Qualcosa in cui sei brava

di ferao
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Duuuunque. Lo so che dovrei lavorare al capitolo 17 di "Omne Trinum" (e lo sto facendo! Davvero! Sono già a 4k parole! E sarà un bellissimo capitolo! Punti esclamativi!), e che di solito non ho l'abitudine di lavorare a più long/minilong contemporaneamente, ma la stesura di questa storia mi ha provocato un insolito sentimento di gioia e in tutta onestà non riesco a tenerla per me ancora a lungo, quindi eccola qua. Sarà una minilong di tre capitoli che aggiornerò appena possibile, con l'assicurazione che non trascorreranno mesi tra un capitolo e l'altro; se vorrete farmi compagnia per questo breve viaggio, ne sarò felicissima ^_^
Ci vediamo in fondo per le altre note!
(E tanti auguri a me per i miei 14 anni su EFP! :D)



 

Qualcosa in cui sei brava

Capitolo 1



 

Prima di diventare Lucretia Prewett, Lucretia Black era fortemente contraria al matrimonio. Non in generale, per carità: da strega nata e cresciuta in un ambiente conservatore, era ben consapevole dei numerosi vantaggi che un contratto matrimoniale — con gli annessi e connessi economici — potesse arrecare a tutte le parti coinvolte. Il matrimonio e la famiglia erano le fondamenta su cui qualsiasi società si basava, financo quella Babbana, pertanto no, non era contraria.

Ciò a cui era contraria era il proprio matrimonio. Perché mai lei avrebbe dovuto sposarsi? Non era mai stata adatta alla vita casalinga, né a quella sociale; aveva un vero e proprio talento nel farsi disobbedire persino dagli elfi domestici, sotto le sue cure i delicati fiori di sua madre Melania deperivano irreparabilmente, e quando si trattava di intrattenere gli ospiti durante i ricevimenti… quello non era un problema, a patto che fossero interessati ai romanzi auroreschi, alla cronaca nera, alle leggende metropolitane e a qualsiasi strano argomento catturasse la sua attenzione in quel periodo — e che di norma i rispettabili Purosangue londinesi non amavano sentirsi raccontare da una signorina di buona famiglia, costringendola dunque al silenzio. Come se non bastasse, non c’era una delle tradizionali arti femminili che le si addicesse: cucito? Pittura? Musica? Cucina? Le aveva provate tutte, e in tutte aveva fallito.

«Come possiamo procurarti un buon matrimonio se non sai neppure ricamarti le iniziali sulle lenzuola?» lamentava sempre Melania Black.

«Vi basterà non procurarmelo, madre,» ribatteva immancabilmente Lucretia, facendo ridacchiare Orion e sogghignare sotto i baffi il loro padre Arcturus. Loro lo trovavano buffo, ma che altro avrebbe dovuto dire? Se non era adatta alla vita domestica, la vita domestica non era adatta a lei, checché ne dicesse Madre.

«E i figli? Non vorresti dei figli tutti tuoi?» era in genere l’argomento che Madre tirava fuori in quei frangenti. Ah, i figli. Possibilmente la cosa che Lucretia meno bramava dalla propria esistenza. Il solo pensiero di espellere dal proprio corpo degli esserini completamente dipendenti da lei a cui avrebbe poi dovuto dedicare buona parte del suo tempo, e che avrebbe potuto danneggiare con la stessa facilità con cui spazzava via le piante, la riempiva di ribrezzo misto a terrore.

«Dici così perché non ti abbiamo ancora presentato il mago giusto, sono certa che un giorno cambierai idea,» usava concludere Melania, con un sospiro rassegnato. Povera, povera Madre; in momenti del genere Lucretia aveva quasi pietà per lei, costretta a convincere se stessa che prima o poi sua figlia avrebbe trovato un partito che passasse sopra alla sua inettitudine e la sposasse così com’era. Sembrava quasi non avesse trascorso nemmeno un minuto nella società Purosangue, eppure anche lei come sua figlia era cresciuta respirando quella medesima aria: i maghi volevano donne docili, mansuete, capaci di governare una casa, figurare in società e sfornare eredi senza dare troppo disturbo, appagate dai loro lavoretti manuali e dall’abbinare perfettamente tende e tappezzeria. Se anche Lucretia si fosse invaghita di uno qualunque di quegli intollerabili bellimbusti, era a dir poco improbabile che avvenisse il contrario, visto che lei era quanto di più distante dall’immaginario della Perfetta Moglie Proseguitrice di Linee Genealogiche.

Perciò no, non aveva mai pensato che il matrimonio potesse essere la sua strada. Si rendeva conto di essere piuttosto fortunata a non avere un obbligo in tal senso — visto che la loro linea di sangue sarebbe comunque proseguita grazie a Orion, come ripeteva Padre — ma avendo la possibilità di scegliere, preferiva scegliere qualcos’altro.

Poteva fare come zia Lycoris, che si era ritirata a vivere in una sontuosa villa in Belgio circondata da libri e con la sola compagnia di una vecchia amica di scuola — un’amica molto intima, soleva dire zio Regulus con un ghigno sornione, ma Lucretia non aveva mai capito cosa intendesse; oppure come Matilda McMillan, cugina di sua madre, che un giorno era salita su un bastimento babbano e da allora, narravano le leggende familiari, faceva la bella vita in America tra un casinò e l’altro a spese degli incauti uomini che seduceva con la sua travolgente bellezza. Sì, quelle erano esistenze che Lucretia Black avrebbe potuto condurre. Vivere tra i romanzi e le fantasie, o girare da un luogo all’altro senza sosta, l’importante era non doversi mai occupare né di un uomo, né di una casa, né di marmocchi. Mai.

Ma quella incrollabile certezza andò in frantumi nel momento in cui posò gli occhi per la prima volta su Ignatius Prewett. Aveva accompagnato i suoi genitori a visitare la cugina Callidora, che insieme al marito Harfang e i figli viveva in una tenuta immersa nel verde tra i monti del Galles. Per lei, strega di città a tutti gli effetti il cui circolo sociale era sempre stato limitato a Londra e dintorni, quel viaggio fu a dir poco rivelatorio: scoprì non solo che la società Purosangue campagnola possedeva abitudini e ritmi completamente diversi da quelli cui era avvezza, ma che era anche — se le si poteva passare il termine — simpatica

Passato il primo momento di shock nell’essere accolti da una padrona di casa con addosso un grembiule sporco di terra — «Scusate, il Crup ha sfondato l’aia e ho dovuto inseguire le galline per tutta la tenuta!» si era allegramente giustificata la cugina Callidora — e l’imbarazzo nello scoprire che i cinque bauli di vestiti che Madre aveva insistito a farle portare sarebbero stati del tutto inutili — «Ma a Londra indossate sempre tutti questi merletti? Quaggiù te li rovineresti e basta, ti presterò io qualcosa di adatto,» aveva commentato Cressida, la figlia quattordicenne di Callidora, abbigliata con un paio di pantaloni e una camicetta che Melania, con un tremolio di orrore nella voce, aveva definito “quasi Babbani” — adattarsi ai loro modi di fare fu relativamente facile. I Longbottom erano educati ma non rigidi, pieni di aneddoti buffi e mai volgari, e già dopo due o tre giorni si potevano notare gli effetti della loro compagnia sui Black di città: l’abbottonatissimo Arcturus era arrivato a ridere apertamente alle facezie del cugino acquisito, e persino Melania aveva smesso di ostentare un’infastidita superiorità per ascoltare con interesse i resoconti di Callidora sui proprietari dei terreni confinanti.

«I Greengrass, te li raccomando!» esclamò la strega dopo la loro terza cena insieme, mentre concludevano la serata trangugiando lo sherry di prammatica. «Abbiamo ancora un contenzioso aperto per il nostro bosco a nord — sostengono di avere una servitù di passaggio risalente ai tempi di Eldritch Diggory, ma non hanno mai e poi mai prodotto una pergamena che lo testimoniasse! Eppure continuano a girare nel nostro territorio come se niente fosse, e con l’occasione raccolgono la nostra legna e cacciano le nostre lepri! Ma ti pare giusto?!»

«È scandaloso!» confermò Melania, con lo stesso tono con cui avrebbe reagito a un succoso pettegolezzo su una nobildonna del suo circolo. «E non c’è modo di risolverlo?»

«Stiamo aspettando che il nostro patrocinatore ci dia un parere sull’opportunità di intentare causa, ma siamo quasi tentati di accettare il consiglio di Ignatius e lasciar perdere. Perlomeno il viavai dei Greengrass tiene lontani i Babbani, e Salazar solo sa quanto fastidio ci risparmiano…»

«Ignatius? Chi sarebbe?»

«Oh, non ve ne ho parlato?» Callidora sbirciò nell’angolo del salotto dove Harfang e Arcturus commentavano i risultati delle corse di Abraxan di quel pomeriggio, poi tornò a guardare Melania e Lucretia con un sorriso sghembo. «È il nostro vicino del lato est, Ignatius Prewett dei Prewett di Llanymynech. Un uomo molto interessante.»

«Oh? Quanto interessante?»

«Economicamente non molto, la sua tenuta non vale nemmeno un quarto della nostra. Ma ha… altre doti, diciamo.» Ridacchiò in maniera eloquente. «Ah, avessi qualche anno di meno…»

Melania ridacchiò a sua volta, guadagnandosi un’occhiata di sbieco da Lucretia. Madre che rideva di un’insinuazione sconcia? Cosa c’era in quello sherry?

«E scommetto che è sposato, vero? I migliori sono sempre già occupati…»         

«Oh, no, poveretto,» Callidora perse l’aria fatua e tornò seria, «è rimasto vedovo un paio di anni fa.»

«Vedovo? Come è…»

«Una lunga malattia. Povera Euterpe. A vederla la si sarebbe detta perfettamente sana, era sempre così piena di energie, e invece se lo è trascinato per anni…»

«Oh, che triste storia.»  

«Già. Una donna deliziosa, così gentile… e i poveri figli. Ne ha lasciati tre.»

«Tre?!»

«Due gemelli e una bambina, assolutamente adorabili. I più grandi dovrebbero iniziare Hogwarts quest’anno o il prossimo, la piccolina invece non ha nemmeno nove anni…»

«Che disgrazia.» Era un’impressione di Lucretia, o sua madre la stava occhieggiando in modo sospetto? «E chi si prende cura della casa?»

«Lo stesso Ignatius. Da quando Euterpe è morta si è assunto tutta la cura dei ragazzi e della tenuta, pensa che non hanno nemmeno un elfo ad aiutarli…»

«Un uomo che fa tutto da solo? Salazar, che tempi.»           

«Mi hai tolto le parole di bocca, cugina.»

«E… non ha mai pensato di risposarsi?»  

«Oh, credo che il lutto sia ancora troppo fresco per tutti e quattro, ma sarebbe certamente la soluzione più adeguata. Alla casa serve una donna e ai bambini serve una madre, soprattutto alla femmina: non si può pretendere che un mago per bene si assuma doveri che non gli competono.»

Stavolta Lucretia non poteva sbagliare: Madre la stava davvero squadrando con quel brillio negli occhi che indicava una pianificazione in corso. Per impedirsi di lanciarle la frecciata che già avvertiva sulla punta della lingua, strinse i denti e pensò con tutte le forze a un passaggio particolarmente avvincente de L’Auror Smith contro i Sette Ghoul che aveva letto quel pomeriggio.

«Sono d’accordo. Se iniziassimo ad assegnare agli uomini i ruoli delle donne e viceversa, tanto varrebbe spezzare le nostre bacchette e vivere nell’inciviltà come i Babbani.» Melania fece roteare lo sherry nel bicchiere. «E avremo la possibilità di conoscere questa bella famigliola, o…» 

«Oh, sicuro! Saranno nostri ospiti domani sera, assieme al figlio maggiore dei Greengrass e ai Burke del confine sud.» 

«Splendido.» Terminò lo sherry e schioccò la lingua, evitando di guardare Lucretia. «Cugina, il vostro liquore fatto in casa è squisito. Posso osare chiedertene un altro po’?» 

La sera successiva, Lucretia considerò seriamente l’idea di trasfigurarsi in un vaso di peonie e restarsene lì, sul balconcino della sua stanza, ad aspettare che gli ospiti del cugino Harfang si togliessero dai piedi. Non sapeva se l’indisponesse di più l’idea di passare l’ennesima serata muta e in disparte — perché le brave signorine non turbano i commensali con racconti macabri e fantasticherie da due zellini, Cretia! — o la consapevolezza che Madre avrebbe fatto i salti mortali per dar seguito alle proprie bieche macchinazioni. Per tutto il giorno si era prodigata a porre domande casualissime a Callidora sulla tenuta al confine est, sulla personalità di questo famigerato Ignatius, sul numero di stanze della dimora dei Prewett e sul loro peso nella società locale; non era chiaro se la cugina avesse colto il sottinteso di quell’interrogatorio, tuttavia Lucretia era certa di aver notato nel suo sguardo il medesimo brillio calcolatore di Madre mentre la guardava.

Sospirò e si diede l’ultima rassettata allo specchio della toilette. Peccato non ci fosse Orion: il fortunello era impegnato a ridecorare il numero 12 di Grimmauld Place con la sua signora Walburga, ma se fosse stato lì avrebbe reso la serata meno difficile da affrontare. Le sue pungenti battute non avrebbero risparmiato nessuno dei presenti e, soprattutto, l’attenzione di Madre si sarebbe concentrata interamente su di lui lasciando libera Lucretia di farsi gli affari propri nel più remoto angolo della sala.

Beh, inutile piangere sulla sfera di cristallo rotta. Se Melania Black avesse provato a combinarle un matrimonio, quella sera, lei lo avrebbe agevolmente evitato comportandosi da se stessa. Ignatius Prewett dei Prewett di Llanymynech non poteva essere tanto diverso da qualunque mago Purosangue avesse incontrato nei suoi… più di venti anni di vita; non appena l’avesse sentita parlare dell’ibrido uomo-Acromantula che si diceva vivesse sotto il Big Ben, o l’avesse udita strimpellare al povero pianoforte a coda di Callidora, si sarebbe Smaterializzato altrove a cercare una moglie più adatta al ruolo. 

«Perché non hai messo l’abito verde, Cretia?» la rimbrottò Madre non appena ebbe disceso l’ultimo gradino della scala a chiocciola. «Lo sai che ti sta molto meglio di questo.» 

«Questo è più comodo,» rispose laconica. La risposta più esaustiva sarebbe stata perché l’abito verde ha una scollatura davanti e dietro che sarebbe più adatta agli ambienti frequentati dalla cugina Matilda che a una casa rispettabile, e tu lo sai dato che mi costringi a metterlo ogni volta che abbiamo potenziali corteggiatori in visita, ma non vi era nessuna utilità pratica nel pronunciarla ad alta voce. Si limitò quindi a lisciare una piega della semplice veste di velluto blu e, assieme a Melania e Arcturus, si dispose ad attendere gli ospiti.

Il primo a presentarsi fu il giovane Greengrass, un ragazzo alto e brufoloso che si scusò balbettando per l’assenza dei suoi genitori impegnati in altre faccende — «Si staranno affrettando a spogliarvi il bosco di tutte le lepri,» commentò caustica Melania, in un sussurro che udirono solo Callidora e Lucretia —  e fu presto attirato via da una Cressida più allegra del solito; i Burke del confine sud giunsero poco dopo, un ometto pelato accompagnato da una moglie più alta di lui di diversi centimetri e cinque figlie in diverse gradazioni di bellezza mozzafiato — «Devono aver saputo che verrà anche Ignatius, quelle vipere,» sibilò Callidora alla cugina.

«E il signor Prewett?» domandò infatti la signora Burke quando gli elfi domestici iniziarono a portare i flûte. «Non sarà dei nostri, stasera?»

«Arriverà,» rispose Callidora. «Suppongo porti ritardo a causa dei bambini, sai com’è…»

«Oh, eccome se lo so.» C’era una nota arcigna nella voce della signora Burke. «Se solo non insistesse a portarseli appresso tutte le volte…»

«Sono una famiglia molto unita, sì,» commentò benevolo Harfang.

«Fin troppo! Noi non ci siamo mai permessi di portare le nostre figlie a serate tra maghi adulti finché non hanno raggiunto un’età adeguata, vero, Orestes?»

