Beat

di Rosette_Carillon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The call ***
Capitolo 2: *** Ne me quitte pas ***
Capitolo 3: *** Heart out ***
Capitolo 4: *** Helpless ***
Capitolo 5: *** Winter wonderland ***
Capitolo 6: *** Deck the halls ***
Capitolo 7: *** White Christmas ***
Capitolo 8: *** Echoes in the rain ***
Capitolo 9: *** Satisfied ***
Capitolo 10: *** I know the sound (of your heart) ***
Capitolo 11: *** Vite passate e future ***
Capitolo 12: *** A whole new world ***



Capitolo 1
*** The call ***



NOTE.
Allora…ho alcune cose da dire su questa ff.
È ambientata dopo ‘Spiderman: no way home’, ma fa parte di una serie what if? ( Black and white photos ), cross-over con ‘Knives out’, quindi non può essere letta da sola. O meglio, può essere letta, ma alcuni fatti risulterebbero strani XDXD.
Nel mio headcanon gli Avengers ci sono ancora, ma si sono dimenticati di Peter dopo l’incantesimo di Strange.
Questa ff comincia poco dopo un anno dalla fine del film, nel mese di novembre.
Gli Avengers hanno recuperato la memoria, ma di ciò non spiego il perché. È un buco di trama, lo so ^^; , ma questa ff è nata principalmente perché questo periodo è stato ( e lo è ancora, anche se meno ) particolarmente stressante, e avevo bisogno di qualcosa di…cozy e hurt/comfort.
Doveva essere una one-shot, invece poi la storia ha iniziato ad allungarsi e ho deciso di dividerla in capitoli.
Il titolo del primo capitolo è il titolo di una canzone di una cantante russa: Regina Spektor. Il titolo della ff è un richiamo a un’altra sua canzone: ‘Beat’.
Grazie mille a chiunque leggerà :). Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate.
 

 



 
                                                                     Capitolo 1
                                                   The call
                                                                
 
 
 
 
 
 
 
 
 





Hanno recuperato i loro ricordi lentamente.
Prima frammenti quasi senza significato, brevi scene abbastanza lunghe da turbare, e rimanere impresse nella mente per tutta la giornata, ossessivamente.
Ne hanno parlato fra di loro, incerti, e poi, finalmente, hanno ricordato tutto.
Non sanno ancora come sia successo, né perché.
Nemmeno Stephen è stato in grado di aiutarli, ma infondo, non che non vogliano sapere, ma dopo tutto quello che è successo…bè, il come passa decisamente in secondo piano.
Ci sarà tempo per capire, ora l’importante è che, per gli Avengers, Spiderman non è più solo uno sconosciuto rosso e blu che lancia ragnatele da un palazzo all’altro di New York.
Peter all’inizio è felice.
La prima volta che sente la voce di Tony chiamare il suo nome, il suo vero nome, all’inizio lo ignora.
Sono al porto, e hanno fatto un bel casino. Quando il sole sorgerà nuovamente su New York, ci sarà molto da ripulire, ma ora possono godersi la vittoria contro il nemico.
Indossa ancora la tuta, una semplice, fatta da lui, non quella super tecnologica che gli era stata fatta da Tony.
L’uomo lo chiama nuovamente, urla il suo nome nella notte, e quella volta Peter sa che sta chiamando lui, eppure non vuole crederci.
Non è possibile.
Lui è Spiderman, solo l’amichevole Spiderman di quartiere.
Poi capisce: il signor Stark ha accesso a una banca data immensa, non deve essere stato difficile per lui scoprire il suo vero nome.
È triste.
Per un attimo aveva quasi sperato che…ma non importa, infondo è meglio così.
Bè…l’unica cosa che può fare, è sperare che il miliardario sia abbastanza lungimirante da tenere la bocca chiusa col resto del mondo.
Iron Man si libera della sua armatura, gli viene incontro, e Peter lo guarda incerto: non capisce, cosa sta succedendo?
Captain America e Scarlett Witch guardano la scena in disparte.
L’uomo lo abbraccia << Peter, >> mormora << Peter Parker…io- non so cosa sia successo… non mi ricordavo più di te…io- mi dispiace Peter. >>
Gli manca l’aria, si deve togliere la maschera. Gli tremano le mani, e le orecchie fischiano.
Non capisce. Che succede? Non capisce.
<< Ragazzo? >> Tony si allontana, lo tiene per le spalle guardandolo con preoccupazione. << Peter, calmati, cosa-? Ehi, >> lo aiuta a inginocchiarsi a terra << respira, piano, va tutto bene, è tutto finito. >>
 
                                                                              §
 
 
I primi tempi, sembra che vada tutto bene. O quasi.
Peter continua a vivere da solo nel suo monolocale. Tony gli ha proposto di trasferirsi alla New Avengers Facility, ma lui ha rifiutato. Tony ci ha riprovato, ma lui ha rifiutato nuovamente.
Ha rifiutato anche di andare all’MIT.
<< Dovresti lasciar perdere Stark, >> comincia il Capitano, posandogli una mano sulla spalla.
<< Ma certo! Lasciargli buttare via così il suo futuro è sicuramente- ! >>
<< Non intendevo quello. È stato un periodo difficile, forse non è pronto ad andare avanti. Dagli un po' di tempo. So che sei preoccupato per lui, ma credo che forzarlo non porterà nulla di buono. >>
Tony sospira, fa per dire qualcosa, ma alla fine decide di tacere.
Si siede al tavolo, si passa una mano sul volto << non voglio che resti solo, >> dice poi. << Lui magari crede di farcela, di- ma non- non è così- >> sospira << non voglio che resti solo. >> Un ‘come sono rimasto solo io’ resta sospeso nell’aria, non gli viene data voce, eppure è chiaro.
<< Forse Happy potrebbe parlargli ? >> propone Sam
<< Ha avuto una relazione con sua zia. >>
<< Potrebbe fare bene a entrambi. >>
<< Peter si sente in colpa per la morte della zia, probabilmente si sentirebbe a disagio davanti a Happy, >> sospira Tony.
<< Non ha degli amici? >> prova ancora Sam.
<< Non sappiamo se si ricordino di lui, né se lui voglia vederli. >>
La risposta a quella domanda arriva pochi giorni dopo, quando il nuovo anno è iniziato da poco, e la neve imbianca una New York che ancora festeggia.
Si era stupidamente illuso che, una volta che tutti avrebbero dimenticato la sua identità, una volta che sarebbe scomparso dalla vita di chiunque lo aveva conosciuto, sarebbe andato tutto bene.
Si era immaginato una New York tranquilla, per quanto tranquilla poteva essere, anche in situazioni normali, si era immaginato una New York in cui la criminalità organizzata sarebbe stato il problema peggiore.
Insomma, qualcosa che un amichevole Spiderman di quartiere poteva gestire tranquillamente.
Si era sbagliato, ovviamente.
Oh, quanto si era sbagliato.
Certo, in quegli ultimi mesi aveva dovuto affrontare nemici ben più problematici, e poi c’era ancora la questione aperta del dottor Morbius, che non era ancora chiaro se fosse un amico o un nemico. Lui però la lezione l’aveva imparata, ormai: era meglio considerare tutti dei nemici.
Peter si guarda attorno.
Testa di Martello ha fatto un bel casino, ma ora è finita.
A qualche metro di distanza, Occhio di Falco e Vedova Nera si stanno occupando dei feriti.
Barton si inginocchia davanti a una bambina terrorizzata, attira la sua attenzione, per poi segnare qualcosa. Peter non conosce il significato di quei segni: forse vogliono dire ‘va tutto bene’ o ‘stai tranquilla’. L’importante, però, è che la bambina sembra essersi calmata.
Osserva quella scena quasi intenerito, poi il suo senso di ragno lo avvisa che qualcosa sta per capitare.
Nel breve momento di silenzio che segue la fine dello scontro, è lo stridore metallico di una scala antiincendio che precipita a squarciare l’aria, e le urla della gente.
C’è una persona lì sopra, e Peter salta subito nella sua direzione, ancora prima di rendersi conto di chi sia.
Sa solo che è una possibile vittima.
Una donna che rischia di cadere da un quarto piano.
È -
La porta a terra, al sicuro, mentre la scala crolla dietro di loro.
<< Peter? >>
È lei.
Fra tutte le persone che poteva salvare- lo schiaffo lo colpisce in pieno, stordendolo e riscuotendolo dal torpore.
Se l’è meritato.
Se l’è meritato.
<< Verrò a cercati, >> lo scimmiotta MJ << aspettami, >> continua infuriata << sai una cosa, Parker? >> sibila puntandogli il dito contro.
<< Devi starmi lontano, >> la interrompe lui.
<< Che cosa? >>
<< Devi- >> non doveva andare così. Non doveva assolutamente andare in quel modo. << È pericolo stare qui, devi andare via, >> fa qualche passo indietro. << E questo…Parker… non so chi sia. >>
<< Razza di- non osare sparire un’altra volta. >> Lo afferra per un braccio, trattenendolo, e Peter vorrebbe tanto togliersi la maschera e abbracciarla, baciarla, ma sa che non può, quindi la allontana con uno strattone.
Lei barcolla all’indietro, stupita, lui mormora delle scuse, e corre via, scappa allontanandosi sui tetti della città senza guardarsi alle spalle.
Si rifugia nel suo appartamento, chiudendo fuori il mondo. Si spoglia con rabbia, mentre lacrime di frustrazione gli rigano il volto.
Una parte di lui spera che MJ lo cerchi, e lo trovi, ma un’altra parte spera che si arrenda e lo dimentichi.
Per tutti quei mesi non ha desiderato che qualcuno si ricordasse nuovamente di lui, e ora che sta succedendo ha paura.
A quel pensiero, mentre si infila sotto il getto d’acqua nella doccia, gli viene quasi da ridere.
MJ che si arrende, andiamo! Quando mai è successo? Chiude gli occhi quasi rincuorato, godendosi il tempo dell’acqua, e si perde a immaginare cosa potrebbe succedere se lei davvero lo trovasse, se lei lo amasse ancora, se stessero nuovamente assieme.
Riapre gli occhi, l’immagine del cadavere di May, appena morta, fissa nella sua mente.
Sa cosa succederebbe, lo sa fin troppo bene, e non può permetterlo.
Da grandi poteri, derivano grandi responsabilità.
Nessuno però gli aveva spiegato come gestirle quelle responsabilità, e lui, palesemente, non ne era in grado.
 
                                                                                  §
 
 
<< Arrivo! >> urla, cercando di controllare la voce. Afferra i pantaloni e la prima giacca che gli capitano a tira, indossa tutto più in fretta che può, mentre alla porta bussano ancora.
<< Eccomi! >> afferra i soldi che aveva lasciato sul comodino: il proprietario non si offenderà di certo anche se non glieli mette in una busta.
Apre la porta << ecco i- MJ… >>
<< Allora ti ricordi, brutto- >> sibila lei, spingendolo dentro l’appartamento e chiudendosi la porta alle spalle.
<< No, ecco, io- >> gli gira la testa, ed è stanco. Non sa che scusa inventarsi, non ha nemmeno voglia di pensare a qualcosa. << Io- >> indietreggia e si porta una mano al fianco ferito. Inspira ed espira lentamente, cercando di ignorare il dolore.
<< Sei ferito. >> La sua è una constatazione, ma suona quasi come una domanda, domanda a cui Peter dà una risposta negativa: sta bene, va tutto bene. Ora può andarsene.
MJ non è d’accordo. Gli toglie la giacca, quasi gliela strappa, ignorando il suo gemito di dolore, e lo costringe a sdraiarsi sul letto per poi correre ad accendere la lampada poggiata sulla scrivania.
<< Resta fermo. No, fermo. Fermo. >>
Peter geme e, alla fine, si abbandona sul letto.
<< Fammi vedere, >> intima e, senza aspettare una risposta, gli toglie la parte superiore della tuta.
<< Ehi! >>
<< Cosa? Non lamentarti! Non osare lamentarti. Non hai alcun diritto di- >> la sua furia si placa alla vista del sangue << oh, mio dio… credo che serva un medico. Serve- serve un medico. Chiamo Strange. >>
<< Cosa? No. N-no, >> si interrompe gemendo di dolore << e come vorresti chiamarlo? Hai il suo numero, per caso? >>
<< ‘Sta zitto Peter, >> si alza e va in bagno per poi tornare con degli asciugamani. << Hai una cassetta del pronto soccorso? Acqua ossigenata? Un disinfettante qualsiasi? >>
<< È tutto in bagno. Vicino alla doccia. >>
MJ torna poco dopo con una cassetta bianca fra le mani, la apre e guarda dentro alla ricerca del necessario << come regalo di Natale, ti compro un’altra cassetta del pronto soccorso, >> commenta poi, sedendosi sull’unica sedia del piccolo appartamento.
Prende il disinfettante, e con quello bagna uno degli asciugamani.
La ferita è lunga, e c’è davvero tanto sangue ma, una volta pulita un po', inizia a somiglia a un graffio. Certo, si tratta sempre di un brutto, lungo e sicuramente molto doloroso graffio, ma forse non servono punti come aveva temuto all’inizio.
Tuttavia è ancora convinta che sia davvero il caso di chiamare Strange.
<< MJ devi andartene, >> tenta di convincerla Peter, mentre lei scuote la testa con decisione, senza nemmeno guardarlo in faccia, << per favore, devi- >>
Un violento bussare alla porta li interrompe.
<< L’affitto! >> urla una voce dal pianerottolo.
<< No, >> lo ferma lei, << non alzarti, vado io. >>
Altri colpi alla porta << l’affitto. >>
MJ prende i soldi che Peter aveva lasciato sul tavolo, e apre la porta proprio mentre il proprietario è sul punto di bussare nuovamente. L’uomo resta sorpreso nel trovarsela davanti, ma lei non perde tempo: gli mette i soldi in mano e richiude la porta prima che lui possa dire qualsiasi cosa.
<< MJ, dovresti- >>
<< Ti ho detto che devi stare zitto, o sbaglio? >>
Adesso che la situazione è sotto controllo, la rabbia sta tornando, e questa volta si è mischiata a tutte le emozioni che l’hanno assalita in quei giorni, dopo essersi ricordata di Peter e averlo rivisto, e alla paura appena provata in un cocktail esplosivo.
<< Mi dispiace, >> mormora lui, mentre lei continua a disinfettargli le ferite.
<< Potresti almeno andare ad abitare con gli altri Avengers, non in questo squallido monolocale. Sembra di essere nella Russia sovietica. La prossima volta il padrone di casa ti butterà giù la porta urlando ‘affietto’* >> termina cercando di imitare un accento russo, e Peter non può fare a meno di sorridere.
MJ gli è mancata infinitamente.
<< È tardi, >>
<< Non provarci. Sei ferito e senza supervisione. Io resto qui. >>
<< MJ… >>
<< No, >> si siede sulla sedia senza nemmeno guardarlo, e prende il telefono dalla tasca << dico a Strage che sei ferito. >>
<< Cosa? Hai davvero il suo numero? >>
<< Come credi che sia riuscita a trovarti? >>
Il giorno prima, uscendo da lavoro, si era trovata davanti Stephene Strage.
<< Signorina Watson- >>
<< È un pessimo inizio, questo, lo sa? >>
<< Michelle? >>
<< MJ va bene. >>
<< Gli Avengers sono preoccupati per te, Peter. >>
<< Non era necessario che mandassero te a farmi da balia. Sto bene. >>
<< No, >> sospira lei << non stai bene,  e va bene così. Cerca di dormire un po', domani fai i bagagli e ti trasferisci. >>
 
 
 
 
 
 



 
ALTRE NOTE.
*questa frase è ispirata a una che ho sentito su YouTube, nel video ’SPIDER-MAN NO WAY HOME SPIEGATO – ANALISI DELLA STORIA, BUCHI DI TRAMA, SCENE POST CREDITS’ di Caleel.

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Capitolo 2
*** Ne me quitte pas ***


                                               

                                             Capitolo 2                                                 
Ne me quitte pas*
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





 
Peter non si trasferisce il giorno dopo, né quello dopo ancora. Né la settimana successiva.
Michelle è testarda, e lo sono anche gli Avengers, ma lui non cede.
<< Ehi, >> le chiede Peter un giorno, mentre camminano per le strade della città << non hai…che so, delle lezioni da seguire? >> voleva essere solo una domanda innocente, ma MJ abbassa la testa a disagio.
Ha deciso che, sia che lui sia d’accordo o meno, lei farà nuovamente parte della sua vita. Si presenta spesso a bussare alla porta del suo monolocale, o lo aspetta giù, fuori dall’ingresso del palazzo.
Gli tiene compagnia mentre lui sistema qualche strappo nella tuta di Spiderman, gli porta del caffè ancora caldo, qualche volta lo accompagna a fare la spesa, solo per aver una scusa per parlare e stare assieme, e assicurarsi che non muoia di fame. Spesso si ritrova anche a doverlo medicare dopo una missione finita non troppo bene.
<< Non-non ti avevano presa all’MIT? >>
<< Ho rinunciato, >> dice lei, stringendosi nelle spalle, come se fosse una cosa di scarsa importanza. Peter, colto di sorpresa, rallenta fino quasi a fermarsi, mentre lei continua a camminare noncurante.
<< Ma- ! >>
<< Ho avuto- >> lo ferma lei, prima che possa aggiungere qualcosa << casini, a casa e- ho deciso di rinunciare. Tu, piuttosto? Perché non tenti di nuovo? Stark ti darebbe una mano, ne sono certa. >>
Lui scuote la testa << no. >>
Sono arrivati davanti al market dove Peter deve fare spesa. Entrano e lui prende un cestino.
È stupito. Totalmente stupido e smielato, e irrealizzabile, eppure, per quanto se ne vergogni, non riesce a non pensare che lui e MJ sembrino quasi una coppietta che va a fare la spesa.
Scuote la testa per scacciare quel pensiero e prende la lista della spesa dallo zaino.
Dicembre è iniziato da poco, e le strade sono già bianche, coperte dalla neve caduta il giorno prima.
Non sa perché, ma gli viene in mente che sarebbe bello essere a Parigi sotto la neve.
Essere in una situazione romantica, nella città dell’amore per eccellenza, con la persona di cui è innamorato.
Sarebbe davvero bello, pensa, mentre MJ si volta a guardarlo accorgendosi che lui non la sta seguendo.
<< Che fai? Vieni o no? >>
<< Oh, s-sì, certo. >>
Bè, l’occasione di fare qualcosa a Parigi, qualsiasi cosa, se l’è giocata tempo fa.
Sognare però non costa nulla. Certo, dover convivere con la realtà dei fatti dopo un viaggio mentale oltreoceano non è facile, ma può accontentarsi.
Vorrebbe tanto poter tornare indietro nel tempo.
A quando May era viva, a quando è stato in Europa.
Ancora prima, a quando era appena diventato Spiderman.
Più indietro, a quando lo zio Ben era vivo, e May era felice, davvero felice. Perché lui sapeva, aveva sempre saputo che la donna non era mai riuscita a dimenticare il marito, che la situazione non andava bene come lei aveva sempre cercato di fargli credere.
L’aveva sentita piangere la notte, quando credeva che lui dormisse, e ogni mattina la trovava allegra e sorridente ai fornelli a preparare la colazione.
E per tanto tempo aveva pensato che, se avesse avuto i poteri quando suo zio era stato aggredito, allora, forse l’uomo sarebbe ancora vivo.**
Qualche volta riesce a tornare ancora più indietro, a quando viveva ancora con i suoi genitori.
<< -er? Peter? >>
<< Eh? Oh, scusa- scusa, non ti ho sentita, >> mormora. << Puoi ripetere? >> chiede incassando la testa fra le spalle.
MJ sbuffa << le offerte, Peter, le offerte. Guarda quali prodotti sono in offerta anzi che buttare tutto nel cestino. >>
<< Mh, >> annuisce << okay. Va bene >> Non può certo permettersi di sprecare soldi.
 
