Don't stand so close to me

di Amatus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Just a castaway, an island lost at sea, oh
Another lonely day, with no one here but me, oh
More loneliness than any man could bear
Rescue me before I fall into despair, oh

The Police - Message in a bottle 

Che Élodie De Sardet fosse una ragazzina sveglia e piena di vita lo si sarebbe potuto capire a prima vista e a un miglio di distanza. Non sarebbe servita una conoscenza troppo più accurata per riconoscere in lei un animo insolitamente generoso. E non poco naive avrebbe aggiunto Kurt. Suo cugino, altrettanto sveglio, ma molto meno ingenuo, avrebbe invece suscitato nella Guardia del Conio una certa antipatia, se non avesse avuto un naturale fascino che portava chiunque a provare una inevitabile tenerezza nei suoi confronti. Forse per la sua natura delicata, per i suoi occhi tristi, nonostante gli innumerevoli sforzi di mascherare il dolore o forse per la paura che si leggeva in ogni suo gesto. Per Kurt non era difficile leggere dietro il suo contegno frivolo una sofferenza profonda a cui il ragazzino probabilmente non avrebbe saputo dare un nome per molti anni a venire, ma che al soldato risultavano ben più che familiari.

 Certo era che dover insegnare l’arte del combattimento a quei due monelli era suonata inizialmente come una punizione. E per quanto avesse imparato man mano a vedere il lato positivo di quell’assegnamento, che stava tutto nella natura allegra, piacevole e coinvolgente dei suoi giovani allievi, l’idea di vivere in un palazzo e dover trascorrere il suo non poco tempo libero tra nobili altezzosi aveva continuato a riempirlo di frustrazione e sconforto.

 L’idea di avere a che fare con due quindicenni viziati, poi, era sembrata in prima battuta una vera e propria tortura. Aveva inizialmente pensato che in quel modo il capitano volesse dargli una lezione per le sue azioni sconsiderate o per il brutto carattere per cui andava famoso in caserma. 

 Ma avvicinarsi a quei due aveva dato modo a Kurt di riflettere sui suoi pregiudizi. Nessuno dei due ragazzini era lo specchio di ciò che si sarebbe aspettato da due rampolli di altissimo rango. Lei, una ragazzina avventata apparentemente dimentica di sé, capace letteralmente di gettarsi dall’alto di una torre pur di proteggere il cugino. Una delle migliori spadaccine che avrebbe potuto addestrare, era sorprendente vederla muoversi con agilità tra un fendente e l'altro. Sembrava completamente incapace di provare paura per la propria incolumità. L’aveva vista ridere di cuore alle battute scurrili dei cadetti che a volte si univano a loro nell’addestramento, e prendere a pugni dei giovinastri altezzosi che osavano prendersi gioco di Constantin davanti a lei. Con la stessa naturalezza l’aveva vista aggirarsi nelle sale allestite come bomboniere, muovendo passi sicuri e pronunciando parole composte. Aveva sentito molti, giovani e meno giovani, sussurrare rozzi commenti sul suo viso marchiato e l’aveva vista reagire agli insulti con una compostezza tale da non tradire la sua giovane età. In Constantin aveva invece imparato a riconoscere i segni di soprusi crudeli, se non brutali, la paura e la voglia di riscatto che spesso ugualmente si esprimevano in un pianto orgoglioso ma irrefrenabile. Non lo sorprendeva che i due non avessero che l’un l’altro su cui contare. Quel palazzo era un covo di serpi e loro due troppo autentici per sopravvivere. Non fu difficile per Kurt trovare sufficiente motivazione nel dare ai due ragazzi gli strumenti necessari per difendersi e per sopravvivere in quel mondo tanto violento da risultargli familiare.

  Nonostante il contesto solo apparentemente di bambagia, i due ragazzi erano sembrati a Kurt poco più che bambini, lui alla loro età aveva già visto molte battaglie, loro avevano invece conservato una certa attitudine fanciullesca: una curiosa mescolanza di purezza, ottimismo e ottusa ostinazione a vivere solo nel presente. Li aveva comunque visti crescere ad una velocità inattesa, cicatrici più o meno visibili a coprire la loro pelle e a nascondere sempre più lontano dagli occhi la fiducia infantile verso chiunque non fosse uno di loro due. Man mano che i due iniziarono a farsi più grandi le cose si facero più complicate. Constantin aveva iniziato a disprezzare apertamente suo padre e le sue decisioni, cogliendo ogni occasione per portare discredito e vergogna sul buon nome della sua famiglia. Élodie, di contro, aveva iniziato ad agire come una vera guardia del corpo, rischiando per lo sconsiderato ragazzo molto più del dovuto. Il ragazzo non era mai diventato abile quanto lei nel combattimento, aveva senz’altro un’ottima mira e dei buoni riflessi che lo rendevano un eccellente pistolero, ma dopo due ore spese in taverna mira e riflessi non potevano essergli d’aiuto, lei invece poteva.

 Era uno spettacolo piuttosto consueto vedere Constantin in taverna circondato da gente di ogni risma, spesso meschini signorotti pronti ad approfittare della munificenza del giovane principe bevendo, mangiando e godendo di donne e uomini pagati dal ragazzo. Élodie De Sardet, di solito osservava suo cugino da lontano non amando particolarmente il frastuono e le risate che si alzavano dalle comitive troppo numerose, ma non osando lasciare il ragazzo da solo. Kurt l’aveva vista spesso bere e conversare allegramente con soldati e cadetti, di cui sembrava di gran lunga preferire la compagnia, ma senza mai perdere d’occhio il ragazzo. A volte, quando la compagnia attorno al ragazzo era più rumorosa ed evidentemente più pericolosa, De Sardet rimaneva da sola con gli occhi bassi e le orecchie tese. In quelle serate il boccale rimaneva quasi pieno davanti a lei. 

Era in una di queste sere che Kurt si era andato a sedere al suo tavolo.

  “Green Blood, che fai qui tutta sola, i miei cadetti ti hanno abbandonata? Posso andare e rimproverarli e trascinarli qui, se vuoi.” 

Élodie sollevò appena lo sguardo dal boccale e accennò un sorriso riconoscendo il suo maestro d’armi.  “Non devi avere una grande fiducia nelle mie capacità se credi che abbia bisogno delle tue minacce per assicurarmi un po’ di compagnia.”

Kurt rispose al sorriso che aveva accompagnato le parole della ragazza con una sonora risata.

 “Non mi sorprenderebbe scoprire che i caproni che frequentano questo posto non sappiano riconoscere una buona compagnia.”

 “Caproni? Non saprei proprio dove trovare compagni migliori.” Élodie aveva accompagnato le parole con uno sguardo di sfida ma questo fu subito rimpiazzato da uno sguardo intenso e serio, lo stesso che aveva avuto fin da ragazzina. Uno sguardo che era sembrato fuori luogo sul viso della quindicenne che Kurt aveva conosciuto ormai 6 o 7 anni prima e che rimaneva comunque stranamente spiazzante sul volto della giovane donna. Il colore quasi nero dei suoi occhi sfumava in un grigio innaturale dando al volto un aspetto ferino capace di incutere timore e rispetto, soprattutto quando la ragaza assumeva quella particolare espressione.  

 Dal tavolo accanto si era alzato un coro di voci alterate e Kurt vide la ragazza serrare la mascella e tendersi tutta, come faceva in allenamento prima di sferrare un attacco. La mano pronta ad afferrare la spada e le orecchie tese in ascolto. 

 “Riposo soldato.” Kurt aveva cercato senza troppo successo di spezzare la tensione, ma la ragazza aveva risposto solo allontanando la mano dall’elsa e riportandola senza convinzione sul tavolo, lo sguardo serio di nuovo fisso nei suoi occhi. Era in attesa di qualcosa. Voleva sapere da lui cosa fare? Si aspettava da lui che intervenisse? Era il suo giorno libero, non poteva certo aspettarsi che facesse da balia al ragazzo ubriaco.  Le voci si fecero più accese e la ragazza scattò in piedi, la mano prontamente riportata alla spada. Pochi passi e fu vicino a Constantin, l’altra mano posata sulla spalla del ragazzo.

 “Eccola qui la mia stella fortunata. Cara cugina, ti unisci a noi?”

 Come sempre il ragazzo sembrava voler dimenticare le spiacevolezze e il dolore come se tutto il suo essere rifiutasse di riconoscere la cattiveria e la bruttura che lo circondava. Era forse per questo che Kurt non riusciva a volergliene? Il ragazzo ne aveva fatte di tutti i colori in quegli anni ma non era mai riuscito ad avercela davvero con lui. Forse la sua capacità di obliare il lordume aveva il potere di fare sentire anche Kurt un poco più pulito.

 Lo sguardo che i due cugini si scambiarono sembrò trasportarli, come ogni volta, fuori dal mondo ma la raffinata compagnia era chiaramente intenzionata a fare di tutto pur di riportare i due ragazzi con i piedi per terra. Uno dei ragazzi seduti attorno al tavolo aveva ripreso a parlare in modo sguaiato. Sembrava avercela con un ragazzo dall’aria mite e timida che sedeva accanto a Constantin. Lo sguardo di Élodie sembrò volerlo pietrificare. La sfida fu presto raccolta dal giovanotto ubriaco che rivolse alla nuova arrivata la sua attenzione. 

 “Che succede è arrivato il cane da guardia? Strano che un principe abbia un bastardo anziché un cane di razza a leccargli gli stivali. Perché non torni a nasconderti e porti il tuo muso marchiato lontano dalla gente che conta?”

 Lo sguardo di Constantin si riempì in un attimo di dolore, il viso della ragazza invece era rimasto composto come ogni volta davanti all’insulto. Il silenzio e la freddezza della ragazza dovevano aver fatto infuriare il ragazzo, chiaramente alla ricerca dello scontro, che rincarò quindi la dose: “Che c’è non sai parlare?” Il ragazzo si alzò malfermo sulle gambe e fece il giro attorno al tavolo andandosi a piantare proprio davanti alla giovane ancora ferma, calma e composta. Era di almeno un palmo più alto di lei ma il suo portamento eretto ed elegante sembrava farla svettare davanti al ragazzo reso sbilenco dall’alcol e dalla rabbia. Constantin aveva afferrato la mano della cugina e lei solo per un momento aveva distolto lo sguardo dal giovanotto ubriaco.  

 “Se speri di guadagnarti l’osso in questo modo hai sbagliato tutto, chiaramente il principe ha gusti ben più raffinati. Tu sei fin troppo virile per lui.”

 Il ragazzo timido seduto accanto a Constantin, evidentemente spaventato, si era fatto più vicino a lui cercando conforto nell’abbraccio del ragazzo. “Vedi? Ha già trovato la sua principessa, devi rassegnarti.”

 Constantin a quelle ultime parole aveva lasciato andare la mano della cugina che con uno scatto improvviso aveva sguainato la spada e la teneva ora saldamente puntata contro la gola del seccatore.

 Kurt aveva iniziato da un po’ a maledire quei due che rendevano faticose anche le sue serate in taverna. Se le cose si fossero messe male, in ogni caso sarebbe stato lui a farne le spese. Restò a guardare ancora per un momento, non potendo però più far finta di non notare quanto stava accadendo. 

 Il ragazzo ubriaco taceva ora piuttosto spaventato. I due cugini si scambiarono ancora uno sguardo. Élodie fece quindi per rinfoderare l’arma ma solo per colpire a tradimento il seccatore con il pomolo della spada. Il sangue iniziò a spillare dalla guancia del ragazzo che riscosso si gettò contro la giovane. In un attimo fu la rissa. I due finirono a terra a rotolare tra birra e segatura. Pugni volavano da una parte e dall’altra senza pietà. Constantin era scattato in piedi, ma era stato trattenuto dal ragazzo al suo fianco. Kurt aveva a malincuore lasciato la sua pinta a metà sul tavolo e si era avvicinato ai due che stavano dando spettacolo, raccogliendo attorno a loro una folla di soldati e cadetti che avevano iniziato a incitare i due improvvisati lottatori.  All’arrivo di Kurt i soldati si dispersero in fretta, mentre i ragazzi dimentichi del resto continuavano a darsele di santa ragione. La ragazza era riuscita ad atterrare l’avversario e ora, seduta cavalcioni su di lui, cercava di colpirlo con tutta la sua forza mentre il ragazzo si proteggeva come poteva, scalciando e smanacciando. Kurt afferrò la ragazza per il collo del giaco leggero indossato sopra una raffinata camicia. Solo per un momento la ragazza gli rivolse uno sguardo di fuoco ma riconoscendolo si alzò obbediente e forse in imbarazzo. Il sangue scorreva sul suo viso ma ad un primo sguardo Kurt non seppe individuarne l’origine.

 “Credo sia arrivata l’ora per voi bambini di andare a letto.” Disse Kurt offrendo una mano al ragazzo steso a terra e aiutandolo ad alzarsi. Un solo sguardo e l’intera comitiva fu dispersa. Rimanevano al tavolo solo Élodie, Constantin e il ragazzo timido ancorato al braccio del giovane principe. 

 “Vale anche per voi. Anzi soprattutto per voi. E non voglio sentire una parola. Avrete tutto il diritto di lamentarvi domani durante l’addestramento. Vi aspetto in cortile all’alba.” Kurt aveva recuperato il tono severo del maestro d’armi. Odiava dover lavorare fuori orario.

 I due sembravano però particolarmente restii ad obbedire e il soldato li guardava sempre più spazientito. Fu la ragazza a prendere la parola dicendo con una fermezza artefatta che tradiva una certa tensione: “Constantin questa notte non tornerà a palazzo.”

 Kurt esitò per un momento pronto a fare una scenata contro quegli allievi impertinenti, ma poi nello sguardo di Constantin trovò più risposte di quante non ne stesse cercando e ricacciò indietro la voce del maestro. “Fate come volete, oggi è il mio giorno libero.” Poi aggiunse allontanandosi: “Domani vi voglio comunque in cortile all’alba.” Tornò a sedersi con l’intenzione di finire la birra ormai calda e di lasciare la taverna al più presto portando con sé i suoi pensieri.

Élodie si fece vicina a Constantine che le accarezzò il viso tumefatto e dolorante.

 “Mia dolce cugina, guarda come ti ha ridotto quel bifolco.” La studiò per un poco e poi la strinse a sé facendole percepire distintamente ogni livido che la lotta di poco prima le aveva lasciato sul corpo.

 “Come potrò mai ripagare la tua gentilezza?”

Sapeva che Constantin sarebbe stato la sua rovina ma non poteva negare nulla al suo cuore gentile. Quindi come sempre cercò il suo tono più allegro nel rispondere: “La mia gentilezza non è in vendita, lo sai bene.” Poi abbassando la voce disse ancora: “Ne sei sicuro? Posso passare la notte qui anche io, in caso dovessero esserci altri guai.”

 “Luce mia, non preoccuparti non corro alcun rischio. Se proprio dovesse accadere qualcosa le guardie sanno bene chi è che paga per tutto questo, non esiteranno a venire in mio soccorso. Tu meriti una notte di riposo.”

 Élodie fece un cenno di assenso con la testa e Constantin lo accolse con grande entusiasmo. “Buona notte mia cara cugina. A domani.”

Élodie guardò i due ragazzi allontanarsi e avviarsi verso una delle stanze della taverna, pregò mentalmente che tutto andasse bene e che il Principe rimanesse all’oscuro di tutto. Constantin meritava così tanto almeno un briciolo di felicità.

Si fermò al bancone e ordinò una birra, incapace di costringersi ad allontanarsi da lì. In fondo avrebbe potuto fermarsi comunque in taverna per quella notte e tornare a palazzo poco prima dell’alba, non era necessario che Constantin lo venisse a sapere.

 “Green Blood!”

La voce familiare la fece sussultare per un momento. Il capitano si era fatto vicino al bancone con lo sguardo torvo. Sapeva che avrebbero pagato la libertà di questa notte per molti giorni a venire. Rimase in silenzio e bevve un lungo sorso aspettando che l’uomo sputasse fuori ciò che aveva in mente. Anche quella tecnica era una che Élodie aveva appreso dal suo maestro d’armi.

 L’uomo continuava a fissarla irritato e come ogni volta il suo sguardo le faceva torcere lo stomaco. Bevve ancora e fece per lasciare il boccale sul bancone e allontanarsi dall’uomo, non aveva voglia di ramanzine, ma la voce stranamente posata dell’uomo la fece fermare di colpo.

 “Non puoi tornare a palazzo così, a tua madre prenderebbe un colpo se ti vedesse ridotta in questo stato.”

 Senza mai aggiungere una parola di troppo Kurt sapeva sempre come farsi obbedire, e anche quella volta Élodie lo seguì in silenzio. Passando per le cucine Kurt la portò verso la caserma, la fece sedere su una panca in una grande sala ingombra di manichini da addestramento e si allontanò.

 Tornò dopo poco portando un piccolo tino pieno d’acqua e qualche garza. Erano anni ormai che Kurt non si occupava delle sue ferite, ed Élodie si rese conto all’improvviso di dovergli essere grata per questo. L’uomo aveva posato un ginocchio a terra di fronte a lei, le teneva il volto con una mano, un tocco lieve ma deciso la sua mano dura a sfiorarle la pelle del volto. Con l’altra passava delicatamente una garza umida sulle ferite ripulendole dal sangue secco con una cura e una dedizione tali da incendiare Élodie più del suo tocco. Sentiva il viso andarle a fuoco e l’aria scendere a fatica nei polmoni, tutto quello era una tortura tanto per il suo cuore affaticato quanto per il suo corpo affamato. Era fin troppo consapevole del fatto che il soldato che teneva con tanta cura il suo viso tra le mani non la vedesse neanche. Il suo sguardo era severo e concentrato, stava pulendo le sue ferite come avrebbe fatto con uno dei suoi commilitoni o peggio come avrebbe fatto con una bambina. Non si accorgeva del suo tremore, del rossore del suo viso, del suo sguardo che doveva essersi fatto di fuoco all’improvviso. Avrebbe dovuto esserne grata, la sua mancanza di attenzione le evitava l’imbarazzo di dover rispondere di una sciocca cotta di cui, per quanto si sforzasse, non riusciva a liberarsi. Ma la segreta speranza era che se lui si fosse accorto che il suo tocco le dava i brividi, forse avrebbe smesso di trattarla da bambina. Anche solo questo misero riconoscimento le sarebbe bastato, ma era fin troppo abituata a passare inosservata. Era brava a confondersi tra la folla, poteva confondersi tanto tra i soldati in taverna quanto nelle occasioni ufficiali di palazzo. Sapeva adattarsi perfettamente senza essere al centro dei riflettori né lasciata in un angolo, posizioni che in entrambi i casi attirano sguardi e chiacchiere.  Ma questa sua qualità tanto utile in società era una vera condanna quando si trattava del suo cuore e delle sue sciocche fantasie. Gli uomini della sua vita le passavano accanto senza accorgersi di lei. Constantin riempiva di affetto e frasi amorevoli la mancanza di un’attenzione diversa che non avrebbe in nessun caso potuto darle. Kurt in lei vedeva solo la sua spada e il proprio dovere. Un freddo mercenario senza cuore. Questo diceva continuamente di se stesso ed Élodie avrebbe voluto spassionatamente che fosse vero. Ma non lo era. Guardava Constantin, lo riconosceva, provava per lui affetto e tenerezza. Anche quella notte lo aveva dimostrato. Era solo lei a passare completamente inosservata.

L’uomo l’aveva intanto afferrata per il mento forzandola a voltare il viso dall’altra parte.

 “Ti ha davvero conciata per bene. Speravo di essere stato un maestro migliore.”

Pensieri foschi si erano impossessati di lei e non aveva voglia di assecondare le chiacchiere divertite di Kurt in quel momento. Il capitano aveva finito di ripulirle le ferite del viso e aveva posato a terra il tino in cui l’acqua aveva ormai assunto le stesse sfumature del suo sangue. Si stagliava ora in piedi davanti a lei. 

 “Alzati.”

Alla voce dell’uomo aspra come un ordine Élodie ebbe l’istinto di opporsi, ma non avrebbe certo allontanato con l’insubordinazione l’immagine infantile che l’uomo aveva di lei. Si alzò e sentì le gambe tremare quando l’uomo le portò le mani attorno alla vita saggiandone con attenzione ogni parte e facendole risalire lungo il torace con esasperante attenzione. Mentre le sue mani la ispezionavano Kurt la fissava negli occhi, cercando di leggervi anche il più piccolo mutamento. Non c’era alcun accenno di sensualità in quei gesti precisi ma Élodie sentiva il calore di quelle mani attraverso la stoffa leggera della camicia e non poté impedire a lunghi brividi di rincorrersi lungo la schiena né allo sguardo di annebbiarsi. L’uomo cercava di capire se la rissa aveva creato danni non immediatamente visibili e quindi potenzialmente più pericolosi. Lei sapeva cosa l’uomo stesse cercando di fare ma trovava incredibile che lui non si accorgesse dell’assurdità della situazione. 

 “Va bene così Kurt, sto bene.” aveva alla fine sputato fuori Élodie, cercando di tenere calma la voce che le uscì comunque spezzata e stranamente roca. Con un gesto netto aveva allontanato da lei quelle mani che invece avrebbe voluto sentire ancor più vicine.

 “Green Blood una costola rotta potrebbe essere la tua unica salvezza. Stai sicura che vi farò pagare a caro prezzo per aver rovinato così la mia serata. Fossi in te andrei di corsa da quel damerino per un secondo round.”

 Élodie rilasciò un lungo respiro cercando di recuperare un minimo di autocontrollo. Sarebbe stato inutile continuare a rimuginare su desideri disperati, quindi si arrese, allontanò i pensieri capricciosi e recuperò il suo contegno. Conosceva bene il suo ruolo e sapeva recitarlo a perfezione.

 “Sono certa che lui stia molto peggio di me, non sarebbe di alcun aiuto. Posso solo rimettermi alla tua clemenza.” L’ironia aveva lasciato le sue labbra un po’ forzata, ma Kurt non lo aveva notato.

 “Sono sicuro che se lo sia meritato, ma sai bene che non puoi aspettarti pietà da un mercenario senza cuore.”  le parole accompagnate ancora da una sonora risata. “Ora però è il caso che tu torni a palazzo. Si è fatto molto tardi.” 

L’irritazione tornò a fare capolino nella testa di Élodie “Quindi Constantine può trascorrere fuori la notte senza attirare il tuo rimprovero e io no?”

Ancora una risata divertita accompagnò le parole del capitano “Constantin sa decisamente meglio di te come divertirsi. Tu invece hai chiaramente bisogno di riposo”.

“Non sono più una bambina, Kurt. Non lo sono da molto tempo. Dovresti smetterla di trattarmi come tale.”  La rabbia aveva guidato le sue parole, era una cosa che le capitava di rado e spesso le sue reazioni più spontanee e autentiche nascevano nel confronto con il suo maestro d’armi, di solito lo trovava incredibilmente liberatorio, quella volta però rimpianse quelle parole che alle sue stesse orecchie erano suonate sciocche e infantili.

Kurt sembrò non dare più peso a quelle parole che ad altre, ma passandole accanto con la chiara intenzione di tornare in taverna la sua espressione si fece più seria. Una mano appena poggiata sulla spalla e uno sguardo preoccupato la colpirono. “Non sei una bambina ma neanche un soldato. Lascia alle guardie il lavoro per cui sono pagate.”

Rassegnata la ragazza prese la strada di casa, sapendo comunque che quella notte non le avrebbe concesso alcun riposo.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


 

What am I supposed to do without you?
Is it too late to pick the pieces up?
Too soon to let them go?
Do you feel damaged just like I do?
Your face, it makes my body ache
 It won't leave me alone.
 Gavin James

 

 

Quando Kurt scese in cortile quella mattina ad attenderlo trovò solo il volto tumefatto della giovane Lady De Sardet. Non si sarebbe aspettato nulla di diverso in realtà. Considerando la calma che regnava ancora nel palazzo nessuno doveva essersi accorto dell'assenza del principino. Almeno per il momento. Il viso allarmato della ragazza lo avvisava però che il peggio doveva ancora venire.  

“Buongiorno Green Blood, dormito bene?" 

Lei ignorò completamente la domanda ma avvicinandoglisi sussurrò: “Constantin non è nelle sue stanze.”

Quel ragazzino sarebbe stato la sua rovina. L'irritazione trovò facile sfogo nel consueto contegno del capitano. 

“Il mio giorno di riposo è finito e non voglio assolutamente passare altri guai a causa vostra.”

 Lo sguardo angosciato della ragazza come al solito gli affondò dentro facendolo sentire uno stronzo. Lasciando andare un sospiro rabbioso aggiunse: “Prendi il tuo zaino e quello di Constantin. Addestramento all'aperto oggi.”

 Il sorriso grato di Élodie non dissipò affatto il malumore. Uscirono correndo, diretti verso la taverna. Lasciò la ragazza recuperare il fuggitivo e dopo non molto tempo i due uscirono chiacchierando testa a testa scambiandosi sguardi e sorrisi. Gli occhi cerchiati di lui tradivano il bisogno di sonno, quelli di lei la necessità di trovare un piccolo spazio nella vita che non dipendesse completamente da quel ragazzo inaffidabile. Senza dire una parola lanciò il pesante zaino contro Constantin, il colpo lo riportò con i piedi per terra.

“Avete molto da farvi perdonare voi due. Iniziate a correre.”

 Nonostante il suo abbigliamento non fosse il più adatto alla corsa il ragazzo si mise in marcia senza dire una parola. Fu solo una volta arrivati sulle colline che Kurt diede lo stop ai due ragazzi ormai senza fiato. Non diede loro un momento di riposo, sfoderata la spada li sfidò entrambi a farsi sotto.

 L’allenamento andò avanti fino a che il sole ormai alto sulle loro teste non indicò che doveva essere prossima l'ora del pranzo. A quel punto i due si gettarono a terra e scolarono per intero ciò che rimaneva nelle borracce. Kurt mosso infine a compassione si sedette accanto a loro accordando un poco di riposo ai due giovani che subito presero a chiacchierare con tono leggero. La stanchezza era esattamente ciò di cui avevano bisogno. Come sarebbero state più semplici le loro vite se tutto si fosse ridotto solo a quello? Avrebbero potuto essere più felici i due ragazzi se fossero stati davvero solo due cadetti?

“Kurt e tu che farai? Quest’anno prenderai parte ai festeggiamenti per il nostro compleanno?” La voce di Constantin lo riportò alla realtà e quella realtà era davvero seccante. Il Principe aveva richiesto la sua presenza al ballo in onore dei due ragazzi che quell’anno compivano 22 anni. Avrebbe di gran lunga preferito montare di guardia al porto piuttosto che prendere parte alla festa, invece come accadeva ormai sempre più spesso avrebbe dovuto indossare l’alta uniforme e trascorrere una noiosissima serata tra dame e signori che lo guardavano dall’alto in basso come fosse stato un animale domestico. 

“Sono stato invitato da tuo padre, non potrei mancare neanche volendo.”

“Già. Sai bene che se fosse per noi trascorreremmo la nottata a festeggiare in taverna.” Constantin gli rivolse uno sguardo di profonda simpatia, che confermava fin troppo a fondo le sue parole.

 La ragazza era rimasta stranamente silenziosa, lo sguardo adombrato sollevato come uno scudo.

“Le vostre eccellenze invece dovrebbero fare molta attenzione quando trascorrono la nottata in taverna. Non avete un posto più adatto dove andare ad ubriacarvi? Un posto con della compagnia migliore? Un posto in cui non rischiate di rovinare la serata del vostro vecchio maestro d’armi?”

“Sei sempre il solito brontolone, è andato tutto bene, no?” Era di nuovo Constantin a parlare con tono gioviale in grande contrasto con il volto sempre più cupo della ragazza.

“Bene visto che sei pieno di energia raccogli tutto l’equipaggiamento e prepariamoci a rimetterci in marcia." Il ragazzo obbedì con solerzia, per una volta, mentre la ragazza reagiva al comando con meno prontezza del solito. “Green Blood, che succede? Perché questo sguardo torvo? Ha ragione Constantin alla fine è andato tutto bene.”

 La ragazza lo guardò, per un momento era sembrata sul punto di dire qualcosa ma poi aveva taciuto per riaprire la bocca solo dopo qualche istante per dire semplicemente: “Non avevo considerato che la festa era in programma per domani.”

 L’affermazione della ragazza era rimasta sospesa, come foriera di brutti pensieri a cui Kurt non aveva saputo dare una forma. Almeno finché non furono tornati a palazzo. Il primo ad accoglierli fu De Courcillon e fu proprio quella vecchia capra a dare un senso all’improvviso malumore della ragazza.

“Lady De Sardet, benedetta ragazza, cosa avete combinato? A vostra madre verrà un mancamento a vedervi ridotta così. E il giorno prima del ballo!”

 Il vecchio maestro sembrava fuori di sé, senza abbandonare il suo tono affettato, continuava a rimproverare la condotta sconsiderata della ragazza. Ed effettivamente questa volta sarebbe stato difficile nasconderla all’intera corte. “Molte giovani donne festeggiano il proprio ventiduesimo compleanno annunciando con un fidanzamento delle nozze imminenti, come credete di poter ricevere una proposta se vi presentate in società con questo aspetto?”

 Kurt soffocò una risata all’idea di Élodie alle prese con una proposta di matrimonio. Non perché non fosse quello che poteva essere considerato un buon partito, tutt’altro, ma non poteva immaginare quella ragazza così libera e caparbia piegare la testa davanti ad un vanesio damerino di corte. Il pensiero lo mosse di nuovo a pietà nei confronti delle vite di quei due giovani e quindi decise di mettere un freno alla ramanzina del vecchio maestro.

“Messier De Courcillon, perdonatemi, il nostro addestramento non è ancora terminato, l’equipaggiamento è ancora da pulire e sistemare, se non vi spiace potrete proseguire più tardi con i vostri rimproveri.”

“Vi chiedo scusa capitano. Certo. Ma temo che dovrete fare a meno di Constantin, sua eccellenza il principe ha chiesto di vederlo non appena fosse tornato dall’addestramento.”

 I due giovani si scambiarono uno sguardo allarmato, ma non c’era altro che potessero fare in quella circostanza e il ragazzo si allontanò rassegnato a seguire il maestro a testa bassa.

“Vedrai che Constantin se la caverà, nessuno si è accorto della sua scappatella. Tu d’altro canto sarai in un mare di guai.” La ragazza lasciò andare un sospiro profondo prima di rispondere: “Lo so. Questa volta non la passerò liscia. Il principe ha invitato nobili e funzionari da tutti i territori della Congregazione e addirittura da quelli di Theleme e dell’Alleanza.”

“Beh, almeno per questa volta non correrai il rischio di ricevere una proposta di matrimonio da un qualche vescovo o cardinale.” Il pensiero risuonava talmente ridicolo da non poter trattenere il riso e fortunatamente anche la ragazza ne fu contagiata lasciando che un timido sorriso le increspasse le labbra.

“Potrebbe effettivamente essere una strategia vincente, l’alternativa è imbarcarmi con i Nauti.” 

“Non mi sembra una grande idea, i lividi spariranno tra qualche giorno, i tatuaggi una volta fatti non c’è modo di mandarli via.”

 Continuarono a sistemare nella rimessa spade, bastoni, pesi e borracce. Lucidarono tutto con attenzione e lavorando lentamente ma arrivò il momento per la ragazza di dover affrontare le conseguenze delle sue azioni della notte prima.

“Allora Green Blood vuoi peggiorare le cose arrivando in ritardo a tavola?” 

La ragazza trasse un altro sospiro e disse: “Posso rimanere con te?”

Kurt accolse le parole della ragazza con un sorriso divertito: “La tua lealtà vale così poco? Hai deciso di abbandonare i nauti per le guardie del conio nel giro di mezz’ora?” 

“Ho detto di voler rimanere con te, non ho parlato delle guardie, ma ora che mi ci fai pensare potrebbe essere un’ottima alternativa.”

 “Eccellenza permettetemi di dirvi che non sapete di che parlate. E ora vai. Sai dove trovarmi se ti dovesse servire una scorta verso il porto.”

 Kurt vide il viso della ragazza illuminato da un sorriso insolito, mentre lei salutava e si allontanava a testa alta verso il disastro.

