Sinners Will Pay

di Cida
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Home ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 - This is just the beginning ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 - Gifts ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 - Still in the dark ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 - Encounters ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 - The Fall ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 - Fear ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 - Wrong perspectives ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 - Is this the end? ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 - Cold Case ***



Capitolo 1
*** Prologo - Home ***


Capitolo 1


 

«Quindi il tuo nuovo misterioso partner arriva oggi?» Anna diede un piccolo sorso alla sua mug fumante «Sei riuscito a scoprire qualcosa su di lui?»
Kristoff finì di sistemarsi il colletto della divisa «Sì, sembra uno che sa davvero il fatto suo»
«E come mai un tipo così in gamba avrebbe deciso di trasferirsi da una città così grande ad una più piccola?»
«Pare che sia originario di queste parti e abbia preferito tornare a casa. Da quel che ho capito abitava nel vostro stesso quartiere e, se non sbaglio, dovrebbe avere la stessa età di tua sorella o, forse, qualche anno in più. Magari lo conoscete: si chiama Overland»
Anna per poco non si strozzò con la sua colazione «Vuoi dire Jack Overland?» esalò priva di fiato e con le lacrime agli occhi.
«Mmm… mi pare che di nome faccia Jackson…»
Lei sventolò una mano con noncuranza «Jackson detto Jack, è lui di sicuro»
«Quindi lo conosci…»
«Oh sì che lo conosco…» gongolò con un sorriso inquietante «Ma quella che lo conosce meglio è mia sorella: è stato il suo ragazzo al liceo»
«Cosa?» figurarsi la gelida Elsa innamorata andava ben oltre le doti di immaginazione di cui era provvisto.
«Di che ti stupisci?» lo riprese la moglie divertita «Anche Elsa è un essere umano, non è di certo fatta di solo spirito»
Il se lo dici tu che trapassò la mente di Kristoff se lo tenne per sé «Ho bisogno di chiedertelo: si sono lasciati bene, vero? Saranno felici di ritrovarsi, no?»
Anna tirò il labbro di lato in un’espressione eloquente «Ecco, su questo non ci giurerei...»
«Oh no…» singhiozzò il poliziotto, cercando nervosamente il cellulare «La devo avvisare subito»
«Tu non avviserai proprio nessuno…» gli disse invece lei con fare furbetto.
«Sei matta? Quando scoprirà che io - suo cognato - le ho tenuto nascosta la cosa, mi ammazzerà»
«Non dire sciocchezze: lei ci lavora con i cadaveri ma, di certo, non se li procura da sola» scese dal suo sgabello e gli si avvicinò, tirandolo un poco verso di sé per lasciargli un bacio a fior di labbra «Vedrai che alla fine ti ringrazierà, forse…» spostò, poi, lo sguardo sulle scale che portavano al piano di sopra e urlò, mettendo seriamente a rischio l’incolumità del timpano del marito «Freja, scendi! Lo scuolabus sarà qui a momenti, rischi di perderlo…»
Un discreto trambusto testimoniò l’arrivo di un mini uragano biondo lanciato a tutta velocità: una mano a stringere lo zainetto e l’altra impegnata a cercare una via di fuga dalla manica della giacca «Eccomi!»
Letteralmente volò giù dalla rampa, con le sue immancabili treccine smosse dal vento della sua esuberanza. Prese il sacchetto della merenda che sua madre le stava porgendo e l’abbracciò, per poi correre a mettersi le scarpe all’ingresso «Ciao mamma, ciao papà!»
«Ehi, recluta!» Kristoff la raggiunse proprio mentre stava per aprire la porta di casa «Non stiamo dimenticando qualcosa?» le disse chinandosi leggermente, picchiettandosi l’indice su una guancia.
Freja alzò gli occhi al cielo ma con il sorriso sulle labbra «Mi perdoni, detective» si scusò con una risata argentina per alzarsi, poi, in punta di piedi per far schioccare un bacino proprio dove indicato.
«Ottimo lavoro, recluta! Può andare!» disse l’altro soddisfatto, imitando un rigido saluto militare.
La piccola batté i tacchi sul posto e divenne il suo riflesso, per poi sparire al di là dell’uscio.

§

La morte era entrata nella vita di Elsa Bleket, e di sua sorella Anna, senza chiedere il permesso. Aveva fatto loro visita la prima volta quando avevano rispettivamente solo otto e cinque anni, portandosi via nel sonno – senza preavviso - la nonna paterna e aveva decisamente stravolto le loro vite dieci anni più tardi, quando un pirata della strada aveva investito e ucciso entrambi i genitori. La vita sotto la tutela legale di loro nonno Runeard non era stata per nulla rose e fiori e, nella sua rigidità, aveva reso Anna ancora più indomita e sognatrice mentre aveva fatto chiudere Elsa in se stessa, concentrata su unico obiettivo: dare giustizia ai morti, cosicché il destino dei suoi genitori, il cui assassino era rimasto senza volto - e, quindi, impunito, - non si fosse ripetuto mai più, almeno non per quei corpi passati sotto alle sue mani di medico legale.

Elsa tirò il freno a mano e posteggiò, poco lontano dal luogo che le era stato indicato al telefono, e scese dall’auto, subito imitata dalla sua assistente: una giovane laureata in etnologia, dalle spiccate doti artistiche e maga del saper catturare i più piccoli dettagli con la sua fidata fotocamera. Sbuffò e l’aria rigida del mattino fece condensare il suo respiro in una piccola nuvola di vapore acqueo: quella settimana si stava rivelando un vero inferno, le temperature erano scese drasticamente e, praticamente ogni giorno, qualche sventurato finiva sul suo asettico tavolino: vittima di un incidente causato dal ghiaccio, o del freddo che l’aveva fatto addormentare per sempre per mancanza di una fissa dimora. Visto il vicolo delineato dai nastri gialli, ipotizzò si trattasse di quest’ultimo caso. Li oltrepassò con una certa eleganza, subito seguita dalla sua assistente «Kristoff, che cosa abbiamo oggi?» chiese senza nemmeno guardare la figura che le dava le spalle, intenta com’era ad indossare i suoi guanti in lattice: ultimamente aveva visto suo cognato ben più di quanto lo avesse fatto sua sorella e la cosa, a ben pensarci, aveva del surreale.
«Maschio bianco, fra i quaranta e cinquanta… mi sentirei di escludere una rapina finita male, vista la posizione del corpo… il resto spero possa dirmelo lei, Dottoressa Bleket»
Quella voce la fece rabbrividire, alzò lo sguardo e se possibile, data la sua carnagione chiarissima, impallidì ancora di più «Tu…» sibilò «Che diavolo ci fai qui? Sulla mia scena, poi…»
«Oh…» fece lui, regalandole un sorriso in risposta «E ciao anche a te, è un piacere rivederti dopo tutto questo tempo»
«Rispondimi»
L’altro sbuffò «Sia dia il caso che questa sia la mia scena, sono il nuovo partner del detective Bjorgman»
«Il nuovo partn…» ripeté, sgranando gli occhi «Mi domando come mai nessuno si sia degnato di avvisarmi…» sibilò tagliente e qualcuno, lì nei paraggi, tremò.
Morto per morto, Kristoff si giocò la carta del io-non-so-niente e si avvicinò ai due «Buongiorno Elsa, vedo che hai già incontrato Jackson Overl…»
«Lo so chi è» lo interruppe secca.
«Oh sì, lo sa…» gli fece eco l’altro con una faccia da schiaffi.
Elsa comprese il sottinteso di quella frase immediatamente e gli intimò con lo sguardo di non osare aprire ulteriormente la bocca, se solo ne avesse avuto la possibilità, probabilmente, lo avrebbe congelato sul posto.
«Sono io o qui sta succedendo qualcosa che mi sfugge?» s’intromise l’assistente, leggermente piccata per non essere stata ancora presentata «Sono Jane Porter, comunque» disse, tendendo la mano al nuovo detective.
«Jackson Overland, ma gli amici mi chiamano Jack…» rispose lui, ricambiando la sua stretta con un sorriso smagliante che la fece arrossire non poco.
«Jane… » sibilò Elsa tagliente «Fotografa tutto, per piacere»
«Subito » la vide scattare sull’attenti mentre reprimeva a stento un brivido lungo la schiena che niente aveva a che fare con la temperatura esterna.
La lasciò fare per qualche istante e poi si chinò sul cadavere: era un uomo di mezza età, come Jackson le aveva detto, ed era tutto tranne che un senzatetto, vista la pregevole fattura degli abiti che indossava. Aveva addosso solo una giacca leggera, il che era molto strano ma ancor più strana era la posizione del corpo, come se si fosse semplicemente accomodato su quel gelido marciapiede prima di addormentarsi per sempre. Gli prese un braccio e lo trovò rigido, lo spostamento rese ben visibile il costoso orologio che portava al polso, ancora una volta Jackson aveva visto giusto: niente aggressione a scopi di rapina. Improvvisamente, lo sguardo le si accese alla vista di un altro particolare.
«Jane, qui per favore»
Lei scattò.
«E qui» la invitò, poi, sull’altro polso. Si mosse, infine, verso i piedi e, scostando un poco i calzini, le chiese anche di immortalare le caviglie.
Vedendola, finalmente alzarsi una volta per tutte, Jackson riprese parola «Allora?»
Lei si tolse i guanti in lattice e si spostò un poco, in modo che l’equipe della scientifica potesse concludere il proprio lavoro «Non può essere morto da molto tempo, direi al massimo un paio di giorni ma, date le temperature, potrò confermartelo solo con un’autopsia più approfondita. Non è stato aggredito da un ladro…» confermò, evitando accuratamente di dargli ragione «Ma ha delle escoriazioni sui polsi e le caviglie, come se fosse stato a lungo legato. Anche la posizione è sospetta, io credo non sia morto qui ma che ce l’abbiano messo solo in seguito»
«Stai suggerendo che l’abbiano effettivamente ucciso?» le chiese Kristoff.
«Non esattamente…» disse lei, piegando appena il capo «Potrebbe essere stato un qualche tipo d’incidente, non ha segni di soffocamento, non ci sono ferite… è tutto molto strano»
«Ma le abrasioni che hai trovato?»
«Giochi erotici?» buttò lì Jackson con un ghigno divertito, il suo compagno di squadra per poco non si strozzò con la sua stessa saliva.
«Forse…» gli concesse l’altra, per nulla turbata «Ma, in quel caso, non credo siano stati il colpo di grazia, altrimenti non si sarebbero presi la briga di rivestirlo di tutto punto»
«Sappiamo chi è?» chiese, quindi.
Kristoff si prese un momento per verificare con i colleghi «Non al momento» disse infine, scotendo il capo «Dai primi controlli, pare non avere documenti. Ha un cellulare ma è scarico, dovremmo chiedere aiuto al nostro IT» consultò il suo taccuino «E’ stato trovato dai netturbini del mattino, quelli della sera non hanno riscontrato niente di sospetto, per cui è stato messo qui questa notte. Ci sono diversi appartamenti con le finestre rivolte su questa strada, magari vale la pena di cercare di capire se qualcuno ha visto qualcosa»
«Eppure…» disse Jane pensosa, guardando con attenzione quei capelli biondi tagliati a spazzola e quel pizzetto perfettamente curato. Si passò una mano sotto al mento, l’altra ancora stretta nella sua fotocamera «Mi sembra di averlo già visto da qualche parte»
«Lo conosci?» chiese Elsa, alzando un sopracciglio curiosa.
«Non esattamente, è più quella sensazione di avere di fronte un volto noto… forse ho letto un articolo sul giornale, o seguito qualcosa in tv… ma, diamine, non riesco proprio a ricordarlo al momento»
«Chiunque sia, lo scopriremo presto» affermò risoluto Kristoff «Vieni Jane, andiamo a chiamare i ragazzi per farlo portare via»
«E perché devo venire anche io, scusa?» chiese quella non capendo, salvo illuminarsi davanti all’espressione eloquente dell’altro «Ah sì, certo… ti accompagno subito! Allora la senti anche tu questa tensione ses…»
Lui trasalì «Vuoi stare un po’ zitta?» bofonchiò, spingendola via.
«Fai sparire quel sorriso dalle tue labbra, Overland» lo ammonì Elsa freddamente, prendendolo per un braccio e trascinandolo lontano da quella che sembrava sempre più una scena del crimine.
«Perché?» disse lui sinceramente divertito «Mi piacciono, sono convinto che andremo d’accordo. Nonostante il mio partner sembri avere un certo interesse per il bondage…» sghignazzò.
«Se anche solo prova a pensare di legare mia sorella, finirà sul mio tavolo…» sibilò lei a denti stretti.
Jack fischiò «Quindi mi stai dicendo che l’uragano Anna si è sposata? Non c’è da stupirsi, visto quanto fosse innamorata dell’amore» alzò le spalle «Beh, mi sembra davvero un tipo a posto… magari non la vuole legare ma farsi legare…»
Elsa roteò gli occhi al cielo «Ripensandoci, forse, ci staresti meglio tu sul mio tavolo…»
Lui ghignò «Sta minacciando un pubblico ufficiale, Dottoressa? O è un qualche tipo di proposta perversa?»
L’altra tagliò corto «Seriamente, perché sei qui?»
L’espressione di lui si rabbuiò di colpo «Perché il tempo passa: oltre alla carriera mi sono accorto di non avere nient’altro. Ho pensato che tornando a casa, forse, avrei potuto avere una possibilità» la guardò «Non sono più un ragazzino, Elsa»
«Lo vedo…» confermò lei dura, portando lo sguardo sui suoi capelli: del castano che li aveva accesi durante la sua giovinezza non c’era più traccia, trasformato in un grigio scuro che dall’attaccatura sfumava verso le punte in un candore degno della prima neve stagionale. Neanche si concesse di pensare quanto questo lo rendesse ancor più attraente, con quegli occhi azzurri accesi dalla perenne scintilla del divertimento « … ma se questa possibilità pensi che possa, in qualche modo, riguardare me… beh, ti sbagli di grosso. Noi saremo semplicemente colleghi, niente di più»
Jackson alzò le mani in segno di resa «Elsa, guarda che stai facendo tutto da sola…»
Lei assottigliò lo sguardo, per fargli ben comprendere che non si sarebbe fatta convincere «Per te, comunque, sono la Dottoressa Bleket»
Lui si portò una mano al petto e fece un piccolo inchino «Come desidera, Dottoressa» acconsentì in tono improvvisamente neutro «Aspetto una sua chiamata per quando finirà l’autopsia. Ora, se non le dispiace, avrei delle indagini da mandare avanti»
Elsa lo guardò andare via, non si concesse nemmeno il lusso di lasciare andare quel sospiro che le era cresciuto nel petto da quando se l’era trovato di fronte, maledicendo il destino che, ancora una volta, aveva messo Jackson Overland sul suo cammino.



Ebbene sì, sono tornata... forse.
Dopo tre mesi di blocco totale un pochino di ispirazione ha fatto capolino per questa nuova storia.
Sì, al solito è una AU e, come da specchietto, si basa sulla serie televisiva Body of Proof e, in particolare, sulla terza stagione perché Megan e Tommy sono un calderone continuo di Jelsa vibes e niente mi farà cambiare idea al riguardo ù_ù
Non rientra nella raccolta Falling Snowflakes perché sarà un multicapitolo... di quanti? Non ne ho idea.
Come potete immaginare dalla presenza di Jane Porter, direttamente dal film animato di Tarzan, ho deciso di ampliare i miei orizzonti in ambito di personaggi, principalmente fomentata dalla lettura qui sopra di crossover di dimensioni epiche (capito Spirit e Evil? Sì, è tutta colpa vostra XD).
Non credo proprio arriverà alla stessa portata di questi lavori ma qualche personaggio in più farà la sua comparsa, sia in pianta stabile sia come semplice cameo. Tenete sempre bene a mente, però, che la serie tv parla della vita di un medico legale, quindi, preparatevi psicologicamente ad un certo numero di morti... io vi ho avvisato.
Giusto per mettere un po' di pepe, anche il morto in questione è un personaggio Disney (un po' rimaneggiato): si aprono le scommesse su chi possa essere.
Sempre grazie a Spirit, nella cui storia Jack ha i capelli castani ma gli occhi azzurri, ho preso coraggio per dare libero sfogo ad un'idea che mi frullava in testa da un bel po': trasformare Jackson in un sexy quarantenne brizzolato ma, va da sé, che l'accoppiata capelli bianchi e occhi azzurri non si può separare, ed è per questo che gli occhi sono di questo colore e non castani come in tutte le altre mie storie in cui è umano.
Lo sviluppo di questa fic è ancora decisamente in corso, non so bene che strada prenderà né con che frequenza verrà aggiornata ma, intanto, abbiamo rotto il ghiaccio. Giusto per rimanere in tema.
E' anche la prima volta che mi lancio su questo tipo di polizesco, tutte le mie conoscenze delle dinamiche delle investigazioni si basano meramente su episodi di serie TV visti e libri letti: spero mi perdonerete se alcune cose potranno risultare poco realistiche.
Nel caso sono aperta a suggerimenti.
Spero di aver acceso la vostra curiosità. Chiunque deciderà di seguire questa avventura mi farà ben felice.
Alla prossima
Cida
P.S Freja is back!
P.P.S No, questo specchietto non è grigio proprio a caso ;)



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Capitolo 2
*** Cap. 1 - This is just the beginning ***


Capitolo 1

 

Elsa finì di raccogliere i morbidi capelli biondi in un'acconciatura alta, in modo che non la infastidissero durante il lavoro. Indossò occhiali e visiera protettivi e si avvicinò al tavolo dove il corpo della vittima l'attendeva per la sua autopsia.
«Chiunque tu sia» disse sottovoce, infilandosi i guanti in lattice «E’ l’ora di raccontarmi i tuoi segreti»
Avviò il registratore.
Dapprima si dedicò a studiarlo esternamente: come intuito nel vicolo, oltre alle abrasioni già rinvenute sulle estremità e all'inchiostro sui polpastrelli usato per permettere il riconoscimento attraverso le impronte digitali, il corpo non presentava nessun altro tipo di segno. C’era, in effetti, la possibilità che il laboratorio ne avesse già scoperto l’identità ma, per lei, era sempre meglio non saperlo prima.
Alzò le palpebre e trovò due vitrei occhi neri, con la sclera giallastra e un'espressione sgomenta. Aggrottò le sopracciglia e annotò la stranezza nel suo vocale.
Imbeccata da un'intuizione, prese uno speculum bivalve e, spostando adeguatamente la luce, ne controllò le narici. Era proprio come aveva immaginato: richiese un esame tossicologico urgente. Infine, prese uno dei suoi fidati e affilati bisturi e procedette ad effettuare l'incisione ad ipsilon su quel magro petto. Quando la cassa toracica fu finalmente esposta e il suo sguardo mise a fuoco il cuore, rimase interdetta: una cosa così non l'aveva vista mai.

Il cadavere era già stato ricucito, quando Jane irruppe senza troppi complimenti - con i capelli castani raccolti disordinatamente e gli occhi azzurri accesi dalla soddisfazione - nell'ufficio della dottoressa Bleket, sventolando teatrale un plico di documenti «Te l’avevo detto che l’avevo già visto da qualche parte…» esordì, quasi sbattendolo sulla scrivania «Guarda qui!»
Elsa alzò lo sguardo dal rapporto, che stava finendo di compilare, con un sospiro: aveva dell’incredibile come, talvolta, Jane sapesse assomigliare a sua sorella Anna. Lo spostò sulla foto che le stava porgendo: ritraeva la vittima con un completo sfarzoso in quella che sembrava la passerella di una kermesse di un certo livello.
«John Lionheart» continuò, andandole vicino «Già confermato dalle impronte digitali ma non è finita qui» mosse appena le dita, facendo così apparire una copia di un articolo di giornale «Non si può dire fosse certo una brava persona»
Elsa scorse velocemente le righe stampate: John Lionheart era il rampollo di una delle famiglie più importanti della città, i proprietari delle Lionheart Industries. A quanto pareva, però, era una gran testa calda, incline agli scandali, di cui uno dei più eclatanti e terribili era riportato proprio su quel giornale.
Quando lesse di come, tre anni prima, fosse stato coinvolto in un incidente in cui, palesemente strafatto, aveva travolto e ucciso una giovane donna con la sua auto, strinse istintivamente i denti, quasi pentendosi di tutte le attenzioni che gli aveva rivolto sul suo tavolino.
«Chiama subito Kristoff e il detective Overland, direi che hanno già solide basi da cui partire»

§

Scoprire l’identità del corpo rinvenuto quel mattino aveva messo la stazione di polizia in subbuglio. Sebbene John Lionheart non fosse la star del momento, era comunque un nome noto e il polverone mediatico aleggiava sulle loro teste come una spada di Damocle. Fare uscire anche un solo sospiro al riguardo era stato tassativamente vietato, soprattutto perché le reali dinamiche dell'accaduto erano ancora avvolte dalla totale oscurità.
Il detective Overland dovette imporsi di tenere chiusa la bocca, quando varcò la soglia dell’ufficio del tecnico informatico che – a detta di Kristoff – era il migliore di tutto il dipartimento.
Le pareti erano interamente tappezzate da disegni, mentre libri di ogni tipo e attrezzature elettroniche erano sparsi dappertutto. In un angolo, gli era persino parso di scorgere una chitarra. Di scrivanie e di tecnici informatici, però, non se ne scorgeva nemmeno l’ombra.
«Ehi, Punzie» chiamò Kristoff al suo fianco «Scendi, abbiamo del lavoro per te»
Solo nel vedersi piombare una persona davanti, Jackson notò la presenza di un particolare decisamente fuori posto in una stazione di polizia,
più adatto magari ad una dei pompieri: una ripida pertica portava ad un piano rialzato dove, evidentemente, stava il resto dell’ufficio della ragazza. Perché indubbiamente quella che adesso gli stava di fronte era una ragazza e molto giovane per di più. Indossava, nonostante le temperature esterne, un paio di sneakers alte dalla tela rosa shocking e la suola bianca, jeans aderenti neri e una felpa con cappuccio dello stesso colore delle scarpe. La zip lasciata aperta faceva intravedere una maglietta bianca su cui spiccava il disegno di un divertente camaleonte verde. La cosa più incredibile, però, erano i capelli biondi, tenuti raccolti da svariate penne e mollette e quello era un pennello, per caso? Era praticamente impossibile quantificare quanto fossero lunghi.
«Ciao Kriss» salutò con un sorriso raggiante «Cosa mi hai portato d’interessante?» chiese, poi, con gli occhi verdi accesi da un entusiasmo disarmante. Entusiasmo che scemò nel totale imbarazzo quando si accorse anche della sua presenza e di averlo praticamente ignorato.
«Mi scusi, lei dev’essere il detective Overland, giusto? Esperto informatico Rapunzel Sunlight, al suo servizio»
Jackson dovette trattenere il sorriso ironico che gli era salito spontaneo sulle labbra nell’udire quel nome e nel vedere quell’improbabile saluto ufficiale che gli aveva rivolto «Tranquilla, non servono tutte queste formalità con me. Chiamami pure Jack» poi, inesorabilmente, il suo sguardo si posò di nuovo sui suoi capelli «Rapunzel, sul serio? E lavori in una torre?» chiese, poi, incapace di tenere a freno la lingua.
Lei lo guardò storto «Mi piacciono lunghi, d’accordo? Non ha niente a che fare con il mio nome. E sì, mi piace stare in alto, sto per la maggior parte del tempo seduta per cui preferisco essere attiva quando devo muovermi. Contento, Jack
«D’accordo» concesse lui con un altro sorriso, bonario questa volta «Me la sono cercata. Abbiamo un cellulare per te» fece un cenno del capo a Kristoff perché lo consegnasse «E’ scarico e probabilmente sarà protetto da password. Inutile dire che vorremmo davvero sapere che cosa c’è dentro»
«E’ uno degli ultimi modelli» lo riconobbe ad una prima occhiata «Ho l’adattatore adatto. Sarà sicuramente protetto da riconoscimento biometrico ma niente di impossibile da raggirare. Seguitemi» li invitò «Se la pertica vi fa paura, ci sono le scale là in fondo» e, senza aspettare risposta, sparì di sopra con un’agilità sorprendente.
Jackson, incapace di resistere al gusto della sfida, la seguì subito dopo. Kristoff, invece, optò - in un’alzata di spalle - di andare a piedi come i comuni mortali.
Ci vollero cinque minuti esatti per far crollare le barriere dello smartphone.
«Alla faccia della sicurezza» commentò Kristoff con una smorfia.
«Diciamo che sono ragionevolmente sicuri da parte di manomissioni di persone comuni ma non da parte di chi è dotato di gioiellini come questi» disse, indicando il suo armamentario sparso sulla scrivania «Non è vero, Pascal?»
Jackson spostò lo sguardo e scoprì che la ragazza si era appena rivolta ad un piccolo camaleonte verde, intento a prendere placidamente il calore di una lampada UV all’interno della sua teca. «Cos’è, la tua paperella di gomma?»
«Non dire sciocchezze» lo rimproverò l’altra «Lui è un mio amico ma, sì, è anche un ottimo ascoltatore: mi aiuta spesso a trovare la concentrazione giusta. Comunque, ecco qui» continuò, girando appena uno degli schermi nella loro direzione, mostrando un mirroring perfetto del cellulare «Cosa volete controllare per primo?»
«Chiamate, profili social, messaggi…»
«Uhm…» aggrottò le sopracciglia dubbiosa «Molti dei numeri nel registro delle chiamate sembrano non essere salvati in rubrica, mi ci vorrà del tempo per rintracciarne i proprietari. Inoltre, pare che i messaggi siano stati cancellati. Vi avviserò se dovessi trovare qualcosa ma, intanto, ecco il suo profilo»
«Guardate qui…» disse Jackson, indicando l’ultimo post, risalente a pochi giorni prima «Pronti a festeggiare l’anniversario del mio potere? Che significa?» chiese stranito «Possiamo andare indietro?»
«Subito!» rispose Rapunzel solerte.
Scorsero foto di innumerevoli feste, donne, auto e barche lussuose. Ogni anno, intorno a quella data, ritornava il riferimento al suo presunto potere. Arrivati a circa tre anni prima scorsero un video, decisero di farlo partire. Una strada sfrecciava a tutta velocità, John Lionheart non si vedeva, puntava il cellulare esternamente con una mano mentre con l’altra, probabilmente, teneva il volante. Una risata sprezzante si mescolò al rombo del motore – Prince Johnny contro il sistema, uno a zero, palla al centro. Soffiò perfida una voce chiaramente alterata dall’alcol e chissà cos’altro – Non mi avrete mai perché io ho potere! Potere!
Il video si interrompeva su quelle ultime parole.
«Ora ricordo» esalò Kristoff pietrificato «Punzie, cerca John Lionheart fra i fatti di cronaca, per piacere»
Lei obbedì e già il primo risultato diede loro la risposta che stavano cercando: John Lionheart non farà neanche un giorno di galera per l’omicidio stradale con omissione di soccorso di MF. Il giudice ha predisposto, data la sua fedina pulita, il pagamento di una penale e un periodo di lavori socialmente utili, uniti ad una riabilitazione mirata. L’articolo proseguiva con un’accusa sull’inefficienza e la possibile collusione del sistema giudiziario nazionale.
«MF, chi è?» chiese Jackson, disgustato.
Lei cercò nell’archivio della polizia «Marian Fitzwater, l’incidente è avvenuto tre anni fa. Oddio, proprio oggi!»
«Oggi?» ripeté quello incredulo.
In quel momento, il cellulare di Kristoff trillò «Detective Bjorgman» rimase ad ascoltare la telefonata per qualche secondo e, salutando, riattaccò «Jack, dobbiamo andare. Era Jane, Elsa ha finito l’autopsia»

§

«Insufficienza cardiocircolatoria acuta irreversibile?» ripeté Kristoff, inarcando le sopracciglia «In pratica ha avuto un infarto?»
«Esattamente…» confermò Elsa, appoggiata con i fianchi al grande tavolino di vetro della sala in cui si erano riuniti, le braccia conserte.
«Ne è sicura?» chiese Jack dubbioso, c’erano tante, troppe cose che non tornavano in quella morte.
«L’autopsia non mente» sentenziò gelida «Il caro signor Lionheart» aggiunse, senza riuscire a nascondere una certa dose di disprezzo «A quanto pare, era solito fare uso di droghe: cocaina, sicuramente… per altro vi saprò dire una volta arrivato l’esito del tossicologico»
«Quindi parliamo di overdose» concluse Kristoff «Magari qualche festino in zona è scappato di mano e, per non avere grane, lo hanno abbandonato in quel vicolo. A quando risale il decesso?»
«Purtroppo non posso darvi un orario certo: l’alterazione dell’overdose ha accelerato notevolmente il rigor ma i lividi post-mortem sono già permanenti. L'infestazione di parassiti è minima: ragionevolmente, credo sia morto circa una decina di ore prima del ritrovamento»
«Stiamo veramente scartando l’ipotesi di omicidio?» chiese Jack scettico «Sinceramente quello dove l’abbiamo trovato non mi sembra esattamente un quartiere che John Lionheart avrebbe frequentato»
Elsa si morse appena il labbro inferiore: nonostante fossero, ormai, passati svariati anni da quell’incidente, per un terribile attimo il volto di John Lionheart si sovrappose a quello sconosciuto del pirata della strada colpevole di aver ucciso i suoi genitori «No» esalò, infine, non senza un certo dolore «C’è una cosa che non mi è mai capitata di vedere nella mia carriera: il cuore non è semplicemente collassato, è come se fosse esploso» spiegò, quasi incapace di credere alle sue stesse parole «E gli occhi avevano questa espressione atterrita che sembra quasi sia morto di paura»
«Di paura?» ripeté Kristoff incredulo.
Elsa alzò lo sguardo su Jack, già pronta ad essere investita dalla sua diffidenza ma, inaspettatamente, lo trovò con le labbra piegate in un’espressione pensierosa ma per niente dubbiosa.
«Quindi non lo escludiamo» disse, infine, dopo un attimo di silenzio «Immagino abbia già scoperto dell’incidente di tre anni fa»
Lei annuì.
«Sono piuttosto sicuro che il fatto di avere rinvenuto il suo cadavere proprio oggi non sia una pura coincidenza» si alzò «Kristoff, andiamo: è giunto il momento di parlare con la famiglia della vittima» si infilò il cappotto «Dottoressa Bleket, le sarei grato se ci aggiornasse sul risultato del tossicologico non appena sarà disponibile»

 §

Per arrivare alla lussuosa villa della famiglia Lionheart, l’auto dei detective dovette attraversare un parco praticamente infinito.
Quello, che aveva tutta l’aria di essere Richard Lionheart, li attendeva sul selciato davanti all’ampio portone d’ingresso, già avvisato dalla sicurezza. Era un uomo dalla mole imponente, rimarcata dall’elegante completo scuro e, ad una prima occhiata, sembrava essere più vecchio di John di cinque o sei anni. A differenza di ciò che ci si poteva aspettare dall’amministratore di un’azienda di tale importanza, portava i capelli mossi lunghi ben oltre le spalle che, assieme al loro colore castano-rossiccio, gli conferivano un’aria decisamente leonina.
«Che cosa ha combinato questa volta?» chiese, vedendoli avvicinarsi, ancor prima che potessero aprire bocca.
Jackson inarcò le sopracciglia sorpreso «Immagino si riferisca a suo fratello»
«E a chi se no?» sospirò «Richard Lionheart» si presentò, tendendo la mano «Con chi ho il piacere di parlare?»
«Detective Overland e Bjorgman» rispose, ricambiando la stretta con una mano e mostrando il distintivo con l’altra «Della squadra omicidi» puntualizzò «Temo non sarà una chiacchierata di piacere»
La sicurezza sul volto dell’altro si spense improvvisamente «Omicidi?» deglutì «Sarà meglio entrare»

«Morto?» ripeté corrucciato il padrone di casa, seduto su una delle sontuose poltrone di pelle dell’ampio salone.
Kristoff si mosse appena sul divano che condivideva con il suo compagno, vagamente a disagio davanti a tutto quel lusso «E’ stato trovato questa mattina»
«Come?»

«Un’overdose, il suo cuore è stato drasticamente compromesso»
«Questo non mi stupisce» commentò amaro «Quando potrò riavere il corpo?»
«Purtroppo non sarà una cosa rapida» disse schietto Jackson «Suo fratello aveva dei nemici?»
«Perché questa domanda?» chiese l’altro sulla difensiva.
«A costo di risultare un po’ insensibile, suo fratello non mi sembrava una persona molto amata» lo guardò dritto negli occhi «Nemmeno da lei, se è per questo»
«Detective, la sua irriverenza è al limite del tollerabile» Richard Lionheart quasi ghignò «Ma ha ragione: mio fratello era un fenomeno nella sua incapacità. Siamo stati costretti ad estrometterlo da qualsiasi tipo di gestione dell’azienda che, come immagino saprà, aveva portato sull’orlo del collasso. Sapeva circondarsi solo di serpi e lupi affamati» fece una piccola pausa «Ma era pur sempre mio fratello, al legame del sangue non ci si può sottrarre»
«E’ per questo che l’aiutò a cavarsela con così poco per l’omicidio stradale di Marian Fitzwater?»
«Non fui io» praticamente ruggì l’altro, alzandosi di colpo «Fu nostra madre» confessò «Che decise anche gli spettasse un certo tipo di vitalizio per mantenere il giusto tenore che si addice ad un Lionheart. A patto che stesse ben lontano dagli affari, ovviamente» sospirò «Sono sicuro che, in cuor suo, questa cosa non se la sia mai perdonata. Poco dopo quella brutta faccenda, lei si ammalò e non si riprese più» il suo sguardo si velò per un attimo ma si ricompose subito quando riportò la sua attenzione sui poliziotti «Io ero favorevole al carcere, quello era il posto che John si meritava. Marian era una nostra dipendente, una delle migliori, era come se fosse parte della famiglia per me. Sono stato suo testimone al matrimonio di lei e Robert. Era ancora così giovane, così promettente» spiegò con dolore «Da allora ho visto mio fratello il meno possibile: lo seppellirò nella tomba di famiglia, così come nostra madre avrebbe voluto, ma non fingerò di essere dispiaciuto per la sua morte»
«Apprezzo la sua sincerità» riprese Jackson con un tono di voce più calmo «Il corpo di suo fratello è stato ritrovato questa mattina nel quartiere di Sherv, lo stesso giorno dell’anniversario della morte di Marian Fitzwater, non può essere una coincidenza»
«Nel quartiere di Sherv avete detto?»
Annuì.
«Era lì che Marian viveva con suo marito Robert»
«Un momento» esordì Kristoff, scorrendo veloce le pagine del suo taccuino «Robert Locksley, per caso?»
«Esatto…»
«Jackson» richiamò il collega, scosso «E’ l’inquilino dell’interno tre, quello la cui camera da letto dà proprio sul vicolo in cui è stato rinvenuto il corpo»

 §

Il detective Overland si presentò alla stazione di polizia ben prima dell’effettivo inizio del suo turno di lavoro, svegliato da una chiamata alquanto inaspettata.
Guardò l’uomo che lo attendeva al di là del vetro e, sospirando, entrò nella sala degli interrogatori con una tazza fumante fra le mani.
«Francamente non mi aspettavo questa sua visita. Caffè?»
Robert Locksley alzò gli occhi arrossati su di lui, i folti capelli ramati completamente arruffati «Nemmeno io» ribatté con un sorriso amaro «Grazie» disse, poi, accettando l’offerta.
Jack rimase in silenzio e si sedette di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo, appoggiò un piccolo blocco per gli appunti e una penna sulla superficie, rimanendo in attesa.
L’altro assorbì un po’ di quel liquido nero e bollente, trovando coraggio nel suo calore «Quando, ieri mattina, mi sono svegliato al suono delle vostre sirene, ero ancora intontito dai sonniferi. Sa detective, da quel terribile giorno non sono più riuscito a dormire in quella casa senza l’aiuto dei farmaci, soprattutto beh… lo sa già»
Jack annuì.
«Non dormo più neanche nel letto, per cui ci ho messo un momento a raggiungere la camera dal divano e a mettere a fuoco la situazione. Quando l’ho visto, però, l’ho riconosciuto subito e vuole sapere come mi sono sentito?» lo guardò dritto negli occhi «Mi sono sentito sollevato: un regalo del destino, la mia Marian – colei che amavo più della mia stessa vita – finalmente vendicata, lo stesso giorno»
«E’ per questo che ha fatto finta di niente quando siamo venuti?»
«Sì» esalò, stringendo le mani attorno alla tazza «Scioccamente speravo che rimanesse un segreto solo mio ma c’era da aspettarselo che avreste scoperto tutto molto fretta»
«Perché ha cambiato idea?» volle sapere Jackson sinceramente curioso.
«Da quando lei e il suo collega ve ne siete andati, quel sollievo si è trasformato in vergogna: non ho fatto altro che pensare a come Marian non avrebbe mai approvato» due lacrime gli sfuggirono dalle ciglia scure.
«E’ passato un intero giorno, ci ha messo un po’ a convincersi»
«Si vede che lei è fortunato detective e che una cosa così non deve averla provata mai» ribatté improvvisamente alterato «Sa qual è la cosa più buffa in tutto questo? A farmi incontrare la mia Marian è stato proprio John Lionheart, lo stesso uomo che me l’ha portata via»
Jack alzò le sopracciglia stupito, questo era inaspettato «In che senso?»
«Io lavoro per un’associazione che difende i diritti umani: combattiamo per i più deboli e i più poveri, contro i soprusi dei ricchi e potenti e lo facciamo in tutto il mondo» prese fiato «Prima di essere estromesso dalle Lionheart Industries, John era il responsabile del loro offshore. Le lascio immaginare in quali condizioni facesse lavorare quelle povere persone: il tutto ben nascosto ovviamente, persino Richard non ne era a conoscenza, aveva ancora fiducia nel fratello a quel tempo. Potevamo solo protestare ma, senza prove concrete, non avevamo modo di agire. Marian, però, credette in noi e s’infiltrò»
La memoria del detective si accese «Sebbene non fossi qui, mi pare di ricordare qualcosa in merito»
«Oh sì, fu uno scandalo di livello nazionale: l’azienda crollò in borsa e rischiò il fallimento ma Richard – e Marian – rimisero le cose a posto e, finalmente, Prince Johnny» rimarcò con disprezzo «Perse ogni diritto sugli affari di famiglia»
«Mi sta dicendo che l’incidente di sua moglie non fu casuale?» chiese, spostandosi un poco sulla sedia e lanciando un’occhiata fugace al grande specchio che gli stava alle spalle, vagamente a disagio.
Robert Locksley guardò la sua tazza, ormai vuota «John non era nuovo all’uso di alcol e droghe. Quando la investì nemmeno si fermò. La polizia che lo intercettò poche ore più tardi, grazie all’aiuto di alcuni testimoni, lo trovò che non era in condizione di ricordarsi nemmeno il suo nome. Forse fu solo un crudele scherzo del destino, forse lo fece di proposito… la verità è che io non lo so e non lo saprò mai»
Jackson si passò una mano sulla nuca «Non capisco perché mi stia raccontando tutto questo, a meno che ora non mi confessi di essere stato lei ad uccidere John Lionheart»
Inaspettatamente l’altro rise «Non sarò di certo una volpe ma non sarei mai stato così sciocco da lasciarlo sotto alla mia finestra in quel caso, non crede?»
«Ineccepibile» concesse quasi divertito da quella reazione «Ma, per sicurezza, sa dirmi come ha passato la sera del ventuno?»
«Urca, urca… fa sul serio detective» quasi lo canzonò mentre, per un secondo, un lampo dell’uomo che era riaccese il suo sguardo per, poi, spegnersi immediatamente «Ero dal mio più caro amico e dalla sua famiglia, non mi piace stare da solo quando quel giorno si avvicina»
«Ma è rientrato a casa, perché?»
«Il mio analista è un ferreo sostenitore del fatto che il dolore vada affrontato. Sono rientrato verso l’una. Nel caso se lo stesse chiedendo, il mio amico abita esattamente due piani sopra di me»
«Immagino che questi suoi amici saranno ben lieti di confermare» quando lo vide annuire, continuò «Come si chiama il suo analista?»
«Dottor Kozmotis Pitchiner, esperto in terapia di elaborazione del lutto»
Jack si appuntò il nome «Bene, ora vuole dirmelo il motivo per cui è qui, sì?»
«Per questo» Robert Locksley tirò fuori un cartoncino dalla giacca «L’ho trovato questa mattina nella posta. E’ stato un vero regalo, detective. Ebbene io non lo voglio, non sono come John Lionheart»

Jackson uscì dalla stanza degli interrogatori preoccupato, il cartoncino accuratamente chiuso in una bustina di plastica trasparente. Fu con una certa sorpresa che posò lo sguardo sulla persona che, senza preavviso, doveva aver assistito all’interrogatorio: allora quella sensazione di essere osservato non se l’era solo immaginata.
Indossava un lungo cappotto celeste, da cui spuntava una morbida sciarpa bianca, jeans chiari e stivali che le arrivavano fino al ginocchio. Portava i capelli biondi completamente sciolti, il che significava che, anche lei, era lì ben al di fuori del suo orario di lavoro.
«Els… Dottoressa Bleket» si corresse subito «Le mancavo per caso?» la punzecchiò comunque, incapace di trattenersi.
Lei lo ignorò e tirò fuori un foglio dalla sua tracolla «Le ho portato il risultato del tossicologico: oltre alla cocaina, John Lionheart aveva nel sangue un’altissima concentrazione di fenilciclidina»
«La polvere d’angelo?»
«Pensiamo gli sia stata somministrata in forma liquida, vista la grande quantità. E’ un potente psicotico dissociativo e neurotossico, in grado di creare allucinazioni perfettamente realistiche. Il tutto è in linea con la mia tesi» spiegò, riportando l’attenzione sull’uomo al di là dello specchio.
Jack annuì «Come mai sei venuta?» la interrogò, poi, facendo cadere quello stupido distacco che lei cercava a tutti i modi di mantenere.
Elsa inarcò le sopracciglia stupita «L’ho appena detto»
«Visto l’amore che hai dimostrato per me fino adesso, perché non me l’hai inviato per mail? O, ancora meglio, fatto arrivare tramite la tua assistente?» non la vide ribattere, perciò continuò «Sai cosa penso? Penso che tuo cognato ti abbia detto che lui era qui» spiegò, indicando il vetro con un cenno del capo «Volevi sapere come ci si sente una volta ottenuta vendetta?» lei trasalì «Lo vedi da te, è un uomo distrutto: aver visto il cadavere dell’assassino di sua moglie non ne ha rimesso assieme i pezzi»
Elsa strinse i denti, quasi si era dimenticata di con quanta naturalezza lui riuscisse a leggerle dentro ma non confessò, né smentì «Che cosa ti ha dato?»
«Qualcosa di cui dobbiamo preoccuparci» le rispose, porgendole il sacchetto «Se è vero quello che c’è scritto, John Lionheart è stato solo l’inizio»
Lei lo prese, con mani leggermente insicure e lesse ciò che vi era scritto sopra con dei ritagli di giornale:




Ed ecco il primo vero capitolo di questa storia.
Mi rendo conto che fosse pressoché impossibile indovinare la prima vittima ma si trattava, nientepopodimeno che, del terribile Principe Giovanni. Essendo fratello di Riccardo Cuor di Leone, il cognome Lionheart è venuto da sé. Chiaramente mi ha fatto estremamente male dipingere questo crudele destino per Marian e suo marito Robert (che chiaramente è il meraviglioso Robin Hood) ma, come vi dicevo, il dramma abbonderà fra queste righe: spero mi perdonerete e che, con i vari riferimenti alla pellicola animata, sia riuscita un pochino ad attutire il colpo anche se, lo so, è piuttosto duro. Spero anche che il loro background vi abbia soddisfatto. Per il cognome di Marian ho seguito Wikipedia, per quello di Robin invece non ci sono molti dubbi in merito alla sua provenienza.
Vista la quasi maniacale attaccatura di Giovanni per sua madre, ho pensato che la cosa potesse essere stata reciproca, a quanto pare in maniera errata perché il principe dice espressamente che ha sempre preferito Riccardo, sigh, la mia memoria non è più quella di una volta ma quella di qualcun altro funziona benissimo ;) Ma dato che stiamo pur sempre parlando di una leonessa, penso ci possa comunque stare il suo attaccamento al buon nome della famiglia che l'ha portata a voler salvare quel figlio criminale seppur allontanandolo dagli affari ;) Che dite, ci può stare? Me la passate, sì? *Occhioni da cerbiatto*
Inoltre ha fatto la sua apparizione anche Rapunzel, il cui cognome deriva principalmente dal simbolo del regno di Corona e dal suo potere, trasformandola in una specia di Garcia di Criminal Minds, perché un tipo così artistisco e creativo potrebbe tranquillamente abbracciare il mondo digitale e tutti i suoi segreti, almeno per me. Spero vi sia piaciuta, ragionevolmente posso dire che tornerà ;)
E, sebbene non si sia visto, un certo nome è venuto fuori... ve lo avevo detto che il grigio non era casuale!
Grazie a chi ha deciso di seguire questa storia e a chi mi ha lasciato le sue impressioni per il prologo!
Come sempre spero di avervi fatto passare un piacevole momento di svago.
Alla prossima
Cida



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Capitolo 3
*** Cap. 2 - Gifts ***


Capitolo 2

 

Aprire gli occhi non modifica le sue percezioni: era al buio prima, rimane al buio adesso. Non ha importanza quanto possano essere forti i suoi muscoli, i lacci che le legano i polsi e le caviglie sono troppo stretti, non riesce a liberarsene. Prova a divincolarsi nuovamente ma, dopo aver sbattuto sul metallo dove è sdraiata da chissà quanto tempo, ritorna esattamente dove prima, non si sposta di un millimetro. Ottiene una cosa soltanto: dolore.
E’ quando gli occhi si abituano all’oscurità, da sempre fida compagna ma ora trasformata in perfida traditrice, che le sembra di scorgere un movimento attorno a lei. Se trattiene il respiro può quasi sentire il fruscio dei movimenti di qualcosa, qualcuno.
«Chi sei?» ringhia a denti stretti «Cosa vuoi da me?»
Non le arrivano risposte.
«Parla, lo so che sei qui» gli intima, è una predatrice, la parte della vittima non le si addice, nemmeno in quel momento.
«Lasciami andare, se ci tieni alla vita» lo minaccia, scoprendo i denti come una bestia famelica «Tu non sai chi sono io»
«Oh sì che lo so, mostro»
Una voce profonda arriva alle sue orecchie, è più vicino di quanto si aspettasse ma sembra vestito di oscurità stessa e, per quanto la sua vista sia sempre stata acuta, non lo vede.
«Che cosa vuoi da me?» ripete.
«Io non voglio niente: non le vedi le ombre, sciocca? E’ l’inferno stesso che ti reclama»
«L’inferno?» ghigna «Prenderà anche te se mi ucciderai»
«Colpe su di me non cadranno, saranno le tue stesse paure ad ucciderti, bestia»
Una mano guantata le stringe la mandibola per aprirle la bocca. Quel pazzo, chiunque egli sia, non la conosce affatto: muove di scatto la testa e si divincola dalla presa, quasi lo morde con i suoi denti affilati «Le mie paure?» sputa rabbiosa «Io non ho paura di niente»
«Se serve raccontarti queste sporche menzogne accomodati pure: che tu tema i proiettili o l’affondo di una lama nella carne, a me non importa»
A quelle parole deglutisce, il battito accelera e il fiato si fa istintivamente più corto.
Non lo può vedere ma il ghigno di compiacimento sul volto dell’altro lo avverte lo stesso. Le narici si dilatano e gli occhi si spalancano, riprende la sua lotta per la libertà, ancora una volta invano.
«Stai per morire, vedo che l’hai capito»
Un panno le viene posato con forza sul viso e un odore dolciastro invade le sue narici. 
E’ questione di pochi minuti, ogni sua difesa crolla. Non c’è alcuna resistenza quando le viene aperta con forza la bocca ed una cannula viene inserita rudemente nella sua gola. Le mani che la stringono sembrano improvvisamente quattro, sei, otto, come le zampe di un raccapricciante ragno grondante oscurità. Se solo ci fosse la possibilità di allentare ciò che la costringe, quel maledetto sarebbe già a terra con il collo spezzato. Come diavolo c’è finita lì? Neanche lo ricorda. E’ in quel momento che le palpebre si abbassano, il buio le invade la mente ed è proprio da lì che l’incubo comincia.

