Training Wheels

di ciredefa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Piccole note prima della lettura: ehi! Grazie per aver aperto questa storia, spero vi piacci come a me è piaciuto scriverla. Ci vediamo a fondo pagina, buona lettura!

Training 
Wheels


M
esi prima, fu la stessa Caitlyn a portare Vi per la prima volta in quel complesso di appartamenti poco fuori dal centro di Piltover (e convenientemente vicino alla stazione di polizia). Una delle fortune di essere l’erede di una delle famiglie più facoltose della città era quella di avere una rete di contatti molto ampia e, secondo sua madre, asservita al punto giusto: un paio di chiacchere con qualcuno che doveva qualche favore a Cassandra Kiramman et voilà.

Ovviamente non ne aveva parlato direttamente con Vi. Da quel giorno, quel maledetto giorno, in cui si era ritrovata ad assistere alla morte metaforica della sua amata sorellina e alla nascita di Jinx, la zaunita si era decisamente spenta. Non aveva un posto dove andare, nessuno da cui tornare per avere rifugio o semplicemente un posto dove dormire. Girare per Zaun era fuori discussione perché era ben conosciuta da tutti (l’erede di Vander, così la chiamavano) ed era praticamente un mirino su gambe, d’altra parte stare a Piltover e convivere con gli sguardi e nasi arricciati come se Vi fosse il più puzzolente ratto del sump non era di certo semplice. Un maledetto limbo in cui ogni passo sembrava un balzo nel vuoto, non lo scenario migliore dove ricominciare, costruirsi una vita praticamente da zero.

Anche Caitlyn non se la passava granché. Dire che l’assenza di Marcus avesse portato scompiglio in tutta la catena di comando era un eufemismo; il lavoro si era quadruplicato, sia d’ufficio che di pattuglia. Inoltre, come se non bastasse, stavano venendo a galla tutte le scartoffie false, firme contraffatte e la generale corruzione che dilagava tra i ranghi più alti.
In una realtà alternativa, Caitlyn sarebbe stata felice di tutto questo. Adorava il suo lavoro, adorava dare alla giustizia chi se lo meritava, ma ciò che provava era soltanto una profonda amarezza; derivata dalla certezza cieca che aveva riposto in quel sistema e di come quest’ultimo in realtà fosse soltanto il motore di tutti i problemi, e lei l’ennesimo ingranaggio, fortunatamente ignaro. La botta finale gliela diede sua madre, ancora convalescente dall’attacco alla consulta, di cui lei era una dei pochissimi sopravvissuti. Erano mesi che era ricoverata all’ospedale e nonostante le ferite riportate dall’esplosione, aveva ripreso presto a mandar avanti la baracca con il suo solito stile.
“Jayce vuole darti l’incarico di sceriffo” le diede la notizia così a bruciapelo che a Caitlyn per poco non andò il tè di traverso. Furono inutili le sue proteste. Nessun sono troppo giovane, non ho abbastanza esperienza e infine non dopo tutto quello che è successo riuscirono a smuovere nulla, e sua madre di tutta risposta aveva solo affermato che lei era la più adatta per il ruolo, nessun’altro avrebbe accettato. Suo padre la intercettò mentre fuggiva per i corridoi, fermandola giusto in tempo per abbracciarla e rassicurarla, prima di lasciarla andare via di nuovo.

 Quando Caitlyn inserì la chiave nella toppa di quel piccolo appartamento per la prima volta, le due donne erano al loro punto più basso degli ultimi mesi. Andavano avanti a stenti, erano esauste, ma per la prima volta estremamente simili. Chiunque avrebbe usato qualsiasi altra parola per descriverle: una facoltosa ereditiera di Piltover, agente in carriera dal futuro luminoso, mentre l’altra era solo un’orfanella (anche ex-galeotta) della città sotterranea che per discutere usava più i pugni che la sana e civile conversazione. Fortunatamente, delle persone e di quello che pensavano alle due non importava un bel niente. Non erano le differenze ad essere rilevanti in quel momento; ciò che spinse Caitlyn a decidere di ottenere quella chiave era il bisogno di entrambe di avere un luogo sicuro dove rifugiarsi.
Anche se Vi non le aveva mai chiesto di farlo. Ma all’agente non sfuggiva mai alcun dettaglio: gli ennesimi lividi sulle braccia, le nocche spaccate e le bende fresche di sangue, le occhiaie scavate. Era abituata a soffrire, a sacrificarsi, a voler proteggere gli altri e a scordare sé stessa per la strada.Ma era arrivato il momento che qualcuno proteggesse Vi. L’appartamento fu il primo tentativo di Caitlyn.

 “Che lusso” fu il primo commento che uscì dalla bocca della zaunita dopo aver premuto l’interruttore. 
Non sbagliava. Sì, era un piccolo spazio, ma dotato di tutti i comfort necessari: una cucina comunicante ad un salottino, un bagno, una camera da letto. Il tutto ammobiliato abbastanza dal renderla vivibile subito ma non abbastanza da poter dire che ci vivesse già qualcuno.
Gli occhi di Vi si fecero inquisitivi. Si guardò attentamente intorno, sfiorò ed ispezionò con le dita più o meno ogni superficie e cassetto disponibile della casa, come ad accertarsi che fosse tutto vero, tutto sotto gli occhi attenti di Caitlyn, rimasta ferma sull’uscio, che accennò un sorriso alla vista della curiosità dell’altra.
“Ti piace?”
“Molto” stava aprendo i vari pensili della cucina, “molto elegante come hotel. Non c’è niente da mangiare però”, ed erano tristemente tutti vuoti.
Caitlyn ridacchiò all'idea che l’altra pensasse che questo fosse un hotel; si chiuse la porta alle spalle ed entrò nell’appartamento, anche lei osservando con meraviglia gli interni. C’era la carta da parati con dei decori satinati, il parquet e un piccolo caminetto davanti al divano. Era persino meglio di come se l’era immaginato.
“Sono contenta che ti piaccia” sorrise di nuovo, “ci ho messo un po’ a trovarla”.
“Davvero?” Vi smise di rovistare nella dispensa tristemente vuota, “l’avrai pagata un sacco di soldi. Non che mi dispiaccia eh, ma per stare un po’ sole non serve mica pagare” si sedette sul tavolo ma rivolta verso Caitlyn, “a me basta un letto, anche singolo. O uno sgabuzzino. Quello che ti piace di più” le fece un occhiolino.
Una provocazione. Provocava perché sapeva che l’altra diventata paonazza come un’adolescente e la visione di lei imbarazzata non avrebbe mai smesso di divertire Vi, per nessuna ragione al mondo. Ma a quella frase, Caitlyn arrossì a malapena. Un po’ perché si era abituata al tutto fumo, niente arrosto che erano quelle battute, un po’ perché stava cercando il modo per dirgli il motivo per cui erano lì quella sera.
“Non è un hotel, comunque” fece qualche passo verso il tavolo, “è una casa”.
“Di chi?” inarcò un sopracciglio confusa, non spostando lo sguardo da davanti sé, alla ricerca di una spiegazione nell’espressione dell’altra. Caitlyn prese delicatamente la mano di Vi, aprì leggermente le sue dita e sul palmo poggiò la chiave d’ottone, “tua, ora”.
Rimase atterrita, in un attimo mille sentimenti contrastanti le attraversarono gli occhi e il viso. Per un po’ fissò l’oggetto, incredula, cercando di mettere due parole di fila e dire qualcosa ma senza riuscirci.
Alzò lo sguardo e l’unica cosa che riuscì a dire fu soltanto “perché”.
Il tono con cui lo disse spezzò il cuore di Caitlyn. In quel perché erano nascoste mille sfumature: un iroso mi stai prendendo per il culo, un orgoglioso cosa potrei mai farci in un posto del genere e infine, quello più rumoroso di tutti, io non merito tutto questo.
“Penso che” prese un respiro, “è arrivato il momento di mettere qualche radice, hm? Lo so, lo so, non dovrei prendere decisioni per te, sei perfettamente capace di farlo, ma …” afferrò la mano di Vi, la stessa con la chiave, per stringerla forte con la sua, “… per favore, accetta. Non posso aiutarti a cancellare il passato, ma posso aiutarti a costruire un futuro migl- “.
“Per la grazia di Janna fai silenzio” gli si gettò al collo in un abbraccio quasi rabbioso e la strinse forte, affondando il naso nel collo dell’altra. Caitlyn rimase stordita per un attimo da quel contatto improvviso, ma si ridestò subito e ricambiò l’abbraccio con la stessa forza. Non voleva dire parole superflue e non voleva premere per una riposta, così aspetto pazientemente la sua decisione. Nell’attesa, le passò la mano tra i capelli per rassicurarla.
“Voi piltoviani siete tutti uguali” ruppe il silenzio dopo un po’, “sempre ‘sti gran discorsi sul futuro, eh? Non potete farne a meno”, ma il sarcasmo non riuscì a nascondere il tremolio della sua voce.
Caitlyn ridacchiò appena, “c’è chi è più bravo di altri, ma sì.”
Si separarono abbastanza da potersi guardare in faccia, ma senza schiudere l’abbraccio, “voglio che tu sappia che non sei costretta ad accettare” le carezzò la guancia con il pollice, “solo che mi sentirei più sicura a saperti qui che in mezzo alla strada ad attaccare briga come al tuo solito”.
Vi accennò un mezzo sorriso, “lo sai che vivere qui non mi fermerà dall’attaccare briga con qualche stronzo, vero?”
“L’avevo tenuto in conto” ritornarono ad abbracciarsi, stavolta Caitlyn poggiò la sua guancia sulla spalla di Vi, “ma almeno saprei dove trovarti per venirti a tirare le orecchie, no?”.
“Hai ragione” ammise, “va bene, cupcake, ma ad una condizione: tu vieni a vivere qui. Con me”.

