Los Buenos y Los Santos

di Eternal_Rome
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


24 ore dopo la rapina

– Novecentottantaquattro milioni di euro... Hanno stampato novecentottantaquattro milioni di euro e se li hanno portati via sotto il nostro naso... Com'è possibile?..

Vedendo le conseguenze della vergognosa sconfitta della polizia su tutti i canali della televisione spagnola, il colonnello Luis Tamayo, con le mani tra i capelli, si fece un milione di domande che, in realtà, non richiedevano alcuna risposta. 

Quell'uomo con un'autostima gonfiata e una fede assoluta nell'onnipotenza degli organi del Ministero degli affari interni non era abituato a tali fallimenti, e nessun altro nella tenda, tranne lui, aveva la voglia di commentare l'accaduto. I presenti tacevano e registravano le testimonianze degli ultimi ostaggi.

La rapina della Zecca di Stato sarebbe entrata nella storia, e non solo le forze dell'ordine, ma ormai tutta la Spagna ne era certa. Ragione di ciò non fu più la somma rubata, ma l'agilità dei rapinatori con le maschere di Salvador Dalì, che, grazie all'incredibile astuzia, riuscirono a dare uno scaccomatto alla polizia.

Otto criminali con nomi di città, invece dei nomi in codice, guidati dal famoso ladro Andrés De Fonollosa, avevano tenuto ostaggi i dipendenti e i visitatori dell'edificio per undici giorni, nel mentre stampando circa un miliardo di euro e mettendo i bastoni tra le ruote a Tamayo e i suoi uomini. Solo al termine della rapina, giunte proprio al momento della fuga, le forze speciali erano riuscite ad eliminare tre membri della banda.

Ma questo esito, relativamente pacifico, e l'assenza delle vittime tra gli ostaggi non soddisfacevano il colonnello. Tamayo bramava il sangue e la testa dell'astuto De Fonollosa da anni, mentre il resto dei rapinatori lo interessava poco. L'uomo sembrava di essere ossessionato dall'idea di catturare proprio il famoso "Berlino".

Nella parte della tenda isolata l'investigatore Santiago López, con un sorriso ironico sul volto, osservava Tamayo in silenzio, non avendo intenzione di perdere il tempo prezioso per il panico e battibecchi inutili. Mentre i colleghi stavano a lavorare con gli ostaggi, l'uomo studiava i protocolli pronti, verificando la presenza di almeno un piccolo dettaglio che avrebbe potuto chiarire l'intero corso della rapina. E allora nessun resoconto tra quelli che aveva in mano gli dava certezza che il capo dei Dalì fuggito sarebbe stato catturato.

Santiago percepì una forte tensione, come se l'avesse preso da Tamayo, ed espirò pesantemente. C'era molto lavoro da fare, e la sovrabbondanza di testimonianze, a volte contraddittorie, lo invitava a infilare una mano in tasca per tirar fuori il pacchetto di sigarette...

– Voglia di fumare? – sentita la voce dell'ispettore Raquel Murillo, López, senza distogliere lo sguardo dai giornali, si volse. – Faresti meglio ad aspettare. I giornalisti là fuori rompono a chiunque esca di qui.

– Grazie per l'avviso. Stavo giusto per uscire a "prendere una boccata d'aria", – l'uomo si sforzò a sorridere lievemente. – Come stai? Tutto bene a casa?

– Sono stata meglio, direi. Riesco a malapena a stare in piedi anche dopo il giorno libero, – ammise Raquel, sbuffando di stanchezza. – Undici giorni di negoziazioni, diverse operazioni di salvataggio e, alla fine, un vero fallimento...

– Non è così male come pensi, – Santiago fece un tentativo di sostenere la collega, attirando l'attenzione di lei sui fascicoli sul tavolo. – Ci sono delle notizie.

Lo sguardo stanco di Raquel, che nel corso della rapina aveva negoziato quasi 24 ore su 24, invece, si diresse verso le foto e degli identikit dei criminali. Quattro degli otto ritratti, appesi ad una grande bacheca di sughero, erano barrati con croci rosse e sotto di esse c'erano dei scatti dei cadaveri, fatti nell'obitorio.

