Training Wheels di ciredefa (/viewuser.php?uid=147684)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
Piccole note prima della lettura:
ehi! Grazie per aver aperto questa storia, spero vi piacci come a me
è piaciuto scriverla. Ci vediamo a fondo pagina, buona
lettura!
Training
Wheels
Mesi
prima, fu la stessa Caitlyn a portare Vi per la prima volta in quel
complesso
di appartamenti poco fuori dal centro di Piltover (e convenientemente
vicino
alla stazione di polizia). Una delle fortune di essere
l’erede di una delle
famiglie più facoltose della città era quella di
avere una rete di contatti
molto ampia e, secondo sua madre, asservita al
punto giusto: un paio di
chiacchere con qualcuno che doveva qualche favore a Cassandra Kiramman et
voilà.
Ovviamente
non ne aveva parlato direttamente con Vi. Da quel giorno, quel
maledetto
giorno, in cui si era ritrovata ad assistere alla morte metaforica
della sua
amata sorellina e alla nascita di Jinx, la zaunita si era decisamente spenta.
Non aveva un posto dove andare, nessuno da cui tornare per avere
rifugio o
semplicemente un posto dove dormire. Girare per Zaun era fuori
discussione
perché era ben conosciuta da tutti (l’erede di
Vander, così la chiamavano) ed
era praticamente un mirino su gambe, d’altra parte stare a
Piltover e convivere
con gli sguardi e nasi arricciati come se Vi fosse il più
puzzolente ratto del
sump non era di certo semplice. Un maledetto limbo in cui ogni passo
sembrava
un balzo nel vuoto, non lo scenario migliore dove ricominciare,
costruirsi una
vita praticamente da zero.
Anche
Caitlyn non se la passava granché. Dire che
l’assenza di Marcus avesse portato
scompiglio in tutta la catena di comando era un eufemismo; il lavoro si
era
quadruplicato, sia d’ufficio che di pattuglia. Inoltre, come
se non bastasse,
stavano venendo a galla tutte le scartoffie false, firme contraffatte e
la
generale corruzione che dilagava tra i ranghi più alti.
In
una realtà alternativa, Caitlyn sarebbe stata felice di
tutto questo. Adorava
il suo lavoro, adorava dare alla giustizia chi se lo meritava, ma
ciò che
provava era soltanto una profonda amarezza; derivata dalla certezza
cieca che
aveva riposto in quel sistema e di come quest’ultimo in
realtà fosse soltanto
il motore di tutti i problemi, e lei l’ennesimo ingranaggio,
fortunatamente
ignaro. La
botta finale gliela diede sua madre, ancora convalescente
dall’attacco alla
consulta, di cui lei era una dei pochissimi sopravvissuti. Erano mesi
che era
ricoverata all’ospedale e nonostante le ferite riportate
dall’esplosione, aveva
ripreso presto a mandar avanti la baracca con il
suo solito stile.
“Jayce
vuole darti l’incarico di sceriffo” le diede la
notizia così a bruciapelo che a
Caitlyn per poco non andò il tè di traverso. Furono
inutili le sue proteste. Nessun sono troppo giovane,
non ho
abbastanza esperienza e infine non dopo tutto
quello che è successo
riuscirono a smuovere nulla, e sua madre di tutta risposta aveva solo
affermato
che lei era la più adatta per il ruolo, nessun’altro
avrebbe
accettato. Suo padre la intercettò mentre fuggiva
per i corridoi,
fermandola giusto in tempo per abbracciarla e rassicurarla, prima di
lasciarla
andare via di nuovo.
Quando
Caitlyn inserì la chiave nella toppa di quel piccolo
appartamento per la prima
volta, le due donne erano al loro punto più basso degli
ultimi mesi. Andavano
avanti a stenti, erano esauste, ma per la prima volta estremamente simili.
Chiunque
avrebbe usato qualsiasi altra parola per descriverle: una facoltosa
ereditiera
di Piltover, agente in carriera dal futuro luminoso, mentre
l’altra era solo
un’orfanella (anche ex-galeotta) della città
sotterranea che per discutere
usava più i pugni che la sana e civile
conversazione. Fortunatamente,
delle persone e di quello che pensavano alle due non importava un bel
niente.
Non erano le differenze ad essere rilevanti in quel momento;
ciò che spinse
Caitlyn a decidere di ottenere quella chiave era il bisogno di entrambe
di
avere un luogo sicuro dove rifugiarsi.
Anche
se Vi non le aveva mai chiesto di farlo. Ma all’agente
non sfuggiva mai
alcun dettaglio: gli ennesimi lividi sulle braccia, le nocche spaccate
e le
bende fresche di sangue, le occhiaie scavate. Era abituata a soffrire,
a
sacrificarsi, a voler proteggere gli altri e a scordare sé
stessa per la
strada.Ma
era arrivato il momento che qualcuno proteggesse
Vi. L’appartamento fu
il primo tentativo di Caitlyn.
“Che
lusso” fu il primo commento che uscì dalla bocca
della zaunita dopo aver
premuto l’interruttore.
Non
sbagliava. Sì, era un piccolo spazio, ma dotato di tutti i
comfort necessari:
una cucina comunicante ad un salottino, un bagno, una camera da letto.
Il tutto
ammobiliato abbastanza dal renderla vivibile subito ma non abbastanza
da poter
dire che ci vivesse già qualcuno.
Gli
occhi di Vi si fecero inquisitivi. Si guardò attentamente
intorno, sfiorò ed
ispezionò con le dita più o meno ogni superficie
e cassetto disponibile della
casa, come ad accertarsi che fosse tutto vero, tutto sotto gli occhi
attenti di
Caitlyn, rimasta ferma sull’uscio, che accennò un
sorriso alla vista della
curiosità dell’altra.
“Ti
piace?”
“Molto”
stava aprendo i vari pensili della cucina, “molto elegante
come hotel. Non c’è
niente da mangiare però”, ed erano tristemente
tutti vuoti.
Caitlyn
ridacchiò all'idea che l’altra pensasse che questo
fosse un hotel; si chiuse
la porta alle spalle ed entrò nell’appartamento,
anche lei osservando con
meraviglia gli interni. C’era la carta da parati con dei
decori satinati, il
parquet e un piccolo caminetto davanti al divano. Era persino meglio di
come se
l’era immaginato.
“Sono
contenta che ti piaccia” sorrise di nuovo, “ci ho
messo un po’ a trovarla”.
“Davvero?”
Vi smise di rovistare nella dispensa tristemente vuota,
“l’avrai pagata un
sacco di soldi. Non che mi dispiaccia eh, ma per stare un po’
sole non serve
mica pagare” si sedette sul tavolo ma rivolta verso Caitlyn,
“a me basta un
letto, anche singolo. O uno sgabuzzino. Quello che ti piace di
più” le fece un
occhiolino.
Una
provocazione. Provocava perché sapeva che l’altra
diventata paonazza come
un’adolescente e la visione di lei imbarazzata non avrebbe
mai smesso di
divertire Vi, per nessuna ragione al mondo. Ma a
quella frase, Caitlyn arrossì a malapena. Un po’
perché si era abituata al tutto
fumo, niente arrosto
che erano quelle battute, un po’ perché stava
cercando
il modo per dirgli il motivo per cui erano lì quella sera.
“Non
è un hotel, comunque” fece qualche passo verso il
tavolo, “è una casa”.
“Di
chi?” inarcò un sopracciglio confusa, non
spostando lo sguardo da davanti sé,
alla ricerca di una spiegazione nell’espressione
dell’altra. Caitlyn prese
delicatamente la mano di Vi, aprì leggermente le sue dita e
sul palmo poggiò la
chiave d’ottone, “tua, ora”.
Rimase
atterrita, in un attimo mille sentimenti contrastanti le attraversarono
gli
occhi e il viso. Per un po’ fissò
l’oggetto, incredula, cercando di mettere due
parole di fila e dire qualcosa ma senza riuscirci.
Alzò
lo sguardo e l’unica cosa che riuscì a dire fu
soltanto “perché”.
Il
tono con cui lo disse spezzò il cuore di Caitlyn. In quel
perché erano nascoste
mille sfumature: un iroso mi stai prendendo per il culo, un orgoglioso cosa
potrei mai farci in un posto del genere e infine, quello
più rumoroso di
tutti, io
non merito tutto questo.
“Penso
che” prese un respiro, “è arrivato il
momento di mettere qualche radice, hm? Lo
so, lo so, non dovrei prendere decisioni per te, sei perfettamente
capace di
farlo, ma …” afferrò la mano di Vi, la
stessa con la chiave, per stringerla
forte con la sua, “… per favore, accetta. Non
posso aiutarti a cancellare il
passato, ma posso aiutarti a costruire un futuro migl- “.