±

Angolo dell'autrice con il cervello in pappa per colpa di Arcane: dunque Arcane è il mio pensiero fisso da circa un mese, loro due le shippo da eoni e le ho sempre amate come se fossero le mie bimbe predilette. Questa sarà una mini-long caratterizzata da brevi capitoli con un filo sottilissimo di trama, che lega il tutto, che vedrete poi. E' in produzione ma sono molto avanti con il lavoro, quindi pubblicherò il capitolo due quando avrò pronto il terzo e così via. Spero vi appassioni! Potete trovarmi a retwittare fanart di Arcane su twitter  a tutte le ore del giorno qui, @ciredefa
Un bacio!

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Capitolo 2
*** 2. ***


 

2.

Vivere insieme a Vi aveva i suoi lati positivi e i suoi lati negativi.
Pochi giorni dopo l’essersi stabilita in pianta stabile in quel piccolo appartamento, Caitlyn notò per la prima volta un pessimo difetto della sua coinquilina: l’essere una gigantesca smemorata.
Questo venne a galla una sera in particolare, quella in cui suo padre organizzò una festa per la dimissione di sua madre dall’ospedale. Fu un ricevimento abbastanza sobrio rispetto alla tipologia di eventi organizzati dalla famiglia di solito: solo una ventina di persone, tra amici e persone influenti della città, una lunga tavola imbandita di leccornie varie nel centro del salone principale, un po’ di musica classica di sottofondo. C’era anche Jayce, quella sera; lui e Caitlyn si scambiarono solo qualche parola di cortesia prima di evitarsi come la peste per tutta la sera.
Non avevano smesso di volersi bene, certo. Ma era una situazione spinosa, dopo tutto quello che era accaduto negli ultimi mesi, come se guardarsi in faccia facesse riaffiorare tutti i problemi e che entrambi non sapessero cosa dirsi a vicenda se non tutta una sequela di scuse e condoglianze.

Convincere Vi ad unirsi non fu meno semplice. Quando ne parlarono qualche sera prima a casa, dopo essere tornata da un lungo ed estenuante turno di lavoro, alla sola proposta la zaunita aveva arricciato il naso dal disgusto, “una festa? Qui?”. Ma cedette subito dopo che Caitlyn le parlo del motivo della festa e, a cuore aperto, le confessò di aver bisogno di lei, “non ti aspettare che mi metta una gonna però”.
Non era vestita con una gonna, ma l’agente constatò che stava bene anche con i pantaloni neri e la camicia che aveva scelto d’indossare. Per tutto l’evento Vi stette più in silenzio che altro, dileguandosi ogni tanto e palesandosi nella sala solo quando veniva servito il cibo.

Non l’avrebbe costretta a sostenere nessuna conversazione con nessun pomposo piltoviano; detestava anche lei quelle riverenze e quei discorsi altezzosi, ma come figlia della consigliera non poteva tirarsi di certo indietro. Ma sapeva che il motivo per cui era elusiva come uno yordle era un altro: non voleva mettersi in imbarazzo e soprattutto non voleva mettere in imbarazzo Caitlyn.
In quella sala tutti sapevano già tutto di lei, in un modo o nell’altro. Che proveniva dalla città sotterranea, che era stata in prigione, che aveva aiutato la polizia ad eliminare la minaccia di Silco (che poi le cose fossero molto più complicate non gli era dato saperlo) e che, da poco tempo, lei e la signorina Kiramman convivevano. Gossip da bordello, l’avrebbe chiamato Vi. A ciò che contribuiva a renderla un pezzo di legno si aggiunse, oltre al resto, la paura di inimicarsi i genitori di Caitlyn. Lei la prese un po’ in giro, perché la donna forte e brutale che conosceva diventava piccolissima quando il signor o la signora Kiramman le rivolgevano la parola.
I suoi genitori erano al corrente dei lei. Mentre suo padre, anche se con le sue remore, aveva accettato di buon grado la presenza di Vi, sua madre non era dello stesso avviso: come biasimarla, dopo quello che è successo alla Consulta. Ma a parte questo, nessuno diede fastidio alla zaunita.
Saperla nelle sue vicinanze tranquillizzò abbastanza l’agente da farla tener duro e arrivare sana di mente a fine serata, quando si congedarono in tutta fretta e fuggirono dalla mansione verso il distretto delle Arti.

Era una classica notte tarda di un inverno piltoviano, fatta di freddo umido a cause del fiume nelle vicinanze, un vento sferzante ma che quella sera era interrotto dalla pioggia battente; quest’ultima le aveva prese di sorpresa mentre tornavano a piedi e ovviamente non avevano pensato di portare con loro un ombrello.
Caitlyn stava lentamente gelando; se Vi non avesse rinunciato alla sua giacca per riparare entrambe almeno un po’ dall’acqua, sarebbe stata zuppa fino alla punta dei piedi. Si strinse appena nell’indumento, alla ricerca di tepore, mentre Vi armeggiava davanti la porta.
“Oh merda” esclamò mentre si toccava incessantemente i pantaloni e la camicia, alla ricerca di qualcosa.
“Che succede?”
La chiave.
“Cosa la chiave?”
“L’ho dimenticata sul tavolo” si lamentò, ricordandosi del motivo per cui non ce l’avesse addosso. Si accovacciò davanti al chiavistello e lo osservò con attenzione, alla ricerca di una soluzione. Se solo quella non fosse stata la porta di casa sua, non si sarebbe fatta problemi a buttarla giù con un calcio ben assestato. “Cait, hai qualcosa di lungo e appuntito che posso usare?”
Caitlyn annuì e tirò fuori dai suoi capelli una lunga bacchetta di legno dorata, una di quelle usate per tenere i capelli ordinati in una crocchia, causando il disfacimento della sua complicata acconciatura. Gli occhi di Vi guizzarono sul collo scoperto dell’agente, dove i suoi capelli scuri scivolarono; scosse la testa subito e tornò a concentrarsi sulla serratura per forzarla.
Caitlyn la osservò esterrefatta, “non sapevo fossi anche una scassinatrice”.
Sono piena di soprese” si vantò senza spostare lo sguardo da quello che stava facendo; il chiavistello fece un rumore ma la porta non si aprì. Ne seguì uno sbuffo, “ugh, non sono mai stata capace a fare ‘sta roba” ridacchiò al riaffiorare di un ricordo “quello bravo davvero era Mylo-“.
Silenzio. La mano indaffarata di Vi si fermò e tutta la sua figura s’incupì. Solo la domanda dell’altra la ridestò e la fece continuare, “Mylo?” ma non ricevette nessuna risposta. E Caitlyn non chiese nient’altro.