«Vero, Berenice.»

«A Londra invece incoraggiamo i nostri figli a partecipare in società il prima possibile,» si inserì Melania con fare innocente. «Riteniamo sia il miglior modo per insegnare loro a comportarsi. Ma immagino che qui in campagna abbiate costumi diversi.»

Seduta sul divanetto accanto a lei, Lucretia dovette mordersi forte la lingua per non ridere. Lo strale di Madre aveva colpito nel segno: le guance olivastre di Berenice Burke assunsero una sfumatura grigiastra e il suo sguardo si spostò sulle figlie, che erano già brille dopo un solo bicchiere e ridacchiavano scompostamente in un angolo. La strega arricciò le labbra per un istante, prima di distenderle in una smorfia velenosissima.

«In effetti, sua figlia è un modello di portamento ed eleganza.» Guardò Lucretia e scoprì i denti nell’esatto opposto di un sorriso. «E immagino avrà moltissimi ammiratori, a Londra. Dimmi, cara, quanti anni hai? Mi sembri più che matura per un matrimonio… o c’è un motivo per cui sei qui a tenere compagnia ai tuoi genitori invece che a badare a una famiglia tutta tua?»

Con la coda dell’occhio Lucretia vide Melania diventare verde in viso, e per un attimo provò l’impulso di alzarsi in piedi e rispondere per le rime a quella testa di mandragola che non era altro. Come si permetteva di insultare Madre attraverso di lei? C’erano miriadi di argomenti che poteva usare senza mettere di mezzo la sua indisposizione al matrimonio, per Salazar!

«Oh… ecco…» incominciò il più lentamente possibile, ma un bussare alla porta e lo scalpiccio di un elfo la salvarono dal dover replicare.

«Ah!» Harfang poggiò il flûte e si sfregò le mani. «Finalmente. Ehilà, vicini!»

«Buonasera. Perdonate il ritardo,» rispose una voce calma e baritonale.

Melania drizzò il collo e puntò lo sguardo verso l’ingresso come un cane da caccia. Lucretia avrebbe voluto aspettare qualche secondo, giusto per non darle soddisfazione, ma la sua naturale curiosità prevalse e la spinse a voltarsi subito a guardare questo famoso Ignatius Prewett dei Prewett di Llanymynech. Harfang lo stava presentando ad Arcturus proprio in quel momento: oltre la sagoma alta e un po’ curva di suo padre si intravedeva una gran chioma di ricci rosso cupo, un bel volto dai lineamenti virili incorniciato da una barba rossa come i capelli, spalle robuste che tendevano un soprabito dal taglio semplice ed elegante e un paio di occhi verde scuro. 

Ignatius Prewett strinse la mano a Padre con un sorriso gentile ma tirato, poi si guardò attorno per salutare gli altri presenti. Fece vagare lo sguardo senza soffermarsi su nessuno in particolare; passò oltre Lucretia come se non l’avesse vista affatto, poi di scatto tornò indietro e guardò dritto verso di lei. 

Il suo sorriso stanco raggiunse gli occhi, circondandoli di piccole rughe che lo resero ancora più bello.

E in quel preciso istante, per la prima volta in più di venti anni di vita, Lucretia Black sentì vacillare le proprie idee sul matrimonio.

 





Note:

Questa fanfiction è stata scritta in risposta al prompt "Il primo maglione ai ferri di Molly Weasley", offerto da SeveraCrouch all'interno dell'iniziativa "Caffè sospeso" nel gruppo "L'angolo di Madama Rosmerta". Avrete notato che il prompt non è ancora apparso nemmeno per sbaglio, ma non temete, ci arriveremo.

Tutti i personaggi di questa storia, a eccezione della formidabile Matilda McMillan e di alcune comparse come Cressida Longbottom, vengono dritti dall'albero genealogico dei Black; di originale c'è solo la caratterizzazione di ciascuno di loro. Parlando dell'albero genealogico, la presenza di Lucretia e Ignatius Prewett lì in basso a sinistra mi ha sempre creato dei grandi grattacapi a livello di headcanon: da un lato ho sempre voluto considerarli i genitori di Molly, Gideon e Fabian (anche per legarci il secondo nome di Percy, che come sa chi legge le altre mie storie è un dettaglio abbastanza importante), dall'altro questo andava in conflitto sia con l'albero genealogico - in esso infatti i due non hanno figli - sia con quanto affermato da Sirius nell'Ordine della Fenice sul fatto che lui e Molly siano "cousins by marriage": se Molly fosse stata figlia di Lucretia, sorella di Orion, lei e Sirius sarebbero stati cugini primi. Per non perdere il mio headcanon e al contempo soddisfare il mio bisogno ossessivo di far tornare tutti i dettagli, ho cercato un compromesso: Ignatius è effettivamente il padre di Molly, ma Lucretia non è la madre, bensì una seconda moglie che col suo matrimonio ha appunto creato il vincolo di parentela tra i Prewett e Sirius. Una soluzione banale, ma ne sono molto orgogliosa ù_ù

Per quanto riguarda età e date di nascita/morte presenti sull'albero genealogico, in corso di stesura non ne ho tenuto troppo conto per non complicarmi la vita e perché anche la mia ossessione per i dettagli ha un limite; se l'avessi fatto, avrei avuto una Lucretia sui trentaquattro anni (perché Molly è nata intorno al 1950, e questa storia si svolge intorno al 1959-1960) e sarebbe stata un po' troppo, uhm, matura per giustificare la sua permanenza sotto l'ala dei genitori, nubile o meno. Ho preferito quindi ignorare la sua data di nascita e restare vaga sulla sua effettiva età, per lasciare intendere che non sia ancora trentenne e anche perché, insomma, non rivelare quanti anni abbia è una dovuta cortesia nei confronti di una signorina di buona società.

Dovrebbe essere superfluo, ma preferisco metterlo in chiaro: i vari discorsi sessisti, come pure quelli in cui si insiste che un uomo da solo non possa badare ai figli in assenza di una moglie, sono propri dei personaggi che li pronunciano e non riflettono in alcun modo il mio pensiero, che anzi è diametralmente opposto.

Grazie di aver letto e alla prossima!

 

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Qualcosa in cui sei brava


Capitolo 2



 

«Circe e Morgana.» Melania inforcò gli occhialini che riservava alle grandi occasioni e osservò per bene il nuovo arrivato. «La cugina non esagerava.»

Per la prima volta da quando aveva raggiunto lo status di signorina, Lucretia dovette concordare con sua madre. Ignatius Prewett dei Prewett di Llanymynech era… notevole, e non solo per la sua sfacciata prestanza fisica o la robustezza delle sue braccia, che già lo ponevano diverse spanne al di sopra di chiunque avesse mai incontrato in vita sua.

Era più basso di tutti gli uomini nella stanza, eccetto il signor Burke; il portamento e i modi impeccabili con cui salutava ciascuno dei presenti parlavano di una perfetta educazione, non dissimile da quella che lei e Orion avevano ricevuto — e nettamente migliore di quella che i Burke dovevano aver imposto alle loro ridacchianti figlie — al contempo però i suoi movimenti tradivano la presenza di qualcos’altro al di sotto di quella superficie, un’energia nascosta e a malapena contenuta che lo distingueva ulteriormente dagli altri. Vederlo aggirarsi per il salotto era come vedere un leone che si sforzava di costringersi nella pelle di un gatto.

E più lo guardava, più Lucretia avrebbe voluto guardarlo.

Una solenne gomitata nelle costole la riscosse, inducendola a seguire l’esempio di Melania e alzarsi. Callidora aveva preso Prewett sottobraccio e lo stava trascinando lontano dalle Burke madre e figlie — cosa di cui l’uomo non pareva affatto dispiaciuto — per condurlo verso di loro.

«Melania Black, la moglie di Arcturus, e la figlia Lucretia,» le presentò Callidora, coi suoi soliti modi gentili e sbrigativi. «Il nostro vicino, Ignatius Prewett.» 

«Mie signore.» 

Il saluto era cortese, tuttavia Lucretia vi percepì una vibrazione ironica che dovette del tutto sfuggire a Madre, troppo impegnata ad arrossire e fingere compostezza mentre Ignatius eseguiva il baciamano di rigore. La sensazione fu confermata quando toccò a lei ricevere la riverenza.

«Spero che il vostro soggiorno non vi risulti troppo scomodo.» Il mago si portò la mano di lei alle labbra, senza baciarla, prima di riprendere a parlare col suo pesante accento gallese. «Mi dicono che Londra sia piuttosto diversa dalla nostra campagna, immagino che adattarsi a questi luoghi selvaggi non sia facile per delle… cittadine come voi.»

Una risatina vuota di Melania rese noto che o non aveva colto la provocazione, o non intendeva darle seguito. Da brava figlia, Lucretia avrebbe dovuto prenderlo come il segnale che doveva mordersi la lingua, sorridere con grazia e rintanarsi nel consueto silenzio tanto caro ai membri della loro società, ma l’espressione sardonica di Ignatius la spinse a contravvenire a quell’ordine implicito senza nemmeno porsi il dubbio.

«Non sottovaluti noi streghe di città, signor Prewett,» ribatté, alzando il mento. «Siamo abituate ad affrontare cose ben peggiori di quelle cui siete avvezzi qui in campagna.»

Lui non doveva aspettarsi una replica, perché alzò un sopracciglio in segno di sorpresa. «Davvero, signorina Black? E quali, ad esempio?»

«Ad esempio, le altre streghe di città.» 

Un versetto strangolato alla sua sinistra le disse che Madre, tanto per cambiare, non aveva accolto con favore il suo sfoggio di arguzia. Prewett, da parte sua, si limitò a osservarla in silenzio per un paio di secondi prima di increspare le labbra in un sorriso piccolo ma genuino, che gli rischiarò il volto e costrinse Lucretia a osservarlo ancora meglio di quanto già non avesse fatto.

Notevole, davvero notevole. La folta criniera rossa e la fitta barba gli conferivano un’aria selvatica subito ingentilita dagli abiti curati e dalla luce cordiale nello sguardo — uno sguardo molto, molto verde, che oltretutto si trovava solo tre o quattro centimetri al di sopra di quello di lei. Per Salazar, cosa avevano da blaterare le sue amiche e conoscenti sui pregi degli uomini alti? Lei sarebbe stata perfettamente contenta di accompagnarsi a un mago che poteva guardare negli occhi senza incrinarsi ogni volta le vertebre del collo.

Se avesse mai avuto intenzione di accompagnarsi a qualcuno. Il che rimaneva una remotissima possibilità, grazie tante.

«Oh! E questi virgulti sono i suoi figli, signor Prewett?» 

Alla domanda di Melania, Ignatius sbatté le palpebre e lasciò la mano di Lucretia. «Oh, sì.» Si voltò e fece un cenno col capo. «La mia progenie al completo.»

Alle sue spalle, guardandosi attorno con aria timida, erano apparsi due ragazzini di circa undici o dodici anni. La somiglianza col padre era evidente nei tratti e nella corporatura robusta, ma i capelli erano di un bel biondo cenere e gli occhi erano marroni. Uno dei due portava gli occhiali e teneva per mano la terza componente del gruppo: una bimba sugli otto o nove anni, bassina e dal viso tondo, con la stessa chioma rossa e ribelle del padre. 

«I miei primogeniti, Fabian e Gideon,» Ignatius indicò rispettivamente il gemello con gli occhiali e quello senza, poi guardò la bambina e si illuminò tutto. «E la mia figlia preferita, Molly.»

Qualcosa fece una giravolta dentro Lucretia. Le occasioni in cui aveva visto un uomo dimostrare in pubblico un qualche affetto verso i figli, maschi o femmine che fossero, erano rare se non inesistenti; di certo Padre non l’aveva mai fatto, e nemmeno i Longbottom, nonostante i loro modi relativamente rilassati. Ignatius Prewett invece lo faceva con la stessa naturalezza con cui avrebbe eseguito un Wingardium Leviosa, incurante delle reazioni che avrebbe potuto scatenare in chi vi assisteva.

Il pensiero le diede una strana sensazione, e per distrarsi osservò meglio Molly la quale, sotto lo sguardo caloroso di Ignatius, era arrossita e aveva aumentato la presa sulla mano di Fabian. La sua gran massa di ricci indomabili era abbellita da un fiocchetto di velluto azzurro in tinta con l’abitino che indossava, lungo fino a sotto il ginocchio e spiegazzato verso l’orlo; i piedi erano infilati in un paio di scarpette di vernice nera sporche di terra in più punti, e una delle calze bianche era ammucchiata alla caviglia come se fosse stata arrotolata male o di fretta. La mano che teneva stretta a pugno lungo il fianco era macchiata di colore o inchiostro, segno che era stata impegnata a disegnare fino a qualche minuto prima.

Aveva un che di familiare, e appena Lucretia realizzò cosa fosse dovette reprimere una risata: Molly Prewett era identica alla Cattiva Signorina. Quando aveva sette anni, nonna Hesper le aveva fatto dono di un libro di buone maniere corredato da illustrazioni particolareggiate, una delle quali metteva a confronto la Brava Signorina — linda, pinta e ben pettinata, le spalle diritte e le mani giunte dinanzi a sé — con la Cattiva Signorina — scarmigliata, con gli abiti in disordine e le mani sporche — in un sottinteso monito a diventare come la prima e rifuggere la seconda.

Segretamente, Lucretia aveva sempre nutrito una profonda simpatia per la Cattiva Signorina.

«Che splendidi nomi.» Melania sorrise — Madre che sorrideva a dei bambini? Cosa caspita c’era nell’aria del Galles? — e si rivolse a Molly. «Tu però non dovresti usare un diminutivo, ormai sei grande ed è opportuno che ti presenti agli adulti in modo corretto. Qual è il tuo vero nome? Mary? Oppure Margareth?» 

La bimba sgranò gli occhi, marroni come quelli dei fratelli, e rimase muta.  Per un istante Lucretia vide Ignatius serrare le labbra in una microscopica smorfia, ma quando rispose a Melania la sua voce non aveva perso di gentilezza. 

«Non è un diminutivo, signora Black. Molly è il suo nome completo.»

Il sorriso di Madre si ridusse di mezzo millimetro, e per l’occhio allenato di Lucretia fu come se avesse spalancato la bocca nell’espressione più sbalordita possibile. «Oh. È… poco tradizionale, per una strega di buona famiglia.» 

«Lo ha scelto mia moglie. Diceva che era un nome dolce per una bambina dolce, e io non potrei essere più d’accordo, tradizioni o meno.» 

Melania ripeté il suo «Oh» per nulla convinto, mentre lo stomaco di Lucretia rifaceva lo stesso buffo movimento di poco prima. Un nome dolce. In un mondo di genitori che si ispiravano ai greci e ai latini, ai fiori e alle stelle per rinvenire i nomi più ricercati e significativi possibile, esisteva qualcuno in grado di lasciarsi guidare nella scelta dalla pura e semplice tenerezza.

O… era esistito, quantomeno.

«Un’idea così originale era proprio tipica di Euterpe.» Callidora strinse brevemente il braccio di Ignatius in un gesto di solidarietà. «Una donna rimarchevole. Ci manca molto. Bene,» soggiunse dopo una pausa, «credo che siamo pronti per metterci a tavola. Andiamo?» 

Sedersi a tavola non era un’operazione complessa di per sé, quella sera però fu resa tale dalle cinque sorelle Burke le quali, oltre a una scarsissima tolleranza agli alcolici e un’allegria per nulla contagiosa, disponevano anche di un palese sprezzo delle norme sociali di base: Harfang aveva appena fatto in tempo a indicare i posti di Melania e Arcturus che le fanciulle si erano accomodate senza attendere il loro segnale, occupando sedie a caso tra cui quelle spettanti a Lucretia e Callidora, nella suprema indifferenza dei genitori. Le labbra di Callidora erano diventate bianche da quanto la donna le aveva strette, di certo per impedirsi di pronunciare le aspre parole che i suoi occhi dardeggianti lasciavano immaginare; dopo un rapidissimo scambio di sguardi con Harfang, i padroni di casa avevano deciso di soprassedere all’insulto e indirizzare gli altri ospiti verso i posti rimanenti. Così Lucretia si era ritrovata a diverse Burke di distanza dai propri genitori, tra il giovane Greengrass e il giovanissimo Fabian, e con Molly e Gideon Prewett di fronte.