“Per
la grazia di Janna fai silenzio” gli si
gettò al collo in un abbraccio
quasi rabbioso e la strinse forte, affondando il naso nel collo
dell’altra.
Caitlyn rimase stordita per un attimo da quel contatto improvviso, ma
si
ridestò subito e ricambiò l’abbraccio
con la stessa forza. Non voleva dire
parole superflue e non voleva premere per una riposta, così
aspetto
pazientemente la sua decisione. Nell’attesa, le
passò la mano tra i capelli per
rassicurarla.
“Voi
piltoviani siete tutti uguali” ruppe il silenzio dopo un
po’, “sempre ‘sti gran
discorsi sul futuro, eh? Non potete farne a meno”, ma il
sarcasmo non riuscì a
nascondere il tremolio della sua voce.
Caitlyn
ridacchiò appena, “c’è chi
è più bravo di altri, ma sì.”
Si
separarono abbastanza da potersi guardare in faccia, ma senza schiudere
l’abbraccio, “voglio che tu sappia che non sei
costretta ad accettare” le carezzò
la guancia con il pollice, “solo che mi sentirei
più sicura a saperti qui che
in mezzo alla strada ad attaccare briga come al tuo solito”.
Vi
accennò un mezzo sorriso, “lo sai che vivere qui
non mi fermerà dall’attaccare
briga con qualche stronzo, vero?”
“L’avevo
tenuto in conto” ritornarono ad abbracciarsi, stavolta
Caitlyn poggiò la sua
guancia sulla spalla di Vi, “ma almeno saprei dove trovarti
per venirti a
tirare le orecchie, no?”.
“Hai
ragione” ammise, “va bene, cupcake, ma ad una
condizione: tu vieni a vivere
qui. Con me”.
±
Angolo
dell'autrice con il cervello in pappa per colpa di Arcane:
dunque Arcane è il mio pensiero fisso da circa un mese, loro
due le shippo da eoni e le ho sempre amate come se fossero le mie bimbe
predilette. Questa sarà una mini-long caratterizzata da
brevi capitoli con un filo sottilissimo di trama, che lega il tutto,
che vedrete poi. E' in produzione ma sono molto avanti con il lavoro,
quindi pubblicherò il capitolo due quando avrò
pronto il terzo e così via. Spero vi appassioni! Potete
trovarmi a retwittare fanart di Arcane su twitter a tutte le
ore del giorno qui, @ciredefa
Un bacio!
|
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Capitolo 2 *** 2. ***
2.
Vivere
insieme a Vi aveva i suoi lati positivi e i suoi lati negativi.
Pochi
giorni dopo l’essersi stabilita in pianta stabile in quel
piccolo appartamento,
Caitlyn notò per la prima volta un pessimo difetto della sua
coinquilina:
l’essere una gigantesca smemorata.
Questo
venne a galla una sera in particolare, quella in cui suo padre
organizzò una
festa per la dimissione di sua madre dall’ospedale. Fu un
ricevimento
abbastanza sobrio rispetto alla tipologia di eventi organizzati dalla
famiglia
di solito: solo una ventina di persone, tra amici e persone influenti
della
città, una lunga tavola imbandita di leccornie varie nel
centro del salone
principale, un po’ di musica classica di sottofondo.
C’era anche Jayce, quella
sera; lui e Caitlyn si scambiarono solo qualche parola di cortesia
prima di
evitarsi come la peste per tutta la sera.
Non
avevano smesso di volersi bene, certo. Ma era una situazione spinosa,
dopo
tutto quello che era accaduto negli ultimi mesi, come se guardarsi in
faccia
facesse riaffiorare tutti i problemi e che entrambi non sapessero cosa
dirsi a
vicenda se non tutta una sequela di scuse e condoglianze.
Convincere
Vi ad unirsi non fu meno semplice. Quando ne parlarono qualche sera
prima a
casa, dopo essere tornata da un lungo ed estenuante turno di lavoro,
alla sola
proposta la zaunita aveva arricciato il naso dal disgusto,
“una festa? Qui?”.
Ma cedette subito dopo che Caitlyn le parlo del motivo della festa e, a
cuore
aperto, le confessò di aver bisogno di
lei, “non ti aspettare che mi
metta una gonna però”.
Non
era vestita con una gonna, ma l’agente constatò
che stava bene anche con i
pantaloni neri e la camicia che aveva scelto d’indossare. Per
tutto l’evento Vi
stette più in silenzio che altro, dileguandosi ogni tanto e
palesandosi nella
sala solo quando veniva servito il cibo.
Non
l’avrebbe costretta a sostenere nessuna conversazione con
nessun pomposo
piltoviano; detestava anche lei quelle riverenze e quei
discorsi altezzosi,
ma come figlia della consigliera non poteva tirarsi di certo indietro.
Ma
sapeva che il motivo per cui era elusiva come uno yordle era un altro:
non
voleva mettersi in imbarazzo e soprattutto non voleva mettere in
imbarazzo
Caitlyn.
In
quella sala tutti sapevano già tutto di lei, in un modo o
nell’altro. Che
proveniva dalla città sotterranea, che era stata in
prigione, che aveva aiutato
la polizia ad eliminare la minaccia di Silco (che poi le cose fossero molto
più complicate non gli era dato saperlo) e che, da poco
tempo, lei e la
signorina Kiramman convivevano. Gossip da bordello,
l’avrebbe chiamato
Vi. A ciò che contribuiva a renderla un pezzo di legno si
aggiunse, oltre al
resto, la paura di inimicarsi i genitori di Caitlyn. Lei la prese un
po’ in
giro, perché la donna forte e brutale che conosceva
diventava piccolissima
quando il signor o la signora Kiramman le rivolgevano la parola.
I suoi
genitori erano al corrente dei lei. Mentre suo padre, anche se con le
sue
remore, aveva accettato di buon grado la presenza di Vi, sua madre non
era
dello stesso avviso: come biasimarla, dopo quello che è
successo alla Consulta.
Ma a parte questo, nessuno diede fastidio alla zaunita.
Saperla
nelle sue vicinanze tranquillizzò abbastanza
l’agente da farla tener duro e
arrivare sana di mente a fine serata, quando si congedarono in tutta
fretta e
fuggirono dalla mansione verso il distretto delle Arti.
Era
una classica notte tarda di un inverno piltoviano, fatta di freddo
umido a
cause del fiume nelle vicinanze, un vento sferzante ma che quella sera
era
interrotto dalla pioggia battente; quest’ultima le aveva
prese di sorpresa
mentre tornavano a piedi e ovviamente non avevano
pensato di portare con
loro un ombrello.
Caitlyn
stava lentamente gelando; se Vi non avesse rinunciato alla sua giacca
per riparare
entrambe almeno un po’ dall’acqua, sarebbe stata
zuppa fino alla punta dei
piedi. Si strinse appena nell’indumento, alla ricerca di
tepore, mentre Vi
armeggiava davanti la porta.
“Oh merda”
esclamò mentre si toccava incessantemente i pantaloni e la
camicia, alla
ricerca di qualcosa.
“Che
succede?”
“La
chiave.”
“Cosa
la chiave?”
“L’ho
dimenticata sul tavolo” si lamentò, ricordandosi
del motivo per cui non ce
l’avesse addosso. Si accovacciò davanti al
chiavistello e lo osservò con
attenzione, alla ricerca di una soluzione. Se solo quella non fosse
stata la
porta di casa sua, non si sarebbe fatta problemi a buttarla
giù con un calcio
ben assestato. “Cait, hai qualcosa di lungo e appuntito che
posso usare?”
Caitlyn
annuì e tirò fuori dai suoi capelli una lunga
bacchetta di legno dorata, una di
quelle usate per tenere i capelli ordinati in una crocchia, causando
il disfacimento della sua complicata acconciatura. Gli occhi di Vi
guizzarono
sul collo scoperto dell’agente, dove i suoi capelli scuri
scivolarono; scosse
la testa subito e tornò a concentrarsi sulla serratura per
forzarla.
Caitlyn
la osservò esterrefatta, “non sapevo fossi anche
una scassinatrice”.
“Sono
piena di soprese” si vantò senza
spostare lo sguardo da quello che stava
facendo; il chiavistello fece un rumore ma la porta non si
aprì. Ne seguì uno
sbuffo, “ugh, non sono mai stata capace a
fare ‘sta roba” ridacchiò al
riaffiorare di un ricordo “quello bravo davvero era
Mylo-“.
