Che quando sei morto… in quegli istanti che hanno preceduto il passaggio della tua anima, per quei minuti io— Dean, è stato peggio che morire. E la cosa peggiore è stata che non sapevo dove fossi, cosa stesse succedendo, come… non potevo— ero bloccato, e… non te lo so spiegare con le parole, e non voglio fartelo sentire perché è qualcosa di troppo— non voglio che tu lo senta»

Dean aggrottò la fronte, cercò lo sguardo errante di Castiel finché non incatenò di nuovo gli occhi ai suoi. «Voglio sentirlo…», disse iniziando ad alzarsi la manica della maglietta.

«No», lo contraddisse l’angelo, fermandogli la mano. «Non voglio riprovare quella sensazione, per favore. Non adesso almeno»

«Va bene»

«Ti basti sapere che non esiste dolore che avessi mai provato in precedenza che potrebbe reggere il confronto con quegli istanti… e non ero contenuto in un tramite come questo, non avevo un corpo ero— solo io, nella mia pura, vera forma ed ero collegato a tutto il Paradiso, per controllarlo e… tutto il mio potere ha tremato così tanto da destabilizzare per un istante ogni cosa— poi è finito, e tu eri qui, e sono venuto a cercarti. Il resto lo sai.»

Dean strinse le labbra, una patina di tristezza gli ingrigiva il viso. La sensazione che aveva dentro si faceva più forte via via che il tempo passava, ma era sopportabile. Il pensiero di quello che aveva provato ogni volta che aveva visto morire Castiel gli annodò la gola, e non osò immaginare oltre cosa avrebbe provato in quel momento, con la sensibilità di un anima non vincolata a un corpo, se fosse successo ancora. La sola idea lo portò quasi alle lacrime, così scosse la testa e baciò Castiel con tutta la sua forza. Poi gli si strinse addosso e serrò gli occhi cercando di regolarizzare il respiro, finché non si addormentò tra le sue braccia.

 

*****

 

La mattina dopo Dean e Castiel andarono da Eileen per dirle che Sam era vicino. Lei annuì in silenzio, con le mani segnò la sua gratitudine per l’essere stata informata, e poi a voce aggiunse che lo sentiva, perché dalla sera precedente aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Dean usò quel poco che aveva imparato della lingua dei segni per dirle che anche lui aveva provato lo stesso, ma non disse niente riguardo al resto. Dato che Castiel era convinto che sarebbe apparso da qualche parte nel loro angolo di Paradiso entro la giornata, decisero di dividersi per aspettarlo. L’angelo sarebbe andato al Quartier Generale per studiare i movimenti e le apparizioni, Eileen sarebbe rimasta a casa e Dean sarebbe andato alla Roadhouse. Aveva pensato che potesse esserci una possibilità che Sam apparisse esattamente dove era apparso lui, così quando arrivò quasi non si sorprese di trovare Bobby seduto sulla panca esterna, a guardare verso gli alberi davanti a sé. Dean era addolorato, in ansia e stanco per la notte agitata che aveva passato, ma era anche su di giri, il cuore gli rimbombava nel petto irregolare e prepotente. La coincidenza delle tempistiche non faceva che agitarlo ancora di più. 

Il Paradiso aveva deciso di lasciarlo lontano da suo fratello un anno preciso, forse perché riuscisse a trovare sé stesso nel frattempo, perché imparasse ad essere Dean, e a capire cosa significasse davvero, essere Dean. Aveva accettato sé stesso, il suo amore per Castiel, la loro relazione, ma aveva anche imparato ad apprezzare molte parti di sé a cui non aveva mai dato abbastanza peso in passato. Aveva iniziato a pescare, a viaggiare solo per il gusto di farlo e non per necessità, a lavorare per piacere, a passare del tempo con gli amici non per cercare soluzioni a qualche dramma sovrannaturale, ma solo perché ne aveva voglia. In un anno era cambiato tutto e non era cambiato niente. Era sempre la stessa persona, eppure non lo era davvero. 

Parcheggiò l’impala nello stesso punto dove l’aveva trovata al suo arrivo, e si avvicinò a Bobby. «Sta arrivando Sam», disse, senza giri di parole.

