Summer Skeletons

di _Lightning_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** In viaggio ***
Capitolo 3: *** Città fantasma ***
Capitolo 4: *** Sotto tiro ***
Capitolo 5: *** Cattive idee ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 



 
 
 
• Prologo •




«Svelto! Di qua!»

«Stiamo scherzando... sono ovunque!»

«Corri e basta!»

Corsero, sfondando porte e rovesciando mobili sul loro percorso. Una cacofonia di urla, ruggiti e schiocchi seguiva la loro scia, fin troppo vicini. Spararono qualche colpo occasionale, solo quando uno degli infetti li sfiorava, ma risparmiarono i proiettili.

«Qua dentro!»

«Pezzi di merda!»

La porta si chiuse con uno schianto dietro di loro e un armadietto metallico si abbatté di fronte a essa come barricata di fortuna. Una serie di violenti urti dall’altra parte la fece traballare sui cardini.

«E adesso?»

«Non lo so, non ci ho ancora pensato.»

«Sei serio?! Aspetta, lassù!»

Un mattone infranse il lucernaio sopra di loro e un cavo elettrico scivolò all’interno della stanza, penzolando a un paio di metri da terra.

«Dammi una spinta, poi te lo avvicino dall’alto.»

«E poi? Lassù saremo in trappola.»

«Meglio che morti qua sotto.»

Qualche secondo dopo, proprio mentre gli infetti sfondavano la porta, erano entrambi già sul tetto del mercato coperto e una leggera brezza estiva asciugava loro la fronte madida. Si acquattarono, offrendo il minor bersaglio possibile. Una veloce perlustrazione del perimetro rivelò che non vi era alcun modo sicuro per scendere dall’edificio: la zona circostante brulicava ancora di infetti e un salto avrebbe significato rompersi come minimo una gamba. Collassarono entrambi contro il parapetto, riprendendo fiato nella sua ombra labile, allungata dal tramonto.

«Comunque, io sono Nathan. O solo Nate.»

Il ragazzo allungò una mano. La ragazza a fissò un istante, prima di rispondere:

«Ellie. Solo Ellie.»

Si strinsero le mani macchiate di sangue, scambiandosi un sorriso cauto.

«Aspettiamo che faccia buio e proviamo a scendere?» propose Nate, dopo qualche istante.

«Non sei un granché coi piani, vero?» Ellie inarcò un sopracciglio.

«Improvviso. Tu hai un’idea migliore?»

«No. Per ora è “resisti e sopravvivi”.»

«Come, scusa?»

«Niente. L’ho letto da qualche parte.»

«Ah-ha. Nel nostro caso, direi che “dipende tutto da come ti giochi le carte che hai”, se sei in vena di citazioni.»

«L’hai letto da qualche parte?»

«Il mio vecchio lo dice spesso. Cavoli, spero che stia bene.»

«Certo che sta bene. È con il mio vecchio, no?»

Stavolta, si scambiarono un sorriso più aperto.

«Sì, giusto.»

«Se la caveranno.»
 
 

Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
spero vi sia piaciuto l'incipit di questa mia piccola follia.
Tutto è nato da questa specie di meme creato da me, che mi è venuto in mente mentre rigiocavo la trilogia di Uncharted subito dopo aver finito TLOU2. Doveva essere uno scherzo, invece si è concretizzato in questa storia ♥
Sto adottando un approccio un po' diverso, più diretto e senza fronzoli. È veramente una storia "scacciapensieri" per rilassarmi prima di riprendere in mano progetti più importanti, quindi prendetela con la mia stessa leggerezza (non vuol dire che sia poco curata, ovviamente, ma è molto condensata se siete abituati al mio stile di scrittura, mettiamola così).
L'aggiornamento sarà settimanale, ogni giovedì, e i capitoli saranno più lunghi di questo, ma comunque abbastanza brevi. Occhio agli easter eggs: la storia ne è piena ;)
Smetto di tediarvi, grazie per aver letto e vi invito a lasciare un commento, se volete ♥

-Light-

P.S. la grafica è realizzata da me e la fanart è opera di >> S. Moyo << che ne detiene ogni diritto.


 

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Capitolo 2
*** In viaggio ***





 
 
 
• 1. In viaggio •




Il sibilo della freccia trapassò la pigra quiete del pomeriggio, seguita da uno squittio acuto.

«Bel colpo, piccola.»

«Lo so, ho talento.»

Ellie sorrise un po' tronfia, sfilando con un gesto rapido la freccia dalla lepre, mentre Joel faceva leva sulle ginocchia per alzarsi dal loro nascondiglio.

«Il braccio è ok?» chiese, ed Ellie controllò di riflesso la fasciatura poco sopra il polso, ancora asciutta e pulita.

«Sì, non lo sento nemmeno più» mentì, con un sorriso rapido, nonostante l'ustione tirasse spiacevolmente con ogni movimento.

Il cinguettio degli uccelli, interrotto dalla caccia, prese a riempire nuovamente le fronde degli abeti attorno a loro. Ellie porse il coniglio a Joel, che lo assicurò per le orecchie alla cintura.

«Per cena dovrebbe bastare» commentò Joel, scuotendo anche il fazzoletto in cui avevano raccolto un bel po' di frutti di bosco strada facendo.

«Per te, forse, io potrei mangiare un bue!» ribatté Ellie, rubando un mirtillo dalla saccoccia. «Mi manca il pasticcio di patate di Maria...»

«Dovremmo arrivare al lago nel pomeriggio di domani,» la rassicurò Joel, «Maria ci ha solo chiesto di fare una piccola tappa a Hoback al ritorno. È di strada, non ci metteremo più di mezza giornata. Comunque, se non c'è nulla di anomalo prima del lago...»

«... sapremo che la secca dello Snake River è dovuta unicamente alla siccità» completò Ellie, lanciando in aria un lampone e mangiandolo al volo.

Era acido, e schioccò le labbra screpolate dal caldo, per poi inumidirle con un piccolo sorso d'acqua dalla borraccia. Non ricordava di aver mai vissuto un'estate così rovente. A Boston c'era sempre una fievole brezza marina che alleviava l'afa, mentre a Jackson, infossata tra le montagne, l'aria ristagnava e si appiccicava addosso come fosse vapore.

Con quel caldo estremo e neanche l'ombra di un po' di pioggia, la diga idroelettrica aveva preso a funzionare a regime ridotto ed erano stati costretti a razionare la corrente. Oltre alla siccità, Maria sospettava che qualcosa, a monte, avesse ridotto l'afflusso d'acqua. Era improbabile, ma lei e Joel erano stati comunque mandati in avanscoperta, così da poter scovare frane o smottamenti che avessero ostruito o deviato il fiume e inviare nei giorni successivi una squadra di artificieri e ingegneri a risolvere il problema.

Si erano fatti carico volentieri della cosa: i dintorni di Jackson erano abbastanza tranquilli e, per ora, le sembrava quasi una gita fuori porta. Come quelle che le persone, prima del crollo, facevano nei fine settimana.

Tornarono verso le sponde dello Snake River, ridotto a un torrente piuttosto impetuoso in cui, di tanto in tanto, si coglieva il guizzo di un pesce nella luce sempre più rossa del tramonto.

«Ci accampiamo qui?» chiese speranzosa a Joel, indicando una roccia sulla riva.

Si staccava di qualche metro dalla spiaggia sassosa, offrendo una sorta di riparo naturale che avrebbe anche celato il fuoco a occhi indiscreti. Joel annuì, schermandosi gli occhi dagli intensi raggi obliqui del sole.

