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di Autumn Wind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Occhi dal Passato ***
Capitolo 2: *** Il Libro del Destino ***
Capitolo 3: *** Il Mondo non basta ***
Capitolo 4: *** Il Rumore di un Cuore che si spezza ***
Capitolo 5: *** Rotto ***
Capitolo 6: *** Whisky e Fotografie ***
Capitolo 7: *** Dolce ***
Capitolo 8: *** Ombre nel Silenzio ***
Capitolo 9: *** La Maledizione del Sangue ***
Capitolo 10: *** Come Neve che cade ***
Capitolo 11: *** La Stella Nera ***
Capitolo 12: *** Anatomia dei Fantasmi ***
Capitolo 13: *** Lacrime e Gelosia ***
Capitolo 14: *** Amorentia ***
Capitolo 15: *** Ciò che fa più male ***
Capitolo 16: *** La Casa delle Ombre ***
Capitolo 17: *** Destini intrecciati tra le Ombre del Passato ***
Capitolo 18: *** Eileen ***
Capitolo 19: *** Se sparissero le Ombre ***
Capitolo 20: *** Fiore di Cactus ***
Capitolo 21: *** Le Porte del Cuore ***
Capitolo 22: *** Di Luce e d'Ombra ***
Capitolo 23: *** L'Eco della Memoria ***
Capitolo 24: *** Il Teschio di Cristallo ***
Capitolo 25: *** Il Pianto dell'Augurey ***
Capitolo 26: *** Arazzi e Serpenti ***
Capitolo 27: *** Vorrei che fossi qui ***
Capitolo 28: *** La Regina degli Asfodeli ***
Capitolo 29: *** Sedici anni dopo (prima parte) ***
Capitolo 30: *** Sedici anni dopo (seconda parte) ***



Capitolo 1
*** Occhi dal Passato ***


Capitolo Uno
Occhi dal Passato

Nonostante gli anni trascorsi in quel luogo che più di tutti gli altri aveva imparato a chiamare ‘casa’, Harry Potter non avrebbe mai smesso di stupirsi di quanto meraviglioso fosse ammirare il calare della sera su Hogwarts. Il sole, lentamente, andava scomparendo oltre la placida ed imponente figura del castello che, con le sue torri e le sue guglie, si stagliava tra gli altipiani smeraldini e sul cielo rosato che si mescolava all’aranciato e, in lontananza, all’indaco della notte spruzzata delle prime stelle che si fondeva con il nero della Foresta Proibita, già divorata dalle ombre. La volta si specchiava sulle acque del Lago Nero, stranamente immobili e talmente lisce e perfette da sembrare un vetro levigato.
In quella perfetta serata di fine primavera, sarebbe parso quasi impossibile credere che, solo due anni prima, in quello stesso prato ora illuminato da lanterne e candele sospese, dove ora centinaia di sedie foderate di broccato rosso si rannicchiavano attorno ad un palco improvvisato, si era combattuta una battaglia, che proprio lì decine e decine di persone avessero perso la vita.
A quel pensiero, un brivido percorse la schiena di Harry, facendogli distogliere l’attenzione dalle sgargianti vesti turchesi di Kingsley Shackelbolt, Ministro della Magia, che si agitavano al suo accorato discorso. Si portò meccanicamente un dito al colletto della camicia, allentandolo per cercare di respirare un po’ mentre si dava dello sciocco: Harry Potter, il bambino che è sopravvissuto, l’eroe del mondo magico che era andato incontro alla morte ed aveva sconfitto il mago più temuto di tutti tempi, sopravvivendo, al contempo, alla cucina da reggimento di Molly ed alle angherie di zia Petunia e zio Vernon, nonché di suo cugino Dudley, del viziato ed odioso Draco Malfoy e del temutissimo professor Severus Piton, aveva la gola secca perché, molto semplicemente, aveva una tremenda paura del pubblico.
Ruotò di poco la testa, quel tanto che bastava per sbirciare oltre il bizzarro completo rosso da mago di Ron e vedere la platea: praticamente tutti si erano recati ad Hogwarts per assistere all’annuale commemorazione della battaglia. E, al vedere quelle centinaia di maghi e streghe, quell’atroce stretta che gli attanagliava lo stomaco da quel mattino si ripresentò, infida ed acida come una serpe nell’erba.
Si mosse leggermente sulla sedia, sentendo su di sé lo sguardo incantato di tutti i presenti. Harry osservò i jeans scoloriti ed i bordi della giacca, chiedendosi quale strana fattura gli fosse stata fatta per suggerirgli quell’abbigliamento per il secondo anniversario della commemorazione della battaglia: era un evento importante, per Merlino, avrebbe potuto darsi un po’ di contegno!
Deglutendo, sollevò lo sguardo, incontrando il cipiglio severo della professoressa McGranitt, in piedi accanto a Shackelbolt, che, a quanto pareva, stava pensando la stessa cosa. Minerva, preside di Hogwarts da oramai due anni, infatti, annuiva nell’elegante veste color malva, applaudiva e sorrideva e, a guardare il suo sguardo opaco, si sarebbe detto che era invecchiata. Tuttavia, quando rivolgeva a qualche studente una delle sue occhiate piene di disapprovazione, ci si rendeva conto che non era affatto cambiata in quanto a rigore, anzi.
Sentendo il sudore colargli lungo la schiena all’ennesima pronuncia del suo nome, Harry decise di concentrarsi sulla platea: gli studenti, in abiti comuni e piuttosto eleganti, stavano stretti gli uni agli altri, ascoltando in religioso silenzio. Si sarebbe potuto sospettare che fossero stati affatturati, tanto erano tranquilli …
Volgendosi verso le prime file, incontrò lo sguardo perplesso di Vitious, seduto su tre cuscini, quello orgoglioso della Sprite e quello entusiasta di Lumacorno e di nuovo la salivazione sembrò mancargli totalmente. Si concentrò più indietro, nella zona centrale e distinse con sorpresa Draco Malfoy, attorniato da altri Serpeverde, stringere convulsamente la mano di sua madre, nella sua perfetta piega e nell’elegante completo smeraldino accanto ad un altrettanto impeccabile Lucius, gli occhi bassi ed un’aria vagamente mesta e colpevole. Sentendosi evidentemente osservato, Draco sollevò lo sguardo, incontrando quello di Harry e gli rivolse un cenno, che il Grifondoro ricambiò: il fatto che avesse testimoniato dinanzi al Wizengamot a favore di Draco e Narcissa e che fosse persino riuscito a stabilire una sorta di silenziosa tregua con il suo vecchio nemico di scuola aveva stupito innanzitutto Harry stesso e secondariamente l’intera famiglia Weasley. Si concentrò una figura meno familiare, seduta elegantemente accanto a Narcissa: Andromeda Tonks, i capelli color cioccolato stretti in un elegante chignon alto, ascoltava in silenzio, lo sguardo perso nel vuoto, mentre, accanto a lei, Remus Lupin, i capelli straordinariamente ordinati ed un completo beige, teneva tra le braccia Teddy, che agitava le manine e cambiava continuamente colore dei capelli. Lo stomaco di Harry si strinse in una morsa: non riusciva neanche ad immaginare come doveva essere per loro trovarsi lì, dinanzi a tutte quelle persone, a piangere Ninfadora, con un bambino identico a lei tra le braccia che rappresentava tutto il loro futuro. In quei mesi, entrambi, anche litigando, sovente, considerato il caratterino non facile di Andromeda, si erano solo ed esclusivamente presi cura del bambino, cercando di non pensare a nient’altro. Harry andava spesso a trovarli, portava decine e decine di regali a Teddy, di cui era il padrino, ma non riusciva ad ignorare le pesanti occhiaie di Remus ed i suoi mal di testa continui, chiari segni che bevesse più del necessario, come non mancava mai di sottolineare Andromeda quando, nelle loro tante litigate, minacciava di tenersi Teddy e sbatterlo fuori casa, accusandolo di non essere presente. Remus non ribatteva mai a quelle illazioni, ma Harry sapeva bene quanto lo ferissero, così come quanto fossero false: oramai da due anni, Lupin era ritornato ad insegnare Difesa contro le Arti Oscure, con estrema gioia degli studenti di Hogwarts e faceva su e giù tra le lezioni e casa solo per addormentare Teddy o fargli il bagnetto, finendo inevitabilmente per sfinirsi … eppure, ad Andromeda sembrava non bastare. 
A quel pensiero, Harry spostò istintivamente gli occhi su una macchia di teste rosse abbarbicata attorno all’imponente figura stranamente ben vestita e pettinata di Hagrid: nei loro abiti migliori, Molly ed Arthur sedevano attorniati da figli, nuore e dalla nipotina Victoire, lo sguardo fisso e l’espressione vacua. Harry sentì nuovamente lo stomaco contrarsi: non era un giorno facile per loro e vedere i loro visi non faceva che ricordarglielo. Cercò gli occhi di Ginny e si sentì sollevato vedendo che la giovane, seppur avvolta in un completo nero che mal le si addiceva, riuscì comunque a sorridergli brevemente: sarebbe stato perso senza di lei … non avrebbe neanche scritto il suo discorso, probabilmente.
A quel pensiero, saltò sulla sedia, iniziando a giocherellare convulsamente con la giacca: il discorso! Era stato così stupido da credere di poter ricordare tutto senza alcun aiuto …
“Harry, ma che diamine ti succede?” bofonchiò Ron al suo fianco, lisciandosi l’assurdo completo che sfoggiava con orgoglio, ma che non gli donava affatto. “Niente …” rispose lui, sospirando.
Cercò disperatamente di ricordare che cosa avesse deciso di dire, ma le parole sembravano averlo abbandonato. Forse avrebbe dovuto solo esprimere ciò che sentiva …
A quel pensiero, un sorriso vagamente beffardo gli attraversò il volto: vuoto. Non riusciva a sentire nient’altro che vuoto da ben due anni, oramai. Eppure, avrebbe dovuto sentirsi ispirato da quel luogo: quel castello che, negli anni, era diventato la sua casa splendeva di nuova vita sotto la calda luce della sera. Nell’aria immobile, regnava una calma innaturale, una quiete che mai si sarebbe aspettato di conoscere: aveva sempre pensato che non sarebbe sopravvissuto alla guerra, dopotutto, che il suo destino fosse quello di morire con Voldemort, non certo di essere il primo del corso per diventare auror. Si era rassegnato a tal punto che aveva completamente scordato cosa volesse dire vivere … e, invece, era sopravvissuto. Di nuovo. Sorrise amaramente al pensiero: anche Piton (‘il professor Piton, Harry!’, si autocorresse mentalmente) gliel’aveva detto. “Sembra essere il tuo destino, Potter: sconvolgere tutte le statistiche e sopravvivere anche in assenza della minima chance per tormentarmi l’esistenza.” aveva borbottato con il solito tono annoiato e la voce più bassa e gracchiante di prima dal letto del San Mugo dov’era rimasto ricoverato per cinque mesi, ringhiando, per quanto possibile, ai fiori recapitati di continuo da tutto il mondo magico ed alle visite di Harry e Minerva, gli unici che non erano stati cacciati istantaneamente. Harry aveva adorato andarlo a trovare: dopotutto, sentire che Piton, nonostante tutto, non era affatto cambiato e sentirsi insultare da lui gli dava uno strano senso di normalità che credeva di aver perso. L’unica volta che lo aveva lasciato senza parole era stato al suo risveglio, quando gli aveva comunicato di aver visto i suoi ricordi … ma quella era un’altra storia. 
Sentendo un applauso accogliere il discorso della McGranitt, trattenne il fiato: era lì solo per dovere, per non dover restare rintanato nella sua solita vita, una vita in cui tutti non facevano che dimenticare. Il problema del discorso che non sembrava tornargli in mente, in fondo, era quello: tutti volevano soltanto andare avanti e scordare. Osservò le figure di Molly ed Arthur in fondo, ben vestiti e così concentrati sulla nipotina Victoire da sembrare quasi dimenticare che erano lì anche per l’orecchio di George, le ferite di Bill e l’assenza di Fred.
Ron gli tirò l’ennesima gomitata, facendolo sobbalzare mentre il fotografo scattava per la Gazzetta del Profeta. “E sorridi, dai!” lo esortò. “Scusa se non trovo alcun buon motivo per essere allegro ad una commemorazione!” ribatté, sbuffando: Ron, che, dopo un fallimentare tentativo di fare l’auror, si era impegnato a sistemare il negozio Tiri Vispi con George, sembrava godere della fama di eroe di guerra molto più facilmente di lui. In fondo, aveva sempre avuto un po’ la sindrome del secondo e la gloria non sembrava dispiacergli, come non mancava mai di fargli notare Hermione con un tono vagamente seccato.
Sbuffò, agitato: poteva quasi immaginare la scena che si sarebbe presto svolta in quel prato. Un’orda di studenti avrebbe applaudito ad un Harry Potter in jeans, dipinto come l’eroe del mondo magico, Hagrid avrebbe fischiato, la McGranitt, schiarendosi la voce, avrebbe tentato disperatamente di riportare l’ordine e Shackelbolt che non avrebbe fatto che lodarlo e congratularsi. Poi, sarebbe salito su quel palco, avrebbe detto qualche parola di circostanza e, dopo uno scroscio di applausi, avrebbe salutato e si sarebbe rintanato ad assistere al personale show di Ron, che preparava il suo discorso da mesi.
“Harry, sei sicuro che vada tutto bene?” gli chiese la voce di Hermione alla sua sinistra. Si volse appena, incontrando i brillanti occhi nocciola dell’amica. Hermione Granger, in quell’anno, era cambiata così tanto che a stento la si sarebbe potuto riconoscere: i capelli castani che, nella luce della sera, apparivano quasi rossicci, un tempo ricci e cespugliosi, erano sempre indomabili, ma ora erano ondulati e ben scalati con una riga laterale che le donava. Il suo abbigliamento erano sensibilmente mutato, scurendosi leggermente e divenendo decisamente più elegante e femminile di quanto non fosse ai tempi di Hogwarts ed abbinandosi a gioielli fini e raffinati. Quella sera, con il completo giacca gonna viola scura ed i pendenti di ametista abbinati ad un anello, era innegabilmente una vera bellezza e chiunque non la vedesse dall’anno precedentemente non aveva potuto ignorarlo ... Ron compreso.
Harry sospirò nuovamente: aveva dovuto sedersi in mezzo a loro per garantire lo svolgimento pacifico della commemorazione. Da dopo la battaglia di Hogwarts, ovvero da quando Hermione aveva chiesto a Ron un po’ di tempo per riflettere su quel bacio e sulla vera natura del loro rapporto e Ron stesso aveva reagito consolandosi fin troppo presto con una più che disposta Lavanda, Harry si era ridotto a fare da cuscinetto per evitare i terribili litigi tra i due, più devastanti di un uragano. Non si era mai schierato, ovviamente: teneva troppo all’amicizia di entrambi. Nel profondo, però, non poteva che simpatizzare con Hermione: come lui, era confusa dopo tanti anni di battaglie e voleva solo prendersi del tempo per capire se stessa … tempo che il frettoloso Ron non solo non le aveva concesso, ma che le aveva addirittura sbattuto in faccia passandolo con la sua vecchia fiamma. E se, dopo quasi due anni, oramai era palese che Hermione non provasse nulla per lui, proprio come aveva sospettato, lo stesso non poteva dirsi del rosso …
“Sto bene, Hermione, non preoccuparti.” le rispose, sospirando. L’amica annuì, abbozzando un sorriso. “Non hai dormito molto, vero?”
“Non ho dormito affatto … e, se ti conosco bene, neanche tu.”
“Beh, non è facile dormire con il caldo che fa al Paiolo Magico!” sorrise lei per sdrammatizzare, con il solo risultato di far rabbuiare ancor di più Harry: per una qualche assurda maledizione che doveva essere inclusa nel pacchetto che Voldemort gli aveva scagliato contro quel maledetto 31 ottobre del 1981, si sentiva in colpa per tutto, anche per cose che non dipendevano da lui, come la vita stravolta di Hermione Granger. Dopo essersi lasciata con Ron, non aveva voluto accettare l’ospitalità dei Weasley, non ritenendolo opportuno e, testarda com’era, non aveva neanche preso i soldi offerti dal Ministero: aveva completato gli studi sostenuto brillantemente i M.A.G.O. ottenendo il massimo dei risultati in tutte le materie e, da settembre, lavorava come commessa al Ghirigoro per pagarsi la stanza che aveva affittato al Paiolo Magico, in attesa di capire quale fosse la sua strada … lei, che avrebbe potuto fare tutto. Harry non avrebbe mai pensato di vedere una cosa del genere.
“Harry … Harry, dai, tocca a te!” lo richiamò Ron, spintonandolo tanto che quasi lo fece cadere addosso ad Hermione e, di conseguenza, a Neville e Luna, seduti lì accanto ed altrettanto belli ed impeccabili. “Ahi!” sospirò il ragazzo, fissando il completo di Neville: era di suo padre, lo sapeva perché gliel’aveva riferito lui stesso. Voleva che in qualche modo fosse lì con lui, a vederlo premiato e felice come aspirante docente di erbologia. E, di nuovo, quella fitta si fece prepotentemente strada nel suo stomaco …
“Ron, vedi di fare più attenzione, o ci farai cadere tutti!” sbottò Hermione, sbuffando. “Oh, mi scusi, ‘signorina Perfettini’ ... non tutti sono aggraziati come Lei!" ribatté l’altro. Lo sguardo dell’amica divenne fuoco. “Quanto puoi essere infantile per comportarti in questo modo proprio oggi, dinanzi a tutte queste persone?”
“Infantile, io? Io so cosa voglio, contrariamente a te!”
“Sai cosa vuoi, ma non sai ottenerlo, dunque ti crogioli in una fama che non è solo tua! Cresci una buona volta, Ron!”
“Io dovrei crescere?”
La sudorazione di Harry aumentò in quell’esatto istante, a quelle precise parole: il cuore iniziò a palpitargli vigorosamente nel petto, scandito dai suoi respiri sempre più affannati. La testa iniziò a girargli vorticosamente, tanto che, dopo un po’, non riuscì a distinguere niente, né un’immagine, né, tantomeno, un suono. Un dolore al petto lo colse, improvviso ed acuto, con il retrogusto del passato. E, mentre, la McGranitt si apprestava a lasciargli la parola, rivide gli occhi fieri di Sirius, quelli burloni di Fred, quelli felici di James e Lily, quelli coraggiosi di Dobby e persino quelli acuti di Edvige, così vivi come sarebbero stati se non fossero tutti morti, sepolti sotto metri di terra solo ed esclusivamente per lui. Si era ripromesso di non piangere, ma il singhiozzo strozzato che gli uscì fu troppo anche per lui: spaventato ed atterrito, si alzò e corse via, sotto lo sguardo incredulo di tutti i presenti. Il silenzio calò sulla radura, rotto solo dallo sbuffare di Ron, che, con cipiglio imbronciato, apostrofò Hermione: “Visto? Ti avevo detto che lo stavi facendo innervosire!”

Angolo Autrice:
Benvenuti/e!
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto: è la prima storia che pubblico dopo una lunga assenza e, in un certo senso, mi ha permesso di fare pace con la scrittura, dunque vi sono molto legata. Mi auguro che questa introduzione, che voleva essere un'esposizione del contesto in cui si svolgerà la vicenda, vi abbia incuriosito e spinto a leggerne il seguito, che pubblicherò a breve!
Qualunque commento o suggerimento sono sempre graditi, naturalmente!
Alla prossima
E. 



 

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Capitolo 2
*** Il Libro del Destino ***


Capitolo Due
Il Libro del Destino

And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's made to be broken
I just want you to know who I am
(Iris, Goo Goo Dolls)
Severus Piton non si era mai considerato un uomo fortunato. Straordinariamente bravo ad attirare su di sé vere e proprie calamità naturali dai contorni dei Potter, forse, ma l’aggettivo ‘fortunato’ decisamente non si addiceva alla sua persona.
Seduto nel suo ufficio negli umidi sotterranei di Hogwarts, circondato da una tranquilla luce smeraldina proveniente dalle finestre affacciate sulle profondità del Lago Nero, dalle centinaia di libri abbarbicati sugli scaffali tra bizzarri oggetti e dalle ampolle di mille forme, piene di ingredienti d’ogni sorta, rifletteva pensosamente su questo, torturando il bracciolo della poltrona con il suo insistente picchiettare. Accavallò le gambe e, dopo essersi versato una generosa dose di whisky incendiario, lo tracannò in un sol sorso, senza curarsi di quanto simile a suo padre apparisse in quel momento. Oramai non gli importava più nemmeno di quello che un tempo era la sua unica ragione di vita …
Ghignò, beffardo, osservando il torbido liquido ambrato vorticare lentamente nel bicchiere ed esplodere in mille riflessi aranciati prima di sbuffare, passandosi una mano sul viso, ora più che mai stanco: aveva solo quarant’anni, per Merlino! Quand’era diventato così patetico? Non era mai stato incline all’autocommiserazione …
“Questa è una bugia, lo sai anche tu, Severus …” sottolineò la sua coscienza, che, improvvisamente, aveva la voce ed i brillanti occhi azzurri stemperati da un riflesso a mezzaluna di Albus. A quel pensiero, strinse la presa delle dita attorno al bicchiere: quanto tempo era passato dalla battaglia di Hogwarts? Due anni non erano poi così tanti, eppure a lui sembravano un’eternità, un’intera vita da passare in attesa di qualcosa che non sarebbe mai arrivato.
Il suo cuore, troppo piccolo, scuro ed inacidito dal tempo e dall’odio che gli era stato riversato gratuitamente addosso, aveva smesso d’illudersi che le cose migliorassero, che avrebbe potuto riscattarsi dalle colpe passate e che qualcuno avrebbe voluto vedere oltre la corazza che si era costruito addosso, quella muraglia di sarcasmo ed austerità che impediva a chiunque di scrutare più in là della muraglia di insulti e silenzi.
Ci aveva sperato, però e, probabilmente, una parte di sé, la più autolesionista, continuava a farlo, ma aveva vissuto una vita troppo piena di fantasmi per credere ancora nelle favole e quegli spettri che ancora lo tormentavano ogni notte. Erano ombre di marchi neri, occhi color rubino che in un grido disperato ed uno spruzzo di sangue diventavano iridi verdi e capelli rossi, barbe argentee ed occhiali a mezzaluna.
Aveva sperato che non avrebbe mai più rivisto quelle immagini, che non avrebbe più sentito un bel niente: quando Nagini aveva affondato i denti nel suo collo, non si era sentito spaventato, anzi, era sollevato, quasi felice, a modo suo, di non dover più sopportare tutto quell’odio ed il peso di ciò che aveva fatto. Avrebbe solo dovuto donare le sue memorie a Potter, guardare per l’ultima volta gli occhi di Lily e fine della storia. E, invece, no … quel suo stupido, testardo, illuso ed amaro cuore batteva ancora, per qualche strana ed assurda magia che solo lui sapeva essere opera di Fanny. Se solo quel maledetto piccione troppo cresciuto si fosse fatto gli affaracci propri (su ovvia richiesta ante mortem di Albus stesso), si sarebbe risparmiato l’umiliazione di essere ancora vivo, con la gola squarciata e la voce gracchiante, di essersi dovuto sorbire scuse lacrimose, ringraziamenti colmi di falsa gratitudine ed occhiate di compassione da parte di colleghi, impiegati del ministero, studenti e conoscenti. E, cosa più importante, avrebbe evitato lo sgradevole sorriso di Potter che, puntuale come un orologio, si presentava ogni santo giorno al suo capezzale al San Mugo per ringraziarlo e chiedergli di sua madre, domande a cui, peraltro, non aveva mai risposto. Aveva già dovuto subire la mortificazione di vedere le sue memorie spiattellate al mondo magico, doveva anche sorbirsi la pietà di quel ragazzino pigro ed arrogante? Non se ne parlava.
Certo, in quei due anni, aveva tentato di fuggire dalla sua vecchia vita … ci aveva provato seriamente, rifugiandosi a Spinner’s End con un mappamondo comprato in una ridicola cartoleria babbana sotto gli occhi di due ragazzetti intimoriti, pronto a scegliere il luogo dove passare quel che restava della sua vita in totale e perfetta solitudine, ma, a quanto pareva, il suo destino era fare da babysitter al bambino-sopravvissuto-per-tormentargli-l’esistenza. Potter e Minerva si erano letteralmente accampati fuori da casa sua ogni giorno per mesi, implorandolo quasi in ginocchio di tornare ad insegnare ad Hogwarts e di accettare l’Ordine di Merlino di Prima classe conferitogli dal ministero. Avevano straziato tanto la sua già agitata vita da farlo riflettere sul fatto che, effettivamente, non avrebbe potuto arrivare molto lontano senza alcun sostentamento. Si era, così, seppur malvolentieri, visto costretto ad accettare di tornare al suo vecchio posto di insegnante di pozioni, a fare da babysitter a decine e decine di teste di legno e capocasa a dei Serpeverde oramai privi di guida, nonché, su insistenza dell’impossibile Minerva, (per forza, era una Grifondoro, anche se non completamente idiota, per Merlino!) da vicepreside, per poi rintanarsi ogni sera nelle sue cupe stanze, avvolto nell’ombra e nella solitudine che tanto gli erano familiari, a passare notti insonni in cui non faceva che vedere sangue sulle sue mani, lo stesso che avevano versato lui e sua madre a causa di suo padre, quello degli innocenti che aveva guardato morire ridendo con gli altri Mangiamorte e quello delle persone la cui morte aveva causato con le sue riprovevoli ed imperdonabili azioni.
E, così, i mesi si erano trascinati, anche quel giorno era arrivato e di nuovo Severus Piton si ritrovava a fare da spettatore ad una vita che detestava, in una stupida ed inutile seconda possibilità che non aveva mai chiesto né, tantomeno, desiderato o meritato.
Il suo volto si contorse in una smorfia disgustata e subito riprese il whisky incendiario: due anni. Aveva passato i due anni più tranquilli della sua vita, senza più colpe da espiare, vecchi pazzi da assecondare e seguire, maghi oscuri da ingannare e missioni segrete da portare avanti: ora, nella sua cupa esistenza, c’era posto solo per i compiti da correggere e le punizioni che infliggeva con soddisfazione a quella marea di ragazzetti che si permettevano anche solo di insinuare che ci fosse del tenero in lui. Potter era cresciuto, era sano e salvo, come non mancava mai di scrivergli ogni mese tramite le sue sdolcinate lettere di resoconto della sua seccante vita a cui non rispondeva mai e lui non aveva semplicemente più niente per cui valesse la pena andare avanti. Sopravviveva, trascinandosi nella routine, guardando la vita svegliarsi e gli altri andare avanti e prendere le loro strade, trovare la pace … era la sua condanna, dopotutto: vedere la felicità negli altri, senza poterla mai neanche solo sfiorare. C’era stato un tempo in cui l’aveva avuta vicino a sé, ma era stato così stupido da lasciarsela scappare … anzi, da farla scappare.
Si passò una mano sul marchio nero, ancora impresso nella sua carne, seppur scolorito: avrebbe dovuto essere là fuori, ben vestito e pettinato, ad assistere alla commemorazione e, perché no, applaudire ed intervenire con un brillante discorso, come Minerva lo aveva pregato di fare. Non c’era andato, ovviamente: era solo colpa sua, del resto. Se avesse compiuto le scelte giuste, quanti di quelli che oggi stavano piangendo sarebbero stati vivi? Quante madri sarebbero state ancora lì, assieme ai figli? E Lily? E Silente? No: non poteva presentarsi lì a ricevere complimenti che non meritava da gente che non lo pensava veramente. Se c’era una cosa che non gli era mai appartenuta era la presunzione di essere perfetto. Sapeva fin troppo bene di essere sbagliato, di aver commesso solamente errori ed avrebbe continuato a crogiolarsi nel suo personale rimpianto fino alla morte.
Tracannò altro whisky quando una voce ruppe il silenzio assordante della stanza. “Non dovresti essere qui, Severus …”
Il mago alzò gli occhi al cielo e si volse, visibilmente infastidito: alle sue spalle, nella cornice del suo quadro, Albus Silente lo fissava con un sorriso snervante ed accomodante. “E dove diamine dovrei essere, sentiamo? Alla fiera degli gnomi di Diagon Alley?” ribatté, acido. “Là fuori, alla commemorazione ad accettare quell’Ordine di Merlino di Prima classe, ad esempio … te lo meriteresti.”
“No.”
“Perché non …”
“Perché di no.”
“E perché?”
Piton alzò gli occhi al cielo e lo ignorò prima che il quadro riprendesse a parlare. “Severus …”
“Dannazione, Albus: se non fossi mai nato, quella cerimonia oggi non avrebbe luogo.”
“No, certo: avrebbe luogo la commemorazione del funerale di Harry Potter, infatti.”   
“Sciocchezze!”
“Severus, ragazzo mio, ti prego … smetti di incolparti per tutto, di vivere nel passato: sei vivo, devi andare avanti e vivere una vita felice, quella che ti meriti e che non hai mai avuto … te ne è stata data l’opportunità, vuoi davvero sprecarla così?”
“Sì e, soprattutto, non voglio passarla ad ascoltare i consigli di un vecchio pazzo che più di tutti dovrebbe avercela con me ...”
“E perché mai?”
“Sono io che ho ucciso te, non il contrario, ricordi?”
“Mi sono sempre chiesto se riuscirai mai a perdonarmi per quello che ti ho chiesto …”
“Tsè … io dovrei perdonarti …”
“Avresti bisogno …”
“Avrei bisogno …” eruppe Piton, balzando in piedi e raggiungendo il quadro con il whisky ancora tra le mani. “Di essere lasciato in pace a passare il resto di questa stupida vita facendo quello che mi pare. Almeno questo … mi ritrovo già con una seconda possibilità che non ho chiesto …”
“E cos’avresti voluto?”
“Lo sai benissimo, l’avevate previsto, tu e quel tuo uccellaccio del malaugurio ...”
“Credi davvero che avresti trovato la pace morendo? Se desideri la felicità, quella vera, quella che meriti più di tutti, la devi cercare qui, adesso, non in un mondo dove non c’è posto per le anime irrisolte e tormentate, Severus. Pensaci.”
Piton lo fissò, imperscrutabile, per qualche istante prima di finire il whisky e gettare il bicchiere sul tavolo. “Vecchio pazzo!” sibilò, dirigendosi a passo sicuro verso la camera, dove, almeno, avrebbe potuto essere lasciato in pace.
Aveva già stretto le lunghe dita affusolate alla maniglia, quando una voce dietro la porta lo fece sobbalzare. “Professor Piton! Professore! Sono Harry …”
Piton alzò gli occhi al cielo, aprendo la porta con un gesto secco, quando la voce riprese: “So che è qui, è inutile che faccia finta di non sentirmi: Peeves mi ha detto dove trovarLa. Ed anche Gazza.”
Albus, dal quadro, ridacchiò. “Perspicace il ragazzo!”
“Dannato fantasma impiccione e dannato guardiano filobabbano!” sibilò Piton, percorrendo il salotto ad ampie falcate e spalancando la porta del suo ufficio: dinanzi a lui, Harry Potter, in jeans, camicia e giacca, lo fissava con i grandi occhi verdi spaesati e colmi di incertezza. Severus deglutì: dopo tutti quegli anni, quelle iridi avevano ancora il potere di riaprire la voragine che aveva al posto del petto.
“Che cosa vuoi, Potter?” tuonò, spostando lo sguardo sul suo vestiario. “Non sapevo che il regolamento della scuola fosse diventato improvvisamente più lasco circa l’abbigliamento richiesto per le cerimonie … o devo forse pensare che sia l’ennesimo favoritismo per il favoloso bambino sopravvissuto?”
“No.” sospirò Harry, senza scomporsi: dopo tanti anni, si era abituato al sarcasmo di Piton. A tratti ed in piccole dosi, era quasi divertente …
“Perché sei qui?” riprese il professore. “Per chiederLe se Le andrebbe di venire alla commemorazione.”
“No. Ora sparisci ...”
“Perché no? Perché non vuole venire, intendo … dovrebbe accettare quell’onorificenza … se lo merita! E tanti vorrebbero ringraziarLa …”
“Altrettanti vorrebbero vedermi sottoterra …”
“Ma non io!”
“E tu perché diamine sei qui, invece di startene là a godere della gloria che sicuramente il mondo magico ti starà riversando addosso?”
Harry fece una pausa e sospirò. “Non ce la facevo: continuavo a pensare … alle persone morte, capisce? E non ne potevo più … ed allora, ecco … beh, ho pensato …”
“Di tormentarmi l’esistenza, come se non l’avessi già fatto abbastanza, certo!” bofonchiò, fissando il volto emaciato del ragazzo: non sembrava stare un granché bene. Non che fossero affari suoi, beninteso … che si tormentasse pure con i rimpianti: era uno scorcio sul mondo in cui lui barcollava da anni …
“Te l’ho già detto anni fa, Potter: la vita non è giusta. Persone che non dovrebbero muoiono ed altre che lo meriterebbero sopravvivono … prima ci fai l’abitudine, meglio sarà. Perciò, ora levati quell’espressione ebete dalla faccia, datti una sistemata a quel dannato aspetto e torna là a svolgere il tuo dovere di eroe del mondo magico. E, soprattutto, levati dalla testa l’astrusa idea che possiamo essere amici, perché è assolutamente fuori discussione!” concluse Piton, richiudendogli la porta in faccia senza troppe cerimonie.
Rimasto solo, Harry sospirò: non c’era rimasto male. Se l’aspettava, in fondo: gli rispondeva così ogni volta da due anni. Ma almeno quel giorno non gli aveva chiuso subito la porta in faccia, era un passo avanti.
In silenzio, si volse e percorse a ritroso la buia ed umida strada che, dai sotterranei, conduceva ai piani superiori, deserti più che mai. Per un po’, vagò su e giù per le scale, beandosi della fresca penombra rosata ed aranciata della sera che filtrava dalle vetrate, illuminando le vecchie pietre e gettandovi lunghe ombre. Giocherellò per i gradini, fino a quando non si decise ad avviarsi in biblioteca: era l’ultimo posto al mondo dove l’avrebbero cercato e, al momento, aveva un gran bisogno di restare solo.
Facendo scricchiolare la vecchia porta, sgusciò nella stanza.
La vecchia biblioteca non era affatto cambiata rispetto a quando vi passava le ore, facendo ricerche e studiando: gli alti scaffali divoravano le pareti, stracolmi di volumi d’ogni sorta ed i tavoli in legno scuro intervallavano appena quel labirinto di carta. Con un sospiro, Harry sedette alla prima postazione disponibile, prendendosi la testa tra le mani: davvero non sapeva cosa gli fosse preso. L’anno precedente era riuscito a gestire bene la tensione, aveva fatto il suo discorso e si era seduto senza mostrarsi troppo scosso … eppure, più tempo passava, più il senso di colpa sembrava peggiorare. Frugò in tasca ed estrasse la fotografia che, anni prima, gli aveva dato Sirius: ritraeva l’Ordine della Fenice ai tempi della Prima Guerra Magica. Sorrise alle immagini sorridenti dei suoi genitori e di Sirius e sfiorò con un sospiro il volto di Silente. Gli mancavano, tutti … avrebbe voluto avere accanto a sé i saggi consigli del vecchio preside, i malandrini commenti del suo padrino che lo esortavano a rischiare ed a buttarsi e, soprattutto, avrebbe voluto essere un bambino normale, con due genitori che lo aspettavano a casa ogni Natale … avrebbe rivoluto Edvige, per accarezzarla, Dobby, per ridere e Malocchio per farsi rimproverare.
Sentì le lacrime premergli prepotentemente contro le palpebre, ma le ricacciò indietro: non avrebbe pianto. Doveva essere coraggioso, lo era stato per tanto … forse, si era solo stufato di essere forte.
Uno scricchiolio alle sue spalle lo fece sobbalzare, ma si rilassò notando che era solo Hermione. Vedendogli gli occhi arrossati, gli sorrise, raggiungendolo e si sedette accanto a lui con un sospiro. “Come sapevi dov’ero?” chiese Harry. Lei fece spallucce. “Semplice: qui nessuno sarebbe mai venuto a cercarti.”
Il ragazzo rise. “A volte dimentico che sei la strega più brillante della sua età, Herm …”
“Faccio quello che so fare meglio.” annuì lei. Solo allora sembrò notare la foto tra le mani del suo amico. “Ti mancano, vero?”
Harry annuì. “Tantissimo e più passa il tempo, peggio è. E so che è sbagliato, ma ..”
“Nessuno può dirti cos’è sbagliato provare e cosa no, non credi?”
“Forse, ma … beh, in realtà lo fanno. Tutti.”
“Lo so, lo fanno anche con me: mi dicevano che era giusto amare Ron, punto e basta. Ed anche che è giusto scordare i miei genitori …”
A quelle parole, Harry rialzò gli occhi, incontrando quelli nocciola di Hermione colmi di lacrime. “Non sei ancora riuscita a restituire loro i ricordi?” mormorò. La strega scosse il capo e si asciugò gli occhi con una mano. “No … però sono al sicuro, mando regolarmente un gufo a controllare che stiano bene … ed in effetti stanno benissimo: vivono in un luogo da sogno, hanno un lavoro ben retribuito … solo che un pezzo della loro vita è assente. E che quel pezzo sono io … sono stata una stupida a cancellare i loro ricordi!”
“L’hai fatto per proteggerli, Hermione …”
“Ma ho sbagliato. Così come ho sbagliato a rifiutare ogni carriera al ministero e l’aiuto dei signori Weasley, forse …”
“Pensavi fosse giusto …”
“E lo è, ma … beh, a volte vorrei che le cose fossero andate diversamente, ecco: vorrei avere una seconda chance, per tutto. E, invece, sembra che non riesca a liberarmi da questa specie di limbo in cui mi trovo da dopo i M.A.G.O. … e chi l’avrebbe mai detto: Hermione Jean Granger, la strega più brillante della sua età, che non sa che diamine fare della sua vita …”
Oramai, Hermione piangeva silenziosamente ed Harry, istintivamente, le strinse la mano. “Siamo sulla stessa barca!” sospirò prima di alzarsi ed iniziare a vagare tra gli scaffali, osservando i dorsi dei libri con aria assorta. “Un modo gentile per dire che siamo due pessimi eroi di guerra … a Ron, invece, la parte riesce benissimo!” sospirò Hermione. “Pensa che ha avuto il coraggio di dire che era colpa mia se te n’eri andato … ma, dico …”
“Ecco, vedi, questo ti fa capire che almeno sulla vostra relazione non hai sbagliato …” rise Harry, prendendo un vecchio volume che aveva atterrato la sua attenzione: si trattava di un vecchio tomo color smeraldo ingrigita dalla polvere, sigillato da un vecchio lucchetto arrugginito. La copertina era finemente intagliata e ritraeva un albero i cui rami e le cui radici sembravano sostenere il cielo e la terra, ospitando decine di animali diversi e talmente vividi da sembrare reali …
“Si tratta di Ygdrasill.”
Harry si volse verso Hermione, che, ricompostasi, l’aveva raggiunto ed ora stava fissando il libro. “L’hai letto?” le domandò. “No, ma riconosco l’immagine … nella mitologia nordica, è l'albero cosmico, l'albero del mondo, nonché fonte della vita, del sapere e del destino di tutti gli uomini.”
“Però … la solita secchiona non si smentisce mai!”
“Dai, Harry!” rise Hermione, dandogli un buffetto. “Comunque, è un volume molto vecchio … forse è una raccolta di miti nordici …”
“Forse … che dici, potrei prenderlo per leggerlo?”
“No!” esclamò lei. “Devi chiedere a …”
“Lo so, Hermione, lo so … scherzavo!” sbuffò, tornando a sfiorare i rami e gli animali. “Sai, credo che, alla fin fine, il mio problema sia uno solo: vorrei che fossero qui. Sirius ed i miei, perlomeno, vorrei tanto che fossero qui …” mormorò, mentre una lacrima gli cadeva dagli occhi color smeraldo, finendo sulla serratura.
Quel che accadde dopo, fu un autentico mistero: dal libro, di colpo, si sprigionò una forte luce e, prima che Hermione o Harry potessero dire o fare qualunque cosa, un forte vento iniziò a spazzare la biblioteca, facendo tremare scaffali, pareti e libri sino a formare un vortice di carta e legno. Poi, così com’era iniziato, tutto svanì ed il mondo divenne improvvisamente buio.

“Lupin, sei sicuro di non aver bevuto anche oggi?” sbottò Piton, procedendo a grandi falcate verso la porta della biblioteca. “Te l’ho detto, Severus: sono entrambi spariti e la mappa del malandrino indica chiaramente che si trovano in biblioteca.” sospirò Remus, seguendolo più lentamente. “E, in ogni caso, non credo di essere io ad aver esagerato con l’alcool, o sbaglio?”
Piton si bloccò sul posto, voltandosi a fissarlo con sguardo furibondo. “Potresti anche evitare di fare l’amico premuroso ed il professore gentile, sai? La tua autocommiserazione è ben peggiore di quella di chiunque altro, figurarsi della mia!”
“O forse è uguale …”
“Ti ho trovato ubriaco alla stamberga strillante a piangere, Lupin!”
“Ma anche tu t stavi ubriacando, poco fa …”
Severus parve tacque per qualche istante, senza, tuttavia, levarsi il suo solito ghigno dalla faccia, prima di ribattere: “Non hai un marmocchio da cui tornare?”
“C’è Andromeda con lui e, poi, sarà questione di poco, se ci sbrighiamo … ma dipende anche da te, non solo da me …” ridacchiò Lupin, che si stava innegabilmente divertendo. “Accidenti a Minerva ed alle sue idee …” sbuffò Piton, spalancando la porta della biblioteca.
Ciò che si palesò dinanzi ai loro occhi, tuttavia, li lasciò talmente basiti da costringerli a fermarsi sull’uscio, muti ed immobili, per diversi secondi prima che Lupin potesse deglutire e mormorare: “Ma … quelli sono … sono … James … e … e … Sirius. E quella è …”
“Lily …” sussurrò la voce bassa, roca e strozzata di Severus, tradendo una segreta speranza custodita gelosamente per anni ed il rimpianto di un amore mai del tutto passato.

 

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Capitolo 3
*** Il Mondo non basta ***


Capitolo Terzo
Il Mondo non basta

'Cause I can't make you love me if you don't You can't make your heart feel something it won't
(I can't make you love me, Bonnie Raitt)
Si sentiva la testa pesante. Attorno a lui, percepiva ombre danzanti vagamente sbiadite ed echi di voci lontane ed indistinte, simili a dolci litanie. Si stava quasi beando di quella sensazione di perdimento e confusione, quando qualcosa lo scosse così violentemente da fargli sbarrare gli occhi, ritrovandosi dinanzi il volto di Hermione, pallida e visibilmente preoccupata.
“Harry! Harry, santo cielo, svegliati! Come ti senti?” lo esortò, visibilmente agitata e tremante. “Ahi, aspetta, mi fai male! Ma … che succede? Che ci facciamo qui?” biascicò il ragazzo, rendendosi improvvisamente conto di essere adagiato su una sedia imbottita. Si raddrizzò, massaggiandosi la testa che gli pulsava, guardandosi attorno: i familiari muri bianchi della sala d’aspetto dell’infermeria lo circondavano con le loro accoglienti braccia. Accanto a lui, Hermione, sprofondata in una poltroncina, era scarmigliata come quando passava le serate a studiare e si addormentava sui libri. “Cos’è successo?” domandò Harry, lanciando un’occhiata obliqua fuori dalla finestra: era notte. Non avrebbe saputo dire esattamente quanto tempo fosse passato, ma le stelle scintillavano come brillanti nella volta celeste che sfumava dall’indaco al cobalto. La luna assomigliava vagamente ad una falce scintillante, pronta a recidere le chiome scure come inchiostro degli alberi della Foresta Proibita. L’unica luce proveniva dalla capanna di Hagrid …
A quel pensiero, il volto di Harry si distorse in una smorfia di terrore. Puntò gli enormi occhi verdi su Hermione. “La commemorazione!” esclamò, portandosi una mano alla fronte. “Per Godric, che figuraccia ho fatto a scappare via così … la McGranitt mi ucciderà! Ed anche Kingsley … e la Skeeter, che scriverà?”
“Harry, onestamente non credo dovresti preoccuparti di queste cose, al momento …” sospirò l’amica. “E di che altro, allora? Insomma, ho combinato un disastro … ma … aspetta: che ci facciamo qui, in sala d’aspetto?” sospirò, rendendosi improvvisamente conto di dove si trovava: non aveva alcun ricordo di esserci arrivato autonomamente.
“Incredibile, Potter: la tua mente straordinariamente brillante è riuscita a trarre una conclusione verosimile in tempi decenti. In altre circostanze mi ritaglierei cinque minuti per segnare questa data epocale sul calendario …” sibilò una voce dal tono piatto. I due giovani, come scottati, si volsero di scatto, ritrovandosi dinanzi ad una scena che, in altre circostanze, avrebbe scatenato l’ilarità di tutti gli studenti di Hogwarts: l’inflessibile Severus Piton, con tanto di casacca nera, si ergeva nella penombra in tutta la sua oscura presenza, le mani strette con tanta forza attorno a due ampolle colorate da aver fatto sbiancare completamente le nocche e lo sguardo fiero come non mai.
“P-professor Piton? Ma cosa ci fa Lei qui?” balbettò Harry. “Si dà il caso che qui ci lavori e ci risieda per nove mesi l’anno, se non te ne fossi accorto …”
“Ma perché ha quelle ampolle?”
“Perché voi due geniali Grifondoro avete combinato quello che, a casa mia, si chiama ‘catastrofe’ …”
Il bambino sopravvissuto sgranò gli occhi, sorpreso e vagamente spaventato dalla portata di quell’affermazione, volgendosi verso Hermione in una muta domanda. Questa, con un’aria mortificata, annuì brevemente. “Non so cosa sia successo …”
“Avete portato caos e scompiglio come al solito, ecco che è successo!” rimbeccò Piton. “Questo mi sembrava fin troppo ovvio, ma grazie per avercelo ricordato ancora una volta!” sottolineò Hermione, infastidita da quel continuo interrompere. Non appena si rese conto di ciò che aveva detto e dell’espressione a metà tra il disgustato e l’innervosito del professore, tuttavia, si affrettò a chiudere la bocca ed a rivolgersi nuovamente ad Harry, le gote arrossate dall’imbarazzo e dall’audacia con cui aveva parlato. “Credo che sia stato quel libro.” mormorò. “Avrei dovuto capirlo dall’immagine di Ygdrasill … si trattava di un antico libro del destino.”
“Un libro del destino?” ripeté Harry, corrugando la fronte: non stava capendo praticamente nulla. “Sono antichi manoscritti dotati di incredibile forza oscura.” spiegò la voce piatta ed annoiata di Piton, attirando l’attenzione dei due ragazzi su di sé: sembrava quasi tornato il solito professore che spiegava con tono stanco in un’aula buia e maleodorante dei sotterranei, in quel momento.
“Quello che hai avuto la fortuna di pescare dalla biblioteca, Potter …” continuò. “Non è diverso: alcuni di essi contengono potenti fatture e maledizioni di sangue, come quella dei Greengrass …”
“Dei chi?”
“La famiglia di Daphne, che era a scuola con noi e di Astoria, la fidanzata di Draco …” spiegò Hermione. “Noto con piacere che quantomeno lei, signorina Granger, non si sia completamente rimbecillita nonostante il tempo passato con Potter e Weasley…”
“Lo passavo anche a scuola e non mi ha mai nociuto.” replicò nuovamente la giovane, senza, però, arrischiarsi a guardarlo, quella volta. “Tornando a noi …” proseguì Piton dopo un po’, calcando il tono. “Altri hanno incantesimi quantomeno oscuri … come quello che avete trovato voi.”
“Non avrebbe dovuto trovarsi nell’ala proibita?” commentò Harry, confuso. “Avrebbe, ma la bibliotecaria sta invecchiando, lo sai, Potter … è probabile che le sia sfuggito un cambio di posizione. A volte i volumi magici sono davvero imprevedibili e possono avere vita propria … questo può spiegartelo benissimo la tua amica che ci lavora …”
“È vero.” confermò Hermione, annuendo brevemente. “Oh. E … che incantesimo aveva quello che abbiamo consultato?” domandò Harry. A quella domanda, però, nessuno rispose: sia Hermione che Piton si limitavano a fissarlo con aria rispettivamente preoccupata e sdegnata. Prima che potesse dar voce alle mille ansie che lo affannavano, tuttavia, uno scricchiolio lo fece voltare di scatto verso la porta dell’infermeria.
Ciò che gli si palesò dinanzi, tuttavia, fu così sconvolgente che lo fece sobbalzare sul posto: di fronte a lui, in continuo movimento accanto ad uno scombussolato Remus Lupin, c’erano una bizzarra camicia viola, un panciotto color oro identico ad una lunga giacca ed a dei pantaloni che conosceva e ricordava fin troppo bene, suo malgrado. Deglutì, la gola secca, la sudorazione copiosa ed il battito del cuore che aveva iniziato ad accelerare senza sosta: sapeva dove aveva già visto quell’abbigliamento. Gli era rimasto in testa per mesi, se non addirittura per anni, tormentandolo nei suoi incubi peggiori e ritornando persino nei sogni più lievi … era un ricordo, un’illusione appena accennata che sapeva, tuttavia, di casa e di amicizia. Che sapeva di Sirius Black …
Incapace di formulare anche il più elementare pensiero che fosse anche solo vagamente razionale, Harry si limitò ad alzare gli occhi sulla sua figura, incontrando quelli grigi ed umidi di lacrime che ben conosceva. contornati da mossi capelli castani ed una lieve barbetta attorno alla bocca …
“S-Sirius?” mormorò, stranito: doveva essere un sogno. Ne aveva fatti tanti così … Sirius che tornava a prenderlo, per portarlo con sé sulla sua fantastica moto nei cieli di Londra e poi a Grimmauld Place, dove sarebbero rimasti sempre assieme … sì, si trattava senz’altro di un parto della sua fervida fantasia.
Sirius lo fissò a sua volta con sguardo sorpreso prima di correre da lui ed abbracciarlo di slancio, stringendolo a sé come se non lo vedesse da cent’anni. Harry risentì il suo familiare profumo, intenso e vivido come quando era ancora vivo. Rispose all’abbraccio con forza, sorridendo e beandosi di quel contatto paterno: era proprio un gran bel sogno. Forse non il migliore, ma senza dubbio il più intenso … sembrava quasi che fosse vero.
“Harry … santo cielo, come sei cresciuto, ragazzo! Che diamine hai ingoiato? Dev’essere la cucina di Molly! Sei così … grande!” esclamò, poi, Sirius. Harry si separò e lo fissò negli occhi prima di distoglierli, ritrovandosi a fissare Hermione e Lupin, a pochi passi da lui, ancora più pallidi di prima. “Come … come stai? E perché diamine ti sei conciato così? Non dovevi essere ad una commemorazione, per Godric!” riprese Sirius, imperterrito, destandolo dai propri pensieri. Harry si sorprese nel vedere sul suo volto un’espressione ancor più sconvolta e dubbiosa della propria …
“Ma … ma quindi è … è tutto vero?” biascicò, rivolto più a se stesso che agli altri presenti. Hermione gli venne in soccorso, annuendo: sembrava che avesse appena visto un fantasma. “Sì, Harry, ma … oh, mio Dio, che abbiamo fatto … noi …” mormorò, portandosi le mani alle guance.
“Sei tornato indietro!” esclamò, però, lui, interrompendola, rivolto al padrino. “Sei tornato indietro … l’hai fatto per me! Ed ora sei vivo … sei qui …” mormorò, sentendo le lacrime sfiorargli le palpebre. “Non lo so, a dire il vero …” rise Sirius. “Voglio dire, ricordo che eravamo al Ministero, poi c’è stato quel buio … e molte ombre … poi c’eri sempre tu, Harry, nella Foresta Proibita, che mi chiedevi se facesse male morire … e poi siamo capitati qua e mi hanno detto che ero tornato. Era una passaporta, giusto? L’hai fatta tu, Hermione? Del resto, sei tu il genietto! Lunastorta?”
“Sirius, non credo sia il caso di …” sospirò Lupin.
“Quando avete finito con i vostri vaneggiamenti, mi fareste la cortesia di consegnare a Madama Chips questa pozione?” gracchiò una voce agitata. I quattro si volsero verso Piton, che impassibile, era rimasto a fissarli per tutto quel tempo.
“Mocciosus! Che diamine, pensi di potermi dare ordini? Io non ubbidisco ai Mangiamorte come te, te lo sei scordato?” esclamò Sirius, balzando verso di lui. “Per una volta nella tua misera vita, smetti di sparare sentenze, Black e renditi utile … prendi questa dannata pozione!” ribatté Piton, consegnandogli in mano l’ampolla dal liquido argenteo. “E cosa sarebbe, lo shampoo che non hai mai usato?” rise l’altro.
“Sirius, smettila!” lo rimproverò Lupin. “Smettila cosa? Davvero date retta a Piton, adesso? Anche tu, Hermione?” continuò Black, allargando le braccia. “Santo Merlino, sapevo da decenni che eri un idiota, ma non avrei pensato sino a questo punto!” eruppe Piton, indicando il vuoto attorno a sé. “Quei due sciocchi Grifondoro hanno scombinato il filone del destino e devi ringraziare il loro ficcanasare se sei qui, perché tu saresti morto … e lo stesso vale per i genitori di Potter!”
“Che cosa?” esclamò Harry, senza fiato, scattando in piedi.
“James … che cosa … oddio, è vero! Come ho potuto scordarmene? Dio, che mal di testa!” esclamò Sirius, scambiandosi appena uno sguardo disperato con Remus, che gli diede una pacca sulla spalla. “Ci sarà tempo per le spiegazioni! Ora bisogna portare questa a Madama Chips …” affermò.   
Harry, in disparte, fissava la scena, muto ed immobile: non riusciva ancora a credere che tutto fosse vero. Si diede un pizzicotto, sobbalzando e massaggiandosi la testa dolente: com’era possibile? Neanche con la pietra della resurrezione si potevano riportare del tutto in vita i defunti … quella era senz’altro magia oscura!
Non sapeva neanche da dove cominciare per evocare un incantesimo oscuro … eppure …
“Harry, sei sicuro di stare bene?” domandò Hermione, sfiorandogli appena la spalla. Sobbalzò, volgendosi verso di lei: aveva riacquistato un po’ di colore, ma sembrava ancora tremendamente dispiaciuta. “Io … credo di sì. Ma … ma è vero? Sono davvero loro, Herm? Sono davvero qui?”
Hermione parve soppesare le parole che stava per dire, mordicchiandosi il labbro inferiore prima di sospirare. “Sembrerebbe di sì.” rispose per lei Lupin, guardando Harry negli occhi, serio come non mai. “Ma è importante non farsi alcuna illusione … non devi aggrapparti all’idea che tutto sia andato come immagini, perché gli incantesimi oscuri possono giocare brutti scherzi … c’è ancora tanto da appurare e da chiarire … non possiamo permetterci certezze! Hai capito?”
Harry fissò per qualche istante il mannaro in quelle iridi grigie e ben conosceva ed annuì, riscuotendosi: quello che Remus stava dicendo era vero. Non doveva farsi illusioni … neanche su Sirius. Eppure …
“Quindi io potrei non essere me, scusa?” intervenne proprio questi. Piton rispose con un ghigno: “Forse. Ma dalle scemenze che dici mi pare evidente che tu sia proprio Sirius Black …”
“Basta, smettetela!” li fermò Lupin con un sospiro. “Non è il momento di fare i bambini, su!”
“Come … cos’avete detto agli altri?” biascicò Harry, rivolgendosi ad Hermione. Questa sospirò. “Che non ti sei sentito molto bene … Ginny e gli altri Weasley ti hanno mandato un gufo per sapere come stavi poco fa. Il resto del mondo magico ha capito e non ha interferito.”
“Ma … qualcuno lo sa, oltre a noi?”
“La professoressa McGranitt. Abbiamo dovuto dirglielo …”
“Si può sapere cos’è questo baccano qua fuori?” esclamò la voce di Madama Chips, affacciandosi dalla porta dell’infermeria. “Ero venuto a portarti la pozione, ma a quanto pare mi sono ritrovato vittima di una scena a dir poco sentimentale.” rispose mollemente Piton, alludendo all’ampolla. La donna lo fissò, dubbiosa, afferrandola dalle mani tremolanti di Sirius prima che cadesse. “Come … come stanno?” chiese Harry, timoroso, facendo un passo avanti. La medimaga lo fissò, incerta, per qualche secondo prima di annuire e sospirare. “Bene. Tuo … padre si è quasi completamente ristabilito, mentre tua madre ci metterà forse un po’ di più del previsto, dato che le è caduto addosso uno scaffale, ma credo di poter affermare con un grado di certezza abbastanza alto che stanno complessivamente bene.”
Il ragazzo annuì, espirando ed abbozzando un lieve accenno di sorriso. “E quando posso vederli?” domandò, non riuscendo a trattenersi. Di nuovo, sul viso di Madama Chips passarono decine di emozioni diverse e contrastanti. “Oh, beh … non so se sia il caso prima di aver appurato effettivamente chi siano, prima di aver capito che …” biascicò.
“Harry …”
Quella voce, sconosciuta ed al tempo stesso così familiare, ruppe il silenzio quasi assordante dell’infermeria di notte, immersa nella penombra.
Il ragazzo, istintivamente, si scostò dalla sicura presenza di Lupin per sporgersi e guardare oltre le spalle di Madama Chips, verso una voce ed un volto che, già lo sapeva, avrebbe riconosciuto tra mille …
James Potter si stagliava alle spalle della medimaga, molto simile all’uomo che Harry aveva sempre visto nello specchio della emarb e nella Foresta Proibita: alto e magro, i capelli castani e mossi vagamente disordinati così simili a quelli di Harry, le basette lunghe ed i tondi occhiali a coprire gli occhi nocciola, ora velati di lacrime. Indossava gli stessi abiti della fotografia che gli aveva mostrato Sirius anni prima …
“Ramoso!” esclamò proprio questi, precipitandosi verso l’amico nella tipica risata canina che gli apparteneva. Lo abbracciò di slancio, ridendo e piangendo al tempo stesso. James rispose, sorridente, pur non distogliendo lo sguardo dal figlio in piedi a pochi passi da lui.
“Sirius, dai, ci sarà tempo per queste cose … adesso lascialo parlare con Harry!” lo rimproverò Lupin, notando la cosa e scostando gentilmente l’amico. “Facile per te, ci hai già parlato abbondantemente prima!” ribatté l’animagus, ubbidendo, seppur di malavoglia. “Aspetta … è vero, Remus? Ci hai parlato? Dunque è … è davvero lui!” considerò Harry, la testa oramai del tutto scollegata dalla lingua e dal corpo. “Certo che è lui …” annuì Lupin, abbozzando un sorriso e spingendolo educatamente verso l’uomo.
Harry aveva sempre immaginato, perlomeno nei suoi sogni, che, se mai avesse avuto l’occasione di rivedere suo padre, l’avrebbe abbracciato stretto per non lasciarlo più andare, eppure, in quel momento, non riusciva a far altro che restarsene fermo in mezzo al corridoio, consapevole di avere su di sé gli sguardi di tutti i presenti, scandagliando la figura dell’uomo che aveva di fronte. Più guardava James Potter, più si riconosceva nei tratti del suo viso, nell’espressione, nella postura e persino nel modo in cui gli occhi gli si erano riempiti di lacrime. Senza rendersene conto, si ritrovò a sillabare in un sussurro udibilissimo: “Papà …”
Prima che potesse dire o fare qualunque cosa, però James lo circondò con le braccia, stringendolo a sé. “Harry … Harry! Non hai idea di quanto abbia desiderato vederti crescere, parlarti, esserci … non ne hai davvero idea!” mormorò, singhiozzando sulla testa del figlio. Harry avrebbe voluto rispondere, dirgli che gli era mancato terribilmente anche se non l’aveva mai conosciuto, ma le parole sembravano essergli improvvisamente morte in gola e, così, si limitò a stringersi al padre, iniziando a piangere a sua volta sulla sua spalla, inspirando a fondo quel profumo sconosciuto e familiare al tempo stesso. Era l’odore di quella guida che gli era mancata e che avrebbe tanto desiderato avere, quello che zio Vernon non era mai stato ed a cui Remus e Sirius avevano cercato di sopperire.   
“Una bella scena, non trovi, Severus?” mormorò Madama Chips, sorridendo mentre affiancava il pozionista. Questi fece spallucce. “Dipende se hai una naturale tendenza al sentimentalismo ed all’edulcorazione, Chips …” rispose, secco. Sembrava impassibile come al solito, ma, a ben vederlo, teneva le mani a pugno e le nocche erano serrate talmente forte ai palmi da essere diventate bianche come lenzuola.
La sola voce di Piton ebbe il potere di distruggere l’assoluta serenità di quel momento, facendo scattare James come se avesse appena rivisto Voldemort in persona dinanzi a sé. “Che diamine ci fa lui qui?” quasi gridò, avvicinandosi pericolosamente all’ex compagno di scuola. “Ci insegno … sai com’è, i comuni mortali si vedono costretti a lavorare per vivere, non tutti hanno la fortuna di nascere nella bambagia, Potter!” ribatté Piton e, a quel ‘Potter’, Harry sobbalzò: nella sua voce c’era un odio che non aveva mai sentito rivolto neanche a se stesso. Automaticamente, scattò piazzandosi tra i due. “Aspetta, papà, ti prego … lui mi ha aiutato!” esclamò. “Aiutato? Harry, tu non sai tutto … è per colpa di questo viscido Mangiamorte che io e te non siamo potuti stare assieme, è colpa sua se sono morto e non ti ho visto crescere! Lui ha riferito la profezia a Voldemort …” proseguì imperterrito James. “Lo so, so tutto, ma … ti prego di ascoltarmi, per favore!” lo implorò Harry mentre Madama Chips rientrava cautamente in infermeria. “Il professor Piton mi ha aiutato e protetto per tutto questo tempo … è quasi morto per me! Faceva il doppiogioco per Silente, fingendosi un Mangiamorte, per garantire che ne uscissi vivo e che potessi sconfiggerlo! Abbiamo vinto la guerra anche e soprattutto grazie a lui … si è riscattato dalle colpe del passato!”
“Scemenze: un Mangiamorte resterà sempre un Mangiamorte! Era così già a scuola, che credi? E scommetto che anche come professore dev’essere un despota!”
“L’ottusità è sempre stata la tua miglior qualità, Potter: non pretendo che tu capisca …” replicò secco Piton. “La prego, però, mi dia una mano a spiegare, invece di insultarlo!” sbuffò Harry. “Spiegare cosa? Hanno provveduto a raccontargli quello che serviva, che c’entro io nella vostra assurda riunione familiare, Potter?”
“Vedi, che ti dicevo?” rise James, amaro. “Resterà sempre una viscida serpe con pregiudizi purosangue … ha insultato tua madre, Harry!”
“Non è andata così, papà …”
“Ah, no? E come sarebbe andata allora?”
“Mi ha aiutato per lei, per la mamma!”
“Ma se la considerava una sanguemarcio!”
“Non azzardarti …” accennò Piton. “Non è così: lui l’amava. E mi ha protetto per lei …”
A quell’affermazione, un silenzio innaturale calò sull’infermeria: in un angolo, Sirius, Remus ed Hermione fissavano la scena, attoniti, mentre Harry ansimava in mezzo ad un James completamente sconvolto, le pupille sbarrate e fisse sul volto di Piton, più che mai indignato e con un luccichio ferito nelle pupille, come una bestia che stava per essere abbattuta. Solo dopo svariati minuti nei quali, ingenuamente, il ragazzo si era illuso che tutto fosse risolto, James scattò in avanti, centrando in pieno il naso di Piton con un pugno che lo sbalzò all’indietro.
“Papà!” gridò Harry, precipitandosi a fermarlo assieme a Sirius e Lupin prima che potesse continuare la rissa. “Non sperare che lei voglia rivederti dopo tutto quello che le hai fatto! Stalle lontano, Mocciosus!” esclamò James in risposta. “Papà!” esclamò a voce alta il giovane Potter, attirando su di sé gli sguardi di tutti. Si concentrò sugli occhi nocciola di James, che solo in quel momento parve aver preso coscienza di ciò che aveva appena fatto. Si calmò istantaneamente, abbassando le braccia. “Io … mi dispiace. Harry, non avresti dovuto vedermi così … io non sono così! Solo, io …”
“Posso capirti, davvero, papà, ma adesso basta!” sospirò Harry. “Non prendertela con lui … non ancora!”
“Dovrei ringraziarti doppiamente per aver spifferato all’intero mondo magico le mie memorie, Potter!” sbottò Piton, rialzandosi a fatica in quel mentre e tenendosi il naso con una mano. “L’avvertimento di James vale ancora, Mocciosus!” ribadì Sirius. Lupin sospirò, strattonando entrambi. “Smettetela, su! Che figuracce …”
“Ehm ehm …” li interruppe il lieve tossicchiare di Madama Chips, facendo voltare tutti verso di lei. “Scusate se vi interrompo, ma … Lily si è svegliata. E vuole vedervi …” sorrise, rivolta ai due Potter. James, istintivamente, afferrò il figlio e, spingendolo delicatamente per la schiena, si precipitò in infermeria. La medimaga rivolse un’occhiata dubbiosa a Piton, aggrottando le sopracciglia. “Ti serve una mano, Severus?” domandò. Questi scosse il capo. “Mi arrangio benissimo da solo!” sbottò. Harry, a quelle parole, ebbe appena il tempo di scambiare un’occhiata con Hermione, che annuì in risposta, prima di venire trascinato nella stanza.
L’infermeria era esattamente come la ricordava Harry: talmente bianca da risultare accecante, mostrava con orgoglio una pulizia quasi ossessiva ed una fila di letti vuoti, fatta eccezione per il primo della fila, in cui giaceva, mollemente adagiata su una pila di cuscini, una donna che chiunque non avrebbe esitato a definire come semplicemente bellissima. I capelli rosso fuoco di Lily Evans erano sparsi attorno al candido viso dai lineamenti dolci, gli occhi chiusi. James, senza smettere di tenere Harry accanto a sé, la raggiunse e le prese la mano. “Lily … Lily, tesoro, sono qui! Siamo qui …” mormorò. Il ragazzo, dal canto suo, sentì il cuore accelerare pericolosamente mentre sua madre apriva gli occhi, fissando il mondo con quelle irisi di smeraldo che aveva imparato a riconoscere prima di tutto in se stesso. “James … mi hanno detto tutto … Madama Chips mi ha … Harry? Dov’è?” mormorò, con voce flebile. Il cuore di Harry si strinse al sentire quel suono e le lacrime gli salirono inevitabilmente a confondergli la visuale mentre, lentamente, Lily si voltava verso di lui.
Decine di persone gli avevano parlato degli occhi di sua madre, così verdi e brillanti, ma mai e poi mai Harry avrebbe pensato di vederli e, men che meno, di riconoscersi in quel colore così intenso ed in quell’espressività che lasciava trasparire ogni tipo di emozione. Senza neanche rendersene conto, si ritrovò a sussurrare: “Mamma …”
Le braccia di Lily si protesero appena verso di lui, ma tanto bastò perché si precipitasse su di lei e la stringesse a sé, incurante di tutto e di tutti. Piangeva, Harry, piangeva come forse mai aveva fatto in tutta la sua vita, il viso sprofondato nei capelli rossi di sua madre ed il naso intriso di quel profumo sconosciuto che gli era mancato come l’aria. Quante volte avrebbe voluto avere una madre da cui essere consolato, amato e curato, quante volte aveva desiderato rifugiarsi tra le sue braccia dopo una disavventura … ed ora …
Sentì la mano di suo padre sfiorargli la schiena in qualche timida pacca prima che si unisse all’abbraccio ed Harry si godette appieno la completezza di quel momento: era con la sua famiglia, finalmente, dopo anni ed anni. Sebbene in un modo che ancora non gli era chiaro, aveva riavuto il suo padrino ed i suoi genitori, le persone che più gli mancavano: nulla, da quel momento in poi, sarebbe più potuto andare storto …

Hermione inciampò lievemente sui tacchi, sbuffando mentre riprendeva ad incamminarsi lungo le buie scale che conducevano alla Torre di Astronomia. “Ma chi diamine me l’ha fatto fare? Potevo starmene là a conoscere i Potter … e, invece …” riprese ad imprecare silenziosamente, continuando a salire: non appena Harry era entrato in infermeria, aveva congedato dei commossi Sirius e Remus, tutti presi dal raccontarsi chissà cosa ed era corsa dietro a Piton, subito fuggito via. Avrebbe voluto mettere più distanza possibile tra lei e quell’uomo che neanche l’anno precedente, dopo la battaglia, aveva smesso di denigrarla davanti a tutti, ma aveva promesso ad Harry che l’avrebbe seguito e sapeva fin troppo bene quanto il suo amico tenesse a lui …
Non appena arrivò alla torre, si ritrovò a pensare che, in altre circostanze, sarebbe stato un panorama mozzafiato: Hogwarts, lì, sotto una luce bluastra, sembrava divenire tutt’uno con il cielo cobalto e si aveva quasi la possibilità di sfiorare la luna e le stelle, nonché di vedere tutta la vallata, con tanto di Foresta Proibita, Lago Nero e capanna di Hagrid …
Una lieve imprecazione la fece sobbalzare, ricordandole perché si trovasse lì. Con un sospiro, si avvicinò cautamente: Severus Piton era lì, i gomiti appoggiati sulla balaustra e lo sguardo perso nel vuoto, immerso in chissà quali ricordi e riflessioni. “Se sei Potter, fammi il favore di andare dalla tua cara famigliola felice e toglierti dalla testa una volta per tutta l’assurda idea che possiamo essere amici. Se sei il mannaro, idem.” bofonchiò, di colpo, facendo sobbalzare Hermione. Non udendo risposta, il professore si voltò e gli occhi, per un istante, gli brillarono di sorpresa nel vedere la sua ex allieva. “Granger!” esclamò, senza alcuna nota di disprezzo nella voce. “Volevo solo sapere come stesse …” mormorò lei, a mo’ di giustificazione. “Ti ha mandato qui Potter, vero?” ringhiò, passando subito a darle del tu, innervosito.
Hermione soppesò le parole, ma, alla fine, si rese conto che non valeva la pena mentire, perciò annuì. “Dovevo immaginarlo.” borbottò Piton, riprendendo a guardare il panorama. La strega prese coraggio e si avvicinò cautamente, raggiungendolo sul parapetto: la vista era davvero meravigliosa, non c’era dubbio. “Sta ancora sanguinando.” notò, senza guardarlo. “Lo so, ma non m’importa.”
“Potrebbe avere il naso rotto.”
“Me lo sistemerò da me, come ho sempre fatto per anni. Credi che quando tornavo dalle assurde missioni di Silente venissi curato in infermeria, come i privilegiati?”
“Ma adesso non è più una spia e Lei stesso ha detto, poco fa, che sono l’unica in grado di ragionare … se vuole, posso aiutarLa.” riprese Hermione. “Nessuno te l’ha chiesto, Granger …”
“No, ma sono qui per vedere se si sente bene e, al momento, non sta bene: mi faccia il piacere di farsi curare e di lasciarmi andare via con la coscienza apposto, per una volta!” sbottò la ragazza, fissandolo negli occhi. Solo in quel mentre si rese conto di cos’aveva appena detto e si sentì arrossire, distogliendo lo sguardo dalle iridi d’onice di Piton, che ghignò, beffardo. “Noto con piacere che i M.A.G.O. hanno risvegliato la tua anima dissidente, Granger …”
“L’ho sempre avuta.” ribatté lei: quella volta, era decisa a non lasciarsi sopraffare dalla paura che aveva sempre avuto di quell’uomo oscuro ed insidioso. “Per favore …” aggiunse, così, risultando più autoritaria di quanto avrebbe voluto. Piton continuò a fissarla per un po’ prima di sospirare, borbottando e di sedersi a terra, lasciando che Hermione potesse controllargli il naso. La giovane si avvicinò con cautela, come se si trattasse di un serpente velenoso. Con mani incerte, gli sfiorò appena naso e mento, cercando di non guardare la profonda cicatrice di Nagini, mormorò poche parole e subito scostò le dita, come scottata. “Grazie …” borbottò Piton, rialzandosi subito e tornando a stagliarsi su di lei in tutta la sua altezza. “Non c’è di che …” rispose lei, voltandosi ad ammirare Hogwarts di notte. “Non avevi detto che te ne saresti andata subito, Granger?”
Hermione alzò gli occhi al cielo. “La vista è magnifica, sarebbe un peccato sprecarla.”
“Non ho gran bei ricordi associati a questo scorcio, a dire il vero, ma non posso che concordare …”
Hermione sentì un moto di compassione verso quell’affermazione, ma non lo diede a vedere. “Ora potrebbe anche concedersi la pace, però …” le sfuggì. Se ne pentì subito sentendo voltarsi con sguardo irato. “Come ti permetti di giudicare, Granger? Non sono affari tuoi!”
“Lo so, ma non sono più una sua studentessa!” replicò Hermione, trovando il coraggio di fissarlo. “Ed ora che James e … e Lily sono di nuovo qui, credo che potrebbe anche perdonarsi …”
“Che senso ha il perdono se vale solo per un quarto di tutto ciò di cui sono colpevole? E, inoltre, non vedo cosa cambi, anzi … se possibile, le cose sono anche peggio di prima, adesso! Tutta colpa di voi Grifondoro, naturalmente … a dei Serpeverde non sarebbe mai accaduto!”
Hermione ignorò l’ultima frase, concentrandosi sul resto. “Perché dice che ora sarà peggio?” chiese con un filo di voce. Piton distolse lo sguardo fin troppo in fretta. “Sono tornati, tutti: ora dovrò sorbirmi la loro ridicola commediola di famiglia felice, oltre al loro disprezzo.” sentenziò, amaro. Hermione capì in un istante e, inspiegabilmente, si ritrovò a provare una sincera pena per il professore. “Lily sceglierà sempre James e Lei dovrà vederlo di continuo sotto agli occhi, adesso … come un tormento …” mormorò. “Nessuno ha detto questo, Granger.”
“L’ho capito da sola.”
“Quella tua testolina sentimentale pensa un po’ troppo senza sapere niente …”
“Beh, so cosa si prova a fare la ruota del carro …” mormorò senza rendersene conto. Piton si voltò verso di lei, vagamente divertito ed incuriosito. “Ah, davvero? Il caro Weasley si è rivelato fedifrago?”
“Sì. Con Lavanda …” sussurrò appena Hermione, fissando il Lago Nero con sguardo vuoto: era passato tanto tempo, ma faceva ancora male. “Ha scelto Lavanda perché io ero … troppo.” espirò, senza neanche rendersene conto. Non appena realizzò, arrossì: si stava confidando con Piton … il mondo stava davvero andando a catafascio!
“Weasley è sempre stato stupido.” sentenziò l’uomo, sorprendendola. “Avrebbe potuto migliorarsi un po’ avendo qualcuno di intelligente, ma ha preferito la stupidità ed una vita piatta e comoda. Tipico di un Grifondoro con la sindrome dell’eterno secondo …”
Quell’affermazione la stupì tanto, scaldandole il cuore in modo così sorprendente che Hermione si sentì in dovere di ribattere in maniera gentile: “Lei non è più un Mangiamorte, ha rimediato a tutti i suoi errori egregiamente, non saremmo qui se non fosse per Lei e sono certa che i signori Potter lo capiranno e La ringrazieranno.”
Piton rise, beffardo. “Nelle fiabe, forse. Nella realtà, che ti piaccia o no, la strega cattiva non diventa mai la principessa … ed ora scusami, ma sono molto stanco.”
Hermione ebbe la tentazione di aggiungere qualcosa, ma si fermò appena in tempo. Sospirò, forse per la prima volta osservando davvero il volto di Piton e non vi trovò alcuna traccia della tracotanza e del disprezzo che credeva parte di lui: nei tratti del suo viso, negli occhi scuri ed ottenebrati, nel naso adunco e nella gola squarciata, vedeva solo dolore, rabbia e disperazione, una sofferenza continua ed estenuante. Si voltò, dirigendosi in silenzio verso l’uscita per lasciarlo solo con i suoi demoni contro cui, lo sapeva bene, non c’era cura. Sulle scale, tuttavia, si concesse di voltarsi un’ultima volta. “Sa, da un lato non ho mai compreso Lily … Lei le avrebbe dato il mondo …” mormorò. Per svariati minuti, Piton non disse niente, tanto che Hermione sospirò e riprese a scendere i gradini. Solo a metà strada, la voce gracchiante del professore la raggelò: “A volte, il mondo non basta.”

Angolo Autrice:
Bentornati/e! Spero vi piaccia come si sta evolvendo la storia! Ci tenevo a fare alcune precisazioni: innanzitutto, ho descritto i capelli di James come castani, anche se nei libri, essendo uguale ad Harry, sono neri. Ho privilegiato la versione del film, sostanzialmente, per gusto personale. Sempre riguardo a James Potter, mi scuso in anticipo con i suoi fan ( ed anche con quelli di Sirius) se risulteranno non esattamente perfetti, ma sono due personaggi che non amo e questo potrebbe influire (spero di riuscire a mantenermi neutrale, ma non garantisco mai per sicurezza!) 
Spero vi sia piaciuto, ogni commento o suggerimento, positivo o negativo, è sempre ben accetto!
Alla prossima!
E.

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Capitolo 4
*** Il Rumore di un Cuore che si spezza ***


Capitolo Quarto
Il Rumore di un Cuore che si spezza

And I will wander 'til the end of time Half a life without you
(My Heart is broken, Evanescence)

“Abby, ti prego, ti imploro, leggi a bassa voce: ci stanno guardando tutti!” esclamò, drammatica, un’anziana, calcando volutamente su alcune parole. Hermione, in cima ad una scala con una pila di libri tra le braccia, alzò impercettibilmente gli occhi al cielo: in quell’anno trascorso al Ghirigoro come commessa, aveva visto numerosi clienti come quell’insopportabile donna. Di solito si comportavano come se fossero i padroni del negozio, guardando con sdegno chiunque osasse anche solo dimostrare gusti differenti dai loro, ma mai prima di allora aveva visto una nonna negare un libro alla propria nipotina con tanto astio.
Terminò di sistemare le ultime novità e, reggendo alcuni volumi da rendere, scese cautamente dalla scala. Si raddrizzò il completo blu scuro, concedendosi un istante per osservare il negozio.
Il Ghirigoro era completamente ricoperto di libri, molto più delle librerie babbane che frequentava di solito: le pareti erano interamente tappezzate di scaffali traboccanti di volumi d’ogni sorta, disposti anche su tavolini, bassi mobiletti, espositori e semplici pile a terra, a ricoprire quasi tutto lo spazio disponibile e persino le eleganti scale, anch’essere dipinte a mo’ di libri, che conducevano al piano superiore, altrettanto stipato. Di tutti i posti in cui aveva inviato il curriculum, Hermione pensava fosse l’ultimo che l’avrebbe accettata: era giovane, con una solida preparazione generale, ma nulla di specifico, una vaga fama di eroina di guerra che fuggiva come la peste e, anche se aveva terminato Hogwarts e preso i M.A.G.O. con il massimo dei voti, non aveva alcuna esperienza nel campo dei libri magici che non fossero le sue ore in biblioteca. E, invece, Florence Florish l’aveva contatta subito, quasi pregandola di venire a lavorare per lei. “Siamo solo in due, qui: io, che comincio inevitabilmente ad essere un po’ troppo vecchia per fare tutto, il mio assistente Cormoran e l’elfo Brix. So quanto ami i libri, Hermione, ti conosco e mi ricordo bene di te: il tuo lavoro darebbe un significativo apporto al negozio …”
Inizialmente, aveva accettato con mille dubbi e timori, decisa a restare solo per pagarsi la stanza al Paiolo Magico finché non avesse trovato di meglio, ma quell’incarico, man mano che passava il tempo, era diventato sempre meno un mezzo di fortuna: Hermione amava quel posto, la quiete che le trasmetteva, curarsi dei libri, che erano sempre i suoi migliori amici ed aiutare i clienti consigliandoli. Adorava sprofondare il naso nelle ultime novità, sfogliandole con avidità e finendo per portarne a casa più della metà, le piaceva ascoltare ciò che cercavano gli avventori che si presentavano lì e, come un medico alla ricerca della giusta cura, dare loro il libro che avrebbe potuto guarire i loro patemi d’animo. C’erano romanzi per i cuori infranti, storie per chi cercava la propria strada, saggi per gli studiosi e manuali per gli imbranati e, con i giorni, Hermione aveva imparato a conoscerli quasi tutti.
Florence, la proprietaria, inoltre, era un vero angelo: con i capelli neri sempre stretti in una crocchia, spille sgargianti ed occhiali a mezzaluna, sorrideva nei suoi rossetti sgargianti e dirigeva la libreria con la perizia che solo una Corvonero modello come lei avrebbe potuto permettersi. Era capitato, nei rari momenti di calma, che offrisse personalmente tè e biscotti ai dipendenti come momento di pausa e questo non aveva fatto che aumentare la stima che Hermione aveva di lei. Cormoran, il suo assistente, invece, le ricordava un po’ Hagrid: un Tassorosso ben piazzato, con una folta barba e capelli sparati, muovendosi finiva quasi sempre per rovesciare qualcosa e faticava a relazionarsi con i clienti, ma, nella gestione del magazzino e delle forniture, era senz’altro il migliore. A completare il quadro, c’era l’elfo Brix, che rassettava canticchiando ballate ed antiche canzoni tutto il giorno e, con grande sollievo di Hermione, veniva pagato per il suo lavoro. La giovane Grifondoro, invece, doveva aiutare Florence a sistemare, occuparsi degli ordini e consigliare la clientela, incarichi non facili, certo, ma che, con il tempo, aveva imparato ad amare e svolgeva con passione, tanto che, oramai, aveva capito che non se ne sarebbe andata così facilmente dal Ghirigoro. I giorni in cui ambiva ad una carriera al Ministero ed ad una famiglia numerosa in una casa spettacolare nella Londra babbana erano oramai lontani ed evitava accuratamente di pensarci …
“Nonna, ti prego, posso prendere questo?” mormorò la bambina, ridestandola dai propri pensieri. Hermione la osservò per un momento: vestitino azzurro, lunghe trecce bionde ed occhi di smeraldo. Era innegabilmente una vera bellezza, ad Hogwarts avrebbe fatto conquiste … non come lei. Scacciò il pensiero e, istintivamente, si avvicinò alle clienti. “Buongiorno, signore: avete bisogno di aiuto?” domandò. L’anziana la fissò con aria truce. “No, grazie.”
“Questo è bello?” domandò, invece, la bambina, porgendole il libro. Hermione lo osservò, riconoscendolo subito. “Sì, è una serie molto divertente: combina tutti gli elementi di un ottimo libro, avventura, magia, amicizia … parla di una bambina che si scopre una fata con la capacità di entrare nelle storie che ama di più.” illustrò. “E, a ben vedere, mi sembra proprio il tuo genere, no?”
La bambina arrossì, ma abbozzò un sorriso. Hermione lasciò che le sue parole restassero per un po’ nell’eco della sala prima di terminare, rivolgendosi alla nonna, stavolta. “Dovrebbe proprio acquistarlo, sa? Sarebbe un bel regalo per sua nipote, qualcosa di istruttivo in una marea di sciocchezze moderne …” asserì. Prima che la nonna potesse replicare, però, Hermione concluse: “E, inoltre, a questo prezzo avrebbe tre libri in uno, risparmiando e non dovendo tornare altre due volte qui … con il rischio di comprare altre cose ancor più costose!”
La donna tacque per qualche istante, sbattendo le palpebre: a ben guardarla, si potevano quasi scorgere l’ombra di un ragionamento correre nella sua testa indubbiamente bacata. “Va bene, lo prendiamo … almeno non dovrò tornare di nuovo!” sbuffò, arpionando la nipote e precipitandosi verso le scale senza neanche guardare Hermione. “Grazie … e tu, forza: muoviti!”
“Arrivederci! Tornate presto a trovarci!” sorrise la Grifondoro, agitando la mano mentre le clienti scomparivano al piano inferiore per pagare. “Ecco, Abby: quella è una vera insolente!” sussurrò l’anziana oramai sul primo gradino, talmente forte che tutti la sentirono.
Hermione sbuffò, scuotendo il capo, prima di tornare al lavoro: dopo un anno, si era abituata anche agli insulti gratuiti. Non che le fossero mancati ad Hogwarts, tra compagni e professori che la prendevano in giro perché stava sempre con il naso in qualche libro, ma lì era tutta un’altra storia. L’unico che non l’aveva mai derisa era Harry. Impilò le ultime rese, ripensando agli eventi dei giorni precedenti: quello che avevano combinato con il libro del destino era un gran bel guaio. Avevano dovuto riferire tutto nei minimi particolari a Kingsley ed alla McGranitt, subire rimproveri ed occhiate di disapprovazione e, infine, accettare di aver combinato un gran bel guaio ed assumersene la responsabilità. Harry, per primo, era stato ben felice di farlo: Sirius, redivivo, aveva ripreso possesso di Grimmauld Place e lì si era trasferito con i Potter nel mentre che questi avrebbero cercato una nuova sistemazione che non fosse Godric’s Hollow, con tutti gli spettri che portava con sé. Le sembrava passato un mese, forse un anno e, invece, dalla disastrosa commemorazione non era trascorsa che una settimana in cui non aveva visto né sentito nessuno.
Si era limitata a trincerarsi dietro al lavoro, evitando i continui tentativi della Skeeter di intervistarla in merito alla notizia che, una volta divulgata da Kingsley stesso, aveva sconvolto il mondo magico, causando stupore e giubilo. Hermione era contenta per Harry, naturalmente, ma non aveva avuto modo di parlare poi molto con i suoi genitori: si era solo presentata, scoprendo che, grazie a degli sprazzi che avevano di cose che evidentemente avevano intravisto, la conoscevano già. E se James le ispirava una certa fiducia, con l’aria malandrina, la naturale sicurezza in se stesso e la battuta sempre pronta con Sirius e Remus, Lily le incuteva una sorta di timore reverenziale. Era bellissima, di una bellezza acqua e sapone, pura e semplice, che faceva invidia, sorrideva sempre, era gentile, onesta e non mancava mai di porre un garbato, ma fermo freno alle scorribande del marito e degli amici. Ci aveva parlato solo una volta ed aveva subito compreso perché tutti ne fossero innamorati: era la classica persona a cui si voleva piacere a tutti i costi. E, naturalmente, capiva James, che gongolava costantemente per esserci riuscito, ma, soprattutto, comprendeva meglio l’atteggiamento sofferente, ferito e sospettoso di Piton …
“Chissà come sta Harry …” rifletté pensosa, scendendo le scale che conducevano al piano inferiore. “Dovrei mandargli un gufo, più tardi …”
Mentre formulava questi propositi, tuttavia, finì per urtare una figura che stava salendo. “Oh, cielo, mi scusi, davvero, non l’ho fatto apposta!” esclamò, mortificata, posando la pila di libri su un tavolo. Si voltò per proseguire nelle sue scuse, ma raggelò quando si ritrovò a fissare il volto diafano di Narcissa Malfoy.
Bella ed altera come l’aveva sempre vista, sfoggiava scarpe in pelle ed un tailleur verde acido che ben s’intonava ai setosi e curati capelli bicolore, ai grandi occhi chiari ed ai luccicanti gioielli a forma di scarabeo della parure che indossava. Al vedere Hermione, si morse le labbra rosse e fece un passo indietro. “Perdonami, non volevo urtarti … è stato un incidente.” mormorò, affrettandosi nuovamente lungo i gradini. “Signora Malfoy …” la fermò gentilmente la ragazza. La Serpeverde si fermò a metà scala ed attese qualche istante prima di voltarsi verso di lei con sguardo vacuo e vagamente imbarazzato. “Non è stata colpa di nessuno!” si affrettò a completare la ragazza per poi congiungere le mani, leggermente impacciata. “E non mi riferisco solo alle scale … vede, io …”
“Narcissa.”
Hermione sollevò la testa di scatto. “Prego?”
“Narcissa. Chiamami Narcissa, non ‘signora Malfoy’ … tanta formalità non giova a nessuna delle due. Siamo entrambe fin troppo in imbarazzo per portare ancora avanti questa ridicola commediola di carnefice e vittima che si prodigano in scuse, non trovi? Le scuse non servono a niente: non cambiano quello che è successo.”
La Grifondoro abbozzò un vago sorriso, subito imitata dalla donna. “Credo proprio di sì.” confermò. “Comunque … ci tengo a dirLe … a dirti che non devi scusarti. Il passato è passato.” precisò. “Erano altri tempi, altre circostanze e … beh, tu e Draco vi siete riscattati abbondantemente. Ed anche il signor Malfoy.”
“Però la cicatrice che ti ha fatto mia sorella resta …” mormorò Narcissa. Hermione sobbalzò, sorprendendosi nuovamente della capacità della donna di arrivare dritta al punto, senza troppi giri di parole, risultando comunque sempre elegante. “Non è mia abitudine serbare rancore … è inutile e non giova a nessuno.” rispose, così, toccandosi involontariamente il braccio. Narcissa annuì e sospirò. “Sei una ragazza saggia e molto perspicace, Hermione … mio figlio lo diceva sempre, sai? A fatica, ma lo diceva. Lo fa anche adesso.”
“Beh, questa sì che è una sorpresa. Portagli i miei saluti, in ogni caso ...” sorrise la ragazza. “Non mancherò, certo.”
“Posso … posso aiutarti in qualche modo?”
“A dire la verità, sì.” sospirò Narcissa. “Devo fare un regalo di compleanno, per una conoscente che ha collaborato con me al Ministero l’anno scorso … una donna assolutamente scialba, la classica arricchita, ma lasciamo stare …”
Hermione trattenne una risata all’espressione sdegnata della donna. “Sai cosa le piace leggere abitualmente?”
“Romanzi rosa, perlopiù dozzinali, ovviamente. Non conosco bene le ultime novità in merito … anzi, non le conosco affatto. Ho tutt’altri gusti …”
“Perché non le regali un bel classico d’amore? Cime Tempestose, ad esempio: narra di un amore impetuoso, tormentato ed immortale, ma è al contempo una grande opera letteraria …”
“Lo conosco, è molto bello … ma non sarà un po’ troppo per quei poveri neuroni?”
“No, anzi: sarà un modo per essere gentili rimarcando la propria superiorità …”
Narcissa sorrise, maliziosa. “Mi piace … andata! Riusciresti a trovarmi una versione regalo ed a farmi un pacchetto carino?”
“Naturalmente.”
“Grazie. Saresti stata un’ottima Serpeverde, sai?”
“Ero testurbante Corvonero, a dire la verità …” spiegò Hermione mentre, raggiunta la cassa, mostrava a Narcissa un’edizione regalo di Cime Tempestose e, ottenuto un cenno d’assenso, iniziava pazientemente ad incartarla con estrema cura e precisione. “Corvonero? Non mi sorprende!” annuì la Serpeverde. “Con la tua smodata passione per i libri … bisogna dire che questo è proprio il tuo lavoro!”
“Diciamo di sì. E Draco? Di cosa si sta occupando?”
“Gestisce gli affari di Lucius, sai che lui è ai domiciliari, una cosa ridicola e fastidiosa, soprattutto per me che devo sopportare le loro discussioni. Parlare di soldi a tavola è volgare, diceva mia madre … hai idea di quante volte è successo negli ultimi due anni?”
“Temo troppe.”
“Esattamente. E tu, dove ti sei stabilita? Immagino dai Potter, ora che, grazie a quel piccolo incidente, sono redivivi …”
“No.” sospirò Hermione. “A dir la verità, li ho visti davvero poco: devono recuperare il tempo perduto con Harry.”
“Certo … li posso capire. Dev’essere stata una sorpresa quantomeno scioccante …”
“Abbastanza. Ma è stata una splendida notizia per Harry e per tutti noi …”
“Naturalmente. Severus come l’ha presa?”
Hermione, a quelle parole, si fermò per un secondo, stupita che qualcuno lo potesse chiamare per nome, per poi concentrarsi sul nastro. “Non benissimo, direi … per quanto lasci intendere, ovviamente. In una sola serata si è già preso un pugno dal signor Potter …”
Narcissa non parve sorpresa, anzi: si limitò a sollevare le sopracciglia. “Me lo aspettavo: quando erano a scuola, succedeva ben di peggio tra loro.”
“Harry mi aveva accennato qualcosa …”
“Di certo non aveva idea di quanto fossero effettivamente gravi le cose: James Potter ed i suoi compari tormentavano Severus. Letteralmente. Me lo ricordo, sai? Scherzi, incantesimi d’ogni sorta, esplosioni e prese in giro, filastrocche inventate … di tutto e di continuo. Era un tormento … e questo ha forgiato il carattere di Severus in maniera negativa. Oltre a tutto il resto, certo …”
“Il resto?” considerò Hermione, aggrottando la fronte. “Non veniva da una situazione familiare semplice … ma questo forse lo sai anche tu.”
“So che sua madre aveva sposato un babbano …”
“Eileen Prince veniva una famiglia purosangue ancor più prestigiosa della mia.” spiegò mollemente Narcissa, con aria quasi annoiata. “E, per quanto bruttina, era un vero portento con le pozioni ed aveva un’anima indomita. Si ribellava sempre, come mia sorella Andromeda. E, infatti, hanno fatto la stessa fine … solo che a lei non è andata così bene.”
“In che senso?”
“Tobias Piton era un poveraccio, un operaio alcolista e violento. Picchiava moglie e figlio, finché, quando Severus aveva … penso diciassette anni, non ha ucciso la moglie ed è finito in un carcere babbano. Credo vi sia morto, ma Severus non ne parla mai. Ad ogni modo, unisci questa situazione alle prese in giro ed al fatto che a Serpeverde era discriminato per la sua condizione economica ed il fatto di essere mezzosangue (e sì, i più radicali lo facevano) … ed ottieni il perfetto candidato per … beh, lo sai.” concluse, tossicchiando. Hermione annuì, pensosa e stupita: sapeva una parte di tutta quella storia, ma non avrebbe mai immaginato che ci fosse di più.
“Questa storia deve averlo sconvolto … devo invitarlo a cena, è tanto che manca da Malfoy Manor e gli vogliamo molto bene, è un caro amico.” concluse Narcissa. “Davvero? Voglio dire … so che è molto vicino alla vostra famiglia, ma non riesco ad immaginarlo amico di qualcuno. Non riesco neanche ad immaginare che possa non insultare il prossimo, in effetti … ecco qui, ti lascio anche una borsetta.”
“Grazie cara, ecco i soldi … sai, ti sorprenderebbe sapere com’è Severus sotto la corazza che porta e che di rado si leva …”
“Davvero?” domandò Hermione, finendo per sorridere, divertita da quell’ipotesi. “Ha sorpreso anche me, figurati ...” annuì Narcissa. “Grazie mille e buon lavoro, a presto!”
“Arrivederci, a presto.” la congedò la giovane, guardandola andare via e fissare con sdegno alcune clienti vestite come babbane. La scena le strappò un sorriso: Narcissa Malfoy si era pentita ed impegnata per cambiare, ma l’aria da snob non sarebbe mai scomparsa. Era parte di lei. E, in fondo, era anche un lato divertente della sua personalità …
“Hermione, eccoti qui!” esclamò una voce, facendola sobbalzare. Si volse di scatto, rilassandosi nel vedere Florence Florish sorridere alle sue spalle. “Signora Florish! Stavo …”
“Hai servito Narcissa Malfoy, ho visto. Non ho dubbi sul tuo operato: mi fido ciecamente, hai venduto più tu in un anno che Cormoran in venticinque. Volevo soltanto darti questa: l’ha appena recapitata un gufo per te …” spiegò, porgendole una lettera. “Per me?” ripeté Hermione. “Non sono in molti ad avere il tuo nome, sai? Aprila pure, comunque, non farti problemi, non c’è molto lavoro, oggi!” le sorrise, sparendo in magazzino. Hermione soppesò la busta sigillata prima che la curiosità avesse la meglio, spingendola a strappare la carta ed a dispiegare il foglietto all’interno, leggendolo tutto d’un fiato:
Ciao Hermione,
Scusa se non mi sono fatto sentire, ma in questi giorni ho parlato tanto (forse troppo) con mamma e papà. Riaverli è … strano. Ma è anche meraviglioso, è quello che ho sempre desiderato. Anche se vorrei essere riuscito a riavere anche altre persone che non ci sono più …
Comunque, Kingsley ha parlato con un esperto e non c’è modo di invertire l’incantesimi, quindi resteranno per sempre. Stasera, pertanto, ho organizzato una piccola festa per dar loro il bentornato: è a Grimmauld Place alle otto … ci saranno tutti, vorrei davvero che venissi anche tu, mi piacerebbe farteli conoscere meglio e soprattutto rivederti!
A dopo (spero!)
Con affetto
Harry

Hermione poggiò la lettera, visibilmente sorpresa. “Oh, Merlino … ed ora cosa faccio?”

“Desolante … anzi, no: troll …” mormorò con un ghigno soddisfatto Severus Piton mentre la sua penna, con linee secche e sicure, tracciava gli errori e si prodigava in commenti acidi e gratuiti su quanto quei temi fossero indecenti ed insufficienti.
Non era mai stato famoso per essere un professore gentile e vicino agli studenti, anzi: i suoi alunni tremavano e si dileguavano al comparire della nera figura del pipistrello dei sotterranei, avvolto nel suo mantello, nei corridoi. In classe, nessuno osava proferire parola, né, tantomeno, contestare i suoi giudizi o mettere in dubbio le sue parole o le sue verifiche, pratiche o teoriche che fossero, per timore di venire spediti fuori dall’aula con una sequela di insulti, se non, nei giorni più neri, addirittura di venire schiantati.
In quell’ultima settimana, tuttavia, le mura di Hogwarts, sopravvissute persino agli attacchi di Voldemort in persona, avevano tremato, rischiando seriamente di venire spazzate via. Anche i più spavaldi tra i Serpeverde avevano accuratamente evitato di rivolgergli la parola per qualunque motivo che non fosse il semplice (e comunque temuto) saluto. Severus Piton era di pessimo umore, questo era oramai lapalissiano: aveva un’espressione seccata ed altera in viso, non si presentava in Sala Grande ed usciva dai suoi alloggi nei sotterranei solo per andare a lezione. I tentativi dei suoi colleghi di farlo uscire dalla sua caverna si erano tutti ridotti ad un fallimento contornato da insulti e minacce neanche troppo velate. Neanche Minerva era riuscita a farlo uscire ed il quadro di Albus, al secondo giorno di prigionia, era stato scaraventato in corridoio con un tiro ben assestato e lì era rimasto sino ad allora.
Sbuffò, poggiando il tema sulla pila di scritti cosparsi d’inchiostro verde, che, oramai, superava di gran lunga quello nero. Prima di ritornare alla correzione, controllò l’orario, constatando che era abbastanza tardi da concedersi un altro bicchiere di whisky. Se lo versò e lo sorseggiò lentamente, lo sguardo fisso sulla luce smeraldine dei fondali del Lago Nero e la testa svuotava dai mille pensieri che gli avevano tolto il sonno: da quando quell’idiota di Potter e quella so-tutto-io della Granger avevano combinato un disastro con quel libro del destino, non era più riuscito a prendere sonno. Neanche la dolcesonno faceva più effetto, oramai … le poche ore ad occhi chiusi che si concedeva erano costellate dai volti delle sue innumerevoli vittime, su tutte Lily ed Albus. Tutti, dal primo all’ultimo, lo guardavano con sdegno ed odio, con la stessa ripugnanza che gli era sempre stata rivolta. E, ogni volta che si svegliava e si rendeva conto di cosa lo aspettava, non faceva che desiderare sempre più di non essere mai nato, di non essere mai stato salvato da Fanny in quella maledetta stamberga …
Aveva provato a distrarsi, nel finesettimana: era andato a Spinner’s End, finendo solo per trovare i soliti vecchi fantasmi di polvere ad attenderlo. Aveva letto in compagnia di un buon tè (diluito con del whisky, ovviamente) mentre fuori pioveva e, la sera, aveva cercato ristoro in un vecchio bar babbano, trovandovi anche una discreta compagnia femminile che, come lui, cercava solo uno svago, senza nessuna promessa o impegno. Il mattino dopo, quando si era svegliato, quasi aveva gridato quando si era reso conto che la compagnia in questione aveva capelli rossi ed occhi grigioverdi.
Si passò una mano sul volto, sospirando: non avrebbe dovuto tormentarsi così. Lily era tornata ed era felice, finalmente, anche se non certo grazie a lui. Nessuno era mai stato grato della sua esistenza … probabilmente era il peggior nemico di se stesso. Poggiò il bicchiere sul tavolo con dita tremanti e, sentendo dei colpi alla porta, ruotò platealmente gli occhi. “Che c’è?” ringhiò. “Sono occupato.”
“Sei occupato da una settimana, Severus!” esclamò una voce spigliata che ben conosceva dall’altro lato. “Ma, in quanto preside, ho bisogno di parlare urgentemente con il mio vice. Subito.”
“Potevi mandarmi un gufo o una strillettera, Minerva …”
“Mi è bastato fare le scale, molto più semplice. Ora posso avere la tua cortese attenzione o devo rivolgermi ancora alla porta chiusa?”
Piton si alzò borbottando ed imprecando prima di spalancare l’uscio. Minerva McGranitt, in una sgargiante veste rossa ed uno chignon ordinato, lo fissava con aria di rimprovero.
“Se sei venuta per dirmi quanto il mio comportamento sia stato deplorevole, ti avviso: è fiato sprecato.” commentò mollemente, tornando alla sua postazione. La Grifondoro sospirò ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle. “Lo so bene, Severus. Ma non sono qui per convincerti ad uscire da questo buco maleodorante …”
“Certo, come se dovessi crederti …”
“So che sarebbe solo fatica sprecata.”
A quelle parole, il professore si bloccò per un istante, senza, tuttavia, mostrare alcun cenno di sorpresa. “Quale questione richiede la mia attenzione?” domandò. “Il piano dei M.A.G.O.: si terranno tra appena due settimane. Siamo agli sgoccioli e mi serva una tua firma …” spiegò Minerva, allungandogli delle pergamene. Piton le scorse rapidamente prima di firmare e restituirgliele. “Grazie. Infine, ci sarebbe un’ultima questione che richiede la tua attenzione …”
“Si tratta delle mie occhiaie o del mio fegato, stavolta?” domandò con un ghigno sarcastico. “L’ultima volta erano i reni, credo … ma forse mi confondo con i rimproveri di Filius!”
Minerva, a quelle parole, abbozzò un sorriso: se c’era una cosa che Severus aveva sempre ammirato di lei, era come ogni suo insulto le scivolasse addosso. “Hai un aspetto orribile.” sentenziò. “Non dormi, non esci, non mangi e bevi troppo.”
“Mantengo la pelle idratata.”
“Severus …”
“Vuoi forse negare i principi fondanti della medimagia?”
“Voglio la tua presenza.” concluse, porgendogli una busta. Piton la squadrò attentamente prima di afferrarla e leggere avidamente il biglietto all’interno. Il suo volto, abituato a mentire da anni ed anni di spionaggio, ebbe un lieve spasmo prima di restare impassibile, segno che le parole incise su carta e quel dolce profumo di gigli avevano fatto centro come previsto. “No.” disse solo, restituendole la carta. “Immaginavo che me l’avresti detto, infatti non cercherò di convincerti.” sorrise Minerva. “Mi limiterò ad affibbiarti la sorveglianza delle gite ad Hogsmeade, nonché ad affidarti lo sportello di assistenza per gli studenti con insicurezze ed i recuperi delle lacune per … diciamo, tutto l’anno prossimo.”
Si aspettava una reazione di sdegno e rabbia, ma, negli occhi di Severus, lesse solo una profonda rassegnazione: da buon Serpeverde, l’aveva ovviamente previsto. “Immaginavo avresti detto qualcosa del genere …” mormorò, picchiettando le dita sul bracciolo della poltrona. “Non ti arrendi mai … Grifondoro …”
“Su, smettila di dirlo con quel tono disgustato: oramai, non ti crede più neanche Peeves. Vieni a prendermi nel mio ufficio stasera alle sette e mezza, ci andremo via camino. Grazie per la tua presenza, Severus …” asserì, tronfia, avviandosi verso la porta. “Mi consola il fatto che, essendo vecchia, tu dovrai ritirarti presto …” la seguì la voce dell’uomo, strappandole un sorriso che evitò accuratamente di mostrargli.
Una volta che fu uscita ed i suoi passi si furono persi nel corridoio, Severus sospirò. Gli girava la testa: sentire quel profumo di gigli, il suo profumo, gli aveva fatto male, molto male. Si sentiva come in preda ad una strana maledizione da cui gli era impossibile liberarsi, una fiele sempre più mortale che, ne era sicuro, lo avrebbe portato alla follia. Aveva passato anni a nascondere i sentimenti ed era bastato un secondo per farlo tornare il ragazzino che pinageva nei bagni della scuola, pensava disperatamente a come tentare di farsi perdonare e finiva poi per urlare perché non era lui la sua felicità, perché non lo sarebbe mai stato. Si portò una mano al petto: un dolore sordo lo attanagliava oramai da una settimana, ma quel giorno era più intenso che mai. Lo conosceva abbastanza bene da mascherarlo accuratamente per tutta la sera come occlumanzia comandava, però: era lo stesso, tremendo, schiocco sordo di quando aveva visto Lily baciare James nei corridoi di scuola, di quando l’aveva spiata tra i cespugli mentre, vestita da sposa, si recava all’altare, sorridente e bellissima e di quando l’aveva stretta tra le braccia, morta … lo schiocco del suo cuore che si spezzava.

Angolo Autrice:
Bentornati/e: la storia sta entrando un po' più nel vivo, ora, ma la vicenda prenderà davvero forma dal prossimo capitolo. Ci tenevo solo a precisare che Cormoran è un omaggio alla serie di J.K. Rowling (scritta sotto pseudonimo) di Cormoran Strike, che adoro e che Florence Florish è completamente inventata, tranne che per il cognome.
Spero vi sia piaciuta, ogni osservazione o commento è ben accetto!
Alla prossima
E.

 

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Capitolo 5
*** Rotto ***


Capitolo Quinto
Rotto

I'm fallin' apart, I'm barely breathing
With a broken heart that's still beating
(Broken, Lifehouse)
Hermione boccheggiava. Si sentiva vagamente simile ad un pesce rosso, quella sera: da quando aveva ricevuto il messaggio di Harry, non aveva fatto che pensare nervosamente a cosa si sarebbe messa ed a cosa avrebbe potuto portare a quella festa cui, suo malgrado, non poteva proprio mancare. Agitata come poche volte le era successo, aveva chiuso la libreria dopo aver fatto cadere una serie di volumi e sbagliato due ordini, prodigandosi in mille scuse, per poi correre al Paiolo Magico, ignorando la marea di avventori della locanda e precipitarsi in camera. Dopo mezz’ora in cui si era lavata ed aveva sistemato i capelli, aveva frugato nell’armadio, riversandone l’intero contenuto sul letto, finché non aveva trovato un abito che le sembrava adatto. Uscita di casa, aveva, infine, comprato una poco originale, ma perlomeno enorme, scatola di cioccolatini multigusto e si era smaterializzata a Grimmauld Place.
In quel momento, mentre attraversava il buio e stretto corridoio che conduceva all’entrata, si sentiva a dir poco ridicola con il soprabito nero ed il vestito indaco di vari strati di velo che le fasciava la vita, abbellito da spalle larghe e da una delicata scollatura a V. Il ciondolo dalla forma stilizzata al suo collo ed i pendenti d’argento, abbinati alle scarpe, tintinnavano ad ogni suo passo verso quello che, oramai, considerava il suo patibolo personale. Non temeva la festa in sé, naturalmente, bensì le persone che vi avrebbe inevitabilmente incontrato: non avrebbe sopportato di ricevere le solite occhiate compassionevoli dei signori Weasley, estremamente dispiaciuti per quello che credevano fosse stato il più grande errore della sua vita, ovvero rifiutare il loro beneamato figliolo, né quelle fin troppo curiose di Ginny, che cercava solo di convincerla sottilmente di quanto la sua vita fosse orribile per farla tornare con Ron e non voleva nemmeno vedere i suoi amici circondati dall’affetto e dal calore delle loro famiglie. Un tempo, almeno, aveva Harry con cui condividere la totale solitudine, ma, ora che anche lui aveva riavuto i suoi genitori, era rimasta l’unica anima solitaria reduce dalla guerra. Beh, se si escludevano Piton e Remus …
La sua unica speranza era proprio la presenza di Lupin e del piccolo Teddy, con cui avrebbe potuto intavolare almeno quattro chiacchiere offrendosi di badare al bambino mentre gli altri si divertivano e ballavano, ubriacandosi e facendo confusione. A lei, personalmente, quelle attività non erano mai interessate, motivo per cui, ad Hogwarts, era sempre stata bollata come la noiosa secchiona della scuola: gli altri pensavano solamente alle gite ad Hogsmeade ed alle feste in sala comune. I ragazzi parlavano solo di Quidditch e le ragazze si concentravano esclusivamente su vestiti, trucchi e fidanzati, mentre lei, che, al contrario, non si curava dei capelli cespugliosi o di come si vestiva, preferendo passare tutto il tempo libero con il naso sui libri, assetata di sapere e di conoscenza, veniva inevitabilmente esclusa e derisa. Aveva deciso di cambiare quando aveva iniziato a lavorare e si era ritrovata a guardarsi allo specchio una sera ed ad odiare la sua figura, quei capelli scomposti e quei vestiti sformati. Ora si sentiva più carina, anche se non certamente bella, sapeva di essere più sicura e spigliata, eppure ancora non era abbastanza. E, come se non bastasse, anche se era conosciuta ed ammirata da quasi tutti per la sua intelligenza e per il suo ruolo nella guerra magica, era sola: non era riuscita a far durare neanche il legame con Harry e Ron, oramai, ciascuno aveva preso la propria strada. Sembrava avere un talento naturale per la distruzione … che quella scritta sull’avambraccio lasciatale da Bellatrix contenesse una sorta di maledizione?      
La cosa la divertì a tal punto da farla sorridere mentre suonava al vecchio campanello scardinato che Sirius aveva subito fatto installare. Non dovette aspettare che pochi minuti prima che la porta si spalancasse ed un Harry stranamente elegante in jeans, giacca e camicia, l’accogliesse con un’espressione raggiante in volto. “Herm!” esclamò, abbracciandola di slancio. “Mi stavo giusto chiedendo se saresti riuscita a venire …” mormorò, scostandosi per lasciarla passare. “Non avrei mai potuto mancare, lo sai … questi sono per te ed i tuoi … per tutti in realtà, ma soprattutto per voi.” mormorò Hermione, porgendogli la scatola. “Grazie, non dovevi disturbarti, davvero! Dammi il soprabito, su … sei bellissima stasera! Vieni, la festa è in soggiorno …”
La giovane non ebbe il tempo di vedere dove fosse finito il suo soprabito né di rispondere al complimento che Harry già la stava trascinando lungo il familiare corridoio lungo e buio. Sentì le urla di Walburga Black, il cui ritratto era stato sapientemente coperto da una tenda color melanzana, su sanguemarcio ed elfi domestici prima di ritrovarsi in un salotto che tutto sembrava fuorché Grimmauld Place.
Della scura e tetra casa, a quanto pareva, non erano rimasti che il colore delle pareti e la mobilia in ebano: la stanza era, infatti, illuminata da candele fluttuanti, molto simili a quelle di Hogwarts e da piccole ninfee sospese in bicchieri d’acqua che cambiavano colore continuamente. Le lunghe tende bianche e svolazzanti lasciavano entrare l’aria fresca della sera nella sala, dove i piatti dolci e salati si alternavano da soli, entrando ed uscendo dalla cucina in un volteggio di ceramica, i divani scarlatti erano completamente occupati e la musica a tutto volume delle Sorelle Stravagarie risuonava nell’aria. Ai bordi della sala, decine e decine di persone ridevano e conversavano, mentre i più giovani di attorcigliavano gli uni sugli altri ballando e ridendo. I più danzavano esibendosi in incantesimi quantomeno ridicoli: c’era chi faceva giravolte su se stesso, generando fumi colorati, chi creava scintille e chi trasfigurava cappellini e bracciali in animali strampalati. Due o tre elfi sconosciuti ad Hermione correvano su e giù pulendo e rivolgendo occhiate indispettite agli ospiti noncuranti.
“Che te ne pare? Non è una meraviglia?” sorrise Harry. “Sì, è … tutto bellissimo!” annuì Hermione, cercando dei volti familiari tra la folla. Li individuò in un istante, naturalmente: conosceva praticamente tutti, lì dentro. In posta c’erano Dean Thomas, Oliver Baston, le gemelle Patil e svariati altri Grifondoro con cui aveva condiviso la sala comune per anni ed anni. Al vederla ai bordi della stanza, tutti le rivolsero un sorriso ed un cenno di saluto, subito ricambiato da Hermione. C’erano, ovviamente, anche le numerose teste rosse della famiglia Weasley: Bill con Fleur e la piccola Victoire che danzava felice, ridendo e facendo volteggiare le sue due donne, Percy che, incredibilmente, stava scherzando con un Tassorosso, George steso sul tappeto che si esibiva nei migliori giochi magici dei Tiri Vispi per intrattenere i bambini, estasiati, mentre Angelina lo rimproverava regolarmente, Ginny, in uno splendido abito rosso ed attillato, tutta presa dal ridere come una pazza a qualcosa che Luna stava dicendo e Ron, nello stesso completo inguardabile della commemorazione che ballava stretto ad una sospirante Lavanda vestita in giallo in mezzo alla pista.
Quella semplice visuale bastò per rovinarle il lieve accenno di appetito che si era portata dietro dalla libreria: quella fitta allo stomaco, lo sapeva benissimo, non era gelosia, non più. Al sesto anno lo era stata, prepotente e dolorosa, ma, oramai, era soltanto invidia. Non della frivolezza di Lavanda, che si stringeva come una cozza al suo fidanzato ridendo sguaiatamente a tal punto da sembrare un maialino, né, tantomeno, dell’espressione trionfante di Ron, che si beava di quel contatto e della gloria che sembrava portarsi cucita addosso: invidiava solo la loro felicità, bramava la leggerezza con cui affrontavano la vita dopo la guerra, il lasciarsi alle spalle tutto ed aver risolto ogni problema, senza curarsi di nient’altro, mentre lei, la brillante Hermione, dopo anni, non aveva ancora risolto un bel niente …
“Herm!” esclamò una voce, facendola sobbalzare. Non fece neanche in tempo a voltarsi che una tempesta rossa l’avvolse in uno stretto abbraccio, facendola quasi rovesciare a terra. “Ginny, mi soffochi, così!” rise, ricambiando. “Scusa … è che sono troppo contenta di rivederti!” rise la rossa, lasciando andare l’amica e guardandola con occhi luccicanti di gioia. “Allora, come stai? Non ci vediamo da secoli!” le chiese, trascinandola al buffet. “Bene. Sono solo molto impegnata con il lavoro …” spiegò Hermione. “Ancora al Ghirigoro? Non hai trovato nient’altro?” domandò distrattamente Ginny, allungandole un cocktail delle fate. “Amo la libreria: è un lavoro appagante, ben retribuito, un ambiente stimolante in cui mi trovo a mio agio. Non vedo perché dovrei cercare altro se lì sono felice …” reagì istintivamente lei, come ferita. Ginny alzò le mani in segno di resa. “Accidenti, devi tenere davvero tanto a quel posto se lo difendi così!” rise. Hermione sospirò, rendendosi conto solo allora del vago rossore che le imporporava il viso. “Scusami. Comunque … beh, doveva essere una cosa temporanea, un tappabuchi, ma è finito per diventare la mia casa. Sono felice di lavorare lì e credo di aver trovato la professione che fa per me … voglio dire, l’unica certezza che ho sempre avuto è di amare i libri!”
“E non credi che potresti avere un posto più … importante? Voglio dire, magari come medimaga? O magiavvocato?”
“Il primo mi farebbe impressione dopo la guerra, il secondo è troppo statico e noioso.”
“Gusti difficili, eh? Sono contenta per te, ad ogni modo! Ma non vivrai mica ancora in quel tugurio del Paiolo Magico?”
Hermione non disse niente, ma sapeva che il suo sguardo colpevole aveva già fatto capire tutto a Ginny che, a conferma di ciò, s’adombrò. “Herm! A mamma hai detto che avevi trovato un appartamento nella Londra babbana …” mormorò, abbassando la voce con tono di rimprovero. “E cos’avrei dovuto dirle, che vivo in una stanza in affitto in una locanda discutibile?” sospirò Hermione, esasperata. “Ma non potresti cercare qualcos’altro?”
“E quando? Lavoro sempre, per pagare vitto ed alloggio … e comunque non c’è nient’altro a quel prezzo!”
“Cerchi il finesettimana, almeno?”
“Il finesettimana sono impegnata a fare altro, Ginny!”
La rossa sorrise, maliziosa. “Oh, dunque hai conosciuto qualcuno … in negozio, scommetto! Com’è, un affascinante ricercatore o qualcosa di simile?”
“Non ho conosciuto proprio nessuno … ho semplicemente i miei hobby a cui dedicarmi! Un po’ come Harry per te …”
“Harry non è il mio hobby!”
“Rispetto al Quidditch temo di sì!”
Ginny sbuffò, ma sfoggiò un sorriso divertito prima di fare spallucce. “E va bene, hai vinto! Comunque … sai che casa nostra è sempre aperta per te, vero?”
Hermione lanciò un’occhiata distratta a Ron che stava ridendo con Lavanda. “Non è il caso, lo sai, Ginny …” rispose, secca. “Ron è ancora innamorato di te, lo è sempre stato … e tu non hai trovato nessun altro da quando vi siete lasciati! Potresti sempre …”
“Non dirmi che potrei ripensarci!” sbottò, esasperata, la giovane, posando il cocktail intatto con un gesto secco. “Sono stanca di sentirmelo dire … non ci ripenserò perché, credici o meno, è una delle poche decisioni corrette che ho preso in questi due anni … e, tra esse, è sicuramente la più lungimirante! Non ci sopportavamo, Ginny, lo sai anche tu! L’unica cosa che mi spiace è aver gettato la nostra amicizia alle ortiche …”
La rossa abbassò gli occhi, imbarazzata, ma evitò di replicare per un bel po’. “E … i tuoi? Hai notizie?” domandò, poi, a voce bassissima. A quelle parole, Hermione si rabbuiò, quasi come se un velo nero le fosse improvvisamente caduto addosso. “Purtroppo no.” rispose fin troppo in fretta, deglutendo. “Ma stanno ancora cercando.”
Ginny annuì, dandole una pacca sulla spalla. “Herm, sei ancora qui? Sapevo che Ginny ti avrebbe trattenuta! Dai, vieni, tutti vogliono salutarti!” le interruppe Harry, schioccando un bacio sulla guancia della fidanzata ed afferrando l’amica per un braccio prima di trascinarla verso la sua sfilza di fratelli, zii acquisiti, cognate e nipoti. Prima che potesse rendersene conto, Hermione si ritrovò a salutare tutti ed a scambiare frettolose frasi di circostanza in un vertiginoso vorticare, fino a che Ginny non la salvò trascinandola sui divanetti dove un’elegantissima professoressa McGranitt, in viola, chiacchierava amabilmente con il professor Lumacorno ed Andromeda Tonks di fronte ai coniugi Potter ed ai Weasley. Non appena la vide, Molly, interruppe ogni conversazione e la strinse a sé, stritolandola nel suo abbraccio affettuoso e scatenando l’ilarità di tutti. “Che bello vederti, cara! Ma come stai? Sei così magra, santo cielo! Dovresti davvero venire a trovarci e fermarti a pranzo!” esclamò. Hermione non provò nemmeno a divincolarsi, anzi: si lasciò cullare da quel gesto materno che le era innegabilmente mancato come l’aria. “È tutto apposto, davvero, Molly!” sorrise. “E sono felicissima di trovarti così bene!” aggiunse prima di accomodarsi educatamente accanto a Ginny, di fianco ad Andromeda Tonks. “E chi è il bambino più bello del mondo magico? Ma sei tu, Teddy, ovvio che sei tu!” stava dicendo, facendo saltellare sul bordo del suo elegante abito color smeraldo il bambino che, quella sera, sfoggiava capelli di un brillante color pervinca e rideva. Hermione, gli accarezzò istintivamente una manina, che subito le si avvitò attorno alle dita. “Gli piaci proprio, Hermione: con me urla sempre!” constatò Ginny. “Ha ragione: dovresti venire a trovarci più spesso!” spiegò la Black con un sorriso triste. “Certo, come dovrebbe venire più spesso ad Hogwarts! Non abbiamo più avuto studenti brillanti come te, cara!” commentò Minerva, prendendo un sorso di tè dalla tazza adagiata sulle sue ginocchia. “Ma, a quanto pare, hanno tutti la tendenza a scordarsi degli anziani docenti, vero, Horace?”
Lumacorno, mezzo addormentato, sussultò, fissando la donna con sguardo sconvolto ed imbarazzato. “Oh, sì, sì, certo!” mormorò. Hermione e Ginny si guardarono e trattennero a stento una risata. “Io mi giustifico perché ho gli allenamenti di Quidditch!” rise la rossa. “Beh, il lavoro non lascia molto tempo libero!” annuì hermione. “A proposito, ho sentito grandi cose di te al Ghirigoro!” annuì Minerva. “Florence è entusiasta e pare che tu sia davvero molto brava, ma non avevo dubbi!”
“Beh, potrebbe sempre usare il lavoro come trampolino di lancio per una carriera più brillante, ad esempio come medimaga o …” iniziò Lumacorno. “Magiavvocato?” lo interruppe Hermione stessa, quasi divertita da come tutti tirassero fuori le stesse espressioni fatte. “No: il lavoro al Ghirigoro mi piace e credo sia proprio ciò che cercavo, che ho sempre cercato. Tutti gli altri incarichi altisonanti a cui avevo pensato prima della guerra si sono rivelati inadatti …”
“Chissà quanti libri interessanti e clienti strani ti saranno capitati!” considerò educatamente Andromeda per stemperare la tensione. “Oh, senza dubbio … ci sono volumi pericolosi e proibiti che contengono maledizioni ed incantesimi ben peggiori di quelli della sezione proibita di Hogwarts …” confermò la giovane. “Peggiori del libro del destino che avete ripescato tu ed Harry Potter non credo, cara …” commentò Lumacorno, ridacchiando. “Quello era decisamente l’incantesimo più potente che abbia mai visto! E quel volume, probabilmente, nasconde ancora molti altri segreti …”
“Davvero?” domandò Hermione, incuriositasi a quelle parole. “Certo, non a caso l’hanno sequestrato gli auror: verrà studiato al Ministero …”
“Da chi?”
“Non saprei, credo da un noto magifilologo francese … Escargot, Escardot… una cosa così!”
“E qual è la richiesta più strampalata che hai ricevuto, Hermione?” domandò Ginny, ben decisa a cambiare argomento, notando le occhiate di sottecchi che le stavano lanciando James e suo padre. “Sicuramente una raccolta di fiabe della comunità magica hawaiana …” mormorò la Grifondoro con un certo disappunto per l’essere stata strappata così presto a quella conversazione che tanto la interessava. “Davvero?” rise Minerva. “Beh, non c’è che dire … la gente ha perso qualcosa rotella, ultimamente! Hai mai visto qualcuno che conosci, al negozio?”
“Ovviamente: stamane ho visto Narcissa Malfoy ...” mormorò Hermione, volgendosi verso Andromeda. Questa s’adombrò di colpo, concentrandosi su Teddy. “Sta bene.” continuò la ragazza, scambiandosi un’occhiata con la McGranitt, che annuì, incitandola a continuare. “Era mortificata per quello che è successo, si è scusata e mi ha chiesto come sto, come vanno le cose. Voleva fare un regalo ad una conoscente, le ho consigliato Cime Tempestose. E mi ha parlato molto di Draco e del professor Piton …”
“Perché, dopo tutto quello che causato ha ancora il coraggio di parlare?” commentò gelidamente la donna. “Dovresti vederla e parlare con lei, confrontarvi, Andromeda … si è pentita ed ha rimediato ai suoi errori. Se non fosse stato per lei, non saremmo qui a festeggiare. Anche Hermione può confermarti che è cambiata …” sospirò Minerva. “Ma non cambia il fatto che è a causa sua che mi sono stati portati mio marito e mia figlia …” sussurrò appena la Black, lo sguardo prima vacuo ora carico d’odio. Hermione non seppe cosa dire, ma, fortunatamente, Minerva le venne in soccorso sporgendosi verso la Serpeverde. “Non mi risulta che sia stata Narcissa a torturare Ted o a colpire Ninfadora …” disse. “Bellatrix sì, ne è stata diretta responsabile, ma tua sorella ha solo cercato di rimediare alle sue colpe … ti ha sempre difesa dinanzi a tutti, persino di fronte ai Mangiamorte, a volte!”
“Non cambia il fatto che non posso dimenticare …”
“Non solo puoi e vuoi, ma devi: l’assenza di perdono porta all’autodistruzione, sai? Conosco più di qualcuno che è quasi ammattito per questo …”
Istintivamente, tutti lanciarono un’occhiata a Severus Piton, rannicchiato in un angolino a fissare il whisky muoversi nel suo bicchiere con sguardo annoiato e sofferente.
Hermione fissò lo sguardo determinato di Andromeda e non poté che sentire una notevole rabbia crescerle dentro ed impossessarsi lentamente di ogni fibra del suo corpo: quella donna aveva ancora sua sorella e si rifiutava di vederla, mentre lei, che avrebbe dato qualunque cosa per riavere i suoi genitori, era costretta a vivere senza neanche sapere dove si trovassero.
“Dovremmo proprio fare un salto al Ghirigoro!” commentò Ginny, interrompendo quel silenzio imbarazzante. “Anche se me non importa un fico secco dei libri … con tutto il rispetto, Herm! Ma magari alla professoressa McGranitt importa … giusto?”
“Certo e ci verrei sempre, se solo avessi più tempo! Senza contare che trovare un accompagnatore è una rarità e da sola oramai faccio piuttosto fatica a camminare per lunghe distanze … la vecchiaia imperversa inesorabile!”
“Beh, potresti chiedere a Severus, se sei riuscita a convincerlo a venire fin qui non dovrebbe essere difficile trascinarlo a Diagon Alley!” rise Andromeda. “Mi chiedo con cosa tu l’abbia ricattato!”
“Oh, sono trucchetti che mi riservo di serbare segreti.” sorrise Minerva, sorniona. “Avrebbe dovuto dirceli quando eravamo suoi studenti … lì sì che ci sarebbero stati utili, invece di sviscerare tutti quei rospi sentendoci urlare contro!” bofonchiò Ginny. “Narcissa mi ha raccontato di lui, stamattina ...” disse Hermione senza neanche accorgersene per poi arrossire sentendo su di sé le occhiate delle sue interlocutrici. “Mi ha detto della sua famiglia, povera, di Eileen Prince, che suo padre era violento ed ha ucciso sua madre … è … triste.” commentò. “Oh, Merlino!” sobbalzò la più giovane dei Weasley. “Tutto in Severus è sempre stato tremendamente triste. Tra i Mangiamorte i suoi unici amici erano i Malfoy e mio cugino Regulus … il quale, ovviamente, è morto. Praticamente, tutto ciò che tocca muore …” commentò Andromeda. “Capisco che inizi a pensare di portare sfiga …” mormorò Ginny, che, resasi conto di quanto aveva appena detto, assunse un’espressione imbarazzata. “Ti sarei molto grata, signorina Weasley, se non glielo dicessi, però: sono fin troppo occupata a cercare di lenire le sue tendenze all’alcolismo …” sospirò Minerva, facendo ridere le altre.
Hermione spostò lo sguardo di fronte a sé: Molly ed Arthur, insolitamente eleganti ed in vena di risate, stavano chiacchierando allegramente con Lily e James in un angolino. Si concentrò un momento di più su di loro: James, in giacca rossa, con i capelli insolitamente ordinati, era innegabilmente uno degli uomini che più attiravano gli sguardi femminili, nella stanza. La vera perla, però, era seduta accanto a lui e sorrideva, angelica: Lily era semplicemente stupenda, avvolta in un abito a trapezio color pesca che faceva risaltare i capelli scarlatti ed i brillanti occhi verdi. Pur essendo priva di gioielli, splendeva letteralmente di luce propria.
“Professoressa! Come va, Le piace la festa?” trillò Harry, raggiungendoli: quella sera, assomigliava vagamente ad un bambino in un negozio di dolciumi. “Tutto bellissimo, Potter, anche se forse vagamente troppo festoso per una vecchia come me, se vuoi la mia opinione …” sospirò Minerva. “Ma non badare a noi anziani … pensa a far danzare un po’ queste belle ragazze! Hermione …?”
“Oh, no, no, non ho molta voglia, davvero.” si affrettò a dire la giovane, torturandosi il bordo del vestito. “Perché non inviti a ballare la signora Tonks, allora, Harry? Sarebbe carino, da parte tua … mi autoinviterei io stessa, ma temo di essere troppo vecchia per queste cose.” sottolineò la McGranitt con un’occhiata che non ammetteva repliche. Il giovane, seppur leggermente riluttante, annuì e tese la mano verso la Black, la quale, ridendo, scosse il capo. “Ma su, invita chi dovresti invitare …”
Ginny, in tutta risposta, fece un’espressione offesa che fece arrossire il prescelto. “Harry, hai ereditato i geni Potter: sfruttali!” esclamò James dall’altro lato, accortosi della situazione, con il solo risultato di far arrossire il figlio ancora di più. “Papà!” quasi gridò. “Oh, avanti … il fascino dei Potter è leggendario, soprattutto per le rosse … senza offesa, Ginny! Andate a divertirvi, su!”
La giovane sorrise ed annuì, afferrando la mano di Harry e trascinandolo in pista. “Geni Potter, davvero?” rise Lily. “Certo … ne sei caduta vittima anche tu, del resto, cara! E lo sei ancora …”
“Questo è tutto da vedere!” sorrise la rossa, scambiando con il marito un bacio a fior di labbra ed una risata.
Hermione sospirò, rivolgendo un sorriso di circostanze alle persone sedute di fronte che avevano osservato la scena divertiti. “Hermione, il genietto … io ti avrei chiamata così, per inciso, se ti avessi conosciuta prima … non ‘la strega più brillante della sua età’ … troppo profetico, drammatico! Insomma, non mi stupisce che l’abbia scelto Lunastorta …” commentò allegramente James. “James, ti prego!” lo ammonì Lily, dandogli un buffetto sul petto e scuotendo il capo. “Oh, finitela, su, che la mettete in imbarazzo!” li rimproverò Molly. “Senti chi parla …” sospirò Arthur, beccandosi una spinta e scatenando l’ilarità generale. “Allora, dove vi stabilirete ora che siete … beh, redivivi, si può dire, no? Hai già qualche idea, Lily?” domandò Lumacorno che, come tutti, non aveva staccato gli occhi dalla sua amata ex allieva un solo istante. “Di sicuro non resteremo qui … con Sirius e Remus di mezzo non ne verrebbe niente di buono!” rise James. “Pensavamo ad un quartiere babbano, in realtà …” annuì la rossa. “Potreste chiedere ad Hermione, anche lei abita nella Londra babbana … vero, cara?” propose Molly, entusiasta. La giovane deglutì, sentendo la gola improvvisamente secca, ma riuscì ad abbozzare un sorriso. “Nella zona dove abito io non ci sono case in vendita o in affitto, ma vi consiglierò volentieri, se vorrete … conosco bene la città.” spiegò. “Non credo ci sia qualcosa che non conosci bene …” proseguì la signora Weasley, subito rimproverata da una sonora gomitata del marito. “Ad ogni modo … ci piacerebbe conoscerti meglio, Hermione: hai fatto tanto per Harry quando noi non potevamo e … beh, vorremmo dimostrarti gratitudine e che tu ti sentissi parte della famiglia. Ci piacerebbe molto che venissi a cena da noi, appena avremo trovato una sistemazione …” mormorò Lily, sorridendo accomodante. Hermione annuì, abbozzando un sorriso forzato. “Naturalmente … non mancherò. Grazie.” annuì.
La giovane Grifondoro non prestò attenzione al resto della conversazione: stavano tutti blaterando qualcosa sulla prossima sistemazione dei Potter, ma in quel momento preferiva concentrarsi su un impacciato Harry che cercava di far danzare meglio che poteva la fin troppo irruenta Ginny. Quella scena, per quanto assurda ed imbarazzante per il suo amico, la faceva sorridere e ne aveva un estremo bisogno. Restò a guardare le varie coppie alzarsi e danzare, le braccia intrecciate, le mani unite, i visi vicini e le gote arrossate … erano tutti affiatati, una più bella dell’altra. Persino la McGranitt aveva accettato un ballo con Lumacorno prima e Sirius poi … solo Hermione ed Andromeda erano rimaste sedute, con Teddy in mezzo a loro, a fissare la pista.
“Un giorno capiterà anche a te, quando meno te l’aspetti.” mormorò ad un certo punto la Black, interrompendo il silenzio calato tra loro. “Cosa?” domandò Hermione, dubbiosa. “L’amore, ovviamente … capita a tutti. Ed è quello che cerchi, no?”
“A dire il vero, è l’ultima cosa che voglio.”
“Cosa? Come può una ragazza della tua età pensare questo … voglio dire, io, a vent’anni, non pensavo che ai ragazzi …”
“Ma a me non interessano: ci ho avuto a che fare per tutta la vita, sono buoni amici, ma nulla più. Nessuno è abbastanza serio da voler costruire qualcosa, nessuno è abbastanza forte da voler stare con me. Il problema è sempre quello: faccio paura, sono … troppo. E così loro sposano le oche giulive che li fanno sentire al loro livello ed io rimango sola. Ho intenzione di vivere così: sola. Ma almeno con la mia dignità …” completò, seccata. Si rese conto di quanto aveva appena detto quando avvertì lo sguardo sorpreso di Andromeda su di sé, ma non si voltò, anzi: con nonchalance, si alzò e prese un cocktail delle fate. Tanto valeva bere per superare quell’orrenda serata … alle nove, grazie al cielo, avrebbe potuto andarsene senza troppi sensi di colpa.

Non sarebbe dovuto venire.
Lo sapeva, naturalmente: aveva segretamente previsto che sarebbe stata un’autentica tortura. Eppure, quel suo cuore stupido ed ostinato sembrava non averne mai abbastanza di illudersi e soffrire e, infatti, aveva desistito. Le minacce di Minerva non erano che una scusa: avrebbe potuto benissimo aggirarle o, semplicemente, ignorarle. Se davvero lo avesse voluto, non sarebbe andato a quella stupida festa. La verità, quel piccolo ago affilato e pungente che gli stava piluccando il cuore oramai da ore, era un’altra: lui, Severus Piton, temutissimo professore di Pozioni ad Hogwarts, ex Mangiamorte ed ex spia, era venuto perché sperava di vedere Lily. E, in effetti, l’aveva vista: non faceva altro da tutta la sera.
Appena arrivato, aveva letteralmente ringhiato addosso ad un Potter eccessivamente affettuoso che aveva rischiato di far cadere Minerva abbracciandola per poi consegnare la vecchia preside alla pettegola compagnia di Lumacorno e di Andromeda Tonks e ritirarsi in un angolo oscuro e dimenticato della sala. L’ombra era il suo elemento naturale, si sentiva a suo agio, protetto, avvolto dalle sue oscure spie. Era nato nel buio, vi era maturato e vi sarebbe morto, ne era certo, nonostante Albus non la smettesse mai di ripetergli che era un uomo di luce, molto più di quanto credesse. Smise di fissare il fondo del suo bicchiere oramai vuoto e sollevò lo sguardo sulla stanza: tutti si stavano divertendo, persino Lumacorno … tranne lui, certo, ma di questo nessuno sembrava curarsi. Ghignò: per ironia della sorta, tutti lo avevano notato, al suo arrivo. Colleghi, studenti e conoscenti si erano prodigati in un educato cenno quando il loro sguardo aveva incontrato gli annoiati onici di Severus, ma nulla di più. E, così, dopo soli pochi minuti passati ad osservare la gente ballare, ridere e chiacchierare allegramente, aveva preferito rintanarsi in un ambiente a lui affine.
Era il problema degli eroi d’ombra, oramai lo sapeva: si veniva apprezzati il tempo di un secondo, poi però tutto svaniva e restavano solo le orribili azioni commesse. A nessuno importava che avesse fatto la spia per anni, che si fosse preso odio ed insulti gratuiti: l’unica cosa che contava realmente erano gli anni da Mangiamorte. Per questo, ogniqualvolta la sua nera figura compariva in società, tutti la fuggivano come fosse polvere da nascondere sotto il tappeto. E, in effetti, era proprio come polvere che si sentiva: grigio, vecchio ed attaccato inesorabilmente al passato. Ingoiò in un sol sorso quel che restava del secondo whisky, che, sommato a quelli di qualche ora prima, raggiungeva un numero di una certa importanza. Notò immediatamente lo sguardo di rimprovero di Minerva, seduta dall’altro lato della sala, ma scelse volutamente di ignorarlo: i dottori gli avevano raccomandato di limitare il consumo di alcool ed il fumo, se voleva una vita lunga. Per il fumo il problema non si poneva, dal momento che lo aberrava: gli ricordava le fabbriche di Cokeworth. L’alcool, però, era un vizio che lo aiutava ad alleggerire il suo cuore pesante e poco importava che lo rendesse simile a suo padre o gli accorciasse la vita: in fondo, al massimo sarebbe morto presto.
Il suo sguardo vagò tra i presenti: Potter junior, con quell’irritante della Weasley, ballava e rideva, così come quell’idiota del suo compare e tutta la combriccola di pel di carota. Il cane ed il mannaro, a bordo pista, ridacchiavano e commentavano, entrambi presentabili, certo, ma più che mai ridicoli nel loro spalleggiarsi così cameratesco che Severus aveva sempre associato ad avvenimenti negativi. Sui divanetti, Horace e Minerva discutevano animatamente, mentre la Granger, sorrideva a Teddy Lupin, in braccio a nonna Andromeda, abbastanza annoiata e la Lovegood blaterava qualcosa su quegli stupidissimi Nargilli. Un quadretto da famiglia allargata quantomeno deplorevole …  
Una risata lo scosse improvvisamente e fu quasi certo che il battito gli si fosse arrestato. Voltò appena gli occhi, incontrando la scena che non aveva smesso di seguire per un istante, sebbene cercasse di convincersi del contrario: Lily, bellissima nella sua semplicità, ballava stretta al marito, che non mancava di sussurrarle chissà cosa all’orecchio, facendola ridere come una matta. Solo di tanto in tanto lo sguardo di James incontrava quello di Severus e, come a rimarcare la sua vittoria, in quel mentre finiva sempre per stringere a sé la moglie e baciarla, scatenando uno scroscio di applausi e fischi da parte di figlio e compari. E, intanto, Severus se ne stava lì, solo, a guardare, proprio come tanti anni prima.
Era venuto, conscio della tortura che lo aspettava, nella vana speranza che Lily gli parlasse, addirittura che lo ringraziasse, magari e solo nei suoi sogni più folli che gli chiedesse di scappare con lei, lontano da tutti. Illuso e patetico, ecco cos’era diventato … disgustosamente sentimentale. Avrebbe dovuto rifarsi sugli studenti, il lunedì successivo …
Sospirò al pensiero: Lily gli aveva rivolto solo un timido sorriso, un cenno appena velato, prima di tornare dalla sua famiglia, quella che lui non sarebbe mai stato. Al solo pensiero, si versò dell’altro whisky e, resosi conto che stava attingendo direttamente dalla riserva privata di Black, abbondò con una certa soddisfazione: il cane era sicuramente troppo ubriaco per accorgersene. Con la coda dell’occhio, vide i capelli scarlatti di Lily dirigersi verso il figlio, stringerlo forte e baciarlo in fronte e sulle guance, mentre il padre bisbigliava qualcosa all’orecchio di Potter junior riguardo a Ginny ed al fascino di famiglia, beccandosi un rimprovero divertito dalla moglie. Le dita di Severus si strinsero tanto attorno al bicchiere che credette di essere sul punto di romperlo, ma non se ne curò: dopotutto, anche quello era di Black.
Mentre beveva avidamente, si chiese quanto avrebbe potuto ancora resistere prima di costringere Minerva ad andarsene, trascinandola via da quei ridicoli divanetti che, neanche a farlo apposta per tormentarlo, profumavano di gigli …
Improvvisamente, la folla smise di muoversi, attirata da un punto nella sala e la musica si arrestò. Severus non provò neanche ad alzarsi: la cosa, qualunque fosse, non gli importava. Quando, però, sentì la familiare voce strascicata di Ron Weasley prodigarsi in una serie di frasi fatte piuttosto insulse, non poté evitare di alzare gli occhi al cielo: quel ragazzo aveva la sorprendete capacità di essere banale e noioso solo guardandolo. Che fosse stupido, si sapeva: chi altri avrebbe lasciato la Granger per la Brown? Certo, era una so-tutto-io fastidiosa, petulante, irritante, saccente e presuntuosa, ma era carina ed aveva cervello, anche se non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura. Decisamente meglio di un’ameba come Lavanda Brown, insomma … eppure …
Ghignò, soddisfatto: in un certo senso, Hermione era come lui. Anche lei era sempre la seconda scelta di qualcuno …
“E, insomma, la vita è troppo breve, la guerra ce l’ha insegnato … per questo sono grato di essere qui con voi, sono grato di avere i miei genitori, i miei fratelli, i miei cognati, nipoti ed amici … di avere Lavanda … e la piccola vita che nascerà a breve, da noi, dal nostro amore. E non voglio sprecare il tempo che abbiamo su questa Terra, quindi … Lavanda Brown, vorresti sposarmi?” concluse Weasley con voce rotta, inginocchiandosi e tirando fuori dalla tasca un vecchio anello di famiglia sotto l’espressione sorpresa di tutti. Mentre gli invitati tenevano gli occhi incollati alla giovane fidanzata che, piagnucolando, gridava e gettava le braccia al collo del futuro marito tra gli applausi generali, Piton si concesse di guardare i divanetti: come sospettava, Hermione era l’unica a non condividere la gioia e la commozione che leggeva negli occhi di tutti gli altri. Al contrario, il suo sguardo era vuoto, vacuo ed il viso pallido e privo di ogni luce … sembrava che una tempesta di neve si fosse appena abbattuta sul suo animo già provato. Al bacio dei futuri sposi, non solo non applaudì, ma, stupendo Severus, che aveva un’idea ben diversa di lei, tracannò in un sol sorso quel che restava del suo cocktail e si alzò, sparendo nell’androne.
“Sarà andata a piangere …” pensò, sorseggiando l’ennesimo whisky: anche lui aveva pianto, vedendo James e Lily insieme per la prima volta, tanti (troppi, lo corresse la sua coscienza) anni prima. Aveva singhiozzato solo nel suo letto, nei bagni nei sotterranei, in biblioteca e nella Foresta Proibita, sulle rive del Lago Nero e sull’Hogwarts Express, come un bambino, incapace di contenersi. E, arrivato a casa, aveva dovuto sopportare nuovamente le botte di suo padre, la tristezza e l’apatia di sua madre e quell’orribile notte in cui Tobias si era portato via l’unica manifestazione d’affetto che il figlio avesse mai ricevuto … aveva pianto anche allora, al funerale di Eileen, sulla sua tomba con il prete, solo, perché nessuno si era presentato, mentre le lacrime si confondevano con la pioggia di un temporale di fine luglio. Non aveva smesso neanche quando aveva preso il marchio, quando si era unito alla prima rettata dei Mangiamorte, quando, quell’estate maledetta, aveva avuto bisogno di qualcuno che lo capisse, di sfogarsi e sua madre e Lily non c’erano … aveva pianto così tanto e per così tanti anni che, quando poi si era ritrovato a spiare tra i cespugli di Cokeworth il matrimonio dei Potter, la fine di ogni briciolo di speranza che avesse mai avuto di stringere nuovamente quel piccolo e candido giglio tra le braccia, non aveva emesso nemmeno un lamento strozzato e non perché non fosse disperato: semplicemente, non sentiva più nulla e non aveva più lacrime da versare.
Posò il bicchiere con un tonfo secco si spazzolò le ginocchia: aveva sopportato fin troppo a lungo quella ridicola commediola. Era già pronto ad alzarsi e trascinare Minerva via da quella casa, quando l’irritante figura del bambino-sopravvissuto-per-tormentarlo gli si parò davanti con un sorriso idiota stampato in viso. Era già pronto a riversargli addosso una marea di insulti, com’era solito fare, ma si frenò, sorpreso, quando, alle sue spalle, vide comparire i suoi genitori. Non badò nemmeno a James Potter ed alla sua tracotanza: tutto ciò che vedeva, nonostante anni, nonostante tutto, era sempre e solo lei. L’ultima volta che l’aveva vista così da vicino era riversa a terra, morta, a Godric’s Hollow e lui era così disperato da non capire niente. Silente aveva dovuto portarlo via a forza, perché lui non riusciva nemmeno a respirare tanto erano forti i sensi di colpa, il dolore … e poi quel vecchio gli aveva dato una ragione di vita, un motivo per esistere. In caso contrario, morire per mano di Voldemort stesso, come lei, non sarebbe stato male. Col senno di poi, probabilmente, non ci sarebbe riuscito: neanche quando ne aveva avuto l’occasione la Morte l’aveva voluto con sé. Possibile che fosse così miserabile?
“Professor Piton!” esclamò Harry dopo qualche istante di silenzio. “Mi risulta di essere ancora io, sì …” mormorò il docente, sarcastico, sfoggiando un ghigno. “Vedi di fare in fretta, Potter, qualunque cosa sia: ho da fare.”
“Siamo qui come famiglia: noi abbiamo già parlato, ma papà voleva scusarsi e … beh, lui e la mamma volevano ringraziarLa.” asserì il giovane. Il sopracciglio di Severus si sollevò pericolosamente, arrivando quasi a raggiungere l’attaccatura dei capelli: sorprenderlo non era facile, ma, quella sera, Potter sembrava intenzionato a riuscirci …
“Scusarsi di cosa, esattamente?” disse di rimando, incrociando le mani dietro la schiena. “Di come mi sono comportato quando eravamo a scuola: non è una cosa di cui vado fiero … ed apprezzo che mio figlio abbia preso da sua madre, in queste … cose.” mormorò James a voce talmente bassa da risultare quasi inudibile. “E vorrei anche … ringraziarti. Per aver salvato Harry quando noi non c’eravamo. Naturalmente questo non cambia niente: io continuo ad odiare te e tu continui ad odiare me. Ma è bene chiarire le cose una volta per tutte, solo così ognuno potrà andare avanti con la propria vita ...” proseguì, ripetendo un discorso che sembrava aver imparato a memoria. “Mi stupisce sentirti parlare con ragionevolezza, Potter: credevo non ne fossi capace.” replicò Severus, asciutto. “Bene, papà … adesso però andiamo … credo che abbiate delle cose di cui parlare da soli, no, mamma?” intervenne Harry. Piton si godette il lampo di terrore e di rabbia negli occhi del vecchio nemico prima che questi venisse trascinato via dal figlio. A quel punto, però, realizzò improvvisamente cos’avessero voluto dire le parole di quell’irritante ragazzetto ed il suo cuore perse un battito. Spostò lo sguardo sulla donna rimasta di fronte a lui e non poté che provare una stretta allo stomaco al solo guardarla: come vent’anni prima, Lily Evans (dannazione, ora è una Potter, Severus!) era bellissima, così bella da far impallidire le luci della sala e le stelle fuori dalla finestra, con quei capelli che sembravano fuoco, gli occhi di smeraldo ed il sorriso perlaceo. Severus si dette dell’idiota per essersi rimbambito a fissarla, così si riscosse, schiarendosi la voce. “Sai, tuo figlio dovrebbe fare il negoziatore, non l’auror: sembra avere una strana smania per far fare pace e creare amicizie per tutti … una cosa disgustosamente sentimentale. Non ti tratterrò solo per farlo contento, ad ogni modo: torna pure da loro e di’ che è tutto apposto. Non vorrei mai che il tuo maritino si arrabbiasse … è sempre stato facile agli sbalzi di pressione.”
“Non sei cambiato affatto, Severus.” esordì Lily, regalandogli un sorriso. Piton rimase immobile, completamente ammutolito di fronte a quel gesto. “Come puoi guardarmi ancora?” sussurrò, pieno di rancore. “Dopo tutto quello che ti ho fatto …”
“Ho anch’io le mie colpe.” si affrettò a mormorare la donna, continuando a guardarlo dritto negli occhi, come quand’erano bambini. “Tu sei una brava persona, Severus … l’ho sempre saputo. Però, è stato più facile seguire … beh, la popolarità delle amicizie scolastiche che tutti volevano per me …”
“Non mi pare che tu abbia cambiato idea …”
“Ho anch’io la mia parte di colpa: ero giovane e sono stata davvero stupida. Mi dispiace, Severus: non avrei mai voluto che soffrissi così tanto a causa mia … né che rischiassi di morire per proteggere mio figlio!”
A quelle parole ed al fremito nella sua voce, Piton sobbalzò, assottigliando le palpebre. “Ti ha detto tutto, non è così?”
Lily annuì. “Bene.” annuì il professore. “Sarà stato divertente commentare con tuo marito i miei ridicoli sentimenti per …”
“Non sono ridicoli. Tu non sei ridicolo.” lo interruppe la rossa. “Ed io ti ho perdonato tutto, Sev, dalla prima all’ultima cosa … hai fatto cose che nessun altro avrebbe mai fatto e solo per me. Ti ripeto che non sono completamente innocente, quindi azzeriamo il passato, dimentichiamo tutto e ricominciamo …”
“Vuoi davvero avere a che fare con un uomo che ha causato la tua morte e che tuo marito odia, Lily? Sul serio?”
“Sì, sul serio, perché si dà il caso che quell’uomo sia stato … sia il mio migliore amico e che tenga molto a lui … io ed anche mio figlio. Perciò sì, vorrei avere ancora a che fare con te, per molto, moltissimo tempo.” sentenziò con voce ferma, per poi sorridergli nuovamente. “Appena ci saremo sistemati in una casa tutta nostra … verrai, qualche volta? Se t’inviterò …”
“A Potter darebbe fastidio.” commentò Severus, deglutendo: aveva la gola secca ed un improvviso bisogno di bere qualcosa, possibilmente di alcolico. Come poteva perdonarlo, dopo tutto quello che le aveva fatto? Doveva essere ammattita nell’aldilà … eppure, aveva in corpo un’euforia che non sapeva spiegare ed il sangue che gli saliva alle orecchie per l’agitazione.
“Non sarà un problema: se mi ama, capirà.” sospirò Lily, facendo spallucce e tendendogli la mano. “Allora … amici?”
Severus la fissò per un po’ prima di stringerla con delicatezza: il contatto con quella pelle morbida gli provocò un brivido. “Amici.” annuì a voce bassissima. “Bene. Oh, Godric … non avrei sopportato il contrario!” rise Lily. “Ora che ho la mia vita rivoglio anche i miei amici … tutti i miei amici. Abbiamo perso troppo, tutti noi. Sono … sono così felice di essere qui, non avrei mai pensato di tornare a vivere! Harry aveva bisogno di me, di sua madre … ed io non c’ero!” sospirò ed il Serpeverde fu certo di aver visto l’ombra di una lacrima attraversarle gli occhi. “Però ora sei qui …” mormorò, stupito che ancora si confidasse con lui, che ancora lo volesse nella sua vita, dopo tutto quel tempo ...
“Sì … però è un finale un po’ agrodolce, no?” considerò Lily, facendo spallucce. “Dopotutto, tanti non torneranno più … e per te non cambia niente.”
“Sei tornata … a me basta questo.”
“Ma i tuoi sogni non si realizzeranno mai …”
“Pazienza … a me basta che si realizzino i tuoi.”
Rialzò lo sguardo, incontrando quello dell’amica e non sopportò la nota di compassione che vi lesse. “Io ti ho perdonato, Severus … puoi ricominciare …”
Piton sfoggiò un sorriso beffardo, incrociando le braccia. “Facile a dirsi … ma tu non sei me!”
Sussultò quando la donna gli sfiorò un braccio con le dita. “Sono sicura che troverai qualcuno ed andrai avanti!” gli sorrise, dandogli una lieve stretta. “Bene … allora … ti manderò l’invito! Spero che verrai … davvero!”
“Se potrò …” annuì Severus. “Certo che potrai … non fare sempre l’orso!” rise Lily, dandogli un buffetto e ridendo. Gli rivolse un ultimo cenno prima di voltarsi e correre verso i divani. Piton rimase, imbambolato, a guardarla tornare da suo marito, dalla sua famiglia e lasciarsi avvolgere dalle sue braccia. La familiare fitta di inadeguatezza e dolore lo colse, facendolo sospirare: aveva bisogno d’aria, assolutamente. Minerva non si sarebbe indispettita, a giudicare da come rideva con Lumacorno …
In silenzio, sgusciò nell’ombra ed imbucò l’androne di Grimmauld Place. Attraversò il corridoio in fretta, quasi correndo e sgusciò fuori, incontrando con gioia il fresco della notte. Espirò, percorrendo qualche passo in strada, alla fioca luce dei lampioni e si appoggiò al tronco di un albero, soffermandosi a guardare le stelle, luccicanti come brillantini in una trapunta blu scuro. Respirò piano, dentro e fuori, finché il battito furioso del suo cuore non si fu placato. Si passò una mano sul volto: Lily … rivederla e parlare, dopo tutto quel tempo, non aveva che aumentato il suo turbamento. Dinanzi a lei, era come inebetito … il suo stupido cuore palpitava e non aveva saputo dirle di no, nemmeno una volta, neanche ad una sua singola richiesta. Quanto gli sembravano stupide quelle frasi, a ripensarci ora che la sua mente era uscita da quell’incantesimo in cui quegli occhi lo lasciavano sempre … perché mai avrebbero dovuto essere amici? E come, dopo tutto quello che c’era stato? Era stato così avventato ad accettare … com’era possibile che lui, sempre così gelido, di fronte a quel fantasma del suo passato non riuscisse più a ragionare? Si era cacciato in una situazione che gli avrebbe portato soltanto altro dolore … altra inadeguatezza. Certo, non era una novità, ma, francamente, ne aveva abbastanza: non avrebbe accettato nessun invito di Lily. Era troppo anche per lui.
Un singhiozzo lo fece sobbalzare: aveva già la mano sulla bacchetta, i sensi all’erta, come il suo passato di spia gli aveva insegnato. Cautamente, strisciò nell’ombra creata da lampioni ed alberi, sgusciando sino al punto d’origine di quei singulti con l’arma sguainata. Si bloccò d’improvviso, come pietrificato, quando distinse la figura della Granger, seduta su una panchina, il soprabito malamente posato sulle spalle e le spalle scosse. Si era dimenticato di lei e della sua uscita di scena, così simile alla sua …
“Granger!” esclamò, senza rendersene conto. Subito, la giovane sobbalzò, voltandosi di scatto ed asciugandosi in fretta le lacrime. “Professor Piton! Se ne sta già andando?” biascicò, cercando di ricomporsi come meglio poteva, anche se con scarsi risultati. Severus sospirò, frugando nella tasca fino a trovare un fazzoletto e porgendoglielo, seppur malamente. “Non sei molto brava a smentire e simulare, sai, Granger?”
Hermione, in risposta, aggrottò le sopracciglia, strappandogli il fazzoletto di mano. “Non ho proprio nulla da simulare!” sbottò, tirando su con il naso e tamponandosi gli occhi. “Grazie, comunque.”
“Di nulla …” sospirò Piton, ghignando a quella scena. “Per quanto ti possa interessare, non credo dovresti frignare per quell’idiota: la scena è stata alquanto patetica. Avresti davvero voluto esserne protagonista?”
Hermione si voltò di scatto, gli occhi rossi come la punta del naso. “Chi ha detto che io stia così per Ron?”
“Perché, hai altri motivi?”
“Ne avrei a centinaia! Ron è solo l’ultimo …” sbottò lei, scuotendo il capo. “Ron-buono-solo-per-illudere-fanciulle-e-rincorrere-un-boccino Weasley?”
“Non sono cose che La riguardano …” rispose Hermione, seccata. Severus ghignò. “No, è vero … infatti, credo che tornerò al mio whisky … sai, l’alcool è il modo migliore per affogare un dispiacere … dovresti annotarlo da qualche parte: è un dato che una so-tutto-io non può non conoscere. Sarebbe la prima grave mancanza sul curriculum, signorina Granger …”
“E Lei ne sa qualcosa di mancanze, vero?” esclamò Hermione, balzando in piedi: sembrava decisa a non dargliela vinta … evidentemente, non sapeva con chi aveva a che fare. “Sì, Granger, ne so qualcosa … e proprio perché ne so qualcosa vorrei evitare di vedere decine di libri del Ghirigoro andare a fuoco … se non si sanno gestire le proprie emozioni, le cose vanno a finire male. L’autocontrollo è la qualità minima richiesta per ogni essere magico che non voglia risultare pericoloso per i suoi simili … talmente pericoloso da doversi isolare da tutto e da tutti. Potrebbe accadere a chiunque, anche a chi, come te, ha presunzione di poter riuscire in ogni cosa …” rispose il mago, asciutto, godendosi l’espressione spaesata della ragazza: mortificare gli piaceva ancora, eccome se gli piaceva e ne aveva un gran bisogno. Si voltò, soddisfatto e pronto a tornare a Grimmauld Place con un riacquistato sarcasmo. “Oh, quasi dimenticavo … il fazzoletto puoi tenerlo!”
Solo a metà, la voce di Hermione lo raggelò: “Credo lo lascerò a Sirius: fazzoletti appartenuti ad un Mangiamorte potrebbero contenere delle fatture oscure, chissà ... e la prima cosa che ci viene insegnata ad Hogwarts e di mantenere sempre alta la vigilanza … giusto, professore?”
Piton rimase immobile in mezzo al selciato, sentendo i tacchi della giovane allontanarsi, tronfi. Solo al suono di una smaterializzazione, si voltò, ritrovandosi a fissare il suo fazzoletto malamente riverso a terra: mai nessuno, in quarant’anni, aveva osato rivolgersi così a lui. Nessuno gli aveva risposto per le rime come aveva fatto la Granger sino ad allora …
Non seppe dire se per colpa dell’alcool, della sorpresa o delle emozioni forti, ma, nonostante quella notte di whisky, cuori spezzati, sogni infranti e stelle spente, gli venne quasi da sorridere.

Angolo Autrice:
Bentornati/e! Capitolo abbastanza lungo e complicato (e di cui non sono convintissima, in realtà ...) che mi ha fatta tribolare ... ho scritto di meglio e spero che i prossimi capitoli siano più avvincenti! Fatemi sapere se vi è piaciuto o meno!
Alla prossima
E.