Silenzio.
La mano indaffarata di Vi si fermò e tutta la sua figura
s’incupì. Solo la
domanda dell’altra la ridestò e la fece
continuare, “Mylo?” ma non ricevette
nessuna risposta. E Caitlyn non chiese nient’altro.
La
porta scattò e si aprì, permettendo alle due di
entrare. Vi si diresse a testa
bassa e a passo veloce verso la camera da letto mentre Caitlyn chiudeva
la
porta. Sospirò mentre poggiava la giacca fradicia sul
tavolo, lì dove la
colpevole di quel momento era stata dimenticata. Mise a posto la chiave
e si
avviò anche lei verso la stanza, dove trovò Vi
già nel letto, coperta fin sotto
la testa dalle lenzuola e con la schiena rivolta verso la porta. Si era
svestita in un attimo, i suoi vestiti bagnati abbandonati per terra a
testimoniarlo. Anche lei si cambiò in un pigiama velocemente
per raggiungerla.
Il
silenzio regnò indisturbato, così a lungo che
Caitlyn sospettò che Vi si fosse
addormentata. Ma il suo respiro era corto e anche se lei in quel
momento le
dava le spalle, riusciva ad immaginarsi perfettamente la sua
espressione
corrucciata.
Di
nuovo ruppe il silenzio, “Vuoi parlarne?”. La
risposta fu immediata.
“No.”
C’erano
tante cose che Caitlyn non conosceva di Vi. Cose che avrebbe voluto
conoscere
con tutta sé stessa e con tutto il cuore. Poteva solo
immaginare le difficoltà
che aveva affrontato, gli orrori che aveva visto; qualche volta aveva
condiviso
stralci del suo passato, ma erano solo attimi persi, che pitturavano il
suo
viso di tensione e dolore. Ogni volta che qualcosa spuntava fuori da
sotto
quella corazza d’acciaio, era questo il risultato: si
tramutava in un animale
ferito, inavvicinabile e imperscrutabile.
Un
giorno, Caitlyn sperava, Vi si sarebbe aperta completamente, e lei
avrebbe
avuto la possibilità di ascoltarla, di consolarla, di
asciugare le sue lacrime.
Ma non era quello il momento e lei non aveva fretta. Si era promessa di
lasciarle tutto il tempo necessario.
L’unica
cosa che poteva fare a quel punto era farle sapere che era
lì per lei. S’infilò
sotto le lenzuola e si stese, allungò un braccio per cingere
la vita di Vi.
Attese in una sua reazione contraria, che non ci fu, e si strinse a
lei,
poggiando la guancia sui suoi tatuaggi. Prima di addormentarsi, si
segnò la
nota mentale di procurarsi una copia delle chiavi.
±
Angolo
dell'autrice:
dunque, non sono mai stata produttiva così tanto nella mia
vita. Grazie Arcane. E che dire! Non voglio dare una cadenza
settimanale a questa fanfiction, ma aspettatevi un altro aggiornamento
presto! Grazie per aver letto.
|
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Capitolo 3 *** 3. ***
3.
Caitlyn
uscì dalla stazione con un pulsante mal di testa. Era stata
una giornata
estenuante più a livello mentale che fisico; tutto il giorno
calata su una
scrivania a leggere, catalogare e firmare varie scartoffie.
C’è chi avrebbe
pagato oro per essere al suo posto: essere retribuiti per star seduti
tutto il
giorno, in cui la cosa più faticosa da fare alzare una penna
e scrivere. Ma a
Caitlyn tutto questo stava estremamente stretto: era diventata
un’agente per
aiutare il prossimo, fare l’investigatrice. Ma il lavoro di
pattuglia le era
stato notevolmente ridotto da quando girava voce che sarebbe diventata
presto
sceriffo.
Non
era l’unica cosa che era cambiata tra i corridoi di quegli
uffici per questo
motivo: la maggior parte dei colleghi novellini, ogni volta che la
incrociavano, si riempivano la bocca di parole estremamente cortesi e
saluti
ufficiali. I suoi superiori le portavano un maggiore rispetto di prima,
ma le
mollavano molto più lavoro da svolgere.
Non
riusciva ad immaginarsi ancora nei panni di Sceriffo di Piltover; la
pressione
era tanta, le aspettative altissime, soprattutto in un momento di crisi
come
quello che la città stava passando. Pensare che avrebbe
ricoperto lo stesso
ruolo di Marcus, e prima di lui Grayson, la preoccupava.
D’altra
parte, una volta arrivata al vertice, avrebbe ottenuto il potere
necessario per
cominciare a far cambiare le cose. Non voleva essere ricordata come
l’eroina
che salvò Piltover dai malvagi chembaron, ma più
come colei che aveva dato
inizio ad un meccanismo di pace e fiducia. Una pacificatrice. Ma dal
momento
che la sua giornata si era ormai conclusa, si diede una pausa da quei
pensieri
e si diresse verso casa.
Una
volta varcato l’uscio, la scena che le si parò
davanti fu più o meno questa: il
piccolo tavolo da pranzo era apparecchiato per due, al centro una bella
bottiglia di vino e due bicchieri; nei piatti una cena calda ancora
fumante.
Il
rumore della porta che si chiudeva richiamò la fautrice del
tutto, che in quel
momento era in un’altra stanza. La salutò da
lontano, “ehi Cait!” per poi
attraversare il salotto per raggiungere il tavolo e sedersi,
“ti stavo
aspettando”.
Caitlyn
sorrise, “hai preparato tu tutto questo?” le chiese
felicemente sorpresa,
mentre si sfilò il cappello e il cappotto e lo
poggiò entrambi sullo schienale
della sedia, prima di sedersi anche lei.
“Pfft,
ovviamente!” Vi fece spallucce divertita e afferrò
la forchetta, “buon appetito
allora!” e si gettò a capofitto nel piatto.
Caitlyn
dovette ammettere che qualsiasi cosa avesse preparato aveva un aspetto
e un
profumo delizioso: sembrava uno stufato di qualche tipo, ricoperto di
una salsa
bruna e densa, con come cipolle e carote tagliate in grossi pezzi. Non
ci
rifletté molto e lo assaggiò anche lei: aveva un
sapore agrodolce, la carne era
tenerissima e gli occhi di Caitlyn si illuminarono appena ne
sentì il sapore.
“Ma è
delizioso” disse, prendendone un altro boccone, “ti
dirò: ha anche un sapore
molto familiare, come se l’avessi già mangiato
prima” finì, e si girò verso
l’altra.
Vi distolse
lo sguardo e fece la finta vaga, “bah, ti starai
sbagliando” senza aggiungere
altro e continuando a mangiare. Stava cercando di sopprimere la stessa
espressione che hanno i bambini quando combinano qualche marachella.
Caitlyn
assottigliò gli occhi, alla ricerca d’indizi:
sì, la cena era calda, ma non
c’era traccia di una pentola sul fuoco, né degli
scarti delle verdure, né la
presenza del classico disordine che c’è dopo aver
adoperato la cucina. In più,
non aveva mai visto Vi cucinare davvero, i suoi pasti di solito erano
caratterizzati da piatti freddi e cose relativamente semplici da
preparare.
Alla
fine, le ritornò in mente un particolare fondamentale:
quella sera, prima di
finire il suo turno, il proprietario di un baracchino di cibo e bevande
era
venuto a fare un reclamo, perché aveva lasciato un pacco da
consegnare
incustodito e questo era sparito nel nulla. Lo stesso venditore
ambulante
chiese esplicitamente di Caitlyn per fare la denuncia,
perché si conoscevano, visto
che lei e Vi prendevano spesso da mangiare in quel posto. Aveva ormai
unito
tutti i punti.
Sbuffò
con arrendevolezza, “Vi, hai rubato questa roba
vero?”
L’altra
strabuzzò gli occhi, “come cazzo
hai fatto a capirlo così velocemente?”.
Ingurgitò l’ultimo pezzo di carne rimasto nel
piatto, e rassegnata disse “okay,
mi hai beccato. Almeno ci ho provato”.
Caitlyn
sbuffò di nuovo, questa volta leggermente arrabbiata,
“Vi non puoi continuare a
fare queste cose, non ce n’è bisogno”.
Le finanze in quella casa comunque non
mancavano di certo, Caitlyn provvedeva a tutto senza problemi, ma
c’era una
certa riluttanza da parte di Vi nell’accettare tutta quella
generosità. L’agente
aveva anche provato a lasciarle disponibili dei soldi ad uso esclusivo
dell’altra,
per abituarla ad un po’ d’autonomia, ma ogni volta
li ritrovava dove li aveva
lasciati, intoccati. Probabilmente la zaunita odiava sentirsi in
debito, in
qualsiasi situazione; essendo cresciuta in un contesto in cui avere un
debito probabilmente
significava diventare schiavi di una dinamica da cui difficilmente se
ne usciva.