La donna socchiuse gli occhi e sospirò con fatica: l'esito della rapina risultò di essere completamente diverso dalle sue aspettative, anche se prima l'immaginazione dell'ispettrice creava nella sua mente un finale ancora più triste...

– Radko Dragic o "Oslo", un soldato serbo. Si è beccato un trauma cranico durante la fuga degli ostaggi ed è finito per essere soffocato dai suoi compagni per non farlo soffrire. Suo cugino, Mirko Dragic o "Helsinki", un soldato dalla Serbia anche lui. Deceduto durante la fuga dall'edificio... – cominciò Santiago, indicando le immagini, una dopo l'altra. – Silene Oliveira, "Tokyo". Ricercata per la rapina e un assassinio ancora prima della Zecca di Stato, è stata eliminata per aver opposto la resistenza. E Augustin Ramos – "Mosca", un ex minatore e ladro. Morto, scappando, guarda caso, nel tunnel, che lui stesso aveva fatto scavare in questi undici giorni...

– Gli altri? – chiese Murillo, con il tono secco. – E Andrés De Fonollosa?

– Qui, ispettore, viene la parte più interessante. Di De Fonollosa nessuna traccia per ora, ma abbiamo in pugno uno dei tre complici.

Il tappo della penna di Santiago indicò uno scatto cerchiato in rosso, due identikit e una vecchia foto di De Fonollosa. Due giovani, una donna e il bersaglio principale della polizia spagnola allora furono gli unici criminali ad uscire vivi dalla Zecca di Stato.

– L'hacker Aníbal Cortés, alias "Rio", è stato arrestato ieri sera. Hanno preso il ragazzo nel quartiere di Ibiza, vicino al Parco del Retiro. Secondo alcuni agenti di polizia, stava aspettando qualcuno nel luogo stabilito, ma non è venuto nessuno. Cortés non ha nemmeno tentato di oporre la resistenza, ma non ha alcuna intenzione di collaborare. A quanto pare, i Dalí hanno imparato a memoria l'intera costituzione come se fosse l'Ave Maria, prima di aver ficcato il naso nella zecca: sanno che per questo assalto non gli verrà concesso alcun perdono... Nemmeno Martín è riuscito a farlo parlare.

– Chissà perchè non sono sorpresa... – Raquel ridacchiò con ironia, ricordando il ragazzo mandare tutta la polizia a quel paese nel tentativo di convincerlo a collaborare. – E gli altri due?

– Solo due identikit che la scientifica ha tracciato secondo le descrizioni degli ostaggi... Ah, e un altro piccolo dettaglio... 

L'investigatore appese ancora una foto vicino a uno dei ritratti.

– Tra gli ostaggi manca Mónica Gaztambide. La giovane è fuggita con i rapinatori, volontariamente o meno - lo scopriremo presto.

Raquel annuì e si soffermò sugli identikit e sulla foto dell'ostaggia smarrita. Il leader della banda, svanito nel nulla ancora una volta senza lasciare traccia, in quel momento la interessava meno dei ladri, prossimi ad essere identificati.

– Qualche ipotesi su chi possono essere?

– "Denver", o, molto probabilmente, Daniel Ramos – figlio di Agustin Ramos, – rispose l'uomo, fornendo alla collega anche le vecchie foto del giovane. – Nel database c'è il suo dossier, il ragazzo era arrestato e condannato più volte per atti vandalici, risse, furti e traffico di droga.

Per il dolce, López lasció l'ultima rapinatrice non identificata, sull'identikit di cui incolló un adesivo con un punto interrogativo e tre nomi.

– Con la donna le cose sono un po' piú complicate. Secondo gli ostaggi, è "Nairobi": la responsabile della stampa di banconote. A detta degli dipendenti del dipartimento stampa, lavorava come una professionista. Il database conta decine di criminali, precedentemente condannati per la produzione e la distribuzione del denaro contraffatto, ma alla descrizione dell'aspetto fisico e dell'età corrispondono solo tre: Victoria Hernández, Ágata Jiménez e Juana Montero. Tamayo ha già mandato Ángel a prendere tutt'e tre...