 La porta scattò e si aprì, permettendo alle due di entrare. Vi si diresse a testa bassa e a passo veloce verso la camera da letto mentre Caitlyn chiudeva la porta. Sospirò mentre poggiava la giacca fradicia sul tavolo, lì dove la colpevole di quel momento era stata dimenticata. Mise a posto la chiave e si avviò anche lei verso la stanza, dove trovò Vi già nel letto, coperta fin sotto la testa dalle lenzuola e con la schiena rivolta verso la porta. Si era svestita in un attimo, i suoi vestiti bagnati abbandonati per terra a testimoniarlo. Anche lei si cambiò in un pigiama velocemente per raggiungerla.
Il silenzio regnò indisturbato, così a lungo che Caitlyn sospettò che Vi si fosse addormentata. Ma il suo respiro era corto e anche se lei in quel momento le dava le spalle, riusciva ad immaginarsi perfettamente la sua espressione corrucciata.
Di nuovo ruppe il silenzio, “Vuoi parlarne?”. La risposta fu immediata.
“No.”
C’erano tante cose che Caitlyn non conosceva di Vi. Cose che avrebbe voluto conoscere con tutta sé stessa e con tutto il cuore. Poteva solo immaginare le difficoltà che aveva affrontato, gli orrori che aveva visto; qualche volta aveva condiviso stralci del suo passato, ma erano solo attimi persi, che pitturavano il suo viso di tensione e dolore. Ogni volta che qualcosa spuntava fuori da sotto quella corazza d’acciaio, era questo il risultato: si tramutava in un animale ferito, inavvicinabile e imperscrutabile.

Un giorno, Caitlyn sperava, Vi si sarebbe aperta completamente, e lei avrebbe avuto la possibilità di ascoltarla, di consolarla, di asciugare le sue lacrime. Ma non era quello il momento e lei non aveva fretta. Si era promessa di lasciarle tutto il tempo necessario.
L’unica cosa che poteva fare a quel punto era farle sapere che era lì per lei. S’infilò sotto le lenzuola e si stese, allungò un braccio per cingere la vita di Vi. Attese in una sua reazione contraria, che non ci fu, e si strinse a lei, poggiando la guancia sui suoi tatuaggi. Prima di addormentarsi, si segnò la nota mentale di procurarsi una copia delle chiavi.


±

Angolo dell'autrice: dunque, non sono mai stata produttiva così tanto nella mia vita. Grazie Arcane. E che dire! Non voglio dare una cadenza settimanale a questa fanfiction, ma aspettatevi un altro aggiornamento presto! Grazie per aver letto.

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Capitolo 3
*** 3. ***


 

3.

Caitlyn uscì dalla stazione con un pulsante mal di testa. Era stata una giornata estenuante più a livello mentale che fisico; tutto il giorno calata su una scrivania a leggere, catalogare e firmare varie scartoffie. C’è chi avrebbe pagato oro per essere al suo posto: essere retribuiti per star seduti tutto il giorno, in cui la cosa più faticosa da fare alzare una penna e scrivere. Ma a Caitlyn tutto questo stava estremamente stretto: era diventata un’agente per aiutare il prossimo, fare l’investigatrice. Ma il lavoro di pattuglia le era stato notevolmente ridotto da quando girava voce che sarebbe diventata presto sceriffo.
Non era l’unica cosa che era cambiata tra i corridoi di quegli uffici per questo motivo: la maggior parte dei colleghi novellini, ogni volta che la incrociavano, si riempivano la bocca di parole estremamente cortesi e saluti ufficiali. I suoi superiori le portavano un maggiore rispetto di prima, ma le mollavano molto più lavoro da svolgere.

Non riusciva ad immaginarsi ancora nei panni di Sceriffo di Piltover; la pressione era tanta, le aspettative altissime, soprattutto in un momento di crisi come quello che la città stava passando. Pensare che avrebbe ricoperto lo stesso ruolo di Marcus, e prima di lui Grayson, la preoccupava.
D’altra parte, una volta arrivata al vertice, avrebbe ottenuto il potere necessario per cominciare a far cambiare le cose. Non voleva essere ricordata come l’eroina che salvò Piltover dai malvagi chembaron, ma più come colei che aveva dato inizio ad un meccanismo di pace e fiducia. Una pacificatrice. Ma dal momento che la sua giornata si era ormai conclusa, si diede una pausa da quei pensieri e si diresse verso casa.

Una volta varcato l’uscio, la scena che le si parò davanti fu più o meno questa: il piccolo tavolo da pranzo era apparecchiato per due, al centro una bella bottiglia di vino e due bicchieri; nei piatti una cena calda ancora fumante.
Il rumore della porta che si chiudeva richiamò la fautrice del tutto, che in quel momento era in un’altra stanza. La salutò da lontano, “ehi Cait!” per poi attraversare il salotto per raggiungere il tavolo e sedersi, “ti stavo aspettando”.
Caitlyn sorrise, “hai preparato tu tutto questo?” le chiese felicemente sorpresa, mentre si sfilò il cappello e il cappotto e lo poggiò entrambi sullo schienale della sedia, prima di sedersi anche lei.
“Pfft, ovviamente!” Vi fece spallucce divertita e afferrò la forchetta, “buon appetito allora!” e si gettò a capofitto nel piatto.

Caitlyn dovette ammettere che qualsiasi cosa avesse preparato aveva un aspetto e un profumo delizioso: sembrava uno stufato di qualche tipo, ricoperto di una salsa bruna e densa, con come cipolle e carote tagliate in grossi pezzi. Non ci rifletté molto e lo assaggiò anche lei: aveva un sapore agrodolce, la carne era tenerissima e gli occhi di Caitlyn si illuminarono appena ne sentì il sapore.
“Ma è delizioso” disse, prendendone un altro boccone, “ti dirò: ha anche un sapore molto familiare, come se l’avessi già mangiato prima” finì, e si girò verso l’altra.
Vi distolse lo sguardo e fece la finta vaga, “bah, ti starai sbagliando” senza aggiungere altro e continuando a mangiare. Stava cercando di sopprimere la stessa espressione che hanno i bambini quando combinano qualche marachella.

Caitlyn assottigliò gli occhi, alla ricerca d’indizi: sì, la cena era calda, ma non c’era traccia di una pentola sul fuoco, né degli scarti delle verdure, né la presenza del classico disordine che c’è dopo aver adoperato la cucina. In più, non aveva mai visto Vi cucinare davvero, i suoi pasti di solito erano caratterizzati da piatti freddi e cose relativamente semplici da preparare.
Alla fine, le ritornò in mente un particolare fondamentale: quella sera, prima di finire il suo turno, il proprietario di un baracchino di cibo e bevande era venuto a fare un reclamo, perché aveva lasciato un pacco da consegnare incustodito e questo era sparito nel nulla. Lo stesso venditore ambulante chiese esplicitamente di Caitlyn per fare la denuncia, perché si conoscevano, visto che lei e Vi prendevano spesso da mangiare in quel posto. Aveva ormai unito tutti i punti.

Sbuffò con arrendevolezza, “Vi, hai rubato questa roba vero?”
L’altra strabuzzò gli occhi, “come cazzo hai fatto a capirlo così velocemente?”. Ingurgitò l’ultimo pezzo di carne rimasto nel piatto, e rassegnata disse “okay, mi hai beccato. Almeno ci ho provato”.
Caitlyn sbuffò di nuovo, questa volta leggermente arrabbiata, “Vi non puoi continuare a fare queste cose, non ce n’è bisogno”. Le finanze in quella casa comunque non mancavano di certo, Caitlyn provvedeva a tutto senza problemi, ma c’era una certa riluttanza da parte di Vi nell’accettare tutta quella generosità. L’agente aveva anche provato a lasciarle disponibili dei soldi ad uso esclusivo dell’altra, per abituarla ad un po’ d’autonomia, ma ogni volta li ritrovava dove li aveva lasciati, intoccati. Probabilmente la zaunita odiava sentirsi in debito, in qualsiasi situazione; essendo cresciuta in un contesto in cui avere un debito probabilmente significava diventare schiavi di una dinamica da cui difficilmente se ne usciva.