«Buona idea. Inizia a cercare un po' di legna, io preparo la cena.»

Ellie storse le labbra, trattenendo una risata.

«Devo preoccuparmi?»

«Ah-ah. Vai, finché c'è luce» alzò gli occhi al cielo lui, facendo un cenno verso il bosco vicino.

«Se devo preoccuparmi, basta dirlo!» ribatté Ellie, avviandosi, per poi sfoderare un sorrisetto. «Ehi! Sai cosa si mangia nel Sahara?»

«Non ti sento!» mentì Joel, agitando la mano accanto all'orecchio.

«Il dessert!»

«Cristo santo...» sospirò lui, continuando a voltarle le spalle. «Non sai nemmeno cos'è, il Sahara.»

«Non importa, tu l'hai capita» ridacchiò Ellie, per poi sparire nel bosco senza aspettare replica.

In lontananza, udì Joel che prendeva a canticchiare, sul sottofondo del fiume e del tramestio dei suoi passi sul sottobosco. Sorrise, modulando qualche nota a bocca chiusa sulla sua melodia, quella su cui si stava esercitando con la chitarra.

Le piaceva, quella gita fuori porta. Sapeva di estate, di tranquillità, di un tempo che lei non aveva mai vissuto, ma che le mancava come se ci fosse nata e non lo avesse visto solo sulle pagine dei libri. Era una bella distrazione da tutti i pensieri che le affollavano la testa quasi ogni giorno. Le cadde lo sguardo sulla benda che le fasciava l'avambraccio e strinse con più forza il ramoscello che aveva raccolto.

A volte, riusciva anche a dimenticarsi che forse Joel le aveva mentito.

 

«Ammettilo.»

«Non c'è nulla da ammettere.»

«Fai un favore a tutti e due e ammettilo, Sully: ci siamo persi.»

«Non ci siamo persi e non è colpa mia se questi maledetti alberi sono tutti maledettamente uguali!»

«Definizione perfetta per "ci siamo persi", non credi? Non che stessimo davvero andando da qualche parte» sospirò infine Nathan, sfilandogli la mappa di mano.

«Nate...» Sully sbuffò, piantandosi le mani sui fianchi in quella posa da padre scocciato che gli riusciva molto bene.

Sembrò sul punto di dire qualcosa, poi si sfregò i baffi ingrigiti con un indice e vi rinunciò. Nathan ebbe la tentazione di tirargli in testa la bussola, se solo non gli fosse servita. Anche l'espressione demoralizzata sul volto del suo vecchio fu un buon deterrente. Si pentì un poco della rispostaccia che gli aveva rifilato. Se solo avessero svoltato a destra, su quel sentiero, e non a sinistra, come aveva voluto fare Sully...

«Intanto, pensiamo a trovare un riparo per la notte» ammorbidì il tono, evitando di incrociare il suo sguardo.

«Sì, non mi fido ad accamparmi all'aperto» concordò Sully, scrutando la fitta foresta di abeti attorno a sé con diffidenza.

«Dovrebbe esserci un rifugio di montagna... da queste parti» disse Nathan, puntando l'indice sulla mappa.

«"Da queste parti"?»

«"Non è colpa mia se siamo in mezzo al nulla"» lo scimmiottò lui, riponendo la mappa nella tasca dello zaino. «In ogni caso, Jackson è vicino a un fiume, quindi basta seguirne uno e prima o poi la troveremo. Dovremmo passare per Hoback, se stiamo andando nella direzione giusta.»

Si rimise in marcia senza attendere la sua replica, probabilmente sensata. Assordato dal frinire delle cicale, udì i suoi passi seguirlo dopo qualche istante di esitazione.

Tenne per sé le sue considerazioni, ovvero che questa "Jackson" sembrava un mito inventato da qualcuno che aveva molto bisogno di sperare in qualcosa. Sapeva meglio di chiunque altro che in ogni mito c'era un fondo di verità, ma avevano già constatato con Wellington, ridotta a un cumulo di macerie, che non sempre la verità sopravviveva abbastanza a lungo da essere trovata.

Nathan sospirò a mezza bocca. Preferiva leggere dei miti e leggende della Vecchia Era e perdersi nei viaggi di quegli uomini che avevano esplorato il mondo perché volevano, piuttosto che dare la caccia a città fantasma perché doveva.

Gettò un'occhiata a Sully, alle sue spalle. Era lui che lo voleva di più, tra i due. Un posto sicuro, stabile, dove poter invecchiare senza preoccuparsi di come mangiare o dove dormire il giorno successivo. Dove non doversi guardare costantemente le spalle. Non era convinto che quello fosse il tipo di vita che voleva per se stesso, però. Di certo, a suo fratello non sarebbe piaciuta.

Rallentò il passo, permettendo a Sully di raggiungerlo, e strinse le spalline dello zaino.

In un paio d'ore raggiunsero il rifugio: una vecchia baita in legno scuro, con le finestre ancora integre e nessun segno di infetti nei dintorni. Si sistemarono nella sala centrale, dove sfruttarono il camino per accendere il fuoco e arrostire qualche radice e un paio di scoiattoli che erano riusciti a intrappolare. Da un paio di settimane, il cibo scarseggiava.

A fine pasto, Nathan avvicinò la propria tazza di infuso fumante a quella di Sully, facendo cozzare piano i bordi.

«La troveremo, vedrai. Ho un certo fiuto per queste cose» disse, facendogli l'occhiolino.

Sully sbuffò un sorriso, dandogli poi una pacca affettuosa sulla nuca, a segnalare che il diverbio di poco prima era già dimenticato.

«Ah, non ne dubito, ragazzo. Se fossi nato nell'epoca giusta, saresti stato in grado di scoprire ogni città perduta al mondo.»

«Tipo El Dorado?»

«Con tutti i libri che leggi mi aspettavo qualcosa di più originale... ma sì, tipo El Dorado» ridacchiò Sully. «Per ora, accontentiamoci di Jackson. Per le altre ci sarà tempo.»

Nathan abbassò lo sguardo sul proprio infuso, nascondendo un sorriso. Rimase seduto a gambe incrociate davanti al fuoco anche quando Sully si coricò, raccomandandogli di non stare sveglio troppo a lungo. Si rigirò la tazza tiepida tra le mani, sentendosi un po' più sereno. Vista dalla prospettiva giusta, quella poteva davvero essere considerata una caccia al tesoro.

Voleva crederci, anche se una parte di lui era certa che non ci credesse nemmeno Sully.



Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
lo so, lo so, avevo detto venerdì prossimo, ma la storia sta procedendo speditamente e ho pensato che un aggiornamento in anticipo fosse sensato ♥

La lunghezza media sarà più o meno questa (1500 parole ca.) e vi sarà un continuo alternarsi di PoV tra Ellie, Nathan Sully e Joel. Saranno sempre ben identificabili, ovviamente!
Spero che la caratterizzazione vi sia piaciuta, in particolare quella di Nathan e Sully, che sono gli "estranei" in questo mondo apocalittico. Ho riadattato il loro vissuto al contesto, ovviamente più cupo di quello scanzonato di Uncharted, e spero che il tutto vi sembri convincente ♥ Ah, il riferimento a Wellington è un omaggio al videogioco di The Walking Dead, in cui è una "città sicura" che molte persone tentano di raggiungere.
Temporalmente siamo qualche mese dopo l'arrivo di Ellie e Joel a Jackson – poco dopo la scena della chitarra in TLOU2, per capirci – e circa dieci anni dopo l'incontro tra Sully e Nate, avvenuto in circostanze ovviamente diverse dal canone, che verranno raccontate.
Grazie a chi ha commentato e/o votato lo scorso capitolo e non esitate a farmi sapere cosa ne pensate! Ci vediamo venerdì (stavolta sul serio),

-Light-

 

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Capitolo 3
*** Città fantasma ***





 
 
 
• 2. Città fantasma •




Non c’era nessuna frana, a bloccare il corso dello Snake River. Arrivati al lago, Joel poté solo constatare che il livello era estremamente basso e che la loro principale fonte d’acqua ed elettricità era ridotta a un fiumiciattolo stentato.

