Sinners Will Pay di Cida (/viewuser.php?uid=22415)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Home ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 - This is just the beginning ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 - Gifts ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 - Still in the dark ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 - Encounters ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 - The Fall ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 - Fear ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 - Wrong perspectives ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 - Is this the end? ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 - Cold Case ***
Capitolo 1 *** Prologo - Home ***
Capitolo 1
«Quindi
il tuo nuovo misterioso partner arriva oggi?» Anna
diede un piccolo sorso alla sua mug fumante «Sei riuscito a
scoprire qualcosa
su di lui?»
Kristoff finì di sistemarsi il colletto della divisa
«Sì, sembra uno che sa
davvero il fatto suo»
«E come mai un tipo così in gamba avrebbe deciso
di trasferirsi da una città
così grande ad una più piccola?»
«Pare che sia originario di queste parti e abbia preferito
tornare a casa.
Da quel che ho capito abitava nel vostro stesso quartiere e, se non
sbaglio,
dovrebbe avere la stessa età di tua sorella o, forse,
qualche anno in più.
Magari lo conoscete: si chiama Overland»
Anna per poco non si strozzò con la sua colazione
«Vuoi dire Jack Overland?»
esalò priva di fiato e con le lacrime agli occhi.
«Mmm… mi pare che di nome faccia
Jackson…»
Lei sventolò una mano con noncuranza «Jackson
detto Jack, è lui di sicuro»
«Quindi lo conosci…»
«Oh sì che lo conosco…»
gongolò con un sorriso inquietante «Ma quella che
lo
conosce meglio è mia sorella: è stato il suo
ragazzo al liceo»
«Cosa?» figurarsi la gelida
Elsa innamorata andava ben oltre le doti di
immaginazione di cui era provvisto.
«Di che ti stupisci?» lo riprese la moglie
divertita «Anche Elsa è un essere
umano, non è di certo fatta di solo spirito»
Il se lo dici tu
che trapassò la mente
di Kristoff se lo tenne per sé «Ho
bisogno di chiedertelo: si sono lasciati bene,
vero? Saranno felici di
ritrovarsi, no?»
Anna tirò il labbro di lato in un’espressione
eloquente «Ecco, su questo non ci
giurerei...»
«Oh no…» singhiozzò il
poliziotto, cercando nervosamente il cellulare «La devo
avvisare subito»
«Tu non avviserai proprio nessuno…» gli
disse invece lei con fare furbetto.
«Sei matta? Quando scoprirà che io - suo
cognato - le ho tenuto nascosta
la cosa, mi ammazzerà»
«Non dire sciocchezze: lei ci lavora con i cadaveri ma, di
certo, non se li
procura da sola» scese dal suo sgabello e gli si
avvicinò, tirandolo un poco verso
di sé per lasciargli un bacio a fior di labbra
«Vedrai che alla fine ti
ringrazierà, forse…»
spostò, poi, lo sguardo sulle scale che portavano
al piano di sopra e urlò, mettendo seriamente a rischio
l’incolumità del
timpano del marito «Freja, scendi! Lo scuolabus
sarà qui a momenti, rischi di
perderlo…»
Un discreto trambusto testimoniò l’arrivo di un
mini uragano biondo lanciato a
tutta velocità: una mano a stringere lo zainetto e
l’altra impegnata a cercare
una via di fuga dalla manica della giacca «Eccomi!»
Letteralmente volò giù dalla rampa, con le sue
immancabili treccine smosse dal
vento della sua esuberanza. Prese il sacchetto della merenda che sua
madre le
stava porgendo e l’abbracciò, per poi correre a
mettersi le scarpe all’ingresso
«Ciao mamma, ciao papà!»
«Ehi, recluta!» Kristoff la raggiunse proprio
mentre stava per aprire la porta
di casa «Non stiamo dimenticando qualcosa?» le
disse chinandosi leggermente,
picchiettandosi l’indice su una guancia.
Freja alzò gli occhi al cielo ma con il sorriso sulle labbra
«Mi perdoni,
detective» si scusò con una risata argentina per
alzarsi, poi, in punta di
piedi per far schioccare un bacino proprio dove indicato.
«Ottimo lavoro, recluta! Può andare!»
disse l’altro soddisfatto, imitando un
rigido saluto militare.
La piccola batté i tacchi sul posto e divenne il suo
riflesso, per poi sparire
al di là dell’uscio.
§
La morte era
entrata nella vita di Elsa Bleket, e di sua sorella Anna, senza
chiedere il permesso. Aveva fatto loro visita la prima volta quando
avevano
rispettivamente solo otto e cinque anni, portandosi via nel sonno
– senza
preavviso - la nonna paterna e aveva decisamente stravolto le loro vite
dieci
anni più tardi, quando un pirata della strada aveva
investito e ucciso entrambi
i genitori. La vita sotto la tutela legale di loro nonno Runeard non
era stata per
nulla rose e fiori e, nella sua rigidità, aveva reso Anna
ancora più indomita e
sognatrice mentre aveva fatto chiudere Elsa in se stessa, concentrata
su unico
obiettivo: dare giustizia ai morti, cosicché il destino dei
suoi genitori, il
cui assassino era rimasto senza volto - e, quindi, impunito, - non si
fosse
ripetuto mai più, almeno non per quei corpi passati sotto
alle sue mani di
medico legale.
Elsa
tirò il freno a mano e posteggiò, poco lontano
dal luogo che le era stato
indicato al telefono, e scese dall’auto, subito imitata dalla
sua assistente: una
giovane laureata in etnologia, dalle spiccate doti artistiche e maga
del saper catturare
i più piccoli dettagli con la sua fidata fotocamera.
Sbuffò e l’aria rigida del
mattino fece condensare il suo respiro in una piccola nuvola di vapore
acqueo:
quella settimana si stava rivelando un vero inferno, le temperature
erano scese
drasticamente e, praticamente ogni giorno, qualche sventurato finiva
sul suo
asettico tavolino: vittima di un incidente causato dal ghiaccio, o del
freddo
che l’aveva fatto addormentare per sempre per mancanza di una
fissa dimora. Visto
il vicolo delineato dai nastri gialli, ipotizzò si trattasse
di quest’ultimo
caso. Li oltrepassò con una certa eleganza, subito seguita
dalla sua assistente
«Kristoff, che cosa abbiamo oggi?» chiese senza
nemmeno guardare la figura che
le dava le spalle, intenta com’era ad indossare i suoi guanti
in lattice: ultimamente aveva visto suo cognato ben più di
quanto
lo avesse fatto sua
sorella e la cosa, a ben pensarci, aveva del surreale.
«Maschio
bianco, fra i quaranta e cinquanta… mi sentirei di escludere
una
rapina finita male, vista la posizione del corpo… il resto
spero possa dirmelo
lei, Dottoressa Bleket»
Quella voce
la fece rabbrividire, alzò lo sguardo e se possibile, data
la sua
carnagione chiarissima, impallidì ancora di più
«Tu…» sibilò «Che
diavolo ci
fai qui? Sulla mia scena,
poi…»
«Oh…»
fece lui, regalandole un sorriso in risposta «E ciao anche a
te, è un
piacere rivederti dopo tutto questo tempo»
«Rispondimi»
L’altro
sbuffò «Sia dia il caso che questa sia la mia
scena, sono il
nuovo partner del detective Bjorgman»
«Il
nuovo partn…» ripeté, sgranando gli
occhi «Mi domando come mai nessuno si
sia degnato di avvisarmi…» sibilò
tagliente e qualcuno, lì nei paraggi, tremò.
Morto per
morto, Kristoff si giocò la carta del io-non-so-niente
e si
avvicinò ai due «Buongiorno Elsa, vedo che hai
già incontrato Jackson Overl…»
«Lo
so chi è» lo interruppe secca.
«Oh
sì, lo sa…» gli fece eco
l’altro con una faccia da schiaffi.
Elsa
comprese il sottinteso di quella frase immediatamente e gli
intimò con lo
sguardo di non osare aprire ulteriormente la bocca, se solo ne
avesse avuto
la possibilità, probabilmente, lo avrebbe congelato
sul posto.
«Sono
io o qui sta succedendo qualcosa che mi sfugge?»
s’intromise
l’assistente, leggermente piccata per non essere stata ancora
presentata «Sono
Jane Porter, comunque» disse, tendendo la mano al nuovo
detective.
«Jackson
Overland, ma gli amici mi chiamano Jack…» rispose
lui, ricambiando la
sua stretta con un sorriso smagliante che la fece arrossire non poco.
«Jane…
» sibilò Elsa tagliente
«Fotografa tutto, per piacere»
«Subito
» la vide scattare sull’attenti mentre reprimeva a
stento un brivido lungo
la schiena che niente aveva a che fare con la temperatura esterna.
La
lasciò fare per qualche istante e poi si chinò
sul cadavere: era un uomo di mezza età, come Jackson le
aveva detto, ed era tutto tranne che un
senzatetto,
vista la pregevole fattura degli abiti che indossava. Aveva addosso
solo una
giacca leggera, il che era molto strano ma ancor più strana
era la posizione
del corpo, come se si fosse semplicemente accomodato su quel gelido
marciapiede
prima di addormentarsi per sempre. Gli prese un braccio e lo
trovò rigido, lo
spostamento rese ben visibile il costoso orologio che portava al polso,
ancora
una volta Jackson aveva visto giusto: niente aggressione a scopi di
rapina.
Improvvisamente, lo sguardo le si accese alla vista di un altro
particolare.
«Jane,
qui per favore»
Lei
scattò.
«E
qui» la invitò, poi, sull’altro polso.
Si mosse, infine, verso i piedi e,
scostando un poco i calzini, le chiese anche di immortalare le
caviglie.
Vedendola,
finalmente alzarsi una volta per tutte, Jackson riprese parola
«Allora?»
Lei si
tolse i guanti in lattice e si spostò un poco, in modo che
l’equipe
della scientifica potesse concludere il proprio lavoro «Non
può essere morto da
molto tempo, direi al massimo un paio di giorni ma, date le
temperature, potrò
confermartelo solo con un’autopsia più
approfondita. Non è stato aggredito da
un ladro…» confermò, evitando
accuratamente di dargli ragione «Ma ha delle
escoriazioni sui polsi e le caviglie, come se fosse stato a lungo
legato. Anche
la posizione è sospetta, io credo non sia morto qui ma che
ce l’abbiano messo
solo in seguito»
«Stai
suggerendo che l’abbiano effettivamente ucciso?» le
chiese
Kristoff.
«Non
esattamente…» disse lei, piegando appena il capo
«Potrebbe essere stato un
qualche tipo d’incidente, non ha segni di soffocamento, non
ci sono ferite… è
tutto molto strano»
«Ma
le abrasioni che hai trovato?»
«Giochi
erotici?» buttò lì Jackson con un
ghigno divertito, il suo compagno di
squadra per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
«Forse…»
gli concesse l’altra, per nulla turbata «Ma, in
quel caso, non credo
siano stati il colpo di grazia, altrimenti non si sarebbero presi la
briga di
rivestirlo di tutto punto»
«Sappiamo
chi è?» chiese, quindi.
Kristoff si
prese un momento per verificare con i
colleghi «Non al momento» disse infine,
scotendo il capo «Dai primi controlli, pare non
avere
documenti. Ha un cellulare ma è scarico, dovremmo chiedere
aiuto al nostro IT»
consultò il suo taccuino «E’ stato
trovato dai netturbini del mattino, quelli
della sera non hanno riscontrato niente di sospetto, per cui
è stato messo qui
questa notte. Ci sono diversi appartamenti con le finestre rivolte su
questa
strada, magari vale la pena di cercare di capire se qualcuno ha visto
qualcosa»
«Eppure…»
disse Jane pensosa, guardando con attenzione quei capelli biondi
tagliati a spazzola e quel pizzetto perfettamente curato. Si
passò una mano
sotto al mento, l’altra ancora stretta nella sua fotocamera
«Mi sembra di
averlo già visto da qualche parte»
«Lo
conosci?» chiese Elsa, alzando un sopracciglio curiosa.
«Non
esattamente, è più quella sensazione di avere di
fronte un volto noto…
forse ho letto un articolo sul giornale, o seguito qualcosa in
tv… ma, diamine,
non riesco proprio a ricordarlo al momento»
«Chiunque
sia, lo scopriremo presto» affermò risoluto
Kristoff «Vieni Jane,
andiamo a chiamare i ragazzi per farlo portare via»
«E
perché devo venire anche io, scusa?» chiese quella
non capendo, salvo
illuminarsi davanti all’espressione eloquente
dell’altro «Ah sì, certo… ti
accompagno subito! Allora la senti anche tu questa tensione
ses…»
Lui
trasalì «Vuoi stare un po’
zitta?» bofonchiò, spingendola via.
«Fai
sparire quel sorriso dalle tue labbra, Overland» lo
ammonì Elsa
freddamente, prendendolo per un braccio e trascinandolo lontano da
quella che sembrava sempre più una
scena del
crimine.
«Perché?»
disse lui sinceramente divertito «Mi piacciono, sono convinto
che andremo
d’accordo. Nonostante il mio partner sembri avere un certo
interesse per il
bondage…» sghignazzò.
«Se
anche solo prova a pensare di legare mia sorella, finirà sul
mio tavolo…»
sibilò lei a denti stretti.
Jack
fischiò «Quindi mi stai dicendo che
l’uragano Anna si è sposata? Non
c’è
da stupirsi, visto quanto fosse innamorata
dell’amore» alzò le spalle
«Beh, mi
sembra davvero un tipo a posto… magari non la vuole legare
ma farsi legare…»
Elsa
roteò gli occhi al cielo «Ripensandoci, forse, ci
staresti meglio tu
sul mio tavolo…»
Lui
ghignò «Sta minacciando un pubblico ufficiale,
Dottoressa? O è un qualche
tipo di proposta perversa?»
L’altra
tagliò corto «Seriamente, perché sei
qui?»
L’espressione
di lui si rabbuiò di colpo «Perché il
tempo passa: oltre alla
carriera mi sono accorto di non avere nient’altro. Ho pensato
che tornando a
casa, forse, avrei potuto avere una
possibilità» la guardò «Non
sono più un
ragazzino, Elsa»
«Lo
vedo…» confermò lei dura, portando lo
sguardo sui suoi capelli: del castano
che li aveva accesi durante la sua giovinezza non c’era
più traccia,
trasformato in un grigio scuro che dall’attaccatura sfumava
verso le punte in
un candore degno della prima neve stagionale. Neanche si concesse di
pensare
quanto questo lo rendesse ancor più attraente, con quegli
occhi azzurri accesi
dalla perenne scintilla del divertimento
« … ma se questa possibilità
pensi che possa, in qualche modo, riguardare me… beh, ti
sbagli di grosso. Noi
saremo semplicemente colleghi, niente di più»
Jackson
alzò le mani in segno di resa «Elsa, guarda che
stai facendo tutto da
sola…»
Lei
assottigliò lo sguardo, per fargli ben comprendere che non
si sarebbe fatta
convincere «Per te, comunque, sono la Dottoressa
Bleket»
Lui si
portò una mano al petto e fece un piccolo inchino
«Come desidera,
Dottoressa» acconsentì in tono improvvisamente
neutro «Aspetto una sua chiamata
per quando finirà l’autopsia. Ora, se non le
dispiace, avrei delle indagini da
mandare avanti»
Elsa lo
guardò andare via, non si concesse nemmeno il lusso di
lasciare andare
quel sospiro che le era cresciuto nel petto da quando se
l’era trovato di
fronte, maledicendo il destino che, ancora una volta, aveva messo
Jackson
Overland sul suo cammino.
Ebbene
sì, sono tornata... forse.
Dopo tre mesi di blocco totale un pochino di
ispirazione ha fatto capolino per questa nuova storia.
Sì, al solito è una AU e, come da specchietto,
si basa sulla serie televisiva Body of Proof e, in particolare, sulla
terza stagione perché Megan e Tommy sono un calderone
continuo
di Jelsa vibes e niente mi farà cambiare idea al riguardo
ù_ù
Non rientra nella raccolta Falling Snowflakes
perché sarà un multicapitolo... di quanti? Non ne
ho idea.
Come potete immaginare dalla presenza di Jane Porter, direttamente dal
film animato di Tarzan, ho deciso di ampliare i miei orizzonti in
ambito di personaggi, principalmente fomentata dalla lettura qui sopra
di crossover di dimensioni epiche (capito Spirit e Evil? Sì,
è tutta colpa vostra XD).
Non credo proprio arriverà alla stessa portata di questi
lavori
ma qualche personaggio in più farà la sua
comparsa, sia
in pianta stabile sia come semplice cameo. Tenete sempre
bene a mente, però, che la serie tv parla della vita di un
medico legale, quindi, preparatevi psicologicamente ad un certo numero
di morti... io vi ho avvisato.
Giusto per mettere un po' di pepe, anche il morto in questione
è
un personaggio Disney (un po' rimaneggiato): si aprono le scommesse su
chi possa essere.
Sempre grazie a Spirit,
nella cui storia Jack ha i capelli castani ma gli occhi azzurri, ho
preso coraggio per dare libero sfogo ad un'idea che mi frullava in
testa da un bel po': trasformare Jackson in un sexy
quarantenne brizzolato ma, va da sé, che l'accoppiata
capelli bianchi e occhi azzurri non si può separare, ed
è per questo che gli occhi sono di questo colore e non
castani come in tutte le altre mie storie in cui è umano.
Lo sviluppo di questa fic è ancora decisamente in corso, non
so bene che strada prenderà né con che frequenza
verrà aggiornata ma, intanto, abbiamo rotto il ghiaccio. Giusto
per rimanere in tema.
E' anche la prima volta che mi lancio su questo tipo di polizesco,
tutte le mie conoscenze delle dinamiche delle investigazioni si basano
meramente su episodi di serie TV visti e libri letti: spero mi
perdonerete se alcune cose potranno risultare poco realistiche.
Nel caso sono aperta a suggerimenti.
Spero di aver acceso la vostra curiosità. Chiunque
deciderà di seguire questa avventura mi farà ben
felice.
Alla prossima
Cida
P.S Freja is back!
P.P.S No, questo specchietto non è grigio proprio a caso ;) |
|
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Capitolo 2 *** Cap. 1 - This is just the beginning ***
Capitolo 1
Elsa finì
di raccogliere i morbidi capelli biondi in
un'acconciatura alta, in modo che non la infastidissero durante
il lavoro. Indossò occhiali e visiera
protettivi e si avvicinò al tavolo dove il corpo della
vittima l'attendeva per
la sua autopsia.
«Chiunque tu sia» disse sottovoce, infilandosi i
guanti in lattice «E’ l’ora di
raccontarmi i tuoi segreti»
Avviò il registratore.
Dapprima si dedicò a studiarlo esternamente: come intuito
nel vicolo, oltre
alle abrasioni già rinvenute sulle estremità e
all'inchiostro sui polpastrelli
usato per permettere il riconoscimento attraverso le impronte digitali,
il corpo
non presentava nessun altro tipo di segno. C’era, in effetti,
la
possibilità che il
laboratorio ne avesse già scoperto
l’identità ma, per lei, era sempre meglio
non saperlo prima.
Alzò le palpebre e trovò due vitrei occhi neri,
con la sclera giallastra e
un'espressione sgomenta. Aggrottò le sopracciglia e
annotò la stranezza nel suo
vocale.
Imbeccata da un'intuizione, prese uno speculum bivalve e, spostando
adeguatamente la luce, ne controllò le narici. Era proprio
come aveva
immaginato: richiese un esame tossicologico urgente. Infine, prese uno
dei suoi
fidati e affilati bisturi e procedette ad effettuare l'incisione ad
ipsilon su
quel magro petto. Quando la cassa toracica fu finalmente esposta e il
suo
sguardo mise a fuoco il cuore, rimase interdetta: una cosa
così non l'aveva
vista mai.
Il cadavere era
già stato ricucito, quando Jane irruppe senza
troppi complimenti - con i capelli castani
raccolti disordinatamente e gli occhi azzurri accesi dalla
soddisfazione - nell'ufficio della
dottoressa Bleket, sventolando
teatrale
un plico di documenti «Te l’avevo detto che
l’avevo già visto da qualche
parte…» esordì, quasi sbattendolo sulla
scrivania «Guarda qui!»
Elsa alzò
lo sguardo dal rapporto, che stava finendo di compilare, con un
sospiro: aveva dell’incredibile come, talvolta, Jane sapesse
assomigliare a sua
sorella Anna. Lo spostò sulla foto che le stava porgendo:
ritraeva la vittima
con un completo sfarzoso in quella che sembrava la passerella di una
kermesse
di un certo livello.
«John
Lionheart» continuò, andandole vicino
«Già confermato dalle impronte
digitali ma non è finita qui» mosse appena le
dita, facendo così apparire una
copia di un articolo di giornale «Non si può dire
fosse certo una brava
persona»
Elsa scorse
velocemente le righe stampate: John Lionheart era il rampollo di
una delle famiglie più importanti della città, i
proprietari delle Lionheart
Industries. A quanto pareva, però, era una gran testa calda,
incline agli
scandali, di cui uno dei più eclatanti e terribili era riportato
proprio su quel
giornale.
Quando lesse di come,
tre anni prima, fosse stato coinvolto in un incidente in
cui, palesemente strafatto, aveva travolto e ucciso una giovane donna
con la
sua auto, strinse istintivamente i denti, quasi pentendosi di tutte le
attenzioni che gli aveva rivolto sul suo tavolino.
«Chiama
subito Kristoff e il detective Overland, direi che hanno già
solide
basi da cui partire»
§
Scoprire
l’identità del corpo rinvenuto quel mattino aveva
messo la stazione di polizia in
subbuglio. Sebbene John Lionheart non fosse la star del momento, era
comunque un nome noto e il polverone mediatico aleggiava sulle loro
teste come una
spada di
Damocle. Fare uscire anche un solo sospiro al riguardo era stato
tassativamente
vietato, soprattutto perché le reali dinamiche dell'accaduto
erano
ancora avvolte dalla totale oscurità.
Il detective Overland
dovette imporsi di tenere chiusa la bocca, quando varcò
la soglia dell’ufficio del tecnico informatico che
– a detta di Kristoff – era
il migliore di tutto il dipartimento.
Le pareti erano
interamente tappezzate da disegni, mentre libri di ogni tipo e
attrezzature elettroniche erano sparsi dappertutto. In un angolo, gli
era
persino parso di scorgere una chitarra. Di scrivanie e di tecnici
informatici,
però, non se ne scorgeva nemmeno l’ombra.
«Ehi,
Punzie» chiamò Kristoff al suo fianco
«Scendi, abbiamo del lavoro per te»
Solo nel vedersi
piombare una persona davanti, Jackson notò la presenza di un
particolare decisamente fuori posto in una stazione di polizia, più adatto
magari
ad una dei pompieri: una ripida pertica portava ad un
piano rialzato dove,
evidentemente, stava il resto dell’ufficio della ragazza.
Perché indubbiamente
quella che adesso gli stava di fronte era una ragazza e molto giovane
per di
più. Indossava, nonostante le temperature esterne, un paio
di sneakers alte dalla tela rosa
shocking e la suola
bianca, jeans aderenti neri e una felpa con cappuccio dello stesso
colore delle
scarpe. La zip lasciata aperta faceva intravedere una maglietta bianca
su cui spiccava
il disegno di un divertente camaleonte verde. La cosa più
incredibile, però,
erano i capelli biondi, tenuti raccolti da svariate penne e mollette e quello
era un pennello, per caso? Era praticamente
impossibile quantificare quanto
fossero lunghi.
«Ciao
Kriss» salutò con un sorriso raggiante «Cosa mi hai
portato
d’interessante?» chiese, poi, con gli occhi verdi
accesi da un entusiasmo
disarmante. Entusiasmo che scemò nel totale imbarazzo quando
si accorse anche
della sua presenza e di averlo praticamente ignorato.
«Mi scusi,
lei dev’essere il detective Overland, giusto? Esperto
informatico
Rapunzel Sunlight, al suo servizio»
Jackson dovette
trattenere il sorriso ironico che gli era salito spontaneo sulle labbra
nell’udire quel nome e nel vedere quell’improbabile
saluto ufficiale che gli
aveva rivolto «Tranquilla, non servono tutte queste
formalità con me. Chiamami
pure Jack» poi, inesorabilmente, il suo sguardo si
posò di nuovo sui suoi
capelli «Rapunzel, sul serio? E lavori in una
torre?» chiese, poi, incapace di tenere a freno la lingua.
Lei lo
guardò storto «Mi piacciono lunghi,
d’accordo? Non ha niente a che fare
con il mio nome. E sì, mi piace stare in alto, sto per la
maggior parte del
tempo seduta per cui preferisco essere attiva quando devo muovermi.
Contento, Jack?»
«D’accordo»
concesse lui con un altro sorriso, bonario questa volta «Me
la sono cercata. Abbiamo un
cellulare per te» fece un cenno del capo a Kristoff
perché lo consegnasse «E’
scarico e probabilmente sarà protetto da password. Inutile
dire che vorremmo
davvero sapere che cosa c’è dentro»
«E’
uno degli ultimi modelli» lo riconobbe ad una prima occhiata
«Ho
l’adattatore adatto. Sarà sicuramente protetto da
riconoscimento biometrico ma
niente di impossibile da raggirare. Seguitemi» li
invitò «Se la pertica vi fa
paura, ci sono le scale là in fondo» e, senza
aspettare risposta, sparì di
sopra con un’agilità sorprendente.
Jackson, incapace di
resistere al gusto della sfida, la seguì subito dopo.
Kristoff, invece, optò - in un’alzata di spalle -
di andare a piedi come i
comuni mortali.
Ci vollero cinque
minuti esatti per far crollare le barriere dello smartphone.
«Alla
faccia della sicurezza» commentò Kristoff con una
smorfia.
«Diciamo
che sono ragionevolmente sicuri da parte di manomissioni di persone
comuni ma non da parte di chi è dotato di gioiellini come
questi» disse,
indicando il suo armamentario sparso sulla scrivania «Non
è vero, Pascal?»
Jackson
spostò lo sguardo e scoprì che la ragazza si era
appena rivolta ad un
piccolo camaleonte verde, intento a prendere placidamente il calore di
una
lampada UV all’interno della sua teca.
«Cos’è, la tua paperella di
gomma?»
«Non dire
sciocchezze» lo rimproverò l’altra
«Lui è un mio amico ma, sì,
è
anche un ottimo ascoltatore: mi aiuta spesso a trovare la
concentrazione giusta.
Comunque, ecco qui» continuò, girando appena uno
degli schermi nella loro
direzione, mostrando un mirroring perfetto del cellulare
«Cosa
volete controllare per primo?»
«Chiamate,
profili social, messaggi…»
«Uhm…»
aggrottò le sopracciglia dubbiosa «Molti dei
numeri nel registro delle
chiamate sembrano non essere salvati in rubrica, mi ci
vorrà del tempo
per rintracciarne i proprietari. Inoltre, pare che i messaggi
siano stati
cancellati. Vi avviserò se dovessi trovare qualcosa ma,
intanto, ecco il suo
profilo»
«Guardate
qui…» disse Jackson, indicando l’ultimo
post, risalente a pochi
giorni prima «Pronti a festeggiare
l’anniversario del mio potere? Che
significa?» chiese stranito «Possiamo andare
indietro?»
«Subito!»
rispose Rapunzel solerte.
Scorsero foto di
innumerevoli feste, donne, auto e barche lussuose. Ogni anno,
intorno a quella data, ritornava il riferimento al suo presunto potere.
Arrivati a circa tre anni prima scorsero un video, decisero di farlo
partire.
Una
strada sfrecciava a tutta velocità, John Lionheart non si
vedeva, puntava il
cellulare esternamente con una mano mentre con l’altra,
probabilmente, teneva
il volante. Una risata sprezzante si mescolò al rombo del
motore – Prince
Johnny contro il sistema, uno a zero, palla al centro. Soffiò perfida
una
voce chiaramente alterata dall’alcol e chissà
cos’altro – Non mi avrete mai
perché io ho potere! Potere!
Il video si
interrompeva su quelle ultime parole.
«Ora
ricordo» esalò Kristoff pietrificato
«Punzie, cerca John Lionheart fra i
fatti di cronaca, per piacere»
Lei obbedì
e già il primo risultato diede loro la risposta che stavano
cercando:
John
Lionheart non farà neanche un giorno di galera per
l’omicidio stradale
con omissione di soccorso di MF. Il giudice ha predisposto, data la
sua fedina
pulita, il pagamento di una penale e un periodo di lavori
socialmente
utili, uniti ad una riabilitazione mirata. L’articolo
proseguiva con un’accusa sull’inefficienza
e la possibile collusione del sistema giudiziario nazionale.
«MF, chi
è?» chiese Jackson, disgustato.
Lei cercò
nell’archivio della polizia «Marian Fitzwater,
l’incidente è avvenuto
tre anni fa. Oddio, proprio oggi!»
«Oggi?»
ripeté quello incredulo.
In quel momento, il
cellulare di Kristoff trillò «Detective
Bjorgman» rimase
ad ascoltare la telefonata per qualche secondo e, salutando,
riattaccò «Jack,
dobbiamo andare. Era Jane, Elsa ha finito
l’autopsia»
§
«Insufficienza
cardiocircolatoria acuta irreversibile?» ripeté
Kristoff, inarcando le
sopracciglia «In pratica ha avuto un infarto?»
«Esattamente…»
confermò Elsa, appoggiata con i fianchi al grande tavolino
di
vetro della sala in cui si erano riuniti, le braccia conserte.
«Ne
è
sicura?» chiese Jack dubbioso, c’erano tante, troppe
cose che
non tornavano in quella morte.
«L’autopsia
non mente» sentenziò gelida «Il caro
signor Lionheart» aggiunse,
senza riuscire a nascondere una certa dose di disprezzo «A
quanto pare, era
solito fare uso di droghe: cocaina, sicuramente… per altro
vi saprò dire una
volta arrivato l’esito del tossicologico»
«Quindi
parliamo di overdose» concluse Kristoff «Magari
qualche festino in zona
è scappato di mano e, per non avere grane, lo hanno
abbandonato in quel vicolo.
A quando risale il decesso?»
«Purtroppo
non posso darvi un orario certo: l’alterazione
dell’overdose ha
accelerato notevolmente il rigor ma i lividi post-mortem sono
già permanenti. L'infestazione di parassiti è
minima: ragionevolmente, credo sia morto circa una decina di ore prima
del ritrovamento»
«Stiamo
veramente scartando l’ipotesi di omicidio?» chiese
Jack scettico «Sinceramente
quello dove l’abbiamo trovato non mi sembra esattamente un
quartiere che John
Lionheart avrebbe frequentato»
Elsa
si morse
appena il labbro inferiore: nonostante fossero, ormai, passati
svariati anni da quell’incidente, per un terribile attimo il
volto di John
Lionheart si sovrappose a quello sconosciuto del pirata della strada
colpevole
di aver ucciso i suoi genitori «No»
esalò, infine, non senza un certo dolore
«C’è una cosa che non mi è
mai capitata di vedere nella mia carriera: il cuore non
è semplicemente collassato, è come se fosse
esploso» spiegò, quasi incapace di
credere alle sue stesse parole «E gli occhi avevano questa
espressione
atterrita che sembra quasi sia morto di paura»
«Di
paura?» ripeté Kristoff incredulo.
Elsa
alzò lo sguardo su Jack, già pronta ad essere
investita dalla sua
diffidenza ma, inaspettatamente, lo trovò con le labbra
piegate in
un’espressione pensierosa ma per niente dubbiosa.
«Quindi
non lo escludiamo» disse, infine, dopo un attimo di silenzio
«Immagino
abbia già scoperto dell’incidente di tre anni
fa»
Lei
annuì.
«Sono
piuttosto sicuro che il fatto di avere rinvenuto il suo cadavere
proprio
oggi non sia una pura coincidenza» si alzò
«Kristoff, andiamo: è giunto il
momento di parlare con la famiglia della vittima» si
infilò il cappotto
«Dottoressa Bleket, le sarei grato se ci aggiornasse sul
risultato del
tossicologico non appena sarà disponibile»
§
Per
arrivare alla lussuosa villa della famiglia Lionheart,
l’auto dei detective dovette attraversare un parco
praticamente infinito.
Quello, che aveva tutta l’aria di essere Richard Lionheart,
li attendeva sul
selciato davanti all’ampio portone d’ingresso,
già avvisato dalla sicurezza.
Era un uomo dalla mole imponente, rimarcata dall’elegante
completo
scuro e, ad una prima occhiata, sembrava essere più vecchio
di
John di cinque o sei anni. A differenza di ciò che ci si
poteva
aspettare
dall’amministratore di
un’azienda di tale importanza, portava i capelli mossi lunghi
ben oltre le
spalle che, assieme al loro colore castano-rossiccio, gli conferivano
un’aria
decisamente leonina.
«Che cosa ha combinato questa volta?» chiese,
vedendoli avvicinarsi, ancor
prima che potessero aprire bocca.
Jackson inarcò le sopracciglia sorpreso «Immagino
si riferisca a suo fratello»
«E a chi se no?» sospirò
«Richard Lionheart» si presentò,
tendendo la mano «Con
chi ho il piacere di parlare?»
«Detective Overland e Bjorgman» rispose,
ricambiando la stretta con una mano e
mostrando il distintivo con l’altra «Della squadra
omicidi» puntualizzò «Temo
non sarà una chiacchierata di piacere»
La sicurezza sul volto dell’altro si spense improvvisamente
«Omicidi?» deglutì
«Sarà meglio entrare»
«Morto?»
ripeté corrucciato il padrone di casa, seduto su
una delle sontuose poltrone di pelle dell’ampio salone.
Kristoff si mosse
appena sul divano che condivideva con il suo compagno,
vagamente a disagio davanti a tutto quel lusso «E’
stato trovato questa
mattina»
«Come?»
«Un’overdose,
il suo cuore è stato drasticamente compromesso»
«Questo non
mi stupisce» commentò amaro «Quando
potrò riavere il corpo?»
«Purtroppo
non
sarà una cosa rapida» disse schietto Jackson
«Suo fratello aveva dei
nemici?»
«Perché
questa domanda?» chiese l’altro sulla difensiva.
«A costo di
risultare un po’ insensibile, suo fratello non mi sembrava
una
persona molto amata» lo guardò dritto negli occhi
«Nemmeno da lei, se è per questo»
«Detective,
la sua irriverenza è al limite del tollerabile»
Richard Lionheart
quasi ghignò «Ma ha ragione: mio fratello era un
fenomeno nella sua incapacità.
Siamo stati costretti ad estrometterlo da qualsiasi tipo di gestione
dell’azienda che, come immagino saprà, aveva
portato sull’orlo del collasso. Sapeva
circondarsi solo di serpi
e lupi affamati»
fece una piccola
pausa «Ma era pur
sempre mio fratello, al legame del sangue non ci si può
sottrarre»
«E’
per questo che l’aiutò a cavarsela con
così poco
per l’omicidio stradale di
Marian Fitzwater?»
«Non fui
io» praticamente ruggì l’altro,
alzandosi di colpo «Fu nostra madre»
confessò «Che decise anche gli spettasse un certo
tipo di vitalizio per
mantenere il giusto tenore che si addice ad un Lionheart.
A patto
che stesse ben lontano dagli affari, ovviamente»
sospirò «Sono sicuro che, in
cuor suo, questa cosa non se la sia mai perdonata. Poco dopo
quella brutta faccenda, lei si
ammalò e non si riprese più» il suo
sguardo si velò per un attimo ma si ricompose subito quando
riportò la sua attenzione sui
poliziotti «Io ero
favorevole al carcere, quello era il posto che John si meritava. Marian
era
una
nostra dipendente, una delle migliori, era come se fosse parte della
famiglia per me.
Sono
stato suo testimone al matrimonio di lei e Robert. Era ancora
così giovane,
così promettente» spiegò con dolore
«Da allora ho visto mio fratello il meno
possibile: lo seppellirò nella tomba di famiglia,
così come nostra madre
avrebbe voluto, ma non fingerò di essere dispiaciuto per la
sua morte»
«Apprezzo
la sua sincerità» riprese Jackson con un tono di
voce più calmo «Il
corpo di suo fratello è stato ritrovato questa mattina nel
quartiere di Sherv,
lo stesso giorno dell’anniversario della morte di Marian
Fitzwater, non può
essere una coincidenza»
«Nel
quartiere di Sherv avete detto?»
Annuì.
«Era
lì che Marian viveva con suo marito Robert»
«Un
momento» esordì Kristoff, scorrendo veloce le
pagine del suo taccuino
«Robert Locksley, per caso?»
«Esatto…»
«Jackson»
richiamò il collega, scosso «E’
l’inquilino dell’interno tre, quello
la cui camera da letto dà proprio sul vicolo in cui
è stato rinvenuto il corpo»
§
Il detective
Overland si presentò alla stazione di polizia
ben prima dell’effettivo inizio del suo turno di lavoro,
svegliato da una
chiamata alquanto inaspettata.
Guardò l’uomo che lo attendeva al di là
del vetro e, sospirando, entrò nella
sala degli interrogatori con una tazza fumante fra le mani.
«Francamente non mi aspettavo questa sua visita.
Caffè?»
Robert Locksley alzò gli occhi arrossati su di lui, i folti
capelli ramati
completamente arruffati «Nemmeno io»
ribatté con un sorriso amaro «Grazie»
disse, poi, accettando l’offerta.
Jack rimase in silenzio e si sedette di fronte a lui,
dall’altra parte del
tavolo, appoggiò un piccolo blocco per gli appunti e una
penna sulla
superficie, rimanendo in
attesa.
L’altro assorbì un po’ di quel liquido
nero e bollente, trovando coraggio nel
suo calore «Quando, ieri mattina, mi sono svegliato al suono
delle vostre
sirene, ero ancora intontito dai sonniferi. Sa detective, da quel
terribile
giorno non sono più riuscito a dormire in quella casa senza
l’aiuto dei
farmaci, soprattutto beh… lo sa già»
Jack annuì.
«Non dormo più neanche nel letto, per cui ci ho
messo un momento a raggiungere
la camera dal divano e a mettere a fuoco la situazione. Quando
l’ho visto,
però, l’ho riconosciuto subito e vuole sapere come
mi sono sentito?» lo guardò
dritto negli occhi «Mi sono sentito sollevato: un regalo del
destino, la mia Marian – colei
che amavo più della mia stessa vita –
finalmente vendicata, lo stesso giorno»
«E’ per questo che ha fatto finta di niente quando
siamo venuti?»
«Sì» esalò, stringendo le
mani attorno alla tazza
«Scioccamente speravo che rimanesse
un segreto solo mio ma c’era da aspettarselo che avreste
scoperto tutto molto
fretta»
«Perché ha cambiato idea?» volle sapere
Jackson sinceramente curioso.
«Da quando lei e il suo collega ve ne siete andati, quel
sollievo si è
trasformato in vergogna: non ho fatto altro che pensare a come Marian
non
avrebbe mai approvato» due lacrime gli sfuggirono dalle
ciglia scure.
«E’ passato un intero giorno, ci ha messo un
po’ a convincersi»
«Si vede che lei è fortunato detective e che una
cosa così non deve averla
provata mai» ribatté improvvisamente alterato
«Sa qual è la cosa più buffa in
tutto questo? A farmi incontrare la mia Marian è stato
proprio John Lionheart,
lo stesso uomo che me l’ha portata via»
Jack alzò le sopracciglia stupito, questo era inaspettato
«In che senso?»
«Io lavoro per un’associazione che difende i
diritti umani: combattiamo per i
più deboli e i più poveri, contro i soprusi dei
ricchi e potenti e lo facciamo
in tutto il mondo» prese fiato «Prima di essere
estromesso dalle Lionheart
Industries, John era il responsabile del loro offshore. Le lascio
immaginare in
quali condizioni facesse lavorare quelle povere persone: il tutto ben
nascosto
ovviamente, persino Richard non ne era a conoscenza, aveva ancora
fiducia nel
fratello a quel tempo. Potevamo solo protestare ma, senza prove
concrete, non
avevamo modo di agire. Marian, però, credette in noi e
s’infiltrò»
La memoria del detective si accese «Sebbene non fossi qui, mi
pare di ricordare
qualcosa in merito»
«Oh sì, fu uno scandalo di livello nazionale:
l’azienda crollò in borsa e
rischiò il fallimento ma Richard – e Marian
– rimisero le cose a posto e,
finalmente, Prince Johnny»
rimarcò con disprezzo «Perse ogni diritto
sugli affari di famiglia»
«Mi sta dicendo che l’incidente di sua moglie non
fu casuale?» chiese,
spostandosi un poco sulla sedia e lanciando un’occhiata
fugace al grande
specchio che gli stava alle spalle, vagamente a disagio.
Robert Locksley guardò la sua tazza, ormai vuota
«John non era nuovo all’uso di
alcol e droghe. Quando la investì nemmeno si
fermò. La polizia che lo intercettò
poche ore più tardi, grazie all’aiuto di alcuni
testimoni, lo trovò che non era
in condizione di ricordarsi nemmeno il suo nome. Forse fu solo un
crudele
scherzo del destino, forse lo fece di proposito… la
verità è che io non lo so e
non lo saprò mai»
Jackson si passò una mano sulla nuca «Non capisco
perché mi stia raccontando
tutto questo, a meno che ora non mi confessi di essere stato lei ad
uccidere
John Lionheart»
Inaspettatamente l’altro rise «Non sarò
di certo una volpe ma non sarei
mai stato così sciocco da lasciarlo sotto alla mia finestra
in quel caso, non
crede?»
«Ineccepibile» concesse quasi divertito da quella
reazione «Ma, per sicurezza,
sa dirmi come ha passato la sera del ventuno?»
«Urca, urca… fa sul serio
detective» quasi lo canzonò mentre, per un
secondo, un lampo dell’uomo che era riaccese il suo sguardo
per, poi, spegnersi
immediatamente «Ero dal mio più caro amico e dalla
sua famiglia, non mi piace
stare da solo quando quel giorno si avvicina»
«Ma è rientrato a casa,
perché?»
«Il mio analista è un ferreo sostenitore del fatto
che il dolore vada
affrontato. Sono rientrato verso l’una. Nel caso se lo stesse
chiedendo, il mio
amico abita esattamente due piani sopra di me»
«Immagino che questi suoi amici saranno ben lieti di
confermare» quando lo vide
annuire, continuò «Come si chiama il suo
analista?»
«Dottor Kozmotis Pitchiner, esperto in terapia di
elaborazione del lutto»
Jack si appuntò il nome «Bene, ora vuole dirmelo
il motivo per cui è qui, sì?»
«Per questo» Robert Locksley tirò fuori
un cartoncino dalla giacca «L’ho
trovato questa mattina nella posta. E’ stato un vero
regalo,
detective. Ebbene io non lo voglio, non sono come John
Lionheart»
Jackson
uscì dalla stanza degli interrogatori preoccupato, il
cartoncino accuratamente
chiuso in una bustina di plastica trasparente. Fu con una certa
sorpresa che posò
lo sguardo sulla persona che, senza preavviso, doveva aver assistito
all’interrogatorio: allora quella sensazione di essere
osservato non se l’era
solo immaginata.
Indossava un lungo cappotto celeste, da cui spuntava una morbida
sciarpa
bianca, jeans chiari e stivali che le arrivavano fino al ginocchio.
Portava i
capelli biondi completamente sciolti, il che significava che, anche
lei, era lì
ben al di fuori del suo orario di lavoro.
«Els… Dottoressa Bleket» si corresse
subito «Le mancavo per caso?» la
punzecchiò comunque, incapace di trattenersi.
Lei lo ignorò e tirò fuori un foglio dalla sua
tracolla «Le ho portato il
risultato del tossicologico: oltre alla cocaina, John Lionheart aveva
nel
sangue un’altissima concentrazione di
fenilciclidina»
«La polvere d’angelo?»
«Pensiamo gli sia stata somministrata in forma liquida, vista
la grande
quantità. E’ un potente psicotico dissociativo e
neurotossico, in
grado di creare
allucinazioni perfettamente realistiche. Il tutto è in linea
con la mia tesi»
spiegò, riportando l’attenzione
sull’uomo al di là dello specchio.
Jack annuì «Come mai sei venuta?» la
interrogò, poi, facendo cadere quello stupido distacco che
lei
cercava a tutti i
modi di mantenere.
Elsa inarcò le sopracciglia stupita
«L’ho appena detto»
«Visto l’amore che hai
dimostrato per me fino adesso, perché non me
l’hai inviato per mail? O, ancora meglio, fatto arrivare
tramite la tua
assistente?» non la vide ribattere, perciò
continuò «Sai cosa penso? Penso che
tuo cognato ti abbia detto che lui era
qui» spiegò, indicando il vetro
con un cenno del capo «Volevi sapere come ci si sente una
volta ottenuta
vendetta?» lei trasalì «Lo vedi da te,
è un uomo distrutto: aver visto il
cadavere dell’assassino di sua moglie non ne ha rimesso
assieme i pezzi»
Elsa strinse i denti, quasi si era dimenticata di con quanta
naturalezza lui riuscisse
a
leggerle dentro ma non confessò,
né smentì «Che cosa ti ha
dato?»
«Qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci» le rispose,
porgendole il sacchetto «Se
è vero quello che c’è scritto, John
Lionheart è stato solo l’inizio»
Lei lo prese, con mani leggermente insicure e lesse ciò che
vi era scritto sopra
con dei ritagli di giornale:
Ed
ecco il primo vero capitolo di questa storia.