                                                                               §
 
 
<< Sei preoccupato per il ragnetto? >>
Steve annuisce pensieroso, e si siede sul letto.
Bucky chiude il libro che ha fra le mani, dopo aver messo un segnalibro fra le pagine, e lo mette sul comodino.
<< Possiamo chiedere a Nat di parlargli. Sai, da ragno a ragno. >>
Steve sorride e scuote la testa.
<< Se MJ riesce a convincerlo a trasferirsi qui, alla New Avengers Facility, >> riprende Bucky, più serio, << forse Marta può aiutarlo a…non lo so. Riflettere?  >> tenta. << Non lo so… lei non è una psicologa, ma mi ha aiutato tanto. >>
<< Mh. Potrebbe essere un’idea. >>
<< Non mi sembri convinto. >>
Steve si passa una mano sul volto, pensieroso: forse Peter avrebbe bisogno di un aiuto un po' più professionale.
<< Vero, >> inizia Bucky << ma, sai, stiamo comunque parlando di un ragazzino smarrito, che è rimasto solo e sta disperatamente cercando di trovare il suo posto nel mondo. Non credo che un aiuto professionale potrà mai farlo sentire- importante, o amato. >>
Parla per esperienza, lui. Li ricorda ancora gli incontri con la sua terapista. Utili, certo, ma non era stato quello a restituirgli la voglia di vivere.
<< Stark ha provato a parlargli? >> chiede poi, gli era sembrato molto affezionato al ragazzo.
<< Sì, ma lui tiene chiunque a distanza. È testardo. >>
<< Mi ricorda qualcuno… >>
<< Oh, andiamo: non ero così. >>
<< No, certo: tu all’epoca non li avevi i superpoteri. Ma l’abilità di crearti problemi…quella ce l’avete entrambi, e mi sembra ben sviluppata. >>
Steve fa roteare gli occhi fingendosi esasperato dalla preoccupazione di Bucky.
Certo, ci sono momenti in cui vorrebbe davvero che l’altro uomo la smettesse di preoccuparsi tanto per lui, ma ormai, dopo tutti quegli anni, ci ha fatto l’abitudine. E se n’è fatto una ragione: la preoccupazione è uno di modi che Bucky ha per mostrargli amore. << Quando torna Marta dalle ferie? >> chiede poi.
<< Domani. >>
<< Domani? >>
L’uomo annuisce << ha preso solo quattro giorni per rivedere la sua famiglia, e un amico. >>
      
                                                                              §
 
 
<< La vedo allegra, Marta, >> sorride l’uomo, guardandola aggiungere dello zucchero nel suo caffè, prima di mescolarlo con un movimento ritmico.
La donna solleva la testa, le labbra distese in un largo sorriso << dopo tutti questi anni, potremmo anche darci del ‘tu’. >>
Benoit sorride prendo la sua ciambella alla vaniglia << bè, in effetti potrei essere tuo padre. >>
Il sorriso allegro della donna non si spegne mentre lei si china sul tavolo, poggiando i gomiti sul legno, come se volesse rivelargli un segreto << no, >> scuote la testa << tu non mi hai abbandonata quando ero in difficoltà. >>***
La crema della ciambella gli va di traverso, e Benoit allunga una mano verso il suo caffè per aiutarsi a ingoiare, mentre la donna lo osserva preoccupata, pronta a intervenire.
<< Mi- mi dispiace, >> comincia lui.
<< No, va tutto bene. Non importa. Non più…è passato tanto tempo, ormai me ne sono fatta una ragione, >> si stringe nelle spalle lei, prendendo il suo caffè con entrambe le mani e portandoselo alle labbra.
L’uomo la guarda attentamente, incerto, ma decide di non indagare oltre.
<< Sei così contenta all’idea di tornare al lavoro, >> la prende in giro, ma lei annuisce.
Certo, è lontana da casa, e il suo non è un lavoro facile, ma è felice.
Non è quello che aveva immaginato, aveva scelto di fare l’infermiera, ma non aveva mai pensato di lavorare in un ospedale, o peggio ancora, per gli Avengers. Le emergenze non erano per lei, lei non era fatta per stare in mezzo all’azione, ma le era sempre andato bene così.
No, non era vero. Per anni si era sentita una stupida a cercare ogni volta la tranquillità, ma ci aveva lavorato su, ed era riuscita a fare pace con sé stessa.
Era felice del suo lavoro.
<< Rimetti insieme i pezzi degli eroi che salvano il mondo, potresti anche essere un po' più orgogliosa di te stessa, >> mormora Benoit, attento a non farsi sentire dalle altre persone che sono nella caffetteria.
Lei ridacchia << preferisco stare dietro le quinte, invisibile ma utile. >>
L’uomo annuisce comprensivo. Il suo è un desiderio più che legittimo, le dice poi.
Fuori ha smesso di nevicare, Marta si sofferma a guardare il viale alberato fuori dalla caffetteria, i passanti che attraversano la strada.
C’è aria di Natale: le piace.
<< Preoccupata? >>
<< Cosa? >>
<< Sei preoccupata per qualcosa, vero? >> ripete l’uomo.
La donna ci pensa un momento,  poi si sporge sul tavolo e abbassa la voce << si tratta di Spiderman. >>
Benoit Blanc appartiene a quel gruppo di persone – che, apparentemente, comprende tutto il mondo tranne lei, gli Avengers e forse altre due o tre persone – che non ricorda la vera identità dell’eroe mascherato, e Marta non sa se sia il caso di rivelargliela.
<< È diventato malvagio? >>
<< No! È adorabile, davvero adorabile. >>
<< Ma? >>
<< Testardo. Sta prendendo tutta questa storia della salvezza del mondo troppo sul serio. >>
L’uomo la guarda interdetto.
Lei sbuffa << voglio dire… non serve a nessuno un eroe morto perché non è in grado di occuparsi di sé. >>
<< Stiamo parlando di Spiderman, o di un liceale? >> scherza Benoit, per poi guardare la donna in attesa di una sua risata. << Aspetta- Spiderman- ?>>
<< Zitto, zitto: non dire nulla. È una situazione complicata. >>
<< Si tratta di un minore. >>
<< Lo so, >> sospira. E si tratta di un minore che è rimasto completamente solo al mondo, ma continua comunque a rifiutare di farsi aiutare. << Sono preoccupata per lui, vorrei aiutarlo, ma non so come. >>
<< Contattando una psicologa infantile? O una persona specializzata in entomologia… >>
<< Il ragno non è un insetto, detective Blanc, dovrebbe saperlo, >> lo sgrida Marta, rivolgendogli il suo miglior sguardo di disappunto.
<< Bè, io non sono esperto né di animali, qualsiasi essi siano, né di liceali. >>
            
It doesn't show signs of stopping
And I brought some corn for popping
 
I due tacciono, e il loro silenzio viene riempito dal vociare di sottofondo della clientela, e dalla musica che si diffonde nella sala.
Marta socchiude gli occhi. Ha sempre amato quella canzone, la trova rilassante, le evoca immagini calde e confortanti.
 
The lights are turned down low
Let it snow, let it snow, let it snow
 
 
 
 
 
 




 
 
NOTE.
 
*Il titolo del capitolo è ispirato a una canzone di Regina Spektor.
 
**Non ricordo se nei film con Tom Holland venga spiegato come sia morto lo zio Ben, quindi sto dando per scontato che sia stato aggredito per strada, come negli altri due.
 
***Mio headcanon.                                                                                              

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Capitolo 3
*** Heart out ***


                               
      
                                            Capitolo 3
                                     Heart out*
 
 
 
 
 
 
 
 







Si sveglia di soprassalto e cerca di mettersi a sedere, ma qualcosa va storto, e si ritrova per terra.
MJ gli è subito accanto.
<< Ehi, ehi, che succede? Ehi, >> gli prende il volto fra le mani per farsi guardare.
Peter si guarda attorno, stordito, cercando di mettere a fuoco il mondo attorno a sé. Ansima, agitato, poi incontra lo sguardo di MJ e focalizzarsi sul suo volto. Stringe le labbra chinando la testa, mentre le lacrime gli rigano il volto. << May, >> pigola con voce rotta. << May- >>
Un altro incubo.
<< Ssh, >> gli asciuga le guance con dita. Vorrebbe dirgli di stare tranquillo, che va tutto bene, ma non è vero, e lo sanno entrambi. Vorrebbe poter fare qualcosa, ma non sa nemmeno da che parte iniziare.
Peter si raggomitola contro il letto, e lei lo avvolge con una coperta per non fargli prendere freddo.
<< Oggi non è il tuo giorno libero? Davvero vuoi passarlo con me? >>
Lei lo ignora.
Da quanto l’ha rincontrato, ha deciso che non permettere più a Peter di allontanarla, nonostante lui non si sia mostrato entusiasta della cosa. Eppure non l’ha mai cacciata via, nonostante lei arrivi sempre senza essere stata invitata e resti finché vuole.
Certo, le dice spesso di andarsene, di lasciarlo solo, ma poi non può fare a meno di sentirsi felice quando la vede, di sentire il cuore battere rapido, come un uccellino rimasto troppo tempo in gabbia che ora intravede la libertà.
E ogni volta lascia che lei si occupi delle sue ferite.
<< Come va la spalla? >>
<< Meglio. >>
Lei annuisce, poi fra i due cala il silenzio.
È sempre così. Stanno a lungo in silenzio, a disagio, eppure vorrebbero tanto parlarsi. Hanno tanto da dirsi, ma non sanno da dove iniziare, non trovano le parole per farlo.
<< Cosa guardavi?’ >> chiede poi Peter, accennando al pc rimasto aperto sul tavolo, il video in pausa.
<< Eh? Oh, io- >> MJ si schiarisce la gola << un video. >>
<< Un video, >> ripete lui. Bè, quello era piuttosto ovvio, ma se lei non vuole aggiungere altro, va bene.
<< Su-su New Orleans. >>
<< Un video su New Orleans. >> Peter annuisce. Bè, lui ci ha provato a fare conversazione.
<< Sulle sepolture a New Orleans, >> continua MJ, dopo una pausa << le cripte a forno e- >> si interrompe << è un canale interessante, spiega tante cose su- >> la morte. No, argomento sbagliato. Argomento sbagliatissimo da affrontare con Peter. << Vari-vari argomenti. >>**
Fuori è buio, il sole è tramontato da poco, ma la città non rallenta il suo ritmo. Sono solo le cinque del pomeriggio, dopotutto.
<< MJ? >> la chiama Peter.
<< Mh? >>
<< …nulla. Eh- >> scuote la testa << nulla. >>
Lei si guarda attorno. Quel monolocale è davvero piccolo, e piuttosto incasinato.
Non è da Peter.
Non tutto quel casino, almeno.
Bè, non che lei si entrata così tante volte nella sua stanza da essere un’esperta…
<< Sei sicuro di voler restare solo? >>
<< Sto bene così. >>
<< A me non sembra. >>
<< M- >>
<< No. Guardati, >> quasi lo accusa << sei sempre ferito. >>
<< Succedeva anche prima, >> le fa notare lui, con voce stanca.
<< Non così. Ti ho visto, ricordi? Anche quando non sapevo con certezza che Spiderman fossi tu, ti vedevo quando venivi a scuola con un livido nuovo, un taglio in più. Cosa stai facendo, Peter? Così ti farai ammazzare. >>
La voce di MJ suona disperata, e Peter si sente in colpa.
Ignorando le sue ossa doloranti, si solleva e si mette seduto sul letto. A disagio, frustrato, si passa le mani fra i capelli scompigliandoseli energicamente.
<< MJ… MJ, io- >>
<< Sh! >> si alza anche lei, e gli preme una mano sulla bocca << sh, non dire nulla, >> lo ferma con voce stanca. Sospira, poi allontana la mano.
Incerta, gli sfiora le labbra screpolate e graffiate. In piedi fra le sue gambe divaricate, allunga le mani verso il suo volto.
Si guardano in silenzio, perché non c’è nulla da dire, e quello sguardo ha tutta l’intensità, e il peso, di quelle parole a cui non riescono a dare voce.
Peter cede per primo, e si abbandona contro il corpo della ragazza. Gli occhi socchiusi.
MJ ispira con violenza a causa di quel contatto inatteso, ma non si sposta. Resta ferma in attesa di vedere cosa farà Peter, ma lui resta fermo.
Espira lentamente, e posa le mani contro il collo del ragazzo, sfiora piano la pelle calda. Lui inspira, e freme a quel contatto.
Le mani di MJ si fanno più sicure, e scendono a massaggiargli gentilmente le spalle.
È rilassante, confortante. Sente dei piacevoli brividi percorrergli il corpo, e la tensione abbandonare i muscoli.
Le mani affondano fra i suoi capelli, e lui non riesce a trattenere un sospiro di apprezzamento.
Lascia andare la coperta e apre gli occhi realizzando quanto, in tutti quei lunghi mesi, gli fosse mancato il contatto fisico, e stringe impulsivamente la ragazza a sé, in un abbraccio disperato.
May era sempre stata una che amava il contatto fisico, e amava mostrare affetto in quel modo. Abbracci, gentili carezze, baci sulla fronte…
Se solo lui fosse stato più attento, se solo avesse ascoltato Strange, e non si fosse fidato di nessuno. Se solo…
Forse è lui.
L’aveva pensato spesso da bambino, quando i suoi genitori erano scomparsi, e poi quando si era rassegnato al fatto che fossero morti.
Poi era morto suo zio.
E ora May.
Non può perdere anche MJ, non può permettere che lei muoia a causa sua.
<< Devi andartene, >> mormora, allontanandosi di scatto, e spingendo via la ragazza. Vuole suonare intimidatorio, sicuro di sé, invece la sua voce suona solo come il miagolio di un gattino spaurito.
<< Peter? >>
<< Devi andartene. Devi- non dovresti essere qui, >> si passa una mano sul volto << non avrei dovuto- >> si interrompe con un gemito. Quei movimenti bruschi gli hanno ricordato le ferite dell’ultimo scontro. << Vattene, è pericolo… è pericoloso. >>
<< Peter… >>
<< No… la tua vita con me è in pericolo…vai. Vai, ti prego. >>
<< Peter- >>
<< Ti prego. Ti prego, vai via. Vai, >> continua ad agitarsi lui.
<< Peter! >> gli prende una mano per attirare la sua attenzione. << Guardami, >> suona come un ordine, anche se mormora con gentilezza. << Respira, >> continua e, incerta su cosa fare poi, si porta la sua mano al petto. Ha paura, non sa bene ciò che sta facendo, ma ha letto da qualche parte che concentrarsi sul battito cardiaco di una persona può essere utile per calmarsi.
Ha paura, ma cerca di controllare il suo respiro << respira con me, >> continua, osservandolo respirare più lentamente.
 
                                                                              §
 
<< Ehi. >>
Sentire quella voce le fa battere il cuore più forte. Sorride allegra, una gioia che quasi non riesce a contenere, e si volta. << Ehi! >> saluta. << Stavi lavorando fin’ adesso? >>
Natasha sbuffa << parli proprio tu? Lo so che eri in infermeria fino a cinque secondi fa. >>
<< Colpevole, >> ammette Marta.
<< Ero con Wanda, >> risponde poi Natasha. << Sono rimasta con lei finché si è addormentata. >>
<< È successo qualcosa? >> non può fare a meno di chiedere, e di preoccuparsi.
<< Visione è in missione con Cap e Sam , e lei era un po' preoccupata, >> spiega, poi ci pensa un po' su << era molto preoccupata. E ultimamente soffre d’insonnia, >> continua. << E ansia, >> le sembra il caso di aggiungere. << Sai che c’è? Forse è meglio se inizi a tenere ansiolitici a portata di mano. >>
<< O-okay, >> annuisce pensierosa. Forse avrebbe dovuto prendersi qualche giorno di vacanza in più…o forse tornare così presto è stata la scelta giusta. << Sai, io ho studiato infermieristica, ma lavorare qui… >> sospira passandosi una mano sul volto << l’unico umano è Stark. >>
<< Sicura che sia umano? >>
Ridono.
<< Almeno non ti facciamo annoiare. >>
<< No, certo. >> In un sussurro, chiede se ci siano notizie di Peter, mentre attraversano i corridoi fiocamente illuminati dalle luci notturne, dirette verso la cucina.
Natasha le risponde di no, come aveva temuto, ma Stephen Strange è in contatto con la sua fidanzata.
<< Oh, stanno ancora assieme? >>
<< Più o meno… >>                   
In cucina Marta riempie d’acqua un bollitore e lo mette sul fuoco.
Forse è un po' tardi per una tazza di tè, decide poi, prima di prendere una bustina di quello deteinato.
Natasha prende una sedia del tavolo e si siede vicina a lei.
<< Che ti è successo? >> le chiede Marta, senza nemmeno guardarla, mentre aspetta che l’acqua bolla.
Natasha le rivolge uno sguardo interdetto, ma, in effetti, sedersi non è stata una grande mossa se voleva nascondere il dolore alla gamba. << … mi sono fatta male durante un allenamento, >> ammette << ho esagerato. Lo so, lo so, ma… questa pace non durerà, e devo essere pronta. Preferisco sentirmi pronta. >>
Marta la guarda a lungo, poi sospira. Decide di cambiare argomento, e le chiede dove sia Yelena.
Natasha sorride mentre le racconta che è a casa di Melina e Aleksey, assieme a Fanny, e Marta è felice per lei.
Il rumore del bollitore e quello dell’acqua che bolle fanno da sottofondo alla loro conversazione notturna.
Le due donne restano sveglie a parlare ancora un po', pur sapendo di avere delle responsabilità che le attendono il giorno dopo.
<< Come stai? >> si decide a chiederle Marta, la tazza di tè fra le mani.
<< Bene, >> risponde Natasha << te l’ho detto, mi sono allenata- >>
<< Nat, >> la interrompe l’altra, ma non aggiunge altro: Vedova Nera sa bene a cosa si sta riferendo.
<< … i- sto bene, >> risponde Natasha dopo un momento di incertezza << davvero. >>
<< Mh-mh. >> Lei ci ha provato. Non ha intenzione di fare altre domande.
<< Forse- ho solo bisogno di un po' di tempo per abituarmi. >>
Occhio di Falco ha lasciato gli Avengers.
Non è ancora ufficiale, ma lo sarà presto.
Tutti sapevano che sarebbe successo, dopotutto l’uomo non ha mai fatto mistero di voler tornare dalla sua famiglia, godersela in pace, e abbandonare la sua vita da eroe.
<< Sono curiosa di conoscere chi lo sostituirà. >> ***
<< Mh-mh. >>
<< Tu no? >>
<< … ha ventitré anni… >>
<< E? Non è una bambina, Nat, e nessuno la sta costringendo. La conosci, poi. Bè, tutta New York la conosce…non ti fidi del giudizio dell’agente Barton? >>
<< Tu ti fidi? Ti ricordo che stiamo parlando dell’uomo che era stato mandato a uccidermi, eppure… >> indica sé stessa << nello S.H.I.E.L.D. era famoso perché faceva quasi sempre di testa sua. >>
<< Continuo a non capire quale sia il problema. >>
 

















 
 
 
 
 
 
NOTE
*Il titolo è una canzone dei 1975.
**Il video a cui mi riferisco è ‘Oven Crypts of New Orleans’, del canale YouTube ‘Ask a Mortician’. È un canale che parla di …bè, morte, e cultura. È molto interessante, ma alcuni video…diciamo che potrebbero non essere facili da guardare. Quindi, se volete curiosare, fatelo con precauzione <3.
 
*** Mi riferisco a Kate Bishop.
 
Grazie mille a tutte le persone che leggono, a chi recensisce e a chi ha messo la ff fra le seguite :)!!


 

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Capitolo 4
*** Helpless ***


                                                   


                 Helpless
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Sfogliando il suo album da disegno, osservando tutti gli schizzi che rappresentano Peter – e sono davvero tanti -  ha deciso che non le importa cosa lui provi per lei.
Con la punta delle dita accarezza piano quei vecchi schizzi che aveva tracciato tempo prima. Alcuni li ha fatti quando era ancora al liceo, altri dopo. Alcuni, poi, fa fede la data scritta in basso, li ha fatti quando si era dimenticata chi fosse Peter, e cosa fosse stato per lei.
Quell’idiota non è in grado di badare a sé stesso e, finché non accetterà di tornare con gli Avengers, sarà lei a pensare a lui.
Insomma, qualcuno dovrà pur farlo, no?  E poi non vuole correre il rischio di ritrovarsi col cadavere del ragazzo sulla coscienza.
Già lo vede l’articolo sul giornale, completo di foto di quel piccolo monolocale uscito da un manuale di storia che parla della Russia sovietica.
 
Giovane trovato morto nel suo monolocale.
 
Le interviste ai vicini, poi…
“ Era un caro ragazzo”, “salutava sempre”, “ spesso mi aiutava a portare le borse della spesa fino al mio appartamento”.
E dopo qualche giorno comparirebbe un’altra notizia:
 
Spiderman scompare nel nulla.
Che fine ha fatto l’eroe mascherato?
 
