Venerdì, sabato e domenica di Ayumi Yoshida (/viewuser.php?uid=34262)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Venerdì ***
Capitolo 2: *** Sabato ***
Capitolo 3: *** Domenica - Epilogo ***
Capitolo 1 *** Venerdì ***
Venerdi
Venerdì,
sabato e domenica
1
- Venerdì
“Natsu!”
Sua
sorella, i capelli legati malamente in una
coda e il borsone in una mano, lo salutò dal ciglio della
porta con un sorriso
che sapeva di lacrime. La sua nipotina, invece, gli si
lanciò addosso urlando
eccitata nonostante si fossero visti solo qualche giorno prima.
“Aki-chan!”
esclamò Shoyo lasciandosi stritolare con fervore dalla
bambina mentre Natsu si richiudeva la porta d'ingresso alle spalle.
“Che bello
vederti! Ma cosa ci fate qui? Domani non hai una partita a
Tokyo?” chiese,
rivolto a sua sorella.
Ella
annuì con la testa, in silenzio.
Entusiasta,
Shoyo esclamò come un fiume in piena: “Potevi
avvertirmi
che sareste venute! Vi avrei fatto trovare qualcosa
da mangiare! Sono
appena tornato dagli allenamenti e non ho-”
“Io
non resto, Shoyo.” lo interruppe Natsu in un mormorio
sommesso,
senza alzare lo sguardo “Sono qui per Aki.” E
mentre l'altro la guardava,
incuriosito, balbettò: “È che...
Shinichi...”
Non
di nuovo.
“Vedrai
che tornerà tutto a posto!” esclamò
Shoyo impedendole
di continuare a parlare e tentando di sorridere, fiducioso. Natsu
ricambiò il
sorriso, incoraggiata, soltanto per un secondo, poi il suo viso si
rigò di
lacrime nere e gli si lanciò addosso, stringendolo talmente
forte da lasciarlo
senza fiato.
“Co-continuo
a ripetermelo anch'io...” sussurrò contro la sua
spalla, continuando a singhiozzare a bassa voce per non farsi udire da
Aki “Speriamo
torni davvero...”
Senza
neppure pensarci, Shoyo le portò la mano sinistra
attorno al collo per consolarla.
“Ma
certo che tornerà!” esclamò in tono
sicuro “Stai
tranquilla, ad Aki-chan ci penso io!”
Natsu
sollevò lievemente lo sguardo e finalmente gli sorrise
sommessamente: ormai aveva smesso di piangere, e sul suo viso restavano
soltanto le due righe nere del mascara sbavato.
“Ti
ringrazio tanto! Mi raccomando non dire nulla a mamma! Ti
chiamo appena posso!”
Carezzò
la testa della bambina, lo strinse un'ultima volta in
un abbraccio disperato e calzò in fretta le scarpe da
ginnastica per andarsene.
Shoyo
non riuscì a dire nulla guardandola mentre si richiudeva
la porta alle spalle, insolitamente ricurve sotto il peso del borsone.
Quella
era la terza volta dall'inizio dell'anno che il compagno di sua sorella
se ne
andava di casa all'improvviso, lasciando Natsu da sola. La prima volta
era
accaduto quando sua sorella aveva scoperto di aspettare Aki, facendo
andare sua
madre su tutte le furie.
Shoyo
non avrebbe mai dimenticato le due notti che Natsu,
poco più che ventenne, aveva trascorso a casa sua dopo
essersi presentata
sull'uscio di casa con le mani a proteggere la pancia e gli occhi pieni
di
lacrime. Poi Shinichi aveva bussato alla sua porta e da quella volta
non erano
più riusciti a contare le volte che era andato via di casa.
Ogni
volta sua sorella correva piangendo a casa sua, diceva
che era tutta colpa della sua ossessione per la pallavolo, che giocare
nella
squadra le impediva di essere una buona moglie ed era compito di Shoyo
starle
accanto. A sua mamma non poteva dire nulla, perché ella non
aveva approvato sin
dall'inizio quella relazione che Natsu si ostinava a portare avanti,
nonostante
tutto ciò che era accaduto. E lui, lui voleva troppo bene a
sua sorella per
vederla ridursi ancora come in quelle due maledetti notti, per dirle
qualcosa
di diverso da ciò che lei voleva sentirsi dire, e si faceva
in quattro per
consolarla e per aiutarla tutte le volte che accadeva.
Anche
se ormai erano diventate davvero troppe: era appena
febbraio, e gli sembrava che Aki fosse stata più con lui che
a casa propria
negli ultimi mesi.
“Zio
Shoyo, dov'è lo zio Tobio?” gli chiese la bambina
guardandosi intorno, mentre la prendeva per mano per condurla nel
soggiorno.
“Lo
zio Tobio è a Tokyo.” replicò Shoyo
spingendola verso il
divano. Accese la televisione. “Vediamo One Piece?”
suggerì, ma la bambina
scosse la testa vigorosamente.
“Voglio
vedere Doraemon. E la zia Hitoka?”
“Poi
la chiamiamo. Nel frattempo siediti.”
Ma
Aki continuò l'appello, come faceva tutte le volte che
arrivava a casa sua e la trovava stranamente silenziosa e vuota, al
massimo disseminata
di residui di dolcetti, pantaloncini e palloni da pallavolo lanciati
dappertutto
in allenamenti improvvisati quando si annoiava.
“E
gli zii Tadashi e Tsukki?”
“Loro
sono occupati in questi giorni.” cercò di tagliar
corto
Shoyo. Non poteva raccontarle che Yamaguchi e Tsukishima, a differenza
sua e di
Kageyama, alla fine ce l'avevano fatta a ricongiungersi e avevano preso
casa a
Tokyo, poco distante da dove abitava Kageyama. Gli avevano detto di
essere
impegnati con il trasloco e si parlava addirittura di matrimonio, anche
se non
sembrava proprio un'idea di Tsukishima. Hinata ancora non riusciva a
crederci.
“Zio
Shoyo, ma perché sei sempre da solo quando vengo a
trovarti?” sì lamentò la bambina
facendo uno smorfia e tuffandosi sul divano.
Poi gli sorrise largamente: “Guardiamo Doraemon?”
Il
ragazzo annuì con aria assente, cominciando a smanettare
sui programmi della smart TV mentre si perdeva nei pensieri.
Da
quanto tempo non vedeva Kageyama? Due mesi, se non considerava
le videochiamate che facevano non appena avevano un momento libero. Da
quando
Kageyama era rientrato a giocare in Giappone, a Tokyo, a volte gli
sembrava che
vedersi e sentirsi fosse ancora più difficile di quando
erano ai due antipodi
del mondo,
nonostante lui abitasse nella prefettura di Osaka, a tre ore e mezzo di
shinkansen
da Kageyama.
Per
Natale il ragazzo si era recato a casa sua e avevano
passato insieme la settimana di pausa del campionato tra Natale e
l'inizio
dell'anno nuovo. Erano andati anche insieme al tempio il primo
dell'anno, e Shoyo
aveva pregato che sia la loro relazione che il lavoro andassero bene,
ma forse
quella preghiera stava funzionando solo a metà.
“Chiamiamo
lo zio Tobio?” chiese Aki ad un tratto, distogliendo
lo sguardo dalla televisione.
Shoyo
annuì con la testa. Si stava sentendo con Kageyama
proprio prima che Natsu gli piombasse in casa con Aki e sapeva che
l’altro era
a fare il solito jogging serale prima di cena, quindi non lo avrebbero
disturbato.
Afferrato
il telefono, cliccò sull'icona di Line
e, posizionato lo schermo davanti alla bambina, fece partire la
videochiamata.