Bobby annuì. «Lo so…», disse, «Lo immaginavo, lo sentiamo tutti»

«Anche tu?»

«Certo, che discorsi… è stato lo stesso con te. Anche tua madre, tuo padre… anche tu, credo, altrimenti non saresti qui, ragazzo»

Dean ci pensò e prese la birra che Bobby gli porgeva. La stappò e ne bevve un sorso. «Come pensi che sarà?»

«Cosa?»

«Rivedere Sam… e per lui rivedere me, rivedere tutti noi»

«Come bere una birra, figliolo», gli rispose Bobby. «Il tempo scorre in modo strano… possono passare anni senza vedere qualcuno eppure— eppure sentirsi come se non fosse passato neanche un giorno»

Dean annuì, bevve un altro sorso. «È la stessa birra schifosa di un anno fa», commentò.

«Buffo, no? Te l’avevo detto, mi pare: il tempo è diverso in Paradiso, scorre in modi—»

«Misteriosi?», scherzò.

«In un certo senso», concordò Bobby.

«Come pensi che la prenderà riguardo me e Castiel?», domandò, sinceramente insicuro.

L’altro lo guardò con la sua faccia da «Non fare domande stupide, Dean!»

«Dico seriamente»

«Come tutti noi, perdio! Lo sapevamo da prima di voi… sicuramente da prima di te. E Sam… Sam ha sempre voluto che fossi felice, e ora lo sei, quindi direi che avete vinto entrambi, non trovi?»

Dean sospirò, i suoi occhi scorsero sul panorama verdeggiante davanti a lui, si posarono sul cielo azzurro sopra la sua testa, scivolarono sulla terra arida e polverosa sotto ai suoi stivali. Il profumo dei bagel arrivava a piccole folate da dentro la Roadhouse, alternato all’odore fresco dei fiori e delle foglie appena bagnate dalla rugiada mattutina. Un uccellino cinguettò a poca distanza. Annuì. Un anno, pensò ancora, e tutto quello che riusciva a pensare era che tutto era uguale, e tutto era diverso. 

Improvvisamente ebbe una sensazione. «Penso che mi farò una girata in macchina…», disse. Si alzò, lasciò la birra ammezzata sulla panca e fece un cenno di saluto a Bobby. 

Chiuse la portiera e accarezzò il volante. «Ehi, Baby», disse prima di avviare il motore e imboccare la strada, la stessa strada che l’aveva portato da Castiel un anno prima. Accese la radio e Carry On Wayward Son dei Kansas riempì l’abitacolo con il suo ritmo fin troppo familiare. Un sorriso sghembo gli si dipinse sul viso, scosse piano la testa. «Oh! Adoro questa canzone…» 

Stavolta, invece di proseguire verso le montagne svoltò a sinistra piuttosto che a destra, entrando in un lungo viale circondato da alberi da entrambi i lati. Abbassò il finestrino e appoggiò il gomito per metà fuori dallo sportello, cantando tra sé e sé le parole mentre il ruggito del motore della  sua amata chevy impala del ’67 gli cullava la mente lungo quella boschiva strada sconosciuta, eppure familiare. Il tintinnio dei lego nell’aeratore lo fece sorridere ancora di più. La canzone lo accompagnò mentre l’auto scivolava lungo le vie del Paradiso, tra curve a gomito e lunghi rettilinei, finché la luce non apparve dietro alcuni alberi, e il paesaggio si aprì rivelando un ponte di metallo chiaro che univa le due sponde di un fiume in piena. 

La musica scemò e Dean sentì l’impellente bisogno di fermarsi; così accostò e scese, lasciando la radio risuonare in sottofondo. La sensazione che aveva allo stomaco si era fatta così intensa da lasciarlo stranamente affaticato, ma la ignorò, dirigendosi verso la balaustra come mosso da una forza inconscia. Era così bello, pensò. Il fiume scorreva sui sassi del fondale con la sua forza naturale, così fluida, ininterrotta. Gli fece venire in mente due frasi di due diverse lingue e tradizioni, ripescate dai meandri di chissà quale ricordo legato a chissà quale caso di chissà quanto tempo prima. 