Non vuole nemmeno pensarci.
Si rende conto che tutta quella sua preoccupazione per una persona, che le ha chiaramente detto di starle lontana, ma poi è felice di vederla, è masochismo puro. Rendersene conto, però, non significa che lei riesca a smettere.
Non riesce a non preoccuparsi, a non passare ogni tanto a vedere se Peter sia ancora tutto intero, e a rimettere assieme i suoi pezzi.
Preferisce quello ai sensi di colpa, all’incertezza.
Non si aspetta che cambi nulla fra loro due, se lo ripete ogni volta, con convinzione, ignorando la vocina che la deride facendole presente che il suo è un pessimo e disperato tentativo di autoconvincimento.
Se lo ripete ogni volta, con convinzione, ma vedere Peter in compagnia di quella ragazza è davvero un brutto colpo.
Lei è dall’altra parte della strada, loro sono davanti al palazzo in cui abita Peter. Sa che la cosa più intelligente da fare sarebbe andarsene subito, invece si ferma a osservarli.
Anche quello è masochismo puro.
Sapeva che una cosa simile sarebbe potuta succedere, dopo tutto loro due non stanno più assieme.
A lei va bene, davvero.
Lei ha la sua vita, e lui la sua.
Va tutto magnificamente bene.
Però… perché quella lì sì, e lei no?
Perché? Cos’ha lei che non va? Cos’ha sbagliato?
Osserva l’altra e, deve ammetterlo: pur da lontano, è davvero bella. Elegante. Decisamente fuori posto davanti al quel vecchio palazzo.
Stanno ridendo, e sembra che lei e Peter si conoscano da un po'.
MJ prova una sensazione spiacevole.
Tradimento.
Vorrebbe tanto non sentirsi in quel modo, ma non ci riesce.
Si sente sola, abbandonata, eppure non ha senso. Peter non l’ha mai illusa, e lei non si è mai aspettata nulla da lui.
Ha medicato le sue ferite e ha vegliato il suo sonno agitato per scelta sua, non per ottenere qualcosa.
Se le cose stanno così, a lei va bene. Infondo, fra lei e Peter era durata molto più di quello che si era aspettata.
Dall’altra parte della strada, il ragazzo apre la porta d’ingresso e fa cenno all’altra di entrare prima di lui, poi la segue e lascia che la porta si chiuda alle loro spalle.
Il solo fatto che fosse nato qualcosa fra di loro era già incedibile.
Ora, però, è finita. Pazienza.
Un problema in meno, pensa avviandosi verso la fermata dell’autobus.
Se c’è qualcuno che si preoccupa per lo stupido ragno di quartiere, non dovrà più farlo lei, cerca di tranquillizzarsi mentre palazzi e negozi passano rapidi davanti a lei, oltre il vetro del finestrino.
Avrà più tempo per sé stessa, si dice mente infila la chiave nella serratura, e apre la porta di casa sua.
La serratura fa uno scatto, e la porta si apre.
L’appartamento che condivide con sua madre è vuoto e silenzioso.
È vuoto per la maggior parte del tempo da un po', ormai.
La porta alle sue spalle è chiusa, e la luce è ancora spenta. MJ rimane in piedi davanti all’ingresso, immersa nella penombra, ad ascoltare quel silenzio che quasi la assorda.
I suoi genitori hanno divorziato da qualche mese ormai, ma va bene così: sapeva che sarebbe successo, prima o poi, era solo questione di tempo. In un certo senso, aveva quasi sperato che sarebbe successo.
Da un lato è meglio così: niente più urla e pianti, insulti gratuiti, tensioni e parole non dette. Niente più rabbia e risentimento a rendere insopportabile l’atmosfera in casa.
Non deve più fingere di ignorare il volto di sua madre rigato di lacrime, non deve più mentire per coprire suo padre, e evitare l’ennesimo litigio.
Non deve più andare a letto presto per non sentire urla, e non deve più alzarsi presto per evitare i pianti del mattino che seguivano i litigi notturni.
Va decisamente meglio così.
Solo…forse avrebbe potuto fare di più, forse avrebbe dovuto cercare di far riappacificare i suoi genitori, invece di nascondersi nella sua stanza, e isolarsi con le cuffie e i suoi disegni.
Si toglie la giacca, lascia lo zaino in camera da letto, e va in cucina.
Sul frigo c’è un post-it di sua madre, c’è scritto che tornerà tardi, di non aspettarla per cena.
Cenano assieme solo un giorno alla settimana, l’unico giorno libero di sua madre, ma MJ preferirebbe sinceramente poterne fare a meno.
Sua madre è sempre stanca, e lei lo capisce, davvero: sicuramente non deve essere facile lavorare così tante ore al giorno, e fare tutti quegli straordinari.
Se deve mangiare in silenzio, però, preferirebbe potersi rinchiudere nella sua stanza a vedere un video su YouTube per tenersi compagnia.
È quasi ora di cena e, in effetti, ha fame, ma non ha nessuna voglia di cucinare. In realtà non ha nemmeno tanta voglia di mangiare.
Perlustra tutta la cucina, frigo, freezer e armadi, alla ricerca di qualcosa di veloce da mangiare, ma nulla attira la sua attenzione, quindi decide di arrendersi almeno per il momento.
Forse una doccia calda la aiuterà a rilassarsi un po' e, quando sarà più tranquilla, forse riuscirà a mettere qualcosa nello stomaco.
L’acqua calda che scorre sul suo riesce, in effetti, a rilassarla, ma stare ferma sotto il getto d’acqua le da anche tempo per pensare e riflettere su quello che ha visto prima.
Esce dalla doccia stanca e , alla fine, la sua cena si riduce una tazza di latte scaldato nel microonde, e dei biscotti. Quelli al cioccolato, perché dopo la giornata che ha avuto se li merita.
Si rifugia nella sua stanza, chiude la porta e accende le luci decorative, che rischiarano l’ambiente con la loro luce calda e confortante.
Indossa le cuffie, decisa a isolarsi con la musica, attiva la modalità di riproduzione casuale, e si sistema sul letto con l’album da disegno in mano.
Disegnare la rilassa sempre, concentrarsi sulle figure che prendono vita, tratto dopo tratto, e sul suono della matita sulla carta, la calma, la aiuta a concentrarsi su qualcosa di diverso dai suoi problemi.
Tuttavia, una matita in mano, tenuta delicatamente sospesa sopra il foglio, l’unica immagine che vede chiara nella sua mente è Peter.
Peter prima che diventasse Spiderman, e dopo.
Peter con Ned, o da solo.
Peter sul tetto della scuola, da solo, con lei.
Peter con quella ragazza.
Non vuole pensarci. Non vuole, eppure non può farne a meno.
Nemmeno la musica le viene incontro, e la modalità di riproduzione casuale le propone “Hamilton”, che di per sé non sarebbe male, se solo il brano in questione non fosse “Helpless”.
Riesce a riconoscersi nel testo di quella canzone, e ciò la fa sentire umiliata.
Indifesa è ciò che sempre cercato di non essere.
Indifesa è ciò che non vuole essere.
Indifesa è come si sente ora, per colpa sua, perché ha abbassato la guardia, e ora ne sta pagando le conseguenze.
Non riesce nemmeno a essere arrabbiata con Peter. Si sente solo ferita, tradita.
E indifesa.
Aveva davvero creduto che fra loro due…
Lascia perdere l’album da disegno e, le cuffie ancora addosso, si lascia cadere sul letto.
Lo sguardo perso sul soffitto, senza vederlo davvero, e la matita ancora fra le dita, decide di abbandonarsi alla musica.
 
Then you walked in and my heart went
“Boom!”
 
Boom.
Era proprio quello che era successo a lei.
Più volte, per la precisione.
Certo, spesso era successo quando si era trovata davanti Peter ferito, sia prima che dopo aver scoperto il suo segreto.
Boom.
È così…imbarazzante. Umiliante.
Se solo fosse stata più lungimirante, se si fosse controllata… a sua discolpa, poteva dire di averci provato.
Ci aveva davvero provato e, quando si era resa conto che Peter era interessato a Liz, aveva ringraziato l’universo per averle tolto anche solo l’occasione di continuare a farsi castelli in aria.
Contro Liz lei non avrebbe mai avuto alcuna possibilità di attirare l’attenzione del ragazzo, l’ha sempre saputo, e si era aggrappata a quella consapevolezza in attesa che la sua cotta passasse.
Boom.
La cotta non era passata, e Liz era andata via.
Non aveva potuto farci niente. Non aveva voluto farci niente: si era sempre trovata bene con Peter.
Quando era lui con il tempo si fermava, e lei si sentiva più leggera.
Boom.
Si sentiva semplicemente… bene.
Erano sensazioni che non aveva mai provato con nessuno, e che, soprattutto all’inizio, l’avevano spaventata. Il desiderio di sentirsi nuovamente in quel modo, però, alla fine aveva prevalso e lei aveva cominciato a godersi quei momenti e a fantasticare sul futuro.
Si era immaginata spesso all’MIT assieme a Peter: seguire le lezioni assieme, aiutarsi nello studio, condividere la vita incasinata di un dormitorio universitario.
Condividere quell’esperienza assieme a lui ormai le sembrava solo un sogno delirante. Eppure, anche se solo per pochi giorni, tutto quello era stato così vicino a diventare reale che ora non poteva fare altro se non rimpiangerlo.
È tutto finito, però.
Ora può -deve- smettere di pensarci.
Ora non è più costretta a vederlo, pensa mentre il brano finisce, e lei si mette seduta sul letto. Poggia la matita sul comodino, e prende il cuscino per stringerlo a sé. Lo abbraccia e chiude gli occhi.
Non vuole piangere.
Non vuole.
E non vuole pensare a Peter.
Non vuole ricordare quanto sia stata bene con lui, non vuole ricordare tutto quello che aveva immaginato.
Apre lentamente gli occhi e respira piano. Sulla sedia davanti a lei c’è una giacca adagiata sullo schienale.
Cazzo.
Cos’ha fatto di male nella vita?
È la giacca di Peter, si rende conto mentre le lacrime le rigano le guance, gliel’ha prestata pochi giorni prima, quando le temperature erano scese vertiginosamente e inaspettatamente.
Lei si sarebbe accontentata di proteggersi dal freddo con la sua sola giacca, ma Peter era stato irremovibile, e lei aveva deciso di accontentarlo.
Sulla strada di casa era stata particolarmente contenta di averlo ascoltato: faceva davvero tanto freddo.
Ora però quella giacca è ancora in suo possesso.
Deve renderla.
Oppure no.
Sospira: sì, deve. Probabilmente quello stupido di Peter di giacche ne ha solo due.
Potrebbe andare a comprarsene una nuova assieme alla sua nuova amica…
Ci pensa su per una lunga settimana, e alla fine si decide, quando finisce il suo turno alla caffetteria, a prendere l’autobus per andare da Peter.
Non le importa se dovrà vederlo assieme alla sua amica. Lei non è una codarda, non scappa dalle situazioni difficili, lei le affronta.
 
                                                                               §
 
 
Si gira fra le coperta cercando di mettere a tacere la sua mente, di tornare a dormire. Si gira ancora infastidita dall’aria fredda che la sta svegliando, e con una mano cerca di sistemarsi meglio la coperta.
Si ostina a tenere gli occhi chiusi, a cercare di ignorare le immagini che si susseguono caotiche nella sua mente.
Vede una casa.
Una luce viola e un vecchio libro con delle scritte che non riesce a mettere a fuoco.
Cambia nuovamente posizione. Non vuole vedere quelle immagini, vuole solo dormire. È stanca, e il giorno dopo dovrà alzarsi presto.
Vuole nuovamente perdere coscienza, rifugiarsi nell’oblio del sonno, ma non ci riesce.
Prova allora a controllare quello che sta sognando. Sta imparando come fare, anche se non è ancora padrona di quell’abilità si ritiene in grado di controllare un semplice sogno per convincersi, finalmente, che va tutto bene.
Va tutto bene.
È in America, con gli Avengers.
Visione è vivo.
Degli occhi vitrei, privi di vita, la fissano intensamente. Ora nel suo sogno ci sono lampi rossi, bombe inesplose in una notte di neve.
Wanda apre gli occhi stringendosi la coperta addosso. Il cuore batte talmente forte da farle male, e le manca il respiro.
Si gira scostandosi i capelli dal volto e allunga una mano alla cieca << Vis-? >>
Accanto a lei non c’è nessuno, e il terrore la assale.
Sente il sangue gelare nelle vene mentre le immagini del sogno si ripresentano con prepotenza nella sua mente.
Si mette a sedere e si guarda attorno. La stanza è immersa nella penombra, c’è una lampada da tavolo accesa posata a terra perché la sua luce non dia troppo fastidio.
In quel momento si ricorda della missione.
Visione è con Sam e Steve: va tutto bene, è solo in missione.
Fa un paio di respiri profondi; si scosta la coperta di dosso e il freddo della notte la riscuote.
Va tutto bene.
Resta ferma, seduta e scoperta finché non comincia a tremare per il freddo. Solo allora si decide a mettersi la coperta sulle spalle, ma non si sdraia ancora.
È ancora troppo scossa per potersi riaddormentare, prima deve calmarsi.
Chiude gli occhi e respira piano.
Va tutto bene.
 







 

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Capitolo 5
*** Winter wonderland ***




Capitolo 5
Winter wonderland
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Rincontra Peter prima del previsto, quando, durante il suo turno di lavoro, la caffetteria salta in aria.
Bè, detto così forse suona un po' troppo drammatico.
Sta preparando un caffè, chiacchierando pacificamente con la signora che l’ha ordinato, quando per strada qualcosa esplode.
Era una pacifica mattina di decembre, il cielo terso e le strada imbiancate dalla nevicata del giorno prima.
In un attimo quella calma si trasforma in caos.
L’onda d’urto sfonda i vetri della caffetteria, e ribalta le sedie. I pezzi di vetro si infrangono a terra in un confuso tintinnio.
MJ si nasconde dietro il bancone e cerca di trascinare con sé la signora.
Resta ferma, proteggendosi la testa con le braccia, cercando di capire cosa sia appena successo. Aspetta che il caso termini, che torni il silenzio.
Sente dei colpi, poi odore di bruciato e, quando solleva la testa per guardare oltre il bancone, vede le fiamme che cominciano a salire verso l’altro.
Non sa bene come sia scoppiato quell’incendio, e nemmeno le importa.
Sente le urla del suo capo, lo vede che si agita sbracciandosi nella sua direzione, ma non capisce cosa stia dicendo, non riesce a sentire la sua voce. Conoscendolo, potrebbe anche averla accusata di averlo appiccato lei l’incendio.
L’uomo e la signora scappano, ma lei non riesce a muoversi, li vede correre via senza riuscire a fare nulla.
La paura la assale, paralizzandola, e lei resta ferma a guardare le fiamme che bruciano la caffetteria.
È uno spettacolo quasi ipnotico, osservare quelle lingue di fuoco che ardono attorno a lei, mandando bagliori di luce tremolante, e divorando lentamente tutto ciò che trovano davanti a loro.
Fa caldo.
Sa come ci si dovrebbe comportare in caso d’incendio, ha letto più volte le linee guida, ma in quel momento non riesce a metterne in pratica nessuna.
Che brutto modo per morire, fra le fiamme e in quello schifo di posto.
<< Che fai? >>
Quella voce la fa sobbalzare.
<< MJ! >>
<< Pet- Spiderman? >> la voce le rimbomba fastidiosamente nelle orecchie.
<< Che diavolo fai qui? >> si avvicina a lei, e cerca di prenderla in braccio per portarla fuori.
<< Che ci fai tu qui? >> si ribella lei.
<< Ti porto fuori, razza di stupida. >>
<< Come? >> Non è decisamente il momento giusto, e lo sa. Davvero, lo sa, ma è proprio in quel momento che le torna in mente l’immagine di Peter assieme a quella ragazza.
È proprio in quel momento che la paura si mescola a quella sorda tristezza che la accompagna da giorni, e lei non riesce più a ignorare quella sensazione di sconforto, può solo sfogarla urlando il suo dolore e trasformandolo in rabbia. << Siamo circondati! >>
Vorrebbe odiare Peter, invece odia sé stessa per essere, nonostante tutto, felice che lui sia lì.
<< Fidati di me, >> le dice il ragazzo, senza scomporsi. Probabilmente ha attribuito la sua reazione alla paura.
MJ lo osserva prendere una tovaglia e bagnarla con l’acqua del lavandino, e pensa che lei non si è mai fidata ti nessuno. Perché dovrebbe farlo quella volta? E perché dovrebbe ascoltarlo? È uno stupido!
<< Perdonami, non sarà piacevole, >>  la avvisa il ragazzo gettandole addosso la coperta bagnata. Lei strilla: è gelida. << Così non prendi fuoco, >> si scusa lui sollevandola di peso, e stringendola contro il suo corpo per proteggerla dalle fiamme.
MJ chiude gli occhi.
Non è vero che non si è mai fidata di nessuno. C’è stato un tempo, quando era molto piccola, in cui si era affidata completamente ai suoi genitori. Poi loro l’avevano delusa.
Con Peter era successa la stessa cosa.
Spiderman, però, continuava a salvarle la vita.
Sono fuori, per strada. Se ne accorge perché non sente più il calore insopportabile del fuoco, e l’aria gelida di quell’inverno newyorkese la fa rabbrividire.
La gente urla.
Spiderman la mette a terra e le toglie la coperta. << Stai bene? >> le chiede guardandola preoccupato. << Sei ferita? >>
<< Spiderman ha salvato una ragazza! >> urla qualcuno.
MJ sente il rumore di un flash alle sue spalle, poi di un altro, e sa che entro il giorno dopo la sua foto sarà sui giornali e su internet.
Forse sarebbe stato meglio morire…
<< Tutto okay. Grazie. >>
<< Okay, >> la osserva ancora, ignorando la gente attorno a loro << sei sicura? >> allunga, incerto, una mano nella sua direzione, ma alla fine non la tocca. << Sta- sta arrivano un’ambulanza, forse dovresti- >>
<< Sto bene, >> la voce esce fuori più debole di quello che aveva temuto. Si passa una mano sul volto. Sta morendo di freddo, e sta tremando. O forse è lo spavento.
<< Mi sembri sotto shock, >> Spiderman allunga nuovamente una mano nella sua direzione, e questa volta le stringe un gomito, temendo che lei possa crollare a terra da un momento all’altro.
Si guardano per un momento, la gente attorno a loro continua a urlare e a scattare foto.
MJ vorrebbe insultarli tutti, ma sa che, nell’esatto momento in cui lei si volterà per fronteggiare la folla, Spiderman scomparirà.
Ha ancora la giacca da rendergli, pensa, se proprio vuole rivederlo.
Peter fa un cenno rivolto a qualcuno alle sue spalle, poi la lascia andare e fa un passo indietro. Lei non lo ferma e, un momento dopo, lui è sopra la sua testa che dondola da un palazzo all’altro.
<< Signorina? Signorina, si sente bene? >>
Si volta per trovarsi davanti un- medico? Infermiere? Paramedico? Non ne ha la più pallida idea.
L’ambulanza si è fermata poco distante.
<< Michelle! >>
Grandioso, fra tutte le ambulanze che potevano arrivare, hanno chiamato proprio quella in cui c’era sua madre. *

 
                                                                                §
 
 
Vedere Wanda svolazzare sopra il Compound la preoccupa sempre. Forse è solo perché non è in grado di comprendere i suoi poteri.
Quando sono Sam, o Tony, a stare sospesi a mezz’aria non ha alcun problema.
Sospira: forse dovrebbe smettere di essere così iperprotettiva, Yelena glielo dice spesso.
Ma cosa può farci? Essere l’unica persona responsabile è un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo. Non possono lasciare che sia sempre Marta a dover ricucire assieme i loro pezzi dopo laboratori che esplodono e missioni terminate male.
Solleva la testa e guarda Sam e Wanda.
Lei è ferma in aria, avvolta da una luce rossa.
Sam si tiene a distanza, e sembra incerto.
Nell’aria c’è la stessa tensione che c’era quando la strega era solo una ragazzina inesperta, appena entrata a far parte degli Avengers, che non aveva idea di come controllare appieno i propri poteri.
Sta per succedere qualche casino, se lo sente.
Guardando con attenzione si accorge che Wanda ha iniziato a tremare. È un tremore quasi impercettibile, ma c’è, e sicuramente anche Sam se n’è accorto.
La luce rossa che avvolge la strega cambia di intensità, trema, si espande e poi diminuisce.
Natasha fa un passo in avanti incerta. Pur volendo, non sa come aiutare la donna.
Sente uno spostamento d’aria accanto a lei, e con la coda dell’occhio nota la figura di Visione.
<< Cosa le sta succedendo? >> chiede.
Non è un esperto di stregoneria, ma lui e Wanda hanno sempre avuto un legame speciale. Sono sempre riusciti a capirsi senza parole, come se le loro menti fossero sempre state una sola.
Natasha li ha sempre un po' invidiato per quello.
<< Sta perdendo il controllo… ma non capisco perché. >>
La luce rossa cambia lentamente colore, per un lungo momento diventa viola, poi scompare.
Wanda resta sospesa per aria per pochi secondi, poi crolla. Sembra un uccellino ferito.
Sam cerca di prenderla, ma non fa in tempo.
Visione si solleva prontamente da terra riuscendo ad afferrare la donna prima che sia troppo tardi.
Wanda apre gli occhi scusandosi, agitata, fra le braccia di Visione che cerca di impedirle di fare movimenti bruschi.
<< Non ho ferito nessuno? State tutti bene? >>
Sam cerca di attirare la sua attenzione per aiutarla a calmarsi, ma lei continua a guardarsi attorno preoccupata.
<< Wanda, >> Visione le prende il volto fra le mani. << Va tutto bene,  >> mormora piano.
Lei scuote la testa << sto perdendo il controllo, >> geme << sto-potrei fare del male a qualcuno, >> si agita << potrei- >>
<< Va tutto bene, >> le ripete Visione prendendola in braccio << forse hai solo bisogno di riposare un po', >> suggerisce.
 