“Zio
Tobioooooooo!” trillò la piccola non appena videro
comparire il viso di Kageyama davanti ai loro occhi. Il volto nello
schermo,
avvolto in sciarpa e berretto pesanti, si lasciò andare ad
un sorriso tirato,
ma cortese per salutarla.
“Aki-chan.
Come stai?”
Kageyama
riusciva ad essere insolitamente gentile con Aki,
anche se non riusciva mai a celare lo strano imbarazzo che provava al
parlare
con la bambina. Ma Aki lo adorava, e riusciva sempre a fargli fare cose
che
Shoyo considerava improbabili. Tipo sorridere o chiacchiere con lei per
venti
minuti degli unicorni multicolore molto in voga in quel momento tra le
bambine.
“Sono
triste perché non ci sei!” trillò la
bambina mostrando
nuovamente il suo solito broncio “Quando torni? Anche lo zio
Shoyo è triste!”
“Aki-chan!”
esclamò allora Shoyo togliendole freneticamente il
telefono dalle mani.
“Scherza,
qui tutto a gonfie vele!” puntualizzò con un
sorriso a trentadue denti mentre lei gli mostrava la lingua, offesa, e
Kageyama
sospirava dall'altro lato della schermo.
“Possiamo
parlare?” gli chiese in tono urgente. Shoyo annuì
con la testa e, accertatosi che Aki fosse nuovamente rapita dalla
televisione,
si infilò gli auricolari senza fili.
“Era
Natsu alla porta?”
“Sì.”
“Ancora?”
Il
tono di voce di Kageyama era quasi
rassegnato. Shoyo annuì di nuovo senza dare segno di averlo notato.
“Dovrebbero
farla finita una buona volta.” butto allora lì
Kageyama
con un grugnito “Separarsi una volta e per sempre. Dovresti
smettere di essere
così disponibile e dirglielo.”
Shoyo
spalancò la bocca, incredulo.
“Ma
non posso, Natsu lo ama!” protestò a voce troppo
alta.
Lanciò uno sguardo in tralice ad Aki, ma la bambina non lo
stava degnando
affatto di attenzione, troppo presa a canticchiare la opening di
Doraemon.
Santa riproduzione automatica.
“E
lui? Sei davvero convinto che lui la ami?” gli chiese
Kageyama con la voce piatta, riportandolo di nuovo a quella
conversazione che
non avrebbe voluto avere proprio con lui
“È già la terza volta che se ne va di
casa dall'inizio dell'anno, e ho perso il
conto delle volte che l'ha fatto lo scorso anno.”
Shoyo
abbassò la testa in silenzio, il telefono saldo nel
palmo della mano. Anche loro due stavano più tempo separati
che insieme, però
la loro relazione andava avanti. Tra alti e bassi, discutendo di
stupide
gelosie immaginarie, senza poter vivere insieme i momenti
più importanti, ma
andava avanti.
Per
quel motivo, non appena aveva saputo che anche Kageyama
sarebbe tornato, aveva deciso di proporsi nuovamente come giocatore
nella prima
serie giapponese anche se l'unica squadra disponibile ad ingaggiarlo
era stata
la Suntory Sunbirds
di Mino, nella prefettura
di Osaka, a circa cinquecento chilometri da Tokyo,
dove Kageyama giocava nel FC Tokyo.
“Non
me la sento di parlare con Natsu di questo.”
mormorò a voce talmente bassa che vide Kageyama
corrugare le sopracciglia e spingersi l'auricolare destro a fondo
nell'orecchio
nello sforzo di udirlo meglio.
Il
ragazzo si limitò a stringere le labbra e disse:
“Ne
parliamo un'altra volta, qui comincia a fare freddo e devo rientrare.
Mi
raccomando, prepara qualcosa per Aki-chan, non ordinare ancora da
asporto!”
“Mi
hai beccato, non ho nulla nel frigo!” esclamò
Shoyo in
tono nuovamente vivace, cercando di sorridere “Oggi non ho
fatto in tempo a
fare la spesa. Ma domani è sabato e-”
“Ho
capito, ho capito.” tagliò corto Kageyama alzando
gli
occhi al cielo “ Ci sentiamo domani.” si
congedò e riattaccò proprio mentre Aki
strillava: “Voglio salutare lo zio Tobio!”
tuffandosi sulle sue ginocchia per
farsi inquadrare nello schermo.
“Nikuman
per cena?” le propose allora Shoyo con un sorriso forzato, ma
lei improvvisò
un'esultanza con le braccia al cielo che significava:
“sì” senza accorgersi di
nulla.
Smanettando
sul telefono per ordinare la cena, i suoi
pensieri andarono nuovamente a Natsu. Shoyo sperava che non avesse
più pianto,
in auto con la sua compagna di squadra, durante il viaggio che
l'avrebbe
condotta a Tokyo per la partita dell'indomani. Shoyo era certo che le
continue
fughe di Shinichi non dipendessero affatto da lei e o dalla sua
carriera di
giocatrice professionista nella Lega V2
come ella continuava a ripetere, ma, nonostante tutto, non riusciva a
parlarle
apertamente.
Ogni
volta che la vedeva in lacrime capiva bene come dovesse
sentirsi, la vedeva distrutta dalle continue separazioni, preda del
senso di
colpa, e non riusciva che a dirle: “Andrà tutto
bene. Resisti. Sei forte.”
Era
quello che lui stesso si ripeteva tutte le volte che le
telefonate con Kageyama sembravano troppo corte, che le sue visite si
facevano
saltuarie, tutte le volte che, nonostante gli sforzi,
risultava impossibile avvicinarsi.
Anche
lui viveva costantemente una separazione, e sapeva che
se ne poteva uscire. Che alla fine tutto tornava miracolosamente a
posto, se ci
si impegnava al massimo.
Però
per tutta la notte non riuscì a spiegarsi quel senso di
inquietudine che lo attanagliò mentre Aki, distesa accanto a
lui, dormiva fin
troppo placidamente per essere una bambina così lontana da
sua madre.
Note:
buonasera
a tutti e happy Haikyu Day!
Sono
così contenta di aver scoperto questa opera e di essere
parte di questo stupendo fandom, grazie a tutti coloro che
l’hanno reso
possibile! In primis, grazie a Furudate-sensei, per averci permesso di
giocare
a pallavolo con questi magnifici personaggi!
Per
me Haikyu ha significato riavvicinarmi al mondo “manga,
anime e fanfiction” dopo un periodo molto buio, quindi non
posso che essere
grata di poter vivere questa grande emozione ogni giorno!
Ringrazio
di cuore chi si è fermato a leggere il primo
capitolo di questa strana fic in tre capitoli, che ha visto la sua
prima,
forsennata stesura tra il 10 ed il 12 aprile.
Sono
molto affezionata a questa storia, perché rappresenta un
viaggio “interno” che mi sono ritrovata a fare
più e più volte.
Capita
a tutti di dover affrontare qualche difficoltà che ci
sembra difficile da sormontare, una situazione che ci fa stare male, ma
la cosa
più bella è superare le difficoltà e
poi guardarsi indietro e rendersi conto
che tutto è risolto, in qualche modo.
Nel
far vivere a qualcuno questa situazione così difficile,
ho scelto senza indugio Hinata, che notoriamente non si arrende mai e
cerca di
arrivare dovunque con l’impegno. È una specie di
test, perché, come ben sa chi
mi legge anche su altri fandom, mi piace esplorare i lati dei
personaggi che gli
autori non ci fanno vedere. Questo è il mio primo approccio
nel fandom di
Haikyu con tematiche un po’ più tristi e meno
fluff, spero di non essere andata
troppo OOC.
Ho
cominciato a disseminare un po’ di indizi qua e là
per
costruire un po’ di contesto intorno ai personaggi, il resto
si scoprirà nei
prossimi capitoli! Ma se avete qualche curiosità sono pronta
a rispondere senza
problemi! :D
Fatemi
sapere cosa ne pensate! : ) Prometto che l’aggiornamento
arriverà presto! : )
Ja
ne,
Ayumi
SPOILER! Alla fine del manga
Kageyama gioca a Roma e Hinata a San Paolo.