Vi
tentò di giustificarsi, “ti stai spaccando la
schiena a lavoro e volevo fare
qualcosa di carino che provenisse da me”,
stava gesticolando
vivacemente per evitare il contatto visivo, “questo
è il meglio che posso fare,
okay? Mettiti nei miei panni, mi sento una maledetta
sanguisuga”, ora era lei
che stava rimproverando Caitlyn.
Alla
fine dei conti il punto di vista di Vi era comprensibile. Probabilmente
era la
sua condizione di estremo privilegio a rendergli difficile il tutto: la
zaunita
non era mai stata abituata ad avere una disponibilità
economica in generale,
tantomeno una sua casa e del cibo nella pancia tutti i giorni. Cose che
per
la piltoviana erano così scontante che il pensiero della
fortuna che ha avuto nella
vita nell’avere tutto garantito non l’aveva mai
sfiorata.
Caitlyn
rifletté a lungo, mentre lo stufato si raffreddava.
C’era solo una soluzione
quella situazione particolare, ed aveva un nome ben preciso.
“Hai
bisogno di un lavoro.”
Vi
rise. “La fai facile. Hai per caso visto qualcuno in disperato
bisogno
di una chempunk¹
che spacca nasi per l’azienda di famiglia? Perché
è l’unica cosa buona che so
fare e no, non li hai visti” prese la
bottiglia di vino e strappò il tappo
di sughero con i denti, per prendere un sorso.
Caitlyn,
contrariatissima, le diete un leggero schiaffo
sull’avambraccio, “non è vero.
Sei capace a fare molte cose” e Vi la scrutò come
per dirle sentiamo le
cazzate, dai.
“Potrai
non crederci, ma tanto per cominciare sei atletica”
alzò il pollice, come per
contare. “ti sei vista quando salti e scali palazzi come se
fosse la cosa più
tranquilla del mondo? Perché io sì,
e ti posso assicurare che non tutti
sono capaci di fare cose simili.”
“Sei
perspicace, capisci subito se sei in una situazione di pericolo oppure
no, poi
che a te non importi e ti butti comunque nella mischia è un
altro paio di
maniche” alzò l’indice.
Alzò
anche il medio, “hai una soglia del dolore altissima, se sei
carica di
adrenalina nulla ti ferma, hai coraggio da vendere, sei leale, hai dei
valori
di ferro” finì per aver la mano completamente
aperta, “se i miei colleghi
avessero metà delle tue
qualità la mia vita sarebbe estremamente
più semplice.”
“Vacci
piano con le lodi cupcake, potrei pensare che tu ci stia finalmente
provando
con me.”
“Vi!”
la rimproverò, “sono seria. Penso davvero quello
che dico.”
Vi
guardò la bottiglia che aveva tra le mani e sorrise
amaramente. “Anche se
fosse? Quanto buona posso essere per una città come
Piltover? Queste non
sembrano qualità che apprezzate da queste parti”
distolse lo sguardo.
Caitlyn
incrociò le braccia con fare offeso, “io
le apprezzo”.
“Meno
male che tu sei unica nel tuo genere allora” le
regalò uno sguardo tenero, che causò
nella piltoviana un’esplosione di calore nel petto,
maldestramente celato da un
finto muso lungo che mise su per l’occasione.
Scosse
la testa per tornare a riflettere su una soluzione per quel problema.
Quando
arrivò all’illuminazione, si chiese come non ci
avesse mai pensato prima.
Lo
disse come se fosse sempre stata la conclusione più ovvia,
“potresti unirti
alle forze di polizia.”
“Sei
ufficialmente diventata matta, Caitlyn Kiramman” il
suo nome pronunciato
per intero la fece trasalire per un secondo, “okay che ci
conosciamo da
relativamente poco, ma non bisogna essere intelligenti per capire che
non ho
tutta questa simpatia per le forze dell’ordine.”
“Ma
pensa a quanto saresti perfetta!” Caitlyn
allungò la mano per stringere
il polso di Vi, come se l’altra avesse intenzione di scappare
da un momento
all’altro, sentendo quelle parole.
“Avresti
la possibilità di proteggere i più deboli,
aiutare il prossimo e …” si fermò e
ghignò
divertita, “ … saresti legalmente autorizzata a
prendere a pugni qualche
chembaron senza subirne le conseguenze.”
Vi rise
ancora, “legalmente autorizzata? Così mi
tenti.” Ma il divertimento finì ben
presto per far spazio ad un nuovo sentimento malinconico,
“sarebbe un bel
pensiero Cait, ma non credo che al Dipartimento di Sicurezza
di Piltover
accettino una come me”, un’orfana. Una ex-galeotta
della prigione di Stillwater.
Una zaunita.
Questo
era tristemente vero. Per qualche dannato motivo, tutti a Piltover
potevano
diventare agenti, tranne gli stranieri. Compresi
chi proveniva dalla
città sotterranea, nonostante Piltover e Zaun siano la
stessa città, sì con
profonde differenze, ma la storia, la lingua, la scrittura e lo spirito
in
comune.
Qualcosa
scattò nella testa di Caitlyn, che proprio in quel momento
decise quale sarebbe
stato il primo cambiamento che avrebbe fatto in veste di nuovo sceriffo.
“Invece
ti accetteranno” proferì, improvvisamente seria,
“provvederò personalmente alla
faccenda.”
“Come
fai ad esserne così sicura?”
La
piltoviana tentennò, ma non per timore di Vi, ma
perché lei stessa era ancora
terrorizzata dall’idea, “presto
diventerò sceriffo.” Si strinse nelle sue
braccia conserte, cercando conforto nel contatto delle sue dita sulla
sua
pelle. Guardò l’altra alla ricerca di
disapprovazione? Delusione?
Ma se
Caitlyn aveva avuto dubbi fino a quel momento, la reazione di Vi le
fece
sparire seduta stante ogni insicurezza. La zaunita era aveva un sorriso
a
trentadue denti stampato in faccia, gli occhi grigi pieni di
ammirazioni.
Subito cominciò a tempestarla di domande ed era palese che
era genuinamente
felice per lei.
“Oh,
finalmente Jayce prende una decisione giusta!”
sbatté la mano sul tavolo, “sei
nata per avere questo ruolo, cupcake. Te la caverai
benissimo.”
Per quanto
Caitlyn provasse ad invertire le cose, si ritrovava sempre lei ad
essere
sostenuta da Vi, volente o nolente. A quel tavolo diede voce per la
prima volta
ai suoi pensieri, ai suoi dubbi, e la zaunita
l’ascoltò senza battere ciglio.
Per quanto Vi facesse fatica a adattarsi alla nuova realtà
in superficie, non
si tirava mai indietro dal prendere sul serio ogni problema che Caitlyn
affrontava.
Un
giorno l’avrebbe ringraziata a dovere.
±
Angolo
dell'autrice: l'aggiornamento
è arrivato prima del previsto, sorry! Comunque, ringrazio
chiunque abbia letto fino ad adesso e sopratutto ringrazio chi ha messo
la storia tra i preferiti/seguiti. Siete un gruppo nutrito e
vi osservo eh <.<
Alla prossima!
|
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Capitolo 4 *** 4. ***
4.
Alcune
volte Caitlyn l'aspettava a casa.
Non succedeva spesso perché solito era Vi quella che
l'accoglieva ogni volta che tornava. Ma non quella sera, che l'agente
aveva passato a completare della documentazione che aveva portato dal
suo ufficio.
Guardò l'ora sul suo orologio da polso. Era mezzanotte
inoltrata e aveva passato tutta la serata a lavorare di nuovo, ma fece fatica rendersene conto
a causa dell'assenza di qualcuno che
le ricordava che lavorava troppo e che aveva bisogno di riposare.
Si preoccupò un po'. Era già successo che Vi non
fosse a casa quando tornava dal lavoro, ma di solito era sempre
lì per cena o poco dopo.
Stava valutando se infilarsi di nuovo gli stivali ed andare a cercarla
nelle vicinanze, quando senti il rumore familiare della chiave girare
nella serratura. Chiuse la cartellina su cui stava lavorando, la mise
frettolosamente via e fece per alzarsi, ma la scena che le si
parò davanti le fece correre un brivido lungo la schiena.