Panta Rei” pensò mugugnando nel sorriso. “Tutto scorre”, pensò. Effettivamente, non c’è niente nel mondo, nell’universo, nella vita eterna e mortale delle cose, che non scorra, che non finisca, che non cambi, perlomeno. La vita gli era scivolata tra le dita come quell’acqua tra le rocce, e poi era finita, improvvisamente, come un fiume che giunge alla sua foce. Ma non era finito niente, in realtà, perché ogni fiume finisce nel mare, così come lui era finito nell’immensità della vita eterna. Una magra consolazione forse, considerato che avrebbe potuto vivere almeno altri quarant’anni se solo avesse usato un po’ più il cervello e non si fosse buttato in delle avventure suicide. Ma Castiel? Sarebbe mai tornato da lui, sulla Terra? L’avrebbe mai rivisto? Il solo pensiero di non poterlo stringere, vedere, sentire per tutti quegli anni lo tormentava nonostante non avrebbe mai dovuto sperimentare davvero quel tormento. Quello stesso pensiero lo portò alla seconda frase. “Carpe Diem” pensò ancora. Proprio perché nella vita tutto scorre, tutto passa, tutto cambia, non aveva senso camminare lungo la via scorrevole dei giorni senza afferrarne neanche uno. Lui l’aveva fatto per troppo tempo. Aveva lasciato che la sua vita fosse un’esistenza di cui qualcun altro tirasse le fila, ma per tutto il tempo era riuscito a sfuggire alla tela del fato, e si era liberato dei dogmi, inseguendo un mostro dopo l’altro, sventando un’apocalisse dopo l’altra, trovando qualcosa per guardare al futuro. Ma non si era mai concentrato sul presente, perché non ce l’aveva mai avuto davvero, un presente. Ma adesso ce l’aveva. Adesso aveva colto l’attimo e l’aveva fatto suo. E non importava quanto ancora sarebbe cambiato, quanto quella nuova vita che da un anno stava sperimentando l’avrebbe scombussolato di tanto in tanto: adesso stringeva nei suoi pugni tutti gli attimi che voleva. Adesso sapeva che le cose belle accadono davvero, qualche volta, e anche se il tempo scorre quelle rimangono.

Sull’onda di quell’emozione guardò l’orizzonte frastagliato davanti a sé, accarezzò la balaustra, sorrise. Poi la sensazione nello stomaco sparì d’improvviso, e un rumore alle sue spalle colse la sua attenzione. Non si voltò, un sorriso largo gli piegò le labbra, increspandogli la pelle fino agli occhi. Soffocò una risata con uno sbuffo del naso e annuì quasi impercettibilmente, tra sé e sé. Bob Dylan iniziò a cantare dalla radio che non sempre si ha ciò che si vuole, ma si ha sempre ciò di cui si ha bisogno.

«Heya, Sammy»

 

 

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Capitolo 18
*** Love of a lifetime ***


NdA. Wow, che viaggio che è stato. Questa è a tutti gli effetti la prima long-fic che abbia mai finito, ed è anche la più lunga. 111.046 parole, 163 pagine in A4. Un piccolo romanzo in pratica. Una storia nella storia che completa il cerchio di una serie che mi ha stregato più di quanto credessi avrebbe fatto. Una cosa è certa... non ho detto tutto. Continuerò a scrivere perché è quello che amo fare di più, soprattutto con personaggi che mi parlano come questi. Personaggi che si muovono da soli, che si scrivono la loro storia lungo la vita. Intanto, grazie. Grazie a tutti voi che l'avete letta, a tutti voi che l'avete seguita. Grazie a chi ha sempre commentato e a chi ha commentato ogni tanto. Grazie a chi l'ha aggiunta ai preferiti, ai seguiti, ai ricordati. Grazie a chi mi ha mandato messaggi privati, a chi mi ha fatto sentire apprezzata. Grazie a questa splendida community, alla nostra spn family. Ma soprattutto grazie a Dean, Castiel, Sam, Charlie, Jack, Crowley e a tutti i personaggi di Supernatural che nel loro modo tutto particolare mi hanno insegnato qualcosa, e mi hanno lasciato tanto. Spero che questo epilogo un po' diverso dal mio tipico stile vi piaccia, spero che riuscirete a immaginarvelo come me lo immagino io, come lo vedo io. E soprattutto spero che vi lasci qualcosa, anche solo un sorriso, e soprattutto che vi dia quella degna chiusura che la serie tv, purtroppo, non ci ha regalato. 
 