Il razionamento dell’energia elettrica sarebbe continuato, almeno fino alle prossime piogge. Joel si grattò la nuca, non del tutto insoddisfatto dalla scoperta. Almeno, non dipendeva da loro e si erano goduti un paio di giorni un po’ diversi dal solito, negli sterminati altopiani del Wyoming.

Anche Ellie sembrava essere contenta di quella che potevano considerare una piccola gita. Lei non lo diceva apertamente, ma dopo mesi e mesi di viaggio costante da Boston a Salt Lake City, sempre sul filo del rasoio, faticava ad abituarsi alla monotona routine quotidiana di Jackson. Le aveva regalato la chitarra proprio per distrarla. Anche per impegnarle la mente che, lo sospettava, ritornava fin troppo spesso a quel giorno allospedale – e ad altri eventi a cui non voleva nemmeno pensare. Forse lo faceva anche un po per se stesso, oltre che per lei.

In quel momento, vide Ellie arrampicarsi agile su un masso affacciato sullacqua e portarsi una mano alla fronte, come una vedetta che scrutava i dintorni. Indossava quella canotta bianca della NASA che adorava, dei jeans strappati e un paio di Converse consunte e totalmente inadatte a unescursione nei boschi. Joel non trattenne un piccolo sorriso e sfiorò lorologio da polso: anche Sarah aveva il vizio di non mettersi mai le scarpe da trekking, quando la portava in gita.

Se non fosse stato per il calcio della pistola che sporgeva dal bordo dei pantaloni e per il coltellino che si intravedeva nella tasca posteriore, sarebbe sembrata una qualsiasi adolescente in campeggio estivo. Se non fosse stato per la benda che le fasciava lavambraccio, sarebbe stata una normale adolescente anche in quel nuovo mondo.

Ellie si piantò le mani sui fianchi e scrutò la superficie calma del lago, intorbidito dal fondale basso e melmoso, per poi sentenziare, in tono solenne:

«Un bel buco nellacqua, eh?»

«Ellie...»

Joel, come sempre quando sentiva le sue freddure, alzò in modo plateale gli occhi al cielo, facendola sogghignare. Dopotutto, il gioco per lei era quello.

Dopo essersi rinfrescati brevemente, non persero altro tempo: effettuarono una rapida ricognizione del villaggio turistico sulla sponda meridionale, eliminarono in silenzio un paio di infetti intontiti dal caldo e si incamminarono di nuovo verso Jackson, seguendo stavolta il senso della corrente.

Era ormai pomeriggio: il sole picchiava impietoso sulle loro teste, stroncando la loro andatura. Non ci voleva più di un giorno a piedi, da Jackson al lago, considerando il terreno impervio, ma le alte temperature li avevano obbligati a marciare di primo mattino e a trovare riparo nelle ore centrali del giorno, riprendendo la marcia quando il sole iniziava ad allentare la sua morsa impietosa.

«Hoback dovrebbe essere dopo quellansa» annunciò Joel dopo qualche ora, additando il corso sassoso dello Snake River.

Ellie si sollevò sulle punte dei piedi, proprio mentre un ponticello di un rosso vivo faceva capolino oltre le conifere, lunica macchia di colore nel paesaggio brullo e dai toni ocra del Wyoming.

«Bene. Qual è il piano?»

«Maria ha detto di perlustrare la zona attorno al mercato coperto. Vorrebbe piazzarci un avamposto per agevolare le ricognizioni nellarea, ma è da anni che non ci passa alcuna pattuglia. È una città fantasma da prima dellepidemia.»

«Quindi... noi siamo lavanguardia?» chiese Ellie.

Joel colse la trepidazione nella sua voce, un misto di aspettativa per la possibile azione imminente e di timore per i rischi che avrebbe comportato. Come sempre, dimostrava di essere molto più matura della sua età – a volte non riusciva a credere che avesse appena compiuto quindici anni.

«Dobbiamo valutare la situazione. Se le cose ci sembrano pericolose, torniamo a Jackson e decidiamo il da farsi. Se è gestibile, eliminiamo gli eventuali infetti in modo sicuro» ribatté Joel, sollevando la spalla per mettere in mostra il fucile con mirino telescopico che portava a tracolla. «Non dovrebbe essere difficile trovare un punto di osservazione, qui» aggiunse, accennando alle alture circostanti.

«Affare fatto. Devo ancora prenderci la mano, con quellaffare» disse Ellie.

«Mi sembra che Tommy ti abbia già insegnato le basi.»

«"La pratica rende perfetti"» ribatté Ellie, impettendosi. «Lo dice anche Daniela Star in...»

«... Savage Starlight, lo so.»

«Non fare lo scocciato, hai promesso che lavresti letto.»

«Sì, sì... quando sarò in pensione» le concesse Joel, cercando di non ridacchiare.

Ellie sbuffò sonoramente. Non le rivelò di aver già abbondantemente sfogliato i suoi fumetti, giusto per non perdere totalmente la bussola quando se ne usciva con le citazioni della sua eroina.

Una nuvola andò a oscurare il sole, regalando loro un po di frescura mentre le basse casette di Hoback iniziavano a spuntare allorizzonte.

 


Hoback non doveva essere stata particolarmente vivace nemmeno prima del crollo: Sully aveva visto villaggi fantasma in Colombia con più movida. Almeno, laggiù la giungla contribuiva a rendere un po’ meno scialbo il paesaggio – quando gli enormi fiori tropicali non si rivelavano trappole mortali infestate di Cordyceps.

Le montagne incombevano sulle poche, basse costruzioni in legno, per lo più chalet turistici, rifugi e negozi di attrezzatura sportiva. Un raggruppamento più folto di edifici si intravedeva in lontananza, forse un’area di sosta. La strada era costellata di veicoli abbandonati, alcuni dei quali sembravano anche in ottimo stato: con un po di fortuna, avrebbero persino potuto proseguire parte del viaggio in auto. Anche i corpi erano poco numerosi, per lo più abbandonati ai lati della strada.

Sembrava che la maggior parte della gente non fosse stata raggiunta direttamente dallepidemia, ma se ne fosse andata quando i rifornimenti avevano iniziato a scarseggiare. Potevano sperare che il numero di infetti fosse relativamente ridotto, anche se Sully non poté fare a meno di sfiorare il calcio della Magnum, ad assicurarsi che fosse ancora lì. Nate, ovviamente, notò il gesto.

«Nervoso? Non ti piacciono le città fantasma?» lo punzecchiò, con il solito atteggiamento di chi non ha un solo pensiero al mondo.

«A te sì?» lo rimbeccò, continuando a camminare sul ciglio terroso della strada, dove lasfalto bollente non rischiava di sciogliere loro le suole.