Mi rendo conto che fosse pressoché impossibile indovinare la
prima vittima ma si trattava, nientepopodimeno che, del terribile
Principe Giovanni. Essendo fratello di Riccardo Cuor di Leone, il
cognome Lionheart è venuto da sé. Chiaramente mi
ha fatto
estremamente male dipingere questo crudele destino per Marian e suo
marito Robert (che chiaramente è il meraviglioso Robin Hood)
ma,
come vi dicevo, il dramma abbonderà fra queste righe: spero
mi
perdonerete e che, con i vari riferimenti alla pellicola animata, sia
riuscita un pochino ad attutire il colpo anche se, lo so, è
piuttosto duro. Spero anche che il loro background vi abbia
soddisfatto. Per il cognome di Marian ho seguito Wikipedia, per quello
di Robin invece non ci sono molti dubbi in merito alla sua provenienza.
Vista la quasi maniacale attaccatura di Giovanni per
sua madre, ho pensato che la cosa potesse essere stata reciproca, a quanto pare in maniera errata perché il principe dice espressamente che ha sempre preferito Riccardo, sigh, la mia memoria non è più quella di una volta ma quella di qualcun altro funziona benissimo ;)
Ma dato che stiamo pur sempre parlando di una leonessa, penso ci possa comunque stare il suo attaccamento al buon nome della famiglia che l'ha portata a voler salvare quel figlio criminale seppur allontanandolo dagli affari ;) Che dite, ci può stare? Me la passate, sì? *Occhioni da cerbiatto*
Inoltre ha fatto la sua apparizione anche Rapunzel, il cui cognome
deriva principalmente dal simbolo del regno di Corona e dal suo potere,
trasformandola in una specia di Garcia di Criminal Minds,
perché
un tipo così artistisco e creativo potrebbe tranquillamente
abbracciare il mondo digitale e tutti i suoi segreti, almeno per me.
Spero vi sia
piaciuta, ragionevolmente posso dire che tornerà ;)
E, sebbene non si sia visto, un certo nome è venuto fuori...
ve lo avevo detto che il grigio non era casuale!
Grazie a chi ha deciso di seguire questa storia e a chi mi ha lasciato
le sue impressioni per il prologo!
Come sempre spero di avervi fatto passare un piacevole momento di svago.
Alla prossima
Cida |
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Capitolo 3 *** Cap. 2 - Gifts ***
Capitolo 2
Aprire gli occhi non modifica
le sue percezioni: era al
buio prima, rimane al buio adesso. Non ha importanza quanto possano
essere
forti i suoi muscoli, i lacci che le legano i polsi e le caviglie sono
troppo
stretti, non riesce a liberarsene. Prova a divincolarsi nuovamente ma,
dopo
aver sbattuto sul metallo dove è sdraiata da
chissà quanto tempo, ritorna
esattamente dove prima, non si sposta di un millimetro. Ottiene una
cosa
soltanto: dolore.
E’ quando gli occhi si abituano
all’oscurità, da sempre fida compagna ma ora
trasformata in perfida traditrice, che le sembra di scorgere un
movimento
attorno a lei. Se trattiene il respiro può quasi sentire il
fruscio dei
movimenti di qualcosa, qualcuno.
«Chi sei?» ringhia a denti stretti «Cosa
vuoi da me?»
Non le arrivano risposte.
«Parla, lo so che sei qui» gli intima, è
una predatrice, la parte della vittima
non le si addice, nemmeno in quel momento.
«Lasciami andare, se ci tieni alla vita» lo
minaccia, scoprendo i denti come
una bestia famelica «Tu non sai chi sono io»
«Oh sì che lo so, mostro»
Una voce profonda arriva alle sue orecchie, è più
vicino di quanto si
aspettasse ma sembra vestito di oscurità stessa e, per
quanto la sua vista sia
sempre stata acuta, non lo vede.
«Che cosa vuoi da me?» ripete.
«Io non voglio niente: non le vedi le ombre, sciocca?
E’ l’inferno stesso che
ti reclama»
«L’inferno?» ghigna
«Prenderà anche te se mi ucciderai»
«Colpe su di me non cadranno, saranno le tue stesse paure ad
ucciderti, bestia»
Una mano guantata le stringe la mandibola per aprirle la bocca. Quel
pazzo,
chiunque egli sia, non la conosce affatto: muove di scatto la testa e
si
divincola dalla presa, quasi lo morde con i suoi denti affilati
«Le mie paure?»
sputa rabbiosa «Io non ho paura di niente»
«Se serve raccontarti queste sporche menzogne accomodati
pure: che tu tema i
proiettili o l’affondo di una lama nella carne, a me non
importa»
A quelle parole deglutisce, il battito accelera e il fiato si fa
istintivamente
più corto.
Non lo può vedere ma il ghigno di compiacimento sul volto
dell’altro lo avverte
lo stesso. Le narici si dilatano e gli occhi si spalancano, riprende la
sua lotta
per la libertà, ancora una volta invano.
«Stai per morire, vedo che l’hai capito»
Un panno le viene posato con forza sul viso e un odore dolciastro
invade le sue narici. E’ questione di pochi minuti,
ogni sua difesa crolla. Non
c’è alcuna resistenza quando le viene aperta con
forza la bocca ed una cannula
viene inserita rudemente nella sua gola. Le mani che la stringono
sembrano improvvisamente
quattro, sei, otto, come le zampe di un raccapricciante ragno grondante
oscurità.
Se solo ci fosse la possibilità di allentare ciò
che la costringe, quel
maledetto sarebbe già a terra con il collo spezzato. Come
diavolo c’è finita lì?
Neanche lo ricorda. E’ in quel momento che le palpebre si
abbassano, il buio le
invade la mente ed è proprio da lì che
l’incubo comincia.
§
Jackson
spense il fon e si passò una mano fra i capelli, per
constatare che fossero asciutti. Diede un’occhiata allo
specchio e sbuffò:
erano passati ormai molti giorni dal ritrovamento del cadavere di John
Lionheart e non avevano fatto alcun progresso. Il biglietto consegnato
da
Robert Locksley non aveva portato a nulla: le uniche impronte rilevate
erano le
sue. Non era stato inviato tramite il servizio postale, qualcuno doveva
averlo
consegnato a mano, con tutta probabilità poco dopo aver
sistemato il corpo,
dato che l’uomo - a detta sua - aveva controllato la posta
solo il giorno seguente. Gli esami
sulla carta di giornale e sulla colla usata avevano dato risultati
inconcludenti: era una pista morta. Nessuno aveva visto niente, non
c’erano
telecamere in zona: il nulla profondo.
Con l’approvazione di Richard, stavano riuscendo a tenere a
bada la stampa e la
notizia del probabile giustiziere ancora non era arrivata al grande
pubblico.
Era anche vero che nessun caso analogo si era ripresentato, causando un
certo
scetticismo sulla veridicità di quel biglietto ma in molti
erano piuttosto
sicuri sarebbe successo di nuovo, era solo questione di tempo. Dal
canto suo,
cercava di dare la giusta rilevanza ad ogni scenario possibile.
John era odiato da molti per la sua supponenza, le sue angherie e, non
da meno,
per il caso Fitzwater. Robert, tuttavia, non sembrava davvero essere un
tipo in
grado di uccidere a sangue freddo. Si era domandato persino se potesse
essere
il caso di fare due chiacchiere con il suo analista ma Robert aveva un
alibi,
non sarebbe mai riuscito ad ottenere un’autorizzazione
ufficiale.
Lo stesso Richard era nella lista dei possibili sospetti
perché liberarsi del
pesante fardello Prince Johnny avrebbe giovato sia
all’immagine
dell’azienda che al suo capitale sperperato per tenerlo
lontano. Nonostante tutto, però, il padrone delle Lionheart
Industries sembrava
veramente avere a cuore i desideri di quella madre perduta e anche lui
aveva un
alibi ben solido. Certo, non avrebbe avuto problemi a pagare qualcuno
che lo
facesse al posto suo ma, ancora una volta, con semplici ipotesi non si
poteva
indagare oltre: c’era bisogno di avere almeno una piccola
prova a favore di
quella tesi e, al momento, ne erano sprovvisti. Soprattutto sarebbe
stato quanto mai sciocco indisporre sulla
base del nulla qualcuno
che, fino a quel momento, si era
rivelato il massimo della collaborazione.
Inoltre, in quella morte sembrava ci fosse qualcosa che andava ben al
di là di
una vendetta personale o l’intenzione di liberarsi di una
palla al piede. Il
primo caso avrebbe, con tutta probabilità, scatenato una
reazione violenta,
dettata dalla rabbia, con sangue dappertutto. Il secondo sarebbe stato
più da
una cosa rapida e pulita, come solo un colpo di pistola silenziato di
un
sicario avrebbe saputo essere. Nel decidere di far morire qualcuno di
paura, invece,
c’era qualcosa di maniacale, una sorta di elevazione
personale al potere di un
giustiziere divino.
Finì di tamponarsi con l’asciugamano, si
spruzzò un po’ di profumo e si spostò
in camera da letto per vestirsi, riprendendo le sue macchinazioni.
I numeri sconosciuti recuperati da Rapunzel si erano rivelati collegati
a
cellulari usa e getta, probabilmente il metodo di contatto con i pusher
di John che gli
fornivano la cocaina e chissà che altro. Kristoff aveva
allertato un suo collaboratore,
un piccolo ladruncolo dei bassifondi, per capire se almeno lui avesse
avuto
modo di recuperare qualche informazione non raggiungibile tramite
canali
ufficiali. Anche perché la fenilciclidina, chiunque fosse
questo misterioso
giustiziere, da qualche parte se la doveva pur procurare.
Scosse la testa e s’impose di non pensarci più,
decidendo di concentrarsi
sull’inaspettato invito a cena di quella sera. Gli era stato
detto di mettersi
comodo, per cui optò per un paio di jeans marroni e una
morbida felpa blu con
cappuccio. Indossò la giacca e si mise le scarpe. I presenti
che aveva
acquistato per l’occasione erano già ad attenderli
in auto, prese le chiavi ed
uscì.
§
«Sai»
buttò lì Anna, dopo aver controllato il livello
di
cottura dell’arrosto nel forno «Abbiamo avuto
problemi con una delle auto in
questi giorni, così Kriss ha avuto bisogno di un passaggio
per andare al lavoro
l’altra mattina e, sì, insomma: ho finalmente
visto Jack»
Elsa smise di mescolare l’insalata «E
allora?» chiese, guardandola poi con le
labbra tirate: se conosceva anche solo un minimo sua sorella,
già sapeva che
quella conversazione sarebbe andata in una direzione che non avrebbe
coinciso
affatto con la sua.
«E allora niente» le fece il
verso Anna, decidendo saggiamente di
incaricarsi del compito di affettare il pane
«Abbiamo un po’ parlato, mi
sembra sempre il solito nonostante siano passati anni. Anche se,
bisogna
ammetterlo, se li porta egregiamente. Con quei capelli è
così affascinante»
«Ehi, guarda che sono qui, eh!» borbottò
Kristoff, passandole accanto con una
pila di piatti fra le mani.
«Lo so, tesoro» gli rispose lei, lanciandogli un
bacino ruffiano. Lo vide
scuotere la testa e proseguire verso la sala da pranzo.
Elsa si mosse verso uno dei cassetti della cucina «Io non so
dove tu voglia
andare a parare» disse, aprendolo «Anzi, lo so
benissimo e gradirei non lo
facessi»
«Alle posate ci penso io, grazie»
l’anticipò l’altra, spostandola appena
con un tocco di fianchi, intenzionata più che mai a tenerla
lontana dai
coltelli e dallo scoprire un altro piccolo particolare.
Momentaneamente privata di qualsiasi tipo di attività, la
maggiore incrociò le
braccia al petto «E comunque non mi sembra che Jack ti sia
mai piaciuto. Lo
chiamavi l’idiota, talvolta anche in sua
presenza»
«Questo non c’entra nulla»
iniziò a spiegare Anna, passando le stoviglie al
marito «Lui era il tuo ragazzo e io tua sorella, ti portava
via da me: era
intrinseco che non potessimo andare d’accordo. Nemici
naturali, capisci?»
prese, poi, un cavatappi e cominciò ad aprire una bottiglia
di rosso «Ma non
ero cieca da non vedere quanto lui ti rendesse felice»
Elsa mise a tacere quella fitta fastidiosa che aveva cominciato a
pungolarle il
petto, soffocandola con un sorriso ironico «Tu sei priva di
ogni logica, te
l’hanno mai detto?»
La minore sorrise e la guardò dritta negli occhi
«Indovina? I sentimenti non
hanno logica. Vino?»
Stava per declinare l’offerta data la cena imminente, quando
i fari di un’auto
illuminarono il vialetto d’ingresso «Aspetti
qualcuno?» ma, ancor prima di aver
finito di pronunciare quella frase, una terribile consapevolezza si
fece largo
dentro di lei e, solo allora, il ricordo di cinque
piatti nelle mani del
cognato si stampò nella sua mente «Non puoi averlo
fatto» disse, mentre il
timer annunciava la cottura della carne.
«E invece sì» la sfidò
l’altra, aprendo il forno: un invitante profumo si
sparse per tutta la cucina.
«Non ci credo» quasi boccheggiò
«E tu le hai dato corda!» rimproverò il
cognato
che le aveva appena raggiunte per prendere le ultime cose.
«Perdonami, Elsa» le disse dispiaciuto, mentre
rubava un pezzo di carota
direttamente dall’insalatiera per portarsela alla bocca
«Ma, lo sai, lei ha
accesso a tutto quello che mangio e bevo» spiegò,
dando poi un bacio sulla
guancia della moglie.
Proprio in quel momento, il campanello d’ingresso
suonò.
«Vado io!» urlò Freja, alzandosi di
colpo dal grande tappeto su cui stava
giocando con il suo pupazzo preferito.
«Voi me la pagherete» sibilò Elsa a
denti stretti «Dammi quel vino»
§
Nel raggiungere la
porta d’ingresso, Jackson già constatò
dall’esterno come Anna e Kristoff avessero davvero una bella
casa dal sapore rustico
e familiare. Il suo compagno di squadra aveva un buono stipendio, quasi
quanto
il suo, ma senza il contributo della famiglia Bleket era
ragionevolmente sicuro
che non si sarebbe potuto permettere un’abitazione come
quella. I Bleket erano
sempre stati più che benestanti e la tragedia della morte di
Agnar e Iduna
aveva reso le ragazze le uniche fruitrici del loro patrimonio. Gli
Overland,
invece, non erano mai stati ricchi, anzi, avevano avuto momenti davvero
bui. Per
questo ben si ricordava le occhiate sprezzanti di Runeard quando andava
a
prendere la nipote, come se sospettasse che il suo interesse per lei
fosse
mosso da ben precise motivazioni, che poco avevano a che fare con il
cuore ma
tanto con il cavallo dei pantaloni e le sue tasche.
In verità, a Jackson dei soldi non era mai importato nulla
perché non era di
certo la ricchezza di una persona a definirne la qualità e
lui, Elsa, l’avrebbe
amata anche vestita di soli stracci.
Si ricordava ancora nitidamente, come se fosse accaduto il giorno
prima, di
quando si era buttata fra le sue braccia disperata, mentre supplicava
il cielo
di prendersi tutte quelle stupide ricchezze pur di riavere al fianco i
genitori. Allora non poteva saperlo ma quello sarebbe stato
l’inizio della fine
della loro storia. Era piuttosto sicuro che il vecchio, una volta
saputo della
loro rottura, avesse stappato una delle sue bottiglie migliori. Di
riflesso,
strinse la mano attorno al collo di quella che aveva in mano in quel
momento,
fredda al punto giusto. Scosse il capo e deglutì, come per
scacciare quella
malinconia che gli era salita come un nodo alla gola e suonò.
Fu così che sentì uno strillo agitato e un gran
trambusto. Un attimo dopo, la
porta gli si spalancò davanti, mostrandogli una bambina di
cinque anni con
delle deliziose treccine bionde e grandi occhi nocciola «Tu
devi
essere Freja, giusto?» vedendola come imbambolata, decise di rompere
il ghiaccio.
La vide annuire ma senza emettere alcun suono «Io sono
Jackson, il collega di
papà. Ma tu puoi chiamarmi Jack»
continuò, facendole l’occhiolino e
abbassandosi un poco «Ho qui un regalino per te» le
disse, porgendole il
peluche di un coniglietto bianco, con legato al collo un bel nastro
azzurro.
Freja represse a stento uno squittio di gioia «Ma
è bellissimo! Sono sicura che
andrà d’accordissimo con Olaf»
«Con Olaf?» chiese lui, inarcando appena un
sopracciglio.
La piccola annuì «E’ il mio migliore
amico, me lo ha regalato zia Elsa: è un
pupazzo di neve»
Jackson sorrise, era una cosa
così da lei «Sono
certo che il Signor
Bunny[1]
lo adorerà»
«Se non lo fai entrare sarà lui a diventare un
pupazzo di neve» li raggiunse
Kristoff con un sorriso «Prego, accomodati»
«Grazie, non ci tenevo proprio a diventare come Jack
Frost[2]»
La bimba rise e si fece da parte ma, non appena vide la sua intenzione
di
entrare senza eseguire un passaggio fondamentalmente, lo
bloccò «Jack! Non si
entra con le scarpe sporche in casa» lo redarguì
come se fosse il suo
fratellino minore «Spero che i tuoi piedi non
puzzino»
«Freja!» la riprese il padre, visibilmente in
imbarazzo «Ma cosa dici?»
L’altro gli fece segno di non preoccuparsi e si
levò le scarpe senza protestare
«I miei piedi sono pulitissimi, ho fatto la doccia prima di
uscire e messo
delle calze pulite. Vuoi sentire?» le rispose, alzando appena
una gamba.
Kristoff tirò indietro la figlia giusto per un soffio
«Ok, ti do un paio di
ciabatte ma nessuno annuserà i piedi di nessuno,
chiaro?»
«Chiaro» concesse Jack, regalando alla piccola un
altro occhiolino che ebbe il
potere di farla arrossire e nascondere dietro le gambe del padre.
«Ho portato
questa» disse poi, mostrando la bottiglia che aveva in mano
«Al momento è in
temperatura, ma sarebbe meglio metterla in frigo per dopo»
«Portala pure in cucina, è di
là» gli disse, indicandogli la direzione giusta
«Intanto dammi la giacca»
Annuì e fece come gli era stato detto. «Anna,
ciao!» esordì, entrando nella
stanza «Ho pensato di portare un po’ di
vi…» si bloccò nel vedere due occhi
glaciali puntati su di sé. Indossava un dolcevita bianco e
un paio di pantaloni
aderenti neri. Aveva i capelli legati in una morbida treccia posata su
una spalla, come
spesso li portava quando era ragazza. S’impose di non pensare
all’innumerevole
quantità di volte che aveva disfatto
quell’acconciatura «Ci sei anche tu»
constatò, preso completamente in contropiede.
«Così pare» disse lei senza entusiasmo,
dando un sorso al suo calice di vino
rosso.
«Grazie, Jack» intervenne Anna, prendendogli la
bottiglia di mano. Anche lei
portava i capelli ramati legati ma di trecce ne aveva due, a specchio
di quelle
della figlia, e indossava una maglia nera oversize con dei leggings
color
senape.
«E’ da bere con il dolce…» le
fece presente, ma improvvisamente si rese conto
di non sapere se fosse o meno previsto per la serata. Perché
non aveva
comprato anche quello?
«L’ho preso io» disse Elsa, mettendo un
freno al suo disagio «Lo
faremo
bastare per tutti, è nel frigo» Perché
diavolo lo aveva fatto? Era
tutta colpa del vino a stomaco vuoto, ne era certa.
«Dove adesso finirà anche questa
bottiglia» mise fine all’imbarazzo la padrona
di casa «Jack raggiungi pure Kristoff. Se hai bisogno del
bagno usalo pure. Il tempo di finire di sistemare qui e saremo subito
da voi»
Lui annuì e andò dal collega nell’altra
stanza, ancora totalmente impreparato a
quella sorpresa inaspettata. In effetti, forse era meglio andare a
rinfrescarsi
un po’. D’altra parte era risaputo: gli sbalzi di
temperatura fra esterno
ed interno, potevano essere letali.
Quando l’ospite si fu allontanato quel tanto che bastava per
essere fuori
portata d’orecchie, Freja irruppe in cucina con Olaf
sottobraccio da una parte
e il Signor Bunny dall’altra «Se la zia non lo
vuole, me lo prendo io»
sentenziò, prima di sparire così come era venuta.
Ad Anna per poco non scappò il coltello
dell’arrosto di mano. Alzò gli occhi in
quelli della sorella, rossa in viso tanto quanto lei
«Riempilo» le disse, porgendole
il proprio bicchiere «A quanto pare ne avrò
bisogno anche io»
§
A differenza delle
terribili aspettative iniziali, la serata
si era poi svolta in una maniera tutto sommato piacevole. Nella
diabolicità del
suo piano, sua sorella aveva almeno avuto il buon gusto di lasciare
anche Jack
all’oscuro di tutto. Così, soprattutto grazie alle
richieste di attenzione
costanti di Freja, non era riuscito a concentrarsi troppo su di lei.
Mentre,
sul bordo del proprio letto di quello che era il suo appartamento,
finiva di
far assorbire la crema sulle mani, Elsa decise che era proprio il caso
di fare
un bel regalo alla nipote.
Nel ripensare all’immediata complicità che si era
instaurata fra i due, un
sorriso spontaneo le era salito sulle labbra ma, non appena se ne era
resa
conto, lo aveva cancellato riportandole in una rigida linea dritta.
Non le era sfuggita l’occhiata fugace che Anna le aveva
rivolto subito dopo
essersi complimentata con lui per la sua capacità di
intrattenere i bambini. I
figli erano una porta sul futuro e lei viveva troppo nel passato per
anche solo
immaginare di vedersi come madre. Voleva molto bene a Freja e adorava
passare
del tempo con lei ma era sicura che il ghiaccio, di cui si era
rivestito il suo
cuore dopo la morte dei genitori, le avrebbe impedito di provare
quell’amore
così necessario ad ogni famiglia. Famiglia che, di
certo, non avrebbe
costruito con Jack: pensò, mentre trovava rifugio
fra le coperte. Lui aveva
tradito la sua fiducia e l’aveva fatto nel momento in cui era
più vulnerabile.
Questo Anna lo sapeva benissimo. Certi tipi di ferite non avevano
capacità di
cicatrizzazione, ancor meno per un cuore che si era cristallizzato in
una
miriade di piccoli pezzi: gelati, appuntiti, affilati. Non poteva
più
permettersi di gonfiarlo con un sentimento travolgente come
l’amore, quelle
lame di ghiaccio l’avrebbero ferita ancora e ancora.
Eppure, poco prima di addormentarsi, i pensieri scivolarono nelle fitte
foreste
del subconscio e arrivarono al cospetto di un cassetto ben chiuso. Al
cui interno
si nascondevano un’infinita quantità di ricordi,
fatti di risate, scherzi,
sfide, abbracci, baci e sospiri d’amore. La chiave,
però, sembrava sparita o
accuratamente nascosta in un luogo dimenticato. Quello che Elsa non
sapeva era
che quella chiave, nel buio in cui era stata rinchiusa, proprio grazie
a quella
patina di ghiaccio che le si era formata sopra, risplendeva
più che mai, in
paziente attesa di essere ritrovata.
Quando un nuovo sorriso le spuntò sulle labbra, dormiva
già così profondamente
che – questa volta - la sua ragione non ebbe la
possibilità di spegnerlo.
§
Non erano nemmeno
le sei quando il cellulare di Jane aveva
cominciato a vibrare all’impazzata, dal comodino su cui era
appoggiato. Le ci era
voluto un momento per mettere a fuoco la situazione e, quando
finalmente aveva
risposto, la sua voce non era delle più attente. Erano
bastate, però, poche
parole per farla scattare seduta e prendere lucidità. Una
volta fornita la sua
disponibilità a raggiungere al più presto il
luogo indicato, aveva riattaccato
scoprendo che, nel frattempo, Elsa le aveva già mandato due
messaggi. Aveva
scosso la testa, chiedendosi se il suo capo dormisse come i comuni
mortali o
fosse una sorta di spirito che non aveva bisogno di
riposare. Aveva
appena finito di lavarsi i denti che un altro messaggio
l’aveva avvisata di come già
la stesse aspettando fuori dal portone. Si era infilata la giacca,
aveva
recuperato al volo la borsa con la sua attrezzatura e l’aveva
raggiunta.
Non si erano scambiate il buongiorno, per ovvie
ragioni, ma aveva
cercato di salutarla comunque con un sorriso, intenzionata
più che mai a tenere
fuori dalla sua vita la drammaticità del loro lavoro. Lei,
come al solito, le aveva
risposto con un tiepido cenno del capo.
Elsa non era la più calorosa delle persone, anzi tutto il
contrario. Era un
tipo esigente, talvolta rigido, perché si aspettava dai suoi
collaboratori la
stessa attenzione che lei riversava nel suo lavoro. In verità, amava averla come
capo
perché, sì, pretendeva il massimo da tutti ma
ancor più lo pretendeva da se
stessa. Inoltre, dietro a tutta quella freddezza si nascondeva una
persona
davvero gentile, così come testimoniava il cioccolatino
ripieno al caffè che le
aveva appena porto. Quello sarebbe stata la loro unica fonte di
energia, almeno
per un po’.
La destinazione di quel giorno era piuttosto insolita,
perciò fu con una strana
inquietudine che parcheggiarono davanti alla grossa biglietteria, al
momento
chiusa, dello zoo della città.
La polizia aveva già messo in sicurezza tutta
l’area e un paio di agenti vennero
loro incontro per scortarle dove Jackson e Kristoff erano al lavoro,
assieme
all’equipe della scientifica.
Il corpo era adagiato proprio di fronte alla gabbia dei gorilla, i
quali si
muovevano agitati per via di tutto quel trambusto. Non ebbe bisogno di
vedere
l’espressione corrucciata di Elsa per comprendere che stavano
pensando la
stessa cosa: quella donna, perché di una donna si trattava,
era messa nella
stessa posizione di John Lionheart. Scattò la prima serie di
foto: la vittima
era alta e, nonostante i vestiti, ben si percepiva la potenza del suo
fisico. I
capelli erano corti e ossigenati, il che faceva risaltare maggiormente
la sua
carnagione scura. Inaspettatamente, Elsa si concentrò subito
sugli occhi, ne
alzò le palpebre e le fece immortalare quei lattiginosi
occhi verdi, fissi in
un’espressione talmente sgomenta da scuoterla nel profondo.
Come previsto, sia
le caviglie che i polsi presentavano ancora una volta delle
escoriazioni ma un
altro particolare le fece allarmare: sul dorso delle mani aveva tatuate
tante
piccole macchie e, a giudicare da quelle che aveva anche sulla nuca,
probabilmente le ricoprivano tutta la parte posteriore del corpo.
«E’ una
leopard…» aveva
sussurrato l’altra, riadagiando il braccio sul
gelido pavimento.
Le aveva appena schiuso le labbra, rivelando una dentatura
accuratamente limata
a sembianza di quella di una bestia feroce che Kristoff andò
loro incontro, con
un tablet stretto nella mano «Non è una leopard
qualsiasi. E’ Sabor, la loro
leader indiscussa» mostrò loro lo schermo su cui
spiccava una foto segnaletica
della vittima.
«Chi l’ha trovata?» chiese Elsa,
rialzandosi in piedi.
L’altro le fece un cenno del capo, mostrando due uomini
intenti a parlare con
Jackson. Il più giovane sembrava decisamente il
più scosso, il secondo invece
era più scocciato che altro «Loro: John Greystoke
e William Clayton,
rispettivamente zoologo esperto in primati e guardiano. Lavorano
entrambi per
lo zoo»
Non era difficile immaginarsi a chi dei due fosse associata la vittima.
John doveva avere più o meno la stessa età di
Jane, o forse qualche anno in più, i suoi capelli castani erano
lunghi e molto mossi. Era decisamente un tipo atletico e superava Jack
di ben
mezza testa.
William, invece, doveva aggirarsi più attorno ai sessanta ma
tutto nel suo
aspetto era impeccabile: dai capelli e baffi curati, alla forma fisica
che
sembrava invidiabile per la sua età. Non si avvicinava
granché all’immaginario
comune nei confronti della figura del custode.
Vide Jackson scambiare con loro ancora qualche parola, dare una piccola
pacca sulla spalla del più giovane e indirizzarli verso un
paio
di
altri agenti.
Quando venne loro incontro, la sua espressione era tetra: solo allora
Elsa si
accorse che, in una mano, teneva stretto un piccolo sacchetto di
plastica
trasparente, a protezione di un nuovo cartoncino «A quanto
pare abbiamo un altro
regalo» sentenziò, confermando una volta per tutte
quello che già sospettavano
«Ha ufficialmente colpito ancora»
Come
al solito grazie per aver letto sino a qui, spero che anche questo
capitolo sia stato di vostro gradimento.
Abbiamo visto il giustiziere in azione ma la sua identità
rimane
ancora misteriosa (sì, ci sono indizi), avevate intuito che poteva trattarsi di Sabor prima
di scoprirlo sul finale?
Invece, immagino la presenza di Tarzan non vi abbia stupito
più di tanto, dato che avevamo già Jane con noi ;)
Tuttavia vista l'ambientazione più moderna, Tarzan non mi
sembrava un nome particolarmente indicato, ho perciò scelto
il
suo nome letterario, togliendo il Clayton che è
rimasto a
William Clayton della pellicola animata che ricalca proprio lo stesso
personaggio, solo un pelino più vecchio ma non meno in
forma... meno avido e s*****o? Ai posteri l'ardua scoperta.
Come la vita malavitosa di questa capo-banda abbia influito su quella
del giovane John (ammazza, quanti John) lo scoprirete nel prossimo
capitolo.
Abbiamo anche avuto il primo incontro fra Freja e Jack ed è
stato subito un crepitio di faville *-*
Anna, al solito, confabula dalle retrovie nel modo più
subdolo,
con l'aiuto del marito che ci tiene a non finire avvelenato XD E si
riconferma una Jelsa fan anche se non da subito hihihi
Cominciamo, inoltre, ad avere un primo punto di vista di Jack sul
passato e a scoprire qualcosina di più sul perché
Elsa ce
l'abbia tanto con lui, anche se...
Come sempre, i vari riferimenti al canon e i piccoli Easter Egg (ad
esempio: il vestirario comodo scelto da Jack, la ricchezza della
famiglia di Elsa e Anna, Kristoff che ruba le carote, Olaf, il legame
con i gorilla per Tarzan ecc...) sono assolutamente voluti ;)
Chi si azzarda ad indovinare chi può essere l'attualmente
ancora misterioso informatore di Kristoff?
Grazie di cuore a chi segue questa storia, a chi ha deciso di listarla
e a chi ha il piacere di lasciarmi le sue impressioni.
Alla prossima
Cida |
[1] Autocitazione da Seasons,
dove il Signor Bunny è la creatura di neve con cui Jack
interagisce con Elsa e utilizza, poi, in un altro modo per conquistare
Freja. Per chi non ha letto non vado nei dettagli per evitare spoiler,
chi ha letto già sa. Il
coniglietto di neve, inoltre, era già un omaggio al modo in
cui
Jack riesce a farsi vedere da Jamie nel film originale. Sempre
da quella storia, viene l'assoluto legame di amicizia fra Freja e Olaf.
[2]Il
Jack Frost a cui si riferisce Jack è quello della storia
che,
nella nostra realtà, ha dato vita al film del 1998
dove lo spirito di una padre, morto in un incidente d'auto, si
trasferisce in un pupazzo di neve per stare accanto al figlio che non
aveva particolarmente seguito quando era in vita. Ma considerando, ovviamente, di che Jack
stiamo parlando in questa storia, il gioco è duplice ;)
|
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Capitolo 4 *** Cap. 3 - Still in the dark ***
Capitolo 3
«Sto
cercando mio figlio, dov’è? Voglio
vederlo!»
Nella stazione di polizia in fermento, l’agitazione della
donna appena entrata
rischiò di passare inosservata. Kristoff, tuttavia, era
lì ad attendere una
persona e, dato che ancora non si era fatta viva, decise di avvicinarsi
«Signora, si calmi. Ha bisogno di aiuto?»
Lei lo guardò con i suoi grandi occhi castani «Mi
hanno chiamato poco fa,
dicendo che mio figlio è qui. Che gli è successo?
Sta bene? E’ nei guai?»
Il detective fece mente locale, non riuscendo però a trovare
una risposta alle
sue domande «Come si chiama suo figlio?»
«John Greystoke»
Kristoff sgranò gli occhi, incapace di dissimulare il fatto
di essere stato
preso completamente in contropiede. La donna che aveva di fronte non
era poi
così alta ma aveva un fisico robusto, con folti capelli
riccioli portati molto
corti di un bel castano scuro ma quello che lo colpiva maggiormente era
la sua
carnagione, scura e calda che ben poco aveva a che fare con quella
pallida di
John Greystoke.
«Non sono la madre naturale» sussurrò
lei a fior di labbra, comprendendo a
pieno il motivo del suo smarrimento «Ma ciò non lo
rende meno mio figlio,
detective» continuò, recuperando sicurezza e
guardandolo dritto negli occhi.
L’altro
arrossì
«Mi dispiace» si scusò «Non
volevo insinuare
che… sì insomma,
anche io sono… » prese fiato «Sono stato
solo un
pochino sorpreso, niente di
più»
La donna distese l’espressione del viso e sorrise bonaria
«Per favore, mi porti
da mio figlio»
«Certo, mi segua»
Kristoff s’incamminò, facendole strada. La
tensione della donna divenne quasi
palpabile, quando arrivarono davanti ad una porta chiusa «Non
si
preoccupi» la rassicurò «Entriamo qui
solo per avere un pochino di privacy in
più, nessuno di voi due è sotto
interrogatorio»
Non appena girò la maniglia, John
scattò nella loro direzione
e avvolse la madre in un abbraccio «Sto bene» la
rassicurò e, solo in quel
momento, lei rilassò i muscoli.
«Ci perdoni se l’abbiamo fatta
preoccupare» si scusò Jackson, decisamente
più
capace dell’altro a nascondere il suo stupore «Se
volete accomodarvi, vi
spiegheremo perché l’abbiamo chiamata signora
Greystoke»
Entrambi gli si sedettero davanti, mentre il collega prese posto
accanto a lui.
«Il mio nome è Kala Chidubem[1]»
si strinse le mani l’una nell’altra, a disagio
«Greystoke è il nome della famiglia biologica di
John» prese fiato «Vedete,
quando decidemmo di adottarlo, dopo l’affidamento iniziale,
mio marito non
volle dargli il nostro cognome» confessò piena di
vergogna.
John le circondò le mani con le sue «I rapporti
con mio padre non furono dei
migliori all’inizio ma, alla fine, siamo comunque riusciti a
costruire un solido
rapporto. Di comune accordo abbiamo deciso che avrei mantenuto il
cognome della mia
famiglia biologica, in onore del loro amore. Avere cognomi o origini
diverse
non ci avrebbe reso meno uniti»
Jackson annuì, non potendo fare a meno di pensare a quanto
sembrassero diverse
le due famiglie che, per adesso, ruotavano attorno al caso.
Presentò, di nuovo,
se stesso e il suo collega e sospirò «Signora
Chidubem, l’abbiamo chiamata
perché questa mattina suo figlio, assieme ad uno dei
guardiani dello zoo, ha
trovato il cadavere di una donna davanti alla gabbia dei gorilla di cui
si
occupa»
«Il cadavere di una donna?» drizzò la
schiena allarmata, girandosi
immediatamente verso il figlio per scorgere anche solo un minimo segno
di
shock.
«Sembrava dormisse» la rassicurò John,
come leggendole nel pensiero «Ma non era
una donna qualsiasi, mamma. Era Sabor!»
Lei tremò «Sa… bor?»
Kristoff annuì «E’ per questo che
abbiamo voluto anche lei qui…»
«Io pensavo che mi aveste chiamato perché John
fosse nei guai o…» non riuscì ad
andare avanti, in balia di troppe sensazioni.
«Signora, suo figlio è abbastanza grande per
prendersi le sue responsabilità
davanti alla legge, ma non è questo il caso» almeno
per il momento, questo
però Jack lo pensò soltanto «Vi
pregherei di trattare quello che sto per dirvi
come informazioni estremamente confidenziali, nel caso le divulgaste
allora sì
che sareste nei guai e penalmente perseguibili. Abbiamo un
accordo?»
Entrambi annuirono.
«Innanzitutto mi scuso» esordì stupendo
entrambi «Mi scuso se, come servitori
della legge, abbiamo fallito e non siamo mai riusciti ad incastrare
quella
criminale, se non per sciocchi reati minori, lasciandola di fatto a
piede
libero»
«E’ anche per questo che siamo qui oggi»
prese parola Kristoff «Costringendovi
a riaprire vecchie ferite. Suo figlio ha trovato un biglietto fra le
mani del
cadavere e questo significa una cosa soltanto: era un regalo per
voi»
«Per noi?» ripeté la donna incredula.
Jackson puntò gli occhi dritti nei suoi «Signora,
che giorno è oggi?»
«E’ marted…» si
bloccò, folgorata dalla comprensione «E’
lo stesso giorno in
cui incontrai John» girò lo sguardo lucido verso
il figlio «Quando i suoi
genitori furono uccisi»
I detective trovarono la conferma che stavano cercando
«Abbiamo tutti i motivi
di pensare» continuò Kristoff «Che
qualcuno abbia voluto vendicarli» fece una
breve pausa, a disagio «Così come suo
figlio»
Kala Chidubem sgranò gli occhi e, questa volta, le lacrime
non trovarono più
freni. La lasciarono sfogare il necessario fra le braccia di John ma
erano
entrambi ben consapevoli di non poter concludere così la
loro chiacchierata.
«Sono davvero dispiaciuto di dovervi chiedere di scavare nel
vostro dolore»
continuò «Ma vorremmo conoscere al meglio la
vostra storia, ogni dettaglio può
essere importante»
«Per fare cosa?» chiese, tirando su col naso
«Punire chi ha ucciso
un’assassina?»
John la guardò allarmato ma Jackson, inaspettatamente,
abbassò lo sguardo e
sospirò «Io la capisco ma comprenderà
che questo giustiziere, se di ciò si
tratta, non può rimanere impunito. Chi garantisce che
sceglierà chi colpire
solo sulla base di fattori razionali? Chi stabilirà questi
fattori? Chi ci dice
che colpirà solo veri colpevoli?»
«In che senso?»
Kristoff strinse i denti «Ha già colpito e non
possiamo essere sicuri che non
lo farà ancora»
«Un serial killer?»
«Esiste questa possibilità»
Li guardarono a fondo per non perdersi neanche una minima reazione.
«Buon Dio…» sussurrò Kala
«D’accordo, vi dirò quello che volete
sapere, John
era troppo piccolo per ricordare» disse, stringendo
maggiormente le mani del
figlio «Il quartiere dove abitavamo era molto ampio e
ospitava moltissime
famiglie, compresa la nostra e quella dei signori Greystoke. Mio marito
era il
pastore della nostra comunità, un uomo severo ma giusto e me
ne innamorai
perdutamente. Pochi anni dopo il nostro matrimonio, fummo benedetti
dall’arrivo
di un figlio. In quello stesso periodo, però, Sabor
– appena adolescente –
cominciò a terrorizzare il quartiere con la banda di cui
faceva parte
all’epoca. Banda che tradì per fondare i Leopard e
questo provocò non pochi
scontri per le nostre strade, una di queste sparatorie avvenne in un
parco
giochi» prese fiato «Io rimasi gravemente ferita ma
i medici riuscirono a
salvarmi… per mio figlio… invece… non
ci fu niente da fare: aveva solo due
anni»
Un singhiozzo sordo le sfuggì dalla bocca e Kristoff commise
l’errore di
lasciare vagare i suoi pensieri verso Freja: il suo cuore
s’incrinò,
bloccandogli il respiro.
«Prenda un bicchiere d’acqua» Jackson lo
anticipò. Aiutandolo a ricomporsi e
permettendo alla donna di riprendere fiato.
Lei ringraziò e si soffiò rumorosamente il naso
su di un fazzoletto pulito, riuscì
appena a dare qualche sorso, il nodo che aveva chiuso in gola era
troppo duro
da sciogliere.
«Come si sono incrociate le vostre strade?»
«Avvenne tre anni dopo» raccontò
«I Leopard erano, ormai, una banda assodata e
avevano cominciato a divertirsi rapinando case private, senza curarsi
se
fossero vuote o meno. Sabor era, ovviamente, la più spietata
e fu proprio lei
ad irrompere nella casa dei Greystoke. La vidi scappare con questi
occhi ma era
notte e io una povera madre sconvolta»
ripeté le parole della difesa con
disprezzo «La mia testimonianza non fu ritenuta
valida» scosse appena il capo
«Senza contare che, secondo la legge, quella notte feci una
cosa sconsiderata
entrando in quella casa. Quando sentii quel pianto disperato,
però, fu il mio
istinto a guidarmi, era come se il mio stesso cuore mi stesse
parlando,
capite? Io dovevo ascoltarlo» rivolse un
sorriso colmo di commozione
verso suo figlio «Era sopravvissuto alla furia di Sabor solo
perché stava già
dormendo al piano di sopra. Aveva appena due anni, un segno del
destino. Anche
all’arrivo dei soccorsi, polizia e assistenti sociali non
voleva più staccarsi
da me»
«Come avete potuto adottarlo?» Jackson si accorse
di essersi espresso male e
rimediò subito «Nel senso, è un
processo complesso, a maggior ragione in questo
caso»
«Ammetto, con un po’ di vergogna, che approfittai
dell’influenza di mio marito.
Come pastore già conosceva molte autorità dei
servizi sociali. In più eravamo
una famiglia benestante e rispettata»
«Mi era parso di capire che suo marito non fosse
favorevole»
«Non lo era, infatti, ma mi amava e voleva vedermi felice.
Quando il nostro
analista appoggiò il mio desiderio, si convinse e procedemmo
a finalizzare
l’affidamento che, poi, trasformammo in adozione»
«Analista ha detto?» gli occhi di Jackson
scintillarono «E' ancora in servizio?»
«No, non era più giovanissimo. Quando si
è ritirato, diversi anni più tardi, ci ha
consigliato di rivolgerci a Kozmotis Pitchiner e così
abbiamo fatto… è importante?»
Lui ignorò la domanda, ricevendo in cambio
un’occhiata incuriosita di Kristoff
«Anche lei John è stato suo paziente?»
Il giovane annuì «Sì, lo sono
tuttora»
«Signora Chidubem?»
«La mia terapia è finita tempo fa, faccio solo
delle visite periodiche dopo che
è venuto a mancare mio marito»
«E’ una cosa recente?»
«E’ morto l’anno scorso»
spiegò il ragazzo «E’ stato un duro
colpo la sua
perdita per me, per noi:
dopo anni difficili, avevamo finalmente costruito un solido
rapporto ma, purtroppo, il destino non è stato clemente con
noi e ce l’ha
portato via»
«Come mai i vostri rapporti erano così
tesi?» volle sapere Kristoff, curioso.
«Beh, ero così diverso…
inoltre, credo che in cuor suo non volesse
sostituirmi al ricordo di suo figlio» fece un mezzo sorriso
«Ma più lui mi allontanava,
più io cercavo un modo per stupirlo, spesso non
positivamente, temo»
Kala sorrise a sua volta, piena di affetto per quei ricordi
«Oh sì, eri una
macchina attira guai a quel tempo»
«Ero un bambino che non sapeva niente del mondo ma che voleva
ardentemente
scoprire cosa ci fosse al di fuori, con un
po’ di difficoltà nel
scegliere il modo migliore per farlo»
«Come la maggior parte di loro»
ridacchiò Kristoff, tornando ancora una volta
con la mente alla sua di figlia.
«Conoscete un certo Robert Locksley?» chiese
Jackson improvvisamente.
John Greystoke corrucciò il viso in un’espressione
pensierosa, inclinando appena
la testa «Non mi pare»
Anche Kala scosse il capo «No, dovremmo?»
Il detective alzò le spalle con apparente noncuranza
«Pura curiosità, niente di
più» si sistemò meglio sulla sedia
«Siete stati avvicinati da qualcuno in
questo periodo? Magari interessato alla vostra storia, qualche amico o
conoscente vi ha dato strane impressioni?»
«Nessuno è venuto a chiederci del nostro passato,
a parte voi» spiegò la donna
«Ovviamente ricevemmo moltissimo supporto all’epoca
ma, ora, detective, la
morte di un figlio non è un argomento che un amico tirerebbe
fuori così alla leggera.
Nessuno fece niente allora, perché vendicarci
adesso?»
Già,
perché?
Annuì, comprensivo «Ora devo farvi
un’ultima domanda» sospirò «Vi
prego di
non prenderla sul personale ma come semplice prassi: come avete passata
la
vostra giornata ieri?»
Kala sbuffò appena dal naso «Meno male che non era
un interrogatorio, eh?»
chiese, lanciando un’occhiata ironica a Kristoff.
