Lezioni di sopravvivenza - Secondo Livello

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 1) ***
Capitolo 2: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 2) ***
Capitolo 3: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 3) ***
Capitolo 4: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 4) ***
Capitolo 5: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 5) ***
Capitolo 6: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 6) ***
Capitolo 7: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 7) ***
Capitolo 8: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 8) ***
Capitolo 9: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 9) ***
Capitolo 10: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 10) ***
Capitolo 12: *** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 11) ***



Capitolo 1
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 1) ***


NdA: per comprendere questa storia, è necessario leggere prima Lezioni di sopravvivenza - Primo Livello.




1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 1)
 
Dee Dee aveva ormai preso confidenza con il primo livello del dungeon e stava migliorando molto nel disattivare o almeno evitare le trappole; oltre un certo punto aveva dovuto imparare più o meno da autodidatta, perché il suo compagno non era molto bravo a trovare e rendere innocui i trabocchetti meccanici, né tantomeno quelli magici. I giorni passavano inanellandosi uno dopo l’altro, ma senza la luce del sole era difficile capire dove finisse un giorno e cominciasse il successivo. L’elfo scuro asseriva di saperlo con sicurezza perché conosceva un incantesimo che durava esattamente 24 ore, ma a Dee Dee sembrava uno spreco usare incantesimi per una cosa così sciocca. Il tempo per lei aveva poco significato. I giorni divennero settimane, le settimane divennero mesi. Nonostante la gradita interferenza del suo pugnale del fuoco, Dee Dee si rese conto che ad un certo punto il clima stava diventando vagamente più mite e accolse con favore quel cambiamento.
“Non ti adagiare troppo su questa aspettativa.” La riprese Daren, quando lei gli espose i suoi sospetti. “Stavo pensando che ormai sei pronta per il secondo livello, e laggiù la primavera non arriverà.”
Dee Dee trattenne il respiro, emozionata. “Oh, wow. Il fecondo livello? Davvero?”
Il drow scrollò le spalle.
“O questo, oppure mi tocca affrontare l’invasione di insetti che in primavera scendono dalle fogne, quindi , complimenti, sei una bimba grande, al primo scarafaggio che vedo ci schiodiamo dalle palle.” Annunciò Daren, in tono definitivo.
Un tempo le sue parole l’avrebbero fatta dubitare di sé stessa e del suo valore, ma ormai quei tentativi di sminuirla cadevano a vuoto. Dee Dee considerò per un momento la schiena del drow che le voltava ostinatamente le spalle, poi silenziosa come una pantera gli saltò addosso. Daren ondeggiò, per un momento, poi recuperò l’equilibrio. La ragazza non pesava tanto, e gli aveva agevolato il compito allacciando le braccia intorno al suo collo e le gambe intorno alla vita.
Perché fai queste cose?” Esplose, infastidito. “Ti devo buttare di peso nell’acqua fredda? Ti tengo sotto per vedere quanto riesci a trattenere il fiato?” Il tono era esasperato, ma le minacce suonavano abbastanza credibili.
“Fei tu che mi hai girato le fpalle. Mi fembra una moffa ftupida, per un drow.”
“Sì, è vero, è stata una leggerezza, ma un pugnale nella schiena sarebbe meno umiliante.” Insisté l’elfo scuro, cercando di scrollarsela di dosso.
“Daren.” Lo chiamò lei, a voce bassa e completamente seria. Il suo tono era così cupo che lui smise persino di dimenarsi. “Mi porterefti davvero in un luogo troppo pericolofo per me, folo per evitare qualcofa che ti fa fchifo?”
Lui colse la serietà di quella domanda, e anche il suo significato implicito.
Mi sta chiedendo davvero se tengo alla sua vita? Se lei è abbastanza importante per me da non metterla in pericolo per motivi futili? Imprecò internamente, perché non c’era una risposta che potesse darle. Qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stata la cosa sbagliata. Certo, avrebbe potuto dirle la verità, indurla ancora di più a fidarsi di lui, e poi cosa? Se poi l’avesse delusa… anzi quando poi l’avrebbe delusa sarebbe stato ancora peggio.
“Tu stessa mi fai schifo eppure non ho mai cercato di evitarti.” Rispose infine, con il solito tono antipatico. “Ora, vuoi sul serio continuare a mettere alla prova la mia pazienza?”
La ragazza si lasciò scivolare a terra, con movimenti lenti e controllati.
“Allora andiamoci oggi.” Propose di punto in bianco.
“Cosa?”
“Al fecondo livello. Andiamo adeffo, non quando la primavera fpingerà qui gli infetti delle fogne.”
Daren considerò quella proposta. Era sensata, e lui non poteva addurre scuse per rimandare. Comunque procrastinare non serviva mai a niente.
“E sia.” Cedette. “Prendi le tue cose e andiamo. Ma ricorda, il secondo livello è ancora più pericoloso di questo. Ti aspettano prove dure.”

La scala che portava al secondo livello sembrava infinita. Dee Dee l'aveva già vista una volta, molte settimane prima, e pensava di essersi addentrata parecchio giù per quella scalinata, ma si sbagliava.
“Non è così male.” Disse Daren ad un certo punto, indovinando i suoi pensieri. “Stiamo scendendo da meno tempo di quanto pensi, c'è un dweomer che confonde la mente in quest'area, serve a far pensare alla gente che la discesa sia molto più profonda e inquietante di quanto non sia in realtà. Per scoraggiare gli avventurieri, capisci.”
“Oh.” Mormorò Dee Dee, impressionata. Pensava di essere diventata brava a riconoscere gli inganni mentali. “Un momento, come fo che è vero?”
“Concentrati per resistere a questo effetto che ti sta confondendo. Se riesci a sopraffare l'incantesimo con la tua volontà, vedrai che ti ho detto il vero. Altrimenti… che importa, devi scendere comunque.”
Dee Dee ci pensò un momento e poi scrollò le spalle. Tecnicamente lui aveva ragione, ma si concentrò comunque per cercare di vincere quella compulsione mentale. All’inizio non percepì nessuna differenza, poi dopo alcuni secondi di concentrazione, si rese conto che in effetti non erano sulla scala poi da così tanto tempo.
Dopo alcuni minuti (e Dee Dee dovette lottare ogni istante per non convincersi che fossero ore) finalmente raggiunsero il pavimento del livello inferiore. Dee Dee, che era scesa per prima, fece un entusiastico passo in avanti. Daren la afferrò per un gomito, e nello stesso istante lei si accorse che il piede che credeva di aver poggiato sulla solida pietra in realtà stava affondando nel pavimento come se fosse illusorio anch'esso.
“Questa è l'ultima trappola della scalinata. Qualche gradino sopra al pavimento vero c'è un pavimento illusorio che nasconde una fossa. Noi del posto la chiamiamo la Fossa degli Idioti.”
Dee Dee arrossì, mortificata, mentre faceva leva sulla presa del drow per recuperare l'equilibrio. Si sforzó di vedere oltre l'illusione, senza successo. Anche se sapeva che il pavimento non era davvero lì, l'incantesimo di illusione era così perfetto che ancora non riusciva a vedere la verità nascosta sotto.
“È una foffa che potrei riufhire a faltare?”
Daren si sganció dalla schiena il bastone magico che, Dee Dee aveva scoperto, poteva trasformarsi in un arco. Ma non vedeva l'utilità di scagliare frecce in quel momento, infatti il drow lo adoperò come semplice bastone, lasciando che affondasse nel pavimento illusorio. Poi lo mosse in avanti, per capire quando avrebbe toccato l'altra sponda della fossa. Si scoprì che era larga circa sei piedi.
“Sí, direi che puoi riuscire a saltarla.”
“Ma nemmeno tu la vedi?”
“Forse non la vedo, forse voglio mostrarti che si possono scoprire cose anche senza l'uso della vista.” Spiegò, rimettendo il bastone al suo posto.
“Per me non la vedi.” Insisté la giovane dhampir.
“Dai, salta.” La esortò lui, con un sospiro spazientito. E lei saltò. Alla cieca, cercando di contenere il timore, saltò e quando iniziò a scendere si accorse che stava affondando comunque nel pavimento illusorio. Per un attimo sentì la morsa del panico, poi atterrò sul pavimento vero che ovviamente si trovava tre o quattro piedi sotto l'illusione. Si chinò a terra, per vedere se da sotto il velo della magia riusciva a vedere la vera fossa. Un attimo dopo, il drow per poco non le atterrò sulla schiena. Dee Dee si prese paura quando vide i piedi del suo compagno cadere precisamente ai due lati del suo corpo. Sussultò, ma trattenne l’impulso di alzarsi in piedi.
“Se ti alzi adesso sarò molto contrariato.” L’avvertí il drow.
“Ci arrivavo anche da fola.” Borbottó Dee Dee, aspettando che lui si spostasse. “Allora era vero che ci vedevi.”
“Ogni tanto mi capita di dire la verità.” Ammise lui, mentre la scavalcava avanzando verso il corridoio davanti a loro. “Principalmente per confondere le acque.”

Girarono un angolo, in una direzione casuale. Erano lì per esplorare, non per cercare un luogo particolare. Senza alcun preavviso, si trovarono davanti una piccola pattuglia di coboldi, forse una decina. Si scrutarono un secondo, entrambi i gruppetti colti di sorpresa. I coboldi erano stranamente restii a reagire in qualche modo, uno o due strinsero nervosamente le armi ma niente di più.
Dee Dee ci arrivò per prima. Aveva riconosciuto la cicatrice sul brutto volto da rettile di uno di loro.
Voi!” Inveì contro i coboldi, estraendo all’istante la spada e il pugnale. “Avete cacato nella mia tenda!”
I coboldi, che ormai avevano capito cosa conveniva loro, girarono i tacchi e scapparono. Daren scoppió a ridere in silenzio, senza fare un passo per seguire la ragazza. Quando in lontananza cominciarono a sentirsi rumori di trappole che scattavano, rise così forte da doversi piegare in due. Alla fine scosse la testa, ricomponendosi un po’, e andò a controllare che la sua compagna di disavventure fosse ancora viva.
 
Dee Dee era viva, ma era inciampata in uno dei trabocchetti dei coboldi che si stavano ritirando verso altri corridoi. Un laccio di cuoio intrecciato si era stretto intorno alla sua caviglia e non aveva avuto il tempo di liberarsi perché due di quelle moleste creature l’avevano ingaggiata in combattimento. I denti affilati di un piccolo guerriero coboldo si chiusero ad un soffio dal gomito di Dee Dee: lei modificò la presa sul pugnale in modo da rivolgere la punta verso il basso e glielo piantò nel buco che il rettile aveva al posto dell’orecchio destro. L’altro coboldo si buttò indietro per evitare la spada lunga della dhampir e se la diede a gambe, inseguendo i suoi compagni.
Se la sta cavando bene anche da sola, pensò Daren, appoggiandosi tranquillamente ad una parete mentre la ragazza si liberava dal trabocchetto. Più indietro rispetto a lei c’era un mucchietto di pietre per terra, probabilmente un’altra trappola che doveva aver evitato. Fra un po’ non avrà più bisogno di me. Questo significa… ma no, prima esploriamo un po’ il secondo livello. Non si può giudicare le abilità di qualcuno da uno scontro con dei miseri coboldi.

Tornarono indietro, lasciando perdere quelle vili creature. Dee Dee per la verità avrebbe insistito, ma Daren trovava l’intera faccenda noiosa.
“Li abbiamo scacciati dalla loro precedente casa, uccidendone qualcuno per di più.” Le ricordò il drow. “Non stupirti se si sono vendicati. Ora che vuoi fare, inseguirli nella loro nuova tana e massacrarli tutti?” Cercò di tenere fuori ogni traccia di giudizio dal suo tono, ma forse non ci riuscì completamente.
“Non li voglio uccidere per un po’ di cacca.” Ribattè la dhampir. “Io volevo folo picchiarli come i facchi di merda che fono, ma fe mi attaccano con le armi mi devo difendere.”
“Oppure puoi lasciar perdere questa disputa infantile e cercare sfide più adeguate alle tue capacità.” Ribattè lui.
Dee Dee provò un moto di imbarazzo e vergogna sentendo quel discorsetto, ma una parte di lei era lusingata. Qualche mese prima i coboldi erano una sfida adeguata, una prova difficile, ora erano al di sotto delle sue capacità, e perfino il suo severo istruttore lo riconosceva.
“Andiamo” concordò. “Vediamo dove ci portano i noftri piedi.”
Così cominciò l’esplorazione vera e propria del secondo livello dell’immenso dungeon.

“Fei mai ftato qui?” Domandò Dee Dee ad un certo punto. Stavano percorrendo un corridoio lunghissimo, e lo stavano facendo lentamente, chini a cercare trappole. Anzi, Dee Dee cercava trappole, Daren teneva le orecchie tese per captare pericoli alle loro spalle.
“Sí, ma mai con animo da esploratore. La prima volta che sono passato di qui avevo molta fretta, e comunque da allora potrebbe essere cambiato tutto. Qui cambia tutto ogni dieci giorni, figuriamoci dopo più di cento anni.” Scosse la testa, con lo sguardo perso nel vuoto. “Di recente, prima di incontrarti, avevo ricominciato a prendere confidenza con questi luoghi, ma conosco molto meglio il primo livello.”
“Come mai la prima volta avevi fretta? Fcappavi da qualcofa?” Chiese la dhampir in tono semi-divertito.
“Avevo ucciso un tizio e rapito la sua bambina.” Raccontó lui, rispondendo nello stesso tono.
Dee Dee sussultò e per poco non fece scattare la trappola che stava cercando di disinnescare. “Perché? Non ti ci vedo a fopportare bambini…”
Il drow non rispose. Sentendo il rassicurante click di un meccanismo disinnescato avanzò oltre a Dee Dee ignorando la sua domanda.
“Ehi non ho ancora controllato lì avan…”
“Ho sentito qualcosa” la interruppe lui, facendole cenno di tacere.
Dee Dee si alzò e lo seguì cautamente, consapevole che se più avanti ci fosse stata una trappola lui probabilmente l'avrebbe fatta scattare. Per fortuna ce n'era solo una, una trappola magica che lo avvolse in un fascio di luce nera ma senza lasciarsi dietro ferite evidenti.
“Che cof'era?” Domandò sottovoce Dee Dee, avvicinandosi al drow.
Lui le fece cenno di lasciar perdere, e lei si limitò a saltare la piastrella dove c'era la trappola, nel caso in cui avesse avuto più di una carica.
Dovrei insegnare a Dee Dee il linguaggio silenzioso del mio popolo. Daren rifletté su quella possibilità, sui suoi pro e contro. Certo, questo mi impedirebbe di comunicare con un mio simile a sua insaputa, ma quanto è probabile che succeda? A lei potrebbe servire questa conoscenza, sia per comunicare in segreto con alleati sia per capire se dei nemici drow davanti a lei si stanno passando informazioni o istruzioni.
E poi non sentirei più quel suo difetto di pronuncia.
Era una buona idea, ma per il momento Daren l’accantonó perché avevano problemi più pressanti. Più avanti c'era una qualche fonte di malvagità, poteva percepirlo. Qualcosa, o qualcuno, che aveva un grande potere. Forse un mostro, o un sacerdote che aveva il pieno favore del suo Dio. Il drow non sapeva ancora cosa avrebbero trovato, ma prevedeva qualcosa di grosso, e di nuovo i suoi pensieri scartarono verso la ragazzina che lo seguiva. Era proprio il caso di portarla con lui?
Ormai è una guerriera degna di considerazione. Ammise cautamente. Non è ancora maestra nell'arte della guerra ma è in grado di cavarsela… contro i classici mostri, bipedi e non, che di regola vagano per i dungeon. Ma se avessimo davanti un demone? O un sacerdote malvagio che fa uso di magia? È preparata per un simile scontro? E le sue remore etiche le permetteranno di uccidere un… essere umano, o una qualche altra creatura umanoide?
Dovrei rischiare e portarla con me? O dovrei lasciarla indietro?
Stava considerando di lasciare a lei la scelta, ma più avanzavano e più quell'aura malvagia sembrava potente.
Forse sarebbe meglio condurla altrove e poi tornare indietro. Anche restare semplicemente fuori dalla porta potrebbe essere pericoloso.

Daren stava per mettere in atto quel proposito, si era perfino fermato prima di svoltare un angolo, facendo cenno alla dhampir di raggiungerlo, quando la sua vista andò fuori fuoco e all'improvviso lui non vedeva più le monotone pareti di pietra del corridoio. Vedeva una scena completamente diversa, e disgustosa.

Il tempio era grande, una enorme sala a tre livelli. Davanti all'entrata stazionavano delle guardie, oltre a due persone che indossavano vesti da sacerdoti. Alcuni gradini portavano alla prima pedana, che si estendeva in larghezza fino alle pareti laterali della stanza, come se il tempio stesso fosse in salita. Lì, c'era un’enorme vasca piena di… no, somigliava più ad un calderone… pieno di acqua bollente? No, l'uomo che vi era stato immerso gridava di dolore, ma con l'acqua bollente sarebbe morto subito, invece il suo tormento sembrava destinato a continuare a lungo. Un calderone probabilmente pieno di acido, o di una sostanza simile.
Ovviamente, l'uomo all'interno doveva essere una vittima sacrificale. Un altro uomo, che indossava le stesse vesti rituali degli altri, afferrò con decisione i capelli della vittima e le spinse la testa sotto, poi la tirò fuori. La pelle del viso dell'uomo appena riemerso si era un po’ rovinata, e appena riprese fiato urlò più di prima. Sí, decisamente era acido.
 
Daren ormai era piuttosto bravo a non lasciarsi sopraffare da quelle visioni e a cogliere particolari tattici importanti nonostante l'orrore delle scene che vedeva.
Ad esempio, aveva notato che la vittima aveva delle piccole corna, doveva avere qualche antenato demone a sua volta; probabilmente, anche se il drow non poteva darlo per scontato, anche l'uomo nel calderone era malvagio. Forse era proprio un loro collega che aveva fallito qualcosa, ma più che una punizione gli era sembrato proprio un sacrificio rituale.
Un'altra cosa che aveva notato, al di là dei fumi dell'acido, era che c'era una seconda pedana e su questa c'era un altro uomo, sempre che lo si potesse definire tale: il suo volto era sfigurato e sembrava che il suo corpo fosse mezzo sciolto, come la cera di una candela. A Daren quella vista aveva ricordato i demoni yochlol, le ancelle di Lolth che a volte venivano evocate nella sua città natale. Ma questo era un umanoide, e gli era sembrato un maschio, difficile che avesse qualche rapporto di affinità con quelle creature.
Sembra una situazione incasinata. Diamine, perché la gente qui non sa fare altro che sacrifici umani? Ma non hanno niente di meglio da fare, sul serio?
Daren sospirò, conscio che aveva pochissimo tempo per decidere un piano d'azione, poi si decise a proseguire, affrettando il passo. Fece cenno a Dee Dee di avvicinarsi. Doveva farle un discorsetto.


           

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Capitolo 2
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 2) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 2)

Daren fermó i suoi passi prima di svoltare l'angolo, afferrò Dee Dee per un braccio e la tirò più vicina a sé, per poterle parlare sussurrando. “Vorrei che tu non mi seguissi in quello che voglio fare. Anzi, vorrei che tu memorizzassi dove sto andando e d’ora in avanti evitassi questa zona.”
La dhampir rimase esterrefatta davanti a questa richiesta, non solo perché era assurdo pretendere che lei memorizzasse un luogo preciso nel contesto di un dungeon che non conosceva affatto, ma anche perché ormai non capitava più che il drow la lasciasse nelle retrovie. Una cacofonia di pensieri frenetici le affolló la mente, ciascuna idea che non riusciva a farsi strada del tutto prima di essere soppiantata da un'altra. Perché tutto a un tratto parla come se d’ora in avanti dovessi andare in giro senza di lui? Ha deciso di scaricarmi? E cosa può esserci più avanti? Deve fare qualcosa di segreto? L’idea la fece infuriare, ma poi le venne in mente un’ipotesi ancora più oscura. Oppure… oppure ci sono nemici al di sopra delle mie possibilità? Alla luce di questa teoria era abbastanza inquietante che lui le avesse parlato come se le loro strade stessero per dividersi. Il drow aveva combattuto un demone, mentito in faccia a un illithid, e prima ancora aveva sgominato i cultisti di Cyric, quindi cosa poteva esserci qui di così pericoloso da spingerlo ad agire con tanta cautela?
“Fe ti diceffi di no?” Mormorò con voce piatta. Non voleva che la sua sembrasse una sfida, ma aveva bisogno di tastare il terreno.
“Una volta ti ho detto che è giusto aiutare un alleato, perché un'alleanza è un rapporto di mutuo vantaggio. Ma per la stessa ragione non ha senso aiutare un alleato a scapito della tua vita.”
“Ma tu non fei un alleato. Fei un amico.” Ribatté, cercando di mettere enfasi nel suo tono pur mantenendo la voce ad un sussurro.
Il drow le rivolse un’occhiata dura.
“Una volta ti ho detto anche che non siamo amici. Cosa ti fa pensare che sia cambiato qualcosa da allora?”
Dee Dee rimase spiazzata e per un momento restò senza parole.
“Ma… fono paffati mefi da allora. Ora ci conofhiamo meglio e…” ...e pensavo che tu tenessi a me come io tengo a te. Concluse, ma solo nella sua mente.
“È così.” Confermò il guerriero, e Dee Dee si chiese se non le avesse letto nella mente. Poi capì che stava solo rispondendo alla sua affermazione. “Ma l'amicizia si sviluppa solo se due persone sono su un piano di parità, e nonostante i tuoi ammirevoli passi avanti, rimani una ragazzina di vent'anni.”
Se la situazione fosse stata più rilassata, Dee Dee gli avrebbe dato una pacca sul braccio e gli avrebbe risposto diciannove, ma in quel momento la dhampir si sentiva il morale sotto le scarpe. Era convinta di aver fatto più progressi di così, come guerriera e come persona. Invece era ancora giudicata in base alla sua età.
“Ma soprattutto, nonostante tutti gli orrori che hai visto in vita tua, non sono certo che tu sappia già far fronte alla crudeltà degli esseri umani.” Concluse l'elfo scuro. “Un ogre, un coboldo, o persino un vampiro sono facili da affrontare… per il tuo cuore, se non per il tuo braccio. Ma un essere umano?”
“Dimentichi i cultifti di Fyric.” Protestò lei con amarezza, ricordando i malvagi preti del dio dei ladri e degli assassini. Dopotutto l'avevano catturata e quasi sacrificata quando aveva messo piede nell’Undermountain la prima volta, non era una cosa semplice da dimenticare, o da perdonare.
“Hai dovuto muovere le armi contro di loro?”
“Beh… no.” Ammise lei. “Ma fo che potrei. Non mi afpetto che gli umani fiano buoni.”
Daren avrebbe voluto dire altro per dissuaderla, spiegarle che anche fra i più vili servitori delle divinità immonde esistevano realtà più ignominiose di altre, che i cultisti di Cyric quantomeno l'avrebbero uccisa in fretta e invece ora, mentre loro parlavano, una creatura senziente veniva torturata… ma, proprio per quel motivo, non ne aveva il tempo.
“Allora seguimi se proprio devi, ma cerca di restare nascosta e non agire a meno che tu non abbia la certezza di vincere. Finché non ti giudicherò adulta, tutto quello che ti succede è una mia responsabilità.” Le ricordó il guerriero, ricominciando a camminare in silenzio verso la sua meta.
“Non te l'ho chiefto!” Sibiló Dee Dee, profondamente irritata. “È un ricatto morale.”
“Me ne sbatto.” Fu il sussurro che ricevette in risposta. “Volevi un rapporto più personale? Accetta il fatto che non mi piace portati in mezzo a pericoli che io stesso non sono certo di saper gestire. Non mi piace rischiare la tua vita.”
Dee Dee rimase senza parole, per la seconda volta in pochi minuti, e guardò per un momento la schiena del drow che si stava allontanando. Poi prese la sua decisione e affrettò il passo per raggiungerlo.
“Refteró nelle retrovie a guardarti le fpalle.” Gli concesse. “Cercherò di non mettermi nei guai.”
In tutta onestà, sapeva di non poter promettere di più.

Il grosso stanzone non aveva una porta, ma solo un’apertura ad arco acuto decorata con pregevoli fregi, un vezzo insolito per essere l’opera di antichi nani. Un tempo doveva essere stata una stanza di una certa importanza. L’ingresso però era privo di simboli sacri o di qualsiasi indicazione che quello potesse essere un luogo di culto, e dall’interno non si sentivano particolari canti od orazioni. Daren fece cenno a Dee Dee di rimanere ferma in corridoio, nascosta dietro al muro, e si sporse con cautela per guardare oltre la soglia: c’era una grande camera che si apriva davanti a lui, fiocamente illuminata da alcune torce, ed era vuota ad eccezione di tre strani occupanti. Lo sguardo del drow venne immediatamente calamitato dalla creatura che se ne stava eretta in centro alla stanza, una specie di obelisco vivente che pareva fatto di oscurità e che era alto quasi tre volte l’elfo scuro. O almeno, Daren era quasi certo che quella cosa fosse vivente, perché la sua oscurità guizzava come fuoco e lo strano obelisco oscillava e si spostava leggermente come in cerca di qualcosa. Se anche non era vivo, probabilmente era senziente. Un guardiano di qualche tipo? Per questo non stava attaccando i due umani che facevano la guardia all’altra porta della stanza?
Daren all’inizio li aveva guardati solo di sfuggita, ma ora si concentrò meglio su di loro, perché forse erano loro a controllare la colonna di oscurità. Nessuno dei due sembrava un mago, ma non si poteva mai sapere.
Va bene, non sono qui per cincischiare, ricordò a sé stesso, pensando all’uomo nel calderone. Non era in vista, quindi doveva trovarsi nella stanza che le due guardie umane difendevano.
Si ritrasse di nuovo nel corridoio, decidendo rapidamente un piano.
“Dee Dee, ci sono due uomini di guardia contro la parete di destra ed un mostro in centro alla stanza. C’è la possibilità che una delle guardie controlli il mostro, quindi mentre io lo tengo impegnato, pensi che potresti provare a sbarazzarti di loro?”
Dee Dee deglutì a vuoto, ma ora che si era giunti al momento cruciale non voleva tirarsi indietro.
“Devo… ucciderli?”
Daren corrugò la fronte, perché aveva temuto che lei mostrasse reticenza.
“Non ti sto dicendo di assassinarli, ma non puoi permetterti remore morali in combattimento.” Le spiegò rapidamente il guerriero. “Se esiterai, loro ne approfitteranno. Non pensare nemmeno per un momento che ti lascerebbero in vita. Colpisci come se dovessi uccidere, e se invece riuscirai a farli svenire o a incapacitarli, allora potrai considerare di mostrare pietà… ma mai mentre stai combattendo, mi hai capito bene?”
Dee Dee annuì, intimorita dal tono dell’elfo scuro. Sembrava che fosse arrabbiato con lei, per i suoi limiti etici. Eppure non era stupida, non avrebbe mai abbassato la guardia durante uno scontro e non c’era bisogno che lui lo rimarcasse.
In realtà Daren era solo preoccupato di non averla addestrata a sufficienza per una prova del genere, ma non poteva dirglielo per non abbattere la sua sicurezza in sé stessa. La prudenza serviva in combattimento, ma serviva anche una certa dose di spavalderia, e bilanciare le due cose era sempre difficile.
“Vai.” Soffiò, indicandole la soglia. “Dirigiti verso destra, ci sono delle statue che potrebbero offrirti copertura. Cerca di essere silenziosa e invisibile, per quanto puoi.”

E lei ci provò. A onor del vero, ci provò con grande impegno. Purtroppo la creatura in centro alla stanza non si basava sui cinque sensi, la sua percezione era di natura magica, ed era in grado di identificare subito un eventuale intruso. L’obelisco di oscurità percepì la presenza di Dee Dee e cominciò a muoversi lentamente in quella direzione. Questa mossa inaspettata attirò l’attenzione delle due guardie; Dee Dee era nascosta dietro una statua, ma uno dei due umani la vide comunque.
La giovane dhampir avrebbe potuto vederlo fare un cenno all’altra guardia, ma non ci stava facendo caso. La mostruosità si stava muovendo verso di lei, come se l’avesse puntata come preda, e questo aveva calamitato tutta la sua attenzione. Quella terrificante colonna di oscurità si muoveva lenta e inesorabile come la morte, e Dee Dee era paralizzata da una paura viscerale, che la faceva sentire come quand’era bambina: impotente e intrappolata in una realtà da incubo. La sensazione era così simile da darle la nausea nonostante il panico. Avrebbe voluto scappare, ma non riusciva a muovere un passo.
Poi l’elfo scuro fu accanto a lei, con la spada sguainata, e lei si ricordò che questa volta non era sola. La presenza del compagno d’armi riuscì a rincuorarla un po’, abbastanza perché avesse la prontezza di sfoderare spada e pugnale.
“Lascia il mostro a me, tieni lontani i guerrieri. Ormai siamo stati visti.” Il drow le impartì queste rapide istruzioni prima di muoversi avanti di qualche passo andando incontro alla cosa.
Dee Dee non era felice di lasciarlo da solo ad affrontare quella mostruosità, non credeva neanche che delle semplici spade potessero ferire una creatura fatta di ombra, ma allo stesso tempo era sollevata di non doverla affrontare lei. Doveva fidarsi delle capacità di Daren e doveva fare la sua parte, tenendo le guardie lontane da lui come lui stava tenendo il mostro lontano da lei.
La colonna di oscurità si schiantò contro l’elfo scuro, cercando di travolgerlo. L’agile guerriero usò la spada bastarda per “parare” in certa misura quell’attacco, usando il mostro come perno per spostarsi di lato. La sola vicinanza di quella creatura immonda gli scatenò brividi di disgusto e di inquietudine, ma quell’essere non era riuscito a colpirlo con la sua piena forza. Daren aveva un po’ di familiarità con le creature magiche impregnate di malvagità e sapeva che anche solo il loro tocco poteva essere nocivo, al di là della pura forza fisica con cui l’obelisco oscuro aveva cercato di schiacciarlo.
Almeno aveva appreso che il nemico era corporeo, non era intangibile come un fantasma o un’ombra. Guardandolo da vicino, si accorse che l’oscurità di cui era composto si muoveva come una fiamma; al tocco della sua spada, però, aveva sentito una consistenza più simile a una gelatina elastica.
Che cosa diavolo sei? Si domandò l’elfo scuro, alzando la spada per colpire. Di certo quella cosa poteva essere letale e terrificante, ma era anche un bersaglio bello grosso.
Dee Dee stava aggirando la colonna di oscurità, cercando con lo sguardo i due soldati umani, ma venne distratta da strane visioni al limitare del suo campo visivo. Le parve di vedere come delle ombre, mostruose, eppure poco consistenti. Pensando di essere sotto attacco, si guardò intorno freneticamente… non poteva sapere che quello era solo un effetto collaterale della vicinanza della Blasfemia Vivente, che nell’area adiacente al suo corpo di oscurità restituiva immagini distorte e corrotte dell’ambiente circostante. Le ombre che Dee Dee credeva di aver visto in realtà non esistevano, non erano nemmeno illusioni generate consapevolmente, solo echi di un possibile futuro di morte.
Purtroppo, questo fu sufficiente a distrarla, e non si accorse che uno dei due guerrieri aveva aggirato il mostro e stava venendo verso di lei. Nel suo girarsi per guardarsi intorno, alla fine l’elfa tornò a rivolgersi anche dalla parte giusta; si accorse all’ultimo momento che uno dei guerrieri stava facendo l’ultimo scatto per arrivare a lei e trafiggerla con una spada lunga.
Alzò la spada ed il pugnale per parare, ma era troppo tardi. L’arma del nemico venne solo parzialmente deviata dal pugnale e anziché colpirla alla testa le scivolò verso un braccio, aprendo un taglio doloroso dal polso al gomito e tagliando via un pezzo della sua armatura di cuoio e quel che c’era sotto. Per fortuna la spada non era arrivata all’osso e Dee Dee riuscì a non far cadere il pugnale. La sua resistenza sovrannaturale di dhampir presto avrebbe cominciato a guarire quella ferita, doveva solo sopravvivere fino ad allora, e soprattutto non far cadere le armi.
Un quadrello che sembrava uscito dal nulla le passò ad un soffio dal viso, bucandole un orecchio mentre continuava la sua corsa verso la parete. L’altra guardia si stava tenendo a distanza per bersagliarla con una balestra. L’uomo imprecò per aver sbagliato mira e lasciò cadere la balestra, mettendo mano alla spada. Dee Dee si sforzò di ignorare il dolore anche stavolta, ma quando provò a colpire il nemico che aveva davanti, sia la spada che il pugnale vennero facilmente deviati. Non ci stava mettendo abbastanza impegno, nonostante la sua forza di volontà il braccio ferito stava tremando e la presa sul pugnale non era molto salda.

Nel frattempo, Daren riuscì a colpire il mostro quattro volte in rapida successione, mirando alla cieca sul suo corpo privo di anatomia. La spada bastarda penetrò nella Blasfemia Vivente con una certa facilità, ma questo non significava nulla. Daren però avvertì la sua arma vibrare d’odio, e sentì che stava scatenando alcuni dei poteri di cui era imbevuta. La spada era sacra, e l’elfo scuro si aspettava che il suo taglio fosse come veleno per quel mostro, ma il riflesso rossastro della lama gli rivelò che c’era anche un altro potere all’opera: Gonorrea era stata incantata per distruggere le melme e ora stava attingendo a quel potere, quindi la creatura era una melma. Questo spiegava la strana consistenza gelatinosa.
La creatura accusò i colpi, i filamenti di oscurità di cui era composta vibrarono in modo frenetico, forse per il dolore o la rabbia, ma non si ritrasse e non urlò; forse non aveva voce, o forse la magia dell’arma non era sufficiente a ferire quell’abominio.
Poi Daren si accorse che la colonna di oscurità sembrava essere diventata meno compatta, come se si stesse sfilacciando facendosi trasparente, e pochi istanti dopo scomparve disperdendosi in uno sbuffo di nebbia nera.