Non un adulto in vista. E no, le Burke di diciassette e diciotto anni non contavano.

Sospirò e riportò l’attenzione sul piatto, o quantomeno ci provò. Era sin troppo facile distrarsi, tra il garrulo chiacchiericcio di Cressida e Greengrass e i discorsi di politica che avvenivano dall’altra parte del tavolo. Di quando in quando le giungeva qualche frase, ma non era abbastanza per farle cogliere il senso di quanto stessero dicendo, valendo solo a incuriosirla e farle desiderare che la cugina Callidora avesse scudisciato verbalmente le Burke per aver usurpato il suo posto.

«…e come pensa di risolverlo? Allevando Dissennatori!» sentì dire a un tratto da Harfang, a un volume più alto di prima. Doveva star commentando l’ultimo discorso del Ministro Tuft. «Sia chiaro, non dico che sia sbagliato di per sé fare un po’ di ordine nelle strade, ma il vecchio Ignatius dovrebbe stare attento a fare certe dichiarazioni quando ha uno come Leach che gli tiene il fiato sul collo in attesa di un suo passo falso.»

«E perché mai il Ministro della Magia dovrebbe curarsi di Nobby Leach?» domandò la voce sprezzante della signora Burke. «Un Sanguemarcio entrato all’Applicazione della Legge Magica per nulla più che il buon cuore della defunta Wilhelmina e una generosa donazione al San Mungo — e chissà da dove ha preso tutti quei soldi! Uno come lui non è certo un pericolo per Tuft, vero, Orestes?»  

«Vero, Berenice.» 

«L’ultima volta che ho letto la sezione politica del Profeta, Leach era piuttosto popolare tra i non Purosangue e alcuni Purosangue esterni alle Sacre Ventotto,» commentò Prewett senza alzare gli occhi dal piatto. Sembrava impegnato tanto a mangiare quanto a evitare di guardare la Burke maggiore seduta alla propria destra, una diciannovenne dal seno prosperoso che dall’inizio della cena non faceva che sbattere le ciglia verso di lui. «Il mio omonimo farebbe bene a guardarsi le spalle, giusto per sicurezza.» 

«Pfff! Sciocchezze. L’opinione dei Sanguemarcio fuori dal Ministero non conta nulla, e quella dei Sanguemarcio nel Ministero conta persino meno.» 

«Possibile, ma la storia insegna che l’estremismo ha sempre vita breve. E l’idea di allevare Dissennatori per metterli a pattugliare le città in cui convivono maghi e Babbani è abbastanza estremista da fargli rischiare il posto.» 

«Estremista?! Quindi voler proteggere la nostra gente è estremista? Ti rendi conto di cosa devo sentire, Orestes?»

«Sì, Berenice.»

«Ammetto che anch’io sarei maggiormente a mio agio con una posizione meno… rigorosa.» Seduto dinanzi a Madre, Arcturus si nettò la bocca col tovagliolo. «L’ordine si può mantenere benissimo senza mettere a repentaglio chi non lo merita, id est la popolazione magica.»

«Pfff! I Dissennatori sono tutto tranne un pericolo per i veri maghi!»

«Mh, credo che gli ospiti di Azkaban dissentirebbero,» mormorò Ignatius, e Lucretia avrebbe potuto giurare che sotto la barba nascondeva un sorrisetto. Anche la signora Burke dovette percepirlo, perché il suo bel viso altero si contrasse dal disappunto.

«Ebbene, signor Prewett, allora proponga lei una soluzione! Come dovremmo proteggere noi stessi e la nostra comunità, secondo lei?!»

Il mago sollevò il capo. «Oh, signora Burke, sono l’ultima persona a cui dovrebbe chiederlo. Non pretendo di capirne qualcosa di politica, e piuttosto che dire stupidaggini preferisco tacere e lasciare che se ne occupi chi è più esperto di me.»

E sorrise con finto candore, causando alla signora Burke un ingrigimento delle gote e a Melania un grugnito di divertimento subito camuffato da colpo di tosse. Prima che la discussione potesse riprendere, Harfang disse qualcosa sottovoce ad Arcturus facendolo ridacchiare; Callidora ne approfittò per cambiare discorso e la conversazione ritornò amichevole per tutti i commensali tranne Berenice Burke, la quale riprese a mangiare con aria sdegnata e il naso in alto. Ignatius levò il calice nella sua direzione in quello che poteva essere un gesto molto galante o molto impertinente, dopodiché riprese a mangiare come se nulla fosse stato.

Da parte sua, Lucretia si ritrovò ancora una volta a osservarlo. Più passavano i minuti più trovava quell’uomo interessante, e non soltanto per quei capelli che imploravano di avere delle dita che vi affondassero in mezzo, o quegli occhi così verdi — che costituivano comunque un’attrattiva non indifferente. No, era più il suo spirito che la intrigava, quell’energia che già aveva intuito al suo arrivo e che era emersa durante lo scambio verbale. Per Salazar, se non fosse stato per le Burke forse avrebbe avuto un’occasione di discorrere con lui. E magari avrebbe capito se quell’improvvisa e inedita attrazione per un uomo avesse o meno una base concreta su cui fondarsi.

Sbatté le palpebre. Circe e Morgana, stava guardando apertamente Ignatius da almeno un minuto, proprio come quella svampita della Burke maggiore. La realizzazione le incendiò le guance e le fece chinare subito gli occhi sul piatto, mentre nella sua testa la voce di nonna Hesper strillava le brave signorine non fissano la gente, Cretia! 

Si morse la lingua e applicò la sua tattica di distrazione preferita: concentrare tutte le proprie forze mentali sul romanzo che l’attendeva sul comodino in camera sua. La preparazione per la cena l’aveva costretta a interrompersi in un punto cruciale — l’Auror Smith aveva scoperto un passaggio segreto che conduceva dritto al nascondiglio dei Sette Ghoul e aveva deciso di entrarvi nonostante le accorate preghiere della sua partner, la bella e coraggiosa Auror Wesson — e Lucretia fremeva per riprendere la lettura. Cosa sarebbe accaduto? Smith sarebbe stato sopraffatto? La pozione di Mastro Browning l’avrebbe davvero reso invincibile, o era un’astuta trappola per indebolirlo e renderlo facile preda degli avversari? E i Sette Ghoul erano davvero ghoul o, come sospettava Wesson, solo un gruppo di umani che usavano quella facciata per i loro atroci delitti? Così tante domande, così poche pagine mancanti all’epilogo, e lei era bloccata lì a piluccare brandelli di discorsi interessanti mentre ignorava il tubare di Cressida e Greengrass e l’intera esistenza delle Burke… 

Assorta com’era, non si accorse subito del dito che le picchiettava senza sosta sulla spalla sinistra, e quando lo fece sussultò leggermente. «Eh? Sì?» chiese, girandosi per trovarsi faccia a faccia con Fabian Prewett.

Il ragazzino non rispose subito, limitandosi a squadrarla con un’espressione indecifrabile. Dall’inizio della cena lui e i fratelli non avevano aperto bocca, limitandosi a mangiare tutto quello che compariva loro davanti senza fiatare o lamentarsi; c’era stata una brevissima lite al momento di sedersi a tavola, durante la quale lui e il gemello si erano accapigliati per chi dovesse occupare il posto accanto a Molly, ma Ignatius aveva abbaiato qualcosa in gallese e la commozione era cessata all’istante. Lo sguardo di Fabian si spostò sul padre, poi su di lei.

«Tu vivi a Londra?» chiese sottovoce.

A sentirsi apostrofare in modo così poco forbito, Lucretia sollevò in automatico un sopracciglio. Il suo primissimo istinto fu quello di rimproverare il giovanotto per le sue maniere, tuttavia esso ebbe vita breve: ormai aveva imparato che certe formalità ritenute fondamentali a casa sua avevano poca o zero rilevanza in quel luogo, e pretenderle da un bambino a malapena in età da Hogwarts sarebbe stato ingiusto. Decise perciò di adeguarsi.

«Esatto, abito a Londra,» rispose con un sorriso.

Fabian tacque di nuovo, l’aria seria resa ancora più grave dai grossi occhiali. Guardò un’altra volta verso il padre, e quando parlò la sua voce era così bassa che Lucretia dovette sporgersi per sentirlo.

«È vero che… che c’è un mostro sotto al Parlamento Babbano?»

La sorpresa fu tale che per un attimo Lucretia pensò di aver frainteso. Scrutò Fabian con attenzione prima di concludere che aveva capito bene: il giovane Prewett si stava riferendo proprio alla sua leggenda metropolitana preferita.

«Intendi dire… l’uomo-Acromantula che vive sotto il Big Ben?» chiese abbassando a propria volta la voce.

Gli occhi di Fabian diventarono enormi dietro le lenti, facendolo somigliare a un curioso insetto biondo. Il ragazzino spalancò la bocca, ma invece di rispondere a Lucretia si girò e puntò un dito davanti a sé. 

«Ah!» esclamò. «Vedi che è vero?! Avevo ragione io!»  

Anche Lucretia si voltò e si accorse per la prima volta che Molly e Gideon la stavano guardando. Quest’ultimo spalancò la bocca in modo identico al fratello, poi roteò gli occhi.

«Sì, come no,» sbuffò.

«È vero! Lo ha detto lei!»

Gideon scosse il capo, poi rivolse a Lucretia un sorriso che eguagliava in impertinenza quello di Ignatius. «Le chiedo scusa per mio fratello, signorina. Legge troppe riviste e confonde realtà e fantasia.»

«Non è fantasia!» Il volto di Fabian si fece paonazzo. «Ci sono un sacco di avvistamenti e di testimonianze, ha aggredito decine di persone! E poi lei è di Londra e lo conosce, e questa è una prova inconfutabile!»

«Una prova inconfutabile,» lo scimmiottò Gideon. «Sei proprio stupido, Fab.» 

«Tu sei stupido, Gid!» 

«No, tu!»

«No, tu!» 

«No, tu!»

«No, tu!»  

«No, t…»  

«Ehi!» tuonò Ignatius. «Che sta succedendo?» 

I gemelli tacquero e si scambiarono una rapida occhiata. «Niente, padre,» risposero in coro.

Dal modo in cui il mago inarcò le sopracciglia, era chiaro che non ci credesse affatto. Qualsiasi rimprovero volesse pronunciare fu però stroncato da un «Pfff!» della signora Burke.

«Che le dicevo, signora Black?» disse poi lei chinandosi verso Melania, in un tono di voce che voleva sembrare sussurrato senza esserlo davvero. «Ecco cosa succede a portare dei mocciosi alle serate tra adulti.» 

All’udire quelle parole, Ignatius avvampò e tutto il suo corpo si irrigidì. Fu quella reazione, o forse il veleno ingiustificato di Berenice Burke, a spingere Lucretia a parlare ancora una volta senza pensarci su.

«Le chiedo scusa, signor Prewett. Sono io la responsabile di questa confusione.» 

Gli occhi dell’intera tavolata furono puntati su di lei. Comprensibile. Doveva essere la prima volta che apriva bocca spontaneamente durante un pasto a casa Longbottom. 

«Vede,» riprese, «i suoi figli mi hanno coinvolta in una disquisizione su uno dei miei argomenti preferiti, e temo di essermi lasciata… trasportare dall’entusiasmo. Loro non hanno colpa, glielo assicuro.» 

Ignorò il solito versetto strozzato di Madre e si concentrò solo su Ignatius, il quale la guardava come se gli fosse Materializzata davanti all’improvviso. Dopo qualche secondo, l’uomo prese fiato e le sue spalle si rilassarono.

«Oh… Certo, capisco. Grazie di avermelo detto, signorina Black.»

Aggiunse un cenno del capo, cui lei replicò con un piccolo sorriso. Prima che potesse tornare alla sua cena e ai suoi pensieri, un tossicchiare fintamente discreto la richiamò all’ordine.

«E quale sarebbe questo argomento così interessante, signorina Black?» Se fosse stato possibile dare un aspetto a una voce, quella della signora Burke avrebbe avuto tre teste, dodici corna e un numero indefinito di zanne. «Condivida con gli altri commensali, prego.» 

«Oh… ecco…»

«Avanti, non sia timida. Vogliamo sapere cosa possa scatenare una reazione tanto eccessiva nei nostri rampolli, vero, Orestes?»

«Vero, Berenice.» 

Lucretia deglutì. Che doveva fare? Mentire, naturalmente; tirar fuori un tema qualunque e sperare che Berenice non insistesse con i suoi tentativi di umiliare chi le stava attorno, o che Callidora e Madre capissero al volo e venissero in suo aiuto così come lei aveva aiutato i piccoli Prewett. Mentre temporeggiava, fece vagare lo sguardo prima verso Gideon, poi verso Fabian: sui loro visi si leggeva un’emozione strana, un miscuglio di timore e aspettativa, e di colpo un’idea si fece strada nella mente di Lucretia.

Le brave signorine non turbano i commensali con racconti macabri e fantasticherie da due zellini. E nemmeno i bravi signorini. I Purosangue di campagna potevano avere maniere e abitudini diverse da quelli di città, ma su una cosa concordavano, ed era che nelle occasioni sociali o si aveva qualcosa di opportuno da dire, o si doveva tacere. Avere interessi peculiari o diversi dai soliti argomenti mondani conduceva solo a essere bollati come strambi e tenuti alla larga dagli ambienti migliori, perciò il silenzio era l’alternativa preferibile se non l’unica. 

Questa era sempre stata la vita di Lucretia e, a quanto pareva, era anche la vita dei gemelli Prewett. Ma se lei ormai ci era talmente abituata da considerarlo una condizione normale della propria esistenza, il pensiero che quei bambini — e il loro padre — dovessero affrontare la stessa cosa le apparve d’un tratto intollerabile.

Si schiarì la voce e si chinò in avanti per vedere bene Berenice. «Stavamo dibattendo sull’esistenza o meno dell’uomo-Acromantula che vive sotto il Big Ben.» 

Sorpresa forse più dal tono schietto che dalle parole in sé, Berenice perse l’aria boriosa e spalancò gli occhi all’inverosimile. Le sue figlie si guardarono tra loro confuse, Cressida e Greengrass soffocarono una risatina, Melania infine si passò una mano sulla fronte e sussurrò un «Oh, Cretia».

«Uomo-Acromantula?» chiese invece Ignatius. Poggiò i gomiti sul tavolo — evitando con cura ogni contatto con la Burke maggiore — e si sporse verso di lei. «Non credo di averne mai sentito parlare.» 

C’era di nuovo quella sottile vena ironica nella sua voce, ma Lucretia non avrebbe saputo dire se fosse rivolta a lei o ad altri. Nel dubbio, decise di ignorarla e continuare come si era prefissa.

«Oh, è una delle leggende metropolitane più note di Londra. Di recente se ne sono occupate ben due riviste specializzate in fatti misteriosi, che suppongo siano la ragione per cui i suoi figli ne sono così ben informati,» accennò con la mano a Fabian, girandosi in tempo per vederlo annuire con convinzione. «Alcuni ritengono si tratti del frutto di un esperimento condotto dall’Ufficio Misteri che sarebbe fuggito dal Ministero per insediarsi nei sotterranei segreti del Parlamento Babbano, altri invece propendono per l’ipotesi che sia un ibrido di… diversa natura.» Non sapeva quanto accurata fosse la conoscenza di Fabian, ma era sicuramente meglio non menzionare accoppiamenti tra umani e bestie magiche davanti ai piccoli Prewett.

«Secondo altri invece si tratta di una creatura aliena proveniente da un’altra dimensione,» aggiunse Fabian tutto sussiegoso, mentre Gideon roteava gli occhi e sbuffava ancora una volta.

«La sua effettiva esistenza è dubbia, ed è su questo che si stava concentrando il nostro dibattito. Fabian,» Lucretia guardò il bambino e soffocò un sorriso nel vederlo sgranare gli occhi, «ha fatto notare che le prove a favore sono numerosissime e concrete, tra testimoni oculari, resoconti di attacchi e via dicendo, perciò si dovrebbe propendere per il sì; tuttavia, Gideon ha argutamente sottolineato che spesso e volentieri i giornali tendono a esagerare o addirittura inventare i fatti, creando confusione tra realtà e fantasia in chi legge, perciò non si può dare nulla per scontato a priori.»

