Beyond the will di arcadialife (/viewuser.php?uid=676470)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Qualcosa di nuovo ***
Capitolo 3: *** Perle rosa ***
Capitolo 4: *** Idiota ***
Capitolo 5: *** Disarmati ***
Capitolo 6: *** Pelle contro pelle ***
Capitolo 7: *** Fatti da ciurmaglia ***
Capitolo 8: *** Una navigatrice in subbuglio ***
Capitolo 9: *** Romantico ***
Capitolo 10: *** Brusco risveglio ***
Capitolo 11: *** Potere e dovere ***
Capitolo 12: *** Il degenero degli eventi ***
Capitolo 13: *** Riscossa ***
Capitolo 14: *** Il perché che fa male ***
Capitolo 15: *** Culmine ***
Capitolo 16: *** Epilogo ***
Capitolo 17: *** Gli antipodi di Zoro ***
Capitolo 1 *** PROLOGO ***
Io…
Davvero,
nemmeno nei miei incubi più profondi, avrei mai potuto
immaginare
che sarebbe, un giorno, accaduta una cosa del genere.
La
strada del nostro viaggio si estende dinanzi ai nostri piedi per un
numero di leghe del tutto indefinito, ma posso essere abbastanza
certo nell’affermare di aver affrontato e superato oramai di
tutto.
Ma
questo no…
Ho
battuto avversari con il doppio delle mie armi, con una resistenza
d’acciaio, con una intoccabilità sovrumana e con
poteri dei frutti
del diavolo che li hanno resi degli autentici mostri.
Nessuno
avrebbe minimamente scommesso sul fatto che la mia forza, si sarebbe
tramutata nella mia disfatta.
Mi
sono sempre ripromesso di non abbandonarmi ai sentimenti, ma con lei
non ho saputo fare altro.
Mi
è sembrata la scelta più ovvia, vista la nostra
stramba quanto
intensa unione.
Non
so cosa mi sia passato nel cervello: mi sono comportato come se la
realtà fosse una favola, come gli amanti di cui leggevo in
quei
pochi libri che mi era capitato di leggere da piccolo. Non che avessi
un particolare amore per la lettura, ma era un metodo di istruzione
imposto a me come a tutti i miei coetanei dell’isola.
Un
gesto eroico e di… amore.
Oppure
è stata la stessa fiducia intrinseca che mi lega al mio
capitano.
Mi
sono comportato come un uomo frivolo e sdolcinato nella speranza di
destarla e che tornasse da noi.
Mi
ha dato il benservito, la mocciosa.
A
conti fatti, dovrei trovarmi nell’infermeria della Sunny
steso su
uno dei letti.
Non
sento nulla del mio corpo se non i miei stessi pensieri.
Loro
non lo sanno, ma sento chiaramente anche le loro voci.
Credo
di essere caduto in una specie di sonno profondo, ben diverso dai
miei soliti pisolini e dormicchiate e li sento discutere sul da farsi
facendomi beffe della loro inconsapevolezza.
Non
si vogliono arrendere, i miei compagni, e sono orgoglioso di loro. Mi
devo riprendere, certo, ma so che non faranno scelte sbagliate e
gestiranno la situazione al meglio del possibile.
Nami
tornerà da noi e nel frattempo io mi rimetterò.
Posso
fidarmi ciecamente di Rufy e gli altri.
Ora
mi devo prendere del tempo per me stesso: non mi sono mai sentito
così tremendamente privo di forze.
E
quando sarò nuovamente in me, mi prenderò cura di
lei affinché
tutto ritorni come prima.
Ha
bisogno di me.
Lei
è stata l’unico nemico dalla quale mi sarei fatto
cavare il cuore
dal petto.
Anzi,
per la sua salvezza, glielo avrei offerto io stesso a palmi aperti
come ho fatto ogni giorno della nostra relazione.
In
fin dei conti, è praticamente quello che è
successo vista la ferita
che mi squarcia il torace nonostante il suo profumo che ancora
aleggia sulla mia pelle.
Sono
stanco, però… ho bisogno di dormire.
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Capitolo 2 *** Qualcosa di nuovo ***
E
vabbè, non c’era da aspettarsi altro.
In
fin dei conti, quella a cui stavano assistendo, non era propriamente
una scena fuori dal comune e non c’era da stupirsi
più di tanto
per come fossero andate le cose.
Il
loro capitano era fatto così: il significato delle parole
“passare
inosservato” era qualcosa di evidentemente indecifrabile.
Per
meglio dire, non è che fosse un vero idiota come spesso e
volentieri
dava a vedere, ma sembrava piacergli l’idea di non
programmare
nulla nella sua vita e affrontarla così come veniva.
O
forse se ne infischiava, semplicemente!
Tra
l’altro, se uno si fermasse a pensare alle motivazioni di
base
dalle quali hanno origine questi degeneri, gli verrebbe anche da
ridere e non ci farebbe tutti sti pensieri; non fosse che attorno a
lui convergano ben altre otto esistenze costrette ad arrestare il
loro cammino per le due idiozie.
Dato
il carisma del ragazzo però, l’unico pensiero
formulabile
escludendo l’idea di abbandonarlo alle sue bambinate era
“è
fatto così”.
Non
che non fosse anch’egli degno di elogi, anzi forse il
più
meritevole dell’intera ciurma era proprio lui, ma erano gli
estremismi comportamentali che oscillavano da un polo
all’altro
della sua genuinità ad istillare il dubbio.
Va
bene che erano pirati e tali marasma non facevano altro che innalzare
il buon nome della categoria, ma a tutto c’è un
limite.
Avevano
ormeggiato la Sunny in quell’isola per la consueta esigenza
di
rifornire la stiva. Dovevano scendere, acquistare i viveri necessari
e salpare subito dopo; questo era il piano…
Vi
avevano trovato una bella città vivace e serena, ma Rufy
aveva
troppa fame.
Quella
volta non si erano divisi e assistettero tutti
all’espressione di
pura gioia del loro capitano quando scoprì che per le vie
principali
erano allestiti numerosi banchetti e che molti di questi erano colmi
di leccornie e prelibatezze.
Erano
capitati (casualmente) proprio nel giorno di mercato e la folla di
cittadini che riempiva le strade non aveva impedito al ragazzo di
guizzare da una bancarella all’altra allungando,
letteralmente, le
mani su qualunque cosa capitasse a tiro del suo radar.
Ecco,
già la cosa non è vista di buon occhio laddove
sparpagliati ovunque
ci siano guardie in servizio pronte ad acciuffare qualsiasi
ladruncolo, se aggiungiamo le grida spaventate delle persone
terrorizzate dall’assistere ad un arto allungabile, finiamo
esattamente dove i Mugi si ritrovavano.
_ Qualcuno mi spiega
perché ancora
siamo con lui?_ esclamò uno sconsolato Usopp volgendo il
palmo
aperto ad evidenziare l’irrazionalità di
ciò che stava facendo
Rufy.
_ Yohohohohoho!! Cosa ti
importa?!
Goditi lo spettacolo._ gli rispose canterino Brook fingendo di
strimpellare la sua sciabola come fosse una chitarra.
_ Spero non si facciano
troppo male! _
piagnucolò un nasino blu abbassando preoccupato le orecchie.
_ Ma no, dottore! Il nostro
capitano
si sta solo divertendo un po’_ esordì Franky
intento a scolarsi
una bottiglia di cola.
Soffocando un risolino
divertito, la
bella archeologa si avvicinò alla renna e posò
soave una mano sul
suo cappello per rassicurarlo ed iniziò ad utilizzare il suo
potere
per acciuffare al volo i malcapitati che il moro lanciava per aria,
così da ammortizzarne la caduta.
L’ingenuo Chopper
levò il capo a
guardarla con occhi mielosi e riconoscenti per quel gradito soccorso
e sul suo musetto riaffiorò il caratteristico sorriso
spensierato,
per poi tornare a dedicarsi alla mela caramellata gelosamente
custodita tra le zampette.
_ Se solo ci fosse Sanji!
Lui è
l’unico che abbia un po di giudizio capace di fermare Rufy!
Perché
la persona che rimane sulla nave si rivela sempre di una certa
importanza per quelli che scendono a terra?_ continuò a
lamentarsi
il cecchino battendo un piede a terra spazientito.
A quelle parole, lo sghembo
divertito
di Zoro mutò in un lieve broncio di stizza _ Nessuno ha mai
avuto
bisogno di te, ora che ci penso!_ lo punzecchiò il verde
insofferente a qualunque complimento verso il cuoco.
_ E con questo che vorresti
dire
scusa?! _ sbraitò Usopp puntellando le mani sui fianchi con
sfida.
_ Che dovresti rimanere tu
di guardia
la prossima volta!_ ridacchiò lo spadaccino.
_ Preferisci Sanji a me?_
lo interrogò
l’altro sapendo già di avere la vittoria in pugno.
Zoro schiuse la bocca
pronto a
rispondere, ma la serrò subito dopo e distolse lo sguardo
ignorando
il compagno e le sue risate sbellicate.
Percepì il
sangue fluire caldo verso
le guance e, prima ancora di permettere loro di imporporarsi, si
prese le nocche fra le mani facendole scrocchiare e cambiando
discorso: _Va bene, ci penso io… _
Avanzò di un
passo verso la baruffa,
già con quel tipico viso predatorio sui lineamenti, quando
una
fragorosa botta in testa lo spedì con la faccia a terra e le
gambe
per aria tanto forte da fargli mangiare la polvere.
_ Tu non ti muovi di qui
per andare a
cercare altri guai!!_ sbraitò Nami con ancora il pugno
levato in
aria.
Iroso, il ragazzo fece per
alzarsi e
sovrastarla con la sua mole da uomo digrignando i denti pronto ad
affrontarla, ma la cartografa fu più lesta e lo prese per lo
yukata
sbatacchiandolo e sbraitandogli addosso: _NON CI PROVARE O TI STROZZO
RORONOA!! _
Esattamente
nell’istante in cui la
ragazza lo liberò dalla presa per lasciarlo cadere
stralunato con i
glutei a terra, un corpo non del tutto definito gli arrivò
addosso
ad una velocità sovrumana colpendolo in mezzo alle spalle,
per poi
finire accolto dalle pronte braccia di Robin.
Il volto dello spadaccino
rovinò
nuovamente al suolo graffiandosi la pelle mentre Nami fu veloce a
togliersi dalla traiettoria.
Scioccato ed incredulo, il
resto
dell’equipaggio volse lo sguardo verso il punto da cui era
arrivato
il colpo e videro Rufy intento a tenersi sottobraccio il collo di un
soldato piagnucolante e ridere a crepapelle completamente assorbito
da quel gioco.
_ Oooohy, ragazzi!! Venite
a
divertirvi, ce n’è per tutti!_ squillò
il capitano sventolando
un braccio per attirare la loro attenzione.
Come se di attenzione non
ne avessero
già abbastanza!
Erano rimasti tutti
immobili neanche
minimamente intenzionati a seguirlo quando il tutto aveva avuto
inizio, figuriamoci ora!
Nonostante tutto, Rufy
continuò a
divertirsi con quei poveri soldati atti solo a compiere il loro
sciagurato dovere facendosi forza e senza tirarsi indietro, ma la
loro era una corsa spianata contro un solido muro di mattoni.
Il capitano li respingeva a
suon di
pugni e calci concedendosi imperterrito, tra un cazzotto e
l’altro,
di agguantare sempre più cibarie in giro mentre la folla
urlava
spaventata e correva a nascondersi.
Non fosse che proprio
alcuni
cittadini, visto l’invito del pirata caotico, presero a
strepitare
contro i Mugi rimasti in disparte e altri soldati in arrivo per dar
manforte ai colleghi se ne accorsero cambiando repentinamente il loro
bersaglio.
_ AAAAAAH!! Poveri noi, ci
hanno
visti!! _ latrò Usopp levando le braccia al cielo in segno
di resa.
Franky getto la bottiglia
vuota e si
preparò allo scontro accompagnato dagli incitamenti del
musicista
scheletrico, ma nessuno di loro si rese conto di un’energia
spaventosa, tetra e immensa, emanata da uno dei compagni.
Con gli occhi dardeggianti
di
insofferenza e la rabbia viva nelle vene, un’isterica Nami
perse
quel poco di autocontrollo e sfogò il tutto sul primo che
gli capitò
a tiro: Zoro.
_ Che diavolo fai ancora li
per terra?
TI SEMBRA QUESTA L’ORA DI DORMIRE?!_ così dicendo
e ignorando il
resto dei nakama tremanti di paura, acciuffò nuovamente il
povero
spadaccino ancora rintronato e lo tirò su di peso gettandolo
con uno
spintone contro gli avversari.
Prima ancora di riuscire a
rendersi
conto di cosa fosse quella misteriosa forza capace di rimetterlo in
piedi, il giovane si ritrovò a schivare all’ultimo
minuto un
proiettile che sfrecciò accanto al suo orecchio scontrandosi
con i
pendagli e l’impatto gli fece fischiare il timpano.
Puramente istintivo,
sguainò due
katane e sminuzzò in un vortice tagliente tutte le armi da
fuoco
nelle vicinanze lasciando i nemici a bocca spalancata, immobili a
fissarlo.
Perfino quelli intenti ad
acciuffare
Rufy si bloccarono dallo spavento!
Con un ringhio trattenuto
nel petto,
Zoro li sfidò in cagnesco con uno sguardo terrificante e il
silenzio
calò nella via.
_ Sparite, tutti quanti! _
sibilò a
denti stretti.
I soldati non si mossero,
non per
qualche forma di coraggio, bensì per lo sgomento e
continuarono ad
osservarlo con occhi sgranati incapaci di contrarre un solo muscolo.
_ Ora!!_ ruggì
il verde alzando le
armi.
Come un quadro che prende
vita, le
guardie si arrovellarono a fuggire il più velocemente
possibile
abbandonando il loro arduo compito.
In fin dei conti si erano
fatti onore,
ma quelle pupille assetate di morte minarono irreparabilmente il loro
senso del dovere e l’istinto di sopravvivenza prese il
sopravvento.
_ Zoroooo… sei
un guastafeste! _
piagnucolò Rufy sconsolato lasciando andare le ginocchia a
terra dal
dispiacere.
_ Finiscila e muoviti,
torniamo alla
Sunny. _ bofonchiò l’altro rinfoderando le lame e
lanciando al
capitano un’occhiataccia di blanda disapprovazione.
_Era ora! _
cinguettò la cartografa
facendo strada verso il porto.
Il resto della ciurma le
andò dietro
e Usopp fu l’unico a preoccuparsi di non dimenticare il
capitano
andando a recuperarlo dai banchetti abbandonati.
Passando al fianco del
vice, Nami gli
diede un buffetto sulla spalla esclamando : _ Ben fatto!_ quando
d’improvviso si sentì afferrare duramente per il
polso.
Il rimanente
dell’equipaggio li
superò lasciandoli brevemente in disparte.
_ Tu dovresti decidere cosa
vuoi! _
soffiò il giovane incarognito.
_ In che senso?! _ chiese
spiegazioni
lei.
Che stava succedendo?!
_ Prima non vuoi che mi
intrometta e
poi mi butti nella mischia?! Maltrattamenti a parte… _
cercò di
spiegarsi Zoro, sempre più nervoso.
La ragazza sentì
la presa dell’uomo
sulla pelle farsi più stretta e tesa e
indietreggiò d’un passo
incredula: _ Mi stai facendo male… _
lo guardò dritto
negli occhi e vide
un qualcosa che spesso aveva dimorato in quelle pupille, ma solo per
coloro che non erano suoi amici.
Come scosso da un incubo,
lo
spadaccino sembrò rendersi conto delle sue azioni solo in
quel
momento e la liberò dandole subito le spalle.
_ Scusa. _ fu
l’unica cosa che
sussurrò con un lieve cenno del capo prima di incamminarsi
anch’egli.
Nami rimase sola per
qualche minuto a
fissare quell’uomo che per un fievole lasso di tempo non
aveva più
riconosciuto e giurò di intravedere una qualche invisibile
ombra
aleggiare su di lui.
L’unico pensiero
fisso ad insinuarsi
nel suo cervello fu una domanda del tutto spontanea.
Perché?
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Capitolo 3 *** Perle rosa ***
_ Si può sapere
perché non possiamo
mai fare uno sbarco normale?!_ sbraitò Sanji accigliato e
sbatacchiando la testa del capitano con il tallone piantato nel suo
zigomo.
Rufy, dal canto suo, era
ancora preda
dell’adrenalina che sembrava non voler mai scemare dalle sue
membra
e rideva sguaiatamente mentre ignorava il tacco di scarpa che lo
spintonava: _ Ahaha è stato divertente dai!! _
In termini di tempistica, i
viaggi in
mare della ciurma erano più lunghi rispetto alle poche volte
che
riuscivano ad approdare e mai che potessero prendere coscienza delle
proprie gambe sulla terra ferma in tranquillità che si
ritrovavano a
dover affrontare qualche imprevisto.
In fin dei conti, forse,
era meglio
così. Non erano certo avvezzi alla monotonia e la loro
personalità
individuale che cozzava con quella degli altri componenti del gruppo
non poteva che definirsi eccentrica, ma alcuni di loro continuavano
imperterriti a sperare in qualche sprazzo di serenità.
Gli unici che si lasciavano
trasportare dal caso senza proferire parere alcuno erano Robin, Zoro
e Brook, beh non che da uno scheletro qualcuno si potesse aspettare
una conversazione.
_Yohohoho! _ ecco, si
limitava a
ridersela pure lui.
A dirla tutta, nessuno era
particolarmente attento al battibecco esclusa Nami che non si
lasciava mai far sfuggire occasione di malmenare il ragazzo di gomma
ed era pronta a dar manforte al cuoco se solo il moro avesse osato
protestare alla ramanzina. Usopp, Franky e Robin erano intenti a
riprender fiato dopo la fuga rocambolesca dal mercato, il piccolo
medico teneva sott’occhio la baruffa con aria preoccupata e
lo
spadaccino se ne stava in disparte guardandosi attorno con
un’aria
più accigliata del solito.
Erano riusciti ad infilarsi
in un
vicolo isolato e avevano fermato la loro corsa per riordinare le idee
e aspettare che le acque si calmassero, ma se c’era una cosa
sulla
quale ognuno di loro era consapevole è che muoversi era il
modo
migliore per sfuggire alla situazione, quindi avevano poco tempo a
disposizione.
_Dobbiamo andarcene. _
esordì Zoro
con ancora il ruolo di chetatore sulle spalle.
Le gambe di Usopp furono
assalite da
una tremarella inarrestabile: _ Concordo! _
_ Dove? _ annuì
Chopper insicuro se
distogliere lo sguardo dai compagni litigiosi.
_Non possiamo! Il Longe
Pose ci
impiega nove giorni a stabilizzarsi. _ cinguettò la
navigatrice
puntando gli occhi nocciola sul compagno dai capelli verdi.
Quello sbuffò
assottigliando la
vista: _ Non intendevo dall’isola..._
La ragazza si
limitò a scrutarlo
velocemente per poi voltarsi verso l’archeologa con fare
supplichevole, ma l’altra le concesse una semplice risatina
mascherata.
Quel modo di fare da parte
dell’amica
era piuttosto snevante! Se non potevano contare l’una
sull’altra
in mezzo a quella marmaglia di estrogeni Nami sarebbe sicuramente
impazzita e quei suoi sorrisini evasivi che non mettevano mai un
punto non avevano propriamente il sapore di sostegno.
Immaginò di
doversi semplicemente rassegnare all’idea di non poter mai
ritirare
gli artigli.
Non si spiegava il motivo
per cui
quell’omone tutto spade e muscoli fosse così
scontroso con lei;
cioè più del solito, chiarì a se
stessa.
Si sorprese a fissarlo
nuovamente con
fare guardingo come pronta ad una delle loro solite discussioni
bambinesche mentre Sanji commentava che un ostello sarebbe stato
perfetto per nascondersi per il resto della giornata.
_ Sperando che non ci
riconosca
nessuno. _ concluse Franky a voce alta.
Sentendosi osservato, Zoro
roteò
l’occhio buono fino ad incastonarsi con la genesi di quella
sensazione piantata su di lui e la navigatrice saltellò
sulle punte
come presa da una scossa e percependo un certo calore di imbarazzo
sulle gote. Non le piaceva perdere ed era sempre stata lei
l’osso
duro in termini di ripicche, ma l’uomo l’aveva
scoperta in pieno
in un attimo di debolezza nel quale lo aveva cercato.
_ Affrontiamo un problema
alla volta.
Tanto non possiamo certo rimanere per strada e non ho intenzione di
stare per più di una settimana chiusa sulla Sunny! _ Nami si
infilò
nella conversazione alzando ferma un pugno al cielo nel tentativo di
puntare la propria attenzione su altro e ritrovare un po’ di
compostezza.
Sanji piroettò:
_ Oh mia splendida
Dea!! Come dici tu!! Vuoi che vada a prenderti qualcosa dalla nave
per farti stare più tranquilla? _ un accenno di epitassi
scivolò
dalle narici del biondo al pensiero di ritrovarsi da solo nella
cabina delle ragazze e, perché no, magari frugare in qualche
armadio
o cassetto con intimo celato.
_ Basta che ci
muoviamo… _ sospirò
un cecchino che già s’immaginava un epilogo
doloroso per quella
situazione di rischio.
La cartografa
ignorò le moine del
cuoco alzando un sopracciglio di sdegno e Brook si offrì di
fare
strada: se anche avessero incontrato qualcuno, chiunque sarebbe
fuggito a game levate alla vista di uno scheletro in movimento.
- Ma non sappiamo dove
andare! _
piagnucolò la renna zampettando agitata sul posto.
Robin gli posò
soave una mano sul
capo e sorridente lo tranquillizzò: _ Cerchiamo un
posticino, no? _
Chopper gli rispose con
cenno positivo
del capo e iniziarono ad incamminarsi appresso al musicista.
Rufy esplorò una
narice con il
mignolo: _ Quindi, dov’è che andiamo?_
_ Rufy, ma non hai sen..._
fu pronto a
spiegargli Usopp per poi essere interrotto da una spinta di Sanji che
lo intimava a muoversi, per poi mollare uno scappellotto alla nuca
del capitano con lo stesso intento.
_ Bene!! _
gridacchiò con voce
metallica il carpentiere dai capelli azzurri.
In procinto di andare anche
lei, Nami
senti di volgere nuovamente il capo. Zoro non aveva smesso di
osservarla con quel suo solito cipiglio e la rossa fremette un
secondo nascondendo il viso al petto.
Quando lo cercò
ancora, quell’iride
buia non diede alcun segnale di cedimento e il ragazzo si
limitò a
seguire la via presa dal gruppo dandole le spalle.
Seguì con gli
occhi quella figura
virile precederla e mostrarle la schiena ampia: lui no, lui non si
nascondeva…
- Tesoro mioooooo!!!_ dalla
loro breve
distanza, Sanji già la chiamava.
Erano riusciti a trovare
alloggio
nella periferia della città dove avevano scoperto che le
voci di
pirati in fuga per le strade non avevano allarmato nessuno. Dal
centro dell’abitato sino alla costa era un costante aumento
di
degrado e abbandono e la proprietaria dell’ostello nella
quale si
erano rifugiati aveva lasciato intendere che per i cittadini di
quelle zone c’erano ben altri pericoli alla quale prestare
attenzione, o perlomeno la loro presenza non avrebbe suscitato
l’interesse di nessuno.
Certo, il compromesso era
proprio
quello di non sentirsi completamente al sicuro se pur per ben altri
motivi, ma i mastini della ciurma erano ben capaci di tenere alla
larga qualunque malintenzionato.
La furba proprietaria
però, era stata
abile ad approfittare della situazione e a richiedere un supplemento
per il suo prezioso silenzio al quale l’auto nominata
tesoriera del
gruppo si era opposta fermamente, ma alla minaccia di vedersi
chiudere la porta in faccia aveva dovuto fare un passo indietro e
cedere a quel meschino ricatto. Che non si dicesse che lei non era
altruista!!! Fosse stato per la sua tirchieria sarebbero filati tutti
di corsa alla Sunny contraddicendo quanto da lei stessa affermato
pochi minuti prima, ma erano stanchi e spossati e un po’ di
aria
nuova avrebbe rinvigorito tutto l’equipaggio. In un certo
senso, lo
riteneva un gesto compiuto in compensazione al disastro fatto dal
loro stesso capitano che sembrava perennemente insensibile
all’equilibrio psicologico dei nakama.
Le camere da notte erano
solo doppie,
così si videro costretti a prenderne quattro e sorteggiare
due
membri che avrebbero dormito con Chopper viste le sue dimensioni
decisamente ridotte: sarebbero stati stretti, ma almeno Nami sarebbe
riuscita a risparmiare qualche Berry dato il salasso imposto dalla
grassa e scontrosa proprietaria di quella topaia.
_ Stavo
pensando… _ esclamò Robin
attirando l’attenzione della cartografa che usciva dal bagno
ovattata di vapori.
Le due ragazze si stavano
rilassando
prima di ricongiungersi con il resto del gruppo per la cena e la
rossa ne aveva approfittato per concedersi una mezz’oretta
nella
vasca e distendere le membra.
L’archeologa
invece si era limitata
a sedersi di fronte alla finestra e dedicarsi ad uno dei suoi libri
approfittando delle ultime ore di luce prima del tramonto: _ Domani
potremmo tornare in quella particolare bottega e prendere quegli
orecchini che ti piacevano!_
Nami capì
immediatamente a cosa si
riferisse l’amica e al ricordo di quanto successo si
irritò
avvolgendosi nell’asciugamano ampio a sufficienza per coprire
seno
e inguine.
_ Stavi giusto contrattando
sul prezzo
quando Usopp è venuto a dirci di Rufy. _ continuò
Robin.
La più giovane
sbuffò con le narici
rivivendo nella mente l’accaduto: il cecchino era giunto
tutto
trafelato e aveva appena avuto il tempo di avvisale che un qualcosa
scagliato dal loro capitano era fiondato nella bottega distruggendo
di tutto. Fortuna che quegli orecchini Nami li avesse già in
mano.