Vi tentò di giustificarsi, “ti stai spaccando la schiena a lavoro e volevo fare qualcosa di carino che provenisse da me”, stava gesticolando vivacemente per evitare il contatto visivo, “questo è il meglio che posso fare, okay? Mettiti nei miei panni, mi sento una maledetta sanguisuga”, ora era lei che stava rimproverando Caitlyn.
Alla fine dei conti il punto di vista di Vi era comprensibile. Probabilmente era la sua condizione di estremo privilegio a rendergli difficile il tutto: la zaunita non era mai stata abituata ad avere una disponibilità economica in generale, tantomeno una sua casa e del cibo nella pancia tutti i giorni. Cose che per la piltoviana erano così scontante che il pensiero della fortuna che ha avuto nella vita nell’avere tutto garantito non l’aveva mai sfiorata.

Caitlyn rifletté a lungo, mentre lo stufato si raffreddava. C’era solo una soluzione quella situazione particolare, ed aveva un nome ben preciso.
“Hai bisogno di un lavoro.”
Vi rise. “La fai facile. Hai per caso visto qualcuno in disperato bisogno di una chempunk¹ che spacca nasi per l’azienda di famiglia? Perché è l’unica cosa buona che so fare e no, non li hai visti” prese la bottiglia di vino e strappò il tappo di sughero con i denti, per prendere un sorso.
Caitlyn, contrariatissima, le diete un leggero schiaffo sull’avambraccio, “non è vero. Sei capace a fare molte cose” e Vi la scrutò come per dirle sentiamo le cazzate, dai.
“Potrai non crederci, ma tanto per cominciare sei atletica” alzò il pollice, come per contare. “ti sei vista quando salti e scali palazzi come se fosse la cosa più tranquilla del mondo? Perché io , e ti posso assicurare che non tutti sono capaci di fare cose simili.”
“Sei perspicace, capisci subito se sei in una situazione di pericolo oppure no, poi che a te non importi e ti butti comunque nella mischia è un altro paio di maniche” alzò l’indice.
Alzò anche il medio, “hai una soglia del dolore altissima, se sei carica di adrenalina nulla ti ferma, hai coraggio da vendere, sei leale, hai dei valori di ferro” finì per aver la mano completamente aperta, “se i miei colleghi avessero metà delle tue qualità la mia vita sarebbe estremamente più semplice.”
“Vacci piano con le lodi cupcake, potrei pensare che tu ci stia finalmente provando con me.”
“Vi!” la rimproverò, “sono seria. Penso davvero quello che dico.”
Vi guardò la bottiglia che aveva tra le mani e sorrise amaramente. “Anche se fosse? Quanto buona posso essere per una città come Piltover? Queste non sembrano qualità che apprezzate da queste parti” distolse lo sguardo.
Caitlyn incrociò le braccia con fare offeso, “io le apprezzo”.
“Meno male che tu sei unica nel tuo genere allora” le regalò uno sguardo tenero, che causò nella piltoviana un’esplosione di calore nel petto, maldestramente celato da un finto muso lungo che mise su per l’occasione.
Scosse la testa per tornare a riflettere su una soluzione per quel problema. Quando arrivò all’illuminazione, si chiese come non ci avesse mai pensato prima.

Lo disse come se fosse sempre stata la conclusione più ovvia, “potresti unirti alle forze di polizia.”
Sei ufficialmente diventata matta, Caitlyn Kiramman” il suo nome pronunciato per intero la fece trasalire per un secondo, “okay che ci conosciamo da relativamente poco, ma non bisogna essere intelligenti per capire che non ho tutta questa simpatia per le forze dell’ordine.”
“Ma pensa a quanto saresti perfetta!” Caitlyn allungò la mano per stringere il polso di Vi, come se l’altra avesse intenzione di scappare da un momento all’altro, sentendo quelle parole.
“Avresti la possibilità di proteggere i più deboli, aiutare il prossimo e …” si fermò e ghignò divertita, “ … saresti legalmente autorizzata a prendere a pugni qualche chembaron senza subirne le conseguenze.”
Vi rise ancora, “legalmente autorizzata? Così mi tenti.” Ma il divertimento finì ben presto per far spazio ad un nuovo sentimento malinconico, “sarebbe un bel pensiero Cait, ma non credo che al Dipartimento di Sicurezza di Piltover accettino una come me”, un’orfana. Una ex-galeotta della prigione di Stillwater. Una zaunita.

 Questo era tristemente vero. Per qualche dannato motivo, tutti a Piltover potevano diventare agenti, tranne gli stranieri. Compresi chi proveniva dalla città sotterranea, nonostante Piltover e Zaun siano la stessa città, sì con profonde differenze, ma la storia, la lingua, la scrittura e lo spirito in comune.
Qualcosa scattò nella testa di Caitlyn, che proprio in quel momento decise quale sarebbe stato il primo cambiamento che avrebbe fatto in veste di nuovo sceriffo.

“Invece ti accetteranno” proferì, improvvisamente seria, “provvederò personalmente alla faccenda.”
“Come fai ad esserne così sicura?”
La piltoviana tentennò, ma non per timore di Vi, ma perché lei stessa era ancora terrorizzata dall’idea, “presto diventerò sceriffo.” Si strinse nelle sue braccia conserte, cercando conforto nel contatto delle sue dita sulla sua pelle. Guardò l’altra alla ricerca di disapprovazione? Delusione?

 Ma se Caitlyn aveva avuto dubbi fino a quel momento, la reazione di Vi le fece sparire seduta stante ogni insicurezza. La zaunita era aveva un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, gli occhi grigi pieni di ammirazioni. Subito cominciò a tempestarla di domande ed era palese che era genuinamente felice per lei.
“Oh, finalmente Jayce prende una decisione giusta!” sbatté la mano sul tavolo, “sei nata per avere questo ruolo, cupcake. Te la caverai benissimo.”
Per quanto Caitlyn provasse ad invertire le cose, si ritrovava sempre lei ad essere sostenuta da Vi, volente o nolente. A quel tavolo diede voce per la prima volta ai suoi pensieri, ai suoi dubbi, e la zaunita l’ascoltò senza battere ciglio. Per quanto Vi facesse fatica a adattarsi alla nuova realtà in superficie, non si tirava mai indietro dal prendere sul serio ogni problema che Caitlyn affrontava.
Un giorno l’avrebbe ringraziata a dovere.

±
Angolo dell'autrice: l'aggiornamento è arrivato prima del previsto, sorry! Comunque, ringrazio chiunque abbia letto fino ad adesso e sopratutto ringrazio chi ha messo la storia tra i preferiti/seguiti. Siete un gruppo nutrito e vi osservo eh <.< 
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** 4. ***


4.

Alcune volte Caitlyn l'aspettava a casa.
Non succedeva spesso perché solito era Vi quella che l'accoglieva ogni volta che tornava. Ma non quella sera, che l'agente aveva passato a completare della documentazione che aveva portato dal suo ufficio.
Guardò l'ora sul suo orologio da polso. Era mezzanotte inoltrata e aveva passato tutta la serata a lavorare di nuovo, ma fece fatica rendersene conto a causa dell'assenza di qualcuno che le ricordava che lavorava troppo e che aveva bisogno di riposare.
Si preoccupò un po'. Era già successo che Vi non fosse a casa quando tornava dal lavoro, ma di solito era sempre lì per cena o poco dopo.
Stava valutando se infilarsi di nuovo gli stivali ed andare a cercarla nelle vicinanze, quando senti il rumore familiare della chiave girare nella serratura. Chiuse la cartellina su cui stava lavorando, la mise frettolosamente via e fece per alzarsi, ma la scena che le si parò davanti le fece correre un brivido lungo la schiena.