«Dipende, di solito nascondono sempre qualcosa di interessante. Per esempio a Dyea, in Klondike, si dice che da qualche parte ci sia una cassa pieno di pepite dimenticate dopo la corsa alloro.»

Sully scosse la testa, ringraziando il giorno in cui Nate e il fratello avevano deciso che leggere libri di storia, archeologia ed esplorazioni fosse un buon modo per occupare le ore libere allorfanotrofio. Quel passatempo aveva regalato a Nate un mondo parallelo in cui, anche alla soglia dei ventanni, poteva rifugiarsi a comando.

«Ah, non so, Nate. Qui mi sembra che lunico "tesoro nascosto" sia quel supermercato... e la speranza che dentro ci sia ancora qualcosa di utile.»

«Sei un guastafeste.»

«Devo tenerti con i piedi per terra o non so dove finirai, uno di questi giorni.»

Nate soffiò via una risata, riassestandosi lo zaino in spalla.

Continuarono ad avanzare verso unampia area di sosta: un benzinaio, un mercato coperto, qualche negozio di souvenir e un pullman turistico abbandonato spiccavano nella piattezza del paesaggio infossato tra basse montagne. Poco distante, cera quella che sembrava una grande casa di villeggiatura a due piani, col tetto spiovente, graziosi balconcini e un ampio patio esterno. Sul ballatoio si affacciavano le porte di diversi appartamenti.

«Abbiamo trovato il nostro hotel» annunciò Sully, richiamando lattenzione di Nate.

Il ragazzo corrugò le sopracciglia, con lo sguardo che volò sul tetto pericolante.

«Suppongo che non sia alta stagione, da queste parti» commentò, arricciando il naso.

«Lhai detto. Diamo unocchiata in giro, non vorrei avere brutte sorprese.»

Nate annuì, anche se non sembrava troppo convinto dalla scelta di alloggio. Non obiettò apertamente, limitandosi a sfilare la pistola dalla fondina. Sully fece lo stesso, sebbene nei dintorni non si muovesse una foglia – persino il vento si era estinto, lasciandoli nel bollore del tardo pomeriggio.

Il mercato era lunica costruzione della zona con più di due piani. Sembrava in pessimo stato, come tutti i prefabbricati che, dopo quasi trentanni di incuria, avevano mura e intercapedini divorati da muffa e ruggine. Non era particolarmente grande: ci sarebbe voluta unora scarsa per perlustrarlo, metterlo in sicurezza e raccattare quel che di utile era rimasto, per poi trasferirsi in uno degli appartamenti vicini.

Quando furono abbastanza vicini, Sully scrutò con sospetto il pullman abbandonato: il parabrezza era sfondato e la porta anteriore divelta dallinterno, come se qualcuno avesse tentato di contenere degli infetti, fallendo.

Chiazze rossicce di Cordyceps oscuravano parzialmente i vetri integri e, nella luce intensa del tardo pomeriggio, intravidero le dense nubi di spore che galleggiavano nel corridoio centrale. Sui sedili, si distinguevano delle forme umanoidi e deformi intrappolate ai loro posti con le cinture di sicurezza, ormai completamente inglobate e prosciugate dal fungo.

«Via da lì, Nate. Quella è una bomba biologica.»

«Sembra vuoto» lo ignorò lui, allungando il collo a distanza di sicurezza per scrutare linterno del mezzo. «La capienza è di quaranta persone e conto meno di sei sedili occupati. Se degli infetti sono usciti e qui attorno non ci sono corpi...»

Sully seguì il suo sguardo, verso il mercato coperto. Rilasciò un respiro teso, condividendo il ragionamento, che venne confermato da un lieve tramestio di piedi sui calcinacci, proveniente dallinterno delledificio.

«Sully, mi sa che è meglio lasciar perdere lo shopping e andare direttamente in hotel» commentò Nate, allontanandosi di un paio di passi dalle porte dingresso del mercato, la pistola cautamente puntata di fronte a sé.

«Ti do ragione,» annuì Sully, assecondando il brivido premonitore che lo prese alla nuca, «lasciamo perd–»

Uno sparo troncò il resto della sua frase, seguito da un fragore di vetri infranti.

 



 


Note dell’Autrice:
Cari Lettori,
ecco, finalmente arriva l’azione! ♥
Ho buttato qua e là qualche riferimento alla backstory di Nate e Sully (ho tutto un headcanon al riguardo che verrà esplicitato in futuro), spero di avervi incuriositi. E ogni citazione/riferimento non è puramente casuale ;)
Se vi va, lasciate un commento e/o una stellina per farmi sapere cosa ne pensate! Ogni feedback è utile ♥
A venerdì prossimo,

-Light-

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Capitolo 4
*** Sotto tiro ***





 
 
 
• 3. Sotto tiro •


 

«Giù!»

«Qua dietro!»

Sully e Nathan si spinsero e trascinarono a terra a vicenda, addossandosi alla ruota del pullman col cuore in gola. Attesero, con gli occhi che schizzavano a destra e a manca, cercando di capire da dove arrivasse il pericolo. Il silenzio fu rotto di nuovo, stavolta da un coro di gemiti e da un tramestio di passi diseguali, proveniente dall'interno del mercato. Un tintinnio di vetri e un ringhio gutturale risuonarono nell'aria calda, raggelandola.

«Lo sparo veniva dall'hotel» disse Sully, col fiato corto.

Teneva ancora una mano premuta sulla sua spalla, in un gesto istintivo. Nathan sfuggì alla sua presa, gettando una rapida occhiata oltre il cofano. Si umettò le labbra, nervoso.

«Predoni?»

Sully scosse la testa.

«Non ha senso, ci stanno aizzando contro gli infetti. Come pensano di derubarci, dopo?»

Proprio in quel momento, le grida si fecero più vicine, violente, ed entrambi sobbalzarono. Sully aprì il tamburo della Magnum, lo fece roteare una volta con un ticchettio, controllando i colpi, e lo richiuse con uno scatto del polso. Nathan lo imitò, tirando indietro il carrello della pistola e assicurandosi che il primo proiettile fosse in canna.

«Magari è solo un colpo di avvertimento, se ce ne andiamo...» cominciò, sentendo pizzicare le gambe per la voglia di andarsene via di lì, in fretta.

«Siamo in campo aperto e l'unico riparo solido è l'hotel, non resisteremmo dieci minuti inseguiti dai runner» obiettò Sully.

Nathan si sporse di nuovo, stavolta oltre il retro del pullman, per scrutare l'ingresso del mercato: ombre scomposte si agitavano oltre le vetrate sporche.

Non avevano molto tempo.

Un secondo sparo li assordò, seguito da un clangore metallico. L'insegna del benzinaio sopra di loro traballò, colpita. Fu chiaro che, chiunque stesse sparando, stava attirando gli infetti verso di loro.

«Almeno qualcuno qui si sta divertendo» commentò cupo Nathan.

Un coro di vetri infranti annunciò l'arrivo dei primi runner, che non tardarono a individuarli. Sully mirò e sparò alla testa del primo senza quasi guardare. Trascinò in piedi di peso Nathan, che si riprese dall'impasse e ne abbatté a sua volta un secondo. Molti, troppi si riversarono nell'area di sosta. Nathan contò una decina di runner e altrettanti clicker – una piccola orda, probabilmente i poveracci infettati nel pullman, a giudicare dallo stato avanzato del fungo sui loro corpi.