Il drow non abbassò la guardia, pensando che il mostro stesse ricorrendo ai suoi poteri per diventare invisibile. Fece appello alla sua vista magica per individuare tracce dell’aura malvagia della Blasfemia Vivente, ma oltre a una prevedibile e soffocante aura residua, non c’era traccia che la fonte di quell’aura fosse ancora nella stanza.
Si sarà teletrasportato, senza sapere che nell’Undermountain i teletrasporti agiscono in modo casuale? Oppure… possibile che sia stato davvero distrutto con così poco?
Si guardò intorno freneticamente, e grazie al potere magico che gli permetteva di individuare la malvagità, si accorse che i due guerrieri stavano ora ingaggiando Dee Dee. Anche loro erano malvagi, e la loro aura era più forte di quanto si aspettasse.
Non sono normali guardie! Realizzò, e fu come ricevere una secchiata d’acqua fredda nella schiena. Sono potenti… quasi quanto il mostro. Era un diversivo? Una mossa tesa a farli sottovalutare da un possibile invasore?
Poi Dee Dee parò un altro fendente alto del nemico, ma la violenza del colpo le fece cadere di mano il pugnale e la ragazza si lasciò sfuggire un urletto di sorpresa. Vedendo che la sua alleata era in difficoltà, Daren decise che la strategia dei due guerrieri non aveva più importanza. Il tempo della riflessione era finito, ora avrebbe dovuto improvvisare.

Daren aggirò la guardia che stava combattendo contro Dee Dee, portandosi alle sue spalle. Il guerriero lo vide, ma Dee Dee lo stava impegnando per bene e comunque il drow era troppo lontano perché lui potesse colpirlo con la spada. O almeno, rimase “troppo lontano” finché non arrivò esattamente dove voleva arrivare, dietro la schiena dell’umano. A quel punto abbandonò la sua messinscena di eccessiva prudenza e si lanciò in avanti, deciso a colpire il nemico in qualche punto vitale mentre lui era troppo impegnato a difendersi dagli attacchi della dhampir.
La spada di Daren affondò nella schiena del guerriero, proprio fra le costole, e il drow si concesse un sorriso di vittoria. Certamente doveva avergli trapassato il cuore… ma la schiena del guerriero si increspò come un’onda intorno alla lama, come se l’anatomia stessa del nemico si stesse riadattando intorno a quel corpo estraneo.
Non è umano. Comprese, troppo tardi.
Qualunque cosa fosse quella guardia, doveva essere immune ai colpi più mortali del drow.

Nel frattempo l’altro finto-umano aveva lasciato cadere la balestra e si era avvicinato a grandi passi. L’elfo scuro era appena riuscito a disincagliare la spada dal corpo del nemico, quando si accorse che il guerriero che prima stava vicino alla porta ormai era già alle sue spalle.
Il suo nuovo avversario lo attaccò; non con la spada, ma con due… pseudopodi informi… che aveva al posto delle mani. Ovviamente non avrebbe mai potuto armare e caricare una balestra con quelle cose, e nemmeno usare la spada che portava al fianco. Questi indizi rafforzarono la teoria di Daren: i due erano mutaforma di qualche genere. Tuttavia non erano melme, altrimenti Gonorrea avrebbe scatenato il suo potere speciale.
Daren schivò senza problemi il goffo attacco del guerriero e finse di volerlo colpire, invece si girò all’ultimo e menò un fendente obliquo, dall’alto verso il basso, conficcando la spada nel corpo della prima guardia. Dee Dee scelse quel momento per infilzare a sua volta l’addome dello stesso nemico, che venne attraversato da un brivido e finalmente ebbe la buona grazia di morire.
Vedendo il suo collega cadere a terra, e sapendo che la Blasfemia Vivente era stata distrutta, il secondo guerriero fece due rapidi calcoli e si girò per correre in direzione della camera principale del tempio. Daren non poteva lasciare che andasse a dare l’allarme, o che si riunisse alle forze dei suoi superiori, quindi sganciò la bastarda dal primo cadavere e si preparò a seguirlo.
Dee Dee fu più veloce: lasciò la spada conficcata nel ventre del nemico morto, raccolse invece il pugnale da terra e lo lanciò con grande precisione verso una gamba della guardia in fuga, colpendola al polpaccio. La ferita non era letale, e non era così precisa da recidere il tendine, ma era dolorosa e aveva distratto il guerriero quel tanto che bastava per rallentarlo. Pochi secondi dopo il drow fu su di lui e lo abbatté con tre violenti colpi di spada, senza un accenno di esitazione.

Dee Dee voleva andare a riprendersi il pugnale, ma prima si chinò per recuperare la spada. Per farlo dovette girare il cadavere sulla schiena, e solo allora notò che nella morte il corpo stava assumendo un aspetto differente: la pelle era più lucida e stava cambiando rapidamente colore fino a diventare giallognola, i tratti del viso si stavano liquefacendo, anzi, l’intero corpo si stava liquefacendo, e pochi secondi dopo tutto quello che rimaneva dell’aitante guerriero umano era una disgustosa pozza di fanghiglia.
“Ghaunadan!” Esclamò Daren con disprezzo, osservando mentre anche l’altro nemico subiva un simile processo di trasformazione post-mortem.
“Cofa?” Domandò distrattamente la dhampir, che al momento era concentrata sul recuperare la spada prima che anche l’elsa si inzaccherasse di quella sostanza schifosa. Sulle prime aveva pensato di stare assistendo a una decomposizione eccezionalmente rapida, ma forse il drow aveva un’altra spiegazione.
“Erano ghaunadan, crudeli mutaforma affini alle melme.” Spiegò. Dee Dee comprese al volo il senso della cosa, se non i dettagli, e annuì incamerando l’informazione. “Spero che non ce ne siano altri più avanti, non hanno organi interni e quindi sono immuni a molti colpi letali.” Continuò a spiegare.
Dee Dee aveva abbastanza esperienza per capire che si trattava di una bella gatta da pelare per qualcuno che aveva un addestramento da assassino.
“Più… avanti?” Chiese, titubante. “Non era tutto qui? C’è… altro, oltre al moftro di ofcurità e a due melme da guerra?”
Daren rimase un attimo spiazzato alla definizione melme da guerra, e in condizioni migliori la strana uscita della dhampir lo avrebbe anche divertito, ma non c’era tempo per riposare sugli allori.
“Temo che questa fosse la parte facile.” Confermò, scuotendo lentamente la testa. “Ti rinnovo il mio invito a restarne fuori.”
“Ti rinnovo il mio invito ad andare al diavolo.” Fu la secca risposta dell’elfa.
Daren sospirò in segno di resa, annuì, poi le fece cenno di seguirlo verso il portone che le due guardie stavano piantonando.

           

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Capitolo 3
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 3) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 3)


Da qualche parte nel Secondo Livello dell’Undermountain

“Mia signora, abbiamo perso ogni comunicazione.” Mormorò il mezzelfo, profondendosi in un inchino che non nascondeva il suo tremore. “Il nostro Quarto Adepto è rimasto indietro e il suo medaglione non ci comunica più alcun segno vitale. Potrebbe averlo perso… essergli stato sottratto… ma ormai dobbiamo supporre…”
“Che sia stato catturato o ucciso.” Concluse la donna al suo posto.
Il mezzelfo chinò la testa ancora di più, temendo la punizione che la bizzosa creatura avrebbe potuto infliggergli.
Lei invece si limitò ad agitare una mano elegante dalle dita perfettamente curate, in un gesto che ostentava completa noncuranza.
“Il Quarto Adepto ha fallito. Se fosse ancora vivo e riuscisse a tornare, lo accoglieremmo di nuovo fra noi, ma dal momento che probabilmente è morto non c’è ragione di sprecare tempo ed energie per recuperare un cadavere.” Decise la donna, in tono definitivo. Non sembrava nemmeno arrabbiata, una cosa inusuale per una creatura umorale e passionale come un mezzo-demone.
“Mia signora, con permesso, andrò a riferire di sospendere la ricerca.” Propose il mezzelfo, attendendo il consenso della Prima Adepta per congedarsi.
“Aspetta.” Lo fermò, in tono imperioso. Il mezzelfo tenne lo sguardo ostinatamente fisso a terra, finché un paio di piedini perfetti entrarono nel suo campo visivo. La conturbante creatura, figlia di un mortale e di una succube, afferrò con delicatezza il mento del mezzelfo e lo costrinse a sollevare il capo. “Ricordami il tuo nome, Adepto…?”
“Merykar, mia signora. Decimo Adepto.” Rispose prontamente, non sapendo bene se doveva ancora tenere gli occhi bassi o guardare in viso la sua signora.
“Mh.” La alu storse la bocca, come se lo trovasse appena passabile. “Vai ad avvertire di sospendere le ricerche, allora. E mandami qualcun altro.”
“Signora…?”
“Qualcuno più affascinante di te, stolto. Devo pur rimpiazzare il Quarto Adepto nel mio letto.”
“Sì, signora.” Il Decimo Adepto si inchinò ancora, segretamente sollevato che la volubile mezzo-demone non lo trovasse abbastanza interessante. Aveva standard molto alti, e ricompensava la devozione con grande passione, ma i suoi amanti non duravano mai a lungo.


In quello stesso momento, da qualche altra parte nel Secondo Livello

Dee Dee affondò un colpo di spada alla cieca, accogliendo con sollievo e con segreta soddisfazione il lamento di morte del suo nemico. Passandogli accanto, il suo istinto le consigliò di buttarsi a terra appena in tempo per evitare un incantesimo che le saettò sopra la testa. Rotolò in direzione opposta al bordo della pedana, accoccolandosi a terra per minimizzare il bersaglio e appoggiando la schiena al gradone che costituiva la pedana successiva, in quel tempio strutturato su tre livelli. Sapeva che avere la schiena coperta non era una vera protezione, non contro la magia, ma la cosa la fece sentire comunque più sicura.
Cercò di guardarsi intorno in quell’oscurità asfissiante, opprimente, ma nemmeno la sua vista soprannaturale da mezza-vampira poteva oltrepassare quella cortina di tenebre.
Si rannicchiò, sentendo che era in arrivo un’altra ondata di dolore. Per motivi a lei sconosciuti, ad intervalli di pochi secondi veniva attraversata da dolori lancinanti che la lasciavano ogni volta più spossata e debole. Era sicuramente colpa di un incantesimo, ma non sapeva quale dei sacerdoti l’avesse lanciato. Sempre che fossero sacerdoti.
Se scoprissi chi di loro è il fautore di questo… se lo uccidessi, l’incantesimo avrebbe termine?
“Lasciate perdere la ragazza!” Gridò una voce imperiosa, anche se stranamente soffocata, come se provenisse da una bocca non completamente umana. Dee Dee ricordò di aver visto un sacerdote con mezzo volto sfigurato, forse era stato lui a parlare. “Morirà a causa dell’oscurità, continuate con il rituale, stolti!”
Seguì un silenzio che, se la situazione non fosse stata così tragica, sarebbe potuto essere comico. Poi qualcuno si azzardò a dire quello che tutti stavano pensando.
“Signore, non ci vediamo.”
Il gran sacerdote imprecò, passando dal Comune a lingue che Dee Dee non conosceva.
“Esiste un incantesimo per vedere anche attraverso l’oscurità più fitta!”
“Perdono, signore, temo che sia al di fuori della nostra…”
“Incompetenti!” Tuonò il gran sacerdote.
Dee Dee subì un’altra fitta di dolore, ma si costrinse a muoversi, nonostante si sentisse i muscoli intorpiditi. Sapeva di trovarsi sulla seconda delle tre pedane che componevano il tempio, e aveva memorizzato la posizione approssimativa del grande calderone dove avevano costretto il prigioniero. Le sue urla disperate si potevano ancora sentire, come contrappunto alla conversazione dei suoi aguzzini. Dee Dee si alzò e corse in direzione di quel suono, pregando di non scivolare sul cadavere della melma che Daren aveva ucciso prima di scomparire nel nulla.
Corse per un tempo che le parve infinito ma in realtà sarà stato un secondo e mezzo, chiedendosi in ogni momento se sarebbe andata a sbattere contro uno degli altri sacerdoti, ma fu fortunata. Andò a sbattere contro il calderone, prendendolo in pieno e picchiando gli avambracci che aveva posizionato davanti alla faccia per non rischiare di sbattere la testa.
Il metallo non era caldo, e questo era già qualcosa, ma l’enorme contenitore era pesante. L’impatto della dhampir lo fece oscillare leggermente, un po’ di liquido strabordò e Dee Dee lo schivò in buona parte, anche se qualche goccia le bagnò una mano. All’inizio non sentì nulla, poi cominciò ad avvertire una sorta di pizzicore che non era proprio dolore. Si trattava davvero di un acido, ma di uno molto blando.
Da quanto tempo è lì dentro, quel poverino? Pensò con orrore. Forse dovrei essere sollevata che mi si prospetti una morte più rapida.
Scosse la testa, per ritrovare la sua determinazione. Si appoggiò con tutto il suo (poco) peso contro il calderone, puntò i piedi a terra e cominciò a spingere.
“Fermatela!” Berciò di nuovo il chierico, che evidentemente ci vedeva. “Sta cercando di liberare il prigioniero!”

I suoi sottoposti si mossero alla cieca verso la dhampir. Uno di loro inciampò nel cadavere del tizio che Dee Dee aveva ucciso con un colpo fortunato, e cadde a faccia in giù in quello che restava di una Melma Grigia defunta. Dee Dee sentì il rumore disgustoso della sua caduta nella melma, e capì che altri stavano arrivando.


Nel frattempo, in un luogo molto lontano e molto vicino

Daren maledì con tutto il suo cuore il gran sacerdote e la loro sfortuna. Aveva fatto tutto il possibile per nascondere i loro intenti, aveva lanciato anche su Dee Dee l’incantesimo che permetteva di nascondere le proprie inclinazioni etiche, in modo che entrambi apparissero completamente non schierati.
Non era stato sufficiente. Il maledetto lecca-melme aveva deciso di scatenare su di loro un incantesimo vile e immondo, che aveva il doppio effetto di creare un’oscurità magica impenetrabile e fare in modo che qualunque creatura non malvagia venisse avvelenata dall’energia maligna di quell’oscurità.
Il tempio era illuminato, quindi Daren non aveva intorno le lucine danzanti al momento dell’incantesimo, ma si consolò pensando che probabilmente non sarebbero servite a nulla.
L’oscurità l’aveva nascosto agli occhi di chiunque, quindi, in virtù di una maledizione che lo accompagnava da decenni, il Piano delle Ombre lo aveva reclamato.
Non era questa la parte peggiore, prima o poi lo avrebbe anche rilasciato; la parte peggiore era che il Piano delle Ombre lo avrebbe lasciato andare solo dopo avergli risucchiato una parte di energia vitale.
Daren era abituato a quel sacrificio, non era la prima volta che il Piano delle Ombre pretendeva un prezzo per la sua liberazione. Il vero problema era che quella consunzione si verificava lentamente, e per allora Dee Dee sarebbe stata sicuramente già uccisa.
Devo velocizzare il processo. Decise, frugando con una mano in una piccola scarsella che aveva legata in vita. Con la pozione più potente che possiedo… e spero solo che sia sufficiente.
Daren estrasse dalla scarsella una piccola ampolla, che conteneva un liquido nero quanto il panorama di ombre che aveva davanti. Prima di procedere, però, cercò di capire bene quale fosse la sua posizione. Intorno a sé poteva vedere un duplicato quasi preciso del tempio in cui si trovava, ma ovviamente vuoto. Ricordava che, appena prima che ogni luce sparisse dal mondo, il gran sacerdote si trovava proprio davanti a lui. L’umano, sempre che di questo si trattasse, aveva agitato una specie di scettro magico, la gemma in cima allo scettro si era tinta di nero e poi quella tenebra era filtrata all’esterno, espandendosi istantaneamente in un effetto di Oscurità Dannata.
Quello scettro stesso dev’essere il focus dell’incantesimo, ogni incantesimo di oscurità richiede di avere un centro, un oggetto che lo emana; un sasso, una spilla, una cosa qualsiasi. Se ho capito bene cosa ho visto, l’oggetto che ora emana l’incantesimo è la gemma sullo scettro.

Non ne era sicuro, ma quella supposizione era l’unica cosa su cui potesse basarsi. Nei pochi secondi passati a riflettere, l’essenza gelida del Piano delle Ombre aveva già iniziato a compromettere la sua energia vitale, ma Daren lasciò che accadesse senza erigere alcuna difesa. Doveva accadere. Doveva accadere con più efficienza.
Con una mano si slacciò il mantello, che era magico ma soprattutto era spesso e pesante, pensando a come fosse ironico che ora gli sarebbe servito più per la sua fibra spessa che per i suoi incantamenti. Con l’altra mano, si portò alle labbra la boccetta, la stappò con i denti e ne bevve l’intero contenuto.
Un’ondata di dolore gli attraversò il corpo, ma di nuovo non oppose resistenza. Strinse le mani e serrò i denti in risposta al dolore, ma a parte questo non si mosse; era importante mantenere la posizione, nel Piano delle Ombre un solo passo sbadato poteva portarlo a mezzo miglio di distanza.
Quando ricominciò a respirare normalmente, si accorse che nonostante il danno che la pozione di Infliggi Ferite gli aveva causato, si trovava ancora sul Piano delle Ombre. Era certo che il suo stratagemma per ridurre la permanenza su quell’odioso Piano funzionasse, perché l’aveva già sperimentato in passato. Forse una pozione non era sufficiente.
Frugò nella scarsella, cercandone un’altra.


Undermountain, Piano Materiale

Dee Dee afferrò il bordo del calderone, soppresse un brivido per un’altra pulsazione di quel viscido dolore che penetrava fino alle ossa, poi appena il picco di agonia fu passato mise in atto il suo piano. Puntando un piede contro la parete convessa del contenitore, si sollevò arrampicandosi su di esso. Le sue dita toccarono l’acido, ma quel pizzicore era niente rispetto al dolore dell’incantesimo del chierico, quindi lo ignorò agevolmente. Tenendosi aggrappata al bordo con una mano, cominciò a cercare a tentoni il prigioniero con l’altra mano, sfiorando appena la superficie dell’acido. Alla fine toccò qualcosa, forse la testa. L’uomo non era lontano. Di certo però non poteva afferrarlo per la testa e sperare di tirarlo fuori facendo leva su una mano sola. Stava pensando a come fare, quando qualcosa le andò a sbattere contro facendo ondeggiare pericolosamente il suo supporto. Dee Dee capì che almeno uno dei chierici l’aveva raggiunta e ora l’uomo l’aveva appena afferrata per la vita.
Per istinto, lei rafforzò la presa sul bordo del calderone, e quando il chierico la tirò indietro con forza, finalmente il grosso catino di metallo raggiunse il punto di non ritorno e si sbilanciò. Purtroppo, si sbilanciò rovesciandosi addosso a loro.
Dee Dee aveva previsto che potesse succedere e rotolò velocemente di lato. Senza volerlo, rotolò fino agli scalini per la piattaforma inferiore, quindi la sua ritirata strategica si trasformò in una caduta goffa e dolorosa.
Atterrò sul piano inferiore del tempio, massaggiandosi la schiena dolorante. In quello stesso momento accaddero due cose: il chierico che l’aveva afferrata non era riuscito ad evitare l’acido e cominciò ad urlare, all’inizio per la sorpresa e poi anche per il dolore; d’altra parte, una voce terribile risuonò nell’aria, la dhampir riconobbe la parlata strana del gran sacerdote.
“Juiblex, volgi i tuoi occhi sul tuo servo! Dammi il potere di punire questa blasfema che ha interrotto il più intoccabile dei rituali!” La voce era la sua, sì, ma era così tonante che sembrava che un dio si fosse preso la briga di parlare per bocca del suo servo.
Dee Dee si sentì atterrare da un potentissimo colpo, come una martellata dal cielo, solo che non era davvero tangibile. Quella “punizione divina” la colse di sorpresa e le strappò il respiro, e lei si ritrovò di nuovo sdraiata a terra senza rendersi conto che era caduta.
Così non va bene. Si disse, prendendo atto della sua situazione disperata. Due sacerdoti ancora vivi, il loro capo incavolato nero, Daren scomparso… non posso farcela. Sto per morire e non posso evitarlo.
Dee Dee sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime e che non riusciva ad evitare nemmeno questo. Aveva già rischiato di morire, ma non così. Non sentendosi così abbandonata. Dov’era Daren? Non poteva essere fuggito, non l’avrebbe mai fatto, lei sapeva che non l’avrebbe fatto. Era stato ucciso? E quale delle due possibilità l’aveva gettata in quell’abisso di disperazione?
Si passò una mano sugli occhi, odiando sé stessa per la sua debolezza. Non aveva più la spada, l’aveva persa nella caduta, e sapeva che al prossimo assalto dell’incantesimo oscuro sarebbe probabilmente morta.
Quando riaprì gli occhi, scoprì che poteva vedere di nuovo.

Il tempio era nel caos più totale.
Sul livello più basso ormai c’era solo Dee Dee, mentre sulla pedana di mezzo uno dei chierici era morto, uno si era appena alzato dallo scivolone e il terzo si rigirava urlando in una pozza di acido, che ora aveva iniziato a colare a cascatella anche giù dagli scalini. La dhampir si scostò in tutta fretta.
Sul livello superiore, il gran sacerdote era impegnato a cercare di liberarsi da un mantello che gli aveva avvolto completamente un braccio, e un elfo scuro che Dee Dee conosceva bene stava lottando per evitare che il malvagio prete riuscisse a districarsi.
Alla fine i due si separarono, il chierico tirò fuori il braccio dall’involto del mantello, ma dalla sua espressione furibonda sembrava che ci avesse lasciato dentro qualcosa di valore.
Dee Dee non perse tempo e cominciò a cercare con gli occhi la sua spada; la sua resistenza sovrannaturale stava già iniziando a guarirla, e la battaglia non era ancora finita.

Daren gettò lontano la verga avvolta nel suo mantello, poi sfoderò la spada bastarda. Nel frattempo il gran sacerdote si mosse indietro di alcuni passi facendo cenni alle due melme che aveva ai suoi fianchi.
Il drow odiava le melme, tutte quante, ma queste erano forse in lizza per il primo posto. Sembravano enormi masse di sangue gelatinoso e infuocato, orribili gelatine incandescenti che probabilmente erano prive di intelletto, perché attendevano i comandi del chierico per muoversi o attaccare.
Come fa a controllare mentalmente delle melme? Si chiese il drow. Dovrebbe essere impossibile, a meno che non sia un seguace di un dio delle melme… Il nome di Ghaunadaur gli aleggiò per un attimo nella mente, e questo avrebbe spiegato anche la presenza dei due ghaunadan nell’altra stanza. Il sacerdote indossava paramenti del colore sbagliato, però.
Le melme si fecero avanti, protendendosi verso di lui, precedute dal loro intollerabile calore. Daren decise di rimandare le domande a dopo.

Dee Dee aveva un problema: uno dei due umani ancora vivi, quello che prima era scivolato sulla melma grigia morta, stava fra lei e la sua spada. Peggio ancora, non era a portata del suo piccolo pugnale, se ne stava a qualche passo di distanza e sembrava avere tutta l’intenzione di lanciarle contro un incantesimo.
L’elfa sentì il sangue che le pulsava nelle vene e capì che la sensazione che stava provando era rabbia. Era semplicemente stanca di essere un bersaglio per gli incantesimi, voleva che uno di quei pusillanimi avesse il fegato di combatterla con le armi, voleva veder scorrere il sangue, voleva…
Oh. Non era solo rabbia, lo capì in quel momento. Era anche fame.
Dee Dee abbandonò l’idea di recuperare la spada e si lanciò verso il chierico, saltandogli praticamente in braccio appena un attimo prima che lui completasse l’incantesimo. La fronte della dhampir impattò contro il suo naso, rovinando la formula magica all’ultimo momento. Poi i dentini aguzzi trovarono il collo dell’umano, e per lei ci fu soltanto l’estasi del sangue.

Forse il gran sacerdote pensava che le sue melme potessero uccidere, o almeno mettere in difficoltà, il guerriero drow. Non aveva fatto i conti con due cose: l’agilità che caratterizza ogni razza elfica, e che Daren aveva perfezionato con costanza, e l’odio funesto che il suo avversario provava per qualsiasi melma. Figuriamoci per quelle intrise di malvagità.
Poter vedere il guerriero alle prese con i suoi servitori però gli diede modo di studiare il suo stile di combattimento. Provò a lanciargli contro uno sputo di acido, un potere particolare concesso dal suo signore Juiblex, ma il drow aveva ottimi riflessi e riuscì a schivare agilmente quel disgustoso proiettile. L’uomo prese nota della velocità di movimento del nemico e decise che non voleva affrontarlo in corpo a corpo, anche se avrebbe potuto. Prima di tutto avrebbe cercato di indebolirlo o ferirlo con i suoi incantesimi.

Nel frattempo, ignorato da tutti, l’uomo che era stato costretto ad agonizzare nel calderone si alzò sulle ginocchia e guardò il sacerdote colpito dall’acido che stava cercando di rialzarsi da terra. Il prigioniero aveva ancora le mani intrappolate dietro la schiena, chiuse da un paio di manette, ma ormai l’acido aveva corroso quasi completamente il metallo. Fece uno sforzo immane, ignorando il dolore dei rigidi bracciali che premevano contro la carne viva (di pelle non ne aveva quasi più), ma infine riuscì a spezzare le manette. Ogni mossa era un’agonia, avrebbe solo voluto strisciare lontano dalla pozza d’acido e stendersi sul freddo pavimento, ma l’odio gli dava la forza di muoversi.
Gattonò verso il suo nemico, con le mani che annaspavano nella pozza corrosiva, ma ormai aveva patito così tanto che un altro po’ di bruciore non poteva fare la differenza. I suoi occhi non mettevano bene a fuoco, i fumi dell’acido li avevano in parte compromessi. Non aveva un vero piano, ma fu fortunato: sulla sua strada, le sue nocche toccarono qualcosa di duro, metallico: una spada lunga.
Nephlyre Kilchar, Quarto Adepto della Cabala dei Sussurri di Graz’zt, afferrò una spada che mai e poi mai sarebbe stata destinata alle sue mani immonde, ma si dimostrò capace di usarla comunque in modo efficace.

           

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Capitolo 4
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 4) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 4)

Il tempo a Dee Dee sembrava privo di significato, infinito, come un sentiero che si perde nel deserto; eppure era scandito da una sorta di ritmo, una pulsazione, che prima accelerava in modo rapido e frenetico e poi cominciava inesorabilmente a rallentare. Era il battito di un cuore, questo lo sapeva, e il suo tempo in realtà sarebbe finito quando - se - quella pulsazione si fosse fermata.
Il cuore batteva ancora velocemente, l’umano puzzava di paura, e la sua paura era esaltante per quella parte di lei che rispondeva ad istinti bestiali.
Lui balbettò qualcosa, ma la dhampir non lo udì nemmeno. Niente importava a parte il sangue.
Poi fu il dolore.

Decisamente non era una buona giornata, per Arzo Jassan. Prima aveva dovuto abbandonare i suoi affari per venire a presenziare all’iniziazione di quel patetico arrivista di Errek, che in pochi anni era riuscito a guadagnarsi i favori del grande demone Juiblex senza nemmeno essere un chierico di rango. Poi la cerimonia era stata interrotta da due pazzi bastardi, e la sua stessa vita era stata messa a rischio (quando sarebbe stato del tutto disposto a scappare e lasciare che i due uccidessero quello stronzo di Errek, e magari anche il suo rivale Adler, per buona misura). Infine, aveva sacrificato il suo unico incantesimo di guarigione nel tentativo di danneggiare l’elfa vampira, visto che i non morti sono alimentati dall’energia della morte e vengono feriti dall’energia della vita, ma anziché aprire nuove ferite sul corpo dell’elfa, sembrava che il suo incantesimo gliele avesse curate.
Nulla aveva più senso per il povero chierico, e non aveva abbastanza afflusso di sangue al cervello per ragionare coerentemente.
Due pensieri vagamente confortanti lo accompagnarono in quegli ultimi momenti prima dell’incoscienza: il primo era che Adler era già morto e probabilmente anche Errek sarebbe morto a breve; il secondo era che tutto sommato quella non era una brutta morte, perché Arzo, con la sua aria malaticcia e impacciata, non era mai stato così vicino ad una bella ragazza.
Un’antica parabola orientale narra che un uomo, scivolato lungo un burrone, fosse riuscito a salvarsi temporaneamente aggrappandosi a una piantina di fragole. La piantina era troppo fragile per sostenere il suo peso e l’uomo sapeva che sarebbe morto, ma prima di andarsene dedicò i suoi ultimi istanti a mangiare le fragole.
Arzo Jassan non aveva la lucidità di pensare ad un nuovo incantesimo, ma aveva ancora le mani libere.

Nephlyre Kilchar non stava molto bene, anzi per la verità non era mai stato peggio. Ogni angolo del suo corpo era un inferno di dolore, le forze lo stavano abbandonando, e cosa ben più grave, era brutto. L’acido aveva sciolto la sua pelle, risparmiando solo il volto che era rimasto fuori perché potesse respirare ed urlare, e ora non si riconosceva più. Era stato un bell’uomo, attraente e fascinoso secondo gli standard di qualsiasi razza umanoide, con un’aria di mistero e pericolo che gli derivava dalla sua discendenza diabolica ma che lo rendeva solo più accattivante. Ora, di lui non era rimasto altro che un rudere. La carne era stata parzialmente corrosa, e la cosa era più evidente su quelle parti del suo corpo che erano più sottili; le dita delle mani, dei piedi, e il… beh, qualcosa per cui Nephlyre avrebbe volentieri sacrificato sia le mani che i piedi.
Affondare la spada nel petto del chierico che aveva passato le ultime ore a salmodiare mentre lui moriva lentamente, però, lo fece sentire subito molto meglio. Rimase a guardare con oscura soddisfazione mentre il sangue del nemico si mescolava all’acido in cui era ancora sdraiato; poi arrancò fuori dalla pozza maleodorante gattonando sulle mani e sulle ginocchia, raggiunse un angolo in cui il pavimento di pietra era ancora pulito e si rannicchiò contro il muro della stanza. Senza più l’adrenalina dell’avere un avversario da uccidere, sapendo che qualsiasi cosa fosse successa ora sarebbe stata ben al di là del suo controllo, Nephlyre fu sopraffatto dal dolore e dalla stanchezza e perse beatamente i sensi.

Daren imprecò sottovoce, schivando di nuovo il tocco di una delle melme. La cosa più fastidiosa era il calore. Il drow non aveva problemi ad evitare i colpi, ma non poteva fare affidamento sulla sua armatura, perché se una di quelle creature si fosse avvicinata abbastanza da toccarla, lui a quel punto sarebbe già stato ustionato a causa della semplice vicinanza. La sua armatura poi era di cuoio, avrebbe potuto rovinarsi o perfino prendere fuoco, come anche i suoi vestiti e i suoi capelli. No, doveva evitare completamente il contatto con le melme e cercare di colpirle stando a distanza il più possibile, affidandosi alla certezza che la sua lama magica le avrebbe gravemente danneggiate anche senza la necessità di penetrare troppo a fondo.
Il sacerdote non sembrava intenzionato a lasciarlo combattere in pace. Continuava a scaricargli addosso un incantesimo dopo l’altro, molti dei quali per fortuna potevano essere evitati o venivano bloccati dalla sua naturale resistenza alla magia, una prerogativa di tutti gli elfi scuri. Alcuni incantesimi però colpirono nel segno, e Daren si rammaricò di non avere più il suo mantello che avrebbe aiutato il suo corpo e la sua mente a combattere contro gli effetti di quei malefìci.
Cominciava a sentirsi stanco, come se la spada ora pesasse molto più di prima, e i suoi movimenti sembravano rallentati. Nonostante questi impedimenti, riuscì a distruggere uno dei due mostri che aveva davanti.
Crollata a terra la melma, ora riusciva meglio a vedere il chierico: sembrava un essere umano di mezz’età, calvo e piuttosto pingue. Non sarebbe apparso pericoloso, se non avesse avuto mezza faccia sciolta come la cera di una candela. Molto opportuno per qualcuno che venerava le melme.
Il chierico allargò le braccia e Daren si tirò indietro, aspettandosi un nuovo incantesimo. Non voleva rischiare di finire addosso alla melma incandescente per schivare il maleficio del chierico.
Si sbagliava; l’uomo non stava per lanciargli contro qualche flusso di magia, stava evocando un’altra melma.
E che cazzo! E basta! Pensò il drow, esasperato, modificando la sua presa sull’impugnatura della spada perché ormai cominciavano a fargli male le mani.
Finì di uccidere la seconda melma di sangue infuocato, che ormai era in fin di vita, prima che il nuovo mostro evocato dal chierico riuscisse a manifestarsi pienamente. Avrebbe voluto avere il tempo di attaccare anche il sacerdote, perché era lui la fonte di tutti quei mali, ma non aveva un attimo di respiro.

Dee Dee aveva bevuto abbastanza sangue da sentirsi nuovamente bene, nello spirito se non nel corpo. Era tantissimo tempo che non beveva a sazietà, e sangue così buono per giunta. Il chierico l’aveva riscossa da quell’estasi scaricandole addosso un incantesimo di cura ferite, certamente non per gentilezza ma nel tentativo di ucciderla. Avrebbe potuto riuscirci, se lei fosse stata un vero vampiro.
L’incantesimo le causò un tremendo pizzicore in tutto il corpo, ma in realtà fu un toccasana: Dee Dee era viva, e l’energia di guarigione curava le sue ferite come quelle di qualsiasi creatura. Per fortuna, le fece anche recuperare la lucidità.
Questo umano è quasi morto… realizzò in quel momento. Posso smettere di nutrirmi, ormai è innocuo.
In quel momento l’umano concentrò le sue ultime forze e mosse le braccia. Per un folle istante la dhampir pensò che stesse cercando di abbracciarla, poi due mani tremanti ma determinate le palparono il sedere.
La ragazza si staccò di scatto dall’uomo e gli mollò un ceffone in piena faccia, mandandolo al tappeto privo di sensi.

