Beyond the will

di arcadialife
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Qualcosa di nuovo ***
Capitolo 3: *** Perle rosa ***
Capitolo 4: *** Idiota ***
Capitolo 5: *** Disarmati ***
Capitolo 6: *** Pelle contro pelle ***
Capitolo 7: *** Fatti da ciurmaglia ***
Capitolo 8: *** Una navigatrice in subbuglio ***
Capitolo 9: *** Romantico ***
Capitolo 10: *** Brusco risveglio ***
Capitolo 11: *** Potere e dovere ***
Capitolo 12: *** Il degenero degli eventi ***
Capitolo 13: *** Riscossa ***
Capitolo 14: *** Il perché che fa male ***
Capitolo 15: *** Culmine ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***
Capitolo 17: *** Gli antipodi di Zoro ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Io…

Davvero, nemmeno nei miei incubi più profondi, avrei mai potuto immaginare che sarebbe, un giorno, accaduta una cosa del genere.

La strada del nostro viaggio si estende dinanzi ai nostri piedi per un numero di leghe del tutto indefinito, ma posso essere abbastanza certo nell’affermare di aver affrontato e superato oramai di tutto.

Ma questo no…

Ho battuto avversari con il doppio delle mie armi, con una resistenza d’acciaio, con una intoccabilità sovrumana e con poteri dei frutti del diavolo che li hanno resi degli autentici mostri.

Nessuno avrebbe minimamente scommesso sul fatto che la mia forza, si sarebbe tramutata nella mia disfatta.

Mi sono sempre ripromesso di non abbandonarmi ai sentimenti, ma con lei non ho saputo fare altro.

Mi è sembrata la scelta più ovvia, vista la nostra stramba quanto intensa unione.

Non so cosa mi sia passato nel cervello: mi sono comportato come se la realtà fosse una favola, come gli amanti di cui leggevo in quei pochi libri che mi era capitato di leggere da piccolo. Non che avessi un particolare amore per la lettura, ma era un metodo di istruzione imposto a me come a tutti i miei coetanei dell’isola.

Un gesto eroico e di… amore.

Oppure è stata la stessa fiducia intrinseca che mi lega al mio capitano.

Mi sono comportato come un uomo frivolo e sdolcinato nella speranza di destarla e che tornasse da noi.

Mi ha dato il benservito, la mocciosa.

A conti fatti, dovrei trovarmi nell’infermeria della Sunny steso su uno dei letti.

Non sento nulla del mio corpo se non i miei stessi pensieri.

Loro non lo sanno, ma sento chiaramente anche le loro voci.

Credo di essere caduto in una specie di sonno profondo, ben diverso dai miei soliti pisolini e dormicchiate e li sento discutere sul da farsi facendomi beffe della loro inconsapevolezza.

Non si vogliono arrendere, i miei compagni, e sono orgoglioso di loro. Mi devo riprendere, certo, ma so che non faranno scelte sbagliate e gestiranno la situazione al meglio del possibile.

Nami tornerà da noi e nel frattempo io mi rimetterò.

Posso fidarmi ciecamente di Rufy e gli altri.

Ora mi devo prendere del tempo per me stesso: non mi sono mai sentito così tremendamente privo di forze.

E quando sarò nuovamente in me, mi prenderò cura di lei affinché tutto ritorni come prima.

Ha bisogno di me.

Lei è stata l’unico nemico dalla quale mi sarei fatto cavare il cuore dal petto.

Anzi, per la sua salvezza, glielo avrei offerto io stesso a palmi aperti come ho fatto ogni giorno della nostra relazione.

In fin dei conti, è praticamente quello che è successo vista la ferita che mi squarcia il torace nonostante il suo profumo che ancora aleggia sulla mia pelle.

Sono stanco, però… ho bisogno di dormire.


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Capitolo 2
*** Qualcosa di nuovo ***


E vabbè, non c’era da aspettarsi altro.

In fin dei conti, quella a cui stavano assistendo, non era propriamente una scena fuori dal comune e non c’era da stupirsi più di tanto per come fossero andate le cose.

Il loro capitano era fatto così: il significato delle parole “passare inosservato” era qualcosa di evidentemente indecifrabile.

Per meglio dire, non è che fosse un vero idiota come spesso e volentieri dava a vedere, ma sembrava piacergli l’idea di non programmare nulla nella sua vita e affrontarla così come veniva.

O forse se ne infischiava, semplicemente!

Tra l’altro, se uno si fermasse a pensare alle motivazioni di base dalle quali hanno origine questi degeneri, gli verrebbe anche da ridere e non ci farebbe tutti sti pensieri; non fosse che attorno a lui convergano ben altre otto esistenze costrette ad arrestare il loro cammino per le due idiozie.

Dato il carisma del ragazzo però, l’unico pensiero formulabile escludendo l’idea di abbandonarlo alle sue bambinate era “è fatto così”.

Non che non fosse anch’egli degno di elogi, anzi forse il più meritevole dell’intera ciurma era proprio lui, ma erano gli estremismi comportamentali che oscillavano da un polo all’altro della sua genuinità ad istillare il dubbio.

Va bene che erano pirati e tali marasma non facevano altro che innalzare il buon nome della categoria, ma a tutto c’è un limite.

Avevano ormeggiato la Sunny in quell’isola per la consueta esigenza di rifornire la stiva. Dovevano scendere, acquistare i viveri necessari e salpare subito dopo; questo era il piano…

Vi avevano trovato una bella città vivace e serena, ma Rufy aveva troppa fame.

Quella volta non si erano divisi e assistettero tutti all’espressione di pura gioia del loro capitano quando scoprì che per le vie principali erano allestiti numerosi banchetti e che molti di questi erano colmi di leccornie e prelibatezze.

Erano capitati (casualmente) proprio nel giorno di mercato e la folla di cittadini che riempiva le strade non aveva impedito al ragazzo di guizzare da una bancarella all’altra allungando, letteralmente, le mani su qualunque cosa capitasse a tiro del suo radar.

Ecco, già la cosa non è vista di buon occhio laddove sparpagliati ovunque ci siano guardie in servizio pronte ad acciuffare qualsiasi ladruncolo, se aggiungiamo le grida spaventate delle persone terrorizzate dall’assistere ad un arto allungabile, finiamo esattamente dove i Mugi si ritrovavano.




_ Qualcuno mi spiega perché ancora siamo con lui?_ esclamò uno sconsolato Usopp volgendo il palmo aperto ad evidenziare l’irrazionalità di ciò che stava facendo Rufy.

_ Yohohohohoho!! Cosa ti importa?! Goditi lo spettacolo._ gli rispose canterino Brook fingendo di strimpellare la sua sciabola come fosse una chitarra.

_ Spero non si facciano troppo male! _ piagnucolò un nasino blu abbassando preoccupato le orecchie.

_ Ma no, dottore! Il nostro capitano si sta solo divertendo un po’_ esordì Franky intento a scolarsi una bottiglia di cola.

Soffocando un risolino divertito, la bella archeologa si avvicinò alla renna e posò soave una mano sul suo cappello per rassicurarlo ed iniziò ad utilizzare il suo potere per acciuffare al volo i malcapitati che il moro lanciava per aria, così da ammortizzarne la caduta.

L’ingenuo Chopper levò il capo a guardarla con occhi mielosi e riconoscenti per quel gradito soccorso e sul suo musetto riaffiorò il caratteristico sorriso spensierato, per poi tornare a dedicarsi alla mela caramellata gelosamente custodita tra le zampette.

_ Se solo ci fosse Sanji! Lui è l’unico che abbia un po di giudizio capace di fermare Rufy! Perché la persona che rimane sulla nave si rivela sempre di una certa importanza per quelli che scendono a terra?_ continuò a lamentarsi il cecchino battendo un piede a terra spazientito.

A quelle parole, lo sghembo divertito di Zoro mutò in un lieve broncio di stizza _ Nessuno ha mai avuto bisogno di te, ora che ci penso!_ lo punzecchiò il verde insofferente a qualunque complimento verso il cuoco.

_ E con questo che vorresti dire scusa?! _ sbraitò Usopp puntellando le mani sui fianchi con sfida.

_ Che dovresti rimanere tu di guardia la prossima volta!_ ridacchiò lo spadaccino.

_ Preferisci Sanji a me?_ lo interrogò l’altro sapendo già di avere la vittoria in pugno.

Zoro schiuse la bocca pronto a rispondere, ma la serrò subito dopo e distolse lo sguardo ignorando il compagno e le sue risate sbellicate.

Percepì il sangue fluire caldo verso le guance e, prima ancora di permettere loro di imporporarsi, si prese le nocche fra le mani facendole scrocchiare e cambiando discorso: _Va bene, ci penso io… _

Avanzò di un passo verso la baruffa, già con quel tipico viso predatorio sui lineamenti, quando una fragorosa botta in testa lo spedì con la faccia a terra e le gambe per aria tanto forte da fargli mangiare la polvere.

_ Tu non ti muovi di qui per andare a cercare altri guai!!_ sbraitò Nami con ancora il pugno levato in aria.

Iroso, il ragazzo fece per alzarsi e sovrastarla con la sua mole da uomo digrignando i denti pronto ad affrontarla, ma la cartografa fu più lesta e lo prese per lo yukata sbatacchiandolo e sbraitandogli addosso: _NON CI PROVARE O TI STROZZO RORONOA!! _

Esattamente nell’istante in cui la ragazza lo liberò dalla presa per lasciarlo cadere stralunato con i glutei a terra, un corpo non del tutto definito gli arrivò addosso ad una velocità sovrumana colpendolo in mezzo alle spalle, per poi finire accolto dalle pronte braccia di Robin.

Il volto dello spadaccino rovinò nuovamente al suolo graffiandosi la pelle mentre Nami fu veloce a togliersi dalla traiettoria.

Scioccato ed incredulo, il resto dell’equipaggio volse lo sguardo verso il punto da cui era arrivato il colpo e videro Rufy intento a tenersi sottobraccio il collo di un soldato piagnucolante e ridere a crepapelle completamente assorbito da quel gioco.

_ Oooohy, ragazzi!! Venite a divertirvi, ce n’è per tutti!_ squillò il capitano sventolando un braccio per attirare la loro attenzione.

Come se di attenzione non ne avessero già abbastanza!

Erano rimasti tutti immobili neanche minimamente intenzionati a seguirlo quando il tutto aveva avuto inizio, figuriamoci ora!

Nonostante tutto, Rufy continuò a divertirsi con quei poveri soldati atti solo a compiere il loro sciagurato dovere facendosi forza e senza tirarsi indietro, ma la loro era una corsa spianata contro un solido muro di mattoni.

Il capitano li respingeva a suon di pugni e calci concedendosi imperterrito, tra un cazzotto e l’altro, di agguantare sempre più cibarie in giro mentre la folla urlava spaventata e correva a nascondersi.

Non fosse che proprio alcuni cittadini, visto l’invito del pirata caotico, presero a strepitare contro i Mugi rimasti in disparte e altri soldati in arrivo per dar manforte ai colleghi se ne accorsero cambiando repentinamente il loro bersaglio.

_ AAAAAAH!! Poveri noi, ci hanno visti!! _ latrò Usopp levando le braccia al cielo in segno di resa.

Franky getto la bottiglia vuota e si preparò allo scontro accompagnato dagli incitamenti del musicista scheletrico, ma nessuno di loro si rese conto di un’energia spaventosa, tetra e immensa, emanata da uno dei compagni.

Con gli occhi dardeggianti di insofferenza e la rabbia viva nelle vene, un’isterica Nami perse quel poco di autocontrollo e sfogò il tutto sul primo che gli capitò a tiro: Zoro.

_ Che diavolo fai ancora li per terra? TI SEMBRA QUESTA L’ORA DI DORMIRE?!_ così dicendo e ignorando il resto dei nakama tremanti di paura, acciuffò nuovamente il povero spadaccino ancora rintronato e lo tirò su di peso gettandolo con uno spintone contro gli avversari.

Prima ancora di riuscire a rendersi conto di cosa fosse quella misteriosa forza capace di rimetterlo in piedi, il giovane si ritrovò a schivare all’ultimo minuto un proiettile che sfrecciò accanto al suo orecchio scontrandosi con i pendagli e l’impatto gli fece fischiare il timpano.

Puramente istintivo, sguainò due katane e sminuzzò in un vortice tagliente tutte le armi da fuoco nelle vicinanze lasciando i nemici a bocca spalancata, immobili a fissarlo.

Perfino quelli intenti ad acciuffare Rufy si bloccarono dallo spavento!

Con un ringhio trattenuto nel petto, Zoro li sfidò in cagnesco con uno sguardo terrificante e il silenzio calò nella via.

_ Sparite, tutti quanti! _ sibilò a denti stretti.

I soldati non si mossero, non per qualche forma di coraggio, bensì per lo sgomento e continuarono ad osservarlo con occhi sgranati incapaci di contrarre un solo muscolo.

_ Ora!!_ ruggì il verde alzando le armi.

Come un quadro che prende vita, le guardie si arrovellarono a fuggire il più velocemente possibile abbandonando il loro arduo compito.

In fin dei conti si erano fatti onore, ma quelle pupille assetate di morte minarono irreparabilmente il loro senso del dovere e l’istinto di sopravvivenza prese il sopravvento.

_ Zoroooo… sei un guastafeste! _ piagnucolò Rufy sconsolato lasciando andare le ginocchia a terra dal dispiacere.

_ Finiscila e muoviti, torniamo alla Sunny. _ bofonchiò l’altro rinfoderando le lame e lanciando al capitano un’occhiataccia di blanda disapprovazione.

_Era ora! _ cinguettò la cartografa facendo strada verso il porto.

Il resto della ciurma le andò dietro e Usopp fu l’unico a preoccuparsi di non dimenticare il capitano andando a recuperarlo dai banchetti abbandonati.

Passando al fianco del vice, Nami gli diede un buffetto sulla spalla esclamando : _ Ben fatto!_ quando d’improvviso si sentì afferrare duramente per il polso.

Il rimanente dell’equipaggio li superò lasciandoli brevemente in disparte.

_ Tu dovresti decidere cosa vuoi! _ soffiò il giovane incarognito.

_ In che senso?! _ chiese spiegazioni lei.

Che stava succedendo?!

_ Prima non vuoi che mi intrometta e poi mi butti nella mischia?! Maltrattamenti a parte… _ cercò di spiegarsi Zoro, sempre più nervoso.

La ragazza sentì la presa dell’uomo sulla pelle farsi più stretta e tesa e indietreggiò d’un passo incredula: _ Mi stai facendo male… _

lo guardò dritto negli occhi e vide un qualcosa che spesso aveva dimorato in quelle pupille, ma solo per coloro che non erano suoi amici.

Come scosso da un incubo, lo spadaccino sembrò rendersi conto delle sue azioni solo in quel momento e la liberò dandole subito le spalle.

_ Scusa. _ fu l’unica cosa che sussurrò con un lieve cenno del capo prima di incamminarsi anch’egli.

Nami rimase sola per qualche minuto a fissare quell’uomo che per un fievole lasso di tempo non aveva più riconosciuto e giurò di intravedere una qualche invisibile ombra aleggiare su di lui.

L’unico pensiero fisso ad insinuarsi nel suo cervello fu una domanda del tutto spontanea.


Perché?

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Capitolo 3
*** Perle rosa ***


_ Si può sapere perché non possiamo mai fare uno sbarco normale?!_ sbraitò Sanji accigliato e sbatacchiando la testa del capitano con il tallone piantato nel suo zigomo.

Rufy, dal canto suo, era ancora preda dell’adrenalina che sembrava non voler mai scemare dalle sue membra e rideva sguaiatamente mentre ignorava il tacco di scarpa che lo spintonava: _ Ahaha è stato divertente dai!! _

In termini di tempistica, i viaggi in mare della ciurma erano più lunghi rispetto alle poche volte che riuscivano ad approdare e mai che potessero prendere coscienza delle proprie gambe sulla terra ferma in tranquillità che si ritrovavano a dover affrontare qualche imprevisto.

In fin dei conti, forse, era meglio così. Non erano certo avvezzi alla monotonia e la loro personalità individuale che cozzava con quella degli altri componenti del gruppo non poteva che definirsi eccentrica, ma alcuni di loro continuavano imperterriti a sperare in qualche sprazzo di serenità.

Gli unici che si lasciavano trasportare dal caso senza proferire parere alcuno erano Robin, Zoro e Brook, beh non che da uno scheletro qualcuno si potesse aspettare una conversazione.

_Yohohoho! _ ecco, si limitava a ridersela pure lui.

A dirla tutta, nessuno era particolarmente attento al battibecco esclusa Nami che non si lasciava mai far sfuggire occasione di malmenare il ragazzo di gomma ed era pronta a dar manforte al cuoco se solo il moro avesse osato protestare alla ramanzina. Usopp, Franky e Robin erano intenti a riprender fiato dopo la fuga rocambolesca dal mercato, il piccolo medico teneva sott’occhio la baruffa con aria preoccupata e lo spadaccino se ne stava in disparte guardandosi attorno con un’aria più accigliata del solito.

Erano riusciti ad infilarsi in un vicolo isolato e avevano fermato la loro corsa per riordinare le idee e aspettare che le acque si calmassero, ma se c’era una cosa sulla quale ognuno di loro era consapevole è che muoversi era il modo migliore per sfuggire alla situazione, quindi avevano poco tempo a disposizione.

_Dobbiamo andarcene. _ esordì Zoro con ancora il ruolo di chetatore sulle spalle.

Le gambe di Usopp furono assalite da una tremarella inarrestabile: _ Concordo! _

_ Dove? _ annuì Chopper insicuro se distogliere lo sguardo dai compagni litigiosi.

_Non possiamo! Il Longe Pose ci impiega nove giorni a stabilizzarsi. _ cinguettò la navigatrice puntando gli occhi nocciola sul compagno dai capelli verdi.

Quello sbuffò assottigliando la vista: _ Non intendevo dall’isola..._

La ragazza si limitò a scrutarlo velocemente per poi voltarsi verso l’archeologa con fare supplichevole, ma l’altra le concesse una semplice risatina mascherata.

Quel modo di fare da parte dell’amica era piuttosto snevante! Se non potevano contare l’una sull’altra in mezzo a quella marmaglia di estrogeni Nami sarebbe sicuramente impazzita e quei suoi sorrisini evasivi che non mettevano mai un punto non avevano propriamente il sapore di sostegno. Immaginò di doversi semplicemente rassegnare all’idea di non poter mai ritirare gli artigli.

Non si spiegava il motivo per cui quell’omone tutto spade e muscoli fosse così scontroso con lei; cioè più del solito, chiarì a se stessa.

Si sorprese a fissarlo nuovamente con fare guardingo come pronta ad una delle loro solite discussioni bambinesche mentre Sanji commentava che un ostello sarebbe stato perfetto per nascondersi per il resto della giornata.

_ Sperando che non ci riconosca nessuno. _ concluse Franky a voce alta.

Sentendosi osservato, Zoro roteò l’occhio buono fino ad incastonarsi con la genesi di quella sensazione piantata su di lui e la navigatrice saltellò sulle punte come presa da una scossa e percependo un certo calore di imbarazzo sulle gote. Non le piaceva perdere ed era sempre stata lei l’osso duro in termini di ripicche, ma l’uomo l’aveva scoperta in pieno in un attimo di debolezza nel quale lo aveva cercato.

_ Affrontiamo un problema alla volta. Tanto non possiamo certo rimanere per strada e non ho intenzione di stare per più di una settimana chiusa sulla Sunny! _ Nami si infilò nella conversazione alzando ferma un pugno al cielo nel tentativo di puntare la propria attenzione su altro e ritrovare un po’ di compostezza.

Sanji piroettò: _ Oh mia splendida Dea!! Come dici tu!! Vuoi che vada a prenderti qualcosa dalla nave per farti stare più tranquilla? _ un accenno di epitassi scivolò dalle narici del biondo al pensiero di ritrovarsi da solo nella cabina delle ragazze e, perché no, magari frugare in qualche armadio o cassetto con intimo celato.

_ Basta che ci muoviamo… _ sospirò un cecchino che già s’immaginava un epilogo doloroso per quella situazione di rischio.

La cartografa ignorò le moine del cuoco alzando un sopracciglio di sdegno e Brook si offrì di fare strada: se anche avessero incontrato qualcuno, chiunque sarebbe fuggito a game levate alla vista di uno scheletro in movimento.

- Ma non sappiamo dove andare! _ piagnucolò la renna zampettando agitata sul posto.

Robin gli posò soave una mano sul capo e sorridente lo tranquillizzò: _ Cerchiamo un posticino, no? _

Chopper gli rispose con cenno positivo del capo e iniziarono ad incamminarsi appresso al musicista.

Rufy esplorò una narice con il mignolo: _ Quindi, dov’è che andiamo?_

_ Rufy, ma non hai sen..._ fu pronto a spiegargli Usopp per poi essere interrotto da una spinta di Sanji che lo intimava a muoversi, per poi mollare uno scappellotto alla nuca del capitano con lo stesso intento.

_ Bene!! _ gridacchiò con voce metallica il carpentiere dai capelli azzurri.

In procinto di andare anche lei, Nami senti di volgere nuovamente il capo. Zoro non aveva smesso di osservarla con quel suo solito cipiglio e la rossa fremette un secondo nascondendo il viso al petto.

Quando lo cercò ancora, quell’iride buia non diede alcun segnale di cedimento e il ragazzo si limitò a seguire la via presa dal gruppo dandole le spalle.

Seguì con gli occhi quella figura virile precederla e mostrarle la schiena ampia: lui no, lui non si nascondeva…

- Tesoro mioooooo!!!_ dalla loro breve distanza, Sanji già la chiamava.




Erano riusciti a trovare alloggio nella periferia della città dove avevano scoperto che le voci di pirati in fuga per le strade non avevano allarmato nessuno. Dal centro dell’abitato sino alla costa era un costante aumento di degrado e abbandono e la proprietaria dell’ostello nella quale si erano rifugiati aveva lasciato intendere che per i cittadini di quelle zone c’erano ben altri pericoli alla quale prestare attenzione, o perlomeno la loro presenza non avrebbe suscitato l’interesse di nessuno.

Certo, il compromesso era proprio quello di non sentirsi completamente al sicuro se pur per ben altri motivi, ma i mastini della ciurma erano ben capaci di tenere alla larga qualunque malintenzionato.

La furba proprietaria però, era stata abile ad approfittare della situazione e a richiedere un supplemento per il suo prezioso silenzio al quale l’auto nominata tesoriera del gruppo si era opposta fermamente, ma alla minaccia di vedersi chiudere la porta in faccia aveva dovuto fare un passo indietro e cedere a quel meschino ricatto. Che non si dicesse che lei non era altruista!!! Fosse stato per la sua tirchieria sarebbero filati tutti di corsa alla Sunny contraddicendo quanto da lei stessa affermato pochi minuti prima, ma erano stanchi e spossati e un po’ di aria nuova avrebbe rinvigorito tutto l’equipaggio. In un certo senso, lo riteneva un gesto compiuto in compensazione al disastro fatto dal loro stesso capitano che sembrava perennemente insensibile all’equilibrio psicologico dei nakama.

Le camere da notte erano solo doppie, così si videro costretti a prenderne quattro e sorteggiare due membri che avrebbero dormito con Chopper viste le sue dimensioni decisamente ridotte: sarebbero stati stretti, ma almeno Nami sarebbe riuscita a risparmiare qualche Berry dato il salasso imposto dalla grassa e scontrosa proprietaria di quella topaia.

_ Stavo pensando… _ esclamò Robin attirando l’attenzione della cartografa che usciva dal bagno ovattata di vapori.

Le due ragazze si stavano rilassando prima di ricongiungersi con il resto del gruppo per la cena e la rossa ne aveva approfittato per concedersi una mezz’oretta nella vasca e distendere le membra.

L’archeologa invece si era limitata a sedersi di fronte alla finestra e dedicarsi ad uno dei suoi libri approfittando delle ultime ore di luce prima del tramonto: _ Domani potremmo tornare in quella particolare bottega e prendere quegli orecchini che ti piacevano!_

Nami capì immediatamente a cosa si riferisse l’amica e al ricordo di quanto successo si irritò avvolgendosi nell’asciugamano ampio a sufficienza per coprire seno e inguine.

_ Stavi giusto contrattando sul prezzo quando Usopp è venuto a dirci di Rufy. _ continuò Robin.

La più giovane sbuffò con le narici rivivendo nella mente l’accaduto: il cecchino era giunto tutto trafelato e aveva appena avuto il tempo di avvisale che un qualcosa scagliato dal loro capitano era fiondato nella bottega distruggendo di tutto. Fortuna che quegli orecchini Nami li avesse già in mano.