§

Jackson spense il fon e si passò una mano fra i capelli, per constatare che fossero asciutti. Diede un’occhiata allo specchio e sbuffò: erano passati ormai molti giorni dal ritrovamento del cadavere di John Lionheart e non avevano fatto alcun progresso. Il biglietto consegnato da Robert Locksley non aveva portato a nulla: le uniche impronte rilevate erano le sue. Non era stato inviato tramite il servizio postale, qualcuno doveva averlo consegnato a mano, con tutta probabilità poco dopo aver sistemato il corpo, dato che l’uomo - a detta sua - aveva controllato la posta solo il giorno seguente. Gli esami sulla carta di giornale e sulla colla usata avevano dato risultati inconcludenti: era una pista morta. Nessuno aveva visto niente, non c’erano telecamere in zona: il nulla profondo.
Con l’approvazione di Richard, stavano riuscendo a tenere a bada la stampa e la notizia del probabile giustiziere ancora non era arrivata al grande pubblico. Era anche vero che nessun caso analogo si era ripresentato, causando un certo scetticismo sulla veridicità di quel biglietto ma in molti erano piuttosto sicuri sarebbe successo di nuovo, era solo questione di tempo. Dal canto suo, cercava di dare la giusta rilevanza ad ogni scenario possibile.
John era odiato da molti per la sua supponenza, le sue angherie e, non da meno, per il caso Fitzwater. Robert, tuttavia, non sembrava davvero essere un tipo in grado di uccidere a sangue freddo. Si era domandato persino se potesse essere il caso di fare due chiacchiere con il suo analista ma Robert aveva un alibi, non sarebbe mai riuscito ad ottenere un’autorizzazione ufficiale.
Lo stesso Richard era nella lista dei possibili sospetti perché liberarsi del pesante fardello Prince Johnny avrebbe giovato sia all’immagine dell’azienda che al suo capitale sperperato per tenerlo lontano. Nonostante tutto, però, il padrone delle Lionheart Industries sembrava veramente avere a cuore i desideri di quella madre perduta e anche lui aveva un alibi ben solido. Certo, non avrebbe avuto problemi a pagare qualcuno che lo facesse al posto suo ma, ancora una volta, con semplici ipotesi non si poteva indagare oltre: c’era bisogno di avere almeno una piccola prova a favore di quella tesi e, al momento, ne erano sprovvisti. Soprattutto sarebbe stato quanto mai sciocco indisporre
sulla base del nulla qualcuno che, fino a quel momento, si era rivelato il massimo della collaborazione.
Inoltre, in quella morte sembrava ci fosse qualcosa che andava ben al di là di una vendetta personale o l’intenzione di liberarsi di una palla al piede. Il primo caso avrebbe, con tutta probabilità, scatenato una reazione violenta, dettata dalla rabbia, con sangue dappertutto. Il secondo sarebbe stato più da una cosa rapida e pulita, come solo un colpo di pistola silenziato di un sicario avrebbe saputo essere. Nel decidere di far morire qualcuno di paura, invece, c’era qualcosa di maniacale, una sorta di elevazione personale al potere di un giustiziere divino.
Finì di tamponarsi con l’asciugamano, si spruzzò un po’ di profumo e si spostò in camera da letto per vestirsi, riprendendo le sue macchinazioni.
I numeri sconosciuti recuperati da Rapunzel si erano rivelati collegati a cellulari usa e getta, probabilmente il metodo di contatto con i pusher di John che gli fornivano la cocaina e chissà che altro. Kristoff aveva allertato un suo collaboratore, un piccolo ladruncolo dei bassifondi, per capire se almeno lui avesse avuto modo di recuperare qualche informazione non raggiungibile tramite canali ufficiali. Anche perché la fenilciclidina, chiunque fosse questo misterioso giustiziere, da qualche parte se la doveva pur procurare.
Scosse la testa e s’impose di non pensarci più, decidendo di concentrarsi sull’inaspettato invito a cena di quella sera. Gli era stato detto di mettersi comodo, per cui optò per un paio di jeans marroni e una morbida felpa blu con cappuccio. Indossò la giacca e si mise le scarpe. I presenti che aveva acquistato per l’occasione erano già ad attenderli in auto, prese le chiavi ed uscì.

§

«Sai» buttò lì Anna, dopo aver controllato il livello di cottura dell’arrosto nel forno «Abbiamo avuto problemi con una delle auto in questi giorni, così Kriss ha avuto bisogno di un passaggio per andare al lavoro l’altra mattina e, sì, insomma: ho finalmente visto Jack»
Elsa smise di mescolare l’insalata «E allora?» chiese, guardandola poi con le labbra tirate: se conosceva anche solo un minimo sua sorella, già sapeva che quella conversazione sarebbe andata in una direzione che non avrebbe coinciso affatto con la sua.
«E allora niente» le fece il verso Anna, decidendo saggiamente di incaricarsi del compito di affettare il pane «Abbiamo un po’ parlato, mi sembra sempre il solito nonostante siano passati anni. Anche se, bisogna ammetterlo, se li porta egregiamente. Con quei capelli è così affascinante»
«Ehi, guarda che sono qui, eh!» borbottò Kristoff, passandole accanto con una pila di piatti fra le mani.
«Lo so, tesoro» gli rispose lei, lanciandogli un bacino ruffiano. Lo vide scuotere la testa e proseguire verso la sala da pranzo.
Elsa si mosse verso uno dei cassetti della cucina «Io non so dove tu voglia andare a parare» disse, aprendolo «Anzi, lo so benissimo e gradirei non lo facessi»
«Alle posate ci penso io, grazie» l’anticipò l’altra, spostandola appena con un tocco di fianchi, intenzionata più che mai a tenerla lontana dai coltelli e dallo scoprire un altro piccolo particolare.
Momentaneamente privata di qualsiasi tipo di attività, la maggiore incrociò le braccia al petto «E comunque non mi sembra che Jack ti sia mai piaciuto. Lo chiamavi l’idiota, talvolta anche in sua presenza»
«Questo non c’entra nulla» iniziò a spiegare Anna, passando le stoviglie al marito «Lui era il tuo ragazzo e io tua sorella, ti portava via da me: era intrinseco che non potessimo andare d’accordo. Nemici naturali, capisci?» prese, poi, un cavatappi e cominciò ad aprire una bottiglia di rosso «Ma non ero cieca da non vedere quanto lui ti rendesse felice»
Elsa mise a tacere quella fitta fastidiosa che aveva cominciato a pungolarle il petto, soffocandola con un sorriso ironico «Tu sei priva di ogni logica, te l’hanno mai detto?»
La minore sorrise e la guardò dritta negli occhi «Indovina? I sentimenti non hanno logica. Vino?»
Stava per declinare l’offerta data la cena imminente, quando i fari di un’auto illuminarono il vialetto d’ingresso «Aspetti qualcuno?» ma, ancor prima di aver finito di pronunciare quella frase, una terribile consapevolezza si fece largo dentro di lei e, solo allora, il ricordo di cinque piatti nelle mani del cognato si stampò nella sua mente «Non puoi averlo fatto» disse, mentre il timer annunciava la cottura della carne.
«E invece sì» la sfidò l’altra, aprendo il forno: un invitante profumo si sparse per tutta la cucina.
«Non ci credo» quasi boccheggiò «E tu le hai dato corda!» rimproverò il cognato che le aveva appena raggiunte per prendere le ultime cose.
«Perdonami, Elsa» le disse dispiaciuto, mentre rubava un pezzo di carota direttamente dall’insalatiera per portarsela alla bocca «Ma, lo sai, lei ha accesso a tutto quello che mangio e bevo» spiegò, dando poi un bacio sulla guancia della moglie.
Proprio in quel momento, il campanello d’ingresso suonò.
«Vado io!» urlò Freja, alzandosi di colpo dal grande tappeto su cui stava giocando con il suo pupazzo preferito.
«Voi me la pagherete» sibilò Elsa a denti stretti «Dammi quel vino»

§

Nel raggiungere la porta d’ingresso, Jackson già constatò dall’esterno come Anna e Kristoff avessero davvero una bella casa dal sapore rustico e familiare. Il suo compagno di squadra aveva un buono stipendio, quasi quanto il suo, ma senza il contributo della famiglia Bleket era ragionevolmente sicuro che non si sarebbe potuto permettere un’abitazione come quella. I Bleket erano sempre stati più che benestanti e la tragedia della morte di Agnar e Iduna aveva reso le ragazze le uniche fruitrici del loro patrimonio. Gli Overland, invece, non erano mai stati ricchi, anzi, avevano avuto momenti davvero bui. Per questo ben si ricordava le occhiate sprezzanti di Runeard quando andava a prendere la nipote, come se sospettasse che il suo interesse per lei fosse mosso da ben precise motivazioni, che poco avevano a che fare con il cuore ma tanto con il cavallo dei pantaloni e le sue tasche.
In verità, a Jackson dei soldi non era mai importato nulla perché non era di certo la ricchezza di una persona a definirne la qualità e lui, Elsa, l’avrebbe amata anche vestita di soli stracci.
Si ricordava ancora nitidamente, come se fosse accaduto il giorno prima, di quando si era buttata fra le sue braccia disperata, mentre supplicava il cielo di prendersi tutte quelle stupide ricchezze pur di riavere al fianco i genitori. Allora non poteva saperlo ma quello sarebbe stato l’inizio della fine della loro storia. Era piuttosto sicuro che il vecchio, una volta saputo della loro rottura, avesse stappato una delle sue bottiglie migliori. Di riflesso, strinse la mano attorno al collo di quella che aveva in mano in quel momento, fredda al punto giusto. Scosse il capo e deglutì, come per scacciare quella malinconia che gli era salita come un nodo alla gola e suonò.
Fu così che sentì uno strillo agitato e un gran trambusto. Un attimo dopo, la porta gli si spalancò davanti, mostrandogli una bambina di cinque anni con delle deliziose treccine bionde e grandi occhi nocciola «Tu devi essere Freja, giusto?» vedendola come imbambolata, decise di rompere il ghiaccio.
La vide annuire ma senza emettere alcun suono «Io sono Jackson, il collega di papà. Ma tu puoi chiamarmi Jack» continuò, facendole l’occhiolino e abbassandosi un poco «Ho qui un regalino per te» le disse, porgendole il peluche di un coniglietto bianco, con legato al collo un bel nastro azzurro.
Freja represse a stento uno squittio di gioia «Ma è bellissimo! Sono sicura che andrà d’accordissimo con Olaf»
«Con Olaf?» chiese lui, inarcando appena un sopracciglio.
La piccola annuì «E’ il mio migliore amico, me lo ha regalato zia Elsa: è un pupazzo di neve»
Jackson sorrise, era una cosa così da lei «Sono certo che il Signor Bunny[1] lo adorerà»
«Se non lo fai entrare sarà lui a diventare un pupazzo di neve» li raggiunse Kristoff con un sorriso «Prego, accomodati»
«Grazie, non ci tenevo proprio a diventare come Jack Frost[2]»
La bimba rise e si fece da parte ma, non appena vide la sua intenzione di entrare senza eseguire un passaggio fondamentalmente, lo bloccò «Jack! Non si entra con le scarpe sporche in casa» lo redarguì come se fosse il suo fratellino minore «Spero che i tuoi piedi non puzzino»
«Freja!» la riprese il padre, visibilmente in imbarazzo «Ma cosa dici?»
L’altro gli fece segno di non preoccuparsi e si levò le scarpe senza protestare «I miei piedi sono pulitissimi, ho fatto la doccia prima di uscire e messo delle calze pulite. Vuoi sentire?» le rispose, alzando appena una gamba.
Kristoff tirò indietro la figlia giusto per un soffio «Ok, ti do un paio di ciabatte ma nessuno annuserà i piedi di nessuno, chiaro?»
«Chiaro» concesse Jack, regalando alla piccola un altro occhiolino che ebbe il potere di farla arrossire e nascondere dietro le gambe del padre. «Ho portato questa» disse poi, mostrando la bottiglia che aveva in mano «Al momento è in temperatura, ma sarebbe meglio metterla in frigo per dopo»
«Portala pure in cucina, è di là» gli disse, indicandogli la direzione giusta «Intanto dammi la giacca»
Annuì e fece come gli era stato detto. «Anna, ciao!» esordì, entrando nella stanza «Ho pensato di portare un po’ di vi…» si bloccò nel vedere due occhi glaciali puntati su di sé. Indossava un dolcevita bianco e un paio di pantaloni aderenti neri. Aveva i capelli legati in una morbida treccia posata su una spalla, come spesso li portava quando era ragazza. S’impose di non pensare all’innumerevole quantità di volte che aveva disfatto quell’acconciatura «Ci sei anche tu» constatò, preso completamente in contropiede.
«Così pare» disse lei senza entusiasmo, dando un sorso al suo calice di vino rosso.
«Grazie, Jack» intervenne Anna, prendendogli la bottiglia di mano. Anche lei portava i capelli ramati legati ma di trecce ne aveva due, a specchio di quelle della figlia, e indossava una maglia nera oversize con dei leggings color senape.
«E’ da bere con il dolce…» le fece presente, ma improvvisamente si rese conto di non sapere se fosse o meno previsto per la serata. Perché non aveva comprato anche quello?
«L’ho preso io» disse Elsa, mettendo un freno al suo disagio «Lo faremo bastare per tutti, è nel frigo» Perché diavolo lo aveva fatto? Era tutta colpa del vino a stomaco vuoto, ne era certa.
«Dove adesso finirà anche questa bottiglia» mise fine all’imbarazzo la padrona di casa «Jack raggiungi pure Kristoff. Se hai bisogno del bagno usalo pure. Il tempo di finire di sistemare qui e saremo subito da voi»
Lui annuì e andò dal collega nell’altra stanza, ancora totalmente impreparato a quella sorpresa inaspettata. In effetti, forse era meglio andare a rinfrescarsi un po’. D’altra parte era risaputo: gli sbalzi di temperatura fra esterno ed interno, potevano essere letali.
Quando l’ospite si fu allontanato quel tanto che bastava per essere fuori portata d’orecchie, Freja irruppe in cucina con Olaf sottobraccio da una parte e il Signor Bunny dall’altra «Se la zia non lo vuole, me lo prendo io» sentenziò, prima di sparire così come era venuta.
Ad Anna per poco non scappò il coltello dell’arrosto di mano. Alzò gli occhi in quelli della sorella, rossa in viso tanto quanto lei «Riempilo» le disse, porgendole il proprio bicchiere «A quanto pare ne avrò bisogno anche io»

 §

A differenza delle terribili aspettative iniziali, la serata si era poi svolta in una maniera tutto sommato piacevole. Nella diabolicità del suo piano, sua sorella aveva almeno avuto il buon gusto di lasciare anche Jack all’oscuro di tutto. Così, soprattutto grazie alle richieste di attenzione costanti di Freja, non era riuscito a concentrarsi troppo su di lei. Mentre, sul bordo del proprio letto di quello che era il suo appartamento, finiva di far assorbire la crema sulle mani, Elsa decise che era proprio il caso di fare un bel regalo alla nipote.
Nel ripensare all’immediata complicità che si era instaurata fra i due, un sorriso spontaneo le era salito sulle labbra ma, non appena se ne era resa conto, lo aveva cancellato riportandole in una rigida linea dritta.
Non le era sfuggita l’occhiata fugace che Anna le aveva rivolto subito dopo essersi complimentata con lui per la sua capacità di intrattenere i bambini. I figli erano una porta sul futuro e lei viveva troppo nel passato per anche solo immaginare di vedersi come madre. Voleva molto bene a Freja e adorava passare del tempo con lei ma era sicura che il ghiaccio, di cui si era rivestito il suo cuore dopo la morte dei genitori, le avrebbe impedito di provare quell’amore così necessario ad ogni famiglia. Famiglia che, di certo, non avrebbe costruito con Jack: pensò, mentre trovava rifugio fra le coperte. Lui aveva tradito la sua fiducia e l’aveva fatto nel momento in cui era più vulnerabile. Questo Anna lo sapeva benissimo. Certi tipi di ferite non avevano capacità di cicatrizzazione, ancor meno per un cuore che si era cristallizzato in una miriade di piccoli pezzi: gelati, appuntiti, affilati. Non poteva più permettersi di gonfiarlo con un sentimento travolgente come l’amore, quelle lame di ghiaccio l’avrebbero ferita ancora e ancora.
Eppure, poco prima di addormentarsi, i pensieri scivolarono nelle fitte foreste del subconscio e arrivarono al cospetto di un cassetto ben chiuso. Al cui interno si nascondevano un’infinita quantità di ricordi, fatti di risate, scherzi, sfide, abbracci, baci e sospiri d’amore. La chiave, però, sembrava sparita o accuratamente nascosta in un luogo dimenticato. Quello che Elsa non sapeva era che quella chiave, nel buio in cui era stata rinchiusa, proprio grazie a quella patina di ghiaccio che le si era formata sopra, risplendeva più che mai, in paziente attesa di essere ritrovata.
Quando un nuovo sorriso le spuntò sulle labbra, dormiva già così profondamente che – questa volta - la sua ragione non ebbe la possibilità di spegnerlo.

 §

Non erano nemmeno le sei quando il cellulare di Jane aveva cominciato a vibrare all’impazzata, dal comodino su cui era appoggiato. Le ci era voluto un momento per mettere a fuoco la situazione e, quando finalmente aveva risposto, la sua voce non era delle più attente. Erano bastate, però, poche parole per farla scattare seduta e prendere lucidità. Una volta fornita la sua disponibilità a raggiungere al più presto il luogo indicato, aveva riattaccato scoprendo che, nel frattempo, Elsa le aveva già mandato due messaggi. Aveva scosso la testa, chiedendosi se il suo capo dormisse come i comuni mortali o fosse una sorta di spirito che non aveva bisogno di riposare. Aveva appena finito di lavarsi i denti che un altro messaggio l’aveva avvisata di come già la stesse aspettando fuori dal portone. Si era infilata la giacca, aveva recuperato al volo la borsa con la sua attrezzatura e l’aveva raggiunta.
Non si erano scambiate il buongiorno, per ovvie ragioni, ma aveva cercato di salutarla comunque con un sorriso, intenzionata più che mai a tenere fuori dalla sua vita la drammaticità del loro lavoro. Lei, come al solito, le aveva risposto con un tiepido cenno del capo.
Elsa non era la più calorosa delle persone, anzi tutto il contrario. Era un tipo esigente, talvolta rigido, perché si aspettava dai suoi collaboratori la stessa attenzione che lei riversava nel suo lavoro. In verità, amava averla come capo perché, sì, pretendeva il massimo da tutti ma ancor più lo pretendeva da se stessa. Inoltre, dietro a tutta quella freddezza si nascondeva una persona davvero gentile, così come testimoniava il cioccolatino ripieno al caffè che le aveva appena porto. Quello sarebbe stata la loro unica fonte di energia, almeno per un po’.
La destinazione di quel giorno era piuttosto insolita, perciò fu con una strana inquietudine che parcheggiarono davanti alla grossa biglietteria, al momento chiusa, dello zoo della città.
La polizia aveva già messo in sicurezza tutta l’area e un paio di agenti vennero loro incontro per scortarle dove Jackson e Kristoff erano al lavoro, assieme all’equipe della scientifica.
Il corpo era adagiato proprio di fronte alla gabbia dei gorilla, i quali si muovevano agitati per via di tutto quel trambusto. Non ebbe bisogno di vedere l’espressione corrucciata di Elsa per comprendere che stavano pensando la stessa cosa: quella donna, perché di una donna si trattava, era messa nella stessa posizione di John Lionheart. Scattò la prima serie di foto: la vittima era alta e, nonostante i vestiti, ben si percepiva la potenza del suo fisico. I capelli erano corti e ossigenati, il che faceva risaltare maggiormente la sua carnagione scura. Inaspettatamente, Elsa si concentrò subito sugli occhi, ne alzò le palpebre e le fece immortalare quei lattiginosi occhi verdi, fissi in un’espressione talmente sgomenta da scuoterla nel profondo. Come previsto, sia le caviglie che i polsi presentavano ancora una volta delle escoriazioni ma un altro particolare le fece allarmare: sul dorso delle mani aveva tatuate tante piccole macchie e, a giudicare da quelle che aveva anche sulla nuca, probabilmente le ricoprivano tutta la parte posteriore del corpo.
«E’ una leopard…» aveva sussurrato l’altra, riadagiando il braccio sul gelido pavimento.
Le aveva appena schiuso le labbra, rivelando una dentatura accuratamente limata a sembianza di quella di una bestia feroce che Kristoff andò loro incontro, con un tablet stretto nella mano «Non è una leopard qualsiasi. E’ Sabor, la loro leader indiscussa» mostrò loro lo schermo su cui spiccava una foto segnaletica della vittima.
«Chi l’ha trovata?» chiese Elsa, rialzandosi in piedi.
L’altro le fece un cenno del capo, mostrando due uomini intenti a parlare con Jackson. Il più giovane sembrava decisamente il più scosso, il secondo invece era più scocciato che altro «Loro: John Greystoke e William Clayton, rispettivamente zoologo esperto in primati e guardiano. Lavorano entrambi per lo zoo»
Non era difficile immaginarsi a chi dei due fosse associata la vittima.
John doveva avere più o meno la stessa età di Jane, o forse qualche anno in più, i suoi capelli castani erano lunghi e molto mossi. Era decisamente un tipo atletico e superava Jack di ben mezza testa.
William, invece, doveva aggirarsi più attorno ai sessanta ma tutto nel suo aspetto era impeccabile: dai capelli e baffi curati, alla forma fisica che sembrava invidiabile per la sua età. Non si avvicinava granché all’immaginario comune nei confronti della figura del custode.
Vide Jackson scambiare con loro ancora qualche parola, dare una piccola pacca sulla spalla del più giovane e indirizzarli verso un paio di altri agenti.
Quando venne loro incontro, la sua espressione era tetra: solo allora Elsa si accorse che, in una mano, teneva stretto un piccolo sacchetto di plastica trasparente, a protezione di un nuovo cartoncino «A quanto pare abbiamo un altro regalo» sentenziò, confermando una volta per tutte quello che già sospettavano «Ha ufficialmente colpito ancora»


Come al solito grazie per aver letto sino a qui, spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Abbiamo visto il giustiziere in azione ma la sua identità rimane ancora misteriosa (sì, ci sono indizi), avevate intuito che poteva trattarsi di Sabor prima di scoprirlo sul finale?
Invece, immagino la presenza di Tarzan non vi abbia stupito più di tanto, dato che avevamo già Jane con noi ;)
Tuttavia vista l'ambientazione più moderna, Tarzan non mi sembrava un nome particolarmente indicato, ho perciò scelto il suo nome letterario, togliendo il Clayton che è rimasto a William Clayton della pellicola animata che ricalca proprio lo stesso personaggio, solo un pelino più vecchio ma non meno in forma... meno avido e s*****o? Ai posteri l'ardua scoperta.
Come la vita malavitosa di questa capo-banda abbia influito su quella del giovane John (ammazza, quanti John) lo scoprirete nel prossimo capitolo. 
Abbiamo anche avuto il primo incontro fra Freja e Jack ed è stato subito un crepitio di faville *-*
Anna, al solito, confabula dalle retrovie nel modo più subdolo, con l'aiuto del marito che ci tiene a non finire avvelenato XD E si riconferma una Jelsa fan anche se non da subito hihihi
Cominciamo, inoltre, ad avere un primo punto di vista di Jack sul passato e a scoprire qualcosina di più sul perché Elsa ce l'abbia tanto con lui, anche se... 
Come sempre, i vari riferimenti al canon e i piccoli Easter Egg (ad esempio: il vestirario comodo scelto da Jack, la ricchezza della famiglia di Elsa e Anna, Kristoff che ruba le carote, Olaf, il legame con i gorilla per Tarzan ecc...) sono assolutamente voluti ;)
Chi si azzarda ad indovinare chi può essere l'attualmente ancora misterioso informatore di Kristoff?
Grazie di cuore a chi segue questa storia, a chi ha deciso di listarla e a chi ha il piacere di lasciarmi le sue impressioni.
Alla prossima
Cida

[1] Autocitazione da Seasons, dove il Signor Bunny è la creatura di neve con cui Jack interagisce con Elsa e utilizza, poi, in un altro modo per conquistare Freja. Per chi non ha letto non vado nei dettagli per evitare spoiler, chi ha letto già sa. Il coniglietto di neve, inoltre, era già un omaggio al modo in cui Jack riesce a farsi vedere da Jamie nel film originale. Sempre da quella storia, viene l'assoluto legame di amicizia fra Freja e Olaf.

[2]Il Jack Frost a cui si riferisce Jack è quello della storia che, nella nostra realtà, ha dato vita al film del 1998 dove lo spirito di una padre, morto in un incidente d'auto, si trasferisce in un pupazzo di neve per stare accanto al figlio che non aveva particolarmente seguito quando era in vita. Ma considerando, ovviamente, di che Jack stiamo parlando in questa storia, il gioco è duplice ;)

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Capitolo 4
*** Cap. 3 - Still in the dark ***


Capitolo 3

 

«Sto cercando mio figlio, dov’è? Voglio vederlo!»
Nella stazione di polizia in fermento, l’agitazione della donna appena entrata rischiò di passare inosservata. Kristoff, tuttavia, era lì ad attendere una persona e, dato che ancora non si era fatta viva, decise di avvicinarsi «Signora, si calmi. Ha bisogno di aiuto?»
Lei lo guardò con i suoi grandi occhi castani «Mi hanno chiamato poco fa, dicendo che mio figlio è qui. Che gli è successo? Sta bene? E’ nei guai?»
Il detective fece mente locale, non riuscendo però a trovare una risposta alle sue domande «Come si chiama suo figlio?»
«John Greystoke»
Kristoff sgranò gli occhi, incapace di dissimulare il fatto di essere stato preso completamente in contropiede. La donna che aveva di fronte non era poi così alta ma aveva un fisico robusto, con folti capelli riccioli portati molto corti di un bel castano scuro ma quello che lo colpiva maggiormente era la sua carnagione, scura e calda che ben poco aveva a che fare con quella pallida di John Greystoke.
«Non sono la madre naturale» sussurrò lei a fior di labbra, comprendendo a pieno il motivo del suo smarrimento «Ma ciò non lo rende meno mio figlio, detective» continuò, recuperando sicurezza e guardandolo dritto negli occhi.
L’altro arrossì «Mi dispiace» si scusò «Non volevo insinuare che… sì insomma, anche io sono… » prese fiato «Sono stato solo un pochino sorpreso, niente di più»
La donna distese l’espressione del viso e sorrise bonaria «Per favore, mi porti da mio figlio»
«Certo, mi segua»
Kristoff s’incamminò, facendole strada. La tensione della donna divenne quasi palpabile, quando arrivarono davanti ad una porta chiusa «Non si preoccupi» la rassicurò «Entriamo qui solo per avere un pochino di privacy in più, nessuno di voi due è sotto interrogatorio»
Non appena girò la maniglia, John scattò nella loro direzione e avvolse la madre in un abbraccio «Sto bene» la rassicurò e, solo in quel momento, lei rilassò i muscoli.
«Ci perdoni se l’abbiamo fatta preoccupare» si scusò Jackson, decisamente più capace dell’altro a nascondere il suo stupore «Se volete accomodarvi, vi spiegheremo perché l’abbiamo chiamata signora Greystoke»
Entrambi gli si sedettero davanti, mentre il collega prese posto accanto a lui.
«Il mio nome è Kala Chidubem[1]» si strinse le mani l’una nell’altra, a disagio «Greystoke è il nome della famiglia biologica di John» prese fiato «Vedete, quando decidemmo di adottarlo, dopo l’affidamento iniziale, mio marito non volle dargli il nostro cognome» confessò piena di vergogna.
John le circondò le mani con le sue «I rapporti con mio padre non furono dei migliori all’inizio ma, alla fine, siamo comunque riusciti a costruire un solido rapporto. Di comune accordo abbiamo deciso che avrei mantenuto il cognome della mia famiglia biologica, in onore del loro amore. Avere cognomi o origini diverse non ci avrebbe reso meno uniti»
Jackson annuì, non potendo fare a meno di pensare a quanto sembrassero diverse le due famiglie che, per adesso, ruotavano attorno al caso. Presentò, di nuovo, se stesso e il suo collega e sospirò «Signora Chidubem, l’abbiamo chiamata perché questa mattina suo figlio, assieme ad uno dei guardiani dello zoo, ha trovato il cadavere di una donna davanti alla gabbia dei gorilla di cui si occupa»
«Il cadavere di una donna?» drizzò la schiena allarmata, girandosi immediatamente verso il figlio per scorgere anche solo un minimo segno di shock.
«Sembrava dormisse» la rassicurò John, come leggendole nel pensiero «Ma non era una donna qualsiasi, mamma. Era Sabor!»
Lei tremò «Sa… bor?»
Kristoff annuì «E’ per questo che abbiamo voluto anche lei qui…»
«Io pensavo che mi aveste chiamato perché John fosse nei guai o…» non riuscì ad andare avanti, in balia di troppe sensazioni.
«Signora, suo figlio è abbastanza grande per prendersi le sue responsabilità davanti alla legge, ma non è questo il caso» almeno per il momento, questo però Jack lo pensò soltanto «Vi pregherei di trattare quello che sto per dirvi come informazioni estremamente confidenziali, nel caso le divulgaste allora sì che sareste nei guai e penalmente perseguibili. Abbiamo un accordo?»
Entrambi annuirono.
«Innanzitutto mi scuso» esordì stupendo entrambi «Mi scuso se, come servitori della legge, abbiamo fallito e non siamo mai riusciti ad incastrare quella criminale, se non per sciocchi reati minori, lasciandola di fatto a piede libero»
«E’ anche per questo che siamo qui oggi» prese parola Kristoff «Costringendovi a riaprire vecchie ferite. Suo figlio ha trovato un biglietto fra le mani del cadavere e questo significa una cosa soltanto: era un regalo per voi»
«Per noi?» ripeté la donna incredula.
Jackson puntò gli occhi dritti nei suoi «Signora, che giorno è oggi?»
«E’ marted…» si bloccò, folgorata dalla comprensione «E’ lo stesso giorno in cui incontrai John» girò lo sguardo lucido verso il figlio «Quando i suoi genitori furono uccisi»
I detective trovarono la conferma che stavano cercando «Abbiamo tutti i motivi di pensare» continuò Kristoff «Che qualcuno abbia voluto vendicarli» fece una breve pausa, a disagio «Così come suo figlio»
Kala Chidubem sgranò gli occhi e, questa volta, le lacrime non trovarono più freni. La lasciarono sfogare il necessario fra le braccia di John ma erano entrambi ben consapevoli di non poter concludere così la loro chiacchierata.
«Sono davvero dispiaciuto di dovervi chiedere di scavare nel vostro dolore» continuò «Ma vorremmo conoscere al meglio la vostra storia, ogni dettaglio può essere importante»
«Per fare cosa?» chiese, tirando su col naso «Punire chi ha ucciso un’assassina?»
John la guardò allarmato ma Jackson, inaspettatamente, abbassò lo sguardo e sospirò «Io la capisco ma comprenderà che questo giustiziere, se di ciò si tratta, non può rimanere impunito. Chi garantisce che sceglierà chi colpire solo sulla base di fattori razionali? Chi stabilirà questi fattori? Chi ci dice che colpirà solo veri colpevoli?»
«In che senso?»
Kristoff strinse i denti «Ha già colpito e non possiamo essere sicuri che non lo farà ancora»
«Un serial killer?»
«Esiste questa possibilità»
Li guardarono a fondo per non perdersi neanche una minima reazione.
«Buon Dio…» sussurrò Kala «D’accordo, vi dirò quello che volete sapere, John era troppo piccolo per ricordare» disse, stringendo maggiormente le mani del figlio «Il quartiere dove abitavamo era molto ampio e ospitava moltissime famiglie, compresa la nostra e quella dei signori Greystoke. Mio marito era il pastore della nostra comunità, un uomo severo ma giusto e me ne innamorai perdutamente. Pochi anni dopo il nostro matrimonio, fummo benedetti dall’arrivo di un figlio. In quello stesso periodo, però, Sabor – appena adolescente – cominciò a terrorizzare il quartiere con la banda di cui faceva parte all’epoca. Banda che tradì per fondare i Leopard e questo provocò non pochi scontri per le nostre strade, una di queste sparatorie avvenne in un parco giochi» prese fiato «Io rimasi gravemente ferita ma i medici riuscirono a salvarmi… per mio figlio… invece… non ci fu niente da fare: aveva solo due anni»
Un singhiozzo sordo le sfuggì dalla bocca e Kristoff commise l’errore di lasciare vagare i suoi pensieri verso Freja: il suo cuore s’incrinò, bloccandogli il respiro.
«Prenda un bicchiere d’acqua» Jackson lo anticipò. Aiutandolo a ricomporsi e permettendo alla donna di riprendere fiato.
Lei ringraziò e si soffiò rumorosamente il naso su di un fazzoletto pulito, riuscì appena a dare qualche sorso, il nodo che aveva chiuso in gola era troppo duro da sciogliere.
«Come si sono incrociate le vostre strade?»
«Avvenne tre anni dopo» raccontò «I Leopard erano, ormai, una banda assodata e avevano cominciato a divertirsi rapinando case private, senza curarsi se fossero vuote o meno. Sabor era, ovviamente, la più spietata e fu proprio lei ad irrompere nella casa dei Greystoke. La vidi scappare con questi occhi ma era notte e io una povera madre sconvolta» ripeté le parole della difesa con disprezzo «La mia testimonianza non fu ritenuta valida» scosse appena il capo «Senza contare che, secondo la legge, quella notte feci una cosa sconsiderata entrando in quella casa. Quando sentii quel pianto disperato, però, fu il mio istinto a guidarmi, era come se il mio stesso cuore mi stesse parlando, capite? Io dovevo ascoltarlo» rivolse un sorriso colmo di commozione verso suo figlio «Era sopravvissuto alla furia di Sabor solo perché stava già dormendo al piano di sopra. Aveva appena due anni, un segno del destino. Anche all’arrivo dei soccorsi, polizia e assistenti sociali non voleva più staccarsi da me»
«Come avete potuto adottarlo?» Jackson si accorse di essersi espresso male e rimediò subito «Nel senso, è un processo complesso, a maggior ragione in questo caso»
«Ammetto, con un po’ di vergogna, che approfittai dell’influenza di mio marito. Come pastore già conosceva molte autorità dei servizi sociali. In più eravamo una famiglia benestante e rispettata»
«Mi era parso di capire che suo marito non fosse favorevole»
«Non lo era, infatti, ma mi amava e voleva vedermi felice. Quando il nostro analista appoggiò il mio desiderio, si convinse e procedemmo a finalizzare l’affidamento che, poi, trasformammo in adozione»
«Analista ha detto?» gli occhi di Jackson scintillarono «E' ancora in servizio?»
«No, non era più giovanissimo. Quando si è ritirato, diversi anni più tardi, ci ha consigliato di rivolgerci a Kozmotis Pitchiner e così abbiamo fatto… è importante?»
Lui ignorò la domanda, ricevendo in cambio un’occhiata incuriosita di Kristoff «Anche lei John è stato suo paziente?»
Il giovane annuì «Sì, lo sono tuttora»
«Signora Chidubem?»
«La mia terapia è finita tempo fa, faccio solo delle visite periodiche dopo che è venuto a mancare mio marito»
«E’ una cosa recente?»
«E’ morto l’anno scorso» spiegò il ragazzo «E’ stato un duro colpo la sua perdita per me, per noi: dopo anni difficili, avevamo finalmente costruito un solido rapporto ma, purtroppo, il destino non è stato clemente con noi e ce l’ha portato via»
«Come mai i vostri rapporti erano così tesi?» volle sapere Kristoff, curioso.
«Beh, ero così diverso… inoltre, credo che in cuor suo non volesse sostituirmi al ricordo di suo figlio» fece un mezzo sorriso «Ma più lui mi allontanava, più io cercavo un modo per stupirlo, spesso non positivamente, temo»
Kala sorrise a sua volta, piena di affetto per quei ricordi «Oh sì, eri una macchina attira guai a quel tempo»
«Ero un bambino che non sapeva niente del mondo ma che voleva ardentemente scoprire cosa ci fosse al di fuori, con un po’ di difficoltà nel scegliere il modo migliore per farlo»
«Come la maggior parte di loro» ridacchiò Kristoff, tornando ancora una volta con la mente alla sua di figlia.
«Conoscete un certo Robert Locksley?» chiese Jackson improvvisamente.
John Greystoke corrucciò il viso in un’espressione pensierosa, inclinando appena la testa «Non mi pare»
Anche Kala scosse il capo «No, dovremmo?»
Il detective alzò le spalle con apparente noncuranza «Pura curiosità, niente di più» si sistemò meglio sulla sedia «Siete stati avvicinati da qualcuno in questo periodo? Magari interessato alla vostra storia, qualche amico o conoscente vi ha dato strane impressioni?»
«Nessuno è venuto a chiederci del nostro passato, a parte voi» spiegò la donna «Ovviamente ricevemmo moltissimo supporto all’epoca ma, ora, detective, la morte di un figlio non è un argomento che un amico tirerebbe fuori così alla leggera. Nessuno fece niente allora, perché vendicarci adesso?»
Già, perché?
Annuì, comprensivo «Ora devo farvi un’ultima domanda» sospirò «Vi prego di non prenderla sul personale ma come semplice prassi: come avete passata la vostra giornata ieri?»
Kala sbuffò appena dal naso «Meno male che non era un interrogatorio, eh?» chiese, lanciando un’occhiata ironica a Kristoff.
L’uomo arrossì «E’ solo per essere certi di allontanare da voi ogni dubbio, tutto ciò che ci siamo detti qui non ha nessuna valenza legale»
«Sono stato allo zoo tutto il giorno. Abbiamo una gorilla a termine della gravidanza e va venuta sotto controllo» spiegò John per dimostrare la sua buona fede «Il turno di Clayton è stato più lungo del previsto, mi ha riaccompagnato a casa a mezzanotte. Ci siamo ritrovati, poi, al mattino»
La donna fece altrettanto «Ho passato la giornata come al solito: qualche faccenda domestica, qualche compera. Sapendo che John sarebbe rientrato tardi, ho invitato a cena alcune amiche. Sono andate via verso le undici e, poi, sono andata a dormire»
«Vi ringraziamo per la collaborazione» disse sincero Kristoff, alzandosi assieme al collega: il colloquio era finito «Vi saremmo grati se vorrete continuare a garantirci la vostra collaborazione in caso di bisogno»
John Greystoke gli tese la mano «Certamente»
§