Treno ad alta velocità giapponese.
Line è il Whatsapp giapponese.
Dati reali presi da Google : )
Ravioli ripieni di carne cotti al
vapore.
Seconda
serie di pallavolo
giapponese, maschile o femminile.
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Capitolo 2 *** Sabato ***
Sabato
Venerdì,
sabato e domenica
2
– Sabato
Il
campanello era suonato troppo presto per essere sabato
mattina.
Con
la felpa chiusa solo a metà, Shoyo sfrecciò verso
l'ingresso mentre Aki continuava a lamentarsi per il sonno. L'aveva
svegliata
presto sperando di poter fare la spesa velocemente senza doverle
comprare
troppi snack di cui era ghiotta sfruttando il suo stato catatonico, ma
un
ospite inaspettato aveva deciso di fare capolino dietro la porta e
scompigliare
i suoi piani.
“Kageyama..!”
disse, quasi senza fiato, quando vide il suo
fidanzato in attesa sullo zerbino di casa. Ancora avvolto nella
sciarpa, il
ragazzo si richiuse la porta alle spalle e prese a togliersi le scarpe
in
silenzio.
“Potevi...
Avvisarmi!”
riuscì solo ad esclamare, fingendosi infastidito, Hinata,
mentre il suo
cervello sfrecciava dritto nello spazio felice per non tornare mai
più “Avrei-”
“È
stata una decisione dell'ultimo minuto.” replicò
Kageyama
alzando lo sguardo ed incrociando i suoi occhi solo per un momento
prima di
portarli nuovamente sui lacci delle scarpe da ginnastica “Ho
preso il primo
shinkansen
della giornata. Oggi la mia squadra ha il turno di riposo.”
“Non
mi avevi detto nulla!”
Kageyama
sospirò.
“Mi
sembrava avessi altri problemi.”
Come
se fosse stata invocata, Aki sbucò dal soggiorno,
perfettamente sveglia, e gli sfrecciò incontro.
“Zio
Tobioooooooo!” strillò lasciandoglisi addosso e
strizzandolo in un abbraccio troppo forte che quasi lo spinse sul
pavimento “Lo
sapevo che saresti venuto!”
“Sì.”
borbottò il ragazzo sommessamente, dandole delle
piccole pacche sulla spalla, immobile tra le sue braccia
“Eccomi qui.”
Gongolante,
la bambina lo lasciò andare improvvisando un
balletto sul gradino dell'ingresso per festeggiare. Con la coda
nell'occhio,
Kageyama notò che Hinata la stava guardando sorridendo largamente.
Finalmente.
La sera prima, quando avevano parlato, Shoyo gli
era sembrato veramente abbattuto. Per quel motivo, dopo una notte
trascorsa
poco a dormire e troppo a pensare, alle prime luci dell'alba si era
recato subito
alla stazione con destinazione Mino, prefettura di Osaka, dove abitava
Hinata..
“Vieni
anche tu a fare la spesa?” gli chiese all'improvviso
Hinata mentre si stava finalmente liberando del cappotto e della
sciarpa. “Volevo
andarci stamattina perché oggi pomeriggio giochiamo alle
cinque e mezzo e per
le quattro deve essere al palazzetto a Osaka.”
“Va
bene. Andiamo al kombini
qui vicino?”
Shoyo
annuì, e Kageyama si riavvolse la sciarpa attorno al
collo e indossò di nuovo il cappotto. Appena ebbe terminato,
notò che Aki se ne
stava immobile davanti a lui e lo stava fissando voracemente. In quei
momenti
somigliava più al suo fidanzato, che a sua madre.
“Cosa
c'è, Aki-chan?” le chiese, già
rassegnato.
“Zio
Tobio, per favore mi aiuti a vestirmi? Fuori
fa freddo e la mamma dice che devo coprirmi bene per non
ammalarmi!”
Con
un sospiro e sotto lo sguardo fin troppo divertito di
Shoyo, Kageyama la aiutò ad indossare il piumino rosa, le
calcò il berretto
sbrilluccicoso in testa, le infilò i guanti e infine le
scarpe. Soltanto quando
Aki fu soddisfatta dei fiocchi dei suoi lacci finalmente uscirono di
casa.
Tremando
nella sua sciarpa, per tutto il cammino Shoyo sentì
gelare la mano che, non affondata nelle tasche, teneva quella destra di
Aki.
Dall'altro lato, Kageyama stringeva la
mano sinistra di Aki, guanto grigio contro guanto rosa, in una presa
troppo
salda.
Probabilmente
aveva paura di perderla nel dedalo di vie che
separavano casa sua dal kombini più vicino, dato che lui
stesso non riusciva ancora
ad orientarsi bene in città. Era stato talmente poche volte
e per poco tempo a
Mino che spesso doveva chiedergli più e più
volte dove fossero i luoghi che frequentavano sempre.
C'era
un solo posto dove Kageyama non si mostrava mai nervoso
a Mino, l'immenso parco naturale alle pendici della città.
Ogni volta che andava
a trovarlo vi si immergevano per ore, principalmente a fare jogging, ma
qualche
volta anche a mangiare onigiri
sotto gli aceri.
Erano
quelli i momenti più belli che ricordava di aver
trascorso a Mino con lui, ma ormai risalivano a settembre,
quando vi si era appena trasferito e avevano avuto qualche settimana
libera per
stare insieme prima dell'inizio della Lega V1.
“Zio
Shoyo, mi compri la cioccolata?” lo pregò
all'improvviso
Aki. Il ragazzo annuì senza pensarci mentre spingeva la
maniglia della porta
d'ingresso del kombini.
“Cosa
vuoi mangiare stasera?” gli chiese Kageyama.
Shoyo
scosse la testa.
“Voi
mangiate pure, io non so a che ora finirò stasera.
Quando torno mi accontento di quello che c'è.”
“E
poi ti lamenti che non cresci.” Kageyama scosse la testa
proprio
come lui, rassegnato, e poi propose: “Omurice?
La preparo dopo che torniamo dalla partita.”
“Verrai
a vedermi?” esclamò Shoyo, incredulo. Kageyama
annuì
con la testa e l'altro gli sorrise largamente.
“L'omurice
va bene! Però prendiamo anche dei croissant per la
colazione di domani, l'ho promesso ad Aki. Quelli con il
cioccolato!”
Kageyama
annuì con aria assente mentre cominciava a mettere
nel cestino tutti gli ingredienti necessari per il pranzo e per la cena
di quel
giorno, scalandoli man mano dalla lista che aveva in testa.
Aveva ormai
lasciato la mano di Aki che, più avanti, si stava
incamminando con aria curiosa
verso il reparto dei surgelati in fondo al negozio.
“Zio
Shoyo, stai comprando i croissant?”
trillò con troppo entusiasmo guardando il ragazzo
smanettare con il braccio e la testa nel freezer.
“Te
l'avevo promesso!” esclamò Hinata in risposta a
voce
troppo alta, sventolandole davanti agli occhi la confezione congelata.
“Evvivaaaaaaaaaa!”
Kageyama
si portò una mano al viso per non guardare: Aki si
stava esibendo ancora in uno strano balletto per il troppo entusiasmo,
e lo
stava facendo giusto nella corsia che portava alla cassa.
“Ti
prego, falla smettere…” borbottò,
imbarazzato, mentre la
bambina ondeggiava le braccia e muoveva il bacino con uno strano
broncio di
concentrazione sul viso. Shoyo scoppiò in una risata che
attirò ancora di più
l'attenzione del signore che stava alla cassa.
