Marvin Branagh Stories - Resident Evil 2&3

di FreddyOllow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Prologo ***
Capitolo 2: *** II. Capitolo ***
Capitolo 3: *** III. Capitolo ***
Capitolo 4: *** IV. Capitolo ***
Capitolo 5: *** V. Capitolo ***
Capitolo 6: *** VI. Capitolo ***
Capitolo 7: *** VII. Capitolo ***
Capitolo 8: *** VIII. Capitolo ***
Capitolo 9: *** IX. Capitolo ***
Capitolo 10: *** X. Capitolo ***
Capitolo 11: *** XI. Capitolo ***
Capitolo 12: *** XII. Capitolo ***
Capitolo 13: *** XIII. Capitolo ***
Capitolo 14: *** XIV. Capitolo ***
Capitolo 15: *** XV. Capitolo ***
Capitolo 16: *** XVI. Capitolo ***
Capitolo 17: *** XVII. Capitolo ***
Capitolo 18: *** XVIII. Capitolo ***
Capitolo 19: *** XIX. Capitolo ***
Capitolo 20: *** XX. Capitolo ***
Capitolo 21: *** XXI. Capitolo ***
Capitolo 22: *** XXII. Capitolo ***
Capitolo 23: *** XXIII. Capitolo ***
Capitolo 24: *** XXIV. Capitolo ***
Capitolo 25: *** XXV. Epilogo ***



Capitolo 1
*** I. Prologo ***




 





L'auto della polizia si fermò davanti a un supermercato. Marvin scese dalla macchina, seguito da Nick Layers, un uomo sulla trentina, magro, con le orecchie a sventola e fresco di accademia. Aveva richiesto servizio a Stone-Ville, una città vicino a Raccoon City. Ma l'avevano spedito nella sua città natale, che non aveva mai amato.
Si fecero strada fra la folla accalcata davanti all'ingresso, che osservava inorridita un cadavere lacerato in una pozza di sangue rappreso. Alcuni poliziotti faticavano a tenerli lontani. Un forte tanfo di putrefazione aleggiava nell'aria.
"Marvin" disse un poliziotto, vicino al nastro adesivo giallo della polizia.
"Ciao, Pete" rispose Marvin.
Pete era un uomo robusto, sulla quarantina. Portava i capelli neri tirati su un lato, una corta barba rasata e le sopracciglia curvate un poco all'insù.
Sollevò il nastro adesivo giallo. "Come mai ieri non sei venuto al bowling? Ti abbiamo aspettato."
"Per perdere altri cinquanta dollari? No, grazie." Marvin passò sotto il nastro giallo, seguito da Nick.
Pete smorzò un mezzo sorriso. "E dai, non sei così malaccio. Hai una buona tecnica."
"Nel fare andare tutte le palle fuori pista? In effetti sono imbattibile in questo aspetto."
Pete e Nick risero.
Un giornalista provò a sgattaiolare sotto il nastro, ma Pete lo fermò per un braccio. "Ehi! Dove credi di andare? Stai indietro! Indietro!"
Il giornalista indietreggiò e scomparì velocemente tra folla.
Marvin e Nick si avvicinarono al cadavere. Due uomini lo stavano esaminando. Marvin li non aveva mai visti prima d'ora. Indossavano un completo nero, sotto a camicie bianche e cravatte viola. Entrambi i loro visi erano austeri, per nulla amichevoli.
Marvin e Nick si fermarono alle loro spalle.
"Li conosci, tenente?" sussurrò Nick.
"No."
"Non sembrano di queste parti."
"Cosa te lo fa pensare?"
"Intuizione."
"Lascia fare a me" disse Marvin. Poi si rivolse ai due uomini. "Cosa abbiamo qui?" Si chinò sul cadavere.
I due uomini si limitarono a lanciargli un'occhiata con fare apatico.
Marvin si irritò, ma non lo diede a vedere. "Ferita da arma da fuoco.... Forse un .9mm... Sembra che l'abbiano crivellato per bene, giusto?" Domandò ai due uomini, che non lo degnarono di uno sguardo. Rimase in silenzio per un momento, poi li fissò. "Dov'è il coroner?"
"Non verrà nessuno" rispose uno di loro. Un uomo calvo, sulla cinquantina, con un paio di occhiali piccoli e rotondi.
"C'è sempre il coroner quando si tratta di cadaveri."
"Non questa volta" disse l'altro uomo. Aveva l'aspetto snello, sulla quarantina, gli zigomi pronunciati e un occhio dalla palpebra cadente.
"Chi siete?" chiese Marvin.
Nessuna risposta.
L'uomo calvo si alzò, prese il cellulare dalla tasca e compose un numero. Se lo portò all'orecchio. "Certo... Può darsi... Non faremo nulla... Aspetteremo qui." Posò il telefono in tasca.
"Che succede?" domandò Marvin, che venne ignorato.
Pete gli si avvicinò, senza distogliere lo sguardo dalla folla. "Ehi, Marvin. Non sprecare fiato con quei due. Non ti diranno un bel niente."
L'uomo calvo gli lanciò un'occhiata malevola.
Marvin e Nick sorrisero.
"Hanno arrestato un uomo." continuò Pete. "È alla centrale. Dice che questo tizio aveva provato a morderlo o qualcosa del genere."
"Lo ha ucciso lui?"
"È questo il bello. Dice che era già morto e che l'ha ucciso di nuovo."
Marvin era confuso. Gli balenarono in mente gli efferati omicidi vicino alle montagne Arklay. Episodi di cannibalismo, che alcuni smentivano come attacchi di famelici animali. "Come ha fatto a ucciderlo, se era già morto?"
Pete sollevò le spalle. "Secondo me è uno schizzato. Magari era sotto effetto di droghe."
I due uomini in nero li stavano ascoltando, senza guardarli.
Marvin si voltò verso Nick. "È meglio fare un salto in centrale, recluta."
"Ma non abbiamo ancora esaminato il cadavere, tenente."
"Non siamo qui per questo. Ti ho portato qui per familiarizzare con la scena del crimine. Ora andiamo."
I due uomini in nero li guardarono andare via.
Venti minuti dopo, due berline nere si fermarono davanti al supermercato facendo fischiare le ruote. Cinque uomini in giacca e cravatta uscirono dalle auto e scacciarono via la gente tra spintoni e minacce di arresto.
"Ehi! Ehi! Calma!" gridò Pete. "Che state facendo?"
Un uomo dagli occhi incavati urlò qualcosa per avere l'attenzione di tutti i poliziotti. "D'ora in poi ci occuperemo noi del caso. Potete andare!"
Pete stava per chiedergli chi era, quando l'uomo gli mostrò velocemente una tessera nera, al cui centro c'era la forma di un ombrello aperto. Non era sicuro che fosse lo stesso stemma dell'Umbrella. "Il caso passa a noi."
Nello stesso momento giunse un furgone nero, da cui scesero quattro uomini con delle tute hazmat bianche. Raggiunsero il cadavere, lo misero in un sacco nero e lo trasportarono a bordo del furgone.
Pete digrignò i denti.

 

Marvin e Nick erano bloccati nel traffico delle tredici sull'autostrada Mission Street. L'aria era pregna di smog e benzina. I Clacson delle autovettura risuonavano senza sosta sotto una cielo limpido. Gli schiamazzi della gente, che dicevano ai conducenti davanti a loro di muoversi, giungevano ovattati nell'auto della polizia.
I due poliziotti erano in silenzio da almeno venti minuti.
"Potrei cuocere un uovo sul cofano" disse Nick. "Fa un caldo bestiale. Non trovi, tenente?"
"Lo so che non ti piace stare in silenzio, Nick, ma almeno evita di fare battute prese da qualche serie tv."
Nick abbassò gli occhi. "Mi scusi, tenente."
"Dai, scherzavo!" sorrise Marvin. "Comunque l'autunno da questi parti è così. Se ti metti all'ombra, ti si gelano le ossa. Se ti metti sotto al sole, ti sciogli come un ghiacciolo."
"Ora sei tu a fare battute scontate, tenente" sorrise Nick.
Marvin scosse la testa in un mezzo sorriso.
Rimasero in silenzio per un momento, assordati un poco dai lamenti degli automobilisti bloccati sull'autostrada.
"Forse c'è stato un incidente più avanti, tenente" disse Nick.
Marvin provò a guardare oltre le auto. "Forse... Alla radio non hanno detto nulla."
"In ogni caso rimarremo bloccati qui per un altro po'."
Un elicottero nero sorvolò il cielo. Il rombo dei motori fece tremare il manubrio e la carrozzeria dell'auto. Tutti i clacson e le grida si ammutolirono. Il velivolo volò lungo l'autostrada e scomparve dietro i grattacieli. I Clacson e le grida ricominciarono a tempestare le orecchie dei due poliziotti.
"È un elicottero dell'Umbrella" disse Marvin.
"Già. Ieri ne ho visti molti sorvolare il cielo."
"Davvero?"
"Sì, andavano tutti verso uptown. Chissà cosa combinano lì..."
Marvin si accigliò. "Che vuoi dire?"
"Hai presente gli episodi di cannibalismo? Un mio amico pensa che dietro gli omicidi ci siano loro. L'Umbrella. Voglio dire, l'Umbrella produce medicine, no? Qualcosa del genere, giusto? Allora lui ha pensato che magari una delle loro medicine ha avuto effetti collaterali."
"Vuoi dire che qualcuno ha mangiato quella gente per gli effetti indesiderati?"
"Può darsi" rispose Nick. "Chi lo sa. Voglio dire, tutto è possibile, no?"
"Mi sembra una teoria complottista."
"Beh, anche a me. Ma se ci pensi..." Si zittì, cercando di trovare parole migliori. "Se ci pensi è possibile, no? Pensa, ad esempio, alle droghe pesanti, ai funghi allucinogeni. Possono farti vedere ciò che non esiste. Cose assurde, insomma."
"Non ti seguo, ma so dove vuoi arrivare."
"Davvero?" chiese Nick con un sorriso. Finalmente qualcuno che la pensava come lui.
"Anch'io sospetto dell'Umbrella. Sui cadaveri sono stati rinvenuti morsi umani, ma il nostro capo Irons la pensa diversamente. Ha detto ai giornalisti che è opera di un animale."
Nick sbuffò una risata. "Animale con denti umani?"
Marvin sorrise. "Una buona parte del distretto la pensa come me e te. Alcuni credono che Brian stia coprendo qualcuno. E quel qualcuno, secondo me, è l'Umbrella. Altri credono che non vuole spaventare i cittadini."
L'auto davanti alla loro cominciò a muoversi.
"Finalmente ci muoviamo!" disse Nick, sollevato.
"Chi è il tuo amico?" domandò Marvin.
"Un giornalista. Lavora in proprio."
"Quanto è informato?"
Nick era nervoso. "È un interrogatorio, tenente?"
"No. Semplice curiosità."
"Beh, posso dirti questo. Lui crede che chi ha ucciso le vittime, proveniva da una villa sulle montagne Arklay."
Marvin guardò Nick. "Sicuro che sia solo un giornalista?"
"Pensi che ti mentirei, tenente?"
"No, ma non mi sembra il solito giornalista."
"Ha ottimi contatti."
"E questi contatti per caso fanno parte della S.T.A.R.S? O sa qualcosa di loro?"
Nick lo fissò negli occhi. Non sapeva bene cosa dire. "Io... v-voglio dire... È una persona informata. T-tutto qui."
"È troppo informato. Nel distretto solo poche persone sanno che..." Si zittì per un momento. "Lasciamo perdere. Non posso parlartene. Forse è meglio così."
Rimasero in silenzio. L'auto della polizia sorpassò un camion con un rimorchio, svoltò a destra, proseguì lungo la corsia di decelerazione e si immise nello svincolo.
"A quanto pare non c'è stato nessun incidente" disse Nick, svoltando su Ennerdale Street.
"Capisci perché non posso parlartene?" aggiunse Marvin, collegandosi al discorso di prima.
"Perché sono una recluta?"
"Esatto. Ma sembra che tu sappia troppe cose per una recluta."
"Beh, mi tengo informato."
"Farai carriera."
Nick fu spiazzato da quella frase che pareva un complimento. "Grazie, tenente."
"Ma non andare in giro a dire ciò che pensi su questa storia, intesi? Alcuni agenti hanno perso il posto per pettegolezzi da bar."
Nick fece il gesto di chiudere la bocca come una zip e di buttare la chiave.
"Dico sul serio, Nick. Non parlarne in centrale. Lì le pareti hanno occhi e orecchie. Se una piccola voce arrivasse alle orecchie del capo, beh, dovresti dire addio alla tua carriera nella polizia. E non parlo solo di Raccoon City. Brian ha molti amici desiderosi di compiacerlo."
"D'accordo, Tenente." disse Nick, serio in volto. "Non lo farò."

 

Una volta al distretto, trovarono una donna sulla quarantina lamentarsi con un poliziotto nella sala d'attesa. Una bambina di quattro anni stringeva la gamba della madre, il viso lacrimato.
"Indossava una maschera o no, signora?" Domandò il poliziotto, esasperato. Teneva un foglio e una penna nella mani.
"Non... non lo so" rispose la donna con faro irato, la camicia sporca di sangue. "Mi ha assalito. Era... era nel vicolo."
"Lo so, signora. Me l'ha già ripetuto. Ma prima avete detto che indossava una maschera, giusto?"
"Sì... Voglio dire, no. Non era una maschera. Era... era reale. Si vedevano i denti e l'osso della mascella."
Marvin e Nick raggiunsero la donna. "Mi scusi, signora."
La bambina, che aveva un dito in bocca, fissò Marvin. La madre si voltò. "Almeno tu mi puoi aiutare? Lui non mi capisce. Non mi crede."
Il poliziotto roteò gli occhi al soffitto, esasperato. "Certo, che vi credo signora. E solo che..."
"Agente, mi occupo io della signora."
"Va bene, tenente" rispose, ringraziandolo con un cenno della testa per averlo liberato dalla donna.
"Qual è il vostro nome?" chiese Marvin.
"Liah Sanders" rispose la donna. Sembrava essersi tranquillizzata.
"Sono il tenente Marvin Branagh. E lui è Nick Layers." si chinò verso la bambina e le sorrise. "Questa bella bimba come si chiama?"
"Tata" disse la bambina, nascondendo la faccia dietro le gambe della madre.
"Si chiama Tania" aggiunse la madre.
"Ti piacciono le caramelle?" Domandò Marvin alla bambina.
Tania sgranò gli occhi e annuì.
"Nick. Vai a prenderne una dal mio ufficio."
"Sì, tenente."
"Allora, Signora Sanders" disse Marvin. "Mi dica cosa è successo?"
"Sono... sono stata assalita da..." Liah non trovava le parole. "Da un uomo, ma non era un uomo."
"Si spieghi meglio."
La donna cominciò ad agitarsi. "Non so come spiegarlo, ma sembrava uscito da un film dell'orrore. Ha cercato di mordere la mia bambina, poi ha fatto lo stesso con me. Così ho urlato, e sono fuggita via."
"E vostro quel sangue sulla camicia?"
"No. È di quell'uomo, di quella cosa. Mi ha afferrato la camicia, prima di mordermi."
"Quindi vi siete liberata dalla presa?"
"No, è caduto a terra..." Liah pareva confusa. "No, no, è scivolato. C'era molto sangue a terra. È scivolato sul sangue. Sì, sul sangue."
Nick tornò con diversi gusti di caramelle. "Non so quale gusto ti piaccia" disse a Tania. "Scegline uno."
La bambina li fissò per un momento, rapita. Poi glieli strappò tutti dalle mani.
"Ehi, Tania." La rimproverò la madre. "Non si fa. È da maleducati. Devi sceglierne uno."
"Non preoccuparti, signora" rispose Marvin.
"Deve imparare le buone maniere." Gli tolse di mano le caramelle e le lasciò quella alla fragola, posando gli altri sul bancone. La bambina scoppiò a piangere, nascondendosi dietro la madre.
Marvin e Nick si lanciarono una fugace occhiata.
"Mi credete, agente?" chiese la donna.
"Tenente." La corresse Marvin con una nota d'orgoglio. "Quindi tutto quel sangue era di quell'uomo?"
"Non lo so. Ero troppo terrorizzata. Non ricordo."
"Va bene, signora. Ora dovrà compilare questo..."
"No!" Sbottò Liah. La figlia sgranò gli occhi, spaventata. "Dovete andare lì! Non compilerò un bel niente finché non ci andrete!"
"Si, calmi signora" disse Marvin. "Sono sicuro che avranno già mandato una pattuglia." Guardò il poliziotto dietro il bancone, che scosse la testa.
"Non hanno mandato nessuno!" Urlò delirante la donna. "Nessuno! Sono qui da due ore e non ho fatto altro che ripetere le stesse cose."
"Agente" disse Marvin con tono autoritario. "Mandi subito una pattuglia."
"Sì, tenente"
Liah strinse sua figlia. "Non mi sento al sicuro con quella cosa là fuori. E se ritornasse? Se volesse farci di nuovo male?"
"Resterete qui per stanotte, ok?" rispose Marvin.
Liah lo abbracciò. "Grazie, agente. Grazie!"
"Sono un tenente" ripeté Marvin, un poco irritato.

 

Quando si allontanarono dalla sala d'attesa, Nick lo fermò per un braccio. "Perché non hai mandato una pattuglia a sorvegliare la casa della donna, tenente?"
"Perché siamo a corto di personale. E non so nemmeno il motivo."
"Comunque è da un po' che in città ci sono molti casi come questo, non credi?"
"Già, e tutto ciò è davvero strano."
Camminarono nel corridoio e svoltarono a sinistra, proseguendo per gli uffici. Notarono che c'erano più persone del solito sedute accanto alle scrivanie dei detective. Quasi tutte avevano le facce sconvolte e gli indumenti macchiati di sangue. Altri piangevano e singhiozzavano. I detective avevano i volti esausti.
Marvin corrugò le sopracciglia. "Non ho mai visto tanta gente nel distretto."
"Manca solo il sindaco" rispose Nick con una battuta.
"Perché sono tutti sporchi di sangue?"
"Bella domanda, tenente."
"Comincio a credere che sta succedendo qualcosa di strano in città."
Superarono le scrivanie ammassate al centro della sala e si diressero nella stanza degli interrogatori. Quando aprirono la porta, trovarono un uomo zuppo di sangue dalla testa ai piedi. Aveva le mani ammanettate sul tavolo. Alzò lentamente la testa e li osservò.
Marvin e Nick si guardarono, sorpresi.
"Siete venuti per estorcermi una confessione?" disse l'uomo dalla voce cupa e roca. "Ve l'ho già detto. Mi sono difeso... Ho dovuto farlo."
Quando Marvin fece per parlare, un uomo sulla cinquantina entrò nella sala degli interrogatori.
"Oh, tenente Branagh" aggiunse l'uomo sorpreso di vederlo.
"Capitano Johnson" rispose Marvin.
Mike Johnson era un uomo affascinante, dalla parlantina lenta e dagli occhi magnetici. Indossava una giacca marrone scuro, sotto una camicia nera. Fece un cenno ai due di uscire dalla stanza. "Immagino che siete qui per interrogarlo?"
"Di certo non per berci un caffè insieme."
Mike Johnson rise. "Molto spiritoso. A proposito, il capo ti cerca. Sembrava piuttosto urgente."
"Cosa vuole?"
"Non me l'ha detto. Faresti meglio a sbrigarti."
Marvin si rivolse a Nick. "Occupati tu dell'interrogatorio."
"Ma non l'ho mai fatto, tenente" sussurrò Nick.
"Non preoccuparti. Mike ti aiuterà." Si allontanò.
Mike diede una pacca sulla spalla a Nick, con un sorriso beffardo. "Bene, ragazzo. Fammi vedere come te la cavi."

 

Gli uffici si erano riempiti di gente e altre persone continuavano ad arrivare. Marvin ebbe qualche difficoltà a districarsi tra la folla, finché salì le scale. Molte delle persone si lamentavano di essere state attaccate da maniaci o drogati nel parco e nei vicoli. E molti dicevano che non erano umani, ma mostri. Mentre gli agenti faticavano a mantenere l'ordine, i detective erano a un passo da una crisi nervosa.
Marvin bussò alla porta dell'ufficio di Brian Irons, il capo della polizia.
"Avanti" disse una voce dall'interno.
Marvin aprì la porta e la richiuse alle sue spalle. "Capo Irons. Avete chiesto di me?"
"Sì, certo" rispose Brian con fare stizzito. Sedeva dietro la grande scrivania di abete con il volto arrossato. Una bottiglia di Scotch vuota sul mobiletto indicava che aveva bevuto troppo. Lungo le pareti erano appese le teste imbalsamate di alcuni animali. L'intero ufficio sembrava un tetro museo dell'imbalsamazione.
Irons lo fissò per un momento. "Vuoi startene tutto il giorno in piedi? Siediti." Fece una pausa. "Hai visto cosa c'è là fuori? La gente sta impazzendo." Sorrise sollevando un angolo della bocca. "Sono nel panico. È tutta colpa di quel fottuto attivista... com'è che si chiama... ah, sì, Ben Bertolucci. Quel dannato idiota ha scritto articoli fasulli su di me e su quei maledetti omicidi avvenuti sulle montagne Arklay. Ma ora basta!" Batté un pugno a martello sulla scrivania. "Ha finito di scrivere stronzate!"
Marvin non capiva dove Brian volesse arrivare, ma cercò di non darlo a vedere. Si limitò a lanciare un'occhiata alla testa impagliata di un orso.
"Vedi, tenente Branagh" aggiunse il capo Irons, cercando di rimanere calmo. "Ho una reputazione da difendere. L'intero dipartimento è sotto l'obiettivo di quel dannato giornalista. E come se non bastasse, ho saputo che si è messo a ficcanasare in giro. Ho ricevuto..." Si corresse velocemente. "Abbiamo ricevuto diverse denunce da parte dell'Umbrella. Ora, come ben sai, l'Umbrella finanzia diversi settori del nostro dipartimento e vuole solo il bene di questa città." Fece un sorriso di circostanza. "Per cui dovrai sbattere in cella quel dannato giornalista. Ho un mandato d'arresto... dov'è? Dove l'ho messo, dannazione..." Calò una mano grassoccia sotto una pila di documenti e ne estrasse un foglio. "Ecco! Qui ci sono scritte tutte le accuse, che ora non ho proprio voglia di leggere." Lo lasciò scivolare sulla scrivania. "Abita al 2876 di Downton, in un condominio sulla settantunesima strada. Porta degli agente con te."
Marvin prese il mandato di arresto. "Sarà fatto, capo Irons." Si alzò dalla sedia e fece per andare via, quando si fermò.
Brian sollevò un sopracciglio. "Che vuoi? O vuoi startene lì impalato?"
"Ci sono molti civili negli uffici. Non credo ci siano agenti disponibili per..."
"Prendi Pete Anderson e gli agenti che erano stati dislocati al supermercato. Il caso non è più di nostra competenza, quindi sono liberi. E poi tutta questa gente spaventata andrà via, vedrai."
"Ora che ricordo, capo Irons. C'erano due uomini quando sono arrivato sulla scena del crimine e..."
"Non hai un ordine da portare al termine?" Lo interruppe Brian, irritato. "Ora vai a fare il tuo lavoro! E chiudi quella dannata porta quando esci."
"Sissignore" Marvin lo salutò con un cenno della testa e lasciò l'ufficio.
Irons sollevò la cornetta del telefono e compose un numero con fare preoccupato, passandosi una mano sulla faccia sudata.

 

La situazione negli uffici era migliorata e molta gente era andata via. Restavano soltanto chi piangeva o sbraitava contro i detective che, aiutati dagli agenti, cercavano di calmarli.
Marvin si diresse alla stanza degli interrogatori. Quando aprì la porta, non trovò nessuno.
Aggrottò la fronte, turbato. Si diresse alla sala d'attesa e trovò Nick, che chiacchierava con una collega davanti all'ingresso.
"Recluta Nick Layers" disse Marvin con tono autoritario.
Nick si girò alla svelta. "Sì, tenente?"
La collega smorzò un piccolo sorriso e si allontanò.
Lui si voltò verso di lei per dirle qualcosa, ma scelse di non farlo.
"C'è tempo per quello" aggiunse Marvin alludendo alla donna.
Nick abbassò gli occhi, imbarazzato.
Marvin diede una veloce occhiata al foglio. "Abbiamo un ordine di arresto per Ben Bertolucci."
Nick sbarrò gli occhi.  Fu come un pugno nello stomaco.
"Qualcosa non va, Nick?" domandò Marvin.
"No, tenente" rispose Nick, nascondendo l'amarezza.
Marvin era certo che quel nome gli dicesse qualcosa. Aveva notato i suoi occhi farsi più cupi. Forse era lui l'amico segreto che gli passava le informazioni. "Sicuro di stare bene?"
"Sì, sicuro."
Marvin si guardò intorno. "Bene. Sai se Pete è arrivato?"
"È alla mensa, credo."
"Andiamo a prenderlo."
S'incamminarono nel corridoio e salutarono con gli occhi Liah e Tania seduti sulla panca accanto a un distributore di caffè. Loro ricambiarono con un sorriso. Quando arrivarono nella mensa, Pete stava fumando una sigaretta vicino a un finestra. Sembrava immerso nei suoi pensieri. Nella stanza c'era solo il cuoco ai fornelli.
"Agente Anderson." Lo chiamò Marvin.
Pete si voltò serio, ma la sua espressione mutò presto in un sorriso. "Marvin."
"Tenente." Lo corresse Marvin. "Perché non mi chiami mai con il mio grado?"
Pete non capiva quel comportamento gerarchico. "Dai... siamo amici da una vita. Perché tutta questa serietà?"
Marvin lo fulminò con uno sguardo, poi scoppiò a ridere. "Ti stavo prendendo in giro, Pete!" Gli diede una pacca sul braccio. Pete rise, ma Marvin notò che i suoi occhi non ridevano. Aveva preso a male la battuta o c'era qualcos'altro? "Com'è andata con il cadavere? Novità?"
"I due tizi hanno fatto venire la cavalleria" rispose Pete con fare serio. "Si sono impossessati del caso. Beh, da una parte sono felice di questo, visto che forse era solo un altro vicolo cieco. Uno dei tanti negli ultimi giorni. Troppi omicidi simili. Ma arrivare addirittura con tute hazmat? È troppo. Per non parlare che hanno spaventato la gente."
"Ecco perché il capo Irons ha detto che il caso non è più di nostra competenza" disse Marvin.
"Ha detto così?" chiese Nick.
"Più o meno."
"Avete parlato con il sospettato?" Domandò Pete.
"No, ma Nick sì." Marvin si voltò verso di lui. "Cosa ha detto?"
"Non molto, visto che il capitano Johnson mi ha mandato via."
Marvin era confuso. "Cosa? Perché?"
Nick sollevò le spalle. "Non lo so. Mi sono attenuto al regolamento. Voglio dire, al copione degli interrogatori, tenente."
"Magari l'avrai irritato" sorrise Pete. "È una persona molto irritabile, se non si seguono le regole."
"Non ho preso nessuna iniziativa, se parli di questo. Era la prima volta che conducevo un interrogatorio. Ho seguito il copione."
"Chiederò una spiegazione al capitano" disse Marvin. "Pete, raduna gli agenti che erano sulla scena del crimine con te. Abbiamo un ordine di arresto. Ti fornirò i dettagli strada facendo."
"Va bene. Ci vediamo ai parcheggi, tenente." Sottolineò l'ultima parola con un sorriso beffardo e si allontanò.
Marvin guardò l'orologio al polso. "Sono le tre e un quarto. Sai che c'è, Nick? Andiamo a berci un caffè al volo."

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Capitolo 2
*** II. Capitolo ***


Dopo aver bevuto una tazza di caffè caldo, Marvin e Nick si diressero ai parcheggi sotterranei del Distretto. Pete aveva radunato cinque agenti dietro il gabbiotto. Un luogo poco illuminato, con un via vai continuo di macchine della polizia.
"La città sta impazzendo" disse Pete. "La gente non fa che correre al distretto e lamentarsi con noi. E noi che possiamo fare se non ci dicono la verità? Niente. Ecco cosa."
"Dicono che sia un serial killer ad assalire e uccidere le persone" aggiunse un poliziotto addetto alla sorveglianza del parcheggio. "Dico sul serio. Un killer cannibale."
Gli altri agenti annuirono.
"Ma non dire scemenze, Jonathan" disse Pete. "Non esiste nessun Killer cannibale. La vecchiaia ti sta rimbambendo."
"Allora come li spieghi i morsi, Pete?"
"Agenti!" disse Marvin.
"Tenente" risposero in un coro scordinato.
"Suppongo che l'agente Pete vi abbia già informato che dobbiamo compiere un ordine d'arresto, giusto?" Guardò le facce dei poliziotti. "Il sospetto si chiama Ben Bertolucci. Maschio, bianco, anni ventotto. Non è pericoloso, ma state comunque attenti. Questa è una sua foto." Diede il modulo di arresto a Pete, che lo passò agli altri, prima di finire di nuovo nelle mani di Marvin. "Bene. Andremo con due volanti."
"Agli ordini, tenente." Gli agenti scattarono via.
"Pete" aggiunse Marvin. "Tu verrai con me."

 

Nick sedette al posto di guida, Marvin al lato del passeggero e Pete sul sedile posteriore. Uscirono dai parcheggi salutando Jonathan, che lanciò a Pete un'occhiataccia.
"L'hai fatto incazzare un'altra volta?" chiese Marvin con un sorriso.
"È sempre incazzato con qualcuno" rise Pete.
"E chissà perché, quel qualcuno sei sempre tu."
"Dettagli. Alla sua età io andrei in pensione. Ma quel vecchio non vuole sentir parlare di pensione."
"Morirebbe senza il suo lavoro." aggiunse Marvin con una nota di tristezza. "È l'unica cosa che gli sia rimasta."
"Già..."
Nick s'immise nell'arteria di Raccoon Street per evitare il traffico pomeridiano di Central Street. "Cosa gli è successo?" domandò.
"Dimenticavo che tu sei nuovo" rispose Pete. "Ha perso la moglie tre mesi fa. Ora vive da solo."
"Non ha figli?"
"Due. Un maschio e una femmina, ma vivono in un'altra città."
"Oh, beh. Mi dispiace."
"Per cosa?" chiese Marvin.
"Per Jonathan."
"Non preoccuparti per quel rottame" sorrise Pete. "Sta meglio di tutti noi messi insieme."
Sorrisero.
Restarono in silenzio per dieci minuti, finché uscirono da Raccoon Street e proseguirono lungo la periferia della città, tratteggiata da edifici diroccati.
"Sto ancora pensando a quei due uomini" disse Marvin. Sperava di smuovere l'interesse di Pete, che gli era sembrato piuttosto serio in mensa.
"Quelli sulla scena del crimine?" rispose Pete.
"Sì. Non trovi che erano troppo, come dire... scontrosi?"
"Già. Mi hanno cacciato come se non sapessi fare il mio lavoro. Non l'hanno detto chiaramente, ma me l'hanno fatto capire. Credi siano federali?"
"Non lo so. Non avevano nessun tesserino sulla giacca."
"A me ne hanno mostrato uno" disse Pete. "Non ne sono sicuro, ma credo di aver visto lo stemma dell'Umbrella."
Marvin e Nick si lanciarono una rapida occhiata.
"Che c'è?" domandò Pete con fare confuso.
"Niente, Pete" rispose Marvin.
"Dai, Marv. Puoi dirmelo. Terrò la bocca chiusa."
"Dirti cosa?"
"So che non vedi di buon'occhio l'Umbrella."
Marvin lo guardò dallo specchietto retrovisore interno. "E cosa te lo fa pensare?"
"Ricordi la chiacchierata al parco? Quando hai portato tua figlia all'altalena. Ricordi?"
"Sì, ricordo."
"Hai detto, non direttamente, che forse dietro agli omicidi delle montagne Arklay c'è l'Umbrella. Lo so che volevi dire questo, quel giorno."
Marvin distolse lo sguardo. "Ti sbagli. Non l'ho mai detto, e nemmeno lo penso."
Pete gli posò una mano sulla sua spalla. "Io la penso come te. So che è così."
Nick guardò di sottecchi Marvin, che fissava con la coda dell'occhio la mano del collega.
Superarono diversi condomini popolari grigi dalle pareti crepate. Il tettuccio di un'auto carbonizzata spiccava tra l'erba alta, vicino a una casa di cui restava solo la facciata frontale in pietra. I marciapiedi e l'asfalto erano tappezzati di buche.
"Brutto quartiere" disse Marvin. Voleva distogliere l'attenzione dalla discussione che non sembrava essere caduta del tutto.
"Una mia ex ragazza viveva qui" rispose Nick. "In un monolocale. Quando andavo a dormire da lei, sentivo i topi tra le pareti."
"Ora ci racconterai tutta la storia?" chiese Marvin, sarcastico.
Nick rise. Quando fece per rispondere, venne interrotto.
"Conoscevo un tizio che viveva qui" aggiunse Pete. "Uno spacciatore. Ricardo Fuentes."
"Sì, mi ricordo di lui" rispose Marvin. "Il tuo primo caso, giusto?"
"Già" disse con una nota di tristezza. "Da bambini eravamo migliori amici. E da grande il mio miglior nemico, o forse il peggior nemico. Non saprei... I casi della vita, eh?" Fece una pausa. "Quell'idiota si fece massacrare a colpi di machete, invece di accettare la protezione testimoni." Guardò fuori dal finestrino.
"Non è stata colpa tua. Hai fatto il possibile."
"In queste occasioni si dice sempre così."
L'auto della polizia svoltò a sinistra e proseguì lungo la via, fermandosi davanti un condominio di cinque piani. La seconda macchina della polizia che seguiva si fermò poco più avanti.
"Siamo arrivati" disse Marvin.
I tre scesero dall'auto e si radunarono insieme agli agenti vicino al portone dell'edificio. I passanti, che non vedevano di buon occhio la polizia, li guardarono di sottecchi.
"Bertolucci si trova al quarto piano" disse Marvin agli agenti. "Non so se c'è qualcun altro nell'abitazione, perciò tenete gli occhi aperti. Il sospetto deve essere preso vivo. Non voglio violenze, ok?" Lanciò un'occhiata a Chung, che abbassò lo sguardo. "Bene. Tu e Louis restate di guardia al portone. Voi tre, invece, venite con me."

 

Salirono rapidamente la rampa delle scale con le pistole alzate. Sui pianerottoli, solo cartoni, siringhe e residui di feci agli angoli. Il tanfo di urina si fece insopportabile al terzo piano, e Nick fu a un passo dal vomitare.
Arrivati al quarto piano, due agenti si posizionarono di fianco alla porta.
Marvin bussò. "Polizia! Aprite la porta! Abbiamo un mandato di arresto per Ben Bertolucci!" Lanciò un'occhiata fugace a Nick, che sembrava afflitto da qualcosa. Cominciò a credere che conoscesse Ben. Qualcosa gli diceva così.
Marvin bussò di nuovo. "Aprite la porta, o saremo costretti ad abbatterla!"
Nessuna risposta
Marvin aspettò ancora un momento. "Ok, Pete. Sai cosa fare."
Pete diede un calcio alla maniglia e la porta si spalancò.
I tre agenti furono i primi ad entrare con le torce accese e le armi puntate. Seguirono Nick, Pete e Marvin. L'intero appartamento era completamente al buio per via delle assi di legno inchiodate alle finestre.
"Fate attenzione" sussurrò Pete.
Perlustrarono il bagno, la camera da letto e la cucina, ma non trovarono nessuno. Le stanze erano piccole, con le pareti ammuffite e maleodoranti. Grasso e polvere ricoprivano il pavimento cosparso di scatoloni, buste di patatine, lattine di aranciata e bottiglie di birre vuote. Un cartone della pizza era su un basso tavolino. Nella camera da letto non c'era nemmeno il letto e la cucina sembrava più una discarica.
"Dov'è il fottuto interruttore della luce?" chiese Pete.
"Ci sono gli scarafaggi" aggiunse Nick, schifato.
"Che ti aspettavi? "Una villa con vista panoramica sul mare?"
"Non c'è corrente in casa" disse un poliziotto.
Marvin si chinò su un basso tavolino. "Eppure qui sembra che ci sia stato qualcosa. Guardate. Qui è pieno di polvere, ma non in quest'altro punto. Puntate le torce, vedete? Proprio qui."
"Quindi?" domandò Nick.
"Davvero non ci arrivi?" rispose Pete.
Nick non rispose.
"Forse qui c'era un pc portatile o qualcosa di simile."
"Esatto" disse Marvin. "Se nell'appartamento manca la corrente, dove caricava la batteria del portatile? In un bar? In una tavola calda?" Si guardò intorno.

 

Lasciarono rapidamente l'edificio e nascosero le auto della polizia dietro un muretto poco distante. Da lì avevano la visuale libera sul condominio. Alcuni passanti lanciavano occhiate malevoli agli agenti. I barboni bussavano sul finestrino dell'auto chiedendo qualche spicciolo, e quando venivano cacciati, se ne andavano insultandoli.
"Ho già individuato tre spacciatori" disse Pete, irritato. "Ormai non hanno nemmeno la decenza di tenersi lontano dai nostri radar."
"Sono ragazzini" rispose Marvin. "Credono di essere protetti da chi li comanda, di essere intoccabili. Per questo sono sfrontati."
"Ma il capo è troppo occupato a leccare il culo all'Umbrella per occuparsi di questo."
Marvin non parlò subito. "Faresti meglio a tenere questi pensieri per te. Non vorrai..."
"Perdere il posto?" Lo interruppe Pete. "È un fottuto psicopatico. Ecco cos'è."
"Ehi, stai parlando pur sempre del nostro capo."
"Smettila con questa scenata, Marv." Aggiunse Pete con un sorriso. "Lo so che lo odi. Non fingere che ti importi qualcosa."
Nick lanciò un'occhiata a Marvin, che guardò Pete dallo specchietto retrovisore interno. "Cosa c'è che non va? Cosa ti rode? Allora?"
Pete alzò le mani in aria. "Tutto! Tutto quanto. La gente viene attaccata da squilibrati e quelli ci dicono che non erano umani. E cos'erano? Domando. Mostri, rispondono. Siamo per caso finiti in un film dell'orrore e non me ne sono accorto? Datemi uno schiaffo. Svegliatemi. Magari è solo un sogno."
"Da quando ti preoccupi della gente?" Sorrise Marvin.
"Non sono in vena di battute. Parlo sul serio. Comincio a credere che stia accadendo qualcosa di brutto a Raccoon City. Chiamalo sesto senso, o come diavolo vuoi. Ma lo sento. Lo percepisco. E poi mettici pure quei due stronzi di oggi che si credono chissà chi, e il piatto è servito."
Marvin distolse lo sguardo dallo specchietto. "Ora capisco. Non ti è sceso il fatto che ti abbiano trattato da idiota, o qualunque cosa sia successa lì."
Pete restò in silenzio per un attimo. "Pensala come vuoi. Ma ho una strana sensazione al riguardo."
"C'è qualcosa che non mi hai detto, Pete? Ti conosco da anni. È raro che ti interessi a qualcosa, oltre te stesso."
"Sì, bravo, tenente Branagh" disse Pete, prendendolo in giro. "I miei complimenti!" Batté le mani con un sorriso beffardo. "Vuoi che io sia aperto con te, quando tu non lo sei con me? Beh, scordatelo, signor tenente."
Marvin non parlò.
Nick non capiva come facessero i due a sapere quando l'altro nascondeva qualcosa. Intuito da poliziotto? E poi perché battibeccavano in un momento come questo?
Rimasero in silenzio per quaranta minuti, finché Nick avvistò un uomo che sembrava Ben Bertolucci dall'altra parte della strada. "Tenente!" disse. "Eccolo! Il nostro uomo."
"Non è lui" rispose Marvin.

 

Passò un ora, ma di Ben Bertolucci nessuna traccia.
"Odio gli appostamenti." aggiunse Pete con fare irritato.
"A chi lo dici" rispose Marvin.
"Credevo che mi avresti tenuto il muso, Marv."
"Per cosa?"
"Per quello che ti ho detto."
Marvin fece una smorfia. "Non sono mica un bambino. E poi non è la prima volta che... come dire, non siamo d'accordo su qualcosa."
"Vedo che persisti nella menzogna."
Marvin si voltò verso di lui. "Cosa vuoi sentirti dire?"
Pete lo guardò negli occhi. "La verità."
"Non c'è nessuna verità." Si voltò in avanti.
"Certo che c'è. Vuoi parlare del perché il capo Irons ha lasciato gli armamenti in giro per il distretto?"
Marvin aveva visto di persona Irons lasciare le armi in giro per il dipartimento. E non a casaccio, ma in punti nascosti. "Sono solo voci di corridoio. Non sono vere."
"Ma perché continui a difenderlo?" chiese Pete, arrabbiato.
"E tu perché insistiti nell'accusarlo?" rispose Marvin con lo stesso tono.
Pete restò in silenzio per un momento. "Sono dalla tua parte. Sono un tuo amico. Ma a te sembra non fregare un cazzo."
"Parli di argomenti scomodi" aggiunse Marvin. "Faccende oltre la nostra portata."
"Quindi ammetti che c'è qualcosa che non va?"
Marvin sollevò le spalle.
"Io sono d'accordo con te, Pete" disse Nick di getto, evitando lo sguardo incredulo di Marvin.
"Non sai nemmeno di cosa sta parlando" rispose Marvin. Voleva far capire a Pete che lui non sapeva nulla in realtà.
"L'ho visto" continuò Nick. "Ho visto il capo spostare le armi. Ha messo delle pistole nello spogliatoio e un fucile a pompa nella mensa, sotto la lavastoviglie."
"Ti avevo detto di non dire nulla!" aggiunse Marvin, arrabbiato.
Nick abbassò lo sguardo. "Scusa, tenente. Ma è inutile mentire. Pete la pensa come noi. Come me e te."
Quando Marvin fece per rispondere, Pete lo anticipò. Era arrabbiato e triste. "Quindi ti fidi più di una recluta, che di me? Io che ti sono amico da anni? Davvero non hai fiducia in me? Davvero?"
"Io non volevo creare..." disse Nick.
"Stai zitto, Nick!" Lo interruppe Marvin. "Pete, lui è nuovo. Irons non lo prenderebbe sul serio. Magari lo licenzierebbe, ma non arrivererebbe a danneggiarlo, perché non gli crederebbe nessuno. Con te invece è tutta un'altra questione. Il capo sa come ragioni, quanto sei determinato e caparbio. Non si limiterebbe a licenziarti. Ti incastrerebbe. Ti farebbe arrestare o chissà cosa. Volevi la verità? Eccoti la verità. Irons è diventato una minaccia per il dipartimento. Non so quale sia il suo gioco, ma non è nulla di buono."
Calò un lungo silenzio nell'auto.
Nick sapeva molto di più sul capo Irons, ma scelse di rimanere in silenzio per non peggiorare la situazione.
"Allora la pensi come me nel dire che è diventato uno psicopatico?" chiese Pete. "Ti ricordi della sua segretaria? Prima di sparire mi aveva detto che l'Umbrella passava delle tangenti al nostro capo. Lo sapevi? Metà distretto lo sa. E credo che lui l'abbia uccisa. Non ho le prove, ma sono sicuro che è stato quel bastardo."
Marvin alzò le mani al cielo in un gesto di esasperazione.
Nick non sapeva nulla di questa storia.
"Tenente Branagh" disse la voce di una donna dalla radiotrasmittente della polizia. "Bertolucci è stato avvistato sulla trentaquattresima strada. Si sta dirigendo alla stazione Sud della Metro di Raccoon Street. Tre agenti in borghese lo stanno pedinando. Quali sono i vostri ordini?"
"Continuate il pedinamento" rispose Marvin. Finalmente lo aveva trovato. "Sarò lì tra pochi minuti."
"Ricevuto, tenente."
Nick accese il motore e partì a tavoletta, seguito dall'altra volante.

 

Mentre le due macchine della polizia sfrecciavano nel traffico del tardo pomeriggio, le sirene echeggiavano fra gli edifici diroccati. Superarono un furgone per traslochi e svoltarono a sinistra. Marvin avvistò in lontananza l'entrata della metro sotterranea.
"Agente Chung" disse Marvin alla radio. "Copri la seconda uscita. Non muoverti da lì!"
"Sissignore" rispose.
L'auto della polizia si fermò sul marciapiede, facendo fischiare le ruote. Marvin, Nick e Pete uscirono in tutta fretta e scesero rapidamente i gradini, correndo lungo il corridoio della metro. La gente si spostava al loro passaggio e alcuni ci finivano contro.
"Fate largo!" urlò Pete in testa al gruppo. "Spostatevi!"
Nick inciampò quasi su un barbone che dormiva ai piedi di una panca rotta.
Arrivarono alla fermata del treno gremita di gente.
"Merda" disse Pete, abbandonandosi alla parola che più aveva usato durante l'adolescenza. "Come faremo a trovarlo?"
Marvin si guardò rapidamente intorno. "Il treno non è ancora arrivato. Quindi abbiamo tempo. Avanziamo con calma."
Si mossero in mezzo alla folla con estrema cautela, le canne delle pistole rivolte in basso, verso il pavimento.
Marvin posò lo sguardo su ogni uomo per non più di un secondo. Cercava Ben tra la folla. Lo voleva trovare a tutti i costi.
Il treno si stava avvicinando. Sentirono il suono delle ruote sui binari e scorsero una luce bianca farsi largo nell'oscurità della galleria. I tre si affrettarono nella ricerca.
Poi Nick credette di avvistare Ben Bertolucci. "Tenente!" urlò. "Laggiù! È lui!"
Marvin e Nick guardarono vicino a una colonna.
"Sì, è lui" confermò Marvin.
I tre sgomitarono tra le persone, e quando furono a pochi metri da lui, Bertolucci si voltò per caso verso la loro direzione. Sbiancò in viso e gli occhi si sbarrarono dal terrore. Una delle sue paure si era palesata.
Marvin si face largo fra la folla. "Bertolucci!" urlò, ma la sua voce si confondeva con quella degli altri.
Pete spintonò la gente con i nervi a mille. "Fatemi passare! Cazzo!"
Ben era un uomo snello, dai lunghi capelli castani legati in una coda e lo sguardo stanco, ma vigile. Uno sguardo fiaccato da continue paranoie. Indossava una camicia bianca, una cravatta rossa e un pantalone marrone. Aveva un pc portatile sotto il braccio destro e una valigetta nella mano sinistra. Avanzò rapidamente lungo la striscia gialla che delimitava la banchina ferroviaria dai binari. Era quasi arrivato alla scala che conduceva fuori dalla metro, quando si scontrò con un uomo che era appena uscito da dietro una colonna. Cadde sul pavimento. La valigetta sparì ai piedi della folla e il pc portatile scivolò sui binari. Le ruote del treno lo fecero a pezzi.
"No!" gridò Ben, disperato.
"Ehi! Amico!" disse l'uomo con cui si era scontrato. "Guarda dove cazzo vai!"
Ben si alzò in tutta fretta e corse verso le scale. Quando fece per salire i gradini, Pete lo afferrò per le spalle e lo sbatté di faccia contro il muro. "Stai fermo! FERMO!"
La gente osservava la scena, turbata e incuriosita. Alcuni passanti inveivano contro Pete per il trattamento rude.
Marvin fece scattare le manette ai polsi di Ben. "Sei in arresto Ben Bertolucci!"
Mentre veniva trascinato di peso, Ben notò che nessuno dei poliziotti aveva la sua valigetta con i documenti. Non capiva se ciò era un bene o un male, ma decise di restare in silenzio.

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Capitolo 3
*** III. Capitolo ***


Mentre Nick e Pete condussero Ben al distretto, Marvin sbrigò le pratiche dell'arresto nel suo ufficio. Aveva trovato il distretto quasi deserto. La morsa di terrore che cingeva Raccoon City aveva lentamente circuito le menti degli agenti. Chi aveva finito il turno, invece di andare al pub per una birra tra amici, sceglieva di andare a casa a stare con la propria famiglia. E chi non aveva una famiglia, rimaneva ugualmente dentro le quattro mura.
Ormai gli efferati omicidi erano all'ordine del giorno e continuavano a crescere di numero. Nel dipartimento nessuno aveva una pista valida da seguire. Alcuni, come Jonathan, dicevano che si trattava di un serial killer cannibale. Altri di una setta che aveva lo scopo di seminare terrore tra la gente. Quasi nessuno, però, associava l'Umbrella agli omicidi.
Marvin era seduto alla scrivania a scrivere un rapporto. Alzò lo sguardo verso gli agenti fuori dalla porta, "Che data è oggi? Ventisei?"
"Ventisette settembre, tenente" rispose una poliziotta, la stessa che aveva visto parlare con Nick.
"Ah, sì, ventisette. Sto iniziando a fare cilecca con le date. Forse è tempo per me di andare in pensione. Comunque, perché sei qui, Kate? Hai cambiato idea per il corso da sergente? Lo sai che metterò una parola con l'istruttore."
"No, tenente, ma la ringrazio. Volevo dirle che il capo Irons desidera al più presto il rapporto dell'arresto e tutte le prove rinvenute."
"Dovrei consegnarle prima al capitano Johnson" rispose Marvin, insospettito. "Ti ha detto il motivo?"
"No. Ha detto solo di darlo a lui. E che è un ordine."
"Va bene, lo farò."
"Buona serata, Tenente."
Marvin sorrise. "Anche a te, Kate." Posò lo sguardo sul rapporto e lo rilesse, soddisfatto.

 

Nella sala degli interrogatori, Nick e Pete erano stati cacciati via dal capitano Mike Johnson, che voleva interrogare da solo Ben Bertolucci. Erano seduti su una panca lungo il corridoio, di fronte alla stanza da cui erano stati scacciati. L'interno del corridoio era così tetro e silenzio, che a Nick gli venne un brivido lungo la schiena. "Tra mezz'ora finisco il turno."
"Quindi?" rispose Pete. "Vuoi un applauso?"
"Io, insomma... Era per parlare. Ti va una birra quando stacchi?"
"E dopo vuoi invitarmi a casa tua per farmi vedere la tua collezione di farfalle?"
"Ehi, rilassati. Volevo solo parlare, fare amicizia. Non volevo offenderti."
Rimasero in silenzio per un momento.
Pete sospirò. "Scusami, Nick. E solo che non mi va giù che Marvin si fidi più di te, che di me. Senza offesa, ma siamo amici da anni."
"Lo so, non preoccuparti. Il tenente vuole tenerti al sicuro da..." Si zittì, guardandosi intorno. Voleva essere sicuro di non essere ascoltato. "Dal nostro capo" sussurrò. "L'hai sentito cosa ha detto in macchina, no?"
"Perché sussurri? Non c'è quasi nessuno nel distretto."
"Non si sa mai."
"Beh, me la so cavare benissimo da solo. Ho le spalle larghe. E Marvin non è mio padre."
Nick non sapeva che dire.
Pete si alzò e bussò alla porta.
"Chi è?" rispose Mike Johnson dall'altra parte.
"Sto andando a pisciare, capitano."
Mike aprì la porta. "E quindi? Hai paura di pisciarti nei pantaloni? Vuoi che ti accompagni?"
"Molto divertente, capitano. Non volevo che poi dopo mi rompessi le palle, se non mi trovavi al mio posto."
"Sì, sì, vai pure. Sparisci!" Mike gli sbatté la porta in faccia.
Pete si girò verso Nick. "Ecco come trattare con i superiori. Se ti mandano a fare in culo, allora saprai di aver guadagnato il loro rispetto." Fece per andare, quando si fermò. "Ah, quasi dimenticavo. Se viene Marvin, digli di aspettarmi."
"Perché?" domandò Nick, incuriosito.
"Lo capirai. Non voglio perdermi ciò che accadrà." Se ne andò con un sorriso.

 

Marvin aveva finito di compilare il rapporto, così come la pratica di arresto di Ben Bertolucci e li stava rileggendo per la terza volta. Sulla scena non avevano trovato nessuna prova, a parte i resti di un pc portatile sui binari. Apparteneva certamente a Ben, ma sapeva che qualunque prova ci fosse in quell'hard disk, ora era andata per sempre.
Si alzò dalla sedia e lasciò l'ufficio, dirigendosi dal capo Irons. Stringeva in mano i documenti e si chiedeva perché il capo aveva tutta questa fretta di leggerli. Non gli era mai importato nulla dei casi che aveva seguito, né si era interessato ai suoi arresti o alla serie di furti avvenuti giorni prima. Quindi perché voleva a tutti costi quei documenti?
Quando si fermò davanti alla porta dell'ufficio di Irons, esitò a bussare. Lanciò un'occhiata ai documenti, diede un ultimo sguardo nel corridoio e bussò.
Si aspettava di sentire la voce di Brian dall'altra parte, invece la porta si aprì da sola. Il Capo Irons gli gettò un'occhiata torva e gli strappò i documenti di mano. "Puoi andare, tenente." Gli chiuse la porta in faccia.
Era accaduto tutto così velocemente, che Marvin restò di sasso. "Ma che diavolo..?" borbottò. "Mi stava aspettando dietro la porta?"

 

Nel corridoio che conduceva alla sala degli interrogatori, Nick stava fissando la piccola finestra posta al centro nella porta. Scorgeva il capitano Mike Johnson urlare contro Ben, che sembrava molto tranquillo. Le voci erano ovattate, ma riusciva a sentirle.
Gli venne in mente di infilarsi nella stanza adiacente dove c'era lo specchio unidirezionale e assistere all'interrogatorio da lì, ma lasciò perdere. Non voleva essere beccato. Il capitano aveva intimato sia lui che Pete di tenersene alla larga e di stare seduti in corridoio.
"Marcirai in galera!" gridò Mike. "È questo che vuoi? Vuoi finire dietro le sbarre per tutto il resto della tua vita? Vuoi questo? Rispondi!"
Ben restò in silenzio.
Il volto del capitano diventò paonazzo dalla rabbia. "E va bene, Bertolucci." Si accarezzò il mento con fare nervoso. "Hai due scelte. Se mi dai tutto ciò che hai sul distretto, farò in modo che il giudice si ricordi che sei un uomo per bene. Ti farò avere i domiciliari. Non dovrai scontare nemmeno un giorno in prigione. Pensaci. È una buona offerta. Che ne dici?"
Ben non rispose.
Mike sbuffò, nervoso. Diede le spalle a Ben per un momento, poi si girò di scatto e si fiondò a un palmo dalla sua faccia. "Vuoi fare il duro, eh? Credi che questo sia un gioco? Bene, giochiamo." Sorrise beffardo. "Abbiamo l'indirizzo IP del tuo computer. Abbiamo diverse videoregistrazioni in cui ti intrufoli nella proprietà dell'Umbrella Corporation. Abbiamo prove di spionaggio, Bertolucci. E stai pur certo che troveremo le tue fonti. Ora capisci in che guaio ti sei cacciato?"
Ben sapeva che, con il suo portatile distrutto, il dipartimento non aveva prove sufficienti per incriminarlo. Aveva fatto l'errore di usare il suo computer per accedere ai file segreti dell'Umbrella, tramite le password e gli accessi forniti dalle sue fonti interne. Quindi non correva nessun pericolo, tranne per quella videoregistrazione. Se il capitano Johnson diceva il vero, poteva essere accusato di violazione di domicilio e di altre accuse che ora non gli venivano in mente. Glielo avrebbero accollato per farlo restare in prigione per una decina di anni. E con l'Umbrella di mezzo, forse là dentro ci sarebbe persino morto. Per fortuna aveva perso la valigetta con i documenti, ma non sapeva in quali mani fossero finiti. Questo lo preoccupava più di un eventuale carcerazione.
"Hai deciso di restartene in silenzio?" domandò Mike Johnson. "Allora ti..."
Nick si girò alla sua sinistra, attirato dai passi che echeggiavano nel corridoio. "Tenente" disse.
"Che ci fai qui fuori?" chiese Marvin, perplesso. "Dov'è, Pete?"
"In bagno."
"In bagno? Gli avevo detto di interrogare Ben."
"Il capitano ci ha cacciati. Ha detto che voleva interrogare Bertolucci da solo. E ci ha intimato di restare nel corridoio."
"Che quell'uomo sia dannato" sbuffò Marvin. "Ora mi sentirà!"
"Aspetta, tenente."
"Che c'è? È successo qualcos'altro?"
"Pete ha detto di aspettarlo."
"Aspettarlo? Non sto mica ai suoi comodi. Doveva pensarci due volte prima di andare in bagno."
Quando fece per aprire la porta, Pete girò l'angolo del corridoio e corse verso di loro. "Aspetta, aspetta!"
Marvin lo fissò accigliato e aprì la porta. Nick corrugò la fronte, confuso.
"Che ci fai qui, tenente?" chiese Mike, sorpreso. "Non vedi che ho da fare."
Marvin era irritato. "È il mio interrogatorio. Perché li hai cacciati?" Indicò Nick e Pete con un accenno della testa. "Dovevano interrogarlo sotto la tua supervisione!"
"Primo, modera il tuo tono, o sarò costretto a metterti in congedo forzato" aggiunse Johnson in tono rabbioso. "Secondo, questo caso ora è mio. E terzo, sono un tuo superiore, tenente Branagh. Quindi, togliti dalle palle!"
Marvin sentì la testa pulsare dalla rabbia. "Parlerò con il Capo Irons."
"Sì, fai pure. Vai" rispose Mike con un ghigno di vittoria. "È stato proprio Irons a passarmi il caso."
Ben cercava di non ridere. Tutte le voci che riguardavano l'astio tra gli agenti e il capo Irons nel distretto non erano solo dicerie. Erano vere, ora ne aveva la conferma. Il capitano Mike Johnson doveva essere in combutta con Irons. Chissà se anche le voci riguardanti l'insabbiamento di ogni indagine che riguardavano l'Umbrella erano vere? Certo, che lo erano. Doveva solo trovare delle prove concrete.
Mike si voltò verso Ben. "Che cazzo hai da ridere, tu?"
Ben non riusciva a smettere. Voleva, ma non ci riusciva.
Johnson serrò gli occhi, arrabbiato, e gli tirò un pugno in faccia, facendolo cadere dalla sedia.
"Ehi, capitano" rispose Marvin, chinandosi su Bertolucci. "Non puoi trattarlo così."
"Io posso fare quello che voglio!" gridò con la faccia paonazza dalla rabbia. "Ora sparite dalla mia vista! È un fottuto ordine!"
Pete e Nick furono i primi a sgattaiolare fuori. Quest'ultimo capì perché Pete gli aveva detto di aspettarlo. Non voleva perdersi il litigio tra Marvin e il capitano.
"Stai bene?" domandò Marvin.
"Sì... mai stato meglio" Rispose Ben, con labbro superiore spaccato e sanguinante.
Marvin lo aiutò a sedersi, lanciò un'ultima occhiata malevola al capitano Johnson e chiuse la porta alle sue spalle.
Mike prese un pacco di fazzoletti dalla tasca e, con strafottenza, lo lanciò sul tavolo.

 

Una volta fuori, Nick, Pete e Marvin si diressero verso l'ufficio del capo Irons. Durante il tragitto, Pete sembrava preoccupato del fatto che Marvin potesse sbottare davanti a Brian.
"Tenente" disse Pete.
"Tenente?" rispose Marvin, perplesso. "Ti sei finalmente ricordato il mio grado?"
"Non volevo che le cose finissero così."
"Così come?"
"È colpa mia se hai litigato con il capitano. Magari è meglio dormirci su, invece di andare da Irons, non credi?"
Marvin smorzò un sorriso. "E il tuo modo per dirmi che sei preoccupato?"
Pete lo fermò per un braccio. "Senti, Marv. Sarò franco. Non credo sia una buona idea andare dal capo. Non con queigli occhi."
"Perché? Come sono i miei occhi?"
"Sei arrabbiato. Irons lo noterà. E sai che..."
"Lo so, Pete. Non c'è bisogno che mi dici ciò che so già."
"Allora perché ci stai andando? Lo sai che non risolverai niente."
Marvin aggrottò le sopracciglia, deciso. "Voglio che sappia!"
"Sapere cosa?"
"Sai bene di cosa parlo." Cominciò a camminare, seguito da Pete e Nick.
"Oggi hai fatto di tutto per farmi capire che mi sbagliavo su di te. Su ciò che pensavi. Ora perché mi sembra che stai andando incontro a un suicidio? Se il capo Irons sospettava di te, ora avrà la certezza che in futuro gli causerai problemi. Non è meglio agire con più discrezione?"
"Sprechi fiato, Pete."
"Sto cercando di salvarti, cristo santo!"
Marvin si fermò. "Oggi però non ti importava di dar voce ai tuoi pensieri, Pete? Di ritrovarti licenziato o peggio. Come mai ora ti importa di me?"
"Perché siamo amici! Perché sappiamo entrambi di avere le mani legate con quell'uomo. Ha amici potenti. Ha la fottuta Umbrella dalla sua. Non puoi affrontarlo di petto. Non puoi."
Marvin non parlò subito. "Allora mi limiterò a lamentarmi."
Pete scosse la testa. "No, non non farai solo questo. Ti conosco bene. E se anche ti limitassi a lamentarti, Irons ti farà fuori dal distretto. Non gli importa dei tuoi anni, del tuo grado e della tua esperienza. Lui ti farà fuori. E se non ci riuscirà, chiederà aiuto ai suoi amici. Credimi, troveranno un modo di sporcarti, di congedarti con disonore. Pensa a tua moglie, a tua figlia. Pensa a loro."
Nick stava apprendendo molte cose. Non sapeva che Pete fosse così attaccato emotivamente a Marvin. Adesso capiva perché il tenente aveva fatto di tutto per non accomodarlo durante l'appostamento. E ora Pete stava facendo la stessa cosa.
Marvin si fermò nel corridoio, poco distante dall'ufficio del Capo Irons. Fissò negli occhi Pete per un momento, poi guardò Nick. "Buona serata, agenti." E li lasciò sul posto.
Pete sospirò, sollevato.
"Ce l'hai fatta, Pete. L'hai convinto" disse Nick.
"Già. Credevo che avrebbe fatto una cazzata."
"Non mi sembra il tipo."
"Non lo conosci bene."