Il suo sguardo sfrecciò frenetico alla ricerca di una via di fuga, ma Sully aveva ragione, erano in campo aperto, allo scoperto, con una massa di infetti urlanti che si faceva sempre più vicina e un cecchino pronto a freddarli... Sbarrò gli occhi quando individuò finalmente la loro labile, minuscola possibilità di salvezza.

«Sully! Di qua!» esclamò, strattonandolo per una manica.

Sully eseguì d'istinto, per poi opporre resistenza quando realizzò in che direzione stessero scappando: dritti verso il mercato.

«Nate, sei imp–»

«Fidati e corri!» urlò lui, schivando un runner e sparandogli in petto, senza però arrestare del tutto il suo slancio.

Prima che potesse avventarglisi contro, Sully lo afferrò per le spalle, scaraventandolo a sfracellarsi la testa contro la pompa di benzina. Ripresero a correre, zigzagando a testa bassa, e un proiettile si abbatté a pochi centimetri dalla scarpa di Sully, sprizzando frammenti d'asfalto. Non ne arrivarono altri: forse non volevano attirare gli infetti, o forse stavano risparmiando munizioni, sapendo che qualcun altro avrebbe fatto il lavoro sporco al posto loro – bastardi.

Nathan schizzò verso un cassonetto accostato al muro di cinta del magazzino sul retro, vi balzò sopra e si voltò subito per aiutare Sully. Vide che ogni traccia di dubbio era scomparsa, sul suo volto.

Aveva capito il suo obbiettivo: il ballatoio superiore del mercato, un fragile cornicione di un metro scarso di larghezza per la manutenzione delle vetrate. Sembrava privo di accesso diretto dall'interno e una semplice ringhiera arrugginita fungeva da parapetto. Agli angoli della struttura, dei piloni in cemento offrivano una discreto riparo ai lati: si sarebbero dovuti preoccupare di coprire una sola direzione, una volta là sopra. Avrebbe offerto loro una copertura dagli spari e un luogo irraggiungibile per gli infetti – almeno, così sperava Nathan.

Il come sarebbero scesi da lì era un problema secondario, rispetto al salvarsi la pelle.

«Dai, Sully, muoviti! Ti do la spinta io, poi mi tiri–»

«Non se ne parla, vai prima tu, forza!» lo troncò lui, salendo sul cassonetto e poi sul muro di cinta e unendo già le mani a formare una staffa per il suo piede.

Nathan quasi ringhiò a quella presa di posizione, ma non c'era tempo per protestare. Sparò a un clicker che si stava arrampicando, rispedendolo indietro con un sibilo agghiacciante, e accettò l'aiuto di Sully, che lo sospinse verso l'alto. Aveva ancora un forza notevole, a dispetto dell'età, e Nathan raggiunse l'appiglio della ringhiera al primo colpo. Si issò fino al corrimano, lo scavalcò e si gettò pancia a terra, passando subito un braccio tra le sbarre per tenderlo verso Sully.

Vide con un tuffo al cuore che era già circondato, con gli infetti che abbattevano mani e pugni e tentavano di azzannarlo o afferrarlo sul suo appoggio instabile, impedendogli di scollare gli occhi da loro o di caricare il balzo.

«Sully!»

«Ci sono, ragazzo, dammi un secondo!»

Altri due spari, altri due runner che caddero nella polvere. Gli rimaneva un solo colpo, li aveva contati.

«Sully, sbrigati!» si sgolò Nathan, il braccio ancora teso fino allo spasimo.

«Maledizione...»

Nathan sparò un colpo a vuoto passando la pistola nella sinistra, colpendo il ginocchio di un clicker che stava per avventarsi sull'uomo. L'infetto cedette di un passo, mulinando le braccia. Poi si rialzò e afferrò Sully per un lembo della camicia.

Nathan sbarrò gli occhi, sentendosi precipitare – non come Sam, non come Sam...

«Sully!»

Urlò così forte che, per un attimo, sentì il sangue salirgli al cervello con un rombo e oscurargli la vista.

Una potente detonazione gli trapassò i timpani e la faccia del clicker, priva di volto e divorata dal fungo, divenne una massa sanguinolenta. Sully se lo scrollò di dosso e lo spedì con un calcio addosso all'orda, respingendola per pochi, vitali istanti. Nathan quasi si sorprese, quando sentì la mano di Sully afferrargli il polso per tirarsi su, tendendogli dolorosamente muscoli e tendini. Mollò subito la pistola per sostenerlo con entrambe le braccia, mentre lui scalciava nel vuoto per respingere altri assalti.

Tra grugniti e sforzi, riuscì a issarlo accanto a lui oltre la balaustra. Nathan si sentà gelare quando lo guardò meglio: aveva i capelli grigi picchiettati di sangue, rivoli scuri sul volto e quella sua orrenda camicia cubana si era strappata nel punto in cui il clicker l'aveva afferrato.

«Stai bene?» Nathan lo prese per le spalle, scrutandolo frenetico in volto e tastandolo a casaccio in cerca di graffi o morsi. «Ti hanno...»

«Sto bene, sto bene!»

Sully gli bloccò i polsi, riportandoli verso il basso con un gesto deciso. Si tirò su a fatica, pulendosi il volto dal sangue col dorso della mano.

«Puah, era la mia camicia migliore» commentò con leggerezza, osservando lo strappo e le chiazze di sangue sul tessuto verde.

Nathan rimase a terra in ginocchio, con le braccia che gli dolevano, la fronte grondante di sudore e il fiato costretto nei polmoni. Strinse i pugni sui jeans, sentendo i palmi viscidi. Sentì Sully che gli dava una pacca sulla guancia, a riscuoterlo e rassicurarlo al contempo.

«Nate, forza. Sto bene, ti ho detto. Adesso dobbiamo pensare a come uscire vivi da qui.»

Nathan annuì e impugnò di nuovo la pistola, per poi accennare alla sua camicia.

«Magari è la volta buona che cambi look» scherzò tirando un sorriso, che si spense non appena Sully distolse lo sguardo da lui.

Chiuse gli occhi, gettando fuori un respiro così traballante che sembrò far tremare l'aria attorno a lui.

C'era mancato pochissimo.

 

Città fantasma un corno, pensò Ellie, stringendo con così tanta forza il fucile da sbiancarsi le mani.

Non premere il grilletto e seguire le direttive di Joel si era fatto quasi insostenibile, negli ultimi trenta secondi, anche se i bersagli erano fuori tiro.

«Sono scappati?» chiese Joel.

«Sì, ora sono sul... lato esterno del mercato, una specie di camminamento. Sembrano intrappolati, ma almeno sono al sicuro.»

«Bene. Passami il fucile.»

Ellie eseguì e Joel si portò il mirino telescopico all'occhio, indirizzandolo verso il complesso di case vacanza poco più in là. Di tanto in tanto, si scorgeva il brillio di un altro mirino in una delle finestre, Ellie lo distingueva anche a occhio nudo.

«Li vedi, quei pezzi di merda?»

«Vedo il cecchino» Joel spostò il peso da un ginocchio all'altro, rimanendo accovacciato tra la boscaglia. «Non chiaramente. Merda, se avessi il fucile di Tommy potrei tentare un colpo da qui.»

Joel storse la bocca, amareggiato, e riassestò il calcio contro la spalla.

Ellie si morse il labbro, stringendo i pugni sui jeans. Si era sentita impotente a dover assistere a quell'attacco da lontano, senza poter intervenire. Avevano avvistato la coppia di viaggiatori sin dal loro arrivo a Hoback, quando avevano deciso di abbandonare il corso del fiume e la strada maestra per approcciare la città dal versante della montagnola vicina. "Una semplice precauzione", aveva detto Joel, che si era rivelata sensata.