L’uomo arrossì «E’ solo per
essere certi di allontanare da voi ogni dubbio,
tutto ciò che ci siamo detti qui non ha nessuna valenza
legale»
«Sono stato allo zoo tutto il giorno. Abbiamo una gorilla a
termine della
gravidanza e va venuta sotto controllo» spiegò
John per dimostrare la sua buona
fede «Il turno di Clayton è stato più
lungo del previsto, mi ha riaccompagnato a casa a mezzanotte. Ci siamo
ritrovati, poi, al mattino»
La donna fece altrettanto «Ho passato la giornata come al
solito: qualche
faccenda domestica, qualche compera. Sapendo che John sarebbe rientrato
tardi,
ho invitato a cena alcune amiche. Sono andate via verso le undici e,
poi, sono
andata a dormire»
«Vi ringraziamo per la collaborazione» disse
sincero Kristoff, alzandosi
assieme al collega: il colloquio era finito «Vi saremmo grati
se vorrete
continuare a garantirci la vostra collaborazione in caso di
bisogno»
John Greystoke gli tese la mano «Certamente»
§
Jackson
si passò una mano sugli occhi stanchi e allungò
le
gambe sotto alla scrivania. Kristoff aveva lasciato la stazione di
polizia da
poco per via di un impegno scolastico di Freja: Anna aveva un incontro
importante alla galleria, decisivo per portare fra le sue mura
– per la prima
volta in assoluto – un artista di altissimo
livello, un’opportunità più che
succosa da non lasciarsi scappare. Lui era stato ben lieto di
lasciargli
il
pomeriggio libero, d’altra parte, un altro giorno se
n’era andato e, ancora una
volta, avevano davvero poco su cui basarsi: continuavano a brancolare
nel buio e la luce in fondo al tunnel continuava a sembrare quanto mai
lontana. L’autopsia sul corpo di Sabor aveva
rilevato le solite tracce rinvenute su quello di John Lionheart, con
l’aggiunta di due
particolari in più: sull’addome della donna era
presente una grossa cicatrice
frastagliata che risultava, però, di vecchia data e,
probabilmente, non aveva niente a che fare con il caso ma la sua
trachea aveva diverse escoriazioni, come se le
avessero inserito qualcosa all’interno con forza. Elsa,
ovviamente, aveva una
sua teoria ma non si era sbilanciata, rimanendo in attesa del
tossicologico
che, con molta probabilità, era già arrivato
quella mattina. Controllò di
riflesso le mail per verificarne la presenza ma, rimasto con un palmo
di naso,
decise di assecondare il suo stomaco brontolante e di dare inizio alla
sua
pausa pranzo. Si alzò, più che mai intenzionato
ad andare a mettere qualcosa sotto ai denti ma,
ancor prima di riuscire a posare la mano sulla maniglia,
avvertì due lievi colpi
sulla porta che si aprì subito dopo.
Le sue labbra si tirarono in un sorriso furbo «Se non ti
conoscessi, direi che
ci stai prendendo gusto nel venirmi a trovare»
Elsa lo guardò con espressione impassibile «Ma mi
conosci, per cui… sei solo?»
Jack annuì «Sì, Kristoff è
andato…»
«Al colloquio con gli insegnanti, giusto»
si ricordò. Tirò, poi, fuori dei fogli dalla sua
borsa
e glieli porse «Sono passata per consegnare alcuni documenti
e ho pensato di
aggiornarvi direttamente sul risultato del tossicologico»
«Qualcosa di diverso?» chiese lui, scorrendoli
rapidamente.
«Tutto come John Lionheart, ad eccezione di una cosa
soltanto: sono state
trovate tracce di cloroformio. Come immaginavo l’hanno sedata
e, poi, le hanno
fatto ingerire la fenilciclidina liquida con la forza, attraverso
l’inserimento
di una cannula»
«Comprensibile, Sabor non aveva l’aria di essere
una tipa granché
collaborativa»
«In effetti no» concesse con un mezzo sorriso.
«Il cloroformio non è ormai inutilizzato da
anni?»
«In medicina, sì» confermò
lei «E’ estremamente tossico ma è ancora
di facile
reperibilità, immagino che al nostro misterioso assassino
non interessi molto
l’incolumità delle sue vittime, vista la fine che
fanno. Voi avete
novità?» chiese, poi «Qualcosa di
interessante dal colloquio di ieri con Greystoke e sua madre?»
Lui scosse il capo «Solo un’altra triste storia...
eppure c’è un quesito che mi ronza
nella mente»
«Quale?»
«John Lionheart era un individuo spregevole ed è
chiaro che sia stato ucciso
per vendicare Marian Fitzwater ma Sabor, nella sua carriera di
criminale, ha
fatto numerose vittime: perché vendicare proprio i genitori
di John e il figlio
della signora Chidubem? Che cosa accomuna questi casi?»
Elsa inarcò un sopracciglio «La tua faccia mi dice
che lo sai già»
Jackson ghignò «A detta di John e sua madre, non
conoscono Robert Locksley ma
ciò non toglie che abbiano una cosa in comune con lui: sono
tutti pazienti
del dottor Kozmotis Pitchiner» le svelò
«Ma, considerando il segreto
professionale, temo serva l’autorizzazione per riuscire ad
avere con lui una
conversazione soddisfacente. Con queste prove circostanziali,
però, non so se
qualche giudice si esporrebbe così tanto»
Elsa s’illuminò «Posso provare a
chiedere al giudice Weselton, è sempre stato
un caro amico di famiglia: lavorava con mia madre e conosceva mio padre
molto
bene, forse ci aiuterà» girò il polso,
controllando velocemente l’orologio «Se
mi sbrigo, dovrei riuscire ad incrociarlo prima che vada a
pranzo»
«Posso venire con te?» chiese l’altro di
getto, senza quasi pensarci «Poi
possiamo mangiare qualcosa insieme. Non vuole essere un appuntamento
romantico»
precisò subito, nel vedere l’occhiata torva che gli aveva appena rifilato
«Non ti tormenterò e parleremo solo di lavoro,
prometto»
Elsa non aveva un minuto da perdere in futili discussioni
«D’accordo» concesse,
quindi «Ma guido io»
§
«Mi
dispiace, Elsa» le disse il giudice Weselton, sistemandosi
gli occhiali che gli erano scivolati verso la punta del naso
«Purtroppo non
posso fare quello che mi chiedi: il segreto professionale non si
può violare
con le poche cose che hanno in mano i tuoi detective. Entrambi i
sospetti hanno un alibi per i rispettivi delitti, sono persone
incensurate e
rispettabili, non possiamo muoverci in tal senso»
«D’accordo, la ringrazio comunque» gli
rispose lei, senza riuscire a nascondere
una piccola punta di delusione nella voce.
Lui le diede un leggero buffetto su una mano «Spero non ce
l’avrai con me per
questo»
«Si figuri» si affrettò a rimediare
«Capisco perfettamente»
Il giudice si alzò «Coraggio, accompagnami
fuori» la invitò, sistemandosi i
baffi bianchi con le dita, prima di mettersi il cappotto
«E’ proprio giunto il
momento di mettere qualcosa sotto ai denti, non credi?»
Elsa annuì e lo seguì fuori dal suo ufficio.
«Come stanno tua
nipote e tua sorella?»
«Molto bene, grazie»
«E’ sposata con un dei due detective che
lavora sul caso, se non sbaglio. Un brav’uomo?»
«Decisamente sì» rispose lei
sincera «Sono una bellissima famiglia»
«Mi fa piacere» rispose bonario «E
tu?»
Elsa rallentò un pochino il passo «Io,
cosa?»
Il giudice Weselton ridacchiò «Il saper nascondere
l’imbarazzo non è mai stata
una dote delle donne di famiglia, eh? Non vorrai mica finire come
me?» la luce
al di fuori del tribunale li investì in pieno viso
«Mangiamo qualcosa assieme?» la
invitò.
Lei fece scivolare impercettibilmente lo sguardo sul fondo delle scale
di
pietra, dove Jack la stava aspettando «Veramente avrei
già un impegno»
«Uh, capisco…» disse lui con fare
furbetto «Non credo che questo povero galletto
possa competere con un bel giovanotto come quello. Mi ha fatto davvero
piacere
vederti, Elsa, anche se non è stata propriamente una visita
disinteressata»
concluse, indossando il cappello e facendole un piccolo occhiolino.
«Mi perdoni» gli rispose, arrossendo un poco
«Prometto che tornerò a trovarla
senza secondi fini»
«Ci conto»
§
Ancor prima che
lei aprisse bocca, Jackson le aveva già
letto in faccia il suo fallimento. Non ne fu particolarmente stupito,
era
consapevole che fosse una mossa azzardata, non c’era motivo
di essere delusi
per questo.
«Mi dispiace di non essere stata d’aiuto»
si scusò, muovendo distratta la
forchetta sul suo piatto, improvvisamente priva di appetito.
«Non preoccuparti» cercò di rassicurarla
«Lo sapevamo di avere poche
possibilità di successo. Grazie per aver provato ad
aiutarmi» le disse,
riconoscente.
Elsa inarcò le sopracciglia «Non ho cercato di
aiutare te, ma il caso»
gli rispose, rigida.
Lui sbuffò «Va bene: grazie per aver cercato di
aiutare il caso allora»
bevve un sorso «Finché non troveremo una piccola
falla negli alibi non potremmo
muoverci in questo senso. A meno che…»
«A meno che, cosa?» chiese curiosa.
«Robert ha un alibi per l’omicidio di Lionheart e
John ne ha uno per quello di
Sabor ma chi ci garantisce il contrario?»
«Stai suggerendo che si siano scambiati gli
omicidi?»
«E’ possibile, no? S’incontrano in una
sala d’attesa, giorno dopo giorno, ci
scappa un saluto, si conoscono, si raccontano le loro tristi storie e
mettono
in atto il loro piano»
«Allora perché i biglietti? Perché un
modo di uccidere così complesso?»
«Per sviare i sospetti su un possibile serial killer di
criminali? Per farli
morire facendogli provare anche solo una minima parte della loro
angoscia?»
Elsa ci pensò su «Ti ho visto mentre parlavi con
Robert, non mi sembra proprio
il tipo»
«Nemmeno John, se è per questo» concesse
Jackson con una piccola smorfia «Ma le
persone sono piene di sorprese e questa potrebbe essere la giusta leva
per
ottenere un’autorizzazione ufficiale»
«Vuoi davvero prenderti il rischio di accusare due persone
che hanno già
sofferto così tanto? Solo sulla base di un terapista in
comune?»
Lui inspirò a fondo, indeciso «Sai che ti
dico?» espirò «Ci andrò lo
stesso a
parlare con questo dottor Pitchiner: in via del tutto informale,
s’intende.
Voglio cominciare a capire di che tipo si tratta. D’altra
parte – oltre ai
biglietti – è l’unico legame che
abbiamo»
Elsa si tamponò le labbra con un tovagliolo e bevve un sorso
d’acqua «Hai
ragione»
Jack sgranò gli occhi «Scusa, puoi
ripeterlo?» le disse, estraendo il
cellulare dalla tasca «Voglio registrarlo,
così lo metto come suoneria»[2]
Lei roteò gli occhi al cielo e si alzò
«Andiamo»
«In che senso andiamo? Andrò da solo»
«Prego?» inarcò un sopracciglio, piccata
«Prima mi stressi per venire con me e
poi mi pianti in asso? Non credo proprio» disse risoluta
«Senza contare che la
mia presenza renderà la tua visita ancor meno
ufficiale»
Jackson sbuffò appena «Agli ordini, capo»
§
Lo studio del
dottor Kozmotis Pitchiner era avvolto dalla
penombra. La sua posizione, sul retro di un edificio imponente,
probabilmente
gli impediva di prendere il sole anche nell’ora di punta
della stagione più
bella e, a quanto pareva, il suo proprietario non faceva
granché per
migliorarne la luminosità, preferendo piccole luci dai toni,
sì, caldi ma di
bassa intensità.
La sala d’attesa era deserta tuttavia, dai brevi movimenti
che si potevano
intravedere dal vetro satinato, c’era qualcuno al di
là della porta.
Né Jack, né Elsa si sedettero sulle poltrone a
loro disposizione, decidendo di
rimanere in paziente attesa che qualcuno si palesasse. Il che avvenne
pochi
minuti dopo: un’ombra scura si disegnò sulla porta
a vetri e la maniglia girò.
Kozmotis Pitchiner era un uomo sui cinquant’anni, alto e
magro, vestito
completamente di grigio scuro, ad eccezione della camicia che portava
sotto il
pullover, di una tonalità più chiara.
Portava i capelli neri corti e ben pettinati all’indietro: i
suoi occhi, di un
castano così chiaro e luminoso da avvicinarsi al color
dell’oro, si sgranarono
appena nel trovare quegli ospiti inaspettati ad attenderlo
«Mi dispiace, non
accetto appuntamenti questo pomeriggio» disse, in modo
gentile ma distaccato.
Li guardò attentamente «Temo, inoltre, vi abbiano
male indicato, qui non si fa
terapia di coppia» li vide trasalire come due adolescenti e
un piccolo ghigno
divertito spuntò sulle sue labbra.
«Non siamo qui per questo, dottor Pitchiner» si
affrettò a mettere le cose in
chiaro Jack «Detective Overland, della squadra
omicidi» si presentò.
«Dottoressa Bleket, medico legale»
Lui inarcò appena le sopracciglia scure «Questo
è insolito, come posso
aiutarvi?»
«Vorremmo farle qualche domanda su due dei vostri pazienti:
Robert Locksley e
John Greystoke»
L’espressione dell’altro
s’indurì «Detective, credo proprio che
lei sappia già
che non potrò rompere il segreto professionale, a meno di
autorizzazione
ufficiale di un giudice e qualcosa mi dice che voi non
l’abbiate»
«Non saranno domande che metteranno a rischio la sua
posizione» lo rassicurò
Elsa, anticipando Jack per un soffio «Vorremmo solo capire
alcune cose»
Kozmotis Pitchiner li guardò in silenzio per qualche
secondo, poi, si fece da
parte «Accomodatevi: potrebbe essere un risvolto interessante
per questo
altrimenti noioso pomeriggio»
Elsa si guardò attorno, prima di prendere posto su una delle
sedie davanti alla
scrivania «Come mai niente appuntamenti, oggi?»
chiese distratta, l’attenzione
completamente rapita da un libro poggiato sulla superficie laccata: Il
peso
della perdita.
L’altro registrò immediatamente la cosa con il suo
occhio attento «Oggi
pomeriggio è dedicato alle finanze»
sospirò annoiato «Si può dire che il
mio
lavoro si possa riassumere con morte e tasse»[3]
sghignazzò appena «Che, a
ben pensarci, è la stessa cosa che si può dire
del vostro»
«Non ha un commercialista? Una segretaria?»
buttò lì Jackson, prendendo posto
accanto alla collega.
«Essere un esperto di un determinato argomento non fa
necessariamente di me un
uomo ricco: sono un tipo molto organizzato, finché posso
cerco di farne a meno.
Ma veniamo a noi…» li incalzò.
«Immagino avrà letto la grande notizia sui
giornali di oggi» gli spiegò
Jackson. Lo vide annuire «Stessa cosa per John
Lionheart»
«Due personalità come quelle uccise da
un’overdose è decisamente una cosa che
fa notizia. Si potrebbe fin dire che, talvolta, il karma
funzioni»
«In entrambi i casi, pensiamo, che il karma
sia stato un pochino
aiutato»
Il dottore inarcò le sopracciglia «Pensate siano
stati uccisi?» lo vide annuire
«Come?»
«Purtroppo queste informazioni sono, al momento, riservate.
Credo possa
comprenderne il perché» bloccò subito
la sua
curiosità sul nascere «Ho motivo
di credere che Robert l’abbia già informata del
ritrovamento del signor
Lionheart, quello che forse non sa è che il corpo di Sabor
è stato trovato
proprio da John Greystoke: sappiamo cosa li lega alle vittime»
«Vittime?» Kozmotis Pitchiner
piegò le labbra in una smorfia «Che
curiosa scelta di termini, detective. I miei
pazienti sono le vittime
qui, non i suoi cadaveri»
Jackson accusò il colpo «Non se hanno deciso di
farsi giustizia da soli»
sentenziò gelido «Ha motivo di credere che si
conoscano?»
«Può darsi che si siano incrociati in sala
d’attesa, se è questo che mi sta
chiedendo ma se si frequentino al di fuori non posso saperlo e, se lo
sapessi,
temo non potrei dirglielo» gli fece presente sullo stesso
tono.
«Li crede capaci di uccidere, dottor Pitchiner?»
chiese Elsa senza mezzi
termini, frapponendosi fra i due.
Kozmotis portò la sua attenzione su di lei
«Chiunque può uccidere, dottoressa:
basta solo la motivazione e il momento giusto»
sospirò «Ma John e Robert sono
due brave persone, non sarebbero in grado di mettere in atto una
vendetta di
questo calibro. Reagire con violenza di fronte ad un trauma
è una cosa molto
comune; uccidere dopo tutti questi anni denota una certa freddezza
che,
francamente, nessuno di loro due ha»
Jackson lo guardò dritto negli occhi
«Perché ho come l’idea che, se anche
l’avessero, non ce lo direbbe mai?»
«Perché, invece, mi sembra che lei stia prendendo
un po’ troppo a cuore il
destino di questi due criminali? Non è sollevato, detective?
Persone che, per
via di una giustizia fallace, hanno reso vano il suo lavoro e quello
della dottoressa Bleket – e di molti altri come voi
– hanno avuto ciò che si
meritavano, dovreste esserne contenti»
«Dottor Pitchiner, lei parla come un colpevole, lo
sa?» lo sfidò Jackson.
«Mi permetta di correggerla: io parlo come una persona che
non si dispiace
della morte di due assassini»
Jack si alzò «Credo che la nostra conversazione
possa ritenersi conclusa. La
ringrazio del suo tempo, dottore» disse,
incapace di dissimulare un
certo fastidio «Andiamo, Elsa» esortò
l’altra, avviandosi verso la porta senza
aspettarla.
«Dottoressa Bleket, un attimo» la bloccò
Pitchiner prima che potesse
raggiungerlo «Non ho potuto fare a meno di vederla
interessata al mio libro: ha
perso qualcuno?»
«I miei genitori» rispose d’istinto
«In un incidente d’auto»
«Lo prenda» le disse, facendolo scivolare ancor
più verso di lei con la sua
mano pallida e affusolata «Se avesse bisogno di una
consulenza, sa dove
trovarmi»
Squillino
le trombe: Kozmotis Pitchiner ha fatto il suo trionfale ingresso in
scena, che ne pensate?
Ovviamente il suo personaggio si rifà al Dr Trent Marsh: la
sua story-line sarà molto simile, non cercatela se non
volete rovinarvi la sorpresa.
Come Elsa, anche Megan (la protagonista di Body of Proof) si porta
dietro un lutto sin da quando era bambina: la perdita del padre, morto
suicida.
Megan ha un carattere ben peggiore di quello di Elsa ma non
si può negare che abbiano ben più di un tratto in
comune. Come nella serie, il Dr Marsh è l'anello di
collegamento fra due casi di omicidio e l'ipotesi dello scambio di
delitto è anch'essa presente ma come proseguirà
la
faccenda è ancora un bel punto interrogativo. Potrei non
seguire proprio
tutto ciò che accade nella serie tv, d'altra parte senza
variazioni non c'è tanto gusto.
L'arrivo di Kala ci ha mostrato un'altra tristissima storia che,
ovviamente, si rifa al canon ma sappiate che l'angoscia di Kristoff
è stata anche la mia.
Abbiamo avuto anche l'apparizione di un nuovo personaggio: Weselton
che, nei panni di un giudice amico di famiglia, apre nuovi sentieri
tutti da esplorare. Si comincia, inoltre, ad intuire il mestiere di
Anna ma mi riservo il prossimo capitolo per fornire ulteriori dettagli.
Le cose fra Elsa e Jack pare si stiano distendendo un pochino... o no?
Vorrei, infine, spendere due parole sull'ambientazione di questa
storia: sebbene - come detto più volte - si basi sulla terza
serie di Body of Proof, essa non si svolge a Philadelphia,
né in America. Come avrete notato non ci sono particolari
riferimenti a luoghi, pensate a questo come un mondo alternativo che si
rifà ai modi e costumi moderni ma non ne ricalca per forza
di cose tutte le sfumature. Visto soprattutto l’ambito di
questa fic, incappare in incongruenze giudiziarie, a seconda del paese
di locazione, diverrebbe un fosso che non sono sicura di avere le fonti
e tantomeno le energie necessarie a superarlo. Perciò, per
quanto cercherò di essere il più realistica
possibile, non seguirò delle vere e proprie regole.
Perdonatemi se mi prenderò qualche libertà.
Ora taccio che ho rubato anche troppo del vostro tempo. Come sempre,
grazie per aver letto anche questo nuovo capitolo.
Un ringraziamento speciale va a chi mi supporta con le sue impressioni
e listando la storia nelle Preferite
- Seguite - Ricordate.
Alla prossima
Cida |
[1] Chidubem significa "Guidato da Dio",
in Igbo: lingua diffusa soprattutto in Nigeria che è anche
uno degli stati dove vivono i gorilla. Mi sembrava un buon cognome per
Kerchak, acquisito poi da Kala, soprattutto dopo aver trasformato il
suo ruolo di capobranco in quello di pastore di una comunità
religiosa.
[2]
Questo scambio di battute arriva direttamente dalle bocche di Megan e
Tommy, ditemi se non sono Jelsosi? *-*
[3]
Questa battuta, invece, viene dal film Vi presento Joe Black.
|
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Capitolo 5 *** Cap. 4 - Encounters ***
Capitolo 4
Jane non poté fare
a meno di sorridere quando il suo tratto
andò a disegnare la morbida rotondità del ventre
dell’animale di fronte a lei.
Il vetro che le separava non costituiva un ostacolo, anzi, le dava la
giusta
visuale sull’altra senza rischiare di disturbarla o, ancor
peggio, di mettersi
in pericolo. Le temperature continuavano ad essere rigide ma la
giornata era
soleggiata e stare all’aria aperta era gradevole. Lo zoo era
tornato alla sua
vita di sempre, anzi, sembrava aver attirato ancor più
visitatori, curiosi di
vedere dove
era stato ritrovato il cadavere. Lì, dalla
panchina su cui
si trovava, ne aveva già visti a decine:
quell’attrazione quasi morbosa per il
macabro di alcune persone non l’avrebbe capita mai,
nonostante il suo lavoro,
anzi, soprattutto per il suo lavoro.
«Ti ho già vista da qualche parte o mi
sbaglio?»
Quel richiamo inaspettato la fece sobbalzare, tirò una riga
con la matita sul
foglio e imprecò impercettibilmente fra i denti.
«Scusami…» si affrettò a dire
il ragazzo appena arrivato «So che sembra una
battuta di approccio scadente ma…»
«John?» trasecolò lei, drizzando di
colpo il capo.
Lui sorrise «Allora non era solo
un’impressione» le disse divertito «Ora
ricordo, eri qui quella mattina»
«Sì» rispose mestamente «Sono
Jane Porter, l’assistente del medico legale che
si occupa del caso» si presentò, tendendo la mano.
John la strinse timidamente,
quasi che fosse preoccupato di poter stringere troppo quelle dita
d’artista
affusolate, con la sua mano grande e ruvida «Come procedono
le indagini?» buttò
lì, cercando di fare conversazione.
Jane fece una risata nervosa «Temo di non poter rispondere a
questa domanda, mi
spiace»
«Hai ragione, non ci pensavo: perdonami» si
scusò, sinceramente pentito «Sei
molto brava» si complimentò ammirato, cambiando
discorso.
«Grazie» si schermì lei, arrossendo un
poco «E’ solo un hobby»
«E’ un peccato, se lo facessi vedere a Terk, sono
sicuro lo apprezzerebbe
molto»
«Terk?»
«La tua modella» le spiegò con un
sorriso.
«Oh,
capisco…»
«E’ una femmina molto giovane: curiosa, talvolta
irruenta ma anche estremamente
intelligente, sono certo sarà un’ottima
madre»
Jane non poté fare a meno di sorridere a sua volta
«Ne parli con grande affetto»
Lui annuì «Ne ho seguito personalmente
l’inserimento per la tesi di laurea e,
vista la possibilità offertami dallo zoo, ho deciso di
continuare il mio
percorso con lei» alzò appena le spalle, un poco a
disagio «La considero come
una grande amica»
Il suo timore di sembrare strano ai suoi occhi non si tramutò
in realtà, anzi,
sul volto della ragazza si dipinse un’espressione dolce
«E’ davvero un bel
pensiero» riportò l’attenzione
sull’animale e si avvicinò al vetro
«Certo che è
un peccato, però, vederli chiusi qui, intendo»
L’altro rimase in silenzio, tanto che Jane si girò
verso di lui e, guardando la
sua espressione stupita, arrossì violentemente
«Io… ecco… non volevo dire che
questo posto maltratta gli animali o che lavori per degli
sfruttatori» spiegò a
disagio «Dico che sarebbe meglio se vivessero nel loro
habitat naturale, no?»
scoppiò a ridere nervosamente «Come se non avessi
appena comprato e pagato un
biglietto di questo zoo: un vero esempio di coerenza, non
credi?»
John dovette trattenersi per non ridere di fronte a quello sproloquio
«Se ti
può essere di conforto, gli animali, che sono ospiti qui,
sono stati tutti
recuperati da chi li sfruttava indegnamente o da chi ne era venuto in
possesso
in maniere poco lecite. Qui sono trattati molto bene e hanno buoni
spazi per la
loro mobilità ma hai ragione» la guardò
dritta negli occhi «Per quanto possano
essere accuditi, vederli liberi nelle foreste sarebbe tutta
un’altra cosa»
appoggiò una mano al vetro «Un sogno,
però, destinato a rimanere tale» disse
con dolore «Questi gorilla non riuscirebbero a tornare alla
vita selvaggia:
avrebbero difficoltà a trovare il cibo, diverrebbero facile
prede nonostante la
loro forza e mole. E non parlo di animali feroci soltanto… o
meglio, non solo
di bestie a quattro zampe» sorrise amaro «Il
bracconaggio è una piaga tremenda
che li riporterebbe a vivere fra atroci sofferenze o ad essere issati
in
qualche lussuoso salotto come trofei»
Jane in quelle parole avvertì tutto il suo dolore
«A volte ci basiamo troppo sul
concetto ideale che abbiamo del mondo, ma la vita vera è
tutto tranne che
perfetta, no?» lui questo lo sapeva maledettamente bene,
sospirò e gli sorrise
«Basta solo non smettere di sperare e lottare per renderla
migliore»
La bocca di John, davanti a quel sorriso, si aprì un poco;
scosse appena la
testa e sbatté un paio di volte le palpebre, per riuscire a
riprendere un
minimo di lucidità. Si schiarì la voce con un
leggero colpo di tosse, nascosto
da una mano chiusa a pugno a pochi centimetri dalle labbra
«Pensi che ti possa
offrire un caffè?»
Jane strinse l’album da disegno al petto e arrossì
«Perché no?»
§
«La seduta
è tolta»
Elsa si alzò dalla panca su cui era seduta e si
avviò verso l’uscita dell’aula
di tribunale in cui era stata invitata a prestare testimonianza, per
uno dei
casi che stava seguendo come medico legale.
«E’ sempre un piacere collaborare con lei,
dottoressa Bleket»
Una voce profonda la intercettò poco prima che potesse
imboccare la porta
d’uscita «La ringrazio, procuratore
Frollo» gli rispose, senza perdersi in
falsi convenevoli: non aveva mai reputato la cosa reciproca
«Faccio soltanto il
mio lavoro»
«E lo svolge egregiamente. Se tutti prendessero il lavoro
seriamente come lei, e
me, ci
sarebbero molti meno criminali in circolazione» le fece segno
di
proseguire.
«Non sono infallibile, purtroppo»
«Non si rammarichi» la consolò
inaspettatamente, seguendola «Di infallibile
c’è
solo Dio, noi non siamo che meri strumenti nelle Sue mani»
Elsa inarcò le sopracciglia «Se un Dio esiste, non
credo davvero operi
attraverso di me»
Lui arricciò le labbra «La sua mancanza di fede mi
stupisce, dottoressa Bleket»
sospirò «Ma che lei creda o meno, non cambia il
Suo disegno»
«E il prezioso libero arbitrio?»
Il procuratore Frollo sorrise «Vede che allora è
più coinvolta di quanto vuole
farmi credere?» si fermò, consapevole che le loro
strade stessero per dividersi
«Ma la tolleranza per chi abusa di questo dono non
è destinata a durare per
sempre»
Lei fece altrettanto «Immagino lo scopriremo solo quando
moriremo, giusto?»
«Giusto» confermò l’altro
«E’ bene, però, che ci siano mestieri
come il nostro
a ricordarlo: vivere al di fuori della legge non può essere
tollerato»
§
Kristoff
si calò maggiormente il cappello sugli occhi, la
frangia di capelli biondi schiacciata a solleticargli le ciglia. Una
sciarpa
malandata gli copriva gran parte del mento e sulle guance spuntava una
barbetta
incolta, testimone di diversi giorni di rasatura saltata. Si strinse
maggiormente nel pesante giaccone: vestito in quel modo, sembrava
più un
montanaro senza tetto che non un detective della squadra omicidi.
Lanciò
un’occhiata all’apparenza distratta in
più direzioni, per essere sicuro di non
essere osservato da occhi indiscreti: attirare l’attenzione
era davvero
l’ultima delle sue intenzioni. Imboccò un sudicio
vicolo fra due edifici
fatiscenti. Dietro ad una cassa, c’era una figura ad
attenderlo: era un giovane
di bell’aspetto, dai folti capelli castani, un curioso
pizzetto a coprirgli il
mento e furbi occhi scuri.
«Rider» sibilò quando gli fu abbastanza
vicino «Non avevi altri posti in cui
incontrami?»
«Mi dispiace se questo posto non è di suo
gradimento» lo canzonò l’altro con un
sorriso smagliante «Ma lo sa, non è facile per me
prenotare in posti d’alta
classe e, come dire, farmi trovare in sua compagnia sarebbe quanto mai
rischioso»
Kristoff si infilò una mano nella tasca della giacca e ne
recuperò il
contenuto, tenendolo stretto nel pugno chiuso «E’
una transazione quella che
stiamo facendo, no?» l’allungò nella sua
direzione «Quello per cui ti sto
pagando non deve interessare ai tuoi amici»
L’altro gli strinse la mano nelle sue «Io non ho
amici e, come ben sa, è di
vitale importanza che continuino a disinteressarsi di me»
«Cos’hai scoperto?»
«Non molto…»
«Come sarebbe? Hai avuto un sacco di tempo»
«Ehi, calma! Non posso mica andare in giro a fare domande. So
bene di avere un
bel faccino e uno sguardo che conquista ma questo mi
permette di farmi
apprezzare dalle belle signore, di certo non mi protegge dal rischio di
ritrovarmi con l’intestino di fuori in caso di una parola di
troppo detta alla
persona sbagliata. Qui si tratta, per lo più, di stare ad
ascoltare»
«Quindi, che hai sentito?»
«I Leopard sono in fermento. C’è in
ballo il posto di nuovo capo, si stanno
dando molto da fare per trovare il degno sostituto di Sabor»
si strinse nelle
spalle «Non che manchi a qualcuno
s’intende»
«Di John Lionheart che mi dici?»
«Niente, a parte qualche piccolo pusher che si lamenta di
aver perso un ottimo
acquirente»
«Fenilciclidina?»
«Niente di rilevante, nessun cambiamento sul
mercato»
Il detective sbuffò «Pare proprio tu ti sia fatto
pagare per un pugno di mosche, Flynn
Rider» lo guardò duramente «Non fare il
furbo, lo sai che abbiamo un faldone
alto così contro di te» gli disse, mimandone la
grandezza con le dita di una
mano «Ci sono un bel po’ di persone che avrebbero
il piacere di vederti finire
dietro alle sbarre»
«Suvvia, per qualche gioiello rubato qua e là,
sono sempre stato un galantuomo.
C’è di peggio, no?»
«Ladro, ricettatore, truffatore…»
«Informatore…» lo interruppe.
«Un informatore che non sa un fico secco»
«Per adesso» lo corresse nuovamente «Ma
c’è movimento, la banda delle Iene sta
aspettando un grosso carico dal porto, potrebbe esserci ciò
che state cercando.
Lei dà qualcosa a me e io do qualcosa a lei: uno scambio
equo a tutti gli
effetti»
«Personalmente questo tuo qualcosa non lo
vedo» grugnì Kristoff
infastidito «Tienimi aggiornato su questo movimento: se in
quel carico c’è quel
che pensiamo, risalire al compratore sarà di vitale
importanza»
«Per un nome ci vorrà un extra» lo
incalzò l’altro, sfregando le dita fra loro.
Una mano si strinse rapida attorno al bavero della sua giacca e il suo
viso si
ritrovò ad un soffio da quello del detective
«L’unico extra che riceverai
saranno cinque dita chiuse a pugno sul muso»
Rider alzò le mani in segno di resa «Per
carità: ci tengo al mio naso, grazie»
sorrise furbetto «Ci ho provato e mi è andata
male. Non si preoccupi, non la
deluderò, come ho detto, ci aiutiamo a vicenda. Ho tutti gli
interessi a far funzionare
questo rapporto clandestino. Ah, mi chiedo cosa direbbe sua moglie in
merito»
Kristoff sgranò gli occhi: lo spiava, per caso?
«Era solo una battuta» lo tranquillizzò
quello «Mi stia bene»
«Rider» lo richiamò prima che potesse
andarsene «Hai mai pensato di cambiare
vita?»
«Un bravo ragazzo, io? Naaah… non mi si addice per
niente. E poi come farebbe
senza le mie preziose informazioni?» lo canzonò,
facendogli un occhiolino
d’intesa «Mi farò vivo io. Grazie per
non avermi arrestato neanche oggi»
§
«Grazie
davvero per essere venuta»
Elsa sorrise alla sorella e la seguì per l’ampia
sala d’ingresso della galleria
d’arte «Figurati, lo sai che mi fa piacere darti
una mano»
«Oh, non ti ringrazierò mai abbastanza»
le fece presente l’altra sinceramente
riconoscente «La mostra è ormai alle porte,
perciò avevo davvero bisogno della
mia sorellona maniaca del controllo»
«Non so se prenderlo come un complimento o no»
«E dai» la rabbonì l’altra,
dandole una leggera spallata «Lo sai che la tua
opinione è l’unica che conta per me» ci
pensò un po’ su «Assieme a quelle di
Kristoff e Freja» precisò, non volendo mentire
«Ma il primo riempirebbe tutto
di muschi, licheni e statue di ghiaccio; la seconda, invece, di
arcobaleni,
pupazzi di neve e, adesso, pure conigli»
Elsa ridacchiò «Sai che l’idea delle
sculture di ghiaccio mi piace?»
«Questo lo immaginavo» ribatté
l’altra per niente sorpresa, lasciandosi
contagiare dal suo sorriso.
Entrarono nell’ufficio e presero posto alla scrivania.
«Sono certa che non hai motivo di essere così
agitata, avrai organizzato tutto
alla perfezione»
«Oh, la perfezione non mi appartiene» si
schermì l’altra in crisi «Direi
piuttosto di essere la regina del caos: è vitale che questa
mostra vada bene
ma, fra la lista degli ospiti, la disposizione dei quadri, il
catering… ah!»
quasi ringhiò «Rischio di uscirne pazza»
La maggiore serrò le labbra per impedirsi di dare voce a
ciò che stava
pensando.
«Tu credi che già la sia!»
Sgranò gli occhi «Non ho aperto bocca»
Anna non poté fare a meno di ridere «Ma le tue
espressioni sanno essere così
eloquenti» disse, prendendola bonariamente in giro
«Com’è andata questa
mattina?»
«Bene, anche se – lo sai – non amo
particolarmente collaborare con il
procuratore Frollo. E’ una macchina nel suo lavoro ma,
appunto per questo,
sembra quasi abbia perso la sua umanità. Come se, in
realtà, verificare la
colpevolezza dell’imputato non sia veramente quello che vuole
ma,
semplicemente, trovare qualcuno da punire» sospirò
«Ma smettiamola di parlare
del mio lavoro. Ho o no il pomeriggio libero? Parliamo piuttosto del
tuo:
coraggio, fammi vedere il progetto»
Anna attese il responso della sorella tesa come una corda di violino.
Rimase in
silenzio, trepidante, per tutto il tempo che la sua pazienza
– scarsa – le
permise «Allora?» chiese, sporgendosi verso di lei
«Che ne pensi?»
Elsa trattenne a stento un sorriso, alzò lo sguardo dai
fogli che aveva di
fronte e la guardò dritta negli occhi «Penso che
la serata sarà un successo»
posò una mano sulla sua e la strinse «Mamma e
papà sarebbero fieri di te»
L’altra ricambiò la stretta
«Davvero?»
«Assolutamente sì!» questa volta le
sorrise apertamente, di orgoglio e
commozione.
Anna l’abbracciò di slancio. Quando si
staccò, avevano entrambe gli occhi
lucidi e, nel trovarsi di nuovo con gli sguardi allacciati, scoppiarono
entrambe in una risata liberatoria.
«Sai chi non sarebbe stato orgoglioso per niente?»
chiese improvvisamente la
minore per smorzare la tensione «Nonno Runeard! Questa
la chiami arte? Che
sciocchezza! Quando la smetterai di sognare, Anna, e deciderai di
vivere nel
mondo reale?» ne scimmiottò la voce in
maniera egregia.
«Anna!» la riprese Elsa, senza però
riuscire a trattenersi dal ridacchiare.
«Cosa? Vuoi dirmi che non l’avrebbe
detto?» rincarò la dose l’altra
«O, per
caso, avrebbe approvato Kristoff e la sua famiglia adottiva? Dai, gli
sarebbe
venuto un colpo secco…»
La maggiore scosse il capo «Era pur sempre nostro
nonno»
«Ciò non toglie che fosse un rigido bigotto. Ha
sempre denigrato la mia
passione per l’arte, facendomi sentire in colpa
perché – secondo lui – potevo
seguirla solo perché avevo i soldi di mamma e
papà, poiché non sarei mai
riuscita a mantenermi con i miei frivoli sogni. Mi ha fatto sentire
un’approfittatrice, quasi fossi contenta della loro morte
perché, finalmente,
potevo fare come volevo…»
«Stai esagerando…»
«Esagerando? Ha reso la mia vita un inferno e a te ha sempre
chiesto troppo.
Me lo ricordo, sai, cosa volevi fare prima di diventare medico; ha
distrutto la
tua relazione con Jack…»
«Jack ha distrutto la mia relazione con
lui…» la interruppe Elsa infastidita,
scoccandole un’occhiata tagliente.
Anna alzò gli occhi al cielo «D’accordo,
non nego che l’idiota ci abbia
messo del suo ma lo sai anche tu che non è solo quello
il motivo per cui
avete rotto»
L’altra, però, non aveva più alcuna
intenzione di starla a sentire «Non sono
venuta qui per parlare di Jack: lo vedo anche troppo per via del
lavoro.
Sinceramente, gradirei non fosse il centro dell’attenzione in
questo momento,
né in altri» precisò.
La minore sospirò «Lo so: sono una sorella
impicciona e pedante ma quello che
voglio, in realtà, è che tu sia felice. Sono
convinta che tu non abbia mai
dimenticato Jack? Sì! Voglio costringerti a tornare con lui?
No! E’ la tua vita
Elsa, sta a te decidere. Ma, ti prego, smetti di vivere nel passato:
lascia
andare mamma e papà, è quello che avrebbero
voluto» prima che l’altra potesse
ribattere, continuò «E, a proposito di questo, ho
una proposta da farti»
Elsa inarcò le sopracciglia, presa completamente in
contropiede «Che proposta?»
«Penso che sia giunto il momento di vendere la casa»
«Cosa, e perché? Hai bisogno di soldi? La galleria
va male?»
L’altra sorrise «Nessuna delle due cose, la
galleria va molto bene e questo
evento in arrivo lo dimostra» la rassicurò
«Penso solamente che sia giunto il
momento di voltare pagina: è chiaro che nessuna di noi due
tornerà mai a vivere
lì. Ci sono troppi ricordi: bellissimi ma anche dolorosi. Da
quant’è che non ci
andiamo? E’ lì, abbandonata a se
stessa… per cosa? Non lo scopriremo mai chi li
ha uccisi, Elsa, è stato solo un tragico incidente, devi
fartene una ragione»
Lei non ne era così convinta, non lo era stata mai. Iduna
era un giudice
rispettabile, Agnarr un procuratore dalla carriera più che
avviata ed erano
morti, coinvolti in un incidente in cui non era mai stato possibile
trovare un
responsabile: nessun testimone, le telecamere dell’incrocio
non funzionanti
«Io…»
«Senti…» la interruppe la sorella
«Non me lo devi dire subito, prenditi tutto
il tempo di cui hai bisogno per pensare a quello che ti ho detto, poi
decideremo. Non voglio fare questa cosa se non sei decisa anche
tu»
§
«Ehi,
Principessa della Torre:
sciogli i tuoi capelli che per salir mi servirò di
quelli»
Una testa bionda, accompagnata da un viso da un’espressione
piuttosto
infastidita, fece capolino dalle protezioni del soppalco
dell’agente Sunlight
«Molto divertente» borbottò
«Hai deciso di venire a sfogare le tue frustrazioni
su di me?»
Jack le apparve alle spalle con un sonoro sbuffo «Non
tocchiamo questo tasto
dolente, per favore»
«Oh, è impossibile non farlo»
ridacchiò lei in risposta «La lavata di capo che
ti ha fatto il Signor Bunnymund è risuonata per tutto
l’ufficio: ne parleranno
per giorni, settimane»
«Ah, come se fosse stato auspicabile che, dopo tutto questo
tempo, alla stampa
non arrivasse niente di niente»
«E di chi è la colpa di tutto questo
tempo passato?»
Lui le scoccò un’occhiata ironica
«Guarda che su questo caso ci stai lavorando
anche tu, Principessa»
«Touché» ammise lei, voltandosi verso lo
schermo del suo computer «C’è da dire
che questi titoloni fanno davvero paura: I Fearling sono in
città - I
criminali non hanno scampo» sospirò
«Ma chi si immaginava che tutto questo
avrebbe portato a una reazione di questo tipo? I centralini sono
letteralmente
impazziti»
«Telefoni a cui, a quanto pare, dovrò rispondere
io se non troviamo,
quantomeno, chi ha fatto la soffiata alla stampa» Jackson
sbuffò «Non è proprio
la mia aspirazione massima spiegare a persone che non hanno pagato una
multa o rubato
qualcosa al supermercato che no, non sono in pericolo di vita»
«Magari qualche cattivone si costituirà per
davvero»
«Sei troppo ottimista, Principessa»
ghignò lui, prendendo posto sulla sedia
accanto a lei «I criminali, quelli veri, non si fanno di
certo spaventare da
queste cose, anzi…»
«Come posso aiutarti?»
«La stampa nomina i Fearling, non c’era questo nome
nel primo biglietto:
escluderei Robert Locksley e Richard Lionheart che, davvero, non ha
bisogno di soldi. Chi ha fatto la soffiata ha avuto modo
di leggere quello lasciato sul corpo di Sabor» fece mente
locale «Greystoke e sua
madre, quel Clayton, tutti gli agenti che avrebbero potuto farsi
ingolosire da
una generosa offerta di denaro»
«Devo controllare anche il tuo conto in banca?»
Lui la guardò storto «Non sei
spiritosa…»
«Oh sì che la sono» ridacchiò
«E’ un dato di fatto»
«Se ne sei convinta, non sarò di certo io a far
crollare il tuo castello…»
le fece presente con una faccia da schiaffi.
«Sono certa cambierai espressione molto presto: guarda un
po’ chi ha
improvvisamente lasciato il suo posto di guardiano dello zoo?»
«Quel maledetto figlio di…»
masticò fra i denti, alzandosi di colpo «Grazie,
Punzie» le disse, prima di volare – letteralmente
– al piano di sotto.
«Mi devi un pranzo!»
§
«Dottoressa Bleket,
mi ha fatto
davvero piacere la sua chiamata: sono contento abbia deciso di venire
oggi»
Sull’uscio dello studio del dottor Pitchiner, Elsa si
sentì improvvisamente
insicura: inspirò a fondo e mosse appena la mano libera,
completamente
sudata, l’altra ben salda alla sua borsa.
Kozmotis sorrise appena «Coraggio, prometto che non la mangerò: si
accomodi»
Lei entrò, senza riuscire ad abbandonare il suo meccanismo
di difesa «Come
funziona adesso?»
Lui prese posto su una sedia accanto ad un comodo lettino imbottito
«Si può
sdraiare lì o sedersi, se preferisce»
Optò per la seconda scelta «Come mai ha scelto di
specializzarsi in terapia del
lutto?»
L’altro inarcò appena le sopracciglia, stupito
«Qui, di solito, le domande le
faccio io»
Elsa arrossì appena «Mi scusi, penso sia
deformazione professionale: anche se,
come dire, i miei pazienti mi rispondo in altri modi»
«Non si dispiacerà se io le risponderò
parlando» celiò appena.
Nonostante la tensione, non poté fare a meno di sorridere
«Prego»
«Ho perso mia moglie e mia figlia, ormai molti anni fa: ho
preso il mio dolore
e ne ho fatto da catalizzatore per aiutare gli altri a superare il
loro»
«Mi dispiace…» sussurrò lei,
improvvisamente pentita di essere stata tanto
invadente.