"Vi!" per poco non rovesciò la sedia per lo scatto che fece per alzarsi. Vi era ricurva su sé stessa, con una mano si stava tenendo la spalla con forza, un taglio all'altezza del sopracciglio le aveva rigato il viso con rivolo di sangue, un occhio nero; aveva i pantaloni stracciati sulle ginocchia e zoppicò per i pochi passi che fece prima di essere afferrata da Caitlyn.
"Ehi Cait" la salutò come se nulla fosse, "scusa per l'ora."
L'odore che proveniva dalla sua bocca e i suoi vestiti era inequivocabile, "sei ubriaca?" chiese con incredulità l'agente, prima di caricarsi il peso di Vi e portarla verso il divano.
"Nemmeno mi saluti" oh sì, era ubriaca, e anche di molto considerando che a malapena si reggeva in piedi. Caitlyn si chiese come fosse riuscita ad arrivare lì sulle sue sole gambe.

La calò delicatamente sul divano, stando accorta a non provocarle ulteriore dolore. Il suo respiro si fece lento e pesante mentre Caitlyn le distendeva le gambe, in modo dal poter cominciare l'accertamento dei danni. I suoi occhi ispezionarono ogni ferita con attenzione medica.
"Cosa è successo?" chiese, prendendole il viso tra le mani e spostandolo appena per guardare meglio il taglio sul viso, che in realtà era una vecchia cicatrice che si era irrimediabilmente riaperta.
Ci mise un po' a rispondere "sei così carina quando ti preoccupi per me" sbiascicò, girandosi a guardarla con un ghigno. Caitlyn le diede un leggere pizzico vicino alla ferita.
"Ma che cazzo fai?"
"Cosa hai combinato stavolta?" insistette.
Vi grugnì mentre cercava di tirarsi su con un braccio "gonfiato di botte uno stronzo, ecco cosa."
Caitlyn prese un lungo respiro. Prima o poi sarebbe successo, doveva aspettarselo; ma vederla in quello stato aveva sempre lo stesso effetto su di lei, anche se era conciata molto meglio rispetto ad altre occasioni.

Si diresse in bagno e tornò con una bottiglia di disinfettante, un panno pulito e delle bende. Versò un po' di quel liquido acre sulla stoffa e si sedette di fianco a Vi.
Cominciò a pulirle il viso, "e il fatto che sei ubriaca c'entra qualcosa?"
"Brilla", sibilò. Aveva lo sguardo fisso sui movimenti delicati di Caitlyn, che con apprensione materna le stava curando le ferite. Come sempre, anche se questa volta con un profondo nodo alla gola, non la interrogò ulteriormente.
Vi inspirò "stavo tornando a casa e ho incontrato un amico" cominciò a parlare, "ci siamo fermati un bar poco oltre il ponte per scambiare due chiacchere. Abbiamo bevuto un po'."
Caitlyn annuì e non aggiunse nulla, invitandola implicitamente a continuare. "Sembrava un bar qualunque. Non ci avrei mai messo piede se avessi saputo che a quell'ora girassero i vecchi scagnozzi di Silco" la sua voce s'indurì a pronunciare quel nome, "quel brutto bastardo. Anche da morto mi perseguita" strinse i pugni per poi pentirsene a causa del dolore.
"Non ti muovere" Caitlyn le stava controllando la spalla. Non era dislocata, ma era tumefatta e annerita da un grosso livido, come se l'avesse usata per pararsi o attutire una caduta. Vi soffocò un lamento quando provò a fasciarlo.

La piltoviana non espresse opinioni su quello che Vi le stava dicendo. Quando si trattava di quella parte della sua vita, quella riguardante Zaun, non si sbilanciava mai nel capire se le sue azioni o ragioni fossero giuste o sbagliate. Anche se sembrava facile condannare la violenza gratuita, non avrebbe fatto l'errore di proiettare i suoi valori su di lei. Idealizzare gli zauniti era quello che tutti le avevano sempre insegnato a fare, e fu solo grazie a Vi che imparò che la realtà era ben diversa. Giusto o sbagliato, bianco o nero, buoni o cattivi era una visione ingenua del mondo, e che la vita di ognuno non era riducibile ad un solo aspetto di essa.

Caitlyn si alzò dal divano e si sedette sul pavimento, di fianco alle sue gambe distese. Cominciò a srotolare una benda, "queste invece? Come te le sei procurata?" chiese adocchiando i pantaloni lacerati, che nascondevano a malapena le ginocchia sbucciate.
Vi rise, "mentre correvo via sono caduta" disse, "almeno ho fatto qualcosa di buono facendo ridere i passanti."
Stava provando sdrammatizzare. Il pensiero la fece sorridere, immaginandosi tutta la sequenza tra scazzottata e fuga come uno spettacolo comico. Ma non durò a lungo e Caitlyn tornò seria.

Sentì lo sguardo di Vi su di lei. "Tutto okay? Mi stai fissando da un po'" chiese.
"Scusa" disse, "ma te che mi fasci la gamba mi ha fatto ricordare una cosa" ma scosse subito la testa, "è stupido, davvero, lascia perdere-"
La interruppe, "ti ascolto."

A giudicare dall'espressione di Vi, Caitlyn capì che non si aspettava la sua risposta. Fece un cenno con la testa come ad invitarla a continuare, e cominciò a carezzarle gentilmente lo stinco.

Trasse un sospiro. "Quando Powder era ancora ... una bambina, si faceva spesso male. Di solito ero io quella che si prendeva cura di lei quando succedeva. Una volta tornò piangendo al Last Drop. Aveva un ginocchio sbucciato, proprio come quello" Vi indicò con gli occhi la sua stessa gamba.
"Tentai di calmarla mentre la fasciavo. Aveva tutti gli occhi gonfi" da quelle parole sgorgava così tanta dolcezza e affetto. "Prima di lasciare la stanza, mi chiese una cosa abbastanza strana, 'ho sentito che se mi dai un bacio sulla ferita guarisce prima, sai Violet?'" lo disse provando ad imitare il tono di una bambina. "E così ho fatto. Il suo sorriso lo ricordo come se fosse ieri."

Oh. Nulla l'avrebbe preparata mai abbastanza a quello che Vi le disse. Grazie alle sue parole, Caitlyn s'immaginò perfettamente la scena; anche se fu arduo per lei separare Jinx da quell'entità indifesa di cui l'altra le aveva spesso parlato, ma ecco la lì, nella sua mente: una bambina minuta, con i capelli blu arruffati e le lentiggini che, come tutti i bambini, giocava, si faceva male, piangeva.

Ma ciò che davvero la fece rimanere di sasso fu Violet. Aveva assunto che Vi fosse un nomignolo, al massimo un nome d'arte non un'abbreviazione. Sui documenti della prigione era già tanto che ci fosse scritto qualcosa, ma la zaunita non lo aveva mai nemmeno sottointeso o accennato. Probabilmente, da quando era arrivata a Piltover, era la prima volta che condivideva quell'informazione. Arrivare a quella realizzazione le riempì il cuore di gioia.

"Violet" sospirò tra le labbra. Sollevo dolcemente la gamba mettendo una mano dietro al polpaccio, si avvicinò e schioccò un lieve bacio sulle bende che cingevano il ginocchio. Quando il loro sguardo s'incrociò, fu chiaro che Vi non l'era lasciato scappare. Era un gesto intenzionale, un atto di fiducia.

"Grazie per avermene parlato" disse mentre si alzava dal pavimento. Guardò nuovamente l'ora, erano l'una e mezza di notte "è tardi. Ti accompagno a letto?", le offrì una mano per aiutarla ad alzarsi. Lei annuì e basta. Afferrò la mano di Caitlyn e si sollevò, appoggiandosi a lei per percorrere quella decina di passi che le dividevano dal divano al letto.

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Angolo dell'autrice: dunque il mio computer mi ha abbandonato ufficialmente, e con lui i successivi capitoli della ff. Dire che la cosa mi ha amareggiato è dire poco, ma ho ricominciato a scrivere da capo i pezzi persi, quindi l'aggiornamento non dovrebbe tardare più di tanto. Alla prossima!

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Capitolo 5
*** 5. ***


5.

Il sonno di Vi era spesso disturbato.
Questa scoperta non soprese per nulla Caitlyn. Poteva solo immaginare come la zaunita avesse dormito negli ultimi anni della sua vita, sempre con un occhio aperto e in guardia, come un animale in perenne pericolo.
Alcune volte, quando tornava tardi dal lavoro e la trovava già ronfante nel letto o sul divano, il suo sonno sembrava normale. Lo capiva dal suo viso rilassato e pugni distesi, le labbra schiuse in un respiro lento e regolare.