Quando si erano ripresi
tutti e tre si
arrovellarono a raggiungere quel pianta grane ancor prima che la
polvere si assestasse, senza far caso a quanto stessero lasciandosi
dietro.
_Non ce
n’è bisogno, Robin _ le
rispose.
Rari erano le volte in cui
la donna
dai capelli neri si sorprendeva per qualcosa, ma in
quell’occasione
la fisso stupida schiudendo appena le labbra: _Ma ti piacevamo! _ e
mai Nami si era ravveduta dal comportarsi come una bambina viziata
che ottiene quello che vuole.
La navigatrice le fece
l’occhiolino
e Robin fu subito pronta a ricredersi chiedendole: _Che hai
combinato?! _
La giovane non le rispose e
si limitò
ad andare a frugare nel suo zaino per poi voltarsi vittoriosa e
malandrina tendendo il pugno serrato. Quando lo schiuse, sul palmo
aperto troneggiava il suo bottino di perle rosa.
_ Non ho resistito! _
commentò la
ladra pinzandosi la punta della lingua con i denti.
Robin si limitò
a ridere di gusto
scuotendo il capo e commentando che fossero molto belli.
In effetti pareva
impossibile aver
scovato quella coppia di meraviglie così delicati
all’interno di
un negozio talmente tetro: c’erano libri, oggetti particolari
e
preoccupanti che si poteva credere di trovarsi nella dimora di una
strega. Ragnatele e polvere, ben si accostavano alla presenza della
vecchia proprietaria dal viso solcato dalle rughe che si comportava
con fare carino e cortese, ma faceva venire un brivido lungo la
schiena per quanto fosse inquietante e Robin giurò di averla
intravista un paio di volte con una faccia tutt’altro che
rassicurante.
_Li indossi stasera? _
domandò la
corvina.
_ Mmm no! Darebbero
nell’occhio
credo _ le rispose anche se, a conti fatti, erano loro in carne ed
ossa a poter destare attenzione e non un accessorio così
piccolo.
Quando fu l’ora
di cenare, Sanji
bussò alla loro porta e le accompagnò nella sala
comune
dell’osteria dove sarebbe stato servito il pasto e, per una
volta,
non mangiarono i prelibati piatti del cuoco di bordo fatto del quale
Rufy non mancò di lamentarsi.
Quando terminarono di
mangiare, si
decise di comune accordo per una passeggiata lungo la costa a godere
del chiaro di luna, ma la cartografa declinò sentenziando di
sentirsi stanca e nessuno si degnò di andare a recuperare lo
spadaccino che si era allontanato precedentemente con una bottiglia
di saké di riso.
Mentre saliva le scale e
percorreva
l’angusto corridoio che l’avrebbe portata alla sua
camera, Nami
si ritrovò a pensarlo abbandonato chissà dove
come un mendicante e
se non fosse stato consapevole delle sue capacità di difesa,
si
sarebbe preoccupata per lui. Si chiese ancora che diavolo gli
balenasse per la testa a quel buzzurro per averla trattata
così e si
sentiva incerta se affrontare il disguido: era un atteggiamento
particolarmente strano e che mai gli era appartenuto considerando che
fosse stato nei suoi riguardi. La cosa la disorientava.
Infilò la chiave
nella toppa e la
roteò quel tanto che bastava per sentire il click della
serratura e spalancare la porta. Oltrepassò la soglia ancora
vittima
dei propri pensieri caotici e si apprestò a cercare a
tentoni nel
buoi un fiammifero per accendere l’unica lanterna della
stanza.
Con
un leggero crepitio di protesta, la miccia prese fuoco e
riverberò
nell’oscurità rivelando una figura.
_
Ohi, mocciosa… _
|
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Capitolo 4 *** Idiota ***
Idiota.
Mi è
stato detto una quantità di
volte immane. Non ci ho mai creduto, sono sempre stato caparbio
all’idea di me stesso, ma ora non riesco a formulare un
qualunque
altro pensiero che mi rappresenti.
Amici che me lo
hanno ripetuto con
l’unico scopo di punzecchiare il mio essere stoico
così da cercare
una breccia di relazione, nemici convinti di intaccare la mia
volontà
o per il semplice scopo di attaccare se pur verbalmente quella
minaccia che sono io… e poi lei, anche lei.
Non ho mai capito
cosa stesse
cercando di ottenere quando mi chiamava così
perché ogni sua parola
ha sempre celato un sentimento inespresso.
Idiota, gracchiato
canzonatorio
quando fingevamo le discussioni che hanno sempre rappresentato il
nostro rapporto all’interno della ciurma. Idiota, quando
invece
litigavamo sul serio e poi idiota quando cedevo ai suoi occhi
languidi e a quelle labbra curvate dolcemente che mai perderanno
vividità nei miei ricordi; è stata
l’unica realtà di questo
mondo capace di scuotermi dentro.
Sento la porta
dell’infermeria che
cigola e il legno del pavimento che scricchiola sotto il peso di
qualcuno.
Idiota, quando la
facevo e la
sentivo mia. Quando la prendevo tra le mie braccia e lasciavo che
vedesse la nudità della mia anima perché
è sempre stato più di
un’unione carnale. Idiota, quando non mi abbandonavo a lei e
mi
rintanavo in una sorta di freddezza rude che si parava tra di noi
come un muro. Idiota, quando accarezzandomi la mascella dopo
l’amplesso, incredula ricordava cosa eravamo e si rende conto
di
cosa ora assurdamente siamo.
Mi chiedo se lo
siamo ancora.
Una figura alla mia
sinistra si muove
e percepisco il fruscio del pelo di Chopper che credo si stia
voltando; mi vien da ridacchiare al fatto che conosco il suo studio a
memoria ormai.
_ Hey… _
riconosco la voce stanca di
Usopp salutare.
Le gambe di una sedia che
stridono
allo spostamento subito e altri passi un po’ trascinati.
_ Come sta?_ questo
è Rufy. Non ho
mai sentito la sua voce così grave e un po’ mi
dispiace per lui.
Sono un idiota per
tutte le volte
che l’ho ferita con il mio non capire. Le sue aspettative, le
sue
emozioni per… noi. Non le ho mai dato ciò che
mutamente mi ha
sempre chiesto: un lasciarmi vivere.
Forse quel
qualunque cosa in cui io
non credo mi sta dando il ben servito per questa ottusaggine,
perché
non riesco a credere che sia stata lei. Che lo abbia valuto lei.
Nel caso, non
posso dire di non
essermelo meritato e questa idea mi sta facendo esplodere la testa.
Mi sono abituato
alla sua presenza,
al suo esserci e al suo aspettarmi. Che poi, cosa si credeva? Che
fossi l’uomo da lei così agognato? Non lo sono, ma
di certo sono
stato il suo uomo migliore che potessi essere.
Questo sono io.
Di nuovo la sedia si muove
e sento il
calore del fiato del medico sospirare sul mio avambraccio. Mi
è
tornato vicino e quel leggero torpore che mi solletica dona una
sensazione di pace e tranquillità.
_ Dorme_ risponde
respirandomi ancora
contro _ pare… _
C’è
anche un altro suono che vibra
nell’aria, una specie di fischio acuto intermittente che mi
da
fastidio e si intromette con il mio ritmo. Non riesco a sentire il
battito del mio cuore, lo sovrasta e sembra volerlo zittire.
Idiota per farmi
capire che il
punto al quale giungo io non sia l’unico opinabile, che ci
sia
altro. Ha cercato di aprirmi gli occhi e renderli capaci di vedere
attraverso i suoi, per farmi vedere i suoi colori e la sua bellezza.
Lei vive nella bellezza.
Non ha mai
desiderato cambiarmi
come da idiota ho creduto per tanto e me lo diceva la mocciosa, che
ero un idiota. E faceva bene credo. Adesso lo so, so che era alla
ricerca del me più vero e voleva solo che la accompagnassi,
ma non
ne sono capace.
So solo ammazzare
e ringhiare, ma
lei rendeva più sopportabile tutta quella sporcizia sulla
mia pelle.
La voce trillata di Usopp
sembra
allarmata: _ Ancora?! _
_ Sono tredici giorni
ormai, Chopper.
_ commenta atono il mio capitano. Il suono di una mandibola che
scrocchia per la troppa forza con la quale viene stretta.
Qualcosa di pungente si
muove sotto il
dorso della mia mano sinistra quel tanto da catturare la mia
attenzione per pochi istanti; sembra mi stia infilzando una vena.
Mi viene da fare una
smorfia, ma
lascio stare. Qualunque cosa stiano facendo è per il mio
bene e quel
piccolo dottore mi ha strappato alla morte più volte
così come, ne
sono certo, ci riuscirà anche in questa. Sono tranquillo.
_ Lo so Rufy, ma
è stabile. _
piagnucola e di sicuro storce il naso blu.
Sono un idiota
perché dovrei
combattere per lei, ma l’unico modo che conosco è
con una spada in
mano e non sono sicuro che sia ciò di cui
c’è bisogno ora. Quelle
lame, le mie lame, hanno fatto male a molta gente ma mai a chi mi
è
caro e questo non dovrebbe succedere. Non deve!
Idiota
perché se devo lottare
contro un che d’immateriale e che non capisco divento un
inetto.
Non credevo di trovare un qualcosa nel quale non fossi in grado di
arrangiarmi e anche questo è merito suo.
A omettere la
violenza, alcune
volte.
_ Non era mai successo
così! _
protesta il nasone che di bugie ne sapeva. Sapeva che c’era
dell’altro, un non detto.
Deglutisce a vuoto al mio
fianco
Chopper e una gocciolina di rugiada si infrange sul mio addome: _
E’
che… non capisco. Normalmente sarebbe in fase di recupero ed
è
assurdo che non reagisca agli stimoli esterni._
E tutto questo lo
sa, lei. Fa la
bambina capricciosa e superficiale, ma non è mai leggera nel
suo
vivere e non le sfugge nulla. È lucida, sempre razionale.
Non lo da
a vedere, ma io lo so.
Attraverso lei ho
iniziato a
riscoprirmi. Scoprirmi capace di amarla, non come lei vorrebbe ma
come io non sapevo di fare.
Idiota
perché non sono abbastanza
per lei.
A giudicare dal suono delle
infradito
di paglia intrecciata, anche Rufy mi si è accostato e il
materasso
si comprime sotto il suo peso delle braccia appoggiate al letto. Mi
sento leggermente cedere verso di lui e il capo scivola di lato. La
guancia si appoggia al cuscino e mi trovo più comodo.
_ Almeno ha smesso di
sanguinare? _
incalza Usopp.
Ecco
cos’è quel calore al cuore che
va e viene! Quando manca sono più rilassato...
Ancora
più idiota perché non so
come esserlo. Posso fingere a me stesso? È giusto diventare
ciò che
non sono solo per lei?
In
realtà ciò che è giusto o
meno non mi ha mai interessato. Ho sempre fatto quello che volevo
quando lo volevo.
Se lei fosse qui
sorriderei sghembo
gonfiando il petto e lei mi darebbe un buffotto sulla nuca dandomi
dell’… idiota.
Accidenti sono
stanco. Stanco di
tutti questi rimugini che non mi appartengono, ma lo sto facendo per
lei, per capire. Perché se fosse qui vorrebbe che arrivassi
alla
soluzione del problema.
Non sono bravo in
queste cose, la
mocciosa lo è.
Ho voglia di
dormire…
_ Credo che sia necessaria
un’azione
chirurgica. Il filo deve aver fatto danni interni che non so gestire,
mi dispiace! _ il respiro della piccola renna si strozza mentre
quello che suppongo sia il cecchino si affretta a stringerlo.
Dopotutto, è sempre un bambino.
- D’accordo! _
mormora Rufy se pur
risoluto e il seguente spostamento d’aria mi suggerisce che
si stia
allontanando. Mi è sembrato che le sue dita sfiorassero la
mia
spalla, ma sono lontano ed ho sonno.
Usopp lo chiama
interrogativo e deduco
che l’altro si fermi sull’uscio aperto a giudicare
dalla lieve
brezza che stuzzica il mio torpore: _ Cosa fai? _ un velo di
preoccupazione fa fremere la sua voce.
Intercorrono un paio di
singhiozzi
soffocati nel silenzioso e breve intermezzo dei due, poi il capitano
si sbilancia: _ Vado a contattare Torao. _
Chopper si zittisce e sento
la sedia
muoversi, ancora. Si allontanano…
Merda sono troppo
stanco. Devo
essermi sforzato come un idiota… meglio se chiudo un
po’ gli
occhi.
Il suo volto
marchiato sulle mie
palpebre mi guida e lo seguo.
La
seguirò sempre.
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Capitolo 5 *** Disarmati ***
Il fiammifero le
scivolò dalle dita e
andò incontro alla propria luminosa fine abbandonato sul
pavimento
in legno.
Ancora stordita dal
sobbalzo
inaspettato, Nami non si curò si soffocarlo e intravide la
sua
ineluttabile morte con la coda dell’occhio mentre si
riappropriava
delle mani assalite da un lieve formicolio. Aveva riconosciuto quella
voce ancor prima della famigliarità di
quell’appellativo e il
sangue le era involontariamente schizzato nelle vene verso cervello e
cuore.
Il capo le ronzava in un
lieve vortice
e il petto le martellava nella cassa toracica, reazioni fisiologiche
a quello stupore improvviso che cercava di controllare
nell’attesa
che la lampada appena vivificata adempisse al suo dovere riverberando
quell’uomo; colui che conosceva molto più
intrinsecamente di
quanto dava a vedere nella quotidianità che apparteneva loro.
Sbirciò verso la
sua postazione
ancora vittima della penombra della notte e poté scorgere i
tre
pendenti di quell’oro riscaldato dal riverbero della
fiammella e i
canini aguzzi serrati e rinchiusi tra le labbra piegate in una
smorfia compiaciuta.
Prese tempo aggiustandosi
una ciocca
di capelli ribelle ingabbiandola dietro ad un orecchio e
portò
l’altra mano sul fianco in una posizione
d’acciglio, ma la sua
espressione era incapace di riprendere il controllo nella medesima
abilità e prontezza del corpo.
Tremolante, la luce si
allargò a
testimonianza della vittoria del fuoco sulla miccia e
l’intruso non
del tutto indesiderato fece scattare un sopracciglio verso
l’alto
rimanendo in attesa di una sua risposta verbale.
_ Che ci fai qui? _
riuscì infine ad
esclamare la navigatrice tentando di sorvolare sul dettaglio del suo
yukata serrato in vita in maniera stranamente più morbida.
_ Dritta al punto.. _
commentò
l’altro con lingua tagliente.
Zoro se ne stava con la
schiena
addossata all’angolo della parete con le braccia conserte e
sosteneva il peso del corpo con la gamba sinistra mantenendo la
destra accavallata ad incrociare la gemella a livello degli stivali
scuri, l’occhio tornato seriamente nero per un fievole
momento e
puntato fuori attraverso la finestra alla sua destra.
Minuscole goccioline
d’acqua ad
imperlargli la capigliatura suggerivano fosse reduce di un bagno e
riflettevano a tratti la luce calda della stanza e, quando il
riverbero indietreggiava, brillavano della luce lunare che filtrava
dagli infissi. Pareva come una lotta per la supremazia sulle tenebre
e quanto i due schieramenti alleati lasciavano alla vista era
l’effetto collaterale di quella danza.
Per un momento, Nami si
ritrovò a
dubitare di essere stata in qualche modo catapultata
all’interno di
un quadro e dovette sincerarsi di non essere così certa di
volerne
uscire: amava l’arte da sempre, in qualunque forma si
presentasse.
Trattenne un sorriso al
pensiero di
come lo spadaccino fosse talmente ignaro della propria persona.
_ Ti sei perso? _ decise di
incalzare
la ragazza.
Lo vide scuotersi da
qualunque
lontananza avesse catturato i suoi pensieri e indispettirsi
leggermente puntando anche la gamba destra al suolo come per
piantarsi meglio.
_ Sono esattamente dove
voglio
essere!_ non avrebbe mai smesso di irritarsi per questa ineluttabile
debolezza della quale ormai tutti erano a conoscenza. Non era che non
avesse senso dell’orientamento, bensì la vera
motivazione di
quegli strafalcioni risiedeva nel suo essere sovrappensiero e
distratto. Quando aveva un valido obiettivo però, non
c’era errore
che potesse opporsi alla sua volontà.
_ Allora torniamo al punto
di
partenza… Cosa fai qui?_ si lamentò acidula lei.
Nami lo vide distaccarsi
dal legno con
un colpo di reni e cingersi a sciogliere la fascia porpora che, salda
in vita, stava a fissare le katane del samurai. Distolse lo sguardo
turbata quando la veste dell’uomo si aprì a
mostrare il ventre
celato, per poi tornare immediatamente a chiudersi strafottente.
Poggiate le armi in
custodia alla
stessa parete che poco prima accoglieva anche lui, Zoro
avanzò di
pochi passi, quelli necessari per raggiungere il giaciglio
più
prossimo e si stese con naturalezza su di esso portando i palmi sotto
al capo e accomodandosi con i polpacci ancora a penzoloni. Schiuse le
labbra e respirò piano gonfiando il torace, ma non una
parola uscì
da esse.
La cartografa lo
fissò atona e senza
ben riuscire ad interpretare quel gesto. Si ritrovò incapace
di
reagire prontamente, caratteristica che quasi mai le mancava e non
riuscì a fare altro che guardarlo interrogativa mentre si
grattava
la punta del naso e tornava in posizione.
Gli altri si erano
allontanati da poco
e poteva supporre che sarebbero stati presi dal loro girovagare per
un po’ . C’era da sperare che non si cacciassero
nei guai, ma la
presenza di Sanji e Robin nel gruppo la tranquillizzava ed era anche
ben conscia che il loro ritorno non sarebbe stato silenzioso: avrebbe
avuto modo di guardarsene.
Capì quindi che
Zoro stava
pazientando. Non era in grado di dirglielo a parole quindi si
limitava ad attendere, aspettava lei.
Muovendosi per la prima
volta da
quando era rientrata nella propria stanza, Nami portò le
mani alla
coscia destra e, silenziosa come il suo interlocutore, si
liberò
della fondina nella quale era custodito il suo bastone climatico per
poi abbandonarlo sul mobiletto vicino ai suoi effetti e alla lampada;
questa crepitò nell’assenza di suono che vibrava
nell’aria.
Era un’abitudine
tutta loro che
aveva sempre sancito l’apprestarsi di un qualcosa di
significativo
e la donna senti la mancanza affliggerle il cuore al ricordo di
quando loro due erano “Noi”. Non era il momento di
combattersi e
rari erano invece quelli nei quali potevano liberarsi della loro vita
perennemente minacciata dal mondo: si erano privati delle armi, delle
loro difese.
Lesta, la cartografa prese
posto sul
materasso opposto a quello occupato dall’uomo. Lei e la sua
compagna di camera non avevano ancora sentenziato in quale ognuna
avrebbe dormito e saggiò la consistenza di quel letto
accoccolandovi
i glutei come una coccia.
_Dobbiamo parlare, vero? _
azzardò
iniziando a torturarsi il lembo dei calzoncini con le unghie.
Zoro chiuse le labbra e dal
movimento
dei tendini della mascella, Nami capì che strinse i denti
voltandosi
a guardarla per poi sorriderle.
Un sorriso vero e genuino
che le
permise di sciogliersi appena.
Quella giornata era stata
colma di
muti fraintendimenti che urgevano almeno un perché, se non
delle
scuse.
In realtà, a
nessuno dei due
importava parlare troppo. Era nata della tensione nel loro
relazionarsi e la banalità del perché non poteva
minare il
benessere di ciò che poteva avvenire, men che meno erano
avvezzi
alle scuse reciproche.
_ Non sono fatto per
sopportare queste
tensioni… _ prese parola lui, incerto.
Ancora. Ancora a ribellarsi
all’inevitabile. La loro clandestinità sarebbe
stata la loro fine
per l’ottusaggine di quella testa verde che non riusciva a
scindere
ciò che era necessario da ciò che era voluto.
_ Se sei qui per riaprire
certe
discussioni, te ne puoi anche andare!_ lo fermò subito lei
rizzando
le spalle. Non aveva voglia di confrontarsi con quella dura
realtà
che li divideva, semmai voleva sentirlo più vicino.
Non doveva andare
così. Erano soli e
insieme e non dovevano perdere tempo nel discutere. In fin dei conti,
il loro armamentario in disparte ne sanciva il motivo.
Contraddicendo il veleno
del tono
appena esclamato, Nami si alzò cauta dal suo posto per
prendersene
uno meno distante da lui. Si sedette sul pavimento puntellando i
piedi e cingendosi le ginocchia con le braccia, la schiena a sfiorare
il bacino che accoglieva il corpo del compagno.
_ Sai che non sarebbe
giusto far peso
sulla ciurma per noi. C’è un equilibrio da
rispettare._ commentò
più dolce ora.
_ E tu sai che non mi
faccio troppe
domande! _ si limitò a ribattere il verde.
Lo sentì
muoversi e spostare il
proprio corpo adagiandosi su un fianco. Zoro appoggiò la
tempia su
un palmo ed allungò l’altro verso di lei.
Afferrò una
ciocca rovente con i
polpastrelli incastonandola tra indice e pollice e la sfregò
percependo il contrasto tra quella morbidezza e la sua stessa
rudezza. Anulare e mignolo si fecero spazio tra il resto della chioma
sgusciando in essa fino a raggiungere la nuca dalla quale prendeva
vita e portarono con sé il resto di
quell’abbronzata e grezza mano
alla ricerca di una consistenza più candida.
Il collo di Nami perse
resistenza e si
lasciò slittare adagiandosi sul materasso e tirando il mento
al
soffitto così da lasciare più libertà
di movimento a quella
piacevolezza.
Inspirò serafica
quando il giovane
nascosto dietro di lei fece scivolare il contatto verso la spalla per
poi disegnare la traiettoria della sua clavicola con accenni di
tocchi. Lo sentì poi accostare il viso al suo capo
derelitto.
Zoro respirò
quell’essenza di
vitalità che, doveva ammetterlo, il poterselo concedere
così
sporadicamente sembrava dargli nuovo vigore e desiderio. Nami non
aveva solo il sapore degli agrumi, ma era quel profumo frizzante che
si contrappone al gelo dell’inverno.
Come era possibile che
finiva sempre
così? Si ravvedeva e le concedeva la ragione senza che ne
argomentassero veramente.
Quegli unici momenti nei
quali si
concedevano cotanta vicinanza erano la genesi della loro alchimia e
tutto il resto perdeva della sua rilevanza.
Il giovane spadaccino
scivolò sino al
polso di lei e lo cinse addolorato al ricordo di quanto da lui stesso
compiuto appena poche ore prima: _ Non mi sono controllato…
_
sussurrò un latrato mentre le arroventava la pelle sottile
con le
carezze _ Ti ho fatto così male? _
Come punta da uno spillo,
la
cartografa fu colta da un leggero spasmo e si affrettò a
scuotere la
testa in segno di diniego. Si liberò di quella fievole presa
sul suo
braccio e lo portò oltre se stessa, verso di lui alla cieca
ricerca
della sua presenza.
Intrecciò
anch’essa le dita con i
suoi corti e ribelli capelli infrangendosi contro le perle
d’acqua
e glieli pettinò dalla fronte verso la schiena per poi
catturarli
severa e obbligare l’uomo ad accostarsi di più.
Ora lo zigomo del
giovane le lambiva il limitare della mandibola e i pendagli le
solleticavano la gola.
Divertito, Zoro
soffiò un sorriso che
fece vibrare in lei scariche di piacere e posò le affilate
labbra
sull’incavo anteriore della spalla marchiandola con un bacio
frettoloso.
Gli piaceva provocarla
quando tutti
gli sforzi di lei erano dediti ad apparire come una donna matura e
austera, ma il suo stesso atto di uscire dagli schemi della sua
personalità concedendosi attimi di dolcezza non poteva che
destabilizzarla e farla cedere. Svuotarle la mente dalle
preoccupazioni sterili e risentirla lei.
Una mocciosa che non sapeva
come
fingersi diversa e un buzzurro che la trovava sempre in flagrante.
ANGOLO
DELL’AUTRICE
Saaaalve!
Ogni tanto ritorno a
rompervi le
biglie eh?!!
So che non scrivo spesso
e ogni
tanto sparisco, ma non ho mai abbandonato il Fandom. Ho continuato a
leggere tante fic e tanti autori, magari in silenzio ma senza sparire
mai del tutto!
Ho voluto riprendere
questa storia
perché mi mancava scrivere e mi sembrava brutto abbandonare
quella
che all’epoca mi era apparsa come una bella idea. Mi sono
imposta
di portarla a termine e spero di stuzzicare il vostro interesse.
Vedo che qualcuno che
legge c’è e
spero di meritare il vostro tempo. Ringrazio per questa attenzione e
mi auguro che l’andazzo della storia sia di vostro gradimento.
Un abbraccio virtuale a
tutti voi.
Arcadia
|
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Capitolo 6 *** Pelle contro pelle ***
Quella mano, la sua.
Quella mano che percorreva
la propria
scia immaginaria accostata alla sua pelle come un viandante, sembrava
tentar d’essere gentile senza riuscire a liberarsi di una
qualche
tensione a costringerla. Le avvolgeva le membra rimanendo sul
limitare della sua esistenza, ma non era la sola.
Delle labbra, le sue, si
scaricavano
in schiocchi soavi sul suo collo dal braccio sollevato a cingere la
figura stesa dietro di lei sino all’orecchio dove si
concedeva una
strusciata prima di riprendere la discesa.
L’espirare del
suo respiro si
infrangeva sulla nuca generando in lei brividi freddi che lasciavano
il posto ad altri di calore, l’uno intensificato
dall’esistenza
dell’altro.
Si stavano annullando
perdendo ogni
contegno.
Mai si potrebbe immaginare
che Roronoa
Zoro fosse capace di donare tanto benessere e pace e nessuno lo
avrebbe mai potuto testimoniare, eccetto lei.