«Mh-mh. Mh-mh.» Ignatius si lisciò la barba con aria assorta. «Capisco. E… qual è la sua opinione in merito, signorina Black?» 

Proprio come aveva fatto Fabian nel sentirsi nominare inaspettatamente, Lucretia sgranò gli occhi. «P-prego?»

«Lei cosa ne pensa? Bisognerebbe dare credito alle prove concrete, o approcciarsi alla questione in maniera più scettica?»

L’attenzione tornò tutta su di lei. Beh. Questo era inaspettato. Di norma chi la sentiva parlare di quegli argomenti faceva in modo di chiudere la conversazione il prima possibile, non la invitava a proseguire chiedendole pareri in merito. D’istinto cercò gli occhi di Madre, ma lei stava abilmente fingendo di non conoscerla fissando il proprio piatto come se contenesse il senso della vita.

«Ecco… io… io sono per la via di mezzo.» Fece una pausa, giusto per sincerarsi che Ignatius volesse davvero la sua risposta, e quando lo vide annuire riprese. «Che testimoni e giornalisti possano errare è un dato oggettivo e suffragato da numerosi precedenti, perciò sarebbe sciocco non tenerne conto.»

«Ecco, grazie,» borbottò Gideon.

«Tuttavia, fintanto che non disponiamo di prove certe, non penso ci sia alcunché di male nel credere all’esistenza di una misteriosa creatura che abita il sottosuolo londinese. Voglio dire, qualcosa deve pur aver causato le aggressioni e gli avvistamenti documentati, e perché mai non dovrebbe trattarsi di un ibrido uomo-Acromantula fuggito dall’Ufficio Misteri?»

«O proveniente da un’altra dimensione,» puntualizzò Fabian.

«Per quanto mi riguarda, insomma, preferisco credere e mantenere una mente aperta fino a prova contraria. E stare attenta a non farmi aggredire da mostri a otto o dieci zampe quando passeggio vicino al Parlamento Babbano.»

Si volse verso Fabian e ammiccò, ricevendo in cambio un gran sorriso. Gideon roteò gli occhi per la terza volta, ma anche lui sembrava rasserenato dall’essersi sentito dare in parte ragione. Bene, crisi evitata. Fosse stato così facile far smettere di litigare lei e Orion quando erano bambini… 

«È cattivo?»

La vocina era così flebile che Lucretia ebbe difficoltà a capire chi avesse parlato. Comprese che si trattava di Molly Prewett solo perché i gemelli si volsero di scatto verso di lei. «È cattivo, l’uomo-Acromantula?» ripeté la bambina, rossa d’imbarazzo ma guardandola dritta negli occhi. «Visto che aggredisce le persone?»

Se lo sguardo acceso di Ignatius aveva catturato la sua attenzione, quello dolce e insicuro di Molly fece sì che ogni singola fibra fisica e morale di Lucretia diventasse molle come il burro sciolto. Per Salazar, non c’era da stupirsi che Prewett fosse così disponibile alle dimostrazioni d’affetto nei suoi confronti: se si inteneriva lei dopo una minima interazione, figurarsi lui.

«Oh, io penso sia semplicemente molto solo,» rispose con un sorriso. «Dev’essere dura vivere in quel modo, sottoterra e senza amici, e la solitudine può far fare cose molto brutte sia alle persone che alle creature. Non credi?»

Molly non rispose, ma annuì e riabbassò gli occhi sul piatto. A Lucretia giunse un altro «Mh-mh» da parte di Ignatius, poi un suo sospiro.

«Ebbene, signora Burke, ritengo che abbiamo soddisfatto la sua curiosità.» Non serviva guardarlo per sapere che stava di nuovo sorridendo in quella sua maniera sfrontatamente innocente. «Sembra che da quella parte del tavolo stiano affrontando discorsi filosofici di un certo livello.»

La signora Burke lo fissò spaesata per qualche istante, prima di recuperare il contegno altezzoso. «Filosofici? Pfff! Frottole e fandonie, ecco a cosa si dedicano i giovani d’oggi!» sbottò, e dal modo in cui pronunciò la parola “giovani” non v’era dubbio che includesse anche Lucretia. «Non c’è da stupirsi se la nostra società va verso il baratro! Fossero i miei figli non permetterei che…»

«I suoi figli devono essere degli ottimi conversatori, signor Prewett.» La voce di Arcturus era pacata e inattesa e fece sussultare più di un commensale. «Non è facile catturare l’interesse della mia Lucretia. E in completa onestà, non conosco molti maghi adulti in grado di parlare del rapporto tra cronaca e invenzione senza scaldarsi molto più di quanto non abbiamo fatto questi giovani maghi, il che va tutto a loro merito.»           

E stirò appena le labbra, nel sorriso più cortese e amichevole che un uomo distaccato come lui avrebbe mai potuto rivolgere a un estraneo. Lucretia sarebbe rimasta sconvolta da quell’atteggiamento e dalla lode nei confronti dei piccoli Prewett, se non avesse avuto la certezza che il reale scopo di Padre fosse mettere in imbarazzo la signora Burke: cosa che accadde, come dimostrarono l’incupirsi della strega e il successivo silenzio in cui rimase per il resto della cena. 

Che avesse o meno compreso quella sottigliezza, Ignatius accolse le parole di Arcturus con un solenne cenno del capo. Subito dopo Harfang disse qualcosa a proposito delle corse di Abraxan del giorno prima, e la conversazione si spostò pian piano verso luoghi più ameni. Lucretia avrebbe potuto approfittarne per richiudersi nelle sue riflessioni, invece si soffermò di nuovo a osservare Ignatius che discorreva coi suoi parenti.

Il suo cipiglio era sempre gentile e ironico, al contempo però appariva più rilassato di prima, come se una nube invisibile ma palpabile si fosse dissolta attorno a lui. Di quando in quando lanciava un’occhiata ai figli, i quali quasi sempre se ne accorgevano e rispondevano con minuscoli ammiccamenti che dovevano costituire un linguaggio segreto tutto loro; a un tratto, mentre gli elfi erano impegnati a portar via i piatti per far posto al dessert, Ignatius alzò i suoi occhi incredibilmente verdi su Lucretia e le rivolse quel sorriso piccolo e sincero che tanto l’aveva attratta a inizio serata.

Per Salazar. Forse era davvero colpa dell’aria del Galles. In quei pochi giorni di villeggiatura Madre era diventata ridanciana, Padre era divenuto socievole, e lei… lei all’improvviso non ricordava più perché fosse così contraria all’idea di sposarsi. Il senso di inadeguatezza, la consapevolezza di non sapersi occupare di una famiglia, il non voler dipendere da un uomo che fosse sgradevole come quelli che aveva conosciuto in più di venti anni di vita, tutte le sue argomentazioni preferite sembravano di colpo risibili, irrilevanti, trascurabili. Sopravviveva giusto il non volere figli, ma non era comunque sufficiente a convincere la sua mente a distogliersi da quell’uomo, dal suo sguardo acceso e dal suo spirito impetuoso. 

E diverse ore più tardi, quando la notte passata a rigirarsi nel letto confluì in un’alba sonnacchiosa e appena prima che i pensieri divenissero dita che affondavano in una criniera rosso cupo, un’idea folle si affacciò alla mente di Lucretia: per Ignatius Prewett avrebbe persino imparato a ricamarsi le iniziali sulle lenzuola.






Note:

Lo so, lo so, avevo detto che sarebbero stati solo tre capitoli, ma scrivere di questi personaggi mi sta dando così tanta soddisfazione che ho deciso di dedicare un po' più di spazio al loro avvicinamento, e così quello che doveva essere l'unico capitolo centrale si è moltiplicato in due. Confermo comunque che resteremo nella MINI long. Giuro. Giurissimo.

Il dialogo su Ignatius Tuft, il suo programma di allevamento di Dissennatori e il contrasto con Nobby Leach è ispirato alle informazioni prese dal fu Pottermore sui Ministri della Magia: https://www.wizardingworld.com/writing-by-jk-rowling/ministers-for-magic. Nella fattispecie: dal 1959 il Ministro è Ignatius Tuft, figlio della precedente Ministra Wilhelmina Tuft, il quale nel 1962 verrà costretto a dimettersi per via delle sue posizioni estremiste (tra cui la proposta di creare un allevamento di Dissennatori) e sarà sostituito Nobby Leach, il primo Ministro Nato Babbano della storia - per lo scorno della vecchia guardia purosanguista.

Nelle prossime settimane conto di aggiornare Omne Trinum, perciò vi consiglio di mettervi comodə per l'attesa del capitolo 3 perché potrebbe volerci fino a un mesetto. Nel frattempo, grazie di essere ancora qui! :D
 

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Capitolo 3
*** 3 ***


Qualcosa in cui sei brava

Capitolo 3




 

Il mattino dopo, per una buona mezz’ora, Lucretia fu seriamente convinta di aver immaginato l’intera serata. Certo, la sua fantasia non era mai stata così vivace, eppure… in che altra maniera si poteva spiegare la serie di eventi inconsueti che avevano avuto luogo in casa Longbottom? Aveva parlato di leggende urbane di fronte a un’intera tavolata e non solo non era stata derisa o tacitata da tutti, ma era stata addirittura incoraggiata a parlarne di più; Padre si era espresso apertamente in suo favore e con parole meno tiepide del solito — il che era tutto dire — e Madre non aveva mai fatto il benché minimo accenno ad argomenti nuziali, pur trovandosi in presenza di un uomo perfettamente adatto al ruolo di Mago Scapolo da Convertire alle Gioie del Matrimonio. 

Infine, ed era l’aspetto che più la faceva propendere per il sogno lucido, lei stessa per la prima volta si era sentita interessata a qualcuno. Molto interessata. E non nella maniera adolescenziale in cui a Hogwarts osservava i giocatori di Quidditch, o in quella meno concreta — ma assai più appassionata — in cui fantasticava sui protagonisti dei romanzi desiderando che fossero reali: per la prima volta in vita sua avrebbe davvero voluto stare in compagnia di un uomo, dialogarci, conoscerlo e farsi conoscere da lui, e magari avere anche un incontro ravvicinato con le vigorose braccia di cui era dotato. 

Scombussolata da tutte quelle nuove esperienze, Lucretia trascorse il tempo tra il risveglio e la colazione in uno stato di trasognata svagatezza, da cui fu bruscamente riscossa nel momento in cui raggiunse a tavola Melania e Callidora.

«Ah!» trillò quest’ultima, facendo cenno all’elfo domestico di versarle il tè. «Ben svegliata, mia cara! Stavamo giusto commentando il tuo comportamento di ieri sera.»

Lucretia si bloccò molto poco signorilmente a metà nell’atto di sedersi. Oh, no. Allora non era stato un sogno: la serata aveva davvero avuto luogo così come la ricordava, e ora doveva pagarne le conseguenze. 

Trattenne un sospiro e si accomodò, preparandosi alla reprimenda di Madre. Chissà se la presenza di Callidora l’avrebbe rabbonita o se, invece, le due avrebbero fatto fronte comune nell’illustrarle esattamente quanto era stata inappropriata a rispondere a Berenice Burke e straparlare di ibridi? La curiosità era quasi più forte dell’imbarazzo.

«Non mi aspettavo lo avessi in te, a essere del tutto onesta,» Callidora agitò la bacchetta e una fetta di pane iniziò a imburrarsi a mezz’aria, «e invece a quanto pare sai proprio come conquistare un mago!»

Il sorso di tè che Lucretia stava trangugiando le andò di traverso. «C-cosa?!» tossicchiò.

«Modestia a parte, la mia bambina ha sempre posseduto delle spiccate doti sociali,» gongolò Madre, girando con eleganza il cucchiaino nel proprio tè. «Solo che le riserva alle occasioni giuste.»

Callidora gettò la testa indietro e rise. Sembrava piuttosto eccitata, al contrario di Melania che appariva quietamente compiaciuta. «Oh, ho visto! Per Salazar, sembrava che la vicina Berenice fosse stata colpita da una Fattura Pungente tanto era gonfia di rabbia, nemmeno lei se lo aspettava!» 

Si rivolse a Lucretia e ammiccò. «Allora, dimmi la verità: è stata tua madre a suggerirti di fare amicizia coi piccoli Prewett per attirare l’attenzione di Ignatius? Lei giura e spergiura di no, ma a me puoi dirlo se è così.» 

«Cosa?!» 

«Dai, è proprio un trucco da donna navigata! E non lo dico in senso negativo, anzi!» 

«Cugina, te l’ho già detto: è tutta pozione del suo calderone,» ribatté Melania, una risatina nascosta nella voce. «Cretia possiede un talento naturale — ereditato dal mio lato della famiglia, ovvio.»

Callidora ridacchiò di nuovo, mentre Lucretia fissava alternamente le due streghe. Talento naturale? Stavano dicendo che… che secondo loro era stata gentile con Fabian, Gideon e Molly solo per impressionare Ignatius? Era questo che pensavano di lei?!

«Ma… ma io non…»

«Sul serio, cugina, da come mi avevi prospettato la faccenda pensavo che avremmo dovuto fare tutto noi! E invece…»  

«Invece mia figlia non ha bisogno di nessun aiuto, checché ne pensi la signora Burke.» Melania le scoccò un’occhiata traboccante orgoglio. Orgoglio. Non la guardava così da quando aveva ripetuto per la prima volta l’intero albero dei Black a memoria senza sbagliare nemmeno un nome.

Aveva sei anni.

«Me ne compiaccio. E in ogni caso ha funzionato: hai visto come era interessato Ignatius? Di certo avrà visto in lei del potenziale materno, cosa che un vedovo con figli non può non apprezzare. E quando poi la giovane Molly ha…»

Lucretia non udì il resto. Le sue orecchie si chiusero mentre la sua mente vagava lontano, focalizzata quel tanto che bastava da permetterle i meccanici movimenti di masticazione e deglutizione. Circe e Morgana. Pensavano davvero quello di lei? Poteva capire Callidora, che non la conosceva, ma che anche Madre… eppure spiegava come mai, in tutta la serata, la sua genitrice non si fosse prodigata come al solito a tessere le sue — sproporzionate — lodi come una venditrice di manici di scopa che parli dell’ultimo modello di Comet. Era stato tutto un piano, secondo loro, il suo essere educata con quei poveri bambini e salvarli dallo stesso imbarazzo cui era costantemente sottoposta lei? Ma in nome di Salazar, che altro avrebbe dovuto fare? Si chiamava essere civili! Avrebbe voluto dirlo alle due streghe, spiegarsi, scrollarsi di dosso quella sensazione umiliante — oh cielo, anche gli altri a tavola avevano pensato lo stesso? Anche Ignatius?! — e far capire una volta per tutte a quelle donne navigate che esisteva una cosa chiamata gentilezza e che non tutto aveva un secondo fine… ma sapeva che sarebbe stato inutile. Aveva più di vent’anni di esperienza in merito.

Così ingoiò la vergogna col tè e restò in silenzio, come al solito.

«…anche subito! Vero, Cretia?» 

«Mh? Prego?» 

«Oh, sempre con la testa tra le nuvole. Callidora ha proposto di fare una passeggiata al confine est della tenuta! Va’ a cambiarti, forza, metti un…» Melania agitò una mano. «Beh, fatti prestare qualcosa da Cressida, lei avrà di sicuro degli abiti comodi che puoi riadattare.»  

Non era una proposta disinteressata, Lucretia lo capì ancora prima che sua madre finisse di parlare: i Prewett erano i vicini dei Longbottom dal lato est, e una passeggiata in quei luoghi poteva significare solo che Callidora e Melania progettavano di replicare l’incontro della sera precedente. Sulle prime fu tentata di inventarsi un’indisposizione, ritirarsi nella propria stanza e rimanervi chiusa per il resto della vita, in modo da non incontrare mai più neanche per sbaglio nessuno dei commensali alla cena — Padre aveva pensato che stesse cercando di sedurre Prewett? L’idea le diede la nausea — e tuttavia… 

Tuttavia, la prospettiva di rincontrare Ignatius le causava un piacevole pizzicore alla bocca dello stomaco. In fondo il soggiorno in Galles sarebbe finito presto e le occasioni di rivederlo e parlargli sarebbero state assai limitate, quindi… perché no? Magari avrebbe potuto approfittarne per fargli capire che no, non era stata gentile coi suoi figli solo per arrivare a lui.