EPILOGO
Love of a lifetime

 

I guess the time was right for us to say
We'd take our time and live our lives together day by day
We'll make a wish and send it on a prayer
We know our dreams can all come true with love that we can share

With you I never wonder
Will you be there for me?
With you I never wonder
You're the right one for me

I finally found the love of a lifetime
A love to last my whole life through

 

«Come sto?»

«Dean, Cas ti ha visto letteralmente coperto di sangue e fluidi corporei di ogni genere e specie… pensi che gli importi come stai?»

«Sammy—»

«Stai benissimo, Dean»

«Grazie mamma»

«Tua madre ha ragione, ragazzo… Castiel è un uo— un angelo fortunato!»

«Uhm… il bastardo fortunato sono io»

«Ancora mi domando come faccia a sopportarti, effettivamente… passino i— quanti sono stati? È passato troppo tempo per me… dodici? Beh, passino i dodici anni che avete trascorso a rincorrervi ma—»

«Non ci siamo rincorsi!»

«Certo che no… la più grande storia d’amore di sempre, espressa interamente in “sguardi”»

«Mi hai tolto le parole di bocca, Charlie»

«Sam, non prendere in giro tuo fratello, è un giorno importante per lui…»

«Non lo prendo in giro… dico solo quello che penso, papà! E comunque, dicevo, passino quei dodici anni, ma adesso che state insieme davvero, finalmente, da… quanto hai detto?»

«Un anno e mezzo»

«Ecco, un anno e mezzo… e ancora ti sopporta, wow. Hai fatto davvero il colpo della vita, Dean, tienitelo stretto»

«Ti ringrazio del consiglio, Sammy, penso proprio che prenderò appunti! Non so cosa farei senza te a insegnarmi a vivere, guarda…»

«Figurati, sono sempre qui a tua disposizione»

«Dean! È il momento»

«Arrivo, mamma— Sam, sei sicuro che sto bene?»

«Benissimo, Dean»

«Grazie… ora andate, prendete posto!»

«A sinistra, giusto? Sei tu la sposa…»

«Chiudi la tua dannata bocca, Sam!»

«Dai Sam, muoviti! Noi testimoni dovremmo essere già all’altare, Jack ci aspetta!»

«Arrivo, Charlie»

«Muovi il tuo culo da giraffa»

«Dean…»

«Che c’è Sam?»

«Sono felice per te… sono ottant’anni che spero di vederti felice. È un cerchio che si chiude»

«Oh, vieni qua»

«Mi stai strozzando, Dean, basta— va bene, va bene, sei abbastanza forte da poter essere anche il marito, ora lasciami andare»

«Sei il solito coglione»

«E comunque secondo me dovreste chiamarvi CasDean!»

«Vattene»

«Dean sei pronto?»

«Sì, mamma, ora esco… tu vai, andate tutti a sedervi…»

«Cas è nell’ingresso… vi aspettiamo al lago, okay?»

«Lui è— è già pronto?»

«Sì, certo»

«E com’è?»

«Non farmi ridere, Dean… come vuoi che sia?»

«Angelico, come al solito… spero abbia messo l’impermeabile»

«No… ha uno splendido vestito, lo vedrai tu stesso»

«Vestito?»

«Abito, Dean… tranquillo, non ha addosso un vestito da sposa»

«Ne sarebbe capace»

«Non ne dubito, tesoro»

«Vai mamma, vi raggiungo»

“Maledizione, Cas che tu abbia un completo meno ridicolo del mio! Questo maledetto farfallino non fa che storcersi!”

«Dean, ti ricordi che sento le tue preghiere, vero?»

«Per l’amor del cielo, Cas! Mi hai spaventato… ma dove diamine sei, tu— non entrare!»