Quando si erano ripresi tutti e tre si arrovellarono a raggiungere quel pianta grane ancor prima che la polvere si assestasse, senza far caso a quanto stessero lasciandosi dietro.

_Non ce n’è bisogno, Robin _ le rispose.

Rari erano le volte in cui la donna dai capelli neri si sorprendeva per qualcosa, ma in quell’occasione la fisso stupida schiudendo appena le labbra: _Ma ti piacevamo! _ e mai Nami si era ravveduta dal comportarsi come una bambina viziata che ottiene quello che vuole.

La navigatrice le fece l’occhiolino e Robin fu subito pronta a ricredersi chiedendole: _Che hai combinato?! _

La giovane non le rispose e si limitò ad andare a frugare nel suo zaino per poi voltarsi vittoriosa e malandrina tendendo il pugno serrato. Quando lo schiuse, sul palmo aperto troneggiava il suo bottino di perle rosa.

_ Non ho resistito! _ commentò la ladra pinzandosi la punta della lingua con i denti.

Robin si limitò a ridere di gusto scuotendo il capo e commentando che fossero molto belli.

In effetti pareva impossibile aver scovato quella coppia di meraviglie così delicati all’interno di un negozio talmente tetro: c’erano libri, oggetti particolari e preoccupanti che si poteva credere di trovarsi nella dimora di una strega. Ragnatele e polvere, ben si accostavano alla presenza della vecchia proprietaria dal viso solcato dalle rughe che si comportava con fare carino e cortese, ma faceva venire un brivido lungo la schiena per quanto fosse inquietante e Robin giurò di averla intravista un paio di volte con una faccia tutt’altro che rassicurante.

_Li indossi stasera? _ domandò la corvina.

_ Mmm no! Darebbero nell’occhio credo _ le rispose anche se, a conti fatti, erano loro in carne ed ossa a poter destare attenzione e non un accessorio così piccolo.

Quando fu l’ora di cenare, Sanji bussò alla loro porta e le accompagnò nella sala comune dell’osteria dove sarebbe stato servito il pasto e, per una volta, non mangiarono i prelibati piatti del cuoco di bordo fatto del quale Rufy non mancò di lamentarsi.

Quando terminarono di mangiare, si decise di comune accordo per una passeggiata lungo la costa a godere del chiaro di luna, ma la cartografa declinò sentenziando di sentirsi stanca e nessuno si degnò di andare a recuperare lo spadaccino che si era allontanato precedentemente con una bottiglia di saké di riso.

Mentre saliva le scale e percorreva l’angusto corridoio che l’avrebbe portata alla sua camera, Nami si ritrovò a pensarlo abbandonato chissà dove come un mendicante e se non fosse stato consapevole delle sue capacità di difesa, si sarebbe preoccupata per lui. Si chiese ancora che diavolo gli balenasse per la testa a quel buzzurro per averla trattata così e si sentiva incerta se affrontare il disguido: era un atteggiamento particolarmente strano e che mai gli era appartenuto considerando che fosse stato nei suoi riguardi. La cosa la disorientava.

Infilò la chiave nella toppa e la roteò quel tanto che bastava per sentire il click della serratura e spalancare la porta. Oltrepassò la soglia ancora vittima dei propri pensieri caotici e si apprestò a cercare a tentoni nel buoi un fiammifero per accendere l’unica lanterna della stanza.

Con un leggero crepitio di protesta, la miccia prese fuoco e riverberò nell’oscurità rivelando una figura.


_ Ohi, mocciosa… _



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Capitolo 4
*** Idiota ***


Idiota.

Mi è stato detto una quantità di volte immane. Non ci ho mai creduto, sono sempre stato caparbio all’idea di me stesso, ma ora non riesco a formulare un qualunque altro pensiero che mi rappresenti.

Amici che me lo hanno ripetuto con l’unico scopo di punzecchiare il mio essere stoico così da cercare una breccia di relazione, nemici convinti di intaccare la mia volontà o per il semplice scopo di attaccare se pur verbalmente quella minaccia che sono io… e poi lei, anche lei.

Non ho mai capito cosa stesse cercando di ottenere quando mi chiamava così perché ogni sua parola ha sempre celato un sentimento inespresso.

Idiota, gracchiato canzonatorio quando fingevamo le discussioni che hanno sempre rappresentato il nostro rapporto all’interno della ciurma. Idiota, quando invece litigavamo sul serio e poi idiota quando cedevo ai suoi occhi languidi e a quelle labbra curvate dolcemente che mai perderanno vividità nei miei ricordi; è stata l’unica realtà di questo mondo capace di scuotermi dentro.

Sento la porta dell’infermeria che cigola e il legno del pavimento che scricchiola sotto il peso di qualcuno.

Idiota, quando la facevo e la sentivo mia. Quando la prendevo tra le mie braccia e lasciavo che vedesse la nudità della mia anima perché è sempre stato più di un’unione carnale. Idiota, quando non mi abbandonavo a lei e mi rintanavo in una sorta di freddezza rude che si parava tra di noi come un muro. Idiota, quando accarezzandomi la mascella dopo l’amplesso, incredula ricordava cosa eravamo e si rende conto di cosa ora assurdamente siamo.

Mi chiedo se lo siamo ancora.

Una figura alla mia sinistra si muove e percepisco il fruscio del pelo di Chopper che credo si stia voltando; mi vien da ridacchiare al fatto che conosco il suo studio a memoria ormai.

_ Hey… _ riconosco la voce stanca di Usopp salutare.

Le gambe di una sedia che stridono allo spostamento subito e altri passi un po’ trascinati.

_ Come sta?_ questo è Rufy. Non ho mai sentito la sua voce così grave e un po’ mi dispiace per lui.

Sono un idiota per tutte le volte che l’ho ferita con il mio non capire. Le sue aspettative, le sue emozioni per… noi. Non le ho mai dato ciò che mutamente mi ha sempre chiesto: un lasciarmi vivere.

Forse quel qualunque cosa in cui io non credo mi sta dando il ben servito per questa ottusaggine, perché non riesco a credere che sia stata lei. Che lo abbia valuto lei.

Nel caso, non posso dire di non essermelo meritato e questa idea mi sta facendo esplodere la testa.

Mi sono abituato alla sua presenza, al suo esserci e al suo aspettarmi. Che poi, cosa si credeva? Che fossi l’uomo da lei così agognato? Non lo sono, ma di certo sono stato il suo uomo migliore che potessi essere.

Questo sono io.

Di nuovo la sedia si muove e sento il calore del fiato del medico sospirare sul mio avambraccio. Mi è tornato vicino e quel leggero torpore che mi solletica dona una sensazione di pace e tranquillità.

_ Dorme_ risponde respirandomi ancora contro _ pare… _

C’è anche un altro suono che vibra nell’aria, una specie di fischio acuto intermittente che mi da fastidio e si intromette con il mio ritmo. Non riesco a sentire il battito del mio cuore, lo sovrasta e sembra volerlo zittire.

Idiota per farmi capire che il punto al quale giungo io non sia l’unico opinabile, che ci sia altro. Ha cercato di aprirmi gli occhi e renderli capaci di vedere attraverso i suoi, per farmi vedere i suoi colori e la sua bellezza. Lei vive nella bellezza.

Non ha mai desiderato cambiarmi come da idiota ho creduto per tanto e me lo diceva la mocciosa, che ero un idiota. E faceva bene credo. Adesso lo so, so che era alla ricerca del me più vero e voleva solo che la accompagnassi, ma non ne sono capace.

So solo ammazzare e ringhiare, ma lei rendeva più sopportabile tutta quella sporcizia sulla mia pelle.

La voce trillata di Usopp sembra allarmata: _ Ancora?! _

_ Sono tredici giorni ormai, Chopper. _ commenta atono il mio capitano. Il suono di una mandibola che scrocchia per la troppa forza con la quale viene stretta.

Qualcosa di pungente si muove sotto il dorso della mia mano sinistra quel tanto da catturare la mia attenzione per pochi istanti; sembra mi stia infilzando una vena.

Mi viene da fare una smorfia, ma lascio stare. Qualunque cosa stiano facendo è per il mio bene e quel piccolo dottore mi ha strappato alla morte più volte così come, ne sono certo, ci riuscirà anche in questa. Sono tranquillo.

_ Lo so Rufy, ma è stabile. _ piagnucola e di sicuro storce il naso blu.

Sono un idiota perché dovrei combattere per lei, ma l’unico modo che conosco è con una spada in mano e non sono sicuro che sia ciò di cui c’è bisogno ora. Quelle lame, le mie lame, hanno fatto male a molta gente ma mai a chi mi è caro e questo non dovrebbe succedere. Non deve!

Idiota perché se devo lottare contro un che d’immateriale e che non capisco divento un inetto. Non credevo di trovare un qualcosa nel quale non fossi in grado di arrangiarmi e anche questo è merito suo.

A omettere la violenza, alcune volte.

_ Non era mai successo così! _ protesta il nasone che di bugie ne sapeva. Sapeva che c’era dell’altro, un non detto.

Deglutisce a vuoto al mio fianco Chopper e una gocciolina di rugiada si infrange sul mio addome: _ E’ che… non capisco. Normalmente sarebbe in fase di recupero ed è assurdo che non reagisca agli stimoli esterni._

E tutto questo lo sa, lei. Fa la bambina capricciosa e superficiale, ma non è mai leggera nel suo vivere e non le sfugge nulla. È lucida, sempre razionale. Non lo da a vedere, ma io lo so.

Attraverso lei ho iniziato a riscoprirmi. Scoprirmi capace di amarla, non come lei vorrebbe ma come io non sapevo di fare.

Idiota perché non sono abbastanza per lei.

A giudicare dal suono delle infradito di paglia intrecciata, anche Rufy mi si è accostato e il materasso si comprime sotto il suo peso delle braccia appoggiate al letto. Mi sento leggermente cedere verso di lui e il capo scivola di lato. La guancia si appoggia al cuscino e mi trovo più comodo.

_ Almeno ha smesso di sanguinare? _ incalza Usopp.

Ecco cos’è quel calore al cuore che va e viene! Quando manca sono più rilassato...

Ancora più idiota perché non so come esserlo. Posso fingere a me stesso? È giusto diventare ciò che non sono solo per lei?

In realtà ciò che è giusto o meno non mi ha mai interessato. Ho sempre fatto quello che volevo quando lo volevo.

Se lei fosse qui sorriderei sghembo gonfiando il petto e lei mi darebbe un buffotto sulla nuca dandomi dell’… idiota.

Accidenti sono stanco. Stanco di tutti questi rimugini che non mi appartengono, ma lo sto facendo per lei, per capire. Perché se fosse qui vorrebbe che arrivassi alla soluzione del problema.

Non sono bravo in queste cose, la mocciosa lo è.

Ho voglia di dormire…

_ Credo che sia necessaria un’azione chirurgica. Il filo deve aver fatto danni interni che non so gestire, mi dispiace! _ il respiro della piccola renna si strozza mentre quello che suppongo sia il cecchino si affretta a stringerlo. Dopotutto, è sempre un bambino.

- D’accordo! _ mormora Rufy se pur risoluto e il seguente spostamento d’aria mi suggerisce che si stia allontanando. Mi è sembrato che le sue dita sfiorassero la mia spalla, ma sono lontano ed ho sonno.

Usopp lo chiama interrogativo e deduco che l’altro si fermi sull’uscio aperto a giudicare dalla lieve brezza che stuzzica il mio torpore: _ Cosa fai? _ un velo di preoccupazione fa fremere la sua voce.

Intercorrono un paio di singhiozzi soffocati nel silenzioso e breve intermezzo dei due, poi il capitano si sbilancia: _ Vado a contattare Torao. _

Chopper si zittisce e sento la sedia muoversi, ancora. Si allontanano…

Merda sono troppo stanco. Devo essermi sforzato come un idiota… meglio se chiudo un po’ gli occhi.

Il suo volto marchiato sulle mie palpebre mi guida e lo seguo.

La seguirò sempre.


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Capitolo 5
*** Disarmati ***


Il fiammifero le scivolò dalle dita e andò incontro alla propria luminosa fine abbandonato sul pavimento in legno.

Ancora stordita dal sobbalzo inaspettato, Nami non si curò si soffocarlo e intravide la sua ineluttabile morte con la coda dell’occhio mentre si riappropriava delle mani assalite da un lieve formicolio. Aveva riconosciuto quella voce ancor prima della famigliarità di quell’appellativo e il sangue le era involontariamente schizzato nelle vene verso cervello e cuore.

Il capo le ronzava in un lieve vortice e il petto le martellava nella cassa toracica, reazioni fisiologiche a quello stupore improvviso che cercava di controllare nell’attesa che la lampada appena vivificata adempisse al suo dovere riverberando quell’uomo; colui che conosceva molto più intrinsecamente di quanto dava a vedere nella quotidianità che apparteneva loro.

Sbirciò verso la sua postazione ancora vittima della penombra della notte e poté scorgere i tre pendenti di quell’oro riscaldato dal riverbero della fiammella e i canini aguzzi serrati e rinchiusi tra le labbra piegate in una smorfia compiaciuta.

Prese tempo aggiustandosi una ciocca di capelli ribelle ingabbiandola dietro ad un orecchio e portò l’altra mano sul fianco in una posizione d’acciglio, ma la sua espressione era incapace di riprendere il controllo nella medesima abilità e prontezza del corpo.

Tremolante, la luce si allargò a testimonianza della vittoria del fuoco sulla miccia e l’intruso non del tutto indesiderato fece scattare un sopracciglio verso l’alto rimanendo in attesa di una sua risposta verbale.

_ Che ci fai qui? _ riuscì infine ad esclamare la navigatrice tentando di sorvolare sul dettaglio del suo yukata serrato in vita in maniera stranamente più morbida.

_ Dritta al punto.. _ commentò l’altro con lingua tagliente.

Zoro se ne stava con la schiena addossata all’angolo della parete con le braccia conserte e sosteneva il peso del corpo con la gamba sinistra mantenendo la destra accavallata ad incrociare la gemella a livello degli stivali scuri, l’occhio tornato seriamente nero per un fievole momento e puntato fuori attraverso la finestra alla sua destra.

Minuscole goccioline d’acqua ad imperlargli la capigliatura suggerivano fosse reduce di un bagno e riflettevano a tratti la luce calda della stanza e, quando il riverbero indietreggiava, brillavano della luce lunare che filtrava dagli infissi. Pareva come una lotta per la supremazia sulle tenebre e quanto i due schieramenti alleati lasciavano alla vista era l’effetto collaterale di quella danza.

Per un momento, Nami si ritrovò a dubitare di essere stata in qualche modo catapultata all’interno di un quadro e dovette sincerarsi di non essere così certa di volerne uscire: amava l’arte da sempre, in qualunque forma si presentasse.

Trattenne un sorriso al pensiero di come lo spadaccino fosse talmente ignaro della propria persona.

_ Ti sei perso? _ decise di incalzare la ragazza.

Lo vide scuotersi da qualunque lontananza avesse catturato i suoi pensieri e indispettirsi leggermente puntando anche la gamba destra al suolo come per piantarsi meglio.

_ Sono esattamente dove voglio essere!_ non avrebbe mai smesso di irritarsi per questa ineluttabile debolezza della quale ormai tutti erano a conoscenza. Non era che non avesse senso dell’orientamento, bensì la vera motivazione di quegli strafalcioni risiedeva nel suo essere sovrappensiero e distratto. Quando aveva un valido obiettivo però, non c’era errore che potesse opporsi alla sua volontà.

_ Allora torniamo al punto di partenza… Cosa fai qui?_ si lamentò acidula lei.

Nami lo vide distaccarsi dal legno con un colpo di reni e cingersi a sciogliere la fascia porpora che, salda in vita, stava a fissare le katane del samurai. Distolse lo sguardo turbata quando la veste dell’uomo si aprì a mostrare il ventre celato, per poi tornare immediatamente a chiudersi strafottente.

Poggiate le armi in custodia alla stessa parete che poco prima accoglieva anche lui, Zoro avanzò di pochi passi, quelli necessari per raggiungere il giaciglio più prossimo e si stese con naturalezza su di esso portando i palmi sotto al capo e accomodandosi con i polpacci ancora a penzoloni. Schiuse le labbra e respirò piano gonfiando il torace, ma non una parola uscì da esse.

La cartografa lo fissò atona e senza ben riuscire ad interpretare quel gesto. Si ritrovò incapace di reagire prontamente, caratteristica che quasi mai le mancava e non riuscì a fare altro che guardarlo interrogativa mentre si grattava la punta del naso e tornava in posizione.

Gli altri si erano allontanati da poco e poteva supporre che sarebbero stati presi dal loro girovagare per un po’ . C’era da sperare che non si cacciassero nei guai, ma la presenza di Sanji e Robin nel gruppo la tranquillizzava ed era anche ben conscia che il loro ritorno non sarebbe stato silenzioso: avrebbe avuto modo di guardarsene.

Capì quindi che Zoro stava pazientando. Non era in grado di dirglielo a parole quindi si limitava ad attendere, aspettava lei.

Muovendosi per la prima volta da quando era rientrata nella propria stanza, Nami portò le mani alla coscia destra e, silenziosa come il suo interlocutore, si liberò della fondina nella quale era custodito il suo bastone climatico per poi abbandonarlo sul mobiletto vicino ai suoi effetti e alla lampada; questa crepitò nell’assenza di suono che vibrava nell’aria.

Era un’abitudine tutta loro che aveva sempre sancito l’apprestarsi di un qualcosa di significativo e la donna senti la mancanza affliggerle il cuore al ricordo di quando loro due erano “Noi”. Non era il momento di combattersi e rari erano invece quelli nei quali potevano liberarsi della loro vita perennemente minacciata dal mondo: si erano privati delle armi, delle loro difese.

Lesta, la cartografa prese posto sul materasso opposto a quello occupato dall’uomo. Lei e la sua compagna di camera non avevano ancora sentenziato in quale ognuna avrebbe dormito e saggiò la consistenza di quel letto accoccolandovi i glutei come una coccia.

_Dobbiamo parlare, vero? _ azzardò iniziando a torturarsi il lembo dei calzoncini con le unghie.

Zoro chiuse le labbra e dal movimento dei tendini della mascella, Nami capì che strinse i denti voltandosi a guardarla per poi sorriderle.

Un sorriso vero e genuino che le permise di sciogliersi appena.

Quella giornata era stata colma di muti fraintendimenti che urgevano almeno un perché, se non delle scuse.

In realtà, a nessuno dei due importava parlare troppo. Era nata della tensione nel loro relazionarsi e la banalità del perché non poteva minare il benessere di ciò che poteva avvenire, men che meno erano avvezzi alle scuse reciproche.

_ Non sono fatto per sopportare queste tensioni… _ prese parola lui, incerto.

Ancora. Ancora a ribellarsi all’inevitabile. La loro clandestinità sarebbe stata la loro fine per l’ottusaggine di quella testa verde che non riusciva a scindere ciò che era necessario da ciò che era voluto.

_ Se sei qui per riaprire certe discussioni, te ne puoi anche andare!_ lo fermò subito lei rizzando le spalle. Non aveva voglia di confrontarsi con quella dura realtà che li divideva, semmai voleva sentirlo più vicino.

Non doveva andare così. Erano soli e insieme e non dovevano perdere tempo nel discutere. In fin dei conti, il loro armamentario in disparte ne sanciva il motivo.

Contraddicendo il veleno del tono appena esclamato, Nami si alzò cauta dal suo posto per prendersene uno meno distante da lui. Si sedette sul pavimento puntellando i piedi e cingendosi le ginocchia con le braccia, la schiena a sfiorare il bacino che accoglieva il corpo del compagno.

_ Sai che non sarebbe giusto far peso sulla ciurma per noi. C’è un equilibrio da rispettare._ commentò più dolce ora.

_ E tu sai che non mi faccio troppe domande! _ si limitò a ribattere il verde.

Lo sentì muoversi e spostare il proprio corpo adagiandosi su un fianco. Zoro appoggiò la tempia su un palmo ed allungò l’altro verso di lei.

Afferrò una ciocca rovente con i polpastrelli incastonandola tra indice e pollice e la sfregò percependo il contrasto tra quella morbidezza e la sua stessa rudezza. Anulare e mignolo si fecero spazio tra il resto della chioma sgusciando in essa fino a raggiungere la nuca dalla quale prendeva vita e portarono con sé il resto di quell’abbronzata e grezza mano alla ricerca di una consistenza più candida.

Il collo di Nami perse resistenza e si lasciò slittare adagiandosi sul materasso e tirando il mento al soffitto così da lasciare più libertà di movimento a quella piacevolezza.

Inspirò serafica quando il giovane nascosto dietro di lei fece scivolare il contatto verso la spalla per poi disegnare la traiettoria della sua clavicola con accenni di tocchi. Lo sentì poi accostare il viso al suo capo derelitto.

Zoro respirò quell’essenza di vitalità che, doveva ammetterlo, il poterselo concedere così sporadicamente sembrava dargli nuovo vigore e desiderio. Nami non aveva solo il sapore degli agrumi, ma era quel profumo frizzante che si contrappone al gelo dell’inverno.

Come era possibile che finiva sempre così? Si ravvedeva e le concedeva la ragione senza che ne argomentassero veramente.

Quegli unici momenti nei quali si concedevano cotanta vicinanza erano la genesi della loro alchimia e tutto il resto perdeva della sua rilevanza.

Il giovane spadaccino scivolò sino al polso di lei e lo cinse addolorato al ricordo di quanto da lui stesso compiuto appena poche ore prima: _ Non mi sono controllato… _ sussurrò un latrato mentre le arroventava la pelle sottile con le carezze _ Ti ho fatto così male? _

Come punta da uno spillo, la cartografa fu colta da un leggero spasmo e si affrettò a scuotere la testa in segno di diniego. Si liberò di quella fievole presa sul suo braccio e lo portò oltre se stessa, verso di lui alla cieca ricerca della sua presenza.

Intrecciò anch’essa le dita con i suoi corti e ribelli capelli infrangendosi contro le perle d’acqua e glieli pettinò dalla fronte verso la schiena per poi catturarli severa e obbligare l’uomo ad accostarsi di più. Ora lo zigomo del giovane le lambiva il limitare della mandibola e i pendagli le solleticavano la gola.

Divertito, Zoro soffiò un sorriso che fece vibrare in lei scariche di piacere e posò le affilate labbra sull’incavo anteriore della spalla marchiandola con un bacio frettoloso.

Gli piaceva provocarla quando tutti gli sforzi di lei erano dediti ad apparire come una donna matura e austera, ma il suo stesso atto di uscire dagli schemi della sua personalità concedendosi attimi di dolcezza non poteva che destabilizzarla e farla cedere. Svuotarle la mente dalle preoccupazioni sterili e risentirla lei.

Una mocciosa che non sapeva come fingersi diversa e un buzzurro che la trovava sempre in flagrante.









ANGOLO DELL’AUTRICE

Saaaalve!

Ogni tanto ritorno a rompervi le biglie eh?!!

So che non scrivo spesso e ogni tanto sparisco, ma non ho mai abbandonato il Fandom. Ho continuato a leggere tante fic e tanti autori, magari in silenzio ma senza sparire mai del tutto!

Ho voluto riprendere questa storia perché mi mancava scrivere e mi sembrava brutto abbandonare quella che all’epoca mi era apparsa come una bella idea. Mi sono imposta di portarla a termine e spero di stuzzicare il vostro interesse.

Vedo che qualcuno che legge c’è e spero di meritare il vostro tempo. Ringrazio per questa attenzione e mi auguro che l’andazzo della storia sia di vostro gradimento.

Un abbraccio virtuale a tutti voi.


Arcadia


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Capitolo 6
*** Pelle contro pelle ***


Quella mano, la sua.

Quella mano che percorreva la propria scia immaginaria accostata alla sua pelle come un viandante, sembrava tentar d’essere gentile senza riuscire a liberarsi di una qualche tensione a costringerla. Le avvolgeva le membra rimanendo sul limitare della sua esistenza, ma non era la sola.

Delle labbra, le sue, si scaricavano in schiocchi soavi sul suo collo dal braccio sollevato a cingere la figura stesa dietro di lei sino all’orecchio dove si concedeva una strusciata prima di riprendere la discesa.

L’espirare del suo respiro si infrangeva sulla nuca generando in lei brividi freddi che lasciavano il posto ad altri di calore, l’uno intensificato dall’esistenza dell’altro.

Si stavano annullando perdendo ogni contegno.

Mai si potrebbe immaginare che Roronoa Zoro fosse capace di donare tanto benessere e pace e nessuno lo avrebbe mai potuto testimoniare, eccetto lei.

Lei che lo aveva visto senza i veli del suo corpo e aveva avuto accesso all’aspetto più recondito e celato della sua anima. Perché si, anche lui aveva un’anima ad alimentarlo: Zoro soffriva, gioiva e amava. Forse non nella maniera più comunemente apprezzata, ma il tempo le aveva permesso di imparare a controllare le sue aspettative ed encomiare i loro scarni momenti d’unione.