“E
dai, Kageyama, sei un mostro! Aki-chan si sta divertendo
così tanto! Adesso lo faccio anch'io!”
Ma
fece in tempo a mimare un'onda soltanto con il braccio che
Kageyama glielo bloccò a mezz'aria bofonchiando:
“Torniamo a casa!” in tono fin
troppo imperativo e furono trascinati entrambi verso la cassa senza
poter più osare
muoversi.
Subito
dopo pranzo, in ritardo mostruoso Hinata
era scappato ad Osaka per la partita, scusandosi più del
dovuto per non avergli
potuto dare una mano a rimettere in ordine e con Aki. Mentre la bambina
dormiva
beata sul divano, Kageyama lavò i piatti, pulì la
cucina e riordinò la tavola.
Alle tre e mezzo si avviarono per andare in stazione, che distava circa
venti
minuti di cammino da casa di Hinata. Tra il viaggio in treno di
mezz'ora, che
passarono a giocare agli indovinelli, e la strada a piedi fino al
palazzetto,
arrivarono appena in tempo per vedere il riscaldamento delle due
squadre.
I
Suntory Sunbirds di Hinata si stavano sistemando proprio nella
metà campo di fronte a loro. Mentre entrambi prendevano
posto e Aki si
sbracciava dagli spalti per farsi notare dallo zio, Hinata aveva
già effettuato
le prime schiacciate di riscaldamento. Ne aveva messe a segno due che
non
avevano né particolare potenza né particolare
precisione, ma non era tutta
colpa dell'alzata che aveva ricevuto. Sembrava proprio lui
stesso ad
essere fuori fase.
Kageyama
se ne accorse immediatamente, ma ne ebbe la certezza
durante la partita.
La
squadra contro cui i Suntory Birds giocavano era molto più
forte, ma Hinata non sembrava avere animato da quella forza
trascinatrice che
metteva in ogni cosa. Sbagliò il primo servizio al salto,
mandando la palla
dritta al centro della rete e alla fine del primo set, indietro di
dieci punti
rispetto agli avversari, non era riuscito ancora a fare punto con le
sue
schiacciate, che erano state sempre murate.
Era
anche un po’ colpa dell'alzatore con cui giocava, che non
sembrava così navigato, ma Hinata sembrava proprio
rallentato. Non saltava in
alto al suo massimo, non era preciso nelle ricezioni e nelle
schiacciate, non era il solito Hinata.
Preoccupato,
Kageyama seguì ancor più attentamente il secondo
set, i pugni strettissimi e gli occhi ridotti a fessure ad ogni pallone
perso.
Ma, quando mancavano solo dieci punti per la vittoria degli avversari,
qualcosa
si ribaltò.
Era
il turno di Hinata alla battuta, e, urlando come un
ossesso, egli riuscì a mandare a segno otto ace di fila
nella metà campo
avversaria. Il sudore gli colava a rivoli sul volto, ma lui se lo
asciugò con
il braccio e si rimise in posizione per il nono servizio.
Effettuò due palleggi
sul pavimento, poi bloccò per un secondo il pallone tra le
mani e fece un
respiro profondo. Erano 12 a 15 per gli avversari, e segnare un altro
punto
avrebbe significato non soltanto portare il morale della squadra alle
stelle,
ma aver quasi raggiunto gli avversari dopo aver perso il primo set e
aver
cominciato male il secondo. Doveva
fare un altro ace.
Lanciò
la palla sopra la sua testa con la mano sinistra e si
preparò al salto sentendosi i piedi ancora ancorati forte al
parquet.
Mentre
l'intero palazzetto tratteneva il fiato e Aki urlava: “Vai,
zio Shoyo!” il ragazzo colpì forte la palla con la
mano destra. E la palla
sfrecciò, dritta sopra la rete nella metà campo
avversaria, finendo proprio
nell'angolo più lontano all’interno delle due
linee bianche che delimitavano il
campo.
Il
palazzetto esplose in un ruggito di gioia. In campo, Shoyo
aveva cominciato a replicare con i suoi compagni il buffo balletto che
Aki gli
aveva mostrato nel kombini.
In
piedi contro la ringhiera che separava la prima dalla
seconda sezione di posti, Kageyama si immobilizzò:
all'improvviso tutto tacque,
e lui si sentì solo, l’unico a guardare quella
partita in un palazzetto buio e
vuoto.
Hinata,
nel mezzo del campo, ormai sorrideva largamente dando
cinque a tutti.
Quando
tutte le luci del palazzetto si spegnevano, l'unico
faro che rischiarava la notte restava sempre puntato su di lui, come in
quel
momento.
Quel
campo era il suo palco, il palco giapponese da calcare che
si era impegnato tanto a conquistare giocando all’estero.
Anche
Kageyama si lasciò finalmente andare ad un urlo
belluino per festeggiare il nono ace di fila. Aki sobbalzò.
“Lo
zio Shoyo è troppo bravo! Vero? Vero?”
gli chiese, eccitata, e lui non poté fare a meno di annuire
con il capo.
Purtroppo,
però, quello fu l'ultimo punto fatto da Hinata. La
squadra avversaria riprese pian piano coraggio dopo il suo errore al
decimo
servizio e, punto dopo punto, conquistò anche il secondo set.
Mentre
nel palazzetto scrosciava un applauso per vincitori e
vinti e i Suntory Sunbirds davano la mano agli avversari, Kageyama
afferrò Aki
che tentava di correre sgusciando verso il campo e, la bambina tra le
braccia,
scese freneticamente i gradini degli spalti fino alla fila di sedili
più vicina
al parquet.
Hinata
li notò quasi subito e si avvicinò per stringere
forte
Aki, che aveva cominciato a piangere.
“Vinceremo
la prossima!” cercò di consolarla, ma
la bambina non voleva saperne di staccarsi da lui, una perfetta,
minuscola
imitazione di sua madre il giorno precedente. Con un sospiro,
cominciò a batterle
una mano sulla schiena con fare protettivo per consolarla.
“Hai
giocato bene.” mormorò Kageyama sentendosi
stranamente
nervoso: si sentiva a disagio a cercare di consolarlo quando la squadra
aveva
giocato una partita sotto tono ed era stato lui l'unico trascinatore
che, però,
non era bastato.
Hinata,
tuttavia, gli sorrise, gli occhi inaspettatamente
lucidi, più a disagio di lui.
“Grazie
per essere venuto a vedermi.” gli sussurrò in
risposta e abbassò lo sguardo per non incontrare ancora il
suo.
“Che
cos'hai?” gli chiese Kageyama in tono più duro di
quanto
si aspettasse.
“Natsu.”
mormorò cercando di non farsi sentire da Aki.
“Non
devi preoccuparti per lei, sono certo che abbia vinto.”
“La
mamma ha vinto, vero?”
li interruppe all'improvviso Aki tra le lacrime.
“Fa-facciamo
il tifo per lei finché non ci chiama, va bene?”
la rassicurò Shoyo cercando di sorridere
“Però smettila di piangere.”
La
bambina annuì e tirò su con il naso per fermare
le
lacrime, poi prese la mano di Kageyama.
“Zio
Shoyo, fai presto e corriamo subito a casa, così
chiamiamo la mamma!” disse cominciando a trascinarlo via.
“Ti
aspettiamo all'ingresso.” concluse Kageyama voltandosi
per seguirla.
Seduti
nei sedili all'ingresso, mentre il palazzetto di
svuotava lentamente ed i neon si spegnevano uno dopo l'altro, Aki si
addormentò
sulle ginocchia di Kageyama. Durante l’attesa il ragazzo si
perse nei pensieri,
gli occhi fissi sull'unico neon rimasto acceso nella sala di attesa
all’ingresso. Ma non illuminava Hinata.