                                                                              §
 
Manca davvero poco a Natale.
La New Avengers Facility è decorata da settimane ormai, ma lei ancora non si è abituata a quell’atmosfera di festa. Non del tutto.
È il primo Natale in cui, almeno apparentemente, va tutto bene, e lei sa bene che quando le cose appaiono troppo perfette è il momento di preoccuparsi.
Vorrebbe riuscire a godersi quelle feste, però.
Vorrebbe riuscire a farsi trascinare dalla gioia infantile di Marta, dal suo romanticismo.
Vorrebbe poter tornare bambina, come Morgan, e avere una madre da cui farsi leggere quelle assurde fiabe del Dr. Seuss.
Melina e Alexei l’hanno invitata ad andare da loro: Yelena quell’anno ha preteso ‘il Natale più americano della storia’…forse potrebbe accontentarli. Ci sta pensando, ci sta seriamente pensando.
Non si sente tranquilla, però.
Da quando Clint l’ha salvata, ricorda solo due anni in cui è riuscita ad aver un Natale normale. È stato sempre a casa Barton: un Natale che profumava dei biscotti speziati fatti da Laura, e che aveva il suono delle risate allegre di Lila e Cooper.
<< Secondo me, dovresti andare, >> le suggerisce Clint, quando si sentono al telefono. << Magari porta anche Marta. >>
<< Marta? Perché dovrei? >>
<< Non lo so…mi siete sembrate molto…vicine. >>
<< Marta dovrà lavorare. >>
<< Okay… >> non aggiunge altro, conosce abbastanza bene Natasha per capire quando è il momento di cambiare argomento << come sta Wanda? >>
<< Meglio, >> mormora Natasha. << È stanca, e spaventata. Tu? >>
<< Tutto bene, tutto tranquillo. C’è Kate a casa, >> sorride, e Natasha riesce a vedere quel sorriso anche se sta parlando al telefono. << I ragazzi la adorano, >> continua Clint.
<< Ed è per questo che tu sei deciso a farle prendere il tuo posto negli Avengers? Sei geloso che i ragazzi abbiano un altro arciere preferito, e speri che lei finisca sotto terra? >>
<< Io non sono deciso a fare nulla, >> precisa l’uomo << ma lei è dannatamente testarda. Davvero, quella ragazzina è impossibile. Ma è brava, >> ammette << è davvero brava, Nat, e abbiamo bisogno di qualcuno bravo. >>
La donna annuisce: è vero. Lo sa. Vorrebbe che non ce ne fosse bisogno, però.
<< Oh, ehm, Nat? >>
<< Sì? >>
<< Quando Kate sarà lì… bè, potresti tenerla d’occhio? >>
<< Tenerla d’occhio? >>
<< Te l’ho detto: è brava, ma… è stato un anno pesante per lei, e credo avrà bisogno di qualcuno che le ricordi di essere brava. >>
<< Okay, >> annuisce, anche se l’uomo non può vederla << va bene. >>
Mentre attraversa i corridoi, una flebile musica attira la sua attenzione e, ascoltando con più attenzione, si rende conto che si tratta di brani natalizi.
Ovvio.
Sono canzoni degli anni ’40 e ’50. Forse c’è anche qualcosa degli anni ’30, non ne è sicura: era troppo piccola in quegli anni, e viveva in Russia.
La musica proviene dal salotto, e Natasha si ferma a guardare oltre la vetrata che separa il corridoio dal salotto.
Steve e Bucky, l’uno fra le braccia dell’altro, danzano seguendo il lento ritmo della musica.
Sorride. Sono uno spettacolo-
<< Oh, come sono teneri. >>
La voce di Marta alle sue spalle la coglie di sorpresa. Gli sguardi delle due donne si incontrano.
<< Agente Romanoff, non mi dica che l’ho colta di sorpresa, >> sorride divertita, eppure Natasha scorge una traccia di preoccupazione nel suo sguardo.
<< Ero sovrappensiero, >> ammette, per poi tornare a guardare Steve e Bucky. Si concede qualche altro secondo, poi si allontana, sentendosi in colpa nel continuare a spiare quel momento di intimità.
<< Agente Romanoff, >> riprende Marta, mentre camminano lungo i corridoi << non mi dica che ha trovato una persona capace di farle battere follemente il cuore, >> scherza, rivolgendole uno sguardo sognante. << O alieno. Io non giudico. >>
<< Battere forte il cuore? Quella è tachicardia: non sono sicura sia una cosa positiva. E l’amore, Marta… l’amore è per i bambini. >> Si fermano. << Ho ucciso troppe persone, ho versato troppo sangue per… nonostante tutto, non posso cancellare quello che ho fatto. >>
<< Allora devi trovare una persona che ti faccia tornare bambina. Sai, io credo che, quando ci innamoriamo, non diamo tanto importanza all’altra persona, quanto a come quella persona ci fa sentire. >>
Natasha la guarda interdetta, l’altra donna ha smesso di scherzare, e il suo consiglio è serio.
<< Hai molta fiducia nella gente…nel futuro… >> la invidia.
Marta sorride incerta. La verità, confessa, è che, per come la vede lei, prima di tutta la vita è un grande atto di fede, e poi, tutto ciò che le persone fanno, lo fanno solo per due motivi: uno è l’amore, e l’altro è la paura**. Lei ha deciso che vuole fare le cose per amore, per quanto possibile.
Amore per il suo lavoro, per le persone che fanno parte della sua vita, per le occasioni che ha avuto e non ha sprecato.
Odiare, a lungo andare, è stancante, e lei non ha tutta quella forza.
Non ha neanche la forza di amare sempre, ma ci prova, perché è amando la vita che si è ritrovata soddisfatta più spesso.
Natasha la guarda interdetta, poi sorride: le piace la sua filosofia di vita. << Spero che continuerai ad amare il tuo lavoro anche l’anno prossimo, quando arriverà la nuova Occhio di Falco. >>
 
 
 
 
 
 
 
 
 














 
NOTE
*  Il fatto che la madre di MJ lavori in ospedale è un mio headcanon.
** Citazione tratta da una serie tv britannica ‘Call the midwife’. “ There are only tow reasons for ever doing anything: one in love, and the other is fear”.





 

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Capitolo 6
*** Deck the halls ***


                                             
Capitolo 6
                                             
 Deck the halls
                                                                           
 
 
 
 
 






 
È Melina ad aprire la porta, il volto illuminato da un dolce sorriso. La stringe in un abbraccio, e Natasha non può fare a meno di ricambiare.
La sua stretta e più rigida rispetto a quella della madre.
Ci sta provando, ci sta davvero provando a lasciarsi andare e godersi le feste, ma non è facile.
<< Sono così contenta che tu sia qui, >> mormora Melina << pensavo davvero che non ce l’avresti fatta. >>
Sanno entrambe che uno dei motivi per cui Natasha si tiene ancora a distanza  da lei è perché, infondo, non è ancora riuscita  a perdonarla del tutto per la sua infanzia rubata, ma preferiscono tacere a riguardo.
Sta lavorando anche su quello.
<< Nessuna minaccia per il mondo all’orizzonte, >> scherza Natasha, non senza provare una punta di amarezza. Si sono appena riviste dopo mesi, e già si mentono a vicende, e ne sono entrambe consapevoli << posso prendermi qualche giorno di vacanza. >>
Melina annuisce felice, lasciandola andare << vieni, entra, >> la invita, aiutandola a togliersi la giacca. << Come stanno gli Avengers? >> chiede poi, e quella domanda suona così tanto da…mamma, che Natasha rimane interdetta per un momento.
<< …tutto bene, >> mormora poi. Prima di rispondere le viene in mente Peter: è un po' che non ha sue notizie, l’ultima volta che l’ha visto è stato nella foto di un articolo che ha letto su internet durante il viaggio in aereo.
Melina la osserva con attenzione << non mi sembri convinta. >>
Natasha si stringe nelle spalle << è solo – che diavolo è successo qui? >>
La ghirlanda fuori dalla porta avrebbe dovuto già farle immaginare qualcosa, ma quello…
<< Oh, ehm… >> comincia l’altra donna, divertita << Yelena, >> dice poi semplicemente, e quella, per Natasha, è una spiegazione più che valida.
Il salotto è occupato da un imponente albero di Natale, decorato con lucine dai mille colori, brillanti sfere colorate, ghirlande e una punta dorata. È talmente bello e colorato che sembra uscito da un libro di fiabe.
Sembra quasi di essere entrata in un bosco.
Ci sono ghirlande sui mobili e sul camino. Numerose candele spente sono sistemate in eleganti candelabri argentati.
Tovaglie e centrini sono di colore rosso, o verde scuro.
Su una poltrona c’è una coperta con una stampa di renne.
Dalla cucina proviene un invitante odore di carne, e il battere ritmico di un coltello.
<< Yelena mi stava aiutando a cucinare, Alexei è fuori a prendere la legna per il camino. >>
<< La legna per il camino, >> ripete Natasha. Yelena ha davvero fatto le cose in grande.
Melina ride. << È davvero bello averti qui, >> le accarezza dolcemente il volto, poi gira verso la cucina << Yelena!  твоя сестра здесь! * >>
Sorella.
Sorella.
Le piace quel ruolo.
Si sentono colpi in cucina, seguiti da urla di gioia. La porta viene spalancata, e Yelena corre fuori.
Natasha se la ritrova addosso prima di potersene rendere conto.
<< Sei qui!!! Sei venuta, sei venuta!!! Lo sapevo che saresti venuta. >>
<< Cosa ti sei messa addosso? >>
<< Come ‘cosa’? Non vedi? >> si allontana << è un maglione natalizio! Ti piace? >>  esclama orgogliosa.
Il maglione in questione è verde smeraldo, decorato con stampe di fiocchi di neve e il muso di una renna al centro. È imbarazzantemente orribile.
Natasha sorride << ti sta bene. >>
<< Lo sapevo! >>
 
                                                                                 §
 
<< Wanda? >>
La donna apre gli occhi, e incontra lo sguardo di Visione.
<< Va tutto bene? >>
Lei esita prima di annuire, poi abbassa la testa a disagio.
Visione allunga gentilmente una mano nella sua direzione e, con attenzione, le solleva il volto per farsi guardare. << Wanda? >>
La stanza è immersa nella penombra di un pomeriggio morente. Il sole non è ancora tramontato, ma ormai manca poco, e sono solo quegli ultimi raggi che tingono il cielo di rosa a illuminare la stanza che Wanda condivide con Visione.
<< S-scusami…e-era solo un sogno, >> le trema la voce. Si era addormentata per cercare di riposarsi, di recuperare le ore di sonno che perse le notti precedenti, ma era stato inutile.
<< Uno brutto? >>
<< No. >> No, non era brutto. E quella, forse, era la parte peggiore.
Era stato un sogno sereno come non ne faceva da tempo, ma le aveva messo addosso una pesante angoscia che non sapeva definire.
Si passa una mano sul volto, chiudendo gli occhi, e cerca di concentrarsi sulle immagini del sogno per cercare di capire.
Appena si era sdraiata sul letto, era sprofondata in un sonno profondo, e la sua mente aveva deciso di darle tregua. Poi aveva cominciato a vedere stralci di scene, immagini senza senso che si susseguivano sempre più rapidamente. Aveva sentito voci, suoni distanti.
Il ricordo di quelle scene sta iniziando a svanire, ma riesce ancora a vedere chiaramente una casa, una serena cittadina di provincia.
In quella casa abita una famiglia. Lo sa e basta, così come sa che quella famiglia è la sua.
Ricorda una cameretta da letto con due culle, le pareti tinte di un tenue verde pastello. C’erano dei giochi in quella cameretta, ma non riesce più a metter a fuoco quel ricordo.
Era certamente arredata per neonati, ma non somigliava affatto alla stanza che aveva condiviso, anni prima, con Pietro.
Sente una voce che canta una ninnananna, una ninnananna che lei conosce, ma di cui non riesce a ricordare le parole.
La voce di Visione la chiama nuovamente, e il sogno svanisce completamente dalla sua mente.
<< Ho paura, Visione >> mormora, cercando le sue mani << mi sta succedendo qualcosa…non capisco e- >> sente le sue mani venire avvolta da una stretta calda e gentile. << I miei poteri, >> continua << è come se non fossi più io a controllarli, >> cerca di spiegare, << come se- come- >>
<< Temo di non poterti aiutare in questa situazione, >> comincia lui, pacato << non comprendo la magia. Tuttavia… hai pensato di rivolgerti al dottor. Strange? >>
No, non ci aveva pensato, e si sente davvero stupida.
Quella consapevolezza la fa sentire più leggera. Dopotutto, non è sola.
Visione si accorge dell’effetto delle sue parole e, soddisfatto, prende delicatamente il volto della donna fra le sue mani << andrà tutto bene, >> mormora.
 
                                                                             §
 
<< Mi dispiace, >> sospira la donna.
<< Non importa, >> MJ si stringe nelle spalle.
<< No, non- >>
<< Mamma, va bene. Non sono una bambina, non serve che ti preoccupi. >>
A lei il Natale non è nemmeno mai piaciuto. Non le importa se sua madre dovrà lavorare in quel periodo, non le importa se in quei giorni avrà di turni che quasi non le permetteranno di tornare a casa.
Non importa.
<< Michelle, non puoi restare sempre da sola. Cosa fai tutte quelle ore chiuse in casa? >>
<< Mamma, >> sbuffa lei.
La donna non si arrende: vuole una risposa. << Perché non ti trovi qualcosa da fare? >> continua poi << se vuoi cercare un altro lavoretto va bene, così fai esperienza e per l’università- >>
MJ la interrompe: non ha nessuna voglia di parlare di quello. Le ha già detto, più volte, che non vuole andarci all’università.
Perché, che altro potrebbe dirle, se non che non l’MIT non le interessa più?
Non è vero, pazienza, non è necessario che sua madre lo sappia.
<< Vuoi sprecare così la tua vita? Lavorando in tutte le caffetterie di New York? Al liceo eri così brava, avevi voti alti… >>
MJ distoglie lo sguardo. Quello è un colpo basso: sua madre nemmeno voleva che lei si iscrivesse al Midtown.
<< MJ! >>
<< Non sei in ritardo per il lavoro? Dovresti andare. Dai, vai. >>
La donna vorrebbe continuare quel discorso, ma è davvero in ritardo. Con un sospiro di rassegnazione saluta la figlia prima di uscire.
MJ resta sola nell’appartamento che condivide con sua madre, ed è immersa in quella solitudine che decide che, finalmente, è arrivato il momento di liberarsi della giacca di Peter.
Non può continuare così, deve vivere la sua vita, la vita che ha scelto di vivere e, se Peter non la vuole più nella sua, pazienza.
Se ne farà una ragione.
Se lo ripete più volte durate il tragitto che la porta fino a casa del ragazzo, per darsi sicurezza.
Una volta arrivata a destinazione, però, quella sicurezza vacilla.
Solleva la mano per suonare il campanello.
È decisa, ha fatto tutta quella strada e ha portato la giacca con sé: sarebbe davvero stupido rinunciare proprio ora che è davanti all’ingresso del palazzo.
Però è ancora in tempo. Non l’ha vista nessuno, potrebbe tranquillamente andarsene e-
<< Ehi, devi entrare? >>
Si volta, richiamata da quella voce femminile, e fuggire via diventa immediatamente la decisione migliore.
È la ragazza che ha visto giorni prima con Peter. È lei, ne è certa.
<< Oh, sì, >> risponde, invece, stupida da sé stessa.
<< Sei l’amica di Peter Parker, vero? >> continua l’altra, infilando le chiavi nella serratura del portone.
E tu sei una stalker? Vorrebbe chiedere MJ, ma si trattiene.
<< Scusami, è che ti ho vista qualche volta… io sono la sua vicina, >> entra nel palazzo tenendo la porta aperta per MJ e le tende una mano << Felicia Hardy, >> si presenta con un sorriso.
<< Michelle Jones, >> risponde lei, ricambiando la stretta.
Salgono in silenzio le scale che portano ai piani superiori.
MJ sente lo sguardo di Felicia su di sé, ma è deciso a ignorarlo. L’ultima cosa che vuole è parlare con lei, magari correndo il rischio di trovarla simpatica.
Vuole odiarla per avere la fortuna di poter passare con Peter tutto il tempo che a lei è negato.
Si salutano con un imbarazzato cenno del capo, e MJ va verso la porta dell’appartamento di Peter.
Si ferma lì davanti, le mani sudate e la gola secca.
Può ancora andarsene, volendo…
No. No, lei non è una codarda.
Prende un respiro profondo e bussa, poi resta in attesa.
Dall’interno dell’appartamento non sente alcun rumore. Aspetta ancora, poi bussa di nuovo.
Forse Peter è uscito a fare l’amichevole ragno di quartiere, pensa, eppure quel silenzio le risulta sospetto.
Forse sta solo diventando paranoica a causa dello stress.
<< Peter? >> bussa ancora. Altri due minuti e poi-
La maniglia si abbassa, e la porta si apre.
 << E-ehi. >>
<< Peter, ciao, >> inizia imbarazzata, improvvisamente preoccupata di essere capitata in un momento sbagliato . << Sono solo passata a renderti- >> in quel momento di accorge dei graffi sul volto del ragazzo, e la giacca e la paura di disturbare perdono importanza  << Peter, che ti è successo? >> quasi spinge dentro l’appartamento senza nemmeno aspettare una sua risposta, e accendo la luce.
Il ragazzo si protegge gli occhi con un braccio e, colto di sorpresa, inciampa sui suoi stessi piedi.
MJ si scusa ripetutamente, poi getta la giacca su una sedia, si toglie lo zaino e la sua giacca. Lo aiuta a sedersi per terra, la schiena contro una parete. Gli prende il volto fra le mani e, spaventata, chiama il suo nome finché lo sguardo di lui non si focalizza su di lei.
<< Che cosa è successo? Peter, rispondimi. Peter- >> gli poggia la mano su un braccio, per attirare la sua attenzione. La solleva subito, sentendo qualcosa di umido e viscoso. << Oh, mio- >> le sue dita sono sporche di sangue. << Sei ferito. >> A causa del rosso della tuta non se n’era accorta subito.
Lui scuote la testa. Vorrebbe rassicurarla: si tratta solo di una ferita, va tutto bene.
Gli intima di farle vedere la ferita, ma lui rifiuta, mugugnando qualcosa riguardo un rinoceronte.
MJ deglutisce a vuoto.
È tanto sangue. Davvero tanto sangue.
Si alza e corre in bagno a prendere un asciugamano. Prende anche delle forbici: Peter la odierà, ma la manica della sua tuta è d’intralcio, e lei non pensa di essere in grado di mantenere il controllo nel trovarsi davanti Spiderman a petto nudo.
Torna da Peter. Si ferma, poi ci ripensa, e prende il telefono del suo zaino per impostare un timer.
Ha deciso che concederà cinque minuti a quella ferita perché l’emorragia si arresti, poi chiamerà il 911.
Si tratta di Spiderman: con i suoi poteri di autorigenerazione cinque minuti dovrebbero essere più che sufficienti.
Si tratta di Spiderman, si ripete quando, quasi otto minuti dopo, dopo aver ignorato il timer, si rende conto che il sangue non si sta fermando, e che non è davvero il caso che Spiderman vada in ospedale, correndo il rischio di far scoprire la sua vera identità.
Deve fare qualcosa, però, e deve farla subito. Prima che Peter muoia dissanguato fra le sue mani.
Il ragazzo ha gli occhi socchiusi, respira ancora, ma è pallido.
Con le mani sporche di sangue, afferra il suo telefono e scorre freneticamente la lista dei contatti. Le mani le tremano, e trema anche la sua voce quando deve parlare.
<< MJ? >> la voce di Strange al telefono è calma e posata, come al solito.
<< Ho-ho bisogno di aiuto. Peter- Peter è ferito. >>
<< Okay… okay… mantieni la calma- >>
<< Come faccio a stare calma con Peter che- >>  “mi sta morendo davanti!” vorrebbe urlare.
<< Dimmi che succede, dove sei? >>
<< Sono a casa sua, sta sanguinando. Non si ferma. C’è tanto sangue- il braccio- >>
<< Okay. Arrivo. >>
Chiude la chiamata e apre un portale.
Dall’altra parte dell’anello dorato vede MJ, inginocchiata per terra davanti a Peter, che gli preme un asciugamano sul braccio.
Entra nell’appartamento, mentre il portale si chiude alle sue spalle.
<< Cosa è successo? >>
MJ si scosta per lasciare spazio a Strange << Peter? Peter mi senti? >> gli prende un polso per sentire il battito.
<< Sto- >> rantola Peter, gli occhi socchiusi.
<< Non provarci nemmeno, brutto stupido, >> sibila MJ << giuro che se non muori questa volta ci penso io- >> continua, le guance rigate di lacrime.
<< Qui non morirà nessuno, >> la ferma Strange. Si guarda attorno riflettendo rapidamente su come procedere << andiamo a fare una visita agli Avengers. >>
A quelle parole Peter apre gli occhi e si agita, ma è troppo stanco per poter obiettare. Vede lo stregone aprire un portale, poi tornare vicino a lui e prenderlo in braccio.
Dall’altra parte del portale c’è una stanza, una stanza molto bianca e luminosa. Ci sono delle persone, sente voci di donne.
Sente la voce di Strange chiamare il nome di Wanda, ma non capisce cosa le dica poi.
La luce lo acceca.
Chiude gli occhi e quando li riapre, si trova sdraiato sopra un lettino in quella che riconosce come l’infermeria della New Avengers Facility.
Alla fine, in un modo o nell’altro, è tornato dagli Avengers.
Con lui c’è anche Marta.
<< Cosa gli è successo? >>
Peter cerca di restare sveglio, ma è difficile. È davvero tanto stanco, e vorrebbe solo dormire. Le ultime ventiquattro ore le ha trascorse sveglio, in giro sui tetti di New York.
Cerca concentrarsi sulle voci dell’infermiera e del medico, e di restare sveglio, ma poi riflette che, forse, potrebbe prendersi almeno quei minuti di pausa, prima di tornare a pattugliare le strade in città.
<< Ferita al braccio causata da arma da taglio…emorragia venosa… -sveglio, Peter? … di -tare sveglio… >>
<< …pressione bassa… >>
<< … l’emorragia… -cora arrestata… altra garza… -ter? Peter?... >>
<< … troppo debole… potere rigenerativo. >>
<< … filo… >>
Qualcosa di morbido gli asciuga il volto dal sudore, mentre i punti al braccio contribuiscono a tenerlo sveglio.
Il caos termina, la voci tacciono e la luce si abbassa.
Sente un dolore sordo al braccio dove sono stati messi i punti, e ha l’impressione di avere qualcosa infilato nell’altro braccio, forse l’ago di una flebo.
<< Forse è il caso di dirlo a Tony, >> mormora poi Stephen Strage, sovrappensiero << quando MJ mi ha chiamato sono andato via senza dire nulla. >>
<< Qui ci penso io. >>
Una porta viene aperta, poi richiusa, e Marta torna nel suo campo visivo. << Peter? >> lo chiama piano, in mano ha flacone blu.
<< Mh? >>
<< Come ti sei ridotto in questo stato? >> chiede  osservandogli il volto << ti disinfetto questi graffi, >> lo informa << questo disinfettante non dovrebbe bruciare. >>
<< Mh, >> riesce a rispondere lui, socchiudendo gli occhi. Non ha tempo per addormentarsi, lo sa, ma è davvero tanto - << MJ? >>
<< Ehi, ehi, resta giù. >>
<< MJ? Dove- ? >>
<< Sta bene, lei sta bene. È con Wanda. >>
Peter annuisce lentamente, e torna a sdraiarsi sul letto.
<< Ora devi pensare solo a riposarti. >>
 