Altre volte si agitava. Caitlyn avrebbe dato qualsiasi cosa per assistere ai suoi sogni e incubi: girava su sé stessa in continuazione, scalciava, stringeva tra le dita le coperte fino allo sfinimento. In quelle occasioni erano due gli scenari comuni: o Vi si alzava, per poi non tornare a letto e passare il resto della notte insonne; oppure si svegliava, bofonchiava qualche insulto, per poi girarsi verso Caitlyn. Talora l’accarezzava soltanto la spalla o il fianco, non spingendosi oltre; l’ultima volta invece Vi l’aveva stretta in un abbraccio delicato, poggiando la guancia tra le sue spalle.

Questo la piltoviana lo sapeva perché si svegliava ogni volta. Aveva sempre avuto un sonno leggero, dunque assisteva con costanza a questi episodi, però faceva sempre finta di dormire per evitare che Vi si trattenesse. Caitlyn aveva il timore che se avesse reagito in qualche modo, l’altra si sarebbe solo chiusa di più.
Anche se le doleva il cuore rimanere immobile; avrebbe voluto girarsi immediatamente ad ogni richiesta di consolazione, per ricambiare ogni carezza e baciarle la fronte. Per compensare però, ogni mattina dopo si premurava di lasciarle una colazione abbondante sul tavolo, prima di uscire per il suo turno. Era il minimo che potesse fare.

Quella notte fu diversa dalle altre. Fuori dalla finestra, un forte temporale illuminava la stanza ad intermittenza, rendendo il dormire una sfida ardua per Caitlyn, che per prendere sonno aveva bisogno di un minimo di silenzio. Ma appena sembrava che fosse riuscita nell’intento, un tuono o un fulmine la facevano sobbalzare sotto le coperte.
Sentì un lamento provenire dal lato accanto del letto. A quel punto Caitlyn si mise l’anima in pace e capì che avrebbe passato la notte in bianco; fortunatamente il giorno dopo era di riposo.

Mantené comunque il suo solito atteggiamento, evitando di girarsi. Sentì un altro fruscio, e un altro ancora, finché alle sue orecchie non giunse il rumore di un pianto soffocato.
Caitlyn s’allarmò. Sollevò la testa del cuscino, abbastanza per vedere con la coda dell’occhio oltre la sua spalla.
Vi era rannicchiata al bordo del letto; aveva il viso nascosto tra le ginocchia, le mani dietro sulla testa che stringevano con forza i capelli rosa. Da quella posizione Caitlyn vedeva la sua schiena curva e tesa, e notò che tremava come una foglia.

Si mise a sedere, “Violet?” cerco di mantenere un tono calmo, probabilmente fallendo perché all’udire del suo nome l’altra trasalì, tremando ancora di più e affondando le unghie nella cute. Stava mugugnando qualcosa di incomprensibile in modo continuo, come una cantilena, interrotta soltanto dai singhiozzi che con il passare dei minuti si facevano sempre più disperati e gutturali. Caitlyn si trascinò fino a raggiungere il lato del letto di Vi, sedendosi accanto a lei. Provò a scuoterla, tentando di schiudere la stretta che aveva sulle sue gambe per guardarla nel viso.

“Violet, guardami” la implorò, sentendo i suoi occhi cominciare pizzicare. Le prese il volto con entrambe le mani, delicatamente ma con fermezza, e la guardò: i suoi occhi grigi straripavano di lacrime, ma aveva uno sguardo vacuo, le pupille strette. Era terrorizzata, e Caitlyn non l’aveva mai vista in quello stato.
Tentò di calmarla. “Respira, okay? Respira con me” inalò ed esalò, ritmicamente, invitando Vi ad imitarla. “Mi dispiace” continuava a ripete, “mi dispiace” e quelle parole le morivano in gola, strozzate dal panico. Le sue mani si erano spostate sulla camicia da notte lilla di Caitlyn, e la stavano stringendo come se stesse per piombare nel vuoto, come se quello fosse l’unico appiglio per non affogare.

“Non mi chiedere scusa” le carezzò il viso, “voglio solo che respiri. Lo fai per me?”
Vi annuì. Lentamente il suo respiro rallentò, le lacrime si asciugarono lasciando solo delle tracce salate sulle sue guance e la presa sulla camicia si allentò. Caitlyn se la strinse al petto, premendo dei baci leggeri tra i suoi capelli, accarezzandole i capelli e l’incavo del collo. Anche se la zaunita ricambiò quell’abbraccio, se ne divincolò in fretta, lasciando l’altra sorpresa e intimorita da quell’abbraccio dischiuso troppo presto.
Vi si alzò dal letto e si strinse il centro della fronte tra le dita, la sua espressione corrucciata in mille dubbi. Si guardò intorno, senza però incontrare la figura di Caitlyn, evitando accuratamente di posare i suoi occhi su di lei, anche solo per un attimo.

“Va meglio?” chiese timidamente.
No”, sospirò appena, dirigendosi con passi veloci verso la porta della camera. Dal letto, senza parole, Caitlyn sentì le cinghie dei suoi stivali allacciarsi e il rumore della sua giacca. Si alzò di scatto e raggiunse il salotto, dove trovò Vi con una mano già sul pomello del loro ingresso.

Violet …? “
“Non ce la faccio, Cait” lo disse con tono serrato, fissando la sua mano. Non aveva ancora deciso cosa fare e rimase immobile davanti alla porta, esitando sull’ultimo passo che la separava dall’essere fuori quella casa.
“Possiamo parlarne?” Caitlyn fece un passo verso di lei, “fuori c’è un temporale, è notte fonda, non puoi andare via ora” ormai erano quasi faccia a faccia, stava per afferrare la mano di Vi con la sua quando lei gliela schiaffeggiò via, facendola sussultare.
Non capisci!” ruggì, “non potresti mai capire.”
“Perché dici così?”
“Perché sono pericolosa, Cait” disse con una rassegnazione disarmante, come se a questa conclusione ci fosse arrivata da tempo.
“Ogni notte li rivedo morire tutti davanti ai miei occhi. Tutti quelli che ho abbandonato” si girò a guardare Caitlyn, “eppure, tu. Mi tieni e mi stringi come se fossi fragile come un pezzo di vetro. Perché non sai quello di cui sono capace!” disse con tono accusatorio, come un rimprovero, ma più verso sé stessa che nei confronti di Caitlyn.
“Se sapessi mi sbatteresti in mezzo alla strada come un cane. Come biasimarti? Per colpa mia, sono morte le persone a me più care. Per colpa mia, ho perso mia sorella. Per colpa mia, sei stata rapita e hai rischiato la vita” girò il pomello, aprendo la porta. “Sono un mostro.”

Caitlyn scattò in avanti e chiuse la porta, provocando un tonfo sordo. Forse, se questo fosse successo qualche mese prima, l’avrebbe lasciata andare. Avrebbe guardato la porta chiudersi e lei, inerme, lo avrebbe accettato. Ma era stanca; stanca di essere solo un’attenta osservatrice, perché lei riusciva nei suoi obiettivi soltanto agendo. Fu una scelta di pancia, uno slancio di cuore, ma non tentennò. Era convinta profondamente di quello che stava per fare.

 La piltoviana si mise tra Vi e l’uscita, il suo viso serio e determinato, pronta ad attaccare. Prese un respiro profondo prima di parlare.
“Pensi io sia stupida?” chiese, ma era più una domanda retorica. Al gesto di Caitlyn, la zaunita rispose solo con il silenzio.
“Pensi che io non abbia messo in conto tutto questo?” gonfiò il petto, “a Stillwater, ho oltrepassato la linea per avvicinarmi alla tua cella? Ho infranto la legge per farti uscire? Ti ho seguita per ogni vicolo di Zaun senza fiatare?” e la lista sarebbe stata ancora più lunga, ma il concetto era chiaro.
Vi non rispose di nuovo e discostò lo sguardo, colpevole. “Rispondimi.”
“Sì, l’hai fatto.”
“E sai perché?”
Vi scosse la testa.
“Perché ho visto tutto ciò che di buono può avere un essere umano” prese una pausa, “qualcuno avrebbe potuto dire che è stato un giudizio affrettato. Un rischio.”
“Tutte le persone che hanno visto del buono in me o sono morte o mi odiano.”
“Un rischio che vale la pena prendere ogni volta.”