 

Marvin non andò a casa, come avevano fatto Nick e Pete una volta finito il turno. Tornò alla sala degli interrogatori, pronto a cantarne altre al capitano,  ma si fermò, quando vide il Capo Irons svoltare l'angolo in fondo al corridoio. Aveva la testa china su una cartella piena di documenti su Ben Bertolucci e borbottava tra i denti.
Marvin si precipitò nella stanza adiacente alla sala degli interrogatori in cui si trovava lo specchio unidirezionale. Non aveva nessun motivo per nascondersi dal capo, ma voleva sapere dove stava andando.
Il capo Irons varcò la porta della sala degli interrogatori con un sorriso trionfante sulle labbra. Il capitano Mike Johnson appoggiò la schiena contro il muro, in un angolo.
Irons chiuse la porta. "Signor Bertolucci... Ah, vedo che hai fatto amicizia con Mike." Indicò il labbro spaccato e sanguinante. "Ad ogni modo, sei stato una spina nel fianco per mesi." Gettò sul tavolo la cartella contenente le prove su Ben, che non aveva trovato Marvin. "Qui c'è un elenco dettagliato di tutti i capi d'accusa e..."
"Risparmiami i dettagli" lo interruppe Ben.
"Allora hai una voce?" ghignò Mike con fare irritato.
"Ti avevo detto di farmi parlare con Brian."
"Irons e io siamo la stessa la stessa persona" ringhiò Mike, staccandosi dal muro.
"Beh, Johnson" disse Irons. "La stessa persona non direi. Ricordati che esiste una gerarchia, qui. Ricordati chi comanda."
Mike piegò la testa. "Sì, capo."
"Vi succhiate anche il cazzo a vicenda?" Li sbeffeggiò Ben con un sorriso divertito.
Brian aggrottò le sopracciglia, arrabbiato.
Mike caricò il pugno per colpirlo, quando Brian lo fermò. "No! Non giocheremo al suo gioco." Si sedette di fronte a Ben. "Allora, signor Bertolucci. Ho saputo che volevi parlare con me. Sono qui. Parla pure."
"Forse prima, quando l'ho domandato tre ore fa." Lanciò un'occhiata a Mike. "Ora non mi va più."
Sul volto di Irons si dipinse un sorriso sinistro. "Credi di potermi irritare con questi trucchetti mentali da quattro soldi? Ho mandato in galera gente più furba di te. Ti conviene parlare."
Ben fece un mezzo sorriso, compiaciuto. "Non so se ti conviene ascoltare quanto ho da dire." 
"Ah, sì? Ti riferisci ai tuoi articoli da strapazzo? Nessuna ti crede o ti crederà. Pubblichi false notizie. La gente lo sa. Non ti prenderanno mai sul serio. Sei come una piccola mosca che ronza attorno alle orecchie. Prima o poi verrà schiacciata, lo capisci?"
"Gli articoli erano solo un modo per distrarre l'attenzione da altro. Ho altre informazioni. Informazioni delicate, molto delicate. Queste informazioni non le ho mai divulgate. Le tenevo da parte in caso finissi nei guai."
Brian si fece serio. "Quali sarebbero?"
"Quindi non ne sei a conoscenza?"
"Cosa te lo fa pensare?"
"Non avresti posto questa domanda" sorrise Ben. "Non sei così furbo come dici."
Gli occhi di Irons ribollivano di rabbia.
Ben se ne accorse e, con una manata, spazzò i documenti dal tavolo, che finirono ai piedi di Mike. "Questa è robaccia" disse con tono sprezzante. "Carte imbrattate d'inchiostro. Non hai nulla contro di me. Nulla."
Irons scattò in piedi, desideroso di prenderlo a pugni, ma esitò. Non si scompose.
Mike si posizionò alle spalle di Bertolucci.
"Ora mi prenderete a pugni?" aggiunse Ben. "E l'unica cosa che potete fare, visto che non avete un bel niente contro di me."
Irons si sedette. "Quali sono queste informazioni?"
Ben sorrise nel vedere il volto di Irons solcato dalla paura. "Tangenti. Hai ricevuto moltissime tangenti dall'Umbrella e intralciato tutte le indagini di cui erano sospettati. Credi sia poco?" In realtà non aveva la conferma che Irons intralciasse le indagine, ma le sue fonti non dicevano nemmeno il contrario.
Irons rimase in silenzio. Mike appoggiò nuovamente la schiena contro il muro.
Marvin era rimasto senza parole. Se ne stava in piedi a fissare Ben e Irons, e non capiva chi dei due era il criminale. Sapeva che il capo nascondeva qualcosa. Ultimamente si era comportato in modo strano, come lasciare le armi in posti diversi nel distretto, ficcare il naso nei casi in cui c'era di mezzo l'Umbrella. Ma non credeva che fosse invischiato così tanto. Aveva avvertito il fetore di corruzione quando Irons aveva cercato di depistare le indagini sugli omicidi sulle montagne Arklay, ma ora si aggiungevano anche le tangenti.
Ben si fece serio. "Vogliamo parlare della tua segretaria? Quella sparita nel nulla."
Irons impallidì.
"So che sei immischiato nella sua scomparsa."
"Tu non sai niente!" urlò Irons. "Proprio niente!"
"Invece sono a conoscenza di molte cose. E ora ho la conferma che tu non hai niente contro di me."
Irons si alzò con un sorriso. "Violazione di domicilio, spionaggio. Fai un mix di questo, e vedrai come si gonfieranno i capi d'accusa in tribunale."
Ben fece un mezzo sorriso, soddisfatto. "Sei tu quello che deve avere paura, non io. Le mie informazioni porteranno a uno scandalo su scala nazionale. Immagina lo scalpore, l'indignazione." Allargò le braccia in un gesto plateale. "Corruzione nel dipartimento di polizia di Raccoon City. Ecco come sarà il titolo delle prime pagine dei principali giornali del paese. Chissà cosa diranno i tuoi amici dell'Umbrella? Chissà se ti supporteranno ancora?"
Irons gli lanciò un'ultima occhiata truce e lasciò la stanza, sbattendo la porta.
Mike si staccò dal muro e raggiunse l'altro lato del tavolo. "Bene, Bertolucci. Ciò non toglie che passerai la notte qui. Sai, possono capitarti molte cose spiacevole, nel frattempo" ghignò un freddo sorriso.
"Non puoi farmi nulla senza prove."
"A che servono le prove, se possiamo farti sparire. Sarà come se tu non fossi mai esistito."
Per la prima volta Ben venne colto dal terrore. "Non potete farlo. Gli agenti che mi hanno arrestato sono dei testimoni e..."
Mike posò le mani sul tavolo e lo guardò dritto negli occhi. "Ora non c'è nessuno. Immagina questa scena. Ti sto conducendo nella tua cella, quando improvvisamente mi attacchi. Nasce una colluttazione e riescimi a prendermi la pistola. In quel momento sopraggiunge un agente e ti intima di abbassare la pistola. Tu spari, e lui ti ferisce mortalmente. Hai bene in mente la scena? È quello che succederà se continuerai a fare ancora il coglione. Oppure, posso inventarmene un'altra. Sai, ho molta fantasia."
Ben deglutì, spaventato.
"Sai meglio di me quanto l'opinione pubblica sia volubile" continuò il capitano Johnson. "Un altro criminale che durante la fuga tenta di uccidere un bravo agente. A chi crederanno, secondo te?"
"Non..." balbettò Ben. "N-non puoi f-farlo. Ci s-saranno esami b-balistici e..."
"Non ci sarà un bel niente! Il caso verrà chiuso ancor prima che il tuo corpo si freddi. Ti sei messo contro le persone sbagliate, Ben!" Si staccò da tavolo. "E ora alzati! Ti porto nella tua comoda cella" disse con una risatina di scherno.
Marvin non aveva mai visto questa parte oscura di Johnson. Sembrava un'altra persona. Si sentiva stordito, stanco, la testa gli doleva. Aveva da sempre sospettato del capo Irons, ma di Johnson? Non riusciva a credere che fosse implicato, che avrebbe persino ucciso pur di non essere scoperto. Gli venne un mancamento e, cercando il tavolo con la mano per mantenersi in equilibrio, fece cadere una bottiglietta d'acqua dietro la scrivania. Un'ombra attraversò la piccola finestra sulla porta che dava nel corridoio.
Marvin si precipitò all'altra uscita, sperando di non aver attirato l'attenzione. Attimi dopo, Johnson aprì la porta e allungò la testa nella stanza. Aveva sentito qualcosa cadere sul pavimento. Osservò l'ambiente senza guardare nulla di preciso, poi chiuse la porta e diede una spinta a Ben, facendolo quasi ruzzolare sul pavimento.

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Capitolo 4
*** IV. Capitolo ***


Marvin lasciò il distretto, turbato. Voleva fare qualcosa contro Irons e Johnson. Voleva arrestarli, ma con quali prove? Le chiacchiere di Ben Bertolucci? Il giornalista che non faceva altro che attirarsi l'odio di mezza città? Chi lo avrebbe creduto?
Salì nella sua macchina familiare, accese il motore e aspettò che si riscaldasse. Correva il rischio di rimanere a terra, se il motore non si riscaldava per bene. Si era promesso di farlo aggiustare, ma tra un problema e l'altro, se ne era sempre dimenticato. Guardò lo specchio retrovisore interno per fare retromarcia, quando qualcosa si mosse vicino a un colonna in penombra. Barcollava verso una grossa berlina.
Riconobbe la sagoma dell'uomo dalla pancia prominente e abbassò il finestrino. "Jonathan! Ti sei ubriacato di nuovo?"
La sagoma si voltò lentamente, attirata dalla voce.
"Proprio non riesci a tenere la bocca lontano dalla bottiglia, eh?" chiese Marvin, divertito. Poi fece lentamente retromarcia. Jonathan continuava a incespicare coi piedi.
Marvin portò una mano fuori dal finestrino. "Buona notte! E fatti accompagnare da qualcuno a casa." Lasciò il parcheggio.
Jonathan Bateman vacillò fuori dalla penombra, la faccia scarnificata, insanguinata, gli occhi vitrei e il petto squarciato.

 

Le strade erano quasi deserte all'una del mattino. Qualche auto solitaria sfrecciava dalla corsia opposta. Marvin non aveva mai sentito la città così silenziosa. Gli omicidi avevano scosso tutti. La gente era terrorizzata e molte persone credevano di essere le prossime a morire. Il fatto che la polizia non sapesse chi o cosa uccidesse le vittime, non faceva altro che alimentare la sensazione di impotenza e terrore. Persino gli stessi poliziotti ne erano spaventati.
Accese la radio e ascoltò una canzone Rock dal tono familiare, di cui non ricordava il nome. Proseguì lungo la via, svoltò a destra e s'inoltrò in una strada secondaria, che conduceva al Raccoon General Hospital. Era un tragitto che faceva spesso per raggiungere la sua abitazione, che si trovava nella zona residenziale della città. Un gruppetto di ville e bungalow. Quando passò davanti all'ospedale, notò che l'ingresso era deserto. Mancavano persino le due solite guardie poste davanti all'entrata. Non si domandò perché mancassero, forse si trovavano all'interno.
Continuò lungo la via e svoltò a sinistra. Non si accorse delle due figure poco distante da un lampione, finché non si avvicinò. Allora vide una donna che tentava di districarsi dalla presa di un barbone.
Frenò di colpo e uscì dall'auto, correndo verso la donna. "Ehi, tu!" urlò.
L'uomo sembrava non averlo sentito.
Quando gli fu vicino, Marvin si accorse che l'uomo aveva gli abiti laceri e insanguinati.
"Aiuto!" gridò la donna.
L'uomo la tratteneva per un braccio, tirandola verso di sé.
Marvin gli tirò una spallata e lo fece cadere a terra. "Non ti muovere! Fermo!"
La donna fuggì nel vicolo buio.
"Sono un poliziotto, signora!" gridò Marvin, credendo di averla spaventata.
L'uomo si voltò, afferrò la caviglia di Marvin e tentò di morderla.
"Che cazzo fai?" Marvin gli mollò un calcio sul fianco, ma l'uomo non accusò il corpo. Anzi, cercò di tirarlo giù.
Il tenente fece per colpirlo in faccia, quando gli vide il viso lacero, dalla pelle decomposta, una chiazza di capelli in testa e un lembo di guancia strappata. Aveva un grosso morso tra il collo e la mascella da cui si scorgeva l'osso.
Marvin scattò indietro, terrorizzato. Non riuscì a pensare a nulla. Quell'uomo sembrava appena uscito da un film dell'orrore. Mentre si guardava intorno, l'essere si fece leva sulle mani ossute e si alzò lentamente in piedi.
"Stai indietro! Indietro!" urlò Marvin. Cercò istintivamente la pistola legata alla cintura, ma si accorse di non averla. Era fuori servizio.
Andò in panico.
L'uomo strascicò i piedi verso di lui, una mano protesa in avanti, la bocca livida, spalancata. Un rantolo gli uscì dalla gola simile a un gemito.
"Stai fermo!" gridò Marvin, distanziandolo con una mano.
L'essere gliela afferrò e lo tirò a sé.
Marvin lo spinse via, ma l'uomo rimase immobile e gli affondò i denti nell'avambraccio. Gli strappò un lembo del giubbotto e tentò di mordergli la gola, ma l'essere barcollò a destra e lo trascinò a terra insieme a lui.
Marvin scattò in piedi e, in preda alla rabbia, lo tempestò di calci. L'uomo non accusò i colpi, finché non fu colpito alla testa e non si mosse.
Il tenente pensò di avergli causato un trauma cranico. Lo fissò per un momento. Poi l'essere si voltò e, con un gemito, si issò lentamente in piedi.
Nel vicolo buio, una figura minuta vacillava nella sua direzione. Aveva il viso pallido, con lunghi capelli castani scomposti e l'avambraccio insanguinato da cui si scorgevano filamenti di carne e ossa. Era la donna di prima.
"Signora!" urlò Marvin. "Non avvicinarti a quest'uomo. Stai indietro. È pericoloso!"
La donna non lo ascoltò e raggiunse l'essere, che la ignorò. Insieme, strascicarono i piedi verso il tenente, incapace di capire cosa stesse succedendo. Quando si voltò verso la sua auto per chiamare rinforzi, un centinaio di non-morti erano a trenta metri dall'auto. Vacillavano e gemevano proprio come i due che aveva alle spalle. Ormai aveva capito che non erano persone normali. Le voci sugli esseri mostruosi che attaccavano la gente erano vere.
Si precipitò dentro l'auto, chiuse le sicure dei finestrini e schiacciò l'acceleratore, facendo fischiare le ruote. Un flebile fumo biancastro si levò dall'asfalto. Mentre si allontanava, lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore interno. La luce di un lampione illuminava alcuni volti putridi, ossuti, da cui pendevano lembi di carne grigia.
Continuò a guidare, finché svoltò a destra e una macchina gli sfiorò il paraurti posteriore. Il conducente suonò il clacson, ma Marvin non ci fece caso. Quando fu abbastanza lontano, rallentò l'andatura, pescò il cellulare dalla tasca e compose il numero del distretto.
"Il numero da lei chiamato è al momento irraggiungibile" disse una voce da donna preregistrata. "La preghiamo di riprovare più tardi."
Tirò un pugnò a martello sul manubrio. "Cazzo!" Compose il numero di Esther, sua moglie. "Dai, rispondi! Rispondi!"
"Il numero da lei chiamato..."
Marvin sbuffò e gettò il cellulare sul cruscotto, aumentando la velocità.
Sfrecciò a centro chilometri orari su una Mission Street deserta. Di tanto in tanto gettava un'occhiata alla specchietto retrovisore interno, aspettandosi di scorgere i non-morti. E mentre ci teneva gli occhi incollati, non si accorse del furgone che sbandava sulla corsia opposta.
Un lampo di luce gli accecò la vista.
Fu l'ultima cosa che vide.

 

Nick non riusciva a dormire. Aveva passato tre ore nel letto muovendosi di continuo, ma il sonno non arrivava. Così si mise a sedere sul letto, lanciò uno sguardo alla sveglia, che segnava le due e ventotto di mattina, e restò fermo per due minuti. Poi si alzò, andò a stapparsi una birra e si lasciò cadere sul divano, accendendo la tv. Sullo schermo disturbato comparve la parola nessun segnale.
"Ci risiamo" disse, alzandosi. Staccò la spina del televisore, aspettò un minuto e lo ricollegò. Una volta accesa, il segnale era ancora presente. "Stacca e riattacca, mi aveva detto. Stacca e riattacca..." Tolse la presa della tv e si sedette in silenzio sulla poltrona, sorseggiando la birra. "Lo sapevo. Sapevo che non funzionava. Perché non seguo mai il mio istinto? Mi ha spillato solo cento dollari..." Fece un lungo sorso. "Domani glielo farò vedere io."
Restò seduto a fissare il fascio di luce del lampione che filtrava fra le tende della finestra. Quando finì la birra, si alzò, posò la bottiglia sul comodino e andò alla finestra. "Ho sempre odiato questa città, perché troppo caotica. E ora è più silenziosa di Stone-Ville." Mentre faceva un mezzo sorriso, una monovolume sfrecciò lungo la strada. Si allontanò dalla finestra. "Va bene, birre. A noi!" Prese la bottiglia di birra vuota e la posò nel lavello della cucina. Sospirò, affranto. "Come mi sono ridotto? A ubriacarmi per poter dormire..."
Mentre apriva il frigo, sentì un forte tonfo alla porta. Si voltò e fissò la porta d'ingresso che si vedeva dalla cucina. Un altro tonfo.
Corse a prendere la Glock dal comodino vicino al letto, attraversò il corto corridoio e guardò dallo spioncino. Non c'era nessuno.
Appena aprì la porta, qualcosa di freddo gli afferrò la caviglia. Guardò in basso. Una donna era ai suoi piedi, il viso pallido, le labbra sporche di sangue e le palpebre circondate da uno strano liquido gelatinoso. Gemette verso di lui e cercò di affondargli i denti nella carne. Nick indietreggiò, ma scivolò e cadde sul pavimento. Lei gli allungò le mani insanguinate sul corpo e ci strisciò sopra.
Nick cercava di levarsela di dosso, ma non riusciva. La donna sembrava possedere una forza straordinaria, pur essendo esile. "Merda! Cazzo! Togliti di dosso!" gridò Nick.
La donna provò a mordergli la guancia, ma lui riuscì a distanziarla mettendole una mano sul petto. Poi le avvicinò la canna della pistola alla tempia. "Sono un poliziotto!" gridò, pensando di poterla intimidire. "Levati di dosso! O giuro che ti sparo!"
La donna staccò un morso a un palmo dalla sua faccia. Un misto di saliva acida e sanguinolenta le scivolò dall'angolo della bocca e cadde sulla canotta di Nick, che storse il naso per il tanfo di morte.
"Lasciami andare, o giuro che ti ficco una pallottola in testa! Non te lo ripeterò di nuovo."
Fissò gli occhi vacui e vitrei della donna. Non aveva intenzione di spararle davvero. Credeva che fosse una squilibrata come tante che abitavano nel quartiere o nel condominio. Così cercò di colpirla con il calcio della pistola, ma il braccio rimase immobile. La donna lo teneva fermo. Era troppo forte. Non riusciva a crederci come un essere così mingherlino potesse sopraffarlo.
L'alito di morte della donna gli pervase i polmoni e tossì. Questo scatenò la reazione di lei, che diventò più feroce. Scattò i denti a due centimetri dal collo di Nick. Lo faceva con insistenza, avvicinandosi sempre più. Lui non voleva spararle, ma non sapeva come uscire da quella situazione.
Si udì uno sparo.
La donna cadde sul fianco. Sangue e pezzi di cervella schizzarono la porta, le pareti e il pavimento. Cominciarono a fischiargli le orecchie, un ronzio insopportabile. Si alzò stordito e fissò incredulo il foro in testa alla donna.
"H-ho..." balbettò, turbato. "Ho ucciso u-una... una d-donna..." Guardò la pistola con orrore e la lasciò cadere dalle mani. Non riusciva a credere di aver premuto il grilletto. Non poteva essere stato lui. Non aveva mai sparato o ucciso qualcuno. Era stato addestrato per queste cose. Sapeva che prima o poi poteva capitare, ma queste cose accadevano solo agli altri. Era sempre così. Doveva esserlo.
Senza distogliere lo sguardo dal corpo, indietreggiò e sbatté la schiena contro l'armadio. Si girò, spaventato, credendo di aver urtato qualcuno.
Dopo qualche minuto, tornò lucido. Corse nella camera da letto, afferrò il cellulare da sopra il comodino e chiamò Marvin. Non pensò minimamente di chiamare il distretto o l'ambulanza. Credeva che il suo tutore avrebbe sistemato tutto. Dopo tutto, era solo legittima difesa.
"Il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La preghiamo di riprovare più tardi."

 

Pete russava nel letto accanto a Megan, la fidanzata. Una donna sulla trentina, viso squadrato, lunghi capelli neri fin sotto il mento. Dopo una notte di sesso bollente in cui aveva scaricato tutte le tensione del giorno prima, era crollato in un sonno profondo. A svegliarlo furono delle grida fuori dall'abitazione. Viveva nella zona residenziale di Raccoon City, cinque vie prima di Marvin. E quelle urla non erano nuove. Si trattava di una coppia di vicini che litigava spesso. Il marito tornava quasi ogni notte ubriaco fradicio e la moglie, dopo averlo insultato, lo mandava a dormire nel garage.
"Cosa è stato?" chiese Megan. Una donna sulla trentina, viso squadrato e lunghi capelli neri fino sotto il mento. Aveva gli occhi verdi un poco strabici.
Pete sbadigliò. "Dormi. Non è niente."
Quando la fidanzata comprese di chi erano quegli schiamazzi, sbuffò con fare irritato. "La devono smettere di gridare in piena notte. Devi dirlo."
"L'ho detto un migliaio di volte. È inutile. Ora dormi." Si girò dall'altro lato del letto.
"Ma tu sei un poliziotto. Minacciali. Fai qualcosa."
"Minacciarli?" chiese Pete divertito. "Vuoi che abusi del mio potere?" Si voltò verso di lei con un sorriso, interessato.
La ragazza ci pensò. "Beh, potresti in questo caso."
"Che ne dici se abusassi di te?" rispose Pete, facendole il solletico.
Lei gli allontanò le mani. "Dai, Pete. Non scherzare. Sto dicendo sul serio. Sono insopportabili. Non possono urlare mentre tutti dormono."
Pete si girò dall'altra parte. "Abituati. Tra poco la smetteranno."
Megan si alzò dal letto e si diresse in bagno, battendo forti i piedi per terra.
Là fuori la donna continuò a inveire contro il marito per un momento, poi cacciò un urlò di dolore. Pete sobbalzò dal letto e si precipitò alla finestra. L'uomo era riverso sulla moglie, ma non si capiva cosa stesse facendo. Per un attimo pensò che stessero facendo sesso sul prato, ma la donna non si muoveva.
Megan uscì dal bagno con la faccia stravolta. "Hai sentito?"
Pete prese la mazza da baseball nell'armadio incassato nel muro. "Aspetta qui." Uscì dalla camera da letto e percorse velocemente il corto corridoio. Quando aprì la porta, sbarrò gli occhi, spaventato. Centinaia di non-morti barcollavano in strada e sui prati dei vicini. Un forte tanfo di putrefazione gli fece venire un conato di vomito. Chiuse la porta e la bloccò con uno scaffale pieno di libri.
"Che succede?" chiese Megan alle sue spalle.
Pete si girò di scatto. "Allontanati dalle finestre. Ti ho detto di allontanarti!" Le afferrò una mano e la trascinò alla porta nel retro.
"Ma che succede?" domandò Megan, spaventata.
"Non è il momento di parlare." Aprì la porta e corsero nel giardino recintato da una bassa staccionata. I non-morti arrivavano anche da quella parte.
Pete si fermò. Non sapeva cosa fare.
"Ma chi..." balbettò Megan, terrorizzata. "Cosa sono?"
"Sono dei fottuti cadaveri" rispose Pete, agitato. "Cazzo! Sono dappertutto!"
"Prendiamo la macchina."
"Per poi ritrovarci circondati? No, meglio andare a piedi."
"Ma sei impazzito?"
"Non è il momento di discutere!"
"Per te non è mai il momento per niente!"
Pete sbuffò, irritato.
Gli zombie si avvicinavano sempre più. Uno inciampò su un tagliaerba e rimase infilzato nella parte superiore della staccionata, finché si cedette sotto il suo peso. Non fece in tempo ad alzarsi, che venne calpestato dagli altri non-morti.
"Io vado all'auto" aggiunse Megan.
"Ferma! Non hai nemmeno le chiavi."
Megan gliele mostrò. "Vieni con me."
"Ma come..." rispose Pete, confuso. "Quando hai preso le chiavi della mia macchina?"
"Come dici sempre, non è il momento" disse con un sorriso beffardo.
Pete si guardò intorno. "Ci circonderanno."
Megan gli lanciò un'ultima occhiata e corse alla macchina. Lui le corse dietro.
Quando la donna accese i motori, i non-morti circondarono il veicolo, le mani che grattavano sulla carrozzeria, le facce sfregiate e dilaniate che scivolano sui finestrini. L'auto cominciò ad essere sballottata dagli zombie.
"Che cazzo stai aspettando?" chiese Pete. "Vai!"
Megan ci aveva già provato, ma lui non se ne era accorto. "Lo sto facendo!"
"Parti! Dannazione!"
"Ci sto provando! La macchina non si muove!"
"Te l'avevo detto! Niente auto. Ma tu non mi ascolti! Non lo fai mai, cazzo!"
Megan era a un passo da una crisi di nervi. Schiacciò a tavoletta l'acceleratore, ma il veicolo non si schiodava di un centimetro. L'ammasso di non-morti lo impediva.
Pete stava per lamentarsi di nuovo, quando udirono degli spari levarsi sui gemiti. I non-morti si voltarono e barcollarono lentamente verso la fonte del rumore.
"Vai! Vai! Vai!" urlò Pete.
La macchina travolse una manciata di zombie nel vialetto e si ritrovò sulla strada. A sparare era stato il vicino, Josh. Difendeva i suoi tre figli e la moglie dagli zombie, che si trovavano vicino al garage. La moglie pigiava ripetutamente il telecomando della saracinesca bloccata.
"Dobbiamo aiutarli!" disse Megan.
"Sei impazzita? Non ti fermare. Non possiamo fare niente per loro."
"Ma ti senti quando parli? Sei un poliziotto! Hai fatto una promesso, o sbaglio?"
Lui abbassò gli occhi, imbarazzato.
Megan portò l'auto sul prato del vicino, travolse tre zombie e frenò a pochi metri da Josh. "Entrate in macchina!" gridò.
L'uomo non la sentì, i gemiti sovrastavano ogni rumore.
Pete aprì la portiera e sventolò un braccio in aria. Josh lo vide e gridò alla sua famiglia di andare. Quelli corsero verso la macchina, serpeggiando fra gli zombie. Mentre erano a due passi dalla portiera, uno zombie afferrò l'avambraccio del bambino. Il padre gli sparò alla schiena, ma altri non-morti si chiusero intorno al bambino. La madre cacciò un urlo di disperazione e un non-morto, sbucato alle spalle, le affondò i denti nel collo. Gli altri bambini si paralizzarono dalla paura. Josh, col volto rigato dalle lacrime, cominciò a farsi largo tra gli zombie a colpi di fucile, finché svanì oltre l'ammasso di testa cadaveriche.
Megan abbassò lo sguardo, gli occhi rossi dalle lacrime.
"Parti! Parti!" disse Pete.
Si lasciarono alle spalle i non-morti che si ammucchiavano lì dov'era scomparsa la famiglia.

 

Marvin si svegliò con il volto tumefatto, insanguinato e la vista sgranata. La sua auto si era schiantata contro la vetrata di un negozio di vestiti. Il busto di un manichino da uomo aveva infratto il parabrezza. E ora quel viso inquietante e inespressivo lo stava fissando. Dal cofano fuoriusciva del fumo.
Aprì la portiera, e quando fece per camminare, cadde sulle ginocchia. La testa cominciò pulsare, a far male. Si sedette e si portò una mano alla tempia. Restò fermo per un momento, poi si alzò con fatica.
Una sagoma sgranata barcollava verso di lui.
Posò una mano sul muro per non perdere l'equilibrio e cominciò ad allontanarsi. Un lieve gemito si udiva tutt'attorno. Un lamento continuo, inquietante.
Quando girò l'angolo di un pub, si ritrovò davanti a una decina di non-morti. Gli sembrava di essere dentro un incubo da cui non riusciva a svegliarsi. 
Urla e spari echeggiavano lontani.
Un violento boato fece voltare gli zombie davanti. Una parte del cielo stellato si tinse di rosso arancio. Se un'ora prima Raccoon City sembrava una città fantasma, ora era un campo di battaglia. La gente affollava le strade in preda alla disperazione. I veicoli sfrecciavano, investendo persone e non-morti. Alcuni si schiantavano contro altre auto o edifici, finendo per essere circondati dagli zombie. Molta gente cominciò a sparare a chi capitava, a massacrare di botte i feriti, a rubare nelle abitazioni. Un gruppo di persone aveva fatto schiantare un furgone contro la vetrata di una banca e ora stavano entrando dentro l'edificio.
Mentre camminava, Marvin si tenne alla larga dalle persone. Voleva intervenire, far rispettare la legge, ma non poteva fare molto da solo. Il fatto che non indossasse la divisa, lo salvò dagli svitati.
Poi si fermò e corrugò le sopracciglia con fare confuso. C'era un posto di blocco della SWAT. Recinzioni di metallo alte tre metri, blocchi di cemento che sbarravano la via e degli spartitraffici per controllare il flusso della folla. Ogni cinquecento metri ce ne era uno. Sapeva dei continui disordini nella città, aveva persino scritto un rapporto completo al capo Irons, ma non riusciva a capire perché nessuno nel dipartimento non gliene aveva mai parlato.
"Da dove diavolo sono spuntati?" si chiese.
Gli SWAT non riuscivano a contenere la gente, terrorizzata. Molti cercavano di oltre passare il posto di blocco o arrampicarsi sulle reti metalliche, ma finivano crivellati di pallottole.
"Ehi!" gridò Marvin, con un mal di testa martellante. Si fece largo tra la fila di persone, quando si ritrovò la canna di un MP5 puntato alla testa. "Sono un poliziotto. Abbassa quell'arma."
"Non fare un altro passo!" urlò un soldato della SWAT. I suoi occhi dietro il passamontagna scorsero qualcosa alle spalle di Marvin. Aprì il fuoco.
Un uomo cadde sull'asfalto, con un buco in fronte e una .45 nella mano.
"Stai indietro! Indietro!" urlò lo SWAT.
Marvin era scioccato. Erano pagati per aiutare la gente, non ucciderla.
Altre persone lo superarono, accalcandosi di fronte ai soldati della SWAT. Quando si girò, in fondo alla strada, un centinaio di non-morti barcollavano verso di loro.
Una berlina grigia travolse il piccolo gruppo di zombie, sbandò e si schiantò contro la parte posteriore di un furgone. Una donna aprì la portiera e tentò la fuga, ma venne afferrata e tirata per i capelli dai non-morti, che strapparono a morsi la carne dalle ossa. Marvin si voltò per non vomitare.
Altra gente terrorizzata fluiva dai vicoli laterali e un furgone bianco si fermò sul ciglio della strada. Ne uscirono cinque persone che si aggiunsero alla folla disperata e rumorosa. Le urla della gente sovrastava quasi del tutto i gemiti degli zombie e dagli spari.
Marvin si sentiva impotente. Voleva aiutarli, fare qualcosa, ma sapeva di non poter fare niente, e non riusciva ad accettarlo.
Una raffica di colpi esplose tutt'attorno per un momento. La gente aveva provato a superare di peso il posto di blocco, ma era stata falciata dai proiettili. Chi era sopravvissuto, correva disperato verso i non-morti, verso la morte. Preferivano serpeggiare tra gli zombie, che venire fucilati dagli SWAT.
Marvin entrò in una drogheria, la cui porta era stata abbattuta da qualcuno. Non fece caso alla gente intenta a saccheggiare gli scaffali, ma si affrettò alla porta sul retro. La trovò aperta e corse fuori dal negozio.
Il vicolo poco illuminato era puntellato da bidoni, sacchi di spazzatura e tre cadaveri eviscerati ai piedi di un cassonetto. Si guardò attorno. Scorse una scala antincendio sul fiano di un condomino. Mentre gli spari riverberavano tra le strade, un fascio di luce gli si avvicinò velocemente alle spalle.
Si voltò.
Un'auto familiare lo evitò all'ultimo momento e gli sfrecciò accanto a settanta chilometri orari, lasciandosi dietro un forte odore di benzina. Sbandò diverse volte, prima di schiantarsi contro un basso muretto che dava su campo da basket. Il conducente fu catapultato fuori dal parabrezza e si spiaccicò sul muro. Uno dei due fanali illuminava il sangue che scivolava dalla parete.

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Capitolo 5
*** V. Capitolo ***


Marvin salì rapidamente le scale antincendio e trovò le prime tre finestre sbarrate da assi di legno. L'ultima era stata infranta dall'esterno, il busto di uno zombie giaceva sul basso telaio con la testa spaccata. Non sapeva se entrare a dare un'occhiata. La vista del non-morto non lo rassicurava, ma non voleva nemmeno scendere. Il vicolo si stava riempendo di zombie da entrambe le direzioni.
Fece scivolare il cadavere all'interno della stanza e scavalcò la finestra, ritrovandosi in un piccolo soggiorno. Un divano era messo contro una porta e due poltrone erano capovolte. Un braccio mangiucchiato giaceva sul tappetto insanguinato. Si guardò intorno alla ricerca del corpo, ma non lo vide.
"Chiunque abbia perso quel braccio è qui dentro" si disse.
Proseguì con cautela verso l'arco della cucina. Uno zombie sbucò da dietro il muro e lo afferrò alle spalle.
Il non-morto cercò di mordergli l'avambraccio, ma Marvin lo distanziò con un braccio. L'alito putrido lo fece tossire, quasi soffocare. Lo zombie scattò i denti a un palmo dalla sua gola e mancò poco che gliela recise. Il tenente provò ancora una volta a spingerlo via, a prenderlo pugni in faccia, ma era troppo forte e non accusava i colpi.
Lo zombie gli afferrò il polso e, stava per morderlo, quando pezzi di cervello e cranio gli schizzarono in faccia.
Quello indietreggiò con i gomiti verso il frigo e si pulì la faccia con la manica della giacca.
Un uomo si chinò su di lui. "Sei ferito?"
Marvin era così scioccato che non lo sentì. Forse nemmeno lo vide. Non era la prima volta che rischiava la vita, ma vedersela quasi strappare da uno zombie non era una cosa di tutti i giorni. Non era abituato, e forse non lo sarebbe mai stato.
L'uomo gli sventolò una mano davanti alla faccia. "Ehi! Sto parlando con te?"
"N-Non sono ferito" balbettò Marvin.
Era un uomo massiccio, sulla cinquantina. Portava una benda macchiata di sangue attorno al bicipite sinistro, un maglietta a maniche corte viola scuro e un jeans. Aveva l'aspetto indurito, ma uno sguardo spento e sofferente.
"Dovrei farti fare la stessa fine. Sei entrato in casa mia senza permesso" Indicò lo zombie, con il piede di porco insanguinato.
"Sono un poliziotto."
"E quindi? Credi di poter entrare in casa degli altri come ti pare e piace?"
"Volevo solo fuggire da quei cosi."
L'uomo gli allungò una mano e lo aiutò ad alzarsi.. "Sono Dwayne Morrison."
"Marvin Branagh" Gli tese una mano, ma Dwayne si limitò a lanciarle un'occhiata diffidente.
"Sei armato?"
"No."
Dwayne si diresse in camera da letto e guardò fuori dalla finestra. "Sei fortunato. Stavo lasciando l'appartamento, quando ho sentito un rumore in cucina."
Marvin vide il corpo di una bambina di sette anni sul letto. Era coperta parzialmente da un lenzuolo bianco sporco di sangue e le si vedevano i piedini pallidi.
"È la mia bambina" disse Dwayne, quando si allontanò dalla finestra. "La mia bambina..." Si girò per non far vedere le lacrime che gli solcavano il viso.
"Mi dispiace" rispose Marvin.
Dwayne restò in silenzio per un po'. "Hai detto che sei un poliziotto, giusto? Allora chi cazzo sono quei cosi là fuori?"
"Io... io non lo so."
"Cosa? Dovresti saperlo. Sei un poliziotto, no? Devi saperle certe cose."
"Sì, ma..."
"La mia bambina è stata morsa. Uccisa da sua madre!" Afferrò Marvin per il colletto e lo sbatté contro il muro. Il viso dell'uomo era rigato dalle lacrime, gli occhi arrossati dalla rabbia. "Tu devi saperlo! Devi! Sei un poliziotto!"
"Non so niente."
"Devi sapere! Voi sapete sempre tutto!" Caricò un pugno, ma l'abbassò subito dopo. Poi mollò la presa e si allontanò. "Mi dispiace..." Si sedette sui talloni accanto al cadavere della figlia. Le accarezzò la guancia. "Mi dispiace tanto, Tasha. È tutta colpa mia..."
Marvin rimase a guardarlo senza dire niente.
"Mia moglie..." disse Dwayne. "Lei è stata morsa. Era andata a fare la spesa, quando... quando è stata aggredita fuori dal supermercato." L'uomo cercò di non singhiozzare. "È tornata qui. Era pallida, aveva la febbre alta. Ho chiamato l'ambulanza, ma non c'era linea." Fece una breve pausa. "Mi sono preso cura di lei, ma non è servito.... Non è servito!" Le spalle che facevano su e giù per il pianto sommesso. "È morta tra le mie braccia... L'ho visto. Era morta. Non respirava più. Poi... poi è tornata in vita. Non so come, ma è successo. Tasha credeva che..." Si zittì. "Voleva solo riabbracciare sua madre. Voleva solo questo..." Non riuscì più a trattenere le lacrime e scoppiò a piangere con la testa sul ventre della figlia. "È tutta colpa mia. Perdonami..."
"Non potevi saperlo" disse Marvin.
"Dovevo!" rispose Dwayne, arso dalla rabbia. "Era compito mio proteggere la mia bambina, ma ho fallito. Ho sempre fallito come padre, ma alla mia bellissima bambina non le importava. Mi voleva bene ugualmente..."

 

Nick uscì dal suo appartamento del tutto confuso. Diede un'ultima occhiata al corpo della donna disteso sul pavimento e scese la tromba delle scale stranamente silenziose. Si era aspettato di incontrare i suoi condomini, invece le porte erano tutte chiuse. Nessuno ero uscito allarmato dallo sparo e dal chiasso. Nessun curioso.
Scese fino al pianterreno e si fermò si colpo. Due zombie barcollavano vicino al portone d'ingresso. Il primo aveva la faccia decomposta, il secondo un lato della bocca mangiucchiata. Entrambi avevano i vestiti sporchi di sangue e terra. Nick li fissò per un momento. Non sapeva cosa fare, non sapeva nemmeno cosa fossero quelle cose.
I due non-morti lo notarono e vacillarono verso di lui, che indietreggiò sulle scale senza staccare lo sguardo da loro. Uno posò un piede sul gradino e cadde di faccia sulla scalinata. L'altro, che seguiva, inciampò e crollò sul suo corpo. Cominciarono a strisciare sui gradini, allungando le mani scarnificate.
Nick salì rapidamente la tromba delle scale e arrivò di fronte al suo appartamento. Non sapeva bene cosa fare, ma decise di raggiungere il tetto. Lì sarebbe stato al sicuro. Gli zombie non sapevano salire le scale, o almeno così credeva.
Quando arrivò sul pianerottolo del sesto piano, scorse un'ombra oltre la porta aperta di uno dei quattro appartamenti. Non fece in tempo a superare l'ultimo gradino, che dalla porta uscì correndo una donna. Si scontrarono e caddero a terra. Nick scattò in piedi, credendo che fosse uno zombie.
La donna aveva un braccio insanguinato, dalla cui ferita sgorgava un fiotto lento. "Aiutami!"
Nick le lanciò una rapida occhiata, poi guardò dentro il suo appartamento. Una figura avanzava nel corto corridoio, in penombra.
"Aiutami! Ti prego!"
Nick si chinò su di lei, si mise un suo braccio dietro il collo e la aiutò a salire le scale.
La figura uscì dall'appartamento. La lampada a neon del pianerottolo illuminò la faccia sfigurata di un non-morto, la bocca sporca di sangue, l'iride marrone degli occhi non ancora vitrei. Si era appena trasformato.
"Il mio ragazzo..." farfugliò la donna, spaventata. "Mi ha morsa. Quello stronzo buono a nulla!"
"Andrà tutto bene" disse Nick. "Dobbiamo raggiungere il tetto. Lì saremo al sicuro."
La donna ignorò le sue parole. "Volevo aiutarlo, ma quel bastardo mi ha morso!"
Nick non le rispose.
Arrivarono al settimo piano. Oltre la porta spalancata di uno degli appartamenti, una zombie donna divorava le viscere di un uomo anziano.
"Il signor Patterson..." disse la donna inorridita, quasi piangendo. "Oh, mio dio!"
"Non guardare" rispose Nick.
La zombie si alzò lentamente e barcollò verso di loro, le interiora che pendevano da una mano. Il signor Patterson, diventato un non-morto, cercò di issarsi in piedi, ma scivolò sul suo stesso sangue e batté la testa sul pavimento. 
Nick aiutò la donna a salire gli ultimi gradini e raggiunsero il tetto, chiudendo la porta di ferro alle loro spalle. Poi la fissarono per un momento.
"Non credo che quelle cose sanno come aprire le porte" disse Nick.
"Ancora non ci credo..." rispose la donna, ignorandolo di nuovo. "Perché mi ha morso? Perché l'ha fatto?"
Nick posò la donna ai piedi del parapetto del tetto. Aveva perso molto sangue, il suo viso le era diventato pallido e non faceva altro che farneticare sul suo fidanzato.
Nick osservò la ferita. "Fammi dare un'occhiata... Sembra profonda."
"Dopo tutto quello che ho fatto per lui..." rispose la donna, che sembrava parlare con sé stessa. "Ho rinunciato al mio lavoro, alla mia vita per quell'idiota. Gli ho prestato dei soldi per riparare quella macchina di merda..."
Nick si alzò e guardò oltre il parapetto. Centinaia di persone correvano in strada verso una sola direzione. Fuggivano da centinaia di non morti che sciamavano dai vicoli. Alcuni cadevano dalle finestre dei palazzi, altri sbucavano dietro gli angoli. Il tanfo di putrefazione ammorbava l'aria e le urla di dolore si amalgamavano con i gemiti dei non-morti. Un lamento continuo, interrotto da inquietanti gorgoglii.
Un non-morto sbucò da sotto un pullman, afferrò la gamba di un uomo, lo trascinò a terra e gli affondò i denti nella carne. Altri zombie si chiusero su di lui. La moglie, nel vano tentativo di aiutarlo, fu circondata e scomparve sotto l'orda.
Nick voltò lo sguardo, inorridito, e avvistò un posto di blocco a cinquanta metri dal condominio. La SWAT si era posizionata dietro i sacchi di sabbia e sui balconi e sparava sulla gente. Un mitragliatore a canne rotanti vomitava proiettili da una balconata del primo piano. La folla correva disperata nella loro direzione in cerca di aiuto, provando ad arrampicarsi sulla recinzione di metallo del posto di blocco.
Nick era scioccato. Non riusciva a crederci che la SWAT stesse sparando sui civili. Tra la gente, c'erano anche alcuni zombie che si erano appena trasformati. Altri erano ridotti in quello stato da ore.
Poi la folla dilagò nel posto di blocco e gli SWAT vennero presi a pugni o uccisi con le loro stesse armi. Tre superstiti si chiusero dentro un furgone. Gli zombie li circondarono e cominciarono a colpire la carrozzeria, finché il parabrezza andò in frantumi. Uno zombie strisciò nell'abitacolo, seguito dagli altri. Solo i due SWAT posti dietro il mitragliatore sopravvissero all'ondata travolgente di migliaia di non-morti e persone. Quando finirono le munizioni del mitragliatore, sparirono dentro l'appartamento.
Nick indietreggiò di qualche passo e si tirò un pizzicotto sul braccio. Pensava di essere in un incubo, invece era tutto vero. Lanciò un'occhiata alla donna, una pozza di sangue si era formata ai suoi piedi. Il viso pallido, le labbra violacee, le orbite arrossate.
Le si chinò accanto e la osservò. Quando fece per parlare, la donna gli si gettò addosso e cercò di mordergli una coscia. Nick le sferrò una ginocchiata sul muso e subito sentì il bisogno di scusarsi. Ma quella che aveva davanti non era più una donna. Era uno zombie.
Lo capì solo quando iniziò vacillare verso di lui. Lo stesso movimento dell'altra donna che lo aveva attaccato nel suo appartamento. Lo stesso gemito lamentoso e profondo. Lo stesso sguardo assente, apatico, privo di vita. Lo stesso movimento della mascella che scattava rapida, ingorda, pregustando di sbranarlo vivo.
Si guardò attorno, i suoi occhi cercavano una via di fuga. Non era mai stato un codardo, ma era stato catapultato in un mondo che non gli apparteneva. L'istinto gli diceva di fuggire, di filarsela il prima possibile. Scattò verso la porta di ferro, ma si fermò con la mano sulla maniglia. C'erano gli zombie nei vari piani. Non poteva uscire da lì.
La donna barcollava verso di lui.
Nick corse dalla parte opposta del tetto. L'edificio accanto era distante un metro, doveva prendere la rincorse e saltare. Guardò il vuoto sottostante e gli vennero le vertigini. Poi si voltò verso la zombie. I suoi gemiti si erano fatti più rauchi, più eccitati. Fissò nuovamente il tetto adiacente per un attimo. Inspirò, prese la rincorsa e saltò, i piedi che solcavano il vuoto.

 

Pete e Megan erano ancora in auto e sorpassarono un camion divorato dalle fiamme. Proseguivano lungo Mission Street, l'unica via che sembrava libera.
Molti veicoli abbandonati o capovolti puntellavano la strada e alcuni grossi incidenti bloccavano intere corsie. Mentre zigzagavano tra le vetture, entrambi cercavano di ignorare ciò che stava accadendo attorno. Persone che si saltavano alla gola, famiglie che uscivano dai supermercati con i carelli carichi di provviste saccheggiate. Svitati che provavano gusto a uccidere o massacrare di botte gli altri. In tutto questo caos, non c'era nessuno zombie. Forse i non-morti avevano invaso solo il quartiere residenziale, pensò Megan. Forse Uptown era l'unico quartiere sicuro, i ricchi lo erano sempre. Doveva essere così.
L'auto svoltò rapidamente a destra e mancò per poco il paraurti posteriore di una macchina. Frenò di colpo, le ruote fischiarono sull'asfalto, sollevando una nube biancastra. Un interminabile colonna di auto abbandonate bloccava la strada.
"Non possiamo scendere" disse Megan. "Moriremo."
"Non agitarti" rispose Pete.
"Non sono agitata."
"Fai retromarcia. Troveremo un altra strada."
"Vuoi tornare indietro? Sei matto?" chiese Megan, stizzita.
"Voglio solo uscire da questo inferno."
"Ci sono quei cosi. Non intendo tornarci."
"Allora usciamo. Non abbiamo altra scelta."
Megan fece per rispondere, quando qualcosa urtò dalla parte del suo finestrino. Pete l'afferrò e la strinse a sé per proteggerla. Uno zombie dai denti serrati e anneriti cominciò martellare di pugni il finestrino. Altri tonfi giunsero da dietro la macchina. Otto non-morti tartassavano il portabagagli senza sosta. Uno vomitò bile acido sul finestrino posteriore.
"No, no, no" disse Megan a un passo da una crisi di nervi. "Sono... sono ovunque."
Pete scorse davanti al suo finestrino la faccia insanguinata e mangiucchiata di uno zombie. "Fai retromarcia! Dai!"
Megan posò le mani tremanti sul manubrio e l'auto fu sospinta in avanti.
"Siamo fottuti!" disse Pete, guardandosi intorno.
"Co-come hanno fatto?" balbettò Megan, terrorizzata. Credeva che gli zombie fossero solo nella zona residenziale. "Come s-sono arrivati fin qui?"
"Camminando!" sbottò Pete. "Camminando, cazzo!"
Le mani putride dei non-morti cominciarono a sballottare la macchina. Altri zombie si aggiunsero alle spalle dei primi e alzarono le mani oltre le loro teste. Il veicolo fu circondato, inghiottito sotto l'ammasso di carne putrida. Il tanfo arrivò fin dentro l'abitacolo. I due si coprirono il naso con l'avambraccio.
Megan schiacciò a tavoletta l'acceleratore, il motore rombò, ma l'auto rimase immobile. Nella parte superiore del parabrezza si aprì una crepa, che si espanse velocemente in lunghe striature.
"Cazzo! Il parabrezza!" urlò Pete. "Si sta rompendo."
"Lo vedo, Pete." rispose Megan, isterica. "Lo vedo!"
Il parabrezza cedette e una mano ossuta calò nell'abitacolo. Il non-morto entrò con il busto, addentò l'aria, ma restò bloccato tra gli altri zombie che avevano le sue stesse intenzioni.
Nick e Megan appiccicarono le spalle contro lo schienale del sedile. La donna continuava a tenere schiacciato il piede sul pedale. Le ruote fischiavano sull'asfalto e un fumo nero si staccò dalla strada, avvolgendo gli zombie.
"Vai dietro, Meg!"
"Perché?"
Indicò lo zombie incastrato fra gli altri. "Ecco perché."
Megan si trasferì sui sedili posteriori, seguita da Pete.
Lo zombie incastrato allungò una mano verso di loro, ma non riuscì a prenderli, i suoi occhi vitrei li fissavano vacui.
"Moriremo qui" disse Megan, senza distogliere lo sguardo dai non-morti fuori dall'auto.
Pete non rispose. Sentiva freddo, come se la temperatura fosse improvvisamente calata. Aveva paura di morire, di essere divorato vivo. Durante il suo addestramento non gli avevano insegnato come comportarsi durante in un apocalisse zombie. Nessuno credeva che sarebbe mai successo. Accadeva solo nei film, nei libri, nei videogiochi. Era fantascienza, orrore, qualcosa di lontano, impossibile.
"Dì qualcosa, Pete" aggiunse Megan, a un passo dal pianto.
Pete la fissò senza parole. Voleva parlare, dirle quanto l'amava, ma dalla sua gola uscivano solo rantoli soffocati.
I finestrini anteriori si frantumarono e mani gelide si protrassero all'interno, i vetri conficcati nella carne. Sui finestrini posteriori si aprirono grosse schegge.
Pete e Megan si sorrisero con gli occhi lucidi, spaventati, le mani che si sfioravano, si toccavano. Poi i finestrini posteriori si infransero e altre mani calarono all'interno. I due si strinsero in un ultimo abbraccio.

 

Marvin aveva sentito dei colpi alla porta e si era diretto all'ingresso per vedere chi fosse, quando Dwayne lo fermò per un braccio.
"Dove vai?" chiese l'uomo con gli occhi arrossati.
"Non hai sentito? Forse qualcuno ha bisogno di aiuto."
"Sono tutti morti. Non c'è nessuno."
"Come fai a saperlo?"
Dwayne gli mostrò l'avambraccio fasciato. "Ti basta?"
"Ti hanno morso?"
"No." Dwayne si voltò e tornò accanto alla sua bambina.
Marvin si girò verso la porta e fissò la maniglia, indeciso. I colpi continuavano senza sosta. Voleva aprire. Magari l'uomo si sbagliava. Non poteva sapere chi c'era dietro la porta. Stava per aprirla, quando udì un sottile gemito dall'altra parte. Ritrasse la mano dalla maniglia.
Dwayne gli lanciò uno sguardo con fare serio. "Te l'ho detto. Sono tutti morti. Tutti!"
Marvin lo raggiunse. "Dobbiamo andare alla centrale di polizia. Lì saremo al sicuro."
L'uomo sbuffò un mezzo sorriso. "Sicuro? Nessun posto è sicuro. Quelle cose sono dappertutto."
"Non puoi esserne sicuro. Alla centrale ci sono armi e poliziotti. L'intero edificio è recintato. Saremo al sicuro."
"Non fa differenza. Voglio solo rimanere con mia figlia. Voglio..." L'uomo sentì un groppo in gola. "Voglio solo questo."
Marvin non parlò subito. "Fallo per lei."
Dwayne scattò la testa verso di lui, gli occhi serrati dalla rabbia. "Vuoi che abbandoni la mia Tasha? La mia bambina?"
"Lei non..." Marvin si zittì e scelse con cura le parole. "Non vorrebbe che ti lasciassi andare? Devi lottare, sopravvivere per lei."
Dwayne osservò il viso pallido della figlia. "Io... non posso farlo. Lei è tutto ciò che mi rimane."
"È morta!" sbottò Marvin.
L'uomo scattò in piedi e gli sferrò un pugno in faccia, che Marvin riuscì a scansare. Poi Dwayne lo afferrò per il giubbotto e lo spinse contro l'armadio. L'urto gli fece mancare l'aria dai polmoni per un momento.
Dwayne restò a fissarlo. Sapeva che sua figlia non avrebbe voluto che suo padre morisse. Scoppiò a piangere e andò da lei, stringendole la testa sul petto.
Marvin si alzò e gli lanciò un'occhiataccia. Poi andò a sedersi su una sedia nel soggiorno, ascoltando il pianto disperato di Dwayne. Si sentiva in colpa per avergli detto quelle parole. Non era mai stato una persona insensibile. Dopotutto, aveva anche lui una figlia e una moglie.
"Chissà se sono al sicuro" si disse. Non voleva farsi trascinare dall'emotività. Sapeva che era un'arma a doppio taglio. Doveva restare lucido, concentrato. Usare la testa. "Stanno bene. Devo essere ottimista." Più si ripeteva quelle parole, più gli suonavano false.
Dwayne entrò nel soggiorno. "Ehi, scusa per prima."
"Non preoccuparti. Ti capisco."
"Hai ragione su..." Guardò la figlia. "Lei non vorrebbe. Nemmeno mia moglie. Ma devo seppellirla accanto a lei. Possiamo prendere la mia auto. Il cimitero non è molto lontano."
"Non sarà pericoloso?"
"Devo farlo. Non posso lasciarla così. È mia figlia..."
Marvin avrebbe fatto lo stesso per la sua famiglia.
Dwanye raggiunse Tasha, le bacio la fronte e le coprì il volto con il lenzuolo. "Ti porterò da mamma, Tas." Gli occhi arrossati e lacrimati. "Starete di nuovo insieme."
"Come facciamo con quegli esseri fuori dalla porta?"
"Usciremo dalle scale antincendio. Il mio furgone è in un garage poco distante."
"Nel vicolo potrebbero essercene degli altri."
"Non con questi rumori. Quelle cose ne sono attratte come lucciole. Ora aiutami."
Marvin si chiese come facesse a sapere che i non-morti erano attratti dai rumori, ma non glielo domandò.
Trasportarono il corpo di Tasha fuori dalla finestra e scesero molto lentamente la scala antincendio. Arrivati alla fine, Dwayne saltò giù. "Aspetta lassù" disse. "Vado a prendere il furgone. Non ci metterò molto."
Dwayne non tornò più.

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Capitolo 6
*** VI. Capitolo ***


Mentre Nick atterrava sul tetto dell'edificio accanto, la donna zombie barcollò verso la sua direzione, un braccio alzato, i denti che scattavano. Poi volò giù. La vide schiantarsi contro il bordo del bidone dell'immondizia e la testa implose schizzando pezzi di cranio e cervello tutt'attorno.
Indietreggiò con fare schifato e si guardò attorno. Si trovava su un tetto puntellato di tubi d'areazione. Da una cisterna cadevano gocce d'acqua, che avevano creato una serie di pozzanghere a ridosso della porta di ferro spalancata. Lanciò una rapida occhiata nella stretta scala e iniziò a scendere.
Quando raggiunse il sesto piano, qualcosa lo colpì alla testa e crollò a terra, stordito.
"Ma che hai fatto, Joey?" urlò una voce da donna.
Nick la sentì arrivare distorta, lontana. Cercò di alzarsi, ma le gambe cedettero.
"È uno zombie" rispose Joey.
Una figura sgranata gli puntava un fucile in faccia e la vedeva girare tutt'attorno, anche se quella rimaneva ferma.
La donna si chinò su Nick. "Non è uno zombie. È vivo."
L'uomo abbassò l'arma. "Merda, sembrava uno zombie, Zoey. Voglio dire, non ti sembra uno zombie? Guardalo!"
Zoey lo ignorò e guardò Nick. "Tutto bene?"
"Sì..." disse l'uomo, toccandosi il piccolo taglio sulla fronte.
Joey lo aiutò ad alzarsi. "Scusami, amico. Pensavo fossi uno zombie. Non volevo, sul serio."
"Non fa niente..." borbottò Nick. La vista gli ritornò vivida e la stanza smise di girare.
Joey era sulla ventina, con un viso gioviale, la fronte alta, gli zigomi pronunciati e lo sguardo curioso. Indossava una maglietta verde scuro, un pantalone nero e aveva un cappello bianco in testa con lo stemma di un orso.
"Cosa facevi sul tetto?" domandò Joey.
"Non è il momento di fare domande" disse Zoey, lanciandogli un'occhiata di rimprovero. Poi condusse Nick nell'appartamento. "Siediti qui. Vado a prendere del disinfettante."
Zoey era una bellissima donna, sulla ventina. Era bassa, minuta, con un viso rotondo e gli occhi azzurri da cerbiatto. Indossava un corto giubbetto rosso chiaro, sotto una maglietta bianca e un jeans aderente.
Mentre Nick si guardava intorno, Joey si chiuse la porta alle spalle e posò il fucile contro il muro, accanto al comodino. Gli allungò una mano. "Sono Joey Silver."
"Nick Layers." Gliela strinse.
Joey piantò le mani sui fianchi e si guardò attorno, imbarazzato. "Beh, vado... vado a controllare mia sorella."
"Sono qui" disse Zoey, dirigendosi verso di loro.
Joey si portò una mano dietro la nuca. "Devo... devo controllare una cosa." Sparì nella camera da letto.
"Almeno ha avuto la decenza di presentarsi" aggiunse Zoey.
Nick abbozzò un sorriso. "Non c'è bisogno che..."
"No, è importante." Zoey versò il disinfettante sul fazzoletto. "Potresti trasformarti."
Nick pensò subito alla donna sul tetto. "Ero in compagnia di una ragazza, ma..."
Zoey lo fissò, rattristita. "Mi dispiace..."
"No, non è quello che pensi. Non la conoscevo. È stata morsa dal suo ragazzo. Poi si è trasformata. Non subito, ma dopo cinque o dieci minuti."
"L'hai uccisa?"
"No. È caduta dal tetto."
Zoey non rispose subito. "Basta un graffio, anche piccolo, e diventi uno di loro."
"Uno zombie?"
"Così li chiama mio fratello."
"Quindi mi capiterà la stessa cosa?" chiese Nick, sconvolto.
"No, amico" rispose Joey, uscendo dalla camera da letto. "Serve un morso, un graffio. Solo così ti infetti e ti trasformi." Poi si rivolse a sua sorella. "Anche se usi quella roba, non è infetto. Non sprecare il disinfettante. Può servirci in futuro. E poi non sappiamo se funziona."
Zoey lo ignorò e posò il fazzoletto sulla ferita di Nick, che ritrasse la testa per il bruciore.
"La mia amica Olga non è stata morsa" disse Zoey. "Eppure è diventata una di loro, Joey."
"Te l'ho già ripetuto. Quello zombie le ha vomito addosso. L'hai visto anche tu. Credo che il vomito funzioni come un morso. Forse anche a contatto con il sangue, ma non ne sono sicuro."
Nick non capiva come Joey sapesse tutte queste cose. "Sei un medico?"
"Qualcosa di simile" sorrise Joey.
"È uno scienziato. Lavora per l'Umbrella" disse Zoey.
"C'è bisogno di dirlo a tutti?"
"Che c'è di male? Ti vergogni?"
"E che non mi piace che gli altri sappiano ciò che faccio."
"Come se ci fosse qualcosa di male. Sei persino uscito in tv perché sei stato il primo scienziato giovane della compagnia. Cos'è che avevi vinto quella volta?"
Joey si accigliò, risentito. Restò in silenzio.
"Come sai che basta un morso per trasformarsi?" domandò Nick.
"Lo so è basta." Tagliò corto Joey, che tornò nella camera da letto.
"Tipo simpatico mio fratello, non è vero?" sorrise Zoey, posando il fazzoletto sul basso tavolino. "Comunque, mi chiamo Zoey Silver."
"Nick Layers."

Un violento boato si levò nel cielo e gli zombie barcollarono lontano dall'auto di Pete e Megan che, increduli, li guardarono andare via. Aveva creduto fino all'ultimo che sarebbero morti, invece ora potevano fuggire, salvarsi.
Pete afferrò la mano di Megan. "Andiamo!"
Uscirono in tutta fretta dall'auto e corsero dalla parte opposta in cui andavano i non-morti. Appena svoltarono l'angolo, una finestra di una palazzina esplose lanciando detriti ovunque.
Pete e Megan si nascosero dietro una macchina.
Una colonna di fumo nero si levò dallo squarcio infuocato e un corpo in fiamme volò giù, schiantandosi sul tettuccio di un furgone. Provò ad alzarsi per un momento, poi smise di muoversi.
Quando i due uscirono da dietro la macchina, un gruppo di non-morti sbucò da un vicolo e marciò verso un negozio di fiori. Ne uscì un ragazzo inseguito da un uomo con in mano un'ascia insanguinata.
"Aiuto!" gridò il ragazzo.
"Vieni qui! Dobbiamo restare insieme per sopravvivere" urlò l'uomo con una risata sinistra.
Il ragazzo serpeggiò fra i veicoli imbottigliati, quando una mano putrida, uscita da sotto un auto, lo afferrò per una caviglia e lo fece cadere a terra. Subito cercò di districarsi dalla presa, tempestando di calci lo zombie, che cercava di mordergli la gamba. "No, no, no! Lasciami andare! Lasciami andare!"
L'uomo lo raggiunse e osservò la scena divertito. "Visto? Dobbiamo stare insieme. Te lo avevo detto, ma tu non vuoi ascoltarmi." Sollevò l'ascia e la calò sulla gamba del ragazzo, tranciandola di netto. Lo zombie affondò i denti nell'arto amputato, il sangue che fiottava dalla ferita. Il ragazzo era talmente scioccato, che non riuscì nemmeno a gridare.
"Una gamba in più, una in meno, cosa vuoi che sia?" rise l'uomo, appoggiando l'ascia su una spalla.
Pete e Megan erano scoinvolti.
"Bastardo!" disse tra i denti Megan. "Dobbiamo fare qualcosa."
"Cosa vuoi che faccia?" rispose Pete. "Ha un'ascia."
Lei lo guardò in malo modo. "Tu sei un poliziotto! Non dovresti startene fermo a guardare. Dovresti fare qualcosa. Dovresti intervenire. Non hai fatto altro che evitare di aiutare la gente."
Pete non voleva mettere a rischio la propria vita per gli altri. Non voleva e non poteva farlo. Doveva pensare a Megan, difenderla dagli zombie. Non poteva permettersi di morire e lasciarla da sola. Era una cosa inconcepibile. Ma sapeva che Megan aveva ragione. Lui era un poliziotto. Aveva fatto un giuramento, e quel giuramento andava mantenuto.
Si alzò e si diresse verso l'uomo girato di spalle, che si voltò casualmente nella sua direzione. Sorrise. "Ah, bene. Ho trovato già un rimpiazzo."
"Che cosa hai fatto?" gridò Pete. Megan scattò da un veicolo all'altro, finché giunse alle spalle dell'uomo e si chinò sul ragazzo che aveva perso conoscenza. Lo zombie non si accorse di lei, preso com'era dal divorare la gamba amputata.
L'uomo imbracciò l'ascia insanguinata. "Chi? Io?"
Pete lanciò un'occhiata intimidita all'arma. "Sì, tu. Ti ho visto! Hai tranciato la gamba a quel ragazzo."
"Sei sicuro di vederci bene?" chiese l'uomo, divertito.
"Sono un poliziotto."
L'uomo lo guardò serio per un po', poi scoppiò a ridere. "Sai quanto cazzo mi frega che sei un fottuto sbirro?" Lo fissò negli occhi per un attimo. "Un fottuto cazzo!" Si voltò verso il ragazzo e vide Megan. "E tu chi cazzo sei?" sorrise. "Sai, hai un bel collo. Chissà se riesco a tagliarti la testa con uno solo colpo. Proviamo!" Quando sollevò l'ascia, Pete gli sferrò una forte spallata, che lo mandò sul cofano di un'auto.
L'uomo si girò, infuriato.
Megan si precipitò dietro le spalle di Pete, spaventata.
"Non dovevi farlo" disse l'uomo dal viso arrossato. "Non dovevi!" Corse verso Pete con l'ascia sollevata sopra la testa e gli sferrò un fendente dopo l'altro, facendolo indietreggiare. Quando Pete urtò con la schiena alla portiera di una macchina, l'uomo si fermò. "Bene, bene" disse con un sorriso inquietante. "Ora sei fottuto!" Appena sollevò l'ascia, restò paralizzato in quella posizione per un attimo, gli occhi fissi e vacui. Poi l'arma gli scivolò di mano e crollò al suolo.
Pete era confuso.
"Stai bene?" domandò una voce da donna.
Pete si tastò il corpo come se volesse esserne certo. Annuì e si guardò intorno.
Una donna sbucò da dietro una macchina. Indossava lunghi stivali marroni, una corta gonna nera, una maglietta azzurra senza maniche e una felpa bianca legata alla vita. I corti capelli castani le ricadevano lungo il viso ovale fino a toccare il mento. Si fermò, posando una mano sul fianco. "Credo sia morto." Indicò il ragazzo, con la pistola.
Pete era sicuro di averla già vista. Aveva un viso familiare.
Megan si chinò su di lui. "Forse... forse possiamo aiutarlo. Portiamolo all'ospedale."
Pete fissò prima la donna, poi la sua fidanzata. Quando fece per allontanarla dal corpo, il ragazzo le afferrò un braccio e un colpo di pistola risuonò fra i palazzi. Il non-morto fu centrato in mezzo alla fronte.
"Un consiglio" disse la donna. "Tenetevi alla larga dalle persone morte da poco."
Megan la guardò, confusa.
"Ti conosco?" chiese Pete.
La donna lo squadrò per un momento. Anche per lei Pete aveva un viso familiare. "Forse."
"Come ti chiami?"
"Jill Valentine."