Raquel riconobbe lo scetticismo nel tono di Santiago.

– Vedo che questa idea non ti piace per niente. C'è qualcosa che non ti convince?

– Non mi convince il fatto che Tamayo affida tutto agli agenti di polizia e perde tempo, avendo gli investigatori a cinque passi da lui, – borbottò l'uomo. – C'è solo una persona da prendere tra le tre – la Jiménez.

López aprì il dossier della seconda falsaria menzionata, e la Murillo, curiosa, ci diede un'occhiata. A parte il loro collega e amico, Martín Berrote, Raquel sembrava di essere allora l'unica interessata ad ascoltare.

– Ieri ho esaminato i conti bancari di tutti i rapinatori e sono giunto alla conclusione che nessuno dei Dalì aveva effettuato alcuna transazione per sei mesi. Né acquisti, né crediti, né altri servizi nelle banche.

La donna non trovó alcun collegamento con Ágata Jiménez, ma rimase in silenzio. Così Santiago riprese il discorso:

– Come ben sai, i ladri risiedevano in una casa fuori Toledo, in cui si preparavano alla rapina, quasi in assoluto isolamento, come se fossero in quarantena. Sei stata lì, conosci questo posto, – l'uomo le consegnò una foto del mangione, scoperto pochi giorni prima. – Stiamo cercando, quindi, quella falsaria che in questo periodo non si è fatta vedere a Madrid e che ha fatto uso solo dei contanti, proprio come i suoi colleghi.

Raquel diede un'altra occhiata all'identikit, facendo un paragone con le foto dal fascicolo, e scruotò nella mente ciò che aveva sentito.

– Hernández e Montero, quindi, sono da escludere dagli sospetti?

– Esatto. Hernández è tornata alla vita normale e ha trovato un lavoro. Ho le riprese delle camere di sorveglianza dal ristorante in cui lavora. Mentre Montero è diventata una bloger: pubblica dei post quotidiani con le storie su come passava i giorni, stando in prigione. I ragazzi del reparto informatico hanno già verificato l'autenticità delle registrazioni e dell'account di Montero.

Santiago a stento riuscì a trattenere una risatina al solo pensiero che l'ex prigioniera del penitenziario Cruz del Sur si guadagnava da vivere, filmando i video per le reti social. Tuttavia, non passò nemmeno un secondo, prima che l'uomo si concentrò di nuovo sugli affari.

– Chiama Ángel e dirama una segnalazione per Ágata Jiménez, – con la punta della penna López indicò una vecchia foto dal fascicolo della falsaria sospettata. – Lei, Cortés e Ramos sono le nostre uniche piste per prendere De Fonollosa...

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Capitolo 2
*** Capitolo I. ***


I rischi del mestiere

Nel corso dei quarant'anni della sua vita, Santiago aveva imparato tante lezioni e aveva visto troppo sudiciume per meravigliarsi della crudele realtà di questo mondo. E il suo fedele lavoro nel Centro Nacional de Inteligencia, ormai, gli sembrava una lotta, una vera e propria ribellione contro una piccola parte di questa realtà. Da bambino dovette superare la morte del padre, in gioventù perse molti amici che gli sono stati portati via dalla seducente euforia della cocaina colombiana... E un paio di anni prima, stava quasi per perdersi nell'ebrezza dell'alcool dopo il divorzio con la moglie, stanca di dormire sola, mentre lui cercava dei figli di puttana di vario genere per tutta la Spagna e l'America Latina.

In altre parole, prima del 27 ottobre 2016, aveva visto il tradimento in quasi tutte le sue forme... Quasi in tutte...

– Mi stai forse dicendo... che questa cazzo di lettera con l'indirizzo della posizione esatta di Cortés si è stampata da sola ieri, alle nove del mattino?