 Vi alzò lo sguardo e incrociò quello dell’altra per la prima volta da quanto aveva cominciato a parlare e per l’ennesima volta rimase senza parole. Stava guardando Caitlyn con occhi pieni di incredulità, lucidi di stupore, e la piltoviana capì che aveva colpito nel segno. Era riuscita a far crollare lo spesso muro di mattoni che circonda l’altra, che in quel momento era immobile, svestita di ogni maschera. Stava per abbracciarla quando Vi cominciò a parlare, rompendo il silenzio con un filo di voce.
“Spero che un giorno riuscirò a vedermi come tu mi vedi” la sua espressione addolorata si sciolse appena in un sorriso accennato. Voleva provare a credere nelle sue stesse parole, aggrappandosi alla credenza che un giorno sarebbero state realtà.

Caitlyn accorciò la distanza che le separava, le mise le mani sul viso, appoggiò la fronte contro la sua e chiuse gli occhi.
“Sei la donna più bella, coraggiosa e forte che io abbia mai conosciuto” e non solo, ma in quel momento non riusciva a trovare le parole giuste per descriverla; perché non bastavano. Nessun aggettivo avrebbe mai descritto a pieno cosa Vi fosse per lei, perché non avrebbero fatto altro che sminuirla. Nulla avrebbe mai reso l’idea.

“Non sarà facile crederci” rispose, avvolgendo le sue braccia attorno alla vita di Caitlyn e portandola più vicina a sé.
“Meglio che cominci a farlo” sorrise, sollevando la testa, “lascia che ti convinca.”
Si guardarono negli occhi per un secondo e poi Caitlyn la baciò. Un bacio dolce e lieve, che durò a lungo e che fu ricambiato con altrettanta dolcezza. La piltoviana la sentì tremare sotto le sue dita, sotto le labbra, per poi calmarsi e sentire le sue mani che la stringevano più forte. Poteva sentire il battito del suo cuore rimbombare contro il suo petto.

Si separarono. “Convinta?”
“Forse” sorrise, dandole un altro bacio.

 

±

Angolo dell'autrice: ho recuperato i file del vecchio pc DAJE

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Capitolo 6
*** 6. ***


6.

L
a nomina del nuovo sceriffo è sempre stato un evento per l’alta società di Piltover; un momento di passaggio di testimone importante, di nuove speranze e prospettive per la città e i suoi cittadini.
Che la sala dei congressi fosse gremita di persone non sorprese Caitlyn proprio per questo motivo. Alla vista di quel pubblico numeroso ricordò quando, qualche anno prima, assistette alla cerimonia di Marcus dopo la morte improvvisa del suo predecessore, Grayson. A quel tempo era ancora un’adolescente indecisa sul suo futuro, sotto pressione sia dalle aspettative dei suoi pari e sia quelle di sua madre; seduta in prima fila, ebbe l’occasione di vedere per la prima volta la cerimonia.
Il ricordo era ancora estremamente vivido. Donne, uomini e yordle in alta uniforme erano seduti attorno a lei e stavano guardando con ammirazione il collega tenere il suo discorso sotto le luci abbaglianti dei riflettori. Quel discorso fu lungo e toccante, intriso di belle parole e affermazioni forti che ispirarono la piccola Caitlyn.

Non si sarebbe mai aspettata che un giorno avrebbe rivissuto la stessa esperienza a parti inverse, e che quel giorno era arrivato troppo in fretta e lei non era nemmeno lontanamente pronta. Si pentì di aver preso in giro Jayce quando, nella stessa posizione in cui sti trovava lei in quel momento, avrebbe dovuto parlare dei suoi progetti hextech alla fine del Giorno Del Progresso; quasi lo ammirò per il coraggio, perché ciò che le aspettava la stava facendo sudare freddo.

Si sistemò il cappello e la gonna, nel tentativo di discostare i suoi pensieri altrove. In quel momento avrebbe desiderato con tutta sé stessa che dietro le quinte del palco ci fosse uno specchio per controllare lo stato della sua faccia: sapeva che prima o poi le sarebbero venute delle rughe profondissime sulla fronte, per il tempo che passava ad avere un’espressione corrucciata.

Buttò un occhio sul pubblico: tutti erano presenti, dai suoi colleghi, Jayce, sua madre e suo padre seduti in prima fila, tutti allegri e parlottanti tra loro. Caitlyn cercò con gli occhi una persona in particolare, e data la sua chioma sgargiante non sarebbe stato difficile trovarla, se solo fosse stata lì.

Caitlyn prese un lungo sospiro, per poi tornare a concentrarsi su qualsiasi cosa non fosse il suo discorso. Nei giorni precedenti alla cerimonia, la piltoviana aveva parlato estensivamente delle sue preoccupazioni a Vi, e lei aveva fatto del suo meglio per darle supporto. Ovviamente a modo suo.

Le parole non erano il punto forte di Violet, e quando provò ad aiutarla a scrivere un pezzo del discorso su carta, le due finirono per battibeccare su quanto sia appropriato l’uso di parolacce in un documento ufficiale.
“Come pensi di raggiungere le persone con tutti questi paroloni? Vai diretta al punto!”
“Violet sii ragionevole, non posso dire fanculo i chembarons.”
“Ma è quello che pensi!”

Per quanto Vi fosse carente nel dipartimento comunicazione diplomatica, recuperava tutto in gesti e piccole accortezze nei suoi confronti. Ad esempio, come aveva imparato soltanto osservandola prepararlo ogni mattina, la sua miscela di tè preferita: un cucchiaio del barattolo verde, mezzo da quello di rame, due zollette di zucchero e un po’ di latte intero. Glielo aveva servito quella mattina stessa a letto, con un paio di biscotti, assicurandosi che finisse tutto.

O quando, per far staccare Caitlyn dalla scrivania la sera tarda, l’afferrasse di peso come un sacco per lanciarla sul letto; e lo faceva ogni volta, con così tanta determinazione che da un po’ Caitlyn non si opponeva più.

O come, dopo ogni doccia, Vi le chiedeva se potesse pettinarle i capelli. La prima volta che glielo chiese la piltoviana si stranii, ma le porse comunque la spazzola, incuriosita. Da quel momento era diventato un loro rito, dove in silenzio la zaunita pettinava con cura i suoi lunghi capelli scuri, con delicatezza districava ogni nodo. “Hai dei capelli meravigliosi, lo sai?” le diceva ogni volta, e ogni volta Caitlyn sorrideva come una ragazzina innamorata.

Perché alla fine dei conti quella era la questione. Se all’inizio era un desiderio di protezione, di affetto genuino dato dall’esperienze traumatiche vissute insieme, anche un certo senso di responsabilità, si era trasformato presto in altro. Violet non aveva mai nascosto l’attrazione che provava per lei, e Caitlyn ci aveva messo un po’ per scendere a patti con le battute e gli ammiccamenti scherzosi.

Poi sono subentrate le preoccupazioni, le carezze, gli sguardi intrisi di mille parole impossibili da dire. Lentamente, senza fretta, Caitlyn si era innamorata perdutamente di Violet: di ogni sua singola sfaccettatura, espressione, cicatrice, sorriso, lentiggine …

Caitlyn scosse la testa vigorosamente per ridestarsi dai quei pensieri. Non era il momento più adatto per pensare queste cose, non lo era per nulla, ma non poteva fare a meno di desiderare che Vi fosse di fianco a lei prima della cerimonia. La sera prima glielo aveva chiesto ma lei era titubante, qualcosa tra un volerle lasciare spazio per godersi il suo momento e tra “piltoviani” stretto tra i denti. Aveva detto che ci avrebbe pensato su e Caitlyn sperò fino all’ultimo momento che le sarebbe apparsa alle spalle.