Jackson si passò una mano sugli occhi stanchi e allungò le gambe sotto alla scrivania. Kristoff aveva lasciato la stazione di polizia da poco per via di un impegno scolastico di Freja: Anna aveva un incontro importante alla galleria, decisivo per portare fra le sue mura – per la prima volta in assoluto – un artista di altissimo livello, un’opportunità più che succosa da non lasciarsi scappare. Lui era stato ben lieto di lasciargli il pomeriggio libero, d’altra parte, un altro giorno se n’era andato e, ancora una volta, avevano davvero poco su cui basarsi: continuavano a brancolare nel buio e la luce in fondo al tunnel continuava a sembrare quanto mai lontana. L’autopsia sul corpo di Sabor aveva rilevato le solite tracce rinvenute su quello di John Lionheart, con l’aggiunta di due particolari in più: sull’addome della donna era presente una grossa cicatrice frastagliata che risultava, però, di vecchia data e, probabilmente, non aveva niente a che fare con il caso ma la sua trachea aveva diverse escoriazioni, come se le avessero inserito qualcosa all’interno con forza. Elsa, ovviamente, aveva una sua teoria ma non si era sbilanciata, rimanendo in attesa del tossicologico che, con molta probabilità, era già arrivato quella mattina. Controllò di riflesso le mail per verificarne la presenza ma, rimasto con un palmo di naso, decise di assecondare il suo stomaco brontolante e di dare inizio alla sua pausa pranzo. Si alzò, più che mai intenzionato ad andare a mettere qualcosa sotto ai denti ma, ancor prima di riuscire a posare la mano sulla maniglia, avvertì due lievi colpi sulla porta che si aprì subito dopo.
Le sue labbra si tirarono in un sorriso furbo «Se non ti conoscessi, direi che ci stai prendendo gusto nel venirmi a trovare»
Elsa lo guardò con espressione impassibile «Ma mi conosci, per cui… sei solo?»
Jack annuì «Sì, Kristoff è andato…»
«Al colloquio con gli insegnanti, giusto» si ricordò. Tirò, poi, fuori dei fogli dalla sua borsa e glieli porse «Sono passata per consegnare alcuni documenti e ho pensato di aggiornarvi direttamente sul risultato del tossicologico»
«Qualcosa di diverso?» chiese lui, scorrendoli rapidamente.
«Tutto come John Lionheart, ad eccezione di una cosa soltanto: sono state trovate tracce di cloroformio. Come immaginavo l’hanno sedata e, poi, le hanno fatto ingerire la fenilciclidina liquida con la forza, attraverso l’inserimento di una cannula»
«Comprensibile, Sabor non aveva l’aria di essere una tipa granché collaborativa»
«In effetti no» concesse con un mezzo sorriso.
«Il cloroformio non è ormai inutilizzato da anni?»
«In medicina, sì» confermò lei «E’ estremamente tossico ma è ancora di facile reperibilità, immagino che al nostro misterioso assassino non interessi molto l’incolumità delle sue vittime, vista la fine che fanno. Voi avete novità?» chiese, poi «Qualcosa di interessante dal colloquio di ieri con Greystoke e sua madre?»
Lui scosse il capo «Solo un’altra triste storia... eppure c’è un quesito che mi ronza nella mente»
«Quale?»
«John Lionheart era un individuo spregevole ed è chiaro che sia stato ucciso per vendicare Marian Fitzwater ma Sabor, nella sua carriera di criminale, ha fatto numerose vittime: perché vendicare proprio i genitori di John e il figlio della signora Chidubem? Che cosa accomuna questi casi?»
Elsa inarcò un sopracciglio «La tua faccia mi dice che lo sai già»
Jackson ghignò «A detta di John e sua madre, non conoscono Robert Locksley ma ciò non toglie che abbiano una cosa in comune con lui: sono tutti pazienti del dottor Kozmotis Pitchiner» le svelò «Ma, considerando il segreto professionale, temo serva l’autorizzazione per riuscire ad avere con lui una conversazione soddisfacente. Con queste prove circostanziali, però, non so se qualche giudice si esporrebbe così tanto»
Elsa s’illuminò «Posso provare a chiedere al giudice Weselton, è sempre stato un caro amico di famiglia: lavorava con mia madre e conosceva mio padre molto bene, forse ci aiuterà» girò il polso, controllando velocemente l’orologio «Se mi sbrigo, dovrei riuscire ad incrociarlo prima che vada a pranzo»
«Posso venire con te?» chiese l’altro di getto, senza quasi pensarci «Poi possiamo mangiare qualcosa insieme. Non vuole essere un appuntamento romantico» precisò subito, nel vedere l’occhiata torva che gli aveva appena rifilato «Non ti tormenterò e parleremo solo di lavoro, prometto»
Elsa non aveva un minuto da perdere in futili discussioni «D’accordo» concesse, quindi «Ma guido io»

§

«Mi dispiace, Elsa» le disse il giudice Weselton, sistemandosi gli occhiali che gli erano scivolati verso la punta del naso «Purtroppo non posso fare quello che mi chiedi: il segreto professionale non si può violare con le poche cose che hanno in mano i tuoi detective. Entrambi i sospetti hanno un alibi per i rispettivi delitti, sono persone incensurate e rispettabili, non possiamo muoverci in tal senso»
«D’accordo, la ringrazio comunque» gli rispose lei, senza riuscire a nascondere una piccola punta di delusione nella voce.
Lui le diede un leggero buffetto su una mano «Spero non ce l’avrai con me per questo»
«Si figuri» si affrettò a rimediare «Capisco perfettamente»
Il giudice si alzò «Coraggio, accompagnami fuori» la invitò, sistemandosi i baffi bianchi con le dita, prima di mettersi il cappotto «E’ proprio giunto il momento di mettere qualcosa sotto ai denti, non credi?»
Elsa annuì e lo seguì fuori dal suo ufficio.
«Come stanno tua nipote e tua sorella?»
«Molto bene, grazie»
«E’ sposata con un dei due detective che lavora sul caso, se non sbaglio. Un brav’uomo?»
«Decisamente sì» rispose lei sincera «Sono una bellissima famiglia»
«Mi fa piacere» rispose bonario «E tu?»
Elsa rallentò un pochino il passo «Io, cosa?»
Il giudice Weselton ridacchiò «Il saper nascondere l’imbarazzo non è mai stata una dote delle donne di famiglia, eh? Non vorrai mica finire come me?» la luce al di fuori del tribunale li investì in pieno viso «Mangiamo qualcosa assieme?» la invitò.
Lei fece scivolare impercettibilmente lo sguardo sul fondo delle scale di pietra, dove Jack la stava aspettando «Veramente avrei già un impegno»
«Uh, capisco…» disse lui con fare furbetto «Non credo che questo povero galletto possa competere con un bel giovanotto come quello. Mi ha fatto davvero piacere vederti, Elsa, anche se non è stata propriamente una visita disinteressata» concluse, indossando il cappello e facendole un piccolo occhiolino.
«Mi perdoni» gli rispose, arrossendo un poco «Prometto che tornerò a trovarla senza secondi fini»
«Ci conto»

§

Ancor prima che lei aprisse bocca, Jackson le aveva già letto in faccia il suo fallimento. Non ne fu particolarmente stupito, era consapevole che fosse una mossa azzardata, non c’era motivo di essere delusi per questo.
«Mi dispiace di non essere stata d’aiuto» si scusò, muovendo distratta la forchetta sul suo piatto, improvvisamente priva di appetito.
«Non preoccuparti» cercò di rassicurarla «Lo sapevamo di avere poche possibilità di successo. Grazie per aver provato ad aiutarmi» le disse, riconoscente.
Elsa inarcò le sopracciglia «Non ho cercato di aiutare te, ma il caso» gli rispose, rigida.
Lui sbuffò «Va bene: grazie per aver cercato di aiutare il caso allora» bevve un sorso «Finché non troveremo una piccola falla negli alibi non potremmo muoverci in questo senso. A meno che…»
«A meno che, cosa?» chiese curiosa.
«Robert ha un alibi per l’omicidio di Lionheart e John ne ha uno per quello di Sabor ma chi ci garantisce il contrario?»
«Stai suggerendo che si siano scambiati gli omicidi?»
«E’ possibile, no? S’incontrano in una sala d’attesa, giorno dopo giorno, ci scappa un saluto, si conoscono, si raccontano le loro tristi storie e mettono in atto il loro piano»
«Allora perché i biglietti? Perché un modo di uccidere così complesso?»
«Per sviare i sospetti su un possibile serial killer di criminali? Per farli morire facendogli provare anche solo una minima parte della loro angoscia?»
Elsa ci pensò su «Ti ho visto mentre parlavi con Robert, non mi sembra proprio il tipo»
«Nemmeno John, se è per questo» concesse Jackson con una piccola smorfia «Ma le persone sono piene di sorprese e questa potrebbe essere la giusta leva per ottenere un’autorizzazione ufficiale»
«Vuoi davvero prenderti il rischio di accusare due persone che hanno già sofferto così tanto? Solo sulla base di un terapista in comune?»
Lui inspirò a fondo, indeciso «Sai che ti dico?» espirò «Ci andrò lo stesso a parlare con questo dottor Pitchiner: in via del tutto informale, s’intende. Voglio cominciare a capire di che tipo si tratta. D’altra parte – oltre ai biglietti – è l’unico legame che abbiamo»
Elsa si tamponò le labbra con un tovagliolo e bevve un sorso d’acqua «Hai ragione»
Jack sgranò gli occhi «Scusa, puoi ripeterlo?» le disse, estraendo il cellulare dalla tasca «Voglio registrarlo, così lo metto come suoneria»[2]
Lei roteò gli occhi al cielo e si alzò «Andiamo»
«In che senso andiamo? Andrò da solo»
«Prego?» inarcò un sopracciglio, piccata «Prima mi stressi per venire con me e poi mi pianti in asso? Non credo proprio» disse risoluta «Senza contare che la mia presenza renderà la tua visita ancor meno ufficiale»
Jackson sbuffò appena «Agli ordini, capo»

 §

Lo studio del dottor Kozmotis Pitchiner era avvolto dalla penombra. La sua posizione, sul retro di un edificio imponente, probabilmente gli impediva di prendere il sole anche nell’ora di punta della stagione più bella e, a quanto pareva, il suo proprietario non faceva granché per migliorarne la luminosità, preferendo piccole luci dai toni, sì, caldi ma di bassa intensità.
La sala d’attesa era deserta tuttavia, dai brevi movimenti che si potevano intravedere dal vetro satinato, c’era qualcuno al di là della porta.
Né Jack, né Elsa si sedettero sulle poltrone a loro disposizione, decidendo di rimanere in paziente attesa che qualcuno si palesasse. Il che avvenne pochi minuti dopo: un’ombra scura si disegnò sulla porta a vetri e la maniglia girò.
Kozmotis Pitchiner era un uomo sui cinquant’anni, alto e magro, vestito completamente di grigio scuro, ad eccezione della camicia che portava sotto il pullover, di una tonalità più chiara.
Portava i capelli neri corti e ben pettinati all’indietro: i suoi occhi, di un castano così chiaro e luminoso da avvicinarsi al color dell’oro, si sgranarono appena nel trovare quegli ospiti inaspettati ad attenderlo «Mi dispiace, non accetto appuntamenti questo pomeriggio» disse, in modo gentile ma distaccato. Li guardò attentamente «Temo, inoltre, vi abbiano male indicato, qui non si fa terapia di coppia» li vide trasalire come due adolescenti e un piccolo ghigno divertito spuntò sulle sue labbra.
«Non siamo qui per questo, dottor Pitchiner» si affrettò a mettere le cose in chiaro Jack «Detective Overland, della squadra omicidi» si presentò.
«Dottoressa Bleket, medico legale»
Lui inarcò appena le sopracciglia scure «Questo è insolito, come posso aiutarvi?»
«Vorremmo farle qualche domanda su due dei vostri pazienti: Robert Locksley e John Greystoke»
L’espressione dell’altro s’indurì «Detective, credo proprio che lei sappia già che non potrò rompere il segreto professionale, a meno di autorizzazione ufficiale di un giudice e qualcosa mi dice che voi non l’abbiate»
«Non saranno domande che metteranno a rischio la sua posizione» lo rassicurò Elsa, anticipando Jack per un soffio «Vorremmo solo capire alcune cose»
Kozmotis Pitchiner li guardò in silenzio per qualche secondo, poi, si fece da parte «Accomodatevi: potrebbe essere un risvolto interessante per questo altrimenti noioso pomeriggio»
Elsa si guardò attorno, prima di prendere posto su una delle sedie davanti alla scrivania «Come mai niente appuntamenti, oggi?» chiese distratta, l’attenzione completamente rapita da un libro poggiato sulla superficie laccata: Il peso della perdita.
L’altro registrò immediatamente la cosa con il suo occhio attento «Oggi pomeriggio è dedicato alle finanze» sospirò annoiato «Si può dire che il mio lavoro si possa riassumere con morte e tasse»[3] sghignazzò appena «Che, a ben pensarci, è la stessa cosa che si può dire del vostro»
«Non ha un commercialista? Una segretaria?» buttò lì Jackson, prendendo posto accanto alla collega.
«Essere un esperto di un determinato argomento non fa necessariamente di me un uomo ricco: sono un tipo molto organizzato, finché posso cerco di farne a meno. Ma veniamo a noi…» li incalzò.
«Immagino avrà letto la grande notizia sui giornali di oggi» gli spiegò Jackson. Lo vide annuire «Stessa cosa per John Lionheart»
«Due personalità come quelle uccise da un’overdose è decisamente una cosa che fa notizia. Si potrebbe fin dire che, talvolta, il karma funzioni»
«In entrambi i casi, pensiamo, che il karma sia stato un pochino aiutato»
Il dottore inarcò le sopracciglia «Pensate siano stati uccisi?» lo vide annuire «Come?»
«Purtroppo queste informazioni sono, al momento, riservate. Credo possa comprenderne il perché» bloccò subito la sua curiosità sul nascere «Ho motivo di credere che Robert l’abbia già informata del ritrovamento del signor Lionheart, quello che forse non sa è che il corpo di Sabor è stato trovato proprio da John Greystoke: sappiamo cosa li lega alle vittime»
«Vittime?» Kozmotis Pitchiner piegò le labbra in una smorfia «Che curiosa scelta di termini, detective. I miei pazienti sono le vittime qui, non i suoi cadaveri»
Jackson accusò il colpo «Non se hanno deciso di farsi giustizia da soli» sentenziò gelido «Ha motivo di credere che si conoscano?»
«Può darsi che si siano incrociati in sala d’attesa, se è questo che mi sta chiedendo ma se si frequentino al di fuori non posso saperlo e, se lo sapessi, temo non potrei dirglielo» gli fece presente sullo stesso tono.
«Li crede capaci di uccidere, dottor Pitchiner?» chiese Elsa senza mezzi termini, frapponendosi fra i due.
Kozmotis portò la sua attenzione su di lei «Chiunque può uccidere, dottoressa: basta solo la motivazione e il momento giusto» sospirò «Ma John e Robert sono due brave persone, non sarebbero in grado di mettere in atto una vendetta di questo calibro. Reagire con violenza di fronte ad un trauma è una cosa molto comune; uccidere dopo tutti questi anni denota una certa freddezza che, francamente, nessuno di loro due ha»
Jackson lo guardò dritto negli occhi «Perché ho come l’idea che, se anche l’avessero, non ce lo direbbe mai?»
«Perché, invece, mi sembra che lei stia prendendo un po’ troppo a cuore il destino di questi due criminali? Non è sollevato, detective? Persone che, per via di una giustizia fallace, hanno reso vano il suo lavoro e quello della dottoressa Bleket – e di molti altri come voi – hanno avuto ciò che si meritavano, dovreste esserne contenti»
«Dottor Pitchiner, lei parla come un colpevole, lo sa?» lo sfidò Jackson.
«Mi permetta di correggerla: io parlo come una persona che non si dispiace della morte di due assassini»
Jack si alzò «Credo che la nostra conversazione possa ritenersi conclusa. La ringrazio del suo tempo, dottore» disse, incapace di dissimulare un certo fastidio «Andiamo, Elsa» esortò l’altra, avviandosi verso la porta senza aspettarla.
«Dottoressa Bleket, un attimo» la bloccò Pitchiner prima che potesse raggiungerlo «Non ho potuto fare a meno di vederla interessata al mio libro: ha perso qualcuno?»
«I miei genitori» rispose d’istinto «In un incidente d’auto»
«Lo prenda» le disse, facendolo scivolare ancor più verso di lei con la sua mano pallida e affusolata «Se avesse bisogno di una consulenza, sa dove trovarmi»


Squillino le trombe: Kozmotis Pitchiner ha fatto il suo trionfale ingresso in scena, che ne pensate?
Ovviamente il suo personaggio si rifà al Dr Trent Marsh: la sua story-line sarà molto simile, non cercatela se non volete rovinarvi la sorpresa.
Come Elsa, anche Megan (la protagonista di Body of Proof) si porta dietro un lutto sin da quando era bambina: la perdita del padre, morto suicida.
Megan ha un carattere ben peggiore di quello di Elsa ma non si può negare che abbiano ben più di un tratto in comune. Come nella serie, il Dr Marsh è l'anello di collegamento fra due casi di omicidio e l'ipotesi dello scambio di delitto è anch'essa presente ma come proseguirà la faccenda è ancora un bel punto interrogativo. Potrei non seguire proprio tutto ciò che accade nella serie tv, d'altra parte senza variazioni non c'è tanto gusto.
L'arrivo di Kala ci ha mostrato un'altra tristissima storia che, ovviamente, si rifa al canon ma sappiate che l'angoscia di Kristoff è stata anche la mia. 
Abbiamo avuto anche l'apparizione di un nuovo personaggio: Weselton che, nei panni di un giudice amico di famiglia, apre nuovi sentieri tutti da esplorare. Si comincia, inoltre, ad intuire il mestiere di Anna ma mi riservo il prossimo capitolo per fornire ulteriori dettagli. Le cose fra Elsa e Jack pare si stiano distendendo un pochino... o no?
Vorrei, infine, spendere due parole sull'ambientazione di questa storia: sebbene - come detto più volte - si basi sulla terza serie di Body of Proof, essa non si svolge a Philadelphia, né in America. Come avrete notato non ci sono particolari riferimenti a luoghi, pensate a questo come un mondo alternativo che si rifà ai modi e costumi moderni ma non ne ricalca per forza di cose tutte le sfumature. Visto soprattutto l’ambito di questa fic, incappare in incongruenze giudiziarie, a seconda del paese di locazione, diverrebbe un fosso che non sono sicura di avere le fonti e tantomeno le energie necessarie a superarlo. Perciò, per quanto cercherò di essere il più realistica possibile, non seguirò delle vere e proprie regole. Perdonatemi se mi prenderò qualche libertà.
Ora taccio che ho rubato anche troppo del vostro tempo. Come sempre, grazie per aver letto anche questo nuovo capitolo.
Un ringraziamento speciale va a chi mi supporta con le sue impressioni e listando la storia nelle Preferite - Seguite - Ricordate.
Alla prossima
Cida

[1] Chidubem significa "Guidato da Dio", in Igbo: lingua diffusa soprattutto in Nigeria che è anche uno degli stati dove vivono i gorilla. Mi sembrava un buon cognome per Kerchak, acquisito poi da Kala, soprattutto dopo aver trasformato il suo ruolo di capobranco in quello di pastore di una comunità religiosa.

[2] Questo scambio di battute arriva direttamente dalle bocche di Megan e Tommy, ditemi se non sono Jelsosi? *-*

[3] Questa battuta, invece, viene dal film Vi presento Joe Black.

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Capitolo 5
*** Cap. 4 - Encounters ***


Capitolo 4

 

Jane non poté fare a meno di sorridere quando il suo tratto andò a disegnare la morbida rotondità del ventre dell’animale di fronte a lei. Il vetro che le separava non costituiva un ostacolo, anzi, le dava la giusta visuale sull’altra senza rischiare di disturbarla o, ancor peggio, di mettersi in pericolo. Le temperature continuavano ad essere rigide ma la giornata era soleggiata e stare all’aria aperta era gradevole. Lo zoo era tornato alla sua vita di sempre, anzi, sembrava aver attirato ancor più visitatori, curiosi di vedere dove era stato ritrovato il cadavere. Lì, dalla panchina su cui si trovava, ne aveva già visti a decine: quell’attrazione quasi morbosa per il macabro di alcune persone non l’avrebbe capita mai, nonostante il suo lavoro, anzi, soprattutto per il suo lavoro.
«Ti ho già vista da qualche parte o mi sbaglio?»
Quel richiamo inaspettato la fece sobbalzare, tirò una riga con la matita sul foglio e imprecò impercettibilmente fra i denti.
«Scusami…» si affrettò a dire il ragazzo appena arrivato «So che sembra una battuta di approccio scadente ma…»
«John?» trasecolò lei, drizzando di colpo il capo.
Lui sorrise «Allora non era solo un’impressione» le disse divertito «Ora ricordo, eri qui quella mattina»
«Sì» rispose mestamente «Sono Jane Porter, l’assistente del medico legale che si occupa del caso» si presentò, tendendo la mano.
John la strinse timidamente, quasi che fosse preoccupato di poter stringere troppo quelle dita d’artista affusolate, con la sua mano grande e ruvida «Come procedono le indagini?» buttò lì, cercando di fare conversazione.

Jane fece una risata nervosa «Temo di non poter rispondere a questa domanda, mi spiace»
«Hai ragione, non ci pensavo: perdonami» si scusò, sinceramente pentito «Sei molto brava» si complimentò ammirato, cambiando discorso.
«Grazie» si schermì lei, arrossendo un poco «E’ solo un hobby»
«E’ un peccato, se lo facessi vedere a Terk, sono sicuro lo apprezzerebbe molto»
«Terk?»
«La tua modella» le spiegò con un sorriso.
«Oh, capisco…»
«E’ una femmina molto giovane: curiosa, talvolta irruenta ma anche estremamente intelligente, sono certo sarà un’ottima madre»
Jane non poté fare a meno di sorridere a sua volta «Ne parli con grande affetto»
Lui annuì «Ne ho seguito personalmente l’inserimento per la tesi di laurea e, vista la possibilità offertami dallo zoo, ho deciso di continuare il mio percorso con lei» alzò appena le spalle, un poco a disagio «La considero come una grande amica»
Il suo timore di sembrare strano ai suoi occhi non si tramutò in realtà, anzi, sul volto della ragazza si dipinse un’espressione dolce «E’ davvero un bel pensiero» riportò l’attenzione sull’animale e si avvicinò al vetro «Certo che è un peccato, però, vederli chiusi qui, intendo»
L’altro rimase in silenzio, tanto che Jane si girò verso di lui e, guardando la sua espressione stupita, arrossì violentemente «Io… ecco… non volevo dire che questo posto maltratta gli animali o che lavori per degli sfruttatori» spiegò a disagio «Dico che sarebbe meglio se vivessero nel loro habitat naturale, no?» scoppiò a ridere nervosamente «Come se non avessi appena comprato e pagato un biglietto di questo zoo: un vero esempio di coerenza, non credi?»
John dovette trattenersi per non ridere di fronte a quello sproloquio «Se ti può essere di conforto, gli animali, che sono ospiti qui, sono stati tutti recuperati da chi li sfruttava indegnamente o da chi ne era venuto in possesso in maniere poco lecite. Qui sono trattati molto bene e hanno buoni spazi per la loro mobilità ma hai ragione» la guardò dritta negli occhi «Per quanto possano essere accuditi, vederli liberi nelle foreste sarebbe tutta un’altra cosa» appoggiò una mano al vetro «Un sogno, però, destinato a rimanere tale» disse con dolore «Questi gorilla non riuscirebbero a tornare alla vita selvaggia: avrebbero difficoltà a trovare il cibo, diverrebbero facile prede nonostante la loro forza e mole. E non parlo di animali feroci soltanto… o meglio, non solo di bestie a quattro zampe» sorrise amaro «Il bracconaggio è una piaga tremenda che li riporterebbe a vivere fra atroci sofferenze o ad essere issati in qualche lussuoso salotto come trofei»
Jane in quelle parole avvertì tutto il suo dolore «A volte ci basiamo troppo sul concetto ideale che abbiamo del mondo, ma la vita vera è tutto tranne che perfetta, no?» lui questo lo sapeva maledettamente bene, sospirò e gli sorrise «Basta solo non smettere di sperare e lottare per renderla migliore»
La bocca di John, davanti a quel sorriso, si aprì un poco; scosse appena la testa e sbatté un paio di volte le palpebre, per riuscire a riprendere un minimo di lucidità. Si schiarì la voce con un leggero colpo di tosse, nascosto da una mano chiusa a pugno a pochi centimetri dalle labbra «Pensi che ti possa offrire un caffè?»
Jane strinse l’album da disegno al petto e arrossì «Perché no?»

§

«La seduta è tolta»
Elsa si alzò dalla panca su cui era seduta e si avviò verso l’uscita dell’aula di tribunale in cui era stata invitata a prestare testimonianza, per uno dei casi che stava seguendo come medico legale.
«E’ sempre un piacere collaborare con lei, dottoressa Bleket»
Una voce profonda la intercettò poco prima che potesse imboccare la porta d’uscita «La ringrazio, procuratore Frollo» gli rispose, senza perdersi in falsi convenevoli: non aveva mai reputato la cosa reciproca «Faccio soltanto il mio lavoro»
«E lo svolge egregiamente. Se tutti prendessero il lavoro seriamente come lei, e me, ci sarebbero molti meno criminali in circolazione» le fece segno di proseguire.
«Non sono infallibile, purtroppo»
«Non si rammarichi» la consolò inaspettatamente, seguendola «Di infallibile c’è solo Dio, noi non siamo che meri strumenti nelle Sue mani»
Elsa inarcò le sopracciglia «Se un Dio esiste, non credo davvero operi attraverso di me»
Lui arricciò le labbra «La sua mancanza di fede mi stupisce, dottoressa Bleket» sospirò «Ma che lei creda o meno, non cambia il Suo disegno»
«E il prezioso libero arbitrio?»
Il procuratore Frollo sorrise «Vede che allora è più coinvolta di quanto vuole farmi credere?» si fermò, consapevole che le loro strade stessero per dividersi «Ma la tolleranza per chi abusa di questo dono non è destinata a durare per sempre»
Lei fece altrettanto «Immagino lo scopriremo solo quando moriremo, giusto?»
«Giusto» confermò l’altro «E’ bene, però, che ci siano mestieri come il nostro a ricordarlo: vivere al di fuori della legge non può essere tollerato»

§

Kristoff si calò maggiormente il cappello sugli occhi, la frangia di capelli biondi schiacciata a solleticargli le ciglia. Una sciarpa malandata gli copriva gran parte del mento e sulle guance spuntava una barbetta incolta, testimone di diversi giorni di rasatura saltata. Si strinse maggiormente nel pesante giaccone: vestito in quel modo, sembrava più un montanaro senza tetto che non un detective della squadra omicidi. Lanciò un’occhiata all’apparenza distratta in più direzioni, per essere sicuro di non essere osservato da occhi indiscreti: attirare l’attenzione era davvero l’ultima delle sue intenzioni. Imboccò un sudicio vicolo fra due edifici fatiscenti. Dietro ad una cassa, c’era una figura ad attenderlo: era un giovane di bell’aspetto, dai folti capelli castani, un curioso pizzetto a coprirgli il mento e furbi occhi scuri.
«Rider» sibilò quando gli fu abbastanza vicino «Non avevi altri posti in cui incontrami?»
«Mi dispiace se questo posto non è di suo gradimento» lo canzonò l’altro con un sorriso smagliante «Ma lo sa, non è facile per me prenotare in posti d’alta classe e, come dire, farmi trovare in sua compagnia sarebbe quanto mai rischioso»
Kristoff si infilò una mano nella tasca della giacca e ne recuperò il contenuto, tenendolo stretto nel pugno chiuso «E’ una transazione quella che stiamo facendo, no?» l’allungò nella sua direzione «Quello per cui ti sto pagando non deve interessare ai tuoi amici»
L’altro gli strinse la mano nelle sue «Io non ho amici e, come ben sa, è di vitale importanza che continuino a disinteressarsi di me»
«Cos’hai scoperto?»
«Non molto…»
«Come sarebbe? Hai avuto un sacco di tempo»
«Ehi, calma! Non posso mica andare in giro a fare domande. So bene di avere un bel faccino e uno sguardo che conquista ma questo mi permette di farmi apprezzare dalle belle signore, di certo non mi protegge dal rischio di ritrovarmi con l’intestino di fuori in caso di una parola di troppo detta alla persona sbagliata. Qui si tratta, per lo più, di stare ad ascoltare»
«Quindi, che hai sentito?»
«I Leopard sono in fermento. C’è in ballo il posto di nuovo capo, si stanno dando molto da fare per trovare il degno sostituto di Sabor» si strinse nelle spalle «Non che manchi a qualcuno s’intende»
«Di John Lionheart che mi dici?»
«Niente, a parte qualche piccolo pusher che si lamenta di aver perso un ottimo acquirente»
«Fenilciclidina?»
«Niente di rilevante, nessun cambiamento sul mercato»
Il detective sbuffò «Pare proprio tu ti sia fatto pagare per un pugno di mosche, Flynn Rider» lo guardò duramente «Non fare il furbo, lo sai che abbiamo un faldone alto così contro di te» gli disse, mimandone la grandezza con le dita di una mano «Ci sono un bel po’ di persone che avrebbero il piacere di vederti finire dietro alle sbarre»
«Suvvia, per qualche gioiello rubato qua e là, sono sempre stato un galantuomo. C’è di peggio, no?»
«Ladro, ricettatore, truffatore…»
«Informatore…» lo interruppe.
«Un informatore che non sa un fico secco»
«Per adesso» lo corresse nuovamente «Ma c’è movimento, la banda delle Iene sta aspettando un grosso carico dal porto, potrebbe esserci ciò che state cercando. Lei dà qualcosa a me e io do qualcosa a lei: uno scambio equo a tutti gli effetti»
«Personalmente questo tuo qualcosa non lo vedo» grugnì Kristoff infastidito «Tienimi aggiornato su questo movimento: se in quel carico c’è quel che pensiamo, risalire al compratore sarà di vitale importanza»
«Per un nome ci vorrà un extra» lo incalzò l’altro, sfregando le dita fra loro.
Una mano si strinse rapida attorno al bavero della sua giacca e il suo viso si ritrovò ad un soffio da quello del detective «L’unico extra che riceverai saranno cinque dita chiuse a pugno sul muso»
Rider alzò le mani in segno di resa «Per carità: ci tengo al mio naso, grazie» sorrise furbetto «Ci ho provato e mi è andata male. Non si preoccupi, non la deluderò, come ho detto, ci aiutiamo a vicenda. Ho tutti gli interessi a far funzionare questo rapporto clandestino. Ah, mi chiedo cosa direbbe sua moglie in merito»
Kristoff sgranò gli occhi: lo spiava, per caso?
«Era solo una battuta» lo tranquillizzò quello «Mi stia bene»
«Rider» lo richiamò prima che potesse andarsene «Hai mai pensato di cambiare vita?»
«Un bravo ragazzo, io? Naaah… non mi si addice per niente. E poi come farebbe senza le mie preziose informazioni?» lo canzonò, facendogli un occhiolino d’intesa «Mi farò vivo io. Grazie per non avermi arrestato neanche oggi»

§

«Grazie davvero per essere venuta»
Elsa sorrise alla sorella e la seguì per l’ampia sala d’ingresso della galleria d’arte «Figurati, lo sai che mi fa piacere darti una mano»
«Oh, non ti ringrazierò mai abbastanza» le fece presente l’altra sinceramente riconoscente «La mostra è ormai alle porte, perciò avevo davvero bisogno della mia sorellona maniaca del controllo»
«Non so se prenderlo come un complimento o no»
«E dai» la rabbonì l’altra, dandole una leggera spallata «Lo sai che la tua opinione è l’unica che conta per me» ci pensò un po’ su «Assieme a quelle di Kristoff e Freja» precisò, non volendo mentire «Ma il primo riempirebbe tutto di muschi, licheni e statue di ghiaccio; la seconda, invece, di arcobaleni, pupazzi di neve e, adesso, pure conigli»
Elsa ridacchiò «Sai che l’idea delle sculture di ghiaccio mi piace?»
«Questo lo immaginavo» ribatté l’altra per niente sorpresa, lasciandosi contagiare dal suo sorriso.
Entrarono nell’ufficio e presero posto alla scrivania.
«Sono certa che non hai motivo di essere così agitata, avrai organizzato tutto alla perfezione»
«Oh, la perfezione non mi appartiene» si schermì l’altra in crisi «Direi piuttosto di essere la regina del caos: è vitale che questa mostra vada bene ma, fra la lista degli ospiti, la disposizione dei quadri, il catering… ah!» quasi ringhiò «Rischio di uscirne pazza»
La maggiore serrò le labbra per impedirsi di dare voce a ciò che stava pensando.
«Tu credi che già la sia!»
Sgranò gli occhi «Non ho aperto bocca»
Anna non poté fare a meno di ridere «Ma le tue espressioni sanno essere così eloquenti» disse, prendendola bonariamente in giro «Com’è andata questa mattina?»
«Bene, anche se – lo sai – non amo particolarmente collaborare con il procuratore Frollo. E’ una macchina nel suo lavoro ma, appunto per questo, sembra quasi abbia perso la sua umanità. Come se, in realtà, verificare la colpevolezza dell’imputato non sia veramente quello che vuole ma, semplicemente, trovare qualcuno da punire» sospirò «Ma smettiamola di parlare del mio lavoro. Ho o no il pomeriggio libero? Parliamo piuttosto del tuo: coraggio, fammi vedere il progetto»
Anna attese il responso della sorella tesa come una corda di violino. Rimase in silenzio, trepidante, per tutto il tempo che la sua pazienza – scarsa – le permise «Allora?» chiese, sporgendosi verso di lei «Che ne pensi?»
Elsa trattenne a stento un sorriso, alzò lo sguardo dai fogli che aveva di fronte e la guardò dritta negli occhi «Penso che la serata sarà un successo» posò una mano sulla sua e la strinse «Mamma e papà sarebbero fieri di te»
L’altra ricambiò la stretta «Davvero?»
«Assolutamente sì!» questa volta le sorrise apertamente, di orgoglio e commozione.
Anna l’abbracciò di slancio. Quando si staccò, avevano entrambe gli occhi lucidi e, nel trovarsi di nuovo con gli sguardi allacciati, scoppiarono entrambe in una risata liberatoria.
«Sai chi non sarebbe stato orgoglioso per niente?» chiese improvvisamente la minore per smorzare la tensione «Nonno Runeard! Questa la chiami arte? Che sciocchezza! Quando la smetterai di sognare, Anna, e deciderai di vivere nel mondo reale?» ne scimmiottò la voce in maniera egregia.
«Anna!» la riprese Elsa, senza però riuscire a trattenersi dal ridacchiare.
«Cosa? Vuoi dirmi che non l’avrebbe detto?» rincarò la dose l’altra «O, per caso, avrebbe approvato Kristoff e la sua famiglia adottiva? Dai, gli sarebbe venuto un colpo secco…»
La maggiore scosse il capo «Era pur sempre nostro nonno»
«Ciò non toglie che fosse un rigido bigotto. Ha sempre denigrato la mia passione per l’arte, facendomi sentire in colpa perché – secondo lui – potevo seguirla solo perché avevo i soldi di mamma e papà, poiché non sarei mai riuscita a mantenermi con i miei frivoli sogni. Mi ha fatto sentire un’approfittatrice, quasi fossi contenta della loro morte perché, finalmente, potevo fare come volevo…»
«Stai esagerando…»
«Esagerando? Ha reso la mia vita un inferno e a te ha sempre chiesto troppo. Me lo ricordo, sai, cosa volevi fare prima di diventare medico; ha distrutto la tua relazione con Jack…»
«Jack ha distrutto la mia relazione con lui…» la interruppe Elsa infastidita, scoccandole un’occhiata tagliente.
Anna alzò gli occhi al cielo «D’accordo, non nego che l’idiota ci abbia messo del suo ma lo sai anche tu che non è solo quello il motivo per cui avete rotto»
L’altra, però, non aveva più alcuna intenzione di starla a sentire «Non sono venuta qui per parlare di Jack: lo vedo anche troppo per via del lavoro. Sinceramente, gradirei non fosse il centro dell’attenzione in questo momento, né in altri» precisò.
La minore sospirò «Lo so: sono una sorella impicciona e pedante ma quello che voglio, in realtà, è che tu sia felice. Sono convinta che tu non abbia mai dimenticato Jack? Sì! Voglio costringerti a tornare con lui? No! E’ la tua vita Elsa, sta a te decidere. Ma, ti prego, smetti di vivere nel passato: lascia andare mamma e papà, è quello che avrebbero voluto» prima che l’altra potesse ribattere, continuò «E, a proposito di questo, ho una proposta da farti»
Elsa inarcò le sopracciglia, presa completamente in contropiede «Che proposta?»
«Penso che sia giunto il momento di vendere la casa»
«Cosa, e perché? Hai bisogno di soldi? La galleria va male?»
L’altra sorrise «Nessuna delle due cose, la galleria va molto bene e questo evento in arrivo lo dimostra» la rassicurò «Penso solamente che sia giunto il momento di voltare pagina: è chiaro che nessuna di noi due tornerà mai a vivere lì. Ci sono troppi ricordi: bellissimi ma anche dolorosi. Da quant’è che non ci andiamo? E’ lì, abbandonata a se stessa… per cosa? Non lo scopriremo mai chi li ha uccisi, Elsa, è stato solo un tragico incidente, devi fartene una ragione»
Lei non ne era così convinta, non lo era stata mai. Iduna era un giudice rispettabile, Agnarr un procuratore dalla carriera più che avviata ed erano morti, coinvolti in un incidente in cui non era mai stato possibile trovare un responsabile: nessun testimone, le telecamere dell’incrocio non funzionanti «Io…»
«Senti…» la interruppe la sorella «Non me lo devi dire subito, prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno per pensare a quello che ti ho detto, poi decideremo. Non voglio fare questa cosa se non sei decisa anche tu»

 §

«Ehi, Principessa della Torre: sciogli i tuoi capelli che per salir mi servirò di quelli»
Una testa bionda, accompagnata da un viso da un’espressione piuttosto infastidita, fece capolino dalle protezioni del soppalco dell’agente Sunlight «Molto divertente» borbottò «Hai deciso di venire a sfogare le tue frustrazioni su di me?»
Jack le apparve alle spalle con un sonoro sbuffo «Non tocchiamo questo tasto dolente, per favore»
«Oh, è impossibile non farlo» ridacchiò lei in risposta «La lavata di capo che ti ha fatto il Signor Bunnymund è risuonata per tutto l’ufficio: ne parleranno per giorni, settimane»
«Ah, come se fosse stato auspicabile che, dopo tutto questo tempo, alla stampa non arrivasse niente di niente»
«E di chi è la colpa di tutto questo tempo passato?»
Lui le scoccò un’occhiata ironica «Guarda che su questo caso ci stai lavorando anche tu, Principessa»
«Touché» ammise lei, voltandosi verso lo schermo del suo computer «C’è da dire che questi titoloni fanno davvero paura: I Fearling sono in città - I criminali non hanno scampo» sospirò «Ma chi si immaginava che tutto questo avrebbe portato a una reazione di questo tipo? I centralini sono letteralmente impazziti»
«Telefoni a cui, a quanto pare, dovrò rispondere io se non troviamo, quantomeno, chi ha fatto la soffiata alla stampa» Jackson sbuffò «Non è proprio la mia aspirazione massima spiegare a persone che non hanno pagato una multa o rubato qualcosa al supermercato che no, non sono in pericolo di vita»
«Magari qualche cattivone si costituirà per davvero»
«Sei troppo ottimista, Principessa» ghignò lui, prendendo posto sulla sedia accanto a lei «I criminali, quelli veri, non si fanno di certo spaventare da queste cose, anzi…»
«Come posso aiutarti?»
«La stampa nomina i Fearling, non c’era questo nome nel primo biglietto: escluderei Robert Locksley e Richard Lionheart che, davvero, non ha bisogno di soldi. Chi ha fatto la soffiata ha avuto modo di leggere quello lasciato sul corpo di Sabor» fece mente locale «Greystoke e sua madre, quel Clayton, tutti gli agenti che avrebbero potuto farsi ingolosire da una generosa offerta di denaro»
«Devo controllare anche il tuo conto in banca?»
Lui la guardò storto «Non sei spiritosa…»
«Oh sì che la sono» ridacchiò «E’ un dato di fatto»
«Se ne sei convinta, non sarò di certo io a far crollare il tuo castello…» le fece presente con una faccia da schiaffi.
«Sono certa cambierai espressione molto presto: guarda un po’ chi ha improvvisamente lasciato il suo posto di guardiano dello zoo?»
«Quel maledetto figlio di…» masticò fra i denti, alzandosi di colpo «Grazie, Punzie» le disse, prima di volare – letteralmente – al piano di sotto.
«Mi devi un pranzo!»