 

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Capitolo 6
*** Whisky e Fotografie ***


Capitolo Sesto

Whisky e Fotografie

Got a picture of you I carry in my heart
Close my eyes to see it when the world gets dark
Got a memory of you I carry in my soul
I wrap it close around me when the nights get cold
(Not a Day goes by, Lonestar)
“A quel punto, sai cosa mi ha detto quella donna? Che potevo anche andarmene sai dove? In Cina! Ignorando che mi trovavo, in effetti, in Cina … anche se solo tecnicamente!”
“Davvero?” annuì Hermione, falsando un sorriso di circostanza e fingendosi profondamente interessata all’ennesimo resoconto dell’ultimo viaggio dello studioso Zacarias De Blanc mentre, con certosina esperienza, sistemava l’ultimo giallo della nota scrittrice Serpeverde Penelope Riley, con protagonista l’auror Morgan e la sua squadra alla ricerca della zanna perduta del primo Basilisco per sbloccare l’incantesimo che sigilla una camera oscura piena zeppa di incantesimi pericolosi. Tutta pura fantasia, ovviamente: quella sera era tutta azione ed esagerazione, ma, nella comunità magica, andava molto di moda e non c’era studente di Hogwarts che non l’avesse letta. La Skeeter aveva addirittura pubblicato una chilometrica intervista all’autrice, traendone la conclusione che Morgan fosse addirittura ispirato a Newt Scamander. Tutto inventato di sana pianta, naturalmente, come le aveva confermato Luna stessa, visto e considerato che era molto amica dell’ultimo degli Scamander. A detta di Hermione, quei due si sarebbero sposati, prima o poi: erano semplicemente perfetti. Ginny non era della stessa opinione, ma la rossa era piuttosto nota per la sua quasi totale assenza di romanticismo e di attenzione nell’osservare anche i minimi dettagli, dunque non faceva testo.
“La comunità magica di Shanghai mi ha mostrato come preparare un tè verde calmante, addirittura!” proseguì Zacarias, lisciandosi i baffi a manubrio e la testa pelata a forma di uovo. “Una sorta di pozione calmante?” ripeté Hermione, mettendo una copia della Riley in verticale, cosicché si vedesse già dalla porta: meglio sottolinearne la presenza. “No, no, no: un tè verde che suscita calma, ma l’effetto non si ottiene con chissà che cosa … solo con miscugli di erbe!”
“Il che equivarrebbe ad una sorta di pozione, anche se alla babbana! Si chiamano ‘rimedi omeopatici’ … ma non hanno nulla a che vedere con la comunità magica!”
Zacarias scoppiò a ridere ed Hermione, istintivamente, piantò le unghie nel palmo della mano: come si permetteva di deriderla in quel modo, davanti a tutti i clienti? E lei che, per gentilezza, stava anche a sentirlo sproloquiare dei suoi viaggi ogni santa volta!
“Non credo che dovrebbe riderne … sono piuttosto certa che sia la verità!” ribatté. “Oh, certo, nessuno mette in dubbio il suo giudizio! Però converrà che sono io lo studioso, in effetti …”
“Ma io sono una nata babbana, professor De Blanc: conosco quel mondo meglio di Lei, ci sono nata e cresciuta … cosa che un purosangue, per quanto colto ed aperto, non può dire di aver fatto, mi spiace contraddirLa ...”  
Dallo sguardo visibilmente preoccupato e dal sobbalzo di Zacarias, Hermione intuì di aver leggermente esagerato i toni. Con un profondo respiro, rilassò le spalle contratta e sfoggiò un sorriso di circostanza. “Naturalmente, nessuno mette in dubbio la Sua competenza, professore: era solo una constatazione dal mio punto di vista, che, essendo diverso, potrebbe … interessarLa. Ad ogni modo, tornando a noi, sono arrivati i manuali di cinese magico che aveva ordinato … quello usato anche in condizioni migliori di quanto ci sarebbe aspettato da un volume di quell’edizione così datata!”
“Oh, perfetto, meraviglioso!” esclamò Zacarias, battendo le mani, entusiasta. Mentre seguiva Hermione al bancone e questa gli preparava conto ed una borsa per gli acquisti, si ritrovò a ringraziare la sua prontezza e la capacità di improvvisare che la guerra le aveva insegnato: era riuscita a rimediare al danno che aveva combinato, un danno che non avrebbe più dovuto ripetersi, se non voleva perdere l’unica cosa di buono che avesse. Il lavoro al Ghirigoro era ciò che le permetteva non solo di mantenersi, ma anche di arrivare indenne alla fine della giornata, senza pensare e rimuginare, divertendosi addirittura, spesso e volentieri. Florence e Cormoran contavano su di lei e si fidavano del suo operato: se avesse perso la loro approvazione e, di conseguenza, il suo lavoro, cos’avrebbe fatto?
Al solo pensiero, una morsa le serrò lo stomaco, ma la scacciò per rivolgere un caldo sorriso a Zacarias mentre lo congedava. Una volta che fu uscito facendo tintinnare il campanello della libreria, Hermione si concesse di riprendere a respirare. Serrò le dita attorno al bancone, voltandosi a guardare il negozio vuoto: erano i primi di giugno e la clientela, occupata con esami ed ultimi impegni professionali prima delle vacanze, era sensibilmente calata, come sempre in quel periodo, del resto. Dai pochi buchi della vetrina stracolma delle ultime novità si intravvedeva un’affollata Diagon Alley assolata e chiassosa, in completo contrasto con la tenue penombra della libreria, con il suo profumo di carta, i volumi stipati ovunque che, di tanto in tanto, schizzavano via dagli scaffali per girovagare nel negozio ed il legno scuro che costituiva ogni cosa. Sospirò, appoggiandosi con i gomiti al piano e sfogliò pigramente il registro delle vendite e degli ordini: non avevano molto lavoro da qualche settimana, ma, a breve, sarebbe arrivata la consueta orda degli studenti di Hogwarts con i libri per le vacanze ed i conti si sarebbero sicuramente risollevati. In quel periodo, tuttavia, per far fronte al calo di lavoro, la signora Florish aveva preferito far fare i turni ai dipendenti ed andarsene in vacanza nel sud della Francia da sua sorella, come faceva ogni anno e, così, Hermione si ritrovava a trascorrere tutte le mattine in una solitudine quasi totale, cambiando vetrina ogni tre per due, raddrizzando, sistemando, ordinando e sostituendo. Aveva addirittura detto all’elfo Brix di prendersi qualche giorno di ferie e si occupava personalmente di spolverare e ramazzare, a volte anche alla maniera babbana, solo per tenersi occupata e non pensare a niente.
Si lisciò la larga gonna nera a fiori bianchi e sistemò meglio la camicetta nera sotto al leggero giacchino di pelle scura: a volte si sentiva inadeguata, nonostante mettesse quanta più cura possibile nel vestirsi. Era una sensazione a cui era abbastanza abituata, ma, da quella maledetta sera a Grimmauld Place, si era acuita fino a diventare a volte insopportabile. Lavorava come una disperata e teneva la sua stanza al Paiolo Magico ordinata e pulita fino all’inverosimile per non pensarci, ma il discorso di Ron si ripresentava puntualmente nella sua memoria, riempiendole il cuore di rabbia, incertezza e paura. Non era gelosa di Lavanda, questo no: a dire la verità, non avrebbe potuto importarle di meno che quei due si sposassero ed avessero un bambino. Erano perfetti insieme, dopotutto. Quello che le aveva fatto davvero male era la menzione che Ron aveva fatto della famiglia … per questo sono grato di essere qui con voi, sono grato di avere i miei genitori, i miei fratelli, i miei cognati, nipoti ed amici … di avere Lavanda … e la piccola vita che nascerà a breve, da noi, dal nostro amore. L’aveva guardato bene: nel dire questo, l’aveva fissata dritto negli occhi con una punta di soddisfazione, come a rimarcare, ancora una volta, che se avesse scelto di stare con lui anche lei avrebbe avuto tutto questo e, invece, ora non aveva niente. Niente, a parte le lettere di Harry che arrivavano, puntuali come un orologio, a rimarcare la sua solitudine: le scriveva per raccontarle della casa che avevano comprato lui ed i suoi e che, alla fine, a prescindere da tutte le loro buone intenzioni, si era rivelata essere quella di Godric’s Hollow, di quanto fossero splendidi i suoi genitori e di come andasse l’addestramento da auror, anche se, con i soldi dell’eredità paterna, avrebbe potuto tranquillamente vivere senza fare niente. Anche Ginny e Luna si facevano sentire ogni tanto, ma erano troppo prese dalle loro vite per preoccuparsi di lei e di un’esistenza piuttosto vuota che, in fin dei conti, tutti pensavano si fosse cercata.
Sbuffò, spolverando con un gesto spazientito la superficie grazie al borbottante piumino magico che Brix. Stava per iniziare il suo solito giro di ricognizione per controllare che fosse tutto apposto quando un ticchettio alla finestra la fece sobbalzare. Si rilassò immediatamente nel vedere la figura di un gufo marroncino con una lettera nel becco. Si avvicinò, spalancando l’anta e lasciandolo entrare: non era un uccello conosciuto, probabilmente era uno di quelli del Ministero. Prese la busta, gli allungò un croccantino e lo guardò volare via prima di concentrarsi sulla missiva: immacolata e sigillata, recava il timbro del Ministero della Magia, come aveva previsto, sezione Indagini su Magici scomparsi. Il cuore perse un battito mentre, con dita tremanti, scartava la lettera e la portava all’altezza del viso per leggerla avidamente: era molto più breve di quanto si sarebbe aspettata. Solo poche, sottili, righe aguzze:
Gentile signorina Granger,
Le scrivo per informarLa, alla luce della Sua richiesta pervenutaci lo scorso 23 aprile, che non ci sono novità nelle ricerche dei babbani Robert Granger e Jean Chase in Granger. La loro ultima ubicazione conosciuta, come Le è già stato comunicato, è l’Hotel Solarium a Melbourne.
Cordiali saluti
Sg. Elijah Smith

Hermione abbassò il foglio e rimase a fissarlo per un po’ prima di accartocciarlo e gettarlo nel cestino: non sopportava più quelle risposte spicce. Oramai, ne riceveva una al mese: puntualmente, scriveva per avere notizie e, con settimane di ritardo, il sergente Elijah Smith le rispondeva che non c’era nessuna novità. Oramai conosceva a memoria il testo di ciascuna di quelle lettere … le aveva lette e rilette di continuo, per strada, al bar e soprattutto sola, in camera, dinanzi al fuoco scoppiettante del camino ed ad una tazza di tè, mentre cercava inutilmente di addormentarsi. A volte passava talmente tante ore a fissare le parole danzare tra le ombre del camino che gli occhi finivano per dolerle come tizzoni ardenti, ma anche allora non smetteva di cercare febbrilmente tra quelle lettere un singolo, minuscolo, indizio che i suoi genitori fossero ancora vivi e stessero bene. Dopotutto, si diceva oramai da anni, perché avrebbe dovuto pensarli morti? Non c’erano state catastrofi naturali o umane in Australia in quegli ultimi anni, né vittime sconosciute e mai identificate. Aveva parlato con il dipartimento di indagini magiche del Ministero australiano, direttamente dipendente da quello britannico, ma gli incaricati non avevano saputo dirle nulla di nuovo, né, tantomeno, avevano aperto un fascicolo. “Se la sede di Londra sta lavorando al caso, con che diritto possiamo metterci in mezzo, signorina?” le avevano detto. Al solo pensiero, Hermione serrò le dita in un pugno, conficcandosi le unghie nel palmo della mano: la vera questione era con quale diritto si permettevano di rispondere così ad una persona che stava solamente cercando di riavere ciò che più le mancava al mondo.
Si sentiva tremendamente in colpa nei confronti dei suoi genitori da ben prima che cancellasse loro la memoria, del resto: da bambina, li aveva relegati come qualcosa di secondario e, temeva, anche incidentale rispetto alla sua sfolgorante carriera di studentessa di Hogwarts. Non aveva mai pensato nemmeno per un secondo che potessero sentirsi inadeguati ed esclusi dalla sua vita, né, tantomeno, aveva considerato che potessero soffrire nel non far parte del mondo in cui sguazzava la figlia. E, quando gli aveva obliviati, aveva solo peggiorato la situazione …
Si prese la testa tra le mani con uno sbuffo: pensando di agire per il loro bene, li aveva abbandonati, soli a se stessi e confusi, tanto che se n’erano andati in una nazione sconosciuta e che lì erano spariti. Qualunque cosa fosse successa loro, era solo e solamente colpa sua ...
Deglutì a fondo, raddrizzandosi e trasse un profondo respiro: se c’era una cosa che la guerra le aveva insegnato, era che piangersi addosso non serviva proprio a niente. Al contrario, bisognava essere vigili, attenti e sempre preparati (‘Vigilanza costante!’ strillava Moody ed Hermione sorrise nel ricordarlo). Ma, soprattutto, la vita del dopo la battaglia le aveva mostrato chiaramente che non c’erano principi azzurri pronti a salvare le fanciulle in difficoltà, a consolarle ed a far tornare la pace nel reame dove avrebbero potuti vivere per sempre felici e contenti: la principessa doveva salvarsi da sola, se voleva cavarsela. Hermione, a quei pensieri, si ritrovò a ridere da sola, facendo sobbalzare persino uno scontroso libro di cucina magica che si divertiva ad emanare odori disgustosi quando veniva sfiorato: del resto, lei non era una principessa. Era una strega. E le streghe erano che le principesse che non erano state salvate.

“Mi pare evidente che Lei presenti dei gravi problemi cognitivi, signor Addams.” sibilò la voce melliflua Severus Piton, risuonando inspiegabilmente chiara e distinta nella buia aula di Pozioni degli umidi sotterranei di Hogwarts. Schiacciati tra scaffali ricolmi di ampolle d’ogni sorta, con calderoni ed ingredienti sui banchi perfettamente ordinati e puliti, gli alunni del terzo anno di Tassorosso e Corvonero fissavano, imploranti ed impauriti, la nera figura del professore girare tra i banchi con un ghigno sadico e soddisfatto, criticando questo e quello ed assegnando alle loro pozioni dei voti che facevano scendere irrimediabilmente le loro medie sottoterra.
In molti, nonostante i due anni trascorsi, non riuscivano ancora a capacitarsi del cambiamento di Piton: la guerra era finita, lui era vivo, Voldemort era stato sconfitto ed ora persino Lily Evans era tornata … ed allora perché Severus Piton era diventato ancora peggio di prima?
“Signorina Sullivan, non sapevo che si fosse iscritta alla scuola di manovalanza!” continuò imperterrito il pipistrello dei sotterranei, sfilando con il suo ondeggiante mantello d’ombra di fronte al banco di una tremante Tassorosso, oramai talmente pallida e scossa da risultare più simile ad un budino che ad una studentessa. “N-non mi ci sono iscritta, i-infatti!” sussurrò. “Ah, ma davvero?” ghignò, soddisfatto, Piton, intrecciando mollemente le dita ed indicando con la punta del naso adunco la superficie da lavoro. “Ed allora come può giustificare una tale incuria nei confronti di ingredienti delicati e del materiale da lavoro? Non guardi le sue interessantissime scarpe, signorina Sullivan: si concentri su questo banco e su come le sue mani da muratore pensionato lo abbiano ridotto! I due anni precedenti non Le hanno insegnato nulla?”
Prima ancora che la ragazza potesse rispondere, il docente si era già girato, furibondo. “Le consiglio vivamente di regolarsi, altrimenti, per quanto mi riguarda, potrà donare il suo prezioso contributo ai lavori pubblici di Diagon Alley. Ah, quasi dimenticavo: per punizione, dovrà redigere un tema della lunghezza di ... diciamo, quattro pergamene sul materiale da pozionista, in particolare su come conservarlo adeguatamente. Questo è quanto.” concluse, sorridendo, per poi cambiare immediatamente espressione mentre si girava verso la classe. “E voialtri, invece di stare lì a solidarizzare con questa scena strappalacrime, sbrigatevi a consegnare le provette o vi beccherete una T a testa!”
In un ordinato sciame, gli alunni, in religioso silenzio, presero con cura le loro provette tra le dita e si affrettarono a depositarle sulla cattedra per poi sparire in un baleno al suono della campanella. Quando il loro tramestio si fu perso nei corridoi, Severus si diresse con passo felpato alla cattedra ed osservò le pozioni. “Un colore disgustosamente tenue … sarà una sfilza di D! Ma che peccato …” commentò con una nota di soddisfazione: terrorizzare gli studenti lo divertiva ancora. Forse era l’unica cosa che lo faceva sentire anche solo vagamente contento di essere rimasto ad Hogwarts. Di tutto il resto, se non fosse stato costretto a lavorare a causa della sua povertà congenita, alimentata da quel riconoscimento ministeriale che non aveva mai accettato, avrebbe volentieri fatto a meno.
Aveva appena iniziato a raccogliere ordinatamente le provette per portarle nel suo studio, dove avrebbe potuto commentarle con formule e frasi che adorava creare davanti ad un buon libro ed ad un bicchiere di whisky incendiario, quando un tramestio fuori dalla porta lo bloccò. “Avanti!” esclamò, vagamente infastidito ed annoiato: quasi sicuramente era la signorina Sullivan, pronta a prodigarsi in mille scuse ed a chiedergli consigli per migliorare. Consigli che non le avrebbe dato prima di averla abbondantemente derisa, naturalmente …
Stava già pensando a come esordire gelidamente, ma, nel vedere il visitatore fermo sulla soglia della sua buia e polverosa aula, le sopracciglia gli si incurvarono verso l’alto per la sorpresa. “Lupin! Che ci fai qui? Mancano due settimane alla luna piena …” esclamò senza neanche pensarci, riprendendo a sistemare l’aula con gesti spazientiti della bacchetta mentre gli oggetti si impilavano e pulivano da soli.
Remus Lupin, nel consueto completo marrone scuro sgualcito, camicia spiegazzata e cravatta storta, abbozzò un sorriso che gli allargò le cicatrici sul volto mentre si avvicinava tranquillo, le mani in tasca e l’espressione bonaria: era sempre parso immune alle barricate che Severus innalzava attorno a sé da una vita e quell’aspetto aveva innegabilmente incuriosito Piton in più d’un occasione. Non che fosse rilevante rispetto al disprezzo che provava per il mannaro e le sue tendenze all’autocommiserazione, chiaro …
“Non vengo qui solo per la pozione antilupo, sai, Severus?” gli sorrise. “Ed allora perché? Per godere della mia inestimabile compagnia, forse?” sibilò l’altro, raggiungendo uno scaffale per cercarvi un vecchio volume. Lo appellò con facilità e lo sfogliò rapidamente sotto lo sguardo incuriosito del malandrino. “Quello è un manuale rarissimo!” commentò Lupin dopo un po’. “Quasi introvabile … è davvero tuo?”
“No, l’ho rubato ad un mercatino …”
“Non serve che insulti chiunque ti faccia una domanda, sai, Severus?”
“Infatti insulto solo gli scocciatori che mi fanno domande stupide ed inutili.”
Remus annuì e sorrise, abbassando lo sguardo. “Certo. Non occorre che tu sia così anche con me, però …”
“Non vedo cosa tu abbia di diverso dagli altri se non il tuo piccolo … problemino, Lupin ...” commentò annoiato, sfogliando pensoso il libro. “Sai perfettamente che, se sull’Hogwarts Express avessi conosciuto prima tu e Lily invece di James e Sirius, saremmo stati amici …”
“Appunto: ‘saremmo’, è un condizionale, fino a prova contraria. Le cose non sono andate così, quindi non vedo perché soffermarsi su ipotesi quantomeno ridicole ... soprattutto ora che non servono a niente!”
“Già.” sospirò, amaro, Lupin. “Su questo hai ragione.”
“Perché sei qui, dunque?”
“Minerva mi ha mandato ad affrontare l’orso nella caverna …”
Severus sollevò la testa di scatto. “Cosa vuole ancora? L’ho accompagnata a quella dannata festa di Potter, ora cosa dovrei fare, portarla ad un tè tra vecchie babbione vestito di rosa confetto, forse?”
Remus ridacchiò di gusto a quell’immagine, ma si zittì all’espressione dura e vagamente esasperata del collega: sembrava seriamente sul punto di cruciarlo.
“No, nulla di tutto ciò.” spiegò, nuovamente serio, schiarendosi la voce. “Vorrebbe che tutti gli insegnanti di Hogwarts oggi pomeriggio alle tre andassero al Ghirigoro per selezionare dei nuovi libri di testo da adottare per il prossimo anno scolastico.”
Severus lo guardò per qualche minuto, immobile ed impassibile. “Il testo che uso va benissimo così com’è.” sentenziò. “Certo, vale lo stesso per quello della mia materia, ma Minerva vorrebbe comunque che valutassimo degli approfondimenti quantomeno per gli studenti degli ultimi anni.”
“Anche se non serve a nulla, ovviamente, vero?”
“Ovviamente. Minerva è un’ottima preside, ma non lascia molto spazio decisionale al corpo docente rispetto a Silente, non trovi?”
Al solo sentire il nome del vecchio preside, il volto di Severus, se possibile, si fece ancor più duro ed impassibile. “Alle tre?” ripeté. “Sì, alle tre in atrio.”
“Mi smaterializzerò direttamente a Diagon Alley, non occorre che facciamo la strada assieme come una classe in gita scolastica.” borbottò, acido, raccogliendo alcune pergamene. Raddrizzò i libri sulla cattedra per poi sollevare gli occhi d’onice, incontrando quelli nocciola di Lupin: solo ora notava che erano diversi dall’ultima volta che li aveva visti così da vicino. Sembravano quasi opachi …
“Se è tutto, puoi andare.” lo congedò con un gesto spazientito. Remus sospirò, le mani nelle tasche ed il solito, irritante, sorriso sghembo sul volto. “Lily ed Harry mi hanno chiesto di te quando sono andato a pranzo da loro a Godric’s Hollow, sai?” mormorò. Severus ignorò la fitta lancinante che quella notizia diede al suo stomaco e riprese a riordinare la classe in un ostinato ed infastidito silenzio che avrebbe turbato chiunque, tranne, evidentemente, Remus Lupin. “Vorrebbero esserti amici …” proseguì, infatti, imperterrito. “E lo vorrei anch’io. Le cose sono cambiate, Severus, non sei più costretto a …”
“Nessuno mi ha mai costretto a fare nulla, Lupin: ogni decisione della mia vita, dalla più alla meno scellerata, è stata solo ed esclusivamente una mia scelta. I miei sbagli sono solo miei.” replicò il pozionista asciutto, senza guardare il mannaro. “Perciò non ricominciare con questa ridicola pantomima della colpa …”
“Non comincerò. Minerva è molto preoccupata per te …”
“Fa male: alla sua età, troppi pensieri rovinano il fegato.”
“Anche troppo whisky.”
Severus sollevò appena lo sguardo, incontrando il sorriso birichino di Remus. “Anche troppo cioccolato.” sibilò. “Non tanto quanto l’alcool, ma in una certa misura hai ragione. Comunque, l’ho dissuasa dal porti troppe domande …”
“Ma che magnanimo …”
“Ti capisco in realtà …”
“Cosa c’è da capire?” sibilò il Serpeverde, girandosi di scatto, come scottato. “Sai, io non sono morto, però ho perso tutto ciò che avevo di più caro, a causa della guerra: i miei amici e … e Dora.” sospirò, la voce che tremò appena al nome della defunta moglie. “Sono rimasto solo. Ora ho riavuto James, Lily e Sirius, certo, però … non è la stessa cosa. Non c’erano quando avrei avuto più bisogno di un amico e non certo per colpa loro, non hanno mai conosciuto Dora … viceversa, Andromeda, che ha perso forse ancora più di me, non fa che punirmi. Sembra farmi colpe per essere vivo … avrebbe chiaramente voluto che ci fossi io nella tomba, al posto di sua figlia … e lo vorrei anch’io.” terminò, la voce oramai spezzata, anche se non piagnucolosa.
Severus tacque, soppesando cosa dire: la confessione di Lupin, per quanto melodrammatica, era troppo sincera per poter essere sminuita … e troppo simile alla sua, forse. Per una volta, scelse di non rispondere attaccando com’era solito fare …
“E questo cosa dovrebbe significare?” sussurrò. “Che capisco il tuo perdimento, come ti senti. Solo che io ho Teddy che mi fa andare avanti, mentre tu non hai nessuno. Quindi, capisco che tu voglia stare solo: lo vorrei anch’io, se potessi permettermelo.”
“Black e Potter non te lo consentirebbero.”
“E grazie a Merlino non lo fanno: sarei perso senza di loro. Siamo esseri sociali, sai?”
“Sono più affezionato alla vecchia teoria del lupo solitario, francamente …”
Lupin sorrise. “Prevedibile, da parte tua … ci vediamo più tardi, Severus.”
“Lupin!” lo fermò il mago quando il mannaro era già sulla soglia. “Non ti ho mai detto di chiamarmi per nome …”
Remus sospirò. “Lo so, ma lo farò lo stesso. Ed anche tu potresti chiamarmi Remus …” ribatté prima di scomparire nei sotterranei.
Piton, rimasto solo, borbottò qualcosa di incomprensibile sugli scocciatori prima di raccattare le sue cose e trasferirsi nei suoi appartamenti: aveva avuto già abbastanza assaggi di umanità, per quel giorno.
Non appena fu entrato sbattendo furiosamente la porta, il ritratto di Silente parlò, facendo riecheggiare la sua voce tranquille nelle buie stanze. “Devi andare a Diagon Alley.” esordì. “E sentiamo, sulla base di che cosa dovrei cambiare idea ed immergermi in quest’esperienza mistica assieme ai miei amati colleghi?” rispose, abbandonando il materiale sul tavolo con sdegno ed estraendo alcune verifiche da correggere. “Minerva ha ragione: aggiornarsi non fa mai male.”
“Sono abbonato ad una rivista di pozioni ed incantesimi, devo ricordatelo, visto che la posta solitamente la guardi prima tu da quella tua maledetta cornice, Albus?”
“Esistono materiali didattici più interessanti per i tuoi alunni … alcuni sono portati per la materia, Severus!”
“Due su un milione, forse …”
“Se non desideri farlo per migliorare i tuoi studenti, dovresti quantomeno considerare l’idea di farlo per te stesso …”
Il docente smise di leggere e sollevò il capo con sguardo accusatore. “Non ritengo di dover cambiare niente di me …”
“Lupin ha ragione: socializzare ti farebbe bene.”
“Non ho intenzione di cercare un migliore amico con cui scarabocchiare sui diari e giocare a Quidditch a quarant’anni.”
“Sei capace di avere amici, ragazzo mio … devi solo sforzarti. La solitudine che tu tanto ami, un giorno, diventerà una prigione …”
“Sono circondato da studenti isterici tutto il santo giorno, voler stare solo mi sembra il minimo!” bofonchiò, intingendo la penna nel calamaio. “Certo …” annuì Silente dal quadro. “Ma, dimmi, hai più parlato con qualcuno come facevi con me, da quattro anni a questa parte?”
Piton smise nuovamente di scrivere. “Erano tempi diversi … e tu eri un manipolatore. Lo sei ancora. Pretendi che le persone siano burattini nelle tue mani e che facciano per forza quello che tu ritieni sia meglio, senza pensare alle conseguenze che questo potrebbe comportare nelle loro vite …” sibilò, senza voltarsi verso la cornice. “Non lo nego … ho sbagliato tante, troppe, volte. Soprattutto con te, ti ho chiesto tanto, troppo …”
“Nulla che non fossi disposto a fare …”
“Eri così disperato quando ti ho assunto, Severus, che chiunque avrebbe potuto convincerti facilmente a fare qualunque cosa e negli anni sei solo peggiorato: i sensi di colpa ti logorano, ma ora non hai motivo di provarli.”
“Non ne ho, infatti …”
“In tal caso, perché hai interrotto ogni contatto con i Malfoy, gli unici amici che avevi? E perché non accetti la presenza di Lily ed Harry nella tua vita?”
“Sai, credo che andrò proprio al Ghirigoro con tutti gli altri, Albus: non potrebbe importarmi meno di queste ridicole occasioni conviviali tra colleghi, intendiamoci, ma ne ho abbastanza dei tuoi vaneggiamenti. Già ho dovuto sopportarli quand’eri in vita, doverlo fare anche ora che sei morto mi sembra un’esagerata tortura …” concluse seccamente Piton, lanciando letteralmente la penna sul foglio e dirigendosi a passo svelto in laboratorio: improvvisamente, aveva un gran bisogno di una pozione per il mal di testa.

Quando il campanello del Ghirigoro trillò, Hermione sospirò sonoramente, pronta ad accogliere l’ennesimo bambino condannato a leggere dei libri che non lo interessavano per le vacanze: erano stati gli unici clienti di quell’assolato pomeriggio e poteva ben capirne il motivo. Il sole splendeva alto nel cielo azzurro, l’erba smeraldina si era puntinata di fiori e chiunque ne avesse l’opportunità si era ovviamente rifugiato nella natura e nelle attività all’aria aperta … chi poteva, per l’appunto. Lei non solo era condannata a restarsene in negozio, ma era anche sola, poiché Cormoran aveva avuto un imprevisto ed era bloccato alla banca Gringott oramai da ore. “Perdonami, ti coprirò in un turno appena ne avrai bisogno per sdebitarmi!” le aveva detto la sua voce mortificata attraverso il patronus di un orso oramai due ore prima.
In realtà, Hermione non era affatto arrabbiata, anzi: le piaceva stare sola in libreria, anche se ciò avrebbe significato fare la spesa tardi, cosa che detestava. C’era decisamente troppa gente nei negozi, alla chiusura …
“Oddio!” pensò. “Sto diventando come Piton … mi fa male tutta questa solitudine …”
Sospirò, riponendo l’ennesimo romanzo giallo che aveva letto quel mese: l’aspetto che preferiva del non avere lavoro era proprio il potersi concedere di girovagare tra i reparti, sfogliando i libri, annusandoli, godendosi le lievi carezze delle pagine di alcuni ed i tonfi di altri, divorando le storie che più la ispiravano ed immergendosi in mondi immaginari, dove poteva scordare tutti i problemi della sua vita ed essere spensierata. I libri erano sempre stati i suoi migliori amici, sin da quand’era bambina: i suoi coetanei non amavano la sua eccessiva calma, il suo preferire la lettura ai giochi ed il suo volere a tutti i costi sfoggiare le sue conoscenze in ogni momento … forse era per quello che non aveva mai avuto molti amici. Certo, a parte i suoi genitori: vi era sempre stata legatissima.
Fortunatamente, il trillo del campanello che annunciava i clienti aveva stroncato sul nascere le lacrime che stavano per salirle agli occhi, imponendole di ricomporsi per raggiungere il bancone con il consueto sorriso di circostanza e la frase: “Buonasera, come posso aiutarLa?”
Le parole, tuttavia, le morirono in gola non appena vide le persone che si trovavano ferme in mezzo al negozio deserto. “Professoressa McGranitt! Professor Vitious! Hagrid … Remus!” esclamò, sorridendo ed aggirando il bancone per andar loro incontro. Minerva, istintivamente, la strinse in un abbraccio fin troppo caloroso per lei ed in cui Hermione si tuffò volentieri. “Ti avevo promesso che, in qualche modo sarei passata, cara e finalmente ho trovato la scusa perfetta per farlo! E noto con piacere che il negozio ha tratto giovamento dalla tua presenza … è tutto molto ordinato e curato …” annuì la preside, guardandosi attorno. “Non è vero, Filius?”
Il Corvonero sorrise, stringendo la mano di Hermione con calore. “Certamente, hai proprio trovato la tua dimensione! Anche se ci manchi molto, ad Hogwarts …”
“Anche Lei e le sue lezioni mi mancano, professore …” sorrise lei prima che il soffocante abbraccio di Hagrid la stritolasse. “Hermione!” esclamò. “Quanto tempo! Perché non sei venuta a trovarmi?”
“Ahi! Hagrid, sono contentissima di vederti, davvero!” rise, ignorando il dolore alle costole. “Ho avuto tanti impegni, davvero, ma ti prometto che verrò … appena posso, verrò!” concluse, separandosi, dolorante, prima di rivolgere un sorriso ed un abbraccio a Remus, rimasto per ultimo. “Noi ci vediamo un po’ più spesso, fortunatamente!” rise il mannaro. “Già … come sta Teddy?” domandò la ragazza. “Molto bene, direi! Strilla come un’aquila … a proposito, devi assolutamente venire a trovarlo, chiede spesso di te?”
“Così piccolo?” rise Hermione. “Beh, non sei una facile da dimenticare, signorina Granger …” annuì Minerva. “Ma ora veniamo a noi: siamo qui perché vorremmo vedere qualche trattato più recente delle rispettive materie scolastiche per migliorare la didattica … hai qualche suggerimento da darci, cara?”
“Certo!” annuì la ragazza. “Trovate la saggistica divisa, in realtà: alle vostre spalle, i reparti dedicati alle creature magiche, che potrebbero interessare sia Hagrid che Remus e di sopra il resto. Le ultime novità sono tutte esposte, non vi sarà difficile individuare qualcosa che possa fare al caso vostro! Se, poi, doveste aver bisogno di qualche suggerimento, basta che mi chiamiate …”
“Grandioso, ora la Granger vorrebbe spiegarmi quali trattati scegliere per insegnare Pozioni!” sibilò una voce roca ed annoiata in un angolo. Hermione sobbalzò, spaventata: era entrato talmente in sordina, confondendosi con la penombra della libreria, che non aveva minimamente notato la presenza di Piton. “Professor Piton!” esclamò, poco convinta. “Così pare. Se volete scusarmi, mi recherei immediatamente al mio … incarico.” aggiunse mollemente l’uomo, emergendo dall’ombra nel suo consueto mantello, dirigendosi al piano superiore senza far alcun rumore e lasciando svolazzare il mantello alle sue spalle. Hermione lo fissò, frastornata, prima che Minerva le mettesse una mano sulla spalla. “Non offenderti per quello che ha detto: è scorbutico, lo conosci …” le disse. “Non mi sono offesa!” confermò Hermione. “Mi ha detto di molto peggio, a dire la verità …”
“Lo so, non credere: lo conosco da quand’era bambino. Offendere è il suo modo di parlare. Ora, se vuoi scusarmi, raggiungo Filius … il reparto di Trasfigurazione mi incuriosisce molto! A dopo, cara …”
Hermione fissò la professoressa salire lentamente le scale, aggrappata al corrimano: gli anni erano passati anche per lei, era evidente, ma Minerva sembrava non curarsene affatto. Era quella la sua forza, dopotutto …
“No, Hagrid … santo Merlino, non così!” esclamò Remus, facendola sobbalzare. La scena che le si palesò dinanzi agli occhi ebbe il magico effetto di far scomparire qualsiasi malinconia: Hagrid, enorme in mezzo agli scaffali, sfogliava un libro al contrario, sbuffando e rigettandolo malamente dov’era, mentre Lupin lo seguiva raddrizzando e sistemando ogni cosa che toccava. Ci sarebbe stato da ridere, se non fosse stata personalmente responsabile per i volumi contenuti in quel negozio …
“Non così, Hagrid, ti prego!” lo fermò, prendendogli dalle mani un raro e prezioso manuale. “Ma che volete che ne sappia io di questa roba!” bofonchiò tristemente il mezzogigante. “Per questo ti ho detto che ci avrei pensato io …” sospirò Lupin, vagamente rassegnato. “Posso occuparmene io, Remus: tu hai materiali per i tuoi studenti da cercare … e, poi, preparavo già le lezioni ad Hagrid a scuola, non sarà un problema rifarlo!” lo bloccò Hermione, affrettandosi a rivolgere un sorriso ad Hagrid prima di allungarsi tra gli scaffali, sfiorando pensosamente le coste dei volumi. “Eccolo!” esclamò poi, appellando un titolo in alto ed allungandolo ad Hagrid. “Questo non è un libro di testo: è una specie di bestiario, un’enciclopedia delle creature più bizzarre. Contiene disegni, descrizioni e storia … potrebbe esserti utile per fare qualche lezione … diversa! Naturalmente nei limiti delle regole …” spiegò, porgendogli il libro ed aprendolo cautamente, sfogliandolo. Il guardacaccia di Hogwarts la osservò, dubbioso, prima di afferrare cautamente il tomo. “Non è dannoso, Hagrid!” rise Hermione, mostrandogli un titolo. “Vedi, c’è Fiorbecco … te lo ricordi, no?”
“Eccome!” annuì l’uomo. Nel vederlo girare le pagine con le sue enormi mani, c’era qualcosa di vagamente comico, ma la Grifondoro non si azzardò a ridere: del resto, leggere era un diritto di tutti e chiunque vi si cimentasse andava lodato, non deriso.
“Sei riuscita a fargli toccare un libro … un vero miracolo, considerato quanto valore dà alla pratica!” le disse Remus dopo un po’, facendola sorridere. “Lo considero un traguardo personale.” annuì, voltandosi e ritrovandosi dinanzi ad un Lupin con due tomi tra le braccia. “Hai già scelto?” chiese. “Sì, beh … mi ero informato prima, immaginando che avrei dovuto seguire Hagrid … non sarebbe dovuto venire, in realtà, ma voleva tanto rivederti …”
“Sei proprio un altruista nato, Remus!”
Il mannaro fece spallucce. “Si fa quel che si può …”
“Certo. Hai lasciato Teddy da Andromeda?”
“Come tutti i giorni, sì … sperando di non metterci troppo e dovermi subire tutte le sue lamentele su quanto poco mi curi di lui al mio ritorno …” sospirò.
Hermione, a quell’affermazione, si concesse di osservarlo meglio: in quei due anni non aveva mai notato quanto fosse sfinito. Le sue occhiaie erano violacee, le cicatrici più evidenti ed il colorito visibilmente pallido. Nonostante i vestiti fossero migliori e ben stirati rispetto a quando l’aveva conosciuto, Remus Lupin era l’ombra di se stesso … ed Hermione, essendoselo ritrovato spesso come cliente in quei mesi, sapeva piuttosto bene perché.
“Non capisco cosa possa infastidirla tanto: lavori tutto il giorno e la sera ti smaterializzi a casa solo per fargli il bagnetto, leggergli una storia e vederlo dormire. Non so quanto lo farebbero …”
“Evidentemente, per lei dovrei lasciare il lavoro, cosa che comunque non potrei permettermi … i costi sono alti, nonostante il mio stipendio ed i soldi del Ministero! Quelli di Dora e Ted sono in un fondo per quando Teddy sarà grande e, così, dobbiamo cavarcela con quello che abbiamo … non che Andromeda sia d’aiuto, nel ricordamelo!” sospirò di nuovo. “Alla festa di Harry era seduta accanto a me, con Teddy: mi è sembrata … normale. Molto rancorosa verso sua sorella, certo …”
“Ah, sì, gli insulti a Narcissa sono il suo secondo motivo di lamentela preferito, dopo il genero, ovviamente. Spero solo che non ricominci a minacciare di togliermi la custodia …”
“Non lo farebbe mai: sai com’è, è una Black, è pur sempre cugina di Sirius … sbraitano tanto, ma in definitiva sono innocui.” lo rassicurò la ragazza, dandogli una lieve stretta al braccio. Remus annuì. “Speriamo … e tu, che mi dici? Hai notizie dei tuoi genitori?”
A quel pensiero, Hermione si rabbuiò all’improvviso. “Non ancora …”
“Non disperare: li riavrai presto …”
“Speriamo … e Harry, invece? Non lo vedo da un po’ …”
“Sono stato a pranzo da loro con Sirius e Teddy domenica … è una bella casa e sono felici. Non potrebbero chiedere di più, secondo me ... ah, sono piuttosto sicuro che presto arriverà un invito anche per te …”
“Non mancherò.” annuì la Grifondoro. Stava per chiedergli qualche dettaglio in più, quando una voce autoritaria la fece sobbalzare come quando era una bambina dagli incisivi troppo grandi.
“Granger!” tuonò Piton dalle scale. “Quando hai finito con le tue chiacchiere, avrei bisogno di una mano …” sibilò. “Arrivo subito!” annuì lei, fissandolo tornare da dov’era venuto. Hermione sospirò, volgendosi verso Lupin. “Mi dicono che è peggio di prima …” accennò. Remus fece spallucce. “Non è facile: credo sia l’unico per cui la fine della guerra non ha rappresentato un cambiamento significativo … è solo …”
“Lo vuole lui.”
“Non essere troppo dura nel giudicarlo …”
“Invece lui può giudicare tutti liberamente? Non funziona così!” sbottò Hermione, scuotendo il capo. “Vado a vedere cosa vuole … tu curiosa pure tra le novità …”
La Grifondoro lasciò Remus e Hagrid alle loro silenziose ricerche e salì le scale scricchiolanti che conducevano al piano superiore, individuando subito la figura di Piton: in tutto quel marrone, il nero dei capelli e del mantello e quel naso adunco si stagliavano piuttosto evidentemente.
“Era ora, Granger! È questo il tuo concetto di ‘subito’?” mormorò annoiato. Hermione si avvicinò, trattenendo uno sbuffo infuriato mentre sentiva una certa rabbia premerle nel petto: non era di aiuto a nessuno trattarla come quand’era una studentessa. Saccente, perlopiù, secondo lui.
“Non è l’unico cliente e non è nemmeno il primo ad aver richiesto il mio aiuto: ho una scala di priorità da seguire, professore.” sentenziò, raggiungendolo. Non appena il professore si voltò verso di lei con gli occhi d’onice vuoti ed intimidatori, tuttavia, Hermione si pentì immediatamente di quanto detto. “Che cosa Le serve?” domandò, torcendosi le dita, imbarazzata. “Quale di questi volumi vende di più?” le domandò gelidamente Piton, indicandole due manuali verde scuro. La giovane deglutì ed indicò il secondo. “Tra gli studenti, va più quello, tra gli studiosi, l’altro.”
“Eccellente. La ringrazio.”
“Vedo che ha deciso di acquistare anche l’ultimo saggio di Garret!” considerò la ragazza senza neanche pensarci: con i clienti, solitamente faceva così. Si consultavano, discutevano e si confrontavano … ma, naturalmente, con Piton questo non sarebbe mai stato possibile. E, infatti, bastarono pochi secondi perché l’uomo le rivolgesse un ghigno beffardo. “Vuole anche dirmi come insegnare, ora?”
“Nient’affatto, era una semplice constatazione!”
“Non richiesta …”
“Forse l’unico libro che Le servirebbe davvero è il bon-ton!” eruppe Hermione senza neanche pensarci. L’ombra di indignazione che attraversò gli occhi di Piton, tuttavia, le fece intendere di aver commesso un grave errore. “Mi fa piacere constatare che il mio giudizio non sbaglia: nonostante gli anni, è rimasta una saccente, arrogante e petulante so-tutto-io! Proprio qualcosa che una libreria dovrebbe evitare … mi chiedo come possa essere stata assunta, se commenta in questo modo tutti gli acquisti dei clienti!” considerò, vagamente divertito. Hermione sollevò le sopracciglia. “Solitamente, i clienti apprezzano discutere con me dei loro gusti in fatto di libri e gradiscono anche i consigli, non i giudizi … i clienti normali, ovviamente: da Lei non ci si può aspettare niente di diverso. Ora, se ha finito, ho del lavoro da sbrigare …” rispose, voltandosi e dirigendosi verso i gradini sempre più furiosa. “Signorina Granger!” la chiamò, facendola girare di scatto. “Saprebbe consigliarmi un giallo d’intrattenimento?” domandò Piton mellifluo. “Sono tutti al piano di sotto: Le consiglio quelli sui serial killer, dovrebbero piacerLe.” rispose secca lei, tornando sui suoi passi. Se non avesse conosciuto fin troppo bene Severus Piton, avrebbe giurato di averlo sentito ridacchiare.

“Uff … e questa era l’ultima!” sbuffò Hermione, trascinando le due pesanti borse della spesa dentro il Paiolo Magico.
Quel tugurio che oramai da un anno era la sua casa, all’inizio, le era parso invivibile, con tutto quell’unto, quel legno ed i fiumi di alcool, ma, con il passare dei mesi, vi si era abituata. Oramai non faceva più caso alle occhiate degli avventori su di sé, né ai commenti lascivi di qualche ubriaco: si limitava a filare di sopra in fretta, senza curarsi di niente. Il vecchio Tom non avrebbe comunque permesso che le accadesse nulla, su questo avrebbe potuto giurare.
Quella sera, esausta ed accaldata, stava appunto per filare di sopra, quando un sussurro la fece sobbalzare. Si volse di scatto, stupita nel vedere Tom, intento a far asciugare dei bicchieri da uno straccio antipatico. “Tom!” esclamò. “C’è qualche problema con l’affitto?” chiese subito. “No, niente di ciò, Hermione … volevo solo farti notare quanto la clientela di stasera sia … variegata! Ed originale …” rise, indicandole il bancone con la testa. Hermione allungò lo sguardo: al Paiolo Magico non c’era praticamente nessuno, quella sera. I tavoli occupati erano pochi ed i clienti erano i soliti habitué. L’unica cosa fuori posto rispetto al solito, era l’uomo seduto agli sgabelli di fronte ad un bicchiere fin troppo colmo di whisky incendiario …
“Ma quello è Piton!” esclamò senza neanche pensarci. “In persona!” rise Tom. “Non è così comune vederlo qui … dev’essere ubriaco fradicio per esserci finito! Solitamente preferisce le locande babbane!”
“Locande? Ma se insegna ad Hogwarts!”
Tom sospirò, scuotendo il capo. “Non può certo portare le sue amichette ad Hogwarts, Hermione cara!” disse, facendola avvampare. Lo guardò meglio oltre la spalla del vecchio: aveva abbandonato mantello e redingote su una sedia, arrotolato le maniche della camicia e sbottonato il colletto, rivelando la cicatrice di Nagini che le faceva sempre impressione. Con le mani attorno al bicchiere, fissava il liquido ondeggiare, la testa china e persa in chissà quali pensieri … 
“Non vai a salutarlo?” le domandò il gestore, ridacchiando. Hermione scosse il capo, stringendo i manici delle borse. “Proprio no … buonanotte, Tom!”
“’Notte Hermione!”
Quello che la ragazza non poteva vedere era che lo sguardo di Piton non era concentrato sul whisky ondeggiante nel bicchiere, bensì sulla fotografia che aveva posato sul bancone: era l’immagine strappata a metà di Lily Evans, quella che aveva preso da casa di Black anni prima. E, accanto, c’era anche la sua firma con la dedica …
Oramai, le fissava da così tanto tempo che aveva perso la percezione della realtà: non contavano il bar, il fumo o le occhiate di Tom, ma solo quello scatto cristallizzato nel tempo, quel piccolo pezzo di memoria impresso su carta …
Tracannò il whisky, sentendolo bruciare nello stomaco e sospirò a fondo: quanto era detestabile. Ubriaco come lo era stato il padre che odiava, seduto in un bar a piangere sulla foto di una donna che amava a cui aveva distrutto la vita e che, nonostante tutto, l’aveva perdonato … patetico era dire poco.
Finì l’alcool senza pensare: l’assoluzione di Lily non serviva a niente. Non l’aveva fatto stare meglio come pensava, anzi, aveva solo acuito le sue pene. Forse perché non copriva tutto quello che aveva fatto da Mangiamorte o quello che aveva accettato di fare all’unico uomo che gli fosse mai stato amico …  
Ed ora che era tornata, se possibile, si sentiva anche peggio: lei non sarebbe mai stata sua, non l’avrebbe mai nemmeno considerato. Avrebbe di nuovo passato la vita ad osservare la felicità degli altri vagando nella sua ombra con quella sensazione di vuoto, di amaro e quella stilettata nel petto che lo perseguitava ancora ed ancora, fino alla fine dei suoi giorni. Avrebbe voluto morire in guerra, sì: ci aveva sperato. E, quando era sopravvissuto, aveva sperato che almeno lo facessero marcire in cella, che lo punissero per tutto il male che aveva fatto, l’unica cosa che sapeva fare, ma niente. La vita era davvero ingiusta … lui al bar e le sue vittime sottoterra … tutte tranne le uniche redivive che se la spassavano a sua insaputa, ovviamente.
Scosse il capo, voltandosi appena: una donna bruna, non particolarmente attraente, ma abbastanza piacente da risultare gradevole, lo stava fissando. Gli rivolse un cenno, facendo ondeggiare i lunghi capelli castani e Piton sfoggiò un ghigno divertito: se non altro, nel suo patetico girone di tragedie e sventure, poteva concedersi qualche ora di piacevoli distrazioni ed illudersi che ci fosse qualcuno che lo amasse davvero.
Ripose la fotografia al sicuro nella giacca, vicino al suo piccolo cuore ghiacciato, dove sarebbe sempre rimasta a salvarlo dalle sue gelide notti insonni di ombre ed incubi e si avvicinò.


 

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Capitolo 7
*** Dolce ***


Capitolo Settimo

Dolce

And there's a danger in loving somebody too much
And it's sad when you know it's your heart you can't trust
There's a reason why people don't stay who they are
Baby sometimes love just ain't enough
(Sometimes love just ain’t enough, Patty Smyth e Don Henley)
Quando Severus aprì gli occhi, si rese immediatamente conto di non essere a Spinner’s End né, tantomeno, ad Hogwarts. Le travi del soffitto, più scure di quelle a cui era abituato, suggerivano un posto trasandato e piuttosto datato, probabilmente molto più di lui stesso. Si massaggiò pensosamente le tempie, levandosi a sedere e si guardò attorno, metabolizzando improvvisamente dove avesse già visto quell’arredamento ligneo: era al Paiolo Magico. Il profumo di lavanda delle lenzuola candide avrebbe dovuto suggerirglielo …
Si voltò verso la conca accanto a sé, vuota, ma che ancora conservava le tracce di un profumo femminile che quel mattino gli sembrava volgare: non ricordava molto della donna con cui aveva dormito. Era bruna, questo sì, ma, per il resto, non avrebbe saputo dire … non sapeva nemmeno il suo nome. Era così ubriaco che non aveva pensato di chiederglielo. Lo consolava il fatto che anche lei dovesse essere più o meno nella sua stessa situazione, dal momento che se n’era andata. Non era una novità, per lui: se ne andavano tutte appena si rendevano conto di dov’erano e, soprattutto, di con chi erano. Per fortuna, grazie alla sbornia, lui non si svegliava mai, cosa piuttosto bizzarra, visto il suo sonno abitualmente tormentato e leggerissimo. Fortunatamente, gli veniva quasi da dire: non avrebbe sopportato le occhiate di disgusto che gli venivano rivolte. Perché, bisogna dirselo, se non fossero state ubriache o disperate, quelle donne non si sarebbero mai trovate lì con lui … chi mai avrebbe accettato di passare il proprio tempo con un pipistrello dai capelli che sembravano unticci, la pelle martoriata di cicatrici, la gola squarciata ed un naso talmente adunco da sembrare un uncino? Senza dubbio una pazza che, se l’avesse dichiarato pubblicamente, sarebbe stata internata immediatamente al San Mugo accanto a quel babbeo di Allock ed ai Paciock.
Si alzò controvoglia, lavandosi e vestendosi con lenta e misurata calma mentre osservava la giornata fuori dalla finestra: pioveva a dirotto, quel mattino. Dal cielo di un grigio chiaro, dove le nuvole cineree e violacee si rincorrevano ed intrecciavano con il loro fumo contro un cielo traboccante di calda luce biancastra in secondo piano, scendeva una fitta cascata d’acqua che ticchettava su tetti ed alberi, riempiendo pozzanghere, inzuppando i vetri e costringendo i passati ad aprire i loro ombrelli colorati per strada, facendoli assomigliare vagamente a fiori di campo.
Severus amava la pioggia: gli infondeva una sensazione di calma e di catarsi, quasi quella manifestazione atmosferica potesse purificarlo da tutte le sue colpe e lavare via ogni macchia, oltre ad offrirgli un’ottima scusa per non uscire e restarsene tra i suoi amati libri, magari con una tazza di tè … o di whisky, come gli capitava sempre più spesso, oramai. Con uno sbuffo annoiato, afferrò la sua fedele bacchetta e, con un gesto spazientito, riordinò la stanza, uscendone.
Il Paiolo Magico, quel mattino, era incredibilmente affollato, probabilmente proprio a causa dell’infausto meteo, tanto che nessuno sembrò badare al suo ingresso nella stanza ed i suoi passi felpati si persero nell’ombra e nel chiacchiericcio.
“Professor Piton! Passata bene la notte? Mi è sembrato proprio di sì! Cosa Le porto?” ridacchiò Tom al bancone. “Un caffè senza zucchero e la Gazzetta del Profeta.” rispose secco Severus. “E da mangiare niente? Abbiamo una focaccia al caffè che è qualcosa di …”
“Detesto i dolci.”
“C’è anche in versione salata, con le olive.”
“Detesto anche quelle.” lo interruppe freddamente il professore, puntando al suo solito tavolo in un angolino ombreggiato da cui poteva vedere tutta la sala: sceglieva sempre posti del genere. Istinto da spia, supponeva: non se ne sarebbe mai liberato.
La sua furiosa camminata sicura, tuttavia, si arrestò all’improvviso quando si rese conto di chi aveva già avuto la brillante occupare di occupare il tavolino: Hermione Granger, vestita con pantaloni neri, francesine dal tacco alto ed una maglia dalle maniche blu a sbuffo, stava leggendo avidamente un volume dall’aria pesante (cosa davvero strana per una so-tutto-io, certo Severus!) con dinanzi a sé un’enorme tazza di cappuccino ed una brioche traboccante di marmellata. Dal colore, sembrava confettura ai frutti di bosco, ma avrebbe anche potuto essere amarena, per quel che ne sapeva, anche se dubitava che la Granger fosse tipo da cose amare …
“Ecco qui, professor Piton: caffè nero senza zucchero e Gazzetta del Profeta, come richiesto. La casa, come al solito, si permette di offrirLe anche la focaccia al caffè con gocce di cioccolato (fondente, non si preoccupi, non c’è il rischio che si addolcisca!) … ha bisogno di rifocillarsi dopo una notte di movida …” esclamò il vecchio Tom a voce fin troppo alta, raggiungendo Severus con giornale, tazza, piatto e forchettina che gli fluttuavano dietro. “Dove glieli lascio?”
“Ad un qualsiasi tavolo libero, ovviamente …” sibilò il Serpeverde senza staccare gli occhi dalla Granger che, solo per un istante, aveva sollevato lo sguardo dal tomo, incontrando quello gelido del professore ed affrettandosi ad ignorarlo.
“Tavoli liberi, certo … non è mica un principino, Lei, sa? Non ce ne sono, stamattina!” ridacchiò Tom. “Allora al bancone … il locale è suo, dannazione, non dovrei certo essere io a trovare una soluzione per accontentare il cliente!”
“Potrebbe sedersi con la signorina Granger: tanto vi conoscete, no?”
Prima che Piton o Hermione stessa, udite quelle parole, potessero replicare, il locandiere aveva già fatto volare tutta la colazione del professore sul tavolino. Severus sospirò, frustrato, portandosi due dita alla base del naso, com’era solito fare per trattenere il nervosismo ed il consueto mal di testa che gli lasciava sempre. “Grazie, Tom … sempre molto efficiente e cortese. E discreto, soprattutto.” sibilò. “Dovere, professore … Le auguro una buona giornata!” sorrise soddisfatto il locandiere, rifugiandosi dietro al bancone un po’ per dovere ed un po’ per evitare le fatture che, con tutta probabilità, il Serpeverde gli avrebbe rifilato se solo avesse osato continuare.
“A proposito, Hermione … offre la casa!” trillò Tom ad alta voce, rendendosi ancor più ridicolo. La ragazza, messo da parte il libro, rivolse un largo sorriso all’uomo. “Non devi, Tom … non serve, davvero, pago la colazione più che volentieri!”
“Oh, su: devi pur viziarti un po’, ragazza, sei giovane! Meriti qualche gesto affettuoso, mica sempre e solo lavoro … parlane con il professor Piton, saprà darti ottimi consigli su come … divertirsi!”
Severus trattenne a stento un Avada Kedavra che già sfrigolava sulla punta della sua bacchetta: neanche la Granger fosse stata una specie di santa! Ma perché diamine nessuno sembrava notare quanto sapesse essere saccente e fastidiosa?
Chiuse gli occhi e sospirò, profondamente infastidito, cercando di mantenere il suo solito aplomb. Sollevò il viso, fissando con occhi carichi di sdegno quelli divertiti della Granger: evidentemente, quell’oste da quattro soldi le aveva appena fornito un’occasione di autentico spasso.
Oramai rassegnato, raggiunse il tavolo e sedette in silenzio, iniziando a sfogliare il giornale e trovandolo, per sua estrema sfortuna, particolarmente noioso ed inutile. Hermione rimase immobile per qualche istante, fissando l’uomo con sguardo vacuo, immersa in chissà quali pensieri. Severus non si disturbò a salutarla: semplicemente, estrasse dalla casacca il libro acquistato al Ghirigoro, lo fece tornare alle dimensioni abituali ed iniziò a leggere con un mugugno irritato. Solo dopo parecchi istanti, sentendo un continuo tintinnio di ceramica al tavolo, sollevò il capo. “Potresti almeno salutare, Granger, visto che non riesci a fare colazione in silenzio!” commentò, sarcastico: era innegabile che gli piacesse lasciarla imbarazzata, infuriata ed umiliata, già dai tempi della scuola. Proprio non sopportava la sua tracotanza …
Hermione sollevò le sopracciglia. “Anche Lei potrebbe.” ribatté, semplicemente. “Per rispetto di ruoli, tuttavia, spetterebbe a te …”
“Ed a Lei, sempre per anzianità, spetterebbe dare il buon esempio, ma non si è mai disturbato a farlo in nove anni che La conosco, dunque non vedo proprio perché dovrei cominciare io …”
“Sempre per quel rispetto che a voi Grifondoro manca del tutto …”
“Il rispetto, per quanto mi è stato insegnato, è una cosa reciproca: lo si mostra a chi ce lo mostra. E non è che Lei ne mai abbia avuto poi molto nei miei confronti …” bofonchiò la ragazza, piluccando il suo croissant, stizzita. Severus ghignò osservando il viso della giovane contorcersi nella fatica di evitare di sporcarsi con la marmellata che colava dal dolce. “Che ci fai qui? Potter e compagnia ti hanno cacciata dal loro circolo esclusivo?” chiese distrattamente, sorseggiando il caffè. Hermione non rispose subito, rimanendo immobile a fissarlo con il viso oramai arrossato per la rabbia trattenuta. “No.” rispose infine in appena un sussurro, prendendo un sorso di cappuccino. Piton sollevò le sopracciglia: era sorpreso del suo ostinato mutismo, lei, che di parole ne aveva sempre avute troppe. “Non è un posto che ti si confà, Granger ...” proseguì imperterrito. “Nemmeno a Lei, ma, a detta di Tom, ci viene piuttosto spesso …”
“Parli di me con l’oste nel tuo tempo libero? Non credevo di essere un argomento così interessante …” ghignò. “Infatti non lo è!” esclamò la Grifondoro. “Ma la sua presenza qui ieri sera non è passata inosservata.”
Piton parve raggelare a quelle parole: il ghigno sparì dalle sue labbra e tornò immediatamente alla sua lettura. Non sembrava molto disposto a parlare delle sue serate al Paiolo Magico …
Un gelido silenzio calò sul tavolino, rotto solo dal rumore delle posate su cui i due commensali si erano improvvisamente concentrati. Severus sollevò appena lo sguardo su un gruppo di ragazzine starnazzanti, tutte uguali, con le unghie laccate, tatuaggi ovunque ed un disordine patologico attorno a loro: bastò una sua occhiata a farle abbassare la voce. Ghignò, soddisfatto: probabilmente, erano tutte Grifondoro o Tassorosso.
“Sta leggendo il libro che Le ho consigliato …” commentò Hermione dopo un po’, alludendo al volume mentre si puliva le dita su un tovagliolino. Piton, in risposta, mugugnò qualcosa che doveva essere una qualche forma di assenso. “Lo trova interessante?” riprese la ragazza, decisa a farsi dire cosa ne pensasse. Come immaginava, Piton alzò gli occhi al cielo. “Se non lo ritenessi tale, non lo starei leggendo.” sentenziò. “Io l’ho trovato molto istruttivo, oltre che innovativo, perché spiega con terminologia semplice, adatta a tutti gli studenti, le ultime scoperte nell’ambito delle pozioni, soprattutto per quanto concerne l’uso delle piante lunari … oltretutto, fa anche un approfondimento significativo su di esse, ad esempio sul giraluna ed il gelsomino notturno e ne descrive bene i vari utilizzi …”
Piton agitò la mano, come a scacciare un moscerino. “Non serve che me lo riassumi per intero, Granger! C’era da immaginare che l’avresti letto, dannazione …”
“Beh, è un argomento che mi interessa!”
“E che una so-tutto-io non può certamente lasciarsi sfuggire, certamente!”
“Non leggo per ripetere a pappagallo quello che dicono i libri agli altri, contrariamente a quanto pensa Lei: se lo facessi, non avrei neanche un amico o conoscente. Leggo perché voglio arricchire le mie conoscenze, approfondire e, soprattutto, staccarmi dalla realtà.” replicò, asciutta, Hermione, beccandosi l’ennesima occhiata stranita del professore. “In tal caso, apprezzerai questa giornata uggiosa: è l’ideale per isolarsi con una buona lettura e smettere di importunare la gente!”
“Se vogliamo essere puntigliosi, è Lei ad avere importunato me sedendosi qui: c’ero seduta da molto prima di Lei …” concluse la ragazza, stringendo a sé il tomo. “E tu che cosa stavi leggendo prima di dedicare tutte le tue energie mattutine ad importunarmi e rovinarmi la giornata?” le chiese inaspettatamente Severus, totalmente disinteressato: non la stava guardando, naturalmente. Leggeva e beveva il caffè senza badare a niente ed a nessuno e sembrava che quella domanda così distratta gli fosse uscita dalla bocca per puro caso …
“Un romanzo babbano … Via col Vento.” ammise Hermione, contorcendosi le dita: si aspettava di ricevere insulti, prese in giro e qualche sproloquio, ma, sorprendentemente, l’uomo si limitò ad annuire. “Margareth Mitchell.” annuì. “Lo conosce?” esclamò, sorpresa. “Levati quell’espressione inebetita, Granger … erano i romanzi che leggeva mia madre, non certo io.”
“Eileen Prince …”
Hermione si rese conto fin troppo tardi di aver parlato senza pensare e serrò la bocca, beccandosi un’occhiata gelida. “Non sono affari che ti riguardano.” confermò lui, seccato. “Però li deve aver letti anche Lei!”
“Non serve aver letto qualcosa per conoscerne l’autore …”
“Quando qualcuno parla di libri che ha letto, pronuncia i nomi in modo diverso da chi li conosce per sentito dire e basta, lo sa?”
“E da dove viene questa perla di saggezza?”
“Dalla mia esperienza lavorativa, esperienza che Lei è reticente a confermare pur sapendo che è vera.”
“Stai forse insinuando che sono restio a dire che leggevo romanzi rosa durante l’adolescenza, Granger?”
A quella frase, Severus si sarebbe aspettato un silenzio impaurito, come sempre accadeva quando pronunciava quelle frasi gelide in aula, dinanzi ad alunni tremolanti ed impauriti, Granger compresa. Tuttavia, oramai l’aveva capito, Hermione Granger, dopo quella stramaledetta guerra, aveva soltanto trovato il coraggio di mostrare quello che era veramente. Probabilmente, avrebbe ribattuto, irritata o se ne sarebbe semplicemente andata, lasciandolo alla sua amata solitudine, sua fedele compagna da più di vent’anni.
Invece, contrariamente ad ogni pronostico, l’irritante Grifondoro non solo non scappo, ma, anzi, si mise a ridere sinceramente all’idea, gettando la testa lievemente all’indietro e continuò per qualche istante prima di ricomporsi e terminare il suo cappuccino in un sol sorso, scossa dalle ultime risate.
“Hai finito di dare spettacolo?” sibilò, infastidito dalle occhiate che oramai mezzo locale gli stava rivolgendo: quando mai il pipistrello aveva fatto ridere qualcuno, del resto?
“Scusi, è che l’idea di vederLa alla prese con qualcosa di dolce era proprio … beh, esilarante.” spiegò la ragazza, ancora sorridente, scuotendo il capo. “Non amo il dolce, contrariamente a te che riempi di zucchero quella testolina propensa ai drammi già di prima mattina, inibendo ogni possibilità di ragionamento …” sbottò, passandole malamente un tovagliolino e facendole cenno di pulire il disastro che lo zucchero a velo le aveva lasciato attorno alla bocca. La giovane accettò, ritrovandosi a pensare che era la seconda volta che le allungava un fazzoletto. Una volta che si fu pulita, si alzò. “Ad ogni modo, se volesse rileggere quei romanzi, prima o poi, potrei sempre prestarglieli … del resto, viene qui spesso, a quanto pare … ah e Le conviene mangiare quella focaccia: migliora l’umore. Le farebbe bene.” concluse Hermione. Appena pronunciate quelle parole svanì lungo le scale, per nulla intenzionata ad ascoltare la risposta. Severus rimase a fissare il punto in cui era rimasta in piedi la ragazza, dubbioso e vagamente irritato dalla sua arroganza. Con un sospiro rassegnato, tagliò un pezzo di focaccia, constatando che, effettivamente, non era poi così male al palato …
“Petulante so-tutto-io …” bofonchiò prima di tornare alla sua lettura.
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Hogwarts, 1° settembre
Era una verità universalmente nota il fatto che Severus Piton odiasse il primo settembre ben più di qualsiasi altro giorno, persino più del Natale e del suo compleanno, da tutti considerati i suoi più grandi nemici.
Detestava profondamente quella giornata e non certo perché coincideva con la ripresa del suo lavoro: non era un tipo che si lamentava della fatica o che si lasciava prendere dalla fiacca, tutt’altro. Quello che proprio non riusciva a sopportare era tornare in un castello che, per mesi, era stato deliziosamente vuoto, tetro e silenzioso, come qualunque castello dovrebbe essere e trovarlo gremito di mocciosi frignanti e totalmente idioti che lo avrebbero fatto dannare per un anno intero e gli avrebbero affibbiato i peggiori soprannomi, colleghi completamente rimbecilliti che cercavano continuamente di espiare le loro colpe tentando inutilmente di essergli amici, un guardacaccia imbarazzante, un quadro parlante che lo tormentava persino nei suoi incubi ed una preside che lo disturbava per ogni sciocchezza con la scusa di fargli compagnia perché lo trovava troppo solo. Senza contare tutti i ricordi che il primo settembre si portava dietro …
Se chiudeva gli occhi, poteva quasi rivedersi, rachitico, unticcio e con una divisa di seconda mano tutta scucita, mentre una Lily bambina gli sorrideva, rassicurandolo sul fatto che sarebbe andato tutto bene. E, poi, lei era stata smistata a Grifondoro e lui aveva pateticamente implorato quel vecchio straccio di fare in modo che stesse con lei. Aveva fallito miseramente anche allora: c’erano troppe ombre in lui per stare nella gloriosa casa dei buoni. Meglio rinchiuderlo subito nei sotterranei, in mezzo ai suoi simili, alle bestie … alla polvere sotto il tappeto, come diceva sempre a Minerva. E, poi, erano seguiti decine e decine di smistamenti, sia da alunno che da insegnante, in cui non aveva fatto che guardare o pensare solo a Lily ed a quei capelli rossi che si muovevano al ritmo della sua risata al tavolo dei Grifondoro. Questo finché non era arrivato Potter, il suo irritante figlio: da quando l’aveva visto, aveva smesso di fissare inebetito quel maledetto tavolo. Si era ripetuto che fosse per sviare ogni possibile sospetto, ma la realtà era che aveva una paura folle di vedere qualcosa di lei in lui … ed era bastato pochissimo per vederlo, in effetti.
Mentre l’ultimo alunno veniva smistato a Tassorosso, sospirò, massaggiandosi la base del naso: oramai, ad ogni smistamento, non guardava proprio niente. Non lo interessava quella marmaglia di ragazzini, né chi ci fosse seduto a quale tavolo: non gli importava proprio un fico secco.
Non appena Minerva ebbe congedato gli studenti, si affrettò a sgusciare lontano dal tavolo degli insegnanti e dalle assurde chiacchiere di Pomona con Paciock sull’apprendistato che avrebbe intrapreso quell’anno. Uscì passando inosservato, come gli anni da spia gli avevano permesso di fare e scivolò tra corridoi umidi e passaggi segreti sino a raggiungere le sue stanze.
Lì serrò la porta con un tonfo secco e trasse un sospiro di sollievo, lasciandosi cadere in poltrona: era salvo, almeno per il momento. Dal giorno seguente sarebbero cominciate le lezioni e lì sì che la sua emicrania avrebbe necessitato di pozioni su pozioni per essere calmata …
“Dovresti rilassarti, Severus: fa’ un bella passeggiata o prenditi una burrobirra con un amico!” suggerì Silente dalla cornice. “Non ho amici.” replicò seccò il professore, gli occhi ancora chiusi. “Minerva e Remus come li consideri, allora?”
“Seccature, come te.”
“Noi eravamo ben più che amici, Severus … tu sei stato un po’ come un figlio ed io un po’ come un padre, lo sai perfettamente.”
“Direi più che tu sei stato la vittima ed io l’assassino, Albus …”
“Ancora con questa storia? Ragazzo mio, devi andare avanti …”
“E perdonarmi per tutto quello che ho fatto?”
“Non credo ci sia più nulla da perdonarti … ricordo quando sei venuto a chiedermi aiuto, sai? Eri l’ombra di te stesso … disperato come poche volte avevano visto un mago.”
“E con questo?”
“Sei così anche adesso: si vede che sei meno teso, senza dubbio, ma … Severus, non sei felice, mi pare evidente e sarebbe un insulto alla tua intelligenza negarlo!”
“La felicità è per gli idioti e gli illusi, Albus … ed ora, se permetti, vorrei godermi un po’ di solitudine …”
Un lieve bussare alla porta lo fece mutare il ghigno in un sospiro innervosito: aveva parlato decisamente troppo presto. Con uno sbuffo teatrale, si levò in piedi e spalancò la porta con un gesto secco.
Si aspettava di trovare Minerva o al massimo Filius, ma, contrariamente alle sue aspettative, il suo cuore oramai mezzo addormentato, al vedere la presenza fuori dall’uscio, si arrestò di colpo.
I grandi occhi di smeraldo di Lily ed i suoi capelli di fuoco lo stavano aspettando, accompagnati da un largo sorriso perlaceo in contrasto con una giacchina verde bottiglia che non le rendeva giustizia.
“Lily …” mormorò il mago con voce praticamente assente. “Ciao Severus! Gazza mi ha detto dove potevo trovarti … ma non arrabbiarti con lui, sono io che ho insistito fino a farlo cedere! Posso entrare?”
“No!” strillò la mente di Severus, quasi implorando quello stupido del suo cuore di smetterla di torturarsi, ma tutte le sue urla furono vane, dal momento che l’uomo annuì e si spostò senza neanche pensarci un secondo. Lily gli sorrise di nuovo ed entrò a passo sicuro, iniziando a girovagare ed osservare ogni singolo oggetto con passi lenti ed occhi curiosi.
Piton deglutì: doveva darsi un contegno, dannazione! Anche se quella scena era stato il suo sogno segreto per anni ed anni, non era più un dannato ragazzetto, per Merlino!
“A cosa devo il piacere?” chiese. Lily si volse a fissarlo. “E me lo chiedi? Mi hai ignorata per mesi, Sev!”
Sentire il suo soprannome gli fece contorcere dolorosamente lo stomaco, ma si mantenne comunque, seppur a fatica, impassibile. “Non credo di averlo fatto, in realtà …”
“Pensi dunque che non rispondere alle mie lettere e rifiutare ogni singolo invito che ti ho inviato da giugno sino ad ora sia prestare attenzione?” rise Lily. “Non ho avuto molto tempo libero … insegnare è un lavoro totalizzante, per quanto possa non sembrare, sai? Certo, per te che non hai bisogno di lavorare, grazie a tuo marito, è difficile da capire …” sibilò Piton, come sempre all’attacco, l’unica maniera che conosceva per rispondere a qualunque cosa. Lily, che, tuttavia, lo conosceva piuttosto bene, ignorò deliberatamente quell’ultima frase. “Secondo Harry, ti senti ancora in colpa …” sentenziò. “Harry sbaglia e non di rado, sfortunatamente … ho avuto modo di constatare parecchi precedenti in questi ultimi vent’anni! Fare affidamento sul suo giudizio è un rischio azzardato. Posso offrirti un tè o dell’idromele?”
“Non sviare il discorso, Severus: sai benissimo che mio figlio ha ragione … per questo sono qui. Volevo invitarti personalmente a pranzo da noi domenica: di persona, forse, sarà più difficile dirmi di no!”
“E cosa dovrebbe trattenermi dal farlo?”
Lily sorrise e si avvicinò cautamente. “Perché di persona posso pregarti con molta più insistenza …”
Non appena il dolciastro profumo di gigli raggiunse le narici del pozionista, questi si volse di scatto, tornando a sistemare i libri sulla sua scrivania: non avrebbe dovuto farla entrare. Non si sarebbe trovato in quella situazione … perché diamine, dopo trent’anni, il profumo di Lily aveva ancora il potere di ipnotizzarlo e farlo arrossire come mai nessuno aveva saputo fare? Perché non poteva smettere di illudersi?
“Non mi sembra appropriato, Lily e lo sai anche tu.” affermò così, inspirando e voltandosi a fissarla nei grandi occhi verdi colmi di delusione. “Ma perché?” sospirò. “Cosa ti …”
“Non ho sensi di colpa nei tuoi confronti, non ritirare fuori quella vecchia storia. Ma tu sei sposata, sei innamorata e felice con la tua famiglia da copertina … rovinerei soltanto una delle vostre giornate con la mia presenza. E non negare: è così.”
“Guarda che James ed Harry sanno che sono qui e non solo mio figlio ha acconsentito, ma era anche d’accordo!”
“E Potter senior?”
“James un po’ meno, ma mi ama, si ricrederà …”
“Lo vedi? Non è una buona idea.”
“Severus, io vorrei solamente riavere il mio migliore amico … possibile che tu non riesca a capirlo?” sospirò Lily, vagamente esasperata. “Quando … quando ci siamo allontanati … mi mancavi. Tanto.”
“Hai fatto in fretta a consolarti, però …”
“Anche tu con i tuoi amichetti di casa! Ma non puoi negare che entrambi sentivamo la mancanza l’uno dell’altra … e la sentiamo ancora. So che per te è difficile per James ed Harry … va bene, non fare quella faccia, soprattutto per James e so dei tuoi sentimenti per me, credimi, perciò capirò se ti sentirai troppo in imbarazzo per accettare … ma vorrei tanto, tantissimo, riaverti come migliore amico. Lo siamo sempre stati, nonostante tutto!”
Severus alzò gli occhi, incontrando quelli disperati di lei: poteva farsi bastare di essere solo suo amico? Un tempo, gli sarebbe bastato vederla da lontano per poter respirare meglio ed ora che l’aveva lì la stava rifiutando … era inutile rimuginare sul passato, almeno non con lei, dato che sembrava averlo accartocciato come un vecchio foglio di appunti. Forse, riavere perlomeno la sua amica, se non la donna dei suoi sogni, poteva dargli un po’ di serenità … forse. Tanto valeva provare: dopotutto, cos’aveva da perdere?
“Va bene, verrò.” assentì con un sospiro che suonò come esasperazione. Il sorriso di Lily si allargò. “Grazie, Sev, è magnifico!” trillò, congiungendo le mani prima di schioccargli un bacio sulla guancia. “A mezzogiorno, a casa mia … Godric’s Hollow: ricordi dov’è, no?”
“Fin troppo bene …” mormorò il mago, ancora stordito dalla sensazione delle morbide labbra di Lily sulla guancia ruvida come il suo animo. “Perfetto … allora, a domenica! Ciao, Sev, buon lavoro!” rise la donna, avviandosi alla porta. Solo sull’uscio si volse per un istante a fissarlo, ancora inebetito dinanzi al divano. “Sai che tra noi non sarebbe mai potuto funzionare, vero?” sospirò con voce improvvisamente seria. “E chi può dirlo?” replicò lui, ferito da quelle parole. “Eravamo troppo diversi, allora … non eravamo ciò di cui avevamo bisogno. E c’erano troppe guerriglie tra Grifondoro e Serpeverde.”
“Ci sono ancora.”
“Ora è diverso, però ... se fosse stato così anche allora, le cose sarebbero state molto diverse … forse non ci saremmo mai allontanati! Ma sto straparlando, scusa! Ci vediamo domenica!” concluse, rivolgendogli un ultimo sorriso di uscire, avvolta dal suo profumo di gigli.
Severus, rimasto solo, sbuffò, massaggiandosi le tempie indolenzite: cosa diamine aveva appena fatto?
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Hermione inciampò sui tacchi durante la smaterializzazione, imprecando mentalmente contro la sua splendida idea di vestirsi bene per quello che, teoricamente, avrebbe dovuto essere un semplice pranzo in famiglia. Il suo buonsenso, solitamente dominante in lei, l’aveva implorata di infilarsi un comodo cardigan, ma la vanità aveva prevalso, assieme alla necessità quasi fisica di dare l’illusione di essere serena, felice e realizzata. E, così, Hermione era uscita dal Paiolo Magico con un bel vestito blu scuro, una giacchetta di pelle nera, scarpe con il tacco e pendenti color zaffiro. Parecchi avventori avevano fischiato al suo passaggio, scatenando le ire di Tom e facendola arrossire mentre si smaterializzava a Godric’s Hollow.
L’ultima volta che si era trovata in quel villaggio sperduto, era inverno e l’impressione che ne aveva avuto era stata totalmente diversa: allora, nella fioca luce dei lampioni, la neve copriva le strade, i tetti appuntiti delle case di campagna, gli abeti dalle fronde maestose e scintillanti di ghiaccio ed il selciato. Piccoli fiocchi vorticavano nell’aria, creando turbinii e fiochi d’ombra. Lei ed Harry, tremanti, impauriti e sfiniti, si erano trascinati sino al cimitero, sulla tomba di Lily e James, ora rimossa …
Scacciò quel triste ricordo, ancora capace di darle i brividi e si concentrò sul villaggio in cui stava passeggiando, ora completamente diverso: gli abeti svettavano ancora alti e le case erano sempre le stesse, ma le vie lastricate erano ricoperte di fogli scricchiolanti e tracce d’erba, sui davanzali svettavano fiori e tende d’ogni sorta e le fronde degli alberi si muovevano alla placida brezza che preannunciava l’arrivo dell’autunno, mentre le nuvole si rincorrevano in un cielo azzurro polvere.
Hermione ignorò una vecchietta incuriosita che la stava fissando insistentemente e si affrettò verso la casa dei Potter.
Vederla ritornata all’antico splendore era quantomeno straniante, sapendo cosa vi era accaduto e com’era ridotta: il tetto era stato riparato, i muri erano tornati bianchi e sorretti da un costato ligneo ed il piccolo giardinetto oltre la staccionata si era popolato grazie ad una robusta ed alta quercia ed a rose selvatiche che s’inerpicavano ovunque. Un uccellino, in lontananza, canticchiava tranquillo.
Hermione inspirò a fondo, contorcendo le mani attorno alla torta fatta da lei stessa che aveva portato per l’occasione: era ora. “Avanti, Hermione: che razza di Grifondoro sei?” si disse, avanzando oltre la staccionata e suonando al campanello. Dovette attendere solo qualche secondo prima che la porta si spalancasse ed Harry, incredibilmente in maglione (rosso, ovviamente) le apparisse dinanzi con un sorriso a trentadue denti ed i soliti capelli impossibili. “Herm!” esclamò, sorridente, abbracciandola. “Ciao, Harry!” lo salutò lei, scostandosi poco dopo. “Come stai? Ti trovo bene!”
“E tu sei splendida! Ma non dire a Ginny che te l’ho detto, altrimenti chi la sente? Su, vieni, voglio farti vedere la casa prima di tutto … guarda che capolavoro!”
E, in effetti, l’abitazione non si poteva definire altrimenti: le pareti erano state tinte di un tenue color pesca, la mobilia in legno chiaro svettava ed un po’ ovunque c’erano felci e vasi di fiori, quadri ed oggetti piuttosto carini che avevano l’aria di venire da un arredamento di famiglia. “Che te ne pare? Abbiamo dovuto usare i mobili dei nonni Potter, i genitori di mio papà … mamma dice che le piacerebbe tenerli, però!” sorrise Harry. “Infatti sono molto belli … come la casa! Avete fatto un lavoro incredibile … vi avrei dato volentieri una mano, se solo mi aveste chiamata!” confermò Hermione, annuendo, ammirata e vagamente invidiosa.
“Mi era parso di sentire una voce familiare … ciao, Hermione!” esclamò in quel mentre una voce maschile. La ragazza si volse, sorridendo ad un James Potter che, stranamente, le apparve leggermente nervoso. “Signor Potter, salve!” lo salutò. “Macché signore e signore: chiamami James, su! E da’ a me questo dolce, l’apprezzerò senz’altro molto più di Lily! Sei un incanto oggi … ma vieni, vieni pure di là, stiamo per cominciare e c’è un pranzo da reggimento pronto solo per voi ospiti!”
Prima che Hermione potesse ribattere, la torta le venne tolta la bottiglia di mano e fu letteralmente trascinata nell’allegra cucina color ocra di casa Potter, dove Lily, con indosso una camicia verde bottiglia ed una collana dall’aspetto orientaleggiante, stava ridendo assieme a Ginny, in jeans e camicetta nera dalla schiena trasparente. “Herm, sei arrivata finalmente!” esclamò l’amica, precipitandosi ad abbracciarla. “Stavamo aspettando solo te, accomodati pure, cara!” la salutò Lily, schioccandole due baci sulle guance ed invitandola a prendere posto alla tavola finemente imbandita con tanto di centrotavola fiorito.
Hermione, rincuorata da quell’accoglienza che aveva tanto temuto, si stava appunto dando della stupida per tutte le sue paranoie quando notò la figura già seduta a tavola e si immobilizzò di scatto: ora capiva il nervosismo di James.
Comodamente adagiato su una sedia all’angolo, Severus Piton stava infatti fissando la scena con un sopracciglio alzato ed un’espressione vagamente disgustata in volto. Ciò che Hermione trovò davvero strano, tuttavia, era il suo abbigliamento: al posto della solita redingote, infatti, aveva una semplice giacca, abbinata ai pantaloni ed aperta sulla camicia immacolata. Fortunatamente, il cravattino era ancora al solito posto: non sarebbe riuscita a mangiare nulla con quella cicatrice a fissarla come silente monito della guerra che aveva combattuto e di tutti coloro che non ce l’avevano fatta …
“Buongiorno, professore …” mormorò, deglutendo. “Granger …” bofonchiò lui: era più che evidente che volesse essere da tutt’altra parte. Doveva aver accettato soltanto per Lily …
“Sediamoci, su, che si fredda tutto altrimenti!” intervenne la padrona di casa con uno dei suoi accomodanti sorrisi, invitando Hermione a prendere posto. James si lasciò cadere a capotavola, evidentemente infastidito dalla presenza poco lontana, Lily si pose accanto al marito ed Harry, per non mettere in imbarazzo nessuno, sedette tra il padre e Piton. Hermione gli rivolse uno sguardo grato mentre si accomodava tra Lily e Ginny.
“Ecco qui … ho provato a fare l’arrosto con le patate, spero sia riuscito bene! Servitevi, su!” esortò la padrona di casa senza mai smettere di sorridere mentre i commensali, chi più chi meno, iniziavano il pranzo.
“È davvero squisito, signora Potter …” annuì subito Hermione, sentendosi in dovere di fare un complimento. “Chiamami Lily, tesoro. E grazie davvero per aver portato il dolce … non avevo proprio avuto tempo di fare la torta! Si sposerà bene con il vino portato da Severus …”
“Speriamo.” commentò questi acidamente, continuando a tagliare l’arrosto con movimenti precisi ed eleganti, come quando affettava qualche ingrediente per le sue pozioni.
“Hermione è bravissima a cucinare … ha provato ad insegnare qualcosa anche a me, ma non c’è stato verso!” esclamò Ginny, annuendo. “Ci ha provato anche Molly, ma senza grandi risultati!” rise Harry, beccandosi un’occhiataccia dalla fidanzata. “È tutta questione di esercizio.” liquidò Lily con un gesto noncurante. “E di dedizione.” aggiunse Severus seccamente. “Posso dire con certezza che, se la torta preparata dalla signorina Granger sarà anche solo lontanamente simile ad alcune pozioni che mi ha presentato nel corso degli anni, temo non sarà digeribile …”
“Dato che ho passato i M.A.G.O. con una E in Pozioni, ne dubito fortemente, professore.” replicò asciutta Hermione, beccandosi uno sguardo di apprezzamento da James ed uno seccato da Piton.
“Com’è andata la partita di mercoledì, Ginny? Ho sentito grandi cose!” domandò educatamente la Grifondoro per levarsi dall’imbarazzo di quello che aveva appena detto senza neanche pensarci troppo. “Oh, magnificamente!” esclamò la Weasley, versandosi un’abbondante dose di vino. “Abbiamo stracciato quelle serpi! Senza offesa, professore …”
“È noto che i Grifondoro sono i migliori a Quidditch … era così anche ai nostri tempi, no, Lily?” confermò James, vagamente soddisfatto. “Questo perché è piuttosto noto che i Serpeverde preferiscano usare la testa …” commentò Piton, sempre più brusco, mentre continuava la sua piccola operazione chirurgica nel piatto. “Ma come procede ad Hogwarts? Minerva ha dei progetti interessanti per quest’anno? Remus, domenica scorsa, ancora non ha saputo dirci molto …” intervenne Lily, decisa a troncare sul nascere ogni possibile fonte di lite. “Non particolarmente: ho rinunciato da decenni ai progetti di pozioni. Non è possibile fare affidamento su un branco di teste di legno in una materia così delicata, sfortunatamente …”
“Molto dipende dalla bravura dell’insegnante …” rincarò James. “Ad esempio, Remus incoraggia, rispiega, è disponibile e gentile, rispetta tutti … ed ha un innegabile talento nel spiegare …”
“Lupin infatti non si fa rispettare: è un amico, non un docente.” sibilò Piton. “Ma forse è quello di cui i ragazzi hanno bisogno!”
“Metti in discussione i miei metodi d’insegnamento, Potter? Tu, che non hai lavorato un solo giorno in vita tua?”
“Sapevate che Severus era bravissimo in pozioni già al primo anno? Mi ha insegnato … quasi tutto quello che so, in effetti!” sorrise Lily, visibilmente agitata ed Hermione immaginò che avesse appena tirato un sonoro calcio al marito sotto al tavolo. “Ognuno ha il proprio talento naturale: io ho sempre avuto il Quidditch, come papà e Ginny … altri hanno lo studio, come il professore, Hermione e mamma!” concluse Harry, che, con un lieve sorriso conciliatore, troncò sul nascere quella piccola diatriba creatasi.
La conversazione, per tutto il primo ed il secondo, fu incentrata quasi esclusivamente sul passato: Harry e Ginny non facevano che rievocare questo o quell’episodio della loro carriera scolastica, subito echeggiati da James e Lily, il primo dapprima trattenuto, poi sempre più scherzoso, la seconda sorridente e gentile e fin troppo occupata a rimproverare il marito per le sue battutine. Hermione, in pochi minuti, si scordò totalmente delle sue preoccupazioni e partecipò attivamente ai racconti, commentando, ridendo e, senza neanche rendersene conto, svuotando il piatto.
“Abbiamo parlato di tutte le professioni … ma dicci di te, Hermione! Come sei finita da Florence Florish?” intervenne all’improvviso James, invitandola a raccontare con un gesto. La giovane, all’improvviso, si ritrovò ad avere la gola secca. Si versò una generosa dose di vino e la tracannò prima di rivolgere nuovamente lo sguardo ai commensali, tutti, tranne Piton, concentrati su di lei. “Terminata la scuola, ho inviato i curriculum in svariati posti … avevo bisogno di lavorare, senza badare troppo alle possibilità di carriera. E al Ghirigoro mi hanno assunta subito. Non ero convinta di rimanerci, ma … beh, sapete quanto ami i libri, di ogni genere e questo lavoro mi piace, mi permette di essere me stessa. Adoro aiutare i clienti a trovare esattamente ciò di cui hanno bisogno per distrarsi o risolvere i loro problemi, occuparmi dei libri magici, ascoltare presentazioni, conoscere gli autori e rifare le vetrine per attirare maghi e streghe … è proprio il mio ambiente, in effetti.” spiegò, sorridendo. “E, poi, la signora Florish e Cormoran sono gentilissimi.”
“E dire che t’immaginavo Ministro della Magia a vent’anni!” commentò Ginny, facendo spallucce. “Lo so, anche Lumacorno mi tormenta con questa storia ogni volta che lo vedo, ma non ho questo genere di prospettiva … non sopporterei un lavoro d’ufficio!”
“Credo sia perché gli ricordi un po’ Lily … era la sua studentessa preferita, no, Lils?” intervenne James. “Non è vero, gli piacevano gli alunni interessati e talentuosi, tutto qui!”
“E famosi …” aggiunse Harry. “E, comunque, è innegabile che ti adorasse … come tutti.” commentò Severus, stupendo tutti i presenti per non aver arricchito la frase con commenti acidi. “Oh, ma adorava anche te, Sev!” aggiunse Lily. “Diceva sempre che saresti diventato il miglior pozionista d’Inghilterra … non è andato poi così lontano, no?”
“Indubbiamente no, il professor Piton è il migliore!” sorrise Harry, annuendo vigorosamente. “Perché proprio pozioni?”
Hermione si rese conto di aver posto la domanda senza pensarci quando si accorse che, nel silenzio calato sulla tavolata, tutti stavano fissando lei, stupiti per la sua audacia: nessuno che non fosse Lily Evans avrebbe mai osato chiedergli apertamente qualcosa di personale, se voleva continuare a respirare per molto tempo.
Piton la stava guardando storto, vagamente annoiato ed infastidito, ma, versatosi dell’altro vino, rispose annoiatamente: “Perché richiede attenzione, precisione, conoscenza di tutti gli ambiti magici, è innegabilmente utile e fondamentale ed è stata la prima branca della magia che ho affrontato.”
La Grifondoro annuì, convinta che ci fosse dell’altro, ma preferì tenerlo per sé mentre James iniziava a parlare dei suoi genitori, noti pozionisti, sotto lo sguardo incantato e nostalgico del figlio e della moglie.
Hermione si perse nelle chiacchiere e si accorse che le ore erano trascorse solo quando venne servito il suo dolce: il piatto, come previsto, volò magicamente sul tavolo ad uno schiocco di dita di Lily, mentre le posate ed i piatti si impilavano e si fiondavano in quella che aveva tutta l’aria di essere una comoda lavastoviglie ed il servizio da dessert si posava elegante dinanzi ai commensali. La padrona di casa aprì la tortiera con un sorriso, rivelando una specie di lungo tunnel rettangolare color cioccolato.
“Oh, ma è … è …” commentò Ginny, dubbiosa, mentre Lily tagliava la prima fetta, rivelando un impasto a scacchi bianchi e neri alternati. “Una Battenberg Cake.” rispose la voce tagliente di Piton, stupendo tutti, dato che, fino ad allora, non si era fatta sentire se non per mugolii e vaghi insulti. “Esattamente.” annuì Hermione, stupita del fatto che il professore la conoscesse: detestava i dolci, per quanto ne sapeva lei. “I due impasti vengono uniti dalla confettura di albicocche, alternando i colori, infine viene chiuso nel marzapane e fatto compattare in frigo. Ho scelto di farla al caffè ed al latte per oggi … spero sia venuta bene, ci ho messo tutto il pomeriggio.” annuì la giovane mentre le fette si depositavano sui piatti e volavano dinanzi ad ogni commensale. “Andrebbe accompagnata con il tè, in realtà …”
“E non ti sei fatta aiutare da nessuno?” esclamò Lily, sorpresa, ammirando il dolce. “Neanche da Tom?” rise Ginny. A quelle parole, un silenzio tombale calò nella stanza. Hermione tirò prontamente un pizzicotto all’amica, che sobbalzò, rendendosi improvvisamente conto di quello che aveva appena detto. “Tom è il Tom del Paiolo Magico: ho una stanza in affitto lì.” spiegò Hermione a voce bassa, piluccando la torta senza guardare nessuno in faccia. “Al Paiolo? Vivi in quella battola? Harry, perché diamine non ce l’hai detto?” esclamò Lily, indignata. “Perché non lo sapevo, mamma …”
“Lo sapeva solo Ginny, non prendetevela con lui …” precisò la Grifondoro. “E, comunque, non è poi così male …”
“Così male? Non hai ancora casa dei tuoi genitori?” sospirò James. Hermione si rabbuiò di colpo “Non voglio tornare lì da sola …” mormorò, abbassando lo sguardo. Lily parve comprendere al volo. “Potresti stare qui!” propose. “Non voglio disturbare e non sarebbe corretto …”
“Hermione, siamo pieni di stanze!”
“Non voglio gravare economicamente su nessuno, davvero: me la posso cavare da me al Paiolo.”
“Ma non sarebbe un ‘gravare’: hai fatto così tanto per Harry quando noi non potevamo … non sarebbe un problema per noi se tu stessi qui, anzi! Sarebbe solamente un ripagarti di tutto ciò che hai fatto per lui … perlomeno pensaci!”
“Sì, infatti, Herm: pensaci, ti prego.” sospirò Harry. “Non devi startene lì … non è un posto adatto a te!”
Al risentire quelle parole, Hermione lanciò una breve occhiata a Piton, tutto preso dalla torta: non sembrava aver sentito la conversazione. O, per meglio dire, quasi sicuramente aveva finto di non sentirla …
“Vi prometto che ci penserò.” annuì. “Eccellente!” sorrise ampiamente Lily. “Intanto, però, devo farti i complimenti per questo dolce … è delizioso!”
“Forse solo leggermente pesantuccio!” commentò Ginny. “Parla quella che dovrebbe tenersi in forma con la cucina di Molly!” rimbeccò l’amica, lanciandole un’occhiataccia. “È perfetto, signorina Weasley ed un insieme di farina, burro, zucchero, uova, marzapane, confettura e, in questo specifico caso, di latte e caffè, non può certo definirsi ‘pesante’ … complimenti, signorina Granger: molto buono.” commentò, tranquillo, Piton, facendo strabuzzare gli occhi di tutti i presenti tranne Lily: non si era mai sentito il pipistrello dei sotterranei fare dei complimenti, soprattutto se fuori dalla scuola ed ad un’alunna di Grifondoro che notoriamente mal sopportava e definiva ‘insopportabile so-tutto-io’.
“G-grazie …” mormorò Hermione, fissandolo con stupore in quei bui e gelidi tunnel d’onice: sembrava che ci fosse qualcosa di diverso in essi, quel giorno … quasi una sorta di nostalgia, di rimorso.
Un picchiettio insistente sul vetro la fece sobbalzare. “Oh: due gufi! Saranno Sirius e Remus!” commentò Lily, andando ad aprire e prendendo le lettere che le porgevano prima di allungare loro dei biscotti sbriciolati. “Sembrano gufi ministeriali, però …” osservò Ginny. “Sono gufi ministeriali, signorina Weasley!” borbottò Piton. “Di domenica? E cosa vogliono?” osservò James. “Sarà qualche notizia per me da Kingsley!” sospirò Harry. “Oh, no, nient’affatto, tesoro …” mormorò Lily, visibilmente straniata, mentre allungava le buste ad Hermione. “Vengono entrambe da Horatio Houston, Ufficio dei Misteri del Ministero della Magia … e sono indirizzate, con la dicitura ‘urgente’ alla signorina Hermione Granger ed al professor Severus Piton.”

Angolo Autrice:
Bentornati/e!
La storia inizia ad entrare nel vivo con queste mistriose lettere dal Ministero ... ne sapremo di più nel prossimo capitolo, ovviamente, ma posso anticiparvi che riguarderanno il Libro del Destino!
In quanto alle precisazioni, aggiungo solo che la Battenberg Cake è un dolce tipico inglese, molto caratteristico e molto difficile da preparare (e nel prossimo capitolo anche perché ha colpito così tanto Severus!) e che le frasi all'inizio di ogni capitolo vengono e verranno quasi tutte da canzoni che adoro e che accosto alle varie parti della storia.
Spero vi sia piaciuto, se potete, recensite!
Alla prossima!
E.

 

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Capitolo 8
*** Ombre nel Silenzio ***


Capitolo Ottavo
Ombre nel Silenzio

Hello darkness, my old friend
I've come to talk with you again
(The Sound of Silence, Disturbed cover)

Hermione Granger sedeva immobile da ore sul bordo del letto, le mani che oramai continuavano da sole a fare leggere carezze al lungo pelo color caramello di Grattastinchi, il quale ronfava soddisfatto.
La fioca luce dell’abat-jour sul comodino illuminava appena il cielo scuro come inchiostro oltre il vetro della finestra, appena oscurato dalle lievi tende bianche.
La ragazza controllò l’ora e sospirò, alzandosi con un miagolio infastidito di Grattastinchi prima di dirigersi stancamente all’armadio per cambiarsi: l’ultima cosa che voleva, quella sera, era andare al Ministero, ma non poteva proprio rifiutare.
E dire che, tutto sommato, l’ultimo mese era stato tranquillo: il lavoro al Ghirigoro era aumentato grazie ai nuovi libri scolastici sapientemente selezionati dai docenti di Hogwarts, tanto che Hermione si era ritrovata a fare gli straordinari. Aveva mantenuto la sua stanza al Paiolo Magico, chiaramente intenzionata a non gravare economicamente su nessuno, ma, per compensare, si era recata a cena dai Potter praticamente ogni qual volta aveva potuto. Del tutto inaspettatamente, in quella vecchia casa, aveva ritrovato la famiglia che aveva avuto e perso: Lily e James, nei suoi confronti, si comportavano come amorevoli genitori, preparandole tutto ciò che le piaceva, conversando con lei e chiedendole continuamente come stesse, mentre Harry, ben felice di averla lì, non mancava di aggiornarla sul proseguo del suo corso di auror e, talvolta, di farsi aiutare per gli esami scritti, come ai vecchi tempi. Di tanto in tanto, a casa Potter arrivavano anche Ginny o Sirius e Remus con il piccolo Teddy e, allora, magicamente, la tavolata assomigliava davvero a quella che un tempo Hermione aveva ammirato a casa Weasley. Tutto questo l’aveva innegabilmente aiutata e non pensare all’assenza di notizie dei suoi genitori, ancora irrintracciabili ed a quell’appuntamento all’Ufficio dei Misteri fissato per il 20 ottobre alle ore 20:00.
Per quanto lo avesse evitato, però, la fatidica sera era arrivata e, ora, si ritrovava costretta a cambiarsi ed a smaterializzarsi per tornare in un luogo che le riportava alla mente solo ricordi negativi … proprio ciò di cui aveva bisogno. Sospirò, lisciandosi la grigia gonna a matita in tweed, mentre raddrizzava la camicia nera dalle maniche a sbuffo e si infilava i pendenti, brillanti come la cintura: aveva scelto l’abbigliamento con cura due settimane prima, chiedendo consiglio a Lily, la quale era stata ben contenta di aiutarla. “Non è che Harry pensi molto a quello che mette, sai?” le aveva detto, sorridendo e, in quel momento, Hermione aveva compreso perché tutti fossero innamorati di lei. La sua era una bellezza naturale che durava nel tempo e sopravviveva all’avanzare degli anni, rendendola simile ad una bellissima ed aggraziata ninfa … tutto quello che lei non era, insomma, nonostante la cura nel vestirsi, con i comuni occhi nocciola ed i capelli, che, seppur ondulati, erano ancora folti e reticenti ad essere legati.
“Io vado, cerca di comportarti bene … sarò di ritorno immediatamente, Grattastinchi, te lo prometto!” sospirò, infilandosi la giacca e dando un bacio sul capo al gatto, visibilmente contrariato, prima di sospirare a fondo e smaterializzarsi: erano quasi le otto.
A farla rendere conto di essere giunta a destinazione fu un chiacchiericcio costante sempre più intenso. Aprì gli occhi di scatto, ritrovandosi nell’atrio principale del Ministero della Magia. Come sempre, centinaia di maghi, streghe e creature d’ogni sorta sgusciavano lungo corridoi, scale, abbaini, ballatoi ed ascensori in una massa che li faceva assomigliare a formiche tutt’attorno alle enormi statue dorate di un mago, una strega, un centauro ed un elfo domestico, le stesse che erano stata ricostruite dopo la fine della guerra.
Hermione sospirò, avvicinandosi all’accettazione. “Oh, signorina Granger!” esclamò l’impiegato, sorridendole. “Prego, prego, venga avanti … nono livello, giusto? Ha appuntamento … buona serata e grazie ancora per il servizio reso!”
Hermione gli rivolse un lieve sorriso, passando sotto l’arco che rivelava se qualcuno fosse travestito o tramutato in sembianze non proprie, un gioiellino installato dopo la battaglia.
Non appena fu libera, si fiondò verso il primo ascensore libero, vi entrò e premette il pulsante del nono livello, accasciandosi alle pareti mentre scendeva: detestava quel luogo.
A ben pensarci, nonostante quello che le suggerivano praticamente tutti, era stata una vera fortuna non aver accettato il lavoro lì: non avrebbe mai potuto sopportarlo. Tutta quella confusione, quella gente che le sorrideva e si congratulava, chiedendo favori e racconti di cui vantarsi e, soprattutto, burocrazia e corruzione che ancora dilagavano, nonostante Kingsley stesse cercando in ogni modo di combatterle. Harry era fin troppo bravo a resistere tutti i giorni al Ministero … lei non ci sarebbe riuscita, lo sapeva. Era sempre stato un suo limite: Hermione programmava ogni singolo istante di ogni giorno ed aveva bisogno di tranquillità per portare a termine i suoi progetti. Imprevisti e caos erano suoi nemici giurati …
L’ascensore ebbe uno scossone prima di fermarsi e spalancare le porte sulla sua destinazione, destandola dai suoi pensieri.
L’ambiente in cui Hermione si ritrovò non aveva niente a che vedere con l’atrio principale del Ministero, anzi: assomigliava più alla tana di qualche Mangiamorte. Si trattava di un enorme atrio circolare in pietra interamente nero, dalle pareti al soffitto, su cui si aprivano delle porte senza maniglia. Era risaputo che, una volta aperte, cambiavano ubicazione per confondere i visitatori e preservare i loro segreti.
Hermione rabbrividì in quel gelido ed irreale silenzio tombale, rotto solo dal rimbombo dei suoi tacchi sul pavimento: non aveva bei ricordi legati a quel luogo. Nella sua mente, le immagini della battaglia avvenuta lì svariati anni prima correvano libere: cervelli perfidi, il velo oltre cui era morto Sirius, le profezie contenute in ampolle e la luce azzurrognola che riempiva l’ambiente. Scacciò il pensiero, incrociando le braccia: sentiva freddo e, oltretutto, era in anticipo. Avrebbe dovuto aspettare …
“Sempre in anticipo, Granger!” esclamò una voce sulla sinistra, facendola sobbalzare. Si volse appena, ritrovandosi dinanzi il profilo di Piton, tornato ai suoi soliti capi d’abbigliamento, con redingote e mantello nero, gli occhi impassibili e vuoti. Era un’ombra nel silenzio tombale della stanza.
“È mia abitudine arrivare sempre per tempo.” spiegò la Grifondoro con voce flebile, che, tuttavia, rimbombò. “Certamente, lo so bene, lo facevi sempre anche ad Hogwarts … in questo modo hai l’occasione di dare mostra di te e delle tue doti … speri forse di ottenere un impiego qui?”
“Quello che spero non credo La riguardi …” sibilò Hermione, assottigliando gli occhi, furente. Piton sfoggiò un ghigno e si voltò nuovamente. “Ragazzina …” mormorò. “Non sono una ragazzina, La smetta, non sono più una sua studentessa, non ha il diritto di parlami così, non più!” scattò la Grifondoro, alzando la voce ed attirando, inevitabilmente, lo sguardo stupito del professore: gli era piuttosto chiaro che la timorosa Hermione conosciuta sui banchi di scuola avesse tirato fuori lo spirito da leonessa Grifondoro, dopo la guerra. Un motivo in più per mal sopportarla …
Stava per replicare acidamente come al suo solito quando una delle porte dell’atrio si spalancò, attirando l’attenzione di entrambi. “Oh per Merlino, Godric, Salazar, Helena e Tosca … non può essere!” esclamò Hermione con voce strozzata ed il volto sfigurato dalla sorpresa e dalla rabbia.
Sulla soglia, infatti, si stagliava una figura ben nota ad entrambi: bassa e tondeggiante com’era sempre stata, con i capelli castani corti ed impomatati, gli occhi grigi a palla ed un orrido tailleur rosa shocking in completo contrasto con l’ambiente circostante, Dolores Umbridge, nonostante gli anni, non era cambiata di una virgola. Persino il suo sorriso sghembo, contornato da un rossetto rosso, era lo stesso. “Buonasera!” trillò con quella voce bassa ed eccessivamente mielosa che fece contorcere il viso di Piton in una smorfia di puro disgusto. “Severus, è sempre un piacere vederti … ti trovo bene!” constatò, avvicinandosi e stringendogli la mano, che lui subito ritirò con riluttanza. “Dolores …” bofonchiò, evidentemente infastidito da quell’incontro inaspettato e sgradito. “Buonasera, signorina Granger … anche se sarebbe più appropriato un bentornata, no?” proseguì, stringendo saldamente le dita di una sconvolta Hermione prima di voltarsi ed invitarli a seguirla con un tossicchio spazientito. “Prego, venite con me, su, su … chiarirò tutto appena saremo nel mio ufficio, non abbiate timore!”
Hermione lanciò un’occhiata a Piton, sperando di trovare anche in lui il suo stesso smarrimento, ma l’unica cosa che l’uomo pareva trasudare era un profondo disgusto. In poche falcate, fu dietro alla Umbridge ed alla sua andatura ondeggiante e la ragazza si ritrovò a correre per star loro dietro.
Oltre la porta da cui era apparso il rospo rosa, v’era un lungo corridoio identico all’atrio, nero ed illuminato da fioche luci azzurrognole. I tre lo attraversarono in un silenzio tombale, rotto solo dai loro passi, sino ad una porticina identica alle altre. “Entrate.” li esortò Dolores, scostandosi per lasciarli passare.
Non appena Hermione ebbe messo piede nell’ufficio, si sentì gelare: le sembrava di essere tornata al suo quinto anno ad Hogwarts. La stanza era schiacciata tra quattro pareti rosa ricoperte da scaffali in legno chiaro che, più che libri, ospitavano e decine di statuette di gatti d’ogni razza e sorta che muovevano gli occhi o si leccavano le zampe, serafici. La scrivania, semivuota, era circondata da tre poltrona imbottite color salmone e, su un tavolino lì accanto, faceva bella mostra un servizio da tè in porcellana. La finestra (coperta da tende rosa, naturalmente) mostrava una giornata uggiosa su un paesino inglese.
“Ehm ehm …” tossicchiò la Umbridge, accomodandosi ed invitando i due a fare lo stesso con un gesto. “Posso offrirvi del tè?” domandò, continuando a sorridere in quello stesso, irritante, modo che Hermione ben conosceva. “No, grazie.” rispose subito la Grifondoro, torcendosi le dita in grembo. “E, così, Horatio Houston è Dolores Umbridge …” sibilò Piton, assottigliando gli occhi sino a ridurli a due fessure. “Ovviamente!” rise lei, portandosi una mano alla bocca. “Sareste mai venuti, se mi fossi firmata con il mio nome?”
“Lei dovrebbe essere ad Azkaban.” sentenziò Hermione senza mezzi termini. “E ci sono stata, ma sono stata rilasciata per buona condotta e sincero pentimento. Un’innovazione di Shackelbolt … mi hanno mandata qui. Dopotutto, ehm … sono stata sempre molto brava con la burocrazia. È un posto che merito …”
“La solita modesta, vedo …” constatò freddamente Piton. “Oh, suvvia, Severus, non avercela troppo con me ... in fondo, eravamo compagni di casa!”
“Non mi stupisce!” considerò inavvertitamente Hermione, sentendo su di sé lo sguardo indispettito del professore. “Perché siamo qui?” proseguì, tuttavia, imperterrita: detestava profondamente la donna ipocrita e leziosa che le sedeva dinanzi. Non avrebbe mai pensato di rivederla in libertà, lo sapeva, eppure era lì, dinanzi a lei, ripulita e persino con un impiego prestigioso. La vita non era giusta …
“Dato che sembrate ansiosi di andare subito al sodo, vi accontento: si tratta del piccolo … ehm … guaio che Lei, signorina Granger, ha creato assieme al signor Potter ... Le dice niente il libro del destino, signorina?”
Hermione, a quelle parole, deglutì, sentendo la gola improvvisamente secca. “Certamente.” rispose in un soffio. “Bene. Vedete, il fatto è che il Ministero si sta lentamente ricostruendo, dopo la terribile guerra che abbiamo affrontato …” sospirò la Umbridge, esagerando eccessivamente sul ‘terribile’. “Molti impiegati sono morti, altri sono stati feriti, tanti erano doppiogiochisti …” disse, squadrando Severus a quelle parole. “Alcuni non sono più voluti tornare … Kingsley sta cercando di rammendare e rimediare alla corruzione, ma non è semplice … noi del Ministero non possiamo fare tutto. Per questo, quando ci si è presentata questa questione, abbiamo pensato di chiedere a voi …”
“Quale questione?” sibilò Piton ed ad Hermione non sfuggì come artigliava le dita ai braccioli della poltrona. “La questione dei libri del destino, ovviamente, cari miei!” rise la Umbridge. “Ma, prima che riveli altri dettagli … siete disposti a cercarli per conto del Ministero in cambio di una ricompensa? Perché, vedete, era questa la domanda …”
Hermione sentì uno strano calore salirle alle guance e non seppe dire se fosse rabbia, indignazione o imbarazzo. “Di che tipo di compenso stiamo parlando?” domandò, tuttavia, Piton, spazzando via ogni sua possibile richiesta. “Oh, un lauto compenso, Severus … Shackelbolt in persona ha chiesto di voi due e la ragione, per quanto a me estranea, risiede nella vostra intelligenza fuori dall’ordinario e nel fatto che, durante la guerra, pur avendo avuto un ruolo fondamentale, siete sempre rimasti nelle retrovie … ci si aspettano dedizione e discrezione, da voi … beh, sempre che accettiate.”
“Al posto del compenso in denaro, si potrebbe fare una richiesta d’altro genere?” si ritrovò a domandare Hermione. Nel dire ciò, non aveva neanche pensato allo stupore che si sarebbe disegnato sui volti dei presenti ed al gelido silenzio che sarebbe sceso nell’ufficio dove iniziava a fare eccessivamente caldo.
“Ehm ehm …” tossicchiò la Umbridge. “Dovrei chiedere, ma … mi spingo a supporre di sì.”
“Bene, in tal caso, accetto.” annuì la Grifondoro, stringendosi ancora le dita fino a farle sbiancare: sapeva che non era corretto e che, in cuor suo, non avrebbe mai voluto farlo, ma le lettere di respingimento delle sue istanze per le ricerche dei suoi genitori continuavano ad arrivare e, se mai voleva trovarli, l’unica maniera era giocare sporco ... per quanto lo avrebbe volentieri evitato. Sentì il cuore accelerare al pensiero di essere così vicina a poterli anche solo rivedere …
“E tu, Severus? Accetti?” rincarò la Umbridge, facendo apparire due formulari ed una penna. Piton la squadrò, impassibile, per qualche istante. Hermione deglutì: sapeva che avrebbe dovuto cavarsela da sé. Lui non avrebbe mai accettato …
“Accetto.” sibilò, invece, dopo una manciata di secondi, lasciando la Grifondoro basita e la Umbridge nettamente soddisfatta. “Eccellente … firmate qui sotto, prego.” sorrise, allungando loro fogli e penna. Hermione li afferrò e firmò rapidamente, stranita dal comportamento di Piton: era evidentemente infastidito, eppure aveva accettato senza batter ciglio … cosa voleva veramente?
“Bene, il vostro incarico sarà trovare entro … ehm … giugno gli altri libri del destino.” illustrò Dolores, tossicchiando continuamente con quel suo modo di dare che tanto dava sui nervi ad Hermione. “Un tempo ce n’erano decine, ma sono andati quasi tutti distrutti, volontariamente o meno. Al momento, ne sono rimasti tre, tutti ubicati in Inghilterra. Uno apparteneva alla famiglia Greengrass e contiene la maledizione del sangue che li ha colpiti … ha un aspetto invitante, attira subito l’attenzione alla vista, ma è ovviamente pericoloso. Si sa che è stato trasportato assieme a tutti gli averi di famiglia alla Gringott durante la guerra, ma nulla più. Il secondo era a Durmstrang, ma se ne sono perse le tracce: è nero, con simboli alchemici ed un testo in rilievo. Si dice che consenta di parlare con i morti. L’ultimo è invece un volume dalla copertina a specchio che rivela tutto sulla persona che lo legge … segreti, desideri reconditi, cose che addirittura il lettore cela a se stesso. Non se ne sa nulla …”
“Come possiamo trovarli e portarli qui, vista la loro elevata pericolosità?” constatò Hermione, aggrottando la fronte. “Mia cara, facciamo leva sulla vostra preparazione: tu sei un’esperta in libri magici, mentre Severus è un abile conoscitore della magia oscura. Saprete cavarvela … ogniqualvolta ne troverete uno, dovrete scrivere all’Ufficio Misteri, sempre ad Horatio Houston e consegnare il libro nelle modalità che vi verranno dette … per la maggiore, credo dovrete portarli qui. Oh, naturalmente, il tutto dovrà avvenire nella massima segretezza, nessuno deve sapere cosa fate, non in dettaglio … tutto chiaro? Avete qualche domanda o possiamo … ehm … congedarci?”
“Per quel che mi riguarda, abbiamo finito: avrai presto nostre notizie.” sentenziò Severus, alzandosi di scatto. Hermione, ancora seduta, lo fissò rivolgere un lieve cenno di saluto alla Umbridge ed uscire senza troppe cerimonie senza degnarla di uno sguardo. Sentì la rabbia divamparle in petto: come poteva collaborare con un uomo che non le rivolgeva la parola?
“Buona serata …” salutò, così, la Umbridge senza degnarla di uno sguardo e precipitandosi dietro il professore senza badare alle parole di commiato del rospo rosa.
Attraversò il buio corridoio più in fretta che poté, tacchi permettendo, sino a spalancare la porta e ritrovarsi nell’atrio oscuro: Piton era lì, in attesa dell’ascensore. “Professore!” lo bloccò, raggiungendolo in poche falcate. Questi si volse appena a fissarla con aria di sufficienza. “Che c’è, Granger?”
“Come si aspetta di collaborare con me se non mi rivolge nemmeno la parola?” sibilò in un tono che dovette suonare perfido, visto l’occhiata stupita che le rivolse Piton. “Tendi ad usare quel cervellino propenso ai drammi troppo spesso e troppo velocemente … non saltare sempre a conclusioni affrettate.” sentenziò, laconico e lapidario, infilandosi nell’ascensore non appena questi si fu aperto. Hermione levò gli occhi al cielo, imitandolo. Mentre scendevano, gli rivolse un’occhiata obliqua. “Non creda che mi diverta l’idea di lavorare con Lei e di venire insultata per ogni cosa, ma non abbiamo molta scelta … perciò, tanto vale cooperare … seriamente.” bofonchiò, sospirando. “Ha una qualche idea di dove cominciare?”
Il Serpeverde si volse a guardarla con lentezza esasperante e la solita espressione gelida. “Tu hai qualche brillante intuizione?”
“Una sì: il libro contenente la maledizione. So che Astoria Greengrass, la secondogenita della famiglia, che ha preso le distanze dagli ideali dei genitori, è l’attuale fidanzata di Draco Malfoy e Lei ha una certa confidenza con la famiglia … se possiamo sperare di ottenere qualche informazione su quel libro, è da loro. Ed Astoria ci aiuterebbe senz’altro.”
“Stai lodando una Serpeverde, Granger, attenta …” commentò, ghignando, Piton, per poi annuire all’espressione sempre più furibonda di Hermione. “E, comunque, ci avevo pensato anch’io … inizieremo da lì. Scriverò a Lucius e ti farò sapere.”
“Va bene.” annuì la giovane, appoggiandosi alla parete e chiudendo gli occhi: era stanca, sfibrata, quasi, ma l’idea di aver una nuova speranza di rivedere i suoi genitori le aveva ridato la carica e l’aveva resa nuovamente disposta a vivere e combattere … non le succedeva da tempo.
“Quale richiesta così essenziale devi mai avere per accettare di lavorare con me e con Dolores Umbridge?” domandò, dopo un po’, Piton, le braccia incrociate e l’aria assorta, senza guardarla. Hermione non rispose per qualche istante: non sapeva se essere sincera con lui. Non sapeva mai come reagire con lui, a dire il vero, ma, se proprio voleva raggiungere il suo scopo, avrebbe dovuto imparare a farlo. E, forse, la sincerità era un primo passo se non verso un’amicizia quantomeno verso una pacifica convivenza …
“Voglio chiedere al Ministero di intensificare le ricerche dei miei genitori in Australia.” disse, così, a voce bassa. Piton non rispose, tanto che, ben presto, Hermione si ritrovò a pensare che considerasse la cosa patetica e priva di interesse. “Questo spiega molte cose.” disse, invece, dopo un po’. “E Lei? Perché è così interessata a quel compenso?” ribatté la Grifondoro. “Ad Hogwarts non …”
“Hogwarts mi offre ciò che mi serve per mantenermi … ma è solo questo che mi ha spinto a tornare. Fosse dipeso esclusivamente da me, avere lasciato l’insegnamento anni fa …”
“Ed ora, con quei soldi, avrà l’occasione di farlo …” completò Hermione, assorta: non pensava fosse questo. Pensava a tutto, a dire il vero, ma non che Piton volesse lasciare il lavoro. Hogwarts, nel bene e nel male, era la sua casa … cos’avrebbe fatto se non avesse distillato pozioni ed insultato teste di legno? Probabilmente, si sarebbe rinchiuso in qualche capanno fuori dal mondo con la sola compagnia del whisky incendiario … non avrebbe più voluto vedere né sentire nessuno. E, piano piano, si sarebbero tutti scordati di lui …
Non avrebbe saputo dire perché, ma il pensiero la rattristò.
“Perspicace, questo te lo riconosco … ma non farci l’abitudine, ragazzina.” sentenziò Piton, schizzando via non appena le porte si furono aperte. “Non sono una ragazzina!” gli gridò dietro Hermione. Del tutto inaspettatamente, il professore si ritrovò quasi a sorridere.
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“Lavorare con Mocciosus ad una cosa pericolosa che noi non possiamo nemmeno sapere? Hermione, per Godric, cosa ti è saltato in testa?” esclamò James, indignato, raddrizzandosi gli occhiali. Hermione sospirò, rigirandosi pensosamente la tazzina tra le mani. “James!” sospirò Lily, esasperata. “Ti prego …”
“È l’unica maniera che ho per ritrovare i miei …” mormorò la ragazza, lanciando una breve occhiata fuori: pioveva copiosamente su Godric’s Hollow e su tutta l’Inghilterra dalla sera precedente, oramai. Fortunatamente, grazie alla smaterializzazione, Hermione si era evitata una bella lavata pur avendo deciso di passare la mattinata libera lasciatale da Florence dai Potter. Dopo i mille dubbi che l’avevano frastornata la sera prima, aveva bisogno di tranquillità e di qualcuno che la calmasse … non aveva, però, calcolato James ed il suo secolare odio per Piton.
“Avremmo potuto aiutarti noi!” sbottò Potter, esasperato. “Dubito che avreste potuto fare più del Ministero, James … è l’unica opportunità che ho e non posso sprecarla, purtroppo. Anni ed anni di ricerche non sono valse a nulla … ed è solo ed esclusivamente colpa mia, spetta a me rimediare!”
“Oh, ma non devi angustiarti così, Hermione … tu hai fatto l’impossibile per loro … non è colpa tua!” la consolò Lily, prendendole la mano tra le calde dita profumate e sorridendole con gli splendidi occhi di smeraldo resi più intensi dalla luce fioca di quel giorno di pioggia. “E, poi, sono più tranquilla sapendo che c’è Severus con te … è un abile conoscitore di quel tipo di magia!”
“Certo, conosceva già a undici anni incantesimi oscuri, figurarsi!” sbottò James. “La vuoi smettere, una buona volta? Non è mai stato cattivo, lo sai ed il fatto che venga spesso qui e parli anche con te, Harry, Remus Sirius lo dimostra!”
“Vuole solo starti addosso, Lily! E chissà cos’altro …”
“James, ha fatto di tutto per Harry … questo non puoi negarlo nemmeno tu!”
“Mi sfugge però perché abbia accettato questa cosa …”
“Vuole lasciare Hogwarts.” rispose Hermione, sorseggiando il suo tè. Si accorse degli occhi dei coniugi puntati su di sé solo grazie al silenzio tombale calato sul salottino. “Me l’ha detto lui … se ne sarebbe andato già da dopo la guerra, se avesse avuto i mezzi … con la ricompensa, li avrebbe.”
“Oh, cielo … ma … ma non può! Cosa farebbe senza il suo lavoro e le sue ricerche?” esclamò Lily. “Berrebbe tutto il santo giorno …”
“Jam …”
“Va bene, va bene, questa era pessima … ma vera! Cos’altro farebbe, a parte bere whisky in quella topaia dove abita? Mi sembra ovvio!"
"È … triste.” commentò Hermione, distratta. “Non me lo sarei aspettata, da lui.”
“Beh, non ha molti motivi che lo spingano ad andare avanti, questo me l’ha detto, ma da qui ad operare una scelta così … drastica …” sospirò Lily. “Forse se gli parlassi …”
“Non se ne parla!” la fermò il marito. “Ma …”
“Nient’affatto, Lily: ti vuole da quand’eri una bambina! Ti sembra opportuno dargli così tanta confidenza? E, poi, la sua vita non è qualcosa che ti riguarda … non quella privata!”
“In ogni caso, Hermione, fidati di lui … non è una cattiva persona … è solo incompreso.” sospirò Lily, rassegnata. “Per ingraziartelo, potresti fargli la Battenberg Cake … è l’unica cosa che gli sia piaciuta in quarant’anni!” rise James. “Chissà perché, poi …” sorrise debolmente Hermione. “Oh, è presto detto … sua madre, Eileen, era bravissima con i dolci … e la Battenberg era il suo cavallo di battaglia. La preparava sempre quando andavo da loro …” spiegò Lily, sospirando. “Davvero?” mormorò la ragazza, sorpresa. “Davvero.” annuì la rossa. “Erano molto legati … so che è morta, ma non mi ha mai voluto dire come e quando … una brava donna, in ogni caso.”
Hermione, istintivamente, abbassò lo sguardo. “Incredibile a dirsi … anche Mocciosus ha un cuore! Di ghiaccio, ma pur sempre un cuore …” rise James. La giovane Grifondoro ignorò il battibecco tra coniugi che ne seguì: nella sua mente, c’era solo l’euforia di una nuova speranza di riavere la sua vita e l’apprensione per ciò che l’aspettava. Piton non era una persona facile da capire, nessuno ci era mai riuscito, davvero, a parte Silente, forse … ed ora sarebbe toccato a lei. Terminò il tè, deglutendo a fondo: la aspettavano mesi difficili. Avrebbe fatto meglio a preparare una scorta di Bevanda della Pace da tenere in borsa in caso di emergenza …

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Capitolo 9
*** La Maledizione del Sangue ***


Capitolo Nono
La Maledizione del Sangue

How was I to know
That you were my home

But now I'm lost
So lost
(Forest Fire, Brighton)
“Uhm … questo … no, no, no, no, non va bene! Non ha qualcosa di simile? Sa, a mio marito piacciono i romanzi d’avventura, ma non ambientati nel deserto, soffre il caldo, poverino!” sospirò un’anziana strega avvolta in una veste color limone dai grigi capelli impomatati che ricordava la professoressa Pomona Sprout solo nell’aspetto. Hermione, in piedi di fronte a lei, era circondata da romanzi d’avventura, babbani e non e, dopo un’estenuante mezz’ora di proposte, dinieghi e lamentele, ancora non aveva capito cosa stesse cercando la cliente. “Un’ultima proposta, signora: un autore magico, uno stregone che narra dei suoi viaggi alla ricerca di creature magiche nel mondo …” si sforzò di sorridere. “In questo volume ha cercato delle uova di drago in Cina e ne ha poi allevato i cuccioli …” 
“Oh, per Merlino, ma non sarà pericoloso? No, perché mio marito è facilmente impressionabile …”
“No, affatto, signora …”
“Cosa? Crede di conoscere mio marito meglio di me?”
“Non intendevo questo … mi riferivo al romanzo: non è troppo cruento.”
“Lo spero bene, cielo! Allora … prendo questo: lasci perdere il pacco regalo, lo faccio da me!”
“Ottima scelta. Grazie e buona giornata …” la congedò Hermione, allungandole la scelta finale che, sicuramente non le sarebbe andata bene e guardandola andare via stizzita.
Una volta si fu allontanata, sbuffò e, con un rapido gesto di bacchetta, fece tornare tutti i volumi al proprio posto: erano una trentina, non poteva metterli via uno ad uno, ci avrebbe impiegato troppo e, quel giorno, al Ghirigoro sembrava essersi abbattuta un’orda di clienti impazziti. Streghe e maghi di tutte le età girovagano per il negozio, sfogliavano libri, chiedevano consigli e combinavano disastri, a volte arrabbiandosi, altre divertendosi. E, in tutto questo, lei, Florence e Cormoran correvano come trottole impazzite per cercare di accontentare tutti e guadagnare il più possibile …
“Herm!” strillò Cormoran dal reparto cucina, alle prese con un libro particolarmente permaloso cercava di colpire una bambina che aveva tentato di strattonarlo. “C’è un po’ di gente a narrativa, di sopra!”
“Vado io!” annuì lei, sospirando ed avviandosi lungo le scale: in quei frenetici giorni, non aveva avuto neanche il tempo di respirare. La calca di clienti per Halloween era spaventosa ed era stata oberata dai turni extra per addobbare il negozio con ragnatele finte, candele alle vetrine, pipistrelli volanti e zucche intagliate. Non aveva avuto tempo né di andare dai Potter né di scrivere per chiedere ancora notizie dei suoi genitori al responsabile Smith: tutto quello che riusciva a fare appena tornata al Paiolo era crollare sul letto ed addormentarsi, sfinita. Sperava vivamente che dopo il 31 ottobre le acque si sarebbero calmate almeno sino a Natale, perché, abituata com’era alla calma, non avrebbe retto un’altra settimana in quelle condizioni …
Giunta di sopra, oltrepassò un gruppo di vecchiette che stava amabilmente chiacchierando al reparto erbologia, ignare di una pianta dispettosa che spargeva sui loro cappelli foglie e petali, per raggiungere il reparto narrativa, stranamente più tranquillo rispetto ad un’ora prima, sebbene decisamente anche più vuoto.
Realizzò il perché di quell’improvviso vuoto solo guardando distrattamente verso le vetrine del Ghirigoro: era già sera. L’orizzonte ancora brillava di rosa ed arancione ed era vagamente illuminato dal sole già tramontato, ma, sopra Diagon Alley, il cielo si era già fatto indaco ed i negozi avevano acceso le luci mentre, lentamente, si svuotavano. Hermione non aveva avuto neanche tempo per alzare il capo e rendersi conto del tempo che passava …
Sospirò, avvicinandosi ad una giovane che sfogliava dei libri. “Ha bisogno di aiuto?” domandò, sforzandosi di sorridere, per quanto i muscoli le dolessero oramai da quanto lo faceva. “Oh, no, grazie, ho fatto!” rispose l’altra. Hermione le rivolse un cenno e proseguì verso l’altro cliente presente, arrestandosi sul posto non appena lo riconobbe.
Severus Piton, girato di spalle ed avvolto nel solito mantello, stava passando lentamente in rassegna con l’indice le coste dei libri, assorto nella contemplazione dei titoli. Era così strano e raro vederlo così tranquillo e non occupato ad insultare qualcuno che Hermione si era quasi scordata quanto amasse la lettura … del resto, tutto si poteva dire di lui tranne che fosse ignorante.
“Hai intenzione di restare lì impalata a fissarmi ancora per molto, Granger?” sbottò il Serpeverde dopo un po’, facendola sobbalzare: ovviamente si era accorto di lei. Non c’era modo di eludere un ex spia …
“Fintantoché non La disturberò nella scelta ...” rispose Hermione, avvicinandosi titubante. Piton si volse a fissarla con espressione vagamente divertita. “Che cosa mi consigli?” propose, facendola sospirare: evidentemente, voleva provocarla. “Dipende da cosa sta cercando …” replicò, così: se voleva la guerra, l’avrebbe avuta. Lei sapeva fare il suo lavoro …
“Una distrazione, i saggi li ho già selezionati … ma mi serve qualcosa per il tempo libero. Qualcosa che mi distragga dall’idea che dovrò tornare da quelle teste legno il giorno dopo …”
Hermione annuì, notando solo allora che reggeva nell’altra mano due volumi dall’aria imponente. “Secondo me, Le potrebbero piacere due generi: i classici ed i gialli.” illustrò con aria saputa, consapevole che gli desse fastidio già dai tempi di Hogwarts. “Pertanto mi concentrerei su questo genere di acquisto. Di quanti libri ha bisogno?”
“Due.”
“Perfetto, un classico ed un giallo, allora. Per quanto riguarda il classico, Le consigli gli autori babbani ... sicuramente conoscerà gli autori inglesi ed irlandesi a menadito e, se La conosco bene, si è sicuramente avvicinato anche a quelli tedeschi … ma, forse, le sfuggono i russi, che sono molti simili in stile ed ambientazioni agli inglesi, ma delineano sentimenti ed emozioni universali in maniera più profonda, a tratti … dunque, non posso darLe ‘Delitto e Castigo’, troppo sul genere giallo … e ‘Guerra e Pace’ è troppo prolisso e complicato per essere una distrazione. ‘Anna Karenina’!” trillò, estraendolo dallo scaffale e porgendoglielo, orgogliosa. Piton la squadrò con un sopracciglio pericolosamente alzato, prendendo il libro come se contenesse chissà quale pericoloso anatema. “Una storia d’amore, a me? Siamo sicuri che quelle E ai M.A.G.O. non siano frutto di una copiatura, Granger?” considerò, scettico e vagamente infastidito. “Certo che no … non sono una Serpeverde!” ribatté lei. “Ed ora è Lei ad essere superficiale, comunque: non è mai bene giudicare un libro dalla copertina. ‘Anna Karenina’ è un romanzo che va ben oltre una semplice storia d’amore … credo che apprezzerebbe particolarmente il personaggio di Levin.”
Il professore le rivolse un’occhiata di ghiaccio, posando il libro sullo scaffale con un gesto secco. “Ci penserò. Quali perle di saggezza hai da dispensarmi per il giallo, invece?”
“Non mi sembra un tipo da letteratura di massa o da thriller, perciò opterei per questo omicidio ambientato a Notturn Alley nell’Ottocento … una storia di serial killer ispirata a Jack lo Squartatore.”
L’uomo prese il volume senza alcun interesse, sfogliandolo brevemente prima di riporlo. “Ci penserò, ma non garantisco che seguirò i suoi consigli.”
“Il mio lavoro è darglieli, poi sta a Lei scegliere se darmi ascolto o meno.”
“Vero, per quanto irrilevante. Ad ogni modo, sono qui anche per un altro motivo …”
Hermione sentì un brivido percorrerle la schiena a quelle parole. “La ricerca del libro?” sussurrò. “Esattamente, ma ti conviene tenere la bocca chiusa, se non vuoi che lo sappiano tutti fino al Paiolo Magico!”
“Di che si tratta?” lo ignorò la ragazza. “Lucius ha risposto alla mia lettera.” mormorò, piatto e freddo come al solito. “Domani pomeriggio ci ha invitati a prendere un tè a Malfoy Manor … ci sarà anche la signorina Greengrass.”
“Domani? Oh, cielo …” esclamò Hermione, sgranando gli occhi. “Domani è domenica, Granger … non lavori e nemmeno io.”
“Lo so, certo, ma … il preavviso è pochissimo …”
“Avevi forse altri … programmi?”
“No!” reagì lei, indispettita dal tono accusatorio. “Ovviamente no, ma …”
“Niente ma: se vuoi ritrovare i tuoi genitori, domani verrai. Siamo attesi per le tre, ci incontreremo ai cancelli … conosci il luogo, no?”
“S-sì …” balbettò, giocherellando con il bordo della giacca: come avrebbe potuto dimenticare cos’era accaduto a Malfoy Manor? Quel luogo la tormentava ogni notte nei suoi incubi … se chiudeva gli occhi, riusciva ancora a sentire l’alito di Greyback sul collo, la voce di Dobby, la risata di Bellatrix mentre il pugnale le affondava nella pelle per inciderle la scritta …
Istintivamente, si strofinò il braccio, nervosa ed agitata come non mai mentre il respiro accelerava ed iniziava a sudare freddo …
“Granger!” tuonò la voce di Piton, riportandola alla realtà. Hermione si riscosse, fissando le iridi nere del professore. “Si può sapere qual è il problema di andare dai Malfoy domani?”
“Beh … ecco … non … non ho idea di cosa mettere!” borbottò lei, tirando fuori la prima scusa che le veniva in mente. Il sopracciglio del Serpeverde si alzò così pericolosamente verso l’alto da sfidare quasi la forza di gravità. “E questo in che modo dovrebbe riguardarmi?” sibilò. “In nessun modo: ha voluto sapere quale fosse il problema e Le ho semplicemente risposto.”
“Cosa che avresti potuto evitare di fare: mi sorbisco già troppe crisi adolescenziali ogni giorno in aula. Ci vediamo domani, Granger!”
La Grifondoro rimase immobile a fissarlo, mentre, immobile di fronte allo scaffale, scandagliava ancora i titoli. Resosi conto di essere osservato, dopo poco scattò, voltandosi verso di lei. “Che altro c’è?”
“Mi ha congedata … credevo che se ne andasse!”
“Ti ho congedata perché il tuo lavoro è finito. Buona serata, Granger.”
“Buona serata e buona lettura, professore!” sospirò lei, calcando volutamente sul ‘professore’ mentre, infastidita e preoccupata, se ne tornava al piano inferiore.
Quando, dopo qualche minuto, rivide Piton in cassa, non le rivolse nemmeno la parola, ma, non appena Hermione prese gli articoli acquistati per fare il totale, si ritrovò a sorridere: alla fine, aveva scelto proprio i libri che gli aveva consigliato. Gli allungò l’acquisto con un largo sorriso non ricambiato guardandolo uscire: poteva considerare quella conquista una specie di vittoria personale. Dopo un’ora, alla chiusura, si rese conto di stare ancora sorridendo solo perché Cormoran le chiese il motivo di tutta quell’allegria dopo una giornata come quella appena trascorsa.
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Hermione si sentiva a dir poco ridicola. Era in piedi dinanzi agli imponenti cancelli di Villa Malfoy oramai da qualche minuto, tutta presa dal tormentarsi il vestito nero, abbinato alla giacca dai decori floreali azzurri in fondo ed al cappotto oltremare, spostando il peso da una gamba all’altra degli stivali con il tacco e scuotendo i pendenti d’argento che aveva impiegato ben venti minuti a selezionare in modo tale che si abbinassero ai braccialetti.
Sospirò: la sera prima, quando era tornata al Paiolo, aveva impiegato due ore per scegliere cosa indossare, tormentando Grattastinchi a tal punto da costringere il povere gatto a rifugiarsi sotto al letto con un miagolio infastidito. Nel bel mezzo della disperazione più totale, aveva persino ricevuto una lettera di Harry che la invitava a pranzo ed aveva dovuto rifiutare elegantemente adducendo ad un altro impegno. Già s’immaginava Ginny sghignazzare all’idea di avesse un fidanzato ed Harry scuotere il capo dicendo che probabilmente era impegnata con Piton, suscitando gli sbuffi di James ed i conseguenti rimproveri di Lily. Per sua fortuna, però, non avrebbe assistito a nessuno di quei discorsi … piuttosto di sentir discutere altri della sua vita sentimentale, preferiva di gran lunga il tè dai Malfoy.
“Dove cavolo ti sei cacciato, Piton?” sbuffò, controllando l’orologio, impaziente: mancava ancora un po’ alle tre, ma avrebbe preferito non restare sola ancora a lungo dinanzi ai cancelli. E se si fossero aperti? Non conosceva molto bene quelle persone … o, meglio, aveva parlato molto spesso con Draco durante l’ultimo anno di scuola e con Narcissa al Ghirigoro, ma mai con Lucius. Di Astoria aveva ricordi vaghi risalenti ad Hogwarts: era una ragazza molto bella, ma sempre pallida, per quanto ricordasse. Non frequentava molto gli altri Serpeverde e non parlava mai di purezza di sangue o di sanguemarcio, ma era molto legata alla sorella maggiore Daphne. Aveva sempre detestato Draco Malfoy, da quel che rammentava: per lei, era il classico ragazzino viziato annebbiato dagli ideali dei Mangiamorte. Le cose erano cambiate all’ultimo anno …
Hermione scosse il capo: come si poteva arrivare ad amare qualcuno che si era sempre detestato? Probabilmente, proprio come lei era arrivata a detestare Ron, che aveva invece sempre amato ... o, meglio, creduto di amare.
Picchiettò con il tacco a terra, sollevando lo sguardo sulla villa: imponente e larga, era interamente in marmo e pietra grigia, con il tetto tutto punte e guglie e le finestre alte e strette. Ricordava una cattedrale gotica. Tutt’attorno, v’era un magnifico giardino delimitato da siepi perfette dove scorrazzavano tranquilli degli splendidi pavoni, tra alberi, fontane e cespugli di rose. L’ambiente, unito al sole che già iniziava a tingersi di rosato ed aranciato mentre le ombre si allungavano lievemente, dava vagamente l’idea di un parco incantato.
Nessuno, a vedere quel luogo ora, avrebbe potuto pensare a cosa vi era successo due anni prima …
Il suono di una smaterializzazione la fece sobbalzare, ma si rilassò non appena distinse la familiare figura di Piton, che, a giudicare dal fatto che era vestito come al solito, sembrava appena tornato da una lezione. Peccato che fosse domenica …
“Sempre in anticipo, Granger!” commentò, degnandola solo di un’occhiata gelida. “Lo è anche Lei.” ribatté Hermione, sospirando mentre un lieve venticello le scuoteva i capelli mossi. “Se fossi arrivata dopo di Lei, mi comunque avrebbe rimproverata …” aggiunse, poi, asciutta. “Ed avrei sbagliato?”
“Probabilmente sì …”
Hermione lo sentì borbottare qualcosa come ‘arrogante so-tutto-io’ mentre raggiungeva il cancello e, con un colpo di bacchetta, lo apriva, facendolo cigolare. Il cuore della Grifondoro perse un battito: stava per addentrarsi in una tana di serpi, tre delle quali ex Mangiamorte … era davvero pronta ad affrontare tutto questo? Scacciò il pensiero e strinse inconsciamente la bacchetta, seguendo Piton lungo il viale d’ingresso.
Il lastricato scricchiolava sotto le loro scarpe mentre raggiungevano in silenzio il pesante portone d’ingresso. A pochi passi dagli scalini, tuttavia, l’uscio si spalancò di colpo, facendo sobbalzare Hermione e Narcissa Malfoy apparve sulla soglia. La Grifondoro non riuscì a pensare a niente di più signorile ed elegante di quella donna: senza trucco e con indosso un abito ai polpacci di morbido velluto smeraldo, spille, anelli ed eleganti scarpe in velcro, aveva semiraccolto i capelli all’indietro con un fermaglio, lasciando che la frangia le ricadesse sulla fronte. Nel complesso, appariva più fine che mai.  
“Severus! Finalmente ricevo la grazia di riaverti qui, dopo anni!” esclamò, sottolineando ‘anni’ con fin troppa enfasi. “Sai com’è, Narcissa, noi comuni mortali abbiamo un impiego a cui siamo tenuti a presenziare regolarmente per sopravvivere.” ghignò Piton in risposta, esibendosi in un baciamano nei confronti della padrona di casa. “Lucius è in casa?”
“Ti aspetta in salotto. Draco ed Astoria ci raggiungeranno a breve …”
Il professore annuì, proseguendo nell’atrio della villa in solitudine, come un padrone di casa, più che un ospite. Hermione rimase a fissare la scena, imbarazzata e stranita ed evitò il più possibile di guardare il vecchio lampadario di cristallo che era evidentemente stato sostituito …
“Hermione, benvenuta!” le sorrise Narcissa subito dopo, tendendole la mano sino a sfiorarle delicatamente un braccio. “Vieni, seguimi pure: ti porto in soggiorno. Il tè verrà servito tra poco, nell’attesa di mio figlio e di Astoria!”
“Grazie, sign … Narcissa.” ricordò la giovane, seguendo la padrona con passi cauti ed incerti in casa.
Una volta entrata, fu stupita nel constatare che quell’atrio che tanto l’aveva spaventata per i mille ricordi che portava con sé era in realtà solo un semplice atrio. Forse era perché era stato tutto ricostruito e sostituito, o perché i colori erano meno freddi di quanto ricordasse o addirittura per la luce che filtrava dalle finestre più ampie, ma non provò né terrore né disgusto all’entrarvi … solo indifferenza.
“Vieni, il salotto è di sopra … mi spiace averti dato così poco preavviso, ma Lucius ha aperto la lettera di Severus solo ieri mattina!” sospirò Narcissa mentre salivano le scale. Hermione sentiva distintamente il profumo di (guarda caso) narciso della donna. “Oh, nessun problema … a proposito … ehm, so che probabilmente non farà una gran differenza per voi, ma questi sono per ringraziarvi dell’invito.” mormorò, estraendo dalla borsetta un vassoio ben confezionato di biscotti che aveva preparato personalmente nella notte, vista l’insonnia che l’aveva improvvisamente colpita. “Oh!” esclamò Narcissa, sbattendo le palpebre prima di prenderli. “Ti … ti ringrazio: sei stata molto gentile.”
“Se non ti piacciono o …”
“Non è questo.” le sorrise la Serpeverde. “Ero solo disabituata a questo genere di cortesia … non riceviamo ospiti degni di questo nome da anni. Prima c’era la guerra e le riunioni dei … beh, lo sai, non ammettevano queste sciocchezze, com’erano definite. E, poi, nessuno ha più voluto venire qui, perciò … ti ringrazio, ad ogni modo: mi hai riportata indietro di anni. Li hai preparati tu?”
Hermione annuì. “Si vede, vero?”
“No, non è per l’aspetto, è il profumo: è diverso da quelli che si comprano. Sono al burro?”
“Secondo la ricetta danese, sì.”
“Sono i miei preferiti, sai? Ed anche di Draco: li apprezzerà. Grazie.”
“Di nulla.”
Mentre riprendevano a salire, Hermione si concesse di fare una domanda che le era rimasta sulla punta della lingua da prima. “Come state? Immagino non sia facile la vita che conducete ora …”
Narcissa sospirò, fermandosi nuovamente e sollevò gli occhi sulla Grifondoro: sembrava leggermente invecchiata rispetto all’ultima volta che l’aveva vista. “Non lo è: è un po’ come essere in una bolla. Siamo stati scagionati, ma ci hanno confiscato praticamente tutto. Ci resta la villa e qualche fondo fiduciario che Draco sta reinvestendo. Nessuno viene più a trovarmi, in giro la gente finge di non vedermi o si volta dall’altra parte quando mi vede, mio figlio e mia sorella mi detestano e mio marito è ai domiciliari ed è così insopportabile a volte che …” sospirò. “Ci sono giorni, settimane, addirittura, in cui non si alza neanche dal letto. E, come sempre, chi deve tirare a campare sono io.”
Hermione sgranò gli occhi, colpita da quella rivelazione: non si sarebbe mai aspettata tanta confidenza da Narcissa Malfoy. Men che meno a lei, una che fino a pochi anni prima definiva ‘sanguemarcio’ …
“Draco non ti odia.” mormorò, sentendo ancora estraneo quel ‘tu’. “Di questo puoi star certa: anche a scuola, non aveva occhi e parole che per te. Ti è sempre stato affezionatissimo e desiderava profondamente che fossi orgogliosa di lui. Nemmeno al sesto anno ha mai detto una sola cosa negativa su di te, neanche alla battaglia … potrai essere stata tante cose, ma una pessima madre no. Harry mi ha detto cos’hai fatto per lui, tutti lo sanno dal processo … e la cosa non mi ha stupita. Affatto. In quanto al signor Malfoy, deve dargli tempo, così come per i vostri averi: le cose si sistemeranno. Le ferite non si cicatrizzano così facilmente. Lo stesso vale per Andromeda … credo.”
Narcissa la fissò per qualche istante, lo sguardo vacuo e spaesato. “Grazie.” sussurrò appena con voce arrocchita da qualcosa che Hermione definì come ‘gratitudine’ prima di invitarla a proseguire con un lieve accenno di sorriso.
Il salottino in cui entrarono era decisamente diverso da quello che la Grifondoro si sarebbe aspettata: piccolo e raccolto, sfoggiava scaffali ricolmi, un caminetto acceso e poltroncine smeraldo raggruppate attorno ad un tavolino da caffè. In piedi dinanzi al caminetto, Lucius e Piton parlottavano sommessamente, due bicchieri di vino elfico tra le mani. Hermione trovò Malfoy nettamente dimagrito, con i capelli più fini ed il volto solcato da rughe più evidenti rispetto alla battaglia di Hogwarts.
“Vi sembra davvero il caso di iniziare con il vino elfico? Non è neanche l’ora del tè!” commentò Narcissa con il tono algido che era solita usare, posando il vassoio sul tavolino. “E perché, da quando ci sono ancora orari in questa casa, Cissy?” sibilò Lucius. “Da quando abbiamo ospiti e sarebbe gradita un po’ di decenza!” replicò lei, asciutta e vagamente infastidita. “Oh, giusto! Buonasera, signorina Granger, mi scusi se non l’avevo notata …” la salutò, a quel punto, Malfoy con tono a metà tra il canzonatorio e l’ubriaco. Hermione ricambiò con un lieve cenno, seguendo Narcissa sul divano subito dopo.
“Faccio servire il tè o …” iniziò la padrona di casa. “Oh, no, aspettiamo, davvero, non c’è problema!” sorrise Hermione, a disagio. Lanciò un’occhiata obliqua a Piton, che ancora conservava amabilmente con il suo storico amico. “Perdonami se te lo chiedo Hermione, ma ne approfitto dato che siamo sole, inascoltate e … beh, dal momento che so che conosci questa informazione. Come sta Meda? Andromeda, voglio dire?” mormorò Narcissa accanto a lei. La Grifondoro la fissò stupita per qualche istante, indecisa se parlare o meno, ma, notando lo sguardo implorante della donna, cedette. “Sta … bene: si è ripresa grazie a Teddy, suo nipote. Anche se non totalmente, com’è comprensibile. Suo marito e sua figlia le mancano molto … mancano a tutti. Adesso abita con Remus Lupin, suo genero e Teddy. Si occupa di lui mentre Remus lavora. So che a volte discutono, ma riescono a sopportarsi …”
“Tipico di Andromeda!” sospirò l’altra, scuotendo il capo ed accavallando le gambe. Per un istante, Hermione ritrovò la Narcissa che conosceva. “Credo che … Lupin l’abbia notato, ma Andromeda è molto testarda ed ha bisogno di essere sempre assecondata, che le si dia ragione. Il segreto per sopravvivere alle liti con lei è darle ragione sul nascere, per poi lasciare che si renda conto da sé di aver sbagliato. Se si discute con lei, i toni salgono subito e lei non si scusa mai e fatica anche a perdonare. Salazar solo sa quanto …” illustrò. “Dunque, di’ pure al professor Lupin che, se vuole spuntarla con lei, deve fare così. Gradirà il consiglio.”
“Lo farò senz’altro.” annuì Hermione. “Per cosa litigano, esattamente?”
“Per il lavoro di Remus principalmente: Andromeda minaccia di volere la custodia di Teddy.”
“Non lo farebbe mai: probabilmente lo dice solo perché è ferita. Tipico suo: quando è triste, attacca. Le manca sua figlia … sai, alla fine, credo che Ted Tonks fosse la persona perfetta per lei: era lui a mantenere i toni bassi. Fosse stato per lei, sarebbe stata una tragedia unica … del resto, è lei la Serpeverde …”
“Come sai questo sul loro matrimonio?” domandò Hermione. Narcissa distolse lo sguardo, assumendo una maschera di gelido distacco. “Dopo la sua fuga, l’ho rivista. Ci incontravamo di nascosto. credo fosse naturale: era la mia sorella preferita, eravamo sempre insieme. Poi, un giorno, mi ha chiesto di andare via con lei … e, a casa, mamma mi ha presentato Lucius. Chiunque sarebbe fuggito, probabilmente, ma io non ho avuto il coraggio di allontanarmi dal mio mondo. E, così, ho sacrificato mia sorella … intendiamoci, non rimpiango la mia vita … amo la mia famiglia sopra ogni cosa e sono fedele alle tradizioni, all’educazione … ma forse allora non ci rendevamo conto di tante cose, cose che abbiamo realizzato solo molto dopo.” spiegò. Hermione non infierì né aggiunse altro: solo ora capiva il perché di quel distacco. Narcissa voleva allontanare la sofferenza ed il rimpianto. “Ma dimmi, come va al Ghirigoro?” sorrise la donna subito dopo, scacciando quella piccola esitazione di prima come nulla fosse. “Oh, bene … il lavoro è aumentato, come sempre in questo periodo! Non sappiamo neanche come venirne fuori …” annuì Hermione. “Sarà così fino ad Halloween, poi ci sarà una breve pausa e successivamente inizierà il periodo natalizio, il più intenso.”
“Lo credo. Ti trovi bene con la signora Florish?”
“Benissimo: è molto gentile ed il lavoro mi piace … credo sia quello di cui avevo bisogno, quello che ho sempre cercato.”
“Ed allora farai bene a tenertelo stretto. Ma dove si sarà cacciato Draco? Santo cielo, quante volte gli ho ripetuto che è maleducazione far attendere gli ospiti?” sospirò subito dopo, alzandosi per raggiungere la finestra. “Arriverà a momenti, Cissy, non angustiarti … sai che i pranzi dai Greengrass durano un’infinità!” sbuffò Lucius. “Una famiglia perbene, molto antica e nobile, per carità, ma delle due sorelle proprio la seconda doveva scegliere? Daphne sarebbe stata molto meglio come futura signora Malfoy!”
“Lucius …” sibilò la moglie a mo’ di avvertimento. “No, è così: ha idee troppo … innovative e moderne per i miei gusti.”
“Non deve piacere a te.” sogghignò Piton. “No senz’altro, Severus, ma, oltretutto, c’è anche il suo probl … oh, eccovi, finalmente!”
Hermione scostò lo sguardo verso l’ingresso della stanza, stupendosi nel vedere il cambiamento operato in Draco. Il bulletto sbruffone di Hogwarts che la prendeva in giro e la chiamava ‘sanguemarcio’ era diventato un giovane alto e magro con i capelli biondi ed ordinati, vestito con un impeccabile completo antracite. Appena entrato, alzò le mani. “Scusa il ritardo, mamma, davvero, ma non ci lasciavano più andare via, credimi!”
“E tu potevi elegantemente far notare loro che avevi degli impegni!” sospirò Narcissa. “Che ti dicevo, Cissy?” commentò con orgoglio Lucius, finendo il suo vino. “Professor Piton …” salutò Draco con un cenno del capo, ricambiato da quest’ultimo, prima di rivolgersi ad Hermione. La fissò per qualche istante, come sorpreso di vederla, prima di avvicinarsi cautamente. “Granger … Hermione! Mi fa piacere vederti: ti trovo davvero molto bene!” sorrise, tendendole la mano. Hermione la strinse. “Ciao, Draco. Posso dire lo stesso di te.”
“Sembra che lasciare Hogwarts faccia bene alla salute, eh?”
“Non intendo sentire il proseguo di questi commenti, Draco, te lo dico subito.” intervenne Piton, lapidario. “Ed infatti non avevo intenzione di proseguire. Astoria, vieni, su!” rise, facendo cenno alla figura sulla soglia di entrare.
Astoria Greengrass fece qualche passo avanti, emergendo alla luce del soggiorno: pallida e magrolina com’era sempre stata, sfoggiava i capelli castani pettinati all’indietro e degli orecchini di diamanti che baluginavano alla luce. Sorrideva, ma gli occhi grigi dal taglio tondo, abbinati al completo che indossava, davano l’impressione che fosse perennemente triste.
“Astoria, che piacere riaverti qui!” esclamò Narcissa, precipitandosi ad abbracciarla. “Buonasera, Narcissa, il piacere è sempre mio! Salve, Lucius …”
Questi la salutò con un cenno educato, per quanto distaccato. “Ti ricorderai sicuramente del professor Piton e di Hermione Granger!” esclamò Draco, tirandola leggermente verso il divano. “Certamente! Buonasera, professore …”
“Greengrass …” bofonchiò questi, vagamente annoiato. “Ciao, Hermione … ti trovo bene!” esclamò, poi, precipitandosi a salutare Hermione con un lieve abbraccio che profumava di gelsomino. “Ciao! Grazie … trovo molto bene anche te!” sorrise lei.
“Hermione è stata così gentile da portarci dei biscotti gentilmente preparatici da lei … accomodatevi, su: faccio servire il tè. Trixy!” chiamò Narcissa, invitando tutti a sedere. Hermione si rintanò in un angolino, accanto tra Astoria e Narcissa, mentre Piton e Lucius presero posto sulle poltrone, quest’ultimo non senza lanciare un’occhiata di sufficienza alla giovane Greengrass. Draco si posizionò tranquillamente accanto alla fidanzata e le sorrise, afferrandole la mano e stringendola. Il cuore di Hermione si strinse a quell’immagine: non avrebbe mai pensato di vedere cambiare Draco Malfoy, men che meno per amore … eppure, Silente diceva sempre che era la forza più potente che esistesse, più forte persino della morte! Voldemort era stato sconfitto per averla sottovalutata …
Per un istante, Hermione si ritrovò a desiderare di essere amata e di amare allo stesso modo, in maniera quasi totalizzante, tanto da rendere funzioni come il respiro secondarie, ma scacciò subito il pensiero, concentrandosi sul tè che veniva offerto da un’elfa sorridente in abitino azzurro. Come le sembravano lontani i tempi del C.R.E.P.A. …
Si ritrovò a guardare Piton mentre prendeva una bustina di tè nero, aggiungendo una fetta di limone: evidentemente, dalla media scolastica di Harry e Ron agli elfi ed ora a Piton, sembrava naturalmente predisposta a circondarsi di cause perse.
“Veniamo subito alla questione per cui siamo qui …” iniziò Piton dopo che tutti si furono servivi, facendo storcere il naso a Narcissa. “Penso che Lucius vi avrà spiegato che io e la signorina Granger siamo stati incaricati dal Ministero di una questione … gravosa dopo l’incidente ...” mormorò, fisando Hermione a quella parola. “Con il libro del destino ad Hogwarts. Sostanzialmente, senza riferirvi più del dovuto, dobbiamo trovare altri volumi simili e consegnarli affinché vengano studiati ed eventualmente neutralizzati.”
“In cambio di cosa, Severus?” rise Lucius. “Tu non fai mai niente per niente.”
“Non sono cose che ti riguardano.”
“Penso di sapere perché abbiate voluto vedermi, in tal caso …” sospirò Astoria, annuendo mentre sorseggiava il tè. “Si tratta del libro contenente la maledizione di famiglia, vero?”
“Esattamente. Non devi sentirti obbligata a raccontarne, ovviamente, ma …” si affrettò ad aggiungere Hermione. “È iniziato tutto dalla mia trisavola paterna: era un’avida lettrice, a quanto si dice e si faceva portare libri da tutto il mondo da suo padre, che viaggiava per gestire le proprietà di famiglia. Un giorno, in una cassa proveniente dall’India, trovò un manoscritto che attirò subito la sua attenzione: era il più bel libro che avesse visto, con una copertina rosa che baluginava alla luce e svariate pietre incastonate un po’ ovunque. Brillava come un gioiello e sembrava gridare: ‘Prendimi, leggimi!’. Lei lo fece: era una raccolta di fiabe indiane. Poi, però, iniziò a stare male: vertigini, debolezza, svenimenti, malattie d’ogni sorta … fino a che non morì, giovane. Lì per lì non vi diedero peso: succede, no? Ma poi accadde anche a sua figlia ed al figlio di sua figlia … ed allora al San Mugo capirono che era una maledizione. Dopo generazioni, chiamarono un impiegato del Magie Sinister per svelarne l’origine … si chiamava Tom Riddle. Lo conosciamo tutti noi, temo … trovò subito la causa, ovviamente e ci consigliò di chiuderla in un baule. Diede anche delle raccomandazioni per rallentare la maledizione, assicurandosi così la lealtà di famiglia, ma non riuscì a fermarla: nessuno poteva. E, infatti, la prossima sarò io ...”
Hermione rabbrividì a quelle parole, fissando Astoria perfettamente tranquilla: non era turbata, né timorosa nel raccontare. Draco, accanto a lei, invece, si stava contorcendo su se stesso come un serpente attaccato.
“Il libro è rimasto nascosto in casa per decenni …” proseguì la Greengrass. “Finché il Ministero, dopo la guerra, non ha requisito alcuni dei nostri beni più … dubbi, essendo mio padre vicino a Voldemort e li ha portati qui, a Villa Malfoy. Tra di essi, c’era anche il libro ed è l’unico che c’è rimasto … mio padre non voleva vederlo mai più. Se volete sapere che fine ha fatto, dovete chiedere al signor Malfoy.”
Un gelido silenziò calò sulla stanza, rotto solo ticchettio dell’orologio e delle tazzine sui piatti. Narcissa e Draco fissavano storto Malfoy senior, perfettamente tranquillo. “Non hai paura?” domandò Hermione dal nulla, voltandosi verso Astoria ed incontrandone gli occhi grigi. “Voglio dire … sai già cosa ti succederà. Non lo temi?”
Giurò di aver visto Draco stringere ancor di più le dita della giovane mentre questa sorrideva. “No, affatto: convivo con questa cosa fin da bambina. Essere cagionevole, fragile, malaticcia … ci sono abituata. Ma ho imparato, con il tempo, che non conta quanto si vive, ma come: è inutile passare cent’anni in un limbo di indifferenza e monotonia. Preferisco vivere solo trent’anni, ma essere felice. È per questo che io e Draco ci sposeremo quest’estate: voglio passare assieme a lui tutto il tempo che mi resta, fino all’ultimo respiro.”
“Oh!” esclamò Hermione, sorpresa e toccata da quelle parole. “Congratulazioni!”
“A tal proposito, siete invitati anche voi due, naturalmente: vogliamo che sia una grande festa!” aggiunse Draco, sorridendo al solo pensiero. “Naturalmente vi comunicheremo meglio la data.”
“Trovo il suo coraggio ammirevole, signorina Greengrass, quasi da Grifondoro …” commentò Piton, piatto. “Ma ora, se non vi spiace, gradirei sapere da Lucius dove si trova questo volume.”
Un altro spiacevole silenzio calò nella stanza. Malfoy senior sospirò e fece spallucce. “In biblioteca. Cercate pure, ma non ho idea di dove …”
“Oh, per favore!” sbottò Draco, scuotendo il capo ed assottigliando gli occhi. “È nel tuo studio, assieme a decine e decine di altri cimeli di magia oscura! Come se non sapessimo che è il tuo passatempo … dopo tutto quello che hai causato ancora fingi di essere un angelo innocente? Ammettilo, una buona volta: di’ che hai sbagliato tutto!”
“Non ti permettere di parlarmi così, Draco.” scandì Lucius. “Mi permetto eccome, invece: sono passati due anni, ma ancora ti ostini a mentire ed a comportarti come il grande lord che non sei più!”
“Questo è l’ultimo avvertimento …”
“Draco …” sospirarono in coro Astoria e Narcissa. “No, invece: sono stufo di rimediare ai suoi danni. È tutta colpa sua, lo sapete, vero? Se questa casa era un covo di male, se tu, mamma, hai perso le tue sorelle, se io sono stato costretto a diventare Mangiamorte a quell’età … è solo colpa sua! Ed invece di ammetterlo cosa fa? Continua, si trincera dietro a quest’assurdo orgoglio … chiedi scusa, una buona volta ed ammetti di essere stato un uomo vergognoso!”
“Beh, certo, ha parlato il principino …” sibilò Lucius. “Quello che ha goduto del denaro che avevamo e poi mi fa la paternale, no? Sei solo un ragazzino viziato, Draco. Ed ora ti sposi questa solo per darmi fastidio, perché sai che non sono d’accordo con le sue idee e con questa storia della maledizione, dannazione! E tu, Narcissa, sei disperata e patetica. Ora, se volete scusarmi, me ne vado nelle mie stanze.” 
“Lucius …” sospirò Piton, infastidito da quel teatrino. “E tu non cercare di trattenermi, Severus: non mi faccio dare lezioni di vita da nessuno, io. Men che meno da una nata babbana e da uno che ancora si piange addosso e vuole morire per una che neanche da morta, nei suoi sogni, l’ha mai ricambiato!”
Quando la mano di Piton scattò ed afferrò il braccio di Malfoy, tutti trattennero il respiro. “Non … ti … azzardare … mai … più, Lucius. Mai più.” scandì in appena un sibilo, rivolgendogli una delle sue consuete occhiate gelide. Lucius scostò il braccio e, in un mugolio infastidito, si allontanò, sbattendo una porta.
Non appena se ne fu andato, Narcissa scattò in piedi. “Bene … Draco, saresti così gentile da mostrare loro lo studio di tuo padre? Così potranno cecare questo maledetto libro e portarlo via.”
Il giovane annuì. “Va bene, mamma.”
Hermione si alzò e, in silenzio quasi tombale, seguì Draco ed Astoria lungo i grigi corridoi marmorei di Villa Malfoy, ignorando la silente presenza di Piton al suo fianco.
Lo studio di Lucius era situato al piano superiore, subito dopo un’ampia scalinata in pietra oltre una porta di legno scuro chiusa a chiave. Draco, tuttavia, la aprì senza alcuna difficoltà. “Magia del sangue.” spiegò, asciutto, entrando.
La stanza era scura, come Hermione aveva sempre immaginato: le pareti erano interamente occupate da scaffali ricolmi e due sole finestre arcuate illuminavano l’immensa scrivania lucida, attorniata da poltrone. Tutt’attorno, tra i libri ordinatamente sistemati, c’erano mappamondi, astrolabi, compassi, carte nautiche ed astrologiche, giratempo, scrigni, ampolle ripiene di liquidi dai color sgargianti, piume e pergamene. Il pulviscolo volteggiava tranquillo nell’aria immobile del tardo pomeriggio.
“Dev’essere nella sua collezione di libri antichi …” sospirò Draco, iniziando a cercare. Hermione si precipitò a dargli una mano, mentre Piton chiese con aria annoiata: “Signorina Greengrass, c’è qualche motivo di credere che il volume possa ancora risultare dannoso?”
“Gli esperti hanno detto che la maledizione viene annullata fintantoché la stirpe che ha colpito sopravvive: quando i Greengrass portatori del cognome si estingueranno, sarà di nuovo attiva. Perciò dovrebbe essere al sicuro …”
“Meglio non rischiare comunque: lo appelleremo appena l’avremo trovato.”
“Ogni tanto riesci anche a dare un contributo intelligente, Granger …” commentò, seccato, Severus. “Almeno do il mio apporto, invece di starmene lì a dare ordini senza fare nulla …” replicò lei, infastidita dal tono del professore. Piton assottigliò gli occhi, riducendoli a due fessure: nessuno aveva mai osato rivolgerglisi in quel modo, men che meno una sua studentessa. “Come osi …” iniziò. “Eccolo!” trillò Draco all’improvviso, indicando la costa di un libro. Hermione si precipitò accanto a lui: effettivamente, sembrava proprio quello che stavano cercando. “Sì, è lui.” confermò Astoria. La Grifondoro estrasse la bacchetta e lo fece volteggiare cautamente fuori dallo scaffale: era effettivamente il più bel libro che avesse mai visto. La copertina rosa perla rifletteva la luce, creando mille sfumature arcobaleno anche grazie alle pietre che vi erano incastonate. Piton si avvicinò cautamente, lanciando un incantesimo rivelatore. Al volume, però, non accadde nulla. “Dato che è innocuo, propongo di inviarlo direttamente al Ministero al … signor Smith.” sentenziò. “Buona idea.” annuì Hermione. “Vi porto una pergamena … potete usare il gufo reale della mamma, non le spiacerà.” sospirò Draco, dirigendosi alla scrivania. Astoria, intanto, ancora ferma sulla porta, fissava il tomo con sguardo vacuo, quasi assente. Hermione, notandolo, si affrettò a riporlo nella busta di carta che le stava porgendo Malfoy, sigillandolo con la magia. Piton scrisse rapidamente un biglietto e, prima che potesse consegnarlo a Draco, la Grifondoro glielo strappò di mano, lo lesse e firmò a sua volta, affidandolo lei stessa al giovane Serpeverde. Draco, a quella scena, sorrise. “Torno subito, vado a prendere il gufo.” disse, sparendo in corridoio. Astoria, accanto alla porta, incrociò istintivamente le braccia: era ancor più pallida di prima, se possibile. “Signorina Greengrass, si sente bene?” domandò Piton con tono disinteressato. “Sì, sì, grazie … solo …”
“Vorresti che quel libro venisse distrutto: lo capisco.” annuì Hermione. “In realtà, no: suppongo di non potermi lamentare … in fondo, forse non vivrò a lungo, ma gli anni che passerò ancora qui saranno senz’altro migliori di quelli di molte altre persone.”
“Quando avete in programma di sposarvi?”
“Agosto, per il mio compleanno. Io avrei preferito a primavera, ma Draco non ha voluto sentire ragioni.” sorrise, scuotendo il capo. “Non avrei mai pensato di vederlo cambiare, sai?” ammise la Grifondoro. “Le persone non cambiano: diventano solo più quello che sono già.” le gelò Piton in un sussurro acido. Hermione si volse a fissarlo con gli occhi che fiammeggiavano mentre Astoria, a disagio, distolse lo sguardo. Stava per rispondere, quando Draco rientrò con il gufo. Il professore, senza neanche attendere, affidò pacco adeguatamente rimpicciolito e busta all’animale e lo fece volare via in malo modo, beccandosi un’occhiata stizzita del volatile. Mentre lo osservava librarsi in aria, diretto a Londra, sotto lo sguardo atterrito dei tre ex alunni, si voltò. “Qui abbiamo finito. Grazie, Draco. Signorina Greengrass … se non vi spiace, saluterei Narcissa e me ne andrei …”
Detto ciò, uscì in silenzio dallo studio. Hermione sbuffò, rivolgendo uno sguardo che dovette sembrare disperato, vista la risata che suscitò in Draco. “Come fai a sopportarlo, proprio non lo so!” esordì il ragazzo, scuotendo il capo. “Non è una mia scelta: ne avrei fatto volentieri a mano, se avessi potuto, credimi …”
“Lo immagino. Ed immagino anche che non possiate dirci perché vi serve quel libro, vero?”
“Infatti.”
“Credo non ti resti che pazientare …” sorrise Astoria, facendo spallucce. “Lo credo anch’io … ma, se posso darti un consiglio, Granger … lo conosco da molto tempo e so che l’unico modo per conviverci in modo sopportabile è non stuzzicarlo.”
“Ma non lo faccio!” sospirò Hermione, esasperata. Dall’occhiata dei due Serpeverde, però, intuì che, forse, dopotutto, un po’ l’aveva davvero provocato. “Va bene, ci proverò … ma non garantisco nulla!” ammise infine, seppur a forza.