D’un tratto, i casti baci si schiusero cedendo il posto all’umido e ardente contatto della lingua e Nami sentì un pizzico quando due fila di denti si serrarono attorno ad un lembo di pelle del collo.

_Zoro… _ lo richiamò la navigatrice con tono mellifluo. Liberò la presa sulla nuca dell’uomo lasciando scivolare le unghie in un’ultima carezza vogliosa e si voltò posizionandosi sulle ginocchia guardandolo dritto negli occhi, i gomiti appoggiati sul bordo del materasso e le braccia stese ad afferrare gli orli sul petto del suo yukata.

Non poté fare a meno di soffermarsi su quella cicatrice che gli scempiava il volto e sentì il desiderio di toccarla con l’intento di farla sparire sotto i polpastrelli. Chi era stato così scellerato da causare il celarsi di quell’iride infinitamente profonda?

Ricordò quando glielo aveva chiesto sofferente al pensiero di quale dolore fosse stata per lui una simile menomazione, ma aveva semplicemente distolto l’attenzione sul confine ingannevole dell’oceano e si era rinchiuso nella sua corazza indecifrabile.

Zoro era sfuggente, sempre.

Si beò di ciò che rimaneva, non che fosse poco, e lo vide cercar di trattenere un sorriso che si rivelò come labbra tirate sghembamente.

_ Non dovremmo. _ esalò Nami combattendo contro l’ardore che la stava divorando.

Di nuovo, il giovane non proferì parola e si limitò a farle scivolare verso il basso la sottile spallina destra che reggeva il top svelando la curva del suo seno, ivi riprese a carezzarla e bramarla.

Ingoiando la tentazione, la ragazza protestò ancora con velata incertezza: _ Robin e gli altri potrebbero tornare da un momento all’altro! _

_ Sono lontani. _ fu pronto a rispondere il compagno, un leggero cenno del mento all’insù e l’indice teso che scese a solleticarle l’incavo sul petto.

Nami s’illumino dubbiosa : _ Co… _

_Come tutte le altre volte! _ sentenziò il verde lapidario.

La donna lo guardò di sottecchi e poggiò un palmo sullo sterno dell’altro: _ Haki?! _

Fu la volta della seconda spallina a subire lo stesso destino dell’altra e cedette alla gravità calando repentina.

Zoro si controllava sempre ed era lei a chiederlo, lo sapeva, ma non poteva che farsene una colpa. Mai che potesse viversi appieno una sensazione ed era costretto a indugiare sul limitare della sua stessa coscienza, ma un giorno le cose sarebbero cambiate. Perlomeno lo sperava.

Nami lo percepiva gustandosi il battito di quel cuore poderoso che vibrava contro il suo tocco, un martellare incessante e rassicurante.

Lui era freddo, non il suo corpo: lui!

Era quel ghiaccio che ti avvolge e ti intrappola cullandoti verso il torpore. Poco importa che ti guida verso la morte, anche il fuoco uccide, ma si lascia sciogliere e non si preclude al riverbero del sole. Lui era quel gelo che si fa estinguere, stilla dopo stilla, pur di farti vivere.

Lo amava per questo e per ogni sua sfaccettatura, ma le mancava qualcosa. Faceva male sentirlo così fermo come una montagna inamovibile con la triste consapevolezza di non poterla spostare.

Come scossa da un cammino sonnambulo, la cartografa si mosse di slancio e lo spinse supino guardandolo accendersi per poi sovrastarlo a cavalcioni sul pube. La canottiera sgusciò via e la presa dell’uomo si affrettò a prendere posizione sui suoi fianchi, i pollici che non fermarono si muoversi su di lei a semicerchio.

A dirla tutta, quando si erano scoperti, Nami si era divertita a minare la sua personalità stuzzicandolo con frivolezze da neo innamorati e il suo reagire seccato non faceva altro che alimentare il desiderio del gioco. Più correvano le lune però, più lei si ritrovava ad ambire segretamente una risposta più amorosamente esplicita.

Ma quando si univano, non chiedeva altro che essere stretta e mai liberata. In questo lui c’era. Zoro era anche quello.

Malandrina, la rossa prese ad ancheggiare avvicinando il contatto e armeggiando con la cinta purpurea da brava carnefice quale voleva apparire. Quella presa sulla sua vita non ebbe alcun smottamento.

Era forte e sapeva come infonderle certezza. Era l’ancora di salvezza, il punto fermo a quel marasma di contrapposizioni del suo essere.

Potevano quelle mancanze non completamente assenti in lui, ma obliate dall’anima guerriera che aveva, ridursi a diventare talmente assillanti da compromettere il loro viversi?

Nami bramava un nascondiglio alla luce del firmamento e non voleva uscirne.

Sapeva che il suo compagno non sopportava tranelli e sotterfugi e avrebbe preferito affrontare di petto le conseguenze del loro rivelarsi. Lo stesso petto che in quel momento fremeva spogliandosi.

Piuttosto avrebbe rinunciato al proprio ruolo all’interno della ciurma pur di non rinnegare un lato di sé. Incrollabilmente fedele a se stesso e a ciò cui era vicino.

Non lo sopportava. Una testardaggine così radicata da annebbiare la soluzione che lei aveva trovato, annullarla sotto i colpi delle sue proteste.

Una selvaggia caduta di incendiati ricci circondò il viso dello spadaccino e delle labbra scoperte gli chiesero l’accesso alle sue con urgenza. La accolse avvinghiandosela tra le prestanti braccia marmorizzate dai muscoli e si affrettò a riscattare gli arti dalle maniche della veste liberando così il movimento. Sentì la necessità di sbloccare il bacino e averla.

Invertì la posizione dei loro corpi ignorando i lamenti del giaciglio che singhiozzava nell’accoglierli e il peso della sua donna si concesse a quella mutazione.

Rise, la vide ridere ed era meravigliosa come l’alba.

_ Che hai da ridere? _ la punì lui mordicchiandole un lobo e soffiò alticcio sentendola irrigidirsi appena.

_ Sono felice! _ pigolò lei vibrando le corde vocali in un’ilarità cristallina.

Si puntò sopra quel corpo statuariamente curvilineo e ne contemplò la perfezione al suo occhio profano. Era bella, straordinariamente bella. Ed era sua.

Doveva dirglielo.

Voleva dirglielo, se lo meritava e lo sapeva, ma preferì arrampicarsi su di lei e riempirsi la bocca dei suoi seni.

Nami lo guardò con occhi pieni di lui perché lo capiva e gli era grata. Contrariamente alla quotidianità, da vittima di quelle solite e sempre nuove effusioni Zoro si mostrava senza capacitarsene e lei riusciva a guardargli dentro.

Amava fare sesso con lui. Era il loro momento platonico più concitato e trasparente che avessero mai avuto e che avrebbero perseverato nell’avere. Quella era una conquista dalla quale lei non voleva retrocedere per nulla al mondo, nessuna ricchezza.

Lui era libero da ogni vincolo terreno e lei non poteva certo avere la presunzione di poterlo incatenare al proprio cuore, ma sapeva stringerla e la stringeva.

La stringeva a sé schiacciandola fra la sua mole e le rotondità del materasso mentre era indaffarata nel far sgusciare i calzoncini dalle caviglie.

Divenne il suo involucro da crisalide e si snudò per lui.

Garbato e deciso, le portò entrambe le braccia sopra al capo fermandole tra le proprie ed infilò un ginocchio lungo la serratura delle sue cosce.

Dall’eco del suo muoversi, Nami suppose che stesse anche cercando di divincolare i piedi dalle calzature con un certosino lavoro di talloni e si ritrovò a sorridere ancora. Quanta abilità richiedeva effettuare quella combinazione di gestualità accanite?

Inarcò la schiena stirando le spalle mentre Zoro si riappropriò di una mano mandandola a liberarsi dei calzoni.

Suo malgrado, si ritrovò d’un tratto a sbattere le palpebre a vuoto e confusa. Lo cercò con lo sguardo e lo trovò poco più in basso del campo visivo, fermo e contratto. Le sopracciglia corrugate, la fronte solcata dalla tensione e i pantaloni presi a mezza gamba.

_ Beh?! _ esordì la cartografa con un suono più squittente e bisognoso si quanto avrebbe voluto. Le mani ancora bloccate da quelle di lui altrimenti lo avrebbe sicuro toccato per accertarsi della sua presenza fisica e mentale.

Il verde fece una repentina scossa del capo per zittirla e tornò pietrificato mentre Nami iniziò a notare lo stringersi compulsivo sul suo stesso indumento, i tendini flettersi e le vene gonfiarsi.

_ Che ti prende? _ si allarmò la giovane che mai nella vita aveva assecondato qualcuno che le chiedesse silenzio.

_ Merda!! _ ringhiò infine il ragazzo facendo sussultare la compagna.

Lo spadaccino fece leva sui glutei e si issò in piedi affrettandosi a riallacciare i pantaloni con mosse nervose e castigate. Dal canto suo, la ragazza lo fissò come allucinata e non poté controllare la mascella schiudersi indispettita. La delusione si impadronì di lei come ad una bambina alla quale hanno fatto a malapena assaggiare un goloso gelato per poi privargliene crudelmente.

Quando si ritrovò i capi gettati malamente addosso, Nami credette di capire domandando: _ Cosa hai visto?! _

Lui le lanciò uno sguardo di brace e frustrazione spiegandosi a denti stretti: _ Hanno deciso di tornare! _

Poteva non dirlo. Poteva andare avanti ed evitare di castrare i suoi impulsi carnali e gli altri li avrebbero scoperti. Lui avrebbe avuto la sua vittoria, ma aveva deciso di no. Non così.

E lei lo amava. Accidenti se lo amava e la colmava di un moto di gratitudine avvolgente.

Affrettandosi a rivestirsi anche, Nami l’osservava corrucciato soffiare dal naso e s’infastidì appena. Non sapeva spiegarsi se per l’interruzione vera e propria o se per la reazione irosa dell’uomo, ma non poté che commentare a se stessa sconsolata che la magia era finita. Niente sesso e di nuovo tensione, ancora divisi.

Rinfilate le katane nella loro giusta postazione di guardia, Zoro si avvicinò al mobiletto sopra il quale sostava la lampada che li aveva rischiarati per tutto quel tempo e sentì la giovane accostarsi. Le passò la sua arma e nel farlo, l’attenzione gli fu colta da un accessorio.

Un paio di accessori, per meglio dire: degli orecchini di perle che non ricordava di aver visto prima.

Si arrestò a rimuginare un attimo per poi guardarla vivificare i capelli con scossoni sgraziati e chiederle: _ Sono di Robin? _

Nami mise a fuoco il piccolo oggetto in questione che l’uomo le sporgeva a palmo aperto e lo scrutò vispa: _ Sono miei, li ho presi stamattina. Ti piacciono? _ mentalmente cercò di ricordarsi il frangente nel quale li avesse abbandonati in così bella vista.

Attese una conferma, ma lui tornò a studiarli come fossero una qualcosa di schivo e incomprensibile.

Contraddisse le sue impressioni, ancora. Delicato, Zoro le scostò i capelli e prese ad armeggiare con i lobi delle orecchie per infilarglieli, forse l’unico dettaglio estetico femminile capace di gestire e maneggiare.

Tanta la devozione di quel gesto che la donna non si sentì di lamentarsi quando un foro in procinto di chiudersi fece resistenza e si frenò nell’arricciare soltanto il naso in una lieve smorfia dolorante.

Tornarono occhi negli occhi. La mano dell’uomo scivolò per un ultima volta lungo il costato della giovane e si riavvicinò al suo collo.

Già assaporava la mancanza che avrebbe avuto di lei: _ Sono come te... _ mormorò Zoro prima di baciarla.

Si defilò allontanandosi dalla luce della stanza e si richiuse la porta alle spalle.

Nami ad occhi sgranati, si toccò nel punto dove pochi istanti prima avevano riposato veloci le labbra del suo uomo.

Si guardò attorno stralunata e riprese a respirare.


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Capitolo 7
*** Fatti da ciurmaglia ***


_ Che poi _ esordì Usopp facendo forza con le braccia per tirare la corda _ Mi chiedevo… _

_ Mmm _ incalzò il cuoco giusto per fargli intendere di starlo ascoltando mentre si assicurava che le ancore a forma di zampe della Sunny fossero sempre ben salde.

_ Ieri, come cavolo hai fatto a correre da noi se eri così lontano? Cioè come facevi a sapere del casino che stava facendo Rufy? _ domandò il cecchino ripensando alla buona mezz’ora appena impiegata per giungere dall’ostello alla nave.

_ Sensazione! E poi… _ iniziò a rispondere il biondo.

_ No perché sei stato velocissimo!! _

_ Oh beh_ il giovane Vinsmoke si girò a cercarlo con lo sguardo _ Quando ci sono delle donzelle in pericolo accorro subito! _ piroettò portandosi le mani sui fianchi con fare cavalleresco.

_ Eh?! _ Usopp si fermò un secondo serrando la presa come se realmente si aspettasse una risposta coerente.

_ Ho un sesto senso per queste cose! _ trillò l’altro piegando il braccio in alto e picchiando il palmo opposto sul bicipite.

_ Sesto… senso…?! _ commentò a se stesso il naso lungo per poi scuotere il capo privo di speranza e tornare a tirare.

Ammainare le vele è un lavoro che sulla Going Merry non gli aveva mai fatto peso, ma la Sunny era più grande e da solo stava faticando più di quanto avrebbe mai ammesso a se stesso e a chiunque altro. I muscoli gli dolevano per lo sforzo e si flettevano, ma era altresì fiero della propria prestanza. Al ricordo dell’ometto che era, per quanto ce la mettesse tutta all’epoca, i passati due anni trascorsi lontano dalla ciurma gli erano giovati in fisico e spirito. Non che prima fosse tanto male, insomma: era pur sempre il più coraggioso di tutti! L’unico che fosse capitano nonostante Rufy, il grande capitano Usopp!

_ E poi, _ continuò Sanji avvicinandosi _ non mi fido mai quando non sono con voi a controllare testa d’alga! _

_Zoro? Non mi sembra il più irresponsabile… _ il cecchino commentò laconico di rimando, un sopracciglio alzato e gli occhi a palla sbarrati e puntati al cielo quasi non fosse certo egli stesso delle proprie parole.

_ Vabbè se vogliamo escludere Rufy, ovviamente. È capace di affrontare ogni cosa azzannando manco non fosse in grado di parlare… Tra l’altro, lo hai visto stanotte?_

_ Chi? Rufy?! _ domandò il moro indietreggiando alla ricerca di una posizione maggiormente favorevole_

Il cuoco si parò dal lato parallelamente opposto al compagno e afferrò anch’egli una cima prendendo poi ad aiutarlo: _ L’altro… _

_ L’altro chi? _ fiatò Usopp in evidente deficit d’ossigeno.

_ Di chi stavamo parlando?! Dello spadaccino, no? Era in stanza con te!! _ sbraitò il biondo constatando di sottecchi il pallore del suo interlocutore.

_ Che ne so! Parli strano, è Rufy quello che azzanna la roba..._ bofonchiò ringraziandolo mentalmente per essere subentrato in suo soccorso.

Sanji si limitò a stringere la tipica quanto inseparabile sigaretta tra i denti e, terminato il lavoro, gridò verso l’alto: _ Ehi Brook!! Abbiamo fatto, puoi fissarle! _

Sulla cima dell’albero maestro, lo scheletro rispose con un cenno di mano ossuta e prese a legare le sicure sulle vele appena ritirate e ancora trattenute dai due pirati fermi sul prato verde.

_ Comunque io non l’ho proprio visto! _ concluse Usopp respirando profondamente.

In effetti, era stato particolarmente fortunato a poter dormire cosi comodo. Rientrati dalla loro camminata di gruppo, si erano divisi le camere per la notte e quasi gli era dispiaciuto quando Sanji aveva sottostato al caso finendo appaiato con Franky e Chopper: sicuro avrebbero dovuto unire i letti vista la mole del carpentiere e la terza presenza del dottore, il cuoco sarà certamente rimasto in un angoletto rannicchiato.

Ridacchiò invece pensando alla sua geniale idea di appropriarsi anche del letto libero dal compagno così da potersi fare una delle dormite più epocali della sua vita marinaresca. Ovvio l’assenza di Zoro non lo aveva minimamente turbato, non che gli interessassero i suoi affari personali, ma sapeva ben badare a se stesso. Al massimo si sarebbe perso e pace… ci avrebbero pensato tutti insieme.

Sorrise sornione al pensiero di quella notte, fino a quando non incrociò nuovamente lo sguardo del cuoco che dardeggiava morte e nefasti alla sua persona. Le gambe ebbero un tremito e minacciarono di cedere.

_ Stai dicendo che io sono stato con quel macigno russante e quella palla di pelo che corre in chissà quale pascolo immaginario dei sogni e tu… tu avevi un letto libero?!?! _ sibilò il biondo gettando il mozzicone sbrindellato dai canini oltre il parapetto del ponte con uno schiocco di dita.

_ Yohohoho, fatto!!! _ cantilenò dal cielo un musicista del tutto ignorato.

Appena in tempo, Usopp colse quella breve distrazione alzando le mani in segno di resa e rispondendo all’avanzare dello chef infervorato con una pronta e cauta ritirata. Non si mostrano le spalle ad una bestia pronta ad attaccare e lui lo sapeva quindi, un passo alla volta, incrociò le gambe una dietro l’altra con estrema calma apparente.

In lontananza, seppur sempre sulla nave, un clangore di stoviglie vibrò nell’aria e tanto bastò ad attirare completamente l’attenzione della fiera selvatica permettendogli di filarsela sulla terra ferma, ben distante alla vista.

Dalla cucina, uscì alla luce un Rufy con ogni sorte di cibaria tra le braccia chiaramente reduce di un furto nella dispensa. Ogni parola interrotto da una bocconata: _ Allora… avete… finito...ragazzi…? _

Mai, ma proprio mai, Usopp si sarebbe immaginato di vedere il biondo prendere fuoco così intensamente da far scricchiolare il legno della Sunny, l’umidità che si liberava nell’aria e una scarpa incendiata che volò come una meteora con mira calcolata proprio sul naso di Cappello di paglia.


~

_ … quarantadue, quarantatré, quarantaquattro… _ continuò il conteggio nella mente così da poter occupare le mascelle con una morsicata al suo zucchero filato. Immerse il nasino nella nuvola di saccarosio rosa che Robin gli aveva acquistato poco prima che si separassero e la sensazione soffice gli stimolò le papille gustative mentre un viso entrava ed usciva dal suo campo visivo a ritmo dei conti.

_ Hai le occhiaie! _ commentò Chopper ingoiando quella squisitezza, il tono lasciava supporre la stranezza stessa della sua affermazione.

_ Stai contando? _ soffiò l’altro forzando gli addominali nell’ennesimo sollevamento del busto, le mani intrecciate dietro la nuca.

La renna annuì: _ Cinquantanove, sessanta… tu non puoi avere le occhiaie! _

Zoro sollevò un sopracciglio con fare interrogativo e una goccia di sudore scivolò lungo la tempia sinistra.

_ Dormi sempre! _ si spiegò il dottore accomodandosi meglio sui ginocchi del compagno. Per riuscire nell’obiettivo di mantenere le gambe dello spadaccino durante i suoi esercizi, si era visto costretto ad assumere la forma umanoide che lo aveva ingrandito e si era dovuto sedere su di lui fermandolo con il proprio peso.

Il verde preferì non rispondere e concentrarsi sull’allenamento, ma non riuscì a trattenersi dal fare un mezzo sorriso per la solita ingenuità del dottore con la quale si poneva ogni interrogativo per quanto esistenziale che fosse o meno.

_ Zoro non ti sembra il caso di fermarti? _ si allarmò il piccolo quando giunse a contare la centottantesima flessione.

_ Se ti annoi, faccio da solo… _

Era perfettamente a conoscenza dell’enorme sopportazione fisica della quale godeva il ragazzo, ma il suo lato apprensivo e salvavita non gli permetteva di starsene tranquillo e zitto. Le risposte secche che riceveva però, lo indispettivano; come si poteva avere così poco riguardo del proprio corpo?

Forse era meglio ignorarlo e tornare a dedicarsi al suo pasto zuccherino.

Dopo un po’ : _ Trecento, giusto! _ esordì Zoro fermandosi a guardare il compagno che era intento a leccarsi le dita dai residui del dolce nascosto sotto la visiera del cappello. Si chiese rapido come fosse possibile che in quella forma perdesse addirittura gli zoccoli.

Chopper annuì veloce per poi analizzarlo con occhio critico e un visino sbalordito: non aveva neanche il fiato pesante! Si affrettò poi a liberarlo dal proprio peso per permettergli di alzarsi in piedi e brontolare verso di lui: _ Non avevi detto che dovevi solo de faticare? _

In tutta risposta, lo spadaccino roteò l’occhio buono senza preoccuparsi di nascondere il fastidio a quella sgradevole inquisizione e il medico gonfiò le guance tornando nella sua piccola forma base.

Stava per fargli una pernacchia con tanto di lingua da fuori quando il giovane prese parola: _ Non ho dormito stanotte. _ sicuro sentenziò che la critica sulla propria situazione estetica facciale fosse meno seccante e scomoda di quella che aleggiava nell’aria sul benessere psicofisico.

La renna impiegò cinque secondi buoni a ricollegare quella risposta alla sua precedente domanda sugli aloni grigiastri a lunetta dell’altro e non si fece scampare l’occasione. Parlare con Zoro di quello che poteva apparire come il più o il meno era un avvenimento più unico che raro anche se con lui gli era capitato più spesso che con gli altri componenti della ciurma. Non che ci fosse una relazione particolarmente introspettiva fra di loro, ma nei riguardi del piccolo, lo spadaccino sembrava più incline ad assecondare la compagnia di terzi e concedersi ad accenni di sproloqui.

_ Ti sei perso? _ sembrò la domanda più ovvia da porre.

Lo vide irrigidire le spalle, segno che probabilmente ci aveva azzeccato, per poi scrollarle e cimentarsi in una verticale caricata sulle braccia. Riprese i piegamenti in quella nuova posizione.

_ Devo contare? _ chiese ancora Chopper senza ottenere risposta. Optò per un “sì”.

Fece trascorrere il tempo prendendo a giocare con il bastoncino rimasto vedovo dello zucchero filato e iniziò a fare dei solchi sulla sabbia con esso.

Zoro aveva deciso di allontanarsi dal paese alla ricerca di tranquillità per il suo allenamento e lui si era offerto di tallonarlo per assicurarsi che sarebbe tornato all’ostello una volta finito, così si erano diretti lungo la costa se pur dalla parte opposta all’ubicazione della Sunny.

Al limitare degli arbusti dalla quale partiva la spiaggia stessa, Chopper poteva soffocare le zampine sotto il tepore della fine sabbia scaldata dal sole del mattino, ma giungendo al lambire dell’oceano i granelli mutavano in aguzzi sassolini che stridevano al muoversi causato dalle onde.

Stuzzicato dal quel gioco bambinesco, il dottore stava scrivendo il proprio nome per intero solcandolo e risolcandolo.

_ Ottantuno, ottantadue… _ si curò di informarlo dell’avanzare dell’esercizio per poi cancellare con la zampina la tavola di terreno di fronte a lui e ricominciare.

_ Quindi cosa hai fatto stanotte? _ domandò una volta stufo di quel silenzio tra loro, all’ennesima ricerca di una conversazione.

Zoro si issò sul solo palmo destro e, contro ogni aspettativa, rispose: _ Ho fatto una corsa per il paese. _

_ Solo un giro per tutta la notte?! _ chiese ancora il medico ragionando che, in fin dei conti, quell’isola non fosse poi così grande da perlustrare per i canoni d’attività del compagno. Se si pensa che sulla nave non ci fosse spazio sufficiente per un autentico percorso da effettuare correndo, era chiaro che quel fissato di palestra del compagno non avrebbe potuto farsi scappare l’occasione se pur a discapito di una buona dormita. Non riusciva a sentenziare cosa fosse per lui più importante.

_ Forse ne ho fatti quindici, non ricordo. _ bofonchiò il verde saltellando dal braccio sotto sforzo al sinistro.

Ecco perché al loro ritrovo di poche ore prima, Chopper lo aveva notato leggermente imperlato di sudore e con una maglietta beige a sostituire lo yukata. Incredibile che fosse riuscito in solitudine a tornare all’ostello, ma forse lo aveva ritrovato girando a caso come suo solito.

Immerso in quel ragionare, il piccolo si allarmò d’ un tratto: _ Accidenti, ho perso il conto!! _ sciolse la presa sul bastoncino per lo shock e nemmeno se ne curò.