Lei che lo aveva visto
senza i veli
del suo corpo e aveva avuto accesso all’aspetto
più recondito e
celato della sua anima. Perché si, anche lui aveva
un’anima ad
alimentarlo: Zoro soffriva, gioiva e amava. Forse non nella maniera
più comunemente apprezzata, ma il tempo le aveva permesso di
imparare a controllare le sue aspettative ed encomiare i loro scarni
momenti d’unione.
D’un tratto, i
casti baci si
schiusero cedendo il posto all’umido e ardente contatto della
lingua e Nami sentì un pizzico quando due fila di denti si
serrarono
attorno ad un lembo di pelle del collo.
_Zoro… _ lo
richiamò la navigatrice
con tono mellifluo. Liberò la presa sulla nuca
dell’uomo lasciando
scivolare le unghie in un’ultima carezza vogliosa e si
voltò
posizionandosi sulle ginocchia guardandolo dritto negli occhi, i
gomiti appoggiati sul bordo del materasso e le braccia stese ad
afferrare gli orli sul petto del suo yukata.
Non poté fare a
meno di soffermarsi
su quella cicatrice che gli scempiava il volto e sentì il
desiderio
di toccarla con l’intento di farla sparire sotto i
polpastrelli.
Chi era stato così scellerato da causare il celarsi di
quell’iride
infinitamente profonda?
Ricordò quando
glielo aveva chiesto
sofferente al pensiero di quale dolore fosse stata per lui una simile
menomazione, ma aveva semplicemente distolto l’attenzione sul
confine ingannevole dell’oceano e si era rinchiuso nella sua
corazza indecifrabile.
Zoro era sfuggente, sempre.
Si beò di
ciò che rimaneva, non che
fosse poco, e lo vide cercar di trattenere un sorriso che si
rivelò
come labbra tirate sghembamente.
_ Non dovremmo. _
esalò Nami
combattendo contro l’ardore che la stava divorando.
Di nuovo, il giovane non
proferì
parola e si limitò a farle scivolare verso il basso la
sottile
spallina destra che reggeva il top svelando la curva del suo seno,
ivi riprese a carezzarla e bramarla.
Ingoiando la tentazione, la
ragazza
protestò ancora con velata incertezza: _ Robin e gli altri
potrebbero tornare da un momento all’altro! _
_ Sono lontani. _ fu pronto
a
rispondere il compagno, un leggero cenno del mento
all’insù e
l’indice teso che scese a solleticarle l’incavo sul
petto.
Nami s’illumino
dubbiosa : _ Co… _
_Come tutte le altre volte!
_
sentenziò il verde lapidario.
La donna lo
guardò di sottecchi e
poggiò un palmo sullo sterno dell’altro: _ Haki?! _
Fu la volta della seconda
spallina a
subire lo stesso destino dell’altra e cedette alla
gravità calando
repentina.
Zoro si controllava sempre
ed era lei
a chiederlo, lo sapeva, ma non poteva che farsene una colpa. Mai che
potesse viversi appieno una sensazione ed era costretto a indugiare
sul limitare della sua stessa coscienza, ma un giorno le cose
sarebbero cambiate. Perlomeno lo sperava.
Nami lo percepiva
gustandosi il
battito di quel cuore poderoso che vibrava contro il suo tocco, un
martellare incessante e rassicurante.
Lui era freddo, non il suo
corpo: lui!
Era quel ghiaccio che ti
avvolge e ti
intrappola cullandoti verso il torpore. Poco importa che ti guida
verso la morte, anche il fuoco uccide, ma si lascia sciogliere e non
si preclude al riverbero del sole. Lui era quel gelo che si fa
estinguere, stilla dopo stilla, pur di farti vivere.
Lo amava per questo e per
ogni sua
sfaccettatura, ma le mancava qualcosa. Faceva male sentirlo
così
fermo come una montagna inamovibile con la triste consapevolezza di
non poterla spostare.
Come scossa da un cammino
sonnambulo,
la cartografa si mosse di slancio e lo spinse supino guardandolo
accendersi per poi sovrastarlo a cavalcioni sul pube. La canottiera
sgusciò via e la presa dell’uomo si
affrettò a prendere posizione
sui suoi fianchi, i pollici che non fermarono si muoversi su di lei a
semicerchio.
A dirla tutta, quando si
erano
scoperti, Nami si era divertita a minare la sua personalità
stuzzicandolo con frivolezze da neo innamorati e il suo reagire
seccato non faceva altro che alimentare il desiderio del gioco.
Più
correvano le lune però, più lei si ritrovava ad
ambire
segretamente una risposta più amorosamente esplicita.
Ma quando si univano, non
chiedeva
altro che essere stretta e mai liberata. In questo lui c’era.
Zoro
era anche quello.
Malandrina, la rossa prese
ad
ancheggiare avvicinando il contatto e armeggiando con la cinta
purpurea da brava carnefice quale voleva apparire. Quella presa sulla
sua vita non ebbe alcun smottamento.
Era forte e sapeva come
infonderle
certezza. Era l’ancora di salvezza, il punto fermo a quel
marasma
di contrapposizioni del suo essere.
Potevano quelle mancanze
non
completamente assenti in lui, ma obliate dall’anima guerriera
che
aveva, ridursi a diventare talmente assillanti da compromettere il
loro viversi?
Nami bramava un
nascondiglio alla luce
del firmamento e non voleva uscirne.
Sapeva che il suo compagno
non
sopportava tranelli e sotterfugi e avrebbe preferito affrontare di
petto le conseguenze del loro rivelarsi. Lo stesso petto che in quel
momento fremeva spogliandosi.
Piuttosto avrebbe
rinunciato al
proprio ruolo all’interno della ciurma pur di non rinnegare
un lato
di sé. Incrollabilmente fedele a se stesso e a
ciò cui era vicino.
Non lo sopportava. Una
testardaggine
così radicata da annebbiare la soluzione che lei aveva
trovato,
annullarla sotto i colpi delle sue proteste.
Una selvaggia caduta di
incendiati
ricci circondò il viso dello spadaccino e delle labbra
scoperte gli
chiesero l’accesso alle sue con urgenza. La accolse
avvinghiandosela tra le prestanti braccia marmorizzate dai muscoli e
si affrettò a riscattare gli arti dalle maniche della veste
liberando così il movimento. Sentì la
necessità di sbloccare il
bacino e averla.
Invertì la
posizione dei loro corpi
ignorando i lamenti del giaciglio che singhiozzava
nell’accoglierli
e il peso della sua donna si concesse a quella mutazione.
Rise, la vide ridere ed era
meravigliosa come l’alba.
_ Che hai da ridere? _ la
punì lui
mordicchiandole un lobo e soffiò alticcio sentendola
irrigidirsi
appena.
_ Sono felice! _
pigolò lei vibrando
le corde vocali in un’ilarità cristallina.
Si puntò sopra
quel corpo
statuariamente curvilineo e ne contemplò la perfezione al
suo occhio
profano. Era bella, straordinariamente bella. Ed era sua.
Doveva dirglielo.
Voleva dirglielo, se lo
meritava e lo
sapeva, ma preferì arrampicarsi su di lei e riempirsi la
bocca dei
suoi seni.
Nami lo guardò
con occhi pieni di lui
perché lo capiva e gli era grata. Contrariamente alla
quotidianità,
da vittima di quelle solite e sempre nuove effusioni Zoro si mostrava
senza capacitarsene e lei riusciva a guardargli dentro.
Amava fare sesso con lui.
Era il loro
momento platonico più concitato e trasparente che avessero
mai avuto
e che avrebbero perseverato nell’avere. Quella era una
conquista
dalla quale lei non voleva retrocedere per nulla al mondo, nessuna
ricchezza.
Lui era libero da ogni
vincolo terreno
e lei non poteva certo avere la presunzione di poterlo incatenare al
proprio cuore, ma sapeva stringerla e la stringeva.
La stringeva a
sé schiacciandola fra
la sua mole e le rotondità del materasso mentre era
indaffarata nel
far sgusciare i calzoncini dalle caviglie.
Divenne il suo involucro da
crisalide
e si snudò per lui.
Garbato e deciso, le
portò entrambe
le braccia sopra al capo fermandole tra le proprie ed infilò
un
ginocchio lungo la serratura delle sue cosce.
Dall’eco del suo
muoversi, Nami
suppose che stesse anche cercando di divincolare i piedi dalle
calzature con un certosino lavoro di talloni e si ritrovò a
sorridere ancora. Quanta abilità richiedeva effettuare
quella
combinazione di gestualità accanite?
Inarcò la
schiena stirando le spalle
mentre Zoro si riappropriò di una mano mandandola a
liberarsi dei
calzoni.
Suo malgrado, si
ritrovò d’un
tratto a sbattere le palpebre a vuoto e confusa. Lo cercò
con lo
sguardo e lo trovò poco più in basso del campo
visivo, fermo e
contratto. Le sopracciglia corrugate, la fronte solcata dalla
tensione e i pantaloni presi a mezza gamba.
_ Beh?! _ esordì
la cartografa con un
suono più squittente e bisognoso si quanto avrebbe voluto.
Le mani
ancora bloccate da quelle di lui altrimenti lo avrebbe sicuro toccato
per accertarsi della sua presenza fisica e mentale.
Il verde fece una repentina
scossa del
capo per zittirla e tornò pietrificato mentre Nami
iniziò a notare
lo stringersi compulsivo sul suo stesso indumento, i tendini
flettersi e le vene gonfiarsi.
_ Che ti prende? _ si
allarmò la
giovane che mai nella vita aveva assecondato qualcuno che le
chiedesse silenzio.
_ Merda!! _
ringhiò infine il ragazzo
facendo sussultare la compagna.
Lo spadaccino fece leva sui
glutei e
si issò in piedi affrettandosi a riallacciare i pantaloni
con mosse
nervose e castigate. Dal canto suo, la ragazza lo fissò come
allucinata e non poté controllare la mascella schiudersi
indispettita. La delusione si impadronì di lei come ad una
bambina
alla quale hanno fatto a malapena assaggiare un goloso gelato per poi
privargliene crudelmente.
Quando si
ritrovò i capi gettati
malamente addosso, Nami credette di capire domandando: _ Cosa hai
visto?! _
Lui le lanciò
uno sguardo di brace e
frustrazione spiegandosi a denti stretti: _ Hanno deciso di tornare!
_
Poteva non dirlo. Poteva
andare avanti
ed evitare di castrare i suoi impulsi carnali e gli altri li
avrebbero scoperti. Lui avrebbe avuto la sua vittoria, ma aveva
deciso di no. Non così.
E lei lo amava. Accidenti
se lo amava
e la colmava di un moto di gratitudine avvolgente.
Affrettandosi a rivestirsi
anche, Nami
l’osservava corrucciato soffiare dal naso e
s’infastidì appena.
Non sapeva spiegarsi se per l’interruzione vera e propria o
se per
la reazione irosa dell’uomo, ma non poté che
commentare a se
stessa sconsolata che la magia era finita. Niente sesso e di nuovo
tensione, ancora divisi.
Rinfilate le katane nella
loro giusta
postazione di guardia, Zoro si avvicinò al mobiletto sopra
il quale
sostava la lampada che li aveva rischiarati per tutto quel tempo e
sentì la giovane accostarsi. Le passò la sua arma
e nel farlo,
l’attenzione gli fu colta da un accessorio.
Un paio di accessori, per
meglio dire:
degli orecchini di perle che non ricordava di aver visto prima.
Si arrestò a
rimuginare un attimo per
poi guardarla vivificare i capelli con scossoni sgraziati e
chiederle: _ Sono di Robin? _
Nami mise a fuoco il
piccolo oggetto
in questione che l’uomo le sporgeva a palmo aperto e lo
scrutò
vispa: _ Sono miei, li ho presi stamattina. Ti piacciono? _
mentalmente cercò di ricordarsi il frangente nel quale li
avesse
abbandonati in così bella vista.
Attese una conferma, ma lui
tornò a
studiarli come fossero una qualcosa di schivo e incomprensibile.
Contraddisse le sue
impressioni,
ancora. Delicato, Zoro le scostò i capelli e prese ad
armeggiare con
i lobi delle orecchie per infilarglieli, forse l’unico
dettaglio
estetico femminile capace di gestire e maneggiare.
Tanta la devozione di quel
gesto che
la donna non si sentì di lamentarsi quando un foro in
procinto di
chiudersi fece resistenza e si frenò
nell’arricciare soltanto il
naso in una lieve smorfia dolorante.
Tornarono occhi negli
occhi. La mano
dell’uomo scivolò per un ultima volta lungo il
costato della
giovane e si riavvicinò al suo collo.
Già assaporava
la mancanza che
avrebbe avuto di lei: _ Sono come te... _ mormorò Zoro prima
di
baciarla.
Si defilò
allontanandosi dalla luce
della stanza e si richiuse la porta alle spalle.
Nami ad occhi sgranati, si
toccò nel
punto dove pochi istanti prima avevano riposato veloci le labbra del
suo uomo.
Si guardò
attorno stralunata e
riprese a respirare.
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Capitolo 7 *** Fatti da ciurmaglia ***
_ Che poi _
esordì Usopp facendo
forza con le braccia per tirare la corda _ Mi chiedevo… _
_ Mmm _ incalzò
il cuoco giusto per
fargli intendere di starlo ascoltando mentre si assicurava che le
ancore a forma di zampe della Sunny fossero sempre ben salde.
_ Ieri, come cavolo hai
fatto a
correre da noi se eri così lontano? Cioè come
facevi a sapere del
casino che stava facendo Rufy? _ domandò il cecchino
ripensando alla
buona mezz’ora appena impiegata per giungere
dall’ostello alla
nave.
_ Sensazione! E
poi… _ iniziò a
rispondere il biondo.
_ No perché sei
stato velocissimo!! _
_ Oh beh_ il giovane
Vinsmoke si girò
a cercarlo con lo sguardo _ Quando ci sono delle donzelle in pericolo
accorro subito! _ piroettò portandosi le mani sui fianchi
con fare
cavalleresco.
_ Eh?! _ Usopp si
fermò un secondo
serrando la presa come se realmente si aspettasse una risposta
coerente.
_ Ho un sesto senso per
queste cose! _
trillò l’altro piegando il braccio in alto e
picchiando il palmo
opposto sul bicipite.
_ Sesto…
senso…?! _ commentò a se
stesso il naso lungo per poi scuotere il capo privo di speranza e
tornare a tirare.
Ammainare le vele
è un lavoro che
sulla Going Merry non gli aveva mai fatto peso, ma la Sunny era
più
grande e da solo stava faticando più di quanto avrebbe mai
ammesso a
se stesso e a chiunque altro. I muscoli gli dolevano per lo sforzo e
si flettevano, ma era altresì fiero della propria prestanza.
Al
ricordo dell’ometto che era, per quanto ce la mettesse tutta
all’epoca, i passati due anni trascorsi lontano dalla ciurma
gli
erano giovati in fisico e spirito. Non che prima fosse tanto male,
insomma: era pur sempre il più coraggioso di tutti!
L’unico che
fosse capitano nonostante Rufy, il grande capitano Usopp!
_ E poi, _
continuò Sanji
avvicinandosi _ non mi fido mai quando non sono con voi a controllare
testa d’alga! _
_Zoro? Non mi sembra il
più
irresponsabile… _ il cecchino commentò laconico
di rimando, un
sopracciglio alzato e gli occhi a palla sbarrati e puntati al cielo
quasi non fosse certo egli stesso delle proprie parole.
_ Vabbè se
vogliamo escludere Rufy,
ovviamente. È capace di affrontare ogni cosa azzannando
manco non
fosse in grado di parlare… Tra l’altro, lo hai
visto stanotte?_
_ Chi? Rufy?! _
domandò il moro
indietreggiando alla ricerca di una posizione maggiormente
favorevole_
Il cuoco si parò
dal lato
parallelamente opposto al compagno e afferrò
anch’egli una cima
prendendo poi ad aiutarlo: _ L’altro… _
_ L’altro chi? _
fiatò Usopp in
evidente deficit d’ossigeno.
_ Di chi stavamo parlando?!
Dello
spadaccino, no? Era in stanza con te!! _ sbraitò il biondo
constatando di sottecchi il pallore del suo interlocutore.
_ Che ne so! Parli strano,
è Rufy
quello che azzanna la roba..._ bofonchiò ringraziandolo
mentalmente
per essere subentrato in suo soccorso.
Sanji si limitò
a stringere la tipica
quanto inseparabile sigaretta tra i denti e, terminato il lavoro,
gridò verso l’alto: _ Ehi Brook!! Abbiamo fatto,
puoi fissarle! _
Sulla cima
dell’albero maestro, lo
scheletro rispose con un cenno di mano ossuta e prese a legare le
sicure sulle vele appena ritirate e ancora trattenute dai due pirati
fermi sul prato verde.
_ Comunque io non
l’ho proprio
visto! _ concluse Usopp respirando profondamente.
In effetti, era stato
particolarmente
fortunato a poter dormire cosi comodo. Rientrati dalla loro camminata
di gruppo, si erano divisi le camere per la notte e quasi gli era
dispiaciuto quando Sanji aveva sottostato al caso finendo appaiato
con Franky e Chopper: sicuro avrebbero dovuto unire i letti vista la
mole del carpentiere e la terza presenza del dottore, il cuoco
sarà
certamente rimasto in un angoletto rannicchiato.
Ridacchiò invece
pensando alla sua
geniale idea di appropriarsi anche del letto libero dal compagno
così
da potersi fare una delle dormite più epocali della sua vita
marinaresca. Ovvio l’assenza di Zoro non lo aveva minimamente
turbato, non che gli interessassero i suoi affari personali, ma
sapeva ben badare a se stesso. Al massimo si sarebbe perso e
pace…
ci avrebbero pensato tutti insieme.
Sorrise sornione al
pensiero di quella
notte, fino a quando non incrociò nuovamente lo sguardo del
cuoco
che dardeggiava morte e nefasti alla sua persona. Le gambe ebbero un
tremito e minacciarono di cedere.
_ Stai dicendo che io sono
stato con
quel macigno russante e quella palla di pelo che corre in
chissà
quale pascolo immaginario dei sogni e tu… tu avevi un letto
libero?!?! _ sibilò il biondo gettando il mozzicone
sbrindellato dai
canini oltre il parapetto del ponte con uno schiocco di dita.
_ Yohohoho, fatto!!! _
cantilenò dal
cielo un musicista del tutto ignorato.
Appena in tempo, Usopp
colse quella
breve distrazione alzando le mani in segno di resa e rispondendo
all’avanzare dello chef infervorato con una pronta e cauta
ritirata. Non si mostrano le spalle ad una bestia pronta ad attaccare
e lui lo sapeva quindi, un passo alla volta, incrociò le
gambe una
dietro l’altra con estrema calma apparente.
In lontananza, seppur
sempre sulla
nave, un clangore di stoviglie vibrò nell’aria e
tanto bastò ad
attirare completamente l’attenzione della fiera selvatica
permettendogli di filarsela sulla terra ferma, ben distante alla
vista.
Dalla cucina,
uscì alla luce un Rufy
con ogni sorte di cibaria tra le braccia chiaramente reduce di un
furto nella dispensa. Ogni parola interrotto da una bocconata: _
Allora… avete… finito...ragazzi…? _
Mai, ma proprio mai, Usopp
si sarebbe
immaginato di vedere il biondo prendere fuoco così
intensamente da
far scricchiolare il legno della Sunny, l’umidità
che si liberava
nell’aria e una scarpa incendiata che volò come
una meteora con
mira calcolata proprio sul naso di Cappello di paglia.
~
_ … quarantadue,
quarantatré,
quarantaquattro… _ continuò il conteggio nella
mente così da
poter occupare le mascelle con una morsicata al suo zucchero filato.
Immerse il nasino nella nuvola di saccarosio rosa che Robin gli aveva
acquistato poco prima che si separassero e la sensazione soffice gli
stimolò le papille gustative mentre un viso entrava ed
usciva dal
suo campo visivo a ritmo dei conti.
_ Hai le occhiaie! _
commentò Chopper
ingoiando quella squisitezza, il tono lasciava supporre la stranezza
stessa della sua affermazione.
_ Stai contando? _
soffiò l’altro
forzando gli addominali nell’ennesimo sollevamento del busto,
le
mani intrecciate dietro la nuca.
La renna annuì:
_ Cinquantanove,
sessanta… tu non puoi avere le occhiaie! _
Zoro sollevò un
sopracciglio con fare
interrogativo e una goccia di sudore scivolò lungo la tempia
sinistra.
_ Dormi sempre! _ si
spiegò il
dottore accomodandosi meglio sui ginocchi del compagno. Per riuscire
nell’obiettivo di mantenere le gambe dello spadaccino durante
i
suoi esercizi, si era visto costretto ad assumere la forma umanoide
che lo aveva ingrandito e si era dovuto sedere su di lui fermandolo
con il proprio peso.
Il verde preferì
non rispondere e
concentrarsi sull’allenamento, ma non riuscì a
trattenersi dal
fare un mezzo sorriso per la solita ingenuità del dottore
con la
quale si poneva ogni interrogativo per quanto esistenziale che fosse
o meno.
_ Zoro non ti sembra il
caso di
fermarti? _ si allarmò il piccolo quando giunse a contare la
centottantesima flessione.
_ Se ti annoi, faccio da
solo… _
Era perfettamente a
conoscenza
dell’enorme sopportazione fisica della quale godeva il
ragazzo, ma
il suo lato apprensivo e salvavita non gli permetteva di starsene
tranquillo e zitto. Le risposte secche che riceveva però, lo
indispettivano; come si poteva avere così poco riguardo del
proprio
corpo?
Forse era meglio ignorarlo
e tornare a
dedicarsi al suo pasto zuccherino.
Dopo un po’ : _
Trecento, giusto! _
esordì Zoro fermandosi a guardare il compagno che era
intento a
leccarsi le dita dai residui del dolce nascosto sotto la visiera del
cappello. Si chiese rapido come fosse possibile che in quella forma
perdesse addirittura gli zoccoli.
Chopper annuì
veloce per poi
analizzarlo con occhio critico e un visino sbalordito: non aveva
neanche il fiato pesante! Si affrettò poi a liberarlo dal
proprio
peso per permettergli di alzarsi in piedi e brontolare verso di lui:
_ Non avevi detto che dovevi solo de faticare? _
In tutta risposta, lo
spadaccino roteò
l’occhio buono senza preoccuparsi di nascondere il fastidio a
quella sgradevole inquisizione e il medico gonfiò le guance
tornando
nella sua piccola forma base.
Stava per fargli una
pernacchia con
tanto di lingua da fuori quando il giovane prese parola: _ Non ho
dormito stanotte. _ sicuro sentenziò che la critica sulla
propria
situazione estetica facciale fosse meno seccante e scomoda di quella
che aleggiava nell’aria sul benessere psicofisico.
La renna impiegò
cinque secondi buoni
a ricollegare quella risposta alla sua precedente domanda sugli aloni
grigiastri a lunetta dell’altro e non si fece scampare
l’occasione.
Parlare con Zoro di quello che poteva apparire come il più o
il meno
era un avvenimento più unico che raro anche se con lui gli
era
capitato più spesso che con gli altri componenti della
ciurma. Non
che ci fosse una relazione particolarmente introspettiva fra di loro,
ma nei riguardi del piccolo, lo spadaccino sembrava più
incline ad
assecondare la compagnia di terzi e concedersi ad accenni di
sproloqui.
_ Ti sei perso? _
sembrò la domanda
più ovvia da porre.
Lo vide irrigidire le
spalle, segno
che probabilmente ci aveva azzeccato, per poi scrollarle e cimentarsi
in una verticale caricata sulle braccia. Riprese i piegamenti in
quella nuova posizione.
_ Devo contare? _ chiese
ancora
Chopper senza ottenere risposta. Optò per un
“sì”.
Fece trascorrere il tempo
prendendo a
giocare con il bastoncino rimasto vedovo dello zucchero filato e
iniziò a fare dei solchi sulla sabbia con esso.
Zoro aveva deciso di
allontanarsi dal
paese alla ricerca di tranquillità per il suo allenamento e
lui si
era offerto di tallonarlo per assicurarsi che sarebbe tornato
all’ostello una volta finito, così si erano
diretti lungo la costa
se pur dalla parte opposta all’ubicazione della Sunny.
Al limitare degli arbusti
dalla quale
partiva la spiaggia stessa, Chopper poteva soffocare le zampine sotto
il tepore della fine sabbia scaldata dal sole del mattino, ma
giungendo al lambire dell’oceano i granelli mutavano in
aguzzi
sassolini che stridevano al muoversi causato dalle onde.
Stuzzicato dal quel gioco
bambinesco,
il dottore stava scrivendo il proprio nome per intero solcandolo e
risolcandolo.
_ Ottantuno,
ottantadue… _ si curò
di informarlo dell’avanzare dell’esercizio per poi
cancellare con
la zampina la tavola di terreno di fronte a lui e ricominciare.
_ Quindi cosa hai fatto
stanotte? _
domandò una volta stufo di quel silenzio tra loro,
all’ennesima
ricerca di una conversazione.
Zoro si issò sul
solo palmo destro e,
contro ogni aspettativa, rispose: _ Ho fatto una corsa per il paese.
_
_ Solo un giro per tutta la
notte?! _
chiese ancora il medico ragionando che, in fin dei conti,
quell’isola
non fosse poi così grande da perlustrare per i canoni
d’attività
del compagno. Se si pensa che sulla nave non ci fosse spazio
sufficiente per un autentico percorso da effettuare correndo, era
chiaro che quel fissato di palestra del compagno non avrebbe potuto
farsi scappare l’occasione se pur a discapito di una buona
dormita.
Non riusciva a sentenziare cosa fosse per lui più importante.
_ Forse ne ho fatti
quindici, non
ricordo. _ bofonchiò il verde saltellando dal braccio sotto
sforzo
al sinistro.
Ecco perché al
loro ritrovo di poche
ore prima, Chopper lo aveva notato leggermente imperlato di sudore e
con una maglietta beige a sostituire lo yukata. Incredibile che fosse
riuscito in solitudine a tornare all’ostello, ma forse lo
aveva
ritrovato girando a caso come suo solito.
Immerso in quel ragionare,
il piccolo
si allarmò d’ un tratto: _ Accidenti, ho perso il
conto!! _
sciolse la presa sul bastoncino per lo shock e nemmeno se ne
curò.