Congedatasi da Draco ed Astoria con la promessa di presenziare al loro matrimonio, Hermione si affrettò a raggiungere l’ingresso di Malfoy Manor per salutare Narcissa prima di andarsene, ma, con suo stupore, in salotto non trovò nessuno. “La signora è in giardino: la sta aspettando, signorina.” disse Trixy, intenta a sparecchiare. “Molte grazie … arrivederci!” le sorrise Hermione, dirigendosi rapidamente all’esterno: quella casa, per quanto maestosa, le risultò improvvisamente opprimente.
Mentre attraversava l’atrio d’ingresso, lo sguardo le cadde nuovamente sul lampadario e, in un solo istante, rivide nuovamente ogni singolo istante passato in quella stanza dalla cattura: le parve quasi di sentire la risata di Bellatrix nell’orecchio ed il suo pugnale nell’avambraccio …
Se lo strofinò istintivamente, affrettandosi ad uscire con il cuore a mille. Come le aveva riferito l’elfa, Narcissa era in piedi di fianco alla porta, assorta a contemplare il giardino. Notando la sua presenza, si volse di scatto verso di lei. “Oh, Hermione! Severus mi ha riferito che avete trovato quello che cercavate …”
“Sì, l’abbiamo trovato, effettivamente. È stato facile … grazie per l’aiuto.” sorrise la ragazza. “Oh, non preoccuparti, è stato un piacere. A proposito … avrei un piccolo favore da chiederti, se ti fosse possibile.”
Hermione sgranò gli occhi, stupita, al vedere il viso di Narcissa contrarsi dal dispiacere: ovviamente stava cercando di scusarsi, a modo proprio. “Certamente, se posso, volentieri …”
“Ecco, io … vorrei chiederti se potessi dare questa ad Andromeda, la prossima volta che la vedrai!” eruppe la donna, estraendo dalla manica una busta color avorio. La Grifondoro la fissò stupita: gli occhi di Narcissa erano oramai privi della fierezza che vi aveva letto un tempo. Oramai, trasudavano solo tristezza e nostalgia. Per chiedere a lei di aiutarla, doveva essere davvero disperata …
“Gliela consegnerò.” annuì, prendendo la lettera ed infilandola nella tasca del cappotto con decisione. Narcissa le sorrise debolmente. “Ti ringrazio molto, davvero. Se dovesse venirti voglia di tornare qui, non farti problemi, sarai sempre la benvenuta!” si congedò, stringendole le mani per poi lasciargliele subito ed indicarle il cancello. Hermione le rivolse un sorriso di gratitudine. “Senz’altro. Grazie ancora ed alla prossima!”
Detto ciò imboccò il lungo viale d’ingresso e, accelerando i passi man mano che si avvicinava al cancello, lasciò quella vuota proprietà abitata da fantasmi.
Fuori, con sua grande sorpresa, trovò Piton, ancora immobile dinanzi all’entrata, lo sguardo fisso all’orizzonte. Memore di quello che le aveva detto Draco, sospirò e proseguì, ignorandolo. Stava per smaterializzarsi, quando la sua voce piatta ed asciutta si fece sentire, roca e sibilante nel vento. “Non saluti nemmeno, Granger?”
Hermione si bloccò sul posto, aspettando qualche secondo prima di voltarsi a fronteggiarlo. “Non vedo perché dovrei … non mi considera neanche lontanamente e, se non avessi firmato di mia iniziativa il biglietto, avrebbero pensato che il libro l’avesse trovato Lei solo! Le sembra un comportamento degno di considerazione, onestamente?” ribatté, mandando definitivamente al diavolo i consigli di Draco. Piton la fissò, contrariato, scuotendo il capo. “Sei solo una ragazzina, cosa …”
“No, a Lei fa comodo dire e pensare che io sia solo una ragazzina, perché, in questo modo, può giustificare il suo continuo denigrarmi dinanzi agli altri senza ammettere che, molto semplicemente, mi detesta! Mi ha sempre trattata come uno straccio, anche ad Hogwarts, i miei voti in pozioni avrebbero dovuto essere più alti ed quelli che ottenevo me li sudavo … per non parlare di quello che mi diceva: insopportabile so-tutto-io, irritante, saccente, petulante, arrogante e chissà cos’altro! È perché sono amica di Harry Potter o le dà fastidio che non siano tutti teste di legno rispetto a Lei?” sbraitò, senza neanche rendersi conto di quello che stava dicendo. “È perché eri e sei un’irritante so-tutto-io, ti credi al di sopra di chiunque solo per aver letto qualche libro …” sibilò Piton. “Ah, ecco, mi sembrava strano!” pigolò Hermione, esasperata, passandosi una mano sul volto e sfoderando una risata nervosa che non le si addiceva. “Sa una cosa? Non doveva permettersi di dire a Draco che le persone non cambiano … lui è cambiato: ha rimediato ai suoi errori, sta risollevando la sua famiglia dalle ceneri della guerra, si è aperto … se c’è qualcuno che è ancora fermo a vent’anni fa, quello è Lei!”
Si pentì di quell’affermazione non appena l’ebbe pronunciata: subito, gli occhi di Piton fiammeggiarono ed il suo volto si contorse in un’espressione di pura rabbia. “Sei soltanto una stupida, arrogante ed ingenua ragazzina!” sibilò, avvicinandosi pericolosamente, i pugni serrati. Hermione indietreggiò di un passo, ma non distolse lo sguardo da quei pozzi scuri così gelidi e colmi d’ira da farla tremare, quasi un vento siberiano si fosse improvvisamente abbattuto sulla radura. “Avevo supposto che con la guerra il tuo carattere si fosse forgiato, insegnandoti a rispettare i ruoli ed ad ammorbidire la tua continua e petulante saccenza … evidentemente, mi sono aspettato troppo da una qualunque Grifondoro. Perché questi sei, a dispetto di tutto, Granger: una stupida ragazzina grifondoro che pensa di sapere tutto di sé, ma non riesce a vedere ad un palmo dal naso che disastro abbia combinato con quel poco che aveva … e non disturbarti a negare: sai anche tu che è vero. Se così non fosse, ci saresti tu nella famiglia Weasley, con quel rimbambito al posto di Lavanda Brown e non avresti bisogno di infastidirmi con questo incarico, dato che i tuoi genitori sarebbero ancora qui …”
Hermione non riuscì a soffocare un singhiozzo. Si impose di non piangere mentre distoglieva lo sguardo dall’espressione soddisfatta e trionfante di Piton per voltarsi, pronta a smaterializzarsi il più lontano possibile da lì. Prima di girare su se stessa, mentre stava quasi per cedere alle lacrime che premevano insistenti per uscire, tuttavia, si concesse di voltarsi appena verso l’uomo, quel tanto che bastava perché potesse udirla. “Ora capisco perfettamente perché Lily ha scelto James … ed ha fatto bene. Appena la vedrò, glielo dirò senz’altro.” sibilò prima di scomparire con una piroetta.
֎֍֍
La sera era oramai calata da parecchie ore sull’Inghilterra quando Hermione si smaterializzò di fronte alla casa dei Tonks. Espirò, passandosi una mano sul volto arrossato dal pianto: era consapevole di avere un aspetto orribile. Dopo essersi materializzata al Paiolo, era crollata sul letto ed aveva pianto per ore, sino a non avere più respiro. Era furibonda, triste e disillusa, con Piton, soprattutto, ma anche con se stessa, perché sapeva che un po’ aveva ragione. Era solo colpa sua se la sua vita era un disastro … in tutto.
Sospirò, stringendosi nel cappotto ed avviandosi verso il portico fiorito ed illuminato. Quella sera avrebbe dovuto essere dai Potter, ma aveva cortesemente rifiutato l’invito: non avrebbe sopportato il quarto grado sulle ricerche o la preoccupazione per il suo aspetto pesto. Con lo stomaco chiuso e l’umore a terra, aveva, così, deciso di recarsi almeno a consegnare la lettera di Narcissa ad Andromeda per poi tornare a rintanarsi nella sua stanza a fissare il soffitto sino al mattino, accarezzando Grattastinchi.
Suonò ed attese solo un istante prima che la porta si spalancasse ed Andromeda in persona, i capelli morbidi sparsi sulle spalle che scendevano sino alla schiena, le aprisse. “Hermione!” esclamò, lisciandosi l’abito marrone. “Che sorpresa! Entra, su, accomodati!”
“Grazie, Andromeda!” sorrise lei, entrando cauta nel piccolo soggiorno sui toni del verde e del lilla. “Accomodati pure … posso offrirti qualcosa?”
“No, sono di passaggio: sono qui solo per portarti questa.” spiegò, passandole una busta. La donna la squadrò brevemente prima di afferrarla e rigirarsela tra le mani. “Di chi è?” domandò, improvvisamente più fredda. “Di Narcissa.”
“In tal caso, non la voglio …”
“Ti prego, Andromeda: io non c’entro niente. Ho solo recapitato una busta, tutto qui. Narcissa è stata gentile con me e le ho restituito il favore. Ora, puoi aprirla o no, non ti giustificherò, ma, quantomeno, prendila e riflettici su per un po’. Tua sorella non è cambiata, credimi … è la stessa bambina a cui volevi bene. Lo è sempre stata, è solo tornata ad esserlo …”
Andromeda la fissò a lungo per poi stringere la lettera al petto. “E va bene. Ma lo faccio per te, non certo per lei. Vado di sopra, ora, se vuoi scusarmi, sono stanca … ti mando giù Remus, vorrà salutarti.”
Prima che Hermione potesse rifiutare, la Serpeverde era già scomparsa lungo le scale. Con un sospiro, sedette sul bordo del divano, fissando la abat-jour che infondeva una delicata luce arancione alla stanza e la strada del quartiere babbano poco oltre. Era così simile a quella dov’era cresciuta …
“Hermione, che sorpresa!” esclamò la voce di Lupin alle sue spalle, facendola sobbalzare. Si volse, sorridendo nel vederlo scarmigliato e con un maglione rosso dalle maniche rimboccate ed accettò il suo abbraccio. “Scusami, ho appena messo a letto Teddy …” si giustificò, sedendosi di fronte a lei. “Sai, la domenica sto con lui il più possibile!”
“Beh, almeno ora potrai andare a riposare un po’, no?”
“Non credo: devo correggere le verifiche. Non l’ho fatto prima perché dovevo stare con lui. Sai, non posso chiedere ad Andromeda di occuparsene per un’ora oggi …”
“Stai facendo un ottimo lavoro … ed Andromeda lo sa!” sorrise Hermione, rassicurante. Improvvisamente, si rammentò delle parole di Narcissa. “Mi hanno detto di dirti che, se vuoi spuntarla con lei, deve darle ragione e lasciare che si renda conto da sola dell’errore. Essendo molto testarda, è l’unico modo per farle capire qualcosa …”
Lupin spalancò gli occhi. “E questo chi te l’avrebbe detto?”
“Narcissa. Sono qui perché le ho portato una lettera da parte sua, infatti … vorrebbe riconciliarsi e ci riuscirà, ma ci vorrà del tempo.”
“Sicuramente. Come mai frequenti i Malfoy?”
“Oh, è per … beh …” arrossì Hermione, in evidente imbarazzo. “Oh, per quella storia del libro, sì, James me l’ha detto. Ci sei andata con Severus?”
“Mm.”
“Cos’è quel ‘mm’?”
“Non lo sopporto!” sbottò la giovane, sospirando: le mani le tremavano per la rabbia e l’ansia. “Non sto passando un bel periodo, tra il lavoro, il fatto che vivo in una locanda, che Ron e tutti si sposano e sono felici ed io no ed i miei genitori dispersi … ed in più ci si mette anche lui con le sue … battute acide! C’ero abituata a scuola, ma non riesco a tollerarle, ora! Forse sono cambiata troppo …”
Remus annuì. “Conosco Severus … e so quanto possa ferire le persone a lui vicine. Ma, come Narcissa ha fatto per me, voglio darti un consiglio: cerca di aprirti.”
Hermione sollevò la testa dalle mani e lo fissò come se fosse impazzito. “Non credo tu abbia capito di chi stiamo parlando …”
“Sì, invece: è un mio collega, Hermione. So bene chi è il Severus di oggi, ma ho visto anche quello ragazzo, timido ed introverso, che sorrideva solo a Lily ed alle sue pozioni. C’è ancora molto di quel Severus … va solo cercato. E l’unico modo per farlo riaffiorare è abbassare la guardia. Albus e Minerva facevano così e sono forse gli unici con cui ha funzionato …”
La Grifondoro scosse il capo. “Non credo che possa funzionare …” sbuffò. “Hermione …” la chiamò Lupin, costringendola a guardarlo negli occhi nonostante l’imbarazzo e la reticenza. “Severus è molto di più di quello che mostra agli altri … e siete molto più simili di quel che pensate. Abbassa i tuoi muri e te ne accorgerai. E, forse, lui abbasserà i suoi … forse ...”
“Già!” sorrise tristemente Hermione, affatto rincuorata, ma decisa quantomeno a sembrarlo per rassicurare Remus. “Forse … o forse no.”

Angolo Autrice:
Bentornati/e! Capitolo lungo, ma cui sono molto legata. Sono comparsi soprattutto i Malfoy in questa parte della storia, personaggi a cui sono molto legata e che spero di aver reso bene. Narcissa ed Astoria sono due personaggi che ammiro ed apprezzo molto e mi auguro di averle reso verosimili, per quel poco che possiamo ipotizzare.
In quanto al litigio tra Severus ed Hermione, non disperate: è necessario, ma sarà anche un buon trampolino.
Infine, non bisogna pensare che ogni libro sarà così facile da trovare, anzi: le peripezie da affrontare sono parecchie e toccheranno davvero molti ambiti e personaggi diversi!
Ultima nota: la canzone iniziale, ‘Forest Fire’, è pensata per Draco ed Astoria.
Alla prossima, se potete, recensite!
E.


 

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Capitolo 10
*** Come Neve che cade ***


Capitolo Decimo
Come Neve che cade

There's nothing but the rain
No footsteps on the ground
I'm listening but there's no sound
Isn't anyone tryin' to find me?
Won't somebody come take me home?
(I’m with you, Avril Lavigne)
Severus Piton detestava profondamente il giorno del suo compleanno. Per sua fortuna, la vita non gli aveva mai concesso di festeggiarlo in grande stile: quand’era bambino, ogni 9 gennaio sua madre gli preparava il suo dolce preferito, al caffè, con una candelina a forma di numero e gli dava un regalo. Si trattava perlopiù di libri di magia, l’oggetto dei desideri del figlio. Quando era arrivata Lily, i regali erano diventati ben due: solitamente gli comprava sciarpe, guanti o maglioni pesanti che era restio a lavare, visto che conservavano per settimane il profumo di gigli della sua migliore amica … e, poi, c’era stato il quinto anno e, da allora, non aveva più festeggiato. Lily era svanita dalla sua vita e solo per colpa sua, le botte di suo padre erano peggiorate tanto da scongiurare qualsiasi tentativo di ribellione della moglie e, poco tempo dopo, Eileen era morta e lui era entrato nei Mangiamorte. Da allora, nessuno si era più preoccupato del suo compleanno e non se ne curava nemmeno lui stesso: perché festeggiare l’anniversario di nascita di un mostro, del resto?
Solo tre persone in tutta la sua vita gli avevano fatto dei regali: sua madre, Lily ed Albus. E tutte e tre erano morte a causa sua, uno addirittura per mano sua … cosa poteva aspettarsi, che il destino gli donasse anche grandi feste a sorpresa come premio per il suo disgustoso comportamento?
Per questo, oltre che per la sua naturale tendenza alla solitudine, quel fatidico nove gennaio Severus Piton era rinchiuso, come sempre, nelle sue stanze, comodamente seduto in poltrona davanti al caminetto con un buon libro tra le mani e la luce smeraldina degli abissi del Lago Nero che si muoveva sinuosa assieme alle ombre aranciate del fuoco sulle pareti in un lento valzer. Si era alzato presto, com’era solito fare, aveva consumato i pasti portatigli dagli elfi in solitudine ed aveva preparato lezioni, corretto e letto per tutto il resto del tempo. Terminato l’ennesimo capitolo di un giallo acquistato mesi prima che si stava rivelando più avvincente del previsto, lanciò un’occhiata distratta all’orologio: erano le cinque del pomeriggio. La giornata era quasi finita, oramai e sembrava che si fosse evitato i lacrimosi auguri di Minerva, l’unica a conoscere la data di quell’infausto avvenimento annuale. Sogghignò: la preside stava davvero iniziando ad invecchiare …
Un lieve bussare alla porta lo fece mutare il ghigno in un sospiro innervosito: aveva parlato decisamente troppo presto. Si alzò di scatto, raggiungendo l’uscio e spalancandolo per lasciar entrare un gufo infreddolito. “Chi diamine è così ottuso da …”
L’insulto si bloccò sul nascere quando riconobbe il profumo della busta che stringeva nel becco. Il cuore perse un battito quando la prese tra le dita pallide. La aprì con foga, come un assetato con un bicchiere d’acqua e la lesse avidamente: conteneva gli auguri per lui, un pacchetto rimpicciolito a dovere ed un invito a casa Potter il 30 gennaio, in occasione della festa del compleanno di Lily. “Non ci andrò!” si disse subito Severus. Quando, però, scorrendo, lesse un messaggio diretto a lui, vergato nell’elegante scrittura di Lily, che lo pregava di andare alla sua festa, dato che ci teneva tanto, il cuore gli si strinse in una morsa tanto forte che quasi credette di soffocare. “Dannazione!” sibilò, lasciando cadere la missiva sul tavolo ed invitando il gufo gelato a prendere posto sul trespolo accanto al fuoco per riprendersi: avrebbe potuto tornare a casa il giorno dopo, fuori faceva troppo freddo. Ed era pur sempre il gufo di Lily …
“Perché? Perché ragiono ancora così?” sospirò, quasi disperato, lasciandosi ricadere in poltrona e passandosi una mano sul volto stanco: perché, dopo tutto quel tempo, ancora il suo cuore si ostinava a sperare, ad illudersi che un giorno Lily potesse considerarlo qualcosa di più di un amico? Perché era ancora innamorato di lei?
“Perché, all’epoca, era l’unica persona a vedere del buono in te. Ed è abitudine umana ragionare prevalentemente con il cuore …” rispose la voce bassa di Silente, facendolo sobbalzare. “Che vuoi, Albus? Lasciami in pace, almeno oggi!” sbottò, versandosi del whisky. Dal quadro, il vecchio preside scosse il capo. “Lei è stata la prima … ma non l’unica: ci sono stato io, gli altri insegnanti, Minerva, Lupin, Harry Potter, i Malfoy … ed Hermione.”
“La Granger, certo! Ma se non vedo quel suo arrogante visetto angelico da quel dannato giorno a Villa Malfoy! Per fortuna …” bofonchiò il professore. “Non credo che tu possa darle tutta la colpa, però, Severus …”
“No, certo, continuate pure a giustificarvi tutti, fate con comodo ...”
“E tu quando smetterai di giustificare te stesso?” esclamò Silente, lievemente contrariato. “Albus, stai diventando troppo vecchio per ragionare: prima mi rimproveri perché mi colpevolizzo, poi perché mi giustifico … deciditi!”
“Ti rimprovero perché lo meriti, stavolta: ti colpevolizzi per cose per cui non dovresti e non ti giustifichi per errori che dovresti scusare, tutto pur di restare nel tuo comodo guscio di rancore, ancorato ad un passato che tutti si stanno lasciando alle spalle … ma andare avanti fa paura, vero, Severus? Sapere che la vita non si è fermata a vent’anni fa e che non era detto che scampare alla morte fosse così negativo e spaventoso … sbaglio, forse? Sarebbe la prima volta, su di te, almeno …”
“Io volevo morire!” eruppe, saltando su con tanta veemenza da rovesciare il bicchiere, che s’infranse al suolo con uno schiocco secco facendo sobbalzare il povero gufo infreddolito. “Non volevo vivere e tu lo sapevi benissimo, ma hai mandato lo stesso quel dannato piccione troppo cresciuto per tirarmi fuori da lì! Non volevo tornare perché sapevo benissimo cosa mi aspettava e, guarda caso, avevo ragione, Albus! Ed ora mi tocca sopportare rimorso, disprezzo, solitudine e fallimento …”
“Cosa ti aspetta dipende solo da te, ragazzo mio. Solo da te … la vita ci restituisce ciò che le offriamo …”
Piton si portò una mano alla fronte, improvvisamente pesante e sospirò: aveva un tremendo mal di testa. Si aggrappò al bracciolo della poltrona, inspirando ed espirando a fondo: era stanco, tremendamente stanco, di tutto e di tutti. Le mani avevano preso a tremargli convulsamente e non riusciva a chiudere gli occhi senza venire travolto dalle immagini del suo passato, dalle risate di una bambina dai capelli rossi di cui si era innamorato a quella stessa bambina, divenuta oramai donna, che, raggiante, correva all’altare per sposare un altro, passando per una cupa sera sulla Torre di Astronomia, dove l’unico che gli fosse mai stato amico l’aveva implorato di ucciderlo e per le centinaia di torture che aveva visto e commesso da giovane …
All’improvviso, qualcuno bussò insistentemente alla sua porta, strappandolo dalla sua prigione di maledizioni e pensieri. “Dannazione, chi è ancora? Ma che avete tutti oggi?” sbottò, ancora tremolante e pallido, precipitandosi ad aprire e deciso a cacciare via il malcapitato visitatore. Non appena ebbe aperto l’uscio, però, sollevò un sopracciglio per la sorpresa. “Oh … ma chi si vede!”
֍֎֍
Hermione era davvero sfinita ed i primi segni di cedimento iniziavano a vedersi fin troppo chiaramente. Era da ben prima di Natale che non trovava nemmeno un minuto per sé, del resto: il lavoro al Ghirigoro l’aveva assorbita totalmente in quell’ultimo mese, tanto da non lasciarle nemmeno un minuto libero. Aveva passato giornate intere a sorridere, consigliare, impacchettare, cambiare regali, sistemare e fare ordini su ordini per rimpinguare la merce, tanto da perdere completamente la cognizione della realtà. Si era ridotta talmente male che aveva scelto i pochi regali che aveva da fare in fretta e furia la sera della Vigilia tra i rimasugli della libreria. Nonostante il lavoro l’avesse totalmente sfibrata, risucchiandole ogni energia, il Ghirigoro era stato la sua salvezza: perlomeno l’aveva distratta dalla solitudine e dal vuoto più totale che l’accoglievano ogniqualvolta rientrava al Paiolo.
Per la prima volta in vita sua, aveva detestato il Natale, il periodo dell’anno che, solitamente amava più di tutti: si era recata a pranzo a casa Potter con Sirius, Remus, Teddy ed Andromeda, avevano mangiato, riso e si erano scambiati i regali sotto l’albero e, nel pomeriggio, era educatamente passata a fare altrettanto dai Weasley assieme ad Harry, dovendo subire l’entusiasmo di Molly per i nipotini che sembrava a tutti i costi cercare di colmare l’assenza di Fred, la risata da maiale di Lavanda, la pancia oramai visibile, il resoconto delle attività ministeriali di Percy e gli strilli di Victoire. Grazie al cielo, alle cinque avevano potuto congedarsi: aveva oramai la nausea, a quel punto. La sensazione di vuoto e di disgusto era solo peggiorata la sera, quando, in camera da sola con Grattastinchi acciambellato sulle gambe, era scoppiata in un pianto dirotto sino ad addormentarsi, l’ultima fotografia scattata con i suoi genitori ancora stretta al petto. Era strano, in un certo senso: era stato il Natale in cui aveva visto più persone da quand’era ad Hogwarts, eppure era anche quello in cui si era sentita più sola, nonostante i regali, i dolci, il tè, gli abbracci e gli auguri. “Non offenderti …” le aveva detto Fleur con la sua voce zuccherina in un momento in cui l’aveva vista sprofondata in poltrona a fissare gli altri ridere con sconforto. “Ma è come se tu viaggiassi in un … binario opposto. Capisci che voglio dire, ma cherie? Quando la guerra è finita, la maggior parte delle persone non aveva nulla ed ora, pian piano, si sta costruendo una vita, mentre tu, che avevi tutto, hai allontanato ogni cosa … non so se mi sono spiegata …”   
Hermione aveva elegantemente finto di non intendere, ma, come sempre le capitava, aveva compreso fin troppo bene: era il suo maggior difetto, del resto. Capiva sempre più di quanto avrebbe dovuto … e, anche se costava ammetterlo, sapeva che Fleur aveva ragione. Viveva oramai in una dimensione che le era totalmente estranea, distante da tutto e da tutti e, sebbene fosse costantemente in mezzo agli altri, era sempre più sola.
Sospirò, aprendo l’ennesima lettera: pubblicità, come pensava. Appoggiò il mento sulle mani prima di sfregarsi le braccia, avvolta nel pesante vestito di lana grigia. Lasciò vagare lo sguardo tra gli scaffali ricolmi del Ghirigoro, deserto come sempre verso l’ora di chiusura. Fuori, c’era il classico tempo che preannunciava la neve: il cielo, scuro come inchiostro, era così basso che sembrava sfiorare i tetti di Diagon Alley, stretta tra vicoli illuminati solo dalle fioche lanterne dei negozi che si apprestavano a chiudere. Una lieve arietta gelida spazzava le strade, filtrando sotto i cappotti e facendo rabbrividire i pochi passanti. Avrebbe sicuramente nevicato: le previsioni babbane annunciavano neve a gogò per tutta la settimana.
Hermione sfiorò con le dita violacee per il freddo l’ultima busta rimasta da aprire, apprestandosi ad andare al Paiolo per addormentarsi sotto le calde coperte dove sicuramente Grattastinchi la stava già aspettando. Quando, tuttavia, notò che la lettera era indirizzata a lei e non al Ghirigoro, raggelò. La aprì con foga, ansiosa e la lesse tutta d’un fiato prima di sorridere: non era granché, ma era un inizio. Perlomeno, la sua personale iniziativa per la ricerca dei libri aveva dato i primi frutti …
Al pensiero di Piton, sentì lo stomaco contrarsi spiacevolmente: non l’aveva più visto né sentito da quel giorno di fine ottobre a Villa Malfoy. Aveva ricevuto gli auguri da Narcissa e Draco, ma non aveva osato chiedere loro notizie dell’uomo, né aveva voluto interessarsene di persona: sapeva solo, dalle conversazioni alla tavolata natalizia dei Potter, che aveva trascorso il Natale da solo a Spinner’s End nonostante le insistenze di Minerva. Non che la cosa la riguardasse, ovviamente …
Si rigirò la busta tra le mani: la notizia che aveva ricevuto era fondamentale per la ricerca ed avrebbe dovuto comunicargliela. Che figura avrebbe fatto al Ministero se fosse venuto fuori che ognuno aveva agito per conto proprio? Non le importava tanto del giudizio della Umbridge o di Shackelbolt, quanto più del fatto che avrebbero potuto rifiutarsi di effettuare le ricerche dei suoi genitori, se avessero riscontrato delle irregolarità e lei non poteva proprio permetterselo. La loro mancanza la stava divorando come un tarlo …
All’improvviso, le tornarono alla mente le parole di Remus di qualche mese prima: “Abbassa la guardia, siete più simili di quanto pensate.”
E, effettivamente, c’era poi così tanta differenza nell’essere soli a Natale ad una tavola imbandita o di fronte ad un camino spento? Probabilmente no.
Con un sospiro, Hermione intascò la lettera, infilò il cappotto viola, si avvolse nella pesante sciarpa lilla e chiuse il negozio per poi smaterializzarsi a confini di una Hogwarts già leggermente imbiancata ed avvolta da un sottile nevischio che vorticava attorno alle torrette ed alle fioche luci del castello: portare rancore non sarebbe servito a nulla. Piton non sarebbe mai cambiato e nemmeno lei, ma dovevano quantomeno cercare di sopportarsi se volevano ottenere le loro rispettive ricompense. E, innegabilmente, tra i due quella abbastanza sfrontata da fare il primo passo era senz’altro lei.
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“Granger, hai intenzione di sbarrare l’ingresso per tutta la notte o di entrare?” esalò Piton, visibilmente infastidito. Hermione, mezza congelata sull’uscio, si riscosse ed entrò cautamente, sobbalzando quando la porta si fu chiusa alle sue spalle: nonostante tutti i suoi buoni propositi, non era esattamente entusiasta di essere andata fino a lì. Era affamata, infreddolita, non sentiva più le gambe ed iniziava ad avere un lieve mal di testa, visto il gelo che si era presa per arrivare sino al castello a piedi. E, a giudicare dall’espressione del professore, furiosa, pallida, sconvolta e quasi scossa, forse di rabbia, non ne avrebbe tratto granché …
“Che diamine vuoi?” le domandò, infastidito. “Se non l’avessi notato, ho da fare …”
“Lo so, ma si tratta della … della ricerca dei libri.” balbettò, porgendogli con le dita bluastre e tremolanti la busta. Piton la afferrò e, prima ancora di aprirla, la squadrò da capo a piedi per qualche secondo. “Levati quel cappotto e quello scialle: sono fradici, rischi di ammalarti e non voglio essere accusato anche di questo dalle tue innumerevoli famiglie affidatarie.”
Hermione non osò neanche protestare: ubbidì in silenzio, consegnandogli gli indumenti che furono fatti lievitare sino ad appendersi accanto al fuoco. Si sedette sul divano, rannicchiandosi su se stessa, ancora tremante: oramai era palese che avesse preso un colpo di freddo. Non si sarebbe ammalata, probabilmente, dopotutto era ben vestita, ma sarebbe stata parecchio male, quella sera … come avrebbe fatto a tornare al Paiolo, ora? Per essere la strega più brillante della sua età, era stata davvero stupida, non c’era che dire …
Piton terminò rapidamente la lettura prima di sollevare lo sguardo sulla ragazza. “È stata tua l’idea di scrivere a questo magifilologo che si chiama come un piatto di lumache?” domandò, tagliente. Hermione annuì, continuando a tremare. “Il professor Lumacorno me ne ha parlato mesi addietro … credeva che avessero affidato a lui il libro del destino, essendo il migliore.” mormorò. “Per questo ho pensato di scrivergli … per capire se sapesse qualcosa degli altri due. Come ha potuto capire dalla risposta, il professor Escargot sta studiando quei particolari volumi da una vita e recentemente ha iniziato ad analizzare anche il libro trovato ad Hogwarts per conto del Ministero, seppur in tempi e modi relativamente ridotti, non essendo lui inglese. Inizialmente non voleva condividere molte informazioni con me, ma mi sono esposta e gli ho scritto ogni settimana, finché, stasera, non mi ha fatto recapitare un gufo con la lettera che ha in mano … e che spiega una cosa interessante sul terzo libro, quello a specchio che rivela l’anima del lettore.”
“Questo l’ho constatato anch’io, so leggere, Granger.” la interruppe Piton, lapidario, tornando a fissare lo scritto. “Ed è di certo utile sapere che si trova in fondo ad uno specchio d’acqua ferma, protetto da uno scrigno e da oscure creature in Scozia, secondo gli ultimi sviluppi. Tuttavia, i laghi, come sicuramente saprai, abbondano in questa regione …”
“Non quelli in cui si trovano mostri marini strappati all’oceano solo per fare la guardia al libro, però.” lo interruppe Hermione, tossicchiando per la gola secca. “Che mi risulti, ce ne sono ben pochi … ed un’esaustiva ricerca nella biblioteca di Hogwarts dovrebbe bastare a rintracciarli ed a consentirci di trovare facilmente il volume. P-per questo sono venuta …” concluse in appena un sussurro.
Per qualche minuto, il gelido e profondo silenzio della stanza fu rotto solo dal crepitio del fuoco nel camino. “È …” sospirò Severus dopo un po’: evidentemente, ciò che stava per dire gli costava parecchio. “È una buona intuizione, Granger. Avresti potuto evitare di tormentare Escargot, certo …”
“Non eravate voi Serpeverde ad essere disposti a tutto pur di raggiungere i vostri obiettivi?” ribatté lei, fissandolo dritto negli occhi. “Indubbiamente. Anche se converrai che c’è modo e modo … come del resto ci sono Serpeverde e Serpeverde …” replicò il docente, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante. “Dunque io sarei stata una buona Serpeverde?”
“Non direi: Corvonero, semmai. Hanno una fastidiosa tendenza alla stravaganza ed alla saccenza … ed infatti era la casa su cui quello straccio parlante era indeciso, giusto?”
Hermione sobbalzò, sentendo ancor più freddo all’improvviso. “C-come lo sa? Se lo ricorda ancora?” esclamò, stupefatta. Piton le rivolse un ghigno soddisfatto. “È il mio maggior pregio ed il mio peggior difetto … non dimentico mai nulla.”
“Allora non avrà dimenticato neanche … beh, quello che è accaduto a Malfoy Manor ad ottobre. Sono qui anche per questo, per scusarmi: non … non è un periodo facile. Affatto. E mi sono lasciata travolgere dalla rabbia. Mi dispiace di averLe detto quelle … parole: non le pensavo veramente.” sospirò la Grifondoro, in tremendo imbarazzo e con le guance arrossate nonostante il gelo che ancora sentiva: quant’era difficile aprirsi con una persona che restava impassibile ed annoiata dinanzi a tutti i suoi sforzi! Non era abituata ad essere lei quella emotiva in un gruppo … Harry e Ron erano sempre stati i bambini un po’ troppo cresciuti da frenare, da far ragione, non certo Hermione …
“Certo che le pensavi.” replicò asciutto Piton dopo qualche istante di silenzio. “Le hai sempre pensate, da ben prima che fossi costretta a lavorare con me. Sbaglio o ero ‘il pipistrello dei sotterranei’ già dal primo anno?”
“Se sa di quel soprannome, dovrebbe anche sapere che non l’ho mai chiamata così, mai. E che, nonostante tutto ciò che mi ha sempre detto, ho sempre difeso la sua professionalità. Perché, a dispetto del suo carattere, La ritengo un insegnante valido e capace.”
Hermione, pronunciate quelle parole, si chiese istantaneamente cos’avesse sbagliato: Piton, infatti, aveva letteralmente smesso di muoversi. Immobile al centro della stanza, la fissava, gelido ed indifferente come al suo solito. Quelle parole, che avrebbero fatto piacere a chiunque, sembravano non averlo toccato minimamente. Poi, all’improvviso, quando Hermione era già pronta a sprofondare in una valanga di insulti per la sua sfacciataggine, il professore posò la lettera davanti a sé e si voltò, sparendo in un angolino accanto alla scrivania. Tornò pochi istanti dopo con una tazza di porcellana da cui usciva del fumo in una mano ed una coperta verde smeraldo nell’altra. “Tieni: avvolgiti in questa e bevi il tè mentre è ancora caldo.” sentenziò, allungandoglieli. Hermione lo fissò, stranita e sbalordita per qualche istante prima che Piton sbuffasse. “Granger, non ho tutta la serata … se preferisci tornare fuori al gelo, non trattenerti …”
“G-grazie …” mormorò lei, accettando di buon grado la coperta ed il tè, ancora sconcertata per quel gesto del tutto inaspettato: Piton non era mai stato gentile con nessuno, men che meno con lei. Che, dopotutto, avessero ragione Remus e Lily? No, sicuramente era lei che aveva preso troppo freddo e si stava immaginando tutto …
Mentre sorseggiava lentamente il liquido caldo, godendosi la sensazione di calore nello stomaco gelato, si concesse di ammirare la stanza: non era mai stata nelle stanze di Piton. Nel suo ufficio sì, ma nel salottino privato mai e la stupì trovarlo straordinariamente accogliente: non c’era una sola parete che non fosse occupata da scaffali stracolmi di libri, ampolle ed oggetti d’ogni sorta. Divano e poltrone, rannicchiate attorno al camino ed ad un tavolo, erano color smeraldo come il tappeto, il che s’intonava bene con la luce verdastra che filtrava dalle finestre arcuate. Nel complesso, l’ambiente infondeva una sensazione di profonda calma …
Solo allora Hermione sembrò notare un’altra busta sul tavolo, accanto a quella che aveva portato, che recava la calligrafia di Lily. Ricordano improvvisamente un particolare che aveva tralasciato poco prima, tornò a fissare un elegante trattato di pozioni in edizione regalo. Istantaneamente, intuì quale fosse il motivo di quei due oggetti presenti nella stanza …
“È il suo compleanno?” domandò timorosa. Piton incrociò le braccia, ghignando. “Quale brillante intuizione! Devo riconoscerti che sei perspicace: Potter non l’avrebbe capito neanche con cent’anni di tempo e due aiuti da casa …”
“Mi … mi spiace averLa disturbata: me ne vado subito, sicuramente avrà di meglio da fare che …” biascicò Hermione, cercando di togliersi di dosso la coperta. Questa, tuttavia, si avviluppò ancor più strettamente a lei, facendola sobbalzare. Si rilassò solo notando che era stato Piton a farla muovere in quel modo. “Non riusciresti a fare due metri in quello stato, siamo onesti …” la frenò, sospirando. “E, inoltre, non c’è proprio niente da festeggiare, oggi … perciò restatene lì e riprenditi, Granger: mi servi viva e pensante per quel dannato libro ... solo in questo modo riusciremo a risolvere la cosa il più presto possibile e potremo tornare ad ignorarci garbatamente come abbiamo sempre fatto.”
“Gli unici auguri che ha ricevuto sono quelli di Lily?” domandò Hermione, ignorando le sue solite frasi acide. A risponderle, per dieci minuti buoni, fu solo il ticchettio dell’orologio. “Sì.” espirò pesantemente Piton. “Contenta adesso?”
“Non … non lo sapevo. Mi dispiace, se l’avessi saputo avrei portato qualc …”
“Credo bene che non lo sapessi: sono cose che preferisco tenere per me e gradirei che anche tu lo facessi. Questa giornata andrebbe cancellata dal calendario, per quanto mi riguarda … e da un bel pezzo.” sibilò, arrabbiato più con se stesso che con Hermione. Questa, dal canto suo, provò una certa tristezza a quelle frasi: certo, non stava vivendo un bel periodo, ma almeno il 19 settembre aveva ricevuto tonnellate di regali ed auguri ed aveva avuto persino una festa a sorpresa. C’erano persone che si erano ricordate di lei, che le volevano bene e glielo avevano fatto sapere, riscaldandole il cuore … Piton non aveva nessuno. Chi passava il proprio compleanno completamente solo, senza auguri né regali che non fossero di pura cortesia? Non avrebbe mai e poi mai creduto di provare ancora pena per lui … non dopo aver visto i suoi ricordi, almeno.
“Sei sempre più pallida, Granger, finisci quel dannato tè.” borbottò il professore, accomodandosi in poltrona ed afferrando il bicchiere colmo di whisky sino a metà. “Non dovrebbe bere così tanto: anche Minerva è preoccupata per Lei, a causa del suo … vizio.” sentenziò Hermione, sentendosi subito di nuovo come la ragazzina che ripeteva a memoria la lezione i primi anni ad Hogwarts. L’occhiataccia che le rivolse Piton la fece sobbalzare. “Innanzitutto, non sono affari tuoi e, secondariamente, bevo quanto mi pare: sono le poche gioie della mia età …” sibilò. La Grifondoro sgranò gli occhi, allibita. “Come può essere così indifferente rispetto al suo destino? Davvero vuole morire?” pigolò. Gli occhi di ossidiana che incontrarono i suoi a quella domanda non le apparirono gelidi ed indifferenti come al solito, anzi: vi distinse uno strano luccichio, qualcosa che non aveva mai visto prima …
“Non mi risulta che qualcuno si sia mai interessato a me ed al mio futuro, perché dovrei iniziare io …” mormorò il professore. “Silente lo faceva. E sicuramente anche sua madre. E Lily.”
Un silenzio ancor più tombale e carico di mezze frasi non dette, lacrime e rimorsi si fece strada nella stanza sino a riempirla del tutto, assorbendo ogni minimo rumore nelle sue gelide spire.
“Non credo tu abbia capito che non sono affari tuoi, poco prima, perciò te lo ribadisco: queste non sono cose che ti riguardano. Fine della questione.” sibilò Piton dopo un tempo che parve interminabile. Hermione distinse chiaramente il pallore cadaverico che l’avvolgeva e le mani che iniziavano a tremolare: evidentemente, quando era arrivata, aveva interrotto proprio quel genere di pensieri …
“Ha ragione, non mi riguardano. Ma, come non manca mai di dirmi, sono sfrontata e terribilmente Grifondoro … perciò questo non mi impedirà di dirLe che non è giusto che, dopo tanto tempo, Lei sia qui solo nel giorno del suo compleanno, senza aver ricevuto nemmeno degli auguri. Ha salvato il mondo magico e non: per quanto lo neghi a tutti i costi, è un eroe, uno vero, tanto quanto Harry. E credo che Le andrebbe mostrata almeno un po’ di riconoscenza …” si azzardò ad affermare Hermione. “Eroe? Non sai quello che dici … gli ex Mangiamorte non sono eroi …” ghignò, beffardo Piton. “Lo so, invece: è un dato di fatto. E la Sua opinione contraria in merito non cambia le cose.”
“Sei venuta per darmi la tua opinione sulla mia vita, per parlare di lavoro o semplicemente per prendere inutilmente freddo, Granger?”
“Tutte e tre, a questo punto.” deglutì lei, terminando il suo tè in assoluto silenzio. Dopo parecchio tempo, si azzardò a fissare il tavolo. “Che argomento tratta il saggio?” domandò. Piton storse il naso. “Gli usi delle piante acidofile.”
“È stato lei stessi a scrivere un articolo in merito per la rivista ‘Il Pozionista’ … temo sia un trattato piuttosto inutile!”
Piton voltò appena la testa. “Da quando leggi le riviste di pozioni, Granger?”
“Leggo riviste di tutto, in realtà, tranne divinazione: mi interessa approfondire le materie ed aggiornarmi.”
“Ovviamente. Cos’altro avremmo potuto aspettarci da una so-tutto-io?”
“Lily non dovrebbe sapere del suo articolo? È recente!” lo ignorò Hermione. “Non parliamo di lavoro … perciò no, non lo sa.”
La Grifondoro scosse il capo. “Se dovessi regalarLe qualcosa, credo che opterei per una torta al caffè.”
Appena pronunciate quelle parole, si rese conto di cos’avesse detto, sobbalzò e si tappò la bocca con la mano. “I-io non intendevo …”
“E, inaspettatamente, faresti bene, perché è uno dei pochi gusti che mi piacciono.” la interruppe Piton senza guardarla, concentrato sul whisky. “Piace a che a me. A dire il vero, mi piacciono tutti i dolci … ma non potevo mai mangiarli, da bambina.” ammise lei dopo un po’. Severus, a quella frase, si volse a fissarla, vagamente sorpreso. “E perché, erano forse avvelenati?”
“No.” si ritrovò a sorridere Hermione. “Ma i miei sono dentisti: temevano che mi cariassi i molari. Forse lo temono ancora, chissà. Sa …” sospirò la ragazza, rigirandosi la tazza tra le dita. “Lei probabilmente crede che sia solo una stupida ragazzina che non capisce che la vita non è giusta e crede ancora nelle favole, ma … beh, in realtà La comprendo perfettamente. Almeno, nella prima parte di ciò che ha detto.” sussurrò: forse, doveva davvero trovare il coraggio di parlare a cuore aperto, come le aveva detto Remus. Non aveva davanti un mostro senza cuore, questo lo sapeva: doveva solo mostrargli che non aveva nulla da temere con lei e, forse, avrebbero potuto quantomeno aspirare ad una convivenza pacifica.
“È dalla fine della guerra che vivo in una specie di limbo.” raccontò così, senza mai guardarlo direttamente: la imbarazzava tremendamente la sola idea di parlare di ciò che sentiva con Severus Piton. Ma era necessario. “Fleur mi ha detto che sembro viaggiare in un binario opposto rispetto agli altri ed è vero: tutti vanno avanti, si costruiscono vite, realizzano i propri sogni, hanno una famiglia … io no. Ho solo concluso Hogwarts e mi sono trovata un lavoro che amo. Ma non ho nient’altro: vedo poco i miei amici, ho perso i miei genitori e solo a causa mia, vivo in una locanda ed ovunque vada trovo solo persone che continuano a sbandierarmi sotto al naso la loro sfavillante gioia … e tutto perché mi sono permessa di pensare a cosa volessi per me stessa e non a ciò che pensavano gli altri. La verità è che sono stanca, davvero stanca e vorrei solo ritrovare i miei per lasciare tutto e tutti, seguirli chissà dove: qui mi restano solo i cocci. Non riesco a capire come tutti riescano a dimenticare … mi dicono che sono cambiata, che sono pesante ed è vero, ma … forse, non so, ho preso davvero la direzione opposta. Da quando sono nata, però …”
“Non direi.” la interruppe Piton con voce stranamente calma, facendola sobbalzare: si era quasi dimenticata di dove fosse. “Credo che il motivo sia sempre e solo uno, Granger: sei più intelligente degli altri. E, di conseguenza, elabori le cose in maniera diversa, valutando molto più approfonditamente le conseguenze delle tue azioni e rimuginandoci fin troppo su. Tutti gli amichetti della tua combriccola sono istintivi, prima fanno e poi pensano … è per questo che sono riusciti ad andare avanti: non riflettono. Forse ora ti sembrerà di essere un pesce fuor d’acqua, cosa che sei sempre stata, effettivamente, ma posso garantirti che, a lungo andare, la differenza tra una decisione ponderata ed una avventata si vede. E conta. Ho avuto spesso il tuo stesso problema … dev’essere la maledizione di chi passa i M.A.G.O. con tutte E, temo …”
Hermione era letteralmente spiazzata da quelle parole: lo fissava con la coperta ancora stretta attorno a sé, le guance in fiamme per la sorpresa e l’imbarazzo ed un’espressione sbigottita che doveva anche sembrare vagamente ridicola. “G-grazie …” mormorò con voce rotta, deglutendo. “Non credo di aver detto niente di più di un’ovvietà: ora non essere melodrammatica, Granger …”
“Non ha mai ammesso che fossi intelligente in vita sua, però …”
“Non ti avrei dato una ‘E’, se non lo fossi, Granger: il tuo problema è solo l’arroganza che mette in ombra le tue doti.”
“Naturalmente …” sospirò la giovane. “E questo non mi sono mai scordato di dirtelo, mi sembra …”
“No, tutt’altro: me lo ricorda ogni volta che respiro. Ma non è vero …” s’infiammò Hermione. “No, hai ragione: a scuola eri un’insopportabile so-tutto-io. Ora sei una petulante so-tutto-io, è diverso …” commentò l’altro, ghignando mentre riprendeva a leggere il libro che aveva iniziato con noncuranza qualche ora prima. Hermione si lasciò quasi sfuggire un sorriso prima di appoggiarsi delicatamente al divano, improvvisamente più leggera: alla fine, aveva ragione Remus. Era bastato aprirsi un po’ per ottenere una sorta di tregua. Certo, non aveva scorto poi molto del Severus Piton che c’era sotto la corazza, ma, perlomeno, ora sapeva che esisteva e non era solo una leggenda metropolitana …
Senza neanche rendersene conto, persa in quei pensieri e nel calore della stanza, chiuse gli occhi e, poggiata la testa sul divano, scivolò in un sonno tranquillo.
Piton, dal canto suo, continuò a fissare il fuoco per un po’ prima di rendersi conto che la ragazza non era più ritta a sedere, bensì semidistesa sul divano e sprofondata in un sonno leggero. Sospirò prima di fermarsi ad osservare la Granger: era senz’altro cambiata molto ed in quei pochi mesi gliel’aveva abbondantemente dimostrato. Aveva tirato fuori la Hermione che era sempre stata, ma che aveva nascosto per anni a scuola per timore di chissà cosa, del giudizio altrui, probabilmente. Era abituato a vederne la parte petulante, testarda e combattiva, quella che rispondeva a tono e sfoggiava le sue conoscenze come una medaglia, ma, quella sera, si era reso conto che c’era anche la ragazzina orgogliosa e sola che aveva scorto alla festa di Potter e che, nonostante la sua maturità, si disperava e faticava chiedere aiuto. Era indubbiamente intelligente, questo l’aveva sempre pensato, anche se stentava a dirlo perché, in fondo, gli piaceva stuzzicarla … era quasi divertente vederla arrabbiata. Una delle poche cose che l’avevano fatto sorridere di recente, assiema a quella dannata torta preparata, guarda caso, sempre dalla Granger …
La fissò, il mento appoggiato alla mano: era anche vero che la ragazzina dai dentoni sproporzionati ed i capelli impossibili era scomparsa, lasciando il posto a quella che oramai si poteva definire una bella, giovane, donna. Scosse il capo, passandosi una mano sugli occhi: ma che diamine stava pensando? Era una sua studentessa, non una delle sue amanti, per Salazar! Alla sua sfolgorante carriera mancava giusto la dicitura di pervertito …  
Con un sospiro, si alzò e, con un colpo di bacchetta, fece evanescere le scarpe di Hermione e fece in modo che la ragazza fosse completamente distesa sul divano, la testa appoggiata su un cuscino e la coperta avvolta attorno a sé. Piton indugiò su di lei con lo sguardo per qualche altro istante prima di scrollare le spalle ed andarsene a dormire: probabilmente, aveva solo bevuto davvero troppo whisky. O, almeno, così sperava …
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 Quando Severus aprì gli occhi il mattino successivo, ad accoglierlo, oltre alle ombre smeraldine del Lago Nero, fu un notevole cerchio alla testa. Sbuffò sonoramente: forse avevano ragione Minerva e la Granger, almeno in parte. Avrebbe dovuto smettere di bere whisky la sera, alla sua età era pesante. La sua età … già, aveva un anno in più. Quarant’anni gettati al vento …
Lentamente e controvoglia, si alzò, si sciacquò il viso e si vestì con misurata calma, evitando, come sempre, il proprio riflesso allo specchio. Quando entrò nel salottino, notò subito la coperta ben piegata sul divano. Fortunatamente per la sua quiete, la Granger se n’era già andata: evidentemente, era troppo imbarazzata per affrontarlo. Faceva ancora quest’effetto …
Si avvicinò per riporla quando, sul ripiano, notò una scatola verde, chiusa da un fiocco bianco ed un bigliettino. Lo afferrò con un sospiro frustrato: cos’altro voleva da lui quella ragazzina?
Lo lesse rapidamente:
La ringrazio per avermi ospitata. Sono stata un’incosciente a venire ad Hogwarts con il tempo che c’era ieri sera ed a disturbarLa, mi dispiace e per questo tolgo subito il disturbo. Per sdebitarmi, tuttavia, Le ho lasciato un piccolo pensiero … sarebbe un regalo di compleanno, ma, se la cosa La disturba, lo consideri come un ringraziamento.
Grazie ancora ed a presto
Hermione Granger

“Sentimentale, adolescenziale, prolisso e maledettamente Grifondoro.” commentò Piton, sfilando, tuttavia, il coperchio della scatola: per quanto detestasse regali e cortesie da parte di persone che riteneva lo detestassero profondamente, la curiosità era tanta. Troppa. E, di colpo, mutò in stupore quando si ritrovò tra le mani pallide ed eleganti una calda e profumata torta al caffè e rum.
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“Ecco qui, George!” sorrise Hermione, chiudendo il fiocco scarlatto del pacchetto regalo con un sorriso prima di raddrizzarsi ossessivamente il colletto nero dell’abito di lana grigia. “Grazie!” annuì il rosso, afferrandolo. “Angelina lo adorerà sicuramente … non credevo esistessero romanzi ambientati tra squadre di Quidditch!”
“Esistono libri un po’ su tutto, in realtà! E piacciono, devo dire!” sospirò la giovane, contorcendosi le dita. “Come stanno Molly ed Arthur?” si azzardò a domandare poi. George fece spallucce. “Come al solito: occupati con Victoire e compagnia bella. Cercano di riempire il vuoto … come tutti noi.”
“E … Ron?” domandò Hermione, affrettandosi a cambiare argomento: conosceva fin troppo bene l’espressione vacua e triste di George Weasley ogniqualvolta si parlava della battaglia, si girava e si ritrovava senza Fred, che era sempre stato la sua ombra …
“Davvero lo vuoi sapere?” rise il ragazzo, scuotendo il capo. “Non vedo perché non dovrei, semmai!” replicò la Grifondoro, infastidita da quella risposta. “No, certo, ma … credevo ti desse più fastidio, sai?”
Hermione fece spallucce. “A dire il vero, non mi tocca particolarmente … con Ron non è mai davvero stato amore. E la nostra amicizia si è sgretolata per causa sua e del suo orgoglio …”
“O del tuo, forse?”
“Che vorresti dire, scusa, George?”
Weasley fece spallucce. “Niente. Ma Ron è sempre stato innamorato di te e, probabilmente, lo è ancora. Lavanda è solo un ripiego … ma la ragazza l’ha incastrato per benino, eh?”
“Sarà un buon padre ed un buon marito.” sentenziò Hermione e, stranamente, non sentì alcuna fitta allo stomaco al pensiero: a dire la verità, non le importava che ci fosse qualcun altro dove avrebbe sempre immaginato di essere lei. Era giusto così: non avrebbero resistito un giorno solo assieme. A dispetto di quello che sperava la famiglia Weasley. Sua madre Jean, invece, gliel’aveva sempre detto. “Secondo me, Ron ed Harry sono due bravi ragazzi, ma nessuno dei due potrebbe essere il tuo compagno ideale!” soleva dirle. “Tu hai bisogno di qualcuno che ti rispetti, ti completi, ti tenga testa e ti sproni continuamente, ma, soprattutto, che abbia i tuoi stessi interessi, che possa condividere con te i tuoi pensieri e le tue idee …”
Scacciò il pensiero ripetendo a George la domanda che gli aveva posto poco prima. “Come stanno?”
“Oh, benone: Lavanda, se ti può consolare, è ingrassata tanto da diventare una specie di scrofa … e siamo al sesto mese. Al nono rotolerà, temiamo. Per questo si sono sposati in fretta appena venuta fuori la storia: temeva che non le sarebbe entrato il vestito. E Ron … beh, è molto felice: sta preparando culle, tutine e giocattoli.”
“Maschio o femmina?”
“Vogliono scoprirlo alla nascita. Ma mamma dice che sarà una femmina e non sbaglia mai.”
“Con sette figli, lo credo bene!”
“È quello che ha detto anche Bill. Ora devo andare, ho lasciato Ron solo al negozio anche troppo a lungo … ogni tanto combina qualche guaio, sai? Non è mai stato molto abile …”
“Oh, lo so. Salutamelo, ad ogni modo.” sorrise Hermione. “Senz’altro.” annuì George, avviandosi verso l’uscita. Solo sulla porta, si fermò un attimo e, dopo una breve riflessione, si volse. “Saresti stata la miglior cognata del mondo, Herm …”
La Grifondoro sospirò. “E tu il miglior cognato, George.”
“Anche meglio di Harry?”
“Senz’altro meglio di Harry!”
“Stammi bene!” rise l’altro, agitando la mano prima di uscire in una Diagon Alley coperta da un cielo plumbeo ed interamente coperta da uno spesso strato di neve dove qualche fiocco tardivo ancora cadeva dalle nubi.
Rimasta nuovamente sola nel negozio semideserto, fatta eccezione per un padre con la figlia ed un’anziana che piangeva su un romanzo rosa, Hermione estrasse da sotto il bancone l’enciclopedia dei luoghi magici del Regno Unito e riprese a cercare i laghi della Scozia con le creature magiche pericolose: che lo volesse o meno, Ron Weasley era il passato. E, tutto sommato, ne era quasi contenta … non era gelosa di lui, ma della felicità che aveva e che a lei sola sembrava preclusa. A lei ed a Piton, ad essere precisi.
Scacciò l’ennesimo pensiero molesto, riprendendo a lavorare: erano passati tre giorni da quando si era svegliata nelle stanze del professore, decisamente riscaldata e riposata, ma anche tremendamente imbarazzata. Per sdebitarsi, nel silenzio totale dei sotterranei, aveva persino preparato una torta facendosi portare gli ingredienti da un elfo … ma che diamine le era saltato in mente? Per forza non le aveva risposto: non solo aveva invaso i suoi spazi, disturbandolo, ma aveva addirittura usato la sua cucina. Poteva quasi capire che fosse infuriato con lei, stavolta …
Ripensò al fatto che avesse trascorso il compleanno completamente solo: non avrebbe mai pensato di compatire Severus Piton. In fondo, aveva sempre creduto che un po’ si cercasse quella totale solitudine, visto come si comportava, a non le era mai passato per la mente che potesse essere il suo modo per non soffrire più. Le uniche persone che tenevano a lui o erano morte o non si premuravano nemmeno di passare a trovarlo ed il resto del mondo magico lo bollava ancora come Mangiamorte, a prescindere da quanto aveva fatto.
Il campanello della porta suonò, avvisandola dell’arrivo di un cliente. “Buongiorno: arrivo subito.” mormorò, ancora concentrata sui laghi. “È questo il modo di gestire un negozio, Granger?”
Al sentire quella voce, Hermione sobbalzò tanto da far cadere rovinosamente a terra il libro. Si precipitò a raccoglierlo e lo strinse al petto come uno scudo mentre alzava gli occhi sulla fonte di quel suono.
Severus Piton, avvolto nella solite redingote e nel mantello, la fissava con aria altera e vagamente divertita, le mani unite dinanzi a sé ed un ghigno in volto. “Sto lavorando, ma, dal momento che il negozio è apposto e che i clienti presenti non hanno bisogno di me, mi sono concessa qualche minuto per la ricerca dei laghi con creature magiche pericolose della Scozia.”
“Che coincidenza: lo stesso motivo per cui sono venuto qui. La tua lista coincide con la mia?” mormorò, passandole un foglietto di pergamena coperto dalla sua scrittura elegante, inclinata e stretta. “Sì … sono identiche.” annuì Hermione, confrontando la pagina su cui svettavano le sue lettere minute, tonde e ricciolute. “Loch Ness, Loch McFahrrad e Loch Hart.” elencò la ragazza. “Sono tre e tutti molto distanti …” spiegò, indicando la cartina presente nel libro che stava consultando. “Dovremo visitarli tutti, è chiaro.” considerò Piton. “E, visto che entrambi siamo costretti a lavorare per vivere durante la settimana, credo che un’ottima soluzione sarebbe il finesettimana.”
“Lo penso anch’io. Possiamo cominciare già sabato … quale lago vuole visitare per primo?”
“Due sabato ed uno domenica.”
Hermione sbarrò gli occhi. “Tre laghi in due giorni a gennaio?” pigolò. “Che c’è, Granger, temi la fatica?” ghignò Piton. “Prima troviamo questi dannati libri e meglio sarà …”
“Sì, ma … beh, converrà che una ricerca accurata non dev’essere frettolosa! Prendiamo un lago per ogni finesettimana … si tratta di un mese: almeno avremo la certezza di aver controllato bene, non Le pare? In classe ci diceva sempre che l’accuratezza è la prima regola di ogni ricerca magica …”
“Lo dicevo, sì. Ma l’accuratezza può anche essere fatta con velocità, se ci sono le competenze …”
“Che entrambi abbiamo.” replicò Hermione. “Ma a volte anche i migliori possono sbagliare, se sotto pressione …”
Il silenzio calò a sugellare quella diatriba fatta di sguardi convinti e per nulla impauriti dall’altro: occhi ossidiana e nocciola si specchiavano senza timore gli uni negli altri, curiosi, evidentemente, di vedere quale sarebbe stato il primo a desistere.
“E va bene.” annunciò, infine, Piton, senza distogliere lo sguardo. “Facciamo come dici tu, Granger … ma se perderemo tempo sarà solo colpa tua!”
“Me ne assumerò la responsabilità.” annuì lei. “Ti manderò le istruzioni su dove incontrarci via gufo venerdì … ed ora, se non ti dispiace, avrei bisogno di consigli.”
Hermione, a quelle parole, sbarrò gli occhi. “C-consigli? Da me?” domandò, sbalordita. “Sei o non sei una libraia, ora? Ho bisogno di libri da leggere.”
“Sempre classici e gialli?”
“Preferibilmente, sì.”
“Ne deduco che ha terminato quelli che Le avevo consigliato!”
“Li ho conclusi ben prima di Natale.”
“E Le sono piaciuti?”
Un sopracciglio del professore si incurvò pericolosamente verso l’alto. “È così importante?” domandò. “Per darLe ulteriori consigli, sì.”
“Sì, mi sono piaciuti. Anche se non ho gradito essere paragonato a Levin, sa, Granger? Leggo della sottile ironia in questo e non mi piace …”
“Sarebbe un ottimo personaggio letterario, sa, professore?” sorrise Hermione, prendendo due volumi dalle sue spalle. “Le consiglio Cime Tempestose ed un noir ambientato nel mondo della mafia magica di Brooklyn …”
Il sopracciglio di Piton si incarcò ancor di più mentre sfogliava i libri. “Vada per il noir, ma mi hai preso per una ragazzina romantica che aspetta il principe azzurro, Granger? Non leggo romanzi rosa!”
“Ma forse li avrà letti o sentiti nominare: conosceva Via col Vento, del resto. Credo che, in Cime Tempestose, potrebbe provare delle simpatie per Heathcliff …”
Il Serpeverde la fissò di sottecchi, borbottando qualcosa di incomprensibile mentre comprava, oltre ai consigli, altri due saggi magici usciti di recente. “Vedrà che non se ne pentirà!” sorrise Hermione mentre gli allungava il resto. “Lo farò senz’altro, invece. Come mi sono pentito di aver mangiato la tua dannata torta di compleanno … molto buona, nulla da dire, ma c’era davvero troppo rum. Regolati, Granger.”
Detto ciò, l’uomo si volse ed uscì nell’affollata Diagon Alley avvolta nel nevischio di gennaio, soddisfatto dell’espressione sbigottita con cui aveva lasciato Hermione Granger, completamente basita dalla sua affermazione. “Tanto sarà l’ultima volta che vado a parlarle in negozio …” si disse mentre si smaterializzava ad Hogwarts, ignaro che sarebbe tornato la settimana dopo e quella dopo ancora, ogni mercoledì. E non solo per la carenza di libri, che preferiva decisamente alle persone, ma perché discutere di romanzi con quella saccente Grifondoro, al momento, era forse l’unica cosa nella sua triste ed inutile esistenza che lo facesse dimenticare quanto buio fosse il suo passato.

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Capitolo 11
*** La Stella Nera ***


Capitolo Undicesimo
La Stella Nera

I guess I must be wishing on
Someone else's star
It seems like someone else keeps getting
What I'm wishing for
(Someone Else’s Star, Lauren Duski)
“Hermioneeee … dove sono i nastrini dorati?” gridò Cormoran dal piano inferiore con un vocione talmente profondo da far tremare l’intero negozio. La Grifondoro, in cima ad una scala, sobbalzò, rischiando di far cadere la pila di rese che aveva preparato in cima ad uno scaffale. “Secondo cassetto in basso a destra!” strillò in risposta, scendendo con cautela dalla scaletta. “Trovati! Grazie!”
“Figurati!” sospirò lei, riponendo le rese nello scatolone dove le stava accuratamente impilando e dividendo per casa editrice.
Come sempre a gennaio, il lavoro al Ghirigoro era esiguo: la maggior parte dei maghi e delle streghe era già oberato dai regali natalizi, motivo per cui l’acquisto di libri nuovi passava decisamente in secondo piano. In una libreria, era il periodo migliore per dedicarsi a cataloghi, rese e per rinnovare le vetrine, soprattutto in giornate come quella …
Hermione si liscio le mani sull’ampia e pesante gonna in tartan blu e si sfregò le maniche del maglione nero, guardando fuori: Diagon Alley era invasa dalla pioggia. L’acqua scrosciava ininterrottamente sull’Inghilterra oramai da settimane, picchiettando su tetti e vetri ed invadendo marciapiedi e tombini. I passanti erano pochissimi e perlopiù concentrati nei negozi dalle vetrine illuminate. Il Ghirigoro era però semideserto, fatta eccezione per gli habitué.
Iniziò a visionare i volumi dello scaffale accanto con un sospiro sconsolato: in quelle settimane di noia quasi totale, l’unica distrazione era stata la ricerca dei libri del destino.
Fosse stato per lei, avrebbero iniziato appena ricevuta la lettera di Escargot, ma Piton non aveva voluto sentire ragioni: aveva una fonte, a suo dire estremamente attendibile, che, secondo lui, avrebbe fatto risparmiare loro parecchio tempo. Doveva solo fissare un appuntamento. Intanto, però, erano passate tre settimane senza alcuna novità … settimane che avrebbero potuto occupare cercando i manufatti.
Per la frustrazione e l’ansia di quella situazione di stallo, Hermione aveva letto tutto ciò che poteva su Loch Ness, Loch McFahrrad e Loch Hart e sulle relative creature che li infestavano, tanto che, oramai, se mai avesse deciso di lasciare il mondo magico, avrebbe potuto considerare l’idea di fare la guida turistica per i laghi della Scozia.
In tutto questo, le uniche novità nella sua monotona vita erano l’invito alla festa di compleanno di Lily, fissato per quel sabato sera e la continua ed inaspettata presenza di Piton che, ogni mercoledì, si presentava al Ghirigoro alla ricerca di nuovi romanzi da leggere e chiedeva espressamente di lei. In più di un’occasione avevano finito per discutere dinanzi allo sguardo divertito e perplesso di Florence e Cormoran, ma, alla fine, il più temuto professore di Hogwarts se ne andava sempre con almeno due libri e, a volte, aveva persino dato ragione ad Hermione sulle qualità di questo o quel romanzo. Un evento talmente raro che se l’era segnato nel calendario che teneva nella sua stanza al Paiolo Magico …
“Hermione, c’è qualcuno che chiede di te!” la chiamò la voce di Florence dal pianoterra. “Arrivo!” annuì la strega, affrettandosi a lasciare da parte i libri ed a scendere, facendo risuonare il ticchettio degli stivali con il tacco sulle scale: già sapeva chi fosse, visto il giorno e l’ora.
E, come immaginava, fermo all’Ingresso del Ghirigoro con il solito mantello nero a coprire la redingote scura, Severus Piton, l’aria vagamente scocciata ed i capelli neri che gli ricadevano sul volto, stranamente spettinati.
“Buonasera, professore.” lo salutò, raggiungendo la cassa dove Cormoran stava dividendo coccarde, nastri e carte regalo mentre Florence Florish revisionava i conti.
“Granger …” rispose il Serpeverde, laconico. “È arrivato il trattato sulle piante acquatiche che avevo ordinato due settimane fa?”
“Sì, gliel’abbiamo messo da parte proprio ieri …”
“Solo ieri? Avete dei tempi più lunghi della scorta di vino della professoressa Cooman …”
“La sfido a trovare una libreria migliore del Ghirigoro.” replicò Hermione, posando il trattato sul bancone con un gesto stizzito, guadagnandosi l’occhiata di approvazione di Florence. “Obiezione quantomeno viziosa: siete i migliori perché ci siete solo voi.” ribatté Piton, sfoggiando il suo ghigno soddisfatto. “È uscito qualcosa di interessante di recente?”
“Certamente.” sospirò Hermione, facendo il giro del bancone per condurlo al reparto gialli, che restava il preferito del professore: dopo tre settimane, sapeva che quella era la frase che usava per chiederle gentilmente consiglio senza essere troppo esplicito ed abbassare il suo orgoglio serpeverde a chiedere l’opinione di una petulante Grifondoro.
“In gennaio non ci sono particolari novità, ma è uscito un libro a metà tra romanzo e saggio molto interessante … sostanzialmente, l’autore indaga la teoria secondo cui Jack lo Squartatore sarebbe stato un mago oscuro …”
“Interessante …” annuì Piton, prendendo il volume e sfogliandolo. “Aggiudicato. Qualcos’altro?”
Hermione si morse il labbro: oramai sapeva che il professore leggeva con la stessa rapidità con cui leggeva lei stessa. Uno o due libri a settimana era il minimo indispensabile per entrambi …   
“Di nuovo, no, nulla.”
“Allora proponi qualcosa di vecchio: devo spiegarti io il tuo mestiere, Granger?”
“No di certo, anche perché in questo lavoro è richiesta cortesia.” replicò lei senza battere ciglio: oramai, aveva imparato che l’unica arma per difendersi dalle sue frecciatine acide era l’attacco. “La interesserebbe un classico?”
“Naturalmente, ma eviterei le solite sdolcinerie che mi appioppi …”
“Perché non Frankenstein o Dracula, allora?”
“A proposito …” mormorò il docente, incrociando le braccia e passando una mano sul mento. “Ci sono novità per … quella faccenda.”
Il cuore di Hermione perse un battito mentre le dita stringevano convulsamente il libro che teneva tra le mani. “La sua … fonte ha risposto?” azzardò. “Esattamente: ci aspetta stasera alle sette e mezza.”
“Cosa? Ma è tra solo un’ora! Dove?”
“Di questo non devi preoccuparti ora …”
“Non può pretendere che la mia esistenza di basi su appuntamenti dell’ultimo minuto …”
“Non vedo quali entusiasmanti programmi tu possa avere, dal momento che, se non sei al Paiolo, sei qui a fare gli straordinari o dai Potter! E, secondariamente, avrei preferito anch’io un po’ di preavviso, ma la risposta mi è giunta solo stamane, perciò … prendere o lasciare …”
La Grifondoro sospirò, innervosita dalla tranquillità con cui Severus Piton si divertiva a sconvolgerle ogni piano: ci godeva, era evidentemente. “Prendo, ovviamente.” rispose, allungandogli Dracula. “Eccellente. Ho già letto Dracula, ad ogni modo … consigliami un classico che ti è piaciuto.”
Gli occhi di Hermione si strabuzzarono per la sorpresa, ma evitò di darlo troppo a vedere. “Qualunque genere di classico?” domandò non noncuranza. “Naturalmente.”
“Jane Eyre.” sorrise, trionfante, prendendo una bella edizione dallo scaffale. Piton roteò gli occhi. “Prima che dica qualcosa, mi ha dato campo libero e questo è, in effetti, il mio classico preferito.” spiegò, allungandogli il volume. “Lo conoscerà sicuramente …”
“Solo di fama … va bene, proverò a leggerlo cercando di non farmi venire il diabete.” sospirò, consegnandoglielo. Hermione preparò il conto con una certa soddisfazione. Una volta pagato, Piton la fissò per un istante e la ragazza si stupì nel vedere che non provava alcuna soggezione nei confronti di quegli occhi d’ossidiana: non le sembravano più tunnel scuri e glaciali, come quand’era sui banchi. Erano solo occhi …
“Ti aspetto fuori. Puntuale.” concluse, uscendo senza aggiungere nient’altro.
La Grifondoro scosse il capo, riponendo le monete nella cassa. “Tipetto tosto il professor Piton, eh?” commentò distrattamente Florence senza staccare gli occhi dai registri. “Abbastanza.”
“Collaborate sempre per quella storia dell’incarico segreto al Ministero?”
 “Sì. Ma si tratta di un lavoro che occupa il mio tempo libero, manterrò i turni e …”
“Non vedo il problema, Hermione.” sorrise la signora Florish. “Non lasciarti sfuggire questa opportunità … è a dir poco unica! Lavorare per il Ministero e perdipiù con una personalità come Piton … devi ritenerti fortunata: ti stima.”
“Stimare? Me? Oh, no …” rise la Grifondoro, sinceramente divertita. “Ha passato tutti gli anni di Hogwarts a prendermi in giro ed a rimproverarmi … avevo una paura a dir poco assurda di lui e di ciò che avrebbe potuto dirmi.”
“Evidentemente ha cambiato idea …”
“Non credo proprio!”
“Severus Piton viene qui da quando aveva diciotto anni e ti garantisco che non l’ho mai visto chiedere consigli o parlare di libri con nessuno, neanche quand’ero bambina. Se lo fa con te, significa che ti tiene in considerazione …”
Hermione aggrottò la fronte. “Sarà …” liquidò rapidamente, tornando al suo lavoro al piano superiore, non senza pensare a quello che le aveva appena detto Florence: effettivamente, anche se non se n’era resa conto, l’atteggiamento di Piton nei suoi confronti era leggermente cambiato, rispetto agli anni che aveva trascorso ad Hogwarts. Non la prendeva più in giro per il suo aspetto, non la rimproverava se mostrava le sue conoscenze, pur continuando a definirla ‘saccente so-tutto-io’ e, soprattutto, le parlava. Avevano discusso di libri per ore, scoprendo di avere persino gusti simili … evidentemente, aveva ragione Remus: c’era un altro Piton, celato ai più e riservato esclusivamente ai pochi fortunati che lasciava vedere oltre la corazza che si era creato. Che anche lei fosse una di quei pochi? Lo escludeva categoricamente … e, anche se fosse stato … perché?
֍֎֍
“Notturn Alley? I signori Weasley ci avevano proibito di venire qui …” mormorò Hermione, le mani nelle tasche del cappotto: si sentiva un po’ come quando, a scuola, ripeteva a memoria la lezione. “Non mi risulta che tu sia ancora una minorenne soggetta all’altrui potestà, o sbaglio?” ghignò Piton in risposta.
La Grifondoro sbuffò: era stanca, infreddolita e non aveva alcuna voglia di attraversare Diagon Alley con il vento tra i capelli che le gonfiava il pesante cappotto blu e lo sciarpone di lana azzurra, sebbene avesse smesso di piovere oramai da un po’. Ciononostante, da quando Piton, fuori dal Ghirigoro, le aveva comunicato la loro destinazione, non faceva che trotterellargli dietro, sbuffando ed inciampando nel selciato o nelle pozzanghere. Era immersa in quei pensieri quando, di nuovo, il distinto: “Muoviti, Granger!” di Piton le ricordò dov’era, con chi e perché.
Notturn Alley si stagliava davanti a loro in tutto il suo lugubre splendore, diversa eppure uguale a sempre: gli edifici, alti e marmorei, erano blu, viola o grigi e mostravano sulla strada lastricata le vetrine scure, decorate con oggetti strani o comuni, accomunati dai colori scuri e dall’aria cupa e misteriosa, per quanto attraente. Il cielo oramai blu come inchiostro faceva sì che le luci si riflettessero sulle pozzanghere, baluginando nella gelida oscurità di gennaio. Contrariamente a Diagon Alley, la via era decisamente affollata: creature d’ogni sorta, maghi e streghe dall’aria facoltosa o, quantomeno, disinibita e indecifrabile, camminavano spediti da un negozio all’altro, trascinandosi dietro pesanti borse colme di acquisti di cui Hermione non voleva neanche immaginare l’origine.
Nonostante la guerra magica fosse finita da due anni, Notturn Alley non era cambiata minimamente: conservava ancora la nomea di via dedita alle arti oscure e, non a caso, i nomi dei negozi erano sempre gli stessi. Hermione c’era stata solo una volta, anni prima e rammentava ancora con un brivido quell’episodio, considerato quel che ne era seguito per la povera Katie Bell …
All’ennesimo: “Granger, non abbiamo tutta la settimana!”, la ragazza sbuffò, piantò i piedi a terra e si fermò a fissare il suo accompagnatore con gli occhi fiammeggianti fino a quando Piton non si volse. Si rese conto solo allora che non l’aveva mai visto al di fuori di occasioni e spazi in cui era sempre stato solo ‘il professor Piton’. Ora, in una viuzza secondaria ed oscura, dove non c’era alcun apparentemente legame a richiedere particolari formalità (o informalità) tra di loro, era solo Severus Piton, un mago con i capelli corvini che ondeggiavano nel vento umido di quella sera di gennaio.
“Si può sapere che c’è, qualche licantropo ti ha rubato la lingua?” sbottò, vedendola immobile. “Non credo ci sia bisogno di rimproverarmi come una bambina per ogni cosa: non sono più una sua studentessa! Sono reduce da una giornata lavorativa, esattamente come Lei, ma mi è stato comunicato dove saremmo andati poco fa, sto camminando da mezz’ora nel gelo ed ho fatto delle ricerche per tutta la notte senza chiudere nemmeno occhio … sono ansiosa quanto Lei di trovare il libro, ma non mi pare proprio il caso di mostrare tanta … acida scortesia!” esclamò Hermione, affrettandosi a superarlo con passo marziale: oramai, non sentiva neanche più il freddo tanta era l’irritazione. E dire che pensava di aver intravisto un Piton gentile … doveva aver avuto le traveggole, altro che ‘lato gentile nascosto’!
Dopo soli pochi passi, però, si sentì afferrare il braccio e sobbalzò, spaventata. Avrebbe sicuramente estratto la bacchetta, pronta a lanciare uno schiantesimo, se Piton non si fosse subito rivelato ai suoi occhi, portandosi una mano al petto per mostrarle chi era. “M-mi scusi … non amo essere sorpresa alle spalle!” mormorò la ragazza, imbarazzata: cosa del genere non le succedevano dai primi mesi dopo la guerra. Perché ora?
“L’ho notato …” ghignò Piton. “Anni ed anni passati a fare la spia mi hanno reso alquanto silenzioso, temo e questo posto non aiuta. Scusa.”
“Delle scuse? Da Lei?” sdrammatizzò Hermione, abbozzando un sorriso. “No, è vero, infatti era ironico.” la frenò l’uomo. “Non mi scuso mai: l’ultima volta che l’ho fatto, comunque, non è servito a niente … andiamo, stammi vicino: non è un posto per signore, questo …”
La Grifondoro smise di sorridere ed annuì in silenzio, riprendendo il cammino senza più proferire parola: sapeva perfettamente che si stava riferendo a Lily ed aveva abbastanza amor proprio da non chiedere altro.
Eppure, mentre camminavano lungo la via, fianco a fianco, di tanto in tanto, sbirciò il volto inespressivo del professore e si ritrovò a chiedersi se davvero l’amasse ancora, dopo tutto quel tempo …
Sempre, aveva detto a Silente. Ma quanto poteva durare davvero qualcosa di così immenso, eppure di estremamente doloroso? Quanta solitudine, quanta amarezza e quanto odio si potevano sopportare prima di esserne saturi, prima di tramutarsi in disumani mostri senz’anima?
“Loch Ness è abitato da Nessie, il mostro tanto acclamato dai babbani.” iniziò, senza volerlo, a spiegare: parlare di cose che aveva letto era l’unico modo per stemperare la tensione che conoscesse. Era il solo modo per fare qualunque cosa, per lei, a dire la verità …
“Secondo Newt Scamander, Nessie altro non è che un kelpie di dimensioni gigantesche, cioè un demone acquatico che può assumere varie forme, anche se la più frequente è quella di un cavallo con la criniera fatta di giunchi di palude. Dopo aver attirato l'incauto sul proprio dorso, sprofonda in fondo al fiume o al lago che infesta e divora il cavaliere, lasciando risalire le viscere in superficie. L’unico modo per dominare un kelpie è imbrigliarlo con un incantesimo Imposium, che lo rende docile e innocuo.”
“Grazie per la lezione di cura delle creature magiche, Granger, potresti prendere il posto di Hagrid, davvero …” ghignò Piton. “Non avevo finito …” puntualizzò lei. “Questo è quello che sanno tutti, ma quasi nessuno sa che Newt Scamander stesso possedeva un kelpie e l’aveva addomesticato a dovere, tenendo un diario in cui annotava comportamenti, curiosità e consigli nonché una guida di come trattare con i vari kelpie del mondo … Nessie inclusa.”
Piton si fermò di colpo, volgendosi a fissarla, gli occhi ridotti a due fessure. “Come diamine …”
“Luna Lovegood, se la ricorderà …”
“Come no, ancora tormenta i miei incubi …”
“Beh, è mia amica ed è fidanzata con il nipote di Newt Scamander, che ancora tiene i diari del nonno. Le ho scritto e me li ha fatti recapitare via gufo. Cercando, ho poi scoperto che Loch McFahrrad è abitato da un kraken piuttosto feroce, mentre Loch Hart è famoso per le apparizioni di banshee.” spiegò Hermione, trionfante. Piton, per un po’, non disse nulla, continuando a fissarla. Solo dopo un po’ riprese a camminare, sospirando. “Ottima ricerca, Granger, mi duole ammetterlo …”
“Grazie. Tuttavia … beh, non ho idea di come trovare il libro, in concreto!” ammise. “Di questo non devi preoccuparti, così come non avresti dovuto darti tanta pena per quel kelpie: la mia conoscenza, Mina, saprà darci tutte le indicazioni necessarie ... è abbastanza informata in artefatti di magia oscura da farci risparmiare viaggi inutili a vangare i laghi scozzesi ed incontri con mostri marini. Se il libro si trova davvero in uno di questi laghi, lei lo sa.”
“Mina?” ripeté Hermione, infastidita per com’era stato liquidato il suo lavoro, scansando un vecchio goblin che la fissava con sguardo lascivo. “E …”
“È una vampira: era spesso invitata alle feste del Lumaclub quando ero appena diventato insegnante. Mi sono fatto dare il suo indirizzo, viste le sue conoscenze in magia nera e le ho scritto: ci aspetta alla Stella Nera, un locale piuttosto noto, qui. Non può permettersi di girovagare per Diagon Alley senza venire additata o arrestata … ma qui sì.”
“Oh. Bene.”
“Ti vedo piuttosto agitata: hai forse paura dei vampiri, Granger? Non me lo sarei mai aspettato da una Grifondoro che ha affrontato Voldemort …” ghignò. “No. E, comunque, potrebbe anche smetterla con ‘Granger’ e chiamarmi Hermione ora che collaboriamo …”
Piton si arrestò nuovamente all’improvviso e la Grifondoro quasi andò a sbattere dritto contro la sua schiena, essendo ben più bassa di lui. Il Serpeverde la stava fissando con sguardo gelido ed infastidito. “Vada per stavolta, visto che dobbiamo sembrare colleghi … tuttavia, non farci l’abitudine … Hermione.” sibilò, mellifluo, riprendendo la marcia. “Ed ora muoviamoci, abbiamo un appuntamento ed odio essere in ritardo.”
“Va bene …” sospirò Hermione, seguendolo, suo malgrado.
La Stella Nera, da fuori, appariva come un qualunque negozio di Notturn Alley, scuro e con le vetrine colme di oggetti dall’aria pericolosa ed oscura. Entrarono in silenzio, evitando le occhiate curiose dei numerosi clienti seduti ai tavoli: era una piccola locanda che aveva ben poco a che fare con il Paiolo Magico. Lunga e stretta, aveva pareti viola scuro e la mobilia interamente d’ebano. L’unica particolarità era il soffitto, dipinto a mo’ di cielo notturno, su cui sembrava passare continuamente una stella cometa. “La cometa di Halley: da qui il nome del locale.” illustrò Piton, scansando due maghi ubriachi e trascinandola con sé per il braccio verso il bancone. Hermione fece, tuttavia, in tempo a distinguere un angolino buio, dove una donna era intenta a leggere il giornale: pallida e dal viso affilato, aveva mani dalle dita lunghe, laccate di viola ed affusolate, la pelle diafana e lunghi capelli neri e mossi, pettinati con la riga laterale, occhiali dalle lenti scure ed era interamente coperta dal lungo cappotto, dai guanti e dagli stivali. Doveva per forza essere Mina …
“Buonasera: prendiamo un caffè nero e … tu cosa vuoi … Hermione?” disse Piton al gestore, con evidente sforzo. “Una cioccolata calda, grazie.” sorrise debolmente questa. “Vi porto subito tutto.” annuì il proprietario, mentre Severus si dirigeva rapidamente verso la donna in scuro. Questa, non appena lo vide, posò il giornale, si alzò in piedi e si tolse gli occhiali, rivelando due splendidi occhi grigiazzurri fin troppo cerchiati di nero con una matita. Sorrise appena, mostrando le punte di due canini decisamente affilati.
“Severus Piton! Quanto tempo: l’ultima volta che ti ho visto eri un ragazzino … beh, per me è come se fosse stato ieri!” esclamò, stringendogli la mano. “Non sei cambiata affatto, Mina …” mormorò l’altro. “E ti sorprende? Per me i secoli sono settimane … e questa bella giovane chi è?”
“Hermione Granger, collaboro con il professore per la ricerca per cui siamo qui.” si presentò Hermione, stringendole a sua volta le dita senza stupirsi nel sentirle gelide come ghiaccio: dopotutto, era pur sempre con una non-morta che stavano parlando. “Hermione … la strega più brillante della sua età, certo, sei piuttosto famosa! Piacere, Willelmina McLaughlin, ma tutti mi chiamano Mina. Prego, sedetevi! Allora, che si dice ad Hogwarts, Severus?” sorrise, melliflua, la vampira. “Ho letto di te su tutti i giornali dopo la sconfitta di Voldemort … eri più famoso di Dracula, per tutto il sangue di Nosferatu! Ti ho mandato anche un biglietto di pronta guarigione, ma non mi hai risposto …”
“Non ho risposto a nessuno per par conditio.” confermò Piton con tono piatto. “Avrei potuto salvarti, se fossi stato in estremo pericolo, lo sai …”
“Il tipo di salvezza che mi offriresti tu è la mia peggior condanna, Mina: una vita eterna. Già ho difficoltà con questa, figurarsi …”
“È qui che ti sbagli, mio caro: la mia è una non-vita. E tu già ce l’hai, una non-vita … giusto, Hermione?”
“Credo spetti soltanto al professore stabilirlo.” sospirò la giovane, trattenendosi dall’assentire all’affermazione della vampira. “Visto?” esclamò Mina, agitando la mano pallida. “Chiaramente è d’accordo con me, ma non lo ammette perché altrimenti te la prenderesti con lei …”
“Hai finito di psicanalizzare tutti, Mina? Non siamo qui per questo!” sibilò Severus mentre il proprietario portava loro caffè e cioccolata. “Grazie.” sorrise Hermione, iniziando a mescolare sotto lo sguardo disgustato di Piton. “Che c’è?” domandò. “Niente … guardavo soltanto che obbrobrio ingurgiti!”
“È cioccolata: è buona e riscalda. E migliora l’umore: dovrebbe berla anche Lei, ogni tanto …” ribatté lei. La risata di Mina la fece sobbalzare. “Ha ragione, Severus! Dio, quanto mi piacerebbe provarla … peccato che non posso. Devo seguire una dieta ferrea … in tutti i sensi!” rise. “Ovviamente ...” grugnò lui. “Come te la passi, per il resto, Mina?” chiese, ignorando una piccola rissa scoppiata tra due streghe vestite in modo succinto dall’altro lato del bar. La vampira fece spallucce: non sembrava turbata da quelle scene. “Come al solito. Ma spiegatemi questa cosa del libro maledetto, su …”
“Siamo alla ricerca di un manufatto appartenente alla categoria dei libri del destino.” spiegò Hermione, decisa a scacciare la sensazione di nausea che, inspiegabilmente, quella cioccolata le stava dando. “Si tratta di un libro dalla superficie a specchio, capace di rivelare tutto sul lettore, anche cose che non vorrebbe o che non conosce.”
“Un po’ come lo specchio della emarb, certo …” annuì la vampira. Al citare quello specchio, Piton si agitò impercettibilmente sulla sedia e, a quanto parve, sia Hermione che Mina lo notarono, considerata l’occhiata che si scambiarono. “Un po’, sì. Ad ogni modo, un magifilologo ci ha detto che si trova sotto uno specchio d’acqua ferma, un lago, dunque, protetto da uno scrigno e da un’oscura creatura marina … abbiamo ristretto il campo a Loch Hart, Loch McFahrrad e Loch Ness. Loch Ness sembrerebbe quello che corrisponde di più, visto il kelpie che …”
“Le apparenze ingannano.” la interruppe Mina, melliflua, picchiettando le unghie sul tavolo. “Conosco fin troppo bene Nessie e posso garantirvi che qui non c’è nulla di ciò: quel povero kelpie è fin troppo occupato a respingere turisti e curiosi, figurarsi se si metterebbe anche a custodire manufatti pericolosi, con tutta la gente che gira qui … sarebbe sconsiderato! No, non è qui.”
“Restano Loch McFahrrad e Loch Hart.” elencò Piton, terminando il suo caffè in un solo sorso. “Esattamente. I mostri che li infestano sono … particolari …” sorrise Mina, scoprendo nuovamente i canini. “Loch McFahrrad contiene un piccolo kraken: in confronto, Nessie è docile. Non vive nulla di animale, vegetale o materiale in quel lago: il kraken divora tutto ciò che gli capita a tiro, sassi inclusi, dunque dubito che un libro resisterebbe. Ci rimane Loch Hart, dove ci sono le …”
“Banshee.” concluse per lei Hermione, sorseggiando la sua cioccolata: la sola parola la faceva rabbrividire. Ricordava le lezioni di Difesa contro le Arti oscure relative alle banshee e l’avevano fatta rabbrividire …
“Esattamente.” sorrise Mina, compiaciuta. “Sai cosa sono, vero?”
“Spiriti del piccolo popolo legati ad una famiglia che piangono alla morte di uno dei suoi membri.” completò nuovamente la Grifondoro senza neanche riflettere: era abituata a farlo. Sindrome della so-tutto-io, dicevano Harry e Ron. E Piton lo confermò bofonchiando tra sé e sé. “Non sono malvagie, in realtà, ma si manifestano solo a chi è prossimo alla morte e …”
“Ed è questo che rende difficoltoso prendere il libro, bingo, ragazza!” annuì Mina. “Sveglia, eh?”
Piton mugugnò qualcosa di incomprensibile. “Ad ogni modo, non è necessario che uno di voi si faccia ammazzare per vederle … vi farò avere un appuntamento. Mi conoscono bene e mi vedono sempre perché … beh, cosa volete, la morte è il mio stato abituale. Quello che nessuno sa delle banshee è che possono farsi vedere, eccezionalmente, se proprio lo desiderano ...”
“Infatti il professor Allock affermava di averne sconfitta una, sebbene non fosse stato direttamente lui a farlo, in realtà.” confermò Hermione. “Allock è un babbeo: non credo che basare una ricerca su di lui sia professionale.” replicò Severus, incrociando le braccia e spostandosi leggermente sulla sedia. “Infatti non lo stavo citando ...” mormorò la ragazza. “Fa lo stesso. Quante sono?” chiese Severus, sospettoso, ignorando lo sbuffo di Hermione. “Tre o quattro … ce ne sono sempre meno, le antiche famiglie scozzesi si stanno estinguendo. Quella che conosco meglio è Batsheba, della famiglia Hart. Vi aiuterà senz’altro se vi mando io, siamo molto amiche.” spiegò la vampira. “In quanto tempo puoi contattarla?”
Mina fece spallucce. “Un po’ mi ci vuole … mi farò sentire io appena riuscirò a trovarla, hanno la tendenza a nascondersi, per la maggiore!”
“Ti ringrazio, sei stata a dir poco essenziale. C’è qualcosa che posso fare per sdebitarci?” riprese Piton, dritto al punto. “Offrirmi? Ma niente: per me è un divertimento. Cos’altro farei per secoli se ogni tanto non mi si presentassero queste occasioni di … come dire … divertimento?” rise. “Non è che io abbia molto da fare, sai? La cosa più emozionante che faccio è … oh, a proposito: qualcosa che puoi fare per me, in effetti, ci sarebbe!”
“Qualunque sanguinolenta trovata delle tue riguardi Hermione è fuori discussione.”
La cioccolata della Grifondoro rimasta nella tazzina finì per spargersi nel piattino per la sorpresa.

Quando il cappello l’aveva smistata in Grifondoro, aveva valorizzato il suo spirito coraggioso, ma Hermione si sentiva tutt’altro che impavida e fiera in quel momento.
Seduta al tavolino scuro della Stella Nera, fissava gli altri clienti tirare fuori dalle borse, libri, manufatti e strani oggetti con disinvoltura. Era arrivata persino a guardare con interesse due giovani picchiarsi, completamente ubriachi, pur di non prestare troppa attenzione alla figura seduta accanto a lei: Mina, avvolta nei suoi abiti scuri, al contrario, fissava compiaciuta la vetrina del negozio dove aveva spedito Severus oramai mezz’ora prima sorseggiando un bloody Mary che, come aveva richiesto, era molto ‘bloody’. Che cosa vendessero in quel luogo buio ed alquanto lugubre, tuttavia, era un mistero ed Hermione stessa non era sicura di volerlo scoprire …
“È per la bara.” disse, dopo un po’, Mina, attirando l’attenzione di Hermione. “Prego?” mormorò. “La bara: ne devo comprare un’altra. Stavolta, però, vorrei la fodera viola scuro. Severus è l’unico che riuscirebbe a farsi fare uno sconto da quell’approfittatore di Bargins … del resto, spendo già troppo per mangiare …”
L’espressione della Grifondoro si fece, se possibile, si fece ancor più perplessa. “Non è che mi diverta a girare per cinque diverse macellerie, ma non posso certo ordinare quella quantità di carne al sangue allo stesso negozio: sarebbe troppo sospetto.” spiegò la vampira, facendo spallucce. “Dunque … non bevete più sangue umano?”
“Con tutta la roba che si ingurgitano o si inoculano quelli? Ma neanche per sogno!” rise Mina. “No, usiamo un surrogato, prodotto da una fabbrica americana che lo esporta anche in Europa. Sono sempre gli americani ad avere le idee migliori … la maggior parte di noi si rifornisce nelle macellerie, come me, mentre i puristi cacciano nei boschi. Una pratica rozza ed alquanto ripugnante, se posso permettermi un giudizio … gli umani, quelli veri, sono tutta un’altra cosa, ma il Ministero ci ha vietato di andarcene in giro a vampirizzare chiunque ci capiti a tiro, cosa che non ci piacerebbe certo fare, dunque ci limitiamo a mordere chi vuole esplicitamente essere trasformato.” sospirò, puntando gli occhi gelidi in quelli di Hermione. “Dovete essere rimasti in pochi, dunque!” indovinò lei, seppur lievemente intimorita: non poteva nascondere di essere vagamente spaventata da quelle creature. E da quel luogo … come diamine aveva potuto lasciarsi convincere a venire fin lì?
“Un cinquecento al mondo, sì … pochissimi. La maggior parte in Romania: i vampiri inglesi sono davvero pochi.”
“Al Lumaclub ho conosciuto Sanguinis …”
“Oh, certo, un vampiro ereditario … una categoria di privilegiati!” sbuffò, agitando la mano. “Vivono nei loro castelli all’est, fregandosene di tutti … non come me, che vivo in un appartamentino, sola, ad Edimburgo. Ogni settant’anni cambio e mi trasferisco nei paesi attorno al lago, per non destare sospetti. Cambio nome, nessuno si ricorda di me, con tutta la gente che passa. Esco di giorno, certo, ma evito le vetrine e mi copro sempre bene. Per il resto, leggo, molto, troppo e cerco manufatti magici oscuri. Per curiosità. E non viaggio mai perché amo troppo questo posto, ci sono nata … e morta. Le creature oscure sono mie amiche perché siamo tutti uguali: rinnegati, messi all’angolo, da chi avrebbe dovuto proteggerci e darci importanza. Ci accomuno l’alienazione e l’inadeguatezza … la gente giudica senza sapere e dà troppa importanza all’apparenza: ecco perché un bastardo come Tom Riddle è arrivato dov’era, mentre io vivo nell’ombra. Perdona la battutaccia.”
Hermione sollevò le sopracciglia, vagamente incuriosita. “Ami leggere? Io lavoro al Ghirigoro, ma non ti ho mai vista!”
Gli occhi di Mina luccicarono. “Davvero? Mi piacerebbe così tanto andarci!”
“Potresti!”
“Oh, no, proprio non …”
“Posso scriverti per farti sapere quando sono di turno in negozio da sola … così potresti passare, verso sera, magari, ti sarebbe più agevole e daresti meno nell’occhio.”
“Oh, per Dracula … ma … davvero lo faresti? Per me?”
Hermione arrossì vedendo il volto della vampira contrarsi dalla commozione. “Io … beh, sì, certo …” mormorò, sentendo uno strattone allo stomaco quando si rese conto che Mina avrebbe voluto piangere, ma semplicemente non poteva … i morti non versavano lacrime.
“Allora accetto, sì, grazie, grazie davvero … ti lascio il mio indirizzo, scrivimi, così possiamo accordarci!” mormorò, estraendo dalla borsetta un foglietto ed annotandoci qualcosa in una scrittura d’altri tempi prima di riconsegnarglielo. “Appena posso mi farò sentire, promesso.” annuì Hermione, infilando l’indirizzo nel cappotto. “Non so davvero come ringraziarti …”
“Non devi: ad Hogwarts dicevano tutti che avevo un talento per le cause perse. Ho fondato una società per i diritti degli elfi domestici in cui non credeva nessuno …”
“Il C.R.E.P.A., vero?”
La ragazza la fissò, stupita. “Come fai a saperlo?”
“Il lato positivo di essere non-morti è avere tanto tempo per leggere qualunque cosa, anche i giornaletti di Hogwarts.” sospirò Mina, tornando a fissare il negozio di Bargins.  “Allora, com’è lavorare con Severus?” le domandò dopo un po’, riacquistando magicamente il suo vigore. Hermione sospirò, soppesando le parole da usare prima di abbassare la testa per evitare un bicchiere che era appena stato lanciato contro il muro da un elfo ubriaco che ballava su un tavolo. “Complicato ...” ammise, infine. “Oh, lo immagino: sei stata anche troppo brava. Chiunque abbia anche solo collaborato con lui, di solito, non ha resistito oltre la settimana … non ti sei mai chiesta perché nessuno abbia mai voluto lavorare con lui o per lui? C’è il serio rischio di ammattire o di diventare un ingrediente per i suoi intrugli!” rise. “Ma, se siete arrivati fin qui, immagino andiate abbastanza d’accordo …”
“Non troppo, a dire la verità ... è … difficile ...” sospirò Hermione, rigirandosi le dita. “È vero, Severus è un uomo molto complicato, è sempre stato … come dire … depresso. Ama la solitudine e la brama perché crede di non meritare niente se non odio e morte, non riesce a credere che qualcuno possa amarlo, probabilmente perché non gli è mai successo … l’unica persona che l’abbia mai considerato suo amico era Albus Silente e sappiamo tutti cos’ha dovuto fare, no? Immagina dover fare lo stesso a quei tuoi due amici con cui hai salvato il magico fondoschiena a maghi e streghe di tutto il mondo …”
“Anche Lily Evans è sua amica.” aggiunse Hermione senza pensarci. “Oh, ancora Lily? Non oso immaginare come stia, ora che è tornata … ho sentito di quella storia! Ah, tra l’altro … sei stata tu, è vero!” sospirò Mina. “Ho subito pensato che gli fosse venuto un colpo apoplettico … voglio dire, Lily che ritorna dall’aldilà e riabbraccia la sua famigliola felice … bah!”
“Bah?” ripeté la ragazza, sorridendo per la reazione della vampira. “Sì … mai piaciuta quella rossa.”
“La conosci?”
“E chi non conosce Lily Evans e James Potter? Tra i migliori auror dell’Ordine della Fenice! Le loro gesta venivano narrate da tutte le creature! Intendiamoci: lui è un borioso e viziato figlio di papà, lei una sciacquetta con l’aria da santarellina che giudica tutti e si dà tante di quelle arie …”
“Conosco i Potter e non mi sembrano così … male.”
“Perché anche tu sei, come loro, un’anima di luce: la stampa ti acclama, tutti lodano la tua gentilezza, il tuo buon cuore … hai mai provato a sentirti giudicata costantemente per ogni tua scelta, a subire il giudizio altrui per le sole cose negative che hai fatto, nonostante tu abbia rimediato o, magari, non abbia neanche sbagliato? Ecco, così è come si sente la gente che vedi qui, così è come si sente Severus, come mi sento io …” espletò, sorseggiando il bloody Mary. Hermione, a quelle parole, rimase a fissare la vampira, stordita: non l’aveva mai messa in quei termini, doveva ammetterlo. Tuttavia, ora sapeva cosa si provava ad essere giudicati a prescindere … l’aveva sperimentato da quando aveva lasciato Ron. E doveva ammettere che viverlo costantemente per tutta la vita non fosse certo la migliore delle ipotesi …
“Ho conosciuto Severus poco dopo la morte di Lily, tornando al discorso ed ho visto come si era ridotto … non è un caso che sobbalzi ancora in quel modo al solo sentire nominare lo specchio delle emarb, sai?” riprese Mina dopo un po’. “Perché?”
“Perché, durante i suoi primi anni di insegnamento, vi si recava tutte le notti, solo per vederla, forse anche assieme a lui, felice e viva, non so … io non mi rifletto negli specchi. Ne era ossessionato, quasi drogato, oserei dire. Se Silente non fosse intervenuto nascondendo lo specchio, sarebbe impazzito … e tutto perché la ragazza cheerleader di Hogwarts non l’ha perdonato per aver detto qualcosa che non pensava dopo averla vista ridere di lui durante uno scherzo di quei bulletti … ma che scempio?”
A quelle parole, Hermione tacque: non l’aveva mai messa su quel piano. Non aveva proprio mai pensato a quell’episodio, a ben pensarci: si era fidata dei ricordi che aveva visto, fermandosi solo a quel ‘sanguemarcio’ che l’aveva toccata nel profondo, forse perché, in fondo, sapeva di esserlo anche lei, come le ricordava costantemente la sua cicatrice sul braccio … eppure, come effettivamente aveva detto Mina, Lily, poco prima, durante lo scherzo, aveva sorriso. Che Piton l’avesse notato? Come poteva essersi sentito vedendo quella scena? Aveva forse pensato che l’unica persona che l’avesse mai difeso era dalla parte dei suoi rivali? Avevano solo quindici anni, dopotutto … erano ragazzini. Cosa che Hermione non era più, come le ricordavano tutti e forse anche per quello avrebbe dovuto prestare maggior attenzione ai dettagli nel vedere i ricordi di Piton … le apparenze ingannavano, dopotutto, Mina aveva ragione.
“Ti ho sconvolta?” sorrise la vampira. “No, affatto. Mi hai … fatto pensare.” sorrise tristemente la Grifondoro, sospirando. “E, comunque, non ti perdi nulla: la cioccolata calda qui non è granché e fa ingrassare.”
“Per me non sarebbe un gran problema: non posso aumentare di peso ...”
“Io la chiamerei fortuna, non problema!”
“Parli tu che sei magra come un chiodino … ti passerebbero anche i mantelli che ho a casa per quando devo volare sottoforma di pipistrello e piove!”
“Come mai sei amica di Piton?” azzardò Hermione, troppo curiosa per tacere quella domanda che le premeva sulla punta della lingua già da un po’. “Non per quello che pensi tu …” sospirò l’altra, accavallando le gambe. “Ha sempre avuto delle … amiche. Avventure passeggere, lui è convinto che nessuno possa amarlo e tutte lo trovano orribile ed inavvicinabile … non andrebbero mai con lui a meno che non fossero ubriache marce. No, noi siamo … amici perché entrambi cercavamo qualcosa quando ci siamo conosciuti …”
“Cosa?”
“Chi, semmai.” sorrise amaramente la vampira. “Lui Harry Potter, io mio figlio. Mio marito, un bastardo che avevo sposato costretta da mio padre, voleva appropriarsi di tutti i miei beni, così mi fece rinchiudere in manicomio. Peccato che avesse molti nemici e, mentre mi trovavo lì, il suo acerrimo rivale mandò i suoi ed uccise tutti i presenti alla villa dove vivevamo … tutti, tranne il mio bambino. Lui venne trovato vivo dagli abitanti del villaggio e dato in adozione. Io, non appena lo seppi, fuggii dall’istituto inscenano il mio suicidio … un annegamento. Vissi per giorni vagabondando, mi nutrivo con ciò che trovavo ed a stento mi reggevo in piedi, ero ancora sotto l’effetto di erbe e farmaci che mi davano e mezza congelata … non riuscivo trovare il mio bambino ed ero in condizioni sempre peggiori. Non sarei vissuta ancora a lungo, sentivo il soffio della morte sul collo ... finché, una notte, non ho conosciuto un conte rumeno in viaggio d’affari che, notate le mie condizioni, ascoltò la mia storia e mi propose un patto. Io non avevo nulla da perdere … e così accettai.”
“Dracula? Era lui?”
Mina annuì, senza guardarla: aveva gli occhi persi, immersa in chissà quali ricordi. “Sì. E, da allora, vivo questa … beh, non-vita. Non so dove sia mio figlio, dev’essere morto, a questo punto, ma non lo saranno i suoi discendenti. Ed io devo trovarli, per vedere se stanno bene … e per sapere cos’è successo a lui. Si chiamava Sebastian: ho una sua foto, in camera. Tutto ciò che mi resta …” mormorò, la voce bassa e quasi inudibile: in quel momento, pallida e triste, sembrava tutto il contrario della spiritosa vampira di poco prima. Hermione tacque: non sapeva cosa dire, di fronte a quel dolore così immenso ed alla portata di quel sacrificio d’amore così forte da farle venire le lacrime agli occhi. Boccheggiò per un po’ per poi decidersi a non dire niente: qualunque considerazione sarebbe stata fuori luogo. Mentre guardava Mina sorseggiare tristemente il suo bloody Mary, non poté fare a meno di pensare che, dopotutto, l’apparenza ingannava davvero, tanto per la vampira quanto per lei, che celava le sue ombre dietro ad una parvenza di luce … che lo stesso valesse anche per Piton, in fondo?
A quel pensiero, sobbalzò: chissà perché, ma tutte quelle chiacchiere le avevano improvvisamente ricordato che, sabato, sarebbe dovuta andare alla festa di compleanno per i quarant’anni di Lily e che non le aveva nemmeno comprato un regalo. Al solo pensiero, si sentì soffocare: che figura ci avrebbe fatto? Doveva rimediare … ma cosa si poteva regalare a qualcuno che aveva tutto?
“Mina … dovrei chiederti un’opinione …” mormorò. “Tutto quello che desideri, mia cara, vuoi forse la vita eterna anche tu? È un po’ che non mordo, sai, ma sono cose che non si dimenticano mai … è come guidare.”
“Oh, no, per Merlino! Ma mi servirebbe sapere qual è il miglior negozio di vestiti magici nelle vicinanze e credo che tu possa saperlo, visto il tuo … ehm, stile … da Madama McClan non torno volentieri perché …”
“Ma sicuro! E, ti dirò di più, il mio preferito è aperto solo dal tramonto all’alba per le creature della notte … ti ci accompagno volentieri, vieni, su, è qui dietro!” esclamò, scattando in piedi ed arpionandola per il braccio. “Aspetta … e Piton?” protestò la ragazza, lasciandosi trascinare dalla forza sovrannaturale della vampira fuori dal locale. “Oh, ci aspetterà qui … scorbutico com’è, si merita di tribulare un po’, non credi?”
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Godric’s Hollow, 30 gennaio
La notte era gelida, eppure, nonostante il freddo intenso, Hermione non riusciva a non concentrarsi interamente sulla volta celeste splendente sopra la sua testa: quella sera, infatti, il cielo era così limpido da rendere visibili ad occhio nudo tutte le sue stelle e la luna, bianca come latte. Lo spettacolo era talmente mozzafiato da farle scordare quanto avesse rabbrividito, dopo la smaterializzazione, nel minuscolo tratto che, dal cancello, conduceva alla porta della casa dei Potter e Godric’s Hollow nonostante fosse avvolta in un caldo cappotto di lana ed in uno sciarpone. Mentre aspettava che qualcuno venisse ad aprirle, si rigirò tra le mani la scatola scarlatta contenete il regalo che aveva acquistato per Lily in un negozio dall’aria decisamente gotica, ma che, tutto sommato, vendeva degli abiti originali e di ottima qualità a prezzi abbordabili. A lei sarebbe bastato comprare la camicetta che aveva preso per Lily, ma Mina, che l’aveva accompagnata e consigliata, aveva insistito per farle acquistare anche un vestito per sé, tanto che glielo aveva pagato personalmente senza ammettere repliche. Al pensiero della vampira, Hermione sorrise: si sentiva un po’ ridicola al ricordo della paura tremenda che aveva avuto di incontrarla, ora che la conosceva meglio. Non solo era simpatica, ma, come aveva potuto constatare facendola entrare al Ghirigoro la sera, con il consenso e la presenza di Florence, comprava e leggeva una quantità indicibile di libri. “Provate voi a dover stare svegli di notte senza niente da fare, vorrei proprio vedervi, altroché! E, poi, di che vi lamentate? Vi raddoppio il fatturato!” aveva detto mentre pagava, facendo ridere persino la signora Florish che, notoriamente, era sempre molto seria sul lavoro.
La porta di casa Potter si spalancò in quel mentre, facendo sobbalzare Hermione, che si ritrovò dinanzi ad una sorridente Lily avvolta in un bellissimo vestito ottanio dalle maniche a sbuffo. “Hermione! Che bello vederti, come stai? Vieni, su, si gela, fuori!” le sorrise, schioccandole subito due baci sulle guance. “Tanti auguri, Lily!” rispose la ragazza, porgendole la scatola ben confezionata. “Oh, ma non dovevi disturbarti, a me bastava la tua presenza, credevo di avertelo scritto!” esclamò la donna, sinceramente stupita, mentre scartava il pacco con mani tremolanti per la curiosità. Non appena la camicia verde smeraldo in stile piratesco, tempestata di brillantini, le apparve dinanzi, gli occhi di Lily brillarono. “Ma … è bellissima! Grazie, Hermione … non dovevi davvero, è meravigliosa! Nessuno mi ha mai regalato un capo tanto bello … neanche James! Ma non dirglielo, sai quant’è permaloso!” rise, ancora visibilmente impressionata e felice per il regalo. “Ho pensato che si abbinasse bene ai tuoi occhi!” annuì Hermione, contenta di essere riuscita almeno a fare una bella figura. “Hai pensato bene! Ma vieni, ci sono tutti!” la guidò la padrona di casa, levandole il cappotto ed appendendolo all’ingresso. Per qualche secondo, rimase a fissare Hermione, avvolta in un vestito scuro al ginocchio tempestato di brillantini e ghirigori, abbinato a stivali alti, una giacca melanzana e lunghi orecchini viola. “Sei stupenda, stasera!” le disse Lily, prendendola delicatamente per il braccio per condurla in soggiorno. La Grifondoro sorrise al rammentare che era più o meno la stessa cosa che le aveva detto Mina vedendole quell’abito addosso, solo con parole molto più colorite.
Come temeva, in salotto l’attendeva la parte più difficile di tutta la serata: confrontarsi con gli altri invitati.
La sala, in compenso, era stata addobbata magnificamente: un lungo tavolo apparecchiato era comparso al centro, decorato con un centrotavola invernale con agrifoglio e stelle di Natale, tovaglia ed un servizio da festa. Tutt’attorno, gli invitati chiacchieravano amabilmente, ridendo e confrontandosi: c’erano Harry e Ginny, con tutta la famiglia Weasley al seguito, James, che chiacchierava con Remus e Sirius, Luna, Neville con sua nonna e persino la professoressa McGranitt. Una festa per pochi intimi, insomma, ma, tutto sommato, sufficiente a far tremolare lo stomaco già abbastanza sottosopra di Hermione …
Il suo sguardo venne istantaneamente catturato dall’angolino dove Lavanda, con un pancione tanto prominente da sfiorare il bordo del tavolo, sbuffava, sbottando qualcosa ad un Ron che, per quanto ben vestito ed ordinato, sembrava piuttosto innervosito.
“Herm!” esclamò all’improvviso Ginny, abbracciandola di slancio. “Ciao! Come stai?” le sorrise la ragazza, salutando subito anche Harry, che, per l’occasione, era riuscito ad infilarsi una giacca ed a sistemare i suoi capelli impossibili. “Oh, noi stiamo bene!” rise la rossa. “È una bellissima serata, ho appena vinto il campionato, come ti ho scritto l’altro ieri, Harry ha quasi finito il corso … e … udite udite … ci sposiamo!”
Detto ciò, sollevò la mano, mostrando uno sfavillante diamante all’anulare sinistro. “Congratulazioni! Sono felicissima per voi!” esclamò Hermione, impressionata, abbracciando entrambi di slancio. “Sì, beh, se non gliel’avessi chiesto papà e Sirius mi avrebbero tormentato …” sospirò Harry, arrossendo. “E, poi, era il momento giusto … va tutto bene e siamo sulla scia di parecchi matrimoni!”
“Perché, chi si sposa?”
“Luna, non lo sapevi? Rolf gliel’ha chiesto proprio l’altra sera, mercoledì! Vieni, che dobbiamo raccontarti ogni imbarazzante dettaglio!”
Prima che Hermione potesse protestare, era già stata arpionata e condotta a forza sul divano, dove, rannicchiata su un bracciolo, dovette ascoltare le proposte ricevute dalle sue amiche, ammirandone gli anelli, assieme a Minerva, Molly, Fleur, Lavanda e Lily. Dopo soli pochi minuti, però, il suo cervello si era già scollegato da tutti quei discorsi: annuiva, rideva, faceva persino qualche intervento spiritoso, come ci si sarebbe aspettati da lei, ma non stava veramente recependo. A dire la verità, non vedeva già l’ora di andarsene …       
L’unico momento di distrazione fu rappresentato dal trillo del campanello che accolse l’ultimo invitato. Hermione, infatti, quasi sobbalzò vedendo entrare in casa Severus Piton, con il solito completo che indossava anche a scuola, accompagnato da una scatoletta dorata e scarlatta. Mentre Luna mostrava ad un’eccitata Lavanda l’anello di topazio e zaffiri che le aveva dato Rolf Scamander, la Grifondoro, con la coda dell’occhio, osservò Lily scartare il pacchettino, estrarre un magnifico braccialetto d’oro rosa con dei pendenti e sorridere, entusiasta, ringraziando il Serpeverde con un bacio sulla guancia che fece voltare di scatto James e lasciò Severus letteralmente senza parole. Ad Hermione venne da sorridere: Piton ammutolito era qualcosa di raro, se non addirittura impossibile. Ora poteva davvero dire di averle viste tutte …
“Bene, signori … direi che è ora di metterci a tavola, perciò, prego: accomodatevi!” esclamò Lily a quel punto, invitando tutti i presenti a prendere posto. Hermione non se lo fece ripetere due volte, ben contenta di allontanarsi dai pettegolezzi: si sistemò accanto a Remus, sicura che, almeno lì, non si sarebbe parlato di matrimoni o di lavoro. Mentre l’arrosto veniva servito su piatti volanti, la Grifondoro si azzardò a chiedere al suo oramai ex professore come stesse Andromeda. “Oh, sta bene … è solo un po’ nervosa, ultimamente!” rispose questi. “Nervosa? Mia cugina è isterica, lo è sempre stata!” intervenne Sirius accanto all’amico, scuotendo la lunga giacca blu. “No, Felpato, affatto … Meda è solo molto stanca. Ed ancora non si è decisa ad aprire la lettera di Narcissa …”
“Miss Perfezione le ha scritto una lettera? Davvero?” rise Sirius. “Cielo, ci credo che non l’abbia nemmeno voluta aprire! Neanch’io vorrei … con tutto quello che ha combinato durante la guerra ancora ha il coraggio di parlarle?”
“È cambiata.” affermò Hermione. “Ha … compreso. E sta cercando di rimediare, così come Draco. Posso capire Andromeda, sinceramente, ma spero che le conceda una possibilità. Si volevano molto bene e credo che ritrovarsi sarebbe positivo per entrambe.”
“Stiamo parlando di Mangiamorte, Hermione: un Mangiamorte resterà sempre un Mangiamorte …”
Istintivamente, tutti e tre lanciarono un’occhiata a Piton, che, in un angolino, mangiava in silenzio, annuendo, di tanto in tanto, a ciò che Minerva e Lily gli stavano dicendo.
“Come va con Piton?” le chiese Remus in appena un sussurro. “Va …” sospirò la Grifondoro. “Avevi ragione, sai? Mi sono … beh, aperta un po’ e devo dire che, perlomeno, ora riusciamo a parlare civilmente. Ma è difficile …”
“Perché Mocciosus è difficile!” sottolineò ancora Sirius, facendo alzare gli occhi al cielo a Lupin. “Lo è da quand’era un bambino … lui non è come gli altri, sai? Mentre tutti si divertivano a giochicchiare ed a conquistare ragazze, lui se ne stava rintanato con le sue arti oscure, a studiare e pensare a Lily …”
“Chissà perché temeva di uscire o parlare con altre persone, vero, Sirius?” intervenne Remus, lapidario. “Ancora, Lunastorta? Seriamente?”
“Sì, seriamente, perché è tutta colpa nostra e dovreste chiedergli scusa anche tu e James …”
“Ma …”
“Ma sai che ho ragione!”
“Tu che ne pensi, Hermione?”
“Che Remus è nel giusto: potreste quantomeno tentare di avere una conversazione civile. Per Lily, se non per voi stessi. James ci sta tutto sommato provando, anche se senza grandi risultati … ma Piton non è un mostro.”
“Non dirmi che lo difendi anche tu ora …”
“Non lo giustifico, ma lo capisco. E sai qual è la cosa buffa? Che siete più simili di quanto pensate … entrambi venite da famiglie complicate da cui volevate solo fuggire, entrambi ad Hogwarts avete trovato rifugio ed entrambi affermate strenuamente che le persone non possono cambiare, senza rendervi conto che, se così non fosse, tutti avremmo dovuto continuare a vedervi come il Mangiamorte e l’assassino evaso da Azkaban …”
A quelle parole, Sirius tacque, concentrandosi sul suo piatto e bofonchiando un assenso. “Devi insegnarmi come si fa, Hermione, in trent’anni non sono mai riuscito a zittirlo una, dico una, volta!” sussurrò Remus, facendola sorridere.
“Un bouquet di rose rosse?” esclamò Ginny, attirando l’attenzione dell’intero tavolo. “Ma mamma! Ti sembro tipo da rose?”
“Oh, su, sei pur sempre una ragazza, comportati come tale almeno il giorno del tuo matrimonio!” sbottò Molly. “Dobbiamo ancora scegliere una data!” rise Harry. “E se continui mi sposerò in autunno, così non ci sono le rose!” grugnì la rossa. “Io avevo un bouquet di gigli bianchi …” rammentò Lily. “Con il nome che ti ritrovi, cara, era ovvio!” constatò James. “Oh, io, pensate un po’, avevo la … lavanda!” rise Lavanda, dando una gomitata a Ron, intento a parlare di Quidditch con Harry. “Era un bel bouquet, vero, carotino mio?”
Il rosso bofonchiò un cenno d’assenso. “A me piacerebbero giraluna e nigelle.” intervenne Luna. “Dora aveva i giacinti e le camelie … tutto rosa, per intonarsi ai capelli. Non è stato un gran matrimonio, ma lei era così felice …” sussurrò appena Remus. Hermione, istintivamente, gli strinse il braccio, vedendosi restituire un sorriso sghembo mentre la McGranitt parlava delle sue nozze e Sirius continuava a lamentarsi di dover sempre fare da testimone ai Potter, che, notoriamente, si agitavano prima del fatidico ‘sì’, beccandosi una sonora gomitata da James. “A prescindere da tutto, resta il giorno più bello della mia vita, assieme alla nascita di Harry ed a quando sono … beh, tornato! Naturalmente dopo quello in cui ho avuto la straordinaria occasione di baciare Lily Evans e non me la sono lasciata sfuggire!” affermò Ramoso, schioccando un bacio sulla guancia della moglie, che arrossì tra le risatine generali. “Scommetto che non te lo ricordi neanche, eh, Lils?”
“Ma certo che me lo ricordo, era il campo da Quidditch, sciocco!”
Hermione, istintivamente, si girò verso Piton: teneva gli occhi fissi sul piatto, tagliava e masticava lentamente, quasi stesse tagliando gli ingredienti per le sue pozioni, l’espressione indecifrabile ed assorta. Nonostante l’occlumanzia e la freddezza, la Grifondoro scorse nei suoi gesti una tristezza quasi intrinseca, quasi il suo corpo fosse talmente abituato a soffrire da adattarsi automaticamente ai pensieri infelici che gli correvano per la testa …
“Non ti viene nostalgia di un bel matrimonio a sentire tutti questi discorsi, eh, Herm?” rise Lavanda di colpo.
Per la giovane, fu come se il mondo si fosse arrestato di colpo: in un istante, sentì gli occhi di tutti addosso ed un rivolo di sudore le colò lungo la schiena. Con la gola secca ed i battiti accelerati, si sforzò di mostrare un certo contegno, sorridendo appena e voltandosi educatamente verso Lavanda. “No, a dirla tutta ...” rispose. “Ma come no? Essere soli e senza amore quando tutti attorno sembrano goderne è così … triste …”
“C’è un detto babbano che dice: ‘Meglio soli che male accompagnati’. Ecco, credo possa riassumere esattamente quello che penso: se devo scegliere tra la solitudine ed il vivere una vita con qualcuno che non amo o che non sopporto solo per non restare sola, preferisco stare per conto mio.”
“Però un po’ di gelosia la provi sicuramente!” intervenne di colpo Ron, fissandola con aria quasi trionfante mentre finiva le sue patate. Hermione si rese conto con disgusto e vergogna che, ad Hogwarts, era passata sopra davvero a tante cose …
“No. La gelosia presuppone dei sentimenti che non ho …” replicò, asciutta e sempre più nervosa. “Hai ragione, ma, ehi, che vuoi farci … chi è causa del suo mal, pianga se stesso, come dicono i babbani!”
Nel momento stesso in cui Ron pronunciò quella frase, una stilettata la colpì in pieno petto, ma si sforzò comunque di fingersi divertita, ridendo e fingendo di prestare attenzione a qualcosa che stava dicendo Sirius.
Per tutto il resto della serata, tra ricordi, progetti e risate, nessuno si accorse di Hermione che a malapena parlava, né, tantomeno, prestò attenzione ai piazzi mezzi vuoti che lasciava o al vino che versò con mano tremolante e lei stessa, sebbene ascoltasse distrattamente i problemi di Remus con Andromeda ed i ricordi degli scherzi di James e Sirius, tra uno sbuffo della McGranitt ed un rimprovero di Lily, cercò di ignorare la nausea crescente che le faceva tremolare lo stomaco in subbuglio.
Dopo il dolce, finalmente, poté alzarsi e congedarsi con un sorriso di finta costernazione, adducendo mille scuse sul lavoro e gli orari impossibili di Florence Florish.
“Sicura di stare bene, Hermione? Mi sembri un po’ pallida …” le disse Lily sulla porta mentre la guardava infilarsi sciarpa e cappotto e congedarsi dagli altri. “Sì, sì, sto benissimo, tranquilla, Lily! Sai, è stata proprio una bella serata, grazie di avermi invitata!” mormorò con voce acuta: quand’era diventata così brava a mentire?
La rossa le sorrise, comprensiva, schioccandole due baci sulle guance prima di lasciarla andare con la promessa che sarebbe tornata presto a trovarli.
Non appena la porta si fu chiusa alle sue spalle, Hermione espirò, godendosi la sensazione calmante che l’aria gelida ebbe su di sé: ce l’aveva fatta. Aveva presenziato ed affrontato temi scottanti dinanzi a tutti, riuscendo persino a lasciare Ron interdetto per come gli aveva risposto ed a far risultare Lavanda ancor più stupida di quanto già non fosse. Era stata brava, anche se, ora tutto ciò che desiderava era andare a casa. O, meglio, in quella locanda che oramai considerava casa …
Camminò per qualche metro nelle strade deserte di Godric’s Hollow, illuminato solo dalla fioca luce di un lampione che luccicava contro un ramo d’abete. Giunta in centro, si appoggiò ad un muro e sospirò, volgendo lo sguardo in alto: un magnifico cielo stellato, di ogni possibile sfumatura di blu, la stava guardando con i suoi scintillanti occhi che si riflettevano in quelli nocciola della strega. Una cometa attraversò la volta celeste ed Hermione si strinse nel cappotto, chiudendo gli occhi: cosa poteva desiderare? Di ritrovare i suoi genitori, che cercava disperatamente da anni senza alcun risultato? Di avere un amore come tutti gli altri, qualcuno che l’amasse per com’era con cui fare progetti? O semplicemente di essere un po’ meno se stessa? Sentì una lacrima scivolarle furtiva sulla guancia, ma non se ne curò: perché tutti avevano quello che volevano e lei no? Evidentemente, stava esprimendo un desiderio guardando la stessa sbagliata …
“È la cometa di Halley.” esclamò una voce, facendola sobbalzare. Si volse di scatto, stupendosi nel vedere dietro di sé la familiare figura nera di Severus Piton, avvolto in un pesante cappotto scuro ed in una sciarpa di lana grezza. Rimasero a fissarsi per qualche istante, completamente muti: attorno a loro, solo il silenzio, il gelo e le stelle fare da testimoni. “Non credevo che s’interessasse di superstizioni babbane.” disse dopo un po’ Hermione, deglutendo. “Ed io non credevo che tu ci credessi … cos’hai desiderato, di avere di nuovo quel tonto di Weasley tra le braccia?” ghignò. Hermione storse il naso. “Non si rivelano i propri desideri.”
“No, certo, ma si possono indovinare, quando sono così … espliciti. È stata una gran brutta serata per te, eh, Granger?”
“Anche per Lei: sentir parlare del primo bacio di Lily e James non dev’essere stato … semplice.” azzardò, maledicendosi nel vedere gli occhi d’onice di Piton adombrarsi: perché diamine non pensava prima di agire? Ora si sarebbe beccata una rispostaccia come minimo …
“Non è stato semplice perché l’ho visto ed ho visto anche come guardi quel pel di carota e quella tonta della Brown …”  replicò, invece, Piton, tranquillo. “È lo stesso sguardo che avevo io alla tua età … e posso garantirti che non servirà a niente rimuginarci su, se non, forse, a farti ammattire o a farti il sangue amaro. Non puoi cambiare il passato, Granger, devi accettarlo ed andare avanti.”
“Perché mi sta dicendo queste cose?” sussurrò la Grifondoro, sconvolta da quella sincerità: in quel nero senza fine degli occhi di Piton, per un istante, aveva scorto una fugace luce, uno scintillio sconosciuto che li aveva resi tremendamente umani e fragili …
“Perché so cosa significa e perché sei giovane: non perdere la tua vita affogando nel rimpianto.”
“Le importa così tanto della mia vita?”
“È necessaria per trovare i libri del destino, quindi sì, m’importa.”
La ragazza sorrise: sapeva che sotto sotto ci sarebbe stato del sarcasmo. C’era sempre, con lui. “Visto che è tanto esperto in cuori spezzati, sa anche qual è il rimedio migliore?” azzardò. “Certo che lo so: berci sopra.”
“L’alcool fa male.”
“Un bicchiere non ha mai ucciso nessuno.”
“Finché è uno solo, no, ha anche dei benefici ...”
“E sai quale locale fa il miglior whisky incendiario? La Stella Nera.”
“Notturn Alley? A quest’ora?”
“Beh, è adesso che la via inizia a vivere, Granger, non alle dieci del mattino. Ma credo proprio che berrò da solo, stasera, dato che la regina di Grifondoro so-tutto-io ha deciso che l’alcool è più nocivo di un pianto. Buonanotte …” ghignò, allontanandosi appena. Mentre stava per smaterializzarsi, tuttavia, la voce di Hermione gli giunse distinta nelle orecchie. “Aspetti!”
Severus si volse, ritrovandosela dietro. “Hai cambiato idea?” sogghignò. “No, ma bere da soli fa sembrare … depressi. E vorrei assicurarmi che non si ubriacasse: accorcerebbe la sua aspettativa di vita e mi serve vivo … per i libri.” replicò lei, godendosi l’espressione irritata dell’uomo, che si vide usare le sue stesse battute contro di lui prima di borbottare qualcosa come ‘petulante’ ed allungarle il braccio. “Vogliamo andare, in tal caso?”

Angolo Autrice:
Bentornati/e! Che dire, è stato un capitolo incentrato sulle stelle, un elemento naturale molto affascinante e che senz'altro tornerà ancora nella storia, così come tornerà il personaggio della vampira Mina, un piccolo omaggio a Dracula di Bam Stoker. Nel prossimo capitolo, ci addentreremo meglio nella ricerca del libro e conosceremo la banshee Batsheba, che 
è, invece, un omaggio a Via dalla Pazza Folla. Dato che questa storia parla soprattutto di libri, non posso che ispirarmi ad essi nello scriverla ...
Intanto, vorrei ringraziare davvero di cuore tutti coloro che hanno recensito la storia e/o l'hanno inserita tra le preferite/ricordate/seguite: grazie, grazie davvero, non mi sarei mai aspettata che piacesse, sicuramente non così tanto e non può farmi piacere!
Alla prossima!
E. 


 

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Capitolo 12
*** Anatomia dei Fantasmi ***


Capitolo Dodicesimo
Anatomia dei Fantasmi

When it all falls, when it all falls down
I'll be your fire when the lights go out
When there's no one, no one else around
We'll be two souls in a ghosttown
(Ghosttown, Madonna)
Il proprietario della Stella Nera non poteva fare a meno di pensare che quella serata fosse strana, anche a costo di far sbuffare sonoramente le cameriere a cui lo ripeteva ogni tre per due: il locale, infatti, gli sembrava meno bettola del solito, forse perché gli avventori, decisamente pochi e più tranquilli rispetto agli standard del sabato sera, sedevano tutti in silenzio con i loro drink, senza risse né grida.
La cosa senz’altro più sconcertante, però, era che, in un angolino isolato, ad un tavolo affacciato su una Notturn Alley semideserta, illuminata da pochi, fiochi, lampioni, il temibile Severus Piton, il pipistrello dei sotterranei, terrore di Hogwarts, sedeva tranquillo con la giovane e carina regina di Grifondoro Hermione Granger, che non sembrava avere nulla a che fare con quel sordido quartiere, parlando di libri, incantesimi e pozioni.
Hermione stessa, appena entrata, aveva pensato esattamente lo stesso, ma, dopo due burrobirre ed un whisky incendiario, la sensazione sembrava essere svanita come neve al sole: oramai era rilassata, il bicchiere tra le dita affusolate ed il cappotto abbandonato sulla sedia. Nonostante si sentisse tutto sommato tranquilla, non riusciva ad evitare di fissare di tanto in tanto Piton, che, liberatosi dal soprabito, dopo il secondo whisky si era slacciato l’ascot di seta nera, rivelando la profonda cicatrice di Nagini che gli squarciava il collo e che tanto inquietava la Grifondoro. Pur sapendo che era maleducato fissare la gente, non poteva fare a meno di osservare quello squarcio senza che un brivido le corresse lungo la schiena ...
“Non posso davvero credere che, per Lei, il miglior libro di Agatha Christie sia ‘Dieci Piccoli Indiani’!” esclamò la Grifondoro, scuotendo il capo: dopo il primo bicchiere in totale silenzio, si erano ritrovati a conversare tranquillamente di libri, saggi e romanzi, quasi fossero due scrittori ottocenteschi in un salottino da tè. “È innegabilmente più difficile creare un’opera tanto misteriosa, inquieta ed oscura in cui chiunque potrebbe essere il colpevole che utilizzare un infallibile detective per risolvere un crimine, per quanto ben costruito sia.” replicò Piton, terminando il suo whisky in un sorso. “Vero, ma ‘Assassinio sull’Orient Express’ è un mistero intricato e ben costruito che si risolve in un dilemma morale …”
“Avrei scommesso che avresti puntato sui sentimenti, Granger!”
“I libri sono fatti per spiegare le persone: parlano di emozioni, di storie e ci insegnano a capire gli altri, il loro modo di pensare … le storie sono sentimenti!”
“Non tutte.”
“No, i suoi amati saggi no, infatti.”
Piton ghignò. “Detto da una che legge Jane Eyre …”
“L’ha letto?” domandò la giovane, ansiosa, gli occhi che le brillavano per la curiosità. “Sì, l’ho finito.”
“E?”
“E … è un romanzo gotico romantico.”
“Le è piaciuto?”
“Ben costruito ed originale, una volta tanto c’è una protagonista ragionevole che non sia totalmente in preda ai suoi drammi personali …”
“E che mi dice di Mr. Rochester?”
“Mi piaceva molto all’inizio, era sprezzante al punto giusto … si è rammollito dopo.”
“Io non lo definirei così …” considerò Hermione. “All’inizio, Rochester è tormentato dai fantasmi del suo passato, è l’ombra di se stesso ed arriva alla totale disperazione quando perde tutto … ma, poi, grazie a Jane ed al suo amore, guarisce: alla fine, non è rammollito, ma felice.”
Il Serpeverde sollevò il capo a fissarla prima di ordinare con un gesto un altro giro di whisky. “Ami il lieto fine?”
“Non ci vedo niente di male nel credere che tutti possiamo trovare la felicità in qualche modo … è un nostro diritto: c’è scritto anche nella Dichiarazione d’Indipendenza americana, sa?” rispose lei, facendo spallucce mentre accettava un altro whisky dal cameriere. “Peccato che qui siamo in Inghilterra.”
“C’è il Bill of Rights …”
“Sciocchezze. E, comunque, se vuoi la mia opinione, Cime Tempestose è decisamente superiore.”
“Non mi sorprende.” rise Hermione. “Sono diventato così prevedibile?”
“No, ma … beh, ecco …” sospirò la ragazza, arrossendo appena mentre sentiva il calore del whisky scivolarle in gola. “È più il suo genere: brughiere, tormente di vento e neve, anime tormentate e legate per la vita da un destino infausto, amori non corrisposti e fiumi di disperazione …”
“Mi stai dicendo che sono come Heathcliff?”
“L’ha detto Lei, non io …”
“No, l’hai detto tu quando mi hai venduto Cime Tempestose, perciò gradirei molto sapere perché, se non ti è di troppo disturbo.”
Hermione deglutì: sapeva che si stava avventurando in un terreno minato, ma, un po’ per l’alcool che le circolava in corpo, un po’ per la serata, un po’ per la sua schiettezza, non riuscì a trattenersi dall’essere sincera dinanzi a quell’espressione a metà tra il curioso ed il timoroso che leggeva negli occhi d’onice del professore. “Entrambi avete vissuto infanzie infelici, vi siete innamorati della vostra amica d’infanzia ed avete passato la vita nel tormento quando queste, dopo aver sposato i vostri peggiori nemici, sono morte. Insomma, mi sembra di vedere Lei … e la prova è che anche ora che la guerra è finita e potrebbe darsi pace Lei è addirittura più stanco, solo, disilluso, cinico e depresso di prima. E lo dice anche Minerva, non solo io …” eruppe, così, il più velocemente possibile. Il gelido silenzio che seguì le sue parole la fece seriamente ricredere circa il buonsenso che le era sempre stato attribuito: come le era venuto in mente di dirgli quello che pensava così apertamente? Ora l’avrebbe insultata e lasciata lì e se lo sarebbe anche meritato …
Chinò il capo, in attesa della ramanzina, che, tuttavia, non arrivo. Solo dopo parecchi minuti, infatti, Piton si limitò a sussurrare con voce roca: “Non credo che giudicare la mia vita sia qualcosa che ti compete.”
“Ed infatti non avrei dovuto … scusi. Però … beh, non è un giudizio: è un dato di fatto.”
“E da cosa l’avrebbe dedotto la tua mente brillante, Granger, sentiamo?” ghignò, sardonico, quasi crudele. “Dal suo comportamento: è sempre solo, incupito, non sorride mai, beve esageratamente e si consola in bettole come questa … prima almeno aveva una missione, qualcosa che La faceva andare avanti, ma ora sembra un guscio vuoto carico di risentimento e tristezza.”
“Non ho intenzione di farmi psicanalizzare da una ragazzina ...” la interruppe seccamente lui, facendola sobbalzare per il tono gelido: nei suoi occhi non c’era di nuovo nulla, solo fastidio e dolore. Era triste vederlo così …
“Mi dispiace, non volevo essere invadente …”
“Lo sei stata.”
“Ma …”
“Non c’è nessun ‘ma’, Granger e la mia vita non è affar tuo, come passo il tempo libero non è affar tuo ...” sbottò, prendendo dell’altro whisky dalla bottiglia. Hermione gli allungò anche il suo bicchiere ed il nocciola del suo sguardo si scontrò appena con l’ossidiana del Serpeverde mentre glielo riempieva. “Lo so … mi scusi.”
“Non credere che non sappia che hai ragione: non sono stupido … sono disperato, lo so.”
La Grifondoro, a quell’affermazione, sgranò gli occhi. “Se lo sa, perché non fa qualcosa per cambiare? Non crede che, dopotutto, un po’ di colpa l’abbia avuta anche Lily nel non volerLa ascoltare? E Silente, nel chiederLe di … lo sa? Ed i Malandrini?” azzardò la Grifondoro, stupendo persino se stessa della sua audacia. “No, non lo credo. Vuoi sapere davvero perché non mi do pace e non accetto quella stupida medaglia dal Ministero? Bene, ti accontento: perché merito di vivere così. Meritato il disprezzo, la solitudine e l’odio di tutti … è ciò che viene riservato ai mostri. E come altro chiameresti un ragazzino che a undici anni conosce già perfettamente la magia oscura, che insulta l’unica persona che sia mai sforzata di vedere del buono in lui, un Mangiamorte tra i più temibili e rispettati dall’Oscuro Signore in persona ed una spia che è stata in grado di uccidere Albus Silente, forse l’unico amico che abbia mai avuto, altrimenti?”
“Intelligente, coraggioso, fedele, ammirevole … e forse perso. Ecco come lo chiamerei …” mormorò Hermione, rapita dalle parole dell’uomo. “Non nel mio modo di vedere le cose, Hermione.” proruppe l’altro, amaro, scuotendo il capo. “Sono così perché non pensavo di sopravvivere alla guerra, perché non volevo farlo … avrei voluto morire, smettere di soffrire in questo mondo insulso. Ed invece mi ritrovo qui, senza più nulla per cui valga la pena andare avanti, con solo il rimpianto ed il rimorso a farmi compagnia. Ho guadagnato davvero una splendida esistenza! Tutta colpa di quel dannato piccione rosso di Albus …”
Questa non osò fiatare: per qualche istante, rimase a guardare Piton con gli occhi fissi sul tavolo, il volto perso ed assente. Non credeva che si sarebbe mai aperto così tanto, non con lei … il whisky doveva aver aiutato. Ne era felice e, al contempo, desiderava non averlo mai ascoltato parlare così di se stesso … Mina aveva ragione: era convinto di meritare la solitudine e l’odio. Ed era tremendamente triste, oltre che ingiusto. “Non dorme molto, vero?” azzardò. “Non sono affari tuoi.”
“Potrebbe anche evitare di rispondere male a chi cerca di essere gentile, sa?” sbottò, appoggiandosi allo schienale. “Allora?”
“No. Non senza la Dolcesonno. Ma che t’importa?”
“M’importa perché odio le ingiustizie e la sua vita non è stata decisamente giusta … non lo era prima e non lo è nemmeno adesso, altrimenti sarebbe a casa, coperto di premi e riconoscimenti, magari con una bella famiglia, invece che ad ubriacarsi con una sua ex studentessa in una bettola di Notturn Alley! Ora che Lily è tornata …”
“Ora che Lily è tornata le cose vanno anche peggio di prima, se vuoi saperlo. Il perdono non serve a niente e nessuno ha chiesto la tua opinione, ragazzina!” sibilò il Serpeverde, infastidito: come si permetteva di giudicare e di prendersi tutta quella confidenza, con lui, perdipiù? Quella sfrontata non aveva un po’ di amor proprio?
“Ma io gliel’ho voluta dire lo stesso. E so che anche Silente e Lily sono d’accordo, così come lo è tutto il mondo magico. E, per l’ultima volta, non sono una ragazzina …” sorrise Hermione. Piton la fissò, sconcertato: l’aveva appena insultata, come tante volte aveva fatto, ma non era fuggita piangendo o sbottando. Gli aveva addirittura sorriso … aveva bevuto decisamente troppo, non c’era che dire.
“Credo tu abbia esagerato con il whisky.” rispose, secco. Hermione sospirò. “Può essere, ma è un buon rimedio per cancellare ogni brutto pensiero, aveva ragione …” rise, ordinando un altro giro con uno schiocco di dita. “Non la penserei così domattina, quando ti sveglierai con un mal di testa …”
“Nulla che una pozione non possa risolvere … la magia serve a questo, no?”
“Ci sono anche farmaci babbani, forse sono più nel tuo stile ...” ghignò l’altro. “In realtà no: la magia è naturale, i babbani manipolano la natura, creano artifici … non credo sia il mio modo di vedere le cose, anche se ci sono nata. Ho cambiato idea su di loro nel tempo … a Lei non è mai successo?”
“Cosa, di cambiare idea? Sì, a volte.”
“Ad esempio?”
“Le sorelle Brontë …”
“Non le piacevano proprio, vero?”
“Non le ho mai considerate. Ma, di tutte, non abbiamo considerato Anne.”
“La sorella dimenticata … sa che è la mia preferita?”
“Questo non mi stupisce!” ghignò il professore. “Perché?”
“Perché, per capire la genialità di Anne, per comprendere che, in realtà, fosse superiore alle sorelle, bisogna avere una certa sensibilità ed una notevole intelligenza, cose che non ti mancano, sebbene siano spesso ottenebrate dal tuo spirito grifondoro …”
Per qualche istante, rimasero in silenzio a fissarsi da un lato all’altro del tavolo, entrambi persi nei propri pensieri. “Si può sapere che c’è che ti agita tanto, Granger?” domandò, ad un certo punto, Piton, rompendo il silenzio che li aveva avvolti. “Niente.” mentì lei, prendendo un altro sorso di whisky. “Certo, perché chi non ha niente abitualmente fissa la gente come se fosse una statua di diamante … molto credibile, davvero.” ghignò lui. Hermione avvampò, indispettita. “Se davvero lo vuole sapere, è per la cicatrice …” sbottò. Severus sospirò, passandosi una mano sul viso stanco: sembrava invecchiato di dieci anni, quella sera. “Lo sapevo, ovviamente: è stata solo la conferma dei miei sospetti ...”
“Se lo sapeva già, allora perché me l’ha chiesto?”
“Perché è divertente vederti arrabbiata, Granger …”
“Bastava molto meno per farmi arrabbiare …” sbuffò Hermione. “Ad esempio? Sbagliare un congiuntivo, immagino …”
“Anche, sì: odio quando la gente lo fa. Per questo le mie compagne di dormitorio mi chiamavano ‘insopportabile’. E Lei ‘saccente so-tutto-io’…” sorrise amaramente la Grifondoro. “Il ‘saccente’ era riferito solo alla tua mania di rispondere anche quando non interpellata per mostrare le tue conoscenze … sul congiuntivo, hai ragione tu: è fastidioso, nonché indice di poco interesse per i libri e lo studio.” bofonchiò Piton, tracannando il resto del bicchiere. Quando lo posò, si ritrovò, stupito, gli occhi di Hermione puntati addosso, leggermente sbarrati, quasi fosse sconvolta da quello che aveva appena detto: perché diamine quella ragazzina sembrava stupirsi per ogni cosa un po’ meno sarcastica del solito che diceva?
“Le fa male?” azzardò dopo un tempo che parve ad entrambi interminabile. Piton sollevò le sopracciglia, stranito da quella domanda: nessuno gliel’aveva mai chiesto, nemmeno i guaritori del San Mugo o Madama Chips. Si assicuravano che prendesse le medicine, che cambiasse le garze, per i primi tempi, ma nulla più: dalla fine della guerra, l’inizio della sua non-vita, nessuno gli aveva chiesto se quella ferita gli facesse male. Nessuno si era interessato davvero al suo stato di salute … tranne Hermione Granger. La so-tutto-io Granger. L’alunna che forse più aveva infastidito ad Hogwarts, assieme a Potter e Paciock …
“A volte.” si ritrovò ad ammettere contro la sua stessa volontà, quasi il suo cervello fosse totalmente scollegato alla lingua. “Quando cambia il tempo o quando fa troppo caldo. E quando mi arrabbio, naturalmente …”
“Cioè spesso.” sorrise Hermione. “Non dipende da me: se le pozioni venissero eseguite correttamente, non direi nulla.”
“Se non mettesse in soggezione i suoi studenti, seguirebbero molto meglio le sue istruzioni …”
“Si tratta di applicazione, non di emozione. L’arte delle pozioni è una scienza esatta, razionale, non emotiva.”
“Certo, è come per i libri, no? Se non entrano in gioco i sentimenti è tutto più facile …” sorrise tristemente la giovane.
Severus si perse ad osservarla e la spiacevole sensazione che aveva avuto la sera del suo compleanno tornò prepotentemente a farsi strada in lui: Hermione Granger era più che bella. Era bellissima, era innegabile. Per tutta la sera, pur di evitare di guardare Lily e Potter, aveva osservato lei che conversava con Black e Lupin e non aveva potuto fare a meno di notare come i suoi movimenti fossero divenuti più aggraziati, più eleganti e misurati rispetto a quand’era a scuola. Aveva imparato ad usare fin troppo bene le parole: oramai parlava per sé, senza ripetere a memoria il libro o cose dette da altri. L’unica cosa rimasta sempre uguale erano gli occhi: grandi, nocciola e limpidi, erano così trasparenti dar lasciar intravvedere ogni singolo sentimento a chi sapeva osservare. Anche in quel momento poteva leggervi distintamente tristezza, spaesamento, angoscia ed una scintilla di curiosità. Si ritrovò a ghignare: il destino, con lui, era stato, come sempre, particolarmente beffardo. L’unica persona che aveva rivalutato in positivo dopo la guerra era l’allieva che più aveva detestato e gli aveva letteralmente dato sui nervi per anni.
“Fisso sempre la sua cicatrice perché mi ricorda la guerra.” ammise, d’un tratto, Hermione. La fissò, allibito: non lo guardava nemmeno, era concentrata su un punto indefinito in mezzo al tavolo, l’aria assente. Non era un comportamento che una ragazzina di vent’anni avrebbe dovuto avere, ma … beh, lei era diversa.
“Non è un bel vivere, Lei lo sa meglio di me … passare ogni giorno a chiedersi se sia l’ultimo, guardarsi da tutti, litigare di continuo, essere stanchi, arrabbiati … e non poter fare nulla. Per non parlare dei pericoli … e del tenere fuori gli altri da essi. Lascia un segno, su tutti, solo che c’è chi non lo dà a vedere o riesce a superarlo meglio, non so … credo sia una questione d’intelligenza, come diceva Lei: io tendo ad arrovellarmi troppo sulle cose.” sospirò, tornando a fissarlo. “Anch’io ho una cicatrice … credo debba saperlo, perché potrei esserne influenzata, durante la ricerca dei libri …” mormorò, strusciandosi il braccio. “Me l’ha fatta Bellatrix Lestrange con il suo pugnale … c’è scritto ‘sanguemarcio’. Harry mi dice di farmela rimuovere, che non ha senso tenerla … ma non ci riesco. Non posso e non voglio cancellarla: è quello che sono, è parte del mio passato, di ciò che ho affrontato. E so che Le sembrerà stupido, ma, soprattutto in questi ultimi anni, mi ricorda sempre che faccio bene a non illudermi, che tutto può finire in un istante e che ho superato cose peggiori di ciò che sto affrontando ora … mi ricorda che posso farcela.”
Severus sollevò un sopracciglio: disabituata com’era a bere, la Granger era chiaramente inibita dall’alcool. Era ovvio. Eppure, era anche tremendamente sincera, lo si vedeva dall’espressione triste sul suo volto di porcellana.
“Da quel che mi dici e dalle risposte per le rime che hai rifilato al caro pel di carota Weasley stasera ne deduco che i tuoi tormenti non si siano minimamente affievoliti, G …”
“Hermione.” lo interruppe lei di scatto, senza neanche guardarlo. “Mi chiamo Hermione. Aveva iniziato a chiamarmi così, non ritorni sui suoi passi …”
“Come preferisci … Hermione. Fatto sta che le cose non sono cambiate, o sbaglio?”
“E come avrebbero potuto?” sospirò lei, facendo spallucce. “Non ho dato nessuna svolta alla mia vita e non sono ancora riuscita a trovare i miei genitori ... a volte penso addirittura che potrebbero essere morti … e sarebbe tutta colpa mia.” sussurrò, con voce bassa, rotta ed appena udibile. “Li hai salvati.” la fermò Piton. “Non credo dovresti sentirti in colpa per ciò che è accaduto dopo: all’epoca, hai preso l’unica decisione possibile. Il che richiede il vostro stupido coraggio grifondoro e parecchia sconsideratezza … e, comunque, il Ministero li troverà dispiegando le forze, perciò smettila di piangerti addosso per questa storia. E smettila anche di …” 
“Quando la finirà di dirmi che devo imparare ad andare avanti senza affogare nella tristezza e senza badare gli altri?” rise Hermione, scuotendo il capo. “Sarà la terza volta che lo ripete … potrei iniziare a pensare che tenga davvero a me!”
“Non ci sperare: te lo ripeto solo perché, testarda ed orgogliosa come sei, non lo recepirai mai neanche tra cent’anni. E mi servi lucida, come ti dicevo.” borbottò Piton, ordinando un altro giro di whisky con un gesto spazientito. “Ron mi diceva sempre che ero testarda …” sospirò la ragazza, stropicciandosi gli occhi: sembrava stanca e vagamente brilla, ora. “Forse l’unica cosa su cui Weasley ha mai avuto ragione …”
“Non mi conosceva affatto: con Ron sono stata più amica che fidanzata …” biascicò Hermione “È stata una gigantesca cotta adolescenziale. Quant’ero stupida … litigavamo, non avevamo nulla in comune e mi accusava di continuo di essere troppo perfettina, troppo bisbetica, troppo tutto …” si confidò, storcendo il naso. “Tutti si aspettavamo che io diventassi Ministro della Magia, che ci sposassimo ed avessimo sedici figli, ma … beh, non era quello che volevo, l’ho capito solo con la guerra …”
“Forse hai davvero bevuto troppo, Granger …” mormorò Severus, fissandola: era chiaramente ferita, arrabbiata e, ora, anche disinibita. Non era una bella combinazione …
“Lei, che è un uomo, mi dica una cosa, sinceramente: che cosa diamine ha Lavanda Brown più di me? O Ginny, o Luna? Perché il problema non è l’intelligenza, quello che mi ha detto l’altra volta … cioè, so che è quello, ma ci convivo da sempre …” sbottò la Grifondoro, ignorandolo. “No, quello che voglio sapere è perché loro stanno per sposarsi o diventare madri? Perché io devo sempre essere diversa?”
Piton tacque per qualche istante, fissando la rabbia contorcerle il volto e sospirò: conosceva fin troppo bene quel sentimento. “Ti sei risposta da sola: perché sono ragazze abbastanza comuni. Beh, se escludiamo la Lovegood.”
“Le ho chiesto un’opinione, non un dato di fatto.” sbuffò Hermione. Severus sospirò: avrebbe dovuto smettere. Ma, tutto sommato, sentire la rigida Granger sproloquiare era divertente …
“Vuoi la mia opinione? Bene: la Brown è tonta, la Weasley è una furia bisbetica, mentre la Lovegood necessita di un trattamento al San Mugo … ma, per la mia esperienza ventennale di insegnante, posso dirti che sono quasi tutte così.”
A quelle parole, Hermione sollevò appena gli angoli della bocca, pur mantenendo un’espressione crucciata. “E dunque veniamo alla mia domanda che sta evitando da quindici minuti: perché io sarei diversa?” domandò. Piton non rispose subito: per qualche istante, fissò il suo whisky, immobile, soppesando cosa dire. Dubitava che la Granger si sarebbe ricordata di quella serata, perciò poteva anche permettersi un po’ di sincerità … era stanco di mentire, lo faceva da vent’anni oramai.
“Tu sei intelligente e capace.” rispose, così. “Hai dedicato tutti gli anni in cui gli altri pensavano al divertimento a studiare per raggiungere gli obiettivi che ti eri prefissata.”
“Non credo c’entri con la mancanza di …”
“C’entra: una donna brillante e capace spaventa i mediocri, anche nel mondo magico. La questione è tutta qui, non c’entra nient’altro. Perciò non rimuginare su quell’idiota di Weasley e va’ avanti per la tua strada. Possibilmente senza calpestare troppo la mia …” concluse, sbrigativo, quasi infastidito da una confessione che imputò esclusivamente al whisky che aveva in corpo. Non si rese davvero conto di ciò che aveva detto fino a quando non percepì il silenzio della Granger. Alzando gli occhi, gli venne da ghignare nel vederla spaesata, stupita e vagamente imbarazzata. “Ti ho sconvolta?” domandò. “Un po’.” ammise lei. “Non … pensavo che lo pensasse. Di me. Ecco.” biascicò, finendo il suo bicchiere. “Non ho parlato io, ma l’alcool. Probabilmente non lo penso neanche, sei avvisata, Gran … Hermione.” sottolineò Piton. “Sarà, ma se mi dice queste cose è perché c’è già passato … con Lily.” riprese Hermione. Il professore annuì, aggrottando la fronte: perché diamine, ogniqualvolta la si nominava, sentiva quella familiare stretta di inadeguatezza al petto, quell’oppressione? Quella sera, però, stranamente, non era una stilettata: era un fastidio, una sorta di pallida nostalgia di un fantasma che non c’era mai stato.
“Credo sia ora di andare, Granger …” sospirò, alzandosi. “Non voglio tornare in quel tugurio …” sbuffò la ragazza. “Ma devi … forza, muoviti. E non aspettarti che ti porti in braccio: se hai bevuto più del dovuto, è solo colpa tua …” sbottò, pagando rapidamente la consumazione. “Poteva anche avvisarmi, però …” sospirò Hermione, indossando il cappotto: aveva sonno e le girava la testa. “Non sei maggiorenne, scusa?”
“Mm …” mugugnò lei, seguendolo fuori nell’aria gelida della sera di gennaio. Piton stava per dirle qualcosa, ma scordò immediatamente cosa fosse quando sentì le esili dita della ragazza ancorarsi al suo braccio come se fosse l’unico appiglio rimasto prima che si smaterializzassero al Paiolo Magico, quella sera insolitamente più affollato della Stella Nera. Quello che non aveva previsto era che la smaterializzazione avrebbe avutp, su un’Hermione già un po’ brilla, lo spiacevole effetto di farle girare ancor più la testa, facendola barcollare e quasi cadere a terra, se non l’avesse arpionata prontamente …
“Professor Piton? Hermione? Ma che diamine …” esclamò Tom, vedendoli contorcersi all’entrata. “La signorina Granger ha bevuto decisamente troppo e, non sapendo reggere l’alcool, è in questa condizioni … l’affido alle vostre amabili cure.” spiegò mollemente il Serpeverde, spingendo delicatamente la Grifondoro ancora stordita verso il gestore. “Scherza, vero? Io sto lavorando: l’accompagni su Lei! D’altronde, non sono stato io a farla bere!” sbottò Tom. “Non credo di averle ficcato un imbuto in bocca, sa?”
“Non faccia lo specioso e vada, su, che c’è troppa gente, ci metteranno poco a riconoscerLa e non vorrei ritrovarmi sulle copertine di gossip domattina, su!” brontolò Tom, spostando entrambi verso le scale.
Piton, suo malgrado, iniziò a salire, seguito da un’Hermione che, seppur cosciente, ancora barcollava. “Muoviti, su: non ho intenzione di passare il resto della serata a farti da babysitter!” la esortò. “L’idea … è stata … sua …” rispose lei, seppur biascicando. Severus alzò gli occhi al cielo: neanche da ubriaca riusciva a smettere di rispondergli, per Salazar!
“Qual è la tua stanza?”
“Questa, la numero 5 ...” mormorò la ragazza, stringendosi ancor di più al suo braccio. Il professore quasi sobbalzò nel sentire il braccio di Hermione premuto contro il suo, le sue esili dita a sfiorargli il gomito ed il delicato profumo di muschio bianco nelle narici … da quant’era che un essere umano gli stava volontariamente così vicino, senza chiedergli nulla in cambio ed essendo ben conscio di chi era?
“Eccomi, grazie per avermi accompagnata e per … beh, lo sa …” sospirò Hermione, appoggiandosi allo stipite. “Anche se l’alcool non è stata una grande idea … e scusi per i miei sproloqui.”
“Tutto ha una misura, una so-tutto-io esemplare come te dovrebbe saperlo …” ghigno Piton, divertito. Si aspettava di ricevere una risata nervosa o una risposta per le rime, ma non era certamente preparato ad un sorriso radioso, tanto aperto da rischiarare il corridoio buio, polveroso ed illuminato solo da lanternine della locanda. Prima che potesse dire altro, Hermione si sollevò sulle punte, stampandogli un morbido bacio profumato sulla guancia. “Grazie, Severus, mi hai aiutato molto stasera … ci vediamo mercoledì.” mormorò, rifugiandosi subito dopo in camera e chiudendo la porta dietro di sé, barcollando un po’.
Piton rimase, muto ed immobile, nel corridoio deserto, lo sguardo pietrificato sulla porta e la guancia che sembrava essere diventata brace sotto quell’innocente bacio di ringraziamento. Severus … come si era permessa di chiamarlo per nome? E di baciarlo, addirittura? Per non parlare di tutte le domande che gli aveva fatto e delle sue opinioni non richieste … le avrebbe fatto notare la sua mancanza di portamento, poco ma sicuro. Ma, dopotutto, era stato davvero così brutto aprirsi a qualcuno, sapere che c’era una persona che sembrava interessata a ciò che pensava ed a come stesse realmente?
Una smorfia gli alterò il volto mentre appellava una fialetta di Dolcesonno e la lasciava sulla porta della ragazza: l’indomani ne avrebbe avuto bisogno. Merlino, quant’era sentimentale, quella sera: aveva bevuto tanto da compiere gesti che mai avrebbe fatto consciamente … come Hermione, del resto.
Senza guardarsi indietro, uscì rapidamente nella notte e si smaterializzò per poi rinchiudersi nelle sue stanze ad Hogwarts. Si addormentò quasi subito, come sempre gli capitava dopo aver bevuto del buon whisky, ma, contrariamente al solito, si svegliò più e più volte nel cuore della notte, madido di sudore, con il vivido ricordo di un sogno dove, al posto dei soliti capelli rossi divenuti sempre più sbiaditi in quei mesi, aveva sentito solo un delicato profumo di muschio bianco.
֍֎֍
“È lui?”
“No.”
“Ed ora?”
“Nemmeno.”
“E …”
“Oh, per Dracula, Hermione, mi stai tanto simpatica, ma stasera hai letteralmente fracassato i canini!” sbottò Mina, gettando in un angolo la rivista di moda che stava sfogliando e scoprendo involontariamente i canini per il fastidio. Hermione giocherellò con il bordo del vestito blue e verde in tartan, sospirando, frustrata: era mercoledì e Mina aveva dato appuntamento a lei ed a Severus per parlare loro delle banshee di Loch Hart al Ghirigoro a ridosso della chiusura. La vampira, tuttavia, si era presentata con un’ora di anticipo, uno sfavillante abito nero ed enormi orecchini in stile celtico e, dopo aver acquistato cinque libri ed aver conversato un po’ con Florence, si era accomodata al piano superiore con una rivista per attendere il pozionista. Hermione si era distratta con il lavoro, ma non appena i clienti erano svaniti, mentre terminava i suoi soliti compiti non aveva fatto che chiederle se, da dov’era seduta, vedesse Piton.
La ragione era che si sentiva tremendamente in imbarazzo: da sabato sera, quando si era ubriacata, non l’aveva più visto né sentito ed il fatto che non si fosse presentato in libreria per tutto il giorno le faceva temere che se la fosse seriamente presa con lei per come si era comportata. Ma come le era venuto in mente di ubriacarsi tanto da fargli tutte quelle domande, per non parlare di come l’aveva salutato … chiamarlo per nome e baciarlo sulla guancia? Quant’era stupida … certo, era stato gentile a lasciarle la Dolcesonno per l’indomani, ma … per Godric, forse aveva perso ogni possibilità di ritrovare i suoi genitori … forse l’avrebbe esclusa dalla ricerca perché inaffidabile.
Sospirò, portandosi una mano allo stomaco: nonostante l’ansia che l’aveva invasa per tutti quei giorni, non riusciva proprio a non pensare a tutto quello che aveva scoperto sul suo oramai ex professore in quei mesi. Era possibile colpevolizzarsi in quel modo, sacrificare così tanto e ritrovarsi soli e tormentati dai sensi di colpa? A quanto pareva sì, ma non era affatto giusto … e nessuno sembrava curarsi di lui. Severus Piton era qualcuno che si dava per scontato, ma di cui forse a nessuno importava veramente … forse perché chiedere sarebbe stato ‘difficile’. La cosa più buffa, forse, era che chiamarlo per nome e baciarlo sulla guancia non le era risultato strano come pensava: seppur disinibita dall’alcool, era stato un gesto istintivo. Ricordava di aver pensato che quel nome fosse adatto a lui e che aveva la pelle leggermente ruvida, probabilmente indurita dai troppi dispiaceri e dalle troppe lacrime versate, ma profumata di libri antichi, menta e muschio. E perché diamine si ricordava quelle cose?
“Si può sapere cos’è successo ieri sera?” le domandò Mina, facendola sobbalzare: la vampira la stava fissando, sardonica. “Niente.” mentì, tornando al suo lavoro. “A me non sembra … perché sei così agitata per l’arrivo di Piton?”
“Oh … nulla.”
“Non sei brava a mentire … non sarà mica per la vostra sbronza alla Stella Nera?”
Hermione avvampò, voltandosi di scatto verso di lei, le guance in fiamme. Mina rise. “Lo sapevo!”
“Come …”
“Notturn Alley: si sa tutto di tutti. Ti imbarazza aver alzato il gomito?”
“Il problema è il dopo … Piton mi ha riaccompagnata al Paiolo, dove dormo e … ero così ubriaca che l’ho ringraziato chiamandolo per nome e baciandolo … sulla guancia!” si confidò la Grifondoro, liberandosi da un peso che la opprimeva da giorni. Mina, tuttavia, non sembrava né stupita né schifata come lo sarebbe stata Ginny al suo posto. “Uhm. E pensi che si sia offeso?” disse dopo un po’. “Ne sono abbastanza certa, conoscendolo …”
“Abbastanza, ma non del tutto. Non credi, che, dopotutto, fosse anche lui abbastanza ubriaco da non capire la metà delle cose che gli hai detto?”
“No: regge l’alcool molto meglio di me.”
“Giusta osservazione. Però se non ti ha affatturata al Paiolo dubito lo faccia qui ed ora!”
“E se volesse estromettermi dalla ricerca?”
“Non lo farebbe.”
“Come lo sai?”
“Perché sa quant’è importante per te, capisce … siete simili, sai?”
Hermione si volse a fissare la vampira, spaesata: come potevano assomigliarsi lei e Piton?
“Ma sì, non è evidente: siete entrambi un po’ vintage, intelligenti ed incompresi!” conclusa Mina, schioccando un dito. “Et voilà … fatto l’accostamento!” rise, voltandosi, poi, a fissare la porta. “Oh, ecco l’uomo del giorno! Severus vieni su, forza, che non ho tutta la sera! La macelleria chiude alle sette e trenta, sai? E poi ho un appuntamento all’associazione AVIS per rinnovare il tesseramento …”
“Ma … doni sangue in Italia?” domandò Hermione, sgranando gli occhi. “Ma no, che pensi … ‘associazione vampiri instancabili succhiatori’ …” la corresse tranquilla Mina, lasciandola più scandalizzata che altro.
La Grifondoro desiderò istantaneamente di sprofondare mentre la funerea figura di Piton, come sempre avvolto nel suo mantello, saliva lentamente le scale del Ghirigoro, raggiungendo le due donne in cima. “Perdonami se sono costretto a lavorare per sopravvivere, Mina ...” sibilò, rivolgendo appena un’occhiata ad Hermione, la quale decise saggiamente di rimanere ferma e zitta al proprio posto. “Certo, dici sempre così, tu!” sbuffò la vampira, estraendo dalla borsa una lettera e consegnandola al professore. “Ecco qui la risposta di Batsheba: ci ha dato appuntamento domenica all’alba nei boschi attorno Loch Hart ...”
“Ci?” ripeté Hermione, aggrottando la fronte mentre Piton scandagliava rapidamente la risposta prima di porgergliela. “Ci, esatto: come sapete, le banshee si rivelano solo a persone in procinto di morte. Se volete parlare con lei, o progettate di uccidervi, cosa che vi sconsiglio vivamente, fidatevi, o vi fate accompagnare da qualcuno che può farla uscire allo scoperto … cioè me, che sono già morta. Per questo le ho proposto di vederci all’alba: credo sia un buon compromesso per tutti. Ma …”
“Naturalmente, quando si tratta di te, c’è sempre un ‘ma’ …” ghignò Piton, incrociando le braccia. Con estremo sollievo, Hermione notò che non sembrava intenzionato a rivangare i precedenti del sabato …
“Certo che c’è, mon cher … le banshee non appaiono alle creature magiche, solo agli umani delle loro famiglie, tradizionalmente: per parlarci, dovremo trovarle noi. Solo quando le avremo individuate e si saranno rese conto che ci sono anch’io, Batsheba si avvicinerà e vi dirà quello che volete … ma bisogna prima trovarle, appunto. E come si fa?”
“Non esistono incantesimi né pozioni e tutti i trattati di difesa contro le arti oscure sulle banshee riguardano il proteggersi dai loro potenziali attacchi …” ricapitolò mollemente Hermione, aggrottando la fronte. “Ma … può farlo Remus!” esclamò subito dopo, attirando all’istante gli sguardi degli altri due. “Chi?” ripeté Mina. “Non vorrai coinvolgere il mannaro in questa storia!” esclamò invece Piton, quasi indignato, gli occhi ridotti a due fessure. “Non credo ci siano altre opzioni, francamente. Remus Lupin è un mago … ed un lupo mannaro. Ha un fiuto eccezionale e comunque migliore del nostro anche in condizioni normali ...”
“Ah, Lupin: sì, so chi è.” annuì Mina. “Ho letto di lui sui giornali, un eroe … mi sembra uno apposto!”
“Ma davvero? Portarsi in giro un lupo mannaro è …”
“Solo perché i suoi amici tonti ti prendevano in giro a scuola, seriamente? Non fare il bambino, Severus!” lo zittì, Mina, scattando in piedi e raccogliendo la borsetta. “Sai anche tu che è un’ottima idea … nonché l’unica! Hermione, potresti scrivere tu a Lupin? Grazie, cara. Se ci darà il suo assenso, cosa che penso e spero, ci diamo appuntamento fuori Hogwarts domenica alle cinque e mezza del mattino. Se non c’è altro … buona serata!” sorrise la vampira, mostrando i canini mentre si dirigeva verso le scale. “Ah e … per favore: chiaritevi. Non se ne può più di guardarvi mentre vi evitate a vicenda, imbarazzati e troppo orgogliosi per ammettere di aver alzato il gomito. E Severus … non rimproverarla perché ti ha chiamato per nome: credo sarebbe ora che glielo concedessi. Questa povera anima ti sopporta da mesi, cosa che neanche io riesco a fare. Merita un premio … bye bye …”
Detto ciò, Mina scese rapidamente le scale, lasciandoli soli nella penombra del piano superiore. La sentirono scambiare qualche parola con Florence ed uscire fischiettando la quinta di Beethoven. Non appena la porta si fu richiusa, Hermione deglutì: ora era sola in balia dell’ira di Piton. Non riusciva neanche ad immaginare che cosa le avrebbe urlato contro …
“Mina … ha sempre avuto un pessimo senso della temperanza. Ma, del resto, da una vampira non ci si può aspettare granché di diverso.” bofonchiò il professore, sbuffando per poi puntare gli occhi su Hermione. “Non hai nulla da consigliarmi, oggi?”
La Grifondoro avvampò. “Veramente, credevo che …”
“Che … cosa?”
“Che fosse furibondo per sabato. Anzi, so che non Le importerà, ma mi scuso in anticipo: non volevo comportarmi così, so di averLa messa a disagio, di aver sbagliato e …”
“Avevi bevuto un po’ e non vi eri abituata.” la liquidò Piton, alzando le spalle. “E … non ce l’ha con me?” biascicò la giovane, esterrefatta. “Non sei più una mia studentessa e non siamo ad Hogwarts: nulla ti vietava di bere. E, poi, ti ho portata io là ed ho un po’ esagerato anch’io … è stato un insieme di concause del tutto irrilevanti.”
“Ma al Paiolo …”
“Non credo sia successo nulla di indecente … o sbaglio?” commentò, sollevando un sopracciglio. Hermione avvampò. “No, no, ci mancherebbe altro! Ma mi scuso comunque, non sono … abituata a bere.”
Piton ghignò. “L’avevo notato. Dovrai rimediare, Hermione …”
“No, grazie, non ci tengo molto.” sospirò, per poi sbarrare gli occhi al constatare che l’aveva chiamata per nome volontariamente. “Ma …” fremette, stupita. “Su questo (e solo su questo, sottolineo) ha ragione Mina: siamo colleghi, nostro malgrado. Anch’io ero particolarmente restio a chiamare Albus o Minerva per nome quando ho iniziato ad insegnare, ma hanno insistito tanto da farmici abituare … credo dovrebbe valere lo stesso per te: chiamami Severus. Non c’è nulla di sconveniente o irrispettoso. E non sono una bestia come tutti credono … ora, cortesemente, vorresti consigliarmi un romanzo? Sono stato impegnato con i consigli di classe per tutto il giorno e quello di cui ho bisogno stasera è un bel libro con cui scordare tutte le lodi che Minerva ha riservato a quelle teste di legno appena uscite dalla prima elementare …” spiegò il professore, quasi annoiato, sfogliando pensosamente un libro. Hermione espirò, sollevata: non ce l’aveva con lei, per qualche misteriosa e miracolosa ragione. Le sembrava di essersi liberata di un peso incredibile …
“C’è questo libro uscito da poco: ‘Anatomia dei Fantasmi’ … sembrerebbe un tratto ed infatti lo è, solo mascherato da romanzo. Un giovane usa il pretesto di un viaggio assieme al padre, noto acchiappa fantasmi, per snocciolare tutte le informazioni note sugli ectoplasmi di tutto il mondo.” illustrò, mostrandogli un tomo dalla copertina azzurra e grigia. “Interessante …” annuì Piton, afferrandolo. Nel prendere il volume, le loro dita si sfiorarono inavvertitamente ed Hermione mollò immediatamente la presa sul libro, come scottata. “Lo prendo.” disse Piton subito dopo, senza neanche aprirlo. “Non vuole … non vuoi neanche leggere la trama o i commenti dei recensori sul retro?” domandò la giovane, cercando di sembrare normale e professionale per mascherare l’imbarazzo. “Mi fido del tuo parere.”
“Davvero? Merlino, credo che dovremmo scrivere questa data nel calendario!”
“Se ritieni così importante aver accontentato un vecchio professore arcigno …”
“Leggi molto più di figure ben più influenti ed importanti … e non sei vecchio …”
Severus sollevò di scatto lo sguardo, incontrando il sorriso e le iridi nocciola di Hermione. “Dipende dai punti di vista, suppongo. Fammi sapere la risposta di Lupin, cortesemente … ci vediamo domenica.”
“Va bene.”
“Ah, una cosa: ti pregherei di non far parola con nessuno di … di ieri sera. Non sono cose di cui parlo volentieri e l’alcool mi ha fatto straparlare.” concluse. Senza attendere risposta, le rivolse un cenno di saluto prima di scomparire al piano inferiore. La Grifondoro si appoggiò alla balaustra, osservandolo pagare con la solita annoiata freddezza: era estremamente diverso dal Severus che aveva visto la sera prima e tante altre volte in libreria. Dopo tutti quei mesi, aveva oramai capito che, sotto la corazza, c’era un animo ferito, impaurito ed una mente brillante, intelligente e, inaspettatamente, sensibile. Eppure, pochissimi sembravano aver visto quel Severus, forse solo Lily, Silente e Mina … perché lei aveva avuto quel privilegio?
Osservò la scura figura di Piton uscire dal negozio: non l’aveva mai considerato come un uomo, sempre come professore o spia, ma mai semplicemente come Severus. A distanza di anni, si trovava ad ammettere che, ad Hogwarts, l’aveva malgiudicato anche a causa dell’opinione di Harry e di tutti gli altri studenti di Grifondoro: ora che vedeva più lui che Ginny e che la vita l’aveva irreversibilmente cambiata, si era ritrovata a guardarlo con occhi diversi. Severus Piton non era bello nel senso convenzionale del termine, ma era senz’altro interessante: i capelli neri, ora lo sapeva, non erano unti, il naso adunco era parte della sua persona, la pelle non era giallognola, ma solo pallida e gli occhi non erano tunnel gelidi e bui, ma due brillanti ossidiane fin troppo espressive delle simpatie ed antipatie del proprietario. Per quanto strano ed impossibile potesse sembrare, Severus era l’unico che l’aveva capita: non l’aveva giudicata, disprezzata o rimproverata per ciò che aveva fatto dopo la guerra, ma semplicemente incoraggiata. E quello che le aveva detto sabato sera era la cosa più vicina ad un complimento che le fosse mai stata fatta al di fuori delle lodi dei professori. Ma aveva parlato l’alcool o Piton? Le sarebbe venuto da dire il whisky, se non fosse stato che lo reggeva molto bene … era davvero possibile che la stimasse?