 
 
 
 
 




 
NOTE
*  ‘tтвоя сестра здесь’ ( la pronucia dovrebbe essere tipo: tvoya sestra zdis), significa : c’è tua sorella / tua sorella è qui.





 

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Capitolo 7
*** White Christmas ***


                                                                      
                                                        Capitolo 7
                                           White Christmas
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ha seguito Wanda senza nemmeno rendersi conto di dove l’altra la stesse portando, troppo preoccupata per Peter e per ciò che gli sarebbe potuto succedere.
Il suo respiro che le rimbombava nelle orecchie assieme al battito del suo cuore, impazzito.
Incapace di formulare un pensiero coerente, l’unica cosa che i suoi occhi riuscivano a mettere a fuoco era il sangue sulle sue mani.
Non era poi così tanto, ma era il sangue di Peter, e quello bastava a mandarla nel panico.
Si è completamente affidata alla strega, e ora, seduta su una sedia, si abbandona contro il suo corpo, senza quasi rendersene conto, alla ricerca di un po' di conforto.
Le sue mani sono pulite, e Wanda le ha prestato una sua maglia, visto che la sua era macchiata di sangue.
Non sa quanto tempo sia passato, le sembra un’eternità. È stanca, e vorrebbe solo addormentarsi e dimenticare tutto, ma il pensiero di Peter che rischia la vita non la abbandona.
È in buone mani, lo sa, ma se qualcosa andasse storto? Quel sangue era davvero tanto.
Quando Strage esce dall’infermeria, vorrebbe alzarsi, chiedergli cosa sia successo e, soprattutto, andare da Peter, ma non è sicura che le sue gambe tremanti riuscirebbero a sorreggerla. Non è nemmeno sicura che riuscirebbe a parlare senza vomitare.
È Wanda ad alzarsi, pur restandole vicina.
<< Va tutto bene? >>
MJ sente quella voce rimbombare, la sente distorta come se fosse lontana, ma calma e sicura.
L’uomo annuisce << Marta sta finendo di medicarlo, e io… immagino che Tony e gli altro vorranno essere informati. >>
Wanda annuisce << Stark al momento non è qui, ma il Capitano lo informerà al più presto. >>
<< Bene. >> Strange si rivolge a MJ, ancora ferma al suo posto, le mani strette in grembo, << tu: ottimo lavoro, >> si complimenta cercando di suonare quanto più incoraggiante possibile, davanti allo sguardo terrorizzato della ragazza << senza la tua prontezza, la situazione sarebbe stata decisamente peggiore. >>
Lei annuisce << p-posso ve-derlo? >> chiede con voce spezzata.
Lui annuisce, e lei si mette lentamente in piedi. Wanda è con lei mentre Strange si allontana lungo il corridoio.
Ha paura di ciò che potrebbe vedere una volta entrata in infermeria. Ha paura di trovare il luogo imbrattato di sangue, e di sentirne l’odore pungente e ferroso, invece è tutto pulito e tranquillo.
C’è una strana quiete. Pacifica.
Marta sta finendo di medicare Peter.
Quando MJ si avvicina, l’infermiera si ferma un momento per osservarla attentamente << tutto bene? >> le chiede, rivolgendo poi uno sguardo interrogativo a Wanda.
<< Mh. >>
Wanda annuisce per confermare le sue parole, e Marta torna a medicare il ragazzo.
MJ si siede accanto al letto.
<< Sto bene, vedi? >> inizia Peter << sono tutto intero, va tutto bene. >>
<< Tutto bene? >> sibila lei << tutto bene? Se io non ti avessi trovato- >>
<< Non è successo. >>
<< Potresti almeno tenerti più in contatto con gli Avengers, così, se ti succede qualcosa… >> si interrompe perché, in quel momento, la consapevolezza che Peter continuerà a rischiare la sua vita è davvero troppo << ma no, tu ti ostini a stare in quel monolocale di merda. >>
<< Ehi, è un monolocale sensibile. >>
Lei sospira.
Marta e Wanda sorridono.
<< Mi dispiace. Non volevo coinvolgerti, >> continua Peter. << Non di nuovo. >>
<< Bè, non è una tua scelta. Spetta a me decidere quanto voglio essere coinvolta. >>
Il ragazzo non ribatte: è troppo stanco.
Poco dopo Peter si addormenta, e MJ rimane a vegliare su di lui finché Marta non cerca di convincerla ad andare a dormire.
È davvero tardi, le fa notare, e Peter è fuori pericolo. La sua ferita, in realtà è molto meno grave di quello che era sembrato, le spiega l’infermiera, e MJ si sente una stupida per essere andata nel panico in quel modo.
<< È tutto okay, >> sorride Marta. Prova poi a spiegarle quello che è successo, e MJ gliene è grata: anche se non capisce nulla di emorragie venose e vene brachiali, il fatto di avere una spiegazione scientifica, che le garantisce che Peter sta bene, è ciò di cui ha bisogno. *
<< È normale preoccuparsi per le persone a cui teniamo, >> continua Marta, << adesso però va tutto bene, è finita, e anche tu hai bisogno di riposare. Ci sono delle stanze libere- >> si ferma osservando lo sguardo spaventato della ragazza, quasi supplichevole << o no. Magari vuoi restare- ? ehi, >> le prende una mano e la stringe piano << tranquilla. Tranquilla, respira. >>
Wanda, dietro di lei, le circonda le spalle con un braccio. << Hai mangiato qualcosa? >> chiede dolcemente.
MJ scuote la testa, << non ho fame, >> aggiunge poi.
Le due donne le rivolgono un paziente sguardo di materno disappunto.
<< Almeno una tazza di latte? >> tenta Wanda. << Latte con cioccolato, >> sussurra poi, come se si trattasse di un segreto.
<< Bè- >>
<< Oh, andiamo, nessuno resiste al latte con cioccolato. >>
<< Vai a farti una passeggiata, >> interviene Marta, lasciandole andare la mano << così ti rilassi un po'. Metti qualcosa nello stomaco, e poi torni qui. Va bene? >>
<< Va bene, >> annuisce MJ, e lascia che Wanda la guidi fuori dall’infermeria.
La tazza di latte al cioccolato che la donna le allunga dopo ha un particolare sapore speziato. MJ non ha la più pallida idea di cosa ci sia dentro, ma le piace.
Sa di inverno, del Natale che si vede solo nei film, o che si legge nei libri di fiabe.
Sa di… magia.
Stringe la tazza con entrambe le mani e ne inspira il profumo, poi solleva lo sguardo su Wanda, che le sta dando le spalle, intenta a sistemare le spezie e il cacao al loro posto.
In quel momento realizza di stare bevendo del latte al cioccolato preparato da una strega. Può considerarla una pozione magica?
È stupido, e il fatto che abbia formulato quel pensiero è esclusivamente dovuto alla stanchezza e allo spavento che si è presa, ma l’idea di bere un filtro magico le suona stranamente confortante.
È un po' come essere tornata bambina.
Si sente stupida: non sarà certo quel latte a risolvere i suoi problemi.
<< È davvero buono, >> mormora, << cosa c’è dentro? >>
Wanda si volta e le sorride << solo una spolverata di hocus pocus,** >> risponde arricciando il naso.
MJ resta interdetta per un momento, poi le sue labbra si piegano in un accenno di sorriso.
È ancora scossa e preoccupata per le ferite di Peter, e quasi si sente in colpa a stare seduta lì e rilassarsi. La presenza di Wanda, però, e i suoi modi di fare così materni, le fanno quasi dimenticare il caos e il sangue di poco prima.
La strega solleva lo sguardo verso l’orologio appeso al muro, poi torna a guardare lei << buon Natale, >> sorride.
<< Cosa? >>
<< È mezzanotte, >> indica l’orologio << è Natale. >>
MJ sgrana gli occhi. Si era completamente dimenticata di che giorno fosse.
Beve in silenzio il suo latte, sotto lo sguardo preoccupato di Wanda e, quando finisce, non riesce a trovare la forza per alzarsi dalla sedia.
Improvvisamente, andare a vedere Peter non è più così urgente. O meglio, vorrebbe tornare subito da lui, ma si è resa conto che ci tiene alla sua dignità. O almeno alla poca che le è rimasta.
Lui non la vuole nella sua vita, e lei non ha intenzione di elemosinare l’affetto di nessuno.
Wanda nota la sua agitazione, e le suggerisce di camminare un po', per scaricare la tensione e riordinare le idee.
Si fermano in un salottino a metà strada fra la cucina e l’infermeria, MJ si siede su un divano, ed è lì che si addormenta.
Nel dormiveglia sente delle voci che la circondano, ma non è certa se siano reali o parte di un sogno.
<< Ho portato una coperta, >> mormora una voce maschile.
<< Piano, attento a non svegliarla, >> intima un’altra.
<< Non mettermi l’ansia da prestazione, Wilson. >>
<< Ehi. Quanti anni avete? >> rimprovera una voce femminile. Wanda? È ancora con lei.
<< Strage ci ha riferito di Peter, >> interviene una terza voce maschile, più pacata. << È stata una fortuna che Michelle avesse il suo numero. >>
<< Bè, quando ti innamori di un idiota con istinti suicidi non puoi lasciare nulla al caso. >>
<< Io non ho- >>
<< ‘Sta zitto, Steve, ti prego. ‘Sta zitto. >>
MJ sprofonda nuovamente nel sonno, avvolta da una calda coperta, e cullata da quelle quattro voci che, anzi che infastidirla, la confortano ricordandole di non essere sola.
Quando si alza, è mattina presto.
È la mattina di Natala, si ricorda.
Fa strano pensarlo: potrebbe essere qualsiasi altro giorno, ma Natale… no, quella mattina non c’è aria di festa.
Si guarda attorno e si rende conto di essere sola. Si mette a sedere, si scosta la coperta di dosso e si guarda nuovamente attorno. Il salotto è immerso in una pacifica penombra.
Mentre si alza, ancora assonnata, e ripiega la coperta che l’ha tenuta al caldo tutta la notte, non può fare a meno di paragonare quel Natale a quelli della sua infanzia, quando quel giorno era davvero una festa, quando la mattina si alzava eccitata e curiosa di scoprire cosa avrebbe trovato sotto l’albero.
Se ci pensa con più attenzione, però, le tornano in mente dei particolari, dei segnali che da bambina era riuscita a ignorare, o che i suoi genitori erano riusciti a tenere più o meno nascosti.
Nemmeno i Natali della sua infanzia erano stati poi così allegri, solo che non se n’era resa conto.
Si guarda attorno alla ricerca di un orologio, per sapere l’ora, poi si ricorda di avere il telefono in tasca.
Le cifre sul display segnano le 05:53. È presto, ma non riesce più a dormire, e la paura per la sorte di Peter torna ad assalirla.
Esce dal salotto e percorre i corridoi silenziosi e fiocamente illuminati.
La porta dell’infermeria è chiusa, MJ abbassa la maniglia tentativamente, e la apre.
Ci sono delle luci accese, e sente delle voci sommesse.
Seguendo quelle voci, attraversa la sala come immersa in un sogno.
 
                                                                                §
 
La mattina dopo si sveglia stordita e con una fastidiosa fitta al collo. Si solleva, lentamente, e si rende conto di essere in infermeria.
Peter dorme pacificamente sul letto vicino a cui lei è rimasta seduta tutta la notte.
No, non tutta la notte…
Si siede meglio, lasciando andare la mano del ragazzo, e si passa le mani sul volto stropicciandosi gli occhi e cercando di svegliarsi.
Ricorda vagamente di aver trovato Marta e Peter svegli al suo arrivo, il ragazzo era agitato, e poi… poi non se lo ricordava più. Peter si era calmato, e si erano addormentati.
<< MJ? Va tutto bene? >>
<< Mh… s-sì. >>
<< Sì? >> continua Marta, avvicinandosi. << Mi sembravi un po' scossa quando sei arrivata. >>
MJ esita un momento prima di decidersi a chiedere quando è arrivata.
<< Erano circa le sei del mattino. >> risponde l’altra donna. << Adesso, >> guarda l’orologio che porta al polso << sono quasi le nove. E credo sia davvero il caso che tu faccia colazione. Vieni, ti accompagno mentre Peter dorme. >>
<< Mh… ah, ehm… buon N-natale, >> mormora asciugandosi una lacrima di frustrazione scesa a bagnarle il viso.
<< Buon Natale, >> risponde l’altra donna, avvolgendole le spalle con un braccio e stringendola a sé, guidandola lungo i corridoi.
In cucina ci sono Bucky e Steve che fanno colazione. Non si accorgono subito dell’arrivo delle due donne, e MJ li osserva atteggiarsi come una vecchia coppia di sposini.
Marta la affida a loro mentre fa velocemente colazione.
I due uomini la guardano preoccupati. Sanno più o meno tutto ciò che lei ha passato in quei mesi: i ricordi che sono tornati dopo tanto tempo, Peter deciso a tenerla lontana da lui, lei che gli era andata dietro nonostante tutto, e la ferita della notte scorsa.
Il Capitano le sorride e le allunga un piatto di biscotti al cioccolato, incoraggiandola a mangiare.
<< Tutto bene? >>
MJ annuisce << s-sì, sì, >> annuisce nuovamente. << Davvero, >> si sente in dovere di confermare, anche se non è assolutamente vero.
Steve la guarda a lungo, in silenzio, ma non dice nulla.
<< Ho sempre saputo che sarebbe successo, >> sbotta alla fine, sentendo di doversi giustificare. Si stringe nelle spalle << insomma, e-era ovvio. Mia madre me l’ha sempre detto che avrei dovuto iniziare a comportarmi come una donna… avrei dovuto ascoltarla… >> inizia a parlare, e non riesce a fermarsi << non-non lo so, forse se fossi una strafiga come la sua vicina di casa le cose sarebbero andate in modo diverso. O se-se lui mi giudicasse in grado di difendermi da sola. O se io- non lo so. N-n-non lo so… >> ha così tanto da dire che le parole si rincorrono l’un l’altra , i pensieri si scontrano fra loro pur di essere trasformati in parole, e non importa se quello che viene fuori non ha molto senso. << Alla fine è solo colpa mia. Già solo il fatto che mi abbia notata- io- mi sono illusa, mi sono convinta che-… >> le lacrime le rigano le guance e, se una parta di lei vuole rintanarsi in un buco e non uscirne mai più, l’altra parte non riesce più a sopportare il peso che si porta dentro. Vuole solo tirare fuori tutto, da dare voce a tutto ciò che ha provato in quei giorni, in quei mesi, anche se sa che poi se ne pentirà. << Sapevo che sarebbe finita così, era ovvio, le cose belle nella vita si pagano sempre. Sono stata stupida a pensare che- >> è frustrante come sciogliere il cavo delle cuffie: più cerca di sciogliere i nodi, più quelli si stringono. Più i nodi si stringono, più lei si innervosisce. Più si innervosisce, più corre il rischio che i fili si spezzino.<<  Nemmeno io voglio stare con me stessa, perché dovrebbe volerlo Peter? >>
Marta dietro di lei, le stringe le spalle con fare incoraggiante. Bucky, al suo fianco, posa la sua tazza e si gira nella sua direzione.
MJ tace mentre l’imbarazzo le serra la gola, in attesa del giudizio dell’uomo.
È il Capitano, invece, a prendere la parola. << Peter è solo spaventato, MJ. E fa ciò che chiunque fa con le persone che ama: si preoccupa, e le protegge con ogni mezzo, >> mormora piano. << E le cose belle della vita non hanno prezzo, >> le parla con lo stesso tono che userebbe se si stesse rivolgendo a una bambina, e quella frase sembra una di quelle frasi fatte, e idiote, che lei odia. Quelle dei cioccolatini, o le citazioni motivazionali che spopolano su internet.
Eppure le suona stranamente confortante. Forse perché sembra che l’uomo sia davvero convinto delle sue parole.
<< Stavi bene con Peter, >> continua lui. << ti sei…illusa…e gli hai mostrato i tuoi sentimenti? È stato giusto così.  Non hai perso nulla, sei sempre tu, solo con più esperienza. Non impedirti di mostrare affetto alle persone a cui vuoi bene: le parole non dette sono spesso il rimpianto peggiore.  Se una persona è importante per te, diglielo, e se la vuoi nella tua, cerca di farla restare. Se quello che ti ho detto ti sembra assurdo, o troppo rischioso… allora forse non hai ancora perso abbastanza per poter capire, e sono contento per te. Ma se le mie parole hanno un senso per te, allora rilettici su, e chiediti se davvero vale la pena tacere. >>
Buky, che nel frattempo ha ripreso a bere il suo caffè, solleva una mano guardandola con la coda dell’occhio. << E, se può far sentire più sicura te, o Peter, >> posa la tazza << io sono disponibile per la parte pratica: difesa personale. >>
Ha capito male?
<< In un modo di magia, superpoteri e mutazioni genetiche sarai sempre a rischio, ma non sembra che ciò ti importi più di tanto, quindi posso insegnarti le basi di difesa personale: credo che così Peter si sentirebbe più tranquillo. >>
Le labbra di MJ si allargano in un sorriso, mentre Marta la abbraccia calorosamente da dietro << su, tranquilla, andrà… era caffè quello, sergente Barnes? >> si solleva puntando la tazza.
<< …no? >>
La donna incrocia le braccia sotto il seno << la caffeina… >>
<< Sto bene, davvero, sto benissimo. >>
<< Se ti viene un attacco di panico, ti lascio morire sul pavimento. >>
<< Lei lo sa, vero, infermiera, che agli uomini non piacciono le donne intimidatorie? >> la provoca lui.
<< Oh, per favore, in quanti morivano dietro all’agente Romanoff? >>
<< In senso letterale, o…? >>
Giusto. Avrebbe dovuto aspettarsi una risposta simile.
<< E comunque, sergente, cosa le fa pensare che io voglia un uomo? ***>>
Bucky solleva le mani in segno di resa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

















 
 
 
 
NOTE:
* Non so se sono riuscita a scrivere la scena in modo decente ^^’, ma almeno posso garantire che, dal punto di vista medico, dovrebbe essere abbastanza precisa: ho chiesto aiuto a una mia amica che studia medicina XD.
**  Spero si capisca ma, in caso contrario, questa voleva essere una citazione del film ‘Hocus Pocus’.
*** Nel mio headcanon, Marta è bisessuale.