Sì, tutto sommato non le sarebbe dispiaciuto fare due passi.

«Vado subito,» mormorò, alzandosi in fretta per defilarsi prima di vedere l’espressione trionfante di Madre.

Camminarono per oltre un’ora prima di arrivare al confine est della tenuta, Callidora in testa, Lucretia che le teneva dietro a fatica e Melania che arrancava fermandosi ogni cinque minuti a sventolarsi il viso e riposare i piedi. Se solo avesse seguito il proprio stesso consiglio e chiesto degli indumenti adeguati a una scarpinata, sarebbero giunte alla tenuta dei Prewett molto prima.

«Ci siamo,» annunciò Callidora appena misero piede nella faggeta che segnava il confine. «Da qui inizia la proprietà. Tutto bosco di latifoglie fino alla casa, dove hanno il giardino e l’orto.» 

«Producono legna per i fabbricanti di bacchette di tutta l’isola!» A quanto pareva, Melania aveva riguadagnato la consueta energia al solo fine di ripetere a Lucretia quanto appreso dalla cugina il giorno prima. «Partridge, O’Shea, Clearwater, un sacco di artigiani si riforniscono dai Prewett!» 

Ma non gli Ollivander né altri grossi nomi dell’industria, notò Lucretia. Evidentemente Ignatius non aveva agganci politici o sociali abbastanza in alto da assicurarsi clienti migliori dei piccoli e piccolissimi fabbricanti. 

Madre parve cogliere al volo i suoi pensieri, perché aggiunse in tutta fretta: «E inoltre coltivano erbe e piante per diversi apotecari gallesi! Tutto sommato possiedono una rendita piuttosto dignitosa, più che adatta a una famigliola con uno stile di vita semplice, e poi…» 

«È ammirevole che il signor Prewett riesca a occuparsi di tutto da solo,» la interruppe. Non era chiaro chi Melania stesse cercando di convincere che Ignatius fosse un buon partito nonostante le finanze non eccelse, se Lucretia o se stessa, ma nel dubbio era meglio fermarla.

Erano ormai passate le dieci quando giunsero nei pressi dell’abitazione. Lucretia si fermò a riprendere fiato e osservare la casa in pietra viva con la sua veranda di legno, circondata da quello che doveva essere il sogno di ogni apotecario: un ampio e profumatissimo prato di erbe aromatiche, medicinali e magiche, attraversato dal vialetto d’ingresso. E proprio nel prato stava Ignatius Prewett, accosciato accanto a un cespuglio a raccogliere delle strane bacche verdi e nere. Quando udì Callidora chiamarlo, alzò la testa e si tirò in piedi con tutta calma.

«Mie signore.» Le salutò con un cenno del capo mentre si sfilava i guanti da giardiniere; Lucretia ricambiò con un sorriso, e rimase non poco delusa nel constatare che Ignatius guardava ovunque tranne che nella sua direzione.

«Chiedo venia per le mie condizioni. Se avessi saputo che sareste capitate da queste parti, mi sarei fatto trovare in abiti più consoni,» soggiunse l’uomo, alludendo alla camicia macchiata e ai pantaloni lisi che tuttavia gli donavano quasi più dei vestiti eleganti. C’era di nuovo quella vena sardonica nella sua voce, e come la sera prima Madre la lasciò scivolare via con una risatina. 

«Via, via, signor Prewett, nessun bisogno di formalità. Siamo solo di passaggio. Callidora è stata così gentile da mostrarci i vostri magnifici dintorni, ma dovremo tornare indietro presto.» 

«Sarei comunque un pessimo padrone di casa se non vi invitassi a entrare almeno per un minuto. Prego.»

Le guidò lungo il vialetto alla porta d’ingresso. L’interno della casa rispecchiava alla perfezione l’esterno, con le sue mura in pietra, i vasi di piante e fiori secchi in ogni angolo e il mobilio semplice; il salotto era molto più piccolo di quello di casa Longbottom, tuttavia non mancava di alcuna comodità: le poltrone accanto al camino erano dotate di poggiapiedi imbottiti, un tappeto dai colori caldi ricopriva il pavimento di cotto, e ciascuna delle sedie attorno al piccolo tavolo disponeva di un cuscinetto ricamato a motivi floreali. Le foto sulla mensola del camino, una grande libreria a parete e un mucchio di giochi in legno abbandonati in un angolo completavano l’arredamento.

«Accomodatevi, fate come foste a casa vostra.» Con un velocissimo colpo di bacchetta, i giochi scomparvero. 

«Dove sono i bambini, Ignatius?»

«In giro per il bosco.» Al solo sentir nominare i figli, la sua fronte si distese. «Posso offrirvi un rinfresco? Purtroppo abbiamo terminato il tè, ma ho delle tisane di melissa e menta piperita preparate giusto ieri.»

«Oh, sono ottime, garantisco io. Harfang ne consuma quantità smodate,» Callidora ammiccò. Si muoveva nella stanza come se la conoscesse a menadito: si sfilò il cappellino e lo appese all’attaccapanni dietro l’uscio, poi si affrettò verso una porta che doveva condurre alla cucina. «Non preoccuparti, vicino, ci penso io: d’altronde è colpa mia se ti ritrovi con questo incomodo.» 

«Nessun incomodo, anzi.» 

In quella, Melania tossicchiò e chiese con discrezione dove fossero i servizi; non appena fu sparita a incipriarsi il naso, Callidora entrò con passo sicuro in cucina e ne accostò la porta, tenendo giusto una fessura aperta. Non serviva essere dei geni per capire che le due l’avevano fatto apposta a defilarsi nello stesso momento, in modo da lasciare Lucretia sola con Ignatius — cosa che Madre non si era mai sognata di fare a casa loro, mai, nemmeno col più appetibile dei possibili pretendenti. Per fortuna, il mago vanificò immediatamente il loro malefico piano dirigendosi rapido in cucina, con un «Mi scusi» borbottato tra i denti.

Quando anche lui si fu dileguato, socchiudendo la porta dietro di sé, Lucretia si concesse un sospiro. Circe e Morgana. Tra il trovarsi sola in un luogo completamente sconosciuto e il fatto che il tanto anticipato incontro fosse stato quanto di più lontano da ciò che aveva immaginato, tutto ciò che provava in quel momento era uno schiacciante imbarazzo. 

Forse avrebbe davvero dovuto chiudersi in camera fino alla fine della vita. O del soggiorno, quantomeno.

Beh, dato che ormai era lì, tanto valeva che si guardasse attorno. La sua attenzione fu subito attratta dalle foto sul camino, che occhieggiarono di rimando verso di lei. La buona creanza avrebbe imposto di trattenersi dall’osservarle da vicino in assenza del padrone di casa, per non rischiare un’invasione di spazio privato; d’altra parte, non c’era nessuno a fermarla… 

Eccetto un paio di fotografie di maghi e streghe piuttosto anziani — i genitori e i suoceri di Ignatius, presumibilmente — i soggetti più rappresentati erano i piccoli Prewett, che sorridevano in almeno una mezza dozzina di cornici da diverse fasi della loro vita. L’immagine che occupava il centro della mensola ritraeva quella che doveva essere stata Euterpe Prewett: una donna minuta, sulla trentina, con lunghi capelli biondo cenere e occhi scuri e gentili. Sorrise e agitò una mano quando Lucretia si sporse a guardarla bene, e lei sentì contemporaneamente un fiotto di simpatia e una stretta dolorosa al cuore.

Così… quella era la famosa Euterpe, morta troppo giovane soltanto due anni prima. Colei che era stata la padrona di quella bella casa, che se ne era occupata dal primo all’ultimo giorno e dal primo all’ultimo dettaglio, che doveva averne scelto il mobilio e ricamato i cuscinetti sulle sedie… Una delle poltrone davanti al camino doveva essere stata la sua, il posto adatto dove riposare dopo una giornata di lavoro distendendo le gambe sul poggiapiedi, e dove leggere una storia ai bambini la sera davanti al camino acceso. I bambini… 

Circe e Morgana, quei poveri bambini. Chissà quanto dovevano aver sofferto e quanto ancora soffrivano per la sua assenza, loro e Ignatius. Callidora l’aveva definita una donna rimarchevole, deliziosa e piena di energia, e già solo a guardarla in foto Lucretia era certa che la descrizione le si addicesse perfettamente: Euterpe aveva tutta l’aria di essere stata speciale.

Con un nodo alla gola, si allontanò in fretta dal camino e raggiunse la libreria accanto alla porta della cucina, su cui si ammassavano numerosi tomi consunti. La maggior parte riguardava le piante e la loro coltivazione, poi c’erano manuali di pozioni, libri sulle proprietà dei diversi legni e prontuari di incantesimi domestici. Lucretia si stava chiedendo dove fossero i romanzi — ammesso che un tipo come Ignatius ne leggesse — quando dalla cucina le arrivò la familiare voce baritonale che parlava in tono basso, frammezzo ai rumori di tazze spostate e acqua spillata nel bollitore.

«Ho incontrato tua sorella, l’altroieri. Faceva spesa in quel di Caerleon.»

Callidora sbuffò divertita. «Charis a Caerleon? A fare la spesa? Cos’è, l’elfa di Caspar è morta? Per Salazar, pagherei galeoni per vederla alzare un dito per un…» 

«Non parlo di Charis.»

Per qualche secondo si udì solo lo scrosciare dell’acqua. «Era insieme al figlio più piccolo, che ha all’incirca la stessa età della mia Molly.» Lo scroscio si interruppe. «Spiccicato a Septimus, ma gli occhi sono proprio quelli di Cedrella.»

Lucretia drizzò le orecchie. Cedrella… aveva già sentito quel nome, molti anni prima. Era una ragazzina all’epoca, e ricordava che per un periodo c’erano stati scambi di lettere preoccupati, un via vai di parenti dalle facce cupe, suo padre che si attardava presso la dimora di questo o quello zio in interminabili riunioni di famiglia, e poi… e poi tutto era finito così com’era iniziato. Alle curiosità e richieste di spiegazioni da parte sua e di Orion, Padre e Madre avevano opposto un garbato ma deciso silenzio, e soltanto l’intuizione di suo fratello di scrivere allo zio Regulus aveva permesso loro di svelare l’arcano: una delle figlie dei prozii Arcturus e Lysandra, genitori di Callidora, era stata rimossa dall’albero genealogico per via di un matrimonio sgradito ai genitori. E se la memoria non la ingannava — in fondo erano passati secoli da quando sapeva recitare tutto l’albero — quella figlia si chiamava proprio Cedrella.

«Un ragazzino davvero sveglio. Si chiama Arthur, suppongo in omaggio a vostro padre.» Il crepitio del fuoco sotto al bollitore non impediva di udire il sorriso nella voce di Ignatius. «È un peccato che il vecchio non abbia voluto conoscerlo prima di morire. Gli sarebbe piaciuto.»

Callidora seguitava a non rispondere. Doveva essere la prima volta che Lucretia la sentiva così silenziosa così a lungo. Ignatius attese ancora per qualche secondo, infine sospirò.

«So bene che i Black sono molto attaccati a certi… valori. Ma Callidora… i tempi stanno cambiando. E non sarà oggi, non sarà domani, ma un giorno potremmo aver bisogno delle nostre famiglie. Di tutte le nostre famiglie. Sono certo che anche tu te ne renda conto.» 

Lei emise un suono molto simile a un singulto spezzato. Ci fu uno scricchiolio, seguito dal rumore di ceramica contro un tavolo. 

«Cedrella ti manda i suoi saluti,» riprese Ignatius. «Tornerà a Caerleon tra due venerdì per rinnovare la scorta di ingredienti. Devo riferirle qualcosa da parte tua?»

«Dille…» Un altro singulto, poi Callidora tirò su col naso. «Dille che stiamo tutti bene, per favore.»

Lucretia udì Ignatius fare «Mh-mh», poi un suono di passi. Realizzando di essere pericolosamente vicina alla porta, afferrò un libro a caso e con un paio di balzi raggiunse l’altro lato della stanza, mettendosi accanto alla finestra con il volume aperto nel mezzo. Fece appena in tempo ad atteggiare il volto a un’assoluta concentrazione quando Ignatius uscì dalla cucina.

«Signorina Black,» lasciò la porta aperta di qualche centimetro, come decenza imponeva. «Perdoni la mia assenza.»

«Mh?» Finse di emergere dalla lettura più intrigante del mondo e alzò la testa. «Oh, non si preoccupi, ho trovato di che intrattenermi. La sua biblioteca è molto interessante,» commentò alzando il volume.  

Ignatius sbatté le palpebre e guardò prima il libro, poi lei. «Le interessano le… modalità di produzione dei concimi di origine animale?»

Toccò a Lucretia sbattere le palpebre. Oh. Avrebbe dovuto decisamente controllare quale libro stesse prendendo per la sua piccola messinscena.

Almeno non l’aveva aperto al contrario.

«A-anche,» riuscì a dire in tono abbastanza convincente. «Ho studiato Erbologia a Hogwarts, dopotutto. Non ero una studentessa eccelsa, ma rinfrescare la memoria non fa mai male, giusto?»

Proprio come aveva fatto durante la loro primissima interazione, Prewett alzò un sopracciglio sorpreso. «Erbologia? Davvero? Credevo che alle streghe di città non interessassero certe frivolezze superflue alla vita casalinga.»

Lucretia strinse le labbra. Il sarcasmo andava benissimo, la satira contro la vita di città anche, ma non era accettabile che questi elementi concorressero a offenderla.

«Lei presume un po’ troppo facilmente, signor Prewett. Mi chiedo se lo faccia con tutti o solo con le donne.»

La frase le uscì più brusca di quanto avesse preventivato, ma sortì l’effetto giusto: il mago perse subito l’aria provocatoria e incassò leggermente la testa tra le spalle. Quando parlò di nuovo, il tono caustico aveva lasciato il posto a un umorismo assai più gentile.

«Lo faccio con tutti. Per me donne e uomini sono alla pari.» Incurvò le labbra. «Ciò va a mio merito o a mio demerito, signorina Black?» 

Lucretia dovette mordersi la lingua, perché la sua prima reazione sarebbe stata mettersi a ridere. E non solo per quell’atteggiamento impertinente che solleticava più di una corda del suo animo, ma anche per il sollievo e la gioia di constatare che, nonostante l’accoglienza fredda, Ignatius non sembrasse disdegnare la sua presenza lì. Quantomeno non aveva l’aria di ritenerla una volgare manipolatrice, come Melania e Callidora avevano insinuato.

Stava pensando a una risposta adeguata, quando l’uscio sbatté con forza e uno scalpiccio di piedi annunciò l’ingresso di uno dei bambini.

«Papà! Papà!» Molly Prewett piombò in salotto come una saetta dai capelli rossi, le mani strette al petto. «Papà, guarda cosa ho…»

Si bloccò di colpo e serrò la bocca non appena vide Lucretia. Lei, dal canto suo, dovette raddoppiare gli sforzi per non sorridere. La bambina indossava pantaloni sporchi di terra che dovevano essere appartenuti ai suoi fratelli, una maglia lurida e aveva i riccioli pieni di foglie secche, come se vi si fosse rotolata in mezzo fino a un minuto prima. Somigliava più che mai alla Cattiva Signorina, e dentro di sé Lucretia provò un immenso moto di affetto.

«Molly!» esclamò invece Prewett. «Che succede? Va tutto bene?»  

Invece di rispondere, Molly alternò lo sguardo spaurito tra lui e Lucretia, e in quello stesso momento qualcosa si agitò tra le sue mani. Ignatius se ne accorse e sbiancò.

«Oh… no, no no no no.» Si fiondò dalla figlia per accovacciarsi davanti a lei. «Quante volte ti ho detto di non portare nulla in casa se abbiamo ospiti?»

Suonava agitato più che arrabbiato, e Molly reagì incassando la testa nelle spalle come aveva fatto lui poco prima.