 §

«Dottoressa Bleket, mi ha fatto davvero piacere la sua chiamata: sono contento abbia deciso di venire oggi»
Sull’uscio dello studio del dottor Pitchiner, Elsa si sentì improvvisamente insicura: inspirò a fondo e mosse appena la mano libera, completamente sudata, l’altra ben salda alla sua borsa.
Kozmotis sorrise appena «Coraggio, prometto che non la mangerò: si accomodi»
Lei entrò, senza riuscire ad abbandonare il suo meccanismo di difesa «Come funziona adesso?»
Lui prese posto su una sedia accanto ad un comodo lettino imbottito «Si può sdraiare lì o sedersi, se preferisce»
Optò per la seconda scelta «Come mai ha scelto di specializzarsi in terapia del lutto?»
L’altro inarcò appena le sopracciglia, stupito «Qui, di solito, le domande le faccio io»
Elsa arrossì appena «Mi scusi, penso sia deformazione professionale: anche se, come dire, i miei pazienti mi rispondo in altri modi»
«Non si dispiacerà se io le risponderò parlando» celiò appena.
Nonostante la tensione, non poté fare a meno di sorridere «Prego»
«Ho perso mia moglie e mia figlia, ormai molti anni fa: ho preso il mio dolore e ne ho fatto da catalizzatore per aiutare gli altri a superare il loro»
«Mi dispiace…» sussurrò lei, improvvisamente pentita di essere stata tanto invadente.
L’espressione di Kozmotis Pitchiner s’indurì appena: la mascella più contratta, lo sguardo più affilato. Il tutto durò, però, solo il tempo di un battito di ciglia: il suo volto tornò calmo e professionale «Ma ora mi parli di lei, dottoressa, mi pare di capire che questa sia la sua prima volta»
Elsa annuì.
«Come mai? La perdita di entrambi i genitori in maniera violenta metterebbe a dura prova chiunque. Quanti anni aveva quando è successo?»
«Diciotto»
«A maggior ragione, allora»
«Nostro nonno non era favorevole»
Lui fece oscillare un paio di volte la penna che aveva in mano «Un conservatore, immagino: gli strizzacervelli solo per i pazzi, giusto?»
«Si può dire che il concetto fosse quello»
«Eppure se ci fa male lo stomaco, affatichiamo un muscolo o ci tagliamo la pelle, ci curiamo, no? Perché per la mente stanca e ferita dovrebbe essere diverso? Perché non dovremmo curarla così come facciamo con tutto il resto del nostro corpo?» la guardò dritta negli occhi «Che cosa l’ha spinta a venire oggi?»
«Ho letto il suo libro…»
«E?»
«E mia sorella mi ha proposto di vendere la casa dei nostri genitori»
«Immagino non si senta pronta a lasciarla andare»
«Lì dentro ci sono ancora tutte le loro cose, mi sembra di voltargli liberamente le spalle»
«Voltargli le spalle? Dopo tutti questi anni? Si sente responsabile di un incidente?»
Lei titubò.
«Com’è successo?»
«Le dinamiche non sono chiare: la polizia ha trovato la loro auto distrutta. Dai rilevamenti è risultato che sono stati travolti da un mezzo pesante ma i responsabili non sono mai stati trovati»
«Parliamo di omicidio stradale, quindi, i cui colpevoli risultano ignoti: decisamente questo cambia tutto» scribacchiò qualcosa sul suo taccuino «E’ per questo che ha scelto questa carriera?»
«Immagino di sì…»
«Immagina? Che cosa voleva fare prima?»
«L’architetto…» sussurrò.
«Ha deciso da sola di virare verso la carriera medica?»
Elsa si morse appena il labbro inferiore «Mio nonno aveva sempre spinto in quella direzione, avrebbe voluto diventassi un chirurgo»
«Almeno è riuscita a decidere la specializzazione»
«Non mi ha costretta» si sentì in dovere di spiegare.
«Se ne è convinta» le concesse con una piccola alzata di spalle «Ma si ricordi che le pressioni psicologiche sanno essere redini tirate tanto quanto quelle fisiche, anzi, talvolta di più perché sono più subdole e difficile da identificare»
«Il mio lavoro mi piace…»
«I morti non fanno domande, giusto?»
Lei assottigliò lo sguardo «Comincio a credere che non sia stata una buona idea quella di venire qui»
Kozmotis sorrise appena «La terapia ci mette di fronte al nostro io più profondo, anche quello che cerchiamo di nascondere, può risultare spiacevole all’inizio» fece una breve pausa «Cerca vendetta, dottoressa Bleket?»

«Vendetta?» ripeté stupita «Io cerco giustizia, per loro e per tutti»
«Tutti?»
«Che sta insinuando?»
«Non mi vorrà dire che ha eseguito l’autopsia sul corpo di Sabor con lo stesso stato d’animo che, di solito, riserva alle sue vittime?» la sfidò con lo sguardo «Non ha avuto neanche un minimo di esitazione? Non ha mai avuto la tentazione di omettere qualche particolare importante, dopo aver scoperto che John Lionheart era un pirata della strada come l’assassino dei suoi genitori?»
«Sì» ammise lei, senza esitazione «L’ho pensato ma non l’ho fatto: il mio lavoro io lo svolgo al massimo, sempre» ricambiò il suo sguardo di sfida «E lei?»
Gli occhi di Kozmotis Pitchiner brillarono «Anche io»
«Fino a dove è disposto a spingersi per aiutare i suoi pazienti, dottore?»
Lui scoprì appena i denti bianchissimi in un mezzo sorriso «Temo che siamo tornati al punto di partenza»
«Forse non sono tagliata per la terapia»
«Non dica così: mi era parso fosse un tipo che non teme le sfide»
Elsa si alzò «Credo possa ritenersi corretto, cerchi di ricordarlo»
«Dovrei leggere qualcosa fra le righe?»
«Questo, al momento, lo può sapere solo lei»
«Mi pare che se ne stia andando, è un peccato, era da molto che non mi capitava una paziente come lei: un vero piacere»
«E non le ricapiterà, questo piacere è diventato solo suo»


Con un pochino di ritardo rispetto alla solita tabella di marcia, arriva il nuovo aggiornamento, pieno di tête-à-tête!
Se li stavate aspettando, eccoli! Jane e Tarzan (John) non potevano non incontrarsi, si chiamavano come la calamita chiama il ferro ù_ù
Abbiamo anche un nuovo interessante personaggio, sebbene appaia molto poco... so che c'è chi lo aspettava con ansia XD
Ebbene sì, il misterioso ladruncolo, nonché contatto di Kristoff, è Flynn Rider... chissà se anche qui si prenderà la sua bella padellata in faccia.
E per rimanere in tema, Jack e Punzie stanno rendendo più saldo il loro legame e ho come l'idea che qualcuno potrebbe non essere felice di questa cosa ù_ù
E, dato che lupus in fabula, Elsa si trova davanti ad un bivio difficile: recidere i legami con il passato e vendere la casa dei suoi genitori o continuare ad indagare e andare fino in fondo? Spero che il suo confronto con Kozmotis vi sia piaciuto, anche se non è finito nel migliore dei modi.
Concludo con Anna: ebbene sì, gestisce una galleria d'arte. Mi sembrava ideale per lei: hang in there, Joan!
Abbiamo avuto anche un ulteriore scorcio sul passato delle sorelle, il burrascoso rapporto con loro nonno e - di nuovo - della storia con Jack: da un occhio esterno, pare che il motivo della rottura non sia stato proprio tutta colpa sua...
Al solito, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto! Grazie per averlo letto! <3
Se voleste spendere un pochino del vostro tempo per farmi sapere cosa ne pensate mi fareste immensamente felice.
Grazie anche a chi ha listato questa storia.
Un abbraccio e alla prossima
Cida


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Capitolo 6
*** Cap. 5 - The Fall ***


Capitolo 5

 

«Se cerchi tuo cognato, è appena andato via»
Elsa si morse leggermente il labbro inferiore, a disagio «Veramente, è te che cercavo»
Jack sgranò gli occhi «Me? Eppure non ho visto neanche una cavalletta in giro, l’Apocalisse non sembra vicina»
«Non farmi pentire di essere venuta» lo ammonì «Ti ho cercato per una cosa importante, gradirei facessi la persona seria»
«Prendere la vita con leggerezza non denota meno serietà: che io faccia, talvolta, l’idiota – per usare parole care a tua sorella – non significa che lo sia per davvero»
Lei distese l’espressione del viso «Di questo non ne sarei particolarmente sicura»
«Vedi?» le disse divertito «Il sorriso che hai sulle labbra in questo momento era esattamente ciò che volevo ottenere»
Elsa maledì il calore che le era salito alle guance e ringraziò mentalmente il trucco che celava con abilità il tutto «Andiamo, ti offro da bere»
Qualunque cosa fosse - quella che doveva dirgli - aveva l'aria di essere davvero grossa.

Seduto di fronte a lei, Jack non poté fare a meno di pensare che Elsa, agli occhi degli altri, doveva sembrare la classica bellezza che - nel suo elegante tubino scuro, i tacchi alti e l’acconciatura perfetta – gradisse sorseggiare il suo champagne fra un’ostrica e una tartina al caviale. Non che la cosa le fosse sgradita ma, di certo, non era la sua preferita. Solo chi la conosceva veramente sapeva che, quando era stanca o nervosa, odiava sia i tacchi alti che portare i capelli raccolti e, soprattutto, amava bere una cosa soltanto: birra leggera, floreale e rigorosamente ghiacciata. Quella sera non aveva potuto abbandonare le sue décolleté ma, da come aveva liberato i suoi lunghi capelli biondi e dalla candida schiuma che le stava di fronte in un lungo bicchiere, doveva essere parecchio turbata. Senza contare che, fra tutti, era proprio a lui che si era rivolta. Per non rischiare di rompere il precario equilibrio creatosi, decise di chiudere le dita a pugno sul tavolino, per impedire al braccio di allungarsi e consentire, così, alla mano di spostarle dietro all’orecchio quella ciocca che le era scesa ribelle sul viso «Di che cosa volevi parlarmi?»
Elsa alzò gli occhi su di lui «Del caso» poi non lo guardò più «E di me»
Jack inarcò un sopracciglio «Che intendi dire?»
«Sono stata dal dottor Pitchiner»
«Cos… e perché?»
«E’ esperto in terapia del lutto, no?»
«Ti ha fatto una così buona impressione quando ci siamo andati?» le chiese accigliato.
«Puoi biasimarlo?» ribatté subito lei «Abbiamo messo in dubbio la moralità di due suoi pazienti…»
«Per l’omicidio di due criminali, lo so» completò per lei «Posso capire quello che dice ma non posso condividerlo con il mestiere che faccio e non dovresti neanche tu»
«Non ho detto che lo condivido» ribatté lei secca «Se ti avessi confermato arresto cardiaco per John Lionheart, adesso non staremo qui ad indagare su chi l’ha ucciso. Pensi sia stato facile per me dirvelo dopo aver scoperto cosa aveva fatto?»
Jack non trovò il coraggio di replicare.
Elsa sospirò e bevve un sorso «Anna vorrebbe vendere la casa dei nostri genitori ma io non so se sono pronta a farlo» giocherellò nervosa con il bordo del bicchiere «Ho pensato che avere un parere esterno e professionale avrebbe aiutato»
Ecco perché aveva deciso di non parlarne con Kristoff, perché non voleva che a sua sorella arrivasse indirettamente questa sua decisione. La guardò negli occhi, addolcendo lo sguardo «Non c’è modo di sapere chi di voi due abbia ragione. Lo sai, sì?» mandò giù un paio di noccioline «Se senti il bisogno di seguire una terapia per elaborare il tuo lutto è giusto che tu lo faccia ma, ecco, eviterei il dottor Pitchiner come la peste: è un uomo inquietante e non dovresti parlare di cose personali con persone coinvolte nel caso»
«Al momento, non mi pare ci siano indagini su di lui. O mi sbaglio?»
L’altro scosse il capo, sconfitto.
«Ma sul fatto che sia una persona ambigua non posso darti torto e, forse, è il caso di cominciare ad indagare anche su di lui»
«Che ti ha detto?»
«Niente di che, in realtà, ma mi ha fatto intendere di essere disposto a tutto pur di aiutare i suoi pazienti. Credo valga la pena di scoprire cosa intendesse»
«Uno psichiatra psicopatico? Degno della migliore serie poliziesca»
«Ha perso la moglie e la figlia, solo dopo si è specializzato in terapia del lutto»
«Pensi possa uccidere gli aguzzini dei suoi pazienti per mettere a tacere il suo di dolore?»
«Non mi sembra così impossibile»
«Mi costa ammetterlo» replicò lui, scoprendo i denti bianchi in un piccolo ghigno «Ma mi tocca brindare a questa deduzione geniale» alzò il bicchiere verso di lei.
Elsa scosse appena il capo ma, poi, levò anche il suo: il vetro tintinnò.

§

«Detective Overland, non so come mai ma questa sua convocazione non mi stupisce particolarmente. Avevo intuito di non starle granché simpatico ma immaginavo che la polizia si muovesse su basi ben più solide di una semplice antipatia personale»
«Le posso assicurare che averla qui non riflette minimamente quello che penso di lei» replicò Jackson, prendendo posto di fronte a lui: un tavolo a dividerli e una luce tenue ad illuminarli.
«Attento, detective: questa suona come una minaccia. Mi chiedo cosa ne dirà il suo partner, dietro a quello specchio, del suo abuso di potere»
«Abuso di potere?» inarcò entrambe le sopracciglia l’altro «L’ho solo chiamata per un colloquio informale»
«Questo lo credo bene. Per questo ho accettato, dacché non ho niente da nascondere»
«Sappiamo di sua moglie Seraphina e sua figlia Emily Jane» giocò subito a carte scoperte.
Kozmotis Pitchiner assottigliò gli occhi  e strinse i denti «Voi non sapete niente»
«Sì, invece» lo incalzò «Sappiamo che era già un affermato psichiatra ma che si è specializzato in terapia del lutto solo dopo la loro morte»
«E’ così che ho affrontato il mio dolore, non vedo come questo possa legarsi al suo caso»
«Il fatto che siano state uccise e che l’unico presunto colpevole fu rilasciato per mancanza di prove?»
«Presunto?» quasi ringhiò «Quel maledetto era colpevole: un altro caso in cui la giustizia ha fallito» si ricompose «Sì, ho provato sulla mia pelle tante delle cose che anche i miei pazienti sono costretti ad affrontare. Converrà con me che questo mi rende ancor più qualificato nel mio lavoro perché, come dire, so di cosa parlo»
«Su questo punto ha ragione» concesse Jackson «Ma non è che proprio a causa di questo legame lei prenda un po’ troppo a cuore il destino dei suoi pazienti?»
Kozmotis scoprì i denti in un sorriso ironico «Sta insinuando che io uccida gli aguzzini dei miei pazienti per vendicarli e mettere a tacere il mio dolore?»
«Questo è lei ad averlo detto…»
«Teoria interessante» si complimentò, posando le mani intrecciate sul tavolino, proprio nel mezzo «Ricapitolando: un analista con probabili problemi dissociativi, senza particolari mezzi a disposizione, riesce a portare giustizia là dove le autorità hanno sempre fallito. Capirà che non ci fate una gran bella figura»
«La giustizia non può essere un concetto individuale» sibilò Jackson «Sarebbe il caos»
«Caos o no, non cambia la verità: voi ci provate... e fallite»
«Non è sempre così»
«Se non è sempre è spesso ed è una casistica che non può essere tollerata. Quante volte la polizia svolge il suo lavoro superficialmente? Quante volte la legge permette alla difesa di attaccarsi ad invisibili cavilli?» Pitchiner lo guardò dritto negli occhi «Glielo dico io, detective: troppe!»
«L’omicidio non è la soluzione»
«Perché mi parla come se fossi stato io a commettere quegli omicidi?» gli chiese ironico «E’ chiaro che ha parlato con qualcuno ma le posso garantire che vi siete fatti entrambi un’idea sbagliata di me»
«E’ possibile ma lo ritengo poco probabile» gli rispose Jack sullo stesso tono.
Kozmotis alzò le spalle «Eppure sono venuto qui, senza avvocato, senza obiezioni perché non ho niente da nascondere. E, mi pare chiaro, non abbiate nulla contro di me, altrimenti – sono certo – la nostra chiacchierata sarebbe stata molto meno amabile di così. Coraggio, mi chieda dei miei alibi, che aspetta?»
Jackson strinse i denti «Stia pur certo che indagherò e indagherò ancora, finché non riuscirò a trovare la prova che la inchioda»
«Si accomodi, detective. Cerchi quanto vuole, il risultato non cambierà: fallirà. Non troverà alcuna prova contro di me perché io non ho fatto nulla»
L’altro si alzò, sporgendosi verso di lui «Questo lo vedremo»
Proprio in quel momento, la porta della stanza si aprì e ne entrò Kristoff «Dottor Pitchiner, può andare adesso»
Kozmotis si alzò a sua volta «La ringrazio, detective?»
«Bjorgman»
Gli fece un breve cenno di saluto con il capo «Detective Overland…» si congedò.
«Perché l’hai mandato via?» lo rimproverò Jackson.
«Ti stava provocando e tu, chiaramente, ci stavi cascando con tutte le scarpe» gli spiegò «Non possiamo permetterci passi falsi, soprattutto se è vero che è coinvolto. Altrimenti falliremo, esattamente come ha detto»
L’altro espirò rumorosamente col naso ma non replicò.
Kristoff gli posò una mano sulla spalla «Bene, ora che ti sei calmato, muoviamoci, ci sono novità: ti aggiorno strada facendo»
«Dove andiamo?»
«Per ora a prendere Freja: Anna è già abbastanza tesa per la mostra imminente, meglio non farla arrabbiare o mi ucciderà»

§

«Vuoi che ti lasci da sola con il tuo disegno, per caso?»
Giusto in quel momento, Jane si accorse di non essere più sola nel suo ufficio «Elsa!» esordì, arrossendo «Non ti ho sentita arrivare» cercò di mettere su il suo miglior sorriso, provando a coprire con disinvoltura il risultato dello schizzo che stava facendo sovrappensiero.
«Me ne sono accorta» le confermò l’altra, trattenendo a stento un sorriso «Hai fatto quello che ti ho chiesto?»
«Certo» rispose solerte «Ho controllato tutte le foto dei ritrovamenti ma non ho riscontrato nessuna corrispondenza. Ho provato anche a concentrarmi sugli sfondi, i possibili curiosi ma nessun volto si presenta su entrambi i luoghi» sospirò «Per sicurezza ho lanciato anche il programma di riconoscimento facciale e, beh, mentre aspettavo mi sono distratta» confessò con vergogna ma, per sua fortuna, una notifica acustica la salvò dall’imbarazzo «Oh, ha appena finito»
«Fa vedere anche a me» le disse Elsa, andandole vicino.
L’altra sospirò imbronciata «Ancora un buco nell’acqua: a parte le forze dell’ordine, nessuna corrispondenza»
«Jane» la richiamò «E’ John Greystoke, quello?»
Lei arrossì «L’hai visto pochi minuti, una volta soltanto e sei in grado di riconoscerlo da un disegno?»
Elsa inarcò un sopracciglio «L’hai visto pochi minuti, una volta soltanto e sei in grado di ritrarlo?»
«Veramente…»
«Cosa?» comprese «Hai rivisto una persona coinvolta nel caso e non me l’hai detto?»
«E’ stata assolutamente una casualità» si giustificò «Abbiamo preso solo un caffè»
«Un caffè?» ribatté Elsa sorpresa.
«Ok, detta così suona male» concesse l’altra «Sono tornata allo zoo per disegnare, lui mi ha vista e gli sono sembrata familiare, così mi ha parlato e una cosa tira l’altra…»
«Spero non abbiate discusso delle indagini in corso»
Jane si corrucciò «Assolutamente no, per chi mi hai preso?» le chiese, appena risentita «Mi ha solo chiesto come stessero andando, giusto per fare conversazione, e io – ovviamente – non gli ho risposto: non ne abbiamo più fatto menzione»
Elsa sospirò «Non volevo insinuare nulla. Le varie supposizioni della polizia le sai»
«Pensavo fossero decadute: John è un ragazzo così gentile»
«Ti dico solo di stare attenta: frequentare persone coinvolte nel caso non è opportuno, almeno finché non sarà fatta chiarezza»
«Inopportuno come frequentare dei colleghi, immagino» bofonchiò.
L’altra inarcò un sopracciglio «Come, prego?»
Oddio, l’aveva detto.
«Io e Jack non ci frequentiamo» continuò, però, quella.
«I nomi li hai fatti tu, non io»
Cavolo, perché non riusciva a tenere chiusa quella bocca?
Elsa, però, non si arrabbiò «Tu assomigli troppo a mia sorella…» esalò, rassegnata.
Jane sorrise sollevata «Magari è proprio per questo che hai deciso di tenermi come assistente»
«Magari l’ho fatto per le tue capacità, che dici?» ribatté «Capacità che gradirei vedere all’opera, se non ti dispiace»
«Subito!» rispose, drizzando la schiena e riportando l’attenzione sul suo computer «Elsa!» la richiamò prima che se ne andasse «Starò attenta, grazie»
La vide sorridere in risposta e avviarsi verso il suo di ufficio. La curiosità di sapere se mai avesse voluto raccontarle che cosa ci fosse fra lei e il detective Overland, però, se la tenne per sé.

§ 

«Andiamo!» esordì Jackson, lanciando un’occhiata divertita al suo compagno di squadra «Hai intenzione di tenermi il broncio tutto il giorno?»
Kristoff, alla guida, masticò qualcosa di non meglio definito fra i denti «Non. Parlare.»
«Staremo assieme ancora molte ore: lo sai che non riesco a stare zitto a lungo» lo provocò con un sorriso beffardo «Non puoi avercela con me, solo perché Freja è corsa fra le mie braccia anziché le tue»
«No, certo, continua… continua pure a distruggere il mio cuore di padre» borbottò l’altro, stringendo le mani sul volante «Io dovevo essere l’unico uomo nel cuore di mia figlia, poi arrivi tu – con i tuoi capelli brizzolati e i tuoi occhi color del cielo – e mandi tutto a rotoli»
«I miei occhi color del cielo?» Jackson rise «Quindi mi trovi attraente?»
«Piantala, lo sai cosa intendo»
«Non credi che se fosse innamorata di suo padre sarebbe un tantino inquietante?»
«Non intendo un amore romantico» ribadì, facendo una smorfia «E’ solo una bambina»
«Ed è di una cotta di una bambina di cinque anni che stiamo parlando» lo rassicurò l’altro «O pensi davvero che voglia sposarmi?» ridacchiò ancora.
«Questo è quello che dice…» borbottò.
«Io non mi preoccuperei, ne riparleremo piuttosto quando sarà adolescente e porterà il primo amichetto a casa»
«Non voglio nemmeno pensarci» digrignò i denti Kristoff «Chiunque sarà dovrà superare la prova della montagna»
«Credo di non voler neanche sapere di che si tratti ma, ti prego, cerca di non costringermi a doverti arrestare»
«Non te lo posso giurare» gli disse, svoltando sulla sinistra.
Jack spense il sorriso di divertimento sulle sue labbra e lo trasformò in uno più morbido «Sei un pessimo attore, lo sai?»
L’altro inarcò un sopracciglio «Che intendi dire?»
«Che, chiunque sarà il fortunato ad essere ricambiato da Freja – sempre che sia un bravo ragazzo – saprà conquistarti in un battito di ciglia»
Kristoff sorrise bonario «Non sono, infatti, i bravi ragazzi a preoccuparmi»
«In quel caso potrei chiudere un occhio sulle tue malefatte» riportò l’attenzione sulla strada «Quindi mi consideri un cattivo ragazzo?»
Questa volta fu il turno del compagno di ghignare «Tu sei solo vecchio»
«Gentilissimo» ringraziò, prima di sbuffare sonoramente «Certo che la sfortuna sembra perseguitarci in questo caso. Pitchiner è stato assolutamente di parola, non c’è niente di niente contro di lui, né una minima traccia che lo posizioni sui luoghi del ritrovamento dei cadaveri. Ora che avevamo questa pista del carico delle Iene, succede questo!»
«Già» confermò Kristoff «C’è quasi da dispiacersi che l’antidroga abbia svolto così tempestivamente il suo lavoro»
«Proprio ora che il tuo informatore aveva confermato la presenza di un rilevante carico di fenilciclidina: avevamo qualche chance di risalire al compratore ma adesso…»
«Non disperare» cercò di rassicurarlo l’altro «E’ rischioso e, magari, dovremmo aspettare un po’ di tempo data la notizia del sequestro ma, forse, possiamo ottenere l’autorizzazione per utilizzarla e tendergli una trappola. Eccoci arrivati»
Parcheggiarono nell’ampio piazzale del deposito designato e scesero dall’auto. Un vento gelido sferzò i loro visi e fu, quindi, con un certo sollievo che entrarono nel calore dell’edificio. Riuscirono a fare ben pochi passi che due agenti di polizia giudiziaria vennero loro incontro. Uno era alto e magro, l’altro basso e tozzo: entrambi avevano un bel nasone pronunciato e la loro aria stanca mostrava in tutta la sua magnificenza la loro voglia di pensione che, purtroppo per loro, doveva essere ancora troppo lontana.
«Identificazione, prego» grugnì il più alto dei due.
Sia Jackson che Kristoff mostrarono i loro distintivi e si presentarono.
Il più basso fischiò «Hai visto, Jasper? La squadra omicidi, roba grossa» disse al compagno, sistemandosi la cintura dei pantaloni «Come possiamo aiutarvi, signori?»
«Siamo qui per il carico sottratto dall’antidroga alla banda delle Iene. Dovrebbe essere arrivato in questi giorni»
«E perché mai vi interessa quel carico?»
«Temo che queste siano informazioni riservate, al momento» rispose Jackson, assottigliando lo sguardo.
«Horace, non fare l’idiota e non importunare questi ragazzi che giocano in prima linea» lo riprese il collega «Non hanno tempo da perdere con due tipi come noi»
«Se non vi dispiace, vorremmo parlare con il responsabile»
«Ma certo» gli disse quello che doveva essere Jasper con un sorriso che voleva essere affabile senza, però, riuscirci «Seguiteci»
Li scortarono verso la loro postazione, dove aspettarono per qualche minuto che un vecchio macinino dalle sembianze di un computer facesse il proprio lavoro «E' arrivato ieri, se n’è occupata la direttrice in persona»
Kristoff posò una mano sul bancone «E’ possibile parlare con lei?»
«Ne verifichiamo la disponibilità» continuò quello: prese la cornetta del telefono e digitò alcuni numeri. Una roca voce di donna rispose lapidaria alle sue spiegazioni, riagganciò «Può vedervi. Ufficio all’ultimo piano, in fondo al corridoio, non potete sbagliarvi. L’ascensore è da quella parte»
«Non dovreste scortarci?» chiese Kristoff perplesso.
«Suvvia» fece Horace, prendendo nuovamente posto sulla sedia, molto più interessato al suo panino che ad altro «Se non possiamo fidarci fra noi forze dell’ordine, mi domando dove andremo a finire…»

L’odore di fumo investì i due detective ancora prima di entrare nell’ufficio che gli era stato indicato. Non si stupirono, infatti, di trovare la donna – che sfoggiava una bizzarra acconciatura dalla colorazione bianca e nera – intenta a fumare una sigaretta attraverso il filtro di un lungo bocchino «Immagino voi siate i detective Overland e Bjorgman» li accolse con un sorriso viscido «Dottoressa De Vil, accomodatevi cari» li invitò, senza però premurarsi di interrompere quel che stava facendo «Come posso aiutarvi?»
Né Jackson, né Kristoff si lamentarono della cosa, nonostante avessero entrambi gli occhi già arrossati e ritenessero l’odore al limite del sopportabile, dato il gran caldo e la finestra chiusa. Tuttavia, nessuno dei due era intenzionato ad indisporre una possibile collaboratrice.
«Ci perdoni se non ci siamo preannunciati con anticipo, ma la faccenda è piuttosto urgente» si scusò Jack.
«Oh, è sempre urgente con voi, non è vero, cari?» sogghignò.
Lui ignorò la frecciata «Volevamo sapere se, per caso, nel carico sottratto alla banda delle Iene ci fosse della fenilciclidina»
Lei arricciò le labbra «Quel carico, certo, roba davvero grossa e di qualità rara ma non fenilciclidina, no»
I due si guardarono sorpresi.
«Ne è sicura?» chiese Kristoff.
«Certamente, caro» gli confermò «Data l’importanza, mi sono occupata personalmente delle analisi: oltre a gestire questo posto, sono anche una scienziata, sapete?» spiegò, spostandosi appena per fargli vedere la laurea appesa alla parete «Sono una donna superbamente a pezzi, ma non si può dire di no alle sollecitazioni del tribunale, non credete?» celiò, facendo cadere un po’ di cenere in un piattino stracolmo.
«E’ possibile comunque vedere il carico?»
La dottoressa De Vil assottigliò gli occhi scuri, truccati sui toni del verde «Detective, questa sua diffidenza mi ferisce. Inoltre, temo che non sia materialmente possibile fare quello che mi chiede»
«Come sarebbe?»
Lei li guardò ed espirò pesantemente la boccata appena tirata «Il carico è già andato in fumo questa mattina, dritto nell’inceneritore»
«Di già?» sbottò Kristoff che, preso in contropiede, non riuscì a trattenersi dal tossire pesantemente.
«Capite bene che, con le bande in subbuglio, è estremamente rischioso tenere in deposito carichi di quel genere. Come avete potuto notare, il supporto delle autorità è quello che è» finalmente spense la sua sigaretta consumata «Il tutto fatto secondo la procedura corretta, ovviamente: giudice, avvocati, tutti presenti. Vi manderò una copia della documentazione, così starete più tranquilli»
«Le saremmo grati» disse Jackson, alzandosi.
Kristoff fece altrettanto «Aspettiamo sue notizie, allora. Intanto grazie della sua collaborazione»
«Non c’è di che, cari»
Entrambi lasciarono l’ufficio di quella strana donna con l’aria abbattuta e un gran bruciore di occhi e gola. Pareva proprio che Rider avesse mentito, la domanda era: perché?

 §

Jackson prese un sorso di champagne ghiacciato, assaporandone le bollicine sulla punta della lingua. Dopo aver dato quella falsa pista, l’informatore di Kristoff sembrava misteriosamente sparito nel nulla e, quindi, si erano ritrovati - di nuovo - frustrati più che mai e con un pugno di mosche in mano. Chiunque si nascondesse dietro a quel caso – Pitchiner o meno – sapeva esattamente come non farsi trovare. Sospirò, almeno non aveva più colpito. Vuotò il suo bicchiere e lo posò sul vassoio di un cameriere che gli era appena passato accanto: quella sera non era fatta per i rimugini, quella era la sera di Anna Bleket e della sua galleria, bisognava mostrarsi sorridenti. E, per farlo, bastava dare un’occhiata a Kristoff nel suo elegante smoking nero, camicia bianca e cravattino scuro. Era palese che mal sopportasse il fatto di essere vestito a quel modo ma resisteva stoico e lo faceva per amore di sua moglie. Anna era meravigliosa nel suo vestito lungo, altrettanto nero, che le copriva il collo ma lasciava scoperte le spalle, facendo risaltare alla perfezione i suoi capelli ramati, completamente sciolti ad eccezione di un piccolo effetto raccolto sulla nuca.
Sorrise e sistemò il suo di papillon, di un intenso color blu notte, come il resto del suo completo. Non si poteva di certo dire che fosse un grande amante dell’arte contemporanea ma rifiutare quell’invito sarebbe risultato quanto mai scortese. Si era, tuttavia, presentato da solo, anche perché non si era azzardato a chiedere all’unica persona che gli interessasse veramente d’invitare: d’altra parte, non era difficile immaginarsi la sua risposta. Istintivamente la cercò con lo sguardo ma non la trovò. Si chiese cosa mai avesse potuto tenerla lontana da quella festa che, di sicuro, non si sarebbe persa per niente al mondo. Proprio come richiamata dai suoi pensieri, varcò esattamente in quel momento le porte della galleria. La vide liberarsi dal pesante soprabito e, per poco, non ci rimase secco. I capelli biondi erano acconciati in una vaporosa treccia laterale, mentre alcune ciocche erano state magistralmente lasciate libere di incorniciarle il volto. Anche il suo vestito era blu ma di una tonalità decisamente più chiara e brillante, con uno spacco audace e un taglio dritto sul seno a lasciarle completamente scoperte le spalle. Non lo degnò nemmeno di uno sguardo, concentrata com’era nel suo unico obiettivo di raggiungere la sorella. Quando la vide, Anna quasi saltò sul posto dalla gioia.
«Se non chiudi quella bocca, sbaverai»
Jackson si riscosse «Principessa, stai benissimo» si complimentò nel vederla con quell’elegante abito lilla dalla deliziosa scollatura a cuore e la sua lunga chioma bionda completamente libera di risplendere «Ti ho vista, sai? Scoppiare di entusiasmo davanti a quei quadri»
Lei si illuminò «Sì!» confermò entusiasta «L’uso del colore è così evocativo, una meraviglia per gli occhi»
A lui sembravano solo macchie buttate lì ma tant’è «Hai proprio ragione»
Rapunzel rise «Non assecondarmi solo perché vuoi cambiare discorso»
Jack ghignò «Non so di cosa parli»
Oh sì che lo sapeva ma fece finta di credergli «E’ arrivata Jane!» drizzò di colpo la testa, vedendola entrare proprio in quel momento «Devo assolutamente farle vedere Sogno di una notte di mezza estate» si avviò travolta dal suo stesso entusiasmo ma, prima di allontanarsi troppo, si voltò verso di lui ancora una volta «Vai» gli disse soltanto e, poi, tornò ai suoi propositi.
Jackson, dal canto suo, non era tanto sicuro di volere andare. Sapeva quello che voleva, certo, perché era ben conscio del quantitativo di relazioni buttate al vento per via di quei sentimenti che non se n’erano mai andati: quello che voleva lei, invece, era tutta un’altra faccenda. Si era chiesto mille volte che cosa sarebbe successo se non fosse stato così stupido da mandare tutto all'aria quella fatidica sera ma, quando la lucidità tornava a prendere il sopravvento, gli risultava chiaro come lei avesse già deciso di tagliarlo fuori dalla sua vita. Averle, però, dato il giusto appiglio per farlo gli bruciava non poco. Sin da quando era tornato in città, lei era stata subito molto chiara a parole almeno, eppure…
«Quindi sei venuto» gli disse, raggiungendolo alle spalle «Non mi risulta fossi appassionato»
Si voltò verso di lei e le sorrise furbetto «Infatti non lo sono ma non si rifiutano gli inviti di uragano Anna, non te l’hanno detto?»
«Sono consapevole di aver rischiato grosso» ridacchiò.
«Ho visto che sia tu che Jane siete arrivate in ritardo, non è una cosa da te. Problemi al lavoro?»
Lei annuì «Chiaramente, quando c’è qualcosa d’importante, un imprevisto deve sempre saltare fuori all’ultimo secondo» spiegò con una smorfia di rassegnazione «Ma Anna ha lavorato così duramente per questo evento che mancarlo era fuori discussione»
«Sei splendida…» gli sfuggì dalle labbra prima che riuscisse a trattenersi.
Inaspettatamente, Elsa – forse aiutata dallo champagne – alzò un sopracciglio e tirò appena le labbra di lato «Anche tu non sei male»
Questo gli diede il coraggio di continuare «Ho visto che sei venuta da sola»
Lei si irrigidì «Sì, ma non capisco come questo dovrebbe interessarti»
«Beh» non demorse lui «Dato che anche io sono venuto solo, potrei farti da accompagnatore»
«Con quale scopo?»
Jack scosse appena il capo, non capendo.
«Hai un unico fine, Overland, ed è quello di portarmi a letto»
«Così mi offendi, Bleket» si risentì lui, portandosi una mano al petto «Voglio solo godere della tua compagnia in questa piacevole serata, tutto qui»
«Quindi, vuoi dirmi che se io ora ti dicessi di lasciare questa festa e di andare assieme in una camera d’albergo tu mi diresti di no?»
«Ti direi perché scegliere una camera d’albergo, quando abbiamo a disposizione ben due appartamenti: il mio e il tuo»
Lei roteò gli occhi al cielo «Vedi? Sei incorreggibile…»
Jack inarcò le sopracciglia, stupito «Incorreggibile? Sono un uomo, Elsa…» la guardò dritta negli occhi «Un uomo che ti…»
Accompagnato dal tintinnio del bracciale che aveva legato al polso, avvertì le dita di lei sfiorargli le labbra. Non era certo fosse colpa del riverbero della luce o chissà che altro, ma i suoi occhi azzurri – magistralmente truccati sui toni del rosa – sembravano improvvisamente più lucidi «Non dirlo, per favore…» lo pregò.
Rilasciò appena un sospiro sulla pelle di lei, trattenendosi a stento dal seguire l’impulso di baciarla «Va bene»
Elsa spostò la mano con qualche secondo in più del consentito, distratta dalla vibrazione del cellulare proveniente dalla sua pochette «Scusami un attimo» lo recuperò, stupendosi non poco nel vedere sullo schermo la dicitura sconosciuto. Scambiò una rapida occhiata con Jack e rispose, inconsapevole che, una stanza più in là, a suo cognato stava succedendo esattamente la stessa cosa «Pronto?»
«Detective Bjorgman, Dottoressa Bleket» parlò un’artificiale voce metallica, facendola rabbrividire «Sarebbe gradito, da parte vostra, se la smetteste di interferire con i nostri progetti, d’altronde siamo tutti dalla stessa parte…»
«Chi sei?» chiese, la voce spezzata. Jack la guardò allarmato.
«Siamo la nera paura che vi sta crescendo nel petto, il ghiaccio che sta gelando il vostro cuore e mozzando il vostro respiro: siamo i Fearling. Non intromettetevi, non ostacolateci o ne pagherete le conseguenze» ci fu un attimo di silenzio «Mamma, papà…» singhiozzò una voce rotta dal pianto, la comunicazione si interruppe.
Mentre il cellulare di Kristoff cadeva sul pavimento e lo schermo si infrangeva in una miriade di schegge di vetro, Elsa sbiancò: registrò a malapena le mani di Jack che le si serravano rapide sulle spalle per sostenerla, l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi in quel momento era quella vocina disperata. Freja, avevano preso Freja.


Ebbene sì, la situazione è precipitata improvvisamente... la domanda è perché?
Ovviamente si scoprirà... ma a tempo debito ;)
Abbiamo avuto anche tre nuovi ingressi che potrebbero farvi drizzare le antenne... ma magari no ù_ù
Indubbiamente c'è del caos in questo caso, riusciranno i nostri eroi a districarsene? Ma, soprattutto, ci sarà una sola verità?
Nel mentre il tira e molla fra Jack ed Elsa sembra non avere fine, mannaggia a loro (a lei principalmente XD)
Il fatto che Kristoff sia geloso del rapporto fra Jack e la figlia è un mio personalissimo headcanon di cui mi diverto sempre particolarmente a scrivere, spero sia stato divertente anche per voi leggerlo.
Per quanto riguarda il nome della moglie di Pitch, in realtà non è noto e cercando Seraphina Pitchiner si viene riportati, comunque, ad Emily Jane. Tuttavia, in molte fic (compresa TWOIAN - La Battaglia del Crogiolo di evil 65) viene utilizzato come headcanon, diciamo che mi sono accodata a questa parte di fandom.
Il triste background di Kozmotis, come detto in precedenza, si rifa a quello del dottor Trent Marsh il quale, nella serie di riferimento, aveva perso la moglie per mano in un omicida rimasto impunito. L'interrogatorio fra Pitch e Jack segue molte delle dinamiche di quello fra Trent e Tommy.
Per finire i doverosi riferimenti a Body of Proof e a quanto Megan e Tommy abbiano dinamiche Jelsose, il loro scambio di battute finali - prima della fatidica telefonata - viene (anche se con opportune modifiche) direttamente dalle loro bocche.
Grazie per aver letto e, come sempre, qualsiasi segno del vostro passaggio vorrete lasciarmi mi farete molto felice ♥
Alla prossima
Cida


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Capitolo 7
*** Cap. 6 - Fear ***


Capitolo 6

 

Quattro donne in elegante abito da sera ad occupare la sala di attesa di una stazione di polizia, nel pieno della notte, era uno spettacolo quanto mai curioso, capace di attirare ben più di uno sguardo. Tuttavia, bastava guardare il trucco disfatto e il viso disperato di una di loro per comprendere che, in quella scena, non ci fosse niente di divertente.
A nulla era valsa la corsa a sirene spiegate verso casa e l'aver chiamato un gran numero di rinforzi: la porta era spalancata e, nel vedere il corpo di Gerta riverso sul pavimento, il loro cuore aveva fatto una capriola di più nel petto, di Freja nemmeno l'ombra. L’avevano presa per davvero.
Elsa non aveva abbandonato le spalle della sorella neanche per un attimo, da quando Kristoff – assieme a Jack - era sparito all’interno dell’ufficio del capo della polizia, richiamato al suo posto con urgenza.
Il suo cellulare vibrò e istintivamente si irrigidì ma, questa volta, la chiamata era diretta al suo numero personale: l’ospedale. Si staccò appena per rispondere e, quando tornò da lei, Anna alzò lo sguardo distrutto nella sua direzione con una muta domanda sulle labbra.
«Gerta si è ripresa:» le spiegò «è ancora intontita e non ricorda bene cosa sia successo, la terranno in osservazione ancora qualche giorno.»
Proprio in quel momento anche i due detective tornarono da loro. Entrambi avevano il volto tirato ma su quello di Kristoff si poteva leggere la solita cupa paura della moglie, con l'aggiunta di una cosa: rabbia.
«Mi hanno sospeso dal caso!» quasi ringhiò.
Anna si alzò in piedi «Cosa e perché?»
Kristoff strinse i pugni «Sono troppo coinvolto…»
«Certo che sei troppo coinvolto!» sbottò l’altra di rimando «È tua figlia quella che hanno rapito! Nostra figlia! Non possono impedirti di cercarla.»
«È quello che ho detto al signor Bunnymund, infatti.»
Jack, al suo, fianco sospirò «Prenderlo per il collo non è stata una grande mossa…»
L’altro lo guardò truce «Che cosa avrei dovuto fare? Sembrava quasi contento che abbiano rapito mia figlia perché, così, hanno commesso un passo falso!»
«Il signor Bunnymund non è mai contento e, di sicuro, non ha tatto ma così facendo gli hai dato prova di non essere affidabile, di non saper tenere a bada le emozioni.»
«Ti assicuro che se qualcuno di questi Fearling torcerà anche solo un capello a mia figlia, le mie emozioni saranno l'ultimo problema di chiunque!»
«Questo lo comprendo perfettamente.» concesse Jackson con un sorriso spento «Per questo farò del mio meglio per trovarla al posto tuo e non avrò pace finché non ve la riporterò sana e salva.» Prese fiato, poi, continuò: gli occhi accesi dalla determinazione «Elsa,» chiamò «ospitali a casa tua per un paio di giorni, penso sia la cosa migliore.»
Lei annuì, rafforzando la stretta sulle spalle della sorella.
«Anche tu dovresti prenderti una pausa, stiamo pur sempre parlando di tua nipote.»
«Stai tagliando fuori anche me, per caso?» ribatté dura, presa in contropiede.
«No, ti sto dicendo di stare vicina alla tua famiglia perché ne ha bisogno. Se avrò necessità di un aiuto dal tuo dipartimento, ci sarà Jane a fornirmelo. Giusto?»
«Assolutamente sì!» rispose quella «Tutto quello che ti serve.»
«Vedi?» le spiegò «Inoltre so dove trovare te, se necessario.»
«Come ti muoverai?»
«Un passo alla volta:» le andò vicino «dammi il tuo telefono, per favore.»
«Perché?»
«È l’unico punto di partenza che abbiamo: Kristoff anche il tuo, non importa che sia rotto. Potete prendere le vostre schede personali ma, per il momento, quelle di servizio le terremo noi, così come i cellulari. È lì che vi hanno chiamato ed è da lì che partiremo.» Sospirò «Credo possiate andare a casa adesso, cercate di riposare un po’. Tu no, principessa...» richiamò all’ordine la più giovane del gruppo «Abbiamo del lavoro da fare.»
«D’accordo!» si rese subito disponibile lei, recuperando i dispositivi dalle loro mani «Ti aspetto nel mio ufficio. Non preoccuparti  Kristoff, se c’è una minima traccia la scopriremo.»
Lui annuì e la salutò con un cenno del capo. Anche Anna si alzò ma, anziché dirigersi verso la porta, andò verso Jack e, quando gli fu abbastanza vicina, alzò il suo sguardo arrossato su di lui «Riportala a casa.»
«Te lo prometto.»
Lei tirò su col naso «Andiamo?» esortò il marito. Prima che Kristoff potesse muoversi, però, Jack gli posò una mano su una spalla e lo attirò a sé, sussurrandogli qualcosa in un orecchio. Poi, distese il braccio e gli fece un cenno di coraggio col capo.
Per la prima volta in quella nottata da incubo, le labbra del detective Bjorgman si tirarono in un flebile sorriso «Grazie.»