Marvin restò accanto al corpo di Tasha per un'ora. Non sapeva cosa fare. Dwayne gli aveva detto che sarebbe tornato subito, invece era scomparso. Lo aspettò per un'altra mezz'ora, quando in fondo al vicolo, alle sue spalle, sbucarono una decina di zombie. Non era sicuro del perché fossero lì. Che l'avessero sentito?
Non se la sentiva di abbandonare Tasha e Dwayne, ma rimanere sulla scala antincendio era un invito per i non-morti.
Prese con un braccio il corpo leggero della bambina e con l'altra scese la scala. I non-morti si stavano avvicinando. Adesso capiva perfettamente che per qualche strana ragione avevano percepito la sua presenza.
S'incamminò lungo il vicolo e svoltò a destra. Una serie di piccoli garage correvano alla sua sinistra. Poco distante, nello spiazzo, una ventina di zombie. Vacillavano tra una saracinesca e l'altra, lasciando libero il basso muretto di destra. Lanciò una rapida occhiata intorno, aspettandosi di scorgere il cadavere di Dwayne, ma c'era solo sangue, arti mozzati e mangiucchiati e un carrello della spesa con delle provviste.
Gli zombie alle sue spalle avevano accorciato le distanze. Alcuni sembravano muoversi molto più velocemente rispetto agli altri. Erano quelli trasformati da poco, con il sangue ancora caldo.
Ora era bloccato tra i due gruppi.
Raggiunse il basso muretto, lo scavalcò e lo seguì. Gli zombie davanti lo videro e barcollarono verso di lui, alcuni strisciando a terra sui gomiti. I gemiti riempirono l'aria, sovrastato da qualche solitario sparò in lontananza.
I non-morti che aveva visto sulla scala antincendio, girarono l'angolo e si diressero verso di lui.
Mentre Marvin camminava spedito senza guardarsi alle spalle, gli zombie raggiunsero il basso muretto. Quando arrivò alla fine del vicolo, sbarrò gli occhi. In strada, alla sua destra, un esercito di non-morti. Era così numeroso da sembrare infinito. L'odore nauseante di putrefazione lo investì in pieno e si coprì il naso con una mano. L'orda non si era accorta di Marvin. Marciavano fra i veicoli incolonnati lungo la strada, una via ampia, affiancata da negozi e condomini. Oltre le loro teste putride, un bagliore rossastro illuminava l'orizzonte. Fumi neri oscuravano la volta stellata.
Marvin si diresse alla sua sinistra e si tenne raso tra il marciapiede e la parete. Continuò con passo incalzante, finché si fermò e prese Tasha con l'altro braccio. Quello destro gli si era intorpidito.
I non-morti uscirono dal vicolo, attirando l'attenzione degli ultimi zombie dell'orda, che si staccarono e li seguirono.
Dieci minuti dopo, Marvin si fermò davanti a un grosso incidente. Un camion si era schiantato contro l'angolo di un edificio e il rimorchio che trasportava propano era esploso. Un grande cratere si era aperto ai suoi piedi e una parete di fuoco sbarrava la strada coperta da un cumulo di detriti. Marvin non sapeva cosa fare. Si voltò. Un centinaio di zombie vacillavano nella sua direzione e bloccavano la via da un marciapiede all'altro.
Marvin si guardò intorno con fare agitato e scorse uno stretto vicolo recintato con un cancello di ferro. Lo raggiunse e girò la maniglia. Era chiuso.
Gli zombie si stavano avvicinando.
Guardò il viso freddo di Tasha. Non sapeva nemmeno perché se la portasse dietro. Forse perché le ricordava sua figlia? Stava bene? E sua moglie? Mandò via i pensieri negativi. "Stanno bene" si disse. "Stanno bene."
Sferrò un calcio al cancello di ferro, ma non si aprì.
Gli zombie erano a venti metri. Lanciò uno sguardo disperato lungo le finestre del primo piano. Erano tutto chiuse. Nessuno lo guardava, nessuno poteva aiutarlo. Provò ancora una volta a sfondare la porta con un calcio, ma perse l'equilibrio e Tasha ruzzolò a terra. Scattò in piedi e la prese in braccio.
I non-morti allungavano le mani verso di lui, i più veloci cercavano di scavalcare i più lenti davanti.
Uno zombie lo afferrò per un braccio, ma lui gli tirò un calcio nello stomaco e lo fece cadere sugli altri. Poi si appiccicò con le spalle contro il cancello di ferro. Era finita, lo avevano circondato. Pensò a sua figlia, a sua moglie, quando il cancello si spalancò di colpo. Marvin indietreggiò, perdendo quasi l'equilibrio. Quando si voltò, vide il volto di uomo sulla cinquantina, mezzo stempiato. Indossava una tuta da meccanico macchiata di olio e grasso. Quello sparò un colpo alla testa del non-morto alle spalle di Marvin. Il corpo bloccò l'accesso per un momento.
"Dai, che aspetti? Vieni con me!" disse l'uomo.
Lo seguì nello stretto vicolo, salirono una scala e proseguirono lungo una passerella che serpeggiava attraverso gli edifici. Si fermarono davanti a una finestra e ci entrarono dentro. L'uomo lo aiutò a posare il corpo di Tasha sul pavimento.
Si trovavano in un piccolo magazzino, in mezzo a casse, motori, gomme di varie dimensioni e alti scaffali pieni di scatoloni. La luce di un lampione filtrava attraverso le polverose finestre rettangolari poste in alto sulle pareti.
"Stai bene?" chiese l'uomo.
"Sì, grazie per avermi aiutato" rispose Marvin. "Se non fosse stato per te..."
"Sono Benjamin Mahone."
"Marvin Branagh."
"Scusami se non ti do la mano, ma..." sorrise Benjamin, mostrando i palmi neri e incalliti. "Sono sporche."
"Non preoccuparti."
Lo sguardo rattristito di Benjamin si posò su Tasha. "È tua figlia?"
"No, era la figlia di un uomo che ho conosciuto prima di incontrarti."
"E dov'è? È ancora vivo?"
"Non lo so. Voleva seppellirla... L'ho aspettato per più di un ora, ma non è più tornato. Non... non sono riuscito a lasciarla lì."
"Qui dietro c'è un giardino. È recintato da un muro. Possiamo seppellirla lì."
"Grazie. Per lui è importante." Sapeva che Dwayne voleva seppellirla insieme alla moglie, ma lui non si era più fatto vedere. Questa sarebbe stata una degna sepoltura. Se lo avesse rincontrato di nuovo, gli avrebbe detto dove trovare la figlia per spostarla. Più di così non poteva fare. La promessa l'aveva mantenuta, in parte.
Benjamin restò in silenzio per un po'. "È così dappertutto?"
Marvin non lo sapeva. Aveva sperato che Benjamin potesse dirgli di più. "Non lo so. Le strade da cui sono passate erano piene di quelle cose."
Benjamin iniziò a fare avanti e indietro nella stanza con fare preoccupato. "Sai, ero chiuso nella mia officina quando è iniziato tutto questo. Avevo sentito le grida, gli spari. Pensavo fosse opera di qualche banda o di quelle... di quelle rivolte, sai. Quelle che succedevano un po' ovunque in città. Beh, ho fatto l'errore di aprire la saracinesca e..." Fece una pausa. "È stato un massacro..." Chinò la testa. "Tutti i miei dipendenti sono morti. Io sono l'unico sopravvissuto." Abbassò lo sguardo, afflitto dai sensi di colpa. "Non sono fiero di quello che ho fatto. Non dovevo aprire quella dannata saracinesca... Non dovevo..."
Marvin si limitò a guardarlo.
Benjamin restò in silenzio per un momento. Poi guardò Tasha. "Portala in giardino. È oltre quella porta. Vado a prendere la pala."
Marvin prese in braccio Tasha e uscì dalla stanza. Seguì una corta passerella, scese una scala e proseguì nel in giardino, cinto da un muro di cemento alto tre metri. Posò il corpo ai piedi di un albero mezzo spoglio, circondato da foglie ingiallite su cui cresceva qualche ciuffo d'erba. La luce di un lampione illuminava debolmente l'ambiente. Guardando il viso pallido della bambina, si ricordò nuovamente di sua figlia e di sua moglie. Ormai gli era difficile distaccarsi dall'idea che potevano essere morte, ma non voleva crederci. Non poteva essere così.
"Eccomi" disse Benjamin, scendendo la scala. "Vuoi metterla lì?"
"Sì, se per te va bene" rispose Marvin.
Benjamin annuì e conficcò la pala nel terreno duro, cominciando a scavare.
"Dove hai imparato a sparare?" domandò Marvin.
"Anni fa facevo parte di una gang." Si fermò un attimo, mostrandogli un tatuaggio sul polso. Un cinghiale con delle zanne minacciose. "È un po' sbiadito perché ho cercato di... di toglierlo. Poi tra una cosa e l'altra, me ne sono dimenticato." Riprese a scavare. "È un stato un brutto periodo della mia vita. Mi sono beccato dieci anni per traffico di droga. Facevo la guardia ai corrieri che trasportavano la merce. Un giorno una gang rivale ha cercato di fregare il carico. C'è stata una sparatoria. Poi gli sbirri sono arrivati e ci hanno messo in gabbia. Mi hanno beccato mentre tagliavo per i boschi. Alla fine me ne sono tirato fuori. Tu, invece, cosa fai per vivere?"
"Sono un polizotto. Un tenente della polizia."
Benjamin si fermò e abbozzò un sorriso. "È una bella coincidenza. Un ex membro di una banda e un tenente della polizia. Sembra l'inizio di una barzelletta." Ritornò a scavare. "Magari sei stato tu ad arrestarmi?"
"Non credo. Molti anni fa mi occupavo di rapine e cose così. Mai stato nella narcotici."
Benjamin si asciugò il sudore dalla fronte. "Ora mi spiego perché ti sei trascinato dietro la bambina. Per te servire e proteggere è importante. Altri l'avrebbero abbandonata."
Marvin restò in silenzio per un po'. "Riposati. Continuo io."
L'uomo fu ben lieto di dargli la pala. Il terreno era duro e pietroso, difficile da scavare. "Eri diretto da qualche parte?"
"Sì, al dipartimento. Lì abbiamo i mezzi per difenderci da quelle cose."
"Quindi avete allestito un avamposto per i superstiti?"
Marvin affondò la pala nel terreno. "Non lo so. È accaduto tutto così rapidamente... In strada ho visto dei posti di blocco della SWAT. Suppongo che lo abbiano fatto anche lì."
Benjamin non sapeva se dirgli quanto aveva da dire. "È meglio tenersi alla larga da quei posti."
"Ho visto anch'io cosa fanno."
"Allora puoi spiegarmi perché sparano alla gente?" chiese Benjamin, turbato. "Sei un poliziotto, no? Immagina che tu sappia il perché."
"Hanno tentato di sparare anche me."
Benjamin corrugò la fronte, perplesso. "Se vuoi arrivare al dipartimento, devi superare due posti di blocco. Sono tutti invasi dai non-morti. Non sarà semplice arrivare lì."
"Tu non verrai?"
Benjamin si guardò intorno con fare nervoso. "Beh... A dire la verità non lo so. Voglio dire, ho visto cosa hanno fatto gli SWAT. Non vorrei venire con te e poi ritrovarmi con una pallottola in fronte. Ci tengo ancora al mio culo." Fece un mezzo sorriso, nervoso.
Marvin smise di scavare e diede la pala a Benjamin. "Ti capisco. Neanche io mi fiderei, se fossi in te." Si pulì via la polvere dai pantaloni. "Non so perché la SWAT abbia agito in quel modo, ma lì sarai al sicuro. Ci sono altri agenti che possono proteggerti, e poi sai sparare. Magari ci saranno altri sopravvissuti. Potresti aiutarci."
Benjamin rifletté per un po'. "Anche i poliziotti potrebbero agire come gli SWAT, non credi?"
"No, conosco tutti in centrale. Nessuno sparerebbe ai civili. Nessuno."
L'uomo prese in braccio Tasha e la trasferì delicatamente nelle braccia di Marvin, che l'adagiò nella buca. Poi lo aiutò a tirarsi su.
Benjamin si fece il segno della croce e mormorò una preghiera.
Marvin afferrò la pala e ricoprì la fossa di terra, chiedendosi se le due donne più importanti della sua vita fossero ancora in vita?

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Capitolo 7
*** VII. Capitolo ***


Nick guardava dalla finestra la marea di zombie che marciavano lungo la via. All'orizzonte, sopra i tetti degli edifici, un bagliore rossastro irradiava il cielo. L'alba era vicina. Non sapeva se restare o andare al dipartimento, così si sedette sul divano in soggiorno.
Zoey uscì dalla cucina con una tazza di caffè fumante in mano. "Vuoi un po' di caffè?"
"Sì, grazie."
La donna posò la tazza, ne prese un'altra e ci versò del caffè. "Tieni."
Nick lo sorseggiò, pensando al da farsi. "Se ti dico che c'è un posto sicuro, verrai con me?"
"E mio fratello?"
"Certo, anche lui verrà."
Zoey ci pensò un momento. "Dov'è questo posto?"
"La centrale di polizia" rispose Nick, bevendo un sorso. "Sono un poliziotto. Lì sarete al sicuro."
La donna lo guardò con astio. "No, grazie."
Nick si accigliò, confuso. "Perché?"
"Perché? Mi prendi in giro? Uno dei tuoi colleghi ha quasi ucciso una mia amica. Anzi, l'ha uccisa lui. Le ha sparato a una gamba mentre fuggivamo. Poi uno zombie le ha vomitato addosso."
"Ti riferisci a Olga?"
Zoey incrociò le braccia. ""Sì, Olga. La SWAT non era qui per aiutarci, no? Ci avevano detto di allontanarci dal posto di blocco, di stare in fila, poi hanno iniziato a sparare sulla gente."
"Io... io non ne sapevo niente. Non faccio parte della loro divisione. Sono solo una recluta della polizia."
Zoey posò la tazza sul basso tavolino. "Quindi? Se veniamo con te, ci uccideranno di sicuro. Siete tutti uguali, voialtri. Magari salveranno te, ma uccideranno me e mio fratello."
"No, non succederà. Sono sicuro che la polizia non c'entra niente con questa storia."
Zoey serrò gli occhi. "Come fai a esserne sicuro?"
"Non lo so, ma voglio credere che sia così. Sono bravi poliziotti. Non farebbero mai una cosa del genere."
"Beh, gli SWAT l'hanno fatta." La donna si alzò e se ne andò in cucina.
"Nick, giusto?" chiese Joey, appoggiato sotto l'arco del soggiorno.
L'uomo si voltò. "Stavi origliando?"
"Mia sorella è ancora scossa. Devi scusarla. La SWAT non è stata molto amichevole."
"Non preoccuparti."
"Avete delle armi alla centrale? Ma certo, che dico. È una centrale di polizia, dopotutto."
"Lì sarete al sicuro."
"Forse sì, forse no. Chi lo sa." Joey andò alla finestra e guardò in strada. "Come faremo a superarli?"
Nick lo raggiunse. "Troveremo un modo."
"Hai qualche idea in mente?"
"No, ma non credo che tutte le strade siano infestate."
"Non puoi esserne sicuro."
"Allora passeremo dai tetti."
Joey lo guardò. "Non raggiungeremo mai la centrale in questo modo."
"Tu hai un'altra idea?"
Joey sorrise. "Sì, le fogne."
"Cosa? Vuoi passare da lì sotto? Non credo sia una buona idea. Potrebbero essere anche lì sotto."
"Non credo. Le fogne passano sotto la centrale di polizia. Basta seguire i canali e ci arriveremmo senza problemi."
Nick ci pensò un momento. "Come faremo ad entrare? Come farai a non perderti là sotto?"
"C'è un tombino nel cortile dietro l'edificio" disse Joey. "Entreremo da lì. Gli zombie non possono arrivarci per via della recinzione. E poi non ci perderemo, fidati."
"E con tua sorella come la mettiamo? Non credo che verrà."
"Lascia fare a me." Si allontanò.
Nick fece un sorso, seguito da una smorfia, il caffè si era raffreddato.


 

"Quindi sei Pete?" chiese Jill Valentine, una volta entrati in un bar. "Brad mi ha parlato di te."
"Spero bene" rispose Pete.
"Molto bene. Mi ha detto che sei l'unico a batterlo a freccette."
"E lui che fa schifo a quel gioco" sorrise Pete. "Comunque mi dispiace che Irons abbia chiuso la S.T.A.R.S."
Jill serrò gli occhi, infastidita dal ricordo. Stava per parlare, quando udirono un tonfo alle loro spalle. Uno zombie si trascinava fra i tavoli e le sedie sparse sul pavimento. Jill sguainò il pugnale e glielo conficcò nel cranio.
Nel frattempo, una dozzina di non-morti si stavano ammassando davanti alla porta del bar. Cominciarono a tartassarla di pugni, a rischiarci sopra le unghia. Il frastuono dei gemiti attutiva ogni rumore.
"Sembra che abbiamo compagnia" disse Jill. "Aspettate qui. Vado a controllare l'uscita di servizio."
Megan si strinse sotto il braccio di Pete e lo guardò. "Siamo circondati?"
"Non lo so."
"Scusami per prima. Avevi ragione."
"Su cosa?"
"Non dovevamo prendere la macchina. Se ti avessi ascoltato, ora saremmo al sicuro nei boschi."
"Non pensarci."
"È tutta colpa mia."
"Non fare così. Forse alla centrale saremo al sicuro."
Megan sospirò. "Non è meglio lasciare la città?"
"Sì, ma non sappiamo quanto sia grave la situazione. Magari lì è tutto sotto controllo."
"Ho un brutto presentimento. Lasciamo la città."
Jill tornò dieci minuto dopo. "Via libera. Seguitemi."
"Aspetta!" disse Pete. "Sei diretta alla centrale di polizia?"
"Esatto. Ho delle faccende da risolvere."
"Quali?"
"Affari personali" rispose Jill, un poco irritata. "Allora? Volete venire?"
"Forse è meglio lasciare la città" aggiunse Megan.
"Ci sono troppo posti di blocco. Non andrete molto lontano. Gli SWAT hanno sigillato le strade principali. E gli zombie sono dappertutto. Ho saputo che l'esercito ha creato un cordone difensivo attorno alla città. Nulla esce o entra senza un permesso. Non ne sono sicura, ma è meglio non rischiare."
Megan si sentì mancare le gambe per il malessere. Aveva sperato fino all'ultimo di sentire buone notizie, invece la situazione non faceva che peggiorare.
Pete la strinse forte. "Ehi... va tutto bene. Vedrai, ce la faremo. Jill sa il fatto suo, credimi. È una tipa tosta."
Per Megan quelle parole non significavano nulla. Non la conosceva, non sapeva niente di lei.
"Grazie per le belle parole," disse Jill "ma ora dobbiamo muoverci."


 

Marvin posò la pala sul terreno. Il sole filtrava fra le colonne di fumo nel cielo e un leggero venticello soffiava da oriente. Sentì lo stomaco brontolare.
Benjamin si fece il segno della croce. "Riposa in pace."
"Grazie per la preghiera" disse Marvin.
"Tutti ne meritiamo una." Guardò il cielo. "Sta facendo giorno. Torniamo dentro."
Una volta nel magazzino, proseguirono nel corto corridoio, poi sulla passerella che correva lungo le quattro mura dell'officina invasa dai non-morti.
Benjamin si fermò e posò le mani sul corrimano. "È tutta colpa mia..."
Marvin guardò giù. Dozzine di zombie barcollavano e sbattevano fra loro. Altri ne entravano dalla saracinesca aperta. Un'acre odore di sangue e putrefazione impregnava l'aria. "Ehi" disse Marvin, posandogli una mano sulla spalla. "Non potevi saperlo. Non è colpa tua."
"Lo so... E solo che..." Benjamin si ammutolì. "Per me erano come una famiglia. Molti di quei ragazzi erano usciti di prigione. Volevano solo dimenticare il loro passato, ricominciare una nuova vita..."
I non-morti si fecero più irrequieti e si ammassarono sotto la passarella, allungando le putride mani verso loro.
Il tenente si accigliò. "È meglio andare."
Benjamin annuì.
Proseguirono sulla passarella ed entrarono nell'ufficio. Una piccola stanza che puzzava di grasso di motore e benzina. La fioca luce del sole entrava timida dall'unica finestra.
Benjamin andò dietro la scrivania disordinata e cercò qualcosa fra le carte. "Dov'è, maledizione? Dov'è?"
Marvin si limitò a guardarlo.
"Dai un'occhiata in quell'armadietto. Ci devono essere le... le chiavi."
Il tenente lo aprì, ma non trovò nulla a parte una Beretta, un berretto con su scritto I Love RC e una foto di Benjamin insieme a una donna anziana, forse sua madre. "Niente. Nessuna chiave." Si chiese se l'uomo avesse il porto d'armi per quell'arma.
Benjamin si fermò a pensare. "Cazzo! Devono essere nell'officina. David le avrà prese per... Non mi ascolta mai. Mai! Gli ho detto mille volte di non prenderle, di non scendere là sotto."
Marvin non capiva. "Là sotto, dove?"
"Nelle fogne. Le usava per spostarsi."
Marvin alzò un sopracciglio, incredulo. "Cosa? Davvero passava da là sotto?"
"Era un po' suonato, ma non gli piaceva rimanere imbottigliato nel traffico. Lo faceva incazzare."
"Non so se era un genio o..."
"Era sveglio, credimi" disse Benjamin con un sorriso. "Il più sveglio della mia officina. Aveva una dote naturale per le auto..." Abbassò gli occhi, affranto. "Se fosse ancora vivo, avrebbe trovato un modo per farci uscire da questa situazione. Era davvero in gamba..."
"Abbiamo già una via di fuga" rispose Marvin.
"Parli delle fogne? Non sono sicuro che siano, come dire, sicure. David mi aveva detto di aver visto qualcosa là sotto. Hai presente gli alligatori? Beh, ha detto di aver visto qualcosa di simile."
Marvin smorzò una ghigno, divertito. "Un alligatore? È solo una leggenda metropolitana. Nulla di più."
"Beh, dovevi guardare i suoi occhi. David ne era davvero spavento, credimi."
"Però continuava a usare le fogne per spostarsi."
"Te l'ho detto, era suonato." Benjamin raggiunse l'armadietto e afferrò la berretta. "Se incontriamo quel... quel coso potrà tornarci utile. Tienila tu. Io ho questa." Indicò la Glock legata alla cintura con lo sguardo.
Marvin prese la beretta e la osservò per un attimo. "Hai un porto d'armi per queste armi?"
Benjamin lo guardò, perplesso, poi sorrise. "Certo. Come credi abbia fatto a gestire l'officina in un quartiere come questo? Queste servono a spaventare i bastardi. Non le ho mai usate, per fortuna. Vuoi vedere il porto d'armi, signor poliziotto?" chiese con un sorriso, divertito.
Marvin scosse la testa, ricambiando il sorriso.
"In mancanza delle chiavi, possiamo sparare alla serratura" aggiunse Benjamin.
"Non è detto che funzioni" rispose Marvin.
"Meglio provare, no?"
Uscirono dall'ufficio e seguirono la passerella, che li condusse nel magazzino. C'era una porta di ferro vicino a delle pedane di ferro.
"È questa?" domandò Marvin.
"Sì, ora dobbiamo scendere la tromba delle scale."
Quando aprirono la porta e scesero i gradini, due non-morti vagavano nel pianerottolo.
Benjamin sparò loro in testa. Subito i gemiti e i colpi sulla porta aumentarono d'intensità. Mentre continuavano a scendere, la porta venne giù e un'ondata di non-morti si riversò dall'entrata. I primi, nel girare, caddero sul pavimento e furono calpestati da quelli dietro.
"Merda!" disse Benjamin. "Ora possiamo dire anche addio alle fogne."
"Su, torniamo di sopra" rispose Marvin, salendo i gradini.
Benjamin restò fermo e cominciò a sparare agli zombie che indossavano una tuta grigia da meccanico.
"Che stai facendo?" gridò Marvin, assordato dai gemiti. "Non sprecare i proiettili. Andiamo!"
Benjamin non lo sentì e continuò a sparare, scegliendo con cura il bersaglio.
Marvin scese e lo strattonò per la tuta. "Andiamo!"
"Sì, ok, va bene, va bene" disse Benjamin, guardando gli zombie con la tuta da meccanico strisciare sui gradini.
Giunti nel magazzino, Marvin posò la schiena contro la porta e Benjamin andò alla ricerca di qualcosa per bloccarla. Afferrò una pesante cassa e la posizionò ai piedi della porta. I non-morti cominciarono a tempestarla di pugni e testate.
"Prendine un'altra" disse Marvin. "Fai presto! Non riuscirò a reggere a lungo."
"Lo so, lo so!" rispose Benjamin.
Quando l'uomo fece per prenderne un'altra, Marvin venne sospinto in avanti e cadde sul pavimento. Due zombie cercarono di entrare nello stesso momento e rimasero incastrati sotto lo stipite.
Benjamin lasciò partire un colpo, spaventato. Centrò la caviglia di un non-morto, che cadde in avanti.
Il tenente scattò in piedi e puntò la pistola. Una decina di zombie si riversarono nel magazzino, calpestando il non-morto caduto a terra.
"Scappa!" gridò Marvin, ma Benjamin non lo udì per i forti gemiti.
Altri non-morti entrarono nell'ingresso e li divisero.
Marvin fece per premere il grilletto, ma si fermò. Poi si lanciò verso la porta e uscì fuori dal magazzino. Proseguì nel giardino e corse lungo la passerella che serpeggiava fra gli edifici. Quando arrivò vicino alla scala dove era stato salvato da Benjamin, una dozzina di zombie barcollavano vicino ai gradini. Quelli non si accorsero di lui, finché si girò e tornò indietro.
Giunto nuovamente nel giardino, sentì gli zombie tartassare di pugni la porta da cui era uscito. Si guardò intorno spaventato e salì nuovamente sulla passerella, fermandosi dopo pochi passi. Non sapeva cosa fare o dove andare.
Uno zombie infranse la finestra e restò impagliato nel vetro del telaio. I primi non-morti che aveva visto ai piedi della scala svoltarono l'angolo della passerella.
Stava per sparare, quando udì la passerella cigolare e crollare. Si ritrovò a cadere nel vuoto insieme agli zombie, la beretta gli volò di mano. Il non-morto che era incastrato sullo stipite della finestra, cadde di sotto e si sfracellò il cranio su un tondino di ferro. Gli zombie, che erano caduti insieme al tenente, si alzarono lentamente.
Marvin si issò in piedi un poco frastornato e si mise a cercare la pistola.
D'un tratto la porta del magazzino si spalancò. Tre zombie cascarono nel vuoto e si schiantarono ai suoi piedi. Pezzi di cervella, cranio e sangue gli schizzarono i pantaloni e le scarpe.
Lasciò perdere pistola e corse lungo lo stretto vicolo, sbucando in strada senza rendersene conto. Altri non-morti vagavano nella via. Diversi spartitraffici di cemento e una recinzione di metallo ostruiva la strada a senso unico. Una dozzina di zombie erano dietro la rete e la smuovevano con le dita putride. Alcuni cercavano di arrampicarsi.
Alle loro spalle, centinaia di non-morti. I loro gemiti erano cosi assordanti, che il tenente dovette coprirsi le orecchie per il fastidio.
Una ventina di loro stavano vacillando verso di lui e altri ne uscivano dal vicolo. Marvin si diresse verso una tavola calda dalle finestre infrante. La porta socchiusa dell'ingresso era ostruita da un'auto posizionata di sbieco. Scavalcò il cofano ed entrò nel locale.
Due cadaveri sedevano ai tavoli con le cervella sparse sui muri. Sul pavimento macchiato di sangue rappreso, cinque corpi crivellati dalle pallottole. L'unica illuminazione veniva da sotto la doppia porta in cucina.
Ci entrò, afferrò un grosso coltello trinciante da un bancone e fissò l'entrata. Non sapeva perché rimaneva fermo, ma si sentiva braccato. Restò così per una decina di minuti. Poi comprese che gli zombie non lo avevano seguito all'interno e si rilassò un poco. Ma qualcosa gli diceva che forse era la calma prima della tempesta.


 

Nick e Joey si erano diretti al pianterreno e trovarono l'ingresso bloccato da un divano e alcuni mobili. Tre corpi senza vita erano in un angolo, le pareti tappezzate di sangue e fori di proiettili.
"Chi li ha uccisi?" domandò Nick, guardingo.
"L'uomo del secondo piano, Albert" rispose Joey, indicando con la canna del fucile la tromba della scala.
"Perché? Non sembrano zombie."
"Beh, erano stati morsi. O meglio, quel pazzo credeva che lo fossero."
Nick era confuso. "Spiegati meglio?"
Joey sollevò le spalle. "Quel tipo è pazzo. Non c'è nulla da spiegare. Quando ho sentito gli spari, sono sceso qui sotto e li ho trovati lì. Poi Albert mi ha puntato il fucile. Mi ha detto di parlare, di fargli vedere che non ero uno zombie. Mi ha minacciato di farmi saltare la testa, se non lo avessi fatto."
"Era già messo così male?" chiese Nick.
"Dici prima che scoppiasse il pandemonio? Forse sì. Era un po' ammattito. Non gli piaceva stare con la gente. Mia sorella Zoey era l'unica che, come dire, riusciva a parlargli senza che scattasse male. Ora si è rinchiuso nell'appartamento e non lo vediamo da allora. Forse si è ucciso, non saprei."
Zoey scese la scala. "Joey, ti avevo detto di spostare i corpi."
"E dove li dovevo mettere? Meglio qui, che di sopra."
"Non li hai nemmeno coperti."
"Sono morti. A loro non fa nessuno differenza."
La sorella lo guardò, torvo. "Cinico, come sempre."
Joey sbuffò. Poi si rivolse a Nick. "Vieni con me."
"Dove state andando?" domandò Zoey.
"Fuori. Controlliamo i passaggi fognari."
La donna aggrottò la fronte, sorpresa. "Che ci andate a fare?"
"Dobbiamo lasciare questo posto. Quei canali possono portarci fuori dalla città."
"Ma se non sai nemmeno dove conducano."
Nick lanciò un'occhiata a Joey, ma non disse nulla.
"Non fai altro che darmi contro" disse il fratello, alzando le mani in aria con fare irritato. "Ho trovato un modo per fuggire dalla città. E tu invece di aiutarmi, mi ostacoli."
Zoey serrò gli occhi stizzita. "Devo, visto che non fai altro che cacciarti nei guai."
Nick non sapeva come intervenire. Non aveva fratelli o sorelle, quindi si limitò ad ascoltare, imbarazzato.
"Senti, io vado." Joey aprì la porta e disse a Nick di seguirlo con un cenno della testa.
Percorsero uno stretto corridoio e sbucarono in un piccolo giardino recintato da un'alta staccionata di legno. Superato il cespuglio, Joey si chinò sul tombino. "Ti conviene respirare con la bocca" disse con un sorriso. "Ma non preoccuparti, con la puzza che c'è qui fuori troverai poca differenza."
"Lo spero" rispose Nick non del tutto convinto.
Scesero la corta scala a pioli e posarono i piedi nella melma. Nick fu percorso da conato di vomito e si coprì il naso con l'avambraccio.
Cominciarono a camminare lungo il canale di scolo illuminato da alcuni neon al soffitto.
Nick notò che Joey non aveva fatto alcun cenno di disgusto. Sembrava piuttosto a suo agio. "È la prima volta che scendi qui sotto?"
Joey gli buttò una finta occhiata, sbadata. "Sì, diciamo di sì."
"Diciamo?"
"Ci entravo da bambino."
"Capisco." Nick non gli credeva, ma non forzò il discorso.
Si fermarono in fondo al canale.
Joey guardò a destra. "Se non ricordo male, questo canale porta dritto alla centrale di polizia."
"E quello di sinistra?" Domandò Nick.
"Da qualche parte."
"Dove di preciso?"
Joey lo fissò per un momento. Era a disagio. "Non ricordo." Gli voltò le spalle. "Più avanti c'è una piccola stanza con una mappa dei condotti fognari. Seguiremo quella."
Nick sapeva che stava mentendo. Aveva il sospetto che Joey conoscesse le fogne come i palmi delle sue mani. "Tua sorella verrà con noi?"
"Verrà."
"Non mi pareva convinta. Voglio dire, non mi è sembrata accorrente di ciò."
"Non c'è bisogno" sorrise. "Mi seguirebbe ovunque."
Nick cominciava a innervosirsi per quelle risposte evasivo. "È meglio aspettarla qui."
Joey si voltò e si posò il fucile su una spalla. "Sono suo fratello. Non partirei mai senza di lei. Voglio solo accertarmi che ci sia la mappa prima di partire."
"Capisco."
Joey imbracciò il fucile. "Bene. Seguimi."


 

Jill, Pete e Megan avevano raggiunto un posto di blocco che bloccava loro il passaggio. Jill si guardò intorno, cercando un punto per entrare. Gli zombie non erano ancora arrivati dall'altra parte, ma decine di cadaveri erano disseminati sull'asfalto, oltre i sacchi di sabbia. Tutte persone crivellate di pallottole. C'erano diverse casse militari vicino a un camion militare, che Jill tentò di aprire. Erano sigillate.
La donna aggrottò la fronte, pensierosa. "Un camion militare, diverse casse militari, ma nessun soldato tra i morti. Mmmh... Mi pare un po' strano."
Pete le si avvicinò. "Credo che questi armamenti siano..."
"Quello è un veicolo datato, ma le casse sembrano di ultima generazione. Si possono sbloccare solo tramite una scheda di riconoscimento."
Pete non capiva. "Cosa vuoi dire?"
"Che le voci sull'esercito erano vere. Hanno davvero creato un cordone difensivo attorno alla città."
"Ma non ne eri già sicura?"
"Ora ne ho la conferma."
"Perché non sono venuti ad aiutarci?"
"È quello che sto cercando di capire" disse Jill, seria.
Megan si limitava ad ascoltarli. Tutta quella sicurezza che aveva sempre avuto nella vita, ora si era liquefatta del tutto. Non riusciva nemmeno a pensare a qualcosa di sensato. Si vedeva davanti agli occhi le facce cadaveriche degli zombie. Un'infinità di zombie. Lei era intrappolata nella macchina e quelli battevano le mani sui finestrini.
Pete osservò i cadaveri in strada. "Non sembrano zombie, eppure li hanno uccisi. Non posso credere che la SWAT abbia fatto una cosa simile."
"È così ovunque" rispose Jill, avvicinandosi alla rete metallica. La smosse con forza e comprese che era ben salda. "Non so perché sparano ai civili, ma vorrei tanto scoprirlo." Si girò verso un negozio di mobili. "Venite con me. Ci muoveremo attraverso gli edifici."
"Vuoi usare i vicoli?" domandò Megan, scacciando i non-morti dalla sua mente.
"Credo sia l'unico modo per spostarsi senza attirare troppo l'attenzione."
Quando raggiunsero l'ingresso del negozio, un fortissimo rumore si levò a pochi passi dalle loro spalle. Una macchina era stata lanciata contro la finestra del primo piano di una palazzina.
"Non di nuovo!" sbuffò Jill con fare irritato.
Si voltarono nella direzione in cui guardava Jill e spalancarono gli occhi, terrorizzati. Un enorme essere con un impermeabile nero era immobile davanti a Jill, il volto deturpato, i denti serrati senza labbra e le spalle massicce. Un occhio sporgeva da sotto la massa di carne contorta e putrefatta. Si mosse lento, deciso, scuotendo il terreno sotto i suoi pesanti stivali neri. Puntava Jill.
"STAAAARS" disse l'orrenda creatura con voce rauca e profonda.
Pete si chiese se quella cosa avesse parlato davvero o se lo fosse immaginato.
"Dai, entrate!" gridò Jill, spingendo Megan oltre la porta.
Pete si fermò sotto la soglia. "Che aspetti, Jill? Vieni dentro!"
Jill gli lanciò una fugace occhiata, poi gli sbatté la porta in faccia.
Il pavimento fremette sotto i loro piedi.
"Ma..." aggiunse Megan, confusa.
Pete si affacciò alla finestra e scorse l'essere camminare sul marciapiede. Mentre Jill fuggiva dall'altra parte della strada, il mostro scattò verso di lei con una tale velocità, che sembrava essersi teletrasportato. Le sferrò un pugno, che la donna deviò. Poi Jill corse dietro un furgone e sparì in un vicolo.
"STAAAARS!"
"Hai visto?" chiese Pete.
"Cos'era quella cosa?" domandò Megan, spaventata.
"Non lo so."
"Lo... lo ha attirato lontano da noi. Ci ha salvati."
"Già..."
Il negozio di mobili non era stato saccheggiato. I due lo attraversarono e si fermarono davanti a una porta di ferro con su scritto solo staff. Pete girò la maniglia e aprì la porta. Subito una mano lo afferrò per l'avambraccio e lo tirò a sé.
"Cazzo!" urlò Pete.
Una faccia scarnificata scattò i denti verso il suo collo, ma lui riuscì a tenerlo distante con le mani. Megan afferrò la scopa accanto al muro e lo colpì in testa con il manico. Lo zombie non mollò la presa, ma afferrò con l'altra mano ossuta la spalla di Pete e cercò di affondargli i denti nella carne.
"Levamelo di dosso! Levamelo!" gridò Pete, cercando di divincolarsi dalla presa.
Megan iniziò a tempestare di colpi la testa del non-morto, finché il manico si ruppe e la parte superiore gli rimase piantata nel cranio.
Lo zombie crollò a terra.
Pete indietreggiò, tenendosi una mano sull'avambraccio arrossato. "Cazzo! Ci è mancato davvero poco..."
"Stai bene?" chiese Megan, fissando l'impronta della mano lasciata dal non-morto.
"Sì... sì sto bene."
Megan gettò sul pavimento il manico rotto.
"Per fortuna ce ne era solo uno." disse Pete, massaggiandosi l'avambraccio. "Se ce ne fossero stati altri..."
"Non dirlo nemmeno."
"Infatti non lo dico."
"Cos'è? Una battuta? Perché non l'ho capita."
Pete roteò gli occhi in aria.
Il retro del negozio era un piccolo magazzino dalla pianta rettangolare. Diversi mobili coperti da un telo di plastica erano posizionati lungo le mura. Un fascio di sole filtrava dall'unica finestra polverosa.
Pete si avvicinò a un tavolo da lavoro e afferrò un martello. "Tieni, Meg. Io prendo l'altro."
"Non dovevo lasciare la mazza in auto."
"Beh, accontenti di questo. Almeno abbiamo qualcosa con cui difenderci."
"Aspettiamo Jill?"
Pete abbassò gli occhi. "Non credo che verrà. Voglio dire, se quel coso la sta inseguendo..."
"Che vuoi dire?"
"L'hai visto, no? Hai visto quanto è veloce? Non credo abbia molte possibilità contro quell'essere."
"Credi sia morta?"
"Non... non lo so. Brad mi aveva detto che era una tipa tosta, e lo è. Lo hai visto anche tu. Nessuno sarebbe stato in grado di deviare quel colpo. Non l'ho nemmeno visto partire."
"Ancora non ho capito perché la stimi tanto?" domandò Megan con una nota di gelosia.
"Lavorava nella S.T.A.R.S" disse Pete. "Tempo fa feci domanda per entrare, ricordi? Beh, sono stato scartato. Soli i migliori sono ammessi. E lei è una delle migliori."
"Ma non avevi detto che l'avevano chiusa o qualcosa del genere?"
"Sì, Irons l'ha sciolta. Ha creato al suo posto la sezione SWAT, e quello che hai visto in giro sono i risultati."
Megan non parlò subito. "Perché l'ha sciolta?"
Pete fece spallucce. In realtà, stando alle voci, la divisione S.T.A.R.S era stata liquidata in fretta e furia da Irons, che non aveva mai fornito un motivo valido circa il suo scioglimento e l'aveva subito sostituita con la sezione SWAT, molto più numerosa e meno qualificata.
Megan doveva restare all'oscuro riguardo i fattacci alla centrale. Se Irons avesse scoperto che lei sapeva qualcosa su di lui, l'avrebbe fatta sparire com'era successo con la segretaria e gli agenti ficcanaso. Non c'erano prove che lo collegassero a loro, ma alcuni sospettavano che ci fosse lui dietro le sparizioni. Anche se Raccoon City era ormai caduta nelle mani dell'esercito di non-morti, Pete non se la sentiva di rischiare. L'ignoranza le avrebbe salvato la vita.

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Capitolo 8
*** VIII. Capitolo ***


Marvin era rimasto in cucina. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma non fece in tempo a chiederselo, che udì un raspare di unghie sul pavimento fuori dalla porta. Un rumore continuo, seguito da un ringhio.
Invece di fuggire, avanzò lentamente verso la doppia porta, il coltello da cucina in una mano. Afferrò la scopa poggiata sul muro e bloccò l'ingresso incastrandola fra le maniglie. Quando indietreggiò, sentì un ringhio oltre lo stipite. Si immobilizzò e fissò l'entrata, spaventato.
Un fortissimo colpo sospinse la doppia porta, seguito da un inquietante latrato e da un abbaiare, frenetico. La doppia porta venne tartassata di colpi e raschiata da affilate unghie che vi aprirono delle piccole fessure.
Marvin non riusciva a muoversi per il terrore. Era stato addestrato a sopportare lo stress di situazioni spiacevoli, eppure la paura si era insinuata in tutto il suo corpo. La mano con cui reggeva il coltello da cucina gli tremava. Da quando si era ritrovato nel bel mezzo dell'inferno, non aveva fatto altro che fuggire. Aveva perso lucidità, concentrazione. Ma cosa poteva fare se non fuggire?
La mazza della scopa si piegò leggermente, la doppia porta cominciava ad aprirsi. Marvin scorse qualcosa nel piccolo varco fra le due porte. Un occhio vitreo, spento. Un muso macchiato di sangue, i denti sporgenti, affilati e bianchi come la neve sui monti Arklay. L'animale scattava le fauci attraverso la fessura, grattava il pavimento cercando di entrare. Altri seguitavano alle sue spalle.
Il tenente indietreggiò lentamente e, quando urtò la schiena contro il frigorifero, la mazza della scopa si spezzò in due e la doppia porta si aprì. Due cani zombie scattarono all'interno, ringhiando verso di lui. Un terzo sbavava poco lontano. Altri quattro cani zombie li raggiunsero alle spalle e si fermarono a dieci metri dall'uomo. Avevano il corpo putrefatto dilaniato da morsi e le ossa delle costole che spuntavano dalla putrida carne.
Il capo branco fissò negli occhi Marvin, che si senti raggelare le interiora. Il tempo sembrò fermarsi per un momento, poi il capo branco lanciò un'agghiacciante ululato e il branco si lanciò verso l'uomo.


 

Nick e Joey sguazzavano nel liquame dei condotti fognari già da un po' e seguivano una galleria che si apriva su una camera circolare. Piccoli tubi correvano lungo le pareti da cui fluivano i rifiuti organici della città. Il gettito si era ormai fermato ore prima, forse giorni prima nei quartieri dove l'infezione si era estesa, ma i tubi gocciolavano ancora.
Nick non sopportava quel tanfo insopportabile e più volte fu scosso da coniati di vomito. Joey, invece, non ne sembrava infastidito e proseguiva come se camminasse un giardino fiorato.
"Come fai a sopportare la puzza?" chiese Nick.
Joey alzò le spalle. "Non è così forte."
"Sembra che tu ci sia abituato."
Joey non rispose.
"È così?"
"No."
"A me dai proprio questa impressione."
Joey si fermò a guardarlo. "Mettila così. Tu hai uno stomaco debole, io no. Semplice, non trovi?" Si voltò e continuò a camminare.
"Sei già stato qui" disse Nick, cercando di fargli perdere le staffe.
"Sì, da bambino" rispose pacato Joey.
"Parlo di recente. Sei abituato al tanfo. Sei già stato qui. Forse più volte."
"Credi a quello che vuoi. Non m'interessa."
"Perché non lo ammetti?"
"E perché tu insisti tanto?"
Nick non parlò subito. "Hai detto che lavori per l'Umbrella, giusto?"
Joey gli lanciò una rapida occhiata. "Quindi?"
"La gente parla. Alcune voci dicono che..."
"Mi sorprende che un agente della polizia faccia caso alle voci di corridoio" aggiunse Joey con tono beffardo. "Impostate le vostri indagini sulle voci?" Smorzò un sorriso, divertito.
Nick si irritò, ma non lo diede a vedere. "Sai, non fai altro che sviare le mie domande."
"Ah sì? Non me ne sono accorto."
Si avvicinarono alla porta con su scritto solo personale autorizzato.
"Personale autorizzato?" chiese Nick. Cercava una reazione da parte di Joey, che si limitò ad aprire la porta.
Entrarono nella piccola stanza illuminata fiocamente da una lampada a sospensione. Al centro, una sedia e un tavolo su cui era poggiata una Glock sotto il fascio di luce di una lampada da scrivania. Un grosso tubo correva tra la parete e il soffitto e un altro rasentava il pavimento. Tre armadietti erano in un angolo, accanto a un appendi abito con su un giubbotto grigio.
"Una pistola, eh?" aggiunse Nick. "Lo staff girava armato? Cos'è? Credevano alle storie dell'alligatore?" Rise.
Joey lo guardò per un attimo. "Certo, ridi pure. Ma faresti meglio a prenderla. Non si sa mai cosa può capitare quaggiù."
Nick si fece serio. "È una minaccia?"
Joey lo ignorò.
Nick afferrò la pistola e se la girò in mano. "Sembra nuova."
"È nuova" rispose Joey. Posò il fucile sul tavolo e si avvicinò a una parete spoglia. "Hanno preso la mappa."
"Ottimo" disse Nick con tono scherzoso. "Abbiamo sguazzato nella merda per niente."
Joey lo fissò con un mezzo sorriso. Poi raggiunse un armadietto, pescò la chiave dalla tasca e lo aprì. Afferrò qualcosa dall'interno e la scosse in aria, dando le spalle a Nick. "Non perdo mai tempo" aggiunse richiudendo l'anta dell'armadietto.
"Come sapevi che lì c'era una mappa?" chiese Nick. "Non avevi detto che la tua ultima visita risale a quando eri un bambino? E poi avevi anche la chiave. Perché continui a mentire?"
Joey non rispose e dispiegò la mappa sul tavolo. "Allora, vediamo un po'... Mmmh... Noi siamo qui." Puntò il dito sulla carta.
Nick scosse la testa. "La centrale è dall'altra parte e..."
"Credevi che fosse alla fine del tunnel?"
"La mappa è strappata, non vedi? Qui c'è il dipartimento, ma i percorsi che conducono lì sono strappati. Ci perderemo."
Joey sbuffò irritato. "Per te lamentarti è un lavoro a tempo pieno?"
"Come per te lo è mentire, giusto? Magari ti pagano più di me, per farlo."
Joey chiuse la mappa, la mise in tasca e afferrò il fucile. Gli lanciò un'ultima occhiata risentita e andò via.
Nick afferrò la Glock e lasciò la stanza.


 

Pete e Megan uscirono nel retro del negozio di mobili. Si trovavano in un vicolo poco illuminato che serpeggiava tra gli edifici. Lo seguirono per un po', finché sbucarono in strada. I raggi del sole si infrangevano sulla carrozzeria di un furgone nero schiantatosi contro una berlina grigia poco lontano. Nelle due corsie stradali, numerosi veicoli abbandonati.
Una mandria di zombie ostruiva la strada alla loro destra, dove c'era un posto di blocco. A sinistra, un rimorchio staccato bruciava sollevando colonne di fumo nero nel cielo. I gemiti tornarono a regnare nella desolazione. Svariati cadaveri di non-morti giacevano sull'asfalto e altri barcollavano sparpagliati fra le auto.
"Cazzo!" disse Pete, chinandosi dietro un'auto familiare. Un uomo si era fatta saltare la testa al posto di guida. Pezzi di cranio e cervella imbrattavano i finestrini dell'abitacolo. "Da dov'è sono usciti?" Indicò con lo sguardo l'orda.
"È meglio tornare indietro" rispose Megan. "Il negozio di mobili sembrava sicuro."
"Appunto, sembrava. Comincio a credere che nessun posto sia sicuro."
"Non vuoi più andare al dipartimento?"
"Certo che ci andremo. È l'unico posto in città che potrebbe tenere fuori quegli esseri."
"Gli zombie?"
"Li chiami così?"
"Come li dovrei chiamare?" domandò Megan, confusa. "Sono zombie."
Pete si guardò intorno. 
"Già... Zombie..."
In lontananza, oltre l'orda, un intero condominio era avvolto dalle fiamme e lingue di fuoco sbuffavano dalle finestre levandosi in cielo. Una rete metallica ostruiva il vicolo dall'altra parte del marciapiede. "Ehi, guarda! Se il cancello è aperto, possiamo passare di lì."
"Ma dobbiamo passare fra gli zombie."
"Non possiamo stare qui. L'orda si sta muovendo. O ci muoviamo adesso, oppure resteremo bloccati qui."
Quando fecero per muoversi, oltre la rete metallica, scorsero una figura uscire lentamente dalla penombra e osservare la strada. Era un uomo sulla quarantina, dai capelli castani, il doppio mento e una pancia prominente. Indossava una giacca marrone, sotto una camicia bianca e un pantalone grigio. I suoi occhi roteavano agitati da una parte all'altra, finché si posarono su Pete, che gli fece un cenno con la mano. L'uomo grassoccio lo guardò incredulo per un momento. Non si aspettava di vedere un altro essere umano.
Due zombie lo notarono e barcollarono verso di lui, che indietreggiò, spaventato.
Pete prese per mano Megan e la trascinò dietro di sé. Superarono rapidamente tre auto e si portarono dall'altra parte della strada. L'orda si accorse del loro movimento e marciarono verso di loro.
I gemiti si fecero più intensi, quasi insopportabili. Due zombie si diressero verso Pete, che spaccò la fronte al primo zombie con un colpo ben assestato. Il secondo gli afferrò la mano, ma Megan lo colpì in faccia con la testa del martello. Quello indietreggiò e Pete gli spappolò il cranio con una martellata.
Mentre l'uomo grassoccio li fissava tremante, i due corsero verso di lui e Pete cercò di aprirlo il cancello chiuso da un chiavistello.
L'orda si avvicinava.
"Apri!" disse Pete.
L'uomo lo guardò col volto terreo. "I-io... Non posso farlo."
"Cosa?" rispose Megan con tono grave. "Non vedi che abbiamo gli zombie alle calcagna? Apri!"
"N-non posso farlo" borbottò l'uomo grassoccio. "Mi f-farete m-morire. Li porterete c-cn voi. Non posso."
Pete sbuffò irato e sferrò un calcio frontale al cancello, che rimase al suo posto. "Apri questo cazzo di cancello!"
L'uomo grassoccio indietreggiò, spaventato, poi si avvicinò al cancello. Guardò il chiavistello con fare pensieroso. "No, no, no. Non posso."
L'orda era a venti metri dalle loro spalle. Quelli che si erano trasformati da poche ore vacillavano velocemente verso di loro.
Pete prese a martellare la serratura del cancello. "Apriti, cazzo! Apriti!"
Megan guardò in lacrime i non-morti venirle incontro, poi fissò l'uomo dall'altra parte del cancello. "Apri, per favore. Ti prego."
Quello se ne stava fermo, combattendo contro sé stesso.
Uno zombie appena trasformato allungò le mani verso Pete, che gli sferrò un potente colpo alla tempia. Un altro gli sbucò di fianco, afferrandogli il braccio con cui impugnava il martello. Megan lo colpì in testa e il martello gli scivolò di mano. Quando fece per riprenderlo, un non-morto ci cascò sopra. Pete si divincolò dalla stretta presa dello zombie e lo spintonò contro il muro.
L'Orda li aveva circondati.
Megan cacciò un urlo in preda al terrore, che sovrastò i gemiti per un istante.
Pete si posizionò davanti a lei. Quando fece per colpire un non-morto, quello gli afferrò il martello e glielo strappò di mano.
Il cancello si aprì con un cigolio.
Mentre l'uomo grassoccio fuggiva lungo il vicolo, Pete e Megan superarono la rete metallica. Lui provò a chiudere il cancello, ma l'orda entrò d'impeto.
I due corsero nel vicolo.
Diversi cadaveri giacevano a terra e una parte di muro e cemento stradale erano imbrattate di sangue rappreso. Svoltarono a sinistra. Una dozzina di corpi senza vita erano sotto i detriti di una scala antincendio e un altro corpo penzolava dalla finestra del secondo piano. Mentre proseguivano, avvistarono altri non-morti in fondo al vicolo.
L'uomo grassoccio aprì una porta di ferro, diede un ultimo sguardo ai due e si affrettò a entrare, chiudendosi la porta alle spalle. Pete e Megan la raggiunsero un momento dopo e la trovarono chiusa.
"Figlio di puttana!" gridò Pete, colpendo ripetutamente la porta con calci frontali.
Megan fissava inorridita l'orda di non morti che si avvicinava. Il volto di Pete era una maschera di sudore, i polmoni gli bruciavano, la testa gli pulsava. "Merda! Cazzo! Fottuto stronzo figlio di puttana!"
"Sono vicini!" urlò Megan in preda al panico. "No! No! Non voglio morire! No!"
Pete era disperato. Ricominciò a tempestare la porta di calci. Poi iniziò a colpirla con forti spallate, finché la spalla gli iniziò a pulsare per il dolore. Si fermò e guardò gli zombie a qualche passo da loro.
Non poteva credere che sarebbe finita così. Non lo accettava. Prese la rincorsa e sferrò un'ultima spallata alla porta di ferro, che si spalancò. Lui cadde a terra e Megan si precipitò dentro, chiudendo la porta alle loro spalle. Pete scattò in piedi e ci si appoggiò contro.
I due si lanciarono un'occhiata, sbalorditi. Non riuscivano a credere di essersi salvati.
"Trova qualcosa!" gridò Pete. "Dobbiamo bloccarla!"
La donna si guardò intorno e trascinò un pesante tavolo contro la porta. Poi afferrò con fatica delle pesanti casse e li posò sul tavolo e ai piedi della porta.
Gli zombie cominciarono a martellare di pugni e manate la porta e Pete e Megan restarono a guardare la barricata per un lungo momento.
"Non reggerà" disse Pete. Prese altre casse e li sistemò sotto e attorno alle quattro gambe del tavolo. Poi si piegò in avanti con il fiatone.
Quando scesero i cinque gradini, capirono di trovarsi dentro un grande magazzino. File di enormi scaffali continuavano per cento metri, alternate da blocchi di casse e pedane di legno. Una passarella metallica costeggiava le grandi finestre rettangolari tutt'intorno alla stanza. Un fascio di sole penetrava dal lucernario polveroso. C'era un piccolo prefabbricato su una grata dalla pianta quadrata collegata alla passerella.
"Proprio una bella botta di culo, eh?" disse Pete. "Sono già due volte che ci salviamo per un pelo."
Megan non rispose.
Pete serrò gli occhi, irato. "Lo stronzo deve essere qui dentro! Appena lo trovo gli spacco la faccia! Ci ha abbandonati, cazzo!"
"Calmati" rispose Megan, sedendosi sui gradini. "Siamo salvi. È quello che conta, adesso."
"Di certo non grazie a quello stronzo!" aggiunse Pete con una smorfia carica di rabbia.


 

Marvin corse dietro i banconi della cucina inseguito dal branco di cani zombie che latravano senza sosta. Svoltò nello stretto corridoio e aprì la porta di servizio, chiudendosela alle spalle. I cani zombie ci sbatterono contro, ringhiando e abbaiando.
Era in un vicolo sporco e poco illuminato, un furgone delle consegne bloccava la via di sinistra. Si diresse da quella parte, seguendo una rete metallica che circondava un campetto da basket.
I cani zombie riuscirono a spalancare la porta e si precipitarono fuori dalla cucina, guardandosi intorno. Annusarono l'aria per un momento, poi il capo branco cacciò un lungo ululato e si lanciò nella direzione dell'uomo.
Marvin giunse alla fine del vicolo chiuso da un cancello, lo aprì e si portò dall'altra parte, senza guardare se in strada ci fossero zombie. Il cuore gli esplodeva nel petto, le mani gli tremavano. Quando si girò, uno zombie sbucò dall'angolo e il tenente gli conficcò il coltello in un occhio. Il non-morto lo afferrò per un braccio e scattò i denti a un palmo dalla sua faccia. Marvin lo spinse via e lo colpì alla tempia.
Lo zombie crollò a terra.
I cani zombie lo avevano quasi raggiunto nel vicolo. Il capo branco si lanciò contro il cancello e una zampa gli rimase incastrata nella rete metallica. Guaì per il dolore. Gli altri si fermarono alle sue spalle, ringhiando e mostrando i denti. Marvin fissò inorridito lo sguardo vitreo del cane Alpha che, nonostante cercasse di liberarsi, scattava la mascella verso di lui.
L'uomo si allontanò, guardandosi le spalle di tanto in tanto.
La strada era vuota e desolata. Il sole si infrangeva sulle finestre dei condomini e sulle vetrate dei negozi ancora intatte. Dozzine di cadaveri punteggiavano i marciapiedi e l'asfalto, tutti a ridosso del posto di blocco poco distante. Due auto erano abbandonate accanto a un garage dalla saracinesca aperta. Marvin ci entrò cauto e diede un'occhiata. Trovò solo una pala e scaffali occupati da scatoloni e cianfrusaglie polverose. Un veicolo era coperto da un telo. Lo tolse.
Era una monovolume cui mancava due ruote anteriori. Uscì dal garage e lanciò un'ultima occhiata verso il vicolo da cui era uscito.
I cani zombie lo avevano divelto.
Percepì un vuoto allo stomaco e gli venne quasi da vomitare. Doveva allontanarsi, prima che quelle cose lo piegassero del tutto. Quando si voltò a destra, sbarrò gli occhi. Si era sbagliato. Il branco di cani zombie correva fra le auto e alcuni balzavano da un veicolo all'altro.
Il tenente si pietrificò per un istante. Non riusciva a pensare. Ascoltava il cuore pompare alla massima velocità e uno strano formicolio pervadergli tutto corpo. Poi scattò verso il posto di blocco, saltò uno spartitraffico di cemento, inciampò più volte sui cadaveri e salì rapidamente la tromba delle scale della torretta. Quando si fermò in cima, la gola iniziò a bruciargli. Guardò giù, verso il branco di cani zombie e comprese di essersi trappolato da solo.
Quelli salirono velocemente i gradini, finché si bloccarono di colpo e guizzarono le orecchie, guardandosi attorno. Avvertivano un pericolo, ma non sapevano da quale parte stava arrivando. Alcuni guairono e fuggirono via. Altri restarono immobili con le orecchie tese.
Poi la parete del ristorante vicino esplose con un fortissimo boato. I detriti schizzarono in tutte le direzione, colpendo la rete metallica, i veicoli e due cani zombie che uggiolarono e fuggirono via. Una densa nube di polvere invase lentamente la strada. Mentre il resto del branco scappava via con la coda fra le gambe, il cane Alpha annusò l'aria per nulla spaventato.
Un enorme sagoma comparve lentamente nella polvere e il cane zombie ringhiò verso la figura che gli veniva incontro. Quando gli fu vicino, il cane zombie si lanciò contro l'essere che, con una manata, lo spedì contro la rete metallica del posto di blocco, squarciandone una parte.
Le gambe di Marvin cedettero per il terrore e si ritrovò a terra. Non aveva mai avuto così paura in tutta la sua vita. Smorzò una mezza risata isterica, senza sapere nemmeno perché gli veniva da ridere.
L'essere voltò lentamente la testa calva verso il tenente e lo fissò con sguardo inespressivo. Indossava un lungo impermeabile nero e stivali dello stesso colore. La faccia austera, inespressiva, dalla pelle pallida e piccoli occhi freddi e minacciosi. Era l'uomo più imponente che Marvin avesse mai visto. L'essere lo ignorò e s'incamminò con passo deciso nella direzione opposta al posto di blocco.
Il tenente tirò un sospiro di sollievo. "Chi è? È umano?" si chiese.
In fondo alla via, nella direzione in cui andava l'essere, centinaia di non-morti iniziarono a scemare dagli angoli e dai vicoli e urtarono contro di lui, ignorandosi.
"Quella... quella cosa non è umana" si disse Marvin.
Scese dalla torretta e attraversò lo squarcio nella rete metallica. Il cane Alpha giaceva inerme tra il cofano e il parabrezza di una berlina. Continuò a muoversi sul marciapiede, tenendo d'occhio i vicoli. Si manteneva raso agli edifici per evitare che uno zombie sbucasse da sotto le auto.
Quando svoltò a sinistra, in lontananza, oltre il secondo posto di blocco, scorse la facciata frontale del dipartimento di polizia. Le lettere R.P.D spiccavano alte e bianche sul tetro paesaggio di Ennerdale Street. Sospirò rincuorato da quella visione. Non c'era nessuno zombie nei paraggi, solo cadaveri e auto.
Il cancello del posto di blocco era stato abbattuto. Dalla porta opposta della recinzione di metallo, sacchi di sabbia e un mitragliatore a canne rotanti. Non c'era nessuna torretta, ma solo macchine della polizia con la carrozzeria forata dalle pallottole e le sirene che roteavano e illuminavano intermittenti gli edifici. Sangue, bossoli, arti mozzati, mangiucchiati e pezzi di cranio e cervello puntellavano l'asfalto. Ma non c'era nessun cadavere. Niente.
"Qui c'è stato un massacro" si disse Marvin. "Se tutti sono diventati zombie, ora dove sono?"
Superò il posto di blocco e serpeggiò tra i numerosi veicoli, fermandosi davanti a un incidente stradale. Un pick-up si era schiantato frontalmente contro un'auto sportiva. Le fiamme avvolgevano le carcasse annerite dei due veicoli e il fuoco si era espanso in un bar vicino.
Aggirò l'incidente, raggiunse l'ingresso della centrale e guardò tra le sbarre di ferro. Il cortile era vuoto. Spinse il cancello che emise un suono stridulo e lo chiuse dietro di sé, tirando un lungo sospiro.
Finalmente era arrivato.
Non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così difficile raggiungere la centrale, ma ora si sentiva al sicuro, protetto. Poi gli balenò in mente l'imponente essere e la sensazione di protezione svanì del tutto. Aveva distrutto un muro e ucciso il cane zombie con una manata.
Scacciò via i tetri pensieri e si diresse all'entrata del dipartimento, salendo i gradini. Girò la maniglia, ma la porta era chiusa dall'interno. Quando sollevò la mano per bussare, si bloccò.
"E se sono tutti morti?" si disse. "Se la centrale è infestata?" Buttò l'aria dai polmoni e bussò.
Nessuna risposta.
Bussò con più forza.
Niente.
Bussò coi pugni a martello. 
Silenzio.
Abbassò lo sguardo affranto e si portò una mano fra i capelli corti. Scese i gradini e si voltò nuovamente. Sperava di vedere uscire qualcuno, ma la porta rimase chiusa. Restò a guardarla a lungo, poi notò un movimento veloce, quasi impercettibile con la coda dell'occhio. Guardò la parete del secondo piano e scorse una figura a quattro zampe che oltrepassava rapidamente il cornicione del tetto. Era senza pelle e con la carne esposta. Aggrottò le sopracciglia, turbato. Non sapeva se quella cosa era reale o frutto della sua mente.
La porta d'ingresso si aprì con un tetro cigolio.