Ancora incredulo, López rilesse il testo del foglio bianco, contenuto nel file trasparente, e diede una breve occhiata alla mappa della città. Una solitaria bandierina rossa segnava proprio quel punto, indicato nella lettera anonima, in cui era stato arrestato Aníbal Cortés:

"verso le 21:22, Calle de Menorca, 13, 28009, Madrid"

– Lo so, suona strano, ma temo che sia così, Tiago. L'autore della nota ha deciso di rimanere anonimo al cento per cento e ce lo ha inviato via fax. Niente calligrafia, niente impronte delle dita... I ragazzi del reparto informatico stanno cercando di rintracciare l'indirizzo del mittente, ma, a quanto pare, niente da fare per ora, – Martín alzò le spalle e passò al collega una tazza di caffè. – Il messaggio è stato sicuramente inviato tramite un firewall sicuro. Sembra che ci sia ancora un hacker a lavorare per la banda.

– L'avido De Fonollosa non ha voluto condividere il bottino con due hacker e ce ne ha consegnato uno. Che figlio di puttana... – Santiago sogghignò, e, una volta riletto il testo, continuò a riflettere ad alta voce. – L'ingenuo Cortés, fregato come un babbeo, viene sulla via indicata e finisce proprio nelle nostre mani... Troppo facile, non lo trovi strano?

– No, per niente. Guarda che le coordinate dei delinquenti le ricevo via fax ogni giorno, – Berrote fece una battuta, e il suo collega non potè contenere una risata. – Ma, sul serio, non ci trovo nulla di strano. De Fonollosa ha semplicemente deciso di non sporcarsi le mani e si è sbarazzato di un aspirante alla parte del denaro. Anche se, pensa come avrebbe dovuto complicarsi la vita se fossero sopravvissuti anche Mosca, Helsinki, Oslo e Tokyo.

– Sì, ma ancora non riesco a capire perché aveva fissato un appuntamento con Cortés esattamente lì e a quell'ora... – López, pensieroso, si passò la mano sul mento. – Perché proprio alle vent'uno e ventidue, e sulla calle de Menorca?.. E perchè informarci per farlo arrestare e correre i rischi?..

Ignorando la sua ultima domanda, Martín si chinò sulla mappa, esaminò attentamente la zona, attraversata dalla strada che portava il nome di una delle isole Baleari... Ed ebbe un'epifania.

– Aspetta un attimo... – puntò, con l'indice, la bandierina rossa. – Questi fan di Salvador Dalí si sono presi i nomi delle città per nascondere l'identità, giusto?

Santiago stava per confermare l'informazione, ma, sorpreso, rimase in silenzio ad osservare il collega. In quell'istante Martín gli sembrò di essere al settimo cielo per una ragione, nota solo a lui, e i suoi occhi grigio-azzurri scintillavano, spalancati, come se quel giorno, alle ore otto e cinquantanove del mattino, l'uomo avesse trovato un vero tesoro.

– Ci sono! – esclamò, attirando lo sguardo di López ancora più perplesso, e corse verso la vecchia mappa della Spagna, appesa sul muro.

Santiago pensò che il collega fosse impazzito. Quel calmo e ragionevole investigatore Berrote, che di solito preferiva condurre le indagini e interrogare i sospettati a mente fredda, correva caoticamente per tutto l'ufficio e frugava in ogni cassetto in cerca di qualcosa, con un felice sorriso sul volto. I raggi del sole illuminavano il suo viso e gli occhi luccicanti sembravano di riflettere la luce solare, come se fossero due piccoli specchi, mentre l'ombra dell'uomo saltellava sulle pareti dell'ufficio.

L'entusiasmo, che Martín irradiava in quei secondi ci si poteva aspettare da chiunque in quel comissariato, ma non da lui.

Afferrato il primo indelebile che gli era capitato, tornò al suo posto, prendendo anche le fotografie dei sospettati principali.

– Tiago, ho capito tutto! C'è un motivo per cui De Fonollosa ha scelto questo indirizzo!

– Mi vuoi dire di che si tratta? – chiese López, con un'impazienza estrema, mentre Martín cercava la mappa delle isole spagnole sull'Internet e si mormorava sottovoce una frase, diventata per lui una specie di mantra.

– No-o, fratello, no-o... Aspetta, altrimenti mi perdo qualche dettaglio... – mormorò lui, alzando l'indice e continuando a sorridere per la sua scoperta. – I dettagli fanno la perfezione... E la perfezione non è un dettaglio...