L’espressione di Kozmotis Pitchiner
s’indurì appena: la mascella più
contratta,
lo sguardo più affilato. Il tutto durò,
però, solo il tempo di un battito di
ciglia: il suo volto tornò calmo e professionale
«Ma ora mi parli di lei,
dottoressa, mi pare di capire che questa sia la sua prima
volta»
Elsa annuì.
«Come mai? La perdita di entrambi i genitori in maniera
violenta metterebbe a
dura prova chiunque. Quanti anni aveva quando è
successo?»
«Diciotto»
«A maggior ragione, allora»
«Nostro nonno non era favorevole»
Lui fece oscillare un paio di volte la penna che aveva in mano
«Un
conservatore, immagino: gli strizzacervelli solo per i pazzi,
giusto?»
«Si può dire che il concetto fosse
quello»
«Eppure se ci fa male lo stomaco, affatichiamo un muscolo o
ci tagliamo la
pelle, ci curiamo, no? Perché per la mente stanca e ferita
dovrebbe essere
diverso? Perché non dovremmo curarla così come
facciamo con tutto il resto del
nostro corpo?» la guardò dritta negli occhi
«Che cosa l’ha spinta a venire
oggi?»
«Ho letto il suo libro…»
«E?»
«E mia sorella mi ha proposto di vendere la casa dei nostri
genitori»
«Immagino non si senta pronta a lasciarla andare»
«Lì dentro ci sono ancora tutte le loro cose, mi
sembra di voltargli
liberamente le spalle»
«Voltargli le spalle? Dopo tutti questi anni? Si sente
responsabile di un
incidente?»
Lei titubò.
«Com’è successo?»
«Le dinamiche non sono chiare: la polizia ha trovato la loro
auto distrutta.
Dai rilevamenti è risultato che sono stati travolti da un
mezzo pesante ma i
responsabili non sono mai stati trovati»
«Parliamo di omicidio stradale, quindi, i cui colpevoli
risultano ignoti:
decisamente questo cambia tutto» scribacchiò
qualcosa sul suo taccuino «E’ per
questo che ha scelto questa carriera?»
«Immagino di sì…»
«Immagina? Che cosa voleva fare prima?»
«L’architetto…»
sussurrò.
«Ha deciso da sola di virare verso la carriera
medica?»
Elsa si morse appena il labbro inferiore «Mio nonno aveva
sempre spinto in
quella direzione, avrebbe voluto diventassi un chirurgo»
«Almeno è riuscita a decidere la
specializzazione»
«Non mi ha costretta» si sentì in dovere
di spiegare.
«Se ne è convinta» le concesse con una
piccola alzata di spalle «Ma si ricordi
che le pressioni psicologiche sanno essere redini tirate tanto quanto
quelle
fisiche, anzi, talvolta di più perché sono
più subdole e difficile da
identificare»
«Il mio lavoro mi piace…»
«I morti non fanno domande, giusto?»
Lei assottigliò lo sguardo «Comincio a credere che
non sia stata una buona idea
quella di venire qui»
Kozmotis sorrise appena «La terapia ci mette di fronte al
nostro io più profondo, anche quello che cerchiamo di
nascondere, può risultare
spiacevole all’inizio» fece una breve pausa
«Cerca vendetta, dottoressa
Bleket?»
«Vendetta?» ripeté stupita «Io
cerco giustizia, per loro e per tutti»
«Tutti?»
«Che sta insinuando?»
«Non mi vorrà dire che ha eseguito
l’autopsia sul corpo di Sabor con lo stesso
stato d’animo che, di solito, riserva alle sue
vittime?» la sfidò con lo
sguardo «Non ha avuto neanche un minimo di esitazione? Non ha
mai avuto la
tentazione di omettere qualche particolare importante, dopo aver
scoperto che
John Lionheart era un pirata della strada come l’assassino
dei suoi genitori?»
«Sì» ammise lei, senza esitazione
«L’ho pensato ma non l’ho fatto: il mio
lavoro io lo svolgo al massimo, sempre» ricambiò
il suo sguardo di sfida «E
lei?»
Gli occhi di Kozmotis Pitchiner brillarono «Anche
io»
«Fino a dove è disposto a spingersi per aiutare i
suoi pazienti, dottore?»
Lui scoprì appena i denti bianchissimi in un mezzo sorriso
«Temo che siamo
tornati al punto di partenza»
«Forse non sono tagliata per la terapia»
«Non dica così: mi era parso fosse un tipo che non
teme le sfide»
Elsa si alzò «Credo possa ritenersi corretto,
cerchi di ricordarlo»
«Dovrei leggere qualcosa fra le righe?»
«Questo, al momento, lo può sapere solo
lei»
«Mi pare che se ne stia andando, è un peccato, era
da molto che non mi capitava
una paziente come lei: un vero piacere»
«E non le ricapiterà, questo piacere è
diventato solo suo»
Con
un pochino di ritardo rispetto alla solita tabella di marcia, arriva il
nuovo aggiornamento, pieno di
tête-à-tête!
Se li stavate aspettando, eccoli! Jane e Tarzan (John) non potevano non
incontrarsi, si chiamavano come la calamita chiama il ferro
ù_ù
Abbiamo anche un nuovo interessante personaggio, sebbene appaia molto
poco... so che c'è chi lo aspettava con ansia XD
Ebbene sì, il misterioso ladruncolo, nonché
contatto di Kristoff, è Flynn Rider... chissà se
anche qui si prenderà la sua bella padellata in faccia.
E per rimanere in tema, Jack e Punzie stanno rendendo più
saldo il loro legame e ho come l'idea che qualcuno potrebbe non essere
felice di questa cosa ù_ù
E, dato che lupus in fabula, Elsa si trova davanti ad un bivio
difficile: recidere i legami con il passato e vendere la casa dei suoi
genitori o continuare ad indagare e andare fino in fondo? Spero che il
suo confronto con Kozmotis vi sia piaciuto, anche se non è
finito nel migliore dei modi.
Concludo con Anna: ebbene sì, gestisce una galleria d'arte.
Mi sembrava ideale per lei: hang
in there, Joan!
Abbiamo avuto anche un ulteriore scorcio sul passato
delle sorelle, il burrascoso rapporto con loro nonno e - di nuovo -
della storia con Jack: da un occhio esterno, pare che il motivo della
rottura non sia stato proprio tutta colpa sua...
Al solito, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto! Grazie per
averlo letto! <3
Se voleste spendere un pochino del vostro tempo per farmi sapere cosa
ne pensate mi fareste immensamente felice.
Grazie anche a chi ha listato questa storia.
Un abbraccio e alla prossima
Cida |
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Capitolo 6 *** Cap. 5 - The Fall ***
Capitolo 5
«Se
cerchi tuo cognato, è appena
andato via»
Elsa si morse leggermente il labbro inferiore, a disagio
«Veramente, è te che
cercavo»
Jack sgranò gli occhi «Me? Eppure non ho visto
neanche una cavalletta in giro,
l’Apocalisse non sembra vicina»
«Non farmi pentire di essere venuta» lo
ammonì «Ti ho cercato per una cosa
importante, gradirei facessi la persona seria»
«Prendere la vita con leggerezza non denota meno
serietà: che io faccia,
talvolta, l’idiota – per usare
parole care a tua sorella – non significa
che lo sia per davvero»
Lei distese l’espressione del viso «Di questo non
ne sarei particolarmente
sicura»
«Vedi?» le disse divertito «Il sorriso
che hai sulle labbra in questo momento
era esattamente ciò che volevo ottenere»
Elsa maledì il calore che le era salito alle guance e
ringraziò mentalmente il
trucco che celava con abilità il tutto «Andiamo,
ti offro da bere»
Qualunque cosa fosse - quella che doveva dirgli - aveva l'aria di
essere davvero grossa.
Seduto di fronte a
lei, Jack non
poté fare a meno di pensare che Elsa, agli occhi degli
altri, doveva sembrare
la classica bellezza che - nel suo elegante tubino scuro, i tacchi alti
e
l’acconciatura perfetta – gradisse sorseggiare il
suo champagne fra un’ostrica
e una tartina al caviale. Non che la cosa le fosse sgradita ma, di
certo, non
era la sua preferita. Solo chi la conosceva veramente sapeva che,
quando era
stanca o nervosa, odiava sia i tacchi alti che portare i capelli
raccolti e,
soprattutto, amava bere una cosa soltanto: birra leggera, floreale e
rigorosamente ghiacciata. Quella sera non aveva potuto abbandonare le
sue
décolleté ma, da come aveva liberato i suoi
lunghi capelli biondi e dalla
candida schiuma che le stava di fronte in un lungo bicchiere, doveva
essere
parecchio turbata. Senza contare che, fra tutti, era proprio a lui che
si era
rivolta. Per non rischiare di rompere il precario equilibrio creatosi,
decise
di chiudere le dita a pugno sul tavolino, per impedire al braccio di
allungarsi
e consentire, così, alla mano di spostarle dietro
all’orecchio quella ciocca
che le era scesa ribelle sul viso «Di che cosa volevi
parlarmi?»
Elsa alzò gli occhi su di lui «Del caso»
poi non lo guardò più «E di
me»
Jack inarcò un sopracciglio «Che intendi
dire?»
«Sono stata dal dottor Pitchiner»
«Cos… e perché?»
«E’ esperto in terapia del lutto, no?»
«Ti ha fatto una così buona impressione quando ci
siamo andati?» le chiese accigliato.
«Puoi biasimarlo?» ribatté subito lei
«Abbiamo messo in dubbio la
moralità di due suoi pazienti…»
«Per l’omicidio di due criminali, lo so»
completò per lei «Posso capire quello
che dice ma non posso condividerlo con il mestiere che faccio e non
dovresti
neanche tu»
«Non ho detto che lo condivido» ribatté
lei secca «Se ti avessi confermato
arresto cardiaco per John Lionheart, adesso non staremo qui ad indagare
su chi
l’ha ucciso. Pensi sia stato facile per me dirvelo dopo aver
scoperto cosa
aveva fatto?»
Jack non trovò il coraggio di replicare.
Elsa sospirò e bevve un sorso «Anna vorrebbe
vendere la casa dei nostri
genitori ma io non so se sono pronta a farlo»
giocherellò nervosa con il bordo
del bicchiere «Ho pensato che avere un parere esterno e
professionale avrebbe
aiutato»
Ecco perché aveva deciso di non parlarne con Kristoff,
perché non voleva che a
sua sorella arrivasse indirettamente questa sua decisione. La
guardò negli occhi, addolcendo lo sguardo «Non
c’è modo di sapere
chi di voi due abbia ragione. Lo sai, sì?»
mandò giù un paio di noccioline «Se
senti il bisogno di seguire una terapia per elaborare il tuo lutto
è giusto
che tu lo faccia ma, ecco, eviterei il dottor Pitchiner come la peste:
è un uomo
inquietante e non dovresti parlare di cose personali con persone
coinvolte nel
caso»
«Al momento, non mi pare ci siano indagini su di lui. O mi
sbaglio?»
L’altro scosse il capo, sconfitto.
«Ma sul fatto che sia una persona ambigua non posso darti
torto e, forse, è il
caso di cominciare ad indagare anche su di lui»
«Che ti ha detto?»
«Niente di che, in realtà, ma mi ha fatto
intendere di essere disposto a tutto
pur di aiutare i suoi pazienti. Credo valga la pena di scoprire cosa
intendesse»
«Uno psichiatra psicopatico? Degno della migliore serie
poliziesca»
«Ha perso la moglie e la figlia, solo dopo si è
specializzato in terapia del lutto»
«Pensi possa uccidere gli aguzzini dei suoi pazienti per
mettere a tacere il
suo di dolore?»
«Non mi sembra così impossibile»
«Mi costa ammetterlo» replicò lui,
scoprendo i denti bianchi in un piccolo
ghigno «Ma mi tocca brindare a questa deduzione
geniale» alzò il bicchiere
verso di lei.
Elsa scosse appena il capo ma, poi, levò anche il suo: il
vetro tintinnò.
§
«Detective
Overland, non so come
mai ma questa sua convocazione non mi stupisce particolarmente. Avevo
intuito
di non starle granché simpatico ma immaginavo che la polizia
si muovesse su
basi ben più solide di una semplice antipatia
personale»
«Le posso assicurare che averla qui non riflette minimamente
quello che penso
di lei» replicò Jackson, prendendo posto di fronte
a lui: un tavolo a dividerli
e una luce tenue ad illuminarli.
«Attento, detective: questa suona come una minaccia. Mi
chiedo cosa ne dirà il
suo partner, dietro a quello specchio, del suo abuso di
potere»
«Abuso di potere?» inarcò entrambe le
sopracciglia l’altro «L’ho solo chiamata
per un colloquio informale»
«Questo lo credo bene. Per questo ho accettato,
dacché non ho niente da
nascondere»
«Sappiamo di sua moglie Seraphina e sua figlia Emily
Jane» giocò subito a carte
scoperte.
Kozmotis Pitchiner assottigliò gli occhi
e strinse i denti «Voi non sapete
niente»
«Sì, invece» lo incalzò
«Sappiamo che era già un affermato psichiatra ma
che si
è specializzato in terapia del lutto solo dopo la loro
morte»
«E’ così che ho affrontato il mio
dolore, non vedo come questo possa legarsi al suo caso»
«Il fatto che siano state uccise e che l’unico
presunto colpevole fu rilasciato
per mancanza di prove?»
«Presunto?» quasi ringhiò
«Quel maledetto era colpevole: un altro caso in cui
la giustizia ha fallito» si ricompose
«Sì, ho provato sulla mia pelle tante
delle cose che anche i miei pazienti sono costretti ad affrontare.
Converrà con
me che questo mi rende ancor più qualificato nel mio lavoro
perché, come dire,
so di cosa parlo»
«Su questo punto ha ragione» concesse Jackson
«Ma non è che proprio a causa di
questo legame lei prenda un po’ troppo a cuore il destino dei
suoi pazienti?»
Kozmotis scoprì i denti in un sorriso ironico «Sta
insinuando che io uccida gli
aguzzini dei miei pazienti per vendicarli e mettere a tacere il mio
dolore?»
«Questo è lei ad averlo
detto…»
«Teoria interessante» si complimentò,
posando le mani intrecciate sul tavolino,
proprio nel mezzo «Ricapitolando: un analista con probabili
problemi
dissociativi, senza particolari mezzi a disposizione, riesce a portare
giustizia là dove le autorità hanno sempre
fallito. Capirà che non ci fate una gran
bella figura»
«La giustizia non può essere un concetto
individuale» sibilò Jackson «Sarebbe
il caos»
«Caos o no, non cambia la verità: voi ci
provate... e fallite»
«Non è sempre così»
«Se non è sempre è spesso
ed è una casistica che non può essere
tollerata. Quante volte la polizia svolge il suo lavoro
superficialmente?
Quante volte la legge permette alla difesa di attaccarsi ad invisibili
cavilli?» Pitchiner lo guardò dritto negli occhi
«Glielo dico io, detective: troppe!»
«L’omicidio non è la soluzione»
«Perché mi parla come se fossi stato io a
commettere quegli omicidi?» gli
chiese ironico «E’ chiaro che ha parlato con qualcuno
ma le posso
garantire che vi siete fatti entrambi un’idea sbagliata di
me»
«E’ possibile ma lo ritengo poco
probabile» gli rispose Jack sullo stesso tono.
Kozmotis alzò le spalle «Eppure sono venuto qui,
senza avvocato, senza
obiezioni perché non ho niente da nascondere. E, mi pare
chiaro, non abbiate
nulla contro di me, altrimenti – sono certo – la
nostra chiacchierata sarebbe
stata molto meno amabile di così.
Coraggio, mi chieda dei miei alibi,
che aspetta?»
Jackson strinse i denti «Stia pur certo che
indagherò e indagherò ancora,
finché non riuscirò a trovare la prova che la
inchioda»
«Si accomodi, detective. Cerchi quanto vuole, il risultato
non cambierà: fallirà.
Non troverà alcuna prova contro di me perché io
non ho fatto nulla»
L’altro si alzò, sporgendosi verso di lui
«Questo lo vedremo»
Proprio in quel momento, la porta della stanza si aprì e ne
entrò Kristoff
«Dottor Pitchiner, può andare adesso»
Kozmotis si alzò a sua volta «La ringrazio,
detective?»
«Bjorgman»
Gli fece un breve cenno di saluto con il capo «Detective
Overland…» si congedò.
«Perché l’hai mandato via?» lo
rimproverò Jackson.
«Ti stava provocando e tu, chiaramente, ci stavi cascando con
tutte le scarpe»
gli spiegò «Non possiamo permetterci passi falsi,
soprattutto se è vero che è
coinvolto. Altrimenti falliremo, esattamente come ha detto»
L’altro espirò rumorosamente col naso ma non
replicò.
Kristoff gli posò una mano sulla spalla «Bene, ora
che ti sei calmato,
muoviamoci, ci sono novità: ti aggiorno strada
facendo»
«Dove andiamo?»
«Per ora a prendere Freja: Anna è già
abbastanza tesa per la mostra imminente, meglio non farla arrabbiare o
mi ucciderà»
§
«Vuoi che ti lasci da sola con
il tuo disegno, per caso?»
Giusto in quel
momento, Jane si accorse di non essere più sola nel suo
ufficio
«Elsa!» esordì, arrossendo
«Non ti ho sentita arrivare» cercò di
mettere su il
suo miglior sorriso, provando a coprire con disinvoltura il risultato
dello
schizzo che stava facendo sovrappensiero.
«Me ne sono
accorta» le confermò l’altra,
trattenendo a stento un sorriso «Hai
fatto quello che ti ho chiesto?»
«Certo»
rispose solerte «Ho controllato tutte le foto dei
ritrovamenti ma non ho
riscontrato nessuna corrispondenza. Ho provato anche a concentrarmi
sugli
sfondi, i possibili curiosi ma nessun volto si presenta su entrambi i
luoghi»
sospirò «Per sicurezza ho lanciato anche il
programma di riconoscimento
facciale e, beh, mentre aspettavo mi sono distratta»
confessò con vergogna ma,
per sua fortuna, una notifica acustica la salvò
dall’imbarazzo «Oh, ha appena
finito»
«Fa vedere
anche a me» le disse Elsa, andandole vicino.
L’altra
sospirò imbronciata «Ancora un buco
nell’acqua: a parte le forze
dell’ordine, nessuna corrispondenza»
«Jane»
la richiamò «E’ John Greystoke,
quello?»
Lei
arrossì «L’hai visto pochi minuti, una
volta soltanto e sei in grado di
riconoscerlo da un disegno?»
Elsa
inarcò un sopracciglio «L’hai visto pochi
minuti, una volta soltanto e
sei in grado di ritrarlo?»
«Veramente…»
«Cosa?»
comprese «Hai rivisto una persona coinvolta nel caso e non me
l’hai
detto?»
«E’
stata assolutamente una casualità» si giustificò
«Abbiamo preso solo un caffè»
«Un
caffè?» ribatté Elsa sorpresa.
«Ok, detta
così suona male» concesse l’altra
«Sono tornata allo zoo per
disegnare, lui mi ha vista e gli sono sembrata familiare,
così mi ha parlato e
una cosa tira l’altra…»
«Spero non
abbiate discusso delle indagini in corso»
Jane si
corrucciò «Assolutamente no, per chi mi hai
preso?» le chiese, appena
risentita «Mi ha solo chiesto come stessero andando, giusto per
fare conversazione,
e io – ovviamente – non gli ho risposto: non ne
abbiamo più fatto menzione»
Elsa
sospirò «Non volevo insinuare nulla. Le varie
supposizioni della polizia
le sai»
«Pensavo
fossero decadute: John è un ragazzo così
gentile»
«Ti dico
solo di stare attenta: frequentare persone coinvolte nel caso non
è
opportuno, almeno finché non sarà fatta
chiarezza»
«Inopportuno
come frequentare dei colleghi, immagino» bofonchiò.
L’altra
inarcò un sopracciglio «Come, prego?»
Oddio, l’aveva
detto.
«Io e Jack
non ci frequentiamo» continuò, però,
quella.
«I nomi li
hai fatti tu, non io»
Cavolo,
perché non riusciva a tenere chiusa quella bocca?
Elsa,
però, non si arrabbiò «Tu assomigli
troppo a mia sorella…» esalò,
rassegnata.
Jane sorrise
sollevata «Magari è proprio per questo che hai
deciso di tenermi
come assistente»
«Magari
l’ho fatto per le tue capacità, che
dici?» ribatté «Capacità che
gradirei vedere all’opera, se non ti dispiace»
«Subito!»
rispose, drizzando la schiena e riportando l’attenzione sul
suo
computer «Elsa!» la richiamò prima che
se ne andasse «Starò attenta, grazie»
La vide sorridere in
risposta e avviarsi verso il suo di ufficio. La curiosità
di sapere se mai avesse voluto raccontarle che cosa ci fosse fra lei e
il
detective Overland, però, se la tenne per sé.
§
«Andiamo!»
esordì Jackson,
lanciando un’occhiata divertita al suo compagno di squadra
«Hai intenzione di
tenermi il broncio tutto il giorno?»
Kristoff, alla guida, masticò qualcosa di non meglio
definito fra i denti «Non.
Parlare.»
«Staremo assieme ancora molte ore: lo sai che non riesco a
stare zitto a lungo»
lo provocò con un sorriso beffardo «Non puoi
avercela con me, solo perché Freja
è corsa fra le mie braccia anziché le
tue»
«No, certo, continua… continua pure a distruggere
il mio cuore di padre»
borbottò l’altro, stringendo le mani sul volante
«Io dovevo essere l’unico uomo
nel cuore di mia figlia, poi arrivi tu – con i tuoi capelli
brizzolati e i tuoi
occhi color del cielo – e mandi tutto a rotoli»
«I miei occhi color del cielo?»
Jackson rise «Quindi mi trovi
attraente?»
«Piantala, lo sai cosa intendo»
«Non credi che se fosse innamorata di suo
padre sarebbe un tantino
inquietante?»
«Non intendo un amore romantico» ribadì,
facendo una smorfia «E’ solo una
bambina»
«Ed è di una cotta di una bambina di cinque anni
che stiamo parlando» lo
rassicurò l’altro «O pensi davvero che
voglia sposarmi?» ridacchiò ancora.
«Questo è quello che dice…»
borbottò.
«Io non mi preoccuperei, ne riparleremo piuttosto quando
sarà adolescente e porterà il primo
amichetto a casa»
«Non voglio nemmeno pensarci» digrignò i
denti Kristoff «Chiunque sarà dovrà
superare la prova della montagna»
«Credo di non voler neanche sapere di che si tratti ma, ti
prego, cerca di non
costringermi a doverti arrestare»
«Non te lo posso giurare» gli disse, svoltando
sulla sinistra.
Jack spense il sorriso di divertimento sulle sue labbra e lo
trasformò in uno
più morbido «Sei un pessimo attore, lo
sai?»
L’altro inarcò un sopracciglio «Che
intendi dire?»
«Che, chiunque sarà il fortunato ad essere
ricambiato da Freja – sempre che sia
un bravo ragazzo – saprà conquistarti in un
battito di ciglia»
Kristoff sorrise bonario «Non sono, infatti, i bravi ragazzi
a preoccuparmi»
«In quel caso potrei chiudere un occhio sulle tue
malefatte» riportò l’attenzione
sulla strada «Quindi mi consideri un cattivo
ragazzo?»
Questa volta fu il turno del compagno di ghignare «Tu sei
solo vecchio»
«Gentilissimo» ringraziò, prima di
sbuffare sonoramente «Certo che la sfortuna
sembra perseguitarci in questo caso. Pitchiner è stato
assolutamente di parola,
non c’è niente di niente contro di lui,
né una minima traccia che lo posizioni
sui luoghi del ritrovamento dei cadaveri. Ora che avevamo questa pista
del
carico delle Iene, succede questo!»
«Già» confermò Kristoff
«C’è quasi da dispiacersi che
l’antidroga abbia svolto
così tempestivamente il suo lavoro»
«Proprio ora che il tuo informatore aveva confermato la
presenza di un
rilevante carico di fenilciclidina: avevamo qualche chance di risalire
al
compratore ma adesso…»
«Non disperare» cercò di rassicurarlo
l’altro «E’ rischioso e, magari, dovremmo
aspettare un po’ di tempo data la notizia del sequestro ma,
forse, possiamo
ottenere l’autorizzazione per utilizzarla e tendergli una
trappola. Eccoci
arrivati»
Parcheggiarono nell’ampio piazzale del deposito designato e
scesero dall’auto.
Un vento gelido sferzò i loro visi e fu, quindi, con un
certo sollievo che entrarono
nel calore dell’edificio. Riuscirono a fare ben pochi passi
che due agenti di
polizia giudiziaria vennero loro incontro. Uno era alto e magro,
l’altro basso
e tozzo: entrambi avevano un bel nasone pronunciato e la loro aria
stanca
mostrava in tutta la sua magnificenza la loro voglia di pensione che,
purtroppo
per loro, doveva essere ancora troppo lontana.
«Identificazione, prego» grugnì il
più alto dei due.
Sia Jackson che Kristoff mostrarono i loro distintivi e si presentarono.
Il più basso fischiò «Hai visto,
Jasper? La squadra omicidi, roba grossa» disse
al compagno, sistemandosi la cintura dei pantaloni «Come
possiamo aiutarvi,
signori?»
«Siamo qui per il carico sottratto dall’antidroga
alla banda delle Iene.
Dovrebbe essere arrivato in questi giorni»
«E perché mai vi interessa quel carico?»
«Temo che queste siano informazioni riservate, al
momento» rispose Jackson,
assottigliando lo sguardo.
«Horace, non fare l’idiota e non importunare questi
ragazzi che giocano in
prima linea» lo riprese il collega «Non hanno tempo
da perdere con due tipi
come noi»
«Se non vi dispiace, vorremmo parlare con il
responsabile»
«Ma certo» gli disse quello che doveva essere
Jasper con un sorriso che voleva
essere affabile senza, però, riuscirci
«Seguiteci»
Li scortarono verso la loro postazione, dove aspettarono per qualche
minuto che
un vecchio macinino dalle sembianze di un computer facesse il proprio
lavoro
«E' arrivato ieri, se n’è occupata la
direttrice in
persona»
Kristoff posò una mano sul bancone «E’
possibile parlare con lei?»
«Ne verifichiamo la disponibilità»
continuò quello: prese la cornetta del
telefono e digitò alcuni numeri. Una roca voce di donna
rispose lapidaria alle
sue spiegazioni, riagganciò «Può
vedervi. Ufficio all’ultimo piano, in fondo al
corridoio, non potete sbagliarvi. L’ascensore è da
quella parte»
«Non dovreste scortarci?» chiese Kristoff perplesso.
«Suvvia» fece Horace, prendendo nuovamente posto
sulla sedia, molto più
interessato al suo panino che ad altro «Se non possiamo
fidarci fra noi forze
dell’ordine, mi domando dove andremo a
finire…»
L’odore di fumo
investì i due
detective ancora prima di entrare nell’ufficio che gli era
stato indicato. Non
si stupirono, infatti, di trovare la donna – che sfoggiava
una bizzarra
acconciatura dalla colorazione bianca e nera – intenta a
fumare una sigaretta attraverso il
filtro di un lungo bocchino «Immagino voi siate i detective
Overland e Bjorgman»
li accolse con un sorriso viscido «Dottoressa De Vil,
accomodatevi cari»
li invitò, senza però premurarsi di interrompere
quel che stava facendo «Come
posso aiutarvi?»
Né
Jackson, né Kristoff si lamentarono della cosa, nonostante
avessero entrambi
gli occhi già arrossati e ritenessero l’odore al
limite del sopportabile, dato
il gran caldo e la finestra chiusa. Tuttavia, nessuno dei due era
intenzionato
ad indisporre una possibile collaboratrice.
«Ci perdoni
se non ci siamo preannunciati con anticipo, ma la faccenda è
piuttosto urgente» si scusò Jack.
«Oh,
è sempre urgente con voi, non è vero, cari?»
sogghignò.
Lui ignorò
la frecciata «Volevamo sapere se, per caso, nel carico
sottratto
alla banda delle Iene ci fosse della fenilciclidina»
Lei
arricciò le labbra «Quel carico, certo, roba
davvero grossa e di qualità
rara ma non fenilciclidina, no»
I due si guardarono
sorpresi.
«Ne
è sicura?» chiese Kristoff.
«Certamente,
caro» gli
confermò «Data l’importanza, mi sono
occupata
personalmente delle analisi: oltre a gestire questo posto, sono anche
una
scienziata, sapete?» spiegò, spostandosi appena
per fargli vedere la laurea
appesa alla parete «Sono una donna superbamente a pezzi, ma non si può
dire di no alle sollecitazioni del tribunale, non credete?»
celiò, facendo
cadere un po’ di cenere in un piattino stracolmo.
«E’
possibile comunque vedere il carico?»
La dottoressa De Vil
assottigliò gli occhi scuri, truccati sui toni del verde
«Detective, questa sua diffidenza mi ferisce. Inoltre, temo
che non sia materialmente
possibile fare quello che mi chiede»
«Come
sarebbe?»
Lei li
guardò ed espirò pesantemente la boccata appena
tirata «Il carico è già
andato in
fumo questa
mattina, dritto nell’inceneritore»
«Di
già?» sbottò Kristoff che, preso in
contropiede, non riuscì a trattenersi
dal tossire pesantemente.
«Capite
bene che, con le bande in subbuglio, è estremamente
rischioso tenere in
deposito carichi di quel genere. Come avete potuto notare, il supporto
delle
autorità è quello che è»
finalmente spense la sua sigaretta consumata «Il tutto
fatto secondo la procedura corretta, ovviamente: giudice, avvocati,
tutti
presenti. Vi manderò una copia della documentazione,
così starete più
tranquilli»
«Le saremmo
grati» disse Jackson, alzandosi.
Kristoff fece
altrettanto «Aspettiamo sue notizie, allora. Intanto grazie
della
sua collaborazione»
«Non
c’è di che, cari»
Entrambi lasciarono
l’ufficio di quella strana donna con l’aria
abbattuta e un
gran bruciore di occhi e gola. Pareva proprio che Rider avesse mentito,
la domanda era: perché?
§
Jackson
prese un sorso di champagne
ghiacciato,
assaporandone le bollicine sulla punta della lingua. Dopo aver dato
quella falsa pista, l’informatore di Kristoff sembrava
misteriosamente sparito nel nulla e,
quindi, si erano ritrovati - di nuovo - frustrati più che
mai e con un pugno di mosche in
mano. Chiunque si nascondesse dietro a quel caso – Pitchiner
o
meno – sapeva esattamente come non farsi trovare.
Sospirò, almeno non aveva più
colpito. Vuotò il suo bicchiere e lo posò sul
vassoio di un cameriere che
gli era appena passato accanto: quella sera non era fatta per i
rimugini,
quella era la sera di Anna Bleket e della sua galleria, bisognava
mostrarsi
sorridenti. E, per farlo, bastava dare un’occhiata a Kristoff
nel suo elegante
smoking nero, camicia bianca e cravattino scuro. Era palese che mal
sopportasse
il fatto di essere vestito a quel modo ma resisteva stoico e lo faceva
per
amore di sua moglie. Anna era meravigliosa nel suo vestito lungo,
altrettanto
nero, che le copriva il collo ma lasciava scoperte le spalle, facendo
risaltare alla perfezione i suoi capelli ramati, completamente sciolti
ad
eccezione di un piccolo effetto raccolto sulla nuca.
Sorrise e sistemò il suo
di papillon, di un intenso color blu notte, come il resto del suo
completo. Non
si poteva di certo dire che fosse un grande amante dell’arte
contemporanea ma
rifiutare quell’invito sarebbe risultato quanto mai scortese.
Si era, tuttavia,
presentato da solo, anche perché non si era azzardato a
chiedere all’unica
persona che gli interessasse veramente d’invitare:
d’altra parte, non era
difficile immaginarsi la sua risposta. Istintivamente la
cercò con lo sguardo
ma non la trovò. Si chiese cosa mai avesse potuto tenerla
lontana da quella
festa che, di sicuro, non si sarebbe persa per niente al mondo. Proprio
come
richiamata dai suoi pensieri, varcò esattamente in quel
momento le porte della
galleria. La vide liberarsi dal pesante soprabito e, per poco, non ci
rimase
secco. I capelli biondi erano acconciati in una vaporosa treccia
laterale,
mentre alcune ciocche erano state magistralmente lasciate libere di
incorniciarle il volto. Anche il suo vestito era blu ma di una
tonalità
decisamente più chiara e brillante, con uno spacco audace e
un taglio dritto
sul seno a lasciarle completamente scoperte le spalle. Non lo
degnò nemmeno di
uno sguardo, concentrata com’era nel suo unico obiettivo di
raggiungere la
sorella. Quando la vide, Anna quasi saltò sul posto dalla
gioia.
«Se non chiudi quella bocca, sbaverai»
Jackson si riscosse «Principessa, stai benissimo»
si complimentò nel vederla
con quell’elegante abito lilla dalla deliziosa scollatura a
cuore e la sua
lunga chioma bionda completamente libera di risplendere
«Ti ho vista, sai?
Scoppiare di entusiasmo davanti a quei quadri»
Lei si illuminò «Sì!»
confermò entusiasta «L’uso del colore
è così evocativo,
una meraviglia per gli occhi»
A lui sembravano solo macchie buttate lì ma
tant’è «Hai proprio ragione»
Rapunzel rise «Non assecondarmi solo perché vuoi
cambiare discorso»
Jack ghignò «Non so di cosa parli»
Oh sì che lo sapeva ma fece finta di
credergli «E’ arrivata Jane!»
drizzò di colpo la testa, vedendola entrare proprio in quel
momento «Devo
assolutamente farle vedere Sogno di una notte di mezza estate»
si avviò
travolta dal suo stesso entusiasmo ma, prima di allontanarsi troppo, si
voltò
verso di lui ancora una volta «Vai» gli disse
soltanto e, poi, tornò ai suoi
propositi.
Jackson, dal canto suo, non era tanto sicuro di volere andare. Sapeva
quello
che voleva, certo, perché era ben conscio del quantitativo
di relazioni buttate
al vento per via di quei sentimenti che non se n’erano mai
andati: quello che
voleva lei, invece, era tutta un’altra faccenda. Si era
chiesto mille volte che
cosa sarebbe successo se non fosse stato così stupido da
mandare tutto all'aria quella fatidica sera ma, quando la
lucidità tornava a prendere il sopravvento, gli risultava
chiaro come lei
avesse già deciso di tagliarlo fuori dalla sua vita. Averle,
però, dato il
giusto appiglio per farlo gli bruciava non poco. Sin da quando era
tornato in
città, lei era stata subito molto chiara a parole almeno, eppure…
«Quindi sei venuto» gli disse, raggiungendolo alle
spalle «Non mi risulta fossi
appassionato»
Si voltò verso di lei e le sorrise furbetto
«Infatti non lo sono ma non si
rifiutano gli inviti di uragano Anna, non te
l’hanno detto?»
«Sono consapevole di aver rischiato grosso»
ridacchiò.
«Ho visto che sia tu che Jane siete arrivate in ritardo, non
è una cosa da te.
Problemi al lavoro?»
Lei annuì «Chiaramente, quando
c’è qualcosa d’importante, un imprevisto
deve
sempre saltare fuori all’ultimo secondo»
spiegò con una smorfia di
rassegnazione «Ma Anna ha lavorato così duramente
per questo evento che mancarlo
era fuori discussione»
«Sei splendida…» gli sfuggì
dalle labbra prima che riuscisse a trattenersi.
Inaspettatamente, Elsa – forse aiutata dallo champagne
– alzò un sopracciglio e
tirò appena le labbra di lato «Anche tu non sei
male»
Questo gli diede il coraggio di continuare «Ho visto che sei
venuta da sola»
Lei si irrigidì «Sì, ma non capisco
come questo dovrebbe interessarti»
«Beh» non demorse lui «Dato che anche io
sono venuto solo, potrei farti da
accompagnatore»
«Con quale scopo?»
Jack scosse appena il capo, non capendo.
«Hai un unico fine, Overland, ed è quello di
portarmi a letto»
«Così mi offendi, Bleket»
si risentì lui, portandosi una mano al petto
«Voglio
solo godere della tua compagnia in questa piacevole serata, tutto
qui»
«Quindi, vuoi dirmi che se io ora ti dicessi di lasciare
questa festa e di
andare assieme in una camera d’albergo tu mi diresti di
no?»
«Ti direi perché scegliere una camera
d’albergo, quando abbiamo a
disposizione ben due appartamenti: il mio e il tuo»
Lei roteò gli occhi al cielo «Vedi? Sei
incorreggibile…»
Jack inarcò le sopracciglia, stupito
«Incorreggibile? Sono un uomo, Elsa…» la
guardò dritta negli occhi «Un uomo che
ti…»
Accompagnato dal tintinnio del bracciale che aveva legato al polso,
avvertì le
dita di lei sfiorargli le labbra. Non era certo fosse colpa del
riverbero della
luce o chissà che altro, ma i suoi occhi azzurri –
magistralmente truccati sui
toni del rosa – sembravano improvvisamente più
lucidi «Non dirlo, per favore…»
lo pregò.
Rilasciò appena un sospiro sulla pelle di lei, trattenendosi
a stento dal
seguire l’impulso di baciarla «Va bene»
Elsa spostò la mano con qualche secondo in più
del consentito, distratta dalla
vibrazione del cellulare proveniente dalla sua pochette
«Scusami un attimo» lo
recuperò, stupendosi non poco nel vedere sullo schermo la
dicitura sconosciuto.
Scambiò una rapida occhiata con Jack e rispose,
inconsapevole che, una stanza
più in là, a suo cognato stava succedendo
esattamente la stessa cosa «Pronto?»
«Detective Bjorgman, Dottoressa Bleket»
parlò un’artificiale voce metallica,
facendola rabbrividire «Sarebbe gradito, da parte vostra, se
la smetteste di
interferire con i nostri progetti, d’altronde siamo tutti
dalla stessa parte…»
«Chi sei?» chiese, la voce spezzata. Jack la
guardò allarmato.
«Siamo la nera paura che vi sta crescendo nel petto, il
ghiaccio che sta
gelando il vostro cuore e mozzando il vostro respiro: siamo i Fearling.
Non
intromettetevi, non ostacolateci o ne pagherete le
conseguenze» ci fu un attimo
di silenzio «Mamma, papà…»
singhiozzò una voce rotta dal pianto, la
comunicazione si interruppe.
Mentre il cellulare di Kristoff cadeva sul pavimento e lo schermo si
infrangeva
in una miriade di schegge di vetro, Elsa sbiancò:
registrò a malapena le mani
di Jack che le si serravano rapide sulle spalle per sostenerla,
l’unica cosa su
cui riusciva a concentrarsi in quel momento era quella vocina
disperata. Freja,
avevano preso Freja.
Ebbene
sì, la situazione è precipitata
improvvisamente... la domanda è perché?
Ovviamente si scoprirà... ma a tempo debito ;)
Abbiamo avuto anche tre nuovi ingressi che potrebbero farvi drizzare le
antenne... ma magari no ù_ù
Indubbiamente c'è del caos in questo caso, riusciranno i
nostri eroi a districarsene? Ma, soprattutto, ci sarà una
sola verità?
Nel mentre il tira e molla fra Jack ed Elsa sembra non avere fine,
mannaggia a loro (a lei principalmente XD)
Il fatto che Kristoff sia geloso del rapporto fra Jack e la figlia
è un mio personalissimo headcanon di cui mi diverto sempre
particolarmente a scrivere, spero sia stato divertente anche per voi
leggerlo.
Per quanto riguarda il nome della moglie di Pitch, in realtà
non è noto e cercando Seraphina Pitchiner si viene
riportati, comunque, ad Emily Jane. Tuttavia, in molte fic (compresa
TWOIAN - La Battaglia del Crogiolo di evil 65) viene utilizzato come
headcanon, diciamo che mi sono accodata a questa parte di fandom.
Il triste background di Kozmotis, come detto in precedenza, si rifa a
quello del dottor Trent Marsh il quale, nella serie di riferimento,
aveva perso la moglie per mano in un omicida rimasto impunito.
L'interrogatorio fra Pitch e Jack segue molte delle dinamiche di quello
fra Trent e Tommy.
Per finire i doverosi riferimenti a Body of Proof e a quanto Megan e
Tommy abbiano dinamiche Jelsose, il loro scambio di battute finali -
prima della fatidica telefonata - viene (anche se con
opportune modifiche) direttamente dalle loro bocche.
Grazie per aver letto e, come sempre, qualsiasi segno del vostro
passaggio vorrete lasciarmi mi farete molto felice ♥
Alla prossima
Cida |
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Capitolo 7 *** Cap. 6 - Fear ***
Capitolo 6
Quattro donne
in elegante abito da sera ad occupare la sala di attesa di una stazione
di
polizia, nel pieno della notte, era uno spettacolo quanto mai curioso,
capace
di attirare ben più di uno sguardo. Tuttavia, bastava
guardare il trucco
disfatto e il viso disperato di una di loro per comprendere che, in
quella
scena, non ci fosse niente di divertente.
A nulla era valsa la corsa a sirene spiegate verso casa e l'aver
chiamato un gran
numero di rinforzi: la porta era spalancata e, nel vedere il corpo di
Gerta
riverso sul pavimento, il loro cuore aveva fatto una capriola di
più nel petto, di Freja nemmeno l'ombra. L’avevano
presa
per davvero.
Elsa non aveva abbandonato le spalle della sorella neanche per un
attimo,
da quando Kristoff – assieme a Jack - era sparito
all’interno dell’ufficio del
capo della polizia, richiamato al suo posto con urgenza.
Il suo cellulare vibrò e istintivamente si
irrigidì ma, questa volta, la chiamata
era diretta al suo numero personale: l’ospedale. Si
staccò appena per
rispondere e, quando tornò da lei, Anna alzò lo
sguardo distrutto nella sua
direzione con una muta domanda sulle labbra.
«Gerta si è ripresa:» le
spiegò «è ancora intontita e non
ricorda bene cosa sia
successo, la terranno in osservazione ancora qualche giorno.»
Proprio in quel momento anche i due detective tornarono da loro.
Entrambi
avevano il volto tirato ma su quello di Kristoff si poteva leggere la
solita
cupa paura della moglie, con l'aggiunta di una cosa:
rabbia.
«Mi hanno sospeso dal caso!» quasi
ringhiò.
Anna si alzò in piedi «Cosa e
perché?»
Kristoff strinse i pugni «Sono troppo
coinvolto…»
«Certo che sei troppo coinvolto!» sbottò
l’altra di rimando «È tua figlia quella
che hanno rapito! Nostra figlia! Non possono impedirti di
cercarla.»
«È quello che ho detto al signor Bunnymund,
infatti.»
Jack, al suo, fianco sospirò «Prenderlo per il
collo non è stata una grande mossa…»
L’altro lo guardò truce «Che cosa avrei
dovuto fare? Sembrava quasi contento
che abbiano rapito mia figlia perché, così, hanno
commesso un passo
falso!»
«Il signor Bunnymund non è mai contento e, di
sicuro, non ha tatto ma così
facendo gli hai dato prova di non essere affidabile, di non saper
tenere a bada
le emozioni.»
«Ti assicuro che se qualcuno di questi Fearling
torcerà anche solo un
capello a mia figlia, le mie emozioni saranno l'ultimo problema di
chiunque!»
«Questo lo comprendo perfettamente.» concesse
Jackson con
un sorriso
spento «Per questo farò del mio meglio per
trovarla al
posto tuo e non avrò
pace finché non ve la riporterò sana e
salva.»
Prese fiato, poi, continuò: gli occhi accesi dalla
determinazione «Elsa,»
chiamò «ospitali a casa tua per un paio di giorni,
penso
sia la cosa migliore.»
Lei annuì, rafforzando la stretta sulle spalle della sorella.
«Anche tu dovresti prenderti una pausa, stiamo pur sempre
parlando di tua
nipote.»
«Stai tagliando fuori anche me, per caso?»
ribatté dura, presa in contropiede.
«No, ti sto dicendo di stare vicina alla tua famiglia
perché ne ha bisogno. Se
avrò necessità di un aiuto dal tuo dipartimento,
ci sarà Jane a fornirmelo.
Giusto?»
«Assolutamente sì!» rispose quella
«Tutto quello che ti serve.»
«Vedi?» le spiegò «Inoltre so
dove trovare te, se necessario.»
«Come ti muoverai?»
«Un passo alla volta:» le andò vicino
«dammi il tuo telefono, per favore.»
«Perché?»
«È l’unico punto di partenza che
abbiamo: Kristoff anche il tuo, non importa
che sia rotto. Potete prendere le vostre schede personali ma, per il
momento,
quelle di servizio le terremo noi, così come i cellulari.
È lì che vi hanno
chiamato ed è da lì che partiremo.»
Sospirò «Credo possiate andare a casa
adesso, cercate di riposare un po’. Tu no,
principessa...» richiamò all’ordine la
più giovane del gruppo «Abbiamo del lavoro da
fare.»
«D’accordo!» si rese subito disponibile
lei, recuperando i dispositivi dalle
loro mani «Ti aspetto nel mio ufficio. Non
preoccuparti Kristoff, se c’è
una minima traccia la scopriremo.»
Lui annuì e la salutò con un cenno del capo.
Anche Anna si alzò ma, anziché
dirigersi verso la porta, andò verso Jack e, quando gli fu
abbastanza vicina,
alzò il suo sguardo arrossato su di lui «Riportala
a casa.»