Lo spadaccino si concesse
ancora un
paio di esercizi per poi esclamare distrattamente: _ Trecento! _ e
ristabilire il naturale sostenersi delle gambe in posizione eretta.
_ COSA !? Zoro, basta!!_
strillò
Chopper correndo a circondargli un polpaccio come se grazie a quello
potesse fisicamente fermarlo.
Zoro ridacchiò
divertito. Sollevò
l’arto trascinandosi la piccola renna appesa e si
affrettò ad
afferrarlo con entrambe le mani per poi posizionarselo a cavalcioni
dietro il collo : _ D’accordo! Andiamo dagli
altri… _
Sollevato, il medico si
aggrappò ai
suoi capelli verdi e sembrò accorgersi solo in quel momento
dello
strano colore prendendo a spostargli qualche ciocca alla ricerca
delle radici, come se non li avesse davanti agli occhi ogni giorno.
_ Che fai? _ si
accigliò il ragazzo
sistemandosi le katane in vita, le aveva ovviamente tolte per potersi
muovere in tranquillità.
_ Non ti tingi i capelli,
vero?_
_ Che??_ sgarbato, quasi
quella
domanda avrebbe potuto minare alla sua virilità.
_ Questo colore
è molto strano.
Dev’essere un dettaglio genetico! _ commentò vacuo
Chopper
analizzando con occhio clinico quella zazzera singolare _ Per non
parlare della tua innata capacità di portare il tuo corpo al
limite
dello sforzo! _
_ Chopper… _ lo
richiamò l’uomo
portando un palmo dietro di sé per sostenere
l’amico, ma la renna
manco lo stava a sentire.
_ È una
questione di cromosomi e la
tua combinazione genetica dev’essere veramente
particolare… _
Con un sospiro rassegnato,
lo
spadaccino iniziò a muovere i primi passi per tornare alla
civiltà
dell’abitato mentre proprio non si capacitava di come si
potesse
parlare a vanvera così tanto.
_ Vorrei farti qualche
analisi, un
check-up completo!! _ sentenziò infine il dottore sollevando
lo
sguardo.
_ La vuoi smettere?_
_ È una
richiesta professionale!_
_ No..._
_ Zoro? _
_ Ho detto di no!! _
_ … Zoro?? _
Chopper
picchiettò uno zoccolo sul
capo del compagno.
_ Cosa
c’è?! _ sbraitò il giovane.
Come poteva dirglielo in
maniera
gentile?
_ Hem, il paese
è dall’altra… _
ANGOLO
DELL’AUTRICE
Un ben ritrovati a tutti!
^^
questo capitolo ha come
scopo quello
di farvi sorridere un po’ e spero di esserci riuscita!
Mi serviva impostare
un’ambientazione serena e leggera dalla quale far partire il
grosso
della trama, quindi vi ringrazio per aver letto e per pazientare per
gli aggiornamenti.
Siete sempre di
più a leggere e ve
ne sono veramente grata!!
In particolare ringrazio
chi ha
inserito la storia fra le “seguite” e per le
piacevoli recensioni
ricevute. Perché dai, è bello scrivere ma quando
il proprio lavoro
viene apprezzato tutto è ancor più bello!
Se vi va, fatemi sapere
se la trama
vi sta stuzzicando e la contestualizzazione dei personaggi vi sembra
azzeccata! Tengo molto in considerazione le opinioni dei lettori,
quindi ancora grazie!
Al prossimo capitolo!
Baci
Arcadia
|
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Capitolo 8 *** Una navigatrice in subbuglio ***
È una cosa
normale e lo sapeva.
In termini di biologia era
più che
ragionevole pensare che saltuariamente, un organismo subisse qualche
battuta d’arresto o un piccolo inciampo.
Per quanto alcuni suoi
compagni di
navigazione sarebbero potuti apparire come un qualcosa di disumano e
intangibile, il corpo umano poteva ben essere attaccato da nemici
invisibili ad occhio nudo e da essi anche piegato.
In fin dei conti, lei non
aveva alcuna
caratteristica fisica particolare che le permettesse di sfuggire a
questi inevitabili inconvenienti e più volte nel corso della
vita si
era ammalata. Allora perché era così turbata?
Per iniziare si era
svegliata quella
stessa mattina credendosi un cencio e con il morale mortalmente
abbattuto. Ciò si era subito rivelato del tutto inatteso.
Considerando il piacevole
sviluppo
avuto la sera precedente con uno spadaccino cascatole davanti per
magia, avrebbe dovuto avere un sonno rigenerante e caldo che avrebbe
dovuto aumentarle i livelli di serotonina nel sangue, cosa che non
era chiaramente avvenuta.
Sarebbe stato un dettaglio
sopravvalutato e sorvolato, se non fosse che i sintomi di quel
malessere generale erano aumentati differenziandosi
nell’andazzo
della giornata.
Si erano ritrovati tutti
insieme
nell’androne dell’ostello così da
decidere come gestire il tempo
a seguire che avrebbero dovuto attendere prima di riprendere la
navigazione: Sanji, Usopp e Brook si erano incaricati di tornare alla
Sunny per supervisionare lo stato della nave ormeggiata e lei aveva
suggerito loro di portarsi dietro anche Rufy per controllarlo dai
suoi attacchi impulsivi e piantagrane; per lo stesso motivo Chopper
aveva seguito Zoro che aveva intenzione di perdere tempo allenandosi
da qualche parte e i rimanenti del gruppo avevano deciso di fare un
giro turistico del paese.
Forti della presenza
protettiva di
Franky, lei e Robin si erano incamminate per quelle vie vagamente
trasandate che, alla luce del giorno, apparivano più
invitanti e
spensierate di quanto le avesse descritte la loro albergatrice.
Presto Nami aveva iniziato
a percepire
un sinistro formicolio alle gambe che faticavano a mantenere il peso
del suo corpo e una strana sensazione di vuoto le aveva attanagliato
le viscere.
Con la speranza di
ridimensionare quei
malanni con un pasto energetico, aveva proposto una bella colazione
con caffè e dolciumi vari alla quale i compagni avevano
acconsentito
gradendone l’idea, ma da lì era partita una forte
emicrania che si
presentava ad ondate di fitte ai lati del capo.
Proprio non se la sentiva
di
compromettere i desideri di tutti per l’ennesima volta,
già la
sera prima aveva declinato l’invito all’uscita
generale, ma d’un
tratto si vide costretta a cercare un angolo tranquillo di
città
dove sostare e riordinare quegli scombussolamenti fisici.
_ Nami, che succede? _ la
chiamò
Robin sedendosi al suo fianco sulle botti vuote trovate nel retro di
un ristorante.
Lei la guardò di
sottecchi
spostandosi un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e prendere
a
sventolarsi la mano davanti al viso per farsi aria. Faceva veramente
così caldo?! Gli altri due non sembravano sudati...
_ È
quest’afa che mi stanca! Va
tutto bene, però! _ Nami si sforzò di sorriderle
serena, ma
proprio non era in vena di allegria. Anzi, si sentiva particolarmente
nervosa e il semplice parlare con l’amica la infastidiva
maggiormente.
_ Vado a cercarti della
super acqua
fresca! Se la trovo anche della cola… Robin? _
esordì Franky
registrando il diniego dell’archeologa e avviandosi nella sua
annunciata ricerca.
Si ritrovò a
chiedersi distrattamente
perché quel cyborg non si facesse gli affari propri e
smetterla di
blaterare per poi sgranare gli occhi sorpresa del suo stesso pensiero
inconscio.
_ Vedo che hai messo gli
orecchini, ti
stanno bene! _ commentò la corvina accavallando le gambe e
appoggiandoci sopra i gomiti a sostegno del mento, gli occhi fissi su
di lei a studiarla.
Istintiva, Nami si
portò le dita a
sfiorare i propri lobi e un’altra fitta le trafisse il cranio
mentre imprecava mentalmente per quello sguardo inquisitore.
Che avevano quei due da
starle così
addosso?!
Aveva bisogno di aria e
sentì il
bisogno di allontanarsi, ma desistette da quel desiderio illogico.
Era con i suoi amici, perché voleva andarsene?
_ Sì mi andava
di metterli. _ le
rispose atona e sollevando le spalle.
Il vuoto al basso ventre
prese a
muoversi nel suo corpo e iniziò a vorticare arpionarsi allo
stomaco
alimentando in lei un pungente senso di nausea.
Ma che diavolo le stava
capitando?
Qualche virus? Sentiva disagi ovunque e senza una connessione
razionale e scientifica tra di essi. Sicuramente Chopper avrebbe
saputo aiutarla a trovare la soluzione con una delle sue sapienti
medicine, ma più trascorrevano i minuti e peggio si sentiva:
non era
nemmeno certa di avere le forze necessarie per potersi rimettere in
piedi e tornare indietro con i propri piedi.
Si erano accordati per
ritrovarsi
ancora prima di pranzo e stare poi tutti assieme, ma il solo pensiero
di quell’evenienza le aumentava i fastidi facendole
accapponare la
pelle.
Immersa in quelle
riflessione, il male
alla testa aumentò e si ritrovò scossa da brividi
incondizionati
sotto la pelle.
_ Nami, ma
cos’hai lì?! _ esclamò
Robin allungando un braccio verso il suo viso, una vena di
preoccupazione nella voce.
Il cervello della
cartografa ebbe una
crisi di coscienza improvvisa e il suo corpo reagì da
sé senza un
comando neurologico. Quando riebbe lucidità, la sua mano era
serrata
intorno al polso dell’altra rimasto a mezz’aria e
qualcosa le
suggeriva infimo di stringere la presa mentre Robin si limitava a
guardarla interdetta.
_ Non toccarmi! _
sibilò senza
controllo, il fiato pesante e il mondo che le danzava intorno.
A quelle parole,
l’espressione della
storica mutò in un atteggiamento serio e malcelatamente
guardingo.
Stava per chiedere altre spiegazioni, quando il ritorno del
carpentiere interruppe le ragazze facendo loro sciogliere il contatto
e vide il suo volto divenire preda della preoccupazione.
Repentina, Nami si prese le
tempie fra
le mani nel vano tentativo di soffocare un altro attacco e il suo
stomaco si rivoltò nell’addome liberandosi della
colazione da poco
ingurgitata. Cibo parzialmente digerito e succhi gastrici si
riversarono al lato destro del suo seggio improvvisato e Franky fu
veloce a liberarsi delle bevande per andarle vicino.
_ Hey, ma che...?!_
blaterò lui
allibito cercando risposta in Robin.
_ Meglio tornare alle
stanze e
aspettare gli altri! _ rispose tenue la donna.
Piegata su se stessa, la
rossa
espresse il proprio disappunto con un ruggito “NO”
e cercò a
tentoni la propria arma fissata alla coscia per difendersi.
Non era in pericolo con i
suoi
compagni di ciurma, ma quindi…?
Con uno slancio eccessivo
per essere
sopportato in quel preciso momento, Nami cercò di issarsi
sulle
gambe ignorando la vista offuscata e l’alta rotazione che le
annebbiava il senso dell’equilibrio, ma cadde a peso morto
tra le
braccia robuste del cyborg.
Voleva divincolarsi e
fuggire,
nient’altro.
L’ultima
sensazione percepita si
concretizzò in una prestante rabbia, poi più
nulla e perse i sensi.
~
_ Ma non vi ha detto nulla?
_ domandò
allarmato il biondo.
Franky si colse sprovvisto
di una
risposta esaustiva e l’archeologa subentrò in
soccorso: _Aveva
caldo, nulla di più. _
_ Che abbia la febbre? _
sentenziò
interrogativo il cecchino accostandosi al capezzale di Nami.
_ Vado a cercare Chopper? _
si offrì
il musicista.
_ Non credo abbia la
febbre! _ esordì
il cyborg _ Non ne capisco molto, ma quando l’ho presa in
braccio
era gelida. _
Usopp lo guardò
di sbieco incalzando:
_ Ma sta sudando tantissimo! _
_ Non ha senso che vai,
Brook! Saranno
quasi di ritorno… _ parlò Sanji stringendo le
labbra.
Erano tutti concitati e in
ansia
esprimevano il rispettivo punto di vista per analizzare la situazione
in attesa del medico di bordo, tutti accetto il capitano. Con il
cappello saldo sulle proprie cosce, Rufy silenziava seduto sul bordo
del letto ove avevano adagiato il corpo privo di sensi della
navigatrice, proprio nella sua stanza dell’ostello.
Visto
l’appuntamento che si erano
dati, non avrebbe avuto senso portarla direttamente
all’infermeria
della Sunny per poi perdere tempo alla ricerca dei due componenti
ritardatari.
_ Ha qualcosa sul collo,
sotto la
mascella! _ esclamò Robin incrociando le braccia sotto i
seni.
Il gruppo si
voltò a guardarla
incuriosito e spaventato, per poi tornare ad osservare la compagna
dormiente.
In quell’esatto
punto segnalato,
diramandosi poi verso la base del collo, le vene della ragazza
sembravano gonfie e turgide d’uno strano colore bluastro e
con il
trascorrere del tempo l’anomalia si allargava sotto la pelle
come
fosse la causa di un qualche fiele.
Nessuno proferì
più parola
mortalmente atterriti e la loro attenzione fu catturata da un suono
di passi e zoccoli lungo il corridoio che collegava le camere.
In vistoso affanno, Usopp
si gettò
fuori dalla stanza lasciando la porta aperta alle proprie spalle e il
resto della ciurma poté distintamente sentire
l’evolversi di
quell’incontro.
_ Chopper!! Corri, abbiamo
un
problema! _ trillò il cecchino dopo un breve momento di
silenzio
generale.
_ Cosa succede?! _
gridacchiò il
medico immediatamente sull’attenti.
Non ci furono altre
conversazioni poco
funzionali alla celerità richiesta dalla situazione e il
camminare
dei compagni si affrettò al limitare di una corsa.
Al seguito del cecchino,
fecero il
loro ingresso il verde e la piccola renna che sgranò gli
occhi
rizzando il pelo. Lo spadaccino, sembrò non orientarsi
immediatamente tra quelle quattro mura che ormai già
conosceva e si
presentò con un’espressione guerriera in volto.
Chopper iniziò
subito a visitare la
paziente con meticolosa attenzione e prese a fare le domande di rito
al resto dell’equipaggio mentre Rufy si sollevò
dal materasso per
mettersi a disposizione per ogni aiuto.
Quando l’occhio
pece cadde sulla
navigatrice però, Zoro sbiancò di colpo e gli
sembrò di sentire
ogni sua certezza sgretolarsi sotto quella visione ignobile. Cercando
di comporsi imperturbabile, tacito si affrettò a cercare un
posto in
disparte dove assistere in attesa della diagnosi, il capo chino e i
pugni serrati convulsi.
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Capitolo 9 *** Romantico ***
Di momenti per
stare insieme ne
abbiamo sempre avuti pochi e dal sapore fuggiasco. Abbiamo sempre
dato priorità al rischio di essere scoperti piuttosto che al
desiderio della nostra unione e gli atti carnali sono sempre stati
sbrigativi come un pasto frugale consumato in piedi prima di
riprendere con lo scorrere della vita normale.
Io stesso ho
sempre saputo di
volere di più, così come lei, ma la logica ci ha
sempre imposto ai
ranghi dell’inevitabile clandestinità alla quale
ci siamo
obbligati per anni. Ho lottato per tante cose, ma mai contro di lei.
Me lo ha chiesto e
con lo scorrere
del tempo mi sono abituato a questo costume come una fiera alla
gabbia: mai piegato, ma era diventata parte di me.
Mi sono scoperto
amarla come non mi
era mai capitato prima e avrei inconsciamente voluto abbandonarmi a
questa novità emotiva che mi ha travolto, ma il suo voler
nascondersi ha bloccato il nascere di ogni impulso.
Mi chiedeva
attenzioni, per poi
ritrarsi quando non riteneva opportuna una mia iniziativa e questo mi
ha dapprima mandato in confusione che è divenuta poi rabbia,
quella
che ci ha distanziati.
Non sono capace di
mutare così la
mia personalità, non come è in grado lei, e ho
preferito rintanarmi
nella freddezza.
Chissà
se potrà perdonarmi.
Non ho mai preteso
che
comprendesse; in fin dei conti sono io quello complicato,
così mi ha
sempre detto.
_Questo è quello
che è successo! _
sento esclamare Chopper a denti stretti.
_ Puoi fare qualcosa? _
domanda il mio
capitano, non per mancanza di fiducia nel nostro medico di bordo, ma
un parere alternativo avrebbe potuto aprirli ad altre prospettive.
Lo sento inspirare
profondamente e
mettermi una mano sulla fronte forse per valutare la mia temperatura
corporea. Trafalgar Law sta prendendo tempo.
Ricordo
nitidamente quella volta
che ha cercato di dirmelo.
Faceva caldo, non
so se per la
temperatura dell’aria o se per l’amplesso che
ancora mi
stuzzicava i lombi, ma il suo corpo avvinghiato al mio fianco non
dava lo stesso fastidio di quell’unico lenzuolo aggrovigliato
fra
di noi.
Avevo entrambe le
braccia
incrociate dietro al capo e mezzo busto sorretto dal cuscino contro
lo schienale del letto. I suoi capelli mi solleticavano
l’ascella,
lo zigomo appoggiato contro il pettorale, il suo profumo mi inebriava
le narici e una mano mi carezzava lesta l’addome.
Era la pace dei
sensi e un momento
che avrei voluto non trovasse mai fine.
Mi
guardò in volto e sicuro avevo
una faccia da ebete come ho sempre accusato essere il cuoco, ma
ugualmente non stirai le labbra e le lasciai ricurve in mezzo alle
guance.
Le sue carezze
erano corse sul mio
petto e un piede si era artigliato al mio polpaccio mentre mi
scrutava con quei suoi occhi vispi. Ricordo di essermi domandato
quale pensiero le stesse scorrendo nella mente per riflettersi in
quelle pupille con così tanta luce.
_ Ti piace? _
aveva domandato
rallentando le carezze con fare più sensuale.
Il chirurgo è
sempre stato di poche
parole, ma qualcosa mi dice che è turbato. Lo sento.
Così come lo
hanno capito i miei
compagni, tutti raccolti nell’infermeria in silenziosa attesa
in
quel momento che avrei potuto definire catartico.
Per l’appunto,
Law non si esprime e
inizia a visitare il mio corpo dormiente. Percepisco ogni tocco
tecnico e, da quanto sono riuscito a scoprire e capire nei giorni
precedenti, controlla anche i macchinari a me attaccati per
monitorare e sostenere i parametri vitali.
Infine si esprime: _
E’ stabile! _ e
lo esclama come ne fosse sorpreso.
_ È un male? _
domanda Robin che
probabilmente ha colto la stessa incertezza che ha suonato ai miei
timpani.
_ Non è una
stabilità costante. Il
cuore sembra cedere, ma poi si riprende e va avanti così da
un lungo
lasso di tempo, a quanto mi hai detto. _ risponde il chirurgo
rivolgendosi di sicuro alla piccola renna.
_ È questo che
non capisco! Sembra in
un limbo… _ Chopper da forza alle parole del collega.
_ Avanti, spiegati! _
esplode Franky
meno incline alla delicatezza, persino di me.
_
Perchè me lo chiedi? _ mi vien
da ridacchiare al ricordo di essermi sentito vagamente sotto attacco,
se pur quella domanda non sembrava celare altro che innocenza.
_ Beh…
_ aveva sbattuto le lunghe
ciglia e intensificato lo sguardo da cerbiatta _ a me piacciono!_
Sì, ero
decisamente in procinto di
subire un’inquisizione e mi ero ritrovato incapace di
rispondere.
Ero stato colto da
un lieve
sobbalzo quando era scattata prona a puntellarsi con i gomiti e aveva
gonfiato le guance: _ Oh andiamo, Zoro!! Non mi fai mai le coccole! _
L’unica
mia reazione era stata
quella di schiudere la bocca interdetto e cercare di silenziare gli
allarmi che risuonavano nel cervello e non mi permettevano di
ragionare.
Mentre osservavo i
suoi occhi
diventare gradualmente più irosi con il persistere della mia
mal
celata omertà, riuscii a formulare mentalmente una frase: _
Abbiamo
appena fatto sesso! _
_ Devo fare qualche altra
analisi.
Quelle che mi avete dato sono troppo vecchie e in base ai risultati
potrò valutare per una diagnosi. _ Law cercava di far
comprendere le
proprie impressioni ai Mugi.
Devo ammettere che inizio a
stancarmi
di questa situazione e quasi spero che il nostro nakama si dia una
mossa a sistemarmi, così come di certo tutti i presenti.
_ Lo abbiamo visto in
situazioni ben
peggiori e si è sempre ripreso più velocemente di
quanto ci si
potesse aspettare. _ commenta Usopp capace di analizzare la
situazione e dando voce al pensiero dei compagni.
_ C’è
qualcosa che non ci dici? _
chiede Sanji e la sua voce mi sembra preoccupata.
Per me?!
_
L’amore. Abbiamo fatto l’amore,
Zoro! _sottolineò lei con una vena tagliente.
Quella parola mi
aveva punto sul
vivo, come se faticassi ad accettarla. Cosa importava come lo
definissi? L’essenza di quello che eravamo non sarebbe
cambiata per
una definizione da puntualizzare, ma sembrava così
inspiegabilmente
importante.
_ Va bene, come
vuoi… _ risposi
in un sospiro.
Lei
travisò la mia incertezza e si
era spazientita ancora di più: _Perché non riesci
ad essere un po’
romantico? _
Una frase che
aveva fatto male, più
di quanto avrei ammesso a me stesso e mi ritrovai d’un tratto
seduto eretto con lei più distante e un cipiglio nella voce:
_Cosa
ti aspetti da me?! _
_ Che dimostri
qualche emozione! _
si era accanita raccogliendo il lenzuolo sui seni come se celare la
propria nudità sancisse la serietà di quella
conversazione, come se
non l’avessi stretta a me pochi minuti prima.
_ Sentila! Mi
credi così idiota?
Credi che non faccia caso a quello che succede tutti i giorni? _avevo
risposto velenoso. Non ci riuscivo. Non capivo.
Ascolto Trafalgar soffiare
in risposta
e il suono che sancisce il mio battito che rallenta: _Ragazzi, fatemi
fare il mio lavoro. Mi avete chiamato per questo. _
_ Torao!_ lo chiama il mio
capitano e
tanto basta.
La presenza autoritaria di
Rufy è un
qualcosa che ancora oggi mi stupisce. Siamo cresciuti tantissimo da
quel primo giorno, quando ci siamo conosciuti. Ha dato prova un
numero di volte incalcolabile della sua imbecillità, ma
altrettante
volte si è rivelato meritevole della fiducia di tutti noi.
_ Per prima cosa bisogna
collegarlo
all’ossigeno. _ si sbilancia Law, professionale.
_ Cosa?!_ subito Chopper si
allarma,
lui sa.
_ Cosa dici?_
aveva esclamato lei
con le mani sempre più strette al petto quasi le dolesse.
Non lo vedevo, il
male che le stavo
facendo.
_ Ti cerco ogni
giorno! E ogni
volta che incrocio i tuoi occhi, tu ti giri da un’altra
parte! Cosa
potrei mai pensare eh?! _ le ho vomitato addosso tutta la mia
frustrazione senza ascoltarla veramente. Chiedeva sempre e per me non
erano altro che capricci.
_ Ma…
quella è un’altra cosa!
Ora siamo solo noi e tu… tu… _cercava di
spiegarsi con urgenza.
_ Io non ce la
faccio, Nami! Non
sono come te! _
_ E con questo
cosa vorresti dire??
_ aveva rizzato le spalle orgogliosa.
Adoro quando fa la
guerriera. È
quella forza che fa coppia con la mia.
Non ho mai voluto
che si sentisse
giudicata, ma lei è in grado di plasmarsi agli eventi e ad
adattarsi
alle situazioni, mentre io mi ci schianto. Certamente, quello che si
fa male sono io e non mi aveva mai interessato cambiare questo modo
di fare, ma per lei lo avevo rivalutato.
Nel tempo ho
cercato di scolpire le
mie abitudini ed avvicinarle alle sue. Sono arrivato ad annullarle e
a fare esattamente quello che lei avrebbe voluto, per una speranza.
Per quell’unico spiraglio di possibilità che non
si allontanasse
da me.
Ma ho sbagliato
ancora, dannazione.
_ Non ti sembra esagerato?
Respira
normalmente, credo! _ trilla Chopper in cerca di spiegazioni.
Un fruscio di vesti mi
suggerisce che
anche i miei compagni siano inquieti e qualcuno sposta il peso da una
gamba all’altra, incerto sul da farsi.
_Dottore, non te ne sei
accorto? _
domanda ancora Trafalgar.
_ Cosa? _ incalzano
all’unisono
Usopp e Franky.
Lo scheletro da loro man
forte: _
Parla! _
Richieste imperative che
sembrano non
turbare il chirurgo che si avvicina nuovamente a me. Lo sento
afferrare un lembo di pelle della mia coscia con indice e pollice e
stringere. Fa male e mi prudono le mani, vorrei mollargli un pugno.
_ Vedete? _ mormora
criptico.
_ Questo lo so. _ bofonchia
la renna
riluttante a quel trattamento e si affretta a fargli liberare la
presa con una zampata.
Gliene sono grato.
_ In una condizione
normale, il suo
corpo avrebbe mostrato una qualche reazione istintiva. Anche solo
un’espressione corrucciata. Bisogna intubarlo per prevenire
un
collasso dei polmoni e devo farlo alla svelta._ continua Law
imperterrito e incurante della protesta del medico.
_ Maledizione, non capisco!
_ ringhia
il cuoco decisamente nervoso.
Posso immaginarli, retti
nell’attesa
e nello sforzo di controllare le rispettive emozioni.
Trafalgar prende tempo,
ancora. Quasi
non volesse proferire quelle parole che tutti temono e che, dentro di
sé; Chopper inizia a realizzare.