C'era
qualcosa che turbava il suo fidanzato, oltre la
questione di Natsu: non l'aveva mai sentito giù
così a lungo dopo che la
ragazza si era presentata a casa sua. Di solito la sosteneva sempre in
quella
storia d'amore senza futuro e lui e Hinata finivano per discutere come
se
fossero stati loro stessi i protagonisti.
Era
forse preoccupato per la squadra? Gli aveva detto più e
più volte di non accontentarsi della prima offerta ricevuta,
di non tornare in
Giappone, ma Hinata era più testardo di lui e aveva deciso
comunque di portare
avanti la sua decisione, anche se i Suntory Birds non erano
così forti.
Gli
stava venendo il mal di testa.
“Kageyama?”
lo chiamò improvvisamente una voce conosciuta. Hinata
era in piedi di fronte a lui, completamente avvolto nella sua sciarpa e
il
borsone sulla spalla, in attesa. “Andiamo?”
Kageyama
annuì con il capo e prese Aki in braccio con
delicatezza, cercando di non svegliarla.
“Si
è stancata molto, oggi.” commentò
Shoyo, intenerito “E non
deve essere un bel momento per lei.”
“Anche per te, vero?”
avrebbe voluto chiedergli Kageyama, ma Hinata si addormentò
non appena salirono
sul treno per tornare a Mino, la guancia sulla sua spalla, stremato da
pensieri
a cui lui faticava persino a dar forma.
Note:
quando
credi che la parte più difficile sia mettere
l’idea
che hai in testa per iscritto, poi ti rendi conto che la revisione
è un momento
ancora più difficile. Buongiorno
a tutti e grazie della pazienza! Questa è la
ragione del mio ritardo nell’aggiornamento! XD
Questo
capitolo doveva cominciare a sviscerare molte cose,
quindi ho dovuto rivederlo più volte per renderlo quanto
più vicino possibile a
ciò che vorrei comunicare. Spero, in ogni caso, di non
essere andata OOC,
soprattutto per quanto riguarda Hinata. In questo capitolo il suo
dramma è
ancora tutto dentro di lui, ma in qualche modo è riuscito a
farsi forza durante
la partita. Ho fatto arrovellare un po’ anche Kageyama, che
non fa mai male XD
Chi
ha letto le mie precedenti shot nel fandom sa che lo amo
così tanto che il mio passatempo preferito è
torturarlo, infatti adoro scrivere
dei momenti in cui Aki “maltratta” lo zio Tobio, ma
sempre con amore, eh! :D
Ultima
cosa, il parco di Mino esiste davvero. Cercatelo su
Google, il foliage
degli aceri in autunno è stupendo!
Ringrazio
di cuore i tre adorati lettori che si sono fermati
a lasciarmi un parere, aki_penn, MoOny_ e Clau (appena possibile vi
risponderò
singolarmente, scusatemi se non l’ho ancora fatto! *si
inchina*), tutti coloro
che hanno inserito la storia tra le preferite (Ar1anna,
canyonmoon e Goodnightmoon)
e le seguite (jazzy e Plxsdontcry)
e che passano di qui e si
fermano a leggere.
Sono
felice che la storia vi stia piacendo e vi ringrazio per
il tempo che le dedicate.
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo! Non disperate, ci siamo
quasi! :D
Alla
prossima!
Ayumi
Treno ad alta velocità giapponese.
Mino è la città dove ha sede la
squadra dei Suntory Birds
(https://it.wikipedia.org/wiki/Suntory_Sunbirds)
Piccoli supermercati di quartiere
in cui vendono un po’ di tutto.
Il campionato di pallavolo
giapponese, come quello italiano, va da ottobre a marzo. A partire da
aprile si
giocano play off (per la Lega superiore) e play out (per evitare la
retrocessione). Per maggiori info, munitevi di traduttore! : )
https://www.vleague.jp/
Prima serie del campionato di
pallavolo giapponese, maschile o femminile.
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Capitolo 3 *** Domenica - Epilogo ***
Sabato
Venerdì,
sabato e domenica
3
– Domenica
Erano
arrivati a casa talmente tardi e talmente stanchi che
erano riusciti a mangiare solo qualche morso di omurice
e poi erano andati tutti a letto. Hinata aveva insistito
affinché Kageyama
prendesse il suo letto, ma alla fine vi si era sistemato con Aki, che
già
dormiva profondamente. Kageyama aveva disteso il suo futon
a poca distanza dal letto e gli aveva detto quasi subito:
“Buonanotte.”
Ma
dopo mezz'ora ancora non sentiva il suo respiro farsi pesante.
“Kageyama”
mormorò, allora, voltandosi sul fianco verso di
lui. L'altro grugnì per fargli capire che era sveglio.
Hinata, allora,
sgattaiolò via dal suo letto e si infilò sotto le
coperte accanto a lui,
avvicinandoglisi più che poteva. Senza dire nulla, Kageyama
lo strinse forte a
sé.
Fecero
l'amore in silenzio, nascosti sotto le coperte,
cercando di non svegliare Aki. Alla fine, Hinata gli stampò
un bacio
sull'avambraccio sinistro e si distese sulla schiena, il viso al
soffitto per
non guardarlo negli occhi. Anche Kageyama stava guardando il soffitto,
la mente
sgombra da qualunque pensiero. Due soldati nemici stesi uno accanto
all’altro nello
stesso letto d'ospedale.
“Cosa
c'è, Hinata?”
La
voce di Kageyama gli giunse particolarmente soffice
all'orecchio. Sembrava preoccupato, ma tremendamente
impegnato a non
dimostrarlo.
“Te
l'ho detto, Natsu.” mormorò Hinata in risposta.
L'altro
sospirò.
“L'hai
sentita, è andato tutto bene, ha vinto. Domani
passerà
anche a prendere Aki-chan.”
“Sì
però...” La voce di Hinata, troppo nasale, si
spense
sull'orlo di una lamentela.
“Hai
paura che Shinichi non torni più?” gli chiese
Kageyama
dando voce alla sua preoccupazione.
Hinata
annuì con un verso sordo, poi continuò in tono
lamentoso: “Non me ne ha più parlato... Non voglio
che resti da sola come me.”
Kageyama
si irrigidì nel futon.
“Noi non siamo Natsu e
Shinichi, Hinata!” esclamò dopo qualche
secondo a voce troppo alta.
Istintivamente, Hinata si voltò per guardarlo: giratosi
verso di lui, Kageyama era
furente e respirava appena. “Io non
me ne
andrò per non tornare più.”
Shoyo
si strinse nelle spalle, sentendosi minuscolo rispetto
a lui.
“Lo
so, ma speravo che riuscissimo a vederci di più da quando
sono rientrato in Giappone.” replicò con voce
piatta “Per questo sono tornato.”
In
quel momento tutto fu chiaro. Gli occhi di Kageyama
lampeggiarono solo per un attimo e la sua mano corse subito alla
schiena di
Hinata, attirandolo con forza a sé. Poteva sentire il
respiro cadenzato del suo
fidanzato, gelido sulla punta del naso. Hinata non aveva paura,
sembrava solo
sorpreso e in attesa. Avevano entrambi troppe domande da farsi, troppe
idee differenti
di cui convincersi l'un l'altro, mille soluzioni da esplorare. Hinata
aveva
provato a farlo lasciando San Paolo e cercando di raggiungerlo; in quel
momento
toccava a lui.
“Pensi
che io non senta la tua mancanza?” gli chiese,
perentorio, cercando di non lasciare trasparire l'ansia che stava
provando.
Sentì le dita di Hinata stringersi forti attorno alla base
della sua schiena
nell'ennesima, muta richiesta di aiuto della giornata.
“La
sento.” ripeté senza distogliere lo sguardo dai
suoi
occhi, che continuavano a cambiare colore quando la luce lunare che
filtrava
dalla finestra li colpiva. “Ma è difficile
vedersi, con le partite e tutto il
resto.”