«Sono fuori dalla porta! Sono venuto perché mi hai chiamato…»

«Non l’ho fatto»

«Il mio completo è assolutamente non ridicolo, e sono sicuro che non lo sia neanche il tuo… sono certo che il farfallino sia perfetto»

«Non lo so»

«Esci»

«Ma—»

«Esci»

«Va bene, per— Oh… stai benissimo. Il blu è il tuo colore, davvero… sei, wow… tu— tu che ne pensi?»

«Oh, Dean»

«Se mi baci così ancora un po’ temo che dovranno aspettarci per qualche ora prima che li raggiungiamo»

«Non tentarmi»

«Perché no?»

«Sei talmente… abbagliante che potrei chiederti di sposarmi ancora una volta, mentre mi preghi di fare quel giochino con le mani mentre sono dentr—»

«CAS!»

«Cosa?»

«Non è il momento»

«D’accordo… comunque, sei bellissimo»

«Non sono cose che si dicono tra maschi»

«Perché no?»

«Non lo so… non si dicono e basta»

«Beh, io lo dico. Sei bello, lo sei sempre stato, fin dalla prima volta all’inferno, fin dal primo momento che ti ho visto… ma oggi, oggi sei raggiante»

«È perché sto per sposare l’amore della mia vita… chi l’avrebbe mai detto»

«Che sarebbe stato un uomo? Un angelo, anzi?»

«Che saresti stato tu»

«A quanto pare l'avrebbero detto tutti tranne noi»

«Oh, beh… le cose più belle sono quelle che ti fanno sudare di più»

«L’ho notato…»

«Cas»

«Andiamo?»

«Andiamo»

«Per mano o a braccetto?»

«Per convenzione dovremmo essere a braccetto»

«Ma a me piace tenerti per mano»

«Allora mano sia»

«Non la lascerai, vero?»

«Mai»

«Eccoli, vedo le sedie… oddio, ma chi ce lo ha fatto fare?»

«Ci stai ripensando, Dean?»

«Assolutamente no, Cas… smetti di ripetere ossessivamente il mio nome»

«Mi pareva che ti piacesse l’altra notte…»

«Beh, era un contesto diverso»

«Uhm… credevo che non fosse il momento di giocare, ma la tua mano sul mio sedere mi manda segnali contrastanti»

«Sta’ zitto… questi pantaloni sono illegali»

«Sono abbastanza sicuro che non violino nessuna legge»

«No, è— lascia perdere, siamo arrivati»

«Ti suda la mano»

«Sono agitato»

«Perché?»

«Non avrei mai creduto… sai, di sposarmi»

«Perché il matrimonio è una truffa?»

«Perché il matrimonio sembrava lontano dalle mie possibilità… chi avrebbe mai sposato uno come me?»

«Chiunque sarebbe fortunato di sposarti, Dean»

«Beh, quel fortunato sei tu»

«Mi sento tale ogni istante della mia esistenza»

«Mi sei mancato ieri notte… è stato strano dormire senza di te»

«È una sciocca tradizione che gli sposi non possano dormire insieme la notte prima delle nozze—»

“Stanotte ti mostro cosa vuol dire che quei pantaloni sono illegali… i pensieri che mi scatenano lo sono sicuramente. Non hai idea di cosa vorrei farti in questo momento… fa’ silenzio, non rispondere, ci stanno guardando”

«Non vedo l’ora»

“Oddio… è bellissimo, Cas… hai trasformato questo lago in un paradiso— beh, sì, siamo in Paradiso ma voglio dire… le panche e i fiori e… l’arco in fondo… è bellissimo. Ma guardami, un uomo fatto e finito e mi emoziono per due fiori— non avrei mai creduto. Comunque… non è un po’ strano che sia Jack a sposarci?”

«Jack è la creatura più potente dell’universo»

“Cas, sta’ zitto! E no, non lanciarmi quell’occhiata… ci guardano tutti… Oh! Sam sta già piangendo e— aspetta, anche Bobby! Che faccia— oddio siamo in fondo, non lasciarmi la mano…”

«Siamo lieti di essere tutti qui riuniti per celebrare una cosa tanto splendida come l’amore… se aveste i miei poteri tutti voi potreste vedere quanto fulgidi sono i colori che aleggiano intorno alla grazia dell’uno e all’anima dell’altro…»

«Non servono poteri per vedere quanto sono schifosamente dolci!»