Il Gran Sacerdote stava seriamente considerando l’opzione di fuggire. Certo, non era dignitoso, ma nemmeno morire nel proprio tempio lo era. Forse il drow aveva la sensazione di essere sopraffatto dai continui attacchi del chierico, ma allo stesso modo il chierico sapeva di stare finendo le opzioni: aveva già usato buona parte dei suoi incantesimi e si era ridotto a dover evocare altri avversari da frapporre fra sé ed il pericoloso elfo scuro, ma questa era implicitamente una mossa disperata, un tentativo di difesa.
Evocò anche un demone tanar'ri, una creatura piccola e ingannevolmente fragile, con la pelle di un profondo blu scuro che nel tempio poco illuminato sembrava nera quanto quella del drow. Il demonietto, un jovoc, aveva un volto quasi umanoide e braccia e gambe normali, ma al posto delle mani aveva tre lunghe dita munite di artigli, e i suoi denti, per quanto piccoli, erano aguzzi come quelli di un predatore. La sua pericolosità però stava nei suoi poteri speciali; il chierico sapeva che qualsiasi danno inflitto al jovoc si sarebbe ripercosso in pari misura su tutte le creature nelle vicinanze che non erano tanar’ri.
L’umano sapeva di correre un rischio in quel modo, perché nemmeno lui era un tanar’ri, ma era abbastanza potente da riuscire a proteggersi almeno in parte da quella magia funesta, e avrebbe goduto immensamente nel veder morire il drow, la sua compagna guerriera e tutti quei deboli pusillanimi che si contorcevano come vermi nel suo tempio.

L’elfo scuro distrusse la melma con pochi colpi di spada, ma si fermò indeciso davanti al jovoc.
Il sacerdote si accorse che il guerriero si stava guardando intorno, cercando con gli occhi la sua compagna, e comprese il suo errore di valutazione: era un drow, ovviamente doveva avere familiarità con i demoni! Sapeva che cos’era il jovoc e non sembrava volerlo attaccare.
“Bella mossa, umano.” Commentò infatti, nella lingua comune del Buio Profondo. “Ma prima o poi il tuo amichetto svanirà, come tutte le creature evocate, e io non ho nessuna fretta.”

Il chierico si sentì ribollire di rabbia, e impulsivamente ordinò al jovoc di attaccare. Il demonietto ci provò, a sua discolpa ci provò davvero, ma il guerriero drow non aveva molti problemi a deviare i suoi colpi con il piatto della spada. Ad un certo punto gli mise un piede sulla testa e lo spinse indietro barcollante, come se fosse stato un bambinetto.
“Mi scuserai se non mi trattengo a giocare con il tuo ometto, ma preferirei ucciderti e farla finita.” Commentò l’elfo scuro dopo qualche secondo, avanzando verso di lui e ignorando completamente il jovoc. Il demone riuscì a graffiargli le gambe mentre passava, ma il drow lo ignorò come se fosse semplicemente rimasto impigliato in un ostacolo di poco conto.
Il malvagio servitore di Juiblex però aveva previsto questa svolta, e aveva già pronto un incantesimo che avrebbe ripagato il maledetto guerriero per l’affronto di non essere cascato nel tranello del jovoc.
Tu forse ti salverai, tu forse ti credi intoccabile. Pensò l’uomo, con crudele soddisfazione. Ma la tua amante non lo è.
Un dardo di energia nero-verdastra scaturì dalla mano del chierico e colpì il suo nemico in pieno petto, senza possibilità d’errore visto che ormai era molto vicino.
Daren sentì che quell’energia malvagia lo pervadeva, penetrava nella sua anima, ma non si fermava lì; la percepì andare oltre, come se trovasse nel suo cuore un collegamento verso qualcuno o qualcosa e lo seguisse come un sentiero.
Un istante dopo, capì cosa stava succedendo e gli sembrò di precipitare in un lago di ghiaccio, e allo stesso tempo di essere avvolto da un intenso calore; la sensazione era fin troppo simile ad un attacco di panico, sebbene lui ne fosse immune.
L’uomo gli sorrise in modo viscido, esaltato.
L’incantesimo, entrambi lo sapevano, non era pensato per colpire direttamente l’elfo scuro, ma per uccidere la persona a lui più cara.
Daren per un attimo vide come una carrellata di immagini senza controllo scorrergli davanti agli occhi. Non sapeva chi fosse la persona che amava di più. Ce n’erano troppe, davvero troppe per un drow. Poteva solo pregare che fosse qualcuno abbastanza forte da poter subire quella magia terribile senza morirne.
Ma il chierico, oh, lui sarebbe morto. Sarebbe morto di sicuro.


In quello stesso momento, in un luogo abbastanza lontano... beh, non lontano come l’altra parte del mondo, ma troppo lontano per una scampagnata nel fine settimana

La femmina drow maneggiava il coltello con la sicurezza dell’esperienza, riuscendo anche a non sporcarsi. Affondò la lama nella carne come qualcuno che ha compiuto quei gesti quasi quotidianamente, per anni ed anni.
La morte di una creatura rappresentava sempre vita e prosperità per altre creature, questo lei lo sapeva, faceva parte del normale ordine delle cose.
L’elfa scura sospirò, pensando che rischiava di essere già in ritardo sulla tabella di marcia; molte persone attendevano il risultato del suo lavoro per poterne trarre forza e soddisfazione personale, e uno stufato impiegava sempre molte ore per cuocere a dovere.
Rovesciò una manciata di dadini di carne nel pentolone, rimestando con energia.
Senza preavviso, dall’altra parte della stanza, una bambola di terracotta esplose.

La donna non si girò nemmeno a guardare. Finì di tagliare e mettere a cuocere la carne, andò a prendere una scopa e raccattò tutti i pezzetti di terracotta tinta di nero. La bambola era pensata per assomigliarle il più possibile, quindi la scopa raccolse da terra anche diversi fili bianchi presi dalla criniera di un cavallo palomino.
Avrebbe dovuto procurarsi altra argilla, pensò, e in fretta. Non era prudente rimanere a lungo senza quel tipo di protezione.
Prese fra le mani il pezzo più grande che riuscì a trovare e si concentrò per capire che cosa avesse appena cercato di ucciderla.


Di nuovo nell’Undermountain, tempio di Juiblex

Il gran sacerdote non riusciva a capire come fosse possibile; un attimo prima, il drow era ancora ad almeno tre o quattro passi da lui. Un attimo dopo, aveva la sua spada bastarda piantata nelle viscere. Forse l’età gli aveva rallentato i riflessi? Forse aveva sottovalutato la rabbia di un guerriero. Con un filo di sangue che gli usciva dalla bocca, cominciò a mormorare l’incantesimo che l’avrebbe trasformato in una creatura differente. In casi come questo, la sua scelta cadeva sempre su una qualche creatura incorporea, in modo da poter fuggire attraverso le pareti.
Aveva dimenticato la dhampir, o almeno, pensava che ormai fosse morta.
Dee Dee gli arrivò alle spalle e gli tagliò la gola da dietro. Di norma non sarebbe stato sufficiente ad ucciderlo, il favore di Juiblex lo aveva trasformato in qualcosa che non aveva più veramente un’anatomia umana, anche se gli piaceva mantenere un aspetto umanoide per non apparire troppo alieno ai suoi adepti. Però essere circondato da due nemici, che con i loro continui affondi non gli davano il tempo di concentrarsi sugli incantesimi, l’avrebbe presto portato alla morte.
Il servitore di Juiblex diede fondo a tutte le sue risorse, cercando di dissuadere i due elfi con il suo tocco corrosivo; provò anche a contagiarli con le peggiori malattie, ma la mezza-vampira era molto resistente ai malanni che funestavano i normali esseri viventi, e il drow ne era ormai del tutto immune.
Il chierico lottò con tutte le sue forze, il jovoc cercò di aiutarlo finché l’incantesimo di evocazione non ebbe termine, ma a volte fare del proprio meglio semplicemente non è abbastanza.

           

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Capitolo 5
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 5) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 5)


La battaglia finì tanto improvvisamente com’era iniziata, e Daren e Dee Dee rimasero a guardarsi l’un l’altra al di sopra di quello che fino a un momento prima era un nemico da abbattere, ma ora era solo un cadavere informe. Il silenzio perfetto del tempio profanato era rotto solo dal rumore del loro respiro affannoso.
La ragazza rivolse al compagno uno sguardo lungo e carico di emozioni, che lui non riuscì a decifrare pienamente. Di certo non erano emozioni positive, ma la sua comprensione si fermava lì. Erano semplicemente troppe.
“Sei… sei arrabbiata.” Tentò, per rompere il silenzio.
“Non lo fo.” Rispose lei, con la sua solita onestà disarmante. “Fono efaufta, fconvolta, e per poco non fono morta. Fono… arrabbiata?” Lo guardò per un istante con occhi stanchi e spaventati. “No, maledizione a te, fono terrorizzata, fono…”
Sembrò restare a corto di parole, ma le lacrime che prima era riuscita a trattenere ora iniziarono a scorrere liberamente sulle sue guance. Prese un profondo respiro, rinfoderò il pugnale con un gesto automatico e si passò una mano sulla faccia. La sua mano era sporca di sangue, o forse era icore, difficile dirlo in quella fioca illuminazione. Ad ogni modo, lasciò una traccia scura sul suo volto pallido.
“Dov’eri fparito? Temevo che foffi morto, o che mi aveffi abbandonata, e l’addeftramento che mi hai impartito finora non farebbe mai baftato. Ho veramente creduto di morire.”
Daren lasciò che piangesse in silenzio per alcuni lunghi secondi, guardando le sue spalle magre che sobbalzavano per i singhiozzi. Era semplicemente venuta meno l’adrenalina del combattimento, una reazione prevedibile e che lui aveva già visto in alcuni giovani guerrieri dopo le loro prime vere battaglie.
Vorrei poterti dire che non ti abbandonerò, pensò con rammarico, o almeno non in un guaio così grosso. Ma come posso esserne certo? Non so se il prossimo scontro mi ucciderà davvero, o se lo farà quello successivo. Prima o poi potresti trovarti a dover uscire da una brutta situazione, senza di me…
Sospirò, sapendo che non poteva parlarle in questo modo. Non poteva parlare in questo modo a nessuno. Nonostante la sua determinazione, impiegò qualche momento a recuperare il classico tono di voce distaccato.
“Va bene, adesso ti calmi? Se hai paura di morire non dovresti stare in questo dungeon.” La rimbrottò in tono di rimprovero, ricordandole che lei stessa aveva scelto quella vita. “E soprattutto devi renderti conto che la prossima volta io potrei essere ucciso, e non soltanto allontanato o incapacitato. Non sai mai quando potresti ritrovarti sola. Forse è il momento di studiare un piano di fuga per te, se le cose dovessero mettersi davvero male.”
Dee Dee trasse alcuni respiri profondi e si calmò, o almeno fece del suo meglio.
“Penfo che dovrefti prima di tutto cercare di non morire,” ribatté, ancora turbata “anziché penfare a cofa dovrei fare io fe tu moriffi. Hai decifo di infegnarmi a fopravvivere ma non mi ftai mica dando un buon efempio. Buttarfi nel pericolo in quefto modo...” il suo sguardo spaziò per il tempio in cerca dell’uomo che erano venuti a salvare, e lo individuò sulla pedana di mezzo, rannicchiato contro la parete. Sembrava svenuto.
Daren seguì il suo sguardo e annuì, poi girò di nuovo il viso verso di lei e la costrinse a guardarlo negli occhi. “Hai ragione, sono un pessimo esempio, ma ho giusto due secoli e mezzo più di te, quindi io posso anche decidere di rischiare la vita, se mi garba. Tu invece non puoi, o almeno, non finché stai con me.” Il suo tono non ammetteva repliche, ma Dee Dee sentì montare dentro di sé una rabbia che sapeva di ribellione, per l’ingiustizia di quel discorso. “Quindi farai quello che dico, non quello che faccio. E adesso vediamo se questo tizio è ancora recuperabile.”
Scese le scale che portavano alla piattaforma sotto di loro, e la dhampir lo seguì. Occuparsi di un’altra persona l’avrebbe quantomeno distratta da quel tumulto di emozioni che l’aveva travolta.

Passarono i minuti seguenti a pulire la carne dell’uomo dai residui di acido, un lavoro lungo che richiedeva l’utilizzo di panni puliti e asciutti. Daren aveva scoperto anni prima a proprie spese che l’acqua non funziona molto bene per lavare via l’acido, anzi sembra addirittura controproducente, anche se il guerriero non ne conosceva la ragione. Dee Dee si congratulò con sé stessa per l’idea di tenere i suoi vecchi vestiti e farne stracci. Riuscì davvero a trarre un po’ di conforto e soddisfazione da quel lavoro, ma c’erano altri pensieri più cupi che ribollivano appena al di fuori della sua sfera cosciente, e che lei non riusciva bene a inquadrare né a mettere da parte.
Solo dopo molto tempo, mentre il drow era impegnato a lenire il corpo devastato dall’acido con la sua limitata magia di guarigione, alla fine Dee Dee ci arrivò.
“No che non puoi farlo.” Disse di punto in bianco.
Il drow alzò lo sguardo, perplesso.
“Non posso… cosa?”
“Rifchiare la vita a tuo piacimento. Non puoi farlo, o almeno, non finché ftai con me.” Insistette, usando proprio le stesse parole che poco prima lui aveva rivolto a lei.
L’elfo scuro continuava ad avere un’espressione curiosa in volto, ma ora nei suoi occhi c’era una durezza che Dee Dee non vedeva da molto tempo.
Lei tenne duro, incrociando le braccia sul petto e rivolgendogli uno sguardo di sfida.
“Non puoi morire. Ho bifogno di te. Non poffo fare a meno di te adeffo… e non voglio.”
Seguì un breve, pesante silenzio.
“E con quanta arroganza e orgoglio rivendichi questa tua debolezza.” Considerò il drow, scuotendo la testa.
“Non è una debolezza!”
“Sì invece, se non ce la fai senza di me…”
“Lo fai beniffimo che quefto dungeon è molto pericolofo, e conofhi le mie capacità, quindi fai anche che non potrei farcela da fola. Perché all’improvvifo è diventato fbagliato ammetterlo?”
“Il dungeon è pericoloso, è vero. Ma tu sei abbastanza in gamba da riuscire ad eludere buona parte dei suoi pericoli, ormai. Se ti trovi sempre nei guai è perché io ti trascino in situazioni pericolose e ti costringo a guardare in anfratti che potresti evitare. La tua debolezza non è nei muscoli, o nella rapidità con cui muovi la spada; è nel tuo cuore. Hai bisogno di me per ragioni diverse dalla tua immediata sopravvivenza e questo non va bene. Se io morissi nel prossimo scontro, non è accettabile che tu ne sia turbata, o non così tanto da perdere la voglia di combattere.”
Dee Dee cercò di ribattere, ma non trovò nulla da dire. In un certo senso il drow aveva ragione, ma lei non considerava l’affetto una debolezza. Le loro idee partivano da punti di vista troppo diversi perché potessero trovare un terreno comune.
“Quindi fe io moriffi la cofa non ti turberebbe?” Mormorò soltanto, cercando di non lasciar trasparire la delusione che stava provando.
“Beh, saresti morta, quindi probabilmente non lo sapresti e non t’importerebbe più.” Il guerriero scrollò le spalle, accingendosi a tornare al suo lavoro.
“Non è una rifpofta!” Sbottò la ragazza, decisa a non lasciar cadere l’argomento così facilmente.
Daren sospirò, si alzò dal capezzale del prigioniero ferito e andò a schierarsi davanti a Dee Dee. Lei adesso per qualche motivo si rifiutava di incrociare il suo sguardo, forse sentiva di essersi esposta troppo. A Daren non importava di metterla in imbarazzo, era stata lei a sollevare la questione, quindi le prese il mento in una mano e la costrinse delicatamente ma con fermezza a guardarlo negli occhi.
“Ehi, piccola piagnona. La tua domanda non ha il minimo senso.” Le disse in tono straordinariamente calmo, ma determinato. “Tu non morirai prima di me.”
Suggellò quella strana promessa sbattendo la fronte contro quella della dhampir con un gesto rapido e inaspettato. Dee Dee fece un saltello indietro, massaggiandosi la testa dolorante.
“Dopo parleremo di quel che potresti fare se io morissi, ma stai serena, si tratta solo di resistere per qualche giorno.” Riprese lui, ora in tono più leggero, tornando ad inginocchiarsi accanto all’uomo svenuto. “Per qualche motivo non mi riesce mai di riposare in pace.”
Dee Dee rimase un momento ferma a massaggiarsi la fronte, anche se ormai non le faceva più male. Che cosa aveva inteso dire il suo strano compagno?
Per nulla rassicurata, decise di dedicarsi a qualche attività più produttiva del rimuginare: c'era ancora un chierico di Juiblex da immobilizzare, perché anche se ora era svenuto e debole, non era detto che lo restasse a lungo.

Nephlyre Kilchar scivolò fuori dal suo beato stato di incoscienza, lentamente, come se si risvegliasse da uno strano sogno.
Il dolore era sensibilmente diminuito; anziché sentire un fuoco che gli bruciava in ogni punto del corpo che non era più coperto dalla pelle, ora sentiva solo un indolenzimento generale, uno spettro di dolore residuo.
Senza più quella pena indicibile che soverchiava i suoi processi mentali e gli altri suoi sensi, cominciò gradualmente ad accorgersi anche di altre cose. Qualcuno accanto a lui stava parlando. No… non stava esattamente parlando, non era una conversazione, e non parlava con lui. Stava… salmodiando, o qualcosa del genere.
Quella parte del cervello di Kilchar che si occupava di garantirgli la sopravvivenza si accese risuonando in allarme. Qualcuno stava lanciando un incantesimo, e fin troppo vicino a lui per i suoi gusti. Lottò per aprire gli occhi, ma era ancora debole e nella stanza scura non vedeva altro che ombre. Forse i fumi dell’acido avevano rovinato per sempre i suoi occhi? Forse… forse stava per morire e preoccuparsene era inutile.
Un flusso di energia magica gli suscitò un piacevole calore in centro al petto, e da lì si diffuse gentilmente in tutto il corpo, come le onde concentriche mosse da un dito che tocca la superficie dell’acqua. Kilchar riconobbe gli effetti di un incantesimo di cura e provò un moto di sollievo, anche se questo non significava che fosse fuori pericolo. Non sapeva chi lo stesse curando e per quali scopi, poteva essere un alleato o uno schiavista o qualcuno che voleva estorcergli informazioni. Ad ogni modo non c’era molto che potesse fare, così chiuse gli occhi, lasciando che la magia facesse il suo dovere.
L’incantesimo venne ripetuto più volte, ed era come se ad ogni applicazione il suo fisico venisse lentamente ricostruito, strato dopo strato. In realtà la sua situazione non era così brutta, e presto se ne rese conto da solo. Conosceva abbastanza la magia clericale da sapere che quelli che lo stavano guarendo erano semplici incantesimi che chiudevano le ferite, non erano adeguati per ricostruire arti mancanti o restituire la vista. Quindi, se stavano funzionando, voleva dire che l’acido non aveva danneggiato il suo fisico in modo permanente, non aveva… eroso… parti del suo corpo.
Decise di considerarla la seconda buona notizia del giorno, visto che dopotutto Nephlyre Kilchar si faceva un vanto di saper cogliere gli aspetti migliori di ogni situazione. Senza quella capacità, probabilmente avrebbe perso la ragione molti anni prima.
Non era uno stupido, però, e sapeva di dover cogliere anche gli aspetti negativi, perché la sopravvivenza imponeva vigilanza costante. Ad occhi chiusi, fingendosi più debole di quanto non fosse, si concentrò sull’udito per carpire qualche indizio sulla persona che lo stava curando.
Prima di tutto, si accorse che non riconosceva la voce. Non era uno dei suoi compagni seguaci di Graz’zt, o almeno non era qualcuno di importante. D’altra parte, perché avrebbero mandato un novizio a recuperarlo? No, doveva essere qualcuno esterno alla sua cabala, un estraneo, e questo poteva essere ancora più pericoloso.
La seconda cosa di cui si accorse, era l’intonazione con cui quella persona stava recitando gli incantesimi. Chiunque può usare la magia di guarigione, sia i seguaci delle pietistiche divinità che si definiscono buone, sia i chierici di divinità malvagie, e perfino gli adepti dei Signori dei Demoni, come lui. Chiunque ha bisogno di cure, dopotutto, la guarigione non è davvero appannaggio esclusivo dei buoni. Però c’è una differenza di pronuncia, infinitesimale, e solo gli incantatori se ne potrebbero accorgere, fra un incantesimo clericale elargito da una divinità buona e lo stesso identico incantesimo che però provenga da un Signore del Male. Quando Kilchar riuscì a determinare la natura di quella lieve intonazione, al di là dell’accento personale dell’incantatore che lo stava guarendo, quella scoperta gli fece sorgere brividi di disgusto. Chiunque lo stesse curando, traeva il suo potere da una divinità del Bene. Kilchar provava soltanto disprezzo per le persone che si definivano buone e per i loro ideali ipocriti, e se non avesse avuto un disperato bisogno di cure, il suo orgoglio avrebbe preteso che rifiutasse quell’aiuto gentilmente ma con fermezza. Ad esempio piantando un coltello in gola al chierico in questione.
Ma non aveva un coltello, si rese conto; non aveva niente. Né la forza, né la salute, né il suo equipaggiamento… nemmeno i vestiti… anche se questo gli fece ricordare una cosa importante: la prima arma di un seguace di Graz’zt è il suo corpo. Se la magia di guarigione stava ricostruendo tutto quello che l’acido aveva devastato, allora anche la sua bellezza sarebbe stata restaurata, e nonostante il suo aspetto trasandato Nephlyre Kilchar sapeva di essere un bell’uomo secondo gli standard di qualsiasi razza umanoide.
Kilchar era un tiefling, un lontano discendente di esseri umani e creature demoniache. La sua eredità immonda non era molto evidente, i suoi canini erano leggermente pronunciati e aveva quattro piccole corna, due sulla fronte e due leggermente più indietro sulla testa, sopra le orecchie. Per il resto poteva sembrare un essere umano, anche se qualcuno aveva supposto che avesse anche sangue elfico nelle vene a causa del suo volto quasi glabro e affilato. Era di altezza media ma aveva un fisico asciutto e dai muscoli definiti, mani eleganti completamente umane e occhi neri che qualcuno aveva definito “profondi e conturbanti”, anche se Kilchar non ricordava chi fosse stato... forse un qualche poeta che aveva sedotto, usato e sacrificato. Piegò leggermente le labbra in un sorriso ricordando quante persone negli anni gli avevano dichiarato “amore” e non si erano opposte a nulla, nemmeno alla morte, per lui. Che cosa stupida, l’amore.
Sì, decisamente poteva fare un tentativo. Dopotutto i seguaci delle divinità buone erano sempre degli stupidi, bastava fargli credere che ci fosse speranza di redenzione e gli avrebbero accordato la giusta confidenza. Abbastanza perché potesse cominciare la sua opera di seduzione.

Quando si sentì abbastanza bene, e abbastanza sicuro di sé, aprì gli occhi fingendo di essersi appena svegliato.
C’era qualcuno seduto accanto a lui, probabilmente il sacerdote, ma non stava più salmodiando. Forse riteneva di aver finito di curarlo, e la cosa gli causò un moto di fastidio, visto che era fuori pericolo ma ancora non era nel pieno delle forze.
I suoi occhi riuscirono finalmente a mettere a fuoco la stanza. La creatura accanto a lui sembrava un elfo, ma aveva la pelle nera come l’ebano e i capelli candidi, quasi argentei. Un drow.
Kilchar socchiuse gli occhi, perplesso. Si era sbagliato così stupidamente? I fumi dell’acido avevano danneggiato il suo cervello fino a non fargli più distinguere un incantesimo clericale buono da uno malvagio? Cercò di rimandare a mente quello che sapeva dei drow, e in particolare dei loro sacerdoti. Ricordava qualcosa su una cultura prettamente matriarcale, ma con un paio di divinità maschili clandestine che potevano avere, anzi forse avevano esclusivamente, sacerdoti maschi.
Non riusciva davvero a ricordare più di questo, ma aveva la sensazione che nessuno di quei culti riguardasse una divinità buona. Ad ogni modo, nessuna di quelle divinità aveva rapporti con il suo Signore Graz’zt. Per cui, chi era questo drow e che interesse aveva nel salvarlo? O nel catturarlo? Qualcuno gli aveva legato i polsi davanti al petto mentre era svenuto, quindi Kilchar ne dedusse che lo scenario della cattura fosse più probabile di quello di un salvataggio.
Scoccò uno sguardo di puro veleno in direzione dell’elfo scuro, approfittando del fatto che in quel momento il drow non lo stesse guardando. Poco dopo, capì che cosa avesse catturato l’attenzione del sacerdote nero: un’altra persona, un’elfa chiara, si avvicinò trascinando di peso uno di quei maledetti adepti di Juiblex. Anche l’altro uomo era legato, e la ragazza elfa lo reggeva su una spalla come se fosse stato senza peso. Kilchar quasi ringhiò per la frustrazione: i due dovevano essere schiavisti, mercenari fuoricasta, perché altrimenti che cosa avrebbe mai spinto un drow e un’elfa a collaborare?
Ma subito il suo sangue freddo lo aiutò a calmarsi, mentre ragionava rapidamente per trovare una via d’uscita anche da questa situazione. Sarebbe sopravvissuto, quindi le sue prospettive erano già molto migliorate rispetto a poco prima. Sarebbe stato venduto come schiavo, probabilmente, ma un soggetto affascinante come lui non avrebbe avuto problemi a raggirare ed irretire i suoi futuri padroni, e presto sarebbe diventato lui il padrone. Anche se, probabilmente, non si sarebbe mai arrivati a tanto. Era Quarto Adepto della Cabala dei Sussurri di Graz’zt, una posizione importante, di certo qualcuno si era già mosso per venirlo a cercare.

Ascoltò in silenzio mentre l’elfa chiedeva al drow se intendeva guarire anche l’altro uomo. Presto si disinteressò al contenuto della conversazione, concentrandosi invece sulla loro comunicazione non verbale, sul tono con cui si rivolgevano l’uno all’altra, perché quelli erano ottimi indicatori per capire come fosse strutturato il loro rapporto. Era la femmina a comandare, oppure il maschio? O entrambi ubbidivano ad una terza persona? Quante possibilità c’erano di poter incrinare la loro collaborazione a suo vantaggio?
In breve ebbe le sue risposte: era il drow che decideva cosa fare e cosa no, ed era anche decisamente più vecchio della ragazza, sebbene sia sempre molto difficile stabilire l’età degli elfi. Forse non era vecchio nel vero senso del termine.
Kilchar allontanò da sé questi pensieri oziosi. Vecchio o no, il suo aspetto era senza tempo, quindi non sarebbe stato come sedurre un uomo anziano. Certo, lui avrebbe preferito che fosse stata la femmina, al comando. Era sempre più facile intortare le femmine, bastava blandire un po’ il loro ego; poi avrebbe potuto dimostrare all’elfa la sua grande utilità e magari soppiantare il ruolo del drow. E infine, quando fosse stata priva della protezione del suo alleato, avrebbe ucciso anche lei. Invece, dal momento che era il sacerdote a prendere le decisioni, sarebbe stato tutto più difficile. Kilchar sapeva che un maschio l’avrebbe sempre visto più come un rivale che come un confidente, e inoltre lo disturbava non sapere fin da subito quale sarebbe stato il suo ruolo nel caso fosse… anzi, quando sarebbe riuscito ad irretirlo.
Se doveva dare credito a quello che gli umani dicevano nelle taverne sul conto degli elfi… ma Kilchar era un professionista serio e non si sarebbe mai basato sulle goliardate da taverna.

“Ehi, il tizio che ftava nel calderone fi è fvegliato.” Notò Dee Dee, poggiando a terra con malagrazia il chierico di Juiblex svenuto.
“Sì, è sveglio da un bel po’.” Commentò Daren, passando alla lingua elfica nella speranza che il tiefling non la comprendesse. “Non dargli nessuna confidenza finché non capiremo che intenzioni ha, ti assicuro che non sembra affatto una brava persona.”
Dee Dee sporse la testa per guardare il prigioniero, ancora nudo.

Kilchar si accorse di quello sguardo quando gli occhi dell’elfa incontrarono i suoi e le rivolse un sorriso lascivo, ma lei, contrariamente alle sue aspettative, distolse l’attenzione da lui per tornare a parlare con il drow. Il bel tiefling si sarebbe aspettato che il suo sguardo femminile scendesse almeno sul suo petto, se non anche più in basso. Lei invece l’aveva solo guardato in faccia, come se non sapesse che farsene del resto.
La cosa lo inquietò un poco; forse era un bene che non fosse lei al comando, dopo tutto.

“Fì, ha un’efpreffione un po’ minacciofa, in effetti.” Concordò. “Magari non è felice di effere ftato legato.”
“Prudenza, ragazzina.” L’ammonì il guerriero. “Se ti dico che è una brutta persona devi credermi, ho i miei mezzi magici per indagare queste cose.”
Dee Dee spostò lo sguardo sull’altro chierico svenuto, poi sul tempio devastato. Uomini morti, melme fatte a brandelli, una larga pozzanghera di acido che si estendeva fin quasi ai loro piedi… era uno scenario apocalittico, ma gli eventi che avevano portato a questo erano stati altrettanto traumatici.
“Quefto è ftato il combattimento più duro che abbia affrontato finora. Abbiamo anche rifchiato di morire, non lo negare. E abbiamo fatto tutto quefto per una perfona malvagia?”
Quando rivolse di nuovo lo sguardo verso il drow, si accorse che si era leggermente irrigidito.
Solo in quel momento le venne in mente che forse Daren non era sempre stato la persona che conosceva ora. Era un drow, in fin dei conti, e non le aveva detto nulla del suo passato.
“Fcufa, io… non volevo dire… non ho penfato…” tentò, balbettando.
“Non ti scusare. Sei una ragazzina, non pretendo che tu abbia esperienza del mondo.” La fermò lui. “Ma sai, c’è una parola nel linguaggio delle creature celestiali, per definire gli esseri mortali malvagi. A volte viene usata perfino per indicare alcuni diavoli. Quella parola… non ti direbbe nulla, ma può essere tradotta a grandi linee come Persona che ha smarrito la strada. Sai che cosa significa questo?”
Dee Dee arrossì, imbarazzata.
“Che… fi può ritrovare la ftrada, non importa quanto male fi ha fatto nella vita? Che tutti meritano una feconda poffibilità?” Azzardò, pensando di aver capito, di aver capito a livello profondo.
Daren la guardò sgranando leggermente gli occhi, ma in quello sguardo lei lesse solo incredulità e derisione.
“No! Significa che le creature celestiali non sanno un cazzo della vita dei mortali.” La corresse. “E probabilmente non gli interessa imparare. Non c’è una sola strada; e anche se loro dicendo la strada intendono una vita da persona buona, è assurdo anche solo pensare che a tutti sia stata data questa possibilità. Non puoi smarrire la strada se non l’hai mai nemmeno vista, se non ha mai fatto parte di nessuna mappa che tu conosca. Io non ucciderò una persona solo perché è malvagia, se quella persona non ha colpa di esserlo. Potrei doverlo fare se avessi la certezza assoluta che compirà di nuovo azioni malvagie e che non c’è alcuna speranza che cambi, però… le persone possono sorprenderti. Quell’uomo è un tiefling e io potrei scommettere che non abbia avuto una vita molto facile, né tutelata da persone che possano avergli dato il buon esempio. Tutti meritano almeno una prima possibilità, quindi stavolta gli daremo noi il buon esempio.”
“Come qualcun altro ha fatto con te?” Domandò la dhampir a bruciapelo. Quell’intervento sembrò avere un effetto sconvolgente sull’elfo scuro, ma presto si ricompose e decise che a Dee Dee poteva anche dirlo.
“Sì, infatti. Come qualcuno ha fatto con me.” Ammise. “Sei molto perspicace.”
Dee Dee ignorò il complimento, perché in quel momento non aveva importanza.
“E fe invece… il noftro efempio non aveffe alcun effetto fu di lui? Fe continuaffe a fare… qualunque cofa faccia adeffo?”
Daren seguì lo sguardo della ragazza, giungendo a posare gli occhi sul prigioniero che era oggetto della loro conversazione. Aveva l’espressione frustrata di chi non capisce cosa stia succedendo, o magari di chi viene ignorato troppo a lungo. Difficile da dire.
“In quel caso, ho fiducia nel fatto che prima o poi le nostre strade si incroceranno di nuovo, e per l’ultima volta.” Concluse tranquillamente il guerriero, come se fosse una semplice verità da accettare. “Ma nel frattempo, abbiamo modo di dargli una possibilità, e nel farlo abbiamo fermato un sacrificio rituale. È sempre una buona cosa fermare un sacrificio, indipendentemente da chi sia la vittima, perché solo i chierici votati al Male fanno queste porcate... e servono sempre a dare più potere a loro o alla loro Chiesa. Visto che è impossibile liberarsi di tutti i sacerdoti malvagi del mondo, il meglio che si può fare è impedire che accumulino troppo potere, frustrare i loro tentativi.”
Dee Dee pensò inevitabilmente al loro primo incontro, quando lei stava per essere sacrificata dai cultisti di Cyric. In effetti era un destino che non avrebbe augurato a nessuno.
“Fì. Quefto lo poffo accettare.” Fece scorrere di nuovo lo sguardo sul tempio devastato, ma stavolta, invece di vedere il pericolo che avevano corso, vide la grandezza della loro vittoria, e sentì che era stata la cosa giusta da fare.
Adesso però gli si prospettavano delle scelte meno facili. Come quando lei aveva salvato Maith, come quando Daren aveva salvato lei, sembrava che la parte più lunga e impegnativa di un salvataggio fosse sempre il doversi occupare della mancata vittima.
E poi avrebbero dovuto occuparsi anche di quell’altro. Dee Dee sperava davvero che Daren accettasse di guarirlo, perché voleva tanto prendere l’umano a calci nelle palle.