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Capitolo 9
*** IX. Capitolo ***


Joey e Nick tornarono indietro senza parlarsi. Quando salirono la scala, trovarono Zoey seduta in giardino. Era scossa e impaurita.
"Tutto bene?" chiese Joey.
"Sì..." rispose la sorella, guardando la porta sul retro del condominio.
Nick comprese che qualcosa non andava, ma non disse nulla.
Il fratello le posò una mano sulla spalla. "Ehi, cos'hai?"
Zoey si divincolò dalla mano del fratello e si alzò. "Niente. Non preoccuparti."
"Va bene... Comunque ho trovato la mappa."
La donna raggiunse il tombino. "Che aspettate? Andiamo."
"Sei sicuro che va tutto bene?" domandò il fratello.
Lei sospirò. "Sì, va tutto bene. Ora andiamo."
Quando Joey e Nick la raggiunsero, la porta alle loro spalle si aprì. L'uomo del secondo piano si avvicinò loro. Scheletrico, sulla sessantina, le guance infossate, il viso corrucciato e minaccioso, solcato da innumerevoli rughe. La barba lunga, sporca, i capelli grigi scompigliati e annodati. Indossava un cappotto marrone scuro, sotto una maglia nera e un pantalone grigio strappato in più punti. Era scalzo, i piedi scheletrici e anneriti. Il tanfo di sudore ammorbò subito l'aria. Gli occhi scavati e cerchiati scrutavano diffidenti i loro visi dietro la canna di un fucile da caccia puntato su di loro.
"Albert" disse Zoey quasi in sussurro.
"Siete stati morsi, vero?" chiese l'uomo con fare nervoso. "Sì, sì, morsi. Voi siete stati morsi." Si diede uno schiaffo in testa. "Lo sapevo, lo sapevo!"
Nick strinse la Glock. Aveva avuto a che fare con gente simile. Non finiva mai bene.
"Ehi" disse Joey con tono pacato. "Non abbiamo un graffio. Guarda." Si alzò la manica del giubbotto e mostrò l'avambraccio. "Visto?"
Albert lo fissò per un attimo, gli occhi sbarrati che si spostavano da un punto all'altro nel giardino. Puntò il fucile verso Nick. "Tu! Fammi vedere. Fammi vedere!"
L'uomo scambiò uno sguardo con i fratelli, che gli accennarono con gli occhi di ubbidire. Mostrò l'avambraccio.
"Sì, ok, va bene... Sì, sì." Albert abbassò l'arma con fare sofferente, si diede uno schiaffo in testa e puntò l'arma verso Zoey. "Il braccio!" Schizzi di saliva finirono sul calcio del fucile. "Il braccio!"
Joey si mise davanti alla sorella. "Abbassa quella cazzo di arma, o..."
Albert si diede uno schiaffo in faccia e scosse la testa. "Il braccio! Il braccio!" disse in lacrime, ma mutò subito espressione col viso arrossato. "Il braccio!"
Zoey superò il fratello e mostrò il braccio.
Albert abbassò il fucile con gli occhi lucidi e arrossati. "Sono ovunque Là fuori. Ovunque. I morti! Loro sono morti. Sono ovunque." Ripeteva ossessivamente. Si diede un altro schiaffo in faccia, seguito da altri tre più forti.
Joey spinse la sorella dietro di lui e guardò Nick. "Porta mia sorella giù, io tento di..."
Un sparò echeggiò nel giardino.
"NO!" urlò Zoey.
Joey cadde a terra. La sorella gli si chinò accanto in lacrime.
Albert stava per sparare di nuovo, quando Nick fece fuoco e lo colpì all'addome. Quello indietreggiò, una mano sulla ferita, l'altra sull'arma. Poi sorrise e crollò a terra. "Sono tutti morti... Morti... Morti... Tutti... Morti..." ripeteva con lo sguardo sereno rivolto al cielo limpido, il sangue sgorgava a fiotti dalla ferita "Sono... tutti... morti... Io..." Con le ultime forze si posizionò la canna del fucile sotto la bocca. "Non diventerò... un morto!" Premette il grilletto. Il cranio esplose, schizzando pezzi di ossa e cervella sulla parete, sugli arbusti e sulla porta.
Zoey fissava terrorizzata la ferita insanguinata di suo fratello.
"Sto bene" sorrise Joey. "Mi ha solo preso a una spalla."
"Fammi vedere" aggiunse Nick, osservando la ferita per un po'. "Il proiettile è uscito."
"È una buona notizia?" domandò Zoey.
Annuì. "Devo medicarlo. Andiamo di sopra."
Nick e Zoey lo aiutarono ad alzarsi.
"Ehi, fate piano, ok?" Joey digrignò i denti per il dolore. "Fate piano, cazzo! Piano!"
Mentre si dirigevano verso la porta, una sagoma si mosse lungo la facciata del condominio.
"Ma..." disse Joey, incredulo.
Zoey sbarrò gli occhi.
"È un fottuto mostro!" Concluse Nick.
L'essere si muoveva a quattro zampe, lasciando una scia di sangue al suo passaggio. La muscolatura esposta, lucida, il cervello visibile e una lunga lingua bavosa simile a una frusta. Si fermò, alzò la testa e annusò l'aria. Poi lanciò un inquietante ruggito. Quattro suoi simili sbucarono ai lati della palazzina e lo raggiunsero con rapidi movimenti.
Joey, Nick e Zoey erano scioccati. Non riuscivano a credere ai loro occhi.
I mostri ruggirono e scesero dall'edificio con ampie falcate.
"Merda!" disse Joey.
"Andiamo dentro!" urlò Zoey, in preda al panico.
"No, non ce la faremo" rispose Nick. "Scendiamo nelle fogne. Forza! Fate in fretta!"
"Ma la sua ferita si infetterà" aggiunse la donna.
I quattro Licker balzarono sul terreno e scattarono la testa in ogni direzione per captare i suoni. Uno di loro si avvicinò al cadavere di Albert e lo annusò.
Nick trascinò Joey al tombino, seguito alle spalle dalla sorella. "Scendete. Vi copro io."
Il loro movimento allertò i Licker e la creatura a ridosso di Albert si ritrasse.
Joey allungò a Nick il fucile che aveva tenuto stretto fino a quel momento. "Tieni!"
I cinque Licker ruggirono eccitati e si mossero lentamente verso di loro. Non avevano ancora individuato il punto esatto in cui si trovavano i tre, finché Nick aprì il fuoco.
Il cervello di un Licker saltò in aria.
Le quattro creature ruggirono infuriati e si divisero, muovendosi rapidamente sulla recinzione per accerchiarlo. Il primo Licker venne colpito da una fucilata alla schiena e cadde a terra, stordito. Il piede sinistro del secondo fu ridotto a brandelli. Il terzo balzò sopra di Nick e gli schioccò la lunga lingua bavosa verso la testa, ma colpì il terreno, sollevando zolle di erba e terra.
Il poliziotto gli pressò il fucile sul petto, tenendola a distanza.
Tre Licker si fermarono alle spalle dell'aggressore. Ruggivano, sbavavano e scattavano la testa ad ogni piccolo rumore.
Il Licker sopra a Nick schioccò nuovamente la lingua, ma l'uomo scansò la testa dalla sua traiettoria. Altre zolle di erba e terra si sollevarono dal terreno.
"Nick" gridò Zoey in lacrime dal fondo del tombino. "Nick!"
Mentre la creatura lo schiacciava sotto il suo peso, il poliziotto cercò a fatica di posizionargli la canna del fucile contro il petto. Il Licker si agitava, ruggiva e dalla bocca colavano filamenti di bava che finivano sul volto di Nick, che sentiva l'alito acre del mostro bruciargli la gola e pervadergli i polmoni. Le braccia lo stavano mollando. Non le sentiva quasi più.
"Devo aiutarlo!" urlò Zoey. "Lo uccideranno!"
Nick udì la sua voce lontana e distorta.
"No!" rispose Joey. "Non possiamo fare nulla. Sono troppi! Cazzo, li sento muoversi! Andiamo!"
I tre Licker alle spalle del poliziotto si avvicinarono al loro simile. Uno cercò di addentare la gamba dell'uomo per strapparne un pezzo, ma la creatura che lo teneva a terra gli artigliò la faccia. Nick colse l'opportunità e gli posizionò la canna contro il petto.
Sparò.
Uno squarcio si aprì nel petto della creatura e sangue e pezzi di carne schizzarono in aria.
I tre Licker indietreggiarono un poco storditi dal colpo di fucile, poi si lanciarono verso Nick, che li vide arrivare attraverso l'apertura scavata nel petto della creatura morta.
Si liberò dal peso, gettò Glock e fucile nel tombino e scese rapidamente la scala a pioli. Una creatura calò un braccio all'interno, ma lo mancò per poco. Così schioccò la lunga lingua verso l'uomo, che si lasciò cadere nella melma per non farsi prendere.
I Licker ruggirono infuriati e si allontanarono.
Il poliziotto si alzò, tremante, gli abiti impregnati di fogna e lo stomaco in subbuglio per l'acre odore. Sentiva un forte ronzio alle orecchie, un suono acuto, persistente. Poi il rumore cominciò a scemare, sovrastato dai gemiti di centinaia di zombie bloccati dietro la recinzione del giardino sopra di lui.
Pensò di salire a chiudere il tombino per non fare entrare nessuno, ma non lo fece. Là fuori, in agguato, potevano esserci i Licker pronti a farlo a pezzi. Scacciò quel pensiero e affondò le mani nella melma in cerca della Glock e del fucile. Fu colto da un conato di vomito, ma resistette e dopo un po' trovò le armi.
Cominciò a muoversi lungo il canale che aveva seguito in precedenza con Joey e si fermò a un incrociò a T, proseguendo dritto verso la stanza manutenzione.
La porta era socchiusa.
La spinse lentamente con la canna del fucile e vide i due fratelli. Joey era seduto a un tavolo e la sorella gli fasciava la ferita con un lembo strappato del giubbotto adagiato sul tavolo. Lo stesso giubbotto che il poliziotto aveva visto attaccato all'attaccapanni.
"Nick!" disse Joey, sorpreso e schifato da com'era ridotto.
Zoey si voltò e sbarrò gli occhi, contenta. "Sei vivo!"
Nick non rispose.
"Ti sei fatto una nuotata nelle fogne?" domandò Joey, divertito. "Credevo fossi morto."
Zoey gli si avvicinò con una mano sul naso. "Io... io mi sento in colpa. Ti abbiamo lasciato da solo con quei... con quei mostri." Abbassò lo sguardo, affranta.
Nick non rispose. Sapeva che non lo avrebbero potuto aiutare. Sarebbero morti ancor prima di provarci. Avevano fatto la scelta giusta.
La donna alzò lo sguardo. "Come hai fatto a... a sopravvivere? E... e sei ferito?"
"No, sto bene" rispose Nick, allontanandosi da lei.
La donna tornò dal fratello. "Ma come hai fatto a sopravvivere?"
Nick raccontò loro cos'era successo.
Joey arricciò le labbra, colpito dalla storia. "Woah! Sei un tipo tosto, eh? Non muori tanto facilmente."
"Sono stato fortunato. Come va la ferita?"
"È solo un graffio."
"Un graffio?" disse Zoey in tono accusatorio. "Hai bisogno di medicinali. La ferita è stata esposta a... a quest'aria malsana."
Joey le sorrise. "Ti preoccupi troppo, sorellina."
"Non chiamarmi sorellina. Rischi un'infezione o..."
"Va bene, va bene. Mi arrendo. Faremo come dici tu. Troveremo i medicinali." Poi si rivolse a Nick. "Per fortuna quel pazzo aveva una mira di merda."
"Non prendi nulla seriamente, eh?" chiese Nick.
Joey sollevò le spalle. "Guarda dove ci troviamo." Indicò le pareti. "Siamo in una dannata sala manutenzione, in un dannato condotto fognario e sopra le nostre teste ci sono dei dannati mostri e zombie che vogliono ammazzarci. Non credo sia una buona idea prendere le cose troppo sul serio, non credi?"
"La tua ferita rischia davvero di infettarsi."
"Non succederà."
Nick lo squadrò per un momento. "Come fai a esserne sicuro? Hai visto dove ti trovi? Sei uno scienziato, no? Sai meglio di me come funzionano certe cose."
"Lo so e basta."
"Tu sei solo un idiota" disse Zoey. "Di questo ne sono sicura. Non credere di essere indistruttibile. Anche tu puoi ammalarti."
Il fratello si limitò a sorriderle.
Nick gli si avvicinò. "Sei sicuro di molte cose. Come la mappa nell'armadietto."
"Di nuovo questa storia?" disse Joey un poco irritato. "Si vede che sei uno sbirro."
"Che succede?" domandò Zoey, confusa. "Di cosa parlate?"
"Niente. Cose da uomini" rispose Joey con tono superficiale.
Zoey guardò Nick. "Mio fratello ti ha fatto arrabbiare? Fa sempre questo effetto alla gente."
Nick restò in silenzio.
"Cosa ci faceva quel pazzo fuori dal suo appartamento?" chiese Joey.
La sorella abbassò lo sguardo.
"Allora?"
Nick lanciò uno sguardo alla donna.
"Zoey?" Insistette il fratello.
"Gli ho detto se voleva venire con noi!" sbottò la sorella. "Non potevamo lasciarlo lì. Io..."
"Tu e il tuo fottuto altruismo ci ha fatto quasi ammazzare."
"Mi dispiace, io... io non volevo..."
"Te l'avevo detto di stargli alla larga, ma..."
"Joey" aggiunse Nick. "Smettila."
Il volto del fratello diventò paonazzo. "Non..."
"Smettila di fare lo stronzo."
Joey fissò il volto afflitto della sorella e non disse altro.


 

Pete e Megan si aggirarono cauti tra gli scaffali nel magazzino, soppesando ogni passo. Superarono una serie di pedane e salirono su una piccola piattaforma, dove si trovavano alcuni scatoloni con su scritto fragile.
"Guarda" disse Megan, indicando la scala che conduceva al prefabbricato sul soppalco. "Un ufficio."
"Lo stronzo dev'essersi nascosto lì dentro!" rispose Pete con tono minaccioso.
Megan gli afferrò un braccio. "La smetti?"
Pete si limitò a fissarla.
"Devi calmarti."
"Sono calmo."
"Non lo sei. Vuoi solo prenderlo a pugni. Ti conosco, Pete. Non è la prima volta che vedo quello sguardo."
"Quale sguardo?" chiese Pete, fingendo di non sapere.
"Ti si arrossano gli occhi quando sei arrabbiato. Ti ricordi cosa hai fatto a quell'uomo che mi aveva importunata? Ti ricordi?"
"I miei occhi sono normali."
Megan gli lasciò il braccio. "Promettimi che non farai niente?"
Pete la guardò negli occhi per un attimo. "Va bene."
"Promettilo?"
"Ok, lo prometto. Sei contenta, ora? E poi non hai fatto altro che dirmi che non facevo mai niente, che non aiutavo nessuno." Puntò il dito verso il prefabbricato. "Ecco perché non facevo un cazzo! Perché ci sono delle teste di cazzo come lui che lasciano morire gli altri! Che non fanno un cazzo!"
"Anche tu non hai fatto niente, se non ti costringevo io."
Pete restò in silenzio.
S'incamminarono sulla piattaforma e scesero la scala, aggirando due container. C'era una piccola stanzetta sotto il prefabbricato. Ci entrarono. Era una saletta comune con un piccolo cucinino all'angolo. Sul pavimento, una pozza di sangue rappreso.
"Aspetta" disse Pete. "Vado a controllare dall'altra parte."
"Vengo con te."
"Resta qui."
"No."
Pete sbuffò. "Ok, ma restami alle spalle."
Si diressero verso l'uscita dall'altra parte della saletta. Quando varcarono la soglia, un cadavere era seduto di schiena contro il muro. Avevo lo stomaco squarciato, le viscere di fuori, una gamba mozzata e molteplici morsi sul corpo. Sul viso lacerato s'intravedeva l'ossatura dello zigomo. I due si tapparono il naso per il tanfo di putrefazione.
Pete si guardò intorno. Solo scatoloni, casse e scaffali mezzi vuoti.
"Si è suicidato" disse Pete.
"Come lo sai?" rispose Megan nauseata da quella scena.
"La pistola." L'uomo la indicò con la testa del martello. "La vedi? È sotto le interiora."
"Sì, la vedo. Si è sparato in testa?"
"Beh, la faccia è ridotta male. Quindi è probabile, ma..."
D'un tratto si udì un suono metallico e sussultarono. Qualcuno correva sulla grata sopra le loro teste.
Pete uscì velocemente sulla piattaforma e guardò in alto. La porta del fabbricato si chiuse di colpo.
Megan lo raggiunse poco dopo. "Chi era?"
"Non lo so. Forse lo stronzo che ci ha lasciati morire."
"Ehi!" sbuffò la donna irritata. "Non ricominciare."
Pete le fece un finto mezzo sorriso. "Sono calmo. Molto calmo."
"Prendiamo la pistola. Magari è solo uno zombie."
"Uno zombie che corre?" Sorrise, senza essere ricambiato. "Comunque non intendo mettere le mani in quella merda. Magari è infetta. Forse si diventa zombie in quella maniera."
Megan gli lanciò un'occhiataccia torva e si avvicinò al cadavere.
"Ehi! Che stai facendo?" chiese Pete.
Megan si tappò il naso, allungò una mano sotto le interiore esposte sul ventre e afferrò la 9mm.
A Pete gli venne un conato di vomito. "Perché l'hai fatto? Perché?"
La donna tornò da lui. "Questa la uso io."
"Ora puoi essere infetta. Potresti diventare come loro."
"Sto bene" rispose Megan.
Restarono a fissarsi per un lungo momento.
Pete era infastidito da ciò che aveva fatto Megan. Le voleva dire quanto fosse stata stupida a fare una cosa del genere, ma non lo fece. Sapeva che non l'avrebbe presa bene.
"Comunque non hai mai usato una pistola" disse Pete. "Dalla a me.
"Chi te lo dice?"
"È così."
"L'ho presa io, quindi la tengo io."
"Ok, ma non usarla. Sprecheresti solo proiettili. Quante ce ne sono nel caricatore?"
"Cosa?"
"Di munizioni. Quante ce ne sono nel caricatore?"
"Non lo so."
"Controlla."
Megan osservò la pistola, perplessa.
Pete le sorrise. "Sto aspettando."
"Non prendermi in giro" rispose la donna, infastidita.
"Non lo faccio. Ti sto solo dicendo di controllare il caricatore."
"Lo farò."
"Fallo ora. Che ti costa."
Megan sbuffò. "Tieni. Controllalo tu."
Pete fece un sorriso trionfante e lasciò cadere il caricatore nella mano. "Diciassette pallottole su diciotto." Rimise il caricatore nella pistola. "Ora abbiamo la certezza che si è sparato un colpo in testa. E poi perché aveva la pistola? Era un operaio."
"Chi ti dice che fosse un operaio?"
"Gli indumenti."
Megan lanciò uno sguardo al cadavere. "Capisco."
"Lo so che non hai capito" aggiunse Pete con un sorriso.
"Ti piace sfottermi, eh?"
"Forse."
Megan gli diede un colpetto sul braccio.
"Ahi! Mi hai fatto male?"
"Ma smettila."
Si allontanarono dalla saletta comune e salirono la scala. Seguirono la passerella di metallo, che li condusse al prefabbricato. Le finestre erano oscurate dalle tende veneziane. Pete girò la maniglia e aprì la porta. Era un piccolo ufficio austero, quasi vuoto.
L'uomo grassoccio se ne stava nascosto dietro la spalliera di un divano.
Pete sentì uno strano formicolio in testa, seguita da una vampata di calore nel petto. Alzò la pistola.
Megan si frappose tra lui e l'uomo grassoccio.
"L'hai giurato?" disse la donna. "Me l'hai giurato."
Pete corrugò la fronte, gli occhi arrossati dalla rabbia.
"Ti prego, io..." aggiunse l'uomo grassoccio.
Pete perse il controllo. Sentire quella voce fu come gettare benzina sul fuoco. Spintonò la fidanzata e si diresse verso di lui, che si alzò rapidamente e girò intorno al divano per non farsi acchiappare.
"Pete!" urlò Megan correndogli dietro. "Fermati!"
Lui non la sentiva. Non sentiva niente. Era talmente accecato dalla rabbia, che non cercò nemmeno di sparare all'uomo. Voleva ucciderlo a martellate, fracassargli la testa, ridurla a brandelli.
"Per favore, Pete!" gridò Megan.
L'uomo grassoccio inciampò su un filo collegato a una presa di corrente e cadde a terra.
Pete lo raggiunse e lo prese a calci. Poi gli si mise sopra e lo riempì di pugni in faccia. Quando alzò il martello per spaccargli la testa, Megan gli saltò sulle spalle e gli serrò le gambe attorno al bacino.
Lui scattò in piedi e calò una mano dietro le spalle, afferrandola per i capelli. Stava per colpirla, quando vide il viso di Megan, le mani a protezione della testa.
Pete indietreggiò incredulo e lasciò cadere il martello dalle dita, portandosi le mani fra i capelli. Realizzò solo in quel momento di avere una pistola nell'altra mano. La guardò inorridito e la gettò sulla scrivania.
L'uomo grassoccio sputò un dente sul pavimento, la bocca insanguinata e il labbro superiore spaccato. Si trascinò sui gomiti dietro il divano, terrorizzato.
Megan restò a terra, lo sguardo fissò su Pete, che sbatté la schiena contro la parete e si lasciò scivolare a terra. "Scusami..." borbottò. "Non..." Si zittì, gli occhi fissi nel vuoto. "Avevano ragione... Non riesco a controllarmi... Io... io... non riesco a controllarla... la rabbia..."
Megan si limitò a fissarlo, spaventata. Era la prima volta che Pete si era spinto così oltre. Non aveva mai visto quella parte di lui. Le sembrava di guardare uno sconosciuto, non il suo ragazzo. Quello che la prendeva in giro, che amava viziarla, che a volte la trattava come una bambina per farla arrabbiare per gioco. Non era lui. Non era l'uomo che aveva conosciuto. Dov'era finito?
Pete si portò le mani sulla fronte, nascondendo il viso. "Ora sai perché non mi hanno preso... Marvin me l'aveva detto... La S.T.A.R.S non assume quelli come me... Quelli che non sanno gestire la propria rabbia... Me l'ha ripetuto tante volte... Tante..."
L'uomo grassoccio si asciugò il sangue con la manica della giacca. Ascoltava.
Megan restò sorpresa nel sentire le lacrime rigarle il viso. Lacrime di rabbia, di frustrazione.
"Dovevo arrivare a questo per..." continuò Pete. "Per capirlo... mi dispiace, Meg. Mi dispiace tanto..."
Nell'ufficio scese il silenzio.


 

Joey non aveva più parlato e Zoey si era limitata a fissare i due uomini.
"Credo sia ora di andare" disse Nick.
"Hai cambiato idea?" chiese Joey.
"Su cosa?"
"Sul perdersi nei condotti. Avevi detto che non ne saremmo usciti vivi."
"Infatti non intendo seguirti alla cieca."
"Di cosa state parlando?" domandò Zoey.
"Niente" disse Joey.
"Tuo fratello ha una mappa dei condotti" aggiunse Nick. "E la galleria che dovrebbe portaci al dipartimento di polizia è stata strappata."
"È vero?" chiese la donna al fratello.
"Sì, ma conosco bene questi condotti. Non ci perderemo."
"Hai detto che non entravi da quando eri un bambino, giusto?" disse Nick. "Come fai a..."
Joey sbuffò e si alzò dalla sedia. "Non fai che ripeterti."
Nick si accigliò. "E tu fai che mentire."
Zoey era confusa. "Mentire su cosa?"
"Non intrometterti!" rispose il fratello. "E poi non sa di cosa parla."
Nick fece un sorriso di circostanza. "Bugiardo fino al midollo, eh?"
"Ne ho abbastanza di te." Joey gli si avvicinò e lo fissò dritto negli occhi per un momento. Gli strappò il fucile di mano con un gemito di dolore. Poi si portò una mano sulla ferita dolorante e tornò al tavolo.
Nick restò immobile.
"Perché dice che sei un bugiardo?" domandò Zoey.
"Domandaglielo tu" rispose il fratello.
Zoey guardò Nick, che le spiegò tutto quello che era successo. Alla fine del racconto, lei rimase in silenzio. Joey le lanciò uno sguardo, perplesso, aspettandosi la solita sfuriata da parte sua, invece niente. Solo un pesante silenzio che durò a lungo.
"È mio fratello" disse Zoey. "Io... non so cosa dire."
"Gli credi?" chiese il fratello.
"N-non lo so."
Nick scelse di non dire nulla. Aveva capito quanto i due fossero legati. Zoey non gli sarebbe mai andato contro.
"Io non vi seguirò" aggiunse Nick.
"Bene. Non farlo" rispose Joey tra i denti.
"Ma potete seguirmi."
Joey corrugò la fronte, confuso. "Seguirti? Perché mai dovremmo seguirti? Per andare dove, poi? Non sai nemmeno dove ti trovi."
"Allora dimmelo tu. Dove mi trovo?"
"Sei sotto Uptown. A cinque isolati da Ennerdale Street."
"Non hai nemmeno controllato la mappa."
Joey si limitò a guardarlo con astio.
Zoey li fissava, turbata. "Resta con noi."
"Non sarebbe una buona idea" rispose Nick.
"Infatti" aggiunse Joey, infastidito. "Non lo sarebbe per niente."
Nick andò alla porta e si voltò. "Dov'è l'uscita da questo posto?"
"Torna all'incrocio" aggiunse Joey. "E quando ci arrivi, continua dritto. In uno dei passaggi ciechi troverai una porta. Ti condurrà in superficie." Fece una pausa. "E non andare oltre. Non te lo consiglio."
"Perché?" chiese Zoey, ma il fratello non le rispose.
Nick sapeva che fargli delle domande avrebbe portato solo a un'altra sterile discussione. Girò la maniglia.
"Aspetta!" disse Zoey, avvicinandosi. "Voglio chiederti scusa per come ho reagito quando mi hai detto che eri un poliziotto. Tu... tu non sei cattivo... ci hai aiutati con Albert, con... con i mostri. Ti dobbiamo la vita. Grazie per quello che hai fatto per me e mio fratello."
Nick annuì e lasciò la stanza.
Quando chiuse la porta, sentì i fratelli parlare vivamente. Era curioso di sentire cosa si stavano dicendo, ma s'incamminò indietro verso l'incrocio. Ormai si era fatto l'abitudine a sguazzare nella melma, a sentire le maleodoranti sostanze organiche attorno alle caviglie, il tanfo di fogna nei polmoni.
Giunto all'incrocio, proseguì come gli aveva detto Joey. Non sapeva se gli aveva detto il vero, o se lo stava mandando a zonzo nei canali. Ma qualcosa gli diceva di fidarsi.
Mentre proseguiva, grossi canali di scolo cominciarono a sbucare dalle pareti, con due piccole pedane in cemento che correvano ai lati. Nick ci camminò sopra, evitando di proseguire nella melma.
Ormai camminava da più di cinque minuti e cominciava a credere che forse aveva fatto male a fidarsi di Joey. Poi scorse delle piccole alcove vuote ai lati e si sentì rincuorato.
Trovò la porta di ferro nell'ultimo vicolo cieco.
Più avanti la galleria proseguiva per altri venti metri e si apriva in due condotti laterali.
Gli vennero in mente le parole di Joey. "Non andare oltre." Ma era troppo curioso. Voleva capire perché l'uomo gli aveva detto così. Cosa c'era in quelle gallerie? Il famoso alligatore delle fogne? Gli venne da ridere, ma smorzò subito la risata. Fissò la porta, poi il fondo del canale. Alla fine la curiosità prese il sopravvento.
Raggiunse l'incrocio e guardò da entrambe i lati. Alla sua sinistra c'era solo oscurità, alla sua destra il condotto curvava lentamente a sinistra.
Seguì quest'ultimo, ricordandosi il percorso per tornare indietro. Mentre camminava, cominciò a sentire dei suoni flebili e costanti. Un gocciolare continuo, il lontano stridere del metallo contro qualcosa. Erano rumori inquietanti.
Proseguì lungo il condotto per un momento, finché si fermò. Davanti a lui la galleria era inghiottita dall'oscurità. Le luci lungo le pedane laterali erano state distrutte. Nick fissò il buio per un lungo momento. Lo stridere del metallo diventava via via più vicino. Poi udì un raschiare alla parete. Un rumore insopportabile, che gli fece accapponare la pelle.
La superficie della melma s'increspò. Quando fece per tornare indietro, un grosso muso da rettile apparve lentamente dall'oscurità.
Nick sgranò gli occhi, scioccato. Scorse la faccia enorme di un alligatore, gli occhi gialli, le scaglie olivastre, sporche, sui cui i rifiuti organici si erano appiccicati e colavano. La creatura spalancò le fauci e un acre odore ammorbò l'aria.
Nick venne investito dalla folata putrida e tossì.
L'alligatore emise un lento tremulo gutturale e profondo. Poi si sollevò sulle zanne, mostrando il petto mastodontico.
L'uomo indietreggiò, spaventato. Non riusciva a credere che le storie sull'alligatore fossero vere. Era impossibile. Poi gli balenarono in mente i Licker e tutto divenne ancora più confuso. Si voltò.
La creatura scattò le fauci verso di lui.

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Capitolo 10
*** X. Capitolo ***


Pete si alzò, diede un'ultima occhiata a Megan e uscì dall'ufficio. Posò i gomiti sul parapetto di ferro della passerella e spaziò lo sguardo sugli scaffali polverosi del magazzino. Sapeva di aver perso il controllo. Lo aveva persino confessato, ma una parte di lui lo giustificava. Quell'uomo li aveva quasi uccisi. Era giusto che lo picchiasse. Ma quando ripensava al pestaggio, quella voce spariva, perdeva di valore. Non sapeva più cosa pensare.
"Maledizione" borbottò tra sé. "Sono un poliziotto... Ho giurato di proteggere e servire. Ho..." Si ammutolì, sentendo la porta aprirsi alle sue spalle.
Megan gli si fermò accanto. "Pete" disse in un sussurro.
Lui non riusciva a guardarla.
"So cosa stai pensando in questo momento" continuò lei. "Ti senti in colpa. So che non volevi farlo, ma..."
"Non riuscivo a fermarmi, Meg" rispose Pete. "Non ci riuscivo."
"Lo so."
"Non lo sai, invece. Ero come..." Si zittì e si staccò dal parapetto. "Non è da me. Io non sono così."
Megan si limitò a guardarlo con aria affranta.
La porta si aprì nuovamente. L'uomo grassoccio guardò i due. Aveva il viso tumefatto, il colletto della camicia e della giacca sporca di sangue.
Pete lo fissò per un momento.
Megan li osservò entrambi.
L'uomo grassoccio abbassò lo sguardo. "Scusate se... se vi ho lasciati in strada. Avevo paura. Io... non volevo che..." Incespicava con le parole. "Mi dispiace. Volevo... volevo farvelo sapere."
Pete era a disagio. Una parte di lui voleva prenderlo a pugni e buttarlo di sotto. Lo voleva così tanto che chiuse gli occhi e sospirò. Lanciò un'occhiata alla sua fidanzata, poi guardò l'uomo. "Ho perso la testa. Scusa per..." Gli indicò la faccia con la mano. "Per quello che ti ho fatto."
L'uomo dalla pancia prominente sollevò le spalle. "Beh, dopotutto me la sono cercata."
Megan accennò un sorriso. Era contenta di vedere che i due uomini si erano subito chiariti a modo loro. Un po' strano, pensò. Ma ne era felice.
"Sono Dario Rosso" disse l'uomo grassoccio.
"Pete Anderson."
"Io sono Megan Stuart" aggiunse la donna. "Dovresti mettere del ghiaccio sulla faccia."
Dario si guardò intorno. "Beh, non credo che troveremo del ghiaccio, qui."
Più Pete lo guardava, più una parte di lui si sentiva in colpa. Ma c'era sempre quella sinistra vocina che gli tornava in mente, che gli diceva di spaccargli la faccia a martellate. Se lo immaginava, martellata dopo martellata. Sangue, pezzi di cranio, l'occhio fuori dalle orbite. Scosse la testa e deviò lo sguardo verso il basso.
"Cosa facevi là fuori?" domandò Megan.
Dario abbassò lo sguardo imbarazzato. "Volevo lasciare la città, ma... ma non ci sono riuscito. Voglio dire, sono rimasto qui dentro per molto tempo. Ero chiuso in quel container laggiù, lo vedete? Quello lì. Con me c'era una donna. Mi aveva detto di seguirla, ma non ho voluto. Io... io ero terrorizzato. Non volevo uscire. Non con quei mostri là fuori."
"Quale donna?" chiese Pete, interessato.
"Non so il suo nome, ma sembrava, come dire, piuttosto decisa." Dario guardò il container. "È lì che l'ho vista l'ultima volta. Aveva una pistola e non sembrava per niente spaventata da quello che c'è là fuori."
Pete pensò subito a Jill. Forse parlava di lei.
Poi Dario ripartì di nuovo a scusarsi per averli abbandonati. Erano scuse sincere e si sentiva tremendamente in colpa.
Megan guardò la porta da cui erano entrati. "Quella è l'unica uscita?"
"No, c'è un'altra uscita sotto la passerella. Basta seguirla. Conduce in un vicolo, ma credo sia pieno di mostri."
"Zombie?"
"Sì, qualunque cosa siano quelle cose. Loro..." Fissò un punto nel vuoto. "Loro hanno ucciso mia moglie e la mia bambina... La mia bellissima bambina... Le ho viste morire e non..." Trattene le lacrime, finché cominciarono a rigargli il viso. "È colpa mia. Non ho fatto niente. Niente! Mi chiamavano. Gridavano il mio nome... Le ho lasciate morire..." Si coprì il viso bagnato con le mani, le spalle che sussultavano per i singhiozzi. "Sono un codardo... un codardo."
Pete sentì improvvisamente svanire tutto l'odio che aveva per quell'uomo e un fortissimo senso di colpa gli attanagliò lo stomaco.
Megan non sapeva cosa dire.
"Sono sbucati dal nulla" continuò Dario con gli occhi arrossati. "Hanno invaso l'hotel dove alloggiavamo. Hanno ucciso tutti. Li hanno divorati... e chi moriva, si alzava. L'ho visto. Si alzava. Mia moglie e la mia bambina. Loro... si sono alzate. Erano... erano diventate come loro..."
"Mi dispiace tanto..." disse Megan.
"Come sei fuggito?" domandò Pete.
L'uomo si asciugò il viso con la manica della giacca. "Dalla porta di servizio. Stavamo uscendo dall'ingresso dell'hotel, quando mi sono ricordato di aver dimenticato gli appunti del mio romanzo su in camera. Ho detto a mia moglie di aspettarmi lì. Quando sono sceso..." Si ammutolì per un momento, girando il volto arrossato. "Quei mostri avevano invaso l'hotel... Erano dappertutto. Uno di loro ha cercato di mordermi e sono fuggito dal retro." Scoppiò nuovamente a piangere.
Megan gli posò una mano sulla spalla per confortarlo.
"E come sei arrivato qui?" chiese Pete. "Per puro caso?"
L'uomo grassoccio annuì e si coprì il viso con una mano.
"Pete" disse Megan, fulminandolo con lo sguardo. "Non fargli altre domande!"



 

Nick correva sulla piccola pedana più veloce che poteva. Sentiva il pestoso alito dell'enorme alligatore dietro la nuca e il suo fremito gutturale vibrare sulle pareti. Raggiunse la porta, l'aprì e s'infilò rapidamente nella stanza buia, senza nemmeno controllare chi ci fosse all'interno. Temeva di più l'orrenda creatura.
Restò a fissare la flebile luce che entrava dalla fessura sotto la porta.
L'alligatore emise un strano tremulo, più forte e più intenso di quello precedente.
L'uomo se ne stava immobile, temendo di rivelare la sua posizione. Ma la spaventosa creatura sapeva dove l'uomo si era rintanato. Infilò una zampa nell'alcova, ma l'arto era troppo corto per raggiungere la porta. Tentò più volte di arrivarci, finché udì uno sparo.
Nick non ci fece caso e rimase immobile, il sudore che gli colava dalla fronte, le gambe che sembravano volersi piegare. Mentre l'orrendo alligatore si allontanava con ampie falcate, la recluta rimase a fissare lo spiraglio di luce.
Forse era passata mezz'ora o un'ora, non lo sapeva, ma finalmente si era deciso a muoversi e realizzò solo in quel momento di essere circondato dall'oscurità. Allungò le mani a tentoni, cercando un appoggio. Alle orecchie gli giungevano rumori lontani, confusi. Grida, gemiti e ringhi che si affievolivano quando cercava di capire da dove arrivassero. Poi toccò qualcosa. Un muro. Ci fece scivolare sopra la mano e lo seguì alla cieca.
Proseguiva lento, cauto, sforzandosi di vedere oltre l'oscurità totale.
Poi udì un urlo straziante dietro l'orecchio e trasalì, irrigidendosi per lo spavento. Era una voce da donna. Il terrore gli stava giocando brutti scherzi.
Quando fece per muoversi, altre voci e grida si aggiunsero al solitario urlo, riverberando tutt'attorno.
Qualcosa di freddo gli sfiorò l'avambraccio e si allontanò terrorizzato dalla parete. Si guardò intorno. Solo un'oscurità impenetrabile.
"Cosa cazzo sta accadendo?" si chiese. "Che cazzo succede?"
Le grida cominciarono a stordirlo e si tappò le orecchie per un lungo momento. Poi cercò di nuovo il muro con la mano, ma non trovò nulla. Niente.
Una fitta lo colpì allo stomaco. Un leggero fastidio, che divenne un lancinante dolore. Si piegò in avanti e percepì qualcosa muoversi nel suo addome. Strinse i denti e crollò sulle ginocchia, per poi accasciarsi in posizione fetale.
Qualunque cosa ci fosse al suo interno, la sentiva strisciare verso il suo petto.
Lanciò un urlo e si contorse sul pavimento.
La cosa arrivò alla gola.
Nick si portò le mani sul collo e si toccò la pelle rigonfia. Soffocava, il viso paonazzo, gli occhi fuori dalle orbite, le vene della fronte dilatate.
Quando stava per perdere i sensi, quella cosa strisciò fuori dalla sua bocca e sentì sulle labbra la viscida e squamosa pelle dell'essere. Poi tossì così forte, che gli fece male la base del collo.
Mentre riprendeva fiato, quella cosa cadde sul pavimento con un tonfo. Sussultò. Credeva che quella cosa fosse già strisciata via, invece le era rimasta un poco sui vestiti. Si trascinò con i gomiti fino alla parte, ci appoggiò la schiena e spaziò lo sguardo nell'oscurità. Sapeva che non avrebbe visto niente, ma cercava una luce, qualcosa che gli indicasse come uscire da lì.
Poi percepì un liquido oleoso sulla bocca. Quando fece per pulirsela, toccò solo le labbra screpolate.
Si accigliò. "Sto... sto impazzendo..?"
Le urla ritornarono più intense tutt'attorno. Scattò in piedi e avvertì un principio di vertigini. Restò fermo per un momento, poi seguì il muro. Lento, cauto, una mano poggiata sulla parete. Gli sembrava di camminare all'infinito.
Cercava di non dare troppa importanza alle grida, finché qualcosa di freddo gli accarezzò la mano e un alito di vento gelido gli sfiorò la nuca. Trasalì e si spiaccicò contro il muro, gli occhi sbarrati dal terrore.
Si guardò intorno. Solo tenebre e urla. Chi o cosa l'aveva toccato? E dov'era?
Rimase immobile per un lungo momento. Non sapeva cosa fare. Gli sembrava di essersi catapultato in un incubo da cui non riusciva a svegliarsi.
Posò la mano sul muro e proseguì. Doveva pur esserci una fine, un angolo, una porta, qualsiasi cosa. Il muro non poteva continuare all'infinito.
Poi scorse una luce. Una linea orizzontale. Una fessura fra il pavimento e la porta. Era di un bianco intenso, accecante, eppure i suoi occhi non ne erano infastiditi, ma attratti. Sentiva l'esigenza di toccarla, di entrarci dentro. Non desiderava altro.
Staccò le dita dalla parete e inciampò sui gradini, cadendo bocconi. Non si alzò, ma ci strisciò sopra a fatica. Fissava la luce, il raggio nell'oscurità. Doveva arrivarci, toccarlo. Tutto il resto non aveva più importanza. Quella luce lo svuotava, cancellava tutti i pensieri, i dolori e le angosce con cui aveva convissuto fino a quel momento.
Arrivò sull'ultimo gradino e allungò una mano per toccare quella luce sfavillante.
Venne inghiottito dall'oscurità.
Si sentì mancare il fiato.
"Era... era lì davanti" si disse in un sussurro. "Era lì..." Si portò le mani nei capelli e si cullò la testa avanti e indietro. "Sto... sto impazzendo. Sto impazzendo. Non è impossibile. Non è impossibile. Era lì, l'ho visto. Era lì..."
Le urla diventarono insopportabili e diversi ringhi si aggiunsero all'inquietante coro. Qualcosa gli afferrò un piede, poi l'altro e venne trascinato nel buio, lanciato contro le pareti.
Sputò sangue.
Poi qualcosa di pesante si sedette sul suo petto e lo schiacciò. Non riusciva a vederlo. Tentò di afferrarlo, ma non c'era niente. Nessuno. Cacciò un grido in preda al panico e scorse qualcosa davanti agli occhi.
Un Licker.
Il corpo dalla muscolatura esposta, il cervello visibile, la lunga lingua bavosa che frustava l'aria. Una fioca luce illuminava il volto mostruoso della creatura. Nick non riusciva a distaccarne lo sguardo. Non poteva essere vero. Non potevano averlo trovato di nuovo.
Il Licker gli leccò il viso, lasciandolo sporco di bava. Quando spalancò le fauci per attaccarlo, svanì insieme alla fonte di luce.
Nick indietreggiò con i gomiti. "Dove cazzo sono finito?" si chiese con il cuore che gli martellava nel petto. "Sono morto? Sono all'inferno? Dove cazzo sono?"
Si alzò in piedi e allungò una mano. Cercava il muro. Lo cercava con tutta la disperazione che aveva in corpo. Era l'unica cosa che lo faceva restare sano di mente. Se avesse continuato a seguirlo, prima o poi avrebbe trovato l'uscita.
Le dita si posarono sul muro. Sorrise.
"Devo seguirlo" iniziò a mormorare. "Devo seguirlo. Devo solo seguirlo. Solo seguirlo. Seguirlo." Parole biascicate che si perdevano nella sua mente, nella sua bocca.
Camminava imperterrito nelle tenebre, un passo dopo l'altro. Aveva totalmente perso la cognizione del tempo.
Qualcosa gli afferrò la caviglia. Una mano. Sentiva le dita ossute serrate sui pantaloni pregni di melma. Altre mani sbucarono dal pavimento, lo afferrarono, provarono a tirarlo giù. Le grida si trasformarono in lamenti angoscianti.
Nick cercava di rimanere calmo, ripetendosi che era tutto frutto della sua immaginazione.
Altre mani sbucarono dalle pareti e gli cinsero l'avambraccio. Lo trascinarono verso di loro e lo bloccarono contro il muro. Ne era sommerso. Le sue grida disperate si persero nelle loro. Gli strapparono giubbotto e maglietta facendoli a brandelli. Poi gli conficcarono le unghie nella carne e gli lacerarono la pelle. Una mano cercò di inserirsi nella bocca, ma lui scosse la testa, terrorizzato.
Mentre gli riducevano a pezzi i pantaloni, le mani scomparvero come fumo al vento. Le urla cessarono.
Cadde in ginocchio, gli occhi atterriti che guizzavano nell'oscurità. Sentiva il cuore implodergli nel petto, lo stomaco contorcersi, la bocca asciutta.
Un tetro silenzio era sceso tutt'attorno. Quando si voltò, scorse nuovamente la sottile luce filtrare tra il pavimento e la porta. Urlò.



 

Dario si era calmato e aveva raggiunto la saletta comune insieme a Pete e Megan. La donna si lavò le mani sporche di sangue nel lavello, utilizzando un detersivo per i piatti. Poi presero un caffè e delle patatine dal distributore e si sedettero a un tavolo rotondo. Fuori dal magazzino, i gemiti si erano fatti più intensi, interrotti da grida disperate o da uno o più spari in lontananza. Mangiarono e bevettero in silenzio.
Pete posò il bicchierino di plastica sul tavolo. "Pensavo al tragitto per arrivare alla centrale di polizia. Credo che..."
"Hai ancora intenzioni di andarci?" chiese Megan.
"È l'unico posto sicuro, lo sai."
"Non è sicuro" aggiunse Dario, aprendo il pacchetto di patatine. "Gli zombie l'hanno circondata. L'ho visto prima di venire qui."
Pete lo guardò. "Quando?"
"Non lo so. Forse tre ore fa."
"Magari i sopravvissuti si sono barricati dentro. Forse..."
"Pete" disse Megan. "Faremo meglio a lasciare la città. Non sappiamo se troveremo altri sopravvissuti. Meglio non rischiare."
"Non possiamo andarcene in giro senza sapere dove andare" rispose Pete. "Tutte le strade sono invase o lo saranno comunque. La centrale è l'unico luogo sicuro." Fece un pausa. "Possiamo chiedere aiuto con la radiotrasmittente della polizia."
Dario si cacciò in bocca delle patatine e parlò con la bocca piena. "Ho visto un elicottero schiantarsi sul tetto, ma..."
"E con questo?" domandò Pete.
L'uomo abbassò lo sguardo e si portò altre patatine in bocca.
"Meglio rimanere qui" rispose Megan, bevendo l'ultimo sorso di caffè. "Non sappiamo se la centrale sia sicura. Non mi va di tentare e poi ritrovarmi circondata dagli zombie. Non di nuovo."
"Siamo in un fottuto magazzino!" disse Pete in tono grave. "Per ora siamo al sicuro, ma prima o poi quei fottuti zombie entreranno e ci faranno a pezzi! La porta e le saracinesche non reggeranno a lungo." La guardò dritta negli occhi. "Vuoi rinchiuderti nell'ufficio? Quanto ci metteranno quei cadaveri a sfondare le pareti di gesso?"
Megan abbassò lo sguardo.
"Ci sono i container" aggiunse piano Dario, temendo l'ira Pete. "Possiamo nasconderci lì dentro."
Quello si accigliò e scosse la testa. "Stai scherzando, vero?"
L'uomo grassoccio non rispose.
"Vuoi seriamente chiuderti là dentro?" continuò Pete con fare aggressivo.
"Calmati, Pete" disse Megan. "Voleva solo essere d'aiuto."
Pete sospirò e guardò i residui di caffè nel fondo del bicchierino di plastica. "Voglio solo che tu sia al sicuro. Solo questo. E la centrale mi sembra l'unica soluzione."
"Sembra" sottolineò Megan.
Pete alzò le mani in aria. "Al diavolo, Meg!" Scattò in piedi e lasciò la stanza.
"Che vuole fare?" domandò Dario, preoccupato.
"Nulla di buono" rispose la donna.
Entrambi uscirono dalla saletta comune e lo seguirono. Pete raggiunse l'entrata dove Dario era entrato per la prima volta. Si fermò davanti alla porta e posò una mano sulla maniglia.
"Aspetta!" disse Megan. "Che vuoi fare?"
"Controllo il vicolo" rispose Pete. "E poi andrò alla centrale." Si girò a guardarla. "Sei con me o no?"
Megan era sconcertata. Come poteva piantarla su due piedi se avesse detto di no. "Sei impazzito?"
Pete sbuffò. "Come pensavo." Girò la maniglia e uscì.
Megan gli andò dietro, seguito da un Dario intimorito.
Lo stretto vicolo era vuoto. Pete s'incamminò verso la strada, finché due mani sbucarono da una piccola finestra e cercarono di afferrarlo.
Dario si spaventò e raggiunse la porta.
"Cazzo!" disse Pete, puntando la pistola. L'interno della piccola finestra era avvolta dall'oscurità. Altre mani sbucarono dalle altre piccole finestre laterali. L'uomo indietreggiò.
"Pete" disse Megan. "Torna dentro."
"No. O vieni con me, o resti lì dentro."
"Non dirai sul serio?"
"Ti sembra che stia scherzando?"
Megan lo fissò indecisa per un attimo. Aveva soppesato l'idea di restarne chiusa nel magazzino, ma non senza Pete. Si voltò verso Dario. "Vieni con noi."
"No, io resto qui" disse l'uomo grassoccio, guardando le mani putride agitarsi fuori dalla finestra.
"Ma non puoi restare da solo. Insieme saremo più al sicuro."
Dario si limitò a lanciarle un'occhiata distratta.
"Andiamo, Meg" disse Pete. Si abbassò per non farsi acchiappare dagli zombie e s'incamminò carponi verso la fine del vicolo. Si alzò. "Che aspetti, Meg?"
Dario spaziò lo sguardo sulle mani cadaveriche, poi sui due fidanzati. "Non ce la faccio" disse con il volto sudaticcio. "Non... non ci riesco."
"Avanti" rispose Megan. "Puoi farcela."
L'uomo grassoccio corrugò la fronte e cacciò l'aria dai polmoni. Quando fece per mettersi carponi, un ululato sovrastò i gemiti per un istante. Sbarrò gli occhi e corse goffamente verso la porta, chiudendosi all'interno.
Pete si voltò. Gli ululati si facevano vicini. "Datti una mossa, Meg!"
"Torniamo indietro!"
"No!"
"Ma li senti?"
"Vuoi venire con me o no?"
Megan lo guardò indecisa. Non sapeva cosa fare. Gettò un'occhiata alla porta di ferro, poi verso Pete, fermo in fondo al vicolo. Si chinò a carponi e lo raggiunse, le mani putride che si muovevano sopra la sua testa.
Gli ululati si erano fatti ancora più vicini e giungevano da oltre il vicolo, bloccato da un furgone grigio con la porteria scorrevole aperta. La carrozzeria era puntellata da fori di proiettili. Un cadavere sedeva al posto di guida. Quando ci entrarono, scorsero un branco di cani zombie correre verso la loro direzione. Il tanfo di carne marcia costrinse i due a tapparsi il naso.
Megan strinse terrorizzata il polso di Pete, che le cinse le spalle con un braccio.
Il branco si fermò a cinque metri dal veicolo e fiutarono l'aria. Il cane Alpha drizzò le orecchie mangiucchiate e si guardò intorno.
Megan e Pete restarono fermi e respirarono molto lentamente.
Mentre il branco si voltava a destra, confusi dai molteplici odori nell'aria, il cane Alpha si allontanò e annusò l'asfalto per un lungo momento.
Un violento boato proruppe in lontananza.
Megan strillò per la paura.
I cani zombie voltarono i musi scarnificati verso di lei, poi dalla parte opposta. Si guardarono intorno, spaesati, impauriti, e iniziarono a guaire e indietreggiare. Il cane Alpha alzò il muso verso il cielo e cacciò un lungo ululato.
Il branco si voltò verso la nube di polvere che invase la strada. Una donna correva tra le auto, guardandosi ogni tanto le spalle. Si fermò a pochi passi dal branco, ringhiante. Poi quelli guairono e fuggirono via tra i veicoli imbottigliati.
Jill si girò appena in tempo per scansarsi dalla traiettoria di un grosso pugno. Il Nemesis ne sferrò un altro, ma la donna lo deviò nuovamente.
"STAAAARS!" Mormorò l'essere.
Megan fece per gridare, ma Pete le tappò la bocca con una mano. "Zitta!"
Jill scavalcò una transenna della polizia e sparì tra i veicoli abbandonati, seguita dal Nemesis nella sua andatura rigida e decisa.
"STAAAARS!" "Era Jill" disse Megan.
"Lo so" rispose Pete. "L'ho vista anch'io."
"Quella cosa la sta ancora inseguendo."
"Già."
"Ma perché?"
Pete aggrottò la fronte, perplesso.
"Sembra che ce l'abbia con lei" aggiunse Megan.
"Non puoi esserne sicura."
"A me sembra così." Guardò Pete. "Perché mi hai tappato la bocca? Poteva venire con noi!"
Lui aggrottò la fronte. "Certo, con il suo amico alle calcagna."
"Ma che ti succede? Perché sei così scontroso?"
"Non lo sono."
"Lo sei!"
"Come ti pare." Pete aprì la portiera del conducente, spinse il cadavere a terra e scese dal furgone.
Megan lo seguì poco dopo.
S'incamminarono lungo il marciapiede, tenendosi lontani dai vicoli e dai cadaveri. Il tanfo di putrefazione ammorbava l'aria e pile di cadaveri erano disseminati lungo le pareti degli edifici forate dalle pallottole.
"Fucilati" si disse Pete. "Forse dalle squadre SWAT. Figli di puttana..."
La maggior parte di loro aveva fori in testa. C'erano anche diversi non-morti tra loro, i corpi ridotti a brandelli dai proiettili.
"Quando questa storia sarà finita, voglio vedere proprio come il capo Irons si tirerà fuori da questo casino" borbottò fra sé. "Sempre se quel bastardo non sia già morto."
"Cosa hai detto?" domandò Megan.
"Niente."
La donna si accigliò.
Si fermarono davanti alla cancellata del posto di blocco. Oltre la rete di metallo, a settanta metri, una decina di zombie. Uno era della SWAT. Aveva il casco antisommossa imbrattato sangue e la schiena squarciata da cui s'intravedevano le vertebre. Sacchi di sabbia, un mitragliatore e due furgoni blindati con la parola SWAT in bianco sul fianco della carrozzeria erano disseminati lungo la strada macchiata di sangue rappreso e arti spolpati.
"Come facciamo a superarla?" chiese Megan.
"Ci tocca passare dai vicoli" rispose Pete.
"Ma ci faranno uscire su Mission Street. La stazione di polizia è dall'altra parte, a cinque isolati."
"Lo so, ma non abbiamo altra scelta." Pete scosse la rete metallica. "È solida, visto?"
"Potremo arrampicarci."
"E come supereremo il filo spinato? Rimarremo impigliati. Meglio non farlo."
"Ma..."
"Basta! Si fa come ho detto."
Si allontanarono dal posto di blocco e s'inoltrarono nell'ampio vicolo alla loro sinistra. Due zombie morti giacevano bocconi vicino a una porta di ferro. Cassonetti e bidoni erano ribaltati a terra e alcuni ostruivano loro il passaggio. Quando svoltarono l'angolo, due cani zombie divoravano le interiora di una giovane donna, il corpo ridotto a brandelli. Un braccio mangiucchiato era poco distante dal busto squarciato. Alcune ciocche di capelli sporche di sangue rappreso puntellavano la testa scarnificata.
Le due creature non li notarono, finché Megan indietreggiò e calpestò un barattolo vuoto di aranciata.
Quelli drizzarono le orecchie e puntarono i musi dalle fauci aperte e insanguinate verso di loro.
Pete puntò loro la pistola e Megan gli si nascose dietro le spalle.
I due cani zombie ringhiarono e si divisero per accerchiarli. Si muovevano lenti, guardinghi, le zanne lorde di sangue che gocciolava al suolo.
Appena Pete e Megan fecero per indietreggiare, un cane zombie si scagliò contro di loro. Uno sparo echeggiò nel vicolo. L'animale venne centrato a mezz'aria, nel collo, e crollò a terra. Fece per risollevarsi, ma un proiettile si conficcò nel cranio. Quando Pete puntò la pistola verso l'altro cane zombie, quello gli saltò addosso e la pistola gli scivolò di mano. Lo afferrò per il collo putrido e lo tenne distante dalla faccia che cercava di mordere. Della bava gli colò dalla bocca e finì nell'occhio del poliziotto.
"Vattene, Meg!" urlò Pete, faticando a tenere lontano il muso del cane zombie. "Vattene via! VAI!"
Megan afferrò la 9mm e si avvicinò piano e tremante alle spalle del cane zombie, tutto preso dalla sua preda. Quando gli fu a un passo, prese la mira e gli sparò in testa. La pallottola gli squarciò il cranio e crollò sul fianco.
Il rinculo della pistola le fece scivolare l'arma dalle mani e cadde a terra, facendo partire un colpo. La pallottola centrò un bidone. Pete la guardò sbalordito e si alzò velocemente in piedi. "Grazie, Meg." Raccolse la pistola.
La donna era scossa e tremante.
"Ehi." Le prese le mani. "Va tutto bene."
Megan lo abbracciò con gli occhi lucidi. "Potevi..." singhiozzò. "Potevi morire."
"Lo so." Pete le accarezzò i capelli dietro la nuca. "Ma non è successo."
Lei si staccò di poco dall'abbraccio e lo guardò dritto negli occhi. "Non voglio perderti, Pete. Non voglio."
"Nemmeno io, Meg. Nemmeno io."
Si strinsero forti.

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Capitolo 11
*** XI. Capitolo ***


Pete e Megan si erano rintanati dentro un negozio di abbigliamento. Erano entrati dalla porta sul retro e si erano assicurati che non ci fosse nessuno. Poi erano entrati in quello che sembrava un piccolo ufficio e si erano sdraiati sul divano. Erano stanchi, affamati e tristi. Solo Megan riuscì ad addormentarsi, mentre Pete diede un'occhiata nel negozio.
Si cambiò la giacca con una felpa nera, indossò dei pantaloni di tuta grigia e scarpe da ginnastica bianche. I suoi vecchi vestiti erano ormai lordi di sangue e puzzavano di putrefazione. Li gettò in un angolo e si diresse davanti all'ingresso. La doppia porta e le due grandi vetrate erano chiuse da una saracinesca. Tre zombie vagavano in strada, vicini a un'autobotte. Sporadici spari si udivano in lontananza.
"Là fuori c'è gente che ancora combatte" si disse. "Eppure, non vedo altro che cadaveri. Solo cadaveri. Mi domando se al dipartimento le cose non sono poi tanto diverse. Chissà se Marvin è ancora vivo..."
Pete osservò i non-morti vagabondare fuori dalle grandi vetrate per più di mezz'ora. Andavano e venivano da entrambi le direzioni. Erano sempre gli stessi, ma ogni tanto si aggiungeva una nuova faccia putrida.
Si sedette sul bancone e guardò la 9mm nella mano.
Era stato fortunato. Aveva pensato di morire con quel cane zombie addosso, invece Megan gli aveva salvato la vita. Sulle sue labbra si dipinse un sorriso amaro. Aveva sbagliato a trattarla male. Non lo meritava.
"Sono io quello che dovrebbe essere trattato così. Non lei."
La donna si alzò due ore dopo.
Il sole stava lentamente calando oltre l'orizzonte arancio e gli zombie fuori dall'edificio erano aumentati di numero. Quando si mise seduta sul divano, si accorse che era da sola. Si alzò, frastornata, gli occhi inumiditi, i capelli scomposti.
Lasciò l'ufficio e lanciò una fugace occhiata tra gli scaffali. L'ambiente si era un poco rabbuiato, illuminato solo dalla luce dei tre lampioni in strada.
Pete era ancora seduto sul bancone.
"Ehi" disse Megan quasi in un sussurro. "Ti sei cambiato?"
"Dormito bene?" chiese Pete, senza rispondere alla sua domanda.
"Sì. Tu hai dormito?"
L'uomo sollevò le spalle. "Come potrei? Guarda là." Indicò la vetrata con la pistola.
Centinaia di zombie erano ammucchiati davanti al negozio. Alcuni vomitavano bile sui loro simili. Altri cadevano e venivano calpestati. Un gemere continuo, simile a un mormorio sofferente, giungeva debolmente alle loro orecchie.
Megan era scossa. "Siamo bloccati qui?"
"Forse. Non lo so" rispose Pete. "Non ho ancora controllato il retro."
"Però hai avuto tempo di cambiarti."
"Dovresti farlo anche tu."
La donna lo guardò risentita per un momento e si allontanò.
"Sicuramente ci metterà secoli a indossare qualcosa" si disse Pete.
Mentre Megan si aggirava nel reparto femminile, Pete andò dietro la cassa e controllò i cassetti. Trovò solo matite, penne e fogli. Poi si avvicinò all'interruttore della luce, l'indice fermo vicino al bottone.
"Forse gli zombie sono attratti dalla luce... oppure non lo sono? Beh, meglio non rischiare." Si allontanò e tornò davanti all'ingresso.
I non-morti si erano ammucchiati contro la saracinesca, schiacciati da quelli dietro. "E pensare che un'ora fa ce n'erano solo tre... Non credo che rinchiuderci qui dentro sia stata la scelta giusta. Se il retro è infestato, siamo spacciati." Si sedette inquieto sul bancone e osservò le facce putride degli zombie.
Megan ritornò venti minuti dopo con un espressione più rilassata. Indossava una maglietta blu, sopra a una giacca nera, un jeans attillato e delle scarpe nere.
"Ti sei pure sistemata i capelli?" sorrise Pete. "Come hai fatto? Le luci sono spente?"
"Ho acceso quelle del camerino." rispose Megan.
Pete aggrottò la fronte, confuso. "Ma non ho visto nessuna luce."
"Meglio così, no?" La donna puntò il dito verso gli zombie a ridosso della saracinesca. "Se l'avessero vista..."
"Non sappiamo se sono attratti dalla luce. Stavo giusto per accendere le luci del negozio, quando me lo sono domandato. Ma se fosse così, ci avresti messo in pericolo."
"Ma non è successo niente" aggiunse la donna, risentita.
"Ma poteva succedere."
"Ma non è successo!"
Pete alzò le mani in aria in segno di resa. "Va bene... ma la prossima volta avvisami, ok?"
Megan lo fissò irritata e se ne andò nell'ufficio.



 

Nick si precipitò alla porta e la spalancò, venendo accecato dalle flebili luci dei neon alle pareti. Si coprì gli occhi. Quando la vista si abituò alla luce, comprese di essere nuovamente nel condotto fognario, i piedi impantanati nella melma, l'odore di morte che pervadeva l'aria. Non si era mai allontanato da quella porta. Era rimasto sempre lì, circondato dall'oscurità e vinto dagli abissi della sua pazzia. Si guardò intorno, spaventato, quando l'immagine del mostruoso alligatore gli balenò nella mente.
Si girò verso il punto in cui l'aveva visto l'ultima volta. Restò a fissare l'oscurità impenetrabile per un momento, finché udì qualcosa alle sue spalle. Un eco lontano simile a uno sparo.
"Zoey..." disse fra sé. "Joey!"
Salì sulla pedana di cemento ai lati del canale e corse verso la fonte del suono. Ma non fece molta strada, quando si fermò.
"Cosa diavolo sto facendo?" si chiese. "Non posso fare niente. Quella cosa... Quel mostro mi ucciderà." Poi si guardò le mani. "La mia pistola." Si girò e fissò la porta aperta con fare indeciso. Non voleva rivivere ciò che gli era capitato poco prima. Lo temeva. Non sarebbe riuscito a reggerlo un'altra volta. Non sapeva nemmeno a cosa erano dovute quelle allucinazioni o se in parte fossero stati reali.
Una vocina si fece largo nella sua mente. "Sei un codardo. Uno stupido vigliacco. Hai giurato di servire e proteggere Raccoon City." La voce ghignò. "L'hai giurato, Nick. L'hai giurato. Proteggere e servire."
"Stai zitto! zitto!"
"Lo hai giurato! Lo hai giurato!"
"Zitto!" urlò Nick. La sua voce riverberò lungo il canale.
Rimase in silenzio per un lungo momento e si accorse di avere il petto nudo. Un pensiero si fece largo nella mente.
"Forse... forse sono stato io" si disse. "Ho... ho fatto a brandelli la mia maglietta." Si guardò sotto le unghie. Aveva i polpastrelli arrossati e graffiati. "Perché? Perché l'ho fatto? Forse la melma che avevo addosso mi ha fatto impazzire? Che sia tossica? Che..."
Un ruggito gutturale echeggiò nel condotto.
Nick scattò la testa in entrambe le direzione del canale. Non sapeva da dove fosse partito quel ruggito, così lanciò uno sguardo alla porta da cui era uscito e notò una seconda porta poco più avanti, celata parzialmente nell'oscurità.
"Come ho fatto a non vederla prima?"
Uno zampettare frenetico riverberava lungo le pareti alle sue spalle. Era lo stesso suono che udiva di notte dietro le mura del suo appartamento, ma più amplificato. Qualunque cosa fosse, era ormai vicina.
Quando si voltò, un enorme ragno era appeso nella penombra del soffitto e lo fissava con i suoi molteplici occhi rossi.
Nick si pietrificò, osservando inorridito la folta peluria lungo tutto il corpo e la bocca socchiusa, da cui si intravedevano le zanne appuntite. Appena fece per indietreggiare, l'insetto gli sputò contro un liquido verde chiaro, che colpì il muro e ribollì d'acidità. Poi zampettò rapidamente lungo la parete.
Il poliziotto indietreggiò per un momento, poi si voltò e si lanciò verso la seconda porta di ferro. Un altro gettito gli passò a un palmo dal braccio sinistro e finì nella melma. Quando raggiunse la porta, l'aprì e si chiuse all'interno.
Il grosso ragno ci sferrò contro una violenta zampata, lacerandola un poco. L'insetto ritirò l'arto e un occhio rosso sbirciò nella fessura per un istante. Poi la zampa tornò a conficcarsi nella crepa e vi aprì uno squarcio. La creatura provò ad entrare d'impeto, ma rimase incastrata nella porta.
Nick salì la stretta scala illuminata da due neon alle pareti e raggiunse la porta, girando la maniglia a vuoto. Era chiusa. Lanciò un'occhiata alle spalle e cominciò a colpirla con violenti calci frontali.
Il ragno si liberò e sgambettò rapidamente verso le scale. L'uomo sferrò una forte spallata alla porta, che crollò sul pavimento e sollevò della polvere. Corse lungo il corridoio e raggiunse una porta socchiusa, da cui filtrava un fascio di luce che illuminava la polvere nell'aria. Quando la superò, il mostruoso ragno zampettò nel corridoio.
Nick chiuse la porta e si allontanò, fissandola terrorizzato. Subito dopo il ragno la colpì con veemenza e vi aprì uno squarcio. La recluta si lanciò in un altro corridoio, svoltò a destra e si fermò a un incrocio.
La porta si abbatté sul pavimento con un tonfo. L'insetto sbucò nel corridoio e sgambettò lungo la parete.
L'uomo non sapeva quale direzione prendere. Non voleva finire in un vicolo cieco o intrappolato. Si udì un debole ruggito in lontananza. Trasalì e proseguì dritto, senza guardarsi indietro.
Mentre il ragno superava l'incrocio, un Licker sbucò dal corridoio di destra e lo travolse. Entrambi finirono nel corridoio di sinistra e l'insetto gli artigliò il petto. Il Licker indietreggiò con il sangue che rivolava lungo l'addome e scattò la testa in varie direzione, cercando di captare la posizione del ragno. Quello gli sputò un liquido verdastro sulla scapola, che gli erose il muscolo. Il Licker si dimenò in preda al dolore e frustò la lunga lingua in tutte le direzioni. Quando il grosso ragno si mosse per recidergliela, il Licker lo udì e gli squarciò la faccia con una artigliata. Il sangue schizzò le pareti e il soffitto e uscì copioso dal viso reciso a metà.
L'insetto si dibatté al suolo e il Licker gli tranciò di netto il corpo con la lingua. Appena gli si avvicinò, crollò sul pavimento, scosso da violenti tremori, la bava schiumosa che gli usciva dalla bocca.
Smise di muoversi.
Nick aveva sentito alcuni rumori alle sue spalle, ma aveva continuato a correre. Varcò una doppia porta e se la chiuse alle spalle, tirando un sospiro di sollievo. Non capiva perché il ragno avesse smesso di inseguirlo, ma ne era contento. Quando si allontanò dalla doppia porta, una cacofonia di rumori giunsero dal corridoio. Rimase a fissare la doppia porta per un momento, finché trasalì nel sentire un lacerante ruggito lontano nel corridoio.
Era un Licker.
Si guardò intorno e raggiunse la porta in fondo alla stanza, girando la maniglia. La luce alle sue spalle illuminò il fianco di un vagone treno fermo sulle rotaie. Il resto dell'ambiente era avvolto dall'oscurità. Il tanfo di putrefazione gli arrivò come uno schiaffo dritto nei polmoni. Tossì e si coprì il naso con l'avambraccio scoperto, arretrando nella stanza. Non gli piaceva affatto quell'odore. Forse c'erano zombie o altri mostri nascosti nelle tenebre.
Attese per un lungo momento, gli occhi che guizzavano nel buio. Quando comprese che non c'era nessuno, socchiuse la porta alle sue spalle e scrutò nell'oscurità. Gli occhi si abituarono lentamente alla penombra, che aveva confuso per il buio.
S'incamminò lungo le rotaie, finché scorse una banchina ferroviaria e alcuni post pubblicitari lungo la parete. Un cadavere giaceva su una panca, la faccia scarnificata, il petto squarciato, l'interiora che penzolavano dal ventre. Quando salì sulla banchina, altri corpi puntellavano il pavimento lordo di sangue rappreso. Lo erano persino i finestrini interni dei vagoni treno con le portiere aperte. Nick ne raggiunse uno e guardò dentro. Dozzine di cadaveri mangiucchiati e fatti a pezzi. Alcuni con fori di proiettili in corpo.
Si allontanò.
Quando raggiunse l'ampia scalinata, decine di cadaveri tappezzavano i gradini imbrattati di sangue. Restò a guardarli per un momento, poi salì i gradini, serpeggiò tra i corpi e arrivò davanti a una saracinesca. Ai suoi piedi, un'ampia pila di corpi. Quando cercò di superarla per toccare la rete della saracinesca, una mano ossuta gli cinse la caviglia.
Sussultò.
Una zombie sollevò la testa putrida e gli morse il tacco della scarpa.
Nick le tirò un calcio in fronte e udì uno scricchiolio d'osso. La non-morta non si mosse più, la mano serrata attorno alla caviglia. L'uomo si chinò e la staccò con un po' di fatica. Poi controllò la parte posteriore della scarpa. I denti dello zombie non erano riusciti a penetrare il cuoio.
Si alzò e notò che la saracinesca era abbassata fino a venti centimetri dal pavimento.
"Ora mi spiego questi corpi" si disse. "Hanno provato a strisciare sotto." Lanciò un'occhiata ai cadaveri crivellati dalle pallottole di grosso calibro. Molti di loro non avevano più la fronte e alcuni nemmeno la testa. "Volevano tenerli qui..." si disse. "Figli di puttana..."
Si spostò accanto alla pila di cadaveri, posò le mani sotto saracinesca e tentò di sollevarla. Era bloccata. Al di là della rete metallica, una sbarra di ferro era conficcata dentro un quadro elettrico collegata alla saracinesca.
"Chiunque sia stato, spero sia morto!"
Portò nuovamente le mani sotto la saracinesca e la sollevò a fatica, facendosi leva sulle ginocchia, che urtarono contro i cadaveri. Mollò la presa e la saracinesca tornò nuovamente nella stessa posizione.
"Cazzo!" Sferrò un pugno a martello contro la rete metallica e si allontanò un poco dalla pila di corpi. Li osservò per un momento, soffermandosi su quelli che avevano ancora la testa sulle spalle. Poi cominciò a trascinarlo contro la parte di destra, finché creò un piccolo spazio per poter allargare meglio le gambe. Afferrò la saracinesca da sotto e la sollevò con tutta la forza che aveva nelle braccia. Quando raggiunse l'altezza del suo petto, il viso gli diventò paonazzo per lo sforzo e le vene del collo e della fronte si dilatarono.
"Cazzo!" Diede un'ultima spinta in alto sopra la sua testa e passò rapidamente dall'altra parte. La saracinesca si schiantò violentemente sull'avambraccio di un cadavere, tranciandolo in due, e fece implodere la testa di un altro. Sangue e pezzi di cranio schizzarono sui pantaloni strappati e le scarpe.
Quando si piegò in avanti per riprendere fiato, udì una cacofonia di ululati e abbai riverberare nel corridoio. Drizzò il busto, terrorizzato, il cuore che gli martellava nel petto. Corse lungo il corridoio dalle pareti tappezzate di poster pubblicitari, svoltò a destra e salì velocemente i gradini macchiati di sangue. Arrivato in cima, una decina di cadaveri erano riversi sul pavimento del corridoio. Serpeggiò tra i corpi, finché uno zombie gli afferrò un piede e cadde a terra. Si rialzò subito e continuò a correre.
Gli ululati si avvicinavano sempre più alle sue spalle.
Seguì il corto corridoio e uscì in un ampio salone illuminato da grandi lampadari al soffitto. Si fermò e sbarrò gli occhi, inorridito. Il tanfo di morte gli fece vomitare bile. L'intero ambiente era un tripudio di morte. Centinaia di cadaveri puntellavano il pavimento di mosaico lordo di sangue rappreso e arti mozzati. Si diresse verso l'uscita, i passi che riverberavano tutt'intorno.
I cani zombie sbucarono dalle scale da cui era venuto.
L'uomo scavalcò un tornello, saltò oltre i corpi ammassati lì vicino e continuò a correre.
Il branco di cani zombie scattò verso di lui.
Mentre usciva fuori dalla metropolitana, il riverbero dei loro abbai lo spaventarono così tanto che inciampò e cadde a terra. Scattò in piedi e continuò a correre, finché si fermò nell'ampio spiazzo fatto di vialetti, panchine, piccoli giardini curati e due larghe scalinate che scendevano ai lati. Centinaia di corpi squarciati puntellavano ogni centimetro del luogo.
La luce morente del sole stava lentamente calando dietro i tetti dei palazzi.
I cani avevano quasi raggiunto l'uscita.
Nick si guardò in giro. Non poteva correre per sempre. Prima o poi si sarebbe stancato e lo avrebbero raggiunto, sempre se non lo avessero fatto a pezzi prima. Corse dietro una fila di cespugli curati e si abbassò, sbirciando tra i rami.
Il cane Alpha uscì dalla stazione e alzò il muso putrido in aria, seguito poco dopo dagli altri sette. Si guardò intorno. Non era sicuro dell'odore che aveva sentito. Il tanfo di putrefazione ammorbava completamente l'aria e assopiva persino l'odore del fumo che fuoriusciva dal secondo piano di un condominio.
Il cane zombie s'incamminò lentamente lungo lo spiazzo, seguito dal branco. Nick li vide sparire dietro un parapetto di marmo e sentì un raspare frenetico per un lungo momento.
Scese il silenzio.
Il cane Alpha puntò il muso nella direzione dell'uomo, gli occhi vitrei, il cranio scarnificato.
Il branco gli si avvicinò e si fermò a qualche metro dal cespuglio. Il cane Alpha annusò il pavimento per un momento. Poi alzò il muso in aria e ritornò ad annusare il suolo, camminando fra i morti. Il resto del branco lo seguiva in silenzio, senza fare niente.
Nick sentiva le labbra asciutte, la gola secca. L'acre odore dei cani zombie diventò così insopportabile, che si vomitò bile sulla mano.
Il branco scattò la testa nella sua direzione, le orecchie drizzate. Lo avevano sentito. La recluta sbarrò gli occhi, terrorizzato, il vomito che gocciolava dalle dita.
Una raffica di spari echeggiò tra gli edifici.
Il branco si voltò alla loro destra e il cane Alpha emise un lungo ululato. Poi scattarono rapidamente lungo lo spiazzo, scavalcarono una fila di siepi e si lanciarono sul manto erboso, balzando da sopra la balconata centrale che dava sulla strada e svanirono in lontananza, insieme alla cacofonia di abbai.
Quando Nick uscì da dietro i cespugli, erano passati più di dieci minuti. Si pulì i pantaloni strappati dalla polvere e notò i graffi lasciati dai rami sull'avambraccio sinistro.
Cominciava a sentire freddo. Doveva trovarsi qualcosa da mettersi addosso.
Si avvicinò cauto alla scalinata che scendeva in strada e guardò in basso. Sette cadaveri giacevano sui gradini spolpati fino all'osso. Scese la scala e arrivò sul marciapiede. Nessuno zombie in vista tra i veicoli imbottigliati nelle due corsie a doppio senso.
S'incamminò verso un posto di blocco, il cui cancello era stato abbattuto insieme a una piccola sezione della rete metallica. Un camion con rimorchio era poco distante.
Proseguì in quella direzione senza badare a nulla in particolare. Ogni tanto si udivano degli spari e qualche ululato in lontananza.
Quando si fermò al posto di blocco, l'asfalto era pieno di bossoli e arti mangiucchiati. Nessun cadavere. Si accigliò confuso e continuò a camminare.
Appena svoltò l'angolo, un'orda di migliaia di non-morti era ammucchiata lungo l'arteria di Ennerdale Street. Erano talmente tanti, che Nick non riusciva a vederne la fine.
Si appoggiò con la schiena dietro l'angolo di un edificio e spiò. "Perché non gemono?" si chiese. "Lo fanno sempre..."
Poi scorse qualcosa muoversi lungo le finestre di un condominio con la coda dell'occhio.
Un Licker.
Zampettava rapidamente lungo la facciata dell'edificio lasciandosi dietro una scia sanguinolenta. Saltò sul condominio di fronte e scomparve dentro una finestra rotta.
Nick restò paralizzato dal terrore. L'ultima volta ne era uscito vivo solo per miracolo. Non li voleva più vedere. Doveva a tutti costi starne alla larga. Poi pensò al ruggito nel canale fognario. "Forse il ragno non mi ha più inseguito, perché... Forse avevo alle calcagna anche uno di quei mostri?"
Scacciò via i pensieri e fece un lungo respiro, lasciandosi alle spalle l'orda di zombie. Tornò indietro e raggiunse un negozio di abbigliamento. Era chiuso da una saracinesca. Scosse la rete. Il rumore attirò alcuni zombie dell'orda, che si staccarono e barcollarono verso la fonte del suono.
Quando Nick si voltò, i non-morti avevano svoltato l'angolo. Li fissò preoccupato e si allontanò, tornando sotto la balconata centrale dello spiazzo. Lanciò un'occhiata agli zombie, che vacillavano verso di lui, e s'incamminò nella direzione opposta.
La strada era tempestata da una fila interminabile di veicoli. Molti cadaveri sviscerati giacevano sui marciapiedi e pochissimi sull'asfalto. Quando sentì un terrificante ruggito di un Licker provenire dai tetti, aumentò il passo. Si mantenne raso agli edifici, lo sguardo fisso sui cornicioni. Non avvistò nessun Licker, ma alcuni zombie iniziarono a spuntare dagli incroci. Erano pochi, ma percepirono subito la sua presenza e gli andarono dietro. La recluta continuò a camminare a passo sostenuto, guardandosi ogni tanto alle spalle. Ad ogni isolato, si aggiungevano altri zombie al piccolo esercito che aveva alle calcagna.
"Forse quell'orda che ho visto prima, è stata attirata da qualcuno" si disse. "Forse da Zoey e Joey?" Scacciò subito quel pensiero, che venne soppiantato da uno peggiore. "Forse... forse sono morti... Gli spari nel canale... L'alligatore..."
Svoltò a sinistra di un condominio e si fermò. Un sorriso si dipinse sul suo volto. In lontananza, le lettere R.P.D spiccavano alte sul tetto del dipartimento di polizia, illuminate da due luci.