Lo spadaccino si concesse ancora un paio di esercizi per poi esclamare distrattamente: _ Trecento! _ e ristabilire il naturale sostenersi delle gambe in posizione eretta.

_ COSA !? Zoro, basta!!_ strillò Chopper correndo a circondargli un polpaccio come se grazie a quello potesse fisicamente fermarlo.

Zoro ridacchiò divertito. Sollevò l’arto trascinandosi la piccola renna appesa e si affrettò ad afferrarlo con entrambe le mani per poi posizionarselo a cavalcioni dietro il collo : _ D’accordo! Andiamo dagli altri… _

Sollevato, il medico si aggrappò ai suoi capelli verdi e sembrò accorgersi solo in quel momento dello strano colore prendendo a spostargli qualche ciocca alla ricerca delle radici, come se non li avesse davanti agli occhi ogni giorno.

_ Che fai? _ si accigliò il ragazzo sistemandosi le katane in vita, le aveva ovviamente tolte per potersi muovere in tranquillità.

_ Non ti tingi i capelli, vero?_

_ Che??_ sgarbato, quasi quella domanda avrebbe potuto minare alla sua virilità.

_ Questo colore è molto strano. Dev’essere un dettaglio genetico! _ commentò vacuo Chopper analizzando con occhio clinico quella zazzera singolare _ Per non parlare della tua innata capacità di portare il tuo corpo al limite dello sforzo! _

_ Chopper… _ lo richiamò l’uomo portando un palmo dietro di sé per sostenere l’amico, ma la renna manco lo stava a sentire.

_ È una questione di cromosomi e la tua combinazione genetica dev’essere veramente particolare… _

Con un sospiro rassegnato, lo spadaccino iniziò a muovere i primi passi per tornare alla civiltà dell’abitato mentre proprio non si capacitava di come si potesse parlare a vanvera così tanto.

_ Vorrei farti qualche analisi, un check-up completo!! _ sentenziò infine il dottore sollevando lo sguardo.

_ La vuoi smettere?_

_ È una richiesta professionale!_

_ No..._

_ Zoro? _

_ Ho detto di no!! _

_ … Zoro?? _

Chopper picchiettò uno zoccolo sul capo del compagno.

_ Cosa c’è?! _ sbraitò il giovane.

Come poteva dirglielo in maniera gentile?

_ Hem, il paese è dall’altra… _






ANGOLO DELL’AUTRICE

Un ben ritrovati a tutti! ^^

questo capitolo ha come scopo quello di farvi sorridere un po’ e spero di esserci riuscita!

Mi serviva impostare un’ambientazione serena e leggera dalla quale far partire il grosso della trama, quindi vi ringrazio per aver letto e per pazientare per gli aggiornamenti.

Siete sempre di più a leggere e ve ne sono veramente grata!!

In particolare ringrazio chi ha inserito la storia fra le “seguite” e per le piacevoli recensioni ricevute. Perché dai, è bello scrivere ma quando il proprio lavoro viene apprezzato tutto è ancor più bello!

Se vi va, fatemi sapere se la trama vi sta stuzzicando e la contestualizzazione dei personaggi vi sembra azzeccata! Tengo molto in considerazione le opinioni dei lettori, quindi ancora grazie!

Al prossimo capitolo!

Baci


Arcadia

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Capitolo 8
*** Una navigatrice in subbuglio ***


È una cosa normale e lo sapeva.

In termini di biologia era più che ragionevole pensare che saltuariamente, un organismo subisse qualche battuta d’arresto o un piccolo inciampo.

Per quanto alcuni suoi compagni di navigazione sarebbero potuti apparire come un qualcosa di disumano e intangibile, il corpo umano poteva ben essere attaccato da nemici invisibili ad occhio nudo e da essi anche piegato.

In fin dei conti, lei non aveva alcuna caratteristica fisica particolare che le permettesse di sfuggire a questi inevitabili inconvenienti e più volte nel corso della vita si era ammalata. Allora perché era così turbata?

Per iniziare si era svegliata quella stessa mattina credendosi un cencio e con il morale mortalmente abbattuto. Ciò si era subito rivelato del tutto inatteso.

Considerando il piacevole sviluppo avuto la sera precedente con uno spadaccino cascatole davanti per magia, avrebbe dovuto avere un sonno rigenerante e caldo che avrebbe dovuto aumentarle i livelli di serotonina nel sangue, cosa che non era chiaramente avvenuta.

Sarebbe stato un dettaglio sopravvalutato e sorvolato, se non fosse che i sintomi di quel malessere generale erano aumentati differenziandosi nell’andazzo della giornata.

Si erano ritrovati tutti insieme nell’androne dell’ostello così da decidere come gestire il tempo a seguire che avrebbero dovuto attendere prima di riprendere la navigazione: Sanji, Usopp e Brook si erano incaricati di tornare alla Sunny per supervisionare lo stato della nave ormeggiata e lei aveva suggerito loro di portarsi dietro anche Rufy per controllarlo dai suoi attacchi impulsivi e piantagrane; per lo stesso motivo Chopper aveva seguito Zoro che aveva intenzione di perdere tempo allenandosi da qualche parte e i rimanenti del gruppo avevano deciso di fare un giro turistico del paese.

Forti della presenza protettiva di Franky, lei e Robin si erano incamminate per quelle vie vagamente trasandate che, alla luce del giorno, apparivano più invitanti e spensierate di quanto le avesse descritte la loro albergatrice.

Presto Nami aveva iniziato a percepire un sinistro formicolio alle gambe che faticavano a mantenere il peso del suo corpo e una strana sensazione di vuoto le aveva attanagliato le viscere.

Con la speranza di ridimensionare quei malanni con un pasto energetico, aveva proposto una bella colazione con caffè e dolciumi vari alla quale i compagni avevano acconsentito gradendone l’idea, ma da lì era partita una forte emicrania che si presentava ad ondate di fitte ai lati del capo.

Proprio non se la sentiva di compromettere i desideri di tutti per l’ennesima volta, già la sera prima aveva declinato l’invito all’uscita generale, ma d’un tratto si vide costretta a cercare un angolo tranquillo di città dove sostare e riordinare quegli scombussolamenti fisici.

_ Nami, che succede? _ la chiamò Robin sedendosi al suo fianco sulle botti vuote trovate nel retro di un ristorante.

Lei la guardò di sottecchi spostandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e prendere a sventolarsi la mano davanti al viso per farsi aria. Faceva veramente così caldo?! Gli altri due non sembravano sudati...

_ È quest’afa che mi stanca! Va tutto bene, però! _ Nami si sforzò di sorriderle serena, ma proprio non era in vena di allegria. Anzi, si sentiva particolarmente nervosa e il semplice parlare con l’amica la infastidiva maggiormente.

_ Vado a cercarti della super acqua fresca! Se la trovo anche della cola… Robin? _ esordì Franky registrando il diniego dell’archeologa e avviandosi nella sua annunciata ricerca.

Si ritrovò a chiedersi distrattamente perché quel cyborg non si facesse gli affari propri e smetterla di blaterare per poi sgranare gli occhi sorpresa del suo stesso pensiero inconscio.

_ Vedo che hai messo gli orecchini, ti stanno bene! _ commentò la corvina accavallando le gambe e appoggiandoci sopra i gomiti a sostegno del mento, gli occhi fissi su di lei a studiarla.

Istintiva, Nami si portò le dita a sfiorare i propri lobi e un’altra fitta le trafisse il cranio mentre imprecava mentalmente per quello sguardo inquisitore.

Che avevano quei due da starle così addosso?!

Aveva bisogno di aria e sentì il bisogno di allontanarsi, ma desistette da quel desiderio illogico. Era con i suoi amici, perché voleva andarsene?

_ Sì mi andava di metterli. _ le rispose atona e sollevando le spalle.

Il vuoto al basso ventre prese a muoversi nel suo corpo e iniziò a vorticare arpionarsi allo stomaco alimentando in lei un pungente senso di nausea.

Ma che diavolo le stava capitando? Qualche virus? Sentiva disagi ovunque e senza una connessione razionale e scientifica tra di essi. Sicuramente Chopper avrebbe saputo aiutarla a trovare la soluzione con una delle sue sapienti medicine, ma più trascorrevano i minuti e peggio si sentiva: non era nemmeno certa di avere le forze necessarie per potersi rimettere in piedi e tornare indietro con i propri piedi.

Si erano accordati per ritrovarsi ancora prima di pranzo e stare poi tutti assieme, ma il solo pensiero di quell’evenienza le aumentava i fastidi facendole accapponare la pelle.

Immersa in quelle riflessione, il male alla testa aumentò e si ritrovò scossa da brividi incondizionati sotto la pelle.

_ Nami, ma cos’hai lì?! _ esclamò Robin allungando un braccio verso il suo viso, una vena di preoccupazione nella voce.

Il cervello della cartografa ebbe una crisi di coscienza improvvisa e il suo corpo reagì da sé senza un comando neurologico. Quando riebbe lucidità, la sua mano era serrata intorno al polso dell’altra rimasto a mezz’aria e qualcosa le suggeriva infimo di stringere la presa mentre Robin si limitava a guardarla interdetta.

_ Non toccarmi! _ sibilò senza controllo, il fiato pesante e il mondo che le danzava intorno.

A quelle parole, l’espressione della storica mutò in un atteggiamento serio e malcelatamente guardingo. Stava per chiedere altre spiegazioni, quando il ritorno del carpentiere interruppe le ragazze facendo loro sciogliere il contatto e vide il suo volto divenire preda della preoccupazione.

Repentina, Nami si prese le tempie fra le mani nel vano tentativo di soffocare un altro attacco e il suo stomaco si rivoltò nell’addome liberandosi della colazione da poco ingurgitata. Cibo parzialmente digerito e succhi gastrici si riversarono al lato destro del suo seggio improvvisato e Franky fu veloce a liberarsi delle bevande per andarle vicino.

_ Hey, ma che...?!_ blaterò lui allibito cercando risposta in Robin.

_ Meglio tornare alle stanze e aspettare gli altri! _ rispose tenue la donna.

Piegata su se stessa, la rossa espresse il proprio disappunto con un ruggito “NO” e cercò a tentoni la propria arma fissata alla coscia per difendersi.

Non era in pericolo con i suoi compagni di ciurma, ma quindi…?

Con uno slancio eccessivo per essere sopportato in quel preciso momento, Nami cercò di issarsi sulle gambe ignorando la vista offuscata e l’alta rotazione che le annebbiava il senso dell’equilibrio, ma cadde a peso morto tra le braccia robuste del cyborg.

Voleva divincolarsi e fuggire, nient’altro.

L’ultima sensazione percepita si concretizzò in una prestante rabbia, poi più nulla e perse i sensi.


~


_ Ma non vi ha detto nulla? _ domandò allarmato il biondo.

Franky si colse sprovvisto di una risposta esaustiva e l’archeologa subentrò in soccorso: _Aveva caldo, nulla di più. _

_ Che abbia la febbre? _ sentenziò interrogativo il cecchino accostandosi al capezzale di Nami.

_ Vado a cercare Chopper? _ si offrì il musicista.

_ Non credo abbia la febbre! _ esordì il cyborg _ Non ne capisco molto, ma quando l’ho presa in braccio era gelida. _

Usopp lo guardò di sbieco incalzando: _ Ma sta sudando tantissimo! _

_ Non ha senso che vai, Brook! Saranno quasi di ritorno… _ parlò Sanji stringendo le labbra.

Erano tutti concitati e in ansia esprimevano il rispettivo punto di vista per analizzare la situazione in attesa del medico di bordo, tutti accetto il capitano. Con il cappello saldo sulle proprie cosce, Rufy silenziava seduto sul bordo del letto ove avevano adagiato il corpo privo di sensi della navigatrice, proprio nella sua stanza dell’ostello.

Visto l’appuntamento che si erano dati, non avrebbe avuto senso portarla direttamente all’infermeria della Sunny per poi perdere tempo alla ricerca dei due componenti ritardatari.

_ Ha qualcosa sul collo, sotto la mascella! _ esclamò Robin incrociando le braccia sotto i seni.

Il gruppo si voltò a guardarla incuriosito e spaventato, per poi tornare ad osservare la compagna dormiente.

In quell’esatto punto segnalato, diramandosi poi verso la base del collo, le vene della ragazza sembravano gonfie e turgide d’uno strano colore bluastro e con il trascorrere del tempo l’anomalia si allargava sotto la pelle come fosse la causa di un qualche fiele.

Nessuno proferì più parola mortalmente atterriti e la loro attenzione fu catturata da un suono di passi e zoccoli lungo il corridoio che collegava le camere.

In vistoso affanno, Usopp si gettò fuori dalla stanza lasciando la porta aperta alle proprie spalle e il resto della ciurma poté distintamente sentire l’evolversi di quell’incontro.

_ Chopper!! Corri, abbiamo un problema! _ trillò il cecchino dopo un breve momento di silenzio generale.

_ Cosa succede?! _ gridacchiò il medico immediatamente sull’attenti.

Non ci furono altre conversazioni poco funzionali alla celerità richiesta dalla situazione e il camminare dei compagni si affrettò al limitare di una corsa.

Al seguito del cecchino, fecero il loro ingresso il verde e la piccola renna che sgranò gli occhi rizzando il pelo. Lo spadaccino, sembrò non orientarsi immediatamente tra quelle quattro mura che ormai già conosceva e si presentò con un’espressione guerriera in volto.

Chopper iniziò subito a visitare la paziente con meticolosa attenzione e prese a fare le domande di rito al resto dell’equipaggio mentre Rufy si sollevò dal materasso per mettersi a disposizione per ogni aiuto.

Quando l’occhio pece cadde sulla navigatrice però, Zoro sbiancò di colpo e gli sembrò di sentire ogni sua certezza sgretolarsi sotto quella visione ignobile. Cercando di comporsi imperturbabile, tacito si affrettò a cercare un posto in disparte dove assistere in attesa della diagnosi, il capo chino e i pugni serrati convulsi.

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Capitolo 9
*** Romantico ***


Di momenti per stare insieme ne abbiamo sempre avuti pochi e dal sapore fuggiasco. Abbiamo sempre dato priorità al rischio di essere scoperti piuttosto che al desiderio della nostra unione e gli atti carnali sono sempre stati sbrigativi come un pasto frugale consumato in piedi prima di riprendere con lo scorrere della vita normale.

Io stesso ho sempre saputo di volere di più, così come lei, ma la logica ci ha sempre imposto ai ranghi dell’inevitabile clandestinità alla quale ci siamo obbligati per anni. Ho lottato per tante cose, ma mai contro di lei.

Me lo ha chiesto e con lo scorrere del tempo mi sono abituato a questo costume come una fiera alla gabbia: mai piegato, ma era diventata parte di me.

Mi sono scoperto amarla come non mi era mai capitato prima e avrei inconsciamente voluto abbandonarmi a questa novità emotiva che mi ha travolto, ma il suo voler nascondersi ha bloccato il nascere di ogni impulso.

Mi chiedeva attenzioni, per poi ritrarsi quando non riteneva opportuna una mia iniziativa e questo mi ha dapprima mandato in confusione che è divenuta poi rabbia, quella che ci ha distanziati.

Non sono capace di mutare così la mia personalità, non come è in grado lei, e ho preferito rintanarmi nella freddezza.

Chissà se potrà perdonarmi.

Non ho mai preteso che comprendesse; in fin dei conti sono io quello complicato, così mi ha sempre detto.


_Questo è quello che è successo! _ sento esclamare Chopper a denti stretti.

_ Puoi fare qualcosa? _ domanda il mio capitano, non per mancanza di fiducia nel nostro medico di bordo, ma un parere alternativo avrebbe potuto aprirli ad altre prospettive.

Lo sento inspirare profondamente e mettermi una mano sulla fronte forse per valutare la mia temperatura corporea. Trafalgar Law sta prendendo tempo.


Ricordo nitidamente quella volta che ha cercato di dirmelo.

Faceva caldo, non so se per la temperatura dell’aria o se per l’amplesso che ancora mi stuzzicava i lombi, ma il suo corpo avvinghiato al mio fianco non dava lo stesso fastidio di quell’unico lenzuolo aggrovigliato fra di noi.

Avevo entrambe le braccia incrociate dietro al capo e mezzo busto sorretto dal cuscino contro lo schienale del letto. I suoi capelli mi solleticavano l’ascella, lo zigomo appoggiato contro il pettorale, il suo profumo mi inebriava le narici e una mano mi carezzava lesta l’addome.

Era la pace dei sensi e un momento che avrei voluto non trovasse mai fine.

Mi guardò in volto e sicuro avevo una faccia da ebete come ho sempre accusato essere il cuoco, ma ugualmente non stirai le labbra e le lasciai ricurve in mezzo alle guance.

Le sue carezze erano corse sul mio petto e un piede si era artigliato al mio polpaccio mentre mi scrutava con quei suoi occhi vispi. Ricordo di essermi domandato quale pensiero le stesse scorrendo nella mente per riflettersi in quelle pupille con così tanta luce.

_ Ti piace? _ aveva domandato rallentando le carezze con fare più sensuale.


Il chirurgo è sempre stato di poche parole, ma qualcosa mi dice che è turbato. Lo sento.

Così come lo hanno capito i miei compagni, tutti raccolti nell’infermeria in silenziosa attesa in quel momento che avrei potuto definire catartico.

Per l’appunto, Law non si esprime e inizia a visitare il mio corpo dormiente. Percepisco ogni tocco tecnico e, da quanto sono riuscito a scoprire e capire nei giorni precedenti, controlla anche i macchinari a me attaccati per monitorare e sostenere i parametri vitali.

Infine si esprime: _ E’ stabile! _ e lo esclama come ne fosse sorpreso.

_ È un male? _ domanda Robin che probabilmente ha colto la stessa incertezza che ha suonato ai miei timpani.

_ Non è una stabilità costante. Il cuore sembra cedere, ma poi si riprende e va avanti così da un lungo lasso di tempo, a quanto mi hai detto. _ risponde il chirurgo rivolgendosi di sicuro alla piccola renna.

_ È questo che non capisco! Sembra in un limbo… _ Chopper da forza alle parole del collega.

_ Avanti, spiegati! _ esplode Franky meno incline alla delicatezza, persino di me.


_ Perchè me lo chiedi? _ mi vien da ridacchiare al ricordo di essermi sentito vagamente sotto attacco, se pur quella domanda non sembrava celare altro che innocenza.

_ Beh… _ aveva sbattuto le lunghe ciglia e intensificato lo sguardo da cerbiatta _ a me piacciono!_

Sì, ero decisamente in procinto di subire un’inquisizione e mi ero ritrovato incapace di rispondere.

Ero stato colto da un lieve sobbalzo quando era scattata prona a puntellarsi con i gomiti e aveva gonfiato le guance: _ Oh andiamo, Zoro!! Non mi fai mai le coccole! _

L’unica mia reazione era stata quella di schiudere la bocca interdetto e cercare di silenziare gli allarmi che risuonavano nel cervello e non mi permettevano di ragionare.

Mentre osservavo i suoi occhi diventare gradualmente più irosi con il persistere della mia mal celata omertà, riuscii a formulare mentalmente una frase: _ Abbiamo appena fatto sesso! _


_ Devo fare qualche altra analisi. Quelle che mi avete dato sono troppo vecchie e in base ai risultati potrò valutare per una diagnosi. _ Law cercava di far comprendere le proprie impressioni ai Mugi.

Devo ammettere che inizio a stancarmi di questa situazione e quasi spero che il nostro nakama si dia una mossa a sistemarmi, così come di certo tutti i presenti.

_ Lo abbiamo visto in situazioni ben peggiori e si è sempre ripreso più velocemente di quanto ci si potesse aspettare. _ commenta Usopp capace di analizzare la situazione e dando voce al pensiero dei compagni.

_ C’è qualcosa che non ci dici? _ chiede Sanji e la sua voce mi sembra preoccupata.

Per me?!


_ L’amore. Abbiamo fatto l’amore, Zoro! _sottolineò lei con una vena tagliente.

Quella parola mi aveva punto sul vivo, come se faticassi ad accettarla. Cosa importava come lo definissi? L’essenza di quello che eravamo non sarebbe cambiata per una definizione da puntualizzare, ma sembrava così inspiegabilmente importante.

_ Va bene, come vuoi… _ risposi in un sospiro.

Lei travisò la mia incertezza e si era spazientita ancora di più: _Perché non riesci ad essere un po’ romantico? _

Una frase che aveva fatto male, più di quanto avrei ammesso a me stesso e mi ritrovai d’un tratto seduto eretto con lei più distante e un cipiglio nella voce: _Cosa ti aspetti da me?! _

_ Che dimostri qualche emozione! _ si era accanita raccogliendo il lenzuolo sui seni come se celare la propria nudità sancisse la serietà di quella conversazione, come se non l’avessi stretta a me pochi minuti prima.

_ Sentila! Mi credi così idiota? Credi che non faccia caso a quello che succede tutti i giorni? _avevo risposto velenoso. Non ci riuscivo. Non capivo.


Ascolto Trafalgar soffiare in risposta e il suono che sancisce il mio battito che rallenta: _Ragazzi, fatemi fare il mio lavoro. Mi avete chiamato per questo. _

_ Torao!_ lo chiama il mio capitano e tanto basta.

La presenza autoritaria di Rufy è un qualcosa che ancora oggi mi stupisce. Siamo cresciuti tantissimo da quel primo giorno, quando ci siamo conosciuti. Ha dato prova un numero di volte incalcolabile della sua imbecillità, ma altrettante volte si è rivelato meritevole della fiducia di tutti noi.

_ Per prima cosa bisogna collegarlo all’ossigeno. _ si sbilancia Law, professionale.

_ Cosa?!_ subito Chopper si allarma, lui sa.


_ Cosa dici?_ aveva esclamato lei con le mani sempre più strette al petto quasi le dolesse.

Non lo vedevo, il male che le stavo facendo.

_ Ti cerco ogni giorno! E ogni volta che incrocio i tuoi occhi, tu ti giri da un’altra parte! Cosa potrei mai pensare eh?! _ le ho vomitato addosso tutta la mia frustrazione senza ascoltarla veramente. Chiedeva sempre e per me non erano altro che capricci.

_ Ma… quella è un’altra cosa! Ora siamo solo noi e tu… tu… _cercava di spiegarsi con urgenza.

_ Io non ce la faccio, Nami! Non sono come te! _

_ E con questo cosa vorresti dire?? _ aveva rizzato le spalle orgogliosa.

Adoro quando fa la guerriera. È quella forza che fa coppia con la mia.

Non ho mai voluto che si sentisse giudicata, ma lei è in grado di plasmarsi agli eventi e ad adattarsi alle situazioni, mentre io mi ci schianto. Certamente, quello che si fa male sono io e non mi aveva mai interessato cambiare questo modo di fare, ma per lei lo avevo rivalutato.

Nel tempo ho cercato di scolpire le mie abitudini ed avvicinarle alle sue. Sono arrivato ad annullarle e a fare esattamente quello che lei avrebbe voluto, per una speranza. Per quell’unico spiraglio di possibilità che non si allontanasse da me.

Ma ho sbagliato ancora, dannazione.


_ Non ti sembra esagerato? Respira normalmente, credo! _ trilla Chopper in cerca di spiegazioni.

Un fruscio di vesti mi suggerisce che anche i miei compagni siano inquieti e qualcuno sposta il peso da una gamba all’altra, incerto sul da farsi.

_Dottore, non te ne sei accorto? _ domanda ancora Trafalgar.

_ Cosa? _ incalzano all’unisono Usopp e Franky.

Lo scheletro da loro man forte: _ Parla! _

Richieste imperative che sembrano non turbare il chirurgo che si avvicina nuovamente a me. Lo sento afferrare un lembo di pelle della mia coscia con indice e pollice e stringere. Fa male e mi prudono le mani, vorrei mollargli un pugno.

_ Vedete? _ mormora criptico.

_ Questo lo so. _ bofonchia la renna riluttante a quel trattamento e si affretta a fargli liberare la presa con una zampata.

Gliene sono grato.

_ In una condizione normale, il suo corpo avrebbe mostrato una qualche reazione istintiva. Anche solo un’espressione corrucciata. Bisogna intubarlo per prevenire un collasso dei polmoni e devo farlo alla svelta._ continua Law imperterrito e incurante della protesta del medico.

_ Maledizione, non capisco! _ ringhia il cuoco decisamente nervoso.

Posso immaginarli, retti nell’attesa e nello sforzo di controllare le rispettive emozioni.

Trafalgar prende tempo, ancora. Quasi non volesse proferire quelle parole che tutti temono e che, dentro di sé; Chopper inizia a realizzare.