           

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Capitolo 6
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 6) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 6)

Dee Dee e Daren avevano guarito le ferite peggiori anche all’altro cultista, con la limitata magia che avevano a disposizione. Poi avevano legato i due prigionieri con un abile gioco di nodi che li teneva fastidiosamente allacciati l’uno all’altro, in modo che, se anche fossero riusciti ad eludere la sicurezza e scappare, avrebbero dovuto quantomeno collaborare per slegarsi. Era altamente improbabile che tentassero, visto che il loro reciproco odio superava di molte lunghezze l’astio che provavano per i loro catturatori.
Be’, forse il seguace di Juiblex odiava Daren più di quanto detestasse il tiefling. Ma aveva molte più ragioni di temere la vendetta di una quasi-vittima-sacrificale piuttosto che le azioni dei due elfi che l’avevano catturato risparmiandogli la vita.
Anche se, a dire il vero, gli avevano risparmiato solo quella. Il drow non era stato affatto comprensivo o tollerante nei suoi confronti, quando la ragazza gli aveva detto che lui le aveva afferrato il fondoschiena.
Arzo Jassan, anche se si considerava il più fortunato (e unico sopravvissuto) tra i cultisti di Juiblex, non sarebbe riuscito a slegare nessun nodo con la mano destra. Nella sua mente continuava a rivivere quegli attimi di tormento, quando l’elfo scuro aveva iniziato a spezzargli un dito dopo l’altro piegandoli crudelmente all’indietro. E lui aveva pianto come un bambino, umiliandosi davanti a tutti quei nemici. Se solo il suo corpo fosse stato flessibile e deformabile come quello del Gran Sacerdote! Alla fine era stata la ragazza-vampira a pregare il drow di fermarsi. L’elfo scuro le aveva rivolto contro una sciorinata di parole incomprensibili in tono di rimprovero, forse per il suo cuore troppo morbido, poi aveva guardato il povero Arzo come se intendesse rompergli anche l’altra mano… ma infine aveva lasciato perdere.
Li avevano legati e trascinati in un angolo del tempio, poi il drow era uscito per esplorare il salone antistante, lasciando solo l’elfa a fare da guardia.
Jassan sbirciò la spada lunga ed il pugnale che la ragazza teneva stretti in mano. Non pensava di avere una possibilità di fuga, e anche se fosse riuscito a scappare, dove sarebbe potuto andare? Ferito, con una mano inabile, come avrebbe potuto attraversare i mortali cunicoli del dungeon? Sospirò e cercò di appoggiarsi con la schiena alla parete, ma nel farlo tirò i legacci che lo univano al tiefling, dandogli uno strattone involontario. L’altro prigioniero emise un sibilo infastidito e cominciò ad insultarlo nel linguaggio dei demoni. Jessan non era in vena di sopportare anche la voce pungente dell’adepto di Graz’zt. Il fastidio che stava provando riuscì a scoperchiare un’insospettata riserva di rabbia.

Nephlyre Kilchar non aveva ancora finito di ingiuriare quel maledetto lecca-melme, anzi, aveva appena iniziato e stava pensando a quali improperi rivolgere a sua madre e a tutti i suoi antenati. Non fece in tempo, perché l’umano lo mise a tacere con una secca testata sul naso.
Il primo pensiero del tiefling fu Oh no, il mio naso, il mio perfetto bellissimo naso! Poi si rese conto che, nonostante la botta, il setto nasale non doleva come se fosse rotto, e alla paura si sostituì l’indignazione.
Ricambiò la testata, cercando di colpire il seguace di Juiblex in un occhio con uno dei suoi piccoli corni. Quelle sporgenze ossee erano poco più che decorative, ma riuscì a spaccare un sopracciglio al suo nemico con quella testata.
Dee Dee intervenne, prendendoli a male parole e minacciandoli con le armi perché smettessero. Ingrugniti, a malincuore i due litiganti si acquietarono. Per un po’.

Daren si mosse con cautela nel grande salone che aveva contenuto la Blasfemia Vivente e i due ghaunadan, ormai ridotti a poltiglia disgustosa. C’era una domanda che l’elfo scuro non era riuscito a togliersi dalla mente, ossia Come avevano fatto i due soldati a sfuggire alla furia cieca del gigantesco mostro? Sapeva molto poco sulle Blasfemie Viventi, ma gli pareva che la creatura fosse portata ad attaccare qualsiasi essere vivente che le capitasse a tiro. Era forse sotto stretto controllo mentale dei chierici di Juiblex? Ma i due ghaunadan non erano chierici, e non erano nemmeno esattamente delle melme; dato che il sommo sacerdote non era lì con loro in persona, come aveva fatto a tenere sotto controllo quella bizzosa creatura che sembrava ansiosa di consumare tutto?
Per qualche minuto si arrovelló su questi pensieri, girando intorno al luogo dove la Blasfemia Vivente era scomparsa (erano rimaste delle tracce simili a bruciature sul pavimento). Improvvisamente le sue congetture vennero messe da parte da una voce che gli parlò nella mente, una voce familiare e molto gradita.
“Sono commossa di essere ancora la persona a cui tieni di più, ma non avrei nulla in contrario se ti facessi una famiglia tua, fratello.”
Daren si sentì quasi tremare per il sollievo. Era quasi sicuro che la persona colpita dal malvagio incantesimo del chierico, chiunque fosse stata, dovesse essere abbastanza forte da sopravvivere. Daren aveva molti conoscenti ma ben pochi amici, e pensandoci bene aveva ristretto a tre le persone a cui teneva di più al mondo, le persone che potevano essere state colpite da una maledizione che avrebbe dovuto uccidere la creatura più vicina al suo cuore. Due di queste persone probabilmente avrebbero resistito al maleficio, mentre la terza, la sua figlia neonata, sarebbe certamente morta. Per la prima volta ringrazió di cuore la decisione delle sacerdotesse di estrometterlo dalla vita della bambina: in quella circostanza aveva avuto prova che era meglio mantenere le distanze e non affezionarcisi troppo. Aveva troppi nemici per poter permettere a una creatura così indifesa di far parte della sua vita.
Sapeva di avere a disposizione venticinque parole per rispondere a sua sorella, perché aveva familiarità con quel particolare incantesimo. Ci pensò con attenzione.
“Perdonami ma sono lieto che sia tu. Ho una figlia piccola a Skullport, non penso sia protetta quanto te. Potresti fare qualcosa per lei?” Gli rimaneva una parola, e dopo un momento di esitazione aggiunse “Grazie”.
Sapeva che sua sorella non avrebbe declinato la sua richiesta, visto che si trattava del benessere e della sopravvivenza di una persona di famiglia, e di solito lei non avrebbe apprezzato un ringraziamento per una cosa del genere. Però l’elfo scuro sentiva di doverglielo, perché lui non amava chiedere agli altri di risolvere i suoi problemi, e sentiva di averla caricata di un peso.
Mi dispiace distrarre mia sorella dalle sue incombenze quotidiane, pensò storcendo la bocca. Però lei è la persona più qualificata per proteggere qualcuno con la magia… io non potrei farlo. A volte vorrei essere capace di fare tutto, odio delegare.
E proprio perché odiava delegare, la sua mente corse alla ragazza dhampir nel tempio con due cultisti nemici. Poteva solo sperare che non riuscissero a liberarsi, e che lei fosse in grado di gestirli. Ultimamente aveva dimostrato di essere in gamba e piena di risorse.
Daren continuò a ripeterselo mentre scandagliava la stanza principale in cerca di indizi e stranezze. Si rimproverava spesso per la sua tendenza a voler tenere tutto e tutti sotto controllo, per il suo voler fare le cose importanti al posto loro; gli ricordava l’atteggiamento paternalista che era proprio di alcuni chierici e di altra gente odiosa, e a volte si sarebbe preso a schiaffi da solo per questa sua caratteristica… ma era una sua caratteristica, lo sapeva da decenni. Poteva solo sforzarsi di non farlo pesare a Dee Dee.
Si concentrò sulla sua esplorazione, e riuscì effettivamente a scoprire qualcosa di interessante.

Il tiefling cabalista di Graz’zt e l’umano adepto di Juiblex non facevano che guardarsi in cagnesco, ma potevano fare ben poco altro dal momento che erano ancora legati e sempre tenuti sotto stretta sorveglianza da Dee Dee. In verità, per la prima mezz’ora dopo la baruffa si erano anche insultati, una pratica che si era rivelata fonte di notevole apprendimento per la ragazza. In mezz’ora aveva imparato più insulti e ignobili imprecazioni di quante ne avesse mai dette perfino Daren, e lui non era uno che di solito si tratteneva. Dopo un po’ però anche quello svago le era venuto a noia, e li aveva imbavagliati.
La porta principale si aprì con un lieve cigolio e Dee Dee scattò in posizione d’attacco con le armi sguainate, ma era solo l’elfo scuro.
“Ho esplorato un po’ il salone principale, dove c'erano la grossa melma oscura e le due guardie.” Le annunció Daren, rientrando nella sala devastata del tempio. “C'è un corridoio nascosto che inizialmente non avevamo visto, e c'è una parete di pietra grezza, mentre le altre sono state perfettamente lisciate e regolate dai nani che vivevano qui secoli fa. Questo mi fa pensare che quella parete l'abbia eretta qualcuno, di recente, di certo con la magia. Ne ignoro il motivo.”
“Forfe quello lì lo fa.” Ipotizzò la dhampir, indicando il seguace di Juiblex. L'umano non li stava ascoltando, quindi Dee Dee gli schioccò le dita davanti agli occhi. Il gesto richiamò la sua attenzione, ma gli strappó anche un'occhiata di profonda offesa. Non gli piaceva essere richiamato come un cane.
“Fai qualcofa di quel muro di pietra che fecondo il mio amico è ftato eretto di recente? L'avete fatto voi?”
L'uomo scosse la testa e si strinse nelle spalle, più o meno mentre Daren la correggeva: “Non sono tuo amico.”
Dee Dee gli rivolse un'occhiataccia di fuoco. La sua pazienza era già al limite, non aveva nessun desiderio di trovarsi in un tempio immondo che puzzava di melme bruciate e acido, in compagnia di due nemici e di uno che non era suo amico. L'elfo scuro colse quello sguardo e sembró capire che Dee Dee era arrivata al limite delle emozioni negative che poteva tollerare, per quel giorno.
“Ma, uhm, potrei sbagliarmi.” Borbottò a mezza voce.
In realtà voleva soprattutto evitare di rivelare a due nemici che lui e la giovane elfa erano qualcosa più che compagni di viaggio. Era sempre meglio non fornire questo tipo di informazioni ai sacerdoti malvagi, o in generale alle persone di cui non ci si fida. D'altra parte c'era un fondo di verità, si vedeva più come un mentore che come un amico.
“Afferma di non faperne niente.” Notò Dee Dee, parlando dell'umano. Evidentemente la ritrattazione di Daren le era bastata. “Dobbiamo indagare più a fondo?” Propose, facendo scrocchiare le nocche.
“Nah, non penso che m’importi. Potrebbero non essere stati loro ad alzare quel muro, e se invece fosse stato davvero quel sacerdote morto, non riesco a pensare ad una motivazione interessante. Proteggersi da un mostro? Nascondere un tesoro? Separare il proprio territorio da quello di qualcun altro? Noioso.”
“Non mi pare noiofo…” azzardò la ragazza, mordendosi il labbro inferiore alla menzione di mostri e tesori. Dee Dee non era una persona avida e non aveva nemmeno un posto dove spendere soldi, ma se avessero trovato qualche oggetto magico non le sarebbe dispiaciuto.
“Diciamo che non vale la pena fare la fatica di abbattere una parete di roccia, allora.” Ribatté il drow.
A questo lei non poteva rispondere. Non era in grado di abbattere una parete di roccia, e di sicuro nemmeno il guerriero lo era, altrimenti l’avrebbe proposto.

“Va bene, ma cofa facciamo di quefti due?” Domandò, dando voce a quello che era stato il suo più grande cruccio nell’ultima ora.
“Voglio portare il seguace di Juiblex dove possa essere interrogato.” Annunciò, suscitando la curiosità della dhampir e un terrore frenetico nell’uomo in questione. Il cultista si agitò, spaventato, e cercò di divincolarsi, ma riuscì solo a far perdere l’equilibrio al tiefling che gli crollò addosso e riuscì a dargli un’altra testata.
Daren li ignorò, Dee Dee si limitò ad agitare la spada nella loro direzione per ricordargli che era armata. Il tiefling riuscì a tenere a freno i suoi istinti violenti, ma il chierico di Juiblex non smise di tremare.
“Interrogato da chi? Perché?” Indagò la ragazza. La incuriosiva il fatto che Daren potesse essere addentro in qualche fazione dell’Undermountain, con lei non ne aveva mai fatto parola.
“Da qualcuno che odia le melme almeno quanto me.” Rispose con un sorriso affilato, a tutto beneficio del prigioniero.
“E l’altro?”
L’elfo scuro scrollò le spalle ed indugiò con lo sguardo sul volto imbronciato del tiefling. Quello si accorse che Daren lo stava guardando, e gli rivolse uno sguardo accattivante che era quasi comico. In effetti il drow stava facendo fatica a non ridacchiare per le manovre goffe e palesi di quel tipetto che si credeva tanto furbo.
“Non ho ancora deciso. Cominciamo a portarli con noi, e vediamo come si comporta questo qui durante il viaggio.”
Dee Dee annuì, si aspettava qualcosa del genere dopo il discorso sul dare il buon esempio. Cominciò a raccogliere le sue cose, ma non chiese a Daren dove fossero diretti. Per lei non faceva molta differenza.

Il drow prese una decisione su due piedi. L’addestramento di Dee Dee avrebbe dovuto attendere, almeno per un po’. Le circostanze imponevano di fare uno strappo alla regola e scendere al Terzo Livello dell’immenso dungeon sotto la montagna. Era tempo di dirigersi verso la civiltà.
“Ftiamo tornando fui noftri paffi.” Commentò Dee Dee dopo qualche minuto, parlando in elfico. Lei e Daren avevano deciso di parlare in elfico fra loro quando erano in compagnia dei due cultisti, perché era improbabile che conoscessero quella lingua.
“Devi proprio scegliere parole con così tante s?” Fu l’unica risposta.
Per un po’ la ragazza non si degnò di replicare. Ogni tanto l’elfo scuro la punzecchiava in quel modo, ma lei sapeva che si trattava di un gioco. Con lei non era mai stato davvero crudele, e nel tempo aveva dimenticato la cupa nomea della sua gente. Eppure li aveva visti all’opera. Mesi prima era intervenuta per salvare una ragazza elfa che stava per essere sacrificata a una qualche divinità-ragno. Era stata testimone della crudeltà dei drow.
La compagnia di Daren le aveva quasi fatto dimenticare quell’episodio, o meglio, non riusciva a riconciliare l’immagine del suo scorbutico compagno con quello che sapeva della sua razza. Fino ad oggi.
Dee Dee era rimasta davvero turbata dal comportamento di Daren con il cultista di Juiblex. Certo, lei per prima avrebbe voluto dare una lezione a quel maiale, ma la reazione dell’elfo scuro era stata… spropositata.
Quando aveva saputo della palpata clandestina, il guerriero aveva preso la mano destra dell’umano e gli aveva spezzato il pollice. Aveva atteso con calma che il prigioniero smettesse di gridare. Poi, con fredda rabbia gli aveva ricordato la sacralità delle altrui zone private, e gli aveva spezzato anche l’indice.
A quel punto Dee Dee aveva compreso che non si sarebbe fermato finché non gli avesse rotto tutte le dita della mano, o forse di entrambe le mani. Aveva cercato di riportarlo alla ragione, di dirgli che non era il crimine peggiore del mondo (certamente non il peggiore di quell’uomo) e che stava esagerando. Daren l’aveva fissata con sguardo vacuo e aveva proseguito la sua opera sul terzo dito. A quel punto l’uomo stava piangendo come un bambino.
La ragazza rabbrividì, ripensando a quella scena. La fredda crudeltà del drow l’aveva spaventata, gli sembrava così… non da lui. Ma, con sua grande vergogna, una parte di lei era anche lusingata.
Non dovrei sentirmi così. Se la prese con sé stessa, riconoscendo la sua debolezza di carattere. Valaghar non avrebbe mai approvato la tortura sui prigionieri. Tanto più che non serviva a niente, non credo che con le punizioni si possa davvero educare qualcuno. Probabilmente nemmeno Daren lo crede, la sua reazione non aveva niente di razionale. Arrossì leggermente, pensando che era colpa sua. Non avrebbe dovuto raccontargli quello che era successo. Dovrei essere arrabbiata con lui per quello che mi ha detto. Mi reputa una bambina. Le sue parole...
“Lo sai perché ti ha toccato il didietro? Perché non hai niente davanti! E non hai niente davanti perché sei una ragazzina. Questo è quello che succede a chi tocca i ragazzini.”
Aveva detto, anzi, le aveva sbraitato, prima di spezzare all’uomo le ultime due dita.
Le sue parole sono state veramente odiose. Dee Dee corrugò la fronte, seguendo distrattamente il gruppetto che camminava piano. Non era facile portarsi dietro due tizi legati. Sì, veramente odiose. Dovrei essere arrabbiata, non lusingata. E poi lui non dovrebbe neanche sapere che cosa ho e che cosa non ho "davanti".
Il suo broncio s’intensificò, ma era un po’ forzato.
La verità era che l’elfo scuro non dimostrava molto spesso di tenere a lei, e quando lo faceva lei non poteva evitare di sentirsi importante. La cosa le faceva piacere, inutile negarlo. Ma il pensiero di che cosa avrebbe pensato Valaghar di lei, la faceva anche vergognare.
Lui era un Paladino. Ricordò a sé stessa. Aveva degli standard… eccelsi. Più che umani. Non posso applicare la sua filosofia a queste situazioni, a questi luoghi. La vita qui è più oscura.

Con sua sorpresa, si accorse che stava per diventare ancora più oscura. Erano arrivati davanti a una rampa di scale discendenti che affondava come un taglio netto nella pietra.
“Il Terzo Livello”. Spiegò il drow, a beneficio di tutti.
La dhampir si sporse a guardare avanti, curiosa, ma nell’oscurità vedeva solo gradini, decine di gradini, e in fondo una parete rocciosa dove la scala poi si ripiegava su sé stessa. Si rammaricò di non aver prestato attenzione alla strada.
“Scenderemo, e poi ci accamperemo. Ho idea che la scalinata metterà alla prova i nostri nervi.” Stabilì Daren. Nessuno mise in discussione la sua scelta.
Dee Dee deglutì a vuoto. Ricordava i laidi trucchetti mentali che ammantavano i gradini fra il primo e il secondo strato del dungeon. A sentire il suo compagno, sembrava che questa scalinata fosse anche peggio.

Era peggio. Ogni tanto Dee Dee scopriva che, anziché scendere, stava salendo. Allora si girava e cominciava a scendere, solo per scoprire che prima era stata vittima di un’illusione e che ora stava salendo. Se ne sarebbe accorta solo una volta tornata al livello superiore, ma Daren non aveva tutto quel tempo da perdere. Le aveva legato una corda al polso, in modo da non perderla di vista. E quindi, anche quando lei era convinta, ma assolutamente convinta, di stare andando nella direzione giusta, se la corda si tendeva troppo lei sapeva di dover invertire la direzione e cercare di raggiungere l’elfo scuro. Doveva fidarsi di lui, perché il guerriero più anziano sapeva resistere agli inganni della mente meglio di lei.
“Mi fento cofì ftupida.” Mormorò, quando finalmente raggiunse il gruppetto.
I due cultisti erano ancora legati e Daren teneva anche loro per un capo della corda, ma nonostante questo anche loro ogni tanto avevano rischiato di inciampare uno nell’altro. Per loro però era più facile: non volevano scendere o salire, sapevano solo di dover seguire il drow.
“Lungi da me dissuaderti.” Rispose lui con la solita simpatia. “Ma il mago che ha creato queste protezioni è di gran lunga oltre la tua portata. Ed è anche oltre la mia.”
“Tu però riefhi a refiftere alle fue illufioni.”
Il drow scrollò le spalle. “Mah. Non credo che abbia dato il massimo per queste trappole.” Ammise tranquillamente. “Anche un contadino potrebbe superare queste scale se fosse armato di molta pazienza e un po’ di ingegno.”

Alla fine arrivarono in fondo. Per un attimo Dee Dee fu assolutamente convinta che quello fosse il panorama del Secondo Livello, e che alla fine l’illusione avesse avuto la meglio su di loro. Poi quel momento passò, quando cominciò a mettere in atto i suoi esercizi di disciplina mentale per contrastare le illusioni. Iniziò a notare dei dettagli che differenziavano quel luogo dal piano superiore, e dopo poco l’immagine illusoria si disfece per rivelare la verità: il corridoio era solo inizialmente simile a quello da dove arrivavano, ma poi s’interrompeva troppo presto in un bivio a T.
“E ora dove andiamo? Non vedo pofti per ripofare.”
“Ci sono delle stanze vuote qui intorno, sempre che siano ancora vuote. Un posto qualsiasi andrà bene, abbiamo tutti bisogno di riprendere le forze.” Ancora non rivelò dove stavano andando.
La situazione era certamente abbastanza lugubre, ma voleva che almeno quello fosse una sorpresa.

Girando a destra e poi nuovamente a destra trovarono una serie di piccole stanze una in fila all’altra che un tempo dovevano essere state usate come magazzini. Ormai non restava più nulla oltre a scaffali di pietra e polvere, ma l’ultimo degli stanzini era particolarmente ben difendibile e decisero di stabilirsi lì. Un tempo la zona aveva ospitato un nido di qualcosa, ma adesso sembrava disabitato da anni.
Stabilirono dei turni, decidendo che Dee Dee e Daren si sarebbero alternati nel fare la guardia. Di certo non potevano affidarsi a due nemici che avrebbero avuto ogni interesse a farli uccidere. L’elfo scuro aveva un anello che gli permetteva di sopravvivere senza mangiare e quasi senza dormire, quindi accettò di fare da sentinella per la maggior parte del tempo. Andò a sistemarsi nella prima stanza della colonna, in modo da avvistare eventuali nemici quando erano ancora lontani dagli altri. Ogni tanto buttava un’occhiata anche verso il gruppetto; i cultisti potevano anche essere legati come salami, ma non si fidava a lasciarli da soli con una Dee Dee addormentata.
Quando cominciò a sentire che il respiro di tutti e tre si era regolarizzato nel sonno, frugò nel suo zaino per cercare una pergamena e il necessario per scrivere. C’era un messaggio che non avrebbe potuto recapitare di persona.

           

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Capitolo 7
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 7) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 7)


Portare i due prigionieri giù per le scale non era la cosa più difficile che avevano in programma di fare. La strada che presero il giorno dopo, scoprì Dee Dee, era ancora più ostica.
Il terzo livello era molto diverso dai primi due. Il drow le aveva indicato una zona che secondo lui era il nord (lei doveva crederci per fede) e le aveva detto “Di là è abbastanza simile al dungeon che già conosci, ci sono corridoi e sale artificiali… ma noi ora andremo verso caverne più naturali, quindi ci saranno meno trappole e più schifezze.”
La dhampir aveva scrollato le spalle: non le dispiaceva l’idea di incontrare meno trappole.
Presto però si rese conto che le caverne naturali non erano in alcun modo più rassicuranti. Anzi, per quanto un dungeon artificiale potesse essere ansiogeno e a tratti claustrofobico, quantomeno trasmetteva un senso di civiltà. Rimasero nella parte settentrionale del terzo livello soltanto per mezza giornata: prima dovettero percorrere un corridoio largo quanto una stanza e abbastanza lungo per organizzarci una gara di corsa, ma che purtroppo era pieno di trabocchetti; poi si ritrovarono in un altro corridoio ben più stretto e arzigogolato, incantato con illusioni uditive che le fecero credere che dietro ogni svolta ci fosse un pericolo. Alla fine si ritrovarono in una stanza vuota con diverse aperture.
“Da qui, se vai da quella parte” Daren le indicò i due corridoi che sboccavano sulla parete alla loro destra “ti addentri in un piccolo labirinto infestato… l’ultima volta che ho controllato, da un minotauro molto stupido che era convinto di trovarsi in un labirinto enorme. Invece ti assicuro che è tutt'altro che enorme. Forse gli altri minotauri l’hanno scaricato qui perché era lo scemo del villaggio. Noi invece andremo a sinistra” decise, dando uno strattone alla corda dei due prigionieri.
I cultisti erano ancora imbavagliati. Si guardavano in cagnesco, ma sapevano anche che c’era una direzione precisa dietro le azioni dei loro catturatori, c’erano dei piani per loro all'orizzonte, e la cosa li preoccupava. Il seguace di Juiblex piagnucolava dietro il bavaglio, ancora tormentato dal dolore alle dita spezzate, ma tutti lo ignoravano. I rimasugli di Melma Grigia che aveva ancora sulla tunica si erano seccati e adesso l’umano cominciava davvero a puzzare. Anche i vestiti di Dee Dee si erano imbrattati di Melma Grigia quando aveva stretto l’uomo per succhiargli il sangue, ma per una volta Daren non la stava rimproverando.
Questa cosa avrebbe dovuto farle suonare un campanello d'allarme nella testa, ma se ne rese conto solo quando arrivarono ad un fiume.
“Benissimo, e adesso prendiamo la via dell’acqua.” Annunciò il drow con aria allegra.
“Non abbiamo una barca…” protestò Dee Dee.
“Lungo la riva il fondale è basso. I mostri sono relativamente rari nel fiume, anche se ne potremmo incontrare molti nei cunicoli che hanno sbocco sull'acqua.”
“Ah, già. L’acqua è rara nel Buio Profondo.” Borbottò Dee Dee, ricordando una delle prime lezioni.
“Cammineremo vicino alla riva. In alcuni punti la riva scompare, rimane solo la parete verticale del tunnel e l’acqua diventa più profonda. In ogni punto si riesce a toccare il fondo con i piedi, ma è scivoloso, quindi fate attenzione.” Ordinò a voce più alta, a beneficio di tutto il gruppo. “Procediamo lentamente, non c’è fretta.”
Il gruppetto si rimise in marcia. I due cultisti erano ancora legati e per loro era più difficile che mai, anche perché entrambi odiavano l’idea di dover collaborare con un acerrimo nemico. Il pericolo di affogare però impedì loro di cercare di uccidersi a vicenda, e scivolarono solo una mezza dozzina di volte. Ogni volta Dee Dee e Daren si dovevano fermare e tirare la loro corda per farli riemergere, e c’era sempre il rischio che il peso dei due corpi trascinati dalla corrente facesse perdere l’equilibrio anche ai due elfi.
Impiegarono quasi due ore a percorrere un tratto che, se fossero stati sulla terraferma, avrebbe richiesto una decina di minuti, poi finalmente videro un cunicolo alla loro sinistra che sbucava proprio sul fiume. Nel frattempo il fiume davanti a loro si apriva in un piccolo slargo che prometteva di creare pericolosi mulinelli.
“Poffiamo tornare fulla terraferma adeffo?” Domandò la ragazza, in tono esasperato. Erano tutti inzaccherati e infreddoliti, e lei stava tremando nonostante il pugnale del fuoco che riscaldava l’aria (e l'acqua) intorno a lei.
“Sì, ma fate attenzione. Questi territori sono infestati da mostri e da cose ancora peggiori, cose che nemmeno io voglio affrontare con voi al seguito. C’è un motivo se finora non abbiamo preso i cunicoli che aggiravano il fiume.”

Non trovarono mostri più avanti, almeno per un paio di svolte nei cunicoli. Trovarono però un cartello, scritto in diverse lingue. Affermava, con lettere incise nel legno di fungo, che da quel punto in poi cominciava il neo-conquistato territorio kuo-toa.
“Kuo-toa… ho già fentito quefta parola.” Mormorò Dee Dee.
“Un popolo di malvagi uomini-pesce, che vivono nel lago del livello inferiore. Adesso sembra che si siano spinti fin qui… ma nelle caverne? Non camminano molto bene sulla terraferma.”
“Allora è meglio non tornare al fiume…”
Il drow scrollò le spalle. L’avrebbero scoperto presto.

Passarono oltre il cartello e nel giro di qualche minuto furono raggiunti e circondati da una piccola pattuglia kuo-toa. Le loro pinne non erano esattamente adeguate per camminare sulla terraferma, ma evidentemente avevano una certa pratica.
A Daren non piacevano i kuo-toa, ma tutto sommato erano un popolo semplice da capire: avevano appena conquistato un nuovo territorio e non volevano che il loro dominio venisse messo in discussione prima di poterlo consolidare. Fu sufficiente mostrare rispetto e pagare un tributo per spegnere l’ira di quelle creature dall'aspetto buffo.
Chiarirsi subito in termini amichevoli diede i suoi frutti: i kuo-toa spiegarono che il piccolo laghetto che avevano evitato ospitava l’insediamento principale di quei pionieri, e che per una cifra tutt’altro che modica avrebbero potuto noleggiare una zattera.
Il drow non era molto attaccato ai soldi, ma gli dava comunque fastidio dover pagare per attraversare un territorio che fino a poco tempo prima era selvaggio e senza padrone. Però nell'Undermountain funzionava così: ogni poco, un nuovo gruppo prendeva possesso di una qualche zona… e solo i migliori resistevano.
La scelta è passare nel territorio kuo-toa, o attraverso i cunicoli rivendicati dagli Agenti dell’Occhio. Questo è il male minore… e non mi stanno dando nessuna scusa per combatterli.
Daren ripensò con una punta di ansia al suo dovere verso Skullport.
A meno che non lo ordini la città.

La zattera non era malaccio. Stava a galla, ma per quanto i kuo-toa ci avessero provato, creature che di norma nuotano perfettamente nell'acqua non hanno bisogno di saper costruire imbarcazioni. Il drow non sapeva da che parte cominciare per guidare quella cosa, non aveva mai passato molto tempo sull'acqua in vita sua, ma a Dee Dee era già successo di dover pilotare una zattera. Non in mezzo a una corrente così forte, ma almeno aveva un pochino di esperienza.
“Magnifico, hai una competenza che io non ho!” Il tono di Daren era sarcastico come sempre, ma Dee Dee riconobbe un vero complimento dietro quella facciata antipatica. “Dove hai imparato?”
“Con… con Valaghar. In una palude, l’Acquitrino di Chelimber. C’erano voci di una prefenza di non-morti… ma non voglio annoiarti.”
Daren capì che il reale significato di quelle parole era non voglio parlarne, quindi non insistette. Nemmeno lui voleva essere annoiato.

Se il fiume fosse stato in secca e avessero potuto andare a piedi, o anche solo se avessero avuto una buona zattera, percorrere quel tratto di fiume avrebbe richiesto al massimo una mezz'ora, invece quando finalmente sbarcarono al limitare del territorio kuo-toa era passata un’altra mezza giornata ed erano tutti stanchi e di cattivo umore. La manovra più difficile era stata dover infilare la zattera in un braccio laterale del fiume attraverso una strettoia dalla corrente molto forte, che poi si apriva rivelando un lago circolare con un’isola nel mezzo. La corrente li spinse dentro la caverna laterale, ma poi per sua natura l’acqua cercava di fare il giro intorno all'isola e di tornare nell'unico sbocco possibile, la strettoia. Quindi, appena sbucati all'ingresso della caverna, la zattera venne presa da un mulinello e cominciò a girare, e solo puntando i remi contro le pareti riuscirono ad andare oltre. Ignorarono l’isola in centro alla caverna e proseguirono oltre, tenendosi il più possibile vicino alla parete: la loro destinazione era un approdo sul fondo della grotta.
Non era semplice fermarsi lì, era necessario lanciare una fune e prendere al volo una delle stalagmiti che sorgevano dall'acqua e che fungevano da molo, e poi usare la corda per tirare la zattera a braccia verso l’approdo; se ci si lasciava sfuggire il momento giusto, si finiva per dover trascinare la zattera controcorrente. Per fortuna sia Dee Dee che Daren erano abituati agli sforzi fisici.
Il tiefling era ancora imbavagliato, ma all'umano avevano temporaneamente liberato la bocca quando, presi dal mulinello, aveva vomitato e si era quasi soffocato. Dee Dee lo teneva sempre d'occhio, perché aveva paura che potesse recitare qualche incantesimo, ma quel rammollito non sembrava in grado di parlare; era impegnato a prendere profondi respiri per non vomitare di nuovo.
La dhampir non aveva idea che un seguace delle melme, che di per sé sono schifose, potesse avere uno stomaco così debole.
Forse è anche per la mancanza di sangue. L’ho ridotto troppo male? Si domandò, sentendosi un pochino in colpa. Ma poi si ricordò che lui l’avrebbe tranquillamente uccisa, e si scrollò via quel senso di colpa in un attimo.
La ragazza si guardò intorno perplessa, mentre Daren finiva di assicurare la zattera all'approdo naturale. In quel punto la caverna allagata non sembrava avere sbocchi su altre gallerie.
“Adesso dobbiamo arrivare lassù.” Accennò il drow, indicando la piccola scogliera che avevano davanti a loro.
Dee Dee guardò verso l’alto, perplessa, perché in un primo momento non riuscì a vedere niente. Poi si accorse che in effetti davanti a lei non c’era una parete liscia fino al soffitto della grotta, ad un certo punto c’era come una rientranza.
“Lì? C’è qualcofa, fei ficuro?”
“Ragazza di poca fede. So che da questa posizione non sembra, per via della prospettiva, ma questa è una caverna a due strati. Scalando questa parete si arriva ad una specie di terrazzo naturale. Qualcuno si è anche dato la pena di scavare dei gradini nella roccia.” Così dicendo, indicò un punto della parete vicino a loro e poi fece oscillare la mano verso l’alto, in una immaginaria linea verticale.
“Oh. Fì, ora li vedo.” Dee Dee si sporse dalla barca stando attenta a non farla oscillare troppo, e toccò con le dita il più vicino di quei gradini. Non erano altro che scanalature orizzontali nella roccia, ciascuna era alta un paio di dita e profonda a sufficienza per potercisi aggrappare con la prima falange. La roccia era resa umida e scivolosa dalla vicinanza con l’acqua, e in certi punti anche dalla presenza di muschio pallido. Non sarebbe stata una scalata facile, ma la ragazza non batté ciglio. “Immagino che noi due potremo falire, ma quefti due?”
Daren sorrise fra sé e sé, soddisfatto di come Dee Dee non si lasciasse abbattere da ostacoli così banali. Durante il periodo passato con i desmodu la dhampir era diventata molto brava nell'arrampicata libera.
“Pensavo di separarli, legarli singolarmente a due corde diverse, e poi tirarli su uno alla volta. Forse quello che parla troppo sarebbe in grado di arrampicarsi, ma quello che piagnucola non può usare la mano destra.” Ricordò, riferendosi rispettivamente al tiefling e all'umano a cui aveva rotto le dita.