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Capitolo 13
*** Lacrime e Gelosia ***


Capitolo Tredicesimo
Lacrime e Gelosia

I just wanna start again
And maybe you could show me how to try
Maybe you could take me in
Somewhere underneath your skin

(Taking Chances, Celine Dion)
“Severus, non serve correre, sai? Non siamo inseguiti da un branco di licantropi inferociti … senza offesa, Remus!” sbottò Mina, aggrappandosi ad un ramo per non mettere in fallo il piede calzato in uno stivale a tacco alto decisamente poco adatto alla spedizione, così come, del resto, l’elegante cappotto nero dai decori scarlatti.
Piton, per tutta risposta, si fermò, sbuffando per l’ennesima volta. Il suo fiato si condensò nell’aria fredda del mattino, creando una nuvoletta che svanì dopo poco mentre gli occhi, ridotti a due fessure, fissavano gelidi Mina: aveva una pessima giornata, questo era oramai lapalissiano. 
Non poteva nemmeno attribuire la colpa al fatto di essersi svegliato presto, perché, ironicamente, non aveva neanche dormito, tormentato da incubi che nemmeno le sue amate pozioni avevano saputo allontanare. Si era addormentato in poltrona con il libro che gli aveva consigliato Hermione tra le mani, una lettura senz’altro interessante e piacevole, ma che, a quanto pareva, se accostata al whisky aveva il magico potere di fargli sognare assurdità. Aveva sognato di essere a Spinner’s End, nel buio e nella polvere, assieme a sua madre, che gli sorrideva come non aveva mai fatto neanche da viva. “Andrà tutto bene, vedrai: apri il tuo cuore …” gli aveva sussurrato prima di svanire, sostituita da Silente, davanti al quale il professore si era sciolto in lacrime di scuse. “Sei un brav’uomo, Severus: non scordarlo mai.” gli aveva detto questi, stringendogli le mani. Ad un certo punto, tra i volti indistinti che gli davano consigli e lo esortavano ad andare avanti, facendogli girare la testa, era comparsa anche Lily, bellissima ed eterea, ma che non suscitava più in lui ammirazione o devozione … solo rimorso. “Ti ho perdonato, Sev … devi andare avanti!” aveva esclamato. A quel punto, Severus aveva gridato con tutta la voce che aveva in corpo, portandosi le mani alle tempie pulsanti: non ne poteva più di tutti quegli spettri, di quei giudizi e di vedere la felicità altrui, a lui preclusa. Poi, all’improvviso, la folla, così com’era arrivata, era svanita ed una mano si era posata gentilmente sulla sua spalla. Quasi aveva urlato di nuovo quando si era ritrovato dinanzi Hermione, sorridente e rassicurante. “Come stai? Sei pallido … vieni, su, siediti: ho preparato una torta al caffè … posso prepararti anche un tè? Ti riscalderà!” aveva detto, accompagnandolo sul divano e servendogli mille leccornie, senza smettere per un solo istante di sorridergli.
Si era svegliato con la fronte imperlata di sudore, le mani ancorate a quel libro sui fantasmi che, improvvisamente, non gli sembrava più una grande idea ed il profumo di muschio bianco di Hermione ancora nelle narici. Si era sciacquato la faccia almeno venti volte per togliersi dalla testa il sorriso della sua irritante ex alunna so-tutto-io che aveva visto nella locanda, ma neanche la doccia gelata che aveva fatto dopo o il caffè nero che aveva tracannato l’avevano scacciata dalla sua testa. “Perfetto, Severus: ci mancava solo la dicitura di ‘maniaco’ al tuo curriculum, davvero!” si era detto, seduto sul letto mentre fissava i suoi vestiti neri allineati nell’armadio di acero: un tempo, i suoi pensieri, mattino o sera che fosse, erano occupati interamente dalla chioma rossa e da due ridenti occhi di smeraldo. Aveva sperato solo di rivederla e di ricevere dalle sue morbide labbra quel perdono che aveva cercato per tutta la vita, per potersene stare finalmente in santa pace … e, invece, ironicamente, da quando Lily era tornata e l’aveva scusato, si sentiva anche peggio di prima. Un viscido ed acido pipistrello dei sotterranei odiato da tutti che fuggiva la luce e tutto ciò che di buono c’era nel mondo per non intaccarlo con le sue mani sudice di sangue e lacrime, un uomo di mezza età che affogava i suoi dispiaceri nell’alcool e cercava la compagnia di qualche donnetta per avere la pallida illusione di sentirsi amato almeno per qualche ora. E Lily, la sua amica Lily, oramai gli trasmetteva solamente rimpianto. Quando la vedeva ridere con la sua famiglia nella sua splendida casa, immersa in una vita degna di essere chiamata tale, la invidiava: lei aveva avuto l’intelligenza e la forza di costruirsi un avvenire con le persone che amava, senza allontanarle o compiere scelte sbagliate. Non come lui. La ammirava ancora, certo: era indubbiamente una donna angelica, bella ed elegante ed ancora gli si stringeva il cuore a vederla ridere con Potter, pensando che avrebbe potuto esserci lui al suo posto, con una famiglia … ma il suo cuore non batteva più come un tamburo quando gli andava vicino. Forse era morto anche quello, sarebbe stata una spiegazione plausibile. Aveva cercato disperatamente una risposta nei suoi libri, preparato calderoni su calderoni di Amorentia, sperando di ritrovarvi un vago profumo di giglio … e, invece, non aveva sentito nulla. Solo dopo parecchi tentativi, aveva annusato un vago odore di libri e carta stampata … ed ora ci mancava solo la Granger a tormentarlo nei suoi sogni, per coronare il suo totale decadimento.  
Come si era detto più e più volte in quei mesi in cui aveva lavorato con lei, era innegabile che fosse bella, elegante e particolare, diversa da tutte le altre donne che aveva conosciuto, persino diversa rispetto a Mina, che era quanto di più eccentrico si potesse pensare di incontrare. La vera sorpresa era stato scoprire che fosse anche arguta, preparata e sinceramente intelligente e non solo molto brava a ripetere a pappagallo tutto quello che leggeva nei manuali scolastici. Le sue opinioni non richieste sui libri che gli consigliava e le loro discussioni sulle letture erano state innegabilmente la sua ancora di salvezza, in quei mesi, anche se non l’avrebbe confessato mai neppure a se stesso: la tragica verità era che aspettava il mercoledì per sentire cos’avesse da proporgli quella ragazzina e divertirsi a smontarla in quattro frasi acide, come solo lui sapeva fare, per il suolo gusto di vederla arrabbiata. Lo divertiva e vederla ridere, inspiegabilmente, gli tirava su il morale. Dov’era finito il Severus Piton che si compiaceva nel far piangere gli studenti? Oh, gli piaceva ancora, solo, non Hermione.
La stoccata finale, lo sapeva, era che gli avesse chiesto come stesse, una domanda che mai nemmeno Silente gli aveva rivolto: tutti supponevano che ubbidisse ciecamente, senza porsi il problema di cosa pensasse o provasse. Tutti, tranne lei … sentimentale e tremendamente grifondoro com’era, avrebbe dovuto aspettarselo, ma l’aveva lasciato comunque di stucco. Non era abituato all’idea che qualcuno potesse preoccuparsi per lui … semplicemente, a nessuno importava abbastanza.
Il sognarla doveva dipendere da tanti fattori: un misto di attrazione (per quanto la cosa lo rendesse indubbiamente un maniaco pervertito), una vaga punta di ammirazione che avrebbe nascosto fino al decesso ed una sincera componente di sorpresa per il suo interessamento. Punto. Si rifiutava di credere che ci fosse altro, anche se Albus l’aveva insinuato in ogni modo mentre, quel mattino, si preparava alla spedizione a Loch Hart. “Non sei contento di passare del tempo con Hermione, Severus?” aveva trillato, allegro, dalla sua cornice. “No.” aveva replicamento seccamente lui, prendendo il cappotto, ripetendosi mentalmente di gettare il ritratto fuori dalla finestra una volta tornato a casa. Peccato solo che la sua finestra desse sul fondo del Lago Nero …
“Non mi era parso fosse questa la tua risposta negli ultimi mesi …”
“Che ne sai della mia risposta, Albus?”
“Ti vedo, sento che …”
“Non puoi sentire: sei morto.”
“Non essere acido, ragazzo mio: intendevo solo che è gradevole parlare di libri con lei, che è intelligente, tutto qui. Ci dovrebbe essere qualcos’altro?”
“Non so, dimmelo tu.”
“Non ci sono io nella tua testa!”
“Si presume che sia chi faccia delle insinuazioni a motivarle per sostenere la propria tesi: credo si chiami ‘arringa’ in campo giuridico, sai?”
“Non cambiare discorso: sai bene cosa voglio dire. Apprezzi la compagnia della signorina Granger, è innegabile …”
“Non l’apprezzo, sbagli: è una spina nel fianco, una fastidiosa, saccente, irritante e petulante so-tutto-io grifondoro ...”
“Ti dà fastidio perché ti tiene testa, vero?”
“Buona giornata, divertiti con gli altri quadri dei morti.” aveva concluso, sbattendogli la porta in faccia.
Per la mezz’ora successiva aveva sentito gli sproloqui di Mina e di Lupin, che andavano inaspettatamente d’accordo e che, per la gioia dei suoi nervi, aveva accettato di aiutarli (ovviamente, chi mai avrebbe potuto dire di no alla perfetta Hermione?), cercando di non guardare nessuno dei suoi (suo malgrado) tre compagni di viaggio per non rifilar loro rispostacce acide che gli premevano sulla punta della lingua oramai dalle prime luci dell’alba.
“Non è un panorama magnifico?” esclamò la vampira in quel mentre, indicando il lungolago su cui stavano camminando. E, effettivamente, Severus si ritrovò a dover concordare con lei, quantomeno nella sua testa: il cielo violetto, indaco, rosato ed arancione sembrava una tavolozza di tutti i colori pastello mescolati assieme ed illuminava con le sue pallide luci dorate la piatta superficie del lago, uno specchio che rifletteva la volta celeste, incastonato tra una foresta di abeti smeraldini e l’aspra brughiera, tutte rocce e lande di erica scosse dal vento leggero del primo mattino.
“Mi ricorda tanto il paese dove sono nato …” commentò Lupin, inspirando a fondo l’aria mentre si stringeva addosso il pastrano marrone e si sfregava le mani guantate. “Il bosco, vorrai dire …” si concesse Piton, lisciandosi il cappotto nero. “In effetti, è vicino ad una foresta, sì …”
“Severus, ma ti pare il modo? Questo povero cristo ha accettato di venire ad aiutarci di domenica mattina a quest’ora! Cosa che tu, per inciso, non avresti mai fatto …” sbottò Mina. “Cosa sei, mia madre?”
“No, ma posso rimproverarti quanto mi pare per anzianità!”
“Quanti anni ha, se posso permettermi?” domandò Remus, divertito dalla faccia di Piton. “Trecentoventidue. E dammi del tu, tesoro, o mi sembreranno quattrocento in più …”
“Portati benissimo, complimenti.” sorrise Lupin. “Grazie, mi mantengo … e, devo riconoscerlo, anche grazie agli intrugli di Severus …”
“Certo e se mai un giorno ti renderai conto che il mio ufficio è un laboratorio di pozioni e non di cosmetica, sarò ancor più lieto di aiutarti ...”
La risata cristallina di Hermione si propagò nell’aria e Piton si volse appena verso di lei: aveva evitato il suo sguardo, limitandosi a salutarla con un educato cenno del capo, per tutta la mattina, sicché non aveva neppure notato come si fosse vestita. Avvolta in un lungo cappotto blu elettrico ed in una pesante sciarpona azzurra che le faceva anche da scialle, aveva raccolto i capelli in una treccia ed indossava orecchini blu a forma di cuore. Riusciva ad essere elegante anche per una spedizione del genere …
Scacciò il pensiero, riprendendo ad avanzare: non doveva né voleva pensarci. Alle sue spalle, sentì che la Granger e Lupin conversavano di Andromeda Tonks, senza però davvero capire perché. Forse per qualcosa che riguardava il figlio del mannaro …
“Brutta bestia il mostro dagli occhi verdi, eh?”
A quelle parole, Severus sobbalzò, voltandosi di scatto, gli occhi ridotti a due fessure: Mina, di fianco a lui, sghignazzava, trionfante. “Non vedo di cosa o di chi dovrei essere geloso, Mina …” replicò, asciutto, tornando a concentrarsi sul sentiero che stavano percorrendo. “Non insultare la tua intelligenza: è piuttosto ovvio …”
“Evidentemente non lo è poi così tanto se non riesco ad accorgermene …”
“Certo, certo ...”
“Illuminami, visto che sei così convinta delle tue affermazioni …”
La vampira scoprì nuovamente i canini in un’espressione trionfante. “Hermione.” mormorò, guardandosi appena indietro ed adducendo con il mento a Lupin che aiutava la giovane a scavalcare un ramo. “La vedo, è lì.”
“Sei geloso di lei.”
“Non vedo in quale possibile ed astruso universo parallelo io possa …”
“Piantala: ti conosco troppo bene. Quello sguardo (sì, caro mio, proprio quello lì) è lo stesso con cui, a suo tempo, guardavi le fotografie di James e Lily … me lo ricordo, sai? Non ho mai visto due occhi più sofferenti di così … è come se gridassero in silenzio: ‘Perché a tutti e non a me? Perché nessuno mi ama?’, sai?”
“Gli occhi non possono gridare.”
“I tuoi sì e posso assicurarti che li sento piuttosto chiaramente ...”
“In tal caso, vuol dire che senti le voci e che devi andare al San Mugo. Certo, è qualcosa che già sospettavo da anni ...”
Mina sbuffò. “Quanto sei … impossibile! Dico sul serio …”
“Mi spieghi perché dovrei essere geloso di Hermione?” sbottò, esasperato, il professore. “Ah, questo devi dirmelo tu, querido …”
“Non ho proprio nulla da dirti!” concluse Piton, accelerando il passo. “Certo. Dunque il fatto che sia l’unica allieva in tutta la sua ventennale carriera che ritieni degna di chiamarti per nome e che tutti i mercoledì tu vada al Ghirigoro e chieda espressamente di lei non c’entrano nulla con le tue occhiaie …”
“Ho sempre le occhiaie: sono stanco.”
“Stanco … quando facevi la spia non le avevi, però ...”
“Prendevo la Dolcesonno.”
“Ora no?”
“Non sempre.”
“Ne deduco che dormi …”
“Poco.”
“Uhm. Se un abile pozionista rifiuta di prendere una comune pozione che potrebbe prepararsi tranquillamente in poco tempo i motivi sono due: o davvero dorme bene, ma non è il tuo caso, o vuole sognare, lo desidera … e la Dolcesonno fa sprofondare in un sonno senza sogni, dunque preferisce perdere qualche ora di sonno che privarsi delle sue fantasie … chissà quali saranno …”
“Credo davvero che dovresti smetterla di ficcare il naso negli affari altrui e dare voce ai tuoi assurdi pensieri per pensare seriamente a farti una vita, Mina.” la bloccò Severus, seccato, sbuffando una nuvoletta grigiastra dal naso che si condensò nell’aria gelata. “Come vuoi, lascerò che continui il discorso con la tua esasperata coscienza, in tal caso ... Remus, senti qualcosa?” mormorò, indispettita, voltandosi verso Lupin. Questi si fermò e si guardò attorno, spaesato. “Non ancora … forse dovremmo proseguire ancora un po’!”
“Mi sembra una buona idea. Procediamo …” annunciò la vampira, riprendendo ad avanzare e superando Severus con un’altezzosa spallata che lo fece mugugnare qualcosa sul caratteraccio dei non-morti.   
“Non noti nulla di strano in Severus?” domandò Hermione a Lupin mentre riprendevano l’avanzata. “A parte il fatto che ti ha concesso di chiamarlo per nome? No.” rise il mannaro. La ragazza arrossì, esibendosi in un colpo di tosse per scacciare il pensiero. “Sì, beh … lavoriamo insieme, gli dev’essere parsa una scelta naturale. Comunque, mi sembra piuttosto … cupo. Più del solito, intendo …”
“Un po’. Ma avrà semplicemente una brutta giornata: l’umore di Severus cambia come cambia il tempo su queste cime, lo conosci … è facile rattristarlo o impensierirlo …”
“Non so se lo tormenti più il passato, il presente o il futuro …” sospirò Hermione, stringendosi nelle spalle: ogniqualvolta pensava all’esistenza che conduceva Piton, sentiva un gran freddo all’improvviso. Immaginava una vita vuota, spenta, senza nulla a rischiararla … e le dispiaceva. Avrebbe voluto trovare il modo di portare anche solo un minuscolo fiammifero nel suo gelo …
“Aspettate: qui c’è qualcosa … e viene dal sentiero che s’inoltra nella foresta!” esclamò Lupin all’improvviso, facendo bloccare tutti sul posto. “Sì … è una traccia magica flebile, ma c’è …” confermò, chiudendo gli occhi. “Ti serve qualche oggetto di questa banshee per fiutarla?” lo canzonò Piton, sogghignando maligno. “Basterà molto meno per farle uscire … Batsheba!” gridò Mina, avanzando verso il limitare del bosco. “Batsheba! Sono io, Mina! Batsheba!”
Per qualche istante, non accadde nulla: il silenzio era rotto solo da uno stormo di uccelli che si alzava in volo. “Vedo che le tue tecniche persuasive sono efficaci …” sospirò Severus, incrociando le braccia al petto. “Oh, piantala di …”
“Eccola!” li zittì Hermione, indicando la foresta, dal cui sottobosco stava emergendo una figura azzurrina. Man mano che si avvicinava, tuttavia, assumeva sempre meno l’aria di una sorta di ninfa dei boschi, delineandosi come una donna dai lunghi capelli biondi, grandi occhi blu ed una leggera veste di velo azzurro che luccicava di goccioline d’acqua. Non appena fu di fronte ai quattro, li fissò, spaesata. “Batsheba!” esclamò Mina, correndole incontro ed avvolgendola in uno stretto abbraccio. “Mina!” si ridestò questa, ricambiando, entusiasta e sfoggiando un lieve sorriso. “Non sai quanto mi faccia piacere rivederti! Non vieni qui da un sacco di tempo!”
“Non ho tutta questa libertà, d’inverno … volare al freddo è fastidioso! Ma potresti venire tu a trovarmi!”
“Mi piacerebbe, ma hai idea di quanti Hart siano ancora in vita?”
“Cielo, non ci avevo neanche pensato! Te ne mancano molti?”
“Hanno appena avuto quattro gemelli, ma il nonno è in fin di vita …”
“Povera cara, ecco perché quegli occhi rossi e tristi …”
“Ehm ehm …” tossicchiò Severus, infastidito, riportando l’attenzione su di loro. “Oh, certo, scusa l’antipatia del mio amico …” sbuffò Mina, facendo alzare gli occhi al cielo al pozionista e sorridere Remus ed Hermione. “Ti presento Severus Piton, Hermione Granger e Remus Lupin …”
“Piacere, Batsheba.” annuì l’altra. “Scusate se non sorrido molto, ma … beh, non posso. La nostra vita è basata sul pianto, non sorridiamo spesso …”
“Sorridere eccessivamente è spesso indice di stupidità.” commentò seccamente Piton. “Ma non guasta … rende la vita più sopportabile.” aggiunse distrattamente Hermione, ritrovandosi a scambiare una fugace occhiata con il pozionista. “Siamo qui per il libro del destino che si trova nel fondale di Loch Hart e che pare sia custodito da voi banshee …” illustrò la ragazza. “Oh, quello … non l’abbiamo più noi da tanto tempo!”
“Come sarebbe a dire?” ripeté Piton. “Non lo custodiamo direttamente … era della famiglia Hart e, siccome è una delle poche ad avere delle banshee, si diceva che fosse nostro … nulla di più falso.”
“La famiglia lo possiede ancora?” chiese Mina. “Certamente: è un manufatto di valore. Essendo babbani, tuttavia, credo che non lo reputino poi così interessante … è custodito nella biblioteca di quel castello, vedete?” spiegò, indicando una tenuta ottocentesca poco oltre il bosco. “Perfetto … ed ora come possiamo prenderlo?” sospirò Hermione, sconsolata, vedendo i suoi genitori allontanarsi sempre più da lei nella sua mente …
“Non posso portarvelo: rubare alla mia famiglia non mi è possibile. Sono fedele agli Hart.” spiegò Batsheba, solenne. “Ma potrei, diciamo, lasciarmi scappare inavvertitamente che, la sera di San Valentino, gli Hart indiranno un ballo … forse potreste intrufolarvi tra gli invitati!”
“Si potrebbe fare … confondere i domestici ed inserirci nella lista degli invitati dovrebbe essere facile!” annuì Severus. “Ma è sbagliato: sono babbani, non possono difendersi!” protestò Hermione. “Non vedo perché dovrebbero …”
“Non daranno il loro consenso …”
“Hai ragione, fai bene a difendere ciò che pensi …”
“Dunque non li confonderemo?”
“Ho detto che fai bene a difendere ciò che pensi, non che ubbidirò.”
La Grifondoro sbuffò, adirata, stringendo i pugni mentre fissava il trionfante Serpeverde. “Non ho detto che non si può fare o che non lo farò … solo che è scorretto!”
“Che piaccia o meno, è l’unico modo.”
“Grazie, Batsheba: c’è stata di grande aiuto.” sospirò Hermione, rivolgendo un sorriso alla banshee. Questa stava per dire qualcosa, ma il suo volto, all’improvviso, si bloccò, come pietrificato, per poi deformarsi un’espressione di puro terrore. “Che cosa …” mormorò la Grifondoro, spaesata. “Tua figlia farà grandi cose … Hermione, giusto?” mormorò. “La vedo … sarà grande, a modo suo. Salverà il mondo magico come a suo tempo lo fecero i suoi genitori …”
La ragazza fissò la banshee con gli occhi sbarrati ed il respiro mozzato mentre l’espressione di questa si contorceva in una smorfia di dolore quasi insostenibile. “Meglio andarcene … credo stia per urlare …” propose Remus, tirandola leggermente verso il lago. “Ma …”
“Sta per piangere e non sarà piacevole: quel vecchio dev’essere morto.” constatò freddamente Piton, seguendoli. Si fermò solo a metà strada. “Non vieni, Mina?”
“No, andate: vi raggiungo con calma. Resto ad aspettare che finisca per parlare un po’ con lei …” sorrise tristemente la vampira, portandosi le mani alle orecchie, pronta a fronteggiare il grido.
E l’urlo, in effetti, non si fece attendere: giunse quando erano già abbastanza lontani da non venirne storditi, ma colpì comunque i loro timpani con la violenza di un uragano, seguito da estenuanti singhiozzi e gemiti disperati. Il cuore di Hermione si strinse al sentire quei suoni gutturali, facendola rallentare: avrebbe voluto tornare indietro, andare ad aiutarla e chiederle di questa sua eroica figlia che aveva visto, ma sapeva che non avrebbe comunque potuto farlo e, infatti, si lasciò trascinare senza protestare da Remus e Severus oltre il limitare del bosco, lontano da quelle lacrime e da quelle urla disumane.
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“Il resto.”
“Come, scusi?”
“Il resto!” ripeté l’anziana, assottigliando gli occhi, infastidita. “Oh, mi scusi, davvero … ecco a Lei.” rimediò Hermione, allungandole le monete e rivolgendole l’ombra di un sorriso mentre questa se ne andava indispettita in quel pomeriggio insolitamente mite per inizio febbraio che aveva attirato parecchie persone a Diagon Alley. Lo stomaco le si contorse spiacevolmente al pensiero che quel sabato, dopo la chiusura, avrebbe dovuto andare a Notturn Alley con Mina per scegliere il vestito per la festa degli Hart. L’ultima cosa che avrebbe voluto era andare a quel ballo, ma doveva, se voleva trovare il libro e, di conseguenza, i suoi genitori. Il ricordo del Ballo del Ceppo era ancora vivido nella sua testa e non particolarmente piacevole e, da allora, aveva evitato ogni possibile evento del genere. Poteva solo immaginare quanto fosse seccato Piton all’idea di doverci andare con lei …
Le venne da ridere al ricordo di quanto Mina fosse compiaciuta di saperli ad una festa assieme. Persino Lupin, che non aveva voluto sapere altro sulla ricerca come da patti, aveva ridacchiato all’idea … certamente si sarebbero azzannati per qualcosa, era normale, per loro. Ma, del resto, era una fortuna: la cosa le dava una certa sicurezza e la rassicurava, per qualche assurda ragione.
Sistemò il nastro dorato con un’espressione sconcertata: mai, nemmeno nelle sue più assurde fantasie di ragazzina, aveva considerato che Piton potesse infonderle una qualche vaga idea di serenità. Mai. Eppure, oramai, si ritrovava ad aspettare con ansia il mercoledì solo per sentire cos’aveva da dire sui libri che gli consigliava e sorrideva eccessivamente alle sue battute ed alla sua vista, se ne rendeva conto … quant’era ridicola! Già al secondo anno le era capitato di prendersi una bella cotta per Allock, ora c’era la sua strana amicizia per Severus … doveva proprio essere ossessionata dai professori! Certo, probabilmente sarebbe stato più normale se si fosse invaghita di Lupin o di Vitious, due insegnanti normali e benvoluti … non di Severus, molto più vecchio di lei, con un passato discutibile, odiato e rigettato da tutti. Di Piton, meglio. Ma ne era davvero un po’ invaghita, poi, o era solo la sua immaginazione? Non si era detta poco prima che la loro era un’amicizia?
Scacciò il pensiero: il sospetto sarebbe rpesto passato e lei sarebbe tornata in sé, la solita Hermione. Stava passando un brutto periodo e lui l’aveva capita, aveva solo fantasticato troppo sulla cosa, come al suo solito …
Sentì il campanello del negozio tintinnare prima che una tempesta dai capelli azzurri le si precipitasse incontro. “Zia Herm!” gridò un bambino benvestito con un giubbotto oltremare. “Teddy!” rise lei, sollevandolo in aria e facendolo roteare assieme alla sua gonna a ruota a scacchi neri e rossi prima che questi ai aggrappasse al suo maglione. “Ma che bella sorpresa! Che ci fai qui, eh?”
“Siamo venuti a prendere qualche libriccino per il miglior bambino del mondo, visto che è stato così bravo, non è vero?” le rispose la voce di Andromeda, come sempre regale nel suo cappotto verde e nello chignon, accanto a Lupin. “Ma davvero, sei così bravo? Allora ci vuole proprio un superpremio! Vediamo un po’ … ah, ecco: fragola, il tuo gusto preferito …” sospirò la libraia, estraendo da una sfera incantata accanto alla cassa un leccalecca. “Grazie, zia Herm!” sorrise il bambino. “Ed ora andiamo a vedere questi libri, su, vieni, Teddy!” sospirò Andromeda, prendendolo per mano ed avviandosi di sopra. Hermione rimase a guardarli prima di rivolgersi a Remus, che la stava fissando. “È un bambino adorabile!” commentò, “Vero. per fortuna ha il carattere un po’ più mite di quello che aveva Dora o non avrei proprio saputo come gestirlo …” si ritrovò ad ammettere tristemente Lupin. “Sarebbe fiera di lui … ed anche di te.”
“Lo spero. Mi manca …” sospirò, deglutendo a vuoto. “Con Andromeda come va? Mi pare che ci sia una tregua …” sviò Hermione, decisa a fare in modo che Teddy non vedesse suo padre piangere. “Oh, Narcissa Malfoy aveva ragione: bisogna assecondarla, si rende conto da sola dell’errore.”
“Beh, la conosce da molto tempo, suppongo …”
“Si dice che chi ci conosce da bambini sappia descrivere esattamente come saremo da adulti …”
“Si dicono un sacco di cose!” considerò Hermione, facendo spallucce. “Comunque sei molto brava con i bambini, sai?” sorrise Lupin. “Oh, faccio solo quel che devo!”
“Tua figlia sarà molto fortunata …”
“Ancora con quella storia? La divinazione è una cosa così stupida!” sbuffò Hermione. “Non sempre e le banshee hanno indubbiamente una sorta di collegamento tra passato, presente e futuro che le rende molto più brave di noi a capire i segnali del destino ...”
“Certo, certo. E se non ne volessi?”
“Il fato non è d’accordo.”
“E deve decidere sempre lui?”
“Ovviamente.”
Hermione si ritrovò a sorridere, tanto che neanche sentì la porta aprirsi. Solo ad un lieve tossicchiare, si voltò. “Oh, Narcissa!” esclamò, inaspettatamente sorpresa nel trovarsi dinanzi ad un’elegante signora Malfoy in un lungo cappotto nero. “Ciao, Hermione. Professor Lupin …” salutò con un algido cenno. “Sono venuta per vedere se sono arrivati i libri che aveva ordinato Lucius la scorsa settimana …”
“Sì, sono tutti qui, devo solo trovarli, Cormoran è un tale disastro … si fa prima ad appellarli e ...”
“Meda!”
A quelle parole quasi spezzate di Narcissa, tutti si volsero verso le scale, dove Andromeda, assieme a Teddy, reggeva un libro. Alla vista della sorella, parve raggelare, l’espressione vuota ed imperturbabile …
Dopo un tempo che le parve interminabile, finì di scendere i gradini. “Tieni, Remus, paga tu, io ti aspetto fuori … non mi piacciono certi clienti …” replicò freddamente, rivolgendo un’occhiata colma di astio alla sorella prima di uscire con il nipotino. “Mi … mi dispiace.” rispose Lupin, affrettandosi ad allungare l’acquisto ad Hermione. “Non fa nulla: con lei è così. Forse sarà sempre così!” sospirò Narcissa, lo sguardo vacuo e perso in un punto indefinito sul pavimento. “Avete risolto le vostre divergenze?”
“Grazie anche al suo consiglio sì!” annuì Remus, accettando il resto. “Perciò La ringrazio. Le dia tempo: Meda è … testarda. Ma cambierà idea …”
“Chissà …” mormorò Narcissa. “Si fidi di Lei. Arrivederci … ciao, Hermione!” si congedò Lupin con un sorriso prima di uscire. Hermione allungò delicatamente gli ordini a Narcissa, ridestandola dai suoi tristi pensieri. “Ecco qui.” sorrise debolmente. “Grazie, cara. Scusa per questa … scena, ma, vedi, è … complicato. La famiglia è complicata.”
“Lo so, eppure chi non ne ha una desidererebbe averla …”
“Perché senza siamo tutti anime perse nella brughiera, non trovi?”
“Un po’ …” annuì la giovane: chissà perché le sorelle Brontë continuavano a tornare nella sua vita …
“A proposito, come sta Severus?” domandò la signora Malfoy. Hermione, al sentirlo nominare, avvampò. “Perché lo chiedi a me?” mormorò, sulla difensiva. “Perché lo vedi più spesso di chiunque altro per questa storia dei libri … lui da noi non viene più. Credo sia perché si sente in colpa per Draco … ha la pessima tendenza a sentirsi in colpa per tutto.”
“Sì, l’ho notato. Comunque, sta bene …”
“Mi fa piacere. Quando lo vedi, potresti farmi la cortesia di ricordargli che gli inviti presuppongono una risposta? Possibile affermativa?”
“Ci proverò ma non garantisco che capisca.” sorrise Hermione. “Oh, non capirà senz’altro. Bene, vado, allora: ti lascio al tuo lavoro …”
“A presto.” salutò la Grifondoro, guardando la donna sparire fuori dal negozio, oramai deserto e prossimo alla chiusura. Con un sospiro, iniziò a smistare la posta del giorno: le dispiaceva sinceramente sia per Andromeda che per Narcissa. In cuor suo, sperava si riconciliassero, ma ci sarebbe voluto tempo … del resto, poteva anche capire la situazione di Andromeda: lei stessa non aveva più una conversazione civile con Ron da due anni, nonostante un tempo fossero stati migliori amici. Era triste come la vita potesse separare persone un tempo profondamente legate …
“Oh, guarda!” esclamò, notando una lettera indirizzata a lei e proveniente dal Ministero della Magia: era raro che ricevesse scritti di qualunque tipo. Per la maggiore, di solito, erano tutte per Florence o addirittura per Cormoran, non certo per lei …
L’aprì senza pensarci troppo e, dopo solo poche righe, l’apparente serenità che credeva di aver raggiunto si sgretolò come creta: si ritrovò ad annaspare, improvvisamente senza più un briciolo di aria nei polmoni. Sentì le tempie pulsarle convulsamente e la testa girare mentre si aggrappava con forza al bancone ed il foglio scivolava a terra, leggiadro come una ballerina. Respirò a fondo, con il solo risultato di agitarsi ancor di più e, con dita tremanti, riuscì a chiamare l’elfo Brix appena in tempo prima che tutto diventasse ottenebrato dalla paura …
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Quando Hermione si smaterializzò nel sobborgo babbano, sobbalzò: stentava a credere di essere davvero nel posto giusto … eppure sapeva che si trattava di quello. L’aveva visto tante volte, in privato ed in pubblico, nei ricordi di Piton ed aveva ascoltato la descrizione di Harry: sapeva che quel luogo era davvero Cokworth, città natale di Lily e di Severus. Eppure, nonostante fosse ben conscia di ciò che l’aspettava quando, dopo un tè e mille domande, aveva pregato l’elfo Brix di chiudere al posto suo e si era smaterializzata, non poté che provare un senso di oppressione nel ritrovarsi per quelle stradine sterrate tutte uguali, incastonate tra vecchie case in pietra dai comignoli fumanti, da cui, in lontananza, si scorgevano i profili delle fabbriche al lavoro. Non poté che trovare delle somiglianze con la Coketown di Dickens … deformazione professionale, indubbiamente. Con dita ancora tremanti, strinse a sé borsa e cappotto scuro e si avviò per le strade deserte, alla ricerca, nei nomi scheggiati delle vie, di ciò che stava cercando. In pochi passi, trovò Spinner’s End e la percorse sino ad arrivare ad una casa identica alle altre, forse solo un po’ più cupa, dal cui comignolo usciva del fumo. Nell’abitazione di fronte, una vecchia stava portando dentro i panni e le rivolse uno sguardo infastidito. “Se cerca aiuto, non è là che lo troverà!” bofonchiò. “Sto cercando casa Piton, a dire il vero … e credo di averla trovata.” rispose Hermione di rimando. “Ah, allora sì, è nel posto giusto … ma, se vuole un consiglio, non si trattenga molto … brutta gente, quella.”
“Davvero?”
“Tipi strani: i vecchi sono morti anni fa. Lui, ubriaco, ha ucciso lei. In prigione … ergastolo, penso. Il figlio lavora non so dove … non parla mai, penso sia muto. Da bambino sicuramente lo era.”
Hermione avrebbe voluto chiederle altro, ma la donna, per tutta risposta, rientrò in fretta in casa, sbattendo la porta con veemenza e lasciandola sola sotto un cielo plumbeo dinanzi alla casa di Piton. Hermione sospirò, salendo gli scalini che conducevano all’ingresso. Prima di bussare, si bloccò, appoggiandosi alla parete per riprendere fiato: da quando aveva deciso di andare lì, non si era fermata neanche un momento a pensare, cosa alquanto strana per lei. Quella lettera l’aveva sconvolta molto più di quanto credesse, tanto da farle scordare di essere quasi svenuta poco prima e da farla precipitare da Piton nel mezzo della settimana. Brix l’aveva pregata di attendere il giorno seguente o, perlomeno, di accertarsi che non fosse ad Hogwarts, ma lei sapeva già che si trovava lì: aveva sentito che ne parlava con Mina. Apparentemente, aveva delle faccende da sbrigare ‘a casa’ … e casa sua non poteva che essere quella.
Bussò, esitante e, mentre aspettava che qualcuno venisse ad aprire, una sensazione di inadeguatezza si impossessò di lei: cosa diamine le era venuto in mente? Presentarsi lì, senza preavviso, per chiedere cosa, poi? Una cosa talmente stupida che avrebbe potuto sbrigare benissimo da sola … ma allora perché, tra tutti, nel bel mezzo di una crisi, aveva sentito il bisogno di andare proprio da lui?
Colta dal panico, stava per voltarsi ed andarsene, quando la porta di casa si spalancò e, sull’uscio, comparve Severus Piton, nella sua solita veste di professore. Al vederla, il suo viso venne attraversato per un brevissimo istante da una smorfia di stupore, ma svanì subito. “Che ci fai qui?” sbottò, invece. “Non mi pareva che avessimo un qualche appuntamento … men che meno a casa mia.”
“L-lo so …” biascicò Hermione, torturandosi le mani, agitata. “Ma dovevo … dovevo …”
“Dovevi cosa?”
La giovane trattenne il fiato: si sentiva impotente, debole, messa a nudo, dinanzi a quello sguardo d’ossidiana. “Niente, non fa niente.” strascicò, voltandosi per andarsene. Un braccio la arpionò saldamente, facendola voltare e sobbalzare: Piton era a pochi centimetri da lei. “Non sembri stare molto bene, Hermione … vieni dentro, su. Qualunque cosa fosse, dev’essere importante per venire fin qui …” asserì, invitandola a seguirlo. La Grifondoro annuì, accodandosi a lui in silenzio.
L’interno della casa, se possibile, era anche peggio: c’era legno ovunque, ma era tarlato e scheggiato. L’ambiente era ordinato e pulito, seppur piccolo e tremendamente buio: nel complesso, le dava un senso di oppressione. “Siediti.” le ordinò perentorio il pozionista, facendola accomodare in un salotto che dava sulla strada dalle pareti ricoperte di libri. Due poltrone ed un divanetto di fronte ad un caminetto acceso completavano l’arredo. Hermione si lasciò cadere sul divano con un sospiro, osservando Piton sistemarsi a braccia conserte dinanzi a lei, un sopracciglio pericolosamente alzato. “Beh?”
“Beh … cosa?” sospirò la ragazza, trattenendosi dal balbettare: aveva improvvisamente freddo, nonostante il calore del fuoco. “Come sapevi che ero qui?”
“Ho sentito che ne parlavi con Mina … non temere, la sua reputazione è al sicuro …”
“Mi preoccupa di più la tua, al momento: sei pallida, tremi e sembra che tu abbia appena visto l’Oscuro Signore in persona … voler sapere perché mi pare il minimo …”
“Te l’ho detto, è una cosa stupida …” sospirò Hermione, passandosi una mano sul viso. “Così stupida … non sarei dovuta venire qui, davvero, non …” esclamò, scattando in piedi. “Questo lascialo giudicare a me. Perché sei qui, così sconvolta, per giunta?” la frenò l’uomo, rispingendola a sedere. La giovane puntò su di lui gli enormi occhi nocciola, sentendosi spaesata e sola più che mai: cosa sperava di trovare, lì? Comprensione, affetto e belle parole? Sarebbe dovuta andare dai Potter, per quelle, non dal mago più temuto ed odiato del mondo magico ... cosa le era saltato in mente?
Improvvisamente, il nodo alla gola che le ottenebrava la mente oramai da ore iniziò a sciogliersi, mentre la morsa che le stringeva il cuore si fece più pressante. Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra e, subito dopo, prese a piangere convulsamente e copiosamente: calde lacrime amare le rigavano le guance, premute contro le sue mani e gemiti le scuotevano il petto, rendendole quasi impossibile respirare.
Piton, dal canto suo, la fissava, sconcertato: non si aspettava quella reazione. Le aveva detto cose molto più orribili e non aveva pianto in quel modo …
“Ricomponiti, Granger, non mi pare proprio il caso!” l’ammonì, con il solo risultato di farla piangere ancor di più. “Per Salazar, mi stai allagando il salotto, si può sapere che diamine c’è?”
In risposta, Hermione gli allungò la busta che stringeva tra le mani da quand’era arrivata. Severus incarcò un sopracciglio, fissandola sospettoso prima di prenderla. “Aspetta qui.” intimò, scomparendo in cucina per poi tornare con una tazza di tè tra le mani. “Tieni: bevi. Ti farà bene.” sospirò, passandole un fazzoletto. “G-grazie …” balbettò lei, osservando il liquido caldo. “Ma … è al limone!” constatò. “Ti crea qualche strana reazione allergica?” considerò il professore, prendendo posto sulla poltrona accanto al camino e dispiegando la lettera. “No … di solito lo bevo con il l-latte.” sospirò lei. “Vorrà dire che oggi lo sperimenterai al limone. Chissà che, per ossimoro, non ti renda meno aspra …”
Detto ciò, in pochi istanti, lesse le righe vergate con una scrittura disordinata. In due parole, gli fu chiaro il motivo del turbamento della giovane, che, nel frattanto, aveva smesso di piangere, ma non era riuscita a bere neanche un sorso di tè. Per qualche istante, il rumore del fuoco che crepitava nel camino fu l’unica interruzione del continuo silenzio della stanza. “Sei consapevole che si tratta di uno specchietto per le allodole?” disse, dopo un po’, Piton. “Ma … lì dice che è stata scoperta una pozione che potrebbe restituire i ricordi ai miei genitori senza effetti collaterali …”
“L’unico modo sicuro per poterlo fare è usare il contro incantesimo, nonostante i pericoli che potrebbe comportare …”
“Ma forse è una nuova scoperta … per questo volevo chiederti se …”
“Non ne ho mai sentito parlare, Hermione ed anche se fosse nuova, andrebbe comunque sperimentata … vuoi forse far fare ai tuoi da cavie?”
“No, ma …”
“Il no è più che sufficiente come risposta: quando li ritroverai, dovrai eseguire il contro incantesimo.”
Se li ritroverò.”
Il silenzio calò nuovamente su di loro, pesante e carico di rimorso. “Non possono essere fuggiti su Marte, sono babbani … li troverai.” disse, dopo un po’, Piton, osservandole il volto scavato e gli occhi persi. “Non ne sono poi così sicura, a dire la verità … sono passati anni. Anni in cui erano soli a viaggiare per il mondo, spaesati e senza meta, per colpa mia, della loro figlia …”
“Le ricerche verranno intensificate non appena troveremo quei libri: li troveranno.”
“Come fai ad esserne così sicuro?”
“Non lo sono, ma se ti dicessi che non li troveranno mi allagheresti di nuovo il salotto ...”
Hermione si lasciò sfuggire un sorriso ed un sospiro. “Credo di sì … ma in caso potresti …”
“Non sperimenterò questa pozione, men che meno per i tuoi genitori.”
“Ma il …”
“La gente vuole essere famosa e cerca di abbindolare chiunque … questo ciarlatano ha provato ad imbrogliare te, dicendoti di avere la soluzione a tutti i tuoi problemi, quando probabilmente non ha nulla. Quando imparerai che nel mondo non ci sono solo fiorellini ed unicorni?”
“L’ho già imparato a mie spese tempo fa.” reagì Hermione. “E non mi sembra proprio il caso di rispondermi così …”
“Non è neanche il caso di piombarmi in casa in questo modo, se è per questo!”
“E perché, l’ho forse disturbata mentre si intratteneva con le sue amichette, professor Piton?” esclamò Hermione, sprezzante, levandosi in piedi. Si rese conto di quello che aveva detto solo dopo, quando sentì lo sguardo gelido ed inflessibile del professore addosso. “Anche se fosse, non sarebbe certamente affar tuo, Granger …” sibilò. “Anzi, mi chiedo perché tu non sia andata a farti consolare da Lupin, visto che siete tanto in confidenza …”
“Sarebbe stato meglio, visto come sono stata trattata qui …” sbottò lei, riprendendo la lettera e dirigendosi a passo rapido verso l’ingresso, cercando di trattenere le lacrime che premevano per scendere libere sul suo volto già abbastanza pallido ed emaciato. Che stupida era stata: si era illusa di vedere cose che non esistevano … Piton gentile, persino affascinante: che idiozia!
Non appena ebbe spalancato la porta di casa, tuttavia, tutti i suoi propositi andarono in fumo nel trovarsi dinanzi Minerva McGranitt, avvolta in un morbido scialle grigio. “Hermione?” esclamò la donna, sbarrando gli occhi. “Professoressa!” balbettò lei, sentendo le guance imporporarsi. “I-io non …”
“La signorina Granger era qui per chiedermi una consulenza.” annunciò Piton alle sue spalle, facendola sobbalzare. “Posso capirlo, ma … in questo stato? Cielo, Severus, l’avresti lasciata andare via così?”
“Era lei a volersene andare … ed ora dobbiamo discutere del cambio del docente di …”
“Oh, può aspettare, non essere il solito burbero! Vieni, Hermione, su … stai tremando: probabilmente, hai anche la febbre. Hai preso freddo, forse? Severus, portale qualcosa di caldo ed una coperta, devo spiegarti tutto io, per Merlino?” ordinò Minerva, circondando il braccio della giovane e spingendola nuovamente all’interno. Prima che potesse protestare, le tolse il cappotto e la fece sedere sul divano, avvolgendola in una coperta a scacchi. “G-grazie …” balbettò lei. “Cielo, ma ti sembra il modo di andare in giro?” sospirò la professoressa. “Era per i miei genitori …” ammise Hermione, liberandosi da quel peso che si portava dietro da tutto il giorno, allungandole la busta. Minerva la squadrò prima di inforcare gli occhialetti e leggerla attentamente. Un’espressione addolcita le si dipinse sul volto. “Temo che non sia affidabile, Hermione … è una delle tante truffe pervenute al Ministero di recente … fanno così, adescano maghi e streghe per avere soldi …”
“È quello che ha detto anche il professor Piton …” mormorò la giovane, rendendosi improvvisamente conto di quanto fosse stata sciocca. “Certamente. Ma posso solo immaginare che modi abbia usato … vero, Severus?”
Questi, in risposta, bofonchiò qualcosa, allungando alla ragazza un’altra tazza di tè, stavolta, con sorpresa di Hermione, con del latte caldo. “Ha solo detto la verità … è colpa mia, non ho voluto vedere.” mormorò la Grifondoro, accettando con gratitudine. “Certo, ma credo che siamo tutti un po’ … sregolati quando si tratta di sentimenti, no?” sospirò Minerva mentre Piton si accomodava accanto a lei. “E, fatevelo dire, nessuno di voi due è particolarmente bravo con le emozioni … e neanche io!”
“Perché siamo avendo questa conversazione invece di parlare del nuovo docente di Trasfigurazione, Minerva?”
La preside sospirò. “Ecco, Hermione, vedi cosa intendevo? Non fraintendermi, è un brav'uomo, ma così ... acido.”
"Grazie Minerva, davvero, voi Grifondoro sembrate nati apposta per tormentarmi l'esistenza ... credo che sia presente anche nel giuramento che fate nella vostra torre, vero?"
"Certo ed indossiamo anche abiti d'epoca prima di bruciare una tua foto!"
La ragazza sorrise appena a quelle parole: era stata sciocca, era vero ed aveva malgiudicato Piton. Di nuovo. Forse avrebbe dovuto smetterla di essere sempre così tanto sulla difensiva ... dopotutto, fidarsi e lasciarsi andare, a volte, non era poi così sbagliato.
Prese un sorso di tè: era caldo e piacevole. “Ci ho messo anche della Dolcesonno … cerca di riposare.” le disse malamente Piton, rivolgendole un’occhiata strana prima di mettersi a parlare con Minerva di curriculum e candidati. In men che non si dica, il calore della bevanda fluì nell’animo stanco, solo ed infreddolito di Hermione, riscaldandola e dandole una sensazione di quiete tanto profonda che, nel giro di poco, la fece precipitare nel primo sonno completamente sereno da mesi.




 

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Capitolo 14
*** Amorentia ***


Capitolo Quattordicesimo
Amorentia

If only love were so easy to distill when feelings fade
I’d burn off the liquid of your love until the crystals of myself remained
but even then my heart it would be stained
(Distill, Kyler England)
“Che ne pensi di questo?”
“Sinceramente?
“Sì.”
“Ti fa sembrare una pera. Cotta.”
“Ok, va bene, tanto non piaceva neanche a me … invece questo?”
“Oh … ti rende … ti rende …”
“Carina?”
“No, una mela. Marcia, però, non cotta.”
“E quest’altro?”
“Seriamente? Vuoi essere la regina della festa o la regina delle fate?” sbuffò Mina, facendosi aria con la mano mentre scrollava la chioma mossa. “Heather, ti prego, falle vedere qualcosa di serio, di adatto!” implorò. La proprietaria di ‘Oscure Tentazioni’, che assomigliava spaventosamente a Morticia Addams sia nell’aspetto che nei modi di fare, sorrise, entusiasta, dirigendosi negli anfratti più oscuri del suo negozio.
Hermione, istintivamente, si strinse nelle spalle: si trovavano oramai da ore in quel negozio di abiti dalle scure pareti di velluto viola di Notturn Alley, ma ancora non avevano acquistato niente. O, meglio, Mina non aveva voluto che prendessero nulla: ogni proposta di Hermione era stata rigettata con commenti sprezzanti e scuotimenti del capo da parte della vampira. Ora capiva perché fosse amica di Piton: sembrava condividessero il morboso gusto a smontare qualsiasi aspettativa altrui.
“Non devi incupirti perché boccio le tue proposte: non sono male … forse per un party con gli elfi domestici o da quei maghi con i capelli rossi potrebbero andare bene, ma non per un evento come quello a cui parteciperai, capisci?” intervenne la vampira, lisciandosi il cappotto blu. “Credevo che l’abito dovesse rappresentare chi lo indossa, non chi lo guarda.”
“È questo il problema: quei vestiti non sono adatti a te. Scegli solo cose che ti nascondono, tesoro, mentre tu devi mostrarti … sei bellissima, lascia che tutti se ne accorgano!”
“E se, dopotutto, non volessi che gli altri se ne accorgano, sempre che sia vero?” sospirò Hermione, incrociando le braccia. “Allora la tua è un’insicurezza che devi curare. Ma si può sapere chi ti ha messo in testa di essere brutta? Guardati, per Dracula!” esclamò, scattando in piedi e conducendola dinanzi allo specchio. “Ammirati, tu che puoi!” decantò la vampira. Ma Hermione, osservando la propria figura, non vide nient’altro che una ragazzina sciupata e troppo pallida con delle occhiaie ben evidenti che non si truccava e, come unico traguardo, era riuscita a rendere i capelli mossi da ricci. Non vedeva tutta la bellezza di cui parlava Mina nemmeno sforzandosi …
“Sono solo normale.” sospirò. “Se tu sei normale, io sono la regina delle fate, tesoro: sei l’esatto contrario di ‘comune’. Non credo esista nessuno con il tuo cervello alla tua età …”
“Può darsi, ma non vedo nulla di che, dunque non vedo perché dovrei indossare abiti magnifici …”
“Hai un visino delicato, un naso perfetto, occhi di una sfumatura invidiabile e capelli che tutte vorrebbero avere, mossi e morbidi.” la interruppe la vampira, incrociando le braccia. “Non importa com’eri cinque anni fa, devi smetterla di vederti ancora in quel modo: conta solo come sei adesso. E posso garantirti che sei una splendida giovane donna. Perciò finiamola di mortificarci con quegli stracci e pensiamo ad indossare un abito con la ‘a’ maiuscola! Poi, se non trovassimo nulla, potrei sempre prestarti uno dei miei …”
“Non credo facciano al caso mio …” sorrise Hermione. “Troppo … scuri.”
“Uhm, un po’, sì. Ma il nero è prima di tutto eleganza, cara … poi funerale, ma lasciamo perdere questo …”
“Devi scusarmi se ti rispondo così, oggi … sono … beh, un po’ in ansia.” ammise la Grifondoro, espirando. “Detesto balli e feste: l’ultima volta che vi ho preso parte non è andata bene.”
“Beh, qui perlomeno hai il vantaggio che nessuno ti conoscerà.” ribadì la vampira, rivolgendole uno sguardo strano mentre tornava a sedersi. “Non so se sia propriamente un vantaggio … l’unica persona con cui potrò parlare liberamente è Piton e non è che lui parli poi molto. Soprattutto non dopo essergli piombata in casa implorandolo di dar retta ad una truffa per i miei genitori …” sospirò, portandosi una mano al collo: ricordava ancora con estremo imbarazzo quell’episodio. Senza Minerva a salvare la situazione, probabilmente il tutto si sarebbe risolto in una litigata. Come diamine le era venuto in mente di andare lì e, per giunta, di accusarlo di essere troppo impegnato con le sue amichette per parlare con lei? Chi era per aver avuto la presunzione di parlargli in quel modo? E perché, ancora, tra tutti era andata proprio da lui?
“Dagli una possibilità.” annunciò Mina all’improvviso, stupendola tanto per il suo tono serio da farla sobbalzare. Si volse a guardarla e colse negli occhi della vampira un’ombra di serietà che mai aveva visto prima. “Severus, fondamentalmente, è un incompreso … come te. Anche se per altri motivi …” proseguì, cauta. “Te l’ho già detto, ma lo ribadisco: è pessimo con gli altri semplicemente perché non sa come esprimere i propri sentimenti, perché parte dal presupposto che non possa essere amato in nessun modo possibile, se non da un pazzo, forse. Ha passato la vita come emarginato, cercando disperatamente di appartenere a qualcosa … perché credi si sia unito a Voldemort, da giovane? I Mangiamorte erano gli unici ad accettarlo per la sua conoscenza delle arti oscure e lui voleva far parte di un gruppo. Non è mai stato cattivo, mai … le circostanze della vita l’hanno portato ad esserlo. Eppure, nonostante tutto, ha sacrificato mezza vita per proteggere il figlio della donna che amava e che non l’ha mai ricambiato … se non è un eroe questo, non saprei proprio chi o cosa lo sia. Per questo ti ribadisco di non commettere l’errore di malgiudicarlo per un gesto o una parola … probabilmente non aveva cattive intenzioni e voleva aiutarti. Solo, gli mancano i modi gentili e pacati a cui sei abituata ... poi, sicuramente, tu avrai sfoggiato la tua bella armatura di risposte per le rime et voilà, il disastro è servito! Ti concedo però che è un testone, questo sì …”
“In effetti …” mormorò Hermione, aggrottando la fronte dinanzi allo specchio: Mina non era la prima a dirglielo, del resto. Sapeva che aveva ragione, ma cambiare atteggiamento, per lei, era complicato, se non addirittura impossibile … figurarsi per uno orgoglioso come Severus Piton.
“Ma basta parlare del nostro amico pipistrello: dimmi un po’ di Remus Lupin, invece … ha un figlio, diceva?”
Hermione si lasciò sfuggire un sorriso senza voltarsi. “Ti interessa?”
“Per pura curiosità: non lo conoscevo, tutto qui …” dissimulò Mina con un’alzata di spalle. “Certo ...” annuì appena la ragazza. “È vedovo, comunque: sua moglie, Ninfadora Tonks, era una strega piena di vita e … di allegria. Credo sia stata una delle migliori persone che abbia mai conosciuto. È morta in guerra, lasciandolo solo con il figlio di pochi mesi, Teddy. Ora vivono con la madre di lei, Andromeda Tonks … il suo cognome da nubile era Black ...”
“La sorella di Bellatrix e Narcissa, certo, ricordo quello scandalo … una purosangue Black che fugge con un nato babbano, uno vergogna senza precedenti!” confermò la vampira. “Così dicevano all’epoca. Remus insegna Difesa contro le Arti Oscure ad Hogwarts.”
“Questo lo sapevo … ma … com’è diventato lupo mannaro?”
“È stato morso da bambino. Da Greyback …”
“Il più maledetto bastardo tra gli schifosi bastardi, certo ...”
Hermione si volse a fissarla, sconcertata dal cambiamento di linguaggio. “Quando ci vuole ci vuole!” si giustificò lei. “Perché ti interessa Remus?” riprovò la Grifondoro. “Curiosità, te l’ho detto … ma dove si sarà cacciata Heather?”
“Non mi sembri una che si interessa alle persone per puro spirito d’iniziativa …”
“Ed infatti non lo sono …”
“Ma?” incalzò Hermione. Mina sbuffò, accavallando le gambe. “Ma niente … è solo che è … gentile. È strano per un uomo: di solito sono tutti dei gran bastardi ...”
“Non direi: mio padre è un brav’uomo. Ed anche James, Sirius, il signor Weasley e tutti i suoi figli, chi più chi meno, il professor Vitious, Hagrid, Neville, Draco, Harry …”
“Sì, sì, saranno anche brave persone, ma quanti di loro davvero eviterebbero in tutti i modi ad una donna di soffrire per loro senza compiacersene? La risposta ti sorprenderebbe!”
“Sono piuttosto sicura che lo farebbero tutti, in realtà.”
“Le persone sono tutte uguali, donne ed uomini, sai? Prendono quel che gli interessa e poi ti mollano ...” bofonchiò Mina, lo sguardo perso nel vuoto. Hermione rammentò la storia che la vampira le aveva raccontato appena conosciuta e sentì una morsa allo stomaco: quanto doveva aver sofferto? Quanto dolore nascondeva sotto quell’aria sempre sorridente e spavalda?
“Mi dispiace, io …” mormorò. “Non importa: non è mica colpa tua!” sorrise l’altra, amara. “È quando rimani così scottato è difficile fidarsi di nuovo …”
“Di Severus però ti fidi …” constatò la Grifondoro senza neanche pensarci. “Sì, perché lui rientra tra quei pochi che sono davvero diversi.”
Hermione avrebbe voluto chiederle perché ne fosse tanto convinta visto che la vampira stessa le aveva detto che tra di loro non ci fosse mai stata alcuna implicazione sentimentale, ma il rientro di Heather con una pila di abiti la interruppe. Sospirò, insospettabilmente seccata per l’interruzione, senza neanche capire perché le importasse tanto sapere la ragione per cui Piton fosse diverso ...
“Ho giusto trovato qualche modello che potrebbe fare al caso suo, signorina Granger …” sorrise la commessa. “Ad esempio, questo nero: dà così tanta allegria … mio marito lo dice sempre!”
Hermione sgranò gli occhi. “No, la signorina non è il tipo, Heather … però aspetta: vedo qualcosa che potrebbe proprio fare al caso nostro … ti dispiace?” esclamò Mina, spalancando le palpebre nel vedere qualcosa che, evidentemente, la Grifondoro non riuscì a cogliere. “Ti piace?” disse, estraendo un abito dalla pila. Al vederlo, la ragazza sobbalzò, quasi spaventata da tanta bellezza: era un modello davvero stupendo, tempestato di brillantini. Con la gonna a campana, sul bordo era di un viola scuro che man mano sfumava in un delicato glicine. Le spalline, formate da vari strati di velo, le fasciavano le braccia a sufficienza, ma lasciavano scoperte le spalle, mentre il corpetto, sul davanti, aveva un decoro a grappolo che sembrava vagamente un piccolo roseto in miniatura. Hermione spalancò la bocca, troppo meravigliata per parlare: era bellissimo, più di qualunque altro vestito avesse mai visto o indossato, persino più di quello che aveva messo al Ballo del Ceppo. “È … è …” biascicò, incapace di parlare. “È esattamente quello che intendevo io, grazie Heather, lo prendiamo!” completò per lei Mina. “Ma … ma come, senza neanche provarlo?”
“Non occorre, sono vestiti magici, pensati appositamente per adattarsi automaticamente alla figura dell’indossatrice!” spiegò Heather. “Ma … costerà una fortuna!” tentò debolmente di protestare per l’ultima volta Hermione, troppo incredula che una ragazzina come lei potesse indossare qualcosa di così bello. “Non paga il Ministero, scusa? Lascia che spendano, con quello che ti stressano è il minimo!” la zittì Mina con un gesto di noncuranza. “Piuttosto … abbiamo anche dei begli orecchini da abbinare, Heather cara?”
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“Il suo tema non è desolante, signor Pugsley: vuole sapere come lo definirei?”
“N-non saprei, professore: insufficiente?”
“Imbarazzante, proprio come la sua pessima conoscenza della lingua inglese. Le sembra davvero normale per un ragazzo della sua età commettere questi errori ortografici? A meno che non abbia un importante ritardo mentale o sia mezzo cieco, ovviamente … una t è fin troppo generosa, per quanto mi riguarda l’anno prossimo non studierà più pozioni. Buona giornata.”
Severus Piton si godette l’espressione sconcertata e vagamente mortificata del giovane Grifondoro mentre, dopo la lavata di capo appena ricevuta, si voltava ed usciva dall’aula in tutta fretta, neanche avesse appena parlato con il demonio in persona. “Teste di legno …” borbottò Piton, guardando i banchi vuoti nella buia e maleodorante classe dei sotterranei: ogni lezione che passava si convinceva sempre più che, dopotutto, trovare quei maledetti libri ed andarsene da Hogwarts non sarebbe stato affatto doloroso come l’aveva dipinto Hermione. Non gli dispiaceva abbandonare le occhiate piene di astio degli studenti, le espressioni rammaricate dei colleghi al suo passaggio, le lamentele di Gazza e gli scherzi di Pix … quel posto che un tempo era stato per lui una casa non gli diceva più nulla. Quando guardava le sue stanze, non vedeva altro che sofferenza ed i suoi alunni, ora più che mai, lo infastidivano e basta. Non c’era nessun stupido bambino sopravvissuto con occhi capaci di riportarlo al passato a cui badare, nessuna fastidiosa dinastia Weasley o qualche Paciock da schermire, né una saccente so-tutto-io da correggere e stroncare con soddisfazione … che senso aveva rimanere? Per cosa? Per uno stipendio, certo. Per ironia della sorte, essere quasi morto in guerra non era valso neanche a fargli ottenere l’ombra di un centesimo come premio per il suo sacrificio. Certo, da un lato capiva ed era d’accordo, se lo meritava: era un essere così spregevole che neanche la Morte l’aveva voluto con sé. Che mai poteva pretendere dalla Vita?
Sospirò, tornando alla correzione dei compiti senza smettere di fissare la porta dell’aula vuota di tanto in tanto: ma che diamine sperava che accadesse, che Minerva gli offrisse un sussidio e delle ferie pagate? O che Pix facesse saltare in aria il dormitorio dei Grifondoro sotto gli occhi di un’atterrita preside? O che Hermione si presentasse lì con il suo sorriso, un consiglio ed una torta al caffè e rum? E perché diamine ora, nei suoi desideri impossibili, c’era anche la Granger? Doveva essere messo molto peggio di quanto pensasse …
“Severus, posso entrare?” domandò la voce pacata di Lupin, già sulla soglia, ridestandolo dai suoi tormenti. “Mi risulta che tu sia già entrato, quindi è piuttosto inutile che me lo chieda …” sibilò Piton, rivolgendogli un’occhiata infastidita prima di tornare ai compiti. “Giusta osservazione: volevo chiederti se potessimo programmare una lezione insieme per il quinto anno.” sorrise il mannaro, prendendo silenziosamente posto dinanzi al Serpeverde. Severus alzò appena gli occhi dal foglio, sollevando pericolosamente un sopracciglio. “Come, prego?” mormorò appena. “Hai capito bene: una lezione programmata ed interdisciplinare. Vorrei trattare della difesa dai folletti della Prussia e so che, al quarto anno, in pozioni ci sono in programma proprio le pozioni distillate a partire dalle loro lacrime … potrebbe essere interessante e stimolante!”
“Per te forse, per quelle zucche vuote del quarto anno sicuramente no. E, inoltre, sarebbero ben due lezioni, una a Grifondoro e Tassorosso ed una a Corvonero e Serpeverde.”
“Sarebbe anche un’occasione per mostrare che tra i professori c’è collaborazione, così da spingere i ragazzi a superare le divergenze di casa.”
“Giusto, giusto. Fammici pensare … no.” ghignò, crudelmente soddisfatto. Lupin sospirò. “Immaginavo che sarebbe stata la tua risposta … posso almeno chiederti di pensarci su?”
“Ci penserò, ma la mia risposta non cambierà.”
“Mai dire mai: io ci spero sempre!”
“Spera pure, ma sappi che solitamente per chi lo fa non va mai a finire bene …” bofonchiò Piton, tornando a correggere le verifiche. Dopo qualche istante, però, alzò la testa: Remus era ancora lì, immobile e lo stava fissando con aria perplessa. “Non hai nessuna riunione con Potter e Black a cui partecipare? O qualche recita scolastica di tuo figlio?” sbottò. “No: vedo James e Sirius molto meno del previsto e Teddy è con Andromeda ora ...”
“Uhm.”
“Che significa ‘uhm’?”
“Che riconosco la tua situazione, la comprendo. Basta. Ora puoi andartene …”
“Il fatto è che non è più come prima. Con James e Sirius, intendo: non capiscono. Non del tutto.”
“Drammaticamente sconvolgente, davvero: quei due non hanno mai avuto poi questa grande intelligenza, lieto che ora anche tu mi dia ragione …”
“Intendo che non pensano più alla guerra, mentre io sì.”
Il silenzio calò sull’aula per qualche minuto prima che Lupin riprendesse a parlare, accavallando le gambe con un sospiro. “Sai, James ha la sua famiglia, vive di rendita con i soldi dei suoi, Sirius ha un’eredità immensa e pensa solo a divertirsi e fare goliardate, mentre io … beh, io devo fare i salti mortali per barcamenarmi tra un lavoro impegnativo, accettare tutti gli incarichi possibili per guadagnare qualche soldo in più e badare a Teddy, che mi riempie di domande, con le continue minacce e le lamentele di Andromeda sul collo.”
“Benvenuto nel magico mondo dei reietti, Lupin …”
“Lo ero già da bambino. Dai tempi di Hogwarts, in realtà, solo che allora ero un ragazzino contento solo di avere degli amici fantastici, non capivo …”
“Ed ora cosa sarebbe cambiato, scusa? Hai ancora degli amici ‘fantastici’ … certo, per il vostro concetto di fantastici ...”
“Mi manca Dora.”
A quella rivelazione così lapidale ed inattesa, persino Piton sollevò lo sguardo, sorpreso e si riscoprì comprensivo nel vedere quello completamente perso e colmo di lacrime di Lupin, sparso per la stanza. “Mi manca come l’aria.” continuò con voce rotta. “E nessuno lo capisce. Nessuno. James e Sirius mi hanno addirittura consigliato di trovarmi un’altra donna, perché Teddy avrebbe bisogno di una mamma … ma non posso, non ci riesco. Come posso dimenticarla? Come posso tradirla e fingere che non sia mai esistita? Era l’unica cosa buona della mia vita, l’unica che mi aveva visto per come sono, al di fuori del lupo mannaro … io ci ho provato, davvero, ma senza di lei non ce la faccio.”
Piton rimase, immobile, a fissare la figura sempre più gobba di Lupin che si asciugava una lacrima furtiva. Rimasero così per un po’, senza parlare, finché Severus non estrasse dal cassetto una bottiglia di whisky e fece apparire due bicchieri. “Non è un po’ presto per bere?” constatò Remus. “Sono quasi le cinque: è ammissibile. Anche se gente più … purosangue lo considererebbe inadeguato.” ghignò, versando una generosa dose al mannaro ed allungandogli il bicchiere. “In tal caso … grazie.”
“Non ti aspettare che lo faccia per te …” bofonchiò Piton, prendendo un sorso del suo. “E perché, allora?”
“Perché bere fa sentire meglio e, se ti sentirai meglio, te ne andrai prima.”
Lupin abbozzò un sorriso triste. “Avrei dovuto aspettarmelo.”
“Direi di sì. Ora bevi in silenzio, poi alzati ed esci.”
Il mannaro sospirò, osservando il liquido ambrato vorticare nel bicchiere mentre Severus, la penna che già stava ricominciando a tracciare delle decise ‘t’ sui compiti, lo stava già degustando.
“Sai che fa sentire meglio perché ci sei già passato anche tu, vero?” esordì Remus dopo il primo sorso. “No, semplicemente perché mi informo ed è piuttosto noto.”
“Era così che cercavi di non pensare a Lily da giovane?”
A quella domanda, un gelido silenzio calò sulla stanza, drappeggiando il suo velo di tristezza nell’aria. “Domenica scorsa si è lamentata che non vai abbastanza a trovarla …” proseguì il Grifondoro, tranquillo. “Sai com’è … lavoro … contrariamente a lei.” bofonchiò Piton in tutta risposta, terminando il suo bicchiere in un sol sorso. “Anch’io, ma un secondo per andare dai Potter lo trovo comunque …”
“Quello che tutti vi ostinate a non capire …” scattò Severus, quasi sibilando di irritazione. “È che non tutti vogliono vivere felici e contenti in delle comunità parafamiliari … ci sono persone che desiderano soltanto stare soli, in pace, senza seccature alcune. Ed una di queste, guarda caso, sono io.”
“La solitudine porta alla follia, se eccessiva …” commentò Lupin, con sguardo quasi compassionevole. “E tu hai solo Lily …”
“Non mi risulta che venga a trovarmi o che mi scriva per sapere come sto dopo una settimana di duro lavoro, sai, Lupin?” sbottò il Serpeverde, tracciando una ‘d’ tanto profonda da bucare il foglio su una verifica. “Beh, ha la sua famiglia …”
“Famiglia di cui non faccio parte, lo so.”
Remus sospirò. “È perché sei ancora innamorato di lei, è per questo che …”
“Per l’ultima volta!” lo interruppe malamente Piton, faticando a nascondere il tremore delle sue mani. “Io non sono innamorato di Lily Evans: è una vecchia amica d’infanzia a cui ho distrutto la vita, null’altro. Se non l’avessi notato, Lupin, tutto ciò che tocco ha la pessima abitudine di morire e solitamente per causa mia …”
“È per questo che non vuoi più vederla? Temi di portare sfortuna?”
“La sfortuna è per gli sciocchi, il realismo per gli intelligenti. Molto semplicemente, non sopporto le famiglie felici.”
Lupin annuì: capiva, in un certo senso. “Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro …”
“Ogni famiglia infelice è infelice a modo suo, sì, sì, non serve citare Tolstoj!” sbuffò, infastidito. “Conosci Anna Karenina?”
“Ti stupisce? Leggo più di te, considerato il tempo che perdi dietro a quel marmocchio che cambia colore …”
“Te l’ha consigliato Hermione? So che è uno dei suoi preferiti!”
Il nome della strega ebbe il magico potere di spegnere ogni possibile diatriba sul nascere. Piton, lentamente, sollevò lo sguardo, incontrando quello nocciola del mannaro. “Sì.” confermò solo prima di tornare a leggere i suoi desolanti temi. “Mi ha raccontato che vai spesso da lei!”
“Vado spesso al Ghirigoro, è diverso …”
“Ma, quando ci vai, chiedi di lei ...”
“È la meno irritante dei dipendenti di madame Florish.”
Lupin rise, terminando il suo whisky e beccandosi un’occhiata che avrebbe ridotto in lacrime mezza Hogwarts. “Non puoi negare che sia brillante, andiamo!” affermò, una volta che si fu ripreso. “Non ho mai negato che lo fosse: ha del potenziale, ma viene oscurato dalla sua saccenza …”
“Sai meglio di me che non è così.”
“Non credo che le serva un avvocato difensore, sai? È piuttosto brava a cavarsela da sé!”
“State passando un bel po’ di tempo assieme, ultimamente!”
Quell’affermazione fece scattare Piton sulla sedia in modo tanto improvviso e violento da far sobbalzare persino Remus. “Che vorresti insinuare con questo?” sibilò, visibilmente adirato. “Niente … solo che, tra la ricerca di questi libri e le tue visite al Ghirigoro, vi vedete spesso. Nulla di sconveniente, non mi permetterei mai …”
“Lo spero … per te.”
Dopo qualche istante di mutismo interrotto solo dal ticchettio della penna sul foglio, Lupin aggiunse, pensieroso: “Anche se non ci sarebbe nulla di male …”
Severus sospirò, portandosi due dita alla base del naso e sollevando lo sguardo sul mannaro. “Non ci sarebbe nulla di male? Stiamo parlando di una ragazzina con vent’anni meno di me, una mia ex studentessa che ho visto crescere ed ho conosciuto quand’era solo una bimbetta tutta denti e capelli a cespuglio … sarebbe da pervertiti anche solo pensarlo ...”
“Sarebbe da pervertiti pensare che qualcuno possa amarti?” sorrise Remus. “Non conosco nessun altro che meriterebbe la felicità più di te, Severus …”
“Davvero? Ma che fortuna …”
“Hermione mi parla spesso di te: mi chiede se so come stai, perlopiù … sai, sono stato io a consigliarle di essere più … gentile con te, di provare ad aprirsi un po’, perché forse tu ti saresti aperto a tua volta. Un po’ ti conosco … era contenta che avesse funzionato!”
A quelle parole, apparentemente, Severus non ebbe reazioni, continuando ad intervallare la correzione al whisky, ma, mentalmente, ringraziò anni ed anni di spionaggio ed occlumanzia per aver imparato a nascondere così bene le sue emozioni. Il suo cuore, infatti, stava galoppando come un cavallo selvaggio ed aveva la gola più arsa di un deserto.
“Non significa niente: quella ragazzina ha pessimi gusti. Altrimenti come spiegheresti che si fosse interessata ad Allock e Weasley?” commentò distrattamente. “Sarà. Ma mi pare che vi stiate simpatici a vicenda …”
“Io detestavo lei e lei detestava me, ad Hogwarts …”
“Appunto: detestavi. Passato.”
“Un passato che non è cambiato.”
“Come vuoi. Comunque, ripeto che non ci sarebbe nulla di male: anche tra me e Dora c’erano parecchi anni di differenza … tredici, per la precisione.” sospirò Lupin, alzandosi. “Tredici non sono venti.” replicò freddamente Severus. “Sarà, sarà … comunque, visto che andrai al ballo con lei sabato, cerca di non azzannarla!”
“Quella è la tua specialità durante la luna piena, non la mia!”
Lupin sorrise nuovamente con aria stanca, dirigendosi verso la porta. “Lupin …” lo fermò Severus quando era già sulla soglia. “Sì?”
“Non passerà mai: imparerai a gestirlo, a ridimensionarlo ed incanalarlo, ma il dolore non svanirà. Ti sembrerà di vederla in ogni volto simile per strada e ti sentirai soffocare, quasi morire e non potrai fare nulla per evitarlo, nemmeno tra cent’anni … ma tu hai un figlio a cui pensare: fa’ in modo di essere per lui un punto di riferimento e non un alcolista svergognato.”
Remus rimase per qualche istante a fissarlo stupito da quella rivelazione inaspettatamente sincera. “Grazie. Ci proverò.” annuì. “Stammi bene, Severus … e cerca di non diventare un alcolista svergognato.”
Piton non replicò e, dopo qualche minuto, Lupin se ne andò chiudendo la porta. Immediatamente, il Serpeverde mollò la penna, portandosi le mani alla testa, sfinito: era stanco, profondamente stanco della sua vita. E, ultimamente, era anche peggio del solito … il tormento che credeva aver finalmente sepolto con il ritorno di Lily era tornato e, se possibile, era peggiore di prima, perché stavolta sapeva che l’altra persona, per qualche assurda ragione, non lo vedeva come una povera anima da salvare, ma come una specie di principe che avrebbe dovuto salvarla. Ma questo era quello che facevano i principi azzurri: il principe mezzosangue si limitava a starsene rinchiuso nel suo antro ed a rimuginare sulla sua sfortunata e indegna esistenza. E, come se non bastasse, quello che credeva fosse una sciocchezza, una semplice attrazione, si era rivelato qualcos’altro: l’aveva capito quando si era presentata disperata alla sua porta ed aveva cercato disperatamente di allontanarla, senza grandi risultati. Tutta colpa di Minerva, ovviamente … fosse stato per lui, non l’avrebbe trattenuta: avrebbe fatto meglio ad andarsene il più lontano possibile da lui.
Si alzò e si diresse con passo veloce allo scaffale contenente le provette delle sue tanto amate pozioni, la sua consolazione, nonché l’unica salvezza dal grigiore della sua cupa esistenza svuotata di ogni significato. Con dita stranamente tremolanti, prese una fialetta distillata di recente e l’aprì cautamente: subito, la schiena venne attraversata da brividi gelati quando, insieme al solito profumo di libri, sentì anche un dolce aroma di muschio bianco.
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Mentre si dirigeva verso il portone d’ingresso di una Hogwarts praticamente deserta, vista l’ora e la data, ad Hermione non parve più una poi così splendida idea l’aver scelto l’abito indicatole da Mina. Nonostante il pesante cappotto viola e lo sciarpone, infatti, stava letteralmente congelando: sperava solo che la tenuta degli Hart fosse adeguatamente riscaldata.
Come indicatole da Piton, giunta al portone sgusciò dentro senza bussare ed imboccò con decisione la via degli umidi sotterranei, rischiarati solo dalla fioca luce delle lanterne alle pareti. Avanzò a tentoni, ignorando i brividi che le percorrevano la schiena al ricordo di quei luoghi umidi, freddi e bui in cui aveva sviscerato rospi e ricevuto alcuni dei peggiori insulti che le fossero stati rivolti: le cose potevano anche essere cambiate ed il tempo passato, ma, per lei, Hogwarts non era solo indice di bei ricordi come per Harry. Tra quelle mura c’era stata così tanta sofferenza che quasi soffocava alla radice i momenti felici che vi aveva trascorso …
Giunta dinanzi alla porta dell’ufficio di Piton, si bloccò, scoprendosi ansimante: aveva praticamente corso, nonostante i tacchi. Con un sospiro, si ricompose e, cercando di contenere il battito impazzito del proprio cuore, bussò cautamente. Un gelido: “Avanti!” la spinse ad accedere cautamente nell’ambiente illuminato di verde.
Severus Piton la stava aspettando, rivolto allo scaffale ed intento a passare meccanicamente in rassegna i testi in suo possesso. Hermione notò con sorpresa che non era vestito come al solito, contrariamente a quanto si sarebbe aspettata: indossava un completo blu notte, una camicia bianca, panciotto e l’immancabile ascot al collo, a coprire la cicatrice di Nagini. Nel complesso, risultava incredibilmente elegante, non bello nel senso convenzionale del termine, ma senz’altro particolare, interessante ed unico nel suo genere. Non si voltò a guardarla come aveva pensato e, segretamente, sperato, limitandosi ad indicarle il camino con un gesto secco. “Appariremo direttamente a casa Hart, c’è un camino magico. Ho provveduto a collegarlo.” disse. “Credevo che fossero babbani …” considerò Hermione, chinandosi per cercare disperatamente di non sporcare il vestito. “Lo sono, ma i loro antenati erano maghi. Sorprendente quanto poco si conosca dei posti dove si risiede, non credi?” ghignò, infilandosi un cappotto nero e raggiungendola. Senza guardarla, comunicò la destinazione, gettò la polvere ed attese che le fiamme li trasportassero alla tenuta degli Hart.
Quando il fuoco verde fu svanito, Hermione, ancora con gli occhi chiusi, lentamente li aprì, uno ad uno e quasi spalancò la bocca per la sorpresa: il salone che s’intravvedeva in basso, oltre la balaustra di marmo era a dir poco magnifico. Circolare e decorato da lunghi tendaggi drappeggiati di broccardo scarlatto, sfoggiava un lucido pavimento di marmo rosa tanto splendente da consentire alle figure di riflettervisi, tavolini ricolmi occupati da un ricco buffet e da numerose alzatine e fontane di una sostanza perlacea indefinita. Gli invitati già numerosi volteggiavano nel salone, sfoggiando i loro abiti sfavillanti, mentre l’orchestra si esibiva nel Valzer dei Fiori.
Hermione era talmente sorpresa ed incantata da essere letteralmente a bocca aperta. “Hai intenzione di startene nel camino tutta la sera?” la ridestò Piton, facendola quasi sobbalzare mentre questi usciva dal focolare in un balzo sicuro. “Avrei bisogno di una mano, se non ti spiace …” reagì lei. Il professore la fissò appena, alzando gli occhi al cielo prima di allungare la mano verso di lei in un gesto sbrigativo. Hermione la accettò, seppur alzando gli occhi al cielo e saltò fuori a sua volta, levandosi il cappotto con un gesto risoluto. Il Serpeverde, per contro, in quell’esatto istante, si maledisse per il solo essersi ritrovato ad indugiare fin troppo su di lei: sapeva perfettamente che venire lì sarebbe stata una pessima idea e ne aveva appena avuto la conferma. Hermione, sorridente in quell’abito dalle mille sfumature di viola, quei lunghi orecchini a grappolo ed i capelli mossi poggiati su una spalla, era così bella da far sfigurare persino le luci della sala da ballo. Il profumo di muschio bianco che tanto aveva evitato, rigettato e tentato di scordare, oramai, gli riempiva le narici, impedendogli di sentire qualunque altra cosa.
“Non … non ti togli il cappotto?” mormorò Hermione, notandolo immobile accanto a lei. “Stavo aspettando … magari qualcuno ci avrebbe chiesto da dove veniamo.” si giustificò lui, ridestandosi. “Non credo … solitamente raccolgono i soprabiti all’ingresso.”
“Invece noi li lasceremo qui, ce ne andremo come siamo arrivati. Ed ora forza, vediamo di darci una mossa!” borbottò Piton, visibilmente infastidito dall’occasione mondana a cui, purtroppo, si apprestava a partecipare, dirigendosi verso la scalinata. “Ai balli babbani il cavaliere dovrebbe attendere la dama per scendere i gradini, sai?” sbuffò Hermione, faticando a stargli dietro. “Io non sono un babbano e nemmeno tu.”
“Credevo che il tuo scopo fosse evitare che ci scoprissero … facendo così daremo ancor più nell’occhio, non credi?”
“Te l’ho mai detto che sei indisponente e petulante, Granger?” sbuffò Piton, avvicinandosi e tendendole la mano, irritato. “A volte.” rise lei, accettando di buon grado ed iniziando a scendere le scale.
Man mano che scendevano i gradini, sentì il braccio di Severus irrigidirsi sempre più, turbato, forse, dalla folla sempre più pressante della festa. O forse dalla sua vicinanza …
Scacciò il pensiero: stava pur sempre parlando di Piton. Figurarsi se avrebbe mai anche solo pensato a lei come una donna e non come l’irritante studentessa grifondoro che tanto aveva odiato …
Non appena raggiunsero la pista, l’orchestra iniziò a suonare un lento e tutte le coppie presenti, chi più chi meno, iniziarono a volteggiare, ridendo e scambiandosi sguardi innamorati. Hermione rimase per qualche istante a fissarle, rapita, quando uno schiocco di dita vicino all’orecchio la fece sobbalzare. Non appena si rese conto di chi era stato, sbuffò sonoramente. “Ricomponiti: dobbiamo capire dove si trova la biblioteca: la banshee ha detto che il libro è lì.” l’ammonì Piton, pratico e freddo. “E credi davvero di riuscire a scoprirlo facendo l’emarginato della festa?” rimbeccò Hermione, infastidita. “Perché tu che idee avresti, sentiamo?”
“Per me, dovremmo confonderci con gli invitati ed approfittarne poi per avvicinare qualche dipendente così da chiedergli dove si trova la biblioteca. Daremmo meno nell’occhio …”
“Ogni tanto vedo che la tua testolina grifondoro riesce a partorire anche qualche idea sensata, per quanto melensa …” ghignò. “Beh, per quanto sdolcinata, temo sia l’unica! E non la metteremo in pratica standocene qui …” sospirò la ragazza. “E cosa proponi di fare, darci ai casquè volteggiando per la stanza?”
“Ballare non sarebbe male …”
“Se pensi che sia venuto per farti da accompagnatore ad una festa mondana ti sbagli di grosso …”
Hermione gli rivolse uno sguardo indecifrabile, deluso, forse, ma con una punta di malizia. “Oh, ma non intendevo chiedertelo, infatti …” sorrise, avvicinandosi cautamente ad un giovane a bordo pista prima ancora che Severus potesse protestare.
Il pozionista si ritrovò, così, fermo a bordo pista mentre tutti attorno ballavano e si divertivano, lo sguardo fisso su un ragazzotto biondo che faceva ridere e volteggiare Hermione. Sentì lo stomaco contrarsi spiacevolmente a quel déjà-vu: era giusto così, del resto. Restarsene nell’ombra e fare da tappezzeria era quello che aveva fatto per tutta la vita: era abituato a guardare la felicità altrui senza poterla assaporare e condannato a guardare la donna che amava tra le braccia di un altro. E da quando in qua diceva di amare una come la Granger? Erano quasi sicuramente gli ormoni a parlare per lui: lei era stupenda e lui sentiva la vecchiaia incombere penosamente su quel che restava della sua ombra. Tutto qui. Come poteva esserci altro?
Cercò disperatamente di pensare a Lily, che, quasi sicuramente, era tra le braccia di Potter, ma non sembrò importargli poi molto: nessuna fitta gli bucò il cuore, se non quella di inadeguatezza e solitudine eterna a cui era oramai abituato. Albus gli aveva sempre detto che sarebbe andato avanti, ma lui non ci aveva mai creduto poi molto e non lo faceva nemmeno in quel momento. Osservò il biondino far volteggiare Hermione e sentì la gola bruciare: Mina aveva ragione, dannatamente ragione, per quanto avesse tentato di dissimularlo. Era geloso di una ragazzina saccente … la stessa che gli aveva ridato un po’ di amor proprio. L’unica, oltre ad Albus e sua madre, che aveva visto del buono in lui. E proprio perché si era accorto di voler sentire sempre quel dolce profumo di muschio bianco doveva lasciarla perdere: non poteva sopportare di rovinarle la vita. Non di nuovo.
Non appena la canzone terminò, Hermione si congedò con un sorriso dal suo accompagnatore. Un moro all’angolo si stava già dirigendo prepotentemente verso di lei, deciso a prendere il suo posto e Severus, vedendo quella scena, sentì la nausea aumentare a dismisura, tanto da fargli compiere l’unico gesto possibile per farla cessare. Ad ampie falcate, raggiunse Hermione in pista e l’afferrò, tirandola a sé non appena la musica iniziò a risuonare nell’aria. Il Serpeverde si diede mentalmente dello stupido mentre sentiva il cuore accelerare al sentire la lieve pressione della giovane su di sé ed il suo profumo inondargli le narici …
“Perché?” mormorò Hermione in appena un sussurro. Severus spostò gli occhi su di lei e sollevò le sopracciglia nel vederle il viso arrossato. Colpa del ballo, quasi sicuramente …
“Perché no?” ribatté, facendola volteggiare lievemente sulle note di una canzone dall’aria vagamente malinconica. “Balli … balli bene.” mormorò Hermione dopo alcuni interminabili minuti di silenzio tra di loro, cercando disperatamente di frenare il tremore alle mani ed il sudore che le colava lungo la schiena all’improvvisa vicinanza di Piton. “Lo so.”
“È presuntuoso da parte tua dirlo …”
“Lo so.”
“Dove hai imparato?”
“Tutti i Serpeverde apprendono a ballare da bambini.”
“Te l’ha insegnato Minerva?”
“No, mia madre. Ed è stata un’insegnante ben peggiore di quanto possa esserlo stata Minerva …”
“Più severa?”
“Più scoordinata … non le piaceva ballare.”
“A te piace?”
“No.”
“Allora perché mi hai invitata?”
“Per evitare che ti lambiccassi quel cervellino propenso ai drammi con quei quattro ragazzetti idioti …”
“Ora sei superficiale e strafottente.”
“Mai quanto te.”
Hermione si lasciò sfuggire un sorriso e Severus distolse immediatamente lo sguardo, benedicendo l’occlumanzia: alla sua collezione di figuracce mancava solo arrossire.
Continuarono a volteggiare lentamente per il resto della canzone, immersi in un silenzio totale, seppur non imbarazzante, ma Piton si bloccò all’improvviso quando, passando accanto alle fontanelle poste vicino al buffet, sentì un profumo caratteristico che lo sconvolse. Hermione, colta alla sprovvista, finì per pestargli un piede. “Accidenti, Granger, sei più imbranata di Paciock!” sbottò lui. “Scusami tanto se non ho saputo prevedere che ti saresti fermato!” sbuffò lei. “Si può sapere che è successo?”
“Niente, per Salazar, niente!”
“È per le fontane di Amorentia?”
Il professore sollevò lo sguardo, ritrovandosi a fissarla negli enormi occhi nocciola. “Come sai che è Amorentia?” mormorò. “Non sono stupida come pensi, sai?”
“Non l’ho mai pensato …”
A quelle parole, Hermione trattenne istintivamente il fiato. “Senti il profumo di gigli, di Lily, vero?” sussurrò appena. Non voleva conoscere la risposta, non davvero, almeno. “Sì.” mormorò appena Piton in risposta, dopo un tempo che le parve infinito. Una fitta trapassò lo stomaco di Hermione, che si limitò ad annuire, ritrovandosi stupidamente incapace di dire qualunque altra cosa. Come aveva potuto essere così sciocca da aver anche solo ipotizzato che si sarebbe potuto interessare a lei? Che cos’era lei, in confronto a Lily? Niente …
“Stavate ammirando queste fontane? Pensavamo fosse la sostanza delle bolle di sapone, ma si è rivelata comunque efficace … ha un buon profumo, anche se non tutti concordano su quale sia!” esclamò una voce alle loro spalle. Si voltarono quasi contemporaneamente, ritrovandosi dinanzi uno strambo tipo dai capelli biondicci a spazzola ed un bizzarro completo melanzana. “Oh, scusatemi, non mi sono ancora presentato: John Lawrence, piacere!” sorrise. “Harry Smith e Sally Kane.” rispose prontamente Piton. “Siete amici di mio cognato?”
“Prego?”
“Jonathan Hart, il proprietario di casa.”
“Siamo membri di un club del libro a cui è iscritto il signor Hart!” annuì Hermione. “Ci aveva promesso che ci avrebbe mostrato la sua splendida biblioteca, ma …”
“Ah, è sempre impegnato, quello!” sbuffò. “A tradire mia sorella, per inciso. Comunque, se cercate la biblioteca, è di sopra, prima stanza a destra. Ci sono un sacco di libri, ma quelli più rari sono in delle teche ... ce n’è uno strano, tipo specchio …”
“Davvero? Beh, sembra proprio che dovremo insistere con Jonathan, vero?”
Piton annuì mentre Lawrence si congedava sbrigativamente, dirigendosi in pista. I maghi si scambiarono un’occhiata veloce prima di lanciarsi verso le scale di servizio. Salirono i gradini a rotta di collo, precipitandosi al piano superiore, Severus in testa. “Aspettami!” protestò la Grifondoro, ansimando. “Avresti potuto mettere scarpe più comode!” sbuffò Piton. “Per un ballo?” ribatté lei, seguendolo oltre la porta indicata.
La biblioteca degli Hart, descritta come tanto magnifica, non aveva nulla di particolare: era piccola, scura e ricolma di volumi ben ordinati, ma non trasmetteva la solennità di Hogwarts o del Ghirigoro. “Teche di vetro, teche di vetro …” ripeté meccanicamente Piton, girovagando per la stanza. Hermione lo imitò prima di arrestarsi. “Lì!” esclamò. Il Serpeverde la seguì sino a ritrovarsi dinanzi ad una teca dentro cui v’era un libriccino sottile dalla copertina a specchio, decorato da intarsi argento. “Dev’essere questo …” sospirò Hermione. “Per forza, è l’unico simile.” confermò il professore, aprendo la teca e prendendolo. “Aspetta, lo rubiamo?” esclamò la Grifondoro, scandalizzata. “Sì e se non abbassi la voce ci scopriranno!”
“Ma …”
“Ma cosa, cos’altro dovremmo fare ancora, sentiamo?” sbottò Piton, esasperato. “Non lo so, ma rubare è sbagliato…”
“Granger, se vuoi ritrovare i tuoi genitori questo è l’unico modo.”
“Non a costo di diventare disonesta!” ribatté lei, afferrando la bacchetta da sotto il vestito. “Gemino!” esclamò. In pochi istanti, un libro perfettamente identico comparve nella teca. “Sei consapevole, in quella tua testolina, che non è possibile duplicare un libro oscuro, mi auguro!” sibilò Piton. “Lo sono, ma non voglio sentirmi disonesta a vita!” replicò, fissandolo con sguardo adirato. Rimasero a fissarsi, furibondi per qualche istante prima che Piton indicasse la porta. “Andiamo, forza!”
Hermione lo seguì senza replicare. Entrarono nel camino e, presi i cappotti, scomparvero mentre la festa ancora imperversava senza dirsi neanche una parola.
Quando riapparvero nel camino dell’ufficio di Piton, il professore saltò fuori ed appoggiò immediatamente il libro sul tavolo. “Una serata pessima!” sbottò, allentandosi l’ascot e dirigendosi verso il cassetto per prendere del whisky. “Con tutte quelle coppiette melense e quel rosso … così orrendamente grifondoro … così terribilmente sdolcinato …”
“Forse c’è anche qualcuno che sogna di innamorarsi, invece di disperarsi …” sospirò Hermione, dirigendosi lentamente al divanetto e sedendovisi prima di fissare il libro con sguardo vacuo. “Colgo una lieve irriverenza nel tuo tono …” ghignò Piton, prendendo un sorso di liquore. “Irriverenza? Mi parli proprio tu di irriverenza? Per tutta la sera non hai fatto altro che essere … pessimo!” strepitò lei, fissandolo con sguardo stanco. “Non sono neanche riuscita a godermi una minuto della festa!”
“Non eravamo in gita turistica!”
“Ma speravo di poter respirare almeno per una sera, senza dover sempre pensare ai miei genitori, al lavoro ed a tutti i problemi che mi assillano di continuo!”
“Sai che problemi …” ghignò Piton, quasi malvagio. “In confronto salvare il mondo magico è così insignificante …”
“Perché invece crogiolarsi nell’alcool e nei rimpianti è uno stile di vita sano, vero?” replicò lei, asciutta, aprendo di scatto il libro: sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma la tentazione era troppa. Le pagine bianche, dopo appena qualche istante, iniziarono a ricoprirsi di una scrittura elegante ed anticata. “Hermione Jean Granger, nata il 19 settembre, Grifondoro, lavora al Ghirigoro e vive al Paiolo Magico … tutto vero.” lesse, sospirando. “Ma niente di sorprendente.”
“Agli occhi dei più certamente non rivelerà nulla di che!” le fece eco Piton, sedendosi accanto a lei. “Sente terribilmente la mancanza dei propri genitori e piange ogni sera sul suo gatto Grattastinchi …” mormorò la ragazza, sentendo la curiosità spegnersi. “Teme di non rivederli mai più e di aver causato loro indicibili sofferenze avendo cancellato la loro memoria per salvarli da …” proseguì, imponendosi, poi, di non andare oltre. Improvvisamente, aprire quel libro non le sembrava più una grande idea. “Per questo domani lo porteremo al Ministero …” la interruppe Piton in tono piatto, prendendole il volume dalle mani. Hermione annuì, voltandosi per leggere cosa dicesse il libro in mano al professore. “Severus Piton, nato il 9 gennaio, Serpeverde, è professore di pozioni ad Hogwarts, capocasa di Serpeverde e vicepreside … e fin qui …” commentò, sorridendo appena. “Non ci trovo nulla da ridere … non ti rendi conto di quanto sia pericoloso …” sbottò lui. “Ha un serio problema con il whisky … vero!” proseguì lei, imperterrita, avvicinandosi appena. “Non lo ammetterebbe mai, ma si sente terribilmente in colpa per la morte di sua madre, di Silente e per tutte quelle che ha visto come Mangiamorte e come spia. Dorme poco e male, è tormentato dagli incubi, crede che nessuno possa amarlo ed avrebbe voluto morire nella battaglia di Hogwarts. Detesta andare dai Potter perché odia vedere la felicità altrui …” continuò, sentendo il sorriso spegnersi. “Si sente ancora in colpa con Lily Evans perché crede di averle rovinato la vita e di non aver fatto abbastanza per ricompensarla. Adora conversare di letture con Hermione Granger. La sua amorentia profuma di libri e muschio bianco e nei sentimenti è un codardo.”
Le guance di Hermione si arrossarono all’istante: muschio bianco e libri corrispondevano a lei … ma non era possibile, doveva trattarsi di qualcun altro, per forza! Come poteva essere …
Si ritrovò a respirare affannosamente senza neanche rendersene conto. “Mente.” sibilò Piton alle sue spalle, la voce bassa e spazzata. “Non sono un codardo …”
Hermione si volse di scatto a fissarlo ed un brivido le attraversò la schiena incontrando gli occhi d’ossidiana non più freddi e spietati, ma illuminati da un singolare scintillio che vi aveva scorto solo quando parlavano di libri. Una cosa che lui sembrava adorare …
“Sì che lo sei.” ribatté lei, deglutendo: improvvisamente aveva la gola secca, le guance in fiamme, le mani sudate ed il cuore a mille. Il volto di Piton parve assumere un’espressione di rabbia. “Non sono un codardo!”
“Sì, invece: lo sei perché non riesci ad affrontare il fatto che la guerra sia finita e che tu sei vivo.”
“Non dirlo!”
“Che non sei l’assassino di Silente, né di Lily, né di nessuno.”
“Sei solo una ragazzina, non capisci!”
“No, sei tu che non capisci che se sei ancora qui non è per sprecare la tua vita nel rimpianto e nel rimorso, ma per vivere davvero! Tu finora sei solo sopravvissuto, ma non è così che funziona!”
“Che ne sai tu di come funziona?”
“So che meriti la felicità, ma non fai nulla per averla.”
“Non merito proprio niente e tu sei soltanto un’illusa che legge troppe favolette …”
“Nessuno si è mai preoccupato per te, hai respinto i pochi che l’hanno fatto ed ora sei solo … e non è giusto!”
“Non sei tu a dirmi cos’è giusto e cosa no! E chi vorrebbe mai preoccuparsi di me, eh? Qualche pazzoide con delle sindromi strane …”
“Io! Sono io, perché la tua Amorentia odora di me!” quasi gridò Hermione, rendendosi conto solo allora di quanto fossero vicini, di quanto poco mancasse perché si sfiorassero. Era inondata dal profumo di menta, muschio e libri antichi, tanto da non rendersi più conto di niente che non fosse la presenza di Piton dinanzi a lei. Rimasero in quella posizione per interminabili istanti, finché, di scatto, Severus non le fermò il viso ed annullò la distanza tra le loro labbra. Inaspettatamente, Hermione non lo respinse, né s’irrigidì: si aggrappò disperatamente alle spalle vigorose del Serpeverde e chiuse gli occhi, abbandonandosi alla tremolante danza delle loro bocche che sembrava sfuggire totalmente ad ogni controllo, a quel calore che la pervadeva in ogni angolo del corpo ed alla straordinaria sensazione di respirare di nuovo, davvero, per la prima volta nella sua vita.

Angolo Autrice:
Eccoci giunti ad un punto chiave: qui si chiude una prima parte di peripezie e sconvolgimenti e se ne apre un’altra molto più profonda ed innovativa, come potrete immaginare! Ciò che è certo è che a questo bacio seguiranno molte conseguenze …
Vi consiglio caldamente la canzone ad inizio capitolo, che è anche quella del ballo: è molto triste, ma resta una delle mie preferite!
Ne approfitto per augurare Buona Pasqua a tutti coloro che passano di qui e per ringraziare di cuore chiunque abbia inserito la storia nelle preferite/ricordate/seguite e tutti coloro che hanno recensito, davvero: non avrei mai pensato che quest’avventura cominciata per caso potesse piacere così tanto, perciò grazie mille!
Alla prossima!
E.

 



 

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Capitolo 15
*** Ciò che fa più male ***


Capitolo Quindicesimo
Ciò che fa più male

What hurts the most
Was being so close
And having so much to say
And watching you walk away
And never knowing
What could've been
And not seeing that love in you
Is what I was trying to do
 (What hurts the most, Rascal Flatts)
“Hermione … ehi, Hermione: tutto ok?”
Hermione distolse lo sguardo dalla finestra, sobbalzando al sentirsi chiamare. Sforzandosi di sorridere, seppur a fatica, annuì a Tom, che la fissava apprensivo dal bancone del Paiolo Magico. “Sì, sì, tutto apposto … sono solo stanca, scusami! A lavoro è stata una giornata pesante …”
“Mi sembra che sia un periodo piuttosto difficile: è da due settimane che sembri triste e non parli molto … che non parli affatto, ora che ci penso!”
“Non è nulla, davvero: sono solo stanca.”
“Chiedi a Florence che ti dia delle ferie!”
“No, davvero, va bene così! Ora, se vuoi scusarmi, vorrei tanto andare a riposare …”
“Certo … a domani, allora.” annuì il locandiere, ritirandole il piatto con aria poco convinta.
Hermione gli rivolse un timido sorriso prima di avviarsi verso le scale. Una volta sulle scale, lasciò andare l’aria che aveva faticosamente trattenuto durante tutta la conversazione e tornò a fissare le goccioline di pioggia trasportate dal vento picchiare violentemente contro il vetro illuminato dai lampioni di una Diagon Alley che si apprestava oramai a chiudere i battenti. Apparentemente, il suo comportamento taciturno e pensoso poteva sembrare dettato dalla noia e dalla stanchezza ed era ciò che lei si affrettava a confermare ad ogni domanda. La verità, ben più arida, triste e sconsolante, però, era che quel giorno era mercoledì, il secondo mercoledì di fila che Piton non si presentava al negozio a comprare la sua solita scorta di libri, per la precisione. E la colpa, ovviamente, era di quello che era successo la sera del ballo …
Al solo ricordarlo, Hermione sentì il cuore gonfiarsi di tristezza ed una spiacevole fitta di inadeguatezza allo stomaco: dopo quel bacio, che era durato un’infinità, quasi le loro labbra faticassero a separarsi, Severus l’aveva allontanata in maniera inaspettatamente delicata, prendendole per le spalle. “Credo sia meglio che tu vada.” aveva detto, accompagnandola alla porta e facendola uscire senza aggiungere altro, lasciandola ferita e basita nei bui sotterranei di Hogwarts.
Il giorno seguente, al Ministero, quando avevano consegnato il libro ad una soddisfatta Umbridge, il mago aveva evitato persino di guardarla, acuendo, se possibile, il sordido senso di nausea di Hermione. L’aveva congedata con un cenno sbrigativo e, da allora, non si era più fatto né vedere né sentire, tantomeno per la ricerca dei libri. Hermione aveva seriamente dovuto sforzarsi per evitare di scrivergli o di presentarsi ad Hogwarts a chiedere spiegazioni e, in questo, l’aveva innegabilmente aiutata fare perno sul suo cuore sanguinante e sull’orgoglio ferito.  
Aveva seriamente creduto di impazzire in quei giorni interminabili e l’avrebbe sicuramente fatto, se non fosse stato per il lavoro al Ghirigoro: il consueto fare rese, cambiare vetrine, spostare scatoloni con uno schiocco delle dita e consigliare i clienti aveva dato un ritmo alle sue giornate, che ne sarebbero state altrimenti sprovviste. Quando non era al lavoro, se ne stava a letto, con Grattastinchi acciambellato addosso a sé, a darsi mentalmente dell’idiota ed a pensare e ripensare. Chi era Severus Piton? E cos’era diventato per lei? Avevano passato anni a detestarsi reciprocamente, per poi ritrovarsi ad essere, inaspettatamente, una sorta di collaboratori/amici. Erano stati costretti a passare fin troppo tempo a stretto contatto a causa della ricerca dei libri, ciascuno per le proprie ragioni e, anche se l’inizio non era stato propriamente idilliaco, pian piano si era ritrovata a scoprire un Piton decisamente diverso da quello che aveva sempre conosciuto. Aveva visto un uomo ferito e perso nei suoi mille incubi e nel suo passato che sembrava non voler più vivere, tremendamente fragile rispetto alla maschera di sarcasmo e sicurezza che aveva sempre ostentato. Nelle loro chiacchiere sui libri, che si tramutavano inevitabilmente in accese discussioni, aveva ritrovato una verve che credeva di aver perso, scoprendo, tra l’altro, aspetti dell’ex professore che mai avrebbe immaginato. La sua infanzia dolorosa o il fatto che gli piacessero le torte e che amasse i romanzi, persino quelli rosa, ad esempio. Quando le aveva concesso di chiamarlo per nome e le aveva detto che la riteneva intelligente, aveva sentito un inaspettato calore salirle al viso, lì per lì attribuito all’alcool o al caminetto di volta in volta. Solo in quel momento, a distanza di mesi, sapeva dare un nome ed un volto a quella sensazione: aveva iniziato quel progetto con la convinzione che dopo non si sarebbero più rivisti, ma aveva finito per innamorarsi di lui come, da ragazzina, si era invaghita di Allock o di Krum. Una stupida cotta per un uomo molto più grande di lei, una cosa che capitava, sì, ma che aveva smesso di considerare tale dopo quel bacio. Hermione, che in vita sua aveva baciato solo Ron, non credeva che si potesse provare un’emozione del genere: le sue labbra si erano mosse da sole, quasi sapessero perfettamente cosa fare, incollate a quelle del mago. Ancora non riusciva a togliersi dalla testa quel calore che la pervadeva, scacciando anche il più cupo dei suoi pensieri e la sensazione di essere, finalmente, leggera, libera e felice, di trovarsi al posto giusto, un posto che le apparteneva. E, poi, tutto era finito, bruscamente com’era iniziato …
Sospirò, raggiungendo la porta della sua stanza: Grattastinchi si era già dovuto sorbire tutte le sue lacrime, quasi aveva pena di lui e dello sguardo compassionevole e vagamente frustrato che le rivolgeva dopo ogni sfogo. Hermione, del resto, sapeva fin troppo bene di chi stava parlando: era pur sempre Severus Piton, lo stesso che l’aveva presa in giro per i denti da castoro, facendola piangere. Era ovvio che si sarebbe comportato in quel modo … dopotutto, perché avrebbe dovuto interessarsi ad una come lei, ad una sciocca ragazzina? Era stato un gesto dettato dalla serata, dall’euforia del ritrovamento del libro … eppure, lo stesso libro aveva detto che a Piton piaceva parlarle e che la sua Amorentia odorava di lei …
Tormentata dal tarlo del dubbio, in quei giorni sconnessi era persino arrivata a recarsi ai Tiri Vispi dei Weasley, pur sapendo che vi avrebbe verosimilmente visto Ron, solo per odorare di nascosto l’Amorentia e rendersi drammaticamente conto che profumava di menta, muschio e libri antichi … di Severus, in una parola. Era stato allora che aveva compreso di essersi condannata all’infelicità, perché quell’uomo non l’avrebbe mai ricambiata, per qualche oscura ragione che, ne era certa, riguardasse la sua incrollabile fedeltà a Lily. Si era ridotta ad essere gelosa della madre del suo migliore amico … Merlino, com’era caduta in basso! Si era ritrovata persino a mentire spudoratamente a Mina, quand’era venuta in libreria … lei, che aveva sempre pensato che mentire fosse sbagliato!
“Volevo solo sapere come stessi, è un po’ che non ci vediamo: hai fatto colpo al ballo, allora? Il libro?” le aveva chiesto appena l’altrieri la vampira, entusiasta. “Tutto bene.” aveva confermato Hermione, la gola improvvisamente secca. “Tutto qui? ‘Bene’?”
“Il ballo era gradevole ed il libro è stato facile da trovare.”
“Sai che la festa di San Valentino degli Hart è forse una delle feste più rinomate di tutta la Scozia, vero? Non può essere ‘bella’ e basta!”
“Ma lo è stata, credimi!”
“Certo. E Severus come sta? Non lo sento da un po’ … non che mi scriva abitualmente, certo!”
“Non lo sento neanche io.”
“Nemmeno per i libri?”
“No, siamo ad un punto morto.”
“Uhm. Si può sapere cos’è successo dagli Hart?”
Hermione aveva sollevato appena lo sguardo, incontrando quello indagatore della vampira. “Niente.” aveva dissimulato, riuscendo persino ad abbozzare un sorriso e ringraziando che i vampiri non potessero usare la legilimanzia. “Niente … certo!” aveva annuito questa, storcendo il naso poco convinta.
Inevitabilmente, al ricordo, sentì la fitta allo stomaco farsi sempre più profonda e dolorosa, ma la ignorò, infilandosi in camera e sbarrando la porta, espirando di sollievo: finalmente era in un ambiente dove poteva essere se stessa. Accese la luce, si liberò delle scarpe, salutò Grattastinchi con una carezza ed iniziò a sfogliare la posta del giorno. Tra le tante buste di pubblicità, quasi gridò quando si ritrovò con gli inviti ai matrimoni di Draco ed Astoria e di Harry e Ginny tra le dita. Nel silenzio e nella penombra della sua stanza, rimase a fissare le due buste bianche in silenzio prima che le mani iniziassero a tremolarle e, con un gesto risoluto, scagliasse a terra il vaso di fiori mezzi rinsecchiti che teneva in camera, facendo sobbalzare Grattastinchi. Si lasciò cadere sul letto, stanca e quasi pietrificata e vi rimase per un tempo che le parve infinito, ascoltando il silenzio rotto solo dal ticchettio della pioggia, così diverso dalle grida nella sua testa, cercando disperatamente di non pensare a nulla.
L’assoluta calma della stanza si ruppe un’infinità di tempo dopo, quando qualcuno bussò violentemente alla porta. Hermione sobbalzò, il cuore in gola e deglutì, decidendo, saggiamente, di fingere di non essere nella sua stanza: si vergognava a farsi vedere in quelle condizioni patetiche … e poi, probabilmente, era solo Tom. I colpi, però, non si fermarono, anzi: aumentarono, fino a quando non furono seguiti da una voce ben nota: “Hermione, sono Remus. Apri, per favore, ho bisogno di te!”
Senza riflettervi un istante, la Grifondoro si alzò ed aprì la porta: ammutolì completamente nel trovarsi di fronte Teddy stretto tra le braccia del padre, sfinito, febbricitante, con i capelli che cambiavano continuamente colore, il tremore che lo scuoteva ed i denti, improvvisamente affilati, in mostra, che quasi ringhiava e guaiva … proprio come un lupo.
Hermione incontrò lo sguardo di Lupin. “È tutta colpa mia … solo mia …” sussurrò appena questi, le lacrime ben visibili come perle agli angoli degli occhi.
֍֎֍
“Professore, La prego, sarebbe importantissimo per me …”
“No.”
“Potrebbe almeno promettermi di pensarci?”
“No.”
“Ma non avrà sicuramente impegni per fine luglio, la scuola chiude per le vacanze!”
“Potter, per l’ultima volta: io non verrò al tuo dannatissimo matrimonio con quel maschiaccio pel di carota della Weasley. Punto.”
“Ma …”
“Niente ma e ti sarei grato se tu e la tua deliziosa combriccola la finiste di tormentarmi! Ti auguro una serata tanto pessima quanto quella che mi hai fatto passare con le tue elucubrazioni!”
Prima che Harry, ancora in divisa da auror, potesse protestare, Piton, nel suo svolazzante mantello nero, aveva già girato bruscamente verso i sotterranei, abbandonandolo nella hall di Hogwarts tra la folla di ragazzine che si precipitavano da lui per chiedergli una foto o un autografo, nel disperato ed inutile tentativo di far colpo sull’eroe del mondo magico.
Man mano che il chiacchiericcio scemava, Severus parve tornare a respirare. Attraversò il corridoio illuminato dalle solite luci fioche e s’infilò nelle sue stanze sbattendo la porta con soddisfazione: era solo, finalmente. Certo, non era pienamente in pace, questo no, ma, quantomeno, era solo.
Con un sospiro di sollievo, si lasciò cadere in poltrona ed afferrò il whisky dal tavolo, massaggiandosi la testa: per sua immensa sfortuna, non aveva nulla da fare. Non c’erano compiti da correggere, lezioni da preparare, riunioni, consigli di classe, punizioni da infliggere né articoli da scrivere per le riviste di pozioni con cui collaborava … il vuoto assoluto, lo stesso che colmava la sua vita oramai da settimane … anni, se voleva essere onesto fino in fondo. Aveva pateticamente tentato di riempirlo con i suoi impegni abituali, ma, inevitabilmente, prima o poi arrivava sempre il momento in cui terminava di fare tutto e si ritrovava con la sola compagnia dei suoi pensieri. Ed era in quei momenti che la tiepida sensazione delle labbra di Hermione sulle sue e delle sue mani aggrappate disperatamente alle sue spalle veniva prepotentemente a farsi sentire, facendogli accelerare il cuore a tal punto da farlo pensare che gli sarebbe esploso nel petto. Si passò una mano sulla fronte, sospirando profondamente: se possibile, aveva toccato il fondo del fondo. Dopo vent’anni come spia con il cuore spezzato e l’anima macchiata di sangue, si era invaghito dell’ultima persona di cui avrebbe dovuto invaghirsi. Aveva sperato ardentemente che fosse solo attrazione, aveva tentato di ripeterselo in tutti i modi e le lingue conosciute, ma sapeva benissimo che così non era, non più, almeno: se chiudeva gli occhi, gli sembrava di sentire la sua risata e di vedere il suo sorriso. E questo non era un bene, per niente. Gli mancavano i mercoledì al Ghirigoro, ufficialmente per i libri, ma, in realtà, per avere la possibilità di vederla e di portare avanti con lei quelle discussioni tanto serrate che lo facevano sentire vivo, risvegliando una fiamma nel suo petto che credeva oramai freddo come una pietra tombale. Gli interessava sapere cosa pensasse quella saccente Grifondoro …
Ma assecondare i suoi sentimenti sarebbe stato sbagliato, questa era l’unica cosa di cui era assolutamente ed ineluttabilmente certo: Hermione era bella, giovane e talentuosa, avrebbe fatto strada, avuto la vita che voleva con chi voleva. Non poteva macchiare il suo avvenire con le ombre del suo passato, con il suo caratteraccio inasprito dalla vita e con il fardello di un vecchio di cui un giorno, ancora nel fiore degli anni, si sarebbe dovuta occupare. Sarebbe stato ingiusto e crudele e lui non lo era più da molto tempo nei suoi confronti. Come aveva potuto lasciarla avvicinare con i suoi incoraggiamenti ed i suoi complimenti? Possibile che non si fosse accorto che quella ragazzina troppo sveglia si era infatuata di lui? E come dannazione era stato possibile? La luce non era attratta dall’ombra, anzi, la fuggiva, normalmente.
Avrebbe dovuto continuare a comportarsi come al solito con lei, deriderla e schernirla … eppure, non poteva negare che fosse stato bello, finché era durato. Gli era piaciuto che Hermione gli sorridesse, che lo guardasse con uno scintillio nuovo, strano, che lo difendesse strenuamente, gli tenesse testa e lo facesse sentire che poteva essere amato … e gli era innegabilmente piaciuto baciarla, sentirsi circondato dal suo profumo e dal tremolio emozionato del suo viso.
“Ma ora è tutto finito …” si ritrovò ad ammettere: era giusto così, dopotutto. Lui non l’avrebbe più incoraggiata, lei se ne sarebbe fatta una ragione, si sarebbe sposata con qualche Weasley, avrebbe avuto dodici figli e trascorso la pensione in qualche località esotica, mentre lui sarebbe morto solo, nella sua polverosa e buia dimora, pensando a tutte le sue vittime ed alle occasioni perse che non aveva meritato. Un finale degno di una fiaba, non c’era che dire …
“Severus, ragazzo mio, smettila con quel whisky, per Merlino!” esclamò Silente dalla cornice. “Da due settimane bevi come una spugna!”
“Non sono affari tuoi, Albus …” sibilò Piton, tracannando un altro sorso. “Non sono morto per vederti finire in una clinica per alcolisti …”
“Ancor oggi non so per cosa tu sia morto, in effetti … per mano di chi sì, lo so benissimo, invece …”
“Non serve fare il vecchio professore acido solo perché lei ti manca, sai?”
Piton, a quell’affermazione, per qualche istante tacque. Solo dopo un po’ sorrise, beffardo e scosse il capo. “Non sapevo fossi anche un voyeur, ora, Albus …”
“Non trincerarti dietro gli insulti, Severus: non serve a nulla, lo sai meglio di me …”
“Io non insulto, diagnostico, è ben diverso …”
“E quale sarebbe la tua diagnosi di te stesso, la condanna all’amore infelice?”
“All’amore non corrisposto.”
“Non direi non corrisposto, anzi: francamente, mi è perso fin troppo corrisposto.”
Severus posò di scatto il bicchiere sul tavolo. “Vuoi farmi il piacere di tacere? Non sai cosa mi passa per la testa!”
“Vorresti dire che ti sei solamente preso gioco della signorina Granger per noia?”
“Esattamente.”
“Con le tue doti avrai anche potuto ingannare Voldemort e tutti i Mangiamorte, sai, ma non me, Severus … ti conosco meglio di chiunque altro e, nonostante tutti i tuoi muri, per me sei come un libro aperto e ciò che dici è completamente diverso da quello che leggo io …”
“Taci, smettila, basta! Mi avete stancato, tutti!” eruppe Severus, schizzando in piedi e scagliando il bicchiere nel camino, che avvampò all’istante. Stava per gridare nuovamente contro Silente, quando un insistente bussare alla porta lo fece sbuffare. Si passò una mano tra i capelli, raggiungendo l’uscio ad ampie falcate, pronto ad insultare chiunque si trovasse dall’altra parte ed osasse disturbarlo ben oltre l’orario di lavoro, soprattutto se Potter.
Quando, però, si ritrovò dinanzi il volto pallido ed emaciato di Hermione, tutto si fermò. “Hermione …” si ritrovò a mormorare, maledicendosi mentalmente per la rapidità con cui aveva reagito … avrebbe dovuto insultarla, cacciarla, forse, ma, al vedere quegli enormi occhi lucidi e tremolanti, non aveva saputo essere duro come si era ripromesso …
“Abbiamo bisogno del tuo aiuto … per Teddy.” mormorò lei con voce roca, stringendosi nel cappotto viola. Solo allora Severus registrò la presenza di Lupin, pallido come un fantasma, alle loro spalle e tutto preso dal tenere stretto a sé un bambino che doveva essere suo figlio e che, evidentemente, non stava granché bene …
“Non sono un medimago, Lupin …” mormorò in automatico Piton. “Dovresti portarlo al San Mugo se …”
“Mi sembra ben più che evidente che non posso: guardalo!” espirò Remus, indicandogli il figlio. E, effettivamente, Teddy Lupin decisamente non era solo raffreddato: tremava, il corpo percorso da spasmi, sembrava febbricitante, i capelli cambiavano colore ad una velocità impressionante ed i denti, digrignati, non sembravano più umani, bensì animaleschi … denti di un predatore. Ed anche le unghie avevano iniziato a prendere lo stesso aspetto.
“Severus, ti prego …” esalò appena Lupin. Piton lo fissò, il cuore che aveva inaspettatamente perso un colpo a quelle parole che sembrava condannato a sentire in eterno. “Sei l’unico che può aiutarlo!” rincarò Hermione con tono supplichevole. Il Serpeverde sospirò, maledicendo la sua arrendevolezza, soprattutto se sotto quegli occhi nocciola e si scostò per lasciarli passare prima di sigillare la porta con un incantesimo. Remus adagiò lentamente il figlio, ancora scosso da spasmi, sul divano e vi si sedette accanto. “Quand’è cominciata questa storia?” domandò subito Piton. “Questa sera.”
“Non credo sia stato un cambiamento repentino … ci sono stati dei segnali?”
“Beh, da un po’ ho notato che a volte si agitava, rispondeva male, ma lo fanno tutti i bambini, no?” sospirò Lupin. “Come ho potuto essere così cieco …”
“Oggi però non è luna piena, ma luna nuova!” considerò Hermione. “È questo che non riesco a capire!”
“Credo che dipenda dal fatto che il signorino qui presente non è pienamente un lupo mannaro …” commentò mollemente Severus. “Il suo DNA è il risultato di un incrocio tra due maghi, un Metamorphmagus e un lupo mannaro. Ciò implica che sia necessariamente dotato di grandi poteri magici. Aver ereditato le abilità della madre non esclude però che non possa sviluppare qualche caratteristica del DNA paterno, alcuni studi recenti sull’Antilupo lo dimostrano.”
“Dunque Teddy sarebbe parzialmente lupo mannaro? E perché questo non accade con la luna piena?” domandò la Grifondoro. “In realtà potrebbe accadere con una qualsiasi delle fasi lunari: il fatto che stavolta si accaduto con la luna nuova non è che una casualità. Lamentava qualche fastidio oggi, Lupin?”
Dato che questi non rispondeva, Severus sbottò: “Remus!”, facendolo, finalmente, voltare. “S-sì, mi pare di sì … era molto nervoso ed ogni tanto tremava … a volte gli succede, però. Ma così … così mai. Non posso dargli l’Antilupo, starebbe male …”
“Forse si può tentare una modificazione dell’Antilupo che è stata creata di recente … praticamente, ne dimezza l’effetto, adattandolo a chi manifesta una licantropia parziale.” annuì il Serpeverde, iniziando a frugare tra i suoi innumerevoli trattati. “Eccola, sì. Granger, sei in grado di eseguire le istruzioni che ti darò?”
“Certo.” annuì Hermione, levandosi il cappotto e seguendo a testa bassa Piton nel suo laboratorio. “Che cosa serve?”
“Polvere d’Argento, corteccia di carpine, radice di aconito, fiori di mughetto, piume di Augurey e lacrime di vampiro. La dispensa è lì.”
“Vado …” annuì Hermione, procedendo meccanicamente nel deposito, dove, con un rapido movimento, appellò tutti gli ingredienti. Solo all’ultimo, tuttavia, il suo incantesimo attirò un vasetto vuoto. “Sono finite le lacrime di vampiro!” esclamò. “Cosa?” mormorò Lupin. “Dannazione!” sbottò Piton, sbattendo una mano sul tavolo. “Cosa facciamo?” rincarò Remus, il respiro accelerato, mentre stringeva sempre di più suo figlio a sé. Istintivamente, Hermione e Severus si scambiarono una rapida occhiata prima che la ragazza si precipitasse a prendere carta e penna dalla scrivania. “Cosa … cosa fate? Che succede?” biascicò Lupin. “Calmati: chiama solo l’unica persona che può aiutarci a risolvere il problema.”
“E sarebbe?”
“Un vampiro.”
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Erano quasi le nove di sera quando qualcuno bussò alla porta dell’ufficio di Piton negli umidi sotterranei rischiarati dalla luce verdastra. Severus si precipitò ad aprire e, senza troppe cerimonie, tirò dentro la figura incappucciata. “Ahia, ma che modi sono!” sbuffò questa, abbassando il copricapo e rivelando il familiare volto più pallido del normale. “Abbiamo urgente bisogno delle tue lacrime, Mina …”
“Se vuoi che una non-morta pianga per te, Severus, dovrai fare molto di più che trascinarmi qui nel bel mezzo di un temporale!” sbottò questa, scuotendo gli orecchini a forma di pipistrello ed il molle chignon.
“Non è il momento di scherzare o protestare: ci servono tre lacrime.”
“Ma per cosa?”
“Per il figlio di Remus.” rispose Hermione, levandosi in piedi dalla poltrona su cui si era accomodata nell’attesa. Solo allora Mina parve rendersi conto della presenza della ragazza, di uno sconvolto Lupin e di un ragazzino pallido che stava tremando e digrignando i denti aguzzi in braccio all’uomo. “Oh.” mormorò, deglutendo. “Mi dispiace, non vi avevo proprio visto … è per il ragazzo, vero?”
“Soffre di licantropia parziale e gli ingredienti per la pozione che potrebbe annullarli includono le lacrime di vampiro.” spiegò Piton, porgendole malamente una fialetta. “Perciò, cortesemente, piangi!”
“Uff …” sbuffò Mina, frugando in borsa sino a trovare uno spillo. “Sarà dura, i non-morti piangono a fatica, sapete? E quando piango in modo disperato …. beh, non è un bello spettacolo: rivelo il mio verso aspetto. E non è che sia splendido, ma per tre lacrime non dovrebbe succedere niente di che …” sospirò, ficcandosi lo spillo nel palmo della mano. Hermione sobbalzò e chiuse istintivamente gli occhi, per poi riaprirli poco dopo e notare che la vampira non perdeva sangue. Delle lacrime furtive si affacciarono sulle guance di Mina e subito le raccolse, porgendole a Piton. “Grazie.” bofonchiò questi, fiondandosi in laboratorio. Hermione raggiunse istintivamente Mina. “Ha fatto davvero così male?” mormorò. “Non piango per il dolore, sai? Non lo sento!” confessò l’altra. “Piango perché non provo niente. Mi ricorda che sono più morta che viva.”
La Grifondoro aprì la bocca per dire qualcosa, ma fu interrotta dal richiamo di Piton. “Granger, vieni o no?”
Sospirò e Mina le rivolse un pallido sorriso. “Va’, su: resto io qua con il tuo amico mannaro.”
Hermione annuì, precipitandosi nel laboratorio. Mina rimase a guardarla camminare prima di rivolgere la sua attenzione alla figura di Lupin, accasciata sul divano con il figlio tremolante tra le braccia, intento a mormorargli chissà cosa all’orecchio. Si avvicinò lentamente, ticchettando sul pavimento lucido, per poi prendere posto accanto a lui. Delicatamente, gli prese il bambino dalle braccia e, sotto lo sguardo esterrefatto del mannaro, se lo sistemò in braccio, con la testa contro la sua spalla. Teddy, per qualche istante parve tremare un po’ meno e si rannicchiò contro la veste della vampira. Questa gli accarezzò la schiena e rivolse un sorriso a Lupin. “A volte, con una donna, è diverso.” spiegò sottovoce. “Non credevo più di ricordarmelo …”
“Ha … hai figli?” deglutì Remus. “Avevo. Uno. Sebastian. Me l’hanno portato via … è per questo che sono diventata un vampiro: non potevo morire senza averlo ritrovato. Solo che ora lui è morto ed io sono ancora qui a sperare di capire se sia stato felice …” sussurrò appena, continuando ad accarezza e cullare Teddy. “Mi dispiace.” mormorò Lupin, scuotendo il capo prima di prendersi la testa tra le mani. “Mia suocera dice che è tutta colpa mia, che gli ho trasmesso io la malattia …”
“Dare le colpe alla genetica è il modo più vile di nascondere una mancanza.” rispose meccanicamente Mina. “Da quel che so, a tua suocera manca sua figlia … e si sfoga su di te. Vile, ma comprensibile. La capisco.”
“Il fatto è che è davvero colpa mia …”
“Sciocchezze!” lo zittì Mina di scatto, perforandolo con i suoi occhi chiari. “Non hai scelto tu di essere chi sei, perciò non puoi darti colpe che non hai: sarebbe potuto succedere a chiunque. Teddy è un bambino curato ed amato, si vede … basta questo. Tutto il resto sono stupidaggini che grondano dalla bocca di chi non ha niente di meglio da fare.”
Detto ciò, la vampira tornò a rivolgersi al bambino, iniziando a cullarlo più lentamente. “Dún do shúil, a rún mo chroí, a chuid den tsaol, ‘s a ghrá liom, dún do shúil, a rún mo chroí, agus gheobhair feirín amárach …” canticchiò con voce inaspettatamente dolce per la sua persona così ingombrante. Lupin rimase, incantando, ad ascoltarla mentre Teddy, pian piano, pareva rilassarsi. “Che cos’è?” sussurrò appena, una volta che ebbe terminato. “Una ninnananna gaelica … Chiudi gli occhi, cuore mio, mia gioia quotidiana, chiudi gli occhi amore, cuore mio e avrai un premio domani. Mia madre me la cantava sempre ed anch’io la cantavo al mio bambino. Sono scozzese, ricordi?”
Remus annuì, affascinato e finalmente più tranquillo a sua volta. “Mi ricordo, sì … grazie, Mina: non so davvero come sdebitarmi ...”
“Figurati, fra mostri della notte …” rise questa, per poi sporgersi a sbirciare nel laboratorio. “Secondo te quei due si staranno scannando o baciando?”
Lupin quasi sobbalzò a tanta sfrontatezza, rilassandosi solo vedendo Mina ridere di gusto. “Scherzavo, ovviamente … beh, neanche troppo, a dire la verità, però. Gli do una settimana … poi, o si sposano o si ammazzano, non c’è via di mezzo.”
֍֎֍
“La radice di aconito va tagliata a cubetti.”
Hermione annuì, prendendo il coltello e chinandosi sulla radice. Aveva ripetuto quell’operazione migliaia di volte durante i suoi anni ad Hogwarts, eppure il sudore le colava copiosamente lungo la schiena: sapeva di non potersi permettere di sbagliare, non quella volta e non su Teddy.
“Ti sembrano cubetti quelli Granger?”
Istantaneamente, Hermione posò il coltello con un sonoro schiocco, sollevando il volto arrossato dal tavolo posto accanto al camino dove un calderone stava già aspettando le ultime aggiunte di Piton, intento a mescolare e raddrizzare quantità di ingredienti. Questi sollevò un sopracciglio, voltandosi verso di lei. “Che c’è?”
“Che c’è? E me lo chiedi anche? Questi sono cubetti e se non li ritieni tali mi spiace, ma dovrai pensarci tu, io ho fatto il meglio che potevo! Sono stanca quanto te, vengo da una giornata di lavoro, sono le nove di sera e mi bruciano gli occhi, eppure mi sto quantomeno sforzando di comportarmi come al solito! Cerca di fare lo stesso, per favore, altrimenti mi è impossibile lavorare!”
Severus rimase a fissarla mentre, ansimando, riprendeva a tagliuzzare i cubetti prima di tornare a sua volta al suo lavoro. Lentamente, Hermione gli passò gli ingredienti mancanti e, senza dirsi altro, li aggiunsero alla pozione. Mentre Piton mescolava in senso antiorario e controllava la temperatura ad intervalli regolari, la Grifondoro si lasciò cadere su una seggiola, passandosi una mano sul volto. “Hai bisogno di una pozione contro il mal di testa?” si azzardò a domandare Severus senza voltarsi. “L’unica cosa di cui avrei bisogno è una spiegazione.”
“Dell’Antilupo? Credevo la conoscessi piuttosto bene, visto che sei amica di Lupin …”
“Non hai alcun diritto di essere geloso, visto come mi hai trattata!” eruppe Hermione, schizzando in piedi. Con una lentezza esasperata, Severus si voltò a fissarla, incontrando i suoi occhi quasi liquidi. Dovette sforzarsi quasi violentemente per non correre ad abbracciarla e stringerla a sé: non poteva, né in quel momento, né mai. “Come ti avrei trattata, sentiamo? Mi pare che tu sia abituata ai miei modi …”
“Ai tuoi modi, ad essere baciata, scacciata ed ignorata no.”
“Credevo fosse chiaro.”
“Cosa?”
“Che è stato un errore dettato dalla serata, dall’alcool e da un’attrazione dovuta al tuo aspetto che è innegabilmente affascinante. Fine della questione.”
“Dunque sarei questo, un errore?” sussurrò Hermione. Piton esitò prima di rispondere, mescolando la pozione: “Non ho mai detto questo.”
“Non hai detto proprio niente infatti ...”
“Sono occupato, non ho tempo per questi discorsi infantili …”
“Sei occupato con Lily?”
Un gelido silenzio avvolse la stanza. “Sì, anche con Lily.” confermò, quasi sottovoce, il Serpeverde, senza guardarla. “Dimmelo in faccia, allora.”
“Cosa, che sei una delle tante?”
“Sì, esatto.”
“Non credo sia il caso di …”
“Non credi sia il caso perché hai paura. Ha ragione il libro: sei un codardo nei sentimenti.” lo bloccò lei con la voce ferma, per quanto bassa ed arrocchita. “So che proverai sempre attrazione, ammirazione, rimpianto, forse, per Lily … ma non è lei che ami adesso. Non so chi o cosa, ma so per certo che non è lei. Me l’hai detto tu, quella sera alla Stella Nera …”
“Ero ubriaco.”
“Da ubriachi si ha la tendenza a dire la verità, lo sapevi? Ci si priva dei freni inibitori … ed infatti, da sobrio, non mi avresti mai detto cosa pensavi davvero di me, né che la tua Amorentia odora di libri e muschio bianco.”
“Tante cose odorano di libri e muschio bianco.”
“Sono io il problema, vero? È perché sono una Grifondoro, perché ero una tua studentessa? O perché sono una semplice libraia? O una nata babbana, forse? È questo?”
“Che cosa stai dicendo?” sibilò lui, voltandosi di scatto. “Ti sto solo chiedendo perché continui a rinnegare quello che è successo ed a far finta che tra di noi non ci sia niente.”
“Non c’è niente tra di noi, Hermione ed è meglio, per il tuo bene, che tu te ne faccia una ragione.”
“Per il mio bene?” eruppe lei, facendo un passo avanti. “Nessuno pensa mai davvero al mio bene! Nessuno mi avrebbe considerata neanche lontanamente nella mia vita se non fossi stata amica di Harry, nessuno mi ha sostenuta quando mi sono scostata dal mio passato ed ora anche tu, che credevo diverso dagli altri, stai giudicando le mie scelte, stai decidendo al posto mio!”
“Si può sapere perché t’importa tanto di quello stupido bacio, sciocca ragazzina che …”
“Perché per me non è stato uno stupido bacio.” lo zittì lei, le guance oramai rigate di lacrime. “Io non avevo mai provato niente di simile in tutta la mia vita: per la prima volta, mi sono sentita giusta, completa. Ero al posto che mi spettava e mi sentivo libera, mi sembrava di respirare davvero bene … era da un po’ che aspettavo con ansia di vederti ogni mercoledì, che volevo disperatamente essere d’accordo con te, confrontarmi sulle nostre letture, che il cuore mi galoppava impazzito ogni volta mi sfioravi anche solo per sbaglio … credevo fosse una cotta per un professore, un classico per i topi di biblioteca come me. Ma è molto di più.” mormorò, prendendo fiato, mentre le lacrime già iniziavano a rigarle le guance. “La verità è che mi sono innamorata di te. Lo dice anche l’Amorentia. E se non credi a me dovresti quantomeno credere alle pozioni a cui hai votato la vita …”
Un altro, interminabile, silenzio, rotto solo dal crepitio del fuoco, seguì le parole di Hermione. Severus rimase a fissarla, gli occhi d’onice tremolanti e quasi vivi come mai prima. “Credo sia bene che stemperi la tua fervida fantasia: non può esserci niente tra noi che sia anche solo lontanamente sconveniente o estraneo all’ambiente scolastico.” mormorò flebilmente poco dopo. Hermione sentì distintamente il cuore stritolarla in una morsa mentre annuiva e si asciugava gli occhi con una mano. “Mi taglierai anche fuori dalla ricerca del libro rimasto?” sussurrò solo, la voce rotta dai singhiozzi. “Posso trovarlo personalmente: darò il merito anche a te, così avrai ciò che cerchi.”
“Fa’ come vuoi, ma non aspettarti che faccia la bambola di pezza, seduta ad aspettare a vita: io non sono così.” biascicò lei, voltandosi ed andandosene dalla stanza.
Severus, rimasto solo accanto al fuoco, si passò una mano sul petto, quasi alla ricerca di un modo per fermare il dolore del suo vecchio, spezzato eppure tenace cuore che non smetteva di dare segni di vita: aveva capito. Ancora una volta, quella ragazzina l’aveva stupito: aveva compreso che le sue erano solo stupide scuse, che stava cercando di non rovinarla, di proteggerla da se stesso e dai suoi mostri e gli aveva sottilmente ribadito che lei ci sarebbe sempre stata, ma che non l’avrebbe aspettato per sempre. L’amara verità era che avrebbe avuto solo da imparare da quella studentessa saccente e petulante che tanto l’aveva infastidito … e che, solo ora, dinanzi a quel calderone, con ancora l’eco delle lacrime di lei nelle orecchie, si rendeva conto di amare.
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“Sta facendo effetto!” confermò Lupin, sospirando si sollievo nel vedere Teddy riacquisire un colorito roseo e denti normali mentre scivolava nel sonno. “Sembra di sì.” annuì Piton, algido. “Vi consiglio comunque di restare qui, per stanotte, in caso insorgano complicazioni … vi porto una coperta.”
“Severus!” lo fermò Remus. “Grazie.”
“Dovere.” sospirò questi, tornando di là. “Credo sia ora che vada: è tardi e domani devo aprire.” mormorò Hermione, prendendo il cappotto. “Hermione, grazie davvero, non avrei saputo come convincerlo senza di te!” sorrise il mannaro. “Siamo in debito.”
“No: l’avrei fatto per chiunque, ma soprattutto per voi. Ciao, Mina, a presto.”
“Buona serata, cara …” sorrise la vampira, guardando la Grifondoro dirigersi verso l’uscio. Pur avendolo notato con la coda dell’occhio, ignorò volutamente lo sbirciare di Hermione tra le lettere di Piton ed il prenderne una prima di schizzare via: qualunque cosa fosse, non era affar suo. E, anzi, sperava segretamente che desse filo da torcere a quel burbero mago …
Mentre Lupin sistemava suo figlio, si alzò, raggiungendo Severus ad un angolo della stanza. “Cos’è accaduto con Hermione?” domandò. “Nulla che ti riguardi.”
“Stavate urlando.”
“È un’incapace.”
“Menti.”
“Anche se fosse, non vedo perché dovrebbe interessarti.”
“Smettila di fare la vittima, una buona volta!” lo rimproverò lei. “Vivi, ama e sii felice come meriti: la vita non dà seconde occasioni a caso, sai? Tutto ha una scadenza … e quando ti renderai conto di quanto sei stato stupido e patetico a crogiolarti nel tuo passato, lei sarà già andata via. Ed ora, se vuoi scusarmi, ho un vino al sangue che mi aspetta … ciao, Severus.”
Detto ciò, la vampira rivolse un ultimo sorriso a Lupin prima di svanire nella sua forma di pipistrello, lasciandosi dietro le ombre di un rasserenato mannaro e di un pallido e tormentato pozionista.