Avrebbero potuto esserci loro, al posto di quei due. Come quella volta a Pittsburgh, quando avrebbero potuto essere loro, a venire uccisi e depredati dai Cacciatori. Invece, avevano avuto fortuna.

Ellie si riscosse, riportando gli occhi ai due viaggiatori intrappolati. L'uomo sembrava avere all'incirca la stessa età di Joel, mentre il ragazzo doveva avere qualche anno in più di lei. Sembravano padre e figlio e sembravano passarsela non troppo bene, a giudicare dai vestiti malridotti e dalla loro magrezza, evidente anche da lontano.

Joel ed Ellie avevano concordato sull'agire con cautela e osservarli a distanza, visto che sembravano diretti anche loro verso la zona del mercato. Avrebbero potuto approcciarli lì, tastare il terreno col vantaggio della sorpresa e poi decidere se invitarli a Jackson, prendere strade separate o, nel peggiore dei casi, evitare che diventassero un problema.

Peccato che adesso quei figli di puttana dei Cacciatori stessero decidendo per loro. E gli infetti avrebbero solo complicato tutto...

«Dobbiamo fare qualcosa» sbottò, quando Joel non diede cenno di voler parlare.

«Ellie, non sappiamo nemmeno quanti sono. Niente colpi di testa.»

«Quindi li lasciamo morire così? Stiamo a guardare, come quella volta a Pittsburgh?»

Joel abbassò il fucile, gettando fuori un sospiro. Rughe più profonde si addensarono attorno ai suoi occhi scuri. Ellie si rese conto di aver alzato la voce, ma non ritrattò il suo attacco. Aveva ancora in testa le grida di quelle persone che i predoni avevano trucidato davanti ai loro occhi.

«Non ho detto di abbandonarli. Ho detto di non agire in modo avventato.» La fissò per un lungo istante negli occhi ed Ellie sostenne lo sguardo. «Questi Cacciatori sono anomali, non dobbiamo prenderli sottogamba.»

Ellie annuì. Dei semplici sciacalli si sarebbero limitati a freddare quei due sul posto, derubarli e lasciare lì i corpi. Usare degli infetti per sbarazzarsene significava che non avevano il minimo interesse a preservare i loro averi o vestiti: era un semplice meccanismo di difesa fine a se stesso... o una crudeltà gratuita.

Avevano incontrato abbastanza persone, in quel nuovo mondo sconquassato dal Cordyceps, da sapere che individui come David e la sua banda erano la norma. Sentì un brivido gelido allo stomaco nel ripensarci – nel ripensare a cosa avrebbe potuto farle se lei non l'avesse ucciso in tempo...

«Scendiamo più a valle e portiamoci a tiro» disse Joel, riscuotendola con un colpetto sul gomito.

Ellie annuì in fretta, mascherando il turbamento e seguendolo subito lungo la scarpata scoscesa. Seguirono le chiazze di vegetazione rinsecchita per celare il più possibile la loro presenza, fino ad arrivare a un sentiero sterrato che tagliava il fianco della montagna. Un piccolo belvedere in muratura aggettava sulla strada, offrendo una vista panoramica sulla vallata e sull'area di sosta. Un vecchio binocolo a monete giaceva ribaltato nella polvere. Era una postazione da cecchino perfetta.

Joel studiò il terreno, per poi acquattarsi e poggiare la canna del fucile nel solco tra due mattoni, premurandosi di non intercettare la luce del sole col mirino. Ellie lo osservò, memorizzando i passaggi. Sfilò a sua volta l'arco dalla spalla, saggiò la corda e incoccò una freccia, attirando per un istante lo sguardo di Joel.

«Ti copro le spalle. Non si sa mai» si giustificò, senza rivelare che aveva bisogno di sentirsi le mani impegnate.

«Ce la fai a tenderlo, con quella?» Joel adocchiò la fasciatura sul suo avambraccio. «Un essere umano non è una lepre.»

Ellie compresse le labbra, sfiorando la bruciatura nascosta. Sotto la benda, la pelle divorata dall'acido era ancora dolente. Scosse comunque la testa, stringendo il pugno attorno all'arco e tirando il muscolo senza una smorfia.

«Ce la faccio.»

Joel la fissò dubbioso ma non ribatté, tornando al proprio fucile.  Ellie compresse le labbra. Dopotutto, non era nella posizione di rimproverarla per avergli detto una bugia.


 


Note dell'Autrice:

Cari Lettori, rieccoci qua!

Il momento dell'incontro tra i due gruppi si avvicina, non temete, ma avevo bisogno di delineare per bene le relazioni/interazioni tra le due coppie padre-figlio/a.

Come avrete intuito, Joel ed Ellie sono in quel periodo di circa un anno che intercorre tra il loro arrivo a Jackson e la visita al museo (sedicesimo compleanno di Ellie); Sully e Nate, come accennato, seguono una timeline diversa dal canone, ma si trovano (in termini di età, non di eventi) nel periodo immediatamente successivo alla prigione in Panama. Qui viene citato Sam, ma le dinamiche che ho ideato differiscono molto dal gioco.

Detto questo, la smetto di sproloquiare e ci vediamo venerdì prossimo ♥

-Light-

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Capitolo 5
*** Cattive idee ***





 
 
 
• 4. Cattive idee •


 

Joel era sicuro che Ellie gli avesse detto una mezza bugia, riguardo alla bruciatura, ma non era il momento di essere pedante.

Era un argomento talmente delicato, quello, che l’avrebbe evitato anche in condizioni normali. 
Gli era bastato il rimbrotto riguardo a Pittsburgh, per fargli intuire che Ellie, in quel momento, fosse turbata. Quella ragazzina portava già sulla coscienza il peso di un’umanità che, ai suoi occhi, non era stata in grado di salvare.

Era suo dovere tentare di non aggiungere altri macigni a quel carico – e lasciare qualcuno alla mercé di predoni e infetti, rimanendo a guardare, era quel tipo di peso che ti tiene sveglio la notte, anche senza la cicatrice di un morso sul braccio e la consapevolezza di essere immuni e comunque inutili al mondo.

Si concentrò sul mirino, scrutando la finestra in cui aveva individuato il cecchino. Di nuovo, scorse il profilo della sua testa nella penombra. Colse anche un paio d’ombre dietro di lui, che sembravano intente a parlare tra loro. Guardando la loro postura leggermente incurvata e i movimenti scattosi, ebbe per un istante l’impressione che fossero dei runner. Un senso di gelido disagio si insinuò nei suoi arti e contrasse appena il dito sul grilletto. Durò un istante, per poi svanire, ma gli lasciò addosso l’impressione che ci fosse qualcosa di terribilmente fuori posto, in quella situazione.

Uno sparo solitario ruppe l’aria e l’insegna del benzinaio traballò, rumorosa.


«Joel» Ellie lo riscosse a bassa voce. «Stanno arrivando altri infetti.»

Joel scollò locchio dal mirino, gettando unocchiata diretta alla strada: una ventina di runner in lontananza caracollava verso larea di servizio, richiamata dagli spari che avevano riecheggiato per lintera vallata. Ancor più lontano, scorse qualche clicker. Tempo di arrivo: cinque, dieci minuti al massimo.

«Se dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo farlo adesso, o non avremo tempo per scappare.»