 

 Fu un pomeriggio chiassoso e movimentato, tutti, dalle cucine alle stalle, parlavano dell’ira del principe nei confronti della nipote. Sentì alcuni sussurri rincorrersi e stando alle chiacchiere davvero la ragazza avrebbe dovuto ricevere un’importante proposta il giorno del suo compleanno e apparentemente l’occhio nero, il labbro spaccato e il profilo tumefatto non erano una dote soddisfacente per il pretendente.

 Nessuno parlava della scappatella di Constantin invece, almeno questo sarebbe stato di conforto per la ragazza. Kurt non poteva immaginare quali provvedimenti avrebbero preso davvero contro la ragazza. Il principe era un uomo severo e persino crudele, se davvero i suoi piani erano stati così malamente rovinati sarebbe stato capace di qualunque cosa.

 Per il resto della giornata comunque nessuno dei due ragazzi fu visto gironzolare nel palazzo e Kurt fu lasciato da solo con i propri dubbi.

 Era ormai notte quando, attraversando il grande cortile per ritirarsi nella sua stanzetta, una luce fioca proveniente dalla sala d’addestramento attirò la sua attenzione. Socchiuse appena la porta e vide la giovane De Sardet tirare fendenti contro un manichino. L’aria concentrata non poteva nascondere una profonda stanchezza. Sentì una stretta allo stomaco che non seppe spiegarsi ma che lo convinse ad entrare.

“Green Blood, che fai qui? Non è un po’ tardi per tirare di spada?”

 La ragazza si fermò senza voltarsi e Kurt vide le spalle cadere come sotto un peso insostenibile. 

  “Non riuscivo a dormire, ho pensato che stancandomi un po’ poi sarebbe andata meglio.” 

 Kurt si sedette su una panca e osservò attentamente la sua allieva. Sapeva anche senza chiederlo che non aveva detto una parola per alleviare la sua colpa agli occhi di sua madre o del principe. Era certo che la ragazza non solo non avesse parlato del coinvolgimento di Constantin nella rissa, ma avrebbe potuto scommettere che non aveva detto una parola neanche sulla sua presenza.  La sua cieca lealtà la rendeva una piccola gemma gettata nel lordume di quella città, di quel pretenzioso palazzo, nessun altro avrebbe fatto lo stesso al suo posto. Forse neanche Constantin.

  “È andata così male?” Prese una spada e iniziò a saggiarne il filo e il bilanciamento. Gesti consueti, per dare spazio alla ragazza, per permetterle di sentirsi a proprio agio, di parlare eventualmente. Non sarebbe stata la prima volta, spesso si era rivolta a lui con confidenze che non avrebbe potuto rivolgere a nessun altro. Kurt era stato in passato un orecchio attento e fidato, avrebbe volentieri continuato ad essere considerato tale dalla ragazza. Lei si avvicinò cauta e si sedette a terra davanti a lui i gomiti appoggiati sulle gambe incrociate e gli occhi fissi sulle mani che continuavano a tormentarsi l’una con l’altra.

“Sarò mandata a Nuova Seréne.” 

 Poche parole che caddero tra loro pesanti come piombo. Kurt era senza parole, non si sarebbe aspettato una reazione del genere, neanche dal Principe.

“Come? Quando?” E poi aggiunse quasi fra sé, “Ma è assurdo!”

La ragazza sorrise quasi impercettibilmente “Il Principe non mi ha lasciato molta scelta. A quanto pare domani avrei dovuto incontrare un ricco lord, un vecchio amico di mio zio, che secondo mia madre e mio zio sarebbe stato perfetto per diventare mio marito. Mi hanno chiesto di accettare al buio la sua proposta di matrimonio. Dovrei rispondere domani mattina e domani sera fingere un malore e non presentarmi al ballo.”

Kurt guardava incredulo la ragazza. Era vero quindi, non erano solo chiacchiere. Ma rimase in silenzio dando modo alla ragazza di proseguire.

“Quando ho rifiutato tanto la proposta quanto la pantomima, il Principe ha detto che non vuole più vedere la mia faccia e che dovrò salpare con la prossima nave diretta a Nuova Seréne.” 

 Kurt non poteva che rimettere insieme tutte le informazioni e restare a guardare la ragazza, preoccupato e perplesso. Il primo pensiero fu che i suoi due giovani allievi non sarebbero sopravvissuti una lontana dall’altro. La ragazza dovette leggere nella sua espressione un’eco lontana del dolore che stava immaginando perché si sentì in dovere di rassicurarlo. La vide assumere un’espressione ben nota, quella rassicurante che spesso rivolgeva al giovane cugino e disse con un’allegria forzata: “Almeno domani non sarò costretta a prendere parte alla festa.” E poi con un sorriso più autentico e furbo aggiunse: “Ma tu sì.”

 L'indomani Kurt aveva speso l'intera giornata in caserma consapevole che i suoi pupilli non avrebbero avuto modo o necessità di rivolgersi a lui. All'imbrunire si era concesso un bagno caldo, uno dei lussi di palazzo a cui avrebbe rinunciato con difficoltà una volta lasciato l'incarico. E la fine di quello strano assegnamento sembrava ora incredibilmente vicino. Non gli sarebbe mancato il palazzo, i nobili, il Principe. Ma senza dubbio, oltre al conforto di lunghi bagni caldi, avrebbe sentito la mancanza dei suoi allievi. In quei lunghi anni erano stati sostanzialmente la sua unica compagnia. Le sue giornate spese a palazzo lo facevano sentire fuori posto e tornare in caserma era ormai di poco conforto, i giovani soldati, non abituati a condividere con lui lo stesso cameratismo che condividevano con gli altri ufficiali, lo temevano e lo tenevano a distanza. Gli ufficiali invidiavano la sua posizione e lo sbeffeggiavano accusandolo di essere diventato un gran signore.

 I due ragazzi quindi, per quanto il suo ruolo potesse concederglielo, erano la compagnia più vera di cui avesse goduto. La loro candida onestà lo aveva spiazzato e pian piano conquistato. Ora la prospettiva di vederli separati e sofferenti gli offuscava la mente.

 Cercò di lavare via i brutti pensieri con scarsi risultati e alla fine si rassegnò a infilarsi l'uniforme di gala preparandosi ad un'altra orribile serata. Cercò di aggrapparsi al pensiero che insieme all’incarico anche questo tipo di incombenze sarebbero finite presto.

 Alcune voci attrassero la sua attenzione lungo il breve percorso che avrebbe dovuto condurlo dalla sua stanza alla sala del ballo. Le voci venivano dal refettorio della servitù. Una voce in particolare lo spinse ad indagare e affacciatosi vide effettivamente Lady De Sardet seduta in compagnia di due soldati. La ragazza rideva allegra, un bicchiere di vino in mano e indosso i suoi soliti abiti da addestramento. I due soldati si scambiavano storie e battute con l'evidente intento di fare colpo sulla ragazza. Proprio davanti ai suoi occhi uno dei due soldati, evidentemente il più intraprendente, le si era avvicinato con una scialba scusa, prendendo posto accanto a lei e approfittando della manovra per posarle una mano su una gamba. Kurt sapeva bene che la ragazza preferiva la compagnia di ragazzi lontani dalla corte. Aveva passato non pochi guai tempi addietro perché scoperta in intima compagnia di uno stalliere. Il ragazzo era stato cacciato dal palazzo e da allora lei aveva rivolto le sue attenzioni esclusivamente ai soldati. Non era difficile comprendere che quella fosse per la ragazza una piccola audace ribellione, ancora più preziosa in quel particolare momento. La scena gli risultava comunque stonata ed entrò per farsi notare. I due soldati scattarono sull'attenti la ragazza invece lo guardò tranquilla continuando a sorridere. “Buonasera Kurt. Pronto per il gran ballo?” 

 La voce della ragazza rivelava che quello che stringeva tra le mani non doveva essere il suo primo bicchiere, ma quando si alzò per andargli incontro si accorse che il passo sembrava ancora fermo. Non doveva aver bevuto troppo ma era certo che l'avrebbe fatto prima della fine della serata. Anche quello sembrava comprensibile agli occhi di Kurt. La ragazza gli era davanti ora e lo guardava con curiosità, mentre i due soldati con la scusa di rassettare il tavolo avevano preso i loro piatti sporchi ed erano spariti in direzione delle cucine. 

 “Tu hai già iniziato a festeggiare, a quanto pare.” 

  “Beh, è il mio compleanno che altro dovrei fare?” gli occhi s’incupirono per un momento ma la ragazza era evidentemente intenzionata a tenere lontani i pensieri foschi e quasi scuotendo la testa recuperò l'espressione scanzonata. “Fatti vedere! Un vero damerino, farai strage di cuori questa sera.”

 Kurt sbuffò fuori una cosa a metà tra una risata e un lamento. ”Prenditi pure gioco del tuo vecchio maestro d'armi, ma ricordati che ho una memoria di ferro.” poi con un tono più conciliante aggiunse “Tu che cosa farai questa sera?”

 “Festeggerò, ovviamente. E se smettessi di spaventare i miei compagni potrei non festeggiare da sola.”

 “Green Blood fai attenzione però a come scegli le compagnie.”

  “Vuoi rimanere a farmi la guardia?” Lo sguardo provocatorio tradiva qualcosa in più della solita sfida, ma Kurt lasciò scivolare via il pensiero. 

 “Lo farei volentieri. Qualunque cosa pur di non dover rimanere tutta la sera solo in quella sala.”

 “Solo?! Non c'è una sola dama a corte che non sarebbe ben più che felice di farti compagnia.”

Kurt eluse la considerazione allusiva: “Green Blood ti rendi conto di aver già bevuto molto, non è vero?”

 “Non ho bevuto ancora neanche lontanamente abbastanza.” La voce della ragazza si era fatta improvvisamente seria, gli occhi scurissimi sembravano voler trascinare nelle loro profondità qualunque cosa su cui si posassero, e in quel momento erano posati su di lui. Kurt come ogni volta si sentì spiazzato da un'intensità tanto innaturale. La ragazza distolse lo sguardo e aggiunse tornando a sedersi “Farai tardi, devi andare. E io devo tornare ai festeggiamenti.”

 “Buon compleanno Green Blood.” Disse Kurt quasi in un sussurro e uscì prendendo nota del fatto che avrebbe dovuto fare un salto più tardi e controllare che tutto fosse in ordine. 

 L'atmosfera nella grande sala era tesa. Constantin irritato e di umore turbolento sembrava pronto a fare qualcosa di assolutamente sconsiderato. Il Principe sedeva all'estremità della stanza con un'espressione più torva del solito, Lady De Sardet madre, sedeva accanto a suo fratello con aria afflitta. Aveva gli occhi gonfi di pianto e stringeva ancora in mano un fazzoletto ricamato. Kurt la trovava una donnina leziosa e manipolatrice, la figlia con il suo orgoglio naturale, la caparbietà e la sagacia che le erano proprie, niente aveva preso di sua madre. Così come il sensibile passionale Constantin non aveva nulla in comune con il suo spietato padre. 

 Si avvicinò al giovane per porgergli i suoi auguri e il volto del ragazzo si illuminò di un sorriso sincero. Kurt doveva essere il solo volto amico in quella sala. Ma il suo posto quella sera non sarebbe stato al fianco del ragazzo. Quindi prese da bere e si defilò aspettando con ansia che si facesse abbastanza tardi per potersi ritirare senza risultare offensivo. 

 Trascorsero ore che a Kurt parvero secoli. Si guardava intorno annoiato cogliendo sguardi e sorrisi dietro ventagli socchiusi, si chiese se ci fosse qualcosa di vero nelle parole della ragazza. Davvero quelle dame rivolgevano a lui la sua attenzione? L'idea gli fece torcere lo stomaco. Gli sguardi di quelle donne non lo inorgoglivano, lo facevano al contrario sentire fin troppo cosciente della sua posizione. Osavano quegli sguardi su di lui perché, ai loro occhi, non era che una specie di bestia esotica, la cosa più distante non solo dagli uomini di corte ma anche dalle tante norme che regnavano lì dentro. Lui era l'estraneo, il selvaggio che prometteva fuoco e passione per una notte, senza regole, senza freni e soprattutto senza conseguenze. Lui era il servo da scacciare alle prime luci dell'alba per ricordargli quale fosse il suo posto. Era certo che la giovane non avrebbe potuto immaginare una verità tanto sudicia, solo per questo aveva osato mettere in luce la situazione. Lei, tanto ingenua e fiduciosa da aver avuto in passato una giovanile infatuazione per lui, non poteva guardarlo con gli stessi maliziosi occhi di quelle dame. Lui per la ragazza era stato non solo un giovane maestro, ma la cosa più vicina ad un uomo che fosse entrato nella sua vita con costanza. Se, anzi, un’infantile infatuazione c’era stata, l’aveva sicuramente portata a vedere in lui più di quanto non ci fosse in realtà, e sospettava che la ragazza continuasse a riconoscergli meriti che senz’altro non aveva. Seguendo quei pensieri, senza dubbio meno fastidiosi, Kurt si trovò a riflettere sul tenero affetto che i due nutrivano per lui dovuto, senza dubbio, alla scarsa abitudine che avevano i due ragazzi ad essere considerati decentemente. Kurt era un maestro severo ma non aveva mai mancato di trattarli con dignità e rispetto, affetto addirittura. Questo era stato più di quanto avessero mai ricevuto, tanto dagli adulti quanto tra pari, e gli animi gentili dei due allievi non potevano quindi che ricambiare con generosità le sue piccole attenzioni. Per placare la loro fame di affetto in fondo non avevano avuto che l’un l’altra fin dalla prima infanzia. Kurt sapeva però, con una certezza dolorosa, che la ragazza aveva dovuto domare il proprio cuore con l’avanzare dell’età. Il calore, l’affetto e la vicinanza si erano lentamente trasformati in qualcos’altro e aveva visto la ragazza lottare per tenere a freno quel sentimento tanto delicato quanto fuori luogo. Aveva assistito al lento cambiamento nel contegno della ragazza e aveva sentito il cuore dolere per lei, mentre quel sentimento in boccio veniva forzatamente trasformato in un servizio cieco e leale. Anche in questo i due ragazzi erano destinati ad essere specchio l’uno dell’altra, nell’identica necessità di tenere sentimenti puri e naturali nascosti in profondità, lontani dagli occhi di tutti. Anche Constantin aveva infatti dovuto tenere a bada il proprio cuore. Nel suo destino non potevano che esserci una sposa e un erede, qualunque altra realtà sarebbe stata inaccettabile per il Principe. Qualunque altra realtà sarebbe stata punita crudelmente. Ma se nel ragazzo il desiderio di ribellione portava sempre più spesso a lasciare emergere le passioni proibite, la ragazza aveva invece imparato a mistificare i moti del cuore. 

 Preso da questi pensieri Kurt continuava a ispezionare la stanza, un po' per noia, un po' per abitudine, e si accorse che uno dei posti di guardia era rimasto sguarnito dopo l'ultimo avvicendamento. Uno dei soldati stava saltando il proprio turno di guardia o forse qualcosa lo stava trattenendo. Un cupo presentimento gli pungolò i pensieri: sarebbe stato facile lanciare un attacco in quel momento. Tutti erano distratti dalla festa, anche gli stessi soldati. Sarebbe stata un’occasione perfetta per scatenare il caos nell’intero continente, nella sala vi erano riuniti ospiti importanti e personaggi di diverse nazioni. Iniziò a fare domande ma nessuno sembrava avere notizie del soldato assente. Quella era una scusa più che buona per allontanarsi immediatamente dalla festa. 

 Il buio improvviso che lo accolse appena fuori dalla sala lo rese cieco per un attimo, ma l'aria fresca della notte gli riempì i polmoni e schiarì i suoi pensieri. Scese le scale con passi rapidi e attraversò la corte interna in direzione della porta ovest, quella che dava più direttamente verso la caserma. Dal buio fitto di uno dei porticati arrivarono alle sue orecchie dei rumori sommessi che lo allarmarono. Rumori di una lotta silenziosa, Kurt maledì la sua arma di rappresentanza. Se fossero stati davvero sotto attacco avrebbe voluto poter combattere con il suo fidato spadone, non certo con quel giocattolo elegante che aveva appeso alla cintura. Si avvicinò cauto attendendo che gli occhi si abituassero all'oscurità più intensa. Riuscì a distinguere la casacca blu-argento di un soldato e non impiegò molto per capire che la lotta che lo tratteneva era tutt'altro che mortale. Un intreccio di gambe e braccia era accompagnato da un coro di gemiti soffocati. La preoccupazione mutò d'improvviso in una rabbia cieca.  “Soldato!” tuonò imperioso senza avvicinarsi. “Immagino che il tuo turno di guardia sia iniziato da molto ormai.” Il soldato si era voltato e lo fissava ora con sguardo impietrito, sull'attenti e con l'uniforme disfatta. Sarebbe stata una scena piuttosto ridicola se quel soldato non avesse così incautamente mancato al proprio dovere rischiando di mettere tutti in pericolo. 

 “Fai rapporto immediatamente al tuo tenente. E per l'amor del cielo ricomponiti! Sei una vergogna per il nostro reggimento.”

 Il soldato si allontanò in fretta e Kurt era intenzionato a fare lo stesso, lasciando al partner del soldato, che rimaneva ancora nascosto nell’ombra, il giusto anonimato. Ma la figura si fece avanti sotto la luce prima che Kurt avesse modo di allontanarsi e ciò che vide lo lasciò di stucco. La giovane De Sardet si stagliava nel buio: i capelli in disordine, il volto in fiamme e la blusa interamente sbottonata, il bianco della stoffa in contrasto con la pelle color del bronzo di lei dava risalto a curve che non avrebbe mai immaginato o desiderato immaginare. Di lei avrebbe potuto ridere, lei non aveva mancato al proprio dovere, ma qualcosa bloccava il suo riso. Non l'aveva mai vista così. Un pensiero ancora più sottile rincorse il primo: non l'aveva mai vista. La sensualità vibrante della giovane donna davanti a lui lo faceva sentire a disagio. Distolse immediatamente lo sguardo. 

“Continui a scacciare la mia compagnia, Kurt. Inizio a pensare che ci sia qualcosa di personale.” La voce era stranamente intensa ma il suo passo instabile attestava senza alcun dubbio che la ragazza era completamente ubriaca. Una rabbia ancora più forte si accese nei confronti del ragazzo appena sfuggito alle sue grinfie. Lo smarrimento di poco prima immediatamente sostituito dal senso del dovere. 

  “Green Blood, è ora che tu faccia ritorno nelle tue stanze.”

  “Non ci penso proprio, è la mia festa. Lasciami festeggiare.”

 Cercò di passare oltre l’uomo, probabilmente diretta verso il refettorio dove dovevano essere rimaste le sue scorte di alcol, ma nei pochi passi che li dividevano la ragazza inciampò nei propri piedi due volte rischiando di finire a terra. Kurt le si fece vicino e sorreggendola la accompagnò all'interno, cercando in ogni modo di fissare lo sguardo altrove rispetto al corpo semisvestito della ragazza. La fece sedere e nonostante l'innegabile evidenza non poté che pensare a lei come alla ragazzina che le era stata affidata molti anni prima, si sentì orribile per il turbamento provato. Si allontanò in direzione delle cucine per recuperare dell'acqua, riempì un bicchiere e lo portò alla ragazza che rimaneva ferma e osservava attentamente ogni suo movimento. La guardò ancora per un istante e poi si decise a piegare un ginocchio davanti a lei per cercare di rimettere in ordine la situazione, proprio come aveva fatto poche notti prima. Ma nel pulire le ferite sul suo viso ogni gesto era sembrato naturale, semplice e giusto. Ora invece, mentre cercava di abbottonare la camicia disfatta della ragazza, uno strano tremore aveva afferrato le sue dita. Sentiva lo sguardo della ragazza fisso su di lui e deliberatamente decise di non alzare il suo ad incontrare gli occhi stranamente seri di lei. 

 “Mi sembrava di aver capito che un vero uomo dovrebbe essere abile nel togliere i vestiti di dosso alle donne, non il contrario.”

 “Mi dispiace sapere che, evidentemente, non hai ancora mai avuto a che fare con un vero uomo.” Persistendo nell'evitare il suo sguardo aggiunse: “Finisci di bere l'acqua. E poi ti riporto in camera tua. Non accetto discussioni.”

 Con una tristezza non mitigata da alcun controllo razionale la ragazza disse semplicemente: “Avrebbe dovuto essere una serata memorabile, da ricordare e raccontare.”

 Quell’espressione triste toccò una nuova corda dentro di lui e questo fece tornare il disagio, poteva essere un vero idiota quando era in imbarazzo, fortunatamente non gli capitava spesso e comunque sapeva sempre come uscirne. “Forza Green Blood, in piedi. Non c’è niente di cui lamentarsi potrai sempre ricordare e raccontare di essere stata portata a letto da un vero uomo.”

 Incontrò finalmente lo sguardo della ragazza e sorrise spavaldo, frantumando il proprio imbarazzo con un’ironia irrispettosa. L’effetto sulla ragazza fu esattamente quello sperato. Il viso della ragazza si era imporporato e lei era rimasta evidentemente spiazzata dal suo commento ma si alzò immediatamente preparandosi a seguirlo obbediente, senza guardarlo negli occhi.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Survived tonight, I may be going down,
‘Cause everything goes round too,
 tight, tonight, and as you watch me crawl, 
you stand for more.
And your panic-stricken blood 
will thicken up, tonight
‘Cause I don't want you to forgive me
Skunk Anansie

 

 Nausea ed emicrania furono le prime sensazioni a colpirla appena riprese coscienza. Il sole filtrava tra le tende rimaste aperte e cercare di aprire gli occhi sembrava un'impresa soverchiante. Si accorse di essere sdraiata su un letto ancora quasi perfettamente rifatto e di essere completamente vestita, stivali compresi. Un flash della notte precedente le tornò alla mente provocando una fitta più forte delle altre. Kurt era stato nella sua stanza. L’ aveva accompagnata lì, l’aveva fatta stendere sul letto, poi il buio. Ma ricordava anche una bocca famelica e delle mani curiose. Un attimo di smarrimento, un brivido lunghissimo partì dal collo per scendere fino alla base della schiena, vertebra dopo vertebra con una lentezza frustrante. Ricordava una giubba blu e argento, non osava portare avanti il pensiero ma si sforzò di ricordare. Era Kurt che aveva immaginato dentro quell’uniforme, ma non era stato lui a bloccarla contro un muro baciandola insaziabile. Non era stato lui ad aprire con una mossa rapida e agile la sua camicia esponendo la sua pelle all'aria fredda della notte, moltiplicandone così i brividi. Ricordava però gli occhi chiarissimi dell’uomo guardarla con un’espressione che non riconosceva. Vedeva le sue mani grandi e tremanti impegnate con i bottoni della sua camicia, che era ora perfettamente abbottonata. All’immagine aprì gli occhi e si tirò su all’improvviso. Il suo cuore mancò un battito, l’aria sembrava non voler scendere verso i polmoni e il dolore alla testa sembrava volerla uccidere.

 Le sue idee erano un magma informe immagini e sensazioni si sovrapponevano. Da quanto tempo non beveva così tanto? Un tocco leggero alla porta la riportò alla realtà, non poteva che essere Constantin a bussare a quell’ora. Il fatto che fosse già in piedi dopo un ballo poteva significare solo guai. Avrebbe avuto bisogno di tutta la sua forza di volontà per riuscire a mantenere il proprio contegno e non turbare il ragazzo. Trasse un sospiro profondo e si alzò malferma sulle gambe. Arrivata alla porta però si accorse che non era stata chiusa a chiave, contrariamente a quanto lei era solita fare. Non doveva essere stato un sogno quindi, Kurt era stato lì la notte precedente. Ogni pensiero razionale completamente messo a tacere da quell’idea. Cercò di trarre un nuovo lungo sospiro che però sembrava non riuscire ad arrivare ai polmoni. Un nuovo colpo alla porta. 

 Élodie aprì e Constantin in un istante la sovrastò con il suo entusiasmo “Mia amata cugina!” Si precipitò all’interno con il consueto fare esuberante che così poco si accordava con i postumi di una bevuta. Si andò a sedere sul letto aspettando di essere raggiunto per riprendere a chiacchierare, cosa che Élodie fece con poco entusiasmo, ma assolutamente incapace di deludere il cugino. Il ragazzo le prese le mani e iniziò a raccontare del ballo, un’orribile serata era stata secondo lui. Raccontava degli ospiti, della musica, del cibo, dell’irritazione del Principe che aveva trovato facile sfogo contro di lui. Si sentì immediatamente in colpa per non essere stata con lui, ma neanche il senso di colpa riusciva a fermare i suoi pensieri. 

 “Mia dolce cugina, hai una cera orribile. E io sono il solito egoista. Continuo a parlare senza chiederti nulla. Come stai? Come hai trascorso la serata?” Il ragazzo le posò una mano gentile sul viso e subito le idee di Élodie si cristallizzarono. La confusione prese strade diverse più rischiose quindi si decise a parlare. “Vorrei saperlo anche io! Ho solo ricordi confusi e la metà di questi sono decisamente inappropriati. Sappi solo che potrei davvero essere costretta a salpare con i nauti.”

 Constantin la guardò divertito e curioso si mise comodo per ascoltare la sua storia. Senza più la pelle morbida del ragazzo a sfiorarle il viso poteva tornare a concentrarsi sui ricordi della notte precedente e cercò di trovare le parole adatte per raccontare. 

 “Mia dolce cugina, c’è solo un uomo capace di confonderti così tanto, ma sono certo che abbia trascorso gran parte della serata nella mia stessa noiosissima sala. Quindi?”

 “Ne sono certa anche io. Ma sono anche certa di aver avuto un incontro piuttosto interessante con qualcuno che indossava una giubba blu–argento. Di un certo capitano ricordo gli occhi e le mani, e sono quasi certa che sia stato qui dentro. Solo che non riesco a trovare una spiegazione coerente per le immagini che mi si affollano confuse nella testa.”

 Constantin tacque e la guardò. Poi dopo un momento un sorriso malizioso gli sorse alle labbra. “Credo di poter svelare il tuo mistero, cara cugina. Ciò che so di sicuro è che un certo soldato questa notte ha mancato al suo dovere e spero che abbia fatto ammenda in qualche modo. Altro elemento certo è che tutta la corte ha visto Kurt precipitarsi fuori dalla sala della festa come una furia e poco dopo il povero Malkom è rientrato con il viso paonazzo e l’uniforme in subbuglio. Ora mi sembra di poter collegare le due cose. Mi spiace dirti che il tuo uomo in uniforme non è quello che immaginavi, ma sono felice che tu non debba prendere il largo su una nave.”

 Certo, Malkolm, ora tutto aveva senso. Da qualche tempo i due flirtavano spudoratamente, avevano bevuto insieme più di qualche volta e senza dubbio quella sera avevano chiacchierato a lungo tra un brindisi e l’altro. Lasciò andare un lungo sospiro e Constantin continuò: “Beh, in ogni caso ti varrà una bella ramanzina dal vecchio brontolone, quindi spero che ne sia valsa la pena.”

 Élodie sorrise sollevata “Mi piacerebbe saperlo, ma non ricordo nulla. Se Malkolm fosse d’accordo non mi dispiacerebbe che mi rinfrescasse la memoria appena saremo di nuovo liberi di allontanarci dal palazzo.”

 “Temo che ci vorrà ancora qualche tempo mia dolce cugina, nel frattempo dovrai accontentarti della mia compagnia. Ti sarà sufficiente?”

 Gli occhi dolci di Constantin cercavano davvero conferma del suo affetto. Come sempre temeva che lei potesse all’improvviso smettere di volergli bene, disprezzarlo addirittura, ma Élodie sapeva bene che quel giorno non sarebbe mai arrivato. Prese una delle mani delicate che avevano ripreso a stringere le sue e se la portò alla bocca posandovi sopra un bacio leggero. “Non desidero nient’altro.” Disse sorridendo, e sapeva che in fondo quella era la pura e semplice verità.

  ––––

 Aveva bisogno di quella serata in taverna. Aveva dovuto comportarsi bene e tenere un basso profilo per molti giorni, ma finalmente, insieme al suo viso anche la situazione era pian piano tornata alla normalità. Sarebbe rimasta qualche inevitabile cicatrice ma poteva occuparsene più avanti per ora avrebbe goduto della sua ritrovata seppur effimera libertà.

 Constantin, seppure apparentemente dimentico del fatto che presto o tardi si sarebbero dovuti separare, aveva fatto di tutto in quell'ultimo periodo per starle accanto e viziarla anche un po', e per quella sera le aveva promesso una serata tranquilla interamente dedicata a loro due, sarebbe stato il loro modo per festeggiare finalmente il loro compleanno. La ragazza aveva accolto quelle attenzioni con gioia e quella notte le erano particolarmente gradite.

 Un pensiero nascosto la rendeva particolarmente emozionata per quella serata, sapeva che avrebbero trovato anche Kurt, era la sua serata di licenza e senza dubbio l’avrebbe trascorsa in taverna. Negli ultimi tempi aveva iniziato a comportarsi in modo diverso con lei, rispondeva ai suoi scherzi e ai suoi goffi tentativi di flirt non più con condiscendenza ma con goliardia. Aveva finalmente smesso di trattarla da bambina. Non poteva dire che la trattasse da donna, piuttosto da commilitone, ma questo ai suoi occhi era un evidente passo avanti. Era una sua pari, avrebbe potuto essere considerata con il tempo come un’amica e con questo avrebbe potuto convivere.

 Lei e Constantine entrarono in taverna sentendosene i padroni. Una gioia semplice li aveva afferrati quella sera, la gioia di essere insieme, di essere liberi di poter essere solo loro stessi. Si sedettero a un tavolo e presto alcuni giovani soldati si unirono a loro. Tra questi vi era anche Malkolm di cui credeva di ricordare, oltre alle chiacchiere leggere, anche il sapore e il calore. Certa era la sua presenza accanto a lei in quel momento. Le si sedette immediatamente accanto, tanto vicino da lasciare i loro corpi ricordarsi reciprocamente. Chiacchierava distrattamente con gli altri soldati, senza rivolgerle una parola o uno sguardo ma le rimaneva assurdamente vicino e di tanto in tanto la sua mano lasciava andare, sotto il tavolo, una carezza piena di aspettativa. Élodie non disdegnava quella vicinanza, ma per quanto cercasse di impedirselo i suoi occhi continuavano a perlustrare la taverna in cerca di un volto familiare. Con una buona dose di ottimismo, sperava che il maestro d’armi si sarebbe unito a loro quella sera, e il pensiero riusciva facilmente a distrarla dalla presenza del soldato accanto a lei. Cercò di concentrarsi su di lui. Era senza dubbio piacevole alla vista: piuttosto alto, i lineamenti del viso marcati e un’espressione spavalda. Gli occhi scuri davano al viso un’aria esotica, più interessante degli altri soldati. Erano stati quegli occhi e la sua aria sbruffona ad attirare la sua attenzione. Ma non poteva ingannarsi, anche provando con tutte le forze, il ragazzo altro non era che l’ombra di ciò che il suo cuore e il suo corpo bramavano senza riposo. E quando l’oggetto dei suoi desideri fece la sua comparsa in taverna, Élodie sentì lo stomaco torcersi e la testa girare. Si appoggiò un po’ di più al ragazzo accanto a lei, dando chiaramente un’impressione del tutto sbagliata, tanto che il ragazzo si sentì autorizzato a farle passare un braccio attorno alla vita e tenerla stretta contro il suo corpo. Ma la vicinanza del ragazzo non era mai stata così poco gradita.

 Kurt aveva fatto il suo ingresso in taverna in dolce compagnia. Vestiva una camicia leggera e decisamente raffinata rispetto agli abiti che indossava di solito, aveva per una volta tolto l’uniforme, quindi quello non poteva che essere un appuntamento galante. Sentì gli occhi di Constantin studiarla con preoccupazione. Non avrebbe lasciato che le sue sciocche fantasie rovinassero quella serata. Prese il boccale e propose l’ennesimo brindisi, il ragazzo accanto a lei approfittò per far scendere verso il basso la propria mano, lasciandola riposare in modo molto poco conveniente alla base della sua schiena. Il capitano e la sua compagna si sedettero proprio di fronte a loro, i due si accomodarono senza che lui rivolgesse al tavolo un solo sguardo. Gli occhi costantemente incollati sul viso della donna. Lei, al contrario dell’uomo, vestiva l’uniforme della guardia, aveva uno sguardo deciso e un’espressione risoluta. Era una donna molto bella, di innegabile carisma, un incarnato candido e perfetto nonostante l’età e le cicatrici, corti capelli castani e occhi chiari. Guardandola bene si capiva che doveva avere almeno sei o sette anni più dell’uomo che l’accompagnava. Quella donna era esattamente ciò che lei non sarebbe mai potuto essere. Era anzi il suo opposto in modo quasi speculare. Quello era chiaramente il tipo di donna da cui Kurt era attratto. Lo vide sedersi al suo fianco, ma  non come Malcolm aveva fatto con lei. Kurt aveva lasciato la donna sedere a capotavola e lui aveva occupato il lato estremo del tavolo proprio accanto a lei. Poteva guardarla negli occhi, raggiungere facilmente la sua mano, dedicarle completamente tutta la sua attenzione, poteva immaginare le loro gambe sfiorarsi appena sotto il tavolo. Lo vide sorridere per lei e dedicarle sguardi che erano in grado di incendiare il sangue di Élodie sebbene fossero diretti a un’altra. 