"Vi!"
per poco non rovesciò la sedia per lo scatto che fece per
alzarsi. Vi era ricurva su sé stessa, con una mano si stava
tenendo la spalla con forza, un taglio all'altezza del sopracciglio le
aveva rigato il viso con rivolo di sangue, un occhio nero; aveva i
pantaloni stracciati sulle ginocchia e zoppicò per i pochi
passi che fece prima di essere afferrata da Caitlyn.
"Ehi Cait" la salutò come se nulla fosse, "scusa per l'ora."
L'odore che proveniva dalla sua bocca e i suoi vestiti era
inequivocabile, "sei ubriaca?"
chiese con incredulità l'agente, prima di caricarsi il peso
di Vi e portarla verso il divano.
"Nemmeno mi saluti" oh sì, era ubriaca, e anche di molto
considerando che a malapena si reggeva in piedi. Caitlyn si chiese come
fosse riuscita ad arrivare lì sulle sue sole gambe.
La
calò delicatamente sul divano, stando accorta a non
provocarle ulteriore dolore. Il suo respiro si fece lento e pesante
mentre Caitlyn le distendeva le gambe, in modo dal poter cominciare
l'accertamento dei danni. I suoi occhi ispezionarono ogni ferita con
attenzione medica.
"Cosa è successo?" chiese, prendendole il viso tra le mani e
spostandolo appena per guardare meglio il taglio sul viso, che in
realtà era una vecchia cicatrice che si era
irrimediabilmente riaperta.
Ci mise un po' a rispondere "sei
così carina quando ti preoccupi per me"
sbiascicò, girandosi a guardarla con un ghigno. Caitlyn le
diede un leggere pizzico vicino alla ferita.
"Ma che cazzo fai?"
"Cosa hai combinato stavolta?"
insistette.
Vi grugnì mentre cercava di tirarsi su con un braccio
"gonfiato di botte uno stronzo, ecco cosa."
Caitlyn prese un lungo respiro. Prima o poi sarebbe successo, doveva
aspettarselo; ma vederla in quello stato aveva sempre lo stesso effetto
su di lei, anche se era conciata molto meglio rispetto ad altre
occasioni.
Si
diresse in bagno e tornò con una bottiglia di disinfettante,
un panno pulito e delle bende. Versò un po' di quel liquido
acre sulla stoffa e si sedette di fianco a Vi.
Cominciò a pulirle il viso, "e il fatto che sei ubriaca
c'entra qualcosa?"
"Brilla", sibilò. Aveva lo sguardo fisso sui movimenti
delicati di Caitlyn, che con apprensione materna le stava curando le
ferite. Come sempre, anche se questa volta con un profondo nodo alla
gola, non la interrogò ulteriormente.
Vi inspirò "stavo tornando a casa e ho incontrato un amico" cominciò a parlare, "ci
siamo fermati un bar poco oltre il ponte per scambiare due chiacchere.
Abbiamo bevuto un po'."
Caitlyn annuì e non aggiunse nulla, invitandola
implicitamente a continuare. "Sembrava un bar qualunque. Non ci avrei
mai messo piede se avessi saputo che a quell'ora girassero i vecchi
scagnozzi di Silco" la sua voce s'indurì a pronunciare quel
nome, "quel brutto bastardo. Anche da morto mi perseguita" strinse i
pugni per poi pentirsene a causa del dolore.
"Non ti muovere" Caitlyn le stava controllando la spalla. Non era
dislocata, ma era tumefatta e annerita da un grosso livido, come se
l'avesse usata per pararsi o attutire una caduta. Vi soffocò
un lamento quando provò a fasciarlo.
La
piltoviana non espresse opinioni su quello che Vi le stava dicendo.
Quando si trattava di quella parte della sua vita, quella riguardante
Zaun, non si sbilanciava mai nel capire se le sue azioni o ragioni
fossero giuste o sbagliate. Anche se sembrava facile condannare la
violenza gratuita, non avrebbe fatto l'errore di proiettare i suoi
valori su di lei. Idealizzare gli zauniti era quello che tutti le
avevano sempre insegnato a fare, e fu solo grazie a Vi che
imparò che la realtà era ben diversa. Giusto o
sbagliato, bianco o nero, buoni o cattivi era una visione ingenua del
mondo, e che la vita di ognuno non era riducibile ad un solo aspetto di
essa.
Caitlyn
si alzò dal divano e si sedette sul pavimento, di fianco
alle sue gambe distese. Cominciò a srotolare una benda,
"queste invece? Come te le sei procurata?" chiese adocchiando i
pantaloni lacerati, che nascondevano a malapena le ginocchia sbucciate.
Vi rise, "mentre correvo via sono caduta" disse, "almeno ho fatto
qualcosa di buono facendo ridere i passanti."
Stava provando sdrammatizzare. Il pensiero la fece sorridere,
immaginandosi tutta la sequenza tra scazzottata e fuga come uno
spettacolo comico. Ma non durò a lungo e Caitlyn
tornò seria.
Sentì
lo sguardo di Vi su di lei. "Tutto okay? Mi stai fissando da un po'"
chiese.
"Scusa" disse, "ma te che mi fasci la gamba mi ha fatto ricordare una
cosa" ma scosse subito la testa, "è stupido, davvero, lascia
perdere-"
La interruppe, "ti ascolto."
A
giudicare dall'espressione di Vi, Caitlyn capì che non si
aspettava la sua risposta. Fece un cenno con la testa come ad invitarla
a continuare, e cominciò a carezzarle gentilmente lo stinco.
Trasse
un sospiro. "Quando Powder era ancora ... una bambina, si faceva spesso
male. Di solito ero io quella che si prendeva cura di lei quando
succedeva. Una volta tornò piangendo al Last Drop. Aveva un
ginocchio sbucciato, proprio come quello" Vi indicò con gli
occhi la sua stessa gamba.
"Tentai di calmarla mentre la fasciavo. Aveva tutti gli occhi gonfi" da
quelle parole sgorgava così tanta dolcezza e affetto. "Prima
di lasciare la stanza, mi chiese una cosa abbastanza strana, 'ho sentito che se mi dai un bacio sulla ferita
guarisce prima, sai Violet?'" lo disse provando ad imitare il
tono di una bambina. "E così ho fatto. Il suo sorriso lo
ricordo come se fosse ieri."
Oh. Nulla l'avrebbe preparata mai
abbastanza a quello che Vi le disse. Grazie alle sue parole, Caitlyn
s'immaginò perfettamente la scena; anche se fu arduo per lei
separare Jinx da
quell'entità indifesa di cui l'altra le aveva spesso
parlato, ma ecco la lì, nella sua mente: una bambina minuta,
con i capelli blu arruffati e le lentiggini che, come tutti i bambini,
giocava, si faceva male, piangeva.
Ma
ciò che davvero la fece rimanere di sasso fu Violet. Aveva assunto che Vi fosse un
nomignolo, al massimo un nome d'arte non un'abbreviazione. Sui
documenti della prigione era già tanto che ci fosse scritto
qualcosa, ma la zaunita non lo aveva mai nemmeno sottointeso o
accennato. Probabilmente, da quando era arrivata a Piltover, era la
prima volta che condivideva quell'informazione. Arrivare a quella
realizzazione le riempì il cuore di gioia.
"Violet" sospirò tra le labbra.
Sollevo dolcemente la gamba mettendo una mano dietro al polpaccio, si
avvicinò e schioccò un lieve bacio sulle bende
che cingevano il ginocchio. Quando il loro sguardo
s'incrociò, fu chiaro che Vi non l'era lasciato scappare.
Era un gesto intenzionale, un atto di fiducia.
"Grazie
per avermene parlato" disse mentre si alzava dal pavimento.
Guardò nuovamente l'ora, erano l'una e mezza di notte
"è tardi. Ti accompagno a letto?", le offrì una
mano per aiutarla ad alzarsi. Lei annuì e basta.
Afferrò la mano di Caitlyn e si sollevò,
appoggiandosi a lei per percorrere quella decina di passi che le
dividevano dal divano al letto.
±
Angolo
dell'autrice: dunque
il mio computer mi ha abbandonato ufficialmente, e con lui i successivi
capitoli della ff. Dire che la cosa mi ha amareggiato è dire
poco, ma ho ricominciato a scrivere da capo i pezzi persi, quindi
l'aggiornamento non dovrebbe tardare più di tanto. Alla
prossima!
|
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Capitolo 5 *** 5. ***
5.
Il
sonno di Vi era spesso disturbato.