 

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Capitolo 8
*** Echoes in the rain ***


 
 Capitolo 8
       Echoes in the rain
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                               
 








 
Ha dormito per quasi un giorno.
Si annoia a stare in infermeria, si sente in colpa a stare fermo in un letto quando potrebbe -dovrebbe- essere per le strade di New York a proteggere la città dal crimine.
Allo stesso tempo, però, non riesce a trovare la forza per alzarsi.
Le sue ferite non sono gravi, gliel’ha detto anche Marta, e ormai sono guarite quasi del tutto. Si sente solo incredibilmente stanco.
Si mette seduto, deciso ad alzarsi. Non ne ha davvero voglia, ma sente che dovrebbe almeno fare un tentativo.
È in quel momento che sente la voce di Happy, ed è come se la terra gli mancasse da sotto i piedi.
Sta parlando con Marta, chiede di lui.
C’è un momento di silenzio, poi dei passi che si avvicinano.
La porta della stanza è aperta, ma l’uomo bussa comunque allo stipite per attirare la sua attenzione. << Peter? >>
<< Ha-Happy, >> saluta lui. È tanto che non lo vede. O meglio, è tanto che non gli parla, l’ultima volta è stato davanti alla tomba di May, quando l’altro uomo non si ricordava di lui.
Dopo quella volta l’ha visto raramente, ma non si sono più incontrati.
Peter ha sempre fatto attenzione a restare molti metri lontano da terra, sopra il tetto di un palazzo o nascosto in un vicolo buio. Si è sempre sentito schifosamente codardo in quei momenti.
Adesso anche lui, come gli Avengers, MJ e Marta sembra aver recuperato la memoria.
<< Dio mio, cosa ti è successo? >> si agita l’uomo, preoccupato, avvicinandosi rapidamente al suo letto. << Razza di incosciente… c’è almeno una parte di te tutta intera? Si può sapere a cosa stavi pensando? >> scuote la testa. Si scusa per non essere arrivato prima, ma era lontano da New York con la famiglia Stark, sono tornati tutti poche ore prima.
Peter non dice nulla, lo lascia parlare, e subisce silenziosamente la sua preoccupazione. L’unica cosa a cui riesce a pensare, è che lui quella preoccupazione non la merita.
Se May non fosse morta per colpa sua, magari le cose fra lei e Happy si sarebbero potute sistemare, e ora sarebbero entrambi felici.
<< Avresti almeno potuto collaborare di più con gli Avengers, >> continua l’uomo << e sai bene che il signor Stark ti avrebbe aiutato, ti avrebbe fornito … un ‘armatura, o qualcosa di adeguato a proteggerti. Non quel… costume di carnevale che ti ostini a usare. Stai forse cercando di farti ammazzare, Peter? Non ci serve un morto in più. >>
<< Non sarebbe meglio così? >> si rende contro troppo tardi, dall’ espressione interdetta dell’uomo, che, forse, quella frase avrebbe fatto meglio a non pronunciarla.
<< Cosa? >> Happy si siede accanto a lui, << cos’hai detto? >> chiede nuovamente.
Peter abbassa lo sguardo a disagio. Ormai è fatta. << Voglio dire, la donna che amavi è morta per colpa mia, e tu ti preoccupi per me e- >> già la donna che lui amava è morta per colpa sua, e lui ora vuole buttare via la sua vita << non dovresti preoccuparti per me, non- sarebbe la giusta punizione, no? Se durante una missione io- >>
L’uomo si mette in piedi, si passa una mano sul volto sospirando pesantemente, poi gli si avvicina allungando le mani verso di lui, verso la sua testa. Peter resta fermo, perché se Happy vuole fargli male… bè, è un suo diritto. Smette di respirare e aspetta il colpo.
L’uomo gli preme una mano sulla fronte, l’altra mano gli tiene la testa ferma.
<< Non sembra che tu abbia la febbre, >> mormora Happy pensieroso. << Chiamo Marta per sicurezza, >> conclude poi, allontanandosi.
<< Cosa… ? >>
<< Stai dicendo cose senza senso: pensavo avessi la febbre. Chiamo Marta- >>
<< Happy- >>
<< Stai tranquillo e riposati, va bene? >>
<< No, Happy- aspetta- >> la voce si spezza, e Peter smette di parlare mentre le lacrime gli rigano il volto. Sente le mani dell’uomo sulle sue spalle, la sua voce che cerca di calmarlo e di confortarlo.
Non si merita quel conforto.
Sente dei passi, la voce di Marta che lo chiama. Vuole solo rintanarsi sotto le coperte e lasciare il mondo all’esterno.
Sente la donna massaggiargli la schiena, mormorandogli di respirare piano.
<< Dov’è la tua MJ? >> cerca di distrarlo l’uomo.
<< Non è mia, >> rantola lui, << non dovrebbe nemmeno starmi vicina. >>
<< Sei troppo severo con te stesso, >> interviene Marta, dopo un momento di silenzio.
<< Delle persone sono morte per causa mia- >> obietta il ragazzo << io dovrei- non doveva succedere! Io volevo salvare vite, aiutare le persone… >>
<< Peter, nessuno è perfetto, >> cerca di calmarlo Happy. << Gli errori capitano, e tu sei davvero troppo giovane per rovinarti la vita in questo modo. >>
<< Gli errori non devono capitare! Non- io non- >> si ferma, incapace di continuare a parlare. Le lacrime scorrono nuovamente lungo il suo volto, e lui non le ferma. Si limita ad asciugarsi le guance con le dita <<  riesco a dimenticare il- mia zia- a terra, >>  Happy circonda le spalle del ragazzo con fare confortante,<< e il sangue… se fossi stato più attento, se- >>
Marta chiude gli occhi inspirando lentamente.
Per un attimo non è più a New York, in infermeria.
Per un attimo torna indietro di anni, torna a Boston, in casa di Harlan.
È nuovamente notte, una festa di compleanno.
Si rivede in quella stanzetta in soffitta, che sbaglia farmaco. Prova nuovamente paura, quella paralizzante sensazione d’impotenza.
Harlan che cerca di convincerla a mentire, che escogita quel piano terrificante.
Vede la lama del coltello, vede il sangue.
Apre gli occhi, espira, e le sue labbra di piegano in un sorriso triste. << Sai, Peter, la verità è che la gente può scegliere, >> inizia.
Il ragazzo la guarda, il volto rigato di lacrime. Sembra un bambino scappato di casa, un cucciolo abbandonato. È smarrito e spaventato, proprio come lo era stata lei.
 << Ho scelto il lavoro che ho scelto perché volevo aiutare le persone. Magari salvare qualche vita. Un po' come fanno i super eroi… come fai tu, >> continua << ma chi studia infermieristica, o medicina…c’è una cosa che impariamo fin dal primo giorno. All’inizio è una conoscenza puramente teorica, perché quando sei in un’aula universitaria, e stai solo prendendo appunti, ti sembra di poter fare qualsiasi cosa. È davvero una bella sensazione, sai? Quell’illusione di onnipotenza… >> mormora sognante. << Poi, però, quella conoscenza diventa pratica, e non è facile da accettare. Ciò che impariamo è che non possiamo salvare tutte le persone. Ci possono essere diversi motivi: qualche volta un nostro errore, qualche volta, invece, è pura sfortuna. Una serie di sfortunati eventi che portano… a una morte. >>
Il ragazzo scuote la testa: non credo che lei abbia mai ucciso qualcuno.
<< Posso dire lo stesso di te. Tua zia ha fatto la sua scelta, ha scelto di aiutarti e sostenerti. >>
Peter tace, le labbra strette. Scuote ancora la testa: non vuole accettare le parole di Marta, né il conforto di Happy.
 
                                                                             §
 
Qualche ora dopo, è Tony a venirlo a trovare, con un’espressione di preoccupazione mista a disappunto sul volto.
Gli chiede come stia, gli dice che il suo comportamento è stato ‘molto irresponsabile’, e si scusa per non essere potuto venire prima.
Ha saputo che è grazie a MJ se è ancora vivo: se lei non l’avesse trovato, lui sarebbe morto dissanguato nel suo appartamento.
Peter annuisce.
<< La ragazza ha sangue freddo… ricordami perché vuoi allontanarla? >>
<< Signor Stark? >>
<< Oh-oh: siamo tornati a ‘Signor Stark’. Casini in vista. >>
<< Tony, >>  si corregge.
<< Ormai è fatta. Coraggio, che succede. >>
<< Nulla, è-è solo- >>
<< Sì, ecco, iniziare una frase con ‘nulla’, ‘ va tutto bene’… indica proprio che, in realtà, qualcosa sta succedendo. >>
Peter si sente a disagio: la domanda che vuole fare forse è un po' personale, ma lui è davvero curioso, e non conosce un’altra persona a cui chiedere.
Tony non si scompone, lo incoraggia a parlare e attende pazientemente.
<< Non hai mai paura per Pepper e Morgan? >> chiede, infine, Peter. << Insomma, prima di sposarti, non- >> si interrompe, incerto su come continuare, ma l’uomo sembra capire dove il discorso voglia andare a parare.
<< Sai che una volta Pepper è quasi morta? >>
Il ragazzo sgrana gli occhi: non era certamente quella la risposta che aspettava.
<< Davvero. Mi sono- mi sono preso un bello spavento, sai? E dopo quello, ovviamente, le ho detto che forse era il caso che lei mi stesse lontano. * Insomma, poteva fare qualsiasi cosa nella vita, e lontano da me una vita l’avrebbe avuta sicuramente… >>
<< Perché hai cambiato idea? >>
<< Cambiato idea? No, Peter. Non ho mai cambiato idea: penso ancora che la sua vita sarebbe stata più semplice senza di me. Ma sono schifosamente egoista, >> si stringe nelle spalle << e, semplicemente, non ho cercato di far cambiare idea a lei, >> continua a raccontare.
Quando le ha detto che credeva fosse il caso di lasciarsi, lei gli aveva rifilato uno schiaffo urlandogli contro che non ci doveva provare nemmeno per scherzo.
E quella era la storia di come stavano ancora assieme dopo tutti quegli anni.
Si alza << quando starai meglio, parleremo del tuo regalo di Natale. No, non si discute: non puoi andare da un tetto all’altro di New York, a salvare vite vestito- bè, da nulla, visto che il tuo costumino da carnevale è a brandelli. Non potresti usarlo nemmeno come straccio per lavarci il pavimento. Avresti bisogno di uno nuovo in ogni caso, lascia almeno che ci pensi io. Oh, e se poi rinsavisci e vuoi andare all’università, fammelo sapere. >>
<< Signor Stark- >>
<< Eccoci, di nuovo. >>
<< Tony. >>
L’uomo sospira e torna a sedersi accanto al ragazzo << senti, Peter, la situazione non può proseguire in questo modo. Nessuno ha bisogno di un amichevole Spiderman di quartiere in crisi. L’università potrebbe essere un’occasione per… prendere una pausa. >>
<< Non posso prendere una pausa- non- >>
<< Peter, ascoltami. >> L’uomo si passa una mano sul volto. Non sa bene come iniziare quel discorso. Non sa nemmeno come gestire tutta quella situazione.
Forse sarebbe dovuto intervenire prima… si sente responsabile nei confronti di Peter, soprattutto ora che il ragazzo è rimasto completamente solo.
Non avrebbe dovuto aspettare così tanto.
Bè, guardando il lato positivo, può usare quella situazione come prova generale per quando Morgan sarà grande.
<< Continuare così non ti porterà a nulla. Nella vita, >> sospira << ci sono situazioni in cui dobbiamo imparare ad accettare ciò che ci fa stare bene, anche se non corrisponde a ciò che ci piace. >>
Non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe trovato a fare discorsi così seri…e saggi? Certo, era una cosa che aveva iniziato a mettere in conto quando si era ritrovato Morgan fra le braccia per la prima volta, strillante e avvolta in una copertina bianca, ma aveva sempre pensato che se ne sarebbe occupata Pepper.
Insomma, era sempre stata lei quella con la testa sulle spalle, quella che faceva discorsi seri e che aveva sempre il controllo della situazione.
<< Ha fatto la stessa proposta a MJ, >> inizia. Si ferma e riflette su come la ragazza, probabilmente a causa della stanchezza di quegli ultimi giorni, avesse rifiutato confidandogli che non se la sentiva di lasciare sola sua madre in quel momento. Non spetta a lui parlarne con Peter << Ho fatto la stessa proposta a MJ, >> riprende << e anche lei è testarda come te. Chiedo anche a te di pensarci, come ho fatto con lei: l’università ve la pago io, anche l’appartamento. Voi dovete solo fare le valigie e prendere il primo aereo per Boston, studiare e laurearvi. Bè, tu dovresti anche trovare il tempo per metabolizzare- quello che ti è successo, magari trovarti uno psicologo? E riprendere il controllo della situazione. Sei ancora scosso e, te l’ho già detto, a nessuno serve un’amichevole Spiderman di quartiere che rischia di farsi ammazzare. >>
<< Ma finora sono stato bravo, >> obietta Peter, e Tony non può fare a meno di sospirare. Gli si stringe il cuore nel vedere quel ragazzino smarrito.
<< ‘Bravo’ non basta, >> riprende, ma lo sguardo smarrito del ragazzo lo ferma e gli fa capire che, nuovamente, sta procedendo nel modo sbagliato.
Riprova.
Cerca di fargli capire che non può salvare il mondo, se prima non riesce a salvare nemmeno sé stesso, che non ha senso arrivare al limite, superarlo, solo perché non vuole accettare di essere umano, di non poter fare tutto.
Cerca di fargli capire che essere un eroe non significa ignorare le proprie debolezze, ma cercare di migliorarsi.
Peter lo guarda smarrito, e Tony non sa più cosa dirgli, come aiutarlo.
È quasi comico che sia lui a voler aiutare qualcuno. Proprio lui che, per anni, ha fatto della sua vita un grandissimo casino.
<< Rifletti su ciò che ti ho detto, >> conclude infine << parlane con MJ. Ricordati solo una cosa: a questo mondo ci sono dei prezzi troppo alti, che devono essere pagati: la tua salute mentale è uno di questi. >>
Quando l’uomo lo lascia, Peter torna ad avvolgersi nelle coperte.
Chiude gli occhi: pensava davvero di poter gestire quella situazione, invece…
Sente vagamente la voce dell’uomo che parla con Marta, ma non vi presta grande attenzione, nemmeno quando sente Tony sollevare la voce.
<< Va già via, signor Stark? >>
L’uomo sospira passandosi una mano sul volto << sembra che, qualsiasi cosa io possa dire, sia inutile. >> Non sa nemmeno perché si stia sfogando con l’infermiera, forse perché la sua espressione, pur restando calma e pacata, sembra quasi quella di chi ne ha già viste abbastanza. Forse perché, non lo ammetterà mai, nemmeno a sé stesso, quello sguardo gli ricorda quello paziente e saggiamente materno di sua madre. << Non sono tagliato per dare consigli, o per trattare con un teenager, >> sospira. << Vado a divorziare da Pepper e a concederle la custodia di Morgan: è meglio che quella bambina venga allontanata immediatamente da me, Dio solo sa in che modi potrei rovinarle la vita. >>
<< Pessima mossa, >> ribatte, subito, Marta. << Signor Stark, Peter ha diciotto anni, e in quest’ultimo anno ha vissuto l’inferno… >>
<< E io non so convincere un teenager a fare qualcosa per il suo stesso bene. Mi dica, lei ha studiato queste cose? Come convincere la gente, dico. Insomma, il Soldato d’Inverno ascoltava lei. Non voglio offendere, mi creda, ma lei sembrava una Anna di Avonlea messa lì a far ragionare il mostro di Frankenstein. >>
Marta ride, non può farne a meno, e Tony si calma scusandosi sommessamente.
<< Gli dia qualche giorno per calmarsi qui nel Compouond, e poi riprovi. >>
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                







 
NOTE.
 
*    Mio headcanon.

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Capitolo 9
*** Satisfied ***




Capitolo 9
Satisfied
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 




Sto bene, scrive.
Sono da un amico, aggiunge.
E, subito dopo aver inviato, sa che quel ‘sono da un amico ’ sarà il messaggio che manderà nel panico sua madre.
Dopotutto lei non ha amici. Non più, almeno.
Bè, non è del tutto vero…in fondo c’è ancora Ned. Anche se in quell’ultimo periodo non si è comportata esattamente da amica nei suoi confronti.
Ha pensato spesso che, forse, avrebbe dovuto dirgli di Peter, ma ha sempre lasciato perdere, preferendo aspettare che fosse lui a intavolare quel discorso.
Cosa avrebbe fatto se Ned non avesse recuperato i ricordi che riguardavano Peter? Non voleva passare per pazza.
Avrebbe potuto liquidare il tutto con una risata, un semplice << sto scherzando. >>
 
May you always (Always)
Be satisfied
(Rewind)
Rewind
 
Certo, ormai si era abitata.
Per tutta la sua vita era stata quella strana, quella fuori come un balcone, quella che tutti guardavano con lo stesso interesse con cui si guardavano i malati di mente che venivano messi in mostra nei manicomi.
Sospira.
Forse sta esagerando.
 