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Capitolo 12
*** XII. Capitolo ***


Gli zombie tartassarono di pugni la serranda del negozio di abbigliamento. Un fracasso continuo, che attirò tutti i non-morti nelle vicinanze. Pete se ne stava seduto sul bancone e fissava le loro facce decomposte e lacerate. Non sapeva se riuscivano a vederlo nella penombra, ma tutti gli zombie si erano ammassati lì davanti. Forse avevano capito che c'era qualcuno all'interno.
Scese dal bancone e si diresse verso il piccolo ufficio. Aprì un poco la porta, osservando Megan sdraiata sul divano. Sorrise e la richiuse. Raggiunse la porta sul retro e ci appoggiò un orecchio. Nessun rumore dall'altra parte. Rimase così per un momento, poi spinse la maniglia.
Il vicolo era vuoto. Alla sua sinistra, in fondo alla via, una sagoma avanzava nella penombra di un lampione rotto.
"Sembra una persona" si disse Pete. "Magari ha bisogno di aiuto."
Quando gli si avvicinò, quello cominciò a zoppicare verso di lui. Era uno zombie, l'osso dello zigomo destro visibile, il ventre squartato da cui pendevano i resti dello stomaco.
Pete gli puntò la pistola, ma l'abbassò subito dopo. "Meglio non sparare. Credo che gli zombie siano attratti dai rumori."
Si guardò intorno. Una scopa spezzata a metà era accanto a diversi sacchi dell'immondizia. La prese e aspettò che lo zombie gli si avvicinasse, poi gliela conficcò nel petto.
Sbarrò gli occhi.
Il non-morto era ancora in piedi, gli afferrò un braccio. Pete venne preso alla sprovvista e provò a puntargli la pistola alla testa, ma quello scattò i denti a un palmo dalla sua faccia.
Il poliziotto indietreggiò sospinto dalla forza sovrannaturale dell'essere e sbatté le spalle contro il muro. Non riusciva a tenere ferma la pistola. Lottava per liberarsi dalla presa, ma ad ogni movimento le forze diminuivano. L'alito putrefatto gli pervase i polmoni. Tossì.
Lo zombie si fece più violento, tentando affondargli i denti nel collo.
Il poliziotto gli sferrò un calcio disperato agli stinchi, ma quello gli sfiorò la guancia sinistra con i denti.
L'uomo gli sferrò un altro calcio.
CRACK! Lo stinco destro dello zombie si spezzò in due e l'osso fuoriuscì dal polpaccio.
Pete si liberò dalla presa, ma venne subito agguantato per le spalle e trascinato a terra. La pistola gli scivolò di mano. Il non-morto gli strisciò sulla schiena, quando crollò su di lui, che avvertì un liquido sulla nuca. Poi qualcuno gli tolse di dosso lo zombie.
"Ehi! Stai bene?" chiese una voce maschile.
Pete si girò di scatto.
Davanti a lui c'era un uomo di bell'aspetto, pelle chiara, capelli castano chiari a caschetto e occhi verdi tendenti all'azzurro. Indossava l'uniforme della polizia di Raccoon City.
Pete non lo aveva mai visto prima d'ora alla centrale. Lo osservò scosso per un po'. Poi lanciò uno sguardo sullo zombie e di nuovo sull'uomo, che gli tese una mano e lo aiutò ad alzarsi.
"Devi colpirli in testa" disse lui in tono pacato. "Solo così puoi ucciderli." Prese da terra la pistola di Pete e gliela rese.
"Grazie" aggiunse Pete poco stordito. Poi si ricompose. "Sono Pete Anderson, agente di polizia di Raccoon City." Gli allungò una mano.
L'uomo gliela strinse con un sorriso. "Leon Kennedy."



 

Nick fissava felice le lettere bianche R.P.D sul tetto dell'edificio, ma quella sensazione venne subito sradicata dal suo volto. Centinaia di non-morti erano a ridosso del muro perimetrale della centrale. Erano così ammassati che quelli al centro non riuscivano a muoversi.
"Adesso come diavolo faccio a entrare nel dipartimento?" si domandò. "E se gli zombie l'avessero già invaso?"
Cinque non-morti si staccarono dall'orda e gli andarono incontro. Nick si abbassò, si diresse dietro una berlina grigia e sbirciò dal lunotto. Gli zombie continuavano a vacillare verso di lui. Ormai avevano sentito il suo odore. Non poteva restare fermo. Si alzò e si spostò da un veicolo all'altro, cercando di confonderli.
Non funzionò.
"Come cazzo fanno a sapere dove sono?" si chiese, frustrato.
S'incamminò a passo sostenuto nel vicolo alla sua destra, ignorando gli zombie alle sue spalle.
Due cadaveri erano dentro un grosso cassonetto. Entrambi crivellati di proiettili. Proseguì per un po', finché svoltò l'angolo e si fermò in un piccolo spiazzo. Una decina di corpi giacevano ai piedi di un muro forato dalle pallottole e macchiato di sangue rappreso.
"Li... li hanno messi in fila e fucilati..."
Un furgone nero era poco lontano, vicino a tre tavoli dalle gambe pieghevoli sporchi di sangue. Un altro cadavere diviso in due era in fondo al vicolo, il busto a diversi metri dalle gambe.
Era un agente della SWAT.
Non aveva più il casco protettivo e la schiena era stata squarciata e divorata. Nick si guardò intorno. "Forse avrà perso l'arma quando è morto." La cercò per un po', ma non trovò niente.
"Forse l'avrà presa qualcuno."
Uscì dal vicolo e s'incamminò alla sua destra. Un pullman era stato abbandonato di sbieco e bloccava la strada, la testa di una donna appoggiata su uno dei finestrini imbrattati di sangue secco.
La recluta si guardò intorno per un momento, poi entrò cauto nel bus e guardò inorridito i cadaveri sui sedili. Il tanfo di putrefazione lo fece tossire e si coprì il naso con una mano. Quando attraversò lentamente il corridoio interno, una mano gli afferrò una caviglia e la testa di uno zombie sbucò da sotto un sedile. Gemette e scattò i denti verso il suo polpaccio.
L'uomo spostò la gamba, ma il non-morto si aggrappò all'altra e lo fece cadere all'indietro. Batté la testa e si sentì un poco stordito.
Lo zombie gli s'inerpicò sopra e cercò di affondare i denti nell'addome.
Nick lo spinse a lato con le gambe e scattò in piedi. Il non-morto gli allungò una mano scarnificata verso il piede, ma la recluta gli schiacciò la faccia con la pianta del piede. Quello non accusò il colpo, così lo colpì diverse volte, finché il cranio gli implose sotto la scarpa. La materia grigia colò sul pavimento e gli si appiccicò sotto il piede. Si piegò in avanti e recuperò il fiato. Poi controllò la suola delle scarpe, scrollandosi via pezzi di cervello e cranio.
Sotto e sopra i sedili passeggeri c'erano solo cadaveri, borsette da donna e un libro dalle pagine macchiate di sangue. Un palo della luce aveva trapassato una parte della parabrezza e si era conficcato nel petto del conducente, che aveva ancora gli occhi sbarrati.
Nick passò attraverso il parabrezza, facendo attenzione a non tagliarsi con i vetri. Una dozzina di zombie vagavano fra i veicoli imbottigliati, che si perdevano all'orizzonte. Seguì per un tratto il muro perimetrale della centrale di polizia e si fermò dietro un albero. Il cancello da cui si accedeva al garage era bloccato da un ammasso di non-morti.
"Saranno una trentina" si disse. "Forse meno. Se riesco a distrarli, forse riuscirò ad entrare."
Ci pensò per un momento, senza trovare un'idea. Si alzò e si nascose dietro il portabagagli di una monovolume.
Una mano ossuta urtò contro il finestrino dell'auto accanto, seguita da una faccia cadaverica che batteva i denti. Trasalì e si spostò accanto a un'altra macchina, arrivando a diversi metri dal cancello.
I non-morti non si schiodavano da lì. Qualcosa li attirava.
Due poliziotti giacevano al suolo con la faccia e le gambe spolpate fino all'osso. Un furgone SWAT con le portiere posteriori aperte era vicino al cancello e una Beretta era accanto alle ruote del veicolo.
Nick ci passò accanto e la notò con la coda dell'occhio. Quando l'afferrò, tre zombie sbucarono dietro il furgone e barcollarono verso di lui, che si voltò e sussultò nel vederseli davanti. Puntò loro la pistola e premette il grilletto.
CLICK!
"No, no, no, non può essere scarica, cazzo!" borbottò tra sé, attirando l'attenzione di altri non-morti.
CLICK! CLICK! CLICK!
Uno zombie gli afferrò un avambraccio, ma Nick gli fracassò il cranio con il calcio della pistola. I non-morti lo avevano circondato. Altri ne arrivavano alle spalle. Non poteva più fuggire. Si arrampicò rapidamente sul tettuccio del furgone SWAT e si guardò intorno. Gli zombie gli si chiusero attorno, le mani protese verso di lui. Quelli davanti vennero schiacciati contro la carrozzeria da quelli che premevano alle spalle. Altri caddero e vennero calpestati.
I gemiti diventarono assordanti.
Quando si girò verso il dipartimento, gli sembrò di scorgere una luce attraverso una delle finestre del primo piano, che si spense poco dopo. Forse se l'era immaginato. Nelle fogne aveva visto cose che non esistevano, o almeno così credeva.
"Forse... forse c'è qualcuno" si disse felice, dimenticandosi dei non-morti. "C'è qualcuno!"
Si udì una raffica di spari, seguito da un forte boato, in lontananza.
Alcuni zombie si voltarono verso la fonte del suono. In fondo alla strada, coperta da una coltre di polvere, un enorme mostruosità uscì da uno squarcio nel muro di un edificio. Imponente, spalle massicce e con la testa calva, il viso austero. Indossava un impermeabile grigio. S'incamminò rigido e deciso verso una donna con la giacca di pelle rossa, che scappava nella direzione di Nick. Poi quella svoltò in un vicolo laterale, seguita dall'essere e un nutrito gruppo di zombie.
I non-morti attorno al furgone si erano allontani. Quelli davanti al cancello barcollarono verso il vicolo, ammucchiandosi con gli altri.
Nick saltò giù, corse al cancello e girò la maniglia. Era chiuso a chiave. Una decina di non-morti tornarono indietro nella sua direzione. Venne preso dal panico. Non sapeva cosa fare. Fissò gli zombie avvicinarsi per un momento. Poi si voltò, si arrampicò lungo le sbarre del cancello e saltò dall'altra parte.
Gli zombie sbatterono contro il cancello, le mani protese tra le sbarre.
La recluta tirò un sospiro di sollievo e si piegò sulle ginocchia con un sorriso. Finalmente era nel cortile interno della centrale. Non poteva crederci. Quando si girò verso il parcheggio sotterraneo, qualcosa lo afferrò per la spalla e lo tirò verso di sé.
Nick si liberò dalla presa e lo spintonò via. Sbarrò gli occhi, affranto.
Bateman vacillava verso di lui, la faccia scarnificata, il braccio sinistro mangiucchiato.
La recluta indietreggiò. Non poteva credere che Jonathan fosse diventato uno zombie. Forse l'intera centrale ora pullulava di non-morti.
Bateman cercò di afferrarlo, ma Nick si spostò a lato e lo face cadere a terra. Lo guardò rialzarsi lentamente. Non riusciva a ucciderlo. Conosceva Bateman da quando era stato assegnato al dipartimento di polizia di Raccoon City. Era stato una figura di riferimento per tutti gli agenti, così come lo era diventato anche per lui. Mentre pensava, lo zombie lo spinse contro il cancello. Molteplici mani cadaveriche inghiottirono il suo corpo.
Bateman gli fu addosso, ma lui lo tenne distante con le mani premute sul petto. Le numerose dita degli zombie cercavano di graffiarlo, di strappargli la pelle, ma s'intralciavano tra loro.
Nick fissò gli occhi vitrei di Jonathan, e comprese che l'uomo che aveva conosciuto non c'era più.
I denti di Bateman scattarono a pochi centimetri dal suo collo. Poi la testa esplose in mille pezzi, schizzandogli la faccia di materia grigia e pezzi cranio. Si liberò dalla presa delle altre mani e si pulì il viso con l'avambraccio.
"Nick!" disse una voce da uomo.
La recluta si pulì gli occhi. Sorrise.
Marvin era a pochi passi da lui.
Quando fece per raggiungerlo, il tenente gli puntò la pistola alla testa. "Non muoverti!"
Nick si accigliò. "Marvin, sono io, Nick. Nick Layers."
"Sei stato morso?" domandò il tenente, guardingo.
Lui si tastò il corpo. "No, sto bene. Sono intero, almeno credo."
Marvin gli girò attorno in cerca di morsi. Poi abbassò l'arma. "Mi dispiace, Nick. Ma non volevo rischiare. E poi da come vai conciato sembri proprio uno di loro. Ho pensato che ti avessero morso."
Nick non sapeva cosa dire.
Marvin abbozzò un sorriso, confuso. "Perché te ne vai in giro a petto nudo? E poi cos'è quella cosa che hai addosso? Sembra che tu ti sia fatto un bagno nelle fogne."
Nick si portò una mano dietro la testa, imbarazzato. "Eh... diciamo che è una lunga storia."



 

Pete e Leon entrarono nel negozio di abbigliamento. Quest'ultimo notò gli zombie ammucchiati davanti alla facciata dell'edificio. "Quella serranda verrà giù a momenti. Non è sicuro restare qui dentro."
"Non sono qui per restare" rispose Pete. "Devo avvertire la mia fidanzata." Raggiunse il piccolo ufficio e aprì la porta.
Megan era sdraiata sul divano. Quando sentì il cigolio della porta, si tirò su. "Pete! Dove diavolo sei stato?" Gli andò incontro e lo abbracciò.
"Volevo vedere se il vicolo era sicuro."
La donna si staccò un poco dall'abbraccio. "Non farlo mai più, capito? Non farlo mai più!" Solo in quel momento si accorse di Leon. Si accigliò, confusa.
Lui abbozzò un sorriso, a disagio. "Ehi, mi chiamo..."
Le vetrate del negozio esplosero in mille pezzi. I tre si precipitarono fuori dall'ufficio.
Leon si posizionò all'entrata. "Fuggite dal retro! Andate!" Sparò contro i primi zombie che invasero il negozio. Il primo venne centrato in un occhio, il secondo in fronte.
I fidanzati raggiunsero la porta sul retro, l'aprirono e attesero che Leon li raggiungesse. Poi la chiusero.
"Da questa parte!" disse Leon.
I non-morti sbatterono sulla maniglia della porta e, pressati da quelli alle spalle, riuscirono ad aprirla. A dozzine si riversarono nel vicolo.
I tre si fermarono davanti a una scala antincendio.
"Salite" aggiunse Leon. "Vi copro io!"
I gemiti si fecero più intensi.
Megan salì sulla scala a pioli e arrivò sul primo pianerottolo, seguita da Pete. Poi lei indicò una sagoma sulla facciata di un condominio poco distante. "Cos'è quella cosa?"
"Dannazione!" disse Leon. "Riparatevi in un appartamento. Non andate sui tetti!"
Il Licker zampettò lungo l'edificio, lasciando una scia di sangue al suo passaggio. Leon ignorò i non-morti che barcollavano nella sua direzione e sparò contro la mostruosa creatura. Le pallottole picchiarono contro il cemento. La creatura balzò a terra e corse fra gli zombie, schiacciandoli o facendoli a pezzi con gli artigli.
Pete si tolse una scarpa e la tirò contro la finestra del primo piano mandandola in frantumi. Con l'altra spazzò tutti i pezzi di vetro e aiutò Megan ad entrare. Poi guardò giù.
Leon inserì il caricatore nella pistola, la puntò verso il Licker e attese che questo si avvicinasse per sparargli. La creatura cambiò improvvisamente traiettoria e balzò sul primo pianerottolo della scala antincendio, facendola tremare sotto il suo peso.
I due fidanzati lo fissarono, terrorizzati. La creatura stava per schioccare la lunga lingua contro Megan, quando venne colpito alla schiena da diversi proiettili. Ruggì.
"Entrate dentro!" urlò Leon, sparando alla creatura.
Il Licker cadde all'indietro, ma si aggrappò con una mano al parapetto della scala antincendio. Questa, tremando un po', si staccò dalla parete e crollò sulla creatura.
Leon si scansò in tempo, ma venne afferrato da uno zombie.
"L'hanno preso, Pete!" gridò Megan con tutta la voce che aveva in corpo. Il frastuono dei gemiti attutiva ogni rumore.
Pete prese la mira e sparò in testa allo zombie. Leon indietreggiò, lo ringrazio con un accenno della testa e gli urlò qualcosa, che lui non riuscì a capire. Poi corse dall'altra parte del vicolo e svoltò l'angolo.
"Che voleva dire con i tetti?" chiese Megan.
"I tetti?"
"Non hai sentito? Prima ha detto qualcosa sui tetti."
"Non ho sentito niente con questo casino."
Megan lo guardò per un momento.
"Forse voleva che andassimo sui tetti" disse Pete.
"Ma hai visto quel mostro? Può essere pieno di quelle cose là sopra. Non credo abbia detto così. Forse voleva che non ci andassimo. Avrebbe più senso."
"Non possiamo rimanere qui."
"Perché no? Siamo al sicuro."
"Non puoi saperlo. Non abbiamo ancora controllato le altre stanze. Possono esserci degli zombie. E poi quelle cose possono strisciare fino a quassù. Per non parlare di quella cosa che stava per ammazzarci. Può entrare dalle finestre."
Megan restò in silenzio per un attimo. "Ma possono salire anche sui tetti."
Pete si allontanò dalla finestra. "Lo so, ma non possiamo restare qui. Sarà meglio raggiungere la..."
"Non dirmi che vuoi ancora andare alla centrale?" domandò Megan, stizzita. "Dopo tutto quello che abbiamo passato, vuoi ancora andare lì?"
"Possiamo trovare altra gente. Insieme siamo più forti."
Appena Megan fece per parlare, Pete uscì dalla stanza. Lei gli andò dietro.
Il soggiorno era in ordine. Perlustrarono la cucina, il bagno e la camera da letto, ma non trovarono nulla. Sul muro, accanto alla porta d'ingresso, un'impronta di una mano insanguinata.
"Resta dietro di me" disse Pete.
"Rimaniamo qui dentro. Siamo al sicuro. Basta non fare rumore."
Pete le lanciò un'occhiata, poi girò la maniglia.
Un cadavere era seduto di schiena contro la parete di fronte del corridoio, la gola squarciata, il braccio sinistro interamente mozzato. Nella mano destra, una coltello da cucina. Il sangue rappreso imbrattava le pareti e il pavimento.
"Prendi il coltello e stammi dietro" disse Pete.
Si lasciarono alle spalle i sei appartamenti laterali e salirono cauti la tromba delle scale. Al secondo piano trovarono una valigia accanto a una porta socchiusa.
"Continuiamo a salire" aggiunse Pete.
Nel terzo e quarto piano non trovarono nulla. Al quinto, due zombie immobili al centro del corridoio.
"Stai qui" sussurrò Pete. "Me ne occupo io."
"No. Lo faremo insieme" rispose Megan.
"Senti non..."
"Basta, Pete! Mi fai sentire inutile. Quindi fatti aiutare! Posso farcela."
Pete annuì.
Mentre si avvicinavano di soppiatto ai due non-morti, quelli avvertirono il loro odore già a quattro metri di distanza. Il primo allungò le mani verso Megan, che gli piantò il coltello in fronte. Il secondo si gettò a peso morto su Pete.
L'uomo provò a colpirlo alla testa con il calcio della pistola, ma venne trascinato a terra. La donna raggiunse l'altro non-morto alle spalle e gli conficcò la lama dietro la nuca.
Pete si alzò e si pulì il sangue dalla faccia. "Potevo ucciderlo..."
"Prego!" rispose Megan, irritata.
"Sì... stavo per dirtelo."
"Bugiardo."
"Grazie, ok?"
"Ma ti pesa dirlo?"
Pete le lanciò un'ultima occhiata e cominciò a salire i gradini.
All'ultimo piano trovarono una decina di corpi dilaniati sul pavimento cosparso di sangue. Gran parte degli arti mozzati era spolpata fino all'osso. Lungo il corridoio, quattro porte spalancate e due socchiuse.
Quando fecero per salire le scale, un non-morto sbucò da una porta socchiusa e afferrò Megan per i capelli, trascinandola a terra. Pete si voltò di scatto e lo colpì ripetutamente in testa con il calcio della pistola. Il cranio del non-morto si aprì in due e crollò al suolo.
"Stai bene?" chiese Pete, preoccupato
Megan si alzò stizzita e salì le scale.
Quando aprirono la porta di ferro del tetto, il sole li accecò per un momento. Poi si guardarono intorno e notarono che i tetti erano comunicanti. Pete cominciò a sentire un giramento di testa e lo stomaco in subbuglio, ma cercò di non darlo a vedere.
Megan lo guardò, turbata. "Tutto bene?"
Pete scacciò l'aria con una mano e scorse le lettere R.P.D ergersi sopra gli edifici, in lontananza. Si riprese. "Guarda, Meg!" disse con un sorriso. "Siamo quasi vicino al dipartimento. Se seguiamo questi tetti, ci ritroveremo a tre isolati dalla centrale."
Megan non gli rispose, ancora turbata.
"Mi hai sentito?" Si voltò verso di lei. "Finalmente saremo al sicuro."
"Non lo saremo."
"Non sai quello che dici."
"Come se tu lo sai."
Il poliziotto corrugò la fronte, irritato, si avvicinò al cornicione e guardò giù. Centinaia di zombie vacillavano lungo la strada, diretti verso la centrale. Strinse una mano a pugno e tornò da Megan.
"Andiamo" disse.
S'incamminarono lungo i tetti dei cinque condomini adiacenti e si fermarono sull'ultimo. Mentre Pete osservava la strada sottostante, altri non-morti confluivano nell'arteria di Ennerdale Street.
"Perché vanno tutti da quella parte?" si chiese Megan.
Lui la sentì. "Non lo so. Forse sono attratti da qualcosa."
"Dalle persone. Sono attratti dalle persone, ecco da cosa."
"Come fai a dirlo?"
"Beh, mi sembra logico. Quelle cose vogliono ucciderci e sanno quando siamo nei paraggi."
"Ti riferisci a prima? Quei due zombie si sono accorti di noi anche se non abbiamo fatto rumore. Magari è legato al nostro odore o qualcosa del genere."
"È quello che sto dicendo" disse Megan, irritata. "Spero non valga anche per quel mostro sulla scala antincendio."
"Questo vuol dire che ci sono dei sopravvissuti alla centrale!" disse Pete con un sorriso.
"Hai capito cosa ho detto?"
"Sì, parlavi di quel mostro."
"E allora perché sembra che non te ne frega niente?" rispose la donna, stizzita. "Sempre con questa centrale. Non pensi ad altro. Come se arrivarci, risolverebbe tutti i nostri problemi."
"Te l'ho già detto, lì saremo al sicuro. E non venire a dirmi il contrario. Non cambierò idea."
Megan sbuffò. "Potevamo lasciare la città e..."
"Non cominciare" disse Pete. "Non..." Gli occhi cominciarono a bruciargli, lo stomaco gorgogliò e un sapore metallico si propagò in bocca. 

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Capitolo 13
*** XIII. Capitolo ***


"Sicuro di stare bene?" chiese Megan.
"Sì, sto bene" rispose Pete con un sorriso di circostanza.
"Non mi sembra così. Non mentirmi."
"Non lo faccio."
La donna lo fissò per un momento. "Invece lo stai facendo. Perché?"
Pete sbuffò, irritato. "Non ricominciare. Sto bene." Si avvicinò al parapetto del tetto e guardò giù. Una decina di zombie barcollavano e gemevano nel vicolo. "C'è una scala antincendio. Andiamo!"
I due la raggiunsero e cominciarono a scendere, tenendosi lontano dalle finestre dei vari piani. Quando arrivarono al primo pianerottolo, due mani frantumarono la finestra e afferrarono Megan per i capelli. Il non-morto le scattò i denti verso la testa, ma Pete lo colpì ripetutamente sul cranio con il calcio della pistola.
Gli zombie nel vicolo si voltarono verso di loro, attirati dal rumore.
"Stai bene?" chiese Pete.
Megan annuì con le lacrime agli occhi.
Il poliziotto lanciò uno sguardo nella via. "Facciamo presto! Tra poco ci raggiungeranno."
"Aspetta! Dove andremo? I non-morti bloccano entrambi gli accessi."
Pete si accigliò. Non se ne era accorto. Si guardò intorno. Una porta era aperta vicino a una monovolume parcheggiata davanti a un cassonetto. Puntò il dito. "Guarda! Possiamo andare li!"
"Non sappiamo se è sicuro."
Quando Pete fece per parlare, si sentì girare la testa e cadde sul pianerottolo, gli occhi socchiusi, le labbra screpolate.
Megan sussultò per lo spavento e gli si chinò accanto. "Pete! Pete!" Gli prese la testa e se la portò sul suo grembo. "Pete! Rispondimi! Pete!"
I non-morti si ammassarono sotto la scala antincendio e allungarono le mani in alto, le facce decomposte, le dita scarnificate e sporche di sangue.
Pete chiuse gli occhi.
"Pete! Ti prego, rispondimi! Pete!" Megan gli accarezzò il viso sudaticcio e scoppiò in un pianto sommesso. "Pete! Che ti succede?"
I gemiti diventarono più intensi. Altri zombie arrivavano da entrambe le direzioni del vicolo.
Megan fissò la finestra rotta per un momento. Poi adagiò la testa di Pete sul pianerottolo, levò tutti i vetri dallo stipite con la scarpa ed entrò dentro.
Si trovò in un soggiorno. Tre valigie erano accanto a un divano. La donna si avvicinò verso la cucina con il coltello alzato a metà petto e sbirciò all'interno. Era vuoto. Controllò i due bagni e una camera da letto. Quando spinse l'ultima porta socchiusa in fondo al corridoio, sbarrò gli occhi inorridita e vomitò bile sul pavimento.
Due bambini erano sdraiati sui loro letti, le facce una maschera di sangue. Poco distante, una donna seduta su una sedia. Tutti e tre avevano un foro in testa.
Megan tornò nel soggiorno e usci dalla finestra, lo stomaco in subbuglio. Centinaia di zombie erano ammassati sotto la scala antincendio. I gemiti un lamento continuo e insopportabile.
La donna prese Pete da sotto le ascelle, lo trascinò dentro con fatica e lo posò sul divano. Poi si lasciò cadere seduta sul pavimento. Si sentiva stanca, sola e spaventata. Le lacrime le rigarono il viso. Non sapeva cosa fare. Non sapeva nemmeno cosa aveva Pete. Si era ammalato? Infettato? O era qualcos'altro?



 

Marvin e Nick entrarono nel dipartimento. Nella hall c'erano quattordici sopravvissuti e sei agenti. Quando lo videro, tutti si scambiarono delle occhiate, confuse. Non vedevano una persona, ma uno zombie. Nick era conciato nella stessa maniera. Era ricoperto dalla testa ai piedi di melma incrostata. Il tanfo si espanse così rapidamente, che tutti si tapparono la bocca e alcuni vennero percorsi da conati di vomito.
Nick si sentì a disagio.
Tania si nascose dietro le gambe di sua madre.
Marvin fece tre passi avanti. "Ascoltate! Lui è Nick Layers, un poliziotto. Rimarrà con noi e ci darà una mano."
Nick alzò una mano in segno di saluto.
Gli agenti lo riconobbero e sorrisero.
"Chung, niente battute!" disse Marvin, fulminandolo con lo sguardo.
Quello guardò altrove.
Il tenente si voltò verso Nick. "Fatti una doccia e indossa la divisa. Ne sono rimaste un paio, se non sbaglio."
Lui annuì e si diresse verso lo spogliatoio maschile, sotto lo sguardo diffidente dei superstiti. Quando passò vicino a Liah, lei gli sorrise e lui ricambiò.
Tania lo guardò allontanarsi, impaurita.



 

Megan bevve un bicchiere d'acqua e lo posò sul tavolo della cucina. Aprì il frigo, afferrò uno yogurt al cioccolato e lo mangiò con il cucchiaio. La fame si placò e si sentì meglio. Poi mangiò una brioche all'albicocca e tornò in soggiorno.
Il divano era vuoto.
"Pete!" gridò in preda al panico. "Pete!" Si aggirò nel soggiorno e si diresse nel corto corridoio. Quando superò il bagno, tornò indietro. Pete era disteso supino vicino al water, il viso pallido, gli occhi cerchiati, violacei, le labbra quasi blu. Gli si chinò accanto. "Pete, come..."
"Sto bene."
Lo abbracciò e scoppiò a piangere. "Pensavo che..."
"Dove siamo?"
Lei si staccò un poco dall'abbraccio. "In un appartamento."
"L'ho capito. Ma dove?"
"Nello stesso appartamento dove è uscito lo zombie. Quello che mi ha attaccato."
Pete si alzò lentamente e puntò il dito verso l'armadietto a specchio aperto. "Ho preso alcune pillole. Tra poco starò meglio. Anzi, mi sento già meglio." Abbozzò un sorriso stanco. "Visto? Mi sento meglio."
Megan si limitò a guardarlo, seria.
"Cosa c'è?"
"Odio quando mi menti. Si vede lontano un miglio che non stai bene. Perché continui a prendermi in giro? Pensi che sia stupida? Che non capisco cosa ti succede?"
Pete restò in silenzio. Voleva dirle la verità, ma nemmeno lui capiva perché si sentisse male. Un malessere che andava e veniva, che gli martellava la testa, che gli faceva sentire il sangue in bocca. Non sapeva cosa avesse, ma temeva che si fosse infettato. Forse erano i miasmi rilasciati dagli zombie? O era qualcos'altro?
Lei lo fissò negli occhi. "Sei infetto, non è vero?"
"Io... non lo so."
Megan abbassò lo sguardo, gli occhi arrossati dalle lacrime. "La saliva del cane. È stata quella..."
Il poliziotto ricordò che gli era entrato in un occhio. Allora perché non si era sentito subito male?
La donna alzò lo sguardo. "Ti sei pulito. L'ho visto. Ma non credo sia servito... Non credevo che la saliva potesse essere infettiva."
"Forse... forse non lo è."
"Guardati. Sei più bianco di questo muro. Diventerai..." Scoppiò a piangere.
Lui l'abbracciò, facendole posare la testa sul petto. "Troveremo una soluzione, vedrai. Andrà tutto bene."



 

Nick uscì dalla doccia con un asciugamano legato attorno alla vita, si sedette su una panca e si asciugò i capelli con un altro asciugamano. Quando alzò la testa, incrociò gli occhi castani di Kate. Le aveva parlato davanti alla reception giorni prima e ora se lo vedeva davanti. Se ne stava appoggiata di fianco contro un armadietto, le braccia conserte. Restò a fissarla senza dire niente.
"Vedo che sei sopravvissuto" disse lei con un sorriso.
"Già, così pare."
"Fortuna?"
"Probabile."
La donna si limitò a guardarlo per un po'.
Lui si alzò, imbarazzato. "Dovrei cambiarmi."
"Fai pure."
Nick aggrottò la fronte, perplesso. "Dovresti..."
"Uscire?" concluse Kate. "Perché? Siamo tra colleghi. Non dirmi che ti vergogni?"
Lui le diede le spalle imbarazzato e si tolse l'asciugamano dalla vita. Quando fece per mettersi le mutande, una mano gli si posò su una spalla. Sussultò e restò fermo. I seni di lei, coperti da una camicia, gli premetterò le spalle.
Kate gli baciò il collo. "Sssh. Rilassati, sei troppo teso. Lasciati andare. Mi sarebbe piaciuto farmi desiderare, ma non abbiamo tutto questo tempo. Forse domani saremmo già morti, oppure no. Perché rimandare qualcosa che possiamo fare ora?" Lei lo fece girare e lo baciò in bocca.
Nick non riuscì più a trattenersi. La tirò su per le gambe e la sbatté contro un armadietto.



 

Pete e Megan sedevano sul divano in soggiorno. Lui era preoccupato, ma il dolore era andato via. Aveva solo un leggero fastidio alla testa, ma era lucido.
Megan gli strinse una mano. "Se tu muori, io..."
"Non dirlo nemmeno, Meg. Tu vivrai e ti rifarai una vita. Avrai dei mocciosi e tutte quelle altre stronzate che ti piacciono tanto."
"Quelle stronzate mi sarebbero piaciute farle con te."
Per Pete quelle parole furono come un pugno nello stomaco. Restò in silenzio.
"Credi che ci sia una cura?"
Lui non lo sapeva. Poteva dirle una bugia, ma scelse di non farlo. "Non lo so... le pillole che ho preso mi hanno fatto stare meglio. Forse se continuerò a prenderle, starò bene."
Gli occhi di Megan si illuminarono. "Allora ne faremo scorta. Le cercheremo negli appartamenti e nelle farmacie qui vicino. Possiamo..."
"Meg" disse Pete, posandole una mano sulla sua. "Non è possibile. Ci sono troppi zombie là fuori, per non parlare degli altri mostri."
Il viso della donna si rigò di lacrime. "Possiamo farcela. Dobbiamo..."
Lui l'abbracciò.
Lei restò spiazzata da quel gesto. Per quanto forte potesse stringerla, comprese che non era lo stesso abbraccio che conosceva. Si stava indebolendo.



 

Nick uscì dallo spogliatoio con un sorriso da ebete sulle labbra e una divisa pulita. Finalmente l'odore di fogna era andato via e ora profumava di pino. Si annusò il polso a pieni polmoni e sospirò, soddisfatto. Per un attimo aveva dimenticato l'inferno che c'era là fuori. Gli sembrava solo un brutto incubo. Qualcosa che presto avrebbe dimenticato.
Quando svoltò l'angolo, i quattordici superstiti nella hall lo riportarono dritto negli inferi. Tutta la felicità svanì come fumo al vento.
"Guardate un po'" disse l'agente Chung ai poliziotti. "Uno zombie in incognito."
Quelli risero, attirando l'attenzione dei sopravvissuti.
Nick lanciò un'occhiataccia a Chung, che gli diede le spalle e ritornò a parlare con i poliziotti.
"Ehi, Nick" disse Marvin alla reception. "Vieni qui. Conosci la centrale, giusto? L'ala est è off limits. Nessuno può entrare lì dentro."
"Perché?"
"Ci sono zombie e Licker."
Nick aggrottò la fronte, confuso. "Licker?"
"Quelle cose senza pelle e con il cervello esposto. Li abbiamo chiamati così."
La recluta spalancò gli occhi. Era sopravvissuto a mala pena a uno di loro e ora scopriva che ce n'erano altri qui vicino.
"Che c'è?" chiese Marvin. "Li hai visti anche tu?"
Nick gli raccontò dell'incontro ravvicinato con uno di loro e di come era fuggito. Poi non riuscì a trattenersi e parlò dell'alligatore, dei cani zombie, di Albert, di Zoey e Joey. Parlava velocemente, mangiandosi le parole e ripetendo più volte alcuni passaggi.
Marvin lo ascoltava in silenzio. Gli sembravano surreali le sue peripezie, eppure anche lui aveva avuto una simile disavventura.
"...Poi ti ho trovato" concluse Nick, provato dalla fatidica odissea. "È stata dura, davvero dura."
"Ora mi spiego perché eri ridotto peggio di una fogna" rispose Marvin con un sorriso. "Quindi ti sei strappato i vestiti da solo?"
"Sì, anche se non so perché. C'era qualcosa in quella stanza. Forse erano i miasmi delle fogne ad avermi fatto impazzire."
"Hai avuto altre allucinazioni?"
"No, non più."
"Forse è stato proprio quello. Dopotutto, hai visto un alligatore gigante. Chissà cosa c'è in quella melma. Per fortuna ne sei uscito vivo."
"Già, spero che Zoey e Joey ce l'abbiano fatta."
Marvin gli posò una mano su una spalla. "Sono sicuro di sì."
Nick abbozzò un mezzo sorriso. "Tu eri qui quando è iniziato tutto questo?"
Marvin gli raccontò con calma la sua disavventura.
"Neanche tu te la sei passata bene. Hai fatto un bel gesto seppellendo la figlia di Dwayne. Magari è sopravvissuto."
"Non credo. Gli zombie ci hanno divisi e non l'ho più visto."
Nick restò in silenzio per un attimo. "Gli altri agenti erano già qui?"
"Sì, avevano il turno di notte. Molti sono tornati dalle loro famiglie o sono scappati. Gli altri sono morti nell'ala est o là fuori."
Nick scacciò subito i Licker dalla mente. "Da quanto sei qui?"
"Non molto. Un paio d'ore. Elliot Edward mi ha informato su tutto. È lui che ha mantenuto l'ordine, qui. Se l'è cavata piuttosto bene, direi."
La recluta si guardò intorno. "Non vedo Johnson e Irons, però."
"È meglio per loro se non si fanno vedere" disse Marvin, furioso.
"Perché? Cosa è successo?"
"Ho la prova che sono in combutta con l'Umbrella. Li ho sentiti con le mie orecchie mentre interrogavano Ben Bertollucci."
"E lui ora dov'è?"
"In cella. Non vuole uscire. Dice che lì è più sicuro. E forse ha ragione."



 

Pete e Megan erano vicini alla finestra del soggiorno e guardavano in strada.
"Farò come dici" disse Megan. "Andremo alla centrale. Forse lì qualcuno saprà come eliminare l'infezione. Magari quelli della S.T.A.R.S. o qualcun'altro."
Quando Pete sentì l'ultima parola, si ricordò di quell'orrendo essere che dava la caccia a Jill. Era sicuro di avergli sentito dire quella parola. L'aveva ripetuto due o tre volte. Forse c'entrava qualcosa con la S.T.A.R.S liquidata da Irons? La stessa unità da cui era stato rifiutato?
"Allora?" domandò la donna.
Lui la guardò con fare distratto. "Non lo so. Forse qualcuno è riuscito a non trasformarsi. Ma è l'unico posto..."
"Dove saremo al sicuro, lo so. Non c'è bisogno che lo ripeti sempre."
Pete abbozzò un debole sorriso.
Megan cercò di non farci caso. Voleva essere ottimista. Avrebbero trovato una cura e lui sarebbe stato bene. Ma una parte di lei la sabotava, le diceva che sarebbe morto, che non sarebbero mai arrivati al dipartimento. Cacciò dalla mente quella vocina e scavalcò la finestra, seguita da Pete.
La maggior parte degli zombie si era allontanata da sotto la scala antincendio e solo una dozzina barcollava nel vicolo.
"La pistola!" disse Pete. "L'ho dimenticata."
"Ce l'ho io" rispose Megan. "Ho anche il coltello."
"Bene. Hai fatto bene a prenderla." Guardò giù. "Scendo prima io."
"No, vado io. Sono più in forze."
Pete non voleva, ma la lasciò fare. Non era nemmeno sicuro che avrebbe sceso la scala a pioli senza cadere.
La donna poggiò i piedi a terra e si guardò intorno. Due zombie si voltarono e le vacillarono incontro. Puntò la pistola.
"Non sparare" disse Pete. "Ne attirerai degli altri. Usa il coltello."
Megan alzò la lama in direzione del primo zombie, che inciampò sul coperchio di un bidone e cadde a terra. Tutti i non-morti nel vicolo si girarono verso la fonte del rumore e zoppicarono verso di lei. I gemiti squarciarono il silenzio.
Megan non sapeva cosa fare.
"Sali!" urlò Pete con tutta la voce che aveva in corpo. "Sbrigati!"
Un Licker zampettò lungo la facciata della palazzina di fronte e scattò la testa in varie direzioni, la lunga lingua che si muoveva nell'aria.
Megan lo vide e si pietrificò. Gli zombie si stavano avvicinando.
"Megan!" gridò Pete. "Salì!"
Il Licker puntò la testa verso la sua direzione e balzò sull'edificio dove si trovava lui.
Megan salì la scala a pioli e raggiunse Pete, dietro la finestra.
La creatura discese la facciata ad ampie falcate e si fermò nel pianerottolo, scattando la testa in cerca di rumori.
I fidanzati si precipitarono verso la cameretta dei bambini. Quando Pete vide i tre corpi, vomitò per terra. Megan lo afferrò per un polso e lo trascinò dentro un armadio a muro.
Il Licker entrò dalla finestra e si mosse lentamente nel soggiorno. Poi saltò sul soffitto e zampettò nel corto corridoio, fermandosi al centro.
Restò immobile per un lungo momento.
Poi si diresse rapidamente nella cameretta dei bambini e squarciò la porta chiusa con una zampata. La lunga lingua bavosa frustò l'aria e accarezzo i visi gelidi dei bambini e della madre.
Megan lo vedeva attraverso le fessure orizzontali dell'anta dell'armadio e cominciò a tremare.
Pete le strinse la mano.
Quel piccolo gesto fece scattare la testa del Licker nella loro direzione. La lunga lingua scivolò sulle doppie ante dell'armadio.
La donna puntò la pistola verso la creatura e chiuse gli occhi. Pete sentì un sapore metallico in bocca e la testa pulsare. Poi il suo stomaco emise un gorgoglio.
La creatura inclinò a lato la testa e sradicò un'anta con la lingua.
La donna sparò.
I proiettili penetrarono nel torace della creatura, che balzò sul soffitto e ruggì.
Pete crollo bocconi a terra, pallido in viso. Le gambe sembravano averlo abbandonato.
La creatura lo ignorò e zampettò versò Megan, che sparò di nuovo. Le pallottole colpirono la parete dietro il Licker.
Questo frustò la lunga lingua contro il braccio di lei e le strappò la pistola di mano, che scivolò ai piedi di Pete.
Megan cacciò un urlo di terrore e la creatura indietreggiò, infastidita. Quando fece per conficcarle la lunga lingua nel petto, Pete gli sparò in testa. Sangue e cervella schizzarono la donna e la parete alla sua destra. La creatura crollò a terra.
Pete cadde sul fianco e chiuse gli occhi.



 

Marvin era vicino alla porta che dava sull'ala est della centrale di polizia. Era stata barricata con sedie, schedari, scrivanie e panche. Nessuno aveva tentato di entrare da lì, ma ogni tanto si udiva lo zampettare frenetico dei Licker e qualche gemito riverberare lontano nel corridoio.
Elliot Edward gli si affiancò. "Non preoccuparti, tenente. Nessuno entrerà da qui. Nella hall siamo al sicuro."
"Mi preoccupa qualcos'altro."
Elliot aggrottò la fronte. "Cosa?"
"Gli zombie. Quando ho salvato Nick, ho visto molti zombie al cancello. Se lo abbattono, si riverseranno sia qui, che nelle due ali del distretto."
"Le finestre dell'ala est sono state barricate con delle assi di legno, tenente"
Marvin sospirò. "Non li fermeranno. Sono forti. Molto forti. Romperanno le assi ed entreranno qui. Dovremmo barricare anche l'ala ovest e la porta d'ingresso."
"Ci vorrà molto tempo, tenente" disse Elliot, pensieroso.
"Lo so, ma terranno impegnati i sopravvissuti. Alcuni stanno diventando irrequieti. Non so se riusciremo a gestirli, senza qualche danno collaterale."
"Hai tutto il mio appoggio, tenente."
Marvin annuì e gli posò una mano su una spalla. "Grazie. E grazie per quello che hai fatto qui. Hai saputo gestire bene la situazione. Quando tutto questo finirà, ti proporrò per una promozione."
Elliot sgranò gli occhi, felice. "Grazie, tenente. Non so cosa dire."
Lui gli sorrise e gli diede un colpetto sulla spalla.
Elliot si allontanò.
Marvin non era sicuro che sarebbero sopravvissuti all'epidemia. Non avevano un piano di fuga e quasi nessuno sembrava preoccuparsene. Solo alcuni sopravvissuti parlavano di fuga, ma nessuno di loro voleva lasciare la centrale. Non avevano abbastanza coraggio.
Sentiva di dover fare qualcosa. Progettare un piano di fuga o trovare una via di fuga. Non poteva restarsene con le mani in mano. Gli zombie prima o poi li avrebbero raggiunti e fatti a pezzi.
Si allontanò dalla porta, salì le scale e s'incamminò sulla balconata interna che correva attorno alla hall. Poi si diresse in un corridoio e raggiunse gli uffici mezzi vuoti, le cui sedie e scrivanie erano state usate per la barricata.
Quando raggiunse il suo ufficio, scorse Nick e Kate appartati in fondo alla stanza, dietro un divisorio di vetro. Loro non si accorsero di lui, che abbozzò un mezzo sorriso e varcò la porta dell'ufficio.
Aprì gli schedari e controllò i documenti. Doveva esserci una piantina della centrale. L'aveva messo qui da qualche parte, ma non ricordava dove. Si avvicinò alla sua scrivania e lanciò un'occhiata nei cassetti. Niente.
Si guardò in giro per un po', poi la cercò tra i libri messi in fila sullo scaffale. Quando sollevò il libro Storia di Raccoon City, trovò la mappa. L'afferrò, soffiò via la polvere e la dispiegò sulla scrivania. Sorrise.

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Capitolo 14
*** XIV. Capitolo ***


Nick e Kate erano andati a sedersi in una saletta dove c'era lo specchio unidirezionale che dava nella stanza degli interrogatori. Avevano visto Marvin trafficare nel suo ufficio e avevano scelto di starsene più appartati.
Smisero di baciarsi.
"Non ti immaginavo così" disse Nick.
"Così come?"
"Così sfacciata."
Lei sorrise. "Non mi sembrava il caso di fare la difficile. Siamo circondati da zombie e Licker, quindi godiamoci il momento."
"E quando tutto questo sarà finito?"
"Credi che finirà?"
Lui la guardò, perplesso. "Pensi che moriremo tutti?"
Kate non rispose.
Restarono in silenzio per un po'.
"Forse è meglio tornare dagli altri" disse Kate.
"Gli altri possono anche stare senza di noi."
Lei gli sorrise. "Lo so, ma manchiamo già da un po'. Potrebbero preoccuparsi."
"Sì, come no. Ognuno se ne sta per conto suo, da quanto ho capito."
"Dai, non fare così. Andiamo." Gli strinse la mano e uscirono dalla saletta.



 

Marvin era ricurvo sulla mappa dispiegata sul tavolo. Passava lo sguardo da un punto all'altro della piantina, senza capire come fare a fuggire. Sapeva che un tempo la centrale era un museo. Doveva vedere l'edificio in quel modo.
"Forse ci sono dei passaggi nascosti che non vengono più usati" si disse. "Nella hall principale deve essercene qualcuno. Se non erro, il personale spostava gli oggetti tramite un sottopassaggio o qualcosa del genere." Si portò una mano sul mento e si mosse avanti e indietro nella stanza. "Potrebbero averlo chiuso o..." Si fermò e si curvò sulla mappa, le mani sul tavolo, gli occhi sgranati per la felicità. "No, no, no, mi sbagliavo. Forse non era un sottopassaggio, ma un condotto d'areazione." Puntò l'indice nella hall. "Sì, eccolo, eccolo! È proprio qui, vicino alla statua. Corre per tutta la centrale e sbuca alle spalle. Forse... forse potremmo chiedere aiuto. Qualcuno... qualcuno ci sarà per forza là fuori." Drizzò il busto e sorrise. "Finalmente lasceremo questo posto."



 

Quando Pete riaprì gli occhi, si trovava sdraiato sul divano. Era un poco stordito dal mal di testa, ma si sentiva meglio. Il saporaccio metallico in bocca era sparito. Si mise seduto sul divano e si guardò attorno. "Meg!" disse con un filo di voce.
Nessuna risposta.
"Meg!
Niente.
Sentiva uno scroscio d'acqua provenire dal corridoio. Si alzò lentamente e s'incamminò verso il bagno. Quando si fermò sotto la porta, Megan era in doccia, l'acqua calda che le scivolava sulle curvature del corpo, il vapore che inondava la stanza.
"Meg!"
Lei tirò subito le tendine su di sé, impaurita. "Pete! Mi hai fatto prendere un colpo!"
"Che stai facendo?"
"Una doccia, non vedi?"
"Una doccia?"
"Sì, una doccia."
Pete aggrottò la fronte. "Pensavo che..." Si zittì.
"Cosa?"
"Niente. Comunque mi sento meglio."
"Lo so, ti ho dato le ultime pillole blu. Ci toccherà cercarle altrove se non vuoi... Insomma, hai capito."
Pete abbassò gli occhi. Per un momento aveva creduto che il malessere fosse andato via, invece si era solo assopito. "Non voglio diventare come loro. Non lasciarmelo fare. Uccidimi prima."
Megan lo fissò con gli occhi umidi per un momento. "Fammi finire la doccia." Tirò le tendine.
Lui tornò in soggiorno e si affacciò alla finestra rotta. Una dozzina di zombie vagabondavano nel vicolo. "Dove sono finiti gli altri?" si chiese. Poi gli balenò un pensiero. "La centrale è solo a pochi isolati da qui. Devo portarla assolutamente lì. Se Marvin è sopravvissuto, avrà sicuramente preso il comando della situazione. Con lui Meg sarà al sicuro." Sospirò e restò in silenzio per un lungo momento. Poi strinse debolmente una mano a pugno. "'Fanculo le pillole! Posso farcela. Devo portarla assolutamente al sicuro. Non può più restare con me. Potrei diventare uno di loro da un momento all'altro..." Si guardò le mani. Poi si voltò e si sedette sul divano, la testa che gli pulsava dal dolore.
"Come ti senti?" chiese Megan, uscendo dal corridoio. Un lungo asciugamano le copriva il corpo e un altro le cingeva i capelli come turbante.
Lui la guardò. "Meglio. Sto bene, davvero."
Lei gli sorrise e si sedette vicino. "Riesci a farti una doccia?"
Pete si accigliò, confuso. "Credo di sì. Perché?"
"Ho pensato che... voglio dire, forse stai male per tutto il marciume che hai addosso. Parlo dell'odore. Lo so, ti ho detto che la saliva.. Insomma, ho pensato che può essere stata la saliva. Ma forse mi sbagliavo, capisci?"
Pete sapeva che si stava aggrappando a qualsiasi cosa pur di negare che fosse infetto. "Sì, ho capito. Forse hai ragione. Magari una doccia mi farà bene."
"Fa sempre bene."
Lui sbuffò in una mezza risata.
"Cosa c'è da ridere?" domandò Megan, perplessa.
"Il mondo è andato a puttane e noi pensiamo a farci una doccia. Non lo trovi... strano?"
La donna lo guardò, seria. "No, per niente."



 

Marvin s'incamminò lungo la balconata, scese nella hall e raggiunse la reception. "Elliot."
Quello si voltò. "Sì, tenente?"
"Dov'è Rita?"
"Non la vediamo da quando è andata nell'ala ovest per salvare una donna."
"E non avete fatto nulla per aiutarla?"
Elliot abbassò lo sguardo.
"Dobbiamo trovarla. Ci serve il suo aiuto."
"Per cosa, tenente? Magari potrei aiutarti io."
"Non per quello che ho in mente." Si guardò in giro, preoccupato. "Dove sono Nick e Kate?" Quando era uscito dall'ufficio, non li aveva più visti dietro il divisorio di vetro. E ora non erano nemmeno nell'atrio.
"Non lo so. Non..."
Nick e Kate entrarono in quel momento e si divisero. La recluta raggiunse il tenente.
"Dove siete stati?" chiese Marvin.
"L'ho incontrata nel corridoio" rispose Nick, a disagio. "Ho fatto un giro nell'ala est. Volevo vedere se era tutto a posto."
Marvin lo fissò per un momento. Sapeva che mentiva, ma non glielo disse. "Devi fare una cosa per me."
Nick lo fissò in silenzio.
"Devi trovare Rita nell'ala ovest."
Elliot guardò Marvin, sconcertato. "Tenente, è pericoloso spingersi là. Ci sono zombie e Licker. Se apriamo la porta, c'è il rischio che vengano dritti verso di noi."
"Conosco i rischi, ma va fatto."
"Cos'hai in mente?"
Marvin si voltò verso di lui. "Trovare aiuto."



 

Pete e Megan erano sul pianerottolo della scala antincendio.
"Hai tutto?" chiese Pete.
Lei annuì.
"Usa la pistola solo se non hai alternative, capito?"
"Sì, non sono mica scema" rispose Megan, irritata.
"Mi preoccupo solo per te. Non voglio che tu finisca circondata dai non-morti, se io.." si ammutolì.
"Non succederà. Arriveremo insieme alla centrale. E poi c'è una farmacia poco prima. Possiamo recuperare le pillole blu da lì."
Pete non le disse che la farmacia poteva essere stata già saccheggiata. Non voleva toglierle la speranza e il sorriso di dosso. Doveva godersi Megan fino alla fine. "Va bene, faremo come dici tu. Ma se ci sono troppi zombie, fileremo dritti alla centrale, ok?"
Lei annuì, non troppa convinta. Poi scese la scala a pioli e si guardò intorno. Nessuno zombie in vista.
Mentre Pete scendeva lentamente, mise un piede in fallo e rischiò di cadere giù.
Megan si allertò. "Pete, tutto bene?"
"Sì, non preoccuparti." Posò i piedi per terra e si sentì un poco stordito, ma non lo diede a vedere. "Da questa parte."
S'incamminarono lungo il vicolo e si fermarono poco prima di arrivare in strada.
"Coprimi le spalle, io dò un'occhiata." Si appoggiò alla parete e sbirciò da un angolo.
Una decina di zombie barcollavano tra i veicoli imbottigliati. Poco distante, un posto di blocco dalle rete metalliche divelte e il cancello sfondato.
Pete si voltò. "Ci sono alcuni zombie, ma possiamo superarli se non facciamo rumore. Andiamo."
Si accostarono al muro, svoltarono a destra e proseguirono rasi agli edifici. Gli zombie vicini sentirono il loro odore e si voltarono.
"Ci hanno visti. Sanno che siamo qui!" disse Megan.
"Non preoccuparti. Si stancheranno appena ci saremo allontanati."
Quando raggiunsero il posto di blocco, quattro cani zombie si trovavano dall'altra parte. Mangiavano il busto di un uomo ridotto a brandelli, le budella sparse tutt'attorno.
Pete si abbassò insieme a Megan dietro un'auto familiare. "Cazzo! Non ci voleva."
"Come faremo a superarli?" chiese lei.
"Non lo so."
"Gli zombie ci stanno raggiungendo."
"Lo so." Alzò la testa e osservò i cani zombie per un momento. "Credo siano impegnati a mangiare. Forse non ci sentiranno passare."
Megan non ne era tanto convinta. "Se gli zombie riescono a sentire il nostro odore, per quelle cose sarà ancora più facile."
Pete le diede ragione. Forse li avrebbero sentiti, ma non c'era altra alternativa. "Meg, dammi la pistola."
"Che vuoi fare?"
"Dammi la pistola."
"Prima rispondimi."
"Dammela!"
Megan gliela rese, turbata.
Pete controllò i colpi nel caricatore, poi lo rimise nella pistola. "Gli zombie si stanno avvicinando, ma sono ancora lontani. Tu tienili sotto controllo e non farti circondare. Usa le auto per separarli e colpiscili in testa. Se diventano troppi, scappa. Non pensare a me. Io me la caverò."
La donna scosse la testa. "No, non voglio farlo. Rimaniamo insieme."
"Devi farlo. Io mi occuperò dei cani zombie. Ci rivedremo alla centrale, ok?"
"Non mi sembra una buona idea."
"Neanche a me, ma non possiamo fare altro."
"Aspettiamo."
Pete la guardò per un momento. "Io potrei... Lo sai."
"Lo so, ma potresti perdere i sensi anche se affronti i cani zombie o se resterai da solo. È meglio che ci sia io vicino a te."
Lui non rispose.
"Facciamo come dico?" chiese Megan, spazientita.