«Te lo prometto.»
Lei tirò su col naso «Andiamo?»
esortò il marito. Prima che Kristoff potesse
muoversi, però, Jack gli posò una mano su una
spalla e lo attirò a sé,
sussurrandogli qualcosa in un orecchio. Poi, distese il braccio e gli
fece un
cenno di coraggio col capo.
Per la prima volta in quella nottata da incubo, le labbra del detective
Bjorgman si tirarono in un flebile sorriso «Grazie.»
§
Jackson
raggiunse Rapunzel con due tazze di caffè fumanti
«Tieni principessa, ne avremo
bisogno.»
Lei, già all’opera, soffiò un rapido grazie
senza neanche staccare gli
occhi dallo schermo.
Si sedette sulla seggiola al suo fianco e ne seguì
l’esempio di mettersi
comodo: si liberò del papillon, sbottonò
l’asfissiante ultimo bottone del collo
della camicia e si liberò della giacca.
Punzie sistemò appena la felpa rosa che si era buttata a
coprire le spalle e
tamburellò i piedi nudi sul legno del soppalco, le scarpe
col tacco finalmente
abbandonate con grande sollievo «Ti avviso subito:»
gli disse «dubito
riusciremo a risalire a chi ha chiamato tramite il numero di
telefono.»
«Quindi in mano non abbiamo nulla?»
«Oh no, qualcosa abbiamo!» digitò rapida
una combinazione di tasti e una voce
uscì dalle casse del suo computer.
Jackson sgranò gli occhi «Ma questo
è…»
«La conversazione fra Kristoff e i rapitori,
sì!»
«Ma com’è possibile?»
«Immagino non leggiate mai i termini e le condizioni
dell’utilizzo del
materiale di servizio, non è vero?»
L’espressione del detective fu abbastanza eloquente da
fornirle una risposta
anche senza bisogno di parole.
«Un classico…» commentò con
una breve risatina «Anni fa, ben prima che
cominciassi a lavorare qui, il nostro dipartimento seguì un
caso in cui era
coinvolta un’importante famiglia malavitosa. Molte delle
persone coinvolte cominciarono ad essere contattate,
minacciate, ricattate. Da allora, tutte
le chiamate sospette vengono registrate in modo da poter essere
consultate
all'occorrenza. E' stata una fortuna che abbiano chiamato su questo
numero. Purtroppo non abbiamo quella di Elsa, in quanto il dipartimento
di
medicina legale non fa parte del nostro ma, essendo stata una chiamata
in
contemporanea, la parte che ci interessa è esattamente la
stessa.»
Jackson ci pensò un po’ su «Ma
perché hanno chiamato proprio sul numero di
servizio?»
«Perché volevano colpirli nelle cariche che
ricoprono?»
«Possibile…» concesse «ma
perché anche Elsa?»
Rapunzel lo guardò, non capendo «Queste domande
retoriche ci aiuteranno come?»
«Giuri che non ripeterai quello che sto per dire?»
«O-ok» promise, perplessa.
«Non credo neanche io che lo stia per fare, per molteplici
ragioni, ma il
signor Bunnymund ha ragione.» affermò risoluto
«Rapire Freja è stata una mossa
avventata, come se avessero avuto paura. Noi siamo convinti di non
avere nulla
in mano ma se sbagliassimo? Sia noi che Elsa dobbiamo aver trovato
qualcosa,
altrimenti perché esporsi a questo modo? Fai andare di nuovo
la registrazione,
per favore.»
Lei obbedì.
Jack sospirò frustrato «Con i rumori della festa
in sottofondo è impossibile
risalire a qualche informazione sul luogo della chiamata.»
«Quei rumori si possono facilmente isolare ma, con un raggio
di ricerca
pressoché infinito, non credo che qualche semplice rumore
possa esserci di
grande aiuto.»
«Smettila di tenermi sulle spine e dimmi che cosa
abbiamo!»
Rapunzel sorrise «Questa voce è contraffatta in
maniera digitale, no? Con un
bel po’ di lavoro e un discreto numero di ore di sonno perse,
dovrei riuscire a
risalire a quella originale.»
Jack quasi si ribaltò dalla sedia «Davvero puoi
farlo?»
«Sono quasi certa di sì.»
«Principessa togli quel quasi e ti sarò
riconoscente a vita!»
«A proposito di riconoscenza: visto che non potrò
muovermi da qui per un po’,
potresti andare a questo indirizzo, per favore? La mia coinquilina ti
darà un
cambio. Ah, anche del cibo sarebbe gradito, grazie.»
Le labbra di Jackson si tirarono in un sorriso mentre si alzava
«Come desidera!»
le disse con un profondo inchino «Avvisami in caso di
aggiornamenti.»
Elsa
socchiuse molto lentamente la porta della camera da letto alle sue
spalle e
tornò verso il salotto, dove il cognato era seduto.
A differenza di Anna, che aveva potuto usufruire di un morbido pigiama
della
sorella, Kristoff portava ancora i pantaloni e la camicia dello smoking
di
quella disastrosa serata.
«Si è addormentata?» le chiese, quando
gli fu abbastanza vicino.
Annuì «Il calmante ha fatto
effetto…»
«Era esausta.»
«Così come lo sei tu.»
Kristoff alzò gli occhi su di lei
«Perché, tu no?»
Trovarono chissà dove la forza di sorridere entrambi
«Che ti ha detto Jack
prima di andare via?» chiese curiosa.
«Te ne sei accorta, eh?» le disse, guardandola di
sottecchi «Mi ha detto che mi
terrà aggiornato.»
Tipico suo, quello di andare contro alle regole pur
di aiutare qualcuno
a cui teneva.
«Stai sorridendo, per caso?»
Bastarono quelle parole per farle sparire la curvatura delle labbra
«Tu hai
bisogno di riposare.»
Kristoff sbuffò appena per la sua testardaggine
«Mi sdraierò qui,
tanto non credo proprio sarò in grado di chiudere
occhio…»
«Dovresti prenderlo anche tu quel calmante e andare da Anna:
non esiste che tu
rimanga qui sul divano!»
«Ma è il tuo letto!»
«Letto dove c’è tua moglie: avete
bisogno l’una dell’altro, ora più che
mai.»
Lui cedette «Grazie, Elsa, cerca di riposare anche
tu.»
«Ci proverò. Kristoff?»
«Sì?»
«Abbi fiducia in Jack, non mollerà
finché non la troverà.»
Lui sbuffò appena «Sto morendo di paura, sapendo
con chi abbiamo a che fare ma
di Jack non ho dubitato nemmeno un secondo. Lo so, non si perdonerebbe
mai se dovesse
succederle qualcosa.»
§
Jack fu di
parola: a mezzogiorno in punto si presentò all'appartamento
con un pranzo da
asporto per tutti, Anna dormiva ancora.
Dopo aver aggiornato Kristoff sulla pista che stavano seguendo al
momento e
prima di congedarsi, inaspettatamente, aveva chiesto ad Elsa un favore.
«Grazie per essere venuta.» le disse, mentre
entravano nell’ospedale «Sono
certo che Gerta sarà più tranquilla nel vedere un
viso conosciuto.»
Elsa inarcò un sopracciglio «Ma lei ti conosce,
lavora per la mia famiglia da
sempre!»
«Beh, sono un bel po’ di anni che non mi vede, non
credi?»
Salirono al piano con l’ascensore, fuori dalla porta della
camera c'era già il
medico ad aspettarli «Per favore, fate che sia una cosa
rapida: la signora è
molto scossa, agitarsi non le fa bene. Sono certo capirete.»
Lei annuì «Certo, dottore.»
«Prego, entrate: tornerò fra dieci
minuti.»
«Grazie.»
«Signorina Elsa!» la riconobbe subito la donna, era
coricata sul letto ma
sveglia «Che piacere vederla! La signorina Anna come sta? Le
dica, per favore,
che mi dispiace, mi dispiace di non aver saputo proteggere
Freja!» le disse, la
voce subito rotta dai singhiozzi e gli occhi pieni di lacrime.
Elsa le fu
subito al fianco, prendendole una mano nelle sue «Gerta, non
faccia così: non è
stata colpa sua!»
«Sì, invece, io quella porta non la dovevo
aprire!»
«Dubito molto si sarebbero fermati di fronte ad una porta
chiusa, signora.» intervenne
a quel punto Jackson.
La donna spalancò gli occhi arrossati «Jackson
Overland! E' tornato!
Quanto tempo è passato?»
Lui sorrise «Un bel po’, temo…»
Gerta tirò appena su col naso «Lo sguardo
è sempre lo stesso.» l’affetto per
quei tempi si lesse limpido nei suoi occhi scuri: giorni in cui Elsa ed
Anna
erano ancora ragazze spensierate e i signori Bleket ancora vivi. Poi
guardò
Elsa e fu folgorata da un’illuminazione «Ma voi
siete tornati…»
«No, Gerta:» anticipò entrambe Jackson
«siamo solo colleghi. Sono un
poliziotto, il compagno di squadra del marito di Anna»
«Il signor Kristoff…» si
rabbuiò «Anche lui sarà molto deluso da
me…»
«Non dica sciocchezze…» cercò
di rincuorarla Elsa.
«Non poteva fare nulla quella sera…» le
spiegò Jack «ma può aiutarci adesso,
cosa ricorda?»
«Non molto, purtroppo: avevo appena messo Freja a letto ed
ero scesa a
risistemare i giochi che avevamo lasciato in salotto, quando il
campanello ha
cominciato a suonare all’impazzata. C’era un uomo
che gridava, chiedeva aiuto,
un incidente… sembrava così disperato e
io… io l’ho aperto!» riprese a
singhiozzare «Appena entrato, mi ha aggredito e mi ha premuto
un panno sul viso:
ho lottato e lottato ma era troppo forte, ho perso i sensi...»
«Lo ha visto in faccia?»
«Di sfuggita, le luci erano basse ed era tutto sporco in
viso, come se davvero
avesse fatto un incidente.»
«Non saprebbe descriverlo, quindi…»
Lei scosse la testa, affranta «No, però mi ricordo
che era molto alto.»
«Era solo?» chiese Elsa, questa volta.
«Sì… no!» scosse il capo,
confusa «Non ho visto altre persone ma, ora che ci
penso, mentre ero a terra mi è sembrato di sentire
un’altra voce…»
«Signori, il tempo è finito!» li
avvisò il medico, rientrando nella stanza.
«D’accordo…» concesse Jackson
«Ci è stata molto utile, Gerta. Non si preoccupi:
la troveremo e cattureremo i responsabili!»
Elsa le strinse più forte la mano «Pensi a
rimettersi, torneremo presto a
trovarla.»
La donna ricambiò la stretta «Grazie davvero per
essere venuti!» e, quando Jack
fu abbastanza lontano, aggiunse «Sono così
contenta per lei...»
Lei sorrise «Riposi, Gerta…»
Quando lo raggiunse in corridoio, l’altro stava finendo di
ringraziare il
medico per la disponibilità.
«Una curiosità, dottore…»
s’intromise con delicatezza fra i due «Avete per
caso
esaminato con cosa Gerta sia stata sedata?»
Lui annuì «Cloroformio: sembra,
fortunatamente, non le abbia lasciato danni.»
«Di questo non posso che esserne felice.»
Il medico si congedò.
«Che ti ha detto Gerta?» le chiese Jack, mentre
erano in attesa dell’ascensore.
A quanto pareva, non era la sola ad avere una buona visione laterale
«Niente
d’importante…» mentì
«Non che ne avessimo bisogno ma, con il cloroformio,
abbiamo la certezza che il rapimento sia collegato al nostro
caso.» sviò
l’attenzione.
«Esatto.» sospirò lui «Ma ho
un dubbio: l’assassino che cerchiamo sembra sapere
perfettamente quello che fa e nell’uccidere le sue vittime ha
sempre denotato
una certa freddezza. Rapire Freja è stato così
impulsivo, se fosse stata la
stessa persona dubito fortemente ci avrebbe fatto sentire la sua
voce…»
«Ho capito.» lo interruppe bruscamente
«È mia nipote e a questa eventualità
non
voglio nemmeno pensare. Stai dicendo che dietro a tutto questo ci
potrebbe
essere un gruppo di più persone che non agisce
necessariamente assieme?»
«Perché no?» le aprì la porta
per farle guadagnare
l’uscita «Che cosa abbiamo scoperto per spaventare
alcuni di loro a tal punto?
Non abbiamo nulla in mano: il carico non aveva fenilciclidina, abbiamo
i
documenti del deposito, non abbiamo mezza traccia. E perché
minacciare anche
te? Cosa hai scoperto?»
Elsa scosse il capo «Niente: ho chiesto a Jane di
ricontrollare minuziosamente
le foto dei ritrovamenti ma senza alcun riscontro.»
Jack fece per aprire nuovamente la bocca ma venne bloccato dalla
suoneria del
suo cellulare «Overland!» rispose. Rimase in
ascolto per qualche secondo, poi
il suo sguardo s’illuminò «Sei un genio,
principessa!» buttò giù
«Rapunzel ha
trovato la chiave per eliminare la contraffazione della voce, fra poco
dovremmo
riuscire a sentire il reale timbro del rapitore. Devo tornare al
dipartimento,
ti riaccompagno a casa?»
«Oh no, per carità, non fare aspettare
la tua principessa…»
Confuso, inarcò un sopracciglio «Sei
sicura?»
«Sicurissima, c’è un posto dove devo
andare prima.»
§
Freja si
rannicchiò nella sua coperta, seduta su di uno sgualcito
nudo materasso.
S’impose di non singhiozzare, nella poca luce di
quella stanza spoglia,
illuminata solo da una lampada di emergenza e da un datato televisore
che
trasmetteva un altrettanto vecchio programma. Era pur sempre la figlia
di un
poliziotto e una recluta a tutti gli effetti, doveva mostrarsi
coraggiosa.
Almeno non era sola, aveva due fidati aiutanti: Olaf e il Signor Bunny,
rimasti
avvolti assieme a lei nella coperta con cui l’avevano portata
via. Si sentiva
ancora tanto stanca, quando si era ribellata - nel momento di scendere
dal
furgone – quei signori l’avevano fatta dormire e
doveva aver dormito davvero
tanto, vista la grossa fame che l’aveva accolta al risveglio.
Fortunatamente
c’era un panino lì ad aspettarla e
l’aveva divorato subito, senza pensarci.
Così come aveva bevuto con avidità dalla
bottiglia d’acqua che le avevano
lasciato al fianco. Quando il pensiero tornò alla sua mamma
e al suo papà, per forza di cose, gli occhi cominciarono a pizzicare e
le lacrime
cominciarono a scendere senza possibilità di fermarsi.
Tuttavia non fiatò,
sebbene non fossero stati poi così cattivi con lei, non ci
teneva che quei tipi
tornassero. Si strinse maggiormente ai suoi amici, per sentirsi meno
sola e si
sdraiò, sperando ardentemente che il suo papà
arrivasse a salvarla il prima
possibile.
§
«Dottoressa Bleket,
ma quale gradita
sorpresa!» la accolse il dottor Kozmotis Pitchiner, con un
mezzo sorriso «Mi
era parso di capire che avesse deciso di non aver più
bisogno dei miei servigi
ma, prego, si accomodi.»
Elsa non fece un passo «Non ho cambiato idea.»
«Allora mi illumini: a cosa devo questa sua inaspettata
visita?»
«Li richiami!» gli ordinò senza mezzi
termini.
Lui inarcò le sopracciglia stupito «Chi dovrei
richiamare, di grazia?»
«I suoi Fearling, o comunque gli piaccia
farsi chiamare…» sibilò fra i
denti.
Gli occhi castano-dorati di Kozmotis Pitchiner brillarono, quasi
divertiti
«Miei?» sorrise sarcastico «Temo stia
facendo un grosso buco nell’acqua,
dottoressa.»
Elsa lo guardò gelida «E’ inutile
mentire con me, io lo so che c’è lei dietro a
tutto questo: vuole arrivare a chi ha ucciso sua moglie e sua figlia,
la
capisco, ma non aiuterà a riportarle
indietro…»
L’espressione sul viso di lui s’indurì
«Lei non sa nulla.»
«Quello che so è che non c’è giustizia nel rapire una bambina dalla
sua
casa, strapparla all’amore dei suoi genitori e minacciare di
ucciderla per
attuare un vile ricatto: li richiami!» ripeté
risoluta.
«Dottoressa…» sibilò lui
gelido «Ammesso e non concesso che ci sia io dietro a
tutto questo, crede davvero che bestie di quel calibro, una volta
liberate,
possano essere richiamate come cagnolini ubbidienti? La sua
ingenuità mi delude.»
Elsa prese un grosso respiro e abbassò il capo, stringendo i
pugni: mettendo a dura prova il cuoio della sua borsa «Sono
certa che
quello che sto per dirle non la
deluderà…»
«Prego…» la invitò, curioso.
«Se succederà qualcosa a mia nipote,»
cominciò a dire, rialzando lo sguardo «io
la ucciderò!»
L’altro ghignò, piacevolmente stupito
«Non ne sarebbe capace…»
«Non ci scommetta, dottore.» continuò
lei «Lo ha detto lei stesso, chiunque può
uccidere: basta solo la motivazione giusta. Sono certa non
vorrà mettere
alla prova la mia.»
«Dottoressa, lei è una sorpresa
continua…» si complimentò quello, senza
però
l’ombra di un sorriso sul volto «Ma, se non le
dispiace, la pregherei di
andarsene, ho davvero ancora molto lavoro da portare a termine prima
della fine
di questa giornata. Arrivederci.»
«Ci
può scommettere…» disse
lei, voltandogli le spalle «Presto o tardi, io
rivedo tutti.»
§
Non appena
aveva riconosciuto la voce del rapitore, Jackson aveva chiesto a
Rapunzel due
cose: una consisteva nel fare una consegna, l’altra attendeva
paziente
all’interno di una delle sue tasche. Parcheggiò
l’auto sul retro dell’edificio,
rimanendo lontano dalle telecamere di sorveglianza. Tirò ben
su il colletto del
suo giaccone scuro, poi sfoderò torcia e pistola.
Scivolò rapido fra le ombre,
sgusciando fra i muri come una folata di vento: ogni punto cieco fidato
alleato
nella sua avanzata. Gli ci volle qualche minuto per trovare un punto
d’ingresso: il deposito, da quel lato, era completamente al
buio, ad esclusione
delle luci di emergenza che ronzavano quasi minacciose, conferendogli
un’aria
fatiscente. Decise di non accendere la torcia, non ancora almeno,
tuttavia non
abbassò la pistola. Si mosse circospetto fra quei lugubri
corridoi, silenzioso
come uno spettro, ma il cuore che gli rimbombava
nelle orecchie
all’impazzata lo rendeva vivo più che mai.
Camminò per un tempo che gli parve
infinito, in quei luoghi che non sembravano aver visto passaggio umano
da molto
tempo. Sperò seriamente che quei due balordi non avessero
fatto il passo più
lungo della gamba con qualcosa d’irreparabile. Mentre quel
lugubre pensiero lo
riempiva di paura, improvvisamente lo sentì: un jingle di un
vecchio programma
televisivo. Si avvicinò con cautela a quella porta chiusa,
il cuore in gola:
l’interno celato dal legno scuro. Saggiò la
maniglia e la trovò chiusa a
chiave. Gli sembrò di sentire del movimento, la TV si
spense.
«Chi c’è?» pigolò
una vocina dall’altra parte.
Jackson sgranò gli occhi e si avventò sulla
serratura, non si aprì. Prese la
pistola e con il calcio la colpì una, due, tre volte
– ogni colpo come un tuono
nel silenzio del corridoio – e quella, finalmente, cedette.
«Freja!» esclamò, entrando.
Nel vederlo, la paura sul viso della bimba si trasformò in
un grande sollievo «Zio
Jack!» lo chiamò in lacrime, correndogli fra le
braccia.
Lui la strinse forte e le baciò la testa
«È tutto a posto, piccola, ti ho
trovato: torniamo a casa.»
Lei recuperò i suoi pupazzi, non li avrebbe lasciati per
niente al mondo, e si
lasciò prendere. Jack rafforzò la presa, mentre con la mano
libera continuava a
tenere ben salda la pistola.
Ansioso di andarsene da lì il prima possibile, fu incauto:
il braccio sporto in
avanti venne colpito violentemente con un vassoio, dal basso verso
l’alto,
all’altezza del gomito. Il dolore gli fece perdere la presa
sull’arma che svanì
nell’oscurità, solo un istinto primordiale gli
fece tirare indietro la testa
quel tanto che bastava per essere preso in viso solo di striscio
anziché in
pieno, il metallo lo ferì comunque.
Questa volta reagì e spinse forte contro la porta,
schiacciando il suo
assalitore fra il legno ed il muro. Non perse tempo a decifrare
l’imprecazione
che ne seguì, corse via il più velocemente
possibile.
Fu allora che saettò il primo sparo. Il rimbombo gli
raggelò il sangue,
strinse Freja ancor di più e si nascose nella prima stanza
disponibile: un
vecchio spogliatoio in disuso.
«Stai bene?» le chiese preoccupato.
Lei annuì, fortunatamente il colpo sparato alla cieca non
era andato a buon
segno. A quanto pareva, erano più pericolosi di quanto
avesse ipotizzato:
continuare a tenere Freja in braccio era troppo rischioso.
Si avvicinò ad un gruppo di armadietti malandati e fece
scendere
la bambina,
stando ben attento a non perdere di vista la porta nemmeno per un
secondo.
Dal corridoio arrivavano voci concitate: litigavano? Da lì
non
riusciva a capire per cosa. Cercò nelle tasche
«Freja, sai
cos’è questo?»
La bimba fece segno di sì con il capo una seconda volta.
«Bene.» cercò di sorriderle
«Questo permetterà a papà di trovarti
presto. Tu,
però, devi aspettarlo qui.» le disse spingendola
delicatamente in un armadietto «Non
preoccuparti, non ti cercheranno: saranno troppo occupati con
me…»
Lei spalancò gli occhi dalla paura «Non chiudermi
qui, zio Jack, non lasciarmi
sola!»
«Non è facile, lo so… ma loro sono
armati e non posso davvero lasciare che ti
facciano del male. Chi lo sente tuo padre, altrimenti? O ancor peggio
tua
madre!» celiò per cercare di smorzare la tensione,
sperando che la poca luce potesse mitigare la preoccupazione sul suo
volto «Non
ti lascerò sola, Olaf e il Signor Bunny veglieranno su di te
come hanno fatto
fino ad ora.»
«Ma ho anche tanto freddo…»
protestò, piagnucolando appena.
Jack imprecò mentalmente, non aveva preso la coperta
«Tieni la mia giacca e
stai nascosta qui dentro: andrà
tutto bene, te lo prometto. Qualsiasi cosa sentirai, non
uscire per nessun
motivo. Chiudi gli occhi e pensa solo a cose belle. Quando li aprirai
di nuovo,
ci sarà il tuo papà davanti a te.»
Freja tirò su col naso ma acconsentì, si
lanciò al suo collo un’ultima volta e
lui ricambiò la stretta con tutto il calore che era in grado
di trasmetterle,
poi, chiuse l’armadietto e se ne andò.
§
Anna
non si era ancora alzata dal letto: forse dormiva ancora, forse faceva
finta, Kristoff non si era premurato di scoprirlo. Quando Elsa era
uscita con Jack non aveva più avuto il coraggio di
raggiungere
nuovamente la moglie, d’altronde come avrebbe fatto a
rassicurarla? Era lì, inerme, mentre sua figlia era in mano
ai
rapitori: con che coraggio poteva stringerla fra le sue braccia di
vigliacco?
Il signor Bunnymund gli aveva tolto la pistola e il distintivo, per
essere ben sicuro che non muovesse un dito… o che, almeno,
non
facesse sciocchezze. Nel tardo pomeriggio, sua cognata era rientrata a
casa ma non aveva neanche avuto il tempo di togliersi le scarpe che il
cellulare provvisorio le aveva notificato un messaggio: non aveva fatto
un fiato, probabilmente credendoli ancora addormentati, e aveva
composto un altro numero, uscendo da dove era appena entrata. Nascosto
dalla penombra del salotto e dallo schienale del divano, gli era parso
di sentire il nome di Jane, Elsa di lui non si era nemmeno accorta.
Aveva piena fiducia nelle capacità di Jack ma non poteva
davvero
più stare con le mani in mano, perciò si era
deciso ad
accendere la luce e di smettere di attendere passivo il susseguirsi
degli eventi. Aveva preso il suo taccuino, quello non si erano
premurati di toglierglielo, e si era diretto all’ampia isola
della zona cottura, acceso la luce e messo su il caffè, di
cui
aveva un disperato bisogno.
Richiamata dalla luce o magari dall’aroma, Anna lo raggiunse.
Guardandola negli occhi, comprese: non stava dormendo affatto.
«Che cosa stai facendo?» gli chiese con voce roca,
la gola chiusa dall’angoscia.
Non si stava riferendo al caffè. «Ripercorro il
caso.» le spiegò «Mi hanno tolto tutto
ma non
questo!» disse, indicandosi la testa «Se
c’è
un modo per…»
«Ti aiuto!» si offrì sua moglie senza
nemmeno farlo finire «Qualsiasi cosa, ti prego.»
Kristoff sorrise debolmente di quel legame che li univa in maniera
indissolubile e se ne infischiò altamente del caso
secretato:
era di Freja che si trattava e loro avevano tutto il diritto di essere
coinvolti. Parlarono a lungo e lui le raccontò ogni cosa:
tremarono assieme ma facendosi anche forza l’un
l’altro.
Quando lui non ebbe più fatti da raccontare, Anna
rialzò
lo sguardo e diede nuovamente voce al quesito a cui, almeno
per il momento, nessuno sembrava avere una risposta «Non ha
senso, perché hanno rapito Freja? Di cosa mai abbiamo
peccato
per punirci a questo modo?»
«Hanno avuto paura: dobbiamo esserci avvicinati a qualcosa,
per
forza! Ma a cosa?» sbottò Kristoff, sbattendo il
pugno sul
piano «Tutti i possibili sospettati hanno un alibi, Rider ha
mentito e dal deposito non abbiamo ricavato un ragno dal
buco…»
«Avete i documenti, è vero... però...
da come me ne hai parlato, questo Rider mi sembra,
sì, un bel furfante ma non uno che abbia intenzione di
fregarti…»
Di questo ne era sempre stato convinto: e se…
Inarcò le sopracciglia, folgorato da
un’illuminazione ma,
proprio in quel momento, il citofono suonò. Sussultarono con
il
cuore in gola, per poi tirare un sospirò di sollievo quando
scoprirono l’identità del loro inaspettato
visitatore, o
meglio, visitatrice: Rapunzel.
«Punzie, che ci fai qui?»
«Mi manda Jack:» gli spiegò, il volto
tirato dalla stanchezza «mi ha pregato di darti
questo.»
Kristoff capì immediatamente di cosa si trattasse
«Lui dov’è?»
«Non lo so: sono riuscita a decodificare la voce di chi ti ha
chiamato, appena l'ha sentita è come impazzito. Mi ha
chiesto un rilevatore e di
portare questo a te, non so altro.»
«Puoi farla sentire anche a me?»
«Certo, ho qui il mio portatile.» gli rispose,
mostrando la
sua tracolla. Prima ancora di riuscire a sfilarlo, però, il
dispositivo nelle mani di Kristoff vibrò e
cominciò a
suonare ritmicamente: il rilevatore era stato acceso.
«Punzie!» esclamò, la voce nuovamente
accesa dalla
trepidazione «Devi cercare una persona per me, Anna dalle la
password di tua sorella.»
«Quella la recupero in due secondi…» gli
fece presente lei «Dove vai?»
Lui guardò la moglie dritta negli occhi «Vado a
prendere nostra figlia!»
Anna drizzò di colpo il capo «Voglio venire con
te.»
«No!» le intimò risoluto «Non
so di preciso a
cosa andrò incontro e non posso mettere in pericolo anche
te.
Abbi fiducia in me, ti prego.»
Lei si strinse le mani al petto ma annuì.
«Punzie, prenditi cura di lei.»
Uscì di corsa, praticamente volando giù dalle
rampe di
scale. Il telefono all’orecchio, pronto a chiamare i
rinforzi:
quel che non sapeva era che qualcuno era già ad attenderlo
fuori.
§
Il
fatto di
aver perso la pistola bruciava a Jackson ancor più della
ferita
alla testa. Sperò che Punzie avesse già
consegnato il
tracciatore a Kristoff e che Elsa avesse letto il suo messaggio. Se
sì, entrambi lo avrebbero raggiunto al più presto
e, con
un po' di fortuna, accompagnati da un discreto numero di rinforzi.
Al momento,
lui poteva
contare solo sulla sua torcia, accesa come un faro per attirare su di
sé le attenzioni dei rapitori e allontanarli da Freja il
più possibile. Erano vicini, glielo
diceva ogni fibra del suo corpo, tesa come una corda di violino.
Per
questo,
quando un nuovo attacco gli saettò di lato, non lo
trovò impreparato: schivò
rapido e colpì con il lungo manico della sua lampada. Dal
rumore sordo e il
grugnito che ne seguirono, capì di aver fatto centro.
Roteò su se stesso per
aggirare quell’alta figura, che con i suoi occhi ormai
abituati a quella luminosità ridotta,
riusciva chiaramente a vedere: pronto a sferrare l’ennesimo
attacco.
Ma, solo quando avvertì un cigolio dall'altra parte del
corridoio, comprese di essere stato circondato.
«Faccia attenzione detective, da queste parti il ghiaccio
è molto sottile…»
Neanche riuscì a chiedersi che cosa c’entrasse
quella frase in quel momento:
venne investito da un potentissimo getto d'acqua gelida in pieno viso.
Il liquido gli
entrò in gola, nel naso e lo mandò a sbattere
violentemente contro il muro più vicino: tutto
fu buio.
Sotto il ghiaccio
del lago c’è solo freddo, c'è solo
oscurità, c'è solo paura.
L’aria fugge via dai polmoni,
spodestata da infida acqua gelata.
Non c’è più la forza di battere i pugni
sulla superficie: le braccia, le mani e le gambe ormai rassegnate ad
addormentarsi per sempre.
Non resta che chiudere gli occhi e abbandonarsi al
suono delle sirene.
Quando
lo vide dietro al
vetro della cella frigorifera, il cuore di Elsa scricchiolò.
Spalancò la pesante porta, non senza sforzi, e corse subito
al
suo fianco.
«Jack, Jack!?» cercò di riscuoterlo,
trascinandolo fuori.
Dapprima lui non si mosse, mandandola nel panico ma quando
posò
le dita calde sul suo collo gelido, per constatarne il flebile battito,
le sue palpebre si aprirono di colpo, il terrore negli occhi.
«E' tutto ok, non sei nel lago, non sei nel lago.»
cercò di rassicurarlo, tenendogli il viso fra le mani.
L'altro riuscì, finalmente, a metterla a fuoco
«Fiocco di neve, sei
tu!» balbettò, tremando «Sono lacrime
quelle?»
Elsa trattenne a stento un singhiozzo, non era sicura di aver aperto
quella porta in tempo «Stai bene?»
Lui mugolò appena «Ugh… ho bisogno di una respirazione
bocca a bocca»
Le scappò una mezza risata isterica «Di un pugno in bocca hai
bisogno, altroché…»
Le labbra violacee di Jack si tirarono in un piccolo sorriso
«Freja?»
«L’ha trovata Kristoff, grazie al tuo segnalatore,
sta bene.» lo rassicurò.
«Mi ha chiamato zio…»
«Era chiaramente sotto shock…» lo
abbracciò
per cercare di dargli un po’ di calore: un’impresa
pressoché impossibile, visti i suoi abiti gelidi e
zuppi. I suoi occhi si chiusero nuovamente, lei rafforzò la
presa
«Resisti, i soccorsi saranno qui a momenti.»
Freja
è salva! ♥
No, non sono così sadica da permettere che le succedesse
qualcosa, ringraziamo tutti zio
Jack
per questo (sì, ci sono un po' di nostalgiche Seasons vibes).
Anche se, con la sua impulsività, è caduto
con entrambe le scarpe nella regola numero uno: mai andare contro a dei
sospetti da solo.
Proprio tutto dobbiamo insegnargli a questo benedetto ragazzo
ù_ù
Elsa ben sa il motivo per cui a Jack non piace l'acqua gelata ma a
quanto pare non era l'unica. Maggiori dettagli arriveranno in seguito
ma chi conosce il personaggio di Jack Frost può farsi una
vaga idea di quello che gli può essere accaduto in passato.
Ammetto che non è stato per niente facile scrivere
dell'angoscia
di Anna e Kristoff. Spero di essere riuscita a mostrare la loro
disperazione e il loro senso d'impotenza anche senza essere entrata
troppo nei dettagli, dato l'argomento delicato non volevo rischiare di
creare un pasticcio.
Così come spero che la reazione di Freja sia risultata
credibile, sia nella parte da sola che con Jack.
I nodi stanno venendo al pettine... tutti? Questo non credo!
Per cui se avete ancora tante domande, nei miei piani c'è
l'intenzione di svelare tutte le risposte.
Per i doverosi riferimenti a Body of Proof, la frase con cui Elsa si
congeda da Pitch è la stessa con cui Megan si rivolge a
Trent Marsh in uno dei loro scambi. Mentre la richiesta di una
respirazione bocca a bocca, con relativa risposta, viene da uno scambio
fra Tommy e Megan.
Come sempre vi ringrazio per essere arrivati fin qui, per aver aggiunto
questa storia in qualsiasi tipo di lista e per ogni parere che avrete
il piacere di lasciarmi (scusate se non sono molto attiva con le
risposte ma,
prima o poi, arriverò).
Considerando che sono piuttosto certa di non riuscire a ripubblicare
alcunché prima delle imminenti festività: vi
faccio i miei migliori
auguri per tutto! ♥
Alla prossima
Cida
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Capitolo 8 *** Cap. 7 - Wrong perspectives ***
Capitolo 7
Rapunzel chiuse il rubinetto
dell’acqua, stizzita. Sempre
più frustrata, recuperò uno straccio e
iniziò ad asciugare i piatti. Era sola
quella sera: la sua coinquilina l’aveva abbandonata per
andarsene a un qualche
tipo di festa. A nulla erano valsi i suoi tentativi di convincerla ad
accompagnarla, quella sera aveva spazio per una cosa soltanto: il
rimugino.
Non era un’operativa, lei, perciò aveva
accolto con entusiasmo la
richiesta di Kristoff di rintracciare il suo informatore scomparso; un
po’ meno
aveva gradito il compito di andare a stanarlo di persona. Trovarlo non
era
stata un’impresa semplice ma neanche impossibile, di fatti,
era convinta di
essere riuscita a contattarlo e a combinare un incontro. Si era
presentata sul
luogo dell’appuntamento tesa come una corda di violino ma,
più il tempo era
passato, più le era stato chiaro che non si sarebbe
presentato affatto. Aveva
peccato d’ingenuità e questo la metteva a disagio:
era pur sempre una
poliziotta e l’essere ingenui non era un punto a suo favore.
Fallire – inoltre
– non le risultava piacevole.
Rabbrividì, per un’improvvisa folata
d’aria proveniente dalla finestra che –
pensò, inarcando le sopracciglia – avrebbe dovuto essere chiusa.
«Ehi! »
Una voce profonda alle sue spalle la fece sussultare:
recuperò d’istinto la
prima cosa che le capitò sotto mano e vibrò un
fendente laterale, mentre un
grido acuto le sfuggiva dalle labbra.
La padellata colpì l’intruso fra la spalla e
l’orecchio, mandandolo al tappeto
con un grugnito di dolore.
«Chi sei tu? Come hai fatto ad entrare qui? »
Lui fece leva sulle braccia e si girò con fatica, portandosi
a sedere per
terra: impossibile capire chi fosse, coperto com’era dal
cappuccio della felpa.
«Ehi, calma, biondina: già che il naso mi
è stato incredibilmente risparmiato,
ci terrei a mantenere intero almeno quello. »
mugolò di dolore e si alzò.
Rapunzel non abbassò la sua arma improvvisata «Chi
sei? » ripeté.
L’altro si scoprì il viso, mostrando quelli che
avrebbero dovuto essere dei bei
lineamenti, ora deturpati da lividi ed escoriazioni «Flynn
Rider, mi stavi
cercando, no?» sorrise piacente, pentendosi non appena il
labbro spaccato gli
inviò una stilettata di dolore. Tuttavia, questo non gli
impedì di mantenere un
tono spavaldo «Se avessi saputo che il detective Bjorgman
aveva colleghe carine
come te, gli avrei chiesto di fare cambio.»
«Tu! » sgranò gli occhi lei
«Non ti sei presentato al nostro appuntamento! »
«Volevo capire con chi avessi a che fare... » si
giustificò.
«E hai pensato bene di introdurti in casa mia, rischiando di
farmi venire un
infarto. Come mi hai trovata? »
Flynn inarcò un sopracciglio e, dentro di sé,
imprecò nuovamente «Ti ho
seguita, non sei stata molto cauta… »
Rapunzel arrossì «Non credevo di dover stare
attenta. Come sei entrato? »
«Sono un ladro, no? » mosse un passo verso il
tavolo della piccola cucina «Posso
sedermi? Sai com’è… » le
chiese, mostrandole le sue ferite. Non aspettò una
risposta e si accomodò, con una smorfia di dolore
«La domanda è: come tu
sia riuscita a trovarmi… »
«Faccio parte del reparto informatico. » gli
spiegò, abbassando finalmente la
padella «Hai bisogno di qualcosa? » gli chiese,
preoccupata per le sue
condizioni.
«Scotch? Whisky? »
Lei scosse il capo «Non ci sono alcolici in questa casa.
»
L’altro si impose di non sorridere «Dovevo
immaginarlo. Dell’acqua fresca andrà
benissimo. »
Rapunzel recuperò un bicchiere, lo riempì e
glielo passò, andandosi a sedere
dall’altra parte del tavolo: di fronte a lui ma mantenendo
una certa distanza
di sicurezza «Dovresti andare in ospedale. »
«Biondina, non credi che se avessi potuto andarci lo avrei
già fatto? »
«Chi ti ha ridotto così? »
«Sono stato incauto, recuperare le informazioni per voi mi
è costato caro: con
le Iene non si scherza.» la guardò «Per
questo ho preferito seguirti: nessun
posto è più sicuro della casa di una
poliziotta... »
«A quanto pare no, » gli disse lei, sorprendendolo
«dato che chiunque può
entrare. » lo guardò di sottecchi.
«Ma hai un ottimo sistema di sicurezza…
» stette al gioco lui, lanciando
un’occhiata alla padella.
Rapunzel sorrise «Sono infallibile con quella, vedi di stare
attento. »
«L’ho notato… » concesse,
sfregandosi l’orecchio offeso.
«Perché hai mentito? » gli chiese
subito, senza ulteriori preamboli.
«Mentito? » ribatté, stupito.
«Non c’era fenilciclidina nel carico di cui hai
parlato a Kristoff. »
«Oh sì che c’era! »
ribatté Rider, piccato «Pensi davvero che mi
avrebbero
conciato così se avessi raccontato delle balle? Le Iene sono
convinte che sia
colpa mia se il loro carico è stato sequestrato dalla
narcotici! »
«Ma questo non è possibile! Quando hai parlato con
Kristoff, era già stato
confiscato e, forse, persino bruciato!»
«Vuoi andare a dirglielo tu? » le chiese sarcastico.
«Per questo sei sparito? »
«Beh sì: ci tengo alla pelle, più
dell’aiuto che mi date. »
«Perché sei venuto qui, allora? » volle
sapere, curiosa.
Lui si alzò, non senza fatica «Sono un ladro, un
truffatore – è vero – ma se do
la mia parola non mi piace passare per bugiardo.» si
incamminò, verso la stessa
finestra da cui era entrato.
Rapunzel lo seguì «Possiamo proteggerti, sai?
»
Flynn Rider le regalò un’espressione ammiccante
«Mi proteggeresti tu con la tua
padella, biondina? » la punzecchiò, provocando un
esasperato roteare di occhi
verso il cielo. Questa volta gli risultò impossibile non
sorridere «Ti
consiglio di mettere infissi più spessi. » le
disse, battendo un paio di colpi
sul telaio; poi, lo scavalcò e sparì
nell’oscurità della notte.
§
«È
stata veramente una fortuna che tutto si sia risolto per
il meglio. » Il giudice Weselton le diede un leggero buffetto
sulla mano «Sai
che avreste potuto chiamarmi, sì? Avrei fatto di tutto per
aiutarvi. »
Elsa annuì «È successo tutto
così in fretta che… »
«Non preoccuparti, » la bloccò lui con
un sorriso «quello che conta è che tua
nipote stia bene e che abbia potuto riabbracciare i suoi genitori. Non
oso
immaginare la paura… »
«Moltissima paura ma è finita. »
«E per questo bisogna festeggiare! » Le disse,
levando il calice di vino nella
sua direzione «Il detective che l’ha trovata come
sta? Ho saputo che è finito
in ospedale… »
Elsa si morse appena il labbro inferiore «Meglio…
» lo informò.
«Sei già stata a trovarlo? È il
giovanotto che ti ha accompagnato quella volta,
giusto? »
Annuì «Lui. Ma no, non sono ancora andata a
trovarlo. Aprono le visite solo
oggi, ci andrò nel primo pomeriggio»
Il giudice sospirò, mentre faceva spazio al cameriere
affinché posasse le loro
portate «Ci sono novità sui fuggitivi? »
Elsa fece altrettanto «Non per adesso, ma sono stati
segnalati a tutte le
autorità: è solo questione di tempo»
«Ne sono certo, » confermò, affondando
il coltello nella carne che aveva nel
piatto «Avranno quello che si meritano, quei
farabutti» si portò il boccone
alla bocca e lo assaporò con gusto «Ma basta
parlare di questa triste storia,
che ne dici? »
«Direi che è un’ottima idea. »
sorrise lei con sollievo, prima di assaggiare il
suo salmone.
«Gira un certo pettegolezzo fra le aule di
tribunale… » le disse, sorprendendola
«… è vero che state pensando di vendere
la casa dei vostri genitori? »
Elsa aggrottò le sopracciglia «A quanto pare le
voci girano in fretta. »
Weselton sghignazzò «E’ piccolo il
mondo, figurarsi una città: quando i nomi
hanno una certa importanza, stai pur certa che,
presto, tutti sapranno
tutto di tutti. »
«Non abbiamo ancora deciso, in realtà…
» gli spiegò «Io non sono sicura di
volerlo fare e, con quello che è successo, la terapia che
Anna dovrà affrontare
con la sua famiglia… non ne abbiamo più parlato.
»
L'altro si rabbuiò «Non ti rassegnerai mai, non
è vero? »
«Mi può biasimare? » gli disse,
guardandolo negli occhi.
Trattenne appena il fiato «Penso di no…
» rilasciò un piccolo sbuffo «Ma, nel
caso decideste e aveste bisogno di una mano per liberare la casa,
fatemelo
sapere: conosco un paio di aitanti giovanotti che potranno aiutare con
i
carichi di fatica. »
«Non credo ce ne sarà bisogno ma lo
terrò a mente, grazie… »
«Fammi
capire: davvero gli hai dato una padellata in
faccia? »
Davanti all'espressione incredula e divertita del detective Overland
– semisdraiato
su un letto d’ospedale – le guance
dell’agente Sunlight s’imporporarono di
vergogna «Ho preso la prima cosa che mi è capitata
sotto mano: così impara ad
arrivarmi alle spalle, quello scemo! »
«Ti ricordo che sei una poliziotta, dovresti essere preparata
a tutto… »
Lei rilasciò un piccolo sbuffo «Una poliziotta che
lavora con i computer, non
una che viene aggredita di sera nel suo appartamento. »
Jackson sogghignò «Mi sembra che ad essere stato
aggredito sia stato qualcun
altro: pare tu l’abbia conciato per le feste…
»
«Ehi, io l’ho preso solo di striscio: era
già tutto pieno di lividi, poverino…
»
«Che ti ha detto? »
«Qualcosa sul fatto di lasciargli stare il naso…
»
Jack si morse le labbra per evitare di scoppiarle a ridere in faccia
«Che ti ha
detto del caso. »
«Oh! » comprese e le sue guance, se possibile,
s’imporporarono ancora di più «Dice
che non ha mentito ed è per questo che gliel’hanno
fatta pagare, poverino. »
L’altro inarcò le sopracciglia
«E’ già la seconda volta che ti rivolgi
a lui
con poverino: non è che questo tizio un
po’ ti piace? »
Rapunzel avvampò di nuovo «Che dici? Era ridotto
male, tutto dolorante: mi
spiaceva per lui… »
«Gli credi? »
«Sì! » gli rispose subito, senza
esitazione «Sembrava seriamente spaventato:
sarà anche un ladro e un truffatore ma io penso che, in
fondo, sia un bravo
ragazzo. »
«Ok, » disse Jackson, quasi fischiando
«ti piace sul
serio! »
Rapunzel assottigliò gli occhi e rapida gli sfilò
il cuscino da dietro alla
schiena per, poi, schiantarglielo sulla faccia «Puoi fare la
persona seria, per
un momento? »
L’altro si liberò, massaggiandosi al tempo stesso
lì dove aveva appena sbattuto
sulla testiera di metallo «Ehi, io sarei in convalescenza
qui! »
«Oddio, scusa! » lo spirito battagliero di lei
scemò, lasciando spazio alla
preoccupazione e al rimorso «Stai bene? »
«Sto bene. » sorrise bonario, per poi farsi serio
di colpo «Li hanno trovati? »
«Non ancora... » rispose lei, sullo stesso tono.