«Non lo sapevo,» mormorò avvampando, lo sguardo chino. «Volevo mostrarti…»

«Non è il momento, buttalo fuori.»

«Ma sta male.» Ci fu un altro guizzo tra le sue mani. «Io volevo…» 

«Molly, non è il momento. Buttalo fuori prima che…» 

«Posso vedere?»

Padre e figlia sussultarono e si volsero a guardarla con un’identica espressione sorpresa. «Oh, ehm…» Ignatius si tirò in piedi e tossicchiò. «Mi dispiace, signorina Black, mia figlia non intendeva… sa come sono i bambini, o meglio, forse no, intendo dire…» 

Sì, non c’era alcun dubbio, era oltremodo agitato — e ripensando al trattamento che gli aveva riservato la signora Burke durante la cena, si poteva capire perché. Tra una vicina di casa col passatempo di insultare i figli altrui e un’intera società in cui persino i più moderati, come Callidora, non ritenevano un uomo in grado di badare da solo ai propri figli, quel povero mago non doveva avere una vita facile. Tutto cospirava a mettere in difficoltà quelli come lui, perennemente sottoposti alla critica e al giudizio.

«Va tutto bene, signor Prewett.» Chiuse il libro e lo posò sul tavolo, poi si avvicinò a Molly. «Posso vedere cos’hai in mano, per favore?»  

Incerta, la bambina guardò il padre, il quale annuì dopo una breve esitazione. Molly allora schiuse le dita, e stavolta Lucretia non riuscì a frenare il sorriso: era una lucertolina, priva di coda, che si dibatteva cercando di sfuggire alla presa.

«L’ho trovata nel bosco.» La voce squillante e infantile con cui aveva annunciato il proprio ingresso si era ridotta a un soffio. «Volevo curarla. Padre di solito usa la magia.»

Lucretia avvertì su di sé lo sguardo di Ignatius. Probabilmente si aspettava che strillasse e fuggisse via alla vista del rettile, l’illuso.

«Hai fatto benissimo. Occuparsi degli animali feriti è sempre una cosa buona.» Tese le mani a coppa e Molly vi depositò la lucertola. Questa si agitò di nuovo e spalancò la bocca in un sibilo minaccioso che fece ridacchiare Lucretia. «In questo caso però non c’è nulla da preoccuparsi, anche se non usi la magia la coda ricrescerà da sola tra un po’ di tempo.»

«Davvero?»

Annuì. «Dobbiamo soltanto lasciare questa piccolina in pace, la natura farà il resto.» 

Tenendo la lucertola ferma, le carezzò piano la testolina per placarla. «Sai, da bambini mio fratello Orion e io passavamo l’estate dai nonni materni nel Sussex, in una tenuta molto più grande della vostra. Un giorno il Kneazle di nonna portò in casa una lucertolina proprio uguale a questa, ma Orion la prese prima che potesse mangiarsela e per tutto il mese la tenne dentro una scatola in camera nostra per accudirla. La chiamavamo Sally e fingevamo che fosse il leggendario mostro di Serpeverde pronto ad attaccare i Babbani della città vicina.» 

Ora non solo gli occhi di Ignatius erano puntati su di lei, ma anche quelli enormi e curiosi di Molly. «Nostra madre non era contenta, diceva sempre che si sarebbe liberata di Sally alla prima occasione possibile. Un giorno però sono rientrata in camera all’improvviso, e indovina cosa ho visto?»

La bambina scosse la testa. «Ho visto Madre che dava da mangiare a Sally dalle proprie mani, parlandole amabilmente. Anche lei ci si era affezionata, sebbene non volesse ammetterlo.» 

Prewett lasciò andare uno sbuffo divertito, Molly invece distese le labbra in un sorrisino timido. Neanche a farlo apposta, proprio in quell’istante Melania fece ritorno dalla sua spedizione igienica. 

«Madre, guarda!» Lucretia sollevò la lucertola con un gran sorriso. «Ti ricordi di Sally? È proprio uguale, non è vero?»

Melania si arrestò a metà di un passo, vide l’animale e i suoi si sgranarono più che mai; aprì e richiuse la bocca, come volesse dire qualcosa ma non osasse davanti ai Prewett, e soltanto l’arrivo di Callidora col vassoio delle tisane la salvò dal rimanere per sempre in quello stallo tra indignazione e buone maniere.

Il resto della visita non fu altrettanto allegro per Lucretia. Salutata Molly, le toccò assistere allo spettacolo di Madre che sfoggiava tutte le proprie doti di conversatrice per complimentare la casa, e il giardino, e chiedere a Ignatius del suo lavoro e della vita in campagna in generale, e informarlo di quante e quali differenze ci fossero con la vita londinese; ogni tanto interveniva anche Callidora, il cui buonumore tuttavia era appannato rispetto al solito. Da parte sua Ignatius si comportò da perfetto padrone di casa, ascoltando e rispondendo col massimo garbo, ma a Lucretia non sfuggì che le sue spalle erano contratte e i suoi occhi verdissimi vagavano più spesso che no verso la finestra. 

Per Salazar, era così evidente che non vedesse l’ora di tornare al lavoro… evidente per lei, almeno, perché le altre due sembravano del tutto impermeabili a quei segnali di insofferenza. La consapevolezza di arrecargli disturbo mise a disagio Lucretia, privandola di qualsiasi gioia avesse provato nel rivederlo e parlargli; non aiutò il fatto che, ogni volta che alzava lo sguardo per osservarlo, intravedesse alle sue spalle il dolce sorriso di Euterpe dalla mensola del camino.

«Non hai aperto bocca per tutto il tempo,» la rimbrottò Madre quando finalmente furono tornate al di là della faggeta, nella tenuta dei Longbottom. «Eppure ti ho dato tantissime occasioni di inserirti nella conversazione! Dove hai la testa, Cretia?»

Persa nei propri pensieri, bofonchiò una scusa generica. La breve visita le aveva schiarito le idee e mostrato i suoi sentimenti per ciò che erano: stupidaggini belle e buone. Ignatius Prewett era un padre di famiglia, un vedovo, un uomo ancora in lutto. Come le era venuto in mente di perdersi in fantasticherie per lui? Aveva già avuto una moglie e non gliene serviva un’altra, visto l’impegno che profondeva nell’occuparsi di persona di casa e prole, e qualora avesse cambiato idea ne avrebbe di certo cercata una più simile possibile alla madre dei suoi figli, o che fosse disposta a diventarlo. Ed era improbabile che potesse mai considerare lei adatta al ruolo, pure se si fosse improvvisamente trasformata in una Perfetta Strega da Sposare.

Senza dimenticare il non trascurabile dettaglio che Lucretia Black non intendeva essere altri che se stessa. Poteva imparare a ricamare per Ignatius, e a cucinare, e qualsiasi altra scemenza si ritenesse indispensabile per una donna da marito, ma prendere il posto di qualcun’altra… quello no, non l’avrebbe fatto per nessuno al mondo.

Così, nei giorni successivi, Lucretia si dedicò a rimuovere da sé ogni pensiero riguardasse Ignatius Prewett dei Prewett di Llanymynech. Impresa semplice, in teoria: si erano incontrati solo due volte e per un tempo risibile, non avevano scambiato nemmeno cinquanta parole e la reciproca conoscenza era rimasta eufemisticamente superficiale. 

In pratica, era come cercare di non pensare a un drago dopo averlo nominato. Appena la sua mente vagava lontano dalle chiacchiere di Madre, dai sospiri di Cressida per il brufoloso Greengrass e dagli altri impegni giornalieri, finiva nel giardino profumato di casa Prewett o alla tavolata dei Longbottom; le ripresentava i capelli indomabili di Ignatius, la sua voce pungente e il suo sorriso buono, il modo in cui si illuminava in presenza dei figli e il palpabile affetto che provava per loro; talvolta i suoi pensieri si soffermavano proprio sui piccoli Prewett, così interessanti ciascuno a modo proprio: le sarebbe tanto piaciuto parlare ancora di mostri con Fabian, riascoltare le parole irriverenti di Gideon e, soprattutto, rivedere Molly e scoprire cosa celava quel suo scudo di timidezza.

Non era ai bambini, comunque, che Lucretia stava pensando quella sera. Sdraiata nel suo letto, aveva terminato il più frustrante di tutti i romanzi della saga dell’Auror Smith — sembrava che l’eroe fosse finalmente sul punto di dichiararsi alla bella Auror Wesson e coronare il suo sogno d’amore, ma una nuova minaccia senza nome li aveva costretti fuori dal Quartier Generale e il tutto si era concluso con un “Continua…” che le aveva quasi fatto lanciare il libro dalla finestra — e si era poi persa in una delle involontarie fantasie che ormai, dopo quattro giorni di tentativi infruttuosi, non provava nemmeno più ad arginare, sperando che immaginarsi tra le braccia vigorose di un certo mago le conciliasse il sonno. L’indomani avrebbero preso i bagagli e sarebbero ripartiti via Passaporta alla volta di Londra, per il supremo scorno di Melania; poiché Callidora non era riuscita né a convincere Harfang a invitare i Prewett a cena, né a ripetere l’escursione verso il confine est — non senza dover accontentare anche Cressida e la sua assurda pretesa di visitare i Greengrass — Madre aveva insistito allo sfinimento affinché Padre rimandasse la loro partenza o quantomeno concedesse a lei e Lucretia di restare, ma lui non poteva rimandare oltre i propri affari e sarebbe inappropriato se mia moglie e mia figlia si trovassero altrove senza una valida giustificazione

Melania aveva obiettato che accasare la propria figlia più che nubile era una validissima giustificazione, al che Arcturus le aveva rivolto un’occhiata così fredda e penetrante che la strega non aveva più osato ribattere, e la partenza era stata fissata. E ora il suo tempo lì era agli sgoccioli.

Lucretia sospirò e si girò su un fianco. La tenda semiaperta lasciava filtrare la luce della luna piena; immaginò la campagna fuori, illuminata quasi a giorno, e fu assalita dalla malinconia al pensiero che di lì a poche ore avrebbe lasciato quel luogo e chissà quando, o se, vi sarebbe ritornata. Si era trovata così bene lì, nonostante qualche inciampo, e non soltanto per tutta la faccenda di Prewett: il Galles era più quieto di Londra e allo stesso tempo molto più allegro, e sebbene una come lei fosse un Plimpi fuor d’acqua sempre e dovunque, l’assenza di certe formalità tra i Purosangue di campagna aveva almeno il pregio di farla sentire un po’ più rilassata rispetto a quando si trovava a casa.

Sì, le sarebbe mancato quel posto. Il posto, la gente, la pace… e lui, ovviamente.

Si rigirò ancora e ancora in quel letto troppo comodo, infine rinunciò a trovare il sonno. La realtà della partenza imminente le smuoveva ondate di agitazione nello stomaco e solo una passeggiata avrebbe potuto placarla. Indossò gli abiti che aveva preparato per l’indomani, mise le scarpe da passeggio e prese la bacchetta; sapeva che le protezioni imposte di notte sulla casa le avrebbero permesso l’uscita e l’entrata in qualsiasi momento, e contava di stare fuori al massimo per un’ora, perciò non si disturbò nemmeno ad avvisare gli elfi o scendere fino all’ingresso: pensò intensamente alla pacifica radura in cui Cressida l’aveva portata due giorni prima e, pregustando la camminata al chiaro di luna che l’attendeva, si Smaterializzò dal bel mezzo della sua stanza.

Per ritrovarsi, sconcertata, davanti a un Ignatius Prewett ancora più sconcertato.









Note:

Mi dispiace non aver aggiornato prima, ma in questi giorni sono stata presa dalla follia natalizia e ho iniziato a pubblicare una serie di fanfiction a tema (che trovate qui).
Un paio di informazioni su questo capitolo: il dialogo tra Ignatius e Callidora è ispirato direttamente all'albero genealogico dei Black. In esso Callidora, figlia di Arcturus Black e Lysandra Yaxley, ha due sorelle: Charis, sposata a Caspar Crouch (nessuna informazione in merito alla parentela con Bartemius Crouch sr. e jr.), e Cedrella, rimossa dall'albero per aver sposato Septimus Weasley. Costei è proprio la mamma di Arthur Weasley, che in questo capitolo compare indirettamente ma fa comunque la sua bella figura, a mio non proprio modesto avviso.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Con ogni probabilità ci rivedremo dopo le feste (a meno che non riesca a compiere un miracolo, ma non ci conterei troppo), perciò... buone feste! :D


 

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


Vorrei poter dire che ho chiuso gli occhi che era dicembre e all'improvviso era marzo, ma la verità è che in questi tre mesi è stato difficile persino respirare. Se state ancora seguendo questa storia (che è ufficialmente a metà, YAY), vi chiedo scusa per il ritardo e vi ringrazio moltissimo della pazienza.
In questo capitolo ci sono brevi menzioni di morte a seguito di malattia; non è trattato in maniera approfondita, ma se per qualsiasi ragione l'argomento vi turba, sappiate che ci si arriverà verso la seconda metà del capitolo. Stay safe.
Spero tantissimo che il capitolo vi piaccia ^^ A presto!
 


 



Qualcosa in cui sei brava


Capitolo 4

 

 

«Ehm…» 

Bloccato a metà nell’atto di sedersi su una sedia a dondolo, con una pipa in una mano e un libro nell’altra e circondato da una dozzina di fiammelle azzurre intrappolate in vasi di vetro fluttuanti, Ignatius si raddrizzò e le rivolse un cenno col capo. 

«Buonasera, signorina Black. Va tutto bene?»

Lucretia non rispose. Restò a fissarlo sbigottita per una manciata di secondi, chiedendosi cosa ci facesse lui lì; quando finalmente la comprensione fece breccia nella sua mente, sobbalzò così forte che soltanto la rigida disciplina con cui era stata cresciuta le impedì di schizzare fuori dalla propria pelle e fuggire a gambe levate. 

Oh, per Salazar! Che errore madornale! Si era Smaterializzata alla volta della radura nel bel mezzo del bosco dei Longbottom, invece era finita davanti a casa Prewett — davanti al padrone di casa Prewett! Come aveva potuto sbagliare così tanto? 

Forse era successo perché, un istante prima di scomparire, il suo pensiero aveva vagato in direzione di quel luogo e ne era risultata una Materializzazione fallata? Possibile. Certo era che adesso doveva apparire come una completa sciocca, lì a due passi dalla veranda di Ignatius, a un’ora in cui nessuna strega rispettabile si sarebbe mai fatta trovare viva in giro.

«Oh, ecco… io… i-i-io non volevo, mi dispiace, ho sbagliato. A-addio.»

E senza perdere altro tempo girò sui tacchi per allontanarsi in tutta fretta, grata che la luce del plenilunio non fosse sufficiente a mostrare le sue gote in fiamme. Che figura! Doveva augurarsi che Prewett fosse sufficientemente gentilmago da non menzionare mai quell’incidente ad anima viva o defunta, altrimenti la sua già bassissima reputazione sarebbe andata a ramengo — nemmeno la Materializzazione le riusciva più, per Circe e Morgana! Cosa avrebbe detto Madre se l’avesse saputo? Oh, non sarebbe mai dovuta uscire, a costo di rigirarsi tutta la notte nel letto e… 

«Lei fuma, signorina Black?»

Non aveva percorso che cinque metri quando la domanda riecheggiò alle sue spalle, costringendola a fermarsi di colpo e voltarsi. Ignatius Prewett aveva sollevato la mano con cui teneva la pipa e la tendeva verso di lei, a invito.

«C-come, prego?»

Alla luce delle fiammelle azzurre, l’espressione del mago era indecifrabile. «Vuole fumare insieme a me? Ho una pipa di riserva, se ne ha bisogno.»

Quella… era la frase più bizzarra che chiunque avesse mai rivolto a Lucretia. Forse era uno scherzo? L’ennesima provocazione indirizzata a una “strega di città”? Doveva esserlo, perché offrire da fumare a una donna era qualcosa che semplicemente non si faceva tra persone per bene. Non che non esistessero donne fumatrici tra le Purosangue di buona famiglia — la casa di zia Lycoris e della sua amica, ad esempio, era sempre impregnata dell’odore di tabacco toscano — ma si trattava o di adolescenti che approfittavano della relativa libertà di Hogwarts per sperimentare, o di personalità eccentriche che traevano un piacere scandaloso dal contravvenire in pubblico a convenzioni come fumare è cosa da uomini. Lucretia, dal canto suo, non aveva bisogno di un altro motivo per essere tenuta ai limiti delle cerchie sociali, perciò no, non fumava — e gli esperimenti effettuati a Hogwarts era bene che restassero a Hogwarts, grazie tante. 