Inaspettatamente,
Hinata strinse le labbra ed annuì con la
testa, l’aria colpevole.
“Lo
so.” replicò mestamente. I suoi occhi
scintillavano. “Lo
sapevo anche quando ho deciso di tornare. Solo che ultimamente mi pesa
un po'
di più.”
Era
quella la realtà; nelle sue parole non c'erano lamentele
o pentimenti sulla vita che si erano scelti, soltanto consapevolezza. E
conseguenze che forse non avevano potuto predire quando avevano fatto
quella
scelta. Riflettendo inquieto su quelle parole, Kageyama gli
allungò le braccia
intorno al collo e lo strinse forte contro il suo petto. I capelli di
Hinata
attiravano pericolosamente la sua attenzione mentre cercava di pensare
velocemente a qualcosa di utile, distogliendolo dai mille pensieri in
fila che
gli affollavano la
mente.
Forse
non era quello il momento giusto. O forse sì.
“Domani
diciamo a Natsu di cambiare la serratura di casa sua.”
disse all'improvviso in un grugnito.
Dall'altezza
del suo petto giunse una risata soffocata che
gli scaldò le mani ghiacciate.
“Non
ti sembra un po' estremo?” gli chiese Hinata. Sorridendo,
l'avrebbe potuto giurare.
“È
solo quello che è necessario.” fu la sua replica
atona “Poi
penseremo a noi.”
Hinata
trattenne il respiro contro il suo petto, soffiando
fuori aria gelida all'improvviso. La sua testa sgusciò di
colpo dalle sue
braccia e i suoi occhi lo fissarono proprio come avrebbe fatto Aki-chan
in
attesa di una tavoletta di cioccolato.
“Possiamo
chiedere a Yamaguchi e Tsukishima come-” cominciò,
ma Kageyama lo interruppe rispingendogli la testa tra le sue braccia e
seppellendola ancora nel suo petto.
“Non
voglio chiedere nulla a Tsukishima.”
“Ci
avrei giurato!” ribatté Hinata, divertito. Si
strinse più
forte contro il suo corpo scoprendo un calore che non provava da troppo
tempo.
Soltanto
in quel momento riuscirono, finalmente, a prendere
sonno.
“Shoyo!”
Natsu
gli saltò addosso stringendolo forte come
non aveva mai fatto. Shoyo sollevò gli occhi, ansioso, ma
vide che non c'erano
ancora tracce di mascara sulle guance di sua sorella.
Natsu
non aveva ancora pianto. Più fiducioso, si separò
da
lei con una pacca sulla schiena per lasciarle lo spazio di salutare
Kageyama.
Il
suo fidanzato si lasciò stringere in un abbraccio restando
rigido sul posto e fu l'ultimo a seguirli in soggiorno dopo che lei si
era
tolta le scarpe da ginnastica.
Seduti
al tavolo, cominciarono a fare colazione. Aki dormiva
ancora mentre i croissant scoppiettavano nel forno.
“Grazie
di cuore per aver badato ad Aki! Spero si sia
comportata bene!”
“È
andato tutto bene, tranne quando ha chiesto a Kageyama di
giocare alla parrucchiera!” replicò Shoyo con un
sorrisetto. Vide il suo
fidanzato fulminarlo con lo sguardo e si lasciò finalmente
andare ad una risata
con Natsu.
“Mi
dispiace da morire, Tobio-kun!” esclamò la ragazza
giungendo le mani in segno di scusa “Aki delle volte
è così insistente...”
“Non
preoccuparti, è stato divertente!”
replicò Shoyo “Quando
vuoi...”
Kageyama
lanciò al fidanzato uno sguardo tagliente e disse
all'improvviso: “Devi cambiare la serratura di casa tua,
Natsu.”
La
ragazza lo guardò con gli occhi spalancati, come se le
avessero appena rovesciato un secchio pieno d'acqua gelida addosso.
“Scu-scusami?”
“Devi
cambiare la serratura, Natsu.” le ripeté
senza scomporsi “Non puoi continuare così, non va
bene per te e per Aki.”
Senza
dire nulla, gli occhi della ragazza si riempirono ancora
di lacrime trasparenti: quella mattina non indossava neppure il mascara.
“Ma
se Shinichi...” disse in un soffio, guardando Shoyo
in cerca di supporto. Suo fratello boccheggiò, incapace di
respirare, ma
Kageyama lo anticipò: “Lascia stare tuo fratello,
è un inguaribile ottimista...
Non hai bisogno di Shinichi. Tu sei forte. Hai la tua carriera, puoi
farcela da
sola. Tua madre capirà.”
“E
io ci sarò sempre.” riuscì finalmente a
dire Shoyo, prendendole
le mani tra le sue sopra il tavolo. Si sentiva svuotato, impaurito, ma
le
strinse forte per dimostrarle che non stava dicendo bugie, che le
sarebbe stato
davvero accanto, anche nei momenti più difficili, anche
nelle decisioni più
atroci ed odiose. “Quando avrai bisogno di me, ci
sarò sempre. Shinichi non ti
merita. Non ti merita davvero.”
Natsu
pianse, pianse e pianse finché il profumo dei croissant
al cioccolato non invase la casa ed il timer del forno
trillò. Poi si
asciugò gli occhi con la manica della felpa e
andò a svegliare Aki.
Finirono
di fare colazione tutti insieme mangiando i
croissant, mentre Aki sbriciolava dappertutto sul divano e loro
discutevano
della partita che Natsu aveva giocato a Tokyo la sera prima: se avesse
vinto le
quattro partite che mancavano alla fine del campionato, la squadra di
Natsu
avrebbe dovuto disputare i play off per poter accedere alla Lega V1.
Poi,
inaspettatamente com'erano arrivate, Natsu e Aki se andarono
con la promessa di rivedersi presto.
All'improvviso
la casa era tornata silenziosa e i piatti
sulla tavola e le briciole sul divano sembravano fuori posto
nell'appartamento
di un ragazzo di quasi trent'anni che viveva da solo.
Ripulirono
in fretta e si lasciarono cadere sul divano. Erano
già le undici della domenica mattina e il fine settimana era
quasi terminato.
Presto Kageyama sarebbe tornato a Tokyo con la promessa di rivedersi
appena il
calendario della Lega V1 l'avesse permesso. Ma quella settimana era
diverso.
“Potremmo
cercare di vederci anche per un giorno solo quando
giochiamo entrambi di sabato o di domenica.” propose Kageyama
passandogli un
braccio attorno alla vita. Le gambe incrociate e la schiena affondata
nello
schienale del divano, Hnata si perse per un attimo nella sua
espressione
concentrata, poi si lasciò trascinare verso di lui. Kageyama
lo strinse a sé e
continuò: “Alla fine sono solo due ore e mezzo di
treno. Se ci svegliamo
presto...”
“Perché
non chiediamo a Yamaguchi?” propose nuovamente
Hinata, vincendo l'ennesima
occhiataccia
del weekend.
“Ti
ho detto che non chiedo nulla a Tsukishima.”
borbottò
l'altro in risposta.
“Ma
possiamo parlarne anche solo con Yamaguchi! Magari
possono darci qualche suggerimento. Anche loro sono stati lontani,
finora!”
Senza
aspettare una risposta che sarebbe stata certamente
negativa, Hinata allungò il braccio per afferrare il
cellulare e cercò
velocemente il contatto di Yamaguchi su Line.
L'amico gli rispose quasi subito con un largo sorriso a illuminargli le
lentiggini.
“Hinata!
Da quanto tempo! Come stai? Ma c’è Kageyama
accanto
a te? Ciao Kageyama!”
Mentre
si avvicinava di malavoglia allo schermo per i saluti,
Kageyama sbuffò sonoramente per non essersi riuscito a
nascondere per tempo.