Trattiene il fiato Law, poi
lo dice:
_È in coma! _
|
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Capitolo 10 *** Brusco risveglio ***
La medicina non
è altro che il
risultato di studi scientifici sulle prodezze della natura e ad esse
Chopper aveva deciso di affidarsi.
I sintomi della paziente
erano
contrastanti e nella loro unione non fornivano una spiegazione
sensata da poter proferire una sentenza obiettiva. Spremendosi le
meningi per l’intero pomeriggio, il medico era giunto alla
conclusione che Nami potesse essere stata attaccata da un singolare
male dell’isola e proprio dalla sua flora sperava di ricavare
una
medicina. Spesso i luoghi dove si celano virus e malattie conservano
anche la loro cura, basta saperla cercare.
All’imbrunire,
Chopper organizzò
tre squadre d’azione: sotto precise direttive, Robin e Brook
andarono alla Sunny per recuperare determinati sieri e strumenti
mentre lui, Franky, Rufy e Sanji si avviarono alla ricerca di
infermerie o erboristerie della città ove recuperare
informazioni o
farmaci; non sapevano bene nemmeno loro cosa cercare, ma la
determinazione non mancava.
Usopp e Zoro erano rimasti
all’ostello
e si limitavano ad osservare impotenti le mutazioni della cartografa
in concomitanza del calare del sole.
~
Nel primo quarto
d’ora, i due
avevano assistito al sonno agitato che aveva colto la loro compagna
di viaggio senza sapere cosa poter fare per alleviarle quella agonia.
Chopper non era stato in
grado di
raccomandar loro nulla di particolare, se non di asciugarle i sudori
e monitorare che non peggiorasse. Che poi, secondo quali parametri?
Neanche fossero i migliori candidati per capirlo.
Usopp si stava comportando
da perfetto
infermiere senza allontanarsi da Nami e non le toglieva gli occhi di
dosso.
Dal canto suo invece, Zoro
si limitava
ad un’apparente indifferenza rimanendo steso sul pavimento ad
occhio chiuso, precisamente in mezzo ai due letti. Nessuno oltre lui
sapeva quanto stesse sforzando ogni singolo senso per captare una
qualunque variazione nella stanza. Ogni movimento del cecchino era
millimetricamente analizzato e seguito così come quelli di
Nami.
Quell’affanno
incontrollato che
percepiva ad oltranza e quegli spasmi muscolari erano uno strazio e
il peggio era il volersi imporre il silenzio e
l’immobilità.
Doveva ricorrere a tutto il suo autocontrollo per rimanere
impassibile e il suo unico sgarro celato stava nei tendini
infidamente tesi al limite dello squarcio.
Non la guardava, non ne
aveva la forza
o avrebbe perso quell’austerità. In fin dei conti,
non avrebbe
potuto far nulla di più di ciò che già
stava tentando Usopp.
In un atto di clemenza
verso i suoi
stessi nervi, decise di agire e lo annunciò al compagno con
voce
roca: _Prendo una boccata d’aria! _
Il giovane dai capelli
corvini e ricci
ebbe appena il tempo di sollevare il capo e cercare lo sguardo dello
spadaccino in risposta al suo muto perché, che intravide le
poderose
spalle avvolte nello yukata smeraldo oltrepassare la soglia e
avviarsi nel corridoio.
Non ebbe tempo di chiamarlo
o farsi
altre domande in quanto la sua attenzione fu nuovamente catturata da
un colpo di tosse della ragazza a lui vicino e si concentrò
su di
lei. Le condizioni di salute erano chiaramente mutate in un lasso
ridicolmente breve.
Con le sopracciglia
aggrottate per la
tensione, si affrettò a sollevare il capo di Nami nel
tentativo di
aiutarla nell’espettorare quel rivolo di saliva che
calò dalle
labbra e la guidò per riaccomodarsi sul cuscino.
Con la stessa cura, le
rinfrescò la
fronte con un fazzoletto intriso d’acqua e tentò
di asciugarle il
sudore dal viso prendendosi tempo per studiarla.
La condizione del suo corpo
stava
cambiando, ma non era in grado di determinarne la natura. Dal momento
nel quale la ragazza era stata portata da Franky e Robin
all’ostello
sino a quando la ciurma si era nuovamente divisa, Nami aveva
sviluppato degli strani effetti collaterali sulla pelle e le
estremità dei suoi arti avevano assunto una
tonalità grigiastra che
lasciava supporre una difficoltà di circolazione del sangue.
Per di
più, sembrava che le vene stessero affiorando sui muscoli
nella
medesima maniera con la quale si erano diramate dal collo e avevano
preso piede sull’intera superficie dell’epidermide;
il contrasto
di quel cupo porpora su di lei.
Un’ulteriore nota
di preoccupazione
si insinuò tra i suoi pensieri quando la mente lo
riportò a Zoro,
al timore che avrebbe potuto non tornare indietro da solo. Nella
normalità sarebbe già stato un problema, ma ancor
più dopo la
scoperta di quanto accaduto alla cartografa che sembrava averlo
scosso facendolo diventare più schivo e sinistro del solito.
Conosceva bene il suo
burbero
compagno, da molti anni ormai, ed era sensibile ai suoi cambiamenti
esattamente come per i nakama di più vecchia data. Non era
una
persona solita ad esternazioni superflue e spesso si appartava per
non intralciare, ma non aveva mai mostrato un così scarso
interesse
nei riguardi di un membro della ciurma, anzi. Nella sua singolare
maniera, Zoro aveva imparato ad esprimere affetto così come
tutti
loro lo avevano compreso, ma quella era una nuova sfaccettatura che
gli si faceva strada nel cranio spigolosa e aveva un sapore amaro.
Qualcosa non tornava.
Chiaro era che quella
disavventura
fosse piombata su di loro in maniera inaspettata e aveva
destabilizzato tutti, ma nessuno si era tirato indietro dal reagire
pro positivamente come avevano sempre fatto. Per l’appunto,
molte
volte era stato lo spadaccino a rinvigorire l’equipaggio con
poche
e scarne parole d’effetto e mai aveva traballato sulle gambe
dimostrandosi la vera, grande roccia di salvezza sulla Sunny. Anche
solo per la sua muta presenza, ognuno di loro sapeva di poter contare
su di lui ed Usopp provava una enorme stima nei suoi riguardi.
Quello di Zoro non era un
tradimento,
un voltare le spalle e lo sapeva perfettamente eppure si sentiva come
pugnalato.
Il cecchino si diede dello
sciocco e
concluse che ogni domanda avrebbe avuto la sua distinta spiegazione e
tutto sarebbe tornato come prima, l’importante era che Nami
si
riprendesse.
In fin dei conti, il
comportamento
dello spadaccino era ampiamente compensato da tutti i suoi nakama
attivi nella ricerca della soluzione per la cartografa e non era il
momento per farsi prendere dallo sconforto di una
peculiarità così
mal creduta.
Dopo circa
mezz’ora tra rimugini e
cure, Usopp si ritrovò a sbattere le ciglia più
volte per
focalizzare meglio la vista e concettualizzare quanto stava
osservando con il trascorrere dei minuti. Nami stava riacquistando il
suo tipico colorito candidamente rosato e, sotto il suo sguardo
incredulo, l’anomalia delle vene in contrasto sembravano
riassorbirsi pigramente verso la loro origine.
Un anelito di speranza gli
infervorò
il petto e non poté trattenere le spesse labbra da uno
spontaneo
sorriso di sollievo.
Non era medico, ma quello
sviluppo
poteva decisamente essere definito come una miglioria e, lentamente,
constatò che l’affanno di Nami stava perdendo
vigore
regolarizzandosi in un respiro normale.
Con l’animo
più leggero, le liberò
la fronte dalla pezza oramai divenuta inutile e, prima di rimboccarle
le coperte, prese fra i palmi una mano della ragazza assaporando quel
rinnovato tepore corporeo che lo tranquillizzò ulteriormente.
Già immaginava
il ritorno dei
compagni e lavorava con la fantasia alla ricerca di un mitico racconto
dettagliato che spiegasse la sua bravura nell’aver risolto
il problema, quando notò che il fisico della navigatrice
sembrava
essere tornato quello di prima, ad eccezione di un cumulo violaceo
apparso sempre sotto la mascella.
Senza liberare una presa su
di lei,
portò due dita alla mandibola e le scostò il capo
per vedere
meglio: il lobo sinistro era incancrenito da quel solito grigio che
poco prima le deformava le estremità e giusto sotto si
ergeva un
qualcosa di ancora più strano.
Una matassa di capillari di
quell’insolito colore dei vasi sanguigni si muoveva a fior di
pelle
come fosse un nido di vermi pronti ad uscire dal terreno dopo una
tempesta e acquistava corpo inspessendosi sempre più.
Interdetto, si
avvicinò quasi a
sfiorarlo con il prominente naso per capire cosa diavolo fosse quel
nuovo abominio e un brivido freddo gli percorse le membra.
Un flebile movimento
laterale gli fece
roteare le pupille e incastonò il proprio sguardo in quello
di Nami
sgomento, la presa di lei rispose alla sua e la mano si chiuse
attorno al suo palmo mentre una sensazione di dolore gli
pizzicò
l’arto.
Scostandosi, vide che la
ragazza si
era destata e lo fissava glaciale.
_
Na… Nami…?! _
~
Tremava di rabbia.
Le braccia abbandonate
lungo il
costato e le nocche sbucciate che dolevano, un rivolo di sangue che
gocciolava ritmico al suolo.
Il fiato grosso e le tempie
che
pulsavano, Zoro distese le dita alla ricerca di contegno.
Non gli era mai successa
una cosa
simile. Non aveva mai preso a pugni un muro per sfogare le proprie
sensazioni, ma quell’ira che gli gorgogliava dentro aveva
preso il
controllo della sua coscienza quel tanto da fargli perdere i numi
della ragione.
Alla sua richiesta di
indicazioni
contornata da uno sguardo omicida privo di freni, la grassa
proprietaria di quella topaia gli aveva indicato la porta da
oltrepassare per ritrovarsi sul retro dell’ostello che dava
su uno
stretto vicolo abbandonato.
Ivi si era fermato un
attimo portando
il mento al cielo e aprendo la bocca in cerca di ossigeno per
schiarire il cervello con le mani appigliate ai propri fianchi, ma
lì
qualcosa era scattato.
Un grido furioso gli aveva
occluso i
polmoni e aveva serrato con forza i canini sul labbro inferiore per
zittirlo, ma quello si era liberato nei muscoli esigendo una
manifestazione.
Di quanto accaduto dopo,
ricordava
lucidamente solo i mattoni che si crepavano sotto i suoi colpi e un
gatto nascostogli vicino darsi alla fuga terrorizzato, il suono della
sua corsa ovattato dalle tenebre.
Si passò una
mano tra i capelli per
poi portarla a strofinarsi sui calzoni per pulirla e dilatò
il petto
per inspirare profondamente. Aveva bisogno di tempo.
Tempo per riordinare i
pensieri e se
lo concesse.
Si gettò con le
spalle a quella
stessa parete che aveva appena rischiato di sgretolare e
lasciò che
sostenesse il suo corpo nello scivolare verso il terreno ove si
accasciò con un tonfo, i glutei punzecchiarono.
Per un lasso di tempo
indefinito e con
la testa appoggiata, si beò dei suoni della notte e
riuscì infine a
regolarizzare il fiato abbandonando ogni tensione più
estrema. Si
sentì svuotato, stanco come non mai, e quella stessa
concretezza lo
ridestò; dopotutto era un guerriero e mai si sarebbe
abbandonato!
Con uno slancio di
addominali e cosce
si rimise in piedi, pronto a tornare da lei e
s’incamminò a capo
chino.
Tornato nei corridoi,
riconobbe a se
stesso di aver acquistato una familiarità sufficiente con
quei
luoghi da non fargli perdere la via e si apprestò lungo le
scale che
conducevano alla camera delle ragazze. In prossimità della
stanza,
si arrestò di colpo e il respiro venne meno.
I battiti del suo stesso
cuore gli
rimbombarono nelle orecchie mentre il suo occhio prendeva visione di
una figura dinanzi a lui: Nami!
Era lì, sulle
proprie gambe ed era
sveglia, ma Zoro non riuscì a concedersi il gaudio che si
sarebbe
aspettato. Con la porta spalancata dietro di sé, lo
osservava
incessante e con un’espressione che mai le era appartenuta ai
suoi
ricordi.
Azzardò una
parola: _ Hey! _
Non gli rispose e lo
guardava con le
iridi d’un colorito inedito. I suoi occhi avevano cambiato
inspiegabilmente colore e percepì una sensazione di pericolo
nell’aria.
Nel notare la sua arma
salda in pugno
e l’assenza ingiustificata del cecchino domandò:
_Dov’è Usopp?
_
Come se quel quesito fosse
apparso
ostile, vide il volto di Nami sfigurarsi in un lampo d’odio e
i
suoi muscoli irrigidirsi.
L’istinto corse
alle sue katane
salde in vita, ma non riuscì a compiere alcun gesto che la
navigatrice gli fu addosso in veloci falcate furenti.
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Capitolo 11 *** Potere e dovere ***
Incassò il colpo
mirato al costato
calando repentinamente il gomito alla giusta altezza per pararsi e
gli addominali guizzarono sotto lo yukata tesi nello sforzo mentre
l’avambraccio tremò fino all’osso. Da
quando era diventata così
forte?
Nami era sempre stata
discretamente
abile in combattimento, l’aveva osservata per anni, o
perlomeno
quel tanto per affrontare ogni avversario che le si era parato
dinanzi e dove lei non arrivava erano sempre intervenuti loro, i
Mugi. Non si era mai tirata indietro alla lotta e aveva ripetutamente
dimostrato il suo valore, ma Zoro era nato per guerreggiare e, oltre
al suo capitano, non aveva rivali in ciurma. Eppure quella
bastonatala l’aveva sentita eccome…
Come se non bastasse, la
cartografa
aveva dalla sua una certa velocità che in quel dato momento
sembrava
essersi incredibilmente raddoppiata tanto che quasi non si accorse
del calcio spedito al suo interno coscia sinistro e riuscì a
scansarsi il necessario grazie al riflesso incondizionato del corpo
quando la coda del suo unico occhio registrò il movimento
offensivo.
_Sei impazzita? _ le
gridò contro
rabbioso, i neuroni in corto circuito incapaci di reazione _Che cazzo
ti prende, Nami?! _
La vide assottigliare lo
sguardo e
quella luce sinistra nelle pupille vibrò purpurea mentre
tornava
eretta su entrambe le gambe per poi accucciarsi e levare il Clima
Attack verso il suo addome.
Zoro si
sconcertò nel realizzare che
quegli attacchi avevano il fine di ledere i suoi punti vitali. Lo
voleva morto.
Ma non reagiva, non poteva.
Si
limitava a difendersi da quella situazione irreale e lentamente
cablava che la letale prontezza della cartografa non sarebbe stata
gestibile da uno qualunque, men che meno dal suo ingenuo compagno col
naso lungo. _Che fine ha fatto Usopp? _ sibilò afferrandole
l’arma
ed immobilizzandola con la forza del braccio ancora sano,
l’altro
lanciava ancora qualche fitta. Voleva una risposta, ma aveva timore
di udirla.
Quel suo gesto
bloccò sul nascere il
tentativo della donna che, acquattata, aveva chiaramente intenzione
di intaccare la difesa dell’avversario attaccando dal basso.
Nami schiuse le labbra,
quelle labbra
che aveva preso in innumerevoli ricordi e dalle quali le sue erano
dipendenti come fossero un’ambrosia, ma non proferirono
parola
limitandosi a dipingersi in una malvagità inaudita tracciata
su quel
viso dai lineamenti fanciulleschi e dolci che ora non riconosceva.
Fu in
quell’istante, catturato in
quell’incubo, che focalizzò una protuberanza che
le gorgogliava
tumefatta sotto la pelle del collo e i percettori tattili della mano
serrata rimasero sordi al suo cervello senza poter comunicare la loro
percezione di dolore.
Un odore di carne in
combustione si
liberò nell’aria e quando raggiunse il suo
olfatto, Zoro scese a
guardare l’estremità dell’asta cava
ferma nel palmo dove si
levava un sospiro di fumo e il Clima Attack diventava inesorabilmente
rovente.
Si ritrovò a
sbuffare un riso
stuzzicato da quella novità bellica della compagna e le
ghignò
sadicamente concretizzando il di lei obiettivo: _Mi dispiace ma non
ho intenzione di lasciarti andare _ il bastone iniziò a
divenire
d’un rosso intenso e lo spadaccino sentì
l’urgenza di liberarsi.
La sua natura sanguinolenta
lo
richiamò alle katane, ma la lucidità lo fece
agire diversamente
scattando in avanti per poterla agguantare ad un lembo dei vestiti:
Nami stava tentando di fuggire da lui, non che ne conoscesse il
perché, ma non glielo avrebbe permesso.
Non sapeva cosa fare, aveva
bisogno
dei suoi nakama!
Doveva prendere tempo.
Riuscì
nell’acciuffarla dalla
maglietta che indossava, non prima che la cartografa si oppose
ergendosi nuovamente e roteando l’estremità
opposta dell’arma
facendola vibrare nell’incavo di spalla e collo del ragazzo,
anche
lì la clavicola fremette. Maledizione!
_Ti rendi conto di quello
che stai
facendo, razza di strega psicolabile?! _ tentò ancora di
parlarle
dopo aver accusato lo spasmo, ma non sembrava di riuscir a far
breccia. Quella era Nami, il suo occhio vedeva Nami anche se i sensi
gli dicevano che lei non c’era.
Non si era parato, una mano
salda su
di lei e l’altra ancora che lancinava infervorata. Sciolse la
seconda e la portò a metà lunghezza del bastone
così da
immobilizzarlo del tutto: non era certo contento di incassare a vuoto
dato che l’ultimo fendente gli aveva quasi mozzato il fiato.
Chiaramente aveva superato di peggio e avrebbe potuto stenderla in
mezzo secondo, ma come poteva?
Avrebbe almeno dovuto
tentare di farle
perdere i sensi e attendere il ritorno della ciurma con una
sufficiente tranquillità, ma sentiva di non esserne capace.
Le
emozioni che gli scuotevano le viscere non glielo permettevano.
L’apprensione per il suo precedente malanno,
quell’anelito di
sollievo nel ritrovarsela di fronte in apparente salute,
l’allarme
incessante per l’ignota sorte del cecchino e ora la pressione
della
necessità di combatterla. Troppe contraddizioni che lo
frenavano.
_Fermati… _ la
voce di Zoro suonò
come una rigida preghiera e i canini si serrarono in uno schiocco
quando la ragazza gli rispose con una risata acuta e trattenuta in
gola _Non obbligarmi! _ continuò sibilante.
Quel canto che lo
scherniva, gli
sembrava di non sentirne il suono da troppo e gli fece male. I loro
trascorsi d’unione che gli divampavano nella mente
facendoglieli
rivivere con l’antagonista sofferenza del presente.
Dal centro del Clima Attack
risuonò
un leggero sfrigolio e il metallo prese a diventar più
freddo della
sua stessa natura fino a congelarsi sotto il tocco dello spadaccino e
lo sbalzo termico gli spaccò la pelle in piaghe
sanguinolente. Le
nocche ancora dolevano, ma la loro percezione svanì in
confronto al
dolore di quell’eccesso fisico che stava subendo e la bestia
in lui
iniziò a ringhiare furente. Se c’era una cosa in
cui riconosceva
di non essere capace, quella era la sua abilità di controllo
agli
stimoli dello scontro e l’incapacità di gestirne
le provocazioni.
Troppa era la frustrazione
quando la
spostò di peso sbattendola contro la parete del corridoio
dove la
incastonò con la sua poderosa mole incattivita dagli
allenamenti e
dalle battaglie passate e la guardò dritto negli occhi
sfidandola,
cercandola: _Rispondimi, accidenti!! _ la premette contro il muro di
legno con più forza di quanto avrebbe voluto, le vene in
rilievo a
tentare di frenare i muscoli.
Nami sollevò un
ginocchio e lo lanciò
al fianco dello spadaccino facendogli stridere le costole fino alle
vertebre e l’uomo non riuscì a trattenere un
lamento finendo col
soffocarlo nel petto, le guance gonfie. Le si gettò contro
divaricandole a forza le gambe ed entrandole con una coscia
impedendole di calciare ancora e spingendola con il bacino.
Quel contatto era solito in
ben altre
circostanze e il cuore del verde palpitò oppresso.
Il sangue che colava dalla
mano
assiderata rischiava di fargli perdere stabilità
così come i
tendini non gli rispondevano più come comandava loro, ma
l’attenzione dello spadaccino era completamente assorbita
dagli
occhi di Nami.
Avevano sempre brillato di
gioventù e
vitalità ed erano una parte di lei che lo sapeva
coinvolgere, ma non
riusciva a ritrovarli. La mancanza del tipico caldo color caramello
delle iridi era resa ancora più assillante dalla
spettralità dentro
la quale si specchiava in quel momento. Una cattiveria vitrea e
violenta che permeava attraverso quello sguardo inasprito dalle
sopracciglia incarognite nei suoi confronti.
La vide scattare il viso
verso l’alto
e indurire i lineamenti mentre il movimento dei capelli
lasciò
fluttuare il suo profumo sferzando l’insignificante spazio
d’aria
che li divideva e stordendolo, quell’odore acro e al contempo
zuccherino simile agli agrumi maturi che Nami tanto amava. Forse
più
di lui…
_ Cosa stai facendo? _ Zoro
guardò
nella stessa direzione e vide la punta del bastone climatico
percependola fremente. Cos’altro aveva in mente? Fuoco, poi
ghiaccio e…
Marda!!!
Fece in tempo a vedere le
prime
scariche elettriche che fuoriuscivano stridendo e d’istinto
fece
pressione sull’arma della navigatrice facendoglielo cozzare
contro
con slancio, ma l’espressione di dolore che le vide in volto
lo
disorientò facendogli tremare il corpo di colpa _Non puoi
colpirmi
senza rimanerci sotto anche tu! _ le gridò addosso il verde.
Ma il Clima Attack non
smise di
caricarsi e il panico lo colse spaesato. Balzò indietro
felino,
facendo schizzare sangue dalla mano ad imbrattare le pareti intorno
quando l’oscurità indietreggiò al
bagliore del preannunciato
fulmine mirato a lui, a dov’era lui, e tuonò nello
spazio.
La scarica andò
a vuoto sul pavimento
lasciandovi un’ombra nera che frizzava incenerita e, di nuovo
libera, la cartografa gli si avventò ancora contro facendo
arretrare
il nakama verso la scalinata.
_Che diavolo sta succedendo
lassù? _
una voce urlante e incerta quanto rabbiosa giunse alle orecchie di
Zoro dal piano inferiore dell’ostello e in essa ne riconobbe
la
proprietaria. Voltò il capo sopra la spalla quel tanto per
accertarsene e lì commesse un errore che avrebbe potuto
costargli la
vita.
Tra un battito di ciglia e
l’altro,
intravide la focosa figura di Nami balzargli al petto e spintonarlo
irruente a pie pari con il bastone alto pronto per essere calato, ma
il caso volle che la perdita d’equilibrio fu abbastanza per
spedirlo oltre il limitare delle scale. Braccio allungato nel vuoto
in cerca di un appiglio che non arrivò, l’uomo
ruzzolò giù e
subito tentò di appallottolarsi per proteggere la nuca,
quando nel
vorticare vedendosi come in una centrifuga sentì la Shusui
sfuggire
alla custodia del fodero e celere si mosse per riportarla al giusto
posto facendo disordinatamente e a tentoni pressione
sull’elsa.
Pagò il prezzo di quella necessità con una botta
assordante alla
testa e vide buio per una manciata di secondi prima di crollare
esattamente addosso all’enorme donna che, almeno nello
schianto
finale, suo malgrado gli attutì la caduta.
Le orecchie gli fischiarono
trapanandogli i timpani e l’occhio buono sbatteva allarmato
cercando via di fuga dalla sorte di cecità che aveva
già colto il
gemello. Avambraccio, spalla, mano, torace e capo già sapeva
che gli
dolevano, ma il resto del corpo si lamentava in egual misura e le
membra gli pulsavano lapidarie. I sensi ben sviluppati negli anni
però non lo tradirono.
Sentì dei passi
affannati
precipitarsi sugli stessi gradini assassini che poco prima lo avevano
ospitato e la vista ancora sfocata gli individuò il
proprietario:
Nami stava scappando.
_Asp…
aspett… ! _ con l’ambiente
che gli ballava intorno, Zoro tentò di alzarsi per fermarla
e quando
si ritrovò a carponi pronto ad ergersi, la rossa gli
passò di
fianco regalandogli un’ ultima carezza delle sue. Bastone
climatico
ben saldo, una sventola metallica lo prese al livello della mascella
e lo rimandò a terra gettandogli la testa indietro.
Di nuovo a terra, non si
arrese dal
chiamarla _ N… Nami… _ ma non riuscì a
farsi sentire, gli
mancava il fiato.
Supino, piegò in
alto e focalizzò la
grassa donna priva di sensi ad appena un metro circa di distanza da
lui oltre la quale vide la sinuosa schiena della compagna schizzare
via e sentì il bisogno di andarle dietro, ma era troppo
intontito
dalla serie degli ultimi eventi per usufruire della sua solita
solerzia.
Non si era voltata a
guardarlo nemmeno
per un secondo.
Emotivamente al collasso,
sospirò
stremato al soffitto.
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Capitolo 12 *** Il degenero degli eventi ***
ANGOLO
DELL’AUTRICE
E niente, sono vergognosa.
Ciao a te che hai aperto
questo
capitolo e mi stai maledicendo per il ritardo con il quale, per
l’appunto, ti ritrovi a farlo!
Ragazzi non so come
chiedere scusa,
ma per sfortuna (in realtà fortuna) la vita al di fuori di
EFP sta
andando una meraviglia e sono imballata di impegni e mi si è
perfino
alzata la pressione e io non ho mai avuto la pressione alta e non ho
più un momento e sto scrivendo troppe e… e devo
respirare!
Ricomincia: Ciao a
tutti!!