§

Jackson raggiunse Rapunzel con due tazze di caffè fumanti «Tieni principessa, ne avremo bisogno.»
Lei, già all’opera, soffiò un rapido grazie senza neanche staccare gli occhi dallo schermo. 
Si sedette sulla seggiola al suo fianco e ne seguì l’esempio di mettersi comodo: si liberò del papillon, sbottonò l’asfissiante ultimo bottone del collo della camicia e si liberò della giacca.
Punzie sistemò appena la felpa rosa che si era buttata a coprire le spalle e tamburellò i piedi nudi sul legno del soppalco, le scarpe col tacco finalmente abbandonate con grande sollievo «Ti avviso subito:» gli disse «dubito riusciremo a risalire a chi ha chiamato tramite il numero di telefono.»
«Quindi in mano non abbiamo nulla?»
«Oh no, qualcosa abbiamo!» digitò rapida una combinazione di tasti e una voce uscì dalle casse del suo computer.
Jackson sgranò gli occhi «Ma questo è…»
«La conversazione fra Kristoff e i rapitori, sì!»
«Ma com’è possibile?»
«Immagino non leggiate mai i termini e le condizioni dell’utilizzo del materiale di servizio, non è vero?»
L’espressione del detective fu abbastanza eloquente da fornirle una risposta anche senza bisogno di parole.
«Un classico…» commentò con una breve risatina «Anni fa, ben prima che cominciassi a lavorare qui, il nostro dipartimento seguì un caso in cui era coinvolta un’importante famiglia malavitosa. Molte delle persone coinvolte cominciarono ad essere contattate, minacciate, ricattate. Da allora, tutte le chiamate sospette vengono registrate in modo da poter essere consultate all'occorrenza. E' stata una fortuna che abbiano chiamato su questo numero. Purtroppo non abbiamo quella di Elsa, in quanto il dipartimento di medicina legale non fa parte del nostro ma, essendo stata una chiamata in contemporanea, la parte che ci interessa è esattamente la stessa.»
Jackson ci pensò un po’ su «Ma perché hanno chiamato proprio sul numero di servizio?»
«Perché volevano colpirli nelle cariche che ricoprono?»
«Possibile…» concesse «ma perché anche Elsa?»
Rapunzel lo guardò, non capendo «Queste domande retoriche ci aiuteranno come?»
«Giuri che non ripeterai quello che sto per dire?»
«O-ok» promise, perplessa.
«Non credo neanche io che lo stia per fare, per molteplici ragioni, ma il signor Bunnymund ha ragione.» affermò risoluto «Rapire Freja è stata una mossa avventata, come se avessero avuto paura. Noi siamo convinti di non avere nulla in mano ma se sbagliassimo? Sia noi che Elsa dobbiamo aver trovato qualcosa, altrimenti perché esporsi a questo modo? Fai andare di nuovo la registrazione, per favore.»
Lei obbedì.
Jack sospirò frustrato «Con i rumori della festa in sottofondo è impossibile risalire a qualche informazione sul luogo della chiamata.»
«Quei rumori si possono facilmente isolare ma, con un raggio di ricerca pressoché infinito, non credo che qualche semplice rumore possa esserci di grande aiuto.»
«Smettila di tenermi sulle spine e dimmi che cosa abbiamo!»
Rapunzel sorrise «Questa voce è contraffatta in maniera digitale, no? Con un bel po’ di lavoro e un discreto numero di ore di sonno perse, dovrei riuscire a risalire a quella originale.»
Jack quasi si ribaltò dalla sedia «Davvero puoi farlo?»
«Sono quasi certa di sì.»
«Principessa togli quel quasi e ti sarò riconoscente a vita!»
«A proposito di riconoscenza: visto che non potrò muovermi da qui per un po’, potresti andare a questo indirizzo, per favore? La mia coinquilina ti darà un cambio. Ah, anche del cibo sarebbe gradito, grazie.»
Le labbra di Jackson si tirarono in un sorriso mentre si alzava «Come desidera!» le disse con un profondo inchino «Avvisami in caso di aggiornamenti.»

§ 

Elsa socchiuse molto lentamente la porta della camera da letto alle sue spalle e tornò verso il salotto, dove il cognato era seduto.
A differenza di Anna, che aveva potuto usufruire di un morbido pigiama della sorella, Kristoff portava ancora i pantaloni e la camicia dello smoking di quella disastrosa serata.
«Si è addormentata?» le chiese, quando gli fu abbastanza vicino.
Annuì «Il calmante ha fatto effetto…»
«Era esausta.»
«Così come lo sei tu.»
Kristoff alzò gli occhi su di lei «Perché, tu no?»
Trovarono chissà dove la forza di sorridere entrambi «Che ti ha detto Jack prima di andare via?» chiese curiosa.
«Te ne sei accorta, eh?» le disse, guardandola di sottecchi «Mi ha detto che mi terrà aggiornato.»
Tipico suo, quello di andare contro alle regole pur di aiutare qualcuno a cui teneva.
«Stai sorridendo, per caso?»
Bastarono quelle parole per farle sparire la curvatura delle labbra «Tu hai bisogno di riposare.»
Kristoff sbuffò appena per la sua testardaggine «Mi sdraierò qui, tanto non credo proprio sarò in grado di chiudere occhio…»
«Dovresti prenderlo anche tu quel calmante e andare da Anna: non esiste che tu rimanga qui sul divano!»
«Ma è il tuo letto!»
«Letto dove c’è tua moglie: avete bisogno l’una dell’altro, ora più che mai.»
Lui cedette «Grazie, Elsa, cerca di riposare anche tu.»
«Ci proverò. Kristoff?»
«Sì?»
«Abbi fiducia in Jack, non mollerà finché non la troverà.»
Lui sbuffò appena «Sto morendo di paura, sapendo con chi abbiamo a che fare ma di Jack non ho dubitato nemmeno un secondo. Lo so, non si perdonerebbe mai se dovesse succederle qualcosa.»

 §

Jack fu di parola: a mezzogiorno in punto si presentò all'appartamento con un pranzo da asporto per tutti, Anna dormiva ancora.
Dopo aver aggiornato Kristoff sulla pista che stavano seguendo al momento e prima di congedarsi, inaspettatamente, aveva chiesto ad Elsa un favore.
«Grazie per essere venuta.» le disse, mentre entravano nell’ospedale «Sono certo che Gerta sarà più tranquilla nel vedere un viso conosciuto.»
Elsa inarcò un sopracciglio «Ma lei ti conosce, lavora per la mia famiglia da sempre!»
«Beh, sono un bel po’ di anni che non mi vede, non credi?»
Salirono al piano con l’ascensore, fuori dalla porta della camera c'era già il medico ad aspettarli «Per favore, fate che sia una cosa rapida: la signora è molto scossa, agitarsi non le fa bene. Sono certo capirete.»
Lei annuì «Certo, dottore.»
«Prego, entrate: tornerò fra dieci minuti.»
«Grazie.»
«Signorina Elsa!» la riconobbe subito la donna, era coricata sul letto ma sveglia «Che piacere vederla! La signorina Anna come sta? Le dica, per favore, che mi dispiace, mi dispiace di non aver saputo proteggere Freja!» le disse, la voce subito rotta dai singhiozzi e gli occhi pieni di lacrime.
Elsa le fu subito al fianco, prendendole una mano nelle sue «Gerta, non faccia così: non è stata colpa sua!»
«Sì, invece, io quella porta non la dovevo aprire!»
«Dubito molto si sarebbero fermati di fronte ad una porta chiusa, signora.» intervenne a quel punto Jackson.
La donna spalancò gli occhi arrossati «Jackson Overland! E' tornato! Quanto tempo è passato?»
Lui sorrise «Un bel po’, temo…»
Gerta tirò appena su col naso «Lo sguardo è sempre lo stesso.» l’affetto per quei tempi si lesse limpido nei suoi occhi scuri: giorni in cui Elsa ed Anna erano ancora ragazze spensierate e i signori Bleket ancora vivi. Poi guardò Elsa e fu folgorata da un’illuminazione «Ma voi siete tornati…»
«No, Gerta:» anticipò entrambe Jackson «siamo solo colleghi. Sono un poliziotto, il compagno di squadra del marito di Anna»
«Il signor Kristoff…» si rabbuiò «Anche lui sarà molto deluso da me…»
«Non dica sciocchezze…» cercò di rincuorarla Elsa.
«Non poteva fare nulla quella sera…» le spiegò Jack «ma può aiutarci adesso, cosa ricorda?»
«Non molto, purtroppo: avevo appena messo Freja a letto ed ero scesa a risistemare i giochi che avevamo lasciato in salotto, quando il campanello ha cominciato a suonare all’impazzata. C’era un uomo che gridava, chiedeva aiuto, un incidente… sembrava così disperato e io… io l’ho aperto!» riprese a singhiozzare «Appena entrato, mi ha aggredito e mi ha premuto un panno sul viso: ho lottato e lottato ma era troppo forte, ho perso i sensi...»
«Lo ha visto in faccia?»
«Di sfuggita, le luci erano basse ed era tutto sporco in viso, come se davvero avesse fatto un incidente.»
«Non saprebbe descriverlo, quindi…»
Lei scosse la testa, affranta «No, però mi ricordo che era molto alto.»
«Era solo?» chiese Elsa, questa volta.
«Sì… no!» scosse il capo, confusa «Non ho visto altre persone ma, ora che ci penso, mentre ero a terra mi è sembrato di sentire un’altra voce…»
«Signori, il tempo è finito!» li avvisò il medico, rientrando nella stanza.
«D’accordo…» concesse Jackson «Ci è stata molto utile, Gerta. Non si preoccupi: la troveremo e cattureremo i responsabili!»
Elsa le strinse più forte la mano «Pensi a rimettersi, torneremo presto a trovarla.»
La donna ricambiò la stretta «Grazie davvero per essere venuti!» e, quando Jack fu abbastanza lontano, aggiunse «Sono così contenta per lei...»
Lei sorrise «Riposi, Gerta…»
Quando lo raggiunse in corridoio, l’altro stava finendo di ringraziare il medico per la disponibilità.
«Una curiosità, dottore…» s’intromise con delicatezza fra i due «Avete per caso esaminato con cosa Gerta sia stata sedata?»
Lui annuì «Cloroformio: sembra, fortunatamente, non le abbia lasciato danni.»
«Di questo non posso che esserne felice.»
Il medico si congedò.
«Che ti ha detto Gerta?» le chiese Jack, mentre erano in attesa dell’ascensore.
A quanto pareva, non era la sola ad avere una buona visione laterale «Niente d’importante…» mentì «Non che ne avessimo bisogno ma, con il cloroformio, abbiamo la certezza che il rapimento sia collegato al nostro caso.» sviò l’attenzione.
«Esatto.» sospirò lui «Ma ho un dubbio: l’assassino che cerchiamo sembra sapere perfettamente quello che fa e nell’uccidere le sue vittime ha sempre denotato una certa freddezza. Rapire Freja è stato così impulsivo, se fosse stata la stessa persona dubito fortemente ci avrebbe fatto sentire la sua voce…»
«Ho capito.» lo interruppe bruscamente «È mia nipote e a questa eventualità non voglio nemmeno pensare. Stai dicendo che dietro a tutto questo ci potrebbe essere un gruppo di più persone che non agisce necessariamente assieme?»
«Perché no?» le aprì la porta per farle guadagnare l’uscita «Che cosa abbiamo scoperto per spaventare alcuni di loro a tal punto? Non abbiamo nulla in mano: il carico non aveva fenilciclidina, abbiamo i documenti del deposito, non abbiamo mezza traccia. E perché minacciare anche te? Cosa hai scoperto?»
Elsa scosse il capo «Niente: ho chiesto a Jane di ricontrollare minuziosamente le foto dei ritrovamenti ma senza alcun riscontro.»
Jack fece per aprire nuovamente la bocca ma venne bloccato dalla suoneria del suo cellulare «Overland!» rispose. Rimase in ascolto per qualche secondo, poi il suo sguardo s’illuminò «Sei un genio, principessa!» buttò giù «Rapunzel ha trovato la chiave per eliminare la contraffazione della voce, fra poco dovremmo riuscire a sentire il reale timbro del rapitore. Devo tornare al dipartimento, ti riaccompagno a casa?»
«Oh no, per carità,  non fare aspettare la tua principessa…»
Confuso, inarcò un sopracciglio «Sei sicura?»
«Sicurissima, c’è un posto dove devo andare prima.»

 §


Freja si rannicchiò nella sua coperta, seduta su di uno sgualcito nudo materasso. S’impose di non singhiozzare, nella poca luce di quella stanza spoglia, illuminata solo da una lampada di emergenza e da un datato televisore che trasmetteva un altrettanto vecchio programma. Era pur sempre la figlia di un poliziotto e una recluta a tutti gli effetti, doveva mostrarsi coraggiosa. Almeno non era sola, aveva due fidati aiutanti: Olaf e il Signor Bunny, rimasti avvolti assieme a lei nella coperta con cui l’avevano portata via. Si sentiva ancora tanto stanca, quando si era ribellata - nel momento di scendere dal furgone – quei signori l’avevano fatta dormire e doveva aver dormito davvero tanto, vista la grossa fame che l’aveva accolta al risveglio. Fortunatamente c’era un panino lì ad aspettarla e l’aveva divorato subito, senza pensarci. Così come aveva bevuto con avidità dalla bottiglia d’acqua che le avevano lasciato al fianco. Quando il pensiero tornò alla sua mamma e al suo papà, per forza di cose, gli occhi cominciarono a pizzicare e le lacrime cominciarono a scendere senza possibilità di fermarsi. Tuttavia non fiatò, sebbene non fossero stati poi così cattivi con lei, non ci teneva che quei tipi tornassero. Si strinse maggiormente ai suoi amici, per sentirsi meno sola e si sdraiò, sperando ardentemente che il suo papà arrivasse a salvarla il prima possibile.

 §


«Dottoressa Bleket, ma quale gradita sorpresa!» la accolse il dottor Kozmotis Pitchiner, con un mezzo sorriso «Mi era parso di capire che avesse deciso di non aver più bisogno dei miei servigi ma, prego, si accomodi.»
Elsa non fece un passo «Non ho cambiato idea.»
«Allora mi illumini: a cosa devo questa sua inaspettata visita?»
«Li richiami!» gli ordinò senza mezzi termini.
Lui inarcò le sopracciglia stupito «Chi dovrei richiamare, di grazia?»
«I suoi Fearling, o comunque gli piaccia farsi chiamare…» sibilò fra i denti.
Gli occhi castano-dorati di Kozmotis Pitchiner brillarono, quasi divertiti «Miei?» sorrise sarcastico «Temo stia facendo un grosso buco nell’acqua, dottoressa.»
Elsa lo guardò gelida «E’ inutile mentire con me, io lo so che c’è lei dietro a tutto questo: vuole arrivare a chi ha ucciso sua moglie e sua figlia, la capisco, ma non aiuterà a riportarle indietro…»
L’espressione sul viso di lui s’indurì «Lei non sa nulla.»
«Quello che so è che non c’è giustizia nel rapire una bambina dalla sua casa, strapparla all’amore dei suoi genitori e minacciare di ucciderla per attuare un vile ricatto: li richiami!» ripeté risoluta.
«Dottoressa…» sibilò lui gelido «Ammesso e non concesso che ci sia io dietro a tutto questo, crede davvero che bestie di quel calibro, una volta liberate, possano essere richiamate come cagnolini ubbidienti? La sua ingenuità mi delude.»
Elsa prese un grosso respiro e abbassò il capo, stringendo i pugni: mettendo a dura prova il cuoio della sua borsa «Sono certa che quello che sto per dirle non la deluderà…»
«Prego…» la invitò, curioso.
«Se succederà qualcosa a mia nipote,» cominciò a dire, rialzando lo sguardo «io la ucciderò!»
L’altro ghignò, piacevolmente stupito «Non ne sarebbe capace…»
«Non ci scommetta, dottore.» continuò lei «Lo ha detto lei stesso, chiunque può uccidere: basta solo la motivazione giusta. Sono certa non vorrà mettere alla prova la mia.»
«Dottoressa, lei è una sorpresa continua…» si complimentò quello, senza però l’ombra di un sorriso sul volto «Ma, se non le dispiace, la pregherei di andarsene, ho davvero ancora molto lavoro da portare a termine prima della fine di questa giornata. Arrivederci.»
«Ci può scommettere…» disse lei, voltandogli le spalle «Presto o tardi, io rivedo tutti


 §


Non appena aveva riconosciuto la voce del rapitore, Jackson aveva chiesto a Rapunzel due cose: una consisteva nel fare una consegna, l’altra attendeva paziente all’interno di una delle sue tasche. Parcheggiò l’auto sul retro dell’edificio, rimanendo lontano dalle telecamere di sorveglianza. Tirò ben su il colletto del suo giaccone scuro, poi sfoderò torcia e pistola. Scivolò rapido fra le ombre, sgusciando fra i muri come una folata di vento: ogni punto cieco fidato alleato nella sua avanzata. Gli ci volle qualche minuto per trovare un punto d’ingresso: il deposito, da quel lato, era completamente al buio, ad esclusione delle luci di emergenza che ronzavano quasi minacciose, conferendogli un’aria fatiscente. Decise di non accendere la torcia, non ancora almeno, tuttavia non abbassò la pistola. Si mosse circospetto fra quei lugubri corridoi, silenzioso come uno spettro, ma il cuore che gli rimbombava nelle orecchie all’impazzata lo rendeva vivo più che mai. Camminò per un tempo che gli parve infinito, in quei luoghi che non sembravano aver visto passaggio umano da molto tempo. Sperò seriamente che quei due balordi non avessero fatto il passo più lungo della gamba con qualcosa d’irreparabile. Mentre quel lugubre pensiero lo riempiva di paura, improvvisamente lo sentì: un jingle di un vecchio programma televisivo. Si avvicinò con cautela a quella porta chiusa, il cuore in gola: l’interno celato dal legno scuro. Saggiò la maniglia e la trovò chiusa a chiave. Gli sembrò di sentire del movimento, la TV si spense. 
«Chi c’è?» pigolò una vocina dall’altra parte.
Jackson sgranò gli occhi e si avventò sulla serratura, non si aprì. Prese la pistola e con il calcio la colpì una, due, tre volte – ogni colpo come un tuono nel silenzio del corridoio – e quella, finalmente, cedette.
«Freja!» esclamò, entrando. 
Nel vederlo, la paura sul viso della bimba si trasformò in un grande sollievo «Zio Jack!» lo chiamò in lacrime, correndogli fra le braccia.
Lui la strinse forte e le baciò la testa «È tutto a posto, piccola, ti ho trovato: torniamo a casa.»
Lei recuperò i suoi pupazzi, non li avrebbe lasciati per niente al mondo, e si lasciò prendere. Jack rafforzò la presa, mentre con la mano libera continuava a tenere ben salda la pistola. 
Ansioso di andarsene da lì il prima possibile, fu incauto: il braccio sporto in avanti venne colpito violentemente con un vassoio, dal basso verso l’alto, all’altezza del gomito. Il dolore gli fece perdere la presa sull’arma che svanì nell’oscurità, solo un istinto primordiale gli fece tirare indietro la testa quel tanto che bastava per essere preso in viso solo di striscio anziché in pieno, il metallo lo ferì comunque.
Questa volta reagì e spinse forte contro la porta, schiacciando il suo assalitore fra il legno ed il muro. Non perse tempo a decifrare l’imprecazione che ne seguì, corse via il più velocemente possibile. 
Fu allora che saettò il primo sparo. Il rimbombo gli raggelò il sangue, strinse Freja ancor di più e si nascose nella prima stanza disponibile: un vecchio spogliatoio in disuso. 
«Stai bene?» le chiese preoccupato.
Lei annuì, fortunatamente il colpo sparato alla cieca non era andato a buon segno. A quanto pareva, erano più pericolosi di quanto avesse ipotizzato: continuare a tenere Freja in braccio era troppo rischioso.
Si avvicinò ad un gruppo di armadietti malandati e fece scendere la bambina, stando ben attento a non perdere di vista la porta nemmeno per un secondo. Dal corridoio arrivavano voci concitate: litigavano? Da lì non riusciva a capire per cosa. Cercò nelle tasche «Freja, sai cos’è questo?»
La bimba fece segno di sì con il capo una seconda volta.
«Bene.» cercò di sorriderle «Questo permetterà a papà di trovarti presto. Tu, però, devi aspettarlo qui.» le disse spingendola delicatamente in un armadietto «Non preoccuparti, non ti cercheranno: saranno troppo occupati con me…»
Lei spalancò gli occhi dalla paura «Non chiudermi qui, zio Jack, non lasciarmi sola!»
«Non è facile, lo so… ma loro sono armati e non posso davvero lasciare che ti facciano del male. Chi lo sente tuo padre, altrimenti? O ancor peggio tua madre!» celiò per cercare di smorzare la tensione, sperando che la poca luce potesse mitigare la preoccupazione sul suo volto «Non ti lascerò sola, Olaf e il Signor Bunny veglieranno su di te come hanno fatto fino ad ora.»
«Ma ho anche tanto freddo…» protestò, piagnucolando appena.
Jack imprecò mentalmente, non aveva preso la coperta «Tieni la mia giacca e stai nascosta qui dentro: andrà tutto bene, te lo prometto. Qualsiasi cosa sentirai, non uscire per nessun motivo. Chiudi gli occhi e pensa solo a cose belle. Quando li aprirai di nuovo, ci sarà il tuo papà davanti a te.»
Freja tirò su col naso ma acconsentì, si lanciò al suo collo un’ultima volta e lui ricambiò la stretta con tutto il calore che era in grado di trasmetterle, poi, chiuse l’armadietto e se ne andò.


  §

Anna non si era ancora alzata dal letto: forse dormiva ancora, forse faceva finta, Kristoff non si era premurato di scoprirlo. Quando Elsa era uscita con Jack non aveva più avuto il coraggio di raggiungere nuovamente la moglie, d’altronde come avrebbe fatto a rassicurarla? Era lì, inerme, mentre sua figlia era in mano ai rapitori: con che coraggio poteva stringerla fra le sue braccia di vigliacco?
Il signor Bunnymund gli aveva tolto la pistola e il distintivo, per essere ben sicuro che non muovesse un dito… o che, almeno, non facesse sciocchezze. Nel tardo pomeriggio, sua cognata era rientrata a casa ma non aveva neanche avuto il tempo di togliersi le scarpe che il cellulare provvisorio le aveva notificato un messaggio: non aveva fatto un fiato, probabilmente credendoli ancora addormentati, e aveva composto un altro numero, uscendo da dove era appena entrata. Nascosto dalla penombra del salotto e dallo schienale del divano, gli era parso di sentire il nome di Jane, Elsa di lui non si era nemmeno accorta. Aveva piena fiducia nelle capacità di Jack ma non poteva davvero più stare con le mani in mano, perciò si era deciso ad accendere la luce e di smettere di attendere passivo il susseguirsi degli eventi. Aveva preso il suo taccuino, quello non si erano premurati di toglierglielo, e si era diretto all’ampia isola della zona cottura, acceso la luce e messo su il caffè, di cui aveva un disperato bisogno.
Richiamata dalla luce o magari dall’aroma, Anna lo raggiunse. Guardandola negli occhi, comprese: non stava dormendo affatto.
«Che cosa stai facendo?» gli chiese con voce roca, la gola chiusa dall’angoscia.
Non si stava riferendo al caffè. «Ripercorro il caso.» le spiegò «Mi hanno tolto tutto ma non questo!» disse, indicandosi la testa «Se c’è un modo per…»
«Ti aiuto!» si offrì sua moglie senza nemmeno farlo finire «Qualsiasi cosa, ti prego.»
Kristoff sorrise debolmente di quel legame che li univa in maniera indissolubile e se ne infischiò altamente del caso secretato: era di Freja che si trattava e loro avevano tutto il diritto di essere coinvolti. Parlarono a lungo e lui le raccontò ogni cosa: tremarono assieme ma facendosi anche forza l’un l’altro. Quando lui non ebbe più fatti da raccontare, Anna rialzò lo sguardo e diede nuovamente voce al quesito a cui, almeno per il momento, nessuno sembrava avere una risposta «Non ha senso, perché hanno rapito Freja? Di cosa mai abbiamo peccato per punirci a questo modo?»
«Hanno avuto paura: dobbiamo esserci avvicinati a qualcosa, per forza! Ma a cosa?» sbottò Kristoff, sbattendo il pugno sul piano «Tutti i possibili sospettati hanno un alibi, Rider ha mentito e dal deposito non abbiamo ricavato un ragno dal buco…»
«Avete i documenti, è vero... però... da come me ne hai parlato, questo Rider mi sembra, sì, un bel furfante ma non uno che abbia intenzione di fregarti…»
Di questo ne era sempre stato convinto: e se
Inarcò le sopracciglia, folgorato da un’illuminazione ma, proprio in quel momento, il citofono suonò. Sussultarono con il cuore in gola, per poi tirare un sospirò di sollievo quando scoprirono l’identità del loro inaspettato visitatore, o meglio, visitatrice: Rapunzel.
«Punzie, che ci fai qui?»
«Mi manda Jack:» gli spiegò, il volto tirato dalla stanchezza «mi ha pregato di darti questo.»
Kristoff capì immediatamente di cosa si trattasse «Lui dov’è?»
«Non lo so: sono riuscita a decodificare la voce di chi ti ha chiamato, appena l'ha sentita è come impazzito. Mi ha chiesto un rilevatore e di portare questo a te, non so altro.»
«Puoi farla sentire anche a me?»
«Certo, ho qui il mio portatile.» gli rispose, mostrando la sua tracolla. Prima ancora di riuscire a sfilarlo, però, il dispositivo nelle mani di Kristoff vibrò e cominciò a suonare ritmicamente: il rilevatore era stato acceso.
«Punzie!» esclamò, la voce nuovamente accesa dalla trepidazione «Devi cercare una persona per me, Anna dalle la password di tua sorella.»
«Quella la recupero in due secondi…» gli fece presente lei «Dove vai?»
Lui guardò la moglie dritta negli occhi «Vado a prendere nostra figlia!»
Anna drizzò di colpo il capo «Voglio venire con te.»
«No!» le intimò risoluto «Non so di preciso a cosa andrò incontro e non posso mettere in pericolo anche te. Abbi fiducia in me, ti prego.»
Lei si strinse le mani al petto ma annuì.
«Punzie, prenditi cura di lei.»
Uscì di corsa, praticamente volando giù dalle rampe di scale. Il telefono all’orecchio, pronto a chiamare i rinforzi: quel che non sapeva era che qualcuno era già ad attenderlo fuori.


  §


Il fatto di aver perso la pistola bruciava a Jackson ancor più della ferita alla testa. Sperò che Punzie avesse già consegnato il tracciatore a Kristoff e che Elsa avesse letto il suo messaggio. Se sì, entrambi lo avrebbero raggiunto al più presto e, con un po' di fortuna, accompagnati da un discreto numero di rinforzi.
Al momento, lui poteva contare solo sulla sua torcia, accesa come un faro per attirare su di sé le attenzioni dei rapitori e allontanarli da Freja il più possibile. Erano vicini, glielo diceva ogni fibra del suo corpo, tesa come una corda di violino.
Per questo, quando un nuovo attacco gli saettò di lato, non lo trovò impreparato: schivò rapido e colpì con il lungo manico della sua lampada. Dal rumore sordo e il grugnito che ne seguirono, capì di aver fatto centro. Roteò su se stesso per aggirare quell’alta figura, che con i suoi occhi ormai abituati a quella luminosità ridotta, riusciva chiaramente a vedere: pronto a sferrare l’ennesimo attacco. 
Ma, solo quando avvertì un cigolio dall'altra parte del corridoio, comprese di essere stato circondato.
«Faccia attenzione detective, da queste parti il ghiaccio è molto sottile…»
Neanche riuscì a chiedersi che cosa c’entrasse quella frase in quel momento: venne investito da un potentissimo getto d'acqua gelida in pieno viso. Il liquido gli entrò in gola, nel naso e lo mandò a sbattere violentemente contro il muro più vicino: tutto fu buio.

 

Sotto il ghiaccio del lago c’è solo freddo, c'è solo oscurità, c'è solo paura. 
L’aria fugge via dai polmoni, spodestata da infida acqua gelata. 
Non c’è più la forza di battere i pugni sulla superficie: le braccia, le mani e le gambe ormai rassegnate ad addormentarsi per sempre. 
Non resta che chiudere gli occhi e abbandonarsi al suono delle sirene.


Quando lo vide dietro al vetro della cella frigorifera, il cuore di Elsa scricchiolò. Spalancò la pesante porta, non senza sforzi, e corse subito al suo fianco.
«Jack, Jack!?» cercò di riscuoterlo, trascinandolo fuori.
Dapprima lui non si mosse, mandandola nel panico ma quando posò le dita calde sul suo collo gelido, per constatarne il flebile battito, le sue palpebre si aprirono di colpo, il terrore negli occhi.
«E' tutto ok, non sei nel lago, non sei nel lago.» cercò di rassicurarlo, tenendogli il viso fra le mani.
L'altro riuscì, finalmente, a metterla a fuoco «Fiocco di neve, sei tu!» balbettò, tremando «Sono lacrime quelle?»
Elsa trattenne a stento un singhiozzo, non era sicura di aver aperto quella porta in tempo «Stai bene?»
Lui mugolò appena «Ugh… ho bisogno di una respirazione bocca a bocca»
Le scappò una mezza risata isterica «Di un pugno in bocca hai bisogno, altroché…»
Le labbra violacee di Jack si tirarono in un piccolo sorriso «Freja?»
«L’ha trovata Kristoff, grazie al tuo segnalatore, sta bene.» lo rassicurò.
«Mi ha chiamato zio…»
«Era chiaramente sotto shock…» lo abbracciò per cercare di dargli un po’ di calore: un’impresa pressoché impossibile, visti i suoi abiti gelidi e zuppi. I suoi occhi si chiusero nuovamente, lei rafforzò la presa «Resisti, i soccorsi saranno qui a momenti.»

Freja è salva! ♥
No, non sono così sadica da permettere che le succedesse qualcosa, ringraziamo tutti zio Jack per questo (sì, ci sono un po' di nostalgiche Seasons vibes). Anche se, con la sua impulsività, è caduto con entrambe le scarpe nella regola numero uno: mai andare contro a dei sospetti da solo.
Proprio tutto dobbiamo insegnargli a questo benedetto ragazzo ù_ù
Elsa ben sa il motivo per cui a Jack non piace l'acqua gelata ma a quanto pare non era l'unica. Maggiori dettagli arriveranno in seguito ma chi conosce il personaggio di Jack Frost può farsi una vaga idea di quello che gli può essere accaduto in passato.
Ammetto che non è stato per niente facile scrivere dell'angoscia di Anna e Kristoff. Spero di essere riuscita a mostrare la loro disperazione e il loro senso d'impotenza anche senza essere entrata troppo nei dettagli, dato l'argomento delicato non volevo rischiare di creare un pasticcio.
Così come spero che la reazione di Freja sia risultata credibile, sia nella parte da sola che con Jack.
I nodi stanno venendo al pettine... tutti? Questo non credo!
Per cui se avete ancora tante domande, nei miei piani c'è l'intenzione di svelare tutte le risposte.
Per i doverosi riferimenti a Body of Proof, la frase con cui Elsa si congeda da Pitch è la stessa con cui Megan si rivolge a Trent Marsh in uno dei loro scambi. Mentre la richiesta di una respirazione bocca a bocca, con relativa risposta, viene da uno scambio fra Tommy e Megan.
Come sempre vi ringrazio per essere arrivati fin qui, per aver aggiunto questa storia in qualsiasi tipo di lista e per ogni parere che avrete il piacere di lasciarmi (scusate se non sono molto attiva con le risposte ma, prima o poi, arriverò).
Considerando che sono piuttosto certa di non riuscire a ripubblicare alcunché prima delle imminenti festività: vi faccio i miei migliori auguri per tutto! ♥
Alla prossima
Cida


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Capitolo 8
*** Cap. 7 - Wrong perspectives ***


Capitolo 7

 

Rapunzel chiuse il rubinetto dell’acqua, stizzita. Sempre più frustrata, recuperò uno straccio e iniziò ad asciugare i piatti. Era sola quella sera: la sua coinquilina l’aveva abbandonata per andarsene a un qualche tipo di festa. A nulla erano valsi i suoi tentativi di convincerla ad accompagnarla, quella sera aveva spazio per una cosa soltanto: il rimugino.
Non era un’operativa, lei, perciò aveva accolto con entusiasmo la richiesta di Kristoff di rintracciare il suo informatore scomparso; un po’ meno aveva gradito il compito di andare a stanarlo di persona. Trovarlo non era stata un’impresa semplice ma neanche impossibile, di fatti, era convinta di essere riuscita a contattarlo e a combinare un incontro. Si era presentata sul luogo dell’appuntamento tesa come una corda di violino ma, più il tempo era passato, più le era stato chiaro che non si sarebbe presentato affatto. Aveva peccato d’ingenuità e questo la metteva a disagio: era pur sempre una poliziotta e l’essere ingenui non era un punto a suo favore. Fallire – inoltre – non le risultava piacevole.
Rabbrividì, per un’improvvisa folata d’aria proveniente dalla finestra che – pensò, inarcando le sopracciglia – avrebbe dovuto essere chiusa.
«Ehi! »
Una voce profonda alle sue spalle la fece sussultare: recuperò d’istinto la prima cosa che le capitò sotto mano e vibrò un fendente laterale, mentre un grido acuto le sfuggiva dalle labbra.
La padellata colpì l’intruso fra la spalla e l’orecchio, mandandolo al tappeto con un grugnito di dolore.
«Chi sei tu? Come hai fatto ad entrare qui? »
Lui fece leva sulle braccia e si girò con fatica, portandosi a sedere per terra: impossibile capire chi fosse, coperto com’era dal cappuccio della felpa.
«Ehi, calma, biondina: già che il naso mi è stato incredibilmente risparmiato, ci terrei a mantenere intero almeno quello. » mugolò di dolore e si alzò.
Rapunzel non abbassò la sua arma improvvisata «Chi sei? » ripeté.
L’altro si scoprì il viso, mostrando quelli che avrebbero dovuto essere dei bei lineamenti, ora deturpati da lividi ed escoriazioni «Flynn Rider, mi stavi cercando, no?» sorrise piacente, pentendosi non appena il labbro spaccato gli inviò una stilettata di dolore. Tuttavia, questo non gli impedì di mantenere un tono spavaldo «Se avessi saputo che il detective Bjorgman aveva colleghe carine come te, gli avrei chiesto di fare cambio.»
«Tu! » sgranò gli occhi lei «Non ti sei presentato al nostro appuntamento! »
«Volevo capire con chi avessi a che fare... » si giustificò.
«E hai pensato bene di introdurti in casa mia, rischiando di farmi venire un infarto. Come mi hai trovata? »
Flynn inarcò un sopracciglio e, dentro di sé, imprecò nuovamente «Ti ho seguita, non sei stata molto cauta… »
Rapunzel arrossì «Non credevo di dover stare attenta. Come sei entrato? »
«Sono un ladro, no? » mosse un passo verso il tavolo della piccola cucina «Posso sedermi? Sai com’è… » le chiese, mostrandole le sue ferite. Non aspettò una risposta e si accomodò, con una smorfia di dolore «La domanda è: come tu sia riuscita a trovarmi… »
«Faccio parte del reparto informatico. » gli spiegò, abbassando finalmente la padella «Hai bisogno di qualcosa? » gli chiese, preoccupata per le sue condizioni.
«Scotch? Whisky? »
Lei scosse il capo «Non ci sono alcolici in questa casa. »
L’altro si impose di non sorridere «Dovevo immaginarlo. Dell’acqua fresca andrà benissimo. »
Rapunzel recuperò un bicchiere, lo riempì e glielo passò, andandosi a sedere dall’altra parte del tavolo: di fronte a lui ma mantenendo una certa distanza di sicurezza «Dovresti andare in ospedale. »
«Biondina, non credi che se avessi potuto andarci lo avrei già fatto? »
«Chi ti ha ridotto così? »
«Sono stato incauto, recuperare le informazioni per voi mi è costato caro: con le Iene non si scherza.» la guardò «Per questo ho preferito seguirti: nessun posto è più sicuro della casa di una poliziotta... »
«A quanto pare no, » gli disse lei, sorprendendolo «dato che chiunque può entrare. » lo guardò di sottecchi.
«Ma hai un ottimo sistema di sicurezza… » stette al gioco lui, lanciando un’occhiata alla padella.
Rapunzel sorrise «Sono infallibile con quella, vedi di stare attento. »
«L’ho notato… » concesse, sfregandosi l’orecchio offeso.
«Perché hai mentito? » gli chiese subito, senza ulteriori preamboli.
«Mentito? » ribatté, stupito.
«Non c’era fenilciclidina nel carico di cui hai parlato a Kristoff. »
«Oh sì che c’era! » ribatté Rider, piccato «Pensi davvero che mi avrebbero conciato così se avessi raccontato delle balle? Le Iene sono convinte che sia colpa mia se il loro carico è stato sequestrato dalla narcotici! »
«Ma questo non è possibile! Quando hai parlato con Kristoff, era già stato confiscato e, forse, persino bruciato!»
«Vuoi andare a dirglielo tu? » le chiese sarcastico.
«Per questo sei sparito? »
«Beh sì: ci tengo alla pelle, più dell’aiuto che mi date. »
«Perché sei venuto qui, allora? » volle sapere, curiosa.
Lui si alzò, non senza fatica «Sono un ladro, un truffatore – è vero – ma se do la mia parola non mi piace passare per bugiardo.» si incamminò, verso la stessa finestra da cui era entrato.
Rapunzel lo seguì «Possiamo proteggerti, sai? »
Flynn Rider le regalò un’espressione ammiccante «Mi proteggeresti tu con la tua padella, biondina? » la punzecchiò, provocando un esasperato roteare di occhi verso il cielo. Questa volta gli risultò impossibile non sorridere «Ti consiglio di mettere infissi più spessi. » le disse, battendo un paio di colpi sul telaio; poi, lo scavalcò e sparì nell’oscurità della notte.

§

«È stata veramente una fortuna che tutto si sia risolto per il meglio. » Il giudice Weselton le diede un leggero buffetto sulla mano «Sai che avreste potuto chiamarmi, sì? Avrei fatto di tutto per aiutarvi. »
Elsa annuì «È successo tutto così in fretta che… »
«Non preoccuparti, » la bloccò lui con un sorriso «quello che conta è che tua nipote stia bene e che abbia potuto riabbracciare i suoi genitori. Non oso immaginare la paura… »
«Moltissima paura ma è finita. »
«E per questo bisogna festeggiare! » Le disse, levando il calice di vino nella sua direzione «Il detective che l’ha trovata come sta? Ho saputo che è finito in ospedale… »
Elsa si morse appena il labbro inferiore «Meglio… » lo informò.
«Sei già stata a trovarlo? È il giovanotto che ti ha accompagnato quella volta, giusto? »
Annuì «Lui. Ma no, non sono ancora andata a trovarlo. Aprono le visite solo oggi, ci andrò nel primo pomeriggio»
Il giudice sospirò, mentre faceva spazio al cameriere affinché posasse le loro portate «Ci sono novità sui fuggitivi? »
Elsa fece altrettanto «Non per adesso, ma sono stati segnalati a tutte le autorità: è solo questione di tempo»
«Ne sono certo, » confermò, affondando il coltello nella carne che aveva nel piatto «Avranno quello che si meritano, quei farabutti» si portò il boccone alla bocca e lo assaporò con gusto «Ma basta parlare di questa triste storia, che ne dici? »
«Direi che è un’ottima idea. » sorrise lei con sollievo, prima di assaggiare il suo salmone.
«Gira un certo pettegolezzo fra le aule di tribunale… » le disse, sorprendendola «… è vero che state pensando di vendere la casa dei vostri genitori? »
Elsa aggrottò le sopracciglia «A quanto pare le voci girano in fretta. »
Weselton sghignazzò «E’ piccolo il mondo, figurarsi una città: quando i nomi hanno una certa importanza, stai pur certa che, presto, tutti sapranno tutto di tutti. »
«Non abbiamo ancora deciso, in realtà… » gli spiegò «Io non sono sicura di volerlo fare e, con quello che è successo, la terapia che Anna dovrà affrontare con la sua famiglia… non ne abbiamo più parlato. »
L'altro si rabbuiò «Non ti rassegnerai mai, non è vero? »
«Mi può biasimare? » gli disse, guardandolo negli occhi.
Trattenne appena il fiato «Penso di no… » rilasciò un piccolo sbuffo «Ma, nel caso decideste e aveste bisogno di una mano per liberare la casa, fatemelo sapere: conosco un paio di aitanti giovanotti che potranno aiutare con i carichi di fatica. »
«Non credo ce ne sarà bisogno ma lo terrò a mente, grazie… »

§

«Fammi capire: davvero gli hai dato una padellata in faccia? »
Davanti all'espressione incredula e divertita del detective Overland – semisdraiato su un letto d’ospedale – le guance dell’agente Sunlight s’imporporarono di vergogna «Ho preso la prima cosa che mi è capitata sotto mano: così impara ad arrivarmi alle spalle, quello scemo! »
«Ti ricordo che sei una poliziotta, dovresti essere preparata a tutto… »
Lei rilasciò un piccolo sbuffo «Una poliziotta che lavora con i computer, non una che viene aggredita di sera nel suo appartamento. »
Jackson sogghignò «Mi sembra che ad essere stato aggredito sia stato qualcun altro: pare tu l’abbia conciato per le feste… »
«Ehi, io l’ho preso solo di striscio: era già tutto pieno di lividi, poverino… »
«Che ti ha detto? »
«Qualcosa sul fatto di lasciargli stare il naso… »
Jack si morse le labbra per evitare di scoppiarle a ridere in faccia «Che ti ha detto del caso. »
«Oh! » comprese e le sue guance, se possibile, s’imporporarono ancora di più «Dice che non ha mentito ed è per questo che gliel’hanno fatta pagare, poverino. »
L’altro inarcò le sopracciglia «E’ già la seconda volta che ti rivolgi a lui con poverino: non è che questo tizio un po’ ti piace? »
Rapunzel avvampò di nuovo «Che dici? Era ridotto male, tutto dolorante: mi spiaceva per lui… »
«Gli credi? »
«Sì! » gli rispose subito, senza esitazione «Sembrava seriamente spaventato: sarà anche un ladro e un truffatore ma io penso che, in fondo, sia un bravo ragazzo. »
«Ok, » disse Jackson, quasi fischiando «ti piace sul serio! »
Rapunzel assottigliò gli occhi e rapida gli sfilò il cuscino da dietro alla schiena per, poi, schiantarglielo sulla faccia «Puoi fare la persona seria, per un momento? »
L’altro si liberò, massaggiandosi al tempo stesso lì dove aveva appena sbattuto sulla testiera di metallo «Ehi, io sarei in convalescenza qui! »
«Oddio, scusa! » lo spirito battagliero di lei scemò, lasciando spazio alla preoccupazione e al rimorso «Stai bene? »
«Sto bene. » sorrise bonario, per poi farsi serio di colpo «Li hanno trovati? »
«Non ancora... » rispose lei, sullo stesso tono.
«Non lavorano da soli! » buttò fuori all’improvviso.
«Oltre alla signora De Vil intendi? » lo vide annuire «Cosa te lo fa pensare? »
«Sapevano cose su di me. » le spiegò «Cose che solo chi mi conosce molto bene o ha letto il mio fascicolo può sapere. »
«Come l’hai capito? »
«Prima di colpirmi con il getto d’acqua hanno detto una frase che, subito, non ho colto ma mi è stata chiara una volta che mi hanno messo nella ghiacciaia… »
«Il tuo incidente nel lago! »
Jack inarcò le sopracciglia, non ne aveva mai parlato con lei.
Rapunzel comprese l’errore  «Sì, ho letto il tuo fascicolo… » confessò, con vergogna.
«Quindi sei una piccola stalker… »
«Ero solo curiosa di sapere chi sarebbe stato il mio nuovo superiore, tutto qui. » gli spiegò, non priva d’imbarazzo «Quello che hai fatto per tua sorella, comunque, è stato davvero eroico: eri solo un ragazzo. »
«Ci siamo salvati a vicenda, se non fosse riuscita a trovare aiuto, le cose sarebbero andate diversamente. »
«Immagino siate molto legati. »
«Anche se facevamo di tutto per non darlo a vedere, lo siamo sempre stati, in realtà: anche ora che siamo distanti, questo legame non si è incrinato. » sospirò «Ma tornando ai nostri amici: è chiaro che sappiano che il killer lavora sulla paura ma, per mia fortuna, non avevano fenilciclidina… »
«O magari si sono spaventati e hanno agito d’impulso… »
Jack sbuffò «Vedi il buono proprio in tutti, eh? »
Rapunzel gonfiò le guance «Intendevo che se avessero voluto levarti di mezzo senza alcun dubbio, avrebbero potuto farlo in maniera molto più veloce e sicura che il lasciarti congelare con i rinforzi in arrivo, tanto più che eri svenuto. »
L’altro tirò le labbra in una smorfia «Mi hanno pur sempre infilato in una ghiacciaia, ben sapendo cosa significasse per me ma posso darti ragione che, magari, sia stato solo un timido tentativo di sbarazzarsi di me. Non mi sembrano tipi così svegli da mettere in atto piani ben congeniati. Ancora non capisco perché avrebbero dovuto fare tutto con estrema attenzione per, poi, capitolare non appena ci siamo presentati al loro cospetto, senza nulla in mano tra l’altro… »
«Io cercherei il lato positivo… » disse la ragazza.
«E quale sarebbe? »
«Intanto, non sei morto. » buttò lì, facendolo sorridere «Freja è sana e salva. » continuò «Prenderli è solo questione di tempo: quando succederà, sono sicura che avranno molto da raccontarci. »
«Principessa, devo dirlo, quasi lo invidio il tuo ottimismo! »
«E fai bene! » gli rispose lei con un’espressione furba «Lo mangi quello? »
Jack si girò appena, così da capire che si stava riferendo al suo budino alla vaniglia che gli era avanzato dal pranzo «Accomodati. »
Rapunzel si slanciò con entusiasmo verso il dolcetto. Quello che lei e, soprattutto, Jack non sapevano era che la finestrella della porta dava, sui loro corpi così vicini, una visuale distorta e, per quegli occhi azzurri che videro la scena di quelle due teste sfiorarsi, la dinamica prese un significato soltanto. La porta rimase chiusa, senza più nessuno davanti.