“Guarda
Kei, c'è anche Kageyama con Hinata!”
esclamò
Yamaguchi, entusiasta. Intravidero nell'angolo in alto a sinistra dello
schermo
un ciuffo di capelli biondi e sentirono chiaramente Tsukishima dire,
infastidito: “Non vengo al telefono, Tadashi.”
mentre l'altro rideva. Ormai si
chiavano per nome, notò Hinata, e sembrava qualcosa di
così strano da associare
a loro due. Come il loro matrimonio ormai prossimo.
“Qui
tutto bene!” esclamò Hinata con un sorriso.
“Da voi?
Procede il trasloco?”
Yamaguchi
annuì sorridendo un po' meno visibilmente.
“Diciamo.
Siamo un po' in ritardo sulla tabella di marcia, ma
speriamo di poterci trasferire al più presto, dobbiamo
lasciare questo
appartamento alla fine del mese!”
“E
il matrimonio?”
“Forse
abbiamo trovato un tempio a Sapporo che celebra il
matrimonio religioso!”
“Ma
è fantastico!” ruggì Hinata rimbalzando
sul
divano “Ci saremo a costo di venire in bicicletta!”
Yamaguchi
sorrise passandosi una mano nei capelli,
imbarazzato e grato.
“Non
ce ne sarà bisogno! Sceglieremo una data che permetta a
tutti di esserci!”
Hinata
sorrise largamente.
“Che
sollievo! A proposito di questo” Lanciò uno
sguardo
fugace a Kageyama, ancora in silenzio e imbronciato accanto a lui, e si
fece
coraggio. “Se avete un minuto vorremo chiedervi qualche
suggerimento.”
“Certo!
Su cosa?”
La
voce di Hinata esitò soltanto un momento appena
cominciò a
parlare.
“Come... Come vi
siete organizzati quando Tsukishima era a Sendai e tu lavoravi vicino a
scuola?
Riuscivate a vedervi?”
“Aaaaaaah.”
Yamaguchi si morse un labbro, cominciando a
pensare ad alta voce. “Immagino che per voi sia
più difficile, conciliare il
tempo insieme con le partite e tutto il resto… Sendai
è dietro l'angolo
rispetto a Tokyo, e spesso ho avuto la possibilità di
raggiungere Kei e
lavorare da casa sua... Anche adesso, io ho potuto trasferirmi, ma
capisco per
voi non sia così facile... Però non rinunciate
alle vostre carriere, siete
arrivati così lontano! Sono certo che troverete un
modo!”
Hinata
strinse le labbra senza riuscire a nascondere la
delusione, poi cercò di sorridere. Aveva perso il conto di
tutte le volte che
Kageyama l'aveva fulminato con lo sguardo, mentre parlava con Yamaguchi.
“Ci
proveremo.” disse alla fine, cercando di convincersene.
Yamaguchi gli sorrise, incoraggiante.
“Sono
certo che ce la farete.”
“Neanch'io
avevo mai pensato di arrivare al matrimonio,
eppure eccomi qua.” disse all'improvviso Tsukishima dietro di
lui, la voce più
sostenuta del solito.
“Non
dirlo sembrando così disinteressato, Tsukki!”
Non
riusciva a vederlo nello schermo, ma Shoyo era certo che
la mano di Tsukishima stesse stringendo il fianco del suo futuro
marito,
proprio come Kageyama stava facendo con lui. La sua presa si era fatta
all’improvviso
più salda quando Tsukishima aveva parlato. Quelle parole non
erano casuali,
perché Tsukishima parlava poco e mai senza un motivo, e
anche Kageyama l’aveva
capito. Ma in quel momento, perso tra ansie e speranze, Hinata non
riusciva a connettere
cause ed effetti.
Salutò
Yamaguchi e Tsukishima con un cenno della mano e
bloccò lo schermo del telefono per chiudere la chiamata.
Ancora stringendolo in
mano, alzò gli occhi e incrociò lo sguardo di
Kageyama: aveva gli occhi fissi
su di lui, l'espressione imperscrutabile.
“Anche
se lo sapevo, è sempre brutto sentirselo dire.”
disse
con un mezzo sospiro. Sapeva che la loro situazione era difficile, che
la
distanza tra loro non si poteva colmare così facilmente, che
si erano spinti
troppo avanti per poter anche solo immaginare di cambiare idea con la
pallavolo. Non che ci avesse mai pensato, ed era certo che neppure
Kageyama
l'avesse mai fatto, che la sua strada potesse essere lontana dalla rete
che divideva
il campo con il parquet: la pallavolo era stata gran parte della sua
vita,
quasi tutta la sua vita prima di conoscere a fondo Kageyama.
In
fondo, se non avesse cominciato a giocare a pallavolo forse
non si sarebbero neppure mai incontrati, nulla di quello che stavano
vivendo sarebbe
mai accaduto.
“Te
l'avevo detto che non era una buona idea parlare con
Tsukishima.” replicò Kageyama, ancora infastidito.
“Speravo
potessero suggerirci qualcosa...”
Kageyama
non gli disse nulla mentre la sua voce si spegneva:
sapeva che non era mai stato un tipo espansivo. I loro amici
continuavano a
dire che da quando stavano insieme l'aveva reso un po' più
loquace, ma lui non
notava la differenza, perché parlare in maniera franca tra
loro non era mai
stato un problema, anche se poi finivano per discutere anche per le
cose più
stupide.
“Dammi
il telefono.” gli ordinò all'improvviso. Stupito,
Hinata
glielo consegnò.
Kageyama
cominciò a smanettare su Google e scaricò un file
PDF. Lo aprì davanti ai suoi occhi: era il calendario della
Lega V1 maschile.
“Guarda.”
Puntò il dito sullo schermo all'altezza del mese di
febbraio. “Per questo mese, giochiamo sempre in giornate
separate, quindi ci
sentiremo per telefono e basta. Però possiamo organizzarci
per fare una
videochiamata prima e dopo gli allenamenti. Invece, per
marzo” Fece scivolare
il dito sul calendario del mese successivo. “La prima partita
del mese è per
entrambi di sabato, però io gioco di pomeriggio, quindi puoi
venire tu da me
appena finisci di giocare, prima di pranzo. L'ultima partita invece
è di
domenica, ma voi starete ancora lottando per non retrocedere, quindi
è meglio
che venga io qui a Mino.”
Hinata
gli lanciò un'occhiata infuocata che voleva
significare: “Non perderemo!”, ma Kageyama lo
ignorò e continuò:” Per aprile
penso che avrò qualche settimana di stop degli
allenamenti, a Roma erano due prima di
riprendere la preparazione... Quindi se tu dovrai giocare i play out
posso
venire io da te. E dobbiamo incastrarci anche il matrimonio a
Sapporo.”
Hinata
lo guardò ammirato, dimentico dell'affronto appena
subito.
“Ah!
Vuoi dirmi” esclamo, emozionato “che per tutto
questo
tempo stavi pensando a questo! Sei
così intelligente, Kageyama!”
Il
ragazzo lo fulminò con lo sguardo.
“Dato
che tu sei impegnato a deprimerti, qualcuno deve pur
farlo!” ribatté, corrucciato. Dopo aver udito le
parole di Tsukishima, si era
sentito stranamente irritato: non poteva perdere contro di lui. Lui e
Yamaguchi
stavano per sposarsi; loro non sarebbero stati da meno. Ce
l’avrebbe messa
tutta per farcela.
“Non
mi stavo deprimendo!” Hinata spinse il viso verso il suo,
fissandolo con gli occhi ancora scintillanti.
“Vincerò tutte le partite che
mancano così non giocheremo i play off e ad aprile potremo
stare insieme due
settimane! Prenotiamo i biglietti dello shinkansen?”
propose, e gli sfiorò le labbra con le sue, ancora il segno
di un sorriso sul
viso.