Nei momenti in cui, durante le indagini, i colleghi giungevano alle conclusioni senza tenere conto di tutte le prove e i minimi dettagli del caso, Martín era solito a pronunciare quelle sagge parole, una volta dette da Leonardo da Vinci. Berrote citava il genio dell'ingegneria e dell'arte del Rinascimento, come se fosse una preghiera, e, grazie alla logica, arrivava alla verità. I colleghi conoscevano il suo motto meglio di qualsiasi filastrocca dall'infanzia, ma Berrote restava l'unico a seguirlo religiosamente.

Dispose sul tavolo tutto il materiale necessario nell'ordine giusto e iniziò a spiegare la sua teoria, ricordando a Santiago di ascoltare con attenzione e di non perdersi nulla.

– Tutti i membri della banda si sono presi dei toponimi da soprannomi, mentre la via su cui De Fonollosa ha fissato un appuntamento per Cortés porta il nome della terza delle isole Baleari, la Minorca. A Madrid ci sono altre due vie con i nomi simili: calle de Mallorca – si trova nella zona vicina, e la via parallela a calle de Menorca – calle de Ibiza. Entrambe si trovano nei pressi dell'hangar sulla calle de Alcantara, dove finisce il tunnel che hanno scavato nella zecca. Fratello, credimi, i due ladri sono ancora a Madrid, e De Fonollosa ci consegnerà anche loro!

Dispose le vecchie fotografie dei tre Dalí fuggiti sulla mappa e tracciò tre linee per collegarli alle menzionate strade di Madrid, a volte distraendosi per il sorriso sorpreso di Santiago.

López ancora non riusciva a credere che dietro un indirizzo comune ci fosse nascosto qualcos'altro. E tantomeno riusciva a capire che cosa lo sorprendeva di più: l'astuto piano di "Berlino" per togliersi di mezzo gli ex-compagni, o il fatto che Martín sia stato in grado di capirlo in un baleno. Ma una cosa in tutta quella storia gli era certa.

Avevano sottovalutato la furbizia di De Fonollosa ancora una volta...

– Siccome Cortés è stato arrestato a "de Menorca", Jiménez e Ramos verranno alla calle de Mallorca e calle de Ibiza. Ci manca solo l'o...

Non appena Berrote finí di parlare, il vecchio fax, come per magia, si fece sentire di nuovo. Alle nove in punto, proprio come ventiquattro ore prima, il dispositivo, eseguendo il comando dell'investigatore, stampò un nuovo messaggio, ancora una volta composto da un solo indirizzo e l'ora dell'appuntamento:

"verso le 16:18-16:19, Calle de Mallorca, 23"

– Sei sicuro che non sia una trappola? – prendendo il foglio dalle mani del collega e mettendolo in un fascicolo trasparente, chiese Santiago, sospettoso. – E se fosse una pista falsa?

A questo punto il secondo investigatore, ancora raggiante per la propria idea, si limitò ad alzare le spalle:

– Beh, non ci resta altro che scoprirlo.

– Allora sei un fottuto genio, Martín... – mormorò López, con un sorriso, e tra i colleghi sorse la speranza che l'attenzione ai minimi dettagli li avrebbe portati alla vittoria anche quella volta.

***

Quando Raquel entrò di corsa nella sala conferenze, attirando l'attenzione dei suoi colleghi, l'orologio sul muro segnò esattamente le sedici e mezzo.

– Hanno appena arrestato un altro membro dei Dali e un ostaggio sulla calle de Mallorca! Sono arrivati ​​all'indirizzo esattamente alle sedici e diciotto! – informò i presenti d'un fiato e appoggiò sul tavolo un fascicolo personale, consegnato dal dipartimento del personale della Zecca di Stato. – Sono Daniel Ramos "Denver" e Mónica Gaztambide, la segretaria del señor Román.
 
– Perfetto! Un rapinatore e una complice - almeno è già qualcosa! Ci rimane solo De Fonollosa!