 

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Capitolo 16
*** La Casa delle Ombre ***


Capitolo Sedicesimo
La Casa delle Ombre

I tried to go on like I never knew you
I'm awake but my world is half asleep
I pray for this heart to be unbroken
But without you all I'm going to be is, incomplete
(Incomplete, Backstreet Boys)
Severus Piton notoriamente non amava passeggiare per Diagon Alley: la folla, il chiasso, la gente che si affaccendava su e giù e le risate non facevano parte del suo mondo. Nella sua esistenza c’era spazio soltanto per il buio, il freddo e la solitudine, non per il colore di una via magica in pieno shopping primaverile. Certo, c’era spazio per qualche debole spiraglio di luce, in tutta quell’oscurità: la magia lo era stata, così come Lily. Ed Hermione. Peccato solo che avesse il pessimo vizio di cacciare malamente i suoi pallidi fantasmi di bene, tanto da meritarsi il loro odio. Sua madre, del resto, aveva sempre detto che sarebbe stato un bambino dal destino infausto: era nato in una sera gelida e tempestosa e, secondo la levatrice, in una famiglia dimenticata da Dio. Non avrebbe mai potuto sperare in un’esistenza luminosa, neanche se l’avesse voluto: non era scritto nelle stelle. Da bambino si era disperatamente aggrappato alla speranza data dal fatto che Eileen, in fondo, fosse una pessima divinatrice, ma nel tempo aveva dovuto darle ragione: tutto ciò che toccava, inevitabilmente appassiva o moriva. Il suo corpo imperfetto e solcato da cicatrici non era fatto per amare, né lo era la sua mente irrimediabilmente oscura, refrattaria ai sentimenti ed alle persone. La sua tendenza all’isolamento e la sua attrazione verso il potere ed il rispetto che non aveva mai avuto né meritato l’avevano condotto in vie perdute e malefiche, imbevute di male, che aveva seguito a volte ciecamente, a volte con riluttanza, mietendo vittime al suo passaggio. Sua madre, Lily, Albus, Charity Burbage ed ora anche Hermione … una collezione di vite spezzate e cuori infranti. Davvero complimenti, Severus.
Stringendosi nel mantello, sgusciò nell’ombra, appiattendosi al muro, diretto al negozio di ingredienti di pozioni di Notturn Alley dove si riforniva abitualmente. Prima di girare nella via malfamata, tuttavia, non poté impedirsi di guardare verso il Ghirigoro: lei era lì, vicino ad una vetrina e mostrava un libro ad una cliente, sorridendo e facendo tintinnare gli orecchini blu contro i capelli mossi. Era dolorosamente bella, tanto da fargli sanguinare il cuore … ma era a questo che doveva pensare, era per questo che doveva resistere. Hermione era la luce, era il futuro brillante che il mondo magico non si meritava: avrebbe potuto avere chiunque accanto a sé, ma certamente doveva essere qualcuno alla sua altezza. Un ragazzo bello, sveglio (Merlino, per quanto potesse esserlo un bamboccio con l’acne), di buona famiglia, con cui sposarsi ed avere una famiglia, elevandosi nella carriera e nella società. Non certo un vecchio mago dall’aspetto orribile, pieno di cicatrici nel corpo e nell’anima, incapace di esternare il tumulto dei propri sentimenti, dedito alle arti oscure, con un passato inaccettabile e nulla da offrirle. Da Mangiamorte aveva saputo infliggere cruciatus ed imperius senza problemi, anche qualche avada kedavra, in caso di necessità, ma assecondarla, quella sera di due mesi prima, sarebbe stato un errore egoista. E se c’era una sola cosa che Severus non era, era proprio egoista ...
Riprese a camminare, la solita impressione impassibile in volto: avrebbe fatto come al solito. L’avrebbe guardata rendersi conto di chi era davvero ed andare avanti senza di lui, dimenticarlo e relegarlo alla veste di professore bastardo, l’unica che sentisse sua, l’unica che lo divertisse e gli desse quel poco di importanza che forse aveva cercato da tutta la vita. Lei sarebbe sopravvissuta, era forte, era la vera regina di Grifondoro e lui avrebbe raccolto i cocci del suo cuore in una vecchia casa aspettando la morte, con un rimpianto, se possibile, maggiore, dal momento che, stavolta, i sentimenti che provava erano corrisposti. L’aveva già fatto una volta, del resto: conosceva quel dolore, poteva affrontarlo di nuovo.  
֍֎֍
Egregio professor Piton, è con estremo rammarico che La informiamo che, a seguito della scoperta dell’appartenenza del preside della nostra scuola, il dottor Igor Karkaroff, al gruppo noto come ‘Mangiamorte’, tutti i suoi averi sono stati sgomberati, compresa la sua biblioteca personale. Ci auguriamo che in futuro possa avere maggior fortuna nella Sua ricerca. Cordiali saluti, l’amministrazione di Durmstrang …” ripeté mentalmente Hermione, addentando uno dei biscotti a forma di ferro di cavallo ricoperti di cioccolato che aveva preparato il giorno prima per l’occasione. La Grifondoro si fermò per qualche istante a riflettere su quelle righe che aveva letto così tante volte da conoscere a memoria, mescolando pensosamente lo zucchero nel suo tè prima di sorseggiarlo tranquillamente. Con un sospiro, si guardò attorno: Godric’s Hollow, in quella soleggiata mattina di metà aprile, brulicava di turisti e curiosi d’ogni sorta, gente di passaggio, in gran parte, che si affollava a guardare il luogo dove il Signore Oscuro era stato sconfitto la prima volta.
Hermione si lisciò le pieghe dal vestito blu dalle maniche a sbuffo e guardò oltre prima di tornare a pensare alla lettera. L’aveva presa senza neanche pensarci su: era arrabbiata, ferita e stanca, così stanca che, non appena aveva visto che la missiva veniva da Durmstrang, aveva immediatamente intuito che fosse legata al terzo ed ultimo libro del destino ed aveva deciso di dedicarvisi personalmente, senza chiedere né dire più nulla a Piton. Una smorfia le attraversò il volto: il solo ripensare a lui le faceva stringere lo stomaco in una spiacevole morsa di dolore. Ancora, dopo tutto quel tempo …
Non lo vedeva da due mesi e, da due mesi, non chiudeva quasi occhio senza la Dolcesonno: lavorava, faceva la spesa e si rintanava in camera a fissare il soffitto, con Grattastinchi acciambellato accanto a sé, piangendo in silenzio e ripensando mille e mille volte alla conversazione avuta con Severus. Si sentiva in una sorta di limbo: lo amava e lo odiava, lo ammirava e lo considerava un uomo spregevole, evitava accuratamente ogni posto in cui avrebbe potuto incontrarlo e passava ore a fissare la vetrina del Ghirigoro sperando di vederlo. Si diceva che le pene d’amore passassero con il tempo, ma, per lei, come sempre, dovevano valere leggi a sé stanti, dato che le sue sembravano solo peggiorare settimana dopo settimana.
Quella buia sera di febbraio aveva agito d’istinto, da spavalda Grifondoro, vomitandogli addosso i suoi sentimenti nudi e crudi, rivelando cose che non aveva mai ammesso volontariamente neanche a se stessa, troppo impaurita per darvi voce e lui … beh, lui era stato così freddo, così diverso dal Piton che aveva conosciuto in quei mesi, da quello che la incoraggiava ad essere forte e parlava di libri con lei da farle paura. Sentirsi dire che non era stata che un giocattolo, usato e gettato via, aveva fatto male come mai avrebbe creduto potesse far male una parola ed ancora al solo ripensarvi gli occhi le si riempivano nuovamente di lacrime. La cosa che forse l’aveva ferita di più, però, era che, nonostante tutto, Severus amava ancora Lily: in confronto a lei, la perfetta ed inarrivabile Lily, si era sentita la piccola, brutta ed illusa ragazzina di un tempo, troppo preoccupata a ripetere un libro a memoria per pensare ad altro.
Eppure, nonostante tutto il dolore, le lacrime versate e le sue precise intenzioni a non soffrire più nemmeno un singolo istante per lui, in un minuscolo angolino della sua testa, c’era ancora quella stupida e disillusa vocina, la stessa che da mesi gli diceva di essersi invaghita di lui e che aveva volutamente ignorato, che le sussurrava che Piton aveva mentito, che il libro a specchio aveva rivelato i suoi veri sentimenti. Dopotutto, quel manufatto diceva solo e solamente le verità più recondite e non era un caso che l’Amorentia di Severus odorasse di lei, né che quella di Hermione profumasse come lui. Nondimeno il professore si ostinava a rinnegare quei sentimenti, a negare tutto ed ad allontanarla bruscamente … forse, la sua era solo attrazione, come aveva detto. Ma, se così fosse stato, non le avrebbe mai detto tutte le cose che le aveva rivelato in quei mesi in libreria, ne era certa: se c’era una cosa che Piton ben conosceva, era la sofferenza di un amore non corrisposto ed idealizzato e di certo non l’avrebbe inflitta ad anima viva, per com’era.
L’unica cosa certa nel marasma di emozioni contrastanti di Hermione era che aveva bisogno di tempo per sé, senza pensare al futuro o a tutti i suoi problemi, per concentrarsi sulla ricerca e sui suoi genitori. Tempo che, già lo sapeva, avrebbe inevitabilmente trascorso con il cuore sanguinante per la mancanza dell’arcigno professore, sentendosi stringere le viscere al saperlo solo e tormentato dal suo passato, desiderando di essere lei la sua seconda occasione, la sua felicità. Con Ron non era stato così difficile, né così doloroso … forse perché non ne era innamorata. Ora che sapeva cos’era un sentimento vero, lo poteva dire con certezza.
Si passò una mano sul viso: si era innamorata di Severus Piton … ed era stata così avventata da averglielo persino detto! Si sentiva una stupida al solo pensiero: aveva scelto la persona meno indicata sulla faccia della Terra per far palpitare il suo cuore e se n’era resa conto troppo tardi, quando oramai il danno era fatto … forse, Mina, dopotutto, aveva ragione: gli uomini erano tutti uguali e Severus non era da meno. Eppure, quando chiudeva gli occhi e ripensava a quel bacio, così sbagliato, col senno di poi, si sentiva felice, giusta e viva come non mai … non era possibile provare certe cose in presenza di un sentimento non corrisposto. O, almeno, così diceva Jane Austen …
“Oh, ma basta: non è mica un parco giochi, c’è morta gente qua dentro!” sbottò James, tirando le tende con un sonoro sbuffo. “Caro, per favore … vogliono solo fare una foto, non serve trattarli così male ogni volta!” sospirò Lily, alzando gli occhi al cielo mentre si versava il tè. “Foto ad una proprietà privata, tutelata dalle leggi babbane e magiche!” bofonchiò James, ripiombando a sedere in poltrona. “E tutto perché Harry si sposa …”
“Non puoi dirlo con certezza …”
“Ah, no? Ed allora come spieghi il fatto che queste ‘gite’ siano iniziate proprio dopo che è stato pubblicato l’annuncio in Gazzetta?”
“Va bene, è effettivamente sospetto, ma non mi pare una cosa così tragica! Sono solo foto … e le fanno perché sono tutti orgogliosi di Harry, dovremmo esserlo anche noi!”
“Ma forse vorrebbe solo essere lasciato in pace, visto il momento così importante!”
“È un matrimonio, è naturale che la gente sia curiosa!”
“Curiosa, non ‘morbosa’, infatti!”
“Uomini …” sospirò Lily, rivolgendo un timido sorriso ad Hermione. “Non riescono a comprendere l’entusiasmo per le nozze … dopotutto, sono le ragazze a sognarlo sin da bambine, non i maschietti!”
“Sbagli, Lils: ho sempre sognato di sposarti, da quando ti ho vista, per la precisione …” sorrise James, malandrino, facendole l’occhiolino. “E quando finalmente ci sono riuscito, ero al settimo cielo! Era bellissima il giorno del matrimonio, sai, Hermione? Con quella gonna di tulle, le maniche di velo intrecciato e quei gigli attorno allo chignon da cui sfuggiva qualche ciocca … la sposa più bella di tutte!”
“Esagerato!” arrossì Lily. “Affatto. Per me lo sei sempre e sempre lo sarai …”
“Beh, vedremo che deciderà Ginny del suo abito da sposa, oggi!” sospirò la rossa, passandosi i palmi sulle cosce. “Confesso di essere curiosa!”
“Beh, è piuttosto facile: l’abito sarà corto o a sirena. E non mi stupirebbe se fosse anche leggermente colorato, conoscendola … a Ginny piace fare l’anticonformista.” spiegò Hermione. “Lo è, in effetti: una vera tosta. Ma ci vuole, Harry è un vero eroe, ma è decisamente imbranato in tante cose!” annuì James. “James!”
“Che c’è, è vero, siamo onesti, Lily!”
“Ti ricordo che è tuo figlio!”
“Voglio ben sperare!”
“Con quei capelli, sfido chiunque a dire il contrario!”
“Effettivamente. Comunque, basta parlare di torte ed abiti: come va, Hermione? Era da tanto che non venivi a trovarci ed anche Harry ci ha detto di averti vista ben poco!”
“Sì, beh …” farfugliò lei, deglutendo a vuoto. “C’è molto lavoro: sono abbastanza occupata.”
“Certo, ma siete in quattro, se non sbaglio …”
“Dovremo assumere qualcun altro, infatti: non riusciamo a star dietro alla mole di novità.” inventò Hermione, terminando il suo tè. “Ci sono molti ordini e presentazioni, anche di libri babbani …”
“Capisco. E come va con la storia di Piton?”
Il cuore di Hermione perse un battito, ma si sforzò comunque di dire: “Procede.”
“Severus non è più venuto a trovarci!” considerò Lily. “Menomale …” commentò il marito. “James!”
“Scusa, sai che non mi piace!”
“Non serve ricordarlo sempre. E, comunque, è buffo: siete scomparsi dai nostri inviti nello stesso periodo!” valutò la rossa. “Davvero? Non l’avevo notato!” mormorò Hermione, fingendosi sorpresa: sapeva benissimo perché l’avevano fatto. Entrambi temevano di incontrarsi e per questo evitavano i luoghi dove avrebbero potuto vedersi. “Hai più avuto notizie dei tuoi?” le chiese James. “No.” rispose la ragazza, sforzandosi di sembrare impassibile, nonostante stesse letteralmente urlando dentro di sé. “Vedrai che li troveranno!” la rassicurò Lily, posandole una mano sulla spalla con un sorriso rassicurante. Hermione ricambiò, leggermente a disagio, distogliendo lo sguardo.
“James, Lily, Herm, eccomi, scusate il ritardo! Mamma arriva subito …” esclamò improvvisamente una voce dall’ingresso, facendola sobbalzare mentre si alzava per abbracciare Ginny, spumeggiante, con i capelli rossi che danzavano nel vento. “Ciao, Ginny! Come stai? Ti trovo bene!” sorrise. “Oh, alla grande: i preparativi per il matrimonio vanno a gonfie vele! A proposito, grazie per aver accettato di accompagnarmi a scegliere il vestito con mamma e Lily …”
“Figurati …” sussurrò Hermione, ignorando il nodo alla gola al pensiero che lei, con tutta probabilità, non sarebbe mai andata a nessun altare, men che meno con l’uomo che occupava segretamente i suoi pensieri oramai da mesi …
“Invece, ti vedo proprio … stanca: va tutto bene?” domandò Ginny, addentando un biscotto. “Glielo stavano appunto chiedendo noi!” confermò James. “Sì, sì, certo, sto bene.” annuì l’altra, fin troppo vistosamente, forse, vista l’espressione dubbiosa che si dipinse sul volto dell’amica. “Sarà …” considerò Ginny prima di estrarre dalla borsa uno spesso catalogo di abiti da sposa. “Ed ora, per distrarti … ecco qui una serie di modelli che ho selezionato che mi piacciono … che ne dici? Voglio sapere quale, secondo te, è meglio … so già cosa ne pensano James e Lily!”
“Per carità, basta meringhe!” sospirò il futuro suocero. Hermione, schiacciata tra Lily e Ginny, sorrise fintamente, fissando a malapena i vestiti scorrerla dinanzi agli occhi: nella sua testa, continuava a pensare solamente a Durmstrang ed allo strano rifiuto che aveva dato a Piton … perché aveva chiesto proprio di Karkaroff, tra tutti i presidi? Che sapesse qualcosa su di lui? Dopotutto, si conoscevano. In ogni caso, era impossibile che non sapessero che fine avessero fatto gli averi di Karkaroff! Li avevano sgomberati loro stessi … forse, non avevano interesse a dirlo, visto che era una scuola nota per l’insegnamento, tra l’altro, delle arti oscure … anche Malfoy sarebbe dovuto andarci, secondo Lucius, che aveva ottime conoscenze e profonde amicizie nel consiglio scolastico …
A quel pensiero, parve illuminarsi, sgranando gli occhi: Draco! Lui sicuramente avrebbe potuto quantomeno indirizzarla verso qualcuno che sapesse la verità …
“Anche a me piace molto il modello a sirena!” commentò Ginny, sorridendo. “Sono contenta che anche tu lo trovi carino … che dici, riusciremo a convincere mamma?”
“Ma sicuramente, vedrai! Ci metterò tutta me stessa, promesso!” esclamò, stringendole le mani, euforica al pensiero di aver trovato una possibile strada per trovare il libro e, di conseguenza, i suoi … e, soprattutto, senza l’intercessione di Severus Piton.
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La Stella Nera non era un locale esattamente alla moda, né sicuro, ma, per incontri di cui nessuno voleva far sapere, era certamente il più indicato. Per questo Hermione, terminato il turno, era letteralmente corsa attraverso Notturn Alley e si era fiondata nel pub, come al solito gremito di creature magiche dall’aria tutt’altro che rispettabile.
Hermione, stringendosi nel cappotto, sedeva in un angolino, guardando costantemente fuori dalla vetrina e sbuffando, stringendosi le nocche delle mani con ansia: quel posto, per quanto orribile, le aveva in un certo senso portato fortuna. Lì aveva conosciuto Mina, che oramai considerava un’amica come se non addirittura più di Ginny e Luna e sempre lì aveva avuto modo di conoscere un Severus Piton molto diverso da quello che immaginava, che si era confidato con lei e le aveva rivolto dei complimenti che mai avrebbe potuto immaginare da parte sua. Peccato che fosse tutto finito …
“Ciao! Scusa il ritardo, ma stavo discutendo con il mezzadro delle proprietà in Spagna!” esclamò una voce familiare, facendola sobbalzare e voltare di scatto: Draco Malfoy, capelli biondo cenere, anello di famiglia al mignolo ed un cappotto nero, si era appena accomodato di fronte a lei.
“Non sapevo aveste anche delle proprietà in Spagna …” constatò Hermione, curiosa. “Oh, anche in America ed Asia, se è per questo!” sospirò lui. “Ed ora tocca a me gestirle, con tutte le grane del caso …”
“Come stanno i tuoi genitori? Ed Astoria?”
“Mamma e papà sono come al solito: una drammatizza e l’altro vegeta. Astoria invece è raggiante: sta organizzando un matrimonio da favola!”
“Sono felice per voi.”
“Tu come stai, Granger? Ti trovo … spenta!” constatò, ordinando due drink con un gesto. “Grazie per il complimento …” sorrise tristemente lei. “Sono solo un po’ stanca … niente di che.”
“Uhm. C’entra qualcosa il nostro amato ex professore di pozioni?”
Hermione si bloccò sul posto. “Perché lo chiedi?” sibilò. “Oh, niente … è solo che ieri a pranzo papà si lamentava che Piton ultimamente è strano … poi ho ricevuto il tuo gufo ed ho pensato che fosse per i libri!”
“Ci sono dei problemi, in effetti.” annuì lei, zittendosi mentre il barista serviva loro le bibite per poi andarsene. “Spara, su!” la incoraggiò Draco. “Igor Karkaroff.” disse subito Hermione. “Uh: argomento spinoso. Cosa vuoi sapere? Credevo Piton lo conoscesse piuttosto bene …”
“Non poi così bene, alla fin fine. Il problema sono i suoi averi: dopo che è stato destituito da preside di Durmstrang, tutto ciò che possedeva, a sentire la scuola, è stato distrutto, ma ne dubito, visto il numero di manufatti magici che teneva con sé … incluso, forse, un libro del destino.”
“Capito, non serve che aggiungi nient’altro: credo di saperne abbastanza su di lui per risponderti. Tra i Mangiamorte, all’epoca, girava voce che Durmstrang stesse cercando di … come posso dire … lavare i panni sporchi in famiglia!”
“Che intendi?”
“Che non voleva rivelare i propri segreti al mondo devolvendo gli averi di Karkaroff e, così, ufficialmente, li hanno distrutti …”
“Ed ufficiosamente?”
“E qui volevo arrivare … non ne sono sicuro al cento per cento, ma so che Karkaroff era un purosangue di origini rumene: la sua era una lunga stirpe di negromanti. Specialisti nel …”
“Resuscitare e parlare con i morti, sì: è magia oscura.” annuì Hermione. “Esattamente. Tutti i suoi parenti erano morti, ma girava voce che sua zia fosse ancora viva ed abitasse in Inghilterra e che, per arrotondare, si fingesse fattucchiera e sensitiva con i babbani. Non ricordo l’indirizzo, ma a casa ce l’ho ancora … vuoi che te lo mandi?”
“Oh, magari … mi faresti un grandissimo favore, grazie, Draco, ti sono debitrice!” sorrise Hermione. “Di nulla … dovete stare attenti, però: se è ancora viva, è una negromante … fanno paura, quelli!”
“Lo so, ma staremo attenti, promesso.”
“Diciamo che mi rassicura che ci sia Piton … voi Grifondoro tendete ad essere avventati!”
“E voi Serpeverde presuntuosi!” rise Hermione. “Anche Piton?”
“Soprattutto lui!”
“Devi essere proprio una santa per lavorare con lui da così tanti mesi e non aver già mollato tutto! Che io sappia, le uniche persone che l’abbiano mai sopportato sono Silente e mio padre …”
“Beh … una volta conosciuto, non è poi così male! Parlare con lui è anche piacevole …” ammise Hermione, controvoglia. “Oh, lo so: indossa una maschera, come tutti noi, poi, solo che la sua è molto più spessa.”
“Già. Ma ora basta parlare di lavoro: raccontami del matrimonio!” lo esortò la Grifondoro, sospirando: in fondo, aveva sopportato discussioni sull’organizzazioni di matrimoni per tutto il giorno. Uno in più non avrebbe potuto farle altro male. Come diceva uno dei suoi scrittori preferiti, il bello dei cuori infranti era che potevano rompersi davvero solo una volta: il resto non erano che graffi. 
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“Ragazzi, vi prego: quando abbiamo pensato ad una lezione interdisciplinare, non intendevamo certamente darvi un’occasione per fare confusione!” richiamò Remus, battendo le mani nella buia aula di Difesa contro le Arti Oscure, tappezzata di foto, scheletri e modellini di mostri fantastici. Gli studenti, in risposta, risero più forte. “Forse qualcuno di voi vuole sperimentare l’inestimabile occasione di sventrare rospi per tutta la sera del ballo di fine anno con me?” sibilò Severus subito dopo. La sua voce ebbe il magico effetto di zittire ogni mormorio: improvvisamente gli studenti erano vigili ed attenti come poco prima, quando il professor Piton aveva illustrato gli usi e gli effetti delle lacrime dei folletti nani del deserto nelle pozioni soporifere. “Grazie, Severus!” sorrise Lupin. “Impara a tenere a bada i tuoi studenti: sono sottoposti, non amici invitati per il tè delle cinque!” borbottò questi, ritornando a concentrarsi sul libro di testo. Mentre Lupin spiegava, Piton fissò con disprezzo le classi di Tassorosso e Corvonero del quarto anno: quelle dannate lezioni interdisciplinari erano state un’idea che aveva entusiasmato Minerva per sua sfortuna. Personalmente, le detestava e non riusciva a comprendere l’entusiasmo dei suoi colleghi: lavorare con Hagrid significava salvare quelle teste di legno dall’attacco di qualche bestia ogni tre per due, con Vitious frenare le sue elucubrazioni, con Pomona raccogliere tutte le erbe al suo posto, adducendo alla scusa che lei fosse troppo vecchia e con Lupin richiamare la classe che lui non sapeva tenere a bada, a suo avviso. Nelle sue lezioni le risate non erano ammesse, invece in quelle del mannaro erano continue: sembrava una disgustosa sala da tè. Come se non bastasse, doversene stare in silenzio a fissare la classe non faceva che fargli riflettere su quanto fossero stupidi gli studenti degli ultimi anni: nulla a che vedere con Hermione Granger …
Si passò una mano sul viso, dannandosi per non riuscire a smettere di pensare a lei. Era un tormento unico: l’Amorentia sprigionava il suo aroma di muschio bianco ovunque si girasse, la sognava, la vedeva in ogni ragazza della sua statura per strada e non riusciva a smettere di passare davanti al Ghirigoro almeno una volta alla settimana per guardarla lavorare. Patetico, ecco cos’era diventato … un altro aggettivo da aggiungere alla sua lista di qualità.
“Ed ora leggete e riassumete questo passaggio negli ultimi dieci minuti: ne parleremo la prossima volta.” annuì Lupin, tornando alla cattedra. “Splendide queste lezioni, vero, Severus?” considerò. “No.”
“Immaginavo l’avresti detto. Comunque, se vuoi, la prossima posso farla io … so che le detesti e ti devo molti favori, con le pozioni che fai per me e Teddy …”
“Non sono così opportunista e pigro da scansare il lavoro: è mio dovere, lo farò.”
“Silente diceva sempre che sei un uomo di parola, oltre che di luce …”
“Silente era fuori di testa, se non te ne fossi mai accorto …”
“Forse, ma i folli non sono forse i migliori?”
“Dipende dai punti di vista: agli altri folli sembrano perfettamente normali.”
Il mannaro prese posto. “Sai che la tua amica, la vampira, Mina è molto simpatica?”
“Non è mia amica, è una delle tante spine nel fianco che sopporto.”
“È venuta a trovare Teddy, gli ha portato dei giocattoli, lui l’adora ed anche Andromeda: hanno parlato molto e, da allora, Meda non ce l’ha più con me, non come prima … ha fatto una vera magia!”
“Non può, è un vampiro.”
“Era un modo di dire … comunque, è gentile.”
“Te lo concedo, ti aiuta, se ne hai bisogno. Non starai pensando di lasciarti ammaliare dal suo fascino?”
“No, no … dico solo che è carina con me.”
“Certo.”
“Perché non ti concedi di essere felice, Severus? Quel muso non giova a nessuno!”
“Ti ha detto Mina di dirmelo?”
“Anche se fosse, ha ragione.”
“Mettila così: tanta gente che meritava di vivere e lo voleva è sottoterra, compresa tua moglie, mentre io sono qui. Ti sembra giusto?”
“Nessuna morte è mai giusta, ma nemmeno un’autocondanna all’infelicità eterna lo è … non hai mai pensato che ci sia una ragione per cui sei ancora qui? Che forse meriti la seconda occasione che ti è stata data e che stai sprecando la tua vita inutilmente? Che ti colpevolizzi senza motivo?”
“Non credo nel destino, né nelle ragioni soprannaturali. Ed ora leggi quel paragrafo, Lupin. E di’ a Mina, la prossima volta che v’incontrate, che la smetta di usarti per i suoi loschi scopi persuasivi.” sospirò Piton, voltando pagina e sollevando appena la sguardo prima di gridare: “Adams, Burney: venticinque punti in meno a Tassorosso! E domani sera punizione: se vi becco ancora una sola volta a disegnare il mio naso sul quaderno, vi faccio espellere, voi e tutte le leali ed oneste chiappe della vostra dannata casa!”
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Lo scricchiolio che Hermione si lasciò dietro quando si smaterializzò venne inghiottito dal tiepido vento primaverile che soffiava sulla scogliera in cima al villaggio abbarbicato. Sollevò lo sguardo oltre le case raggruppate le une accanto alle altre, vecchie scricchiolanti come i loro abitanti e subito individuò quella che le aveva indicato Draco: lontana dalle altre, quasi in cima agli scogli, con le finestre a specchio lucide che riflettevano il cielo rosato ed aranciato della sera, era una villa in pietra e marmo a due piani.
Stringendosi nel cappotto viola, la ragazza avanzò con decisione, iniziando a risalire la scogliera color smeraldo, ammirando il profilo del mare della Cornovaglia che s’infrangeva con la sua bianca schiuma sulla battigia. I primi lampioni avevano iniziato ad accendersi con l’arrivo del tramonto, ma l’unico segno di vita era dato da un gruppo di bambini che giocava nella piazza deserta dove i negozi già stavano chiudendo.
La Grifondoro inspirò a fondo per tutti i passi che la separavano dalla tetra casa: sapeva che venire lì da sola era avventato e rischioso, ma era l’unico modo che aveva per trovare il terzo libro. Piton non l’avrebbe certamente coinvolta anche se avesse saputo qualcosa e lei non poteva permettersi di sapere di non aver fatto tutto il possibile per trovare i suoi genitori. Anche a costo di risultare avventata …
Si fermò ad un passo dal cancelletto aperto in ferro battuto, osservando le foglie secche rotolare al vento sul vialetto ed i rami ancora secchi di un vecchio albero scuotersi e battere contro i vetri dell’ultimo piano. Non una singola luce era accesa, tanto che l’abitazione sembrava quasi disabitata, ma Hermione decise di fare comunque un tentativo: era lì, tanto valeva provare. La volta seguente, però, avrebbe chiesto a Draco di accompagnarla … quel posto metteva davvero i brividi. “Coraggio, Hermione: hai fatto cose ben peggiori che bussare ad una villa … combattere Voldemort e farti torturare da Bellatrix, ad esempio! O dire a Severus che lo amo …” pensò, deglutendo mentre, sotto il portico, alzava una mano per suonare. L’uscio, tuttavia, si spalancò da solo, cigolando e facendola sobbalzare. Con il cuore in gola, la Grifondoro avanzò cautamente in quell’atmosfera sospesa, entrando nell’ingresso di legno semilluminato da qualche fioca candela. La porta si chiuse di scatto, facendola sobbalzare mentre, in cima alle scale di legno, compariva una figura silente, avvolta in un pesante scialle verde smeraldo ed in un abito ottanio con le frange. “Bene, bene … l’eroina del mondo magico! A cosa devo l’onore?” mormorò con una voce dal pesante accento dell’est, scendendo lentamente le scale. Man mano che si avvicinava, Hermione notò con sorpresa che, nonostante, essendo la zia di Karkaroff, dovesse essere piuttosto su con l’età, sembrava molto più giovane: la pelle olivastra contrastava con i grandi occhi verde chiaro, quasi giallognoli, mentre i capelli castani, divisi dalla riga centrale, erano raccolti in una strettissima crocchia.
“Come sa chi sono?” mormorò Hermione, deglutendo a fondo. “Divinazione: la sorella della negromanzia. E qualche foto sui giornali.” rispose l’altra, fiera, indicandole la stanza adiacente. “Ma prego: accomodati. Non sei certamente venuta fin qui per vedermi e basta! Ci dev’essere qualcosa di cui vorresti discutere, vero?”
“Beh, sì …” annuì la Grifondoro, seguendola in un cupo soggiorno sul verde, coperto da tendaggi, scialli e candele ed accomodandosi di fronte a lei, sul divanetto. “Si tratta di suo nipote, a dire la verità …”
“Igor, certo.” confermò la donna. “Ma ti prego, dammi del tu e chiamami Daciana … detesto le formalità. Cosa vorresti sapere su di lui? Non mi pare che il mondo magico si sia dato particolarmente pena per lui dopo la sua morte … o il suo omicidio, dipende da come la vuoi vedere …”
“A me invece interessa.” l’assecondò Hermione, deglutendo a vuoto: aveva sete, freddo ed era stanca. Voleva solo andarsene da lì, ma doveva resistere. “Mi mandano il Ministero della Magia e la scuola di Hogwarts: sono interessati alla sua inestimabile eredità …”
“Chi eri, la sua concubina? Vuoi soldi?”
“No, solo conoscenza.”
“Uhm … una forma di scambio molto acclamata oggigiorno … ma non è quello che cerchi davvero. Non qui, ovvio: nella vita. Sbaglio?”
“Beh, è una previsione facile da intuire: tutti cercano la felicità.”
“Non tu, mia cara …” ghignò l’altra. “Come fai a dirlo con tanta sicurezza? Non mi conosci neppure!”
La risata di Daciana le fece gelare il sangue nelle vene: improvvisamente, essere venuta lì da sola non le sembrava poi una grande idea …
“Tu credi davvero che ci voglia una vita per conoscere qualcuno? Io riesco a capire tutto delle persone da uno sguardo: è questo il mio dono. I morti sussurrano per me … e raccontano così tante cose! Di te mi hanno parlato Ninfadora Tonks ed un elfo, Dobby … ma anche Bellatrix Lestrange!”
Hermione si strinse le dita più forte che poteva. “Davvero? Non sono una grande esperta di negromanzia … non so come …”
Tutte le finestre della casa si sbarrarono di colpo col il vento e le candele si spensero, facendola sobbalzare. Un lumino solitario illuminò il tavolo, dov’era posta una tavoletta con uno strano oggetto simile ad un teschio di corvo. “Igor? Se ci sei, batti un colpo per noi!” mormorò Daciana. Immediatamente, qualcosa bussò al tavolino. Hermione si strinse nelle spalle, raggelata, sentendo una zaffata di terra e carne putrefatta. “Ciao, nipote adorato.” sorrise la donna. “Abbiamo qui la signorina Hermione Granger, te la ricorderai sicuramente … che puoi dirmi su di lei? Chi è? E cosa vuole veramente?”
Il teschio sulla tavoletta prese a muoversi avanti ed indietro molto rapidamente, schizzando da un lato all’altro e facendo gelare il sangue nelle vene della Grifondoro: un conto era parlare con i fantasmi di Hogwarts ed ascoltare le lezioni di Binns, un altro assistere a scene del genere. In quel momento, rimpianse di non aver ascoltato la Cooman parlare di negromanzia e spiritismo …
“Ma davvero?” rise Daciana. “E chi l’avrebbe mai detto … tu vuoi il nostro libro di famiglia! Un libro del destino … hai idea di quanto tempo abbia richiesto crearlo? Non è di proprietà pubblica, non potete avere tutto quello che volete, voi del Ministero!”
“Io volevo soltanto avere delle informazioni su di esso, non certo prenderlo.” mentì Hermione. Pessima idea, a quanto pareva, poiché la tavoletta sbatté violentemente sul tavolo, facendola quasi gridare. “Menti!” sibilò Daciana. “E, come dicevo, non cerchi neppure la felicità … anche se innegabilmente ti farebbe bene! Vivendo in una locanda malfamata, con una vita sola e da fallita, mentre tutti i tuoi amici vanno avanti, hanno vite … dev’essere penoso!”
“Non è così.” affermò sicura Hermione. “Ah no? Allora perché sei invidiosa di Ginny Weasley e Luna Lovegood? Eh? E perché detesti soprattutto Lily Evans? Che c’è, temi che sarai sempre meno di lei, che lui continuerà ad amarla e non ti vorrà mai? Temi che ti abbia detto la verità?”
Il cuore della ragazza perse un battito: come faceva a sapere quelle cose? Non le aveva dette a nessuno se non a se stessa …
“Credo sia meglio che vada …” mormorò, schizzando in piedi. Prima che riuscisse a raggiungere la porta, però, questa si sbarrò ed un’enorme figura pelosa l’atterrò, facendola urlare. Hermione, in preda al panico, non osò aprire gli occhi prima di sentire un caldo fiato sul collo ed un ringhio basso. “Stupeficium!” gridò, seppur inutilmente. “Sectumsempra!”
“È inutile, cara … questo è un cerchio magico, chi vi entra non può più usare i suoi poteri … sei una comune babbana, qui!” sorrise Daciana, levandosi in piedi. “Ed ora dovremo pensare a cosa fare di te … beh, appena finisce il plenilunio, vero, Fenrir?”
“Auuuu!”
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“Non devi guardarla, non devi guardarla, non devi guardarla …” si ripeté Severus come un mantra, procedendo spedito per una Diagon Alley invasa dalla pioggia scrosciante sotto ad un cielo grigio perla. Non appena svoltò, tuttavia, i suoi occhi d’onice saettarono automaticamente verso il Ghirigoro, maledicendosi mentalmente per la sua posta temperanza: non vedendo nessuna, tuttavia, si arrestò di colpo. Senza neanche pensarci, decise di approfittare di quella fortuita assenza, fiondandosi nel negozio.
Florence Florish era dietro il bancone nel negozio vuoto, tutta presa dal riordinare delle pile di novità. “Oh, professor Piton: quanto tempo!” esclamò, vedendolo. “Sono stato … occupato.” ammise. “C’è qualche novità interessante?”
“Oh, non saprei … oramai è Hermione che conosce meglio i suoi gusti! Se solo fosse qui …”
“Le è successo qualcosa?” domandò Severus, curioso e, seppur lo negasse persino a se stesso, lievemente preoccupato. “Non lo so: oggi non è venuta a lavoro. E non è da lei: non l’ha mai fatto in più di due anni. Certo, potrebbe essere malata, ma …”
“Non si può mai sapere, certo.” annui il professore, indietreggiando sino alla porta. “Sono in ritardo, voglia scusarmi, madame Florish: a presto.” si congedò freddamente, schizzando fuori. Senza neanche preoccuparsi dell’acqua che gli grondava sulle spalle, attraversò Diagon Alley, scansando i passanti, sino a raggiungere praticamente di corsa il Paiolo Magico: forse si sbagliava e, in ogni caso, non erano affari suoi, ma aveva una sensazione, uno stupido presentimento esacerbato dalle sue scelte che gli stava gridando di cercarla. Avrebbe chiesto a Tom e si sarebbe tranquillizzato abbastanza da riuscire a tornare ad Hogwarts senza spaccarsi.
Il Paiolo era gremito, com’era prevedibile ed il locandiere andava su e giù febbrilmente. “Tom!” lo bloccò Piton, appoggiandosi al bancone. “Professore! Non si appoggi al bancone, che lo bagna …”
“Dov’è Hermione?”
“La Granger? Non è tornata qui: a dire il vero, visto come siete rientrati qualche mese fa, pensavo fosse da Lei …”
“La smetta di dire idiozie: ha lasciato qualche avviso?”
“No … il che è strano: di solito lo fa, quando dorme dalle sue amiche, in effetti ... ma magari ha conosciuto qualcuno!”
“Erra vestita da appuntamento quand’è uscita?”
“No, era tutta infagottata … dice che sia nei guai?”
“Mi dia quella dannata chiave!” sbottò il professore, afferrandola dalle dita tremolanti del locandiere per poi fiondarsi di sopra. Raggiunta la porta, si entrò senza neanche badare troppo a non fare rumore o a bussare.
Il miagolio di un gatto aranciato lo accolse, lasciandolo stranito: la stanza era avvolta nella penombra, la scrivania era in ordine ed ovunque c’era il delicato profumo di Hermione, ma la ciotola di quel vecchio gatto isterico (come diamine si chiamava e come faceva ad essere ancora vivo?) era vuota … Hermione non l’avrebbe mai lasciato senza cibo. Evidentemente, pensava di tornare …
“Dannazione!” sbottò, dirigendosi alla scrivania e frugando nella posta. Quasi sobbalzò quando vide una lettera indirizzata a lui da Durmstrang: credeva che avessero ignorato la sua richiesta! E, invece, aveva preso lei la risposta quella sera …
La lesse voracemente, il cuore che accelerava ad ogni parola prima di stritolare l’ultimo biglietto ricevuto, da Draco, con un indirizzo che ben conosceva. “Maledizione, maledizione!” sbottò, portandosi una mano alla gola prima di afferrare i fogli e fiondarsi di sotto. Tom lo stava aspettando sulle scale, il volto preoccupato. “Allora?”
“Allora è nei guai e nessuno se n’è accorto, complimenti!” sbottò Piton, avviandosi fuori con ampie falcate ed il mantello svolazzante. “L’aspetti qui e, se torna, mi avvisi, chiaro?”
Tom annuì mentre il professore si smaterializzava nell’oscuro diluvio londinese.

Angolo Autrice:
Rieccoci: capitolo di passaggio, che, peraltro, non mi soddisfa neanche particolarmente, ma confidate nei prossimi, saranno più interessanti! Ci tengo a precisare che l’autore che cita Hermione è Carlos Ruiz Zafón nello splendido libro ‘Il Gioco dell’Angelo’ e che la figura di Daciana è indirettamente ispirata all’episodio Lunghe Ombre della quinta stagione di Ghost Whisperer, serie che amo molto. E sì, prima che lo sospettiate: quel Fenrir è proprio Greyback, quindi aspettiamoci delle belle!
Alla prossima e, come sempre, grazie mille a chi ha letto sino a qui!
E.

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Capitolo 17
*** Destini intrecciati tra le Ombre del Passato ***


Capitolo Diciassettesimo
Destini intrecciati tra le Ombre del Passato

A penny for your thoughts
A picture so it lasts
Let's knock down the walls of immortality
Your fingers on my skin only you can hear my fear
Only you can help me heal
I see forever with you here

(Last Night on Earth, Delta Goodrem)
Buio. Non c’era che buio, davanti, dietro e tutt’attorno a sé. Il silenzio in cui era avvolta la casa era tanto profondo da inghiottire ogni cosa, persino da luce ed il debole scricchiolio del legno.
Hermione non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso da quando l’avevano portata in quella soffitta umida e polverosa: poteva essere trascorsa un’ora come un mese. Aveva completamente perso ogni percezione del tempo e dello spazio su quel pavimento scheggiato e con quelle finestre sbarrate.
I polsi e le caviglie le facevano male, stretti com’erano da lenzuola con cui l’avevano legata ed imbavagliata a terra come un salame: aveva provato a liberarsi in ogni modo, aggrovigliandosi, recitando incantesimi, ma non era servito a nulla. La sua magia, in quella casa, era completamente inutile e, a terra, non c’era nemmeno un chiodo o un oggetto con cui provare a tagliare le corde … non c’era niente e nessuno.
Avrebbe seriamente creduto che Daciana se ne fosse andata se, ogni tanto, non fosse apparsa sulla porta con il suo sorriso sghembo, lasciando uno strano incenso che le faceva girare la testa e sentire le voci dei morti. Aveva già sopportato i sussurri di Fred, Cedric, Silente e Tonks ed a fatica era riuscita a non impazzire, anche se, oramai, aveva pianto tanto da avere gli occhi completamente secchi, gonfi e doloranti.
Se c’era una cosa che Hermione aveva capito stando lì era che voleva vivere. A prescindere dalla sua solitudine, dalle ricerche fallite dei suoi genitori, dal rifiuto di Severus che ancora faceva così male, voleva tornare a casa. E, invece, le uniche cose che poteva fare erano disperarsi, piangere ed attendere con un brivido il prossimo plenilunio, dove, a sentire Daciana, Greyback si sarebbe occupato di finirla a dovere, come si confaceva ad una sanguemarcio come lei. Era piuttosto evidente che entrambi volessero vendetta e cercare di dissuaderli era tata una pessima idea, vista la cruciatus che aveva ricevuto in cambio.
Come oramai faceva per farsi forza, si strinse alle ginocchia, affondandovi il viso e cercando disperatamente di aggrapparsi a dei ricordi felici. In quei giorni (o erano ore? O forse addirittura mesi?) aveva rammentato ogni risata che aveva scambiato con Harry e Ron, ogni avventura che avevano vissuto assieme, ogni allenamento di Ginny che aveva visto ed ogni volta che aveva ripassato con Luna. Aveva pensato ai suoi genitori ed ai ricordi di bambina, ma, soprattutto, aveva cercato di ricordare il più possibile la sera del ballo degli Hart, come fosse stato ballare con Piton, il loro bacio e tutti i consigli e le chiacchiere che avevano scambiato in quei mesi. Si era aggrappata a quelle sensazioni come fossero ossigeno, aria pura nella putrefazione ed avrebbe continuato a farlo finché non avesse trovato una soluzione: aveva passato molto di peggio, non si sarebbe arresa certo per un pavimento polveroso e qualche spirito. Mai.
֍֎֍
Harry Potter, da ragazzo, non aveva notoriamente dormito molto. Abitare in un polveroso ed umido sottoscala con due zii dispotici ed un cugino viziato che gli tormentavano l’esistenza non gli aveva certamente conciliato il sonno, così come non l’aveva fatto sapere che Voldemort voleva ucciderlo. Nonostante fossero trascorsi anni oramai e molte cose fossero cambiate, quasi tutte in meglio, le vecchie abitudini erano dure a morire e Harry, infatti, dormiva ancora con la bacchetta sotto il cuscino. E, infatti, fu proprio in nome dei vecchi istinti e delle antiche paure che, non appena sentì il trillo del campanello, si tirò a sedere, pronto a reagire. Si rilassò al pensiero che qualunque nemico avesse voluto vederlo morto certamente non avrebbe suonato, inforcò gli occhiali tondi e scese rapidamente le scale in pigiama, ancora mezzo intontito dal sonno. “Mamma, papà, avete scordato la chiave?” bofonchiò, spalancando l’uscio. Quando vide chi c’era sullo zerbino, di contorno ad una Godric’s Hollow ancora umida di pioggia e rugiada, muta e deserta, sobbalzò, svegliandosi finalmente del tutto. “Professor Piton?” mormorò. Indubbiamente, il mago che gli stava di fronte era Severus Piton, solo così sconvolto e scomposto, con il mantello nero fradicio di pioggia e la cicatrice talmente rossa ed infiammata da sembrare sul punto di riaprirsi, da stentare a riconoscerlo. “Hai intenzione di fissarmi per tutta la sera?” sbottò. Harry scosse il capo, scostandosi. “Entri. Mamma e papà sono fuori per il loro anniversario, non so quando …”
“Non sono qui per loro: Hermione è qui?” bofonchiò l’altro, entrando, sbrigativo. “Cosa?”
“Potter, sapevo fossi lento di comprendonio, ma non così tanto … la domanda è semplice: Hermione Jean Granger è qui, è venuta da te?”
“E perché avrebbe dovuto?”
“Rispondi e basta!”
“No, non la vedo da settimane, ma … perché la sta cercando? Sta bene? Le è successo qualcosa?”
Piton sospirò, scuotendo il capo. “Non lo so ancora, ma di certo non sta bene: l’ho cercata ovunque, ma non è da nessuna parte … ciò significa che ha seguito la pista e si trova in una delle case più pericolose d’Inghilterra. Devo andarci subito …”
“Aspetti, ma che significa? Vengo con Lei!” lo bloccò. All’occhiata perplessa di Piton rispose cambiando il pigiama nella divisa da auror con un rapido incantesimo. “È per la ricerca di quei libri di cui parlava papà, vero? Ma in che guaio si è cacciata?”
“Un guaio ben più grosso di lei e s’ingigantirà, se non mi muovo subito!”
“Le ho detto che vengo anch’io!”
“Ma se non hai nemmeno completato l’addestramento da auror, ti rendi conto che …”
“Pensa davvero di arrivare lontano in queste condizioni? Si guardi: è sconvolto!” lo bloccò Harry, ansimante. “Ed Hermione è mia amica … non la posso abbandonare così, nei guai. Lei mi ha aiutato così tante volte … non posso proprio.” boccheggiò. “Anzi, credo sia saggio chiamare il dipartimento auror e …”
“No!” lo frenò Piton, secco. “Non coinvolgeremo il Ministero.”
“Sono brave persone …”
“Che ti accoltellano alle spalle, certo … se Hermione è in pericolo è per causa loro, perciò non chiamerai proprio nessun auror! Puoi venire tu, se proprio ci tieni, ma segui le mie istruzioni … ti spiego tutto una volta là, andiamo!”
“Certo!” annuì Harry, seguendolo brevemente fuori casa. Solo in giardino, prima di smaterializzarsi, si azzardò e porre la domanda che gli premeva oramai dall’inizio di quella conversazione …
“Professore?”
“Che c’è?”
“Da quando la chiama Hermione?”
“Non sono affari tuoi, perciò sta’ zitto e smaterializzati … non abbiamo molto tempo!”
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Una risata, fredda ed affilata come un coltello, fendette l’aria, destandola dallo stato catatonico in cui era versata sino ad allora. Hermione schizzò a sedere, ansimando, mentre la sghignazzata si amplificava nella vecchia soffitta: le era sembrato di conoscerla … ma era impossibile …
Un sordido ed acuto dolore le ferì il braccio sinistro, facendola sobbalzare e gridare mentre sentiva una lama, la stessa del pugnale di Bellatrix, inciderle ‘sanguemarcio’ nella carne. Urlò e si divincolò, ottenendo solo di far aumentare a dismisura le risate. “Basta, basta, vattene, vattene via!” gridò.
La porta si aprì in quel mentre e tutto svanì. Hermione, ancora ansimante, aprì lentamente gli occhi, ritrovandosi a fissare Daciana in una lunga vestaglia di seta, sorridente e vagamente soddisfatta. “Piaciuta la visita di Bellatrix Lestrange? Ci teneva tanto a salutarti …” mormorò. “Oh, non temere: la tua tortura durerà ancora poco … domani c’è il plenilunio e tutto sarà finito. Beh, anche tu sarai finita …” rise. “Sbagli: me ne andrò molto prima di qui!” replicò Hermione. “Ah, ma davvero e come?”
“Mi troveranno!”
“Che vengano pure: non durerebbero un secondo in questa casa o contro di me … o contro Fenrir trasformato, se è per questo!”
“Non conosce il Ministero …”
“Oh, è proprio perché lo conosco che lo so … ora scusa, ho dei clienti … stupidi babbani che vogliono parlare col figlioletto morto, bah … ma ti lascio in buona compagnia: guarda, ci sono due morti che vorrebbero tanto parlare con te …” rise, sbarrando la porta. Per qualche istante, Hermione rimase sola ed immobile prima che un delicato aroma di mughetto invadesse l’aria, facendole ghiacciare il sangue in ogni anfratto del suo corpo. “Mamma?” sussurrò appena.
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Quando riapparvero dinanzi alla casa, il tramonto era passato da un pezzo: una coltre di raso blu aveva coperto il cielo senza stelle, illuminato dalla pallida figura di una luna quasi del tutto piena che si rifletteva sul mare e sul silenzio in cui era immersa la scogliera.
“Andiamo!” esclamò Harry, fiondandosi verso la porta. “Aspetta, Potter, dannazione!” lo frenò Piton. “La casa dei Karkaroff è sicuramente circondata da un anello magico, il che spiegherebbe anche perché Hermione non si è difesa.” spiegò. “Era un classico di famiglia.”
“Un anello magico?” ripeté il ragazzo, sgranando gli occhi verdi. Severus li fissò, basito: per anni quelle iridi erano state la sua condanna, il suo monito, il suo maggior rimpianto … solo ora, si accorgeva che erano solo occhi. Verdi come prati, certo, ma semplici occhi.
“Vuol dire che ogni potere di chi vi entra viene annullato.” spiegò, passandosi una mano sul viso. “Per Godric, questa non ci voleva …”
“Troveremo un metodo babbano, siamo in due e lei è una! L’importante è non dar retta a ciò che vedrai e che ti dirà là dentro … chiaro?”
“Chiaro, mi ha detto che è una negromante, sì.”
“Spero per te che lo sia, perché non si scherza, una volta entrati. Hermione dev’essere al piano superiore, verosimilmente … mi ricordo che tenevano i loro prigionieri in soffitta …”
“Perché Le sta tanto a cuore, se posso chiedere?” domandò Harry, scrutando la casa buia con fare apprensivo. “Domanda fuori luogo, Potter.” rispose semplicemente l’altro, lasciando il ragazzo di stucco per poi farlo sospirare. “Ho capito, vi siete avvicinati per questa storia dei libri … tipico di Hermione.” annuì. “Vede il bene in chiunque, anche e soprattutto quando gli altri non riescono a vederlo in se stessi …”
A quelle parole, Piton sentì la cicatrice pizzicare di nuovo: era esattamente ciò che era accaduto con lui.
“Che altro dobbiamo aspettarci da quella casa, Piton?” proseguì Harry, ignaro del lieve tremito delle dita del Serpeverde al suo fianco. “Manufatti magici, trappole, incantesimi di protezione anche mortali … di tutto. I Karkaroff hanno una passione per la morte: è nel loro sangue.” sospirò Piton, la testa da tutt’altra parte: non provava alcun interesse per il suo passato, oramai. L’unica cosa che contava era ritrovare Hermione … viva.
“Bene, andiamo allora.” sospirò il ragazzo sopravvissuto, sfoderando la bacchetta. “Avrai un grande futuro come auror, Potter!” commentò Piton, sogghignando appena. “Sei un leader attuale, il coraggio, mi duole ammetterlo, è il tuo forte … ti manca solo urlare: ‘Vigilanza costante’ e poi saresti uguale a Moody!”

Non appena la luna piena fece capolino tra le nubi perlacee, il silenzio quasi idilliaco del paese venne rotto da un sonoro scrocchio di legno, tanto violento da far accendere qualche luce nelle case al limitare del villaggio. “Meno rumore, Potter, dannazione!” sbottò Piton, scuotendo il capo. “Sapevo che portarti dietro era una pessima idea …”
“Sto facendo del mio meglio … mi creda, ci so fare con queste cose!” sbuffò Harry, intento ad armeggiare con bacchetta e serratura finché questa non scattò. “Al mio tre …” lo ignorò Piton, sistemandosi accanto alla porta ed afferrando il pomello: sentiva il sudore colargli lungo la schiena ed il battito del cuore tanto accelerato da arrivargli distintamente sino alle punte dei capelli. Era stanco, ancora fradicio dalla pioggia presa e terribilmente in ansia: erano forse arrivati troppo tardi? E se Hermione non fosse lì? E se le fosse successo qualcosa? Non se lo sarebbe mai perdonato, non di nuovo … ancora una volta, era solo colpa sua. Se non l’avesse esclusa dalle ricerche, se non l’avesse cacciata in lacrime, se, per una volta, si fosse lasciato andare ed avesse dato retta a ciò che gli diceva quel suo stupido ed illuso cuore, senza badare alle mie lucubrazioni ed al suo vittimismo … forse, Hermione sarebbe stata con lui, al sicuro. Forse.
“Tre!” strillò poi, senza lasciargli il tempo di pensare ad altro.
Spalancarono la porta ed entrarono nell’androne, ansimanti, mentre il rumore del legno scrocchiante rompeva il silenzio della casa. Per i primi, interminabili, istanti, non accadde nulla: la casa restò buia e silenziosa, com’era sempre. Solo dopo un po’, la porta si sbarrò da sola e le imposte presero a ticchettare violentemente, come in preda ad una bufera. Mille ombre sorsero dal nulla, iniziando a ghignare e danzare sulla parete. “Via, sciò!” strillò Harry, lanciando della polvere antispettri un po’ a caso tutt’attorno a sé. Una risata più forte delle altre ruppe il silenzio mentre, sulla soglia del soggiorno, una figura avvolta da scialli avanzava lentamente. “Ecco qui la squadra di salvataggio … ma che gruppetto ben assortito! Un ragazzetto presuntuoso ed un professore acrigno con i sensi di colpa che pensa di meritare solo morte ed infelicità … mi fate proprio paura, sapete?” rise, avvicinandosi e rivelando gli occhi quasi completamente gialli e luminosi come quelli di un gatto. “Daciana …” mormorò Piton. “Severus caro, non credevo che fossi passato dalla parte dei mammalucchi … sei così debole, davvero?”
“Debole sarà Lei! Ci dica dov’è Hermione!” sbottò Harry, allontanando un’altra ombra. “Ah, davvero? Io sarei debole? E sentiamo un po’, cosa sperate di fare senza la vostra magia contro l’esercito dell’aldilà? Da morte le anime tendono ad essere arrabbiate, sapete?” ghignò, mentre le imposte sbattevano più violentemente. Era evidente che avrebbe voluto aggiungere altro, ma non poté, dal momento che una furia in nero la schiantò al suolo, facendola gridare di dolore e sorpresa. “Dov’è lei?” scandì Piton, mollando appena la presa. Daciana, ancora ansimante, gli rivolse un sorriso obliquo. “Ah, ed ecco l’eroe, il Mangiamorte redento … per cos’hai venduto la tua anima, eh? Ah, aspetta, lo so …tua madre, Albus Silente e Lily Evans. Le tue vittime ti sussurreranno per sempre nelle orecchie che non l’hai potuto salvare da te stesso …”
“Dov’è la ragazza? Parla!” gridò Harry, afferrandola per il bavero a sua volta. “Parlare? Parlare? Siete proprio due illusi se pensate che vi dirò dove si trova … so che v’interessa molto, che credete, ma non …”
Prima ancora che Daciana potesse terminare di vomitar loro addosso i suoi improperi, sul muro, le ombre parvero ingrandirsi e prendere vista, strisciando lungo le pareti. “Fuori, dobbiamo buttarla fuori per spezzare l’anello!” gridò Piton. Harry non se lo fece ripetere due volte e, immobilizzata la strega, in un unico gesto poco gentile, la scaraventarono in giardino. “Apri le imposte, Potter, serve luce, quanta più luce possibile per scacciare queste cose!” proseguì Severus, iniziando a spalancare ogni finestra con abili gesti ora che era tornato in possesso della sua magia, subito imitato da Harry. Il fermento delle ombre parve placarsi lievemente, anche se solo per qualche istante. “Dobby …” mormorò il ragazzo sopravvissuto, bloccandosi nel bel mezzo di un tentativo di scacciare l’ennesima frazione di buio. “Dobby, sei davvero tu?”
“No, Potter, non è reale!” lo scacciò Severus, scuotendolo per le spalle fino a fargli riprendere coscienza di sé e di quello che stava facendo. “Scacciale e basta, non sono reali, non sono i tuoi amici morti!” sibilò, rompendo la tavoletta impazzita sul tavolo del soggiorno con uno schiantesimo. Piton stava per correre di sopra, quando, sullo scaffale, notò un libro che riconobbe all’istante come quello della descrizione fornita dalla Umbridge. Lo afferrò e lo porse ad Harry. “Custodiscilo e dallo solo a me, Potter, chiaro?”
Questi annuì, stranito. “Ora di sopra, svelto!” sbottò, affrettandosi a salire le traballanti scale fino ad una serie di stanze buie e polverose. “Hermione! Siamo qui!” gridò Harry, spalancandole tutto contemporaneamente in febbrile attesa. Ad un ringhio sommesso, si precipitarono nell’ultima camera, trovando, con orrore, un’orrida bestia a metà tra un gigantesco lupo, un uomo ed un mostro ringhiare ed ululare, gli artigli ben avvolti attorno alla gola di Hermione, pronto a mordere. “Greyback!” gridò Piton. Il mannaro si volse, latrando, gli occhi iniettati di sangue e le fauci spalancate. Afferrò un’Hermione palesemente svenuta, sistemandosela davanti a mo’ di scudo. “Dannazione!” imprecò Piton, abbassando la bacchetta. Da un angolo della stanza, fortunatamente, Harry riuscì ad afferrare un vaso ed a tirarlo in testa alla bestia con quanta forza avesse in corpo, facendolo distrarre il tempo necessario per consentire a Piton si scaraventarlo fuori dalla finestra con uno schiantesimo.
“Hermione!” gridò Harry, precipitandosi dall’amica, incosciente e con le braccia e la schiena coperte di tagli più o meno profondi. “Hermione, che ti hanno fatto?” mormorò, sconvolto, slegandola rapidamente. “Siamo arrivati in tempo: stava per morderla.” ansimò Piton, raggiungendola con la mano ancora tremante. “Herm, stai bene? Herm!” la chiamò Harry. “Non è il momento, Potter: ora bisogna portarla via da qui! E prima che arrivi la stampa … simili esplosioni come quella che abbiamo appena visto attirano la Gazzetta del Profeta ed il Ministero della Magia …” lo scansò Piton, avvolgendo Hermione nel suo mantello e sollevandola delicatamente tra le braccia. Si concesse un solo istante per osservare il volto emaciato, sfibrato, i capelli che ricadevano mollemente addosso, le ferite sulle braccia ed i lividi sul volto … non si era mai reso conto che fosse così fragile e minuta …
“Andiamo, su!” lo esortò poi, seguendo Potter fuori dalla casa, ancora tremolante. “Stanno scappando!” gridò Harry, indicando due sagome intenta a zoppicare verso le scogliere a picco sul mare. “Ti pare il momento di pensare a quello che fanno quelle due bestie, Potter?” sbottò Piton. “Certo che mi pare … stupeficium! Expelliarmus!” sbraitò, inutilmente, vista la facilità con cui la negromante deviava i suoi incantesimi. “Crucio!” strillò infine Harry, colpendo in pieno entrambe le figure che stavano risalendo la scogliera. Greyback, ululando, finì per scivolare e ricadere addosso a Daciana, facendola gridare di dolore. “Lei vada, io aspetto gli auror! La porti ad Hogwarts, da Madama Chips …” asserì il ragazzo, mentre Severus, ammirato dall’intraprendenza del giovane, anche se non l’avrebbe ammesso mai neanche sotto tortura, si smaterializzava.
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L’infermeria di Hogwarts non era mai apparsa tanto angusta e fredda agli occhi di Severus: stretta, scura ed appena illuminata dai lumini e dalla luce lunare, sembrava l’antro di qualche Mangiamorte ancora in circolazione. Naturalmente, si sarebbe ben guardato dal dirlo a Madama Chips …
Sospirò, passandosi una mano sul viso: ci vedeva doppio per quant’era sfinito che era, ma non aveva alcuna intenzione di andare a casa. Non ancora, non prima di aver appurato che lei stesse bene … dopo sarebbe tornato al suo mondo di ombre e rimpianti, ma solo dopo.
Harry, in piedi accanto alla finestra, sospirò, scompigliandosi ancor di più i capelli già ridotti ad un autentico disastro. “Cos’hanno detto gli auror?” domandò Piton, rompendo il gelido silenzio che li aveva avvolti sino ad allora. “Che Greyback era fuggito da Azkaban mesi fa, ma avevano tenuto la notizia nascosta per prenderlo di sorpresa …” sospirò il ragazzo. “Tipico del Ministero …”
“Non immaginavano che avesse trovato un’altra Mangiamorte sopravvissuta e che stessero progettando di ricostruire il gruppo … avevano contatti con Rodolphus Lestrange, verrà chiamato a rispondere delle loro lettere domani stesso …”
“I Lestrange e Greyback erano i peggiori bastardi di tutto il gruppo.” mormorò Piton, rivolto più a se stesso che ad Harry. “Me lo ricordo bene … Regulus Black litigava spesso con loro per i modi che usavano!”
“Il fratello di Sirius? Lo conosceva?”
Resosi conto solo allora di aver parlato, Severus si volse a fissarlo, un’espressione indecifrabile dipinta in volto. “Il fratello di Black … sì, lo conoscevo.” confermò con voce quasi rotta. “Eravate amici, vero?”
“Parlavamo ogni tanto.”
“Secondo me eravate amici.” continuò Harry. “Siete così simili: entrambi avete compiuto scelte sbagliate, ma vi siete riscattati, sacrificandovi per l’intero mondo magico. Entrambi siete eroi, Serpeverde più coraggiosi di tanti Grifondoro …”
“È sempre confortante notare come, dopotutto, la tua fervida fantasia sia rimasta intatta, Potter …” ghignò Piton, senza, tuttavia, rispondergli. “Come vuole. A proposito …” sospirò il ragazzo, estraendo da una tasca il libro rimpicciolito che gli aveva consegnato il professore. “Credo che questo L’interessi … sia Lei che Hermione …”
“Grazie.” annuì il docente, nascondendolo nella redingote: lo avrebbe guardato più tardi. Al momento, gli importava poco e niente di quegli stupidi libri e della sua pensione anticipata …
“Potete entrare …” mormorò Madama Chips, affacciandosi sulla soglia ed invitandoli a seguirla in silenzio. I due maghi si accodarono senza proferire parola.
Hermione giaceva su un letto dell’infermeria, le lenzuola avvolta fin sopra il mento, la pelle ed i capelli ora puliti ed i graffi oramai quasi del tutto guariti. “Sta bene.” confermò la guaritrice. “I veri traumi sono psicologici … ha comunque bisogno di risposo assoluto e di calma per almeno una settimana …”
“Facciamo anche due!” azzardò Severus, sforzandosi di trattenere il sollievo e quel macigno che sembrava essersi sollevato dal suo cuore. “Quanto dovrà restare qui?” domandò Harry. “Oh, potrebbe andare via anche subito … e forse dovrebbe.”
“Che intendi, Chips?” domandò Piton, sollevando un sopracciglio, dubbioso ed incrociando le braccia. “Intendo che tra poco qua ci sarà una fila di curiosi e giornalisti pronti a farle domande … le vostre scorribande di salvataggio hanno fatto scalpore, sapete? Ed Hermione, ripeto, ha bisogno di tanta tranquillità …”
“Non c’è problema, posso portarla a casa mia!” si offrì Harry. “Certo, nel bel mezzo di altra confusione!” sbuffò Madama Chips, scuotendo il capo. “Godric’s Hollow, Grimmauld Place, la Tana, casa di Lupin … sarebbero i primi posti dove la cercherebbero! Sa che sono tutti suoi amici …”
Harry parve intristirsi per poi riacquistare un barlume che gli fece luccicare gli occhi di un inquietante entusiasmo. “Spinner’s End!” esclamò. “Non se ne parla, Potter!” sbottò Piton, atterrito: il cuore aveva preso a fare le bizze come non gli capitava da anni … non poteva assolutamente permetterlo, non se ne parlava nemmeno! Già stava tentando di tutti i modi di scacciare il pensiero della ragazza dalla sua testa, figurarsi quali conseguenze disastrose avrebbe avuto portasela in casa …
“Andiamo, professore: Hermione è viva grazie a Lei, so che ci tiene!” lo esortò Harry. “Quale parte della parola ‘no’ non ti è chiara, Potter?” ringhiò l’altro, stringendo i pugni: perché diamine tutti ignoravano la sua opinione?
“Oh, ma è un’ottima soluzione!” annuì Madama Chips. “Un quartiere babbano, isolato ed insospettabile … nessuno la cercherebbe mai lì!”
“Ma forse sono io a non volere una ragazzina tra i piedi per quanto, una settimana?”
“Due, l’hai detto tu stesso poco fa!”
“Piton si portò due dita alla base del naso, maledicendosi in tutte le lingue conosciute. C’era quasi da sperare che Greyback, magicamente scampato gli auror, gli piombasse dinanzi e lo finisse … sarebbe stato meno umiliante. “Perfetto, allora direi che possiamo aspettare che si svegli, poi la porterò personalmente da Lei!” propose Harry, sorridendo, soddisfatto come un modesto uomo d’affari che aveva appena firmato un contratto multimilionario. “Anche perché prima bisogna andare a prendere Grattastinchi ed avvisare Tom e madame Florish …”
“Cosa, un gatto? Nessun dannato gatto entrerà in casa mia!” abbaiò Severus, sgranando gli occhi. “Shhh … disturbi i malati, per Merlino!” lo zittì Madama Chips, sbuffando. “E, comunque, è tutto per la saluta della ragazza … i benefici della pet therapy sono documentati!”
“Pet che?” gracchiò Piton, portandosi una mano al collo. “Oh, ma guarda che hai combinato!” sbuffò la medimaga, avvicinandosi e scostandogli bruscamente le dita leggermente bagnate di un liquido rosato ed appiccicaticcio. “La ferita si è riaperta … troppa agitazione, dico bene, Severus?”
Questi bofonchiò qualcosa in risposta, ma lasciò che la donna lo medicasse in silenzio. “Su, ora sistemiamo il danno e poi sarai libero di tornare a casa e sistemarla un po’ Tu, Harry, fa’ quel che devi e poi torna qui, aspetteremo che la ragazza si svegli per spiegarle tutto. Solo dopo l’accompagnerai a Spinner’s End … ah, meglio se avvisi anche Minerva, cortesemente, nessuno ci ha pensato!”
“Va bene, a dopo!” annuì il ragazzo, fiondandosi fuori dall’infermeria. Piton, rimasto solo, sospirò, sentendo la testa pulsare e le tempie dolere: era stanco, nervoso e, ora, anche impaurito. Lui, che aveva affrontato ogni giorno temibili bugie e prove di fiducia dell’Oscuro Signore, aveva paura di una ragazzina ferita … stava diventando davvero ridicolo, vecchio e ridicolo. Avrebbe solo dovuto tenerla a distanza, non avrebbe dovuto essere poi così difficile … e, poi, probabilmente, sarebbe stata lei stessa a non volerlo neanche vedere …
“A qualunque cosa tu stia pensando, smettila subito.” l’ammonì la medimaga. “E perché, sentiamo? Non c’è neanche più libertà di pensiero, qua dentro?”
“No, semplicemente perché, qualunque cosa sia, è tanto spaventosa da far riaprire i bordi della cicatrice … se non vuoi morire dissanguato qui dentro, non pensare a niente!”
“Non sarebbe poi così male, sai, Chips?”
“Oh, finiscila!”
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L’orologio scoccò la mezzanotte contemporaneamente ad un sonoro tuono che si abbatté su Cokeworth, facendo tremolare persino la fioca luce del salotto di Spinner’s End. Severus, seduto in poltrona, sospirò, passandosi una mano sul viso e terminando il suo whisky in un unico, stanco, sorso: aveva bevuto parecchio e, sebbene Madama Chips gliel’avesse sconsigliato, non intendeva trascorrere la serata lucido. Aveva bisogno di scordare per qualche istante quanto fosse stato stupido ed avventato ad accettare senza neanche impuntarsi a dovere quell’assurda idea di quel tonto di Potter … ma dov’era finito il Piton di una volta? Oramai nessuno gli dava più retta, non faceva più paura, era l’ombra dell’uomo che era prima della guerra, un’anima maledetta condannata a vagare per la Terra senza darsi mai pace … ma chi voleva prendere in giro? Ma cosa sperava di ottenere?
Lo sguardo cadde sul libro posato sul tavolino oramai da ore, ancora intonso: il libro dei morti, proprio come descritto da Dolores Umbridge, era nero, la copertina lucida con intarsi di simboli alchemici e lettere runiche ed un teschio in rilievo. Aveva curiosità di aprirlo e leggerne il contenuto, certo, ma non l’aveva fatto per timore: l’ultima volta che aveva aperto uno di quei dannato libri del destino, non era andata come aveva creduto ed i cambiamenti lo spaventavano … anzi: la vita lo spaventava. Che creatura patetica …
Un ticchettio alla porta lo fece sospirare pesantemente: era ora. Si trascinò sino all’ingresso, lisciandosi la redingote prima di aprire. Al ritrovarsi Hermione davanti, tuttavia, tutto perse improvvisamente importanza: la ragazza, avvolta in un cappotto grigio, lo fissava, tremolante, gli enormi occhi nocciola liquidi e le guance arrossate. Tra le braccia, Grattastinchi sonnecchiava tranquillo. Era così bella da far male …
“Credo sia meglio entrare, o ti ammalerai!” intervenne Harry alle loro spalle, riscuotendoli. “Certo … prego.” annuì Piton, scostandosi. I due ragazzi entrarono, chiudendosi la porta alle spalle. Gli occhi di Hermione saettarono nel familiare ambiente, scrutandolo come se fosse la prima volta. “Puoi sistemarti nella prima camera a destra in cima alle scale.” spiegò mollemente Severus alla ragazza. Questa annuì, fissandolo con uno sguardo strano. “Va bene, grazie. Harry, hai parlato con …”
“Tutti, sì, te l’ho già detto, Hermione.” annuì questo. “Tom e Madame Florish dicono di non preoccuparti di affitto e lavoro e di pensare a ristabilirti, mamma, papà, Ginny, Luna e Remus verranno a trovarti in queste due settimane.”
“Una.” lo corresse la ragazza. “Una settimana, non mi serve altro. Quanto prescritto da Madama Chips. Ora vorrei andare a riposare, scusatemi …” mormorò, rivolgendo un timido sorriso ad Harry che fece pericolosamente contorcere lo stomaco di Piton. “Buonanotte …” mormorò, avviandosi lungo le scale con passo incerto, Grattastinchi stretto al petto.
Solo quando si udì la porta della camera cigolare, Harry si azzardò a sospirare. “Vuole rimettersi subito in piedi, è testarda e pensa di non avere bisogno di aiuto … non so come farglielo capire! Ci provi Lei, per favore!”
“Potter, non sono uno psicologo … è già tanto se tengo qui lei ed il suo gatto!” sbottò Piton in risposta. IL ragazzo parve sorridere, quasi divertito a quell’affermazione. “Certo. Ma si vede che ci tiene, sa?”
“Alla mia solitudine? Sì, ci tengo molto …”
“Ad Hermione. Parlavo di lei.”
“Allora no, non poi così tanto.”
“Uhm, sì. Posso passare a trovare Hermione?”
“Purché sia quando io non ci sono e questa casa non diventi una specie di sala da tè …” concesse il Serpeverde, indicandogli la porta. “Ed ora fuori!”
Harry alzò le mani, sospirando in segno di resa. “Buonanotte.” lo salutò uscendo nel diluvio.
Una volta richiusa la porta, Piton sospirò, portandosi le mani alle tempie e massaggiandosele lentamente: era sfinito, non chiudeva occhio da due giorni, praticamente ed ora che avrebbe potuto rilassarsi il sonno sembrava esserne andato del tutto, trascinato via dal dolce profumo di muschio bianco che ancora aleggiava in casa …
Per un istante, fissò le scale, indeciso sul da farsi. Stava per dirigersi in salotto per dedicarsi a dell’altro whisky, quando sentì il miagolio di Grattastinchi e la voce di Hermione. Con un sospiro, sigillò porte e finestre, spense la luce e salì le vecchie scale di casa. Bussò alla camera che un tempo era stata sua ed ora era divenuta una comune stanza degli ospiti. L’’avanti’ che l’accolse fu così rapido e benevolo da sorprenderlo.
“Coraggio, Severus …” sospirò, aprendo cautamente la porta.
Hermione era già sotto le coperte, avvolta nel caldo piumone, Grattastinchi acciambellato accanto a sé e l’abat-jour accesa che rifletteva una calma luce soffusa sulle pareti. “Come ti senti?” domandò il professore, fermo sulla soglia, deglutendo, ben deciso a tenersi a debita distanza da lei. “Beh, direi meglio, ora … suppongo di doverti ringraziare.” annuì la ragazza, sospirando e tirandosi appena a sedere: la sua pelle non portava già più nessun accenno di graffi o ferite. “Ho fatto quello che avrebbero fatto tutti …” mormorò il Serpeverde, come incantato dinanzi a quella scena tanto semplice, eppure tanto delicata …
“No, non tutti: nessuno si sarebbe accorto così velocemente della mia sparizione. Men che meno qualcuno a cui non importa nulla di me.”
“Non ho mai detto questo.”
“Oh sì che l’hai detto, ma non lo pensavi.”
“Non penso tante cose che dico …”
“Quello che dici da ubriaco, però, è per forza la verità …”
Un silenzio imbarazzato calò tra di loro e Severus, ben deciso a vincerlo, fece un passo avanti. “Ti ha … ti hanno ferita?”
“Daciana e Greyback? No … non troppo. Mi hanno lanciato qualche cruciatus, nulla di più. Greyback mi ha spaventata, sì, ma non ha fatto nient’altro, per fortuna. E lei, Daciana … l’unica cosa raccapricciante è stato farmi parlare con i morti … ho sentito il pugnale di Bellatrix … ed il profumo di mia madre …” raccontò, gli occhi leggermente umidi e lo sguardo basso. “Credo che sia morta … io …”
“Potter ti avrà spiegato che Daciana lavora in gran parte con illusioni.” l’interruppe Severus, desideroso di frenare sul nascere un pianto a cui non avrebbe saputo come reagire. “Se tua madre non ti ha parlato, se non hai sentito la sua voce, è viva e vegeta. I profumi non significano niente.”
Hermione lo fissò, sbarrando gli occhi. “Davvero? Non stai mentendo solo per …”
“No: è vero. I tuoi stanno bene ed ora devi pensare a rimetterti in sesto. Domani parleremo del libro e del resto …” la liquidò, la mano già sul pomello, pronto ad andarsene. “Ho temuto che nessuno mi avrebbe trovata, per un secondo.” lo fermò la ragazza, con voce sorprendentemente ferma, senza smettere di fissarlo negli occhi d’ossidiana, decisa e coraggiosa … la regina di Grifondoro …
“Ed ho pensato che sarei potuta morire, sì … ed allora ho pensato a te ed a quel bacio. So che non vuoi sentirne parlare, che preferisci rinchiuderti nel tuo vittimismo e nella solitudine, che vuoi allontanarmi perché hai paura di essere felice, del futuro o di chissà che, lo so … però ho pensato a te, nonostante tutto.”
Il cuore di Severus perse un battito mentre un brivido gli correva lungo la schiena: com’era possibile? Lui l’allontanava, la trattava male, la respingeva e lei gli dichiarava ancora il suo amore … perché? Perché a lui, che non lo meritava nemmeno?
“Invece di pensare a me, dovresti riflettere sulla tua incolumità.” mormorò, alzando la testa e fissandola negli occhi. “Saresti potuta morire, là dentro!”
“Lo so, ma …”
“Nessun ma!” la interruppe, avvicinandosi. “Hai la benché minima idea di cosa poteva farti? Quella è gente pericolosa! Avrebbe potuto succederti di tutto … non ho dormito per due giorni per trovarti, due giorni, Hermione, dannazione! Avevo così paura che …”
Si zittì, rendendosi subito conto di essersi spinto oltre. Allo sguardo umido e disperato di Hermione, si sentì arrossire … una cosa che non gli succedeva da anni … forse non gli era nemmeno mai successo …
“Strano modo di preoccuparsi per uno che mi ha solo usata …” constatò Hermione, lasciandosi sfuggire un lieve sorriso triste. “Non era preoccupazione.”
“Ed allora cosa?”
Severus tacque, fermandosi a fissarla, solo pochi passi a separarli. Il cuore gli batteva all’impazzata, quasi stesse per compiere un salto nel vuoto. E, in effetti, era proprio quello che stava per fare: non sapeva cosa ci fosse dall’altra parte, come fosse una vita vera, normale, vissuta senza soffrire … sapeva solo che c’era Hermione a tendergli la mano, ancora, nonostante tutto, nonostante la sua stupidità. Poteva bastargli? Poteva davvero essere così cieco da negare anche l'evidenza e rifiutarla ancora, all'infinito?
“Sii felice …” si sentì risuonare nella testa: era quello che gli avevano detto tutti, sua madre, Albus, Lily, Lupin, Mina … tutti. Non sapeva se lo meritava, non sapeva se poteva farcela … ma doveva almeno provarci. Nella sua vita, per paura, non aveva mai rischiato: non aveva detto a Lily che l’amava, non era uscito dai Mangiamorte in tempo, non aveva mai abbracciato sua madre … si era perso così tanto per la paura di fallire, del rifiuto. Ma ora non poteva più permetterselo: era la sua ultima occasione di essere felice … forse, per una volta tanto, valeva la pena rischiare … rischiare, sì, e cercare di capire cosa fosse la felicità, quella cosa per cui smaniavano tutti ... anche se veniva da una saccente e testarda ragazzina molto più giovane di lui.
Con lentezza quasi disarmante, sedette sulla poltroncina di fianco al letto ed afferrò le mani di Hermione. Grattastinchi gli saltò in braccio con un miagolio, facendola ridere per la sua espressione. Improvvisamente, Severus fu certo di non aver mai visto niente di più bello di quella ragazza viva e sorridente, di fronte a lui, che di nuovo gli stava offrendo tutto il suo amore … e, d’istinto, la baciò.
Nessuno dei due seppe quanto durò: l’unica cosa certa era che, quando si separarono, erano oramai senza fiato, stremati dalle troppe emozioni e dalla danza delle loro bocche l’una sull’altra, una sensazione che entrambi avevano creduto di non provare mai più. Hermione sorrise, stringendogli le dita tra le sue. “Mi prometti che non te ne andrai?” mormorò appena. “Non vado da nessuna parte … non senza di te.” rispose lui, accarezzandole il volto. Grattastinchi miagolò, leccandosi una zampa, annoiato. “Gli piaci …” rise la Grifondoro, asciugandosi una lacrima furtiva. “Purtroppo per me, a quanto pare, sì … mi ritroverò la giacca piena di peli!”
La ragazza rise di nuovo, stendendosi senza lasciare la sua mano. “Resti qui finché non mi addormento, per favore?” sussurrò. Severus annuì, sistemandosi meglio sulla poltrona e stringendole le fredde nocche tra le dita. Il sonno li colse all’improvviso, alla fioca luce dell’abat-jour, le dita intrecciate ed il ronfare di Grattastinchi tra i loro cuori che, finalmente, avevano ripreso a respirare.




 

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Capitolo 18
*** Eileen ***


Capitolo Diciottesimo
Eileen

Can you still see the heart of me?
All my agony fades away
When you hold me in your embrace
(All I need, Within Temptation)
“Non ho bisogno di un elfo domestico ed in ogni caso non lo vorrei!”
“Per una volta in vita tua vuoi stare zitta?”
“No, se questo significa costringermi a stare qui senza fare nulla anche se sto benissimo!”
“Nessuno ti ha mai detto che sei petulante, Granger? Bevi, su!”
“Solo tu, quindi è un problema tuo … e, comunque, grazie.” sospirò Hermione, distesa sul divano, accettando di buon grado la tazza di tè (rigorosamente al limone) che Severus le stava porgendo.
Era a Spinner’s End soltanto da quattro giorni, ma Piton si era già lamentato abbondantemente delle continue visite che, a suo dire, avevano reso la sua casa ‘un salotto da tè per signore sopra i settant’anni’. E, in effetti, erano già venuti a trovarla, oltre a Madama Chips per un controllo, Harry, Ginny e Luna, Draco, Madame Florish, i signori Potter, i signori Weasley, Sirius con Remus e Teddy, Hagrid con Minerva e persino Mina, che non aveva smesso di sogghignare, visibilmente divertita, rivolta ad un imbronciato Severus più sbuffante di una pentola a vapore. Addirittura Narcissa Malfoy le aveva mandato un biglietto. “Vedi qual è la maggior differenza tra Serpeverde e Grifondoro? La discrezione, il saper stare al proprio senza violare la privacy altrui!” aveva detto Severus, beccandosi uno sbuffo dalla ragazza per tutta risposta.
Nonostante Hermione detestasse ammettere di aver bisogno di aiuto per senso d’indipendenza, non si sentisse affatto malata e desiderasse ricominciare a lavorare, non poteva negare che il soggiorno a Spinner’s End la stesse aiutando a riprendersi. Se, di giorno, si stancava piuttosto facilmente, infatti, di notte il suo sonno era turbato da incubi d’ogni sorta, perlopiù riguardanti morti che tornavano a visitarla e lupi mannari che le alitavano sul collo. Aveva chiesto la Dolcesonno a Piton, ma gliel’aveva negata. “Credimi, è meglio se affronti i tuoi incubi ed impari a gestirli: le pozioni non possono risolvere questo problema, solo soffocarlo. E relegare questo genere di cose in un angolo non è mai un bene …” le aveva detto. Hermione si era zittita, comprendendo che, probabilmente, il professore aveva già sperimentato la cosa. Non poteva impicciarsi così, di colpo, però: in fondo, aveva invaso i suoi spazi e lui era notoriamente fin troppo riservato. Doveva dargli tempo e modo di accettare la sua invasione … anche se sembrava averla presa piuttosto bene: le preparava la colazione e le portava ogni sorta di bevanda o spuntino quand’era a casa. Le aveva persino dato libero accesso alla sua libreria e, seppur sbuffando e brontolando, aveva accettato la presenza di Grattastinchi e delle sue piccole manie di gatto anziano che avevano riempito di peli non solo la sua redingote, ma anche il divano e la trapunta del letto.
Hermione, sorseggiando il tè, sorrise al pensiero che, nonostante i loro battibecchi, che c’erano sempre, com’era normale che fosse, tra loro, le cose sembravano andare tutto sommato bene. Non avrebbe saputo dirlo con certezza, ma, a quanto pareva, Severus aveva deciso di fare un salto nel vuoto, per una volta nella sua vita ed affidarle il suo cuore … e lei avrebbe fatto di tutto per non ferirlo né fargliene pentire.
Anche se, innegabilmente, le mancavano la libreria ed i suoi genitori, a Spinner’s End stava bene, bene come forse non era mai stata neppure ad Hogwarts o a casa propria da bambina: quando l’aveva detto ai suoi amici, aveva dovuto sforzarsi per non ridere all’espressione schifata di Ginny. “Io davvero non so come fai a sopportare il pipistrello unticcio e questa casa così vecchia!” aveva detto, disgustata. Hermione aveva replicato con un’alzata di spalle: non era ancora il momento di parlarne a qualcuno, lo vedeva dall’espressione di Severus quando erano in presenza di altre persone. Dopotutto, per il momento, andava anche bene così: le bastavano il suo abbraccio protettivo che profumava di libri antichi, muschio e menta quando si svegliava gridando per un incubo ed i baci mozzafiato a fior di labbra che diventavano sempre più profondi ed infuocati con il passare dei minuti, che le toglievano il respiro e, allo stesso tempo, la facevano sentire viva come non mai. Forse per la prima volta in vita sua, Hermione si sentiva davvero bella, una cosa che aveva sempre negato prima di tutto a se stessa. Eppure, il solo fatto che un uomo come Severus Piton si fosse avvicinato, tra tutte le donne che aveva frequentato, proprio a lei, che avesse scelto lei per rinascere parlando di libri e romanzi dopo più di vent’anni in cui era affogato nelle tempestose acque di un amore non corrisposto, la faceva sentire speciale. Certo, non era del tutto sicura di come sarebbero andate le cose: avevano entrambi caratteri forti, Severus era certamente un uomo tormentato ed imprevedibilmente complicato ed ogni volta che ricordava lui che salutava Lily le si stringeva lo stomaco al pensiero che, forse, non sarebbe mai riuscita ad eguagliarla, ma, per il momento, le bastava il presente, sapere che c’erano l’uno per l’altra ed erano insieme.
Terminò il suo tè in un sorso, sospirando e stringendosi nella morbida coperta e nell’abbraccio di Grattastinchi, osservando le gocce di pioggia infrangersi contro i vetri ed i lampi far baluginare l’abat-jour ed il fuoco nel camino. Severus, seduto nella poltrona che nessuno, a parte lui, poteva sognarsi di occupare, le rivolse un’occhiata perplessa da sopra il libro che stava leggendo. “Stai bene?” chiese. Hermione annuì. “Sto benissimo, sì, non preoccuparti. Solo … beh, mi chiedevo dov’è il libro dei morti.”
A quella domanda, un imbarazzante silenzio avvolse la casa e la sera. “Non credi che non sia il momento di parlarne?” rispose Severus distrattamente dopo un po’, tornando alla sua lettura, un vecchio saggio malconcio. “Io credo che sia proprio il momento, invece: sto bene, anche se ti ostini a negarlo.” affermò, decisa, la Grifondoro, guadagnandosi l’attenzione del Serpeverde. “E vorrei sapere se l’hai trovato, come credo tu abbia fatto e cosa dice, magari, oltre a quando potremo portarlo al Ministero …”
Io lo porterò, Hermione …”
“Non se ne parla nemmeno: ho contribuito a questa ricerca anch’io e soprattutto a quest’ultimo libro! Ci ho quasi lasciato le penne …”
“E come scordarlo? Grifondoro, sempre avventati!” sospirò Severus. “Non pensate minimamente che le vostre azioni potrebbero avere conseguenze, anche non solo su di voi …”
“Credevo che non t’importasse né di me né della ricerca, perché avrei dovuto preoccuparmi che saresti stato in pensiero?” mormorò la strega, senza guardarlo, vergognandosi un po’ per quel pensiero infantile. “Sapevi benissimo che quello che ti ho detto non era vero …” rispose Severus dopo un po’, chiudendo il tomo che stava leggendo e fissandola a lungo. “L’hai sempre saputo …”
“In cuor mio, forse … ma tu mi hai fatto credere tutt’altro. Non avevo motivo di pensare il contrario, non dopo quello che mi avevi detto e come lo avevi detto …”
“Hermione …”
“Hai detto che era per il mio bene, ma hai visto dove mi ha portata questo ‘bene’ che pensavi di farmi.” sospirò lei, mordendosi un labbro. “Sei una ragazza intelligente.” disse dopo un po’ l’uomo, con una voce seria e rotta che mai Hermione si sarebbe aspettata di sentirgli usare. “Capirai anche tu che questa … cosa tra di noi non è facile, né per te né per me: sei una mia ex studentessa, tra di noi ci sono vent’anni di differenza, per non parlare della reputazione che mi lascio dietro …” spiegò con lentezza quasi disarmante prima di fissarla e sogghignare. “Pessima idea innamorarsi di un tuo vecchio professore Mangiamorte con vent’anni più di te, Granger ...”
“Non sei vecchio, non sei più un mio professore, non sei più un Mangiamorte e l’età è solo un numero che non conta nulla, non per me.” replicò lei, ferma. L’espressione sbalordita che le rivolse Piton ebbe l’effetto di farla sorridere. “Credi che non abbia considerato tutto questo? So che non sarà facile … che non è facile.” ammise. “Ma quando sto con te, quando parliamo di libri e romanzi, quando vieni a salvarmi da mostri e negromanti, quando sopporti Grattastinchi anche se non ti piace solo per farmi stare bene e quando mi baci … beh, allora capisco perché, tra tutti, mi sono innamorata proprio di te. Non mi piacciono le cose ordinarie …”
Piton la fissò per qualche istante, quasi incantato, prima di scuotere il capo. “Testarda Grifondoro!” borbottò, prendendo dalla mensola un volume piuttosto gonfio, dalla copertina nera e lucida con le iscrizioni di vari simboli e rune ed un teschio in rilievo. “Il libro dei morti, l’ultimo. Si ritiene sia stato creato dalla famiglia Karkaroff, che, infatti, lo teneva in casa. Ho già avvisato la Umbridge, nei prossimi giorni passerà lei stessa a prenderlo …” spiegò. Hermione sfiorò la copertina, incantata e timorosa al tempo stesso. “Dunque …” sussurrò. “Questo libro ci consente di parlare con i morti?”
“Così pare, sì.” annuì il professore, sedendosi accanto a lei. “L’hai provato?”
“L’ultima volta che abbiamo provato il funzionamento di un libro del destino non è finita benissimo, ricordi?” sogghignò. “Secondo me, invece, sì o non saremmo qui, ora …” sorrise lei di rimando, afferrando il volume con entrambe le mani ed aprendolo. Come immaginava, era vuoto. “Cosa bisogna fare, parlare, scrivere?” constatò, aggrottando la fronte. “Probabilmente parlare. Provaci, se ci tieni tanto, tanto, più danni di così ...”
“Oh, smettila … mamma, papà: sono Hermione Jean Granger, vostra figlia … ci siete, mi sentite?” domandò, un lieve tremolio nella voce ed il cuore che le tamburellava nel petto per l’ansia di conoscere la risposta. Nonostante i minuti che passarono, non accadde nulla. “Forse ho sbagliato qualcosa.” mormorò. “Non hai sbagliato: non rispondono perché sono vivi, come ti ho già detto.”
“Dovevo controllare.”
“Metti in dubbio la mia parola?” domandò Severus, alzando un sopracciglio. “No, ma dovevo esserne sicura … capisci? Perché non provi tu?”
A quelle parole, Piton si ritrasse bruscamente. “Non ho intenzione di rievocare morti dall’oltretomba.” sbottò. “Si tratta di parlarci, non di riportarli qui …”
“E chi dovrei chiamare, una delle mie vittime?”
Hermione lo fissò con un sospiro: nonostante fossero passati anni, ancora non riusciva a perdonarsi, ancora si sentiva sbagliato, un mostro. Cosa che non era …
“Quando capirai che non sei un mostro? Davvero ti senti ancora indegno di essere vivo e di essere amato?” mormorò. “Oh, per favore, Hermione …”
“Sai anche tu che è così, Severus.”
Improvvisamente, il libro parve agitarsi. Con un piccolo balzo, si posò sul tavolo e, sulle pagine bianche, apparve la scritta: ‘Ha ragione, Severus’.
Un gelido silenzio calò nel salotto. “Funziona, allora!” constatò la Grifondoro. “Chissà chi abbiamo invocato, Merlino … quel matto di Albus, certamente …” sospirò Piton. “Beh, si sta poco a scoprirlo … chi sei?”
Dopo qualche minuto, sul quaderno comparve un’unica parola: ‘mamma’.
“Mamma? La mamma di chi? La mia?” constatò Hermione, angosciata. Subito altre parole si composero lì accanto, mentre le prime sparivano. “Eileen.” lesse la giovane, sollevando lo sguardo su Severus, visibilmente scosso, seppur impassibile. “Chiudi il libro.” asserì. “Ma …”
“Chiudilo. Ti prego.”
Altre scritte comparvero accanto al nome in quel momento. “Sai benissimo che sei stato tutta la mia vita, che ti voglio bene e te ne vorrò sempre, più che a me stessa. Perdonati per tutto ciò che non è dipeso da te, per gli errori che hai commesso e, se puoi, perdona anche me per non averti saputo proteggere: concentrati sul futuro, non pensare, buttati e vivi la vita felice che meriti.” lesse Hermione prima che il libro si richiudesse da solo.
La ragazza osservò le venature della copertina prima di voltarsi verso il Serpeverde: Severus sedeva immobile, lo sguardo fisso in un punto del pavimento e le fiamme che rilucevano sul viso eburneo. “Ti manca molto?” ebbe il coraggio di domandargli. Piton non rispose subito: per un po’, continuò a fissare le fiamme, per poi, infine, volgersi verso Hermione ed annuire, gli occhi oramai del tutto privi del luccichio che, di solito, avevano quando parlava con lei. “Ogni giorno.” ammise. “Avevo sedici anni quando è morta.”
“Narcissa … la signora Malfoy me l’ha detto. Solo pensava ne avessi diciassette …” deglutì Hermione, sobbalzando quando l’altro si volse a fissarla di scatto, come un animale ferito. “Non è mai stata capace di farsi gli affari propri.” sibilò, più freddo di una pietra. “È stato tuo padre, vero?”
“No, sono stato io.” disse, facendo quasi sobbalzare la ragazza. “Era arrabbiato con me.” proseguì Severus. “Perché avevo in previsione di passare qualche settimana a casa di Lucius. Lui, ovviamente, non voleva … Tobias detestava la magia e tutto ciò che riguardava: riteneva me e mia madre due mostri inutili, due pesi … sai com’è, l’alcool costa ed avere due bocche da sfamare implica il non poterne acquistare molto …”
Istintivamente, Hermione tese la mano, stringendogli l’avambraccio. Al suo tocco, Severus sobbalzò, ma non si ritrasse. “Aveva bevuto parecchio … lo faceva sempre e, quando tornava, era mia madre a subirne le conseguenze. La picchiava di continuo, a volte così tanto da costringerla a restare a casa per non farsi vedere in giro con il viso completamente tumefatto. Anche quella sera le aveva dato un pugno, non ricordo per cosa, la cena non gli andava bene, forse … comunque, quando gli comunicai la mia decisione, era già furioso ed io ero stufo, così stanco e stressato, dopo che avevo perso Lily, che gli risposi male, in maniera parecchio arrogante. Mi minacciò ed estrassi la bacchetta, ma mio padre fu più veloce: aveva già preso il collo della bottiglia che aveva rotto poco prima e lo stava agitando. Ero pronto a colpirlo, non temevo le conseguenze, non più, ma mamma … lei si parò davanti. Per difendermi.” raccontò, la voce che cadde leggermente sulle ultime parole. “Morì quasi subito, dissanguata. La vicina chiamò la polizia dopo che accorse per vedere cosa fosse accaduto, lo arrestarono e condannarono all’ergastolo. Che io sappia, è ancora vivo, ma marcirà in prigione … ho confuso personalmente giudici e poliziotti affinché se ne assicurassero. E so che non sei d’accordo, ma …”
“Se lo merita.” replicò, invece, Hermione, fissandolo con gli occhi nocciola umidi di lacrime, quelle stesse che, sapeva, lui non riusciva a far scendere. “E non è colpa tua, tua madre ha ragione … Molly, Lily, Narcissa, Tonks … tutte le madri si sacrificano per i propri figli, è più naturale di respirare! Tua madre te l’ha appena detto!”
“Però, se non fossi stato così arrogante, lei sarebbe ancora qui … come la metti con questo, visto che hai tutte le risposte?”
“Eileen ha commesso un errore di valutazione sposando Tobias e non è stata capace di ribellarsi, non ne ha avuto il coraggio … forse perché non aveva alternative, ma si è sacrificata perché tu avessi una vita migliore della sua, perché diventassi un grande pozionista ed un grande uomo e fossi felice come non eri mai stato, perché fossi felice anche per lei … ma niente di tutto quello che è accaduto, prima e dopo, è stata colpa tua.” aggiunse, più cautamente. “Dunque ritieni anche che abbia fatto bene a diventare un seguace dell’Oscuro?” ghignò l’altro, amaro e sardonico. “Erano gli unici ad accettarti, avevi perso l’unica amica che avevi e tua madre, tutti ti prendevano in giro, ho visto i ricordi nel pensatoio … e ti capisco, anche se tu pensi di no. L’avrei fatto anch’io, forse, al tuo posto. Ma credo che quello che tua madre volesse dirti prima è che, nonostante tu abbia compiuto scelte sbagliate, sei sempre stato una persona buona, una brava persona … non saremmo qui ed in pace senza di te, conceditelo: tutto ciò che hai fatto, tutto il tormento che hai vissuto è stato per salvare il mondo magico ed il futuro di tutti noi. E lei è orgogliosa di te, del tuo sacrificio … sa che ti eri smarrito, ma hai ritrovato la retta via perché è quella che ti appartiene, da sempre. Solo che ora è tempo di andare avanti. Meriti di essere felice, Severus: nessuno ne ha più bisogno di te.”
“Però …”
“Oh, per Merlino: capisco i sensi di colpa, capisco che ci sono tante cose di cui non vai fiero, ma davvero credi che la gente non abbia capito il tuo valore? Che nessuno riconosca l’immenso sacrificio che hai fatto? Le persone non voglio sempre e solo ferirti: la maggioranza ti sta offrendo solo amicizia, amore … metti da parte l’orgoglio ed accettalo! Tua madre ti sta chiedendo di non guardare più al passato, di non colpevolizzarti per cose che non hanno dipeso da un’indole che ti attribuisci ingiustamente e di guardare al futuro, un futuro che è giusto che tu abbia, perché non ti è mai stato concesso …”
L’uomo sollevò appena lo sguardo dal pavimento, gli occhi tanto investiti da quel luccichio da risultare quasi accecanti. “Lo sto facendo.” quasi sussurrò. “A me non sembra proprio …”
“Se non lo stessi facendo, non saresti qui con me ora ...” asserì, accarezzandole mollemente la mano posata sul braccio. “Le saresti piaciuta, sai?” continuò, più rivolto a se stesso che ad Hermione. “Mi diceva sempre che sarei stato felice, prima o poi, che dovevo solo trovare qualcuno di speciale, che mi capisse, che fosse simile a me nello spirito e che mi aiutasse a trovare la luce, diceva ... forse, dopotutto, aveva ragione.”
“Le madri hanno sempre ragione.” sorrise Hermione, schiarendosi la voce. “Solo che luce ed ombra, solitamente, non vanno molto d’accordo … una so-tutto-io dovrebbe saperlo.”
“Ed un professore dovrebbe sapere che la luce non esistenza senza l’ombra: sono inscindibili. L’ombra non è necessariamente negativa: senza di essa, moriremmo accecati o scottati. Le ombre ci offrono riposo, calma e frescura, un rifugio sicuro …” sorrise debolmente Hermione. “E così … sarei speciale?”
Severus ghignò, avvicinando il viso al suo, facendola arrossire mentre il cuore le palpitava furiosamente nel petto. “Ora non montarti la testa, Granger ...”
“Ah, tu pensi che io mi monto la testa? Sul serio?” pigolò Hermione, deglutendo: avrebbe voluto fingersi offesa e replicare a tono, ma non riusciva a pensare a molto altro con Severus così vicino a lei, i suoi occhi d’onice fissi nei suoi e colmi di quel luccichio quasi accecante ed il suo profumo che la circondava.
“Non lo so, dimmelo tu.” rispose lui e, prima ancora che lei potesse replicare, aveva già annullato la distanza tra le loro labbra, approfondendo, di secondo in secondo, quel bacio che sembrava essere improvvisamente diventato la cosa più importante. Hermione si sentì premere contro il bordo del divano e sorrise, aggrappata alle spalle dell’uomo, accarezzando ogni centimetro della sua pelle sino a sfiorare delicatamente, con dolcezza, la cicatrice sul collo, la stessa che, un tempo, le faceva così paura, mentre la sua schiena, percorsa dal tocco elegante e leggero di Severus, era scossa da brividi ed il cuore le galoppava nel petto ...
Il miagolio di protesta di Grattastinchi li costrinse a separarsi prima di quanto avrebbero voluto, lasciandoli ancora abbracciati e con il respiro lievemente accelerato. “Oh, per Salazar … questo gattaccio mi farà ammattire!” considerò Severus, sbuffando. Hermione rise di cuore, divertita ed il professore, osservando le sue guance imporporate, gli occhi languidi ed il sorriso sincero, seppe con certezza di non aver mai visto nulla di più bello in vita sua.
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I bui corridoi dell’Ufficio dei Misteri non erano mai parsi tanto soffocanti ad Hermione. Mentre aspettava in piedi in silenzio, continuò a spostare il peso da una gamba all’altra, lisciandosi i palmi sudati sulla gonna e sulla camicetta, fissando il basso soffitto e la sfilza di porte tutte uguali da cui, da un momento all’altro, sarebbe dovuta uscire la Umbridge.
“Non riesci proprio a stare ferma?” sbuffò Severus accanto a lei, fissandola dall’alto in basso. “Non direi: questo posto mette i brividi.”
“Ci sei già stata.”
“Lo faceva anche le scorse volte, infatti.”
“Dovresti abituarti.”
“Non tutti sono naturalmente portati al tetro, sai?”
“Molto divertente, Hermione, davvero …”
La Grifondoro sorrise, senza guardarlo: sapeva che, sotto sotto, Severus era semplicemente preoccupato per lei, oltre che lievemente irritato per aver perso la loro breve diatriba. Il professore, infatti, le aveva tassativamente proibito di accompagnarlo all’appuntamento con la Umbridge per consegnare il misterioso libro dei morti. “Non se ne parla nemmeno: sei scampata alla morte da appena quattro giorni, hai intenzione di trotterellare allegramente per il Ministero? Ti ricordo che sei ufficialmente ‘in malattia’ e che dovresti stare a riposo!” aveva strepitato. La discussione era continuata per una buona mezz’ora, al termine della quale Hermione si era cambiata, aveva preso il libro e, ignorando gli sbuffi di Severus, si era smaterializzata assieme a lui nell’atrio del Ministero, affollato come al solito.
Da allora, erano già trascorsi quindici minuti buoni … quindici minuti durante i quali la Umbridge non si era fatta né vedere né sentire.
“Forse è il caso di bussare …” considerò Hermione, osservando l’orologio. “Forse non è nemmeno qui.” obiettò Severus. “Potresti anche fingere di essere interessato, sai?” sbuffò lei. “Oh, ma lo sono.”
“Uhm, immagino. Sei ancora intenzionato ad usare la ricompensa per andare in prepensionamento in qualche sperduto atollo?”
“Sottovaluti i miei gusti: pensavo più alle scogliere irlandesi …” ghignò Severus. Hermione gli rivolse un’occhiata strana e piuttosto ferita. “Non ci ho ancora pensato … per il momento, li metterò via. Poi si vedrà. Deve terminare l’anno scolastico … e ci sono stati dei … grossi cambiamenti quest’anno.” ammise, dunque, riluttante, distogliendo lo sguardo al sentire gli occhi della giovane puntati su di lui. “E quali sarebbero?” domandò cautamente Hermione. “Una saccente so-tutto-io sempre tra i piedi, tanto per cominciare … andiamo a vedere se quel rospo rosa è in ufficio!”
“Ti imbarazza così tanto parlare di te stesso?” sorrise la ragazza. “Affatto.” borbottò l’altro, bussando alla porta con un borbottio infastidito. Il lieve fracasso dall’altro lato si bloccò. “Un istante!” pigolò la voce acuta di Dolores Umbridge. Un altro tramestio seguì quelle parole prima che la porta si aprisse, rivelando una Umbridge dal tailleur mal abbottonato ed i capelli insolitamente scomposti. “Ah! Siete voi!” notò. “Siete venuti per l’ultimo libro?”
“Eccolo qui, come da accordi.” asserì Piton, rigido come al solito. “Bene, bene … ehm ehm … come l’avete avuto?”
“Non era negli accordi farti sapere come, Dolores …” replicò il Serpeverde. “Lo so … era per chiederti una cortesia che, evidentemente, non possiedi, Severus.” rispose lei a tono, strizzando le labbra prima di fissare il volume. “Ad ogni modo, avete fatto un buon lavoro. La vostra ricompensa verrà versata nei vostri conti alla Gringotts …”
“Ma io non avevo chiesto denaro: avevo chiesto se fosse possibile aumentare le forze per la ricerca dei miei genitori.” precisò Hermione, stizzita. “Oh, povera cara …” sospirò la Umbridge, sfoggiando una vena di dispiacere che non sembrava assolutamente reale. “Non ci è stato possibile, mi spiace: è un caso archiviato e, in quanto tale, il Ministero non può fare niente.”
“Come sarebbe a dire?” esclamò la giovane, sgranando gli occhi: improvvisamente, non sentiva più nulla. Solo freddo e silenzio …
“Sarebbe a dire che …”
“Non serve che ripeta quello che ha detto.” sibilò Hermione, assottigliando gli occhi. “Non mi servono le sue scuse: aveva garantito che le ricerche si sarebbero intensificate. Ho corso parecchi rischi e perso molto tempo ed energia per trovare questi libri e sperare di poter rintracciare la mia famiglia ed ora se ne esce con questa storia! Mi ha mentito spudoratamente!”
“Io non la metterei così …”
“E come la metterebbe? Non fa che mentire da quando respira!”
“Hermione …” l’ammonì appena Severus. “No, è così: per quanto mi riguarda, può anche tenersi i suoi soldi ed anche il Ministero! Dica pure al responsabile che non mancherò di far presente la cosa a tutti i giornali, dalla Gazzetta del Profeta al Cavillo!”
“E pensi che questo faccia paura al Ministero, cara?” ridacchiò Dolores, scuotendo il capo. “Sei così giovane …”
“E Lei così assurdamente insignificante da prostrarsi a qualunque ricatto pur di ottenere un briciolo di potere!”
Le labbra di Dolores si piegarono istantaneamente in un ghigno. “Severus, non riprendi la tua … allieva? O dal tuo silenzio devo dedurre che nei mesi tu le abbia insegnato qualcos’altro?”
“Come si permette …” iniziò Hermione, subito frenata dalla mano di Piton che si strinse attorno alla sua spalla. “Suvvia, Dolores …” l’apostrofò tranquillamente il Serpeverde. “Non ho una reputazione irreprensibile, ma neanche così terribile … non sono avvezzo a certe pratiche! Sicuramente non quanto te, o sbaglio, Alastor?”
Hermione non riuscì a trattenere un sobbalzo al vedere la Umbridge sbiancare.
Lentamente, da dietro la porta, emerse una figura che ben conosceva e che sapeva sopravvissuta per miracolo alla guerra: Alastor Moody, la gamba di legno ticchettante, l’occhio di vetro roteante ed il consueto impermeabile verde, fissò i presenti, sbatacchiando a terra il bastone. “Sei sempre stata tremendamente incapace ad eludere i nemici, Dolly!” sbottò. “Ma scusa, che ne sapevo io?” pigolò lei, stizzita. “Vigilanza costante, te lo dico sempre, ma non capisci un accidente …”
“Oh, va’ al diavolo, Al!”
Hermione scambiò un’occhiata sconvolta con Severus solo per vederlo soddisfatto e sogghignante, le mani congiunte dietro la schiena. “Da un ex spia Mangiamorte che dovevi aspettarti …” bofonchiò Moody. “E, comunque, si sta poco a risolvere la cosa: tu fa’ in modo che cerchino i genitori di Hermione e loro non diranno nulla, no?”
“Ma non si può, l’ho già detto anche a te!” sbottò lei, scuotendo il capo. “I casi archiviati sono chiusi, sigillati!”
“Vorrà dire che domani vedremo la Skeeter, allora …” commentò innocentemente Hermione, beccandosi un’occhiata soddisfatta da Severus. “Non potete, non siate ridicoli!” pigolò la Umbridge. “Oh, su, una soluzione c’è ed è anche semplice, Dolly, non agitarti … vi aiuterò io a trovarli!” intervenne Moody, facendo un passo avanti. “L-Lei?” mormorò Hermione. “Io, sì, qualcosa in contrario? Sarò anche malandato, ma sono ancora a capo del dipartimento auror!” brontolò Alastor, incrociando le braccia. “Prendere o lasciare.”
“Prendo!” accettò fin troppo rapidamente Hermione, facendo alzare gli occhi al cielo a Piton. “Eccellente. Allora ti contatterò per metterci d’accordo, ragazzina. Ed ora, cortesemente, fuori: sarebbe la nostra serata libera, se non vi spiace!”
“Oh, certo …” annuì la Grifondoro, sentendosi trascinare via da Severus. Prima ancora che potessero congedarsi, la porta si era già richiusa e pareva proprio che, dall’altra parte, Dolores ed Alastor avessero iniziato a litigare piuttosto pesantemente.
“Quei due … chi l’avrebbe mai immaginato?” rise Hermione, infilandosi nell’ascensore. “Io.”
“Presuntuoso!”
“Attento, è diverso: il bastone di Moody era appoggiato al portaombrelli e c’era il suo odore. Una colonia dozzinale, impossibile dimenticarlo … credo sia l’unico purosangue che si cura così poco di sé.”
“Complimenti, Sherlock.” sospirò la giovane. “Almeno abbiamo rimediato un aiuto abbastanza autorevole … Moody ha molte conoscenze.”
“Lo so.”
“Allora cosa ti turba?”
Hermione distolse lo sguardo, ma Severus le perse il mento, facendola voltare verso di lui ed incontrare quegli occhi d’ossidiana in cui il luccichio era divenuto tanto luminoso da risultare quasi accecante. “Non so se li ritroveremo davvero.” mormorò. “Non lo so nemmeno io. Ma essere ottimista è la tua specialità, non la mia …” ghignò. La giovane annuì tristemente prima che l’ascensore si fermasse. “Hermione?” la richiamò Severus prima che uscisse. “Sì?” mormorò lei. “Li troveremo. Te lo prometto.”
Al vederlo tanto determinato e sicuro, il cuore di Hermione parve rilassarsi. “Lo so … lo so.”
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Spinner’s End, quella sera, era insolitamente allegra, per l’ambiente tetro che vi regnava abitualmente. “Moody ed il rospo rosa? Sul serio?” rideva Mina, seduta sul divano, scuotendo gli orecchini celtici. “Fa abbastanza impressione, è vero.” sorrise Hermione, prendendo un altro dei biscotti che la vampira aveva portato. “Fatti dalla miglior pasticceria di tutta Notturn Alley!” aveva detto, soddisfatta, cogliendo il disappunto di Severus, che solo Hermione sapeva intenzionato a passare una serata solo con lei.
“Allora, parlando di cose serie … come va qui, Herm? Il nostro Sev ti tratta bene?” sorrise Mina, sorseggiando il suo bloody Mary. Severus, sulla poltrona, parve irrigidirsi impercettibilmente. “Benissimo.” ammise la ragazza, sforzandosi di sembrare tranquilla. “Voglio dire … sì, bene.”
“Quante volte ti avrà urlato contro di non sederti sulla sua poltrona e di non spostare niente?”
“Oh, parecchie.” rise Hermione, notando gli sbuffi di Piton. “Ma è stato anche molto gentile: cucina per me e devo dire che è molto bravo. Non mi fa fare neanche uno sforzo … e mi ha dato libero accesso alla sua libreria!”
“Solo per questo devi considerarti fortunata, io lo conosco da vent’anni, ma non posso neanche guardarla!”
“Perché tu sei una macellaia con i libri, Mina: li sottolinei e fai le orecchiette. Un delitto …” borbottò Severus. “Oh, ma sentilo!” sospirò la vampira. “Comunque, sono contenta che tu stia bene, Hermione … ed anche che adesso cercherete i tuoi genitori. Sai, è proprio singolare che si sia creato questo … legame con Severus. Singolare, ma bello … no? Siete anime simili … affini, direi.”
La Grifondoro parve esitare, ma Piton fu più veloce. “Siamo colleghi.” asserì seccamente, facendole stringere inspiegabilmente lo stomaco ed abbassare lo sguardo. “Ed apprezziamo la reciproca compagnia.” aggiunse dopo un po’. “Lavorare bene insieme viene da sé.”
“Ovvio. Bene, si è fatto tardi: è proprio ora che vada, ho una riunione AVIS … passerò a trovarti la prossima settimana, cara … stammi bene!” si congedò Mina, schioccando due gelidi baci sulle guance di Hermione prima di salutare Severus con una pacca sulla spalla ed avviarsi alla porta, seguita dai due. “Buona serata!” trillò, rivolgendo loro un’occhiata maliziosa ed uscendo nella sera rosata di Cokeworth.
Una volta uscita, per un po’, nella stanza non rimase che la luce aranciata del tramonto a riflettersi sul legno ed il ticchettio del vecchio orologio a pendolo. “Credo sia ora che tu vada a dormire …” asserì Severus dopo un po’, voltandosi verso il soggiorno. “Perché non gliel’hai detto?” domandò, invece, Hermione, parandoglisi davanti, il mento alzato e l’espressione indecifrabile. “Detto cosa?”
“Di noi. Mina lo sa: te l’ha praticamente fatto capire …”
“Lo so.”
“E perché non hai confermato?”
“Perché, tu ti sentiresti di confermare, dopo quattro giorni?”
“Io sì, perché sono sicura di quello che sento … il problema è se ne sei sicuro anche tu ...”
“Mi pareva fosse chiaro.” sospirò Piton, passandosi l’indice sul naso. “Per ora lo è ed è comprensibile, ma quando saranno passati mesi, anni, forse, vorrai ancora vivere nell’ombra? Vorrai ancora frequentarci in segreto e nascondere a tutti di noi?”
“Lo faccio per te, non certo per me, dannazione!” sbottò Severus. “Hai idea di cosa significherebbe far sapere a tutti di noi? Perderai amici, conoscenti, familiari …”
“Lo so.” annuì lei, spiazzandolo. “Lo so perfettamente, come so che non è facile stare con te … ma non m’interessa: io so cosa mi dice il mio cuore ed ho fatto la mia scelta. E tanto mi basta. Il mondo potrebbe non essere della mia idea, certo, ma gli altri non sanno quello che so io, non sentono quello che sento io e non hanno conosciuto l’uomo che io ho conosciuto.” affermò, la voce incrinata sulle ultime parole. “Credo sia ora che vada a riposare, ora, sono stanca … scusami …”
“Hermione.” la bloccò lui, prendendole la mano e facendola voltare per poi asciugarle le lacrime che le si erano raccolte agli angoli degli occhi con i pollici. “Il disprezzo è difficile da sopportare.” ammise. “Io lo so bene, meglio di te, credimi: dire di poterci riuscire a parole è una cosa, farlo un’altra, molto più difficile, soprattutto per te, che sei così giovane e ne stai passando tante … per questo non ho detto nulla a Mina. Vorrei che le acque si calmassero prima di farti affrontare quella che, già lo so, sarà una tempesta. Non temo il giudizio degli altri, sono … forse per la prima volta nella mia vita sono sicuro di qualcosa … ma voglio che ne sia sicura anche tu. E, in ogni caso, non sarai sola ad affrontarlo ...”
La giovane sospirò, liberando le emozioni trattenute per tutto quel periodo in qualche calda lacrima e si tuffò nel suo petto, lasciandosi cullare come una bambina ed inspirando a fondo il suo profumo. Severus, dopo un po’, la condusse sul divano, dove sedettero uno accanto all’altra, lei posando il capo sulla spalla di Severus mentre questi l’avvolgeva nella coperta ed iniziava a leggere tranquillamente accanto al caminetto acceso. Dopo poco, Hermione si addormentò, appoggiandosi totalmente a lui e Piton rimase con il libro aperto sulla stessa pagina per ore ed ore, osservandola dormire tranquillamente tra lui e Grattastinchi mentre la notte calava. Non sapeva cos’avesse fatto per meritare Hermione, chi o cosa avesse mandato quella tempesta di libri e testardaggine nella sua vita, né, tantomeno, dove li avrebbero condotti quei giorni di dichiarazioni, baci rubati, battibecchi e lievi sorrisi che l’avevano fatto sentire davvero vivo per la prima volta dopo anni, dopo decenni. Una sola cosa del suo futuro già abbastanza traballante e scombussolato gli era completamente certa: avrebbe fatto di tutto per meritarla ogni singolo giorno, d’ora in avanti. Forse, dopotutto, era vero ciò che si diceva: chi viveva abbastanza da superare una tempesta non poteva più sopravvivere senza.

Angolo Autrice:
Bentornati/e!
Che dire ... è una settimana di ispirazione per me, dunque ne approfitto per pubblicare! 
Due piccole precisazioni: l'accoppiata Moody/Umbridge è nata leggendo le storie della bravissima LadyPalma, che vi consiglio e che adora questa coppia, mentre la citazione finale è di Cime Tempestose.
Alla prossima e, come sempre, grazie infinite a chiunque abbia recensito o inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite: grazie, grazie davvero! Non avrei mai pensato che potesse piacere così tanto!
Alla prossima!
E. 

 

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Capitolo 19
*** Se sparissero le Ombre ***


Capitolo Diciannovesimo
Se sparissero le Ombre

Now I'm broken,
And I'm faded,
I'm half the man I thought I would be:
But you can have what's left of me
(What’s Left of Me, Nick Lachey)
“Hermione …”
“Mmm …”
“Hermione.”
“Mmm …”
“Hermione!”
La Grifondoro sobbalzò, sollevando di scatto la testa dal libro in cui aveva affondato il naso oramai da un’ora. Severus, immobile accanto a lei, la osservava con un sopracciglio alzato e l’aria vagamente irritata. “Che cosa c’è, si può sapere?” sbuffò lei, chiudendo il tomo con un tonfo, infastidita per essere stata disturbata sul più bello. “Dovrei andare a lavorare, se a sua signoria non spiace … sai com’è, che chi deve guadagnarsi il pane! Non tutto piove dal cielo sottoforma di un lauto assegno di mantenimento del Ministero della Magia per gli eroi di guerra …” ghignò il pozionista, alludendo alle gambe di Hermione, avviluppate nella coperta e tranquillamente poggiate sulle sue sul divano di Spinner’s End. “Oh!” arrossì lei, affrettandosi a spostarsi con un miagolio di protesta di Grattastinchi. “Scusa, non me n’ero proprio accorta …” balbettò, stringendo il libro al petto a mo’ di scudo. “Certo, come se non l’avessi fatto almeno una decina di volte, da quando sei qui …” borbottò Severus, alzandosi e parandosi dinanzi al suo riflesso alla finestra per allacciarsi l’ascot che, come Hermione aveva avuto modo di scoprire, a casa levava sempre. “Non mi sembrava ti dispiacesse poi così tanto!” ribatté lei, facendolo sbuffare. “Touché. Ti piace quel romanzo?”
“Non avevo mai letto le commedie di Shakespeare, mi sono sempre concentrata molto sulle tragedie e sulle poesie … ma devo dire che anche Sogno di una Notte di Mezza Estate è un’opera piuttosto piacevole!”
Severus la guardò per un po’ prima di incrociare le braccia. “Se lo dici tu … anche se indubbiamente non è la maggiore!” le concesse, iniziando a sistemare i libri che gli servivano per le sue lezioni. “Certo che lo dico!”
“E sia mai che la signorina so-tutto-io venga contraddetta su un libro!”
“Beh, è il mio mestiere! E, comunque, io, almeno, non impongo le mie opinioni in fatto di libri a nessuno!” sorrise lei, accarezzando il gatto, che prese a fare le fusa. “E quando mai l’avrei fatto, sentiamo?”
“A scuola dicevi sempre che questo o quel trattato di turno era inutile, se lo pensavi! Ma magari non per tutti era così …”
“L’opinione dell’insegnante non conta nulla?”
“No, ma anche quella degli studenti dovrebbe importare qualcosa, no?”
Piton le rivolse un’occhiata perplessa, sollevando, stavolta, entrambe le sopracciglia. “Ti sei letta anche i saggi che avevo sconsigliato, Granger?”
Hermione parve esitare per un po’, distogliendo lo sguardo prima di alzare le spalle con un sospiro. “Beh, sì: ero curiosa e leggevo tutto quello che trovavo, all’epoca … leggevo più di quanto respirassi, in effetti …”
“E che altro ci si poteva aspettare dalla so-tutto-io dei Grifondoro?” ghignò Severus, scuotendo il capo all’espressione contrariata di lei per poi raccogliere le pergamene corrette del terzo anno. “Ma illuminami: ti sono serviti a qualcosa?”
Hermione lo fissò con aria di sfida prima di dire a denti stretti: “In effetti, no.”
“Come pensavo. Questo ti mostra che non devi sempre mettere in dubbio ciò che dicono gli altri …”
“Avevo motivo di agire per conto mio.”
“E quale, il masochismo?”
“No, il fatto che non osavo chiedere delucidazioni al mio insegnante perché sapevo che mi avrebbe soltanto derisa!”
Piton le rivolse un’occhiata stizzita mentre lei si alzava, trionfante, in tutta la sua bassa statura: avrebbe voluto ribattere qualcosa, ma, sapendo perfettamente che Hermione aveva ragione, preferì tacere. “Visto che ti puoi ritenere un’abile conoscitrice dell’arte delle pozioni, dunque, leggi questo e dimmi che ne pensi!” asserì dopo un po’, allungandole dei fogli. Hermione gli rivolse uno sguardo stranito prima di leggere il titolo. “Il tuo prossimo articolo per Il Pozionista?” notò, rivolgendogli un’espressione a metà tra il sorpreso e lo sconvolto. “Esattamente.”
“E … e perché vuoi il mio parere?”
“Perché qua intorno non c’è nessun altro, naturalmente.”
“Valgo davvero così poco per te?”
“Al contrario: questo articolo verrà letto dai peggiori sapientoni saccenti di tutto il mondo magico … sto solo chiedendo un parere preventivo alla più autorevole!” sogghignò, allacciandosi il mantello. Prima ancora che Hermione potesse ribattere, le strappò un rapido bacio a cui la ragazza si aggrappò senza che potesse evitarlo, bramando di più da quello sfiorarsi di labbra che parve durare in eterno. Quando si separarono, entrambi senza fiato, ancora aggrappati l’una all’altro, Severus le fece una breve carezza sulla guancia prima di scostarsi leggermente ed uscire di casa, rivolgendo un ultimo sguardo indecifrabile sulla soglia. Hermione gli rivolse un breve sorriso ed attese di sentire il suono della smaterializzazione per lasciarsi cadere nuovamente sul divano, ottenendo un verso di protesta di Grattastinchi per il salto che gli aveva fatto fare.
Sospirò, osservando l’orologio: oramai, la giornata stava volgendo al termine e, di conseguenza, anche le due settimane di risposo prescrittele da Madama Chips. A breve sarebbe dovuta tornare alla sua solita vita, al Paiolo ed al Ghirigoro. La cosa incredibile era che niente di tutto ciò le mancava. Quando Harry le aveva comunicato che avrebbe trascorso la convalescenza a casa di Piton, le era ceduta la terra sotto ai piedi: aveva creduto che avrebbe odiato quelle settimane, forzata a trascorrerle con l’uomo che si ostinava a ferirle i sentimenti e farle sanguinare il cuore. E, invece, Severus aveva deciso di fidarsi di lei, di provare, quantomeno, ad essere felice e l’aveva baciata. Hermione non sapeva se fosse quello di cui aveva bisogno dopo l’esperienza a casa di Daciana, ma, da quel momento, aveva iniziato a rinascere, come una fenice dalle sue ceneri. Aveva mangiato di più in quei giorni, ponendo rimedio all’eccessiva magrezza che l’aveva caratterizzata negli ultimi mesi, gli incubi si erano pian piano diradati, sapendo che, ogniqualvolta li avesse avuti, Severus sarebbe accorso da lei e l’avrebbe consolata ed anche la stanchezza e la preoccupazione sembravano svanire quando, ogni sera, dopo cena, si trovavano a leggere sul divano, stretti, per poi finire a baciarsi fino a restare senza fiato. Al solo pensiero, Hermione arrossì: quei baci erano come un balsamo curativo sulle sue ferite. Le sembrava di tornare a respirare, di tornare a vivere, quando era con lui … se solo pensava a quanto lo avesse malgiudicato, ai tempi di Hogwarts, le veniva da ridere! Non sapeva nulla del vero Severus, allora … quasi nessuno lo sapeva tutt’ora, a dirla tutta. Eppure, lei non solo l’aveva visto, ma addirittura se n’era innamorata, perché, oramai ne era certa, non era una semplice cotta e neanche un’infatuazione o una voglia estemporanea. L’unica cosa che voleva era passare più tempo possibile con lui e sentirsi stringere al suo petto, dove si sentiva davvero al sicuro. A volte, certo, si chiedeva se anche per lui fosse lo stesso: era difficile capire cosa gli passasse per la testa, del resto. Le sue espressioni erano spesso indecifrabili e si nascondeva dietro al sarcasmo per evitare di parlare di sé. Eppure, quando parlava con Hermione di qualunque cosa, dai libri agli studenti ottusi, passando persino per sua madre, la giovane vi scorgeva un luccichio tanto intenso da risultare quasi accecante. Ed in esso trovava tutto quello che c’era da capire …  
“Forza, Grattastinchi: leggiamo questo articolo, altrimenti mister perfezione inizia a borbottare sulla ‘mancanza di organizzazione dei Grifondoro’!” borbottò, facendogli il verso e prendendo i fogli: Hermione non pensava seriamente al suo futuro da anni, ma, in quei giorni, si era chiesta seriamente cosa ne sarebbe stato della sua vita. Non era riuscita a darsi alcuna risposta, naturalmente: non era certo la Cooman e nemmeno Fiorenzo. L’unica cosa di cui era certa era che voleva che ci fosse Severus con sé ...
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“Sicché, gli esami sarebbero tra circa un mese!” esclamò Vitious, saltando sulla pila di libri che gli fungeva da rialzo per arrivare al bordo del tavolo. “Esattamente. La comunicazione da dare agli studenti era proprio questa, ma immagino che, dicendolo a Grifondoro e Tassorosso, la notizia si spargerà in fretta …” commentò annoiato Severus, alludendo agli occhi sbarrati degli studenti che lo fissavano allibiti. “Vi auguro una buona continuazione.” aggiunse, soddisfatto, uscendo con il mantello che gli svolazzava alle spalle.
Percorse rapidamente i lunghi ed ombrosi corridoi del castello: vi aveva trascorso così tanti anni, praticamente tutta la sua vita, da conoscere ogni quadro, ogni lumino, ogni finestra, stanza segreta o manufatto proibito che vi era nascosto. I sotterranei erano il suo regno incontrastato, oramai, così come tutto ciò che aveva a che fare con le pozioni. Quando, a guerra finita, Minerva l’aveva praticamente costretto a tornare ed ad accettare il ruolo di vicepreside e capocasa di Serpeverde, gli aveva anche dato la possibilità di scegliere la materia d’insegnamento: era stato lui stesso a volere nuovamente pozioni. E non certo perché disprezzasse difesa contro le arti oscure, anzi … solo che, dalla morte di Silente, aveva la spiacevole abitudine di bloccarsi a fissare il vuoto ogniqualvolta si parlava di ‘avada kedavra’ e non voleva certo diventare lo zimbello di mezzo mondo magico.
Raggiunse le sue stanze nei freddi ed umidi sotterranei e vi entrò sbarrando la porta con un sospiro: quell’anno gli esami sarebbero stati un’ecatombe, già lo sapeva. Gli studenti erano una terrificante marea di teste di legno che gli avrebbero fatto fare una pessima figura, a prescindere dai consigli di Minerva sul non essere troppo duri con gli studenti per via della guerra … guerra che, come diceva Severus ogni volta facendo sospirare la preside, era finita da tre anni. Sistemò sulla cattedra la pila di compiti da correggere, ben divisi per classi: quella sera avrebbe avuto da fare, ma non dubitava che Hermione sarebbe intervenuta a dargli una mano, con suo estremo disappunto.
Sorrise impercettibilmente al solo pensiero: era passata già una settimana e mezza da quando Hermione era arrivata a Spinner’s End. A breve, sarebbe tornata alla sua vita … e, per quanto Severus sapesse che ne aveva un estremo bisogno, non poteva negare di esserne dispiaciuto. Nonostante la sua indole spiccatamente solitaria, quasi eremitica, si era rivelato inaspettatamente piacevole tornare a casa e trovare qualcuno ad attenderlo, ma, soprattutto, vedere due ridenti occhi nocciola osservarlo con un amore ed una dolcezza disarmante di cui non si sentiva nemmeno degno. Aveva perso il conto dei pomeriggi che avevano passato scambiandosi pareri sulle loro letture, finendo per discutere e sbuffare, delle volte che l’aveva volutamente provocata solo per vederla arrossire di rabbia e rispondergli a tono, di quando si era lamentato dei peli di Grattastinchi in giro per casa e dei baci rubati che si erano scambiati al culmine di ogni battibecco. Gli sembrava impossibile e, se qualcuno gliel’avesse raccontato, non ci avrebbe mai creduto, ma lui, Severus Piton, che desiderava solo morire in battaglia e smettere di soffrire ed odiarsi in quella vita che oramai detestava, era rinato su quelle labbra dal sapore di muschio bianco e libri. Quando aveva Hermione tra le braccia che gli si affidava completamente e gli sorrideva come nessuno aveva mai fatto, sentiva che nient’altro aveva importanza e che il motivo per cui era nato ed aveva sopportato tutto ciò che aveva subito era proprio l’arrivare lì, con lei … la strega più saccente-so-tutto-io di tutti i Grifondoro. Per Merlino, che pensieri sdolcinati che aveva … che si stesse rammollendo? Eppure, in cuor suo, sapeva, sentiva che forse stava sbagliando tutto, sapeva che probabilmente non sarebbe durata, che lei si sarebbe resa conto di chi aveva accanto e sarebbe fuggita a gambe levate … lo facevano tutti: perché illudersi, ancora ed ancora?
“Non ti fermi a mangiare in Sala Grande, Severus?” domandò Silente dalla cornice. “No, Albus, devo andare a casa.” sentenziò, riacquistando la sua consueta algidità. “Ah, certo … pare che tu ci vada molto spesso, ultimamente! Si sussurra che il professore più temuto di Hogwarts abbia trovato un raggio di sole per sciogliere il suo cuore di ghiaccio, sai?”
“Si sussurrano tante idiozie.”
“La signorina Granger non sarebbe dello stesso parere, temo.”
Le spalle di Piton si irrigidirono di colpo. “Chi diamine ti ha detto una cosa simile?” sbraitò, voltandosi a fissarlo con gli occhi a fessura. “Oh, è il vantaggio di essere morti, Severus … si sa tutto di tutti.”
“Beh, ti sarei grato se non divulgassi le tue teorie da strapazzo …”
“Non sono affatto teorie.”
“Ah, no ed allora cosa? Perversioni?”
“Hermione ha ragione, sai?” sorrise bonariamente Albus. “Prima o poi gli altri dovranno saperlo. Come farai allora, tu che detesti così tanto il mondo esterno?”
“Non lo farò, finché sarà possibile.” replicò asciutto Piton dopo un po’, continuando a sistemare le verifiche. “Ma dopo?”
“Dopo cosa, Albus? Sono due settimane appena e già devo fare i conti con la mia coscienza …”
“E perché mai?”
“Perché so perfettamente che la sto rovinando.” ammise in un sussurro. “La mia presenza oscura la allontanerà da tutti coloro che ama … per me, che con tutto quello che ho fatto neanche la merito.”
“Certo, la tua tendenza a colpevolizzarti è leggendaria, questo si sapeva, ragazzo mio. Però … hai deciso di rischiare! Vorrà pur dire qualcosa, no?”
Severus sbuffò ed annuì. “E come mai?”
“Proprio non puoi evitare di farti gli affari degli altri, Albus?”
“No di certo se riguardano la persona che più di tutti negli anni ho considerato un figlio.”
“Un figlio che ti ha ucciso.”
“Solo perché gliel’ho chiesto io, perché ti ho obbligato … e se non vorrai mai perdonarmi per questo lo capirò. Ma non cambiare discorso come al tuo solito: ti conosco, sei pur sempre un Serpeverde, che credi … perché hai deciso di rischiare?”
“Perché non riesco a fare a meno di lei.” ammise quasi sottovoce Piton, senza guardare il quadro, quasi contro la propria volontà. “Severus Piton che ammette di essere dipendente da un altro essere umano, curioso, non avrei mai pensato di vivere abbastanza per sentirlo!”
“Ed infatti ti ricordo che sei morto, Albus.”
“Suvvia, non essere sempre così antipatico: Hermione gradirebbe vederti sorridere, ogni tanto … anche se credo che con lei tu sorrida abbastanza spesso … o sbaglio?”
“Forse. Anche se probabilmente è sbagliato …”
“E perché dovrebbe?”
“Lei è giovane, bella, in gamba … è troppo per me. Ma forse se ne renderà conto da sé …”
“E se tu fossi esattamente ciò di cui lei ha bisogno?”
“Certo, un Mangiamorte con vent’anni più di lei, il sogno di ogni ragazza …”
“Severus, non sviare con il tuo solito sarcasmo, su!” sbuffò Silente. “Intendo che quella giovane non è mai stata veramente innamorata in tutta la sua vita e lo sai anche tu. nei suoi coetanei e conoscenti non ha trovato chi riesca a tenerle testa ed a darle quella sicurezza e quella conoscenza che brama … sei tu l’unico in cui le ha trovate. A prescindere da tutto il resto.”
“Le ha trovate ora, ma quando io sarò decrepito e lei sarà anche bella e giovane?”
“È intelligente, leale e Grifondoro, Severus: ascolta più il suo cuore che la testa degli altri. Lo sai perfettamente.”
“Appunto: se lo so, non serve ricordarmelo.”
Un colpo alla porta interruppe il loro dialogo. “Chi diamine è ora?” bofonchiò Severus, recandosi ad aprire, stizzito. Quando, dall’altro lato, si ritrovò dinanzi alla claudicante figura di Moody, però, tutta la sua reticenza svanì, sostituita da curiosità e timore: negli anni da spia, aveva imparato a riconoscere i cattivi presagi e quello certamente non era un buon segno. “Severus … posso disturbarti? Abbiamo una questione urgente di cui discutere.” mormorò.
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Non era tornato. Erano le nove di sera: fuori, a Spinner’s End, le luci dei lampioni si erano già accese ed il buio aveva tinto il cielo di scuro, ma ancora non v’era alcuna traccia del mago.
Hermione si torturò le dita, affacciandosi alla finestra forse per la decina volta: come sempre, aveva preparato la cena e l’aveva aspettato. Intuendo che avrebbe tardato, aveva mangiato e si era accomodata sul divano con Grattastinchi ed un buon romanzo, in attesa. Le ore, tuttavia, erano trascorse ed ancora Severus non si era fatto sentire. Deglutì, in ansia, accarezzando il gatto: non sapeva cosa pensare né cosa fare. Immaginava che Piton non volesse che si mettesse a cercarlo ad Hogwarts: sarebbe stato alquanto imbarazzante, dato che nessuno sapeva che si trovava lì. Per non parlare delle congetture della Skeeter, che non si sarebbe certo risparmiata … del resto, aveva già scritto pagine su pagine su quello che era accaduto alla casa della negromante, ponendo parecchie questioni circa la presenza di Harry e l’assenza di Hermione da lavoro, ufficialmente per ferie. La cosa più ragionevole da fare sarebbe sicuramente stata sedersi ed aspettare che tornasse. Tuttavia, Hermione non si sentiva affatto razionale in quel momento e, di conseguenza, decise di ascoltare almeno in parte il suo istinto: sarebbe andata ad Hogwarts ed avrebbe chiesto di Severus a qualcuno, così che non venisse a saperlo. Si sarebbe messa il cuore in pace e l’avrebbe atteso tranquillamente a Spinner’s End, come al solito …
Mentre infilava le francesine con il tacco e prendeva la borsetta di perline, rivolse un buffetto a Grattastinchi, mezzo addormentato e, con un sospiro, si smaterializzò, ricomparendo ai confini di Hogwarts.
Per un istante, quasi sorrise rivedendo il castello: aveva scordato quanto potesse essere maestoso ed imponente, con le guglie che si stagliavano contro il cielo plumbeo e le fioche luci che illuminavano le piccole finestre delle torri. Hogwarts era stato per lei una casa, anche se si era sentita incompresa da tutti lì … beh, quasi tutti.
“Hermione!” esclamò una voce, facendola sobbalzare. Si rilassò e lasciò l’impugnatura della bacchetta solo quando distinse la familiare figura di Hagrid, lanterna e chiavi alla mano. “Hagrid!” si sforzò di sorridere, avvicinandosi. “Come stai? Tutto bene?”
“Oh, solite cose, qui … tanta noia, senza voi tre!” sorrise questi, facendo spallucce. “Immagino. Posso … posso chiederti una cosa?”
“Tutto per te, ‘Mione!”
“Hai visto il professor Piton, ultimamente?”
“Piton? Uhm, sì … oggi pomeriggio aveva una riunione con Minerva! Perché?”
“La riunione è finita?”
“Sì, certo!”
“E … Piton è ancora qui?”
“No, è uscito con Moody ore fa …”
“Con Moody?” ripeté Hermione, aggrottando la fronte, mentre la sua mente faceva rapidamente due più due: che fosse … no, era impossibile!
“Hagrid, devo chiederti un grosso favore!” asserì, così. “Avrei bisogno di parlare con il quadro di Silente … puoi accompagnarmi?”
“Certo, vieni, vieni!” annuì il mezzogigante, scostandosi per lasciarla passare. “Grazie, Hagrid.” annuì lei, seguendolo verso l’ingresso alla fioca luce della lanterna. “Piton, una bella sorpresa lui, eh? Sempre detto che era un brav’uomo, come sua madre!” annuì Hagrid. “Eileen Prince? La conoscevi?”
“Beh, sì … abbiamo la stessa età. Avevamo … brutta storia, brutta davvero!”
“Come vi conoscevate?”
“Hogwarts: eravamo inseparabili, io e lei! Ci scrivevamo: era l’unica a credermi quando Riddle mi ha fatto espel … espulsare? No, no, lo so: espellere! Ho ancora le lettere e le nostre foto!”
“Il professor Piton lo sa?”
“No, no, mi vergognavo un po’ a dirglielo … è sempre così solo, sai … ma somiglia così tanto ad Eileen! Anche quando ti insulta, sai? Lei faceva proprio così, ti fissava come se fossi niente e poi boom, sparava!”
Giunti al portone, Hermione si fermò di scatto. “Da qui posso anche proseguire da sola, ma, Hagrid … posso chiederti, visto che ti stai esercitando molto con la magia e sei anche piuttosto bravo, da quel che so, se potessi trovare queste foto e farne una copia, per me? Mi sarebbero utili per una cosa a cui sto lavorando!”
“Oh, ma sicuro, te le porto quando esci, ti aspetto qui!” annuì Hagrid, entusiasta, dirigendosi a grandi passi verso la sua capanna.
Hermione, con un sospiro, s’infilò nell’atrio deserto. Lo attraversò fugacemente, controllando che non ci fosse Gazza nelle vicinanze e si fiondò nei sotterranei a rotta di collo. Ignorò l’ufficio di Piton, accedendo direttamente alle sue stanze private. Una volta entrata, non fece neanche in tempo ad accendere una luce che la voce di Silente rimbombò tra le pareti. “Hermione, grazie a Merlino sei qui: sapevo saresti venuta! Non c’è più molto tempo …”
“Tempo per cosa, preside?” domandò la giovane, angosciata da quella fretta, eccessiva per un uomo cauto come Silente. “Per Severus: dobbiamo aiutarlo.”
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Il negozio di ingredienti per pozioni di Notturn Alley, com’era prevedibile, era deserto, quella sera e, a dirla tutta, da quando fragorosi tuoni e sfavillanti lampi avevano iniziato a ridondare dalle cupi nubi che avevano affollato il cielo, la via stessa si era svuotata.
Harry Potter, appostato in un vicolo adiacente accanto ad Alastor Moody, osservava in silenzio ed aspettava, nascosto nell’ombra come gli auror gli avevano insegnato a fare: con attenzione e pazienza, fissavano la vetrina, immobili. Dentro, a guardare con aria vagamente annoiata quello che il commesso gli propinava, c’era nientepopodimeno che Severus Piton, inconfondibile nel suo mantello scuro e nell’espressione schifata.
“Mi chiedo ancora come sia riuscito a convincerlo.” sussurrò Harry. “Shhh!” lo zittì Moody con un gesto stizzito. “Non distrarti, ragazzo! Vigilanza …”
“Costante, lo so, lo so! Ma vorrei comunque sapere come l’ha convinto ad aiutarci a prendere Lestrange …”
“Anche Piton ha i suoi punti deboli, che cosa credi?”
“L’unica sua debolezza di cui so in tanti anni che lo conosco è mia madre ...”
“Non più.”
“Cosa?” esclamò Harry, aggrottando la fronte e sbattendo gli occhi, come a scacciare un pensiero molesto. “Sei sordo o cosa, ragazzo? Ho detto … oh, aspetta, eccolo: al muro, incantesimo di disillusione, svelto!”
Harry sospirò, obbedendo in silenzio: che Alastor Moody avesse dei modi alquanto discutibili era noto, ma sopportarli tutto il giorno dovendo seguirlo passo per passo durante l’addestramento era decisamente un altro paio di maniche. Per quanto competente, era un auror indubbiamente difficile da tollerare … a volte si chiedeva seriamente chi mai sarebbe stato così altrettanto intollerabile da riuscirci …
“Eccolo!” sibilò Alastor, indicando una figura incappucciata. Rodolphus Lestrange era molto diverso da come se lo ricordava Harry: le spalle, un tempo ritte, erano ora incassate, la testa china e le gambe quasi strascicanti sotto il mantello scuro. Avanzava rasente muro, guardandosi attorno con aria accorta. Non appena Piton uscì dal negozio, Lestrange lo arpionò per il braccio, trascinandolo nell’ombra. Harry aguzzò lo sguardo: anche da lì riusciva a distinguere chiaramente il disprezzo con cui Piton osservava Rodolphus e lo sdegno che trasudavano le brevi parole che si scambiarono. Al vedere il Serpeverde indietreggiare, Harry sobbalzò. “Non ancora ragazzo!” l’ammonì Moody, strattonandolo fin troppo veementemente, tanto che il ragazzo sopravvissuto quasi sentì risalire lungo l’esofago il pasticcio agli asparagi di sua madre. “Dobbiamo aspettare che sia evidente, ancora un attimo di pazienza …”
“Più evidente di così …”
“Oh, per Godric, sta’ zitto ed aspetta!”
Harry sospirò, tornando a fissare i due ex Mangiamorte, oramai intenti a discutere in maniera piuttosto chiara. Proprio quando vide Rodolphus portare la mano alla cintola per estrarre la bacchetta e si preparò ad agire, però, un lampo rosso colpì Lestrange di spalle, facendolo schiantare contro il muro. Piton fu abbastanza veloce da scostarsi e sfoderare a sua volta la bacchetta, ma l’abbassò subito, senza riuscire a nascondere l’espressione stupita che dominava il suo volto pallido. Harry lo raggiunse rapidamente assieme a Moody e gli altri auror e, mentre questi arrestavano Rodolphus, si volse verso il fondo del vicolo, spalancando la bocca in una perfetta ‘o’ di stupore. “Hermione!” esclamò, sconvolto. Questa, con un cappotto blu malamente infilato addosso ed i capelli spiritati, ansimava leggermente, la mano che impugnava la bacchetta che ancora tremava. “Che cosa diavolo ci fai qui?” domandò Piton accanto al ragazzo, facendolo rabbrividire per il gelo quasi abissale della sua voce. 

“Io capisco tutto, Hermione, davvero, tutto … ma come diamine ti è saltato in mente? Hai idea di cosa avrebbe potuto farti Lestrange? Merlino, mi sembra impossibile che sia io a dirti queste cose … eri tu a redarguire me sui gesti avventati, una volta!” sospirò Harry, passandosi una mano sui capelli impossibili mentre osservava da lontano gli auror che conducevano via Rodolphus e Moody che parlava con un Piton più che mai algido. “Non mi sono mai fatta alcun problema ad aiutarti, anche quando si trattava di andare contro le regole, lo sai perfettamente, Harry!” sbraitò lei, le braccia incrociate al petto ed un piede che batteva nervosamente a terra. “E non me lo sono fatta neanche stavolta, perché era giusto così!”
“Noi auror sapevamo quello che stavano facendo ed anche Piton: intervenire è stato solamente avventato e pericoloso!”
“Stava per colpirlo e non sarebbe stato un semplice schiantesimo come quello che gli ho lanciato io, lo sappiamo entrambi … sarebbe stato un avada kedavra. O un sectumsempra.”
“Credi davvero che Piton non sappia difendersi? Insomma, è Piton, lo conosciamo!”
“Per quanto innegabilmente preparato ed in gamba, da Nagini non ha saputo difendersi: sarebbe potuto succedere di nuovo e magari stavolta ci avrebbe rimesso la vita, non avevate alcuna idea di cos’avesse in serbo per lui Lestrange, se non vendetta e l’avete mandato praticamente al macello, solo!” vomitò Hermione, furibonda, rivolgendogli un’occhiata colma di sdegno. “È quello che fate con chiunque non sia degno di entrare nel grande Ministero della Magia, non è così?”
“Io … io davvero non ti riconosco più, Hermione!” boccheggiò Harry, sconvolto. “Non so che dire …”
“Non dire niente, allora, a meno che non sia una spiegazione esauriente ...”
“Moody ha convinto Piton ad aiutarci. Non so come, ha detto che anche lui aveva i suoi punti deboli, io pensavo si riferisse a mia madre, ma ha negato che fosse lei … io …” si interruppe di colpo, scrutando gli occhi nocciola di Hermione farsi sempre più grandi e colmi di tristezza ad ogni sua parola. “Sei tu ...” sussurrò Harry, realizzando, improvvisamente, quale fosse il giusto posto di tutti i tasselli che gli si erano presentati in quei mesi nel quadro generale. “Ha accettato per te …” mormorò. “Sì, è così.” confermò lei, sospirando. “Moody aveva accettato di aiutarmi a trovare i miei genitori in cambio della ricerca dei libri che ho svolto … deve aver detto a Severus che l’avrebbe fatto solo se lui l’avesse aiutato a catturare Lestrange, conoscendolo … nulla per lui conta più della caccia.”
“Invece per Piton nulla conta più di te, vero?”
Hermione alzò lo sguardo a quell’affermazione quasi offesa dell’amico. “Perché lo pensi?” mormorò. “Perché l’ho capito … non sono mica stupido come credete tutti e due: ho visto quant’era preoccupato quando non ti trovava, come ha reagito quando ti abbiamo vista senza sensi a terra, a casa della negromante, come temesse all’idea di restarsene a casa sua con te … ed ora tu ti comporti così, lo chiami per nome … per non parlare di quei mesi in cui eravate entrambi intrattabili e rinchiusi in voi stessi ... da quanto va avanti?”
Hermione non rispose subito, limitandosi a fissare le iridi sconvolte di Harry per un po’ prima di deglutire. “Da febbraio.”
“Febbraio?”
“Abbassa la voce!” l’ammonì lei. “Lasciamo spiegare, almeno, anche se so che, probabilmente, non capirai: con la ricerca dei libri, ci siamo … avvicinati. Molto.”
“L’avevo notato, ma pensavo fosse un’amicizia, come con Remus …”
“Non lo è mai stata, me ne sono resa conto solo mesi dopo. A febbraio è successo che, durante la ricerca di un libro … beh, ci siamo baciati, ma poi lui mi ha allontanata. Bruscamente, a dirla tutta. Sosteneva di pensare ancora a tua madre, ma sapevo che non era così …”
“Perché?”
“Perché la sua amorentia odora di me.” affermò Hermione, alzando il mento con aria quasi di sfida. “E quando ci siamo trovati soli, a Spinner’s End … beh, diciamo che non ci è più stato possibile negare i nostri sentimenti.”
“Dunque non è solo da due settimane … è da quattro mesi!”
“Sì.”
“Io … Merlino …” sospirò Harry, chiudendo gli occhi per un istante. “Voglio sperare che sia una cosa seria, Hermione …”
“E tu dovresti essere mio amico, seriamente?” ribatté lei, ferita, facendolo sobbalzare: non aveva mai usato quel tono, non con lui. “Mi hai sempre detto ci saresti stato per me, che mi consideravi una sorella e mi avresti sempre appoggiata … e, invece, da quando ho lasciato Ron ed ho accantonato l’idea di una carriera al Ministero, non ricevo che occhiatacce di sdegno, da tutti, anche da te!”
“Un conto è scegliere qualcosa di diverso da quello che ci si sarebbe aspettati da una ragazza in gamba come te, un altro accettare che tu abbia una relazione con un nostro ex professore di vent’anni più di te!”
“Non dici nulla sul fatto che sia un ex Mangiamorte?”
“Merlino, Hermione, non sto dicendo che non sia una brava persona, sono il primo ad averlo sostenuto e difeso per anni!” esclamò Harry, esasperato, gli occhi fuori dalle orbite. “Dico solo che … santo Merlino, è un uomo distrutto e tu sei nel fiore degli anni: potresti avere chiunque, qualunque ragazzo in gamba ed intelligente sulla faccia della Terra! Perché scegli uno che sarà vecchio mentre tu sarai ancora giovane e che ti farà sentire sempre in soggezione per il ruolo che aveva? Per non parlare di cosa dirà la gente …”
“Il verbo.” lo interruppe Hermione seccamente. “Cosa?”
“Hai sbagliato verbo: l’amore non è una scelta. Succede. Credi davvero che sia io che lui non abbiamo fatto tutto il possibile per evitarlo? Che non abbiamo rinnegato qualunque pensiero anche solo lontanamente sconveniente per mesi? Io non avrei mai e poi mai pensato di innamorarmi di lui, mai e lo sai … ma è successo. Non posso farci niente. Severus è l’unica persona in tutta la mia vita che mi abbia capita ed apprezzata così per come sono, senza cercare di cambiarmi o ammorbidirmi … non è la persona che fa credere di essere, ma questo credo tu lo sappia. C’è molto di più dietro la maschera che si ostina a portare: io quel più l’ho visto ed ora non riesco più a vivere senza, che alla società piaccia o meno. E so che ci sono tanti anni di differenza, che lui era un mio insegnante ed un Mangiamorte, non sono avventata, né sprovveduta … ma non m’interessa. La prospettiva di perderlo, stasera, era talmente terrorizzante che quasi non riuscivo a respirare. Non so se tu sappia come significa, ma con lui è come se avessi ripreso a respirare, dopo anni: mi sento viva, libera, apprezzata, intelligente, bella. Nessuno mi ha mai fatto credere di poter fare qualunque cosa, nessuno, tranne lui. E Severus stesso, con me, ha deciso di darsi una seconda possibilità, di provare a perdonarsi ed essere felice come merita. Tutti l’hanno sfruttato finché comodava e poi gettato via, come un giocattolo vecchio, ma a nessuno è venuto mai in mente che sia anche e soprattutto una persona che ha sofferto come poche. E che merita una seconda occasione.”
“E la sua seconda occasione saresti tu …” fremette Harry, senza traccia di rancore né disgusto nella voce. “Forse.” gli concesse Hermione, torturandosi un’asola del cappotto. “Ci stiamo andando piano … per tutti i motivi che hai detto tu. Ma una cosa è certa: io non ho alcuna intenzione di rinunciare a lui. A prescindere da quello che chiunque possa dire o pensare. Anche da quello che pensi tu …” concluse, traendo un profondo sospiro prima di voltarsi ed andarsene senza aggiungere altro.
Harry rimase a fissare la sua amica allontanarsi a passo spedito, le spalle ritte, sotto le prime gocce di pioggia che iniziavano a scendere. L’unica cosa a cui riuscì a pensare, piuttosto stupidamente, era che non vedeva Hermione così fiera e combattiva dai tempi del C.R.E.P.A. …
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La porta di Spinner’s End venne richiusa con un tonfo in silenzio. Hermione rabbrividì, levandosi il cappotto ed evitò accuratamente di incrociare lo sguardo di Severus, la conversazione con Harry che ancora le rimbombava nelle orecchie …
“Si può sapere che diamine ti è saltato in testa?” asserì freddamente Severus, recandosi in soggiorno con lo stesso passo di quando il calderone di Neville esplodeva. “Hai la benché minima idea di quanto sia stato avventato e pericoloso quello che hai fatto? Certo, da una Grifondoro non potevo aspettarmi altro di diverso, ma … Merlino, Hermione: Lestrange è uno dei soggetti più pericolosi in circolazione, hai idea di cosa sarebbe potuto accadere?”
“Sono stata attenta.” ribadì lei. “Certo, come quando sei andata da Daciana!”
“Posso essere orgogliosa ed avventata, te lo concedo, ma non sono sprovveduta e nemmeno incapace o forse lo pensi?”
“Non l’ho mai pensato, neanche quando te lo dicevo, lo sai.” sussurrò appena Severus, sedendosi sulla poltrona con un sospiro profondo. “Lo so, infatti.” annuì lei. “E so anche perché hai accettato quell’incarico: Moody ti ha detto che mi avrebbe aiutato con i miei genitori solo se l’avessi fatto, vero?”
Lunghi istanti di silenzio, interrotti solo da tuoni, lampi e dal vento che ululava e faceva scricchiolare la vecchia casa, seguirono quelle parole. “Anche se fosse, era una mia decisione.” concluse, infine, Piton senza guardarla. “Le tue decisioni riguardano anche me …”
“Non vedo come, con tutto il …”
“Perché ti amo, ecco perché!” strepitò lei, costringendolo a fissarla: aveva le gote arrossate, le mani tremanti e gli occhi lucidi per l’emozione. “Davvero pensi ancora che la tua vita sia sacrificabile, che tu sia un assassino? Che nessuno possa amarti e che meriti solo di morire? Davvero?” sbottò, esasperata. “Io desidero riavere i miei genitori, lo sai, ma non a costo di perdere te … posso benissimo avere tutto con un po’ di tempo. Non mi sarebbe importato se Moody non mi avesse aiutata, ma … l’idea che potesse succederti qualcosa …”
Piton si alzò lentamente, sistemandosi davanti a lei ed osservandola attentamente, il luccichio negli occhi d’onice quasi accecante. “Saresti andata avanti anche senza di me, se mi fosse successo qualcosa … saresti stata più felice, più accettata, forse … ed avresti riavuto subito i tuoi genitori.” mormorò. “Non ti è mai passato per la testa che io non sia una stupida ragazzina e questa non sia una cotta adolescenziale?” sospirò lei, scuotendo il capo. “Non ho mai creduto che lo fosse per te … e neanche per me.”
“Allora credo che tu possa capire …”
“Capisco, infatti, ma non approvo. Affatto. Fallo un’altra volta e ti schianto.” sibilò lui, rigido. Hermione fece spallucce. “Accomodati pure, allora, perché, se dovessi essere così idiota da rimettere la tua vita in pericolo, io lo rifarò.”
“Testarda Grifondoro!” sbuffò Piton. “Lo so.” sorrise debolmente lei. Stava per avvicinarsi, quando Severus la frenò. “Potter lo sa, vero?”
Hermione si rabbuiò all’improvviso, annuendo. “Sì, Harry lo sa.”
“E come ha reagito?”
“Male.”
“E … t’importa?”
Hermione fece spallucce. “Se ne farà una ragione … dovrà, se vuole essermi amico.”
“E naturalmente non c’è modo di farti cambiare idea, vero?”
“Naturalmente no.”
“Come hai fatto a trovarmi, ieri sera?” le chiese Severus dopo un po’. “Silente.”
Il Serpeverde alzò gli occhi al cielo. “C’era da immaginarselo: tu e quel vecchiaccio siete incapaci di farvi gli affari vostri!”
“Fortunatamente per te! A proposito!” lo interruppe lei, appellando la sua borsetta e frugandovi dentro. “Quante cose riesce a contenere quell’affare? C’è un disordine al limite dell’indecenza, soprattutto per una so-tutto-io!” constatò criticamente Piton, alzando un sopracciglio. “Oh, smettila di fare il criticone … ecco qui: sono foto di tua madre ed Hagrid. Erano amici, a scuola, lo sapevi? Non te l’ha mai detto perché, indovina un po’, ti teme, ma … beh, l’ha confidato a me e gli ho chiesto una copia. Per te.”
Lo osservò mentre, con sguardo indecifrabile, osservava quelle immagini di una ragazza giovane e sorridente, tremendamente simile a lui, assorto in chissà quali pensieri. “Allora?” lo incalzò Hermione quando ebbe terminato. “Non … non lo sapevo.” mormorò Severus con voce quasi spezzata, riponendo con cura le foto in un cofanetto di legno senza dire una parola. “Ti ha sorpreso?”
“Abbastanza. Suppongo che tu mi abbia messo in un bel guaio: dovrò parlare con Hagrid, sperando di riuscire a capirci qualcosa!”
Hermione sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Sei ingrato ed arrogante, sai?” sbottò. “Con tutta la fatica che ho fatto …”
“Granger, smettila di essere costantemente e continuamente petulante ed orgogliosa una buona volta!”
“Ma senti chi …”
Prima che Hermione potesse terminare, Severus le tappò la bocca con un bacio, dapprima lieve, appena accennato, che diventò sempre più profondo man mano che i secondi passavano, un perfetto incastro di labbra ed anime che era diventato improvvisamente più forte del clamore del temporale. Hermione sentì il corpo attraversato da brividi e quel familiare calore, quella sensazione di libertà assoluta, diradarsi sino ad avvolgerla completamente mentre le dita di Severus le sfioravano il collo e la schiena e lei si aggrappava completamente a lui, desiderando sentirlo sempre più vicino ed annullarsi totalmente in lui. Quando si staccarono appena per riprendere fiato, la ragazza, con le guance rosse oramai come ciliegie e gli occhi lucidi, si alzò sulle punte, sussurrandogli con voce bassa e tramante poche parole che fecero sussultare e scostare Severus. “Hermione, io non …” mormorò. Ma lei lo zittì con un altro bacio, se possibile ancor più profondo del precedente. Si separarono solo per un istante, guardandosi negli occhi, forse per trovare conferma in quelli dell’altro. Severus sospirò, accarezzandole la guancia e sentendo le mille voci nella sua testa urlargli quanto tutto questo fosse sbagliato, ma, con Hermione tremante e sorridente tra le braccia, più bella che mai, si rese conto che, in fondo, non gli importava poi così tanto.
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Quando Hermione aprì gli occhi, il mattino seguente, la prima cosa che notò fu che il temporale della sera precedente si era placato. Muovendosi appena, sentì un braccio possessivamente ancorato attorno alla sua vita, quasi temesse di vederla fuggire via e, di conseguenza, percepì il petto attorno al quale era premuta la sua schiena ed un familiare naso adunco affondato nel suo collo, tra i suoi capelli, che respirava tranquillo e regolare. Con un sorriso, si rese conto del lieve fastidio al basso ventre e rammentò quanto accaduto la sera prima: il pensiero che tanto l’aveva terrorizzata anni prima all’idea di fidanzarsi con Ron, con Severus era stato del tutto spontaneo, naturale. Quasi non riusciva a credere a quanta dolcezza e delicatezza avesse usato ed ai brividi che ancora le percorrevano la schiena al ricordo delle sue dita sulla pelle …
Sentendolo muoversi leggermente, sorrise e si girò nel suo abbraccio, ritrovandosi a fissarlo negli occhi, probabilmente, aperti da molto più tempo di quanto pensasse. “Ciao.” mormorò, imbarazzata. “Come stai?” le domandò, accarezzandole una guancia. “Sono … felice.” sorrise. “Probabilmente come non lo ero mai stata. E … e tu?”
“Avrei anche potuto dire di aver dormito bene per la prima volta da anni, se non avessi scalciato e russato tutta la notte …”
“Io non scalcio e non russo!” sbuffò Hermione, contrariata, seppur divertita. “Certamente, certamente, Granger ...”
Rimasero in silenzio nella semioscurità della stanza, abbracciati stretti, per un po’: non c’era bisogno di parole, tra di loro, non ve n’era mai stato, pensandoci bene …
“Ora che facciamo?” domandò Hermione dopo un po’. “Tanto per cominciare, oggi è sabato: non devo lavorare. Perciò possiamo iniziare a cercare i tuoi genitori …”
“Senza Moody?”
“Questo dipende da te: la scelta è tua.”
Hermione annuì. “Allora … sì, senza Moody. Non ho trovato il suo comportamento molto corretto.”
“Disse l’irreprensibile salvatrice di ex Mangiamorte …”
“Severus, sul serio …” sbuffò lei, ignorando il suo sarcasmo ed i suoi ghigni sulla sua spalla che ancora la facevano rabbrividire. “Potresti chiedere a Potter.”
La ragazza si adombrò. “Non … non credo sia una buona idea chiedere ad Harry.” ammise. “E perché?”
“Lo sai perché ed anche se non lo sapessi puoi sempre leggermi nella mente!”
“Non me lo perdoneresti mai …”
“Questo è vero.”
Un lieve silenzio calò tra di loro, rotto solo da qualche lieve bacio a fior di labbra e dai sospiri di Hermione. “Grazie.” mormorò dopo un po’ il Serpeverde. “Per cosa?” sussurrò lei. “Per le foto di mia madre: ne avevo pochissime e quasi nessuna di quand’era giovane. Era … era particolare ...”
“Come te.”
Severus la osservò, immobile, loro dita intrecciate prima di accarezzarle la guancia con la mano sinistra, facendola rabbrividire. Lo sguardo della ragazza cadde subito sul Marchio Nero, lievemente sbiadito, seppur sempre presente e, accortosene, Piton trattenne il fiato. Hermione ne percorse i bordi con le dita, facendolo fremere. “La gente ti capirebbe se scappassi via.” disse. “E forse lo farei anch’io, al posto tuo …” aggiunse a voce bassa. Hermione si volse a fissarlo e sorrise. “Non m’interessa: mi sono innamorata di te così per come sei e non ti cambierei per nessun altro al mondo.” mormorò, tornando a baciarlo. Vennero interrotti da un picchiettio sul vetro che fece sbuffare Piton. “Che diamine c’è, ancora?” sbottò, alzandosi ed aprendo al furibondo gufo dall’altro lato. Prese la lettera e richiuse malamente, tornando a letto. “Pare sia per te.” disse, allungando la busta ad Hermione. “Da chi?”
“Da Potter.”
Hermione deglutì, aprendo il messaggio e leggendolo. “Che dice?” le chiese il Serpeverde, notando la sua aria rattristata. “Che vorrebbe vedermi stamattina … vedere entrambi, a dire la verità. Per parlare.”
“Hai intenzione di accettare?”
“Io … non lo so. Ha invitato anche te, quindi …”
“Sei tu che devi decidere.”
“Sei tu il più maturo dei due!”
“Ma l’idiota è tuo amico.”
Hermione gli assestò un buffetto sulla spalla, sbuffando. “Cosa pensi dovrei fare?” sospirò. “Devi andarci.”
Si volse a fissarlo, sorpresa della risposta. “E perché?”
“Perché, per quanto stupido, non è cattivo e ti è affezionato: ha il carattere di sua madre, dopotutto …”
“Di Lily.” completò Hermione, rabbuiandosi. Severus, percependo il tremore nella sua voce, sospirò, afferrandola per le spalle e portandosela al petto. “Lily è il passato: l’ho amata per anni, sì, ma … beh, non mi ha mai voluto. Non che lo meritassi. Non eravamo destinati a stare assieme e forse neanche compatibili. Lei è così diversa da te … ha sempre tentato disperatamente di portarmi nella sua luce, di farmi fuggire l’ombra in cui mi sono sempre nascosto … in cui mi nascondo tutt’ora, lo sai.”
“Come apparirebbe la terra, se ne sparissero le ombre? Vuoi forse scorticare tutto il globo terrestre, portandogli via tutti gli alberi e tutto quanto c'è di vivo per il capriccio di goderti la luce nuda? Sei sciocco.” citò Hermione, sovrappensiero. “Lei, però, non l’ha mai capito. Tu, invece, hai sempre accettato le ombre e vi hai trovato riparo …”
“Cosa stai cercando di dirmi, Severus?” lo punzecchiò Hermione, già sapendo dove volesse andare a parare, ma divertendosi al vederlo tanto in imbarazzo al parlare di sé. “Che nessuno potrebbe mai sostituirti.” rispose però lui, spiazzandola completamente. “Non è rimasto molto di me e del mio piccolo cuore d’ombra dopo tutto l'orrore che ho visto e fatto, dopo tutte le lacrime che ho versato e l'odio che mi è stato rivolto e che ho provato … ma quello che resta è tuo, se lo vuoi …”
La giovane si volse a fissarlo con gli occhi umidi di lacrime ed un sorriso radioso prima di baciarlo di nuovo senza aggiungere altro e, per la prima volta nella sua vita, Severus sentì di aver fatto qualcosa di profondamente giusto.


 

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Capitolo 20
*** Fiore di Cactus ***


Capitolo Ventesimo
Fiore di Cactus

A drop in the ocean
A change in the weather
I was praying that you and me might end up together
It's like wishing for rain as I stand in the desert
But I'm holding you closer than most
'Cause you are my heaven
(A Drop in the Ocean, Ron Pope)
La Londra babbana era sempre tremendamente affascinante agli occhi di Hermione: per lei, che l’aveva lasciata da bambina per la buia e fredda Scozia, per seguire una strada che non aveva neanche potuto scegliere e che l’aveva portata lontano da casa, le ampie vie trafficate circondate da edifici storici, la folla che scorrazzava su e giù ed i profili di Westminster, del Big Ben e del Tamigi contro il cielo terso e le fronde verdeggianti degli alberi avevano un vago retrogusto d’infanzia e nostalgia.
Un taxi suonò violentemente il clacson, facendo voltare mezzo marciapiede ed Hermione, seduta ai tavolini esterni del bar dal tendone scarlatto, sorrise, raddrizzandosi la giacca blu sopra ai jeans. Accanto a lei, Severus borbottò qualcosa contro lo smog e la mancanza di tatto dei babbani, picchiettando l’indice al tavolo. La ragazza lo fissò di sottecchi, divertita: quel mattino, dopo aver risposto ad Harry ed essersi di comune accordo decisi ad incontrarsi sul presto, poco lontano dalla sede del Ministero, nella Londra babbana, per dare meno nell’occhio, avevano oziato tra le lenzuola, rimandando il più possibile il momento di alzarsi fino a quando non si era reso necessario farlo. Vedere Severus Piton in abiti babbani, seppur rigorosamente neri, l’aveva fatta sganasciare dalle risate e beccarsi un’occhiataccia alquanto minacciosa dal professore che l’aveva solamente fatta ridere ancor di più. Non che stesse male, anzi: in pantaloni, dolcevita scuro e giacca nera aveva un suo perché, anche se Hermione sapeva perfettamente di essere probabilmente l’unica a trovarlo oggettivamente bello in tutta l’Inghilterra. Non che le importasse poi molto … era davvero felice dopo tanto, tantissimo tempo e questo le bastava.
“Sai cosa diamine prende di solito Potter? Dovremmo quantomeno ordinare qualcosa prima che il cameriere ci cacci …” borbottò Severus, massaggiandosi la punta del naso adunco. “Buongiorno: un caffè nero senza zucchero, un cappuccino, un caffè lungo, una fetta di crostata alla marmellata ed una brioche al cioccolato, cortesemente.” rimediò subito Hermione non appena il dipendente passò loro accanto. “Arrivano subito, signori.” annuì questi. “Grazie.” annuì Severus, guardandolo allontanarsi prima di riportare lo sguardo su Hermione con il caratteristico sopracciglio alzato. “E così oramai sai anche cosa prendo per colazione?”
“Lo sapevo anche prima: sei stato mio insegnante per sei anni, è normale che l’abbia notato, ti vedevo fare colazione in Sala Grande …”
“Non pensavo che ti concentrassi sul tavolo dei docenti, Granger …”
“Per curiosità lo facevo … anche perché registrare tutto quello che ingurgitavano Ron ed Harry sarebbe stato impossibile.” sospirò, guardandosi nervosamente attorno. “Di cos’hai più paura, che non accetti … questo o che abbia brutte notizie sui tuoi genitori?”
La Grifondoro lo fissò tristemente prima di rispondere: “Non lo so nemmeno io, a dirla tutta ...”
“E poi dovrai iniziare a fare i bagagli …”
Hermione sorrise, divertita, all’espressione infastidita di Piton. “Mi stai buttando fuori di casa?” rise. “Affatto: sto solo constatando che, da lunedì, tornerai a lavorare ed alle tue abitudini. Abitudini che non mi includono …”
“Non ci vedremo più dunque?”
“Certo che no: non sono un uomo da una botta e via.” borbottò. “Con le tue ‘amiche’ del Paiolo non mi pare fossi dello stesso avviso …” commentò amaramente Hermione, sentendo un’inaspettata fitta allo stomaco: del resto, lei aveva i suoi buoni motivi per essere gelosa di Severus. C’erano Lily, il suo amore impossibile di oltre vent’anni e le sue frequentazioni occasionali e quantomeno discutibili. Il suo massimo, invece, era stato baciare Ron una sola volta e ballare con Krum ... davvero una sfolgorante vita sentimentale, se si escludeva, per l’appunto, Severus.
“Questo perché le altre non sono te.” replicò lui, asciutto, quasi brusco. Hermione sobbalzò: era incredibile come quell’uomo avesse la capacità di dire cose di tale portata con una leggerezza sconvolgente, quasi come fossero incombenze fastidiose.
“Potrei anche riprendere a venire in libreria il mercoledì …” proseguì il Serpeverde dopo un po’. “E non lo trovi … sconveniente, viste le circostanze?” considerò Hermione, timorosa di sentire una risposta che aveva considerato, ma che non voleva sentire. “Non credo che ci comporteremo come due adolescenti in preda agli ormoni davanti a tutti …”
La ragazza arrossì al solo pensiero ed accolse la figura di Harry tra la folla come una sorta di salvatore. “Harry!” esclamò, schizzando in piedi. Il ragazzo, ansimante, aveva le guance rosse per la corsa, una bizzarra camicia a quadretti che stonava con la giacca sfilacciata ed i consueti capelli disordinati. “Ciao, Hermione. Professor Piton …” salutò, rivolgendo loro un accenno di sorriso imbarazzato prima di prendere posto. “Potter …” ricambiò Severus. Il cameriere, fortunatamente, arrivò in quel mentre, servendo la colazione e scomparendo subito dopo. “Caffè lungo e brioche al cioccolato … te lo ricordi ancora?” sorrise Harry. Hermione fece spallucce. “Non è passato poi così tanto tempo.” ammise, piluccando la sua fetta di crostata mentre aggiungeva le due consuete bustine di zucchero al cappuccino e lo mescolava. “Ma veniamo al dunque: che cos’avevi da dirci?” asserì Piton, bevendo il suo caffè amaro in un sol sorso. “Io … io ci ho pensato molto. Tanto, forse troppo.” sospirò il ragazzo, mescolando la sua bevanda con aria assorta. “E non crediate che mi sia stato facile arrivare a ciò che sto per dire, ma … beh, ho sconfitto Voldemort perché sapevo che amare qualcuno è più forte di qualunque cosa, persino della morte. Sarei un ipocrita se non capissi ed accettassi che tu sia felice con lui, Hermione …” mormorò, fissando gli occhi di smeraldo in quelli nocciola dell’amica, sgranati e sorpresi. “Ma … ieri mi hai detto che …”
“Dimentica quello che ho detto ieri: ero sconvolto. Comprensibilmente ...”
“Capisco il turbamento, Potter, ma non è che tu sia poi questo straordinario partito …” bofonchiò Severus. “E sono il primo a dirlo, lo sa! Ci ho solo pensato a mente fredda, ecco tutto ed ho realizzato che, in fondo, avevo sempre saputo che Hermione ci avrebbe sorpresi con qualche follia, prima o poi … ed eccola qui.” sorrise debolmente Harry. “Non sei mai stata del tutto bene con Krum o con Ron … non eri pienamente te stessa, lo vedevo. Ed ho sempre pensato che ti ci volesse qualcuno maturo, capace di tenerti testa, di abbastanza intelligente da consentirti un confronto … non pensavo a Lei, professore, ma sono indubbiamente sue caratteristiche.”
Severus annuì appena, impassibile. “E dunque volevo solo dirvi che a me basta che Hermione sia felice … ed anche Lei, naturalmente, professore: se lo merita più di chiunque altro. Se e quando verrà il momento in cui vorrete dirlo a tutti … beh, avrete il mio appoggio. Anche perché, se devo essere sincero, non vi ho mai visto tanto bene come in questo periodo, dunque …” ammise, facendo spallucce. Hermione rimase a fissarlo per un po’ prima di sorridere ed afferrargli la mano, stringendola. “Grazie, Harry … sapevo che avresti capito!”
“Per quanto indubbiamente tu non l’abbia usata per lo studio, a tuo modo, hai una qualche forma di comprensione, a quanto pare, Potter …” mormorò Piton. “Credo che potrebbe cominciare a chiamarmi Harry, sa? Ed io, magari, potrei anche chiamarLa Severus …”
“Nemmeno sul mio cadavere.”
I due Grifondoro trattennero a stento una risata mentre Harry iniziava a mangiare la sua brioche, visibilmente sollevato. “Non avete idea dell’ansia che avevo per questa conversazione …” ammise. “Temevi non ti perdonassi?” rise Hermione. “Infatti: sei piuttosto testarda, quanto ti ci metti, Herm …”
“Togli il ‘piuttosto’ …” confermò Severus, congiungendo le dita in grembo. “Ma veniamo ad un’altra questione: come la metti con i genitori di Hermione?”
“Beh … Moody è ancora disposto a tenere fede alla sua parola ed aiutarti, Herm …”
“Sono io a non volerlo, non più.” ribatté lei. “Oh, ti prego: mi ha praticamente pregato di convincerti ad accettare!” sospirò Harry. “Sembra impossibile, lo so, ma è dispiaciuto …”
“Anch’io sarei stata molto dispiaciuta se qualcosa fosse andato storto, ieri sera …”
“Stai rinunciando alla possibilità di trovarli molto più velocemente di quanto potresti mai fare in altri modi per orgoglio … Potter ha ragione. Riflettici, Hermione.” l’interruppe Piton, scambiando con la ragazza uno sguardo che valse più di mille parole. La Grifondoro sospirò massaggiandosi le tempie. “No, è inutile che tentiate di convincermi … non voglio che questa cosa riguardi il Ministero in alcun modo! Ora, se non vi spiace, vado a pagare … e no, Severus, ci vado io, so che altrimenti confonderesti il cassiere e non voglio!” si offrì Hermione, anticipando le proteste del Serpeverde prima di sparire nel locale.
Per qualche istante, un imbarazzante silenzio regnò sovrano tra i due uomini seduti al tavolo. Severus si ritrovò nuovamente a guardare l’incarnazione della sua infelicità, rendendosi conto che quel ragazzo che tanto l’aveva tormentato in passato era solo questo: un ragazzo. Nessuna demoniaca incarnazione di Lily e James creata per distruggerlo, solo un banalissimo ragazzo terrorizzato dal suo ex insegnante con gli occhiali sporchi …
“Ne sono successe di cose da quando si è svegliato, eh?” considerò Harry per rompere il silenzio. “Fin troppe: l’esatto contrario della tranquilla morte che mi aspettavo, Potter.” confermò Piton, guardando istintivamente dentro il locale, dove Hermione attendeva il conto in fila, guardandosi curiosamente attorno. Certo, le cose positive successe dalla fine della guerra erano dovute esclusivamente a lei, per quanto lo riguardava …
Non avrebbe mai pensato di avere una seconda possibilità, non ci sperava più, oramai: il suo obiettivo principale era tirare avanti in solitudine e silenzio, affogando i suoi rimpianti nell’alcool sino al suo decesso. Ma non aveva calcolato la portata di quell’uragano grifondoro …
L’aveva respinta, allontanata, insultata per salvarla dalle sue ombre, per far sì che fosse felice come meritava e non con un’ombra a gravare sul suo radioso futuro, ma il destino, come un’insistente vecchietta pettegola, li aveva riuniti, più e più volte, tanto che aveva capitolato. Era ai piedi di quella ragazzina da più tempo di quanto volesse ammettere ed ancora stentava a credere che quello che gli aveva confessato la sera prima fosse vero, che lei lo amasse … lei, la ragazza perfetta, l’eroina di guerra, la regina di Grifondoro, l’astro nascente della magia, si era innamorata di lui, gli aveva persino donato la sua innocenza con una convinzione che l’aveva sconvolto, a lui, che di puro e luminoso e non aveva proprio niente … non sapeva cosa diamine avesse mai fatto di buono per avere quella seconda possibilità, ma era certo che avrebbe fatto di tutto per meritarla in futuro …
“Lei … Lei tiene davvero ad Hermione?” mormorò Harry dopo un po’, con lo sguardo basso, interrompendo le elucubrazioni del professore. “Come?” domandò Severus, stranito. “Le ho chiesto se tiene davvero a lei. Ho bisogno di saperlo.” ripeté il ragazzo, sollevando lo sguardo sino ad incontrare i consueti tunnel neri in cui, stavolta, scorgeva una luce diversa. “Hermione è mia amica da sempre.” proseguì. “Senza di lei sarei morto al primo anno. È bella, intelligente, in gamba ed ha sofferto molto. Voglio solo assicurarmi che non la ferirà … cerchi di capire: ha detto che avrebbe amato mia madre sempre, ha sacrificato tutta la sua vita per lei ed ora …”
“Mi sembrava strano che non sfoderassi la sua ottusità, Potter.” lo freddò Piton, appoggiandosi mollemente allo schienale, apparentemente tranquillo, anche se, dalla rigidità, ad Harry sembrava chiaramente che si sentisse come una preda che stava per essere squartata. “Ho passato la mia vita amando tua madre, è vero.” confermò, seppur a voce bassissima, quasi in un sussurro. “Ma non mi ha mai voluto: è una cosa con cui ho imparato a convivere, oramai. E quando è tornata … beh, mi sono sentito ancora peggio, ironicamente: un bel ringraziamento da parte della sorte, vero? E, nel frattanto, è arrivata Hermione …” raccontò, fermandosi subito per riacquistare la sua espressione infastidita dinanzi all’espressione quasi pietosa di Harry che non sembrava riuscire a tollerare. “Che, per mia sfortuna, è anche tua amica. Non ho intenzione di prometterti niente né di lasciarmi andare a dichiarazioni smielate, sappilo: io e te non siamo amici né alleati, né mai lo saremo e non è con te che devo discutere queste cose. Fatti bastare quello che ti dice lei.” concluse, alzandosi di scatto al vedere arrivare Hermione dal bar. Harry sospirò, fermandosi ad osservarli mentre, salutatolo con la promessa di scriversi presto, si allontanavano sul marciapiede, la mano di Hermione incastrata nel braccio dell’uomo: se c’era una cosa che aveva imparato nei suoi quasi ventun anni di vita, era che bisognava sempre fidarsi del proprio istinto. E, ascoltando le parole di Piton, vi aveva visto una sincerità sconosciuta, una sofferenza repressa ed una speranza segretamente custodita che non avrebbe mai creduto si potesse avverare. Era solo una sensazione e non si sarebbe mai e poi azzardato a confermarlo neppure a se stesso, ma, vedendo Hermione e Severus camminare vicini, scambiarsi delle occhiate con cui sembravano avere tutta una conversazione a lui preclusa e notando persino Piton sorridere, un chiaro segnale della prossimità dell’apocalisse, Harry sentì che, forse, quello che c’era tra loro era per entrambi qualcosa di tremendamente vero ed autentico e tanto gli bastò.
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Buio. Nella stanza non v’era che buio. Hermione era sola in mezzo alle ombre danzanti sulla parete e sentiva il cuore accelerare sempre più ad ogni pallido movimento di quegli esseri di tenebra nel silenzio assordante. “Basta, basta!” gridò, portandosi le mani alle tempie, sfinita: non ne poteva più. La vista le si era offuscata, era scossa dai brividi e la pelle ribolliva a quelli che sembravano fredde mani attorno a sé …
Poi, d’improvviso, un sonoro crack e tutto il rumore si spense. Tremante, la giovane si tirò su ed aprì gli occhi, ma solo per ritrovarsi dinanzi ad un’abnorme ombra di dimensioni ciclopiche, china su di lei. “L’Ombra sta tornando. E stavolta sta tornando per te, Hermione …” sussurrò con una voce gelida che sembrava venire dall’oltretomba, mentre si chinava su di lei rivelando due occhi senza pupilla …

Hermione gridò con tutto il fiato che aveva in gola, balzando a sedere, ansimante. Si rilassò solo quando Grattastinchi le leccò la mano e constatò che si trovava al Paiolo Magico, nel suo letto profumato di lavanda, con le tende accostate che lasciavano filtrare la luce. Si passò una mano sul volto, ansimando: era già la terza volta che faceva quell’incubo. Le prime due era sola, fortunatamente, ma in un’occasione si era fermata da Severus, che l’aveva stretta a sé, accarezzandole i capelli, tanto era terrorizzata. L’occhiata che le aveva rivolto era un misto di preoccupazione e sorpresa: non credeva, evidentemente, che anche lei potesse fare sogni orrendi quanto i suoi. Solitamente, quello che si svegliava di soprassalto in preda al tremore era lui ed era Hermione a capire, senza bisogno che glielo dicesse, cos’avesse sognato ed a consolarlo, stringendosi a lui ed impedendogli di prendere pozioni o di bere per riprendere sonno. Eppure, incredibile a dirsi, lei, la Grifondoro che rassicurava sempre tutti, non aveva il coraggio di parlargli di quell’incubo, del tutto nuovo e scollegato da quelli derivati dalle torture di Bellatrix e Daciana, che, inquietantemente, era iniziato proprio la notte dopo che avevano dormito assieme … Luna le avrebbe detto che le ombre entravano nell’animo delle persone che si avvicinavano troppo e le invadevano, oscurando ogni briciolo di luce, ma Hermione non vi credeva, affatto. Severus non era un uomo d’ombra e certamente non lo era neanche lei … ma, allora, da dove venivano quelle tenebre così terrificanti e gelide come la morte?
“Sarà solo uno stupido sogno dettato dall’ansia!” sbuffò, alzandosi ed appellando i vestiti dall’armadio, pronta a cominciare una nuova giornata sforzandosi di sorridere nonostante, in cuor suo, quei sogni la inquietassero più di quanto volesse ammettere.