 

Nick e Marvin raggiunsero la piccola armeria della centrale illuminata da un'unica lampada al soffitto.
"Indossa la tuta antisommossa" disse Marvin, prendendola da un armadietto.
"Questo vuol dire che incontrerò molti zombie e Licker?" chiese Nick, un poco spaventato.
"Non lo so, ma di certo non ti mando senza protezione. Chi è andato nell'ala ovest, non è più tornato. Ora non so se sono morti tutti, o se alcuni si sono nascosti da qualche parte, ma non voglio rischiare."
"Tenente, posso farti una domanda?"
Marvin si accigliò, perplesso. Non lo chiamava mai con il suo grado, ma intuì quale fosse la natura della domanda. Anche lui l'avrebbe posta. "Ti stai chiedendo perché mando te, giusto? Semplice. Sei l'unico di cui mi fido. E poi hai spiccate doti fisiche e decisionali, almeno da quanto ho letto sul tuo fascicolo personale, quindi sei più che adatto a questo compito. E poi parliamoci chiaro, Nick. Sei sopravvissuto là fuori. Nessuno degli agenti nella hall è mai uscito dalla centrale. Se lo facessero, si farebbero prendere dal panico. Ora indossa la tuta antisommossa."
Nick fece come ordinato. Non ne aveva mai indossata una prima d'ora. Era comoda, ma intralciava un po' i movimenti. Si piegò sulle ginocchia diverse volte e distese le braccia in varie direzioni.
Marvin incrociò le braccia con un sorriso soddisfatto. "Ti calza bene."
"Sembrerebbe di sì" rispose Nick.
Il tenente gli diede il casco con visiera in policarbonato trasparente. "Tieni, mettilo in testa. Ecco, sì, così. Ora gli zombie dovranno faticare un bel po' per farti male."
"È proprio questo che mi preoccupa. Con questa roba addosso non riesco a muovermi come voglio. Se dovessi fuggire, sarei lentissimo."
Marvin gli diede un buffetto sul braccio. "È solo una tua impressione. Appena ti ci sarai abituato, sarà come una seconda pelle. Io l'ho indossata un paio di volte. Andrà tutto bene."
Nick sciolse un po' i muscoli delle gambe e delle braccia. "Ho notato che non ci sono armi negli armadietti. Irons le avrà spostate tutte quante, suppongo."
Marvin aggrottò le sopracciglia. "Già, sembra che l'abbia fatta apposta per intralciare le operazioni di polizia. A quale scopo poi? Comunque se ne trovi un paio, usale solo se è necessario. I Licker sono attratti anche da ogni piccolo rumore, per non parlare degli zombie. Usa l'accetta che ti ho dato."
"Non è meglio qualcosa di lungo tipo... tipo una lancia."
"Una lancia?"
"Sì, una specie di lancia o qualcosa da usare dalla distanza. Se ti avvicini troppo agli zombie, quelli ti mettono le mani addosso e diventa difficile colpirli. Anzi, c'è il rischio che afferrino te o l'arma."
Marvin aggrottò la fronte, pensieroso. "Lo so, ma non abbiamo niente del genere."
"Forse attaccare un coltello sotto la canna del fucile, può tornare utile."
Il tenente scosse la testa, confuso. "Guardati intorno. L'armeria è vuota. E poi non è come nei film. Quando fai penetrare la lama dentro qualcuno, quella non esce tanto facilmente. Il più delle volte rimane incastrata tra tessuto, ossa e carne. Se poi la usi come una baionetta, diventa ancora più arduo."
Nick restò in silenzio. Si sentiva uno stupido.
"Ti conviene usare qualcosa tipo... tipo la gamba di un tavolo o una spranga di ferro. Qualcosa di lungo, insomma. Ma se vuoi il mio parere, faresti bene a usare l'accetta. Non devi mica ripulire un'area. Non ti serve un'arma contundente, quindi non preoccuparti. Il tuo obiettivo è trovare Rita."
Nick alzò la visiera trasparente. "E se incontrassi dei sopravvissuti? Cosa dovrei fare?"
Marvin abbassò lo sguardo, combattuto. Era imperativo trovare Rita. Solo così il suo piano sarebbe stato possibile, ma non poteva abbandonare gli altri. Non se lo sarebbe mai perdonato. Aveva già abbandonato sua moglie e sua figlia. Non sapeva nemmeno se fossero vive. Lo sperava, ma ogni volta che ci pensava avvertiva una fitta dolorosa allo stomaco. Alzò lo sguardo. "Facciamo così. Se li incontri strada facendo, di' loro di aspettarti. Quando avrai trovato Rita, torna indietro e falli venire con te. Spero solo che non incontriate nessuno zombie, ma soprattutto nessun Licker.
Nick sospirò. "Lo spero anch'io."



 

Pete e Megan erano ancora dietro l'auto familiare. Gli zombie si erano avvicinati.
"Cosa hai deciso?" chiese Megan.
"Facciamo come ho detto" rispose Pete, con un leggero fastidio allo stomaco.
"Non mi sembra una buona idea."
"Nemmeno la tua è una buona idea. Non possiamo rifugiarci da nessuna parte. Guardati intorno. Le porte sono sicuramente chiuse. E non posso sparare alle serrature, senza allertare i cani zombie."
Lei lo guardò, serio. "Ma li allerterai lo stesso, quando te li farai venire dietro. Quanto pensi che dureresti? Sono veloci. Non sono cani normali. Non puoi gestirli tutti e quattro. Ricordi com'è andata l'ultima volta? Erano soltanto in due, eppure sei stato quasi sbranato."
Se lo ricordava molto bene. Si era anche infettato con la bava. Come poteva dimenticarsi una cosa simile? Persino pensare era diventato difficile. Forse Megan aveva ragione. Non sarebbe riuscito a ucciderli tutti.
"Allora?" lo incalzò la donna.
"Facciamo come dici tu. Aspettiamo."
Lei sorrise. "Allora andiamo in quel negozio. Credo sia aperto."
"Aspettiamo qui."
Megan corrugò le sopracciglia, confuse. "Abbiamo degli zombie alle calcagna, te ne sei dimenticato?"
Pete si accigliò, disorientato. Si era dimenticato degli zombie. Come aveva a fatto dimenticarsene?
"Pete?"
Lui si voltò.
"Stai bene?"
"Sì, credo di sì."
"Sicuro?"
"Non lo so."
Megan si oscurò in viso. "Dammi la pistola. Entriamo in quel negozio."
Lui gliela rese. La testa gli pulsava più forte e il tipico sapore di ferro gli pervase la bocca. "Credo che sverrò. Lo sento."
Lei non rispose. Passò la testa sotto il suo braccio e lo aiutò a spostarsi fino al negozio. La porta era socchiusa. Qualcuno era entrato o uscito. Lo fece sedere a terra, la schiena poggiata contro la vetrata. "Aspetta qui. Controllo dentro."
Lui annuì, gli occhi arrossati e cerchiati.
Megan si aggirò tra gli scaffali puntellati di vasi, lampade, quadri e varie oggetti decorativi. Non trovò nessuno. Quando tornò indietro, uno zombie si trascinava con i gomiti verso Pete. Lei uscì dal negozio e gli piantò il coltello nel cranio scarnificato. Poi trascinò il fidanzato all'interno e chiuse la porta.
Una decina di zombie si ammassarono davanti al locale e batterono i pugni sulle grandi vetrate.
Non potevano restare lì. I non-morti sarebbero entrati da un momento all'altro. Megan si guardò intorno, afferrò Pete da sotto le ascelle e lo trascinò verso una porta di ferro. L'aprì un poco e sbirciò dentro. Era una piccola camera che fungeva da magazzino. Portò il fidanzato all'interno e chiuse la porta, bloccandola con un tavolo. Non poteva fare altro. Sperava che gli zombie rimanessero fuori dal negozio, o sarebbe stata la fine per tutti e due.
Pete cominciò a borbottare frasi incomprensibili.
Lei gli si chinò accanto. "Pete, mi senti? Pete?"
Gli occhi di lui rotearono all'indietro, il corpo fremette con violenza, la bava gli colò dalla bocca.
Megan trattenne le lacrime. "Resisti, Pete. Ti prego... Siamo quasi vicino alla farmacia. Resisti..." La testa del fidanzato penzolò a lato, ma lei la sostenne. "Ti prego! Non lasciarmi..." Scoppiò a piangere. "Ti prego..."
Le vetrate andarono in frantumi e gli zombie barcollarono nel negozio.



 

Nick raggiunse la porta che dava nell'ala ovest. Gli agenti avevano aperto un passaggio nella barricata e aspettavano solo lui.
Kate gli si avvicinò, gli strinse la mano e lo guardò dritto negli occhi. Nick ricambiò la stretta e le sorrise.
Marvin si posizionò davanti ai poliziotti con fare autoritario, le mani incrociate dietro la schiena. "Quando Nick sarà dall'altra parte, voglio almeno due agenti davanti alla porta. Non dovete abbandonare la posizione nemmeno per un momento. Nemmeno per andare a farvi una pisciata, intesi?"
"Nemmeno se entrano gli zombie?" domandò Chung in tono scherzoso.
Il tenente lo fulminò con lo sguardo. "Tu sarai il primo a sorvegliare la porta."
Chung sbuffò, contrariato.
"Qualche altro volontario?" chiese Marvin, guardando le facce degli agenti.
"Io" disse Elliot.
"Molto bene. Tutti gli altri si organizzino per i turni. Ogni mezz'ora ci sarà un cambio della guardia." Si girò verso Nick. "Quando vuoi."
Lui salutò il tenente con un cenno della testa, lanciò un'ultima occhiata a Kate, che gli sorrise, angosciata, e aprì la porta.
Un'acre odore di putrefazione lo investì in pieno e gli venne un conato di vomito. Si era dimenticato di quanto il tanfo potesse essere nauseante.
La porta si chiuse alle sue spalle.
I fasci di luce dei lampioni filtravano fra le assi di legno piantate sulle finestre, proiettando ombre inquietanti sulle pareti del corridoio. Alcune assi erano rotte, ma si tenevano ancora in piedi. Il pavimento era cosparso di sangue represso e vetri rotti ai piedi delle mura.
Sentì una fitta allo stomaco. Era la paura che si attorcigliava nelle membra. Voleva fare dietrofront e tornare al sicuro nella hall. Ma non poteva. Marvin contava su di lui. Tutti contavano su di lui, anche l'inopportuno Chung e la sfacciata Kate.
Buttò l'aria dai polmoni e s'incamminò.



 

Gli zombie si dispersero nel locale. Uno di loro cominciò a martellare di pugni la porta di ferro.
Megan la fissava turbata e accarezzava la guancia di Pete, tenendogli la testa sul suo grembo.
Lui barbottava, le palpebre violacee, la saliva incrostata lungo la bocca.
"Pete..." mormorava lei, gli occhi arrossati per il pianto, una mano sulla pistola. Sapeva che l'avrebbe dovuta usare se si fosse trasformato. Glielo aveva detto in bagno che non voleva diventare uno di loro. Lui avrebbe fatto la stessa cosa per lei.
Gli diede un bacio sulla fronte. "Pete... svegliati... non mi lasciare... non posso farcela da sola..."
Lui cominciò a fremere e la bava gli colò nuovamente dalla bocca. Lei lo coricò sul fianco, la schiuma bianca scivolò sul pavimento.
Smise di muoversi.
Megan sbarrò gli occhi, angosciata. Gli voltò la testa. Gli occhi roteavano dietro le palpebre e il respiro era lento e pesante. Mollò la presa dalla pistola. Ormai aveva consumato tutte le lacrime e gli occhi arrossati le bruciavano.
I colpi alla porta si fecero più forti e insistenti. Lo zombie aveva sentito il loro odore. Altri due non-morti si aggiunsero al primo e martellarono di pugni la porta.
Megan li sentiva, ma non ci dava peso. Era in trappola. Non sarebbe più uscita viva da quella situazione. Sarebbe morta insieme a Pete. Avrebbe condiviso lo stesso destino. Un colpo in testa e tutto sarebbe finito. Chissà se sarebbero stati insieme anche dall'altra parte? Voleva crederci. Ci sperava.
La porta si aprì un poco, bloccata dal tavolo. Una mano scarnificata spuntò dalla fessura, le dita che si agitavano nell'aria.
Megan afferrò la pistola e la portò alla testa di Pete, che continuava a borbottare frasi senza senso. Lo guardò dritto negli occhi, gli baciò la fronte calda e posò il dito sul grilletto.
Non ci riusciva. Non poteva farlo. Era Pete, il suo fidanzato. L'uomo con cui voleva costruirsi una famiglia, crescere dei figli, invecchiare insieme. Non poteva ucciderlo. "Forse non si trasformerà..." si disse. "Forse sta male per qualcos'altro. Qualcosa che si può curare."
La scrivania si spostò un poco. Una testa putrescente sbucò nella fessura fra la porta e lo stipite, i denti che battevano, la mano protesa verso di loro.
Megan gli puntò la pistola e lo guardò attraverso il minuscolo mirino posto sulla canna. Voleva sparargli dritto in quella testa puntellata di ciocche nere, ammazzare ogni singolo zombie in città, ma quello che fece fu abbassare l'arma.
Era stanca di lottare. Stanca di sopravvivere.
La mano dello zombie scivolò a terra con un tonfo. Megan alzò lo sguardo tremante, la pistola puntata verso la porta.
Qualcuno si affaticava ad aprirla, la spingeva con forza, spostando la scrivania a lato.
Sparò.

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Capitolo 15
*** XV. Capitolo ***


Nick s'incamminò lungo il corridoio, l'accetta alzata all'altezza del petto. Si tenne raso al muro, evitando di passare sui vetri rotti ai piedi delle finestre. Un'ombra si proiettò sul muro. Uno zombie barcollava fuori nel cortile.
"Quindi sono entrati nel cortile" si disse. "O forse è uno dei poliziotti o sopravvissuti morti?"
Il non-morto si allontanò verso una file di siepi.
Nick arrivò davanti alla prima porta a destra e girò la maniglia. Qualcosa di pesante la bloccava da dietro.
"Mi toccherà fare il giro."
Continuò cauto lungo il corridoio. Quando arrivò a dieci passi dall'angolo, due mani si protesero da una fessura fra le assi di legno rotte.
Nick trasalì e si appiccicò con le spalle al muro. Le braccia scarnificate si allungavano verso di lui, tentavano di afferrarlo. Il non-morto gemeva, ma la sua faccia era celata dalle assi.
La recluta proseguì e girò l'angolo. Si pietrificò.
Una sagoma avvolta nella penombra era appesa al soffitto. Qualcosa di lungo come una frusta penzolava e sfiorava il pavimento.
Nick indietreggiò lentamente per un po'. Non poteva tornare indietro e l'unica porta nel corridoio era chiusa. Doveva passare sotto il Licker. Restò fermo per un lungo momento, poi si fece coraggio, poggiò la schiena contro il muro e strisciò lungo la parete, il cuore che gli martellava nel petto.
Quando arrivò sotto la creatura, quella ritirò rapidamente la lingua. Gocce di saliva gli schizzarono sulla tuta antisommossa.
"Mi ha beccato!" pensò. "Sono spacciato, cazzo!" Chiuse gli occhi, rifiutandosi di vedere il viso mostruoso che gliela avrebbe mozzata. Rimase immobile per un momento, poi aprì timidamente un occhio.
Il Licker era sparito.
Nick aggrottò la fronte e tirò un sospirò di sollievo. Fu proprio quel flebile suono a scatenare qualcosa dal corridoio da cui era venuto. Uno zampettare frenetico.
"Mi ha sentito!" Si precipitò in fondo al corridoio e varcò la porta socchiusa alla sua sinistra, chiudendosela piano alle spalle.
Il Licker si fermò fuori dalla porta, la lunga lingua che sferzava l'aria, la testa che scattava in ogni direzione captando i suoni.
Lo sentiva fuori dalla porta. Non doveva muoversi, né fiatare. Lanciò uno sguardo nella stanza. Era in uno sgabuzzino. Scaffali con sopra diversi recipienti e detersivi per pavimenti. Un mocio era poggiato in un angolo accanto a un secchio. L'aria profumava di limone, di pulito.
Poi qualcosa si mosse dietro un altro scaffale in penombra.
"No, no, non adesso. No, cazzo!" Alzò l'accetta, pronto a colpire qualunque cosa fosse sbucata da lì.



 

Quando la porta di ferro si richiuse, venne bloccata dal braccio dello zombie inerme sul pavimento. Megan mantenne la pistola alzata. Aveva sparato un solo colpo, che si era conficcato nel muro molto distante dall'entrata. Non immaginava che fosse così difficile sparare dalla distanza.
"Gli zombie non chiudono le porte..." si disse, perplessa.
"Ehi, non sparare" disse una voce da donna dietro la porta.
"Jill!" rispose lei.
Jill aprì la porta e lanciò una timida occhiata all'interno. Fissò Pete. "È stato morso?"
"No, gli è entrata la bava di un cane zombie in un occhio. Ma non so se sta male per questo. Non so più cosa fare o pensare."
Jill trascinò fuori il non-morto, chiuse la porta e la raggiunse. Si chinò su di lui e gli portò due dita sulla fronte. "Scotta. Forse è infetto."
Pete aveva smesso di muovere gli occhi e sbavare. Il viso gli era diventato paonazzo.
Jill pescò un fazzoletto dalla tasca e lo aprì. "È una pianta medicinale. Combatte l'infezione. È un ottimo rimedio anche contro i parassiti."
Megan si accigliò, confusa. "Parassiti? Pete ha dei parassiti?"
"No, non credo. I sintomi sarebbero diversi e non vedo tracce di vomito sul pavimento. È solo infetto. Aprigli la bocca."
"Sei sicura che funzionerà? Mi sembrano solo delle foglie verdi e blu tagliuzzate come tante."
"Ha funzionato con me, quindi funzionerà anche per lui."
Megan aprì la bocca di Pete e Jill ci mise dentro le foglie sminuzzate. Poi la fidanzata gli tappò il naso e lui le ingoiò.
"Si rimetterà presto" disse Jill.
Megan sgranò gli occhi, felice. "Dici sul serio? Non starà più male? Non sverrà più?"
"No, il mix di foglie verde e blu che ti ho dato annulla gli effetti del virus e dei parassiti."
"È come una cura?"
"Non proprio, ma è una cosa simile."
"Grazie mille, Jill. Grazie davvero! Sei come un angelo. Lo hai salvato. Non so come ringraziarti."
Lei si limitò a sorridere.
"Rimarrai con noi? Siamo diretti alla centrale."
"Anch'io sono diretta lì, ma prima devo far perdere le mie tracce."
Megan si ricordò del Nemesis e rabbrividì. "Ti... ti riferisci a quella cosa con la faccia deturpata?"
La donna annuì. "Mi insegue ovunque e non ha intenzione di smetterla."
"Perché?"
Pete riaprì debolmente gli occhi. "Perché è un membro della STARS."



 

Marvin scese nel blocco delle celle sotterranee, che puzzavano di muffa e aria viziata. S'incamminò nel corridoio e si fermò davanti a una cella.
L'uomo seduto sulla branda alzò lo sguardo.
"Bertolucci" disse Marvin. "Hai cambiato idea?"
Ben abbassò lo sguardo e non rispose.
Marvin pescò una chiave dalla tasca e la girò nella serratura. La porta della cella si aprì con un cigolio. "Puoi uscire."
"Ci tengo alla mia pelle. Sono più sicuro qui."
"Non ti chiuderò dentro un'altra volta. Ti conviene uscire e stare insieme a noi."
"Noi chi?"
"Non preoccuparti, Irons e Johnson non ci sono."
"Non te l'ho domandato."
"Era sottinteso."
Ben si sdraiò sulla branda, un avambraccio posato sugli occhi.
Marvin lo fissò per un po'. "Conosci la strada. Ci trovi nella hall."
Quando il tenente fece per andare, Ben si tolse il braccio dagli occhi e lo guardò. "Adesso mi credi, non è vero, tenente?"
Lui si voltò, ma non rispose.
"Era sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno voleva vedere" disse Ben, cupo in viso. "Preferivano girarsi dall'altra parte. L'Umbrella ha dissanguato questa città fino a lasciarla in agonia. E quando Raccoon City era ormai sul punto di morire, ecco arrivare il colpo di grazia. Vi siete crogiolati dietro al benessere illusorio dell'Umbrella." Si mise a sedere sulla branda e lo guardò dritto negli occhi. Uno sguardo carico di rabbia e risentimento. "Certo, ha finanziato la crescita della città, migliorato le infrastrutture, ma in realtà le stava costruendo attorno una gabbia dorata. E quel bastardo e corrotto di Irons era sul loro libro paga. Il loro burattinaio. Tutti voi lo sapevate. Tu sapevi. Te lo leggo negli occhi, eppure non hai mosso un dito." Si alzò e si avvicinò al tenente. "Ho tentato di avvertire la gente, di far aprire loro gli occhi, ma tu e quell'inutile distintivo che hai sul petto avete solo rovinato tutto. Avete permesso all'Umbrella di proliferare come un'infezione, giorno dopo giorno, finché il corpo ha ceduto." Fece una pausa. "Ti sei mai chiesto perché un colosso come l'Umbrella abbia scelto questa città per avviare una filiale farmaceutica? Un paesino rurale che era pieno di caproni e ignoranti fino a trent'anni fa? Te lo sei mai chiesto? Ma certo che no. Nessuno si è mai posto questa domanda, anche perché i finanziamenti dell'Umbrella facevano comodo a tutti. La città cresceva, ma in realtà si avviava lentamente verso la sua distruzione."
Il tenente non gli rispose.
Ben lo guardò dritto negli occhi in segno di sfida. "Ve la siete cercata! Meritate tutto questo!"
Marvin resse il suo sguardo per un lungo momento, poi andò via.



 

Nick sferrò un colpo, ma fermò l'accetta a mezz'aria. Aggrottò la fronte.
Una bambina sbirciava timidamente da dietro lo scaffale.
Si chinò sui talloni e si tolse il casco. "Ehi, va tutto bene. Sono un poliziotto." Posò l'accetta sul pavimento e sollevò le braccia. "Non ti farò del male."
Lei uscì un poco la testa da dietro lo scaffale, intimorita.
"Sei da sola?" chiese Nick.
La bambina annuì. I corti capelli biondi a caschetto tenuti con una frontiera rossa per capelli, il viso ovale e infantile. Indossava una divisa bianca e azzurra della scuola di Raccoon City e un medaglione dorato attorno al collo.
"Io mi chiamo Nick Layers. Tu?"
"Sherry... Sherry Birkin."
"Ascolta, Sherry. Devi nasconderti qui per un altro po'. Io devo trovare una persona. Appena la trovo, vengo a prenderti e ti porto al sicuro, va bene?"
"Non posso venire con te?"
"È pericoloso. Resta qui. Verrò a prenderti presto, te lo prometto."
Sherry annuì e si rannicchiò dietro lo scaffale in penombra.
Nick afferrò l'accetta e accostò un orecchio alla porta. Nessun rumore. L'aprì un poco e sbirciò dalla fessura. Il corridoio era vuoto. Lanciò un'ultima occhiata alla bambina nascosta dietro lo scaffale e uscì.
Una scia sanguinolenta correva lungo il soffitto e svoltava a sinistra del corridoio. Sul pavimento, una pozzanghera di sangue.
"Si è allontanato" si disse. "Meglio così. Devo fare in fretta. Non posso lasciare Sherry qui da sola. Non è al sicuro. Ma forse... Al diavolo. Forse prima posso condurla alla Hall. Alla fine è qui vicina." Raggiunse l'angolo del corridoio e sbirciò. Il Licker se ne stava immobile su soffitto, la lunga lingua che penzolava in aria. "No, forse è meglio di no. Meglio lasciarla lì dov'è. Spero soltanto che nessuno di quei mostri si accorga di lei."
Si girò e tornò indietro. Superò la pozza di sangue e s'incamminò nel corridoio, raggiungendo una porta. Si abbassò la visiera trasparente e girò la maniglia. L'intero ambiente era in penombra, le finestre sbarrate da assi di legno. Due cadaveri giacevano a terra, le viscere di fuori, il petto squarciato. Quando si chiuse la porta alle spalle, uno zombie sbucò dalla penombra e lo trascinò sul pavimento, affondandogli i denti nella tuta.
La recluta si girò e gli conficcò l'ascia nel cranio. Il sangue sgorgò poco e lento. "Dev'essere morto da parecchio" si disse. Poi si tastò con la mano il punto in cui l'aveva morsicato. "Per fortuna ho la tuta, o... Non voglio neanche pensarlo."
Si trovava nella stanza delle prove. File di scaffali pieni di libri, nastri, scatoloni e schedari. In alcuni punti c'erano delle buste di plastica contenenti delle prove, ma molte erano state svuotate. "Quel bastardo di Irons ha persino preso le pistole e le armi segnate come prove..."
Si aggirò tra gli scaffali per un attimo. Una non-morta barcollava vicino a una poliziotta morta. Aveva gli stessi corti capelli biondi di Rita.
"Spero non sia lei..."
La zombie si voltò verso di lui, che si nascose dietro lo scaffale. Quella gemette e gli zoppicò incontro. Quando arrivò alla fine del lungo schedario, l'accetta sbucò dal nulla e le si conficcò in fronte. La non-morta crollò a terra con un tonfo.
"Merda... Spero che il Licker non mi abbia sentito." Restò fermo per un lungo momento, poi raggiunse l'agente donna. Si chinò. "Pam... dannazione... Pensavo fossi fuggita..."
Mentre si alzava, gli occhi vitrei di Pam si aprirono di scatto e gli afferrarono il polso, tirandolo verso di sé. La faccia pallida e macchiata di sangue sbatté contro la visiera di lui, che le piantò l'accetta dietro il cranio. Poi si pulì il sangue sulla visiera con l'avambraccio. "Forse è meglio tornare indietro. Ho già rischiato la vita due volte... Ho un brutto presentimento."



 

"Pete!" disse Megan con gli occhi inumiditi dalla gioia. "Stai bene? Come ti senti?"
Lui sorrise debolmente. "Sto bene..." Roteò gli occhi verso Jill. "Non facciamo che incontrarti, sai..."
"Lo so."
"Jill ti ha salvato la vita" aggiunse Megan. "Ti ha dato delle... delle foglie blu e verdi."
"Foglie blu e verdi?" chiese Pete, confuso. "Le stesse foglie delle piante che sono nel dipartimento?"
Megan guardò Jill, che annuì.
"Beh, grazie, Jill" disse lui. "Ci hai salvati per la... Ormai ho perso il conto."
Jill gli posò una mano sull'avambraccio con affetto.
"Perché quel mostro ti sta inseguendo?" domandò Pete. Megan guizzò gli occhi verso di lei.
"Non lo so" rispose Jill. In realtà si era fatta una mezza idea del motivo, ma non ne era ancora sicura. Doveva indagare, scoprire se quella cosa fosse legata all'Umbrella. Ma qualcosa le diceva che era proprio così. Doveva soltanto trovare le prove e mostrarle al mondo intero.
Pete la fissò per un po', poi lanciò una fugace occhiata a Megan. Comprese che la donna non voleva parlarne davanti alla sua fidanzata. "Va bene, ho capito. Lo hai seminato?"
"Per adesso."
"Credo sia una bella coincidenza che tu passassi proprio di qui."
"Non una coincidenza, ma una scelta. Molte strade sono invase da orde di non-morti. Questa è l'unica strada accessibile, per ora. Ma un'orda di zombie è diretta proprio qui. Non so perché, ma ho l'impressione che molti zombie stanno convergendo verso il dipartimento di polizia."
Megan sbarrò gli occhi, terrorizzata. "Hai sentito, Pete? La centrale non è sicura. Te l'avevo detto."
Pete sospirò.
"Penso che ci siano dei sopravvissuti alla centrale" aggiunse Jill. "Non ne sono sicura, ma credo che qualcuno sia ancora vivo. Comunque sul tetto c'è un elicottero. Potete fuggire con quello."
"Tu verrai con noi?" domandò Pete.
"No, ho una questione in sospeso."
"Con chi?" chiese Megan.
Jill non rispose.
"Quell'elicottero potrebbe essere in pessime condizioni" disse Pete, deviando l'argomento. "Irons ce lo faceva usare molto raramente. Le eliche non vengono oliate da un sacco di tempo e il motore... Beh, potrebbe non funzionare."
"Lo so, ma vi basta atterrare nei dintorni della città e fuggire a piedi" rispose Jill. "E poi non dimenticatevi dei militari. L'esercito ha completamente isolato Raccoon City. Se vedono un elicottero in volo, faranno partire i loro caccia e vi uccideranno. Ne sono più che sicura. Quindi è meglio che lasciate l'elicottero e sparite nei boschi. Per loro sarà più difficile trovarvi."
Pete non era tanto sicuro di questo piano. Se l'esercito avesse visto un elicottero atterrare nelle campagne vicine, avrebbe mandato un gruppo di soldati a indagare. "L'esercito non ci lascerà mai andare. Se gli ordini sono di contenere qualsiasi cosa vogliano contenere, ci cercheranno e ci uccideranno."
"Non avete altre alternative."
"Tu come fuggirai?"
Jill lo guardò per un momento, poi abbassò gli occhi. "Ora devo andare."
"Alla centrale?" chiese Megan.
"Probabile." Pescò dalla tasca un fazzoletto in cui erano avvolte delle foglie sminuzzate e le mise in mano alla donna. "Tieni. Può tornarvi utile. Ma se vi beccate più di due morsi, queste non vi serviranno a molto. Contro i parassiti non ci saranno problemi. Se trovate in giro altre piante blu, verdi o rosse, tagliatele in piccoli pezzi e mettetevele da parte."
Megan l'abbracciò. "Grazie, Jill. Sei una vera amica!"
Lei sorrise.
Pete la guardò andare via. Sapeva che Jill stava indagando sia sull'Umbrella, che sulla corruzione del dipartimento di Raccoon City, per questo era stata evasiva. Voleva trovare a tutti costi delle prove, anche a rischio di rimetterci la vita. La conosceva bene. Se si metteva qualcosa in testa, nulla la poteva distogliere dal suo obiettivo.



 

Marvin raggiunse la grande finestra della hall e sbirciò nel cortile. Centinaia di zombie erano ammassati davanti al cancello, le braccia protese fra le sbarre di ferro. I gemiti arrivavano ovattati, ma là fuori dovevano essere insopportabili.
Elliot Edward gli si fermò accanto. "Continuano ad arrivare, tenente. Ho il sospetto che sappiano che siamo qui."
"L'ho pensato anch'io" rispose Marvin, preoccupato.
Restarono in silenzio per un momento.
Elliot voltò la testa. "Alcuni sopravvissuti sono irrequieti. Jim, quello con la giacca grigia, sta provando a metterceli contro. Forse è meglio separarlo dal gruppo."
Marvin rifletté un momento. "Non credo sia una buona idea."
"Perché? Lo mettiamo nella cella accanto a quella di Ben Bertolucci. Non starà da solo."
"Non è lui che mi preoccupa, ma la reazione degli altri. Se vedrebbero un gesto simile, penseranno che vogliamo imporre il nostro volere."
"Ma la situazione è critica. Loro dipendono da noi. In città vige la legge marziale."
"Dobbiamo aiutarci a vicenda, non creare gruppetti."
Elliot guardò dalla finestra. "Senza offesa, tenente, ma non mi pare la giusta soluzione."
Marvin non rispose e lui si allontanò, insoddisfatto.
Restò a guardare il cortile per una ventina di minuti, finché si udirono delle grida. Si voltò.
Chung e Jim si stavano azzuffando.
"Figlio di puttana!" urlò Jim, tirandogli un pugno.
Chung lo deviò. "Stronzo!" Quando fece per colpirlo, agenti e superstiti li divisero. I due continuarono a insultarsi, a minacciarsi, a volersi prendere a pugni, ma furono bloccati del tutto dagli altri.
Marvin sospirò. Sapeva che questo momento sarebbe arrivato, ma non si aspettava così presto.
Elliot era immobile vicino alla reception e fissava il tenente con un sorrisetto sulla labbra. Era curioso di sapere come avrebbe risolto la situazione.
Marvin si avvicinò verso di loro. "Ok, calmatevi tutti."
Nessuno lo ascoltò.
"Fate silenzio."
Niente.
"Basta!" urlò.
Tutti si fermarono a guardarlo. Nell'atrio scese il silenzio.
Il tenente puntò il dito verso il portone d'ingresso con fare irato. "Ci sono degli zombie là fuori e voi pensate a prendervi a pugni? Volete ammazzarvi? Ok, quella è la porta. Quei non-morti sarebbero felici di farvi a pezzi! Avanti, che aspettate. Andate! Quella è la porta."
Nessuno fiatava. Elliot incrociò le braccia, serio. Non si aspettava una strillata come questa.
Marvin li fissò uno ad uno, gli occhi infiammati e carichi di rabbia. "Kevin, dimmi cosa è successo?"
"Un litigio da niente."
"Ti ci metti anche tu?"
Kevin Ryman non parlò subito. "Jim ha iniziato a stuzzicare Chung. E lui ha fatto la stessa cosa. Poi la cosa è degenerata."
Marvin lo guardò. "Ora capisci perché non sei riuscito a entrare nella STARS? Non prendi mai niente seriamente. Non riesci nemmeno a spiegarmi cosa è successo."
Elliot non capiva come questa cosa potesse essere utile.
Kevin aggrottò la fronte, irritato, ma non rispose. Lo rispettava troppo.
Marvin puntò il dito verso Chung e Jim. "Ora voi due venite con me!"
I due si lanciarono un'occhiata carica di astio e lo seguirono, scortati da Kevin e un altro agente.
Mentre si avviavano verso la porta in fondo all'atrio, i sopravvissuti cominciarono a lamentarsi.
Marvin si fermò e si voltò. "Ora basta!"
Quelli lo guardarono.
"Smettetela una volta per tutte, o giuro che vi rinchiudo tutti in cella!"
I superstiti abbassarono la testa e tornarono ai loro posti.
Il tenente si girò e aprì la porta.
Elliot continuava a non capire. Poco prima gli aveva detto che dovevano collaborare, aiutarsi a vicenda e adesso il tenente aveva fatto ciò che gli aveva suggerito. Più ci pensava, più non ci capiva niente.
Marvin guidò il gruppetto nel blocco delle celle sotterranee.
Ben si alzò dalla branda con fare curioso.
Marvin aprì la prima cella e fece entrare Jim, che lo guardò torvo. Poi aprì la seconda e guardò Chung.
"Sono un agente di polizia" disse quello. "Non puoi sbattermi dentro. Io sono la legge."
"Tu fai quello che ti ordino. Entra dentro!"
Chung lo fissò, irato. "No."
"Vuoi disubbidire a un mio ordine? Ricordati che sono un tuo superiore!"
Lui continuò a fissarlo per un momento, poi entrò nella cella e si sedette sulla branda.
Ben li osservava con estrema curiosità.
Marvin guardò Chung e Jim. "Resterete qui, finché non capirete che saltarvi alla gola non è di aiuto a nessuno. Se poi continuerete a non capire, mi costringerete a prendere dei provvedimenti, che non saranno affatto piacevoli. Rifletteteci." Si girò e andò via, seguito dai due agenti.
"Stronzo..." disse Jim tra i denti.



 

Nick tornò indietro. Quando aprì la porta della stanza delle prove, il Licker zampettava nel corridoio. La muscolatura sanguinolenta rifletteva la luce dei lampioni che filtravano fra le assi di legno piantate alle finestre. Si fermò e scattò la testa in diverse direzioni. Cercava qualcosa.
La recluta socchiuse la porta e lo osservò per un lungo momento.
"Avrà sentito qualcosa" si disse. "Forse il rumore che ho fatto quando ho ucciso i due zombie. Oppure... No, spero di no. Spero che non sia come penso. Sherry..."
Il Licker si arrampicò sul muro e si fermò sul soffitto. Poi scattò la testa e si mosse velocemente lungo il corridoio, svoltando l'angolo.
Quando Nick fece per uscire, quello ritornò indietro. La recluta si chiuse all'interno. "Mi ha visto?" Restò a fissare la porta per lungo momento, poi si allontanò con cautela. Ritornò davanti al cadavere di Pam, la superò e girò la maniglia.
Il corridoio era vuoto. Un neon penzolava un poco dal soffitto e illuminava intermittente l'ambiente. Le pareti erano tappezzate di poster pubblicitari, bacheche con foto di ricercati e diversi quadri paesaggistici. Tre cadaveri erano distesi sul pavimento cosparso di sangue rappreso.
Nick si avvicinò cauto. Erano agenti di polizia, i corpi ridotti a brandelli, i vestiti lacerati. Uno di loro stringeva in mano una pistola Glock.
Si chinò, allentò la stretta presa delle dita e la prese. Si alzò e controllò il caricatore. Sei colpi. Lo rimise dentro e fece scorrere il carrello dell'arma con un suono secco. "Almeno adesso ho qualcosa con cui difendermi..."
S'incamminò verso la fine del corridoio e si fermò poco prima di raggiungerlo. Un rumore giungeva dall'angolo. Ci spiò. Uno zombie gli dava le spalle, chino su un cadavere. Mangiava un braccio spolpato. L'orrido rumore della carne masticata gli fece venire il voltastomaco.
Lo raggiunse alle spalle e gli conficcò l'accetta nel cranio. Il non-morto crollò a terra con il braccio mangiucchiato tra le mani. La mano di Nick venne trascinata giù insieme al corpo. Non riusciva a sfilare l'arma. Sembrava incastrata. Mentre tentava di estrarla, scivolò sul sangue e cadde di sedere a terra. "Cazzo, che dolore!"
Due donne zombie sbucarono da una porta aperta e barcollarono verso di lui, che cercava di togliere l'accetta dal cranio. Una si lasciò cadere e gli afferrò uno stivale. Nick la colpì in faccia con la pianta del piede e scattò in piedi, perdendo quasi l'equilibrio.
Indietreggiò velocemente e lanciò uno sguardo nel corridoio da cui era venuto. Poi puntò loro la pistola. "No, no, che cazzo sto facendo. Non posso sparare. Questo posto è pieno di zombie. Li farei venire tutti da me, per non parlare di quel Licker. Ci manca solo quello."
Le due non-morte allungarono le mani verso di lui, che si guardò in giro alla ricerca di qualcosa da poter usare per spaccare loro la testa. Non trovò niente. "Ora che faccio?"
I due zombie si avvicinavano.
Lui continuò a indietreggiare nel corridoio, finché trasalì. Un'ombra si mosse lungo la finestra e sparì dietro il muro esterno. Era un Licker.
Poi una zombie gli afferrò un braccio, ma lui la spintonò via con violenza e quella si fracassò il cranio contro il muro.
L'altra inciampò sulle sue gambe e cadde bocconi sul pavimento. Nick le schiacciò ripetutamente la testa con la pianta dello stivale. Poi si fermò e riprese fiato, curvandosi in avanti. Il Licker zampettò di nuovo sulla finestra, la testa che scattava in diverse direzioni.
La recluta sobbalzò e gli puntò tremante la pistola. "Si mette sempre peggio..."

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Capitolo 16
*** XVI. Capitolo ***


"Pete, stai bene?" chiese Megan, preoccupata. "Vuoi un po' di foglie?"
Si alzò in piedi. "Sto bene... Non ho più mal di testa. Mi sento meglio."
Lei sorrise.
"E poi le foglie dobbiamo tenerle per i morsi. Forse alla centrale torneranno utili."
La donna si rabbuiò.
"Che c'è?"
"Niente."
"È per la centrale? Hai sentito Jill. L'elicottero è l'unica via di fuga. Io so pilotarlo."
Megan abbassò gli occhi. "Non è per questo... Ti conosco. Se trovassimo qualcuno, tu resteresti lì per aiutarlo. E noi non ce ne andremo mai da qui."
"Non possiamo abbandonare la gente. Sono più che sicuro che Marvin è lì. Forse ha organizzato una resistenza. Se è così, dobbiamo aiutarlo. Forse lui ha già pensato a un piano di fuga. E poi sono un poliziotto. Ho il dovere di proteggere le persone."
"Però prima non hai mai mosso un dito per aiutare quelli che abbiamo incontrato."
Lui non rispose.
Lei restò in silenzio. Voleva solo andare via, allontanarsi da tutto questo. Forse era un atteggiamento egoista, ma anche altri lo avrebbero fatto. Oppure si stava giustificando?
"Meg" disse Pete. "Tutto bene?"
"Sì."
"Dammi la pistola." La guardò dritta negli occhi. "Andrà tutto bene. Adesso muoviamoci."



 

Marvin raggiunse il suo ufficio e si chinò di nuovo sulla mappa. Era combattuto. Non sapeva se aveva fatto bene a risolvere la situazione in quel modo. Forse aveva esagerato. Non sapeva con certezza cosa fosse successo, ma non poteva punire solo Jim. Sapeva quanto Chung potesse essere irritabile. Non era la prima volta che creava problemi. Molti agenti si erano lamentati per il suo atteggiamento e alcune volte erano scoppiate delle risse per causa sua.
D'altronde, Jim era un volto conosciuto nel dipartimento. Non faceva che entrare e uscire da una cella. Risse, molestie, ubriachezza, vandalismo e altri reati minori. L'ultima volta che lo avevano messo dentro era per molestie e lesioni personali gravi. Aveva picchiato la sua ragazza e altri due ragazzi che erano intervenuti per fermarlo, compresa un'altra ragazza. Gli agenti intervenuti erano stati costretti a usare i manganelli per renderlo inoffensivo.
Da quel giorno erano passati undici settimane. Una volta uscito su cauzione, era andato dritto a casa della sua ragazza, ma non l'aveva trovata. Da allora era sparito, finché era stato arrestato per ubriachezza molesta in un bar, due giorni prima dell'epidemia. E ora stava fomentando una rivolta.
"Forse non una rivolta, ma qualcosa di simile" si disse Marvin.
Qualcuno bussò sullo stipite della porta.
Marvin alzò lo sguardo. Era Elliot. "Sì?"
"Kevin è uscito in cortile."
"Cosa?"
"Ho tentato di fermarlo, ma ha detto che voleva riflettere."
"Riflettere?"
Elliot alzò le spalle.
"Riflettere su cosa?" chiese Marvin. "Sulle parole che gli ho detto?"
"È probabile."
"Non ascolta mai. Fa sempre di testa sua."
"Volevo dirti che ti appoggio."
"Su cosa?"
"Su come hai gestito la situazione. Hai fatto la scelta giusta, solo che..."
Marvin si accigliò. "Che?"
"Mi avevi detto che avresti gestito le cose in maniera diversa, ma poi hai fatto tutt'altro. Mi hai stupito."
"Certe situazioni richiedono misure drastiche." Si lasciò cadere sulla sedia d'ufficio con fare pensieroso. "Non sono sicuro di aver fatto la scelta giusta."
"L'hai fatta" disse Elliot. "Jim dava fastidio un po' a tutti. E poi ho notato che si era messo a infastidire Liah. Lei non se ne lamentava, ma se non avessi fatto qualcosa tu, lo avrei sistemato io."
"Non lo sapevo. Perché non me lo hai detto?"
"Non volevo stressarti. E poi non sei da solo. Puoi contare su di me e sugli altri agenti. Non caricarti di tutti i fardelli, tenente."
"Grazie, Elliot."
Lui annuì con un sorriso sincero. "Si figuri, tenente." Andò via.
Marvin chiuse gli occhi arrossati. Era esausto. Persino pensare era diventato difficile. Voleva solo riposare un po'.
"Li chiudo solo per un po'. Solo un po'..."



 

Il Licker sparì dietro la finestra. Nick abbassò la pistola e guardò la porta aperta da cui erano uscite le due zombie. Si fermò davanti al cadavere con l'accetta nel cranio e la sfilò con fatica. Si udivano dei suoni, come dei colpi su un legno. Raggiunse cauto la porta aperta e sbirciò dentro. Le assi di legno piantate sull'unica finestra erano ridotte a brandelli e il pavimento era cosparso di sangue e vetri. Cinque zombie erano a ridosso di una porta e la colpivano con pugni e testate.
"Ci deve essere qualcuno là dietro..."
Un non-morto si girò e barcollò verso di lui, che si nascose dietro lo stipite. Quando gli arrivò vicino, Nick gli sferrò un colpo in fronte e quello crollò con un tonfo. I quattro non-morti si voltarono verso il suono e gemettero. Uno di loro arrivò vicino alla porta e inciampò sul cadavere. Mentre Nick stava per colpirlo, un Licker entrò dalla finestra infranta e zampettò rapidamente sul soffitto.
La recluta sbarrò gli occhi, terrorizzato.
Lo zombie gli afferrò un piede e gli morse il cuoio dello stivale. Quello lo colpì con l'accetta, ma scivolò sul pavimento.
Il licker scattò la testa verso di lui, la lunga lingua che frustava l'aria. I quattro zombie gli vacillarono incontro.
Il non-morto gli diede un altro morso allo stivale e lui lo colpì con la pianta del piede. Lo scricchiolio dell'osso del collo echeggiò nel corridoio. Il non-morto smise di muoversi, la punta dello stivale in bocca.
Il Licker ruggì eccitato e si precipitò verso di lui, che gli puntò la pistola.
Sparò.



 

Quando Pete e Megan uscirono dal negozio, una dozzina di non-morti vagabondavano nella strada.
Pete guardò la fidanzata. "Ok, ci muoveremo rasenti agli edifici. Lì non ci sono zombie. Andiamo."
Superarono il posto di blocco, dove c'erano due cani zombie morti e seguirono le pareti. I non-morti si voltarono verso di loro e gli zoppicarono dietro.
"Facciamo presto" disse Pete. "Siamo quasi arrivati."
Oltre passarono un bus e due auto della polizia e si fermarono davanti a un altro posto di blocco.
"Questo è diverso dagli altri" aggiunse Megan.
"È stato fatto dalla polizia, non dalla SWAT. Forse hanno cercato di respingere gli zombie."
Quando superarono il lungo pannello blu che ostruiva la maggior parte della strada, dozzine di poliziotti morti giacevano sull'asfalto.
Pete restò inorridito. Li conosceva quasi tutti.
"Non ci voglio passare tra di loro" disse Megan, impaurita.
"Sono morti. Non possono farti niente. Andiamo."
"No."
Pete la guardò, serio. "È l'unica strada per entrare nella centrale. Non avere paura. Ci sono io."
"Non mi piace. Ho una brutta sensazione."
Lui sbuffò, irritato. "Senti, o passiamo da qui, o ci facciamo mangiare da quelle cose. Non abbiamo altra scelta."
"Possiamo non andarci."
"Non ricominciare. Il dipartimento è l'unico posto sicuro." Le afferrò una mano e se la trascinò dietro.
S'incamminarono tra i corpi senza vita degli agenti, un tempo suoi amici. Cercava di non guardarli e di trattenere le lacrime, ma quelle scesero copiose lungo il suo viso.
Quando arrivarono a metà strada, i poliziotti alzarono i busti squarciati e gemettero.
"Lo sapevo!" disse Megan, terrorizzata. "Adesso ci uccideranno!"
Pete era troppo scosso per risponderle. Aumentò il passo. Serpeggiarono tra gli zombie, che allungavano le mani scarnificate verso di loro. Un non-morto afferrò Megan per una gamba e la fece cadere bocconi a terra. Quella cacciò un urlo.
Pete si voltò e conficcò il coltello nel cranio dello zombie. Poi le liberò la gamba dalle fredde dita e corsero verso il cancello posteriore della centrale. Lo scosse con forza. Era chiuso. "Dobbiamo scavalcarlo. Forza, ti aiuto io."
Megan era così stordita e spaventata, che fece tutto in automatico. Posò le mani sulle sbarre di ferro, un piede sulle mani intrecciate di lui, che la spinse in alto, e scavalcò il cancello. Pete la seguì poco dopo.
I poliziotti zombie si accalcarono davanti al cancello, le mani protese tra le sbarre.
"Io... come" disse Megan, senza capire come aveva fatto a scavalcare il cancello.
"Vieni, Meg, Entriamo dal retro."
Proseguirono lungo il cortile puntellato da file di siepi, fiori e muretti e si fermarono davanti a una porta di ferro.
Pete girò la maniglia. Era chiusa. "Cazzo, dovevo immaginarlo..."
"E ora?"
"Ora dobbiamo trovare un modo per entrare."
"Forse non c'è nessuno."
"La porta è chiusa, non vedi? Non volevano fare entrare gli zombie. Quindi sono più che sicuro che ci sia qualcuno all'interno." Sferrò un pugno a martello sulla porta. "Aprite! Qualcuno mi sente? Sono Pete Anderson!"
Qualcosa zampettò rapidamente lungo la facciata dell'edificio e sparì dietro il cornicione.
Megan aggrottò la fronte, impaurita. "Pete... Pete! Ho visto qualcosa." Lo strattonò. "Pete!"
Lui la ignorò. "Mi sentite?" Martellò di pugni la porta. "Sono..."
Quella si aprì con un cigolio.
Pete si accigliò, serio. Megan sorrise.
"Oh, guarda un po' che sorpresa" disse Johnson con un ghigno sinistro. "Lo scemo del villaggio è ancora vivo."



 

Quando Marvin riaprì gli occhi, Kate lo stava fissando. Trasalì. " Mi ha fatto prendere un colpo..."
"Mi dispiace, non volevo spaventarti."
Il tenente si stropicciò gli occhi arrossati. "Che succede?"
"Niente. Sono solo preoccupata per Nick."
"Se la caverà."
Lei si sedette sulla scrivania. "Lo so."
"Allora perché ti preoccupi?" Marvin intuiva il motivo, ma non voleva dirle niente.
Lei non rispose.
Lui sorrise. "Nick è un bravo ragazzo. Sa quello che..."
"Stiamo insieme" disse Kate, imbarazzata.
Marvin non parlò subito. "Avevo notato qualcosa... A dire la verità, vi ho visto dietro il divisorio di vetro."
Kate deviò lo sguardo, a disagio. "Non è contro il regolamento, giusto?"
"No, ma il regolamento è l'ultimo dei nostri problemi."
Le relazioni tra colleghi non erano vietate, ma non erano ben accette da Irons, che le sradicava sul nascere con minacce di licenziamento. Ma a Marvin non importava più. Quando questa brutta storia sarebbe finita, Irons sarebbe stato licenziato o peggio. E Johnson lo avrebbe seguito.
Lei accennò un sorriso. "Volevo... volevo che tu lo sapessi."
"Potevi anche non farlo, visto l'attuale situazione. Ma ti ringrazio. E..."
Elliot corse nell'ufficio con fare preoccupato. "Tenente, il cancello. Gli zombie lo stanno per abbatterlo."
Marvin scattò in piedi. "Cosa?"
"Ho posizionato degli agenti davanti al portone d'ingresso."
Marvin si diresse con passo sostenuto verso la balconata della hall, seguito da Elliot e Kate. Quando vi arrivarono, gli zombie tartassavano di pugni il portone e le due grandi finestre. I tredici superstiti si erano raggruppati alla reception, dietro la statua. Tutti gli agenti erano vicini all'entrata.
"Mantenete la posizione!" urlò Marvin, correndo lungo la balconata. Scese le scale e li raggiunse.
"Tenente, tra poco entreranno qui" disse Kevin. "Cosa facciamo?"
"Quanti sono?"
"Cosa?"
"Gli zombie, dannazione!"
"Ne ho contati trenta, ma forse sono molto di più. La maggior parte si è divisa nel cortile."
Quella era l'ultima cosa che voleva sentirsi dire. Se si fossero espansi attorno alla centrale, sarebbe stata la fine. Per fortuna aveva fatto barricare l'ala ovest. Potevano fuggire da lì e andare sul tetto.
"Il canale fognario passa sotto la centrale" disse Elliot. "Possiamo usarlo per fuggire."
"Le fogne non sono sicure."
"Come lo sai?"
"Lo so."
La grande finestra a sinistra andò in frantumi.
"Mantenete la posizione!" gridò Marvin.
I superstiti gridarono e alcuni fuggirono nell'ala Ovest.
"No, dannazione. Fermi!"
Liah e Tania si fermarono e lo guardarono per un istante. Poi ritornarono alla reception.
Gli zombie entrarono e caddero oltre la finestra. L'altra esplose un momento dopo. I gemiti echeggiarono nel salone, ovattando qualsiasi rumore.
"Colpiteli alla testa!" urlò Marvin. "Alla testa!"
Nessuno lo sentì.
Si avvicinò agli agenti e indicò loro di colpire la testa. Quelli annuirono.
Kevin si lanciò contro gli zombie. Conficcò il coltello nel cranio del primo, poi indietreggiò velocemente prima di esserne circondato. "Sono troppi!"
"Non fatevi accerchiare!" urlò Marvin.
Alcuni zombie misero i piedi in fallo sui due scalini dell'atrio e caddero a terra. Altri cascarono oltre il parapetto.
"Usate le pistole, se ce l'avete!" gridò il tenente.
Gli spari sovrastarono i gemiti per un momento. Una decina di zombie crollarono sul pavimento, le teste ridotte a una poltiglia di cervella e sangue.
"Kevin, prendi i superstiti rimasti e portali al sicuro sul tetto!" urlò Marvin.
"Sono più utile qui. Me la cavo nel corpo a corpo."
"Per questo devi andare tu. Devi proteggerli!"
Lui annuì. Si diresse dai sette sopravvissuti dietro la reception e li condusse nell'ala Ovest.
Liah si fermò sotto la porta e lanciò uno sguardo a Marvin, che le accennò con la mano di continuare a muoversi. Tania piangeva.
Un'altra decina di non-morti cadde a terra con il cervello spappolato. Il portone d'ingresso cedette e si abbatté sulla schiena di quelli davanti.
Altri zombie entrarono nella hall.
"Non possiamo affrontarli con le armi bianche" urlò Elliot. "Sono troppi. Ci accerchieranno!"
Marvin gli diede ragione. Non potevano fare molto. "Ritiratevi lentamente verso l'ala ovest!" Lanciò un'occhiata alla porta dell'ala est da cui era uscito Nick. Sperava che lui e Rita non arrivassero proprio adesso, o sarebbero morti. Poi guardò la statua che troneggiava sugli zombie. E si rese conto che il piano di fuga era andato in fumo. Doveva uccidere tutti gli zombie per avere di nuovo accesso alla Hall. Quando si girò, Kate gli era davanti, la faccia insanguinata, mangiucchiata, da cui penzolavano lembi di pelle. Lo afferrò per la camicia e gli affondò i denti nella giugulare.
Si svegliò di soprassalto sulla sedia d'ufficio, il cuore che gli martellava nel petto, la fronte che grondava sudore. "Cosa... Era... era così reale." Si tastò il corpo, incredulo. Si alzò e perse un poco l'equilibrio. Si portò la mano sulla fronte. Scottava.



 

Il proiettile centrò il cervello esposto del Licker, schizzando di sangue e materia grigia gli zombie alle spalle.
Nick sbarrò gli occhi, sorpreso. Lo aveva beccato al primo colpo. Tutti quei pomeriggi passati all'armeria della centrale avevano dato i suoi frutti. Non amava molte le armi, in quanto gli evocavano brutti ricordi. Situazioni che aveva cercato di dimenticare da una vita. Sua madre morta in una rapina finita male, il petto squarciato da un colpo di fucile a pompa. Ricordava i due poliziotti e l'assistente sociale all'uscita della scuola, il cupo e rigido orfanotrofio dove era rimasto chiuso fino ai diciassette anni. Di quel periodo ricordava davvero poco, ma quel poco era peggio dell'inferno.
Uno zombie inciampò sul cadavere della creatura e cadde sul pavimento, riportandolo al presente. Scattò in piedi e gli conficcò l'accetta nel cranio. Poi attese l'arrivo degli altri non-morti. Indietreggiò un po' e colpì il secondo zombie in fronte. Indietreggiò nuovamente e sferrò un colpo al terzo non-morto sopra l'orecchio.
Si piegò in avanti e riprese fiato.
La porta di fronte si aprì con uno stridio.
Lui alzò lo sguardo. "Rita?"
"Nick!" disse lei, contenta.
"Stai bene?"
"Sì, certo. Tu?"
Nick superò i cadaveri e la raggiunse. "Ti stavo cercando."
"Pensavo fossero morti tutti."
"Sei da sola?"
Lei annuì. "Tu?"
"No, sono insieme a sei agenti e quattordici sopravvissuti. Ora andiamo."
"Aspetta! Prima devo trovare qualcuno."
"Non abbiamo tempo. Marvin ha un piano di fuga, ma ci servi tu per portarlo a termine."
"No, prima devo trovare Pam."
Nick si rabbuiò e abbassò lo sguardo.
Rita lo guardò, turbata. "Cosa c'è?"
"Pam non ce l'ha fatta..."
La donna era sconvolta. "Sei sicuro? Forse ti sei confuso."
"No, era lei. Mi ha attaccato e... Si trova nella stanza delle prove."
Gli occhi della donna si riempirono di lacrime e si voltò per non farsi vedere.
"Mi dispiace" disse Nick. "Sapevo quanto eravate legate. Mi dispiace tanto."
Quando si girò verso la porta da cui era entrato, la testa di un Licker sbucò da dietro lo stipite.
Si pietrificò.
La creatura entrò nella stanza e Nick indietreggiò verso Rita, che non si era accorta di niente. Quella fece per girarsi, ma lui la fermò e le intimò il silenzio con un dito sulle labbra.
Poi indietreggiarono verso lo stanzino in cui si era chiusa la donna. Quando arrivarono sulla soglia, lei calpestò alcuni vetri.
Il Licker scattò la testa versi di loro e ruggì, la lunga lingua che saettava in aria.
Nick puntò la pistola e sparò. Il cervello della creatura saltò in aria come pezzi di gelatina.
Rita gli lanciò uno sguardo, incerto. "Due spari. Ora sì che avremmo addosso tutti quei mostri."
"Due spari?" chiese Nick, confuso.
"Questo è il secondo sparo. Quelle cose hanno l'udito fine. Se sentono più rumori in un luogo, non se ne vanno più."
"Come lo sai?"
"Esperienza. Mi sono rinchiusa lì dentro per questo. Ora faremo meglio ad allontanarci da qui."
Si avviarono lungo il corridoio, finché entrarono nella stanza delle prove.
Rita si chinò in lacrime su Pam e le accarezzò i capelli.
"Dobbiamo andare" disse Nick.
Lei si alzò e lo seguì.



 

Johnson li fece entrare e chiuse la porta. Si voltò. "Non avrei mai creduto di rivederti vivo."
Megan lo guardò. "Grazie per averci aperto."
Johnson non la degnò di uno sguardo. "I tuoi amici sono nella hall. Perché non vai a trovarli? Così ti levi dalle palle."
La donna aggrottò la fronte, perplessa.
Pete non gli rispose e s'incamminò lungo il corridoio insieme alla fidanzata.
"Chi era quello?" chiese Megan
"Un coglione."
"Non vi state molto simpatici."
"Johnson non sta simpatico a nessuno."
"È così con tutti?"
Lui annuì.
"Perché ci ha aperto la porta?"
Se lo domandava pure Pete. Forse aspettava qualcuno? O forse non era così stronzo da lasciarli fuori? "Non lo so."
Svoltarono l'angolo.
Mentre camminavano, Pete adocchiò le assi di legno piantate alle finestre e le tracce di legno lungo il battiscopa. Dovevano averle montate da poco. Girò la maniglia e si avviarono in un piccolo corridoio che delimitava gli uffici.
Kevin inseriva delle monete in un distributore di bibite.
"Kev!" disse Pete con un sorriso.
Quello si voltò, sorpreso. "Oh, Pete! Sei vivo!"
I due si abbracciarono.
"Pensavo fossi morto" disse Kevin.
"Lo pensavo anch'io di te" rispose Pete. "Lei è Megan, la mia fidanzata."
Lui si portò una mano dietro la nuca, imbarazzato. "Sì, Megan."
Lei lo guardò a disagio.
"Che succede? Vi conoscete?" chiese Pete, perplesso.
"È una lunga storia" aggiunse Kevin.
"E quale sarebbe questa storia?"
"Siamo usciti un paio di volte" rispose Megan, impacciata.
"Solo usciti?"
Non risposero.
Pete scacciò via il pensiero di Megan e Kevin tra le lenzuola. "Johnson mi ha detto che ci sono altri superstiti nella hall. È vero?"
Kevin corrugò le sopracciglia, confuso. "Hai incontrato Johnson? Quindi è ancora vivo..."
"A quanto pare sì."
"Non lo vediamo da quando è successo questo casino. Lo stesso vale per Irons. Pensavamo fossero fuggiti o morti."
"Gli scarafaggi sono duri a morire."
Kevin smorzò una risata. "Già, proprio così."
"Allora? Ci sono altri superstiti?"



 

Marvin guardava il viso della statua al centro dell'atrio. Pensava al suo incubo. Era stato così reale, persino il dolore della giugulare che gli veniva strappata. Sentiva la testa un poco pesante. Forse aveva un principio di febbre, ma era niente a confronto con l'inferno là fuori.
"Ehi, Pete!" urlò una voce da uomo.
Marvin si girò. Un sorriso si dipinse sul suo volto e gli andò incontro. Era sorpreso e contento di vederlo in vita.
Tutti gli agenti si erano ammassati attorno a Pete, che li abbracciava uno ad uno. Quando si vide davanti il tenente, i due si sorrisero e si strinsero in un forte abbraccio.
I sopravvissuti si avvicinarono, incuriositi.
"Sembri stare bene" disse Marvin. "Come sei entrato? Le porte sono tutte chiuse."
"Dal retro. Mi ha aperto Johnson."
Il tenente restò interdetto per un momento. "Johnson?"
"Sì, proprio lui. Sembra che nessuno lo vede da un bel po'."
"Ed è meglio per lui se non si fa vedere."
"Non ci ha accolti bene" aggiunse Megan. "Mi ha ignorata, anche se l'ho ringraziato per averci fatto entrare."
"Lei è Megan, la mia fidanzata" disse Pete.
Marvin le allungò una mano. "Tenente Marvin Branagh. Piacere di conoscerla."
Lei gliela strinse. "Megan Stuart."
"Non ti dispiace se ti rubo Pete per un momento?"
"No, niente affatto."
Marvin lo condusse a disparte dagli altri, che facevano la conoscenza di Megan. Si fermarono sotto la statua e si raccontarono le loro disavventure. "E ora sei sicuro di non essere più infetto?"
"Non lo so, ma mi sento meglio."
"Quella ragazza mi stupisce sempre."
"Ho delle altre erbe, in caso servissero a qualcuno" disse Pete.
"Hai detto che ha usato delle piantine, giusto? Quelle che abbiamo qui in centrale?"
"Sì, se non ricordo male sono nell'ala est e nel cortile."
"L'ala est è invasa dai non-morti e Licker."
"Licker?"
"Quei mostri senza pelle. Li abbiamo chiamati così."
Pete lanciò un'occhiata alla porta dell'ala est. "Quindi Nick è lì?"
"Sì, e spero che abbia trovato Rita." Poi indicò un punto sotto la statua. "Lì c'è un condotto d'areazione. Lo vedi? Proprio ai piedi. Solo Rita può passarci."
"Là fuori sono tutti morti" disse Pete. "Potrebbe morire."
"Lo so, ma dobbiamo cercare aiuto. Non possiamo rimanere qui."
Pete evitò di parlargli dell'elicottero sul tetto. Non c'era posto per tutti e fare due o tre viaggi era impossibile con l'esercito che aveva circondato la città. "Ci sono le fogne. Possiamo usarle."
"No, sono da evitare. Nick mi ha detto di essersi imbattuto in un alligatore gigante."
Pete smorzò una mezza risata, incredula. "Ma dai, sono solo leggende. Non dirmi che ci credi."
"Non credevo nemmeno ai Licker, eppure esistono. Questa cosa, questo virus, è pericoloso. Non va sottovalutato. E poi chissà cosa c'è nella melma. Meglio evitare."
Pete non parlò subito. "Mi sembra solo strano."
"Siamo circondati da stranezze" disse Marvin.
"Hai provato a chiedere aiuto con la console della STARS? Quella che hanno nel loro ufficio?"
"Qualcuno l'ha messa fuori uso. Siamo isolati dal resto del mondo."
Pete si accigliò. "Credi siano stati Irons e Johnson?"
"Probabile."

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Capitolo 17
*** XVII. Capitolo ***


"Stai attenta" disse Nick. "C'è un Licker in questo corridoio."
Rita annuì, aprì un poco la porta e sbirciò dalla fessura. "Non vedo nessuno. Sicuro che sia ancora qui?"
"Come faccio a saperlo? Sei tu quella vicino alla porta."
"Forse era uno dei due Licker che hai ucciso prima."
Lui le si avvicinò. "Sarebbe troppo bello per essere vero. Spostati. Fammi passare."
"Sì, ma non spingere!"
"Prima di raggiungere la Hall, dobbiamo passare a prendere una bambina."
Rita corrugò la fronte. "Una bambina?"
"Sì, una bambina."
Uscirono dalla stanza delle prove e raggiunsero la porta dello sgabuzzino. Nick ci bussò tre volte, girò la maniglia e sbirciò all'interno. "Sono Nick. Puoi uscire."
Nessuna risposta.
"Sherry, sono Nick. Non avere paura. Vieni qui."
Niente.
La recluta si accigliò, turbato. Entrò e svoltò lo scaffale dove aveva visto nascondersi la bambina. Non c'era nessuno. Sentì una fitta allo stomaco.
"Che succede?" chiese Rita.
"La b-bambina..." balbettò. "È s-sparita..."
Rita restò interdetta. Non sapeva bene cosa dire. "Sicuro che era qui?"
"Certo che sono sicuro. Le ho detto di aspettarmi qui. Era dietro questo scaffale."
"Forse qualcosa l'ha spaventata ed è fuggita."
Nick pensò al Licker, ma sulla porta non c'erano segni di violenza. Tutto lo sgabuzzino era come lo aveva lasciato.
Rita chiuse piano la porta.
"Che fai?" domandò lui, confuso.
Rita si portò un dito sulla labbra.
Nick le si avvicinò piano. "Devo ucciderlo, se vogliamo arrivare alla hall" sussurrò.
Lei scosse la testa.
"Devo farlo."
"Ce ne sono tre. Stai zitto."
Lui sbarrò gli occhi.



 

Pete si versò due dita di scotch nell'ufficio di Marvin e annusò il liquore. "Quanto mi mancava questo odore." Fece un sorso. "Tu sì che sei un vero intenditore in fatto di liquori."
Marvin abbozzò un sorriso, seduto sulla sedia d'ufficio. Aveva gli occhi gonfi dal sonno e cercava di tenerli aperti.
"Ne vuoi un po'?"
"No, grazie."
Pete si sedette sul divano. "Non hai una bella cera."
"Nessuno ce l'ha."
"Dovresti riposarti."
"Non posso. Devo occuparmi dei superstiti e..."
"Posso occuparmene io. Non è un problema. E poi ci sono anche gli altri agenti."
"Ho già avuto questa discussione con Elliot."
"E?"
"Ha detto più o meno le tue stesse parole."
Pete fece un altro sorso. "Siamo in maggioranza. Vinciamo noi, tenente."
Marvin sorrise. "Tenente?"
"Ogni tanto mi ricordo il tuo grado" disse Pete in tono scherzoso.
Lui scosse la testa con un sorriso.
"Ora però riposati. Sei conciato peggio di uno zombie. E quelli sono conciati davvero male" sorrise.
"Va bene, ma solo dieci minuti."
Pete tracannò l'ultimo sorso di scotch, posò il bicchiere sul tavolino e si alzò in piedi. "Ok, solo dieci minuti, tenente" disse in tono beffardo.
Appena Marvin si sdraiò sul divano, sprofondò nel sonno e cominciò a russare.
Pete gli lanciò un'ultima occhiata e spense la luce dell'ufficio con un mezzo sorriso.