 §

Jasper e Horace vennero catturati il giorno seguente, ad un aeroporto minore a molte città di distanza. Separarli fu inevitabile, vista l’impossibilità di metterli sulla stessa auto, per via dei continui battibecchi sul di chi fosse stata la brillante idea di scappare via aria con due valigie cariche di contanti.
Sul loro reale coinvolgimento nel caso, però, rimasero ben zitti, anche quando vennero trasferiti in carcere.
Solo quando il cadavere di Cruella De Vil venne ritrovato in pessime condizioni in un canale di scolo, si decisero improvvisamente ad essere più collaborativi.
«Noi non abbiamo ucciso nessuno, diglielo Jasper! »
«È così! » confermò l’altro.
«Difficile da credere, dato che avete lasciato a morire in una ghiacciaia un detective di polizia. » lì incalzò Kristoff: con Jack ancora a riposo consigliato, il signor Bunnymund gli aveva dato una grossa responsabilità, nel metterlo davanti ai rapitori di sua figlia. Sapeva che, dietro a quel vetro, seguiva ogni sua mossa: doveva essere cauto.
«Ci siamo solo spaventati ma non avevamo dubbi che avesse chiamato i rinforzi. Vero, Horace? »
«Certo, neanche lo abbiamo preso quando abbiamo sparato! »
«Quando tu hai sparato, idiota! Fra un po’ è me che prendi! » solo le manette legate al tavolino gli impedirono di dare un colpo sulla nuca dell’altro «Non abbiamo motivo di mentire, non abbiamo neanche chiamato un avvocato! »
«Se, dopo quello che avete fatto, sperate in uno sconto di pena, sbagliate di grosso. »
«Abbiamo trattato bene sua figlia, detective, bastava solo mollare la presa e l’avremmo lasciata andare senza un graffio... » bofonchiò Horace.
«E se non l’avessimo mollata? » sibilò Kristoff, assottigliando gli occhi.
«Non vogliamo uno sconto di pena, » tagliò corto Jasper «ma neanche prenderci colpe che non abbiamo… »
«E di chi sarebbero queste colpe, sentiamo. »
«Non lo sappiamo. »
Il detective inarcò le sopracciglia «Non mi pare granché d’aiuto… »
«Noi eseguivamo solo gli ordini della signora De Vil. »
Kristoff quasi sbuffò «Questo mi sembra un po’ troppo comodo, visto che Cruella De Vil è morta. »
«È proprio perché è morta che vogliamo parlare! » sbottò Jasper.
«Non ci teniamo a fare la sua stessa fine per mano delle Iene! » gli fece eco Horace.
«Allora temo dovrete darmi qualcosa di più… »
«Siamo stati noi a rapire John Lionheart… »
«Come? »
«Attirandolo con la droga del deposito, no? » gli rispose Horace, come se fosse ovvio. 
Era, in effetti, plausibile «E Sabor? » questa, invece, era tutta un'altra storia. 
«A lei ci ha pensato la signora De Vil in persona. »
Kristoff ne fu comunque sorpreso «Sabor non sembrava facilmente raggirabile… »
«Per niente. 
» Confermò Jasper «Ma sa meglio di me che svolgeva un lavoro, come dire, particolare. Se ti prendevi una pallottola o una coltellata, non potevi di certo andare in ospedale. »
«La signora De Vil, per prepararsi agli studi quando era giovane, lavorò come infermiera in un carcere femminile, potete controllare. Lì la ricucì per bene, l'avevano quasi sbudellata in una rissa. Da allora sono rimaste, come si dice? In contatto. »
«Erano amiche? » dare aria a quel concetto lo rese ancor più strano del solo pensarlo. 
Horace rise «Non direi. Avevano un accordo: una pagava e l'altra ricuciva. Non si ammazzavano a vicenda, insomma. »
«Accordo che è stato spezzato da un miglior offerente, immagino... »
«Proprio così, » Jasper annuí «La signora De Vil riceveva dei messaggi, noi andavamo e facevamo quel che diceva. »
«E cosa diceva? »
«Prendere Lionheart, consegnarlo da una parte, recuperare il suo cadavere da un'altra, portarlo nel vicolo di Locksley, consegnare il biglietto, prendere i soldi... »
«Stessa cosa per Sabor, » continuò Horace in un'alzata di spalle «Ad eccezione del prenderla, s'intende. »
Kristoff non avrebbe saputo dire se fosse più stupito o disgustato dalla noncuranza con cui gli raccontavano quelle cose «Dove consegnavate le vittime? Dove recuperavate i loro corpi? I soldi? »
«Ogni volta un luogo diverso: » spiegò ancora Jasper «Usavamo una vecchia auto, la lasciavamo in un parcheggio isolato con le chiavi nel quadro e la persona richiesta nel bagagliaio. »
«Stessa cosa per recuperare i corpi. Solo dopo la consegna, ci veniva detto dove trovare i soldi: sempre contanti. »
Kristoff li guardò e, per la prima volta, vide nei volti di quei due poliziotti - che aveva creduto semplicemente attempati e svogliati - una certa vena di malvagia avidità «Voi siete stati disposti a rapire delle persone, sapendo la fine che avrebbero fatto, e a maneggiare i loro cadaveri solo per un tornaconto economico? »
«Un bel tornaconto economico, detective. » ghignò Jasper «Suvvia, erano mele decisamente marce, vi abbiamo quasi fatto un favore. »
Il fatto di cominciare a reputarli esattamente allo stesso modo, Kristoff se lo tenne per sé «E se non lo fossero stati? » chiese, invece, stringendo d'istinto il pugno, ripensando a Freja chiusa in quell'armadietto, stretta ai suoi pupazzi. 
Horace sospirò, socchiudendo gli occhi «I soldi sono i soldi... »

 §


Jane era preoccupata per Elsa: certo, il rapimento della nipote e il detective Overland – che, per quanto cercasse di nasconderlo era chiaro non le fosse affatto indifferente – finito con urgenza in ospedale erano stati, senza ombra di dubbio, duri colpi. In realtà, però, era solo recentemente che sembrava essere diventata glaciale: più del solito, s’intende.
Sembrava infastidita, arrabbiata persino: come logorata da qualcosa, ma Jane non si sentiva così in confidenza da osarle chiedere in merito, era pur sempre il suo capo.
Capo che la raggiunse proprio in quel momento, attraversando con passo trafelato la porta a vetri che divideva i loro uffici adiacenti.
«Jane! » richiamò la sua attenzione «Ho appena ricevuto una telefonata da Kristoff: puoi recuperare le foto dei ritrovamenti? »
Annuì «Che cerchiamo? » le chiese, mentre si metteva al computer.
Elsa le andò vicino, piegandosi un poco verso di lei e lo schermo «Mi sono ricordata di una cosa che mi dicesti quando abbiamo controllato i presenti con il programma di riconoscimento facciale: a parte le forze dell’ordine. »
La ragazza si stupì della memoria della donna al suo fianco.
«Guarda se ci sono questi. » bloccò ogni sua possibile reazione sul nascere, mostrandole un foglio con due foto, era chiaramente in tensione «Trovi la versione digitale nella nostra cartella condivisa. »
Jane recuperò i file e settò i parametri di ricerca, la risposta arrivò rapida e precisa «Eccoli lì! » erano ripresi parzialmente e sullo sfondo ma era indubbio che fossero loro, su entrambe le scene per di più «Sono… »
«I rapitori di Freja, sì. » le sembrò quasi di sentirla imprecare a denti stretti «Come posso essere stata così superficiale? »
«Che dici? »
L’altra sbatté un palmo sul vetro del piano «Sono della polizia giudiziaria! Hanno anche le divise, non avrebbero dovuto essere lì! »
«Elsa, non è colpa tua! C’era pieno di poliziotti, come avremmo potuto notarlo? »
«Invece dovevamo, dovevo! Ho dato per scontato fosse qualcuno di esterno, non sono stata abbastanza attenta. In qualche modo sapevano che avremmo potuto riconoscerli tramite queste foto: è per questo che, quella sera, hanno chiamato anche me. »
Jane scosse il capo «Non puoi avere sempre tutto sotto controllo… »
«Poteva succedere l’irreparabile… » liberò, d’un tratto, parte delle sue preoccupazioni.
L’altra portò d’istinto la mano sulla sua, ora chiusa a pugno sulla superficie fredda «Ma non è successo… »  le sorrise appena, cercando di darle un minimo di conforto «Freja è salva, il detective Overland si riprenderà, i rapitori catturati: solo questo conta! »
Elsa inspirò senza dire una parola, la mano non la ritirò.


 §

«Mi spiace che tu sia ancora a riposo forzato, ma sono contento di trovarti bene. » disse Kristoff, prima di addentare la sua fetta di pizza, davanti all’inizio imminente di una partita che, già sapevano, non avrebbero seguito.
Jackson, seduto sul divano al suo fianco, prese un sorso di birra «Essendo quasi morto per aver avuto la brillante idea di fare tutto da solo, non mi stupisce. » ghignò «Sarebbe stato incredibile il contrario, avrei quasi pensato di essere simpatico al signor Bunnymund. »
«Tu soffri di manie di persecuzione… » lo prese bonariamente in giro l’altro. Sospirò, facendosi serio di colpo: lo guardò negli occhi «Grazie ancora per quello che hai fatto. » gli disse d’un fiato.
Jack sorrise «L’aiuto di Rapunzel è stato fondamentale, senza di lei non avrei saputo dove andare. »
«Sì, ma non hai perso tempo e ti sei messo in pericolo pur di salvare mia figlia. »
«La mia fidanzata, vorrai dire… » lo punzecchiò senza ritegno.
Kristoff assottigliò gli occhi «Pensavo che del rischio di morire ne avessi avuto abbastanza… »
Questa volta fu il suo turno di diventare serio «Grazie a te, per essere arrivato in tempo con la squadra. »
L’altro sospirò «Cavolo, ci hai fatto prendere un colpo! Non ho mai visto Elsa così sconvolta… » si lasciò scappare «Anche se scommetto che, quanto è venuta a trovarti in ospedale, ha fatto la sostenuta e non ti ha detto niente. »
Jackson inarcò le sopracciglia confuso «Eh già… » decise di non voler indagare oltre.
Kristoff sogghignò, ignaro dei suoi dubbi «Tipico! Comunque preparati: quando ti sarai ufficialmente rimesso, sarai nostro ospite a cena, Anna è stata categorica. »
«Come sta? E come stai tu? »
«Ci stiamo riprendendo: Freja è a casa da scuola, Anna non ha ancora riaperto la galleria. La facciamo dormire con noi, ci rende tutti più tranquilli. »
«Com’è stato averli davanti? »
«Difficile… » gli confessò «Avrei preferito averti al mio fianco. »
«Mi dispiace… »
«Non è di certo colpa tua. » sospirò «Il fatto che Freja fosse già a casa, fortunatamente, mi è venuto in aiuto. Nonostante tutti gli anni di servizio, però, temo di non essermi ancora abituato a fin dove l’avidità possa spingere le persone. »
«Quindi il tuo informatore non mentiva… »
Kristoff scosse il capo «No: a quanto pare era una consolidata prassi che qualche partita sparisse prima di finire nell’inceneritore. Mescolavano i sacchi veri con alcuni contraffatti, così che fosse tutto perfetto sotto agli occhi dei testimoni. Di sicuro, gran parte della fenilciclidina usata dal nostro killer proveniva da loro. »
«Il telefono della De Vil ha portato a qualcosa? »
«Purtroppo no. » scosse il capo «Punzie ha fatto del suo meglio ma era pressoché inutilizzabile. Le compagnie telefoniche hanno registrato comunicazioni ma tutte con telefoni usa e getta. Non abbiamo niente, solo la parola di quei due. »
Jack buttò giù un boccone «Mi sento di credergli: non hanno l’aria di essere così svegli da fare tutto alla perfezione, come il nostro assassino. L’abbiamo visto, no? Hanno fatto decisamente troppi errori. »
«Hai ragione: probabilmente erano bravi ad eseguire gli ordini ma pessimi ad autogestirsi. »
«Chiunque li abbia guidati, sa esattamente chi siamo, come lavoriamo… »
«Pensi a qualcuno di noi? » gli chiese allarmato.
«Non necessariamente qualcuno della polizia, magari qualcuno che ci collabora… »
«Se così fosse, » ragionò Kristoff «abbiamo sempre guardato tutto dalla prospettiva sbagliata. »
Jackson s’illuminò «E’ proprio così! » esclamò, quasi saltando sul divano «Ci siamo lasciati guidare dal nostro lato umano e abbiamo sbagliato. »
«Che intendi dire? »
«John Lionheart era una persona orribile, di Sabor neanche ne parliamo. Erano due criminali, due mostri: ci è venuto naturale concentrarci su Locksley, Greystoke e sua madre. Abbiamo cercato disperatamente cosa li accomunasse ma… »
«Non ci siamo mai chiesto che cosa accomunasse Lionheart a Sabor! » completò per lui Kristoff.
«Si conoscevano? Chi li ha arrestati? Chi ha seguito i loro processi? »
«Direi che è giunto il momento di scoprirlo. »

 §


Elsa andò verso l’ingresso, richia­mata dal suono insistente del campanello: aveva quasi aperto la bocca per rispondere quando la telecamera sul pianerottolo le aveva mostrato la figura del detective Overland al di là della porta, bloccandola. Si morse istintivamente il labbro in silenzio, la mano a mezz’aria, indecisa sul da farsi.
«Elsa… » la voce di lui arrivò alle sue orecchie «Lo so che ci sei, aprimi. »
Prese un grosso respiro e mise su la migliore delle sue maschere, aprì «Che cosa vuoi? » gli disse, senza nemmeno salutarlo.
La delusione, già abbondantemente presente sul viso dell’altro, s’intensificò «Che cosa vog… » non terminò «Cristo, mi odi davvero così tanto? Nonostante dici in giro il contrario, non ti sei neanche degnata di venirmi a trovare in ospedale! »
Non lo odiava, affatto «Sì che sono venuta, » gli disse «Ma eri già in dolce compagnia e me ne sono andata. » gli fece presente, gelida.
Jackson scosse il capo, confuso «Cosa stai dicendo? »
«C’era l’agente Sunlight con te, sembravate così affiatati, non volevo disturbare. »
«Io non so cosa tu abbia visto ma sono piuttosto sicuro che ti sia fatta un’idea sbagliata. Rapunzel è una collega e un’amica. Certo, è una ragazza molto carina ma non c’è assolutamente niente fra me e lei. Non ti dico che potrebbe essere mia figlia ma quasi: non sono quel tipo d’uomo e, se lo pensi,  forse sono io a non voler continuare questa conversazione. »
La maschera di lei scricchiolò appena ma non cedette «Non sarò certo io a trattenerti. » sentenziò, facendosi una certa violenza, mentre spingeva la porta verso di lui.
Jack espirò, con un nervosismo a stento trattenuto: impuntò la mano in avanti e le impedì di chiuderlo fuori «Io non capisco, » sibilò «Credevo che le cose stessero andando meglio fra noi e, invece...  non so neanche perché sono qui a giustificarmi, dato che non stiamo insieme. Cosa vuoi da me? » gli chiese, arrabbiato «Non hai nessuno al tuo fianco, dici di non volermi ma, al tempo stesso, non posso neanche parlare con una collega che succede questo! »
Elsa inarcò le sopracciglia, il petto gonfio di vecchi rancori «Possibile che tu sia diventato arrogante fino a tal punto? Credi davvero che io mi sia tenuta libera per te? »
«Non ho detto questo. » lui abbassò il tiro «Per quanto non mi faccia piacere la cosa, sei una donna talmente intelligente e bella che solo uno sciocco potrebbe credere che tu non abbia avuto altri uomini in tutto questo tempo… quello che non capisco è: cosa stai cercando? »
Lei fece un sorriso amaro «Non di certo l’amore, se te lo stai chiedendo. Quella è una cosa da Anna, non da me: mi è bastato provarlo una volta, » lo guardò dritto negli occhi «Per non volerne avere a che fare mai più. »
Jackson imprecò «Ancora con questa storia? Quante volte devo ripeterti che non sono stato io a cercarlo, quello stupido bacio? D’accordo, magari mi sarei potuto sottrarre e non l’ho fatto ma sai perché? Ero molto arrabbiato con te, avevi appena deciso di andare a studiare a migliaia di chilometri di distanza, rinunciare ai tuoi sogni, senza degnarti di chiedermi cosa ne pensassi. »
Elsa inarcò un sopracciglio, piccata «Perché, avrei dovuto chiederti il permesso? »
«Certo che no! » rispose lui esasperato «Ma avresti potuto dirmelo anziché farmelo scoprire, per caso, tramite tua sorella. La cosa assurda è che io ti avrei supportato alla fine, sarei stato disposto a tutto per te ma tu avevi già deciso di tagliarmi fuori dalla tua vita. E sai perché? Perché la felicità che avremmo potuto avere assieme credevi di non meritarla. La verità, Elsa, è che la vita ti spaventa, è per questo che ti circondi di morti, perché quel giorno – con i tuoi genitori – sei morta anche tu! »
Lei lo guardò gelida «Vattene! »



Ciao a tutti!
Per prima cosa mi scuso con voi per avervi fatto aspettare così tanto per questo nuovo capitolo °///°
Purtroppo è un periodo (decisamente lungo) in cui sono sempre ed esclusivamente di corsa: trovare del tempo per scrivere - nel momento in cui l'ispirazioni è buona - è molto complesso.
Quello che posso sperare è che la vostra attesa sia valsa a qualcosa e che questo capitolo vi abbia soddisfatto anche se, so bene, non si conclude nel migliore dei modi per i Jelsa-lovers come me (perché una certa dose di sano masochismo nella vita ci vuole).
La dinamica non è ancora chiara, ma la cattura di Jasper e Horace pare abbia permesso di dare la svolta al caso: così i nostri detective si sono resi conto di aver sempre visto il quadro dalla prospettiva sbagliata. 
Prospettiva sbagliata che induce, inoltre, una certa testa molto dura e molto bionda a credere che fra Jack e Rapunzel ci sia quel che non c'è: riaprendo vecchie ferite mai del tutto rimarginate e solleticando l'orgoglio che non vuole ammettere i suoi reali sentimenti per un detective in particolare.
Si è, quindi, scoperto che cosa avesse combinato Jackson da ragazzo per farsi mollare da Elsa: ebbene sì, ha baciato - o meglio - si è fatto baciare da una ragazza ad una festa, nel periodo immediatamente successivo alla morte dei genitori di lei.
Non molto cavaliere, insomma, ma... c'è un ma che ancora non è chiaro. Tuttavia, si può cominciare ad intuire nelle parole, decisamente dure, di Jack. Il tatto non è mai stato un suo punto forte, lo sappiamo.
Sono stata a lungo indecisa se mettere la scena fra Flynn e Rapunzel, perché la ragazza avrebbe potuto tranquillamente riassumere tutto nel suo resoconto a Jack in ospedale, ma alla fine ho pensato che un po' di sano fan-service non sarebbe guastato e avrebbe reso la lettura più interessante di un semplice riassunto. Spero abbiate apprezzato questa scelta.
E, mentre Cruella De Vil è caduta per mano delle Iene, rendendo impossibile interrogarla per provare anche solo a capire chi fosse il suo cliente, il giudice Weselton continua a fornire il suo amabile supporto alla famiglia Bleket.
Ma sarà tutto oro quello che luccica?
Al prossimo capitolo per scoprirlo che, prima o poi, arriverà... abbiate fede!
Grazie per seguire questa storia: come sempre, ogni vostro possibile riscontro sarà ben accetto <3
Cida


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Capitolo 9
*** Cap. 8 - Is this the end? ***


Capitolo 8

*Attenzione!*

Questo capitolo tratta di tematiche delicate che potrebbero disturbare. Data la loro natura spoilerosa, però, sono nascoste in questo pannello. Se pensate che qualcosa possa turbarvi, selezionate tutto il testo di questa box e appariranno due righe più sotto.

Razzismo, ossessione, misoginia, violenza, descrizione di un cadavere bruciato.

 

E' una stanchezza innaturale quella che le impedisce di aprire gli occhi. E' una confusione artificiale quella che non le fa comprendere se sia sveglia o stia ancora dormendo. Possibile che quella mattinata che le sembra di aver vissuto sia, in realtà, solo un sogno partorito dalla sua mente ancora addormentata?
Eppure, perché, nonostante sia al riparo nel calore del suo letto, le sembra di sentire così freddo? Perché il cuore le pare come raggelato in una morsa di terrore? E' un sogno oppure un incubo?
Un mugolio le esce dalle labbra, non è piacere, è sofferenza. Prova a girarsi ma c'è qualcosa che la blocca in posizione supina. E' allora che lo sente: un fruscio, c'è qualcuno lì con lei.
E' decisamente un incubo, il cuore accelera i battiti ma perché gli occhi non si vogliono aprire?
Avverte una scarica di ghiaccio lungo il braccio: incredibilmente il cuore si placa e c'è il nero dell'oblio pronto ad attenderla. Lo percepisce ma lotta, non vuole caderci. Si arrampica con tutte le sue forze ma è come scalare un muro ricoperto di melma viscida che la fa scivolare. Non le lascia alcun appiglio, anzi, le si appiccica addosso: le imbratta le mani, il viso; le copre gli occhi, si insinua nelle sue narici. Soffoca, soffoca.
- Suvvia, faccia una pausa: le offro un caffè!
E' proprio l'aroma di quella bevanda ad esploderle nel cervello e, chissà perché, poco prima di abbandonarsi all'oscurità le sembra di sentire le parole di un'Ave Maria.

§
 

Se il cercare fra le forze dell'ordine e i medici legali che, a loro tempo, si erano occupati dei casi Fitzwater e Greystoke non portò a nessuna corrispondenza in particolare, fra persone diverse o nomi privi di rilevanza, virare verso l'ambito giudiziario fece trillare un insistente campanello d'allarme.
Tuttavia , il terreno su cui i due detective - perché sì, Jackson era stato riammesso sul caso - stavano per muoversi era estremamente instabile, dato che il rischio di fare una mossa falsa ed inimicarsi l'intera procura era qualcosa che la centrale di polizia voleva, a tutti i costi, evitare.
Per questo avevano deciso di agire separati: il primo aveva optato per seguire la via professionale, mentre il secondo per quella personale.
Kristoff si presentò, così, in tribunale, dato che la sua visita in procura si era risolta con un buco nell'acqua.
Questa volta, tuttavia, non gli servì neanche raggiungere il bancone dell'accoglienza che un buffo ometto dai baffi bianchi gli si avvicinò trafelato.
«Scommetto che lei è il detective Bjorgman! » Affermò deciso, mostrandogli un sorriso bonario.
Kristoff inarcò un sopracciglio, stupito. «Sono io, sì... »
«Giudice Weselton. » Si presentò porgendogli la mano. «Ero molto amico dei genitori di sua moglie. »
Lui si illuminò. «Certo! Anna mi ha parlato di lei: mi scusi se non l'ho riconosciuta. »
«Non si preoccupi. Purtroppo non vedo Anna da anni ormai ma, per via del lavoro, ho avuto modo di mantenere i contatti con Elsa. » Rafforzò la stretta, che ancora non aveva abbandonato, con l'altra mano. « Come state? Siete riusciti a riprendervi un po' da quella brutta faccenda? »
Kristoff non fece fatica a comprendere a cosa si riferisse. «Ci proviamo. »
«Sono sicuro che ci riuscirete! E, come ho già detto ad Elsa, potete contare su di me per qualsiasi cosa. »
«Lei è molto gentile, grazie. »
«Mi dica: cosa la porta qui, oggi? » Gli chiese, poi, sinceramente curioso. «Lavoro? Cielo, spero nulla di personale... »
Il detective fece un mezzo sorriso imbarazzato. «Lavoro, lavoro: non ho nessun conto in sospeso con la legge. Anche perché sarebbe il colmo, non crede? »
Weselton si unì alla sua risatina «Il caso dei Fearling? La cattura di quei due ha dato i suoi frutti? »
«Forse... » Si tenne sul vago. «Per lo più acerbi, temo. Ero giusto venuto a chiedere aiuto per farli maturare. »
«Cercava qualcuno in particolare? »
«In effetti, sì!» Confessò, sulle spine. «Durante i nostri vari approfondimenti, abbiamo notato che il procuratore Frollo aveva seguito alcuni dei casi legati ai nostri omicidi. » Sospirò. «Speravamo potesse darci una mano ad uscire dal vicolo cieco in cui siamo incappati. »
Weselton annuì. «Sempre molto frustrante quando succede. » Si prese, poi, qualche secondo per pensare. «Se non sbaglio, Claude non aveva udienze oggi. E’ venuto presto, per alcuni documenti e se n’è andato subito. So che sembra incredibile dirlo ma, penso, avesse la giornata libera. »
«Sa, per caso, dove posso trovarlo? »
Il giudice scosse il capo. «Mi dispiace, non ha condiviso con me i suoi programmi. Ma, se posso darvi un consiglio spassionato, vi conviene prendere un appuntamento con la procura: Claude non ama particolarmente le sorprese. »
Kristoff annuì. «Questo è decisamente un ottimo consiglio, credo che lo seguiremo. Grazie. »

§

Dall’altra parte della città, Jackson aveva dato fondo a tutto il suo fascino per convincere la giovane concierge – dello stabile di lusso, dove il procuratore Frollo aveva un appartamento – che non era davvero necessario disturbarlo, avvisandolo che sarebbe salito, d’altra parte doveva solo consegnarli un documento che stava aspettando e no, non poteva mostrarglielo in quanto sotto segretezza assoluta. Ma la ragazza, una giovane rossa dalla capigliatura ribelle e dall’accento improbabile, non si era smossa di un millimetro: né davanti al suo distintivo, né davanti al suo sorriso più brillante.
Solo una geniale intuizione – in fin dei conti, non era detective capo solo per caso – gli aveva consentito di salire al piano senza essere annunciato: certo, parte del suo prossimo stipendio se ne sarebbe andato per l’acquisto di due biglietti in prima fila per una partita di hockey dei Bears ma, almeno, aveva raggiungo il suo scopo. Arrivato alla porta, però, si era ben presto accorto che tutti i suoi sforzi erano risultati vani: il procuratore Frollo non era in casa.
Dal sorriso che la ragazza gli aveva rivolto, quando era sceso per andarsene, aveva capito: lei lo sapeva.
Irritato per essersi fatto fregare come un pollo, prese il cellulare e selezionò il numero del suo compare fra le telefonate recenti. «Quanto credi sia sconveniente per un detective di polizia non mantenere la parola data? »
La voce di Kristoff trasecolò dall’altro lato.
Jack sbuffò. «Lascia perdere. Il procuratore Frollo non è nemmeno a casa… » Ascoltò per un attimo «Oh no, non credo proprio che aspettare di prendere appuntamento in procura sia una buona idea… Come possiamo rintracciarlo se nessuno sa dov’è? Bella domanda! Mmm… » Rimuginò, tamburellando un poco il piede sull’asfalto. «Beh, ma noi la persona adatta ce l’abbiamo! »
Scostò il telefono dall’orecchio, travolto dalle preoccupazioni del detective Bjorgman. «Lo so che è una faccenda delicata… No, non la metterò nei guai… Stai tranquillo, mi prenderò tutta la colpa, nel caso: lo sai. » Riagganciò che l’altro stava ancora blaterando.
Inspirò a fondo e selezionò un altro numero. «Principessa, ho un favore da chiederti. » Sorrise nel sentire la sua risposta. «Fai bene a non farti piacere il mio tono di voce: ti sto per chiedere una cosa molto delicata… Sì, per delicata intendo priva di qualsiasi autorizzazione. » Tirò le labbra di lato, mentre ascoltava i dubbi di lei. «Questa volta è la pista giusta! Ne sono convinto, ne siamo convinti! Abbiamo tenuto in considerazione tutto! » Annuì, anche se l’altra non poteva vederlo. «Ascolta, nell’improbabile caso che avessimo preso un granchio grosso come una casa -  e non l’abbiamo preso – dirò che ti ho costretta, mostrato un mandato falso, quello che vuoi. Se una testa dovrà cadere, sarà la mia. »
La ascoltò ancora per un attimo, poi, sorrise. «Quindi rintraccerai il suo telefono? »
Ci fu un attimo di silenzio dall’altra parte: una flebile esternazione positiva arrivò alle sue orecchie. «Sapevo di poter contare su di te, principessa! Appena hai novità, aggiornami subito. Io, intanto, raggiungo Kristoff. »

 §

«Dai, zia, fai la magia! »
Elsa alzò lo sguardo, protetto da trasparenti occhiali di plastica, verso la sorella che, ben aperta la porta del garage per fare entrare luce e aria, la ricambiò con un’espressione complice.
Perciò infilò una mano guantata in un sacchetto e si rivolse alla nipote, anche lei protetta da una versione ridotta di occhiali. «Pronta? »
Freja annuì estasiata, salterellando trepidante da un piede all’altro.
Quando il ghiaccio secco entrò in contatto con l’acqua bollente, una densa nuvola di fumo si levò dalla superficie e si sparse nel locale, sospinta verso l’esterno dalla corrente d’aria creata appositamente.
La bimba esplose in un gridolino estasiato per assumere, poi, un’aria tetra ma che, sul suo visino, risultava vagamente buffa. «Ecco che gli spiriti arrabbiati nascondono la foresta! » Disse con voce misteriosa. «Valoroso Signor Bunny, Cavalier Olaf: dobbiamo salvare i suoi abitanti! » E si buttò all’esterno, in mezzo alla rada nebbia artificiale.
Elsa si avvicinò alla sorella, ancora appoggiata all’ingresso del garage, lo sguardo concentrato su ogni mossa della piccola. «Le hai raccontato la storia della Foresta Incantata di papà? » Le chiese, con un sorriso malinconico.
«Sì! » Le rispose Anna, ricambiandolo. «Ma temo che, al momento, abbia una visione delle cose più simile alla tua che alla mia. » Sghignazzarono assieme nel ricordare come la maggiore si concentrasse sempre sul fattore avventura, mentre l’altra sull’amore. «Sei certa che questa cosa sia sicura, sì? » Le chiese, poi, vedendo la figlia lanciarsi verso un cumulo più denso degli altri.
«Certo: è all’aperto e le quantità sono ridotte. Nessun pericolo per, a quanto pare, un massimo divertimento. » La rassicurò, non riuscendo a nascondere un nuovo sorriso di fronte alle peripezie della nipote.
«Grazie. » Le disse Anna all’improvviso, stringendo le braccia al petto. «Aveva davvero bisogno di qualcosa di diverso dal solito. »
Elsa le posò una mano su una spalla, nel tentativo di darle un po’ di conforto. «Come sta andando? »
L’altra scosse appena il capo. «Non così male, in realtà, almeno credo. La notte è il momento più difficile per lei, il non averla sott’occhio è quello più difficile per me. Ho così paura che possa capitare di nuovo, capisci? »
Elsa annuì. «E’ normale, è passato ancora così poco tempo. Ma passerà vedrai, supererete tutto, ne sono certa. Così come sono sicura che non ricapiterà. »
Anna sorrise, confortata da quelle parole, mentre una lacrima di tensione le sfuggiva dalle ciglia. «Chi l’avrebbe mai detto che sarei stata in debito a vita con l’idiota? » Buttò lì, mascherando con una mezza risata quel singhiozzo che le era salito dalla gola, abbandonandosi al suo fianco, in cerca di un abbraccio.
Per quanto cercò di dissimulare la cosa, il solo riferimento a Jack causò in Elsa un’impercettibile rigidità. Anna, però, conosceva bene la sorella per non scorgerla, tanto più ora che erano a stretto contatto. «Ho detto qualcosa che non va? » Chiese, inarcando le sopracciglia perplessa.
«Niente… » Cercò di tagliare corto l’altra.
«E’ uno dei tuoi soliti niente che vuol dire tutto? » Oh sì, decisamente troppo bene. «Che cosa ha combinato questa volta? »
Elsa si morse il labbro inferiore, nervosa. «Abbiamo litigato. »
Anna sgranò gli occhi. «Litigat… Come? Quando? »
«E’ venuto a casa mia, un paio di sere fa. »
«A casa tua?!? » Continuò l’altra, sempre più agitata: tanto che si allontanò dal suo abbraccio quasi saltando, in un modo sin troppo simile a quello della figlia.
«Credo che abbia una relazione con l’agente Sunlight. » Bloccò sul nascere ogni sua possibile errata conclusione.
Anna rimase senza parole per un attimo, il che la stupì non poco. «Con Punzie? » Disse dopo qualche secondo, stranita anche al solo pensiero. «E’ poco più di una ragazzina… »
«Una ragazzina molto carina. » Precisò l’altra.
«Cosa ti fa pensare che stiano insieme? »
«Quando sono andata a trovarlo in ospedale, lei era già da lui. Li ho visti baciarsi… »
«Baciarsi?!? » Esclamò. «Lo ha fatto di nuovo? » Strinse i denti, ripensando al loro passato.
Elsa annuì. «Almeno credo… »
«Credi? » La incalzò la sorella. «Lui che ti ha detto al riguardo? »
«Che sono solo colleghi ed amici… »
«E non pensi possa essere la verità? Elsa, dai, non puoi non esserti accorta che è pazzo di te: non lo vedi come ti guarda? »
«Come mi guarda? » Chiese, sperando di dissimulare, con un certo tono di noncuranza, l’effettiva curiosità che le solleticava il petto.
«Come un uomo innamorato, zuccona! » le svelò, avvicinandosi nuovamente per poterle dare un deciso buffetto sulla fronte. «E anche come un uomo che non vede l’ora di recuperare tutto il tempo perso, non so se mi spiego. »
«Anna! »
«Che c’è? » Ridacchiò quella. «Hai ragione, Punzie è molto carina ma non può, di certo, competere con una Regina dei Ghiacci come te!»
Elsa si portò una mano a coprire la risatina che le era salita spontanea alle labbra. «Regina dei Ghiacci? »
«Beh sì, mi pare lampante che – fra le due – la più focosa e passionale sia sempre stata io… » Si pavoneggiò, portando una mano a lisciarsi i capelli ramati, giusto per rimarcare il concetto.
«Ah sì? » Le rispose l’altra, alzando un sopracciglio. «E questo l’hai stabilito come? Di certo non puoi saperlo… » Stette al gioco, maliziosa.
Anna spalancò la bocca stupita. «Stai davvero rispondendo alle mie battute a sfondo sessuale? Oh mamma, ti devo sembrare proprio un caso disperato! »
Elsa alzò gli occhi al cielo e ricambiò il colpetto in fronte di poco prima. «Ma quanto sai essere sciocca? »
In tutta risposta, l’altra le si buttò fra le braccia. «Elsa? » Le mormorò sul petto.
«Mmh? »
«Ti voglio bene. »

 §


L'indagine clandestina di Rapunzel aveva generato un risultato a metà: era riuscita a rintracciare gli spostamenti del procuratore Claude Frollo ma, con estremo disappunto di tutti e tre, il dispositivo era sparito da ore, dopo essersi connesso ad un'ultima cella verso i boschi fuori città. Sebbene la zona non fosse particolarmente coperta, non risultava neanche del tutto priva di segnale, perciò c'era una spiegazione soltanto: aveva spento il telefono.
La portiera dell'auto rimbombò nel silenzio degli alberi, non avrebbero potuto più utilizzarla per andare avanti.
«Seriamente, Jack: cosa ci facciamo qui? » Chiese Kristoff, guardandosi attorno. «Siamo nel bel mezzo del nulla. »
Jackson scrutò lo schermo del cellulare, studiando con attenzione l'immagine satellitare della zona appena condivisa da Punzie. «Nulla che nasconde un rifugio di caccia dove, sono sicuro, si trova il nostro uomo. »
«E una volta trovato cosa gli diremo? Procuratore, la caccia all'alce in questo periodo dell'anno è vietata: la dichiaro in arresto! » Si grattò la nuca, nervoso. «Finiremo in un mare di guai per questo, me lo sento. »
Il detective Overland sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo. «Il procuratore Frollo è alla stregua di una macchina nel suo lavoro: nella sua carriera ha sempre - e dico sempre - ottenuto la massima pena per tutti i suoi indiziati. Eppure, quando era ancora agli inizi, ha macchiato indelebilmente il suo curriculum di vittorie. Ti va di ricordarmi di quale caso parliamo? »
«L'omicidio dei signori Greystoke. In più ha supervisionato anche il processo Fitzwater... » Grugnì in risposta.
«Esatto! » Lo incalzò l'altro. «Aveva un solo modo per pulire questa macchia e ha, per qualche motivo, trovato il coraggio di farlo: si è trasformato in giustiziere, il capo dei Fearling. Sa esattamente come la polizia lavora, gli iter che dobbiamo seguire, i metodi della scientifica e dei medici legali: tutto! E' un uomo colto, con rudimenti di chimica e medicina, da sempre circondato da criminali e ha abbastanza soldi da comprarsi tutto il distretto, non solo la De Vil e i suoi scagnozzi. » Si portò le mani ai fianchi. «Eppure mi sembravi convinto tanto quanto me. »
«Lo sono, infatti! » Ribatté Kristoff. «Ma ciò non toglie che non abbiamo uno straccio di prova, solo ferme supposizioni. »
«Sono sicuro che questo rifugio ci darà le risposte che cerchiamo: d'altra parte, dubito molto che abbia ucciso le sue vittime nel suo appartamento, no? »
Il detective Bjorgman fu colto da un'intuizione che lo fece tremare. «Se così fosse, perché è qui? Potrebbe non essere solo... »
«Motivo in più per sbrigarci! »
«Tu giochi con il fuoco: è il fiore all'occhiello della procura. »
Jackson ghignò. «Mi piacciono le sfide, che vuoi farci? » Gli disse, prima di addentrarsi nel fitto degli alberi.
«A me no. » Borbottò Kristoff, nonostante il suo compagno non potesse più udirlo. Lo seguì comunque.