Ma quel momento non arrivò. Il suo nome venne annunciato a gran voce dal microfono del podio illuminato a giorno e il chiacchiericcio del pubblico scemò, in attesa. Si sistemò un’ultima volta l’uniforme, prese un lungo respiro e camminò per la prima volta su quel palco, con ogni passo che riecheggiava nel completo silenzio.

Arrivata dietro il podio, sistemò il microfono e tirò fuori da una delle sue tasche un foglio ripiegato, lo sistemò davanti a sé e cominciò. Sentì su di sé tutti gli sguardi dei presenti.

“Cittadini di Piltover” disse, alzando lo sguardo dal foglio “è con estremo onore e gratitudine che vi annuncio che da oggi in poi ricoprirò la carica di Sceriffo. Il consiglio ha espresso questa volontà nei difficili mesi che abbiamo vissuto, e accetto questa responsabilità con grande gioia” guardò nuovamente in basso, leggendo le parole che aveva scritto con velocità.

“Come ben sapete, la nostra amata città sta attraversando una delle più violente crisi della nostra storia. Non nego che sarà un lavoro difficile, ma farò del mio meglio per reinstaurare sicurezza nelle nostre strade” si fermò. Quelle parole le sembravano così poco, così vuote. Sapeva che avrebbe dovuto dire di più, ma le mancò il coraggio.
Guardò la platea, ampia e affollata: i suoi occhi guizzavano da una parte all’altra, alla ricerca di una testa in particolare.

E la vide. Non l’aveva vista prima perché aveva il cappuccio, ecco perché. Era seduta nel centro, e la riconobbe dai suoi occhi grigi scintillanti, fissi su di lei. Il cuore di Caitlyn si riempì di qualcosa che non seppe descrivere.

Le sue dita tremolanti presero il foglio e lo girarono, quelle parole scritte nei giorni precedenti diventarono improvvisamente inadeguate e nella sua testa ne fluirono, come un fiume in piena, altre più importanti. Caitlyn dimenticò di essere davanti a tutte quelle persone, e la tribuna divenne vuota, con solo Violet al centro.

“Tuttavia,” riprese, “tutti noi dovremmo fare un profondo esame di coscienza. Quanto, ognuno di noi, ha fatto per evitare questo? Quanti occhi abbiamo abbassato, quante volte abbiamo fatto finta di essere sordi quando la realtà invece era così rumorosa?” si alzò un mormorio leggerò, ma che non la fermò.

“Le cose cambieranno, e i primi a cambiare dovremmo essere noi. Noi piltoviani. Mettere la nostra bravura a servizio di tutti e non dei più abbienti. Dedicare un domani sicuro ad ogni bambino, ad ogni persona, e soprattutto un domani libero” aveva alzato il tono della voce, ormai divenuto arrabbiato, accusatorio “noi abbiamo il potere per farlo. Il mio lavoro sarà assicurarmi che accada, per Piltover, per Zaun, per tutti” e finì.

Caitlyn si sentì come se avesse appena vomitato. Aveva la testa leggera, una fitta allo stomaco che l’avrebbe piegata in due dal dolore se non fosse stata su quel palco. Il pubblico, con la fine del suo discorso, tornò nel silenzio. Alcuni si scambiarono occhiate dubbie, chi aveva un’espressione disgustata, chi invece gli occhi lucidi.

A Caitlyn non importava nessun dei precedenti. Aspettava soltanto la reazione di Violet, perché erano per lei quelle parole, era per lei tutta la speranza, erano per lei tutte le scuse che si meritava per quello che aveva passato.

Nel silenzio più totale parti un fischio, e poi un applauso. Vi si era alzata, si era tolta il cappuccio, e in piedi sul sedile aveva cominciato ad applaudire e cantare il suo nome. Gli altri, timidamente, vennero ispirati dalla zaunita e la imitarono, finché il silenzio non fu rimpiazzato da un lungo scroscio d’applausi.

All’uscita del palazzo, i suoi colleghi la stavano aspettando in riga e sull’attenti e, quando il sergente Harknor, agente senior di Piltover, le applico lo stemma di Sceriffo sul petto, ottenne un ulteriore applauso. Di Vi però non c’era nemmeno l’ombra, era arrivata ed era sparita in un attimo, senza che la piltoviana potesse intercettarla.

I suoi genitori la riaccompagnarono a casa alla conclusione della cerimonia e Caitlyn non vedeva l’ora di tornare. Rimase per tutto il breve viaggio pensierosa, rispondendo a monosillabi a sua madre, che stava esprimendo la sua opinione riguardante il discorso.

Appena Caitlyn arrivò all’entrata del condominio, corse in fretta per le rampe di scale e spalancò la porta di casa. Trovò Violet che l’aspettava appoggiata al tavolo della cucina, un sorriso a trentadue denti stampato in faccia; appena vide Caitlyn, allargò le braccia.

“Ehilà, sceriffo.”
Caitlyn si gettò in quell’abbraccio con così tanta veemenza che per poco non sarebbero capitombolate a terra entrambe. Si strinsero con forza, entrambe felicissime, poi Vi  la sollevò dalle gambe per alzarla e farla roteare nel mezzo del salotto, ridendo entrambe a crepapelle.

Dopo che il cappello di Caitlyn volò rovinosamente oltre il divano, Violet la poggiò a terra, stringendola ancora a sé.
“Non hai idea di quanto sia stata felice di vederti lì” disse, “davvero. Pensavo non saresti venuta.”
“Ho dovuto pensarci un po’, scusami” Vi le prese la mano e le posò un lieve bacio sulle dita, “cambiare idea è stata la scelta migliore che potessi fare.”

“Quindi ti è piaciuto il discorso?”
“Scherzi? Sei stata incredibile, cupcake. Hai rimesso tutti quei palloni gonfiati al loro posto, avresti dovuto vedere le loro facce” disse, per poi scimmiottare uno degli spettatori che le erano seduti di fianco. Caitlyn rise di gusto, immaginandosi perfettamente la persona in questione.

Era valsa la pena angustiarsi così tanto su quel discorso se il risultato era vedere Vi felice. Il suo viso contratto in una risata, con il naso arricciato e gli occhi lucidi, era la cosa più bella e armoniosa che i suoi occhi abbiano mai avuto il privilegio di ammirare.

“T’ho detto che sei nata per essere al comando, Cait. Non ho visto così tanti discorsi nella mia vita, ma per Janna sei non hai sbagliato una virgola. Non vedo l’ora di vederti in azione, a mettere in riga tutti quegli agenti del cazzo che se la credono. Sei perfetta.”

Caitlyn strabuzzò gli occhi, per ricevere come risposta dall’altra un mezzo ghigno con una linguaccia. La piltoviana s’inclinò in avanti per un bacio, che ricevette senza esitazioni. Poi altri a seguirsi, sempre più veloci e affannati. Erano in casa ormai da un quarto d’ora e non si erano separate ancora da quell’abbraccio.

Vi poggiò il pollice sul labbro inferiore di Caitlyn, carezzandolo appena.
“Quindi,” sottolineò giocosamente, “come vuoi festeggiare questo lieto evento?”
La piltoviana inclinò la testa, incuriosita. “Bottiglia di vino?
“Uh-uh, l’abbiamo finito l’altra sera, ricordi?” schioccò la lingua sulle labbra, “puoi chiedere qualsiasi cosa, sceriffo.”
“Qualsiasi cosa?” ripeté, per poi avvicinarsi all’orecchio di Vi e sussurrare qualcosa a bassa voce. Quello che ne seguì fu prevedibile: la zaunita riprese in braccio l’altra per le cosce e senza interrompere la raffica di baci rumorosi, andò maldestramente verso la camera da letto e chiuse con un calcio la porta dietro di sé.

Il giorno in cui Caitlyn diventò Sceriffo fu il giorno in cui fece molte cose per la prima volta.
Per la prima volta, aveva detto ciò che pensava davvero davanti chi le faceva più paura; per la prima volta sentì che aveva fatto il passo giusto verso un futuro migliore per la sua città; per la prima volta si era sentita fiera di sé stessa, e per la prima volta aveva amato senza remore, senza freni, la donna più importante della sua vita.
E non vedeva l’ora di svegliarsi per averla al suo fianco, domani.




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