 

"Non possiamo restare qui per sempre" mormorò Nick.
"E cosa vorresti fare?" sussurrò Rita. "Ucciderli tutti? È impossibile. Ti faranno a pezzi ancor prima che tu possa fare un passo."
Nick ci aveva già pensato. Non poteva gestirne tre, sarebbe stato un suicidio. Allora cosa fare? Non voleva restare chiuso nello sgabuzzino fino a quando i Licker fossero andati via. E se anche si fossero allontanati, li avrebbe rivisti nel corridoio. Doveva affrontarli per forza.
"A cosa pensi?" chiese Rita.
"Che se non facciamo qualcosa, non ritorneremo mai nell'atrio."
"Possiamo passare per il primo piano e scendere dalla scala a pioli della balconata interna della hall."
"Il primo piano è sicuro?"
Lei alzò le spalle.
"Allora è meglio non rischiare" sussurrò Nick. "Non voglio ritrovarmi circondato dai non-morti."
"Gli zombie possiamo gestirli, ma quelle cose là fuori no."
"Ma non sappiamo quanti sono."
"Vuoi tornare dagli altri? Allora è l'unica strada possibile."
"C'è il cortile. Possiamo passare da lì e bussare all'ingresso."
"Ti sei dimenticato dei Licker sul tetto? È troppo pericoloso. Meglio di no."
Nick restò in silenzio per un po'. "Allora passeremo per il primo piano. Ma prima dobbiamo trovare un'arma per te."
"C'è un'ascia antincendio negli uffici est. Prenderò quella, se non troviamo niente."
Nick annuì e aprì un poco la porta. Un Licker se ne stava immobile sul soffitto. Gocce di sangue gli scivolavano lungo la muscolatura esposta e cadevano in una pozzanghera sul pavimento.
"Cosa vedi?" mormorò Rita.
Lui alzò un dito per indicarle un Licker. Alzò la pistola.
Lei gli posò una mano sull'avambraccio e scosse la testa.
Nick abbassò l'arma e richiuse la porta.
"Volevi sparare per davvero?" chiese la donna.
"No."
"Allora perché hai alzato la pistola?"
"Così, prendevo la mira."
Rita aggrottò la fronte con fare confuso.



 

Pete e Megan erano alla reception insieme agli altri sopravvissuti, che parlavano fra di loro. Due agenti erano piazzati davanti alla porta dell'ala est. Elliot guardava dalla grande finestra gli zombie accalcati davanti al cancello.
"Ti trovi bene?" chiese Pete alla fidanzata.
Lei annuì. "Sono simpatici."
Lui non la vide troppa convinta. "Sei sicura?"
"Preferirei essere da un'altra parte, al sicuro."
"Presto lo saremo."
"Ho parlato con alcuni di loro. Sembra che Marvin abbia rinchiuso due uomini. Un poliziotto e un sopravvissuto."
Pete si accigliò, confuso. "Chi?"
"Chung e un certo Jim."
Lui si rilassò. "Non ne sono poi tanto sorpreso. Entrambi sono due piantagrane."
"La gente non parla bene di Marvin. Molti vogliono andarsene."
"Andare dove?"
Un uomo passò accanto a loro e lo guardò torvo.
Pete prese Megan per un braccio e la portò in disparte dagli altri. "Questa gente è spaventata. Molto di loro, se non tutti, non sanno cosa sta succedendo là fuori. Se facessero quello che vogliono, morirebbero tutti. Hanno bisogno di un tipo come Marvin. Uno che sa sempre cosa fare."
Megan non parlò subito. "Questo non vuol dire che abbia sempre ragione."
"Non ho detto questo, ma lui sa cosa è meglio per tutti noi. Fidati di lui."
"Pete!" disse Elliot, alle sue spalle.
Si voltò. "Sì?"
"Posso parlarti?"
"Certo." Si girò verso Megan. "Torno subito."
Proseguirono nella hall e si fermarono davanti alla finestra.
"Marvin ti ha parlato del suo piano di fuga?" chiese Elliot.
"Sì, vuole far passare Rita nel condotto d'areazione e farla uscire dal retro per chiedere aiuto."
"Ti sembra un buon piano?"
"No, ma cos'altro possiamo fare?"
"Ci sono le fogne."
Pete non rispose subito. "Non mi sembra una buona idea. Marvin dice che Nick ha visto un alligatore gigante là sotto."
Elliot lo guardò, incredulo. "Un alligatore gigante?"
"Già, proprio così."
"Non vorrai credergli? Magari avrà visto qualcos'altro."
"Tipo?"
"Non saprei."
"Marvin sembra credergli" disse Pete.
"Ma non è detto che sia così" rispose Elliot.
Restarono in silenzio per un momento.
"Quindi che vuoi fare?" chiese Pete.
"Niente."
"Allora perché me ne hai parlato?"
"Volevo sapere la tua opinione."
"C'è qualcun altro che la pensa come te?"
Elliot lo guardò. "I sopravvissuti."



 

Nick aprì un poco la porta e spiò nel corridoio avvolto nella penombra. "È andato via."
"Controlla bene" rispose Rita. "Può essere dietro il muro."
Lui uscì un poco la testa e spaziò lo sguardo sulle pareti e sul soffitto. "È sicuro."
Uscirono dallo sgabuzzino ed entrarono nella stanza delle prove, passando accanto al corpo di Pam. Rita le lanciò uno sguardo, affranta, poi seguì Nick nel corridoio.
Quando arrivarono alle scale, lui si fermò a guardarla. "Stammi alle spalle, ok?"
"È quello che sto già facendo" rispose lei, un poco irritata.
Salirono i gradini e si fermarono sul pianerottolo, cercando di guardare oltre l'ultima rampa di scale.
"Sembra che non ci sia nessuno" disse Nick.
"Qualcuno dev'esserci per forza. Stiamo attenti!"
La recluta salì gli ultimi gradini e passò lo sguardo nel corridoio. Fori di proiettili bucherellavano le pareti imbrattate di sangue. Sul pavimento, altro sangue, quadri, bossoli e una scrivania usata come barricata.
"Le cose qui devono essere andate peggio che di sotto" sussurrò Nick.
"Sono stati i Licker" mormorò Rita. "Sono piombati dalle finestre e hanno ucciso la maggior parte degli agenti che si trovavano qui. Non hanno avuto nemmeno il tempo di difendersi."
"Immagino sia pieno di zombie, ora."
"Probabile."
"E dove sono?"
Lei fece spallucce.
S'incamminarono lungo il corridoio e lanciarono sguardi nelle camere laterali, le finestre distrutte. Sedie, scrivanie e schedari ribaltati sul pavimento insanguinato.
Nick si fermò di colpo.
Rita sbatté la fronte contro la sua spalla. "Nick, maledizione! Stai attento. Perché ti sei fermato?"
Lui fissava una piccola impronta di scarpa insanguinata.
Lei la guardo. "Che c'è?"
"Sherry... La bambina..." disse la recluta in un flebile sussurro.
Rita abbassò gli occhi e gli posò una mano sulla spalla. "Mi dispiace..."
"Non è detto che sia morta."
Lei non rispose.
"Forse è ancora viva."
"Lo spero" aggiunse lei poco convinta.
Lui se ne accorse. "È viva. Ora muoviamoci."



 

Pete e Elliot s'incamminarono lungo i corridoi dell'ala ovest e raggiunsero la scala che scendeva nelle fogne.
"La porta è quella" disse Elliot. "Il canale ci porterà fuori dalla città."
Pete non rispose subito. "Continuo a pensare che non sia una buona idea."
"Per questo ti ho portato qui. Gli daremo solo un'occhiata."
"Non so... Non mi sembra sicuro scendere là sotto. Potrebbe esserci qualsiasi cosa."
Elliot sbuffò, divertito. "Cosa vuoi che ci sia? Solo melma maleodorante. Solo questo."
Pete si fece serio e aggrottò le sopracciglia. "Prima parliamone con Marvin. Voglio sapere cosa ne pensa."
"Lui ci darebbe il via libera" mentì Elliot. "Sarebbe d'accordo noi."
"Non credo."
Elliot gli diede un colpetto sul braccio. "Dai, daremo solo un'occhiata. Cosa vuoi che sia?"
Pete abbassò gli occhi, pensieroso. Poi li spostò sulla stanza, senza guardare nulla di preciso. Non sapeva cosa fare. Era combattuto. Da una parte voleva dare un'occhiata, dall'altra voleva restarsene nella hall con Megan.
"Andiamo?" chiese Elliot con un mezzo sorriso.
Pete sospirò. "Andiamo."
Scesero i gradini e varcarono la porta di ferro. Il tanfo di fogna li fece tossire fin da subito e si coprirono il naso con una mano.
"Morirò soffocato qua sotto" disse Pete.
Elliot si limitò a ridacchiare.
Proseguirono lungo un corridoio illuminato da neon appesi alle pareti, svoltarono l'angolo e seguirono un corto corridoio che li condusse davanti a una porta.
Elliot girò la maniglia. Entrarono.
Pete si piegò in avanti, lo stomaco in subbuglio. "Cazzo che puzza! Qua ci vuole una maschera antigas."
"Dai, siamo arrivati. Il canale è quello."
Lui alzò lo sguardo e si avvicinò. "È pieno di merda e altra roba schifosa."
"Di certo non siamo alla SPA."
"Io non ci cammino là dentro."
"C'è una pedana, vieni."
Ci camminarono sopra, tenendosi un poco lontani dalla parete vischiosa e verdognola. L'ambiente si faceva ombrato con qualche sporadica luce accesa appesa al soffitto. Dall'altra parte della pedana, la melma colava copiosa dai tubi di scarico.
Pete evitò di guardare per non vomitare. "Come fai a sopportare questo tanfo?"
"Ho lavorato nelle fogne, ricordi?"
"Ah, sì, giusto. Me ne ero dimenticato."
"Lavoro di merda in tutti i sensi. Ogni volta che tornavo a casa, puzzavo ancora di merda. E fidati, mi lavavo bene nelle docce. Usavo quintali di bagno schiuma e shampoo. Alcune volte sento ancora il tanfo."
Continuarono a camminare per un paio di minuti, finché udirono un rumore davanti a loro.
Elliot si fermò. "Cos'è stato?"
"Cosa?"
"Non hai sentito?"
Pete aggrottò la fronte turbato e fissò la parete oscura che aveva davanti.
"Torniamo indietro" disse Pete.
"Aspetta. Può essere un topo."
"Un topo?"
"Sì, un topo. Ce ne sono un sacco qua fuori. Sai quanti ne ho visti quando lavoravo quaggiù? Centinaia. Dico sul serio. Una volta il condotto fognario era così pieno di topi che uscivano persino dai cessi."
Pete sbuffò, divertito. "Ma dai, non dire stronzate."
"Dico sul serio. Il sindaco ha messo a tacere la stampa o qualcosa del genere."
"Sì, come no."
Elliot gli lanciò uno sguardo, risentito. Quando si voltò, un'inquietante creatura sgambettava lungo la parete vischiosa. Aveva il corpo ricoperto da una fine peluria simile a quello di un ragno e sei lunghe zampe che finivano con un unico artiglio affilato. La faccia grottesca, le fauci affilati, gli occhi nero pece.
Pete sbarrò gli occhi, inorridito. "Cosa cazzo è quello cosa?"
La creatura zampettò così rapidamente lungo la parete, che arrivò sopra la testa di Elliot e gliela bloccò con gli artigli. Lui si dimenò per liberarsi, ma la creatura gli piantò la viscida lingua nella bocca e gli vomitò nella gola. Poi scattò all'indietro e scomparve nell'oscurità a una velocità impressionante.
Pete era rimasto scioccato. Era successo tutto così in fretta, che gli era sembrato un'allucinazione.
Elliot barcollò all'indietro per un momento, poi si mantenne in equilibrio. "Quella... quella cosa... quella cosa mi ha vomitato nella gola!" Si piegò in avanti, dolorante. "Il mio stomaco... Mi fa male..."



 

Nick e Rita entrarono nell'ufficio di fronte.
"Non vuoi mica metterti a cercare la ragazzina?" chiese Rita, perplessa.
"È una bambina, non una ragazzina" rispose Nick, irritato. "E ho intenzione di ritrovarla."
L'ambiente era cosparso di sangue rappreso e bossoli. Un cadavere era disteso su una scrivania, le viscere di fuori. Un altro era seduto di schiena contro la parete e stringeva una pistola nella mano sinistra.
"Prendi quella pistola" disse Nick. "Controlla se è carica."
Rita raggiunse il cadavere, afferrò l'arma e tolse il caricatore. "Ci sono solo tre colpi."
"Vorrà dire che recupereremo i proiettili dalle altre armi che troveremo in giro."
"Non è meglio prenderle tutte? Gli agenti nell'hall non sono tutti armati."
"Quindi?"
"Prendiamo un borsone e mettiamo dentro le armi. Potrebbero servirci."
"Ok, tu cerca in giro. Io vado nella prossima stanza." Uscì nel corridoio e guardò in entrambe le direzioni per un po'. Sentiva diversi gemiti, ma non sapeva da dove arrivassero.
S'incamminò nel corridoio e sbirciò nella stanza successiva. Era una saletta comune. Un tavolino rotondo giaceva sul pavimento accanto a un corpo, la testa ridotta in una poltiglia. Poco più avanti, un poliziotto senza un braccio e una gamba stringeva sul petto un fucile a pompa. La maggior parte del pavimento e delle pareti erano imbrattate di sangue rappreso e fori di proiettili.
Nick si diresse nella camera successiva e si fermò sotto la soglia. Era l'ufficio del tenente Trevis Chester. Le grandi vetrate interne erano frantumate e le veneziane giacevano sul pavimento. Il tenente Chester era seduto sulla sua sedia d'ufficio, la parte superiore della testa spappolata.
"Trovato qualcosa?" chiese Rita.
La recluta trasalì e si voltò. "Cazzo, non comparire così all'improvviso."
"E come dovrei comparire? Ti avviso con una lettera? Un fax, magari?"
"Non sapevo fossi spiritosa."
"Lo prendo come un complimento."
Lui serrò gli occhi per un momento. "C'è una pistola sul tavolo e un'altra nella saletta assieme a un fucile a pompa."
"Perché non le hai raccolte tu?"
"Toccava a te."
Rita incrociò le braccia con disappunto. "Era un ordine, per caso? Tu non puoi darmi ordini. Sono un agente e tu soltanto una recluta."
Nick sbuffò, esasperato. "Pensala come vuoi. Vado a recuperare le armi."
Rita aggrottò le sopracciglia, irritata.



 

Pete condusse Elliot fuori dalle fogne. Salirono le scale della centrale e si diressero verso la hall.
"Te l'avevo detto" disse Pete. "Non dovevamo scendere là sotto, ma tu volevi fare di testa tua, come al solito. Dovevi per forza darci un'occhiata. Beh, cazzo, spero che ti sia di lezione."
"Non rompere il cazzo! Anche tu ci sei venuto" disse Elliot pallido in viso, gli occhi arrossati e cerchiati. Tossì.
Quando arrivarono nell'atrio, tutti si voltarono verso di loro, spaventati. Alcuni si tapparono il naso, altri vennero percorsi da conati di vomito. La puzza di fogna ammorbò velocemente l'aria. I tredici sopravvissuti si avvicinarono loro, incuriositi.
Kevin li raggiunse insieme a due agenti. "Cos'ha?"
Pete lo guardò, stordito. Non sapeva come spiegarlo. "È stato attaccato da... da qualcosa..."
"Qualcosa?"
"Una specie di ragno gigante."
Kevin si accigliò, confuso. "Un ragno?"
"Cazzo, ma non sai dire altro..?" chiese Elliot con un violento colpo di tosse.
Megan squadrò Pete da capo a piede, preoccupata. "Tu stai bene?"
"Sì, sto bene."
Elliot si piegò in avanti. "Il mio stomaco, cazzo... Qualcosa si muove..."
"Dagli le foglie, Pete" disse la fidanzata.
Pete se ne era dimenticato. Come aveva fatto a dimenticarsene? Pescò il fazzoletto dalla tasca, prese un po' di foglie e le avvicinò alle labbra di Elliot.
Tutti lo guardavano, perplessi.
"Cosa vuoi fare?" domandò Kevin.
"Curarlo!"
"Curarlo?"
"Giuro che se non la smetti di ripetere le..." Elliot tossì con violenza e fece schizzare via le foglie dalla mano di Pete, che le raccolse velocemente e glieli ficcò in bocca.
Kevin si accigliò, confuso.
Elliot li mando giù. "Sicuro che..." Piegò il busto in avanti e vomitò una sostanza verdognola sul pavimento. Una decina di ragnetti zampettarono rapidamente via dalla bile.
I superstiti gridarono, compresa Megan, che si nascose dietro le spalle del fidanzato.
Kevin, Pete e due agenti schiacciarono le piccole creaturine.
Kevin si chinò a osservarli. "Non sembrano insetti. Sembrano..."
"Non lo sono" disse Elliot, delirante. "Sono mutanti, mostri! Uno di loro mi ha messo la lingua in bocca e mi ha vomitato in gola, cazzo! Non sono insetti! Non lo sono!"
"Rilassati" aggiunse Pete.
"Rilassarmi? Quella fottuta cosa mi ha vomitato in bocca! Forse..." Sbiancò in viso. "Forse ora sono infetto..."
I sopravvissuti si allontanarono da lui come se avesse la peste nera. Kevin scambiò uno sguardo con i due agenti vicini.
"Non lo sei" disse Megan. "Le foglie che ti ha dato Pete eliminano il parassita. Avevi delle larve all'interno. Quelle cose là." Puntò il dito verso i ragnetti. "Ora sei pulito."
"Come lo sai? Come fai a esserne sicura?" chiese Elliot, preoccupato.
"Me lo ha detto Jill. È stata lei a darci queste foglie sminuzzate. E tu la conosci, giusto?"
Lui annuì lievemente.
Kevin abbozzò un sorriso e fantasticò pensieri sconci su Jill, che non se l'era mai filato.
"Che hai da sorridere?" domandò Pete, perplesso.
Kevin fece finta di niente. "Così, mi andava di sorridere."
Pete lo guardò strano.



 

Rita ritornò da Nick con un borsone pieno di armi. Alla fine aveva deciso che toccava a lei occuparsi del recupero armi. La recluta pensava che si fosse mossa per i sensi di colpa, ma non ne era sicuro.
"Ho trovato nove pistole e due fucili a pompa" disse lei.
Lui annuì. "Ottimo. Ora proseguiamo."
"Vuoi ancora cercare la bambina?"
"Si chiama Sherry. E sì, voglio cercarla."
S'incamminarono nel corridoio e si fermarono all'incrocio a T.
Nick lanciò uno sguardo in entrambe le direzioni. "Credo che la balconata..."
Una decina di zombie sbucarono nel corridoio di sinistra e barcollarono verso di loro.
"Andiamo!" disse Nick.
Corsero nel corridoio di destra e si fermarono davanti alla porta.
Rita girò la maniglia. "È chiusa!"
Nick si voltò. "Come chiusa? Chi è l'idiota che chiude una porta in una centrale di polizia?"
I non-morti si avvicinavano.
"Spostati!" disse Nick. Colpì la porta con un calcio frontale. Niente. Poi la colpì altre tre volte e quella si aprì un poco. "Hanno messo qualcosa di pesante dall'altra parte."
Rita posò il borsone a terra. "Dobbiamo spararli. Non abbiamo altra scelta."
"Non possiamo. Attireremo i Licker."
"Allora fatti sbranare dagli zombie, accomodati."
Nick aggrottò la fronte irritato e puntò la pistola contro i non-morti. Non voleva farlo. Sapeva che era una brutta idea. I Licker avrebbero sentito gli spari e si sarebbero lanciati tutti lì.
Rita sparò.
Uno zombie crollò all'indietro, facendone cadere alcuni. Nick sussultò e premette il grilletto.
Un altro non-morto cadde in avanti. Gli zombie che seguivano inciamparono sui corpi e rovinarono a terra.
I due spararono in testa ai non-morti che strisciavano sulle mani, poi a quelli rimasti indietro.
Nick abbassò l'arma. "Mi fischiano le orecchie..."
Rita parlò, ma lui non la sentiva e gli indicò le orecchie. Lei annuì, chiuse il borsone e se lo mise a tracolla dietro la spalla.
Il ronzio cominciò a scemare.
I due passarono sopra i cadaveri e s'incamminarono nel corridoio da cui erano spuntati gli zombie. Quando vi arrivarono vicini, un Licker apparve dietro la finestra infranta in fondo al corridoio.
Nick puntò rapidamente la pistola, ma Rita gli posò una mano sul polso e scosse la testa.
Mentre restavano appiccicati al muro, la creatura zampettò all'interno, la lunga lingua che si muoveva come un serpente. Si fermò sul soffitto e scattò la testa per captare i suoni.
Nick lanciò uno sguardo a Rita, che si limitò a guardarlo impassibile. Non capiva perché non glielo avesse fatto uccidere. Lo aveva sul mirino. Un colpo e il cervello sarebbe schizzato via.
La creatura si mosse verso gli zombie e posò la lingua sul cranio di un non-morto. Poi la ritirò disgustato e restò fermo.
Rita strinse l'avambraccio di Nick e gli fece segno con la testa di muoversi. I due entrarono nella stanza delle conferenze. Tavoli e sedie ribaltati sul pavimento cosparso di sangue e bossoli, le pareti forate, le finestre infrante.
Il busto di un poliziotto schiacciato sotto un distributore di bibite.
"Quello è Jordan..." disse Nick.
Rita gli tappò la bocca con una mano e si portò un dito sulle labbra, rimproverandolo con gli occhi.
Il Licker zampettò velocemente nella stanza e agitò la lingua. Mentre la creatura scendeva lungo la parete e si avvicinava al distributore di bibite, Nick e Rita indietreggiarono verso il muro, stando attenti a non calpestare i bossoli. Il Licker posò la lingua sul Jordan ed emise un gemito eccitato. Poi sradicò il distributore contro la parete con una zampata, gli cinse il corpo con la lunga lingua e se lo trascinò dietro.
Nick lo guardava, inorridito. Conosceva Jordan. Era stato il primo poliziotto che gli aveva rivolto la parola da quando aveva preso servizio nella polizia di Raccoon City. Era sempre stato disponibile con gli altri, sempre con la battuta pronta. Il suo corpo non meritava quella fine.
La creatura se lo portò fuori dalla finestra e sparì dietro il muro.
"Forza, andiamo" disse Rita.



 

Il sole tramontava nel cielo dipinto di rosso arancio. Kevin era nel cortile, dietro una fila di siepi. Era sgattaiolato fuori senza farsi vedere da nessuno. Aveva bisogno di starsene un po' per conto suo e ormai si stava abituando all'assordante gemito degli zombie. Mentre camminava lungo il vialetto, scorse un Licker uscire da una finestra del primo piano dell'ala est. Si trascinava dietro un corpo avvolto con lingua. Sparì sul tetto.
Lui aggrottò la fronte, pensieroso. "Spero che quel cadavere non sia Nick..." Continuò a camminare per un po' e si fermò dietro un alberello. Centinaia di non-morti bloccavano la porta di ferro all'angolo del muro perimetrale che dava sulla strada. "Ne arrivano sempre di più..."
Tornò indietro e osservò gli zombie dietro il cancello, le braccia protese fra le sbarre. Poi percepì un movimento alle sue spalle. Si voltò di scatto, la pistola puntata in avanti.
"Ehi, non puntarmi quella cazzo di pistola addosso" disse Johnson.
Kevin abbassò l'arma, turbato. "Sei vivo."
"È una domanda o un affermazione?"
"Dov'eri finito?"
"Un po' qui, un po' là. Non importa. Mi serve il tuo aiuto."
Kevin si accigliò, confuso. "Il mio aiuto? Per cosa?"
Johnson gli posò una mano sulla spalla. "Te lo spiego strada facendo. Andiamo."
"Aspetta, non posso. Prima devo avvisare Marvin e..."
"Tranquillo, lui capirà. Dopotutto, sono un suo superiore. Andiamo."
Mentre seguivano il vialetto che correva lungo l'ala ovest, Kevin si domandò perché Johnson avesse scelto di rimanere da solo. Nella hall sarebbe stato al sicuro. "Cosa devo fare?"
Johnson sorrise. "Solo una piccola cosa. Non è difficile. In poche parole, non dovresti fare niente."
"In che senso?"
"Lo capirai quando ci arriveremo."
Quando Kevin si voltò, Johnson lo colpì alla nuca con il calcio della pistola. Crollò a terra.
"Visto? Non dovevi fare niente" disse con un sorriso sinistro. "Ora devi solo morire. Nulla di complicato." Si avviò al cancello fischiettando un motivetto allegro e guardò le facce scarnificate degli zombie con un sorriso. "Buonasera, signori." I gemiti si fecero più intesi come se gli rispondessero. Girò la chiave nella toppa, s'inchinò e aprì un poco il cancello. "La cena è servita, signori. Offre la casa." Si allontanò fischiettando verso la fila di siepi.
Il cancello si spalancò e sbatté con violenza contro un lampione, frantumandone il vetro della luce. Centinaia di zombie barcollarono verso Kevin.
Johnson sollevò un angolo della bocca. "Una cena coi fiocchi."

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Capitolo 18
*** XVIII. Capitolo ***


Marvin si svegliò di colpo con il fiatone e la fronte sudata. Si guardò intorno. Solo buio. Fissò la luce che arrivava da sotto la fessura della porta. "Per quanto tempo ho dormito..?" Si portò due dita sulla fronte. Non scottava più. Si alzò e aprì la porta. Socchiuse gli occhi infastidito dalla luce e s'incamminò lungo l'ufficio.
Quando arrivò sulla balconata interna della hall, appoggiò le mani sul parapetto e guardò giù. I tredici sopravvissuti erano vicini alla reception e bofonchiavano tra loro. I due agenti di guardia alla porta dell'ala est lo salutarono con una alzata di mano. Lui ricambiò.
Pete si avvicinò alla grande finestra dell'entrata e s'immobilizzò per un istante. Poi corse alla porta, la pistola in pugno. "Gli zombie hanno superato il cancello! Dobbiamo respingerli!"
Il tenente sbarrò gli occhi, incredulo.
Tutti gli agenti corsero dietro a Pete, che aprì il portone. "Cazzo, quello è Kevin!" urlò, precipitandosi all'esterno. "Che cazzo ci fa Kevin qui fuori?"
Marvin scese rapidamente le scale e corse all'entrata. Mentre due agenti trascinavano dentro Kevin, Pete e quattro poliziotti spararono in testa agli zombie.
"Arretrate!" gridò Marvin sotto la soglia. "Sono troppi! Arretrate, cazzo!"
Pete coprì loro le spalle ed entrò per ultimo. Marvin chiuse la porta a chiave.
Gli zombie ci sbatterono sopra e la martellarono di pugni.
"Ho finito le pallottole" disse Pete ai poliziotti. "Voi come state messi?"
"Pure io" rispose il primo.
"Solo quattro" aggiunse il secondo.
"Ho un altro caricatore" disse il terzo.
Pete sospirò. "Se quelle cose entrano, siamo finiti. Dobbiamo fare scorta."
Marvin diede un'occhiata alle finestre e ci batté due dita. "Vetri antiproiettile..." si disse. "Il sogno mi ha fatto dubitare che fosse normale vetro... Almeno da qui non entreranno." Fissò le facce cadaveriche dall'altra parte, le mani ossute che battevano sul vetro. "Se solo tutte le finestre ne fossero state dotate..." Si voltò.
I sopravvissuti e gli agenti attorniavano Kevin, steso sul pavimento ai piedi della statua. Marvin li raggiunse.
"Non vedo segni di morso" disse Pete.
"Ma ha del sangue dietro la testa" rispose un sopravvissuto.
Pete gli girò il capo. "Qualcuno l'ha colpito alla testa."
"Gli zombie?"
"Ti pare che uno zombie si metta a colpire la gente, per poi allontanarsi allegramente?"
"Là fuori è pieno di zombie. Può essere stato chiunque di loro."
"Ma lo capisci che gli zombie ti mangiano?"
Il sopravvissuto si accigliò irritato e si allontanò.
"Lascialo stare" disse Marvin. "Non si è mai imbattuto in un non-morto."
Pete notò solo adesso la presenza del tenente. Sorrise. "Dormito bene?"
"Kevin come sta?"
"Se la caverà."
"Perché era fuori? È vietato uscire."
"Non chiederlo a me. Non so niente."
Il tenente si voltò verso Elliot. Aggrottò la fronte e si avvicinò. "Stai male?"
Elliot deviò il suo sguardo. Aveva il viso pallido e una mano sullo stomaco. "È una lunga storia, tenente, ma sto bene."
"Hai combinato qualcosa?"
"No, niente. È una cosa passeggera."
Marvin annusò l'aria. "Cos'è questo odore di..."
Elliot mostrò disinteresse. "Io non sento niente, tenente."
Quello lo squadrò da capo a piede. "Hai le scarpe sporche. Dove sei stato?"
"Da nessuna parte. Sono rimasto sempre qui. Voglio dire, ho controllato anche l'ala ovest."
Marvin annusò nuovamente l'aria. "È puzza di fogna. Ecco cos'è questo odore."
"Io non sento..."
"Smettila di mentirmi" disse il tenente in tono autoritario. "Esigo una spiegazione. Ora!"
Elliot impallidì ancora di più. "Tenente.... Io... Voglio che sappia che era solo... Ecco io..."
"Parla!"
"Io e Pete siamo scesi nelle fogne."
Marvin lanciò uno sguardo fulmineo a Pete, chino su Kevin.
"Volevamo solo..." balbettò Elliot. "Ecco, volevamo dare un'occhiata. Solo questo."
"Non dirmi che vuoi ancora fuggire passando dalle fogne?"
"No, no, niente affatto. Non più."
"Non più?"
Elliot si maledisse per aver aggiunto quell'ultima frase.
"Rispondi!"
"Io... Volevo essere d'aiuto."
"Hai disubbidito a un mio ordine, mentito a un tuo superiore e ora volevi pure fuggire?"
"Non... non è quello che volevo fare. Volevo solo... ecco, volevo solo trovare una via di fuga e allontanarmi dalla città. Ovviamente avrei... avrei portato anche gli altri con me."
Pete li raggiunse. "Che succede? Qualcosa non va?"
Marvin lo fulminò con lo sguardo. "Succede che voi due avete disubbidito a un mio ordine e siete scesi nelle fogne. E ho la netta sensazione che sia successo qualcosa di brutto là sotto."
"Io non ci volevo andare" disse Pete, guardando torvo Elliot, che deviò lo sguardo.
"Ma sei sceso lo stesso" disse Marvin. "Anche tu hai questo cattivo odore addosso. Ora spiegatemi cosa è successo!"
"Siamo stati attaccati da una specie di... di ragno. Per essere precisi, Elliot è stato attaccato."
Il tenente lanciò uno sguardo a Elliot, poi tornò a guardare Pete. "E?"
"Quella cosa gli ha infilato una strana lingua in bocca e gli ha vomitato giù per la gola."
Marvin aggrottò la fronte, sorpreso. "Ed è sopravvissuto? Come... come è possibile?"
Pete pescò dalla tasca un fazzoletto e gli mostrò le foglie tagliuzzate. "Ti ricordi di queste? Te ne ho parlato ore fa, ricordi?"
Lui annuì.
"Sono utili contro morsi e parassiti. Quella cosa gli aveva piantato dei parassiti nello stomaco, ma adesso è pulito. È fuori pericolo."
Marvin non capiva come delle semplici foglie sminuzzate potessero essere così utili.
Pete si rimise il fazzoletto in tasca. "Ti chiedo scusa per il mio comportamento, tenente, ma le fogne erano una possibilità che non potevamo escludere per un eventuale fuga."
Marvin si limitò a guardarli con aria di rimprovero.
Elliot lo guardò. "Sì, tenente, ti chiedo..."
"Stai zitto, Edward Elliot! Sono sicuro che sei tu l'artefice di tutto questo."
Quello abbassò lo sguardo.



 

Nick e Rita seguirono un corto corridoio, svoltarono l'angolo e si pietrificarono. Due Licker erano appesi al soffitto. Uno scattò la testa verso di loro, inclinandolo un poco.
I due si nascosero dietro l'angolo del muro.
"Ci ha sentiti?" chiese Nick.
"No, spero di no" rispose Rita, incerta. "Forse era impegnato a sentire qualcos'altro."
"Tipo?"
Lei alzò le spalle.
"Hai detto che hanno l'udito fine, giusto?" domandò Nick. "Allora perché non ci hanno sentiti arrivare?"
"Guardami, ti sembro un Licker? Non sono nella loro testa."
Nick non rispose subito. "Uccidiamoli. Abbiamo le armi. Io prendo quello di destra, tu quello di sinistra."
"No, non faremo niente" mormorò lei. "Prima siamo stati fortunati. Abbiamo beccato un solo Licker, con tutti i colpi che abbiamo sparato. E siamo stati fortunati, se non ne sono arrivati altri. Non tentiamo di nuovo la sorte."
"Forse ce ne sono pochi" sussurrò lui. "Per questo ce n'era solo solo uno, non credi?"
Lei lo guardò negli occhi. "Tu non hai visto cosa c'è sul tetto. Ci sono più di venti Licker là sopra. Se li avresti visti, non parleresti così."
Nick abbassò lo sguardo sconfortato per un momento. Poi lo rialzò. "Creiamo un diversivo?"
"Buttiamo un sassolino e quelli ci corrono dietro come cani? Te li immagini così stupidi? Beh, ho una brutta notizia per te, non lo sono. Ho visto agenti farlo e sono morti. Quel sassolino che vuoi buttare non fa altro che drizzare loro le orecchie. Diventano più sensibili ai suoni. Ormai dovresti averlo capito. Vuoi proprio farti ammazzare, eh? Come sei sopravvissuto fino adesso?"
Nick restò in silenzio. Si sentiva uno stupido. Tutte le volte che aveva incontrato i Licker, era rimasto fermo o aveva indietreggiato piano. Lei aveva ragione. Se si fosse mosso mentre quelle cose erano vigili, lo avrebbero notato e fatto a pezzi. Forse doveva ringraziare davvero la buona sorte.
"Uno è uscito dalla finestra" sussurrò Rita, che sbirciava dall'angolo.
Nick ci guardò. "L'altro sembra immobile."
"Già... e non mi piace per niente."
"Che vuoi dire?"
"Ho la sensazione che sa che siamo qui. Ho già visto alcuni Licker comportarsi in questa maniera e non è mai finita bene. Forse sta ascoltando persino le nostre voci, ma non è sicuro da dove arrivano."
Nick serrò gli occhi, preoccupato. "E se l'altro è andato a chiedere rinforzi?"
Rita si lasciò scappare una risatina, incredula.
Il Licker scattò la testa verso di loro e la lunga lingua bavosa gli penzolò dalla bocca, sfiorando il pavimento polveroso e insanguinato.
"Che cosa c'era da ridere?" chiese Nick.
Quando Rita si voltò verso di lui, un Licker si muoveva lentamente lungo il soffitto.
Sbarrò gli occhi. La seconda creatura che era andata via, li aveva sentiti e aveva fatto il giro dell'edificio, entrando dalla finestra alle loro spalle. Alzò la pistola, spaventata. "Dietro di te!"
Nick si girò. La creatura gli schioccò la lunga lingua contro il casco, che gli volò via dalla testa e cadde ai piedi di una panca.
La recluta crollò a terra, stordito, la vista sgranata, sdoppiata.
Rita sparò.
Il proiettile centrò la scapola destra del Licker, che balzò sul pavimento e ruggì, dolorante. L'altra creatura sbucò dall'angolo e afferrò il piede di Nick con lingua, trascinandolo verso di sé. Lui ci sferrò delle accettate, che andarono a vuoto. Aveva ancora lo sguardo offuscato e sdoppiato.
Rita si voltò verso la seconda creatura, ma istintivamente si girò di nuovo e deviò il colpo di lingua della prima creatura.
Sparò.
Sangue e cervella schizzarono il pavimento e la parete.
Il secondo Licker affondò i denti aguzzi nel braccio di Nick, che lasciò cadere l'accetta e lanciò un urlo di dolore. La creatura indietreggiò infastidita e gli squarciò il giubbotto antiproiettile con una rapida artigliata.
Rita si girò e gli sparò in testa. Il Licker crollò accanto all'uomo.
Lei si precipitò dalla recluta e guardò prima il giubbotto antiproiettile squarciato, poi i rivoli di sangue che sgorgavano dall'avambraccio. "Oh, no, no, no." Tappò la ferita con le mani. "Va tutto bene, Nick. Non è niente. Hai solo un graffio sul braccio. Niente di serio."
La recluta le sorrise. "Di' a Kate che l'amo... E Marvin... Digli che mi dispiace... Lui contava su di me e l'ho deluso."
Rita si accigliò, decisa. "Lo dirai tu stesso." Si guardò attorno, poi posò lo sguardo su di lui. "Riesci a tapparti la ferita da solo?"
Lui annuì e si portò una mano sull'avambraccio ferito.
Lei si alzò, lo prese da sotto le braccia e lo trascinò con fatica verso il bagno. Aprì la porta e si chiuse dentro, appoggiando Nick contro il muro. "Tieni premuto." Si alzò e aprì il cassetto dei medicinali. Prese garza, forbici e disinfettante e si chinò su di lui.
"Sono infetto" disse Nick. "Sprechi solo tempo. Vai da Marvin, dagli altri... Sei quasi arrivata. Non pensare a me."
Rita non lo ascoltò. "Questo farà male. Cerca di non gridare." Prese le forbici e tagliò i pezzi di tessuto appiccicati alla carne insanguinata.
Lui smorzò un grido e svenne.



 

"Questo è il decimo sparo che sento" disse Pete. "Non mi piace per niente."
"Credi sia Nick?" chiese Megan.
"Non lo so, ma chi altri può essere? Sono tutti morti nell'ala est, o sbaglio?"
Erano seduti insieme a Kate nella saletta comune dell'ala ovest a bere un caffè. Marvin era poco distante e camminava avanti e indietro. "Forse l'ho mandato in una missione suicida..."
Kate teneva gli occhi fissi sul bicchierino di caffè fumante.
"Se la caverà, vedrete" aggiunse Pete. "Forse ha dovuto sparare per liberarsi la strada. Forse è già vicino. Nick è un tipo che se la sa cavare. E poi, tenente, ha una mira da fare invidia. L'hai visto giù al poligono? Centra tutti i bersagli. Dovremmo inserirlo nel torneo di tiro a piattello della polizia regionale, appena sarà diventato agente. T'immagini le facce degli altri quando lo vedranno colpire in successione dieci piatti con dieci colpi?"
Marvin non era per niente rassicurato da quelle parole. Aveva il sospetto che fosse accaduto qualcosa di brutto.
"Siediti, Marv" disse Pete. "Prenditi una tazza di caffè."
Lui gli lanciò uno sguardo afflitto e lasciò la stanza.
Restarono in silenzio per un lungo momento.
Kate fece un sorso di caffè. "Io e Nick stiamo insieme" disse in un sussurro.
I fidanzati si scambiarono un'occhiata, perplessa.
"Sapevo che gli piacevo" continuò lei con gli occhi umidi. "Lo notavo dalle piccole cose. Ma lui non ha mai avuto il coraggio di fare la prima mossa. Così mi sono fatta avanti io. Ed è stata la miglior scelta che abbia mai fatto." Abbozzò un sorriso, felice. "Stiamo insieme da poche ore, eppure lo amo come se ci avessi passato insieme una vita intera." Fece una pausa. "Non so nemmeno perché ve lo sto dicendo." Si asciugò le lacrime.
Megan aveva gli occhi lucidi dall'emozione. Le strinse una mano. "È davvero bello quello che hai detto. Sono felice per voi. In tutto questo inferno, qualcuno ha trovato l'amore. Lo trovo così romantico."
Lei abbozzò un timido sorriso.



 

Marvin scese nel blocco delle celle sotterranee e si fermò davanti alla porta. Era indeciso. Voleva liberare Chung e Jim, ma temeva che Jim potesse portare dalla sua tutti i sopravvissuti. Se ci fosse riuscito, li avrebbe condotti a morte certa. Non poteva permetterglielo. Gli altri non sapevano quanto fosse pericoloso là fuori. Erano rimasti per tutto il tempo chiusi nella centrale e non conoscevano la drammatica situazione delle strade di Raccoon City. Non sarebbero sopravvissuti.
Tornò indietro, ma si fermò subito dopo, combattuto. Non poteva scegliere per loro. Non era giusto, ma doveva occuparsi di loro. Si era deciso. Ritornò davanti alla porta e girò la maniglia.
Chung e Jim lo guardarono in piedi dietro le sbarre. Ben era sdraiato sulla branda, la porta della cella socchiusa.
Chung scattò in piedi e corse da Marvin, aggrappandosi alle sbarre. "Tenente, la prego. Ho capito la lezione. Non infastidirò più nessuno, lo giuro."
"Leccaculo!" disse Jim con un sorrisetto sulla labbra.
Chung si sforzò di ignorarlo.
"Leccaculo! Sei un leccaculo" lo burlò Jim. "Tenente, la prego. Mi liberi. Ti leccherò il culo!"
Chung diventò paonazzo dal viso, ma non si scompose.
Marvin aprì la sua cella e lo fece uscire.
Jim restò di sasso per un momento. Poi scattò verso la porta della cella. "Ehi, a me non mi liberi? Liberi quello stronzo leccaculo e non me? Ehi! Parlo con te, stronzo! Fammi uscire da qui, cazzo!" Tirò una violenta manata sulle sbarre. "Fammi uscire, o giuro che ti spacco la testa! Te la sfracello, stronzo!"
Marvin lo ignorò. Raggiunse la cella di Ben e sospinse un poco la porta.
Bertolucci se ne stava sdraiato sulla branda, gli occhi coperti nell'incavo interno del braccio.
"L'offerta è sempre valida, Bertolucci" disse Marvin. "Puoi uscire quando vuoi, ma non chiudere la porta o rimarrai chiuso dentro."
"Quale offerta?" chiese Jim, confuso. "Ehi, fammi anche a me un'offerta. Sì, fammela anche a me, cazzo. Mi piacciono le offerte. Sono bravo ad accettarle. Fammi un'offerta e io l'accetterò. Dai, dai, dai. Fammi un'offerta, cazzo! Fammela!" Sferrò un calcio frontale sulle sbarre. "Stronzo di uno sbirro! Ti ammazzerò appena uscirò da qui! Hai capito? Te la rompo quella testa di cazzo!" 
Chung gli lanciò un sorriso, compiaciuto.
Jim tirò una manata sulle sbarre. "Ehi, ciucciacazzi stronzo figlio di puttana! Te lo tolgo quel sorrisetto del cazzo dalla faccia! Te lo tolgo, cazzo!" Sferrò un calcio sulle sbarre.
Marvin gettò un'occhiataccia a Chung, che abbassò gli occhi, sottomesso.
"Smettila di gridare" disse Ben, mettendosi a sedere sulla branda. "C'è gente che cerca di dormire, qui."
Jim si lanciò contro le sbarre e ci sferrò una manata. "Vai a farti fottere tu! Vaffanculo! Hai capito? Vaffanculo!" Allungò una mano per afferrarlo dai capelli.
Ben spostò la testa, si alzò e chiuse la porta della cella. Fissò Marvin. "Sto bene qui. Ho anche un idiota che vuole tagliarmi la gola. Mi sento quasi a casa." Si girò e andò a sdraiarsi sulla branda.
Il tenente lo guardò per un momento, poi lasciò il blocco delle celle, seguito da Chung.
"Ehi, fatemi uscire da qui cazzo!" urlò Jim, scuotendo le sbarre della cella. "Fatemi uscire, porca puttana!"
Ben si portò il cuscino attorno alla testa per non sentire le sua grida e si girò sul fianco che dava sul muro.



 

Rita aprì la porta del bagno e sbirciò fuori. Non c'era nessuno. Si girò e si chinò su Nick, che aveva ripreso i sensi. "Riesci a stare in piedi"
"Non lo so."
"Proviamo." Lo aiutò ad alzarsi. "Ce la fai?"
La recluta posò il braccio sano sul muro. "Sento un sapore metallico in bocca..."
Rita sapeva di cosa si trattava. Aveva già visto qualcuno trasformarsi. Anzi, ne aveva visti tanti. Alcuni si erano trasformati dopo molte ore, altri un minuto dopo. Nick non sembrava avere gli occhi rossi, ma i bordi gli stavano diventando violacei. Non avrebbe retto molto. "Andrà tutto bene" disse. "Troveremo un modo per curarti, o forse sei immune."
Nick la guardò, serio. "Non sono stupido. E non sono nemmeno immune. Diventerò uno di loro... Promettimi che mi ucciderai quando verrà il momento. Non voglio diventare uno di loro, capito? Non voglio."
Rita trattenne le lacrime. "Certo, lo farò. Te lo prometto."
Lui le sorrise. "Grazie."
Rita aprì la porta, lanciò un altro sguardo nel corridoio e si voltò. "Andiamo."
Uscirono dal bagno e passarono accanto ai Licker morti.
"Aspetta" disse Nick. Si chinò, afferrò il casco e se lo mise in testa. Poi raccolse l'accetta e si guardò intorno, confuso. "Non so dov'è la pistola."
"Ce l'hai sulla cintura" rispose Rita.
La recluta se la guardò, turbato. "Ah, sì..."
"Tutto bene?"
Lui annuì.
"Se cominci a dimenticarti le cose, fammelo sapere, ok?"
Nick aggrottò le sopracciglia, turbato. "Dimenticare le cose?"
Lei lo guardò per un po'. "È meglio andare. Siamo vicini all'atrio."
Proseguirono nel corridoio e varcarono la porta aperta. Due cadaveri giacevano vicino alle scrivanie raggruppate al centro della stanza. Fogli, penne, matite, cornici e sedie erano sparsi sul pavimento tappezzato da sangue e bossoli. Le finestre infrante, i muri forati dai proiettili. Ormai si stavano abituando al solito tetro paesaggio.
Rita si fece dare l'accetta e si avvicinò ai corpi, seguita dalla recluta. Quando furono vicino ai cadaveri, quelli alzarono i busti con dei gemiti e allungarono le mani verso di loro. La donna piantò l'accetta nel cranio del primo zombie, ma il secondo le afferrò una caviglia.
Nick gli schiacciò ripetutamente la testa con la pianta dello stivale, poi indietreggiò spaesato e crollò a terra.
Rita si precipitò su di lui. "Nick! Nick!"
Lui si mise seduto. "Sto bene... Sono scivolato..."
La donna non gli credette. Sapeva che aveva perso l'equilibrio. "Va bene. Grazie per avermi dato una mano." Lo aiutò ad alzarsi.
S'incamminarono nell'ufficio e uscirono in un corto corridoio, sbarrato da scrivanie, sedie e schedari. Oltre la barricata, una decina di non-morti. Se ne stavano immobili in un silenzio inquietante.
"Ecco perché abbiamo incontrato pochi zombie" mormorò Nick.
Rita aguzzò la vista oltre le teste putride dei non-morti. "Ce ne sono altri in quella stanza di fronte. Credo siano una cinquantina in tutto, ma potrebbero essercene degli altri nascosti dietro la parete o nelle stanze successive."
Nick restò interdetto. "Sarà impossibile ucciderli tutti."
"Te l'avevo detto che c'erano molti zombie al primo piano. Andiamo da questa parte."
"Ma dovremmo scendere di nuovo giù."
"lo so. Spero solo che i due Licker che ho ucciso siano quelli del pianterreno. Se sono loro, dovremmo ucciderne solo un altro e arriveremmo alla hall."
"Non abbiamo ancora trovato Sherry."
Rita girò la maniglia. "E non la troveremo più. Non sappiamo dove sia finita o se sia ancora..."
"È viva" disse Nick in tono deciso. "È qui da qualche parte."
"Siamo passati quasi per tutto il primo piano e non l'abbiamo trovata" rispose la donna. "Forse è fuggita fuori dalla centrale o si è nascosta da qualche altra parte. Ti ricordo che un tempo questo edificio era un museo. Magari si è infilata in qualche passaggio segreto o nei condotti d'areazione in disuso."
"E se fosse dietro a quella barricata?"
Rita piantò le mani sui fianchi con disappunto. "Ci sono degli zombie, non li vedi? Come avrebbe fatto a passare senza farsi sbranare? È diventata invisibile? Repellente agli zombie?""
Nick non rispose.
La donna lo guardò per un po'. Forse aveva esagerato. "Magari è andata da questa parte." Indicò la porta alle sue spalle con un cenno della testa. "Avrebbe più senso, no? Forza, andiamo" disse, cercando di smuoverlo dall'idea che Sherry fosse oltre quell'ammasso di non-morti.



 

Pete si avvicinò a Elliot, che fissava torvo gli zombie dietro la grande finestra della hall. "Come stai?"
"Una merda" rispose lui. "Come vuoi che sto? Ho lo stomaco in subbuglio e sto andando a diarrea."
"È una cosa positiva, no?"
"Ti sembro un medico? Che cazzo ne so se è positivo."
"Certo che sei diventato proprio una testa di cazzo."
"Sei qui per rompermi le palle o c'è altro?"
"Volevo sapere come stavi, tutto qui."
"Ottimo. Sto bene. Grazie dell'interesse, ora puoi andare."
Pete lo guardò per un momento. "Te la sei cercata, quindi non incolpare me. Sei tu quello che ha insistito per scendere là sotto. Io nemmeno ci voleva andare."
Elliot gli lanciò un'occhiataccia. "Ok."
Pete scacciò l'aria con una mano. "'Fanculo. Lasciamo stare." Si allontanò e raggiunse Marvin seduto ai piedi della statua. "Hai liberato Chung. E Jim, invece?"
Il tenente sollevò lo sguardo. "Causerebbe solo problemi. Sta bene dove sta."
Pete si sedette accanto. "Bertolucci non si è ancora deciso a uscire?"
"Gli ho lasciato la porta aperta, ma si è chiuso di nuovo dentro la cella. Se vuole restarci, che ci resti pure. Ho altri problemi a cui pensare."
"Parli di Nick?"
"È uno dei problemi, ma quello che mi preoccupa di più è questo." Puntò il dito verso il portone d'ingresso. "Potrebbe cedere da un momento all'altro e non abbiamo abbastanza armi e proiettili per respingerli tutti. Spero che Nick abbia recuperato qualcosa strada facendo. Irons ha pensato proprio a tutto per metterci in ginocchio, quel figlio di puttana... Se solo avessimo le armi."
Restarono in silenzio per un po'.
"Credi che Kevin abbia aperto il cancello?" chiese Pete.
Il tenente aggrottò le sopracciglia, turbato. "No, non credo. Non avrebbe senso. Forse è stato qualcun altro, o forse il cancello ha ceduto sotto la pressione degli zombie."
"Sì, probabile."
"Kevin come sta?"
"Bene, ma non si è ancora svegliato. Ha ricevuto una brutta botta in testa."
Pete lo guardò, serio. "Credi sia stato Johnson o Irons?"
"Hai detto che hai visto Johnson, giusto? È più probabile che sia stato lui. Credo che Irons abbia lasciato la città."
"Cosa te lo fa pensare?"
"Non lo so. Tutto questo schifo è opera dell'Umbrella. Non mi sorprenderebbe se lo avessero avvisato e fosse fuggito prima che la città andasse in malora. Ma spero sia morto quel bastardo."
Pete non rispose subito. "Jill mi ha detto che l'esercito ha creato un cordone difensivo attorno alla città. Niente e nessuno esce o entra senza permesso."
"Cosa?" disse Marvin, sconvolto. "Perché circondare la città? Perché non intervenire? Avrebbero i mezzi necessari per spazzare via gli zombie. Forse incontrerebbero qualche problema con i Licker e gli altri mostri, ma riuscirebbero a portare la situazione sotto controllo. E poi ci sono altre persone là fuori. Persone vive, che aspettano aiuti. Non possono abbandonarli così. Non possono."
Pete si pentì di averglielo detto. Sapeva come Marvin scattava male quando si trattava di aiutare la gente indifesa. Si addossava tutto il peso della situazione e ne faceva una crociata, un fatto personale. "Non possiamo fare niente per loro" disse piano. "Siamo bloccati qui, circondati da centinaia di non-morti. Magari sono al sicuro lì dove sono."
"Forse posso mandare Rita" rispose il tenente, pensieroso. "Quando lei sarà qui, le dirò di portare con sé i sopravvissuti che incontrerà."
"No, è una follia. Là fuori è pieno di pericoli. E la gente non lascerà i propri rifugi tanto facilmente. E chi lo farà, potrebbe morire per strada. Rita dovrà pensare prima a sé stessa."
Marvin piegò il busto in avanti e abbassò lo sguardo sul pavimento, la mani incrociate fra le labbra e il mento "Mi chiedo perché l'esercito non stia facendo niente..."
"Me lo chiedo anch'io" rispose Pete, pensieroso.
D'un tratto il portone d'ingresso si spalancò e sbatté con violenza contro la parete. Il frastuono di innumerevoli gemiti invase la hall. Gli zombie erano entrati.

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Capitolo 19
*** XIX. Capitolo ***


Nick e Rita seguirono un corto corridoio e si fermarono davanti alla tromba delle scale.
"Non c'è nessuno sul pianerottolo" disse Rita. "Andiamo."
Scesero i gradini e arrivarono al pianterreno. Tre poliziotti morti erano distesi sul pavimento. Un altro era sul telaio di una finestra.
"Non credo siano zombie" aggiunse Nick.
"Tieni gli occhi aperti."
Proseguirono cauti e guardarono i cadaveri crivellati dalle pallottole. Tutti e tre avevano dei buchi in fronte. L'ultimo non aveva neanche più la parte superiore della testa.
"Non sembrano zombie" disse Nick, perplesso.
"Infatti non lo sono mai stati" rispose Rita. "Qualcuno li ha uccisi."
"Chi può essere stato?"
"Non lo so... Sono sparite anche le armi."
S'incamminarono nel corridoio e si fermarono davanti a una porta.
Rita l'aprì un poco e sbirciò dalla fessura. La richiuse. "Ci sono due Lickers. Il terzo non c'è. Forse è una delle creature che abbiamo ucciso di sopra."
"E se non lo fosse?"
"Allora stiamo attenti. Sai sparare con l'altra mano?"
"Non lo so. Non ho mai provato."
La donna non rispose subito. "Non posso gestirli entrambi. Forse ci hanno già sentiti arrivare, non lo so. Ci sono stati troppi spari. E ora avranno le orecchie ben tese. Ogni minimo rumore li allerterà."
"Allora cosa facciamo?" chiese Nick, confuso.
"Dobbiamo affrontarli" rispose lei. "Non abbiamo altra scelta."
"Ti posso coprire. Non riuscirò a centrarli alla testa, ma credo di poterli colpire lo stesso."
Rita scosse la testa. "No, tu stammi alle spalle. Intervieni solo se le cose mi sfuggono di mano, intesi?"
"Ma non ha senso. Fatti aiutare."
"Fidati di me. Fai come ti dico."
Lui annuì, poco convinto.
Rita lo guardò. Era pallido e gli occhi si erano arrossati. Sapeva che poteva svenire da un momento all'altro, diventando un facile bersaglio per i Licker. Era meglio affrontarli da sola.
"Cosa c'è?" domandò lui, confuso. "Perché mi stai fissando?"
Lei deviò lo sguardo. "Niente." Si voltò e girò la maniglia.
C'era solo un Licker nel corridoio. Se ne stava immobile lungo la parete.
La donna corrugò le sopracciglia, turbata. Non le piaceva questa situazione. C'era qualcosa di strano. Dov'era finita l'altra creatura? Quando fece per varcare la porta, una lunga lingua le penzolò davanti agli occhi e la bava le colò sui capelli.
Alzò lo sguardo. La creatura era sopra la porta.
Il Licker le ruggì in faccia, gocce di bava le schizzarono sul viso.
Rita balzò all'indietro, ma la creatura le afferrò un braccio con la lingua e la trascinò fuori.
Nick scattò in avanti e perse l'equilibrio, cadendo per terra. Si rialzò, cascò di nuovo. Non sentiva più le gambe.
La donna sparò un colpo. Centrò il Licker al busto, che balzò all'indietro e la sballottò con violenza prima in aria, poi al suolo. Le mancò il respiro. La pistola le scivolò di mano e urtò contro il battiscopa.
La creatura le ruggì in faccia.
Il secondo Licker, che era rimasto fermo sulla parete, si lanciò verso di lei.
La recluta rinunciò ad alzarsi, puntò la pistola con la sinistra e sparò. I proiettili si conficcarono nel petto, addome e braccio destro della prima creatura. La seconda venne centrata alla coscia sinistra e razzolò per terra. L'aveva colpita a un'arteria.
Mentre il Licker tentava di alzarsi, il sangue zampillò copioso dalla ferita e crollò al suolo immerso in una larghissima pozza di sangue scarlatto che si andava espandendosi.
La prima creatura trascinò Rita verso la finestra per portarsela sul tetto, ma Nick le sparò gli ultimi colpi.
I proiettili le penetrarono nella schiena, ma uno si conficcò dietro la nuca e uscì da una narice. Il Licker si accasciò sul telaio della finestra, la lunga lingua che si restringeva.
Rita si dimenò per liberarsi dalla presa. "Nick! Aiutami! Mi sta stritolando! Prendi l'accetta. Taglia la lingua! Tagliala!"
Nick si alzò in piedi e ricadde. Non aveva il controllo delle gambe, così strisciò sul pavimento.
"Muoviti" disse Rita in tono strozzato. "N-non ce la faccio più!"
La recluta afferrò l'accetta dal suolo e sferrò diverse accettate contro la ruvida lingua, finché la donna cadde bocconi sul pavimento.
Nick si lasciò cadere per terra. Non aveva più forze. La testa gli martellava dal dolore, gli occhi gli bruciavano e lo strano sapore metallico in bocca era diventato più aspro.
Rita si chinò su di lui. "Ehi, siamo quasi arrivati. Riesci a stare in piedi?"
Lui la guardò, strano.
"Sono Rita. Mi riconosci?"
La recluta sbarrò gli occhi. "Ah, sì, certo... Lo so, io lo so."
"Su, alzati."
"Non mi sento più le gambe."
Lei si accigliò, turbata. Lo prese da sotto le ascelle e lo trascinò con fatica verso la porta della hall. "Andrà tutto bene. Siamo quasi arrivati."
Nick era svenuto, il sangue gli rivolava dalla ferita bendata che si era aperta.
Quando lei si avvicinò alla porta, si bloccò. Si udivano diversi rumori dall'altra parte. Posò la recluta contro il muro e appoggiò un orecchio alla porta. "Gemiti..." si disse. "Com'è possibile..?" Lanciò uno sguardo alla recluta per parlargli, ma si accorse che era svenuto. Allora girò piano la maniglia e sbirciò nell'atrio.



 

"Non fateli entrare!" urlò Marvin. "Teneteli fuori!"
Tutti gli agenti si precipitarono all'ingresso. Elliot, che si trovava vicino alla grande finestra, si precipitò al portone e lo spinse contro gli zombie.
Quelli si ammassarono sotto la soglia e s'incastrarono nella foga di entrare, ma nove zombie entrarono e barcollarono verso gli agenti.
Alcuni superstiti corsero verso la porta dell'ala ovest, dove Marvin si era piazzato davanti. Stava succedendo tutto come nel suo sogno. Solo che gli zombie entravano dal portone. "Tornate indietro! Andate alla reception! È tutto sotto controllo!"
Un uomo provò a superarlo, ma il tenente lo spintonò indietro con violenza. "Nessuno esce da qui! Tornate indietro!"
Molti lo ascoltarono, tra cui Liah e Tania, ma l'uomo che aveva spintonato lo fissò torvo.
"Torna indietro. Non te lo ripeterò di nuovo!" disse Marvin.
"Vuoi rinchiudermi come Jim?" Urlò l'uomo, tirandogli un pugno.
Marvin lo deviò e gli sferrò un pugno nello stomaco.
L'uomo si piegò in avanti e cadde sulla ginocchia, tenendosi le mani sull'addome. "Non respiro..."
Il tenente guardò i due sopravvissuti spaventati dietro l'uomo. "Portatelo alla reception! Veloci!"
Nel frattempo, i sei agenti avevano costretto i nove zombie a sparpagliarsi.
"Colpiteli in testa!" gridò Pete. "Colpiteli finché non smettono di muoversi!"
I poliziotti fracassarono loro le teste con martelli, manganelli e bastoni di fortuna.
Elliot venne sospinto in avanti dagli zombie che premevano dietro il portone, ma ritornò di nuovo al suo posto. "Datemi una mano, cazzo! Non riesco a chiudere il portone!
Pete, Kate e gli altri agenti lo raggiunsero.
Tre zombie sgusciarono dentro.
Pete ne uccise due. Il terzo afferrò Kate per la camicia, la strattonò e cascarono oltre il parapetto dell'entrata. La donna batté la testa e perse i sensi. Quando lo zombie fece per affondarle i denti nel collo, Marvin gli tirò un calcio sul viso e gli schiacciò ripetutamente il cranio con la pianta del piede.
Gli agenti chiusero lentamente il portone.
Kate riprese i sensi e Marvin la aiutò ad alzarsi.
Pete si voltò verso il tenente. "Il portone non reggerà a lungo. O lo ripariamo o lo blocchiamo. Cosa facciamo?"
"Ripararlo è fuori discussione. Ci sono troppi zombie là fuori. Non riusciremo ad ucciderli tutti."
"Ho un'idea" aggiunse Elliot. "Attiriamoli lontano da qui."
"Ti ci volevano i parassiti nell'intestino per farti usare il cervello" sorrise Marvin.
Tutti risero, eccetto Elliot.
"Come vuoi allontanarli? Con la musica?" chiese il tenente.
"Sì, c'è un negozio di musica all'angolo della strada. Possiamo accendere lo stereo e..."
"Mi sembra una buona idea" disse una voce da donna alle loro spalle.
Tutti si voltarono.
"Rita!" disse Marvin con gli occhi sbarrati dalla felicità.
La donna gli sorrise. "È bello rivederti, tenente."
I due si abbracciarono.
Mentre gli altri agenti abbracciavano e scambiavano due parole con la collega, Marvin si guardò intorno. "Dov'è Nick?"
"È stato morso" rispose Rita. "È in mezzo alla barricata."
Quando lo raggiunsero, la recluta aveva il viso pallido e le palpebre arrossate. Borbottava e roteava gli occhi senza sosta.
Marvin si chinò, afflitto dai sensi di colpa. "Nick, mi senti? Nick?"
Kate lo fissò scioccata per un momento. Poi crollò in ginocchio, le lacrime che le rigavano il viso.
Pete pescò il fazzoletto dalla tasca, prese delle foglie tagliuzzate e le portò vicino alle labbra di Nick. "Tenente, aprigli la bocca."
Rita si accigliò, confusa. Non capiva cosa stessero facendo.
Quando Marvin gli aprì le labbra, Pete gli mise in bocca le foglie e gli tappò il naso.
La recluta ingoiò.
"Perché gli hai dato delle foglie tagliuzzate?" domandò Rita, perplessa.
Kate osservava la scena con gli occhi arrossati dal pianto. Anche gli altri agenti fissavano, incuriositi.
"Ve ne siete già dimenticati?" domandò Elliot, infastidito. "Quell'erba cura l'infezione. Io ero infetto, ricordate? Ho vomitato quei fottuti parassiti!"
Rita gli lanciò un'occhiata, confusa.
Quello sguardo gli ricordò che era appena arrivata e non sapeva cosa gli era successo.
Il volto di Kate si ravvivò. Non sapeva che curasse anche l'infezione da morsi.
La recluta tossì diverse volte, ma non sembrava migliorare.
Pete corrugò la fronte, incerto.
Marvin gli lanciò uno sguardo fugace. "Sei sicuro che funziona?"
"Jill ha detto che cura l'infezione da morso. Quindi deve funzionare."
Nick smise di borbottare e chiuse gli occhi.
Kate scoppiò a piangere. Megan, che si trovava alla reception, la raggiunse e la strinse in un abbraccio affettuoso.
Pete portò due dita prima sul polso di Nick, poi sul collo. Nessun battito. Sospirò.
Marvin abbassò lo sguardo, abbattuto. Rita alzò gli occhi sul soffitto e trattenne le lacrime.
"Sei sicuro che sia morto?" chiese Elliot.
Pete lo guardò in silenzio.
Elliot si chinò sulla recluta e gli posizionò un dito sotto il naso. Restò fermò per un po'. "Secondo me respira."
Tutti lo guardarono, interdetti. Kate smise di piangere.
Marvin portò un dito sotto il naso della recluta. Sorrise. "Sì, respira. È impercettibile."
Pete tirò un sospiro di sollievo. Lo credeva morto. Poi un pensiero gli balenò nella mente e si voltò verso Rita "È stato morso da uno zombie?"
"No, da un Licker."
Gli agenti si scambiarono delle occhiate.
Kate singhiozzò. Si sentiva in bilico. Non aveva nessuna certezza che Nick ce l'avrebbe fatta. L'attesa la faceva stare male, la logorava.
Pete prese il fazzoletto dalla tasca. "Forse... forse ha bisogno di più foglie. Forse per questo non si riprende."
Marvin aprì la bocca di Nick. Pete gli posò le ultime foglie sulla lingua e gli tappò il naso. La recluta ingoiò.
"Pensavo che non le avrebbe ingoiate" disse Pete.
Tutti restarono a guardare.
La recluta non si muoveva, non reagiva.
"Forse ha bisogno di riposo" aggiunse Pete. "Credo che il morso di un Licker sia molto più infettivo di quello di uno zombie."
"Sì, lo credo anch'io" rispose il tenente. "Portiamolo nel mio ufficio. Lì riposerà tranquillo."