Finalmente ci avviciniamo al succo vivo della storia e il tutto
inizia a prendere forma, ma amo farvi stare sulle spine
muahahah…
Nel prossimo capitolo ci
sarà
l’inizio della resa dei conti, poi di nuovo ci catapultiamo
nella
testa da alga di Zoro e poi i due lati del racconto avranno un punto
d’incontro e si uniranno, divenendo una trama unica!
Spero che il tutto
continui a
piacervi e di soddisfare le vostre aspettative, sono la
priorità per
me!
Vi ringrazio per la
tenacia nel
seguirmi e, come sempre, le recensioni sono attese e ben accette!
Bacioni a tutti e buona
lettura!!
Arcadia
_ Uffa!! Non ce la faccio
più! _ si
lagnò il moro mostrando la lingua e un volto platealmente
stravolto.
Da cosa poi, nessuno lo avrebbe capito.
Delle volte, Franky si
ritrovava a
domandarsi quante fossero le personalità che albergavano nel
suo
capitano dato che mai smetteva di stupirlo in un senso o
nell’altro,
comportandosi in maniere apparentemente incompatibili nella
coesistenza di un solo individuo.
_ Rufy muoviti, continuiamo
a cercare!
_ lo esortò il cyborg speranzoso di convincerlo. Invero, lo
vide
gettarsi seduto per terra (in mezzo alla strada, tra l’altro)
e
soffiare con un respiro pesante che di credibilità non aveva
nemmeno
l’ombra.
Non era trascorsa nemmeno
un’ora da
quando il dottore li aveva spediti per i vicoli della città
alla
ricerca di erboristerie o simili e ben ricordava l’entusiasmo
ormai
evidentemente consumato del lì presente capitano, il quale
si era
rimboccato le maniche ed era partito a perdifiato senza preoccuparsi
d’attendere il suo compagno di ricerca. Lui per
l’appunto.
_ Maledizione! _ come
(?!) si
arrendeva? _Ormai non c’è più
nulla di aperto! _ quelle
parole strette tra i denti di Rufy sembravano così amare.
Il carpentiere
lasciò scorrere lo
sguardo lungo la via principale nella quale stavano giusto sostando e
dovette conferire che non c’era una sola serranda aperta a
dar loro
un briciolo di speranza. Oramai era buio e si era fatta notte, ma non
potevano permettersi di demordere e se necessario avrebbero svegliato
tutta la cittadinanza: _ Dobbiamo insistere! Chopper conta su di noi
e Nami… _
_ Non ho detto di fermarci!
_ lo
interruppe subito il ragazzo sbattendo le mani sulle ginocchia per
incitarsi.
Franky non poté
fare altro che
sorridergli complice e tendergli la grossa mano metallica per
aiutarlo a rimettersi in piedi.
Quando Rufy
terminò di scrollarsi la
polvere dai calzoni, risollevò lo sguardo rispondendo
all’espressione decisa del nakama, per poi essere catturato
da un
dettaglio nascosto dalle sue larghe spalle e sporgersi per scrutare
meglio l’orizzonte frastagliato dalle sagome delle abitazioni.
_ Che
cos’è? _ domandò affilando
la vista.
Il cyborg si
voltò e lo seguì con
gli occhi.
Un alone rossastro e
vibrante si
condensava in lontananza e sembrava incattivirsi sempre di
più
nell’aggredire le tenebre della notte.
~
_Certo che Chopper
è veramente
ordinato yoho… _ commentò tra sé lo
scheletro, preso nel
guardarsi attorno con fare indagatore. Portò una spigolosa
falange a
grattarsi il capo ispido e spostò le cavità
oculari sulla donna
presente nella stessa stanza, non che si aspettasse una vera risposta
a quella osservazione e aggiunse: _Tu sai dove mettere le mani,
Robin? _
Difatti,
l’archeologa non si
scompose e sembrò ignorarlo piegando il busto verso un
mobiletto del
quale già aveva aperto le sottili ante di vetro inciso
prendendo a
rovistarci dentro con delicatezza. Ne riemerse qualche secondo dopo
regalando a Brook un leggero sorriso ad addolcirle i lineamenti
severi: _Basta leggere le etichette e riconoscere i nomi dei farmaci
che il dottore ci ha chiesto. _
Il musicista
sbirciò veloce il
foglietto che teneva stretto nella mano lasciata lungo il busto e se
lo portò al volto afferrandolo con entrambi gli arti ossuti.
In fin
dei conti era facile! La scrittura di Chopper era chiara e vagamente
tonda, quasi a ricordare la morbidezza del suo stesso animo
fanciullesco ma quei nomi erano un qualcosa che sembrava appartenere
ad una qualche lingua morta che nemmeno lui, sapiente della propria
longevità, avrebbe potuto riconoscere: _Vuoi rileggerlo, per
caso? _
_No grazie! _ fu celere a
rispondere
Robin _ Ho già memorizzato tutto! _
La donna afferrò
scrupolosamente una
boccetta voltandola per leggerne il contenuto, la depositò
dove
l’aveva trovata e ne prese un’altra per il collo e
poi un’altra
ancora, continuando così per poi sentire i passi leggeri
dello
scheletro che ricominciava a darsi da fare nella ricerca.
Assorto
nell’ammirazione per
l’efficienza mentale della nakama, Brook si
apprestò agli scaffali
dell’infermeria dove svettavano fiale osmotiche, sacche di
soluzione salina, confezioni di aghi d’ogni dimensione, garze
sterili e bendaggi vari. Un po’ spaesato e incerto,
ricominciò a
compiere gli stessi accurati gesti della compagna sino a quando fu
felice di lasciarsi in una piccola esultanza: _Yohohoho!! Ne ho
trovato uno! _ e sollevò il bottino al soffitto con fare
vittorioso.
Robin gli si fece vicina
con il suo
passo ancheggiante e se solo il canterino avesse avuto un sistema
circolatorio e l’epidermide, avrebbe dovuto nascondere il
rossore
che sicuro si sarebbe concentrato sulla sue guance. Lei era
d’un
fascino autenticamente enigmatico.
Gli posò una
mano sulla spallina
della giacca e osservò la medicina che stringeva in pugno:
_Bravo! _
e gliela prese per adagiarla nella piccola scatola dove altri gemelli
la stavano aspettando.
Il musicista
spuntò mentalmente la
lista ed entrambi si rimisero al lavoro, ne mancavano solo
più due.
Un frastuono improvviso se
pur
lontano, fece scattare entrambi i capi ritti sul collo e i due Mugi
si guardarono interrogativi per un brevissimo lasso di tempo. In
silenzio, tentarono entrambi di riconoscere quel suono che tanto
assomigliava ad una campana impazzita poi Robin prese
l’iniziativa
e si diresse spedita sul ponte.
_Che
cos’è? _ chiese retoricamente
lo scheletro una volta raggiunta.
La Sunny si muoveva
placidamente
seguendo il movimento catartico dell’oceano e nel tempo che
loro
avevano trascorso al chiuso, la notte era calata e nuvole tetre si
erano condensate ad oscurare il firmamento. Oltre il parapetto del
ponte, verso la terra ferma, la cittadina sembrava in tumulto e grida
concitate giungevano alle loro orecchie trasportate dal lieve soffio
del vento.
Il tumulto era ritmato dal
chiaro urlo
dell’allarme della città che si scatenava come
fosse in procinto
una catastrofe e nell’esatto punto dall’abitato dal
quale Robin e
Brook si erano incamminati prima di raggiungere la nave, si stagliava
una flebile cupola di calda luce aranciata.
I cuori dei due pirati
presero ad
accelerare.
~
_ È un arbusto
di piccola altezza,
più o meno come me, e ha una foglia corta e panciuta con
venature
evidenti. _ precisò acuta la renna immergendo il muso nella
vegetazione che li circondava.
_ Non si vede un accidente!
_
farneticò Sanji aguzzando la vista che la luce scaturita dal
suo
accendino mantenuto alto non aiutava a sufficienza _Come cavolo
faccio a trovarlo?! _
Il cuoco non era uno che
amasse
perdersi in sterili lagne e mal sopportava i suoi stessi nakama che,
suo malgrado, spesso gli assillavano le orecchie proprio con
quell’abitudine, ma non poteva far a meno di maledirsi per
non aver
avuto la lungimiranza di munirsi d’una torcia o simili.
Poco gli importava dei
piccoli segni
che qualche ramo gli stava lasciando sui suoi preziosi e innati
strumenti di cucina e affondava le mani alla semi-cieca accucciato
nel sottobosco: _Ma tu ci vedi?! _ chiese sconsolato dopo
l’ennesimo
tentativo andato a vuoto.
Chopper si prese la
libertà di
concentrarsi in qualche altra annusata prima di rispondergli : _Ti
ricordo che gli animali non hanno problemi al buio e anche se fosse
ho il naso che mi aiuta! _
Il naso?! Si
chiese il ragazzo che,
colto da una disperata speranza, non si sentì poi tanto
ridicolo nel
tentare di dilatare le narici e saggiare la propria capacità
olfattiva. Vi rinunciò in fretta quando l’unica
percezione
riconosciuta si rivelò la tipica umidità
dell’aria satura
d’ossigeno delle piante.
_ Se
ti può aiutare ha un sentore che ricorda la manuca. _
continuò il
medico conscio di non poter essere più utile _ E le radici
svettano
un po’ dal terreno. _
Sanji
gli lanciò un’occhiata furtiva e ne intravide la
sagoma col collo
basso e le corna che si muovevano nel verde: in quella forma, Chopper
sembrava proprio un erbivoro al pascolo! Non si perse d’animo
e
dopo essersi passato una mano tra i capelli paglierini riprese a
scostare felci e alberelli con
un inizio d’ansia nel petto.
Per
una manciata di minuti, gli unici rumori dell’ambiente
rimasero i
loro scarni passi strascicati e il fruscio della selva che si apriva
alla loro rispettosa presenza poi, dal
nulla, un
nuovo odore
raggiunse il tartufo del dottore e il fatto che non sarebbe dovuto
appartenere a quel luogo lo allertò non poco.
Subito
il suo istinto animale gli tese i muscoli e dovette frenarsi dal
correre nella direzione opposta dal quale il pericolo sembrava
provenire.
Il
lato umano, invece, gli suggerì per scrupolo di cercare
l’attenzione
del suo nakama e razionalizzare i pensieri: _Sanji stai bruciando
qualcosa? _ gli domandò con malcelata calma che
all’altro non
sfuggì.
Il
giovane si erse sulle snelle gambe e rispose con espressione
interrogativa: _Solo la sigaretta ! _ esclamò stringendo il
filtro
che si era appena portato alla bocca per calmare i nervi e ritirando
il fuoco con in quale ne aveva appena acceso
l’estremità opposta.
_ No,
non è quello… _ commentò la renna
calando il muso, attento.
Sanji
gli lasciò qualche secondo per poi incalzarlo: _Cosa senti ?
_
Riconobbe
nell’oscurità
il
capo di Chopper che scattò volto oltre il bosco, in
direzione
dell’abitato dal quale erano giunti.
_
Fumo ! _
~
Poco
prima…
Saggiò lo stato
della mandibola
muovendola lateralmente, spalancando la bocca in espressioni che lui
stesso, in un altro contesto, avrebbe definito assurdamente comiche.
Schioccò la lingua sul palato e serrò le labbra
in una smorfia
quando realizzò che nonostante il dolore, avesse completa
facoltà
motoria del proprio corpo.
Strinse i pugni e lo
sguardo cagnesco
fisso al soffitto si alimentò si nuova rabbia mentre il
torace non
sembrava voler smettere di alzarsi e abbassarsi istericamente.
Quello non era lui, quello
non era
Zoro!
Doveva riprendere il
controllo e
seppellire le emozioni che lo stavano dilaniando dentro, ossigenare
il cervello e pensare. Si sollevò col tronco e si mise
seduto
attendendo per qualche secondo che il mondo smettesse di vorticare.
Un flash: Usopp!!
Repentino, si
rizzò in piedi e fece
per correre nuovamente su per le scale quando un grido proveniente
proprio dal piano superiore lo arrestò un attimo.
_ AL FUOCO!!! _
Realizzò
immediatamente: Il
fulmine di Nami! e si precipitò verso quel lieve
bagliore che
già stava incenerendo il pavimento in legno.
Analizzò veloce
la situazione e cercò
di capire se fosse possibile soffocare l’incendio prima che
nascesse, ma le assi divampavano velocemente e parti di esse erano
già tizzoni che si aprivano in squarci verso il piano
inferiore.
Lo spadaccino
sollevò lo sguardo e lo
incrociò con il terrore di alcuni ospiti
dell’ostello che si erano
catapultati nel corridoio e ora sembravano paralizzati dalla paura: _
Che cazzo fate lì impalati?! Fuori!! _ ruggì
perentorio con annessa
la peggio faccia demoniaca che riuscì a fare.
Questi sobbalzarono come
conigli per
poi perdersi nel panico e iniziare ad oltrepassarlo di corsa,
qualcuno gli diede pure una spallata e dovette farsi violenza per non
girarsi e mollargli un pugno in mezzo agli occhi.
Denti stretti e tensione in
ogni
membra, Zoro si diresse dalla parte opposta alla salvezza e si
incespicò fino ad entrare nella stanza di Nami. Il fumo
già
opprimeva l’aria e si chiese quanto diavolo velocemente
potesse
divampare un rogo; poi cercò con l’occhio la
figura del cecchino.
Lo trovò subito.
Usopp era riverso a terra
privo di
sensi, vicino al letto che aveva ospitato i deliri della cartografa e
un rivolo di sangue fuoriusciva da un vistoso ematoma sulla tempia.
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Capitolo 13 *** Riscossa ***
ANGOLO
DELL’AUTRICE
Buon salve a tutti,
io avevo giurato che non
avrei
abbandonato questa Fic e sto tentando di rispettare le mie stesse
parole. Le tempistiche sono un’altra questione…
So che una Long non
aggiornata
costantemente possa stufare, ma mi auguro che ugualmente possa
soddisfare le aspettative di chi, nonostante la mia vergogna, decida
di continuare a seguirmi.
In fin dei conti scrivo
per me, ma
pubblico per voi quindi mi auguro davvero che possa essere
soddisfacente.
Questo è un
capitolo di “passaggio”
che doveva esserci, ma nel prossimo si entra nel clou della trama e
tutto inizierà a prendere senso , spero heheh…
Un abbraccio virtuale!
Arcadia
Gli occhi lacrimavano e i
polmoni
stavano bruciando assieme all’aria stessa di quella maledetta
stanza, ma il suo intero essere era pregno di quell’urgenza
viscerale che non gli faceva pensare lucidamente.
Non poteva fermarsi, non
doveva!
Per un assurdo momento, il
cervello
gli suggerì lapidario di scarnificarsi la pelle pur di
liberarsi da
quel bruciore insopportabile, ma chiaramente fu il delirio istintivo
di un momento.
Aveva imparato da tempo
ormai ad
anteporre il dovere a qualunque altra esigenza e, in quel preciso
istante, la priorità era la salvezza del suo compagno
lì,inerme al
suolo. Privo di sensi, Usopp stava rischiando di inalare troppo fumo
nonostante questo tendesse a salire verso il soffitto; Zoro sapeva
che privi di conoscenza non si era in grado di regolare il respiro
come lui stesso stava facendo.
Imperterrito, lo spadaccino
avvolse i
canali respiratori del nakama con la sua inseparabile bandana verde e
si coprì egli stesso naso e bocca con la cinta di tessuto
salda in
vita. Con quelle necessità cui adempiere, lo yukata si
sarebbe
rivelato più un intralcio che una protezione dalle fiamme
così se
ne liberò di slancio.
Subito sentì
anche la pelle del busto
surriscaldarsi e iniziare a grondare sudore nel disperato tentativo
di preservare l’intero organismo, ma anche quello
passò in secondo
piano così come ogni altra sensazione fisica.
Aveva da sempre trovato
incredibile
quell’abilità del suo corpo: quando
l’essere infuriava il
materiale sembrava annullarsi per fargli spazio. Capitava durante le
battaglie, le risate delle feste, le emozioni forti che faticava a
controllare e non era così semplice da razionalizzare tale
processo
con la semplice affermazione: “adrenalina!”
Gli era capitato anche poco
prima
quando non si era accorto del maledetto bastone climatico che gli
arroventava la mano, gli era capitato con lei. In così tante
occasioni a dirla tutta…
Scrollò il capo
come un animale e si
riscosse tornando a concentrarsi sul moro per caricarselo addosso. Lo
spostò appena in tempo che un tizzone incendiato cadde
dall’alto
nel punto esatto dove giaceva e concretizzò
l’importanza di
muoversi con maggiore fretta. Il peso del cecchino non gli gravava
minimamente sulle forti spalle, il capo abbandonato con la fronte
contro il suo addome e colava sangue insozzandogli i pantaloni, Zoro
si guardò velocemente intorno.
Mosse i primi passi decisi,
ma in un
boato il pavimento dinanzi al tragitto crollò su se stesso e
dalla
voragine si scatenarono le più immense e torride fiamme che
ebbe mai
avuto modo di vedere. Dalla parte opposta a quell’inferno, la
sua
via di fuga iniziava a cedere assieme all’intera
infrastruttura.
Mai avrebbe immaginato che
un incendio
fosse capace di provocare quel fracasso: il rumore del fuoco che
divorava ogni cosa era assordante e capace di incutere timore anche
in un uomo come lui, pronto a tutto da sempre.
Lo scricchiolio del legno
che
collassava tutto intorno e il sangue che pompava nelle vene
ribollendovi dentro, un’unica possibilità di
salvezza farsi strada
nelle membra.
~
Assurdo come tutto il
marasma intorno
fosse ampiamente surclassato dal martellare dei loro cuori che
rimbombavano nei timpani. L’essere catapultati
improvvisamente in
una circostanza di allarme e immediato pericolo per tre dei nakama
dei quali non conoscevano le sorti li stava sconquassando dentro.
_ Che diavolo è
successo?! _ ringhiò
Sanji prendendo per la collottola uno dei fuggiaschi, probabilmente
anch’egli un ospite dell’ostello che stava andando
in cenere di
fronte agli occhi dell’intera città. Il poveretto,
già shockato
dall’essere appena scampato ad un incendio mortale, quasi
svenne di
fronte all’espressione ringhiante del biondo sconosciuto che
sembrava in procinto d’un attacco isterico.
_ Ti prego, dei nostri
amici
potrebbero essere ancora la dentro! _ incalzò Chopper
avvicinandosi
e deciso ad ignorare i modi bruschi del cuoco.
Se già il povero
malcapitato fosse ai
limiti della propria sopportazione allo stress, vedere quello che
chiaramente appariva come un animale con corna e naso blu che gli
rivolgeva la parola si rivelò decisamente troppo: Sanji se
lo vide
svenire tra le mani e con uno sbuffo frustrato lo liberò
lasciandolo
accasciarsi a terra.
_Sanji!! _
chiamò disperato il medico
con il panico negli occhi. Cercava aiuto in lui e un riferimento che
sapesse cosa fare, che sapesse come opporsi a quella sua stessa paura
che lo stava impossessando.
Il biondo
ricambiò lo sguardo
sconcertato rivedendo i suo stessi sentimenti riflessi nelle pupille
della piccola renna, ma al contrario non si perse d’animo e
digrignando i denti si voltò verso l’edificio in
fiamme _
D’accordo! _ mormorò propenso ad avanzare risoluto.
Chopper si fece
immediatamente
coinvolgere dalla stessa determinazione e con tutte le intenzioni di
gettarsi nelle fiamme assieme al compagno assunse le sue sembianze
più muscolose, ma in quel frangente riconobbe una figura
nella
folla. Robin e Brook stavano correndo nella loro direzione e persino
l’aspetto inquietante del canterino non destò
alcuno spavento
nelle persone che li circondavano.
C’erano madri che
abbracciavano i
figli rincuorate dal poterlo fare, uomini che esternavano la loro
apprensione chi con le mani fra i capelli chi abbandonato seduto per
terra con le gambe incapaci di sorreggere il loro stesso peso e chi
si dava da fare facendo la spola avanti e indietro con secchi colmi
d’acqua. Come se veramente si potesse contrastare la furia
naturale
del fuoco che divorava sempre più la sua preda.
I quattro pirati si
ricongiunsero
trafelati ed ebbero il tempo di scambiarsi sguardi sconcertati quando
un fracasso li fece sobbalzare. Senza alcun preavviso, la fragile
struttura in legno che li aveva tutti ospitati crollò su se
stessa
liberando in aria scintille e detriti mentre le fiamme sembrarono
prendere più vigore e i Mugi non poterono fare altro che
indietreggiare coprendosi il volto. Il calore sembrava divenire
palpabile nell’aria satura di fumi e altre urla di terrore si
librarono nell’esatto frangente in cui Franky e Rufy giunsero
sul
luogo del disastro.
_Namiiii ! _
gridò il capitano pronto
a balzare in quell’inferno poco prima di essere arrestato da
delle
famigliari braccia spuntate dal suo stesso corpo _ Lasciami andare!
Sono la dentro! _ cercò con gli occhi la più
logica fra i suoi
Nakama e Robin ricambiò con espressione austera.
_ Usopp?! Zoro
sarà ancora li… _
constatò il cyborg come alla ricerca di rassicurazione. Lo
spadaccino era quanto di più intraprendente conoscessero e
la
speranza che fosse riuscito a sopravvivere anche a quella situazione
dava loro un anelito di fervore.
_ Dobbiamo fare qualcosa! _
piagnucolò
Chopper e sentirono il cuoco mormorare una maledizione a
chissà cosa
sbattendo ferocemente un tallone al suolo.
Stavano per farlo, stavano
per
attivarsi e cercare una qualunque soluzione possibile grazie alle
loro molteplici abilità quando i loro occhi catturarono un
ennesimo
fatto stupefacente.
Un fracasso di distruzione
si
sovrappose a quello dell’incendio e una figura famigliare si
fece
strada grugnendo feroce tra le macerie carbonizzate: la
caratteristica zazzera verde dello spadaccino si erse fiera con in
spalla un Usopp privo di sensi e i calzoni della gamba sinistra che
si ritiravano preda della fame di alcune fiamme.
Impietriti dal tumulto
d’emozioni
che li sconquassava dentro, videro Zoro avanzare d’un paio di
passi
stremati per poi gettarsi sulle ginocchia e liberarsi del peso del
cecchino mentre un paio di sconosciuti si stavano per avvicinare a
dargli manforte.
Lì, i pirati si
riscossero e corsero
al suo fianco per sincerarsi della loro condizione: il compagno a
terra era svenuto e marcava una vistosa ferita alla fronte mentre il
verde era ricoperto di escoriazioni più o meno evidenti,
tremante
nemmeno si rendeva conto della coscia in combustione.
_ Zoro! Che è
successo? _ chiamò
Rufy affrettandosi a sorreggerlo per le spalle.
Celere, Franky fece uscire
una canula
metallica dal palmo robotico e vi fuoriuscì
dell’acqua vaporizzata
diritta sul pantalone dello spadaccino per spegnere il fuoco; subito
poté vedere la carne arsa e rossastra: _ Dottore! _
chiamò
allarmato.
Chopper gli fu subito
accanto e Sanji
assieme a Brook tentarono di occuparsi del nakama dal naso lungo: ad
eccezione della ferita alla testa, sembrava fuori pericolo seppur si
potesse sentire il respiro rantolante e incerto.
_Dov’è
Nami? _ chiese l’archeologa
che mai tradiva la propria lucidità.
La renna rizzò
il capo e il capitano
strinse le spalle dello spadaccino come per incalzarlo, ma
l’altro
guardava dritto di fronte a sé con il furore nello sguardo e
non
proferiva parola.
_ Rufy fallo sedere! _
ordinò Chopper
temendo in un crollo psico-fisico del verde.
Sembrava fuori di
sé, lo spadaccino
guardava un punto lontano dinanzi a lui respirando a fondo, il naso
arricciato in un’espressione di rabbia e l’occhio
sbarrato senza
mancare di far resistenza alla pressione del suo giovane capitano che
tentava di farlo adagiare al suolo. L’inferno continuava ad
ardere
alle loro spalle e il riverbero del disastro creava inquietanti
giochi di luce e ombra sul volto sfatto e incarognito del giovane,
gli rendeva i tratti più temibili quanto spigolosi.
_ Zoro, ti devi mettere
giù! _
esclamò il dottore con tono quanto più
autoritario riuscisse ad
ottenere e scambiandosi uno sguardo d’intesa con Rufy che,
senza
farselo tacitamente ripetere, si preparò ad usare maggio
solerzia.
_ Ragazzi, Nami-san? _
Brook risollevò
la questione con tono incerto.
I giovani si scambiarono
occhiate
spaesate e non si accorsero del profondo respiro di Zoro che,
incontrastabile, si mise in piedi liberandosi della cinta di tessuto
rosso ormai calata sul collo: _ E’ scappata! _ voce ferma e
risoluta, sembrava essersi ripreso di colpo.
_ Che stai dicendo? _
domando il cuoco
ancora accovacciato al fianco del compagno incosciente.
_ Credo sia successo
qualcosa. Non è
in sé ed è fuggita via _ rispose il verde
scrollandosi della cenere
dal torso nudo.
_ Quindi si è
svegliata? _ cinguettò
il medico sollevato per la chiara salvezza della cartografa, ma la
faccia per nulla serena di Zoro non lo rassicurava per niente.
_ Cosa è
successo? _ incalzò
l’archeologa che aveva chiaramente compreso la
gravità della
situazione.
Con scarne e lapidarie
parole, il
giovane spadaccino riassunse sommariamente quanto capitato poco prima
e i Mugi abbandonarono velocemente l’incredulità
per
l’apprensione.
Non c’erano
spiegazioni razionali
per giustificare il comportamento di Nami, ma nessuno mise in dubbio
la stranezza della situazione e si sforzarono di non formulare alcun
giudizio nemmeno per inconscio.
_ Ora che facciamo? _
esordì il
carpentiere portandosi una mano a grattarsi il mento, ma tutti in
cuor loro conoscevano distintamente il da farsi.
Rufy strinse i pugni tesi
lungo il
costato : _ Chopper, prenditi cura di Usopp. _ e reattivo il dottore
se lo prese in spalla annuendo solerte all’ordine.