Questa
scoperta non soprese per nulla Caitlyn. Poteva solo immaginare come la
zaunita
avesse dormito negli ultimi anni della sua vita, sempre con un occhio
aperto e
in guardia, come un animale in perenne pericolo.
Alcune
volte, quando tornava tardi dal lavoro e la trovava già
ronfante nel letto o
sul divano, il suo sonno sembrava normale. Lo capiva dal suo viso
rilassato e
pugni distesi, le labbra schiuse in un respiro lento e regolare.
Altre
volte si agitava. Caitlyn avrebbe dato qualsiasi cosa per assistere ai
suoi
sogni e incubi: girava su sé stessa in continuazione,
scalciava, stringeva tra
le dita le coperte fino allo sfinimento. In quelle occasioni erano due
gli
scenari comuni: o Vi si alzava, per poi non tornare a letto e passare
il resto
della notte insonne; oppure si svegliava, bofonchiava qualche insulto,
per poi
girarsi verso Caitlyn. Talora l’accarezzava soltanto la
spalla o il fianco, non
spingendosi oltre; l’ultima volta invece Vi l’aveva
stretta in un abbraccio
delicato, poggiando la guancia tra le sue spalle.
Questo
la piltoviana lo sapeva perché si svegliava ogni volta.
Aveva sempre avuto un
sonno leggero, dunque assisteva con costanza a questi episodi,
però faceva
sempre finta di dormire per evitare che Vi si trattenesse. Caitlyn
aveva il
timore che se avesse reagito in qualche modo, l’altra si
sarebbe solo chiusa di
più.
Anche
se le doleva il cuore rimanere immobile; avrebbe voluto girarsi
immediatamente
ad ogni richiesta di consolazione, per ricambiare ogni carezza e
baciarle la
fronte. Per compensare però, ogni mattina dopo si premurava
di lasciarle una
colazione abbondante sul tavolo, prima di uscire per il suo turno. Era
il
minimo che potesse fare.
Quella
notte fu diversa dalle altre. Fuori dalla finestra, un forte temporale
illuminava la stanza ad intermittenza, rendendo il dormire una sfida
ardua per
Caitlyn, che per prendere sonno aveva bisogno di un minimo di silenzio.
Ma
appena sembrava che fosse riuscita nell’intento, un tuono o
un fulmine la
facevano sobbalzare sotto le coperte.
Sentì
un lamento provenire dal lato accanto del letto. A quel punto Caitlyn
si mise
l’anima in pace e capì che avrebbe passato la
notte in bianco; fortunatamente
il giorno dopo era di riposo.
Mantené
comunque il suo solito atteggiamento, evitando di girarsi.
Sentì un altro
fruscio, e un altro ancora, finché alle sue orecchie non
giunse il rumore di un
pianto soffocato.
Caitlyn
s’allarmò. Sollevò la testa del
cuscino, abbastanza per vedere con la coda
dell’occhio oltre la sua spalla.
Vi
era rannicchiata al bordo del letto; aveva il viso nascosto tra le
ginocchia, le
mani dietro sulla testa che stringevano con forza i capelli rosa. Da
quella
posizione Caitlyn vedeva la sua schiena curva e tesa, e notò
che tremava come una
foglia.
Si
mise a sedere, “Violet?” cerco di mantenere un tono
calmo, probabilmente
fallendo perché all’udire del suo nome
l’altra trasalì, tremando ancora di più
e affondando le unghie nella cute. Stava
mugugnando qualcosa di incomprensibile in modo continuo, come una
cantilena,
interrotta soltanto dai singhiozzi che con il passare dei minuti si
facevano
sempre più disperati e gutturali.
Caitlyn
si trascinò fino a raggiungere il lato del letto di Vi,
sedendosi accanto a
lei. Provò a scuoterla, tentando di schiudere la stretta che
aveva sulle sue
gambe per guardarla nel viso.
“Violet,
guardami” la implorò, sentendo i suoi occhi
cominciare pizzicare. Le prese il
volto con entrambe le mani, delicatamente ma con fermezza, e la
guardò: i suoi
occhi grigi straripavano di lacrime, ma aveva uno sguardo vacuo, le
pupille
strette. Era terrorizzata, e Caitlyn non l’aveva mai vista in
quello stato.
Tentò
di calmarla. “Respira, okay? Respira con me”
inalò ed esalò, ritmicamente,
invitando Vi ad imitarla. “Mi dispiace” continuava
a ripete, “mi dispiace”
e quelle parole le morivano in gola, strozzate dal panico. Le sue mani
si erano
spostate sulla camicia da notte lilla di Caitlyn, e la stavano
stringendo come
se stesse per piombare nel vuoto, come se quello fosse
l’unico appiglio per non
affogare.
“Non
mi chiedere scusa” le carezzò il viso,
“voglio solo che respiri. Lo fai per
me?”
Vi
annuì. Lentamente il suo respiro rallentò, le
lacrime si asciugarono lasciando
solo delle tracce salate sulle sue guance e la presa sulla camicia si
allentò. Caitlyn
se la strinse al petto, premendo dei baci leggeri tra i suoi capelli,
accarezzandole
i capelli e l’incavo del collo. Anche se la zaunita
ricambiò quell’abbraccio, se
ne divincolò in fretta, lasciando l’altra sorpresa
e intimorita da
quell’abbraccio dischiuso troppo presto.
Vi si
alzò dal letto e si strinse il centro della fronte tra le
dita, la sua
espressione corrucciata in mille dubbi. Si guardò intorno,
senza però
incontrare la figura di Caitlyn, evitando accuratamente di posare i
suoi occhi
su di lei, anche solo per un attimo.
“Va
meglio?” chiese timidamente.
“No”,
sospirò appena, dirigendosi con passi veloci verso la porta
della camera. Dal
letto, senza parole, Caitlyn sentì le cinghie dei suoi
stivali allacciarsi e il
rumore della sua giacca. Si alzò di scatto e raggiunse il
salotto, dove trovò
Vi con una mano già sul pomello del loro ingresso.
“Violet
…? “
“Non
ce la faccio, Cait” lo disse con tono serrato, fissando la
sua mano. Non aveva
ancora deciso cosa fare e rimase immobile davanti alla porta, esitando
sull’ultimo
passo che la separava dall’essere fuori quella casa.
“Possiamo
parlarne?” Caitlyn fece un passo verso di lei,
“fuori c’è un temporale, è
notte
fonda, non puoi andare via ora” ormai erano quasi faccia a
faccia, stava per
afferrare la mano di Vi con la sua quando lei gliela
schiaffeggiò via, facendola
sussultare.
“Non
capisci!” ruggì, “non potresti
mai capire.”
“Perché
dici così?”
“Perché
sono pericolosa, Cait” disse con una
rassegnazione disarmante, come se a
questa conclusione ci fosse arrivata da tempo.
“Ogni
notte li rivedo morire tutti davanti ai miei occhi.
Tutti quelli che ho
abbandonato” si girò a guardare Caitlyn,
“eppure, tu. Mi tieni e mi
stringi come se fossi fragile come un pezzo di vetro. Perché
non sai quello di
cui sono capace!” disse con tono accusatorio, come un
rimprovero, ma più verso
sé stessa che nei confronti di Caitlyn.
“Se
sapessi mi sbatteresti in mezzo alla strada come un cane. Come
biasimarti? Per
colpa mia, sono morte le persone a me più care. Per
colpa mia, ho
perso mia sorella. Per colpa mia, sei stata rapita
e hai rischiato la
vita” girò il pomello, aprendo la porta.
“Sono un mostro.”
Caitlyn
scattò in avanti e chiuse la porta, provocando un tonfo
sordo. Forse, se questo
fosse successo qualche mese prima, l’avrebbe lasciata andare.
Avrebbe guardato
la porta chiudersi e lei, inerme, lo avrebbe accettato. Ma era stanca;
stanca
di essere solo un’attenta osservatrice, perché lei
riusciva nei suoi obiettivi
soltanto agendo. Fu una scelta di pancia, uno
slancio di cuore, ma non
tentennò. Era convinta profondamente di quello che stava per
fare.
La
piltoviana si mise tra Vi e l’uscita, il suo viso serio e
determinato, pronta
ad attaccare. Prese un respiro profondo prima di parlare.
“Pensi
io sia stupida?” chiese, ma era più una domanda
retorica. Al gesto di Caitlyn,
la zaunita rispose solo con il silenzio.
“Pensi
che io non abbia messo in conto tutto questo?”
gonfiò il petto, “a Stillwater, ho
oltrepassato la linea per avvicinarmi alla tua cella? Ho infranto la
legge per
farti uscire? Ti ho seguita per ogni vicolo di Zaun senza
fiatare?” e la lista
sarebbe stata ancora più lunga, ma il concetto era chiaro.