Trattiene il fiato Law, poi lo dice: _È in coma! _


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Capitolo 10
*** Brusco risveglio ***



La medicina non è altro che il risultato di studi scientifici sulle prodezze della natura e ad esse Chopper aveva deciso di affidarsi.

I sintomi della paziente erano contrastanti e nella loro unione non fornivano una spiegazione sensata da poter proferire una sentenza obiettiva. Spremendosi le meningi per l’intero pomeriggio, il medico era giunto alla conclusione che Nami potesse essere stata attaccata da un singolare male dell’isola e proprio dalla sua flora sperava di ricavare una medicina. Spesso i luoghi dove si celano virus e malattie conservano anche la loro cura, basta saperla cercare.

All’imbrunire, Chopper organizzò tre squadre d’azione: sotto precise direttive, Robin e Brook andarono alla Sunny per recuperare determinati sieri e strumenti mentre lui, Franky, Rufy e Sanji si avviarono alla ricerca di infermerie o erboristerie della città ove recuperare informazioni o farmaci; non sapevano bene nemmeno loro cosa cercare, ma la determinazione non mancava.

Usopp e Zoro erano rimasti all’ostello e si limitavano ad osservare impotenti le mutazioni della cartografa in concomitanza del calare del sole.


~


Nel primo quarto d’ora, i due avevano assistito al sonno agitato che aveva colto la loro compagna di viaggio senza sapere cosa poter fare per alleviarle quella agonia.

Chopper non era stato in grado di raccomandar loro nulla di particolare, se non di asciugarle i sudori e monitorare che non peggiorasse. Che poi, secondo quali parametri? Neanche fossero i migliori candidati per capirlo.

Usopp si stava comportando da perfetto infermiere senza allontanarsi da Nami e non le toglieva gli occhi di dosso.

Dal canto suo invece, Zoro si limitava ad un’apparente indifferenza rimanendo steso sul pavimento ad occhio chiuso, precisamente in mezzo ai due letti. Nessuno oltre lui sapeva quanto stesse sforzando ogni singolo senso per captare una qualunque variazione nella stanza. Ogni movimento del cecchino era millimetricamente analizzato e seguito così come quelli di Nami.

Quell’affanno incontrollato che percepiva ad oltranza e quegli spasmi muscolari erano uno strazio e il peggio era il volersi imporre il silenzio e l’immobilità. Doveva ricorrere a tutto il suo autocontrollo per rimanere impassibile e il suo unico sgarro celato stava nei tendini infidamente tesi al limite dello squarcio.

Non la guardava, non ne aveva la forza o avrebbe perso quell’austerità. In fin dei conti, non avrebbe potuto far nulla di più di ciò che già stava tentando Usopp.

In un atto di clemenza verso i suoi stessi nervi, decise di agire e lo annunciò al compagno con voce roca: _Prendo una boccata d’aria! _

Il giovane dai capelli corvini e ricci ebbe appena il tempo di sollevare il capo e cercare lo sguardo dello spadaccino in risposta al suo muto perché, che intravide le poderose spalle avvolte nello yukata smeraldo oltrepassare la soglia e avviarsi nel corridoio.

Non ebbe tempo di chiamarlo o farsi altre domande in quanto la sua attenzione fu nuovamente catturata da un colpo di tosse della ragazza a lui vicino e si concentrò su di lei. Le condizioni di salute erano chiaramente mutate in un lasso ridicolmente breve.

Con le sopracciglia aggrottate per la tensione, si affrettò a sollevare il capo di Nami nel tentativo di aiutarla nell’espettorare quel rivolo di saliva che calò dalle labbra e la guidò per riaccomodarsi sul cuscino.

Con la stessa cura, le rinfrescò la fronte con un fazzoletto intriso d’acqua e tentò di asciugarle il sudore dal viso prendendosi tempo per studiarla.

La condizione del suo corpo stava cambiando, ma non era in grado di determinarne la natura. Dal momento nel quale la ragazza era stata portata da Franky e Robin all’ostello sino a quando la ciurma si era nuovamente divisa, Nami aveva sviluppato degli strani effetti collaterali sulla pelle e le estremità dei suoi arti avevano assunto una tonalità grigiastra che lasciava supporre una difficoltà di circolazione del sangue. Per di più, sembrava che le vene stessero affiorando sui muscoli nella medesima maniera con la quale si erano diramate dal collo e avevano preso piede sull’intera superficie dell’epidermide; il contrasto di quel cupo porpora su di lei.

Un’ulteriore nota di preoccupazione si insinuò tra i suoi pensieri quando la mente lo riportò a Zoro, al timore che avrebbe potuto non tornare indietro da solo. Nella normalità sarebbe già stato un problema, ma ancor più dopo la scoperta di quanto accaduto alla cartografa che sembrava averlo scosso facendolo diventare più schivo e sinistro del solito.

Conosceva bene il suo burbero compagno, da molti anni ormai, ed era sensibile ai suoi cambiamenti esattamente come per i nakama di più vecchia data. Non era una persona solita ad esternazioni superflue e spesso si appartava per non intralciare, ma non aveva mai mostrato un così scarso interesse nei riguardi di un membro della ciurma, anzi. Nella sua singolare maniera, Zoro aveva imparato ad esprimere affetto così come tutti loro lo avevano compreso, ma quella era una nuova sfaccettatura che gli si faceva strada nel cranio spigolosa e aveva un sapore amaro.

Qualcosa non tornava.

Chiaro era che quella disavventura fosse piombata su di loro in maniera inaspettata e aveva destabilizzato tutti, ma nessuno si era tirato indietro dal reagire pro positivamente come avevano sempre fatto. Per l’appunto, molte volte era stato lo spadaccino a rinvigorire l’equipaggio con poche e scarne parole d’effetto e mai aveva traballato sulle gambe dimostrandosi la vera, grande roccia di salvezza sulla Sunny. Anche solo per la sua muta presenza, ognuno di loro sapeva di poter contare su di lui ed Usopp provava una enorme stima nei suoi riguardi.

Quello di Zoro non era un tradimento, un voltare le spalle e lo sapeva perfettamente eppure si sentiva come pugnalato.

Il cecchino si diede dello sciocco e concluse che ogni domanda avrebbe avuto la sua distinta spiegazione e tutto sarebbe tornato come prima, l’importante era che Nami si riprendesse.

In fin dei conti, il comportamento dello spadaccino era ampiamente compensato da tutti i suoi nakama attivi nella ricerca della soluzione per la cartografa e non era il momento per farsi prendere dallo sconforto di una peculiarità così mal creduta.

Dopo circa mezz’ora tra rimugini e cure, Usopp si ritrovò a sbattere le ciglia più volte per focalizzare meglio la vista e concettualizzare quanto stava osservando con il trascorrere dei minuti. Nami stava riacquistando il suo tipico colorito candidamente rosato e, sotto il suo sguardo incredulo, l’anomalia delle vene in contrasto sembravano riassorbirsi pigramente verso la loro origine.

Un anelito di speranza gli infervorò il petto e non poté trattenere le spesse labbra da uno spontaneo sorriso di sollievo.

Non era medico, ma quello sviluppo poteva decisamente essere definito come una miglioria e, lentamente, constatò che l’affanno di Nami stava perdendo vigore regolarizzandosi in un respiro normale.

Con l’animo più leggero, le liberò la fronte dalla pezza oramai divenuta inutile e, prima di rimboccarle le coperte, prese fra i palmi una mano della ragazza assaporando quel rinnovato tepore corporeo che lo tranquillizzò ulteriormente.

Già immaginava il ritorno dei compagni e lavorava con la fantasia alla ricerca di un mitico racconto dettagliato che spiegasse la sua bravura nell’aver risolto il problema, quando notò che il fisico della navigatrice sembrava essere tornato quello di prima, ad eccezione di un cumulo violaceo apparso sempre sotto la mascella.

Senza liberare una presa su di lei, portò due dita alla mandibola e le scostò il capo per vedere meglio: il lobo sinistro era incancrenito da quel solito grigio che poco prima le deformava le estremità e giusto sotto si ergeva un qualcosa di ancora più strano.

Una matassa di capillari di quell’insolito colore dei vasi sanguigni si muoveva a fior di pelle come fosse un nido di vermi pronti ad uscire dal terreno dopo una tempesta e acquistava corpo inspessendosi sempre più.

Interdetto, si avvicinò quasi a sfiorarlo con il prominente naso per capire cosa diavolo fosse quel nuovo abominio e un brivido freddo gli percorse le membra.

Un flebile movimento laterale gli fece roteare le pupille e incastonò il proprio sguardo in quello di Nami sgomento, la presa di lei rispose alla sua e la mano si chiuse attorno al suo palmo mentre una sensazione di dolore gli pizzicò l’arto.

Scostandosi, vide che la ragazza si era destata e lo fissava glaciale.

_ Na… Nami…?! _


~


Tremava di rabbia.

Le braccia abbandonate lungo il costato e le nocche sbucciate che dolevano, un rivolo di sangue che gocciolava ritmico al suolo.

Il fiato grosso e le tempie che pulsavano, Zoro distese le dita alla ricerca di contegno.

Non gli era mai successa una cosa simile. Non aveva mai preso a pugni un muro per sfogare le proprie sensazioni, ma quell’ira che gli gorgogliava dentro aveva preso il controllo della sua coscienza quel tanto da fargli perdere i numi della ragione.

Alla sua richiesta di indicazioni contornata da uno sguardo omicida privo di freni, la grassa proprietaria di quella topaia gli aveva indicato la porta da oltrepassare per ritrovarsi sul retro dell’ostello che dava su uno stretto vicolo abbandonato.

Ivi si era fermato un attimo portando il mento al cielo e aprendo la bocca in cerca di ossigeno per schiarire il cervello con le mani appigliate ai propri fianchi, ma lì qualcosa era scattato.

Un grido furioso gli aveva occluso i polmoni e aveva serrato con forza i canini sul labbro inferiore per zittirlo, ma quello si era liberato nei muscoli esigendo una manifestazione.

Di quanto accaduto dopo, ricordava lucidamente solo i mattoni che si crepavano sotto i suoi colpi e un gatto nascostogli vicino darsi alla fuga terrorizzato, il suono della sua corsa ovattato dalle tenebre.

Si passò una mano tra i capelli per poi portarla a strofinarsi sui calzoni per pulirla e dilatò il petto per inspirare profondamente. Aveva bisogno di tempo.

Tempo per riordinare i pensieri e se lo concesse.

Si gettò con le spalle a quella stessa parete che aveva appena rischiato di sgretolare e lasciò che sostenesse il suo corpo nello scivolare verso il terreno ove si accasciò con un tonfo, i glutei punzecchiarono.

Per un lasso di tempo indefinito e con la testa appoggiata, si beò dei suoni della notte e riuscì infine a regolarizzare il fiato abbandonando ogni tensione più estrema. Si sentì svuotato, stanco come non mai, e quella stessa concretezza lo ridestò; dopotutto era un guerriero e mai si sarebbe abbandonato!

Con uno slancio di addominali e cosce si rimise in piedi, pronto a tornare da lei e s’incamminò a capo chino.

Tornato nei corridoi, riconobbe a se stesso di aver acquistato una familiarità sufficiente con quei luoghi da non fargli perdere la via e si apprestò lungo le scale che conducevano alla camera delle ragazze. In prossimità della stanza, si arrestò di colpo e il respiro venne meno.

I battiti del suo stesso cuore gli rimbombarono nelle orecchie mentre il suo occhio prendeva visione di una figura dinanzi a lui: Nami!

Era lì, sulle proprie gambe ed era sveglia, ma Zoro non riuscì a concedersi il gaudio che si sarebbe aspettato. Con la porta spalancata dietro di sé, lo osservava incessante e con un’espressione che mai le era appartenuta ai suoi ricordi.

Azzardò una parola: _ Hey! _

Non gli rispose e lo guardava con le iridi d’un colorito inedito. I suoi occhi avevano cambiato inspiegabilmente colore e percepì una sensazione di pericolo nell’aria.

Nel notare la sua arma salda in pugno e l’assenza ingiustificata del cecchino domandò: _Dov’è Usopp? _

Come se quel quesito fosse apparso ostile, vide il volto di Nami sfigurarsi in un lampo d’odio e i suoi muscoli irrigidirsi.

L’istinto corse alle sue katane salde in vita, ma non riuscì a compiere alcun gesto che la navigatrice gli fu addosso in veloci falcate furenti.

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Capitolo 11
*** Potere e dovere ***



Incassò il colpo mirato al costato calando repentinamente il gomito alla giusta altezza per pararsi e gli addominali guizzarono sotto lo yukata tesi nello sforzo mentre l’avambraccio tremò fino all’osso. Da quando era diventata così forte?

Nami era sempre stata discretamente abile in combattimento, l’aveva osservata per anni, o perlomeno quel tanto per affrontare ogni avversario che le si era parato dinanzi e dove lei non arrivava erano sempre intervenuti loro, i Mugi. Non si era mai tirata indietro alla lotta e aveva ripetutamente dimostrato il suo valore, ma Zoro era nato per guerreggiare e, oltre al suo capitano, non aveva rivali in ciurma. Eppure quella bastonatala l’aveva sentita eccome…

Come se non bastasse, la cartografa aveva dalla sua una certa velocità che in quel dato momento sembrava essersi incredibilmente raddoppiata tanto che quasi non si accorse del calcio spedito al suo interno coscia sinistro e riuscì a scansarsi il necessario grazie al riflesso incondizionato del corpo quando la coda del suo unico occhio registrò il movimento offensivo.

_Sei impazzita? _ le gridò contro rabbioso, i neuroni in corto circuito incapaci di reazione _Che cazzo ti prende, Nami?! _

La vide assottigliare lo sguardo e quella luce sinistra nelle pupille vibrò purpurea mentre tornava eretta su entrambe le gambe per poi accucciarsi e levare il Clima Attack verso il suo addome.

Zoro si sconcertò nel realizzare che quegli attacchi avevano il fine di ledere i suoi punti vitali. Lo voleva morto.

Ma non reagiva, non poteva. Si limitava a difendersi da quella situazione irreale e lentamente cablava che la letale prontezza della cartografa non sarebbe stata gestibile da uno qualunque, men che meno dal suo ingenuo compagno col naso lungo. _Che fine ha fatto Usopp? _ sibilò afferrandole l’arma ed immobilizzandola con la forza del braccio ancora sano, l’altro lanciava ancora qualche fitta. Voleva una risposta, ma aveva timore di udirla.

Quel suo gesto bloccò sul nascere il tentativo della donna che, acquattata, aveva chiaramente intenzione di intaccare la difesa dell’avversario attaccando dal basso.

Nami schiuse le labbra, quelle labbra che aveva preso in innumerevoli ricordi e dalle quali le sue erano dipendenti come fossero un’ambrosia, ma non proferirono parola limitandosi a dipingersi in una malvagità inaudita tracciata su quel viso dai lineamenti fanciulleschi e dolci che ora non riconosceva.

Fu in quell’istante, catturato in quell’incubo, che focalizzò una protuberanza che le gorgogliava tumefatta sotto la pelle del collo e i percettori tattili della mano serrata rimasero sordi al suo cervello senza poter comunicare la loro percezione di dolore.

Un odore di carne in combustione si liberò nell’aria e quando raggiunse il suo olfatto, Zoro scese a guardare l’estremità dell’asta cava ferma nel palmo dove si levava un sospiro di fumo e il Clima Attack diventava inesorabilmente rovente.

Si ritrovò a sbuffare un riso stuzzicato da quella novità bellica della compagna e le ghignò sadicamente concretizzando il di lei obiettivo: _Mi dispiace ma non ho intenzione di lasciarti andare _ il bastone iniziò a divenire d’un rosso intenso e lo spadaccino sentì l’urgenza di liberarsi.

La sua natura sanguinolenta lo richiamò alle katane, ma la lucidità lo fece agire diversamente scattando in avanti per poterla agguantare ad un lembo dei vestiti: Nami stava tentando di fuggire da lui, non che ne conoscesse il perché, ma non glielo avrebbe permesso.

Non sapeva cosa fare, aveva bisogno dei suoi nakama!

Doveva prendere tempo.

Riuscì nell’acciuffarla dalla maglietta che indossava, non prima che la cartografa si oppose ergendosi nuovamente e roteando l’estremità opposta dell’arma facendola vibrare nell’incavo di spalla e collo del ragazzo, anche lì la clavicola fremette. Maledizione!

_Ti rendi conto di quello che stai facendo, razza di strega psicolabile?! _ tentò ancora di parlarle dopo aver accusato lo spasmo, ma non sembrava di riuscir a far breccia. Quella era Nami, il suo occhio vedeva Nami anche se i sensi gli dicevano che lei non c’era.

Non si era parato, una mano salda su di lei e l’altra ancora che lancinava infervorata. Sciolse la seconda e la portò a metà lunghezza del bastone così da immobilizzarlo del tutto: non era certo contento di incassare a vuoto dato che l’ultimo fendente gli aveva quasi mozzato il fiato. Chiaramente aveva superato di peggio e avrebbe potuto stenderla in mezzo secondo, ma come poteva?

Avrebbe almeno dovuto tentare di farle perdere i sensi e attendere il ritorno della ciurma con una sufficiente tranquillità, ma sentiva di non esserne capace. Le emozioni che gli scuotevano le viscere non glielo permettevano. L’apprensione per il suo precedente malanno, quell’anelito di sollievo nel ritrovarsela di fronte in apparente salute, l’allarme incessante per l’ignota sorte del cecchino e ora la pressione della necessità di combatterla. Troppe contraddizioni che lo frenavano.

_Fermati… _ la voce di Zoro suonò come una rigida preghiera e i canini si serrarono in uno schiocco quando la ragazza gli rispose con una risata acuta e trattenuta in gola _Non obbligarmi! _ continuò sibilante.

Quel canto che lo scherniva, gli sembrava di non sentirne il suono da troppo e gli fece male. I loro trascorsi d’unione che gli divampavano nella mente facendoglieli rivivere con l’antagonista sofferenza del presente.

Dal centro del Clima Attack risuonò un leggero sfrigolio e il metallo prese a diventar più freddo della sua stessa natura fino a congelarsi sotto il tocco dello spadaccino e lo sbalzo termico gli spaccò la pelle in piaghe sanguinolente. Le nocche ancora dolevano, ma la loro percezione svanì in confronto al dolore di quell’eccesso fisico che stava subendo e la bestia in lui iniziò a ringhiare furente. Se c’era una cosa in cui riconosceva di non essere capace, quella era la sua abilità di controllo agli stimoli dello scontro e l’incapacità di gestirne le provocazioni.

Troppa era la frustrazione quando la spostò di peso sbattendola contro la parete del corridoio dove la incastonò con la sua poderosa mole incattivita dagli allenamenti e dalle battaglie passate e la guardò dritto negli occhi sfidandola, cercandola: _Rispondimi, accidenti!! _ la premette contro il muro di legno con più forza di quanto avrebbe voluto, le vene in rilievo a tentare di frenare i muscoli.

Nami sollevò un ginocchio e lo lanciò al fianco dello spadaccino facendogli stridere le costole fino alle vertebre e l’uomo non riuscì a trattenere un lamento finendo col soffocarlo nel petto, le guance gonfie. Le si gettò contro divaricandole a forza le gambe ed entrandole con una coscia impedendole di calciare ancora e spingendola con il bacino.

Quel contatto era solito in ben altre circostanze e il cuore del verde palpitò oppresso.

Il sangue che colava dalla mano assiderata rischiava di fargli perdere stabilità così come i tendini non gli rispondevano più come comandava loro, ma l’attenzione dello spadaccino era completamente assorbita dagli occhi di Nami.

Avevano sempre brillato di gioventù e vitalità ed erano una parte di lei che lo sapeva coinvolgere, ma non riusciva a ritrovarli. La mancanza del tipico caldo color caramello delle iridi era resa ancora più assillante dalla spettralità dentro la quale si specchiava in quel momento. Una cattiveria vitrea e violenta che permeava attraverso quello sguardo inasprito dalle sopracciglia incarognite nei suoi confronti.

La vide scattare il viso verso l’alto e indurire i lineamenti mentre il movimento dei capelli lasciò fluttuare il suo profumo sferzando l’insignificante spazio d’aria che li divideva e stordendolo, quell’odore acro e al contempo zuccherino simile agli agrumi maturi che Nami tanto amava. Forse più di lui…

_ Cosa stai facendo? _ Zoro guardò nella stessa direzione e vide la punta del bastone climatico percependola fremente. Cos’altro aveva in mente? Fuoco, poi ghiaccio e…

Marda!!!

Fece in tempo a vedere le prime scariche elettriche che fuoriuscivano stridendo e d’istinto fece pressione sull’arma della navigatrice facendoglielo cozzare contro con slancio, ma l’espressione di dolore che le vide in volto lo disorientò facendogli tremare il corpo di colpa _Non puoi colpirmi senza rimanerci sotto anche tu! _ le gridò addosso il verde.

Ma il Clima Attack non smise di caricarsi e il panico lo colse spaesato. Balzò indietro felino, facendo schizzare sangue dalla mano ad imbrattare le pareti intorno quando l’oscurità indietreggiò al bagliore del preannunciato fulmine mirato a lui, a dov’era lui, e tuonò nello spazio.

La scarica andò a vuoto sul pavimento lasciandovi un’ombra nera che frizzava incenerita e, di nuovo libera, la cartografa gli si avventò ancora contro facendo arretrare il nakama verso la scalinata.

_Che diavolo sta succedendo lassù? _ una voce urlante e incerta quanto rabbiosa giunse alle orecchie di Zoro dal piano inferiore dell’ostello e in essa ne riconobbe la proprietaria. Voltò il capo sopra la spalla quel tanto per accertarsene e lì commesse un errore che avrebbe potuto costargli la vita.

Tra un battito di ciglia e l’altro, intravide la focosa figura di Nami balzargli al petto e spintonarlo irruente a pie pari con il bastone alto pronto per essere calato, ma il caso volle che la perdita d’equilibrio fu abbastanza per spedirlo oltre il limitare delle scale. Braccio allungato nel vuoto in cerca di un appiglio che non arrivò, l’uomo ruzzolò giù e subito tentò di appallottolarsi per proteggere la nuca, quando nel vorticare vedendosi come in una centrifuga sentì la Shusui sfuggire alla custodia del fodero e celere si mosse per riportarla al giusto posto facendo disordinatamente e a tentoni pressione sull’elsa. Pagò il prezzo di quella necessità con una botta assordante alla testa e vide buio per una manciata di secondi prima di crollare esattamente addosso all’enorme donna che, almeno nello schianto finale, suo malgrado gli attutì la caduta.

Le orecchie gli fischiarono trapanandogli i timpani e l’occhio buono sbatteva allarmato cercando via di fuga dalla sorte di cecità che aveva già colto il gemello. Avambraccio, spalla, mano, torace e capo già sapeva che gli dolevano, ma il resto del corpo si lamentava in egual misura e le membra gli pulsavano lapidarie. I sensi ben sviluppati negli anni però non lo tradirono.

Sentì dei passi affannati precipitarsi sugli stessi gradini assassini che poco prima lo avevano ospitato e la vista ancora sfocata gli individuò il proprietario: Nami stava scappando.

_Asp… aspett… ! _ con l’ambiente che gli ballava intorno, Zoro tentò di alzarsi per fermarla e quando si ritrovò a carponi pronto ad ergersi, la rossa gli passò di fianco regalandogli un’ ultima carezza delle sue. Bastone climatico ben saldo, una sventola metallica lo prese al livello della mascella e lo rimandò a terra gettandogli la testa indietro.

Di nuovo a terra, non si arrese dal chiamarla _ N… Nami… _ ma non riuscì a farsi sentire, gli mancava il fiato.

Supino, piegò in alto e focalizzò la grassa donna priva di sensi ad appena un metro circa di distanza da lui oltre la quale vide la sinuosa schiena della compagna schizzare via e sentì il bisogno di andarle dietro, ma era troppo intontito dalla serie degli ultimi eventi per usufruire della sua solita solerzia.

Non si era voltata a guardarlo nemmeno per un secondo.

Emotivamente al collasso, sospirò stremato al soffitto.

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Capitolo 12
*** Il degenero degli eventi ***


ANGOLO DELL’AUTRICE

E niente, sono vergognosa.

Ciao a te che hai aperto questo capitolo e mi stai maledicendo per il ritardo con il quale, per l’appunto, ti ritrovi a farlo!

Ragazzi non so come chiedere scusa, ma per sfortuna (in realtà fortuna) la vita al di fuori di EFP sta andando una meraviglia e sono imballata di impegni e mi si è perfino alzata la pressione e io non ho mai avuto la pressione alta e non ho più un momento e sto scrivendo troppe e… e devo respirare!