«Non lavorano da soli! » buttò fuori
all’improvviso.
«Oltre alla signora De Vil intendi? » lo vide
annuire «Cosa te lo fa pensare? »
«Sapevano cose su di me. » le spiegò
«Cose che solo chi mi conosce molto bene o
ha letto il mio fascicolo può sapere. »
«Come l’hai capito? »
«Prima di colpirmi con il getto d’acqua hanno detto
una frase che, subito, non
ho colto ma mi è stata chiara una volta che mi hanno messo
nella ghiacciaia… »
«Il tuo incidente nel lago! »
Jack inarcò le sopracciglia, non ne aveva mai parlato con
lei.
Rapunzel comprese l’errore
«Sì, ho letto
il tuo fascicolo… » confessò, con
vergogna.
«Quindi sei una piccola stalker… »
«Ero solo curiosa di sapere chi sarebbe stato il mio nuovo
superiore, tutto
qui. » gli spiegò, non priva d’imbarazzo
«Quello che hai fatto per tua sorella,
comunque, è stato davvero eroico: eri solo un ragazzo.
»
«Ci siamo salvati a vicenda, se non fosse riuscita a trovare
aiuto, le cose
sarebbero andate diversamente. »
«Immagino siate molto legati. »
«Anche se facevamo di tutto per non darlo a vedere, lo siamo
sempre stati, in
realtà: anche ora che siamo distanti, questo legame non si
è incrinato. »
sospirò «Ma tornando ai nostri amici: è
chiaro che sappiano che il killer
lavora sulla paura ma, per mia fortuna, non avevano
fenilciclidina… »
«O magari si sono spaventati e hanno agito
d’impulso… »
Jack sbuffò «Vedi il buono proprio in tutti, eh?
»
Rapunzel gonfiò le guance «Intendevo che se
avessero voluto levarti di mezzo
senza alcun dubbio, avrebbero potuto farlo in maniera molto
più veloce e sicura
che il lasciarti congelare con i rinforzi in arrivo, tanto
più che eri
svenuto. »
L’altro tirò le labbra in una smorfia
«Mi hanno pur sempre infilato in una
ghiacciaia, ben sapendo cosa significasse per me ma posso darti ragione
che,
magari, sia stato solo un timido tentativo di sbarazzarsi di me. Non mi
sembrano tipi così svegli da mettere in atto piani ben
congeniati. Ancora non
capisco perché avrebbero dovuto fare tutto con estrema
attenzione per, poi,
capitolare non appena ci siamo presentati al loro cospetto, senza nulla
in mano
tra l’altro… »
«Io cercherei il lato positivo… » disse
la ragazza.
«E quale sarebbe? »
«Intanto, non sei morto. » buttò
lì, facendolo sorridere «Freja è sana e
salva. »
continuò «Prenderli è solo questione di
tempo: quando succederà, sono sicura
che avranno molto da raccontarci. »
«Principessa, devo dirlo, quasi lo invidio il tuo ottimismo!
»
«E fai bene! » gli rispose lei con
un’espressione furba «Lo mangi quello? »
Jack si girò appena, così da capire che si stava
riferendo al suo budino alla
vaniglia che gli era avanzato dal pranzo «Accomodati.
»
Rapunzel si slanciò con entusiasmo verso il dolcetto. Quello
che lei e,
soprattutto, Jack non sapevano era che la finestrella della porta dava,
sui
loro corpi così vicini, una visuale distorta e, per quegli
occhi azzurri che
videro la scena di quelle due teste sfiorarsi, la dinamica prese un
significato
soltanto. La porta rimase chiusa, senza più nessuno davanti.
§
Jasper
e Horace vennero catturati il giorno seguente, ad un
aeroporto minore a molte città di distanza. Separarli fu
inevitabile, vista l’impossibilità
di metterli sulla stessa auto, per via dei continui battibecchi sul di
chi
fosse stata la brillante idea di scappare via aria con due valigie
cariche di
contanti.
Sul loro reale coinvolgimento nel caso, però, rimasero ben
zitti, anche quando
vennero trasferiti in carcere.
Solo quando il cadavere di Cruella De Vil venne ritrovato in pessime
condizioni
in un canale di scolo, si decisero improvvisamente ad essere
più collaborativi.
«Noi non abbiamo ucciso nessuno, diglielo Jasper! »
«È così! »
confermò l’altro.
«Difficile da credere, dato che avete lasciato a morire in
una ghiacciaia un
detective di polizia. » lì incalzò
Kristoff: con Jack ancora a riposo
consigliato,
il signor Bunnymund gli aveva dato una grossa
responsabilità, nel
metterlo davanti ai rapitori di sua figlia. Sapeva che, dietro a quel
vetro,
seguiva ogni sua mossa: doveva essere cauto.
«Ci siamo solo spaventati ma non avevamo dubbi che avesse
chiamato i rinforzi.
Vero, Horace? »
«Certo, neanche lo abbiamo preso quando abbiamo sparato!
»
«Quando tu hai sparato, idiota!
Fra un po’ è me che prendi! » solo
le manette legate al tavolino gli impedirono di dare un colpo sulla
nuca
dell’altro «Non abbiamo motivo di mentire, non
abbiamo neanche chiamato un
avvocato! »
«Se, dopo quello che avete fatto, sperate in uno sconto di
pena, sbagliate di
grosso. »
«Abbiamo trattato bene sua figlia, detective, bastava solo
mollare la presa e
l’avremmo lasciata andare senza un graffio... »
bofonchiò Horace.
«E se non l’avessimo mollata? »
sibilò Kristoff, assottigliando gli occhi.
«Non vogliamo uno sconto di pena, »
tagliò corto Jasper «ma neanche prenderci
colpe che non abbiamo… »
«E di chi sarebbero queste colpe, sentiamo. »
«Non lo sappiamo. »
Il detective inarcò le sopracciglia «Non mi pare
granché d’aiuto… »
«Noi eseguivamo solo gli ordini della signora De Vil.
»
Kristoff quasi sbuffò «Questo mi sembra un
po’ troppo comodo, visto che Cruella
De Vil è morta. »
«È proprio perché è morta
che vogliamo parlare! » sbottò Jasper.
«Non ci teniamo a fare la sua stessa fine per mano delle
Iene! » gli fece eco
Horace.
«Allora temo dovrete darmi qualcosa di
più… »
«Siamo stati noi a rapire John Lionheart…
»
«Come? »
«Attirandolo con la droga del deposito, no? » gli
rispose Horace, come se fosse
ovvio.
Era, in effetti, plausibile «E Sabor? » questa,
invece, era tutta un'altra
storia.
«A lei ci ha pensato la signora De Vil in persona. »
Kristoff ne fu comunque sorpreso «Sabor non sembrava
facilmente
raggirabile… »
«Per niente. »
Confermò Jasper «Ma sa meglio di me che svolgeva
un lavoro, come
dire, particolare.
Se ti prendevi una pallottola o una coltellata, non potevi
di certo andare in ospedale. »
«La signora De Vil, per prepararsi agli studi quando era
giovane, lavorò come
infermiera in un carcere femminile, potete controllare. Lì
la ricucì per bene,
l'avevano quasi sbudellata in una rissa. Da allora sono rimaste, come
si dice?
In contatto. »
«Erano amiche? » dare aria a quel concetto lo rese
ancor più strano del solo
pensarlo.
Horace rise «Non direi. Avevano un accordo: una
pagava e l'altra ricuciva.
Non si ammazzavano a vicenda, insomma. »
«Accordo che è stato spezzato da un miglior
offerente, immagino... »
«Proprio così, » Jasper
annuí «La signora De Vil riceveva dei
messaggi,
noi andavamo e facevamo quel che diceva. »
«E cosa diceva? »
«Prendere Lionheart, consegnarlo da una parte, recuperare il
suo cadavere da
un'altra, portarlo nel vicolo di Locksley, consegnare il biglietto,
prendere i
soldi... »
«Stessa cosa per Sabor, » continuò
Horace in un'alzata di spalle «Ad
eccezione del prenderla, s'intende. »
Kristoff non avrebbe saputo dire se fosse più stupito o
disgustato dalla
noncuranza con cui gli raccontavano quelle
cose «Dove consegnavate le
vittime? Dove recuperavate i loro corpi? I soldi? »
«Ogni volta un luogo diverso: » spiegò
ancora Jasper «Usavamo una vecchia
auto, la lasciavamo in un parcheggio isolato con le chiavi nel quadro e
la
persona richiesta nel bagagliaio. »
«Stessa cosa per recuperare i corpi. Solo dopo la consegna,
ci veniva detto dove trovare i soldi: sempre contanti. »
Kristoff li guardò e, per la prima volta, vide nei volti di
quei due poliziotti
- che aveva creduto semplicemente attempati e svogliati - una certa
vena di
malvagia avidità «Voi siete stati disposti a
rapire delle persone, sapendo la
fine che avrebbero fatto, e a maneggiare i loro cadaveri solo per un
tornaconto
economico? »
«Un bel tornaconto economico, detective. »
ghignò Jasper «Suvvia, erano
mele decisamente marce, vi abbiamo quasi fatto un favore. »
Il fatto di cominciare a reputarli esattamente allo stesso modo,
Kristoff se lo
tenne per sé «E se non lo fossero stati?
» chiese, invece, stringendo
d'istinto il pugno, ripensando a Freja chiusa in quell'armadietto,
stretta ai
suoi pupazzi.
Horace sospirò, socchiudendo gli occhi «I
soldi sono i soldi... »
§
Jane era preoccupata per Elsa: certo, il
rapimento della nipote e
il detective Overland – che, per quanto cercasse di
nasconderlo era chiaro non
le fosse affatto indifferente – finito con urgenza in
ospedale erano stati,
senza ombra di dubbio, duri colpi. In realtà,
però, era solo recentemente che sembrava
essere diventata glaciale: più del
solito, s’intende.
Sembrava infastidita, arrabbiata persino: come logorata da qualcosa, ma
Jane non si sentiva così in
confidenza da osarle chiedere in merito, era pur sempre il suo capo.
Capo che la raggiunse proprio in quel momento, attraversando con passo
trafelato la porta a vetri che divideva i loro uffici adiacenti.
«Jane! » richiamò la sua attenzione
«Ho appena ricevuto una telefonata da Kristoff:
puoi recuperare le foto dei ritrovamenti? »
Annuì «Che cerchiamo? » le chiese,
mentre si metteva al computer.
Elsa le andò vicino, piegandosi un poco verso di lei e lo
schermo «Mi sono
ricordata di una cosa che mi dicesti quando abbiamo controllato i
presenti con
il programma di riconoscimento facciale: a parte le forze
dell’ordine. »
La ragazza si stupì della memoria della donna al suo fianco.
«Guarda se ci sono questi. » bloccò ogni
sua possibile reazione sul nascere,
mostrandole un foglio con due foto, era chiaramente in tensione
«Trovi la
versione digitale nella nostra cartella condivisa. »
Jane recuperò i file e settò i parametri di
ricerca, la risposta arrivò rapida
e precisa «Eccoli lì! » erano ripresi
parzialmente e sullo sfondo ma era
indubbio che fossero loro, su entrambe le scene per di più
«Sono… »
«I rapitori di Freja, sì. » le
sembrò quasi di sentirla imprecare a denti
stretti «Come posso essere stata così
superficiale? »
«Che dici? »
L’altra sbatté un palmo sul vetro del piano
«Sono della polizia giudiziaria!
Hanno anche le divise, non avrebbero dovuto essere lì!
»
«Elsa, non è colpa tua! C’era pieno di
poliziotti, come avremmo potuto notarlo? »
«Invece dovevamo, dovevo! Ho dato per
scontato fosse qualcuno di
esterno, non sono stata abbastanza attenta. In qualche modo sapevano
che
avremmo potuto riconoscerli tramite queste foto: è per
questo che, quella sera,
hanno chiamato anche me. »
Jane scosse il capo «Non puoi avere sempre tutto sotto
controllo… »
«Poteva succedere l’irreparabile…
» liberò, d’un tratto, parte delle sue
preoccupazioni.
L’altra portò d’istinto la mano sulla
sua, ora chiusa a pugno sulla
superficie fredda «Ma non è successo…
»
le sorrise appena, cercando di darle un minimo di conforto
«Freja è
salva, il detective Overland si riprenderà, i rapitori
catturati: solo questo
conta! »
Elsa inspirò senza dire una parola, la mano non la
ritirò.
§
«Mi
spiace che tu sia ancora a riposo forzato, ma sono
contento di trovarti bene. » disse Kristoff, prima di
addentare la sua fetta di
pizza, davanti all’inizio imminente di una partita che,
già sapevano, non
avrebbero seguito.
Jackson, seduto sul divano al suo fianco, prese un sorso di birra
«Essendo
quasi morto per aver avuto la brillante idea di
fare tutto da solo, non
mi stupisce. » ghignò «Sarebbe stato
incredibile il contrario, avrei quasi
pensato di essere simpatico al signor Bunnymund. »
«Tu soffri di manie di persecuzione… »
lo prese bonariamente in giro l’altro.
Sospirò, facendosi serio di colpo: lo guardò
negli occhi «Grazie ancora per
quello che hai fatto. » gli disse d’un fiato.
Jack sorrise «L’aiuto di Rapunzel è
stato fondamentale, senza di lei non avrei
saputo dove andare. »
«Sì, ma non hai perso tempo e ti sei messo in
pericolo pur di salvare mia figlia. »
«La mia fidanzata, vorrai
dire… » lo punzecchiò senza ritegno.
Kristoff assottigliò gli occhi «Pensavo che del
rischio di morire ne avessi avuto abbastanza… »
Questa volta fu il suo turno di diventare serio «Grazie a te,
per essere arrivato
in tempo con la squadra. »
L’altro sospirò «Cavolo, ci hai fatto
prendere un colpo! Non ho mai visto Elsa
così sconvolta… » si lasciò
scappare «Anche se scommetto che, quanto è venuta
a
trovarti in ospedale, ha fatto la sostenuta e non ti ha detto niente.
»
Jackson inarcò le sopracciglia confuso «Eh
già… » decise di non voler indagare
oltre.
Kristoff sogghignò, ignaro dei suoi dubbi «Tipico!
Comunque preparati: quando ti sarai ufficialmente
rimesso, sarai nostro ospite a cena, Anna è stata
categorica. »
«Come sta? E come stai tu? »
«Ci stiamo riprendendo: Freja è a casa da scuola,
Anna non ha ancora riaperto
la galleria. La facciamo dormire con noi, ci rende tutti più
tranquilli. »
«Com’è stato averli davanti? »
«Difficile… » gli confessò
«Avrei preferito averti al mio fianco. »
«Mi dispiace… »
«Non è di certo colpa tua. »
sospirò «Il fatto che Freja fosse già a
casa,
fortunatamente, mi è venuto in aiuto. Nonostante tutti gli
anni di servizio,
però, temo di non essermi ancora abituato a fin dove
l’avidità possa spingere
le persone. »
«Quindi il tuo informatore non mentiva… »
Kristoff scosse il capo «No: a quanto pare era una
consolidata prassi che
qualche partita sparisse prima di finire nell’inceneritore.
Mescolavano i
sacchi veri con alcuni contraffatti, così che fosse tutto
perfetto sotto agli
occhi dei testimoni. Di sicuro, gran parte della fenilciclidina usata
dal
nostro killer proveniva da loro. »
«Il telefono della De Vil ha portato a qualcosa? »
«Purtroppo no. » scosse il capo «Punzie
ha fatto del suo meglio ma era pressoché
inutilizzabile. Le compagnie telefoniche hanno registrato comunicazioni
ma
tutte con telefoni usa e getta. Non abbiamo niente, solo la parola di
quei due. »
Jack buttò giù un boccone «Mi sento di
credergli: non hanno l’aria di
essere così svegli da fare tutto alla perfezione, come il
nostro assassino. L’abbiamo
visto, no? Hanno fatto decisamente troppi errori. »
«Hai ragione: probabilmente erano bravi ad eseguire gli
ordini ma pessimi ad
autogestirsi. »
«Chiunque li abbia guidati, sa esattamente chi siamo, come
lavoriamo… »
«Pensi a qualcuno di noi? » gli chiese allarmato.
«Non necessariamente qualcuno della polizia, magari qualcuno
che ci
collabora… »
«Se così fosse, » ragionò
Kristoff «abbiamo sempre guardato tutto dalla
prospettiva sbagliata. »
Jackson s’illuminò «E’ proprio
così! » esclamò, quasi saltando sul
divano «Ci
siamo lasciati guidare dal nostro lato umano e abbiamo sbagliato.
»
«Che intendi dire? »
«John Lionheart era una persona orribile, di Sabor neanche ne
parliamo. Erano
due criminali, due mostri: ci è venuto naturale concentrarci
su Locksley,
Greystoke e sua madre. Abbiamo cercato disperatamente cosa li
accomunasse ma… »
«Non ci siamo mai chiesto che cosa accomunasse Lionheart a
Sabor! » completò per
lui Kristoff.
«Si conoscevano? Chi li ha arrestati? Chi ha seguito i loro
processi? »
«Direi che è giunto il momento di scoprirlo.
»
§
Elsa
andò verso l’ingresso, richiamata dal
suono insistente
del campanello: aveva quasi aperto la bocca per rispondere quando la
telecamera
sul pianerottolo le aveva mostrato la figura del detective Overland al
di là
della porta, bloccandola. Si morse istintivamente il labbro in
silenzio, la
mano a mezz’aria, indecisa sul da farsi.
«Elsa… » la voce di lui
arrivò alle sue orecchie «Lo so che ci sei,
aprimi. »
Prese un grosso respiro e mise su la migliore delle sue maschere,
aprì «Che
cosa vuoi? » gli disse, senza nemmeno salutarlo.
La delusione, già abbondantemente presente sul viso
dell’altro, s’intensificò
«Che cosa vog… » non terminò
«Cristo, mi odi davvero così tanto? Nonostante
dici
in giro il contrario, non ti sei neanche degnata di venirmi a trovare
in
ospedale! »
Non lo odiava, affatto «Sì che
sono venuta, » gli disse «Ma eri già in dolce
compagnia e me ne sono andata. » gli fece presente, gelida.
Jackson scosse il capo, confuso «Cosa stai dicendo?
»
«C’era l’agente Sunlight con te,
sembravate così affiatati, non volevo
disturbare. »
«Io non so cosa tu abbia visto ma sono piuttosto sicuro che
ti sia fatta
un’idea sbagliata. Rapunzel è una collega e
un’amica. Certo, è una ragazza
molto carina ma non c’è assolutamente niente fra
me e lei. Non ti dico che
potrebbe essere mia figlia ma quasi: non sono quel tipo
d’uomo e, se lo pensi, forse
sono io a non voler continuare questa
conversazione. »
La maschera di lei scricchiolò appena ma non cedette
«Non sarò certo io a
trattenerti. » sentenziò, facendosi una certa
violenza, mentre spingeva la porta
verso di lui.
Jack espirò, con un nervosismo a stento trattenuto:
impuntò la mano in avanti e
le impedì di chiuderlo fuori «Io non capisco,
» sibilò «Credevo che le cose
stessero andando meglio fra noi e, invece... non
so neanche perché sono qui a giustificarmi,
dato che non stiamo insieme. Cosa vuoi da me?
» gli chiese, arrabbiato
«Non hai nessuno al tuo fianco, dici di non volermi ma, al
tempo stesso, non
posso neanche parlare con una collega che succede questo!
»
Elsa inarcò le sopracciglia, il petto gonfio di vecchi
rancori «Possibile che
tu sia diventato arrogante fino a tal punto? Credi davvero che io mi
sia tenuta
libera per te? »
«Non ho detto questo. » lui abbassò il
tiro «Per quanto non mi faccia piacere la
cosa, sei una donna talmente intelligente e bella che solo uno sciocco
potrebbe
credere che tu non abbia avuto altri uomini in tutto questo
tempo… quello che
non capisco è: cosa stai cercando? »
Lei fece un sorriso amaro «Non di certo l’amore, se
te lo
stai chiedendo. Quella è una cosa da Anna, non da me: mi
è bastato provarlo una volta, » lo
guardò dritto negli occhi «Per non volerne avere a
che
fare mai più. »
Jackson imprecò «Ancora con questa storia? Quante
volte devo ripeterti che non
sono stato io a cercarlo, quello stupido bacio? D’accordo,
magari mi sarei
potuto sottrarre e non l’ho fatto ma sai perché?
Ero molto arrabbiato con te,
avevi appena deciso di andare a studiare a migliaia di chilometri di
distanza,
rinunciare ai tuoi sogni, senza degnarti di chiedermi cosa ne pensassi.
»
Elsa inarcò un sopracciglio, piccata
«Perché, avrei dovuto chiederti il
permesso? »
«Certo che no! » rispose lui esasperato
«Ma avresti potuto dirmelo anziché
farmelo scoprire, per caso, tramite tua sorella. La cosa assurda
è che io ti avrei
supportato alla fine, sarei stato disposto a tutto per te ma tu avevi
già
deciso di tagliarmi fuori dalla tua vita. E sai perché?
Perché la felicità che
avremmo potuto avere assieme credevi di non meritarla. La
verità, Elsa, è che
la vita ti spaventa, è per questo che ti circondi di morti,
perché quel giorno
– con i tuoi genitori – sei morta anche tu!
»
Lei lo guardò gelida «Vattene! »
Ciao
a tutti!
Per prima cosa mi scuso con voi per avervi fatto aspettare
così tanto per questo nuovo capitolo °///°
Purtroppo è un periodo (decisamente lungo) in cui sono
sempre ed
esclusivamente di corsa: trovare del tempo per scrivere - nel momento
in cui l'ispirazioni è buona - è molto complesso.
Quello che posso sperare è che la vostra attesa sia valsa a
qualcosa e che questo capitolo vi abbia soddisfatto anche se, so bene,
non si conclude nel migliore dei modi per i Jelsa-lovers come me
(perché una certa dose di sano masochismo nella vita ci
vuole).
La dinamica non è ancora chiara, ma la cattura di Jasper e
Horace pare abbia permesso di dare la svolta al caso: così i
nostri detective si sono resi conto di aver sempre visto il quadro
dalla prospettiva sbagliata.
Prospettiva sbagliata che induce, inoltre, una certa testa molto dura e
molto bionda a credere che fra Jack e Rapunzel ci sia quel che non
c'è: riaprendo vecchie ferite mai del tutto rimarginate e
solleticando l'orgoglio che non vuole ammettere i suoi reali sentimenti
per un detective in particolare.
Si è, quindi, scoperto che cosa avesse combinato Jackson da
ragazzo per farsi mollare da Elsa: ebbene sì, ha baciato - o
meglio - si è fatto baciare da una ragazza ad una festa, nel
periodo immediatamente successivo alla morte dei genitori di lei.
Non molto cavaliere, insomma, ma... c'è un ma che ancora non
è chiaro. Tuttavia, si può cominciare ad intuire
nelle
parole, decisamente dure, di Jack. Il tatto non è mai stato
un
suo punto forte, lo sappiamo.
Sono stata a lungo indecisa se mettere la scena fra Flynn e Rapunzel,
perché la ragazza avrebbe potuto tranquillamente riassumere
tutto nel suo resoconto a Jack in ospedale, ma alla fine ho pensato che
un po' di sano fan-service non sarebbe guastato e avrebbe reso la
lettura più interessante di un semplice riassunto. Spero
abbiate
apprezzato questa scelta.
E, mentre Cruella De Vil è caduta per mano delle Iene,
rendendo impossibile interrogarla per provare anche solo a
capire
chi fosse il suo cliente,
il giudice Weselton continua a fornire il suo amabile supporto alla
famiglia Bleket.
Ma sarà tutto oro quello che luccica?
Al prossimo capitolo per scoprirlo che, prima o poi,
arriverà... abbiate fede!
Grazie per seguire questa storia: come sempre, ogni vostro possibile
riscontro sarà ben accetto <3
Cida
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Capitolo 9 *** Cap. 8 - Is this the end? ***
Capitolo 8
*Attenzione!*
Questo capitolo tratta di tematiche delicate che potrebbero disturbare.
Data la loro natura spoilerosa, però, sono nascoste in
questo
pannello. Se pensate che qualcosa possa turbarvi, selezionate tutto il
testo di questa box e appariranno due righe più sotto.
Razzismo,
ossessione, misoginia, violenza, descrizione di un cadavere bruciato.
|
E'
una stanchezza innaturale quella che le impedisce di
aprire gli occhi. E' una confusione artificiale quella che non le fa
comprendere se sia sveglia o stia ancora dormendo. Possibile che quella
mattinata che le sembra di aver vissuto sia, in realtà, solo
un sogno partorito
dalla sua mente ancora addormentata?
Eppure, perché, nonostante sia al riparo nel calore del suo
letto, le sembra di
sentire così freddo? Perché il cuore le pare come
raggelato in una morsa di
terrore? E' un sogno oppure un incubo?
Un mugolio le esce dalle labbra, non è piacere, è
sofferenza. Prova a girarsi
ma c'è qualcosa che la blocca in posizione supina. E' allora
che lo sente: un
fruscio, c'è qualcuno lì con lei.
E' decisamente un incubo, il cuore accelera i battiti ma
perché gli occhi non
si vogliono aprire?
Avverte una scarica di ghiaccio lungo il braccio: incredibilmente il
cuore si
placa e c'è il nero dell'oblio pronto ad attenderla. Lo
percepisce ma lotta,
non vuole caderci. Si arrampica con tutte le sue forze ma è
come scalare un
muro ricoperto di melma viscida che la fa scivolare. Non le lascia
alcun
appiglio, anzi, le si appiccica addosso: le imbratta le mani, il viso;
le copre
gli occhi, si insinua nelle sue narici. Soffoca, soffoca.
- Suvvia, faccia una pausa: le offro un caffè!
E' proprio l'aroma di quella bevanda ad esploderle nel cervello e,
chissà
perché, poco prima di abbandonarsi all'oscurità
le sembra di sentire le parole
di un'Ave Maria.
§
Se
il cercare fra le forze dell'ordine e i medici legali
che, a loro tempo, si erano occupati dei casi Fitzwater
e Greystoke non portò a nessuna corrispondenza
in particolare,
fra persone diverse o nomi privi di rilevanza, virare verso l'ambito
giudiziario fece trillare un insistente campanello d'allarme.
Tuttavia , il terreno su cui i due detective - perché
sì, Jackson era stato
riammesso sul caso - stavano per muoversi era estremamente instabile,
dato che
il rischio di fare una mossa falsa ed inimicarsi l'intera procura era
qualcosa
che la centrale di polizia voleva, a tutti i costi, evitare.
Per questo avevano deciso di agire
separati: il
primo aveva optato per seguire la via professionale, mentre il secondo
per
quella personale.
Kristoff si presentò, così, in tribunale, dato
che la sua visita in procura si
era risolta con un buco nell'acqua.
Questa volta, tuttavia, non gli servì neanche raggiungere il
bancone
dell'accoglienza che un buffo ometto dai baffi bianchi gli si
avvicinò
trafelato.
«Scommetto che lei è il detective Bjorgman!
» Affermò deciso, mostrandogli un
sorriso bonario.
Kristoff inarcò un sopracciglio, stupito. «Sono
io, sì... »
«Giudice Weselton. » Si presentò
porgendogli la mano. «Ero molto amico dei
genitori di sua moglie. »
Lui si illuminò. «Certo! Anna mi ha parlato di
lei: mi scusi se non l'ho
riconosciuta. »
«Non si preoccupi. Purtroppo non vedo Anna da anni ormai ma,
per via del
lavoro, ho avuto modo di mantenere i contatti con Elsa. »
Rafforzò la stretta,
che ancora non aveva abbandonato, con l'altra mano. « Come
state? Siete
riusciti a riprendervi un po' da quella brutta faccenda? »
Kristoff non fece fatica a comprendere a cosa si riferisse.
«Ci proviamo. »
«Sono sicuro che ci riuscirete! E, come ho già
detto ad Elsa, potete contare su
di me per qualsiasi cosa. »
«Lei è molto gentile, grazie. »
«Mi dica: cosa la porta qui, oggi? » Gli chiese,
poi, sinceramente curioso.
«Lavoro? Cielo, spero nulla di personale... »
Il detective fece un mezzo sorriso imbarazzato. «Lavoro,
lavoro: non ho nessun
conto in sospeso con la legge. Anche perché sarebbe il
colmo, non crede? »
Weselton si unì alla sua risatina «Il caso dei
Fearling? La cattura di quei due
ha dato i suoi frutti? »
«Forse... » Si tenne sul vago. «Per lo
più acerbi, temo. Ero giusto venuto a
chiedere aiuto per farli maturare. »
«Cercava qualcuno in particolare? »
«In effetti, sì!» Confessò,
sulle spine. «Durante i nostri vari approfondimenti, abbiamo
notato che il procuratore Frollo aveva seguito alcuni
dei
casi legati ai nostri omicidi. » Sospirò.
«Speravamo potesse darci una mano ad uscire dal vicolo cieco
in cui
siamo
incappati. »
Weselton annuì. «Sempre molto frustrante quando
succede. » Si prese, poi, qualche
secondo per pensare. «Se non sbaglio, Claude non aveva
udienze oggi. E’ venuto
presto, per alcuni documenti e se n’è andato
subito. So che sembra incredibile
dirlo ma, penso, avesse la giornata libera. »
«Sa, per caso, dove posso trovarlo? »
Il giudice scosse il capo. «Mi dispiace, non ha condiviso con
me i suoi
programmi. Ma, se posso darvi un consiglio spassionato, vi conviene
prendere un
appuntamento con la procura: Claude non ama particolarmente le
sorprese. »
Kristoff annuì. «Questo è decisamente
un ottimo consiglio, credo che lo
seguiremo. Grazie. »
Dall’altra
parte della città, Jackson aveva dato fondo a
tutto il suo fascino per convincere la giovane concierge –
dello stabile di
lusso, dove il procuratore Frollo aveva un appartamento – che
non era davvero
necessario disturbarlo, avvisandolo che sarebbe salito,
d’altra parte doveva
solo consegnarli un documento che stava aspettando e no, non poteva
mostrarglielo in quanto sotto segretezza assoluta. Ma la ragazza, una
giovane
rossa dalla capigliatura ribelle e
dall’accento improbabile, non si era
smossa di un millimetro: né davanti al suo distintivo,
né davanti al suo
sorriso più brillante.
Solo una geniale intuizione – in fin dei conti, non era
detective capo solo per
caso – gli aveva consentito di salire al piano senza essere
annunciato: certo,
parte del suo prossimo stipendio se ne sarebbe andato per
l’acquisto di due
biglietti in prima fila per una partita di hockey dei Bears
ma, almeno,
aveva raggiungo il suo scopo. Arrivato alla porta, però, si
era ben presto
accorto che tutti i suoi sforzi erano risultati vani: il procuratore
Frollo non
era in casa.
Dal sorriso che la ragazza gli aveva rivolto, quando era sceso per
andarsene,
aveva capito: lei lo sapeva.
Irritato per essersi fatto fregare come un pollo, prese il cellulare e
selezionò il numero del suo compare fra le telefonate
recenti. «Quanto credi
sia sconveniente per un detective di polizia non mantenere la parola
data? »
La voce di Kristoff trasecolò dall’altro lato.
Jack sbuffò. «Lascia perdere. Il procuratore
Frollo
non è nemmeno a casa… »
Ascoltò per un attimo «Oh no, non credo proprio
che aspettare di prendere appuntamento
in procura sia una buona idea… Come possiamo rintracciarlo
se nessuno sa dov’è?
Bella domanda! Mmm… » Rimuginò,
tamburellando un poco il piede sull’asfalto. «Beh,
ma noi la persona adatta ce l’abbiamo! »
Scostò il telefono dall’orecchio, travolto dalle
preoccupazioni del detective
Bjorgman. «Lo so che è una faccenda
delicata… No, non la metterò nei guai…
Stai
tranquillo, mi prenderò tutta la colpa, nel caso: lo
sai. » Riagganciò che
l’altro stava ancora blaterando.
Inspirò a fondo e selezionò un altro numero.
«Principessa, ho un favore da
chiederti. » Sorrise nel sentire la sua risposta.
«Fai bene a non farti piacere
il mio tono di voce: ti sto per chiedere una cosa molto
delicata… Sì, per
delicata intendo priva di qualsiasi autorizzazione.
» Tirò le labbra di
lato, mentre ascoltava i dubbi di lei. «Questa volta
è la pista giusta! Ne sono
convinto, ne siamo convinti! Abbiamo tenuto in
considerazione tutto! »
Annuì, anche se l’altra non poteva vederlo.
«Ascolta, nell’improbabile caso che
avessimo preso un granchio grosso come una casa - e non l’abbiamo
preso – dirò che ti ho
costretta, mostrato un mandato falso, quello che vuoi. Se una testa
dovrà
cadere, sarà la mia. »
La ascoltò ancora per un attimo, poi, sorrise.
«Quindi rintraccerai il suo
telefono? »
Ci fu un attimo di silenzio dall’altra parte: una flebile
esternazione positiva
arrivò alle sue orecchie. «Sapevo di poter contare
su di te, principessa!
Appena hai novità, aggiornami subito. Io, intanto, raggiungo
Kristoff. »
§
«Dai, zia, fai la
magia! »
Elsa alzò
lo sguardo, protetto da trasparenti occhiali di plastica, verso la
sorella che, ben aperta la porta del garage per fare entrare luce e
aria, la
ricambiò con un’espressione complice.
Perciò
infilò una mano guantata in un sacchetto e si rivolse alla
nipote, anche
lei protetta da una versione ridotta di occhiali. «Pronta?
»
Freja
annuì estasiata, salterellando trepidante da un piede
all’altro.
Quando il ghiaccio
secco entrò in contatto con l’acqua bollente, una
densa
nuvola di fumo si levò dalla superficie e si sparse nel
locale, sospinta verso
l’esterno dalla corrente d’aria creata
appositamente.
La bimba esplose in
un gridolino estasiato per assumere, poi, un’aria tetra ma
che, sul suo visino, risultava vagamente buffa. «Ecco che gli
spiriti
arrabbiati nascondono la foresta! » Disse con voce
misteriosa. «Valoroso Signor
Bunny, Cavalier Olaf: dobbiamo salvare i suoi abitanti! » E
si buttò
all’esterno, in mezzo alla rada nebbia artificiale.
Elsa si
avvicinò alla sorella, ancora appoggiata
all’ingresso del garage, lo
sguardo concentrato su ogni mossa della piccola. «Le hai
raccontato la storia
della Foresta Incantata di papà? » Le chiese, con
un sorriso malinconico.
«Sì!
» Le rispose Anna, ricambiandolo. «Ma temo che, al
momento, abbia una
visione delle cose più simile alla tua che alla mia.
» Sghignazzarono assieme
nel ricordare come la maggiore si concentrasse sempre sul fattore avventura,
mentre l’altra sull’amore. «Sei certa che
questa cosa sia sicura, sì? » Le
chiese, poi, vedendo la figlia lanciarsi verso un cumulo più
denso degli altri.
«Certo:
è all’aperto e le quantità sono
ridotte. Nessun pericolo per, a quanto
pare, un massimo divertimento. » La rassicurò, non
riuscendo a nascondere un
nuovo sorriso di fronte alle peripezie della nipote.
«Grazie.
» Le disse Anna all’improvviso, stringendo le
braccia al petto. «Aveva
davvero bisogno di qualcosa di diverso dal solito. »
Elsa le
posò una mano su una spalla, nel tentativo di darle un
po’ di conforto.
«Come sta andando? »
L’altra
scosse appena il capo. «Non così male, in
realtà, almeno credo. La
notte è il momento più difficile per lei, il non
averla sott’occhio è quello
più difficile per me. Ho così paura che possa
capitare di nuovo, capisci? »
Elsa
annuì. «E’ normale, è passato
ancora così poco tempo. Ma passerà vedrai,
supererete tutto, ne sono certa. Così come sono sicura che
non ricapiterà. »
Anna sorrise,
confortata da quelle parole, mentre una lacrima di tensione le
sfuggiva dalle ciglia. «Chi l’avrebbe mai detto che
sarei stata in debito a
vita con l’idiota? »
Buttò lì, mascherando con una mezza risata quel
singhiozzo che le era salito dalla gola, abbandonandosi al suo fianco,
in cerca di un abbraccio.
Per quanto
cercò di dissimulare la cosa, il solo riferimento a Jack
causò in
Elsa un’impercettibile rigidità. Anna,
però, conosceva bene la sorella per non
scorgerla, tanto più ora che erano a stretto contatto.
«Ho detto qualcosa che
non va? » Chiese, inarcando le sopracciglia perplessa.
«Niente…
» Cercò di tagliare corto l’altra.
«E’
uno dei tuoi soliti niente che vuol dire tutto? » Oh
sì,
decisamente troppo bene. «Che cosa ha
combinato questa volta? »
Elsa si morse il
labbro inferiore, nervosa. «Abbiamo litigato. »
Anna
sgranò gli occhi. «Litigat… Come?
Quando? »
«E’
venuto a casa mia, un paio di sere fa. »
«A casa
tua?!? » Continuò l’altra, sempre
più agitata: tanto che si allontanò
dal suo abbraccio quasi saltando, in un modo sin troppo simile a quello
della
figlia.
«Credo che
abbia una relazione con l’agente Sunlight. »
Bloccò sul nascere ogni
sua possibile errata conclusione.
Anna rimase senza
parole per un attimo, il che la stupì non poco.
«Con Punzie? »
Disse dopo qualche secondo, stranita anche al solo pensiero.
«E’ poco più di
una ragazzina… »
«Una
ragazzina molto carina. » Precisò
l’altra.
«Cosa ti fa
pensare che stiano insieme? »
«Quando
sono andata a trovarlo in ospedale, lei era già da lui. Li
ho visti
baciarsi… »
«Baciarsi?!?
» Esclamò. «Lo ha fatto di nuovo?
» Strinse i denti, ripensando al
loro passato.
Elsa
annuì. «Almeno credo… »
«Credi?
» La incalzò la sorella. «Lui che ti ha
detto al riguardo? »
«Che sono
solo colleghi ed amici… »
«E non
pensi possa essere la verità? Elsa, dai, non puoi non
esserti accorta
che è pazzo di te: non lo vedi come ti guarda? »
«Come mi
guarda? » Chiese, sperando di dissimulare, con un certo tono
di
noncuranza, l’effettiva curiosità che le
solleticava il petto.
«Come un
uomo innamorato, zuccona! » le svelò,
avvicinandosi
nuovamente per
poterle dare un deciso buffetto sulla fronte. «E anche come
un uomo che non
vede l’ora di recuperare tutto il tempo perso, non so se mi
spiego. »
«Anna!
»
«Che
c’è? » Ridacchiò quella.
«Hai ragione, Punzie è molto carina ma non
può,
di certo, competere con una Regina dei Ghiacci come te!»
Elsa si
portò una mano a coprire la risatina che le era salita
spontanea alle
labbra. «Regina
dei Ghiacci?
»
«Beh
sì, mi pare lampante che – fra le due –
la più focosa e passionale sia
sempre stata io… » Si pavoneggiò,
portando una mano a lisciarsi i capelli
ramati, giusto per rimarcare il concetto.
«Ah
sì? » Le rispose l’altra, alzando un
sopracciglio. «E questo l’hai
stabilito come? Di certo non puoi saperlo… »
Stette al gioco, maliziosa.
Anna
spalancò la bocca stupita. «Stai davvero
rispondendo alle mie battute a
sfondo sessuale? Oh mamma, ti devo sembrare proprio un caso disperato!
»
Elsa alzò
gli occhi al cielo e ricambiò il colpetto in fronte di poco
prima. «Ma
quanto sai essere sciocca? »
In tutta risposta,
l’altra le si buttò fra le braccia.
«Elsa? » Le mormorò sul
petto.
«Mmh?
»
«Ti voglio
bene. »
§
L'indagine
clandestina di Rapunzel aveva generato un
risultato a metà: era riuscita a rintracciare gli
spostamenti del procuratore
Claude Frollo ma, con estremo disappunto di tutti e tre, il dispositivo
era sparito da
ore,
dopo essersi connesso ad un'ultima cella verso i boschi fuori
città. Sebbene la
zona non fosse particolarmente coperta, non risultava neanche del tutto
priva
di segnale, perciò c'era una spiegazione soltanto: aveva
spento il telefono.
La portiera dell'auto rimbombò nel silenzio degli alberi,
non avrebbero potuto
più utilizzarla per andare avanti.
«Seriamente, Jack: cosa ci facciamo qui? » Chiese
Kristoff, guardandosi
attorno. «Siamo nel bel mezzo del nulla. »
Jackson scrutò lo schermo del cellulare, studiando con
attenzione l'immagine
satellitare della zona appena condivisa da Punzie. «Nulla che
nasconde un
rifugio di caccia dove, sono sicuro, si trova il nostro uomo.
»
«E una volta trovato cosa gli diremo? Procuratore, la caccia
all'alce in questo
periodo dell'anno è vietata: la dichiaro in arresto!
» Si grattò la nuca,
nervoso. «Finiremo in un mare di guai per questo, me lo
sento. »
Il detective Overland sbuffò sonoramente, alzando gli occhi
al cielo. «Il
procuratore Frollo è alla stregua di una macchina nel suo
lavoro: nella sua
carriera ha sempre - e dico sempre - ottenuto la massima pena per tutti
i suoi
indiziati. Eppure, quando era ancora agli inizi, ha
macchiato
indelebilmente il suo curriculum di vittorie. Ti va di ricordarmi di
quale caso
parliamo? »
«L'omicidio dei signori
Greystoke. In più ha supervisionato anche il processo Fitzwater... » Grugnì in
risposta.
«Esatto! » Lo incalzò l'altro.
«Aveva un solo modo per pulire questa macchia e
ha, per qualche motivo, trovato il coraggio di farlo: si è
trasformato in
giustiziere, il capo dei Fearling. Sa esattamente come la polizia
lavora, gli
iter che dobbiamo seguire, i metodi della scientifica e dei medici
legali:
tutto! E' un uomo colto, con rudimenti di chimica e medicina, da sempre
circondato da criminali e ha abbastanza soldi da comprarsi tutto il
distretto,
non solo la De Vil e i suoi scagnozzi. » Si portò
le mani ai fianchi. «Eppure mi
sembravi convinto tanto quanto me. »
«Lo sono, infatti! » Ribatté Kristoff.
«Ma ciò non toglie che non abbiamo uno
straccio di prova, solo ferme supposizioni. »
«Sono sicuro che questo rifugio ci darà le
risposte che cerchiamo: d'altra
parte, dubito molto che abbia ucciso le sue vittime nel suo
appartamento, no? »
Il detective Bjorgman fu colto da un'intuizione che lo fece tremare.
«Se così
fosse, perché è qui? Potrebbe non essere solo...
»
«Motivo in più per sbrigarci! »
«Tu giochi con il fuoco: è il fiore all'occhiello
della procura. »
Jackson ghignò. «Mi piacciono le sfide, che vuoi
farci? » Gli disse, prima di
addentrarsi nel fitto degli alberi.
«A me no. » Borbottò Kristoff,
nonostante il suo compagno non potesse più
udirlo. Lo seguì comunque.
§
La
giovane donna
uscì dall'oblio, richiamata come da
tante piccole formiche che le percorrevano curiose una gamba e le
solleticavano
il collo. Quando avvertì due narici aspirare profondamente
il profumo dei suoi
capelli, però, capì: non erano insetti a lambire
la sua pelle ma le dita di
una mano. Sgranò gli occhi, in preda al terrore.
«Ti sei svegliata, di nuovo. » Disse una roca voce
di uomo al suo fianco.
Questa volta si ritrovò abbastanza lucida da riconoscerla.
«Procuratore... »
Sussurrò, la gola quasi chiusa dalla paura. Provò
ad alzarsi dalla fredda
superficie su cui era sdraiata, ma si riscoprì bloccata da
alcune fascette di
plastica. «Perché sono qui? Che cosa vuole da me?
»
«Perché hai peccato, zingara. »
«Peccato? » Ribatté, provando a
divincolarsi ma sempre invano. «Ho un lavoro
onesto in tribunale, lo sa bene. »
La luce era poca e flebile, ronzante. L'ombra la faceva da padrona,
scorgerne
l'espressione era pressoché impossibile, ma il ghigno sulla
sua faccia se lo
poteva quasi immaginare.
«Quelle come te peccano sempre. »
«Quelle come me? » Chiese, la voce incrinata.
«Uscite dall'Inferno per tentare gli uomini di fede e
giustizia - come sono io
- e portarli alla perdizione. Siete come sirene ammaliatrici lungo la
strada
della dannazione eterna. » Le afferrò il mento con
una mano. «Che colpe ho io,
zingara, se non so resisterti? »
Lei scosse il capo di colpo, per liberarsi: gli sputò in
faccia. Dal verso
di disgusto che gli sfuggì dalle labbra, capì
di averlo colpito.
«Resistermi? Io non ho mai fatto nulla per tentarla, sono
stata solo gentile,
come con chiunque altro. Se si comporta così è,
unicamente, perché è un
animale: ecco cosa è. »
Claude Frollo sghignazzò. «Sentiti! Questo fuoco
che ti brucia dentro, anche
ora che sei in trappola, non può che essere quello del
demonio! »
«Voi siete pazzo! » Gli urlò contro,
riprendendo la sua lotta per la fuga,
ferendosi la pelle ambrata.