 §


La giovane donna uscì dall'oblio, richiamata come da tante piccole formiche che le percorrevano curiose una gamba e le solleticavano il collo. Quando avvertì due narici aspirare profondamente il profumo dei suoi capelli, però, capì: non erano insetti a lambire la sua pelle ma le dita di una mano. Sgranò gli occhi, in preda al terrore.
«Ti sei svegliata, di nuovo. » Disse una roca voce di uomo al suo fianco.
Questa volta si ritrovò abbastanza lucida da riconoscerla. «Procuratore... » Sussurrò, la gola quasi chiusa dalla paura. Provò ad alzarsi dalla fredda superficie su cui era sdraiata, ma si riscoprì bloccata da alcune fascette di plastica. «Perché sono qui? Che cosa vuole da me? »
«Perché hai peccato, zingara. »
«Peccato? » Ribatté, provando a divincolarsi ma sempre invano. «Ho un lavoro onesto in tribunale, lo sa bene. »
La luce era poca e flebile, ronzante. L'ombra la faceva da padrona, scorgerne l'espressione era pressoché impossibile, ma il ghigno sulla sua faccia se lo poteva quasi immaginare.
«Quelle come te peccano sempre. »
«Quelle come me? » Chiese, la voce incrinata.
«Uscite dall'Inferno per tentare gli uomini di fede e giustizia - come sono io - e portarli alla perdizione. Siete come sirene ammaliatrici lungo la strada della dannazione eterna. » Le afferrò il mento con una mano. «Che colpe ho io, zingara, se non so resisterti? »
Lei scosse il capo di colpo, per liberarsi: gli sputò in faccia. Dal verso di disgusto che gli sfuggì dalle labbra, capì di averlo colpito. «Resistermi? Io non ho mai fatto nulla per tentarla, sono stata solo gentile, come con chiunque altro. Se si comporta così è, unicamente, perché è un animale: ecco cosa è. »
Claude Frollo sghignazzò. «Sentiti! Questo fuoco che ti brucia dentro, anche ora che sei in trappola, non può che essere quello del demonio! »
«Voi siete pazzo! » Gli urlò contro, riprendendo la sua lotta per la fuga, ferendosi la pelle ambrata.
«Pazzo di te, zingara: diventa mia o morirai! »
La giovane donna soppesò quelle parole, poi, aprì la bocca e urlò. «Aiuto! Qualcuno mi aiuti, vi prego! »
Un manrovescio la colpì dritta sul viso. «E' inutile che gridi, meretrice. Nessuno ti troverà, qui. » Le tappò la bocca con una mano, il viso stravolto dalla collera. «Dunque hai scelto la morte. » Le soffiò sugli occhi sgranati dal terrore. «Sappi che mi divertirò con te. Sarà soddisfacente tanto quanto... » Si bloccò, l'altra mano ad un soffio dal suo bassoventre.
Le liberò la testa e si allungò verso un tavolino lì vicino. Quando si voltò di nuovo verso di lei, fra le dita guantate stringeva una siringa.
«Qualcuno mi aiuti... » sussurrò nuovamente, ormai rassegnata al suo destino.
«Neanche Dio può aiutarti, zingara: perché questo è il suo disegno per te! »
Ma, prima che riuscisse a calare l'ago nella sua carne, un fascio di luce li investì in pieno.
«Procuratore Frollo, la getti! » Gli intimò Kristoff, la pistola puntata su di lui.
«Sappiamo cosa ha fatto: lasci andare la ragazza e si arrenda! » Lo incalzò Jackson, tenendolo sotto tiro a sua volta.
Claude Frollo sbatté le palpebre per un attimo, disorientato da quel cambio repentino di luminosità. Quando comprese l'inutilità del suo timore, dacché quella luce non aveva nulla di divino ma era semplicemente frutto dell'arrivo di due sciocchi poliziotti, ghignò in risposta e calò il fendente.
Fu allora che Kristoff sparò: non avrebbe saputo dire se l'avesse preso in pieno o di striscio, poiché il procuratore indossava un'ampia tunica nera, inquietante memento del suo potere, ma non poté indagare meglio perché, se lui era forte il suo compagno era veloce, e - prima ancora che potesse rendersene conto - si era già lanciato sul sospettato in una serrata lotta per disarmarlo.
Jackson era più giovane e più lesto ma Claude era atletico per la sua età e, scoperto, non aveva più niente da perdere: riuscì ad assestargli una testata, facendogli abbassare la guardia, cercando di approfittarne per colpirlo con l'ago della siringa. Il detective, fortunatamente, riuscì a bloccarlo: l'ago gli lambì la pelle del collo ma non la penetrò.
Con un fendente improvviso, colpì il gomito del procuratore, facendogli allentare la presa: la siringa gli scivolò di mano. D'istinto la fece diventare una sua arma e la calò sulla spalla di Claude Frollo vuotandone il contenuto; per colpirlo, poi, con un pugno dritto in faccia.
L'altro crollò a terra, immobile.
Tirò il fiato per un secondo soltanto. «Kristoff! La ragazza! » Gridò e, in un attimo, le furono entrambi al fianco.
«Ehi! Tranquilla, ci siamo noi adesso. » le disse quello, cercando di darle un po' di conforto: quella giovane tutto sembrava tranne che una criminale. «Come ti chiami? » Le chiese, armeggiando con il suo fidato coltello che non abbandonava mai in caso di avventure nei boschi. La prima fascetta cedette.
«Esmeralda... » Gli rispose, massaggiandosi il polso, ora che anche l'altro era stato liberato.
«Esmeralda. » Ripeté lui con un sorriso. «Ora ti portiamo fuori di qui. Ce la fai a camminare? »
Lei annuì ma, quando cercò di portarsi a sedere, un forte capogiro la costrinse a sdraiarsi nuovamente, soffocando a stento un conato di vomito.
«Dobbiamo portarla noi. » Concluse Jackson: chissà che cosa le aveva dato quel bastardo.
«Ve ne andate così presto? » Gracchiò la voce del procuratore: il viso stravolto, lo sguardo spiritato. La droga era entrata in circolo. Nel vedere il fucile che teneva fra le mani, tremarono: era un rifugio di caccia, come avevano potuto essere così sciocchi da non pensare che potesse essere armato? Senza aspettare oltre, sparò.
L'istinto, nient'altro che quello, guidò Kristoff nel proteggere Jackson ed Esmeralda, ancora troppo esposti per salvarsi: venne colpito in pieno petto.
Jack registrò a malapena l'urlo della ragazza al suo fianco, la fece scivolare ai piedi del bancone e ci trascinò anche il corpo inerme del suo compagno, mettendoli al riparo: un altro colpo saettò sulle loro teste.
«Ehi, amico, non farmi scherzi: dimmi che ci sei! » lo implorò, preoccupato.
Quello tossì in risposta. «Giubbotto antiproiettile... » balbettò con un mezzo sorriso: era provato ma sembrava cavarsela.
Jack tirò un sospiro di sollievo. «Ok che eri in debito ma non c'era bisogno di essere così plateali, per rimetterti in pari. » Ghignò, prima di rivolgersi ad Esmeralda. «Te lo affido, state qui dietro al riparo: al nostro pazzo ci penso io! » Caricò la pistola e uscì dal nascondiglio, scaricò alcuni colpi come diversivo e si spostò in un altro punto: doveva allontanare Frollo da quei due ad ogni costo.
Nel suo folle delirio, infatti, il procuratore sembrava comunque sparare con una certa lucidità, doveva essere davvero un cacciatore invidiabile per essere così preciso anche sotto agli effetti della droga.
«Egli castigherà i perversi... » Sentenziò, caricando ancora una volta il suo fucile, nascosto dal raggio di tiro del detective. «E li precipiterà in una voragine di fiamme! »
Jack capì troppo tardi a cosa si riferisse quell'apparente frase senza senso: riuscì a malapena a gridare: «Giù! » Sperando che Esmeralda e Kristoff lo sentissero. Il proiettile colpì la bombola del gas sul fondo dell'interrato: ci fu un'esplosione e tutto fu buio.

Il detective Overland recuperò i sensi e, per un attimo, gli sembrò di essere davvero precipitato all'Inferno: c'erano fiamme e un denso fumo nero dappertutto e le urla, Dio, erano strazianti. Tossì un paio di volte e aprì gli occhi lacrimosi per rendersi conto che quelle grida non erano che i terribili lamenti di dolore della figura del procuratore Frollo che andava a fuoco, la sua tunica completamente avvolta dalle fiamme.
Si alzò a fatica e tornò dove aveva lasciato il suo compagno e la ragazza, fortunatamente salvi. Si tastò la testa, nel vano tentativo di ordinare alle orecchie di smettere di fischiare: la mano gli si sporcò di sangue. Con le ultime forze rimastegli, cercò di rimettere in piedi Kristoff e, assieme, trascinarono fuori Esmeralda, ancora troppo esausta.
Caracollarono poco distanti, il telefono in una mano a chiamare i soccorsi: il rifugio stava ancora bruciando.

 §


La dottoressa Bleket e la sua assistente Jane Porter arrivarono al rifugio di caccia che i vigili del fuoco, assieme alle guardie forestali, avevano già domato l'incendio: del modesto edificio era rimasto ben poco, sventrato a metà dall'esplosione nel sottosuolo, i detriti sparsi ovunque.
Kristoff, Jackson e l'inserviente del tribunale, che avevano salvato, erano stati portati d'urgenza all'ospedale più vicino ma le loro condizioni erano stabili e non sembravano critiche. Era chiaro che qualcuno non avesse imparato niente dalle sue recenti disavventure e qualcun altro gli era andato dietro.
Dalla ricostruzione che i due agenti le riportarono, Elsa scoprì che i due detective avevano raggiunto il rifugio dopo essersi convinti che Claude Frollo fosse il loro uomo. Non avevano specificato, ancora, come avessero fatto a rintracciarlo ma era piuttosto sicura che sotto ci fosse lo zampino dell'agente Sunlight.
Per quanto le costasse ammetterlo, le era chiaro perché i due idioti avessero deciso di agire così: non avrebbero mai ricevuto il giusto supporto nell'accusare il procuratore sulla base di prove indiziarie, anzi, avrebbero rischiato di vedere bloccate le loro azioni sul nascere. Quello che non le andava giù era il non essere stata messa al corrente dei loro piani, visto che quello era anche il suo caso e gli aveva sempre fornito la massima collaborazione: ok, con Jack non si parlava ma Kristoff...
Rilasciò un piccolo sbuffo, quello non era il momento di pensarci, doveva concentrarsi. Si infilò i guanti e invitò la sua assistente a seguirla. Se c'era una cosa nella sua carriera a cui non si era mai abituata era l'odore della carne umana bruciata. Si portò una mano al viso, nella speranza che il profumo che aveva sul polso potesse mitigare quella morsa che le stringeva lo stomaco. Da come serrava le labbra, si accorse che Jane era in difficoltà. Guardando il cadavere del procuratore Claude Frollo non poteva darle torto. Le conseguenze degli impatti da energia termica erano devastanti: il corpo era completamente ricoperto da ustioni di vario grado che, in più parti, raggiungevano lo status di carbonizzazione. Non era immediato distinguere dove finisse la carne e cominciassero i rimasugli degli abiti che l'uomo indossava. La cosa più inquietante di tutte, però, era la testa dove il fuoco aveva reso il teschio ben visibile fra i tessuti sciolti, le orbite vuote e gelatinose, qualche capello ustionato superstite e quel ghigno inquietante dei denti esposti.
«Convengo che non sia facile ma ti chiedo lo sforzo di resistere. Non dobbiamo lasciarci sfuggire nemmeno un dettaglio. Non voglio rischiare che la nostra ricostruzione non combaci con la versione di Jack e Kristoff. »
Jane inarcò un sopracciglio. «Pensi che possano metterla in discussione? »
Elsa le fece segno di fotografare alcuni particolari. «Stiamo pur sempre parlando della punta di diamante della procura. Non mi stupirebbe se, ad esempio, mi affiancassero un altro medico legale dato che Kristoff è mio cognato. Il fatto, che il caso dei Fearling fosse mio, ci ha permesso di essere più rapide di una qualsiasi possibile reazione ma è meglio essere preparate. »
«Era un pazzo! » Esclamò l'altra, guardando con una smorfia di disgusto il risultato di un primo piano. «Stava per uccidere una ragazza innocente. »
«Che l'abbiano salvata, oltre ad essere un'ottima notizia, è anche cruciale: non potranno mettere in discussione la sua testimonianza più di tanto... »
«Questo non ha senso. »
Elsa scosse il capo. «Credi davvero che lavorare per la giustizia sia garanzia dell'essere privi di orgoglio, ambizione e vendetta? » E, per un attimo, non poté fare a meno di pensare a tutte quelle sensazioni negative che, nelle sue collaborazioni con lui, il procuratore Frollo le aveva sempre inviato.
«Dottoressa Bleket! » La richiamò un ragazzo della scientifica. «Venga qui! Abbiamo trovato quel che resta della siringa menzionata dal detective Overland. »
Li raggiunse solerte. «Ottimo! Classificatela e mandatela subito ad analizzare: se ha tracce di fenilciclidina sarà un passo in più per dimostrare che Claude Frollo fosse davvero il capo dei Fearling. »
In quel momento, una vibrazione insistente - proveniente dalla sua borsetta - la costrinse ad allontanarsi un poco. «Anna? » Rispose allarmata. «E' successo qualcosa a Kristoff? E' peggiorato? » L'altra la inondò di parole concitate. «Calmati, non capisco se parli così veloce: c'è poco campo qui. » Le stesse parole le vennero ripetute con più calma. «Che cosa hai detto? »


 §


Davanti alla porta divelta di quella che era stata la casa della loro infanzia, le due sorelle non poterono altro che farsi coraggio ed entrare per valutare la scia dei danni che quei balordi si erano lasciati alle spalle, una volta scoperto che di valore, in quella casa, non era rimasto praticamente nulla. Restarono strette e in silenzio nel vedere le poltrone e i divani, del grande salone, stracciati. I vetri dei portafoto in milioni di pezzi, il tavolino distrutto.
Salirono con il cuore in gola per constatare che, purtroppo, neanche il piano superiore era scampato alla loro furia. Entrare nella camera dei loro genitori straziò il cuore di entrambe.
Elsa si fece forza e trascinò la sorella in quella che era stata la sua camera: non avevano risparmiato nulla, neppure i pupazzi.
«Ehi, guarda! » Le disse, lo sguardo puntato sul loro vecchio baule dei giochi: il coperchio in legno era stato divelto ma il resto era ancora intero.
«Te lo ricordi questo? » Le chiese, mentre un sorriso malinconico le increspava le labbra.
«Sì! » Annuì Anna, lo sguardo acceso dal solito sentimento. «Funzionerà ancora? »
Elsa si abbassò. «Non ci resta che scoprirlo. » Fece scivolare una mano lungo il bordo: ci fu un piccolo scatto e uno scompartimento nascosto si aprì. «Guarda un po'! »
Le passò i fogli che c'erano dentro: disegni per la migliore sorella del mondo e omini di neve ovunque, c'era anche un piccolo portachiavi. «Vedi? Se i pupazzi di neve mi piacciono tanto, è solo colpa tua! »
Anna si strinse nelle spalle e, nonostante tutto, trovò la forza di sorridere. «Andiamo a vedere cosa c'è nel mio? »
A differenza di quello della sorella, dipinto sui chiari toni del blu, il suo era colorato su quelli del verde ma aveva le stesse dimensioni e lo stesso identico meccanismo nascosto. Anche quello non si era sottratto alla furia vandalica, dato che lo trovarono completamente capovolto e fuori posto ma, anche in questo caso, il loro comparto segreto aveva retto egregiamente alle angherie.
Lo girarono assieme, una da un lato e una dall'altro. Quando Anna lo fece scattare, però, le sue sopracciglia si inarcarono stupite. «E questi? »

 §

Quando Jack vide la figura di Elsa ad attenderlo dietro allo spioncino, non poté fare a meno di sospirare prima di andare ad aprire. «Sei venuta perché ti sei pentita di avermi cacciato? » La accolse, tutt'altro che compiacente.
Lei lo guardò dritto negli occhi. «Hai intenzione di scusarti per quello che mi hai detto? »
«No. »
«In questo caso non ho alcun ripensamento. »
Il detective alzò le spalle. «Allora perché sei venuta? Vista la mia incredibile influenza sulla tua acidità di stomaco... »
Elsa sospirò stanca. «Credo tu possa immaginare cosa significhi per me essere qui. Possiamo, per una volta, mettere da parte qualunque cosa siamo e comportarci come semplici colleghi ed amici? »
Jack anelava ad essere amico di Elsa tanto quanto prendersi una pallottola dritta in fronte: qualunque cosa siamo. Si fece da parte. «Prego... »
Lei entrò e, solo in quel momento, aprì le braccia che teneva strette al petto e le portò lungo i fianchi, con un breve fruscio di carta. «Come stai? »
L'altro inarcò le sopracciglia. «Bene. » Rispose, sorpreso di quella improvvisa premura. «Ho firmato per venire a casa: per un po', ho dato con gli ospedali. » Ghignò appena, tastandosi la fronte fasciata. «Cos'hai lì? » Chiese, poi, sinceramente curioso: era, di sicuro, per quello che era venuta.
«Hai saputo che cosa è successo alla casa dei nostri genitori? » Lo vide annuire dispiaciuto. «Io e Anna siamo andate a controllare l'entità dei danni. » Gonfiò il petto. «Hanno distrutto tutto ma, nel girare fra una stanza e l'altra, abbiamo trovato questi. »
«Cosa sono? » Chiese, mentre prendeva fra le mani la busta che lei gli stava porgendo.
«Guardalo da solo, per favore. Voglio sapere cosa ne pensi tu. » Gli rispose, mordendosi un labbro.
Era maledettamente nervosa e, con tutta probabilità, anche un po' disperata per essere lì, nonostante il loro ultimo litigio. Annuì. «Siediti qui. » La invitò, accompagnandola verso il divano.
Elsa obbedì, mentre lo osservava estrarre i documenti dalla busta e dirigersi verso la cucina. Ne tornò poco dopo e le si sedette accanto, passandole senza nemmeno guardarla - completamente assorto dalla lettura - una bottiglia di birra ghiacciata. La accettò con gratitudine e rimase in trepidante attesa di un suo riscontro.
«I tuoi stavano seguendo un caso? » Le chiese dopo quello che parve un interminabile momento. «Come mai questi documenti sono saltati fuori solo ora? »
«Erano nascosti in camera di Anna. Io e lei avevano dei bauli dove tenevano i nostri giochi. Entrambi avevano uno scompartimento segreto dove ci lasciavamo dei messaggi o piccoli regali: è lì che li abbiamo trovati. » Deglutì. «Hai visto la data degli appunti? »
Jack annuì cupo. «Risale a poco prima del loro incidente... »
Elsa cercò di dare aria a tutti quei pensieri che stava cercando di mettere a tacere fin da quando era entrata, ma la mano di lui le si posò sulla bocca, a zittirla, bloccandola in un rossore che, forse, non arrivava solo dall'eccitazione della scoperta o dall'alcol della birra.
«Stavano indagando su qualcosa, qualcosa di grosso... » Le spiegò la sua teoria, senza lasciare che lei lo influenzasse con la propria. «Indagavano da soli, non si fidavano di nessuno e avevano paura di essere stati scoperti: altrimenti non avrebbero nascosto questi in un posto così inusuale. »
Lei annuì e il sfiorargli la pelle con le labbra le fece uno strano effetto: non disse niente e aspettò che continuasse, in trepidazione.
«Stai pensando che, chiunque abbia distrutto casa vostra, non fossero semplici ladri ma fossero lì per questi, perché potrebbero essere la prova di quello che sospetti da sempre: la morte dei tuoi genitori non è stata un incidente. »
«E' così! » Si drizzò sul divano, ormai incapace di trattenersi. «E' sempre stato tutto troppo sospetto: nessun testimone, telecamere fuori uso, dinamiche incerte, autopsia frettolosa... » Le lacrime le salirono agli occhi. «Li hanno uccisi... » Disse a fatica, un nodo alla gola. «Li hanno uccisi prima che potessero portare a termine le loro indagini. »
Jackson scattò ancor prima di rendersi effettivamente conto di quel che stesse facendo, offrendole il conforto delle sue braccia. Inaspettatamente, lei accettò quel segno di tregua, travolta dal proprio dolore e ricambiò la sua stretta, bagnandogli la maglia del pigiama.
Nel sentirla singhiozzare, Jack inghiottì una buona dose d'orgoglio, la strinse ancora di più e abbassò il capo per lasciarle un bacio fra i capelli.
«Perché pensi che si siano mossi adesso? Dopo tutto questo tempo. » Le chiese, continuando a cullarla ma cercando di catalizzare quei cupi sentimenti verso un obiettivo.
Elsa tirò sul col naso: per quanto le costasse ammetterlo, se c'era una persona con cui poteva mostrare tranquillamente il suo lato meno elegante, ad esclusione della sorella, era proprio l'uomo che aveva di fronte. «L'unica cosa che mi può venire in mente, è l'idea di Anna di vendere la casa... »
Lui inarcò le sopracciglia. «Vi eravate decise alla fine? »
«In realtà, no. Ma come io ne ho parlato con te, lei lo avrà fatto con qualche amica, così come Kristoff: le voci girano. Tu... » Alzò lo sguardo, la domanda negli occhi ancor prima che sulle labbra.
«Non l'ho detto a nessuno. » Le confermò, un pelo risentito per quel sospetto. «Non era già stata perquisita all'epoca? »
«Sì ma, in particolare, si concentrarono sul loro studio, il resto della casa fu controllato sommariamente. Pensavano a qualche regolamento di conti con qualche famiglia criminale ostacolata dal loro lavoro: non trovarono niente. Almeno così ci dissero. »
«Anche se, al momento, sembrano criptici, questi documenti devono essere fondamentali per la soluzione del caso, altrimenti non li avrebbero nascosti con così tanta cura. »
Elsa si staccò un poco, per guardarlo negli occhi. «Stai dicendo che mi aiuterai? »
Lo vide inspirare a fondo prima di rispondere. «Perché sei venuta da me e non sei andata da Kristoff? »
«Io... » Balbettò, presa in contropiede. « Con tutto quello che hanno passato, non volevo dargli ulteriori pensieri. » Distolse lo sguardo. «Anna vuole che vada avanti, che lasci perdere. Non capisce, non ha mai capito... » Riportò lo sguardo nel suo. «Tu sì. »
Jack scosse appena la testa, arruffandosi i capelli come faceva ogni volta che era combattuto sul prendere una decisione piuttosto che un'altra. «Ti aiuterò. »
Lei, finalmente, sorrise, mettendo da parte i singhiozzi. Si allungò un poco, quel tanto che bastava per arrivare a posare le labbra sulla sua guancia. «Grazie. »



E no, non è ancora finita!
Ma ciao! Sono abbastanza incredula di me stessa per essere riuscita a partorire questo capitolo in tempi, tutto sommato, in linea con le pubblicazioni iniziali.
Sarà stato il momento topico da descrivere ma non riuscivo a pensare ad altro, con buona pace delle ore di sonno perse.
Come avrete notato, è più lungo degli altri ma, converrete con me, che ci fosse veramente tanto da dire: ebbene sì, il nostro pazzo assassino di assassini pare che fosse proprio il fiore all'occhiello della procura e qualcuno di voi si era fatto venire i giusti dubbi.
Inizialmente non era previsto l'inserimento di Esmeralda ma, dopo che mi è stata nominata da Spirit, ci ho rimuginato un sacco e, alla fine, ho pensato che non ci fosse modo migliore per far cadere il procuratore, sempre così attento con tutto ma non con la sua ossessione per lei.
Per sicurezza, preciso che non condivido assolutamente tutto quello che Frollo dice (e fa) nei confronti di Esmeralda.
Anche se avevo detto a Teony che Merida non sarebbe apparsa, alla fine c'è stato uno spazio per un suo piccolo cameo, dove - anche senza essere stata nominata - ha dato del filo da torcere al nostro Jack. Spero vi abbia fatto piacere!
Jack che non ha proprio imparato a non rischiare l'osso del collo, anzi, si è trascinato dietro Kristoff.
E, incredibile ma vero, Elsa (sì, proprio lei!) sembra aver messo un attimo da parte l'ascia di guerra! Miracolo!
Come dite? Che fine ha fatto Pitch? Non preoccupatevi, non mi sono dimenticata di lui... d'altra parte, questo non è l'ultimo capitolo ù_ù.
Grazie davvero per aver letto fino a qui (note deliranti comprese) e per tutto il supporto che mi date! <3
Spero davvero che questo nuovo tassello vi sia piaciuto.
Un abbraccio e alla prossima (che come sempre arriverà!)
Cida

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Capitolo 10
*** Cap. 9 - Cold Case ***


Capitolo 8

 

La sconfitta del capo dei Fearling, l’Uomo Nero, come l’aveva ribattezzato la stampa, aveva mandato i giornalisti in visibilio, soprattutto per la succosissima scoperta della sua identità. L’opinione pubblica era spaccata a metà: fra chi riteneva orribile quel che il procuratore aveva fatto e chi non si dispiaceva poi troppo del suo metodo di pulizia. Quello che tutti ancora non sapevano era che, per dimostrare alla procura la loro totale collaborazione, ovviamente in accordo con la ragazza salvata, la polizia aveva deciso di non divulgare cosa stesse facendo Claude Frollo quando era stato incastrato: nessuno aveva intenzione di ricevere una pioggia di ricorsi per i processi seguiti da lui che erano, di fatto, innumerevoli. Certo, vista la quantità di persone coinvolte, era pressoché impossibile che una cosa del genere rimanesse segreta a lungo, l’importante era che ci rimanesse abbastanza. Questo segno di pace, tuttavia, non impedì alle previsioni di Elsa di avverarsi: non solo non le fu concessa di effettuare l’autopsia sul suo cadavere, non venne neanche ammessa ad assistere. Jane l’aveva vista così furiosa ben poche volte: il fatto che il risultato tardasse ad arrivare non aiutava a ridistendere il suo umore. C’era, inoltre, un’altra persona molto agitata: il signor Bunnymund era arrabbiato, sì, ma per una volta ce l’aveva con la procura: non era davvero colpa dei suoi agenti se il loro tanto decantato procuratore era un assassino egomaniaco, perciò aveva messo sotto torchio Jack e Kristoff, non perché non fosse contento del loro operato – sebbene continuasse a non vedere di buon occhio l’irruenza del detective Overland, in cui trascinava il detective Bjorgman – ma perché voleva essere inattaccabile sotto ogni punto di vista. Per questo la vita di Claude Frollo era stata rivoltata da cima a fondo e ora i due erano, con una squadra della scientifica, a battere ogni centimetro del suo appartamento. C’era voluto un po’ ma, in una zona inusuale, avevano finalmente trovato quello che stavano cercando: la cassaforte.
Jackson annuì all’agente che lo aveva appena aggiornato e si avvicinò a Kristoff. «Ovviamente è un modello di ultima generazione, ci vorrà del tempo per capire come aprirla. Il resto della casa? »
L’altro scosse il capo. «Niente di rilevante: alcuni documenti del tribunale, un’invidiabile collezione di orologi… »
Jack sbuffò. «Non che non lo comprenda ma questo eccesso di zelo comincia a darmi sui nervi. »
«Io te l’avevo detto… » Gli rinfacciò, dando un’occhiata ai suoi appunti. «Era chiaro che fossero necessarie tutte le prove. »
«Il rifugio nel bosco, con il sotterraneo segreto dove c’era tutta l’attrezzatura con cui uccideva le sue vittime e i ritrovamenti di fenilciclidina non bastano? »
«Il fuoco ha ripulito tutto, non ci sono prove che Lionheart e Sabor siano stati portati lì. Abbiamo solo Esmeralda… »
«Solo?! Che la notizia non sia stata divulgata non la rende meno reale: quella ragazza ha rischiato grosso! Ha usato lo stesso modus operandi! »
«Sì, ma lei non è una criminale e si è mosso in solitaria… »
Jack sgranò gli occhi. «Per forza! Quei due sono in galera… »
«Per questo è di fondamentale importanza collegarlo a loro e alla De Vil. »
«Vogliamo davvero dire che i registri del suo racket segreto, trovati nella sua magione, dove tutte le vendite di fenilciclidina sono associate allo stesso riferimento e il fatto che quei due lasciassero l’auto sempre in zone vicino al rifugio siano solo un caso? »
Kristoff si strinse nelle spalle. «Ovvio che no ma la procura vorrà di più, guarda cosa è successo con Elsa… »
Jackson strinse i denti. «Già. Dobbiamo trovare il collegamento dei soldi, così – forse – si metteranno l’anima in pace… »
«Detective, vi prego di indossare queste. » Gli disse un agente della scientifica, porgendo ad entrambi un paio di cuffie protettive.
Kristoff le prese. «Volete far saltare la cassaforte? »
«E’ l’unico modo: non c’è possibilità di aprirla altrimenti, è troppo avanzata. »
La stessa cosa fece anche Jack. «Avete preso tutte le precauzione del caso? E’ di vitale importanza che ciò che c’è dentro non si danneggi. »
«Lo sappiamo, detective. » Gli confermò quello. «Puntiamo a far saltare le poche giunture, così da fare perno ed aprirla. » Controllò l’orologio. «La detonazione avverrà fra cinque minuti: abbiamo già informato la concierge affinché avvisasse gli inquilini, così da non creare allarmismi. »
«Bene, proseguite pure. » Lo congedò Kristoff, spostandosi un poco. «A proposito di concierge… » Ghignò, alzando un pochino la voce per farsi sentire dall’altro al di là delle cuffie. «Com’è finita la faccenda dei biglietti? »
Jack arricciò le labbra in una smorfia. «Non mi dire niente, mi sono costati un occhio della testa. »
«Ah, quindi hai mantenuto la promessa! »
«Certo, alla fine avevo dato la mia parola… »
«Avrei scommesso di no. » Sghignazzò quello.
L’altro lo guardò storto. «Tu hai una pessima idea di me… »
Kristoff rise. «Non direi o non mi sarei preso un colpo di fucile per t… »
In quel momento, la cassaforte brillò.
«Detective Overland, Bjorgman! Venite, presto! »
Si precipitarono nell’altra stanza, il fumo della detonazione riempiva ancora tutta l’area.
«Che cosa abbiamo? »
«Un libretto che, probabilmente, fa riferimento a conti in paradisi fiscali e banconote, tante! »
«Bingo! » Esclamò Jackson. «Con un po’ di fortuna, i numeri di serie combaceranno con quelli degli agenti corrotti di polizia giudiziaria… »
«E i conti potranno tracciare i movimenti di denaro. » Concluse per lui Kristoff. «Ottimo lavoro ragazzi. Penso che possiamo andare adesso, il Signor Bunnymund vorrà di sicuro sapere queste novità. » Non ottenendo risposta, si girò verso il suo compagno di squadra. «Ehi, Jack! Tutto a posto? »
«Non direi… » Sussurrò l’altro, lo sguardo incollato ad una vecchia fotografia dove, fra un gruppo di ragazzi, spiccava la figura di Claude Frollo vicino ad un altro giovane, la cui identità era facilmente riconoscibile nonostante l’età: Kozmotis Pitchiner.

§ 

«Chissà perché non mi stupisce il trovarti qui. »
Robert Locksley alzò gli occhi dalla lapide in marmo rosa che aveva di fronte e li posò sull’uomo che aveva appena parlato. «Richard… »
«Ti dispiace? » Gli chiese lui, facendogli cenno verso il mazzo di fiori che aveva in mano: margherite, le sue preferite.
Scosse il capo, scostandosi un poco per farlo passare, mostrandogli così che lo stesso fiore era già stato posato sulla fredda e lucida superficie della tomba.
«Neppure questo mi stupisce. » Sorrise appena. «Vieni sempre qui tutti i giorni? »
Robert alzò le spalle. «Ogni volta che posso. Tu come mai sei qui, oggi? »
«Marian era una cara amica, quasi una figlia per me. Ora che il caso Fearling si è concluso, 
penso possa finalmente riposare in pace. »
«Lo spero tanto anche io… » Disse mestamente.
Richard gli posò una mano sulla spalla. «E anche per te è giunto il momento di rimetterti in sesto, lei non avrebbe voluto vederti così. » Cercò di dargli conforto. «Perché non vieni a lavorare per me? Potresti ricoprire il suo ruolo, secondo me ne sarebbe felice: porteresti avanti la sua impronta. »
Robert assunse un’espressione malinconica. «Non sarei mai bravo quanto lei. » Espressione che, d’improvviso, si accese di furbizia. «Temo, poi, che lavorare per una multinazionale rischi di macchiare irrimediabilmente la mia reputazione. »
L’altro sorrise. «Ecco, ora lo riconosco lo sguardo di chi ha quasi distrutto la mia compagnia… »
«Ma è ricresciuta più forte e, soprattutto, migliore. »
«E questo grazie a te, » Strinse un pochino di più la presa sulla sua spalla. «E a lei. »
L’altro guardò la foto della donna sulla lapide e ricambiò il sorriso che gli stava rivolgendo. «Lei rendeva tutto migliore… »
«E può continuare a farlo: tramite te! Risollevati Robert, c’è ancora un sacco di povera gente che bisogno del suo Robin Hood. »
«Robin Hood? » ripeté quello stranito, un sopracciglio inarcato. «Un moderno Robin Hood… » Disse ancora una volta, assaporandone il significato. «Mi piace come idea ma, sia chiaro, io la calzamaglia non la metto. »

§

Jackson entrò in tribunale con un mix di emozioni in testa e nel cuore. Da una parte era sollevato che la tanto agognata autopsia fosse finalmente arrivata, confermando – nonostante tutto – la loro versione dei fatti. Perciò, se, in aggiunta ad Esmeralda e a tutto il resto delle prove che avevano raccolto, ancora non fosse bastato a far stare buona la procura, potevano anche andare a farsi fottere. Dall’altra, però, era irritato perché a nulla erano valse le ricerche allo studio e all’appartamento del dottor Kozmotis Pitchiner: era sparito nel nulla.
Così, aveva deciso di riprendere in mano i documenti che Elsa gli aveva portato quella fatidica sera: aveva studiato a lungo quei codici, alcuni più lunghi, altri più corti ma, nonostante le varie ricerche, capirne il significato era pressoché impossibile senza la giusta chiave di lettura. Si era, perciò, mosso con circospezione e, dopo aver studiato quale fosse il giorno più adatto, aveva deciso di andare ad ispezionare, in via del tutto informale, il vecchio ufficio di Iduna che non era più stato assegnato, in segno di rispetto per la sua tragica dipartita. Non che sperasse di trovare qualcosa di significativo per il caso, né lei né Agnarr sarebbero stati tanto stupidi da lasciare informazioni così delicate sotto agli occhi di tutti, ma almeno sperava di carpirne il metodo.
Entrare in quella stanza gli fece lo stesso effetto di entrare in un museo e, per un attimo, la sua memoria gli diede l’illusione di riuscire ancora a percepire il suo profumo. Iduna era una donna gentile e dallo spirito leggero, si era sempre sentito in sintonia con lei e non aveva mai dato, neanche per un momento, l’idea di provare rammarico per le condizioni economiche della famiglia Overland. A differenza di Agnarr che proveniva da una famiglia facoltosa da generazioni, lei si era costruita il suo benessere completamente da sola, non rinnegando mai le sue origini rurali. Mise da parte i ricordi e ispezionò subito le librerie ma i tomi presenti erano tutti prettamente accademici: ne controllò alcuni, per verificare se fra le loro pagine non potesse esserci qualche nota dimenticata ma, come era facile aspettarsi, nessun colpo di fortuna venne in suo soccorso. Si dedicò, quindi, alla scrivania: i cassetti erano aperti e, purtroppo, vuoti. Sbuffò: quindi, quell’ufficio era solo una facciata e tutto ciò che era appartenuto ad Iduna era già stato tolto e archiviato da qualche parte, di sicuro inaccessibile tramite canali non ufficiali. Un buco nell’acqua annunciato ma per cui valeva la pena tentare. Sperò, in cuor suo, che Elsa avesse più successo nella visita allo studio dei suoi genitori nella loro casa.
«Sta cercando qualcosa? »
Jack trasalì, concentrato com’era nella ricerca di un possibile indizio, non era riuscito a percepire l’arrivo di un’altra persona. «In realtà, no. » Mentì con una certa naturalezza, voltandosi verso l’ingresso. «Conoscevo la giudice quando ero un ragazzo, penso che oggi mi abbia guidato qui un po’ di nostalgia. »
Nel vederlo in faccia, il giudice Weselton – perché di lui si trattava – lo riconobbe. «Lei è il detective che era con Elsa quel giorno, non immaginavo conoscesse da tempo la famiglia. »
«Sì, io e Elsa andavamo a scuola insieme. » Il resto decise saggiamente di non rivelarlo. «Jackson Overland, piacere. » Si presentò, porgendogli la mano. «Lei è il giudice Weselton, suppongo. »
Quello annuì, accettando la sua stretta. «Compagno di scuola, eh? A volte il destino sa essere davvero buffo. Non mi pare, però, di averla mai vista prima di quella volta. »
«Sono stato lontano dalla città per molto tempo, è il mio primo anno qui. »
L’altro sorrise. «Arrivo provvidenziale: mi hanno detto che lei e il detective Bjorgman siete stati determinanti per la soluzione del caso Fearling. » Sospirò. «Claude, chi l’avrebbe immaginato mai? Sembrava così integerrimo nei suoi principi… »
Jack alzò le spalle. «Il potere sa dare alla testa, a volte. »
Il giudice si trovò d’accordo. «Ha saputo cosa è successo alla casa dei Bleket? » Lo vide annuire. «Pare proprio che quelle benedette ragazze non possano avere un attimo di pace. Come l’hanno presa? »
«Non bene, temo. »
«Scommetto che la più scossa è stata Elsa: non è mai riuscita a superare quello che è accaduto. »
L’altro piegò appena il capo. «Non è facile venire a patti con il non sapere: erano i suoi genitori. »
«Mi rendo conto. » Convenne Weselton. «Ma anche trasformarlo in un’ossessione non è salutare. » Rafforzò appena la presa sul plico di fogli che aveva sottobraccio. «Se è davvero suo amico, l’aiuti a superare questa cosa: si è logorata per così tanti anni, né Agnarr né Iduna avrebbero voluto vederla così. »
Jack avrebbe voluto dissentire poiché Elsa non avrebbe accettato mai di rimanere all’oscuro, non l’aveva fatto per vent’anni, non avrebbe di certo cominciato adesso. «Farò del mio meglio. » Disse, invece, e il fatto, che quello che intendesse fosse esattamente il contrario di ciò che il giudice suggeriva, non era importante farglielo sapere.

 §

Che l’agente Sunlight amasse la stagione estiva non era un mistero per nessuno. L’estate era scolpita nel suo DNA, come la sua data di nascita testimoniava, e l’attendeva con trepidazione ogni anno. Amava le giornate più lunghe e, nonostante la sua chioma di capelli fluenti, non ne temeva affatto il calore, anzi, la prendeva come una sfida nell’escogitare, ogni volta, una nuova acconciatura per raccoglierli. Poi, beh, il caldo era la scusa perfetta per concedersi un grande, anzi, enorme gelato ricoperto da una cascata di fragole e panna.
«Quant’è? » Chiese al cassiere.
«Faccio io! » L’anticipò una voce alle sue spalle. «Può aggiungere un caffè, per favore? »
Rapunzel si girò, riconoscendo immediatamente il tono scanzonato di colui che aveva appena parlato. «Rider! »
Lui le sorrise. «Biondina… » La salutò, pagando il conto. «Dove ci sediamo? » le chiese, poi, prendendo il vassoio con il loro ordine.
«Se non ti dispiace, andrei fuori. » Propose lei, ancora incredula di quel che stava succedendo.
«Prego. » Acconsentì, facendole cenno di fargli strada.
Si accomodarono ad uno dei tavolini, all’ombra di una grossa tenda a righe bianche e rosse.
«Non lo mangi? » Le chiese Flynn, prendendo un sorso del suo caffè. «Si scioglierà tutto… »
Lei prese il cucchiaino in mano, dubbiosa. «Come faccio a sapere che i soldi che hai usato per offrirmelo non siano rubati? »
Lui alzò le spalle. «Non puoi, ma non sono così sadico dal rovinarti l’esperienza usando del denaro sporco… »
Punzie s’illuminò e, finalmente, assaggiò il suo gelato.
«… Non tutto, almeno. » Completò lui, guardandola di sottecchi.
Per poco non si strozzò.
Flynn Rider scoppiò a ridere. «Scherzo, scherzo! Non c’è un solo centesimo rubato. »
Lei lo guardò storto e, in tutta risposta, prese un altro cucchiaio. «Quindi, il noto ladro Flynn Rider mi sta davvero offrendo un gelato? »
«Non raccontarlo in giro: distruggerebbe la mia reputazione. »
Rapunzel alzò gli occhi al cielo.
«Ehi, una falsa reputazione è tutto quello che un uomo ha. » Le fece presente, dando un altro sorso al suo caffè.
«Se lo dici tu. » Concesse. «Allora ti stai dando ufficialmente alla carriera di stalker? »
Lui inarcò le sopracciglia. «Eh? »
«Oh, mi vuoi dire che questo incontro è solo colpa del caso? »
«Ero curioso di incontrarti senza la tua padella… »
«Allora lo ammetti! » Bofonchiò, puntandolo con il cucchiaino.
Rider strizzò appena gli occhi. «Biondina, hai un po’ di panna qui! » Si sporse verso di lei e le pulì l’angolo della bocca con un tovagliolino.
Punzie avvampò, facendo scivolare rumorosamente la sua sedia all’indietro. «Che fai?! »
«Ti ho pulito, te l’ho detto. » Le ripeté, tornando al suo posto. In mano aveva, adesso, un cellulare. Armeggiò un attimo con lo schermo e, poi, lo girò verso di lei: il riconoscimento facciale lo sbloccò e un allegro camaleonte apparve sullo sfondo.
«Ehi! » Comprese lei. «Quello è mio! Come hai fatto? »
L’altro ghignò. «Sono un ladro, ricordi? » Digitò alcune cose.
«Che stai facendo? »
«Ti segno il mio numero, caso mai volessi chiamarmi per una consulenza sul come mettere in sicurezza il tuo appartamento, la tua bicicletta, qualsiasi cosa… » Finì il suo caffè e si alzò. «Ora devo andare, biondina, ma sono stato davvero felice d’incontrarti, soprattutto senza la tua padella. »
Rapunzel ridacchiò appena. «Dove vai? »
«Faccio il cameriere in un ristorante qui dietro, fra poco inizia il mio turno. »
Lei inarcò un sopracciglio. «E’ un codice per nascondere qualche malefatta? »
«Puoi non crederci o puoi venire una sera a cena. » Celiò, facendole un occhiolino.
«Hai davvero deciso di cambiare vita? »
«Chi lo sa? Forse sì, forse no… Arrivederci biondina, spero userai quel numero, così non sarai più tu a dover stalkerare me. »
Punzie arrossì. «Allora arrivederci Flynn Rider e grazie per il gelato. »
«Chiamami Eugene… »
«Come? »
«Eugene Fitzherbert, è il mio vero nome. »