Vi non
rispose di nuovo e discostò lo sguardo, colpevole.
“Rispondimi.”
“Sì,
l’hai fatto.”
“E
sai perché?”
Vi
scosse la testa.
“Perché
ho visto tutto ciò che di buono può avere un
essere umano” prese una pausa,
“qualcuno avrebbe potuto dire che è stato un
giudizio affrettato. Un rischio.”
“Tutte
le persone che hanno visto del buono in me o sono morte o mi
odiano.”
“Un rischio
che vale la pena prendere ogni volta.”
Vi
alzò lo sguardo e incrociò quello
dell’altra per la prima volta da quanto aveva
cominciato a parlare e per l’ennesima volta rimase senza
parole. Stava
guardando Caitlyn con occhi pieni di incredulità, lucidi di
stupore, e la piltoviana
capì che aveva colpito nel segno. Era riuscita a far
crollare lo spesso muro di
mattoni che circonda l’altra, che in quel momento era
immobile, svestita di
ogni maschera. Stava per abbracciarla quando Vi cominciò a
parlare, rompendo il
silenzio con un filo di voce.
“Spero
che un giorno riuscirò a vedermi come tu mi vedi”
la sua espressione addolorata
si sciolse appena in un sorriso accennato. Voleva provare a credere
nelle sue
stesse parole, aggrappandosi alla credenza che un giorno sarebbero
state realtà.
Caitlyn
accorciò la distanza che le separava, le mise le mani sul
viso, appoggiò la
fronte contro la sua e chiuse gli occhi.
“Sei
la donna più bella, coraggiosa e forte che io abbia mai
conosciuto” e non solo,
ma in quel momento non riusciva a trovare le parole giuste per
descriverla;
perché non bastavano. Nessun aggettivo avrebbe mai descritto
a pieno cosa Vi
fosse per lei, perché non avrebbero fatto altro che
sminuirla. Nulla avrebbe mai
reso l’idea.
“Non
sarà
facile crederci” rispose, avvolgendo le sue braccia attorno
alla vita di Caitlyn
e portandola più vicina a sé.
“Meglio
che cominci a farlo” sorrise, sollevando la testa,
“lascia che ti convinca.”
Si
guardarono negli occhi per un secondo e poi Caitlyn la
baciò. Un bacio dolce e
lieve, che durò a lungo e che fu ricambiato con altrettanta
dolcezza. La
piltoviana la sentì tremare sotto le sue dita, sotto le
labbra, per poi
calmarsi e sentire le sue mani che la stringevano più forte.
Poteva sentire il
battito del suo cuore rimbombare contro il suo petto.
Si
separarono. “Convinta?”
“Forse”
sorrise, dandole un altro bacio.
±
Angolo
dell'autrice: ho
recuperato i file del vecchio pc DAJE
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Capitolo 6 *** 6. ***
6.
La nomina del nuovo sceriffo è sempre stato un
evento per l’alta società di Piltover; un momento
di passaggio di testimone importante, di nuove speranze e prospettive
per la città e i suoi cittadini.
Che la sala dei congressi fosse gremita di persone non sorprese Caitlyn
proprio per questo motivo. Alla vista di quel pubblico numeroso
ricordò quando, qualche anno prima, assistette alla
cerimonia di Marcus dopo la morte improvvisa del suo predecessore,
Grayson. A quel tempo era ancora un’adolescente indecisa sul
suo futuro, sotto pressione sia dalle aspettative dei suoi pari e sia
quelle di sua madre; seduta in prima fila, ebbe l’occasione
di vedere per la prima volta la cerimonia.
Il ricordo era ancora estremamente vivido. Donne, uomini e yordle in
alta uniforme erano seduti attorno a lei e stavano guardando con
ammirazione il collega tenere il suo discorso sotto le luci abbaglianti
dei riflettori. Quel discorso fu lungo e toccante, intriso di belle
parole e affermazioni forti che ispirarono la piccola Caitlyn.
Non si sarebbe mai aspettata che un giorno avrebbe rivissuto la stessa
esperienza a parti inverse, e che quel giorno era arrivato troppo in
fretta e lei non era nemmeno lontanamente pronta. Si pentì
di aver preso in giro Jayce quando, nella stessa posizione in cui sti
trovava lei in quel momento, avrebbe dovuto parlare dei suoi progetti
hextech alla fine del Giorno Del Progresso; quasi lo ammirò
per il coraggio, perché ciò che le aspettava la
stava facendo sudare freddo.
Si sistemò il cappello e la gonna, nel tentativo di
discostare i suoi pensieri altrove. In quel momento avrebbe desiderato
con tutta sé stessa che dietro le quinte del palco ci fosse
uno specchio per controllare lo stato della sua faccia: sapeva che
prima o poi le sarebbero venute delle rughe profondissime sulla fronte,
per il tempo che passava ad avere un’espressione corrucciata.
Buttò un occhio sul pubblico: tutti erano presenti, dai suoi
colleghi, Jayce, sua madre e suo padre seduti in prima fila, tutti
allegri e parlottanti tra loro. Caitlyn cercò con gli occhi
una persona in particolare, e data la sua chioma sgargiante non sarebbe
stato difficile trovarla, se solo fosse stata lì.
Caitlyn prese un lungo sospiro, per poi tornare a concentrarsi su
qualsiasi cosa non fosse il suo discorso. Nei giorni precedenti alla
cerimonia, la piltoviana aveva parlato estensivamente delle sue
preoccupazioni a Vi, e lei aveva fatto del suo meglio per darle
supporto. Ovviamente a modo suo.
Le parole non erano il punto forte di Violet, e quando provò
ad aiutarla a scrivere un pezzo del discorso su carta, le due finirono
per battibeccare su quanto sia appropriato l’uso di parolacce
in un documento ufficiale.
“Come pensi di raggiungere le persone con tutti questi
paroloni? Vai diretta al punto!”
“Violet sii ragionevole, non posso dire fanculo i
chembarons.”
“Ma è quello che pensi!”
Per quanto Vi fosse carente nel dipartimento comunicazione diplomatica,
recuperava tutto in gesti e piccole accortezze nei suoi confronti. Ad
esempio, come aveva imparato soltanto osservandola prepararlo ogni
mattina, la sua miscela di tè preferita: un cucchiaio del
barattolo verde, mezzo da quello di rame, due zollette di zucchero e un
po’ di latte intero. Glielo aveva servito quella mattina
stessa a letto, con un paio di biscotti, assicurandosi che finisse
tutto.
O quando, per far staccare Caitlyn dalla scrivania la sera tarda,
l’afferrasse di peso come un sacco per lanciarla sul letto; e
lo faceva ogni volta, con così tanta determinazione che da
un po’ Caitlyn non si opponeva più.
O come, dopo ogni doccia, Vi le chiedeva se potesse pettinarle i
capelli. La prima volta che glielo chiese la piltoviana si stranii, ma
le porse comunque la spazzola, incuriosita. Da quel momento era
diventato un loro rito, dove in silenzio la zaunita pettinava con cura
i suoi lunghi capelli scuri, con delicatezza districava ogni nodo.
“Hai dei capelli meravigliosi, lo sai?” le diceva
ogni volta, e ogni volta Caitlyn sorrideva come una ragazzina
innamorata.
Perché alla fine dei conti quella era la questione. Se
all’inizio era un desiderio di protezione, di affetto genuino
dato dall’esperienze traumatiche vissute insieme, anche un
certo senso di responsabilità, si era trasformato presto in
altro. Violet non aveva mai nascosto l’attrazione che provava
per lei, e Caitlyn ci aveva messo un po’ per scendere a patti
con le battute e gli ammiccamenti scherzosi.
Poi sono subentrate le preoccupazioni, le carezze, gli sguardi intrisi
di mille parole impossibili da dire. Lentamente, senza fretta, Caitlyn
si era innamorata perdutamente di Violet: di ogni sua singola
sfaccettatura, espressione, cicatrice, sorriso, lentiggine …
Caitlyn scosse la testa vigorosamente per ridestarsi dai quei pensieri.
Non era il momento più adatto per pensare queste cose, non
lo era per nulla, ma non poteva fare a meno di desiderare che Vi fosse
di fianco a lei prima della cerimonia. La sera prima glielo aveva
chiesto ma lei era titubante, qualcosa tra un volerle lasciare spazio
per godersi il suo momento e tra “piltoviani”
stretto tra i denti. Aveva detto che ci avrebbe pensato su e Caitlyn
sperò fino all’ultimo momento che le sarebbe
apparsa alle spalle.