«Pazzo di te, zingara: diventa mia o morirai! »
La giovane donna soppesò quelle parole, poi, aprì
la bocca e urlò. «Aiuto!
Qualcuno mi aiuti, vi prego! »
Un manrovescio la colpì dritta sul viso. «E'
inutile che gridi, meretrice.
Nessuno ti troverà, qui. » Le tappò la
bocca con una mano, il viso stravolto
dalla collera. «Dunque hai scelto la morte. » Le
soffiò sugli occhi sgranati
dal terrore. «Sappi che mi divertirò con te.
Sarà soddisfacente tanto quanto...
» Si bloccò, l'altra mano ad un soffio dal suo
bassoventre.
Le liberò la testa e si allungò verso un tavolino
lì vicino. Quando si voltò di
nuovo verso di lei, fra le dita guantate stringeva una siringa.
«Qualcuno mi aiuti... » sussurrò
nuovamente, ormai rassegnata al suo destino.
«Neanche Dio può aiutarti, zingara:
perché questo è il suo disegno per te! »
Ma, prima che riuscisse a calare l'ago nella sua carne, un fascio di
luce li
investì in pieno.
«Procuratore Frollo, la getti! » Gli
intimò Kristoff, la pistola puntata su di
lui.
«Sappiamo cosa ha fatto: lasci andare la ragazza e si
arrenda! » Lo incalzò
Jackson, tenendolo sotto tiro a sua volta.
Claude Frollo sbatté le palpebre per un attimo, disorientato
da quel cambio
repentino di luminosità. Quando comprese
l'inutilità del suo timore, dacché quella
luce non aveva nulla di divino ma era semplicemente frutto dell'arrivo
di due
sciocchi poliziotti, ghignò in risposta e calò il
fendente.
Fu allora che Kristoff sparò: non avrebbe saputo dire se
l'avesse preso in
pieno o di striscio, poiché il procuratore indossava
un'ampia
tunica nera,
inquietante memento del suo potere, ma non poté indagare
meglio perché, se lui
era forte il suo compagno era veloce, e - prima ancora che potesse
rendersene
conto - si era già lanciato sul sospettato in una serrata
lotta per disarmarlo.
Jackson era più giovane e più lesto ma Claude era
atletico per la sua età e,
scoperto, non aveva più niente da perdere: riuscì
ad assestargli una testata,
facendogli abbassare la guardia, cercando di approfittarne per colpirlo
con
l'ago della siringa. Il detective, fortunatamente, riuscì a
bloccarlo: l'ago
gli lambì la pelle del collo ma non la penetrò.
Con un fendente improvviso, colpì il gomito del procuratore,
facendogli
allentare la presa: la siringa gli scivolò di mano.
D'istinto la fece diventare
una sua arma e la calò sulla spalla di Claude Frollo
vuotandone il contenuto;
per colpirlo, poi, con un pugno dritto in faccia.
L'altro crollò a terra, immobile.
Tirò il fiato per un secondo soltanto. «Kristoff!
La ragazza! » Gridò e, in un
attimo, le furono entrambi al fianco.
«Ehi! Tranquilla, ci siamo noi adesso. » le disse
quello, cercando di darle un
po' di conforto: quella giovane tutto sembrava tranne che una
criminale. «Come
ti chiami? » Le chiese, armeggiando con il suo fidato
coltello che non
abbandonava mai in caso di avventure nei boschi. La prima fascetta
cedette.
«Esmeralda... » Gli rispose, massaggiandosi il
polso, ora che anche l'altro era
stato liberato.
«Esmeralda. » Ripeté lui con un sorriso.
«Ora ti portiamo fuori di qui. Ce la
fai a camminare? »
Lei annuì ma, quando cercò di portarsi a sedere,
un forte capogiro la costrinse
a sdraiarsi nuovamente, soffocando a stento un conato di vomito.
«Dobbiamo portarla noi. » Concluse Jackson:
chissà che cosa le aveva dato quel
bastardo.
«Ve ne andate
così presto? »
Gracchiò la voce del procuratore: il viso
stravolto, lo sguardo spiritato. La droga era entrata in circolo. Nel
vedere il
fucile che teneva fra le mani, tremarono: era un rifugio di caccia,
come
avevano potuto essere così sciocchi da non pensare che
potesse essere armato?
Senza aspettare oltre, sparò.
L'istinto, nient'altro che quello, guidò Kristoff nel
proteggere Jackson ed
Esmeralda, ancora troppo esposti per salvarsi: venne colpito in pieno
petto.
Jack registrò a malapena l'urlo della ragazza al suo fianco,
la fece scivolare
ai piedi del bancone e ci trascinò anche il corpo inerme del
suo compagno,
mettendoli al riparo: un altro colpo saettò sulle loro teste.
«Ehi, amico, non farmi scherzi: dimmi che ci sei! »
lo implorò, preoccupato.
Quello tossì in risposta. «Giubbotto
antiproiettile... » balbettò con un mezzo
sorriso: era provato ma sembrava cavarsela.
Jack tirò un sospiro di sollievo. «Ok che eri in
debito ma non c'era bisogno di
essere così plateali, per rimetterti in pari. »
Ghignò, prima di rivolgersi ad
Esmeralda. «Te lo affido, state qui dietro al riparo: al
nostro pazzo ci penso
io! » Caricò la pistola e uscì dal
nascondiglio, scaricò alcuni colpi come
diversivo e si spostò in un altro punto: doveva allontanare
Frollo da quei due
ad ogni costo.
Nel suo folle delirio, infatti, il procuratore sembrava comunque
sparare con
una certa lucidità, doveva essere davvero un cacciatore
invidiabile per essere
così preciso anche sotto agli effetti della droga.
«Egli
castigherà i perversi... »
Sentenziò, caricando ancora una volta il suo
fucile, nascosto dal raggio di tiro del detective. «E li
precipiterà in una
voragine di fiamme! »
Jack capì troppo tardi a cosa si riferisse quell'apparente
frase senza senso:
riuscì a malapena a gridare: «Giù!
» Sperando che Esmeralda e Kristoff lo
sentissero. Il proiettile colpì la bombola del gas sul fondo
dell'interrato: ci
fu un'esplosione e tutto fu buio.
Il detective Overland recuperò i sensi e, per un attimo, gli
sembrò di essere
davvero precipitato all'Inferno: c'erano fiamme e un denso fumo nero
dappertutto e le urla, Dio, erano strazianti. Tossì un paio
di volte e aprì gli
occhi lacrimosi per rendersi conto che quelle grida non erano che i
terribili
lamenti di dolore della figura del procuratore Frollo che andava a
fuoco, la
sua tunica completamente avvolta dalle fiamme.
Si alzò a fatica e tornò dove aveva lasciato il
suo compagno e la ragazza,
fortunatamente salvi. Si tastò la testa, nel vano tentativo
di ordinare alle
orecchie di smettere di fischiare: la mano gli si sporcò di
sangue. Con le ultime forze rimastegli,
cercò di
rimettere in piedi Kristoff e, assieme, trascinarono fuori Esmeralda,
ancora
troppo esausta.
Caracollarono poco distanti, il telefono in una mano a chiamare i
soccorsi: il
rifugio stava ancora bruciando.
§
La dottoressa
Bleket e la sua assistente Jane Porter
arrivarono al rifugio di caccia che i vigili del fuoco, assieme alle
guardie
forestali, avevano già domato l'incendio: del modesto
edificio era rimasto ben
poco, sventrato a metà dall'esplosione nel sottosuolo, i
detriti sparsi
ovunque.
Kristoff, Jackson e l'inserviente del tribunale, che avevano salvato,
erano
stati portati d'urgenza all'ospedale più vicino ma le loro
condizioni erano
stabili e non sembravano critiche. Era chiaro che qualcuno
non avesse
imparato niente dalle sue recenti disavventure e qualcun altro
gli era
andato dietro.
Dalla ricostruzione che i due agenti le riportarono, Elsa
scoprì che i due
detective avevano raggiunto il rifugio dopo essersi convinti che Claude
Frollo
fosse il loro uomo. Non avevano specificato, ancora, come
avessero fatto
a rintracciarlo ma era piuttosto sicura che sotto ci fosse lo zampino
dell'agente Sunlight.
Per quanto le costasse ammetterlo, le era chiaro perché i
due idioti avessero
deciso di agire così: non avrebbero mai ricevuto il giusto
supporto
nell'accusare il procuratore sulla base di prove indiziarie, anzi,
avrebbero
rischiato di vedere bloccate le loro azioni sul nascere. Quello che non
le
andava giù era il non essere stata messa al corrente dei
loro piani, visto che
quello era anche il suo caso e gli aveva sempre
fornito la massima
collaborazione: ok, con Jack non si parlava ma Kristoff...
Rilasciò un piccolo sbuffo, quello non era il momento di
pensarci, doveva
concentrarsi. Si infilò i guanti e invitò la sua
assistente a seguirla. Se
c'era una cosa nella sua carriera a cui non si era mai abituata era
l'odore
della carne umana bruciata. Si portò una mano al viso, nella
speranza che il
profumo che aveva sul polso potesse mitigare quella morsa che le
stringeva lo
stomaco. Da come serrava le labbra, si accorse che Jane era in
difficoltà.
Guardando il cadavere del procuratore Claude Frollo non poteva darle
torto. Le
conseguenze degli impatti da energia termica erano devastanti: il corpo
era completamente
ricoperto da ustioni di vario grado che, in più parti,
raggiungevano lo status
di carbonizzazione. Non era immediato distinguere dove finisse la carne
e
cominciassero i rimasugli degli abiti che l'uomo indossava. La cosa
più
inquietante di tutte, però, era la testa dove il fuoco aveva
reso il teschio
ben visibile fra i tessuti sciolti, le orbite vuote e gelatinose,
qualche
capello ustionato superstite e quel ghigno inquietante dei denti
esposti.
«Convengo che non sia facile ma ti chiedo lo sforzo di
resistere. Non dobbiamo
lasciarci sfuggire nemmeno un dettaglio. Non voglio rischiare che la
nostra
ricostruzione non combaci con la versione di Jack e Kristoff.
»
Jane inarcò un sopracciglio. «Pensi che possano
metterla in discussione? »
Elsa le fece segno di fotografare alcuni particolari. «Stiamo
pur sempre
parlando della punta di diamante della procura. Non mi stupirebbe se,
ad
esempio, mi affiancassero un altro medico legale dato che Kristoff
è mio
cognato. Il fatto, che il caso dei Fearling fosse mio, ci ha permesso
di
essere
più rapide di una qualsiasi possibile reazione ma
è meglio essere preparate. »
«Era un pazzo! » Esclamò l'altra,
guardando con una smorfia di disgusto il
risultato di un primo piano. «Stava per uccidere una ragazza
innocente. »
«Che l'abbiano salvata, oltre ad essere un'ottima notizia,
è anche cruciale:
non potranno mettere in discussione la sua testimonianza più
di tanto... »
«Questo non ha senso. »
Elsa scosse il capo. «Credi davvero che lavorare per la
giustizia sia garanzia
dell'essere privi di orgoglio, ambizione e vendetta? » E, per
un attimo, non
poté fare a meno di pensare a tutte quelle sensazioni
negative che, nelle
sue collaborazioni con lui, il procuratore Frollo le aveva sempre
inviato.
«Dottoressa Bleket! » La richiamò un
ragazzo della scientifica. «Venga qui!
Abbiamo trovato quel che resta della siringa menzionata dal detective
Overland.
»
Li raggiunse solerte. «Ottimo! Classificatela e mandatela
subito ad analizzare:
se ha tracce di fenilciclidina sarà un passo in
più per dimostrare che Claude
Frollo fosse davvero il capo dei Fearling. »
In quel momento, una vibrazione insistente - proveniente dalla sua
borsetta -
la costrinse ad allontanarsi un poco. «Anna? »
Rispose allarmata. «E' successo
qualcosa a Kristoff? E' peggiorato? » L'altra la
inondò di parole concitate.
«Calmati, non capisco se parli così veloce:
c'è poco campo qui. » Le stesse
parole le vennero ripetute con più calma. «Che
cosa hai detto? »
§
Davanti alla porta divelta di quella che era stata la casa della loro
infanzia,
le due sorelle non poterono altro che farsi coraggio ed entrare per
valutare la
scia dei danni che quei balordi si erano lasciati alle spalle, una
volta
scoperto che di valore, in quella casa, non era rimasto praticamente
nulla. Restarono
strette e in silenzio nel vedere le poltrone e i divani, del grande
salone,
stracciati. I vetri dei portafoto in milioni di pezzi, il tavolino
distrutto.
Salirono con il cuore in gola per constatare che, purtroppo, neanche il
piano
superiore era scampato alla loro furia. Entrare nella camera dei loro
genitori
straziò il cuore di entrambe.
Elsa si fece forza e trascinò la sorella in quella che era
stata la sua camera:
non avevano risparmiato nulla, neppure i pupazzi.
«Ehi, guarda! » Le disse, lo sguardo puntato sul
loro vecchio baule dei giochi:
il coperchio in legno era stato divelto ma il resto era ancora intero.
«Te lo ricordi questo? » Le chiese, mentre un
sorriso malinconico le increspava
le labbra.
«Sì! » Annuì Anna, lo sguardo
acceso dal solito sentimento. «Funzionerà ancora?
»
Elsa si abbassò. «Non ci resta che scoprirlo.
» Fece scivolare una mano lungo
il bordo: ci fu un piccolo scatto e uno scompartimento nascosto si
aprì.
«Guarda un po'! »
Le passò i fogli che c'erano dentro: disegni per la
migliore sorella del
mondo e omini di neve ovunque, c'era anche un piccolo
portachiavi. «Vedi?
Se i pupazzi di neve mi piacciono tanto, è solo colpa tua!
»
Anna si strinse nelle spalle e, nonostante tutto, trovò la
forza di sorridere. «Andiamo a vedere cosa c'è
nel mio? »
A differenza di quello della sorella, dipinto sui chiari toni del blu,
il suo
era colorato su quelli del verde ma aveva le stesse dimensioni e lo
stesso
identico meccanismo nascosto. Anche quello non si era sottratto alla
furia
vandalica, dato che lo trovarono completamente capovolto e fuori posto
ma,
anche in questo caso, il loro comparto segreto aveva retto egregiamente
alle
angherie.
Lo girarono assieme, una da un lato e una dall'altro. Quando Anna lo
fece
scattare, però, le sue sopracciglia si inarcarono stupite.
«E questi? »
§
Quando Jack
vide la figura di Elsa ad attenderlo dietro allo
spioncino, non poté fare a meno di sospirare prima di andare
ad aprire. «Sei
venuta perché ti sei pentita di avermi cacciato? »
La accolse, tutt'altro che
compiacente.
Lei lo guardò dritto negli occhi. «Hai intenzione
di scusarti per quello che mi
hai detto? »
«No. »
«In questo caso non ho alcun ripensamento. »
Il detective alzò le spalle. «Allora
perché sei venuta? Vista la mia incredibile
influenza sulla tua acidità di stomaco... »
Elsa sospirò stanca. «Credo tu possa immaginare
cosa significhi per me essere
qui. Possiamo, per una volta, mettere da parte qualunque cosa siamo e
comportarci come semplici colleghi ed amici? »
Jack anelava ad essere amico di Elsa tanto quanto prendersi una
pallottola
dritta in fronte: qualunque cosa siamo. Si fece da
parte. «Prego... »
Lei entrò e, solo in quel momento, aprì le
braccia che teneva strette al petto
e le portò lungo i fianchi, con un breve fruscio di carta.
«Come stai? »
L'altro inarcò le sopracciglia. «Bene. »
Rispose,
sorpreso di quella improvvisa
premura. «Ho firmato per venire a casa: per un po', ho dato
con
gli ospedali. »
Ghignò appena, tastandosi la fronte fasciata.
«Cos'hai
lì? » Chiese, poi, sinceramente curioso: era, di
sicuro, per quello che era venuta.
«Hai saputo che cosa è successo alla casa dei
nostri genitori? » Lo vide
annuire dispiaciuto. «Io e Anna siamo andate a controllare
l'entità dei danni.
» Gonfiò il petto. «Hanno distrutto
tutto ma, nel girare fra una stanza e
l'altra, abbiamo trovato questi. »
«Cosa sono? » Chiese, mentre prendeva fra le mani
la busta che lei gli stava
porgendo.
«Guardalo da solo, per favore. Voglio sapere cosa ne pensi
tu. » Gli rispose,
mordendosi un labbro.
Era maledettamente nervosa e, con tutta probabilità, anche
un po' disperata per
essere lì, nonostante il loro ultimo litigio.
Annuì. «Siediti qui. » La
invitò,
accompagnandola verso il divano.
Elsa obbedì, mentre lo osservava estrarre i documenti dalla
busta e dirigersi
verso la cucina. Ne tornò poco dopo e le si sedette accanto,
passandole senza
nemmeno guardarla - completamente assorto dalla lettura - una bottiglia
di
birra ghiacciata. La accettò con gratitudine e rimase in
trepidante attesa di
un suo riscontro.
«I tuoi stavano seguendo un caso? » Le chiese dopo
quello che parve un
interminabile momento. «Come mai questi documenti sono
saltati fuori solo ora?
»
«Erano nascosti in camera di Anna. Io e lei avevano dei bauli
dove tenevano i
nostri giochi. Entrambi avevano uno scompartimento segreto dove ci
lasciavamo
dei messaggi o piccoli regali: è lì che li
abbiamo trovati. » Deglutì. «Hai
visto la data degli appunti? »
Jack annuì cupo. «Risale a poco prima del loro
incidente... »
Elsa cercò di dare aria a tutti quei pensieri che stava
cercando di mettere a
tacere fin da quando era entrata, ma la mano di lui le si
posò sulla bocca, a
zittirla, bloccandola in un rossore che, forse, non arrivava solo
dall'eccitazione della scoperta o dall'alcol della birra.
«Stavano indagando su qualcosa, qualcosa di grosso...
» Le spiegò la sua
teoria, senza lasciare che lei lo influenzasse con la propria.
«Indagavano da
soli, non si fidavano di nessuno e avevano paura di essere stati
scoperti:
altrimenti non avrebbero nascosto questi in un posto così
inusuale. »
Lei annuì e il sfiorargli la pelle con le labbra le fece uno
strano effetto:
non disse niente e aspettò che continuasse, in trepidazione.
«Stai pensando che, chiunque abbia distrutto casa vostra, non
fossero semplici
ladri ma fossero lì per questi, perché potrebbero
essere la prova di quello che
sospetti da sempre: la morte dei tuoi genitori non è stata
un incidente. »
«E' così! » Si drizzò sul
divano, ormai incapace di trattenersi. «E' sempre
stato tutto troppo sospetto: nessun testimone, telecamere fuori uso,
dinamiche
incerte, autopsia frettolosa... » Le lacrime le salirono agli
occhi. «Li hanno
uccisi... » Disse a fatica, un nodo alla gola. «Li
hanno uccisi prima che
potessero portare a termine le loro indagini. »
Jackson scattò ancor prima di rendersi effettivamente conto
di quel che stesse
facendo, offrendole il conforto delle sue braccia. Inaspettatamente,
lei
accettò quel segno di tregua, travolta dal proprio dolore e
ricambiò la sua
stretta, bagnandogli la maglia del pigiama.
Nel sentirla singhiozzare, Jack inghiottì una buona dose
d'orgoglio, la strinse
ancora di più e abbassò il capo per lasciarle un
bacio fra i capelli.
«Perché pensi che si siano mossi adesso? Dopo
tutto questo tempo. » Le chiese,
continuando a cullarla ma cercando di catalizzare quei cupi sentimenti
verso un
obiettivo.
Elsa tirò sul col naso: per quanto le costasse ammetterlo,
se c'era una persona
con cui poteva mostrare tranquillamente il suo lato meno
elegante, ad
esclusione della sorella, era proprio l'uomo che aveva di fronte.
«L'unica cosa che
mi può venire in mente, è l'idea di Anna di
vendere la casa... »
Lui inarcò le sopracciglia. «Vi eravate decise
alla fine? »
«In realtà, no. Ma come io ne ho parlato con te,
lei lo avrà fatto con qualche
amica, così come Kristoff: le voci girano. Tu... »
Alzò lo sguardo, la domanda
negli occhi ancor prima che sulle labbra.
«Non l'ho detto a nessuno. » Le
confermò, un pelo risentito per quel sospetto.
«Non era già stata perquisita all'epoca?
»
«Sì ma, in particolare, si concentrarono sul loro
studio, il resto della casa
fu controllato sommariamente. Pensavano a qualche regolamento di conti
con
qualche famiglia criminale ostacolata dal loro lavoro: non trovarono
niente.
Almeno così ci dissero. »
«Anche se, al momento, sembrano criptici, questi documenti
devono essere
fondamentali per la soluzione del caso, altrimenti non li avrebbero
nascosti
con così tanta cura. »
Elsa si staccò un poco, per guardarlo negli occhi.
«Stai dicendo che mi
aiuterai? »
Lo vide inspirare a fondo prima di rispondere.
«Perché sei venuta da me e non
sei andata da Kristoff? »
«Io... » Balbettò, presa in contropiede.
« Con tutto quello che hanno passato,
non volevo dargli ulteriori pensieri. » Distolse lo sguardo.
«Anna vuole che
vada avanti, che lasci perdere. Non capisce, non ha mai capito...
» Riportò lo
sguardo nel suo. «Tu sì. »
Jack scosse appena la testa, arruffandosi i capelli come faceva ogni
volta che
era combattuto sul prendere una decisione piuttosto che un'altra.
«Ti aiuterò.
»
Lei, finalmente, sorrise, mettendo da parte i singhiozzi. Si
allungò un poco,
quel tanto che bastava per arrivare a posare le labbra sulla sua
guancia.
«Grazie. »
E
no, non è ancora finita!
Ma ciao! Sono abbastanza incredula di me stessa per essere riuscita a
partorire questo capitolo in tempi, tutto sommato, in linea con le
pubblicazioni iniziali.
Sarà stato il momento topico da descrivere ma non riuscivo a
pensare ad altro, con buona pace delle ore di sonno perse.
Come avrete notato, è più lungo degli altri ma,
converrete con me, che ci fosse veramente tanto da dire: ebbene
sì, il nostro pazzo assassino di assassini pare che fosse
proprio il fiore all'occhiello della procura e qualcuno di voi si era
fatto venire i giusti dubbi.
Inizialmente non era previsto l'inserimento di Esmeralda ma, dopo che
mi è stata nominata da Spirit,
ci ho rimuginato un sacco e, alla fine, ho pensato che non ci fosse
modo migliore per far cadere il procuratore, sempre così
attento
con tutto ma non con la sua ossessione per lei.
Per sicurezza, preciso che non condivido assolutamente
tutto quello che Frollo dice (e fa) nei confronti di Esmeralda.
Anche se avevo detto a Teony
che Merida non sarebbe apparsa, alla fine c'è stato uno
spazio
per un suo piccolo cameo, dove - anche senza essere stata nominata - ha
dato del filo da torcere al nostro Jack. Spero vi abbia fatto
piacere!
Jack che non ha proprio imparato a non rischiare l'osso del collo,
anzi, si è trascinato dietro Kristoff.
E, incredibile ma vero, Elsa (sì, proprio lei!) sembra aver
messo un attimo da parte l'ascia di guerra! Miracolo!
Come dite? Che fine ha fatto Pitch? Non preoccupatevi, non mi sono
dimenticata di lui... d'altra parte, questo non è l'ultimo
capitolo ù_ù.
Grazie davvero per aver letto fino a qui (note deliranti comprese) e
per tutto il supporto che mi date! <3
Spero davvero che questo nuovo tassello vi sia piaciuto.
Un abbraccio e alla prossima (che come sempre arriverà!)
Cida
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Capitolo 10 *** Cap. 9 - Cold Case ***
Capitolo 8
La
sconfitta del capo dei Fearling, l’Uomo Nero,
come
l’aveva ribattezzato la stampa, aveva mandato i giornalisti
in visibilio,
soprattutto per la succosissima scoperta della sua identità.
L’opinione
pubblica era spaccata a metà: fra chi riteneva orribile quel
che il procuratore
aveva fatto e chi non si dispiaceva poi troppo del suo metodo di pulizia.
Quello che tutti ancora non sapevano era che, per dimostrare alla
procura la
loro totale collaborazione, ovviamente in accordo con la ragazza
salvata, la
polizia aveva deciso di non divulgare cosa stesse facendo Claude Frollo
quando
era stato incastrato: nessuno aveva intenzione di ricevere una pioggia
di
ricorsi per i processi seguiti da lui che erano, di fatto,
innumerevoli. Certo,
vista la quantità di persone coinvolte, era
pressoché impossibile che una cosa
del genere rimanesse segreta a lungo, l’importante era che
ci rimanesse abbastanza.
Questo segno di pace, tuttavia, non impedì alle previsioni
di Elsa di
avverarsi: non solo non le fu concessa di effettuare
l’autopsia sul suo
cadavere, non venne neanche ammessa ad assistere. Jane
l’aveva vista così
furiosa ben poche volte: il fatto che il risultato tardasse ad arrivare
non
aiutava a ridistendere il suo umore. C’era, inoltre,
un’altra persona molto
agitata: il signor Bunnymund era arrabbiato, sì, ma per una
volta ce l’aveva
con la procura: non era davvero colpa dei suoi agenti se il loro tanto
decantato procuratore era un assassino egomaniaco, perciò
aveva messo sotto
torchio Jack e Kristoff, non perché non fosse contento del
loro operato –
sebbene continuasse a non vedere di buon occhio l’irruenza
del detective
Overland, in cui trascinava il detective Bjorgman – ma
perché voleva essere
inattaccabile sotto ogni punto di vista. Per questo la vita di Claude
Frollo
era stata rivoltata da cima a fondo e ora i due erano, con una squadra
della
scientifica, a battere ogni centimetro del suo appartamento.
C’era voluto un
po’ ma, in una zona inusuale, avevano finalmente trovato
quello che stavano
cercando: la cassaforte.
Jackson annuì all’agente che lo aveva appena
aggiornato e si avvicinò a
Kristoff. «Ovviamente è un modello di ultima
generazione, ci vorrà del tempo
per capire come aprirla. Il resto della casa? »
L’altro scosse il capo. «Niente di rilevante:
alcuni documenti del tribunale,
un’invidiabile collezione di orologi… »
Jack sbuffò. «Non che non lo comprenda ma questo
eccesso di zelo comincia a
darmi sui nervi. »
«Io te l’avevo detto… » Gli
rinfacciò, dando un’occhiata ai suoi appunti.
«Era
chiaro che fossero necessarie tutte le prove. »
«Il rifugio nel bosco, con il sotterraneo segreto dove
c’era tutta
l’attrezzatura con cui uccideva le sue vittime e i
ritrovamenti di
fenilciclidina non bastano? »
«Il fuoco ha ripulito tutto, non ci sono prove che Lionheart
e Sabor siano
stati portati lì. Abbiamo solo Esmeralda…
»
«Solo?! Che la notizia non sia stata divulgata non la rende
meno reale: quella
ragazza ha rischiato grosso! Ha usato lo stesso modus operandi!
»
«Sì, ma lei non è una criminale e si
è mosso in solitaria… »
Jack sgranò gli occhi. «Per forza! Quei due sono
in galera… »
«Per questo è di fondamentale importanza
collegarlo a loro e alla De Vil. »
«Vogliamo davvero dire che i registri del suo racket segreto,
trovati nella sua
magione, dove tutte le vendite di fenilciclidina sono associate allo
stesso
riferimento e il fatto che quei due lasciassero l’auto sempre
in zone vicino al
rifugio siano solo un caso? »
Kristoff si strinse nelle spalle. «Ovvio che no ma la procura
vorrà di più,
guarda cosa è successo con Elsa… »
Jackson strinse i denti. «Già. Dobbiamo trovare il
collegamento dei soldi, così
– forse – si metteranno l’anima in
pace… »
«Detective, vi prego di indossare queste. » Gli
disse un agente della
scientifica, porgendo ad entrambi un paio di cuffie protettive.
Kristoff le prese. «Volete far saltare la cassaforte?
»
«E’ l’unico modo: non
c’è possibilità di aprirla altrimenti,
è troppo avanzata.
»
La stessa cosa fece anche Jack. «Avete preso tutte le
precauzione del caso? E’
di vitale importanza che ciò che c’è
dentro non si danneggi. »
«Lo sappiamo, detective. » Gli confermò
quello. «Puntiamo a far saltare le
poche giunture, così da fare perno ed aprirla. »
Controllò l’orologio. «La
detonazione avverrà fra cinque minuti: abbiamo
già informato la concierge
affinché avvisasse gli inquilini, così da non
creare allarmismi. »
«Bene, proseguite pure. » Lo congedò
Kristoff, spostandosi un poco. «A proposito di
concierge… »
Ghignò, alzando un pochino la voce per
farsi sentire dall’altro al di là delle cuffie.
«Com’è finita la faccenda dei biglietti?
»
Jack arricciò le labbra in una smorfia. «Non mi
dire niente, mi sono costati un
occhio della testa. »
«Ah, quindi hai mantenuto la promessa! »
«Certo, alla fine avevo dato la mia parola…
»
«Avrei scommesso di no. » Sghignazzò
quello.
L’altro lo guardò storto. «Tu hai una
pessima idea di me… »
Kristoff rise. «Non direi o non mi sarei preso un colpo di
fucile per t… »
In quel momento, la cassaforte brillò.
«Detective Overland, Bjorgman! Venite, presto! »
Si precipitarono nell’altra stanza, il fumo della detonazione
riempiva ancora
tutta l’area.
«Che cosa abbiamo? »
«Un libretto che, probabilmente, fa riferimento a conti in
paradisi fiscali e
banconote, tante! »
«Bingo! » Esclamò Jackson.
«Con un po’ di fortuna, i numeri di serie
combaceranno con quelli degli agenti corrotti di polizia
giudiziaria… »
«E i conti potranno tracciare i movimenti di denaro.
» Concluse per lui
Kristoff. «Ottimo lavoro ragazzi. Penso che possiamo andare
adesso, il Signor
Bunnymund vorrà di sicuro sapere queste novità.
» Non ottenendo risposta, si
girò verso il suo compagno di squadra. «Ehi, Jack!
Tutto a posto? »
«Non direi… » Sussurrò
l’altro, lo sguardo incollato ad una vecchia fotografia
dove, fra un gruppo di ragazzi, spiccava la figura di Claude Frollo
vicino ad
un altro giovane, la cui identità era facilmente
riconoscibile nonostante
l’età: Kozmotis Pitchiner.
«Chissà
perché non mi stupisce il trovarti qui. »
Robert Locksley alzò gli occhi dalla lapide in marmo rosa
che aveva di fronte e
li posò sull’uomo che aveva appena parlato.
«Richard… »
«Ti dispiace? » Gli chiese lui, facendogli cenno
verso il mazzo di fiori che
aveva in mano: margherite, le sue preferite.
Scosse il capo, scostandosi un poco per farlo passare, mostrandogli
così che lo
stesso fiore era già stato posato sulla fredda e lucida
superficie della tomba.
«Neppure questo mi stupisce. » Sorrise appena.
«Vieni sempre qui tutti i
giorni? »
Robert alzò le spalle. «Ogni volta che posso. Tu
come mai sei qui, oggi? »
«Marian era una cara amica, quasi una figlia per me. Ora che
il caso
Fearling si è concluso, penso possa
finalmente riposare in pace.
»
«Lo spero tanto anche io… » Disse
mestamente.
Richard gli posò una mano sulla spalla. «E anche
per te è giunto il momento di
rimetterti in sesto, lei non avrebbe voluto vederti così.
» Cercò di dargli
conforto. «Perché non vieni a lavorare per me?
Potresti ricoprire il suo ruolo,
secondo me ne sarebbe felice: porteresti avanti la sua impronta.
»
Robert assunse un’espressione malinconica. «Non
sarei mai bravo quanto
lei. » Espressione che, d’improvviso, si accese di
furbizia. «Temo, poi, che
lavorare per una multinazionale rischi di macchiare irrimediabilmente
la mia
reputazione. »
L’altro sorrise. «Ecco, ora lo riconosco lo sguardo
di chi ha quasi distrutto
la mia compagnia… »
«Ma è ricresciuta più forte e,
soprattutto, migliore. »
«E questo grazie a te, » Strinse un pochino di
più la presa sulla sua spalla.
«E a lei. »
L’altro guardò la foto della donna sulla lapide e
ricambiò il sorriso che gli
stava rivolgendo. «Lei rendeva tutto migliore…
»
«E può continuare a farlo: tramite te! Risollevati
Robert, c’è ancora un sacco
di povera gente che bisogno del suo Robin Hood. »
«Robin Hood? » ripeté quello stranito,
un sopracciglio inarcato. «Un moderno
Robin Hood… » Disse ancora una volta,
assaporandone il significato. «Mi piace
come idea ma, sia chiaro, io la calzamaglia non la metto. »
Jackson
entrò in tribunale con un mix di emozioni in testa e
nel cuore. Da una parte era sollevato che la tanto agognata autopsia
fosse
finalmente arrivata, confermando – nonostante tutto
– la loro versione dei
fatti. Perciò, se, in aggiunta ad Esmeralda e a tutto il
resto delle prove che
avevano
raccolto, ancora non fosse bastato a far stare buona la procura,
potevano anche
andare a farsi fottere. Dall’altra, però, era
irritato perché
a nulla erano valse le ricerche allo studio e
all’appartamento del dottor
Kozmotis Pitchiner: era sparito nel nulla.
Così, aveva deciso di riprendere in mano i documenti che
Elsa gli aveva portato
quella fatidica sera: aveva studiato a lungo quei codici, alcuni
più lunghi,
altri più corti ma, nonostante le varie ricerche, capirne il
significato era
pressoché impossibile senza la giusta chiave di lettura. Si
era, perciò, mosso
con circospezione e, dopo aver studiato quale fosse il giorno
più adatto, aveva
deciso di andare ad ispezionare, in via del tutto informale, il vecchio
ufficio
di Iduna che non era più stato assegnato, in segno di
rispetto per la sua
tragica dipartita. Non che sperasse di trovare qualcosa di
significativo per il
caso, né lei né Agnarr sarebbero stati tanto
stupidi da lasciare informazioni
così delicate sotto agli occhi di tutti, ma almeno sperava
di carpirne il
metodo.
Entrare in quella stanza gli fece lo stesso effetto di entrare in un
museo e,
per un attimo, la sua memoria gli diede l’illusione di
riuscire ancora a
percepire il suo profumo. Iduna era una donna gentile e dallo spirito
leggero,
si era sempre sentito in sintonia con lei e non aveva mai dato, neanche
per un
momento, l’idea di provare rammarico per le condizioni
economiche della
famiglia Overland. A differenza di Agnarr che
proveniva da una famiglia
facoltosa da generazioni, lei si era costruita il suo benessere
completamente
da sola, non rinnegando mai le sue origini rurali. Mise da parte i
ricordi e
ispezionò subito le librerie ma i tomi presenti erano tutti
prettamente
accademici: ne controllò alcuni, per verificare se fra le
loro pagine non
potesse esserci qualche nota dimenticata ma, come era facile
aspettarsi, nessun
colpo di fortuna venne in suo soccorso. Si dedicò, quindi,
alla scrivania: i
cassetti erano aperti e, purtroppo, vuoti. Sbuffò: quindi,
quell’ufficio era
solo una facciata e tutto ciò che era appartenuto ad Iduna
era già stato tolto
e archiviato da qualche parte, di sicuro inaccessibile tramite canali
non
ufficiali. Un buco nell’acqua annunciato ma per cui valeva la
pena tentare.
Sperò, in cuor suo, che Elsa avesse più successo
nella visita allo studio dei
suoi genitori nella loro casa.
«Sta cercando qualcosa? »
Jack trasalì, concentrato com’era nella ricerca di
un possibile indizio, non
era riuscito a percepire l’arrivo di un’altra
persona. «In realtà, no. »
Mentì
con una certa naturalezza, voltandosi verso l’ingresso.
«Conoscevo la giudice quando
ero un ragazzo, penso che oggi mi abbia guidato qui un po’ di
nostalgia. »
Nel vederlo in faccia, il giudice Weselton –
perché di lui si trattava – lo
riconobbe. «Lei è il detective che era con Elsa
quel giorno, non immaginavo
conoscesse da tempo la famiglia. »
«Sì, io e Elsa andavamo a scuola insieme.
» Il resto decise saggiamente di non
rivelarlo. «Jackson Overland, piacere. » Si
presentò, porgendogli la mano. «Lei
è il giudice Weselton, suppongo. »
Quello annuì, accettando la sua stretta. «Compagno
di scuola, eh? A volte il
destino sa essere davvero buffo. Non mi pare, però, di
averla mai vista prima
di quella volta. »
«Sono stato lontano dalla città per molto tempo,
è il mio primo anno qui. »
L’altro sorrise. «Arrivo provvidenziale: mi hanno
detto che lei e il detective
Bjorgman siete stati determinanti per la soluzione del caso Fearling.
»
Sospirò. «Claude, chi l’avrebbe
immaginato mai? Sembrava così integerrimo nei
suoi principi… »
Jack alzò le spalle. «Il potere sa dare alla
testa, a volte. »
Il giudice si trovò d’accordo. «Ha
saputo cosa è successo alla casa dei Bleket?
» Lo vide annuire. «Pare proprio che quelle
benedette ragazze non possano avere
un attimo di pace. Come l’hanno presa? »
«Non bene, temo. »
«Scommetto che la più scossa è stata
Elsa: non è mai riuscita a superare quello
che è accaduto. »
L’altro piegò appena il capo. «Non
è facile venire a patti con il non sapere:
erano i suoi genitori. »
«Mi rendo conto. » Convenne Weselton. «Ma
anche trasformarlo in un’ossessione
non è salutare. » Rafforzò appena la
presa sul plico di fogli che aveva
sottobraccio. «Se è davvero suo amico,
l’aiuti a superare questa cosa: si è
logorata per così tanti anni, né Agnarr
né Iduna avrebbero voluto vederla così.
»
Jack avrebbe voluto dissentire poiché Elsa non avrebbe
accettato
mai di rimanere all’oscuro, non l’aveva fatto per
vent’anni, non avrebbe di certo
cominciato adesso. «Farò del mio meglio.
» Disse, invece, e il fatto, che
quello che intendesse fosse esattamente il contrario di ciò
che il giudice
suggeriva, non era importante farglielo sapere.
§
Che
l’agente Sunlight amasse la stagione estiva non era un
mistero per nessuno. L’estate era scolpita nel suo DNA, come
la sua data di
nascita testimoniava, e l’attendeva con trepidazione ogni
anno. Amava le
giornate più lunghe e, nonostante la sua chioma di capelli
fluenti, non ne
temeva affatto il calore, anzi, la prendeva come una sfida
nell’escogitare,
ogni volta, una nuova acconciatura per raccoglierli. Poi, beh, il
caldo era la
scusa perfetta per concedersi un grande, anzi, enorme gelato ricoperto
da una
cascata di fragole e panna.
«Quant’è? » Chiese al cassiere.
«Faccio io! » L’anticipò una
voce alle sue spalle. «Può aggiungere un
caffè, per
favore? »
Rapunzel si girò, riconoscendo immediatamente il tono
scanzonato di colui che
aveva appena parlato. «Rider! »
Lui le sorrise. «Biondina… » La
salutò, pagando il conto. «Dove ci sediamo?
»
le chiese, poi, prendendo il vassoio con il loro ordine.
«Se non ti dispiace, andrei fuori. » Propose lei,
ancora incredula di quel che
stava succedendo.
«Prego. » Acconsentì, facendole cenno di
fargli strada.
Si accomodarono ad uno dei tavolini, all’ombra di una grossa
tenda a righe
bianche e rosse.
«Non lo mangi? » Le chiese Flynn, prendendo un
sorso del suo caffè. «Si
scioglierà tutto… »
Lei prese il cucchiaino in mano, dubbiosa. «Come faccio a
sapere che i soldi che
hai usato per offrirmelo non siano rubati? »
Lui alzò le spalle. «Non puoi, ma non sono
così sadico dal rovinarti
l’esperienza usando del denaro sporco… »
Punzie s’illuminò e, finalmente,
assaggiò il suo gelato.
«… Non tutto, almeno. »
Completò lui, guardandola di sottecchi.
Per poco non si strozzò.
Flynn Rider scoppiò a ridere. «Scherzo, scherzo!
Non c’è un solo centesimo
rubato. »
Lei lo guardò storto e, in tutta risposta, prese un altro
cucchiaio. «Quindi,
il noto ladro Flynn Rider mi sta davvero offrendo un gelato? »
«Non raccontarlo in giro: distruggerebbe la mia
reputazione. »
Rapunzel alzò gli occhi al cielo.
«Ehi, una falsa reputazione è tutto
quello che un uomo ha. » Le fece
presente, dando un altro sorso al suo caffè.
«Se lo dici tu. » Concesse. «Allora ti
stai dando ufficialmente alla
carriera di stalker? »
Lui inarcò le sopracciglia. «Eh? »
«Oh, mi vuoi dire che questo incontro è solo colpa
del caso? »
«Ero curioso di incontrarti senza la tua padella…
»
«Allora lo ammetti! » Bofonchiò,
puntandolo con il cucchiaino.
Rider strizzò appena gli occhi. «Biondina, hai un
po’ di panna qui! » Si sporse
verso di lei e le pulì l’angolo della bocca con un
tovagliolino.
Punzie avvampò, facendo scivolare rumorosamente la sua sedia
all’indietro. «Che
fai?! »
«Ti ho pulito, te l’ho detto. » Le
ripeté, tornando al suo posto. In mano
aveva, adesso, un cellulare. Armeggiò un attimo con lo
schermo e, poi, lo girò
verso di lei: il riconoscimento facciale lo sbloccò e un
allegro camaleonte
apparve sullo sfondo.
«Ehi! » Comprese lei. «Quello
è mio! Come hai fatto? »
L’altro ghignò. «Sono un ladro, ricordi?
» Digitò alcune cose.
«Che stai facendo? »
«Ti segno il mio numero, caso mai volessi chiamarmi per una
consulenza sul come
mettere in sicurezza il tuo appartamento, la tua bicicletta, qualsiasi
cosa… »
Finì il suo caffè e si alzò.
«Ora devo andare, biondina, ma sono stato davvero
felice d’incontrarti, soprattutto senza la tua padella.
»
Rapunzel ridacchiò appena. «Dove vai? »
«Faccio il cameriere in un ristorante qui dietro, fra poco
inizia il mio turno.
»
Lei inarcò un sopracciglio. «E’ un
codice per nascondere qualche malefatta? »
«Puoi non crederci o puoi venire una sera a cena. »
Celiò, facendole un
occhiolino.
«Hai davvero deciso di cambiare vita? »
«Chi lo sa? Forse sì, forse no…
Arrivederci biondina, spero userai quel
numero, così non sarai più tu a dover stalkerare
me. »
Punzie arrossì. «Allora arrivederci Flynn Rider e
grazie per il gelato. »
«Chiamami Eugene… »
«Come? »
«Eugene Fitzherbert, è il mio vero nome.
»
§
«Dottoressa
Bleket, aspetti! »
In procinto di entrare in un negozio, Elsa si bloccò:
conosceva bene
quella voce. «Dottor Pitchiner… » Si
voltò e si allontanò un poco dalla porta,
in una posizione più appartata, portando istintivamente mano
alla borsa, in
cerca del cellulare.
«Non faccia mosse avventate. » Le
suggerì pacato. «Sono qui solo per parlare.
»
«Parlare? » Si guardò attorno,
era pomeriggio appena iniziato e c’era molta gente
in
giro.
Lui sorrise. «Non sono qui per farle del male, se
è di questo che ha paura. »
«Tutte le forze di polizia della città la stanno
cercando, lo sa? »
«Per cosa? L’aver scoperto che io e Claude Frollo
ci conoscevamo? »
L’altra assottigliò gli occhi. «Pensa
sia così stupida dal credere che foste
solamente conoscenti? »
Kozmotis scosse il capo. «Non credo affatto sia stupida,
anzi, tutto il
contrario. Anche lei lo conosceva bene, sono sicuro non
l’abbia stupita il
fatto che fosse proprio lui il fantomatico Uomo Nero.
L’immacolato
alfiere di Dio: curioso il destino, no? »
Elsa fu d’accordo a metà.
«Ho sempre trovato il procuratore Frollo al
limite del fanatismo, ma che si sarebbe spinto fino a questo punto
andava ben
oltre le mie capacità di immaginazione. Quello che mi
domando è: perché proprio
ora? » Lo guardò dritto negli occhi.
«E’ come se qualcuno avesse soffiato sul
suo ego, gonfiandolo a tal punto da farlo scoppiare. »
Inarcò un sopracciglio.