 La ragazza lasciò da parte la birra e ordinò del rum. Riportò la sua attenzione sulle chiacchiere leggere dei soldati facendo domande che avevano il solo scopo di far proseguire la confusione. Malkolm si assicurò con grande attenzione che il suo bicchiere non fosse mai vuoto. L’attenzione di Constantin era invece stata catturata da una giovane recluta, un ragazzo che a prima vista sembrava capitato dentro quell’uniforme per caso. Élodie non avrebbe scommesso sulla sopravvivenza di quel giovane grazioso neanche per un istante. Ma era esattamente il tipo di ragazzo capace di incendiare le fantasie di suo cugino. Un giovane minuto dai lineamenti delicati e dall’aria gentile. Un ragazzo capace di mettere Constantin a proprio agio, di farlo sentire al sicuro. Gli uomini della sua vita erano chiaramente ambedue attratti da ciò che di più lontano da lei potesse esistere. Quando Constantin e il suo amico si allontanarono dal tavolo cercando un po’ di intimità, Élodie, ignorando il senso di vaga preoccupazione che cercava di raggiungere la sua mente ancora fin troppo sobria, propose una sfida ai soldati. Riempì un gran numero di bicchieri con la bottiglia di rum che era tornata piena, forse per la terza volta, al loro tavolo. Poi indicando il bersaglio appeso in un angolo del locale lanciò ai soldati una sfida silenziosa. Malkolm fu il primo a farsi avanti. Bevve un bicchiere e lanciò la prima freccia che si andò a piantare quasi al centro del bersaglio. Élodie lo guardò sorpresa, il ragazzo doveva avere un perfetto controllo di sé o doveva aver bevuto davvero poco, lei stessa fece un ottimo tiro ma nessuno riuscì a fare meglio di lui. Il soldato con il risultato peggiore bevve ancora e diede il via al secondo turno. Giocavano da un po’ quando la ragazza realizzò che Kurt e la sua compagna non erano da nessuna parte nella stanza. Una tristezza profonda la afferrò. Era rimasta sola, ancora una volta. Sola come sempre. In quel momento delle mani grosse e prepotenti si strinsero attorno alla sua vita e la trascinarono indietro, lentamente, fino a farla scontrare contro un corpo stabile e teso. Una voce a sussurrare al suo orecchio: “Ricordo che qualche notte fa abbiamo avuto un’interessante conversazione prima di essere bruscamente interrotti. Credo sia giunto il momento di riprendere il discorso, non trovi?” Una tristezza ancora più profonda accompagnò quelle parole. La voce, il linguaggio, il corpo che aderiva alla sua schiena, tutto era sbagliato. Ma era chiaramente tutto ciò a cui poteva aspirare. Non voleva rimanere sola quella notte. Aveva desideri complessi da soddisfare, dubitava che il ragazzo sarebbe davvero stato d’aiuto ma dargli una possibilità era la sua migliore occasione. Si girò dentro quell’abbraccio prepotente rivolgendo al soldato uno sguardo malizioso. “Sarebbe bene non essere disturbati questa volta.”

 Il ragazzo la afferrò per un polso e la guidò verso le scale che scendevano al piano di sotto della taverna. Quel luogo decadente le parve ironicamente adatto alla serata.

 La stanzetta sciatta in cui la condusse era fiocamente illuminata ed Élodie ne fu grata, con una luce più forte quel posto sarebbe risultato probabilmente fin troppo sudicio. Non appena si fu chiuso la porta alle spalle il soldato fu su di lei con un’irruenza travolgente. Élodie si lasciò andare alle sue mani e alla sua bocca, il sapore di rum risvegliava la memoria della notte del suo compleanno. Fece un passo indietro tornando libera dalla presenza incombente del soldato. Sembrava famelico e a lei piaceva quello sguardo sul suo volto, lui in quell’istante non desiderava altro che lei. Allora gli si fece nuovamente vicina e iniziò con cura a togliere gli strati dell’uniforme che coprivano il corpo del soldato. Lui, le mani grosse appoggiate sui fianchi, la teneva saldamente contro il proprio corpo. Una volta liberato il torso dai tanti strati Élodie iniziò a esplorare la pelle del ragazzo con le mani e la bocca. Intanto il ragazzo aveva iniziato a liberare anche lei dei suoi vestiti. Non poté impedirsi di sovrapporre alle mani del ragazzo delle mani diverse, più grandi, più forti, curiosamente tremanti. Sentì i pensieri iniziare a vagare e immaginò un profumo diverso. Una voce più roca, un petto più ampio, delle spalle più larghe e una pelle segnate da più cicatrici. Cercò di mettere a tacere quei pensieri cercando gli occhi scuri del ragazzo. Lui si portò a sedere sul letto e trascinò lei cavalcioni sopra di lui. Poteva sentire chiaramente che lui la desiderava, e mosse appena il bacino per rendere quel contatto ancor più ravvicinato. Sentì il ragazzo emettere un lamento profondo. Si alzò in piedi ignorando le sue proteste e si spogliò completamente. Lo sguardo di lui, famelico, non perdeva un solo gesto. Le afferrò la mano cercando riportarla vicina, ma fu lei a costringerlo ad alzarsi e avvicinarsi a lei.  Percepì un suo fremito quando le sue mani con il pretesto di liberarlo degli abiti superflui si fecero audacemente sotto la cintura. 

 “E’ questo che vi insegnano a corte?” La voce del ragazzo risuonò alle sue orecchie come un ringhio solo vagamente divertito. Lei senza rispondere prese ad accarezzare l’uomo con delicatezza. Solo per un istante lui chiuse gli occhi, le posò una mano sul viso. Bastò quel gesto tenero per portare alla sua mente un volto diverso, più delicato e più gentile. A quella fantasia non poteva che opporsi con tutte le forze. Gettò l’uomo sul letto e in un istante fu sopra di lui. Si abbandonò alla frenesia dell’uomo, cercando di perdere nella sua irruenza l’immagine del volto gentile che tornava a tormentarle la mente. Incapace di scacciarlo altrimenti chiuse gli occhi e si lasciò andare ad altre fantasie, fantasie che avevano riempito già altre notti, che non la facevano sentire meno in colpa ma che le rendevano sopportabile la vergogna. Il soldato si era già fatto strada dentro di lei, ma sapeva bene che quello non sarebbe durato, e lei voleva invece avere più tempo, non voleva trovarsi sola troppo presto. Scivolò su un fianco allontanandosi dal soldato che protestò con un mugugno affannato al quale rispose con voce maliziosa: “Cosa vi insegnano in caserma? Non sapete cosa sia la pazienza?” Afferrò una mano del soldato e se la portò tra le gambe, mentre la sua bocca e la sua lingua correvano a prendersi gioco, incendiandolo, del desiderio frustrato dell’uomo. “Ai vostri ordini eccellenza.” Disse il ragazzo ma la voce strozzata suonò alle orecchie di Élodie con un suono molto più familiare. Sentiva le mani dell’uomo su di lei e dentro di lei, ma non poteva impedirsi di pensare che in quel momento le mani di cui sognava erano senz’altro impegnate in un’attività simile sul corpo di un’altra. Immaginò quelle dita tremanti che avevano sfiorato appena la sua pelle, muoversi sicure sul suo corpo, immaginò gli occhi chiari accesi di desiderio e la bocca segnata schiudersi per lei. Immaginò sulla bocca che stava baciando una cicatrice invitante, immaginò di passarvi la lingua. Il ragazzo era scomparso, rimaneva l’immagine di quell’uomo distante, che solo in quel momento e in quel luogo non aveva occhi che per lei. Era il peso del suo corpo quello che ora la sormontava. Era la sua bocca a morderle la pelle tenera del collo, era la sua lingua a solleticarle il seno. Era solo lui nella sua testa e sotto la sua pelle. Al posto dell’irruenza del giovane soldato immaginò l’esperienza dell’uomo, la sua cura, la sua tenerezza. Il ragazzo crollò sopra di lei, quasi togliendole il respiro, le fantasie infrante contro quel corpo sudato e sgraziato. La vergogna si sciolse in un sonno senza sogni.

 Quando si risvegliò fu sollevata scoprendo che il suo compagno non era più accanto a lei. Aveva cercato nel corpo del soldato l’ombra di qualcun altro, averlo accanto ora, con la mente lucida e il primo chiarore dell’alba a definire i contorni sarebbe stato insopportabile. Sentiva su di sé la colpa di una notte sudicia. Sudici i suoi pensieri, i suoi desideri, il modo in cui si era servita di qualcuno per fingere di poter appagare le proprie brame. Non meritava niente di più del disgusto che provava per sé stessa. Raccolse i vestiti sparsi attorno, la nottata in taverna aveva insudiciato anche quelli come i suoi pensieri, alcol fumo e sudore ne impregnavano la trama. Li indossò senza troppa cura, si sarebbe preoccupata più tardi di come passare inosservata al rientro a palazzo. Chissà come faceva Constantin a rimanere sempre perfettamente pulito ed elegante. Doveva essere un dono dato dalla sua naturale raffinatezza. Risalì verso la taverna e già sulle scale le sue orecchie e la sua testa furono ferite da risate fragorose e voci impegnate in una qualche appassionante discussione. Cercò di raggiungere la porta e lasciare la confusione che ancora regnava lì dentro nonostante l’ora, ma il suo nome attrasse la sua attenzione. C’era un tavolo nell’angolo della taverna da cui provenivano gran parte dei rumori, al centro della tavolata era seduto Malkolm intento a raccontare una storia che evidentemente la riguardava da vicino, e che era in grado di suscitare l’ilarità generale. Il giovane era di spalle e non l’aveva notata, continuava a parlare di lei, della loro notte spesa assieme. Lo sentì dire: “Beh non posso dire che sotto quei vestiti raffinati ci sia una vera Lady, ma questo rende le cose più divertenti. Dovreste provare a farvi un giro anche voi, non è poi così difficile e nonostante le stranezze ne vale decisamente la pena.”

 Una rabbia incontenibile le incendiò i pensieri. La sua mano corse alla spada, ma in un soffio qualcuno era sul ragazzo prima di lei. Kurt le era passato accanto superandola con una furia mai vista. Aveva preso il ragazzo per la giubba, lo aveva letteralmente trascinato lontano dal tavolo e ora lo teneva per il bavero guardandolo con uno sguardo glaciale che non tradiva alcuna emozione. Una voce crudele e controllata disse: “L’onore è tutto ciò che una Guardia può sperare di possedere. Tu non ne hai alcuno. Faresti meglio a toglierti quell’uniforme e non farti più vedere.”

 Lo scaraventò a terra e rivolse uno sguardo algido al resto della tavolata. I soldati si allontanarono in silenzio facendo ritorno in caserma. Quando lo stesso sguardo si posò su di lei, Élodie si sentì incendiare dalla vergogna. Gli occhi immediatamente più dolci la guardarono addolorati solo per un istante, poi Kurt piegò la testa accennando un inchino  “Eccellenza è ora di tornare a palazzo.”

 Élodie varcò la porta della taverna sentendo il bisogno intenso di aria fresca. Troppe voci all’improvviso si accalcavano nella sua testa. Le offese dei soldati, un senso di vicinanza tradito, la vergogna, l’imbarazzo, il lordume. Tutto si confondeva, la testa le girava e sentiva il pianto crescere prepotente negli occhi. Piangere ora davanti a Kurt avrebbe significato confermarsi per sempre come una bambina ai suoi occhi. Quindi ricacciò indietro le lacrime e trasformò la tristezza in rabbia.

 “Avrei potuto benissimo cavarmela da sola.” Kurt la guardò senza ribattere. Era disprezzo quello che vedeva nei suoi occhi?  “Credi che abbia bisogno di te per risolvere i miei problemi con gli uomini?”

 “Green Blood, quello di certo non può essere definito uomo. E non c’è dubbio che avresti saputo cavartela. Ma per ricordare a un verme qual è il suo posto, non serve scomodare una signora. Basta un giardiniere, non trovi?”

 Élodie rimase in silenzio continuando a camminare lentamente. Considerava le implicazioni delle parole del soldato, ma non era sicura di coglierne completamente il significato. Era sempre così, dopotutto, con le sue lezioni.  Lo sguardo del soldato però si era fatto più soffice, era lo stesso sguardo che di tanto in tanto l’uomo rivolgeva a Constantin. Élodie affamata di affetto si lasciò cullare da quello sguardo e si arrese alla tenerezza “Grazie.”  Disse semplicemente aggiungendo poco dopo: “E comunque su una cosa aveva ragione, sicuramente non sono una Lady.”

 Kurt si arrestò all’improvviso parandosi davanti a lei e costringendola a fare altrettanto. La guardò ancora con un’attenzione estenuante che la spinse a parlare: “Non è il sangue che rende nobili. E io di certo manco di raffinatezza. Non sono in niente simile a mia madre, a mio zio, neanche a Constantin.”

  “Dovresti ringraziare il creatore ogni giorno per questo. Sei cresciuta in un covo di serpi e non ti sei lasciata avvelenare da loro.” Le sue parole suonarono stranamente appassionate, ma dopo un momento aggiunse con il suo consueto tono irriverente “E poi come dovrebbe essere secondo te una vera Lady?”

 “Posata, consapevole e di grande carisma. Ad esempio come la donna che era con te questa notte.”

 Dopo un momento di smarrimento, l’uomo scoppiò a ridere divertito.  “Green Blood, sei davvero incredibile. Solo tu puoi guardare una guardia del conio e riconoscervi accenni di nobiltà. Questo ti fa grande onore, ma sbagli a confondere la dignità con la nobiltà.”

 “Non ho mai conosciuto nessuno nobile quanto te, il Principe stesso non è tuo pari. Non ha niente a che vedere con il sangue o le ricchezze.” Non rimpianse quelle parole che credeva incredibilmente vere, ma non diede tempo a Kurt di ribattere. Lo avrebbe fatto in tono sarcastico e per quel giorno era stata derisa a sufficienza. Anche se sapeva che il suo maestro d’armi non intendeva ferirla non avrebbe potuto accettare che le sue parole, i suoi pensieri fossero sminuite e messe in ridicolo di nuovo. Si avviò a passi lunghi verso il palazzo lasciando indietro il capitano e continuando a sentire il suo sguardo fisso sulla schiena.

 Non poteva più illudersi, la sua vita era una gabbia di solitudine che continuava a costruire da sola per sé stessa. I suoi desideri malati l’avevano allontanata dal mondo, e ora giustamente doveva riconoscere di essere sola. Il suo cuore e la sua testa erano corrotti, capaci di provare orribili desideri nei confronti di uomini nobili come suo cugino o il suo maestro d’armi.  Insozzava anche loro con la sua fantasia deviata, e ormai non poteva più nascondersi dalla verità.

 Come avrebbe più potuto mettere piede in taverna? E come avrebbe trovato qualcuno che riuscisse a portarla fuori da quella ignobile spirale? Avrebbe forse dovuto accettare la proposta di matrimonio di uno nobile altezzoso, piegare la testa e imparare a dire di sì? All’improvviso la prospettiva di essere mandata lontano, di poter ricominciare una vita nuova, lontana da ciò che la teneva ancorata alle sue colpe non le sembrava poi così disprezzabile. Sarebbe stata sola, ma forse sarebbe stata libera.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


IV

 

  Close my eyes
And hold so tightly
Scared of what the morning brings
Waiting for tomorrow
Never comes
Deep inside
The empty feeling
All the night time leaves me
The Cure

 

 Pensieri foschi l’avevano accompagnata fin dentro il palazzo che curiosamente trovò già in febbrile attività. Rimase ferma tra il grande portone e il cortile ad osservare il via vai dei servitori che le passavano davanti ignorandola. Stava accadendo qualcosa e lei non era certa di voler scoprire cosa. Un fosco presentimento affondato nello stomaco. All’improvviso una presenza familiare e massiccia si manifestò alle sue spalle, suo malgrado Élodie si sentì immediatamente al sicuro. Il capitano l’aveva raggiunta e rimaneva in silenzio dietro di lei, tanto vicino che la ragazza poteva distinguerne chiaramente l’odore. Volse appena la testa e vide i due occhi chiarissimi dell’uomo abbassarsi su di lei. Poteva vedervi riflessi gli stessi dubbi e la stessa preoccupazione.

 “Green Blood se hanno scoperto la vostra scappatella questa volta non sarò in grado di proteggervi.”

 Élodie fece un cenno di assenso e accarezzò con lo sguardo il profilo marcato dell’uomo. Nonostante lo sforzo per mantenere viva quella facciata, Kurt poteva essere molte cose ma senz’altro non era un mercenario senza cuore. L’uomo interruppe la corsa di uno dei servitori e chiese con tono imperioso cosa stesse accadendo.

 “La principessa De Sardet è ammalata. Il Principe ha fatto arrivare nella notte dottori da tutto il continente.” Poi vedendo la ragazza aggiunse “Vostra madre è nelle sue stanze, ma il Principe ha chiesto che non venga disturbata.” Con un inchino affrettato tornò alle sue mansioni senza nascondere il timore.

 Élodie guardava il vuoto senza decidere sul da farsi. Dopo un tempo che non avrebbe saputo quantificare sentì la grossa mano del maestro d’armi stringersi attorno al suo braccio e si lasciò condurre da lui. Da lontano vide De Courcillon avvicinarsi e ringraziò mentalmente l’uomo per la prontezza di spirito. Non poteva farsi trovare in quelle condizioni dal maestro, gli abiti del giorno precedente, in disordine e sporchi di birra e chissà cos’altro. Quando Kurt la condusse all’interno la sala d’addestramento era ancora immersa nella semi oscurità dell’alba, l’odore familiare la fece sentire d’improvviso più padrona di sé. Kurt nel frattempo aveva tirato fuori da uno dei grandi armadi una vecchia casacca da allenamento. “Tieni metti questa. Non profuma di certo, ma sembra in condizioni migliori della tua.”

 Le lanciò la casacca, si voltò dandole le spalle e incrociando le braccia sul petto. Lei rimase per un attimo con la casacca tra le mani. Poi l’uomo riprese a parlare e lei iniziò senza alcuna fretta a liberarsi della camicia che aveva indosso. “Che cosa vuoi fare ora?” La domanda rimase per un po’ senza risposta. Vide l’uomo spazientito dal suo silenzio fare per voltarsi verso di lei ma arrestarsi all’improvviso. Kurt non aveva mai dimostrato tanta ritrosia prima di allora, non aveva mai fatto differenze neanche in quello tra lei e Constantin. Si erano spesso cambiati insieme in quella stessa sala, avevano nuotato nei torrenti durante gli addestramenti all’aperto, si erano lavati alle fonti e dormito nello stesso rifugio durante le escursioni in montagna e sempre senza che nessuno di loro provasse imbarazzo o pudore. Quel suo strano contegno, ora, metteva la ragazza più in imbarazzo di quanto non avrebbe fatto posando semplicemente lo sguardo su di lei, come sempre. Mise da parte quei pensieri, doveva aver sbagliato qualcosa anche in quel caso, ma non aveva abbastanza energie per riflettere anche su quello. Si concentrò invece sulle parole dell’uomo e cercò di mettere insieme una risposta: “Non lo so, cosa dovrei fare? Che vuol dire che sta male? Mia madre è sempre ammalata per un motivo o per l’altro ma mio zio non è mai sembrato allarmarsi troppo. Deve essere qualcosa di serio questa volta.”

 La consapevolezza non la sconvolse troppo. Sua madre aveva il potere di farla sentire costantemente in colpa o inadeguata, le voleva bene, ma starle accanto era sempre più difficile man mano che diveniva adulta. Non era in niente come lei e questo era fonte di costante delusione per la povera vecchia madre. L’avrebbe voluta posata e femminile, seduta accanto a lei con il ricamo in mano, non certo con una spada dentro un’arena di addestramento, ma fortunatamente a questo riguardo il Principe aveva per una volta fatto valere il proprio volere per il bene. Élodie non poteva sapere quali fossero i suoi piani in proposito, ma sarebbe stata grata per sempre per l’educazione che le era stata garantita, in tutto e per tutto uguale a quella di suo cugino. Aveva finito di cambiarsi e si era avvicinata all’uomo, una mano incerta a sfiorargli il braccio. Stargli accanto era incredibilmente difficile. Anche lui aveva trascorso la notte in taverna, ma lui sembrava riposato e sereno e profumava di pulito. Il sudiciume che si sentiva dentro doveva chiaramente rendersi evidente anche all’esterno. L’uomo richiamato dal suo tocco leggero si era voltato e la guardava ora con quello che a Élodie sembra uno sguardo insostenibile. “Al diavolo il Principe. Se vuoi vedere tua madre, ne hai ogni diritto.” 

 La ragazza lasciò andare una risata leggera suscitata dall’espressione irritata dell’uomo.  “Al diavolo il Principe.” Ripeté divertita. 

 “Sì, al diavolo lui e questo palazzo. Non siete certo più liberi voi qui dentro, rispetto ai tanti affamati che calcano le strade della città. Chi conferisce ad un uomo il diritto di decidere sulle vite degli altri?”

 “Capitano sono parole pericolose le vostre, suonano come una rivolta. Credevo foste leale e obbediente. Da dove viene tutta questa insubordinazione?” Le parole lasciarono la bocca di Élodie con un malizioso divertimento. Kurt era sempre stato severo riguardo ai loro colpi di testa e vederlo ora così irritato per le stesse cose che avevano provocato in passato la loro disobbedienza la divertiva non poco. L’uomo sorrise di rimando e cercò di riacquistare un certo contegno. 

 “Ho l’impressione che tutto questo potere, tutta questa ricchezza, non faccia alcun bene a nessuno, tanto meno a voi. Non vi aiuta a scacciare la solitudine. Non vi rende felici.” Il suo viso doveva aver detto a Kurt qualcosa in grado di fargli rimpiangere quelle ultime parole, perché abbandonò il tono serio recuperando la sua solita aria irriverente quando aggiunse: “O forse semplicemente spendere con voi tutto questo tempo mi sta corrompendo.”

 Élodie sorrise, ma le parole di Kurt continuavano a girarle in testa, non poteva esserci alcun potere capace di porre un limite alla sua solitudine.

 “Green Blood, mi dispiace.” Disse quasi seguendo i suoi pensieri. “Io resto qui, puoi provare a incontrare tua madre e se non te lo permettono puoi tornare qui a sfogarti con il tuo vecchio maestro d’armi. Non puoi certo corrompermi più di così.”

 “Ci conto.” Rispose Élodie scaldata dalla gentilezza dell’uomo. “Posso chiederti ancora un favore?” L’uomo rispose con un solo cenno di assenso, senza la minima esitazione. “Puoi cercare di capire cosa ne è stato di Constantin?”

 “Non preoccuparti per lui, l’ho visto tornare a palazzo poco prima di noi.”

 “Grazie.” E la gratitudine era il sentimento più autentico che sentiva di provare in quel momento. Per quell’uomo loro non erano che un incarico, un lavoro che avrebbe potuto svolgere con il minimo sforzo e nessun coinvolgimento. Eppure il suo affetto per loro era evidente, la sua preoccupazione, la sua cura incondizionata e unilaterale. E lei era invece solo capace di corrompere quei sentimenti delicati insozzandoli con i suoi desideri. Non lo avrebbe più permesso. Anche quell’uomo, come suo cugino, non meritava altro che la sua più completa devozione.

 Si allontanò senza guardarlo negli occhi, non meritava quell’affetto, non meritava il suo sguardo confortante.

Raggiunte le stanze di sua madre, trovò Constantin seduto a terra davanti alla porta chiusa che l’aspettava preoccupato, non appena la vide scattò in piedi e le si fece incontro. “Tesoro mio! Ho saputo solo poco fa. Non sapevo di chi fidarmi per mandarti a cercare, Kurt non era a palazzo. Come stai?”

 Il suo viso doveva aver raccontato per lei una storia che avrebbe voluto tenere nascosta e lui la abbracciò cercando di scacciare il dolore che doveva aver letto nei suoi occhi. “Mio padre ha mandato a chiamare i migliori medici. Andrà tutto bene te lo prometto.”

 Ma i pensieri di Élodie erano solo parzialmente occupati dalla malattia di sua madre e anche questo rinvigorì il suo senso di colpa e la spinse ad allontanarsi da quell’abbraccio. Non meritava neanche quello. Cercò di entrare nelle stanze di sua madre ma una guardia le bloccò il passaggio. Ordini diretti del Principe. Le parole di Kurt le tornarono alla mente e sentì in bocca sapore di bile e ingiustizia. 

 “È mia madre e il Principe non ha alcun diritto di impedirmi di vederla.” Il soldato non rispose ma non accennò a muoversi. Un pensiero sottile come uno spillo le si conficcò nella mente, quel soldato aveva già sentito o avrebbe sentito in futuro storie su di lei del tenore di quella che Malkolm stava raccontando in taverna. Avrebbe dovuto combattere per mantenere il rispetto di quegli uomini. Si volse appena verso Constantin: “Sarebbe meglio che tu andassi via, ora.”

 Constantin scosse la testa. Senza bisogno di scambiarsi una parola di più i due cugini passarono all'azione. Constantin si rivolse alla guardia con il suo tono da principe, e quello chiaramente in difficoltà abbassò la guardia per un istante. Tanto bastò ad Élodie per strisciare alle sue spalle non vista e assestare un colpo preciso al retro delle ginocchia. L'uomo cadde a terra sorpreso e Constantin fu su di lui pronto per immobilizzare e metterlo a tacere. Ancora uno sguardo ed Élodie sgusciò all’interno senza che la guardia potesse far nulla per impedirlo. 

 “Che cosa fai qui dentro? Avevo dato ordini precisi in merito!” Il Principe era in piedi davanti a lei, fermo in anticamera vegliava sua sorella a distanza. 

 “È mia madre, non avete alcun diritto di impedirmi di vederla. Voglio sapere come sta, voglio che sappia che mi curo di lei.” Lo sguardo del Principe era ardente di sdegno. Quel moto di ribellione davanti alle sue guardie del corpo era quanto di più impudente lei avesse mai osato.

 “Ragazzina insolente! Non tollero che i miei ordini vengano messi in discussione. Mia sorella potrebbe aver contratto il malicore, nessuno può entrare nella sua stanza finché non avremo una risposta.” 

 La furia della ragazza era stata completamente smorzata da quelle parole. Il Principe ignorando il suo cambio di contegno, si rivolse alle guardie con voce fredda: “Portatela via e fate in modo che resti nelle sue stanze.” E dopo un’istante aggiunse: “Se mio figlio dovesse avere da ridire rinchiudete anche lui. Non ho alcun desiderio di avere a che fare con la loro irriverenza quest’oggi.”

 Le due guardie del corpo del Principe la scortarono fuori, dove trovarono Constantin ancora fermamente piazzato sulla schiena del soldato atterrato. Le due guardie si scambiarono uno sguardo rassegnato e uno dei due si mosse verso di lui. Élodie rimaneva in silenzio e Constantin imitò il suo contegno e si lasciò condurre via dalle guardie. Invece di andare direttamente verso le loro stanze, scesero verso il cortile. Volevano chiaramente affidarli ad altri. Si aspettavano problemi e oltre a non volersi trovare invischiati in un guaio da dover gestire, non potevano permettersi di rimanere lontani dal Principe troppo a lungo. Sarebbe stato un oltraggio che avrebbero pagato a caro prezzo. Arrivati nel cortile si rivolsero a due soldati che prendevano servizio in quel momento: “Voi due, scortate le loro eccellenze nelle rispettive stanze e assicuratevi che abbiano tutto ciò di cui hanno bisogno, resteranno lì per tutto il giorno. Ordini del Principe.”

 A quelle parole Constantin si fece irrequieto, ma il viso sbiancato della ragazza allontanò la rabbia e la sostituì con una cupa preoccupazione.

Uno dei due soldati era infatti il ragazzo con cui Élodie aveva trascorso la notte e che aveva tanto rudemente tradito la sua fiducia. Il soldato fu immediatamente accanto a lei, la vicinanza le diede il voltastomaco. Constantin continuava ad osservarla in silenzio.  “Se le vostre eccellenze vogliono seguirci.” Il soldato che accompagnava Malkolm fece strada ma assicurandosi che i due ragazzi lo seguissero. Malkolm rimaneva dietro di loro. Constantin le si fece vicino e le prese la mano, solo il contatto con la mano del cugino le fece realizzare che le sue mani erano state prese da un tremore inconsueto.

 “Andiamo da questa parte.” Disse Constantin con tono imperioso e indicando in direzione della stanza della ragazza. “Mio padre ci vuole confinati, non gli importerà dove ci rinchiuderete.”

 Il soldato che apriva la fila cercò di ribattere ma Constantin era inamovibile. Gli andò vicino, lo superava di almeno tutta la testa e lo guardò con sguardo crudele. “Credi forse che mio padre sia immortale? Chi credi che prenderà il suo posto nel giro di qualche anno? E tu credi che nel frattempo sarai diventato altro che una misera guardia? Chi pagherà allora per i tuoi pasti, per le tue bevute e per le tue puttane?”

 Il soldato provò a ribattere ma le sue parole le sfuggirono completamente. Malkolm le si era fatto più vicino, il suo odore acre che sentiva ancora sulla sua stessa pelle le diede nuovamente la nausea. Quando ripresero a muoversi erano diretti verso le stanze di Élodie, il ragazzo doveva aver avuto la meglio e camminava ora spavaldo davanti al piccolo gruppo. Malkolm invece approfittò della distrazione degli altri per afferrarle il braccio e condurla con una certa rudezza, come se lei potesse essere intenzionata a scappare e lui fosse costretto ad impedirglielo. 

 “Non osare toccarmi! Levami le mani di dosso.” La repulsione verso quel soldato era una sensazione tremendamente fisica, tutto il suo corpo rifuggiva il suo tocco.

 L’uomo però strinse di più la presa e si piegò verso di lei sussurrando al suo orecchio: “Mi era sembrato di capire che non ti dispiacesse sentire le mie mani addosso.”

Élodie non seppe più trattenere la rabbia e lo sdegno. Piantò con violenza un gomito nello stomaco del soldato. Preso di sorpresa quello si piegò afferrandosi il ventre con entrambe le braccia. La ragazza ne approfittò per colpirlo con un pugno in pieno volto, vide il sangue scorrere dalla sua bocca. L’altro soldato l’afferrò e la immobilizzò. Constantin era pronto a gettarsi nella mischia ma Élodie lo fermò. “Va bene così. Portaci nella mia stanza.” E con una calma che non credeva di avere aggiunse subito dopo “Quel soldato è stato messo fuori gioco da una donna disarmata. Non mi sembra adatto per servire il Principe. Dovreste trovare un sostituto migliore, uno che sappia combattere, o che abbia almeno un briciolo di spina dorsale.”

Senti Malkolm sputare fuori un insulto volgare, ma non la scalfì.

 Arrivarono nella sua stanza ed Élodie chiese alla guardia che le venisse preparato un bagno caldo. Si chiuse la porta alle spalle e si preparò per le domande che sapeva sarebbero arrivate come un torrente in piena.

 Si sedettero sul piccolo sofà sistemato ai piedi del letto ed Élodie raccontò della conversazione ascoltata in taverna quella mattina, dopo la nottata trascorsa con il soldato tra le pareti del bordello. Non poteva certo condividere per intero le circostanze che più di ogni altra cosa rinfocolavano la sua vergogna, ma la storia sembrò sufficiente per il ragazzo a spiegare il suo turbamento.