Scrutò con attenzione il volto di Ignatius, in cerca di un segnale che svelasse la sua pungente ironia, ma la fronte era distesa e la postura sembrava proprio quella di chi avesse posto una domanda perfettamente legittima, come “che tempo farà domani?” o “quanti aculei di Knarl ci vogliono per una pozione Esilarante?”. Così, benché perplessa, decise di rispondere a modo.

«Io… non ho l’abitudine di fumare, ma grazie dell’offerta.»

La mano che teneva la pipa si abbassò. «Oh. Peccato. Non ha idea di quanto sia difficile trovare un altro adulto con cui conversare, da queste parti.» Prewett spostò il peso da un piede all’altro e si schiarì la gola. «Allora… buona notte.»

Le rivolse un altro cenno del capo prima di prendersi la pipa tra i denti, sprimacciare il cuscino della sedia a dondolo e lasciarvisi cadere sopra con uno sbuffo. Lucretia lo guardò accendersi la pipa con la bacchetta, e a quel gesto qualcosa scattò dentro di lei — lo stesso, irresistibile impulso che l’aveva spinta a ribattergli a tono durante il loro primissimo incontro, o a difendere i suoi figli dalla sgradevolezza di Berenice Burke.

Prima di poter anche solo pensare alle conseguenze, alle implicazioni o a cosa avrebbe detto Madre se fosse stata lì, i suoi piedi si mossero in automatico verso la veranda. «Ho detto che non fumo, signor Prewett, ma se è la compagnia che cerca posso fermarmi qui per un po’. Ammesso che lo gradisca.»

Fu piuttosto soddisfacente vedere Ignatius alzare la testa di scatto e sgranare gli occhi per la sorpresa. Ah! Allora anche uno come lui poteva essere colto alla sprovvista. Continuò a fissarla interdetto per qualche istante, prima di schiudere le labbra in uno dei suoi sorrisi. 

«Lo gradisco. Si accomodi, prego.»

Un movimento di bacchetta, e una sedia a dondolo identica alla sua apparve lì accanto. Lucretia strinse le labbra. Sperava in una poltrona o una seggiola, qualcosa su cui poter sedere dritta e composta come d’abitudine. Che avrebbe dovuto farsene di un aggeggio del genere? Tuttavia, non poteva certo offendere il suo ospite; così salì i due gradini della veranda e si accomodò il più possibile verso il bordo della sedia, col risultato di sentirsi incredibilmente goffa e a disagio. L’unica era lasciarsi scivolare verso lo schienale inclinato, e così fece.

…Beh, pensava peggio. Fortuna che Madre non era lì per vederla, comunque.

Per il minuto successivo non vi furono che i grilli e gli uccelli notturni a interrompere il silenzio profondo della campagna addormentata. Lucretia considerò brevemente la sua situazione di donna sola con un semisconosciuto in un luogo in cui nessun altro sapeva che si trovasse, e per un fugace attimo si chiese se fosse sconsiderato da parte sua restarsene lì invece di seguire il piano originario e andarsene; la preoccupazione non fece però in tempo a palesarsi che già era svanita, sostituita dalla serena e inspiegabile certezza che non le sarebbe mai capitato alcunché di male in compagnia di Ignatius Prewett — e qualora si fosse sbagliata su quel punto, sapeva difendersi benissimo da sola con la bacchetta.

Rassicurata, permise a se stessa di lasciar andare gli ultimi residui di imbarazzo e rilassarsi del tutto. Accanto a lei Prewett non sembrava ansioso di iniziare una conversazione: seduto a gambe accavallate, teneva il libro aperto in una mano e leggeva alla luce delle fiammelle muovendo piano le labbra, mentre fumava distrattamente; con il piede poggiato a terra spingeva di quando in quando la sedia a dondolo, producendo un lieve cigolio che accompagnava il canto dei grilli. Ogni volta che girava pagina, i tendini del braccio guizzavano sotto la pelle lasciata scoperta dalle maniche arrotolate della sua camicia.

Vederlo così assorbito in un’attività del tutto privata smosse qualcosa dentro Lucretia, che si affrettò a distogliere l’attenzione da lui prima che i suoi pensieri prendessero una direzione sbagliata. Fantasticare su quell’uomo nell’intimità della propria stanza era un conto, farlo mentre lo osservava da vicino nel suo ambiente domestico — con i bambini addormentati a meri metri di distanza e il sorriso di Euterpe sul camino appena oltre la porta — era semplicemente una pessima idea.

Si concentrò quindi sul prato di erbe variegate dinanzi a sé, illuminato dall’argento della luna piena, e ben presto era così assorta da non rendersi nemmeno conto di aver iniziato a dondolare la sedia a propria volta. Lo scatto del libro che si chiudeva la riportò bruscamente alla realtà.

«Ebbene, signorina Black? Passeggia spesso tra i boschi nel cuore della notte?»

Quella voce era talmente intrisa di ironia che Lucretia, invece di imbarazzarsi, si ritrovò a sorridere. «Ahimè, no: stavo solo cercando di combattere l’insonnia. L’intenzione era di raggiungere la radura nel bosco del cugino Harfang, invece per qualche motivo sono finita qui. Mi dispiace averla disturbata.»

«Nessun disturbo, ero solo sorpreso. Di solito è Eustace a sbagliare destinazione in questo modo, me lo ritrovo davanti casa più spesso che no.»

«Il giovane Greengrass?»

«Mh-mh.» Ignatius le scoccò un sorriso sornione. «Pare che la radura nel bosco dei Longbottom sia una meta molto ambita dalla gioventù locale. Ma non lo dica a Harfang e Callidora, ho il vaghissimo sospetto che la loro figlia non voglia che si sappia.»

Lucretia aggrottò la fronte. Non capiva cosa c’entrasse Cressida coi vagabondaggi notturni di Eustace Greengrass, ma Ignatius prevenne qualsiasi domanda con un gesto della mano. «Certo, immagino che gironzolare qui non sia emozionante quanto farlo al centro di Londra, con gli uomini-Acromantula appostati a ogni angolo,» scherzò.

«Ah, questo è vero. Unicorni e lucertole non trasmettono le stesse emozioni.»

«Perlomeno non attentano alla virtù delle fanciulle di buona famiglia come lei.» 

«Mi creda, la mia famiglia andrebbe in estasi se qualcuno attentasse alla mia virtù.»

Realizzò cosa avesse detto solo quando il suono dell’ultima parola si fu spento in un silenzio imbarazzato. Circe e Morgana. Cosa le saltava in mente di uscirsene con una frase del genere?! 

Cercò in fretta qualcosa da dire per mitigare l’orrenda figura appena fatta, ma quando si volse verso Ignatius vide che la stava guardando con aperta simpatia.

«Capisco,» mormorò lui. «Problemi matrimoniali?» 

Interdetta più dal tono che dalla domanda, Lucretia non rispose. Prewett attese qualche secondo, infine sospirò.

«Mi dispiace. La comprendo fin troppo bene, purtroppo.» 

Ancora una volta, Lucretia parlò prima di rendersene conto. «Mi scusi, ma non lo credo possibile.»

«Oh? E perché?»  

«Perché lei è un uomo.» 

Un sopracciglio di Ignatius scattò in alto a disegnare la sua espressione sorpresa. «Mi è sempre stato dato da intendere che il cervello degli uomini sia pressoché pari a quello delle donne. Ho sbagliato, forse?»

«Non è quello che intendo, signor Prewett. Voglio dire che da lei, in quanto uomo, non si pretendono le stesse cose che si pretendono da una strega.» 

Lucretia riportò lo sguardo verso il prato e inspirò a fondo. Maledetta la sua lingua traditrice. Non era il tipo di discorso che avrebbe voluto affrontare con lui, ma come si diceva: ormai era in volo e doveva volare.

«Dubito fortemente,» riprese, «che lei venga giudicato dai nostri pari per le sue capacità di curare una casa, di scegliere la tappezzeria o di procreare eredi per la stirpe propria e altrui. O che le si ripeta di continuo che il matrimonio è l’unico sbocco degno per una Purosangue, mentre a quanto pare le Mezzosangue possono lavorare e addirittura accedere al Ministero della Magia senza sollevare obiezioni. Questo è il genere di principi che di solito si impartiscono alle streghe, non ai maghi, perciò a meno che lei non sia stato cresciuto in modo del tutto anticonvenzionale non vedo come potrebbe capire davvero cosa significhi vivere così.» 

Giusto per sottolineare il concetto, si diede una spinta col piede e fece cigolare in modo sinistro la sedia a dondolo. Dovette aspettare qualche secondo per la risposta di Ignatius, e quando questa giunse la voce di lui si era sensibilmente ammorbidita.

«È vero, queste sono cose che da uomo non sono in grado di capire. Ma in quanto vedovo con tre bambini, sono automaticamente considerato incapace di badare ai miei stessi figli e ricevo suggerimenti di risposarmi ogni singolo giorno, pur essendo noto che non ne ho la minima intenzione. Perciò mi creda, so quanto le pressioni sociali possano essere intollerabili.»

Aspirò una boccata e lasciò andare una voluta di fumo azzurro. «Detto ciò, devo purtroppo darle ragione: la nostra società è piuttosto ingiusta con voi fanciulle, se non direttamente crudele. Il che, per inciso, è uno dei motivi per cui spero che Molly non si sposi mai.»

Il pensiero della piccola scatenò un sorriso a Lucretia. «Ho la sensazione che sua figlia non accetterebbe volentieri uno stile di vita tradizionale.»

«No, infatti. E ho pietà per chiunque cercherà di imporglielo in futuro.»

«Oh, sono sicura che abbia un bel caratterino, proprio come i gemelli.»

«Non ne ha idea. Molly sembra timida, ma è solo abile a nascondersi.»

Ridacchiarono insieme. «A questo proposito, signorina Black, volevo ringraziarla.»

«Di cosa?»

«Di essere stata così gentile coi miei figli durante la cena dai Longbottom. E con Molly, per l’incidente della lucertola.» Le rivolse uno sguardo tale che Lucretia si sentì rimescolare. «Non trovano mai degli adulti che siano indulgenti coi loro… modi di fare. Le sono davvero grato.»

«Non lo dica nemmeno, signor Prewett. I suoi ragazzi sono speciali. E per quello che vale, secondo me lei è perfettamente in grado di occuparsene da solo.»

Era una sua impressione, o a quelle parole Prewett aveva assunto un’aria insicura? No, doveva essere uno scherzo della luce. 

«Lei crede?» chiese Ignatius.

«Certo. Da quel poco che ho visto, è evidente che tiene ai suoi figli e fa il possibile per loro. Non dia retta a chi vuole convincerla del contrario.»

Il mago non rispose. Continuò a guardarla con quegli occhi incredibilmente verdi anche alla scarsa luce della veranda, infine si schiarì la voce.

«La ringrazio. Significa davvero molto.»

Sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, invece scosse la testa e si ricacciò la pipa tra i denti. «E per quanto riguarda lei?»

«Per quanto riguarda me?»

«Qual è il suo ostacolo?» Stavolta i suoi occhi brillavano di inequivocabile ironia. «Cosa le impedisce di contrarre un buon matrimonio e rendere estatica la sua famiglia, signorina Black?»

Lucretia esitò. Fino a quel momento la conversazione era stata più facile e piacevole di quanto avesse mai potuto desiderare, tra l’assenza di formalità e la schiettezza di Ignatius; scendere in quel tipo di confidenze avrebbe però richiesto un grado di conoscenza che ancora non sentiva di avere con quell'uomo, e la cui mancanza la esponeva a gravi rischi di fraintendimento.

Ma in fondo, perché no? Era ben chiaro ormai che Ignatius Prewett dei Prewett di Llanymynech fosse una persona buona, dalla mente aperta e non del tutto favorevole a certi modi di pensare tipici dei Purosangue. Forse, ed era un grande forse, uno come lui avrebbe capito.

Con lo sguardo chino sulle proprie mani strette in grembo, si prese qualche secondo prima di decidere cosa rispondere. «Il ricamo.»

«…Ha detto… il ricamo?»

Annuì. «Il ricamo è il mio ostacolo. Il ricamo, l’uncinetto, la pittura, la cura delle piante da interni, ma anche il governare una casa, l’intrattenere ospiti e l’esimermi dal dire la cosa sbagliata al momento sbagliato. Non sono capace, mai stata. Aggiungiamo alla mia assenza di qualità i miei interessi poco ordinari e la mia scarsa propensione ad avere una prole, e capirà come mai sto ben lontana dalla vita matrimoniale.»

Seguì un prolungato silenzio. Lucretia alzò lo sguardo verso Ignatius e lo trovò oltremodo confuso; il mago aprì e richiuse la bocca diverse volte, come se volesse dire qualcosa ma cambiasse di continuo idea, e alla fine scosse la testa.

«Che le dicevo, signorina Black? Crudeltà pura e semplice.» Schioccò la lingua con chiara irritazione. «Il ricamo e la pittura. Come se avesse senso giudicare una persona — una strega — per cose così futili.»

Pur intuendo che era il padre in lui a parlare, Lucretia non poté impedirsi di provare un gran calore al petto nell’udire l’ennesima conferma di quello che già pensava: Ignatius Prewett non era affatto come gli altri uomini. Per qualche ragione, tuttavia, si sentì in dovere di ribattere.

«Beh, in realtà il senso c’è, solo che non è immediato a comprendersi.»

«Oh?» Ignatius si fermò mentre riaccendeva la pipa e aggrottò la fronte. «E sarebbe?»

«Ecco… beh, non l’ho mai chiesto — o meglio, da bambina devo averlo fatto, ma la risposta è stata insoddisfacente…» Le brave signorine ascoltano invece di fare domande, Cretia! «…però alla fine mi sono fatta un’idea.»

«Mi dica.»

«Dunque, sin da quando nasciamo ci insegnano che il dovere principale di una strega Purosangue è occuparsi della dimora familiare e crescere gli eredi seguendo un’educazione il più possibile tradizionale. Si tratta di un lavoro impegnativo, certo, ma c’è sempre il rischio che la donna finisca col cercare… distrazioni, per così dire, fuori da casa propria.»

«Distrazioni come…»

«Un lavoro. Compagnie disdicevoli. Proseguire negli studi magici. Questo genere di cose. Una strega che sappia tenersi impegnata con lavoretti artistici e domestici appare più affidabile agli occhi di un mago in cerca di una brava moglie.»

«Mh.» Ignatius annuì e si lisciò la barba, pensoso. «Mh-mh. Sì, intravedo la logica generale, anche se non capisco perché dovreste dedicarvi ad attività così tipicamente Babbane. È un controsenso, non trova? La perfetta moglie Purosangue è quella che sa ricamare a mano come una Babbana qualunque…»

«Oh, naturalmente c’è una spiegazione anche per questo… voglio dire, credo ci sia, si tratta sempre di una mia interpretazione…»

«Davvero? Mi illumini.»

«Ecco… io… credo che la ragione di fondo sia una sorta di invidia verso i Babbani.»

Si fermò per osservare l’effetto delle proprie parole su Ignatius. Sapeva per esperienza che non era mai un bene mettere insieme le parole “invidia” e “Babbani” mentre si parlava con un Purosangue delle Sacre Ventotto, ma invece di reagire con sdegno come avrebbe fatto chiunque altro, lui le rivolse un cenno della testa. 

«Continui, prego.»

Incoraggiata, Lucretia inspirò. «Nel corso dei secoli, i Babbani si sono adattati a fare qualsiasi cosa senza magia, tanto nelle arti quanto nella scienza e nella tecnologia. Sotto un certo punto di vista ciò rappresenta uno smacco per chi sostiene la superiorità dei maghi…»

«Perché?»

«Perché di fatto i Babbani sanno fare cose che noi non ci sogneremmo, così come noi sappiamo fare cose che a loro non riescono. È oggettivo. Questo ci equilibria, in un certo qual modo.»