Ricomincia: Ciao a tutti!! Finalmente ci avviciniamo al succo vivo della storia e il tutto inizia a prendere forma, ma amo farvi stare sulle spine muahahah…

Nel prossimo capitolo ci sarà l’inizio della resa dei conti, poi di nuovo ci catapultiamo nella testa da alga di Zoro e poi i due lati del racconto avranno un punto d’incontro e si uniranno, divenendo una trama unica!

Spero che il tutto continui a piacervi e di soddisfare le vostre aspettative, sono la priorità per me!

Vi ringrazio per la tenacia nel seguirmi e, come sempre, le recensioni sono attese e ben accette!

Bacioni a tutti e buona lettura!!


Arcadia











_ Uffa!! Non ce la faccio più! _ si lagnò il moro mostrando la lingua e un volto platealmente stravolto. Da cosa poi, nessuno lo avrebbe capito.

Delle volte, Franky si ritrovava a domandarsi quante fossero le personalità che albergavano nel suo capitano dato che mai smetteva di stupirlo in un senso o nell’altro, comportandosi in maniere apparentemente incompatibili nella coesistenza di un solo individuo.

_ Rufy muoviti, continuiamo a cercare! _ lo esortò il cyborg speranzoso di convincerlo. Invero, lo vide gettarsi seduto per terra (in mezzo alla strada, tra l’altro) e soffiare con un respiro pesante che di credibilità non aveva nemmeno l’ombra.

Non era trascorsa nemmeno un’ora da quando il dottore li aveva spediti per i vicoli della città alla ricerca di erboristerie o simili e ben ricordava l’entusiasmo ormai evidentemente consumato del lì presente capitano, il quale si era rimboccato le maniche ed era partito a perdifiato senza preoccuparsi d’attendere il suo compagno di ricerca. Lui per l’appunto.

_ Maledizione! _ come (?!) si arrendeva? _Ormai non c’è più nulla di aperto! _ quelle parole strette tra i denti di Rufy sembravano così amare.

Il carpentiere lasciò scorrere lo sguardo lungo la via principale nella quale stavano giusto sostando e dovette conferire che non c’era una sola serranda aperta a dar loro un briciolo di speranza. Oramai era buio e si era fatta notte, ma non potevano permettersi di demordere e se necessario avrebbero svegliato tutta la cittadinanza: _ Dobbiamo insistere! Chopper conta su di noi e Nami… _

_ Non ho detto di fermarci! _ lo interruppe subito il ragazzo sbattendo le mani sulle ginocchia per incitarsi.

Franky non poté fare altro che sorridergli complice e tendergli la grossa mano metallica per aiutarlo a rimettersi in piedi.

Quando Rufy terminò di scrollarsi la polvere dai calzoni, risollevò lo sguardo rispondendo all’espressione decisa del nakama, per poi essere catturato da un dettaglio nascosto dalle sue larghe spalle e sporgersi per scrutare meglio l’orizzonte frastagliato dalle sagome delle abitazioni.

_ Che cos’è? _ domandò affilando la vista.

Il cyborg si voltò e lo seguì con gli occhi.

Un alone rossastro e vibrante si condensava in lontananza e sembrava incattivirsi sempre di più nell’aggredire le tenebre della notte.


~


_Certo che Chopper è veramente ordinato yoho… _ commentò tra sé lo scheletro, preso nel guardarsi attorno con fare indagatore. Portò una spigolosa falange a grattarsi il capo ispido e spostò le cavità oculari sulla donna presente nella stessa stanza, non che si aspettasse una vera risposta a quella osservazione e aggiunse: _Tu sai dove mettere le mani, Robin? _

Difatti, l’archeologa non si scompose e sembrò ignorarlo piegando il busto verso un mobiletto del quale già aveva aperto le sottili ante di vetro inciso prendendo a rovistarci dentro con delicatezza. Ne riemerse qualche secondo dopo regalando a Brook un leggero sorriso ad addolcirle i lineamenti severi: _Basta leggere le etichette e riconoscere i nomi dei farmaci che il dottore ci ha chiesto. _

Il musicista sbirciò veloce il foglietto che teneva stretto nella mano lasciata lungo il busto e se lo portò al volto afferrandolo con entrambi gli arti ossuti. In fin dei conti era facile! La scrittura di Chopper era chiara e vagamente tonda, quasi a ricordare la morbidezza del suo stesso animo fanciullesco ma quei nomi erano un qualcosa che sembrava appartenere ad una qualche lingua morta che nemmeno lui, sapiente della propria longevità, avrebbe potuto riconoscere: _Vuoi rileggerlo, per caso? _

_No grazie! _ fu celere a rispondere Robin _ Ho già memorizzato tutto! _

La donna afferrò scrupolosamente una boccetta voltandola per leggerne il contenuto, la depositò dove l’aveva trovata e ne prese un’altra per il collo e poi un’altra ancora, continuando così per poi sentire i passi leggeri dello scheletro che ricominciava a darsi da fare nella ricerca.

Assorto nell’ammirazione per l’efficienza mentale della nakama, Brook si apprestò agli scaffali dell’infermeria dove svettavano fiale osmotiche, sacche di soluzione salina, confezioni di aghi d’ogni dimensione, garze sterili e bendaggi vari. Un po’ spaesato e incerto, ricominciò a compiere gli stessi accurati gesti della compagna sino a quando fu felice di lasciarsi in una piccola esultanza: _Yohohoho!! Ne ho trovato uno! _ e sollevò il bottino al soffitto con fare vittorioso.

Robin gli si fece vicina con il suo passo ancheggiante e se solo il canterino avesse avuto un sistema circolatorio e l’epidermide, avrebbe dovuto nascondere il rossore che sicuro si sarebbe concentrato sulla sue guance. Lei era d’un fascino autenticamente enigmatico.

Gli posò una mano sulla spallina della giacca e osservò la medicina che stringeva in pugno: _Bravo! _ e gliela prese per adagiarla nella piccola scatola dove altri gemelli la stavano aspettando.

Il musicista spuntò mentalmente la lista ed entrambi si rimisero al lavoro, ne mancavano solo più due.

Un frastuono improvviso se pur lontano, fece scattare entrambi i capi ritti sul collo e i due Mugi si guardarono interrogativi per un brevissimo lasso di tempo. In silenzio, tentarono entrambi di riconoscere quel suono che tanto assomigliava ad una campana impazzita poi Robin prese l’iniziativa e si diresse spedita sul ponte.

_Che cos’è? _ chiese retoricamente lo scheletro una volta raggiunta.

La Sunny si muoveva placidamente seguendo il movimento catartico dell’oceano e nel tempo che loro avevano trascorso al chiuso, la notte era calata e nuvole tetre si erano condensate ad oscurare il firmamento. Oltre il parapetto del ponte, verso la terra ferma, la cittadina sembrava in tumulto e grida concitate giungevano alle loro orecchie trasportate dal lieve soffio del vento.

Il tumulto era ritmato dal chiaro urlo dell’allarme della città che si scatenava come fosse in procinto una catastrofe e nell’esatto punto dall’abitato dal quale Robin e Brook si erano incamminati prima di raggiungere la nave, si stagliava una flebile cupola di calda luce aranciata.

I cuori dei due pirati presero ad accelerare.


~


_ È un arbusto di piccola altezza, più o meno come me, e ha una foglia corta e panciuta con venature evidenti. _ precisò acuta la renna immergendo il muso nella vegetazione che li circondava.

_ Non si vede un accidente! _ farneticò Sanji aguzzando la vista che la luce scaturita dal suo accendino mantenuto alto non aiutava a sufficienza _Come cavolo faccio a trovarlo?! _

Il cuoco non era uno che amasse perdersi in sterili lagne e mal sopportava i suoi stessi nakama che, suo malgrado, spesso gli assillavano le orecchie proprio con quell’abitudine, ma non poteva far a meno di maledirsi per non aver avuto la lungimiranza di munirsi d’una torcia o simili.

Poco gli importava dei piccoli segni che qualche ramo gli stava lasciando sui suoi preziosi e innati strumenti di cucina e affondava le mani alla semi-cieca accucciato nel sottobosco: _Ma tu ci vedi?! _ chiese sconsolato dopo l’ennesimo tentativo andato a vuoto.

Chopper si prese la libertà di concentrarsi in qualche altra annusata prima di rispondergli : _Ti ricordo che gli animali non hanno problemi al buio e anche se fosse ho il naso che mi aiuta! _

Il naso?! Si chiese il ragazzo che, colto da una disperata speranza, non si sentì poi tanto ridicolo nel tentare di dilatare le narici e saggiare la propria capacità olfattiva. Vi rinunciò in fretta quando l’unica percezione riconosciuta si rivelò la tipica umidità dell’aria satura d’ossigeno delle piante.

_ Se ti può aiutare ha un sentore che ricorda la manuca. _ continuò il medico conscio di non poter essere più utile _ E le radici svettano un po’ dal terreno. _

Sanji gli lanciò un’occhiata furtiva e ne intravide la sagoma col collo basso e le corna che si muovevano nel verde: in quella forma, Chopper sembrava proprio un erbivoro al pascolo! Non si perse d’animo e dopo essersi passato una mano tra i capelli paglierini riprese a scostare felci e alberelli con un inizio d’ansia nel petto.

Per una manciata di minuti, gli unici rumori dell’ambiente rimasero i loro scarni passi strascicati e il fruscio della selva che si apriva alla loro rispettosa presenza poi, dal nulla, un nuovo odore raggiunse il tartufo del dottore e il fatto che non sarebbe dovuto appartenere a quel luogo lo allertò non poco.

Subito il suo istinto animale gli tese i muscoli e dovette frenarsi dal correre nella direzione opposta dal quale il pericolo sembrava provenire.

Il lato umano, invece, gli suggerì per scrupolo di cercare l’attenzione del suo nakama e razionalizzare i pensieri: _Sanji stai bruciando qualcosa? _ gli domandò con malcelata calma che all’altro non sfuggì.

Il giovane si erse sulle snelle gambe e rispose con espressione interrogativa: _Solo la sigaretta ! _ esclamò stringendo il filtro che si era appena portato alla bocca per calmare i nervi e ritirando il fuoco con in quale ne aveva appena acceso l’estremità opposta.

_ No, non è quello… _ commentò la renna calando il muso, attento.

Sanji gli lasciò qualche secondo per poi incalzarlo: _Cosa senti ? _

Riconobbe nell’oscurità il capo di Chopper che scattò volto oltre il bosco, in direzione dell’abitato dal quale erano giunti.

_ Fumo ! _


~


Poco prima…

Saggiò lo stato della mandibola muovendola lateralmente, spalancando la bocca in espressioni che lui stesso, in un altro contesto, avrebbe definito assurdamente comiche. Schioccò la lingua sul palato e serrò le labbra in una smorfia quando realizzò che nonostante il dolore, avesse completa facoltà motoria del proprio corpo.

Strinse i pugni e lo sguardo cagnesco fisso al soffitto si alimentò si nuova rabbia mentre il torace non sembrava voler smettere di alzarsi e abbassarsi istericamente.

Quello non era lui, quello non era Zoro!

Doveva riprendere il controllo e seppellire le emozioni che lo stavano dilaniando dentro, ossigenare il cervello e pensare. Si sollevò col tronco e si mise seduto attendendo per qualche secondo che il mondo smettesse di vorticare.

Un flash: Usopp!!

Repentino, si rizzò in piedi e fece per correre nuovamente su per le scale quando un grido proveniente proprio dal piano superiore lo arrestò un attimo.

_ AL FUOCO!!! _

Realizzò immediatamente: Il fulmine di Nami! e si precipitò verso quel lieve bagliore che già stava incenerendo il pavimento in legno.

Analizzò veloce la situazione e cercò di capire se fosse possibile soffocare l’incendio prima che nascesse, ma le assi divampavano velocemente e parti di esse erano già tizzoni che si aprivano in squarci verso il piano inferiore.

Lo spadaccino sollevò lo sguardo e lo incrociò con il terrore di alcuni ospiti dell’ostello che si erano catapultati nel corridoio e ora sembravano paralizzati dalla paura: _ Che cazzo fate lì impalati?! Fuori!! _ ruggì perentorio con annessa la peggio faccia demoniaca che riuscì a fare.

Questi sobbalzarono come conigli per poi perdersi nel panico e iniziare ad oltrepassarlo di corsa, qualcuno gli diede pure una spallata e dovette farsi violenza per non girarsi e mollargli un pugno in mezzo agli occhi.

Denti stretti e tensione in ogni membra, Zoro si diresse dalla parte opposta alla salvezza e si incespicò fino ad entrare nella stanza di Nami. Il fumo già opprimeva l’aria e si chiese quanto diavolo velocemente potesse divampare un rogo; poi cercò con l’occhio la figura del cecchino.

Lo trovò subito.

Usopp era riverso a terra privo di sensi, vicino al letto che aveva ospitato i deliri della cartografa e un rivolo di sangue fuoriusciva da un vistoso ematoma sulla tempia.

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Capitolo 13
*** Riscossa ***


ANGOLO DELL’AUTRICE

Buon salve a tutti,

io avevo giurato che non avrei abbandonato questa Fic e sto tentando di rispettare le mie stesse parole. Le tempistiche sono un’altra questione…

So che una Long non aggiornata costantemente possa stufare, ma mi auguro che ugualmente possa soddisfare le aspettative di chi, nonostante la mia vergogna, decida di continuare a seguirmi.

In fin dei conti scrivo per me, ma pubblico per voi quindi mi auguro davvero che possa essere soddisfacente.

Questo è un capitolo di “passaggio” che doveva esserci, ma nel prossimo si entra nel clou della trama e tutto inizierà a prendere senso , spero heheh…

Un abbraccio virtuale!

Arcadia






Gli occhi lacrimavano e i polmoni stavano bruciando assieme all’aria stessa di quella maledetta stanza, ma il suo intero essere era pregno di quell’urgenza viscerale che non gli faceva pensare lucidamente.

Non poteva fermarsi, non doveva!

Per un assurdo momento, il cervello gli suggerì lapidario di scarnificarsi la pelle pur di liberarsi da quel bruciore insopportabile, ma chiaramente fu il delirio istintivo di un momento.

Aveva imparato da tempo ormai ad anteporre il dovere a qualunque altra esigenza e, in quel preciso istante, la priorità era la salvezza del suo compagno lì,inerme al suolo. Privo di sensi, Usopp stava rischiando di inalare troppo fumo nonostante questo tendesse a salire verso il soffitto; Zoro sapeva che privi di conoscenza non si era in grado di regolare il respiro come lui stesso stava facendo.

Imperterrito, lo spadaccino avvolse i canali respiratori del nakama con la sua inseparabile bandana verde e si coprì egli stesso naso e bocca con la cinta di tessuto salda in vita. Con quelle necessità cui adempiere, lo yukata si sarebbe rivelato più un intralcio che una protezione dalle fiamme così se ne liberò di slancio.

Subito sentì anche la pelle del busto surriscaldarsi e iniziare a grondare sudore nel disperato tentativo di preservare l’intero organismo, ma anche quello passò in secondo piano così come ogni altra sensazione fisica.

Aveva da sempre trovato incredibile quell’abilità del suo corpo: quando l’essere infuriava il materiale sembrava annullarsi per fargli spazio. Capitava durante le battaglie, le risate delle feste, le emozioni forti che faticava a controllare e non era così semplice da razionalizzare tale processo con la semplice affermazione: “adrenalina!”

Gli era capitato anche poco prima quando non si era accorto del maledetto bastone climatico che gli arroventava la mano, gli era capitato con lei. In così tante occasioni a dirla tutta…

Scrollò il capo come un animale e si riscosse tornando a concentrarsi sul moro per caricarselo addosso. Lo spostò appena in tempo che un tizzone incendiato cadde dall’alto nel punto esatto dove giaceva e concretizzò l’importanza di muoversi con maggiore fretta. Il peso del cecchino non gli gravava minimamente sulle forti spalle, il capo abbandonato con la fronte contro il suo addome e colava sangue insozzandogli i pantaloni, Zoro si guardò velocemente intorno.

Mosse i primi passi decisi, ma in un boato il pavimento dinanzi al tragitto crollò su se stesso e dalla voragine si scatenarono le più immense e torride fiamme che ebbe mai avuto modo di vedere. Dalla parte opposta a quell’inferno, la sua via di fuga iniziava a cedere assieme all’intera infrastruttura.

Mai avrebbe immaginato che un incendio fosse capace di provocare quel fracasso: il rumore del fuoco che divorava ogni cosa era assordante e capace di incutere timore anche in un uomo come lui, pronto a tutto da sempre.

Lo scricchiolio del legno che collassava tutto intorno e il sangue che pompava nelle vene ribollendovi dentro, un’unica possibilità di salvezza farsi strada nelle membra.


~


Assurdo come tutto il marasma intorno fosse ampiamente surclassato dal martellare dei loro cuori che rimbombavano nei timpani. L’essere catapultati improvvisamente in una circostanza di allarme e immediato pericolo per tre dei nakama dei quali non conoscevano le sorti li stava sconquassando dentro.

_ Che diavolo è successo?! _ ringhiò Sanji prendendo per la collottola uno dei fuggiaschi, probabilmente anch’egli un ospite dell’ostello che stava andando in cenere di fronte agli occhi dell’intera città. Il poveretto, già shockato dall’essere appena scampato ad un incendio mortale, quasi svenne di fronte all’espressione ringhiante del biondo sconosciuto che sembrava in procinto d’un attacco isterico.

_ Ti prego, dei nostri amici potrebbero essere ancora la dentro! _ incalzò Chopper avvicinandosi e deciso ad ignorare i modi bruschi del cuoco.

Se già il povero malcapitato fosse ai limiti della propria sopportazione allo stress, vedere quello che chiaramente appariva come un animale con corna e naso blu che gli rivolgeva la parola si rivelò decisamente troppo: Sanji se lo vide svenire tra le mani e con uno sbuffo frustrato lo liberò lasciandolo accasciarsi a terra.

_Sanji!! _ chiamò disperato il medico con il panico negli occhi. Cercava aiuto in lui e un riferimento che sapesse cosa fare, che sapesse come opporsi a quella sua stessa paura che lo stava impossessando.

Il biondo ricambiò lo sguardo sconcertato rivedendo i suo stessi sentimenti riflessi nelle pupille della piccola renna, ma al contrario non si perse d’animo e digrignando i denti si voltò verso l’edificio in fiamme _ D’accordo! _ mormorò propenso ad avanzare risoluto.

Chopper si fece immediatamente coinvolgere dalla stessa determinazione e con tutte le intenzioni di gettarsi nelle fiamme assieme al compagno assunse le sue sembianze più muscolose, ma in quel frangente riconobbe una figura nella folla. Robin e Brook stavano correndo nella loro direzione e persino l’aspetto inquietante del canterino non destò alcuno spavento nelle persone che li circondavano.

C’erano madri che abbracciavano i figli rincuorate dal poterlo fare, uomini che esternavano la loro apprensione chi con le mani fra i capelli chi abbandonato seduto per terra con le gambe incapaci di sorreggere il loro stesso peso e chi si dava da fare facendo la spola avanti e indietro con secchi colmi d’acqua. Come se veramente si potesse contrastare la furia naturale del fuoco che divorava sempre più la sua preda.

I quattro pirati si ricongiunsero trafelati ed ebbero il tempo di scambiarsi sguardi sconcertati quando un fracasso li fece sobbalzare. Senza alcun preavviso, la fragile struttura in legno che li aveva tutti ospitati crollò su se stessa liberando in aria scintille e detriti mentre le fiamme sembrarono prendere più vigore e i Mugi non poterono fare altro che indietreggiare coprendosi il volto. Il calore sembrava divenire palpabile nell’aria satura di fumi e altre urla di terrore si librarono nell’esatto frangente in cui Franky e Rufy giunsero sul luogo del disastro.

_Namiiii ! _ gridò il capitano pronto a balzare in quell’inferno poco prima di essere arrestato da delle famigliari braccia spuntate dal suo stesso corpo _ Lasciami andare! Sono la dentro! _ cercò con gli occhi la più logica fra i suoi Nakama e Robin ricambiò con espressione austera.

_ Usopp?! Zoro sarà ancora li… _ constatò il cyborg come alla ricerca di rassicurazione. Lo spadaccino era quanto di più intraprendente conoscessero e la speranza che fosse riuscito a sopravvivere anche a quella situazione dava loro un anelito di fervore.

_ Dobbiamo fare qualcosa! _ piagnucolò Chopper e sentirono il cuoco mormorare una maledizione a chissà cosa sbattendo ferocemente un tallone al suolo.

Stavano per farlo, stavano per attivarsi e cercare una qualunque soluzione possibile grazie alle loro molteplici abilità quando i loro occhi catturarono un ennesimo fatto stupefacente.

Un fracasso di distruzione si sovrappose a quello dell’incendio e una figura famigliare si fece strada grugnendo feroce tra le macerie carbonizzate: la caratteristica zazzera verde dello spadaccino si erse fiera con in spalla un Usopp privo di sensi e i calzoni della gamba sinistra che si ritiravano preda della fame di alcune fiamme.

Impietriti dal tumulto d’emozioni che li sconquassava dentro, videro Zoro avanzare d’un paio di passi stremati per poi gettarsi sulle ginocchia e liberarsi del peso del cecchino mentre un paio di sconosciuti si stavano per avvicinare a dargli manforte.

Lì, i pirati si riscossero e corsero al suo fianco per sincerarsi della loro condizione: il compagno a terra era svenuto e marcava una vistosa ferita alla fronte mentre il verde era ricoperto di escoriazioni più o meno evidenti, tremante nemmeno si rendeva conto della coscia in combustione.

_ Zoro! Che è successo? _ chiamò Rufy affrettandosi a sorreggerlo per le spalle.

Celere, Franky fece uscire una canula metallica dal palmo robotico e vi fuoriuscì dell’acqua vaporizzata diritta sul pantalone dello spadaccino per spegnere il fuoco; subito poté vedere la carne arsa e rossastra: _ Dottore! _ chiamò allarmato.

Chopper gli fu subito accanto e Sanji assieme a Brook tentarono di occuparsi del nakama dal naso lungo: ad eccezione della ferita alla testa, sembrava fuori pericolo seppur si potesse sentire il respiro rantolante e incerto.

_Dov’è Nami? _ chiese l’archeologa che mai tradiva la propria lucidità.

La renna rizzò il capo e il capitano strinse le spalle dello spadaccino come per incalzarlo, ma l’altro guardava dritto di fronte a sé con il furore nello sguardo e non proferiva parola.

_ Rufy fallo sedere! _ ordinò Chopper temendo in un crollo psico-fisico del verde.

Sembrava fuori di sé, lo spadaccino guardava un punto lontano dinanzi a lui respirando a fondo, il naso arricciato in un’espressione di rabbia e l’occhio sbarrato senza mancare di far resistenza alla pressione del suo giovane capitano che tentava di farlo adagiare al suolo. L’inferno continuava ad ardere alle loro spalle e il riverbero del disastro creava inquietanti giochi di luce e ombra sul volto sfatto e incarognito del giovane, gli rendeva i tratti più temibili quanto spigolosi.

_ Zoro, ti devi mettere giù! _ esclamò il dottore con tono quanto più autoritario riuscisse ad ottenere e scambiandosi uno sguardo d’intesa con Rufy che, senza farselo tacitamente ripetere, si preparò ad usare maggio solerzia.

_ Ragazzi, Nami-san? _ Brook risollevò la questione con tono incerto.

I giovani si scambiarono occhiate spaesate e non si accorsero del profondo respiro di Zoro che, incontrastabile, si mise in piedi liberandosi della cinta di tessuto rosso ormai calata sul collo: _ E’ scappata! _ voce ferma e risoluta, sembrava essersi ripreso di colpo.

_ Che stai dicendo? _ domando il cuoco ancora accovacciato al fianco del compagno incosciente.

_ Credo sia successo qualcosa. Non è in sé ed è fuggita via _ rispose il verde scrollandosi della cenere dal torso nudo.

_ Quindi si è svegliata? _ cinguettò il medico sollevato per la chiara salvezza della cartografa, ma la faccia per nulla serena di Zoro non lo rassicurava per niente.

_ Cosa è successo? _ incalzò l’archeologa che aveva chiaramente compreso la gravità della situazione.

Con scarne e lapidarie parole, il giovane spadaccino riassunse sommariamente quanto capitato poco prima e i Mugi abbandonarono velocemente l’incredulità per l’apprensione.

Non c’erano spiegazioni razionali per giustificare il comportamento di Nami, ma nessuno mise in dubbio la stranezza della situazione e si sforzarono di non formulare alcun giudizio nemmeno per inconscio.

_ Ora che facciamo? _ esordì il carpentiere portandosi una mano a grattarsi il mento, ma tutti in cuor loro conoscevano distintamente il da farsi.

Rufy strinse i pugni tesi lungo il costato : _ Chopper, prenditi cura di Usopp. _ e reattivo il dottore se lo prese in spalla annuendo solerte all’ordine.