 “Un uomo davvero ignobile. Farò in modo che non metta più piede nel palazzo. Oppure…” Lo sguardo divertito che le dedicò aveva senz’altro l’obiettivo di alleggerire il suo umore, “Potremmo lasciarlo nelle grinfie del nostro cavaliere senza macchia e senza paura. Sono certo che Kurt saprebbe come fargli rimpiangere di aver anche solo posato lo sguardo su di te.”

 Élodie sorrise alle parole del ragazzo. Poi lui le si fece vicino, le circondò le spalle con un braccio e le posò un bacio sulla testa. “La mia stella. Non permetterò a nessuno di farti del male.”

 La ragazza sentì sciogliersi in quell’abbraccio, il senso di colpa, la vergogna, l’inadeguatezza iniziarono a scorrerle dagli occhi lungo il volto. Si lasciò cullare nell’abbraccio del ragazzo e pianse a lungo, fino ad addormentarsi raggomitolata contro il ragazzo, la testa appoggiata sulle gambe di lui. Quando dei colpi decisi alla porta la fecero svegliare la mano del ragazzo accarezzava ancora gentilmente la sua testa. 

 “Mi dispiace ti abbiano svegliata, ma credo sia il tuo bagno.”

 Élodie si tirò su a sedere, si accorse di avere ancora il volto bagnato e fece il possibile per sistemarsi. Le ragazze che portavano l’acqua calda la guardarono con compassione, dovevano credere che fosse la malattia della madre ad averla ridotta in quello stato.

 Uscirono in fretta prodigandosi in graziosi inchini e rivolgendo a Constantin sorrisi leziosi. Sciocche ragazze, sciocche quasi quanto lei.

 Constantin aveva preso un libro da un qualche scaffale e si preparava ad immergersi nella lettura. Lei aveva bisogno di quel bagno, aveva la necessità di lavare via dal suo corpo tutta la sporcizia. Avrebbe voluto poter lavare via anche ciò che aveva dentro. 

 Si portò dietro il paravento che riparava la vasca da bagno e vi versò dentro l’acqua bollente.  Si spogliò con lentezza e si immerse nell’acqua. Constantin, sebbene non potessero vedersi, ogni tanto lasciava andare un commento sul libro o un lamento per l’assurda prigionia imposta da suo padre. Erano anni ormai che non venivano confinati nelle loro stanze, erano bambini allora e quella poteva essere una punizione migliore di tante altre, ma ora i due giovani erano a tutti gli effetti prigionieri nella propria casa.

 Cercando di distogliere Constantin da propositi che si sarebbero inevitabilmente rivelati autodistruttivi, Élodie provò a chiedere: “Ma tu invece? Come è andata la serata con il tuo soldato? Spero che sia andata meglio che a me.”

 “Mia cara cugina, io ho un fiuto decisamente migliore del tuo in fatto di uomini. Il caro André si è dimostrato una compagnia deliziosa. Un animo docile e gentile, mi chiedo come possa sopravvivere in quell’orribile caserma.”

 “Non si sputa nel piatto in cui si mangia. O nel nostro caso in cui si beve.” Le parole di Élodie erano uscite leggere ma il pensiero della taverna la colpì a tradimento. Non avrebbe davvero potuto trascorrere altre serate in quel posto. I soldati non l’avrebbero mai più rispettata se non fosse stata in grado di recuperare autorevolezza e credibilità, e questo sarebbe stato un problema anche per Constantin.

Aveva molto su cui riflettere, ma certo molte cose dovevano cambiare dentro e fuori di lei.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


V

I need a hero I'm holding out for a hero 'til the end of the night
Up where the mountains meet the heavens above
Out where the lightning splits the sea I could swear there is someone, somewhere watching me
Through the wind and the chill and the rain
And the storm and the flood
I can feel his approach like a fire in my blood
Bonnie Tyler




 

 Lady De Sardet era davvero ammalata. Aveva contratto la terribile malattia che stava decimando il continente. Non vi era cura e i giorni della donna erano contati. Kurt poteva immaginare che avrebbe fatto di tutto per usare i pochi giorni che le rimanevano per ottenere esattamente tutto ciò che desiderava, con ogni mezzo e senza temere di usare la sua malattia come leva, soprattutto con la figlia.

 Constantin aveva avuto a che fare con un padre prepotente e violento, i lividi sul suo corpo e sul suo viso segni tangibili di abusi orribili, la ragazza non aveva alcun segno fisico a testimonianza, ma Kurt avrebbe potuto giurare che quella donna avesse usato contro la figlia atteggiamenti di pari violenza, sebbene molto più sottile.

 La malattia della donna aveva distolto, almeno temporaneamente, il Principe dai suoi piani per mandare la giovane De Sardet oltre mare e Kurt si trovò a pensare che quello sarebbe stato dopotutto un ottimo modo per la ragazza di acquisire un po’ di libertà.

 Nei mesi che seguirono la scoperta della malattia della madre, gli spazi di libertà della ragazza si erano ridotti drasticamente, l’aveva vista sottostare a pretese che in altri momenti l’avrebbero vista aspramente recalcitrante: aveva posato per dei ritratti, passato pomeriggi dentro vestiti eleganti a sorseggiare tè con nobili noiosi, aveva acconsentito a spendere del tempo con uomini più o meno giovani, ma che ugualmente nascondevano sotto vestiti sfarzosi corpi molli e abituati all'ozio, pretendenti che in un modo o nell’altro si davano presto alla fuga. Le era stato praticamente impossibile allontanarsi dal palazzo e Kurt, anche se non lo avrebbe ammesso ad alta voce, aveva cercato di porvi rimedio iniziando a prediligere l’addestramento all’aperto rispetto a quello nell’arena. Constantine sembrava divenuto ancor più insofferente e non era raro vedere i due ragazzi battibeccare riguardo le questioni che infastidivano il ragazzo quanto Kurt. Nessuno dei due riusciva a spiegarsi l’atteggiamento arrendevole della ragazza. Dopo aver assistito all’ennesimo pomeriggio trascorso dalla giovane Lady ascoltando annoiata le chiacchiere di un vecchio vanesio, Kurt decise che avrebbe avuto bisogno di trascorrere del tempo in compagnia di suo cugino. Allontanandola dalle grinfie della madre forse sarebbe stato possibile far tornare in sé la ragazza e riportarla a ragionare lucidamente.

 Quel giorno guardando un uomo pretenzioso, e apparentemente molto più vecchio dello stesso Kurt,  tentare con arroganza dei goffissimi approcci elusi senza troppa fatica dalla sua giovane allieva, il maestro d’armi iniziò a pianificare una delle escursioni tra i boschi che tanto poco piacevano a Constantin ma che poteva star certo questa volta anche lui avrebbe apprezzato. Davanti ai suoi occhi intanto la giovane De Sardet aveva afferrato la mano troppo spavalda dell'uomo e con due sole dita minacciava di spezzarne le ossa. Era un trucchetto che la ragazza aveva appreso da lui e che Kurt era fiero di vedere usato con tanta competenza. Non fu difficile capire che in modi simili la ragazza era riuscita a mettere in fuga anche gli altri fastidiosi pretendenti. “È uno spettacolo sconfortante, non trovi anche tu?” Constantin con il suo passo leggero era arrivato alle sue spalle senza farsi notare ed era ora appoggiato alla balaustra che affacciava sul cortile, proprio accanto a lui. Osservava afflitto la giovane e il suo compagno dalla parte opposta della corte. Kurt si soffermò ad osservare il ragazzo. Il viso stanco ma gli occhi ardenti di rabbia. Anche a lui avrebbe fatto bene prendere le distanze dal palazzo per un po’, prima di fare qualcosa di assolutamente fuori controllo.

 Con tono leggero Kurt provò a rasserenare il ragazzo “Beh io vedo un vecchio vanesio messo letteralmente in ginocchio da tua cugina con due sole dita. Sarà l’orgoglio del maestro ma mi sembra una scena particolarmente piacevole.”

 Il ragazzo rispose con una risata un po’ forzata, una risata che non era che l’ombra della sua giovialità più autentica. Kurt sentì l’offesa che quel posto stava causando ai due ragazzi e sentì la rabbia mescolarsi ad un senso di protezione che non avrebbe saputo come controllare, ma che era certo gli avrebbe causato molti guai. Quei due sapevano rendere arduo il suo lavoro di spietato mercenario senza cuore.

 “Per quanto potrà andare avanti secondo te? Quanto tempo passerà prima che mia zia riesca ad imporre il suo volere anche in fatto di matrimonio? E che tipo di vita l’aspetta?”

 Kurt seppe chiaramente che i timori per la cugina si intrecciavano con quelli per se stesso e cercò ancora una volta di alleviare il suo dolore. “Una volta a Teer Fradee sarà almeno libera di scegliere per sé le proprie compagnie.”

 Vide il ragazzo considerare attentamente le sue parole. Forse per la prima volta stava pensando anche lui che quella potesse essere l’unica via d’uscita per lei. Uno sguardo risoluto aveva acceso all’improvviso il suo sguardo.

  “A proposito di terre selvagge” aggiunse Kurt cercando di distrarre di nuovo i pensieri del giovane, “Sarà bene far prendere aria ai sacchi a pelo, tra due giorni partiamo per un addestramento tra le montagne.”

 Constantin portò gli occhi al cielo lasciando andare un lamento che aveva però tutta l’aria di essere artefatto. Un sorriso sincero gli salì infatti alle labbra e seppe leggere un grazie nei suoi occhi gentili.

 Quattro giorni dopo partirono per la missione tra i monti. Kurt aveva dovuto giustificare al Principe quella partenza ed era certo di dover ringraziare Lady De Sardet per quell’ispezione inattesa. Non fu difficile avere il benestare del Principe, ma l’episodio lo aveva messo di pessimo umore. 

 I due giovani sembravano però guadagnare spirito e forza ad ogni passo che li allontanava dal palazzo, allontanando così i cattivi pensieri. Per quando ebbero raggiunto la strada fangosa che risaliva la montagna i due stavano ormai chiacchierando allegramente, prendendosi a tratti gioco di lui.

 Era piacevole vederli sereni, completamente presi l’uno dall’altra, dimentichi del mondo. La strada in salita spezzava il fiato e metteva il corpo a dura prova ma una insperata serenità era calata sul piccolo gruppo. La ragazza sembrava fiorire all’aria aperta, avrebbe detto che quello fosse il suo ambiente naturale più del palazzo in cui era cresciuta. Sapeva muoversi sull’irto sentiero con la stessa eleganza con cui avrebbe calcato la sala da ballo. Più di una volta il suo passo sicuro mostrò la via a Constantin, e la sua mano era sempre tesa per aiutarlo a superare i passaggi più difficili. 

 Quando dopo molte ore di cammino Kurt indicò il punto in cui montare un piccolo campo i due giovani si affaccendarono immediatamente per renderlo se non confortevole almeno accogliente. Constantin si allontanò per raccogliere della legna e Élodie preparò ingegnosamente un rifugio per la notte servendosi di rami verdi e fogliame. Kurt guardava soddisfatto i due allievi mettere in pratica tutto ciò che lui aveva insegnato.

 “Bene!” aveva esclamato soddisfatta la ragazza valutando il lavoro appena concluso. “Mi sembra sia abbastanza solido. Tutto pronto. Cos'altro ha in serbo per noi maestro?” Lo sguardo finalmente limpido e divertito si posò su Kurt con curiosità. 

 “Eccellenza, spendere mesi rinchiusa nel palazzo vi ha resa poco attenta. Direi che manca ancora qualcosa di fondamentale.”

 Constantin seduto accanto alla cugina lì osservava senza intromettersi. 

 “Ma quello è compito di Constantin. Io ho fatto ciò che dovevo.” Uno sguardo furbo fulminò Kurt che sorrise di rimando. 

 “Ehi, cosa c'entro io? Ho fatto tutto quello che dovevo fare. Vi ho anche riportato le borracce piene di acqua fresca.”

 “Credi che potrei sfidare a duello la nostra cena con il mio stocco?”

Constantin si illuminò d’improvviso.  “Bene, allora provvederò con gioia alla nostra cena.”

Tra le piccole gioie che la corte riservava a Constantin vi erano senza dubbio le battute di caccia. La sua precisione e la sua astuzia lo rendevano senz'altro il miglior cacciatore di Serene e in quelle occasioni il padre non riusciva a trovare nulla da rimproverargli o per cui schernirlo. Cacciare lontano dalla corte doveva essere per il ragazzo altrettanto soddisfacente visto l’entusiasmo con cui afferrò la sua arma e si addentrò nel bosco.

 “Green Blood, non crederai mica di poter riposare? Forza prendi la spada e fammi vedere come te la cavi dopo la lunga marcia.”

 La ragazza sganciò dallo zaino uno stocco che Kurt non aveva mai visto prima, era piccolo e di ottima fattura, e non appena lo ebbe liberato dal fodero l’uomo colse l’occasione per prendersi bonariamente gioco di lei. Era bello vederla finalmente respirare libera, la familiarità che la  illuminava in quel momento era confortante.

  “Che cos’è quella cosa? La tua spada da viaggio?”

 “Si dà il caso che lo sia. È leggera, maneggevole, flessibile e incredibilmente resistente.”

 “Lo stocco che usi di solito è già ridicolmente piccolo, questo sembra un giocattolo, anzi se devo dire la verità le mie spade giocattolo sono sempre state più grandi di quella cosa.”

Kurt sfoderò il suo spadone con un ghigno divertito e la risposta della ragazza non si fece attendere. “Non hai mai sentito dire che non sono le dimensioni che contano?” Poi aggiunse come a voler attenuare l’effetto di quella battuta irriverente: “Sono pronta a scommettere. Ci stai?” Kurt rispose con un solo cenno del capo e la ragazza proseguì “Il mio stocco contro il tuo pretenzioso spadone. Chi perde il duello cucinerà, qualunque cosa Constantin avrà cacciato per cena.”

 “Green Blood così non vale, potrei decidere di perdere di proposito pur di non farti cucinare.”

 “Bene allora se vinco io potrò rifiutare di sottopormi ad uno qualsiasi dei tuoi sadici allenamenti. Quando voglio, in qualunque occasione.”

 “D’accordo, e se dovessi vincere io?” La ragazza rimase in silenzio per un momento. La sua espressione pensosa lasciò presto il posto ad un ghigno allusivo: “Se vinci tu puoi chiedermi quello che vuoi.” Gli occhi della ragazza sembravano essere diventati più grandi e più scuri, per un momento Kurt sentì la gola chiudersi. Il sorriso sbruffone della ragazza sembrava quasi una minaccia. Rise forte per scacciare quella sensazione.

 “Spavalda, mi piace. Ma questo non ti aiuterà. Proprio come non lo farà quel gingillo che vorresti usare come arma.”

 Si posizionarono l’una di fronte all’altro. La ragazza continuava a guardarlo intensamente negli occhi, come se il dover sostenere il suo sguardo fosse parte della sfida. E Kurt accettò anche quella senza scomporsi: “E comunque Green Blood, se ti hanno detto che le dimensioni non contano avevano senz’altro qualcosa da nascondere o da farsi perdonare.”

 La ragazza sorrise appena incurvando un angolo della bocca e rispondendo alla sfida con lo stesso tono goliardico: “Parole, parole. Non ti vedo ancora passare all’azione.”

 Kurt lasciò andare un’altra risata, era un gioco pericoloso, ma avrebbe mentito dicendo di non trovarlo divertente: “Ritengo che lasciare la prima mossa a una signora sia un segno di cortesia e galanteria irrinunciabile.”

 “Bene, lo terrò presente.”

 Kurt scosse la testa e rise ancora. Il nodo alla gola non accennava ad allentarsi. Si mise in guardia e fece segno alla ragazza affinché si facesse sotto. “Combatti con onore.”

 La ragazza con passo leggero si portò all’attacco. I suoi fendenti erano veloci e precisi. Le sue gambe agili la rendevano un avversario temibile. Ma la difesa era sempre stato il suo punto debole e quando Kurt iniziò a sentire il fiato corto passò all’attacco. La ragazza non temeva la sua spada, affrontava ogni fendente come se fosse convinta che nulla potesse scalfirla. Lasciò più volte il suo spadone scivolare contro la lama sottile dello stocco alla cui base la guardia arrotondata le permetteva di deflettere il colpo all’ultimo momento. Più di una volta Kurt temette di aver affondato il fendente con troppa forza, e che sarebbe andato a finire contro il braccio della ragazza, ma con un movimento fulmineo, lei riusciva sempre ad evitare il colpo.

 Kurt aveva ormai il fiato grosso e la ragazza sembrava resistere meglio di lui alla stanchezza. Non sarebbe stata la prima volta che la ragazza aveva la meglio su di lui, ma di certo non aveva mai perso una scommessa in quel modo e sentiva l’orgoglio pungolarlo.

 La voce di Constantin arrivò provvidenziale. Era tornato con una coppia di grosse lepri e un’aria pienamente soddisfatta. La sua presenza improvvisa aveva distratto la ragazza. Kurt non poté che approfittarne e in un momento la lama del suo spadone era contro la gola della ragazza.

  “Sai che non avresti avuto scampo se lui non mi avesse distratto.”

 “Una distrazione del genere in combattimento ti costerebbe molto più cara di una scommessa persa. Quindi direi che ho pienamente guadagnato la mia vittoria.”

 La ragazza rise buttandosi a sedere a terra e riprendendo fiato. Constantin chiese allegro: “Cosa avete scommesso?”

 Kurt vide la ragazza arrossire violentemente. Constantin assottigliò lo sguardo e sorrise malizioso, prima che il ragazzo potesse dire una parola, intervenne per evitare alla ragazza ulteriore imbarazzo.

 “Tua cugina è senza dubbio temeraria, anche se fin troppo ingenua, ha acconsentito ad una scommessa al buio.”

 Lo sguardo che il ragazzo posò sulla cugina gli disse più di quanto avrebbe voluto sapere. Quindi si voltò, bevve un lungo sorso dalla borraccia e tolse dalle mani del ragazzo una delle due lepri, iniziando a scuoiarla con attenzione. Intanto con un’abilità che chiunque a palazzo avrebbe guardato con sospetto Lady De Sardet accese il fuoco e sistemò il falò per far sì che cucinare risultasse più semplice. Quando le due prede furono scuoiate, eviscerate e pulite, una bella brace era pronta per accogliere il cibo. 

 I due animali furono arrostiti di tutto punto, la notte era ormai calata e un manto di stelle splendeva magnifico sopra le loro teste. I tre mangiarono in silenzio, godendo semplicemente della compagnia reciproca e si ritrovarono presto persi dietro i propri pensieri fissando lo sguardo nel fuoco o verso il cielo.

 “Sono felice di vederti finalmente serena.” Constantin aveva parlato piano come seguendo un pensiero. La ragazza lo guardò per un attimo considerando le sue parole e poi disse con un tono autenticamente allegro: “Ho la migliore compagnia che potrei desiderare, un bel fuoco e uno splendido cielo. Che cosa potrei volere di più?” Poi, sdraiandosi a terra e portando le braccia dietro la testa per godere appieno dello spettacolo che la notte offriva, inseguendo lei stessa un pensiero disse: “Vorrei che voi poteste venire a Teer Fradee con me. Ogni giorno sarebbe solo nostro come questa notte.” Lasciò andare un lungo sospiro e si chiuse in un silenzio non cupo ma evidentemente pensieroso.

Constantin venne in suo soccorso: “Credevo che preferissi ormai la compagnia del vecchio lord Valon. Immagino ti abbia conquistato con la sua squisita strafottenza e i suoi dettagliatissimi resoconti su terre e possedimenti.”

 La ragazza rivolse uno sguardo minaccioso al cugino scoppiando a ridere subito dopo. “Non hai idea di quanto avrei preferito i suoi discorsi su ville e terreni. Matrimoni e figli non sono il mio argomento preferito e non lo fanno certo risultare meno arrogante o paternalista.”

 Il discorso aveva riportato una fragile serenità sul gruppo e quindi Kurt cercò di tenerlo vivo, senza permettere ai due ragazzi di perdersi dietro le rispettive riflessioni sul triste futuro che in un modo o nell’altro li attendeva. Spostando la sua attenzione su Constantin domandò onestamente curioso: “Non che sia particolarmente ansioso di assistere a uno spettacolo tanto degradante, ma posso chiederti come mai non si parla ancora del tuo matrimonio?”

 I due scoppiarono a ridere all’unisono. “Kurt, non ti facevo così naive.” La ragazza aveva risposto per entrambe sollevandosi appena per guardarlo, puntellandosi indietro con i gomiti. “Solo chi ha bisogno di una dote per sopravvivere si sposa giovane, il caro Principe Ereditario ha ancora tutta una vita davanti, deve fare esperienze e conoscere il mondo, tra 15 o 20 anni non dovrà fare altro che scegliere una giovane di buona famiglia pronta a sfornare degli eredi.” E dopo un istante, considerando attentamente le sue parole aggiunse semplicemente “Io invece sono la giovane di buona famiglia.”

 Kurt restò a fissarla imbambolato. Lei sarebbe stata venduta ad un ricco attempato, con nessun altro scopo che garantire un erede in grado di portare avanti quell’orribile circo di generazione in generazione. Pensieri cupi salivano alla sua mente, parole odiose che avrebbe voluto tenere sepolte per sempre ma che ora suonavano orribilmente vere nella sua testa. I nobili, i ricchi e i potenti avevano costruito un mondo ingiusto che perpetravano a spese di tutti. Anche della loro stessa progenie. Possibile che anche loro divenissero un giorno crudeli come lo erano stati per tempo incalcolabile i loro avi? Non poteva crederlo. Constantin sembrava assolutamente incapace di causare dolore, e la giovane aveva in sé una scintilla di innata giustizia che la portava a guardare tutti con occhi limpidi e a riconoscervi nobiltà solo laddove questa nasceva dall’animo e non dal sangue.  La voce di Constantin giunse provvidenziale a trascinarlo fuori dalla spirale di pensieri.

  “E tu invece? Hai mai pensato di volere una moglie, dei figli, una compagna, o un compagno magari.”

 Questa volta fu Kurt a lasciare andare una risata leggera: “Per quanto possa avere un debole per te, pivello, le donne avranno sempre la meglio su di me.” si concesse un momento prima di rispondere più seriamente, considerando con cura le proprie parole “La vita della Guardia del Conio non lascia molto spazio per progetti e famiglia. E quindi no, non ho mai pensato di volerne una. Troverei comunque incredibilmente crudele ed egoista costringere un bambino a crescere nel modo in cui io stesso sono cresciuto.”

 La ragazza, che nel frattempo era tornata a sedere, lo guardava ora attenta e chiese timidamente: “E invece l’amore?” A Kurt si strinse il cuore all’udire quella domanda, per lei e per se stesso. Per lei perché la voce soffice che l’aveva rivolta dimostrava una tenerezza inappropriata che Kurt sperava superata con l’età, ma a cui lui stesso con la sua sconsideratezza, negli ultimi tempi, aveva forse dato nuova vita. Per se stesso, perché improvvisamente consapevole del fatto che per lui amare era del tutto fuori questione. In passato quando la gioventù aveva preso il sopravvento, si era concesso delle momentanee tenerezze, ma l’amore, quello per lui sarebbe sempre stato una grazia immeritata, non avrebbe potuto condannare qualcuno a dover vivere con i suoi fantasmi. Il silenzio sembrò incredibilmente lungo, i ragazzi lo fissavano ora attentissimi e lui cercò di confezionare una risposta che potesse essere al tempo stesso vera ma non compromettente. E guardando negli occhi la ragazza con improvvisa serietà disse semplicemente: “Green Blood, l’amore è un privilegio e questo vuol dire che non tutti possono permetterselo.” La ragazza sfuggì il suo sguardo, riportando il proprio sul falò e non aggiunse altro. Lui si alzò, gettò altra legna sul fuoco e invitò i due ragazzi ad andare a dormire, si era fatto tardi e la mattina successiva avrebbero dovuto svegliarsi all’alba.  “Farò io il primo turno di guardia, ma non crediate che vi lascerò dormire tutta la notte.” La ragazza si offrì per il secondo turno, augurò la buonanotte e si ritirò nel rifugio.

La struttura era ben fatta, la ragazza aveva legato assieme tre lunghi bastoni a creare la base dell’intelaiatura su cui aveva intrecciato rami verdi e fogliame, aveva poi assicurato la struttura a due rami con una forcola all’estremità superiore e ben piantati a terra. La struttura posava quindi a terra nella parte opposta. La parte sollevata affacciava verso il falò, l’interno doveva essere quindi caldo e asciutto e l’intricata copertura avrebbe tenuto lontana la guazza notturna. Chissà se l’uomo a cui sarebbe andata in moglie avrebbe mai conosciuto il suo ingegno e la sua abilità. Chissà se l’avrebbe apprezzata. Vide i due ragazzi sdraiarsi e sistemarsi uno accanto all’altra. Il ragazzo si rannicchiò contro la cugina, afferrandosi al suo braccio come se quello fosse stato un animale di pezza e poggiando delicatamente la fronte contro la tempia della ragazza, il suo mento sulla spalla di lei. Lei gli posò una leggera carezza sul viso e per la seconda volta quella notte sentì il cuore stringersi per lei. Realizzò in un attimo come la sua fame di affetto dovesse essere logorante in quel momento, era chiaro come il sole come lei assorbisse da quella tenerezza nutrimento e fiele. Non poteva chiedere nulla di più, quindi si accontentava delle briciole, solo l’ombra di un affetto. Se quell’amore aveva fino a quel momento plasmato la sua vita, non era difficile comprendere la naturale propensione della ragazza a dimenticarsi di sé, non aveva mai davvero avuto la possibilità di esprimere se stessa, di ascoltare ed esplorare lo sbocciare dei propri sentimenti. E ora era lì a lottare contro il sonno cercando di trattenere dei momenti che avrebbero aggravato la sua malattia, senza concederle alcun riposo. Anche per lei l’amore era un privilegio, un lusso come il palazzo in cui viveva e che la teneva prigioniera.

Fissò lo sguardo sul fuoco, cercando di distogliere la mente dalle sventure della ragazza. Lui non poteva certo dirsi più fortunato. Aveva avuto alcune donne, in passato forse avrebbe detto molte, ma non era mai stato innamorato, una debolezza che non avrebbe potuto permettersi, una grazia che non poteva meritare. Anche lui aveva a volte sognato di scoprire della tenerezza, dell’affetto, nelle carezze affamate e sbrigative scambiate durante una notte di passione che terminava invariabilmente troppo presto, lasciando addosso un’insoddisfazione profonda e un senso di solitudine indelebile. Non era in grado di immaginare per sé un futuro diverso, meno solitario, meno doloroso. Sieglinde era ormai da qualche tempo una compagna più costante di tante altre. Non poteva negare di provare per lei un immenso rispetto e un autentico affetto, ma erano senza dubbio fatti dello stesso impasto di disillusione e cinismo, non avrebbero potuto far molto l’uno per l’altra se non donarsi reciprocamente consigli e sollievo. Nessuno dei due era tanto ingenuo da immaginare che al di là di cameratismo e di occasionale passione potesse esserci qualcosa di più. Erano due Guardie del Conio, il loro lavoro era la loro vita, tutto il resto non poteva che rimanere fuori dalla loro portata. La notte aveva portato con sé una buona dose di malinconia e autocommiserazione e Kurt l’accolse affrontando il dolore come avrebbe affrontato un nemico sul campo di battaglia, denti stretti e sguardo limpido, fino al ritirarsi di uno dei due contendenti, fino al duello successivo.

Lasciò la ragazza dormire un po’ più a lungo, sapeva che alla fine del suo turno non avrebbe svegliato il cugino, quindi allungò un poco anche il suo turno di guardia, permettendo alla ragazza di riposare abbastanza, per poter affrontare la giornata successiva e soprattutto il ritorno a palazzo.

 

La grossa mano sulla spalla e un sussurro a richiamarla. Con quel calore inatteso Élodie si liberò di sogni insidiosi e tornò a respirare l’aria fredda della montagna. Alzò lo sguardo e Kurt era accanto a lei, lo sguardo stanco per la lunga veglia e un sorriso gentile, uno di quei sorrisi rari che Élodie custodiva gelosamente nella sua memoria, e questo sorriso era per lei. Strisciò fuori dal rifugio e mormorò appena un buongiorno, nonostante la notte fosse ancora fonda. Si alzò e seguì l’uomo verso il falò, dove lui le avrebbe fatto senz’altro una serie di raccomandazioni senza rischiare di svegliare Constantin. E infatti non appena lo raggiunse lui disse, con una voce roca per il sonno e il freddo: “Non lasciare spegnere il fuoco, se senti qualcosa svegliami subito, preferisco essere costretto a riaddormentarmi che non svegliarmi affatto. E mi raccomando se senti di non riuscire più a stare sveglia chiedi a Constantin il cambio.” Queste ultime parole furono accompagnate da uno sguardo quasi accusatorio, la conosceva fin troppo bene. Lei sorrise e cercò di rassicurarlo: “Vai a dormire Kurt, non preoccuparti. Sei in buone mani.” Un nuovo sorriso sorse alle labbra dell’uomo, un sorriso più tenero di quanto si sarebbe aspettata e sentì il cuore rimbalzarle in gola.

 “Ma che fine ha fatto la tua giubba, congelerai qui fuori senza nulla.” Il rimprovero sostituì in un istante la tenerezza.

 “Non preoccuparti c’è il fuoco a scaldarmi.”

 Kurt sembrò spazientito come al solito dalla sua testardaggine, scrollò le spalle e con un cenno di saluto fece per ritirarsi nel rifugio. Una volta avvicinatosi dovette notare che Constantin stava usando la sua giubba come cuscino, e forse quel gesto gentile nei confronti del cugino allontanò l’irritazione. L’uomo la guardò nuovamente con uno sguardo che Élodie preferì non sostenere. Portò gli occhi sul fuoco e si costrinse a lasciarli lì anche quando si accorse che l’uomo stava riavvicinandosi al falò, anche quando lui le fu accanto. Alzò lo sguardo però quando lui si chinò appena su di lei lasciando cadere sulle sue spalle la giubba blu–argento. Lo guardò e fece per protestare ma l’uomo fermò con un gesto le sue parole e disse appena “Non avrò freddo, hai costruito un ottimo rifugio. Me la restituirai domani mattina.”

Élodie osservò Kurt entrare nel sacco a pelo e il suo respiro farsi regolare. Si strinse dentro la giubba dell’uomo. Era grande, calda e aveva un buon odore. Rimase stretta lì dentro come in un abbraccio fino alle prime luci dell’alba. 

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


 

 

Oh, did I send a shiver
Down your spine?
Well I do it all the time
It’s a little trick of mine
Did I make you shake your knees
Did I make him spill his wine
Lord, I’m spreading like disease
Lord, I’m all up in your mind
George Ezra

 

 La seconda giornata tra le montagne trascorse serena come la precedente solo il ritorno verso il palazzo fece scendere un silenzio carico di significato sui tre compagni. Sapeva di dovere alla loro cura nei suoi confronti quella pausa dalle sue giornate da prigioniera. Quello che loro non potevano sapere è che questa dimostrazione di affetto aggravava le sue colpe. Lei non poteva impedirsi di amarli, ma doveva farlo con rispetto. L’unica forma che il suo amore poteva assumere era la devozione, leale e silenziosa. Aveva avuto bisogno di distanza per recuperare il controllo e per espiare la colpa ma avrebbe dovuto pian piano tornare alla normalità, anche quella distanza forzata era un’ingiustizia, soprattutto nei confronti di Constantin. Lui aveva bisogno di lei, non poteva abbandonarlo ancora. E così pian piano riguadagnò spazi di libertà e autonomia. Sua madre sempre meno soddisfatta di lei, trascorreva le ore in sua compagnia a piangere e inveire contro di lei. Si lasciò convincere alla fine ad incontrare un ultimo pretendente. Questa volta si trattava di un giovane tronfio e viziato, un insopportabile vanesio, con cui Élodie fu costretta a trascorrere più di una giornata. Il ragazzo non sembrava cedere tanto facilmente come gli altri all’intimidazione. Sembrava anzi attratto dalla caparbietà di Élodie. La madre aveva presentato il giovane come l’ultima speranza per Élodie di fare un matrimonio vantaggioso. I D’Arcy erano una famiglia minore, non certo il fior fiore della società, ma erano ricchi e avevano dei buoni possedimenti a Teer Fradee. Il loro unico figlio Bastien si era più volte distinto in società per la sua tempra sconsiderata, la sua tendenza a scialacquare le ricchezze di famiglia e le pessime compagnie. 