Forse
non avrebbero potuto condividere a breve un
appartamento, sicuramente non lo avrebbe avuto in ogni momento al suo
fianco,
ma ce l'avrebbe messa tutta per poterlo raggiungere a Tokyo.
Entrambi
volevano vincere.
Epilogo
“Congratulazioni,
Natsu!”
Dall'altro
lato dello schermo, scarmigliata, rossa in viso,
ma con il mascara intatto, sua sorella lo guardò sorridendo
fieramente. La
prima partita dei play off era appena terminata e la vittoria era stata
schiacciante: 25-18 e 25-16, con un totale di venticinque punti
conquistati
grazie alle sue schiacciate.
“Grazie
mille Shoyo! Ma mancano ancora due partite per
conquistare la Lega V1!”
“Una
partita alla volta.” disse distrattamente Kageyama
facendo capolino nello schermo mentre era intento a sistemarsi il
farfallino
che aveva al collo.
La
cerimonia di Yamaguchi e Tsukishima era il giorno
seguente, ma Shoyo aveva insistito perché provassero i
vestiti appena arrivati
nel ryokan dove avrebbero alloggiato tutti gli ospiti. L'indomani ci
sarebbero
stati proprio tutti, persino Nishinoya e Asahi-san avevano abbandonato
per
qualche giorno il loro viaggio attorno al mondo che andava avanti ormai
senza
pause da cinque anni.
“Come
sempre, Tobio-kun. Sei proprio carino con il
farfallino!”
“Vero?
Gliel'ho regalato io!” Shoyo riportò di scatto il
cellulare davanti al proprio viso, inquadrando soltanto il suo sorriso
a
trentadue denti. “Aki-chan è lì con
te?”
“Ho
chiesto alla mamma di restare a casa con lei, ero troppo
nervosa!” confessò Natsu lievemente imbarazzata
“Però adesso me ne sono
pentita! Avrei fatto una bella figura!”
Shoyo
scoppiò a ridere, ma Kageyama distrusse il suo
entusiasmo con un perentorio: “Non ridere, la prossima
settimana tocca a te!”
Alla
fine i Suntory Birds non erano riusciti a fare tutti i
punti necessari per mantenere in maniera diretta al categoria e il
sabato
successivo sarebbero cominciati i play out.
Shoyo aveva già deciso che, a prescindere dal risultato,
alla fine della
stagione avrebbe lasciato la squadra. Avrebbe combattuto con tutto se
stesso
per non retrocedere nella Lega V2 e poi avrebbe cercato una nuova
squadra. Con
un po' di fortuna e mandando a segno molte schiacciate, anche delle
squadre di
più alta classifica avrebbero potuto notarlo.
Magari
sarebbe arrivato fino a Tokyo.
“Non
ricordarmelo, è la prima volta che gioco i play
out!” sì
lamentò ad alta voce, ma Kageyama
ormai gli
stava più prestando attenzione: in piedi davanti allo
specchio della camera, si
stava osservando girato di fianco, indugiando sulle proprie scarpe
eleganti.
Quasi
non sembrava venerdì.
Di
solito il fine settimana passava tra sudore, scarpe da
ginnastica strette ai piedi e palloni che scivolavano sul parquet e,
negli
ultimi tempi, tra spasmodici viaggi in treno e malinconici rientri. Ma
quella
mattina il viaggio verso Sapporo era trascorso veloce, nonostante la
grande
distanza percorsa. Non lo aveva accompagnato la solita smania di
arrivare, ma
una gratitudine e una felicità inaspettate per poter essere
diretto dai suoi
amici con il braccio di Kageyama disteso sul bracciolo, proprio
attaccato al
suo.
“C'è
la puoi fare, Shoyo!” gridò Natsu portandosi le
mani
intono alla bocca, e quel tifo gli scaldò il cuore.
“Anche
tu! Adesso riposati!”
“E
voi divertitevi! Salutami Tobio-kun!”
Il
viso di Natsu scomparve, ancora sorridendo, dallo schermo.
Come Kageyama aveva previsto, Shinichi non era più tornato,
ma sua sorella
stava lottando meglio del previsto. Sua mamma si era trasferita per un
po’ da
lei e le stava dando una mano con Aki. Fischiettando, Shoyo
posò il telefono
sul letto e si voltò verso lo specchio.
Era
davvero strano non vedere Kageyama in maglietta,
pantaloncini e scarpe da ginnastica o in tuta nel fine settimana. Il
suo
fidanzato lo guardò, interrogativo, ma lui si
limitò ad alzare le spalle con un
sorrisetto. Kageyama lo fulminò con lo sguardo e
cominciò a sfilarsi i vestiti
da cerimonia per rimettersi la t-shirt.
Era
un venerdì diverso, ma sabato e domenica sarebbero stati
più
simili del solito: li avrebbero trascorsi insieme, anche se erano a
nord del
Giappone.
Era
aprile, e, nonostante il freddo, anche a Sapporo stavano
cominciando a sbocciare i fiori di ciliegio.
FINE
Note
dell’autrice:
Scusandomi
per l’immenso ritardo, metto finalmente la parola
fine a questa fic. *festeggia*
So
che è trascorso un sacco di tempo dall’ultimo
aggiornamento e che ormai nessuno si ricorderà
più di questa fic, ma questo
capitolo è stato particolarmente ostico da scrivere per
poter rendere al meglio
le emozioni dei personaggi. Spero di averli tratteggiati in maniera
degna delle
controparti originali, ma nel contempo di essere riuscita a dare
qualche
“sfumatura dark” in più agli stupendi
Hinata e Kageyama, che amo e shippo oltre
ogni cosa.
Spero
che chi passi di qui possa gradire questo capitolo e
questa storia almeno un po’, come, nonostante tutte le
difficoltà, io stessa ho
amato scriverla.
Vi
annuncio che sto lavorando ad un po’ di spin
off/sequel/prequel/boh ispirati a
questa fic, che spero di pubblicare presto!
Nel
mentre, vi lascio il link di una
vecchia raccolta KageHina
scritta ormai lo scorso anno, in cui i capitoli, 6 e 7
sono ambientati in questo “universo
futuro”.
Grazie
alla gentilissima Scarlet
Jeager per avermi lasciato
un parere, è stato graditissimo! *_* Risponderò
quanto prima alla recensione, lo
prometto! E grazie a chi ha inserito la storia tra le preferite,
seguite,
ricordate, nonché a chi mi legge silenziosamente.
Grazie
di cuore.
Vi
lascio con un ultimo pensiero. :D
Nell’ultima
frase, i fiori di ciliegio, oltre a rappresentare
la rinascita della natura, vogliono rappresentare anche un messaggio di
speranza per tutte le cose belle che stanno accadendo ai nostri
personaggi, la
riunione di Hinata e Kageyama, la nuova vita di Natsu e Aki,
l’accettazione
della loro mamma, il matrimonio di Tsukki e Yamaguchi e la rimpatriata
tra
tutti i personaggi. Scusatemi se sono stata troppo criptica XD
Alla prossima,
Ayumi
Letto giapponese che si ripiega
quando non serve più.
Line è il Whatsapp giapponese.
Al momento della prima stesura
della fic, il tribunale di Sapporo ha appena definito che il divieto di
matrimonio tra persone delle stesso sesso è incostituzionale
(https://www.repubblica.it/esteri/2021/03/17/news/giappone_giudice_divieto_matrimoni_gay_anticostituzionale-292612601/)
Treno ad
alta velocità giapponese.
Al momento della prima stesura
della fic, al contrario delle esigenze di trama, i Suntory Birds sono
primi in
classica e il FC Tokyo è agli ultimi posti della classifica.
Gomen nasai :)
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