Come al solito, Tamayo prese la cattura dei criminali per una sua piccola vittoria e battè forte le mani, attirando gli sguardi scontenti degli investigatori e dell'ispettore al capo dell'operazione. Ma l'uomo, ossessionato dall'idea di dare l'ergastolo al ladro scaltro, non ci aveva fatto caso.
 
Gli agenti si dimenticarono del vanto del colonnello subito dopo. L'interrogatorio dell'arrestato "Denver" e di Mónica Gaztambide diventò subito una priorità per i tre colleghi. Ma Tamayo decise di affidare il lavoro agli uomini, insistitendo sui metodi duri di Berrote e sulla "grande esperienza con le donne" di cui López non andava mai fiero.

Era necessario servirsi dei peccati più luridi di entrambi gli agenti in modo che i criminali fornissero le informazioni necessarie per catturare De Fonollosa senza alcuna partecipazione di Raquel. Troppo credito per un'ispettore-negoziatrice...

Appena i giovani fuggiti raggiunsero il comissariato, Berrote, senza perdere tempo, si mise subito al lavoro. L'arrestato Daniel Ramos si rivelò troppo violento ed apparve nella stanza degli interrogatori con le manette sui polsi, accompagnato da due poliziotti, le cui madri aveva già bestemmiato, come minimo, dieci volte. E mentre Martín si preparava ad una dura conversazione con "Denver", che il direttore della zecca gli aveva descritto con un'ira impensabile, Santiago osservava l'intera scena dietro la vetrata a specchio.

Assistì all'interrogatorio e alle buffonate aggressive del giovane rapinatore con indifferenza. Ormai aveva visto troppa gente comportarsi in questo modo per esserne sorpreso oppure reagire alle provocazioni degli interrogati. Santiago si ricordava dei "muti" che non avevano intenzione di parlare senza un avvocato, delle persone spaventate a morte, che non riuscivano a dire più di due parole per la paura, e anche dei "ribelli" estremamente aggressivi...

Ed era solo una piccola parte di coloro con cui gli era capitato di parlare faccia-a-faccia.

L'ordine di interrogare ua donna incinta, che per colpa di una sola parola errata poteva diventare una complice dei ladri, non lo impressionò affatto - un'esperienza tale López l'aveva già alle spalle. L'unica cosa che riuscì a suscitare in lui un briciolo di emozioni, tutt'altro che positive, era la ragione, priva di tatto, per cui Tamayo aveva affidato questo compito proprio a lui.

"Figlio di puttana..." – pensò Santiago, ricordandosi dello sgradevole sorriso con cui il colonnello lodava la sua capacità di "andare d'accordo" con le donne.

La storia del suo divorzio, accaduto tre anni prima, sembrava di essere stata dimenticata da tutti, tranne Tamayo. I colleghi e gli amici cercavano pure di non nominare l'ex-señora López, mentre il colonnello spesso si divertiva a ricordare all'agente il tradimento della moglie. E lo faceva sempre con tale malizia e confidenza, come se il colonnello stesso potesse giurare la fedeltà assoluta della sua dolce metà, che di certo avrebbe dato qualunque cosa per avere nel letto un giovane amante invece di quel demente di suo marito...

Fu distratto dai suoi pensieri da Martín, che lasciò la stanza degli interrogatori e dopo un po' lo raggiunse dietro la vetrata. Il suo volto cupo non prometteva buone notizie...

– Lo terrò nell'isolamento finché non parla, – brontolò Berrote e passò al collega il protocollo dell'interrogazione, fissando il giovane, portato via dagli poliziotti. – Ti presento la nostra "Mallorca" - Daniel Ramos. Venticinque anni, atti vandalici, risse, furti, spaccio di droga... Il figlio di Augustin Ramos, alias "Mosca"... Insomma, tutto proprio come avevi detto tu. Tale padre, Tiago...

– Tale figlio... – sospirò Lopez, giocando con il pacchetto di sigarette nella tasca dei pantaloni. – Povero illuso... Avrebbe potuto investire tutte le forze in un buon affare, e invece ha preso la scorciatoia di suo padre per farsi i soldi facili... Ora prova a pensare e conta quanti anni gli danno per una rapina a mano armata con degli ostaggi, falsificazione e furto di un miliardo di euro. Tutta la vita mandata a puttane...