Una vena in rilievo sulla
tempia dello
spadaccino pulsò al serrarsi della mandibola,
guardò dritto negli
occhi Monkey D Rufy che lo ricambiò complice e la
determinazione
infervorò l’animo del suo vice : _ Andiamo! _
|
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Capitolo 14 *** Il perché che fa male ***
Sono rotto. Sono
tremendamente
spezzato a la mancanza di consapevolezza mi sbrindella ad ogni
pensiero incerto.
Perché?
E’ la
domanda che tormenta
maggiormente. Inesorabile, logorante e perpetua. Quella semplice
domanda, quella parola così insignificante e innocente da
essere la
preferita d’un bambino curioso, non mi abbandona. Genuina e
vera
nel mio tumulto.
Per ironia, una
risposta però
affiora.
Ma non poteva
essere reale, così
continua a tornare quella maledetta parola.
Perché?
Perché
era successo tutto quello?
Perché
non era stato capace di
prevederlo?
Possibile che una
cosa talmente
distante da lui come l’amore, potesse avergli squarciato
l’ego
tanto da renderlo cieco?
Perché?
Cosa le aveva mai privato?
Faceva male,
dannatamente male. E
il dolore più grande giungeva da quella risposta che
continuava a
rigettare.
Era colpa sua.
Colpa sua.
C’è di
nuovo del movimento intorno
a me, ma inizio a sentire tutto in maniera più ovattata e
non
capisco il perché. C’è qualcuno che si
muove, che armeggia con
oggetti di metallo: sono fini e leggeri come pugnali di precisione,
le mie orecchie ne riconoscono lo slittare affilato.
Qualcuno sta parlando. No,
mormora. Le
voci sono basse, ma non è questo il motivo per cui sono
così
lontane da me. C’è n’è
più di uno.
_Capitano, dobbiamo farlo
ora. _ chi è
che parla? Cosa sta succedendo?
Fa male,
dannatamente male.
Quella risposta si
era annidata
sotto la pelle e aveva iniziato a vivere di me, come un parassita. Si
alimenta del mio assillo e striscia inesorabile verso il cuore. Lo
sento. Mangia nervi, muscoli e ossa nel suo incedere e mi è
privato
anche l’unico modo che potrei avere per alleviare
quell’avanzata.
Vorrei gridare fino a prosciugarmi, fino a spezzarmi le corde vocali,
ma non posso farlo da diverso tempo ormai.
Non posso fare
altro che continuare
a chiedere il perché al nulla.
Era colpa sua.
Colpa sua.
_ Sì, ho fatto.
Possiamo cominciare.
_ quella freddezza… Torao?
Una presa alla nuca mi
solleva il capo
e quando mi libera, sono su una superficie diversa, più
dura. Credo
che mi abbiano tolto il guanciale e ora mi inclinano il mento
esponendo la giugulare.
Pericolo! Slitta nel petto
una
sensazione di pericolo.
Sono un fantoccio nelle
loro mani e il
non riuscire a percepire Chopper mi agita, lo confesso. Non
c’è?
Perché non c’é?
Mi concentro, mi sforzo ma
non lo
trovo da nessuna parte. Torao non è un nemico e
sì, sono sulla
Sunny, eppure non riesco a sentirmi tranquillo. Lo ha chiamato Rufy,
ma anche questo non basta a calmare la pulsione di paura che provo.
Non l’ho
protetta. Non avevo
rispettato il mio giuramento fatto in onore dei miei nakama. Pensare
che mi ero perfino dimenticato di aggiungere quella piccola, nuova
clausola. Qualcuno lo aveva fatto per me e ora me la stava
schiantando in faccia.
Non si tratta di
un confronto, lei
non è qualcosa in più. Era…
è qualcosa di speciale che nemmeno
io ho mai compreso. Comprendere non è una cosa che ci si
può
aspettare da me e non la ho nemmeno mai contemplata come un urgenza
cui adempiere.
Ho lasciato che
gli eventi
accadessero e il mio cuore era mutato silenzioso, senza dirmi nulla.
Maledetto!
Che importanza
poteva avere ora,
però? Non contava più niente.
Una ferma pressione ai lati
della
mascella mi fa aprire la bocca e quasi ho l’impressione che i
polmoni smettano di muoversi, come se quella novità
destabilizzasse
un equilibrio precario.
_ Iniziamo. _ la voce di
Law tradisce
una vena di tensione.
E mentre qualcuno sembra
appoggiarsi
sulla mia faccia, sento un sussurro. Un anelito strozzato che
è
sfuggito nel silenzio. Sento Chopper e finalmente lo trovo.
Poi tutto sparisce e rimane
solo più
il dolore. Qualcosa mi vien spinto in bocca, viola l’ingresso
e
sento che potrei vomitare l’anima. I muscoli del collo
spasmano nel
desiderio di assecondare quell’impulso alla sopravvivenza e
mi
sembra di annegare nell’immobilità cui sono
costretto.
_ Merda! _ impreca Torao.
Con un
leggero sbuffo che mi solletica il naso, tira fuori qualunque cosa
sia quella roba dalla mia gola e il sollievo è immediato
quanto
breve. Mi inclinano maggiormente la testa verso l’alto e lo
rifanno. Rientrano e questa volta fa meno male, ma
l’intrusione
torna a far reagire i muscoli del collo nel tentativo di rigettare
quell’affare, per sopravvivere.
Mi rendo conto che
sto lentamente
cambiando, giorno dopo giorno. Sono qui, in questo limbo inamovibile
eppur cosciente. O meglio, consapevole.
Il tempo
è diventato vacuo e non
ho più saputo nulla. Non ho più sentito i miei
nakama parlare di
lei e sembrano concentrarsi solo su di me. Fanculo, perché?
Lasciatemi stare.
E adesso questo:
mi sto
allontanando. Ogni sensazione fisica è forte e presente, ma
sento
come se stessi cadendo in un sonno diverso dal solito. Non è
più
solo stanchezza. E’… abbandono?
Non voglio!
Mi brucia la gola. Ho la
trachea
occupata e qualunque cosa sia, invade la cartilagine con sofferenza
e irruenza.
_ Ben fatto, Capitano! _
quello che
dovrebbe essere un sottoposto di Law, credo mi stia restituendo la
comodità del cuscino.
“Ben
fatto” per cosa? Per avermi
fatto incazzare? Perché diavolo non è Chopper a
occuparsi di me?
_ Fallo partire. _ risponde
Law, la
voce più ferma.
Sento un fischio che mi
infastidisce i
timpani e, seppur non faccia più male,
quell’affare nella mia
trachea è una presenza cui non riesco ad abituarmi. Qualcuno
mi
stringe un laccio intorno al bicipite e un ago fa forza per trovare
una vena. Non passano troppi secondi prima che la stanchezza aumenti.
_ Law, perché lo
sedi? Non può
sentire niente. _ Chopper finalmente parla, ma si sbaglia. Io sento
tutto, anche se non sono qui.
Lei ha bisogno di
me, devo
aiutarla. Eppure non controllo questa cosa.
Mi fido degli
altri, davvero! Però
inizio ad avere l’urgenza di essere lì, con loro.
Per sapere, ma
anche perché la colpa mi sta dilaniando.
Sarei dovuto
essere di più per lei
e perfino ora, ora che ha bisogno di me come non mai, io non sono in
grado di starle accanto.
Se solo il petto
non facesse così
male, sono sicuro che potrei alzarmi e che il mio corpo
ricomincerebbe a rispondermi.
Non riesco a
muovermi.
Credo che Law e Chopper si
stiano
scambiando uno sguardo e vorrei vedere il loro dilaogo muto. Questo
non sapere inizia ad infastidirmi. Cosa cazzo mi stanno facendo? E
perché? Di cosa avevano parlato l’ultima volta?
Non ricordo
_ Onestamente non lo so.
Istinto,
suppongo! _ risponde il chirurgo della morte.
È vero. Law non
è un semplice
medico. Law è un chirurgo. E i chirurghi si spingono ben
oltre la
medicina convenzionale.
Forse inizio a ricordare.
_ Stai sottoponendo il suo
organismo a
qualcosa di non necessario. È un ulteriore stress che non
sappiamo
cosa comporti! _ Chopper è allarmato e mi sembra che faccia
dei
passi verso di me.
Questa volta ti sbagli,
dottore.
Sbagli ancora. Credo che il mio “organismo” non
riuscirebbe a
sopportare quello che dovrà succedere se dovessi rimanere in
questo
stato di coscienza. No, forse sarebbe la mia mente a cedere. Il
dolore non mi fa paura, non me ne ha mai fatta, ma sentire ogni
minimo gesto durante l’operazione mi distruggerebbe di
sicuro. Il
bisturi che taglia, il dilatatore che spinge le carni…
rabbrividisco.
_ Lasciami lavorare! Questa
è la mia
area di competenza! _ Torao alza appena la voce con risolutezza e il
mio nakama smette di protestare.
Il mondo inizia a
vorticarmi dentro.
Perché
ho questi flash? Sono
ricordi?
Due occhi nocciola
mi guardano
liquidi e vibranti. Mi stanno guardando dentro e mi sento scoperto,
ma non ho l’istinto di fuggire. Anzi, mi avvicino.
Il mio cuore batte
regolare e non
tradisce alcuna emozione se non pace e sicurezza.
I raggi
d’un sole morente mi
intiepidiscono il profilo del volto.
C’è
un salto temporale e ora è
tra le mie braccia. La stringo e lei ha la fronte incassata nella mia
spalla, si appoggia alla mia clavicola nuda e la pelle guizza al
contatto.
C’è
un profumo nell’aria che
mi riempie. È buono, semplicemente buono. Forse mi
appartiene così
tanto che non vorrei mai privarmene.
Di nuovo
l’immagine scompare di
colpo e se ne sostituisce un’altra. Umido e calore sulle
labbra.
Delle dita sottili
si appoggiano
alla mia mandibola e seguono il movimento che faccio nel baciarla. La
bocca si apre e si chiude morbida, come volesse divorare quel
momento.
La mia mano si
muove e raggiunge la
sua, si intrecciano.
_ Dottore,
perché non vai a
riposarti? Hai passato diciassette giorni pesanti. Qua ci pensiamo
noi ora. _ dice ancora Law e sento il sospiro stanco di Chopper.
Sembra indugiare,
così Torao insiste
e lo rassicura: _ Vengo a cercarti appena finiamo. Va’ . _
Non
riesco a distinguere con precisione quello che accade, la mia
percezione è sporcata da questa sorta di vertigine che
aumenta
inesorabile e mi porta via. Mi sta portando via.
La stringo per un
fianco e le cingo
la vita mentre lei si lascia guidare dalla mia stretta.
Spingo la lingua a
chiedere il suo
accesso e lei si apre accogliendomi calda. Potrei morirci dentro, lo
farei con la gioia nel petto e lei lo sa.
Ora il mio battito
aumenta e va a
ritmo con il suo.
Siamo liberi di
esserci l’un per
l’altra.
Presenti a noi
stessi e sciolti dei
nostri fardelli.
Ogni cosa
è al suo posto.
Si fa tutto
più oscuro.
Cos’era?
Non ho un ricordo del
genere, sul ponte della Sunny, di fronte al mondo. Non è mai
capitato e so che lei non avrebbe mai permesso che capitasse.
Che
sia… un… è un rimpianto?
I
miei sensi mi stanno abbandonando.
In un
ultimo slancio di resistenza sento ancora una voce, le parole forzate
di Chopper.
_ Va
bene, vado da Nami. _
Un
sussulto…
E
vado anche io.
È
colpa
mia.
Colpa mia.
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Capitolo 15 *** Culmine ***
Ribolliva.
Poteva chiaramente
percepire lo
scorrere viscoso e frenetico del suo stesso sangue nelle vene che
surriscaldava tutto il suo sistema. Non era per il divampo cui era
appena sfuggito e lo sapeva chiaramente.
Soffiava ira dal naso e il
respiro
quasi gli bruciava le narici.
Era consapevole del lieve
dolore alla
mandibola che egli stesso si stava procurando nel serrarla
all’inverosimile, eppure i neuroni non erano in grado di
impartire
il comando necessario a rilassarla.
Ansia, preoccupazione e
paura
coesistevano senza freno. Sì, anche paura!
Sentiva di aver smesso di
funzionare.
Qualcosa in lui aveva smesso di funzionare.
Zoro non riusciva a
controllarsi e
solo lui sapeva quanto quella questione fosse un fatto estremamente
personale, lui e Nami.
Era perfettamente
consapevole che non
esistevano colpe dirette per il loro recente scontro e che la
compagna non era in grado di controllare i propri comportamenti,
eppure si sentiva ferito come se quella situazione fosse il frutto
dell'escalation delle difficoltà di cui era vittima la loro
relazione.
Franky e Brook erano
rimasti
all’ostello per aiutare nelle operazioni di soffocamento
dell’incendio per poi tentare di recuperare qualcuno degli
effetti
della ciurma, mentre Chopper si era rintanato sulla Sunny per
analizzare le condizioni del cecchino: aveva già ripreso
conoscenza
e sembrava fuori pericolo di vita, ma il dottore aveva insistito
caparbio per accertarsene.
Usopp aveva semplicemente
raccontato
che la cartografa si era improvvisamente svegliata per poi aggredirlo
immediatamente, senza nemmeno chiedersi chi avesse di fronte e lui
non aveva avuto il tempo di reagire. Si era ritrovato in forte
imbarazzo per essere stato crudelmente abbattuto e aveva tentato di
proteggere il proprio orgoglio giustificando l’accaduto con
l’essere stato preso alla sprovvista, ma Zoro sapeva
perfettamente
che non sarebbe mai stato in grado di affrontarla anche se, per sua
caratteristica discrezione, aveva preferito non infierire
ulteriormente. Indifferentemente dai fattori emozionali, perfino lui
si era dovuto impegnare per tenerle testa.
Chissà cosa
diavolo le era
successo...
I rimanenti
dell’equipaggio avevano
formato gruppo ed ora erano per le vie della città cercando
in ogni
angolo buio. L’incidente dell’ostello aveva
attirato l’attenzione
delle autorità e dovevano far attenzione considerando che
giusto il
giorno prima avevano attirato l’attenzione su di loro; fosse
stato
per i tre uomini in realtà, non si sarebbero minimamente
posti il
problema, ma Robin li aveva fatti ragionare per non peggiorare
ulteriormente la condizione della ciurma.
_ Questa situazione ha del
surreale! _
gracchiò Sanji dalle retrovie. Luffy era in testa ed apriva
la
strada affiancato dal verde, seguiti subito dopo
dall’archeologa.
Non erano certi della
direzione che
stavano prendendo e indiscutibilmente il naso della loro renna di
bordo sarebbe stato utile nella ricerca, ma l’unica soluzione
alla
quale riuscirono a pensare fu la casualità
dell’istinto. Non si
tirarono indietro: Nami aveva bisogno del loro aiuto
indifferentemente dallo sviluppo degli ultimi eventi.
Il capitano correva a
perdifiato
imboccando i vicoli di periferia a testa bassa mentre Sanji e Robin
si premuravano di guidarlo quel tanto che bastava per evitare le vie
principali. La strategia di gruppo si limitava a cercare la
famigliare capigliatura rossa della nakama tra le poche persone che
incontravano; la zona dell’ostello brulicava di cittadini
delle
prime vicinanze, ma il resto della città sembrava ancora
dormiente
se pur, in lontananza, si potesse già intravedere
l’orizzonte
albeggiante.
_ Una volta trovata, quale
sarà il
piano? Come dobbiamo comportarci? _ domandò
l’archeologa.
_ La troveremo! _
rimbeccò d’istinto
lo spadaccino e la donna puntò i suoi occhi cerulei sulla
figura del
compagno con una strana apprensione nel petto. Qualcosa le sfuggiva e
aveva un terribile presentimento.
Il cuoco sembrò
accelerare il passo :
_ Non saprei proprio! Non sappiamo nemmeno cosa sia successo. Quello
che ha raccontato testa d’alga ha
dell’inverosimile! _
Un grugnito si frappose al
suono dei
loro passi concitati sul terreno : _ Credi che me lo sia inventato,
Sopracciglio? _
_Non credo che intenda
questo,
semplicemente è difficile da credere! Sembra quasi che abbia
avuto
un collasso psicologico o magari un vuoto di memoria, ma non possiamo
averne la certezza _ Spiegò Robin con un inizio di fiato
pesante.
_ Non importa quello che
è successo!
_ esclamò Rufy concitato.
I compagni tacquero
brevemente e si
arrestarono quel tanto che bastasse a scrutarsi intorno prima di
attraversare una strada più ampia e scoperta per poi
infilarsi
nuovamente nelle ramificazioni laterali.
_ Possibile che nessuno si
sia accorto
di nulla? _ esordì il cuoco con un tono velatamente
preoccupato.
_ In effetti… _
alle incerte parole
della storica, l’intero gruppo smise di muoversi e rivolsero
l’attenzione su di lei _ Poco prima che si sentisse male ha
avuto
un comportamento piuttosto strano. Alla luce di quanto è
successo lo
potrei definire ostile…_ Robin si prese il mento fra indice
e
pollice e si chiuse brevemente in sé pensosa.
_ E non hai pensato di
dircelo? _
domandò Zoro fallendo miseramente nel tentare di modulare la
voce.
Doveva sforzarsi per non tradirsi, ma ribolliva dentro e la cosa non
sfuggì al cuoco di bordo che celere lo fulminò
con un’occhiataccia.
_ Non ci era sembrato
rilevante!
Voglio dire, il malore accusato da Nami è diventato subito
una
priorità pertanto non ci siamo curati delle circostanze_ si
spiegò
subito la donna rimanendo austera e tranquilla come consuetudine.
Sanji perse tempo nel
chiedere i
dovuti chiarimenti alla compagna mentre Zoro, non ritenendo quella
conversazione di maggior aiuto, optò per rivolgere la
propria
attenzione al loro Capitano e subito colse i nervi tesi che gli
increspavano i lembi della pelle.
_ Rufy! _ il moro lo
guardò come
stralunato _ Devo chiederti una cosa … _ esordì
lo spadaccino con
voce mesta.
Nami sapeva come non farsi
trovare.
Nella sua adolescenza, si era ritrovata a diventare una ladra per
sopravvivere e non aveva mai perso l’abilità di
rimanere
nell’ombra.
I Mugiwara però,
avevano la nomea di
una ciurma testarda all’inverosimile e, anche questa volta,
avevano
raggiunto il loro obiettivo.
La cartografa aveva
lucidamente deciso
di indossare una cappa con cappuccio e si muoveva tra la folla in
direzione del porto, quando Sanji era riuscito ad identificarla e il
gruppo si era confrontato sul come agire.
La decisione,
però, era già stata
presa.
Zoro cercò con
l’occhio i compagni
appostati agli angoli della piazza dove Nami era infine giunta e ora
sembrava osservare con sinistro interesse le imbarcazioni in sosta ad
uno dei moli. Il giovane incrociò lo sguardo con ognuno dei
nakama e
si soffermò un secondo in più sul capitano in un
moto di
gratitudine e intesa.
Non sapeva se Rufy fosse a
conoscenza
di loro, ma aveva acconsentito alla sua richiesta dopo un breve
momento di esitazione. Gli era riconoscente per la fiducia che aveva
sempre nutrito in lui e sentiva la lealtà nei suo confronti
come una
parte viscerale e intrinseca delle membra che non sarebbe mai venuta
meno.
Era certo che nemmeno la
morte avrebbe
potuto porre fine al loro legame nato quel giorno, dove Rufy lo aveva
salvato e lui aveva ricominciato a credere in qualcosa. Zoro si
concesse un breve sorriso al ricordo del loro primo incontro prima di
riportare l’attenzione alla sua compagna.
Doveva essere lui, doveva
farlo da
solo.
Era successo qualcosa alla
loro
navigatrice che l’aveva resa chiaramente pericolosa e lui non
voleva che nessun componente della ciurma si ritrovasse obbligato a
doverla ferire, volontariamente o meno. Quello, era uno strazio che
sapeva di poter affrontare lui soltanto.
Appoggiò il
palmo sull’elsa della
Wado alla ricerca della sua forza, di quella sicurezza che le sue
fedeli alleate non avevano mai tradito e chiese loro aiuto
silenziosamente.
Chiuse l’occhio e
inspirò gonfiando
il petto, serrò le dita sulla katana, espirò
profondamente e liberò
la presa per poi riaprire l’occhio puntandolo su Nami.
Zoro avanzò
nella piazza.
Glaciale, le fu dietro in
pochi
secondi e la chiamò in un sussurro.
La giovane si
irrigidì di colpo e si
voltò per fronteggiare la minaccia e, quando lo spadaccino
poté
vedere il suo volto, sentì ogni risolutezza vacillare.
Sorpresa e poi odio presero
forma sui
lineamenti di Nami e, in un secondo la vide pronta a fuggire.
L’istinto disse a Zoro di muoversi, di agire.
Le afferrò il
polso, lo stesso polso
che aveva già cinto una volta in quell’isola
maledetta, ma a
differenza dell’ultima volta, la mano della ragazza corse
aggressiva sopra la sua e piantò le unghie come una fiera in
gabbia,
il peso del corpo quanto più lontano possibile da lui.
In tutta onestà,
l’uomo non sapeva
esattamente cosa avrebbe fatto una volta che se la sarebbe trovata
dinanzi, ma in quel preciso instante, tutto divenne chiaro. Per
troppo tempo erano fuggiti l’uno dall’altra
ritrovandosi
solamente nel reciproco piacere e calore. Sapeva che ciò era
anche
una sua responsabilità e, per la prima volta in tutta la sua
esistenza, non voleva combattere.
_ Nami… _
ripeté il suo nome con un
tono quasi di preghiera. Forse cerava di appigliarsi a qualunque cosa
in lei fosse rimasto della donna che conosceva. _ Non voglio farti
del male, voglio soltanto che mi ascolti._
Non sapeva di preciso con
chi stesse
parlando, ma sembrò arrivare in qualche modo
perché la vide
rilassare leggermente i muscoli e frenare l’istinto di fuga
che
l’aveva assalita.
Zoro saettò
l’occhio dove sapeva
essere custodito il bastone climatico della navigatrice e un bisogno
di mantenere la guardia alzata gli si insinuò nelle meningi,
ma più
la guardava negli occhi più si sentiva esposto, nudo come lo
era
stato dinanzi a lei quando più si sono sentiti
un’unica anima.
_ Mi riconosci? _
Incalzò il giovane
inclinando il capo. La vide farsi nuovamente tesa, come se un ricordo
le fosse giunto a spaventarla e ferirla. _ No, aspetta!_ lo
spadaccino serrò la presa sul polso della compagna e subito
riconobbe non essere stata la scelta migliore.
Nami puntò i
piedi e fece leva nel
senso opposto per liberarsi, ma Zoro si limitò a schiudere
leggermente le dita per non causarle dolore. Lei non smise di
agitarsi e la vide arricciare le labbra in un ringhio muto.
Così non sarebbe
andato da nessuna
parte.
La decisione
arrivò in un lampo e il
cervello dell’uomo non si prese nemmeno il tempo di soppesare
l’idea: quella davanti a lui era Nami, la sua Nami!
Poggiò un
ginocchio al suolo e le calò di fronte guardandola dritto in
volto
per osservare l’effetto del suo gesto: riuscì
nell’intento e la
cartografa lo osservò con mesta curiosità.
Da
quell’angolazione, Zoro riuscì
ad intravedere sotto al cappuccio, quell’ammasso violaceo che
le
guastava la carne del collo appena sotto l’orecchio e
l’apprensione
crebbe ancor più.
_ Nami, te l’ho
detto… _ cauto, le
liberò il braccio _ … non ho nessuna intenzione
di farti del male.
_
Lo stava ascoltando, schiva
ma pur
sempre ferma sul posto.
Forse c’era una
speranza!
Lo spadaccino
appoggiò anche l’altra
gamba al terreno ignorando la fitta di dolore della bruciatura alla
coscia e, grazie all’haki, poté percepire la
tensione dei suoi
nakama rimasti nell’ombra aumentare a ritmo con il suo cuore.
Portò lentamente
le mani alle katane
e le liberò dalla cinta in vita poggiandone due al suolo.
Non
interruppe lo sguardo con lei per un solo secondo e sperava nel
profondo che quell’atto avrebbe potuto rinsavire una qualche
parte
della sua coscienza.
Era un loro rituale, tutto
loro: come
pirati, erano perennemente pronti a combattere, ma nei loro incontri,
si sono sempre simbolicamente spogliati delle rispettive armi prima
che dei vestiti.
Zoro impugnò la
Shusui e la sfilò
dal fodero sotto l’attento controllo di Nami. Si sentiva come
dinanzi ad un temibile felino cui chiedeva implicitamente fiducia e
tese il braccio offrendo l’elsa a lei in segno di resa.
Era suo, lo era da sempre!
_ Nami, guardami! _ la
richiesta
giunse morbida nell’aria e la cartografa incatenò
nuovamente le
pupille con quelle onice del giovane _ Sono io. Sono Zoro… _
La ragazza
allungò tremante la mano
verso quella armata di lui e una brezza decisa giunse improvvisa a
far tintinnare i pendagli dello spadaccino.
Accadde in un istante: Rufy
gridò
lontano, i lineamenti della cartografa si indurirono nuovamente e il
cuore di Zoro incespicò il suo ritmo.
Nami afferrò con
entrambi i palmi
l’estremità dorata di Shusui e fece forza con
l’intero corpo
contro il suo vessatore.
La lama della spada
trafisse pelle,
carne e ossa. La punta fece breccia tra le scapole dello spadaccino e
scintillò insanguinata nel mezzo della schiena.
Le orecchie non sentirono
più,
l’occhio tremò e i muscoli smisero di sorreggere
il suo corpo.
Zoro traballò
qualche istante, poi
stramazzò a terra nel suo stesso sangue.