“C’è una consegna da fare per Hogwarts …”
“Ci vado io!” si offrì Hermione, forse con troppa enfasi, a giudicare dalle occhiate perplesse di Madame Florish e di Cormoran. “Voglio dire … se a voi va bene, non ho molto altro da fare, stasera ...” si corresse, sfregandosi i palmi sudati sulla gonna del completo estivo color crema. “No, nessun problema, anzi, mi faresti un favore! Ed anche a Cormoran … vero, caro?” ridacchiò Florence, riprendendo a scrivere sul suo registro. “E come mai?” domandò Hermione, curiosa. Il mago bofonchiò qualcosa che Madame Florish scosse il capo. “Il solito orco! Cormoran ha un appuntamento galante ed andrà via prima oggi …”
“Ma è splendido! E con chi?” domandò la giovane, sorridente. “E chi lo sa … mister segreto non vuole dircelo …”
“Saranno ben affari miei!” sbottò Cormoran, allungando altri libri da sistemare in vetrina ad Hermione. “Male, un libraio si deve fare affari degli altri!” constatò l’elfo Brix, riprendendo a spazzare il pavimento del negozio deserto in quel nuvoloso pomeriggio di fine aprile. “L’amore ci cambia tutti … c’è chi diventa più gentile e chi più orco …” sospirò Florence. “E tu, Hermione?”
“Io cosa?” domandò lei, sobbalzando. “Ho sbagliato l’allestimento?”
“No, no … volevo dire … non frequenti nessuno?”
“Beh … forse … ma perché Le interessa tanto saperlo? L’appuntamento è di Cormoran!” constatò, arrossendo appena. “Oh, ma sei tu quella giovane, qui e, guarda caso, sei sempre tu ad essere arrossita …”
“Hermione ha il fidanzatino!” trillò Cormoran, soddisfatto. “Ma no! Fidanzatino proprio no …” sospirò, lei, soffocando una risata al pensiero di cos’avrebbe detto Severus al sentirsi apostrofare in quel modo. “Parlando di cose serie … che ordine devo consegnare ad Hogwarts?”
“Questa scatola, alla preside McGranitt … qui c’è anche la ricevuta. Vai ora?”
“Non c’è nessuno, potrei anche fare un salto, se per Lei va bene …”
“Va benissimo … e non tornare quando avrai finito: prenditi la serata libera anche tu, resto io, qui. Voi giovani avete bisogno di svago …”
“Ma …”
“Nessun ma, Hermione: va’ pure.”
La Grifondoro sospirò e sorrise. “Grazie, in tal caso … Le manderò uno scritto per farLe sapere della consegna dopo.”
“Come preferisci, tanto sai che mi fido. A domani, cara.”
“A domani … e buona serata, Cormoran!” sorrise la giovane, prendendo la sua borsa, la scatola e la ricevuta prima di smaterializzarsi.

“Santo cielo, ma cosa diamine ci avete messo dentro, sassi?” sbuffò Gazza, tastando perplesso la scatola che stava lievitando oltre il portone principale di una Hogwarts avvolta da una nebbiolina umida e primaverile che inverdiva le piante. “Solo libri di testo richiesti dai docenti.” raccontò Hermione. “Da qui in poi posso arrangiarmi da sola, grazie per l’aiuto.”
“Eh … mi tocca, che credi, Granger?”
Hermione ignorò i borbottii di Gazza per dirigersi rapidamente verso l’ufficio di Minerva, dove, secondo la ricevuta, avrebbe dovuto lasciare il pacco che le lievitava accanto. Attraversò i bui corridoi di pietra, affollati di studenti di ogni casa e di ogni età, alcuni ridenti, altri preoccupati per gli esami e sorrise: quelle mura custodivano i ricordi di ogni singola vita dei maghi e delle streghe inglesi, inclusa la sua … erano così carichi di emozioni e di storie che l’aria quasi ne vibrava e la si percepiva chiaramente, camminando.
Salì le scale in continuo movimento tra i ritratti parlanti, diretta all’ufficio in cui era già stata tante volte per aver aiutato Harry negli anni di scuola sino ad arrivare alla familiare porta sbarrata.
“Fanny.” disse con sicurezza mentre l’uscio le spalancava le sue porte, riconoscendola. Hermione mosse cautamente i primi, insicuri, passi nella stanza, trovandola subito diversa da com’era rispetto alle ultime volte che vi era stata, quando ancora Silente era preside di Hogwarts: l’unica cosa rimasta identica erano i quadri dei presidi alle pareti e la scrivania. Per il resto, alte librerie ricolme di pesanti tomi antichi occupavano le pareti, delle statuette di gatti di cristallo animati giocavano e si leccavano il pelo vitreo e dei trofei di Quidditch spiccavano sopra il camino acceso. In centro alla stanza, un lungo tavolo ovale d’ebano ospitava numerose poltrone in tartan, in quel momento tutte occupate dagli insegnanti di Hogwarts, evidentemente in riunione.
Hermione si bloccò, imbarazzata, ma Minerva, vedendola, le fece cenno di avvicinarsi. “Hermione, cara, eccoti: stavamo aspettando proprio te ed i tuoi libri per terminare questa consultazione di fine anno! Non serve che ti presenti nessuno tranne, forse, il nostro nuovo docente di Trasfigurazione, il professor William Eton … un giovane portento!”
Un biondo dai capelli scarmigliati e gli occhi straordinariamente azzurri si alzò, affrettandosi a porgerle la mano con un sorriso da copertina. “Piacere di conoscerLa, si sente tanto parlare di Lei, qui!”
“Esagerano sicuramente … piacere mio.” annuì lei, stringendogliela. Dopodiché, salutò tutti gli insegnanti uno per uno, avendo cura di abbracciare Neville, Remus e persino Minerva, che insistette. Ebbe un istante di esitazione solo quando giunse dinanzi a Severus, ma questi lo dissipò rapidamente tendendole la mano diafana ed affusolata, che strinse rapidamente, imbarazzata prima di proseguire, sentendo il suo sguardo costantemente addosso.
“Venendo alle questioni di lavoro … ecco qui l’ordine, questa è la ricevuta del negozio.” sorrise infine Hermione, facendo volare la scatola sul tavolo prima di sistemarsi educatamente dietro Remus, che le rivolse un cenno d’assenso. Hermione ricambiò prima di incontrare il familiare sguardo d’ossidiana del professore di pozioni. Non si sorrisero né si parlarono, ma i loro occhi dissero tutto ciò che c’era da dire … non c’era bisogno di altro tra loro, non più.
Hermione era tornata al lavoro da oramai un mese, ma, da allora, si era vista con Severus praticamente quasi ogni giorno: lei, con Tom, adduceva alla scusa di dover aiutare Ginny con il matrimonio e lasciava sempre presto le cene a casa Potter a cui era invitata dicendo di essere stanca, mentre lui, ad Hogwarts, borbottava di dover sistemare la casa perché aveva intenzione di venderla e c’era già un acquirente interessato, perciò doveva sbrigarsi. E, così, all’insaputa di tutti, si vedevano a Spinner’s End. Hermione, addirittura, seppur dopo lunghe ed accese proteste di Severus, culminate nelle loro solite discussioni, si era permessa di portarsi dietro Grattastinchi, di riordinare il soggiorno, aggiungendovi persino un televisore (o, come lo definiva Severus, ‘un infernale trabiccolo babbano’), cambiare il tappeto e mettere alle finestre delle piante grasse. “Cactus …” aveva constatato Severus una mattina, vedendola bagnare appena quelle piantine. “Non sono solo cactus. E, comunque, la casa deve rispecchiare il proprietario e non vedo pianta migliore del cactus per te.” aveva ribattuto lei. “Perché sarei arido, immagino …” aveva sogghignato lui. “No, perché è in apparenza fastidioso, allontana tutti con le sue spine, ma solo i pochi abbastanza coraggiosi da avvicinarsi sanno che può anche fiorire …”
“I pochi avventati, semmai …”
“Io li chiamerei fortunati, ma credo sia soggettivo.”
“Credi bene, Granger.”
“Allora, Hagrid … come approfondimento di Cura delle Creature Magiche cosa ci consigli, unicorni o draghi?” sorrise Minerva, interrompendo i suoi pensieri. “Ehm … io sceglierei i draghi!” mormorò il mezzogigante, come sempre imbarazzato al parlare in pubblico. “Sì, così potremmo fare delle lezioni interdisciplinari sull’Erba Focaia!” annuì Neville. “Ottima idea, professor Paciock … sai, Hermione, c’è anche questa novità quest’anno: l’idea è stata del professor Lupin ed ha iniziato unendo Difesa e Pozioni … con somma gioia di Severus, vero?”
L’uomo bofonchiò qualcosa e Minerva sospirò pesantemente mentre Hermione ridacchiava: avrebbe volentieri pagato per assistere a quelle lezioni. Dovevano essere a dir poco esilaranti.
“Bene, per ora direi che possiamo concludere qui la riunione! Hermione, ti prego, comunica a Florence che le farò avere l’ammontare richiesto …”
“Certamente.” annuì lei, avvicinandosi mentre i docenti si alzavano e chiacchieravano tra loro. “Non vuoi conoscere meglio Eton?” le fece però notare Minerva, rivolgendole un’occhiata da sopra gli occhialetti. “Non necessariamente, sono un po’ di fretta oggi …” mormorò la Grifondoro. “Ma ti farebbe bene.”
“Parlare di trasfigurazione? Avevo buoni voti nella sua materia …”
“Avevi voti eccellenti, come in tutte le materie, mia cara. Dico solo che Eton è un giovane brillante, di bell’aspetto e di buona famiglia, con una buona posizione in società ed ottime possibilità di avanzamento in carriera … non resterà qui per molto, forse un anno o due e mi piacerebbe vederti felice, Hermione. Credo sia il ragazzo che fa per te …”
La giovane si sforzò di sorridere e sembrare tranquilla ma, istintivamente, guardò al tavolo: come temeva, Piton aveva sentito tutto e, dalla sua espressione impassibile, pareva anche irritato. Raccolse il suo registro, si alzò ed uscì senza salutare né dire una parola ed Hermione sentì un tuffo al cuore allargarsi a macchia d’olio ad ogni suo passo.
“Ecco qui … buona serata, cara. E pensaci per quella cosa.” concluse Minerva, allungandole un assegno. “Grazie, lo farò. A presto.” si congedò rapidamente la giovane, salutando Remus e Neville con un cenno sbrigativo prima di sparire fuori dall’ufficio. Nei corridoi deserti non v’era traccia di Piton, come sospettava. “Accidenti!” sbuffò: sapeva che, se si fosse fiondata nei bui sotterranei, puntando decisa all’ufficio del professore di Pozioni, non avrebbe ottenuto che di essere scacciata in malo modo. Severus tendeva all’essere piuttosto paranoico sul fatto che qualcuno potesse scoprirli …
Con un sospiro, si diresse, così, seppur a malincuore, verso l’altra meta del suo breve viaggetto ad Hogwarts: la biblioteca.
Più o meno da quando aveva rifiutato l’aiuto degli auror del Ministero, aveva iniziato a frequentare assiduamente la sezione proibita, rinvangando tra antichi trattati e manuali oscuri alla ricerca di un modo per rintracciare i suoi genitori. A volte, del tutto eccezionalmente, Severus le si era seduto accanto e, senza dire una parola, aveva iniziato a darle una mano.
Quella sera, entrando in biblioteca, come immaginava, la trovò deserta: gli alti scaffali ricolmi, interamente d’ebano ed intervallati da lunghi tavoli, erano solitari e silenziosi alla fioca luce delle candele e del tramonto. Neanche la bibliotecaria si aggirava tra di essi, a quell’ora …
Hermione, mentre si avviava, sorrise al pensiero che lei, al contrario, fosse solita attardarsi ben oltre l’orario consentito, con buona pace di tutti. Quella prigione di carta era stata per lei una vera e propria casa, un luogo dove sentirsi a proprio agio, durante gli anni ad Hogwarts. A prescindere da quanto venisse presa in giro per le ore che vi trascorreva e per (doveva ammetterlo) la sua tendenza ad essere una so-tutto-io …
Si lasciò cadere sul tavolo ed appellò l’ultimo libro che aveva consultato, stando ben attenta ad aprirlo, viste le conseguenze con i libri del destino di recente …
Sospirò, aprendo ‘Manufatti, Talismani ed Artifici Oscuri’ a pagina cinquantadue e riprendendo a sfogliare rapidamente alla ricerca di un minimo indizio. In un mese, era riuscita a trovare la formula per restituire i ricordi ai suoi genitori: avrebbe dovuto infonder loro uno stato di catalessi e trasmettere loro i ricordi mancanti da se stessa. Non facile, ma nemmeno impossibile. La parte complicata, ma necessaria, era ritrovarli … e non sapeva davvero come fare. Aveva visto il senso di impotenza ed il dispiacere di Severus al vederla spesso e volentieri disperata per l’assenza di una soluzione, ma non si sarebbe certamente data per vinta per così poco …
Proprio mentre sfogliava quasi distrattamente le pagine, si bloccò di scatto: aveva appena notato qualcosa …
Si guardò attorno ed estrasse dalla borsetta il cellulare, scattando una fotografie alle tre pagine successive con un sorriso soddisfatto: non era permesso fare fotocopie dei libri della Sezione Proibita né copiarli, ma nessuno aveva menzionato le classiche, vecchie, foto … essere nata babbana, dopotutto, aveva i suoi vantaggi. Con nonchalance, si alzò e ripose il volume, iniziando a cercare qualcosa di simile sul medesimo argomento, ma non vi trovò nulla. Avrebbe dovuto fare una ricerca per conto suo con alcuni fornitori più esperti o parlarne con Severus …
Al pensiero, controllò l’orologio: era più tardi di quanto pensasse. E Piton ancora non s’era fatto vedere, cosa strana, da parte sua …
“Oh, al diavolo!” sbuffò, dirigendosi a passo spedito verso l’ufficio del professore nei sotterranei mentre l’obliqua luce del tramonto filtrava come lama attraverso le finestre.
Come pensava, Severus era lì, alla tremola luce delle candele, la testa china su un calderone fumante ricolmo di una sostanza verdognola che sapeva di menta. Per qualche istante, Hermione rimase sull’uscio a guardarlo lavorare: vederlo preparare una pozione era sempre tremendamente affascinante. Tagliava con un’eleganza ed una delicatezza disarmanti gli ingredienti, mescolava ed aggiungeva lentamente, spiegando con voce roca e quasi venerante i procedimenti. Contrariamente agli altri studenti, Hermione gli aveva sempre riconosciuto un’innata raffinatezza che si distingueva dal modo in cui si muoveva, persino da come si sedeva o congiungeva le mani. Era un portamento orgoglioso e signorile che, evidentemente, doveva aver ereditato dalla madre e doveva essere anche una delle tante cose che avevano fatto imbestialire suo padre …
Si avvicinò lentamente, i tacchi che picchiettavano appena sulla pietra e si fermò accanto a lui, osservandone i lineamenti decisi, quasi aspri, ma loro modo unici, i capelli da tutti definiti unticci, ma che lei sapeva essere in realtà semplicemente morbidi ed il fisico asciutto e vigoroso, ben lontano da quello che la maggior parte dei ragazzi che Hermione conosceva cercavano ossessivamente per dare mostra di sé e lei aveva sempre trovato estremamente stupido. A ben pensarci, aveva ritenuto stupida qualsiasi cosa riguardasse i ragazzi della sua età da sempre, a parte Ron, ma, in quel caso, era forse innamorata più dell’idea di appartenere alla famiglia Weasley e di realizzare la sua personale versione de ‘La Bella e la Bestia’ che di lui. Le ci erano voluti anni per capirlo, ma, alla fine, l’aveva compreso …
“Credevo fossi di fretta …” mormorò dopo un po’ Severus, interrompendo le sue elucubrazioni e prendendo un campione di pozione ed osservandolo attentamente alla luce. “Lo ero solo perché volevo parlarti.”
“Preferisci dunque me alla conoscenza del mirabolante professor Eton?”
“Non essere sciocco, Severus: sai bene che tendo a non badare a ciò che, secondo gli altri, dovrebbe piacermi o meno …”
“Lo so. Ma forse fare di testa tua non è la cosa migliore per te …”
“Sono io a decidere cos’è meglio per me e non è Eton, a prescindere da quanto sia giovane, bello, intelligente, ricco e chissà che altro ...”
L’occhiata che le rivolse Piton, con il consueto sopracciglio alzato, la fece sorridere. “Non m’interessa degli altri, quante volte dovrò ripetertelo ancora?” sospirò, avvicinandosi sino a costringerlo ad abbassare il capo per guardarla negli occhi. “E l’ho detto anche a Minerva. Eton non è te …”
Severus bofonchiò qualcosa che la fece sospirare più a fondo. “Ti rendi conto che stai rinunciando al principe azzurro in persona, Granger?” considerò dopo un po’ Piton. Hermione sorrise, scuotendo il capo ed intrecciando le loro dita, facendolo finalmente tacere. “Io non sono una principessa, sono una strega. E, in quanto tale, ribelle e rivoluzionaria non m’interessano i principi azzurri: l’unico che desidero al mio fianco è il principe mezzosangue.”
Piton le rivolse un’occhiata strana, ma, nel luccichio che gli divampava negli occhi, Hermione lesse una sorta di rassicurazione, di orgoglio. Quando sollevò le dita a sfiorarle la guancia, rabbrividì e chiuse gli occhi al sentire le sue labbra sulla fronte. “Testarda ragazzina …” sbuffò poi il professore, tornando alla sua pozione. “Distillato rinfrescante?” indovinò Hermione. “Complimenti, cinque punti a Grifondoro, signorina Granger.”
“Avevo eccellente in pozioni, se non ricordo male!”
“Me lo ricordo io, mi hai tormentato per quel voto!”
“Ci tenevo sinceramente …”
“A dar prova della tua saccenza in ogni campo? Sì, è vero, ci tenevi, ci tieni anche adesso.”
“Per chi è?” sospirò Hermione al ghigno dell’uomo, cambiando argomento. “Per le bestie di Hagrid, in vista dell’estate …”
“A proposito di Hagrid … non gli hai chiesto di tua madre?”
Severus attese qualche istante per rispondere, concentrato sulla pozione. “Non ne ho avuto occasione.”
“Le occasioni non vi mancano di certo: lavorate assieme.”
“Il castello è grande, se non l’avessi notato.”
“Di’ piuttosto che hai paura di aprirti e mostrarti vulnerabile …”
“Non ti avrei mai recuperata da casa di quella negromante, se così fosse …”
“Ma io non sono come gli altri, me l’hai detto tu!”
“Mentre ero ubriaco, evidentemente …”
La ragazza sbuffò sonoramente mentre Piton adocchiò le sue dita. “Hai della polvere sui polpastrelli … hai continuato la tua ricerca per trovare i tuoi genitori?” constatò. “Sì.” annuì, distogliendo lo sguardo da quei tunnel scuri e vibranti che sembravano leggerle dentro. “E …?”
“E … ho trovato qualcosa …” sospirò lei, estraendo il telefono e mostrandogli la fotografia appena fatta. Severus si curvò su quell’aggeggio che stava imparando ad usare con stoica reticenza nonostante le proteste di Hermione. “Si chiamano porte del cuore … sono antichi manufatti creati con la magia del sangue. Dicono dove si trovano le persone amate da chi ne possiede uno in ogni istante con esattezza …”
“Non ne avevo mai sentito parlare …” commentò mollemente Piton. “Non sono comuni: anche se fosse, sarebbero difficili da trovare.”
“Ma potremmo sempre tentare, sinora è l’unica strada anche solo lontanamente concepibile che abbiamo trovato!” protestò Hermione. “Credo tu sia abbastanza intelligente da capire che potremmo non trovare mai alcun amuleto o che potrebbero non funzionare …”  
“Ed io non credevo tu fossi così arido da non capire che mi serve poterlo credere!” replicò lei, sospirando ed incontrando lo sguardo di Severus velato di una sorta di ammirazione mista a compassione. “Li troverai, è solo questione di tempo.” mormorò. “Lo dici solo per rassicurarmi …”
“Lo dico perché lo penso davvero: sei una strega in gamba, anche se arrogante e petulante. Li troverai.”
Hermione sollevò lo sguardo, incontrando quello dell’uomo ed annuì debolmente. “Scriverò a Lucius domani stesso.” completò Piton. “Se c’è qualcuno che possiede una porta del cuore o che sa dove si possono reperire, è lui. Anche se ti avviso che potrebbe esserci di mezzo anche il mercato nero …”
“Non m’interessa: farei qualunque cosa per riaverli.” esclamò la ragazza, decisa, gli occhi pericolosamente lucidi e vicini alle lacrime …
“Severus!” li interruppe una voce conosciuta, facendo sobbalzare Hermione e sbuffare Piton. “Albus, fai anche il voyeur adesso?” sbottò. “Lungi da me, volevo solo salutare la signorina Granger … come stai, cara?” sorrise il ritratto. “Bene, grazie, preside.” annuì lei. “E Lei?”
Hermione, è morto!”
“Anche un quadro può divertirsi o annoiarsi, suppongo, Severus!”   
“A vedere i vostri battibecchi non ci si annoia mai, ve lo garantisco!” rise Silente. “E, comunque, Severus è di umore decisamente migliore da quando ci sei tu … sei un balsamo curativo per lui, cara!”
La giovane arrossì. “Mi auguro che tu non lo dica a Minerva o ad altri quadri, Albus …” sibilò il Serpeverde. “Lungi da me spettegolare …”
“Certo, certo … credo sia meglio che tu vada, Hermione: si sta facendo tardi e non voglio dare modo a questo ritratto di ficcanasare ulteriormente nella mia vita …”
“Va bene … buonasera, professore.” rise la giovane prima di schioccare un bacio sulla guancia di Piton. “Ti aspetto a Spinner’s End.” sussurrò prima di uscire in fretta dalla stanza, lasciandosi dietro una dolce scia di profumo.
Quando la porta si fu richiusa, lasciando la stanza immersa nel silenzio, Severus sospirò, iniziando a distillare la pozione oramai pronta. “È una ragazza educata, gentile, intelligente, tenace e molto bella …” considerò Silente. “L’avete finita tutti quanti di decantare le sue lodi?” borbottò Severus. “Sei tu il primo a farlo, ragazzo io …”
“Non credo proprio …”
“Forse non ad altri, ma posso garantirti che in ogni tuo sguardo rivolto a lei lo fai eccome …”
“Se non la finisci con queste frasette smielate, Albus, mi toccherà distillare litri di pozioni anti vomito …”
“Ah, l’amore … come addolcisce i cuori! Certo, la maggior parte di essi …”
֍֎֍
Quando Hermione si svegliò il mattino seguente si rese subito conto di non essere al Paiolo. Le lenzuola profumavano di muschio e menta ed una leggera frescura le solleticava la pelle che non era celata dalla morbida coperta. Sbadigliò, sollevandosi appena e sentendo il familiare ronfare di Grattastinchi accanto a lei. “Buongiorno …” gli sorrise, accarezzandolo e guardando l’altra metà del letto, vuota. Capitava di rado, oramai: ogni volta che si svegliava a Spinner’s End, Severus era lì o, al massimo, in bagno. Ma la vecchia casa scricchiolante, quel mattino, era silenziosa, una luce aranciata filtrava dalle veneziane semiabbassate ed anche fuori non c’era nessun rumore, neanche il canto degli uccellini.
Hermione si tirò a sedere, stropicciandosi gli occhi: quella notte, aveva di nuovo sognato l’Ombra, ancor più inquietante del solito e si era nuovamente svegliata urlando in preda al panico. Si era calmata solo quando Severus l’aveva stretta a sé, tranquillizzandola. “È per Daciana?” le aveva chiesto quando si era tranquillizzata. Hermione aveva annuito brevemente, nascondendosi nell’incavo del suo collo ed ignorando la sensazione che il Serpeverde avesse compreso che quella fosse una bugia bella e buona, ma avesse volutamente deciso di ignorare la sua voce interiore per lasciarla addormentare in pace. E, in effetti, per il resto della notte aveva sonnecchiato tranquilla: Hermione non avrebbe saputo dire se avesse ragione quell’esperto dei sogni a dire che addormentarsi abbracciati alla persona amata conciliasse un sogno profondo e sereno, ma senz’altro la faceva sentire protetta, sicura e, forse, lo stesso valeva per Severus, sebbene si lamentasse sempre della quantità di peli che perdeva Grattastinchi …      
“Sai dov’è?” mormorò Hermione, accarezzando il gatto. Questi strofinò il capo dall’altro lato del letto, facendola sorridere: nonostante i borbottii, aveva beccato più di una volta Severus leggere con Grattastinchi acciambellato sulle sue gambe e, una notte, fingendo di dormire, l’aveva persino visto giocarci assieme … delle immagini che, se catturate e vendute agli studenti di Hogwarts, le avrebbero fruttato parecchi quattrini.
Un lieve bussare alla porta la fece sobbalzare. “Ma guarda tu se è questa l’ora di uscire … avrà voluto comprare il latte!” sbuffò, alzandosi ed indossando la vestaglia viola sopra la leggera camicia da notte prima di scendere rapidamente le scale. “Severus, potresti anche entrare e basta, è casa tua, che bisogno c’è di …” asserì, spalancando l’uscio.
Il resto del rimprovero le morì in gola al trovarsi dinanzi una combriccola che mai e poi mai si sarebbe aspettata di vedere sulla soglia di Spinner’s End di sabato mattina a quell’ora. Oltre l’uscio, infatti, Harry, con una semplice felpa, la fissava allibito, mentre, alle sue spalle, Mina, da sotto gli occhiali da sole, si aggiustava lo chignon e sorrideva soddisfatta, scuotendo gli orecchini a forma di ragno e Remus Lupin in persona si limitava a fissarla con gli occhi sbarrati ed un’espressione che era il perfetto ritratto dello shock. Hermione sentì le guance imporporarsi per l’imbarazzo e la mano appoggiata alla porta tremolare mentre il silenzio calava. “Zia Herm!” trillò Teddy, apparendo da dietro il padre e fiondandosi verso di lei. “Ciao!” gli sorrise, prendendo in braccio e schioccandogli il consueto bacio sulla guancia prima di rimetterlo giù. “Abiti qui zia Herm?” domandò il bambino. “No, no è …” tentando di spiegare, ma le parole le morirono in gola. “No, ma quasi, tesoro. Ora possiamo entrare? Grazie …” li interruppe Mina, prendendo il bambino per mano ed accedendo in casa, levandosi gli occhiali da sole con nonchalance.
“Harry … non … non mi aspettavo di vederti … di vedervi qui!” mormorò Hermione, chiudendo la porta e stringendosi istintivamente la vestaglia al petto. “Nemmeno io, Herm …” deglutì il giovane mago, passandosi una mano fra i capelli. “Ma …” mormorò Remus, abbastanza sorpreso. “Ma …”
“Suvvia, non l’avevi capito?” sbuffò Mina, picchiettandogli la spalla. “Te l’ho detto: una settimana. Poi o si odiavano o si amavano … come sempre, avevo ragione!”
Hermione sentì il rossore aumentare ad ogni parola. “Accomodatevi pure in soggiorno … come mai qui, Harry?” pigolò, nervosa. “Potremmo farti la stessa domanda, cara!” ridacchiò Mina, facendole l’occhiolino. “Io e Mina dovevamo passare a prendere le nostre pozioni …” spiegò Lupin, che aveva ripreso un po’ di colore. “E Severus ci aveva detto di passare a Spinner’s End.”
“A-anche tu, Harry?” domandò Hermione. “No, io … dovevo discutere di un’altra cosa con il professor Piton e li ho semplicemente incontrati qui fuori.” deglutì l’amico. “Ah. Bene. E … come va con il matrimonio?”
“Il suo o il tuo?” rise Mina, facendola solo arrossire ancora di più. “Ginny è molto nervosa.” la salvò Harry. “Non si sa se alcuni invitati verranno … tra cui, appunto Piton. Ero qui per chiederglielo … ma forse potresti aiutarmi a convincerlo. Ci terrei molto …”
“Oh, sì, Hermione ci riuscirebbe, secondo me: ha un certo ascendente su Severus!” trillò Mina, sedendosi e tirandosi in braccio Teddy. “Perché?” domandò il bambino. “Mina!” esclamarono in coro Hermione e Remus, facendola ridacchiare. “Eh, tesoro mio, capirai quando sarai più grande …”
La Grifondoro si portò la mano al viso oramai bollente e sospirò di imbarazzo. “Non sapevo che Piton avesse amici così simpatici!” considerò Harry per stemperare la tensione, alludendo alla vampira. “Oh, non lo sa nemmeno lui!” sorrise la vampira. “E come conosce Remus, signora …?”
“Mina e basta e dammi del tu, boccino caro. Lo conosco grazie ad Hermione, in effetti. Più che altro, suo figlio ha un’adorazione per me … vero, Teddy?”
Il bambino annuì. “Persino Andromeda la adora … Teddy ha insistito per fargliela conoscere. Voleva tanto presentarle ‘la sua nuova e bellissima amica vampira’ …” sospirò Lupin. “Sai che ho fatto la prima magia, ieri, zia Herm?” esclamò Teddy. “Ah sì? Cos’hai fatto?”
“Ho fatto esplodere il forno di nonna …”
“Sarà stata contenta!”
“Come un folletto in un campo di gremlin, in effetti …” annuì Remus.
Lo sbattere della porta d’ingresso interruppe le loro chiacchiere ed Hermione, istintivamente, trattenne il fiato.
Severus Piton, vestito interamente di nero, con la sola differenza di avere addosso un vecchio soprabito, si stagliava all’ingresso con in mano una bottiglia di latte, fissando con sguardo impassibile i presenti. Non si sarebbe potuto dire se fosse più alterato o infastidito …
“Severus, finalmente!” lo accolse Mina, levandosi in piedi. “Quale parte di ‘passate nel mio ufficio a prendere le pozioni’ ti risulta di difficile comprensione, Mina?” sibilò questi, facendo volare il latte in frigorifero con un rapido movimento della bacchetta. “Hai menzionato solo il venire a prenderle, non il dove.” rettificò lei, incrociando le braccia. “E, comunque, non ho visto nulla che già non sapessi … o sbaglio?”
Il pozionista sospirò, indignato, stringendo i pugni e voltandosi verso Hermione. “Credo sia meglio che tu vada a vestirti.” constatò freddamente. La ragazza deglutì ed annuì, salendo rapidamente in camera senza guardare negli occhi nessuno dei presenti.
Salì i gradini a rotta di collo prima di chiudersi nella stanza, prendendo un respiro profondo: cosa diamine le era saltato in mente? Farsi vedere così, senza prima accertarsi di chi fosse … Lupin l’aveva guardata come fosse una criminale. Santo Merlino, non riusciva neanche ad immaginare come avrebbe reagito Severus, una volta che fossero stati nuovamente soli …
Sospirò, iniziando a vestirsi meccanicamente con movimenti tremolanti, ignorando il ronfare di Grattastinchi nel letto sfatto. Mentre si spazzolava i capelli ed indossava gli orecchini a parla di fronte allo specchio, la sensazione di una mano posata sulla sua spalla la fece voltare di scatto, la bacchetta già pronta a reagire. Si rilassò solo constatando che fosse solo Mina. “Sono io, tranquilla. Non mi rifletto negli specchi, sai com’è …” constatò, facendo spallucce. La Grifondoro si rilassò, risistemando la bacchetta e sedette mollemente sui bordi del letto, tirandosi il gatto in braccio. “Non hai niente da dire su quanto sia sconveniente?”
“Io? Ma se sono la regina della sconsideratezza?” rise la vampira, stupendola. “No, mia cara, affatto: rido perché lo sapevo da ben prima di voi, tutto qui. Credevate che non fosse evidente? Sapevo che eravate fatti l’uno per l’altra, sapevo che lui ti avrebbe respinta per tenerti al sicuro dal suo passato e dalla sua reputazione e sapevo anche che, alla fine, si sarebbe arreso, perché la verità che nasconde dietro quell’espressione da burbero è che non potrebbe mai fare a meno di te, ora che ti ha nella sua vita. Ha già lasciato andare la felicità fin troppe volte, non può permettersi di rinunciarvi di nuovo …”
Hermione la osservò, pensierosa, prima di annuire. “Non è questo: il fatto è che … beh, credo che l’unica cosa che possa dividerci siano gli altri. Già Harry quando l’ha scoperto non l’ha presa benissimo … e, credimi, lo capisco. Ma … ho paura di come reagirebbe Severus se questo mi allontanasse da tutti …” mormorò, quasi in un sussurro, dando voce a quel timore che era nato in lei già da parecchi giorni, ma che aveva relegato in un angolino della propria mente, rifiutandosi di pensarci. “Hermione, tu sei felice?” la interruppe Mina, incrociando le braccia. La Grifondoro la fissò, stupita. “Sei felice con Severus?” ripeté la vampira. “Io … io sì, lo sono.”
“Bene, allora alzati e vieni di sotto con tutti a fare colazione, su!”
“Ma …”
“Non conta nient’altro: la felicità è l’unica cosa che conta nella vita. Il resto sono cose effimere, di passaggio … e Severus lo sa.” sviò, storcendo il naso e tendendole la mano dalle lunghe unghie laccate di nero. “Vieni, su!”
Hermione la fissò per un po’ prima di alzarsi lentamente, seguendola fuori dalla stanza a passi timorosi e misurati. “Coraggio … ne hai da vendere, dico bene?”
La Grifondoro annuì, scendendo rapidamente le scale.
Il soggiorno di Spinner’s End, sorprendentemente, si era tramutato in una sorta di salottino da tè: il tavolino, solitamente ingombro di libri e fogli, era occupato da un vassoio dove una teiera incantata serviva tè e caffè nelle tazzine e piatti ricolmi di biscotti vorticavano da un commensale all’altro, urtando dei nervosi bricchi di latte. “E così Mina è venuta a prestarmi quel libro di cui avevamo parlato quando ci siamo incontrati per caso al Ghirigoro, Teddy l’ha riconosciuta ed ha voluto che Meda la conoscesse.” stava raccontando Lupin, una tazza di cioccolata calda con panna in mano mentre il bambino, accanto a lui, mangiava lentamente un biscotto al burro. “Ed è nata un’amicizia inaspettata e terrificante …”
“Terrificante è la parola giusta quando si parla di me …” commentò Mina, entrando trionfante nella stanza e lasciandosi cadere tra Teddy ed un divertito Harry. Hermione, istintivamente, cercò Severus con lo sguardo, trovandolo ancorato alla sua solita poltrona, gli occhi furenti ed un’espressione vagamente infastidita in volto. Lentamente, si avvicinò, sedendosi sulla poltrona accanto e scambiando con l’uomo un’occhiata di circostanza.
“Il fatto che tu, Remus, sia amico di una vampira è la cosa più sorprendente che sento da … beh …” iniziò Harry, zittendosi subito dopo. “Da quando hai scoperto di Severus ed Hermione, puoi dirlo, tesoro, non è mica un tabù … onestamente, teiera cara, ti sembro tipo da tè?” sospirò Mina, facendo ridere Teddy mentre scacciava la teiera, infastidita. “Un po’ di sana capacità di farsi gli affari propri è sempre ben accetta, sai, Mina?” sibilò Severus, prendendo una tazza di tè ed aggiungendovi zucchero e limone prima di porgerla ad Hermione assieme a dei biscottini al burro. La ragazza, con ancora lo stomaco sottosopra, gli sorrise, grata, iniziando a bere lentamente per evitare le occhiate di tutti i presenti su di sé. “No, non lo so.” rispose la vampira. “E si nota …”
“Suvvia, mica sei il principe William, Severus! Avete sentito di Meghan Markle, poi? La solita americana …”
“Ad ogni modo, non ci trovo nulla di sconvolgente.” la interruppe Remus, rivolto ad Hermione e Severus. La giovane sollevò appena il capo, mentre il pozionista tamburellò le dita sul bracciolo. “E cosa trovi meno sconvolgente, Lupin? Il fatto che abbia vent’anni meno di me o che io sia stato un suo insegnante ed un Mangiamorte? Illuminami …”
“Nessuna delle due, in realtà: immaginavo che sarebbe successo ...”
“Ve l’avevo detto, siete così evidenti!” annuì Mina, zittita da un cenno di Lupin che fece ridere ancor di più Teddy. “Anche Dora era più giovane di me di parecchio …” continuò Remus, accarezzando con un sorriso triste Teddy. “Ed anch’io credevo di essere un mostro, di non meritarla, di non poterle rovinare la vita con la mia presenza … niente di più distante da ciò che pensava lei. Mi ha convinto, ha visto del buono in me quando nemmeno io riuscivo a vederlo … ed è stata la cosa migliore che ho fatto nella vita. Perciò, se siete felici, a me basta per farvi i miei migliori auguri. E per congratularmi con Hermione per la pazienza …”
Il silenzio calato sul salotto a quel discorso venne interrotto dal lieve tossicchiare di Harry. “Remus ha ragione … ve l’ho detto anch’io, a suo tempo.” confermò. “Ed io ve lo ribadisco: sposatevi e finitela di fracassare i canini con questi patemi alla Romeo e Giulietta …” rincarò Mina, prendendo un biscotto al burro, ma assumendo un’espressione schifata all’assaggiarlo.
“Abbiamo notato che state facendo delle ricerche sulle porte del cuore … è per i tuoi, Hermione?” riprese Harry, cambiando volutamente discorso. “Sì … è solo un’idea, dobbiamo chiedere a Lucius Malfoy.” annuì lei. “Sempre che voglia aiutarci …” aggiunse Piton, che, per la prima volta da quando Lupin aveva parlato, aveva ripreso la parola. “Perché, avete litigato?” domandò Harry. “Ovviamente no, Potter e comunque non sarebbero affari tuoi … Lucius è depresso, ultimamente. Non ci vediamo più da mesi e non riceve nessuno.” sibilò Severus. “Forse un modo per garantirsi il suo aiuto c’è, ma … dovete farmi parlare con Meda.” constatò Lupin, annuendo. “Con Andromeda? Ha rivalutato Narcissa?” esclamò Hermione, speranzosa. “Non ancora, ma è quasi sul punto di farlo … forse posso provare a convincerla.” annuì Remus. “Lasciatemi tentare … vi scriverò appena possibile.”
“Sarebbe magnifico … grazie, Remus!” sorrise Hermione, posando la tazza sul tavolo. “Sì, beh … venendo al motivo delle vostre visite, queste sono le vostre pozioni e la risposta, Potter è sempre no: potete andare, ora, abbiamo del lavoro da sbrigare …” li congedò freddamente Piton, appellando delle boccette dal suo laboratorio nella cantina. “Grazie, Severus. Ci vediamo a lavoro, suppongo …” sorrise Lupin, che, capita l’antifona, fece salutare Teddy ad Hermione prima di dirigersi verso la porta, seguito da una sbuffante Mina e da un incerto Harry. “Supponi bene. Ciao, Mina.” annuì Severus, spalancando la porta. “Sei impossibile, te l’ho mai detto?” borbottò questa, uscendo. “Sì, ma non m’importa. Tu, Potter? Altro da aggiungere?”
“No, professore, solo … ci pensi …” sospirò Harry. “Mai.” concluse il docente, sbattendo la porta.
Per qualche istante, il silenzio, rotto solo dalla pendola, regnò sovrano su Spinner’s End. “Sei … sei arrabbiato, vero?” sospirò Hermione, alzandosi. “E me lo chiedi? Non ti è venuto in mente di guardare? Avrebbe potuto essere chiunque, anche …”
“Anche Lily, dico bene?”
“Ma cosa c’entra Lily? Hermione, io lo faccio per te …” sbuffò, appoggiandosi allo stipite. “Possibile che tu non capisca …”
“No, non capisco e non voglio neanche provare a capire perché non vuoi che nessuno sappia di noi!” sbottò lei, ferita. “Ti vergogni così tanto? Temi così tanto il giudizio altrui?”
“Non mi è mai importato cosa dicessero gli altri sul mio conto, Hermione, ma non sarebbero gentili neanche con te e per questo preferisco mantenere la mia vita privata, per l’appunto, privata … non credo sia così difficile da comprendere!”
“A me non importa, quante volte te lo devo ripetere? Mi credi così stupida da non capire a cosa vado incontro? So perfettamente cosa comporta una relazione alla luce del sole, ma non ho intenzione di vivere per sempre nell’ombra perché gli altri potrebbero avere qualcosa da ridire!” sbottò la giovane, dirigendosi a grandi passi verso la porta. “Hermione, aspetta …” la bloccò mollemente l’uomo, prendendole la mano. “No, non aspetto, ho da fare nella mia vita pubblica, sai com’è …” si divincolò lei, cercando di nascondere le lacrime che le salivano prepotentemente agli occhi. “Hermione, lasciami spiegare …” sospirò con voce esasperata, portandole le mani al viso ed accarezzandole le guance. La Grifondoro non poté evitare di guardare gli occhi d’ossidiana dell’uomo, così profondi e vibranti di energia, inaspettatamente luccicanti di vita. “Voglio solo proteggerti ancora per un po’. Vieni da un periodo difficile, ora devi concentrarti sulla ricerca dei tuoi genitori … non è il momento di badare agli altri, a quello penseremo dopo, più avanti. Ora concentrati su te stessa e sui tuoi … è l’unica cosa che conta …”
“Non l’unica.” deglutì lei. “Per me conti anche tu … e tanto. Non pensare che tu sia qualcuno di secondario per me …”
“Nemmeno tu lo sei.”
“Ed allora perché stiamo litigando?”
Severus sbuffò. “Perché sei un’insopportabile Grifondoro so-tutto-io.” mormorò mollemente. “E tu un arrogante ed acido Serpeverde …” sorrise lei, accarezzandogli la guancia ruvida prima di catturargli la bocca in un bacio di fuoco al sapore di tè. Si separarono quando oramai entrambi avevano le labbra gonfie ed arrossate. “Voglio dirlo ai miei genitori … voglio dirgli di noi.” deglutì lei, senza fiato. Severus aggrottò la fronte. “Hermione …”
“Non dire niente: non posso mentire, non a loro. Quando li troveremo, glielo dirò … e non solo capiranno, ma saranno anche felici per me. Li conosco: mi hanno sempre detto che avrei avuto bisogno di qualcuno di colto, maturo, elegante …”
“E sarei io?” mormorò Severus, alzando un sopracciglio. “Beh … non essendoci di meglio sul mercato …” rise lei, maliziosa. Il Serpeverde le rivolse un ghigno divertito prima di prenderla in braccio e baciarla con foga. “Severus … aspetta … farò tardi a lavoro …” protestò lei, cercando di trattenersi, ma senza grandi risultati. “A me non importa.” la imitò lui, sogghignando prima di salire le scale con Hermione ancora ridente tra le braccia. In soggiorno, mentre le tazzine si sparecchiavano da sole, sul davanzale, un piccolo fiore di cactus sbocciò con un sonoro pop.  


 

 

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Capitolo 21
*** Le Porte del Cuore ***


Capitolo Ventunesimo
Le Porte del Cuore

It's everything you wanted
It's everything you don't
It's one door swinging open
And one door swinging closed
Some prayers find an answer
Some prayers never know
We're holding on and letting go
(Holding on and letting go, Ross Copperman)
Le ombre si allungavano sempre più sulle pareti, danzando lentamente le une sulle altre come in un valzer di tenebra. Il gelo le stava entrando sottopelle, nelle ossa, facendole scricchiolare le giunture e causandole brividi sempre più intensi lungo la schiena. “Basta! Basta, ti prego …” mormorò con le poche forze che le restavano, accasciandosi al suolo. “Basta … chi sei? Cosa vuoi?”
L’unica risposta fu una sinistra risata contornata da occhi neri senza pupilla …

Hermione rabbrividì, riaprendo gli occhi. Una folata di vento spazzò il terreno e la ragazza si strinse la giacca attorno alla figura minuta, rabbrividendo mentre osservava le fronde gli alberi agitarsi al vento primaverile che faceva rotolare lontano le foglioline di fronde e cespugli contro il cielo oramai aranciato e rosato del tramonto. Qualche timido soffione volteggiava elegantemente nell’aria come una stanca ballerina.
“Ricordami perché siamo qui.” brontolò Severus accanto a lei, sbuffando sonoramente. “P-per i miei genitori.” replicò lei, ancora scossa dal ricordo dell’incubo avuto la sera prima, osservando la piccola casa deserta da cui filtravano le luci della sera. “Arriverà puntuale, secondo te?” domandò, picchiettando pensosamente il terreno con la punta delle scarpe. “Stiamo pur sempre parlando di un Serpeverde, perciò sì.” annuì Severus dall’altro lato, sfoggiando il suo miglior ghigno ad un’esasperata Hermione prima di raddrizzarsi la redingote. “Senza mantello, oggi: come mai?” sorrise lei per stemperare la tensione. “Era eccessivamente ingombrante per l’occasione.”
“Potevi togliere anche l’ascot, dato che c’eri!”
Severus si volse a fissarla, inarcando un sopracciglio. “E mostrare una cicatrice del genere? Non sarebbe stata una buona idea …”
“Fa parte di te, Severus …”
“Non mi piace, infatti, come tutto di me ...”
La giovane sospirò prima di osservargli il collo diafano che ben conosceva. “Ti fa ancora male ogni tanto?” indagò cautamente: sapeva che non era qualcosa di cui il professore parlava volentieri. “No.” ammise, invece, sorprendentemente, dopo un po’, senza sbuffare. “Non mi fa più male da mesi, neanche quando cambia il tempo …”
“Sarà merito mio!” rise Hermione, raggelando all’espressione gravosamente seria di Severus. “In realtà, probabilmente è così. Le cicatrici funzionano come i marchi, il Marchio Nero stesso, ad esempio …” spiegò mollemente, distogliendo lo sguardo. “Affinché guariscano, bisogna accettarle, prendere atto della loro esistenza ed abituarvisi. Io non avevo accettato il fatto di essere vivo, di essere tornato … non fino ad aprile, almeno, quando ho scoperto che essere sopravvissuti può anche avere i suoi vantaggi, tutto sommato …”
Prima che Hermione, a bocca aperta per quell’inaspettata rivelazione, potesse replicare, Severus si volse di scatto verso di lei, assottigliando gli occhi d’onice. “Tu, piuttosto … non puoi continuare a prendere la Dolcesonno ogni notte, ne sei consapevole, vero?”
La Grifondoro deglutì, distogliendo lo sguardo. “Si tratta semplicemente di un periodo un po’ scosso … ci sono stati tanti cambiamenti!” mugugnò. “E quanti di essi sono tanto terrificanti da procurarti incubi che ti fanno svegliare gridando nel cuore della notte?”
“Pochi.”
“Dunque è un caso che succeda sempre quando dormi a casa mia …”
“Non lo so!” sbottò Hermione, esasperata, fissandolo con occhi spiritati. “Non ne ho idea: sono solo sogni …”
“So che divinazione non era la tua materia, ma di solito i sogni vogliono dire qualcosa …”
“O sono solo proiezioni di ciò a cui pensiamo di giorno!”
“Fai davvero pensieri così orribili?”
“Tu dovresti capirmi!” sbottò lei. “Usavi la Dolcesonno regolarmente, che io sappia!”
“Appunto perché so cosa si prova sto provando ad aiutarti, cosa alquanto difficile, dato che non vuoi …”
“Posso benissimo cavarmela da sola, sai?”
“Non costringermi ad usare la legilimanzia per vedere cosa diamine sogni di tanto spaventoso, Hermione …”
“Non …” lo bloccò lei, sollevando l’indice. “Osare. Mai. Non con me.”
“Per fortuna sembra essere rimasto qualcosa della testarda ed avventata ragazzina di Hogwarts, stavo iniziando a preoccuparmi ...” sibilò l’altro.
Un sonoro rumore di smaterializzazione li costrinse a voltarsi di scatto solo per ritrovarsi di fronte Draco Malfoy, in completo nero e capelli biondi platino, accompagnato da un enorme orso di peluche bianco e da una scatola di biscotti al burro. “Eccomi, scusate, mi ero perso con delle pratiche …” mormorò, fermandosi di fronte ai due con sguardo dubbioso. “Siamo certi che funzionerà?”
“Non si può mai essere certi di nulla, Malfoy …” lo rimproverò mollemente Piton, incrociando le braccia al petto. “Ma è verosimile che la tua presenza possa influire su Andromeda, sì … soprattutto visto che hai scelto di presentarti con quell’affare ...”
“Oh, questo? L’ho acquistato dai Tiri Vispi dei Weasley!” spiegò, alludendo all’enorme orsetto tra le sue braccia. “Ne hanno acquistati di più dalla nascita del bambino …”
Si zittì all’istante, facendo saettare lo sguardo su Hermione, che, inaspettatamente, annuì. “L’avevo sentito … pare sia una bambina.” commentò distrattamente. “Rose, sì.” confermò Malfoy. “La cassa è tappezzata delle sue fotografie.”
“E com’è?”
“Grassa come la madre e rossa come il padre.”
“Credevo che il tempo ti avesse ammorbidito, Malfoy, ma a quanto pare non è così …” sorrise Hermione, inaspettatamente incapace di arrabbiarsi per quegli epiteti poco gentili. “Dovresti sapere che i Serpeverde non si ammorbidiscono mai, Granger …” ridacchiò Draco, rivolgendosi poi a Piton. “Dico bene, professore?”
“Confermo.” annuì questi. “Era un po’ che non La vedevo: La trovo … bene. Inaspettatamente bene.”
“Lo stesso non si può dire di tuo padre, ho sentito dire …”
Draco sbuffò. “No, infatti: è depresso, isterico, annoiato … e litighiamo di continuo per la gestione degli affari familiari, che sono oramai in mano a me. Oltre alle solite discussioni con la mamma, ovviamente …”
“Lucius ha sempre sofferto di eccessiva vanità: ha un estremo ed innato bisogno di mostrarsi in società per dare prova del valore di se stesso.” commentò seccamente Severus, osservando pensosamente il cielo. “Sono già le tre: vogliamo andare, signori?”
Hermione annuì, lasciando che fosse Draco a passare avanti a lei. Prima di lasciarlo imboccare il vialetto, tuttavia, lo bloccò brevemente mettendogli una mano sul braccio. “Draco!” disse. Questi si volse appena. “Grazie per quello che stai facendo … non è scontato.” sospirò. “Figurati, Granger: siamo, se non amici, quantomeno alleati, ora, no?” annuì questi, proseguendo. Severus ed Hermione lo seguirono senza parlare né guardarsi.
Mentre, dopo aver suonato al campanello, il giovane Malfoy attendeva con impazienza che venissero ad aprire, la Grifondoro non poté fare a meno di notare quanto fosse nervoso dal modo in cui batteva i piedi a terra. Finalmente, la porta si aprì, rivelando la figura di Lupin nel solito maglione marrone. “Severus, Hermione! Draco …” salutò, sorridendo. “Benvenuti. Entrate pure, prego …” aggiunse, scostandosi brevemente per lasciarli entrare nel piccolo cottage dove abitava oramai da quasi quattro anni. “Grazie. Come … come sta, professor Lupin?” domandò Draco, schiarendosi la voce. “Chiamami Remus: siamo cugini acquisiti, dopotutto. E, in ogni caso, abbastanza bene, grazie.”
“Papà, chi c’è?” trillò una vocina alle loro spalle prima che Teddy comparisse alle spalle del padre, i capelli rosa di curiosità. “Zia Herm!” esclamò subito dopo, gettandosi tra le braccia della ragazza, che rise, sollevandolo appena. “Santo cielo, come sei cresciuto! Fra poco farò fatica a farti fare la giravolta!” esclamò, prima di posarlo e mostrargli Draco. “E tu chi sei?” domandò il bambino, piegando la testa di lato. “Non ti conosco!”
“Sono tuo cugino, mi chiamo Draco. Non ci siamo mai conosciuti, però … e tu chi sei?” spiegò questi, inginocchiandosi di fronte al bambino. Ad Hermione venne quasi da ridere: non avrebbe mai immaginato di vedere Draco Malfoy a disagio. “Edward Remus Lupin. Ma tutti mi chiamano solo Teddy.” rispose il bambino, tendendogli orgogliosamente la mano. Il Serpeverde la strinse, lasciandosi sfuggire un lieve sorriso. “Sei forte, Teddy!” concesse. “Grazie.”
“Ti ho portato una cosa … il tuo papà mi ha detto che ti piacciono i peluche e l’altro giorno ne ho visto uno talmente bello che ho dovuto prendertelo, ho pensato subito a te … ti piace?” esclamò, mostrando l’enorme orso. Gli occhi di Teddy si illuminarono mentre i capelli esplodevano in un vivace dorato di gioia. “Ma è bellissimo!” quasi gridò, afferrando l’animale. “Grazie, Draco!” trillò, ridendo e mostrando orgogliosamente al padre il giocattolo. “Guarda, papà: è il mio nuovo amico!”
“Ho visto … e come si chiama?”
“Draco!”
A quell’affermazione Hermione non riuscì a contenere una risata, seppur soppressa, che fece alzare gli occhi del giovane Malfoy al cielo.
“Cos’è tutta questa cagnara, Remus?” sbottò una voce alle loro spalle.
Per un istante, il silenzio calò sulla stanza mentre l’algida figura di Andromeda compariva sui gradini, la veste verde da strega elegantemente drappeggiata sulla sua figura ed i capelli castani sciolti sulle spalle dritte e sottili. Gli occhi nocciola saettarono su tutti i presenti, soffermandosi qualche istante in più su Draco, prima di tornare da dov’erano partiti. “Severus Piton … e chi l’avrebbe mai detto?” esclamò, sorpresa. “Non ti vedevo dai tempi di Hogwarts …”
“Nemmeno io, Andromeda e non sei cambiata affatto.” confermò il Serpeverde. “Oh, nemmeno tu: sei rimasto lo spilungone dai lunghi capelli neri … ed anche la propensione allo studio ed alla bastardaggine devono essere gli stessi! Dora mi raccontava sempre di quanto fossi stronzo con lei a scuola …”
“Nonna, cos’è ‘stronzo’?” ripeté Teddy. “Niente che tu debba ripetere, tesoro.” sospirò Remus, tirando il figlio a sé. L’espressione della donna si addolcì al vedere l’enorme orso abbracciato al nipote. “E da dove salta fuori questo bellissimo pupazzo?” esclamò, sorridendo. “Me l’ha regalato Draco: si chiama come lui. Sai che è mio cugino?” spiegò con aria saputa il bambino. “Lo so.” confermò lei, guardando appena il biondo ancora sulla porta. “Lo so bene. Accomodatevi pure in soggiorno: posso offrirvi qualcosa, mentre parliamo? Perché immagino siate qui per qualcosa, questa non ha l’aria di una riunione di famiglia ...”
“Possiamo anche parlare qui.” asserì Piton. “Insisto, su: sedetevi.” sorrise Remus, indicando i divani dove gli ospiti si accomodarono, seppur lievemente riluttanti. “Allora, che vi porto?” sospirò Andromeda. “Per me ed il signorino una bella camomilla, Meda, grazie.” sorrise Lupin, prendendosi il figlio sulle ginocchia. “Per me un tè al limone.” aggiunse Hermione. “Anche per me. Ho portato dei biscotti al burro, per scusarmi del disturbo …” annuì Draco, porgendo la scatola alla zia. Andromeda lo fissò più a lungo del dovuto prima di prenderla. “Come tua madre … sei uguale a lei, nei gusti e nel modo di fare.” mormorò prima di volgersi verso Piton. “Tu niente, immagino …”
“Un caffè andrà bene, grazie.” borbottò questi, seccato. “Torno subito …” annuì Meda, sparendo in cucina.
Un silenzio imbarazzato calò nel salotto mentre Lupin accendeva le abat-jour con la bacchetta. “I biscotti al burro sono buoni.” commentò Teddy. “Piacciono anche a me, sai?” sorrise Draco. “Anche alla zia Herm, vero?”
“Sì.” sorrise lei. “Li mangio, quando posso.”
Andromeda ricomparve in quel momento con un enorme vassoio che le svolazzava pigramente dietro. Automaticamente, allungò ad ognuno una precisa tazzina. “Devo proprio essere caduto in basso se riesco ad essere prevedibile con te, che sei sempre stata una pessima occlumante …” commentò acidamente Piton, osservando il caffè nero esattamente come lo prendeva solitamente lui. “Suvvia, Severus: basta avere un po’ di memoria … mi ricordo bene di te, di quando eri al primo anno, un pulcino scuro e silenzioso, io ero al quinto, come Lucius, ricordi? Narcissa invece era al terzo …”
“Come scordarlo …” annuì Piton, sorseggiando il suo caffè. “Eri sempre insieme a Dolores Umbridge …”
“Sì, è vero. E c’era quella pettegola della Skeeter che cercava sempre di scoprire chi stesse per sposare chi, nei dormitori … era fissata con Regulus, che era un anno dopo di te! Pensava che avesse una storia con la …”
“Sorella di Mulciber, Alexandra, sì, mi ricordo. Che fine avrà fatto?”
“Si è sposata con uno spagnolo, ho sentito dire … ma non mi è mai stata un granché simpatica, sinceramente! E Dolores, invece? Mi hanno detto che è uscita da Azkaban …”
“Oh, sta bene … lavora all’Ufficio dei Misteri, adesso …”
“Ma senti un po’ … è sempre stata una gran sfacciata e fortunata!”
“Beata lei, senza dubbio …”
Hermione, Draco e Remus si guardarono per un istante, del tutto estranei a quei ricordi di dormitorio serpeverde di Hogwarts.
“Ecco, noi siamo venuti per una questione delicata … due, in realtà …” intervenne Draco come programmato per giorni via gufo con Lupin ed Hermione, interrompendo un gelido silenzio calato sul salotto. “La prima riguarda Hermione: sta cercando di trovare i suoi genitori e l’unico modo per farlo è usare un amuleto antico e piuttosto raro, una porta del cuore … l’unico che potrebbe possederne una è mio padre e certamente non l’affiderebbe a me o a lei volentieri … né a nessun altro. Ma forse potrebbe dare retta ad una voce che rispetta …”
“Rispettare, me? Lucius?” rise Andromeda, quasi sprezzante, spaventando Teddy, i cui capelli divennero grigi. “Mi ha sempre disprezzata, trattata come spazzatura per le mie scelte di vita … perché ora dovrebbe ascoltare quello che ho da dire?”
“Perché, se tu e la mamma foste unite e compatte, si troverebbe con le spalle al muro: nulla lo spaventa più di due sorelle Black unite, me lo ricordo bene.” rispose Draco, guardandola negli occhi. “E qui veniamo alla seconda questione: mamma.”
“Mi ha già spedito tonnellate di lettere, credevo di essere stata chiara …”
“Ed invece no, sei stata solo molto affrettata.” la interruppe quasi bruscamente Malfoy, zittendola. “Capisco che tu sia ferita ed arrabbiata, ci mancherebbe … lo sarei anch’io. Ma nulla di tutto questo è stato causato da mamma, anzi: ha salvato Harry, me, papà e tutto il mondo magico. Lei non è mai stata una Mangiamorte, non ha mai creduto ciecamente nella causa come papà agli inizi o ha accettato il Marchio per senso di appartenenza alla famiglia come me … lei ha solo cercato di salvare la sua famiglia. E mi ha raccontato tutto, non disturbarti: so benissimo quanto ti volesse bene. Mi ha sempre detto che eri la sua sorella preferita …”
Andromeda serrò le labbra, turbata. “Che l’hai cresciuta tu, perché vostra madre era fredda, che le hai insegnato come camminare ben dritta, come acconciare i capelli e che rubavate i biscotti al burro, i vostri preferiti, di nascosto dalle cucine per mangiarli sotto il letto, mentre vi raccontavate mille storie. Mi ha detto che vi siete viste dopo che sei scappata, che lei non ha mai detto niente di dove fossi, sebbene lo sapesse … non ha solo avuto il coraggio di lasciare la vita che era già stata confezionata per lei per seguirti. Ma anche quand’ero bambino mi parlava sempre di te … anche a zia Bella, le diceva di perdonarti e di lasciar perdere le sue ossessioni …”
“Bellatrix Lestrange era una pazza.” sibilò Andromeda senza guardarlo. “E si è meritata tutto, sino alla fine.”
“Lo so.” annuì Draco. “E lo sa anche mamma … diceva che aveva seppellito sua sorella tempo fa. Ma solo una delle sue sorelle, perché in te ha sempre sperato … piange tutti i giorni per te, zia!”
A quell’appellativo, la donna sobbalzò, quasi avesse preso la scossa. “E credi che io non pianga per mia figlia?” mormorò mentre Remus abbassava lo sguardo. “Lo so. Ma questa stupida guerra ci ha già fatto perdere così tanto … non ho mai conosciuto Dora, Regulus e Sirius, non voglio precludermi la possibilità di veder crescere Teddy. E di conoscere te e farmi perdonare da Remus, in qualche modo, per lo studente odioso che sono stato. Mi sto per sposare e vorrei che veniste anche tanche voi tre al mio matrimonio: Astoria ti piacerebbe …”  sospirò Draco. “Tutti meritiamo una seconda possibilità … e se non vuoi farlo per me, quantomeno fallo per Hermione, so che le sei affezionata ...”
“Mi hai sempre rinfacciato quanto fosse stata sciocca Lily a non perdonarmi.” intervenne Severus, stupendo tutti i presenti. “Vuoi davvero commettere lo stesso errore, Meda?” concluse. La Serpeverde si strinse nelle spalle, posando la tazza sul tavolino. “Ci penserò, posso promettervi questo, per ora.” biascicò. “Secondo me devi andarci, nonna.” sorrise Teddy, raggiungendola e posandole una manina grassoccia sul ginocchio. “Sei sempre così triste … devi parlare con tua sorella, lei ti vuole bene e mi dici sempre che le persone che ci vogliono bene fanno andare via la tristezza!”
Perso com’era nelle sue frasi sgrammaticate, Teddy neanche si accorse che la nonna aveva silenziosamente iniziato a piangere mentre prendeva il vassoio e glielo allungava. “Fa’ come dice papà: mangia un biscotto, vedrai che starai meglio!”
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Malfoy Manor, alla pallida del tramonto, sembrava una villa fantasma, con il cielo rosato che si rifletteva sui vetri delle finestre ed i pavoni che facevano la ruota nell’elegante giardino di smeraldo.
Il clima tutto sommato mite aveva fatto venire a Narcissa l’idea di prendere il tè in terrazza, con buona pace di Lucius, che oramai da anni non si entusiasmava più per niente.
E, così, come ogni domenica, sedevano sul balcone, il tè oramai freddo tra di loro. Narcissa, in un vestito pervinca, leggeva, mentre Lucius fissava annoiato il giardino facendo, di tanto in tanto, questo o quel commento che veniva accolto dalla moglie con un: “Mm.” di paziente accondiscendenza.
Solo dopo un po’ Lucius si sistemò meglio a sedere e sbarrò gli occhi, sorpreso. “Cissy, guarda!” esclamò. “Che c’è, un altro pavone è troppo vecchio per fare la ruota o devo far tagliare la siepe?”
“Nient’affatto, non essere sempre così drammatica …”
“Senti chi parla …”
“Cissy, maledizione: guarda il cancello!”
Narcissa posò il libro, osservando l’entrata della tenuta e quasi spalancò la bocca al vedervi Draco che spalancava la vecchia inferriata in ferro battuto per far entrare un’insolita combriccola, formata da Hermione Granger in un bel completo grigio dalla gonna ampia, Severus Piton, in nero come al solito, Remus Lupin, in marrone, con il figlioletto in braccio che sfoggiava i capelli di un allegro dorato ed una donna in abito verde smeraldo con i lunghi e folti capelli castani liberi sulle spalle che si guardava curiosamente e timorosamente attorno, stringendo a sé un vecchio librone dalla copertina marrone.
“Non è possibile …” mormorò Narcissa, lasciando perdere il romanzo per correre al piano inferiore quanto più velocemente poteva, seguita dal marito. 
Solo giunta sulla soglia di casa si fermò, ansimante, fissando i suoi ospiti con sguardo stranito e sofferente. “Meda …” sussurrò appena, avvicinandosi a grandi passi alla figura che si stagliava orgogliosamente davanti a tutte le altre. Andromeda la osservò, sconvolta, per qualche istante prima di deglutire e replicare in un mormorio: “Cissy …”
A Narcissa dovette bastare, considerato che, in due passi, le fu di fronte e, dopo averla guardata per un po’, l’abbraccio di slancio, singhiozzando in silenzio sulla sua spalla. Meda ricambiò immediatamente, quasi istintivamente, stringendosi a lei e respirando a fondo, mentre qualche lacrima le rigava le guance.
Draco, che reggeva il librone della zia tra le mani, sorrideva, soddisfatto, rispondendo con un’espressione sorniona alle occhiate interrogative e perplesse di Lucius.
“Non … non avrei mai pensato che saresti venuta davvero!” esclamò Narcissa, separandosi con un sorriso. “Ed infatti non l’avrei mai fatto di mio … devi ringraziare tuo figlio: ti somiglia molto caratterialmente, sai? Fisicamente ha preso quasi tutto dal padre …”
“Ed è un bene o un male?” intervenne Lucius, affiancando la moglie con un piglio vagamente altero. “Dipende.” rispose Andromeda, facendo spallucce. “Ti trovo male, Lucius: sei uno straccio.”
“Ti sei vista di recente, Meda?”
“Ci facciamo buona compagnia, allora!”
La signora Tonks si volse verso gli altri presenti con un sorrisetto divertito. “Io e Lucius ci detestavamo già ad Hogwarts, te ne ricorderai sicuramente, Severus …”
Questi annuì appena. Solo allora Narcissa parve accorgersi della presenza di altri ospiti, avvicinandosi. “Professor Lupin, che sorpresa rivederLa in queste circostanze!” l’accolse educatamente. “Solo Remus, La prego, signora Malfoy.” sorrise questi, scuotendo appena Teddy affinché salutasse. “Saluta gli zii, su!” lo esortò Andromeda. “Ciao.” mormorò il bambino, agitando la mano. Narcissa gli sorrise. “Ciao … tu devi essere Edward, vero?”
“Edward Remus. Ma tutti mi chiamano Teddy … se sei mia zia puoi farlo anche tu!”
“Sì, lo sono.” rise la donna, stringendogli una mano tra le dita affusolate ed eleganti. “Sai che ho una stanza piena di giocattoli che il mio Draco non usa più, in casa? Ti andrebbe di vederla? Puoi prendere quello che vuoi, ovviamente: non li usa più nessuno!”
Gli occhi di Teddy s’illuminarono. “Davvero posso?”
“Certo. Draco te la mostrerà … vero, tesoro?”
“Sì, mamma.” annuì questo, allungando la mano verso il bambino che la afferrò con un gesto sicuro, trotterellandogli dietro con aria allegra sotto lo sguardo sconvolto di Lucius. “Immagino che questo cambiamento sia dovuto al buon cuore della signorina Granger, o sbaglio?” indovinò, dubbioso. “Non direi: Draco ci teneva particolarmente. Ed anch’io, a dire il vero … ma sì, Hermione è stata fondamentale.” considerò Andromeda, riprendendo il vecchio librone e porgendolo alla sorella. “Ho portato il mio album fotografico: dopo possiamo guardarlo assieme, abbiamo tante cose da dirci … e so quanto ami le foto!”
“Oh, mi piacerebbe moltissimo!” sorrise Narcissa. “Ma entrate, su, venite, vi faccio portare il tè …”
Prima che potessero ribattere, la strega aveva già arpionato la sorella, trascinandosela dietro ed iniziando a snocciolare aneddoti sulla villa, sorridente come mai la si era vista. Hermione e Remus si scambiarono un’occhiata divertita, seguendole, mentre Lucius affiancava Severus. “Come ti sei lasciato convincere a seguirli in questa follia?” domandò. “Ho i miei buoni motivi, te lo garantisco …”
“Oh, non ne dubito … vorrei solo capire quali siano!”
“Non ti riguardano, Lucius.”
“Forse no, ma, considerato che d’ora in poi dovrò sorbirmi un altro mirabolante duo di sorelle Black, credo che un po’ influirà sulle mie giornate …”
“Non troppo, se saprai essere remissivo.”
“Ma non so esserlo!”
“Ti ci abituerai.”
Prima che qualcuno potesse anche solo protestare, Narcissa li aveva fatti accomodare nel salotto del piano superiore ed aveva fatto servire ogni sorta di leccornia, costringendo Andromeda a sorbirsi la spiegazione della sfilza di tutte le foto presenti sopra il camino, cosa che, in ogni caso, non sembrava dispiacere alla sorella. Solo Hermione, seduta accanto a Remus sul divano, sorrideva tristemente e, ogni tanto, lanciava un’occhiata preoccupata a Severus, che la faceva ridacchiare rivolgendole un’espressione esausta ed implorante.
Il gradevole quadretto venne interrotto solo dal rientro di Teddy, accompagnato da uno splendido modellino di trenino giocattolo. “Papà, papà, guarda cosa mi ha regalato Draco …” esclamò, alludendo al gioco. “Ma … è troppo bello, Teddy! Non so se puoi prenderlo …”
“Non c’è problema: non li usa più nessuno da chissà quanto tempo, è meglio che contribuiscano a fare la felicità di un bambino che se li merita più di me …” liquidò Draco, facendo spallucce. “Che diamine t’è successo?” esclamò Lucius, sconvolto, finendo il suo caffè. “Sono cresciuto, papà, sai com’è …”
“Sì, ma quando? Non me ne sono accorto …”
“Hai una naturale incapacità, sempre avuta …” commentò Andromeda, facendolo sbuffare. “Un’altra Black … ma che ho fatto di male, dico io?”
“Oh, dai, Lucius: sei un pomposo pavone, certo, ma ami mia sorella e vostro figlio, li hai sempre trattati bene ed avresti fatto di tutto per loro, questo te lo concedo. A malincuore, devo ammettere che ti ho lasciata in buone mani, Cissy …” rise Meda. “Anche se ogni famiglia ha i suoi loschi segreti, dico bene?”
“Ne abbiamo avuti abbastanza per una vita, te lo garantisco!” sospirò Narcissa, sorridendo tristemente. “Mi piacciono i segreti!” trillò Teddy. “Ma che segreti puoi avere, tu?” sospirò Remus. “Ne ho tanti …”
“Immagino, guarda!”
“Ma è vero: lo sapevate che la zia Herm dorme dal signor Piton?”
Un silenzio tanto gelido da sembrare una calotta polare mite calò sul salottino. Hermione, istintivamente, abbassò lo sguardo, sospirando e portandosi una mano al volto che già sapeva essere diventato di tutti i colori. “Teddy, quante volte ti ho detto che non devi andare in giro a raccontare i fatti degli altri?” lo rimproverò Lupin, esasperato, scuotendolo appena. I capelli del bambino divennero subito grigi. “Ma io non pensavo che fosse una cosa brutta!”
“E non lo è, ma non ti riguarda: sono cose della zia Herm!”
“Ma mi ha … come si dice? Sorpreso! Anche perché lei è tanto bella e lui tanto brutto …”
“Teddy!” lo zittì Lupin, scuotendolo con un’espressione mortificata. Draco, dal canto proprio, sollevò entrambe le sopracciglia e sfoggiò un sorrisetto divertito che fece tornare Hermione ai tempi di Hogwarts. La giovane ebbe a malapena il coraggio di alzare lo sguardo, incontrando un’Andromeda Tonks sorpresa, una Narcissa letteralmente a bocca aperta ed un Lucius divertito quasi sornione. Le guance le si imporporarono ancor di più quanto vide che Severus era perfettamente impassibile, quasi stessero parlando del meteo …
“Hanno anche detto che …” iniziò il bambino, subito frenato dal padre, che gli tappò la bocca con un incantesimo. “Vuoi un consiglio, Teddy? Non parlare troppo delle amicizie del signor Piton, se vorrai avere almeno una D in pozioni, a scuola!” rise Draco, volgendo lo sguardo a Piton che, seduto in poltrona, ben distante da tutti, ora osservava Teddy con un’espressione sdegnata ed insofferente che avrebbe incenerito chiunque, figurarsi un bambino. “Sembra tu abbia messo in pratica il mio consiglio sul cercare di andare d’accordo con il professore, Hermione … anche troppo.” proseguì il Serpeverde, ridacchiando. “Non è affatto divertente!” replicò lei, consapevole di essere oramai rossa come un pomodoro. “Non ci vedo nulla di sbagliato, ad ogni modo …” tentò, invano, di salvarli Lupin, mortificato. “Ma nemmeno io: l’amore è pur sempre amore, dico bene, Severus?” continuò Draco, derisorio. “Malfoy, ti consiglio vivamente di tapparti la bocca …” sibilò Piton, l’espressione gelida. “Ma … ma quando …” balbettò Narcissa, sconvolta, facendo saettare lo sguardo da una mortificata Hermione ad un infastidito Severus che non si guardavano neanche per sbaglio dall’impaccio. “Febbraio.” replicò asciutto il pozionista per risponderle. “E prima che tu possa darmi la tua opinione su quanto sia sconveniente, Narcissa …”
“Oh, ho perso il diritto di dire la mia sulle vite altrui molto tempo fa.” replicò lei, deglutendo. “E non credo di potermi permettere di giudicare … affatto. Solo … siete sicuri di quello che state facendo? Perché vorrei farvi notare che tra di voi ci sono vent’anni di differenza ed una certa discrasia di ruoli che, con il tempo, potrebbe rivelarsi fatale …”
“La vita è troppo breve per perdersi dietro a queste baggianate.” la interruppe Lucius, facendo spallucce. “Com’era? Chi vuol essere lieto, sia! Del doman non v’è certezza …”
“Sì, ma il loro domani potrebbe essere decisamente burrascoso!” sospirò Narcissa, indignata. “Per questo voglio sperare vivamente, Severus, che la tua non sia una delle tue tante voglie estemporanee …”
“Come osi anche solo pensarlo?” replicò, gelido, il professore. “Non mi conosci abbastanza da sapere che non potrei mai fare una cosa del genere ad Hermione, Narcissa?”
“Lo so, ma … Merlino, Severus, ti abbiamo visto così perso e disperato dopo la guerra che …”
“Posso anche concederti che lo fossi, ma ora di certo so bene quel che voglio dal futuro. E non mi definirei certo ‘disperato’, né ‘avventato’.” replicò. “Anzi, se non lo sono più, è grazie a lei.”
Hermione lo fissò, sconvolta da quell’affermazione. “Io posso capirvi, paradossalmente: Hermione è una ragazza fin troppo matura per la sua età, era piuttosto naturale che le ci volesse qualcuno di più grande. E tu, Severus, meriti di essere felice più di chiunque altro. Il problema è che probabilmente non tutti saranno del nostro stesso avviso …” intervenne Andromeda, cauta. “Ed è di questo che Cissy si preoccupa …”
“Certo.” deglutì la donna, annuendo. “Io … io sono felice per voi, non fraintendetemi, ma si scatenerà uno scandalo!”
“Ne siamo consapevoli.” replicò Hermione prima che Severus potesse precederla. “Ma siamo anche piuttosto certi che non sia un passatempo passeggero. E non c’interessa se la gente non sarà d’accordo … se ne dovranno fare una ragione.”
“Determinata, la ragazza …” sorrise Andromeda. “Mi ricorda te con Ted …” annuì Narcissa, sospirando. “In tal caso, vi auguro ogni bene e vi raccomando di procedere con estrema cautela … al mondo magico non piacciono queste … storie …”
“Lo stavamo facendo ed avremmo continuato, se ci fosse garantita un po’ di privacy …” sospirò Severus, lanciando un’occhiata torva al bambino. “Hai capito il nostro Severus …” rise Lucius, stemperando la serietà che gravava sulla stanza. “Era un periodo che si diceva fossi un po’ meglio del solito, in effetti … gli studenti di Hogwarts le erigeranno un monumento, miss Granger …”
“Beh, come vi dicevo, era facile da capire …” commentò Meda, facendo spallucce. “Facile? Affatto: si detestavano! Come per quella storia dei denti di Hermione … Merlino, che risate!” rise Draco. “Forse, ma non quando sono entrati qui ed a casa mia: erano fin troppo vicini, si scambiavano continuamente occhiate con cui sembravano dirsi tutto e non si scusano o s’imbarazzano quando si toccano inavvertitamente … insomma, o sono parenti o sono fidanzati. E dato che non è il primo caso …” spiegò mollemente Andromeda mentre sorseggiava il suo latte.
“Venendo alle questioni davvero importanti …” sibilò Piton, accavallando le gambe. “Siamo qui anche per Lucius …”
“Per me? Santi numi, che cosa mai vorrà la futura coppia più chiacchierata del Ministero da un Mangiamorte decaduto?” rise Malfoy. “Lucius!” sospirò Narcissa, indignata. “Avanti, Cissy, scherzavo …”
“Si tratta di un amuleto molto antico, la porta del cuore.” spiegò Hermione, deglutendo a vuoto. “Consente di rintracciare i cari della persona che la tiene in mano … ed è l’unico modo che ho per ritrovare i miei genitori.”
“Una porta del cuore? Non saprei dire se ne possiedo una!” sogghignò Lucius, pensoso. “Vuoi smetterla di essere così dannatamente stupido ed antipatico?” sospirò Narcissa. “È ridicolo opporre tanta reticenza di fronte ad una richiesta che a te non costerebbe niente ed aiuterebbe questa ragazza … devo ricordarti cos’hanno fatto lei e Severus per noi?”
“A parte contribuire a rinchiudermi qui dentro, vuoi dire?”
“A parte aiutarti a stare fuori da Azkaban, semmai!” sbottò Andromeda. “Sei sempre stato un gran codardo, Lucius Malfoy … mia sorella non ti merita!”
“Meda …” sospirò Narcissa. “Oh, parli proprio tu, che sei scappata come una ladra!” ribatté Lucius. “Allora dimostra di essere meglio di me ed aiutali!” sibilò la vedova Tonks, sfoggiando un’espressione infastidita.
Per qualche istante, Lucius non rispose, limitandosi a restare immobile e fissare con i gelidi occhi grigi la cognata. Dopo minuti che parvero ore, compì un gesto con il braccio, attirando un registro di pelle scura. “Io non possiedo alcuna porta del cuore …” mormorò, piombando a sedere. “Papà …” sospirò Draco, giocherellando con il trenino con Teddy. “È la verità.” sbuffò questi. “Credimi almeno tu, Severus …”
“A questo punto, però, devi dimostrarlo …” rispose, al contrario, il pozionista. “Oh, è presto detto: questo è un registro dei manufatti magici e di dove trovarli … una cosa alquanto illegale, ma utile. Alla voce ‘porta del cuore’ mi dice che gli unici possessori in Inghilterra sono deceduti da tempo e sono …”
La voce di Lucius parve incrinarsi lievemente. “Beh? Chi sono?” scalpitò Hermione, il cuore in gola, sporgendosi pericolosamente dal divano. Malfoy sollevò su di lei le iridi grigie ed inespressive. “Fleamont ed Euphemia Potter.”
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“Severus, sei davvero sicuro di quello che stai facendo?” sospirò Hermione, arrancando per stargli dietro lungo il viale alberato illuminato dai fiochi lampioni della casa dei Potter a Godric’s Hollow. Il cielo era nero come inchiostro e non una stella brillava nella pozza scura, creando lunghe e profonde ombre ovunque. “Contrariamente a te, sì, sono molto sicuro.” sibilò appena questi, avanzando con il mantello svolazzante alle sue spalle. “Che vuoi dire?” pigolò Hermione, esasperata. “È da ieri che sei scostante ... credo di meritare quantomeno una spiegazione!”
Il Serpeverde si bloccò, volgendosi a fissarla. “Sono giorni, settimane, addirittura, che ti rifiuti di parlarmi dei tuoi incubi … temi così tanto che possa aiutarti?” spiegò freddamente dopo poco. Hermione levò gli occhi al cielo e sospirò. “E per questo mi hai tenuto il muso per tutto il giorno? Seriamente, Severus?” espirò, esausta e quasi divertita. “È una sciocchezza … te ne rendi conto, spero!”
“Nient’affatto.” replicò lui. “Se non ti fidi di me per queste ‘sciocchezze’, come potrai fidarti per cose più importanti?”
“Mi pare che mi sono già fidata per cose ben più importanti ...” gli ricordò lei. “E, visto che ci tieni tanto, non te ne ho parlato perché gli incubi sono iniziati quando abbiamo dormito assieme. Conoscendo la tua propensione alla colpevolizzazione, non volevo che credessi di avermi ‘macchiata’ con le tue ombre, perché non è così!”
Ansimanti per la discussione, rimasero a fissarsi nell’aria fresca della sera, immobili, il nocciola degli occhi di lei che si mescolava al nero di quelli di lui. “Sono davvero cominciati allora?” mormorò dopo un po’ Severus. “Visto, che ti dicevo? Ti stai colpevolizzando!” sospirò lei, esausta. “Non sto dicendo che dipenda da noi, Hermione …” la interruppe il mago, seccato. “Solo che durano da parecchio … non è una cosa positiva. Fai sempre lo stesso sogno?”
La strega annuì, lievemente preoccupata dalle sue parole tremendamente serie persino per lui. “Ombre che mi circondano, tanto freddo … e poi un’ombra più grande delle altre che mi minaccia ed è senza pupille, ha gli occhi completamente neri … e non sono le ombre di Daciana, posso garantirtelo!”
“Ed a quel punto ti svegli urlando …” annuì Severus. “A cosa stai pensando?”
“Perché, devo necessariamente pensare a qualcosa?”
“Severus!”
“Stavo pensando che l’unico modo per capire davvero se è un presagio negativo o passeggero è consentirti di finire il sogno senza svegliarti per la paura …”
“Legilimanzia?” mormorò la ragazza. “Ad esempio. Dovremmo provare, Hermione …”
La Grifondoro annuì, sospirando prima di volgere il viso pallido alla casa dei Potter, ancora illuminata. “Dici che hanno la porta del cuore? Per i miei genitori?”
“Non ne abbiamo l’assoluta certezza, ma dobbiamo provare.”
“È per questo che ci hai congedati dai Malfoy con una scusa e mi hai trascinata qui?”
“Meriti di trovarli ed essere felice, Hermione …”
“Ma io lo sono …” sorrise lei, sfiorandogli le dita pallide e stringendole tra le sue, calde. “Anche io …” ammise Severus in un sussurro. “Ma devi capire che quello che stiamo per fare a casa Potter potrebbe avere delle … conseguenze?”
“Di che stai parlando?” si rabbuiò Hermione. “Che i Potter si offriranno di accompagnarti personalmente alla ricerca dei tuoi e si chiederanno perché tu, invece, voglia venire con me … chiederanno spiegazioni.”
“E noi gliele daremo!”
“Hai sentito Narcissa ed anche me … non la prenderanno come speri, temo …”
“Lo faranno, se mi vogliono davvero bene.”
“Proprio perché ci sei così affezionata dovresti riflettere prima di …”
“Ne parliamo da un mese!” sbottò lei, scostandosi una ciocca dalla fronte. “E la mia risposta è sempre la stessa: non ho nulla di cui vergognarmi e non ho intenzione di nascondermi. Questo momento prima o poi sarebbe arrivato, meglio togliersi subito il pensiero ... e se non accetteranno, pazienza: sarà quel che sarà!”
All’osservare l’espressione quasi divertita di Severus, sbuffò. “Ecco, ora ricomincerai a dire che sono una ragazzina, scommetto …”
“Finché sarai la mia ragazzina, non m’importa.” sorrise debolmente, stringendole le dita tra le sue prima di avviarsi silenziosamente verso la porta d’ingresso. Non si separarono fino a quando l’uscio non si aprì, rivelando un esterrefatto James Potter mezzo assonnato. “Hermione … Mocciosus! Che diamine ci fate qui?”

Angolo Autrice:
Bentornati/e!
Capitolo breve e non particolarmente rilevante o soddisfacente per Severus ed Hermione, ma è idealmente la prima parte di quello che sarà il vero e proprio centro della vicenda delle porte del cuore nella prossima parte. Si accettano scommesse su quale sarà la reazione di Lily e James e sull'ubicazione dei genitori di Hermione, naturalmente!
Colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate ed i moltissimi che hanno recensito, davvero: non mi sarei mai aspettata che potesse riscuotere tanto gradimento, perciò, grazie, grazie davvero!
Alla prossima!
E. 



 



 

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Capitolo 22
*** Di Luce e d'Ombra ***


Capitolo Ventiduesimo
Di Luce e d’Ombra

Why can't you hold me in the street?
Why can't I kiss you on the dancefloor?
I wish that it could be like that
Why can't it be like that?
Cause I'm yours
(Secret Love Song, Little Mix & Jason Derulo)
“E, così, Black, ora sei sempre qui? Non sapevo il vostro fosse un matrimonio a tre!” ghignò Severus. “Sai com’è, Mocciosus, io ho amici …” ringhiò Sirius in risposta, interrompendosi solo al sospiro di Lily. “L’hai trovata?” domandò la rossa, ansiosa. “Quasi. La porta del cuore, eh … è una chiave! Mamma la usava sempre per vedere dove andavo quando uscivo … te lo ricordi, Sirius? Odiavo quell’aggeggio, da ragazzo! Ma dove l’avrò messa … Merlino, erano anni che non toccavo le cose dei miei, per fortuna che Harry le ha lasciate tutte alla Gringotts nel loro cofanetto!” mormorò James, frugando dentro ad un enorme baule e tirandone fuori ogni sorta di oggetto possibile ed immaginabile. “Fleamont ed Euphemia erano così brave persone …” commentò Lily, lisciandosi il leggero maglioncino e stringendo le dita attorno alla tazza di camomilla mentre sedeva sul divano di fronte a Severus ed Hermione. “Non erano solo ‘brave persone’ … erano meravigliosi. Dovremmo essere tutti come loro …” mormorò Sirius, appollaiato sul bracciolo nella sua camicia di flanella blu notte, fissando un punto indefinito sul tappeto. “Sono stati i genitori che non ho mai avuto …”
“La cosa peggiore è che non abbiano potuto conoscere Harry … sarebbe stato meglio con loro che con Petunia!” considerò Lily, scuotendo il capo. “Non hai più parlato con lei?” le domandò Severus quasi distrattamente, fissando la sua ennesima tazza di caffè vuota. Hermione, che tremava tanta da non riuscire quasi a bere il suo tè, non capiva davvero come potesse trangugiarne tanto e restare al contempo così gelidamente calmo. “L’ho rivista, certo, ma abbiamo finito per litigare per come ha trattato Harry in tutti questi anni …” sospirò. “Ed ora non ci parliamo quasi più … oltretutto, i nostri genitori sono morti, poi Vernon è un uomo così … orribile. Ha sempre disprezzato me e James: diceva che eravamo mostri, lo sai, Sev …”
Hermione sentì una punta di amare gelosia trafiggerle lo stomaco, ma si sforzò di ignorarla, così come evitò di guardare Lily: ammirare il suo volto delicato ed i due smeraldi ridenti incastonati nei suoi occhi non avrebbe fatto altro che aumentare il suo senso di inadeguatezza e di non essere proprio niente in confronto a quella donna per cui Severus aveva donato tutto, persino la vita.
“Non mi pare che Petunia si risparmiasse nemmeno su di me, a suo tempo, se è per quello …” rifletté Piton. “No di certo, no: diceva sempre che tu e tua madre eravate dei pazzi squinternati e che vi avrebbero dovuto rinchiudere, voi e me! Quando evidentemente non era così …”
Lily si rivolse ad Hermione. “Io ti capisco meglio di chiunque altro, sai? Essere nati babbani è così difficile! E spesso la gente attorno non capisce … i miei genitori erano orgogliosi che fossi una strega, ma ‘Tunia è sempre stata così gelosa!”
“I miei erano … sorpresi.” rammentò la giovane. “Ma mi hanno sempre accettata per quello che ero … anche se spesso non capivano. Non so come sia avere una sorella … e francamente sono felice così!”
“Credo sia l’unica al mondo a cui piaccia essere figlia unica!” rise James. “Dico solo che ha i suoi vantaggi ed io sono abbastanza gelosa delle mie cose e strana per conto mio … non avrei proprio voluto dovermi confrontare con qualcun altro … no, per niente.”
“Hai ragione.” annuì Sirius, alzando le mani mentre si spiegava. “Regulus si credeva migliore di me solo perché era un Serpeverde e si adattava agli standard che i nostri genitori ci imponevano … non ha mai provato a parlarmi seriamente, a comprendermi o a venirmi a prendere dopo che sono fuggito …”
“Forse perché non gliel’hai mai permesso.” sibilò gelidamente Severus. Subito, gli sguardi rabbiosi dei due si incontrarono. “Ma che ne sai tu, Mocciosus?” ringhiò l’animagus in risposta. “Sirius!” lo rimproverò Lily. “Se ti fossi anche solo disturbato a provare a pensare a come tuo fratello, invece di restartene rintanato nella tua perfezione grifondoro, forse non parleresti così … ma hai sempre avuto una naturale ottusità quasi affascinante, Black!” spiegò Piton, alzando fieramente il mento. “Regulus diceva sempre che eri troppo affrettato nei tuoi giudizi: non pensavi mai prima di parlare ed eri un naturale ribelle …”
“Il tipo di ribelle che le ragazze adoravano!” rise James, annuendo. “Oh, suvvia, Ramoso, anche tu non eri niente male!”
“Confermo!” ridacchiò Lily. Hermione, istintivamente, guardò Severus: era impassibile e freddo come al solito, ma lei, che aveva oramai imparato a districarsi abilmente tra le mille sfumature di nero del suo sguardo, riusciva a leggervi piuttosto chiaramente un profondo senso di inadeguatezza ed una rabbia cieca. Da ragazza, quando aveva salvato Sirius da Piton, non l’aveva capito, ma ora sì, ora lo comprendeva benissimo: Severus era invidioso. Era uno dei tanti motivi per cui si era unito ai Mangiamorte così giovane: perché gli altri avevano tutto, bellezza, amici, ragazze, famiglie felici, talento e popolarità, mentre lui non riceveva nient’altro che disprezzo e l’unica cosa buona che avesse mai avuto, Lily, era finita a sua volta nelle mani del suo peggior nemico, che già possedeva tutto ciò che lui desiderava? Non era semplicemente giusto.
Lentamente, si spostò leggermente sul divano, sfiorando appena il pozionista in un gesto che voleva apparire casuale, ma che Severus avrebbe sicuramente capito non esserlo affatto.
“Ad ogni modo … Severus …” continuò Sirius, sputando quel nome con palpabile disgusto. “Come fai a sapere queste cose su mio fratello?”
“Eravamo una sorta di … amici quando entrambi servivamo l’Oscuro Signore, Black.” spiegò tranquillamente l’altro, come se si trattasse di un semplice aneddoto sul meteo.
“Eccola!” esclamò Potter, balzando in piedi ed interrompendo quel lieve scontro: tra le mani, reggeva una piccola chiave dorata dall’impugnatura a forma di cuore intrecciato. Alla fioca luce delle abat-jour, luccicò, sinistra. “Come funziona?” scattò Hermione, avvicinandosi cautamente, il cuore che le galoppava nel petto furioso. “Oh, è facile: la prendi in mano e sul tuo palmo compare una scritta, ma se ne va quasi subito. Mentre la tieni, devi pensare il più intensamente possibile ai tuoi genitori … spero funzioni ancora, dopo tutti questi anni! Sei pronta?” spiegò, porgendole la piccola chiave. Hermione deglutì a vuoto, prendendo un bel respiro prima di tendere la mano. “Pronta.” annuì. James le mise cautamente in mano l’oggetto e la giovane sentì un brivido percorrerle la schiena mentre il freddo del metallo veniva a contatto con la propria pelle. Chiuse gli occhi, concentrandosi sul dolce profumo di sua madre, sul suo sorriso così dolce ed aperto, sulla risata di suo padre e sulle sue battute … rammentò di quando le avevano insegnato ad andare in bicicletta, di quando le avevano curato una carie a sei anno, del primo giorno di scuola, di com’erano orgogliosi di lei e di quanti libri le comprassero sempre … ricordò le loro vacanze ogni estate, come avevano pianto vedendola partire per Hogwarts, quando aveva tolto loro i ricordi per salvarli e quanto avesse fatto male … pensò a quanto desiderasse riabbracciarli e mostrare loro che persona era diventata, quanto volesse far conoscere loro Severus …
Un forte calore si irradiò sul suo palmo e la chiave luccicò prima che delle lettere comparissero, brucianti, sulla sua mano. Severus le fu accanto in un istante. “Honfleur …” lesse mentre Hermione lasciava cadere la chiave e la scritta scompariva. “È in Normandia!” esclamò subito lei. “È il paese di Fleur, per questo lei si chiama così … oddio, allora sono davvero vivi come dicevi, Severus, sono davvero lì!” aggiunse, entusiasta, sorridendo. “Sì, sono vivi e sono lì, ma dobbiamo restare calmi e, soprattutto, lucidi: non sarà così semplice restituire loro i ricordi, ne abbiamo già parlato …” la frenò Piton, cauto. “Lo so, ma, perlomeno, so che sono ancora vivi … finalmente!”
“Come sempre, ha ragione lei, Mocciosus, è una bella notizia: quando partiamo, allora?” intervenne Sirius, mentre James raccoglieva la chiave e la riponeva al proprio posto.
Un imbarazzante silenzio calò sul piccolo salotto, rotto solo dal frinire di grilli e cicale fuori dalla finestra. “Non … non vuoi ritrovare i tuoi, Hermione?” mormorò Lily, dubbiosa. “Certo, ho fatto tanta fatica per trovarli … non mi fermerò ora! Solo … non è una cosa che richieda una spedizione di chissà quante persone!” biascicò lei, torturandosi le dita, nervosa. “Ma non puoi farlo da sola … voglio dire, è emotivamente stressante!” constatò James. “Hai bisogno del sostegno di qualcuno … possiamo accompagnarti noi ed Harry, se il Ministero glielo consente! Oppure Remus, se preferisci …”
“Non è questo …” mormorò Hermione, sentendo il cuore galopparle nel petto. “È che … che ho già deciso che ci andrò con Severus.”
Un silenzio glaciale raggelò l’atmosfera prima gioiosa della casa. “Beh … è naturale! Voglio dire, è un mago esperto, avete collaborato per parecchio e ti ha aiutata …” deglutì Lily. “Potrà senz’altro esserti di grandi aiuto nell’esecuzione dell’incantesimo, certo …”
“E perché noi non siamo capaci di fare niente, scusa? Eravamo tutti nell’Ordine della Fenice ed in più le siamo sempre stati accanto da quand’era ragazza, sinceramente non capisco perché Hermione dovrebbe preferire il professore che la prendeva in giro a quelli che sono come degli zii per lei …” obiettò Sirius, allargando le braccia. Hermione sentì il cuore svuotarsi completamente e la gola farsi secca: sapeva che quel momento sarebbe arrivato e, prima di allora, era sempre stata sicura di come si sarebbe comportata e di cos’avrebbe detto … perché, allora, non riusciva a fare altro che tacere in quel frangente? Perché non riusciva a dire niente?
“Beh, c’è un motivo per cui dovrebbe preferirlo, a dire la verità … ma voglio sperare vivamente di sbagliarmi.” commentò freddamente James, assottigliando lo sguardo da dietro gli occhiali. La giovane, istintivamente, chiuse gli occhi. “Cosa … cosa diamine stai dicendo?” mormorò Lily, sconvolta, saettando dal marito a Severus, ancora impassibile. “Qualcuno vuole spiegarci cortesemente che cosa sta succedendo?” sbuffò Sirius. “Non ci sto capendo niente … e neanche Lily!”
“Io invece spero di aver capito male …” proseguì James, imperterrito. “Hermione, cortesemente vorresti dirci perché hai intenzione di andare in Normandia con … Severus e non con noi?”
Un altro estenuante silenzio calò sul soggiorno ed Hermione si sentì avvampare, distinguendo chiaramente le occhiate rivolte su di sé di tutti i presenti, Severus escluso, considerato che si limitava a sedere, fissando la sua nemesi con un profondo astio ed una certa aria di sfida.   
“Perché ho bisogno di una guida nell’esecuzione dell’incantesimo …” iniziò, cauta, la Grifondoro, inspirando a fondo per darsi coraggio: sapeva che guardare Piton non sarebbe servito. Voleva che fosse lei a decidere e le stava offrendo la possibilità di negare, salvandosi la reputazione o di confermare ciò che andava ripetendogli da un mese ... probabilmente, però, sapeva benissimo che Hermione non era nota per fare ciò che fosse più conveniente, ma ciò in cui credeva. “E perché Severus per me è molto importante. Direi forse che è una delle persone che contano di più per me …” concluse.
Attese, timorosa, che il salotto esplodesse alle sue stesse parole, ma, per lungo tempo, non accadde assolutamente nulla: Sirius continuava a fissarli, dubbioso ed incredulo, Lily aveva gli occhi tanto sgranati che sembrava stessero per rotolare a terra e James aveva assunto un’espressione fin troppo alterata. “Mocciosus … te lo chiederò chiaramente una sola volta, perciò pensa bene alla risposta che mi darai: che cosa significa quello che ha appena detto Hermione?”  
Piton lo guardò con un’espressione del tutto calma che esprimeva tutto il suo disprezzo. “Significa esattamente quello che ha detto Hermione: siamo, l’uno per l’altra, estremamente importanti, allo stato attuale delle cose …” sibilò. “Dannazione, parla chiaramente!” sbottò James, sempre più spiritato. “Che cosa c’è tra di voi? Che rapporto c’è tra te e … e lei?”
Severus, prima di rispondere, si volse verso Hermione e, dopo averla guardata negli occhi nocciola tremolanti, ma sicuri, tornò a fissarlo freddamente. “Direi tranquillamente che si possa definire una relazione.”
“Maledetto bastardo!” gridò James, saltandogli letteralmente addosso e sferrandogli un pugno dritto sul naso, subito raggiunto da Sirius, altrettanto infuriato e pronto a sfoderare la bacchetta. “Basta! Smettetela!” esclamò Hermione, parandosi davanti ai due Malandrini, costringendoli a fermarsi, ancora ansimanti ed evidentemente rossi di rabbia mentre si chinava a guardare Severus, che, estratta la bacchetta, si teneva il naso da cui colava una certa quantità di sangue ed osservava i due con un’espressione che oscillava dall’ira all’astio. “Hermione, che cosa ti ha fatto? Ti ha fatto bere qualcosa di strano durante le ricerche dei libri?” proseguì imperterrito Sirius, prendendola per le braccia. “Diccelo, possiamo aiutarti, dev’esserci un antidoto, un contro incantesimo … ha usato l’imperio, vero?”
“Disgustosa viscida serpe …” gli fece eco James. “C’era da dirlo: io te l’avevo detto mille volte, Felpato! Non affiderei mai una studentessa a questo qui … chissà cosa accettava da loro per una misera sufficienza!”
Il compare annuì. “Del resto, è pur sempre un Mangiamorte! E poi chi mai finirebbe nel suo letto di sua spontanea volontà? Logico che dovesse confonderle! E tu, Lily, che l’hai sempre difeso … mi auguro che ora ti ricrederai! Chissà cosa l’ha costretta a fare, povera ragazza …” sbottò Sirius, disgustato, rivolto ad una Lily ancora seduta ed a dir poco sconvolta, immobile con una statua e le labbra serrate.
“Finitela!” scoppiò Hermione a voce fin troppo alta, divincolandosi dalla presa di Sirius e raggiungendo Severus, ancora piegato in due sul naso, che le rivolse un’occhiata mortificata, quasi di scuse per ciò che aveva dovuto sentire, che le tolse il respiro. “Non mi ha fatto niente, né mi ha costretta o minacciata!” ringhiò la ragazza, tornando a volgersi verso i tre con sguardo ancor più furibondo. “E vi conviene mettervelo bene in testa! Anzi, se proprio volete saperlo, ha fatto di tutto per allontanarmi, per mandarmi via da lui … sono io che non ho voluto sentire ragioni! Io che l’ho convinto che fosse degno di essere amato … molto più di altri che danno questa dignità per scontata!”
I tre, se possibile, la guardarono con espressione ancor più sbalordita e stordita. “Ma … ma Hermione … ma cosa dici? Non è possibile …” biascicò James. “Certo che lo è!” ribatté lei, ansimando per la rabbia con cui aveva dato le spiegazioni del caso mentre appellava un fazzoletto e lo passava silenziosamente a Severus, cercando invano di tamponare quella che si prospettava una fastidiosa ferita al naso. “Non capisci che non potete stare assieme?” proseguì Sirius, ancor più spiritato dell’amico. “Mocciosus ha vent’anni più di te, potrebbe essere tuo padre! Cos’hai intenzione di fare, trascinarti dietro un vecchio per il resto della vita? E poi tu sei … sei in gamba, sei bella, sei … sei limpida, pura! Non puoi stare con uno con un passato come il suo, mi rifiuto di crederlo! Con tutto quello che ti ha detto e fatto ad Hogwarts …”
“Se proprio vuoi saperlo, l’avevo già rivalutato alla battaglia …” spiegò lei, inspirando mentre, invano, tentava di aiutare Severus a sistemare il naso alla bell’e meglio. “E, poi, lavorando assieme … beh, ho scoperto che è una persona decisamente diversa da quello che pensate voi, che pensano tutti … e me ne sono innamorata.” mormorò con voce quasi rotta, incontrando lo sguardo implorante di Piton, che sembrava sempre più un animale ferito in attesa del colpo finale. “Mocciosus, certo che sapevo che eri viscido, ma non pensavo così tanto …” sputò James, schifato. “Approfittarsi di una ragazzina per soddisfare una stupida voglia … e tutto perché non puoi avere lei!” sbottò, indicando Lily alle proprie spalle, ancora muta. “Ma chi diamine ti credi di essere, Potter?” proruppe Severus, saltando in piedi, frenato da Hermione. “Non sono un pervertito e neanche un depravato, anche se a te piace pensarlo e se ciò si sposa bene con le assurde teorie partorite dalla tua mente bacata! In vent’anni di insegnamento non è mai, e sottolineo mai, accaduto assolutamente niente tra me o qualunque studentessa … e, infatti, Hermione non lo è più da anni. E non si tratta di una voglia estemporanea: non avrei mai potuto farle questo, dovresti averlo capito, dannazione. Ho gettato via anni della mia vita per tuo figlio, credi davvero che mi sarei comportato in quel modo con una ragazzina che ho visto crescere senza farmi tanti problemi? Visto che ci sei, diciamo le cose come stanno: nella tua sconfinata tracotanza, pensi davvero che io non abbia cercato in tutti i modi di farle capire che può avere di meglio, che meriterebbe un ragazzo più giovane e migliore di me? Credi che non l’abbia addirittura fatta soffrire, pur di allontanarla da me? Non ci sono riuscito perché, molto semplicemente, quello che ci lega è più forte di qualunque altra cosa … e se davvero ami Lily come tanto vai dicendo da decenni, dovresti capirmi almeno un po’ …”
“Vuoi sapere cosa penso? Eh? Benissimo, te lo dirò senza problemi!” sbottò James. “Penso che Hermione fosse persa ed uscisse da un periodo difficile, l’abbiamo visto tutti, del resto e che tu ti sia approfittato di lei facendo leva sul suo bisogno di una figura paterna …”
“Ma come ti permetti di dire una cosa del genere?” esclamò Hermione, improvvisamente tanto inviperita da far sobbalzare i due Malandrini. “Io non sono una stupida ragazzina in crisi! Sapete cosa mi mandava davvero in crisi? Starmene in mezzo a tutti voi, che andavate avanti facendo finta di nulla e non facevate che farmi sentire inadeguata per aver scelto qualcosa di diverso da quello che ci si aspettava da me … è stato Severus a farmi capire che non c’era niente di sbagliato in me, che ero semplicemente diversa … come lui, del resto. Ed ho avuto un padre, mi basta e mi avanza ed anche se dovessi trovarne uno putativo, sicuramente non sarebbe lui! Anzi … non l’ho mai visto come una figura paterna, nemmeno per sbaglio … e sono più che sicura di tutto quello che ho detto e fatto fino ad oggi.”
“Severus …” mormorò una voce strozzata, facendo sobbalzare tutti i presenti: Lily, ancora sbigottita e sull’orlo delle lacrime, fissava il suo amico d’infanzia con espressione implorante e sofferente. “Ti prego, ti supplico, considerato che sei più razionale di lei, di renderti conto di quello che state facendo …” sussurrò appena. “E cosa staremmo facendo di male, Lily?” replicò lui, assottigliando gli occhi. “Ma possibile che tu non te ne renda conto? Non potrai mai essere l’uomo di cui ha bisogno e che potrà renderla felice, con cui mostrarsi felicemente in pubblico … e non fraintendermi, credo che tu meriti di essere felice più di chiunque altro, ma con qualcuno di più adatto a te, meno giovane, più … esperta, forse … non lo so neanch’io! Fatto sta che la rovinerai come …” 
“Com’è successo a te, giusto?”
A quella risposta, Hermione trattenne il fiato, fissando Severus negli occhi neri e determinati come poche volte li aveva visti: era successo quello che più temeva. Lily aveva disapprovato … ed ora? Si sarebbe opposto a lei per amor suo? O avrebbe sempre e comunque scelto lei?
“Da vent’anni vai dicendo che la nostra amicizia mi ha salvato dalle tenebre più totali, che per te è stata un immenso sacrificio … come se io fossi sempre stato sbagliato e tu l’anima pia che per pura bontà cercava di correggere i miei intrinsechi difetti …” proseguì, imperterrito, il Serpeverde, stupendo persino Hermione. “La verità è che hai sempre voluto cambiarmi, conformarmi a te, Lily …”
Si fermò per un secondo a guardare la giovane, che lo fissava sconvolta. “Ho vagato per anni nella solitudine e nel tormento e tutto a causa tua, perché non mi hai mai perdonato una sola, stupida, parola, perché hai usato la prima scusa buona per scrollarti di dosso quell’oscura e pesante presenza dalla tua vita ed affogare nella popolarità di una vita facile che tanto ami, con lui, con loro … ero così disperato da non riuscire neanche a respirare senza di te! Ma ti sono stato comodo quando non sapevi cosa fare appena arrivata ad Hogwarts, vero? Mi hai usato come un giocattolo vecchio e la stessa cosa ha fatto Albus per anni ed anni! A nessuno è mai importato di me e c’è una buona ragione, probabilmente … ero arrivato al punto di essere talmente pervaso dal senso di colpa e dall’odio per me stesso da voler morire. Svegliarmi dopo la battaglia è stata la ciliegina sulla torta … speravo di essere morto per trovare un po’ di pace e smettere di soffrire, per rivederti e ricevere il perdono che tanto cercavo. E quando voi tre siete tornati è andata anche peggio, se possibile …”
“Allora è vero quello che dice James!” esclamò la rossa, ferita. “Hermione è soltanto un surrogato … la stai usando per dimenticare me, è così?”
“Non sono un’ingenua e neanche una sprovveduta: non pensi che ci abbia pensato?” esclamò la giovane, ferita. “Certo, Hermione, ma alla tua età … Merlino, sei così giovane: alla tua età è facile scambiare per un grande amore quella che può essere ammirazione o semplice desiderio di avere qualcuno di … di più grande … di troppo più grande …”
“Come puoi anche solo pensare che possa essere vero? E tu dovresti essere mia amica?” sbraitò il Serpeverde, quasi disgustato, tranciando sul colpo la risposta che stava per dare Hermione. “Ti ho amata per vent’anni, lo sanno tutti, oramai, visto che, grazie a vostro figlio, farsi gli affari miei è diventato un hobby nazionale … ma pensi davvero che io non sia venuto a patti con il fatto che non mi avresti mai voluto? Che non mi vorrai mai? Lo so perfettamente, non sono un idiota.  Mi ero rassegnato a vedere di continuo sotto al naso il vostro ridicolo teatrino di famiglia perfetta in cui tutti sono amici e ridono e scherzano assieme la domenica … nauseante, oltre che ridicolo, se proprio devo dirvelo! Non ci speravo più, oramai ero convinto di non meritare la felicità come prezzo per ciò che avevo fatto … ma poi è arrivata Hermione: lei mi ha accettato per come sono, con tutti i miei difetti ed i miei pochi pregi, questo ve lo concedo. Mi ha amato quando nemmeno io sono mai riuscito a farlo … come nessuno è riuscito a fare. E sarà anche vero che sono viscido, perverso, brutto, antipatico e quello che volete … ma a lei non importa. E nemmeno a me: non m’interessa se è più giovane di me, se era una mia studentessa, se è Grifondoro ... non più. È la cosa migliore che mi sia capitata nella vita … l’unica cosa davvero bella.”
Hermione sentì gli occhi farsi lucidi a quelle parole così forti e sincere da spiazzarla.
“Tu sai meglio di chiunque altro quanto ti abbia amata ed abbia sofferto per te, Lily …” proseguì Piton, imperterrito e del tutto indifferente rispetto alle occhiate sconvolte degli altri presenti. “Ho avuto una vita d’inferno: questi due idioti senza raziocinio non fanno che lamentarsi, quando hanno avuto tutto quello che volevano, o quasi! Io non sono cresciuto in una casa magnifica, anzi: faceva tutto schifo, a Spinner’s End e tu lo sai … mio padre ha ucciso mia madre, a scuola venivo solo preso in giro e l’unica amica che abbia mai avuto, l’unica persona che abbia mai amato davvero per vent’anni, è arrivata ad odiarmi! E da lì ho fatto solo scelte sbagliate …”
S’interruppe per voltarsi verso Hermione e sorriderle appena, posandole una mano sulla guancia e cancellando una solitaria lacrima che si era affacciata dagli occhi. “Ma adesso è giunto il momento di andare avanti e di perdonarmi, o almeno di provarci … sento … so che adesso posso provare ad essere felice.”
Si volse bruscamente verso Lily, ignorando completamente i due Malandrini, muti. “Al momento è l’unica cosa che conta … quando l’accetterai e capirai che è la cosa migliore che mi sia mai capitata, sai dove trovarci … per ora, non credo che abbiamo altro da dirci!”
Detto ciò, rivolse un’ultima occhiata colma di sdegno ai suoi nemici di scuola ed a Lily, che piangeva silenziosamente e, con una fluidità ed un’eleganza sorprendenti per uno che aveva il naso distrutto, si diresse silenziosamente verso l’ingresso. Dopo solo due passi, però, si volse, tendendo una mano ad Hermione, che gli sorrise e l’afferrò. “Io … io vi ringrazio per avermi sempre aiutata e sostenuta ed anche per avermi concesso di usare la porta del cuore.” mormorò, rivolgendosi un’ultima volta ai tre spettatori atterriti. “Non lo dimenticherò … ma credo sia meglio che non frequenti più questa casa, una volta che sarò tornata … per ovvie ragioni. Vi farò sapere come andrà la ricerca. Grazie ancora.” fremette, deglutendo prima di avviarsi con Severus fuori da casa dei Potter.
All'esterno, la sera era fresca: nel cielo d’inchiostro erano comparse le prime, pallide, stelle e la luna gettava una luce inquietante sui lampioni ed i rami bassi degli abeti lungo le strade di mattoni. Era una scena tanto silenziosa da ricordare ad Hermione la notta in cui era andata alla tomba di James e Lily con Harry … una vita fa, oramai. D’istinto, appena furono usciti dal cancello, strinse la mano di Severus e lo costrinse a voltarsi, gettandogli le braccia al collo e stringendosi a lui, respirando a fondo il suo profumo di muschio, menta e libri e lasciandosi cullare dalla stretta forte e sicura del Serpeverde che l’avvolgeva quasi avesse paura di vederla andare via ...
Sentì una lacrima salirle agli occhi, ma la scacciò. “Mi dispiace per tutto quello che ti hanno detto …” gli sussurrò. “Non importa … forse è anche vero, dopotutto …”
“Non pensarlo … mai!” lo interruppe lei, scostandosi appena e sorridendo al vedergli il naso deturpato. “È già il secondo pugno di James da cui devo curarti … sta diventando una spiacevole abitudine!”
“Spero vivamente di no … per lui, naturalmente. Andiamo: credo sia meglio fare subito l’incantesimo, prima di ritrovarmi con una narice ancor peggiore di quella che già mi ritrovo …”
Hermione rise, prendendolo per mano e smaterializzandosi a Spinner’s End, dove Grattastinchi li stava già aspettando, probabilmente irritato per il loro ritardo.
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Hermione fissò la pagina che stava cercando di leggere da più di venti minuti alla fioca luce dell’abat-jour, sbuffando: non riusciva proprio a concentrarsi, quella sera. Erano successe troppe cose, evidentemente …
Osservò la sua valigia pronta in un angolo della camera con una cartina di Honfleur in bella vista sopra di essa: l’indomani mattina presto sarebbero partiti per cercare i suoi … e, sebbene fosse felice di sapere che erano vivi, temeva di vedere chi o cosa avrebbe trovato. Aveva lasciato che vagassero senza memoria per due anni: cos’era rimasto di Robert e Jean Granger? Che persone erano diventate? E se fossero stati tanto disgustati da lei e dal suo comportamento da non volerla più vedere, cos’avrebbe fatto?
Sobbalzò al sentire la porta di casa richiudersi, rilassandosi quando avvertì gli incantesimi di protezione che Severus lanciava abitualmente sull’abitazione. Dopo poco, il Serpeverde si affacciò sulla porta: aveva un’espressione tanto stanca e sfibrata da sembrare più vecchio di decenni, quella sera. Unico segno dei burrascosi trascorsi, un lieve rossore alla base del naso …
“Minerva dice che, qualora il soggiorno dovesse protrarsi oltre sabato e domenica, basterà avvisarla e provvederà a sostituirmi con Lumacorno.” asserì, andando nel piccolo bagno accanto per cambiarsi. “Non ci sarà alcun problema.”
“Cosa le hai detto?” deglutì Hermione, distratta. “Che si trattava di affari personali: quando nomino la mia famiglia, pensa sempre che mi riferisca a mio padre e non chiede altro. La tua paladina è piuttosto prevedibile, sai?” ghignò Severus, rientrando in camera e sistemandosi accanto a lei. “Sa di tuo padre?” domandò la giovane, sorpresa. “La cosa ti lascia basita?”
“Abbastanza … credevo fossi molto riservato.”
“E lo sono: lo sanno solo Albus e Minerva … e tu, ora.”
“E Lily, James e Sirius: gliel’hai detto, stasera.” ricordò la Grifondoro. A quelle parole, un’ombra scura attraversò lo sguardo di Severus. “Mi dispiace.” mormorò. “Non avrei dovuto reagire in quel modo ed avrei dovuto darti più modo di parlare e di dire ciò che dovevi …”
“L’avevo già detto.” lo interruppe lei. “E non devi scusarti … sono loro che dovrebbero farlo! Io … io non riesco a sopportare quello che ti hanno detto: come possono essere stati così … così …”
“Superficiali? Meschini? O semplicemente stupidi? Benvenuta nel mio mondo …” ghignò l’uomo. “Sono così da quando avevamo undici anni. E non solo loro, naturalmente: tutto il mondo magico pensa le cose che hanno detto, Hermione. Per questo ti avevo detto che sarebbe stato meglio aspettare e per lo stesso motivo devi sentirti libera di andartene se lo vorrai o se non ne potrai più …” aggiunse in un sussurro. Hermione volse di scatto la testa verso di lui. “No!” esclamò. “Questo mai! So benissimo chi sei e cosa dice la gente di te, ma non rimpiango di averlo detto e non ho alcuna intenzione di andarmene. Io … io ti amo …” sussurrò, quasi, fissandolo con gli occhi lucidi e sentendosi improvvisamente più libera dopo averlo detto: era la seconda volta che lo faceva. “E non m’importa se al resto del mondo non piace l’idea che stiamo assieme o ti ritengono un mostro: per me sei perfetto così. Ed ho visto abbastanza cose in questi mesi da sapere che il buono ed il cattivo dipendo da chi racconta la storia …”
Severus la fissava, immobile e mortalmente serio. S’interruppe solo quando Grattastinchi si acciambellò su di lui, iniziando a ronfare sonoramente. “Hai paura per domani?” chiese, cambiando bruscamente argomento. Hermione ignorò la sua improvvisa schiettezza: sapeva che era solo un modo per scostarsi dall’imbarazzo. Era pur sempre Severus Piton. “Un po’.” ammise. “Sai, non so cosa aspettarmi … e se fossero cambiati? E se non mi volessero più? O se l’incantesimo non funzionasse? Ho aspettato così tanto questo momento che ora ne ho paura!”
“Può essere che accada tutto ciò che hai detto o che non succeda proprio niente: lo sapremo solo andando là.”
“Sei … sei sicuro di voler venire? Potresti aspettarmi qui e …”
“Non ti lascerei mai andare da sola.”
“Temi che trovi qualche francese?” sorrise lei. “Beh, visto che stai leggendo Christelle Dabos …” sogghignò Severus, indicando il suo libro. “Ah, questo? Si tratta di un fantasy babbano molto popolare, ‘Fidanzati dell’Inverno’ … è una saga: parla di una ragazza goffa e bruttina che scioglie il cuore di ghiaccio di un distaccato intendente, un uomo che si rivela ben diverso da come pensava …”
“Non colgo l’allusione a noi due, francamente.” la frenò Severus. “E perché no, scusa?”
“Perché tu non sei goffa e neanche bruttina. Sei petulante, saccente, irritante …”
Il pizzicotto che colpì Severus sulla spalla lo lasciò totalmente indifferente, ottenendo solo di farlo ghignare. “Allora … La Bella e la Bestia!” continuò Hermione, sorridendo. “Un’appassionata di libri che scioglie il cuore di un uomo che si credeva un mostro e lo riporta alla vita … che ne dici?”
“Già meglio: effettivamente, tu sei bella, bellissima. Ed io sono un vecchio mostro, a modo mio …”
“Questo non devi pensarlo, mai, nemmeno per sbaglio, Severus Piton.” lo zittì lei con voce roca, accarezzandogli la guancia. “Hermione, sai che potrei non riuscire mai a dirtelo, vero? O che non sarò mai romantico e non ti rivolgerò mai dichiarazioni sdolcinate? E che farti vedere con me sarà sempre un problema, che sarò un’ombra scomoda da portarsi dietro?” proseguì lui, imperterrito e tremendamente serio. La Grifondoro lo ignorò, continuando a sorridere mentre gli si avvicinava. “Lo so. Ma non serve che tu mi dimostri cosa provi come fanno gli altri … io lo so già. E, poi, ogni luce, per esistere, ha bisogno della sua ombra, no?”
Prima che Severus potesse aggiungere altro, Hermione lo stava già baciando con un miagolio di protesta di Grattastinchi, bruscamente sfrattato dal suo posto d’onore in mezzo a loro. Quella notte, l’abat-jour nella camera più alta di Spinner’s End si spense prima del solito: la regina di Grifondoro accarezzò ogni cicatrice del Principe Mezzosangue, facendolo sentire amato come non mai. Quando l’alba sorse su un nuovo giorno, li trovò con le gambe intrecciate, lei posata sul suo petto profondamente addormentata e più serena e lui che, per tutta la notte, non aveva fatto altro che guardarla senza riuscire a credere che fosse vera.

  





 



 

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Capitolo 23
*** L'Eco della Memoria ***


Capitolo Ventitreesimo
L’Eco della Memoria

'Cause there we are again when I loved you so
Back before you lost the one real thing you've ever known
It was rare, I was there, I remember it all too well
Wind in my hair, you were there, you remember it all
Down the stairs, you were there, you remember it all
It was rare, I was there, I remember it all too well
(All too well, Taylor Swift)
Hogwarts era stato il primo luogo che Severus Piton aveva chiamato ‘casa’. Spinner’s End lo era certamente stata, a modo suo, ma non riusciva ad associarla ad un sentimento negativo, inquinata com’era dallo scricchiolare delle porte, dai litigi dei suoi, dalle urla di sua madre e dalle botte di Tobias, che mai, neanche nella sua testa, aveva chiamato ‘papà’: era sempre e solo Tobias, il maledetto bastardo che l’aveva messo al mondo e gli aveva strappato sua madre. Era per lui che era stato tanto attratto dall’Oscuro Signore: quando predicava che i babbani andavano estirpati, lui pensava solo a Tobias ed a quanto avrebbe voluto farlo sparire dalla faccia della terra. Sarebbe bastato un semplice avada kedavra … un lampo di luce verde ed avrebbe smesso per sempre di tormentarlo. Quando, però, ne aveva avuto l’occasione, non ne aveva avuto la forza, o più semplicemente il coraggio: ritrovarsi di fronte a quell’uomo che aveva odiato con ogni fibra e scoprire che gli assomigliava più quanto avesse voluto era stato troppo anche per lui. E, così, aveva semplicemente fatto in modo che patisse in eterno per quello che aveva fatto a sua madre …
Severus non avrebbe saputo dire perché stesse pensando a Spinner’s End mentre percorreva i bui corridoi di una Hogwarts lievemente illuminata dalla luce aranciata e rosata dell’alba: aveva sempre odiato quel posto. Aveva detestato anche Hogwarts, a dirla tutta e piuttosto profondamente, soprattutto negli ultimi anni: non c’era pietra che non gli ricordasse lui e Lily, le loro risate e la loro amicizia e com’era tragicamente finita, facendogli sanguinare il cuore. Ogni corridoio era diventato un monumento del fatto che lei aveva scelto James e lui sembrava essere condannato a ricordarlo per l’eternità. Spinner’s End, però, era tutt’altra cosa … eppure, da un mese a quella parte, quella casa era improvvisamente diventata l’unico luogo dove il suo cuore appesantito riuscisse ad essere più leggero e sereno, e (quasi temeva di dirlo ad alta voce) felice … tutto merito della cocciuta Grifondoro che aveva lasciato a dormire prima di affrontare quella che sarebbe stata per lei una giornata pesantissima. Sorrise appena al pensiero: Hermione aveva portato tutta la sua luce in un luogo dove dimoravano solo tenebre. Ovviamente, aveva borbottato e sbuffato alle sue proposte di cambiare tappeti, rimodernare la mobilia, aggiungere una televisione e quelle ridicole piantine grasse, ma amava quei dettagli che avevano svecchiato un luogo cupo, come lo era la sua vita ed amava i colori che Hermione aveva portato nella sua esistenza grigia. Oramai, si era ritrovato, come un ridicolo ragazzino, ad attendere con ansia il finesettimana per smaterializzarsi a Spinner's End e stare quanto più tempo possibile con lei, il più vicino possibile a quella luce di cui non sembrava mai stancarsi e che non scacciava le sue ombre, bensì le inglobava e rifletteva, rendendole parte di sé.
Si massaggiò il naso ancora leggermente dolorante per il pugno di Potter mentre scendeva nei sotterranei al pensiero di quanto accaduto la sera prima: che Potter e Black fossero stupidi già lo sapeva. A ferirlo era stata Lily ed aveva reagito nell’unico modo che conosceva: attaccandola e vomitandole addosso tutto ciò che si era tenuto dentro per vent’anni. Si era sentito più leggero, dopo, certo, ma la sensazione di aver sbagliato tutto era rimasta a fargli sgradevolmente compagnia per tutta la notte, mentre aveva guardato Hermione dormire tranquilla e serena, accoccolata al suo petto: non riusciva a capacitarsi di come la sua presenza, quella di un uomo acido e cinico, potesse renderla felice e farla sentire al sicuro. E, per quanto fosse intenzionato a fare di tutto per tenerla con sé il più a lungo possibile, le voci di Lily, Potter, Black e Narcissa gi riecheggiavano ancora nella testa, tenaci e fastidiose, facendolo inevitabilmente sentire un verme pervertito …
Entrò nel suo ufficio avvolto nell’oscurità e, accesa la luce con un colpo di bacchetta, posò sulla scrivania il pacco con le istruzioni per Lumacorno nel caso non fosse tornato in tempo. Frugò nel cassetto per prendere la pila di verifiche dell’ultimo anno da correggere e, trovando la bottiglia di whisky intatta, si rese conto che, da quando c’era Hermione, non aveva nemmeno più bevuto … non ne aveva bisogno, semplicemente, perché non voleva dimenticare nulla, anzi … si sentiva così stupido e ridicolo per come l’aveva trattata quando era ancora seduta sui banchi della sua aula, per averla giudicata senza guardare oltre … cosa che lei non aveva mai fatto con lui, doveva dargliene atto. Sentendo un rumore alle sue spalle, sobbalzò e si volse, pronto a scagliare un incantesimo di protezione come i suoi vecchi istinti di spia comandavano, ma si bloccò nel constatare che era solo Lupin, con i vestiti stracciati, una ragnatela di cicatrici a sfregiargli il viso e l’aria stravolta.
“Ah, sei tu, Severus! Temevo ci fossero estranei, a quest’ora di sabato …” biascicò, barcollando un po’. “Plenilunio?” indovinò Severus, osservandolo. Il mannaro annuì. “Lo sapevi. Per fortuna a Teddy capita solo con la luna nuova, così posso occuparmi di lui quando sta male e lasciarlo ad Andromeda in serate come … beh, come quella appena trascorsa …” sospirò. “Sarà meglio che vada a casa, ora … mi starà aspettando …”
“Tuo figlio quasi certamente dorme ancora, senza contare che smaterializzarti in questo stato rischia di causarti una spaccatura.” asserì gelidamente Piton. “Perciò siediti ed aspetta che gli effetti della trasformazione si attenuino prima di fare sciocchezze!”
Remus lo fissò, dubbioso, per un po’ prima di entrare nello studio, chiudersi la porta alle spalle e lasciarsi cadere sulla poltrona di fronte alla scrivania, esausto. “Cosa ci fai qui a quest’ora?” domandò. “Non sono affari tuoi, non credi?”
“No, certo, ma … beh, ero curioso!”
“Curiosità che non verrà soddisfatta, temo.”
“Hermione dov’è?”
Piton attese qualche istante prima di borbottare un: “Perché dovrei saperlo?”
“Andiamo, Severus …” rise Lupin, scuotendo il capo dolorante. “Puoi prendere in giro tutti, ma io lo so …”
“A dire la verità, oramai lo sanno praticamente tutti.” sbottò il Serpeverde, infastidito dal pensiero. “Oh!” esclamò Remus, stupito. “E … avete deciso di dirlo a tutti?”
“No, è capitato che venissero a scoprirlo. E ‘tutti’ sono quei due idioti dei tuoi amici e Lily.”
“E come l’hanno presa? Bene?”
“Se con ‘bene’ intendi dare della ragazzina ingenua, drogata e soggiogata ad Hermione e della pervertita viscida serpe lasciva a me, allora l’hanno presa benissimo.”
“Mi dispiace …” mormorò Lupin e, dallo sguardo, sembrò esserlo sinceramente. “Hermione come l’ha presa?”
Severus fece spallucce. “È molto più forte di quello che sembra.” asserì. “Ed è disposta ad affrontare una pessima reputazione pur di fare quello che le dice il suo cuore … ma dovresti capirla, è Grifondoro …”
“Veramente, io capisco molto meglio te …”
“Ero in Serpeverde, te lo sei scordato?”
“Sai cosa voglio dire.” sospirò Lupin. “Ero nella tua stessa situazione, con Dora: anch’io mi sentivo un mostro, un degenerato e non volevo intaccare la sua giovinezza e la sua bellezza con la mia presenza orribile … ma Dora non ha voluto sentire ragioni.” sorrise, come perso in chissà quali ricordi. “Mi amava per com’ero e non mi avrebbe mai voluto diverso. Ha insistito così tanto che alla fine ho ceduto … non sapevo neanche come fosse stato possibile, ma l’amavo così tanto da stare male. Sapevo che stavo sbagliando, ma non potevo evitarlo … lei è stata la felicità che ho sempre sognato. E sì, c’era una bella differenza di età e di ruoli, oltre che di caratteri, ma Dora è stata tutto per me. Mi sono sentito davvero amato per la prima volta, con lei … sono stato anche molto stupido, però: quando mi ha detto che aspettava un bambino, sono fuggito. Mi sentivo un essere quasi demoniaco, che aveva condannato una creatura innocente a vivere come un mostro. Ma poi ho capito … grazie ad Harry.”
“A Potter?”
“Sì, lui: mi ha aperto gli occhi. E mi ha fatto capire che non aveva importanza … niente di tutto quello che dicevano o pensavano gli altri ne aveva: l’unica cosa che contava eravamo io e Dora. Ci amavamo, ci completavamo … e questo era tutto. Credevo lo sarebbe stato, almeno …” sospirò, interrompendosi, forse per scacciare una lacrima furtiva. “Ma adesso so che non era così. Sarei dovuto morire io, non lei …”
“Sei un buon padre, Lupin.” asserì Severus. “Credo sia l’unica cosa che non ti si possa recriminare. Un giorno tuo figlio sarà orgoglioso di te e di come l’hai cresciuto, a prescindere da tutto il resto.”
“Lo spero.” sospirò. “Quello che volevo dirti, però, è che lo stesso vale per te: non devi dare retta agli altri. Contate solo tu e lei … se siete felici insieme, non perdete tempo a lambiccarvi sul giusto o sbagliato, perché non esiste, semplicemente: vivete finché potete e più che potete, perché non si sa mai cosa riserverà il domani. Tutto qui.”
Un silenzio carico di sofferenze calò sulla stanza, rotto dal ticchettio delle dita di Piton sulla scrivania. “La luna piena ti rende melodrammatico, te l’hanno mai detto, Lupin?” constatò dopo un po’ Severus. “A volte James lo diceva.”
“Tipico di Potter giudicare …”
“Lo fai sempre anche tu, andiamo …” sospirò Remus. “Ma io posso, è diverso: sono un docente, giudicare è il mio lavoro. Il suo qual è, a parte crogiolarsi nella fama di eroe di guerra?”
“Lo invidi ancora, dopo tutti questi anni, davvero?”
Piton parve riflettere per un attimo prima di sussurrare: “No. Credevo di farlo, ma no. Non da quando c’è lei …”
Quando si rese conto di quanto aveva detto e dello sguardo sorpreso e felice di Lupin, riprese subito il solito cipiglio acido, schiarendosi la voce. “Non che mi sia facile sopportarla, chiaro: Hermione è saccente, petulante, irritante, vuole sempre avere ragione e ...”
“E ti rende felice: si vede, sai? E viceversa, naturalmente!”
“Ma non mi dire … a detta dei suoi amici, la sto solo rovinando.” borbottò, sbuffando e passandosi una mano sul viso stanco. “Ti ho detto che …”
“Non è la tua stessa storia, Lupin!” lo interruppe il Serpeverde, brusco. “Tra di noi ci sono molti più anni di differenza, era una mia studentessa, non una collega, per non parlare del mio passato, che, mi spiace per te, ma non è neanche lontanamente paragonabile alla tua licantropia …”
“Invece è la stessa cosa.” lo frenò Remus, zittendolo con un sussurro. “Siete felici? Basta: questa è la chiave di tutto. Chi vi vorrà essere amico e vi vuole bene lo capirà. L’amore è misterioso ed opera in modo sconosciuto, ma senza la nostra vita non avrebbe alcun senso, perciò credo … ho capito che dobbiamo accettarlo quando capita e per come capita. Lo dice anche Mina.”
“Da quando dai retta a quella squinternata?”
“Beh, è simpatica e Teddy la adora … piace persino ad Andromeda: ieri mi ha detto che se decidessi di rifarmi una vita con lei non avrebbe niente in contrario … praticamente un miracolo. Ma credo sia perché Mina ieri ha portato Teddy sulla tomba di Dora e gli ha parlato di lei … né io né Meda siamo mai riusciti a farlo e lei, quando l’ha saputo, ha detto che era … com’era? Ah, sì, ‘un’incresciosa vergogna’ … ed ha rimediato.” considerò Remus, arrossendo involontariamente prima di alzarsi. “Forse i consigli che mi dai dovresti accettarli prima di tutto tu stesso …” considerò Severus con un ghigno. “Oh, io sono venuto a patti con la mia condizione da anni, oramai … mi accetto per come sono e non intendo cambiarmi. Sei tu a doverlo ancora fare, Severus … buona giornata …” biascicò, avviandosi alla porta con uno sbadiglio. “Lupin!” lo chiamò il Serpeverde. Appena questo si girò, ricevette al volo una fialetta fucsia. “Pozione ridestante: ti sveglierà, equivale all’estratto di dieci caffè.” asserì gelidamente, tornando a fissare i compiti semi corretti e la cornice vuota di Silente. “Hermione è a casa, dorme ancora e non volevo svegliarla. Ma le porterò i tuoi saluti, le faranno senz’altro piacere … porta i miei a Mina, quando la vedi …”
Alla fioca luce dell’alba, il mannaro sorrise ad un Severus che, apparentemente non lo degnava di uno sguardo. “Senz’altro … grazie, Severus.” sorrise prima di andarsene e richiudere la porta.
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Quando Hermione si appoggiò al muro per riprendersi dallo strappo della smaterializzazione, sentì immediatamente un profumo lontano e vagamente familiare nelle narici: era un odore che la riportava alle vacanze con i suoi di quand’era bambina … un aroma di salsedine, sabbia, sole e mare.
Riaprì gli occhi, ammirando la cittadina di Honfleur dinanzi ai suoi occhi: le alte case colorate, strette le une alle altre, si affacciavano su stradine lastricate che s’inerpicavano le une sulle altre attorno all’ampio canale la cui acqua, ancora grigiastra dalla notte, iniziava a riflettere il rosato dell’alba sopra la loro testa.
“Hermione …” la riscosse brevemente la voce di Severus, destandola dalla propria incredulità. Si voltò verso di lui, che, nei soliti abiti neri che usava per ogni occasione estranea al mondo magico, la osservava, impassibile. “Sì, ci sono … andiamo.” annuì, accodandosi a lui in silenzio e stringendosi la giacca blu al corpo mentre camminavano per le strade semideserte di una Honfleur che iniziava a destarsi.
“Come faremo a trovarli?” domandò la ragazza, torcendo il manico della valigia per l’ansia. “Sappiamo che sono qui, ma … Merlino, potrebbero essere ovunque!”
“Non sono poi molte le opzioni che hanno, non avendo la cittadinanza francese: o si trovano in ferie ed in tal caso li troveremo chiedendo negli hotel, o hanno un’attività e, essendo dentisti, non sarà difficile rintracciarli.”
“Sempre chiedendo negli hotel?”
“Confondere qualche albergatore è sempre la soluzione migliore, l’ho imparato nelle mie missioni all’estero …”
“Per conto di Silente?”
Piton esitò senza guardarla prima di rispondere. “Non solo. Andiamo ora.”
Hermione deglutì, riprendendo a camminare, ma, senza farsi vedere, intrecciò le sue dita a quelle gelide del Serpeverde.
“L’hotel babbano che hai prenotato è di fronte alla piazza?” le chiese dopo qualche passo in totale silenzio. La Grifondoro annuì. “Sì, si chiama La Petite Lumière …”
“Un nome suggestivo, non c’è che dire!”
“Non avevo molta possibilità di fare ricerche, considerato quanto poco campo ci sia a casa tua e non avevo il tempo di chiedere consiglio a Fleur …”
“La signora Weasley, certo …”
“Lei e Bill sono felici.” replicò Hermione, facendo spallucce ed osservando primo, timido, raggio di sole illuminare il pontile. “E Victoire è una bambina davvero adorabile!”
“È una bambina … come può essere adorabile?”
“Oh, potresti anche smetterla di fare l’orso per due minuti!” sbuffò la giovane, scuotendo il capo prima di indicare la piazza centrale. “Ecco, è quello!”
L’hotel La Petite Lumière era un grazioso edificio azzurro con un’elegante insegna bianca ed un enorme vaso di ortensie azzurre fuori dalla porta scorrevole. All’apparenza, sembrava un comunque albergo …
“Hai con te la prenotazione ed una foto dei tuoi?” la destò Severus, ridestandola dai suoi pensieri. Hermione annuì. “Sì, la camera è la 23.”
“E la mia?”
“La tua? Ne ho prenotata una!”
“E come pensi di spiegare ai tuoi genitori che dormiamo assieme, sentiamo?” sospirò l’altro, alzando un sopracciglio. La Grifondoro boccheggiò per qualche istante prima di ridestarsi. “Non ho intenzione di mentire loro e neanche di confonderli, te l’ho detto: voglio essere sincera sin da subito!”
“Sarà un bello shock, considerato che, al contempo, dovranno ricordarsi di avere una figlia strega, che tale figlia li ha obliviati e che la stessa è ora in una relazione con un suo ex professore di vent’anni più di lei. Sorvolerei sull’ex Mangiamorte per non causare loro un infarto immediato …”
“Fa’ poco lo spiritoso: sono i miei genitori, decido io.” sottolineò la Grifondoro, precedendolo verso l’hotel con una certa stizza divertita.
L’interno rispettava abbastanza fedelmente l’esterno, essendo interamente in varie sfumature di blu, dal pavimento alla mobilia. Il concierge, un giovane dall’aria assonnata, li fissò sorpresi. “Bonjour!” trillò. “Buongiorno … parla la nostra lingua?” domandò Hermione. Al cenno d’assenso di questi, sorrise. “Ho prenotato una camera, la 23, a nome Granger, ieri sera ...”
“Sì, mi risulta … è tutto regolare, pagamento a fine soggiorno, sa, vero?”
“Sì, ho letto.”
“Bene, allora Le consegno le chiavi: la colazione è dalle sette alle dieci, il pranzo da mezzogiorno alle due e la cena dalle sette alle dieci.”
“Perfetto. Posso … posso chiederLe se per caso ha visto queste persone, di recente? Abbiamo appuntamento qui in città, ma non so ancora dove e magari …” accennò, sentendo lo sguardo di Severus alle sue spalle mentre estraeva dalla tasca una fotografia e gliela passava. Il receptionist la fissò e scosse il capo. “Mi spiace, ma non li ho mai visti.”
“Ne è proprio sicuro? Perché forse se …”
“Grazie mille e scusi per il disturbo.” la interruppe Severus, prendendola delicatamente per il gomito e trascinandola verso le scale. “Ma che fai?” sbottò Hermione, divincolandosi non appena furono usciti dal campo visivo del dipendente. “Ti evito una figura imbarazzante ed una visita della polizia! Cosa penseresti se un’ospite che ha prenotato su internet si presentasse qui chiedendoti insistentemente di due sconosciuti? E sii onesta!” la frenò prima che questa potesse replicare. Hermione sbuffò, passandosi una mano sul viso. “Sì, hai ragione, è vero, ma … sono solo un po’ tesa, scusa, non ragiono molto! È solo che … come faremo a trovarli se non chiediamo in giro? Honfleur non è propriamente deserta …”
“Hermione.” la bloccò Severus, prendendola per le spalle. “Basta. Non preoccuparti: li troveremo. Bisogna solo chiedere alle persone giuste.”
“Ma quali sarebbero?”
“Persone come noi, che non si stupirebbero al sentir parlare di obliviare babbani …”
“E dove li troviamo?”
“Non conosci la famiglia di Fleur, scusa?”
“Ma solo di vista e non posso assolutamente presentarmi senza preavviso!”
“Vorrà dire che cercheremo qualcun altro! Ora però andiamo prima che quel concierge s’insospettisca veramente e mi veda costretto a confonderlo …”
Hermione gli rivolse un’occhiataccia. “Non osare!” esclamò. “Ecco, appunto, se non vuoi che osi, cammina!” bofonchiò, spingendola lungo le buie scale dell’hotel.
Il corridoio del piano superiore, contrariamente e come sembrava da fuori e poco coerentemente con il nome, era estremamente buio, con poche finestre sbarrate ed aguzze, tanto che Hermione rischiò più volte d’inciampare. “Tonks si è forse reincarnata in te all’improvviso?” ghignò Severus quando, finalmente, raggiunsero la loro stanza. “Nient’affatto.” ribatté l’altra. “Solo … questo posto è tetro!”
“Io lo trovo gradevole.”
“Perché anche tu sei tetro.” rispose lei, godendosi le occhiatacce di Piton mentre entrava nella camera.
Piccola e sui toni del bianco e del blu, fortunatamente, era più luminosa del resto della struttura e, almeno all’apparenza, pulita ed ordinata. Hermione contava comunque di restarvi il minimo indispensabile …
Con un sospiro, andò alla finestra, ammirando Honfleur appena sveglia: in un altro frangente, sarebbe stata davvero una bella località di villeggiatura …
“La fotografia dei tuoi è recente?” domandò Severus, spiazzandola. Si volse a fissarlo, sorprendendolo a guardare ogni angolo della stanza con precisione maniacale. “Risale al loro ultimo anniversario prima della battaglia.” annuì, estraendola dalla tasca e passandogliela. Piton la fissò come a chiedere il permesso prima di prenderla ed osservarla attentamente per qualche secondo. “Assomigli molto a tua madre.” constatò seccamente. “Alcuni pensano che assomigli più a papà, invece.” sorrise tristemente Hermione. “Io non saprei …”
“Concentrandosi su di loro singolarmente, mostri evidenti somiglianze con entrambi, ma, considerandoli assieme, risulta più evidente la tua similarità con tua madre.” spiegò lui, quasi stesse tenendo una lezione sulla radice di aconito. “Vedi il colore dei capelli, la forma del viso e del naso, il sorriso? Da tuo padre hai preso gli occhi ed i ricci. Caratterialmente non posso pronunciarmi.”
“Somiglio a mamma.” dichiarò lei con sicurezza. “Papà è divertente, ciarliero e bonaccione, mamma molto intransigente con se stessa, testarda, determinata, assetata di cultura ed ossessionata dalla paura di non essere abbastanza preparata.”
“La tua copia in versione matura, dunque … anche se la parlantina devi averla presa da tuo padre, suppongo!”
“Sono davvero un libro così aperto per te?” sorrise lei. “Sono solo bravo a capire le persone, Hermione …”
“Certo, lo so.”
“A proposito di capire … la legilimanzia …” iniziò Severus. “Lo so, dobbiamo farlo, solo … non potremmo aspettare che i miei stiano bene?” sospirò Hermione. “Ho già troppe cose per la testa!”
“Gli incubi non mi sembrano una cosa secondaria …”
“Non ho mai detto che lo siano, solo che vorrei aspettare qualche giorno: non sono qualcosa di così urgente da non poter attendere una settimana, non credi? Probabilmente sono solo sogni! Non li ho nemmeno avuti, ieri notte!”
“Non che tu abbia dormito molto, continuavi a rigirarti e mugugnare ...”
“E tu a fissarmi.” sorrise lei, trionfante, al vederlo sgranare gli occhi per l’imbarazzo. 
Approfittando del momento, Hermione si diresse trionfante verso il comodino e frugò nel cassetto sino a trovare quello che cercava, iniziando a sfogliarlo freneticamente. “Che cos’è?” domandò Piton, alzando un sopracciglio. “Un elenco telefonico.” rispose lei, laconica. “Se i miei lavorano o hanno un’attività qui, avranno certamente un numero … così non dovremo chiedere a nessuno di aiutarci! A nome ‘Granger’ non c’è niente, però! Neanche nelle vicinanze …” sbuffò subito dopo, richiudendo il librone con un tonfo di stizza. “Hai provato con altri cognomi? Quello di tua madre o della madre di tuo padre?” suggerì Severus. “Non ci avevo pensato …” annuì lei, riprendendo a cercare. “Ma perché dovrebbero aver usato un altro cognome? Non ha senso!”
“Ne ha, se pensi alle mille sfaccettature della memoria … è imprevedibile ed altrettanto lo è chi ne perde un pezzo, per quanto all’apparenza piccolo.”
“Trovati!” esclamò Hermione, sorridendo, entusiasta ed emozionata. “Robert e Jean Chase … credo che questo voglia dire ‘dentisti’ … c’è un indirizzo, possiamo andarci subito …”
“Senza fretta …” la frenò Severus, facendola ripiombare a sedere. “So che vuoi vederli, ma a quest’ora saranno chiusi e durante il giorno avranno degli appuntamenti ... l’ideale è l’orario di chiusura, è meno affollato e loro sono più rilassati e propensi ad ascoltare, statisticamente.”
“Ti interessano le statistiche degli studi dentistici?”
“No, ma mi interessano le statistiche della psiche umana, Hermione ...”
“E cosa dovremmo fare nell’attesa, sentiamo?” sbuffò, lei, incrociando le braccia al petto, innervosita ed irritata da come aveva liquidato il suo entusiasmo. “Oh, avrei qualche idea …” ghignò lui, facendola arrossire. “Ma credo che fare colazione potrebbe essere un ottimo inizio per permetterti di calmarti e riacquistare un po’ di lucidità …”
“Come faccio ad essere imperturbabile? Si sta pur sempre parlando dei miei genitori!”
“Appunto, sei eccessivamente coinvolta, un po’ di zucchero aiuterà il tuo cervello a riprendersi, su!” la bloccò il Serpeverde, prendendola per il gomito e praticandola praticamente a forza fuori dalla stanza tra gli sbuffi ed i mugugni della strega. “Conosco un posto che ti piacerà …” sospirò Severus mentre uscivano dall’albergo sotto lo sguardo perplesso del concierge. “In Normandia?” domandò Hermione, sistemandosi meglio la borsa in spalla ed osservando affascinata la città che si svegliava ed iniziava a vivere, spalancando balconi, finestre ed affacciandosi su un altro giorno. “Ti stupisce forse che le mie conoscenze si estendano fuori dall’Inghilterra?” ghignò Piton. “No, affatto … solo, non pensavo fossi tipo da Francia. Troppo sdolcinata per te!”
“Ed in effetti è così.”
“Allora come conosci Honfleur?”
“Ho viaggiato molto vent’anni fa, te l’ho detto.”
“Non mi hai detto molto del perché, però!” constatò Hermione, quasi timorosa di ascoltare la risposta. “Sei davvero sicura di volerlo sapere?” mormorò Severus. La Grifondoro annuì, convinta. “In tal caso … sono stato in missione praticamente ovunque, prima per conto dell’Oscuro Signore, poi di Silente. Per il primo ero incaricato di reperire manufatti oscuri, scoprire traditori e nuovi incantesimi, per il secondo di scovare ex Mangiamorte e portarli in Inghilterra …”
“Era pericoloso in entrambi i casi!”
“Non c’era nessuno a cui sarebbe importato se non fossi tornato ed a me andava bene così, in fondo ...”
Hermione sentì una fitta a quella frase. “Ma ci sarebbe stato, un giorno …” aggiunse, quasi sottovoce. “All’epoca non lo credevo … fatico a crederlo anche adesso.” le rispose in poco più di un sussurro Severus. “Ad ogni modo, non amo molto i viaggi: ogni volta non vedevo l’ora di tornare a casa …”
“Lo immaginavo …” sorrise Hermione. “Nemmeno a me piacciono molto … mi piace scoprire cose nuove, per carità, ma amo la tranquillità di una casa, di un caminetto acceso e di un buon libro!”
“Non me n’ero accorto …”
“Ma si può sapere perché devi essere sempre acido?” sbuffò lei, ottenendo solo di farlo ghignare ancor di più mentre lo seguiva in una via secondaria oscurata dagli alti edifici che la contornavano. “Eri sempre da solo in quei viaggi?” chiese Hermione, sempre più curiosa di sapere altro su Severus: notoriamente, non era uno che amava parlare di sé. Poteva ritenersi una privilegiata …
“Non ti hanno spiegato che è maleducato ficcanasare negli affari degli altri?” la riprese con aria quasi annoiata Piton. “Non sei uno dei tanti ed io non sono come gli altri: l’hai detto tu. Vuoi sapere anche quando, per esattezza?”
Severus alzò gli occhi al cielo, sbuffando, stizzito. Hermione giurò di averlo sentito mormorare qualcosa contro i Grifondoro, ma lo ignorò. “Il più delle volte. A volte con me venivano Lucius o Regulus …” rispose mollemente. “Eravate davvero amici?”
“Non so se si possa definire un’amicizia: eravamo colleghi e parlavamo. Condividevamo molte vedute. Ed una certa propensione ad insultare quel cane rognoso di suo fratello …”
“Oh, lo immagino. Ti è dispiaciuto quando è morto?”
Severus esitò per qualche istante prima di rispondere, cauto. “Era normale: all’epoca, era più probabile morire in battaglia che sopravvivere. Pensammo che fosse semplicemente stato scoperto …”
“Non sapevi del medaglione?”
“Naturalmente no.”
“L’avresti aiutato?”
“Francamente, ti pare che possa rispondere a questa domanda dopo che sono passati vent’anni?”
“Saprai com’eri a vent’anni, no?”
“Te l’ho mai detto che sei petulante ed irritante?”
“Continuamente, ma so che non lo pensi davvero. Dunque?”
Severus si bloccò, alzando gli occhi al cielo per voltarsi verso di lei. “Sì, contenta adesso? Non ho mai creduto particolarmente in quello che facevo … era più senso di appartenenza ed odio verso mio padre che reale ideologia!”
Hermione lo fissò, immobile, per qualche istante prima di annuire. “Grazie di avermelo detto.” asserì, riprendendo a camminare lentamente. Piton la osservò, sconcertato, prima di scuotere il capo e seguirla. “Dove stiamo andando, esattamente?” domandò lei. “In un posto.”
“Fin qui ci potevo arrivare anche da sola …”
“Per una volta, non dire niente e fidati di me, Granger!” sbuffò, trascinandola verso una porticina verde apparentemente abbandonata sulla destra che si aprì con un gesto della bacchetta e richiudendola subito alle loro spalle.
Il locale in cui Hermione si ritrovò la lasciò talmente sconvolta da non darle il tempo di rimproverare Severus per i suoi pessimi modi: circolare, aveva pareti di vetro che riflettevano l’intero ambiente, facendolo sembrare molto più grande ed alte piante fatte di swarovski colorati danzati. I tavoli in cristallo avevano teiere che servivano da sole tè, caffè, torte e biscottini, mentre, sul soffitto, lampadari luccicanti a forma di fiore si schiudevano, gettando luci colorate sulla mobilia in legno d’acero. Dietro un alto bancone a forma di cigno, un ometto basso e grassoccio non faceva che dare ordini ad una giovane in camicetta dai capelli biondi alle spalle ed una sbarazzina frangia lunga che le ricadeva ai lati del viso. Vedendo i due clienti, nessuno dei due si degnò di salutare o scomporsi.
“È un locale da ballo notturno, per la maggiore.” spiegò Severus, facendo cenno ad un’affascinata Hermione di sedersi. “Hanno appena trasformato i tavoli per la colazione. È sempre stato famoso per avere un proprietario alcolizzato e dispotico ed a quanto vedo non è cambiato … ma non si mangia male.”
La Grifondoro si volse a fissare la giovane cameriera sbuffare mentre raccoglieva senza magia delle bottiglie da terra e lanciava un’occhiataccia al gestore che le gridava addosso chissà cosa. Solo quando ebbe terminato, si avvicinò loro con un sonoro sbuffo. “Che vi porto?” chiese in francese. Prima ancora che potessero rispondere, però, sgranò gli occhi verdi e fissò intensamente Severus. “Aspetta … ma io ti conosco! Eri quel mago inglese che veniva sempre qui e si ubriacava fino ad addormentarsi … piangevi per quella … com’era? Milly?” domandò in un inglese dal forte accento francese. “Lily.” sussurrò Hermione inavvertitamente, sentendo l’oramai familiare fitta della gelosia allo stomaco. “Sì, Lily, esatto!” annuì la donna. “Me lo ricordo bene, era il mio primo giorno di lavoro … mi hai fatto pena seduto là, con quel whisky incendiario …”
“E tu chi saresti, di grazia?”
“Oh, di sicuro non mi riconosci!” rise lei. “All’epoca avevo i capelli corti ed azzurri. Mi sono calmata. Sybille de la Barre, piacere.”
“Hermione Granger e Severus Piton.” sorrise Hermione, stringendole la mano ed ignorando l’occhiataccia di Piton. “De la Barre come la famosa de la Barre bruciata sul rogo nel 1390?”
Oui, esatto, brava!” si complimentò Sybille, annuendo. “Dalla so-tutto-io di Hogwarts che c’era da aspettarsi, del resto?” ghignò Severus. “Sei una sua discendente?” sospirò la ragazza, ignorandolo nuovamente. “Diretta, sì: la mia è una delle maggiori famiglie purosangue francesi. Non me n’è mai importato niente di loro, però, così a diciotto anni sono scappata di casa e sono venuta a vivere a Honfleur … e da allora abito e lavoro qui. Anche se non mi spiacerebbe cambiare … non che ci siano molte opportunità, visto che non so fare praticamente niente: una formazione magica nel mondo babbano equivale al nulla, lo sapevate?”
“Una Sirius Black al femminile.” commentò Severus distrattamente. “Davvero ammirevole ...”
“Hai frequentato Beauxbatons?” chiese Hermione. “Sì, certo. Ero in Bellefeuille … coraggio, fedeltà, sensibilità ed amore per la natura. Nonché un bel verde che si abbinava ai miei occhi.”
“Chissà perché non mi sorprende …” sospirò Piton. “Saresti così gentile da portarci un caffè nero senza zucchero ed un cappuccino con una fetta di crostata all’albicocca? Ah, il cappuccino con due bustine di zucchero, se fosse possibile.”
“Certo, arrivo subito.” sorrise lei, sparendo dietro al bancone. “È gentile! Poverina, non è giusto che venga sfruttata in quel modo!” considerò Hermione. “Dopotutto, ha scelto lei di scappare di casa: avrebbe dovuto immaginare che i suoi non l’avrebbero certo mantenuta!”
“Sono pur sempre i suoi genitori!”
“Questo non significa automaticamente che l’amino!”
Hermione osservò il lampo di rabbia nello sguardo di Severus ed intuì immediatamente che si stesse riferendo al padre. Si chiese quanto dell’odio che aveva vissuto gli fosse rimasto dentro, mettendo radici come un cancro difficile da estirpare … forse quasi impossibile.
“Se avessi un figlio, non lo lascerei mai solo.” disse, semplicemente, sovrappensiero. “Non ne sarei capace … so che lo amerei a tal punto da anteporlo a qualunque cosa, persino a me stessa. So che verrebbe prima di tutto e di tutti e che soffrirei con lui per ogni cosa … e questo mi spaventa.”
“Per lei.”
Hermione lo fissò, dubbiosa. “Come?”
“Lei. Avrai una figlia: l’ha detto la banshee.”
“Anche tu con questa storia?”
“Le banshee hanno connessioni misteriose con il futuro: devi riconoscerlo, anche se disprezzi la divinazione.”
“In tal caso, mi chiedo solo chi sarà il padre ...” sorrise appena Hermione. “Sicuramente non io.”
Quelle parole la spiazzarono a tal punto che sentì chiaramente il suo respiro mozzarsi e le dita stringersi attorno al bracciolo della sedia. “Non saprei come fare: non ho avuto un grande esempio. E non ho intenzione di condannare un’altra creatura a sopportare la mia presenza. Senza contare che detesto i bambini e sono troppo vecchio.” bofonchiò a mo’ di spiegazione, lo sguardo basso ed infastidito dalla piega della conversazione. “Davvero? In quest’ultimo mese non mi è sembrato, sai?” quasi ghignò la Grifondoro.
Piton sgranò gli occhi, quasi sconvolto da quell’affermazione, ma Hermione non ebbe molto tempo per godersi il trionfo, dato che Sybille ritornò in quel momento con le ordinazioni. “Ecco qui, se avete bisogno, chiamate pure, io sono dietro a pulire … senza magia, naturalmente, quindi ci sarà un po’ di rumore!” sospirò, facendo volare verso di loro il vassoio con la colazione. “Buon proseguimento.” augurò prima di svanire sul retro.
“Come mai ti piaceva tanto questo locale?” chiese Hermione mentre piluccava distrattamente la sua crostata. “Perché c’erano duelli interessanti e la consumazione era di ottima qualità.” rispose seccamente Severus, trangugiando il suo caffè. “Secondo te … ecco, la formula funzionerà?” domandò dopo un po’ la giovane, dando voce ad un timore che le ribolliva nello stomaco da oramai ore e che non riusciva proprio a mandare giù. “Funziona, teoricamente.” le rispose dopo una lunga pausa il professore, fissandola con aria vagamente preoccupata. “Ma affinché operi al meglio è necessario che tu sia tranquilla e sicura di te, cosa che non mi sembra, francamente … di cos’hai paura, Hermione?”
“Di tutto.” confessò lei. “Ma soprattutto di come potrebbero reagire, sia fisicamente che mentalmente. Voglio dire, potrebbero svenire o peggio … e se funzionasse, come si comporteranno quando scopriranno quello che la loro unica figlia ha fatto?”
“Ti riterranno ancor più coraggiosa di quanto già non facessero.” la frenò Piton. “Quello che hai fatto è stavo forse avventato, ma anche un sacrificio non da poco. Se sono intelligenti come dici, lo capiranno.”
“E se … non dovessero accettare te?” sussurrò appena lei. “Ne abbiamo già parlato.” sospirò il Serpeverde, portandosi due dita al naso. “Non credo dovresti dirglielo subito.”
“Forse subito no, ma in questo viaggio sicuramente: non voglio mentire.”
“Potrebbero non capire, Hermione …”
“Lo so, ma non m’interessa: se mi amano, dovranno accettarlo.” esclamò, determinata e fiera come sempre. “Non credo serva dire che non lo faranno automaticamente …”
“Forse no, ma capiranno, con il tempo. Loro sono diversi …”
“Lo spero per te. A proposito, ti saluta Lupin.”
“Remus? Dove l’hai visto?”
“Ad Hogwarts: usciva dal plenilunio. Pare che frequenti alquanto assiduamente Mina …”
“Oh!” esclamò Hermione, incarcando le sopracciglia, curiosa. “Davvero?”
“Così mi ha detto.”
“E da quando siete amici?”
“Non lo siamo mai stati e non lo saremo mai.”
“Ma solo tra amici si parla di queste cose …” sorrise. “E, comunque, secondo me lui e Mina starebbero bene assieme … sono perfetti, si completano!”
Severus mugugnò qualcosa di incomprensibile che le fece alzare gli occhi al cielo e scuotere il capo. “Sei davvero la persona meno romantica che esista!”
“Lo sapevi, mi pare …”
“Certo e non mi aspettavo nulla di diverso … spero solo che non tutte le previsioni che faccio si avverino come questa …” sospirò, posando la tazzina e mordicchiandosi il labbro. Severus, intuendo il suo disagio, sospirò e le strinse delicatamente la mano oltre il tavolo, facendole sgranare gli occhi per la sorpresa. “Andrà tutto bene.” mormorò. Hermione lo fissò, stranita, prima di guardare di sottecchi il proprietario al bancone. “Sai che ci sta guardando male?” sorrise appena. “Ma davvero? Allora diamogli qualcosa di davvero scandaloso da guardare …”
E, detto ciò, si chinò a baciarla.
֍֎֎
Lo studio dentistico dei Granger era esattamente ciò che si aspettava di trovare in uno studio dentistico: pareti immacolate, sedie acquamarina ed enormi figurine a forma di dente sorridente.
Hermione e Severus, seduti in sala d’aspetto, fissavano la porta in attesa che l’ultimo paziente uscisse oramai da un’ora, lui fingendo di osservare i giornali sul tavolino e lei picchiettando nervosamente la gamba sul pavimento. “Ma quanto ci mettono?” sospirò. “Il tempo necessario: è una carie.” le fece notare il mago, cogliendo il sobbalzò che fece la ragazza non appena il bambino uscì dalla porta assieme alla madre. “Andiamo, forza, non abbiamo molto tempo!” la esortò Hermione deglutì, il cuore in gola e le ginocchia tremolanti, seguendolo nella stanza.
Quando si ritrovò dinanzi alle figure dei suoi, quasi le mancò il fiato: non erano cambiati di una virgola. Impeccabili nei loro camici, stavano terminando di ripulire quando si accorsero di loro. “Mamma … papà …” sussurrò Hermione. “Come, prego?” domandò la donna, dubbiosa, lisciandosi il camice. “Hermione, forza …” la esortò Severus. La strega deglutì ed annuì, estraendo la bacchetta. “Confundus!” esclamò. Immediatamente, i due si bloccarono sul posto prima di vacillare e piombare a sedere dinanzi alla scrivania. “Ed ora la formula, su!”
“Sì, sì, un attimo …” sospirò la giovane, mentre, con mani tremanti, afferrava le dita dei suoi e, chiudendo gli occhi, iniziava a mormorare parole antiche ed appena sussurrate, ignorando le lacrime che le colavano lungo le guance per la paura. Quando ebbe finito, per qualche istante, non accadde nulla: Jean e Robert continuarono a fissarla con gli occhi sbarrati e l’espressione sconvolta. Dopo, però, caddero sulle sedie come bambole senza vita. Hermione schizzò in piedi. “No!” gridò, piangendo oramai senza controllo e tremando come una foglia. “Severus … Severus, fa’ qualcosa! Severus ti prego! Stanno male!” gemette, disperata. Piton, immobile accanto a lei, non poté che fissare i due corpi, impotente, rammentandosi, per l’ennesima volta, di tutte le persone che gli avevano detto: ‘Severus, ti prego’ e che lui non era riuscito a salvare ...