 §


«Dottoressa Bleket, aspetti! »
In procinto di entrare in un negozio, Elsa si bloccò: conosceva bene quella voce. «Dottor Pitchiner… » Si voltò e si allontanò un poco dalla porta, in una posizione più appartata, portando istintivamente mano alla borsa, in cerca del cellulare.
«Non faccia mosse avventate. » Le suggerì pacato. «Sono qui solo per parlare. »
«Parlare? » Si guardò attorno, era pomeriggio appena iniziato e c’era molta gente in giro.
Lui sorrise. «Non sono qui per farle del male, se è di questo che ha paura. »
«Tutte le forze di polizia della città la stanno cercando, lo sa? »
«Per cosa? L’aver scoperto che io e Claude Frollo ci conoscevamo? »
L’altra assottigliò gli occhi. «Pensa sia così stupida dal credere che foste solamente conoscenti? »
Kozmotis scosse il capo. «Non credo affatto sia stupida, anzi, tutto il contrario. Anche lei lo conosceva bene, sono sicuro non l’abbia stupita il fatto che fosse proprio lui il fantomatico Uomo Nero. L’immacolato alfiere di Dio: curioso il destino, no? »
Elsa fu d’accordo a metà. «Ho sempre trovato il procuratore Frollo al limite del fanatismo, ma che si sarebbe spinto fino a questo punto andava ben oltre le mie capacità di immaginazione. Quello che mi domando è: perché proprio ora? » Lo guardò dritto negli occhi. «E’ come se qualcuno avesse soffiato sul suo ego, gonfiandolo a tal punto da farlo scoppiare. » Inarcò un sopracciglio. «Sa cosa credo? Che l’Uomo Nero sia ancora in libertà. Lei che ne pensa? »
«Vuole provare a fare la psichiatra con me? »
Lei fece un segno di diniego con la testa. «Temo di non averne le capacità, ma lo sa meglio di me: lui è qui e non sono io. »
Il dottor Pitchiner sorrise. «Peccato che non bastino le sue convinzioni per farmi finire in manette. »
Elsa sospirò. «Su questo ha ragione. Allora ragioniamo per ipotesi: supponiamo lei sia davvero l’Uomo Nero e che con i suoi Fearling punisca con la paura i criminali rimasti impuniti, affinché paghino per il dolore inflitto alle famiglie delle loro vittime. Perché Frollo? Era un suo amico, lo ha sacrificato alla sua causa… »
«Sacrificato? » L’altro rise e lei trattenne a stento un brivido. «Come dice, supponiamo che io sia veramente l’Uomo Nero. Davvero crede che la mia scelta sarebbe stata casuale? Ci rifletta un momento: Claude Frollo era davvero bravo nel suo lavoro ma non penserà mica che fosse, sul serio, guidato dalla mano di Dio? Non si è mai chiesta da dove venisse questa sua incredibile carriera? » Ghignò. «Era un asso, certo, ma sapeva anche come far girare i giusti ingranaggi… »
«Che intende dire? »
«Minacce agli imputati, manipolazione di prove… »
L’altra sgranò gli occhi. «Che cosa? »
Kozmotis ignorò la sua domanda. «Supponiamo che, come ha detto, noi fossimo amici e ci conoscessimo fin da bambini. » Alzò un poco le spalle. «Immaginiamo che il suo carattere fosse già ben definito allora. Ipotizziamo che, quando uccisero mia moglie e mia figlia e catturarono il colpevole, abbia giurato di aiutarmi ad ottenere vendetta. E che, non potendo seguire direttamente il caso, avesse provato a manipolare le prove per assicurarsi che quel maledetto non uscisse più di prigione, ma venendo scoperto. La sua stella brillava già troppo in alto per far sì che si spegnesse con uno scandalo di tale portata: la procura mediò con la difesa e l’assassino fu libero, in cambio del suo silenzio. » Strinse i denti. «Si finse pure dispiaciuto e si offrì di starmi vicino, mi disse di non demordere, che un giorno avrei ottenuto giustizia. Pensava non lo avrei mai scoperto, si è sopravvalutato ma, alla fine, ha avuto ragione. »
«Se la procura insabbiò tutto, come ha fatto a scoprirlo? »
«Lo spirito di sopravvivenza rende le persone estremamente collaborative, non lo sa? »
Non poteva riferirsi a Frollo, dato che era morto fra le fiamme proprio davanti agli occhi di Jack e Kristoff: comprese. «Lei ha ucciso l’assassino di sua moglie e sua figlia? »
«Se anche l’avessi fatto, avrei solamente reso il mondo un posto migliore… »
Elsa scosse il capo. «Io posso capirla, comprenderla persino ma non posso condividere quello che ha fatto. Le conseguenze delle sue azioni si sono ripercosse su persone innocenti… » Il rapimento di Freja ancora ben stampato nella sua mente, così come il salvataggio di quella ragazza sul filo del rasoio. «Perché è venuto da me oggi? »
Kozmotis Pitchiner la guardò con i suoi occhi dorati. «Perché noi ci assomigliamo… »
Lei sgranò gli occhi. «Assomigliamo? Io non ho mai ucciso nessuno. »
«No, ma se avessero fatto del male a sua nipote ne sarebbe stata capace: è stata molto chiara in merito. E sa, dottoressa, nel suo sguardo ho visto che non mentiva. »
Deglutì, incapace di ribattere.
«Se io fossi l’Uomo Nero, come dice, ci sarebbe anche un’altra cosa ad accomunarci. I Fearling. Anche se lei, in realtà, ne ha solo uno. »
«Non so di cosa parla. »
«Il detective Overland! Quando siete venuti nel mio studio, non si può certo dire mi avesse preso in simpatia. Tuttavia, non aveva modo di orientarsi su di me per le sue indagini. Eppure, pochi giorni dopo il nostro incontro, eccomi convocato in centrale come indiziato numero uno. Lei lo ha indirizzato verso di me e lui ha risposto solerte alla sua chiamata. »
«Io non manipolo Jack. »
Lui la soppesò. «Forse non lo fa di proposito, glielo concedo ma non può negare che lui faccia tutto quello che gli chiede. »
Elsa strinse i denti. «Si sbaglia! Se Jack decide di fare quello che gli dico è perché ci crede, non perché asseconda tutto ciò che voglio. Non ha paura di rovesciarmi addosso tutto il suo disappunto, quando non condivide le mie scelte e, soprattutto, non ucciderebbe mai perché glielo chiedo io. »
«Ne è sicura? L’amore sa attanagliare il cuore tanto quanto la paura, non trova? »
«Dovrò chiamare la polizia, lo sa? »
Lui sorrise. «Oh sì, lo chiami pure: ma quando lui accorrerà da lei, non mi troverà. »
«Che cosa ha in mente Pitchiner? »
«Ho ancora un conto in sospeso qui… »
«Che cosa? »
Kozmotis ghignò ancora una volta. «Perché non prova a scoprirlo? »

 §

«Quando hai detto che mi avresti portato in un posto diverso dal solito, non pensavo sarei finita in ammollo… » disse Jane, guardando dubbiosa il ragazzo che le stava sistemando con attenzione l’imbragatura.
John, seduto a fianco a lei, sorrise. «Tecnicamente, in ammollo non ci sei ancora… »
Lei ricambiò il sorriso. «Ma ci finirò presto. » Sentì l’aria sferzarle il viso, il motoscafo stava prendendo velocità.
«Con questo caldo l’idea non è così terribile, no? »
«Non lo so… » Disse a denti stretti, la paura dello sgancio imminente sempre crescente. «Sarà sicuro? » Deglutì.
John appoggiò una mano sulla sua, stretta saldamente all’imbragatura. «Non ti metterei mai in pericolo… »
Il sorriso dolce che avrebbe voluto rivolgergli si trasformò, invece, in una smorfia di puro terrore: li avevano sganciati. Quando il paracadute finì di gonfiarsi e il vuoto della salita s’impadronì del suo petto: urlò.
«Dovresti aprire gli occhi. » Gli gridò lui poco dopo, per sovrastare il rumore del vento ed il ronzio del motoscafo sotto di loro. «Non sai cosa ti stai perdendo. »
Jane alzò appena una palpebra e, non appena mise a fuoco lo spettacolo che aveva davanti, aprì anche l’altra di scatto. «Sembra di volare! E’ bellissimo! » Urlò piena di gioia, questa volta, e aveva proprio ragione.
Il lago era magnifico, le sue acque blu rilucevano di infiniti riflessi, i boschi sul limitare erano verdi e rigogliosi, le spiagge non ancora troppo affollate e il sole brillava potente sopra le loro teste.
John la guardò risplendere. «Tu sei bellissima… »
«Hai detto qualcosa? » Disse lei di rimando, non avendo colto quel che aveva detto.
L’altro scosse il capo e non si ripeté, improvvisamente impaurito da quelle parole: forse troppo banali, forse troppo intime per una conoscenza ancora così acerba, addirittura fuori luogo per il modo in cui si erano conosciuti. Inspirò a fondo e lasciò andare i pensieri in balia dell’aria, mentre la felicità di Jane al suo fianco diventava la sua.
Quando il giro finì, erano zuppi ma sorridenti.
«Avevi ragione! E’ stata un’esperienza magnifica! » Gli disse euforica, avvolta in un morbido asciugamano. «Sembrava di volare e la vista, wow, era mozzafiato! »
L’altro sorrise. «Passata la paura, eh? »
«Oh sì, lo rifarei anche subito! » Gli confermò con una risata cristallina.
E, a quel punto, lui non resistette più: si sporse verso di lei e la baciò.
Jane sgranò gli occhi, presa completamente in contropiede. Lo sentì staccarsi, forse allarmato dalla reazione che aveva avuto.
«Scusami… » Balbettò, infatti, in imbarazzo. «Non avrei dovuto… »
Non gli diede il tempo di finire la frase, unendo di nuovo la bocca alla sua, in un buffo passaggio di sorpresa che si trasformò in un sorriso sulle labbra di entrambi mentre, mano nella mano, si dirigevano alla macchina per tornare a casa.


 §


Jack rientrò a casa sfinito: Elsa aveva informato sia lui che Kristoff del suo incontro con Kozmotis Pitchiner. Certo, era solo la sua parola e, di fatto, lui non aveva confessato nulla ma, per una volta, avevano deciso di mettere al corrente il signor Bunnymund della cosa. Avevano setacciato la città in lungo e in largo, assieme ad un discreto numero di pattuglie ma non erano riusciti a trovarlo da nessuna parte: neppure Rapunzel lo aveva scovato infiltrandosi nei vari circuiti di sorveglianza. A quanto pareva, il soprannome di Uomo Nero, che la stampa aveva creato per Claude Frollo, si cuciva alla perfezione su Kozmotis Pitchiner, abilissimo nel nascondersi fra le ombre della città. Tutto perché lui aveva detto di avere ancora un conto in sospeso, ma con chi? Avrebbe colpito ancora? Direttamente o aveva altri Fearling fra le sue fila?
Si levò la giacca ma l’unico accenno di relax che si concesse fu quello di un ghiacciato bicchiere d’acqua perché, nel constatare che l’omicida di Seraphina ed Emily Jane Pitchiner sembrasse misteriosamente scomparso nel nulla da anni, gli era finita sottomano la copia del tribunale relativa al processo, viziato dall’intervento illegale del procuratore, e una minuscola scritta in basso a destra aveva catturato la sua attenzione.
Prese al volo gli appunti di Iduna e Agnarr, stando ben attento a non bagnarli con la condensa del bicchiere, e i suoi occhi si illuminarono: la colonna di codici più brevi era perfettamente compatibile con quella dei documenti che aveva consultato quel giorno. Quello era il codice di classificazione interno al tribunale, da sempre inutile per le sue indagini da poliziotto ma, ora più che mai, fondamentale per la risoluzione del cold case che aveva tormentato Elsa per anni.
C’era ancora la seconda serie di codici da decifrare ma, ancora una volta, il caso Fearling venne in suo soccorso e, recuperato il suo taccuino, li confrontò con i numeri trovati nel libro contabile di Claude Frollo: chiaramente non erano identici ma, di sicuro, molto simili. Decise di scommettere tutto sul fatto che fossero transizioni bancarie. Si sedette e riguardò i fogli: da una parte aveva i processi, dall’altra uno spostamento di soldi. Che cosa poteva significare?
Posò la testa sul tavolino, stanco, abbassò le palpebre fino a chiuderle e girò il viso, mettendo a contatto la guancia con la superficie fresca.
Corruzione.
La parola gli saettò nella mente, facendogli aprire di colpo gli occhi e, solo grazie al riflesso della luce sul foglio e a quella particolare posizione, si accorse che nell’angolo in basso erano presenti alcuni piccoli solchi. Si alzò di scatto e recuperò al volo una matita, facendola scorrere piano sulla superficie.
La calligrafia di Agnarr gli mostrò una chiara parola di quattro lettere.
Prese il telefono e chiamò.

 §


Quando Elsa arrivò sola alla casa dei suoi genitori stava calando la sera. Era consapevole di essersi accordata con Jack per non fare nulla fino al mattino seguente: avevano appuntamento per colazione, in una caffetteria a metà strada fra gli appartamenti di entrambi, e l’idea era quella di stabilire un piano per le loro prossime mosse. Se davvero si parlava di corruzione ai piani alti della giustizia, beh, non potevano davvero rendere le loro indagini ufficiali: chiunque fosse quella persona senza volto, non aveva alcuno scrupolo e lei lo sapeva molto bene. Aveva persino pensato di chiedere a Jack di coinvolgere l’agente Sunlight, di sicuro troppo giovane per essere immanicata nel caso dei suoi genitori e, doveva ammetterlo – fastidio a parte – se lui si fidava così tanto di lei, un motivo doveva pur esserci. Tuttavia non era certa che il suo intervento avesse potuto risolvere qualcosa: le banche dei paradisi fiscali avevano sistemi di sicurezza sofisticatissimi, chiavi uniche e monouso, pressoché impossibili da hackerare senza lasciare traccia: non potevano permettersi un incidente internazionale ma, ancor meno, potevano muoversi per vie ufficiali, almeno per il momento. Il tribunale, inoltre, aveva fatto molta resistenza al passaggio al digitale ed era una pratica iniziata solo in tempi recenti, perciò dubitava fortemente che i casi menzionati dai suoi genitori, risalenti ad almeno vent’anni prima, fossero già stati digitalizzati. Dovevano, per forza di cose, presentarsi all’archivio del tribunale, ma sul come avessero potuto giustificare la loro presenza lì, senza destare sospetti, era tutto un altro paio di maniche.
Per questo era andata nella sua vecchia casa quella sera: frustrata dal non vedere una possibile via d’uscita, si era aggrappata con tutte le sue forze alla pulce nell’orecchio che la sua memoria le aveva messo non appena Jack le aveva svelato ciò che aveva rinvenuto sul foglio: duca.
Era sicura di aver già letto
da qualche parte quel titolo, o soprannome,  ed era più che mai convinta che la risposta si nascondesse nello studio dei suoi genitori. Quando varcò la soglia, la malinconia - che da sempre le cresceva nel petto di fronte al loro ricordo – questa volta condivise lo spazio con la trepidazione di una scoperta imminente. Cercò fra i tomi riversi sul pavimento e i pochi rimasti sulle mensole delle librerie ma non riusciva a trovare quel che stava cercando, finché l’occhio non le cadde sotto alla scrivania e, finalmente, il suo sguardo brillò.
Sfogliò il volume redatto dall’università di sua madre che racchiudeva i volti e le storie dei suoi studenti più meritevoli che, nel corso degli anni, avevano intrapreso carriere straordinarie. Le si inumidirono gli occhi quando passò con affetto la mano sul volto sorridente di Iduna, nel vano tentativo di ricordarsi come fosse il contatto con quella pelle tanto amata. Sospirò e scosse il capo, doveva tornare più indietro e, quando trovò quel che stava cercando, il cuore le si spezzò.
Nella foto che aveva di fronte, un uomo giovane di bassa statura le sorrideva affabile. Portava già gli occhiali ma i capelli erano folti e biondi, il suo viso rasato e il nome non mentiva: Alan Weselton, detto il duca, campione di polo in gioventù e giudice rispettabile in età adulta.
Il click di un cane che si armava le fece scivolare il libro di mano.
«Così l’hai scoperto. » Le disse Weselton, puntandole contro la canna di una pistola. «Ti ho gentilmente suggerito più e più volte di lasciar perdere questa faccenda ma tu, no, dovevi per forza scoprire cosa fosse successo ai tuoi genitori. Sei fin troppo simile a tua madre in questo. » Sospirò. «Ed è un peccato perché avrei davvero voluto evitarti la sua stessa fine. »
Elsa strinse i denti. «Abbia almeno la decenza di non fingersi dispiaciuto: con che coraggio ha continuato a frequentarmi dopo averli uccisi? »
«Tecnicamente non sono stato io ad ucciderli. » La corresse, perfido. «Ho solo dato l’ordine di farlo. Se ho continuato a frequentarti è stata solo colpa tua… » Le svelò. «Se ti fossi messa l’anima in pace, come tua sorella, mi avresti visto il minimo indispensabile, invece, ti sei incaponita e io dovevo tenerti d’occhio. » Ridacchiò. «Sono curioso: dove hai trovato i documenti che cercavo da vent’anni? Lo so che lo hai fatto, quelli che provano il mio coinvolgimento con i Westergard. »
Lei soppesò se fosse il caso di dirglielo o meno ma, poi, optò per guadagnare tempo. «Erano in camera di Anna, nel suo baule dei giochi… »
Weselton scosse il capo. «Credo seriamente di dover cambiare collaboratori… »
Quindi era vero, era per quelli che avevano praticamente distrutto la casa. Ora sì che riusciva a capire quale fosse il suo reale interesse dietro a tutte quelle domande sulla loro possibile vendita. «Perché lo ha fatto? » Gli chiese, cercando di capire come riuscire ad usare il proprio cellulare senza farsi sparare. «Non mi sembra abbia mai avuto problemi di soldi, perché immischiarsi con una delle più potenti famiglie malavitose della città? »
Lui alzò le spalle. «I soldi non sono mai abbastanza, tuttavia non sono tutto… » La guardò negli occhi, sempre tenendola sotto tiro. «Ma il potere sì! »
«Di che altro potere aveva bisogno? » Ribatté, disgustata.
Il giudice soppesò la sua domanda. «Posso anche dirtelo, dato che morirai. » Prese fiato. «Mi aspettava un ingresso trionfale nella carriera politica, con il supporto dei Westergard, avrei avuto questa città in mano e, forse, anche di più. I tuoi genitori, però, mandarono tutto a rotoli e neanche sbarazzarsi di loro bastò, perché quei documenti erano un pericolo troppo grande. A chi li hai dati? » Le chiese. «A quel detective della omicidi scommetto. Ecco perché è venuto a ficcare il naso nell’ufficio di tua madre. » Ragionò un attimo. «Chiamalo e faglieli portare qui. Non fare scherzi, non ho nessun problema a dare ordine di irrompere in casa di tua sorella. » Le fece presente, maledettamente serio. «La stampa ci sguazzerà, quando troveranno i vostri corpi: il brillante medico legale ucciso dall’amore malato di un detective di polizia che, incapace di resistere al rimorso, si toglie la vita lui stesso. »
Elsa strinse i denti, di fronte alla sua risata malvagia. Alzò il braccio per mettere mano alla borsa ma, anziché prendere il cellulare come lui le aveva chiesto, gliela lanciò addosso con tutta la sua forza, cercando di guadagnare l’uscita.
Il colpo di pistola le rimbombò nelle orecchie e la fece congelare sul posto. Incredibile, si disse, essere colpiti da una pallottola non procurava alcun dolore: abbassò lo sguardo sul proprio petto ma non trovò macchie ad allargarsi sui suoi vestiti.
Sentì un rantolo e si girò, riportando la sua attenzione su Alan Weselton: aveva gli occhi sgranati e un rivolo di sangue vermiglio gli usciva dalla bocca. Crollò a terra senza emettere suono ulteriore: sulla soglia dello studio si stagliava la magra e oscura figura di Kozmotis Pitchiner, la pistola fumante ancora stretta nella sua mano. La guardò con i suoi occhi dorati che brillavano sotto alla luce artificiale. «Questo è per sua nipote, non sarebbe dovuto succedere. Ora siamo pari. »
Lei annuì, ancora troppo scossa.
«Grazie… » Riuscì a dire, infine, con un soffio di voce ma lui se n’era già andato.

 §

«Elsa! » La richiamò Jack, non appena la scorse sulla porta della stanza in cui l’avevano fatta accomodare, prima di interrogarla: lo sguardo pieno di preoccupazione. «Stai bene? Sei ferita? »
Lei scosse il capo. «No, sto bene. » Gli disse, mentre le si sedeva accanto. Lo vide scrutarla da capo a piedi, per niente convinto, e un piccolo sorriso le increspò le labbra. «Sto bene, ti dico. » Si rabbuiò un poco. «E’ stato il dottor Pitchiner a renderlo possibile: ha sparato a Weselton prima che lui sparasse a me. »
Jackson inarcò le sopracciglia, stupito. «Pitchiner? » Ripeté, già pronto ad alzarsi per inseguirlo.
Elsa gli posò una mano sul braccio a bloccarlo. «E’ inutile, » Gli fece presente, avendo chiaramente intuito le sue intenzioni. «Se n’è già andato da un pezzo. »
«Perché era qui? » Chiese, confuso: non che fosse scontento che l’avesse salvata, anzi. Certo, avrebbe preferito farlo lui stesso ma che lei fosse incolume proprio lì davanti era l’unica cosa che contava al momento.
«Ha saldato il suo debito… » Sospirò. «Non sono certa si ripeterà in futuro. »
«Non gli daremo modo di farlo ripetere. » Affermò, risoluto.
Elsa prese un grosso respiro. «Grazie! » Buttò fuori d’un fiato, causandogli un’espressione stupita. «Grazie per avermi aiutato a trovare l’assassino dei miei genitori. Se ripenso a tutte le volte che, dopo la loro morte, ho parlato e pranzato con lui, mi viene da vomitare. Quanto sono stata sciocca? »
Jack le prese le mani nelle sue. «Sciocca? Era un amico di famiglia, gli volevi bene: come avresti potuto immaginarlo? »
«Di sicuro ha sempre recitato con talento la parte del nonno amorevole: quello che noi non abbiamo mai avuto. Forse mi sono aggrappata troppo a questo desiderio inconscio e lui ne è sempre stato ben consapevole: mi domando di chi ci si possa realmente fidare, a questo punto… »
L’altro le sorrise. «Qualche idea ce l’avrei: Anna, Kristoff, Freja… » Me, ti puoi fidare di me.
Elsa comprese perfettamente quelle parole, anche se lui non le disse e ricambiò il suo sorriso. «Della tua principessa. » Aggiunse maliziosa.
Jack sgranò gli occhi. «Pensi che l’abbia coinvolta? Era una tua faccenda personale, non l’avrei fatto senza prima chiedertelo. » Le fece presente, sincero. Poi, un ghigno si disegnò sul suo viso. «Ma dimmi, sono curioso: com’è che ti infastidisce così tanto il fatto che la chiami principessa? Sei gelosa, per caso? »
Lei inarcò appena un sopracciglio. «Forse… » Confessò in un soffio.
Il cuore di Jackson fece un triplo salto mortale nella gabbia della sua cassa toracica. Si portò le mani di lei, ancora fra le sue, alle labbra e vi posò un bacio. «Non devi. Se solo non odiassi qualsiasi tipo di nomignolo, Fiocco di Neve, » Le disse, irriverente come al solito, avvicinando un poco il viso al suo. «Saresti la regina, lo sai. » La mia.
Elsa non si ritrasse. «Dei ghiacci? » Gli chiese, ripensando alle parole di sua sorella.
Lui si bloccò ad un soffio dalle sue labbra, stranito. «Di cosa? »
«Lascia perdere… »
«Elsa! » La voce di Kristoff fece trasalire entrambi: si staccarono di scatto, in imbarazzo. «Finalmente ti ho trovata. Stai ben… ? » Si bloccò, il quadro perfettamente chiaro ai suoi occhi.
Lei annuì, le gote arrossate. Jackson sbuffò appena e si alzò. «A quanto pare è arrivata la cavalleria. » Celiò. «Ti lascio nelle buone mani di tuo cognato: vado a vedere se i ragazzi hanno bisogno di me… »
Si avviò verso la porta: quando passò al fianco del suo compagno di squadra, gli diede un paio di sonore pacche sulla spalla e si congedò.
Kristoff tremò, stavano per baciarsi e lui li aveva interrotti: Anna lo avrebbe ucciso, ne era certo.

 §

Jack era troppo agitato per prendere sonno, il pensiero fisso sulle labbra di Elsa ad un soffio dalle sue, il suo respiro addosso. Non si erano chiariti, era vero, ma era maledettamente sicuro che, in quel momento, anche lei volesse la stessa cosa: se solo non fosse arrivato Kristoff…
Eppure ne avevano passate così tante in quel periodo che non riusciva del tutto a mettere a tacere il dubbio che quel gesto, magari, fosse più dettato dall’adrenalina di essere scampata alla morte; di aver trovato la soluzione di quel quesito che la tormentava da una vita; di aver finalmente un nome per l’assassino dei suoi genitori che non da un certo tipo di sentimento che poteva provare per lui.
Aveva finito, così, per addormentarsi di un sonno leggero e agitato, appoggiato allo schienale del suo divano.
Per questo non percepì subito il bussare alla sua porta, incapace di distinguere se quel ticchettio fosse sogno o realtà. D’altra parte, se c’era qualcuno perché diavolo non suonava il campanello?
Aprì gli occhi di scatto solo quando i colpi si fecero più insistenti: guardò l’orologio e si rese conto che era davvero molto tardi, forse era proprio per quello che il suo inaspettato visitatore aveva deciso di non far trillare insistentemente quell’aggeggio infernale. Assonnato e vagamente allarmato, per poco non gli prese un colpo nel riconoscere la figura al di là della porta. La aprì. «
Elsa, che cosa ci fai qui? È il cuore della notte!»
Lei non fece un fiato ed entrò in casa senza troppi complimenti, si voltò verso di lui solo quando lo sentì chiudere l’uscio dietro di sé: aveva lo sguardo arrossato dalla stanchezza, era agitata tanto quanto lui, forse di più.
«Avevi ragione, su tutto. » Confessò subito, non senza fatica. Abbassò lo sguardo. «Quando ti vidi baciare quella ragazza, mi fece male, molto: mi sono sentita tradita in un momento in cui ero già disperata. » Deglutì. «Ma, in verità, ne fui anche sollevata: lasciarti andare non mi avrebbe procurato alcun rimpianto. Perché il dolore di quello stupido bacio, di te che eri poco più di un ragazzo arrabbiato con una fidanzata testarda e impossibile, non sarebbe mai stato grande quanto quello che avrei provato nel momento in cui ti saresti stufato di me e dei miei fantasmi o, ancor peggio, se ti fosse accaduto qualcosa come ai miei genitori. Non potevo proteggermi dall'eventualità di perdere Anna, è mia sorella. Tu, invece... Solo l’idea di cosa avrei potuto provare mi pietrificava. » Prese fiato. «Quando sei quasi morto in quel lago, per salvare tua sorella, ancora non ti conoscevo e, per assurdo, è stato proprio quell'incidente a portarti in classe da me, ma quando ti ho visto in quella ghiacciaia io, io... Avrei voluto parlarti in ospedale ma eri con Rapunzel, ho frainteso tutto e… » Tornò a guardarlo negli occhi, con i suoi velati di lacrime. «Ho avuto altri uomini dopo di te, sì, forse più di quanti immagini. » Gli spiattellò in faccia, senza rigiri di parole. «Ma non appena capivo che per loro cominciava ad essere qualcosa di più del solo sesso, sparivo senza dargli alcuna possibilità di ritorno. Sai perché?» Lo sfidò, il mento ben sollevato.
Jack finalmente mosse un passo verso di lei. «Perché? » Un altro passo, sempre più vicino.
«Perché nessuno di loro era te. » Lo sentì scostarle una ciocca di capelli dal viso, indugiando un poco nel carezzarla con le dita. «Quasi lo odio questo effetto che hai su di me... » Borbottò, ridendo appena, nel vano tentativo di rilasciare quella pressione crescente.
Lui sorrise a sua volta e andò a baciarle delicatamente una guancia umida di lacrime. «Che effetto ho su di te? » Le sussurrò sulla pelle, prima di passare dall'altra parte.
Elsa sospirò, socchiudendo gli occhi. «Non lo vedi? »
I piedi scalzi di Jackson si fermarono a mezzo millimetro dalla punta delle sue scarpe. Le sollevò il mento con le dita e posò le labbra sulle sue. «Elsa...» Sospirò, staccandosi un poco prima di baciarla ancora. «Non ho il potere di dirti che non ti deluderò più...» E ancora. «Di assicurarti che non litigheremo... » E ancora. «O che non soffrirai più… » Ancora una volta. «Ma prometto che farò qualsiasi cosa per far sì che tutto questo accada il meno possibile. Mi sono maledetto non so quante volte per averti lasciata andare; per essere stato così debole da farmi schiacciare dall’astio di tuo nonno; così orgoglioso da non sottrarmi da quel bacio che neanche volevo; così stupido da non lottare abbastanza. Ora, però, sono qui, per darti tutto l'amore e il rispetto che meriti. » Tacque per un attimo, andando ad appoggiare la fronte alla sua. «Ti chiedo una cosa soltanto in cambio: non decidere più per me, non chiudermi più fuori. »
Lei alzò le mani a circondargli il viso. «Non lo farò. »
E fu il suo turno di unire le labbra a quelle di lui. Ma il bacio, questa volta, non mantenne nulla di delicato, travolto dall’irruenza del bisogno di entrambi.
Impegnata com'era a ricambiare con decisione ognuno dei suoi assalti, si accorse di non indossare più la camicetta solo quando lui abbandonò la sua bocca per lasciarle sul collo una scia di baci roventi, scivolando sulla morbidezza di un seno e sempre più giù. Quando crollò in ginocchio, schiudendo le labbra sul suo ombelico, lei ritirò appena la pancia, fremente e senza fiato. Le mani di lui si chiusero sulla rotondità dei suoi fianchi, più che mai intenzionate a non lasciarla allontanare e, in un attimo, fecero scorrere la zip della gonna che cadde a terra senza bisogno di ulteriori sforzi. La bocca di lui cominciò un delizioso percorso inverso, tornando ad unirsi con la sua.
Elsa lo spinse un poco, per liberarlo dalla canottiera che portava come pigiama: improvvisamente stufa di quella leggera barriera di cotone che lo teneva lontano dalla sua pelle. Per questo non oppose resistenza quando lui la issò verso di sé, anzi, andò a cingergli la schiena con entrambe le gambe. Si ritrovò intrappolata fra la fredda parete e la sua eccitazione: un gemito le sfuggì dalle labbra.
Jack le lambì la carne della clavicola con i denti e, roteando su se stesso, le cercò nuovamente la lingua con la sua. Scivolò rapido verso l'oscurità della camera da letto, concentrato solo su quel bisogno pressante di perdersi totalmente nel calore di quelle cosce che lo stringevano forte: la luce dell'ingresso finì con l'essere dimenticata accesa.

 §

«Non riesci a dormire? »
Kristoff chiuse la porta del frigo, trovandosi di fronte il volto assonnato della moglie. «Avevo sete. » Le spiegò, mostrandole la bottiglia gelata che aveva appena preso. «Il caldo mi sta già uccidendo ed è appena cominciato. »
Lei sorrise di rimando. «Ne versi un bicchiere anche a me, per favore? »
L’altro annuì. «Mi dispiace, non volevo svegliarti. » Le disse, passandole ciò che aveva chiesto. «Freja? » Chiese, prima di portarsi la bottiglia alle labbra e svuotarla in un attimo.
«Dorme tranquilla, non preoccuparti. »
«E tu? Sei tranquilla? »
Anna tirò appena le labbra di lato. «Insomma… » Gli confessò, giocherellando con una ciocca dei suoi capelli. «Prima Freja viene rapita, poi Jack finisce in una ghiacciaia, ti prendi un colpo di fucile in pieno petto… » Continuò, guardandolo minacciosamente. «E, per finire, Elsa ha rischiato di essere uccisa da una persona che credevamo amica, la stessa che ha dato l’ordine di uccidere i nostri genitori. » Tacque un attimo, improvvisamente seria. «Io l’ho sempre spronata a lasciar perdere, ad andare avanti e, invece, aveva ragione… »
Kristoff le passò una carezza sul viso. «Ehi, non colpevolizzarti: pensavi di fare la cosa giusta. »
Lei portò una mano sulla sua, a trattenerla, muovendo appena il viso per ricevere ancora più conforto da quel tocco. «Sì ma avrei dovuto supportarla, anziché ostacolarla… »
Kristoff sorrise. «Ostacolarla? Quando mai Elsa si è fermata davanti a qualcosa? »
Anna si lasciò contagiare dal suo sorriso. «Vero… »
«L’importante è che, ora, sia tutto finito. »
Lei annuì. «Vorrei tanto che potesse tornare ad essere felice come un tempo. » Confessò malinconica.
«Io penso abbia già cominciato. » Le disse il marito con un ghigno furbetto.
L’altra s’illuminò. «Che intendi? »
«Potrei aver visto un quasi bacio fra lei e Jack… »
«Quasi? »
Lui strizzò gli occhi, impaurito. «Temo di averli interrotti sul più bello. »
Ci fu silenzio, molto silenzio. Azzardò ad aprire una palpebra: lei era sempre lì, di fronte a lui, felice. «Non hai intenzione di farmi una parte per questo? »
«Naaah… » Rise quella. «Sono certa che non si faranno mancare altre occasioni. L’importante è che abbiano rotto il ghiaccio. »
«Posso farti una domanda? » Le chiese, sinceramente curioso. «Perché ci tenevi così tanto a farla tornare con Jack? Da quel che dice Elsa, non ti stava così simpatico… »
«Questo non è del tutto vero. » Confessò. « A me Jack, per Elsa, » Specificò. «E’ sempre piaciuto. Anche se, delle volte, avrei davvero voluto prenderlo a ceffoni, soprattutto quando si è fatto baciare da un’altra. » Disse con una smorfia. «Ma, in verità, è che ero un po’ gelosa del loro rapporto. Elsa passava molto tempo con lui e meno con me e, poi… ecco… ero anche un po’ invidiosa. Lei non è mai stata un tipo particolarmente romantico, cercava la sua realizzazione, l’amore era l’ultimo dei suoi pensieri e, invece, le è capitato questo ragazzo che, seppur coi suoi difetti, la guardava come fosse la cosa più preziosa di questo mondo. » Arrossì, in imbarazzo. «Invece io, che avrei fatto carte false per trovare il mio principe azzurro, trovavo solo dementi interessati, per lo più, ad infilarmi le mani nel reggiseno. » Serrò le labbra. «E non solo… »
«Ehi, gradirei non dovermi immaginare mani di altri nelle tue mutandine, grazie. »
«Non puoi essere geloso, non ti conoscevo neanche all’epoca. »
«Non sono geloso… » Borbottò Kristoff, mettendo su un piccolo broncio.
Lei gli si avvicinò. «E fai bene: d’altra parte, tu sei stato il primo… »
L’altro sgranò gli occhi. «Cosa? Non mi sembrava proprio… »
Anna assottigliò gli occhi e gli rifilò uno scappellotto sulla nuca. «Non in quel senso, scemo! Se mi facessi finire… » Lo rimproverò. «Tu sei stato il primo a guardarmi così e continui a farlo ancora adesso. »
Lui sorrise e le baciò teneramente le labbra. «Perché tu sei davvero la cosa più preziosa che ho, assieme al piccolo uragano che dorme di sopra. » Ridacchiò.
«A proposito di Freja. » Gli disse lei, prendendolo per mano per accompagnarlo verso il divano. «Sai cosa mi ha chiesto ieri? » Lui fece segno di no col capo e si sedette. «Mi ha chiesto quando le facciamo un fratellino. »
Kristoff, per poco, non si strozzò con la sua stessa saliva. «Cosa? » Bofonchiò fra un colpo di tosse e l’altro, mentre lei lo spingeva fra i cuscini. «Ehi, non avrai mica intenzione di farglielo adesso? »
Anna rise, salendo a cavalcioni su di lui e creando un delizioso contatto fra i loro bacini. «No, direi che non è proprio il momento di avere un altro figlio, adesso. » Si sfilò la maglia del pigiama, rimanendo con i soli pantaloncini a coprirla. «Ma questo non ci impedisce di fare un po’ di pratica, no? »
Lui si alzò quel tanto che bastava per guardarla dritta in viso. «Sei sicura? E’ tanto che non… » Lanciò un’occhiata eloquente verso le scale.
«Molto sicura. » Affermò, unendo la bocca alla sua.

 

§

Jackson uscì dalle braccia di Morfeo con un leggero mugolio. Senza neanche il bisogno di aprire gli occhi, le sue labbra si piegarono in un leggero sorriso che, tuttavia, si spense non appena si accorse di essere solo nel letto del suo appartamento. Vagamente deluso si tirò a sedere, guardandosi attorno. Per amor degli inquilini dei palazzi di fronte si premurò di indossare una canottiera e un paio di boxer puliti, onde evitare di apparire nudo in salotto: data la luce che irrompeva dalla porta, di sicuro non aveva tirato le tende la sera precedente, impegnato com’era a concentrarsi su altro. Cercò di mantenere alto lo spirito e di non perdere la speranza, eppure non provenivano rumori dal bagno e, quindi, anche l’ipotesi che lei stesse facendo una doccia andò miseramente in fumo. Sempre più abbattuto si spostò verso la cucina ma un certo tipo d’indumenti sparsi sul pavimento, uniti ad un buon profumo nell’aria, ebbero il potere di riaccendere il suo sguardo e il suo entusiasmo. Fece scorrere la porta socchiusa e, finalmente, la trovò seduta su uno degli sgabelli del bancone, a sorseggiare il suo caffè mentre, con un dito posato sul tablet, scorreva in maniera distratta chissà cosa. Le gambe lunghe e snelle erano nude, i piedi scalzi e a coprirla aveva una delle sue t-shirt che riusciva a sostenere il suo compito giusto per un pelo. Quando si accorse della sua presenza, alzò lo sguardo azzurro su di lui e sorrise sarcastica. «Ti vedo sorpreso Overland, pensavi me ne fossi andata via come una ladra? »
Jack in quel sorriso si sciolse e le si avvicinò, andando a sedersi sullo sgabello accanto al suo. «Devo ammettere che per un attimo l’ho creduto… » Confessò, tirando appena le labbra in una piccola smorfia.
«Niente ripensamenti. » Lo rassicurò lei, stringendogli una mano. «Quello che ti ho detto ieri sera è sempre valido. »
Lui ricambiò la sua stretta, per poi inarcare un sopracciglio davanti al contenuto della tazza che era evidentemente lì ad attenderlo. «Mi hai preparato l’uovo sbattuto con lo zucchero?» Le chiese stupito, trattenendo a stento una risata.
Lei annuì, divertita. «Sì: ho pensato avessi bisogno di recuperare energie dopo questa notte. » Gli sorrise maliziosa. «Sai com’è, non sei più un giovincello. »
Jackson assottigliò lo sguardo. «Bleket, ti ricordo che hai solo un anno in meno di me. » La sfidò, abbassandosi verso di lei.
Elsa si spinse in avanti, quasi a sfiorargli il naso con il suo. «Mi stai dando della vecchia, Overland?»
«Non proprio della vecchia… » Ribatté, piegando appena la testa. «Della matura, magari… »
Lei scansò il bacio in arrivo con finta indignazione e si alzò. «Vuoi finire sul mio tavolo, per caso?»
Jack l’agguantò veloce per un polso e la tirò un poco, in modo da farla sedere su di sé. «L’idea di essere sdraiato nudo, con te sopra di me, mi alletta in effetti… ma preferirei che in mano, al posto del bisturi, avessi altro. » Le soffiò vicino all’orecchio.
Elsa gli circondò il collo con le braccia. «Comincio a credere che mia sorella abbia ragione e tu sia davvero un idiota…»
Lui piegò la bocca in un sorriso furbo. «Ma è anche per questo che mi ami, ammettilo. »
«Non confermerò, né smentirò questa tua affermazione… » gli rispose a fior di labbra.
La baciò, questa volta senza incontrare alcuna resistenza.
Quando si staccarono, lei scosse appena il capo e, con un sorriso radioso, lo posò sulla sua spalla.
Jackson le passò una carezza sulla schiena e le lasciò un altro bacio fra i capelli, felice. «Vuoi farti una doccia mentre faccio colazione?»
L’altra si drizzò di colpo, sorpresa. «Le tue capacità deduttive questa mattina lasciano decisamente a desiderare: perché credi non l’abbia ancora fatta?» Gli chiese maliziosa.
Il detective sgranò gli occhi, folgorato dalla comprensione, e trangugiò in un sorso tutto il contenuto della sua tazza. «Andiamo! »
Elsa non poté fare a meno di sghignazzare ma per un momento soltanto, ben presto in balia di tutt’altro tipo di sensazioni, fomentate dall’eccitazione del suo compagno che ben cominciava a percepire sotto di sé. Si strinse a lui maggiormente e avvicinò ancora una volta il viso al suo, andando a racchiudere con la bocca il labbro superiore di lui, a pulire via i rimasugli di crema che ancora lo sporcavano. «Andiamo… »



Ciao a tutti!
Io non so se ve l'aspettavate o se sia stata una grande sorpresa ma, dopo più di un anno, questa storia è finita!
Probabilmente ho un abbonamento con il non poter andare oltre ai dieci capitoli di una long (prologo compreso, in questo caso) ma questo progetto, in realtà, è il più grande che abbia portato a termine sino ad ora perché, come avrete notato, i capitoli sono più corposi delle storie precedenti.
Forse certi aspetti avrebbero potuto essere approfonditi ma, tutto sommato, sono contenta del risultato finale poiché il tempo e le energie sono quello che sono ç_ç  Spero che questo ultimo capitolo, così come la storia intera, abbia soddisfatto anche voi!
Nonostante tutto ho voluto dare una conclusione, o meglio, un nuovo inizio per tutti i personaggi che hanno preso parte in questa storia.
Robert, il nostro Robin, pare aver ritrovato la voglia di andare avanti dopo la perdita della sua Marian.
Punzie ha incrociato nuovamente il suo cammino con un certo affascinante ladro... secondo voi ci andrà a quel ristorante? Io dico di sì ù_ù
Jane e John stanno cominciando la loro storia d'amore e io non posso che essere felice per questo (spero anche voi) e, dato che non potevo farli sfrecciare fra le liane, ho pensato che il parasailing potesse essere un degno sostituto XD
E via, un momento Kristanna, dolce e piccante al tempo stesso, ci stava bene.
Ma veniamo ad una delle parti più succose del capitolo: Pitch! Ebbene sì, era lui il grande burattinaio dietro alle azioni di Frollo ma si può dire che non collaborassero affatto e fosse tutto un suo piano per vendicarsi anche di lui. Tuttavia, qui, Pitch non è il gran cattivone canonico del film delle Cinque Leggende ma rimane un personaggio grigio, almeno per adesso, e con una certa condotta... vi aspettavate che sarebbe stato lui a salvare Elsa dalle grinfie del perfido Weselton? Perché sì, l'affabilità del caro giudice non era che tutta una maschera - come avevate sospettato in molti - e c'era proprio lui dietro alla morte di Agnar e Iduna, assieme alla sua sete di potere.
E, poi, che dire: finalmente - e dico - finalmente (!!!) abbiamo avuto la svolta Jelsosa perché, sì, Jack in gioventù avrà anche tradito (più o meno volontariamente) Elsa, ma lei aveva già deciso di lasciarlo andare per paura di soffrire perché, lo sappiamo, la nostra Elsa non è solo la regina dei ghiacci ma anche quella dei muri: alti e belli spessi. Chi avrebbe voluto dare una testata a Kristoff per averli interrotti, alzi la mano! Ma direi che, poi, hanno abbondantemente recuperato (e ancora lo faranno, capite a me).
Spendo ancora qualche parola sul titolo perché ne sono molto orgogliosa (mi crogiolo con poco, che vi devo di'): Cold Case, non si riferisce solo al caso dei genitori di Elsa ma anche a quello di Marian, dei signori Greystoke, del figlio di Kala e la vendetta di Pitch che, ognuno a modo suo, ha trovato la sua conclusione. Inoltre, il concetto comprende anche la crisi sentimentale di Jack ed Elsa che si protrae dall'alba dei tempi ed il fatto che siano entrambi decisamente cold nel loro canon (ma anche molto hot). Se ve lo chiedevate è così che funziona la mia testa, spero non cambierete opinione su di me per questo ù_ù
Come sempre, più e più riferimenti Disneyani sono presenti fra queste righe e alcuni spunti della terza serie di Body of Proof sono facilmente riconoscibili, altrimenti non sarebbe stata una BodyOfProof!AU ;)
Insomma, sarà meglio chiudere qui perché ho già scritto anche troppo. Perciò: grazie, grazie davvero per avermi accompagnato fino a qui! Il vostro supporto è stato fondamentale per arrivare in fondo e spero davvero di non avervi deluso!
Un abbraccio a tutti e alla prossima storia. ♥
Cida

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