Ma quel momento non arrivò. Il suo nome venne annunciato a
gran voce dal microfono del podio illuminato a giorno e il
chiacchiericcio del pubblico scemò, in attesa. Si
sistemò un’ultima volta l’uniforme,
prese un lungo respiro e camminò per la prima volta su quel
palco, con ogni passo che riecheggiava nel completo silenzio.
Arrivata dietro il podio, sistemò il microfono e
tirò fuori da una delle sue tasche un foglio ripiegato, lo
sistemò davanti a sé e cominciò.
Sentì su di sé tutti gli sguardi dei presenti.
“Cittadini di Piltover” disse, alzando lo sguardo
dal foglio “è con estremo onore e gratitudine che
vi annuncio che da oggi in poi ricoprirò la carica di
Sceriffo. Il consiglio ha espresso questa volontà nei
difficili mesi che abbiamo vissuto, e accetto questa
responsabilità con grande gioia” guardò
nuovamente in basso, leggendo le parole che aveva scritto con
velocità.
“Come ben sapete, la nostra amata città sta
attraversando una delle più violente crisi della nostra
storia. Non nego che sarà un lavoro difficile, ma
farò del mio meglio per reinstaurare sicurezza nelle nostre
strade” si fermò. Quelle parole le sembravano
così poco, così vuote. Sapeva che avrebbe dovuto
dire di più, ma le mancò il coraggio.
Guardò la platea, ampia e affollata: i suoi occhi guizzavano
da una parte all’altra, alla ricerca di una testa in
particolare.
E la vide. Non l’aveva vista prima perché aveva il
cappuccio, ecco perché. Era seduta nel centro, e la
riconobbe dai suoi occhi grigi scintillanti, fissi su di lei. Il cuore
di Caitlyn si riempì di qualcosa che non seppe descrivere.
Le sue dita tremolanti presero il foglio e lo girarono, quelle parole
scritte nei giorni precedenti diventarono improvvisamente inadeguate e
nella sua testa ne fluirono, come un fiume in piena, altre
più importanti. Caitlyn dimenticò di essere
davanti a tutte quelle persone, e la tribuna divenne vuota, con solo
Violet al centro.
“Tuttavia,” riprese, “tutti noi dovremmo
fare un profondo esame di coscienza. Quanto, ognuno di noi, ha fatto
per evitare questo? Quanti occhi abbiamo abbassato, quante volte
abbiamo fatto finta di essere sordi quando la realtà invece
era così rumorosa?” si alzò un mormorio
leggerò, ma che non la fermò.
“Le cose cambieranno, e i primi a cambiare dovremmo essere
noi. Noi piltoviani. Mettere la nostra bravura a servizio di tutti e
non dei più abbienti. Dedicare un domani sicuro ad ogni
bambino, ad ogni persona, e soprattutto un domani libero”
aveva alzato il tono della voce, ormai divenuto arrabbiato, accusatorio
“noi abbiamo il potere per farlo. Il mio lavoro
sarà assicurarmi che accada, per Piltover, per Zaun, per
tutti” e finì.
Caitlyn si sentì come se avesse appena vomitato. Aveva la
testa leggera, una fitta allo stomaco che l’avrebbe piegata
in due dal dolore se non fosse stata su quel palco. Il pubblico, con la
fine del suo discorso, tornò nel silenzio. Alcuni si
scambiarono occhiate dubbie, chi aveva un’espressione
disgustata, chi invece gli occhi lucidi.
A Caitlyn non importava nessun dei precedenti. Aspettava soltanto la
reazione di Violet, perché erano per lei quelle parole, era
per lei tutta la speranza, erano per lei tutte le scuse che si meritava
per quello che aveva passato.
Nel silenzio più totale parti un fischio, e poi un applauso.
Vi si era alzata, si era tolta il cappuccio, e in piedi sul sedile
aveva cominciato ad applaudire e cantare il suo nome. Gli altri,
timidamente, vennero ispirati dalla zaunita e la imitarono,
finché il silenzio non fu rimpiazzato da un lungo scroscio
d’applausi.
All’uscita del palazzo, i suoi colleghi la stavano aspettando
in riga e sull’attenti e, quando il sergente Harknor, agente
senior di Piltover, le applico lo stemma di Sceriffo sul petto, ottenne
un ulteriore applauso. Di Vi però non c’era
nemmeno l’ombra, era arrivata ed era sparita in un attimo,
senza che la piltoviana potesse intercettarla.
I suoi genitori la riaccompagnarono a casa alla conclusione della
cerimonia e Caitlyn non vedeva l’ora di tornare. Rimase per
tutto il breve viaggio pensierosa, rispondendo a monosillabi a sua
madre, che stava esprimendo la sua opinione riguardante il discorso.
Appena Caitlyn arrivò all’entrata del condominio,
corse in fretta per le rampe di scale e spalancò la porta di
casa. Trovò Violet che l’aspettava appoggiata al
tavolo della cucina, un sorriso a trentadue denti stampato in faccia;
appena vide Caitlyn, allargò le braccia.
“Ehilà, sceriffo.”
Caitlyn si gettò in quell’abbraccio con
così tanta veemenza che per poco non sarebbero capitombolate
a terra entrambe. Si strinsero con forza, entrambe felicissime, poi
Vi la sollevò dalle gambe per alzarla e farla
roteare nel mezzo del salotto, ridendo entrambe a crepapelle.
Dopo che il cappello di Caitlyn volò rovinosamente oltre il
divano, Violet la poggiò a terra, stringendola ancora a
sé.
“Non hai idea di quanto sia stata felice di vederti
lì” disse, “davvero. Pensavo non saresti
venuta.”
“Ho dovuto pensarci un po’, scusami” Vi
le prese la mano e le posò un lieve bacio sulle dita,
“cambiare idea è stata la scelta migliore che
potessi fare.”
“Quindi ti è piaciuto il discorso?”
“Scherzi? Sei stata incredibile, cupcake. Hai rimesso tutti
quei palloni gonfiati al loro posto, avresti dovuto vedere le loro
facce” disse, per poi scimmiottare uno degli spettatori che
le erano seduti di fianco. Caitlyn rise di gusto, immaginandosi
perfettamente la persona in questione.
Era valsa la pena angustiarsi così tanto su quel discorso se
il risultato era vedere Vi felice. Il suo viso contratto in una risata,
con il naso arricciato e gli occhi lucidi, era la cosa più
bella e armoniosa che i suoi occhi abbiano mai avuto il privilegio di
ammirare.
“T’ho detto che sei nata per essere al comando,
Cait. Non ho visto così tanti discorsi nella mia vita, ma
per Janna sei non hai sbagliato una virgola. Non vedo l’ora
di vederti in azione, a mettere in riga tutti quegli agenti del cazzo
che se la credono. Sei perfetta.”
Caitlyn strabuzzò gli occhi, per ricevere come risposta
dall’altra un mezzo ghigno con una linguaccia. La piltoviana
s’inclinò in avanti per un bacio, che ricevette
senza esitazioni. Poi altri a seguirsi, sempre più veloci e
affannati. Erano in casa ormai da un quarto d’ora e non si
erano separate ancora da quell’abbraccio.
Vi poggiò il pollice sul labbro inferiore di Caitlyn,
carezzandolo appena.
“Quindi,” sottolineò giocosamente,
“come vuoi festeggiare questo lieto evento?”
La piltoviana inclinò la testa, incuriosita.
“Bottiglia di vino?
“Uh-uh, l’abbiamo finito l’altra sera,
ricordi?” schioccò la lingua sulle labbra,
“puoi chiedere qualsiasi cosa, sceriffo.”
“Qualsiasi cosa?” ripeté, per poi
avvicinarsi all’orecchio di Vi e sussurrare qualcosa a bassa
voce. Quello che ne seguì fu prevedibile: la zaunita riprese
in braccio l’altra per le cosce e senza interrompere la
raffica di baci rumorosi, andò maldestramente verso la
camera da letto e chiuse con un calcio la porta dietro di sé.
Il giorno in cui Caitlyn diventò Sceriffo fu il giorno in
cui fece molte cose per la prima volta.
Per la prima volta, aveva detto ciò che pensava davvero
davanti chi le faceva più paura; per la prima volta
sentì che aveva fatto il passo giusto verso un futuro
migliore per la sua città; per la prima volta si era sentita
fiera di sé stessa, e per la prima volta aveva amato senza
remore, senza freni, la donna più importante della sua vita.
E non vedeva l’ora di svegliarsi per averla al suo fianco,
domani.
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