 Sua madre si era premurata di sottolineare che anche lui era stato minacciato più volte di essere esiliato sull’isola ed Élodie iniziò a chiedersi che tipo di società potesse essere quella di Teer Fradee se ogni nobile famiglia la usava come discarica per i propri figli intemperanti. Se non fosse stata costretta ad avere a che fare con quel particolare rampollo rinnegato, avrebbe anche trovato la prospettiva particolarmente divertente. Ma Bastien D’Arcy era arrogante, volgare e viziato. Il suo bel faccino lo aveva abituato a veder realizzato qualunque desiderio, soprattutto in fatto di donne. Il suo rifiuto, aveva detto il giovane, aveva acceso l'istinto del cacciatore. Una banalità nauseante superata solo dall'intrinseca violenza di una tale opinione. 

 Il giovane aveva infine approfittato dell'approssimarsi dei festeggiamenti in onore del Principe per farsi ospitare a palazzo. Il compleanno del Principe era una ricorrenza che prevedeva 10 giorni di festa in tutta Seréne e che si concludeva con il più maestoso ballo dell'anno. 

 Il rampollo era rimasto a ronzare fastidiosamente nel palazzo, Élodie vedeva spuntare il suo ghigno spavaldo ovunque. Proprio qualche giorno prima del ballo il giovane era comparso in cortile durante l'addestramento. Constantin quel giorno non si era fatto vedere, trattenuto probabilmente da qualche altro tedioso compito ed Élodie stava sfidando uno ad uno, sotto l'occhio attento di Kurt, i cadetti radunati nell’arena. Da qualche tempo l’uomo aveva iniziato a far guidare ai due cugini l’addestramento dei giovani cadetti ed Élodie apprezzava molto quel cambio di prospettiva. Kurt aveva smesso di vederli solo come i “pivelli reali”, erano utili ora nella formazione di giovani soldati, erano d’aiuto a lui nello svolgimento dei suoi compiti. Per questo la presenza del giovane D’Arcy era particolarmente sgradita quella mattina. Il giovane si mise comodo sotto il porticato e stette a guardare per un po’ Élodie affrontare uno dopo l'altro i giovani soldati. Kurt, che le si era avvicinato per scambiare una rapida opinione riguardo il cadetto appena affrontato, si accostò ancora più verso di lei e tenendo bassa la voce disse: "Dovremmo far pagare il biglietto al damerino?" Élodie sorrise scrollando la testa e preparandosi ad affrontare gli ultimi rimasti. Quando anche l’ultimo cadetto ebbe terminato il suo assalto Elodie e Kurt si apprestarono a rimettere in ordine le attrezzature utilizzate ma a quel punto Bastien D’Arcy lasciò il suo posto a sedere e si fece avanti con tutta la sua arroganza.
 “Se non ci sono altri cadetti da umiliare che ne dici di un vero duello?”
 “E con chi?” Rispose di getto Élodie, Kurt sorrise complice dando le spalle al giovane che però non raccolse la provocazione, si fece solo avanti verso una rastrelliera e prese una delle armi saggiandone il filo e il bilanciamento.
 “Vi sconsiglio vivamente di sfidare a duello Lady De Sardet. Vi prego di considerare questo come un avvertimento.” Kurt aveva parlato con il suo solito fare al tempo stesso formale e canzonatorio e D’Arcy lo guardò come avrebbe guardato un topo sorpreso a rubare il cibo da un tavolo delle cucine. “Non ho chiesto il tuo intervento né tanto meno il tuo parere, soldato. Stai forse cercando di minacciarmi?”
“Non è una minaccia, solo un consiglio. So che voi giovani rampanti non siete felici quando i vostri bei visetti vengono rovinati.” Kurt stava iniziando ad innervosirsi davvero ed Élodie avrebbe colto l’occasione di intromettersi nel battibecco se il ragazzo non l’avesse bruciata sul tempo dicendo con uno sguardo colmo di malizia: “Non preoccuparti, sarò delicato.” 
 Kurt accolse le parole del giovane con una sonora risata ma aggiunse nascondendo a stento l’irritazione: “Green Blood è tutto tuo, a te la scelta ma non andarci troppo pesante con lui. Non è mai un bello spettacolo veder piangere un giovane di buona famiglia.”
Bastien D’Arcy non poteva dirsi uomo d’ingegno ma era senza dubbio un temerario, o uno sconsiderato, ed Élodie fu costretta a riconoscerlo quando il ragazzo fronteggiando il soldato, alto quanto lui ma largo il doppio, disse abbassando la voce e con un tono ancor più cupo: “Cosa c’è, credi che solo i soldati possano divertirsi con lei?”
Élodie, non si concesse il tempo di razionalizzare l'insulto e intervenne d'istinto: “Kurt.” Il nome le sfuggì prima di qualunque altra parola. Non voleva vedere l’uomo finire nei guai per colpa sua, per l’ennesima volta. Aggiunse poi, come a voler spezzare con altre parole lo strano incantamento che sempre accompagnava il suono di quel nome. “Va bene, accetto la sfida.” Un tocco leggero sul braccio dell’uomo aveva accompagnato le sue parole e quello sembrò sufficiente. L’uomo scrollò le spalle e si mise a sedere sui gradini che scendevano dal porticato al cortile, rimanendo ad osservare la scena. 
Il ragazzo sorrideva già trionfante quando si accorse che Élodie stava con attenzione rimuovendo i pesi che normalmente sfidando i cadetti portava appesi a braccia e gambe. La ragazza non si lasciò sfuggire l'occasione di farsi beffe dell'espressione sorpresa del giovane. 
“Se credi che possano rendere lo scontro più equo posso tenerli.” Le parole accompagnate da un sorriso mellifluo.
 Il ragazzo rispose con una nuova provocazione “Se vuoi davvero rendere più interessante lo scontro allora dovremmo mettere in palio qualcosa.” 
Lo sguardo di Élodie corse suo malgrado verso Kurt. Erano ancora freschi i ricordi della giornata trascorsa tra i monti e della sciocca scommessa tra loro. Scommessa per cui Kurt non aveva ancora riscosso la vittoria. Gli occhi dell'uomo erano fissi su di lei, sembrò in imbarazzo per un istante e questo moltiplicò l'imbarazzo anche in Élodie. 
“Allora, non avrai paura?” la incalzò il giovane. Élodie non poté che accettare con un cenno del capo. “Bene se vinco io voglio spendere una notte con te.”
Élodie si sentì incendiare per l'indignazione. Cosa credeva quell'uomo che la sua dignità valesse così poco da poter essere messa in palio? Lo sguardo torvo di Lady De Sardet si scontrò però con il sorriso arrogante del ragazzo che rettificò immediatamente il malinteso del tutto voluto: “Dovresti domare la tua fantasia, bambina. Voglio una notte in taverna, voglio poter bere e chiacchierare con te da solo, senza cani da guardia.” Un gesto appena accennato ma tanto chiaro da non poter essere ignorato o frainteso indicò in direzione di Kurt. E poi con un tono che sarebbe dovuto suonare seducente, ma che sembrava ridicolo alle orecchie di Élodie, aggiunse: “Non c'è neanche da scommettere che alla fine della nottata sarai tu ad insistere perché si chiuda l'incontro proprio come stai già immaginando.”
Élodie di nuovo ignorò la provocazione e disse con un tono crudele e distaccato: “Se perderai il duello, dopo il ballo andrai via da questo palazzo in silenzio, senza dare spiegazioni e io non avrò mai più tue notizie. Ok?” Il giovane acconsentì con un cenno del capo e i due si misero in posizione. Kurt gridò il suo consueto richiamo all'onore dando così il via alla sfida. D'Arcy era effettivamente piuttosto abile, elegante e misurato nei movimenti. Un duellante abituato alle gare e al pubblico. Élodie era stata addestrata per combattere, non per competere e in quella circostanza la differenza sarebbe stata evidente a miglia di distanza. Una volta di più Élodie si sentì immensamente riconoscente nei confronti del suo maestro d'armi che l’aveva preparata al campo di battaglia e non al palazzo, rendendola in questo modo letale per la corte, e sicura al di fuori. 
Il ragazzo non aveva speranze. Élodie giocò un poco con lui, lo fece girare in tondo, gli diede crudeli speranze, ma presto fu chiaro anche a lui che quello che andava avanti non era un vero scontro ma il gioco del gatto con il topo. D'Arcy innervosito e frustrato dall'evidente abilità della ragazza iniziò a perdere molta della sua grazia divenendo così troppo irruento e maldestro. Élodie mise fine allo spettacolo pietoso appoggiando la punta smussata dello stocco contro il fianco del ragazzo. Quando era Kurt a sfidarla il duello poteva dirsi concluso solo quando uno dei due dichiarava la sconfitta ma con i cadetti il primo tocco poteva dirsi sufficiente e tanto sarebbe bastato anche con il giovane, abituato alle dimostrazioni più che al combattimento. 
Ma le sue proteste si fecero di fuoco: “Non vorrai credere che sia finita qui. Ho chiesto un vero duello. Sarà finito solo al primo sangue.”
Kurt che era già a metà strada verso di loro, pronto a recuperare le armi e a mettere fine al triste spettacolo si fermò di colpo rimanendo a osservare cosa Élodie avrebbe fatto a quel punto. Lei rise, spiazzata da quella assurda richiesta: “Non puoi parlare seriamente. Finiamola qui. Non ne hai ancora avuto abbastanza?”
“Non sono uno dei tuoi tirapiedi, non puoi darmi ordini.” Poi rivolgendosi con ferocia verso Kurt aggiunse: “Tu torna a cuccia. Lascia i padroni occuparsi dei loro affari.” 
Élodie non ci pensò due volte, strinse lo stocco e passò all'attacco. Non trattenne la sua lama questa volta e cercare di star dietro alle sue gambe agili fece presto crescere il fiato grosso al giovane. Con una stoccata precisa e controllata Élodie portò la punta della lama a disegnare una linea leggera sullo zigomo di D'Arcy. La linea si tinse immediatamente di rosso e poche gocce di sangue iniziarono a colare sul viso del ragazzo, già arrossato dalla fatica.
“Ora sei soddisfatto?” il ragazzo si portò la mano al viso e si ritirò irato non prima di aver mormorato tra i denti: “Non credere che finisca qui.”
Élodie e Kurt si ritrovarono soli nel cortile si guardarono negli occhi per un lungo momento e poi lasciarono andare una lieve risata dal sapore liberatorio. “Green Blood, non credo che il ragazzino sia uno di parola, temo che ci vorrà qualcosa di più se vuoi liberartene.”
“Cercherò di tenere a bada il mio irresistibile fascino e se non dovesse funzionare lo trascinerò personalmente sulla prima nave in partenza.”
Kurt rise di nuovo ma nuovamente sembrò in imbarazzo, questa volta Élodie non avrebbe saputo dire il perché. L'uomo colse l'occasione per aggiungere: “Si è fatto tardi nel frattempo, vai a prepararti per il pranzo. E non cedere alle provocazioni di quel damerino mentre sei a tavola con il Principe”
 “Sono brava a non cedere alle provocazioni, direi che è la mia specialità. Tu invece dovresti proprio lavorarci su. Posso darti qualche lezione se vuoi.” La ragazza aveva parlato con aria giocosa e sbruffona ma aveva visto fare nuovamente capolino l'imbarazzo sul volto dell'uomo. Era quindi dovuto a quello? Si sentiva in difficoltà per aver perso la calma con D'Arcy? Conoscendolo, lei non si sarebbe aspettata niente di diverso. Aveva difeso e protetto lei e Constantin per tutta la vita, perché quell’occasione lo faceva sentire così a disagio? Ma Élodie non ebbe il tempo di comprendere, il maestro d’armi fece una cosa che la spiazzò completamente: chiese scusa, con aria seria e senza l'accenno di un sorriso. Kurt le chiese scusa per non essere stato capace di mantenere il controllo, per averla con il suo atteggiamento forzata a combattere. Lei avrebbe voluto avvicinarsi all'uomo, abbracciarlo, dirgli che non aveva nulla di cui scusarsi, nulla da farsi perdonare. Avrebbe voluto poter cancellare quell’espressione dal suo viso. Lui si sentiva in colpa per lei, lui che dal giorno in cui si erano incontrati non aveva fatto altro che prendersi incondizionatamente cura di lei e di suo cugino. Lui che infinite volte era finito nei guai a causa loro. Lui il cui unico errore era stato come al solito quello di volerla proteggere dalla sfrontatezza di quel ragazzino viziato. Sapeva quanto quelle scuse significassero per Kurt, lei era il suo incarico ufficiale, il suo onore stava nel portare a termine il suo lavoro nel migliore dei modi. Quelle scuse rappresentavano non solo il riconoscimento di un errore ma di un fallimento. Quelle scuse dicevano sullo stato d’animo dell’uomo più di quanto lei fosse pronta a riconoscere. Élodie avrebbe voluto trovare il modo per comunicare a Kurt, quello che pensava, avrebbe voluto dire che comprendeva tutto, che aveva sbagliato ad accusarlo, che non gli rimproverava nulla. Riuscì solo a fare un passo verso di lui, e fermando a metà il gesto con cui avrebbe voluto afferrare la sua mano disse solo: “Sono io a chiederti scusa.”
 Rimasero a guardarsi per un lunghissimo momento e quando il silenzio divenne insopportabile Élodie si voltò allontanandosi senza aggiungere altro.

 Il giorno del grande ballo in onore del principe aveva portato con sé un’atmosfera di palpabile tensione, tutti a palazzo erano nervosi e spaventati, qualunque piccolo errore quel giorno avrebbe significato una catastrofe. Per quello Kurt aveva trascorso lontano dal palazzo l’intera giornata. Per quello fu il più spiazzato nell’entrare nella grande sala e vedere Constantin accompagnato a un bel giovane dai capelli biondi e gli occhi grandi. Una tragedia stava per consumarsi in quella sala e tutti sembravano esserne consapevoli, più di tutti sembrava esserlo Constantin che sorrideva leggero, ebbro di libertà. Il Principe non era ancora comparso e non lo avrebbe fatto ancora per una buona parte della serata. Avrebbe fatto il suo ingresso quando tutto gli ospiti fossero stati ormai riuniti, avrebbe fatto un bel discorso, ringraziato i convenuti e dato il via alle danze. E allora avrebbe visto suo figlio sfidarlo apertamente davanti a tutta la corte. Quella volta non sarebbe stato possibile per nessuno proteggere il giovane. Il Principe avrebbe chiesto la sua testa se questo non lo avesse fatto apparire come un mostro agli occhi della corte. Guardò nuovamente il sorriso felice del ragazzo e d'improvviso a Kurt tutto fu tutto chiaro. Il giovane cercava l'esilio e probabilmente lo avrebbe trovato. Non sapeva cosa lo aspettava sull'isola lontana ma certo conosceva bene ciò da cui fuggiva. Nel mezzo sarebbe stato amarezza e dolore, ma per una volta la sofferenza avrebbe probabilmente portato ad una via d’uscita e Kurt certo poteva capire che il giovane preferisse quello ad un travaglio costante e indefinito. Avrebbe voluto portarlo via da lì, evitargli quella prova, scortarlo su una nave e vederlo prendere il largo in modo pacifico, ma quello andava ben oltre il suo ruolo e le sue responsabilità. A pagare il suo rancio era l’uomo crudele che Constantin chiamava padre e per quanto il suo cuore vedesse chiaramente il dolore che il ragazzo celava dietro al sorriso, non avrebbe potuto mancare al proprio contratto. Non ne sarebbe comunque venuto nulla di buono per nessuno.

 Tutti i presenti sembravano crudelmente consapevoli di quanto sarebbe accaduto, nessuno si avvicinava al ragazzo, ma nessuno sembrava capace di distogliere lo sguardo. Attorno alla coppia, inusuale solo in quella particolare corte, sembrava essersi formata una sorta di piccola radura, nessuno osava avvicinarsi troppo. Kurt si chiese che fine avesse fatto Lady de Sardet, non poteva credere che avesse lasciato solo suo cugino proprio in quell’occasione. Ma quando, dopo poco, la vide comparire nella sala, qualunque altro pensiero rimase obliato per un istante. Kurt ebbe l’impressione di aver dimenticato anche come si respirasse. L'aria bloccata a metà nella gola che non accennava a scendere o a salire. Era un pensiero assurdo e fuori luogo, la splendida donna che aveva fatto il suo ingresso con passo sicuro ed elegante nella sala, era pur sempre la ragazzina vivace e fiduciosa che le era stata affidata anni prima. Nonostante i capelli raccolti  lasciassero esposto il collo delicato, nonostante lo strano corpetto lasciasse scoperte le spalle tornite e le braccia fossero solo velate dentro maniche leggere che non ne nascondevano la forza o la flessuosità, nonostante la sua schiena esposta fin sotto le scapole sembrasse una tela di bronzo iridescente, nonostante tutto, quella splendida giovane donna non poteva che essere quella stessa ragazzina che così tante volte in passato aveva rimproverato, che aveva visto rotolare nella polvere, che aveva visto ogni giorno negli ultimi 8 anni senza notare alcun cambiamento. La ragazza non aveva mai ceduto neanche per indulgere alle richieste di sua madre, neanche per amore di serenità, a lasciarsi costringere in vestiti di sete e crinoline, ingombranti e poco pratici. Aveva sempre avuto un suo stile molto sobrio, elegante e confortevole allo stesso tempo, Kurt non aveva mai notato quanto quel suo stile avesse anche una naturale e semplice sensualità. Vestita così avrebbe potuto agilmente combattere, forse solo un po’ meno fluida nei movimenti rispetto al solito a causa del corpetto, ma era chiaro anche che gli uomini avrebbero fatto la fila quella sera per poter ballare con lei nonostante indossasse sostanzialmente gli stessi stivali e gli stessi pantaloni che avrebbe potuto indossare l’indomani per l’addestramento. Nella sua unicità, stravaganza e semplicità era di gran lunga la dama più bella in quella sala. O così era sembrato a Kurt in quel momento e il pensiero lo aveva completamente travolto. 
 La ragazza aveva raggiunto Constantin e si era sistemata sicura al suo fianco. Sorrideva tranquilla, e Kurt sapeva che era pronta ad affrontare con lui tutto ciò che la serata avrebbe portato. Tornò ad assomigliare alla giovane che ben conosceva e le sembrò persino più bella. 
Cercò di distogliere lo sguardo ma Constantin lo vide prima che potesse convincersi a guardare altrove. Guidata dal ragazzo la piccola compagnia si mosse verso di lui, fendendo la folla con semplicità, tutti si scostavano al loro passaggio, come se fossero infetti, come se essere visti troppo vicini a loro avesse attirato la sciagura. 

“Kurt, è bello vederti. Permettimi di presentarti lord Felix Tierney.”
Il giovane fece un inchino grazioso e Kurt rispose cordiale. Il ragazzo meritava tutto il suo rispetto, non molti avrebbero accettato di sfidare così apertamente il principe nella sua casa, il ragazzo doveva avere fegato e doveva averne da vendere. Constantin evidentemente sollevato dalla sua reazione accogliente e cortese iniziò a chiacchierare con il suo solito fare lieve ed esuberante. Quando si costrinse ad alzare lo sguardo sulla giovane De Sardet si accorse che la ragazza aveva assunto il suo tipico atteggiamento da guardia del corpo, sguardo basso e orecchie attente. Gli sovvenne che forse il peculiare abbigliamento della ragazza nascondeva il concreto timore di dover affrontare un qualche tipo di lotta meno metaforico e più fisico. Non si sarebbe stupito nello scoprire che sotto lo strato di stoffa che scendeva dalla base posteriore del corpetto fino a raggiungere le caviglie, come una sorta di mezza gonna o come la coda di una lunga giacca da uomo, fosse nascosta una lama.
Fu intenerito nel vedere che i suoi due giovani allievi avevano deciso di attendere accanto a lui la comparsa del principe. Durante le feste Kurt preferiva rimanere defilato, se ne rimaneva in un angolo con un bicchiere in mano, ma in questo caso allontanarsi dai due ragazzi sarebbe sembrato un tradimento quindi Kurt restò fermo al suo posto, lì dove i due ragazzi si erano trincerati facendo affidamento anche sulla sua presenza rassicurante. Kurt non avrebbe potuto fare di più ma non si sarebbe allontanato di un solo passo. Quando il Principe fece finalmente la sua comparsa Constantin si rivolse pieno di fiducia al ragazzo al suo fianco: “Sei sicuro?" il ragazzo per tutta risposta gli strinse la mano e si fece più vicino alla balaustra da cui il Principe si approssimava a tenere il suo discorso. La ragazza tenne dietro ai due, non allontanandosi di un solo passo.
Kurt fece per seguirli ma la giovane si voltò e lo guardò severa: “No. Resta qui.” Il tono della ragazza non ammetteva discussioni, aveva una sicurezza che le aveva visto solo in duello e nuovamente fu costretto a guardarla con occhi nuovi. Stette dove la ragazza aveva comandato e restò a guardare. Quando il Principe ebbe dato il via alle danze Constantin e il suo accompagnatore si fecero al centro della pista, nessuno sembrava avere il coraggio di unirsi ai due. La musica iniziò a battere concitata e i due si lanciarono nella danza. Il volto del Principe era furente, sembrava sul punto di gridare, anche la giovane De Sardet dovette notarlo perché in un attimo fu accanto a lui.
 “Balla con me.” Non era una domanda, ma un altro comando appena meno convinto del precedente. Kurt era pronto ad obbedire ma un pensiero sciocco gli salì alla mente: non avrebbe saputo come stringere la ragazza evitando di posare le grosse mani sulla sua pelle nuda. A quel pensiero non riuscì a costringere il suo corpo a proseguire.
“No.” rispose forse un poco allarmato e lesse chiaramente la delusione sul volto della ragazza, che non perse però tempo a discutere. Si allontanò da lui scomparendo tra la folla per ricomparire dopo poco sulla pista da ballo tra le braccia di quel damerino spocchioso di D’Arcy. Le due coppie si muovevano sulla pista con una grazia tale da essere un vero spettacolo per gli occhi. Tutta la corte li osservava con un sentimento misto di delizia e orrore, e i due cugini non avrebbero potuto desiderare un effetto migliore, il Principe non avrebbe potuto in alcun modo ignorare tale insulto. 

 Pian piano altre coppie si fecero avanti sulla pista e quando ormai le coppie dei due cugini reali erano confuse nella folla il Principe abbandonò la sala furioso, senza rivolgere lo sguardo verso nessuno. Non si fece vedere per il resto della serata e Consantin poté godere pienamente del suo trionfo, danzò tutta la sera non solo con il suo coraggioso accompagnatore, ma anche con altri giovani e persino con qualche giovane dama. Élodie invece ballò per tutta la sera con il damerino che senza dubbio aveva preteso un prezzo in cambio di quel primo ballo. Vedere le mani di quell’arrogante posarsi sicure sul corpo della ragazza fece rivoltare lo stomaco di Kurt che non poté che pentirsi di aver negato alla ragazza una facile via di scampo a causa dei pensieri indecorosi che avevano afferrato la sua testa. Durante le poche danze in cui riuscì a liberarsi del suo pedante cavaliere, la ragazza rimase ai margini della stanza osservando attenta i volti degli invitati e cercando di coglierne i discorsi. Non gli si avvicinò mai, non avrebbe saputo dire se per caso o per scelta ma quando i loro sguardi si incrociarono per un istante la ragazza distolse immediatamente il suo, evidentemente irritata. Kurt sapeva di aver effettivamente commesso un terribile errore. Uno per cui scusarsi sarebbe stato incredibilmente difficile. Ma infondo lui non era che un freddo mercenario senza cuore. Crederlo un vile avrebbe forse anche raffreddato il trasporto della giovane nei suoi confronti. 

 Se le circostanze fossero state diverse Kurt avrebbe abbandonato la sala da ballo subito dopo il discorso del Principe, ma si costrinse a restare, temeva per Constantin e quando gli invitati iniziarono a prendere congedo lasciò anche lui la sala da ballo, ma non si diresse verso la sua stanza. Si incamminò lentamente verso le stanze di Constantin, prima di ritirarsi per la notte voleva accertarsi che tutto fosse tranquillo, o almeno sotto controllo. Il senso di colpa per il tradimento perpetrato a rimordergli la coscienza. Svoltando un angolo dei lunghi corridoi che portavano verso le stanze private del giovane principe s'imbatté, e la cosa non avrebbe dovuto stupirlo, nella giovane De Sardet ancora accompagnata da Bastien D’Arcy. Il ragazzo era un cliché vivente, il suo atteggiamento talmente artefatto da sembrare adatto ad un palcoscenico. Le braccia appoggiate all'altezza del volto della ragazza che rimaneva con la schiena contro il muro, e lo guardava da sotto in su. Era troppo buio per cogliere l'espressione della ragazza ma era certo che non fosse una situazione di suo gradimento. Se era lì era solo per poter tenere d'occhio Constantin, non certo per appartarsi con quella caricatura d'uomo. Si fece avanti senza farsi alcun riguardo per la situazione, lasciando andare passi pesanti che nel palazzo che andava facendosi via via più silenzioso attirarono immediatamente l’attenzione dei due giovani.
 Il ragazzo gli rivolse un sorriso crudele: “Ed eccolo qui, mi sembrava strano che il vecchio cane da guardia non avesse ancora messo il muso fuori dalla cuccia.” Si voltò a fronteggiarlo, lasciando però ancora una mano poggiata contro il muro, restando quindi decisamente troppo vicino alla ragazza perché Kurt potesse apprezzarlo. Non accordò al ragazzo un solo sguardo, guardò invece in viso la giovane mentre si avvicinava a passi lenti, cercando di leggere la sua espressione. Lei però continuava a sfuggire il suo sguardo. E Kurt si sentì in dovere di giustificarsi: “Eccellenza, sono solo venuto a controllare che sia tutto in ordine con Constantin. Se volete posso restare qui io e voi potete andare a riposare.”
Il ragazzino spocchioso sbuffò fuori una risata irriverente “Eccellenza? Da dove viene tutta questa reverenza? Credevo che voi due foste piuttosto intimi. Dov’è finito il soprannome che usavi con lei qualche giorno fa? Problemi in paradiso? Qualcuno magari si è intromesso e ha rovinato il vostro tubare?”
“Smettila.” La voce della ragazza era uscita con lo stesso suono di un ringhio profondo.
 “Che c’è? Deve imparare a restare obbediente al suo posto. Deve capire che la gelosia non si addice ad un cane da guardia, che non può pretendere di più solo perché gli è stato gettato un osso.” Il ragazzo non era pronto per ciò che all’improvviso si scatenò contro di lui. La ragazza lo afferrò per il collo e iniziò a colpirlo senza trattenersi, gli occhi di lui improvvisamente pieni di terrore. In un istante Kurt si frappose tra loro, uno dei pugni di lei si schiantò contro il suo braccio teso, dopo il pugno fu investito dall'intero corpo della ragazza che cercava di lottare contro di lui per raggiungere il ragazzo e continuare a picchiarlo. Chiuse il braccio intrappolando tra questo e il proprio petto il corpo della ragazza. La schiena di lei contro il suo corpo, una mano chiusa attorno alla sua spalla nuda, tra le dita quella pelle soffice a coprire muscoli tesi, un curioso incontro di morbidezza e durezza proprio come quella strana ragazza che ora contro il suo corpo diventava sempre più mansueta e smetteva di dimenarsi.
 “Vattene.” Kurt lasciò andare una sola parola tra i denti stretti e il ragazzo decise per una volta di tacere e obbedire. Appena D’Arcy ebbe svoltato l’angolo Kurt lasciò andare la ragazza che per un istante di troppo rimase però immobile accostata a lui. Kurt si costrinse quindi a fare un passo indietro e gli sembrò di riprendere a respirare liberamente. “Mi sembrava di aver capito che tu fossi brava a non cedere alle provocazioni. Dove hai lasciato la tua maestria?”
La ragazza si volse lentamente verso di lui rivolgendogli uno sguardo timoroso e continuando a tacere. Kurt distolse lo sguardo riportandolo in direzione delle stanze di Constantin. “Vai davvero a riposare, resto qui io a controllare che non accada nulla a Constantin.”
“E se dovesse farsi vivo il Principe che faresti?” Uno sguardo inquisitorio lo fece sentire minuscolo. Nel buio, gli occhi scurissimi della ragazza sembravano farsi ancor più grandi, due pozze profondissime in cui rischiava di annegare. “Vai tu a riposare, questa sera Constantin ha bisogno di me.”
La ragazza tornò ad appoggiare le spalle contro il muro e abbassò lo sguardo trincerandosi in un silenzio scontroso. Avrebbe dovuto lasciare le cose com’erano sarebbe senza dubbio stato più saggio, ma in quella strana notte quella ragazza sembrava aver gettato su di lui un sortilegio. Continuava a guardarla senza riconoscerla. “Green Blood, mi dispiace per prima. Non avrei voluto…” Ma le parole gli morirono in gola, sapeva che non c’era un solo modo al mondo per uscire illesi da quella conversazione. Allora tacque sebbene troppo tardi. La ragazza lo guardò nuovamente negli occhi e accennò un sorriso che sembrò costarle tutta la fatica del mondo. “A me non devi alcuna spiegazione. So che non era tua intenzione prendere le distanze da Constantin e sono pronta a spiegare anche a lui la situazione se dovesse essere necessario, non preoccuparti.” 
 Quelle parole lo lasciarono inizialmente interdetto, poi un timore sottile si fece strada tra i suoi pensieri. Aveva forse compreso, quella giovane intuitiva, il suo attimo di sbandamento? Sarebbe stato tremendo. Avrebbe dovuto prendere le distanze dal palazzo, non avrebbe potuto continuare a rimanerle accanto dopo un affronto del genere. Cercò le parole migliori a cui potesse pensare, ma la testa non sembrava voler funzionare. La ragazza venne nuovamente in suo soccorso, sistemò sul viso un sorriso ancor più doloroso del primo e disse in un soffio: “So bene che il problema non è Constantin. Non lo è mai. Avresti ballato con lui se te lo avesse chiesto.” Poi con la voce quasi rotta dal pianto aggiunse: “Ma preferirei non ascoltare da te giustificazioni umilianti o peggio bugie umilianti." Tacque per un momento e poi riprese con voce più ferma mimando un distacco che non riusciva però a comunicare: “So che quanti solitamente accettano di esporsi con me a corte lo fanno solo per attirare le simpatie del Principe. Tu senza dubbio non sei quel tipo d'uomo e questo ti fa onore. E poi in questo caso devo ammettere di essermela cercata, chi ballerebbe a palazzo con una donna vestita da soldato? Ma se ci fosse stato un vero scontro non avrei avuto rivali.” Cercò di nascondere un dolore profondo dietro una sorriso artefatto, che certo non poteva ingannare Kurt. Davvero quella splendida giovane donna, credeva di non essere una compagna desiderabile? Anche quella sarebbe potuta essere una bugia più saggia della verità, ma il dolore nei suoi occhi faceva stringere il cuore di Kurt. Sapeva che da ragazzina il marchio che rendeva il suo viso tanto interessante era stato un problema per lei. Ragazzi e ragazze la prendeva in giro, e forse lei aveva in passato creduto di non essere bella, ma crescendo la sua opinione doveva essere mutata. Non vi era cadetto in tutta Serene a non aver avuto un debole per lei, e tanto in taverna quanto a palazzo la sua figura aggraziata attirava costantemente gli sguardi degli uomini e di non poche donne. Quindi da dove veniva ora quella insensata insicurezza? Possibile che quella che Kurt aveva letto come un’acquisita consapevolezza non fosse altro che un altro aspetto della sua tendenza a dimenticarsi di sé? Senza fidarsi abbastanza di se stesso per avvicinarsi di un solo passo Kurt provò a dire con tono leggero: “Non ho mai visto nessun soldato indossare niente di simile al tuo abito di questa sera. Sarebbe stato senz’altro interessante.” 
 La ragazza aveva riportato ora lo sguardo a terra e sembrava irrequieta, con la voce molto più controllata sebbene con una nota di insofferenza disse sbrigativa: “Grazie Kurt. Puoi andare, davvero. Se il Principe dovesse trovarti qui saresti nei guai.” 