I remember that night, I just might
Regret that night for the rest of my days
 
Si abbandona sul divano, le cuffie nelle orecchie. Forse il volume è tropo alto: vuole concedersi almeno una mezz’ora di musica spaccatimpani, nella speranza che la musica la aiuti.
Però è vero: è sempre stata quella strana, quella diversa. Quella poco femminile.
L’unica parentesi di normalità l’aveva avuta con Ned. E con Peter. Loro due non l’avevano mai giudicata.
Ci sono momenti in cui vorrebbe che Peter non fosse Spiderman: sicuramente sarebbe tutto più semplice. Prima di tutto, non si sarebbe mai dimenticata di lui, e tutto quel casino non sarebbe successo. E poi lui non rischierebbe la vita ogni giorno…bè, no, forse quella è un’utopia: sta comunque parlando di Peter Parker.
Ci sono dei momenti in cui vorrebbe davvero che Peter Parker non fosse Spiderman, ma allo stesso tempo non riesce a non essere quasi…orgogliosa di lui, nonostante non riesca a non avere paura per lui.
 
I have never been the same
Intelligent eyes in a hunger-pang frame
And when you said “Hi,” I forgot my dang name
 
L’ha sempre incoraggiato, come prima aveva fatto May Parker, ha cercato di essergli vicina come ha potuto, ma la verità è che non ha la minima idea di casa fare, di come comportarsi.
Non vuole aspettarsi nulla dal futuro: è stanca di essere sempre delusa, eppure non riesce a non credere che forse Tony Stark potrà, in qualche modo, convincere Peter a diventare, almeno per un po’, un amichevole Spiderman universitario.
Si toglie le cuffie: quella musica le sta solo facendo venire il mal di testa.
Sente delle voci, si guarda attorno per capire chi sia con lei, ma non vede nessuno.
In corridoio, oltre l’ampia vetrata che separata dal salotto, c’è Peter inginocchiato a terra.
MJ getta via le cuffie, che ricadono sul morbido cuscino del divano, e fa per correre fuori: riconosce quei segnali, ha già visto il suo corpo irrigidirsi in quel modo, tremare, accartocciarsi su se stesso in cerca di protezione.
Tony e Steve sono accanto a lui e cercano di aiutarlo.
Si ferma: non può farsi vedere agitata da un Peter in preda al panico. Cerca di recuperare il suo autocontrollo prima di uscire in corridoi, e una vocina nella sua testa la mette in guardia: Peter non ha chiesto il suo aiuto, e non è da solo.
Probabilmente i due uomini sono più preparati e capaci di lei, forse farebbe meglio a restare in disparte.
Eppure, quando lo sguardo terrorizzato del ragazzo si solleva su di lei, MJ non riesce a stare ferma a guardare.
Le tornano in mente le parole che Steve le aveva detto: chiunque protegge le persone che ama, è naturale. È ciò che sente di voler fare lei in quel momento, un istinto di protezione verso quel ragazzo che cerca disperatamente di salvare tutti, ma non riesce ad aiutare sé stesso.
Peter allunga le mani tendendosi verso di lei quasi con disperazione, MJ lo stringe a sé, incerta.
Il ragazzo trema fra le sue braccia, e cerca di riportare il respiro a un ritmo normale. Lei gli massaggia tentativamente la schiena. << Va tutto bene, >> mormora, e subito si sente una stupida. Peter sta avendo un attacco di panico e lei non sa cosa fare: non va affatto bene.
Gli prende una mano, come ha fatto altre volte, e se la preme sul petto, e cerca di non pensare al fatto che Captain America e Iron Man la stanno guardando. Forse giudicando per la sua impulsività e scarsa esperienza.
Non sa come, né perché, ma Peter comincia a calmarsi. Le mani gli tremano ancora, e il respiro non è regolare, ma sta rallentando.
Forse è una coincidenza, ma le piace pensare di essergli stata davvero utile.
Peter si abbandona contro il corpo della ragazza, stremato, cercando di stringersi a lei, la testa abbandonata contro la sua spalla, e la fronte premuta contro il suo collo.
MJ affonda le mani fra i suoi capelli, rendendosi contro troppo tardi che quello, forse, è un gesto un po' troppo intimo. Il ragazzo, però, sospira dando segno di apprezzare quelle attenzioni.
<< Peter? >> lo chiama piano Tony.
Lui risponde con un mugugno, troppo stanco anche per sollevare la testa.
<< Meglio se torni in infermeria a riposare. >>
<< Sto bene, >> si lamenta lui << sto bene, >> ripete.
<< Ragazzo, >> interviene Steve << hai bisogno di stare tranquillo dopo un attacco di panico. >>
Lui non risponde. Sta che Steve ha ragione, ma non vuole tornare a chiudersi in infermeria. Ha paura che, una volta lì dentro, non riuscirà più a uscirne.
<< Ci penso io, >> interviene MJ. Peter può riposare nella sua stanza, in caso di necessità sarà lei a chiamare Marta.
Lui cerca di opporsi: MJ ha già fatto fin troppo per lui.
Lei però lo mette laconicamente a tacere, << nessuna ha chiesto la tua opinione, Parker. >>
E lui non ha davvero voglia di discutere, pertanto si limita, pur controvoglia, a seguire la ragazza senza ribattere mentre lei lo trascina lungo i corridoi.
MJ cerca di convincerlo a dormire un po', ma lui non ci riesce, nonostante la stanchezza. Sono troppi i pensieri che gli affollano la mente, l’adrenalina che circola nel sangue anche ora che la paura è passata. C’è poi quel senso di inferiorità che lo tormenta per essersi mostrato così fragile davanti agli Avengers, e alla ragazza che sta cercando di proteggere.
<< Non puoi sempre calmarti usando il mio cuore, sai? >> lo richiama la voce di MJ. << Io sono dell’idea che dovresti trovare un altro suono che ti rilassi. >>
<< Il-? Oh, no-n-no-non, >> si ferma e deglutisce a vuoto prima di continuare: si sente un po' stupido al pensiero di ciò che sta per dire ad alta voce << il battito del tuo cuore >> forse non dovrebbe proprio dirlo, ma ormai MJ lo sta guardando in attesa << non mi-rilassa- >>
<< Oh, okay, allora vuoi solo toccarmi le tette. >>
<< No! >>
<< Calmati, >> ride << calmati: sto scherzando, >> continua davanti al suo imbarazzo, al suo volto che si è tinto di una vivace sfumatura rossa. << Lo so che non ti interesso in quel modo. >> Insomma, deve essere quello il motivo, no? Non mette certo in dubbi la preoccupazione di Peter nei suoi confronti, ma è stata lei quella che il ragazzo ha deciso di allontanare, non quella Felicia Hardy.
E non le importa che, essendo i due vicini di casa, Peter non può allontanarla più di tanto.
<< MJ… io- >>
Lei lo ferma: va bene così, davvero.
<< MJ- se sento il tuo cuore che batte, so che tu sei ancora viva. E so che sono riuscito a proteggere chi amo. Almeno per una volta, >> termina in un sussurro.
La ragazza tace interdetta: non si aspettava quella risposta.
Un bussare alla porta interrompe il silenzio che era sceso nella stanza.
Peter fa per alzarsi, ma lei lo ferma: non le sembra ancora così stabile da poter stare in piedi.
Va lei ad aprire, e si trova davanti Stark con in mano una busta. <<  Ho pensato che sia il caso che tu e Peter iniziate ad abituarvi, quindi oggi una cena da veri universitari: noodle istantanei. >>
MJ prende la busta interdetta e ringrazia con un cenno del capo.
<< Però…non ho sentito le solite proteste, il solito ‘Signor Stark, non voglio andare all’università’ … stiamo facendo un passo avanti. >>
<< N- >>
<< Io- >>
<< No, >> li ferma l’uomo con un gesto della mano << vi prego, lasciatemi godere il momento. Shh. Fate i bravi e mangiate, >> li saluta, prima di andare via e lasciarsi soli.
Peter sembra più sereno all’idea di poter restare a mangiare in camera, e sembra anche molto affamato.
MJ scalda dell’acqua con un bollitore che trova nella stanza.
Si siedono per terra a mangiare e, per un po' l’unico suono è solo quello delle bacchette nel contenitore di plastica dei noodle.
<< Io sto pensando di accettare, >> dice MJ a un certo punto, la sguardo fisso sulle bacchette che mescolano i noodle nel brodo. In realtà non ci ha davvero pensato, non più di tanto. << Insomma, la mia vita è comunque un casino… non ho la più pallida di cosa fare e- forse- >>
In quei pochi giorni di festa, sua madre, troppo presa dal lavoro, ha appena trovato il tempo per mandarle un messaggio di auguri. Probabilmente non è nemmeno tornata a casa, e non si è accorta che lei non vi era rimasta.
Lei non sente la mancanza di sua madre, sua madre non sente la sua mancanza.
È perfetto.
<< Non devi giustificarti. È la tua vita, è giusto che tu colga ogni occasione. >>
<< Okay. Okay, va bene. >>
<< Tua madre sarà contenta. >>
Sì, contenta…come se avesse anche il tempo di pensare a qualcosa di diverso dal lavoro. Non è cos’ ingenua da non capire quando il lavoro sia importante, quanto i soldi siano importanti…vorrebbe solo  che, almeno per una volta, sua madre le facesse capire che anche lei è importante.
Cala nuovamente il silenzio mentre i due continuano a mangiare affamati.
Peter è perso nei suoi pensieri.
Guarda MJ mangiare, e l’unica cosa a cui riesce a pensare è che la ama, e vorrebbe tanto poter stare con lei, ma vuole anche proteggerla.
Però, forse…forse potrebbe trovare un modo…forse… e quel discorso che Tony gli ha fatto sull’università è stato davvero convincente.
<< Tu tornerai nel tuo monolocale? >>
Peter solleva lo sguardo, poi, incerto, lo abbassa nuovamente. Nemmeno lui sa cosa fare della propria vita. Sa che la cosa giusta è continuare a essere Spiderman ma, davvero, non riesce nemmeno a occuparsi di sé stesso.
<< MJ? Posso chiederti una cosa? >>
<< Non ti starò più attorno, se questo è quello che ti preoccupa. Divertiti quanto vuoi con quella… Felicia? >>
<< Felicia, cosa? Di che parli? >>
Con tutto quello che è successo, non hanno avuto il tempo di parlare. MJ vuole essere chiara: in questo periodo gli è stata accanto perché tiene a lui ma, se non la vuole fra i piedi, se preferisce la sua gatta morta**, lo capisce, e va bene. Davvero.
Peter si agita nel tentativo di spiegare, e la ragazza lo trova quasi comico. Quasi. Non ha davvero voglia di sentire delle scuse.
<< Lei è solo la mia vicina, >> balbetta lui << tu- >>
<< Io? >>
<< Tu sei importante per me, MJ, e ho paura di perderti. >>
<< Son importante per te? >>
<< Sì. >> Ed è per quello che sta cercando di proteggerla.
<< Peter… ancora questa storia del ‘io sono Spiderman, è pericoloso, ti fanno fuori e poi è colpa mia’… se il problema è quello, Bucky ha detto che mi insegnerà come difendermi. >>
<< Non si tratta solo di quello. Io- ne ho parlato con Marta, e secondo lei- aspetta, cosa? >>
<< Cosa, cosa? >>
<< La parte di Bucky che ti insegna come difenderti. Che significa? >>
<< Come ‘che significa’? Significa quello che ho detto: mi insegnerà a difendermi. >>
<< No. No…è-? >>
<< Cosa? Pericoloso? Lo sai, vero, che potrei morire anche attraversando la strada? >>
<< Ti prego, non dirlo, >> pigola lui, la voce malferma e sottile tanto che la ragazza si sente in colpa.
<< Il fatto è-, >> riprende lui << è che sto affrontando il tutto molto peggio di come immaginavo. E ne ho parlato con Marta: secondo lei potrebbe essere disturbo da stress post traumatico. E io non voglio coinvolgerti. Non voglio svegliarti durante la notte se mi viene un attacco di panico, o farti preoccupare se- >>
<< Non puoi decidere di cosa io possa preoccuparmi. >>
Peter fa per ribattere, ma non riesce a darle torno. È successa la stessa cosa con May: lui ha cerca di non coinvolgerla, ma lei non l’aveva ascoltato.
<< Scusa. Riesco a fare un casino ogni volta. >>
<< Vero, >> conferma lei, per poi ridere davanti allo sguardo esasperato del ragazzo.
Peter sorride per poi abbandonare la testa contro la spalla di lei. Si sente schifosamente egoista, e gli tornano in mente le parole di Tony su Pepper.
<< Con te sto bene, >> ammette in un sussurro.
MJ cerca la sua mano e la stringe piano, intrecciando le due dita a quelle del ragazzo. << ssh, ora cerca di riposare un po', >> cerca di suonare conciliante e, mentalmente, si appunta di fare qualche ricerca sugli attacchi di panico, e il disturbo da stress post-traumatico. << Lasciati consumare dall’oscurità, >> mormora con voce roca. << Scusa, scusa: sto scherzando. >>
Ridono assieme.
<< Con quella voce, puoi dirmi qualsiasi cosa. >>
<< Sì? >>
<< Mh-mh. >>
MJ si schiarisce la gola . Dopotutto, tentar non nuoce, vero ?
Falso.
Può nuocere, e anche tanto.
Le tornano in mente le parole di Steve, e decide che, infondo, non vuole che fra lei e Peter ci siano parole non dette.
<< Andiamo all’università assieme, >> mormora con una voce che avrebbe voluto essere calda e roca, come lo era stata poco prima, ma che suona più malferma e agitata.
<< Se dovesse capitarti qualcosa- >>
<< Non pensarci. >>
<< MJ- >>
<< Ti prego, fai finta che vada tutto bene, >> mormora, avvicinandosi a lui, e premendo la fronte contro la sua.
 



 
 
 
 
 







NOTE:
 
*   ‘Satisfied’ del musical ‘Hamilton’.
**  Felicia Hardy, è il nome de ‘la gatta nera’, nemica di Spiderman.




 

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Capitolo 10
*** I know the sound (of your heart) ***



Capitolo 10
I know the sound (of your heart)
 
 
 
 
 
 
 






 
Poggia, distrattamente, la tazza vuota sul tavolino. Non si accorge, però, di averla poggiata troppo vicina al bordo.
La tazza cade sul pavimento, e si infrange in grossi pezzi dai bordi taglienti e irregolari.
Il forte rumore lo coglie di sorpresa facendolo sobbalzare. La porcellana infranta gli rimbomba delle orecchie.
<< Ehi. >>
Si volta, stordito, e una mano premuta contro la sua schiena lo mantiene in equilibrio.
<< Steve? >>
Mette a fuoco uno sguardo preoccupato. << Scusa, >> ansima, << i-io- >>
<< Stai bene? >>
<< S-sì, >> annuisce, << sì. >> Lo dice più per cercare di convincere se stesso, ma sa bene di non essere minimamente credibile.
<< Mh-mh, >> Bucky lo osserva con sguardo scettico. << È normale avere una giornata no, >> alluna una mano verso il suo volto. << Guardami, >> gli prende il volto fra le mani << non devi fingere che vada tutto bene. >>
<< Scusa. >>
Le mani di Bucky scendono lentamente lungo le sue spalle, le braccia, i gomiti, per poi fermarsi sui fianchi. Sorride. << Ti va di ballare? >>
<< Cosa? >> chiede, per essere sicuro di aver capito bene.
<< È- è una delle cose che Marta mi aveva consigliato di fare. >> In realtà, spiega, era più per aiutarlo a recuperare la memoria, ma muoversi era utile anche per calmarsi.
Il disco nero gira sotto la punta in metallo del vecchio grammofono, e la musica riempie la stanza. La tecnologia è bella, certo, rende la vita più facile, ma il gracchiare del grammofono è un suono a cui i due uomini non vogliono rinunciare.
È Bucky a condurre.
Steve si lascia guidare docilmente e, se si concentra sulla musica, riesce quasi a illudersi che il tempo non sia passato; chiude gli occhi, e si sente nuovamente a casa, un ragazzino nella Brooklyn degli anni ’30.
Quando riapre gli occhi, incontra lo sguardo pacato di Bucky.
Dopotutto è a casa.
Ed è per quello che ha paura di perderlo. Perché Bucky, infondo, è sempre stato casa, e senza di lui è un po' come non avere la terra sotto i piedi.
<< Ho visto il telegiornale- >> inizia.
<< Ssh. >> La voce bassa dell’altro suona calma e confortante.
<< Parlano di una guerra. Un’ altra*. >>
È stanco di essere un soldato, è stanco di vedere che la storia si ripete perché il passato è stato dimenticato o viene deliberatamente ignorato.
Aveva deciso di arruolarsi per fare la differenza, per difendere i più deboli, aveva deciso di indossare la divisa dell’esercito in nome della giustizia, e di una pace in cui credeva fermamente.
Ora quella sua sicurezza vacilla, e lui non sa davvero più in cosa credere.
Davvero tutti quegli orrori che ha vissuto in prima persona non sono serviti a nulla?
Davvero sarà costretto a riviverli, come in un incubo da cui non potrà svegliarsi? E chi perderà questa volta?
Bucky lo tiene stretto a sé, piega la testa e avvicina le labbra al suo orecchio. << Non è tutto perduto, Steve, non è tutto perduto. >>
È tutto come prima.
Si sente ancora il ragazzino gracile e incredibilmente testardo che ammirava e amava James Buchanan Barnes.
È tutto come prima, nella Brooklyn del suo passato, e lui sa già come finirà quella storia…
<< Un’altra guerra… un’altra...Thanos aveva ragione. >>
Bucky gli prende il volto fra le mani, costringendolo a guardarlo. << No, >> mormora, << no, >> ripete << non puoi pensare una cosa simile. Per un folle che porta distruzione, ci sono migliaia di persone che vogliono continuare a vivere, che combattono, e sperano in un futuro migliore. Ci sono le nuove generazioni per cui noi abbiamo combattuto, e c’è una vita che abbia immaginato da vivere. >>

 
                                                                                   §
 
 È una sommessa musica natalizia a svegliarli dolcemente dal sonno in cui erano sprofondati.
Hanno passato lunghe ore semplicemente a parlare, a raccontarsi quel periodo trascorso l’uno lontano dall’altra, e a immaginare il loro futuro.
È stato… divertente, e rincuorante, sentire finalmente di avere un futuro da immaginare, da plasmare, anche se poi non tutto andrà come vogliono.
La prima ad aprire gli occhi è MJ. Si accorge di Peter addormentato fra le sue braccia, lo stringe delicatamente contro il suo corpo, un po' per istinto di protezione e un po' per assicurarsi che sia tutto vero.
Sospira, e sorride mentre lo lascia andare e per mettersi a sedere.
Fa attenzione a non svegliarlo, ma è inutile, visto che il ragazzo percepisce il suo movimento, e apre gli occhi stropicciandoseli ancora assonnato.
<< MJ? >> la chiama.
<< Va tutto bene, resta giù. >>
<< Sto bene, >> si mette seduto lui << non preoccuparti. >>
Nel sereno silenzio che scende fra i due, la musica fa loro da sottofondo.
Peter allunga una mano ad accarezzare i capelli della ragazza, e le sorride incoraggiante. MJ si rilassa, sorride, e si gode quelle attenzioni. << Credo siano Cap e Barnes, >> mormora, una ciocca castana attorcigliata al dito, << sai, preferiscono usare un vecchio grammofono. >> L’ha sempre trovato molto romantico, ammette poi, in un sussurro appena udibile.
MJ annuisce. Quel suono ha un che di romantico, concede, ma anche di triste e nostalgico.
Ascolta in silenzio, più interessata alle dita di Peter fra i suoi capelli, e riconosce le note di ‘We Wish You a Merry Christmas’, una versione più lenta della canzone.
È rilassante, e confortante, e sa davvero di Natale. Le piace.
Peter si avvicina a lei, preme la fronte con una spalla e sospira stancamente.
<< Tutto okay? >> chiede lei, tornando bruscamente alla realtà.
<< Sì, >> risponde lui, sollevando la testa. Le rivolge un sorriso stanco, poi piega la testa e la bacia sulla guancia. MJ arrossisce, e si china su di lui a poggiare la fronte contro la sua.
Restano fermi ad ascoltare l’uno il respiro dell’altra, e le ultime note della musica di sottofondo.
Peter cerca una mano della ragazza, poi avvolge il polso con la sua. Lei gli prende la mano e se la porta fra i seni << batte ancora, >> mormora. 
<< Ehm…MJ, senti… >>
<< Ned è preoccupato per te. >>
<< Cosa? >>
<< Andiamo, >> si allontana per guardarlo meglio << stavi per chiedermi di lui, no? In quest’anno ci siamo un po' persi di vista, per la verità >> ammette, un po' a disagio. << Sai, lui era all’MIT,  >> spiega << io qui a New York…ma ci siamo sentiti qualche volta, e anche lui si ricorda di te- >> fa una pausa incerta << in questi mesi non ti ha scritto perché pensava che tu non lo volessi più come amico, e io non sapevo bene quando parlartene. >>
<< Bè… era vero. >>
<< Oh, non ci vuoi proprio in mezzo ai piedi, eh? >>
<< Okay, okay, ho capito: se volete suicidarvi, vi lasc- >>
<< Vogliamo far parte della tua vita, Parker. Che ti piaccia o meno, >> inizia con fare minaccioso. << E Ned vorrebbe vederti, >> continua, ammorbidendo la voce.
Peter annuisce lentamente e abbassa la testa per non incontrare lo sguardo di MJ. Sa che quel penoso tentativo di nascondersi non servirà a nulla e, se deve essere sincero, non sa nemmeno se voglia nascondersi o se voglia essere invitato a parlare.
Una mano della ragazza si avvicina al suo volto. Esita, si ferma, poi ritrova il coraggio e lo sfiora delicatamente.
Un dito sotto il mento gli solleva il volto, e i suoi occhi incontrano lo sguardo calmo di MJ.
Ha capito. Lei capisce sempre, ma lui, come uno stupido, cerca ancora di nascondersi.
Si schiarisce la gola << lui- bè, insomma, me lo merito, però…lui mi-mi odia? >> Vorrebbe subito tapparsi le orecchie per non sentire la risposta, perché se davvero Ned lo odia, se vuole vederlo sono per urlargli contro che pessimo amico sia stata, allora preferisce restare nell’ignoranza. Resta fermo, invece, in attesa.
<< No, Peter. No. Gli manchi. >>
<< Gli—gli manco? Oh-o-okay. >>
<< Okay? >>
Annuisce << okay. >>
<< E poi, andremo all’università assieme: dovrete vedervi per forza. >>
Peter si sforza di ridere per nascondere l’agitazione.
 