«Sa cosa credo? Che l’Uomo Nero
sia ancora in libertà. Lei che ne
pensa? »
«Vuole provare a fare la psichiatra con me? »
Lei fece un segno di diniego con la testa. «Temo di non
averne le
capacità, ma lo sa meglio di me: lui
è qui e non sono io. »
Il dottor Pitchiner sorrise. «Peccato che non bastino le sue
convinzioni per
farmi finire in manette. »
Elsa sospirò. «Su questo ha ragione. Allora
ragioniamo per ipotesi: supponiamo
lei sia davvero l’Uomo Nero e che con i suoi Fearling punisca
con la paura i
criminali rimasti impuniti, affinché paghino per il dolore
inflitto alle
famiglie delle loro vittime. Perché Frollo? Era un suo
amico, lo ha sacrificato
alla sua causa… »
«Sacrificato? » L’altro rise e lei
trattenne a stento un brivido. «Come dice, supponiamo
che io sia veramente l’Uomo Nero. Davvero crede che la mia
scelta sarebbe stata
casuale? Ci rifletta un momento: Claude Frollo era davvero bravo nel
suo lavoro
ma non penserà mica che fosse, sul serio, guidato dalla mano
di Dio? Non si è
mai chiesta da dove venisse questa sua incredibile carriera?
»
Ghignò. «Era un
asso, certo, ma sapeva anche come far girare i giusti
ingranaggi… »
«Che intende dire? »
«Minacce agli imputati, manipolazione di prove…
»
L’altra sgranò gli occhi. «Che cosa?
»
Kozmotis ignorò la sua domanda. «Supponiamo che,
come ha detto, noi fossimo amici e ci
conoscessimo fin da bambini. » Alzò un poco le
spalle. «Immaginiamo che il suo
carattere fosse già ben definito allora. Ipotizziamo che,
quando uccisero mia
moglie e mia figlia
e catturarono il colpevole, abbia giurato di aiutarmi ad ottenere
vendetta. E che, non potendo
seguire direttamente il caso, avesse provato a manipolare le prove
per assicurarsi che
quel maledetto non uscisse più di prigione, ma venendo
scoperto.
La sua stella
brillava già troppo in alto per far sì che si
spegnesse con uno scandalo di
tale portata: la procura mediò con la difesa e
l’assassino fu libero, in cambio
del suo silenzio. » Strinse i denti. «Si finse pure
dispiaciuto e si offrì di
starmi vicino, mi disse di non demordere, che un giorno avrei ottenuto
giustizia.
Pensava non lo avrei mai scoperto, si è sopravvalutato ma,
alla fine,
ha avuto ragione.
»
«Se la procura insabbiò tutto, come ha fatto a
scoprirlo? »
«Lo spirito di sopravvivenza rende le persone estremamente
collaborative, non
lo sa? »
Non poteva riferirsi a Frollo, dato che era morto fra le fiamme proprio
davanti
agli occhi di Jack e Kristoff: comprese. «Lei ha ucciso
l’assassino di sua
moglie e sua figlia? »
«Se anche l’avessi fatto, avrei solamente reso il
mondo un posto migliore… »
Elsa scosse il capo. «Io posso capirla, comprenderla persino
ma non posso
condividere quello che ha fatto. Le conseguenze delle sue azioni si
sono
ripercosse su persone innocenti… » Il rapimento di
Freja ancora ben stampato
nella sua mente, così come il salvataggio di quella ragazza
sul filo del
rasoio. «Perché è venuto da me oggi?
»
Kozmotis Pitchiner la guardò con i suoi occhi dorati.
«Perché noi ci
assomigliamo… »
Lei sgranò gli occhi. «Assomigliamo? Io non ho mai
ucciso nessuno. »
«No, ma se avessero fatto del male a sua nipote ne sarebbe
stata capace: è
stata molto chiara in merito. E sa, dottoressa, nel suo sguardo ho
visto
che non
mentiva. »
Deglutì, incapace di ribattere.
«Se io fossi l’Uomo Nero, come dice, ci sarebbe
anche un’altra cosa ad
accomunarci. I Fearling. Anche se lei, in realtà, ne ha solo
uno. »
«Non so di cosa parla. »
«Il detective Overland! Quando siete venuti nel mio studio,
non si può certo
dire mi avesse preso in simpatia. Tuttavia, non aveva modo di
orientarsi su di
me per le sue indagini. Eppure, pochi giorni dopo il nostro
incontro,
eccomi convocato in centrale come indiziato numero uno. Lei
lo ha
indirizzato verso di me e lui ha risposto solerte alla sua chiamata.
»
«Io non manipolo Jack. »
Lui la soppesò. «Forse non lo fa di proposito,
glielo concedo ma non può negare
che lui faccia tutto quello che gli chiede. »
Elsa strinse i denti. «Si sbaglia! Se Jack decide di fare
quello che gli dico è
perché ci crede, non perché asseconda tutto
ciò che voglio. Non ha paura di
rovesciarmi addosso tutto il suo disappunto, quando non condivide le
mie scelte
e, soprattutto, non ucciderebbe mai perché glielo chiedo io.
»
«Ne è sicura? L’amore sa attanagliare il
cuore tanto quanto la paura, non
trova? »
«Dovrò chiamare la polizia, lo sa? »
Lui sorrise. «Oh sì, lo chiami pure: ma quando lui
accorrerà da lei, non mi
troverà. »
«Che cosa ha in mente Pitchiner? »
«Ho ancora un conto in sospeso qui… »
«Che cosa? »
Kozmotis ghignò ancora una volta.
«Perché non prova a scoprirlo? »
§
«Quando
hai detto che mi avresti portato in un posto
diverso dal solito, non pensavo sarei finita in ammollo…
» disse Jane,
guardando dubbiosa il ragazzo che le stava sistemando con attenzione
l’imbragatura.
John, seduto a fianco a lei, sorrise. «Tecnicamente, in
ammollo non ci sei
ancora… »
Lei ricambiò il sorriso. «Ma ci finirò
presto. » Sentì l’aria sferzarle il
viso, il motoscafo stava prendendo velocità.
«Con questo caldo l’idea non è
così terribile, no? »
«Non lo so… » Disse a denti stretti, la
paura dello sgancio imminente sempre
crescente. «Sarà sicuro? »
Deglutì.
John appoggiò una mano sulla sua, stretta saldamente
all’imbragatura. «Non ti
metterei mai in pericolo… »
Il sorriso dolce che avrebbe voluto rivolgergli si
trasformò, invece, in una
smorfia di puro terrore: li avevano sganciati. Quando il paracadute
finì di
gonfiarsi e il vuoto della salita s’impadronì del
suo petto: urlò.
«Dovresti aprire gli occhi. » Gli gridò
lui poco dopo, per sovrastare il rumore
del vento ed il ronzio del motoscafo sotto di loro. «Non sai
cosa ti stai
perdendo. »
Jane alzò appena una palpebra e, non appena mise a fuoco lo
spettacolo che
aveva davanti, aprì anche l’altra di scatto.
«Sembra di volare! E’ bellissimo!
» Urlò piena di gioia, questa volta, e aveva
proprio ragione.
Il lago era magnifico, le sue acque blu rilucevano di infiniti
riflessi, i
boschi sul limitare erano verdi e rigogliosi, le spiagge non ancora
troppo
affollate e il sole brillava potente sopra le loro teste.
John la guardò risplendere. «Tu sei
bellissima… »
«Hai detto qualcosa? » Disse lei di
rimando, non avendo colto quel che aveva
detto.
L’altro scosse il capo e non si ripeté,
improvvisamente impaurito da quelle
parole: forse troppo banali, forse troppo intime per una conoscenza
ancora così
acerba, addirittura fuori luogo per il modo in cui si erano conosciuti.
Inspirò
a fondo e lasciò andare i pensieri in balia
dell’aria, mentre la felicità di
Jane al suo fianco diventava la sua.
Quando il giro finì, erano zuppi ma sorridenti.
«Avevi ragione! E’ stata un’esperienza
magnifica! » Gli disse euforica, avvolta
in un morbido asciugamano. «Sembrava di volare e la vista,
wow, era mozzafiato!
»
L’altro sorrise. «Passata la paura, eh? »
«Oh sì, lo rifarei anche subito! » Gli
confermò con una risata cristallina.
E, a quel punto, lui non resistette più: si sporse verso di
lei e la baciò.
Jane sgranò gli occhi, presa completamente in contropiede.
Lo sentì staccarsi,
forse allarmato dalla reazione che aveva avuto.
«Scusami… » Balbettò,
infatti, in
imbarazzo. «Non avrei dovuto… »
Non gli diede il tempo di finire la frase, unendo di nuovo la bocca
alla sua,
in un buffo passaggio di sorpresa che si trasformò in un
sorriso sulle labbra
di entrambi mentre, mano nella mano, si dirigevano alla macchina per
tornare a
casa.
§
Jack
rientrò a casa sfinito: Elsa aveva informato sia lui che
Kristoff del suo incontro con Kozmotis Pitchiner. Certo, era solo la
sua parola
e, di fatto, lui non aveva confessato nulla ma, per una volta, avevano
deciso
di mettere al corrente il signor Bunnymund della cosa. Avevano
setacciato la
città in lungo e in largo, assieme ad un discreto numero
di pattuglie ma non
erano riusciti a trovarlo da nessuna parte: neppure Rapunzel lo aveva
scovato
infiltrandosi nei vari circuiti di sorveglianza. A quanto pareva, il
soprannome
di Uomo Nero, che la stampa aveva creato per Claude
Frollo, si cuciva
alla perfezione su Kozmotis Pitchiner, abilissimo nel nascondersi fra
le ombre
della città. Tutto perché lui aveva detto di
avere ancora un conto in sospeso,
ma con chi? Avrebbe colpito ancora? Direttamente o aveva altri Fearling
fra le sue fila?
Si levò la giacca ma l’unico accenno di relax che
si concesse fu quello di un
ghiacciato bicchiere d’acqua perché, nel
constatare che l’omicida di Seraphina
ed Emily Jane Pitchiner sembrasse misteriosamente scomparso nel nulla
da anni,
gli era finita sottomano la copia del tribunale relativa
al
processo, viziato dall’intervento illegale del procuratore, e
una minuscola
scritta in basso a destra aveva catturato la sua attenzione.
Prese al volo gli appunti di Iduna e Agnarr, stando ben attento a non
bagnarli
con la condensa del bicchiere, e i suoi occhi si illuminarono: la
colonna di
codici più brevi era perfettamente compatibile con quella
dei documenti che
aveva consultato quel giorno. Quello era il codice di classificazione
interno
al tribunale, da sempre inutile per le sue indagini da poliziotto ma,
ora più
che mai, fondamentale per la risoluzione del cold case che aveva
tormentato
Elsa per anni.
C’era ancora la seconda serie di codici da decifrare ma,
ancora una volta, il
caso Fearling venne in suo soccorso e, recuperato il suo taccuino, li
confrontò
con i numeri trovati nel libro contabile di Claude Frollo: chiaramente
non erano
identici ma, di sicuro, molto simili. Decise di scommettere
tutto
sul
fatto che fossero transizioni bancarie. Si sedette e
riguardò i fogli: da una
parte aveva i processi, dall’altra uno spostamento di soldi.
Che cosa poteva
significare?
Posò la testa sul tavolino, stanco, abbassò le palpebre fino a chiuderle e
girò il viso, mettendo a
contatto la guancia con la superficie fresca.
Corruzione.
La parola gli saettò nella mente, facendogli aprire di colpo
gli occhi e, solo grazie
al riflesso della luce sul foglio e a quella particolare posizione, si
accorse
che nell’angolo in basso erano presenti alcuni
piccoli solchi. Si
alzò di scatto e recuperò al volo una matita,
facendola scorrere piano sulla superficie.
La calligrafia di Agnarr gli mostrò una chiara parola di
quattro lettere.
Prese il telefono e chiamò.
§
Quando Elsa
arrivò sola alla casa dei suoi genitori stava
calando la sera. Era consapevole di essersi accordata con Jack per non
fare nulla
fino al mattino seguente: avevano appuntamento per colazione, in una
caffetteria a metà strada fra gli appartamenti di entrambi,
e l’idea era quella
di stabilire un piano per le loro prossime mosse. Se davvero si parlava
di
corruzione ai piani alti della giustizia, beh, non potevano davvero
rendere le
loro indagini ufficiali: chiunque fosse quella persona senza volto, non
aveva
alcuno scrupolo e lei lo sapeva molto bene. Aveva persino pensato di
chiedere a
Jack di coinvolgere l’agente Sunlight, di sicuro troppo
giovane per essere
immanicata nel caso dei suoi genitori e, doveva ammetterlo –
fastidio a parte –
se lui si fidava così tanto di lei, un motivo doveva pur
esserci. Tuttavia non
era certa che il suo intervento avesse potuto risolvere qualcosa: le
banche dei
paradisi fiscali avevano sistemi di sicurezza sofisticatissimi, chiavi
uniche e
monouso, pressoché impossibili da hackerare senza lasciare
traccia: non
potevano permettersi un incidente internazionale ma, ancor meno,
potevano
muoversi per vie ufficiali, almeno per il momento. Il tribunale,
inoltre, aveva
fatto molta resistenza al passaggio al digitale ed era una pratica
iniziata
solo in tempi recenti, perciò dubitava fortemente che i casi
menzionati dai
suoi
genitori, risalenti ad almeno vent’anni prima, fossero
già stati digitalizzati.
Dovevano, per forza di cose, presentarsi all’archivio del
tribunale, ma sul come
avessero potuto giustificare la loro presenza lì, senza
destare sospetti, era
tutto un altro paio di maniche.
Per questo era andata nella sua vecchia casa quella sera: frustrata dal
non
vedere una possibile via d’uscita, si era aggrappata con
tutte le sue forze
alla pulce nell’orecchio che la sua memoria le aveva messo
non appena Jack le
aveva svelato ciò che aveva rinvenuto sul foglio: duca.
Era sicura di aver già letto da
qualche parte quel
titolo, o soprannome, ed era
più che mai convinta che la risposta si nascondesse nello
studio dei suoi
genitori. Quando varcò la soglia, la malinconia - che da
sempre le cresceva nel
petto di fronte al loro ricordo – questa volta condivise lo
spazio con la
trepidazione di una scoperta imminente. Cercò fra i tomi
riversi sul pavimento
e i pochi rimasti sulle mensole delle librerie ma non riusciva a
trovare quel
che stava cercando, finché l’occhio non le cadde
sotto alla scrivania e, finalmente,
il suo sguardo brillò.
Sfogliò il volume redatto dall’università
di sua madre che racchiudeva i volti e
le storie dei suoi studenti più meritevoli che, nel corso
degli anni, avevano
intrapreso carriere straordinarie. Le si inumidirono gli occhi quando
passò con
affetto la mano sul volto sorridente di Iduna, nel vano tentativo di
ricordarsi
come fosse il contatto con quella pelle tanto amata. Sospirò
e scosse il capo,
doveva tornare più indietro e, quando trovò quel
che stava cercando, il cuore
le si spezzò.
Nella foto che aveva di fronte, un uomo giovane di bassa statura le
sorrideva
affabile. Portava già gli occhiali ma i capelli erano folti
e biondi, il suo
viso rasato e il nome non mentiva: Alan Weselton, detto il
duca,
campione di polo in gioventù e giudice rispettabile in
età adulta.
Il click di un cane che si armava le fece scivolare il libro di mano.
«Così l’hai scoperto. » Le
disse Weselton, puntandole contro la canna di una
pistola. «Ti ho gentilmente suggerito più e
più volte di lasciar perdere
questa faccenda ma tu, no, dovevi per forza scoprire cosa fosse
successo ai
tuoi genitori. Sei fin troppo simile a tua madre in questo. »
Sospirò. «Ed è un
peccato perché avrei davvero voluto evitarti la sua stessa
fine. »
Elsa strinse i denti. «Abbia almeno la decenza di non
fingersi dispiaciuto: con
che coraggio ha continuato a frequentarmi dopo averli uccisi?
»
«Tecnicamente non sono stato io ad ucciderli. » La
corresse, perfido. «Ho solo
dato l’ordine di farlo. Se ho continuato a frequentarti
è stata solo colpa tua…
» Le svelò. «Se ti fossi messa
l’anima in pace, come tua sorella, mi avresti
visto il minimo indispensabile, invece, ti sei incaponita e io dovevo
tenerti d’occhio.
» Ridacchiò. «Sono curioso: dove hai
trovato i documenti che cercavo da vent’anni?
Lo so che lo hai fatto, quelli che provano il mio coinvolgimento con i
Westergard. »
Lei soppesò se fosse il caso di dirglielo o meno ma, poi,
optò per guadagnare
tempo. «Erano in camera di Anna, nel suo baule dei
giochi… »
Weselton scosse il capo. «Credo seriamente di dover cambiare
collaboratori… »
Quindi era vero, era per quelli che avevano praticamente distrutto la
casa. Ora sì che riusciva a capire quale fosse il suo reale interesse dietro a tutte quelle domande sulla loro possibile vendita.
«Perché lo ha fatto? » Gli chiese,
cercando di capire come riuscire ad usare il proprio cellulare senza
farsi
sparare. «Non mi sembra abbia mai avuto problemi di soldi,
perché immischiarsi
con una delle più potenti famiglie malavitose della
città? »
Lui alzò le spalle. «I soldi non sono mai
abbastanza, tuttavia non sono tutto…
» La guardò negli occhi, sempre tenendola sotto
tiro. «Ma il potere sì! »
«Di che altro potere aveva bisogno? »
Ribatté, disgustata.
Il giudice soppesò la sua domanda. «Posso anche
dirtelo, dato che morirai. » Prese
fiato. «Mi aspettava un ingresso trionfale nella carriera
politica, con il
supporto dei Westergard, avrei avuto questa città in mano e,
forse, anche di più. I
tuoi genitori, però, mandarono tutto a rotoli e neanche
sbarazzarsi di loro
bastò, perché quei documenti erano un pericolo
troppo grande. A chi li hai
dati? » Le chiese. «A quel detective della omicidi
scommetto. Ecco perché è
venuto a ficcare il naso nell’ufficio di tua madre.
» Ragionò un attimo.
«Chiamalo e faglieli portare qui. Non fare scherzi, non ho
nessun problema a
dare ordine di irrompere in casa di tua sorella. » Le fece
presente,
maledettamente serio. «La stampa ci sguazzerà,
quando troveranno i vostri
corpi: il brillante medico legale ucciso dall’amore malato di
un detective di
polizia che, incapace di resistere al rimorso, si toglie la vita lui
stesso. »
Elsa strinse i denti, di fronte alla sua risata malvagia.
Alzò il braccio per
mettere mano alla borsa ma, anziché prendere il cellulare
come lui le aveva
chiesto, gliela lanciò addosso con tutta la sua forza,
cercando di guadagnare l’uscita.
Il colpo di pistola le rimbombò nelle orecchie e la fece
congelare sul posto.
Incredibile, si disse, essere colpiti da una pallottola non procurava
alcun
dolore: abbassò lo sguardo sul proprio petto ma non
trovò macchie ad
allargarsi sui suoi vestiti.
Sentì un rantolo e si girò, riportando la sua
attenzione su Alan Weselton: aveva
gli occhi sgranati e un rivolo di sangue vermiglio gli usciva dalla
bocca.
Crollò a terra senza emettere suono ulteriore: sulla soglia
dello studio si
stagliava la magra e oscura figura di Kozmotis Pitchiner, la pistola
fumante
ancora stretta nella sua mano. La guardò con i suoi occhi
dorati che brillavano
sotto alla luce artificiale. «Questo è per sua
nipote, non sarebbe dovuto succedere.
Ora siamo pari. »
Lei annuì, ancora troppo scossa.
«Grazie… » Riuscì a dire,
infine, con un soffio di voce ma lui se n’era già
andato.
§
«Elsa!
» La richiamò Jack, non appena la scorse sulla
porta della
stanza in cui l’avevano fatta accomodare, prima di
interrogarla: lo sguardo
pieno di preoccupazione. «Stai bene? Sei ferita? »
Lei scosse il capo. «No, sto bene. » Gli disse,
mentre le si sedeva accanto. Lo
vide scrutarla da capo a piedi, per niente convinto, e un piccolo
sorriso le
increspò le labbra. «Sto bene, ti dico.
» Si rabbuiò un poco. «E’
stato il
dottor Pitchiner a renderlo possibile: ha sparato a Weselton prima che
lui
sparasse a me. »
Jackson inarcò le sopracciglia, stupito.
«Pitchiner? » Ripeté, già
pronto ad
alzarsi per inseguirlo.
Elsa gli posò una mano sul braccio a bloccarlo.
«E’ inutile, » Gli fece
presente, avendo chiaramente intuito le sue intenzioni. «Se
n’è già andato da
un pezzo. »
«Perché era qui? » Chiese, confuso: non
che fosse scontento che l’avesse
salvata, anzi. Certo, avrebbe preferito farlo lui stesso ma che lei
fosse incolume
proprio lì davanti era l’unica cosa che contava al
momento.
«Ha saldato il suo debito… »
Sospirò. «Non sono certa si ripeterà in
futuro. »
«Non gli daremo modo di farlo ripetere. »
Affermò, risoluto.
Elsa prese un grosso respiro. «Grazie! »
Buttò fuori d’un fiato, causandogli
un’espressione stupita. «Grazie per avermi aiutato
a trovare l’assassino dei
miei genitori. Se ripenso a tutte le volte che, dopo la loro morte, ho
parlato
e pranzato con lui, mi viene da vomitare. Quanto sono stata sciocca?
»
Jack le prese le mani nelle sue. «Sciocca? Era un amico di
famiglia, gli volevi
bene: come avresti potuto immaginarlo? »
«Di sicuro ha sempre recitato con talento la parte del nonno
amorevole: quello
che noi non abbiamo mai avuto. Forse mi sono aggrappata troppo a questo
desiderio inconscio e lui ne è sempre stato ben consapevole:
mi domando di chi
ci si possa realmente fidare, a questo punto… »
L’altro le sorrise. «Qualche idea ce
l’avrei: Anna, Kristoff, Freja… » Me,
ti puoi fidare di me.
Elsa comprese perfettamente quelle parole, anche se lui non le disse e
ricambiò
il suo sorriso. «Della tua principessa.
» Aggiunse maliziosa.
Jack sgranò gli occhi. «Pensi che
l’abbia coinvolta? Era una tua
faccenda personale, non l’avrei fatto senza prima
chiedertelo. » Le fece
presente, sincero. Poi, un ghigno si disegnò sul suo viso.
«Ma dimmi, sono curioso:
com’è che ti infastidisce così tanto il
fatto che la chiami principessa?
Sei gelosa, per caso? »
Lei inarcò appena un sopracciglio.
«Forse… » Confessò in un
soffio.
Il cuore di Jackson fece un triplo salto mortale nella gabbia della sua
cassa
toracica. Si portò le mani di lei, ancora fra le sue, alle
labbra e vi posò un
bacio. «Non devi. Se solo non odiassi qualsiasi tipo di
nomignolo, Fiocco di
Neve, » Le disse, irriverente come al solito,
avvicinando un poco il viso
al suo. «Saresti la regina, lo sai.
» La mia.
Elsa non si ritrasse. «Dei ghiacci?
» Gli chiese, ripensando alle parole
di sua sorella.
Lui si bloccò ad un soffio dalle sue labbra, stranito.
«Di cosa? »
«Lascia perdere… »
«Elsa! » La voce di Kristoff fece trasalire
entrambi: si staccarono di scatto,
in imbarazzo. «Finalmente ti ho trovata. Stai ben…
? » Si bloccò, il quadro
perfettamente chiaro ai suoi occhi.
Lei annuì, le gote arrossate. Jackson sbuffò
appena e si alzò. «A quanto pare è
arrivata la cavalleria. » Celiò. «Ti
lascio nelle buone mani di tuo cognato:
vado a vedere se i ragazzi hanno bisogno di me… »
Si avviò verso la porta: quando passò al fianco
del suo compagno di squadra,
gli diede un paio di sonore pacche sulla spalla e si
congedò.
Kristoff tremò, stavano per baciarsi e lui li aveva
interrotti: Anna lo avrebbe
ucciso, ne era certo.
§
Jack era troppo
agitato per prendere sonno, il pensiero fisso
sulle labbra di Elsa ad un soffio dalle sue, il suo respiro addosso.
Non si
erano chiariti, era vero, ma era maledettamente sicuro che, in quel
momento,
anche lei volesse la stessa cosa: se solo non fosse arrivato
Kristoff…
Eppure ne avevano passate così tante in quel periodo che non
riusciva del tutto
a mettere a tacere il dubbio che quel gesto, magari, fosse
più dettato
dall’adrenalina di essere scampata alla morte; di aver
trovato la soluzione di
quel quesito che la tormentava da una vita; di aver
finalmente un nome
per l’assassino dei suoi genitori che non da un certo tipo di
sentimento che
poteva provare per lui.
Aveva finito, così, per addormentarsi di un sonno leggero e
agitato, appoggiato
allo schienale del suo divano.
Per questo non percepì subito il bussare alla sua porta,
incapace di
distinguere se quel ticchettio fosse sogno o realtà.
D’altra parte, se c’era
qualcuno perché diavolo non suonava il campanello?
Aprì gli occhi di scatto solo quando i colpi si fecero
più insistenti: guardò l’orologio
e si rese conto che era davvero molto tardi, forse era proprio per
quello che
il suo inaspettato visitatore aveva deciso di non far trillare
insistentemente quell’aggeggio
infernale. Assonnato e vagamente allarmato, per poco non gli prese un
colpo nel
riconoscere la figura al di là della porta. La
aprì. «Elsa,
che cosa ci fai qui? È il cuore
della notte!»
Lei non fece un fiato ed entrò in casa senza troppi
complimenti, si voltò verso
di lui solo quando lo sentì chiudere l’uscio
dietro di sé: aveva lo sguardo
arrossato dalla stanchezza, era agitata tanto quanto lui, forse di
più.
«Avevi ragione, su tutto. » Confessò
subito, non senza fatica. Abbassò lo
sguardo. «Quando ti vidi baciare quella ragazza, mi fece
male, molto: mi sono
sentita tradita in un momento in cui ero già disperata.
» Deglutì. «Ma, in
verità, ne fui anche sollevata: lasciarti andare non mi
avrebbe procurato alcun
rimpianto. Perché il dolore di quello stupido bacio, di te
che eri poco più di
un ragazzo arrabbiato con una fidanzata testarda e impossibile,
non
sarebbe mai stato grande quanto quello che avrei provato nel momento in
cui ti
saresti stufato di me e dei miei fantasmi o, ancor peggio, se ti fosse
accaduto
qualcosa come ai miei genitori. Non potevo proteggermi
dall'eventualità di
perdere Anna, è mia sorella. Tu, invece... Solo
l’idea di cosa avrei potuto
provare mi pietrificava. » Prese fiato. «Quando sei
quasi morto in quel lago, per
salvare tua sorella, ancora non ti conoscevo e, per assurdo,
è stato proprio
quell'incidente a portarti in classe da me, ma quando ti ho visto in
quella
ghiacciaia io, io... Avrei voluto parlarti in ospedale ma eri con
Rapunzel, ho
frainteso tutto e… » Tornò a guardarlo
negli occhi, con i suoi velati di
lacrime. «Ho avuto altri uomini dopo di te, sì,
forse più di quanti immagini. »
Gli spiattellò in faccia, senza rigiri di parole.
«Ma non appena capivo che per
loro cominciava ad essere qualcosa di più del solo sesso,
sparivo senza dargli
alcuna possibilità di ritorno. Sai
perché?» Lo sfidò, il mento ben
sollevato.
Jack finalmente mosse un passo verso di lei.
«Perché? » Un altro passo, sempre
più vicino.
«Perché nessuno di loro era te. » Lo
sentì scostarle una ciocca di capelli dal
viso, indugiando un poco nel carezzarla con le dita. «Quasi
lo odio questo
effetto che hai su di me... » Borbottò, ridendo
appena, nel vano tentativo di
rilasciare quella pressione crescente.
Lui sorrise a sua volta e andò a baciarle delicatamente una
guancia umida di
lacrime. «Che effetto ho su di te? » Le
sussurrò sulla pelle, prima di passare
dall'altra parte.
Elsa sospirò, socchiudendo gli occhi. «Non lo
vedi? »
I piedi scalzi di Jackson si fermarono a mezzo millimetro dalla punta
delle sue
scarpe. Le sollevò il mento con le dita e posò le
labbra sulle sue. «Elsa...» Sospirò,
staccandosi un poco prima di baciarla ancora. «Non ho il
potere di dirti che
non ti deluderò più...» E ancora.
«Di assicurarti che non litigheremo... » E
ancora. «O che non soffrirai
più… » Ancora una volta. «Ma
prometto che farò qualsiasi cosa per far sì
che tutto questo accada il meno possibile.
Mi sono maledetto
non so quante volte per averti lasciata andare; per essere stato
così debole da
farmi schiacciare dall’astio di tuo nonno; così
orgoglioso da non sottrarmi da
quel bacio che neanche volevo; così stupido da non lottare
abbastanza. Ora,
però, sono qui, per darti tutto l'amore e il rispetto che
meriti. » Tacque per
un attimo, andando ad appoggiare la fronte alla sua. «Ti
chiedo una cosa
soltanto in cambio: non decidere più per me, non chiudermi
più fuori. »
Lei alzò le mani a circondargli il viso. «Non lo
farò. »
E fu il suo turno di unire le labbra a quelle di lui. Ma il bacio,
questa
volta, non mantenne nulla di delicato, travolto dall’irruenza
del bisogno
di entrambi.
Impegnata com'era a ricambiare con decisione ognuno dei suoi assalti,
si
accorse di non indossare più la camicetta solo quando lui
abbandonò la sua
bocca per lasciarle sul collo una scia di baci roventi, scivolando
sulla
morbidezza di un seno e sempre più giù. Quando
crollò in ginocchio, schiudendo
le labbra sul suo ombelico, lei ritirò appena la pancia,
fremente e senza
fiato. Le mani di lui si chiusero sulla rotondità dei suoi
fianchi, più che mai
intenzionate a non lasciarla allontanare e,
in un
attimo, fecero scorrere la zip della gonna che cadde a terra senza
bisogno di
ulteriori sforzi. La bocca di lui cominciò un delizioso
percorso inverso,
tornando ad unirsi con la sua.
Elsa lo spinse un poco, per liberarlo dalla canottiera che portava come
pigiama:
improvvisamente stufa di quella leggera barriera di cotone che lo
teneva
lontano dalla sua pelle. Per questo non oppose resistenza quando lui la
issò
verso di sé, anzi, andò a cingergli la schiena
con entrambe le gambe. Si
ritrovò intrappolata fra la fredda parete e la sua
eccitazione: un gemito le
sfuggì dalle labbra.
Jack le lambì la carne della clavicola con i denti e,
roteando su se stesso, le cercò nuovamente la lingua con la
sua. Scivolò
rapido verso l'oscurità della
camera da letto, concentrato solo su quel bisogno pressante di perdersi
totalmente nel calore di quelle cosce che lo stringevano forte: la luce
dell'ingresso finì con l'essere dimenticata accesa.
§
«Non
riesci a dormire? »
Kristoff chiuse la porta del frigo, trovandosi di fronte il volto
assonnato
della moglie. «Avevo sete. » Le spiegò,
mostrandole la bottiglia gelata che
aveva appena preso. «Il caldo mi sta già uccidendo
ed è appena cominciato. »
Lei sorrise di rimando. «Ne versi un bicchiere anche a me,
per favore? »
L’altro annuì. «Mi dispiace, non volevo
svegliarti. » Le disse, passandole ciò
che aveva chiesto. «Freja? » Chiese, prima di
portarsi la bottiglia alle labbra
e svuotarla in un attimo.
«Dorme tranquilla, non preoccuparti. »
«E tu? Sei tranquilla? »
Anna tirò appena le labbra di lato.
«Insomma… » Gli confessò,
giocherellando
con una ciocca dei suoi capelli. «Prima Freja viene rapita,
poi Jack finisce in
una ghiacciaia, ti prendi un colpo di fucile in pieno petto…
» Continuò,
guardandolo minacciosamente. «E, per finire, Elsa ha
rischiato di essere uccisa
da una persona che credevamo amica, la stessa che ha dato
l’ordine di uccidere
i nostri genitori. » Tacque un attimo, improvvisamente seria.
«Io l’ho sempre
spronata a lasciar perdere, ad andare avanti e, invece, aveva
ragione… »
Kristoff le passò una carezza sul viso. «Ehi, non
colpevolizzarti: pensavi di
fare la cosa giusta. »
Lei portò una mano sulla sua, a trattenerla, muovendo appena
il viso per
ricevere ancora più conforto da quel tocco.
«Sì ma avrei dovuto supportarla,
anziché ostacolarla… »
Kristoff sorrise. «Ostacolarla? Quando mai Elsa si
è fermata davanti a qualcosa?
»
Anna si lasciò contagiare dal suo sorriso.
«Vero… »
«L’importante è che, ora, sia tutto
finito. »
Lei annuì. «Vorrei tanto che potesse tornare ad
essere felice come un tempo. »
Confessò malinconica.
«Io penso abbia già cominciato. » Le
disse il marito con un ghigno furbetto.
L’altra s’illuminò. «Che
intendi? »
«Potrei aver visto un quasi bacio fra
lei e Jack… »
«Quasi? »
Lui strizzò gli occhi, impaurito. «Temo di averli
interrotti sul più bello. »
Ci fu silenzio, molto silenzio. Azzardò ad aprire una
palpebra: lei era sempre
lì, di fronte a lui, felice. «Non hai intenzione
di farmi una parte per questo?
»
«Naaah… » Rise quella. «Sono
certa che non si faranno mancare altre occasioni.
L’importante è che abbiano rotto il ghiaccio.
»
«Posso farti una domanda? » Le chiese, sinceramente
curioso. «Perché ci tenevi
così tanto a farla tornare con Jack? Da quel che dice Elsa,
non ti stava così
simpatico… »
«Questo non è del tutto vero. »
Confessò. « A me Jack, per Elsa, »
Specificò.
«E’ sempre piaciuto. Anche se, delle volte, avrei
davvero voluto prenderlo a
ceffoni, soprattutto quando si è fatto baciare da
un’altra. » Disse con una
smorfia. «Ma, in verità, è che ero un
po’ gelosa del loro rapporto. Elsa
passava molto tempo con lui e meno con me e, poi…
ecco… ero anche un po’ invidiosa. Lei non
è mai stata un tipo particolarmente romantico,
cercava la sua
realizzazione, l’amore era l’ultimo dei suoi
pensieri e, invece, le è capitato
questo ragazzo che, seppur coi suoi difetti, la guardava come fosse la
cosa più
preziosa di questo mondo. » Arrossì, in imbarazzo.
«Invece io, che avrei fatto
carte false per trovare il mio principe azzurro, trovavo solo dementi
interessati, per lo più, ad infilarmi le mani nel
reggiseno. » Serrò le
labbra. «E non solo… »
«Ehi, gradirei non dovermi immaginare mani di altri nelle tue
mutandine,
grazie. »
«Non puoi essere geloso, non ti conoscevo neanche
all’epoca. »
«Non sono geloso… » Borbottò
Kristoff, mettendo su un piccolo broncio.
Lei gli si avvicinò. «E fai bene:
d’altra parte, tu sei stato il primo… »
L’altro sgranò gli occhi. «Cosa? Non mi
sembrava proprio… »
Anna assottigliò gli occhi e gli rifilò uno
scappellotto sulla nuca. «Non in
quel senso, scemo! Se mi facessi finire… » Lo
rimproverò. «Tu sei stato il
primo a guardarmi così e continui a farlo ancora adesso.
»
Lui sorrise e le baciò teneramente le labbra.
«Perché tu sei davvero la cosa
più preziosa che ho, assieme al piccolo uragano che dorme di
sopra. »
Ridacchiò.
«A proposito di Freja. » Gli disse lei, prendendolo
per mano per accompagnarlo
verso il divano. «Sai cosa mi ha chiesto ieri? »
Lui fece segno di no col capo
e si sedette. «Mi ha chiesto quando le facciamo un
fratellino. »
Kristoff, per poco, non si strozzò con la sua stessa saliva.
«Cosa? » Bofonchiò
fra un colpo di tosse e l’altro, mentre lei lo spingeva fra i
cuscini. «Ehi,
non avrai mica intenzione di farglielo adesso?
»
Anna rise, salendo a cavalcioni su di lui e creando un delizioso
contatto fra i
loro bacini. «No, direi che non è proprio il
momento di avere un altro figlio,
adesso. » Si sfilò la maglia del pigiama,
rimanendo con i soli pantaloncini a
coprirla. «Ma questo non ci impedisce di fare un
po’ di pratica, no? »
Lui si alzò quel tanto che bastava per guardarla dritta
in viso. «Sei
sicura? E’ tanto che non… »
Lanciò un’occhiata eloquente verso le scale.
«Molto sicura. » Affermò, unendo la
bocca alla sua.
§
Jackson
uscì dalle braccia di Morfeo con un leggero mugolio.
Senza neanche il bisogno di aprire gli occhi, le sue labbra si
piegarono in un
leggero sorriso che, tuttavia, si spense non appena si accorse di
essere solo
nel letto del suo appartamento. Vagamente deluso si tirò a
sedere, guardandosi
attorno. Per amor degli inquilini dei palazzi di fronte si
premurò di indossare
una canottiera e un paio di boxer puliti, onde evitare di apparire nudo
in
salotto: data la luce che irrompeva dalla porta, di sicuro non aveva
tirato le
tende la sera precedente, impegnato com’era a concentrarsi su
altro. Cercò
di mantenere alto lo spirito e di non perdere la speranza, eppure non
provenivano rumori dal bagno e, quindi, anche l’ipotesi che
lei stesse facendo
una doccia andò miseramente in fumo. Sempre più
abbattuto si spostò verso la
cucina ma un certo tipo d’indumenti
sparsi sul pavimento, uniti ad un buon
profumo nell’aria, ebbero il potere di riaccendere il suo
sguardo e il suo
entusiasmo. Fece scorrere la porta socchiusa e, finalmente, la
trovò seduta su
uno degli sgabelli del bancone, a sorseggiare il suo caffè
mentre, con un dito posato
sul tablet, scorreva in maniera distratta chissà cosa. Le
gambe lunghe e snelle
erano nude, i piedi scalzi e a coprirla aveva una delle sue t-shirt che
riusciva a sostenere il suo compito giusto per un pelo. Quando si
accorse della
sua presenza, alzò lo sguardo azzurro su di lui e sorrise
sarcastica. «Ti vedo
sorpreso Overland, pensavi me ne fossi andata via come una
ladra? »
Jack in quel sorriso si sciolse e le si avvicinò, andando a
sedersi sullo
sgabello accanto al suo. «Devo ammettere che per un attimo
l’ho creduto… » Confessò,
tirando appena le labbra in una piccola smorfia.
«Niente ripensamenti. » Lo rassicurò
lei, stringendogli una mano. «Quello che
ti ho detto ieri sera è sempre valido. »
Lui ricambiò la sua stretta, per poi inarcare un
sopracciglio davanti al
contenuto della tazza che era evidentemente lì ad
attenderlo. «Mi hai preparato
l’uovo sbattuto con lo zucchero?» Le chiese
stupito, trattenendo a stento una
risata.
Lei annuì, divertita. «Sì: ho pensato
avessi bisogno di recuperare energie dopo
questa notte. » Gli sorrise maliziosa.
«Sai com’è, non sei più un
giovincello. »
Jackson assottigliò lo sguardo. «Bleket, ti
ricordo che hai solo un anno in
meno di me. » La sfidò, abbassandosi verso di lei.
Elsa si spinse in avanti, quasi a sfiorargli il naso con il suo.
«Mi stai dando
della vecchia, Overland?»
«Non proprio della vecchia… »
Ribatté, piegando appena la testa. «Della matura,
magari… »
Lei scansò il bacio in arrivo con finta indignazione e si
alzò. «Vuoi finire
sul mio tavolo, per caso?»
Jack l’agguantò veloce per un polso e
la tirò un poco, in modo da farla sedere
su
di sé. «L’idea di essere sdraiato nudo,
con te sopra di me, mi alletta in
effetti… ma preferirei che in mano, al posto del bisturi,
avessi altro. »
Le soffiò vicino all’orecchio.
Elsa gli circondò il collo con le braccia.
«Comincio a credere che mia sorella
abbia ragione e tu sia davvero un idiota…»
Lui piegò la bocca in un sorriso furbo. «Ma
è anche per questo che mi ami, ammettilo.
»
«Non confermerò, né smentirò
questa tua affermazione… » gli rispose a fior di
labbra.
La baciò, questa volta senza incontrare alcuna resistenza.
Quando si staccarono, lei scosse appena il capo e, con un sorriso
radioso, lo posò sulla sua spalla.
Jackson le passò una carezza sulla schiena e le
lasciò un altro bacio fra i
capelli, felice. «Vuoi farti una doccia mentre faccio
colazione?»
L’altra si drizzò di colpo, sorpresa.
«Le tue capacità deduttive questa mattina
lasciano decisamente a desiderare: perché credi non
l’abbia ancora fatta?» Gli
chiese maliziosa.
Il detective sgranò gli occhi, folgorato dalla comprensione,
e trangugiò in un
sorso tutto il contenuto della sua tazza. «Andiamo!
»
Elsa non poté fare a meno di sghignazzare ma per un momento
soltanto, ben
presto in balia di tutt’altro tipo di sensazioni, fomentate
dall’eccitazione del
suo compagno che ben cominciava a percepire sotto di sé. Si
strinse a lui
maggiormente e avvicinò ancora una volta il viso al suo,
andando a racchiudere
con la bocca il labbro superiore di lui, a pulire via i rimasugli di
crema che
ancora lo sporcavano. «Andiamo… »
Ciao a tutti!
Io non so se ve l'aspettavate o se sia stata una grande sorpresa ma,
dopo più di un anno, questa storia è finita!
Probabilmente ho un abbonamento con il non poter andare oltre ai dieci
capitoli di una long (prologo compreso, in questo caso) ma questo
progetto, in realtà, è il più grande
che abbia
portato a termine sino ad ora perché, come avrete notato, i
capitoli sono più corposi delle storie precedenti.
Forse certi aspetti avrebbero potuto essere approfonditi ma, tutto
sommato, sono contenta del risultato finale poiché il tempo
e le
energie sono quello che sono ç_ç Spero
che questo
ultimo capitolo, così come la storia intera, abbia
soddisfatto
anche voi!
Nonostante tutto ho voluto dare una conclusione, o meglio, un nuovo
inizio per tutti i personaggi che hanno preso parte in questa storia.
Robert, il nostro Robin, pare aver ritrovato la voglia di andare avanti
dopo la perdita della sua Marian.
Punzie ha incrociato nuovamente il suo cammino con un certo
affascinante ladro... secondo voi ci andrà a quel
ristorante? Io
dico di sì ù_ù
Jane e John stanno cominciando la loro storia d'amore e io non posso
che essere felice per questo (spero anche voi) e, dato che non potevo
farli sfrecciare fra le liane, ho pensato che il parasailing potesse
essere un degno sostituto XD
E via, un momento Kristanna, dolce e piccante al tempo stesso, ci stava
bene.
Ma veniamo ad una delle parti più succose del capitolo:
Pitch!
Ebbene sì, era lui il grande burattinaio dietro alle azioni
di
Frollo ma si può dire che non collaborassero affatto e fosse
tutto un suo piano per vendicarsi anche di lui. Tuttavia, qui, Pitch
non è il gran cattivone canonico del film delle Cinque
Leggende
ma rimane un personaggio grigio, almeno per adesso, e con una certa
condotta... vi aspettavate che sarebbe stato lui a salvare Elsa dalle
grinfie del perfido Weselton? Perché sì,
l'affabilità del caro giudice non era che tutta una maschera
-
come avevate sospettato in molti - e c'era proprio lui dietro alla
morte di Agnar e Iduna, assieme alla sua sete di potere.
E, poi, che dire: finalmente - e dico - finalmente (!!!)
abbiamo
avuto la svolta Jelsosa perché, sì, Jack in
gioventù avrà anche tradito (più o
meno
volontariamente) Elsa, ma lei aveva già deciso di lasciarlo
andare per paura di soffrire perché, lo sappiamo, la nostra
Elsa
non è solo la regina dei ghiacci ma anche quella dei muri:
alti
e belli spessi. Chi avrebbe voluto dare una testata a Kristoff per
averli interrotti, alzi la mano! Ma direi che, poi, hanno
abbondantemente recuperato (e ancora lo faranno, capite a me).
Spendo ancora qualche parola sul titolo perché ne sono molto
orgogliosa (mi crogiolo con poco, che vi devo di'): Cold Case,
non si riferisce solo al caso dei genitori di Elsa ma anche a quello di
Marian, dei signori Greystoke, del figlio di Kala e la vendetta di
Pitch che, ognuno a modo suo, ha trovato la sua conclusione. Inoltre,
il concetto comprende anche la crisi sentimentale di Jack ed Elsa che
si protrae dall'alba dei tempi ed il fatto che siano entrambi
decisamente cold
nel loro canon (ma anche molto hot).
Se ve lo chiedevate è così che funziona la mia
testa,
spero non cambierete opinione su di me per questo
ù_ù
Come sempre, più e più riferimenti Disneyani sono
presenti fra queste righe e alcuni spunti della terza serie di Body of
Proof sono facilmente riconoscibili, altrimenti non sarebbe stata una
BodyOfProof!AU ;)
Insomma, sarà meglio chiudere qui perché ho
già
scritto anche troppo. Perciò: grazie, grazie davvero per
avermi
accompagnato fino a qui! Il vostro supporto è stato
fondamentale
per arrivare in fondo e spero davvero di non avervi deluso!
Un abbraccio a tutti e alla prossima storia. ♥
Cida
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