Martín, invece, ridacchiò senza alcuna compassione.

– Il giudice e il procuratore gli ricorderanno anche il suo silenzio, fratello. Mi ha rivelato solo un paio di dettagli, ma non appena ha sentito parlare di De Fonollosa - silenzio... Beh, l'hai sentito anche tu.
 
– Visto, sentito e ripreso... – mormorò Santiago, estraendo dalla porta USB la chiavetta con la registrazione. – Tienilo nella cella provvisoria per un paio di giorni. Forse ci pensa e parlerà.

Berrote incrociò le braccia sul petto e fissò lo stesso punto invisibile dietro il vetro che fissava il suo compagno. Poi rivolse lo sguardo di nuovo su López.

– Devo ammettere che il ragazzo resiste per bene. Scommetto che era pronto a questo esito della rapina e, credimi, nelle prossime quarant'otto ore non parlerà lo stesso per guadagnare il tempo per De Fonollosa... Cerca di far parlare la señorita Gaztambide, – consigliò Martin, commettendo, involontariamente, lo stesso errore del colonnello. – Tamayo è un gran bastardo, ma ha ragione. Tra tutti gli agenti in questo fottuto commissariato, tu sei l'unico con cui una donna parlerà senza problemi.

Le labbra di Santiago formarono un sorriso ironico.

– Già, chissà perchè allora mia moglie non ha voluto parlarmi prima di chiedere il divorzio, – disse con sarcasmo. – Berrote, è meglio che tu faccia l'investigatore che il pubblicitario. 

– In che senso?

– Nel senso che la tua lode sulla mia bravura fa proprio cagare.

Dopo aver esaminato quei pochi dettagli della rapina, dati da Daniel Ramos, l'uomo tornò nel suo ufficio, chiedendo in anticipo di portare lì anche l'ex-ostaggio.

La carta da parati, color grigio caldo, e i mobili beige rendevano l'atmosfera dell'ufficio più favorevole alla conversazione rispetto all'opprimente bianco della stanza degli interrogatori. E per una giovane donna incinta e spaventata, questo tipo di pressione psicologica avrebbe potuto essere una buona ragione per il ricovero in ospedale.

La deposizione nelle circostanze più pacifiche fu allora la scelta migliore. Tuttavia, il cambio del locale non ispirò la giovane donna a stare tranquilla e a testimoniare senza alcun panico.

Seduta su una sedia di fronte all'interrogante, Mónica Gaztambide continuava a respirare in modo irrequieto e a sistemarsi nervosamente i vestiti, che le stavano addosso come se fossero della taglia troppo grande. Le ginocchia le tremavano e lo sguardo dei suoi occhi castano chiaro saettava sui mobili e sugli oggetti intorno a lei, come se la poverina stesse cercando un rifugio dalle domande di Santiago.

Ridotta in quello stato, la segretaria, fuggita con i rapinatori, sembrava di essere più una vittima che una complice.

– Vorrebbe dell'acqua?

Sentita la domanda di Santiago, che non aveva nulla a che fare con la rapina, la giovane alzò la testa, incontrando lo sguardo serio di lui. Nonostante le aspettative di Mónica e quel tono di voce, gentile e profondo, gli occhi marroni dell'interrogante non esprimevano nulla che potesse richiamarla alla calma.

– S-sì... Señor... – mormorò, guardando in basso e sentendo le lacrime bruciarle le palpebre. Poco dopo prese con cautela il bicchiere di plastica che López le offrì senza proferire una parola. – L-la ringrazio...

L'investigatore, invece, non le rispose e si diresse al suo posto al tavolo. Seguendolo con lo sguardo impaurito, Mónica si sentì un piccolo roditore, circondato da un avvoltoio affamato. Quella fu la sua impressione su López, creatasi per l'altezza di quasi due metri e per i lineamenti severi, anche se le parole o le azioni di lui non sembravano per niente ostili.

Fece un sorso dal suo bicchiere e tacque, invitando l'uomo a fare la sua mossa.