Fecero così; arrampicarsi non fu così difficile come Dee Dee aveva creduto, perché il terrazzamento di cui aveva parlato il drow era solo dieci piedi sopra le loro teste. Tirare su a braccia prima un cultista e poi l’altro invece fu una discreta fatica, specialmente perché le loro braccia erano già stanche; aver governato la zattera per ore era stata una vera prova di forza e resistenza. Adesso, dalla loro nuova posizione, potevano abbracciare con lo sguardo la vera ampiezza di quella caverna, ed era davvero impressionante: sarà stata lunga più di duecento piedi, e larga altrettanto, anche se la sua forma era tutto fuorché regolare.
“Oggi abbiamo fatto molta strada ed è stato più faticoso del dovuto.” Ammise Daren, battendo le mani una singola volta. “Ci accamperemo qui. Siamo al confine fra il territorio kuo-toa e… quella che spero sia ancora una zona semi-selvaggia.”
Dee Dee annuì in silenzio. Sperava di poter semplicemente spegnere il cervello e sistemare il campo dove lui le avrebbe indicato, invece Daren aveva altri piani: la condusse in giro per la caverna in cerca del punto più difendibile dove accamparsi. Voleva che fosse lei a scegliere, per testare ciò che aveva imparato.
Questa volta lei scelse bene. Si accamparono fra tre enormi stalagmiti, un luogo abbastanza appartato e non troppo di passaggio. Prima di montare il campo dovettero solo debellare una colonia di Mante Oscure.

Il giorno dopo, o comunque dopo che si furono riposati, legarono di nuovo i due prigionieri e ripresero il cammino. Attraversarono uno stretto cunicolo naturale in cui il pericolo più grande era scivolare sul guano di pipistrello, che dopo qualche decina di passi si aprì in una caverna un po’ più larga e agibile. Com'era tipico delle grotte naturali, quella caverna poi si divideva di nuovo in altri cunicoli più piccoli, larghi quel tanto che bastava perché i due cultisti potessero camminare affiancati. Dee Dee cominciava a sentire di nuovo il rumore di acqua corrente, e rabbrividì fra sé e sé. Stavano per arrivare ad un altro fiume?
Sì. Stavano proprio camminando verso un corso d’acqua, che ad un certo punto sbarrò loro il passo in modo improvviso. Dee Dee guaì come un cane a cui hanno pestato la coda.
“Ma non avevi detto che i fiumi fono rari nel fottofuolo?”
Il drow la guardò con compassione, ma anche un po’ con sufficienza.
“Guarda che è lo stesso fiume di prima. Abbiamo solo tagliato una larga curva.”
L’espressione della dhampir non si rilassò nemmeno un po’. Saperlo non l’aiutava.
Si immersero di nuovo nel fiume come avevano fatto il giorno prima, camminando lungo la sponda ed esponendosi al freddo e ai pericoli dell’acqua. Ora Dee Dee sentiva di avere più esperienza in quel compito ingrato e faticoso, ma aveva sperato di non doverlo fare mai più.
Solo ora stava cominciando a realizzare che, se volevano tornare poi al secondo livello, avrebbero dovuto ripercorrere quella strada a ritroso… camminando controcorrente. Era già terribile doverlo fare con l’acqua che li spingeva nella direzione giusta, fare il contrario sarebbe stato impossibile.
Sepolta in questi pensieri cupi, la dhampir non si accorse che erano finalmente giunti allo sbocco di un altro cunicolo. Daren l’afferrò per un braccio e la tirò fuori dall'acqua, poi insieme trassero a riva i due prigionieri.

Si fermarono un po’ per riposare e per cercare di asciugare i loro vestiti che grondavano acqua. Ad un certo punto l’elfo scuro prese da parte Dee Dee e le parlò sottovoce.
“Nel prossimo tratto dovremo fare attenzione. L’ultima volta che sono stato qui, il territorio in cui ci inoltreremo era infestato da orog e goblinoidi che si contendevano la zona.”
“Ah, e me lo dici folo adeffo?”
La sua protesta fu accolta solo da una risatina irritante.
“Meglio gli stupidi orchi e goblinoidi che le macchinazioni di…” Daren gettò uno sguardo veloce in una direzione che per Dee Dee non significava niente. “Non importa. Pensiamo a che cosa fare adesso. Cosa proponi?”
La dhampir fu presa in contropiede da questa domanda.
“Lo ftai chiedendo a me?” Il drow si limitò a socchiudere gli occhi in un’espressione sarcastica. Ovvio che lo stava chiedendo a lei. “Allora… uh… non poffo fare piani fenza fapere com’è la fituazione.”
Il suo compagno si strinse nelle spalle. “Buona risposta. Che ne dici di andare in avanscoperta, allora?”

Dee Dee andò in avanscoperta. Tornò un’ora più tardi, sfoggiando un’espressione tetra.
“Fta fuccedendo qualcofa di ftrano. A te fembra poffibile che… cioè… quanto conofhi i coftumi degli orchi e degli hobgoblin?”
Daren la guardò con espressione incuriosita. “Perché? Che hai visto?”
“Non c'è neffuno nel cunicolo principale, ma c’è una galleria laterale molto larga che porta ad una ftanza, e poi oltre, credo che ci fiano altre ftanze. Lì ci fono… una moltitudine di orchi del fottofuolo e hobgoblin. Ma non erano in guerra. Fembrava una fpecie di fefteggiamento.” Esitò un momento, incerta. “Avranno fatto pace?”
“Senza che uno dei due schieramenti sia stato annientato? Questo è strano.” Convenne il drow. “Vorrei avere più tempo per indagare la cosa, ma se ora sono impegnati ci conviene approfittare di questa fortuna e passare oltre.”

I due elfi e i prigionieri camminarono attraverso quel lunghissimo cunicolo cercando di fare meno rumore possibile e fermandosi ad ogni minimo rumore. Man mano che si avvicinavano alla svolta di cui aveva parlato Dee Dee, cominciarono a sentire schiamazzi e molte voci che parlavano in modo concitato.
Considerando la situazione un po’ troppo pericolosa, Daren slegò la corda che costringeva i due cultisti a camminare affiancati, anche se ciascuno dei due aveva ancora i polsi legati.
“Ora voi due dovrete muovervi nel modo più silenzioso e furtivo possibile” sibilò in lingua comune “gli hobgoblin giocano con le loro prede, in un modo che vi farebbe rimpiangere noialtri.”
L’umano e il tiefling si scambiarono un rapido sguardo, loro malgrado. Entrambi capirono che erano disposti a crederci, o almeno non erano disposti a rischiare.
Passarono indenni a pochi passi da un luogo infestato da orog e hobgoblin che facevano un rumore del diavolo, davvero non si capiva se stessero combattendo o festeggiando qualcosa. In entrambi i casi non c’era da stare allegri. Dopo qualche minuto di cammino arrivarono a quello che ormai era diventato il loro incubo peggiore: il fiume.
Ancora?” Dee Dee aveva un tono a metà fra l’esasperato e il disperato. “Odio camminare nell'acqua! Perché per il futuro non compri una barca magica o qualcofa del genere?” Domandò con astio.
“Ora comincia il tratto più lungo che dovremo percorrere a mollo.” Annunciò Daren, ignorando gli sguardi stanchi e arrabbiati di tutti e tre i suoi compagni di viaggio. “Ma è anche l’ultimo, perché poi saremo arrivati.”
“Di quefto paffo ci crefheranno le pinne.” Borbottò Dee Dee, ma si predispose comunque ad affrontare quell’ultima parte del viaggio.
Per fortuna la dhampir scoprì con piacere che nella zona meridionale del dungeon il fiume aveva scavato una specie di camminamento nella roccia, un sentiero che si trovava appena una spanna sotto la superficie dell’acqua. Anche se era largo solo quanto la lunghezza del suo braccio e non era perfettamente orizzontale, era comunque meglio di niente. La pietra sotto i suoi stivali era liscia e viscida ed era molto facile scivolare, ma ad un certo punto qualcuno aveva piantato una serie di chiodi nella roccia accanto a loro, ed una catena fredda e umida correva lungo la parete fungendo da appiglio. Penzolava bassa, all'altezza della coscia di Dee Dee, e lei sospettò che fosse stato uno gnomo o qualche altro piccoletto a prendersi il disturbo di creare quel sistema.
Procedere così non era facilissimo ma era infinitamente meglio che avere l’acqua fino alla vita o fino alle spalle.
“Questo sentiero viene usato per pescare” sussurrò il drow. Dee Dee si chiese da chi, ma non lo interruppe. “State attenti ai pesci, potrebbero essere del genere mangiami, o io mangio te.

Non furono attaccati dai pesci, ma ad un certo punto una pallida alga riuscì ad avvolgersi intorno alla caviglia dell’umano seguace di Juiblex, e cercò di tirarlo sott'acqua. L’uomo scivolò e cadde, ma Daren impugnò il suo arco e scagliò un paio di frecce luminose contro quel viticcio acquatico, recidendolo di netto. Il resto dell’alga si ritrasse sul fondo del fiume e non si fece più vedere. Recuperato il prigioniero, continuarono a camminare fino ad incontrare un cunicolo alla loro sinistra che si addentrava nella parete di pietra. L’ingresso di quella galleria era abbastanza largo, ma ostacolato da una stalagmite che lo costringeva ad una biforcazione, tanto che a prima vista dal fiume sembrava essere due cunicoli anziché uno solo.
“A questa colonna si possono legare le barche.” Spiegò Daren, a beneficio di Dee Dee. “Ma come hai notato con grande acume, non ne abbiamo una.”
“Vaffanculo” borbottò lei.
“Ci fermiamo qui. Siamo circa a metà strada del tratto di fiume che dobbiamo percorrere, e siamo tutti troppo stanchi per non commettere errori.”
Dee Dee sospirò, sollevata per quella decisione. Sospettava che il drow si stesse comportando così perché avevano due prigionieri che non erano al massimo della forma fisica. Forse se fossero stati soli, lui e lei, l’avrebbe costretta a continuare sforzando i suoi limiti fisici. O forse no. Era vero che erano troppo stanchi per non fare errori, e lui sapeva anche essere pragmatico, oltre che stronzo e inflessibile.
Il drow andò in esplorazione nel cunicolo, mentre Dee Dee legava nuovamente insieme i due cultisti, con loro grande fastidio. Poco dopo Daren tornò.
“Per fortuna alcune cose non cambiano. C’è un punto di ristoro, più avanti. Non mi azzardo a chiamarlo locanda, anche se la proprietaria lo farebbe.”
La locanda era soltanto una caverna vuota, più larga che lunga. La proprietaria era una vecchissima femmina di derro, una creatura simile ad un nano deforme dalla pelle tanto pallida da sembrare bluastra. Le mancava una mano e i suoi occhi sembravano velati dalla cecità, ma quando i quattro avventori arrivarono fu lesta a tendere l’unica altra mano in una muta richiesta di pagamento.
Daren le mise in mano quattro monete d’argento e lei senza parlare gli indicò di prendere una scala a pioli di metallo che aveva alle sue spalle, poi indicò un punto verso l’alto. Dee Dee cercò con gli occhi il punto indicato da quel dito scheletrico, ma non vide nulla. La caverna era abbastanza alta, difficile stabilire quanto.
Il guerriero appoggiò la scala contro un punto della parete e rivelò alla dhampir che c’era una rientranza lassù, grande abbastanza perché una mezza dozzina di persone potessero starci comodamente. Le indicò di salire per prima, mentre lui allentava le corde dei loro riluttanti compagni di viaggio.
La scalata per Dee Dee fu semplicissima, non avrebbe avuto nemmeno bisogno della scala. Per Arzo Jessan e le sue dita rotte fu un po’ più difficile, ma riuscì a salire comunque, spronato dagli insulti che il tiefling gli lanciava contro da dietro la benda che gli chiudeva la bocca. L'elfa li aiutò ad entrare nella piccola grotta e li sospinse sul fondo, per evitare che facessero scherzi come allontanare la scala mentre il drow saliva. Quando furono tutti lassù, la locandiera si riprese la scala a pioli, sotto lo sguardo nervoso di Dee Dee.
“È normale che faccia cofì?” Domandò con voce tremula.
“Sì, rimetterà a posto la scala domattina. Io di sicuro non voglio che altri eventuali avventori possano salire quassù mentre ci riposiamo.”
Mentre ci riposiamo… ripeté Dee Dee nella sua mente, guardandosi intorno. La piccola caverna aveva un pavimento quasi liscio, e alcuni giacigli di pelli erano stati predisposti per gli ospiti. C’era anche spazio per un piccolo braciere, già fornito di carbone minerale e legno di fungo, e sopra al braciere un cunicolo verticale largo quanto la testa di un bambino fungeva da canna fumaria. Non era certamente una vera locanda, per gli standard della Superficie faceva schifo, ma era una sistemazione più comoda e più sicura che accamparsi in mezzo al nulla.
Per la prima volta da molto tempo si azzardarono ad accendere un fuoco per cucinare, e Dee Dee si sentì assurdamente grata per quel poco calore. Ne avrebbero avuto bisogno anche per asciugare i loro vestiti.

“Che cof’è la locandiera?” Domandò la ragazza ad un certo punto, rompendo il silenzio.
Daren la guardò con curiosità, poi capì il motivo della domanda.
“Ah, già, tu non hai mai visto un derro. Be’, è un derro.” Si lanciò in una colorita spiegazione sulla spietata e folle razza a cui la vecchietta apparteneva, ma alla fine concluse: “lei sembra quasi sana di mente per gli standard del suo popolo. Qualcuno dice che da giovane avesse stabilito un contatto mistico con le forze della natura, e che ancora oggi sia in grado di comandare la roccia. Per questo nessuno cerca di tirare sul prezzo; nessuno vuole finire schiacciato come un ragno mentre sta dormendo in una stanza scavata nella roccia.”
“E tu ci credi?” Dee Dee storse il naso, pensando alla figura fragile e debole della vecchia derro.
Daren sorrise, uno dei suoi sorrisi lievi e amari di quando non era davvero divertito.
“Non so se ci credo, ma non voglio mettermi contro una locandiera. Ricordatelo: mai dare fastidio a qualcuno che gestisce un servizio pubblico.”
Dee Dee si chiese se ci fosse un qualche segreto Ordine Mondiale dei Locandieri, Osti e Tavernieri, ma scartò subito quell'idea ridicola. Era solo un consiglio di buonsenso. Non aveva voglia di fare la figura della sciocca chiedendo come mai fosse così importante, quindi rimase zitta e se ne andò a dormire.
Si addormentò velocemente, esausta per le fatiche del viaggio. Arzo Jessan fece per stendersi nel giaciglio accanto al suo, ma il drow richiamò la sua attenzione con un fischio leggero e poi agitò nell'aria la mano sinistra, muovendo le dita in modo sinuoso.
L’uomo comprese l’implicita minaccia e andò a sistemarsi in un cantuccio il più lontano possibile da entrambi. Una mano rotta gli bastava.
Nephlyre Kilchar sorrise con superiorità e pensò che l’umano era proprio un goffo idiota. Non era certo in quel modo che ci si assicurava la benevolenza di qualcuno.
Lui ci sarebbe riuscito, se solo gli avessero tolto la benda dalla bocca.

           

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Capitolo 8
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 8) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 8)


Daren aveva promesso che quello sarebbe stato l’ultimo giorno di viaggio, e Dee Dee sperava veramente che fosse vero. Era stanca, nonostante negli ultimi mesi si fosse abituata a viaggiare in luoghi ostici e pericolosi. Il viaggio nel fiume era stato troppo per lei, aveva bisogno di riposarsi davvero, non sul pagliericcio di una caverna a malapena tiepida. Per la prima volta da quando si era gettata in questa folle avventura, aveva voglia di un letto caldo e di una vita normale.
Dopotutto era sempre stata questa la sua intenzione. Voleva andare a Skullport e trovare un posto dove vivere, non fare l’avventuriera.
Venne colpita da questo pensiero come se fosse una straordinaria rivelazione.
È vero, era quello che voleva fare… quand'è che aveva smesso di desiderarlo? Quand'è che aveva iniziato a considerare normale vivere all'addiaccio, fare l’esploratrice di dungeon?
Per Daren sembrava normale, quella era la sua vita e la faceva sembrare come l’unica vita possibile. La dhampir si rese conto in quel momento di come fosse stata sciocca e influenzabile. Certo, lui aveva le sue ragioni: era vero che lei sarebbe morta molto prima di arrivare nella città segreta, ora che conosceva meglio il dungeon lo capiva benissimo anche da sola. Non rimpiangeva di averlo incontrato, le aveva salvato la vita in più di un modo. I suoi insegnamenti erano preziosi, e Dee Dee riconosceva la verità delle sue parole: se avesse raggiunto Skullport senza avere le competenze per andarsene, sarebbe stata prigioniera.
Il suo scopo ultimo era imparare a sopravvivere per vivere a Skullport, e per potersene andare se avesse voluto. Questo era il suo intento dichiarato, Daren lo sapeva, lei lo sapeva… ma la sua volontà contava qualcosa? Non aveva forse imparato già abbastanza? Il drow glielo avrebbe detto, quando lei fosse stata pronta? O avrebbe continuato a procrastinare?
Oh, che sciocchezza. Perché mai dovrebbe procrastinare? Si chiese, scuotendo la testa. Sono solo paranoica. Lui non ha motivo di mentirmi, non ha bisogno di me. Non credo che mi voglia con sé, quando potrò andare mi lascerà andare… no, io me ne andrò.
A questo pensiero, si fermò per un attimo, costringendo anche i due prigionieri dietro di lei a fermarsi all'improvviso in una posizione poco stabile sul bordo del fiume. L’idea di andarsene, di separare le loro strade, l’aveva fatta sentire adulta ma terribilmente sola. Aveva avvertito una specie di morsa allo stomaco, e per una volta non era la fame.
O forse sono io che non voglio andarmene? Perché in tutti questi mesi ho praticamente dimenticato che il mio scopo ultimo era una vita normale in città? Forse sono io che non voglio separarmi dall'unico amico che ho. Forse sono ancora una maledetta ragazzina idiota che cerca il conforto della protezione di un adulto, ho cercato in Daren quello che mi dava Valaghar. Eppure sono così diversi.
Riprese a camminare, cercando di portare alla luce le grandi differenze fra il suo vecchio amico e il suo oscuro mentore. A prima vista erano come il giorno e la notte, ma più ci pensava, più si accorgeva che nelle azioni non erano poi così diversi. Oh, lo erano nel comportamento, e nel carattere, su questo non c’erano dubbi. Ma in fondo in fondo, si gettavano nelle stesse imprese folli.
Ho dimenticato il mio proposito di andare a Skullport, realizzò alla fine, perché non era Skullport ad essere importante. Volevo un posto dove poter vivere ed essere accettata. Mi sentivo debole, quindi pensavo che solo la protezione della civiltà, di una città, mi potesse permettere un’esistenza sicura. Ma ora non sono più debole. Ora potrei fare… anche questa vita. Potrei vivere nei tunnel, anche se è un’esistenza triste e solitaria. Ma io non sono come Daren. Io potrei avere anche altri amici, non ho un carattere di cacca come lui. Potrei intrattenere rapporti amichevoli con Lizy, e con Tuyy, e con… altri che vivono in pace, come loro.
Dee Dee esplorò quelle nuove possibilità, tenendo la mente aperta. Non è che volesse vivere all'addiaccio per sempre, si stava solo rendendo conto che sarebbe stato possibile, che non doveva per forza vivere in città. Tuttavia la vita nei tunnel era scomoda, e il desiderio di una casa sicura e di un letto caldo non abbandonava mai del tutto il suo cuore.

“Mi sembri un po’ distratta, oggi.” Le sussurrò Daren, in tono di rimprovero. “Sembra che tu mantenga a malapena la concentrazione per non scivolare sulle rocce, sei fortunata che nessun mostro ci abbia attaccati, stamattina.”
Dee Dee riconobbe la validità di quel rimprovero e abbassò lo sguardo. Non era riuscita ad impedirsi di scivolare in pensieri lontani, visto che aveva appena realizzato di colpo delle cose molto importanti su sé stessa e sul suo futuro, ma si vergognava che Daren se ne fosse accorto.
“Fcufa” sussurrò.
“Non devi chiedermi scusa, non sono io che rischio di morire se tu ti distrai.” La rimbeccò il drow. “Devi stare attenta per il tuo stesso bene. Soprattutto ora che sarai sola.”
La ragazza sussultò di nuovo, per un istante credette che lui le avesse letto nel pensiero, tanto quella frase calzava a pennello con le sue riflessioni.
“Come?”
In quel momento si accorse che stavano risalendo un piccolo dosso che li avrebbe portati finalmente all'asciutto. Si ritrovarono in una larga cava che si affacciava sul fiume.
Avevano a malapena messo piede sulla roccia asciutta, quando decine di creature tozze con una criniera scura e denti aguzzi si riversarono addosso al gruppo, uscendo da innumerevoli nascondigli. Daren imprecò e sfoderò le spade corte.
All'inizio cercò di spaventarli per cacciarli via, ma le infide creature avevano l’indole dei predatori, e continuarono ad attaccare anche se alcuni loro compagni erano già stati colpiti fino ad essere privi di sensi. Uno di quei piccoletti si lanciò su Dee Dee, ma lei lo afferrò al volo e usò il suo stesso slancio per gettarlo nel fiume. Nel sollevare la creatura la dhampir scoprì che era più pesante di quanto pensasse, e cadendo in acqua fece un bello spruzzo. Non aveva fatto in tempo ad estrarre le armi, che subito altri due di quei mostriciattoli le balzarono addosso cercando di morderla.
Dee Dee decise che ne aveva abbastanza. Anziché sottrarsi ai denti e agli artigli dell’aggressore che le era saltato in braccio, gli chiuse la bocca con una presa salda e lo costrinse a inclinare la testa. Sotto la criniera scura doveva esserci un collo, da qualche parte, e Dee Dee lo trovò. Il pelo era sporco e puzzava di sudore e di carogne, ma il sangue era caldo e delizioso. Lui cercò di graffiarla, i suoi unghioni scavarono un leggero solco nell'armatura di cuoio, ma senza sfregiare la pelle morbida dell'elfa. La dhampir avvertì che la sua vittima si stava dimenando sempre più flebilmente, e lasciò cadere il corpo prima che morisse. Cadde proprio sul suo compagno, che si scrollò di dosso il cadavere, fece per attaccare Dee Dee, poi cambiò idea e cominciò a mangiarsi i resti del suo amico. La ragazza sentì quasi il voltastomaco a quella scena disgustosa, estrasse la spada e con un gesto così rapido da essere quasi invisibile tagliò la testa dell’omuncolo mentre aveva ancora in bocca brandelli di pelle e carne del suo compagno. Nel frattempo il drow aveva ucciso parecchie di quelle creature e il pavimento della grotta stava diventando viscido di sangue.
Una piccola orda di gibberling attacca e combatte fino alla morte, e Dee Dee se ne stava rapidamente rendendo conto. Quelle creature sembravano incapaci di pensiero razionale, attaccavano senza imparare nulla dalla morte dei loro compagni. Sfoderò anche il pugnale e si mise a difesa dei loro prigionieri, perché aveva fatto troppa fatica a portarli fin lì, per lasciare che morissero per mano di quei mostriciattoli.
Daren abbattè stancamente l’ultimo avversario e il combattimento finì, tanto repentinamente quant'era cominciato.
“Gibberling” disse soltanto, indicando una di quelle creature morenti, con un cenno della mano che ancora reggeva una spada. “Stupidi, feroci, e ora sappiamo che non temono la morte.” Sospirò. “Perché i mostriciattoli non temono mai la morte?”
Dee Dee non aveva risposta, ma sapeva che era una domanda retorica, solo una lamentela.
“Fe penfavi di accamparti qui, ti informo che l’odore di fangue morto mi fa vomitare.” Gli preannunciò Dee Dee.
“Una scena che non ci tengo a vedere” il drow storse il naso, immaginando che l'elfa avrebbe vomitato, sostanzialmente, altro sangue. “Tu non resterai qui. Ora le nostre strade si dividono, tu avrai il compito di consegnare quello lì.” Sempre con la spada indicò il cultista di Juiblex, l’umano, che impallidì di colpo vedendo la sua fine così prossima. Dee Dee si guardò intorno. Erano in una caverna vuota, se si escludevano i cadaveri di gibberling.
“Lo confegno… dove? A chi?”
Daren la fissò con uno sguardo penetrante che lei non capì, era come se non la vedesse davvero. Non le rispose subito, prima trascinò i due prigionieri nella grotta, lontano dal fiume, e li legò ad una stalagmite in modo che non potessero avvicinarsi. Poi prese da parte la dhampir, portandola dietro una concrezione rocciosa dove i due cultisti non potevano vederli. Quando le parlò di nuovo lo fece in lingua elfica, forse perché sperava che i due prigionieri non la capissero, e in tono mortalmente serio.
“Adesso ti chiederò di fare una cosa, ma mi costa parecchio. Significa doverti dare fiducia e dirti cose che non ti ho ancora detto. Posso farlo? Posso fidarmi di te?”
Dee Dee sgranò gli occhi e fu subito tentata di rispondere Sì, certo che puoi fidarti di me, puoi sempre fidarti di me. Era così strano, di solito era lei a chiedersi se poteva fidarsi di lui, perché era lei ad avere bisogno di aiuto.
“Fe hai già decifo di farlo, vuol dire che fai che puoi fidarti di me.” Disse invece. “Io… potrei fallire. Potrei deluderti. Ma non potrei mai tradire un amico.”
Le parve di vedere per una frazione di secondo un accenno di sorriso sulle labbra dell’elfo scuro, ma poi quell'impressione passò e lui le parlò, serio come prima: “Allora farai quello che ti chiedo?”
“Fe fignifica fbarazzarfi dell’umano, certamente.”
Daren le indicò un punto dall'altra parte del fiume. C’era un cunicolo che sbucava sull'acqua, non piccolissimo ma nemmeno troppo ampio. “Torna indietro un pochino, fino a quelle stalagmiti.” Indicò un altro punto nella direzione da cui erano venuti. “Come vedi ci sono stalagmiti anche sull'altro lato del fiume. Quello è il punto migliore per attraversare perché se ne sei in grado puoi lanciare un lazo e afferrare con la corda una delle stalagmiti dall'altra parte. Sarai tentata di tagliare il fiume in quel punto, perché l’acqua è relativamente bassa, ma non lo fare. Fra le stalagmiti dall'altra parte del fiume vivono dei pesci molto insidiosi e territoriali, ti attaccheranno se ti avvicini alle loro tane. Piuttosto, aggancia una stalagmite sull'altro lato con la tua corda e poi fatti trasportare dalla corrente, usando quello slancio per attraversare il fiume più a valle. Questo dovrebbe portarti più o meno in corrispondenza di quella galleria.”
Dee Dee all'inizio era impallidita all'idea di dover attraversare il fiume, ma ascoltando quelle indicazioni si convinse che ce la poteva fare, quindi annuì. Prima avrebbe dovuto legare per bene l’umano, ma poteva farcela.
“Cofa troverò dall’altra parte?”
Di nuovo quello sguardo criptico, poi lui sembrò trovare le parole.
“Persone. Probabilmente drow, ma non è detto. Non ti faranno del male, ma sicuramente ti fermeranno per interrogarti. Tu devi dire due cose importanti: la prima, che devi consegnare un prigioniero e una lettera, che poi ti darò. La seconda, che hai bisogno che qualcuno ti scorti a Skullport o almeno ti indichi la strada. Non devi mai fare il mio nome, mai. Hai capito?”
La ragazza rimase stupita da questa veemenza. Pensava che lui la stesse mandando da degli alleati, non da dei nemici. “Ma… fe mi obbligano a parlare?”
“Allora, ma proprio se minacciassero di imprigionarti o farti del male, dì loro che il mio nome non può essere pronunciato sotto la luna.”
“Qui non c’è la…”
“È una frase di rito.” La interruppe lui, in tono di compatimento. “Potrebbero trattenerti un giorno o due, non è un problema. Quando ti lasceranno andare, a Skullport devi cercare una locanda che si chiama Il Troll Infuocato, che si trova al porto, vicino al mercato del pesce. Io ti aspetterò lì, con l’altro prigioniero.”
Dee Dee girò impercettibilmente la testa come per guardare i due cultisti, ma dalla sua posizione non poteva vederli. Fra sé e sé, continuava a chiedersi che cosa ne avrebbero fatto del tiefling, ma decise che quello era un problema di Daren. Era stato lui a volerlo portare con loro, anzi, a volerlo salvare in primo luogo.

Convincere il dannato cultista di Juiblex a venire con lei fu quasi più difficile che attraversare il fiume. Dee Dee non aveva idea che un uomo adulto potesse arrivare a frignare così tanto, e addirittura a farsi trascinare di peso. Per fortuna aveva bevuto il sangue di quel mostriciattolo, perché fra costringere il prigioniero a seguirla e risalire la corrente, aveva bisogno di tutte le sue forze. Il metodo della corda funzionò, anche se dovette lanciarla un paio di volte prima di afferrare una stalagmite, e la seconda volta fu anche più difficile perché la corda si era bagnata e il lazo non stava più bene aperto. Alla fine, dopo molte fatiche, riuscì ad approdare al cunicolo dall'altra parte del fiume. Non riuscì più a sganciare la corda dalla stalagmite, quindi si rassegnò ad aver perso un’altra corda. Doveva proprio procurarsene di nuove…
“Fermatevi e dichiarate le vostre intenzioni!” Intimò una voce maschile, che suonava piuttosto giovane.
Un guerriero drow si fece avanti, venendole incontro. Quantomeno, lei supponeva che fosse un guerriero, perché aveva una grossa spada legata dietro la schiena.
Anche Daren ha una spada come quella, ricordò. Vorrà dire qualcosa?
Il suo occhio allenato a cercare pericoli catalogò il drow davanti a lei prima come potenziale nemico, e solo dopo come persona. La sua armatura era di buona qualità, anche se leggera, di certo era in condizioni migliori di quella di Dee Dee. Lui sembrava tenersi sulla difensiva, ma non aveva ancora sfoderato la spada. Forse Daren aveva detto il vero, dopotutto, non l’aveva mandata in una tana di orchi. Aprì la bocca per rispondere, le venne naturale guardare in faccia il suo interlocutore, e a quel punto perse la capacità di pensare in modo coerente.
“Dichiarate le vostre intenzioni” ripeté la guardia, corrucciandosi per la mancanza di reazione.
Dee Dee non lo udì. Le era bastato uno sguardo per capire che il drow doveva essere giovane, forse tanto quanto lei, e non molto esperto a giudicare dai piccolissimi movimenti per sistemarsi meglio la spada sulla schiena. Non era ancora abituato a portare il peso e gli dava fastidio. Tutto in lui era eccessivamente rivelatore, anche il suo sguardo era aperto e schietto, proprio il contrario di quello di Daren e di qualsiasi altro drow avesse visto finora.
Lei lo trovava bellissimo. Forse lo era davvero, anche per gli standard dei drow, ma per Dee Dee era il più bell'esemplare maschile che avesse mai visto. Soprattutto perché non apparteneva allo sconosciuto e minaccioso mondo degli adulti, come Daren o il tiefling che avevano catturato. Lei sapeva che entrambi erano di bell'aspetto, ma aveva sempre archiviato la cosa come un’informazione superflua, per la quale non aveva utilizzo. Con questo sconosciuto era diverso: lo percepiva come un suo simile, una persona accessibile, o almeno… comprensibile. Dee Dee non aveva mai avuto pensieri adulti verso nessuno e non li stava avendo nemmeno ora, si era semplicemente bloccata a guardare quel viso celestiale pensando che avrebbe potuto andare avanti a guardarlo per tutto il giorno.
“Ehi… capisci la mia lingua?” insisté il ragazzo in sottocomune, poi provò con la lingua comune della Superficie. Non la parlava molto bene. “Dichiara le tue intenzioni” ordinò con una parlata molto accentata “chi sei? Chi è lui?” indicò con un cenno l’uomo dietro di lei.
“Uh…” mormorò l'elfa, risvegliandosi finalmente dal suo torpore. “No, perdonami, ho capito.” Assicurò in sottocomune, pensando rapidamente a come rispondere pronunciando meno s possibili. “Mi chiamo Dee Dee, porto un prigioniero e una lettera.”
Lui la squadrò come per decidere se fosse pericolosa, e la guerriera divenne acutamente consapevole del suo aspetto disastroso. I suoi vestiti e i suoi capelli erano bagnati, probabilmente le sue labbra erano blu per il freddo, la sua armatura era ormai vecchia e rovinata. Nel complesso doveva sembrare una scappata di casa. Per la prima volta, la cosa stava assumendo una certa importanza.
“Un prigioniero e una lettera? Per chi, e per conto di chi? Sai dove ti trovi?”
Si avvicinò a lei di un passo, e lei fece istintivamente un passo indietro. Con movimenti lenti e deliberati, slacciò la chiusura di una piccola borsa conservante magica che Daren le aveva dato per quello scopo (non far bagnare la lettera), e tirò fuori una pergamena arrotolata, chiusa con un nastro di stoffa nera. Sul retro della pergamena, in modo che fosse ben visibile, era scritto un nome. La zona era molto poco illuminata, solo la naturale fosforescenza dei funghi di caverna garantiva un lieve lucore, quindi leggere era particolarmente difficile.
“Oilu… no… Qilue… Vel… che diamine di calligrafia!” Borbottò, mostrando la scritta al drow.
“Qilué Veladorn” le venne in aiuto lui, leggendo quel nome con incredulità. “Tu non sai chi sia?”
“Ehm… dovrei?” Domandò lei, sentendosi sempre più stupida.
“M’immagino di , se devi consegnarle un prigioniero e una lettera!” fece notare l’elfo scuro.
“Io… faccio l'intermediaria, nient'altro” si difese la dhampir.
Lui la scrutò con sguardo sempre più dubbioso, e solo grazie alla loro vicinanza ora si accorse di una cosa. “Ma tu… non sei una mezz'umana. Sei un'elfa. Un'elfa vera?
Esistono elfi finti? si chiese lei, ma si sforzò di rispondere in modo non sarcastico. Non era facile, visto che si sentiva sempre più di malumore.
“Già, un'elfa vera. È un problema?”
Il giovane guerriero drow si fermò a fissarla più o meno come lei aveva fissato lui pochi momenti prima: con meraviglia, ma lei intuì che lo faceva per un motivo diverso.
Xsa! Sei matta a venire quaggiù?”
Dee Dee adesso era decisamente di cattivo umore.
“Vuoi un pugno, bel faccino?” Chiuse la mano a pugno e l'agitò debolmente, ma il suo sguardo era duro come il ferro. Sarebbe stato un peccato rovinare un volto così perfetto, ma la dhampir iniziava a trovare insopportabile la persona che c’era dietro.
Dal canto suo, il drow sapeva che era meglio non far arrabbiare una femmina.
“No, no, scusa. Mi è sfuggito. Perché porti un prigioniero? Sei una mercenaria?”
Dee Dee aveva più sangue in corpo di quanto una persona normale avrebbe dovuto averne, e in quel momento le andò tutto alla testa.
“Ora apri bene le orecchie, ragazzetto!” Fece un passo avanti, in modo deciso, ma non lo minacciò sfoderando le armi. Gli puntò contro un dito, agitandolo in segno di ammonizione. “Negli ultimi quattro giorni ho affrontato melme giganti, preti malvagi, mani troppo lunghe, un fiume, e non una eh, ma tre o quattro volte, già, un maledetto fiume, e poi orchi, nanerottoli puzzolenti, kuo-toa e mante che cadevano dall'alto e volevano mangiarmi, e poi che altro?, maledizioni, coboldi, e un calderone di acido con dentro un tiefling che ci ha provato con me, e non ho affrontato tutta la merda dell’Undermountain per arrivare qui e farmi chiamare mercenaria!
Il giovane drow non aveva mai visto una femmina degli elfi di Superficie prima di allora, ma stava cominciando a credere che fossero pericolose come le femmine drow. Non sapeva cosa pensare di lei: se le cose che aveva raccontato erano vere, allora doveva essere una vera dura. Di certo aveva l’aspetto di qualcuno che ha vissuto molte avventure. Ma era un’amica o una nemica? Se l’idea di essere una mercenaria era così offensiva doveva significare che agiva per idealismo, ma che tipo di ideali seguiva?
“Perdonami se ti ho offesa, non era mia intenzione.” Decise di scusarsi come prima cosa, per precauzione. “Ho dimenticato le regole dell’ospitalità. Ti prego, entra pure nel nostro tempio. Più avanti ti verrà chiesto di consegnare le armi.”
Dee Dee s’irrigidì. “Tempio? C’è un tempio più avanti? Ogni volta che entro in un tempio qualcuno cerca di uccidermi.”
Il drow fece un sorrisetto, pensando che fosse una battuta, ma poi vide che l'elfa non stava affatto ridendo.
“Anche i drow ci hanno provato, avevano un altare a forma di ragno.” Continuò Dee Dee. “Non mi va di abbandonare le armi.”
“No, non… la Signora della Danza è una divinità buona. Noi non compiamo sacrifici di sangue.”
Dee Dee non era troppo convinta, ma non aveva altra scelta se non avanzare. E poi, alcuni mesi prima Daren le aveva parlato della sua dea... non ne aveva mai fatto il nome, ma era una dea buona. Forse ora stava per entrare nel suo tempio, e di conseguenza questi elfi scuri erano alleati. Ma perché non glielo aveva detto? Doveva esserci un motivo. Cos'altro le aveva raccontato quella volta... qualcosa a proposito del fatto che il suo lavoro era segreto?
Ad ogni modo, la dhampir non aveva nessuna intenzione di tornare nel fiume, questo era poco ma sicuro. Si concesse un’ultima occhiata al bel volto del giovane drow, e prima di andare oltre le venne la folle idea di dire: “Mi piacerebbe… prima o poi, combattere contro di te. Come allenamento, eh. Non a morte.”
Lui la guardò in modo strano, e lei si maledì in silenzio. “Mi piacerebbe combattere contro di te”, ma come mi è venuto in mente? Forse Daren ci proverebbe con qualcuno in questo modo, le persone normali no!
“Uhm, grazie.” Rispose lui, incerto. “Sarebbe un onore esercitarmi contro qualcuno che ha esperienza di molti combattimenti. Io mi chiamo Adinvyr. Domani non sono di turno, se sarai ancora qui puoi chiedere di me alle caserme.”
Dee Dee annuì, incredula che avesse funzionato. Lo ringraziò per le indicazioni e proseguì nel cunicolo, portandosi dietro un prigioniero spaventato e ora anche abbastanza indispettito.