 “Tutti gli uomini presenti questa sera avrebbero voluto danzare con te.” Kurt si accorse di stare parlando prima di potersi mordere la lingua. La ragazza alzò uno sguardo irritato su di lui: “Non tutti.” E poi aggiunse con un fare sbrigativo con cui sperava di nascondere una verità che l'avrebbe fatta sentire esposta e vulnerabile. Incapace di mentire ma rifiutando di lasciarsi sopraffare da quella verità: “Non ho bisogno di compassione. È stato solo un attimo di debolezza. Va bene così, so qual è il mio posto, so chi sono e mi sta bene, di solito. Questa sera è stata solo più faticosa di quanto mi aspettassi. Domani sarà tutto di nuovo in ordine. Non preoccuparti.” La voce ora temprata e dura come l’acciaio.

Tutti gli uomini in sala avrebbero voluto danzare con lei. Tutti. Ma forse era più leale non farglielo sapere. Prese congedo in silenzio. E rientrò nella sua stanzetta sperando che il sonno arrivasse presto a cancellare quella folle sera.

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Let it go
No mother, no father, no home
Forget as all others
Have forgotten
When I'm alone
Love that lifts me up
Pain that brings me down
Everything I'd ever want and don't
When I'm not strong
Let it rain
Let it flood these streets, wash me away
Or what the future holds
When I don't know
Tracy Chapman

 

 

 Quando il giovane Felix lasciò le stanze di Constantin l'alba era ormai prossima. Elodie lo ringraziò teneramente e gli indicò la via più veloce per lasciare il palazzo. Il ragazzo era stato a dir poco prezioso, aveva sposato la causa di Constantin con una dedizione stupefacente e ora meritava di fare ritorno al sicuro nella sua casa di Hikmet. Il giovane era uno studioso, aveva vissuto ovunque nel continente, nonostante la sua giovane età, la sfida affrontata la notte precedente era solo una pagina in più da aggiungere alle sue ricerche, per Constantin e per lei stessa invece la sua generosità poteva segnare un cambiamento radicale nelle loro vite. 
 Appena il giovane fu andato Élodie si precipitò nelle stanze di Constantin. Lo trovò addormentato nel grande, pretenziosissimo letto. Vi si arrampicò senza togliere gli stivali e si sedette accanto a lui lasciando riposare la schiena contro l'elaborata testiera. Il ragazzo nel sonno le si fece vicino e appoggiò la testa sulla sua gamba. Elodie prese ad accarezzare lievemente la testa del ragazzo, il suo viso sereno. Se fosse sopravvissuto a tutto quello sarebbe finalmente stato libero. 
 Non si concesse troppi pensieri in merito a se stessa. Lei sarebbe potuta semplicemente restare al suo fianco. La sera del ballo aveva reso ben chiaro il suo posto. Sarebbe rimasta per sempre un curioso incrocio tra un nobile e un soldato, lontana da entrambi i mondi, disprezzata da entrambi. Il rifiuto di Kurt le bruciava dentro più del dovutoon si aspettava in fondo niente di diverso, ma il suo volto quasi spaventato dalla sua richiesta l'aveva destabilizzata. L'uomo pronto fino ad un istante prima a sfidare il Principe apertamente, era stata lei ad impedirgli di esporsi incautamente davanti alla corte, aveva poi dovuto mancare a quello che senza dubbio sentiva come un suo dovere perché sconcertato dall'idea di dover danzare con lei. Starle vicino avrebbe effettivamente attirato su di lui chiacchiere indesiderate tanto da parte dei nobili, quanto da parte dei soldati. Sapeva ormai cosa si mormorava su di lei alle sue spalle, soprattutto in caserma, e non poteva biasimare Kurt per non volersi trovare al centro dell'attenzione delle malelingue. Certo, questo non aveva fermato quello sciocco di D'Arcy dal muovere esattamente quel tipo di accuse. Era stata una debole a cedere alla provocazione ma all'improvviso tutto era sembrato troppo da sopportare. Sulla pelle ancora il brivido dato dal braccio forte e fermo di Kurt, dalla sua mano chiusa sulla pelle nuda, del suo corpo contro la sua schiena. Come avrebbe desiderato in quel momento che lui non fosse altro che un freddo mercenario senza cuore. Invece come al solito vegliava su di lei, le impediva di fare sciocchezze, le rimaneva accanto senza però poter vedere in lei niente di più. Élodie si sentì tanto sconfortata da pensarsi maledetta.  
In quel momento Constantin si mosse appena, aprì gli occhi e le sorrise con infinita dolcezza. 
 “Buon giorno mia dolce cugina.” rimase a guardarla da sotto in su per un po', tirandosi poi lentamente su a sedere. “Sei pronta per quello che verrà?”
 “Non permetterò che ti accada nulla, lo prometto.” 
 Il ragazzo la circondò con un braccio e la attirò a sé, stampandogli un tenero bacio sulla tempia. Élodie rimase immobile in quell'abbraccio assaporandone fino in fondo la preziosa tenerezza.Un colpo alla porta interruppe il momento e i due balzarono in piedi all'unisono. Non avevano armi ma sapevano che non sarebbero servite. Il colpo non era stato un avvertimento o un furioso bussare, ma il rumore della porta aperta con la forza, probabilmente dallo stivale di un soldato. 
 Il Principe fu nella stanza in un momento intimando alle guardie che lo accompagnavano di attendere fuori. Cercò allo stesso modo di allontanare anche Élodie, ma la ragazza non arretrò di un passo, si frappose anzi fisicamente tra suo cugino e il nuovo arrivato. 
 “Ragazzina, non crederai di intimorirmi? Nonostante la tua faccia tosta e la tua arroganza resti pur sempre nient'altro che una ragazzina. Una ragazzina ingrata se proprio vogliamo dirla tutta.”
 Élodie non disse una parola rimase solo immobile tra il Principe e suo figlio, fissando lo sguardo sul volto dell’uomo. Il Principe innervosito dalla sfida preparò un manrovescio a cui Élodie non accennò a sottrarsi, chiuse solo gli occhi quando vide le nocche della mano ingioiellata avvicinarsi al suo viso. La mano però non la raggiunse. Constantin per la prima volta, forse, nella sua intera vita affrontava suo padre apertamente, senza nascondersi dietro provocazioni o sfide fantasiose. 
 “Lei no. Non vi permetterò di toccarla. Questo è il limite che non vi permetterò di oltrepassare.”
 Constantin stringeva con una mano il polso del Principe, aveva bloccato a metà lo schiaffo e ora non si preoccupava affatto di minacciare apertamente l'uomo. 
Élodie afferrò l’altra mano di Constantin che rimaneva stesa al suo fianco e chiusa a pugno come una morsa. La stretta si allentò al contatto con la sua mano e la ragazza ne approfittò per intrecciare le sue dita a quelle del ragazzo. Si scambiarono solo uno sguardo e Constantin lasciò andare il polso di suo padre. 
 “Sei solo una disgrazia e una vergogna. Non voglio più vedere il tuo volto. Tra un mese salperà la prossima nave per Teer Fradee, e tu sarai a bordo. Andrai dove potrai causare vergogna solo a te stesso. Dove non dovrò più pensarti come mio figlio. Sarò il tuo Principe e non mancherò di ricompensare lealtà e tradimento come di addice ad un principe.”
 Constantin strinse di più la mano della cugina e disse solo: “E sia. Non avrò più un padre ma un principe. Ora lasciate le mie stanze. O mi vedrò costretto a lasciare il vostro palazzo.” Il Principe si voltò e fece per andarsene ma ristrette un momento per aggiungere: “Ritenetevi dispensati da qualunque evento ufficiale. E preparate le valigie.” Poi uscì senza aggiungere altro. 

 Quando il padre fu andato Constantin si accasciò a terra, come se avesse esaurito in quel confronto tutte le sue energie. Élodie si inginocchiò davanti a lui e lo abbracciò forte come a voler infondere in lui tutta la propria forza, come a volerlo difendere dal resto del mondo. Il ragazzo rimase docile dentro quell'abbraccio mentre le lacrime che rigavano il suo viso inzuppavano allo stesso tempo le spalle e i capelli ormai disfatti di Élodie. Lo accarezzò, cullandolo tra le braccia per un tempo lunghissimo. 
 “È andato tutto bene. Sei libero.” Una frase densa che ogni tanto Élodie ripeteva come una litania.  Alla fine il ragazzo si placò e fu pronto a vedere il lato positivo della faccenda. 
“Stiamo davvero per partire per una terra nuova. Abbiamo una nuova vita che si apre per noi.”

 Le settimane che li dividevano dall’agognata partenza furono stranamente vuote e al tempo stesso frenetiche. Messier De Courcillon si fece portavoce di ogni comando del Principe e di giorno in giorno i suoi desideri mutavano. Cercava probabilmente il modo migliore per metterli alla prova. E alla fine sembrò aver confezionato la fatica perfetta: Constantin sarebbe divenuto Governatore ed Élodie sarebbe stata la sua spalla diplomatica, il Legato della Confederazione dei mercanti. Il Principe conosceva però troppo poco i due ragazzi, o fu malamente consigliato, da De Courcillon probabilmente, perché, lungi da apparire come una tortura, finì per confezionare per loro la soluzione maggiormente desiderabile.  L'unico pensiero cupo di Élodie non poteva che riguardare il vecchio maestro d'armi. Avrebbe immensamente sentito la mancanza di quell'uomo burbero. A poco più di una settimana dalla partenza il pensiero la portò a tornare in taverna dopo una lunghissima assenza. Attese la sera libera del capitano e poi trascinò Constantin a bere. Nessuno notava ormai la loro assenza, vivevano in un idillio di libertà e oblio, e il suo unico desiderio per quella sera sarebbe stato poter dire addio all’uomo.
 Entrare in taverna fu stranamente facile, meno facile fu sedersi e iniziare a guardarsi attorno. Si accorse presto che molti dei soldati presenti avevano fissato lo sguardo su di loro. Constantin propose il primo brindisi, ma nessuno si avvicinava al loro tavolo. Doveva essere colpa sua. Sapeva che Constantin faceva visita alla taverna con una certa regolarità e dubitava fosse rimasto da solo troppo a lungo. Quella sera invece la compagnia sembrava farsi attendere. Due giovani mercanti, dei conoscenti di Constantin, entrarono infine in taverna e si unirono a loro. L’atmosfera in taverna sembrò di colpo più rilassata. I due ragazzi erano piacevoli, ma non abbastanza da tenere ancorata l’attenzione di Élodie ai loro discorsi. Kurt non era da nessuna parte in taverna ed Élodie non poté impedirsi di immaginarlo impegnato come l’ultima volta in un incontro decisamente più interessante di quello che avrebbe avuto con lei. Cercò di essere felice per lui. Cercò di immaginarlo felice con la bella donna che lo accompagnava l’ultima volta che era stata in taverna. Cercò di immaginarlo finalmente considerare l’amore non più come un lusso ma come un dono. Sarebbe stato bello poter immaginare la stessa cosa anche per se stessa, ma sapeva bene di non meritarlo. Constantin aveva già bevuto molto ed Élodie si apprestava a riportarlo a casa quando vide Kurt risalire le scale che conducevano al livello interrato della taverna. Lo stomaco si torse all’improvviso. Poteva accettare di immaginarlo felice tra le braccia di una donna che amava, ma la disgustava immaginarlo pagare una donna per appagare istinti triviali. Non lo rendeva in niente migliore di lei. Lei sapeva di essersi rivolta una volta di troppo a ragazzi qualunque, non aveva dovuto pagarli, certo, ma l’uso strumentale che ne avea fatto la equiparava senz’altro a quanti pagavano per gli stessi servigi, ed era infine stata ripagata della stessa moneta. 
Ma Kurt era talmente migliore di lei, non poteva immaginarlo lasciarsi andare a comportamenti così degradanti. Quando l’uomo si avvicinò a loro e la delusione lasciò il posto alla preoccupazione. Kurt non era sceso di sotto per trovare conforto tra le braccia di una donna, ma per combattere nell’arena e il suo viso ne riportava chiaramente i segni.
“Caspita, voi pivelli reali non vi facevate vedere insieme da queste parti da un bel po’ di tempo. Festeggiate qualcosa?” La voce ancora chiaramente accesa dalla frenesia del combattimento.
“Kurt! Che ti è successo alla faccia?” Costantin aveva accolto il soldato con un grande sorriso e una ostentata preoccupazione accompagnando la domanda con un gesto che invitava l’uomo a unirsi a loro. 
 “Niente che una buona birra non possa curare, soprattutto se siete voi ad offrire.”
Kurt si lasciò andare di peso sulla panca prendendo posto proprio davanti a Élodie. Quando arrivò l’ennesimo giro di birre che Constantin aveva ordinato, i mercanti ripresero lo stesso discorso animato a cui la ragazza aveva già in precedenza prestato pochissima attenzione e che ora non riusciva proprio a seguire. Constantin partecipava invece con fin troppo entusiasmo alla discussione, dando evidente prova dei numerosi boccali che erano passati tra le sue mani.
 Élodie beveva e lanciava di tanto in tanto un'occhiata a Kurt che sembrava dimentico quanto lei del resto della compagnia, i loro sguardi continuavano a incrociarsi e a sfuggirsi ed Élodie iniziava a sentirsi in imbarazzo. L’uomo ruppe improvvisamente il silenzio: “Green blood, hai finito di preparare le valigie?”
 Élodie in quel momento avrebbe dato qualunque cosa per non dover affrontare quella discussione. Non voleva parlare del viaggio, non voleva dire addio.
 “Sì, credo di aver preparato tutto ciò di cui potrei aver bisogno.” Poi si trovò scioccamente ad aggiungere: “Tutto ciò che posso portare con me, quanto meno.”
 “Sembra che Nuova Seréne non offra solo terre selvagge e animali esotici, potrai trovare tutto ciò che non riuscirai a portare da qui e probabilmente molto di più. Inutile caricarsi di bagagli inutili ed ingombranti, quindi.”
 Élodie lo guardò con grande attenzione, cosa stava cercando di dirle? Le parole di Kurt, aveva imparato, non erano mai casuali. Quell’uomo conversava con la stessa attenzione con cui avrebbe guidato una squadra in battaglia. Ebbe l’impressione che il soldato stesse giocando con lei. 
 “Sono abituata a viaggiare leggera, non porterò con me nient’altro che l’essenziale.”
 “Se questa è davvero l’occasione di cambiare la tua vita dovresti forse rivalutare cosa è essenziale e cose invece rappresenta solo una zavorra.”
 Il tono fin troppo serio del soldato la metteva a disagio. Cosa voleva? Stava forse parlando di Constantin? Poteva ben immaginare che l’uomo avesse compreso i suoi pensieri sebbene nascosti, ma non immaginava che decidesse all’improvviso di parlarne tanto apertamente.
 “Alcune cose che forse credi di voler portare con te, non sono altro che un infantile desiderio di sentirsi a casa.” Rincarò l’uomo, ed Élodie non poté che ribattere piccata: “Ci sono bagagli da cui non voglio e non posso liberarmi, sarebbe come scegliere di lasciare a casa un braccio perché averne due è ridondante.”
 Kurt la guardò per un momento smarrito ed Élodie ebbe l’impressione di aver frainteso tutto. Ma lo scoppio di risa improvviso dei tre ragazzi al loro fianco li distolse dalla loro conversazione. Constantin sempre più ubriaco aveva iniziato a straparlare.
“Cari, vi chiedo scusa ma credo sia giunta l’ora per noi di rientrare a palazzo.” Ignorando le sue proteste spinse il ragazzo ad alzarsi e sostenendolo con il proprio corpo lo guidò verso l’uscita.

 Una volta fuori Élodie si accorse che Kurt li aveva seguiti e si preparava a tornare con loro a palazzo. Si incamminarono e l’uomo prese silenziosamente a camminare al suo fianco. Constantin canticchiava una ballata da taverna, mentre i suoi compagni misuravano i loro passi a testa bassa persi dietro i loro pensieri. Élodie combatteva la voglia e la paura di lasciare andare una confessione inutile e liberatoria. Ma a parlare per primo fu Kurt: “Siete stati voi a richiedere la mia presenza sull’isola?”
 La ragazza si fermò immediatamente e Constantin appoggiato a lei fu costretto a fare lo stesso. Cercò sul viso dell’uomo un chiarimento per quella strana domanda.
 “Cosa vuoi dire? Ti è stato forse chiesto di partire con noi?” L’uomo rispose alla sua domanda solo con un cenno del capo. D’improvviso le parole che il soldato le aveva rivolto in taverna acquisivano senso, non si riferiva a Constantin, non era il ragazzo ad essere un bagaglio da lasciare a casa, il soldato parlava di se stesso. Élodie si sentì incendiare il volto e spinse il suo fardello ubriaco a riprendere a camminare. Kurt aveva senza dubbio male interpretato gli eventi ma aveva compreso perfettamente il suo cuore. Aveva riconosciuto la sua tenerezza e il suo affetto, ma lo aveva chiaramente giudicato infantile ed egoista, aveva letto nel suo trasporto il capriccio di una bambina viziata. Pensava forse che fosse tanto egoista da disporre della sua vita con tanta superficialità? Non avrebbe saputo dire se ad avere la meglio fosse l’imbarazzo o la rabbia, ma entrambi esplosero contemporaneamente nella sua reazione eccessiva: “Cosa credi? Non avrei mai fatto una richiesta del genere. Di certo non ho più bisogno di un maestro d’armi!”
 “Lo so bene, mi spiace scoprire di essere un compagno di viaggio non solo inaspettato, ma sgradito. Ti chiedo scusa.” Il soldato era apparso improvvisamente ferito, forse in imbarazzo, era possibile che Élodie non trovasse le parole giuste per parlare con lui?
 “Non volevo dire questo ma solo che non avrei mai fatto una richiesta tanto egoista. So bene che la tua vita non è a nostra disposizione, sebbene non ci sia nulla capace di rendermi più felice della prospettiva di vederti partire con noi.”
 Kurt le si parò di fronte all’improvviso impedendole di proseguire. Non gli aveva mai visto uno sguardo così serio e così intenso, sentì nuovamente il volto farsi di fuoco. “Green Blood, è questo che mi preoccupa. Se vuoi davvero una nuova vita a Nuova Seréne allora devi lasciare qui tutto ciò che ti tiene legata, ancorata a questo vecchio mondo.”
Non avrebbe avuto senso andare avanti con giri di parole ridicoli quindi Élodie prese coraggio e disse semplicemente: “Tu per me sei tutt’altro che una zavorra, ma se potrò evitarlo farò in modo che tu non veda stravolta la tua vita a causa nostra. Parlerò con De Courcillon.”
 A quel punto fu la risata scomposta di Costantin a risuonare: “È stato proprio lui a convincere il Principe a farti viaggiare con noi. Il buon De Courcillon non vi sarà di alcun aiuto. Baciarvi ora, qui, sotto il chiaro di luna lo sarebbe invece.”
 Élodie ebbe un’improvvisa e insopprimibile voglia di strozzare il suo amato cugino, ma Kurt con prontezza si prese gioco di lui, disinnescando le molte complicazioni legate al commento di un ubriaco: “Pivello, dovresti imparare a chiedere più gentilmente, in caso contrario sai bene che i miei servigi hanno un prezzo, e temo che neanche voi siate abbastanza ricchi per potervi permettere un trattamento tanto speciale.”
 Prese Constantin per un braccio, liberando Élodie del suo peso e riprese a camminare.
Una volta tornati a palazzo Kurt lasciò Constantin nelle mani della ragazza. Le rivolse un ultimo sguardo colmo di significato, uno sguardo che Élodie sentì affondarle nello stomaco. Non aggiunse una parola in più, lasciò la ragazza fare i conti con la serata come se quella fosse stata parte del suo addestramento, come se quella dovesse essere la sua ultima lezione.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


You look different every time
You come from the foam-crested brine
It's your skin, shining softly in the moonlight
Partly fish, partly porpoise
Am I yours?
Are you mine to play with?
Robert Wyatt

 

 “Mio cugino è scomparso.” L’ultimo giorno nel vecchio continente si preparava ad essere più movimentato del previsto. Kurt avrebbe voluto mantenere la giusta distanza, lasciare il vecchio mondo con una ritrovata serenità e una incrollabile fiducia nel suo nuovo incarico, guardia personale del governatore di Nuova Seréne, non gli dispiaceva quel nuovo cambio di prospettiva Constantin non sarebbe più stato il suo allievo, ma il suo signore. E Lady De Sardet? Da quando la sua partenza era stata decretata aveva smesso di mettere a tacere il suo interesse nei confronti del vecchio maestro d’armi e Kurt lo aveva notato. Lo aveva trovato divertente inizialmente, poi tenero, infine pericoloso. Non perché il trasporto significasse qualcosa per lui, ma se lui era condannato come loro all’esilio era fondamentale che ciascuno tenesse ben presente il proprio ruolo. Non sarebbero più stati tanto vicini e rifarsi ad una familiarità ormai superata poteva essere sconveniente per i due giovani. 

 Per questo aggirarsi tra le vie di Seréne accompagnato dalla giovane De Sardet era l’ultima cosa che si sarebbe aspettato di essere costretto a fare. La notte trascorsa in taverna doveva servire a ristabilire le distanze, a dare ai due giovani prospettive di libertà diverse, l’imbarazzo provato davanti alla semplice confessione della ragazza era stato un effetto collaterale, prendersi gioco di lei finora aveva sempre funzionato, avrebbe proseguito, fino a che anche lei non si fosse resa conto di quanto ridicola fosse la sciocca infatuazione che la spingeva a vedere nel suo vecchio maestro d’armi qualcosa più di un rozzo soldato.

 Ma non prendere quella giovane splendida donna sul serio era incredibilmente difficile quando la sua spada era pronta ad aprirgli la strada o a guardargli le spalle o quando il suo ingegno e la sua capacità oratoria - un divertente incrocio tra la graziosa cortesia propria della corte e la parlantina furba di un mercante truffaldino - mettevano in massimo risalto il suo carisma. Kurt non poté che stare a guardare e sentirsi un bruto, utile solo quanto la spada che stringeva in mano, era un sentire costante legato alla sua giovinezza, gli capitava ancora a volte in società, spesso con Constantin, mai prima d’allora con la giovane De Sardet.

 Recuperato il giovane senza versare una sola stilla di sangue, il resto della giornata si offriva loro tranquillo, in attesa della nave che sarebbe dovuta salpare quella notte e che li avrebbe finalmente condotti lontani. Alcuni affari della guardia avrebbero riempito le sue ore e impeditogli di pensare troppo. Sentimenti discordanti lo agitavano, non era legato a quelle terre, partendo non si lasciava dietro nulla se non orribili demoni, sepolti ormai con tanto impegno da avere poco più che il sapore di incubi lontani. Ma cosa lo aspettava? Era fin troppo abituato dalla vita a non aspettarsi nulla di buono, il piccolo angolo tranquillo che era riuscito a ritagliarsi era destinato a scomparire, e per quanto si sforzasse nel suo futuro era incapace di vedere nient’altro che dovere e solitudine. Poi lo sguardo gli cadde sul sorriso autentico ma indeciso della giovane accanto a lui: “Allora che si fa ora?” La ragazza lo guardava con fiducia, l’espressione sul volto del maestro doveva però aver fatto intuire il suo spaesamento. “Beh, non posso certo tornare a palazzo dopo aver elargito degli addii tanto toccanti. Sarebbe una fatica del tutto sprecata.”

 “Green Blood, mi dispiace ho delle faccende da sbrigare per il reggimento.”

 “Non credevo certo che mi avresti fatto da governante. Siamo compagni di viaggio ora, se vuoi posso esserti d’aiuto.”

 Kurt rimase con un pensiero bloccato a metà nella testa. Lady De Sardet gli stava offrendo aiuto. Non solo stava con una semplice richiesta sparigliando i rigidi confini che Kurt aveva intenzione di rispettare, stava ancora una volta sovvertendo completamente l’ordine costituito, cercando con gentilezza e semplicità di entrare nella sua vita.

 Come avrebbe potuto dire di no? Con quale motivazione? Cosa avrebbe significato un rifiuto? Da cosa doveva difendersi? Lasciò quell’ultimo pensiero sistemarsi in un angolo lontano della mente. Attendere ai propri compiti era l’unico antidoto a cui sapesse pensare. Si misero in marcia, vide la sua giovane compagna di avventure non scomporsi minimamente davanti ad ordini tanto foschi da far sorgere in lui non pochi dubbi. Si era affidata con naturalezza al suo giudizio, gli aveva guardato le spalle quando la situazione era diventata critica. Per la prima volta lontana, davvero lontana dal palazzo, era stata libera di esprimere il proprio potenziale. La sua gradevole presenza aveva fatto volare quella giornata lasciando in Kurt una piacevole ma indefinita sensazione. Eppure i suoi sensi erano allerta, tutto quello suonava enormemente pericoloso. Quella giovane donna, incredibilmente distante dalla ragazzina che aveva conosciuto tanti anni prima ma ancora troppo familiare, rischiava davvero di creargli problemi. Doveva tenerla al suo posto. E soprattutto doveva tenere al loro posto i suoi pensieri sconvenienti.

 Giunta l’ora di salpare si diressero alla nave, il capitano, un nauto di cui avevano fatto la conoscenza in mattinata e che era sembrato estremamente sgradevole, sembrò essersi ammorbidito nell’arco della giornata. Aver riportato da lui un marinaio scomparso doveva aver fatto vedere sotto una luce nuova quei passeggeri inizialmente sgraditi.

 Kurt annotò mentalmente il fastidio procurato dalla galanteria che l’uomo aveva riservato a Lady De Sardet, e archiviò quella sciocca reazione tra i comportamenti pericolosi e da tenere sotto controllo. Fu sufficiente un attimo per riportare la lucidità nella mente del soldato, una lucidità quasi dolorosa: una bestia mai vista prima, feroce e fuori controllo, fece irruzione sul molo sfuggendo ad una nave da carico su cui evidentemente era stata trasportata, probabilmente proprio da Teer Fradee. 

 Non era servito che uno sguardo perché la giovane De Sardet comprendesse la situazione. Il futuro governatore di Nuova Seréne andava protetto ad ogni costo e la ragazza, già da lungo tempo abituata a una difesa ad oltranza dell’amato cugino, non esitò un solo istante per gettarsi nella mischia.

 “Tu resta qui, e difendilo.” Una voce imperiosa, che non ammetteva repliche e che lo richiamava al suo ruolo, senza possibilità di appello. La sua allieva trasformata in un attimo nella sua signora, orgogliosa e volitiva, una padrona a cui non avrebbe saputo o potuto negare nulla.

 Si schierò in difesa del giovane e guardò Lady De Sardet farsi incontro alla bestia, la vide affrontare il mostro con una precisione e una rapidità spietate. Fu una lotta durissima ma riconobbe con l’orgoglio del maestro che la bestia, per quanto feroce e terribile non aveva avuto scampo.

 Quando con un tonfo il mostro si accasciò a terra, Constantin si liberò della sua presa, era stato costretto a trattenere il ragazzo per impedirgli di correre in soccorso della cugina, rischiando così di mettere in pericolo la vita di entrambi. Quando infine riuscì a sfuggire alla presa di Kurt il giovane si precipitò verso la cugina che aveva sì riportato dei brutti postumi da quella lotta, ma che lo accolse sorridente come sempre. Un sorriso meno tenero, ma decisamente soddisfatto, fu quello che la giovane donna rivolse a Kurt. Il capitano si accorse solo in quel momento quanto quel viaggio si prospettasse incredibilmente difficile. Il sorriso della ragazza era affondato dentro di lui lasciando una scia ardente ma cupa come brace soffocata.

 I due ragazzi si fecero strada verso la nave che li avrebbe condotti verso quella nuova vita, Constantin era euforico e la giovane De Sardet lo era di rimando. Livida con gli abiti raffinati e il viso sporchi di icore e sangue, sorrideva nel vedere il cugino felice, quella era la vita che la aspettava a Teer Fradee, una vita fatta di una identica dedizione, di un amore disperato, destinato a renderla succube di quel cugino tanto amorevole quanto ondivago.

 E che vita aspettava lui?

 Intanto il nauto a capo della loro spedizione, il capitano Vasco, li accolse a bordo, riservando a Lady De Sardet, una melliflua cortesia e dedicando a Constantin un’attenzione ben più caustica. Kurt rimase ad osservare l’uomo con circospezione, ma non appena la nave fu fuori dal porto si rese conto che il suo apporto come guardia del corpo durante quel viaggio sarebbe stato ben scarso. Era la prima volta che solcava il mare e non aveva idea che potesse essere così sgradevole il movimento provocato dall’infrangersi delle onde sullo scafo.

 Un bel vento spingeva la nave e la faceva danzare a un ritmo che ben presto Kurt trovò insopportabile. La nausea prese il sopravvento e nel giro di pochissimo tempo non fu più in grado di trattenere dei terribili conati. Lasciò andare il suo malessere fuori bordo e non poté ignorare le risatine dei nauti che accoglievano la sua reazione al mare come un plauso alla propria capacità.

 “Il vostro maestro d’armi sembra avere qualche difficoltà a entrare in relazione con il mare. Succede spesso a chi è abituato ad avere i piedi saldamente piantati a terra.” La voce sbruffona del capitano raggiunse le sue orecchie insieme alla risata di Constantin, la ragazza invece rimaneva seria e lo osservava attenta. Dopo aver visto il proprio ruolo di maestro distrutto dalla caparbietà e dalla consapevolezza di sé della giovane, ora doveva anche ammettere la propria debolezza fisica davanti ad un nemico che non poteva affrontare. Quel viaggio si stava dimostrando una disfatta. Kurt si rassegnò a ritirarsi sottocoperta per sfuggire al ludibrio e alla delusione che leggeva negli occhi di quelli che fino a poco tempo prima avrebbe definito i pivelli reali. I suoi pivelli reali. 

 Un vecchio secchio di legno abbandonato in un angolo avrebbe fatto al caso suo, lo prese sottobraccio e non lo abbandonò per tutte le ore successive, finché un sonno pietoso non lo strappò a quella terribile realtà. 

 

La nausea insistente fu nuovamente la prima sensazione che affiorò alla coscienza, quando qualche tempo dopo, Kurt non avrebbe saputo quantificare il tempo che il riposo gli aveva concesso, un colpo leggero lo richiamò alla veglia nella piccola cabina ormai pregna del puzzo del suo malessere. 

Il soldato non aveva alcuna intenzione di incoraggiare visite o chiacchiere quindi tacque anche quando il colpo alla porta si ripeté, questa volta più deciso.

Per nulla scoraggiato lo scocciatore aprì la porta e Kurt fu sorpreso e seccato nel riconoscere la giovane lady.

 “Vattene Green Blood.” La voce dura non spaventò la ragazza che in effetti aveva visto del soldato ogni più tetra faccia. In quel momento però l’uomo era in preda ad una vergogna scontrosa, seccato dalla propria debolezza, dal sentirsi impresentabile, sfatto. Non la voleva lì dentro. Fu quindi ancor più imbarazzante del dovuto vederla sedersi indifferente sul bordo del letto e fissare lo sguardo cupo sul suo viso.

 “Il capitano Vasco consiglia di non rimanere sottocoperta, e soprattutto consiglia di non restare sdraiato.”

 “Il capitano Vasco può prendere i suoi consigli e ficcarseli…” ma si interruppe nuovamente scosso da un conato. “Vattene.” Disse di nuovo tra i denti.

 La ragazza si alzò ma solo per cercare qualcosa nella cabina immersa nella semioscurità. Si muoveva in quello spazio angusto e sudicio, come un essere fatato. Tornò a sedersi sul bordo del letto e gli porse un bicchiere colmo di un liquido chiaro.

 “Non mi sembra un buon momento per darsi all’alcol.”

 “Me lo hanno dato i nauti, è un intruglio capace di tenere a bada il mal di mare. Devi berne un piccolo sorso alla volta.”

 Kurt tentò di tirarsi su sui gomiti, ma ogni movimento costava una fatica infinita e provocava il suo stomaco, già pronto a dire la sua.

 La ragazza si alzò e si sistemò con le ginocchia alla testa del letto, gli posò le mani calde sulle spalle. Kurt poteva sentirne il calore e la forza attraverso la stoffa ruvida della casacca. Lo spinse a sedere e si sedette dietro di lui, impedendogli di sdraiarsi nuovamente. Il corpo della ragazza aveva preso a fargli da schienale, e lui si era abbandonato a quel sostegno incapace di attingere alle proprie forze. Si ritrovò con un bicchiere in mano e la voce stranamente roca della ragazza gli arrivò come un sussurro: “Bevi.” Obbedì. 