– Señorita Gaztambide, mi creda, non ho alcuna intenzione di torturarla o di farle del male in qualsiasi altro modo. Non ho neanche un motivo e, tantomeno, la voglia di rovinare la vita a lei e al suo bambino, – iniziò Santiago, con un tono più dolce, sedendosi sulla sedia e cercando di stabilire un contatto visivo con la giovane, mentre lei beveva freneticamente l'acqua. – Non sono un procuratore o un giudice, e il mio compito è quello di trovare i colpevoli e proteggere gli innocenti. E, a mio avviso, lei non assomiglia affatto a coloro che di solito cerco in questo ufficio o nella stanza degli interrogatori.

Lei annuì in silenzio, come se fosse d'accordo con lui, e López riprese il discorso, scegliendo le parole giuste con la massima cura.

– Per questo vorrei aiutarla. Ma non posso farlo se lei non mi aiuta a ricostruire la catena di eventi, avvenuti all'interno della Zecca Reale. La sua testimonianza aiuterà sia lei che quelle persone innocenti che, purtroppo, senza le prove necessarie, possono diventare complici del crimine.

Non appena l'interrogante menzionò gli altri ostaggi, finiti in una situazione simile, gli occhi di Gaztambide si accesero di paura. Il suo silenzio avrebbe potuto costare anni di prigione ai suoi colleghi, costretti a fare tutto il lavoro sporco sotto la minaccia delle armi. E così sarebbe potuta andare avanti anche la sua di vita, se non avesse cercato di giustificarsi.

Quel pensiero orribile la amareggiò ancora di più, e Santiago si rese conto di aver fatto il centro.

– È pronta ad aiutare se stessa e i suoi colleghi? – ancora discreto e cauto, chiese López, con un chiaro invito di agire, tenendo pronta la penna.

La Gaztambide sospirò e annuì di nuovo, per la prima volta osando di guardare negli occhi di Santiago, ma senza il panico di prima.

"È pronta", – pensò l'uomo, soddisfatto, e nel giro di un'ora tutte le informazioni necessarie furono registrate nel protocollo della donna.

Verso la fine della giornata, Santiago fu costretto ad indicare nel caso di Daniel Ramos un altro reato, che decisamente peggiorava la situazione del giovane agli occhi del giudice. Il rapimento. 

La señorita Gaztambide decise di non nascondere nulla, e, senza un minimo di vergogna, rivelò all'investigatore tutto ciò che si ricordava. Così, involontariamente, garantì la condanna a Ramos e la libertà sia a se stessa che agli altri ostaggi, le cui versioni di quanto accaduto coincidevano quasi del tutto con la testimonianza di lei.

E, anche se nel profondo del cuore Santiago era in pena per il giovane rapinatore, speranzoso di scappare dalla povertà, capì che, in primis, doveva stare dalla parte della legge e dalla parte delle vittime.

La mancanza di empatia risultò di essere uno dei rischi del mestiere che López non riusciva ad accettare. Non riguardava solo la simpatia per i criminali, ma anche il metodo per ottenere le informazioni all'interrogatorio. Tutta la testimonianza di Mónica Gaztambide fu il dolce frutto di una manipolazione, riuscita con solo un paio di frasi cliché nello stile del "buono poliziotto", grazie alla quale Santiago invitò la donna a testimoniare. E la giovane segretaria, incinta e impaurita, gli raccontò tutto, proprio come se lui fosse il suo confessore.

Era bastata solo una conversazione per confermare alcune parole di Arturo Román, il futuro padre, buono a nulla, e per condannare l'amante, appena conosciuto, ad una lunghissima reclusione.

Se lui non fosse stato al centro delle indagini, Santiago avrebbe pensato che la storia di Mónica Gaztambide, come la maggior parte degli eventi della rapina del secolo, faceva parte di qualche fiction brasiliana. Tuttavia, il messaggio che aveva ricevuto via fax alle nove esatte del mattino del giorno successivo, dimostrò ancora una volta che l'accaduto era uno brutto scherzo del destino:

"01:35. civico 33"

 

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