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Capitolo 16 *** Epilogo ***
ANGOLO DELL’AUTRICE
Ciao
a tuttə,
come oramai saprete, inizio con il rinnovare le mie scuse per gli
aggiornamenti scostanti e provo una profonda gratitudine e
ammirazione per tutti voi pazzə
che continuate a leggere e recensire. Sapere che il mio lavoro
è di
vostro gradimento, mi spinge a non demordere e voglio convincermi a
darvi un finale per questa long. Aimè però, non
so stimare quando
accadrà (non appena finirete di leggere il capitolo, queste
mie
parole diventeranno una specie di spoiler, immagino!)
Vi
lascio un piccolo ALLERT: se non volete soffrire, chiudete subito il
browser. Questo capitolo è un po’ tosto e non nego
che la
pesantezza potrebbe continuare anche nei prossimi. Mi scuso se il mio
scrivere possa far sorgere in voi emozioni
“negative” poco prima
del Natale, ma va così.
Un
abbraccio forte,
Arcadia
Come
dal risveglio di un sonno interminabile, aprì gli occhi e
lentamente
prese percezione dell’ambiente circostante.
La
vista era sfocata, in particolare ai margini, e batté un
paio di
volte le palpebre per cercare di migliorare la situazione.
Nell’annotare l’inutilità di quel
tentativo, si rese
maggiormente conto di come anche tutti gli altri sensi fossero ancora
assopiti.
Il
corpo sembrava non appartenere più alla sua coscienza oramai
chiaramente sveglia e sapeva di essere con i glutei seduti senza
averne la reale percezione. La bocca era pastosa e nel saggiarne la
mobilità, registrò di come perfino la lingua
sembrasse pigra ai
comandi. Le orecchie fischiavano debolmente come udissero il treno
marino di Water Seven oltre il limitare dell’oceano e
l’unica
cosa chiara che sentiva era un gonfiore pulsante proprio sotto al
lobo sinistro.
Il
braccio si mosse da solo e poté osservarlo dirigersi al
proprio
collo come se lei stessa non fosse altro che uno spettatore esterno e
il suo non fosse altro che un gesto impartito dal cervello senza un
vero consenso. Il pizzico di dolore che scatenò quel
contatto di
pelle contro pelle, le acutì la consapevolezza di
sé e iniziò a
riprendere il controllo.
Nami
si guardò intorno senza una reale emozione a muoverla.
Sì,
la riconosceva. Poteva dirlo con certezza, anche grazie a quel
leggero e inconfondibile dondolio: era sulla Sunny!
Le
pareti di legno la avvolgevano calorosamente come solo la sensazione
di essere a casa dopo un lungo viaggio poteva fare. Era a casa: la
salsedine nell’aria, le linee ruvide delle assi di legno sul
pavimento… ma dove era stata per tutto quel tempo?
A
giudicare dal movimento pigro della nave, dovevano essere ormeggiati
da qualche parte o, perlomeno, il moto ondoso che percepiva non era
di certo quello del mare aperto.
Cosa
era successo?
Sforzò
le meningi per tornare al suo ultimo ricordo prima di chiudere gli
occhi. Perché solo di quello poteva trattarsi: doveva
essersi
addormentata nella stiva per chissà quale motivo.
Il
leggero dolore alle membra le fece riassaporare la reminiscenza della
morbidezza del suo letto, nella cabina che condivideva con Robin.
Aveva come l’impressione di mancare da troppo tempo e la
nostalgia
di quel confort le prese la bocca dello stomaco.
Un
accenno di emozione che si affievolì in un anelito di vita
perduto.
La
vista stava iniziando a schiarirsi e tentò di stropicciarsi
i bulbi
oculari per accelerare il processo. Che fastidiosa sensazione!
Ricordava
dello sbarco, del delirio causato da Rufy al mercato, i marines, la
loro fuga rocambolesca, la taverna e la chiara sensazione di una
pelle calda contro la sua, di respiri sciolti e desiderio crescente
nelle vene. Il suo viso, quel volto spigoloso piegato in espressioni
morbide che sapeva essere concesse solo lei, lei che ne era in
qualche modo artefice e custode su terra e mari. Nami si
toccò le
labbra con le punte delle dita nel ricordare quel contatto sempre
così lontano, ma mai assente nelle sue memorie e si
stupì di
trovarle piegate in un mesto sorriso. Cos’era quel senso di
tristezza che le ammaccava il cuore?
Si
sentiva strana, intontita e incapace di dare una definizione al suo
sentire. Come un amante cui è proibito di saggiare
l’amore da
troppo tempo.
Che
assurdità, che pensieri sciocchi! Buoni solo ad appesantirle
ulteriormente il cervello. Eppure, una parte dentro di lei sembrava
sussurrarle che, in realtà, non dovevano essere poi
così tanto
assurdi.
Percepiva
uno vuoto sinistro nel petto, lì dove albergano le emozioni,
come se
avessero improvvisamente cambiato residenza. Sparite, senza lasciare
nemmeno un biglietto di addio. Si ritrovava sull’uscio di
sé
stessa, scorgendovi all’interno nient’altro che il
nulla. Una
casa disabitata e lasciata ad avvizzire.
Un’improvvisa
fitta alle tempie la costrinse a piegarsi e a proteggere il capo tra
le mani, occhi serrati e un gemito sofferto sul limitare della gola
spezzata. Dolore. Perché?
_Nami
_ una voce.
L’aveva
immaginata?
No,
era lì con lei. Un tono d’apprensione celato dalla
fermezza di una
voce risoluta.
_Nami!
_ la fitta alle tempie si trasformò nuovamente nel fischio
di un
treno, ma questa volta sembrava tanto vicino da perforarle le
meningi. Si accartocciò su sé stessa contraendo
lo stomaco per
resistere.
Aiuto
Implorava.
Non riusciva a chiedere altro. Aiuto da quella sofferenza e dalla sua
coscienza che faticava a riconoscere come propria. Quella voce
però,
l’avrebbe riconosciuta attraverso qualunque cacofonia del
mondo.
Si
costrinse a rilasciare il respiro e a gonfiare e sgonfiare
ritmicamente i polmoni come se l’ossigeno fosse il suo unico
appiglio alla realtà.
Ho
paura
Ma
sembrò funzionare e la cartografa alzò cautamente
il capo di
qualche centimetro come se si aspettasse un altro assalto da
chissà
dove.
_
Nami!! _ la voce apparve irritarsi a causa della risposta mancata,
così Nami si ostinò ad uscire allo scoperto e
alzò gli occhi
oramai limpidi. Nel vederlo realmente di fronte a lei, ebbe un
leggero calore ad irradiarla debolmente. Forse, da quella casa,
nessuno se n’era mai andato veramente. Forse aveva preso un
abbaglio e qualcosa le si mosse dentro.
Lui
la fissò, inamovibile.
_
Mi riconosci? _ le chiese.
Perché
è così freddo?
_
Rispondimi! _ morse l’aria con il ghiaccio nelle parole e lei
morì
per un secondo lungo un’ora _Sai chi sono? _
incalzò ancora.
Che
domanda era quella? Doveva essere tutto uno scherzo.
_
È la quarta volta che facciamo questa conversazione, mi devi
rispondere! _ rabbia e veleno che tuonarono.
Nel
sobbalzare scossa e confusa, la rossa razionalizzò
l’urgenza della
sua risposta che le sfuggì dalle labbra in uno squittio
acuto: _
Rufy! _ la voce le tremò di paura e bisogno.
Il
capitano spostò impercettibilmente il busto indietro,
lì sullo
sgabello dove si trovava, e abbassò le spalle in un sospiro
fugace
prima che la postura tornasse in posizione di assalto.
Contro
chi? contro lei?
Le
balbettò il cuore. Non capiva niente.
_
Ricordi qualcosa? _ chiese ancora lui.
Il
volto della ragazza si contrasse in una smorfia come se si stesse
sforzando di dare un senso a quel dialogo. Aveva
l’impressione di
star per essere pugnalata.
_
Rufy _ aveva timore di chiedere, Nami, e prese un respiro di tempo _
Perché mi hai chiesto se ti riconosco? Cosa significa? _
Vide
il suo capitano trattenere il fiato e lei contò il tempo con
i
rintocchi del suo cuore. Lo guardò negli occhi in attesa,
tremando
dentro.
Il
ragazzo si alzò lentamente in piedi e si fece forza con le
mani
sulle ginocchia come se si sentisse più pesante che mai, un
peso
invisibile all’occhio della mente quanto schiacciante per
l’anima.
Il corpo ci prova, ne mostra segni e sintomi, ma non si arrende. Si
alzò in posizione eretta e la trapassò con uno
sguardo duro che
cedette a tratti all’interferenza di un dolore che Nami non
capiva.
_Ricordi
qualcosa? _ strinse i pugni e cercò un po’ di
nasconderli, saldo
alla stessa domanda ancora e ancora.
Cosa
dovrebbe ricordare?
Sempre
più spaesata, la cartografa decise di provarci e si
toccò la tempia
per un secondo prima di issarsi anche lei sulle gambe. Ebbe qualche
vertigine, ma non se ne curò mentre il pulsare al collo
aumentò
d’intensità con il cambio di pressione del sangue.
Il
suo capitano non perse di vista ogni minimo movimento, sentiva il suo
sguardo indagatore come un predatore pronto a scattare e le venne un
brivido lungo la schiena. Aveva già visto Rufy in quella
condizione,
ma sempre e solo indirizzato contro i loro nemici.
Era
tutto sbagliato.
_
Io non… _ iniziò Nami balbettante, le braccia
strette al costato
come per proteggersi da un freddo che sentiva solo lei _ Credo
che…
_ la pressione delle lacrime dietro agli occhi per un panico che
iniziava a coglierle la gola.
Un
suono di passi pesanti e affannati giunse da oltre la porta che
chiudeva la stiva come una cella e si fece sempre più vicino
mentre
una stilla di pianto andò a morire sulla guancia della
navigatrice.
Cappello
di Paglia si voltò e l’uscio si
spalancò in un colpo secco.
_
RUFY! _ gridò Usopp con un’urgenza che si
affievolì
nell’incontrare gli occhi nocciola di Nami. Cedette su di lei
per
un momento e le sopracciglia si chiusero quando continuò con
un tono
di voce più basso e sofferto _ Vieni _
Bastò
quella parola, una singola parola e il capitano dei Mugiwara si
fiondò fuori quasi travolgendo il cecchino nella foga
d’oltrepassarlo.
Nami
spalancò gli occhi e fissò il suo nakama rimasto
con
un’implorazione nelle pupille. Aveva bisogno di sapere, di
avere
una spiegazione che zittisse le innumerevoli domande nella sua mente.
Avanzò
di un passo verso di lui, ma il cecchino le fece da specchio
retrocedendo e scosse il capo incapace di esprimersi a parole.
La
porta si chiuse e il gelo le entrò nelle ossa.
La
porta si aprì furiosa e Bepo corse fuori. La voce di Law
tuonò un
“MUOVITI!” e i rumori dell’infermeria
tornarono ovattati al
chiudersi della serratura.
Suoni
di oggetti spostati, di tessuti strappati che giungevano attutiti
alle orecchie dei Mugiwara raccolti di fronte ad uno degli
oblò.
Suoni che si infrangevano contro il silenzio del mondo esterno, tale
che perfino il mare sembrò essersi taciuto.
Bisturi,
pinze e forbici che si schiantarono al suolo nel clangore di un
Chopper fermo a sé stesso e un segnale ritmico che stava
inesorabilmente rallentando ad ogni suo grido. Un palpito stanco e
prossimo all’abbandono.
Il
finestrino circolare dal quale i pirati di Cappello di Paglia non
riuscivano a distogliere lo sguardo, mostrava loro una scena irreale
quanto un incubo.
Il
respiratore artificiale pompava impazzito mentre Torao fissava le
proprie mani premute verso il basso, verso l’origine di
quegli
zampilli cremisi che scattavano ad insozzargli braccia e volto.
_
Dove diavolo è finito Bepo? _ gridò ancora il
chirurgo e alzò lo
sguardo incrociando quello di un Rufy appena arrivato ad aggrapparsi
impotente a quel vetro. Ognuno dei due vide la paura negli occhi
dell’altro.
Il
medico di bordo, invece, non tradì nessun’angoscia
mentre con
espressione risoluta e mani ferme, cercava di preparare una siringa
con chissà cosa al suo interno.
La
renna in forma umana, afferrò un arto abbandonato e si
preparò ad
iniettare un qualche farmaco attraverso un tubicino già
direttamente
collegato ad una vena del paziente. Poi improvvisamente, qualcosa si
ruppe: la siringa si infranse al suolo, il braccio cadde nel vuoto
fermandosi oltre il limitare del materasso e dita gocciolanti di
sangue denso come magma entrarono nel campo visivo degli spettatori
ammutoliti.
Il
segnale, quel segnale smise di singhiozzare il proprio sforzo e si
abbandonò all’urlo finale mordendo al cuore dei
Mugiwara in quel
vocalizzo d’epilogo.
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Capitolo 17 *** Gli antipodi di Zoro ***
ANGOLO
DELL’AUTRICE
Rieccoci!
Scenetta
spicy, ma non troppo… Se la si prende nel contesto, fa un
po’ (! un po’ !) di
malinconia. Se non conosci il contesto, torna al capitolo prima:
così
l’ambientazione emotiva rende di più perché
sono sadica con i personaggi.
Ci
vediamo in fondo, ho una cosa da chiedervi!
_ Zoro? _
Le aveva
risposto con un grugnito soffocato nell’incavo del collo
lungo il quale
nascondeva il viso, il respiro infranto sui capelli di fuoco e mai
sazio del
loro profumo. Un suono seccato e selvatico come la sua indole.
Perché lui
sapeva, sapeva che quando lei pronunciava il suo nome con
quell’inclinazione
della voce, ciò che sarebbe avvenuto non era qualcosa che
avrebbe mai
apprezzato.
Ma Nami non
poteva farne a meno.
Fece
serpeggiare le punte delle dita dalla nuca taurina fino al cuoio
capelluto
dell’uomo e lì le intrecciò con i suoi
fili verdi. Lo percepì per un breve,
chiaro istante, il brivido che corse lungo la spina dorsale di Zoro e
la
resistenza dei suoi muscoli dorsali a quell’atto volutamente
rassicurante e
mellifluo.
_Cosa? _ la
sollecitò brusco, prima di inasprire la spinta successiva e
inalare ancora il
suo profumo. Mai pieno di lei, drogato d’ogni cosa di lei.
Un anelito di
piacere si librò dalle sue labbra e Nami si prese il tempo
di un respiro per
riappropriarsi dei pensieri. Amava vederlo così. Sembrava
quasi vulnerabile a
chissà cosa e amava pensare che forse, solo forse, Zoro
potesse diventarle
indifeso.
Nei loro
momenti, unici come quello presente in cui si fondevano nel
distruggersi per poi rigenerarsi reciprocamente l'anima, Nami sapeva
che ad ogni tuffo che
il suo compagno faceva
dentro di lei, lei stessa poteva viversi come ambrosia vischiosa e
annullarsi
alla sua totale presenza.
Stese la
schiena lungo la parete sulla quale era volutamente bloccata e strinse
le cosce
cerchiando ancora di più la sottile vita dello spadaccino
nel lasciarsi
sfuggire un fugace sguardo a tre spade riverentemente appoggiate nella
parte
opposta del suo studio.
_Nami _ la
chiamò ancora lui. Un ennesimo colpo che minò di
annebbiarle il cervello.
Aveva
lasciato scivolare la mano lungo il profilo del volto di Zoro e una
carezza si
intersecò con i suoi pendagli prima di posarsi leggera sulla
giugulare: _ Dove
sei? _ gli chiese, un tremore che la tradì.
Dietro le
ciglia, lo aveva visto corrugare la fronte e non seppe se per la
concentrazione
dell’atto o in risposta istintiva al suo quesito che sapeva
essere tanto
improvviso da scioccare. Non doveva sforzarsi troppo nel vedere la
confusione
tra i suoi lineamenti.
_ Che stai
dicendo? Sono qui… _ le rispose sfiorandole la spalla nuda
con le labbra, un
atto così dolce da risultare conflittuale con il bacino che
urlava bisogno.
_
Non…
ah…
non intendo ora… adesso. _ cercò di spiegarsi lei
tentando di sfuggire ad un
nuovo, inondante calore nel ventre. Faceva davvero fatica: tutto era
Zoro,
c’era sempre più ineluttabilmente lui, ma
quell’incertezza del cuore non voleva
abbandonarla. Nemmeno in quel momento.
Lo aveva
sentito rallentare e per un breve, terribile istante, Nami aveva temuto
di
averlo ferito con la sua solita ricerca di certezza. Perché
nonostante la
scelta fosse sua, non poteva fare a meno di soffrire per la distanza
che
portava con sé la luce del sole. Quella distanza che si
tramutava in freddezza
nei lineamenti dello spadaccino durante la loro quotidianità
sulla Sunny, un
risvolto di lui con il quale si era accorta di non aver fatto i conti.
Faceva male,
talmente male da aver bisogno di ricucirsi durante il silenzio della
notte o
nella penombra degli angoli del suo studio dove ora si univano.
Ciò
che
le
scardinava le fondamenta, era la paura del non riconoscere
più la loro verità
come tale, perennemente in bilico tra il giorno e la notte. Chi era
Zoro? Il
suo nakama che la evitava come la peste per paura di qualche ordine
strozzato e
ramanzina, oppure era l’uomo radicato come una quercia che
ora la stava
prendendo? Qual era il limitare tra finzione e realtà?
_
Nami…
_
ancora, l’aveva chiamata con una certa urgenza nella voce,
un’urgenza di sapere
e capirla. Aveva poi portato le mani sotto la rotondità
delle sue cosce e con
un guizzo di muscoli se l’era portata un po’
più in alto staccandola per un
momento dal sostegno della parete. Lì poi, aveva cambiato
angolazione con i
fianchi sfiorandole la clavicola con la punta dritta del naso e
riprendendo ad
andarle dentro con quella che Nami ricorda aver creduto essere
frustrazione.
Si stavano
forse perdendo?
Se quel
veloce richiamo l’aveva scossa dal furore dei suoi pensieri,
il nuovo ritmo di
Zoro rischiava di farla smarrire tra lussuria e perdizione. Lo
seguì, lo seguì
come la religione e lasciò vibrare i gemiti per lui.
_
Parlami… ah
… _ era riuscita a respirare poco prima del grugnito di lui.
_ Ora? _
aveva sbuffato passandole il profilo dei denti lungo la mandibola.
In un guizzo
di lucidità, Nami aveva percepito quel tocco come la
minaccia di un morso e
sentì di doversi spiegare il più possibile
andando contro alle proprie paure e
resistenze. Perché fa sempre paura chiedere per una risposta
che non si è
pronti a sentire, che potrebbe non essere quella giusta.
Gli aveva
piantato le unghie sui muscoli delle scapole come in un tentativo folle
di
incatenarlo a lei, tra sangue e pelle. Un desiderio malsano per una
dipendenza
che la teneva viva.
A quello, lo
spadaccino era diventato irregolare e il morso era arrivato
nell’incavo del
collo di Nami facendole alzare il mento al soffitto per una scarica di
piacere.
Si era stretta a lui assecondando le sue spinte finali e soffiando
fuori dalle
labbra il suo nome come una bolla rovente del suo Clima Takt. Lo aveva
invocato
fino al proprio culmine guidato dagli ultimi sprazzi del calore di Zoro.
Aveva stretto
gli occhi Nami, chiusi forte per non lasciarsi sfuggire quel momento e
viversi
il vortice di sensazione ed emozioni che le inondavano dentro e fuori.
Il fiato
pesante
che si infrangeva contro quello di lui ora poggiato fronte e fronte in
un bagno
di fusione e sudore. Si era passata la lingua tra le labbra secche per
gli
aneliti a bocca aperta e aveva inspirato a fondo prima di schiudere le
palpebre
e incrociare una pozza d’onice velata dalla passione. Si
sarebbe mai sentita
più inchiodata di così?
_ Cosa? _ lo
aveva incalzato dal fissarla inamovibile.
Lo sguardo di
Zoro non aveva tremato per un singolo istante e nel risponderle con
risolutezza, stoico ancora in lei, aveva iniziato a carezzarle le gambe
nella
sua presa con i ruvidi polpastrelli dei pollici. Questi antipodi che lo
definivano così intensamente… _ Dovrei
chiedertelo io. Cosa ti prende? _
Perché
questo
ricordo?
Perché
proprio
ora?
L’occhiata
di
Usopp e la freddezza di Rufy le dolevano ancora l’anima e ne
sentiva
chiaramente le schegge che correvano al cuore per darle il colpo di
grazia.
Sentiva freddo Nami e anche un inizio di abbandono al quale non voleva
dare
adito.
Doveva
esserci
una qualche spiegazione.
Fu invasa
dall’improvvisa pretesa, infantile e primordiale, di avere
delle forti braccia
dalle quali lasciarsi avvolgere e poté quasi sentirla
davvero quella voce, la
sua voce “Va tutto bene, Nami” che le mormorava
nell’orecchio e le accarezzava
i capelli “Sono qui”.
Aveva bisogno
di
lui. La sua certezza, la sua salvezza, sempre.
In qualche
modo
sapeva che se avesse trovato lui, avrebbe avuto anche la spiegazione
che tanto
bramava, o forse non avrebbe più avuto importanza.
Con il sapore
dei ricordi incastrato tra le dita, la cartografa allungò
una mano speranzosa
al pomello della porta e lo roteò prima di aprire la
serratura con una leggera
spinta.
La prima cosa
che Nami notò fu l’assenza. Silenzio. Silenzio
ovunque su una nave che anche
nel suo sonno aveva sempre raccontato qualcosa.
Si era
sentita trasparente e si era accorta di una lacrima fuggiasca solo
quando le
era scivolata dal limitare del volto per infrangersi sul pettorale di
Zoro.
Entrambi erano perlacei per lo sforzo e con i petti ancora infervorati
dall’amplesso, ma la rugiada che le rigava le guance lasciava
canali evaporati
al calore di una consapevolezza iniziata.
Le
sopracciglia dello spadaccino si erano lievemente arcuate in
apprensione e il
suo occhio indagatore si era fatto più vivido. _ Nami, che
succede? _ le aveva
domandato con ferma incertezza.
Le era
scoppiato il cuore!
Se solo fosse
stata capace di dirgli quanto lo amava, quanto aveva bisogno di lui.
Ovunque e in
qualunque momento.
Aveva sentito
le lacrime dirompere e gli si era stretta al collo camuffando i
singhiozzi con
il volto appoggiato sulla spalla. Non era riuscita a guardarlo mentre
la colpa
l’aveva fatta sentire sbagliata come non mai. _No.. Non te ne
an… dare mai, t..
ti prego! Anche se … se te lo dico io.
Anche…se… sono io a… mandarti via. Non
ascoltarmi… mai! _
Qualcosa le
si
attanagliava alla gola come tentacoli vivi e decisi ad annegarla
nell’oblio.
C’era una mancanza che minacciava di soffocarla e una
profonda agonia le
chiedeva di rannicchiarsi al suolo e scomparire.
Con immagini
nella mente, le immagini di lui, Nami si scrollò ogni
vincolo illusorio di
dosso e avanzò fuori coperta. Prima arrivò il
suono della pioggia, poi il
profumo del petricore e infine l’affilata luce di un giorno
celato dalle
nuvole.
A quelle
parole, Zoro aveva sporto il busto indietro per negarle il suo
nascondiglio.
L’aveva tenuta forte mentre usciva da lei per poi cercarla
con le labbra
sottili.
L’aveva
baciata dolcemente, a bocca aperta, dandosi completamente
all’istinto di
protezione per lei. E Nami si era lasciata curare da quelle carezze
umide che
le si incastravano tra la vergogna e l’urgenza di sentirlo
ancora, ancora e
ancora.
Poi, totale
come la luna nel firmamento, l’aveva presa dalla schiena
stingendola in un
potente abbraccio caldo come il sole.
Nami si era
sorretta aggrappandosi maggiormente alla sua vita e si era preparata al
sentirlo parlare dallo schiudersi delle sue labbra al lato del viso:
Dall’altro
lato
del ponte, poté vedere i suoi nakama raccolti a fissare
verso l’oblò che sapeva
essere dell’infermeria e il panico di qualcuno ferito la fece
quasi traballare
sulle gambe.
Una fitta
dietro
i lobi delle orecchie e un inizio di vertigine la spinsero ad
irrigidire i
muscoli per non crollare sul prato della Sunny.
Chopper non
c’era, doveva essere dentro…
Chi mancava?
Anticipando
ogni
suo prossimo gesto, Brook si voltò e la vide. Non seppe dire
quale espressione
avrebbero assunto i lineamenti del musicista se solo non fosse stato
uno
scheletro, ma era certa che i loro sguardi si incontrarono a
metà strada. _
Usopp-san, non hai chiuso la porta a chiave? _ disse con una punta di
timore.
L’interpellato
si voltò anch’egli e Nami rivisse
nell’istante presente quella reazione
sinistra del compagno avuta poco prima. _ Oh… _
esalò alzano i palmi in segno
di resa.
_Nami! _ la
chiamò Robin. La sua dolce preoccupazione instillata in un
braccio proteso
verso di lei.
Ma Nami si
lasciò distrarre subito: un’urgenza le imponeva di
cercare.
Chi mancava?
Un movimento
oltre
i Mugiwara l'attirò: Nami incontrò le lacrime
silenziose che straziavano il volto di
Rufy e realizzò in una folgore.
No. Non
poteva
essere. Impossibile!
Barcollò
ancora,
la navigatrice, ma non furono i capogiri. La gola si liberò
e il suo corpo
fluttuò nel nulla mentre si sentì chiedere: _
Dov’è Zoro? _
_Sarò
sempre
qui. _
ANGOLO
DELL’AUTRICE - bis
Voglio
farvi
un invito!
Allora,
non
ho ancora deciso come far terminare questa storia e sono combattuta tra
diverse
opzioni. Se vi siete appassionatə
quanto me nello
scriverla, ditemi
cosa vi aspettate dalla conclusione degli eventi o come più
vi piacerebbe che
si sviluppasse il tutto. Chissà che qualcunə
non riesca ad aiutarmi convincermi!
Vi
ringrazio
infinitamente e…
A
presto (si
scherza)
Arcadia
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