Joel annuì. Gli infetti erano ancora abbastanza lontani da non rappresentare un pericolo immediato e linclinazione ripida della montagna li avrebbe protetti da un attacco diretto, ma non potevano permettersi di rimanere accerchiati. Non avevano nemmeno abbastanza colpi per gestire quella piccola orda.

Anche i due intrappolati nel mercato avevano scorto il nuovo pericolo, a giudicare dal modo in cui indicavano la strada, e sembravano intenti a discutere in modo agitato. Non poteva biasimarli: erano tra lincudine e il martello, in quel momento. Stava a lui ed Ellie eliminare almeno uno dei due.

«Non credo ci siano più di tre o quattro persone, là dentro» esordì Joel, adocchiando lhotel. «Posso eliminarne un paio prima ancora che si rendano conto di essere sotto attacco.»

«Ma non sappiamo se hanno dei compagni nei dintorni e, una volta che ci avranno individuato, saremo tutti in stallo e sotto tiro» continuò pronta Ellie, cogliendo lesitazione nella sua voce.

«Esatto. Senza contare che quei due non capiranno che i nostri spari non sono contro di loro e potrebbero agire in modo avventato, magari attaccandoci. Uno di noi deve scendere laggiù, a portata di voce...»

«... e quel qualcuno sono io» concluse Ellie, spostandosi una ciocca di capelli scuri dietro lorecchio.

Joel sospirò dal naso, con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. Lidea di mandarla in prima linea non gli piaceva affatto.

«Vorrei andarci io, ma non hai ancora abbastanza esperienza con un fucile a questa distanza.»

Le scoccò unocchiata laterale, ma non colse risentimento sul suo volto, forse solo una lieve irritazione per le sue abilità da affinare. Sapeva che, una volta tornati a Jackson, avrebbe tormentato Tommy per qualche altra lezione col fucile di precisione.

«Lo so. Comunque, sono più veloce e meno visibile di te. Ha senso» tagliò corto, pizzicando la corda dellarco col pollice come fosse quella di una chitarra.

Ellie si tolse lo zaino dalle spalle e, nonostante il caldo, infilò la camicia verde scuro, celando la canotta chiara troppo sgargiante e la fasciatura sul braccio. Mise larco a tracolla, si rifece la coda ai capelli e controllò che i lacci delle sue Converse blu stinto fossero ben annodati. Poi si voltò verso di lui con la pistola già in mano e annuì una volta, a confermare di essere pronta, in attesa dei dettagli del piano.

«Arriva fino a lì» disse Joel, indicando un negozio di souvenir in rovina sul loro lato della strada. «Hai una buona copertura e un angolo di tiro favorevole. Quando sei in posizione, io faccio fuori il cecchino e chiunque mi capiti nel mirino. Tu urla, cerca di farti sentire da quei due, falli scendere da lì e portali verso di me tra la boscaglia. Vi copro io da quassù, preoccupatevi solo degli infetti che vi trovate davanti, chiaro? Ho ventidue colpi,» aggiunse, alzando lindice e il medio, «ricordati...»

«... di contarli e che ogni quattro devi ricaricare. Ricevuto» confermò lei, con un sorrisetto sicuro di sé.

Joel annuì, ricambiando teso.

«Stai attenta, piccola.»

Ellie non rispose, ma si portò due dita alla fronte simulando un "signorsì" scherzoso, poi scivolò oltre la copertura e si avviò a valle lungo la scarpata, rapida e silenziosa come unombra. Joel la osservò dallalto, tenendo docchio al contempo lei e il cecchino nella finestra che, di tanto in tanto, sparava un colpo contro linsegna del benzinaio per assicurarsi che gli infetti non abbandonassero la zona e che gli altri si dirigessero lì.

Calmò i respiri fino a renderli impercettibili e rilassò le spalle, locchio incollato al mirino. Posizionò la testa del cecchino tra le linee della lente e alzò il tiro, calcolando la distanza e mantenendo la posizione.

Non aveva alcun margine derrore.

 

«Se rimaniamo qui siamo cibo per clicker, Sully!»

«Preferisci una pallottola in testa?!»

«Sì, se devo proprio scegliere!»

Sully si impose di non rispondere, con l’ultima affermazione del ragazzo che gli dipinse un’immagine agghiacciante dietro gli occhi.

Spostò lo sguardo altrove, oltre la ringhiera del loro baluardo. 
La situazione stava diventando sempre più precaria: gli infetti non accennavano ad allontanarsi e continuavano ad aggirarsi frenetici pochi metri sotto di loro, ringhiando e sbavando come bestie rabbiose.

Un runner più audace degli altri si arrampicò sul cassonetto, poi in cima al muro, e balzò verso l’alto tentando di raggiungere il ballatoio. Lo mancò di un metro buono e ricadde a terra, spezzandosi gambe e collo con uno schiocco nauseante. Continuò imperterrito a ringhiare e trascinarsi sulle braccia, lasciando una scia rossa dietro di sé, come se non avesse nemmeno avvertito l’impatto.

Nate, che aveva seguito la scena con una smorfia a metà tra il disgustato e l’apprensivo in volto, girò scattosamente la testa prima verso il cecchino, poi verso quella che sembrava un’orda in avvicinamento.

Sully si piantò una mano sulla fronte e si strizzò le tempie accaldate, faticando a mantenere la lucidità. Non era la prima volta che si trovavano in una situazione senza via d’uscita, ma c’era sempre una via d’uscita – tranne quella volta a Kansas City, ma non doveva pensare a Kansas City, adessoDoveva solo pensare a come tirarli fuori di lì...

Nate lo riscosse bruscamente, tirandolo per un braccio, e Sully si rese conto solo allora che stava parlando già da qualche secondo.

«Vuoi starmi a sentire? L’unica soluzione è creare un fuoco di copertura a vicenda e scappare uno alla volta, prima tu e poi...»

«No» sbottò infine Sully, lasciando scivolare via la mano per puntargli contro un indice. «No. Non ci separiamo, non esiste che ci separiamo, chiaro?»

Vide Nate comprimere con forza le labbra, con gli occhi che si fecero bui e lucidi al contempo. Strinse la presa sulla pistola, sbiancandosi le nocche e, se per un momento sembrò sul punto di ribattere ancora, alla fine annuì. Si tirò i capelli più lunghi sulla fronte in un gesto frustrato.

«Va bene» disse piano, con uno sguardo così addolorato che Sully si sentì schiacciare il cuore in una morsa. «Allora ce ne andiamo insieme, in un modo o nell’altro.»

Gettò un’occhiata alla strada, ancora fin troppo piena di infetti – l’altra ondata era sempre più vicina.

«Abbattiamone il più possibile e poi scendiamo di qui» disse Sully.

«Conserva un colpo.»

«Anche tu.»

Si scambiarono un cupo cenno d’intesa e puntarono le armi, scegliendo i loro bersagli. Prima di poter premere i grilletti, un forte sparo riecheggiò nella vallata, facendoli sobbalzare. Era diverso dai precedenti – Sully guardò d’istinto verso la montagna, dove colse un riflesso metallico.

«Maledizione, giù!» afferrò Nate per un braccio, tirandolo dietro la colonna di sostegno del balcone. «Un altro cecchino. Addio via di fuga.»

«Col cavolo! Se non c’è, me la creo!» sbottò lui, rialzandosi su un ginocchio e puntando la pistola contro la vetrata.