                                                        §
 
<< Wanda? >>
<< Ho bisogno di parlarti. >>
<< … va bene, >> annuisce l’uomo, interdetto << cosa posso fare per te? >>
<< Tu sei l’unico stregone che conosco, l’unico che sappia usare la magia… ho bisogno di aiuto, io- non riesco più a controllare i miei poteri, e non capisco cosa mi stia succedendo. >>
<< Non hai dei testi da consultare? >> chiede lo stregone, pensieroso.
<< Testi? Non ho testi, non ne ho mai avuti, >>
<< Non hai- e come ha imparato a controllare la magia? >>
<< …facendo tentativi. >>
Stephen sospira: insegnare la magia a un’apprendista strega del caos era davvero l’ultima cosa che si aspettava avrebbe fatto nella vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 




 
Note.
Prima cosa, spero che il capitolo non fosse eccessivamente romantico, e spero di non aver scritto i personaggi OOC.
Ora passiamo alle cose serie…
* Teoricamente questa ff è ambientata nel gennaio del 2025, quindi Steve non dovrebbe saperne nulla. Inoltre questo non è certo il luogo ideale per parlarne, ma ne sentivo il bisogno.
In sostanza, la guerra a cui accenna Steve, e riguardo cui non ho scritto altre informazioni, è un riferimento alla situazione che sta vivendo l’Ucraina in questo periodo.
È una situazione che sento particolarmente vicina per motivi personali, e scriverci su qualcosa è stato anche un modo per riflettere.





 

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Capitolo 11
*** Vite passate e future ***




Capitolo 11
Vite passate e future
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
<< Peter? >>
<< Mh? >>
<< Calmati. >>
<< Sono calmo. >>
MJ gli rivolge uno sguardo scettico, e allunga una mano  poggiandola contro il ginocchio del ragazzo << smetti di tremare: andrà tutto bene. >>
<< Come fai a dirlo? >> sbotta lui, pentendosene subito dopo.
MJ sospira, poi gli stringe il ginocchio con la mano, << Peter, ehi, guardami: andrà tutto bene, >> mormora cercando di suonare quanto più confortante possibile.
Non è brava lei in queste cose, a calmare le persone. Non è brava con le persone, punto, ma con Peter ci prova.
È riuscita a convincerlo a incontrare Ned, ma l’eccitazione che aveva animato il ragazzo fino a poco tempo prima, ora si sta trasformando in agitazione.
È normale, si dice: è tanto tempo che non si vedono, e Ned è sempre stato molto importante per Peter. Lo capisce, ma vorrebbe che il ragazzo non vivesse il tutto in maniera così stressante.
Non può farci nulla, però.
Una folata di vento scuote le fronde degli alberi attorno a loro.
Nonostante il freddo di quel pomeriggio newyorkese, i tre hanno deciso di incontrarsi in un parco.
<< Okay, okay: sto bene. >>
<< Sì? >>
<< Sì. Sì. Insomma, se alla fine mi dicesse di non volermi più vedere, o- >>
<< Peter, >>  lo richiama lei.
<< No, no: andrebbe bene, davvero. È ciò che merito. È ciò che volevo, dopotutto. >> Comincia a parlare, dando voce ai tutti i pensieri che si agitano nella sua testa. MJ cerca di fermarlo, di calmarlo, ma lui continua, perso nella sua spirale catastrofica.
Se deve essere sincero, gli sembra strano che Ned abbia deciso di incontrarlo, di farsi tutta quella strada solo per dirgli che lo odia, ma non si può mai sapere.
Lo accetterebbe, ma gli sembra comunque strano.
Avrebbe potuto mandargli un messaggio, anzi che tornare a New York dall’università. Ma probabilmente ha cancellato il suo numero: è ciò che si fa solitamente con quei numeri sconosciuti, i numeri di persone che ormai non sono più importanti. L’avrebbe fatto anche lui.
Sente una mano sopra una spalla, si volta.
<< Ehi, amico… dovresti cercare di calmarti un po', sai? Ti fa male agitarti così. >>
Ammutolito, Peter guarda incredulo la persona in piedi davanti a lui.
Si alza dalla panchina, cercando qualcosa da dire, ma non riesce a trovare le parole.
Ned non è cambiato. Sembra più stanco, però… forse per via dello studio, forse per il viaggio. Sente, alle sue spalle, il movimento di MJ che si alza e gli si avvicina.
<< Va tutto bene? >> chiede Ned, per poi rivolgere uno sguardo preoccupato alla ragazza.
Lei avvolge le braccia attorno alla vita di Peter, che si abbandona quasi contro di lei, e poggia la schiena contro il suo corpo.
<< Meglio se torni seduto, >> gli sussurra all’orecchio, prima di spingerlo delicatamente verso la panchina.
Peter si lascia aiutare, incapace di dire o fare qualsiasi cosa.
Si era preparato tutto un discorso, aveva così tante cose che voleva dire e chiedere a Ned, ma ora non riesce a pensare a nulla di tutto ciò.
Le lacrime gli bagnano le guance, e Peter si ritrova a singhiozzare sommessamente fra le braccia di dei suoi amici, che lo stringono fra i loro corpi.
È passato così tanto tempo dall’ultima volta, che ormai aveva dimenticato cosa si provasse.
È felice, ma la nostalgia e la tristezza per tutto il tempo perso lo assalgono.
Alla fine tocca a MJ mandare avanti la conversazione, evitare silenzio imbarazzanti e riscuotere Peter dal suo torpore.
<< Ehi, voi due, cercate di risolvere questa situazione, >> li riprende, quando ormai il sole sta tramontando sopra i tetti di New York ed è ora di salutarsi << non pensate di fare così anche all’università. >>
A quelle parole le labbra di Ned si allargano in un sorriso << non ci credo ancora che saremo tutti nuovamente assieme, >> mormora felice. << Ho-ho tante cose da farvi vedere. C’è una caffetteria che vi piacerà sicuramente, è vicina al campus, e questa settimana sono entrato in un laboratorio terminato l’anno scorso: era una figata pazzesca! Immaginate studiare lì… >>
 
                                                                            §
 
 
<< Giornata pesante? >>
Marta si volta, le labbra piegate in un sorriso. << Sei tornata. >> Si alzerebbe ad abbracciarla, consapevole che il suo affetto sarebbe ricambiato, ma è troppo stanca per abbandonare la comodità della poltrona in cui è sprofondata.
<< Sì, stavo iniziando a impazzire anche io in quel manicomio, >> sospira Natasha sedendosi accanto a lei. << Sicura che ti faccia bene così tanto caffè a quest’ora? >> chiede poi, osservando con sguardo critico la tazza che l’altra donna stringe fra le mani.
<< Devo lavorare ancora: non si sa mai cosa può succedere. >>
Lei ci prova a essere sempre pronta, davvero, ma con gli Avengers non è mai abbastanza. C’è sempre qualcosa che sfugge al suo controllo.
La sua modesta opinione, è che dovrebbero essere istituiti corsi di medicina e infermieristica per supereroi. Insomma, come ci si dovrebbe comportare davanti a un Deadpool incosciente che riposta numerose ferite da taglio? Come si soccorre un dio norreno? E cosa si deve fare se al professor X viene mal di testa?
Ci sono talmente tante cose che potrebbero capitare… per sua fortuna, la maggior parte non saranno un suo problema.
<< E cos’è successo mentre io ero via? >> chiede vagamente Natasha.
Marta annuisce. Probabilmente non le sono state raccontate le ultime novità, lei, almeno, non le ha detto nulla. Ha deciso, assieme agli altri Avengers, di lasciare alla Vedova Nera la possibilità di godersi delle vere, sfiancanti, stressanti vacanze di Natale in famiglia.
Cene con genitori che ti chiedono cos’hai intenzione di fare con la tua vita, quando ti sposerai e perché non lo sei già. Nessuna fretta, però: nessun’uomo è all’altezza di Natasha Romanoff.
<< È stato un pensiero davvero gentile. Avevo davvero bisogno di un motivo che mi ricordasse perché non torno spesso a casa. >>
Marta ride, poi chiede di Yelena, e l’altra donna tace, ma le sue labbra si distendono in un sorriso soddisfatto.
Sua sorella ha finalmente avuto il Natale che meritava, uno vero. << Bè, ora le vacanze sono finite. Raccontami che avete fatto qui, in mia assenza. >>
Si è sempre sentita responsabile nei confronti degli altri Avengers. Questione di età? Marta non ne è sicura, forse è solo istinto da sorella maggiore. Di certo, la donna ha un dono innato per tenere la situazione sotto controllo. Sempre.
Far ragionare Tony quando nemmeno Pepper ci riesce, riesce a incoraggiare Wanda quando si sente smarrita, è capace di calmare Banner… riesce a muoversi fra più mondi, quello militare di Steve, o Sam, e quello civile, come il suo.
A Marta era sempre piaciuto pensare che si trattasse di empatia, ma sa che, molto più probabilmente, quella capacità è dovuta agli anni trascorsi nella Stanza Rossa, e all’addestramento che la donna ha ricevuto.
La necessità di dover sempre analizzare la situazione, i punti deboli di chi la circonda per portare a termine una missione. O semplicemente per riuscire a sopravvivere.
<< È stato un Natale… molto rosso. >>
<< Parliamo di decorazioni, vino, o…? >>
<< Sangue. Peter è rimasto ferito la sera del ventiquattro. MJ l’ha trovato, ha chiamato Strange… alla fine è andato tutto bene, >> sorseggia pacatamente il suo caffè mentre cerca di ignorare lo sguardo di Natasha << davvero, >> si sente in dovere di aggiungere. Ovviamente non basta a rassicurare la donna, e Marta decide che è il momento di passare alle buone notizie << il signor Stark è riuscito a convincerli ad andare all’università. Con un po' di fortuna, vivere in una città nuova li aiuterà a far pace con tutto quello che è successo. >>
Natasha annuisce lentamente, pensierosa. << E tu come stai? >>
Marta stringe la tazza fra le mani e si schiarisce la gola << domanda di riserva? >> chiede, ma lo sguardo dell’altra le fa capire che non ci sono vie di fuga.
<< Sei sleale, >> si lamenta, << sai che non posso mentirti. >>
<< Non potresti mentirmi in ogni caso, >> le fa notare Natasha, con un sorriso soddisfatto.
<< Potrei comunque provare senza rischiare la cena, >> le fa notare Marta. << Sono solo un po' stanca, >> ammette poi.
<< Che altro è successo in queste due settimane? >> La sua espressione si fa più seria quando un dubbio la assale << è successo qualcosa a Wanda? >> chiede, preoccupata che la strega abbia perso il controllo dei suoi poteri ferendo qualcuno.
<< No, no. >>
<< No? >>
<< No. Solo… adesso è con Strange. Passerà un po' di tempo con lui, sai, ultimamente stava avendo sempre più difficoltà a controllare i suoi poteri, era spaventata… >>
Natasha annuisce, pensierosa.
La porta della cucina si apre interrompendo la conversazione della due donne. Steve entra con un’espressione seria in volto, ma vedendo Natasha si rilassa per un momento. << Bentornata, >> la saluta.
<< Detto con quella faccia… >>
L’uomo le rivolge un sorriso di scuse, mentre Marta poggia la sua tazza di caffè, ancora mezza piena, e si alza. << Che succede? >> chiede avvicinandosi all’uomo.
<< Peter. È solo un attacco di panico, in realtà, >> spiega << ma se tu potessi venire a dargli uno sguardo… >>
Marta annuisce.
<< È in laboratorio, con Stark. >>
<< Vado. >>
L’infermiera si avvia a passo spedito verso il laboratorio, chiudendosi la porta alle spalle per lasciare un po' di privacy alla Vedova e al Capitano.
<< Marta mi ha detto che queste settimane sono state particolarmente allegre… >> inizia Natasha.
Steve annuisce stancamente << sai, in questo periodo ho capito cosa provava Bucky quando abitavamo a Brooklyn, prima che io diventassi Captain America. >>
La donna ride.
<< Dovrò farmi perdonare per tutto quello che gli ho fatto passare… com’è andata a casa tua? >>
La donna distoglie lo sguardo, a disagio.
<< Nat? >>
<< Bene, >> risponde la donna, tornando a guardarlo.
Lui annuisce. << Okay. >> Solleva le mani in segno di resa, e non aggiunge altro, ma lo sguardo che i due si scambiano è sufficiente.
Ormai ha imparato che a Natasha, la maggior parte delle volte, non piace parlare. Nonostante gli anni, nonostante lui e gli altri Avengers le abbiano dimostrato più volte di potersi fidare di loro, lei sta ancora all’erta. Un animale spaventato che, nonostante le sue ferite si siano ormai rimarginate, non riesce a dimenticare il dolore provato.
Steve non la giudica, e non cerca di convincerla a parlare.
<< Credo che il perdono non sia per me, >> mormora poi la donna, dopo un momento di silenzio.
Steve attende, in caso lei voglia aggiungere qualcosa, ma lei resta in silenzio e si stringe nelle spalle, un sorriso stanco sul volto.
<< Chi è che non riesci a perdonare? La tua famiglia, o te stessa? >>
<< Non lo so, >> risponde lei, dopo un momento di incertezza << forse entrambi. Melina e Alexei, per ciò che mi hanno fatto, e me stessa per aver abbandonato Yelena. >>
<< Io credo, >> inizia lui << che non dovresti dimenticare il tuo passato, per evitare che si ripeta, ma…bè, è passato: non puoi cambiarlo. Però hai del tempo da vivere con la tua famiglia, e questo tempo puoi controllarlo, puoi decidere tu cosa farci. Dovresti approfittarne. >>
Natasha annuisce << grazie, >> mormora.
Quando Marta arriva in laboratorio, Peter è seduto per terra, fra le braccia di Tony, abbandonato contro il corpo dell’uomo.
Ha gli occhi socchiusi, il respiro irregolare.
Non sembra che ci sia nulla di strano. Stark, però, sembra preoccupato.
Quando il ragazzo si accorge di lei, si affretta a mettersi in piedi, balbettando frasi sconnesse e assicurando di star bene.
La donna si limita ad annuire e, premendogli delicatamente una mano su una spalla, lo convince a restare seduto.
<< Giornata pesante? >> chiede.
<< No. Ho solo visto Ned. >>
<< E immagino che ciò non ti abbia minimamente reso nervoso? >>
<< Ma c’era anche MJ… e poi… >>
<< Peter… dopo quello che hai vissuto… >> altro corso utile: psicologia supereroistica. Le sarebbe davvero utile << devi darti tempo, >> conclude.
<< Non sono debole, >> obietta lui. La voce che avrebbe voluto suonare forte e sicura, è appena un pigolio.
<< Non è quello che volevo dire, Peter,  >> inizia pazientemente. Gli prende un polso, lo sguardo concentrato sull’orologio che ha al polso << solo che devi occuparti di più di te stesso. >>






 

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Capitolo 12
*** A whole new world ***




Capitolo 12
A whole new world
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 







Otto mesi dopo.
 
 
La città si estende verso l’orizzonte e oltre, mentre il sole tramonta sui suoi tetti, e le prime luci artificiali vengono accese per illuminare la notte imminente.
Peter inspira a pieni polmoni la fresca aria autunnale.
Oltre la finestra dell’appartamento che condivide con MJ c’è tutto un mondo da scoprire.
Una nuova parte della sua vita è appena iniziata, e lui si sente incredibilmente fiducioso verso il futuro. Non sa quanto durerà questo suo ottimismo, ed è perciò che vuole goderselo fino in fondo.
Essere all’MIT gli sembra ancora assurdo e, nonostante le lezioni siano già cominciate da un po', spesso si ritrova ancora a guardare incredulo i suoi appunti.
Davvero li ha presi lui? Sono proprio suoi? Sono realmente i corsi dell’MIT?
MJ lo raggiunge alla finestra, avvolta in un maglione verde, e si sporge per guardare fuori.
Peter le si avvicina circondandole le spalle con un braccio, la tiene stretta contro il suo corpo per proteggerla dal fresco della sera, da quel venticello che lei detesta.
 << I can show you the world >> mormora, << shining, shimmering, splendid, >> continua mentre la ragazza si volta si volta verso di lui.
<< Preferirei di no, >> risponde lei, serissima.
<< Tell me, princess now when did you last let your heart decide? >>
I due si guardano per un momento, prima che lui scoppi a ridere. << Scusa, >> continua a ridere, seguito subito da MJ << scusa. Era- era troppo. Scusa. >>
<< Sei proprio stupido, >> continua a ridere lei.  
Dondolare sopra i tetti di New York è davvero bello, cerca di convincerla Peter, e liberatorio.
Meno stabile di un tappetto volante, certo, ma era il bello era proprio quello!
Dondolare sopra i tetti di New York è come avere tutta la città per sé, con i suoi suoni, gli odori, i suoi abitanti. 
Gli dispiace che la sua prima volta sui tetti sia stata una fuga, per colpa sua, avrebbe voluto mostrarle quella sua fetta di mondo in maniera diversa, avrebbe voluto mostrargliela in tutta la sua bellezza.
Avrebbe voluto mostrarle i suoi segreti, i suoi angoli più mozzafiato, la sua magia.
<< Ora siamo a Cambridge, Parker, >> gli fa notare lei << hai sbattuto la testa da qualche parte? >>
Lui ride.
Già, Cambridge: una città nuova tutta da conoscere, una vita nuova da costruirsi… Marta gli ha detto di pensare all’università come a una nuova avventura.
Bucky, che l’aveva sentita, aveva annuito. << Ma sì, Bilbo: è tempo di lasciare la contea per esplorare il mondo. >>
<< Potrai farmi vedere New York durante le vacanze di Natale, >> concede poi MJ: il modo in cui Peter le parla della città l’ha fatta innamorare, e ora vuole conoscere anche lei quegli scorci di cui lui le parla così spesso.
Il ragazzo annuisce.
I due si guardano in silenzio per un momento, l’aria fresca di ottobre entra dalla finestra ancora aperta.
MJ prende il volto di Peter fra le mani. << L’importante è che tu stia attento, >> mormora lei, la fronte contro quella del ragazzo.
<< Non permetterei mai che ti accadesse nulla di male. >>
<< Intendevo dire che dovresti fare attenzione a te stesso, scemo, >> lo riprende la ragazza allontanandosi di poco.
<< Oh. >>
MJ scuote la testa, poi si china su di lui e lo bacia.
Non sono a Parigi, non sono sulla Tour Eiffel, ma va bene così.
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Grazie mille a tutte le persone che hanno recensito, messo la ff tra le seguite  o tra le preferite <3, e anche a chi ha letto silenziosamente!






 

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