Una vena in rilievo sulla tempia dello spadaccino pulsò al serrarsi della mandibola, guardò dritto negli occhi Monkey D Rufy che lo ricambiò complice e la determinazione infervorò l’animo del suo vice : _ Andiamo! _

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Capitolo 14
*** Il perché che fa male ***



Sono rotto. Sono tremendamente spezzato a la mancanza di consapevolezza mi sbrindella ad ogni pensiero incerto.

Perché?

E’ la domanda che tormenta maggiormente. Inesorabile, logorante e perpetua. Quella semplice domanda, quella parola così insignificante e innocente da essere la preferita d’un bambino curioso, non mi abbandona. Genuina e vera nel mio tumulto.

Per ironia, una risposta però affiora.

Ma non poteva essere reale, così continua a tornare quella maledetta parola.

Perché?

Perché era successo tutto quello?

Perché non era stato capace di prevederlo?

Possibile che una cosa talmente distante da lui come l’amore, potesse avergli squarciato l’ego tanto da renderlo cieco?

Perché? Cosa le aveva mai privato?

Faceva male, dannatamente male. E il dolore più grande giungeva da quella risposta che continuava a rigettare.

Era colpa sua. Colpa sua.


C’è di nuovo del movimento intorno a me, ma inizio a sentire tutto in maniera più ovattata e non capisco il perché. C’è qualcuno che si muove, che armeggia con oggetti di metallo: sono fini e leggeri come pugnali di precisione, le mie orecchie ne riconoscono lo slittare affilato.

Qualcuno sta parlando. No, mormora. Le voci sono basse, ma non è questo il motivo per cui sono così lontane da me. C’è n’è più di uno.

_Capitano, dobbiamo farlo ora. _ chi è che parla? Cosa sta succedendo?


Fa male, dannatamente male.

Quella risposta si era annidata sotto la pelle e aveva iniziato a vivere di me, come un parassita. Si alimenta del mio assillo e striscia inesorabile verso il cuore. Lo sento. Mangia nervi, muscoli e ossa nel suo incedere e mi è privato anche l’unico modo che potrei avere per alleviare quell’avanzata. Vorrei gridare fino a prosciugarmi, fino a spezzarmi le corde vocali, ma non posso farlo da diverso tempo ormai.

Non posso fare altro che continuare a chiedere il perché al nulla.

Era colpa sua. Colpa sua.


_ Sì, ho fatto. Possiamo cominciare. _ quella freddezza… Torao?

Una presa alla nuca mi solleva il capo e quando mi libera, sono su una superficie diversa, più dura. Credo che mi abbiano tolto il guanciale e ora mi inclinano il mento esponendo la giugulare.

Pericolo! Slitta nel petto una sensazione di pericolo.

Sono un fantoccio nelle loro mani e il non riuscire a percepire Chopper mi agita, lo confesso. Non c’è? Perché non c’é?

Mi concentro, mi sforzo ma non lo trovo da nessuna parte. Torao non è un nemico e sì, sono sulla Sunny, eppure non riesco a sentirmi tranquillo. Lo ha chiamato Rufy, ma anche questo non basta a calmare la pulsione di paura che provo.


Non l’ho protetta. Non avevo rispettato il mio giuramento fatto in onore dei miei nakama. Pensare che mi ero perfino dimenticato di aggiungere quella piccola, nuova clausola. Qualcuno lo aveva fatto per me e ora me la stava schiantando in faccia.

Non si tratta di un confronto, lei non è qualcosa in più. Era… è qualcosa di speciale che nemmeno io ho mai compreso. Comprendere non è una cosa che ci si può aspettare da me e non la ho nemmeno mai contemplata come un urgenza cui adempiere.

Ho lasciato che gli eventi accadessero e il mio cuore era mutato silenzioso, senza dirmi nulla. Maledetto!

Che importanza poteva avere ora, però? Non contava più niente.


Una ferma pressione ai lati della mascella mi fa aprire la bocca e quasi ho l’impressione che i polmoni smettano di muoversi, come se quella novità destabilizzasse un equilibrio precario.

_ Iniziamo. _ la voce di Law tradisce una vena di tensione.

E mentre qualcuno sembra appoggiarsi sulla mia faccia, sento un sussurro. Un anelito strozzato che è sfuggito nel silenzio. Sento Chopper e finalmente lo trovo.

Poi tutto sparisce e rimane solo più il dolore. Qualcosa mi vien spinto in bocca, viola l’ingresso e sento che potrei vomitare l’anima. I muscoli del collo spasmano nel desiderio di assecondare quell’impulso alla sopravvivenza e mi sembra di annegare nell’immobilità cui sono costretto.

_ Merda! _ impreca Torao. Con un leggero sbuffo che mi solletica il naso, tira fuori qualunque cosa sia quella roba dalla mia gola e il sollievo è immediato quanto breve. Mi inclinano maggiormente la testa verso l’alto e lo rifanno. Rientrano e questa volta fa meno male, ma l’intrusione torna a far reagire i muscoli del collo nel tentativo di rigettare quell’affare, per sopravvivere.


Mi rendo conto che sto lentamente cambiando, giorno dopo giorno. Sono qui, in questo limbo inamovibile eppur cosciente. O meglio, consapevole.

Il tempo è diventato vacuo e non ho più saputo nulla. Non ho più sentito i miei nakama parlare di lei e sembrano concentrarsi solo su di me. Fanculo, perché?

Lasciatemi stare.

E adesso questo: mi sto allontanando. Ogni sensazione fisica è forte e presente, ma sento come se stessi cadendo in un sonno diverso dal solito. Non è più solo stanchezza. E’… abbandono?

Non voglio!


Mi brucia la gola. Ho la trachea occupata e qualunque cosa sia, invade la cartilagine con sofferenza e irruenza.

_ Ben fatto, Capitano! _ quello che dovrebbe essere un sottoposto di Law, credo mi stia restituendo la comodità del cuscino.

Ben fatto” per cosa? Per avermi fatto incazzare? Perché diavolo non è Chopper a occuparsi di me?

_ Fallo partire. _ risponde Law, la voce più ferma.

Sento un fischio che mi infastidisce i timpani e, seppur non faccia più male, quell’affare nella mia trachea è una presenza cui non riesco ad abituarmi. Qualcuno mi stringe un laccio intorno al bicipite e un ago fa forza per trovare una vena. Non passano troppi secondi prima che la stanchezza aumenti.

_ Law, perché lo sedi? Non può sentire niente. _ Chopper finalmente parla, ma si sbaglia. Io sento tutto, anche se non sono qui.


Lei ha bisogno di me, devo aiutarla. Eppure non controllo questa cosa.

Mi fido degli altri, davvero! Però inizio ad avere l’urgenza di essere lì, con loro. Per sapere, ma anche perché la colpa mi sta dilaniando.

Sarei dovuto essere di più per lei e perfino ora, ora che ha bisogno di me come non mai, io non sono in grado di starle accanto.

Se solo il petto non facesse così male, sono sicuro che potrei alzarmi e che il mio corpo ricomincerebbe a rispondermi.

Non riesco a muovermi.


Credo che Law e Chopper si stiano scambiando uno sguardo e vorrei vedere il loro dilaogo muto. Questo non sapere inizia ad infastidirmi. Cosa cazzo mi stanno facendo? E perché? Di cosa avevano parlato l’ultima volta? Non ricordo

_ Onestamente non lo so. Istinto, suppongo! _ risponde il chirurgo della morte.

È vero. Law non è un semplice medico. Law è un chirurgo. E i chirurghi si spingono ben oltre la medicina convenzionale.

Forse inizio a ricordare.

_ Stai sottoponendo il suo organismo a qualcosa di non necessario. È un ulteriore stress che non sappiamo cosa comporti! _ Chopper è allarmato e mi sembra che faccia dei passi verso di me.

Questa volta ti sbagli, dottore. Sbagli ancora. Credo che il mio “organismo” non riuscirebbe a sopportare quello che dovrà succedere se dovessi rimanere in questo stato di coscienza. No, forse sarebbe la mia mente a cedere. Il dolore non mi fa paura, non me ne ha mai fatta, ma sentire ogni minimo gesto durante l’operazione mi distruggerebbe di sicuro. Il bisturi che taglia, il dilatatore che spinge le carni… rabbrividisco.

_ Lasciami lavorare! Questa è la mia area di competenza! _ Torao alza appena la voce con risolutezza e il mio nakama smette di protestare.

Il mondo inizia a vorticarmi dentro.


Perché ho questi flash? Sono ricordi?

Due occhi nocciola mi guardano liquidi e vibranti. Mi stanno guardando dentro e mi sento scoperto, ma non ho l’istinto di fuggire. Anzi, mi avvicino.

Il mio cuore batte regolare e non tradisce alcuna emozione se non pace e sicurezza.

I raggi d’un sole morente mi intiepidiscono il profilo del volto.

C’è un salto temporale e ora è tra le mie braccia. La stringo e lei ha la fronte incassata nella mia spalla, si appoggia alla mia clavicola nuda e la pelle guizza al contatto.

C’è un profumo nell’aria che mi riempie. È buono, semplicemente buono. Forse mi appartiene così tanto che non vorrei mai privarmene.

Di nuovo l’immagine scompare di colpo e se ne sostituisce un’altra. Umido e calore sulle labbra.

Delle dita sottili si appoggiano alla mia mandibola e seguono il movimento che faccio nel baciarla. La bocca si apre e si chiude morbida, come volesse divorare quel momento.

La mia mano si muove e raggiunge la sua, si intrecciano.


_ Dottore, perché non vai a riposarti? Hai passato diciassette giorni pesanti. Qua ci pensiamo noi ora. _ dice ancora Law e sento il sospiro stanco di Chopper.

Sembra indugiare, così Torao insiste e lo rassicura: _ Vengo a cercarti appena finiamo. Va’ . _

Non riesco a distinguere con precisione quello che accade, la mia percezione è sporcata da questa sorta di vertigine che aumenta inesorabile e mi porta via. Mi sta portando via.


La stringo per un fianco e le cingo la vita mentre lei si lascia guidare dalla mia stretta.

Spingo la lingua a chiedere il suo accesso e lei si apre accogliendomi calda. Potrei morirci dentro, lo farei con la gioia nel petto e lei lo sa.

Ora il mio battito aumenta e va a ritmo con il suo.

Siamo liberi di esserci l’un per l’altra.

Presenti a noi stessi e sciolti dei nostri fardelli.

Ogni cosa è al suo posto.


Si fa tutto più oscuro.


Cos’era? Non ho un ricordo del genere, sul ponte della Sunny, di fronte al mondo. Non è mai capitato e so che lei non avrebbe mai permesso che capitasse.

Che sia… un… è un rimpianto?


I miei sensi mi stanno abbandonando.

In un ultimo slancio di resistenza sento ancora una voce, le parole forzate di Chopper.

_ Va bene, vado da Nami. _

Un sussulto…

E vado anche io.


È colpa mia. Colpa mia.

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Capitolo 15
*** Culmine ***


Ribolliva.

Poteva chiaramente percepire lo scorrere viscoso e frenetico del suo stesso sangue nelle vene che surriscaldava tutto il suo sistema. Non era per il divampo cui era appena sfuggito e lo sapeva chiaramente.

Soffiava ira dal naso e il respiro quasi gli bruciava le narici.

Era consapevole del lieve dolore alla mandibola che egli stesso si stava procurando nel serrarla all’inverosimile, eppure i neuroni non erano in grado di impartire il comando necessario a rilassarla.

Ansia, preoccupazione e paura coesistevano senza freno. Sì, anche paura!

Sentiva di aver smesso di funzionare. Qualcosa in lui aveva smesso di funzionare.




Zoro non riusciva a controllarsi e solo lui sapeva quanto quella questione fosse un fatto estremamente personale, lui e Nami.

Era perfettamente consapevole che non esistevano colpe dirette per il loro recente scontro e che la compagna non era in grado di controllare i propri comportamenti, eppure si sentiva ferito come se quella situazione fosse il frutto dell'escalation delle difficoltà di cui era vittima la loro relazione.

Franky e Brook erano rimasti all’ostello per aiutare nelle operazioni di soffocamento dell’incendio per poi tentare di recuperare qualcuno degli effetti della ciurma, mentre Chopper si era rintanato sulla Sunny per analizzare le condizioni del cecchino: aveva già ripreso conoscenza e sembrava fuori pericolo di vita, ma il dottore aveva insistito caparbio per accertarsene.

Usopp aveva semplicemente raccontato che la cartografa si era improvvisamente svegliata per poi aggredirlo immediatamente, senza nemmeno chiedersi chi avesse di fronte e lui non aveva avuto il tempo di reagire. Si era ritrovato in forte imbarazzo per essere stato crudelmente abbattuto e aveva tentato di proteggere il proprio orgoglio giustificando l’accaduto con l’essere stato preso alla sprovvista, ma Zoro sapeva perfettamente che non sarebbe mai stato in grado di affrontarla anche se, per sua caratteristica discrezione, aveva preferito non infierire ulteriormente. Indifferentemente dai fattori emozionali, perfino lui si era dovuto impegnare per tenerle testa.

Chissà cosa diavolo le era successo...

I rimanenti dell’equipaggio avevano formato gruppo ed ora erano per le vie della città cercando in ogni angolo buio. L’incidente dell’ostello aveva attirato l’attenzione delle autorità e dovevano far attenzione considerando che giusto il giorno prima avevano attirato l’attenzione su di loro; fosse stato per i tre uomini in realtà, non si sarebbero minimamente posti il problema, ma Robin li aveva fatti ragionare per non peggiorare ulteriormente la condizione della ciurma.

_ Questa situazione ha del surreale! _ gracchiò Sanji dalle retrovie. Luffy era in testa ed apriva la strada affiancato dal verde, seguiti subito dopo dall’archeologa.

Non erano certi della direzione che stavano prendendo e indiscutibilmente il naso della loro renna di bordo sarebbe stato utile nella ricerca, ma l’unica soluzione alla quale riuscirono a pensare fu la casualità dell’istinto. Non si tirarono indietro: Nami aveva bisogno del loro aiuto indifferentemente dallo sviluppo degli ultimi eventi.

Il capitano correva a perdifiato imboccando i vicoli di periferia a testa bassa mentre Sanji e Robin si premuravano di guidarlo quel tanto che bastava per evitare le vie principali. La strategia di gruppo si limitava a cercare la famigliare capigliatura rossa della nakama tra le poche persone che incontravano; la zona dell’ostello brulicava di cittadini delle prime vicinanze, ma il resto della città sembrava ancora dormiente se pur, in lontananza, si potesse già intravedere l’orizzonte albeggiante.

_ Una volta trovata, quale sarà il piano? Come dobbiamo comportarci? _ domandò l’archeologa.

_ La troveremo! _ rimbeccò d’istinto lo spadaccino e la donna puntò i suoi occhi cerulei sulla figura del compagno con una strana apprensione nel petto. Qualcosa le sfuggiva e aveva un terribile presentimento.

Il cuoco sembrò accelerare il passo : _ Non saprei proprio! Non sappiamo nemmeno cosa sia successo. Quello che ha raccontato testa d’alga ha dell’inverosimile! _

Un grugnito si frappose al suono dei loro passi concitati sul terreno : _ Credi che me lo sia inventato, Sopracciglio? _

_Non credo che intenda questo, semplicemente è difficile da credere! Sembra quasi che abbia avuto un collasso psicologico o magari un vuoto di memoria, ma non possiamo averne la certezza _ Spiegò Robin con un inizio di fiato pesante.

_ Non importa quello che è successo! _ esclamò Rufy concitato.

I compagni tacquero brevemente e si arrestarono quel tanto che bastasse a scrutarsi intorno prima di attraversare una strada più ampia e scoperta per poi infilarsi nuovamente nelle ramificazioni laterali.

_ Possibile che nessuno si sia accorto di nulla? _ esordì il cuoco con un tono velatamente preoccupato.

_ In effetti… _ alle incerte parole della storica, l’intero gruppo smise di muoversi e rivolsero l’attenzione su di lei _ Poco prima che si sentisse male ha avuto un comportamento piuttosto strano. Alla luce di quanto è successo lo potrei definire ostile…_ Robin si prese il mento fra indice e pollice e si chiuse brevemente in sé pensosa.

_ E non hai pensato di dircelo? _ domandò Zoro fallendo miseramente nel tentare di modulare la voce. Doveva sforzarsi per non tradirsi, ma ribolliva dentro e la cosa non sfuggì al cuoco di bordo che celere lo fulminò con un’occhiataccia.

_ Non ci era sembrato rilevante! Voglio dire, il malore accusato da Nami è diventato subito una priorità pertanto non ci siamo curati delle circostanze_ si spiegò subito la donna rimanendo austera e tranquilla come consuetudine.

Sanji perse tempo nel chiedere i dovuti chiarimenti alla compagna mentre Zoro, non ritenendo quella conversazione di maggior aiuto, optò per rivolgere la propria attenzione al loro Capitano e subito colse i nervi tesi che gli increspavano i lembi della pelle.

_ Rufy! _ il moro lo guardò come stralunato _ Devo chiederti una cosa … _ esordì lo spadaccino con voce mesta.




Nami sapeva come non farsi trovare. Nella sua adolescenza, si era ritrovata a diventare una ladra per sopravvivere e non aveva mai perso l’abilità di rimanere nell’ombra.

I Mugiwara però, avevano la nomea di una ciurma testarda all’inverosimile e, anche questa volta, avevano raggiunto il loro obiettivo.

La cartografa aveva lucidamente deciso di indossare una cappa con cappuccio e si muoveva tra la folla in direzione del porto, quando Sanji era riuscito ad identificarla e il gruppo si era confrontato sul come agire.

La decisione, però, era già stata presa.

Zoro cercò con l’occhio i compagni appostati agli angoli della piazza dove Nami era infine giunta e ora sembrava osservare con sinistro interesse le imbarcazioni in sosta ad uno dei moli. Il giovane incrociò lo sguardo con ognuno dei nakama e si soffermò un secondo in più sul capitano in un moto di gratitudine e intesa.

Non sapeva se Rufy fosse a conoscenza di loro, ma aveva acconsentito alla sua richiesta dopo un breve momento di esitazione. Gli era riconoscente per la fiducia che aveva sempre nutrito in lui e sentiva la lealtà nei suo confronti come una parte viscerale e intrinseca delle membra che non sarebbe mai venuta meno.

Era certo che nemmeno la morte avrebbe potuto porre fine al loro legame nato quel giorno, dove Rufy lo aveva salvato e lui aveva ricominciato a credere in qualcosa. Zoro si concesse un breve sorriso al ricordo del loro primo incontro prima di riportare l’attenzione alla sua compagna.

Doveva essere lui, doveva farlo da solo.

Era successo qualcosa alla loro navigatrice che l’aveva resa chiaramente pericolosa e lui non voleva che nessun componente della ciurma si ritrovasse obbligato a doverla ferire, volontariamente o meno. Quello, era uno strazio che sapeva di poter affrontare lui soltanto.

Appoggiò il palmo sull’elsa della Wado alla ricerca della sua forza, di quella sicurezza che le sue fedeli alleate non avevano mai tradito e chiese loro aiuto silenziosamente.

Chiuse l’occhio e inspirò gonfiando il petto, serrò le dita sulla katana, espirò profondamente e liberò la presa per poi riaprire l’occhio puntandolo su Nami.


Zoro avanzò nella piazza.


Glaciale, le fu dietro in pochi secondi e la chiamò in un sussurro.

La giovane si irrigidì di colpo e si voltò per fronteggiare la minaccia e, quando lo spadaccino poté vedere il suo volto, sentì ogni risolutezza vacillare.

Sorpresa e poi odio presero forma sui lineamenti di Nami e, in un secondo la vide pronta a fuggire. L’istinto disse a Zoro di muoversi, di agire.

Le afferrò il polso, lo stesso polso che aveva già cinto una volta in quell’isola maledetta, ma a differenza dell’ultima volta, la mano della ragazza corse aggressiva sopra la sua e piantò le unghie come una fiera in gabbia, il peso del corpo quanto più lontano possibile da lui.

In tutta onestà, l’uomo non sapeva esattamente cosa avrebbe fatto una volta che se la sarebbe trovata dinanzi, ma in quel preciso instante, tutto divenne chiaro. Per troppo tempo erano fuggiti l’uno dall’altra ritrovandosi solamente nel reciproco piacere e calore. Sapeva che ciò era anche una sua responsabilità e, per la prima volta in tutta la sua esistenza, non voleva combattere.

_ Nami… _ ripeté il suo nome con un tono quasi di preghiera. Forse cerava di appigliarsi a qualunque cosa in lei fosse rimasto della donna che conosceva. _ Non voglio farti del male, voglio soltanto che mi ascolti._

Non sapeva di preciso con chi stesse parlando, ma sembrò arrivare in qualche modo perché la vide rilassare leggermente i muscoli e frenare l’istinto di fuga che l’aveva assalita.

Zoro saettò l’occhio dove sapeva essere custodito il bastone climatico della navigatrice e un bisogno di mantenere la guardia alzata gli si insinuò nelle meningi, ma più la guardava negli occhi più si sentiva esposto, nudo come lo era stato dinanzi a lei quando più si sono sentiti un’unica anima.

_ Mi riconosci? _ Incalzò il giovane inclinando il capo. La vide farsi nuovamente tesa, come se un ricordo le fosse giunto a spaventarla e ferirla. _ No, aspetta!_ lo spadaccino serrò la presa sul polso della compagna e subito riconobbe non essere stata la scelta migliore.

Nami puntò i piedi e fece leva nel senso opposto per liberarsi, ma Zoro si limitò a schiudere leggermente le dita per non causarle dolore. Lei non smise di agitarsi e la vide arricciare le labbra in un ringhio muto.

Così non sarebbe andato da nessuna parte.

La decisione arrivò in un lampo e il cervello dell’uomo non si prese nemmeno il tempo di soppesare l’idea: quella davanti a lui era Nami, la sua Nami! Poggiò un ginocchio al suolo e le calò di fronte guardandola dritto in volto per osservare l’effetto del suo gesto: riuscì nell’intento e la cartografa lo osservò con mesta curiosità.

Da quell’angolazione, Zoro riuscì ad intravedere sotto al cappuccio, quell’ammasso violaceo che le guastava la carne del collo appena sotto l’orecchio e l’apprensione crebbe ancor più.

_ Nami, te l’ho detto… _ cauto, le liberò il braccio _ … non ho nessuna intenzione di farti del male. _

Lo stava ascoltando, schiva ma pur sempre ferma sul posto.

Forse c’era una speranza!

Lo spadaccino appoggiò anche l’altra gamba al terreno ignorando la fitta di dolore della bruciatura alla coscia e, grazie all’haki, poté percepire la tensione dei suoi nakama rimasti nell’ombra aumentare a ritmo con il suo cuore.

Portò lentamente le mani alle katane e le liberò dalla cinta in vita poggiandone due al suolo. Non interruppe lo sguardo con lei per un solo secondo e sperava nel profondo che quell’atto avrebbe potuto rinsavire una qualche parte della sua coscienza.

Era un loro rituale, tutto loro: come pirati, erano perennemente pronti a combattere, ma nei loro incontri, si sono sempre simbolicamente spogliati delle rispettive armi prima che dei vestiti.

Zoro impugnò la Shusui e la sfilò dal fodero sotto l’attento controllo di Nami. Si sentiva come dinanzi ad un temibile felino cui chiedeva implicitamente fiducia e tese il braccio offrendo l’elsa a lei in segno di resa.

Era suo, lo era da sempre!

_ Nami, guardami! _ la richiesta giunse morbida nell’aria e la cartografa incatenò nuovamente le pupille con quelle onice del giovane _ Sono io. Sono Zoro… _

La ragazza allungò tremante la mano verso quella armata di lui e una brezza decisa giunse improvvisa a far tintinnare i pendagli dello spadaccino.

Accadde in un istante: Rufy gridò lontano, i lineamenti della cartografa si indurirono nuovamente e il cuore di Zoro incespicò il suo ritmo.

Nami afferrò con entrambi i palmi l’estremità dorata di Shusui e fece forza con l’intero corpo contro il suo vessatore.

La lama della spada trafisse pelle, carne e ossa. La punta fece breccia tra le scapole dello spadaccino e scintillò insanguinata nel mezzo della schiena.

Le orecchie non sentirono più, l’occhio tremò e i muscoli smisero di sorreggere il suo corpo.

Zoro traballò qualche istante, poi stramazzò a terra nel suo stesso sangue.