 Non appena lo stomaco si fu abituato a quella nuova posizione tentò di portare le gambe oltre il bordo del letto per poter appoggiare il busto contro la parete di legno e non più contro il corpo profumato della ragazza. Improvvisamente era fin troppo consapevole del suo stato.

 Quando la manovra gli fu riuscita gli fu finalmente possibile tornare a guardare la ragazza. Il suo viso era di fuoco. Sciocca ragazza. 

 “Green Blood puoi andare, finirò di bere questa brodaglia e salirò sul ponte.” La voce intenerita dalla ingenua reazione della giovane alla loro vicinanza fisica. “Non devi restare.”

 “Ti accompagnerò sul ponte e poi ti lascerò stare.”

 “Credi forse di portarmi sopra di peso?”

 La ragazza gli rivolse un sorriso di sfida e un calore insolito scaldò il petto del soldato. Era uno scambio familiare, riconosceva in quel sorriso la sua giovane allieva. Chi era davvero il più ingenuo tra i due?

 “Potrei farlo se mi costringi.”

 “Va bene Green Blood, proviamo.”.

 La ragazza gli tolse il bicchiere di mano, lo posò in un angolo e riavvicinatasi si fece passare un suo braccio attorno al collo. Si sollevò costringendolo a fare lo stesso e ad attingere a tutte le sue forze. Era così piccola vicino a lui, avrebbe potuto facilmente cedere sotto il suo peso, ma non sembrava vacillare. Se non per il colore che le imporporava il viso, che si fece più intenso quando lui volse il viso verso di lei arrivando quasi a sfiorarle la tempia con il mento, non sembrava anzi accusare in nessun modo la situazione. Un passo dopo l’altro uscirono dalla cabina. Percorsero lo stretto corridoio che conduceva alle scale e salirono con fatica verso il ponte. L’aria fresca diede alla testa al soldato che si sentì vacillare. La ragazza fu letteralmente la sua roccia. Riuscì a tenerlo in piedi chissà come e una volta stabilizzato, lo guidò verso un punto riparato e lo fece sedere a terra.

 Senza aggiungere una parola scomparve nuovamente sottocoperta. Gli aveva promesso di lasciarlo in pace ma all’improvviso, Kurt si accorse di volerla accanto. Fuori all’aria fresca la sua presenza non lo metteva più a disagio il corpo caldo della ragazza aveva lasciato una sensazione dolce dentro di lui. Quella lontananza improvvisa lasciava un senso di vuoto indescrivibile. Che pensieri assurdi. Si sentiva in colpa però per aver trattato così bruscamente la giovane. Lei che era abituata ad essere una servitrice leale e silenziosa, nei confronti di suo cugino, aveva ora assunto lo stesso ruolo anche nei suoi confronti, e lui non si era dimostrato più riconoscente di Constantin, sebbene fosse infinitamente meno degno delle sue cure.

 Un altro errore a cui avrebbe dovuto necessariamente porre rimedio. Intanto la giovane stava tornando verso di lui, e si concesse il lusso di guardarla. Gli capitava di tanto in tanto ultimamente, più spesso dopo il famoso ballo che li aveva condotti su quella nave, ma di rado si era concesso il lusso di indugiare in quella pericolosa attività. In quel momento però, con la schiena appoggiata alla balaustra del ponte di una nave che li portava lontani, con le vele gonfie a fare da sfondo e le poche forze che aveva in corpo, impedirsi di guardarla sarebbe sembrato uno sforzo inutile. Sembrava il ritratto allegorico della libertà: i capelli scurissimi, insolitamente sciolti sulle spalle e scompigliati dal vento, una casacca informe gettata quasi per caso su quelle forme che tanto lo avevano turbato in passato, lo sguardo limpido di chi non ha niente da temere o da nascondere. Si avvicinò decisa e rimase in piedi fissandolo dall’alto. 

Gli porse il bicchiere ancora pieno per metà dell’intruglio dei nauti, che Kurt doveva ammettere suo malgrado stava facendo effetto.

 Il soldato la ringraziò con un gesto appena accennato della testa. Lady De Sardet ristette per un momento come indecisa se fermarsi o andar via, e Kurt non poté impedirsi di dire: “Resta, siediti qui.” Insieme alle forze anche la sua saggezza doveva averlo abbandonato.

 La ragazza non si fece ripetere l’invito due volte si sedette anzi molto vicina a lui, le loro spalle si sfioravano come avevano fatto in precedenza. Il senso di vuoto sembrava improvvisamente aver abbandonato il soldato. 

 “Grazie, Green Blood.”

 “Di niente. Non potevo lasciarti a compiangere nella tua cabina per tutto il resto del viaggio, con chi avrei tirato di scherma? Ho avuto un maestro severo che mi ha insegnato che la pratica quotidiana è il segreto di ogni bravo spadaccino.” Kurt tornò a saggiare la familiarità del tono leggero della ragazza e non poté che assecondarlo.

 “E il tuo regale cugino che fine ha fatto? Anche lui ha lo stomaco sottosopra a causa del mare?” 

 “Il suo stomaco è in subbuglio, ma non può certo incolpare il mare per questo.”

 Il soldato studiò il volto della ragazza, il sorriso aperto e giocoso di poco prima si era trasformato nel riso forzato che Kurt aveva imparato a riconoscere fin troppo bene, un sorriso difficile da tenere su, come una maschera a nascondere una rassegnazione inscalfibile. Lo sguardo insistente dell’uomo spinse la giovane a proseguire.

 “Credo che il problema di Costantin riguardi esclusivamente lo sfarfallio che gli occhi chiari del capitano creano nel suo stomaco.”

 Il sorriso non aveva lasciato per un istante il volto della giovane De Sardet, ma Kurt poteva leggere nei suoi occhi tutta la tristezza che non si permetteva di esprimere in altro modo. 

 Cercò di porvi rimedio scherzando: “Siamo a bordo da meno di due giorni e tuo cugino è già innamorato! Che sconsiderato!”

 Lo sguardo velato della giovane vagava ora lontano, in alto verso le vele spiegate e forse ancora oltre. “Sai, credo che questa volta potrebbe essere davvero innamorato. Non invidi un po’ la sua sconsideratezza?”

 “Niente affatto Green Blood, starai scherzando! Io sono troppo vecchio per certe cose! Ma tu? Cosa ti impedisce di essere altrettanto incosciente?”

Gli occhi della donna si riportarono decisi su di lui. Kurt si sentì nuovamente come risucchiato nella profondità di quello sguardo. La sua voce a spezzare il pericoloso incantesimo: “Un vecchio brontolone mi ha detto una volta che l’amore è un lusso. Constantin è il principe e probabilmente l’amore è solo uno dei suoi tanti privilegi. Io non credo di avere niente di simile.” La voce forzatamente allegra non poteva nascondere l’espressione che ormai affiorava ovunque sul suo volto.

 Era così vicina in quel momento che nulla sarebbe costato sollevare una mano e carezzarle il viso, alleviare con un gesto un dolore implacabile. Ma sapeva fin troppo bene che Élodie De Sardet non era donna in grado di risparmiarsi. Un solo gesto di apertura da parte sua sarebbe valso la sua eterna lealtà e gratitudine. Quel sentimento in boccio che la ragazza credeva di provare per lui avrebbe infine acquistato forma e dimensione, e lei sarebbe stata persa, non più dietro un amorevole cugino e facoltoso principe, ma disperata per un rozzo e sudicio soldato, che nulla poteva avere da offrire se non i propri guai.

 Questi pensieri cupi trattennero la sua mano e lo riportarono certo all’interno di confini definiti. La debolezza lo abbandonava, e la donna al suo fianco riprendeva i chiari contorni di una Lady, il suo incarico, l’ennesimo nobile da servire finché le sue monete avessero pagato il rancio, per passare un giorno al nuovo migliore offerente.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


 

Oh, my life is changing everyday
In every possible way
And oh, my dreams
It's never quite as it seems
Never quite as it seems

I know I felt like this before
But now I'm feeling it even more
Because it came from you
Then I open up and see
The person falling here is me
A different way to be

The Cranberries

 

 

 “Le loro eccellenze ci faranno l’onore di unirsi a noi e di allietare come gli altri la serata?”

La voce del capitano Vasco l’aveva trascinata fuori da pensieri foschi e malinconici. Uno strano languore si era impossessato di lei durante il viaggio, l’inazione aveva lasciato spazio a solitudine e rimpianti e neanche i canti e le danze che avevano animato la serata erano stati sufficienti ad allontanare da lei quella nube di malinconia. Quando Élodie alzò lo sguardo richiamata dalla voce del capitano capì che le sue parole non erano certamente per lei.

Quell’uomo così sicuro di sé, quasi arrogante, era senz’altro l’essere più lontano da ciò che aveva sempre attratto Constantin, eppure sapeva con certezza che l’adorato cugino sarebbe infine caduto davanti allo sguardo dolce ma determinato del bel capitano.

Per la prima volta avrebbe dovuto cedere il controllo, per la prima volta si sarebbe davvero innamorato. E lo sguardo nei suoi occhi in quel momento confermava i suoi presagi. Vasco lo guardava con aria di sfida, affascinato dal giovane principe come chiunque altro, ma molto meno disposto a lasciar trasparire l’ammirazione. Constantin non avrebbe avuto scampo. 

I due uomini impegnati nell’ennesima schermaglia si volsero improvvisamente verso di lei: “Cara cugina, se non mi lascerai solo in questa prova, potrei anch'io fare la mia parte per questa serata. Ma lo farò solo se anche tu ci canterai qualcosa”

A Élodie sembrava di essere tornata indietro di almeno 10 anni, quando lei e Constantin poco più che bambini, venivano condotti in salotto solo il tempo necessario per essere sfoggiati davanti agli illustri ospiti del Principe. Si ricordava come Constantin fosse scoppiato in lacrime la prima volta che fu costretto ad esibirsi, e lei aveva cantato per tutti, cercando di allontanare l’attenzione dal bambino scosso dal pianto.

Come sempre non seppe resistere alla richiesta del cugino e acconsentì a cantare dopo di lui. Constantin cantò una canzonaccia da taverna scatenando l’ilarità generale. La testa di Élodie sembrava bloccata in un ricordo continuava a rivivere la scena della sua infanzia ma avrebbe fatto qualunque cosa pur di non cantare la stessa canzone anche davanti a quegli uomini sbronzi. Afferrò al volo un pensiero e cantò una lenta ballata, non proprio adatta alla compagnia ma senza dubbio più adatta di quelle apprese a corte:

City of stars
Are you shining just for me?
City of stars
There's so much that I can't see
Who knows?
Is this the start of something wonderful and new?
Or one more dream that I cannot make true?

 

 Alla fine del suo canto sulla compagnia era sceso il silenzio e gli occhi chiari di Kurt erano fissi su di lei con un’espressione che la metteva incredibilmente a disagio. Per questo fu inizialmente grata quando il capitano Vasco con il suo modo impertinente ruppe il silenzio: “Lady De Sardet, non mi stupisce scoprire che da brava fanciulla ben educata abbiate una splendida voce, ma perdonate la mia ciurma, non è abituata ad ascoltare canti così delicati, una canzone adatta senz’altro alle stanze di un bel palazzo a una ricca bambina pronta a coltivare ogni tipo di sogno. Nessuno dei presenti ha mai avuto niente di tutto questo, né comodità, né ricchezza né la libertà di poter sognare un destino diverso. Questo ci rende emotivi.” Grazie a quelle parole caustiche rivestite di un’ipocrita cortesia, la gratitudine si era presto mutata in dispetto ed Élodie decise che non avrebbe più permesso al capitano un così facile giudizio.

 “Sarete quindi deluso, Capitano, scoprendo che ho imparato questa canzone da una prostituta della taverna delle Guardie del Conio. A voi piace molto sottolineare quanto comode e felici siano state le nostre vite. Ma delle nostre vite non sapete nulla. Io vi guardo e vedo una famiglia. Non ho mai avuto niente di simile.”

 “Mi dispiace milady. Non volevo giudicarvi né essere irrispettoso.” Vasco genuinamente dispiaciuto provò a scusarsi, ma Élodiedecise di godere appieno della propria rivincita e guardando il volto del capitano imporporarsi per l’imbarazzo aggiunse: “Allora provate ad essere più accorto quando accusate di aver vissuto una vita comoda e agiata dei prigionieri che state conducendo in esilio.”

 Uscì lasciandosi dietro una platea esterrefatta. L’aria fredda della notte spense il suo sentimento di vittoria. Aveva messo a tacere il capitano, lo aveva fatto sentire uno snob, che era esattamente ciò di cui l’aveva più omeno velatamente accusata da quando aveva messo piede su quella nave. Ma cosa voleva ottenere da quello sfogo? Non era per l’opinione che il nauto aveva di lei che provava tutto quel risentimento nei suoi confronti. Vasco era stato anzi piuttosto accogliente nei suoi confronti, era stata lei a comportarsi in modo scostante allontanandolo ad ogni occasione. Avrebbe dovuto chiedergli scusa e quel pensiero lasciava una scia acida dentro di lei. Di cosa avrebbe dovuto scusarsi? Di non rassegnarsi a vedere la sua vita cambiare completamente di punto in bianco? Di non accettare a cuor leggero che all’improvviso Constantin non avesse più voglia di trascorrere il suo tempo con lei? Di non gioire del fatto che suo cugino era davvero per la prima volta innamorato e questo la chiudeva inevitabilmente fuori, additando una volta di più i suoi sentimenti come qualcosa di distorto e malato? Ovviamente no. Doveva scusarsi solo delle sue reazioni infantili e del suo dimostrarsi ancora una volta egoista. 

 “Green blood.” Un brivido le scese lungo la schiena quando la voce incerta e interrogativa di Kurt la raggiunse mettendo in fuga i pensieri che promettevano di sciogliersi in un pianto imbarazzante. Si voltò verso l’uomo sfoggiando il suo sorriso migliore “Non ti sarai certo preoccupato? Non sarebbe degno di un mercenario nella tua posizione.”

 Kurt accennò un sorriso ma continuò a guardarla con un’insopportabile gravità.

 “Va tutto bene, volevo solo dare una lezione a quello sciocco capitano. È solo uno snob pieno di pregiudizi. Sarebbe perfettamente a proprio agio a Corte.”

 L’uomo più rilassato lasciò andare una risata e si appoggiò al parapetto del ponte lasciando vagare lo sguardo verso il mare nero. Quello spettacolo sembrava aver finalmente smesso di spaventarlo.

 “Sospetto che ci sia qualcosa di personale, un livore così acceso nei confronti della nobiltà non può essere solo una questione di principio. Magari una giovane di buona famiglia gli ha spezzato il cuore.”

Probabilmente Kurt aveva ragione, Élodie non sapeva niente della sua vita eppure aveva accusato lui di aver emesso giudizi superficiali. Il soldato era ancora, e forse sarebbe sempre stato in grado di darle lezioni in modo semplice e diretto. Grazie alle sue parole era sempre capace di immaginarsi un poco migliore. Sospirò rassegnata tornando finalmente a riconoscere quale fosse la cosa giusta da fare, recuperando il proprio imprescindibile ruolo. Finalmente disse con grande sincerità: “Spero solo che non decida di vendicarsi su un altro giovane di buona famiglia.” 

 “Constantin è grande ormai, non puoi proteggerlo da tutto. E trovo molto divertente che sia io a dovertelo ricordare.” 

Élodie si trovò a sorridere sentendosi più leggera. Stava per aggiungere altro quando dalla sala, in cui era tornata a suonare una musica allegra, uscì un giovane marinaio che si avvicinò tentennante.

 “Milady, sono venuto a controllare che fosse tutto in ordine, che stiate bene.” Élodie, sorpresa da tanto interesse ringraziò e rassicurò il giovane che pareva però restio a lasciarsi convincere. “Il capitano è un uomo buono, ma non è bravo a parlare con la gente di terra. Non voleva offendervi. Sono certo, Milady, che se tornaste dentro ne sarebbe davvero felice. Lo saremmo tutti.”

 Élodie avrebbe mentito dicendo di non essere invidiosa del senso di lealtà e familiarità che univa la ciurma di quella nave, niente però l’avrebbe convinta a rientrare ora che Kurt era lì fuori con lei. “Vi ringrazio molto e terrò a mente le vostre parole. Per questa sera però credo di aver goduto a sufficienza della compagnia.” Cercando appoggio in Kurt aggiunse: “Stavamo giusto valutando di ritirarci per la notte, non è vero?”

 Kurt rispose solo con un sorriso divertito che sembrò essere abbastanza convincente per il marinaio che rientrò nel refettorio per riunirsi alla compagnia. Non appena il giovane fu scomparso nella sala della festa Kurt prese a parlare enormemente divertito da qualcosa che le sfuggiva completamente: “Green Blood, sei un mostro! Possibile che tu non abbia un briciolo di compassione?” Le parole di Kurt erano esplose in una risata.

 Èlodie lo guardava interdetta contagiata però dall'ilarità improvvisa dell'uomo. Kurt riprese allora a parlare con tono giocoso: “Hai appena spezzato il cuore a quel giovanotto con totale noncuranza.”

“Che sciocchezze. Tu e Constantin siete sempre pronti ad attribuirmi spasimanti. Se aveste ragione anche solo la metà delle volte avrei una corte da fare invidia a Theleme.”

 “Sono pronto a scommettere la mia spada che quel giovane marinaio si sia preso una gran bella cotta per te.”

 “Anche se fosse? Sono stata cortese, non l’ho certo offeso.”

Kurt la guardò ancora divertito, e forse incredulo davanti alla sua ingenuità nei confronti di una situazione che a lui doveva sembrare ben più che ovvia.

 “Green Blood, sei incredibile! Gli hai appena detto con noncuranza non solo di non avere tempo per lui, ma gli hai anche lasciato credere che saremmo scesi sottocoperta insieme.”

 Élodie sentì il volto andarle a fuoco mentre Kurt rideva di gusto della sua ingenua goffaggine. 

 La risata scrosciante di Kurt spinse anche lei al riso, i brutti pensieri lontani anni luce. Poteva davvero ritirarsi e sperare finalmente in una notte serena. Quell'uomo burbero non avrebbe mai saputo davvero quanto avesse fatto, in modi insoliti e improbabili, per meritare la sua gratitudine. Restarono per un po' a guardare il mare e il cielo in un confortevole silenzio. Élodie pensava di concedersi solo qualche momento in più di quella serena intimità prima di ritirarsi per la notte quando due figure strisciarono fuori dalla sala della festa in quasi assoluto silenzio. Erano distanti ma Élodie ne riconobbe perfettamente i contorni. Costantin e il capitano si fronteggiavano in silenzio illuminati appena dalla luce della luna. Un pensiero crudele si insinuò nella mente della giovane: Constantin non le aveva dedicato un solo pensiero. Un marinaio di cui non era certa di ricordare il nome era stato spinto fuori dalla sala della festa dall’urgenza di accertarsi che lei stesse bene, per pregarla di riunirsi alla compagnia. Il suo adorato cugino aveva invece lasciato la sala solo per appartarsi con l’uomo che aveva scatenato la sua ira. Ma Élodie poteva facilmente immaginare che il confronto fra i due in seguito alla sua sfuriata fosse sfociato in qualcosa di più intimo, poteva vedere Constantin affrontare il capitano e chiedere spiegazioni, esigere delle scuse, e il capitano rispondere orgoglioso a quelle richieste. Poteva immaginare l’attrazione che aveva contraddistinto ogni loro scambio prendere il posto della rabbia e dell’irritazione. Era tutto così scontato e inevitabile che Élodie non poté evitare di sentirsi in colpa per l’ennesima volta per quei pensieri egoisti che non sapeva tenere a freno.

Kurt intanto si era avvicinato a lei e la guardava preoccupato. Dopo qualche istante le disse in un sussurro: “Forse è meglio che davvero ci ritiriamo per la notte, non credi?”

 “Insieme?” Élodie sputò fuori quella domanda senza alcuna intenzione di attenuarne l’intento provocatorio. Non avrebbe saputo dire il perché ma l’atteggiamento dell’uomo, le sue parole, il suo tono, la irritarono tanto da farle perdere la ritrosia che spesso frenava la sua lingua. Avrebbe voluto vederlo perdere un po’ della sua compostezza e della sua sicurezza, invece lo vide solo ridere di nuovo. I due uomini che avevano a quel punto iniziato a studiarsi più da vicino, forse infastiditi dalla rumorosa risata di Kurt si avviarono verso le scale scomparendo sottocoperta. Élodie si voltò verso il soldato per fronteggiarlo ancora una volta. L’irritazione che cresceva dentro di lei rischiava di trovare sfogo nell’infantile impulso di ferire. Cercò di tenere a freno quell’istinto crudele, limitandosi a dire con voce cupa e scontrosa: “Vai pure. Io non ho sonno.” 

 L’uomo restava in piedi accanto a lei e la fissava con sguardo grave. Élodie avrebbe fatto di tutto per sfuggire a quello sguardo, in quel momento non c’era nulla che lei potesse nascondergli e sapeva che l’immagine che stava dando di sé era la meno lusinghiera possibile. Si allontanò da lui e rientrò nella sala dove i marinai continuavano a festeggiare senza il loro capitano. Il marinaio che, secondo Kurt, aveva una cotta per lei le fu accanto non appena la vide. 

 “Milady, siete tornata. Ne sono felice. Volete giocare, ascoltare la musica, o ballare magari?” Élodie lo vide chiaramente arrossire a quella proposta. Maledetto Kurt, aveva ragione come sempre. Il nauto doveva avere pressappoco la sua età, ma a guardarlo in quel momento con l’imbarazzo così chiaramente dipinto sul volto insieme ad un’emozione sincera e ingenua, sembrava un bambino. Era esattamente così che lei doveva apparire agli occhi di Kurt.

 “Per il momento mi accontenterei di qualcosa da bere.” Disse al giovane con tenerezza. Non aveva niente da potergli offrire, il minimo che potesse fare era trattarlo con gentilezza. Il marinaio prese due bicchiere e una bottiglia, le fece strada verso un angolo della sala e la fece sedere. Si sedette accanto a lei e chiacchierò per un po’ continuando di tanto in tanto a riempirle il bicchiere. Mentre il nauto raccontava della vita a bordo e di terre meravigliose visitate in viaggi precedenti, anche Kurt aveva fatto ritorno nella sala e la osservava da lontano. Élodie e il suo marinaio erano seduti ai margini della sala ma alcuni altri nauti si unirono a loro man mano. Erano una compagnia piacevole e la ragazza si lasciò catturare dalle loro storie. Ma, via via che l’alcol passava dal bruciarle la gola ad annebbiarle la testa, Élodie si accorse di trovare quasi tutto intollerabile: le chiacchiere dei nauti che si erano fatte sguaiate, la musica che continuava a riempire l’aria in modo quasi insopportabile e su tutto gli occhi feroci di Kurt che non perdevano neanche il più piccolo dei suoi gesti e che la giovane sentiva addosso pesanti come una zavorra che rendeva impossibile non solo muoversi ma anche pensare liberamente. Dimentica di ogni cautela lasciò la piccola compagnia senza dire una parola e si diresse decisa verso il soldato. 

 “Che vuoi?” Sputò fuori senza alcun riguardo. 

 “Green blood è ora che tu vada a dormire.” Non una parola in più, non un’espressione sul suo viso. Solo il tono severo del maestro.

 “Sai Kurt? Non sei più nella posizione di potermi dare ordini. Semmai, ora è il contrario.” L’alcol aveva completamente annullato il poco buon senso rimasto nella sua testa e si era trovata a dire con cattiveria parole che non avrebbe mai voluto pronunciare.

“Non sono mai stato nella posizione di potervi dare degli ordini, Eccellenza.” Nel tono scostante, quasi offensivo, con cui aveva usato in quel momento quell’appellativo così formale non c’era niente del modo irriverente e familiare con cui spesso Kurt lo usava quasi a volersi prendere gioco di lei. Élodie seppe di aver tristemente punto il soldato nel vivo. “Sono sempre e solo stato nella posizione di dovervi proteggere. È per questo che vengo pagato.” Aveva finalmente fatto breccia nella compostezza dell’uomo, lo aveva ferito, e lui aveva risposto nell’unico modo possibile: facendo ricorso alla sua armatura di freddo mercenario senza cuore.

Élodie abbassò lo sguardo, incapace di chiedere scusa ma non desiderando portare avanti quella schermaglia. Si lasciò condurre fuori ma al pensiero di dover scendere sottocoperta non fu in grado di costringersi a scendere.

L'aria fredda la colpì insieme alla consapevolezza di essere bloccata. Sentì in un attimo lo stomaco rivoltarsi e fece giusto in tempo a sporgersi fuori bordo lasciando andare così il malessere trattenuto a stento. 

L'uomo era rimasto accanto a lei e la guardava ora preoccupato. Quando ebbe riacquistato il controllo riportò lo sguardo su di lui con l'intento di rassicurarlo, ma le sue buone intenzioni si scontrarono con l'espressione del maestro deluso. Élodie si appoggiò contro delle casse ancorate a terra e attese il rimprovero che non si fece attendere a lungo. “Dovresti evitare di bere così tanto, soprattutto quando sei con gente che non conosci” 

“Forse è sfuggito al tuo sguardo attento che ora che Costantin è distratto da altro, tu sei la sola persona che conosco. E devo dire che non sei il compagno di bevute più spassoso che si possa immaginare.” 

L'uomo si sedette accanto a lei e disse con un tono appena più conciliante: “Cercare di arginare la solitudine con l'alcol può essere una tentazione decisamente insidiosa. Devi fare molta attenzione.”

Élodie attirò a sé le ginocchia e rifletté sulle parole del maestro prima di dire più a se stessa che all’uomo: “È incredibile quanto ci si possa sentire soli in un posto in cui ovunque volti lo sguardo c’è qualcuno, in un luogo tanto piccolo e affollato da rendere impossibile anche un solo istante di intimità.”

 Kurt non disse nulla. A Élodie saltò alla mente il fatto che quella fosse per lui una verità piuttosto banale. Quanti anni aveva dovuto trascorrere a palazzo solo in mezzo a gente che lo teneva a distanza e lo giudicava poco più di un villano ripulito? Ignorando ancora una volta la cautela gli si fece più vicino fino ad arrivare a posare la testa contro la spalla dell’uomo che rimase in silenzio e non accennò a muoversi. Non aveva niente da nascondere a Kurt in quel momento, lui sapeva ogni cosa, il suo cuore per lui non aveva segreti. Lei invece non sapeva nulla.  “Ti sei mai sentito solo in questi anni a palazzo?”

 Kurt si mosse un poco, un gesto che non sembrava del tutto infastidito ma che la convinse a rientrare nei ranghi, sollevò la testa e portò lo sguardo verso l’uomo.

 “Certo, sempre. Perché? Vorresti fare qualcosa per rimediare?”

 “Sai che è così.” Lo aveva detto con un sorriso poco convinto e Kurt invece di rispondere al suo tentativo di provocazione con una risata era divenuto serio all’improvviso.

 “Non dovresti buttarti via così, neanche per scherzo. Dovresti davvero imparare a valutarti per ciò che sei o rischi di trovarti in situazioni davvero spiacevoli”

 Élodie portò lo sguardo fisso verso le punte dei suoi piedi, si sentiva tornata bambina, non era diverso quello dai tanti rimproveri che il maestro d’armi le aveva rivolto in passato. Era bastato un momento di debolezza, un solo istante di autocommiserazione per ricacciare lontano quell’uomo che aveva appena iniziato a valutare la possibilità di abbassare le difese. Che sciocca era stata.

 L’uomo si rialzò in piedi: “È davvero ora di ritirarsi.” La voce dura di Kurt era quella che conosceva, la voce del maestro deluso.

 Ma per quanto potesse essere deludente per lui, niente in quel momento l’avrebbe convinta a rientrare nella sua cabina.

 “Resterò qui fuori ancora un po’.” Disse alzandosi lentamente e cercando di non suonare scontrosa.

 “Green blood non mi sembra la notte adatta per rimanere qui fuori da sola.” 

 Lo guardò per un momento: l’uomo, che la superava in altezza di tutta la testa e forse qualcosa in più, guardava in basso verso di lei facendola sentire ancor più piccola, ancora più infantile. Non sarebbe mai stata alla sua altezza, era chiaro. Cercò di recuperare un sorriso irriverente, riportando una sorta di normalità in quello scambio così imbarazzante: “Magari il marinaio di prima non ha ancora cambiato idea, e accetterà di farmi compagnia.”

 Lo sguardo di Kurt si fece ancor più severo: “Questo per te non vorrebbe dire buttarsi via?”

 “No, vuol dire semplicemente riconoscere qual è il mio posto.” Per un istante ebbe il timore che Kurt volesse attaccarla. Sembrava furente e le si fece minacciosamente più vicino. Élodie sostenne il suo sguardo per un lungo momento e poi disse senza un accenno di rabbia e cercando di tenere a freno la tristezza: “Kurt questa è una lezione che preferirei non ricevere. Non ora, sicuramente non da te.”

 L’uomo aveva incassato quelle ultime parole come un pugno. Lo vide infatti tentennare e fare un passo indietro. Il senso di colpa la spinse a parlare di nuovo: “Mi dispiace, ma niente mi convincerà a tornare nella mia cabina, ora.” Era il turno di Kurt di sentirsi confuso. Non poteva capire e allora Élodie decise di spiegarsi. Non poteva certo peggiorare la situazione: “Dove credi che siano andati mio cugino e il suo capitano?” Kurt non rispose ma rimase in ascolto. “La mia cabina è esattamente tra quella di Constatin e quella di Vasco, nulla mi convincerà a spendervi la notte.”

 “E quindi cosa vuoi fare? Restare qui fuori tutta la notte?” 

 “Veramente la mia prima scelta sarebbe stata la tua cabina, la seconda la cabina del marinaio che a sentir te mi fa il filo. Ma nessuna delle due soluzioni sembra andarti a genio.”

 Questa volta Kurt sorrise e si rimise a sedere, si sedette a terra accanto al posto che lei aveva occupato prima. Così anche Élodie si sedette di nuovo. Fu Kurt a parlare questa volta, raccontò delle lunghe giornate solitarie trascorse a palazzo.

 Élodie si lasciò cullare dalla sua voce e poi disse: “Speravo davvero che la nostra presenza fosse stata d’aiuto, abbiamo trascorso ogni giorno insieme da quando sei arrivato a palazzo.”

 “È vero e ciascuno di quei giorni è un ricordo che tengo caro. Costantin è sempre stato un ragazzino speciale e tu sei sempre stata straordinaria, ma dovermi prendere cura di voi, cosa che non avete mai reso semplice, non poteva lasciare spazio per l’amicizia.”

 Lo guardò un momento, non era mai stato così onesto con lei, non che fosse propenso alla menzogna, tutt’altro, ma in quel momento stava davvero facendo un passo nella sua direzione. 

 “E d’ora in poi?”

 “Credo dipenda dal tempo che ci verrà concesso.”

Élodie lo guardò ancora come se lo vedesse per la prima volta. Il maestro era molto lontano ora, era rimasto solo Kurt, il soldato, il capitano Kurt. E anche lei avrebbe dovuto imparare a conoscerlo meglio.

 Sorrise e rispose solo con un cenno di assenso. “Grazie.” Disse appena e poi aggiunse sicura “Vai pure, ti prometto che non farò nulla di sconsiderato questa notte.” 