«Mh.»

«Ecco, la mia idea è che tutto ciò alla lunga abbia scatenato nei maghi una sorta di “se loro possono, perché noi no?”. Se una qualunque Babbana è in grado di produrre ricami con le proprie mani, perché non dovrebbe riuscirci una Purosangue? Se una Babbana può coltivare orchidee senza ricorrere a incantesimi e pozioni, perché una strega no? Imparare a svolgere lavori senza magia diventa quindi una forma di rivalsa della nostra razza — ma solo per il lato femminile e solo per attività di secondaria importanza, perché naturalmente il talento dei maghi deve essere rivolto solo e soltanto alle arti magiche al fine di progredire in esse: per questo se un uomo mostra interesse per qualcosa di tipicamente Babbano come, non so, la costruzione di automobili, viene guardato con disdegno e bollato come strambo o peggio, come traditore del sangue, perché di fatto sta sprecando le sue preziose energie a dimostrare che maghi e Babbani sono alla pari invece di lavorare a renderci superiori.»

Fece una pausa per riprendere fiato. «Ecco perché a noialtre tocca imparare a ricamare e tutto il resto, secondo me: per dimostrare che la razza magica è comunque al di sopra di quella Babbana, senza però che i maghi rinuncino al loro lavoro e al loro status. Tutto qui. Credo.» 

Tacque e attese la reazione di Ignatius torcendosi le mani. Per tutta la durata del suo sproloquio lui l’aveva osservata con intensa attenzione, come a non volersi perdere nemmeno una parola, il che l’aveva fatta sentire al contempo esaltata e intimidita; ora che aveva concluso, però, Lucretia non poteva fare a meno di preoccuparsi. Aveva sbagliato a parlare con così tanta franchezza? Cosa avrebbe pensato di lei? Se l’avesse considerata una rivoluzionaria, una testa calda, una di quelle esaltate che andavano a incatenarsi ai cancelli della Gringott per chiedere un trattamento equanime per maghi e goblin? Per suo immenso sollievo, le linee della fronte di Ignatius si ammorbidirono e il solito, piccolo sorriso gli addolcì gli occhi. 

«Sa cosa penso, signorina Black?»

Lucretia scosse la testa. «Penso che lei abbia moltissime qualità, anche se non le hanno insegnato a considerarle importanti.» Si fermò per riaccendere la pipa. «E un giorno troverà qualcosa in cui è brava. Deve soltanto cercarlo lì dove non ha cercato finora.»

Era una vera fortuna che avesse pronunciato l’ultima frase rivolto in direzione del prato, perché le guance di Lucretia non erano mai state così infiammate e con ogni probabilità brillavano nella notte come Fuochi Gubraithiani. «Lei sarebbe andata d’accordo con mia moglie, sa?» riprese il mago. «Euterpe detestava ricamare senza magia con tutte le sue forze, diceva sempre che la vita è troppo breve per sprecarla a pungersi con un dannato ago.»

Rise sommessamente, e Lucretia non riuscì a trattenere un sorriso al pensiero della vivace donna bionda che imprecava contro l’ago da ricamo. «I cuscini del vostro salotto sono bellissimi, però.»

«Merito di mia zia Muriel, è lei l’artista di casa. Euterpe non ci sarebbe riuscita nemmeno con la magia.» Un’ombra passò sul viso di Ignatius. «In compenso passava giorni interi a lavorare a maglia, rigorosamente a mano. Le piaceva l’idea di… lasciare qualcosa di utile ai ragazzi.» 

Il modo in cui pronunciò quelle parole strinse il petto di Lucretia in una morsa. «Doveva essere una persona davvero speciale. Mi dispiace tanto.»

Fu ringraziata con un cenno del capo. «Ed è stata molto fortunata a trovare uno come lei, che non la scegliesse per le sue abilità nel ricamo,» aggiunse, desiderando alleggerire la conversazione. 

«Mh. Anche volendo, non avrei avuto voce in capitolo. Il nostro è stato un matrimonio combinato.»

«Oh.»

«Sì, fu… un accordo commerciale. Mio suocero era un fabbricante di bacchette del Donegal con diversi debiti nei confronti di mio padre, e decisero di sistemare la questione così. Euterpe e io ci siamo ritrovati sposati appena finito Hogwarts, credo che prima non ci fossimo scambiati nemmeno dieci parole in tutto.»

Lucretia annuì. Aveva ben presente quel tipo di matrimoni. La maggior parte delle vecchie generazioni di Black si era unita così, con accordi presi dai genitori per i figli a prescindere dalla volontà di questi ultimi; al momento attuale l’usanza era considerata antiquata, perché i Purosangue erano giunti alla sconvolgente scoperta che un’unione voluta dai nubendi tendeva a durare più a lungo e con molti meno drammi, ma di quando in quando qualcuno vi faceva ancora ricorso.

«Molti matrimoni iniziano così e in seguito diventano felici,» commentò. Era vero. Madre e Padre non si erano certo scelti, ma erano affiatati e si dimostravano vicendevole rispetto a ogni occasione, mentre Callidora e Harfang arrivavano addirittura a scambiarsi piccoli gesti affettuosi persino in presenza di ospiti. 

A giudicare dal pesante sospiro di Ignatius, però, era chiaro che per i Prewett non fosse andata così. «I matrimoni ben combinati, forse. Il nostro…»

Schioccò la lingua e si alzò in piedi. «Mi perdoni, signorina Black, ma noi maghi di campagna non possiamo affrontare certi discorsi senza del Whisky Incendiario. Ne vuole anche lei?» 

«Oh, ecco, non so se…»

«Prometto di non approfittarne per attentare alla sua virtù, a costo di deludere la sua famiglia,» soggiunse alzando le mani.

Lucretia sbuffò una risatina. «In questo caso, accetto volentieri.»

Prewett entrò in casa portando con sé libro e pipa e tornò un paio di minuti dopo, un bicchiere di whisky in ciascuna mano. Gliene porse uno prima di sprofondare di nuovo nella sedia a dondolo. 

«Come dicevo, Euterpe e io non eravamo ben assortiti. Non mi fraintenda, era una persona davvero eccezionale, solo… non era il tipo di donna che avrei sposato, e io non ero il tipo di uomo che lei avrebbe sposato. Tutto qui.» Sorbì un sorso di whisky. «Purtroppo il contratto firmato dai nostri padri non contemplava il divorzio, né da parte mia né da parte sua, perciò… l’abbiamo dovuto far funzionare.»

La morsa sul cuore di Lucretia si intensificò. Per qualche ragione si era figurata che il matrimonio di Ignatius ed Euterpe fosse stato, se non felice, quantomeno ben riuscito. E invece… 

«Col passare del tempo le cose sono migliorate. Abbiamo imparato a conoscerci, ad andare d’accordo, e dopo qualche anno sono nati i ragazzi…» Alla menzione dei figli Ignatius sorrise. «Insomma, non eravamo miserabili. Ma… quando è morta mi è sembrato di perdere la mia migliore amica, invece di mia moglie. Non so se ha senso o…»

«Ce l’ha.»

Prewett le scoccò di nuovo quello sguardo insicuro. Lucretia pensò che fosse strano vedere quell’espressione su quel leone ristretto nel corpo di un gatto. «Non sarà stato facile, quando… quando sua moglie si è ammalata.»

«Glielo ha raccontato Callidora?»

«Solo superficialmente. Non si è permessa di scendere in dettagli.»

«Sua cugina è sempre troppo gentile.» Si sistemò meglio sulla sedia. «Sì, è stato… difficile. Però non vorrei intristirla con questi racconti…»

«Non si preoccupi, signor Prewett. Se ne vuole parlare ascolto volentieri. Immagino sia difficile trovare un altro adulto con cui conversare da queste parti.»

Il mago sbuffò una risata, poi si mise a fissare l’interno del suo bicchiere. Quando ormai Lucretia pensava che non avrebbe risposto, ricominciò a parlare.

«A cinque anni aveva contratto una forma piuttosto grave di febbre della brughiera. Una malattia bastarda. Se anche sopravvivi, rischi di ricaderci in qualsiasi momento della tua vita, e allora ti porta via nel giro di un lustro.» Tirò su col naso. «A Euterpe successe quando Molly aveva due anni.»

«Oh, cielo.»

«Era chiaro che non sarebbe durata a lungo, che sarebbe stato un miracolo se avesse visto Gideon e Fabian iniziare Hogwarts, e allora… allora iniziò a cambiare.»

«Ossia?»

«Diventò… distante. Coi ragazzi.» Bevve un altro sorso. «Da un giorno all’altro smise di giocare con loro, di raccontare storie, di essere affettuosa, tutto. All’epoca non capivo. Pensavo fosse una brutta reazione alla notizia, che si fosse depressa… ma per il resto si comportava normalmente, nei limiti del peggiorare delle sue condizioni. Solo in seguito ho realizzato che l’aveva fatto per loro, per allontanarli da lei in modo che non sentissero la sua mancanza in futuro.»

Il richiamo di un gufo in lontananza risuonò lugubre fino a loro. «Forse è anche per questo che sono diventato così attaccato ai ragazzi e a Molly. Per anni me ne sono dovuto occupare praticamente da solo, perciò… ormai è una seconda natura, benché poco convenzionale.»

Lucretia annuì e abbassò a propria volta lo sguardo sul bicchiere. Avrebbe voluto bere, ma il nodo che sentiva in gola non glielo avrebbe mai permesso. Quei bambini così in gamba, così speciali e così malvisti da gentaglia come Berenice Burke, per cui un uomo come Ignatius si prodigava con tutta l’anima… avevano perso la madre già da viva, per un amorevole ma fuorviato tentativo di proteggerli dal lutto. Mai avrebbe immaginato che in quella bella casa si fosse vissuto così tanto dolore, per così tanto tempo.

«Mi dispiace,» ripeté, incapace di pensare a qualcos’altro da dire. «Non… non vi meritavate una cosa del genere.»

Il mago fece spallucce. Aveva chinato la testa in avanti e diverse ciocche ribelli gli ricadevano sul viso, nascondendolo in parte; Lucretia dovette ricorrere a tutta la propria educazione per non spostargliele indietro. 

«Non i miei figli, no. Loro avrebbero meritato decisamente di meglio. Per quanto riguarda me, invece… forse un po’ sì.»

«Perché dice questo?»

«Perché… non sono esattamente un brav’uomo, signorina Black. Ho lasciato che mia moglie abbandonasse i nostri figli invece di convincerla che fosse sbagliato, insistere affinché non li privasse degli ultimi anni con lei… e quando è morta, beh… ho provato del sollievo, perché finalmente era finita. Farei di tutto per riportarla in vita e ridarla ai ragazzi, eppure… eppure non mi manca, capisce?» Deglutì. «Che razza di persona è quella che non sente la mancanza della propria moglie?»

«Una persona normale.»

Ignatius girò il capo e la guardò sbattendo le palpebre. «Prima ha detto che quando Euterpe è morta, ha perso la sua migliore amica,» continuò Lucretia. «È diverso dal dire che non le importa. Ed è ovvio che il non vederla più soffrire le dia conforto. Quanto al resto… io credo che ciò di cui non sente la mancanza sia il vostro matrimonio: le dispiace aver perso sua moglie e la madre dei suoi figli, ma non le dispiace non essere più sposato. È del tutto comprensibile, date le circostanze.»

Trattenne un sorriso nel vedere l’espressione stupefatta di lui. Forse non aveva mai osservato la situazione da quella prospettiva, o forse nessuno gli aveva mai mostrato quel punto di vista; di certo non si confidava tanto spesso su quella parte della propria vita, se l’evidente sforzo che gli era costato quella semplice confessione significava qualcosa. 

Lasciò che la realizzazione si sedimentasse dentro di lui e ne approfittò per assaggiare un sorso di whisky. «Mi è parso di capire che Fabian e Gideon siano in procinto di iniziare Hogwarts,» disse poi, col tono che usava Madre per cambiare argomento senza ammettere discussioni. «Hanno già ricevuto la lettera, o l’attendete per il prossimo anno?»

Prewett reagì proprio come gli interlocutori di Melania Black quando venivano spiazzati dalle sue brusche deviazioni: aprì la bocca per parlare e la richiuse subito, quasi stesse rimuginando se insistere con il discorso precedente o lasciar perdere e passare al successivo; infine, scosse la testa. 

«Non è arrivata, ma dovrebbe mancare poco,» rispose in un soffio.

Continuarono a discorrere per un’altra ora abbondante, passando di argomento in argomento — l’entusiasmo dei gemelli per l’inizio della scuola, le rispettive esperienze giovanili, il recente matrimonio del fratello di Lucretia, la vita che l’attendeva una volta tornata a Londra; col passare dei minuti la fronte di Ignatius tornò serena, la sua ironia affilata, e quando la povera Lucretia lasciò inavvertitamente andare uno sbadiglio nel bel mezzo di una frase lui l’accolse con una vera e propria risata.

«Credo che abbiamo finalmente sconfitto la sua insonnia, signorina Black. Mi permetta di accompagnarla.»

Si alzò in piedi e armeggiò con la porta di casa per controllare che fosse ben chiusa. Lucretia avrebbe voluto rifiutare, perché sarebbe volentieri rimasta su quella veranda all’infinito anche a costo di rinunciare per sempre al sonno, ma un altro sbadiglio troncò la sua protesta e la costrinse ad alzarsi a sua volta e aggrapparsi al braccio che Prewett le offriva; il tempo di una Smaterializzazione e si trovavano nella proprietà dei Longbottom, a una ventina di metri dalla casa.

«Grazie infinite.» Lucretia si affrettò a staccarsi dal braccio un po’ troppo scoperto e si strinse le mani in grembo. «È stato molto gentile da parte sua.»

Il mago scosse il capo. «Sono io che devo ringraziarla, signorina Black. Non ho…» Tossicchiò. «Non ho mai modo di… conversare con qualcuno su certi argomenti. Grazie per avermene dato l’opportunità.»

Per l’ennesima volta da che si trovava in sua compagnia, Lucretia si sentì avvampare ferocemente. Avrebbe voluto dirgli che no, era lei a doverlo ringraziare, per averla ascoltata e capita senza giudicarla e per averle dimostrato fiducia come nessuno mai aveva fatto prima; invece rimase in silenzio a osservare quell’uomo gentile che conosceva da così poco e verso il quale, purtuttavia, si sentiva come se fossero stati amici da una vita. Assorbì il più possibile di quegli occhi così verdi e così buoni, di quella criniera che appariva ancora più indomabile alla luce della luna, di quel sorriso che celava una sofferenza insospettabile, e quando capì che non se ne sarebbe mai saziata si schiarì la gola e guardò la casa.

«Meglio che vada,» mormorò. «Alla prossima volta, signor Prewett. Porga i miei saluti ai suoi figli.»

E rivoltogli un ultimo cenno del capo, si avviò a passo lento in direzione di casa Longbottom. Adesso era certa che non sarebbe mai riuscita ad addormentarsi, non con quel groviglio inestricabile che le avvolgeva il cuore e lo stomaco e le rendeva difficile persino respirare. Di lì a qualche ora avrebbe abbandonato il Galles, per tornare alla solita esistenza londinese, e si sarebbe lasciata alle spalle l’unico uomo che fosse mai riuscito a stravolgere le sue convinzioni e vincere le sue resistenze — l’unico che l’avesse mai fatta sentire accettata, compresa, giusta. L’unico uomo con cui si era mai permessa di immaginare un futuro insieme. 

Se soltanto lui l’avesse voluto.

«Lucretia.»

Sulle prime non si fermò. Era così estraneo il suo nome pronunciato da quella voce, e tutta la sua mente era assorta nel rivivere l’ora trascorsa insieme a Ignatius Prewett, nel tentativo di trattenerne i ricordi il più intatti possibile per poterli rievocare quando si sarebbe sentita troppo sola. Al secondo richiamo, un po’ più forte, finalmente si voltò.

Per Salazar. Era davvero strano vedere quell’espressione timida su quel leone nella pelle di un gatto, eppure in quel momento Ignatius sembrava più bello che mai.

«Lucretia…» Inspirò a fondo. «Ho il permesso di scriverti?»

 

 

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