Sully non ebbe modo di obiettare, né non si oppose: avevano finito le alternative. Un paio di colpi che fecero schizzare ovunque schegge di vetro bastarono a indebolire la spessa parete trasparente. La sfondarono senza difficoltà con una spallata congiunta e scavalcarono in fretta i vetri affilati come rasoi.

Si addentrarono all’interno, nella penombra trafitta da qualche raggio di luce, le orecchie tese per cogliere segni di altri infetti. Dietro di loro, Sully ebbe l’impressione di sentire qualcuno gridare, ma nel caos generale non vi badò. Altri due spari risuonarono fin lì: probabilmente i predoni stavano cambiando tattica per farli fuori. Oppure, avevano sottovalutato il pericolo degli infetti e se li erano ritrovati addosso... peggio per loro, a buon rendere.

Sully strizzò gli occhi: l’interno del mercato era buio, con ringhi e versi che sembravano provenire da ogni angolo.

«Sai che questa è una pessima idea, vero?» chiese retorico a Nate.

Lui sorrise affannato, nonostante tutto.

«Come tutte le mie idee. Non ti sei ancora abituato? Ora muoviti, prima che qualcuno di quegli stronzi ne abbia una ancora peggiore.»

 

 

Che idea del cazzo, pensò Ellie, mentre schivava un infetto, rotolava per evitare un proiettile e superava in corsa la vetrina sfondata del mercato, trovandosi in un ampio spazio diviso da bancarelle e scaffalature distrutte.

Che enorme idea del cazzo, continuò a pensare, fiondandosi verso le scale metalliche che portavano al piano superiore e trapassando da parte a parte con il coltello la gola di un runner che le si parò davanti. Lo spinse oltre la ringhiera e riprese la salita, cercando di orientarsi tra gli ampi corridoi della struttura.

Doveva svoltare a destra e andare verso l’altro lato dell’edificio, verso le vetrate, se voleva intercettarli. Due spari in rapida successione risuonarono all’esterno: Joel stava mandando avanti il fuoco di copertura. Era a quota sei colpi, ma ne considerò sette in un eccesso di precauzione.

Dietro di lei udiva degli infetti, ma non aveva tempo né colpi per occuparsene adesso. Il piano superiore, almeno, sembrava libero, e sperò che le strette scale traballanti ostacolassero abbastanza quelli di sotto.

Si diresse di corsa verso il fondo del corridoio, dove intravedeva una luce più forte, e sperò fosse la direzione giusta. Svoltò l’angolo e puntò subito davanti a sé la pistola, trattenendo per un pelo l’istinto di premere il grilletto quando vide due figure indistinte sbucare di fronte a lei. Si trovò le bocche di due pistole puntate contro e inchiodò con uno stridio di suole sul pavimento.

«Non sparate!» gridò, alzando subito le mani, senza però mollare l’arma.

L’uomo più anziano strabuzzò gli occhi nel trovarsela davanti, mentre il ragazzo abbassò un poco la canna della pistola, con un’espressione altrettanto stupefatta in viso. Il primo avanzò di mezzo passo, coprendo parzialmente il più giovane col proprio corpo.

«Ma che diavolo...»

«Non c’è tempo per spiegare, l’orda sta arrivando» lo interruppe in fretta Ellie, pregando che non la scambiassero per una complice di quei pezzi di merda nell’hotel.

L’uomo scosse la testa, rinsaldando la presa sulla sua Magnum. Ellie deglutì a secco: un colpo di quella e per lei era finita.

«No, no, aspetta, tu da dove...»

«Sully...»

«Dovete fidarvi, il mio partner sta tenendo impegnato il cecchino nell’hotel, ma non ha munizioni infinite» continuò Ellie, azzardando un passo avanti.

«Il tuo partner? Quanti siete?» la incalzò l’uomo, con un secco movimento della canna verso di lei che bloccò la sua avanzata.

Prima che lei potesse aggiungere altro, un movimento improvviso alle spalle dei due le fece mandare al diavolo la cautela: puntò di nuovo la pistola e, prima che potessero reagire, freddò lo stalker sbucato dal nulla con un colpo in petto, che passò esattamente tra le loro teste.

L’infetto stramazzò a terra urtando contro i loro piedi, che si scansarono all’istante – lo scarpone del ragazzo si abbatté di peso sulla sua tempia, sfondandogli il cranio ed eliminando la minaccia. Si scansò dalla pozza viscosa, scuotendo il piede imbrattato di sangue e resti marcescenti di fungo e cervella.

«Mi credete, adesso?» sbottò Ellie, facendo di nuovo loro cenno di seguirla.

«Ottime capacità persuasive, complimenti» replicò il ragazzo, avanzando in fretta e dando un secco spintone al suo compagno per indurlo a fare lo stesso. «Nel dubbio, meglio un colpo in testa, no?» lo sentì dire Ellie, a voce più bassa.

«Ah, Cristo, va bene!» imprecò lui, assecondandolo.

Ripercorsero a perdifiato la strada verso l’uscita e, sebbene Ellie avesse avuto qualche esitazione a voltare loro le spalle, la coppia di viaggiatori non sembrava intenzionata a fare nulla di stupido, per ora. Una novità gradita, visti i tempi.

«Di qua, è la via più...» Ellie si interruppe, frenando di colpo a un passo dalle scale. «Oh, cazzo.»

«Oh, merda» le fece eco il ragazzo.

Nella sala principale, semi vuota fino a un minuto prima, si aggirava un gruppo di almeno una decina di infetti, alcuni già avviati sulle scale traballanti in una massa letale di denti e unghie. L’orda li aveva raggiunti.

«Maledizione, via di qui» sbraitò l’uomo, tirandola indietro e sparando al primo clicker che mise piede al piano superiore.

«L’uscita sul retro!» gridò il ragazzo, indicando una porta d’emergenza appena oltre il muro di infetti, con le mani già pronte a darsi la spinta sul corrimano. «Basta scavalcare qui e aggirarli, sbriga–»

«Ragazzo, non ho più vent’anni!» ribatté l’altro, adocchiando il salto.

Ellie gli diede ragione, pur avendo decisamente meno di vent’anni: saranno stati circa quattro metri... la possibilità di rompersi qualcosa e soccombere agli infetti era più alta di quella di scappare illesi. 

Stava per suggerire di fare dietrofront e cercare riparo sul tetto, quando udì un clangore metallico sotto di loro, stranamente familiare. Abbassò lo sguardo: sul pianerottolo delle scale invase da runner scorse una lattina metallica e lo scintillio di una miccia accesa.

«Giù!» gridò, spingendo i due a distanza di sicurezza, un secondo prima che lo scoppio li assordasse.

Schizzi di sangue e brandelli di carne piovvero attorno a loro, resti delle vittime della bomba a chiodi. Pochi secondi dopo, una deflagrazione altrettanto violenta li riscosse.

Ellie sentì il cuore balzare nel petto in un misto di sollievo e angoscia: nell’ingresso comparve la sagoma inconfondibile di Joel, con un fucile a canne mozze imbracciato.

«Che aspettate? Scendete da lì!»



 


Note dell'Autrice:
Rieccoci qui!

Scusate l’aggiornamento mancato di venerdì scorso, ma ho avuto dei giorni molto impegnati e ho avuto a malapena il tempo di stare al computer :’)
Il momento che tutti voi (?) stavate aspettando è finalmente arrivato... ci sarà ancora qualche sorpresa lungo la strada, che spero gradirete ♥
Ogni commento è sempre bene accetto e stellinate se vi è piaciuto!

-Light-

 

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