 “Come desiderate mia signora, sapete bene che ho fiducia in voi.” Si alzò e le augurò la buonanotte. Élodie aveva davanti un percorso che non aveva immaginato, ma che la riempiva di curiosità. Una vita nuova la attendeva, nuovi incontri e nuove amicizie. Non avrebbe mai immaginato che il primo dei nuovi incontri potesse essere proprio il suo vecchio maestro d’armi.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***



Home is where I want to be
Pick me up and turn me round
I feel numb, burn with a weak heart
I guess I must be having fun
The less we say about it the better
Make it up as we go along
Feet on the ground
Head in the sky
It's ok I know nothing's wrong... nothing
 
 
Come fosse finito in quella situazione, di preciso Kurt non avrebbe saputo dirlo. Era sdraiato nel letto più comodo che avesse mai avuto a disposizione. Le lenzuola pulite e profumate, la stanza grande e piena di ogni genere di oggetti, la maggior parte dei quali non avrebbe saputo come usare o perché. 
 Vi era un grande camino a illuminare e riscaldare la camera e dietro un raffinato paravento una vasca da bagno tutta per lui. Eppure in quella stanza confortevole e sconosciuta non riusciva a chiudere occhio. 
 Erano arrivati sull'isola da pochi giorni e Kurt si era sentito come preso nel vortice di una danza frenetica che evidentemente non era lui a condurre. 
 Aveva trascorso la prima notte nella caserma di Nuova Seréne, le successive nel palazzo del Governatore e dopo essere stato in modo molto curioso allontanato dal suo servizio si trovava ora a dormire sotto il tetto di Palazzo De Sardet. 
 La giovane signora era divenuta a tutti gli effetti il suo nuovo incarico sebbene fosse ancora suo cugino a pagare per i suoi servizi. Il Governatore aveva affidato a Lady De Sardet alcuni incarichi che l'avrebbero portata a viaggiare per l'isola e a lui l'incarico di guardarle le spalle. 
 E allora come era successo che fosse proprio lei, la sua Signora, a guardare le spalle a lui? L’aveva trascinata in giro per la città ad indagare su qualcosa che non la riguardava. Quando le aveva chiesto di incontrare la giovane recluta credeva davvero che il suo intuito e la sua opinione sarebbero state preziose, l’orgoglio che aveva illuminato il volto di De Sardet solo un piacevole effetto collaterale, ma non avrebbe mai immaginato dove quella richiesta li avrebbe condotti. 
Kurt iniziò a sentire che le coperte si facevano troppo pesanti, tanto da togliergli il respiro. Si tirò su a sedere appoggiando la schiena contro una quantità di cuscini che non credeva di aver mai visto tutti assieme.
 Si era sempre rifiutato di reclutare giovani soldati. Si era offerto di addestrare chi aveva scelto quella vita, non avrebbe potuto fare altrimenti, quei giovani avevano bisogno di imparare a difendersi e lui poteva farlo senza metterli in pericolo. Ma non aveva mai convinto nessuno a scegliere quella strada, e come avrebbe potuto? Con Reiner era stato diverso, aveva trovato un ragazzo spezzato che della vita aveva già visto ogni sozzura. A lui le Guardie potevano offrire uno spiraglio per accedere a una vita migliore. Aveva dedicato a quel ragazzo, che aveva trovato fin troppo simile a se stesso, tutto il poco tempo libero che i due rampolli reali gli concedevano. Si era assicurato che in caserma non avesse problemi e gli aveva insegnato i rudimenti che gli avrebbero permesso di difendere se stesso, se non gli altri. Aveva accolto con sollievo la notizia che il ragazzo fosse stato assegnato a Nuova Seréne, andava lontano da lui, ma anche dai pericoli, aveva creduto. Kurt aveva saputo solo dopo la partenza del giovane che anche lui si sarebbe spostato sull’isola e lo aveva colto come un segno. E invece aveva avuto torto, come sempre. Renier non aveva niente da perdere se non la propria vita. E Kurt aveva segnato la sua condanna a morte. 
 L’uomo sentiva la fronte imperlarsi di sudore e l’aria sembrava non voler scendere nei polmoni. Si alzò in piedi e si mise a frugare la stanza. Possibile che tra tutte le cianfrusaglie sparse ovunque nessuno avesse pensato di lasciare lì una bottiglia e un bicchiere? Si sedette sul letto troppo alto cercando di riacquistare il controllo. Lo sguardo addolorato della giovane De Sardet tornò a tormentarlo e lo trafisse una volta di più. Aveva fallito anche davanti a lei. Aveva giurato di proteggere la sua recluta e il ragazzo era morto. Aveva fatto lo stesso giuramento alla giovane Lady, come poteva ancora fidarsi di lui dopo essere stata testimone del suo fallimento? Eppure quella stessa sera, dopo aver trovato il corpo del ragazzo, dopo aver svelato la terribile bugia che angosciava Kurt tanto quanto la morte del ragazzo, la giovane Lady gli aveva offerto una casa.
 
 Non poteva certo dire che l'invito fosse stato esclusivo. La casa di quella nobile dama si andava riempiendo, su suo personale invito, di reietti. Avrebbe dovuto sentirsi a suo agio in questo contesto, ma sapeva di contaminare con la sua presenza la rispettabilità di quella casa. Gli altri ospiti, per quanto reietti, avevano una loro dignità: Vasco, per quanto, lasciato a terra e privato della sua nave era pur sempre un capitano dei nauti e la donna dell’isola? Bè il fiorellino che lady De Sardet aveva raccolto per strada era niente meno che una principessa. Lui invece aveva le mani sporche del sangue di un innocente. Fossero state solo le sue mani ad essere sporche! Sapeva a cosa Reiner rischiava di andare incontro e questo non lo aveva fermato. Lo aveva comunque convinto ad arruolarsi. Non era in niente migliore di lui. Due occhi a lungo dimenticati erano riapparsi nella mente di Kurt accompagnati come sempre dal puzzo dell’uomo, non c’era modo di mandar via quell’odore dalla sua testa. E come ogni volta quel pezzo di memoria cristallizzato e incancellabile provocò un conato di vomito. Doveva bere qualcosa, doveva uscire da lì.
  Proprio davanti alla porta della sua camera si aprivano le scale che portavano all’unica stanza allocata al piano superiore, l’unico privilegio che la padrona di casa aveva tenuto per sé era quella camera isolata dalle altre. E Kurt nello scegliere la propria stanza si era detto che se proprio doveva vivere nella stessa casa della donna, avrebbe colto l’occasione per rendere più facile attendere al suo incarico. La stanza ai piedi delle scale gli permetteva infatti di tenere d’occhio la giovane Lady, e proteggerla da attacchi imprevisti. Come se poi avesse davvero avuto bisogno della sua protezione. Kurt sentì un nuovo conato torcergli lo stomaco. Stava forzando i suoi desideri anche sulla ragazza come aveva fatto con Reiner? Cosa gli dava il permesso di farlo? Si avviò verso il salottino dove sapeva avrebbe trovato da bere. Trovò la stanza illuminata da un fuoco vivace, nonostante l’ora tarda.  Facendo appena un passo all'interno vide seduta a terra davanti al grande camino Lady De Sardet, appoggiata con la schiena contro la seduta della poltrona e coperta appena dalla sua veste da notte. Entrambi sorpresi si fissarono per un istante. Il disagio di entrambi era ben più che evidente. Kurt si sforzò di rompere il silenzio, spostando lo sguardo lontano dal viso della giovane che sembrava quasi spaventato. “Green Blood, volevo solo qualcosa da bere, prendo un bicchiere e ti lascio la stanza.” 
 “No.” Disse semplicemente la giovane e Kurt suo malgrado riportò lo sguardo su di lei. Sembrava ancor più allarmata e aveva tirato le ginocchia sotto il mento infagottandosi dentro la stoffa leggera della veste da notte. Kurt attraversò la stanza e si versò da bere. Svuotò in un sorso il contenuto del bicchiere e se ne versò un altro prima di voltarsi nuovamente verso di lei.
 “Come stai?” La voce titubante della giovane donna lo colpì come un pugno ben assestato. Sentì le mani iniziare a tremare, ne appoggiò una sulla consolle su cui era posata la bottiglia e strinse l’altra attorno al bicchiere. Non aveva risposte per quella domanda. Almeno nessuna risposta che potesse condividere a cuor leggero con la sua Signora. “Non riesco a dormire, ma mi sembra che voi non siate da meno.” La ragazza sorrise debolmente e si scostò dalla poltrona: “Vuoi rimanere qui per un po’?”
 Kurt lesse una preghiera in quelle parole e non seppe dire di no. 
 “Cosa ti tiene sveglio?” Ancora quella voce titubante, un nuovo colpo allo stomaco. Lei sapeva. Voleva che lui parlasse, voleva farsi più vicina.
 Kurt sorrise e mentì: “Non è mai facile addormentarsi in un posto sconosciuto, finché non si impara a riconoscerli, i rumori di una casa sono tutti potenzialmente una minaccia.”
  “Stai dicendo in modo molto elaborato che hai paura del buio?” La ragazza lo guardava ora con sguardo furbo, un’espressione fin troppo familiare. Kurt si sentì trascinato indietro in un tempo più semplice. Ma c’erano davvero mai stati tempi semplici per lui? Possibile fosse invece solo effetto di quel sorriso? Kurt si sforzò di lasciare andare una risata e approfittò per allontanare da lui la curiosità della giovane. “E tu? Come mai non riesci a dormire?”
 Attendendo la risposta si versò da bere per la terza volta e si sedette sulla poltrona proprio di fronte alla donna. Osservandola si accorse di riuscire a respirare nuovamente. 
 “Sono troppo emozionata per dormire.” Anche la giovane aveva un bicchiere semivuoto accanto. Lo prese e ne bevve un piccolo sorso prima di proseguire: "Per la prima volta nella mia vita mi trovo in un posto che posso davvero chiamare casa. Un luogo in cui nessuno può darmi ordini o spiarmi o minacciare me e le persone a cui voglio bene. Sono felice e ho paura di perdere qualcosa di tutto questo se mi addormento. Credi abbia senso?"
 Kurt rimase in silenzio ancora per un poco considerando quanto distanti fossero le emozioni che toglievano il sonno a entrambi e ne fu immensamente grato. Nonostante la vicinanza che in viaggio si era fatta ancor meno appropriata, non era riuscito a insozzare anche lei. Forse anche per lui c’era speranza dopo tutto. Quando si decise a rispondere lo fece con più sincerità di quanta avesse inteso usarne: “Green Blood, io non ho mai avuto una casa, quindi non saprei.”
 La giovane bevve ancora e aggiunse senza guardarlo negli occhi: “Mi piacerebbe che pensassi a questa come casa tua.” Poi aggiunse cercando di mistificare il peso di quelle parole: “Vorrei che tutti voi lo faceste.”
“Questo è un palazzo, è adatto a vostra grazia, non certo a un rozzo soldato come me.”
Vide un’espressione addolorata fare capolino sul viso della giovane.  “A cosa serve una casa se non può essere condivisa con le persone che ami?” Il volto della giovane si era fatto di fuoco, aveva detto troppo? Il colpo che Kurt avvertì questa volta allo stomaco era diverso dai precedenti, più piacevole, più subdolo. Per quanto ingiusto era così bello guardarsi per un istante con gli occhi della sua giovane allieva, sembrava di potersi pensare salvabile, amabile addirittura. Ma lei non era più la sua giovane allieva, era la sua signora e tutto quello era sbagliato e Kurt non mancò di sottolinearlo aggiungendo forse un tocco di crudeltà che rimpianse immediatamente: “E allora perché non rimanere a palazzo con tuo cugino?”
 Il volto della giovane divenne una maschera, la stessa che indossava davanti a nobili altezzosi, Kurt seppe di aver sbagliato. Doveva tenere quella giovane a distanza, ma non voleva ferirla. 
 “Sono stanca di palazzi ed etichette. Vorrei che la mia casa non fosse piena di servitori ma di amici. È forse così sbagliato?” Gli occhi di lei avevano lanciato una sfida silenziosa e Kurt si arrese ancora una volta davanti a quello sguardo scuro che nascondeva profondità che Kurt non avrebbe mai voluto percepire. 
 “Sarebbe un onore essere considerato vostro amico, Eccellenza”
 Un sorriso appena accennato increspò le labbra della giovane che rimaneva seduta fronteggiandolo senza timore. Sembrava tutto così sbagliato, eppure il suo cuore aveva ripreso a battere lento, l’angoscia sepolta lontana, Kurt era tornato sé stesso grazie alle parole e alla presenza della giovane Lady. Avrebbero davvero potuto essere amici? Si rilassò sprofondando nella poltrona.
 “Posso confessarti una cosa?” Kurt la guardò e tacque aspettando che proseguisse. Il bicchiere tra le sue mani si svuotava troppo velocemente avrebbe voluto bere ancora ma la bottiglia rimaneva lontana. Come leggendo nei suoi desideri o forse per recuperare coraggio per la confessione annunciata, la donna si alzò, prese la bottiglia e la portò accanto alla poltrona. Si versò da bere e ne offrì anche a lui che accettò di buon grado. Poi tornò a sedere tenendo la bottiglia vicina e lui ancor più vicino. Rimettendosi a sedere infatti era tornata con la schiena appoggiata alla seduta della poltrona proprio accanto a lui accostata alla sua gamba quanto alla poltrona. Non lo guardava più negli occhi ora, fissava lo sguardo sul fuoco. Cosa stava per confessargli? Un timore inconsueto aveva preso a fargli tremare le mani. Tutto era sbagliato in quella situazione, la giovane Lady ai suoi piedi, lui seduto in quella pretenziosa poltrona, una familiarità e un'intimità che nessuno dei due avrebbe dovuto concedersi. 
 “Credo di essere felice di non essere a Palazzo con Constantin. Sarei rimasta lì se me lo avesse chiesto, ma sono grata che non l'abbia fatto. Mi sento crudele, ma mi sembra di essere libera per la prima volta, sento che questo piccolo posto è davvero solo mio, sento che c'è un piccolo spazio che non dipende da nessun altro. Eppure, temo che Costantin capisca di non avere più bisogno di me, ha il suo nauto ora e il suo palazzo, rimanendo lontana lui vedrà chiaramente ciò che sono. Sento di voler rimanere lontana per potermi sentire libera eppure non oso immaginare per lui la stessa libertà. Credi che sia un mostro?”
 Pronunciando quelle ultime parole la giovane aveva alzato uno sguardo quasi implorante su di lui. Vedeva riflesse su quel bel volto le emozioni contrastanti che le aveva appena confessato e la tenerezza che dilagava nel cuore di Kurt si trasformò in una sensazione fisica: sentì sciogliersi il grigiore di anni davanti a quegli occhi così scuri che non chiedevano altro che un po’ di gentilezza. Non seppe trattenere un gesto che rischiava di tradire quella sua momentanea debolezza. Posò una mano sul viso della donna: un solo istante, il rossore che subito lo incendiò lo fece ritirare maledicendosi. Provò a parlare, cercando di rimediare all’errore appena commesso.
 “Green Blood, non c'è niente di egoista in ciò che provi. Tuo cugino sa essere decisamente dilagante, è normale e giusto volere un piccolo spazio che non sia totalmente in suo controllo.”
“Non ha niente a che fare con il suo modo di fare il mio sentirmi in trappola quando sono accanto a lui. Sono io, lui non c'entra nulla.” Sputò fuori quelle parole in modo quasi irritato come se trovasse seccante dover sottolineare una verità che tra loro era sempre rimasta inespressa, ma che entrambi riconoscevano. Poi con un sottile velo di tristezza ripeté fra sé “Sono io.”
 Di nuovo quella tenerezza inopportuna e incontrollabile. Tenne a freno le mani e disse cercando di tenere calma la voce: “Green Blood, la vostra relazione è più forte di qualunque altro legame di cui io sia mai stato testimone, e so che entrambi siete il prodotto della vostra influenza reciproca. Tu devi a Constantin il tuo coraggio e lui a te la sua generosità. Siete stati tutto l’una per l’altro per tutta la vita, ora finalmente questo legame può crescere. Non sarà più importante perché necessario, lo sarà perché sceglierete di volerlo. E non credo ci sia niente di più bello. Invidio molto il vostro reciproco affetto.”
 La giovane Lady era di nuovo divenuta paonazza, proprio come poco prima, ma questa volta lui era ben sicuro di non averla neanche sfiorata. Cosa aveva detto? O come lo aveva fatto? 
 Intanto la ragazza si era raggomitolata arrivando a posare il mento sulle ginocchia. Sospirò dicendo “Tu ci conosci così bene, siamo dei libri aperti per te, e io invece non so nulla di te. Non è difficile capire come mai tu ti sia sentito così solo in tutti questi anni.”
 “Scommetto che sai di me più di quanto immagini. In fondo come io ho dovuto imparare a leggere i segni per impedirvi di combinare guai, voi avete fatto lo stesso per cercare di sfuggire al mio sguardo. E visto i guai che avete combinato siete stati senza dubbio più abili di me. Ma…”  aggiunse a fatica con le parole che gli si attaccavano alla gola, fiutando un potenziale pericolo: “se c'è qualcosa che vorresti chiedere puoi approfittare della notte e dell'insonnia.” La Lady ai suoi piedi sembrò valutare con grande attenzione le sue parole, neanche la sua proposta fosse stata un desiderio concesso inaspettatamente da un genio e lei avesse paura di sprecarlo non valutando bene le parole che sarebbero seguite. Infine lo guardò negli occhi e disse: “Tu cosa facevi per prendere le distanze da noi? Per riposarti un po'?”
“Una volta bastava andare in taverna, ma poi avete iniziato a seguirmi anche lì.” Kurt felice di quella domanda che permetteva di allentare la tensione rispose di getto con il suo tono goliardico. “E allora cos'hai cosa hai fatto?” Chiese ancora lei sorridendo appena.
“Dei lunghi bagni caldi. Però devi promettermi che non lo dirai a tuo cugino, ho una certa reputazione da mantenere”.
Il sorriso quella volta fu più aperto e autentico “Bene sarà il nostro segreto.” Poi aggiunse con una voce melliflua che Kurt sentì arrivargli fin dentro la carne, come la punta di uno stocco in battaglia. "Il mio silenzio però ha un prezzo, sai? Se devo rinunciare al piacere di ascoltare Constantin prendersi gioco di te e ricordarti quale soffice bocciolo di corte sei diventato, voglio qualcosa in cambio.

 “Green Blood, sei inquietante, posso sentire chiaramente quelle parole pronunciate dal tuo regale cugino. Kurt lasciò andare una risata che parve quasi fuori luogo nel silenzio della casa. Ma quello sì era davvero familiare e fu felice di vedere la giovane Lady rispondere a quella ritrovata normalità facendosi nuovamente lontana da lui. Volse le spalle al camino sedendo a gambe incrociate davanti a lui. Anche l'imbarazzo per essere stata sorpresa con indosso niente più che una leggera veste da notte era scomparso, grazie a quel senso di familiarità e per quanto Kurt ne fosse sollevato non poteva negare che il pudore della donna lo avesse fino a quel momento tenuto al sicuro.  Vedeva ora più di quanto avrebbe voluto attraverso la stoffa leggera. Non che non gli fosse capitato più volte di vedere la giovane con indosso niente più che le fasce che stringevano il seno e delle braghe leggere, ma in passato Kurt non aveva mai pensato a lei come una donna, non vi era nulla da nascondere al tempo e nulla che potesse turbarlo. Possibile che negli ultimi mesi fosse cambiata così tanto la sua testa? Quei pensieri gli fecero orrore e rischiarono di far riaffiorare il muto terrore che lo aveva spinto fuori dalla sua stanza facendolo piombare in quella assurda situazione. Cercò di respirare a fondo aggrappandosi alla sensazione familiare data dalla naturalezza del rapporto tra lui e la sua allieva. Non era nulla di più, solo la ragazzina che per anni aveva dovuto tirare fuori dai guai. Spostò lo sguardo dalla figura della donna cercando di concentrarsi sul suo viso cercando nei bei lineamenti del suo viso quelli acerbi della ragazzina che era stata. Cercò di fare leva sulla serenità che per quanto fragile era riuscito a raggiungere, poco prima che i suoi pensieri indecorosi lo trascinassero indietro in un luogo buio e spaventoso. Respirò ancora a fondo e con un sorriso incerto, ma facendo ricorso al suo solito tono canzonatorio disse: “Bene Green Blood dimmi qual è il tuo prezzo e vedremo di trovare un compromesso, sono un uomo ragionevole dopo tutto. 
 La donna assottigliò lo sguardo e il suo volto scuro sembrò improvvisamente farsi di fuoco nel gioco di ombre a cui la luce mobile del camino dava vita nella stanza. Al soldato improvvisamente sembrò di essere al cospetto di una strega o di una sciamana e sentì di essere in pericolo.
Beh se io devo tacere, tu devi continuare a parlare. Sorrise di un sorriso delizioso, improvvisamente sembrava scomparsa la ragazza che Kurt era certo di conoscere perfettamente. Da dove veniva quel sorriso? Era chiaramente quello di una donna. Una donna che sa perfettamente ciò che sta facendo. Possibile?
 “Per ogni notte che spenderemo accanto a un fuoco dovrai rispondere a una domanda. Ci stai?”
 Kurt sentiva nuovamente la lingua incollarsi al palato. Aveva paura di lei. No. Non era vero. Aveva paura di se stesso. E lei? Ne era attratto? Sì ne era decisamente attratto. Da dove nasceva quella sensazione? La giovane davanti a lui era la stessa incapace di riconoscere il proprio valore. La stessa che avrebbe dovuto rimettere al proprio posto, rendendola libera da uno sciocco sentimentalismo che le faceva percepire di essere sullo stesso piano di un rozzo soldato. E allora perché aveva l'impressione che lei sapesse perfettamente quale effetto ogni parola, ogni più fuggevole espressione avevano su di lui? 
 Non doveva lasciare che facesse breccia. Un solo cedimento nella sua facciata e sarebbe stato impossibile convincere quella caparbia ragazza dell’impossibilità di ciò che in quel momento stava chiaramente cercando di costruire. Non poteva e non voleva essere artefice di un crimine tanto orribile. Sapeva che la strategia doveva rimanere immutata, prendersi gioco di lei e riversare su di lei quel disagio tanto fuori luogo.
 “Green Blood, il tuo silenzio è troppo caro, pur essendo il silenzio di una Lady. Potrei scendere a compromessi se fosse una domanda per una domanda.”
La ragazza lo guardò e i suoi occhi si fecero enormi per la sorpresa e l'imbarazzo. Ma si riprese in un attimo: “Non c'è niente che tu non sappia di me.” Il volto ferino della giovane donna lo osservava divertito e spudorato. Quella notte Kurt non poteva vincere. Avrebbe dovuto ritirarsi in silenzio e ammettere la disfatta. Poi gli tornò in mente la prima volta che per un solo istante la giovane donna che aveva davanti aveva fatto capolino nell'espressione della ragazza che aveva conosciuto: “Green Blood, se non sei disposta a contrattare dovrò giocare le mie carte migliori.” Si piegò in avanti appoggiando i gomiti sulle gambe e Kurt vide la giovane arrossire a quella improvvisa prossimità:
Sbaglio o ho ancora una scommessa da riscuotere? Potrei usare la mia vincita per negoziare una resa unilaterale. Non ti pare?
 Il sorriso di Lady De Sardet si allargò di nuovo: “Tieni la tua vincita, accetto lo scambio. Una domanda per una domanda in cambio del mio silenzio.”
A quel punto si alzò e rimase per un momento in piedi accanto a lui. Lo guardava dall
alto, malferma sulle gambe, da quanto tempo era seduta lì a bere? Gli posò una mano leggera sulla spalla e aggiunse in un sussurro: “Magari avrai voglia di usare la tua vittoria per qualcosa di più divertente un giorno.” Un terrore improvviso annebbiò la sua mente al contatto con quella mano leggera. Kurt le afferrò il polso in modo un po’ troppo sgraziato e la allontanò rivolgendole al contempo uno sguardo severo. Il rossore sul volto della ragazza era ora più intenso e la vide sfuggire il suo sguardo. L’aveva finalmente messa in fuga ma il senso di giustizia non poteva completamente soffocare il crepitio sommesso del senso di colpa per aver così crudelmente allontanato la Signora che lo aveva accolto in casa sua e che le aveva offerto un’immeritata amicizia che lui stesso aveva ammesso di ricambiare. La giovane lasciò la stanza in fretta senza dire una parola in più. Se non fosse stato per il suo profumo che ancora aleggiava nella stanza Kurt avrebbe giurato di aver sognato tutto.
 A ulteriore conferma della realtà dell
accaduto una voce divertita fece sentire la sua presenza: “Sei davvero nei guai vecchio mio. Proprio non vorrei essere al tuo posto.” Vasco aveva fatto il suo ingresso nella stanza, aveva preso la bottiglia che rimaneva ancora mezza piena ai piedi della poltrona e ora lo guardava divertito. “Sei proprio nei guai.” ripeté ancora e Kurt rimase a guardarlo senza trovare la forza di rispondere alla provocazione. Il nauto sembrò soddisfatto e si allontanò continuando a ridacchiare e augurando la buona notte. 
 Era davvero nei guai? 
 
 Cosa le era saltato in testa? Si chiuse la porta alle spalle e vi si accasciò contro, tirò su le ginocchia contro il petto, vi allacciò intorno le braccia e affondò la testa come cercando un modo per seppellire tutto l’imbarazzo. Era stata una sciocca. Ogni parola detta le bruciava nella testa con un acuto senso di vergogna. Mai si era resa tanto ridicola davanti a lui. E lui l’aveva per la prima volta valutata per quello che era. Una donna, certo, ma una donna che non poteva in alcun modo suscitare il suo interesse. Si sentiva così in imbarazzo che avrebbe voluto piangere e urlare ma tacque sovrastata dalle immagini che continuavano ad affollarsi nella sua testa. La sua voce roca, controllata si era presa gioco di lei, il suo sguardo ancora una volta si era posato su di lei senza dimostrare il minimo interesse per ciò che vedeva e lei nonostante tutti i segni che non aveva potuto non leggere, si era resa ridicola davanti a lui dimostrando fin troppo sfrontatamente quanto fosse disposta ad offrire. La cosa che più la faceva sentire umiliata era la cruda certezza che per una volta l’uomo l’avesse presa sul serio. Era certa che per una volta il soldato non avesse archiviato il suo flirtare come il gioco di una bambina che dimostra di avere una cotta per il suo maestro. No, era certa che questa volta avesse riconosciuto in lei la donna, che avesse finalmente valutato la sua offerta come qualcosa di reale. Molto semplicemente l’uomo non era interessato e aveva gestito la cosa nell’unico modo in cui avrebbe potuto farlo, mettendo bene in chiaro che le sue avances erano sgradite e quindi fuori luogo. Soffocò un lamento nell’incavo del gomito. Era stato tanto cortese, come sempre, da offrirle una facile scappatoia, cercando inizialmente di riportare i loro scambi nell’ambito di una familiarità giocosa, una finta irriverenza che poteva essere una fortezza sicura per entrambi. Ma lei aveva insistito riuscendo finalmente ad irritarlo. Aveva visto chiaramente tutto quello, eppure non era riuscita a trattenere le parole. Non solo aveva detto “sono qui per te” ma aveva lasciato intendere che le cose non sarebbero cambiate. Si sentiva come un ospite che continua ad offrire una pietanza insipida ad un commensale già sazio. E non era convinta che Kurt fosse poi così sazio, semplicemente ciò che lei poteva offrire, non era niente di così allettante da tentarlo ad interrompere il digiuno.
E lei sciocca si era invece sentita incendiare dal castissimo gesto di lui. Quella mano sul viso, gesto dettato dalla compassione, non certo dall’ardore, aveva lasciato una scia bollente dentro di lei. La cura di anni dimostrata dalle sue parole gentili avevano gettato benzina sul fuoco. Era una sciocca senza speranza.
 Si alzò e si avvicinò al letto. Si lasciò sorprendere dalla propria immagine riflessa nello specchio appoggiato nell’angolo della stanza. Si soffermò per un istante sulla sua immagine. Non le era mai piaciuto ciò che vi aveva visto. Si avvicinò allo specchio e rimase a guardarsi. Nel suo viso non vedeva niente di grazioso, non le guance tonde e rosee delle ragazze che aveva conosciuto a corte, non la bocca carnosa e invitante o gli occhi volitivi delle donne in taverna. Solo quello strano marchio che da tutta la vita la segnava come un essere strano, diverso, sgradevole alla vista. Vi passò la mano. Un brivido scese lungo la spina dorsale. Kurt vi aveva posato la mano poco prima senza ritrarsi, senza provare ribrezzo per ciò che vedeva. Quel marchio per lui era semplicemente parte di lei. Un motivo in più per amarlo. 
 Dopo un attimo di esitazione allentò i lacci che tenevano stretto lo scollo della veste da notte. Lasciò scivolare la stoffa leggera oltre le spalle lasciando che si adagiasse attorno ai suoi piedi. Fece lo stesso con i lacci che tenevano su le braghette raffinate. Lo sguardo che rivolse allo specchio fu ancora poco convinto.
 Si sentì ancora una volta un curioso incrocio tra una donna e un soldato. Era minuta e spigolosa. Le spalle troppo larghe, i fianchi troppo stretti. Gambe e braccia sottili erano l’unica cosa di cui si sentisse vagamente fiera, più per l’utilizzo che sapeva di poterne fare che per una questione estetica. Portò le mani ai seni, non senza un fremito. Non vi era nulla neanche lì dell’abbondanza strabordante che le altre dame stringevano ad arte nei corsetti. Le tornò per un attimo alla mente la donna che aveva visto con Kurt. E di nuovo si sentì senza alcuna speranza. Lei era alta, forte, curve generose erano evidenti anche sotto gli strati dell’uniforme. Portò le mani ai fianchi e diede un ultimo sguardo. Cosa poteva farsene Kurt di una come lei? Voltò le spalle allo specchio, spense le candele che rischiaravano la stanza e entrò al letto. Le lenzuola fresche moltiplicarono i brividi sulla pelle nuda della ragazza. Quel corpo che trovava così poco amabile pretendeva attenzione. Dalla notte spesa in taverna con l’orribile soldato che l’aveva umiliata non si era più concessa di trascorrere la notte in compagnia di altri uomini e sentiva sempre più spesso crescere la frustrazione di desideri inappagati. Lasciò scivolare una mano sul seno che aveva valutato così insoddisfacente, poco prima. La pelle delicata rispose al tocco leggero all’istante. Le lenzuola una presenza opprimente e piacevole contro il corpo acceso. Ignorare il calore tra le gambe sarebbe stato inutile. I pensieri che poco prima avevano provocato il suo imbarazzo tornavano a tormentarla ora in modi più sadici. La voce roca di Kurt che aveva riso di lei era ora nella sua testa e sussurrava parole diverse, quel soprannome così familiare si trasformava facilmente nelle sue fantasie in un nomignolo affettuoso. La mano che per pochi istanti si era posata sul suo viso scorreva ora sul suo ventre, giù, sempre più in basso fino a raggiungere l’origine del calore. Immaginò poi gli occhi chiari dell’uomo, attenti e indagatori posarsi sul suo corpo. Quel pensiero la gelò. Il desiderio rimpiazzato di nuovo dalla vergogna. Per quanto potesse essere indulgente nelle sue fantasie non riusciva davvero, in quel momento, a immaginare l’uomo guardarla con desiderio. Cosa avrebbe potuto vedere in lei? Era tutto inutile. Si girò nel letto il momento era rovinato e il sonno non sarebbe giunto in suo soccorso. Affondò la faccia nel cuscino e lasciò andare un lamento pieno di rabbia e frustrazione, un verso simile a quello di una bestia ferita e chiusa in un angolo. Rimase con il viso nel cuscino e le braccia tra questo e il soffice materasso. Rimase così a lungo finché anche respirare iniziò a farsi difficile. Volse allora il volto di lato, davanti a lei lo specchio appena illuminato dal chiarore della brace che ardeva nel camino continuava a farsi beffe di lei. Un’ombra scura, informe e indesiderabile. Nessuno l’aveva mai amata, non poteva essere il mondo intero a sbagliare. C’era evidentemente qualcosa di sbagliato in lei. Le tornò alla mente una frase che aveva letto un tempo su un libro e che negli anni della sua adolescenza era stata di grande conforto: “non essere amati è una mera sfortuna, la vera disgrazia è non amare.” Al diavolo quella filosofia da quattro soldi erano solo stronzate. Lei aveva sempre amato, eppure era sempre stata sola. Nessuno aveva saputo o potuto amarla per ciò che era, neanche sua madre. Era stata esaminata molte volte ed era sempre risultata manchevole. Non poteva essere considerata una disgrazia, quella? Probabilmente no. Una disgrazia è immeritata, lei meritava il suo destino. Aveva un cuore contorto e sudicio, non era mai stata capace di nasconderlo a sua madre, e lei aveva risposto di conseguenza. Constantin? Kurt? Certo non avrebbe saputo come tenere nascosta la propria natura proprio a loro. L’unica speranza per lei erano quegli uomini capaci di rimanere abbastanza lontani da non inorridire davanti alla sua natura contorta. Qualcuno come quel Malkom, felice di possederla come un feticcio ben sapendo che lei non aveva altro da offrire. Lacrime amare e indesiderate si affacciarono dispettose dai suoi occhi. Tirò le coperte fin sopra la testa per nascondere la sua vergogna agli occhi di tutti, anche di quello specchio maligno. Il primo chiarore del giorno iniziava a farsi vedere quando finalmente prese sonno.

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