Il cunicolo era stretto e curvava due o tre volte prima di sfociare in un altro piccolo slargo, dove stavolta c’erano due guardie a piantonare il passaggio, una femmina drow e una donnina halfling. Una sola occhiata a quest'ultima convinse Dee Dee che non era da sottovalutare, perché era agghindata come una maga.
Spiegò a queste due quello che aveva già detto ad Adinvyr, ma loro sembravano avere un po’ più di esperienza. Tanto per cominciare si accorsero che era una dhampir, ma quando l'elfa scura recitò un breve incantesimo per capire se Dee Dee fosse una malintenzionata, la sua attenzione si focalizzò tutta sul prigioniero. Lo scrutò solo per un breve istante, e fu sufficiente per decidere che l’umano valeva tutto il suo disprezzo.
“Portalo pure dentro” le disse, in sottocomune. “Al prossimo blocco di guardie dovrai lasciare le armi, ma qui sei al sicuro. Il prigioniero verrà preso in custodia e Qilué vorrà farti qualche domanda, ma prima devi riposare e rifocillarti.”
Lo sguardo di Dee Dee doveva essere fin troppo aperto e pieno di gratitudine, perché la drow non riuscì a trattenere un sorriso. Non era un ghigno malvagio, come quello della sacerdotessa di Selvetarm che mesi prima aveva cercato di ucciderla. Non era nemmeno una smorfia di scherno come quelle di Daren. Questa drow sembrava davvero una brava persona, una cosa che la dhampir non credeva possibile.
Procedette oltre, e dopo alcuni minuti di cammino in un percorso obbligato si trovò davanti un altro posto di guardia, in una stanza squadrata che era stata chiaramente scavata nella roccia in modo artificiale. In qualche modo, capì che stavolta era davvero arrivata. Le sue fatiche forse erano davvero finite, almeno finché non si fosse riunita al suo tetro compagno di viaggio.

           

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Capitolo 9
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 9) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 9)


“Non è che non voglio.” Spiegò Dee Dee, girandosi in modo da esporre il fianco perché la guardia potesse vedere il suo pugnale. “È che non poffo, quefto pugnale non lo poffo cedere temporaneamente o abbandonarlo, poffo folo regalarlo oppure qualcuno me lo deve rubare, ma il punto è che deve cambiare proprietario.”
La drow la guardò con aria contemplativa, da dietro un paio di occhiali che catturavano la scarsa luce e la riflettevano con bagliori azzurrognoli. Dee Dee aveva già visto degli occhiali prima, ma non avrebbe mai immaginato di trovarli sul naso di un’elfa. Di certo non servivano a correggere la vista, dovevano essere magici.
“Sembrerebbe un oggetto maledetto.” Avanzò un’ipotesi.
“Oh, fì, lo è.” Confermò Dee Dee, annuendo con l’aria di volersi rendere utile.
Si guardarono per un attimo come se fossero destinate a non capirsi. La drow si soffiò una ciocca di capelli da davanti agli occhi e si fece avanti in modo risoluto, come qualcuno che è abituato a risolvere i problemi e non a girarci intorno.
“Posso sistemare la cosa con un incantesimo che rimuove la maledizione, questo dovrebbe… sospenderla, perlomeno. Ti permetterebbe di gettare via il pugnale.”
“Ma non voglio gettarlo. È il dono di un amico.”
Altro silenzio.
“Cara, batti due volte le palpebre se sei qui contro la tua volontà.” Sussurrò la drow, passando alla lingua elfica.
“Cofa? No! Io non… che?
“Era una battuta.” La sacerdotessa tornò al sottocomune e la guardò con una punta di compassione. “Si basa sul fatto che ti accompagni ad amici che ti regalano oggetti maledetti, e se la cosa ti sta bene devi essere sotto l’effetto di un maleficio oppure soggiogata a qualcuno dalla personalità molto forte. Be’... insomma, era quasi una battuta.”
“Ah.” Mormorò Dee Dee. “Fottile. No, non fono foggiogata né con la magia né con giochetti mentali, fono confapevole che è un amico di cacca, ma la maledizione non è cofì brutta. Fi limita a rifcaldare l’aria intorno a me.”
“Nient’altro?”
“Nient’altro.”
La drow ci pensò su per un momento.
“Potrei comunque usare quell’incantesimo, in modo che tu possa lasciare qui il pugnale insieme alla tua spada.”
“Mi… mi piace il calore. Di folito ho fempre freddo.” La dhampir mise una mano sul fodero del pugnale in modo protettivo.
“Ne sei certa? Il calore favorisce l’infettarsi delle ferite.”
“Fono una mezza vampira. Le mie ferite guarifcono in un attimo, non hanno il tempo di infettarfi.”
“Fa marcire più rapidamente il cibo.” Tentò nuovamente la guardia.
“Non ho razioni con me, caccio fempre al momento.”
“Inoltre rovina la pelle.”
Questa volta Dee Dee la guardò con aria interrogativa, senza sapere bene cosa rispondere. Era un’affermazione così… assurda.
“Oh. Ah. Era un’altra battuta.” Ci arrivò dopo un po’.
“Già.”
“Bafata ful fatto che fono un’avvernturiera che fembra effere appena ftata mafticata e vomitata da una viverna. Certo. Quindi la pelle fecca è l’ultimo dei miei problemi e…”
“Già.”
“Ride mai qualcuno alle tue battute?”
“Meno di quanto dovrebbero.” La drow restò sulle sue. “Sono un’artista incompresa.”
Oltre ogni previsione, Dee Dee si sciolse in un sorriso sincero. Per nulla minaccioso. Be’, forse lasciò intravedere i canini, ma anche quello era uno scherzo.
“Tu mi piaci.”
“Gra… è una battuta?”
“Bafata fulla mia doppia natura, fì. Mi nutro di fangue e quindi potrei vederti come cibo, ma fono anche una perfona, e a livello caratteriale mi fei fimpatica.”
Si guardarono di nuovo a vicenda per alcuni secondi. La drow sollevò appena appena un angolo della bocca.
“In effetti non ha senso insistere su quel pugnale, sei comunque armata, non è che tu possa strapparti i canini e lasciarli qui. Ma metterò un sigillo in modo che tu non possa sfoderare l’arma, e dovrai giurare di non attaccare nessuno finché sarai nostra ospite.”
“Nemmeno per addeftramento?”
L’elfa scura la fissò come se non si aspettasse quella proposta.
“Se vorrai… se avrai piacere di fare pratica con qualcuno ti verranno fornite delle armi da addestramento, ma non potrai comunque mordere o usare qualsiasi potere vampirico tu abbia.”
“Oh, diamine. Neanche trafformarmi in un enorme pipiftrello antropomorfo?”
Questa volta la sacerdotessa capì all’istante che Dee Dee scherzava, perché quella era una cosa che nemmeno i vampiri veri potevano fare.
“Di che colore?” Domandò infatti.
“Uh… marrone, direi.”
“No, mi dispiace. Niente pipistrelli giganti antropomorfi marroni. È contro le regole.” Si mise a frugare in una cassettiera di metallo e infine trovò un nastro argentato con ricami bianchi. “Ecco, questo sigillerà la tua arma. Porgimela.”
Dee Dee slacciò l’oggetto incriminato dalla cintura e glielo porse, tenendolo per il fodero mentre la sacerdotessa avvolgeva il nastro intorno all’impugnatura e alla guardia del pugnale.
“Ecco fatto. Ora, quanto a te… giura di non fare del male a nessuno e di non usare poteri vampirici finché sarai nel tempio.”
“Certo, lo giuro.” Per Dee Dee era inconcepibile far del male a qualcuno che la stava accogliendo in casa propria, ma capiva anche che i drow sono paranoici per natura.
“Non ti imporrò nessun incantesimo perché non è un comportamento corretto verso gli ospiti, ma se infrangerai la parola data, verrai allontanata o peggio.”
“Ho capito.”
La drow le fece cenno di procedere verso una porta alle sue spalle. Dee Dee si mosse, ma dopo un paio di passi si fermò. “Prima di andare, poffo fapere il tuo nome?”
“Raeliana” rispose la sacerdotessa, togliendosi gli occhiali. Quella stanza era incisa di rune magiche che emettevano una leggera luminescenza azzurra, e in quella luce i suoi occhi sembravano di un profondo blu scuro. Dee Dee guardò quegli occhi e capì che nonostante il suo atteggiamento spiritoso, non era una persona da sottovalutare.
“Io mi chiamo Dee Dee” rispose, per non essere da meno. “Il prigioniero che avete prefo in cuftodia… lo terrete d’occhio? Credo che fia pericolofo, anche fe non lo fembra.”
La sacerdotessa annuì, improvvisamente molto seria.
“Certo. Credo che Qilué vorrà chiederti qualcosa sul suo conto.”
Non per la prima volta, la dhampir si chiese chi fosse questa Qilué e perché fosse così importante.

Nel frattempo, Daren e l’altro prigioniero erano riusciti ad attraversare il fiume in un tratto più vicino alla sua foce. In condizioni normali l’elfo scuro avrebbe usato la levitazione per tenersi fuori dall’acqua, ma con il peso del suo equipaggiamento e di un prigioniero sollevato a braccia si ritrovarono praticamente a galleggiare sul fiume. Il tiefling si bagnò i piedi, ma non si lamentò, anche perché era imbavagliato.
Alla fine, dopo aver camminato per stretti cunicoli e combattuto o evitato mostri e schifezze, la galleria naturale che stavano percorrendo si aprì senza preavviso sulla caotica città di Skullport.
Daren rafforzò la presa sul braccio del prigioniero e lo trascinò a forza per le vie dello strato inferiore della città. Intorno a loro la gente trasportava mercanzie o trascinava schiavi per le catene, quindi nessuno fece molto caso alla coppia. Sopra le loro teste altri due livelli della città, che si sviluppava in verticale, brulicavano di attività. Per essere una città caotica era meno rumorosa di quanto ci si potesse aspettare. Naturalmente la gente parlava, contrattava, veniva derubata o assassinata, ma il brusio della città sotterranea non era paragonabile ai mercati delle metropoli di Superficie, come Baldur’s Gate o la stessa Waterdeep che si trovava da qualche parte sopra le loro teste.
Il drow raccontava a se stesso di preferire il silenzio dei corridoi, la solitudine, il brivido del sapere che poteva esserci un mostro dietro ogni angolo… ma in realtà stare in città gli scatenava sentimenti contrastanti. Odiava il fatto che ogni persona di Skullport potesse essere un nemico, gli ricordava troppo la sua vita a Menzoberranzan. Doversi difendere dai mostri era normale, ma dai passanti... era fastidioso. D’altra parte, essere circondato dalla gente gli ricordava anche che fino a pochi anni prima la sua vita era molto meno solitaria.
La nostalgia è un sentimento strano, per un drow. Considerò, mentre trascinava l’ignaro Nephlyre Kilchar verso la zona del porto. Non credo che dovremmo provarla, non è naturale, ci siamo allenati per secoli a non farlo. Ci fa lo stesso effetto che fa il latte sugli elfi. Sorrise con una punta di cattiveria, ripensando alla prima volta in cui un suo vecchio amico elfo aveva assaggiato quella bevanda apparentemente innocua.
Quello era stato divertente, ma sembrava successo in un’altra vita...
Be’, tecnicamente era vero.
“Andiamo” biascicò, dando uno strattone alla corda. Il tiefling arrancò, ma riuscì a stargli dietro.

Il guerriero non lo sapeva, ma in quel momento Nephlyre stava covando pensieri a dir poco velenosi.
Era stato catturato, torturato, abbandonato dai suoi compagni. Nessuno era venuto a salvarlo, solo questo cacciatore di schiavi che se l’era preso e portato via verso un destino ignoto. Peggio ancora, il bel cultista era stato ignorato per tutto il tempo, e adesso doveva ingoiare anche quella… umiliazione. Camminare per la città di Skullport tenuto al lazo come uno schiavo, come una bestia, sotto gli occhi di tutti.
I seguaci di Graz’zt avevano il loro orgoglio. Erano loro a dover portare la gente al guinzaglio, metaforicamente o no.
All’inizio voleva raggirare il drow e poi usarlo, e forse in seguito ucciderlo; adesso non aveva più nessun dubbio sul proposito di ucciderlo. Se solo fosse riuscito a convincerlo a slegargli i polsi. Se solo fosse stato anche minimamente vulnerabile al suo fascino… ma quel bastardo stava continuando a ignorarlo.

In un altro punto del pericoloso Terzo Livello, Dee Dee stava provando sentimenti completamente opposti.
Quello era certamente uno dei giorni più strani della sua vita. Era circondata da drow, e non stavano cercando di ucciderla. Per la maggior parte badavano alle proprie faccende, come se lei non fosse presente. Un guerriero mezzo drow (impossibile determinare cosa fosse l’altro mezzo, il suo aspetto era davvero bizzarro) la stava scortando verso un alloggio per gli ospiti. Con gentilezza. Come se lei fosse stata un’ospite di riguardo.
Quella lettera che ho mostrato loro era così importante? Oppure fanno così con tutti, e sono io ad aver abbassato moltissimo i miei standard per colpa di Daren?
La sua stanza era arredata in modo spartano, ma c’era un letto, e in quel momento Dee Dee avrebbe ucciso per un letto. Su un tavolino trovò una bacinella d’acqua per potersi sciacquare, un cambio di abiti anonimi ma asciutti e un pettine di legno di fungo. Il messaggio implicito le fece salire il rossore alle guance, ma poi si ricordò che era un’avventuriera, ed era normale che fosse in disordine. Aveva appena affrontato un viaggio sfiancante e a tappe forzate.
Non appena fu lasciata sola, Dee Dee cominciò a sfilarsi i vestiti. Non aveva con sé il suo zaino, l’avrebbe impacciata nella traversata del fiume, e per lo stesso motivo aveva lasciato indietro il mantello.
I suoi abiti erano già bagnati, quindi appallottolò la corta tunica di lino che teneva sotto l’armatura e la immerse nell’acqua, poi la usò come spugna per lavarsi. Una volta che fu ragionevolmente pulita, indossò la tunica di ricambio che le avevano fornito e stese ad asciugare i suoi vestiti vecchi.
Sotto gli abiti nuovi trovò anche un pacchetto di carne essiccata e succose strisce di fungo giovane, e mangiò tutto nonostante per lei il sapore fosse terribile. Non poteva vivere solo di sangue. Poi, stremata da quella giornata faticosa, si infilò nel letto (un ripiano scolpito nella pietra e coperto di pellicce) e si addormentò prima ancora di aver trovato una posizione comoda.

Nephlyre Kilchar trovava difficile mangiare con i polsi legati, ma il suo carceriere non aveva accennato nemmeno ad allentare la corda. Facendo appello al suo spirito di adattamento, il tiefling stava provando ad utilizzare una forchetta per portarsi alla bocca quei pezzi di carne stopposa e dalla provenienza incerta.
Nonostante questo, Kilchar era speranzoso verso il futuro. Dopo giorni di arduo cammino, mai completamente riposato o sazio, mai completamente asciutto, poter mangiare del cibo caldo era comunque una benedizione. Non solo per il conforto fisico, ma anche perché il drow lo stava trattando bene, o almeno, bene per uno schiavo. Pochi schiavisti si sarebbero preoccupati di portare i prigionieri in una locanda o addirittura di comprargli un pasto caldo.
Il fiero adepto di Graz’zt non provava alcuna gratitudine per quel trattamento, il suo buonumore era frutto solo dei suoi ragionamenti e calcoli; se il drow lo stava trattando bene, allora aveva in mente qualcosa per lui. Qualcosa che forse Kilchar avrebbe potuto rigirare a suo vantaggio.
Più tardi l’elfo scuro lo trascinò su per una ripida rampa di scale, e presto si lasciarono alle spalle il baccano della sala comune della taverna. Parlando con i proprietari, si era procurato una chiave e adesso stava armeggiando per aprire la serratura di una delle porte. C’erano solo tre porte su quel pianerottolo, ma non era strano, gli edifici di Skullport si sviluppavano soprattutto in verticale.
Con qualche protesta e cigolio la porta si aprì, rivelando una stanzetta senza infamia e senza lode. Nephlyre si accorse con uno sguardo che c’era un solo letto, pensato per ospitare una sola persona. Gemette sottovoce. Aveva sempre odiato dormire per terra. Forse… gettò un’occhiata fugace al drow, per capire se ci fosse la speranza di convincerlo a condividere, ma l’arcigno schiavista non lo stava nemmeno guardando. Gli diede una spinta, costringendolo ad entrare nella stanza.
“Se devi fare le tue cose, lì dentro c’è un buco” gli disse soltanto, indicando un angolo della stanza in cui c’era una porticina così stretta che un umano ci sarebbe passato a malapena. Il tiefling ci mise un attimo a capire cosa intendesse. “Se ricordo bene ci dovrebbe essere anche una bacinella d’acqua. Fai con comodo.” Poi fece qualcosa che Nephlyre non si aspettava: gli slegò i polsi.
Il primo pensiero del demonologo fu ovviamente la fuga. C’era qualche speranza? La sua mente lavorò rapidamente, vagliando la disposizione della stanza, considerando il guerriero che stava fra lui e l’uscita, e la scarsa possibilità di scappare da un buco di scarico, che di solito non era più largo di un braccio. No, probabilmente non aveva la minima possibilità.
Sospirò e si massaggiò i polsi, deciso a fare ancora buon viso a cattivo gioco.
Il bagno era veramente piccolo e scomodo, ma almeno era pulito. Era più di quanto si aspettasse da una locanda nella zona del porto. Dopo aver fatto quello che doveva fare si lavò al meglio delle sue possibilità con quel mezzo secchio d’acqua che aveva a disposizione, usandola tutta perché non gliene fregava niente di lasciarne un po’ per il drow. Stava già vivendo molto al di sotto dei suoi standard.
Quando tornò nella stanza da letto, fu sorpreso di vedere che l’elfo scuro si era seduto sul piccolo sgabello che prima stazionava accanto al letto. L’aveva spostato contro la porta, in modo da potersi appoggiare con la schiena e impedirgli la fuga.
“Vai a letto” gli disse il guerriero, in tono annoiato.
Le labbra di Nephlyre si piegarono in un sorrisetto malizioso senza che lui potesse evitarlo, perché se ci avesse riflettuto un momento si sarebbe accorto che quell’invito mancava del tutto di interesse. Portò le mani al colletto della camicia e fece per sfilarsela, cosa che non sarebbe stata semplice perché gli stava un po’ troppo stretta. Da quel che aveva capito erano vestiti del drow, che era più basso di lui di almeno una spanna.
“Non ti ho detto di spogliarti” lo fermò il suo carceriere. “E non ti consiglio di farlo, le lenzuola qui sono ruvide. Certo, non sono io che mi sono appena fatto un tuffo nell’acido, quindi che ne so.”
Il tiefling sentì la sua espressione suadente che si scioglieva in una smorfia di frustrazione. Cercò di dominarsi, ma qualcosa in questo elfo gli faceva perdere le staffe. Si concentrò al massimo per recuperare il suo sorriso mellifluo.
Qualcosa dovrò pur togliermi, e ti assicuro che sono molto meglio quando ho libertà di movimento.” Tentò di recuperare, passandosi la lingua sulle labbra.

Daren scrollò le spalle, per dissimulare un brivido d’orrore.
“Non devi avere libertà di movimento, tu sei un prigioniero. Hai presente?, vuol dire che non puoi fare quello che ti pare. Anzi, trovati una posizione comoda perché poi ti dovrò legare.”
“Uh… va bene, facciamo a modo tuo.” Il tiefling fece le fusa come un gatto. Inquietante. “Ti piace avere il controllo, lo rispetto.”
L’elfo nero alzò gli occhi al soffitto, chiedendosi se questo dannato… be’, dannato, tecnicamente… avrebbe mai gettato la spugna.
“Sì, già, mi piace avere il controllo. Sdraiati sul letto.”
Il cabalista di Graz’zt ubbidì, compiacente. Restò a guardare con un sorrisetto di vittoria mentre il guerriero gli legava i polsi alla testiera del letto, continuò a sorridere (anche se un po’ più incerto) quando gli infilò un bavaglio in bocca… ma alla fine, quando Daren tornò al suo sgabello e si sedette per fare la guardia, un’ombra di sospetto cominciò a farsi strada nel suo sguardo.
Poco dopo il drow frugò nel suo zaino e ne estrasse un libro, e per il tiefling l’umiliazione fu semplicemente troppo da sopportare.
“Hm! Hmu, hmw, nhn vhrhm lhshm hm!”
Daren mise un dito fra le pagine che stava leggendo per non perdere il segno e alzò gli occhi, fulminandolo con lo sguardo.
“Talona damigiana con tutti i diavoli dentro e Bane come tappo!” Sbottò, perdendo la pazienza. “Ti ho messo un bavaglio, questo non ti suggerisce che dovresti stare zitto?”
Il prigioniero lo trapassò con un’occhiata così offesa, infuriata e velenosa da essere terribilmente comica.
“Un consiglio amichevole. Non sai quando potrai dormire di nuovo in un letto. Quindi prendi le cose come vengono e smetti di cercare di assumere il controllo della situazione. Non succederà. Tu non mi interessi, e non interessi alla mia compagna di viaggio. Non sei niente per noi, faresti meglio a non attirare l’attenzione. Cerca di prendere sonno e non costringermi a picchiarti finché non svieni.” All’inizio il suo tono era neutro come al solito, ma verso la fine la sua voce lasciava trasparire una vera minaccia.

Nephlyre Kilchar era sopravvissuto a cose molto peggiori, perché era capace di comprendere quando era il caso di tenere un profilo basso. Odiava farlo. Sperava di essersi lasciato alle spalle quella debolezza, quel senso di impotenza. Non era più un reietto, uno scherzo della natura; era uno dei migliori cabalisti di Graz’zt, Signore degli inganni e delle lusinghe! Nessuno avrebbe dovuto osare resistergli!
Però quella volta la dura realtà si stava prendendo gioco della sua competenza, della sua crescita interiore e della sua sicurezza di sé. Cercare di sedurre quel drow era come cercare di sedurre un comodino.
Aggrottò la fronte e si arrese a fissare il soffitto, imbronciato. Non sapeva se sarebbe riuscito a dormire, la sua situazione lo preoccupava troppo. Non riusciva a capire le motivazioni del suo carceriere. Gli aveva ceduto l’unico letto, ma non per approfittarsi di lui. Lo stava trattando meglio di un normale schiavo, ma perché? A chi aveva intenzione di venderlo? Il fatto di non capire lo spaventava più delle minacce esplicite.
Alla fine si addormentò per la stanchezza, senza accorgersene, e sognò di essere venduto ai suoi stessi compagni che poi finivano per sacrificarlo per i suoi fallimenti.

           

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Capitolo 10
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 10) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 10)


Dee Dee si era svegliata con una spalla anchilosata a causa della posizione scomoda in cui aveva dormito, ma il problema era rientrato da solo grazie alla sua semplice routine di ginnastica mattutina. In realtà non sapeva se fosse mattina, ma dentro di sé chiamava ancora così il momento che seguiva il risveglio. C’erano abitudini troppo radicate nella sua natura di abitante della Superficie, e ancora non era riuscita a rinunciare a calcolare il tempo anche se viveva nel sottosuolo da mesi.
Una decina di minuti di esercizi fecero miracoli per recuperare mobilità muscolare, e Dee Dee si chiese, non per la prima volta, se l’essere una mezza vampira influisse su questo. Daren le aveva detto che era eccezionalmente forte e resistente per la sua stazza, e prima di lui anche Valaghar aveva espresso un parere simile. Il suo corpo poteva guarire velocemente dalle ferite, forse la sua natura contaminata da influenze non-morte paradossalmente l’aiutava a riprendersi prima anche dalle infermità e dalle malattie… era strano, se si fermava a pensarci, che essere una mezza non morta le permettesse di sopravvivere più facilmente.
Quando si sentì pronta, si lavò brevemente di nuovo e controllò il suo equipaggiamento, mentre faceva piani per la giornata. La sera prima non si era guardata intorno con molta cura, fidandosi dei suoi ospiti, ma ora era curiosa. Si trovava in un posto nuovo, non sapeva dove andare, non sapeva dove non andare (era in un tempio, quindi c’erano per forza dei luoghi interdetti agli estranei), e non sapeva con chi parlare. Le uniche persone che conosceva erano Raeliana, la sacerdotessa con quello strano senso dell’umorismo, e Adinvyr, il giovane che stava di guardia al fiume. Aveva incontrato altre persone da quando era arrivata, ma non sapeva i loro nomi.
Già, Adinvyr. Avevano una mezza promessa di incontrarsi alle caserme per una schermaglia di addestramento, ma Dee Dee si sentiva un po’ in imbarazzo per via del modo in cui gliel’aveva proposto. Era davvero una ragazzina goffa, quando si trattava di interagire con i ragazzi, ma a sua discolpa non le era mai successo di volerlo fare, prima.
Accidenti, si rimproverò, nascondendo il viso fra le mani nella privacy della sua stanza. Dovrò raccogliere un bel po’ di coraggio prima di presentarmi alle caserme, oggi. A parte che non so nemmeno dove siano… e comunque prima devo parlare con Qilué Veladorn, chiunque sia. Ho già consegnato il prigioniero, ma devo portare a termine il mio compito. Aprì la scarsella magica e ne tirò fuori la pergamena, che all’ingresso non le avevano requisito. Se gli ordini erano che la consegnasse a Qilué in persona, così lei avrebbe fatto.
Uscì dalla sua stanza, sentendosi stranamente sola anche se era in un luogo pieno di gente.
Si trovava in una caverna dalla forma più o meno circolare, anche se frastagliata. Il diametro sarà stato di una trentina di metri o poco più, ma dalla sua posizione Dee Dee trovava difficile stabilirlo. C’erano molti edifici costruiti in pietra, e il pavimento della caverna non era pianeggiante, presentava salite e discese e c’erano stradine che sembravano perdersi sotto ad altre strade diventando cunicoli sotterranei, mentre altre ancora si sollevavano dal livello del terreno costeggiando edifici e diventando ponti, solo per poi tornare a essere normali strade quando si appoggiavano ad una piattaforma o a un gradone di roccia più in alto. Alcuni di quei camminamenti erano di sicuro artificiali, altri lasciavano qualche dubbio. Case edificate in solida pietra si affiancavano a caverne scavate nella parete per ricavarne abitazioni. Qualcuno ci aveva messo molto impegno, nel progettare quel luogo. Per qualche ragione l’intera caverna era illuminata da fuochi fatati verdi e blu, oltre che dalla presenza di licheni fosforescenti per natura.
Ieri c’era una maga halfling in un posto di guardia, rammentò. Forse qui non vivono solo drow?
La sua domanda trovò implicita risposta quando due soldatesse le passarono accanto, chiaramente dirette a pattugliare qualche altra zona, e una delle due era umana. Dee Dee se ne accorse dal profumo secco e caldo del suo sangue, prima ancora di vederla. I drow avevano sangue più dolce, ma anche più acidulo. Dee Dee sentiva la mancanza del sangue umano da quando si era attaccata al collo dell’adepto di Juiblex per indebolirlo, ma riuscì a trattenersi senza problemi; aveva bevuto solo il giorno prima, da Daren. Sarebbe stata… non proprio sazia, ma almeno capace di controllare la sete, per altri due o tre giorni. Certo stare in mezzo a tutta quella gente non aiutava. Il loro profumo era una tentazione continua.
Dee Dee scattò per correre dietro alle due guardie che l’avevano appena superata.
“Perdonatemi, cerco Qilué Veladorn, mi potete dire dove…?”
“La sua magione è quella molto grande, e molto illuminata, scavata nella parete orientale. Ma non c’è certezza che ora sia lì, potrebbe essere a pregare o impegnata in altro modo. Sei una visitatrice?”
Dee Dee annuì, sorpresa dai modi spiccioli della soldatessa. Forse era una cosa tipica degli umani, per via della loro vita breve.
“Se hai comunicato alle guardie agli ingressi che vuoi conferire con la Gran Sacerdotessa, sarà lei a trovarti.” Promise la guardia drow.
Dee Dee fece spallucce e le lasciò andare, ma dentro di sé non era di umore tanto roseo. Non era abituata ad avere a che fare con la gerarchia, non era una grande ammiratrice delle chiese in generale, e tutto questo cominciava a darle un po’ sui nervi.
Decise di andare un po’ in giro a zonzo, almeno in quella caverna, e scoprì che verso il centro c’era un grosso edificio in cui venivano alloggiati gli ospiti più rispettati; fu inevitabile fare mentalmente il confronto con la caverna laterale in cui avevano ospitato lei.
La giovane si accigliò, chiedendosi se quell’accoglienza tiepida fosse dovuta al fatto che era una dhampir, o se fosse perché la sua missione era di natura incerta. Lei stessa non sapeva perché si trovasse in quel luogo.
Ad ogni modo, per quanto con reticenza, le avevano dato un letto e del cibo, quindi lei si sentiva in dovere di sdebitarsi. Valaghar le aveva insegnato che era meglio non dare per scontata la gentilezza altrui, e che rendersi utile era un buon metodo per farsi benvolere. Gironzolando intorno alla casa degli ospiti più onorati, quasi andò a sbattere contro un nano canuto senza un braccio che lavorava nelle cucine ed era uscito a ritirare una consegna. In breve si ritrovò a scambiare due chiacchiere e a trasportare all’interno le sue casse di tuberi.
Venne fuori che il nano si chiamava Podlen, si trovava lì per lealtà verso una sacerdotessa che gli aveva salvato la vita, e in gioventù era stato un fabbro. Senza più un clan e senza un braccio, il nano si era reinventato come cuoco, e Dee Dee passò un’allegra mattinata aiutandolo con i lavori più semplici mentre lui le raccontava storie della sua vita e antiche leggende naniche. La dhampir rimase in silenzio per quasi tutto il tempo, affascinata. Le piaceva ascoltare antiche storie. Quando era bambina, nella corrotta cittadella dei non morti in cui era cresciuta, era riuscita a trovare un angolino di pace proprio nello studio di un lich millenario che per lavoro scriveva enormi tomi sulla storia del Netheril. Nei giorni in cui si accorgeva che Dee Dee era riuscita a sgattaiolare nel suo studio, si metteva a leggere ad alta voce quello che stava scrivendo, senza curarsi di partire dall’inizio o di rendere la storia in qualche modo interessante. Non era un gran narratore, specialmente per una bambina, ma Dee Dee gli era grata per quelle piccole attenzioni. Lui riconosceva la sua esistenza, e la lasciava stare. Non la terrorizzava, non cercava di convincerla a diventare un vampiro, non la torturava. In breve tempo lei aveva iniziato a trarre un grandissimo conforto da quelle infinite e noiose storie, quelle sequele di date e nomi impossibili da memorizzare.
I racconti di Podlen erano molto più interessanti. Parlavano di antichi re sotto la montagna, di dèi che si davano battaglia, di eroi che ispiravano eserciti e le cui gesta riverberavano attraverso i secoli. O forse era solo il modo di narrare, che era diverso.
“Fei ficuro di non effere un bardo?” gli domandò ad un certo punto, approfittando di un momento di silenzio.
“Che dici? Ogni nano è fiero delle proprie origini! E se non lo è” annunciò, agitando un mestolo con aria minacciosa “gli spacco il mio scettro sulla testa, altro che! Ma ora prendimi quella pentola, ragazza. Sei forte, anche se sei così gracilina.” Indicò con disinvoltura un pentolone che era più grosso di lei, in cima a un armadio. “Per quando Meryl tornerà devo aver messo a cuocere lo stufato.”
“Chi è Meryl?” domandò la biondina, arrampicandosi con agio su una scala a pioli e sollevando il grosso pentolone per un manico. Era pesante, ma nulla che non potesse gestire.
“Pah! Chi è Meryl? Nessun’altra che Meryl Vyrmoth, capocuoca di questa magione, e che dico, miglior cuoca del tempio e della città messi insieme. Il mio capo, insomma.”
“La citt… oh, Fkullport? Quindi non fei tu il cuoco di quefta cafa?”
“Hai davvero una pronuncia strana, ragazza, te l’hanno mai detto?”
“Colpa dei canini” si scusò Dee Dee.
“Bah! Io sono un aiutante cuoco. Sono anche bravo, eh, la cucina era la mia passione. Un fabbro deve avere uno svago, ogni tanto. Ma sul serio pensavi che un cuoco con un braccio solo potesse cucinare tutto quello che serve qui? Ascolta un vecchio nano, ragazza… e io lo sono, eh, molto vecchio, e anche molto nano, che Moradin mi prenda a calci se non è vero! Un nano con un braccio solo può suonarle a un orco, e può suonarle anche a un drow se serve, ma non può pelare radici e non può cucinare un pranzo per venti persone. No, eh! Già che siamo in tema, pelami queste radici, ragazza coi canini.”
Dee Dee fece spallucce, e si mise a pelare radici, mentre lui le raccontava di quella volta che le aveva suonate ad un ogre, pur con un braccio solo.