 
  





 



 

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Capitolo 24
*** Il Teschio di Cristallo ***


Capitolo Ventiquattresimo
Il Teschio di Cristallo

I sit here in a cold room
Praying, waitin' on you
To run back through that door
To the way it was before you left
It wasn't long enough
Together
But it was long enough
To last forever
(Forever, Rascal Flatts)
“Oh, tesoro … come hai potuto sopportare tutto questo da sola per così tanti anni?” esclamò Jean, angosciata, afferrando la mano della figlia e stringendola tra le proprie. “L’ho fatto per voi: non volevo che soffriste …” mormorò Hermione, inspirando a fondo mentre il padre la stringeva a sé per l’ennesima volta, dandole un bacio sulla fronte. “La mia bambina … sempre così forte e coraggiosa!”
Severus, dall’altro del tavolo, distolse educatamente lo sguardo, concentrandosi sulla zuppa di polpo che aveva ordinato. Il piccolo ristorantino nel centro di Honfleur in cui avevano deciso di pranzare dopo che i genitori di Hermione si erano ripresi dal contro incantesimo, a quell’ora, era gremito di clienti, perlopiù turisti, che quasi litigavano per accaparrarsi i tavoli con vista sul canale illuminato dal caldo sole di mezzogiorno. I Granger, al contrario, avevano optato per uno dei posti più interni ed ombreggiati, nascosto agli altri, così da poter parlare in pace con la figlia e quell’ombroso professore che si era portata dietro per restituire loro la memoria.
“Io … io avevo così paura che non mi rivoleste più, che foste arrabbiati: vi ho lasciati vagare soli e senza ricordi per il mondo …” deglutì Hermione, ancora ansiosa e tremante per quanto appena accaduto: per quella che si era rivelata una normale reazione allo shock di vedersi restituita la memoria, era quasi morta di paura.
“Ma come hai potuto anche solo pensarlo? Come potremmo non volerti più? Sei nostra figlia, a prescindere dal fatto che tu sia una strega e che non capiamo e forse non capiremo mai il tuo mondo! Per tutto questo tempo abbiamo sentito che mancava qualcosa, mentre viaggiavamo, ma non riuscivamo a capire cosa … adesso lo sappiamo!” le sorrise Jean. “Ci mancavi tu, tesoro. Ci sei mancata come l’aria!”
“Anche voi mi siete mancati immensamente!” sorrise la giovane, stringendo le mani di entrambi i genitori con un largo sorriso. “Ma cos’avete fatto in tutto questo tempo?”
“Oh, avevamo dei soldi da parte ed abbiamo deciso di spenderne alcuni facendo qualche viaggio: Australia, Brasile, Cina, Russia … poi ci hanno offerto di rilevare uno studio qui in prova per qualche mese ed abbiamo accettato … ora abbiamo quasi terminato e dovremo decidere se restare o tornare a Londra, ma credo che la risposta sia piuttosto ovvia, avendoti ritrovata …” raccontò Robert. “Ma dicci di te, piuttosto: cosa fai? Avrai terminato la scuola, immagino! Dove abiti ora? Ed hai dato una chance a quel bravo ragazzo, Ron?”
A quelle parole, Severus, che aveva tenuto la testa china sul piatto, totalmente escluso dalla conversazione, alzò brevemente gli occhi, cercando di darsi un contegno per evitare che trasparisse la sua evidente gelosia.
“Ho terminato, sì: ora lavoro al Ghirigoro, una libreria magica, già da due anni e mezzo. È un posto magnifico e credo che sia esattamente ciò che fa per me!” raccontò Hermione. “Al momento, vivo al Paiolo Magico, ho una stanza in affitto. In quanto a Ron … beh, si è sposato con Lavanda, ti ricordi di lei, no, mamma? Hanno una bambina.”
“Oh, tesoro, mi spiace!” esclamò Robert. Piton sospirò: evidentemente, Hermione doveva aver preso da lui la mania di far sempre sapere quello che pensava, non stava zitto un attimo …
“Ma allora chi è il fortunato che sta con te? Harry, forse? Mi è sempre piaciuto di più di Ron!”
“Robert, forse sono affari di Hermione, non credi?” sospirò Jean. “Ma siamo i suoi, cara, dovremo pur saperlo …”
“Non è Harry.” rispose la giovane, sforzandosi di sorridere. “Non lo conoscete … ma ve lo presenterò a tempo debito: è molto impegnato, sapete ...” concluse, liquidando la questione con un cenno sbrigativo. Severus non poté evitare di sentirsi sollevato: per una volta, Hermione era stata ragionevole e gli aveva dato retta. Un autentico miracolo, avrebbe dovuto segnarlo nel calendario!
“Ah, questi giovani: non capiscono nulla di questioni di cuore, dico bene, professor Piton?” rise Robert. Il Serpeverde annuì debolmente al sorridente dentista. “E chi ne capisce, del resto?” commentò gelidamente. “Beh, con l’esperienza si arriva a comprendere meglio tutto! Lei insegna pozioni, vero, cambiando argomento? Hermione ci parlava di lei quando studiava: diceva che era un vero bastardo, antipatico come pochi, ma molto competente e colto!”
La Grifondoro si ritrovò a tossicchiare, imbarazzata, mentre diventava letteralmente di tutti i colori e Severus le lanciava un’occhiata quasi divertita. “Ma davvero? Certo, non che si possa dire che vostra figlia fosse altrettanto tranquilla … solo al primo anno e lei e quei due disastri ambulanti dei suoi amici hanno distrutto mezza scuola, veda Lei …” replicò, soddisfatto. “Oh, il troll, sì, ce l’ha detto!” annuì Robert, entusiasta. “L’unica cosa che mi lascia perplesso è che mi pareva che non andaste particolarmente d’accordo e Lei fosse addirittura responsabile di azioni poco, diciamo … corrette … come mai l’ha accompagnata Lei qui?”
“Robert, santo cielo, non potresti semplicemente farti gli affari tuoi, per una volta?” sospirò Jean, esasperata. “Ma è mio diritto sapere, dannazione!”
“Il professor Piton …” li interruppe educatamente Hermione. “Si è rivelato una spia per conto di Silente nelle file di Voldemort: è stato mal giudicato da tutti per anni, ma dopo la battaglia, in cui è stato gravemente ferito, il suo nome è stato riabilitato, come merita. Ha ripreso il suo incarico ed attualmente è uno dei maghi più competenti dell’Inghilterra, oltre che un assiduo cliente della libreria dove lavoro. È così che ci siamo rivisti ed abbiamo iniziato a parlare molto … ed ha accettato di aiutarmi a trovarvi e restituirvi la memoria. Non avrei saputo come fare, senza di lui.”
“Oh, non lo immaginavo!” esclamò Robert. “In tal caso, un grazie è doveroso, professore.”
“Dovere.” annuì questi, visibilmente a disagio, fissando il proprio piatto alla ricerca di qualche aiuto in quel vicolo cieco da cui sembrava non sapere come uscire indenne.
“No, è stato gentile e dare retta ad Hermione … sa essere così testarda, lo sarà stata anche nel volerci trovare! Ma per amore si farebbe qualunque cosa, del resto e credo che la nostra bambina ci ami, insomma!” proseguì imperterrito il signor Granger. “Lei lo saprà sicuramente professore! I suoi figli non farebbero di tutto per lei e viceversa?”
Hermione sospirò, portandosi una mano al volto: la conversazione stava prendendo decisamente una pessima piega. “Non ho figli, signor Granger.” rispose piccato Severus. “E Le posso garantire che, a dispetto di quello che dice vostra figlia, ben poche persone si sacrificherebbero per me … e viceversa.”
“Oh, beh, c’è ancora un po’ tempo, per Lei! Ma non ne ha mai parlato con sua moglie o la sua fidanzata?”
“Robert …” lo salvò in extremis Jean, sgranando gli occhi. “Credo che il professor Piton non sia venuto qui tanto per conversare con noi, quanto per fare una cortesia ad Hermione … contieniti, su! Lo scusi, professore, è così … indisciplinato!” sospirò mentre il marito borbottava qualcosa e la figlia ridacchiava. “Ma avrà notato che Hermione ha preso da lui la testardaggine e la lingua, se era sua alunna!”
“Oh, certo che l’ho notato … aveva una spiccata propensione all’esposizione, nei suoi primi anni di scuola!” ghignò Severus mentre la Grifondoro gli rivolgeva uno sguardo truce, martoriando malamente il suo riso con veraci forchettate. “Sì, esatto!” annuì la signor Granger. “Ha fatto un’analisi perfetta, davvero! E spero potremo constatarlo nuovamente di persona, ora che l’abbiamo ritrovata …”
“Tornerete in Inghilterra, ora?” si azzardò a domandare Piton. “Oh, non ne abbiamo parlato, a dire il vero!” constatò Robert. “Ma qui non abbiamo un’attività ben avviata … potremmo pur sempre tornare! Sicuramente, vogliamo starle vicino il più possibile … il che non significa precluderti l’appartenenza al tuo mondo, tesoro: è giusto che tu abiti vicino al lavoro, per conto tuo, se ti è più comodo … ma dobbiamo vederti e spere che stai bene.”
“Non credo che dobbiamo discuterne adesso, papà. Ma sapere che tornerete a Londra non può che farmi felice … vorrei vedervi … beh, sempre, ora che siete di nuovo con me!” sorrise debolmente Hermione. “Ma basta parlare di queste questioni tediose!” annunciò Robert, facendo nuovamente alzare gli occhi al cielo alla moglie. “Raccontaci di questo fidanzato, Hermione, su!”
“Oh, lui … lui lavora ad Hogwarts!” arrossì la Grifondoro, ficcando le mani sotto il tavolo. “Ed è … elegante, arguto, intelligente … fatica a mostrare le sue emozioni ed ha la tendenza a sminuirsi nelle questioni personali, però: è tanto sicuro nella vita professionale quanto è insicuro in quella di cuore …”
Severus si portò le dita alla base del naso ancora dolorante, pregando ogni santo conosciuto affinché non arrossisse dall’imbarazzo di quella situazione indecente ...
“Un tipo strano!” commentò Robert, aggrottando le sopracciglia. “Un tipo adatto a te, tesoro …” asserì invece Jean. “Ti ho sempre detto che ti ci sarebbe voluto qualcuno del genere …”
“Lo so, mamma ed avevi ragione, infatti!” sorrise la ragazza. “Sì, ma … insomma, che abbia queste paturnie non è un bene … non crede, professore? Hermione dovrebbe essere serena, felice e brillare accanto ad un classico bravo ragazzo!”
“Personalmente, ritengo che la felicità di vostra figlia sia la cosa più importante. E se a lei sta bene così, dovreste semplicemente prenderne atto …” replicò, asciutto, allontanando il piatto, stizzito: la conversazione stava decisamente prendendo una pessima piega. “Infatti, motivo per cui non dovresti intrometterti, Robert …” sottolineò la signora Granger. “Mi intrometto invece, è la mia bambina!”
“Papà, non sono più una bambina …” sospirò Hermione. “No, perdio, no, ma … beh, potresti esserti sentita sola ed aver compiuto scelte affrettate, ultimamente! La solitudine fa fare cose impensabili … così, invece di sfruttare appieno le tue capacità, hai scelto di fare la commessa e ti sei sentita attratta da un ragazzo che forse non è il massimo a cui puoi ambire! Dico solo che …”
“Papà, mi conosci!” replicò Hermione, sgranando gli occhi, ferita. “Sai bene che non faccio quasi mai scelte avventate: ho voluto quel lavoro perché mi piace e sto con quest’uomo perché lo amo, non in base a ciò che potrebbe offrirmi!”
“Sì, ma … aspetta, hai detto ‘uomo’?” parve realizzare improvvisamente il signor Granger, impallidendo e fissandola, gelido come una statua. “Sì, ho detto ‘uomo’ perché lo è.” sospirò Hermione. “E … e quanti anni ha? Trenta?”
“Robert, dobbiamo proprio parlarne adesso?” gemette Jean, lanciando un’occhiata disperata a Severus, il quale la ricambiò, impassibile. “Sì, dobbiamo, Jean, perché vorrei chiarire questa cosa subito dal momento che ne dipende il futuro di nostra figlia …”
“Ne ha quaranta.” deglutì Hermione, scandendo ogni parola con rabbia. “Hermione …” cercò di bloccarla Severus con un breve avvertimento. “No, ‘Hermione’ un corno!” sbottò lei, posando energicamente la forchetta. “Non posso sempre sentirmi dire da tutti cosa devo o non devo fare … non è colpa tua, papà e nemmeno tua, Severus, ma è da due anni che tutti mi dicono cosa dovrei fare della mia vita, che lavoro dovrei svolgere, addirittura di chi mi dovrei innamorare, ma tutti sembrano essersi scordati che questa è la mia vita! E se preferisco fare la libraia all’impiegata ed amo un uomo più grande di me di vent’anni è un problema esclusivamente mio!” sbottò, rivolgendo un’occhiata esasperata all’uomo seduto accanto a lei, che ricambiò con uno sguardo di disapprovazione che sembrava gridare ‘te l’avevo detto’.
Non a caso, dopo appena pochi secondi dall’esplosione di Hermione, Robert Granger balbettò a fatica: “Ma … ma aspetta, scusa, tesoro: come … come mai passi da ‘professor Piton’ a … ‘Severus’? Per non parlare di che nome è Severus …”
“Robert …” l’ammonì per la milionesima volta Jean, stavolta più debolmente. “Forse non …”
“Non voglio discutere: vorrei solo capire! Età e descrizione del professore qui in questione corrispondono a quanto ci ha detto Hermione …” mormorò, fissando la figlia, sconvolto. “Perché corrispondono, Hermione?”
La giovane lanciò una breve occhiata a Severus, che evitava accuratamente il suo sguardo: dopotutto, spettava a lei decidere se dir loro tutto o negare. Ed era sempre stata chiara su cosa intendeva fare … “Corrispondono perché è lui.” deglutì a voce bassissima, senza, tuttavia, chinare il capo: dopotutto, non aveva nulla di cui vergognarsi. “Ma … ma co-co-come …” biascicò Robert, sempre più somigliante ad una gallina che ad un dentista. “Robert!” esclamò Jean. “Non dare spettacolo, ti prego!”
Tu lo sapevi?” accusò lui rivolto alla moglie, sconvolto. “E come? Non me l’ha detto Hermione ...” sospirò Jean, osservando i due dall’altro lato del tavolo. “Ma l’avevo intuito …”
“E da cosa, sentiamo?”
“Da come si guardano: è piuttosto evidente, per quanto tentino disperatamente di nasconderlo.”
Severus alzò lo sguardo, incontrando quello sicuro della signora Granger e capì improvvisamente da chi avesse preso tanta perspicacia ed acutezza Hermione.
“Sì, ma … Dio, voglio sperare, professore, che la cosa non sia iniziata ad Hogwarts …” sospirò Robert, tracannando il suo vino. “Assolutamente no!” replicò l’altro, offeso. “Non è mai accaduto niente di sconveniente con nessuna delle mie studentesse e sottolineo ‘mai’. Con Hermione è … è capitato in libreria, dopo, mentre collaboravamo per una ricerca.” spiegò, suo malgrado. “E posso grantirLe che ho tentato in ogni modo di allontanarla … ma non è stato possibile.” deglutì, sentendosi una preda esposta come poche volte gli era capitato. “Senza Hermione sarei sprofondato nella disperazione più totale in cui già affogavo … non sarei qui, se non fosse per vostra figlia. Non pensavo di innamorarmi di nuovo, francamente e so bene di non essere esattamente il meglio per lei, ma …”
“Ecco, ha centrato il punto, professore!” esclamò Robert, stroncando sul nascere qualunque sua possibile spiegazione. “Lei non è il meglio per mia figlia …”
“Papà …” intervenne Hermione. “No, tesoro: sei stata molto stressata quest’anno, hai fatto un errore di valutazione, tutto qui. Ma si può rimediare … voglio sperare che la vostra sia un’infatuazione di una giovane confusa per un uomo più grande ed altrettanto confuso … e niente più. Saprete benissimo che non ci potrà essere nient’altro!”
“Non sei tu a doverlo stabilire!” esclamò la giovane, sconvolta. “Non sono io, Hermione? Ti rendi conto che quando tu vorrai dei figli lui sarà già vecchio? Che non potrete mai essere pari? Per non parlare dei problemi di anaffettività che ha, a quanto dici …”
“Robert, devono vedersela loro!” esclamò Jean. “Per quanto debba dire di avere io stessa qualche perplessità, com’è naturale, è Hermione a dover decidere, non tu!”
“Ma …”
“Ma niente!”
“Non dirmi che vivi con lui!” riprese Robert, come sconvolto da quel pensiero. Hermione deglutì, ferita e si appoggiò allo schienale. “Vuoi la verità, papà? Praticamente sì!”
“Cosa?”
“Sua figlia è perfettamente in grado di intendere e di volere …” sottolineò Severus. “Ma come si permette di dire a me cosa pensare, con quello che le ha fatto? No, Hermione, ora ce ne torniamo tutti a Londra e tu vieni con noi, bisogna troncare sul nascere questa cosa malata …”
“No!” esclamò lei, schizzando in piedi ed attirando gli sguardi dell’intero locale. “Non se ne parla, papà! E mi dispiace dirlo, ma credevo fossi più intelligente di come ti stai mostrando: hai passato anni ad insegnarmi a non giudicare ed ora sei il primo a farlo ed in maniera totalmente meschina?”
“Tesoro …” cercò di mediare Jean, sospirando. “No, mamma, mi hai delusa anche tu che glielo lasci fare …” si scostò Hermione. “Nessuno pensa a ciò che voglio io, nemmeno voi … e per quanto mi riguarda, dovrete accettare Severus! Non ho intenzione di rinunciare a lui …”
“Ma sicuro, allora rinuncia pure a noi, tanto … l’hai già fatto per anni, senza pensare a cos’avremmo avuto da dire!” sbottò Robert, furioso. Hermione aprì la bocca per replicare, ma non ne uscì alcun suono. Si guardò attorno, spaesata e gli occhi lucidi prima di voltarsi ed uscire dal locale sotto lo sguardo stupito di tutti. Severus scambiò appena un’occhiata con Jean, pallida come un cencio, che annuì. “Vada da lei … per favore …” mormorò. “E si ricordi …” tuonò Robert mentre si alzava, rivolgendogli uno sguardo carico d’odio che forse solo James Potter sarebbe riuscito a battere. “Se davvero la ama, deve fare ciò che è meglio per lei.”
“Temo che solo Hermione possa decidere cosa sia meglio per se stessa, signor Granger …” ribatté, sicuro, Severus prima di uscire dal locale.
Una volta fuori, espirò, frustrato e, forse per la prima volta in vita sua, davvero spaventato: che cos’avrebbe dovuto fare, a quel punto? Dire ad Hermione di rinunciare ai suoi genitori, alle persone che più amava al mondo, per stare con lui, che l’avrebbe allontanata da tutti? Sarebbe arrivata ad odiarlo …
L’unica scelta ragionevole sarebbe stata lasciarla, ma la sola idea lo atterriva a tal punto da lasciarlo completamente senza aria nei polmoni. Con un sospiro, si appoggiò al parapetto, passandosi una mano sul volto: aveva bisogno di tempo. Doveva riflettere, trovare un compromesso … era un Serpeverde, l’astuzia era una sua qualità, dopotutto. Ma allora perché dannazione non gli veniva in mente nulla? L’unica cosa di cui era certo era che non poteva perderla: ne sarebbe morto sul serio, questa volta.
“Professor Piton …” mormorò una voce esitante alle sue spalle. Si volse, una mano già sulla bacchetta per un riflesso automatico dei suoi anni da spia, rilassandosi nel vedere Jean Granger, gli occhi enormi e tristi, in piedi con i pugni serrati. “Signora Granger … se vuole insultarmi ulteriormente, Le dico subito che non credo ce ne sia bisogno: ho raggiunto la maturità sufficiente per capire quando non sono benvoluto.”
“Non la prenda sul personale …” lo frenò la donna, sospirando. “Mio marito è … avventato: si tratta pur sempre della sua bambina, lo capisco anche … ma la mamma è la mamma. Ed io ho sempre saputo che saremmo arrivati a questo punto: Hermione è …”
“È speciale.” completò Severus senza neanche rendersene conto. “Senza di lei probabilmente sarei l’ombra di ciò che sono. Non ho intenzione di separarmene …”
“Neanche io.” annuì Jean, soddisfatta. “E per questo sono sicura che potremmo trovare un accordo …”  
֎֍֎
Quando Severus rientrò in camera, trovò Hermione seduta sul bordo del letto, lo sguardo fisso alla parete, gli occhi arrossati dal pianto e l’aria stravolta. “Tu me l’avevi detto.” mormorò senza guardarlo. “Avrei dovuto ascoltarti, mi dispiace: sono stata una sconsiderata.”
“È a me che dispiace.” sospirò Severus, deglutendo a fondo: si sentiva come se la sua gola fosse ricoperta da mille spilli ed il cuore gli stesse sanguinando nel petto all’idea che lei stesse così a causa sua. “E credo che siamo arrivati a ciò che temevo …” aggiunse. Hermione si volse a guardarlo, dubbiosa. “Che intendi?”
“Non sei stupida, Hermione: hai capito benissimo.”
Un gelido silenzio calò sulla camera, rotto solo qualche secondo dopo dalla Grifondoro che, deglutendo, sussurrò: “Mi stai lasciando, non è così?”
“No.” specificò Severus, sentendosi esposto e sofferente come mai lo era stato prima d’ora: reggere il corpo morto di Lily, in confronto a ciò che stava per fare, era stato fin troppo indolore. “Ma devi guardare in faccia la realtà: i tuoi non ti accetteranno più, se resterai con me … e non puoi rinunciare a loro, siamo onesti …”
“Dunque dovrei rinunciare a te …” rise lei, amara. “Non ti è mai saltato per la mente che semplicemente potrei non volerlo fare? Che sarei disposta a sacrificare tutto per te?”
“Lasciamo finire, Hermione!” scandì il Serpeverde, mostrando una sicurezza invidiabile, per quanto stesse letteralmente morendo dentro. “Sei giovane: loro sono la tua famiglia, ti vogliono bene come nessun altro e non potresti sopportare di stare senza di loro, non sapendo che sai dove si trovano e che sanno chi sei … finiresti per odiarmi, con il tempo, per averti allontanata da tutti …”
Hermione lo fissò in silenzio per qualche istante prima di alzarsi: tremante e gracile com’era, sembrava tremendamente fragile. “Sono stata un passatempo per te, dunque? Mi hai solo usata? O ti sei semplicemente reso conto di non amarmi quanto lei? O non ero abbastanza brava?” soffiò, arrabbiata e ferita. “Lily non c’entra niente …” ringhiò Severus, offeso da quell’insinuazione. “E credevo di averti dimostrato perfettamente cosa sentissi e provassi …”
“Se davvero tu l’avessi dimenticata ed avessi deciso di ricominciare con me, perché mi ami, allora non ti importerebbe di quello che pensano i miei o James e Lily! Ed invece ti appelli ad ogni minimo parere dissenziente per trovare una scusa per lasciarmi!” sbottò lei, mentre le lacrime le rigavano le guance arrossate per l’ira e la tristezza. “Hai ancora la sua foto e la firma, vero? Figurarsi se riusciresti mai a buttarle! E le cose che le hai detto … solo bugie, vero? Dovevi interpretare una parte, di nuovo! Mi chiedo se ci sia ancora qualcosa del vero Severus, sotto le maschere che ti metti …”
“Hermione …” sibilò il Serpeverde, mettendo le mani avanti. “Lasciami finire …”
“No, invece: aveva ragione Harry a dirti che sei un codardo!” gridò lei. “Continui a fuggire senza neanche sapere cosa vuoi, ossessionato da questa scemenza delle tue ombre e del tuo passato … ma sono solo scuse! La verità è che hai paura di legarti a qualcuno, hai paura di scoprire che puoi vivere semplicemente perché non ne sei capace! Tu sei morto in quella stupida stamberga, era quello che volevi davvero … se avessi un briciolo di dignità, a quest’ora staresti parlando con i miei per trovare una soluzione, invece di lasciarmi!”
“E non credi che sia questo che sto cercando di dirti da quando sono entrato?” ribatté lui, assottigliando gli occhi. Hermione tacque all’improvviso, sbattendo le palpebre. Dopo appena qualche secondo, si ritrovò ad arrossire. “Oh!” mormorò. “Ah.” ribatté Severus, sbuffando. “Come al solito, però, la tua tracotanza oscura completamente le tue capacità intellettive, portandoti a formulare ipotesi del tutto avventate e sconclusionate … davvero credi che ti avrei usata e che potrei lasciarti così, su due piedi, dopo aver preso tutti quegli insulti dai Potter?”
“Ma … ma allora cos’hai intenzione di fare? Perché quello che hai detto sui miei è vero … certo, avresti potuto essere meno drammatico e catastrofico …” sospirò. “Sono solo realista. E, comunque, la soluzione migliore è che tu torni a Londra con i tuoi fingendo di avermi lasciato, dicendo, soprattutto a tuo padre, che hai compreso che loro sono più importanti di ogni altra cosa …”
“Equivarrebbe a mentire.” sospirò lei. “E non so se voglio farlo per sempre …”
“Non ti sto dicendo questo, solo di lasciare che si calmino le acque prima di riproporre la questione a tuo padre … so che non ti entusiasma l’idea di fingere, ma è l’unico modo per restare con loro e con me al tempo stesso.”
La giovane lo fissò a lungo prima di deglutire. Sospirò ed annuì debolmente. “Va … va bene: vedrò di farmela andare giù … ma non sarà facile. Ed al più presto voglio dirgli la verità …”
“Ma non mi dire …” sogghignò l’uomo. “Per convincerlo basterebbe mostrargli la reazione isterica che hai avuto all’idea che potessi lasciarti …”
“Io …” arrossì Hermione, sospirando. “Eri così arrabbiato … si fa fatica a capire quando sei preoccupato e quando irritato, sai?”
“Non potrei mai lasciarti.” la interruppe Severus, fissandola con aria tremendamente seria. “Pensavo fosse chiaro.” sospirò, sfiorandole le guance con le dita. “Non sono bravo con le parole, Hermione, ma te lo dimostrerò ogni giorno … non riuscirei mai a fare a meno di te. Sarebbe come rinunciare all’aria dopo aver imparato a respirare …”
La Grifondoro sorrise, abbracciandolo di slancio ed inspirando a fondo il suo profumo sulla casacca. “Scusa.” mormorò. “Sono stata esagerata … è che ci sono state davvero troppe emozioni per me, oggi!”
“E ce ne saranno altrettante prossimamente …” annuì il professore, stringendola a sé. “Per ora, però, pensa a goderti i tuoi … noi ci vedremo più avanti, appena potrai allontanarti senza destare sospetti …”
“Hai parlato con mia madre, vero?”
“Sono così prevedibile?”
“Temo proprio di sì: non sei più il grande occulmante di un tempo, Severus …”
Piton la fissò negli occhi: un tempo, per un’affermazione del genere, si sarebbe infuriato ed avrebbe cruciato chiunque avesse osato parlare. Ma quel giorno, con Hermione fragile e tremolante tra le braccia ed il nero dei suoi occhi che affogava nel suo nocciola, non gli dispiaceva nemmeno poi così tanto …  
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Cokeworth, luglio
“Chi diamine scoccia a quest’ora?” bofonchiò Severus, avanzando pericolosamente verso la porta di Spinner’s End. Era sera e l’arancione del tramonto aveva tinto il cielo rosato, gettando lunghe ombre sulle vie deserte e scricchiolanti di Cokeworth. Severus Piton, che aveva da poco abbandonato le fresche mura di Hogwarts ed i penosi esami dei suoi alunni, si stava godendo una tranquilla serata leggendo un libro alla fioca luce del salotto quando un lieve bussare l’aveva disturbato, facendolo sbuffare come una locomotiva: quasi sicuramente era Minerva con qualche brillante idea o un curriculum da proporgli per cercare un sostituto per il brillante professor Eton.
Gli insulti, tuttavia, gli morirono in gola quando si ritrovò dinanzi Hermione con un leggero vestito bianco a fiori dalla gonna a ruota. “Se disturbo, me ne vado subito!” esclamò. “Non essere sciocca!” sbuffò lui, scostandosi per lasciarla passare e raddrizzandosi, in un gesto automatico, le maniche della camicia. La giovane sorrise ed entrò nella fresca penombra della vecchia casa mentre Severus chiudeva la porta. Prima che Hermione potesse dire qualunque cosa, il professore l’aveva già stretta a sé, sollevandola appena da terra per baciarla. “Un’accoglienza quantomeno calorosa, per uno che si lamenta quando bussano alla porta!” rise lei, separandosi per riprendere fiato. “Non abbiamo molto tempo da perdere nemmeno oggi, o sbaglio?”
Un’ombra di tristezza attraversò gli occhi della giovane: da due mesi a quella parte, cioè da quando erano rientrati separatamente da Honfleur, le loro vite erano ricominciate come al solito, sebbene con molta meno libertà di prima. Hermione lavorava sempre al Ghirigoro, ma era tornata ad abitare con i suoi nella Londra babbana e, per quanto ne fosse felice, Robert non riusciva a capacitarsi della facilità con cui sembrava averlo perdonato per la sua sfuriata e con cui aveva lasciato Severus. Jean, dal canto suo, fingeva di non saperne nulla, limitandosi a liquidare sbrigativamente i dubbi del marito ed ignorando deliberatamente che, al primo minuto libero, la figlia si smaterializzasse ad Hogwarts o a Spinner’s End per stare con Severus. Un compromesso silenzioso che accontentava tutti, tranne, forse, Hermione stessa ...
“Sbagli: i miei sono via per un convengo fino a domani. Torneranno per il matrimonio di Harry, a cui sono invitati …” spiegò la ragazza. “Ed a cui parteciperanno anche i Potter e Black, ovviamente …” asserì Severus con una punta di stizza. “Esatto.”
“E tu?”
“Io cosa?”
“Ci andrai da sola?”
“Ci vado con Neville.” sorrise lei, divertita dalla sua gelosia. “Perché anche lui è solo, dal momento che la sua fidanzata, Hannah, è via per lavoro. Sei geloso di lui, adesso?”
“Diciamo che perlomeno non temo il confronto …” ghignò Severus. “Ma mi infastidisce comunque l’idea di sapere che ballerai con Paciock …”
“Vieni anche tu, allora così ballerò con te!”
“Di fronte ai tuoi ed ai Potter? Vuoi causare la terza guerra magica, Granger?” commentò, sollevando un sopracciglio. “No, hai ragione: ballerò con Remus, allora!”
“Non ti azzardare …” sogghignò Piton, sollevandola nuovamente e facendola ridere. “Beh, non sei solo tu ad avere il diritto di essere geloso, sai? Anch’io dovrei … le studentesse dell’ultimo anno sono affascinanti!”
“Certo, una marea di ragazzine che pensano di essere modelle quando in realtà assomigliano più agli animali di Hagrid. E di chi altro dovresti essere gelosa, scusa? Di Minerva, nel fiore della gioventù? O forse dell’affascinante Sibilla Cooman? Non verrò a quel dannato matrimonio, quante volte devo ripetervelo?” scandì. Hermione fece spallucce, sforzandosi di non ridere e si avvicinò appena all’orecchio dell’uomo. “Attento a fare promesse, Severus Piton: potrei sempre trovare il modo di farti cambiare idea …”

C’erano persone, stavolta, non ombre. Persone in festa, che danzavano e ridevano anche se l’aria vibrava di una strana energia negativa ... poi, all’improvviso, ecco che le tenebre sorgevano dal nulla ed inghiottivano tutto, inglobando e dilaniano chiunque al loro passaggio. Vorticavano pericolosamente attorno ad un enorme libro, un volume che Hermione sembrava aver già visto, ma non ricordava dove … e, poi, d’improvviso, dal tomo si sprigionavano fiamme verdi e nere ed una figura si ergeva da esso. Un pugnale le perforava il braccio e lei gridava, gridava, mentre quell’orrenda risata la tormentava e, dinanzi a lei, c’era una figura il cui volto era un teschio di cristallo …
Hermione sobbalzò, destandosi all’improvviso. Si passò una mano sul viso, tremante e guardò fuori, nella notte illuminata da stelle: doveva essere già passata la mezzanotte. Con la mano, cercò istintivamente Grattastinchi che sonnecchiava pigramente accanto a lei: gli incubi non le avevano fatto più visita per un bel po’, forse perché aveva avuto ben altre preoccupazioni, negli ultimi mesi. Tra l’evitare che suo padre scoprisse che non aveva affatto lasciato Severus, la mole di lavoro al Ghirigoro ed i preparativi per il matrimonio di Harry, arrivava a sera stanca morta. Non frequentava più casa Potter, certo, ma, per quanto le dispiacesse, sentiva che, in fondo, non era ancora pronta a perdonarli e forse nemmeno loro … le era piuttosto chiaro che non avrebbe mai accettato che qualcuno potesse frapporsi tra lei e Severus …
“Hermione, che succede?” mormorò il Serpeverde, la voce arrocchita dal sonno, allungando le dita pallide ed affusolate fino a trovare quelle della strega. La giovane deglutì, sdraiandosi nuovamente accanto a lui ed accovacciandosi contro il mago, inspirando a fondo il profumo di muschio e menta delle lenzuola mentre il cuore riprendeva a battere regolarmente. “Niente … un incubo.” mormorò lievemente, rilassandosi nel sentire la mano dell’uomo accarezzarle mollemente i capelli. “Non mi avevi detto che erano finiti?” sospirò Severus. “E lo erano … fino ad oggi.” annuì lei, sovrappensiero: ciò che aveva appena visto l’aveva profondamente turbata. “Ma sono cambiati.” proseguì, quasi timorosa. “Non ci sono più ombre sui muri … stavolta escono da un libro che conosco e distruggono tutto, uccidono gli invitati di un ballo … e poi c’è una figura con un teschio di cristallo che ride e mi incide il braccio …” sospirò, sollevandosi a guardarlo: negli occhi d’onice di Severus non c’era il solito paziente ascolto di quando gli parlava di quanto odiasse mentire a suo padre, ma la familiare e velata preoccupazione di quando gli raccontava di quegli incubi che aveva inutilmente cercato di farle raccontare più volte.
“Potrebbero essere il risultato di un periodo stressante, naturalmente …” proseguì la ragazza, pensierosa. “La festa rappresenta il matrimonio di Harry, le ombre la prigionia da Daciana e la figura con il teschio che mi incide il braccio sembrerebbe Bellatrix Lestrange … ed anche il libro, ora che ci penso …” sospirò, ricordando. “Raffigura Ygdrasill … è il primo libro del destino, quello che ho trovato con Harry con cui abbiamo riportato indietro James, Lily e Sirius … forse mi mancano ...”
“Oppure potrebbe avere un significato più profondo e potrebbe essere stato proprio il libro a mandartelo ...” commentò Severus sovrappensiero. La giovane sgranò gli occhi e schizzò a sedere, fissandolo, stupita. “Che vuoi dire?”
“Quello che ho appena detto, Hermione: i manufatti magici hanno la singolare capacità di poter entrare in diretta comunicazione con i magici a loro vicini … può essere che il libro del destino che avete trovato per caso nella biblioteca si sia legato a te e stia cercando di dirti qualcosa: dopotutto, ami i libri e sei una strega piuttosto dotata. Potrebbe aver deciso di fidarsi di te per comunicarti un presagio …”
“Ma un presagio di cosa?” sospirò lei, stanca, passandosi una mano sul viso. “I-io non so cosa significa: non sono una specie di sibilla come la Cooman!”
“No di certo, ma questo potrebbe non aver impedito al libro di averti scelta: non è il primo caso che vedo …”
“E come si fa a sciogliere questo legame?”
Severus si sollevò appena a guardarla: era pallida e preoccupata come poche volte l’aveva vista, alla fioca luce della luna. “Non si può sciogliere, Hermione …” mormorò. “E non puoi continuare a far finta di nulla … la legilimanzia, a questo punto, non servirebbe a granché ...”
“Ed allora cosa proponi?”
L’uomo la guardò, impassibile. “No …” esclamò lei, sconvolta, scuotendo il capo. “No, no, non posso …”
“Hermione, non è che ci siano molte possibilità per scoprire se questi incubi vogliono dire qualcosa e questa storia è durata fin troppo!” bofonchiò Severus. “Perciò domani, volente o nolente, vieni con me dalla Cooman e ci togliamo almeno questo pensiero …”
“Almeno?” lo incalzò Hermione, sospirando. “Sì, almeno … perché non puoi negare che ce ne siano parecchi, tra i tuoi ed i Potter … mi stupisco che tu non l’abbia compreso prima!”
“Avevo paura …” confessò lei, sottovoce prima di guardarlo con gli occhi lucidi. “E se fosse una profezia? Se significasse che tutti moriranno al matrimonio di Harry? Io non credo alla divinazione, ma … beh, con Harry ha funzionato!”
Severus non rispose per qualche istante, come perso in mille ricordi prima di tirarla a sé ed avvolgerla tra le braccia, intrecciando le loro dita: la sentiva tremare, tesa, al suo tocco. “Le profezie non significano nulla, Hermione …” mormorò. “Possono dare indizi, certo, ma siamo noi, con le nostre scelte, a scrivere il nostro destino … noi e nessun altro. Ed al momento, per quanti problemi possano esserci nelle nostre vite, neanche la peggiore delle profezie potrebbe tenermi lontano da te … su questo potrai sempre contare.”
La giovane sorrise, rincuorata e si strinse a lui, trovando nuovamente il sonno cullata dalle sue braccia, dal suo profumo e dal lieve ronfare di Grattastinchi.
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Per Hermione, che l’aveva sempre e solo frequentata durante l’anno scolastico, vedere Hogwarts deserta durante le vacanze estive era una novità, ma sorprendentemente non la infastidiva né straniava particolarmente. Tra le fresche mura di pietra, fra quadri parlanti, fantasmi e finestre arcuate, il silenzio regnava sovrano, infondendo alla fresca mattinata nuvolosa una calma che si addiceva al castello ed alla Scozia.
“Quanti restano anche per l’estate?” domandò Hermione distrattamente mentre lei e Severus salivano le scale che conducevano alla torre dove c’era l’ufficio di Sibilla Cooman. “Nessuno: Minerva si concede sempre due settimane dai suoi nipoti, ad agosto e persino Gazza è in ferie per due mesi, da sua madre. Hagrid al momento è da Madame Maxime, Filius è ad un club di duellanti in Spagna, Paciock deve aver raggiunto la fidanzata, anche se torna regolarmente a curare le serre ed io vengo qui solo per fare l’inventario degli ingredienti. C’è sempre un discreto viavai, ma niente di fisso.” rispose mollemente il professore, schivando un ridente Peeves che vorticava attorno al lampadario. “E la Cooman? Perché è in ufficio?” domandò Hermione, curiosa. Severus la squadrò, alzando un sopracciglio. “Davvero non lo sai?”  
“Non la conosco bene: odiavo Divinazione.” mormorò lei in risposta, distogliendo lo sguardo. “La so-tutto-io di Hogwarts che detesta una materia … sconvolgente.” ghignò l’uomo. “Ad ogni modo, Sibilla non ha un posto dove stare: è divorziata. Suo marito, un mago abbastanza noto per i trucchi di illusionismo, l’ha tradita e l’ha cacciata di casa. Per questo lei ha iniziato a bere più del dovuto …”
“Mi dispiace.” asserì Hermione, stupendosi nel constatare che le spiaceva davvero: per quanto assurda e strampalata, la Cooman non aveva mai fatto nulla di male. “Non è tutto: ora il suo ex marito pare stia per diventare padre con quest’amante. E tutti sanno che Sibilla vuole disperatamente dei bambini, ma non può averne. La vita non è giusta: prima ti ci abitui, meglio è.” concluse Severus, come sempre gelidamente realista, sino al pianerottolo della torre. Una volta arrivati, si diresse con sicurezza alla prima porta di fronte alle scale e bussò. “Sibilla! Sibilla, so che ci sei …”
Un lieve tramestio dall’altra parte gli rispose prima che la porta si aprisse da sola. “Entra, Severus!” esclamò la familiare voce della Cooman. Il pozionista invitò Hermione a precederlo, la quale, seppur riluttante, obbedì.
Non era mai stata nell’ufficio della professoressa di Divinazione per varie ragioni, ma, vedendolo, si rese conto che non si era persa nulla: le pareti erano state coperte da scialli ed arazzi orientaleggianti, incensi bruciavano ovunque e neanche un libro popolava la stanza. C’era solo un tavolino con una lunga tovaglia rossa, servizi da tè, divanetti, pouf ed oggetti vari, perlopiù dorati, che non sembravano avere molto senso. L’odore delle candele profumate, a tratti, era tanto forte da bruciare gli occhi.
“Sibilla, ci sei?” domandò Severus, che non sembrava turbato da quel turbinio di profumi orientaleggianti e stoffe psichedeliche. “Eccomi, eccomi, sono qui, non serve urlare … ti serve una predizione? Oh, ma ci sei anche tu … ehm … Athena?” mormorò la voce molle della professoressa.
Hermione si volse e quasi sobbalzò nel vederla con i soliti capelli impossibili, una fascia dai motivi indiani ed un lungo caftano blu che mal si adattava al suo fisico scheletrico. Orecchini, collane, bracciali ed anelli, come sempre, abbondavano e tintinnavano ad ogni suo movimento.
“Hermione.” la corresse lei mollemente. “Studiavo Divinazione, ma senza grandi risultati: forse è per questo che non si ricorda di me.” le concesse. La donna la squadrò, aggrottando la fronte. “Era amica di Potter e Weasley …” sospirò Piton. “Ah, sì … Hermione!” esclamò la donna. “Ora ricordo … per nulla interessata alla materia, mi duole ammetterlo ...”
“Non mi piaceva, è vero.” le concesse la ragazza. “Per me è troppo … distaccata dalla realtà.”
“Perché sei nata tra i babbani.” rise la Cooman, sorprendendola. “Tra di loro chi pratica o finge di praticare quest’arte perlopiù inganna le persone … ti è rimasto il pregiudizio. Credo. Non sei tu che sei nata babbana, cara?”
“Sibilla, a parte constatare che hai alzato il gomito come sempre e che necessiterai di una pozione …” sospirò Piton, chiaramente infastidito. “Siamo qui per Hermione e per dei sogni che ha fatto di recente.”
“Sogni? Cielo, sono una forma strana e difficile di predizione …”
“Certamente. Quello che ci interessa capire è se siano solo sogni o meno …”
“Ed io come potrei aiutarvi in questo? Le profezie sono profezie solo se si avverano, lo dicevi sempre tu, Severus!” borbottò, quasi offesa, tornando al tavolino. “Volete del tè, miei cari?”
“No, grazie, vorremmo solo sapere come capire se i sogni sono solo tali o se hanno un significato più profondo.” ripeté Hermione. “Vi ripeto che non lo so, miei cari! Io …”
“Sibilla, dannazione, leggile i fondi del tè, la mano, quello che vuoi, ma vedi se nel suo futuro c’è qualcosa di oscuro … devo spiegarti io come fare il tuo lavoro, per Salazar?” sbottò Severus. La donna lo fissò con occhi vuoti e languidi. “Sempre maleducato!” esclamò prima di scuotere il capo, sdegnata. “Io sto bene alla gente solo quando servo …”
Hermione fissò il mago con una certa perplessità nello sguardo. “Quando beve è del tutto inutile tentare di capire …” sospirò Severus, irritato. “Ci conviene lasciar perdere, avevi ragione tu … andiamo …”
“I libri.” li interruppe la Cooman, facendoli sobbalzare quando erano già sulla porta. “Cosa?” esclamò Hermione. “Il libro maledetto … i libri sono la tua vita, ma uno di essi porterà solo morte … grazie a lui si riapriranno le porte dell’inferno ed i demoni torneranno … l’inferno è vuoto ed i diavoli sono tutti qui …” mormorò la Cooman con voce stranita prima di zittirsi di colpo e voltarsi a fissarli. “Oh, siete ancora qui? Avete cambiato idea?”
“No, Sibilla, ma grazie lo stesso. Buona giornata.” si affrettò a congedarla Piton, trascinando un’Hermione ancora sconvolta fuori dall’ufficio.
“Che … che cosa significa?” mormorò una volta fuori. “Quello che ti ha detto: che il tuo non era soltanto un sogno, come andavo dicendoti da mesi senza che tu mi ascoltassi!” sbottò Severus, passandosi una mano sul volto. “Mi scusi tanto se ho avuto altre preoccupazioni che qualche sogno, professore!” ribatté lei, sospirando. “Ma … ora che possiamo fare? Voglio dire, mi pare chiaro che il libro del destino con Ygdrasill potrebbe causare dei seri problemi, ma l’abbiamo consegnato … non …”
“Dobbiamo avvertire la Umbridge: è lei che se ne occupa.” constatò freddamente Piton. “E dobbiamo farlo al più presto … subito.”
“Ma lei cosa potrà farci? Se è una profezia, dovrà accadere!” ansimò Hermione, nervosa: cosa diamine le era accaduto? Perché lei, la persona più razionale che ci fosse, si metteva a fare sogni premonitori, una cosa talmente assurda ed illogica da far spavento? Mentre scendevano rapidamente le scale di Hogwarts, si ritrovò a fissare Severus che le spiegava mollemente ed inutilmente come funzionava una profezia e si ritrovò improvvisamente a comprendere: aveva perso del tutto la sua razionalità, innamorandosi. Era un sentimento folle, per quasi tutti anche sbagliato … eppure non le era importato. Aveva rinnegato la ragione per ascoltare il cuore … e questo aveva spalancato le porte dell’ignoto ai suoi poteri.
“Hermione … va tutto bene?” la scosse il pozionista sulla porta della scuola, destandola dei propri pensieri. Hermione si ritrovò a fissare in quegli occhi d’ossidiana che, da tempo, non temeva più: oramai, aveva imparato a districarsi tra quelle sfumature di nero, a scorgervi ogni singolo luccichio ed a capire cosa pensasse o provasse in ogni istante quel principe mezzosangue impossibile e complicato che amava. Si ritrovò, così, a pensare che era valsa la pena di accantonare la ragione per il loro sentimento. Sorrise debolmente, sfiorandogli la mano. “Va bene … finché resti con me andrà tutto bene.”
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L’ufficio dei Misteri, a quell’ora, era pressocché deserto ed accedervi, nella confusione dell’atrio principale, era stato fin troppo facile. Per questo Hermione, vagando per i corridoi bui e gelidi, talmente silenziosi da apparire tetri, non era affatto tranquilla: se c’era una cosa che aveva imparato era che nella vita niente era troppo facile e, se lo era, c’era qualcosa sotto.
“Dove sarà il suo ufficio? E sarà già arrivata?” sospirò, nervosa, torturandosi le labbra. “Sesta porta. Naturalmente dev’essere già lì: arriva sempre in anticipo, ne è ossessionata. Quand’era preside erano tutti obbligati ad essere in anticipo … e questo per Hagrid e la Cooman era disastroso.” rammentò Severus, trovando l’uscio corrispondente e bussando energicamente. “Dolores! Aprì, è un’emergenza!” esclamò. Dall’altro lato della stanza, arrivò un tramestio ed una serie di bisbigli. “Che sia con Moody?” domandò Hermione, arrossendo. “Non credo, a quest’ora … ci dev’essere dell’altro …”
L’uscio si aprì in quel mentre, rivelando una Umbridge, ovviamente in rosa, arrossata e con il volto a dir poco sconvolto. Si sforzò di sorridere. “In cosa posso aiutarvi, miei cari?” trillò, risultando fin troppo acuta. “Si tratta dei libri del destino … del primo: è pericoloso, c’è una specie di profezia della Cooman di mezzo … dovete tenerlo d’occhio prima che …” mormorò Hermione per poi bloccarsi nel vedere una figura alle spalle della donna. “Se siete venuti per questo, arrivate tardi: quell’affare ha già fatto abbondantemente i suoi danni … e questo è solo l’ultimo, il più eclatante …” ansimò la Umbridge, scostandosi appena. Severus avanzò in un passo, la mano sulla bacchetta, ma si bloccò, come pietrificato, al vedere l’altro mago presente nella stanza. “Regulus …” mormorò.  

 



 
  





 



 

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Capitolo 25
*** Il Pianto dell'Augurey ***


Capitolo Venticinquesimo
Il Pianto dell’Augurey

Let's start over
I'll try to do it right this time around
It's not over
'Cause a part of me is dead and in the ground
This love is killing me, but you're the only one
It's not over
(It’s not Over, Daughtry)
“Professoressa Umbridge … professoressa, si sente bene?”
“C-cosa? Oh, certo, certo, sto benissimo, io … sì!” mormorò Dolores, deglutendo a fondo. A giudicare dal pallore cadaverico, dal tremore alle mani e dagli occhi ancor più a palla del solito, però, si sarebbe detto il contrario …
“Ha qualcosa di forte qui in ufficio?” sospirò Hermione, torturandosi e mani ed un angolo della guancia: detestava profondamente Dolores Umbridge, eppure, in quel frangente, ne aveva quasi pena. Se la vista di Regulus Black vivo e vegeto aveva stranito lei e lasciato apparentemente impassibile Severus, sembrava aver letteralmente sconvolto la donna. “F-forte? Oh, Merlino, non vorrai insinuare che io … oh, al diavolo: primo cassetto a destra ...” sospirò Dolores, portandosi le mani al volto mentre Hermione prendeva la bottiglia e gliene versava un goccetto in una tazza da tè. “Com’è successo di preciso?” chiese freddamente Severus, ancora immobile in mezzo alla stanza, facendo saettare lo sguardo da Dolores a Regulus. “E me lo chiedi anche?” squittì la Umbridge. “Quel dannato coso … è stato lui! Lo stavo sfogliando, dal momento che la prossima settimana sarebbero venuti a prenderlo assieme agli altri due per analizzarlo … e si è aperta la sua pagina.” concluse, indicando con il mento il redivivo Black. “C’è una pagina per tutti là dentro, sapete? Tutti … ho commesso l’errore di pensare: ‘Chissà cosa direbbe se fosse sopravvissuto’ … e me lo sono ritrovata in ufficio, vivo!”
“È stato … sorprendente anche per me.” intervenne Regulus, schiarendosi la voce. Solo allora Hermione, che sinora era stata presa dalla foga del momento, si ritrovò ad osservarlo davvero: assomigliava vagamente a Sirius, con l’alta statura, i corti capelli scuri e mossi che gli ricadevano sul viso ed i brillanti occhi grigi sul volto lungo, pallido ed affilato. Era meno bello del fratello, ma aveva un’aria regale ed orgogliosa che Sirius sembrava aver perso o non aver mai posseduto. Indossava un completo da mago verde scuro, con tanto di panciotto nero e camicia grigia, senza dubbio abiti molto costosi.
“Cosa ricordi?” domandò Severus a bruciapelo, rivolto all’ex compagno. Regulus fece spallucce. “Non molto, a dire il vero, anche se il tempo sembra essere trascorso anche per me …” commentò, osservandosi riflesso nel vetro: in effetti, Regulus era un uomo, non un ragazzo come quando era morto. “Quello che non capisco è come sia riuscito a tornare: è impossibile: nessuna magia può sconfiggere la morte …”
“Quei cosi sì, a quanto pare!” squittì Dolores, ingurgitando il suo whisky in un solo sorso. “Sono libri del destino: hanno poteri che vanno oltre tempo, spazio e dimensioni, a quanto pare. Ne sono rimasti tre, tutti raccolti e pronti per essere analizzati dal Ministero … credevo li avessero messi in sicurezza.” spiegò Piton. La Umbridge scosse il capo. “Non li hanno nemmeno sfiorati: volevano che se ne occupassero gli studiosi … cielo, non avrei proprio dovuto sfogliarli, ma ero curiosa, insomma, non si parla d’altro da giorni, al Ministero!”
“Che anno è?” domandò Regulus, come se avesse realizzato in quel mentre di essere vivo. “2000.” rispose seccamente Severus. “Il Signore Oscuro è stato sconfitto, anche grazie a te … a farlo è stato Harry Potter, il figlio di James e Lily, aiutato da Ronald Weasley e da Hermione Granger, che è qui di fronte a te ...”
“Piacere di conoscerLa, signor Black.” si presentò la Grifondoro, sforzandosi di sorridere: in qualche modo, riusciva a comprendere il suo spaesamento e certamente essere freddi o sconvolti non aiutava. “Regulus, ti prego …” annuì, stranito, stringendole la mano. “Hanno distrutto anche gli …”
“Horcrux? Sì, tutti ed il tuo contributo è stato fondamentale.” confermò Piton. “Kreacher sarà entusiasta di sapere che sei vivo …” commentò Hermione sovrappensiero. “È ancora vivo?” sorrise Black, improvvisamente illuminatosi. “Ce l’ha fatta, dunque!”
“Sì e ti è stato fedele sempre.”
“Ma … c’è stata una guerra immagino! Chi è …”
“È una lunga storia e credo che il Ministero non sia il posto adatto per parlarne.” lo frenò Severus. “Non hanno grande simpatia degli ex Mangiamorte, qui … se tu volessi seguirmi, potremmo andare in un luogo più … tranquillo.”
“Casa tua?” propose Regulus, annuendo. “Sempre che ci abiti ancora, certo … o magari da Lucius!”
“Spinner’s End è meglio, Lucius è un po’ in crisi e gira troppa gente al Malfoy Manor. Hermione, tu …”
“Non lasciatemi qui con quelli!” squittì Dolores, quasi isterica. “Ci ho quasi rimesso la vita, santo Merlino!”
“Se vuole, professoressa, aspetterò con Lei l’arrivo di Harry e Moody … del resto, vanno avvertiti …” propose la giovane, scambiando un’occhiata d’intesa con Severus, che assentì. La Umbridge sospirò ed annuì. “Sì, sì, va bene, grazie.”
“Andiamo, in tal caso: dopo di te, Regulus …” confermò Piton, spostandosi per lasciarlo avvicinare. In un colpo di bacchetta, si smaterializzarono, lasciando Hermione sola in una stanza completamente rosa dove i gattini danzavano sui piatti e la Umbridge borbottava tracannando brandy. Con un sospiro rassegnato, si mise alla ricerca di un gufo: tanto valeva chiamare il prima possibile gli auror, a quel punto … con un po’ di fortuna, nel giro di un’ora avrebbe smesso di compatire Dolores Umbridge.
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“Sei … cambiato.” ammise, ad un tratto, Regulus. Severus, con il bicchiere di whisky incendiario tra le mani, sollevò appena lo sguardo a fissarlo. Erano seduti sul divanetto di Spinner’s End da ore oramai, ore nelle quali Piton aveva raccontato al giovane Black tutto quello che si era perso in quegli anni, senza risparmiarsi dettagli anche cruenti ed apparentemente superflui. Regulus, immobile con una tazza di tè tra le dita gelate, aveva ascoltato in silenzio, limitandosi a sgranare gli occhi solo di tanto in tanto. Alla fine, dopo parecchi minuti trascorsi senza dire nulla, se ne era uscito con quella considerazione che, a parere del pozionista, era del tutto fuori luogo.
“E cosa te lo fa pensare?” replicò, canzonatorio. “Beh, Spinner’s End non è più tetra e polverosa come una volta, non è più come se non t’importasse di queste quattro mura … insomma, la mobilia è ben disposta ed ordinata, ci sono fiori e soprammobili, piantine, addirittura … esseri viventi, che notoriamente detesti! Potresti aver rinnovato l’arredamento per noia o semplicemente aver trovato qualcuno che lo faccia per te … il che mi sorprende! Francamente, pensavo che avresti passato il resto della vita impantanato nel ricordo di Lily, nel rimorso e nel rimpianto… tutto molto nel tuo stile!”
“Vuoi parlare di me per evitare di discutere di te e di cosa farai ora, Regulus, o sbaglio?” sogghignò appena Piton. L’altro sospirò. “Touché: non ho ben chiaro cosa farò … ne ho anche un po’ paura, a dire il vero: non c’è proprio nessuna possibilità di tornare indietro?”
“Preferiresti essere morto che affrontare quel pallone gonfiato di tuo fratello?”
“Vuoi la verità? Sì. Di gran lunga. Metà dei possedimenti dei Black sono miei a questo punto, ma non voglio tornare a Grimmauld Place, né, tantomeno, dovermi confrontare con Sirius … non riuscirebbe comunque a perdonarmi e finiremmo per litigare, come al solito!”
“Potresti chiedere ospitalità a Narcissa: ti voleva bene e siete cugini, dopotutto.”
“O potrei fermarmi qui da te.”
“Non ci pensare: ho già abbastanza grattacapi con quelle teste di legno con cui devo confrontarmi per tutto l’anno, non posso mettermi a fare il badante di redivivi nel tempo libero …”
“Sinceramente non avrei mai e poi mai pensato che saresti finito ad insegnare, anche se ne hai sempre avuto la capacità, sai? Non vorrei essere nei tuoi studenti …” sorrise appena Regulus. “Neanche io.”
“Il vecchio Luma è ancora vivo?”
“Ed intende seppellire tutti noi, come Minerva, temo.”
“Tipico loro, sì, mi ricordo ...” sospirò Regulus, osservando le prime gocce di pioggia che colpivano il vetro del piccolo soggiorno. “Sai, alla fine ci avevo visto giusto: ho sempre pensato che io e te fossimo uguali, che non condividessimo fino in fondo gli ideali dell’Oscuro Signore … avevo ragione: entrambi ci siamo sacrificati per il mondo magico, alla fine, voltando le spalle alla vita che avevamo scelto.”
“E cosa ci abbiamo ricavato? Solo odio ed una taglia sulle nostre teste al Ministero: la gente ha la pessima abitudine a ricordare solo gli errori.” bofonchiò Piton, infastidito da quel pensiero. “Abbiamo mantenuto la nostra dignità e salvato le magiche chiappe del Ministero, però: non è cosa da poco.”
“Sai che conquista … verremo ricordati da Binns nelle sue lezioni, già vedo i titoli!”
“Mi chiedo cosa direbbe la mamma se sapesse cos’ho fatto …” commentò, pensieroso, Black, mentre un’ombra gli attraversava il volto pallido. “Lei e papà mi hanno sempre voluto bene solo ed esclusivamente perché ero il figlio perfetto, talentuoso Serpeverde, astro nascente del Quidditch e membro del Lumaclub, Mangiamorte a sedici anni, pronto ad abbracciare gli ideali di famiglia ed a sacrificarmi per la causa … non mi hanno mai visto semplicemente come Regulus. Neanche Sirius l’ha mai fatto …”
“Che tuo fratello abbia una naturale incapacità era lapalissiano già sull’Hogwarts Express …” sogghignò appena Piton. “Sta bene? Voglio dire, è stato morto anche lui per tanto tempo, ma si sarà anche rifatto una vita, a questo punto … ha tenuto casa nostra, vero? E tratta bene Kreacher?”
“Non si è mai sposato, né ha figli, ma Grimmauld Place è ancora di sua proprietà, così come quel povero elfo: gli risponde in malo modo, ma nulla più. Povera creatura, costretta a servire Black per l’eternità … bah!” gli concesse Piton, terminando il suo whisky. L’altro annuì, perso nei propri pensieri, distogliendo lo sguardo per un po’.
“Chi è lei, allora?” asserì d’un tratto Regulus, sorridendogli con quell’aria di regale superiorità che aveva sempre fatto innervosire Severus. “Lei chi?”
“Sai benissimo di chi sto parlando … la persona per cui hai cambiato arredamento!”
“Hai sempre avuto la tendenza a generalizzare, così come Lucius ha quella di fare battute di pessimo gusto …”
“A me puoi dirlo, suvvia, Severus: siamo ancora amici, no?”
A quella parola, Piton sollevò la testa di scatto: l’unica persona che si era autodefinito suo amico era Lucius e, parzialmente, Lupin. Era un solitario, un mago sgradevole che la gente non amava avere come invitato alle proprie feste, dopotutto … ma Regulus era sempre stato una sorta di confidente. Si capivano meglio di chiunque altro ed erano una gran bella squadra, a suo tempo. I migliori Mangiamorte che avevano commesso gli stessi sbagli e vi avevano rimediato nello stesso modo.
“La conosci già.” si limitò, così, a dire. “Se non è Lily, non saprei chi possa essere … uhm, vediamo … ah, ma certo: quella giovane dal nome particolare che era con te da Dolores … Hermione, giusto?”
Allo scattare sull’attenti di Severus, Regulus ridacchiò. “Ci ho visto giusto!”
“Sono così prevedibile anche per te, Black?”
“Uno specchio d’acqua di sorgente, mio caro …”
“Immagino che anche tu avrai da ridire sulla differenza d’età e di ruoli o magari addirittura sul mio passato, giusto? Mettiti in coda, in tal caso, perché saresti solo l’ultimo di una sconfinata serie … e tuo fratello si è rivelato comunque molto più talentuoso di te nel farlo …”
“Beh, è tipico di Sirius: è troppo impulsivo, agisce e parla senza pensare. E non vede oltre le apparenze …” scosse il capo l’altro. “Non ho intenzione di dirti proprio nulla, Severus: meriti di essere felice più di chiunque altro e se vi amate, beh, non credo che ci sia niente di così gigantesco o impossibile da giustificare una tua rinuncia alla felicità che ti dà. Lei ricambia, mi pare di aver intuito …”
“È stata lei a farmi … capitolare: io l’avevo lasciata libera.” rammentò Piton, fissando un punto imprecisato sul pavimento. “Tipico tuo, ovviamente: questa Hermione deve proprio avere un bel carattere! Oltre ad essere anche molto bella …”
Severus si volse di scatto a quelle parole. “Piano con i commenti, Black.”
“Puoi stare tranquillo: non sono Lucius, te lo sei scordato? E Mina? Come sta?”
“Meglio di te e di me messi assieme: Si è goduta la tranquillità negli ultimi anni.”
“Ha trovato suo figlio?”
“No, ma ultimamente ci pensa meno …” spiegò Piton, riempiendosi nuovamente il bicchiere. “È diventata molto amica di Hermione e di Lupin, di recente.”
“Cosa? Un mannaro ed una vampira? Oh, Salazar!” esclamò Regulus, sgranando gli occhi grigi. “Il mannaro in questione è anche tuo parente, ora: cugino di secondo grado acquisito, per la precisione. Così, giusto per ricordartelo …”
“Sì, sì, non ho niente in contrario, solo … è … bizzarro, devi ammetterlo!”
“Oramai non mi stupisco più di nulla: credo sia colpa di Potter, sai? Ha portato una pessima tendenza all’esternare i sentimenti nel mondo magico.”
Regulus abbozzò un sorriso, forse il primo vero da quando era arrivato a Spinner’s End. “Quanto hai tormentato quel povero ragazzo solo perché era figlio di James?” domandò a bruciapelo. “L’ho tormentato perché era ed è un incapace, non certo per la sua discendenza.”
“Oh, sicuramente, del resto tu non sei affatto vendicativo …” sogghignò l’altro. “Hai intenzione di continuare a sfottermi ancora a lungo, Black? Un avada kedavra ben assestato potrebbe rispedirti nel regno dei morti in poco, visto che sembri desiderarlo tanto …”
“Salazar, che nostalgia: ci parlavamo sempre così, dagli anni ad Hogwarts in poi!”
“Lo so: la tua supponenza infatti non mi è mancata in questi anni!”
“Immagino …” sorrise amaramente Regulus. Poi, come improvvisamente colto da un pensiero, s’adombrò. “E … lei come sta?” sussurrò appena. Severus lo guardò in volto, sospirando e scuotendo il capo. “E poi viene a parlarmi di amori strampalati …” bofonchiò, posando il bicchiere sul tavolo. “È sopravvissuta alla battaglia, se te lo stai chiedendo, ma non è felice. Affoga nell’alcool da anni, oramai.”
“Ma ce l’ha un lavoro? Una casa? Una famiglia …”
“Per quanto mi dolga ammetterlo, sa fare il suo mestiere, anche se bizzarramente. Vive dove lavora, dal momento che non le è rimasto altro. Si era sposata, parecchi anni fa, ma ha divorziato dopo poco … era lapalissiano che non sarebbe durata: lui era un farabutto e lei continuava a pensare a te. Ci pensa anche adesso, a dirla tutta … ecco cosa la porta a bere. Ad ogni modo, è l’ombra della ragazza che era, senza contare che il divorzio l’ha stremata. Suo marito l’ha tradita ripetutamente, ma se vuoi sentire tutta la storia devi chiedere ad Aberforth: pare si sia confidata con lui ...”
Lo sguardo di Regulus, se possibile, si rattristò ancor di più: gli occhi, da grigi, erano divenuti quasi marroni. Era questo che l’aveva tradito con Severus: i suoi occhi parlavano per lui, sempre e comunque, anche se il volto era impassibile e vi aveva visto tristezza, orrore e vergogna, tra le file dell’Oscuro … la stessa vergogna che aveva provato lui. E, per quanto sicuramente Regulus l’avrebbe negato, meritava la seconda possibilità che gli era stata data … almeno dal suo autorevole punto di vista.
“Le farebbe piacere vederti: non ti ha mai dimenticato.” asserì, così. “Si è sposata, Severus…”
“Per dimenticarti: eri morto, te lo sei già scordato?”
“Strano, detto da te …”
“Io sono un caso a parte, Regulus: anche volendo scordare Lily, nessuno mi avrebbe mai voluto, non consenzientemente. Senza contare che, dopo quello che è successo, non sono riuscito a perdonarmi per anni … vent’anni, per la precisione.”
“Ora l’hai fatto, però.” sottolineò Black. “Sì, ora sì, ma non certo per merito mio.” gli concesse Piton, fissando il vetro inondato dalla pioggia. “Ciò non toglie che dovresti parlarle: non tutto è perduto, sei tornato e c’era una possibilità su un milione che accadesse. Non la sprecherei, fossi in te … le seconde chance possono essere molto fastidiose.” concluse e Regulus, automaticamente, si versò a sua volta del whisky, credendo di avere le traveggole, dal momento che gli era parso di aver appena visto Severus Piton sorridere tra sé e sé.
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“Oh, Merlino, chi è?” esclamò la Umbridge, saltando sulla sedia al lieve bussare alla porta. “Saranno gli auror …” sospirò Hermione, andando ad aprire con estremo sollievo: da un’ora era seduta di fronte alla donna che aveva detestato per anni, guardandola agitarsi e mormorare parole sconclusionate di fronte ad una tazza di tè diluito con del brandy, agitata come poche volte le era capitato di vederla. Ad un certo punto, aveva anche dovuto rassicurarla: quel libro l’aveva sconvolta decisamente più del dovuto.
“Professor Moody!” esclamò così, sollevata, vedendo l’auror sulla soglia. “Che diamine è successo qui per chiamarci con questa urgenza?” sbottò questi, superandola rapidamente. Hermione stava per seguirlo con lo sguardo, ma fu distratta dalla vista di Harry e Ginny alle sue spalle, vestiti in maniera piuttosto semplice, come se fossero stati buttati giù dal letto.
“Ciao!” li salutò, facendoli entrare e richiudendo la porta. “Siete venuti in fretta …”
“Il tuo gufo ci ha svegliati …” constatò Harry, cercando di sistemarsi i capelli impossibili. “Era da me … spero non sia un problema se sono venuta anch’io!” precisò la rossa. “Nessun problema, anzi: è una cosa che saresti comunque venuta a sapere prima o poi …” sospirò Hermione, invitandoli a sedersi mentre Moody parlava sottovoce accanto ad un’ancora sconvolta Dolores. “Ma che ci fa lei qui?” esclamò subito Ginny, facendo un passo indietro. “Ci lavora, Weasley!” le rispose Moody. “Ha scontato la sua pena e si è riabilitata, perciò sei pregata di trattarla degnamente ...”
“Ma …” sussurrò la rossa, volgendo un’occhiata interrogativa all’amica, che annuì leggermente, lasciandola totalmente basita. “Oh, cavolo …” sospirò Harry, raddrizzandosi gli occhiali prima di piombare a sedere. “Che cos’è successo?”
“I libri del destino, quelli che hanno trovato Piton e la Granger …” spiegò con voce rotta la Umbridge. “Erano pronti per essere invitai agli studiosi che li avrebbero analizzati, ma ho deciso di visionarli per controllare che fosse tutto apposto: ero convinta che ci fosse una qualche protezione …” sibilò, lanciando un’occhiataccia ad Hermione, la quale si affrettò a fare un passo avanti: “Non era compito nostro: ci aveva ordinato piuttosto chiaramente di farLe avere i volumi nelle condizioni originarie, senza modifiche. Abbiamo semplicemente seguito le sue istruzioni!” esclamò. “Sì, certo … ciò non toglie che ho aperto quello che avevate aperto voi due in biblioteca … e Regulus Black è tornato!”
La bocca di Ginny si spalancò in una perfetta ‘O’ di stupore. “Black?” sputò Moody, storcendo il naso. “Un dannato Mangiamorte!”
Ex Mangiamorte.” sottolineò Harry, rivolgendosi ad Hermione. “Dov’è, adesso?”
“Da Severus.” rispose automaticamente lei, senza neanche notare l’occhiata stupita e dubbiosa di Ginny. “E cosa stanno facendo, eh, progettando il ritorno di Tu-sai-chi?” sbottò Alastor, passando un fazzolettino alla Umbridge. “Gli sta solo raccontando cos’è accaduto: è stato morto per vent’anni, era sconvolto ed erano amici.” lo giustificò Hermione, osservando il libro del destino ancora appoggiato in un angolo assieme agli altri due. Al vedere l’immagine di Ygdrasill luccicare sulla copertina, le tornò in mente il suo sogno. “Professoressa, eravamo venuti qui per parlarLe proprio dei libri, a dire il vero: qual è lo scopo ultimo per cui li volete studiare?” domandò, così. Dolores la fissò come un cane bastonato che guardava il padrone. “Sono informazioni riservate!”
“Ma ce ne sono di mezzo altre che potrebbero riguardarci tutti, non glielo chiederei altrimenti, mi creda!”
La donna la fissò per un po’ prima di sospirare. “Da quanto ho capito, i vertici del Ministero intendevano provare ad usarli per rompere il velo della morte.” scandì lentamente. “Tutti e tre. Una cosa che cercavano di fare da anni. La cattura di Daciana Karkaroff ed il ritrovamento di questi tre volumi sono state le occasioni migliori per fare un tentativo … lo scopo è riuscire a rendere possibile per tutti i maghi un viaggio tranquillo nell’aldilà, magari con l’aiuto di un negromante. Una scoperta senza precedenti!”
“E chi sapeva di questo progetto?” proseguì Hermione, ricollegando i pezzi tra sé e sé. “Noi dell’Ufficio dei Misteri, Shackelbolt, gli studiosi incaricati di analizzare i libri e la negromante, quella Karkaroff …”
“Anche Daciana lo sapeva?” esclamò Harry. “Ovviamente, come avremmo fatto senza di lei? So che hanno patteggiato per costringerla ad aiutarci.”
“E cos’ha chiesto lei in cambio, uno sconto della pena ad Azkaban?” la esortò Hermione, sempre più agitata, avendo intuito cosa fosse accaduto. “No, affatto: ha solo voluto conferire con Rodolphus Lestrange. Si conoscevano e gliel’hanno concesso: del resto, con entrambi rinchiusi ad Azkaban, che male possono fare?”
“Lestrange ha diritto a ricevere visite?” domandò Harry, scambiandosi un’occhiata preoccupata con Hermione. “Ovviamente, ma le teniamo sotto controllo noi auror in persona, lo sai, Potter!” confermò Moody. “Viene a vederlo solo una certa Euphemia Rowle, una vecchia strega che gli faceva da balia quand’era bambino, del tutto innocua …”
“Non credo che lo sia.” deglutì Hermione, dando voce al pensiero che la tormentava dall’inizio della conversazione. “Che diamine intendi?” biascicò Moody, sconvolto, schizzando in piedi. “Cos’altro può esserci sotto?”
“La Rowle forse non è chi dice di essere o magari non si rende conto nemmeno di cosa sta facendo davvero, potrebbero esserci milioni di motivi, ma credo che Lestrange stia progettando un modo per far tornare in vita Voldemort usando il libro del destino di Ygdrasill e pensa di farlo ad un grande evento … forse al tuo matrimonio, Harry. Lo dico perché l’ho sognato.” deglutì. “Ed anche la Cooman l’ha predetto … ha parlato dello spalancarsi dell’inferno, del fatto che si svuoterà ed i diavoli saranno tutti qui, citando Shakespeare ...”
“Ma … ma non si può, la McGranitt ci ha sempre detto che sconfiggere la morte non è possibile in alcun modo!” boccheggiò Ginny, rompendo il glaciale silenzio in cui era avvolto l’ufficio. “Può, invece, signorina Weasley … con quelli può.” confermò la Umbridge, deglutendo a fondo. “Va bene, non facciamoci prendere dal panico: la prima cosa da fare è mettere al sicuro quei così. Dolly, puoi pensarci tu, ce la fai?” intervenne Moody, risoluto. La Umbridge annuì lentamente. “Ottimo. Secondariamente, andrai ad Hogwarts ed informerai la preside McGranitt: potrebbe essere un obiettivo d’attacco.”
“Ma … ma non mi sopporta!”
“Vedrete di superare le vostre antipatie neoadolescenziali, allora! Potter e Granger, voi andrete da questa Rowle con la scusa di … uhm …”
“Un sondaggio sulla vita di maghi e streghe sopravvissuti alla guerra: sembra una cosa che il Ministero farebbe.” propose Hermione. “Ottimo. Io avviserò Shackelbolt in persona, non ci si può fidare di nessuno, qui! Lei, signorina Weasley, accompagni la professoressa Umbridge, cortesemente …”
“Va bene.” assentì Ginny con una faccia che esprimeva tutt’altro che entusiasmo all’idea.
“Ottimo. Ci risentiamo appena avremo notizie … buona fortuna a tutti voi e state attenti. Vigilanza costante!” concluse Moody, scambiandosi appena un’occhiata con la Umbridge prima di uscire in fretta dall’ufficio. “Io vado a prendere la mia divisa, allora … ti aspetto in atrio, Herm!” disse il prescelto con un sospiro prima di dare un veloce bacio a Ginny e seguire Moody. La Umbridge fissò le due ragazze prima di tossicchiare. “Ehm ehm … dovrei cambiarmi, se non vi spiace: non sono molto presentabile, così …”
“Certo, andiamo!” annuì Hermione, afferrando l’amica e trascinandola fuori prima che questa potesse esibirsi in uno dei suoi soliti commenti istintivi ed inappropriati.
Una volta che la porta si fu richiuse alle loro spalle, Hermione sospirò, rivolgendosi alla rossa. “Mi dispiace immensamente, Ginny! Io … io davvero non volevo rovinarvi il matrimonio, era l’ultima cosa che volevo!”
“Non preoccuparti di questo: non è colpa tua.” sospirò la giovane, facendo spallucce. “Ho già compreso che la vita con Harry sarà … beh, così: missioni, pericoli e via dicendo. Ma è quello che ha scelto e che sa fare meglio: sopporterò. Non che giocare a Quidditch sia privo di rischi …”
“Neanche lavorare al Ghirigoro: c’è sempre il rischio che ti cada un libro in testa!” sorrise appena l’altra. “Quello che davvero mi preoccupa è un’altra cosa, al momento …” riprese Ginny mentre si avviavano all’ascensore nel corridoio freddo e deserto. “E cioè?”
“Da quando chiami Piton per nome?”
“Dalla ricerca.” rispose Hermione con sicurezza: passare tanto tempo con Severus l’aveva fatta migliorare nel mentire, suo malgrado. “Ma l’ultima volta che ci siamo viste l’hai chiamato Piton … ti ha dato il permesso di chiamarlo per nome adesso?”
“La scorsa settimana, sì.”
“Ma avete finito la ricerca!”
“Ci siamo visti in libreria.” spiegò Hermione, entrando in ascensore e premendo il bottone corrispondente. “In libreria … e come mai era con te dalla Umbridge, stamattina?”
“Dovevamo comunicarle dei miei sogni: la Cooman ci aveva fatto una profezia.” mormorò l’altra, sentendosi la gola improvvisamente secca come un deserto. “E da quando fai sogni premonitori, tu, che odiavi queste cose?”
“Non saprei …. sono … cose che capitano.”
“Hermione …” sbottò la rossa, bloccando l’ascensore con un gesto secco e parandosi dinanzi all’amica con le gambe leggermente divaricate e le braccia incrociate: la sua posa da battaglia. “Mi stai nascondendo qualcosa e da molto più di qualche giorno: perché non vai più dai Potter? E chiami Piton per nome, fidandoti più di lui che di me per una cosa del genere? E fai sogni premonitori, una cosa totalmente irrazionale?”
Hermione sospirò, stringendosi le dita in silenzio per qualche istante. “Mi prometti che non ti arrabbierai, Ginny?” sussurrò. “Non posso se non so neanche per cosa … allora?”
“Mi sono innamorata di Piton, di Severus: stiamo insieme da due mesi. Harry lo sa già e l’ha accettato, ma non ti ha detto niente perché … beh, i Potter ed i miei, quando l’hanno scoperto, non hanno avuto esattamente una bella reazione. Con i miei devo addirittura fingere di averlo lasciato … ci vediamo quando non ci sono. Credo o, meglio, temo che i sogni vengano da questo … ho perso totalmente la mia razionalità: non decido né penso più con la ragione … non solo, almeno: non che non m’importi, ovviamente, ma sento che devo seguire anche il mio cuore, perché è l’unica cosa che mi rende davvero felice.”
Una volta che ebbe terminato, serrò la bocca e fissò l’amica, ancora sconvolta, dinanzi a lei. “Ma … ma …” biascicò. Hermione sospirò, fermandola alzando una mano. “So che mi prenderai per pazza e dirai che sono vittima di qualche fattura o di una semplice sbandata per ...”
Ma Ginny, del tutto inaspettatamente, interruppe le sue elucubrazioni scuotendo il capo e mettendosi a ridere. Hermione, interdetta, rimase a fissarla. “Oh, Merlino, Herm … questa era davvero buona, hai trovato improvvisamente il senso dell’umorismo?”
“Non sto scherzando, Ginny …” scandì la giovane, portandosi una mano alla fronte, pronta all’ennesima sfuriata. “Ma … allora … oh! Ah!” boccheggiò Ginny, portandosi le mani al viso. “Merlino, ma dici sul serio?”
“Per quanto possa sembrarti assurdo o immorale … sì.”
Ginny sbatté le palpebre per qualche istante prima di tossicchiare e riscuotersi. “Oh … oh, Godric, ecco perché Harry mi aveva detto quelle cose …”
“Quali cose?”
“Entrambi concordavamo sul fatto che ti ci volesse un intellettuale, ma quella volta io ho pensato a Lupin!”
“A Remus?”
“Sì, poi, per scherzo, Harry mi ha detto: ‘Pensa se finisse con Piton?’ … ho riso, ovviamente! Forse non avrei dovuto …” mormorò, imbarazzata. “Ti garantisco che avrei riso anch’io, un anno fa!” ammise Hermione. “E per forza … cioè, non voglio dire che … oh, al diavolo: a quanto pare, entrambe abbiamo sopravvalutato il tuo gusto in fatto di uomini …”
“Severus è molto diverso da come appare …”
“Lo so ed anche tu lo sei. E non guardarmi così: credevi davvero che non me ne fossi accorta? Eri così triste, tra mio fratello, i tuoi ed una vita che non era esattamente magnifica … insomma, come dice sempre Fleur, viaggiavi su un binario opposto, l’hai sempre fatto, ma ultimamente ne soffrivi molto più che in passato. Me ne accorgevo, ma spesso non ci facevo molto caso, presa com’ero dalla squadra e dal matrimonio e mi dispiace. Avresti avuto bisogno di confidarti con me, forse …”
“Dovevi pensare alla tua vita, era giusto così.” mormorò Hermione, sorpresa. “Ma … davvero non hai nulla da ridire?”
La rossa fece spallucce. “Ne avrei di cose da ridire, perché, insomma, io non riuscire mai e poi mai a stare con il pipistrello, ma la vita è la tua, Herm … sei tu a sapere di cosa hai bisogno per essere felice. E negli ultimi mesi lo sei stata, te lo concedo: sorridevi sinceramente, una cosa che non facevi più dalla fine della guerra. Ho immaginato ci fosse di mezzo un uomo, ma aspettavo che me ne parlassi tu! Pensavo un affascinante collega o Eton …”
“Ancora Eton?” esclamò involontariamente l’altra. “Scusa, è che anche la McGranitt mi ha detto che sarebbe adatto a me …”
“Perché è così: sareste davvero perfetti. Probabilmente lo pensano anche i Potter ed i tuoi, ma … beh, forse quello che ci metteranno un po’ a capire è che sei tu a dover scegliere, non loro. A me basta che tu sia felice, Hermione e vedo che lo sei … che poi la fonte di questa gioia sia il bastardo pipistrello dei sotterranei è certamente scioccante, ma ci passerò sopra …”
Hermione, istintivamente, l’abbracciò di slancio ed abbozzò un sorriso prima di separarsi. “Ci amiamo ...” mormorò. “Va bene, non voglio sentire i particolari! Solo, se posso sapere … come diamine è successo? Voglio dire … è Piton!”
“Ci siamo avvicinati cercando i libri del destino e parlando di romanzi al Ghirigoro.”
“C’era da aspettarselo, da te … beh, che altro dire … congratulazioni! Spero per te che la caverna del pipistrello sia più accogliente di com’era il suo ufficio ad Hogwarts …”
“Ginny!” la richiamò con aria scherzosa Hermione, visibilmente sollevata. “Beh? Scusa, lo dicevi anche tu!” rise la rossa, scuotendo i lunghi capelli lisci. “Avrei dovuto immaginarlo, col senno di poi, sai? Sei sempre stata la classica eroina letteraria: a furia di leggere tutti quei romanzi, ti sei trasformata in una di quelle protagoniste vittoriane … sì, quelle che mi hai obbligata a leggere! Chi erano?”
“Le sorelle Brontë?”
“Loro, sì! Jane Eyre ha trovato il suo Mr. Rochester …” ridacchiò Ginny, facendo ripartire l’ascensore. “Davvero ci vedi in questo modo?”
“Siete praticamente identici, scusa: un uomo più vecchio, non attraente, orgoglioso, sarcastico e piuttosto rude ed una giovane schietta, intelligente e sensibile, decisamente fuori dal comune, lui con mille errori ed una donna del suo passato che lo tormenta e lei con dei valori rigidi a cui non sembra voler cedere … ma quando i loro veri sentimenti emergono, non c’è più niente che riesca a separarli. E grazie al suo amore, lui guarisce …”
Hermione rifletté per un istante sulle parole prima di annuire. “Non l’avevo mai vista in questo modo, ma … sì, è così.”
“Certo, io lo paragonerei più ad Achab di Moby Dick, ma per te immagino sia più un moderno Rochester …”
“Paragoneresti mai Harry a Capitan Uncino, Ginny?” rise la giovane mentre le porte si spalancavano sull’affollato atrio del Ministero. “No, no. E cerchiamo di non organizzare uscite a quattro, per Merlino. Ma, Herm, scusa se te lo chiedo, ma ci sto pensando da quando me l’hai detto … è così brutto anche senza vestiti o migliora?”
“Ginevra Molly Weasley!”
“Va bene, va bene, mi terrò il dubbio, ho capito!”
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La casa di Euphemia Rowle sorgeva isolata appena fuori da un villaggio sperduto nella brughiera dell’Inghilterra del nord: avvolta da una foresta di rovi, vi si accedeva passando un ponte di pietra su un ruscello dall’acqua argentea. Era una villa grande, tutta guglie, pietre e finestre sbarrate, tanto che Hermione, reduce dalle riflessioni fatte con Ginny, si azzardò a dire: “Sembra Thornfield Hall” ad un confuso Harry che parve non comprendere la citazione. “Non importa … andiamo a sentire cos’ha da dirci questa Rowle!” sospirò la strega, avviandosi accanto all’amico verso il cancelletto incastonato tra le mura e sbarrato. “C’è anche la possibilità che non ne sappia nulla …” considerò Harry, titubante. “O che ci menta ed in tal caso dovrebbe essere semplice accorgercene …”
“Come?”
“Se conosce ed usa l’occlumanzia è abituata a mentire ...”
“Ed immagino tu sappia usare la legilimanzia, vero?”
“Beh, sì …”
“Te l’ha insegnata Piton?”
Hermione, colta alla sprovvista, scosse il capo. “No, l’avevo studiata per conto mio ben prima di … lui. A proposito, io davvero non volevo rovinare il tuo matrimonio, Harry, devi credermi e ti chiedo scusa se hai anche solo potuto pensare che …”
“Herm, sta’ tranquilla: so che non l’hai fatto apposta.” le sorrise l’amico con i brillanti occhi verdi e rassicuranti. “Non lo faresti mai, neanche al tuo peggior nemico … o Lavanda, al suo, sarebbe sprofondata nel fango.”
La ragazza abbozzò un sorriso. “Non credo: alle scrofe piace.”
I due soffocarono una risata prima di proseguire in silenzio per un po’. “Sai, i miei sono dispiaciuti per quello che è accaduto ed anche Sirius … quando sono tornato a casa la sera dopo che ve n’eravate andati, credevo mi avrebbero linciato: strepitavano, mi accusavano di essere disattento ed irresponsabile … poi si sono calmati e si sono detti tutti mortificati per l’accaduto. Soprattutto la mamma …”
“Se mai vorranno, sanno dove trovarmi.” asserì Hermione. Redendosi conto di essere stata forse troppo secca, sospirò e si corresse: “Ci sono rimasta male ed anche Severus, ma desidero riappacificarmi con loro, così come con i miei. E so che lo vuole anche lui, solo, non vedo come, dal momento che non sembrano voler accettare la … cosa.”
“Devi dar loro tempo: capiranno.”
“Lo spero davvero.”
“Ho sbagliato anch’io, all’inizio: credevo fosse un errore, ma ho visto la tenacia con cui volete state insieme e … beh, mi basta. Poi ora dovrò sorbirmi le domande di Ginny …”
“Ti ha già detto che gliel’ho raccontato?” rise Hermione. “La conosci: mi ha subito chiesto se ti avessi sorpresa a letto con Piton. E non aggiungo altro …”
“Meglio di no …” annuì la giovane, fermandosi davanti al cancelletto. “Non ci sono incantesimi di protezione.” constatò Harry dopo aver compiuto un fugace gesto con la bacchetta. “Andiamo.” la esortò, aprendo l’inferriata per accedere al cortile.
Il giardino era una sorta di collage di natura morta, con l’erba secca e giallognola, gli alberi scheletrici e di fiori appassiti nonostante fosse luglio inoltrato. Persino il cielo si era oscurato di fronte ad una casa dove sembrava regnare la sventura.
“Ci siamo …” annunciò Harry, parandosi dinanzi all’ingresso. “Pronta?”
“Sempre.” annuì Hermione, bussando energicamente. “Euphemia Rowle? Potter e Granger, del Ministero della Magia: vogliamo parlare con Lei!” chiamò il Grifondoro, mettendosi in attesa. Per parecchi minuti non accadde nulla, tanto che stavano quasi per ritentare, quando la porta si spalancò. Sulla soglia, v’era un’anziana dal volto tempestato di rughe ed uno scialle di lana grezza attorno alle fragili spalle ossute. I capelli bianchi erano stretti in una crocchia e la lunga gonna in tartan arrivava a terra. “Che volete?” sbottò, astiosa. “Sondaggi.” replicò Hermione, anticipando uno sconvolto Harry. “Sciocchezze: non si scomodano quelli del Ministero per i sondaggi! Entrate e ditemi che volete sapere in fretta, che non ho tempo, su!” borbottò, scostandosi. I due amici si scambiarono un’occhiata prima di entrare.
Il soggiorno, a cui si accedeva subito, era piccolo, dalla mobilia vecchia e scura, teste di animali impagliati appese sopra il camino spento, un tavolo e quattro sedie dall’aria sciatta. In un angolo, un Augurey dalle piume scure che luccicavano d’argento ed azzurro in cima ad un trespolo li guardava male, mentre, in un fasciatoio, un bambino piangeva. Hermione lo osservò: sembrava una femmina e doveva avere all’incirca l’età di Teddy. Con i capelli biondissimi e disordinati e la pelle candida, assomigliava alla figlia di una fantasma …
“Oh, non badate a quella: la tengo solo perché mi pagano.” sbottò Euphemia. “E comunque non avrà vita lunga: il mio Augurey dice che porta male e così sarà. A giudicare da come vi guarda e da come sta piangendo, anche voi due portate solo guai … allora, che volete?”
“Rodolphus Lestrange.” affermò Harry. “Perché va a trovarlo ad Azkaban regolarmente?”
“Perché è lui a pagarmi perché cresca la mocciosa.” rispose la strega con semplicità. “Credo sia figlia del fratello morto … o così mi ha detto lui. A me non importa, mi paga e basta.”
“Dunque non Le parla mai di alcuni libri?” la esortò Hermione. “Libri? Diavolo, no, figurarsi: vuole sapere del mostriciattolo! Si chiama Delphini … nome ridicolo, peraltro!”
“Ed immagino che Lei non sia al corrente di alcun piano di evasione, giusto?” incalzò Harry. La donna fissò negli occhi entrambi ed Hermione provò a leggere nei suoi pensieri, non trovando alcuna barriera: c’era solo denaro, fame, povertà e parecchio astio verso un mondo che era stato crudele, ma nessuna malvagia ambizione. Solo una vita arida …
Uscì dalla sua mente e si rivolse ad Harry. “Credo possa bastare, andiamo …”
“Ma …” tentò di protestare lui. “Non c’è niente di che qui!” lo esortò lei, sgranando gli occhi per sembrare più eloquente. “Oh!” annuì lui, comprendendo all’istante. “Ecco, da’ retta alla tua amica … fuori di qui e guai a voi se provate a rimetterci piede!” sbottò Euphemia, sbattendoli fuori a forza senza tante cerimonie.
Una volta soli, Harry si rivolse immediatamente ad Hermione. “Non è malvagia, solo avida: l’unica cosa che vuole è il denaro. Non sa nient’altro e neanche le importa: non vuole guai.”
“Perfetto: dunque come farebbe Lestrange a rompere il velo senza aiuti?”
“Forse gli altri detenuti … i suoi vicini di cella! Potrebbero avere contatti con l’esterno …”
“Non ci avevo pensato … dobbiamo dirlo a Moody, andiamo …”
“Ma … dove?” ansimò Hermione, correndo per stargli dietro. “Ad Hogwarts: ci aspetta lì.” le spiegò brevemente Harry prima di smaterializzarsi assieme all’amica.

Quando riapparvero nell’atrio d’ingresso della scuola, trovarono Moody, Shackelbolt, la Umbridge, Ginny e la McGranitt ad attenderli. “Allora?” esclamò Alastor, deciso. “Non è lei: vuole solo denaro e cresce la nipote di Lestrange in cambio di soldi. Non cerca guai di alcun tipo …” sospirò Hermione, alzando le braccia. “Ma allora chi può essere?” considerò la McGranitt, agitata. “Forse qualche vicino di cella, stavamo pensando …” propose Harry. “Faccio subito controllare …” annuì Moody, facendo comparire il suo patronus sotto i volti preoccupati degli altri presenti.
Prima ancora che chiunque di loro potesse obiettare qualcosa, il portone si spalancò, facendoli scattare sull’attenti in un vecchio riflesso della guerra. Si rilassarono nel vedere Severus e Regulus sulla soglia. “Ho ricevuto il tuo gufo, Minerva … è tutto vero, dunque?” constatò Piton, asciutto, scambiando appena un’occhiata con Hermione. “Sì, ma Euphemia non c’entra niente.” asserì Harry. “Avete provato con gli ex Mangiamorte rinchiusi? Si potrebbero parlare con il Marchio … è complicato, ma si può anche fare!” intervenne Regulus. Minerva alzò lo sguardo su di lui, sgranando gli occhi. “Ma … allora è vero!” esclamò. “Signor Black …”
“Professoressa … è vero, sì.” annuì lui, sorridendo appena. “Bando ai sentimentalismi, che dicevi del Marchio, ragazzo?” sbuffò Moody. Regulus stava per rispondere, ma si bloccò nel vedere qualcosa agitarsi sulle scale. “Ma …” mormorò, aggrappandosi al braccio di Severus. I presenti rivolsero contemporaneamente lo sguardo alla scalinata, rimanendo sconvolti nel vedere Sibilla Cooman, con addosso un caftano blu più carino del solito, gioielli abbinati ed i capelli biondi acconciati con cura con la riga laterale e leggermente raccolti, senza occhiali e quasi lucida. Dimostrava dieci anni di meno, così …
“Allora è vero quello che dice Peeves!” gemette Sibilla e solo allora Hermione si rese conto che aveva gli occhi pieni di lacrime. “Sei vivo … sei qui!”
Prima che potesse dire o fare altro, Regulus le era già corso incontro, imitato subito da lei, che lo strinse possessivamente in un abbraccio, singhiozzando come una bambina sulla sua spalla. “Non ci speravo più … com’è possibile?”
“Non ho mai smesso di pensare a te, neanche un istante!” pianse Regulus, stringendola a sé.
Gli attoniti spettatori, muti, si animarono solo dopo un bel po’, quando Ginny spintonò Harry, sussurrandogli: “Prima il rospo e Moody, poi Herm ed il pipistrello, ora questo … ma si può sapere che prende a tutti qui? George ha forse sparso l’Amorentia in aria?”

Angolo Autrice:
Sì, lo so, forse sto esagerando con il crack!pairing, ma adoro sia Regulus che la Cooman ed hanno molto probabilmente la stessa età. La storia verrà approfondita nel dettaglio nel prossimo capitolo, ad ogni modo!
Ci tenevo solo a precisare che, come promesso, i riferimenti a Jane Eyre e Cime Tempestose sono tornati (da Hermione e Piton alla casa della Rowle) e che la canzone al principo è ispirata proprio da Sibilla e Regulus, nonché una delle mie preferite.
Ringrazio ancora tantissimo chiunque abbia letto, recensito ed inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate: non avrei mai pensato che potesse piacere quando l'ho pubblicata e non potrò mai ringraziarvi abbastanza! Davvero!
Alla prossima!
E.

 




 
 



 
  





 




 

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Capitolo 26
*** Arazzi e Serpenti ***


Capitolo Ventiseiesimo
Arazzi e Serpenti

No, I don't believe you
When you say you don't need me anymore
So don't pretend to
Not love me at all
(I don’t believe you, Pink)
Hermione mescolò lentamente la fettina di limone nella tazza prima di sorseggiare il tè nero che si era fatta portare dagli elfi delle cucine di Hogwarts. Sedeva oramai da un’ora nell’ufficio della McGranitt ed aveva imparato quasi a memoria la sistemazione degli scaffali d’ebano ricolmi, di tutti i premi vinti, delle foto magiche appese alle pareti, delle statuette animate di gatti e dei bizzarri strumenti argentei, un tempo appartenuti a Silente, che ancora troneggiavano e ticchettavano, quasi vive, su tre mensole in un angolo. Le finestre, alte e quasi totalmente oscurate dai libri, non lasciavano entrare granché luce nella stanza, sicché Hermione non aveva idea di che ore fossero, né, tantomeno, di conseguenza, di quando si sarebbe dovuta smaterializzare a Diagon Alley per andare a lavoro come da istruzioni …
“Suvvia, Sibilla, non puoi piangere per ore per una cosa bella!” sospirò la McGranitt, seduta dietro l’imponente scrivania, fissando, impotente, la professoressa Cooman, agghindata e curata come mai la si era vista, singhiozzare sul suo tè verde di fronte ad un’attonita Ginny ed ad un’impaziente Hermione.
Era passato un bel po’ di tempo da quando Moody aveva interrotto ogni possibile spiegazione, costringendo Severus e Regulus a raccontare tutto ciò che sapevano sui Marchi Neri, su come fossero collegati e su come Rosier, anni addietro, avesse inventato un metodo di comunicazione attraverso di essi. Dopodiché, senza tanti complimenti, aveva spedito Piton a Villa Malfoy per convincere Lucius a raggiungerli nell’ex sede dell’Ordine della Fenice, Minerva, Sibilla, Hermione e Ginny nell’ufficio della preside per spedire i loro patronus a tutti gli ex membri dell’ordine e dar loro appuntamento a Grimmauld Place per le tre ed aveva letteralmente trascinato Shackelbolt, la Umbridge ed Harry al Ministero per procedere a mettere sottochiave i libri e chiedere una lista dei detenuti con cui Lestrange interagiva abitualmente ad Azkaban. Un impotente Regulus, invece, era stato spedito senza troppi complimenti a Diagon Alley per comprarsi una bacchetta e qualunque cosa gli servisse … e, naturalmente, sempre Moody aveva deciso che Hermione sarebbe andato a prenderlo per portarlo Grimmauld Place dopo la fine del suo turno al Ghirigoro, ignorando le non troppo velate e ferma proteste di Piton, che riteneva la cosa troppo pericolosa. Hermione avrebbe voluto chiarire che poteva benissimo cavarsela da sola, ma, trovandosi dinanzi a parecchie persone, aveva preferito soprassedere e limitarsi a scambiare un’occhiata piuttosto stizzita con Severus.
“Scusate …” gemette la Cooman, ansimando e respirando pesantemente. “È che sono così … sorpresa. E felice …”
“Bevi il tè, Sibilla, ti aiuterà, su!” la incitò Minerva, sospirando mentre la collega posava le labbra tremolanti sulla tazzina: guardarla mentre salutava Regulus, piangendo perché non voleva lasciarlo, era stato quasi straziante. Mentre osservava loro ed Harry e Ginny, Hermione si era chiesta se lei e Severus sarebbero stati mai liberi di esprimersi allo stesso modo e se lui mai sarebbe riuscito a mostrare così apertamente ciò che provava per lei in pubblico. Si erano solo guardati brevemente prima che Piton si smaterializzasse, ma quello sguardo fugace era bastato: non servivano parole, tra di loro. Hermione oramai aveva imparato a districarsi abilmente tra quelle molteplici sfumature di nero e, guardando nelle onici di Severus, vi aveva letto una miriade di sentimenti tanto diversi da stordirla, ma che sapeva essere gli stessi suoi.
“Anche Lily e James saranno presenti, così come Hagrid, Remus, Andromeda, i Malfoy, Vitious, tutti i Weasley e Sirius, che ha dato la disponibilità della casa. Ci sarà anche la sorella di Emmeline Vance … ve la ricordate?” riassunse Minerva, ricevendo l’ultimo patronus che Hermione riconobbe essere la cerva di Lily con una stretta al cuore: quale sarebbe stato il patronus di Severus, ora? Avrebbe continuato ad essere legato per sempre a Lily Evans o ci sarebbe stato spazio anche per lei, nei suoi ricordi felici? E la sua lontra, che giudica ora così infantile, così inadatta, col senno di poi? Era ancora al suo posto o era cambiata? Non aveva avuto molto tempo per i pensieri felici, in quell’ultimo periodo …
“Mi ricordo bene di Emmeline, ma … davvero aveva una sorella?” domandò Ginny, sorpresa, distogliendola da quelle cupe riflessioni. “Sì, più giovane di sei anni, Willow: era a Serpeverde. I Vance sono una famiglia purosangue molto tradizionalista e rigorosa, ma hanno sempre sostenuto l’Ordine … anche Emmeline era una Serpeverde.” annuì Minerva. “Mi ha stupito che abbia risposto: quando ha saputo della morte della sorella, è andata su tutte le furie ed ha accusato Albus di essere un egoista ed un incosciente … era davvero ferita.”  
“Poverina.” mormorò Ginny, col solo risultato di far singhiozzare ancor di più la Cooman. “A tal proposito, Hermione, credo sia ora che tu vada: si sta facendo tardi.” le interruppe Minerva tossicchiando. La Grifondoro annuì, alzandosi e congedandosi da Ginny con una stretta sulla spalla prima di prendere la sua oramai leggendaria borsetta di perline. “Vado, allora … ci vediamo stasera!” disse prima di correre giù, pronta a smaterializzarsi ai confini di Hogwarts.

“Forza, Hermione, ancora uno e poi abbiamo finito! Questa vetrina è meravigliosa!” trillò Florence, entusiasta, battendo leggermente le mani. Hermione annuì poco convinta, raddrizzando una pila di novità posta a mo’ di decorazione tra l’ultima uscita thriller e rosa. “Avrà sicuramente successo, come la proposta di invitare quel goblin a pubblicizzare la sua opera, attirerà molti clienti!” concordò, annuendo. “Ma ciò non toglie che il libro ha una costruzione abbastanza povera: i veri cultori del thriller, leggendolo, se ne renderanno conto, a discapito della pubblicità che ne fanno.”
“E cosa non ti convince? Il finale?” considerò Florence, curiosa, passandole un altro volume. “A dire il vero, i rapporti tra i personaggi: sono piatti, troppo evidenti … con le persone non c’è sempre una linea netta tra odio ed amore! Avrebbe dovuto curare maggiormente l’introspezione, tutto qui …”
Madame Florish la fissò di sottecchi per un po’ prima di sorridere. “Hai mai pensato di scrivere, Hermione?”
La Grifondoro si bloccò a metà, sorpresa. “Beh, a dire il vero è una cosa che facevo spesso, da ragazzina …” ammise. “Ma nulla di che, semplici racconti!”
“Beh, dovresti ricominciare: hai talento, secondo me.”
“Non ha mai letto niente di mio …”
“No, ma ti conosco abbastanza da sapere che hai una cura maniacale per i dettagli.” sorrise Florence. “Come va il matrimonio del prescelto, cambiando argomento? Non si parla d’altro!”
“Bene, suppongo.” inventò, cercando di concentrarsi sulla vetrina: non doveva assolutamente tradire la sua preoccupazione. “Supponi? Non aiuti Ginny nei preparativi?”
“Sì, ma ho poco tempo anch’io, tra una cosa e l’altra e, poi, sono la meno indicata tra le sue amiche per darle consigli matrimoniali …”
“Strano, detto dalla donna che è riuscita a scongelare Severus Piton …”
La pila di libri che Hermione stava reggendo cadde rovinosamente a terra, inondando il pavimento. Florence sorrise quasi maliziosamente vedendo la sua espressione sconcertata. “Ma … come …” boccheggiò, grata che il Ghirigoro fosse completamente deserto. “Vi vedo tutti i mercoledì, che credi: quanto state vicini, come vi guardate, le cose che vi sussurrate. La conferma l’ho avuta una volta, quando non c’era nessuno. Pensavate di essere soli e ti ha baciata per salutarti. Non avevo mai visto Piton sorridere …”
Hermione deglutì, passandosi le mani sulle braccia. “Io … mi spiace. Non intendevo … so che era orario di lavoro ed è poco professionale, davvero, Le prometto che non accadrà mai più!”
“Cara, va bene, suvvia: è giusto così, dopotutto. Eravate soli e non stavate facendo niente di sconveniente o che compromettesse il lavoro. So che non lo faresti mai, ti conosco.” sorrise Florence, aiutandola a raccattare i libri dal pavimento. “E … non ha nulla da dire?” chiese quasi timidamente la ragazza. “Oh, niente affatto: al cuor non si comanda. Leggo troppo per non crederci. Ho visto ogni genere d’amore, qui dentro, tra regali e confidenze: se può consolarti, Minerva McGranitt e suo marito Elphinstone avevano ben trent’anni di differenza e lui era il suo supervisore. Nessuno, guardandoli, avrebbe osato dire che non stessero bene assieme. E quando lui è morto, lei era così disperata, straziata …”
“Non lo sapevo …” considerò Hermione, sorpresa: non aveva mai sentito di quel dettaglio della relazione tra Minerva ed Elphinstone. Tutti parlavano solo di che brave persone fossero e di quanto fossero felici assieme. Ma per lei e Severus era diverso: c’era sempre il passato di Piton, che lo tormentava come un fantasma e la maggior parte delle persone vedeva solo quello. Forse non sarebbero mai stati accettati come Minerva ed Elphinstone, ma, in fondo, non le importava affatto …
“Ora credo sia ora che tu vada: il tuo turno è finito.” constatò Florence. “Ed hai un matrimonio a cui prepararti: oggi chiudo io.”
“Ma Madame Florish …”
“No, non voglio sentire storie: domani dovrai essere bellissima, voglio vederti in prima pagina! Va’!”
Hermione sorrise appena, annuendo. “In tal caso … va bene, vado: ci vediamo lunedì.” asserì, prendendo la sua borsetta ed uscendo dal Ghirigoro. Diagon Alley era, come sempre, affollata contro la calda luce rosata del tramonto, ma la Grifondoro non s’immerse nel consueto viavai della strada, svoltando, invece, in un angolo decisamente più buio ed angusto.
Notturn Alley, come al solito, era scura, polverosa e semideserta: i bui negozi mostravano le inquietanti vetrine e la quasi totale assenza di clienti quasi con orgoglio, mentre i pochi avventori, coperti da mantelli e cappelli, guardavano di sottecchi chiunque osasse fissarli più del dovuto. Anche non volendo prestarvi attenzione, dai vicoli della strada venivano suoni tutt’altro che rassicuranti, nonostante fosse giorno …
Hermione accelerò il passo, quasi correndo per arrivare alla Stella Nera, dove si era data appuntamento con Regulus via patronus: sapeva per certo che, in tutta Diagon e Notturn Alley, era l’unico posto dove non avrebbero fatto domande.
Quando entrò nel bar, si stupì nel trovarlo discretamente pieno, a dispetto della via: avventori d’ogni sorta sedevano ai tavoli, conversando e brontolando tra di loro nell’aria che sapeva di pozioni e sembrava tutt’altro che salubre. La giovane deglutì, individuando con sollievo Regulus ad un tavolino appartato, nascosto da una grossa felce: sedeva con una tazza di porcellana fumante davanti a sé e fissava le vetrine. “Salve.” lo salutò, raggiungendolo e sedendosi di fronte a lui. Regulus si volse a fissarla, perplesso. “Diamoci del tu, per prima cosa: non mi sembra il caso di osservare tante formalità … Hermione, giusto?” disse dopo un po’. “Va bene.” annuì lei. “Sei pronto? Non abbiamo moltissimo tempo …”
“Per prepararmi a quello che dovrò affrontare non basterebbero anni.” sorrise amaramente l’altro, sorseggiando il tè bollente. “Non ricordavo quanto fosse sordida Notturn Alley, sai?”
“Credo lo fosse anche ai tuoi tempi …” considerò Hermione, cauta: sapeva che poteva fidarsi, ma un istinto naturale la portava a non sbilanciarsi troppo. “Oh, sì, ma non la frequentavo molto spesso: andavo solo al Magie Sinister.” spiegò tranquillamente, come fosse naturale. Hermione deglutì appena, fissando gli altri tavoli affollati e maledicendosi per non aver dato retta a Severus, anche se non l’avrebbe mai ammesso, tantomeno di fronte a lui. “È affascinante, vero?” le disse subito Regulus. La giovane sobbalzò, volgendosi a fissarlo. “Come?” mormorò, sentendo le guance colorarsi di rosso. “Severus: non è mai stato ‘bello’ nel senso classico della parola, ma qualche donna ai suoi piedi l’ha sempre avuta … ci sono persone più attratte dalla cultura che dall’apparenza. E tu sembri proprio una di quelle …”
“Te … te l’ha detto lui?” reagì, ponendosi sulla difensiva. “Non c’è stato bisogno: l’ho capito da solo.” sorrise l’altro, trionfante come ogni Serpeverde quando otteneva una qualunque vittoria, seppur minuscola. “Ti guarda come un tempo guardava Lily … e tu ricambia. Basta avere un po’ di spirito di osservazione, sai?”
“Severus ne ha fin troppo: ora capisco perché eravate … siete amici.” confermò Hermione, incrociando le braccia mentre sbirciava in strada. “Siamo sempre stati molto simili: due Mangiamorte che non sentivano davvero di esserlo, che lo erano diventati per motivi che avevano ben poco a che fare con la causa dell’Oscuro Signore … era normale che diventassimo amici. Anche Lucius era con noi, sai? Lui era un po’ più fanatico, ma con il passare degli anni, a quanto mi hanno detto, ha capito …”
“I Malfoy hanno pagato i loro errori a caro prezzo …”
“Come tutti noi povere anime che non rientrano nelle grazie del Ministero, del resto.” annuì Regulus. “E, dimmi … Sirius come sta?”
Hermione si volse a fissarlo, sorpresa di leggere timore nel suo sguardo che appariva sempre sicuro e fermo. “Bene: è contento di essere tornato e di avere con sé i suoi migliori amici ed il suo figlioccio ...”
“Ne sono contento: per lui, suo fratello è sempre stato James … o Remus.”
“Perché non vi siete mai cercati? Se posso chiedere, ovviamente …” azzardò la Grifondoro, troppo incuriosita per lasciarsi sfuggire l’occasione di conoscere quella storia. “Perché, per quanto diversi, abbiamo entrambi ereditato dei tratti comuni ai Black … e, tra questi, v’è l’orgoglio: Sirius è sempre stato testardo ed avventato. Agisce senza pensare alle conseguenze delle sue azioni … e così è stato anche quando se n’è andato di casa, desideroso solo di fare il libertino. Mamma e papà non l’avrebbero mai cacciato, anche se lo disapprovavano: era pur sempre loro figlio.” raccontò Regulus, lo sguardo perso in chissà quali ricordi. “Io me lo sentivo, sai? Era da un po’ che avevo questa sensazione, ma avevo solo sedici o diciassette anni, ero troppo preoccupato di prendere il Marchio ed unirmi all’Oscuro, di soddisfare le aspettative dei miei genitori ed essere il figlio perfetto che volevano che fossi … era l’unico modo per farsi amare da loro. Sirius non ha mai capito, non mi ha mai parlato né ha cercato di convincermi. Partiva dal presupposto che fossi, com’era? Ah, sì: uno schifoso Mangiamorte, esattamente come tutta la famiglia tranne nostra cugina Andromeda. Non che io non abbia avuto alcuna colpa, chiaro: lo riprendevo sempre. Lo pregavo di dare meno dispiaceri ai nostri genitori e comportarsi in maniera più consona al suo cognome … secondo te mi ha mai dato retta? Finivamo sempre per litigare per quella sua ridicola moto e tutti quei poster di modelle babbane appesi in camera!” sospirò, scuotendo il capo. “E li aveva attaccati con la colla a caldo … quando se n’è andato, non hai idea dei mesi che ho impiegato a far tornare i muri com’erano prima, anche usando la magia! Sibilla diceva che solo un vandalo avrebbe potuto fare una cosa del genere ad una parete così antica!”
“La … professoressa Cooman?” azzardò Hermione, decisa a dare voce all’ultimo dubbio che le era rimasto. Regulus annuì, sorridendo stancamente. “Sembra impossibile, vero? Io, così razionale e perfettino e lei, totalmente bizzarra e fuori dal mondo. Eppure, senza di lei non sarei mai riuscito a trovare un compromesso tra ciò che mi veniva imposto e ciò che volevo essere … lei mi ha fatto capire che non dovrebbe importarmi degli altri e di cosa pensano di me, che l’unica cosa che conta nella vita è essere felici. Solo che l’ho capito troppo tardi …”
“In che senso?”
“Oh, beh, diciamo che Sib è stata un caso. Credo sia stato merito del destino che tanto ama, a ripensarci … come dicevo, comunque, da ragazzo avevo il mio ruolo di fiero purosangue, ma a volte avevo bisogno di starmene per conto mio e riflettere, valutare essere me stesso, insomma. Andavo in guferia per farlo e ci trovavo sempre una ragazza del mio stesso anno, di Corvonero, che prendevamo in giro per gli enormi occhiali da insetto e le sue stramberie: andava là a parlare con i gufi ed ad esercitarsi con la sfera di cristallo ed i fondi del tè, era ossessionata dal futuro.”
“La Cooman.” annuì la Grifondoro. “Sibilla, sì. Inizialmente la deridevo come tutti, era solo una bizzarra Corvonero suonata e per giunta mezzosangue ai miei occhi: non avrei neanche dovuto considerarla, secondo gli standard dei miei compagni di casa. E, infatti, sedevamo a due lati opposti ed ognuno si faceva gli affari propri. Poi, un giorno, al terzo anno, non sapevo come fare i compiti di divinazione, lei se n’è accorta ed è venuta ad aiutarmi, senza pretendere nulla in cambio … una vera novità, per un Serpeverde! La volta successiva l’ho aitata con Artimanzia, che non capiva affatto: era troppo razionale, per lei. Abbiamo iniziato a parlare ed abbiamo scoperto di essere più simili di quanto pensassimo: entrambi venivano da famiglie illustri e temevamo di deluderle, ad entrambi piacevano la cannella, le costellazioni, i romanzi d’avventura e la musica classica. Con il passare dei mesi, siamo diventati amici … e poi qualcosa di più. Molto di più, con gli anni. L’amavo … e l’amo ancora.” sorrise involontariamente. “Aveva ragione Silente, dopotutto: l’amore è più forte della morte, più forte di qualunque cosa, a dirla tutta. È l’unica forza che sopravvive al male, al dolore, allo scherno, all’odio ed alla delusione … niente può scalfirlo. Quando si ama una persona, non conta nulla se non la persona stessa. Ma non l’ho capito subito … quando le cose si sono approfondite tra di noi, nello stesso periodo si è trattato di scegliere tra lei ed il Marchio, essendo Sibilla mezzosangue ed io non ho avuto il coraggio di ripudiare la mia famiglia. Inutile dire che lei ne ha sofferto moltissimo: mi ha dato del bastardo, ha detto di odiarmi e di non volermi più vedere, all’ultimo anno. Poi ci siamo del tutto persi di vista: io avevo una fidanzata ufficiale, una purosangue che aveva scelto la mamma e la prospettiva di un brillante carriera nei Mangiamorte, mentre Sibilla molti rimpianti e nessun futuro chiaro dinanzi a sé. Non è mai stata molto brava a programmare …” sorrise. “Sono stato io a suggerire ad Aberforth di proporla a Silente come insegnante di Divinazione …”
“Sei … sei stato tu?” esclamò Hermione, sorpresa. “Certo. Mi ero lasciato con la mia fidanzata ufficiale dopo la morte della mamma, non la sopportavo più. Volevo che trovarle quel lavoro fosse un nuovo inizio … ma poi sono morto e non ho più saputo niente di lei.”
“Ora però sei tornato ed hai l’occasione di rimediare.” constatò Hermione, sorpresa da quella storia. “Sì, è vero … me l’ha detto anche Severus. E non intendo lasciarmela scappare.”
“Lui lo sapeva? Di te e Sibilla, intendo …”
“Certo: è impossibile nascondergli qualcosa, oramai dovresti averlo capito. Ero un po’ il suo confidente quando si trattava di Lily e lui era il mio quando si tratta di Sibilla … e Lucius era quello che ci esortava a dimenticare le mezzosangue in favore di ben altri divertimenti.”
“Immagino quali …” mormorò Hermione, risultando più fredda di quanto volesse prima di guardare l’orologio da polso. “Dobbiamo andare, è ora.”
“Bene: sono pronto a ricevere l’estrema unzione prima della pena capitale …” sbuffò Regulus, alzandosi a fatica. “Non credo che Sirius sarà così meschino da ripudiare suo fratello: per quanto testardo ed avventato, è una brava persona.” considerò Hermione, imitandolo. “Beh, da quanto ho capito, non ha reagito molto bene alla scoperta di te e Severus, o sbaglio?”
“Nessuno ha reagito bene, nemmeno i miei.” ammise gelidamente lei, precedendolo fuori dal locale: ciò che si diceva di Regulus era vero. Con la sua aurea di perfezione ed il suo notevole talento oratorio, riusciva davvero a far sentire chiunque inferiore a lui …
“Forse avete sbagliato modo: la maggior parte delle incomprensioni nasce da un cattivo dialogo.” le suggerì il Serpeverde una volta usciti. Hermione si volse a fissarlo, sorpresa. “Dico solo che scegliere momenti e parole con più cura, invece che avventatamente, avrebbe senz’altro favorito l’acquisizione della cosa.” spiegò lui, facendo spallucce. “Ma da una Grifondoro immagino non ci si possa aspettare nient’altro quando si parla di sentimenti, no? E non credere che Severus sia da meno, nonostante l’apparenza …”
Hermione aprì la bocca per replicare, ma, alla fine, considerò più saggio non farlo, limitandosi ad afferrare un lembo della giacca di Regulus prima di smaterializzarsi al numero dodici di Grimmauld Place.
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Quando riapparvero dinanzi al grigio edificio che ospitava, nascosta agli occhi di tutti, Grimmauld Place, era già quasi sera: il rosa del tramonto stava sfumando in un freddo indaco che già mostrava le prime stelle all’orizzonte. Prima che Hermione potesse dire o fare qualunque cosa, Regulus si era già avvicinato, consentendo al muro di aprirsi ed avviandosi con decisione lungo le scale. La Grifondoro lo seguì, quasi ansimando per stargli dietro: per essere stato morto per vent’anni aveva ancora fiato, non glielo si poteva negare. Quando arrivarono dinanzi alla porta d’ingresso in fondo al grigio corridoio buio, stava oramai ansimando. “Mi spiace se ti ho fatta correre, ma … beh, mi era mancato questo posto!” si scusò Regulus, avvicinandosi all’ingresso. Prima di toccare la porta, tuttavia, si rivolse nuovamente ad Hermione. “Dovresti entrare: è sempre casa tua, dopotutto.” lo esortò lei, compresa quale fosse la sua domanda, annuendo. Regulus parve soppesare la cosa prima di annuire ed entrare con decisione.
Grimmauld Place era com’era sempre stata, in legno, con arazzi, tende e drappeggi ovunque, quadri ad infestare le pareti e mobili antica, leggermente rimodernata. “Schifosi mezzosangue! Entrare in casa mia, assieme al sangue del mio sangue!” iniziò a gridare come al solito il quadro di Walburga. “Ciao, mamma.” sospirò Regulus, proseguendo lentamente verso il soggiorno, da cui proveniva una luce oltre una porta socchiusa. Quando l’ebbero raggiunto, si fermò ed Hermione, intuendo cosa stesse provando, lo precedette, aprendo l’uscio.
Nel piccolo salotto di Grimmauld Place c’erano, con sua grande sorpresa praticamente tutti: Harry e Ginny, Luna, Neville, la famiglia Weasley al completo, Lily, James, Hagrid, Minerva, la Cooman, Vitious, Moody, Shackelbolt, Remus, Andromeda e, con sua somma sorpresa, Lucius, Narcissa e Draco. Piton, in piedi in un angolo, la fissò con sguardo piatto mentre tutti si voltavano a guardarla. “Buonasera.” salutò la Grifondoro, scostandosi per lasciare passare Regulus. Al vederlo, più di metà presenti spalancarono la bocca in una perfetta espressione di stupore. “Regulus Black?” esclamò James Potter, schizzando in piedi. “Vivo e vegeto, sì.” annuì questi. “Il libro del destino non ha riportato in vita solo voi tre, James …”
“Regulus!” si riscosse di colpo Narcissa, scattando in piedi e correndo ad abbracciare il cugino, quasi stritolandolo, tanto da costringerlo a scostarsi delicatamente. “Cissy, ho sentito tantissime cose di te!” le sorrise. “Ed io di te, sono così … felice che tu sia tornato! Vero, Meda?”
Andromeda annuì, avvicinandosi cautamente. Dopo un istante di esitazione, abbracciò a sua volta Regulus. “Mi sei mancato, cugino!” esclamò, quasi con le lacrime agli occhi. “Anche voi, tutti!” sospirò Black, dedicandosi a salutare i presenti che conosceva uno per uno e presentandosi agli sconosciuti mentre Hermione si sistemava silenziosamente accanto a Piton. “Hai finito di fare l’eroina?” le disse, gelido. La giovane sgranò gli occhi, volgendosi a fissarlo. “Che intendi?”
“Andare nella tana di una probabilmente alleata di Lestrange, scortare un redivivo che forse tutti stanno cercando a Notturn Alley … molto avventato e tremendamente grifondoro da parte tua.”
“Io non sono una bambola di porcellana.” scandì Hermione, sentendo la rabbia crescere dentro di sé a quelle parole. “Credevo che questo fosse chiaro.”
“Davvero? Strano per un’invincibile ed esperta eroina di guerra essere tanto avventata da andare da una negromante e farsi catturare!” 
Il tono di Severus era gelido. “Poteva succederti qualunque cosa …” continuò. “Anche a te, di continuo!” ribatté lei. “E si parla cose molto più pericolose di quelle che potrebbero accadere a me … eppure non mi sembra di aver mai protestato o di essermi lamentata! Sapevo entrambi che abbiamo dei ruoli, dei doveri non sempre del tutto ‘tranquilli’ … non è facile per nessuno di noi, ma dobbiamo abituarci entrambi all’idea che …”
“Un conto è un rischio calcolato, un altro gettarsi nel vuoto senza imbracatura.” la stroncò Severus senza neanche guardarla. Hermione sentì una fitta allo stomaco. “Certo, perché fare un salto nel vuoto è sempre uno sbaglio, vero? Dunque sono uno sbaglio anch’io, di conseguenza, visto che non fai che rinfacciarmi di esserlo!” sibilò con un filo di voce. Non gli diede tempo di aggiungere altro ed andò a sedersi accanto a Luna e Neville, cercando di sorridere falsamente ai suoi amici sebbene si sentisse trafiggere da mille spilli nel petto. Sentì uno sguardo su di sé e si stupì nel notare che era quello di Ron, seduto in un angolo: sembrava arrabbiato e deluso. Evidentemente, le cose con Lavanda non dovevano andare benissimo …
“E … Sirius?” chiese Regulus alla fine del giro mentre stringeva le mani di una sorridente Sibilla tra le sue, quasi a lasciar intendere che non l’avrebbe mai lasciata. “Sirius è in cucina, caro … te lo chiamo?” sorrise Molly, accondiscendente.
“Padron Regulus!” esclamò una voce acuta, facendo sobbalzare tutti. Kreacher, in un angolo, osservava la scena, sconvolto. “Allora è vero!” sussurrò, gli occhi pieni di lacrime. “Padron Regulus è tornato!”
“Kreacher! Io non potrò mai ringraziarti abbastanza per tutto quello che hai fatto per me, davvero!” sorrise Black, chinandosi e tendendo la mano all’elfo. Questi, però, invece di stringerla, scoppiò a piangere, commosso. “Su, non devi piangere, Kreacher …” lo consolò Regulus, passandosi una mano sulla piccola schiena gobba e scossa dai singhiozzi.
“Che cos’è questa cagnara? Kreacher, perché diamine piangi come una fontana?” tuonò una voce familiare. Al sentirla, Regulus raggelò, alzandosi proprio mentre, sulla soglia del soggiorno, compariva Sirius.
Al vederli in quel momento, i due non avrebbero potuto sembrare più diversi, come luce ed ombra: l’uno un po’ più alto, con una brillante giacca rossa ed una vistosa camicia viola, i capelli più lunghi, barbetta e pizzetto, l’altra con i capelli più corti, un completo scuro e rigoroso, perfettamente sbarbato e le spalle ben dritte. Il silenzio durò per un tempo che parve interminabile prima che Moody battesse il bastone a terra, facendo sobbalzare tutti. “Vogliamo continuare a guardarci negli occhi o possiamo parlare di cose serie, una volta tanto?” sbottò. “Alastor!” lo rimproverò Minerva, aggrottando le sopracciglia. “Che c’è, vuoi una carneficina, forse? Su! Allora, signori …” annunciò l’auror, alzandosi. Istintivamente, Regulus si sistemò accanto a James e Regulus, dopo averlo guardato per un istante, andò a sedersi vicino a Narcissa.
“Allora, sappiamo che tutto parte da questi libri del destino che il Ministero vuole usare per permettere ai vivi di farsi un giretto nell’aldilà a piacimento.” iniziò. “Per farlo, serve una negromante, Daciana Karkaroff, in questo caso, rinchiusa ad Azkaban che, in cambio, ha chiesto di conferire con Rodolphus Lestrange, sempre incarcerato lì. Nessuno ha idea di cosa si siano detti. Di Lestrange si sa soltanto che conferisce regolarmente con Euphemia Rowle, una strega che paga affinché cresca la nipote orfana, ma che non pare implicata nelle arti oscure. Potter, novità da Azkaban?”
“I secondini dicono che Lestrange non parla mai con nessuno. Non potrebbe neanche, in ogni caso: è in isolamento perché pericoloso.” annuì Harry. “Dunque l’unico modo con cui potrebbe accordarsi con Daciana o altri è il Marchio Nero.” asserì Moody. “Ora, cortesemente, voi tre che l’avete vorreste spiegarci come funziona?”
Hermione percepì gli sguardi di tutti puntati su Lucius, Severus e Regulus. Se il primo ne sembrava quasi compiaciuto, Piton rimase impassibile e Black continuava a fissare il fratello maggiore, che lo ignorava totalmente. A stemperare la tensione ed il gelo improvvisamente calato fu Kreacher, che arrivò con vassoi colmi di tè, scones, caffè e bibite rinfrescanti per tutti. “Dove lo appoggio, signore?” chiese. “Dove ti pare.” bofonchiò Sirius. L’elfo si volse verso di lui. “Ho chiesto a padron Regulus: lui è il mio padrone. Io servo la famiglia Black.” asserì, meccanicamente. “E beh certo … io non ne faccio parte, invece!” ghignò amaramente il Grifondoro. “Appoggiali pure sul tavolo, Kreacher, grazie mille: puoi andare, dopo, non preoccuparti, sistemiamo noi più tardi.” li fermò Regulus, riconfermando la diceria secondo cui aveva sempre trattato bene la creatura. L’elfo ubbidì e, rivolta un’ultima occhiataccia a Sirius, si dileguò.
“I Marchi Neri sono collegati tra loro, ovviamente, altrimenti l’Oscuro Signore non avrebbe saputo come chiamarci a sé tutti assieme.” spiegò Lucius, prendendo un cocktail rosso ed accomodandosi con le gambe accavallate, strappando un lieve sbuffo alla moglie. “Rosier, che ora è morto, aveva inventato un metodo per consentirci di comunicare attraverso esso durante le missioni segrete … era un incantesimo piuttosto semplice: si dice ‘Morsmordre loquitur’ e poi si pensa al messaggio ed al destinatario. Esso apparirà automaticamente sul suo Marchio. Eravamo in pochissimi a saperlo: forse solo io, Rosier, Piton e Bellatrix.”
“Funziona ancora quella roba?” continuò Moody. Lucius fece spallucce. “E chi lo sa?”
“Non l’avete provato?” considerò James, quasi ostile. “Nessuno ci ha detto di farlo: non vorrei mai che prendere iniziativa fosse considerato segno di fedeltà all’Oscuro, Potter …”
“Provatelo ora, in tal caso!” li esortò Minerva, interrompendo il bisticcio sul nascere. I tre ex Mangiamorte si guardarono per un secondo prima che tutti e tre iniziassero a tirarsi su le maniche sinistre. Draco stava per imitarli, ma suo padre lo bloccò. “Non voglio che lo faccia anche tu.” lo liquidò.
Hermione decise di non guardare, contrariamente a quello che stavano facendo tutti, inorriditi: del resto, lei conosceva bene quel Marchio. Lo aveva guardato, sfiorato, ne aveva percorso ogni spira lentamente e vi aveva persino poggiato il capo per riposarsi quando si svegliava stordita dagli incubi. Sapeva quanto Severus se ne vergognasse, quanto bramasse cancellarlo: era stata lei a fargli capire che era parte di lui e che doveva accettarlo, che non l’avrebbe mai voluto diverso da com’era, con tutti i suoi marchi e le sue cicatrici.
Lucius si era arrotolato la manica rapidamente senza troppi problemi, così come Regulus, mentre Piton ci aveva messo quasi il doppio, con tutti i bottoni che aveva dovuto aprire, ma ora i tre Marchi erano esposti e, contrariamente a quanto si diceva, erano sì lievemente sbiaditi, ma ancora ben presenti ed impressi nelle carni dei proprietari. “Faccio io.” annunciò Lucius, estraendo la bacchetta. “Morsmordre loquitur …” sussurrò prima di chiudere gli occhi. Dopo solo qualche istante, sulle spire dei serpenti dei Marchi di Piton e Regulus comparve una scritta biancastra. “Villa Malfoy.” lesse Severus con voce piatta prima di riallacciarsi la manica. “Funziona ancora.” sentenziò. “Non c’è modo di sapere se altri Mangiamorte comunicano con quelli?” domandò Lily, apprensiva. “Non è mica un registro telefonico babbano, signora Potter.” sogghignò Lucius. “Non possiamo ascoltare le comunicazioni precedenti. Ma si può capire se è stato usato di recente per comunicare: i Marchi Neri fiutano altri Marchi Neri. Se ce n’è uno nei paraggi, tende ad incupirsi … è una novità che ho notato dopo la guerra.”
“Sì, è vero.” annuì Draco. “Succede anche a me. Anche a Lei, professor Piton?”
“Sì.” ammise rigidamente Severus. “Dunque se vi avvicinaste ad un Mangiamorte che usa il Marchio per comunicare, verosimilmente con Lestrange o Daciana Karkaroff, lo sapreste … interessante.” annuì Moody. “E che vorresti fare, Alastor? Mandarli in giro a setacciare i paesi sino a quando non avranno trovato il suo contatto con l’esterno? Non sono Mangiamorte: sono un ragazzo con tutta la vita davanti, un padre che si sta riscattando, un competente professore ed un uomo appena tornato dalla morte che deve riprendersi la sua vita, non bestie da macello!” esclamò Minerva, indignata. “E chi ti dice che volessi farlo?”
“Ti conosco, ricordatelo!”
“Allora proponi altro, su, perché qui non si mette bene, quella cosa della Cooman dice che avverrà ad una festa e domani c’è …”
“La soluzione è non fare il matrimonio.” annunciò Ginny, spiazzando tutti. Decine di occhi si puntarono su di lei, che fece spallucce. “Non vedo dove sia il problema, scusate … sarebbe solo rimandarlo!”
“Ha ragione.” annuì Harry. “Ma … volevate tanto sposarvi al tuo compleanno!” protestò Molly. “Ed è tutto pronto, è domani!”
“Credete davvero che rimandare cambierebbe qualcosa?” li spiazzò totalmente Luna. “Troverebbero solo altre occasioni, magari meno controllabili e più pericolose … non possiamo smettere di festeggiare per sempre: tanto vale affrontarli ed essere pronti in caso di emergenza. Sappiamo, adoperiamoci e basta.” concluse, facendo spallucce. “Ha ragione …” annuì Bill. “Forse è meglio così: qualunque cosa accada, saremo pronti.”
“Ma pronti cosa? Ma come?” esclamò Moody, quasi isterico. “Non c’è un piano, non c’è una direttiva, niente di niente di niente! Come diamine potete anche solo pensare di …”
“Alastor!” lo rimproverò Vitious. “Qui siamo tutti ottimi maghi: basta organizzarci. I signori Malfoy, Piton e Black potrebbero sistemarsi ai lati della sala dove si terrà la festa così da riuscire ad intercettare se ci dovesse essere qualcuno che usa il Marchio, io e Minerva potremmo mettere incantesimi di protezione ovunque e gli invitati comunque staranno attenti.”
“Potremmo anche organizzare delle ronde fuori!” annuì Remus. “Certo e poi una gita di fine giornata!”
“O così o ripaga lei il catering, Moody!” sbuffò James. “Come se fosse quello il problema principale con tutti i soldi che ti ritrovi, Potter …” sibilò Piton, quasi disgustato. “Detto da uno che va con le ragazzine …”
Un silenzio di tomba calò sulla stanza ed Hermione si sentì impallidire.
“Basta, finitela anche voi due, su! Pensiamo a queste ronde piuttosto … domattina Alastor ve le comunicherà ufficialmente. Le organizzeremo stasera nel mio ufficio. Severus, gradirei passassi anche tu sul tardi.” annunciò Minerva, alzandosi. “Ed ora credo sia meglio che andiamo tutti a casa: domani sarà una giornata impegnativa e dobbiamo riposare e prepararci.”
All’esortazione della preside, i presenti si alzarono in silenzio, bofonchiando commenti e lamentele mentre si avviavano verso la porta, le bevande di Kreacher ancora tutte intatte. Hermione si alzò lentamente, salutando Ginny, Luna e Neville con un vago sorriso e sentendo gli sguardi di James e Lily addosso mentre le passavano vicino. “Allora, ti sei divertita?” le sussurrò una voce familiare, facendola sobbalzare: Ron, dietro di lei, la fissava con sguardo carico di rammarico. “A fare cosa, scusa?” replicò. “A fartela con Piton, ovviamente!” sputò l’altro, disgustato. Hermione sentì il cuore frantumarsi e lo stomaco contrarsi. “Ma cosa …”
“Credi che sia tanto stupido, ma l’ho visto, sai? Non vai più dai Potter, quando sei entrata hai parlato subito con lui, avete discusso e poi James ha detto quella cosa sulle ragazzine … ho capito subito che eri tu. Soltanto Hermione Granger poteva credere che ad un bastardo importasse di lei solo perché ama leggere …”
“Non so davvero cosa tu stia dicendo, Ron!” sibilò, indignata, sentendo le lacrime che premevano per uscire. “Da quanto va avanti? Da Hogwarts? Spiegherebbe perché avessi eccellente anche in Pozioni quando tutti arrancavamo per una misera D! Dimmi, è stato bello, ti sei divertita a farti il Mangiamorte, eh? Avevate concordato un voto a botta o uno complessivo per i tuoi servizi?”
Lo schiaffo arrivò senza preavviso, facendo sobbalzare i pochi rimasti nella stanza e rimbombando tra le pareti. “Non ti permettere mai più di dire una cosa del genere!” sibilò Hermione. “Mai più!”
“Sai che c’è? Un giorno rimpiangerai di avermi mollato perché non ero abbastanza: ti userà finché gli comoderai e poi ti lascerà come un giocattolo rotto, a raccogliere i cocci. Ed allora tonerai da me e sarà troppo tardi, perché il cretino che ti ha sempre aspettata si è rifatto una vita!”
“Mi chiedo come mai il cretino non sia con questa vita che tanto ama invece che qui a farsi i fatti di una che avrebbe dovuto scordare, in tal caso!” considerò Hermione, ancora indignata e visibilmente agitata.
Ron non rispose, limitandosi a fissarla con disgusto prima di andarsene rapidamente, sbattendo la porta.
La ragazza ripiombò a sedere sul divano, sentendo gli sguardi dei pochi presenti rimasti su di sé, ma li ignorò, afferrando un cocktail blu zaffiro e bevendone un profondo sorso: sapeva di rum e lampone. Sollevando lo sguardo, incontrò quello interrogativo di Severus, ma lo ignorò, rivolgendosi invece ad Harry. “Resterai qui stanotte?” chiese, la voce più acuta di quanto volesse. “Credo di sì.” annuì lui. “Papà e mamma me l’hanno ordinato … dicono sia più sicuro.”
“Sicuro Grimmauld Place … certo!” rise Sirius, accavallando le gambe. “E magari ti hanno anche messo una guardia del corpo!”
“In effetti sì, per ordine di Moody.” sospirò il ragazzo. “Arriverà a breve, credo … ma dov’è Regulus?”
“Credo sia di là.” disse Sibilla distrattamente, stringendosi nel morbido scialle blu che aveva estratto dalla borsetta. “Mi ha chiesto di aspettarlo …”
“Di là dove?”
“Nella stanza dell’arazzo: ne è sempre stato ossessionato.”
“Per me, dovresti andare da lui, Felpato.” intervenne Remus, deciso. L’altro fece spallucce, prendendo un calice di vino. “Se avesse voluto parlarmi, l’avrebbe fatto prima!”
“Regulus è molto dispiaciuto per come sono andate le cose tra di voi.” disse Hermione, fissando Sirius negli occhi grigi mentre parlava. “E ti vuole davvero bene: me l’ha detto. Sapete entrambi di essere due eroi di guerra, di essere morti per chi amavate … credo che dovresti quantomeno provare a parlargli. Lui è più timido, non farà di sicuro il primo passo.”
“E dovrei farlo io?”
“Sei il maggiore, il Grifondoro, nonché il suo eroe, quindi sì.” annuì Sibilla, convinta. “Il ritorno di Regulus pare essere riuscito a curare il tuo lieve problema con l’alcolismo, Sibilla!” sogghignò appena Severus- “Speriamo resti per molti anni, la tua cattedra ne gioverà!”
“Sempre spiritoso tu, eh, Piton?” sbuffò la veggente mentre Sirius, seppur titubante, si alzava ed usciva dalla stanza in silenzio. Hermione lo seguì con lo sguardo, curiosa, prima di incrociare quello di Remus, che le indicò una porta poco lontana. La strega si alzò e lo seguì, entrando assieme a lui ed accendendo la piccola luce del minuscolo sgabuzzino. “Da qui si vede nella stanza degli arazzi.” spiegò Lupin, indicando dei buchi nel muro. “E tu come lo sai?” sorrise Hermione, sbirciando da quelli più bassi. “Oh, vecchi trucchetti che mi ha mostrato Sirius tanto tempo fa … niente di che, comunque!”
“Io non direi …”
Nella stanza dell’arazzo, di fronte al gigantesco albero della famiglia Black, Sirius e Regulus erano in piedi, uno dinanzi all’altro, gli sguardi concentrati sulla parte, senza neanche guardarsi. “Riusciranno a riappacificarsi?” considerò Hermione. “Sì: Sirius vuole bene a Regulus. Hanno commesso degli errori, ma sono sicuro che riusciranno a ricominciare …”
“Sai, ti ammiro per come credi sempre nel lieto fine!” sorrise, amara, la strega. “Io non so più se ci riesco …”
“Bisogna riuscirci: è l’unico modo per affrontare le cose … cose come la tua discussione con Ron …”
Hermione si sentì arrossire. “Si è notato tanto?” considerò, sospirando. “Abbastanza. Immagino c’entrasse Severus …”
“C’entra in tutte le discussioni, ultimamente.” commentò, amara, zittendosi nel rendersi conto che Sirius e Regulus si erano voltanti uno verso l’altro, guardandosi brevemente di sottecchi. “Non è l’albero di un tempo …” considerò Sirius. “È la prima cosa che ho notato quando sono tornato in questa casa. Sapevo che mamma mi aveva cancellato, così come aveva eliminato Andromeda, ma vederlo fa un altro effetto … vecchia bastarda …”
“Era fatta modo suo.” gli concesse Regulus. “E non era amorevole: voleva che tutto fosse esattamente come diceva lei. Papà era diverso … e ti voleva un gran bene. Eri il primogenito, dopotutto …”
“Il primo disonore, semmai!”
“Non l’ha mai pensato.”
“E tu? L’hai pensato?”
Regulus si volse a fissarlo, quasi specchiandosi in quegli occhi grigi, così dannatamente identici ai suoi. “A volte.” ammise. “Quando non sei tornato, quella sera, l’ho pensato davvero. Di solito ti arrabbiavi, te ne andavi sbattendo la porta, gridavi, ma finivi sempre per ritornare a casa … però quella volta non l’hai fatto.”
“No. Non avrei resistito un solo istante di più in quella casa ...”
“Non era una giustificazione per andarsene.”
“Avresti potuto venire con me, lo sapevi, Reg!”
“No, invece!” sbraitò l’altro, voltandosi di scatto. “Perché, dato che il ruolo del ribelle era già tuo, a me non è rimasto che assecondare i piani che i nostri genitori avevano per entrambi! Io non sono un Grifondoro, Sirius, lo ricordi? Me lo dicevi sempre, lo ricordo … non ho il tuo coraggio.”
“Sì, invece.” lo zittì l’altro. “E l’hai ampiamente dimostrato con quello che hai fatto con il medaglione di Salazar … io non avrei mai voluto che accadesse, sono stato così male quando ho saputo … perché non sei venuto da me?”
“Perché mi avevi già tagliato fuori dalla tua vita: ti importava solo di James, Remus e Peter. Erano solo i tuoi fratelli, non più io ed il sangue non contava niente per te. Avevi in mente solo l’essere l’esatto opposto di ciò che ci si aspettava da te e far infuriare la mamma … tanto poi a doverla sopportare ero io, giusto?”
“Non mi hai più voluto parlare dopo che me ne sono andato ...”
“Perché non mi hai neanche chiesto di venire con te, davi per scontato che non l’avrei fatto, dannazione, Sirius! Ho sempre creduto che mi odiassi, che fossi l’ennesimo membro della tua famiglia Serpeverde che detestavi …”
“Ma non avrei mai potuto …” lo interruppe l’altro, abbassando di colpo la voce. “Io … io non ti ho detto nulla perché credevo che tu volessi essere come loro. Eri sempre così razionale, ubbidiente … io non pensavo che … Merlino, Reg: non volevo che accadesse niente di ciò che è accaduto. Davvero. James è come un fratello per me, è vero, ma … ma mio fratello, quello vero, sei tu. Eri tu che mi portavi di nascosto i dolci quando mamma si arrabbiava con me ed eri sempre tu quello a cui leggevo libri su libri quando si ammalava. Anche oltre quel velo … ho pensato ad Harry ed a te, prima di cadervi. Ero quasi contento di rivederti, volevo capire cosa ti era successo, se eri morto davvero per quegli ideali stupidi …”
“No.” deglutì Regulus. “Non lo ero … io e Severus l’avevamo capito. Ben prima. Ed abbiamo agito di conseguenza, ognuno per conto proprio …”
“Dovrei ringraziare Severus Piton, sul serio?” sogghignò Sirius. “Ed io James Potter: sono stati ottimi sostituti, no?” sospirò Regulus. Rimasero a guardarsi in silenzio per un po’ prima che il minore puntasse la bacchetta sull’arazzo, mormorando poche parole. Tutti i nomi che erano stati cancellati, lentamente ritornarono. “Mi sono unito a Voldemort perché pensavo fosse giusto, che fosse il mio destino, ma non era così. Ho rimediato, a modo mio … ed anche tu. Adesso basta con il passato e con la reputazione dei Black …” annunciò. “Basta con tutto. Ho avuto una seconda occasione ed anche tu: non voglio passarla affogando nei vecchi errori … rivoglio la mia vita di prima, la mia casa, i miei amici, quelli veri … e mio fratello.”
Qualcosa, a quelle parole, doveva essere scattato in Sirius, dato che, di slancio, strinse Regulus a sé. Il Serpeverde ricambiò ed entrambi rimasero stretti nell’abbraccio per parecchi minuti, gli occhi lucidi e qualche lacrima che colava lungo le guance imporporate. Il cuore di Hermione si strinse a vedere quella scena …
“Però, fratellino, devi seriamente spiegarmi una cosa prima di tutto … Sibilla Cooman?” esclamò Sirius, separandosi. Regulus rise. “Devo parlare anche con lei, ora … però sì. Te lo racconto dopo …”
“Voglio sperare!”
“E tu?”
“Io che?”
“Non hai messo la testa apposto?”
“No, ero troppo impegnato a fare il ribelle … ora che ci penso, devo ancora pagare le bollette di Grimmauld Place da ottobre …”
“Immaginavo. Per fortuna che sono tornato!” sospirò Regulus. “E tornerai qui, vero? Questo posto è troppo grande e troppo vuoto per me solo, ti prego!”
“Certo che torno a vivere qui, che credi? Per metà è mio! E, poi, tutto questo rosso … ci vuole un po’ di verde!”
“Solo se mi lasci riappendere i poster delle ragazze babbane in bikini in camera …”
“Ma neanche per idea, hai rovinato tutti i muri, hai la minima idea di quanto antica sia quella carta da parati, Sir?”
I due fratelli, ridendo, si avviarono all’uscita e Remus ed Hermione li imitarono scambiandosi un sorriso.
Non appena i Black rientrarono in soggiorno, i presenti li fissarono, dubbiosi. “Regulus resta qui … per sempre. E puoi restare anche tu, Sibilla, ci mancherebbe … avete molte cose da dirvi, immagino …” annunciò Sirius, distogliendo lo sguardo dal fratello che si sedeva accanto alla Cooman prima di prendere fiato e rivolgersi a Piton, immobile sulla poltrona prima occupata da Lucius. “Credo di doverti dei ringraziamenti e delle scuse, Mo … Severus. Hai aiutato mio fratello quando ne aveva bisogno ed io non c’ero … dunque grazie.”
Piton chinò appena il capo, quasi divertito dallo sforzo immane che stava compiendo Sirius. “Dovere.” confermò.
“Non sei cambiato affatto, Sirius Black!” esclamò una voce all’improvviso. Hermione guardò una figura che prima non aveva notato, seminascosta accanto ad Harry: si trattava di una ragazza bassa e magra dalla pelle bianca, lunghi capelli biondi e lisci pettinati con una vistosa frangia laterale ed occhi azzurri e taglienti. Indossava abiti da strega verde smeraldo. “Willow Vance!” rise Sirius. “Ma che sorpresa! Che ci fai qui?”
“Faccio da scorta ad Harry Potter, per stasera!” annuì prima di guardare Hermione. “Sono la sorella di Emmeline, sì … tu devi essere Hermione! E ciao anche a te, Remus …”
“Non ho bisogno della balia, l’ho detto a Moody …” sospirò Harry. “Non essere ridicolo, ci sono parecchi pericoli là fuori … ed anche qui dentro!”
“Quanta ostilità … mi pareva fossi tu quella solita a scappare al momento fatidico!” considerò Sirius, incrociando le braccia. “E tu quello che usa le persone e poi le getta via … o sbaglio? Ero solo una ragazzina persa di te quando mi hai mollata liquidando tutto ad un divertimento estivo …”
“Sei stata tu a farlo, non io!”
“Certo, perché sono Serpeverde, no?”
“Perché sei una serpe e basta, Willow!”
“Oh, Salazar …” sospirò Regulus. “Bentornato a casa, Black …” sogghignò Severus, alzandosi. “Ora, se volete scusarmi, si sta facendo tardi ed avrei delle faccende da sbrigare.” concluse, avviandosi in silenzio verso l’uscita. Hermione si alzò a sua volta. “Ha ragione, è molto tardi anche per me e domani sarà una giornata molto impegnativa … buonanotte!” mormorò, fiondandosi alla porta senza attendere risposta.
Una volta uscita da Grimmauld Place, le parve di tornare a respirare. Si appoggiò allo stipite, sospirando: l’aria fresca e le stelle luccicanti nel manto cobalto del cielo la rasserenarono, riuscendo ad alleggerire la tensione che percepiva su di sé in vista del giorno seguente. Anche se si fingeva tranquilla, la verità era che temeva che i suoi sogni potessero avverarsi … e temeva che tutto fosse causa sua che li aveva lungamente ignorati. Lentamente, percorse il vialetto e, come pensava, trovò Severus in piedi accanto ad un lampione a fissare la strada deserta, come la sera della riapertura di Grimmauld Place di un anno prima … sembrava passata una vita, a ben pensarci. “Weasley è stato inopportuno?” le chiese mentre si sistemava accanto a lui, a braccia incrociare. “Ron è sempre inopportuno, Severus” sospirò. “Che cos’ha detto?”
“Che probabilmente la nostra storia era iniziata già ad Hogwarts e che per questo avevo bei voti in pozioni.”
“Alquanto ridicolo.”
“Abbastanza.”
“Ma ti ha ferita, giusto?”
“Un po’ … penso sia normale!”
Piton si volse a fissarla con uno sguardo colmo di rabbia. “Avresti potuto negare!” asserì. “E perché avrei dovuto? Oramai lo sanno quasi tutti …”
“E tu ci rimani male, è questo il problema, Hermione: non puoi ostentare di volerlo gridare ai quattro venti e poi lamentarti quando le reazioni altrui sono esattamente quello che ti avevo detto di aspettarti …”
“E cosa dovremmo fare, scusa? Vivere nell’ombra? Io non sono quel tipo di persona!” sbottò lei, volgendosi di scatto. “Ma soffri continuamente per questo, Hermione, non te ne accorgi? Sei appassita da quando non vai più dai Potter e menti ai tuoi … e sei anche avventata!”
“Credevo di averti già detto che …”
“Puoi metterla come vuoi, ma le tue azioni restano sconsiderate … non credo che nessuno mi abbia mai dato tanto da pensare in vita mia …”
“Perché io sono una bambina e tu l’uomo, giusto?” strepitò Hermione, incrociando le braccia al petto. “Io sono la ragazzina che non capisce niente e che ti ama per pura pietà. Quando la finirai di vederti come un martire, Severus? Di fare la parte della spia acida con un passato struggente alle spalle? Quando ti deciderai a dire che stai andando avanti e sei felice, a rischiare anche di perdere chi ami, pur di averlo con te?”
“Non ti pare che lo stia già facendo?”
“Sì, ma ...”
“Non sono un Grifondoro, devo ricordartelo?”
“Me lo ricordi continuamente, quasi il problema fosse la casa a cui appartengo io o a cui appartieni tu!”
“E quale sarebbe il problema?”
“Che hai paura.” esclamò, esasperata, la ragazza. “E che io sono stata avventata, sconsiderata, forse a tratti ingenua, ma ho sempre fatto ciò che mi sentivo di fare, ciò che il mio cuore mi suggeriva per essere felice. Tu, invece, ascolti poco il cuore e troppo la testa: non fai che pensare a questo e quello senza provare minimamente a capire che tutto il resto non conta, se sei felice … e per questo ora ci ritroviamo entrambi divisa tra una vita che abbiamo ed una che vorremmo avere!”
“Perché tu cosa vorresti che non hai?” sibilò lui. “Hai famiglia, amici, un amante più grande addirittura …”
“È questo il punto!” gridò, irritata. “Il fatto che tu non ti senti di essere nient’altro di più. Non dico ora, per carità, siamo insieme da poco, dopotutto, ma in futuro che farai se i miei si metteranno contro o se lo farà Lily? O se i miei amici non vorranno invitarmi alle cene perché sto con te?”
“Non lo so, Hermione e francamente con una possibile guerra alle porte perché tu ignori segnali fin troppo evidenti per pensare alle tue sciocchezze non mi pare il caso di pensarci!”
“Per me non sono sciocchezze.” deglutì lei, abbassando di colpo la voce. “E credevo non lo fossero nemmeno per te …”
Severus tacque, gelido. “Mi conosci, dovresti capire …”
“Forse ho solo creduto di farlo.” sospirò lei, scacciando una lacrima con un gesto furioso. “Ho pensato che avremmo potuto affrontare qualunque cosa, ma sbagliavo: forse avevano ragione gli altri a dire che l’amore non basta, dopotutto. Non se lo si ritiene una sciocchezza superflua …”
“Non ho mai detto che sia superfluo quello che c’è tra noi e lo sai …” sospirò Piton. “Ma, Hermione, dovresti essere abbastanza ragionevole da capire che al momento ci sono cose ben più importanti che un litigio perché ti ho detto di essere avventata …”
“Non stiamo litigando per quello.” lo zittì lei, quasi rabbiosa. “Stiamo litigando perché tu non fai che vergognarti di me, perché non vuoi legarti a nessuno per timore, perché hai paura di amare qualcuno che non sia Lily alla luce del sole, di essere felice … ecco perché ho sempre dovuto dirlo io a tutti … e credo che questa sia l’unica risposta.” concluse, stringendo la borsetta a sé prima di voltarsi di scatto. “Hermione!” la chiamò l’altro. “Hai ancora la lettera e la foto, vero? Non l’ho detto per gelosia ad Honfleur, lo sai benissimo … l’ho detto esattamente per questo!” replicò lei, volgendosi ed osservandolo, immobile e sconvolto. “Questa è la prova che ho ragione …”
Detto ciò, la giovane si voltò, lasciando che la notte inghiottisse le sue lacrime nervose ed amare, incurante del serpente d’ombra che, strisciando tra i bidoni e le fughe dei marciapiedi, la seguiva passo dopo passo …

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Capitolo 27
*** Vorrei che fossi qui ***


Capitolo Ventisettesimo
Vorrei che fossi qui

Did they get you to trade
Your heroes for ghosts?
Hot ashes for trees?
Hot air for a cool breeze?
Cold comfort for change?
Did you exchange
A walk-on part in the war
For a leading role in a cage?
“Non sono ancora del tutto convinto che sia una buona idea, Minerva, ma …”
“Ma niente Alastor: non c’è altra soluzione, dunque useremo le ronde. Punto. Ora va’ a riposare, domani sarà una giornata piuttosto pesante …”
Moody annuì, alzandosi a fatica dalla comoda poltrona di pelle dell’ufficio della preside di Hogwarts. Accanto a lui, Piton rimase seduto a fissare un punto indistinto dinanzi a sé, senza proferire parola: guardava il vuoto oramai da ore, da quand’era iniziata quell’assurda riunione a cui non sapeva perché stesse prendendo parte, per la precisione. Dopo che l’auror fu uscito senza dire una parola, la McGranitt sollevò il capo a guardarlo, ottenendo, finalmente, di incontrare il suo gelido sguardo d’onice. “A cosa dobbiamo il tuo pessimo umore?” chiese innocentemente. “A cosa pensi sia dovuto? C’è una terza guerra magica alle porte e ti chiedi anche a cosa sia dovuto il mio malumore, Minerva? Seriamente?” commentò, acido. “Sì, me lo chiedo e mi chiedo anche cos’abbia ispirato quel commento poco felice a James Potter …”
“Dovresti aver capito che ha un naturale talento per l’esse avventato e sconveniente: avrà frainteso o, meglio ancora, inventato …”
“Non credo proprio: insegno da anni, Severus. So riconoscere una bugia in chi è sempre totalmente sincero come lui. E James lo era … sei tu, piuttosto, a non dirmi tutta la verità!”
Il Serpeverde ghignò, amaro. “Non mi pareva che avessi tutto questo talento, quando si trattava delle mie bugie! Non ti sei mai fatta problemi a darmi del codardo, Minerva …”
“Ora sei ingiusto!” strepitò la Grifondoro, levandosi gli occhiali, esasperata. “Non sapevo il tuo vero ruolo, nessuno si era mai preso la briga di informarmi! Se l’avessi saputo, ti avrei aiutato … e mi pare di essermi abbondantemente scusata e di aver riconosciuto il tuo valore, negli ultimi anni!”
“Se sei apposto con la tua coscienza allora cosa vuoi da me?”
Minerva sospirò, scuotendo il capo. “Capire perché sei tornato com’eri tre anni fa, magari … e capire come questo c’entri con la tua relazione con Hermione Granger, magari …” ammise tranquillamente. Per qualche istante, un silenzio assoluto popolò lo studio illuminato dalle fioche abat-jour sparse qua e là. Minerva si godette l’aria furibonda e sorpresa al tempo stesso di Severus Piton prima di rialzare lo sguardo dalle sue carte e sorridergli, conciliante. “Credi di essere l’algido occlumante insensibile e di poterla fare a tutti, ma non è più così: sono successe troppe cose … e per me sei un po’ come un figlio, lo sai. Ti conosco ed ho imparato a leggere le tue espressioni. Ho notato che negli ultimi mesi il tuo umore è stato un’altalena: da febbraio ad aprile le pareti dei sotterranei hanno tremato e non ti si poteva neanche parlare, poi, da fine aprile a ieri, eri … beh, un uomo nuovo: a volte sorridevi, persino. E volevi sempre andare a casa, oramai non ti si trovava più al castello. Avevo pensato che potesse esserci di mezzo una donna, sai? Finalmente, oserei dire! E poi ho visto come avete reagito tu ed Hermione quando le ho detto di dare una possibilità al professor Eton: tu sei letteralmente fuggito via, pieno d’ira e gelosia e lei si preoccupava solo di poterti raggiungere il prima possibile. Infine, stasera, vi ho visti litigare, appena Hermione è arrivata … ed immagino anche dopo. Dunque, Severus, ora vorrei cortesemente sapere cosa sia successo, in quanto tua … amica.”
Il Serpeverde rimase a fissare la preside, impassibile, per qualche istante, forse dubbioso su cosa dire e come, per poi accavallare le gambe e sospirare, rassegnato. “Non hai niente da dire su quanto abbia ragione James Potter e quanto io sia un depravato? Su quanto sia inopportuno?”
“Non hai mai conosciuto mio marito Elphinstone, vero?” replicò Minerva, asciutta. Piton scosse il capo. “All’epoca non avevo molta voglia di stare in società.” rammentò. “Lo so, me ne ricordo bene. Elphinstone ed io avevamo trent’anni di differenza.” sospirò la McGranitt, appoggiandosi allo schienale e levandosi gli occhiali, sorprendendo Severus. “Lui era il mio capo al Ministero. La prima volta che mi chiese di sposarlo, rifiutai: ero rimasta scottata dall’amore ed avevo paura di cos’avrebbero detto tutti, paura di vivere. Poi me lo richiese e non seppi dirgli di no, perché avevo capito che era lui la mia felicità. Siamo stati molto felici e pian piano la gente ha imparato ad accettare la nostra relazione … quando è morto credevo che non sarei riuscita ad andare avanti. Lui era … tutto, per me. Tutto.” raccontò, la voce lievemente incrinata. “Perciò ti … vi capisco, più di chiunque altro: vi amate, follemente, se posso permettermi, siete felici assieme e vi completate, siete l’uno la rinascita dell’altra e viceversa. Siete ciò di cui avevate bisogno e non lo sapevate. Ma il problema è il mondo fuori, vero? La gente parla, protesta … molti non l’hanno presa bene, immagino. Tu probabilmente l’avevi preventivato, ma Hermione ne soffre comunque …”
“Non solo.” ammise rigidamente Severus, senza guardarla direttamente. “Lei è stata anche avventata in alcune decisioni: ha rischiato la sua vita per questa storia del libro.”
“Come fai tu continuamente, quasi a nessuno importasse, se tu morissi …”
“È diverso!” la liquidò con un gesto frettoloso. “Ha detto a tutti di noi senza problemi, per poi rimanere male quando reagivano esattamente come avevo predetto. Vorrebbe tutto: famiglia, amici ed amore. Ma non è possibile ed a lei non basta, a quanto pare. Mi ha rinfacciato che non voglio espormi, che ho paura di essere felice e di vivere le cose alla luce del sole, che non le do manforte … e che, a prova di questo, secondo lei, ho ancora la foto e la firma di Lily.”
“Ha ragione.” annuì Minerva, spiazzandolo. “Non avevi detto di essere mia … amica?” sogghignò, canzonatorio. “Gli amici consigliano, infatti e ti sto dicendo che ha ragione lei: sei troppo rigido ed hai paura, una paura tremenda di soffrire. Forse perché l’hai già fatto troppo, nella tua vita. Temi che tutto possa finire e di venire ferito nuovamente ed hai paura di ufficializzare e difendere la vostra storia dinanzi a tutti perché credi che abbiano ragione, in fondo, che sei solo un vecchio peso per lei e starebbe meglio senza di te, che nessuno possa amarti. Ma Hermione, mio caro, sa fin troppo bene quello che vuole … e vuole te. A dispetto di tutto e di tutti. Ha sacrificato tanto per i suoi vent’anni e, giustamente, oserei dire, si aspetta che tu faccia un passo verso di lei, per farle capire che non sta facendo un salto nel vuoto.”
“Mettendomi in una relazione con una ragazza di vent’anni più giovane credo di averle già dimostrato ampiamente che …”
“Vedi cosa intendo? Sei così acido, gelido e sprezzante da risultare estremamente difficile da sopportare, Severus! Lei vorrebbe solo capire se tu l’ami davvero perché non lo sa, non sa come interpretare le tue parole ed i tuoi gesti dopo così poco tempo … e no, non è una cosa che si dimostra solo in privato. La vedi come una donna, ma, per quanto sia intelligente, sveglia e matura, ha vent’anni, è giovane ed ha sofferto molto … dovresti capire perché voglia delle rassicurazioni. Sei tu l’uomo maturo, comportati come tale, visto che lo sottolineerai sicuramente ogni due per tre, povera cara! Oltre ad avere ragione a dirti che tenere quella foto è assolutamente stupido: perché dovresti conservare un monumento a qualcosa che non c’è mai stato? Se davvero l’ami, dimostraglielo e va’ avanti … e, per l’amor del cielo, fregatevene degli altri! Se davvero vi vogliono bene, capiranno da sé. Per ora è tutto: va’ a riposare, è tardi e domani hai un matrimonio a cui partecipare. ‘Notte.”
Severus rimase, immobile, a fissare Minerva, stordito e sorpreso: tutto si aspettava da lei tranne quell’esplosione di sentimentalismo. Forse, pensò, era vecchia e si stava rammollendo, come Albus. Era successo anche lui stesso, del resto: forse, c’era una maledizione, su quella poltrona. O, forse, più semplicemente, Minerva aveva ragione …
Scacciò il pensiero, alzandosi e, senza dire una parola, si congedò. Attraversò i corridoi vuoti e bui di Hogwarts, che mai come quella sera gli sembravano così simili alla sua vita: infinita, deserta, scura e piena d’insidie. Quando riemerse alla luce della luna, gli venne da pensare che quell’astro era un po’ come Hermione: illuminava quanto c’era di buio, dandogli una nuova luce. Aveva rischiarato anche lui, la tenebra più oscura e persa … eppure l’aveva lasciata andare. Non l’aveva fermata, non aveva protestato, né l’aveva pregata di restare. Forse, aveva ragione Minerva, dopotutto … o forse no. Era convinto di non poter essere felice, ma aveva già rischiato tanto, troppo, in quei mesi e non ne era rimasto scottato, anzi: quello che provava era un piacevole calore, calore che gli mancò quando tornò a Spinner’s End solo per trovarla grigia e fredda. Sedette sul divano e si versò del whisky, osservando la stanza senza smettere di pensare a come anche quella vecchia catapecchia fosse diversa quando c’era lei … e lui, in fondo, era come quella casa: vecchio, buio, polveroso e triste. Ma Hermione non aveva avuto paura di entrare, vi aveva portato i colori e la vita. E, per quanto avesse i suoi difetti, come lui, valeva davvero la pena rinunciarvi per paura di perderla e di non poter essere amato?
Si allentò l’ascot con un gesto spazientito, levò la redingote e si arrotolò le maniche della camicia quasi con violenza. Nel buio del soggiorno, sfiorò l’orribile cicatrice che gli squarciava la gola ed il Marchio Nero, ancora ben presente sulla sua pelle, quasi a voler rimarcare costantemente i suoi errori passati. Odiava quelle parti di sé, odiava tutto di sé: era troppo vecchio, troppo brutto, troppo spigoloso, troppo pallido, aveva capelli troppo lunghi, troppo unticci, occhi troppo scuri, troppe cicatrici … era troppo e non abbastanza al tempo stesso. Per tutta la vita, si era solo sentito rimarcare quanto fosse orribile ed aveva assistito alla paura con cui chiunque, amici, colleghi o donne, lo sfioravano, disgustati e timorosi, perché, c’era da dirlo, aveva anche un pessimo carattere, a completare il tutto. Ma Hermione no: in quei mesi, non solo gli aveva detto che era bello – affermazione per cui l’aveva guardata come se avesse bevuto troppo whisky incendiario – ma anche che non doveva vergognarsi né del suo Marchio, né, tantomeno, di quelle cicatrici, perché mostravano solo quanto fosse forte ed a cos’era sopravvissuto. Secondo la sua assurda teoria, che aveva liquidato con uno sbuffo, dovevano servire a ricordagli che era vivo …
Tracannò l’ennesimo bicchiere, sospirando: vivo … era così che si era sentito in quei mesi, forse davvero per la prima volta nella sua vita. Si era sentito amato, desiderato, bello … ma era stato stupido. Se solo avesse trovato il coraggio di dirle che reagiva così solo perché aveva paura di vederla andare via da lui, di perderla, perché sapeva che stavolta non sarebbe sopravvissuto, le cose sarebbero andate diversamente. Ma, come giustamente non mancava mai di sottolineare Regulus, non era un Grifondoro, ma un Serpeverde e dei più acidi ed irritabili … aveva un pessimo carattere ed un passato orribile. Hermione, però, lo voleva ancora, gliel’aveva detto: l’unica cosa che gli chiedeva era si dimostrarle che anche lui voleva un futuro con lei, che non l’avrebbe mai illusa o lasciata, a dispetto del mondo.
Come diceva quella canzone che andava quand’era giovane? Wish you were here … vorrei che fossi qui. In quel brano si parlava dell’andare avanti, del chiedersi se si era in grado di vivere davvero e non semplicemente di sopravvivere. Niente di più adatto a descrivere la sua patetica condizione, sostanzialmente.
Quella meravigliosa ragazza che l’aveva fatto capitolare come un bambinetto alla prima cotta aveva sacrificato tanto, troppo, per i suoi vent’anni: forse, aveva ragione Minerva a dirgli che avrebbe dovuto fare lui un passo verso di lei … non che l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, naturalmente. Con un sospiro, abbandonò il whisky sul tavolo e si recò nella vecchia, buia ed umida soffitta di casa.
֎֍֎
Le ombre strisciavano, sinuose, lente e circolari, ovunque, inglobando qualunque traccia di luce al loro passaggio, come serpenti sulle pareti di pietra levigata. Tre figure in nero, incappucciate, stavano in piedi in quella sinistra semioscurità, guardando l’enorme velo grigio incastonato in una cornice antica dinanzi a loro.
“Ehm ehm … avete tutto?” domandò la prima con voce acuta. “Naturalmente.” annuì la seconda, estraendo dall’interno del mantello una fialetta di liquido scarlatto. “Eccellente.”
“Non … ehm … potresti tenere un po’ a bada queste cose, Daciana? Danno fastidio …” squittì la prima, alludendo alle ombre striscianti. La negromante fece spallucce. “Non posso controllarle: è ciò che capita quando una negromante di avvicina al Velo della Morte. Mancano pochi minuti alla mezzanotte …”
“Tre, per la precisione.” annuì la figura di mezzo. “Grazie, Sybbie, meno male che ci sei tu!”
“Figurati, cugina!” ghignò Sybille de la Barre, scoprendosi il capo, imitata dalle altre due: Dolores Umbridge, pallida più che mai, stringeva a sé il libro del destino con Ygdrasill in copertina, mentre Daciana Karkaroff, ancora ammanettata, fissava un punto indistinto dinanzi a sé. “Dovrò liberarti per il rituale?” domandò Dolores. L’altra la fissò con sufficienza. “Secondo te?” bofonchiò, scostandosi una ciocca ribella dal volto mortalmente pallido. “Ancora non capisco come tu abbia fatto a convincere quella Rowle a farti dare una fialetta del sangue della marmocchia, Sybbie …”
“Oh, è bastato pagarla: è così avida!”
“E Rodolphus?”
“Attende con ansia: dice che il piano è stato geniale!”
“Per forza, chi mai avrebbe potuto sospettare che tu avessi una relazione con il figlio dei Rosier, l’unico ad avere diritto di visita con il padre, rinchiuso in una prigione svedese ed in contatto con Lestrange tramite innocenti lettere dal linguaggio segreto?” ghignò. “Geniale, oserei dire …”
“Ma … ma quando si sarà … beh, l’altra cosa?” mormorò Dolores. “Dopo, ora abbiamo da fare, Dolly cara …” rise Daciana mentre Sybille le toglieva le manette. Le ombre attorno a loro parvero fremere e circolare ancor più vorticosamente. “È ora!” annuì la ragazza.
Daciana inspirò a fondo, afferrò il libro e lo fece volteggiare a mezz’aria prima di costringerlo ad aprirsi: le pagine presero a volare velocemente, frusciando e scintillando mentre Daciana ripeteva una bassa cantilena, facendo tintinnare sempre più forte dei bassi sonagli di ossa. Man mano che il rumore aumentava, le ombre si muovevano sempre più, salendo e vorticando, crescendo ed inghiottendo ogni luce. Il velo iniziò a danzare, a scuotersi come una tenda esposta alla tempesta. Sybille sorrise, entusiasta, mentre la Umbridge si aggrappò disperatamente al pavimento per non venire scaraventata via dalla furia dell’uragano che si era creato nella stanza. All’improvviso, Daciana stappò la fialetta e la gettò contro il velo: con uno strappo, il fumo parve recidersi, spezzarsi, rivelando un’apertura completamente oscura, un pozzo di buio. “Sì, sì, sì!” gridò Sybille, battendo le mani mentre decine e decine di ombre uscivano da essa, unendosi alla danza. Un lampo di oscurità baluginò all’improvviso sugli altri mentre un etereo fumo grigiastro si propagò nella stanza, volteggiando e rilasciando nell’aria una risata sinistra, accentuata da un tanfo di candele e fiori marci. Dolores gridò quando un pugnale cadde accanto a lei, rischiando di trafiggerla, mentre una figura prendeva lentamente forma di fronte alle tre donne e le ombre, automaticamente, prendevano ad inchinarsi a lei. Daciana sorrise, entusiasta, gettando il libro in un angolo. “Bentornata, Bellatrix.”
֎֍֎
So, so you think you can tell
Heaven from hell?
Blue skies from pain?
Can you tell a green field
From a cold steel rail?
A smile from a veil?
Do you think you can tell?
Il sole era sorto da pochi minuti sull’Inghilterra, ma Hermione era sveglia oramai da ore: non aveva quasi chiuso occhio, a dire il vero. Tornata a casa, la sera prima, non aveva voluto cenare con i suoi e si era rinchiusa in camera, dove, dopo aver pianto tutte le lacrime che aveva addosso a Grattastinchi, si era addormentata sfinita. Si era svegliata al mattino presto, quand’era ancora buio e, da allora, era rimasta seduta ad accarezzare il gatto e fissare il vestito da damigella appeso all’armadio e pronto per essere indossato. Stranamente, le era tornato in mente il film ‘La Sposa Cadavere’, quando Barkis brindava dicendo: ‘Ad Emily, sempre damigella e mai sposa’. Quel giorno, si sentiva proprio come Emily: intrappolata nel ruolo di damigella sorridente, elegante, simpatica, forse un po’ bacchettona, con cui si poteva parlare di tutto ed a cui si chiedeva del lavoro, ma che, a fine serata, si ritrovava a bordo pista a fissare le altre danzare con i fidanzati, consapevole che a lei non sarebbe mai successo.
Si riscosse, alzandosi ed iniziando meccanicamente a prepararsi infilandosi nella vasca colma di schiuma e shampoo: c’erano migliaia di cose che la preoccupavano, a cominciare dal suo sogno premonitore, dai libri del destino e da ciò che sarebbe potuto accadere al matrimonio per arrivare addirittura alla reazione di Ron, che l’aveva tanto ferita. Eppure, su tutte, quella che più le stringeva lo stomaco in una morsa e le faceva sanguinare il cuore era solo una, sempre la stessa da mesi: Severus.
Non poteva credere che, alla fine, fossero riusciti a dividerli, dopo tutto quello che avevano affrontato … oltretutto, per una cosa così stupida: sapeva perfettamente quanto fosse apprensivo e freddo. Eppure, si era arrabbiata perché non voleva essere sola a lottare, non voleva che lui si vergognasse costantemente di loro due, quasi ci fosse qualcosa di tremendamente sbagliato e fosse sempre lei a dover prendere l’iniziativa di parlarne. Si sentiva sempre insicura, con lui: temeva di farlo fuggire o che lui pensasse ancora a Lily. Non sapeva mai cosa pensasse davvero, anche se aveva imparato ad intuirlo e, si sapeva, Hermione detestava non avere il controllo della situazione. I sentimenti, però, non erano qualcosa che si poteva controllare a piacimento … e, infatti, ammise amareggiata, Severus le mancava come l’aria. L’unica cosa che voleva era averlo lì con sé, sentirsi stringere al suo petto, inspirare il suo profumo ed addormentarsi tra le sue braccia. Il problema sarebbe sempre stato il giorno seguente, però: non voleva mentire e vivere nell’ombra. Non era la vita che faceva per lei, non sarebbe mai stata felice. Ma a cos’era disposta a rinunciare, in tal caso?
Sospirò, terminando di sciacquarsi ed uscì dalla vasca si avvolse in un morbido asciugamano, asciugò i capelli con un colpo di bacchetta e li pettinò con cura: aveva bisogno di non pensare a nient’altro se non a quel giorno, a Ginny, ad Harry ed alla loro sicurezza. Avrebbe valutato il resto domani …
Mentre terminava di arricciare le ciocche, lanciò un’ultima occhiata al vestito, ritrovandosi a pensare che Severus l’avrebbe adorato: quando l’aveva comprato, aveva pensato soltanto a cosa gli sarebbe piaciuto, a cos’avrebbe detto che le sarebbe stato meglio, conoscendo i suoi gusti. Scacciò una lacrima rabbiosa e proseguì con un sospiro gonfio di tristezza.
֎֍֎
How I wish, how I wish you were here
We're just two lost souls
Swimming in a fish bowl
Year after year
Running over the same old ground
Se c’erano due cose che Severus detestava profondamente, persino più del suo compleanno e dei Grifondoro che vincevano la coppa delle case, erano i matrimoni e, soprattutto, le persone che lo toccavano ai matrimoni. A meno che non fossero una giovane e testarda Grifondoro di sua conoscenza, naturalmente …
“Per Salazar, hai visto com’è conciata Molly Weasley?” esclamò Narcissa, scuotendo il braccio di Severus. Questi sospirò forse per la centesima volta: per l’appunto, detestava essere toccato, soprattutto ai matrimoni a cui era costretto a partecipare.
Per un’infelice coincidenza, si era ritrovato seduto allo stesso tavolo con Lucius, Narcissa, Regulus, Sibilla Andromeda e Mina, venendo, così, coinvolto in un circolo di pettegolezzi tra le donne su chi avesse l’abito migliore o peggiore in quella calda serata di luglio.
La musica dell’orchestra magica suonava tranquilla tra i gazebo bianchi colmi di fiori, posti sul prato di Hogwarts dove si era svolta la cerimonia con un prete purosangue, un vecchio amico di Lucius. Per tutta la cerimonia, tutti avevano guardato Harry, stranamente pettinato, commuoversi in un abito stranamente elegante e la piccola Weasley, i capelli lisci ed un vestito semplice, a sirena, ridere e piangere con il suo bouquet di girasoli e calle. Lui, invece, aveva guardato la donna alla destra della sposa per tutto il tempo, senza riuscire a concentrarsi su niente che non fosse lei. E, quando, ai commossi ‘sì’, gli occhi le erano diventati lucidi in quel modo per cui l’aveva spesso presa in giro, gli si era stretto lo stomaco in una disgustosa morsa che continuava a perseguitarlo anche in quel momento …
“La meglio vestita è la sposa, come a tutti i matrimoni, ovviamente!” intervenne Sibilla, stranamente elegante nel lungo vestito blu notte e con i capelli raccolti: sembrava ringiovanita di dieci anni da quando aveva ritrovato Regulus e non si erano lasciati neanche per un secondo. Narcissa ed Andromeda, rispettivamente in verde smeraldo e verde Tiffany, si scambiarono un’occhiata sconvolta. “Si vede proprio che è Corvonero!” commentò Mina, che, stupendo tutti, si era presentata in un abito scarlatto che lasciava la schiena scoperta e vistosi orecchini di rubino, tracannando il suo vino. “Ed il miglior vestito maschile, invece?” sogghignò Lucius. “Di certo non Remus: gli ho detto di scegliere qualcosa che non fosse beige!” sbuffò Mina, scuotendo il capo. “Oh, per fortuna Lucius ha una vera mania per gli abiti, riesce sempre ad essere perfetto ed anche Draco!” annuì Narcissa, soddisfatta, rivolgendo un’occhiata vittoriosa alla sorella maggiore. “Beh, di sicuro non è neanche Severus …” rise Regulus da dietro il bicchiere. “E perché, di grazia?” borbottò questi, destandosi dal continuo ticchettio del suo indice sul bordo del piatto. “Perché sei vestito esattamente come al solito, solo con panciotto e giacca a due code … potevi anche sbizzarrirti un po’ di più!”
“E voi farvi gli affari vostri!”
“Vai benissimo così, Severus: sono loro che non fanno che spettegolare …” sospirò Andromeda, guardando la pista da ballo ed i tavoli colmi di cibarie squisite: era venuto praticamente mezzo mondo magico alla festa e tutti erano concordi nel dire che era il miglior matrimonio di sempre, con il tramonto su Hogwarts a fare da sfondo, i fiori ed i patii. Severus, però, sentiva solo ansia, nervosismo, una certa elettricità nell’aria ed una profonda nausea che gli aveva impedito di mangiare. Per tutta la cerimonia ed il pranzo, Moody aveva strisciato poco elegantemente tra i tavoli, invitando questo o quello a fare le ronde attorno al castello. Severus si era addirittura offerto volontario parecchie volte, pur di non stare a sentire le sorelle Black spettegolare.
“Come va con Remus, cara? Mi pare che ci sia simpatia tra di voi …” azzardò Narcissa ad un tratto, curiosa. Mina sorrise debolmente, posando il bicchiere. “Oh, beh, c’è … c’è qualcosa. Ma è ancora troppo presto e poi lui …”
“Buttati.” mormorò Andromeda, stupendo tutti, ma prima di tutto se stessa con quell’affermazione. “Cosa?” esclamò Mina. “Buttati: la vita è troppo breve per i ‘se’ ed i ‘ma’. Se continuerai ad aspettare ed a sentirti inadeguata per te o per lui, getterai all’aria quanto di buono hai per un nulla di fatto. E non mi pare il caso … non avrei mai pensato che sarei stata io a darvi il benestare, dopo Dora, ma … beh, le saresti piaciuta, Mina: sei bellissima, intelligente, simpatica, estremamente sensibile ed empatica. Hai riportato vita in una casa dove non c’era più da anni, sei diventata la zia preferita di Teddy in poco, sei riuscita a parlargli di Dora ed hai convinto persino me! Perciò buttati, ti prego … le occasioni non ricapitano spesso, sai?”
La vampira deglutì, quasi imbarazzata, scostandosi i capelli dal collo.
Sibilla annuì. “Che bello quando c’è un bel lieto fine! Oserei dire che fosse scritto nelle stelle per te, cara … Toro ascendente Capricorno?”
“Sib …” sospirò Regulus. “Che c’è? Le stelle parlano da sé: è tutto scritto! Anche le nostre …”
“C’è scritto anche qualcosa su voi due?” azzardò Mina per togliersi dall’imbarazzo. “Che prossimamente ci sposeremo ed andremo a vivere a Grimmauld Place, forse … e chissà anche Sir non metta la testa apposto …” considerò Regulus, sorridendo a Sibilla prima di guardare nel gazebo centrale, dove Sirius, orgogliosamente in rosso, faceva volteggiare Willow Vance e Lily e James ballavano abbracciati stretti. Severus si ritrovò a guardarli senza provare nulla se non la familiare inadeguatezza che gli apparteneva da una vita: erano belli, perfetti e felici, una cosa che lui non sarebbe mai stato. Sospirò, cercando di piluccare qualcosa, ma non vi riuscì guardando poco oltre, in pista, dove Hermione stava volteggiando con Neville, sorridendo. Dire che era bellissima sarebbe stato riduttivo: con quel leggero abito acquamarina plissettato leggermente più corto sul davanti dalla scollatura larga, a fascia, i capelli mossi posati su una spalla ed i pendenti luminosi, sembrava un angelo disceso dalla luce più intensa a rischiarare le tenebre. Era così bella da far male.
Si rese conto di essersi imbambolato a guardarla solo quando sentì sedie spostarsi e vide Lucius e Narcissa e Regulus e Sibilla dirigersi in pista per il valzer. Dopo qualche istante, persino Mina venne trascinata in pista da Remus e Teddy, che insisteva per ballare con la ‘zia vampira’. Andromeda, invece, rimase tranquillamente seduta a guardare praticamente tutti volteggiare felici attorno agli sposi.
“Bel matrimonio, vero?” azzardò, prendendo un sorso di vino. “Pessimo, vorrai dire.” sibilò Severus. “Odi così tanto vedere gli altri felici?”
“Sì.”
“A casa mia si chiama ‘invidia’.”
“A casa mia, invece, si chiama ‘farsi gli affari propri’, Andromeda …”
“Vedi perché difficilmente sarai mai felice? Sei sempre così acido … Merlino, hai idea di quanta gente abbia sofferto, nella vita? Eppure sono comunque più allegri di te! Datti una svegliata, prima che lei si stufi davvero e trovi qualcuno di meno puntiglioso!” sbottò, accettando l’invito che Sirius le stava fischiando da lontano per ballare.
Severus rimase immobile a guardare gli altri danzare, versandosi dell’altro vino: che poteva farci se era fatto così? Era vecchio, acido e brutto: tutti glielo dicevano, tutti lo pensavano. C’era stata solo una persona che aveva detto il contrario, ma era stato così idiota da allontanarla per paura. Perché sì, anche se non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, aveva ragione Potter: era un codardo ed era pessimo. Non sapeva usare le parole se non per insultare. E non le aveva mai nemmeno detto che l’amava …
Istintivamente, portò una mano alla tasca interna della giacca, dove una busta ed una vecchia scatola di velcro lo aspettavano con aria di sfida. Venne interrotto da un lieve ticchettio sulla spalla e si ritrovò a fissare Minerva, elegante in viola. “Faresti ballare un po’ questa vecchia scopa, Severus? Ricordo che eri abbastanza bravo, anni addietro e Lumacorno si è addormentato!”
“Non abbastanza.” sottolineò lui, alzandosi. “Molto, Minerva.”