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Capitolo 16
*** Epilogo ***


ANGOLO DELL’AUTRICE

Ciao a tuttə, come oramai saprete, inizio con il rinnovare le mie scuse per gli aggiornamenti scostanti e provo una profonda gratitudine e ammirazione per tutti voi pazzə che continuate a leggere e recensire. Sapere che il mio lavoro è di vostro gradimento, mi spinge a non demordere e voglio convincermi a darvi un finale per questa long. Aimè però, non so stimare quando accadrà (non appena finirete di leggere il capitolo, queste mie parole diventeranno una specie di spoiler, immagino!)

Vi lascio un piccolo ALLERT: se non volete soffrire, chiudete subito il browser. Questo capitolo è un po’ tosto e non nego che la pesantezza potrebbe continuare anche nei prossimi. Mi scuso se il mio scrivere possa far sorgere in voi emozioni “negative” poco prima del Natale, ma va così.

Un abbraccio forte,


Arcadia



Come dal risveglio di un sonno interminabile, aprì gli occhi e lentamente prese percezione dell’ambiente circostante.

La vista era sfocata, in particolare ai margini, e batté un paio di volte le palpebre per cercare di migliorare la situazione. Nell’annotare l’inutilità di quel tentativo, si rese maggiormente conto di come anche tutti gli altri sensi fossero ancora assopiti.

Il corpo sembrava non appartenere più alla sua coscienza oramai chiaramente sveglia e sapeva di essere con i glutei seduti senza averne la reale percezione. La bocca era pastosa e nel saggiarne la mobilità, registrò di come perfino la lingua sembrasse pigra ai comandi. Le orecchie fischiavano debolmente come udissero il treno marino di Water Seven oltre il limitare dell’oceano e l’unica cosa chiara che sentiva era un gonfiore pulsante proprio sotto al lobo sinistro.

Il braccio si mosse da solo e poté osservarlo dirigersi al proprio collo come se lei stessa non fosse altro che uno spettatore esterno e il suo non fosse altro che un gesto impartito dal cervello senza un vero consenso. Il pizzico di dolore che scatenò quel contatto di pelle contro pelle, le acutì la consapevolezza di sé e iniziò a riprendere il controllo.

Nami si guardò intorno senza una reale emozione a muoverla.

Sì, la riconosceva. Poteva dirlo con certezza, anche grazie a quel leggero e inconfondibile dondolio: era sulla Sunny!

Le pareti di legno la avvolgevano calorosamente come solo la sensazione di essere a casa dopo un lungo viaggio poteva fare. Era a casa: la salsedine nell’aria, le linee ruvide delle assi di legno sul pavimento… ma dove era stata per tutto quel tempo?

A giudicare dal movimento pigro della nave, dovevano essere ormeggiati da qualche parte o, perlomeno, il moto ondoso che percepiva non era di certo quello del mare aperto.

Cosa era successo?

Sforzò le meningi per tornare al suo ultimo ricordo prima di chiudere gli occhi. Perché solo di quello poteva trattarsi: doveva essersi addormentata nella stiva per chissà quale motivo.

Il leggero dolore alle membra le fece riassaporare la reminiscenza della morbidezza del suo letto, nella cabina che condivideva con Robin. Aveva come l’impressione di mancare da troppo tempo e la nostalgia di quel confort le prese la bocca dello stomaco.

Un accenno di emozione che si affievolì in un anelito di vita perduto.

La vista stava iniziando a schiarirsi e tentò di stropicciarsi i bulbi oculari per accelerare il processo. Che fastidiosa sensazione!

Ricordava dello sbarco, del delirio causato da Rufy al mercato, i marines, la loro fuga rocambolesca, la taverna e la chiara sensazione di una pelle calda contro la sua, di respiri sciolti e desiderio crescente nelle vene. Il suo viso, quel volto spigoloso piegato in espressioni morbide che sapeva essere concesse solo lei, lei che ne era in qualche modo artefice e custode su terra e mari. Nami si toccò le labbra con le punte delle dita nel ricordare quel contatto sempre così lontano, ma mai assente nelle sue memorie e si stupì di trovarle piegate in un mesto sorriso. Cos’era quel senso di tristezza che le ammaccava il cuore?

Si sentiva strana, intontita e incapace di dare una definizione al suo sentire. Come un amante cui è proibito di saggiare l’amore da troppo tempo.

Che assurdità, che pensieri sciocchi! Buoni solo ad appesantirle ulteriormente il cervello. Eppure, una parte dentro di lei sembrava sussurrarle che, in realtà, non dovevano essere poi così tanto assurdi.

Percepiva uno vuoto sinistro nel petto, lì dove albergano le emozioni, come se avessero improvvisamente cambiato residenza. Sparite, senza lasciare nemmeno un biglietto di addio. Si ritrovava sull’uscio di sé stessa, scorgendovi all’interno nient’altro che il nulla. Una casa disabitata e lasciata ad avvizzire.

Un’improvvisa fitta alle tempie la costrinse a piegarsi e a proteggere il capo tra le mani, occhi serrati e un gemito sofferto sul limitare della gola spezzata. Dolore. Perché?

_Nami _ una voce.

L’aveva immaginata?

No, era lì con lei. Un tono d’apprensione celato dalla fermezza di una voce risoluta.

_Nami! _ la fitta alle tempie si trasformò nuovamente nel fischio di un treno, ma questa volta sembrava tanto vicino da perforarle le meningi. Si accartocciò su sé stessa contraendo lo stomaco per resistere.

Aiuto

Implorava. Non riusciva a chiedere altro. Aiuto da quella sofferenza e dalla sua coscienza che faticava a riconoscere come propria. Quella voce però, l’avrebbe riconosciuta attraverso qualunque cacofonia del mondo.

Si costrinse a rilasciare il respiro e a gonfiare e sgonfiare ritmicamente i polmoni come se l’ossigeno fosse il suo unico appiglio alla realtà.

Ho paura

Ma sembrò funzionare e la cartografa alzò cautamente il capo di qualche centimetro come se si aspettasse un altro assalto da chissà dove.

_ Nami!! _ la voce apparve irritarsi a causa della risposta mancata, così Nami si ostinò ad uscire allo scoperto e alzò gli occhi oramai limpidi. Nel vederlo realmente di fronte a lei, ebbe un leggero calore ad irradiarla debolmente. Forse, da quella casa, nessuno se n’era mai andato veramente. Forse aveva preso un abbaglio e qualcosa le si mosse dentro.

Lui la fissò, inamovibile.

_ Mi riconosci? _ le chiese.

Perché è così freddo?

_ Rispondimi! _ morse l’aria con il ghiaccio nelle parole e lei morì per un secondo lungo un’ora _Sai chi sono? _ incalzò ancora.

Che domanda era quella? Doveva essere tutto uno scherzo.

_ È la quarta volta che facciamo questa conversazione, mi devi rispondere! _ rabbia e veleno che tuonarono.

Nel sobbalzare scossa e confusa, la rossa razionalizzò l’urgenza della sua risposta che le sfuggì dalle labbra in uno squittio acuto: _ Rufy! _ la voce le tremò di paura e bisogno.

Il capitano spostò impercettibilmente il busto indietro, lì sullo sgabello dove si trovava, e abbassò le spalle in un sospiro fugace prima che la postura tornasse in posizione di assalto.

Contro chi? contro lei?

Le balbettò il cuore. Non capiva niente.

_ Ricordi qualcosa? _ chiese ancora lui.

Il volto della ragazza si contrasse in una smorfia come se si stesse sforzando di dare un senso a quel dialogo. Aveva l’impressione di star per essere pugnalata.

_ Rufy _ aveva timore di chiedere, Nami, e prese un respiro di tempo _ Perché mi hai chiesto se ti riconosco? Cosa significa? _

Vide il suo capitano trattenere il fiato e lei contò il tempo con i rintocchi del suo cuore. Lo guardò negli occhi in attesa, tremando dentro.

Il ragazzo si alzò lentamente in piedi e si fece forza con le mani sulle ginocchia come se si sentisse più pesante che mai, un peso invisibile all’occhio della mente quanto schiacciante per l’anima. Il corpo ci prova, ne mostra segni e sintomi, ma non si arrende. Si alzò in posizione eretta e la trapassò con uno sguardo duro che cedette a tratti all’interferenza di un dolore che Nami non capiva.

_Ricordi qualcosa? _ strinse i pugni e cercò un po’ di nasconderli, saldo alla stessa domanda ancora e ancora.

Cosa dovrebbe ricordare?

Sempre più spaesata, la cartografa decise di provarci e si toccò la tempia per un secondo prima di issarsi anche lei sulle gambe. Ebbe qualche vertigine, ma non se ne curò mentre il pulsare al collo aumentò d’intensità con il cambio di pressione del sangue.

Il suo capitano non perse di vista ogni minimo movimento, sentiva il suo sguardo indagatore come un predatore pronto a scattare e le venne un brivido lungo la schiena. Aveva già visto Rufy in quella condizione, ma sempre e solo indirizzato contro i loro nemici.

Era tutto sbagliato.

_ Io non… _ iniziò Nami balbettante, le braccia strette al costato come per proteggersi da un freddo che sentiva solo lei _ Credo che… _ la pressione delle lacrime dietro agli occhi per un panico che iniziava a coglierle la gola.

Un suono di passi pesanti e affannati giunse da oltre la porta che chiudeva la stiva come una cella e si fece sempre più vicino mentre una stilla di pianto andò a morire sulla guancia della navigatrice.

Cappello di Paglia si voltò e l’uscio si spalancò in un colpo secco.

_ RUFY! _ gridò Usopp con un’urgenza che si affievolì nell’incontrare gli occhi nocciola di Nami. Cedette su di lei per un momento e le sopracciglia si chiusero quando continuò con un tono di voce più basso e sofferto _ Vieni _

Bastò quella parola, una singola parola e il capitano dei Mugiwara si fiondò fuori quasi travolgendo il cecchino nella foga d’oltrepassarlo.

Nami spalancò gli occhi e fissò il suo nakama rimasto con un’implorazione nelle pupille. Aveva bisogno di sapere, di avere una spiegazione che zittisse le innumerevoli domande nella sua mente.

Avanzò di un passo verso di lui, ma il cecchino le fece da specchio retrocedendo e scosse il capo incapace di esprimersi a parole.

La porta si chiuse e il gelo le entrò nelle ossa.





La porta si aprì furiosa e Bepo corse fuori. La voce di Law tuonò un “MUOVITI!” e i rumori dell’infermeria tornarono ovattati al chiudersi della serratura.

Suoni di oggetti spostati, di tessuti strappati che giungevano attutiti alle orecchie dei Mugiwara raccolti di fronte ad uno degli oblò. Suoni che si infrangevano contro il silenzio del mondo esterno, tale che perfino il mare sembrò essersi taciuto.

Bisturi, pinze e forbici che si schiantarono al suolo nel clangore di un Chopper fermo a sé stesso e un segnale ritmico che stava inesorabilmente rallentando ad ogni suo grido. Un palpito stanco e prossimo all’abbandono.

Il finestrino circolare dal quale i pirati di Cappello di Paglia non riuscivano a distogliere lo sguardo, mostrava loro una scena irreale quanto un incubo.

Il respiratore artificiale pompava impazzito mentre Torao fissava le proprie mani premute verso il basso, verso l’origine di quegli zampilli cremisi che scattavano ad insozzargli braccia e volto.

_ Dove diavolo è finito Bepo? _ gridò ancora il chirurgo e alzò lo sguardo incrociando quello di un Rufy appena arrivato ad aggrapparsi impotente a quel vetro. Ognuno dei due vide la paura negli occhi dell’altro.

Il medico di bordo, invece, non tradì nessun’angoscia mentre con espressione risoluta e mani ferme, cercava di preparare una siringa con chissà cosa al suo interno.

La renna in forma umana, afferrò un arto abbandonato e si preparò ad iniettare un qualche farmaco attraverso un tubicino già direttamente collegato ad una vena del paziente. Poi improvvisamente, qualcosa si ruppe: la siringa si infranse al suolo, il braccio cadde nel vuoto fermandosi oltre il limitare del materasso e dita gocciolanti di sangue denso come magma entrarono nel campo visivo degli spettatori ammutoliti.

Il segnale, quel segnale smise di singhiozzare il proprio sforzo e si abbandonò all’urlo finale mordendo al cuore dei Mugiwara in quel vocalizzo d’epilogo.

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Capitolo 17
*** Gli antipodi di Zoro ***


ANGOLO DELL’AUTRICE

Rieccoci!

Scenetta spicy, ma non troppo… Se la si prende nel contesto, fa un po’ (! un po’ !) di malinconia. Se non conosci il contesto, torna al capitolo prima: così l’ambientazione emotiva rende di più perché sono sadica con i personaggi.

Ci vediamo in fondo, ho una cosa da chiedervi!



_ Zoro? _

Le aveva risposto con un grugnito soffocato nell’incavo del collo lungo il quale nascondeva il viso, il respiro infranto sui capelli di fuoco e mai sazio del loro profumo. Un suono seccato e selvatico come la sua indole. Perché lui sapeva, sapeva che quando lei pronunciava il suo nome con quell’inclinazione della voce, ciò che sarebbe avvenuto non era qualcosa che avrebbe mai apprezzato.

Ma Nami non poteva farne a meno.

Fece serpeggiare le punte delle dita dalla nuca taurina fino al cuoio capelluto dell’uomo e lì le intrecciò con i suoi fili verdi. Lo percepì per un breve, chiaro istante, il brivido che corse lungo la spina dorsale di Zoro e la resistenza dei suoi muscoli dorsali a quell’atto volutamente rassicurante e mellifluo.

_Cosa? _ la sollecitò brusco, prima di inasprire la spinta successiva e inalare ancora il suo profumo. Mai pieno di lei, drogato d’ogni cosa di lei.

Un anelito di piacere si librò dalle sue labbra e Nami si prese il tempo di un respiro per riappropriarsi dei pensieri. Amava vederlo così. Sembrava quasi vulnerabile a chissà cosa e amava pensare che forse, solo forse, Zoro potesse diventarle indifeso.

Nei loro momenti, unici come quello presente in cui si fondevano nel distruggersi per poi rigenerarsi reciprocamente l'anima, Nami sapeva che ad ogni tuffo che il suo compagno faceva dentro di lei, lei stessa poteva viversi come ambrosia vischiosa e annullarsi alla sua totale presenza.

Stese la schiena lungo la parete sulla quale era volutamente bloccata e strinse le cosce cerchiando ancora di più la sottile vita dello spadaccino nel lasciarsi sfuggire un fugace sguardo a tre spade riverentemente appoggiate nella parte opposta del suo studio.

_Nami _ la chiamò ancora lui. Un ennesimo colpo che minò di annebbiarle il cervello.

Aveva lasciato scivolare la mano lungo il profilo del volto di Zoro e una carezza si intersecò con i suoi pendagli prima di posarsi leggera sulla giugulare: _ Dove sei? _ gli chiese, un tremore che la tradì.

Dietro le ciglia, lo aveva visto corrugare la fronte e non seppe se per la concentrazione dell’atto o in risposta istintiva al suo quesito che sapeva essere tanto improvviso da scioccare. Non doveva sforzarsi troppo nel vedere la confusione tra i suoi lineamenti.

_ Che stai dicendo? Sono qui… _ le rispose sfiorandole la spalla nuda con le labbra, un atto così dolce da risultare conflittuale con il bacino che urlava bisogno.

_ Non… ah… non intendo ora… adesso. _ cercò di spiegarsi lei tentando di sfuggire ad un nuovo, inondante calore nel ventre. Faceva davvero fatica: tutto era Zoro, c’era sempre più ineluttabilmente lui, ma quell’incertezza del cuore non voleva abbandonarla. Nemmeno in quel momento.

Lo aveva sentito rallentare e per un breve, terribile istante, Nami aveva temuto di averlo ferito con la sua solita ricerca di certezza. Perché nonostante la scelta fosse sua, non poteva fare a meno di soffrire per la distanza che portava con sé la luce del sole. Quella distanza che si tramutava in freddezza nei lineamenti dello spadaccino durante la loro quotidianità sulla Sunny, un risvolto di lui con il quale si era accorta di non aver fatto i conti.

Faceva male, talmente male da aver bisogno di ricucirsi durante il silenzio della notte o nella penombra degli angoli del suo studio dove ora si univano.

Ciò che le scardinava le fondamenta, era la paura del non riconoscere più la loro verità come tale, perennemente in bilico tra il giorno e la notte. Chi era Zoro? Il suo nakama che la evitava come la peste per paura di qualche ordine strozzato e ramanzina, oppure era l’uomo radicato come una quercia che ora la stava prendendo? Qual era il limitare tra finzione e realtà?

_ Nami… _ ancora, l’aveva chiamata con una certa urgenza nella voce, un’urgenza di sapere e capirla. Aveva poi portato le mani sotto la rotondità delle sue cosce e con un guizzo di muscoli se l’era portata un po’ più in alto staccandola per un momento dal sostegno della parete. Lì poi, aveva cambiato angolazione con i fianchi sfiorandole la clavicola con la punta dritta del naso e riprendendo ad andarle dentro con quella che Nami ricorda aver creduto essere frustrazione.

Si stavano forse perdendo?

Se quel veloce richiamo l’aveva scossa dal furore dei suoi pensieri, il nuovo ritmo di Zoro rischiava di farla smarrire tra lussuria e perdizione. Lo seguì, lo seguì come la religione e lasciò vibrare i gemiti per lui.

_ Parlami… ah … _ era riuscita a respirare poco prima del grugnito di lui.

_ Ora? _ aveva sbuffato passandole il profilo dei denti lungo la mandibola.

In un guizzo di lucidità, Nami aveva percepito quel tocco come la minaccia di un morso e sentì di doversi spiegare il più possibile andando contro alle proprie paure e resistenze. Perché fa sempre paura chiedere per una risposta che non si è pronti a sentire, che potrebbe non essere quella giusta.

Gli aveva piantato le unghie sui muscoli delle scapole come in un tentativo folle di incatenarlo a lei, tra sangue e pelle. Un desiderio malsano per una dipendenza che la teneva viva.

A quello, lo spadaccino era diventato irregolare e il morso era arrivato nell’incavo del collo di Nami facendole alzare il mento al soffitto per una scarica di piacere. Si era stretta a lui assecondando le sue spinte finali e soffiando fuori dalle labbra il suo nome come una bolla rovente del suo Clima Takt. Lo aveva invocato fino al proprio culmine guidato dagli ultimi sprazzi del calore di Zoro.

Aveva stretto gli occhi Nami, chiusi forte per non lasciarsi sfuggire quel momento e viversi il vortice di sensazione ed emozioni che le inondavano dentro e fuori.

Il fiato pesante che si infrangeva contro quello di lui ora poggiato fronte e fronte in un bagno di fusione e sudore. Si era passata la lingua tra le labbra secche per gli aneliti a bocca aperta e aveva inspirato a fondo prima di schiudere le palpebre e incrociare una pozza d’onice velata dalla passione. Si sarebbe mai sentita più inchiodata di così?

_ Cosa? _ lo aveva incalzato dal fissarla inamovibile.

Lo sguardo di Zoro non aveva tremato per un singolo istante e nel risponderle con risolutezza, stoico ancora in lei, aveva iniziato a carezzarle le gambe nella sua presa con i ruvidi polpastrelli dei pollici. Questi antipodi che lo definivano così intensamente… _ Dovrei chiedertelo io. Cosa ti prende? _


Perché questo ricordo?

Perché proprio ora?

L’occhiata di Usopp e la freddezza di Rufy le dolevano ancora l’anima e ne sentiva chiaramente le schegge che correvano al cuore per darle il colpo di grazia. Sentiva freddo Nami e anche un inizio di abbandono al quale non voleva dare adito.

Doveva esserci una qualche spiegazione.

Fu invasa dall’improvvisa pretesa, infantile e primordiale, di avere delle forti braccia dalle quali lasciarsi avvolgere e poté quasi sentirla davvero quella voce, la sua voce “Va tutto bene, Nami” che le mormorava nell’orecchio e le accarezzava i capelli “Sono qui”.

Aveva bisogno di lui. La sua certezza, la sua salvezza, sempre.

In qualche modo sapeva che se avesse trovato lui, avrebbe avuto anche la spiegazione che tanto bramava, o forse non avrebbe più avuto importanza.

Con il sapore dei ricordi incastrato tra le dita, la cartografa allungò una mano speranzosa al pomello della porta e lo roteò prima di aprire la serratura con una leggera spinta.

La prima cosa che Nami notò fu l’assenza. Silenzio. Silenzio ovunque su una nave che anche nel suo sonno aveva sempre raccontato qualcosa.


Si era sentita trasparente e si era accorta di una lacrima fuggiasca solo quando le era scivolata dal limitare del volto per infrangersi sul pettorale di Zoro. Entrambi erano perlacei per lo sforzo e con i petti ancora infervorati dall’amplesso, ma la rugiada che le rigava le guance lasciava canali evaporati al calore di una consapevolezza iniziata.

Le sopracciglia dello spadaccino si erano lievemente arcuate in apprensione e il suo occhio indagatore si era fatto più vivido. _ Nami, che succede? _ le aveva domandato con ferma incertezza.

Le era scoppiato il cuore!

Se solo fosse stata capace di dirgli quanto lo amava, quanto aveva bisogno di lui. Ovunque e in qualunque momento.

Aveva sentito le lacrime dirompere e gli si era stretta al collo camuffando i singhiozzi con il volto appoggiato sulla spalla. Non era riuscita a guardarlo mentre la colpa l’aveva fatta sentire sbagliata come non mai. _No.. Non te ne an… dare mai, t.. ti prego! Anche se … se te lo dico io. Anche…se… sono io a… mandarti via. Non ascoltarmi… mai! _


Qualcosa le si attanagliava alla gola come tentacoli vivi e decisi ad annegarla nell’oblio. C’era una mancanza che minacciava di soffocarla e una profonda agonia le chiedeva di rannicchiarsi al suolo e scomparire.

Con immagini nella mente, le immagini di lui, Nami si scrollò ogni vincolo illusorio di dosso e avanzò fuori coperta. Prima arrivò il suono della pioggia, poi il profumo del petricore e infine l’affilata luce di un giorno celato dalle nuvole.


A quelle parole, Zoro aveva sporto il busto indietro per negarle il suo nascondiglio. L’aveva tenuta forte mentre usciva da lei per poi cercarla con le labbra sottili.

L’aveva baciata dolcemente, a bocca aperta, dandosi completamente all’istinto di protezione per lei. E Nami si era lasciata curare da quelle carezze umide che le si incastravano tra la vergogna e l’urgenza di sentirlo ancora, ancora e ancora.

Poi, totale come la luna nel firmamento, l’aveva presa dalla schiena stingendola in un potente abbraccio caldo come il sole.

Nami si era sorretta aggrappandosi maggiormente alla sua vita e si era preparata al sentirlo parlare dallo schiudersi delle sue labbra al lato del viso:


Dall’altro lato del ponte, poté vedere i suoi nakama raccolti a fissare verso l’oblò che sapeva essere dell’infermeria e il panico di qualcuno ferito la fece quasi traballare sulle gambe.

Una fitta dietro i lobi delle orecchie e un inizio di vertigine la spinsero ad irrigidire i muscoli per non crollare sul prato della Sunny.

Chopper non c’era, doveva essere dentro…

Chi mancava?

Anticipando ogni suo prossimo gesto, Brook si voltò e la vide. Non seppe dire quale espressione avrebbero assunto i lineamenti del musicista se solo non fosse stato uno scheletro, ma era certa che i loro sguardi si incontrarono a metà strada. _ Usopp-san, non hai chiuso la porta a chiave? _ disse con una punta di timore.

L’interpellato si voltò anch’egli e Nami rivisse nell’istante presente quella reazione sinistra del compagno avuta poco prima. _ Oh… _ esalò alzano i palmi in segno di resa.

_Nami! _ la chiamò Robin. La sua dolce preoccupazione instillata in un braccio proteso verso di lei.

Ma Nami si lasciò distrarre subito: un’urgenza le imponeva di cercare.

Chi mancava?

Un movimento oltre i Mugiwara l'attirò: Nami incontrò le lacrime silenziose che straziavano il volto di Rufy e realizzò in una folgore.

No. Non poteva essere. Impossibile!

Barcollò ancora, la navigatrice, ma non furono i capogiri. La gola si liberò e il suo corpo fluttuò nel nulla mentre si sentì chiedere: _ Dov’è Zoro? _


_Sarò sempre qui. _



ANGOLO DELL’AUTRICE - bis

Voglio farvi un invito!

Allora, non ho ancora deciso come far terminare questa storia e sono combattuta tra diverse opzioni. Se vi siete appassionatə quanto me nello scriverla, ditemi cosa vi aspettate dalla conclusione degli eventi o come più vi piacerebbe che si sviluppasse il tutto. Chissà che qualcunə non riesca ad aiutarmi convincermi!

Vi ringrazio infinitamente e…

A presto (si scherza)

Arcadia

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