Quando la cuoca ufficiale arrivò, Dee Dee scoprì che la famosa Meryl Vyrmoth era una donnina all’apparenza simpatica e alla mano, ma che nascondeva un caratterino da rispettare. Non ci entrò in contrasto, ma non fu necessario: c’era qualcosa nel suo modo di parlare, che lasciava intendere Sono qui per servire, ma non sono una serva.
Per esempio, aspettò che Dee Dee avesse finito di lavare i piatti prima di dirle che Qilué Veladorn aveva finalmente chiesto di vederla.
La dhampir non se la prese. Amava tenere le mani in ammollo nell’acqua calda.

La Gran Sacerdotessa l’aspettava nella sua casa. Come le aveva detto la guerriera umana, era l’edificio molto grande sulla parete est. Era più illuminato del resto della caverna, e Dee Dee se ne chiese la ragione. La luce non dava fastidio ai drow? Ad ogni modo non erano affari suoi, quindi allontanò quei dubbi e si avvicinò alla porta. C’era una sola guardia, ma dopo uno scambio di convenevoli chiarirono che la dhampir era attesa, e venne fatta entrare. La ragazza si ritrovò sola in una grande stanza d’ingresso, ma Qilué le venne incontro poco dopo, togliendola d’impiccio.
Dee Dee intuì che fosse lei la padrona di casa, perché si muoveva come se la stanza fosse un’estensione dei suoi abiti, con portamento regale e sicuro. La sua bellezza era a malapena coperta da un abito bianco leggero, quasi trasparente, e nei suoi occhi si intuiva una luce benevola e serena, ma in qualche modo distante.
“Benvenuta, visitatrice. Sono Qilué Veladorn, guida spirituale di questa piccola comunità e… destinataria della tua lettera, suppongo. Spero che non ti sia annoiata nell’attesa.”
Dee Dee aveva la sensazione che la sacerdotessa si stesse sforzando di mettere in fila tutte quelle parole, come se di solito non usasse trattenersi così a lungo con i visitatori. Ma forse era solo una sua impressione, forse partiva prevenuta.
Si riprese dal suo torpore e frugò nella scarsella, tirando fuori la pergamena arrotolata. Non l’aveva aperta, anche se era curiosa. Daren si era fidato di lei.
“Io fono Dee Dee, e fono un’avventuriera… e portatrice di lettere.” Non aveva molto altro da dire su se stessa, e questo la fece sentire un po’ inadeguata. Decise di passare a cose più pratiche. Fece due passi avanti, porgendole la missiva. “Ecco, fignora. Credo che abbia a che fare con il prigioniero… ma oneftamente non l’ho letta e non ne fono certa.”
L’elfa scura prese la pergamena, ma non l’aprì davanti a Dee Dee. La dhampir capì il messaggio, rivolse un leggero inchino alla sacerdotessa e fece per arretrare verso la porta (non voleva voltarle le spalle, le sembrava maleducato).
“Aspetta. Ho sentito dire che hai espresso il desiderio di addestrarti con i nostri soldati… o con uno in particolare?”
Dee Dee arrossì furiosamente, e sulla sua carnagione pallida purtroppo si vedeva moltissimo. “Uh… mi piacerebbe… per… confrontare i noftri ftili di combattimento e… per non impigrirmi troppo” si giustificò.
La donna più anziana annuì con un sorrisetto complice. “Ma certo. I quartieri della milizia sono nella caverna a sud di qui. Fuori da questa casa, subito a sinistra c’è un passaggio. Dovrò leggere la tua missiva e forse mi darà di che riflettere, stasera potrei chiedere ancora di te, ma fino ad allora ritieniti libera.”
“Grazie. Allora… mi farete fapere fe invece non farò neceffaria? Non defidero imporvi la mia prefenza più del dovuto.”
“Non è un’imposizione. Finché ti rendi utile, sei la benvenuta. Sono certa che Meryl ha apprezzato il tuo contributo in cucina” buttò lì, e Dee Dee si chiese come facesse a saperlo “ma a seconda dei tuoi talenti, potremmo trovarti un’occupazione più utile.”
“Io… fono una guerriera e bafta. Non penfo che abbiate penuria di foldati.”
“No, ma due mani in più servono sempre e… forse tu hai anche altre qualità che dai per scontate. Per esempio, una mezza vampira potrebbe sapere molte cose sui non morti.”
Dee Dee sobbalzò, perché non ci aveva pensato. Lei sapeva molte cose sui non morti.
“Certo, fe le mie conofhenze poffono effere utili…”
“La conoscenza è sempre utile” confermò la bella sacerdotessa, e le sue parole ricordavano molto da vicino le opinioni di Daren in merito. Dee Dee si diede della sciocca per non averci pensato.
“Ho anche efplorato buona parte del primo livello, negli ultimi mefi” raccontò, volenterosa. “Da… il mio compagno di viaggio dice che le alleanze e i confini territoriali mutano velocemente, potrei avere informazioni più aggiornate delle voftre se vi intereffa.”
“Potrebbe interessarmi” decise la drow. “Confido di rivederti qui dopo il pasto serale. Ma prima, ti hanno offerto qualcosa da mangiare, da quando ti sei svegliata?”
Dee Dee arrossì ancora, imbarazzata da quelle premure. Non era una bambina.
“Difficile paffare la mattinata nelle cucine fenza mangiare nulla” confessò.
Contro ogni sua previsione, Qilué si lasciò andare in una risata cordiale. Era il tipo di risata che si rivolge a un bambino, ma Dee Dee non se la prese.

Adinvyr era giovane, ma era già un buon guerriero. Daren le aveva accennato al fatto che i drow vengono addestrati nell’uso delle armi fin da ragazzini, ma ora ne aveva la prova; l’elfo scuro non era molto più vecchio di lei, ma già si muoveva con la scioltezza di qualcuno che ha un solido addestramento alle spalle. I suoi movimenti erano automatici, non doveva stare a pensarci, gli affondi e le parate si susseguivano con fluidità.
Un addestramento scolastico però non basta, nella vita reale. Dee Dee aveva imparato a difendersi più o meno quando aveva imparato a camminare. Nessuno le aveva mai insegnato e all’inizio faceva affidamento solo sui suoi canini, sulla sua forza fisica e su armi improvvisate che il terreno di battaglia le offriva. Da bambina aveva imparato soprattutto a colpire l’avversario abbastanza da rallentarlo o distrarlo, e poi scappare. Poi aveva dovuto imparare anche a cacciare, si era nutrita di carne e sangue di troll perché a Warlock’s Crypt non c’era altro per sostentare una persona vivente. Non era stato facile, aveva imparato a giocare d’astuzia e tendere trappole, e aveva iniziato a maneggiare armi vere per poter tagliare pezzi di troll (rubare un piede o una mano era più sicuro che cercare di uccidere un troll intero, tanto la maggior parte di loro non si curavano di inseguirla solo per un piede o una mano). Finalmente, quando lei aveva circa tredici anni, era arrivato Valaghar e l’aveva salvata da quella vita orribile. Non solo le aveva insegnato come comportarsi nella vita, ma in quei pochi anni insieme l’aveva anche addestrata secondo un onesto codice di combattimento. Lui era un paladino, comportarsi bene nella vita e comportarsi bene sul campo di battaglia erano due facce della stessa medaglia.
Quello stile di combattimento l’aveva quasi fatta uccidere, nell’Undermountain. Dee Dee non aveva dubbi che Valaghar sarebbe riuscito a sopravvivere perfino laggiù, ma occorreva una grandissima maestria per combattere correttamente e non soccombere. Lei aveva solo un’infarinatura di scherma e se avesse seguito i precetti del suo vecchio maestro sarebbe morta.
Daren aveva tutto un altro punto di vista sulle battaglie e sul proprio ruolo in relazione agli avversari. Lui partiva dal presupposto che se qualcuno era suo nemico, troppa correttezza non se la meritava. Ogni sua azione in combattimento era finalizzata a vincere o a ingannare. Quando voleva vincere non andava troppo per il sottile; incalzava l’avversario senza pietà e se riusciva a buttarlo a terra di sicuro non gli dava il tempo di rialzarsi. Valaghar invece lo faceva. Se invece Daren si prendeva il disturbo di ingannare qualcuno, probabilmente non aveva intenzione di ucciderlo, e questo dipendeva sempre dalla natura dell’avversario. Aveva raggirato Dee Dee la prima volta in cui avevano combattuto l’uno contro l’altra. Poi aveva mentito ai soldati seguaci di Selvetarm facendo loro credere di essere devoto a Vhaeraun, una divinità rivale, e aveva permesso che uno o due di loro scappassero incolumi per diffondere la notizia.
Dee Dee si stava chiedendo quale tecnica fosse meglio usare contro Adinvyr. Combatteva secondo lo stile drow, anzi, lo stile drow dei seguaci di Eilistraee, mulinando una grossa spada a una mano e mezza. I suoi movimenti erano eleganti e fluidi come una danza. Forse stava dando fin troppa importanza all’estetica, perché c’erano dei momenti (brevi, ma visibili) in cui la sua guardia restava scoperta. Se al posto della ragazza ci fosse stato Valaghar, lui avrebbe apprezzato la bellezza di quell’esecuzione come gesto di rispetto verso una dea buona, e avrebbe combattuto correttamente rispondendo alla forza con la forza. Forse avrebbe visto le falle della difesa di Adinvyr, ma non le avrebbe sfruttate.
Dee Dee decise di sfruttarle. Adinvyr era un drow, viveva in un mondo pericoloso, era molto meglio che quei difetti fossero messi in luce da lei anziché dal suo prossimo vero nemico.
Il guerriero roteò la spada alzandola verso l’alto in un movimento a spirale. La dhampir aveva osservato abbastanza le sue movenze da sapere che sarebbe seguito uno sgualembro dritto, cioè un colpo che anziché calare dritto dall’alto sarebbe giunto in obliquo verso la sua spalla sinistra. Si mosse prima che la spada potesse calare. S’infilò sotto la guardia dell’avversario e alzò il braccio destro, incrociando la sua spada lunga con la bastarda del drow. Voleva spingere la spada più grossa verso l’esterno, ma era troppo pesante, quindi si trovò a doversi girare su se stessa per imprimere forza nel movimento. Riuscì a deviare la bastarda ma si trovò con la schiena contro il petto dell’elfo scuro. Si aspettava che lui avesse un’arma nell’altra mano. Daren l’avrebbe avuta, quindi d’istinto aveva sollevato il pugnale dietro la schiena per parare un affondo che però non venne.
“Non… non hai un’arma nella mano finiftra?” domandò, dopo un istante di silenzio imbarazzato.
“Rendo onore alla mia dea usando la sua arma prediletta” rispose lui, facendo un passo indietro e rimettendosi in posizione di difesa.
Dee Dee lo imitò, voltandosi verso di lui e rilassando le spalle in modo che le sue armi rimanessero ben visibili ai suoi fianchi. Erano una spada lunga e un pugnale da addestramento, senza filo e senza punta, come anche la bastarda di Adinvyr, ma gli altri combattenti si stavano esercitando con armi vere. Forse per lei avevano fatto un’eccezione perché era una visitatrice.
E cosa ne diresti di onorare la tua dea restando in vita? domandò, ma solo nella sua mente. Non aveva una grande opinione della fede religiosa, in generale. Valaghar era morto per onorare il suo dio.
L’idea che un ragazzo così giovane anteponesse l’estetica della sua esibizione e il desiderio di onorare la sua dea a decisioni pragmatiche come vincere una sfida, l’offese profondamente anche se non capiva perché.
Forse perché sospettava che anche Daren seguisse la stessa divinità, e in fondo in fondo era spaventata che un giorno facesse la fine di Valaghar. Alla fine, in tutto quel tempo, quante volte si era immischiato in situazioni che non lo riguardavano? Praticamente sempre? Perché lo aveva fatto?
Quando Adinvyr l’attaccò di nuovo, Dee Dee decise che avrebbe giocato sporco. La battaglia fu molto rapida. Dee Dee permise all’avversario di disarmarla facendole volare via la spada lunga, cosa che lo convinse di essere in vantaggio, ma poi il loro scontro si concluse con il drow atterrato sulla pietra dura del campo d’addestramento e la dhampir sopra di lui, troppo vicina per poter essere colpita con la bastarda, il pugnale puntato contro il polso di Adinvyr in modo da tenere la mano armata a distanza, e i suoi denti appuntiti poggiati contro il suo collo esposto.
“Ora fei morto” sussurrò Dee Dee, sfiorandogli appena la pelle. Lui provava disagio, anche una punta di paura, e questo per fortuna rendeva il suo sangue meno appetibile. Alcuni vampiri si eccitavano sentendo la paura delle loro vittime, ma per Dee Dee era un grosso deterrente. Si alzò a sedere, notando solo in quel momento che alcuni altri guerrieri intorno a lei avevano messo mano alla spada. Si rialzò in piedi con grazia, porgendo una mano ad Adinvyr.
“Hai giocato sporco” protestò lui, tastandosi il collo dove i denti di lei l’avevano sfiorato. Non aveva neanche un graffio. A quel punto accettò la sua mano per rialzarsi.
“Ho giocato fporco e tu fei morto” insistette lei. Era sconcertata che un drow avesse appena protestato per un inganno in combattimento. Se ci fosse stato Daren probabilmente lo avrebbe preso a calci dove non batte il sole. Cioè dappertutto, siccome erano sottoterra.
Adinvyr scosse la testa, ma poi sorrise accettando quella logica. “Si vede che sei un’avventuriera. Non vai per il sottile.” Ora non suonava più come una recriminazione, ma come un complimento.
Dee Dee gli sorrise, andò a recuperare la spada lunga e si rimise in posizione d’attacco. Aspettò che lui le facesse cenno di cominciare. Non voleva insistere nel giocare sporco.
Si addestrarono insieme per un’altra oretta, poi furono organizzati dei combattimenti a squadre e Dee Dee e il suo nuovo amico si trovarono dalla stessa parte, per un po’. Non era male neanche così, ma la loro squadra perse miseramente contro alcune sacerdotesse guerriere più esperte. La dhampir non se la prese, era sempre bello imparare qualcosa di nuovo.

Le squadre vennero modificate diverse volte, in modo che tutti si abituassero a combattere con tutti, e Dee Dee si ritrovò la maggior parte delle volte nella squadra perdente. Un paio di volte fu anche colpa sua, perché aveva uno stile di combattimento troppo individualista e poco portato alla cooperazione. Era abituata a girare con uno che sapeva difendersi molto meglio di lei, quindi non le veniva naturale tenere d’occhio i suoi alleati. Era sempre stata lei quella debole, fino a quel momento, invece nell’addestramento non era così e all’inizio non l’aveva capito; si sentì tremendamente in colpa quando una sua compagna di squadra, una ragazza umana che si impegnava molto ma non aveva talento, si prese una spadata di piatto contro la tempia e cadde a terra come un sacco di patate. Dopo quell’incidente Dee Dee si ritirò dai combattimenti per accompagnare la ragazza in infermeria.
A onor del vero, una volta avevano anche vinto per merito suo, perché aveva individuato correttamente l’avversaria più forte ed era riuscita ad abbatterla, sollevando il morale della sua squadra e affossando quello degli avversari. Ma in generale le sacerdotesse avevano capito che non era abituata a lavorare in gruppo e gliel’avevano fatto notare.
Dee Dee ci ripensò con serietà, mentre la giovane Calsica veniva medicata da un’accolita. Per fortuna la donna non sembrava essersela presa, e voleva tornare all’addestramento prima che terminasse.
“Tu fei umana, come mai fei una feguace cofì fervente di una dea drow?” Le domandò, mentre finivano di bendarle la fronte.
“Facevo parte di un gruppo di schiavi diretti a Skullport, tre anni fa, e le sacerdotesse della Signora della Danza mi hanno liberata. Ero un’avventuriera mercenaria prima di essere catturata e ridotta in schiavitù” raccontò la donna, e in effetti parlava la lingua comune della Superficie con fluidità. “Non ho una vera vita a cui tornare, i miei compagni erano morti e non mi andava più di rischiare la vita solo in cambio di soldi. Questa gente mi ha dato una casa e mi ha dato un ideale più alto. Sono in debito, e la mia devozione è il minimo che possa offrire in cambio.”
Ricordando la facilità con cui Calsica era stata atterrata, Dee Dee cominciava a sospettare che non fosse un granché, come mercenaria, e che l’avessero catturata per questo.
Molte persone qui devono avere una storia simile… spiegherebbe come mai c’è un così grande numero di fedeli che non sono drow, considerò, mandando a mente quanti umani, halfling, mezzi-umani o persone di altre razze aveva visto in quel tempio dal giorno prima. I drow erano comunque la maggioranza, ma non si era aspettata di trovare anche persone che avrebbero vissuto sicuramente meglio in Superficie.
Decise di non tornare al cortile degli addestramenti. Si trattenne per un po’ nell’infermeria e aiutò l’accolita a mettere in ordine e a svolgere i quotidiani compiti di pulizia, poi tornò verso il suo alloggio. Nonostante tutto, era stanca. Aveva preso un po’ di botte che la sua resistenza sovrannaturale aveva guarito quasi subito, ma ora sentiva il peso di quella giornata piena. Non riusciva a spiegarselo, di solito la sua routine era anche più stancante di così…
Quando si chiuse alle spalle la porta del suo alloggio sentì un profondo sollievo, e allora capì. Il problema era stare gomito a gomito con così tante persone, tutte insieme. Non ci era abituata ed era stato più stancante che combattere o lavorare.
Qualcuno aveva lasciato del cibo e dell’acqua sul suo tavolo di pietra. Dee Dee si lavò, poi si riposò un’oretta e infine consumò il suo pasto serale, anche se controvoglia. Non aveva dimenticato che Qilué Veladorn aveva espresso il desiderio di rivederla, quella sera.

Quando tornò alla magione della Gran Sacerdotessa non era più in soggezione come quella mattina e riuscì ad apprezzarne maggiormente la bellezza. Non era un edificio pomposo come quelli che aveva visto a Waterdeep, era comunque una casa scavata nella pietra e che si adattava bene allo stile di vita semplice del tempio, però i drow avevano uno spiccato senso estetico e ogni curvatura della roccia, ogni bassorilievo o dettaglio, erano sottolineati con grazia da luminescenze di colori diversi. Se doveva basarsi sulle sue osservazioni di quel giorno, Eilistraee doveva essere una dea che dava importanza alle arti e alla bellezza. Perfino lo stile di combattimento di quella gente doveva somigliare a una danza.
Per i suoi gusti era tutto un po’ troppo poco pratico. Le sembrava che fosse un limite, come per Valaghar era un limite il dovere di essere sempre corretto e onesto.
Attese Qilué nel vasto atrio in cui l’avevano fatta accomodare anche quella mattina. C’era un divanetto e Dee Dee, dopo una decina di minuti, decise di approfittarne. Cominciava a pensare di essere venuta troppo presto. Forse era di troppo. Forse la religiosa non si trovava nemmeno lì.
Poi però sentì delle voci avvicinarsi alla porta che dava verso le stanze più interne. Le parole non giungevano chiarissime, ma Dee Dee aveva un udito eccellente.
“...non sono anch’essi figli di questo mondo?” chiese una voce femminile, soffocata dallo spessore della porta di legno di fungo.
Una breve pausa, in cui si sentì qualcuno armeggiare con la chiave nella toppa.
“Ora penso di capire” cominciò la seconda voce, poi divenne più chiara quando la porta si aprì “la ragione del vostro rifiuto.” A Dee Dee sembrava la voce della Gran Sacerdotessa.
“Vi ho sconvolta?” continuò la prima voce.
Qilué aprì la porta e si accorse della presenza di Dee Dee. Se provò disagio, non lo diede a vedere.
“Mi avete sorpresa, piuttosto” sorrise all’altra donna, che era anch’essa una drow. “Vi auguro un viaggio di ritorno rapido e sicuro.”
“Grazie, lo spero anch'io. Scendere quaggiù è stata una strada in salita." Scherzò. "Non sono certa di cosa dovrei augurarvi in cambio… vittoria e fortuna, immagino.” La drow sconosciuta controllò che la sua borsa fosse ben chiusa, indossò un cappello a punta, fece un cenno di saluto a Dee Dee e si diresse con passo sicuro verso la porta.
La ragazza la seguì con lo sguardo, incuriosita. Era vestita con abiti da viaggio molto banali, di lana leggera e cotone, e i suoi stivali di cuoio pesante avevano visto giorni migliori. Il suo cappello era floscio da un lato ed era stato rattoppato diverse volte. La dhampir non emise fiato finché la visitatrice non fu lontana, ma poi diede voce ai suoi dubbi.
“Perché un cappello? Quaggiù non piove.”
Qilué sorrise con una certa condiscendenza. “Sospetto che sia più che altro un simbolo. Chiederesti a una regina perché indossa la corona?”
Dee Dee spostò lo sguardo sulla sacerdotessa, che ai suoi occhi sembrava una regina molto più di quell’avventuriera vestita da contadina. “Boh? Non ne ho mai vifta una.”
“La lettera che mi hai portato conteneva rivelazioni interessanti” esordì la drow, introducendo l’argomento principale. “Presto ti chiederò di approfondire il racconto della tua disavventura nel tempio di Juiblex, dove hai catturato quel malvagio cultista. Io ed altre sacerdotesse abbiamo dei dettagli da considerare ed il tuo racconto ci aiuterà. Prima però è necessario che ti avverta: il tuo compagno… non è benvisto da tutti, qui. Da me sì, ma questo è un segreto. Ci sono persone in questo tempio che lo giudicano un poco di buono, niente più che una spia di Skullport o un mercenario. Altre non considerano nemmeno la sua esistenza. Fra le sacerdotesse che conoscerai più tardi, vedrai anche una drow con una bambina piccola. Vorrei che tu riferissi a… al nostro amico” ci pensò un istante, vagliando diverse opzioni. “Solo che le hai viste e che stanno bene.”
“Oh” Dee Dee cercò di ricordare se Daren le avesse mai parlato di una compagna, una figlia, o forse una sorella. Non le veniva in mente nulla. “Fono perfone importanti? Cioè… per lui?”
Qilué rispose al suo sguardo interrogativo con un’espressione di incertezza che non dava risposta.
“Potrebbero esserlo. Non ne sono sicura.”
In quel momento arrivò un’altra soldatessa, una mezza drow vestita con un’armatura leggera che non faceva nulla per mascherare le sue forme. Qilué fece un cenno di saluto alla donna e sembrò riconoscente per quell’arrivo provvidenziale.
“Rylla. Vieni, ti prego. In quanto comandante delle guardie del tempio e dei nostri Cavalieri del Cantoscuro, ho necessità di discutere con te alcuni… dettagli che sono emersi di recente. Questa ragazza si chiama Dee Dee” la presentò alla nuova arrivata “ed è lei che ci ha portato il prigioniero. Ha qualcosa di interessante da raccontarci.”

           

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Capitolo 12
*** 1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 11) ***


1364 DR: Scendere è una strada in salita (Parte 11)


Dee Dee non aveva dovuto attendere a lungo: presto si era radunato un piccolo consiglio di persone, tutte donne, forse tutte sacerdotesse. Nonostante il loro numero ridotto, l'importanza di quel raduno non era minimamente intaccata perché era chiaro perfino a un'estranea che quelle erano le persone più centrali del tempio. Insieme a Qilué e alla donna che si era presentata come Rylla, comandante dei Cavalieri del Cantoscuro, c'era una sacerdotessa minuta come una bambola di nome Iljrene il cui rango a Dee Dee non era molto chiaro, e c'era la preannunciata drow con una bambina.

“Abbiamo ricevuto una comunicazione interessante a proposito dei nostri antichi nemici” annunciò Qilué alle altre donne. “Mi riferisco ai seguaci dell’Occhio Antico.”
La drow con la bambina sollevò una mano per coprire il capo di sua figlia, come se temesse che quelle sole parole potessero farle male.
“Non è troppo rischioso nominarlo? Davanti a lei, intendo?”
Ma sta parlando di me? Si chiese la dhampir, un po’ infastidita. Si riferisce a me come se non ci fossi?
“Per questo non ho fatto il suo nome, nemmeno se ci troviamo sotto la protezione di Eilistraee” fece notare Qilué, “ma sentiti libera di portare la piccola nella nursery se non vuoi che oda i nostri discorsi.”
Dee Dee arrossì un pochino per l’imbarazzo. Aveva pensato male, mettendosi subito sulla difensiva. Però a sua discolpa non capiva quel discorso: la bimba drow era troppo piccola per comprendere il significato delle parole, quindi perché preoccuparsene?
La madre comunque ci pensò un momento, poi annuì. “Se potete scusarmi, torno fra qualche minuto.”
Le altre due non sembrarono infastidite da quella dilazione. Dee Dee lo trovava un po’ strano… ma dopotutto, si disse, non erano affari suoi.
Qilué comunque non aspettò il ritorno della loro collega; poggiò sul tavolo la lettera che Dee Dee aveva consegnato e la fece scivolare verso Rylla, come se contenesse informazioni strettamente confidenziali. Non fu una mossa semplice, visto che il tavolo era ingombro di mappe e pergamene buttatevi sopra alla rinfusa.
La sacerdotessa mezzadrow lesse la lettera con qualche difficoltà.
“Chi ha una grafia così terribile? Capisco a malapena le parole.”
Qilué sorrise bonariamente, mentre a Dee Dee sfuggiva un ghigno divertito. Ignorava quel dettaglio sul suo compagno di avventure.
“Un amico, di cui non posso fare il nome. È più bravo con la spada che con la penna.”
“Lo vedo” commentò l’altra, assorta nella lettura. “Un tempio di Juiblex? Sgominato da un maschio?”
“Io ho dato una mano” bofonchiò Dee Dee.
Le due elfe scure si girarono verso di lei come se si fossero ricordate solo allora della sua presenza. Dee Dee arrossì, e sulla sua pelle cadaverica si vedeva subito.
“Be’, un po’” insistette.
“Per questo sei qui, gentile visitatrice” Qilué Veladorn le sorrise come a volerle trasmettere che era tutto a posto. “Per raccontare ciò che hai visto e che hai combattuto in quel tempio.”
Rylla aveva finito di leggere, quindi passò la pergamena nuovamente a Qilué. In quel momento l’altra sacerdotessa tornò nella stanza, stavolta senza bambina al seguito.
“Ben tornata, Li’Neerlay. Stavamo per discutere le notizie che abbiamo ricevuto. Vuoi leggere la missiva del nostro informatore?”
La sacerdotessa si fece passare la lettera, ci gettò solo uno sguardo e storse la bocca. “Che calligrafia tremenda. Mi fiderò del vostro riassunto.”
“Un tempio di Juiblex è stato trovato e distrutto al secondo livello di questo dungeon. Se fosse teatro regolare di celebrazioni o solo un luogo per incontri saltuari, non lo sappiamo. Il culto di Juiblex di solito non è molto strutturato.”
“Distrutto? Bene” commentò seccamente la sacerdotessa chiamata Li’Neerlay. “Chi è stato? Avventurieri?” La domanda venne accompagnata da un rapido sguardo in direzione della dhampir.
“Sono stati questa giovane elfa e un nostro Incognito a debellare quel gruppetto di cultisti” intervenne Rylla, prima che Dee Dee potesse rispondere.
“Un Incognito” Li’Neerlay aggrottò la fronte. “Certo, ha senso. Un Incognito deve essere ancora più forte di un normale guerriero, giacché combatte senza una squadra.”
“C’ero io con lui…” insistette Dee Dee. “Anche fe fono folo un’apprendifta.”
“E hai visto quello che ha visto lui” ricapitolò Qilué. “Hai visto i ghaunadan.”
“Gau… ah fì. Lui ha detto una parola ftrana cofì. Le melme da guerra.” Ricordò, ripetendo la definizione che vi aveva dato lei. “Apparivano come umani, o qualcofa di fimile, ma quando abbiamo provato a colpirli con le fpade… non avevano il cuore, o altri organi a cui mirare. La loro forma cambiava, fi riaggiuftava intorno alle lame. Uno di loro non aveva le mani, ma due fpecie di tentacoli o pinne o qualcofa del genere.”
Le tre donne si guardarono a vicenda.
“La descrizione corrisponde” commentò Rylla. “Per caso li hai visti diventare melme liquide?”
“N… oh fì! Quando fono morti. Due pozzanghere di fchifo.”
“La loro vera forma” sussurrò Qilué. “Ti ringrazio, coraggiosa ragazza. Queste informazioni ci saranno utili.”
“Come mai?” Dee Dee corrugò la fronte. “Già fapevate cof’erano…”
“Ghaunadan”, ripeté l’alta sacerdotessa, “servitori esclusivi di Ghaunadaur, il dio delle melme che è uno dei nostri più antichi nemici.”
“Non avrebbero dovuto trovarsi in un tempio di Juiblex, il signore demoniaco delle melme” ragionò Li’Neerlay. “A meno che…”
“A meno che Juiblex e Ghaunadaur non siano in realtà la stessa entità, o forse uno l’Aspetto dell’altro” concluse Qilué. “Era una cosa che sospettavamo, ma ora ne abbiamo una prova.”[1]
“Mi sorprende che un Incognito, per di più maschio, sia così informato sulle minuzie delle nostre dispute teologiche da capire che questa era un’informazione importante.”
“Ehi! Non è uno ftupido!” S’indignò Dee Dee.
“No, e noi non lo pensiamo” Qilué le rivolse un cenno con il capo. “Rylla intendeva dire che solitamente i drow maschi non si interessano a questioni che riguardano la religione. Ma questo Incognito è ben informato su chi siano i nostri nemici, e odia il Signore delle Melme tanto quanto odia la Regina Ragno.”
Dee Dee rifletté su quel commento come se non sapesse come interpretarlo. Non sapeva cosa fosse una regina ragno, ma non le era sembrato che Daren odiasse particolarmente i ragni. Più di una volta li aveva combattuti ma si era limitato ad allontanarli, con il fuoco o con la magia, definendoli ‘animali privi di intelletto’. Aveva perfino collaborato con Lizy, che era mezza donna e mezza ragno. Però Qilué Veladorn sembrava molto sicura della sua affermazione.
“Che cof’è una regina ragno?” Si decise a chiedere infine.
Le tre donne la guardarono come se avesse appena chiesto che cos’era il sole.
“La dea malvagia a cui molti elfi scuri sono devoti” spiegò Qilué con pazienza. “Più un demone che una dea, dall’aspetto di ragno gigante con il volto di drow. Lei vorrebbe mantenere il nostro popolo soggiogato e prigioniero della sua ragnatela per sempre.”
“È un’astuta ingannatrice, che manipola la realtà come vuole e presenta ai suoi fedeli una visione distorta del mondo” aggiunse Li’Neerlay, la drow che prima aveva con sé la bambina. “Noi ci opponiamo a Lolth e al suo culto ogni volta che ce n'è occasione.”
“Ah… capifco. Il dio delle melme, la dea malvagia dei ragni… fiete fempre in guerra, fe ho capito bene” azzardò. Adesso di sicuro capiva meglio certi comportamenti di Daren, perché si prendesse a cuore certe situazioni che non lo riguardavano.
La sua gente era così. La sua religione lo richiedeva.
“Non per nostra scelta.” Ribatté Li’Neerlay. “Noi speriamo che un giorno il nostro popolo si liberi dalla prigione della sua cultura nociva e torni a ballare sotto le stelle, dove tutti gli elfi dovrebbero stare. Incoraggiamo ogni drow a liberarsi e tornare alla sua antica natura. Ma c’è così tanto da fare, prima. Così tanto da risolvere. I nostri nemici remano contro i nostri sforzi, e di nemici ne abbiamo troppi.”
“Quindi voi reftate qui” comprese Dee Dee. “Nel fottofuolo. Per creare una nuova vita in fuperficie per altri, qualcuno deve ftare quaggiù e… aiutarli? Combattere il male?”
“Entrambe le cose” annuì Qilué. “Abbiamo degli infiltrati in molte città drow per questo scopo. Drow che danzano per la luna, ma in segreto.”
“Come il mio amico?”
Qilué esitò.
“Non proprio. Lui è un Incognito. Non ha il ruolo di prendere contatti con drow che vogliono fuggire dalle città oscure, anche se può farlo in caso di bisogno. No, gli Incogniti hanno altri compiti. Lui non dovrebbe parlare della sua appartenenza a questo culto, se non a persone di cui si fida ciecamente.”
Dee Dee arrossì, non per la prima volta quel giorno. “Lui mi ha parlato… be’, non ha fatto nomi in modo chiaro, ma mi ha detto che apparteneva a un culto e che era un fegreto. Ma fino ad oggi non fapevo nulla della voftra dea. Ora… ora credo di capire meglio come mai fi mette fempre nei guai.”
Più lo conosceva e più temeva che anche lui, un giorno, avrebbe fatto la fine di Valaghar.
Ma se ha una fede da seguire, come mai a volte mi sembra così smarrito?