«Donna, fa’ piano! Ti si sente»

«Oh, ma dai Jody! È un matrimonio, non un funerale»

«Sam…»

«Sì, Jack?»

«Hai con te gli anelli?»

«Certo»

«E… Charlie?»

«Sì?»

«Hai le promesse?»

«Assolutamente sì, capo!»

«Bene… Castiel, Dean»

“Ho bisogno di una birra— non serve che mi stritoli una mano, non ho intenzione di scappare… ormai ci buttiamo da questo dirupo insieme, Thelma”

«Castiel… sei stato mio padre prima che diventassi io il Padre di tutte le cose… hai scelto di salvarmi e di proteggermi, di credere in me prima ancora che venissi al mondo… connettendomi a te ho visto, attraverso i tuoi occhi, la stima e l’amore che avevi per quest’uomo, per Dean, e quella stima e quell’amore non sono cambiati… li vedo ancora, e sono gli stessi che si riflettono in Dean, per te…»

“Vorrei ben vedere!”

«Dean, vuoi leggere i tuoi voti?»

«Oh, sì… uhm, Charlie?»

«Ecco»

«Oh, ma quanto sono teneri… sono stata la loro consulente matrimoniale prima ancora che quel bel ragazzo capisse di essere innamorato dell’angioletto, lo sapete? Neanche sapeva cosa fosse la quinta base!»

«Madre, non è il momento di auto-compiacersi»

«Suvvia, Fergus, non fare il geloso»

«Castiel… perdonami se devo leggere queste parole, invece che dirle di petto, a memoria— lo sai che sono un uomo d’azione, che prende a morsi la vita senza farsi domande, che si butta a capofitto nelle cose senza bisogno di dire niente. Sai che non sono mai stato il tipo di persona che parla, quanto piuttosto quella che agisce. Eppure eccomi qui, a sciorinare parole perché Sam mi ha costretto a farlo, quando io avrei voluto farti solo una lista di promesse stupide come prometto di non far mai incazzare le tue api, oppure prometto che sceglierò sempre te a un cheesburger e che ti farò guidare Baby…» “prometto che non smetterò mai di godere nel sentirti ansimare il mio nome nel nostro letto” «…ma siccome Sam è una persona noiosa che non capisce l’ironia, eccomi qui, a parlare dei miei sentimenti davanti a tutti, anche se non è facile. Per cui ti prometto che cercherò sempre di affrontare le cose difficili per te, ti prometto che userò le parole anche quando vorrei nascondermi dietro alle azioni, che ti darò sempre ciò che meriti, tutta la mia eternità. Ti prometto che mi impegnerò a ripagarti di tutto il tempo che ho passato arrabbiato con me stesso, con te, con il mondo, con l’innominabile Chuck invece che a rendermi conto di ciò che provavo per te. Ma soprattutto, ti prometto che ti dirò ogni volta che mi verrà in mente quanto profondo, indissolubile - è una parola di Sam - sia il mio amore per te, che ha travalicato - è di Sam che questa - ogni cosa: ogni mio freno, ogni mio dubbio, ogni mio odio, ha travalicato la morte e— oh, fanculo… Cas, io ti amo. Sono un coglione e ci ho messo una vita… letteralmente, ma, ecco— sono qui, sono questo, e voglio che tu mi tenga per mano per il resto dell’eternità, fino a che sarà in vita l’universo, io voglio osservarlo affianco a te, se lo vorrai…»

«Ooh! Qualcuno ha un fazzoletto?»

«Tieni, Eileen»

«Grazie, John»

«Mary, ne vuoi uno anche tu?»

«S-sì»

«Castiel?»