Hermione aveva la nausea da quando era arrivata nella cappella allestita ad Hogwarts per la cerimonia. Non aveva fatto che fingere di essere commossa, cercando di mascherare il fatto che le sue lacrime erano, in realtà, dettate dalla sua solitudine. Le sentiva salire e premere pericolosamente ogniqualvolta vedeva Harry e Ginny guardarsi con adorazione e baciarsi, perché non poteva fare a meno di pensare che a lei non sarebbe mai successo. E, poi, l’aveva visto: per quanto lo detestasse, era talmente innamorata di lui che probabilmente era l’unica a trovarlo oggettivamente bello con quel completo nero, in quella moltitudine di persone. Eppure, ai suoi occhi, era il cavaliere più affascinante di tutti ed avrebbe dato qualunque cosa pur di corrergli incontro e stringerlo, invece di stare lì a ballare con Neville e fingere di sorridere per non far capire ai suoi che pensava ancora a lui. Solo a lui, a dire la verità. Quanto erano stati stupidi a litigare per quelle sciocchezze! Se ne rendeva conto solo ora, ma, al contempo, sapeva anche che stavolta non avrebbe fatto il primo passo. Era sempre lei a doverlo fare, tra loro due.
Mentre Neville le faceva fare una giravolta, si ritrovò a fissare Harry e Ginny stretti l’uno all’altra, intenti a sussurrarsi chissà che ed a ridere e provò una nausea ancor più forte, tanto che si costrinse a guardare Ron seduto al tavolo Weasley con Lavanda e la bambina che piangeva per pensare ad altro. Poi, quasi per caso, le vide: ombre. Erano lontane, solo pallidi riflessi contro gli alberi della foresta ed il lago, ma c’erano: strisciavano, seguendo una strada tutta loro, infiltrandosi tra sassi e foglie e si stavano avvicinando pericolosamente. Hermione sentì il cuore esploderle nel petto mentre lasciava Neville senza troppe spiegazioni, correndo verso Moody, che stava chiacchierando con Shackelbolt. “Stanno arrivando!” sussurrò, interrompendoli. “Chi?” esclamò l’auror, scattando sull’attenti. “Ombre. Guardi.” ansimò, indicando il prato. I due maghi allungarono il collo, ritrovandosi ad assistere allo stesso, sconcertante, spettacolo. “Ombre, ma che diavolo …” sbottò Alastor. “Comunque, non è ancora notte: si avvicinano perché il sole sta calando. Kingsley, cortesemente, fa’ andare tutti gli ospiti nel castello: innalzeremo un incantesimo di protezione, basterà per arginare fintantoché non capiremo cos’è successo ... e per farlo, bisognerà trovare qualcuno che vada al Ministero senza fare troppo nell’occhio …”
“Posso andarci io.” annuì Hermione. “Ho un certo legame con i libri del destino e …”
“Non da sola, cara: ti porti dietro Harry … e Ron. Come ai vecchi tempi. Chiuso.” sentenziò Moody prima di battere il bastone a terra, facendo tacere la musica ed attirando gli sguardi dei presenti. “Il Ministro ha qualcosa da dire.” borbottò. “Dobbiamo spostarci tutti dentro il castello per esigenze di sicurezza: purtroppo nei dintorni si stanno svolgendo ronde ed esercitazioni auror e non intendiamo coinvolgere maghi e streghe che non c’entrano nulla. La festa proseguirà pertanto nel castello, non temete …”
Vari mormorii di protesta accompagnarono l’arrivo ad ampie falcate della McGranitt e di tutti gli insegnanti. “Che succede davvero?” esclamò la donna. “Ombre: si avvicinano. Dovrai ereggere le protezioni sul castello, Minerva …” spiegò Kingsley. “Intanto, Hermione, Harry e Ron andranno al Ministero a vedere cos’è successo: in tre daranno meno nell’occhio e sono abbastanza capaci da cavarsela. Per pochi minuti nessuno noterà la loro assenza …”
“Non puoi inviare un gufo, Alastor? Oggi è il matrimonio di quel povero ragazzo …”
“Ed io non voglio inviare gufi o patronus in queste condizioni! Siamo assediati, Minerva …”
“Professoressa, potrebbe inventarsi una scusa con i miei? Non vorrei si preoccupassero …” azzardò Hermione per stemperare la tensione. La McGranitt sospirò ed annuì. “Sì, ci penso io. Ma voi sbrigatevi!”
La giovane annuì, puntando dritta verso Harry, ma, poco prima che potesse raggiungerlo, una mano la bloccò delicatamente. Si volse e quasi gridò nel ritrovarsi dinanzi le due onici che tanto aveva bramato accanto a sé. “Sta’ … sta’ attenta. Per favore.” le sussurrò appena. Hermione deglutì: avrebbe voluto dire mille cose, ma non c’era tempo. L’unica cosa che voleva fargli sapere è che non tutto era perduto …
Gli strinse le dita, annuendo. “Anche tu …” mormorò prima di sparire inghiottita dalla folla.
What have we found?
The same old fears
Wish you were here
Angolo Autrice:
Bentornati/e!
Ebbene, ci siamo, mancano oramai davvero pochi capitoli alla fine, 1/2 più l'epilogo. Che dire, non mi stancherò mai di ringraziarvi per tutte le recensioni che questa storia ha ottenuto e per tutti coloro che l'hanno seguita! Ma ci sarà tempo per questo.
Volevo sottolineare che la canzone sparsa per tutto il capitolo è Wish you were here, dei Pink Floyd, che dà il titolo alla storia ed al capitolo (che ne è la traduzione). La storia è partita tutta da questo momento, che era già stato scritto. Prima e seconda strofa sono invertite per ragioni di adattamento ai personaggi.
Che dire, grazie mille a chiunque passi di qui ed alla prossima!
E.

 

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Capitolo 28
*** La Regina degli Asfodeli ***


Capitolo Ventottesimo
La Regina degli Asfodeli

A cold wind blows, I am shivering
My body aches, as my heart is breaking
Why is life making me hollow?
Why is happiness casting me in the shadows?
In the shadows
“Io non ci posso credere!” strepitò Harry mentre apparivano nell’atrio del Ministero della Magia, deserto a quell’ora di domenica sera. “Anche il giorno del mio matrimonio! Ma dico io, potrò mai stare in pace?”
“Essere il salvatore del mondo magico comporta qualche seccatura, ecco la tua!” ridacchiò Ron, dandogli una pacca sulla spalla mentre Hermione, sempre più agitata, premeva ripetutamente il pulsante dell’ascensore per l’Ufficio dei Misteri. “Herm, così però lo sfondi!” la fermò Harry, sospirando mentre entravano nel trabiccolo e scendevano. “Scusa … è che sono abbastanza preoccupata! E mi dispiace immensamente per te e Ginny! Se solo avessi ascoltato prima i miei sogni …”
“Non è colpa tua, tranquilla.” le sorrise debolmente il giovane, sistemandosi gli occhiali tondi sul naso. “Suppongo sia il mio … che dice la Cooman?”
“Karma.” sospirò Ron. “Adesso ha aggiunto anche quella stramberia alle sue profezie!”
“Beh, forse, ora che è più felice, insegnerà anche in modo più sensato.” considerò Hermione, sentendo su di sé gli sguardi perplessi degli altri due. “Tutti possono cambiare!” ribatté a sua discolpa. “Certo, Ma eri tu che non la sopportavi, Herm …” rise Harry, fiondandosi attraverso l’Ufficio dei Misteri non appena le porte si furono aperte, seguito da due maghi.
Raggiunsero la stanza della morte in un baleno e si bloccarono dinanzi allo scenario semiapocalittico che si stagliava dinanzi ai loro occhi: tutte le pareti erano crepate, così come il pavimento, mentre il velo, al centro, era stato divelto ed al suo posto c’era un buco buio da cui continuavano a fuoruscire pallidi sbuffi di fumo grigio. “Che diamine è successo qua dentro?” esclamò Ron mentre gli altri due si aggiravano, guardinghi, per la stanza. Hermione notò immediatamente il libro del destino gettato in un angolo ed una filetta con dentro del liquido rossastro. “Sangue.” constatò, facendola lievitare dinanzi a sé. “Ma i riti con il sangue sono …” mormorò Ron. “Magia oscura.” sospirò Harry. “Un rito negromantico, per la precisone: sono i negromanti usano il sangue umano e credo proprio che lo sia. Chiederò a Mina per sicurezza. A quanto pare, sono riusciti a liberare Daciana ed a compiere il rituale …” annuì Hermione. “Vado nel mio ufficio a vedere se c’è l’Obscurometro … è un affare vecchio come il bacucco che capta la magia oscura. Non avrei pensato che potesse essermi d’aiuto prima o poi …” ammise Harry, uscendo rapidamente dalla stanza.
Ron ed Hermione, rimasti soli in quel silenzio ed in quella penombra del tutto innaturali, si fissarono per un istante: era un po’ come essere tornati ai tempi di scuola, con lui incredulo e lei con un libro stretto al petto e la fialetta a lievitarle accanto. “Non è colpa tua.” ammise il ragazzo, attirando la sua attenzione. “So che ti starai colpevolizzando, ma non sei stata tu a fare … questo.”
“Lo so. Però forse avrei potuto accorgermene prima.”
“Anche se l’avessi capito, non avresti potuto fare nulla, come non possiamo fare niente adesso. Tranne forse dirti che … beh, mi dispiace.” sospirò il rosso, lasciandola basita. “Ci penso da stamattina, Hermione: mi sono comportato come un cretino con te, da sempre. Al sesto anno, quando ero innamorato di te ed anche tu mi amavi, mi sono messo con Lavanda. Poi, dopo la guerra, volevo così disperatamente vivere per contrastare la morte di Fred che non ti ho né ascoltata né capita … ti ho sempre data per scontata e non lo meriti. Era ovvio che finisse, tra noi: non siamo destinati a stare assieme. Non siamo compatibili …”
“No.” sussurrò appena Hermione. “Probabilmente ci saremmo odiati ed avremmo divorziato, magari mettendo anche in mezzo dei bambini e rovinandoli …”
“Già. Lavanda, sai, non è te, però … ci completiamo in qualche modo: insieme andiamo d’accordo. Per quanto lei sia a volte esagerata, probabilmente è adatta a me. Tutti meritiamo di essere felici, tu più di tutti, Herm e se ti rende felice Piton io non posso che farvi gli auguri! Mi dispiace per le cose che ti ho detto: so che non sono vere. E mi merito anche lo schiaffo.” disse tutto d’un fiato. “Hai ragione.” annuì la strega dopo un po’. Ron sgranò gli occhi. “Su … su cosa?”
“Che meritavi lo schiaffo. Ed anche sul resto.” sorrise. “Comunque, mi devo scusare anch’io: mi sono allontanata da tutti, ultimamente, perché non mi sentivo capita, ma non ho nemmeno provato a farmi capire. Davo per scontato che nessuno di voi potesse considerarmi, avevo paura e mi sentivo sola … sono diventata piuttosto solitaria e chiusa. E non è stato giusto nei confronti tuoi e di Harry, che mi siete sempre stati vicini …”
“E … e Piton?” balbettò Ron, arrossendo. “Voglio dire, tu e lui …”
“Ci amiamo. Ma non è stato facile ammetterlo e concedercelo: ci sono tanti ostacoli e la maggior parte delle persone non …”
“E chissenefrega.” la frenò il rosso, tremendamente serio. “Voglio dire, se siete felici, basta. Io ho agito per gelosia, lo so, ma ho capito che sbagliavo. E, per quanto strano e, sì, lo ammetto, anche un po’ disgustoso, se sei felice …”
Hermione rise. “Ron, non fare quella faccia! E, comunque, abbiamo anche litigato, ieri sera …”
“A causa mia?”
“Un po’ di tutto: lui non è molto espansivo, teme sempre di mostrarsi agli altri, mentre io forse pretendo troppa socialità da lui …”
“Beh, ha anche ragione Piton … Merlino, non avrei mai pensato di dirlo! Ma in fondo, se state bene voi due, degli altri che importa?”
Hermione sorrise e lo abbracciò di slancio, inspirando a fondo il profumo di erba fresca che emanava. “Mi sei mancato.” disse. “Anche tu, Herm …” ricambiò lui, rilassandosi. “Vuol dire che siamo di nuovo amici?”
La strega annuì, separandosi. “E devi assolutamente farmi vedere la piccola Rose!”
“Oh, sicuro … mi assomiglia, sai?”
“Lo credo bene, sei suo padre!” rise.
Harry tornò in quel momento con una strana bussola d’ossidiana che recava delle incisioni runiche. Nella stanza, l’oggetto fece schizzare subito entrambe le lancette verso l’alto. “Qui è pieno di materia oscura, accidenti!” sospirò il prescelto, passandosi la mano tra i capelli nuovamente disordinati. “Da un rito negromantico non ci si può aspettare nient’altro.” spiegò Hermione, tornando, per un secondo, la ragazzina che adorava mostrare le sue conoscenze. “Serve il sangue di un familiare del defunto o del defunto stesso. Di solito vengono utilizzati anche elementi che richiamano l’anima del morto, come sonagli, campanelle, flauti …”
“Sappiamo che è stata Daciana, abbiamo una vaga idea del perché, al come penseremo dopo … quello che dobbiamo capire è chi ha risvegliato.” annuì Harry. “E, soprattutto, come fare a rispedirlo a nanna …” completò, a bassa voce, Ron, nel gelido silenzio generale. “Ad avere accesso al libro del destino erano solo due persone: Shackelbolt e la Umbridge. Poiché Kingsley era con noi, dev’essere stata lei a portare qui Daciana ed a fornirle il materiale per il rituale.” intuì Hermione, la mente che lavorava troppo veloce per star dietro alla lingua. “Per capire chi hanno evocato è sufficiente capire di chi è il sangue ed in questo può aiutarci Mina o Madama Chips. Sul come rispedirli indietro, ci vorrebbe un negromante, ma credo che Silente ne sappia abbastanza da poterci aiutare …”
“Dunque dobbiamo tornare ad Hogwarts!” sospirò Ron. “Cercando di non farci divorare dalle ombre … che meraviglia! Ricordami di non venire al tuo prossimo matrimonio, Harry …”
“Non ce ne sarà bisogno …”
“Ovvio, tu e mia sorella starete assieme per sempre, siete perfetti e …”
“Non mi riferivo a Ginny, quanto al fatto che non possiamo tornare ad Hogwarts.” deglutì Harry. “L’ascensore si è come bloccato, non funziona: siamo intrappolati qui.”
֎֍֎
Hold on, don't turn and walk away
Save me
And I cried these words but nobody came
Le ombre strisciavano, scure e sinuose, inerpicandosi lungo la bolla trasparente che circondava il castello di Hogwarts, illuminato da quante più lanterne possibile in quell’afosa notte di luglio. Nella Sala Grande, spostati i tavoli, gli invitati avevano ripreso a mangiare, ridere e ballare, del tutto ignari, per volontà di Harry stesso, di ciò che stava accadendo fuori. “Meno persone lo sanno e più siamo al sicuro.” aveva detto, seppur sotto le proteste di Moody.
Gli auror facevano ronde regolari lungo tutto il perimetro e gli incantesimi di protezione sembravano reggere bene ai colpi di quelle creature d’ombra, eppure, guardandole dalla Torre di Astronomia, Minerva non riusciva a non averne paura.
“Sono solo ombre.” disse la voce bassa e calma di Severus, destandola. “Solo, davvero?” commentò con un sospiro, osservando, accanto a sé, gli insegnanti di Hogwarts, i Malfoy, Remus, Regulus, Sirius, James, Lily e quella vampira simpatica osservare con apprensione la foresta, proprio come lei. “Fintantoché ci sarà luce, si terranno lontane.” confermò Severus. “Sono creature che inghiottono ogni particella luminosa, quando la incontrano, ma queste non sono abbastanza forti … sono tante, certo, ma estremamente deboli.”
“Forse stanno solo aspettando l’arrivo di quella ‘grossa’!” considerò Lucius. “Sono tattiche di attacco! Mi stupisce che Lei, Moody, non ci abbia pensato …”
“E come si capisce qual è la capobranco?” domandò Lily, deglutendo. “È più scura delle altre e le comanda a piacimento, indicando dove possono o non possono andare e cosa devono fare. Si può paragonare ad un direttore d’orchestra …” spiegò Severus. “Le ombre vengono sconfitte solo dalla luce.” rammentò Lupin. “Dunque dobbiamo averne quanta più possibile … il problema è quando diventeranno tante da riuscire ad inglobarla …”
“E può accadere?” esclamò Lily, apprensiva. “Purtroppo sì.” confermò Remus. “Forse sta già accadendo, pian piano …”
“Voi quattro, sentite Mangiamorte in giro?” tuonò Moody. Regulus scosse il capo. “Neanche l’ombra … non sono qui.”
“Ma allora perché tutte queste dannate … cose che non servono a niente?” sbottò Sirius. “Forse, l’obiettivo è un altro e noi siamo solo un diversivo …” ipotizzò James. “Ma non possiamo saperlo in alcun modo …”
Una vibrazione li fece sobbalzare di scatto, sull’attenti, prima che Piton realizzasse che il rumore altro non era che il fruscio di un patronus: si trattava di una splendida civetta dalle ali ampie ed il piumaggio folto. Si accomodò sul bordo della torre, parlando con la voce di Hermione: “Siamo bloccati nella stanza della morte al Ministero: l’ascensore non va. Qualcuno ha svolto un rito negromantico, strappando il velo e facendo uscire quelle ombre: hanno usato sangue, di un parente dell’anima che si vuole risvegliare, probabilmente ed il libro di Ygdrasill. Non sappiamo come uscire, ma dobbiamo sapere almeno come richiudere il velo in caso di bisogno, chiedete a Silente, per favore!” disse, disperato, il patronus prima di dissolversi.
La torre restò avvolta nel silenzio. “S-sono bloccati lì? Con tutte quelle ombre?” squittì Lily dopo un po’, respirando affannosamente. “Calma, non serve a nulla preoccuparsi: stanno bene, l’hanno detto. Devono solo essere aiutati ad uscire e trovare un’informazione per ogni evenienza, su, cara!” la consolò Sibilla con un sorriso mentre James deglutiva e si appoggiava al muro. “Sangue?” intervenne invece Mina. “Io potrei aiutarvi: posso capire di chi è, se l’ho conosciuto! Magia del sangue … noi vampiri ce l’abbiamo!”
“Cosa, dovremmo mandare gente al Ministero a recuperarli? Non se ne parla, già ci sono loro tre, non …” esclamò Moody. “Io ci vado e senza stare a sentire te ed i tuoi fallimentari piani, Alastor! La porta da cui escono quelle ombre è lì, non qui.” sbottò Severus, stringendo le dita in un pugno serrato. “Concordo: se c’è qualche risposta, la potremo trovare solo al Ministero.” annuì Lupin. “Ma … oh, per Merlino!”
“Andate in pochi, quantomeno.” sospirò Minerva. “Severus, Remus, Sirius, James e Regulus … e Mina.”
“Ed io?” squittì Lily. “Sei troppo scossa, Lily …” la bloccò James. La rossa stava evidentemente per protestare, ma Sibilla la prese delicatamente per le spalle. “No, cara: è meglio se tu ed io, con Narcissa, magari, andiamo da Albus a chiedergli di questo rito negromantico, che dici?” la bloccò, trascinandola via per le spalle prima che potesse scoppiare in lacrime all’idea che avrebbe potuto quel figlio per cui si era sacrificata vent’anni prima.
Sulla soglia della torre, tuttavia, si scontrò con Draco, ansimante e spettinato. “So come hanno fatto!” esclamò.
֎֍֎
“Una civetta? Da quando il tuo patronus è una civetta?” esclamò Ron, sgranando gli occhi. Hermione fece spallucce, continuando a studiare con sguardo critico il velo squarciato. “Sospettavo che fosse cambiato … era da tanto che non ne evocavo uno.” sospirò la ragazza. “Oh. Mi chiedo solo perché una civetta …”
“Simboleggia saggezza, capacità di vedere oltre l’apparenza delle cose … ed un legame con la morte.” ripeté meccanicamente lei, deglutendo. “E direi che tutte e tre corrispondono perfettamente …”
“Oh, basta, basta!” gridò Harry in un angolo. Gli altri due si scambiarono un’occhiata pensosa: oramai da ore il ragazzo camminava su e giù, nervoso ed agitato. “Harry, datti una calmata: non è strepitando che usciremo da qui!” sospirò Ron. “Sì, ma … dannazione, è il mio matrimonio! E quelle cose magari sono da Ginny o dai miei genitori, adesso …” ansimò, agitato, il ragazzo sopravvissuto. “Non credo: che interesse avrebbero? Se sono tornate è perché vogliono qualcosa … bisogna capire cosa e per farlo serve necessariamente identificare chi è stato liberato.” ragionò Hermione con un sospiro sconsolato. Una polverina argentea strisciò sul pavimento, facendoli sussultare prima che, lentamente, assumesse la forma di un patronus: un enorme, splendido, gufo reale dalle ali spiegate. I tre rimasero a guardarlo, ammirati, prima che questi iniziasse a parlare con la voce roca di Piton. “Stiamo venendo a prendervi. Ad Hogwarts le ombre sono deboli e le protezioni resistono. Minerva sta chiedendo a Silente informazioni sul rito negromantico.” asserì, secco, prima di svanire. “U-un gufo?” balbettò Ron, fissando Hermione, la quale era ancor più sconvolta di lui: la cerva era svanita … dopo vent’anni, non c’era più alcuna traccia di quell’iconico patronus che era stato il vassallo di Piton da sempre. E non c’era per lei … i patronus abbinati maschio-femmina erano simbolo di autentico amore, di anime gemelle. Lily e James li avevano così, il cervo e la cerva … ed anche Tonks e Remus, lupo e lupa. Ma allora era possibile che lei e …
Un sinistro cigolio attirò la loro attenzione, facendoli scattare sull’attenti. “Cos’è stato?” sussurrò Harry, estraendo la bacchetta. “Non lo so …” mimò Ron, deglutendo, apprensivo. “Veniva dall’alto …”
“Da … su? Ma non c’è niente là!”
Come a voler dimostrare che si sbagliava di grosso, una risata sinistra riecheggiò nella stanza. “Avete sentito?” esclamò Ron, rabbrividendo. Prima che gli altri potessero rispondergli, tuttavia, un fumo grigiastro, quasi neri, iniziò a scendere dal soffitto in rapide e soffocanti spire sempre più veloci, tanto che dovettero spostarsi per non venirne colpiti mentre si schiantava al suolo e decine e decine di ombre sorgevano dai muri, prendendo a brulicare tutt’attorno a loro.
Hermione quasi gridò quando il fumo prese le forme di una strega che ben conosceva: gli abiti strappati, le cinghie, le unghie laccate, i capelli spiritati e lo sguardo completamente folle. La risata fu il tratto che diede loro conferma dei loro timori. “Bellatrix Lestrange …” mormorò Harry, sconvolto, mentre la strega rediviva di stagliava dinanzi a loro, attorniata dal suo esercito di ombre. “Ci rivediamo, bocconcini!” rise, scoprendo i denti rovinati da Azkaban. “Che cosa vuoi?” l’affrontò Ron. “Che cosa voglio? Io? Razza di sporchi sanguemarcio!” gridò. “Avete condannato il mio signore a non poter tornare mai … tu l’hai fatto!” sbraitò, rivolta ad Harry. “Ma io, ora che sono qui, troverò il modo di riportarlo da me … dopo che avrò distrutto ciò che resta del mondo magico che l’ha disprezzato …”
La sua risata guizzò nell’ambiente, facendoli rabbrividire prima che Bellatrix scagliasse contro di loro le sue ombre. “Lumos! Lumos maxima!” gridò Hermione, subito imitata dagli altri due. Con le bacchette alte ed illuminare, le ombre indietreggiarono. “Ah, è così? Vediamo se sapete continuare ad illuminare anche con questo …” ringhiò Bellatrix, scagliando su di loro un avada kedavra senza alcuna pietà. Harry lo deviò, ansimando. “Ron, tu pensa ad illuminare più che puoi, io ed Herm proviamo a combatterla!” deciso automaticamente il ragazzo, iniziando a deviare gli incantesimi serrati della strega con Hermione mentre Ron, alle loro spalle, creava sempre più luci per tenere lontano le ombre che si attorcigliavano e vorticavano attorno a loro.
“Non so quanto potremo reggere così!” ansimò Harry, schivando l’ennesima cruciatus. “Dobbiamo riuscirci, almeno finché non arrivano rinforzi!” rispose Hermione, riuscendo a colpire un’ombra con uno schiantesimo luminoso sufficiente a farla evaporare. “Credete davvero di potermi battere o anche solo fronteggiare, voi tre?” rise, crudele, Bellatrix, lanciando sui tre dardi infuocati che vennero prontamente parati da Harry. “Non c’è modo di fare qualcosa di utile?”
“Avada Kedavra!” tentò Ron, ma l’incantesimo trapassò Bellatrix, che prese a ridere ancor più sguaiatamente. “È morta, accidenti, Ron, è ovvio che sia immune alle maledizioni!” urlò Hermione, allontanando un’ombra. In quell’esatto istante, la porta di accesso si spalancò all’improvviso. Per un istante, i tre ragazzi furono quasi sollevati, pensando che si trattasse dei rinforzi, ma raggelarono all’istante quando, dall’entrata, emersero le sinistre figure di Daciana Karkaroff, Sybille de la Barre e Dolores Umbridge, incappucciate e rapide. In un istante, furono dietro Bellatrix, che li guardò, vittoriosa. “Allora, bambini? Volete ancora protestare? Vi do una pessima notizia: non potete fare proprio niente!” sbraitò, ridendo. “Oh, ma sta’ zitta!” esclamò Ron, lanciandole uno schiantesimo che venne parato da Daciana. “No!” gridò Harry mentre le tre streghe iniziavano ad unirsi alle ombre nel dar loro addosso a suon di maledizioni. “Accidenti, Ron, non potevi almeno cercare di farle parlare un po’? Avremmo guadagnato due secondi di tempo!” ansimò Hermione, parando una cruciatus, oramai esausta mentre, tutt’attorno a loro, un forte vento si era alzato e spazzava la stanza, dominata da ombre sempre più scure che vorticavano in cerchio. “Paura, eh, piccola Persefone?” rise Daciana, facendo sobbalzare Hermione: perché Persefone? Cosa c’entrava questo con lei?
“Sono proprio curiosa … quanto resisterete? Non penso quanto alla battaglia … specialmente tu, zuccherino: non ti piaceva proprio il pugnale … oh, ma vedo che hai ancora il mio ricordino!” sogghignò, divertita, Bellatrix. Hermione sapeva che stava parlando con lei, ma la ignorò, continuando a combattere senza sosta mentre si guardava attorno, alla disperata ricerca di un appiglio, di un qualcosa che li potesse salvare o, quantomeno, allontanare da quella situazione.
Quel qualcosa arrivò quando, all’improvviso, Dolores Umbridge venne messa a terra da uno schiantesimo che nessuno di loro tre aveva scagliato, facendoli balzare sull’attenti. “Papà, Sirius!” esclamò Harry. Hermione, istintivamente, guardò la porta d’ingresso del Ministero, che era stata divelta dagli incantesimi con cui una piccola squadra di salvataggio era entrata nella stanza. James, Sirius e Regulus avevano già iniziato a darsi battaglia con Sybille e Daciana. “Ragazzi, state bene?” fece appena in tempo a gridare Potter mentre Harry sollevava il pollice e scacciava un’ombra. Remus, nel frattanto, copriva Mina mentre questa prendeva la fialetta sporca di sangue che era rotolata a terra e la annusava in un angolo. “Quanto ti ci vorrà?” le gridò Severus, atterrando Sybille con un gesto spazientito. “Non molto … no, non tanto.” mormorò la vampira, inspirando a fondo l’odore del sangue nella fialetta.
“Attenti!” gridò Sirius mentre il lampadario crollava, mettendo definitivamente fuorigioco la Umbridge con un gridolino strozzato. “Che dobbiamo fare?” ansimò Hermione, guardandosi nervosamente attorno: ovunque nella stanza, la battaglia imperversava e sembrava anche piuttosto chiaro chi l’avrebbe vinta, a giudicare da come le ombre si stavano ingrossando man mano che il tempo passava …
Tesa e spaventata, schivò un altro incantesimo di Bellatrix che rimbalzò sulle pareti mentre Daciana gridava: “È ora!”
La strega tornò immediatamente seria, smettendo di lanciare cruciatus a destra e manca, lasciando l’ingrato compito di tenerli occupati alle sue ombre. “Sai, fiorellino …” ghignò, avvicinandosi languidamente ad Hermione, in piedi accanto al velo. “Per riportare in vita qualcuno che è bloccato nel limbo, un modo, dopotutto, c’è … il problema è che è richiesto un sacrificio di sangue: chi sarà dunque il fortunato?” sogghignò, divertita, lanciandole una maledizione che Hermione deviò, ansimando: la sua voce non faceva che farla rabbrividire e riportarla indietro a Villa Malfoy ed a quando, ridendo, le aveva inciso il braccio …
“Hermione, il libro!” gridò Mina dai bordi. “Cosa?” esclamò lei, deviando un altro incantesimo di Bellatrix. “Il libro: Minerva ha detto, mentre stavamo venendo qui, che Silente le ha riferito che l’unico modo per chiudere il velo è usare il libro, ma non ha detto come!”
Mentre Hermione parve soffermarsi su quelle parole, una cruciatus la colpì di strisciò, ferendola alla gamba e facendola rotolare a terra. “Hermione!” gridò Harry. Piton, che stava ancora scacciando ombre, al solo sentire quel nome, si precipitò verso il velo. “Un sacrificio è un sacrificio … spiacente!” rise Bellatrix, alzando la bacchetta. La luce verde di stava già per propagare, ma venne bruscamente deviata da Piton stesso, che le si parò dinanzi. “Ma guarda un po’ … Piton!” rise sguaiatamente la donna. “Sei ancora qui? Credevo che Nagini ti avesse stecchito come si deve!”
“Smettila di fare le tue solite scenate da pazza, Bellatrix …” sibilò lui. “Pazza? Oh, nient’affatto: io sapevo che eri un traditore … sei sempre così sentimentale con qui sanguemarcio! La Granger chi è, la tua nuova conquista? Beh, del resto, ti sono sempre piaciute le sanguesporco!”
Hermione, ansimando, approfittò della distrazione per individuare il libro in un angolo della sala ed appellarlo rapidamente. Ma cosa diamine doveva fare? Non ne aveva idea e, come se non bastasse, il volume non si voleva nemmeno aprire. “Avanti, accidenti!” gridò, inutilmente, provando tutti gli incantesimi che conosceva, ma nessuno parve funzionare. Disperata, strinse le mani sul libro, ansimando e chiuse gli occhi, cercando di pensare: che altri indizi aveva, oltre che Bellatrix voleva riportare in vita Voldemort ed era un’ombra lei stessa, seppur forte? Niente di niente. Con l’aiuto di Daciana, poi …
“Persefone …” mormorò: l’aveva chiamata così, prima. Ma perché? Persefone, nel mito greco, era la figlia unica e prediletta di Demetra che veniva rapida da Ade, dio degli Inferi, per farne la sua sposa. Alla fine, si risolveva a passare sei mesi in superficie con la madre e sei sottoterra con il marito: i primi, in cui Demetra era felice, corrispondevano a primavera ed estate, i secondi, poiché era triste senza la figlia, ad autunno ed inverno. Ma quel vecchio mito greco cos’aveva a che fare con lei?
“Persefone … Persefone …” si ripeté, cercando di scindere la figura dal mito e di raffrontarla esclusivamente a sé: entrambe avevano nomi di divinità greche. Entrambe erano figlie uniche, amate follemente dalle madri ed abituate a vivere nella luce, nella bellezza del mondo … salvo poi venire strappate alle famiglie, l’una per il matrimonio e l’altra per la magia. E, ad un certo punto delle loro vite, tutte e due si ritrovavano nel buio degli Inferi, controvoglia, costrette a stare con Ade … Ade, un dio pallido, triste, serio, snobbato da tutti per quanto potete, per un destino infelice … come Severus Piton. E, alla fine, dopo aver visto quanto di buono c’era negli Inferi, dopo aver rivalutato il sottosuolo ed aver fatto amicizia con le creature considerate malvage da tutti gli altri, era Persefone stessa a decidere di restare. Era lei a scegliere di portare la luce nelle tenebre ed era sempre lei a decidere che le ombre potevano nascondere molta più bontà della luce stessa …
Ecco perché Persefone: erano identiche, in tutto e per tutto. Sospese a cavallo tra due mondi non per loro scelta, ma alla fine decise a portare il meglio ovunque e capaci di rivalutare ciò che tutti sembravano fuggire … Ade compreso.
Forse, aveva capito, dopotutto … forse, quello che voleva dire Silente era che quel volume non poteva darle tutte le risposte, ma poteva permetterle di crearsele da sé. Bastava solo portare la luce ….
Premette la mano sulla ferita mentre apriva il volume senza l’ausilio di alcun incantesimo, cercando affannosamente la pagina di Bellatrix Black ed ignorando i tuoni degli incantesimi e delle maledizioni.
“Crucio!” strillò la strega, ridendo mentre Piton deviava le sue maledizioni. Hermione cercò con più foga. “Bellatrix, il tempo sta per scadere …” gridò Daciana. “Trovata!” esclamò la Grifondoro, iniziando a scrivere con il lumos in fondo alla pagina, senza lasciare parole al suo passaggio. Sotto di lei, il libro frusciava e fremeva, furioso.
“Troppo tardi, tempo scaduto, fiorellino, preparati a morire!” ridacchiò la Black, scagliando un lampo verde contro Hermione. Piton, tuttavia, fu più rapido di lei, gettandosi addosso alla giovane e scansandola.
Nel mentre l’incantesimo partiva, tuttavia, l’ombra della strega parve arrestarsi sul posto, come pietrificata. Lentamente, il fumo ai suoi piedi iniziò a dissolversi, riducendosi a sbuffi grigi ed a pulviscolo. “No, no, non può essere … noooo!” gridò mentre si dissolveva nell’aria assieme alle altre ombre.
Hermione, ansimando, si rialzò e, con orrore, vide una figura accanto a lei, stesa a terra sotto lo sguardo sconcertato dei presenti. “Severus!” urlò, sentendo un tuffo al cuore e precipitandosi accanto a lui.
L’uomo giaceva in una pozza di sangue che fuoriusciva dalla ferita di Nagini, riapertasi a causa della maledizione senza perdono che l’aveva colpito di striscio. “Severus … Severus mi senti? Severus …” boccheggiò Hermione, coprendo lo squarcio con entrambe le mani, incurante della sua ferita, del vestito o degli occhi degli altri fissi su di loro. “Herm … Hermione …” ansimò questi, boccheggiando. “Hermione dove … come?”
“Non preoccuparti di questo: pensa a vivere. Solo a questo … ti prego, ti prego, vivi! Devi vivere …” mormorò, redendosi conto solo allora che stava piangendo e tremando al tempo stesso. Il cuore le batteva furioso nel petto e non riusciva più neanche a respirare tanta era la paura che l’attanagliava. “Non posso farcela senza di te, non posso. Scusami, scusami … ti prego!”
La mano di Severus si posò sulle sue mentre la strega continuava a piangere ed a stringerlo a sé, guardandolo perdere lentamente conoscenza. “D-devi sapere che … che …”
“Shhh, risparmia le forze!”
“T-ti amo.” sussurrò il mago, oramai allo stremo delle forze, ansimando. Hermione si paralizzò, il fiato mozzato in gola e le lacrime che premevano pericolosamente per uscire mentre il cuore le martellava selvaggio nel petto: quante volte aveva sognato di sentire quelle parole? Quante? E perché ora le stava odiando? Non erano le ultime … non potevano esserlo!
“D-dovevi saperlo …”
“Resta con me, ti prego … resta con me.” continuò a mormorare la giovane nell’indistinta giostra di persone che seguirono dopo.
֎֍֎
Emptiness, it's all around me
I tried to catch my breath
I'm barely surviving
And I can't go on and I come undone
And there's nothing left in me
Il San Mugo, Madama Chips ne era sicura, non era mai stato più pieno di quella calda notte di luglio. Una discreta folla vestita a festa, infatti, sedeva in silenzio, attendendo notizie di qualunque tipo dell’unico paziente che i medimaghi stavano cercando disperatamente di salvare.
Minerva, Regulus ed Harry, in particolare, fissavano la porta chiusa, immobili e quasi svuotati di qualunque emozione. Hermione, invece, sprofondata nella sedia, non faceva altro che piangere sotto lo sguardo distrutto e sorpreso dei presenti. Non emetteva alcun rumore, in realtà, ma dai suoi occhi sgorgavano fiumi di lacrime, una dietro l’altra, a volte così intense che le sembrava di soffocare. “Hermione, su, calmati! Bevi qualcosa …” la consolò Mina, sedendosi accanto a lei. “Non è detto che sia grave, non …”
“Ma è grave!” ansimò lei, boccheggiando. “Altrimenti non saremmo qui! Altrimenti non staremmo aspettando di sapere se è vivo o morto! Altrimenti non mi avrebbe detto che mi amava …”
La vampira la osservò con sguardo compassionevole. “Dovresti darti una ripulita, tesoro …”
“Non ho intenzione di muovermi da qui.” scandì lei. “Non finché non saprò qualcosa … qualunque cosa …”
“Ma … ma dunque … voi … continuavate a vedervi?” mormorò la voce sconvolta di Robert Granger, in piedi di fronte alla figlia ed ancora visibilmente scosso dagli avvenimenti della serata. “Sì, papà, continuavamo a vederci, di nascosto!” sibilò Hermione, guardandolo con astio. “Perché era l’unico modo per stare con te e lui al tempo stesso, visto che a te non andava affatto bene che io fossi grande abbastanza da decidere per me! Non volevo perderti dopo averti ritrovato …”
“Herm …”
“Io lo amo!” esclamò la strega, senza timore. “E sappi che non ho più intenzione di mentire per fare un piacere a nessuno! Se davvero mi vuoi bene, dovrai accettarlo …”
Robert boccheggiò, ma, alla fine, esortato da uno spintone di Jean, scelse di non aggiungere altro. “Hermione, perché non bevi qualcosa di caldo, un tè, magari?” riprovò Mina. “No, non voglio niente, grazie.”
“Ma, tesoro, sei sfinita!”
“L’ultima cosa che abbiamo fatto è stata litigare …” ansimò la Grifondoro. “Lui mi ha detto che ero troppo avventata nel dire a tutti di noi, che volevo avere tutto e non si poteva ed io che lui non ci credeva abbastanza, che non voleva vivere alla luce del sole per paura! Questa è stata l’ultima cosa che gli ho detto di cui si ricorderà, capisci?”
La vampira le mise una mano sulla spalla, sospirando. “Coraggio, vedrai che si sistemerà tutto …”
“Vi eravate lasciati?” considerò James, sorpreso. “Papà …” sospirò Harry. Hermione gli rivolse un’occhiata strana. “Sì.”
“Beh, forse quella litigata vi ha permesso di capire che ci sono delle cose su cui sarete sempre incompatibili! Noi lo dicevamo, no, Lily? E …”
“Oh, ma volete piantarla voi due?” sbottò Mina, levandosi in piedi sotto lo sguardo sconvolto di Remus e Minerva al suo fianco. “Tutta la vita a fare i ragazzini perfetti, con famiglie perfette, popolari, che s’innamorano all’ultimo anno, si sposano, sono stucchevolmente felici e salvano il mondo magico! Ma vi siete mai guardati allo specchio? Tu non altro che un bulletto fastidioso, un figlio di papà incapace di crescere, mentre tu …” sibilò, rivolta a Lily, che fissava il pavimento, mortificata. “Una maestrina vittimista e bacchettona a cui importa solo della popolarità, che usa le persone finché le comodano per poi mollarle alla prima scusa e sceglie la strada più comoda! E sarete anche genitori esemplari, non lo nego, ma non siete perfetti, quindi finitela di giudicare tutti una buona volta!”
James e Lily, sconcertati, non osarono nemmeno ribattere, limitandosi a fissarla, straniti e, forse, imbarazzati.
Mina, invece, risedette pesantemente e passò un braccio attorno alle spalle di Hermione, che, perlomeno, aveva smesso di piangere. Madama Chips uscì in quel momento dall’infermeria, facendo schizzare tutti in piedi. “Lo stanno curando.” spiegò. “Ma la ferita è brutta, ha bisogno di una trasfusione ed ha anche un gruppo sanguigno abbastanza raro …”
“Io sono compatibile!” esclamò Regulus, schizzando in piedi. “Me lo ricordo! Era per questo che ci avevano messo in squadra assieme …”
“Anch’io, allora.” confermò Sirius, stupendo tutti mentre faceva un passo avanti. “Possiamo essere utili?”
“Essenziali, direi: andate pure dentro.” annuì la medimaga mentre i fratelli Black correvano nella sala.
“Non so come reagirà svegliandosi allo scoprire che ha sangue Black nelle vene, ma, perlomeno, sarà vivo!” considerò Remus, annuendo. “Non è tutto.” sospirò la guaritrice. “Prima dell’anestesia ha detto che, se dovesse accadergli qualcosa, vuole che tutto ciò che possiede sia tuo, Hermione …” spiegò. “E con sé, nella giacca, aveva queste cose che credo ti riguardino. Per il resto, dicono di andare tutti a farvi una passeggiata: sarà una lunghissima attesa. Tornate tra qualche ora …”
La Grifondoro, come un automa, prese la busta e la scatolina verde che Madama Chips le stava porgendo. Con mani tremanti ed il cuore in gola, aprì la prima e quasi gridò nel trovarvi dentro la foto e la firma di Lily. Le lasciò cadere a terra mentre si dedicava alla scatolina, sempre più scossa. Non appena il contenuto le si rivelò dinanzi agli occhi, le parve di soffocare. Incastonato nella scatolina, infatti, v’era un piccolo anello d’argento con al centro un’ametista romboidale circondata da minuscoli brillantini. Hermione sapeva esattamente cosa significava quell’anello: l’aveva visto in tutte le foto di Eileen Prince, al suo anulare destri. Era l’anello di famiglia di sua madre … e Severus voleva donarlo a lei.
Un singhiozzo le uscì dalle labbra e non riuscì a trattenerne un altro. Non riuscì a sentire quello che le dicevano Mina e Ginny accanto a sé: riuscì solo a sprofondare il viso sulla spalla della vampira, scoppiando in un pianto inconsolabile.
֎֍֎
I'm all alone, running scared
Losing my way in the dark
I tried to get up, stand on a prayer
But I keep crashing down hard
Mentre Severus combatteva ancora tra la vita e la morte al San Mugo, Hermione, su insistenza di Remus e Mina, aveva acconsentito ad uscire dall’ospedale. Senza neanche pensarci due volte, invece di passeggiare nei giardini notturni, si era lavata, cambiata con abiti normali e smaterializzata.
La casa di Euphemia Rowle, di notte, appariva ancor più minacciosa, con il suo profilo scuro che si ergeva contro il cielo color inchiostro e la pallida luce della luna che baluginava sui rovi e gli alberi secchi. La Grifondoro attraversò il vialetto d’ingresso senza timore, contrariamente alla prima volta: stavolta, in lei, c’era una consapevolezza nuova, un coraggio dettato dal non avere più nulla da perdere. La cosa più preziosa che possedeva, del resto, era forse già quasi morta a causa sua … e l’unica cosa che poteva fare era provare a rimediare. Bellatrix le aveva detto che ogni rito negromantico, l’unica magia che spezza vita e morte, si fa con un sacrificio. Severus le aveva salvato la vita … se lei l’avesse salvata a qualcun altro, forse, il debito sarebbe stato ripagato. Non sapeva se avrebbe funzionato, ma era così disperatamente che valeva la pena tentare.
Bussò ed attese. Quando la vecchia Rowle aprì e la vide, non batté ciglio. “Ancora voi del Ministero? Non dovete molto da fare, se venite a tormentare una vecchia pazza come me!” grugnì, scostandosi per farla entrare.
Hermione entrò nella familiare stanza inquietante, con i mobili polverosi, gli animali impagliati e le abat-jour che gettavano una luce soffusa ed inquietante sulla culla e sull’Augurey, triste e sospettoso nei suoi confronti. “Che vuoi?” sbottò Euphemia, sprezzante. “Sa che il sangue che ha portato a Lestrange è servito per riportare in vita Bellatrix Lestrange? Intendeva liberare Voldemort, ma è stata fermata in tempo. Stavano progettando la cosa da mesi, Lestrange e Rosier, imprigionato in Scandinavia: comunicavano attraverso lettere segrete. In combutta c’erano una purosangue francese, Sybille de la Barre, una negromante, e la Umbridge, tutte rinchiuse ad Azkaban.”
La Rowle fece spallucce, impassibile. “E che dovrebbe fregarmene, scusa?”
“So chi è la bambina, Euphemia.” sibilò Hermione, ostentando una sicurezza che non aveva. La donna non si scompose, limitandosi a congiungere le mani in grembo. “E con questo?” sogghignò. “Non ho mica fatto nulla di male, io!”
“No: sei solo avida, ma non cattiva. E non lo è nemmeno Delphini …” annuì, indicando la bambina bionda e pallida che dormiva. “Nessuno nasce malvagio, è la vita a portarci ad esserlo. Mi auguro che le donerai l’affetto sufficiente a non divenirlo mai …”
“Non la denunci a qualche pezzo grosso del Ministero? O non la fate fuori subito, così vi liberate del pensiero, come fate di solito?”
“No.” sospirò Hermione. “Perché sono convinta che tutti abbiano diritto ad una seconda occasione. E le auguro di averla. Volevo solo riportarle questo …” spiegò, estraendo una scatoletta dalla giacca. “È il pugnale di sua madre … glielo dia, La prego.”
Euphemia la squadrò prima di annuire e prenderlo. “Nessuno vuole prendersela?” commentò, secca. “Nessuno sa chi è: solo io.” precisò, rammentando di quando Mina le aveva detto di chi era quel sangue e lei l’aveva implorata di tacere. “E non lo dovrà mai sapere nessuno … la bambina vivrà e sarà felice e serena. Chieda i soldi al Ministero, posso farLa passare per un’eroina di guerra e fare in modo che abbia una rendita. Non dovrà più dipendere da Lestrange …”
“E chi mi garantisce che me li daranno?”
“Garantisco io.” sottolineò Hermione. “Lo faccia: dia una possibilità alla bambina. Se non per lei, almeno lo faccia per sé: è troppo vecchia per crescerla …”
Euphemia la fissò, sconcertata da tanto irruenza. “Che lingualunga, signora!” sibilò. “Ci penserò, non prometto nulla …”
Si fermò a fissarla per qualche istante, assottigliando lo sguardo. “La regina degli asfodeli … l’erede di Persefone.” mormorò. Hermione inarcò le sopracciglia. “Il mio Augurey lo dice sempre … canta di una regina degli asfodeli che porta luce dove le tenebre regnano sovrane. Sei tu, evidentemente … l’asfodelo rappresenta ciò che non è cenere, rappresenta la vita che vince la morte … lo fai per questo, vero? Vuoi sfidare la Morte?”
“Pensi quello che vuole del perché sono qui, ma sappia che se non farà come le ho detto tutti sapranno di chi è figlia e Lei perderà la sua unica rendita mensile. Rifletta su questo.”
Detto ciò, Hermione si congedò rapidamente, senza fermarsi a guardare lo sguardo sconcertato della Rowle né il volto diafano di Delphini Riddle.
Uscì nel silenzio irreale della sera, correndo fino ad oltrepassare il ponte, fino a non avere più fiato. Si fermò sotto un cipresso, ansimando e si passò una mano sulla fronte: era fatta. Ancora una volta, Persefone aveva portato uno spiraglio luminoso là dove le tenebre sembravano destinate a regnare sovrane in eterno … ma sarebbe bastato?
Mentre rifletteva su quei cupi pensieri, il cervo di Harry la raggiunse, argenteo e veloce come solo un patronus poteva essere. “Herm …” esclamò, commosso. “Herm, si è svegliato!”
֎֍֎
Non appena Hermione si fu smaterializzata al San Mugo, si fiondò per le corse, senza badare agli inservienti ed ai presenti. Oltrepassò la folla fuori dalla stanza di Severus senza guardare nessuno, fermandosi solo dinanzi a Madama Chips. “Dov’è? Come sta? Posso vederlo?” sussurrò. “Calma, calma, ragazza! Certo che puoi, vieni … è molto debole, ma credo che vederti gli farà solo bene.” annuì, scostandosi per farla passare.
Severus giaceva disteso in un letto candido, in una stanza verde acqua, una vistosa fasciatura sul collo candido. Hermione sentì la vita esploderle nel petto al vederlo voltarsi verso di lei. “Severus!” esclamò, correndo verso di lui e stringendolo a sé prima di cercare subito le sue labbra, costringendolo ad un bacio da cui si separarono solo per riprendere a respirare.
“Sei … sei vivo! Stai bene!” sorrise lei, accarezzandogli il viso. L’uomo annuì: sebbene fosse sfinito e le rughe attorno agli occhi fossero accentuate, era vivo. E sembrava felice. “I medici dicono che sarà una ripresa lunga, fino all’autunno! Lumacorno mi dovrà sostituire per il primo trimestre. Tutto sommato, anche se avere il sangue di Black nelle vene non mi aggrada, sto abbastanza bene.” gracchiò. “Shhh, non sforzarti! Nei prossimi mesi e per sempre non dovrai più preoccuparti di nulla, ci sarò sempre io! Mi prenderò cura di te …”
Un lampo di tristezza attraversò lo sguardo di Severus. “Hermione, non puoi essere la mia infermiera, hai una vita e …”
“Prenderò dei permessi, chiederemo una mano a Mina, Remus e Regulus, in qualche modo faremo, ma non sono disposta a perderti ora che sei qui! I miei, i Potter … tutti dovranno accettare che ci amiamo! Avevo così paura che non riuscivo neanche a respirare!” mormorò, soffocando una lacrima. Piton le sorrise debolmente, sfiorandole la mano. “Indossi …” sussurrò. “L’anello?” sorrise Hermione. “Sì, certo che lo indosso: ti amo ed anche tu mi ami. Me l’hai detto, abbiamo i patronus collegati … noi ci apparteniamo ed anche se gli altri ti disprezzano, avranno da ridire e mi reclameranno ogni tanto, alla fine tornerò sempre da te … noi siamo Ade e Persefone.”
“Tu lo sei senz’altro.” annuì lui. La strega aggrottò le sopracciglia. “Cosa …”
“Daciana non parlava a vanvera: le negromanti sanno, leggono dentro le persone, nel loro passato e nel loro futuro. Evidentemente in te ha letto che tu sei l’ultima discendente di Persefone … era una strega anche lei, sai? Dei ed eroi dei miti non erano nient’altro che questo …”
“Ma ...” boccheggiò la ragazza, sorpresa. “Ma allora … le visioni, il legame con la morte …”
“Era la tua vera natura che emergeva, sì.”
“E perché solo adesso? Dopo vent’anni?”
“Non saprei …” sospirò l’uomo, massaggiandosi la gola dolorante. “Forse, perché Persefone ha finalmente ritrovato il suo Ade …” azzardò. Hermione sorrise, stringendogli le dita pallide. “Mi dispiace di aver detto quelle cose … non le pensavo.”
“Neanch’io. Tu sei la cosa migliore che ho, Hermione …”
La Grifondoro annuì, lasciandosi sfuggire la lacrima che da ore oramai combatteva per essere lasciata liberare di fluire lungo i solchi della sua guancia. “Basta parlare del passato, adesso: l’unica cosa che m’importa è cosa saremo. E che, comunque vada, saremo insieme … no?” mormorò. Severus la fissò, immobile, prima di accarezzarle la guancia, seguendo il profilo del suo mento e facendola rabbrividire. “Sempre.” sussurrò. “Ovviamente purché tu mi ascolti la prossima volta che farai degli incubi …”
Hermione lo guardò malamente, offesa, dandogli un buffetto sulla spalla. Severus rise, roco, attirandola a sé. Prima di baciarla, le sussurrò all’orecchio: “Non si picchiano i malati, Granger … cinque punti in meno a Grifondoro!”
This is my side of the story
Only my side of the story
Nobody cares, nobody's there
No one will hear, my side of the story
Angolo Autrice:
Rieccoci!
Manca pochissimo al finale, oramai, solo un capitolo ... che dire, per i ringraziamenti spenderò un papiro alla fine. Per ora ci tengo solo a dire che adoro il mito di Ade e Persefone e da qui l'idea di trasportarlo anche in Harry Potter, in Hermione soprattutto. Spero vi sia piaciuta l'idea e tutti i tasselli abbiano trovato il loro posto! Per il destino di tutti i personaggi, non temete: l'epilogo chiarirà tutto (spero!)
Aggiungo solo che la canzone sparsa qua e là è My Side of the Story, di Hodges ... chi ama Criminal Minds la conosce sicuramente, ma la consiglio a tutti, è bellissima!
Alla prossima e grazie come sempre a chiunque passi di qui!
E.

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Capitolo 29
*** Sedici anni dopo (prima parte) ***


Capitolo Ventinovesimo
 Sedici anni dopo (prima parte)

I bow down to pray
I try to make the worst seem better
Lord, show me the way
To cut through all his worn out leather
I've got a hundred million reasons to walk away
But, baby, I just need one good one to stay
(A Millions Reasons, Lady Gaga)

 
Ghirigoro, Diagon Alley, sedici anni dopo
“Vedrà che non se ne pentirà assolutamente signor Blake!” annuì Hermione, consegnando la borsa di carta ad un paffuto mago con il monocolo ed i baffi a manubrio. “Dice? Non so come a mia nipote possano piacere i pipistrellini antropomorfi in un libro!” sospirò. “Alle bambine dovrebbero piacere gli unicorni e le fatine a quell’età …”
“Non è detto.” sorrise la libraia, congedando uno sconsolato cliente prima di sospirare e guardare fuori: era oramai pomeriggio inoltrato, quasi sera, su Diagon Alley. Il cielo rosato ed aranciato del tramonto si rifletteva sulle vetrine dei negozi, baluginando lungo i marciapiedi semideserti, fatta eccezione per i bar ed i locali. La folla che aveva pervaso il Ghirigoro da quel mattino si era finalmente diradata …
“Hermione, ancora un quarto d’ora e poi va’ a casa.” esordì Florence, uscendo dal magazzino con aria soddisfatta: come ogni fine di agosto, avevano venduto tutto. “Ma … mancano ancora due ore alla chiusura e …” protestò la Grifondoro, stringendosi nella giacca di pelle nera e sistemando le pieghe della vaporosa gonna scura a fiori bianchi. “Niente storie: sei una dei miglior dipendente che questa baracca abbia mai avuto ed oggi è un giorno importante per te … o sbaglio?”
Hermione sospirò. “Più che altro ansiogeno!”
“E perché mai? Ce la siamo cavata tutti …”
“Sì, ma ho sempre così tante paure …”
“È normale, cara! Ora rimetti pure in ordine e poi preparati, su!”
La libraia annuì, iniziando a sistemare i vari oggetti in vendita alla cassa con un sospiro e guardando l’orologio: ancora pochi minuti. Sedici, per la precisione, come gli anni trascorsi dalla battaglia al Ministero con Bellatrix Lestrange …
Al solo pensiero, si sentì rabbrividire: era stata senza dubbio alcuno una delle esperienze più terrificanti della sua vita, a ben pensarci. L’aspetto positivo era che era stata anche l’ultima: da quel giorno in poi, le cose erano andate meglio, per lei e per tutto il mondo magico che rinasceva dalle sue ceneri.
Severus era stato dimesso dal San Mugo due settimane dopo l’attacco ed Hermione, senza voler sentire proteste o tentativi di farla ragionare, aveva fatto armi e bagagli sotto lo sguardo attonito dei genitori e si era trasferita in pianta stabile a Spinner’s End, per la gioia di Grattastinchi, che sembrava gradire quella dimora più di casa Granger e sicuramente più del Paiolo Magico. “So che non siete d’accordo, ma, se davvero mi volete bene come so, capirete ed accetterete la mia decisione. Non mi sto separando da voi: sto solo andando avanti per la mia strada.” aveva detto a due attoniti Robert e Jean prima di abbracciarli e smaterializzarsi.
Al ricordo di quei sei mesi, sospirò: non erano stati per niente semplici, anzi, poteva tranquillamente definirli la più grande prova di pazienza della sua vita.
Severus, nei primi tempi, era sempre di cattivo umore e parecchio intrattabile: detestava essere costretto a letto e dover essere continuamente un peso per lei. “Hai una vita da vivere, non dovresti stare dietro ad un vecchio mago con la gola squarciata.” soleva dirle mentre gli cambiava la fasciatura, come Madama Chips le aveva insegnato. “Dimentichi il pessimo carattere.” rispondeva sempre lei con un sorriso sardonico. Da un lato, un po’ lo capiva: doveva chiamarla anche solo per alzarsi ed andare in bagno, tanto forti erano i dolori della ferita e gli era stata requisita la bacchetta finché non si fosse sentito meglio. Ad Hermione, però, non dispiaceva quel ruolo, anzi: mentre si trovava sola e lui riposava, si era dedicata a rimodernare la casa con metodi babbani. La polvere era sparita da ogni angolo, i mobili erano divenuti più chiari, con riflessi quasi rossicci al tramonto, felci e piante varie avevano popolato ogni stanza ed il giardinetto sul retro, rifatta la staccionata e tagliata l’erba, era diventato perfetto per un piccolo orticello, un albero ed un gazebo.

“Non capisco perché lo fai.” le disse Severus, mentre Hermione lo raggiungeva a letto. “Fare cosa, scusa?” ribadì lei, continuando a lavarsi i denti. “Ristrutturare questa catapecchia: hai fatto fare un tetto nuovo ed un … come diamine è?”
“Cappotto: trattiene freddo e caldo e …”
“Beh, la sostanza rimane la stessa: perché? La casa è vecchia e malandata, è inutile che …”
“A me piace moltissimo ed ora non è più malandata.” puntualizzò lei. “
È un po’ come te: vista da fuori fa quasi paura, ma, una volta entrati, se ne scoprono lati che affascinano. E, poi, tua madre ha fatto tanti sacrifici perché restasse a te: se non vuoi tenerla per te, fallo almeno per lei.”
Severus sospirò massaggiandosi la ferita che ancora doleva e perdeva una notevole quantità di sangue che andava regolarmente integrato con la pozione Rimpolpasangue. “Domani vai al lavoro?” mormorò con voce roca. “Non sforzarti a parlare! E, comunque, sì.” annuì la Grifondoro, spazzolandosi la lunga e folta chioma mossa. “E chi viene a deliziarmi con la propria compagnia, neanche fossi un invalido moribondo del Bronx di New York?”
“Sei un invalido moribondo.” rise Hermione. “E, comunque, ti divertirai, vedrai: vengono Regulus e Sirius.”
“Cosa?” esclamò Severus, schizzando a sedere con un miagolio di protesta di Grattastinchi. “Hai sentito bene. Ed ora rimettiti disteso, per favore …”
“Sei impazzita? Black? In casa mia?”
“Calmati, o si riapre la ferita! Sirius ti ha salvato la vita e poi hai detto che non t’importa di questa casa!” ridacchiò la Grifondoro, infilandosi sotto le coperte. “L’hai deciso apposta, o sbaglio, Hermione?” sibilò l’altro, mellifluo. “Anche se fosse?”
“Non è che stai diventando un po’ troppo Serpeverde?”
La giovane rise, baciandolo prima di spegnere la luce. “Ho imparato dal maestro!”


Mentre etichettava degli ordini, Hermione sorrise: tra i battibecchi, i turni e stare dietro a Severus, le restava davvero poco tempo libero, ma una sera, da sola, sul divano di Spinner’s End, di fronte a film romantici ed ad una coppa di gelato, aveva sentito il bisogno di sfogarsi, di dar voce a tutte le cose che le sembrava di voler dire da sempre e non aveva mai avuto il coraggio di liberare. Seguendo il consiglio di Madama Chips, aveva iniziato a scrivere: inizialmente, aveva tentato con racconti, semplici e, a suo dire, piuttosto scontati, ma poi si era cimentata in fantasy e retelling di mitologia varia, scoprendo che non erano poi così orribili come pensava. Erano stati pensati per essere uno sfogo, naturalmente e non aveva infatti alcuna intenzione di portarli da un editore … questo finché Severus non li aveva trovati e letti.

“Uff, che diluvio … è stata una giornata lunghissima! Severus, sono tornata!” esclamò la Grifondoro, entrando a Spinner’s End dopo aver scosso l’ombrello fradicio di pioggia autunnale. Fuori, la nebbia era tanto fitta da far distinguere a malapena la luce dei lampioni e l’umidità penetrava nelle ossa. Al Ghirigoro non c’era stato quasi nessuno e, per tutto il giorno, Hermione non aveva fatto che sognare di tornare a casa, da Severus e lasciarsi coccolare sul divano in compagnia di un buon tè ed un libro.
Con un sorriso, asciugò rapidamente l’ombrello grazie ad un incantesimo non verbale e si tolse il cappotto. “Severus? Dove sei?” domandò, raggiungendo il salotto.
Il sorriso le morì in gola quando lo vide: seduto nella sua poltrona accanto al fuoco scoppiettante con una coperta sulle gambe, in una perfetta imitazione di un nonnino babbano, stava leggendo. E non un libro qualunque, ma il suo libro. “Rieccoti.” commentò senza guardarla. “Hai fatto presto!”
“Speravi che arrivassi tardi, così da non farti beccare mentre leggi senza permesso quello che scrivo?” sbraitò lei, strappandogli i fogli di mano e fissandolo negli occhi, furibonda, mentre lui sogghignava appena, tranquillo, la fasciatura ancora chiazzata di sangue, anche se meno del solito. “Credevi davvero che non lo sapessi? Sentivo il ticchettio del computer dalla camera, Hermione: so che scrivi da quando hai iniziato. Ed ho letto tutto, per noia o per interesse a seconda dei casi …”
La sonora pacca che gli arrivò sul braccio con il fascicolo lo fece sobbalzare. “Non dovevi permetterti e non dovrai farlo mai più, sono cose mie! Nessuno doveva saperlo … Merlino, che vergogna!” ansimò Hermione. “Hermione …” sospirò il Serpeverde, picchiettando le dita sul bracciolo, seccato. “No, Hermione un corno! Cosa mi dirai ora, che sono infantili, che fanno schifo, eh?”
“Hermio …”
“O che sono banali, scontati, pieni di errori!”
“Hermione!” riuscì finalmente a zittirla lui, seppur ritrovandosi a tossicchiare leggermente per lo sforzo. “La smetti di saltare alle conclusioni e mi lasci finire di parlare, una buona volta?” sospirò, esausto. “Non li trovo brutti, tutt’altro: hanno una trama ben costruita, non presentano grossi errori, i personaggi sono ben caratterizzati e le descrizioni minuziose sono … beh, piacevoli.” enumerò. Hermione, immobile con il cuore a mille e le guance arrossate, deglutì. “Ti … ti piacciono davvero?”
Severus alzò gli occhi al cielo. “E cos’ho appena detto?”
“Sì, lo so, ma non pensavo che …”
“Dovresti pubblicarli.” sentenziò lui, lasciandola nuovamente basita mentre si alzava a fatica. “Ed ora, se vuoi scusarmi, sono stanco … gradirei andare a dormire. Posso riavere il libro?”
Hermione, sconcertata, si guardò le mani. “Intendi … questo, il mio?”
“No, quello di Allock, sai che sono un suo fan.” sbottò lui, prendendolo. “Voglio sapere come finisce.” concluse seccamente prima di dirigersi a letto dove Grattastinchi lo stava già aspettando, lasciando una sconcertata Hermione in piedi in mezzo al soggiorno.


E pubblicarli era quello che aveva fatto: dopo dodici rifiuti che erano costati a Severus parecchi fazzoletti ed un bel po’ di pazienza, Hermione ce l’aveva fatta e, come previsto, era stato un successo. Oramai da anni si divideva tra i turni al Ghirigoro e la scrittura, tanto da essere diventata un’autrice nota a tutte le età sia tra babbani che tra magici. Ancora ricordava la sua prima presentazione a Londra, a cui Severus si era presentato nonostante la fasciatura ancora ben visibile e l’aria stanca. Era stata la prima volta che Jean e Robert gli avevano rivolto la parola amichevolmente dalla fine della battaglia. “Professor Piton, ma Lei dovrebbe stare a riposo, che ci fa qui?” aveva detto Robert, sorpreso di vederlo. Severus aveva fatto spallucce. “Per Hermione era importante che ci fossi.”
Non si erano detti altro per tutta la serata, ma, evidentemente, doveva essere bastato, dal momento che la domenica dopo i coniugi Granger si erano presentati a Spinner’s End per pranzare insieme alla figlia … ed a Severus. Robert aveva persino parlato di storia egizia con lui e nessuno aveva fatto cenno agli avvenimenti di giugno. Era stata la prima di tante occasioni conviviali in cui Hermione aveva potuto avere accanto a sé i suoi e Severus, con sua somma gioia e, doveva ammetterlo, con il tempo, una certa invidia, dal momento che, dopo sedici anni, i suoi sembravano quasi dare più ragione a lui che a lei ad ogni discussione.
Raddrizzò la fotografia dietro il bancone della libreria, pensierosa: era stata scattata per l’anniversario dell’apertura e ritraeva i dipendenti ed i clienti più fedeli. Ginny troneggiava in seconda fila con un pancione piuttosto evidente e l’aria imbarazzata …
Hermione quasi scoppiò a ridere al vedere l’espressione imbronciata di Piton in un angolo: fortunatamente, dopo la convalescenza, nel giro di sei mesi, si era ripreso ed era tornato a terrorizzare i suoi studenti ad Hogwarts, con l’unica differenza, che, oramai, tornava a casa al termine delle lezioni e dei suoi vari impegni per stare con lei, che si era oramai stabilita a Spinner’s End definitivamente.
I cinque anni che erano seguiti erano stati meravigliosi e lei era felice come non mai: abitava in una casa bellissima con l’uomo che amava e sapeva che anche a lui piaceva come l’aveva sistemata, anche se non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura, svolgeva un lavoro che adorava ed aveva anche un discreto successo. Ben presto, in soggiorno, gli spazi vuoti erano stati colmati da fotografie di loro due assieme durante feste, matrimoni o vacanze e solo dopo un po’ Hermione aveva osato appendere immagini sue e di Severus da ragazzi e dei rispettivi genitori. Il Serpeverde non aveva obiettato, ma l’aveva sorpreso spesso a fissare il volto di sua madre con aria persa e sofferente, nonostante il tempo trascorso.
L’unica cosa che la lasciava sempre un po’ la bocca amara era vedere gli altri andare avanti con le loro vite a passi da gigante, mentre lei impiegava sempre passi piccoli e ravvicinati per proseguire: Harry e Ginny avevano avuto un bellissimo bambino, James Sirius, definito da Severus con la secca formula ‘peccato che sia un Potter’, Luna si era sposata e così Draco ed Astoria e persino Neville, mentre Lucius e Narcissa sembravano essere tornati agli splendori di un tempo, ospitando feste e ricevimenti a Villa Malfoy. Lucius si era perfino lanciato in politica, con estremo disappunto di Severus. Anche i fratelli Black si erano sistemati, Regulus con Sibilla e Sirius, inaspettatamente, con Willow Vance. “Un errore di valutazione può sempre capitare, no?” aveva detto, liquidando la faccenda con un gesto spazientito alla nascita di suo figlio, oramai quindici anni prima.
Remus, dopo anni di titubanza, aveva sposato Mina, su insistenza di Andromeda e Teddy. L’unica cosa che la vampira aveva chiesto alle nozze aveva lasciato sconvolto Shackelbolt stesso, che doveva necessariamente autorizzare di suo pugno lo strano regalo richiesto: sapere che fine aveva fatto suo figlio. 
Alla fine, il Ministro aveva acconsentito e Mina, tremante ed impaurita, aveva consultato il libro del destino, scoprendo, così, che Sebastian, il suo bambino, aveva vissuto una vita lunga e felice, scoppiando in lacrime dinanzi a tutti e rifugiandosi sulla spalla di Remus, commossa. “Grazie, grazie, grazie di tutto!” aveva detto ad Hermione, stritolandola in un abbraccio. “Grazia a te, Mina!” aveva riso lei, ricambiando.
I Lupin, al momento, abitavano ancora nel cottage di Andromeda, ma oramai non v’era più spazio per buio e tristezza, tra Teddy che era oramai un ragazzo e la nascita, undici anni prima, di una bambina. “Io non so come sia stato possibile … cioè sì, lo so, ma … dovrei essere morta, non potrei avere figli! Chips ha detto che se la trasformazione non è stata completa però può capitare e potrebbe anche essere, sopporto la luce più degli altri vampiri! Oh, ma chissenefrega, comunque: guarda che meraviglia! E l’ho fatta io, mi è venuta così bene … speriamo che nel carattere somigli a Remus, però!” era solita dire Mina, ridendo, quando veniva a trovarli a Spinner’s End mentre mostrava una neonata paffuta che, effettivamente, era la fotocopia di un sempre più commosso Lupin. Quando la signora Tonks aveva saputo che avevano deciso di chiamarla Andromeda e volevano fosse sua nonna a tutti gli effetti, si era sciolta in lacrime. La ciliegina sulla torta era stata chiedere a Severus di farle da padrino. “Ad una marmocchia piangente, ululante e vomitante, mezza mannara e mezza vampira e magari anche mezza strega? Ma neanche se l’Oscuro in persona dovesse tornare ed ordinarmelo a suon di avada kedavra, Mina!” aveva sbraitato. Inutile dire che non solo aveva fatto il padrino senza proferire parola, ma era anche diventato lo zio preferito della piccola e tranquilla Andromeda Lupin.

Hermione si fermò a guardare una donna passare con una carrozzina in strada: all’epoca, mentre tutti si sposavano ed avevano figli, persino Regulus e Sibilla, che si credeva non potessero averne, non si era sentita poi così diversa come probabilmente invece appariva. Lei e Severus erano insieme da anni, sapeva che l’amava, anche se non gliel’aveva più detto, indossava sempre l’anello di sua madre e nient’altro sembrava contare. Certo, le sarebbe piaciuto un giorno sposarsi ed avere dei figli, ma le sembrava sempre troppo presto, considerato quanto turbolenta era stata la loro storia e quanto scalpore destasse ancora, soprattutto ad Hogwarts, dove alcuni genitori avevano persino sollevato perplessità sul comportamento di Severus, visto che stava con una sua ex alunna. “Io so per certo che il professor Piton tiene sempre un comportamento assolutamente irreprensibile, come ha sempre fatto. Ciò che fa fuori di qui non mi riguarda e non dovrebbe riguardare neanche voi.” ribatteva sempre Minerva, seccata, come un mantra.
Immersa in quella tranquilla quotidianità, Hermione aveva ingenuamente creduto di essere finalmente diventata immune agli scossoni della vita. A ripensarci, si sarebbe data della stupida per quanto era stata sciocca … ma, tutto sommato, non era andata poi così male.
Le cose avevano iniziato a cambiare un pomeriggio di inizio marzo, quando Hermione, di ritorno da un turno sfibrante, aveva vomitato pur non avendo mangiato nulla e si era resa conto di avere la febbre, oltre ad una bella emicrania. Si era messa a letto ed aveva preso una pozione che Severus le aveva preparato, precipitando istantaneamente tra le braccia di Morfeo. La cosa si sarebbe dovuta risolvere nel giro di qualche giorno, teoricamente, ma i mesi erano trascorsi e, ad aprile, Hermione ancora non dava segno di riprendersi, anzi: continuava a vomitare, ad avere la febbre ed erano subentrati persino gli svenimenti. Soleva dire che si trattasse di un’influenza un po’ più forte del solito, ma Severus non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva trascinata al San Mugo, dove l’avevano letteralmente rivoltata come un calzino.
All’epoca, se n’era risentita, ma, da un lato, lo capiva: era terrorizzato all’idea di perderla, si vedeva chiaramente e quella situazione di stallo, quel non sapere, era divenuto oramai insopportabile.
Hermione non avrebbe mai scordato l’espressione del medico che, a fine giornata, le aveva letto i risultati delle analisi mentre lei sedeva sul lettino, stanca e triste.

“Lei è incinta, signora. Il feto ha una notevole forza magica, motivo per cui Le causa questi disturbi: più potenza ha il bambino, più la madre ne soffre. L’aspettano nove mesi intensi …” commentò, quasi stesse leggendo le previsioni del tempo. Per qualche istante, Hermione rimase immobile, perfettamente impassibile. Non aveva capito bene … non poteva essere quello. No. Assolutamente. “C-come?” balbettò, passandosi una mano sul viso mentre sentiva il cuore accelerare. “Lei è incinta.” scandì nuovamente il medimago, infastidito. “Tra tre mesi, deve fare un’ecografia, anche babbana andrà bene. Mi ha sentito, signora Granger?”
“Eh? Oh. Sì. Sì, certo … g-grazie.” balbettò, afferrando le carte e ficcandole in borsa prima di rimettersi in piedi, leggermente traballante. “
È sicura di farcela?” mormorò il medico, squadrandola. “Sì, sì, non si preoccupi. Grazie. Arrivederci.” squittì Hermione, con una voce che assomigliava più a quella di Dolores Umbridge che alla propria. Uscì di corsa, sentendosi soffocare e puntò dritta al terrazzino. Una volta fuori, si aggrappò alla balaustra, inspirando ed espirando a fondo, il cuore a mille: non era possibile. Non poteva essere. Certo, c’era da dire che lei e Severus non erano sempre attentissimi … forse era stato al compleanno di lui. O a San Valentino … no, doveva essere stato San Valentino. Avrebbe buttato quel dannato vestito scarlatto con lo scollo a V, sapeva che avrebbe portato solo guai, ma Mina aveva voluto che lo comprasse comunque a Notturn Alley. “Ma cosa vado a pensare, come se fosse colpa di un vestito!” esclamò, prendendosi il volto tra le mani. Sentì una lacrima rigarle le guance: non era pronta. Aveva paura, una paura tremenda della reazione di Severus, più che del bambino in sé. Sapeva che lui non voleva assolutamente figli, gliel’aveva detto e ribadito più e più volte: non era capace di fare il padre e di crescere un neonato, a suo dire. E quando ancora si destava, tremante, sudato e spiritato, per gli incubi in piena notte, dopo tutti quegli anni, Hermione quasi ci credeva. Merlino, come gliel’avrebbe detto, ora?
Con un sospiro, si voltò e, vacillando, riprese il corridoio, dirigendosi verso la sala d’attesa: sapeva che la febbre le era salita di nuovo, la sentiva. Si maledisse per le pozioni che aveva preso: forse aveva fatto del male al bambino …
Al solo pensiero, si portò istintivamente una mano al ventre ancora piatto: lì batteva una piccola speranza, un cuore a cui lei e Severus, amandosi avevano dato vita. E, nonostante tutto, nonostante la paura e l’ansia per il futuro, lo sentiva già parte di sé. Non sapeva cos’avrebbe avuto da dire Severus, né se quella sarebbe stata la loro fine, ma una cosa era certa: lei voleva quel bambino. Lo voleva con tutta se stessa.
Quando uscì nella sala d’attesa deserta, Severus era in piedi e la stava fissando. Quasi riuscisse a leggerle la mente, aggrottò la fronte. “Hermione, che succede?” mormorò. La giovane deglutì, sentendo la gola arsa come un deserto. Aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì alcun suono. Sospirò, facendosi forza, prima di sussurrare: “Sono incinta.”
Un silenzio agghiacciante calò sulla saletta, rotto solo dal ticchettio dell’orologio. La Grifondoro fissò negli occhi il Serpeverde e vi lesse una profonda paura, sconcerto e, in una minima dose, rabbia. “Ne … ne sono sicuri?” domandò, gelido. A quel tono, Hermione non riuscì più a contenersi: scoppiò a piangere, disperata, chinando il capo ed affondandolo nelle mani tremanti. Non si aspettava certo di sentire le dita di Severus coprire le sue e le sue braccia stringerla forte al suo petto, nel profumo che tanto amava. Affondò il viso nella casacca, sfinita. “Non … non lo vuoi, vero? Hai … hai sempre detto che non …” ansimò. “Mi credi davvero così vigliacco e meschino da lasciarti sola o da chiederti di fare qualcosa che non vorresti mai fare, Hermione?” sospirò lui, con voce bassa e roca, accarezzandole la schiena. “Non … non so se ne sono capace, è vero. Non so fare il padre: non ho avuto un grande esempio.” sussurrò il pozionista. Hermione affondò ancor di più contro il suo petto. “Ho paura, Severus …” ammise. “Andrà tutto bene …” mormorò lui, baciandole i capelli. “Sta’ tranquilla. Adesso vieni, andiamo a casa: hai di nuovo la febbre.”


Ed era quello che avevano fatto, senza dire una parola. Il giorno seguente, però, Hermione, al posto di Severus, aveva trovato un biglietto in cui diceva che sarebbe tornato presto che l’aveva a dir poco terrorizzata: e se si fosse stufato di lei? E se avesse avuto paura e non fosse più tornato? Che avrebbe fatto, da sola, con il bambino?
Fortunatamente, Severus era rientrato nel primo pomeriggio come scritto, limitandosi a guardarla.

“Sono stato da mio padre.” disse prima di andare in cucina a prepararle meccanicamente un tè. Hermione, stesa sul divano, sconvolta da quella rivelazione, lo guardò muoversi elegantemente nel salotto. Mentre poggiava la tazza sul tavolo Severus la guardò, impassibile e quasi gelido. “Che … che c’è?” mormorò Hermione, terrorizzata dal suo silenzio. “Non penso di essere degno di farti una proposta come si deve, Hermione … non sono il tipo e tu lo sai.” esordì lui, di colpo, mozzandole il fiato. “Sai che non sarò mai romantico, che non ti bacerò mai davanti a tutti né ti dirò continuamente che ti amo. Ne eri consapevole quando hai detto di amarmi. Così come io ero ben conscio della tua testardaggine e della tua propensione alla socialità.” proseguì. “Quello che vorrei dirti è che siamo diversi … estremamente diversi, come luce ed ombra. Ma l’una non può esistere senza l’altra e lo stesso vale per noi due, oramai: ti ho già offerto tutto me stesso anni fa ed oramai le nostre radici sono talmente unite che dividerle sarebbe impossibile. Resta solo da ufficializzarlo, a questo punto … sempre se è quello che vuoi. Io non ho niente da offrirti, se non me stesso e non è certo il massimo che si possa desiderare, visto quanti difetti ho, ma … se mi vuoi ancora …” sussurrò senza guardarla. Hermione si rese conto con un sorriso che era imbarazzato e, forse, anche commosso. Apparentemente, sarebbe parso freddo e distaccato, ma la Grifondoro sapeva perfettamente che non era così. Con un sorriso e le lacrime agli occhi, lo abbracciò. “Io ti vorrò sempre, Severus, sempre … non devi dubitarne mai.” mormorò.

Si erano sposati appena una settimana dopo, con una cerimonia semplice e pochissimi invitati nella chiesetta di Cokeworth. Hermione, dopo estenuanti prove d’abito con Mina, Ginny e sua madre, aveva scelto, del tutto controcorrente rispetto ai progetti delle sue accompagnatrici, un abito lungo con un leggero strascico, maniche di pizzo ed uno scialle. Con i capelli mossi poggiati su una spalla ed il bouquet di rose e mughetti, era splendida nella sua elegante semplicità. Severus, invece, aveva un addirittura comprato un completo viola scuro per l’occasione, probabilmente obbligato da Mina e Minerva. Quando, sull’altare della chiesa decorata con mughetti, aveva visto arrivare Hermione, esitante, al braccio del padre, non era riuscito a contenere un’espressione di pura adorazione che aveva fatto sorridere Ginny e Mina, testimoni di Hermione e Remus e Regulus, testimoni di Severus (seppur con qualche mugolio di protesta dello sposo). Allo scambio deli anelli, scelti su insistenza di Regulus, Hermione si era commossa: le fedine d’argento, che non aveva potuto vedere prima su insistenza del minore dei Black, infatti, rappresentavano un serpente ed un leone che si mangiavano la coda uno con l’altro a creare il simbolo dell’infinito. Alla fine della cerimonia, Robert Granger, che aveva pianto per tutto il tempo, era persino riuscito a far sbuffare la McGranitt con tutte quelle sue lacrime. “Ma insomma, non era mica un funerale!” aveva borbottato una volta usciti dalla chiesa.

Istintivamente, Hermione, fissando la libreria deserta, a quei ricordi si passò una mano sulla pancia: i primi mesi di gravidanza a seguito del matrimonio erano stati tremendi. L’avevano detto solo ai genitori di Hermione, per correttezza, facendoli scoppiare nell’ennesimo pianto di gioia, ma, quando la pancia era diventata evidente ed i malori della Grifondoro sempre più frequenti e forti, non avevano potuto tacere oltre. Ginny e Luna, alla notizia, l’avevano stritolata, gridando di gioia, Remus e Sirius si erano congratulati, seppur un po’ in imbarazzo e Mina era stata cacciata in malo modo da Severus non appena aveva iniziato a decantare quanto fosse doloroso il parto.
Per quanto, apparentemente, tutti fossero entusiasti, Hermione ancora non si sentiva del tutto tranquilla: era felice, certo, passava ore ad accarezzarsi la pancia oramai leggermente arrotondata e sorrideva, commossa, al sentire il bambino muoversi, nonostante stesse sempre male. L’unica cosa che ancora temeva era Severus, incredibilmente: sapeva che era una cosa stupida, che l’amava e l’aveva sposata, ma, nonostante tutto, ancora le sembrava che non fosse affatto felice. La trattava come se fosse di cristallo, si era premurato di dipingere la stanza libera di lilla e di porvi lettino, fasciatoio e mobilia personalmente, certo, ma non le aveva mai toccato la pancia, né sorrideva entusiasta ogniqualvolta lei gli parlava del bambino … era come se fosse un peso ed al solo pensiero Hermione sentiva le lacrime premerle sugli occhi.
“Devi dargli tempo.” le aveva detto Mina, l’unica a cui aveva osato rivelare i suoi tormenti. “Non è facile per lui …”
Ma il tempo passava ed Hermione era sempre più agitata. Le cose erano degenerate una sera di agosto …

In quell’agosto leggermente fresco per gli standard inglesi, il cielo rosato del tramonto mandava fulgidi bagliori contro la mobilia e le fotografie allineate sul camino, a cui si era aggiunta quella, gigante, del loro matrimonio. Severus leggeva tranquillo sul divano mentre Hermione sedeva accanto a lui, le gambe sulle sue, guardando la televisione, annoiata, con Grattastinchi in braccio, stranamente senza nausee né emicranie o febbre da due giorni e sfogliando pensosamente un catalogo di abitini per neonati. “Mamma dice che come tessuto dovrei prediligere il cotone, ma nascerà a dicembre.” mormorò, terminando un discorso in cui aveva parlato solo lei. “Io vorrei comprare anche delle tutine di lana per sicurezza, ma non ne sono sicura … e, poi, c’è la questione del colore: quale scelgo, visto che abbiamo scelto di non scoprire se è maschio o femmina?”
“Non saprei …” mormorò distrattamente Severus, continuando a leggere. Hermione sentì una fitta di rabbia e desolazione nel petto, sensazione divenutale oramai familiare. “Ma tu cosa ne pensi? Cotone o lana?” sibilò, nervosa. “Non lo so, non ho mai avuto figli.”
“Nemmeno io, se è per questo!” strillò lei, scagliando il catalogo sul tavolo con rabbia e facendo sobbalzare Grattastinchi. “Ed in aggiunta ho anche nausee, emicranie, febbre e svengo per un nonnulla, eppure devo fare sempre tutto io!” scandì. “Hermione, se avevi bisogno di più aiuto bastava dirlo …” sospirò Severus. “Non mi serve aiuto, fai già tutto ciò che è necessario per me!”
“Allora dov’è il problema?”
“Il problema è questo: fai quello che devi per me, ma non per il bambino. Non lo nomini mai, non prendi mai nessuna decisione che lo riguardi, non mi hai mai nemmeno sfiorato la pancia in cinque mesi … se non lo volevi, bastava dirlo, avrei anche potuto pensare da sola a lui! Tanto lo sto già facendo …” sbraitò. Sentendo le lacrime premere per uscire e non riuscendo più a sopportare lo sguardo mortificato del marito, schizzò in piedi e si chiuse in camera. Nel giro di qualche minuto, vomitò tutto ciò che aveva mangiato quel giorno per poi sciacquarsi e stendersi, sfinita sul letto, scoppiando a piangere.
Non dovette aspettare molto prima che la porta si aprisse cigolando e Severus si stagliasse, scuro e serio, sulla soglia. “Come stai?” mormorò dopo parecchi istanti di silenzio. Hermione lo fissò, mostrando senza paura gli occhi arrossati dal pianto. “Come vuoi che stia …” sussurrò. “Non devi agitarti: non ti fa bene nelle tue condizioni. Stavi bene da due giorni ed ora guarda cos’è successo per le ridicole elucubrazioni della sua testolina!” la rimproverò Severus, sedendosi accanto a lei sul letto. “Com’è che ora ti importa delle mie condizioni?”
“Non essere ridicola, Hermione.” la zittì, perentorio, prima di distogliere lo sguardo. “Non … non volevo che pensassi questo. Non lo immaginavo.”
“Strano, di solito capisci sempre tutto …”
“Non in queste cose.” sospirò, ottenendo la sua completa attenzione. “Io … io sono una frana nell’esternare i miei sentimenti, Hermione, lo sai. Non ne sono capace: ho indossato la maschera di indifferenza per talmente tanti anni che è oramai diventata parte di me. Per questo non sono riuscito a fartelo capire, forse, ma mi sembrava fosse chiaro …”
“Chiaro … cosa?” sussurrò lei, spaventata dal suo tono. Quando tornò a guardarla, nei suoi occhi d’onice lesse un turbinio di emozioni tanto forte da farla vacillare “Ho paura.” ammise. “Ho una paura tremenda: paura che succeda qualcosa a te, al bambino, ad entrambi. Paura di quando nascerà e dovrà crescerlo, perché non so come si fa … mio padre mi insultava e picchiava, Hermione: non so come si comportano i padri delle famiglie normali. Non sono nemmeno un uomo normale e detesto i bambini, che, a loro volta, detestano me … sarò sempre un’ombra scura sull’avvenire radioso di una creatura innocente, verrà additato per essere mio figlio. Ed ho paura che possa odiarmi come io ho odiato mio padre …”
Hermione gli strinse la mano più che poteva, deglutendo. “Mi dispiace di non averlo capito prima.” sussurrò con un filo di voce. “Io … non volevo ferirti. Non volevo dire davvero quelle cose, è solo che sono così stanca che ho parlato senza riflettere. Perdonami, io … io non ho mai pensato che tu lo odiassi, mai!”
“Non lo volevo, è vero.” sospirò Severus, stringendola delicatamente a sé. “Ma oramai non si può più tornare indietro … se il destino ha voluto questo per me, a quanto pare, dovrò imparare ad accettarlo.”
Hermione sorrise debolmente, lasciandosi cullare dalle braccia del marito. Ad un tratto, però, sentì qualcosa. “Severus!” esclamò, facendolo sobbalzare. “Ma ti pare il modo? Ho preso un colpo!” sbuffò questi, infastidito. Quando la moglie gli prese la mano e se la premette sul ventre, però, si zittì, imbarazzato e teso. “Hermione, non …”
“Shhh: ascolta.” sorrise lei, premendo di più. E, dopo qualche istante di silenzio totale, Severus lo sentì: un piccolo calcio, proprio lì dov’erano posate le loro mani giunte, subito seguito da altri intermittenti, a volte deboli, altre più forti. Hermione gli sorrise, entusiasta, ma tornò immediatamente seria nel vedere una lacrima colare da quegli occhi d’ossidiana che tanto amava e correre lungo il profilo adunco del naso, fino a scivolargli dal mento e picchiettare sulla pancia di Hermione. “Io … scusa.” mormorò il professore, asciugandosi il viso con un gesto stizzito. “
È … è che …”
La Grifondoro annuì, comprendendo all’istante cosa volesse dire. In silenzio, gli prese entrambe le mani e se le portò alla pancia, ancora scossa dai movimenti del bambino. E, al vedere una nuova lacrima farsi strada negli occhi di Severus, sorrise, commossa.


Non avevano voluto sapere se il bambino fosse maschio o femmina fino al parto, nonostante le proteste di Mina. “Io davvero non so come fate ad aspettare!” sbottava. Ma Hermione e Severus erano ben consci che quello era forse il problema minore: quel bambino sarebbe stato sospeso tra tante cose, tra Grifondoro e Serpeverde, luce e buio, Olimpo ed Inferi … maschio o femmina non era poi così terribile, in fondo.
La cosa veramente terribile era stato vedere Severus e Jean andare a fare compere per il nascituro insieme a Diagon Alley, considerato che Hermione faticava a muoversi, visti i continui malesseri che peggioravano al progredire della gravidanza. Nonostante la febbre, al vederli rientrare a Spinner’s End in una domenica di pioggia scrosciante con borse colme di vestitini, biberon, pannolini ed orsetti, sua madre entusiasta e Severus vagamente disgustato, era scoppiata a ridere. “Questo ed altro per il mio nipotino!” trillava Jean.
Il nipotino, o, meglio, la nipotina in questione era venuta al mondo, dopo estenuanti ore di travaglio, alle quattro del mattino del 5 dicembre, con la sala d’attesa gremita e Severus che aveva tenuto la mano di Hermione per tutto il tempo.
Non avrebbe mai scordato l’emozione e l’ondata di amore infinito ed incontrollabile che aveva provato quando la medimaga le aveva messa in braccio sua figlia e quel fagottino rosa aveva spalancato gli enormi occhi neri come quelli di Severus sul mondo, sorridendole ed afferrandole il dito. Alla domanda dell’infermiera per il nome, Hermione non aveva avuto dubbi, per quanto ne avessero discusso parecchio in quei mesi. “Eileen Jean Piton.” aveva detto, sorridendo felice prima di porgere la bambina a Severus, talmente commosso che non riusciva neanche a parlare: continuava a fissare sua figlia con sguardo perso, completamente rapito. Si era destato solo quando Mina aveva visto la bambina ed aveva esclamato: “Poverina, ha il tuo naso, Severus!”
“Mina, ti sei appena giocata l’opportunità di farle da madrina.” aveva sibilato il Serpeverde nell’ilarità generale.

Mentre iniziava a raccogliere la borsa per andare a casa, ad Hermione venne da ridere: non solo Mina era la madrina di Eileen, nonché la sua zia preferita, assieme a Ginny, Remus e Regulus, ma Severus si era rivelato un padre eccezionale, migliore di qualunque altro avesse mai visto all’opera: era lui a cambiarla la sera, a cullarla ed a raccontarle lunghissime storie della buonanotte prima che si addormentasse. Hermione sapeva che non l’avrebbe mai ammesso, ma gli aveva fatto piacere ricevere i regali e le congratulazioni dei suoi alunni per la nascita della bambina: ogni classa gli aveva mandato un biglietto ed un regalo per Eileen, tutti diversi gli uni dagli altri. Si andava dalle copertine dei Grifondoro ai libri di fiabe dei Corvonero, passando per i gioielli e volumi in edizioni regalo dei Serpeverde e ciucci e giocattoli dei Tassorosso. “Cercano solo di prendere bei voti!” sbottava Severus ogni volta ed Hermione, puntualmente, rideva.
Eileen era stata ricoperta di doni a soli pochi giorni di vita e, dopotutto, la cosa non le dispiaceva: i Granger ed i Malfoy le avevano regalato un intero corredino di abiti e scarpe, dividendosi estate ed inverno, i professori di Hogwarts le avevano inviato intere collane di favole, oltre al consueto peluche di Hagrid, Harry, Ginny, Ron, Luna e persino Draco l’avevano ricoperta di sonagli, giocattoli e pupazzi, Mina e Remus di ciucci e shampoo profumati ed i fratelli Black di interi album da colorare riccamente ornati.
Hermione, nel nuovo ruolo di mamma, nonostante le incertezze e le paure, dovute soprattutto ai continui scoppi di magia incidentale che Eileen aveva avuto sin da subito, come predetto da Madama Chips, era felice come mai era stata prima: le sembrava che tutto avesse acquistato un nuovo senso. Amava alla follia la sua bambina e, assieme a Severus, la tempestava di affetto e doni, anche se sapeva che probabilmente l’avrebbe solo viziata, ma non le importava: l’unica cosa che contava era che stesse bene e continuasse a sorriderle ogni mattino appena sveglia con i suoi occhioni neri.
L'unica nota dolente, se proprio avesse dovuto trovarne una, era il silenzio dei Potter: dalla battaglia al Ministero anni prima, non si erano più fatti vivi, con suo rammarico. In fondo, per lei erano stati quasi una seconda famiglia e le dispiaceva che le cose tra di loro si fossero concluse in quel modo. Severus le intimava di non pensarci e di non prendersela, ma Hermione sapeva che era altrettanto deluso da Lily. Questo sino alla fine di gennaio …

“Com’è andata con il rientro dalle vacanze?” domandò Hermione, seduta sul divano ed abbracciata al marito in quella gelida sera d’inverno: la neve scendeva lieve dal cielo color inchiostro, ricoprendo Spinner’s End. Secondo il telegiornale, le strade erano bloccate in tutta l’Inghilterra per il maltempo. “Le solite teste di legno.” liquidò il marito con un’alzata di spalle, osservando con ammirazione la culla accanto al divano dove Eileen riposava tranquilla, avvolta in una coperta, sotto lo sguardo vigile di Grattastinchi. “Non vedevo l’ora di tornare da voi …” ammise, stringendo a sé la moglie, che gli sorrise, ricambiando: anche lei non aveva desiderato altro che rivederlo per tutta la giornata, confinata in casa com’era con la bambina a causa del freddo. I suoi pensieri vennero interrotti bruscamente dal trillo del campanello. “Chi sarà a quest’ora?” esclamò Hermione mentre Severus, sbuffando, si alzava per andare ad aprire. “Probabilmente Mina: non riesce a resistere senza vedere la sua figlioccia almeno una volta a settimana!” sbottò, spalancando la porta. Non sentendolo dire nulla, tuttavia, Hermione lo raggiunse. “Severus, che succede?” mormorò, raggelando al vedere le due figure ferme sulla soglia: James e Lily, avvolti nei loro cappotti chiazzati di neve, li osservavano, imbarazzati, stringendo un pacco rosa tra le mani. “Entrate.” si riscosse per prima Hermione, deglutendo a fondo. “Prenderete freddo.”
I due non se lo fecero ripetere e, sotto lo sguardo colmo d’astio di Severus, entrarono. “Che ci fate qui? Che volete?” sbottò il Serpeverde, gelido, serrando l’uscio. “Ricominciare.” mormorò Lily, puntando su di lui i suoi occhi di smeraldo. “Noi non ci siamo comportati bene con voi.” sospirò James. “E vorremmo rimediare. Ci dispiace immensamente, non avremmo mai voluto che andasse così. Per questo siamo qui: per chiedervi scusa e sperare che vogliate ricominciare.”
Un silenzio tombale cadde sulla casa, rotto solo dal ticchettio del pendolo. “Venite in salotto: vi preparò un tè caldo, ne avrete bisogno, con questo freddo!” si offrì Hermione istintivamente, incontrando lo sguardo glaciale del marito mentre questi raccoglieva malamente i cappotti dei Potter e li seguiva in soggiorno.
“Questo posto è bellissimo: sei stata tu a ristrutturarlo, Hermione?” esclamò subito Lily. “Sì, un po’ alla volta.” annuì lei, spostandosi i capelli dietro le spalle, nervosa. “La casa mi piaceva.”
“E queste sono le foto del matrimonio? Che belle! Harry ce le aveva mostrare …” proseguì la rossa, concentrandosi sul caminetto. Hermione deglutì mentre Severus le passava dietro, sussurrandole: “Preparò io il tè.” prima di sparire in cucina. L’ennesimo silenzio colmo d’imbarazzo venne rotto dal vagito di Eileen. “Posso … possiamo vederla?” chiese subito James, avvicinandosi. Hermione annuì, prendendo delicatamente tra le braccia Eileen e sollevandola perché potessero vederla: i suoi occhioni neri, al vedere i due, si spalancarono per la sorpresa. “Santo cielo, è bellissima!” esclamò Lily, accarezzandole una mano paffuta. “Posso?” domandò subito. Hermione gliela passò delicatamente, ritrovandosi a sorridere vedendo che Eileen sembrava del tutto a suo agio tra le braccia di Lily e, anzi, quasi rideva. “
È davvero molto bella … anche se è la copia del padre.” confermò James. “Ha i tratti di Hermione, Potter.” tuonò Severus, rientrando seguito da un vassoio lievitante. “Non diciamo sciocchezze. Piuttosto, la vostra visita è dovuta esclusivamente alla volontà di riappacificarvi, dopo anni? O è stata dettata da altro?” commentò, gelido. Hermione aggrottò la fronte. “Severus …” lo bloccò. Prima che potesse aggiungere altro, però, Lily levò il capo a fissare il Serpeverde, che raggelò all’istante al vederla quasi commossa. “Non volevamo che andasse così.” mormorò. “Avevamo tanti dubbi perché tra voi ci sono differenze importanti, d’età e di ruoli … temevamo per entrambi. Non abbiamo mai voluto il vostro dolore né il vostro odio.”
“Solo che, a volte, ci si lascia prendere dalle parole.” sospirò James. “E si dicono cosa che non si dovrebbero dire. Ci dispiace. Dobbiamo ammettere che si sbagliavamo di grosso, di fronte a questo, al vostro matrimonio ed alla bambina … scusateci.”
“Sev, tu ed io siamo stati migliori amici per tantissimo tempo.” deglutì Lily. “Ed il nostro legame è andato persino oltre la morte: hai protetto e difeso mio figlio per anni, mentre non c’ero. Nonostante soffrissi per non poterli riabbracciare, ero più tranquilla sapendo che c’eri tu con lui. Vorrei che per tua figlia fosse lo stesso, che, quando si sentirà sola o confusa, sappia che potrà sempre contare su di me, su zia Lily … sempre se lo vorrete.” sottolineò prima di indicare a James il regalo. Potter lo porse ad Hermione, ancora stordita e confusa dalle parole di Lily. “Questo è un presente per la piccola.” spiegò. La giovane lo scartò con mani tremanti, trattenendo il fiato quando si rese conto che si trattava di una collanina con un piccolo cuore d’argento finemente intarsiato. “
È un medaglione, si apre: dentro potrà porci le fotografie che avrà a cuore. Cosicché siano sempre con lei … ed è collegato a voi due con la magia del sangue: quando vi penserà, le basterà stringerlo e voi lo sentirete.” annuì Lily. Hermione, istintivamente, sorrise e li ringraziò, guardando Severus. Questi, le mani incrociate dietro la schiena, si limitò ad aggrottare la fronte. “Eileen.” mormorò. “Si chiama Eileen Jean Piton.”
“Eileen … come tua madre!” annuì Lily, aiutando Hermione a chiudere la collanina al collo di Eileen. “
È un bel nome, Severus.” confermò James, stupendo, prima di tutto, se stesso.

Le visite dei Potter, da allora, erano diventare regolari e, neanche a farlo apposta, Eileen adorava zia Lily. Mentre Hermione e Severus lavoravano, la bambina solitamente stava con i nonni Granger, ma tutto il loro tempo libero lo trascorrevano con lei, portandosela dietro ovunque. Ad Hermione era stato presto chiaro che Eileen non era una bambina ordinaria: con i lunghissimi capelli neri e lisci e la frangetta lunga, gli occhi d’ossidiana ed i tratti dolci della madre, sapeva parlare perfettamente ad un anno e mezzo e sin da neonata aveva compiuto le sue prime magie, prontamente arginate dai genitori. “Ma è troppo presto!” protestava sempre Hermione, nervosa e sconvolta. “Ti aspettavi qualcosa di diverso, da nostra figlia?” ribatteva seccamente Severus, facendola sorridere.
Eileen era una bambina silenziosa, che amava il viola ed i peluche di ogni sorta, preferiva starsene seduta nell’erba, tra i suoi amati libri che divorava e giocava raramente con i suoi coetanei, squadrandoli con una certa insofferenza. A loro preferiva zii e, soprattutto, i genitori, a cui, inutile dirlo, era legatissima. “Sono bambini, sono infantili!” aveva declamato a tre anni, facendo sobbalzare nonno Robert. Ma se Hermione sorrideva alla sua maturità, Severus era sempre più preoccupato. “La prenderanno in giro, a scuola, soffrirà!” si lamentava quasi ogni sera dopo averla messa a letto. “Eileen non è te.” sospirava Hermione.
La Grifondoro cercava di tranquillizzarlo e dissimulare, ma lei per prima non vi credeva molto: Eileen era fin troppo simile ad entrambi e temeva anche lei che sarebbe stata isolata da tutti, a scuola. Cosa che, effettivamente, accadde quando andò alle elementari babbane di Cokeworth. “Odio la scuola, mi guardano tutti e non posso fare magie! Che gusto c’è?” si lamentava Eileen, incrociando le braccia ogniqualvolta doveva andare a scuola. Nonostante eccellesse nello studio ed i voti fossero alti, infatti, le maestre lamentavano che fosse sempre sola. “Non socializza, non sappiamo che abbia!” dicevano ad ogni colloquio, facendo impensierire i genitori. La svolta arrivò una sera, quando Hermione, uscita dal Ghirigoro per tornare a casa, ricevette una telefonata dalla scuola di Eileen.

“Signora Piton? Oh, grazie al cielo: per fortuna, sa, io come maestra sono … diciamo speciale. Come Lei e suo marito.” trillò la voce acuta della maestra Elizabeth dall’altro capo. “Cos’è accaduto?” esclamò Hermione, affannata, mentre attraversava Diagon Alley in tutta fretta per smaterializzarsi sotto gli sguardi esterrefatti dei maghi e le streghe che la vedevano usare un cellulare babbano. “Oh, nulla di grave, solo … beh, ha trasformato due compagni in rane. La prendevano in giro.”
“Cosa? Oh, cielo e come …”
“Suo marito è stato chiamato: ha ritrasformato i tre bambini e li ha obliviati per poi portare a casa Eileen. Era così triste …”
“Grazie per avermi avvisata, davvero!” annuì Hermione, fiondandosi al punto di smaterializzazione. Ricomparve a Spinner’s End ed attraversò in fretta la strada, fiondandosi in casa. Abbandonò il cappotto nel soggiorno cosparso di libri, peluche e fotografie di Eileen in ogni momento possibile ed immaginabile per fiondarsi nella camera della bambina, solo per trovarla vuota. Con il cuore colmo d’ansia, spalancò la propria stanza e si arrestò: dinanzi a lei, c’era una scena che mai avrebbe pensato di poter vedere. Severus Piton, spia doppiogiochista, ex Mangiamorte e più odiato professore di Hogwarts, dormiva tranquillo, stringendo a sé Eileen ed il suo pupazzo preferito a forma di unicorno, mentre Grattastinchi, acciambellato ai loro piedi, faceva le fusa alla fioca luce dell’abat-jour. Rilassò immediatamente le spalle, sorridendo appena: che quella bambina avesse cambiato Severus Piton era oramai evidente, oltre che una specie di miracolo. “Hermione …” mormorò Severus, destandosi, la voce impastata dal sonno. “La maestra mi aveva chiamata … sta bene?” sospirò la Grifondoro, precipitandosi ad accarezzare i capelli della sua bambina. “Tutto bene: abbiamo parlato un po’. Credo che d’ora in avanti non trasformerà più nessuno in rospo.” confermò lui. “Parlare? Con lei, che non dice mai nulla dei suoi compagni? E come hai fatto?” sorrise Hermione. “Nell’unico modo che funziona: le ho parlato di me.”


L’orologio scoccò le cinque ed Hermione afferrò la borsa, schizzando alla porta. “A domani, Madame Florish!” esclamò, precipitandosi nelle strade ancora affollate di Diagon Alley. Raggiunse quasi di corsa il Paiolo ed a malapena salutò Tom prima di smaterializzarsi a casa Granger: non vedeva l’ora di abbracciare la sua bambina che, dal giorno seguente, non sarebbe più stata tale.
Continua …

Angolo Autrice:
Rieccoci! Siccome terminare con 29 capitoli mi sembrava alquanto brutto e questo epilogo sarebbe risultato lunghissimo tanto da essere quasi illeggibile, ho deciso di spezzarlo, facendo risultare così un capitolo in più (ed allontanando un po' l'addio).
Spero possa piacervi l'idea!
A presto
E.

 

 



 
  





 



 

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Capitolo 30
*** Sedici anni dopo (seconda parte) ***


Capitolo Trentesimo
Sedici anni dopo (seconda parte)

I'm going home, back to the place where I belong
And where your love has always been enough for me
I'm not running from, no, I think you got me all wrong
I don't regret this life I chose for me
But these places and these faces are getting old
So I'm going home
(Home, Daughtry)
Il suono della smaterializzazione squarciò il silenzio rosato del tramonto sul quartiere residenziale della Londra periferica. Hermione si stupì sempre di come avesse potuto crescere in una zona del genere, considerato quanto diversa fosse Spinner’s End. Severus, per scherzo, a volte la chiamava ‘ragazzina di città’. In tutta risposta, una volta, sulle colline dietro casa, dove andavano a passeggiare quando Eileen era piccola, si era arrampicata su un albero senza magia aveva colto un cesto intero di ciliegie. “Chi è ora la ragazzina di città?” gli aveva detto mentre Eileen rideva e mangiava le ciliegie. Il pozionista, in tutta risposta, aveva fatto spallucce. “Una cosa assolutamente stupida, insensata e tremendamente grifondoro.” aveva sentenziato, seppur sogghignando.
Quella sera, soltanto il rumore dei suoi tacchi sul marciapiede, tra gli olmi e le querce dei giardini, rompeva il silenzio totale: quasi tutte le case erano vuote perché gli abitanti erano ancora in vacanza o, semplicemente, erano via. Raggiunse la villetta bianca dei Granger in pochi passi e si precipitò alla porta. “Mamma! Papà! Sono arrivata!” trillò, fermandosi nel familiare ingresso azzurro. Jean si affacciò dalla cucina, dove stava preparando il suo formidabile arrosto ripieno. “Oh, Hermione! Eileen è già andata a casa …”
“Cosa?” esclamò la giovane. “Ma chi …”
“Severus, ovviamente: il collegio docenti è terminato prima del previsto ed è subito venuto a riprendersela. Sai che ha qualche problema a stare senza di lei per più di due ore, no?” rise. “Oh, Dio!” la imitò Hermione, appoggiandosi allo stipite e scuotendo il capo. “E dire che prima che nascesse ero così preoccupata che non volesse bene al bambino, sai … ora non riesce a stare due minuti senza di lei!”
“È la vostra bambina, è normale.” spiegò Jean. “E, oltretutto, Severus ha innegabilmente un’altra età e pensava che tutto questo non gli sarebbe mai accaduto: vive le cose in maniera diversa, quasi fossero una specie di miracolo ... non puoi negarlo!”
“Vuoi forse dirmi che capisci meglio mio marito di me?” incalzò Hermione, giocherellando con l’anello d’ametista e la fede argentea. “No, ma so che anche per te è lo stesso: hai sempre pensato di sposare Ron ed avere cinque o sei figli. Quando vi siete lasciati, sicuramente pensavi che non avresti mai avuto una famiglia, né, tantomeno, una figlia straordinaria come Eileen. Anche per te è una specie di miracolo … e sarà dura separarsene.”
“Per fortuna le regole di Hogwarts sono cambiate e tornerà a casa ogni finesettimana!” annuì la Grifondoro. “Non sarei riuscita a saperla lontana così tanti mesi … ma invidio comunque Severus che potrà vederla sempre!”
“Ed esigere da lei il massimo del massimo.” annuì Jean. “Salvo poi correggerle qualche errore per darle comunque ottimi voti anche quando sbaglierà …”
“Severus? Lo farà sicuramente anche se dice di no: morirebbe, per lei.” confermò Hermione. “Mi preoccupa solo in qualche casa finirà …”
“Ha davvero così tanta importanza, Hermione? Io non capisco molto di queste case e per me, ad esempio, non fa alcuna differenza!”
“Ma nel mondo magico invece sì, mamma.”
“Hai paura perché sai già dove finirà, vero?”
“E come lo sai?”
“Intuito di mamma: senti anche se sta male, c’è poco da fare. Pur di non vederli piangere ti strapperesti il cuore.”
“Già.” sorrise Hermione. “Papà è ancora al lavoro?”
“Sì e si risentirà molto di non aver salutato adeguatamente la sua adorata nipotina con cui tappezza le foto dello studio …”
“Salutalo per me, poi ci vediamo domenica! Ora vado a casa …” rise Hermione, dando un bacio a sua madre prima di avviarsi alla porta. “Hermione!” la fermò sua madre quand’era oramai sulla soglia. “Sì?”
“Sta’ tranquilla: è in gamba, se la caverà.”
La Grifondoro sorrise, rammentando all’istante perché avessero scelto come secondo nome ‘Jean’: Eileen aveva due nonne straordinarie, ciascuna a modo proprio.
Lasciò la sua casa d’infanzia con il cuore un po’ più leggero e quasi corse all’angolo dove solitamente si smaterializzava.
Ricomparì, come al solito, qualche via dietro casa, nel labirinto di abitazioni vecchie e tutte uguali di Cokeworth. In lontananza si riuscivano a vedere le colline ed il fiume, grazie alla politica ambientale del nuovo sindaco. Si godette la camminata sino alla graziosa casa di Spinner’s End che, ristrutturata e sistemata, con le petunie a cascata sui davanzali, sembrava un’altra abitazione e spalancò l’ingresso.
“Sono a casa!” annunciò, posando chiavi e borsa sul tavolino e godendosi la fresca penombra di casa. Per qualche istante sentì solamente un chiacchiericcio e delle risate provenire dal piano di sopra, ma, nel giro di pochi secondi, una bambina dai lunghi capelli neri e lisci con la frangia, occhi d’ossidiana, jeans ed una maglietta viola dalle maniche a campana, scese le scale a rotta di collo e si precipitò verso di lei esclamando: “Mamma, sei tornata!”
Hermione l’avvolse subito nel suo abbraccio, stringendola a sé ed inspirando a fondo il suo profumo di violetta: valeva la pena passare anche il doppio di quello che aveva passato sino ad allora solo per arrivare a quel momento, ad avere sua figlia tra le braccia. “Mamma, sai che sono riuscita a far fiorire le orchidee di nonna Jean oggi?” sorrise, entusiasta, Eileen, separandosi. “Ah, sì? Non mi ha detto niente!”
“No, voleva vantarsi con le amiche dicendo che era merito delle sue cure, ma non è vero!” rise la bambina. “Tipico di nonna Jean …” sospirò Hermione, accarezzandole i morbidi capelli.
“Tua nonna ha sempre avuto manie di protagonismo, Eileen!” considerò una voce dalle scale. Hermione prese la figlia per mano, riportandola di sopra, dove Severus Piton, ancora in divisa da insegnante, era appoggiato allo stipite di una stanza e le fissava con aria sorniona. “E tuo padre nascosti sentimentalismi!” rincarò Hermione in tutta risposta. “Non si era mai visto il temibile professor Piton abbandonare sbrigativamente una riunione prescolastica per correre a prendere la figlia solo per passare qualche minuto in più con lei …” 
“Disse la moglie del suddetto, che abbandona ella stessa il lavoro in anticipo per il medesimo motivo.” la zittì Severus, fissandola trionfante con i suoi occhi d’ossidiana. “Madame Florish mi ha dato il permesso, è diverso!” sottolineò Hermione, incrociando le braccia. “Ed a me l’ha dato Minerva!”
“La zia Minnie?” chiese Eileen, mettendo fine ad uno dei loro tanti battibecchi. “Sì, ma da domani per te sarà la preside.” precisò Severus. “Ed io il professor Piton.”
“Lo so, lo so … me l’hai detto un sacco di volte!” commentò la bambina, sollevando un sopracciglio in un modo talmente identico a Severus da far sorridere Hermione: erano davvero uguali in tutto, tranne nell’orgoglio spiccato, nell’emotività e nella testardaggine, che aveva ereditato da lei. “Ti abituerai … vieni, intanto che la cena si scalda andiamo a rivedere le valigie!” l’incitò la madre, facendo andare le pentole al loro posto con un colpo di bacchetta. Eileen la seguì a capo chino nella sua stanza, dove le valigie erano già pronte. “Stavo giusto rivedendo i libri da mettere nel baule con papà.” spiegò. “Ed abbiamo constatato che c’è tutto.” confermò Severus, accarezzandole la testa. “Certo, ma bisogna controllare anche i vestiti … ti ho preparato sia capi leggeri che pesanti, tanto poi ogni finesettimana li cambiamo.” iniziò Hermione, aprendo la valigia. “Ci sono anche divisa, bacchetta, scopa e calderone: abbiamo già verificato sette volte ...” recitò meccanicamente Eileen, vagamente annoiata. L’intera stanza era viola, con solo i mobili bianchi: ovunque svettavano libri e peluche. Eileen leggeva più di quanto respirasse e spaziava da romanzi fantasy a classici per ragazzi e mitologia greca. “Che cosa ti turba, tesoro?” sospirò Hermione, scambiandosi un’occhiata con Severus e notando l’aria stranamente insofferente della figlia. Eileen fece spallucce. “Niente. La gabbietta per Salem è pronta o secondo te devo aggiungere altro fieno? Hagrid dice che …”
“Salem starà benissimo, vedrai. Ci importa però che anche tu stia bene, dunque, su: perché sei così triste?” la frenò Severus. “Non sono triste.”
“Allora come definiresti questo muso lungo? Non è da te.” incalzò il padre. La bambina lo fissò con gli enormi occhi scuri prima di sospirare. “Sono solo un po’ nervosa.” ammise sottovoce. “E per cosa?” le sorrise Hermione, sedendosi accanto a lei. “Niente di che … credo si chiami … ansia.”
“Eileen …” la bloccò Severus, abbassandosi in modo tale da starle di fronte e costringendola a guardarlo. “Io e la mamma vogliamo solo che tu sia felice. Nient’altro. Non c’interessa in quale casa finirai ed in qualche materia eccellerai … sarai sempre e comunque prima di tutto la nostra bambina.” sussurrò prima di stringerla a sé. La ragazzina sospirò, lasciandosi stringere al petto del padre e stritolandolo a sua volta in un abbraccio. “Ma prima mi hai detto che se finisco a Tassorosso mi diseredi.” disse dopo un po’. “Severus!” esclamò Hermione, trattenendosi dallo scoppiare a ridere. “Sono capocasa di Serpeverde, mi sembra ovvio.” sibilò Severus. “La cosa divertente è che papà lo farebbe sul serio ...” rise Eileen. “Ha detto anche che in pozioni devo essere la migliore.”
“Non la migliore, ma devi impegnarti.”
“Devi fare solo ed esclusivamente ciò che sai fare, nulla di più e nulla di meno.” la rassicurò Hermione, lanciando l’ennesima occhiataccia al marito: sapeva benissimo che avrebbe finito per essere davvero la migliore della classe in pozioni. Armeggiava con intrugli vari sin da quando aveva tre anni e ne era a dir poco estasiata. Con un sospiro, raddrizzò il medaglione argenteo della figlia, osservando il cuore che le avevano regalato Lily e James oramai undici anni prima: Eileen lo toglieva solo per dormire e lavarsi. Dentro aveva riposto con estrema cura due foto, una di Grattastinchi e Salem, il corvo nero che avrebbe portato ad Hogwarts e l’altra del suo decimo compleanno, ritraente lei che versava all’ultimo ingrediente ad una pozione viola tra le braccia dei genitori, sorridenti ed entusiasti. Erano le cose che contavano di più per lei …
“Con chi speri di essere in casa, piuttosto?” indagò la madre, richiudendo una valigia. “Andromeda, ovviamente.” rispose la figlia con aria quasi scandalizzata per l’ovvietà della domanda. “E spero davvero di non ritrovarmi a trascorrere troppo tempo con James e Alistair …”
“Sono simpatici.” obiettò Hermione, ignorando l’occhiata di trionfo che le rivolgeva il marito. “Sono infantili e fastidiosi.” sbuffò Eileen. “James soprattutto …”
“Però Teddy ti piace ed è loro amico!”
“Teddy è grande, mamma: lavora con lo zio Harry.”
Hermione annuì, fingendosi indifferente, mentre, con la coda dell’occhio, fissava Eileen guardare un punto fisso nel muro. “Qual è veramente il problema, Eileen?”
“Quello che vi ho detto.” mormorò lei, abbassando gli occhi. “Davvero? Non ci credo poi molto, sai? Sei brava a mentire, ma non a noi.” rincarò Severus, prendendole il mento e costringendola a guardarlo. “Ma è la verità!” ribatté Eileen. Il padre la fissò per un po’ prima di sospirare ed alzarsi. “Bene: in tal caso, vado a controllare la cena.” concluse, uscendo e rivolgendo un’occhiata strana alla moglie. Hermione, non appena se ne fu andato, sedette accanto alla figlia. “Allora?”
“Credo sia solo un po’ d’ansia, niente di preoccupante, mamma!” sbottò Eileen, giocherellando con un bottone. “Senz’altro, ma non è tutto … allora, cos’è che ti preoccupa veramente?”
La bambina abbassò lo sguardo, torturandosi le dita prima di sospirare a fondo. “Ho un po’ paura che finisca come alle elementari.” confessò. “Temi che non avrai amici?” indagò Hermione. “Non proprio, è che io sono … beh, strana ed ho paura che possano prendermi in giro come facevano gli altri … o trattarmi male perché sono figlia di un professore.” confessò.
“E non l’hai detto a papà perché sai che lo feriresti …” annuì la Grifondoro. “Sì.”
“Eileen, sia io che papà a scuola non eravamo esattamente popolari, anzi!” sorrise Hermione, accarezzandole una guancia e costringendola a voltarsi delicatamente verso di lei. “Eravamo molto studiosi e venivano presi in giro ed esclusi per questo. Soprattutto papà. Ha sofferto molto per le prese in giro degli altri … erano scherzi pesanti, spesso e volentieri” raccontò. “Io nel mio dormitorio a malapena parlavo con le altre … ma questo non mi ha impedito di avere degli amici veri, come lo zio Harry e lo zio Ron …”
“Ma a me potrebbe non succedere! Hai detto tu che papà ad esempio è sempre stato trattato male da tutti …”
“Sei una ragazza speciale, Eileen e chiunque non potrà non accorgersene: cerca di parlare con chi ritieni più simile a te, con chi pensi di avere qualcosa da condividere e ritieni leale e fidato. Il resto verrà da sé. Sarà magico, vedrai: ti farai amici e nemici, riderai e piangerai, ma soprattutto imparerai tantissime cose e crescerai. E, anche se dovessi trovarti male, ogni venerdì sera tornerai a casa …”
Eileen annuì, poco convinta e la abbracciò di slancio, stringendole i capelli nei pugni come quand’era piccola. “Grazie, mamma.”
“Figurati.” sorrise Hermione, benedicendo che sua figlia avesse preso da lei la sfacciataggine e la brutale sincerità. “Ma adesso basta rimuginare e tenere il broncio, su: domani a quest’ora sarai ad Hogwarts, pertanto stasera ci sono la tua cena preferita ed il tuo Dvd preferito! Oh e costringeremo papà a leggerti un bel libro, magari di miti, come quand’eri piccola!”
“Davvero?” esclamò la bambina, illuminandosi. “Davvero.” annuì Hermione, alzandosi e dandole la mano. “Andiamo, su!”

Hermione sbuffò, mettendo da parte il libro che stava cercando di leggere in camera da una buona mezz’ora: quella sera era talmente impensierita che le parole le danzavano dinanzi agli occhi e non riusciva a proseguire in alcun modo. Accarezzò distrattamente Grattastinchi acciambellato accanto a lei e fissò la porta, desiderando che si aprisse all’istante per lasciar entrare suo marito ed ascoltare dalle sue labbra che Eileen si era addormentata serenamente. Quasi a voler ascoltare le sue preghiere, l’uscio si aprì in quel momento, lasciando entrare un terreo Severus. “Dorme?” indagò subito Hermione. “Come un ghiro.” annuì, iniziando a sbottonarsi la casacca. “Le ho spazzolato i capelli e le ho letto il suo libro preferito …”
“Tutto questo tempo?”
“Faticava ad addormentarsi.”
“Uhm. Che vi siete detti?”
“Niente che tu debba sapere: segreti padre-figlia. Piuttosto, a te cos’ha detto prima di cena?”
Hermione fece spallucce. “Segreti madre-figlia.”
Severus ghignò, sbottonandosi i polsini della camicia. “Touché.”
“Pensi che starà bene?” sospirò Hermione, sgusciando fuori dalle coperte per sedersi accanto al marito. “Sì.” annuì meccanicamente lui. “Credo proprio di sì: è vero, è diversa dagli altri, ma è forte come te.”
“E come te: se la caverà, anche se ha un po’ paura di venire presa in giro e di deluderci. Certo, ce la siamo cavati tutti in un modo o nell’altro … ma è così difficile lasciarla andare …” mormorò la Grifondoro. “Tornerà a casa tutti i venerdì, Hermione …”
“Sì, ma per me è doppiamente dolorosa la ripartenza di Hogwarts, perché anche tu tornerai a casa solo il venerdì e potrai vederla sempre, mentre io no!”
“Oh, certo, sarà divertente doverla trattare con sufficienza e considerarla a malapena per evitare di sentirmi dire che faccio favoritismi, certo!” sbottò Severus, guardandola fisso. “Beh, trattenere le tue emozioni non dovrebbe essere un gran problema per te!” lo canzonò Hermione, incrociando le braccia. Per qualche istante, il silenzio venne rotto solo dal ronfare di Grattastinchi. “Davvero ti mancherò?” domandò dopo un po’ Severus. Hermione sorrise debolmente, volgendosi a fissarlo. “Certo, a volte sei insopportabile!”
“E tu una petulante, saccente ed irritante …”
“Grifondoro so-tutto-io.” rise lei, sedendosi sulle sue gambe, divertita ed allacciandogli le braccia al collo. “Mi chiedo perché non l’hai scritto nelle promesse nuziali …”
“Ero tentato, ma sarebbe stato di cattivo gusto.” sussurrò sul suo collo, facendola rabbrividire. “Pensi mai a quanto sia … incredibile? Tutto questo, io, te, Eileen …” sospirò Hermione, stringendosi a lui. “Continuamente: non l’avrei mai creduto possibile, ma era quello che ho sempre desiderato senza saperlo.” mormorò Severus, stupendola. “Beh, perché mi fissi così?” riprese il Serpeverde. “Parli così raramente di sentimenti!” considerò lei. “Goditi le rare volte, perché non accadrà a breve …”
“Oh, lo so bene! Dunque, a distanza di anni, ti senti di affermare che tutte le tue paure sull’essere padre erano abbastanza infondate?” rise Hermione, appoggiandosi alla sua spalla. “A distanza di anni, possiamo dire di sì.”
“Dunque quel famoso vestito rosso con lo scollo a V è stato una fortuna, aveva ragione Mina!”
“Anche se non fosse stato quello, ti stava comunque d’incanto … non capisco perché non l’hai più indossato!”
“Beh, in realtà pensavo di buttarlo: dopo Eileen, non ho più avuto il fisico di una volta ... c’è sempre questa dannata pancetta che non vuole andarsene e …”
Prima che Hermione potesse terminare la frase, Severus l’aveva già buttata sul materasso, strappando un gridolino a lei ed un ringhio di protesta a Grattastinchi. “Non pensarlo mai nemmeno per scherzo, Hermione: sei bellissima e lo sarai sempre, anche a novant’anni.” le sussurrò, sprofondando il viso tra i suoi capelli per inspirarne quel profumo che tanto amava e che gli sarebbe mancato come l’aria e schiacciandosi a lei per farle sentire quanto la trovasse splendida, sebbene Hermione lo sapesse già. “Anche tu.” sorrise lei, accarezzandogli il volto eburneo e facendogli inarcare un sopracciglio, dubbioso. “Bello, io? Deve aver un po’ esagerato con il vino, miss Granger …”
“Oh, nient’affatto. È che, sa, professor Piton … io ho gusti alquanto raffinati!” rise prima di baciarlo con trasporto.
֎֍֎
La stazione, quel mattino, era insolitamente affollata: nonni, genitori e bambini di varie età saettavano qua e là, come moscerini impazziti. Eileen, stretta in jeans, ballerine nere, camicetta lilla e giubbottino rigorosamente scuro, camminava in silenzio tra i genitori, fissando la folla come se fosse una mostruosa creatura mitologica pronta ad inghiottirla. Hermione le teneva la mano, cercando di sembrare rassicurante sebbene stesse letteralmente tremando nonostante il completo blu scuro, ben abbinato ai pendenti di zaffiro. Severus, che portava i bagagli, appariva tranquillo ed imperturbabile come sempre negli abiti babbani, ma Hermione, che, stretta al suo petto, aveva ascoltato i suoi dubbi e le sue preoccupazioni sino a notte fonda, sapeva bene che dentro era pervaso da un terremoto di emozioni contrastanti.
“Eccoci qui: ora dobbiamo attraversarlo insieme. Sei pronta?” sorrise Severus, conciliante, alla figlia dinanzi ad un enorme colonna. La bambina deglutì, annuendo. “Andiamo, allora!” annuì Hermione mentre tutti e tre passavano agilmente attraverso il muro, ritrovandosi all’affollato binario 9 ¾.
Quel mattino di settembre sembrava che tutto il mondo magico si fosse dato appuntamento lì: ad attendere, infatti, c’erano maghi, streghe, elfi domestici, animali d’ogni sorta e parecchi ragazzi e bambini colmi d’ansia e paura.
Hermione individuò subito Draco ed Astoria, intenti a raddrizzare il colletto al figlio Scorpius, la copia esatta di Draco in miniatura e li salutò con un cenno prima di sistemarsi in paziente attesa di salire in carrozza. “C’è lo zio Harry!” esclamò Eileen, indicando Harry e Ginny con i tre figli poco lontano, con Ron, Lavanda ed i loro figli accanto. Fu proprio Ron, vedendo Hermione, ad avvicinarsi. “Herm! Professore …” salutò prima di salutare Eileen con un buffetto sulla guancia. “Come andiamo? Emozionati?” indagò. “Parecchio. Ma andrà tutto bene, vero?” sorrise Hermione, accarezzando i capelli della figlia. “Oh, sì, non temere: sono tutti terrorizzati all’inizio, ma poi passa! Rose quasi non respirava quando è salita sull’Hogwarts Express la prima volta … speriamo che Hugo sia meno agitato di lei quest’anno!”
“Ed Harry? Tocca ad Albus, quest’anno …” indagò Hermione. “Sì, ma loro sono su un pianeta a parte, lo sai: non vedi come sono attorniati dalla folla? James è fuggito per non farsi fotografare dai giornalisti camuffati … ed andare a combinare qualche guaio, certo! A proposito, vado a salvare mia sorella dalla calca … ci si vede! E buona fortuna, ‘Leen!” si congedò, sparendo tra la folla. “Che razza di soprannome è mai ‘Leen?” sibilò Severus. Prima che Hermione potesse rispondergli, però, un fischio li costrinse a girarsi solo per venire travolti da una figura avvolta in un improponibile impermeabile nero, con tanto di occhiali da sole, guanti di pizzo e cappello a tesa larga. “Hermione! Severus! Speravamo proprio di trovarvi qui!” trillò Mina, sfoggiando il rossetto scarlatto sulle labbra esangui. “Più che altro per Andromeda, è così agitata, poverina! E tu, signorina? Pronta ad affascinare l’intera platea scozzese con il tuo fascino di streghetta mezzosangue?” rincarò, abbracciando di slancio Eileen, che rise di cuore: Mina era senz’ombra di dubbio la sua zia preferita, assieme a Lily. Ma, del resto, chi non adorava Mina?
“Remus, dove Dracula … oh, eccoti, finalmente! Ti eri perso?” sbuffò, voltandosi verso un Lupin decisamente più elegante del solito in un completo beige ed una barbetta ordinata solo attorno alla bocca che teneva per bambino una bambina identica a lui, sia nei tratti che nei capelli castani raccolti da un cerchietto fucsia e negli occhi color nocciola. “Andromeda doveva andare in bagno, ma tu eri talmente presa dal fare raccomandazioni a Teddy da non essertene accorta!” sospirò il mannaro, rassegnato, salutando i Piton con un cenno. “Beh, era con te!”
“E Teddy era venuto solo a salutare Victoire che parte …”
“Sì, sì, certo ed io sono la fata turchina! Ha diciannove anni, Remus …”
“E con questo?”
“Mica tutti a quell’età sono innocenti e candidi com’era Hermione! Senza offesa, cara …”
“Ma figurati, Mina …” sospirò lei. “Beh, se non altro avete recuperato alla grande dopo …”
“Mina …” la redarguì Severus, notando le occhiate perplesse delle bambine. “Pronte a cominciare, ragazze?” sorrise Remus. “Diciamo di sì …” confessò Eileen, sorridendo ad Andromeda: avevano quasi la stessa età ed erano amiche da sempre. Hermione sperava sinceramente che finissero nella stessa casa, ma non sarebbe andata così, secondo il suo istinto di mamma …
“Oh, guardate, ci sono Sirius e Regulus!” li salutò Remus mentre i Black venivano verso di loro. “C’è Willow che non fa che raccomandarsi con Alistair di comportarsi bene e Regulus che ricopre Betelgeuse di attenzioni … ironico che l’erede purosangue dei Black non abbia il nome di una stella mentre le mezzosangue sì, no? A Walburga non sarebbe piaciuto, Sirius lo dice sempre …” commentò il mannaro. “A Walburga sarebbe venuto un colpo apoplettico se avesse visto com’è ridotta casa sua.” asserì Severus.
“Lunastorta, emozionato?” esclamò Sirius in un vistoso completo scarlatto, dando una sonora pacca sulla spalla all’amico prima di salutare Andromeda con un bacio ed Eileen con un buffetto. Willow, alle sue spalle, sembrava vagamente rassegnata e si guardava intorno. “Alistair è in giro con James Potter … non oso immaginare cosa combineranno quei due!” sospirò. “Magari anche niente, su: sono ragazzi, lasciali divertirsi!” la rassicurò il Grifondoro, facendo spallucce. “A scuola infatti è molto divertente togliere loro punti per le loro bravate!” annuì Severus, infastidito dal solo sentir nominare quei due: erano notoriamente la principale fonte del suo mal di testa. “Severus! Pronto ad un anno sconvolgente?” sorrise Regulus, raggiungendo il gruppetto seguito da una Sibilla Cooman decisamente ben vestita ed elegante e da una bambina dai lunghi capelli biondi e gli occhi grigi dei Black. “Terrorizzato, semmai.” rettificò lui con un sospiro, salutando la piccola Betelgeuse, detta Beth, nervosa come non si era mai vista. “Suvvia, tesoro, andrà tutto bene: tieni sempre con te il ciondolo con la tua stella, ti porterà fortuna!” la rassicurò Sibilla, facendo scambiare un’occhiata perplessa ad Hermione e Severus.
Il fischio del treno interruppe le loro riflessioni: era ora di andare. Hermione sospirò, abbracciando stretta Eileen e trattenendo a stento le lacrime: le sarebbe mancata come l’aria. “Vedrai, andrà tutto bene … tu ricordati sempre che mamma c’è per qualsiasi cosa!” sussurrò, stringendola a sé e baciandole tutto il viso. Eileen annuì, sforzandosi di sorridere prima di schioccarle un bacio sulla guancia. “Ti voglio bene, mamma.”
“Anch’io, tesoro, immensamente!”
Dopodiché, la bambina si rivolse al padre. “Ci vediamo dopo, papà!” trillò, stritolandolo in un abbraccio. “Certo. E sappi che puoi contare su di me per tutto … ma non dirlo in giro.” sussurrò Severus, baciandole i capelli neri come i suoi. Mentre erano ancora stretti, confusi dal rumore della stazione, Eileen osò confessargli il segreto dei segreti, la cosa che veramente temeva dall’inizio: “Se finisco in Serpeverde, io … beh, cosa devo fare, papà? La mamma si arrabbierà?” mormorò a bassa voce. Severus sospirò, ben conscio che quello fosse il problema sin dall’inizio. “Niente, mamma capirà: tu studia, impegnati e cerca di vivere al meglio la scuola come faresti se fossi a Grifondoro. Serpeverde è una casa come le altre e dovresti essere orgogliosa di farne parte, grandi maghi e streghe ne sono usciti. Che alcuni fossero cattivi non deve spaventarti: tu non lo sei, sei amata e protetta. Ogni luce presuppone un’ombra, Eileen, ma non per questo significa che sia una luce maligna ...”
La bambina annuì, separandosi. “Capito.” confermò, sorridendogli prima di schioccargli un bacio sulle guance, afferrare i bagagli e, presa per mano Andromeda, dirigersi spedita sul treno.
“Bene, direi che per noi è ora di andare, no, Lupin?” esordì Severus, lapidario, mentre Sibilla singhiozzava disperata e Sirius portava il figlio, identico a lui, sul treno quasi di peso. Il mannaro annuì. “Certo. Tanto le rivedremo tra poco …”
“Scriveteci appena si saprà dove saranno smistate, voi due!” li esortò Mina mentre il marito la salutava. “Senz’altro, sarai la prima a saperlo!” sorrise Remus, baciandola. “Ti conviene, se non vuoi trovarti le tue stanze ribaltate da cima a fondo …”
“Grazie a Salazar se l’è sposata lui!” sussurrò Severus all’orecchio di Hermione mentre la stringeva a sé prima di voltarsi e sparire con Lupin tra la folla. La Grifondoro rimase a guardarlo, concedendosi solo un ultimo scambio di occhiate: tra loro non servivano parole.
Un sonoro tirare su con il naso di Mina la fece voltare. “Torneranno per il finesettimana!” la consolò, agitando la mano per salutare Eileen che si sporgeva dal finestrino mentre il treno prendeva velocità e partiva verso la Scozia. “Non è comunque abbastanza, io la volevo a casa sempre!”
“Anch’io, ma è giusto che crescano … sono piccole donne, oramai!”
“Certo: la tua è sicuramente Jo e la mia Beth. Ma perché io deve sempre avere le cose che muoiono?”
Hermione trattenne a stento una risata, porgendole un fazzoletto e guardando il punto dove l’Hogwarts Express scompariva all’orizzonte prima di invitarla ad andare a salutare Ginny ed Harry: sapeva che Eileen sarebbe stata felice. Aveva due genitori che l’amavano alla follia, nonni, zii acquisiti, si sarebbe fatta degli amici e sarebbe diventata la miglior studentessa della sua casa, con la passione per i libri che aveva, anche se avrebbe fatto perdere qualche punto per la lingua decisamente tagliente ereditata dal padre. Non le importava poi molto, però: erano anni che il mondo magico erano in pace e, finalmente, anche il suo animo inquieto ed il cuore tormentato di Severus. Andava tutto bene.
֎֍֎
Severus Piton calcò che, nella sua carriera, dovesse aver visto qualcosa come una trentina di smistamenti, tutti abbastanza noiosi, chi più chi meno. In ogni occasione, lui se ne stava seduto al tavolo degli insegnanti, in quell’immensa sala dal soffitto stellato e le candele fluttuanti, fissando annoiato l’orda di teste di legno che l’avrebbero tormentato nei mesi avvenire mentre Minerva li chiamava ad uno ad uno, entusiasta.
C’erano state solo due eccezioni in tanti anni: Harry Potter ed Eileen. Nel primo caso, aveva vissuto nell’attesa spasmodica di vedere due occhi verde smeraldo che gli avrebbero costantemente ricordato quale colpa doveva espiare, che gli avrebbero messo costantemente sotto al naso il suo fallimento, il fatto che Lily avesse scelto James, donandogli tormento e dolore eterno e continuo. Aveva vissuto notti d’insonnia ed incubi, nell’attesa di Potter, tanto che quando l’aveva visto non vi aveva quasi creduto: pensava fosse l’ennesimo fantasma partorito dalla sua mente. Certo, erano passati tanti anni ed era un Severus diverso, allora: giovane, tormentato dalle colpe passate e dall’odio, pervaso dal rancore e dalla solitudine. Desiderava solo espiare, morire e ricevere il suo perdono.
Ma stavolta era tutto diverso. Il Severus Piton che sedeva al tavolo dei professori, con la stessa casacca ed il mantello di sempre, scrutava con ansia quella folla di piccoli mocciosi alla spasmodica ricerca di una massa di capelli neri e lisci che seguiva passo passo: ne percepiva l’ansia, il timore, la ritrosia … avrebbe solo voluto lasciar perdere tutto e correre a confortarla, ma doveva abituarsi ad apparire distaccato da lei, anche se sarebbe stato difficile, se non impossibile. Hermione ed Eileen erano la sua luce, la sua salvezza: quella coraggiosa e testarda Grifondoro tanto più giovane di lui aveva raccattato i cocci di quel che restava della sua anima spezzata, li aveva pazientemente ricuciti e vi aveva dato nuova vita. A distanza di anni, non avrebbe saputo dire dove sarebbe finito, senza Hermione e senza Eileen: erano tutta la sua vita. L’avevano amato quando nemmeno lui si amava e gli avevano dato una ragione per vivere, una seconda possibilità per essere felice e redimersi. Ora poteva vivere in pace, poteva, forse, concedersi di essere finalmente felice e sereno.
“Sei emozionato?” sussurrò una voce alla sua destra. Si volse verso Lupin e fece spallucce. “Preoccupato, più che altro.” mentì: doveva pur sempre darsi un contegno. La verità era che gli importava solo che Eileen fosse felice e non subisse ciò che aveva subito lui, che per lei rappresentasse un punto di riferimento e non una vergogna. Del resto, non gl’importava poi molto …
“Io parecchio. E non è certo il primo smistamento.” confessò Remus. “Andromeda è così simile a me.”
“Grazie a Merlino. Se fosse somigliata a Mina, sarebbe stata una Serpeverde, poco ma sicuro!”
“Non cantar vittoria troppo presto, quel vecchio straccetto ha stupito in più di un’occasione …”
“Black Betelgeuse!” chiamò Minerva. Subito, la bambina trotterellò e sedette. Il capello strillò immediatamente: “Corvonero!”
Sibilla batté le mani, entusiasta. “Povero Regulus …” commentò Piton, facendo sorridere Lupin. “Lupin Andromeda!”
“Grifondoro!” ruggì il copricapo prima ancora di sfiorare il capo della ragazzina, la quale, sconcertata, si volse verso il padre, stupita. Remus le fece cenno di andare al tavolo dove tutti la stavano aspettando, applaudendo, entusiasta. “Come volevasi dimostrare.” confermò Severus. “Sei invidioso perché di Eileen non sei poi così sicuro, Severus …”
“Non particolarmente, no.”
“Malfoy Scorpius!” esclamò Minerva, scostandosi per lasciar passare il biondino, che finì, naturalmente, in Serpeverde.
“Ci siamo quasi!” incalzò il mannaro. “Vuoi smetterla di farmi la telecronaca, Lupin?”
“Piton Eileen Jean!” chiamò Minerva dopo un tempo che gli parve infinito. La ragazzina, titubante, sfilò davanti ai compagni e, a testa bassa, sedette, i lunghi capelli scuri a coprire il capo. Severus sentiva il cuore pulsargli fin nelle orecchie. “Quel dannato straccio ci sta mettendo una vita!” esclamò, nervoso proprio prima che il cappello erompesse in un esultante: “Serpeverde!”
L’intero tavolo ruggì di approvazione e Severus, soddisfatto, applaudì. Eileen si alzò e gli rivolse un ampio sorriso prima di correre al suo tavolo. La vide sedersi accanto a Scorpius e presentarsi brevemente, sorridendo. Sì, decisamente se la sarebbe cavata …
“Sei contento?” sospirò Lupin mentre un tremolante Albus Severus Potter prendeva posto. “Io molto … Hermione non credo lo sarà particolarmente, invece …”
“Hermione è troppo intelligente per badare a queste scaramucce fra case.”
“Lo so, altrimenti non l’avrei certo sposata.”
“Serpeverde!” ruggì il cappello. Contrariamente ai casi precedenti, però, un silenzio tombale calò sulla sala e persino Minerva si ritrovò a deglutire a vuoto, invitando il ragazzo ad accomodarsi al suo tavolo. Albus, sconvolto, si alzò, camminando come un automa sotto lo sguardo sconvolto dell’intera sala. Per qualche istante, rimase immobile e nessuno parve rivolgerli la parola. Fu Eileen a scostarsi ed ad invitarlo a sedersi con lei e Scorpius con un cenno sbrigativo. Severus sentì il petto bruciare d’orgoglio: quando faceva così, la sua bambina era identica ad Hermione. Vedendola chiacchierare amabilmente con Scorpius ed Albus mentre la cerimonia terminava, ebbe improvvisamente la certezza che, seppur con qualche difficoltà, viste le occhiatacce che il resto del tavolo e parecchie altre case le rivolgevano, Eileen sarebbe stata felice.

Quando, dopo aver lasciato la sala dopo la cena, Severus entrò nelle sue stanze, si lasciò immediatamente cadere alla scrivania: un tempo, avrebbe aperto subito una bottiglia di whisky e si sarebbe gettato nell’alcool per dimenticare il suo smistamento. Ma non quel giorno. La prima cosa che fece fu accendere una candela con un colpo di bacchetta e prendere carta e penna: non vedeva l’ora di scrivere ad Hermione …
“Eileen sta chiacchierando molto con il giovane Malfoy ed il tuo figlioccio, Severus …” esclamò la voce di Silente alle sue spalle. Piton non alzò neanche lo sguardo dal foglio. “Ne sono lieto.”
“Non verrà presa in giro …”
“No, anche perché, se dovesse accaderle qualcosa, sarà mia premura rendere il responsabile permanentemente invalido …”
“Eri nervoso, eh? Ma è andata com’era prevedibile che andasse, dopotutto!”
“Nervoso, io? Quella nervosa era Hermione …” commentò seccamente, richiudendo la lettera e cercando un gufo per spedirla. “Certo, come no, Severus, come no …”

Angolo Autrice:
Ho appena messo la spunta 'completa' alla storia e credevo sinceramente che non ci sarei riuscita. Era da un bel po' che non scrivevo più per tante ragioni o che, comunque, non mi soddisfaceva ciò che creavo. Questa storia è nata con un punto interrogativo: non sapevo come sarebbe andata, né se si sarebbe mai conclusa e se avrebbe ottenuto qualche recensione. 
Inutile dire che, se ho ripreso a scrivere, è grazie a questo racconto: non mi aspettavo che piacesse, affatto e ne sono rimasta piacevolmente sorpresa. Perciò, prima di tutto, voglio ringraziare di cuore chiunque sia passato, abbia recensito o abbia inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate: grazie. In particolare, ci tengo a ringraziare le persone meravigliose che questa storia mi ha permesso di conoscere: _Morgan, Elema, La Bionda95 e ClarWarrior, che non si sono praticamente perse un capitolo e che mi hanno sempre dato ottimi pareri, consigli ed analisi. E poi vielvisev, con cui mi scambio recensioni e pareri da un po', Nessuno Presente e chiunque abbia recensito anche solo brevemente: grazie, grazie di cuore! Non è stato un bellissimo periodo ed ha significato tanto avere questo mondo dove rifugirsi! Mi permetto anche di consigliarvi le loro storie, tutte molto belle e con cui ho trovato molti punti in comune!
Infine, vorrei dire che non è finita qui: Hermione, Severus, ma anche Eileen, Remus e Mina (che ha messo d'accordo tutti, devo dire!) torneranno sicuramente, in brevi one-shot o in altri long che siano. Li ho amati troppo per lasciarli andare completamente e rimarranno sempre nel mio cuore, come spero in quello di tutti voi!

Alla prossima!
Vostra
E.


 



 
  





 



 

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