***


Nello stesso momento, in una chiassosa taverna di Skullport

Nephlyre Kilchar non sapeva cosa pensare della sua giornata. Quella mattina, al risveglio, il drow gli aveva dato un tozzo di pane di fungo da mangiare e gli aveva detto “Sbrigati a fare i tuoi bisogni perché poi usciamo.”
Ma in realtà erano usciti solo dalla stanza. Il suo carceriere aveva voluto che si trattenessero a lungo nel refettorio della locanda, dove aveva parlato per un po’ con i gestori, una coppia di umani già in là con gli anni. L’adepto di Graz’zt si era chiesto se stesse cercando di venderlo, per farlo lavorare lì o qualcosa del genere. Ma non sembrava questo il caso.
In realtà Kilchar si aspettava di essere portato al mercato degli schiavi, quella mattina, ma il tempo era scivolato avanti pigramente, un’ora dopo l’altra, e l’elfo scuro non aveva fatto cenno di voler uscire. Era solo rimasto seduto al loro tavolo, pagando al tiefling un bicchiere di vino (soprattutto per farlo smettere di lagnarsi) e aveva ascoltato le conversazioni nel locale. All’ora di pranzo avevano consumato un pasto insipido che forse era carne o forse era pesce, difficile a dirsi.
“Perché ce ne stiamo qui?” Tentò il cultista, qualche tempo dopo. “Mi si stanno addormentando le gambe a forza di stare seduto.”
“Ottimo, così non proverai a scappare” commentò il drow con leggerezza.
“Pensavo che oggi mi avresti venduto” provò con un altro approccio.
“Sei un prigioniero, non uno schiavo” fu la risposta, inaspettatamente chiarificante, del suo aguzzino.
Un prigioniero? Merda! Kilchar imprecò nella sua mente e il suo volto perse ogni colore. Prigioniero era peggio di schiavo. Gli schiavi passavano di mano, potevano arrivare a un padrone più manipolabile. I prigionieri no. I prigionieri venivano interrogati, torturati, uccisi.
“Sono un tuo prigioniero? O mi conservi per qualcun altro?”
Siamo qui per incontrare il mio nuovo carceriere? Si chiese guardandosi intorno.
“Per il momento starai con me” il drow non si scucì. “Prenderò una decisione dopo che la mia socia sarà tornata. Non posso promettere che il tuo fato sarà migliore di quello del cultista di Juiblex.”
La criptica frase accese un mare di domande nella mente dello scaltro tiefling.

Forse il drow stava aspettando qualcuno, la sua compagna elfa era l'opzione più probabile, ma non arrivò nessuno a parte i normali avventori.
Il pomeriggio trascorse penosamente lento, come era stato per la mattina. L'elfo scuro non sembrava disturbato dalla cosa, doveva essere avvezzo alle lunghe attese, come lo sono spesso i guerrieri e i cacciatori. Per il tiefling la questione era del tutto diversa.
Anche lui era un cacciatore, ma di natura opposta. Non era abituato ad aspettare, non era capace, lui era una creatura di azione. Le sue prede lui le attirava, non restava in paziente attesa che passassero. Peggio ancora, il silenzio e l'ozio forzato lo costringevano a rimanere da solo con i suoi pensieri. Una cosa che Nephlyre Kilchar avrebbe voluto evitare, perché in quel momento i suoi pensieri erano angoscianti e ossessivi.
Era stato abbandonato dal suo culto, nonostante avesse passato i precedenti dieci anni a dimostrare il suo valore e la sua utilità. Era stato abbandonato anche dallo stesso Graz’zt. Lui sapeva che il suo signore non era clemente con chi falliva, non era incline al perdono. A Nephlyre questo non era mai importato, finché era convinto di non poter fallire. Finché era convinto che sarebbe riuscito sempre, per sempre, ad attirare e corrompere qualcuno ogni giorno. Il suo padrone richiedeva un sacrificio ogni giorno, un sacrificio ottenuto attraverso la seduzione, l'ammaliamento e le lusinghe.
Da quanti giorni il bel tiefling non sacrificava nessuno? Quante volte aveva deluso il suo signore demoniaco?
Graz'zt gli aveva ritirato la sua benedizione molto tempo fa, abbandonandolo proprio quando avrebbe avuto più bisogno dei poteri conferiti dal demone per fuggire alla cattura. Era rimasto per ore all'interno di una vasca di acido completamente impotente perché Graz'zt non aveva più risposto alle sue preghiere.
Finché poteva muoversi, parlare, interagire con la gente, Kilchar poteva quasi permettersi di illudersi ancora di essere lo stesso di prima, la creatura astuta e sfuggente che avrebbe sempre trovato una via per svicolare dai problemi e tornare sulla cresta dell'onda.
Trovandosi costretto a rimanere in silenzio e in isolamento, invece, non poteva fare altro che affrontare la realtà. E perdere.
Era stato sconfitto dalla vita.
La stessa vita che lo aveva sempre preso a pesci in faccia.
La vita su cui lui credeva di essere riuscito a vendicarsi, trovando potere e soddisfazione nell'abbraccio oscuro del culto di Graz'zt.
Nessuno gli avrebbe mai regalato nulla, era un tiefling, anche se assomigliava molto ad un umano le persone in qualche modo si rendevano conto che lui era diverso. Tutti lo avevano sempre temuto, e di conseguenza lo avevano odiato. Se voleva della sicurezza, poteva ottenerla solo attraverso il potere. E se voleva il potere, poteva ottenerlo solo con la crudeltà.
Quello non era mai stato un problema. Al mondo, lui non doveva nulla, se non una giusta vendetta. Gli piaceva sacrificare una persona al giorno. Gli piaceva sedurre e fare innamorare quegli stessi umani che un tempo gli avevano lanciato le pietre.
Essere un cultista di Graz'zt gli aveva donato due grandi piaceri, la vendetta e il potere. Queste due cose insieme avevano rafforzato la sua autostima e gli avevano dato un nuovo senso di sicurezza. Era lui il predatore adesso. Non era più una preda.
E tutto questo aveva funzionato, finché non era diventato di nuovo una preda.
Quando era stato catturato dai cultisti di Juiblex e in seguito dal drow era tornato ad essere impotente. Era tornato ad essere solo.
Le promesse e le ricompense di Graz'zt erano condizionate, lui lo sapeva, aveva sempre conosciuto i termini dell'accordo. Per quale motivo allora si sentiva così abbandonato e deluso? Era colpa sua se aveva fallito, non era colpa di Graz'zt o dei suoi colleghi cabalisti. Loro non avevano nessun dovere di aiutare un perdente. Era solo normale abbandonare chi restava indietro, che diritto aveva di sentirsi ingiuriato e tradito?
Kilchar stava cominciando a considerare che forse aveva sbagliato strada nella vita. La sua valutazione non era guidata da considerazioni morali, non gli importava di dover fare del male al prossimo, ma forse si era rivolto all'entità sbagliata. Se quello che lui cercava era la protezione di qualcuno, che senso aveva cercarla da un demone che lo avrebbe aiutato soltanto finché lui avesse continuato a vincere, a non avere bisogno di protezione?
Quanto era stato stupido a credersi invincibile?
E d'altra parte, quale entità anche solo vagamente affine alla sua natura di tiefling avrebbe mai esteso la sua protezione ad un perdente? Lord Graz'zt non era l'eccezione. Era la norma. I signori dei demoni e le divinità malvagie non conoscevano il perdono per i servitori che avevano fallito.
"Avrei dovuto morire e basta" mormorò, senza accorgersi di aver dato voce al suo pensiero.

Daren non si aspettava davvero di veder tornare Dee Dee quel giorno. Conosceva la sua gente e il loro concetto di ospitalità, era più probabile che la dhampir restasse con loro ancora un giorno. Era una ragazzina magra e scarmigliata, non l'avrebbero lasciata andare finché non fossero stati sicuri che era in forze e in buona salute. Il motivo per cui aveva deciso di passare un'intera giornata al tavolino della taverna era testare la pazienza del suo prigioniero. A volte non c'era peggiore tortura che il silenzio. Era solo nel silenzio che poteva emergere la propria voce interiore, quella che non riusciva a mentire nonostante ci provasse con forza.
Quella voce interiore si chiamava paura e Daren, da bravo drow, la conosceva intimamente. Non era la stessa paura di quando ci si trova davanti un nemico, o la morte stessa. Era una paura diversa, più sottile, costante.
Quando viveva a Menzoberranzan quella voce gli ripeteva sei debole, morirai, e non importerà a nessuno. Adesso, che non aveva più paura della morte, la voce era cambiata, si era fatta più subdola, gli diceva vivrai, forse esisterai per sempre, e continuerà a non importare a nessuno. Daren non aveva una risposta, scrollava le spalle e accettava quella verità, perché se il mondo poteva permettersi di ignorarlo voleva dire che il mondo poteva fare a meno di lui, e questo in un certo senso andava bene lo stesso. Alla voce interiore rispondeva con fatalismo e rassegnazione, ed era così, forse, che si esprimeva la sua incapacità di provare paura.
Ma che cosa stava sentendo, invece, il tiefling? Era un cultista di qualche demone, la sua microscopica società non poteva essere tanto diversa dalla macroscopica società drow. Nessuno era venuto a salvarlo, di sicuro qualcuno aveva gioito della sua scomparsa perché aveva potuto scalare i ranghi grazie alla rimozione del tiefling, o perché si era liberato di un pericoloso e ambizioso sottoposto. Non esisteva amicizia, fratellanza o nemmeno senso di comunità all'interno del culto di un demone. Sentimenti positivi che in percentuale assolutamente minima e irrisoria esistevano perfino fra i drow.
Daren non era incapace di provare pietà, e in quel momento la stava provando. Aveva notato lo sguardo smarrito del suo prigioniero, avrebbe voluto dirgli 'Lo capisco, ci sono passato, è una merda', ma non poteva farlo perché era proprio grazie al fatto che lo capiva che sapeva anche come torturarlo con il silenzio. E soprattutto non poteva mostrare debolezza. La persona davanti a lui era capace di uccidere senza provare la minima remora. La pietà non poteva influenzare il suo buonsenso.
Avrebbe dovuto lasciarlo in balia della voce interiore, qualsiasi cosa gli stesse dicendo. Era la voce della peggiore verità possibile, e ogni tanto doveva essere ascoltata. Se non riconosciuta e correttamente affrontata, era quella voce che subdolamente manovrava tutte le azioni di una persona, anche se quella persona era convinta di prendere le sue decisioni con razionalità.
"Avrei dovuto morire e basta" sussurrò il tiefling a un certo punto. Le orecchie sottili del drow riuscirono a cogliere non solo le parole, ma anche il tono. C'era sconcerto in quelle parole, come se fosse stata una realizzazione improvvisa. Non sembrava che l'avesse detto apposta, sembrava una frase sfuggita al controllo delle sue labbra.
"Non essere così negativo. Ci si può sempre reinventare, nella vita." Commentò con leggerezza. Voleva provocare una reazione.
Il prigioniero contraccambiò le sue parole con uno sguardo vuoto.
"No, non hai capito. Non parlo per disperazione. È una semplice verità. Ero stato catturato, avevo fallito, il mio destino era morire. Hai interferito con il corso naturale delle cose e ora io sono qui, una creatura senza più un posto nell'ordine naturale."
"Perdonami, per come la vedo io, i servitori dei demoni non fanno parte di nessun ordine naturale" continuò Daren, interessato da quel discorso.
"Ah, no? Che importanza ha che io fossi il servitore di un demone?" Il drow notò l'uso del verbo al passato; era un inganno del tiefling? Oppure era sincero? Aveva scelto di cambiare vita oppure il suo padrone lo aveva semplicemente rigettato? "L'ordine naturale si compone di predatori e prede. Io ero un predatore. Sono caduto dalla grazia, sono stato sopraffatto da predatori più forti di me, avrei dovuto morire. Adesso che cosa sono? Non sono più niente. Senza la benedizione di Graz'zt sono… di nuovo una preda. Sono un lupo senza più denti. Hai soltanto rimandato la mia morte."
Daren sospirò. Oh, era uno di quei momenti.
"Non sei una preda. Hai ancora il tuo fascino, sicuramente hai appreso una o due cose utili nel corso della vita anche se adesso il tuo padrone è scontento di te." Era un'ipotesi, ma non troppo azzardata. Funzionava così anche nella società drow: quando una sacerdotessa falliva, Lolth le negava il suo favore. Eppure, il favore di un'entità malvagia e capricciosa poteva essere riguadagnato, di solito con azioni malvagie di entità catastrofica. "Devi solo decidere se per te essere in cima alla catena alimentare è più o meno importante che sopravvivere. Il colpo inferto al tuo ego è talmente devastante che ora vuoi morire? Oppure ti bastano un paio di ceffoni e poi ti dai una svegliata?"
I tiefling rimase interdetto.
"Perché ti importa? Sono un prigioniero, non è meglio per te se il mio spirito si arrende?"
"Uno spirito che si arrende è uno spettacolo penoso a cui assistere. Non c'è nulla di più innaturale di una persona talentuosa che si lascia morire. Certo adesso che sei mio prigioniero non puoi permetterti di riprendere a fare ciò che facevi prima perché non hai libertà di azione, però io non posso dettare i tuoi pensieri. Già che ci sei, potresti considerare se la strada che hai percorso fino a questo momento ti ha portato la consolazione che speravi, o se vuoi tentare qualcosa di diverso."
"Consolazione?" Una scintilla di offesa si accese negli occhi maligni del tiefling.
"Non sentirti insultato. La consolazione è l'unica cosa che tutte le persone cercano. Il potere, l'amore, la felicità, sono solo consolazioni per non pensare al fatto che prima o poi moriremo e nulla avrà più importanza."

Nephlyre si appoggiò con i gomiti al tavolo e fissò il drow per un lungo momento. "Sono troppo sobrio per un discorso del genere."
E io che pensavo di essere depresso.
Però, in un qualche modo molto contorto e molto indiretto, il suo carceriere si era un po' scucito. Forse c'era qualcosa su cui lavorare. Forse non avrebbe recuperato il favore di Graz'zt, ma prima o poi sarebbe riuscito a liberarsi. Avrebbe convinto il drow a lasciarlo andare, lo avrebbe manipolato per fargli credere che fosse una sua decisione.
E poi… forse l'elfo scuro non aveva tutti i torti. Kilchar era una persona dai molti talenti. Forse avrebbe trovato un altro modo per dominare, con o senza il favore di Graz'zt.

***


Il giorno dopo, uno degli esploratori del sottosuolo al servizio del tempio di Eilistraee accompagnò Dee Dee fino alla città di Skullport.
Skullport era imbarazzantemente vicina al tempio, la dhampir si sentì un po' offesa dal fatto che avessero ritenuto necessario affiancarle un esploratore anziché darle solo delle indicazioni. Però ormai credeva di aver capito come ragionavano i suoi ospiti e le intenzioni dietro quel gesto erano gentili.

Dee Dee per la prima volta ebbe occasione di esplorare un po’ la famigerata città sotterranea che, nelle sue intenzioni, sarebbe dovuta diventare la sua futura casa. Non ne restò molto impressionata: era un luogo affollato, con case abbarbicate le une sulle altre, l’aria era stantia e satura dell’odore di esseri viventi e infestata da una cacofonia di rumori. Dopo tanti mesi nella relativa solitudine dei cunicoli, Dee Dee non era più abituata al caos delle città e all’inizio ne rimase spiazzata.
Anche alla Promenade di Eilistraee c’era molta gente, ma si muoveva in modo più ordinato e silenzioso; a Skullport no, le persone - e cose che forse non erano persone - si urtavano e si sbraitavano addosso e contrattavano in molte lingue diverse e ogni tanto qualcuno faceva saettare una lama. C’era anche odore di sangue a Skullport. Sangue vivo e sangue morto.
Presto Dee Dee si scoprì a sentire la mancanza dell’esploratore che le aveva fatto da guida; sarebbe stato più utile per orientarsi all'interno della città piuttosto che nei cunicoli.
Daren le aveva detto di raggiungerlo ad una locanda di nome Il Troll Infuocato, nel quartiere del porto, e lei immaginava che il porto fosse a livello dell'acqua in quella città che si sviluppava soprattutto in verticale, con stalagmiti, passerelle sospese e case scavate nel fianco della caverna; già, probabilmente doveva restare al livello del terreno, ma il porto dov'era esattamente?
Provò a chiedere indicazioni ad una creatura vagamente umanoide che le sembrava del posto e che non sembrava eccessivamente pericolosa, a giudicare dai vestiti logori e dal fatto che i suoi pugnali arrugginiti avevano visto giorni migliori. Quell'essere, che sembrava l'incrocio mal riuscito fra un bugbear e un kuo-toa, vedendo una ragazzina minuta non rispose alla domanda ma sfoderò un sorriso lascivo.
Dee Dee rispose con la sua versione di un sorriso: aprì la bocca per metà mostrando bene le zannine e soffiò come un gatto. Il tizio fece quasi un salto sul posto e scappò senza darle l'informazione che cercava.
"E che ca…" borbottò lei, poi vide con la coda dell'occhio un goblin che spazzava la strada raccogliendo spazzatura con la ramazza. Decise di chiedere informazioni a lui, o lei, qualunque cosa fosse. Il goblin si rivelò molto più collaborativo. Dopo aver cercato di farsi pagare una moneta d'oro per l'informazione, e dopo aver ricavato una moneta di rame e uno schiaffo, indicò correttamente alla giovane avventuriera come raggiungere il porto.

La locanda, come aveva promesso Daren, era in prossimità del mercato del pesce. Era una zona della città che - per dirla in modo gentile - non aveva un odore proprio eccelso. Chissà perché lui aveva scelto un posto del genere. Di solito era così schizzinoso.
Trovò il suo compagno di viaggio seduto a un tavolo, con un bicchiere di vino davanti. Aveva una corda intorno al polso destro, che dondolava morbida accanto al tavolo. L’altro capo era legato al polso sinistro del tiefling. Il prigioniero sembrava ancora imbronciato - perennemente imbronciato, al confronto perfino Daren diventava un allegrone - e stava giocherellando con il cibo che aveva davanti. Reggeva il cucchiaio come se fosse più propenso a usarlo come arma che per mangiare. Nel suo piatto ristagnava qualcosa che pareva zuppa di pesce, e anche se per la dhampir il cibo aveva un odore rivoltante scoprì di avere molta fame. Era sveglia da ore e aveva mangiato solo una striscia di fungo secco per colazione.
“Eccoti qui” la salutò l’elfo scuro, facendole cenno di sedersi con loro.
Dee Dee recuperò uno sgabello e si sedette alla sinistra dell’amico.
“Hai consegnato il prigioniero?”
“L’ho fatto, ma non mi hanno detto che hanno intenzione di farci…”
“Non è un problema nostro” tagliò corto Daren. “Non più.”
“E lui?” Dee Dee indicò il tiefling con un cenno del capo.
“Lui sì, è un problema nostro. Non stargli troppo vicino, potrebbe cercare di prenderti le armi. Non sappiamo di cosa sia capace.”
“E quindi che intendi farci con lui…?”
“Non ho ancora un’idea precisa, quindi per ora starà con noi. E già che siamo in tema di decisioni, penso che sia il caso di fermarci a Skullport fino a domattina. Ci riposiamo, compriamo dei vestiti per questo qui, vediamo se c’è da rimpinguare il nostro equipaggiamento. Intanto, comincia mettendo qualcosa nello stomaco. Ti consiglio il pesce, è l’unica cosa fresca qui dentro.”

Dee Dee scoprì presto che la locanda non era stata scelta solo per via del pesce fresco; c’era un’altra caratteristica che trasformava quel locale scalcinato in una locanda di lusso: bagni caldi. L’edificio era costruito sopra a una piccola caverna naturale abitata da melme di lava, i sotterranei erano particolarmente caldi e i proprietari della locanda ne avevano approfittato per mettere a disposizione dei clienti una zona relax con acqua “termale”. A fronte di un generoso pagamento (offerto dal drow), Dee Dee passò il più bel pomeriggio dei suoi ultimi due anni.
“Te lo devo, dopo quella marcia a tappe forzate in mezzo a un fiume”, era stata la spiegazione di lui, e Dee Dee non poteva del tutto dargli torto. Gli aveva tirato parecchi accidenti per quella traversata terribile, doveva pur farsi perdonare.

Fu davvero a malincuore che quella sera la ragazza uscì dalla pozza di acqua calda e si recò nella sua stanza. Daren le aveva fatto riservare una camera che era piccola e scomoda come tutte le stanze di tutte le locande di Skullport (dopo aver visto la conformazione della città, lei non si aspettava nulla di diverso), ma almeno era pulita.
Ad un certo punto qualcuno bussò alla sua porta. Dee Dee immaginava che fosse Daren perché non aveva sentito i suoi passi. Se fosse stato il locandiere o un altro ospite della locanda probabilmente avrebbe fatto più rumore del drow.
"Che c’è?"
"Vorrei parlarti un momento. Da soli."
Il drow le aveva portato una ciotola con pesce marinato e una borraccia con acqua fresca. Lei si era del tutto dimenticata di cenare e apprezzò molto quella seconda cortesia, anche se cominciava a chiedersi che cosa ci fosse sotto.
"Mangia" la esortò, entrando nella sua stanza. "Lo so che il cibo ti fa schifo ma devi mantenerti in forze." Le mise la ciotola fra le mani. In effetti il pesce era disgustoso come sempre, ma almeno aveva un sapore aspro e pungente che costituiva una novità. L'acqua invece era… buona. Non era semplicemente insapore, era proprio buona. Guardò l'otre con curiosità.
"C'è un pozzo di acqua ferruginosa nelle vicinanze" spiegò il drow, notando la sua espressione perplessa. "Mi sembra che ricordi un po' il sapore del sangue e ho pensato che potesse piacerti."
"Un po' come la luce delle ftelle ricorda quella del fole, però è più buona dell'acqua normale. Come mai oggi fei cofì gentile?"
Daren si assicurò che la porta fosse ben chiusa.
"Ti meritavi una pausa per riprendere le forze prima di quello che ci aspetta. Dobbiamo risalire al secondo livello e non sono sicuro che sia il caso di rifare la stessa strada che abbiamo fatto venendo qui. Non abbiamo mai scoperto cosa stessero combinando gli orchi e gli hobgoblin, per dirne una, e ci toccherebbe risalire il fiume controcorrente, per dirne un'altra." Daren non si curò di nascondere un’espressione frustrata. "Eppure non abbiamo molta scelta. O quella via, o… a Skullport stanno costruendo un sistema di canali e di chiuse per portare le barche su fino al porto di Waterdeep. Non so nemmeno se quel sistema sia già attivo, e potrebbe essere pericoloso andare a Waterdeep portando con noi il prigioniero. Lassù avrebbe più possibilità di scappare, o di aizzarci contro una folla; io sono un drow, tu sei una mezza vampira, e lui ha un aspetto quasi umano. Se la cava bene con la favella, potrebbe tentare qualche trucco, quindi preferirei rimanere nell’Undermountain."
Dee Dee sbiancò. Non aveva mai considerato che arrivare laggiù con quel viaggio infernale fosse stata la parte semplice.
"Quindi dovremo femplicemente tornare da dove fiamo arrivati? Dannazione, perché ci portiamo dietro quel tizio? È chiaro che tu non ti fidi di lui, e io nemmeno!"
"Potremmo non passare dal fiume ma ci troveremmo a dover pagare una generosa somma ad almeno un’organizzazione criminale, forse più di una, per calpestare i loro preziosi cunicoli."
Dee Dee mugugnò il suo scontento.
"In quefto viaggio mi hai pienamente dimoftrato quanto è difficile andarfene da Fkullport" ammise lei, ricordando i loro primissimi discorsi. "Non mi hai rifpofto, perché ci portiamo il tiefling?"
"Perché ho deciso così"
"Daren!"
Il drow sospirò.
"Perché si trova in un momento molto delicato della sua vita. Lui è, o forse era, un apostolo di Graz'zt. Si tratta di un demone potente e pericoloso, specializzato nella seduzione e nel tradimento. Quelli come il tiefling, servitori prediletti di un demone, dovrebbero avere un marchio sulla pelle che testimonia la loro natura."
La dhampir si sforzò di riportare alla mente quel che aveva visto del corpo del tiefling.
"Ma noi lo abbiamo vifto nudo come un verme, e a meno che quefto fimbolo non foffe nafcofto tra i capelli, non c’era.”
"Credo che l’acido lo abbia abraso… ma il marchio di un servitore dei demoni non è un semplice tatuaggio. Avrebbe dovuto riformarsi quando la pelle è ricresciuta. Io penso che il suo Signore lo abbia rinnegato a causa del suo fallimento, per questo il marchio non è ricomparso."
"Be’... ma quefto non lo rende meno pericolofo, giufto?"
"Forse un pochino" Daren si strinse nelle spalle. "Ma non lo sto tenendo con noi solo in attesa di vedere se Graz’zt se lo riprende. Ieri per la prima volta ho visto una crepa nella sua facciata. Lo immaginavo, non era possibile che fosse così sicuro di sé dopo essere stato sconfitto, aver contrariato il suo padrone e aver perduto il suo marchio. La sua tracotanza era solo qualcosa in cui aveva bisogno di credere, e dopo aver rifiutato molte volte le sue avances ha finalmente capito che non potrà guadagnarsi la libertà con la seduzione."
"Ti ha fatto delle avanf?" Domandò lei incredula, inciampando nella pronuncia.
"Non ha fatto altro da quando l’abbiamo catturato" si lamentò Daren, ma poi ridacchiò per quanto erano stati patetici quei tentativi. "A forza di sbattere la faccia contro un muro ha capito l’antifona, e la sua facciata si è incrinata. In quelle crepe, io ho visto una persona smarrita che non sa cosa fare della sua vita adesso." Sospirò, scuotendo la testa. "È probabile che cerchi di tornare alle sue vecchie abitudini, ma non potrà farlo finché sta con noi. E ci starà finché non avrò deciso se liberarlo… o ucciderlo."
Dee Dee trattenne il fiato bruscamente. "Ucciderefti qualcuno a fangue freddo?"
"L’ho già fatto in passato, in situazioni irrecuperabili… o che credevo tali. Preferirei non doverlo fare di nuovo. Se il mio giudizio fosse sbagliato, dovrei convivere con quella colpa per sempre. Ma d’altra parte, liberare un assassino significa condannare altre persone, forse innocenti. Meglio convivere con il dubbio che lasciar morire della gente, no? Alla fine io sono solo io. Le mie mani sono già sporche di sangue in ogni caso." Sembrava più che altro una riflessione a voce alta.
A Dee Dee sembrò, per un momento, che anche Daren avesse messo su una facciata, e che ci fossero delle sottili crepe. In passato aveva ucciso qualcuno e poi aveva capito di essersi sbagliato? Oppure aveva fatto l’opposto?
"Per ora il tiefling viaggerà con noi perché dietro alla sua sicumera, dietro alla malvagità, ho visto rabbia e tristezza. Non posso ignorare il fatto che le sue azioni siano mosse da sentimenti, anche se negativi. La tristezza non è un lusso per chiunque, sai. I drow non la provano quasi mai, perché la tristezza nasce da aspettative di carattere emotivo che vengono deluse, e la mia gente impara subito a cancellare le emozioni. Insomma, voglio dire, rabbia? Oh sì. Delusione? Tutto il tempo. Ma la tristezza, non la proviamo quasi mai, perché nasce dall’amore. E forse il prigioniero ama solo se stesso, e prova rimpianto e rabbia solo per come è stato trattato dalla vita, ma questo è qualcosa. Se desidera un futuro migliore per se stesso, ti assicuro, è meglio di niente. Deve solo capire come trovare questo futuro migliore. Che senza dubbio per un tiefling non sarà stato semplice, vanno incontro allo stesso stigma sociale che… be’, che avrai sperimentato tu stessa come mezza vampira. E quando vieni rifiutato da tutti, il male diventa sempre più seducente. Promette potere immediato, vendetta, soddisfazione. Diventa come una droga. La soddisfazione non è felicità, ma ci si avvicina, e se non hai mai provato la vera felicità non conosci nemmeno la differenza. Ti fa stare bene per un breve momento, e cominci a volerne di più, sempre più spesso. La soddisfazione di uccidere qualcuno solo perché tu puoi, perché sei potente e nessuno riuscirà mai più a farti del male, è sia un piacere che un conforto. Sapere che hai superato i tuoi nemici e i tuoi pari in astuzia, o nel caso del tiefling sapere che li hai sedotti, ti fa sentire invincibile. Sembra di avere tutti i risultati che vuoi a portata di mano, la vita diventa facile, scendere verso il male è una strada in discesa in tutti i sensi. Solo che non lo è.
Più la dipendenza aumenta, più ti accorgi che non lo è. Vuoi sempre di più e diventa sempre più difficile mantenere i tuoi standard. Attiri l’attenzione di persone pericolose, e la tua sopravvivenza è di nuovo a rischio. C’è sempre una gerarchia da scalare, oppure il padrone che servi inizia a chiederti sempre di più. Lo sai che certi demoni chiedono un sacrificio al giorno? Una cosa del genere la puoi fare solo in una grande città. Quanto tempo credi che passi prima che un criminale attiri troppa attenzione e inizi a essere indagato dalle guardie? E allora che fai, lasci la città? Ti muovi a piedi per strade dove potresti non incontrare nessuno per giorni? Non ha senso. Padroni che danno molto, richiedono anche molto, e tu sei solo un mortale destinato a fallire se non oggi, domani. Perché non c’è vittoria né pace, non è previsto che tu vinca, entrare nel gorgo della crudeltà e della ricerca di soddisfazione significa che non puoi mai fermarti, puoi solo continuare a muoverti sempre più veloce, senza sapere bene quale obiettivo stai inseguendo o quale nemico stia inseguendo te. E l’entità che servi non ti ama, non ti tiene in alcuna considerazione, non perdonerà il minimo errore. Sei solo una marionetta e prima o poi la tua anima diventerà uno spuntino. Scendere verso il male all’inizio pare facile, ma in realtà è una strada in salita, e peggio ancora, non porta da nessuna parte.
E se sei abbastanza fortunato da fallire e rimanere vivo, come il nostro prigioniero, cominci a rendertene conto. La realizzazione può facilmente schiacciare il tuo spirito, perché tutto quello che hai costruito nella vita ti ha portato in un vicolo cieco e tu sei ancora vivo per doverne fare i conti, ma non sai cosa fare. Per questo non posso liberarmi di lui adesso. Magari sarà tutto completamente inutile, magari sceglierà di continuare a correre in quel vicolo cieco fino a schiantarsi contro il fondo. Ma devo almeno essere lì per provare a dirgli che tornare indietro, imboccare un’altra strada, è difficile ma è possibile. E forse è meno difficile che continuare ad andare avanti. E non importa quanti passi hai fatto nella direzione sbagliata, non importa quante persone hai ucciso; continuare sulla stessa strada è comunque peggio che tornare indietro, è comunque più doloroso e più inutile. Per te stesso, prima che per gli altri. L’unico modo per andare avanti nel tuo solito nulla e sopravvivere a questa consapevolezza è rinunciare del tutto alla tua anima e alle tue emozioni, accettare che la felicità non la proverai mai e raccontarti che ti va bene così, perché tanto la felicità mica esiste, è un’illusione dei deboli."

Dee Dee ascoltò quella spiegazione, che sapeva un po’ di sfogo e un po’ di racconto autobiografico. Non pensava che Daren avesse mai servito dei demoni in passato, ma forse la sua esperienza era simile per altri versi. Quando il drow aveva sottolineato la somiglianza fra lei e il tiefling, la dhampir si era ritrovata a rifletterci con attenzione.
"Io non ho nemmeno vent’anni, non le ho tutte quefte efperienze" cominciò, con voce tremula. "Ma fe non aveffi incontrato Valaghar forfe… non lo fo, quando fono fcappata dalla città dei lich non ero una perfona cattiva, ero una vittima, anche fe agli occhi del mondo ero già un moftro. Fe a quel punto tutti mi aveffero rifiutata, fcacciata, come hanno fatto quei paladini e perfino mio padre e il fuo clan, forfe avrei cominciato a penfare che… che la vita è una merda, che le vittime refteranno per fempre vittime perché non c’è giuftizia, che la felicità non efifte ed è folo un’illufione dei deboli, come dici tu. Credo di capire cofa intendi. E fe… e fe ci toccherà camminare in un fiume contro corrente, va bene. Noi non fiamo deboli, giufto?"
Daren le regalò uno dei suoi rarissimi sorrisi sinceri. Un sorriso privo di ogni traccia di sarcasmo, anzi, accompagnato da uno sguardo che sembrava quasi di orgoglio.
"No, infatti. Noi non siamo deboli."



**********

[1] No, non si sono fumate cose strane. Questa informazione, cioè che Juiblex fosse un Aspetto di Ghaunador, è stata ufficialmente confermata nella quinta edizione, ma prima di allora era soltanto un'ipotesi accreditata.

Note dell’autrice: questa storyline si conclude così (sperando di essere riuscita a spiegare, finalmente, il titolo nella sua piena ambivalenza), ma non è la fine della storia; è piuttosto la fine della parte “lineare” della storia, che d’ora in avanti e per un po’ di tempo sarà portata avanti con capitoli episodici, perlopiù a trama verticale, per raccontare le (dis)avventure di Dee Dee, Daren, e del loro nuovo recalcitrante compagno. Per questo non posso promettere di aggiornare in modo costante (come se per ora lo avessi fatto, lol) ma mi sento meno in colpa perché la storia diventerà più di avventura e meno introspettiva.
Almeno per un po’.

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