«Dean Winchester… non servono le parole quando i tuoi occhi mi parlano ogni giorno. La prima volta che li ho visti, nell’oscurità dell’inferno, luccicavano come stelle nel cielo più buio… la tua anima era una folgore ieri come è ancora oggi. Negli anni in cui sono stato al tuo fianco, nel tempo che ho trascorso ad imparare cosa significasse amare attraverso te, con te, per te… tu hai fatto di me qualcosa di diverso, hai trasformato questo qualcosa… il soldato che ero, l’angelo con una crepa nel suo telaio, in qualcuno. Mi hai insegnato cosa fosse reale, per cosa valesse la pena combattere, e mi hai donato la gioia più grande che potessi mai immaginare: una famiglia. Prima ancora di amarti come compagno, come fuoco ardente della mia esistenza, tu mi hai amato come un amico, come un fratello. Mi hai fatto sentire parte di qualcosa di molto più grande e più importante di ogni disegno divino. Ed eccoci qui, io… a stringere tra le mani l’unica cosa che voglio, quella che credevo che non avrei mai avuto… e tu, a concederti a me, in un modo in cui nessun altro ti ha mai avuto prima. Ti prometto che ascolterò sempre, anche quando non parlerai, ti prometto che assorbirò la tua rabbia quando non riuscirai a trattenerla, ti prometto che ti mostrerò ogni angolo di questo Paradiso, e ti sarò accanto per il resto del tempo, finito o infinito che sia. Ti prometto che non mi arrabbierò se farai fuggire qualche ape, e che ti porterò sempre un cheesburger così che tu non debba scegliere, e che rifiuterò (quasi) sempre di guidare Baby. Ti prometto di vegliare su di te ogni istante, e di assicurarmi che il futuro, qualunque cosa ci riservi, ti regali sempre un sorriso, perché sei l’uomo più meritevole che io conosca, e che mai conoscerò»

“Cazzo, Cas— ti amo, smettiamola con tutta questa cosa, scambiamoci questi maledetti anelli e andiamo a fare l’amore fino alla fine dei tempi— non sorridermi così, o ti spoglio qui davanti a tutti… tu e i tuoi dannati occhi, mi farai impazzire”

«Dean, Castiel… in nome del potere conferitomi da me stesso, davanti a tutti gli amici, i parenti e a tutte le anime del Paradiso, alle stelle e all’intero universo, sono felice di unirvi in matrimonio… Dean, prendi l’anello»

“Mi tremano le mani— per l’amor del cielo, Winchester! Non sei un adolescente”

«Vuoi tu, Castiel, prendere Dean Winchester come tuo legittimo sposo ed amarlo e onorarlo per l’eternità?»

«Sì, mille volte sì»

«Castiel, ora l’altro anello…»

«Non sbagliare mano…»

«So riconoscere la destra dalla sinistra, Dean»

«Non si sa mai»

«Vuoi tu, Dean Winchester, prendere Castiel come tuo legittimo sposo ed amarlo e onorarlo per l’eternità?»

«Diamine sì» “Oh ti prego basta, quando ci possiamo baciare?”

«Dean, Castiel… uno dei miei più grandi desideri si realizza adesso che posso dichiararvi marito e marito… potete baciarvi, se lo desiderate»

“Finalmente, cazzo”

«Prendetevi una camera!»

«Jo, ma ti pare il caso?»

«Oh, dai Ellen, ci hai visti bene? Ti sembriamo persone che si scandalizzano?»

«Certo che no, Bobby, ma—»

«Io comunque lo sapevo…»

«Va beh, Pam— noi siamo avvantaggiate»

«Puoi dirlo forte Missouri»

«Sto cercando di godermi il mio primo e unico matrimonio, potreste evitare di chiacchierare tutti quanti? Siete peggio dei boomer al cinema»

«Falla finita Kevin!»

«Jo, mi hai fatto male!»

«Femminuccia! Era solo una gomitata— ma ancora si baciano?»

“Non smettere mai di baciarmi”

«Ti bacerò per sempre se lo vorrai»

«Lo vorrò sicuramente» “questo e altro— tutto”

«Tutto quello che vorrai»

“Ma tu li senti parlare? Stanno fischiando o sbaglio?”

«A malapena…»

«Dean inizia ad essere imbarazzante…»

“Oh… ma sta zitto Sammy! Però forse… Cas, forse dovremo staccarci”

«Dovremmo»

«Cas…»

«Sì»

«Non ho mai amato nessuno come amo te»

«Io non ho mai amato nessuno a parte te»

«Per sempre, Cas?»

«Per sempre, Dean»

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