 

Una volta condotto la recluta nel suo ufficio, Marvin prese Rita in disparte e uscirono negli uffici. Lei gli raccontò tutto quello che era successo, degli zombie, dei Lickers e di Sherry.
Il tenente aggrottò la fronte. "Una bambina? Sei sicura che... che sia reale? Nick era piuttosto provato quando ha raggiunto la centrale. Non mi sorprenderei se fosse frutto della sua immaginazione."
Rita non rispose subito. "Ammetto di averlo pensato anch'io. Ma era troppo... Come dire, troppo convinto, troppo preso. Voleva trovarla a tutti costi."
Marvin abbassò lo sguardo, pensieroso. "Questo vuol dire che c'è una bambina intrappolata da qualche parte nell'ala est."
"Può essere fuggita. Forse ha lasciato la centrale."
"Impossibile. Uscire in cortile è un suicidio. Gli zombie sono ovunque."
"Potrebbe essere fuggita prima che i non-morti invadessero il cortile" disse Rita. "Nick ha trovato la bambina mentre mi cercava. Potrebbe essere andata via dopo che l'ha lasciata da sola."
"Per andare dove?" domandò Marvin. "Non credo abbia lasciato il dipartimento. Dev'essersi nascosta. Queste mura hanno passaggi segreti e condotti d'areazione in disuso. Potrebbe averne trovato uno."
"È possibile."
Pete uscì dall'ufficio e li raggiunse con le mani sporche di sangue. "Ho ripulito la ferita di Nick. Ora dobbiamo solo aspettare."
"Perché Kate sta piangendo così tanto?" chiese Rita.
"È la sua ragazza" rispose Pete.
"Davvero?"
"Sì, sono insieme da poco."
"Capisco."
"Vado a lavarmi le mani" disse Pete. "Alla fine il corso di primo soccorso che ho seguito tempo fa è stato utile." Si allontanò.
Il tenente si voltò verso Rita. "Prima hai parlato dei Licker, giusto? Quindi c'è davvero un nido sul tetto?"
La donna annuì. "Sì, l'ho visto io stessa. Ora non so se sono ancora lassù, ma è meglio non andarci."
"Trovo strano che non vi abbiano attaccati tutti insieme quando avete usato le armi. Sentivamo gli spari persino dal mio ufficio, figuriamoci loro che hanno l'udito ipersensibile."
"Già... Forse gli gemiti degli zombie hanno disturbato il... il loro udito, non saprei. Ma una cosa è certa. Ci stavano aspettando le ultime due volte che li abbiamo incontrati. Sapevano dov'eravamo."
Marvin si avvicinò a una finestra e guardò in cortile. Una ventina di zombie vacillavano lungo il vialetto. "Cosa ne pensi del piano di Elliot? A me sembra un buon piano."
Lei lo raggiunse. "Sì, ma chi ci andrà, non tornerà più indietro. Tutti gli zombie dei paraggi si dirigeranno in quel negozio e la fuga sarà impossibile."
Il tenente non aveva il coraggio di mandare uno dei suoi a compiere l'impresa e nemmeno uno dei sopravvissuti. Ma sapeva che andava fatto. Forse ci sarebbe andato lui stesso. Dopotutto, non era esente da un simile incarico. "Lo so, ma non abbiamo altra scelta. Dobbiamo mandarli via dal cortile. Dobbiamo farli uscire."
Restarono in silenzio per un momento.
"Riguardo alla mia missione?" domandò Rita. "Cosa facciamo?"
Marvin la guardò. "Non è più una priorità."
"Ma si farà ugualmente, giusto?"
"Certo. Dopo che avremo attirato l'orda lontano da qui."



 

Pete entrò nella stanza di riposo e salutò l'agente di guardia seduto vicino a Kevin, steso sul letto. "Ci penso io, puoi andare."
Quello annuì e usci dalla camera.
"Ah, vedo che la bella addormentata nel bosco si è svegliata" sorrise Pete, sedendosi sulla sedia.
"Vaffanculo!" rispose Kevin con un sorriso. "Come ve la stavate cavando senza di me, eh? Siete già nella merda? Lo posso immaginare. Dopotutto, sono un tipo che fa la differenza."
"Quando non sei trai piedi, sì."
Kevin gli mollò un colpetto sul braccio. "Davvero divertente."
Pete sorrise. "Come va la testa?"
"Bene. Ho ancora qualche giramento, ma niente di che." Serrò gli occhi, irati. "Quello stronzo di Johnson me la pagherà! Non me ne frega niente se è un mio superiore! Io l'ammazzo!" Arricciò la faccia in una smorfia di dolore. "Cazzo... la testa..."
"Stai calmo, non agitarti" aggiunse Pete. "Avrà quello che si merita, vedrai."
"Vorrei essere io a dargli quello che si merita!" Si portò una mano sulla testa. "Cazzo... Merda... Cristo santo, che dolore..."
"Vuoi stare calmo o no?"
Kevin gli lanciò un'occhiata. "Non vedo l'ora di rimettermi."
Pete si alzò dalla sedia. "Allora stai fermo e riposati. Passo a controllarti tra mezz'ora. A dopo."
Kevin lo salutò alzando lievemente una mano.



 

Marvin posò il borsone sul pavimento degli uffici e lo aprì. "Hai recuperato un bel po' di armi."
Rita sorrise. "Nick mi aveva detto di recuperare solo i proiettili per difenderci, ma ho pensato bene di raccattare tutto quanto."
"Ottima decisione. Ora come ora ci servono davvero queste armi." Richiuse la zip del borsone. "Darò alcune armi agli agenti e chiuderò il resto nell'armeria."
"Così distante?" chiese Rita, perplessa. "Non è meglio tenere tutto a portata di mano?"
Marvin non rispose subito. "I sopravvissuti potrebbero rubare le armi. È meglio tenerle lontani da loro."
"Sì, forse hai ragione. Ma le munizioni?"
"Quelle le terremo nella hall. Mi sembra logico. Voglio tenere lontano solo le armi." Si mise il borsone su una spalla. "Mi accompagni?"
Rita sorrise. "Certo, tenente."



 

Megan prese un caffè dal distributore. Era il quarto caffè di fila che beveva e non sarebbe stato l'ultimo. Soffiò dentro il bicchierino di plastica e si sedette al tavolino. "Sicura di non volere niente?"
Kate era seduta di fronte, lo sguardo basso. Non le rispose.
Megan bevve un sorso. "Pete era stato infettato."
Kate la guardò.
"È successo poco prima di arrivare qui" continuò lei. "Gli è entrata la bava di un cane zombie in un occhio." Soffiò sul caffè fumante. "È stato terribile vederlo agonizzare a un passo dalla morte. All'inizio non capivo cosa aveva, ma qualcosa mi diceva che era partito tutto dalla bava. Una specie di sesto senso, capisci?"
Kate annuì.
Megan fece un sorso. "Pensavo di averlo perso. Era persino pronta a..." Abbassò lo sguardo. "Non potevo lasciarlo diventare uno zombie. Glielo avevo promesso. Dovevo... dovevo ucciderlo, avere pietà, ma non ci riuscivo." Bevve un sorso. "Poi è arrivata Jill e l'ha salvato. Gli ha fatto ingoiare delle foglie. Le stesse foglie che Pete ha dato a Nick. E poco dopo lui si è ripreso."
Kate sospirò.
"Magari con un morso serve più tempo" disse Megan. "Forse..."
"O forse è spacciato" rispose Kate, arrabbiata. "Forse non si riprenderà mai più. Forse diventerà uno zombie. Forse, forse, forse. Con i forse non si fa niente. Niente!" Scattò in piedi e uscì dal corridoio con passo sostenuto.



 

Pete entrò nell'ufficio del tenente e guardò Chung seduto accanto a Nick, steso sulla scrivania. "Ha aperto gli occhi? Borbottato?"
"No."
Pete raggiunse la recluta e gli controllò il polso. Il battito sembrava essere aumentato. Portò un dito sotto il naso. Pure il respiro si faceva più forte. "Sembra che si stia riprendendo."
"È un ottima notizia" rispose Chung.
"Già, ma non sappiamo se le foglie che gli ho dato bastino per eliminare l'infezione, o se l'ha solo rallentata."
"Se te ne servono altre, io ne ho un po'."
Pete si accigliò, sorpreso. "Davvero? E dove l'hai prese? E poi perché ce l'hai?"
Chung alzò le spalle. "Le fumo."
"Cosa? Perché?"
"Certo che sei un rompi palle. Me le fumo perché mi rilassano. Nel mio paese, in Cina, le usiamo in questa modo."
"Quindi eri tu quello che strappava le fogne dalle piantine nel cortile e dall'ala est?"
Chung alzò le mani in segno di resa. "Beccato!"
Pete lo fissò, interdetto.
"Le vuoi o no?" chiese Chung.
"E me lo domandi pure?"



 

Elliot era davanti alla grande finestra dell'entrata e guardava le facce putrefatte degli zombie.
Un poliziotto gli si avvicinò. "Cosa facciamo con la barricata della porta dell'ala est? La chiudiamo?"
"Sì, chiudetela. Nessuno ci passerà più."
L'agente annuì e se ne andò.
Elliot si portò una mano sull'addome, lo stomaco gorgogliava. "Fottuti parassiti del cazzo..." si disse. "Spero siano morti tutti. Non voglio questo schifo dentro di me..." Si girò e guardò i tre agenti posizionare panche, scrivanie, schedari, sedie e mobiletti contro il portone d'ingresso. "Ottimo lavoro, ragazzi. Continuate così." Poi superò gli altri due agenti che chiudevano l'altra barricata e si diresse verso la reception.
Liah e Tania erano un poco a disparte dagli altri. La bambina aveva gli occhi arrossati per il pianto e si teneva stretta alla madre.
Elliot li raggiunse. "Tutto bene?"
Liah annuì.
"Quelli non vogliono stare con la mamma" disse Tania con un dito in bocca.
La madre la rimproverò con lo sguardo.
Elliot si chinò e guardò la bambina con un sorriso. "Perché?"
Liah si portò la bambina dietro le sue gambe e abbozzò un sorriso forzato. "Va tutto bene. Non succede niente. Sai come sono i bambini, scherzano sempre."
Lui la fissò per un momento. "Se c'è qualcosa che non va, dovresti dirmelo. Posso aiutarti."
"No, va tutto bene. Non c'è nessun problema." Lanciò uno sguardo verso i sopravvissuti.
Elliot non le credeva. Lo vedeva negli occhi della bambina che c'era qualcosa di strano. La stessa madre si limitava a sorridergli, lanciando sguardi fugaci verso i sopravvissuti poco distanti. Ne era intimidita, si vedeva. Era successo qualcosa.
Decise di non continuare a fare domande. Si congedò da madre e figlia con un sorriso e gettò un'occhiataccia malevola ai sopravvissuti, che ricambiarono con falsi sorrisi.

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Capitolo 20
*** XX. Capitolo ***


Mentre i non-morti gemevano fuori dalla finestra, Marvin e Rita s'incamminarono nel corridoio dell'ala ovest.
"Barricare le finestre è stata la miglior scelta che abbia mai preso" disse il tenente. "Se non l'avessi fatto, ora sarebbero qui dentro."
La donna non rispose.
"Qualcosa non va?"
"Stavo pensando al piano di Elliot. Possiamo mettere in atto entrambi i piani in una volta sola."
"Che vuoi dire?"
"Userò il condotto di areazione sotto alla statua per uscire e far allontanare gli zombie, poi cercherò aiuto."
Marvin scosse la testa. "No, l'hai detto tu stessa. Chi andrà al negozio di musica, non tornerà più indietro."
"Posso farcela, tenente."
"È fuori discussione. Tu cercherai solamente aiuto. Non farai nient'altro." Scegliere chi mandare non sarebbe stato affatto facile. Non tutti sarebbero stati ansiosi di sacrificare la propria vita.



 

Kevin si mise seduto sul letto.
"Dovresti riposare" disse l'agente di guardia.
"Ho già riposato abbastanza. Non mi hanno mica sparato."
"Il tenente..."
Kevin si alzò. "Il tenente può andare a farsi fottere, io faccio come voglio."
L'agente gli sbarrò la strada. "Torna a letto. Riposati."
"Levati dalle palle!"
I due si fissarono negli occhi per un momento, poi l'agente si spostò.
Quando uscì dalla stanza di riposo, si diresse verso la hall e incontrò Kate seduta da sola su una panca. "Ehi, Kate. Come stai?"
Kate gli sorrise. "Sono felice che tu ti sia ripreso."
Lui le si sedette accanto. "Stai bene?"
"Nick è stato morso."
"Cazzo..."
Restarono in silenzio per un po'.
"È morto?" chiese lui.
"No, è ancora vivo" rispose lei. "Pete gli ha dato delle foglie sminuzzate per eliminare l'infezione. Dice che funziona, ma a me non sembra."
Kevin era perplesso. Come potevano delle foglie curare l'infezione? Ma non lo disse. "Allora si riprenderà. Pete ha seguito un corso di primo soccorso, no? Sa quello che fa."
Kate lo guardò. "Anche tu mi dici quello che voglio sentirmi dire?"
Lui abbassò gli occhi. "Cosa dovrei dirti? Che morirà? Che diventerà uno zombie? Tu lo diresti se fossi al mio posto?"
La donna deviò lo sguardo.
"E poi perché ti importa così tanto di lui?" chiese Kevin. "Lo conosci appena. È qui da quanto? Nove mesi?"
"Un anno e mezzo" rispose lei, irritata.
"Appunto, perché ti dispiace così tanto? Sai quanti poliziotti sono morti nelle strade o in centrale? Tantissimi. E..."
Kate scattò in piedi. "Sei uno stronzo!" Si allontanò, battendo i piedi sul pavimento.
"Qui dentro sono l'unico ad essere sano di mente..."



 

"Devo parlarti" disse Elliot.
"Ti ascolto" rispose Pete.
Elliot lo prese per un braccio e lo condusse vicino al portone d'ingresso, bloccato da una montagnola di oggetti. "Abbiamo un problema con i superstiti. Sospetto che vogliono fare qualcosa."
Pete serrò gli occhi, turbato. "Spiegati meglio."
"Non lo so di preciso, ma ho la strana sensazione che Liah sia stata allontanata per questo."
"Non ti seguo. Parla chiaramente."
Elliot sbuffò. "Parlo di una rivolta. Forse ci si rivolteranno contro. Dobbiamo tenere gli occhi aperti. Loro sono molti di più rispetto a noi."
"E cosa c'entra Liah con questo?"
"Forse l'hanno allontanata perché non vuole farne parte" disse Elliot.
Pete corrugò la fronte, pensieroso. Non era una novità. Tirava già una strana aria da quando era arrivato qui. "Hai delle prove?"
"No."
"Tu come lo sai che è così?"
"Non lo so, ma come ti ho detto è un sospetto."
"Allora non fare niente" aggiunse Pete. "Tienili d'occhio e avvisa anche Marvin."
Elliot aggrottò le sopracciglia, infastidito. "Non mi credi?"
"Come faccio a crederti se non hai nessuna prova?"
Elliot fece per andare, ma Pete lo fermò per un braccio." Aspetta! Ascolta, anch'io ho questa sensazione da quando sono arrivato qui. I sopravvissuti sono come una pentola in ebolizione, mi capisci? Dobbiamo solo abbassare il gas."
Elliot serrò gli occhi, irritato. "Non usare le metafore con me. Non sono un idiota."
"Devi pazientare. Forse la cosa si risolverà da sola, oppure saremmo costretti a porre rimedio. In entrambi i casi, non fare niente. Tieni gli occhi aperti e informa anche gli altri agenti. Dobbiamo allineare le nostre forze, se non vogliamo che la situazione ci sfugga di mano."
Elliot lo fissò negli occhi per un momento, poi si allontanò. Pete non era sicuro che avrebbe seguito il suo consiglio. Sapeva quanto fosse testardo e attaccabrighe quando vedeva un'ingiustizia. Non voleva che per difendere Liah, facesse scoppiare una rivolta.



 

Marvin girò la chiave nella toppa, spinse la porta di ferro ed entrò nell'armeria, seguito da Rita. Posò il borsone sul tavolo e lo aprì. "Dammi una mano."
Scaricarono le armi di tutte le munizioni e adagiarono pistole e fucili a pompa negli armadietti delle armi. Poi Marvin li chiuse a chiave, si mise il borsone a tracolla e uscì dall'armeria, chiudendola a doppia mandata.
"Vado un attimo in bagno" disse Rita.
"Va bene, ti aspetto" rispose il tenente. Si sedette su una panca e aprì il borsone. C'erano novantasette proiettili. Si mise a contarli per far passare il tempo, quando udì un rumore in fondo al corridoio in cui si era diretta Rita. Fissò un punto distante per un lungo momento. Poi tornò a contare.
Arrivato a ventuno, sentì un tonfo in fondo al corridoio. Si accigliò turbato e chiuse il borsone, appoggiandolo sulla panca. "Rita?" disse. "Sei tu? Se caduta?" S'incamminò lungo il corridoio e si fermò davanti al bagno delle donne. Bussò alla porta. "Rita? Stai bene?"
Bussò di nuovo. "Rita? Sto per..."
La porta si aprì.
"Buonasera, tenente Branagh" disse Johnson con un ghigno. "L'agente Rita Phillips è indisposta, al momento."
Marvin serrò gli occhi, furioso. Quando fece per aggredirlo, quello gli puntò la pistola che teneva nascosta sotto il lungo cappotto nero.
"Non vorresti mica sporcare questo bel pavimento, no?" sorrise Johnson. "E le mura? No, certo che no. Tu non lo vuoi, giusto?"
"Se le hai fatto del male giuro che..."
"Sssh. Non fare promesse che non puoi mantenere, tenente Branagh."
Lui lo fissò con gli occhi infiammati per la rabbia.
"Ora facciamo un giro" aggiunse Johnson, agitando la pistola. "Ti piace camminare, giusto? Ricordi le nostre passeggiate nel cortile? Oggi faremo una passeggiata simile."



 

Pete entrò nella stanza di riposo. "Dov'è Kevin?"
L'agente gli si avvicinò. "Se ne è andato. Non voleva più restare a letto."
"Dovevamo aspettarmelo..." Andò via. Proseguì lungo il corridoio e si diresse verso la hall.
Quando ci arrivò, Elliot era nuovamente di fronte alla grande finestra dell'entrata. Lo raggiunse. "Hai visto Kevin?"
Quello si girò. "No, perché? Si è ripreso?"
"Sì, se lo vedi fammelo sapere." S'incamminò verso la reception e lanciò un rapido sguardo ai sopravvissuti. Non era nemmeno lì. Non sapeva perché si preoccupasse tanto, ma con una botta in testa come la sua non c'era da scherzare.
Rita entrò nell'atrio con la faccia insanguinata e l'andatura barcollante.
"Rita!" disse Pete, correndole incontro. Lei gli cadde addosso, ma si rialzò subito dopo.
Elliot e gli altri agenti la raggiunsero. I sopravvissuti osservavano preoccupati dalla reception. Tania scoppiò a piangere e affondò la testa sul fianco della madre, pensando fosse uno zombie.
"Cosa è successo?" chiese Pete.
"Johnson..." farfugliò la donna. "Mi ha colpito mentre ero in bagno. Forse... forse ha preso Marvin."
Pete si accigliò, turbato. "Preso? L'ha rapito?"
"Lo dicevo che quello stronzo va fermato" disse Kevin alle loro spalle. "Ci penserò io. Lo squarterò da parte a parte."
Pete si voltò. "Tu non farai proprio niente. Johnson può essere armato. È pericoloso."
"Ma non vedi che sta giocando con noi?" aggiunse Kevin, irritato. "È impazzito. Va' fermato. Ma ci penso io!" Si girò e lasciò l'atrio.
"Aspetta! Cazzo!" Pete guardò Elliot. "Seguilo. Stagli attaccato al culo. Quell'idiota si farà ammazzare!"
Elliot annuì e corse alla porta dell'ala ovest.
Megan si chinò su Rita e le pulì il sangue dal viso con alcuni fazzoletti. "Tranquilla, non è grave. È solo un taglio."
"Sì, è solo un taglio" disse Pete. "Presto ti riprenderai."
Rita abbozzò un debole sorriso, un poco stordita.



 

Kate sedeva accanto a Nick e gli accarezzava la guancia con il viso lacrimato.
Chung la guardava, pensieroso. "Mi ricordi mia madre."
Lei gli lanciò un'occhiata.
"Si comportava come te quando spararono a mio padre" continuò lui. "È successo in Cina, poco prima che ci trasferissimo qui. Io ero piccolo. Avrò avuto quattro anni, ma ancora me lo ricordo come fosse ieri." Fece una pausa. "Mia madre che piangeva e abbracciava mio padre, disperata. I miei zii che cercavano di confortarla. Io non capivo cos'era successo o perché piangesse. Me ne stavo seduto in un angolo e la guardavo piangere. Poi arrivò il dottore, un signore minuto e anziano. Esaminò mio padre e disse qualcosa a mia madre." Abbassò lo sguardo. "Lei smise di piangere, si ammutolì. Ricordo bene come mutò la sua espressione. Diventò di pietra. Da quel giorno non l'ho vista più piangere, nemmeno al funerale. Tre mesi dopo partimmo per gli Stati Uniti e ci sistemammo a Raccoon City. A quei tempi era in pieno sviluppo per via dei finanziamenti dell'Umbrella e c'era molto lavoro. Lei parlava bene l'inglese, quindi non ebbe difficoltà a trovare un lavoro come segretaria di una azienda di frigoriferi." Fece un'altra pausa. "Non mi ha mai più parlato di mio padre. Era come se non fosse mai esistito."
Kate aveva le lacrime agli occhi. "Mi dispiace..."
Chung le sorrise. "Non l'ho mai raccontato a nessuno. La tua premura con Nick me l'ha ricordata... Ormai non c'è più da quasi vent'anni. Un male se l'ha portata via quando avevo sei anni. Così sono cresciuto nell'orfanotrofio di Raccoon City. I miei parenti non sanno nemmeno che sono vivo, non che m'importa poi tanto di loro. Non li conosco neppure." Si alzò in piedi. "Ora vado a prendere una cosa per Pete, ma faccio subito. Rimani tu qui?"
Lei annuì.



 

Elliot corse dietro a Kevin, deciso più che mai a trovare e uccidere Johnson.
"Aspetta!" disse Elliot.
"Muovi il culo se vuoi starmi dietro!" rispose Kevin.
Elliot si fermò dopo pochi passi, la mano posata sul muro. "Ho ancora lo stomaco sottosopra..." si disse. Poi vomitò bile sul pavimento.
Kevin si arrestò, allertato dal rumore. Lo raggiunse. "Stai vomitando di nuovo? Sei infetto?"
"Che cazzo ne so..."
"Non vedo insetti nel vomito. È solo acqua."
Elliot tirò su il busto. "Ottimo... Almeno non ho quelle fottute cose nello stomaco."
"Potresti averli da altre parti" disse Kevin.
"Davvero incoraggiante."
"E poi perché mi segui?"
"Per pararti il culo."
Kevin incrociò le braccia. "Non mi serve una balia."
"Tanto ti seguirò lo stesso."
"Fai pure, ma non starmi tra i piedi!"
S'incamminarono nel corridoio e svoltarono l'angolo.
"Sei armato?" chiese Kevin. "Hai una pistola?"
"Sì, ma ho finito i proiettili. Tu?"
Kevin estrasse la Beretta che teneva nella fondina ascellare. "Che te ne pare? Bella, vero? L'ho trovata nel cortile. Non l'ho ancora usata."
"È carica?"
"Certo che è carica. Tutti i proiettili sono per quel figlio di puttana di Johnson."
"Sai dove può essere?" domandò Elliot.
"No, ma è qui da qualche parte. Dobbiamo solo trovarlo."



 

Pete condusse Rita nell'ufficio del tenente, che ormai si era trasformata in un'infermeria. La fece sedere sulla poltrona e le medicò il taglio sulla fronte.
"Cosa è successo?" chiese Kate.
"Johnson mi ha aggredita" rispose Rita. "E ha rapito Marvin."
"Rapito? Perché?"
"Non lo so."
"Credo voglia ucciderlo" aggiunse Pete, versando del disinfettante sul coton fioc. "È stato lui ad aprire il cancello, ne sono più che sicuro. Ci voleva morti." Lo posò sul taglio in fronte della donna, che smorzò un gemito di dolore.
Kate corrugò le sopracciglia, preoccupata da ciò che aveva sentito.
Restarono in silenzio per un momento.
Rita guardò Pete. "C'è un borsone di munizioni davanti all'entrata dell'armeria. Mi sono dimenticata di portarlo con me."
"Non preoccuparti. Manderò qualcuno a prenderlo." Le coprì il taglio con un cerotto, si girò verso Nick e lo fissò per un po'. "Sta guadagnando colorito."
Kate si sentì sollevata, ma non voleva sperarci troppo. Le cose potevano peggiorare da un momento all'altro. Non era la prima volta che accadeva. Era meglio essere realisti, aspettare.
Rita si alzò e le strinse una mano. "Mi ha salvata da un Licker poco prima che svenisse. Se non fosse stato per lui, sarei morta." Evitò di dirle che anche lei lo aveva salvato, ma non era riuscita a evitare che venisse morso.
Kate sorrise.
"Ho saputo che state insieme" disse Rita.
"Sì, da poco."
"Sono felice per voi."
"Dov'è andato Chung?" chiese Pete.
"Ha detto che doveva prendere una cosa per te" rispose Kate.
"Ah, sì, giusto... Vado a cercarlo."
Uscì dall'ufficio e si diresse verso lo spogliatoio. Quando svoltò l'angolo, scorse qualcuno girare l'angolo in fondo al corridoio. Si accigliò e corse in quella direzione. Non vide nessuno. C'era solo una porta chiusa a chiave che conduceva nel cortile. Girò la maniglia per esserne certo. Era chiusa. "Forse me lo sono immaginato..." si disse. Sbirciò in cortile dalla finestrella posta nella porta. Dozzine di non-morti vacillavano nel vialetto. "Sì, me lo devo essere immaginato... Devo seriamente riposare un po'. La carenza di sonno mi sta giocando brutti scherzi."



 

Elliot e Kevin si avvicinarono alla finestra sbarrata da assi di legno che dava sul cortile.
Kevin sbirciò fra le fessure. "Non può essere andato fuori. Gli zombie hanno circondato la centrale."
"Mi pare logico, no?" rispose Elliot. "Sei rimasto privo di sensi per un paio d'ore. Gli zombie hanno avuto tutto il tempo di piazzarsi in ogni angolo del cortile."
Kevin si voltò. "Che cazzo c'entra? Io parlavo di Johnson. Ho detto che..."
"Lo so cosa hai detto."
"Allora perché mi rompi i coglioni?"
Elliot lo fissò negli occhi per un po'. Poi si portò una mano sullo stomaco.
"Ti fa ancora male?" chiese Kevin.
"È più un fastidio."
"Basta che non ti trasformi davanti a me."
"In quel caso ficcami una pallottola in fronte. Non voglio diventare un cadavere ambulante."
Kevin gli sventolò la pistola davanti agli occhi con un sorriso. "Non sarà un problema."
"Muoviamoci" disse Elliot. "Abbiamo già perso tempo."
"Rilassati. Dove vuoi che vada Johnson? Praticamente è un uomo morto, solo che non lo sa ancora."
Elliot e Kevin proseguirono nel corridoio, svoltarono a destra e guardarono nella stanza degli interrogatori. Non c'era nessuno. Controllarono la stanza adiacente, poi i bagni delle donne e degli uomini. Infine, si diressero nel corridoio che portava all'armeria.
"Guarda!" disse Kevin, indicando un punto con la Beretta. "Un borsone. Prima non c'era."
Elliot si accigliò, confuso. "Prima quando?"
"Ore fa, quando sono passato da qui per uscire in cortile."
Raggiunsero il borsone.
Kevin l'aprì. "Ci sono un sacco di munizioni."
"Lo vedo anch'io, non sono mica cieco."
"Dev'essere il borsone di Marvin. Nel bagno delle donne c'era il sangue di rita. Johnson doveva essere stato qui."
Elliot batté piano le mani con un sorriso beffardo. "Sei davvero un genio. Lo Sherlock Holmes di Raccoon City."
Kevin serrò gli occhi, irritato. "Vaffanculo!"
"Rita ci ha detto già dov'era stata attaccata, ricordi? Ne ha parlato nell'atrio." Lo fissò per un momento, poi smorzò invano una risata. "E volevi pure entrare nella STARS? Non mi sorprende che ti abbiano respinto. Persino Marvin te..."
Kevin gli tirò un pugno in faccia e lo fece cadere a terra. "Sei un fottuto coglione! Non fai che rompermi le palle!" Caricò un altro pugno, ma si bloccò subito dopo e si allontanò a gran passi.
Elliot si alzò in piedi, le dita pressate sul labbro superiore spaccato. "Dove vai? Aspetta!" Gli andò dietro.



 

Quando Pete entrò nello spogliatoio che adorava di bagnoschiuma al pino, trovò Chung di fronte al suo armadietto.
Quello si girò e sussultò. "Oh, sei tu? Mi hai fatto prendere un colpo."
"Prevedibile come un procione nei cortili di Raccoon City" disse Pete. "Sapevo che ti avrei trovato qui."
Chung sorrise. "Ti sbagli, signor-so-tutto-io. Non nascondevo qui la mia roba, ma da un'altra parte. Un posto qui vicino, non molto nascosto. Anzi, era sotto gli occhi di tutti. Per questo passava inosservato." Si girò e gli mise in mano una bustina di plastica trasparente con dentro delle foglie verdi e blu. "E poi lo sai. Non potevo di certo lasciarla nel mio armadietto. Il capo Irons ispezionava ogni giorno i nostri armadietti, ricordi? Se mi avesse beccato con questa roba, addio distintivo."
Pete non lo ascoltava. Fissava le foglie sminuzzate e si chiedeva se erano quelle che le aveva dato Jill. Sembravano uguali, ma non ne era tanto sicuro. Forse avevano gli stessi colori, ma non lo stesso effetto. Cominciava a dubitare persino dei suoi ricordi.
Chung lo guardò, serio. "Qualcosa non va?"
"No, niente. Pensavo tra me a me."
"Ma mi stavi ascoltando?"
"Certo, parlavi di nascondere questa roba da Irons. Comunque ora è meglio tornare da Nick."
"Ok, tu vai pure. Io ti raggiungo tra un po'."
Mentre Pete usciva dallo spogliatoio, lanciò un'occhiata alla bustina trasparente. Il pensiero che fossero le foglie sbagliate si era ormai insinuato nella sua mente. Non sapeva perché questo pensiero gli martellava la testa, come non sapeva perché ne dubitava. Forse era dovuto alla carenza di sonno, allo stress, o al fatto di essere stato esposto all'infezione. Non lo sapeva.



 

Johnson e Marvin raggiunsero la porta di servizio del primo piano.
"Aprila" disse Johnson. "Bravo, ora esci fuori."
Marvin non si mosse.
"Non farmelo ripetere. Esci fuori."
Il tenente uscì nel pianerottolo della scala che scendeva in cortile. Si voltò.
Johnson gli puntava una pistola. "Sai, tenente Branagh, non mi sei mai piaciuto. Quando sei arrivato qui più di vent'anni fa, sapevo che avresti creato solo problemi. Te lo leggevo negli occhi. Anche Irons la pensava come me. Avevi un modo di fare troppo altruista, troppo... come dire, buono. Non andava bene. Per niente." Fece una pausa. "Irons ed io avevamo importanti progetti per il dipartimento. Volevamo controllarlo, scegliere il personale più idoneo al nostro modo di operare, avere carta bianca su come e quando licenziare qualcuno. Insomma, volevamo il controllo." Si avvicinò alla porta e si fermò sotto la soglia. "Poi sei arrivato tu e gli altri come te. Avete messo in crisi i nostri piani, messo il naso in faccende che non vi riguardavano. Lo so, per te queste parole possono suonare vuote, inutili, prive di significato. Dopotutto, non sai nulla di noi."
Marvin serrò gli occhi, minaccioso. "Ti sbagli. Sono a conoscenza del vostro legame con l'Umbrella e..."
Johnson ghignò. "Tu non sai proprio nulla, tenente. Tutti parlavano della nostra corruzione, ma solo questo. Voci di corridoio. L'unico che aveva delle prove è rinchiuso in una cella. E ora non ha nemmeno quelle." Abbozzò un sinistro sorriso. "Nessuno arriverà a domani! Nessuno!" Indietreggiò e chiuse la porta a chiave.
Marvin girò la maniglia a vuoto e la scosse con forza. "Bastardo!"
"Non agitarti troppo" disse Johnson dietro la porta. "Guarda giù. Ci sono i tuoi amici. Non te ne eri accorto, eh? Eri troppo preso dalla voglia di farmi fuori da non notare i tuoi amichetti in cortile?"
Il tenente guardò giù. Un centinaio di non-morti attorniava la scala e il cancello chiuso ai suoi piedi. Non si erano accorti di lui.
"Solo un cancello ti divide dai tuoi amici" disse Johnson con un sorriso malefico. "Non vuoi riabbracciarli? Sono qui per te. Non fare il timido, tenente Branagh. Ti aiuto io." Schiacciò un pulsante accanto alla porta. Il cancello vibrò e si aprì con uno scatto.
Gli zombie gemettero e si voltarono infastiditi verso la fonte del rumore.
Marvin scosse ripetutamente la maniglia con forza. "Cazzo!"
"Divertiti, tenente Branagh!" ghignò Johnson. "Io starò qui a godermi lo spettacolo."
"Figlio di puttana!"
"Finalmente la tigre mostra i suoi denti."
Marvin si girò verso i non-morti, che strisciavano sui gradini. Molti si ammassarono sotto il cancello. I gemiti si fecero assordanti.
Il tenente si guardò intorno. Non sapeva cosa fare. Gli zombie erano ovunque e altri ne arrivavano da entrambe le direzioni del vialetto.
Un non-morto provò ad afferrarlo per un piede, ma lui gli tirò un calcio in faccia e smise di muoversi. Gli altri zombie ci strisciarono sopra per superarlo.
"La situazione si fa più interessante" ghignò Johnson, sbirciando dalla finestrella. "Ora cosa farai?"
Il tenente si voltò verso di lui e sferrò diversi calci frontali contro la porta. Colpi disperati, pieni di violenza e rabbia.
"Non riuscirai ad abbatterla" aggiunse Johnson con un sorriso compiaciuto. "È resistente. Ci vuole ben altro per abbatterla."
Marvin lo sapeva. Stava solo perdendo tempo. Se avesse avuto una pistola, avrebbe sparato alla serratura e sarebbe entrato. In quel caso gli zombie sarebbero dilagati nel primo piano dell'ala ovest. "Ma perché sto pensando alle conseguenze?" si chiese. "Non ha senso..."
Johnson continuò a guardarlo con un sorriso trionfante.
Il tenente spostò una gamba per non farsi afferrare da uno zombie che lo aveva raggiunto e gli sferrò un calcio in faccia. Quello non accusò il colpo, ma gli altri zombie, che seguivano alle spalle, lo schiacciarono sotto il loro peso.
"Tic-tac! Tic-tac!" ridacchiò Johnson. "Siamo alla resa dei conti, tenente Branagh. La parte più bella." Avvicinò la testa alla finestrella per guardare meglio.
Marvin non lo sentiva più. I gemiti sovrastavano qualsiasi suono. Si appoggiò al parapetto del pianerottolo con la schiena e lanciò uno sguardo giù alle sue spalle. Altri zombie barcollavano in cortile. Erano più di un centinaio. Tutti attirati dall'uomo in cima alla scala, un'esca troppo ghiotta da poter ignorare.
Un non-morto si alzò in piedi e allungò le mani putride verso il tenente, che si spostò a lato. Lo zombie cascò oltre il parapetto e si schiantò contro due zombie di sotto.
"Per un pelo" disse Johnson, infastidito. "Ma ormai sei spacciato. Arrenditi! Diventerai uno di loro!"
Marvin spinse un non-morto, che ruzzolò addosso agli altri lungo la scala. Poi piantò le mani sul tubo pluviale poco oltre il parapetto e si arrampicò lungo la facciata con qualche difficoltà.
"No, no!" urlò Johnson. "Dove pensi di andare? Se non ti ammazzano loro, allora lo farò io!" Puntò la pistola contro la finestrella e sparò. Quella si ruppe in mille pezzi. Gli zombie si voltarono verso la porta di ferro.
Johnson puntò l'arma nella direzione di Marvin e sparò alla cieca. Le pallottole gli fischiarono accanto, ma lui continuò a salire imperterrito.
"Cazzo!" urlò Johnson, accecato dalla rabbia. Tirò un calcio contro la porta e cercò Marvin con lo sguardo. Non lo vide.
I non-morti si ammassarono davanti alla porta di ferro e la tartassarono di pugni.
"Dovevate ammazzarlo!" gridò con tutta la voce che aveva in corpo. "Dovevate squartarlo, farlo urlare dal dolore, teste di cazzo!" Cacciò un urlo di rabbia e sparò in testa a due zombie dietro la porta. Poi si voltò e se ne andò.
Marvin raggiunse il tetto, si sdraiò al suolo e riprese fiato. La scalata lo aveva sfinito. Non era più resistente come un tempo. Quando si alzò, sbarrò gli occhi e si abbassò subito dietro un condotto di areazione.
Una ventina di Lickers si muovevano in tondo, spaesati. Dietro di loro, un'umida e gocciolante parete organica rivestiva quella che un tempo era l'entrata sul tetto.

 

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Capitolo 21
*** XXI. Capitolo ***


Pete raggiunse Nick nell'ufficio del tenente. Kate si era alzata per sgranchirsi un po' le ossa e beveva un caffè caldo. Megan era era un poco più in là, dietro la scrivania.
La recluta aveva recuperato il colorito facciale e gli occhi non erano più arrossati e cerchiati.
Pete lo fissò per un po'. "Forse non ha bisogno di altre foglie..." si disse.
Megan gli si avvicinò accanto. "Cos'hai in mano?"
"Delle foglie."
"Sembrano uguali a quelle che ci ha dato Jill."
"Sono le stesse" disse lui, poco convinto.
"Fammi vedere."
Pete pescò un po' di foglie tagliuzzate e gliele mise in mano.
Lei le annusò. "Hanno lo stesse odore. Dove l'hai prese?"
"Le ho trovate" mentì il fidanzato.
Megan si accigliò, perplessa. "Non prendermi in giro! Chi te le ha date? Jill è qui?"
"Ma ti pare che me l'abbia date lei? E poi se me le avesse date, ora sarebbe qui, no?"
Megan non rispose subito. "Potrebbe essere andata via. Lo fa sempre."
Lui scosse la testa e lasciò perdere.
Kate li guardava perplessa con le labbra affondate nel caffè. Non capiva perché stessero discutendo delle foglie. A lei bastava che lui ce le avesse a portata di mano. Non gli importava dove le avesse trovate.
Pete controllò il polso della recluta. "Lasciamolo riposare. Magari si riprenderà tra un po'."
"Non è meglio se gli dai altre foglie?" domandò Kate.
Lui ci rifletté per un po'. "No, meglio di no. Non vorrei che avessero effetti collaterali."
La donna non ci aveva pensato. Non le sembravano così pericolose. Anzi, avevano aiutato Elliot a vomitare quei ragnetti dal suo stomaco e Nick a stare meglio. Come potevano avere effetti collaterali? "Magari solo un po'."
"No, non voglio rischiare" rispose Pete. "E poi si sta riprendendo. Aspettiamo."



Kevin raggiunse la sala conferenze e si guardò intorno. Sedie e tavoli erano ribaltati sul pavimento cosparso di fogli e documenti. Una mappa della città era fissata su una lavagna a muro. Diversi cerchi rossi indicavano i quartieri o le strade a rischio. Quelli con le X cerchiate, i luoghi infestati dai non-morti.
Elliot sopraggiunse col fiatone un attimo dopo. "Potevi anche aspettarmi."
"Dovresti iniziare a correre un po', dico sul serio."
"Sai, un tempo potevo correre per più di un'ora."
Kevin abbozzò un sorriso di scherno. "Sì, forse vent'anni fa. Ora l'unica corsa che fai è dalla scrivania al distributore"
Elliot corrugò la fronte, irritato.
Kevin aprì la porta dello sgabuzzino e ci diede un'occhiata. Vuoto.
"Ti pare che Johnson si nasconda dentro uno sgabuzzino?" chiese Pete.
"I topi lo fanno."
Elliot scosse la testa con disappunto.
Quando uscirono dalla sala conferenze, sentirono due colpi di pistola. Trasalirono.
"Dev'essere lui!" disse Kevin, correndo lungo il corridoio.
Elliot lo rincorse, una mano sull'addome. "Aspetta!" Si fermò e vomitò bile schiumoso sul pavimento.
Kevin svoltò l'angolo e incrociò lo sguardo di Johnson, che gli sparò subito addosso.
Lui si nascose dietro il muro, i proiettili scalfirono la parete sollevando una leggera nube di polvere in aria.
"Ti credevo morto!" urlò Johnson, irato. "Come cazzo hai fatto a salvarti? Dovevi morire!"
"L'unico che morirà qui sei tu!" gridò Kevin, sbirciando velocemente dall'angolo.
"Ma non farmi ridere, pezzo di idiota." Gli sparò tre colpi, che Kevin ricambiò subito dopo. "Pensi di uscirne vivo? Beh, ho una notizia per te. Morirai! Tutti voi morirete in un modo o nell'altro! Nessuno arriverà a domani!"
Kevin si sporse dalla parete e sparò due colpi, che si piantarono nel muro. "Fottiti, stronzo! Mi hai lasciato a morire in cortile. Mi fidavo di te! Pensavo che le voci di corridoio fossero solo calunnie. Non credevo fossi davvero un pezzo di merda! E poi perché vuoi ucciderci tutti? Che ti abbiamo fatto?"
Johnson scattò dall'altra parte del corridoio. Due pallottole gli fischiarono accanto e si riparò dietro la parete. "Vedo che hai una mira di merda!" ridacchiò. "Per fortuna non hai la stessa mira di Nick!"
Kevin uscì da dietro il muro e svuotò il caricatore contro la parete, dove si era nascosto Johnson. "Stronzo figlio di puttana!" Restò immobile, il click del grilletto che risuonava nel corridoio, i bossoli che rotolavano sul pavimento, la polvere che ammantava l'aria.
Johnson uscì da dietro il muro forato con la pistola puntata. "Sembra una classica situazione da film, non credi? Il buono finisce le pallottole e il cattivo se la ride. Un cliché." Kevin fece per muoversi, ma Johnson gli sparò un colpo a due centimetri dal piede destro. "Dove vuoi andare?" chiese con un sinistro sorriso. "Ora sei mio! Mi appartieni! E siccome qui nessuno sembra voler morire, come quello stronzo di Marvin, farò in modo che nessuno possa più fuggire! Farò diventare questo posto una trappola mortale! Ma che dico? Siete già in trappola. Nessuno può andare via dalla centrale!"
"Finiscila di rompermi le palle e spara!" urlò Kevin.
Johnson sollevò un angolo della bocca. "Non ti ucciderò io, non direttamente, almeno."
"Prima hai parlato di cliché" aggiunse Kevin. "Ecco, tu sei un cliché. Il cattivo che rompe i coglioni all'eroe poco prima di morire. Se ora intervenisse qualcuno per salvarmi, sarebbe il colmo."
Johnson si guardò in giro, divertito. "Non vedo nessuno. C'è qualcuno? Qui c'è una damigella in pericolo. Un grande e grosso cattivo drago vuole ucciderla. Dove sei prode cavaliere?"
Restarono in silenzio a fissarsi per un momento.
"È stato divertente" disse Johnson. "Ora cammina."
Kevin lo fissò con sguardo di sfida.
Johnson gli sparò sul giubbotto antiproiettile a livello dell'addome e quello crollò all'indietro, dolorante.
"Il prossimo colpo sarà sulla coscia, se non ti muovi" disse Johnson.
Kevin si alzò con fatica e s'incamminò nel corridoio, una mano poggiata sullo stomaco dolorante. Gli sembrava di aver ricevuto un potente pugno al ventre.
"Fa male, vero?" chiese Johnson con un sorriso, compiaciuto. "Ma non è niente paragonato a quello che ti aspetta. Gira a destra. Continua a camminare. Non ti fermare, cammina."
Kevin rallentò l'andatura e si guardò alle spalle con la coda dell'occhio.
"Non sono nato ieri" disse Johnson. "Lo so cosa vuoi fare. Vuoi che ti spintoni, così puoi storcermi un braccio e disarmarmi. Conosco le tue abilità. Dopotutto, sono stato io a ingaggiarti. So di cosa sei capace."
Quando svoltarono l'angolo, Kevin si pietrificò. Quattro teste lacerate si muovevano dietro la finestrella posta nella porta di ferro che dava sul cortile. I gemiti erano flebili, ma costanti.
"Sarà molto più divertente vederti lottare e morire tra gli zombie, che piazzarti una pallottola in testa" aggiunse Johnson con un sorriso malefico. "Ma questa volta non ripeterò l'errore fatto con Marvin. Niente affatto. Ti sparerò alle ginocchia, così potrai solo strisciare come un verme e sentire i loro denti affondarti nella schiena!"



Marvin restò fermo per un lungo momento. Il sole era ormai calato dietro i tetti degli edifici e una pallida luna piena si affacciava nel cielo tempestato di stelle. In cortile, i gemiti si erano affievoliti.
Sbirciò oltre il condotto d'areazione. I Lickers si muovevano in un cerchio confuso. Due di loro erano immobili sul cornicione dell'ala est come due statue Gargoyles, le lunghe lingue che penzolavano giù.
Il tenente si accigliò, perplesso. Non capiva perché se ne stavano immobili, come non capiva perché gli altri si muovessero in modo confuso. Sgattaiolò lungo il condotto e si fermò dietro un condizionatore d'aria. Un Licker, che era stato fermo fino a quel momento, si voltò.
Marvin si abbassò.
La creatura inclinò la testa un poco a lato per captare i suoni, ritirò la lingua e si avvicinò al condotto. Ci appoggiò sopra le zampe e abbassò la testa scarnificata a tre palmi dalla faccia di Marvin, la bava che gli colava sulla camicia sporca.
Il Licker superò il condotto e restò immobile per un lungo momento. Non sembrava averlo percepito. Non faceva altro che scattare la testa in diverse direzioni. Poi si mosse di qualche passo, ma subito tornò indietro e la lunga lingua frustò l'aria, mandando schizzi di bava ovunque. I pallidi raggi della luna si riflettevano sulla muscolatura sanguinolenta.
Marvin si portò una mano sul naso. L'odore era insopportabile. La creatura emanava miasmi nauseabondi più intensi di quelli degli zombie.
Il Licker scattò la testa verso di lui e restò fermo per un lungo momento. Aveva percepito qualcosa.
Il tenente lo aveva capito. Forse aveva sentito il suo odore, ma non ne era sicuro e non poteva muoversi. Era bloccato su quel tetto. L'unica via di fuga era chiusa da un'umida parete organica sorvegliata da una ventina di creature.
Quando il Licker spalancò le fauci eccitato dal suo odore, diversi colpi di pistola risuonarono nella centrale.
Tutte le creature scattarono le teste verso la fonte del rumore. Quelle che si muovevano, smisero di farlo. Il Licker di fronte a Marvin lanciò un urlo agghiacciante, seguito dalle grida dagli altri.
Il tenente si tappò le orecchie, stordito.
Una quindicina di creature zampettarono rapidi lungo il tetto e sparirono dietro il parapetto. Gli altri cinque rimasti indietro, tornarono a muoversi in modo confuso a due passi dalla parete organica.
Marvin non sapeva cosa fare o come scendere. Ma la cosa che lo aveva preoccupato di più erano stati gli spari. Chi era stato a sparare?



Mentre Pete si dirigeva verso la hall, diversi colpi di pistola risuonarono non molto lontano da dove si trovava. Sobbalzò. "Che cazzo succede?" si chiese. Si guardò intorno per un momento, poi corse indietro verso gli uffici.
Megan era sulla soglia dell'ufficio del tenente e si guardava in giro, spaventata.
Lui la raggiunse. "Tutto bene?"
Lei annuì. "Che succede?"
"Non lo so. Credevo che gli spari provenissero da qui."
"No, penso arrivassero dal corridoio."
Pete lanciò uno sguardo all'uscita. Poi si voltò. "Ok, resta qui con Kate. Io vado a dare un'occhiata."
Quando uscì nel corridoio, Kate lo raggiunse alle spalle. "Aspetta! Vengo con te."
Lui annuì. Gli pareva strano che avesse lasciato Nick per aiutarlo. Forse stava iniziando a sentirsi inutile? Non glielo chiese.
Proseguirono nei corridoi per un po' e svoltarono l'angolo. Elliot era seduto su una panca, gli occhi rivolti al pavimento. Aumentarono il passo e lo raggiunsero.
"Ehi, stai bene?" chiese Pete.
"Sì, sto bene" rispose Elliot, pallido in viso. "Ogni volta che corro mi viene da vomitare."
"Hai sentito gli spari? Hai visto qualcosa?"
"Credo sia stato Kevin. Forse ha trovato Johnson. Smaniava di farlo fuori. Spero ci sia riuscito."
Pete e Kate si scambiarono un'occhiata.
"Ok, resta qui" aggiunse Pete. "Andiamo a controllare."
"Aspetta!" rispose Elliot. "C'è un borsone pieno di munizioni davanti all'armeria. Prendetelo, può tornarvi utile."
Quello annuì.
S'incamminarono nel corridoio, svoltarono a destra e proseguirono spediti.
"Si riferiva al borsone di Rita?" domandò Kate.
"Sì, dev'essere quello. Tu sei armata, giusto?"
"Sì, ma ho il caricatore vuoto."
"Ok, prendiamo un po' di proiettili, cerchiamo quel figlio di puttana e lo uccidiamo!"
Kate corrugò le sopracciglia, turbata. "Non è meglio chiuderlo in una cella?"
Pete la guardò, sorpreso. "In una cella? Che senso ha metterlo in una cella? Quello stronzo merita di morire!"
La donna non rispose. Non le piaceva l'idea di ucciderlo. Era una poliziotta. Loro non uccidevano le persone, nemmeno quelle che se lo meritavano. E poi anche lui era un poliziotto. Aveva fatto un giuramento.
Pete continuò a fissarla. "Che c'è? Non vuoi ucciderlo?"
Lei non gli rispose.
"Se avesse tentato di uccidere Nick, la penseresti allo stesso modo?"
Kate gli lanciò un'occhiataccia. Aveva ragione. Sarebbe stata la prima a volerlo morto. Ma tra il dire e il fare c'era un divario enorme. Sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di premere il grilletto. Non poteva uccidere un altro essere umano.
Girarono l'angolo e continuarono a camminare, finché si fermarono davanti al borsone posato su una panca dirimpetto all'armeria.
Pete si piegò, lo aprì e le mise in mano una manciata di pallottole. "Tieni! Mettili in tasca. Potrebbero servire." Poi si mise in tasca delle pallottole e chiuse il borsone. "Ok, lasciamolo qui. Torneremo a riprenderlo. Ora andiamo!"



Marvin sgattaiolò lungo il condotto d'areazione, scattò verso un condizionatore d'aria e si fermò davanti a uno sfiatatoio. Si guardò le spalle. I Likers non sembravano essersi accorti della sua presenza. Giravano in tondo con le teste basse.
Li osservò per un po'. Trovava strano questo loro comportamento. Gli sembrava che facessero la guardia alla parete organica. "Forse hanno fatto un covo..." si disse. "Oppure sono storditi dai gemiti degli zombie..? No, impossibile. Se fosse così, anche gli altri Lickers farebbero come loro, invece si sono diretti verso gli spari..." Abbassò lo sguardo. "Spero non sia successo niente di grave..." Poi nella mente gli balenò l'immagine di Johnson, del suo ghigno. Serrò gli occhi irato e strinse una mano a pugno.
Un Licker smise di muoversi e alzò lo sguardo al cielo.
Marvin si immobilizzò e respirò piano.
La creatura restò in quella posizione per un momento, poi ricominciò a girare in tondo.
Il tenente rilassò le spalle tese, ma restò a guardarli per un attimo. Poi si affacciò oltre il parapetto. Un centinaio di non-morti erano ammassati in cortile. L'acre odore di putrefazione gli fece venire un principio di tosse, che smorzò sul nascere. Si era dimenticato di quanto potessero puzzare un centinaio di non-morti tutti ammucchiati.
Quando girò la testa verso il cancello, una decina di Lickers se ne stavano fermi sulla facciata della centrale. Sussultò.
La loro muscolatura sanguinolenta mandava vividi bagliori alla luce della luna piena. Erano come ombre nere proiettate su un muro. Se non fosse stato per quei riflessi argentei, non li avrebbe visti.
"Perché rimangono fermi?" si chiese. "Cosa aspettano? Perché non si sono lanciati verso gli spari?" Ad ogni domanda, si rispondeva con un'altra domanda.
Smise di farlo.
Si voltò a guardare i cinque Lickers camminare in tondo per un momento. Poi ritornò al condizionatore d'aria, proseguì lungo il condotto di areazione e si fermò poco prima che arrivasse alla fine. Sbirciò lontano, oltre la parete organica. Solo oscurità. Le luci sul tetto dell'ala est erano spente o rotte.
Restò a guardare il buio per un momento. Cercava di far abituare gli occhi all'oscurità, ma non ci riusciva. Era troppo buio. Poteva esserci qualsiasi cosa in quelle tenebre. Altri Lickers o un covo vero e proprio di quelle cose. Doveva fare una scelta. Addentrarsi in quella fitta e inquietante oscurità, o trovare un altro modo di scendere dal tetto.
"Posso scendere tramite un tubo pluviale ed entrare in una finestra" si disse. Poi pensò ai Lickers immobili sulla facciata dell'edificio e quel pensiero si volatilizzò come fumo al vento. C'era solo una scelta. L'unica che poteva prendere. Doveva avventurarsi in quelle tenebre.



"Mamma" disse Tania seduta sulla panca della hall.
"Sì?" rispose Liah.
"Cosa vuol dire fare fuori gli sbirri?"
La madre si voltò, sconvolta. "Dove l'hai sentito?"
"Quel signore là diceva che voleva farli fuori. Cosa voleva dire? Lasciarli fuori nel cortile? È un gioco? Perché se è così voglio giocarci anch'io. E poi... e poi cosa vuol dire la parola sbirri?"
Liah abbozzò un sorriso forzato. "No, non è un gioco, tesoro. Diciamo che... diciamo che è uno scherzo. Non ci badare, ok?"
La bambina la guardò, incuriosita. "Ma cosa vuol dire sbirri? E farli fuori?"
"Te lo dirò quando sarai più grande, va bene?"
Tania annuì poco convinta. Voleva sapere cosa volessero dire quelle parole. Sua madre le rispondeva sempre così e lei era stufa di sentirselo ripetere. Per una volta voleva scoprire il significato delle parole vietate.
Si alzò dalla sedia e saltellò verso la reception, fingendo di voler giocare.
Liah non le mollava gli occhi di dosso. Non si fidava dei sopravvissuti. Più volte avevano cacciato Tania in modo brusco o l'avevano fatta piangere. Nessuno di loro si era mai dispiaciuto.
La bambina continuò a saltellare un poco distante da loro, si fermò e si sedette a terra. Pescò due giocattolini dalla tasca, un lecca-lecca al limone, che si mise in bocca, e cominciò a giocare per finta.
I sopravvissuti le lanciarono un'occhiataccia e le voltarono tutti le spalle.
Liah scattò in piedi e la raggiunse a gran passi. "Non stare qui. Vieni a giocare vicino a me. Andiamo." Le posò le mani sulla schiena.
Lei si dimenò. "No, non voglio! Voglio giocare qui!"
"Non fare la maleducata. Dammi la mano."
"No!" gridò Tania. "Non voglio!"
Un uomo si voltò verso di loro. Aveva corti capelli rossi e gli occhi distanti dall'iride grigia. "La volete smettere di rompere i coglioni? Andate da un'altra parte, prima che vi prendo a calci in culo a tutti e due!"
La bambina scattò in piedi in lacrime e abbracciò il fianco della madre, che guardò l'uomo in malo modo.
"Te ne vuoi andare?" urlò l'uomo col viso arrossato. "O devo prenderti a calci per davvero?"
Madre e figlia ritornarono al loro posto, in un angolo della hall.
Chung li raggiunse. "Che succede?"
"Niente" rispose Liah.
Il poliziotto lanciò uno sguardo ai sopravvissuti, che lo guardarono torvo.
Gli altri agenti si erano avvicinati con fare preoccupato. Erano già stati avvertiti da Elliot, che aveva detto loro di tenere i sopravvissuti sotto stretta sorveglianza.
Chung si voltò. "Sicura che non sia successo nulla?"
Lei abbozzò un sorriso forzato. "Sì, sicura. Non preoccuparti."
Lui abbozzò un sorriso amaro, lanciò un ultimo sguardo ai sopravvissuti, che continuarono a guardarlo male, e si allontanò.
L'uomo coi capelli rossi lanciò un sinistro sorriso a madre e figlia. Liah deviò lo sguardo. Tania, terrorizzata, affondò la faccia nel grembo della madre.



"Dai, spara, stronzo!" disse Kevin. "Che aspetti? Spara!"
Johnson mostrò un freddo sorriso. "Devo essere sicuro che appena cadrai a terra, non striscerai fino a qui. Voglio che ci siano più zombie possibili su di te."
Kevin si guardò alle spalle. I non-morti erano aumentati dietro la porta di ferro.
"Che c'è?" chiese Johnson. "Ti sei accorto solo adesso di essere spacciato? L'egocentrismo gioca brutti scherzi, non credi? Pensavi che ne saresti uscito vivo? Sai, dovevi provare a togliermi la pistola. Forse ci saresti riuscito e ora non saresti in questa situazione. Lo so, non dirmelo. Potevi rimanerci secco, ma è un rischio che andava preso, giusto?" Lanciò uno sguardo oltre le spalle di Kevin. Gli zombie martellavano di pugni la porta. "Ok, sono abbastanza." Puntò la pistola alle ginocchia di Kevin, che serrò gli occhi in segno di sfida. Sorrise. "Pronto?"
"Johnson!" urlò una voce da uomo alle sue spalle.
Lui si voltò. "Ma guarda un po', Pete e Kate. Oggi sono davvero fortunato." Indietreggiò verso il muro per tenere sott'occhio tutti e tre.
I due gli puntarono le pistole alla testa. Pete sorrise. "Non direi proprio, capitano. Anzi, sei nella merda fino al collo."
Kevin provò a muoversi, ma Johnson gli puntò la pistola alla testa. "Non ci provare."
"Abbassa la pistola" disse Kate in tono pacato. "Non siamo qui per ucciderti. Io non voglio ucciderti."
"Sei sempre stata troppo buona per questo lavoro" aggiunse Johnson. "Pensi davvero che mi arrenderò? Che mi redimerò? Che ci terremo tutti per mano a ballare il Kumbaya? Ti sembro il tipo, Kate?"
Kevin scattò verso di lui, che gli sparò sul braccio a cadde a terra.
Pete e Kate mossero le pistole, spaventati, ma non premettero il grilletto.
"Te lo avevo detto" disse Johnson, infastidito. "Niente scherzi! Il prossimo colpo te lo ficco in testa, capito?"
Pete aveva creduto di potergli sparare senza problemi, invece non ci era riuscito.
"Incredibile! Sono ancora vivo" aggiunse Johnson, tastandosi il corpo con una mano. "Mi avete stupito. E non è facile stupirmi, ragazzi. Complimenti."
Kevin si teneva una mano sul braccio ferito da cui colava sangue, la schiena poggiata contro il muro. "Fottuto stronzo figlio di puttana... Mettimi in mano una pistola e te la faccio saltare io quella testa di cazzo!"
Johnson ridacchiò e si avvicinò lentamente a una porta laterale.
Pete lo notò. "Resta fermo! Non ti muovere!"
"Sennò che fai? Mi darai nuovamente di stare fermo? Non hai le palle per premere il grilletto. Lo sai tu, come lo so io. Dopotutto, c'è una ragione se ti ho sbattuto a dirigere il traffico, ricordi?"
Pete se lo ricordava bene quella ragione. "Non è stata colpa mia."
"Certo, il tuo collega entra in un supermercato durante una rapina e tu non sei lì a coprirgli le spalle. Anzi, te ne stai macchina a fare cosa? Ad aspettare che la rapina si sventasse da sola? Il tuo collega è morto per colpa tua. Tre colpi in petto, proprio qua, alla base del collo. Aveva dei figli, una moglie. E tu lo hai lasciato morire. E come se non bastasse, hai anche avuto problemi di rabbia. E ora dov'è la tua rabbia, Pete? Dov'è?"
Kevin e Kate guardarono Pete, che abbassò gli occhi addolorato. L'ultima volta che aveva perso il controllo stava per uccidere Dario e pestare a sangue Megan. Non poteva lasciarsi condizionare dalla rabbia. Gli avrebbe fatto perdere il controllo della situazione.
Johnson girò la maniglia e varcò rapidamente la porta.
"Non fatelo scappare!" urlò Kevin.
Kate era incerta sul da farsi. Voleva prestare soccorso a Kevin, ma voleva anche inseguire Johnson. Non poteva lasciarlo fuggire, o avrebbe fatto del male agli altri.
Pete la guardò. "Pensa a Kevin. Mi occuperò io di quello stronzo!" Corse alla porta e se la chiuse alle spalle.
L'ambiente era in penombra. Fasci di luce filtravano fra le assi piantate alle finestre e illuminavano gli scaffali polverosi puntellati di cianfrusaglie inutili.
"Dove sei?" chiese Pete. "Esci fuori, codardo. Fatti vedere!" Seguì un lungo scaffale e svoltò a destra.
"Sono qui!" disse Johnson, nascosto nella penombra.
Pete si voltò e sparò diversi colpi senza guardare un punto specifico.
"Hai una mira di merda" ghignò Johnson. "Se fossi entrato in quel supermercato, sicuramente avresti sparato al tuo collega."
Pete serrò gli occhi per la rabbia e sparò altri colpi tutt'attorno. "Esci, fuori stronzo! Fatti vedere! Questa volta ti sparerò dritto in fronte!"
Un tetro silenzio scese nella stanza, interrotto solo da uno zampettare frenetico lungo la facciata esterna dell'edificio.
Pete si mosse lungo lo scaffale. "Forse l'ho ucciso..."
"Boo!" disse Johnson alle sue spalle.
Pete si voltò.
Diversi spari illuminarono intermittenti la stanza, i bossoli rotolarono lungo il pavimento.
Silenzio.
Si udirono dei passi, una porta si aprì.
Kate restò sulla soglia per un momento, la pistola puntata in avanti. Scorse un piede dietro lo scaffale e gli si avvicinò cauta.
D'un tratto un alito di vento le accarezzò la nuca. Sussultò. Il tempo sembrò fermarsi per un istante. Sentiva il cuore martellargli nel petto molto lentamente. Poi ricominciò a scorrere. Si girò.
Una pallottola le penetrò nell'occhio sinistro e le uscì dalla nuca, conficcandosi contro una bacheca tappezzata di fogli e note. Kate crollò sul petto insanguinato di Pete, che aveva gli occhi fissi al soffitto.
"Due piccioni con una fava" disse Johnson, compiaciuto. "Che idioti!"

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Capitolo 22
*** XXII. Capitolo ***


Marvin lanciò un'ultima occhiata ai Lickers, che camminavano confusi davanti alla parete organica. Poi si diresse verso il tetto dell'ala est, si fermò dietro un muretto e sbirciò nelle tenebre. Persino la pallida luna piena aveva difficoltà a penetrare quella fitta oscurità. Restò a osservare i contorni vaghi degli oggetti per un lungo momento, poi si avvicinò cauto. Non percepiva nessuno nel buio, nemmeno un movimento o uno scatto improvviso.
"Forse non c'è niente" si disse. "Forse mi sto suggestionando troppo..."
Non si mosse.
Rimase fermo per un po'. Non aveva il coraggio di muoversi. Sapeva che era l'unica strada possibile. Lo avrebbe fatto scendere nel secondo piano, magari si sarebbe imbattuto in alcuni zombie, ma erano meglio loro, che i Lickers.
Gettò uno sguardo alle spalle. Le creature giravano ancora in tondo. Si voltò. "Devo farlo" si disse. Gonfiò il petto in un lungo respiro ed espirò piano per non farsi sentire dai Lickers. Poi s'incamminò basso nell'oscurità.
Seguì il muretto che correva parallelo ai bordi del tetto e arrivò all'angolo senza nemmeno accorgersene. Non si era imbattuto in nessuna creatura. Forse non c'era nessuno, ma scacciò subito quel pensiero. Non doveva abbassare la guardia. Non poteva permetterselo. Doveva tenere gli occhi aperti e le orecchie drizzate.
Diede una nuova occhiata nel buio e proseguì lungo il parapetto, finché sbatté contro qualcosa. Il cuore gli esplose nel petto e una fitta lo colpì allo stomaco. Restò fermo per un momento, impotente. Guizzò gli occhi in ogni direzione e cercò di rallentare il battito cardiaco.
Nessuno lo aggredì.
Il tenente si rilassò un poco, allungò una mano in avanti e sfiorò un muro con le dita. Sgranò gli occhi. "Forse sono arrivato!" si disse.
Si avvicinò piano al muro e lo seguì per un lungo momento, tenendoci una mano poggiata. Toccò il ferro. "Sì, sì, è la porta! Sono arrivato!"
La tastò incredulo, finché toccò il pomello della porta. Sorrise.



 

Johnson si girò e proseguì lungo gli scaffali. Quando aprì la porta, Kevin era sparito. Al suo posto c'era una pozza di sangue scarlatto. Aggrottò la fronte perplesso e uscì nel corridoio.
Kevin, che si trovava di fianco, gli puntò la pistola e sparò.
Il capitano si abbassò, ma venne colpito al braccio sinistro e sparò sua volta.
L'altro si nascose dietro il muro, i proiettili centrarono il muro da cui si sollevò della polvere. "Ti ho beccato, stronzo!" Sbirciò dal muro. "Dove sono Kate e Pete?"
Johnson gli sparò da sotto la porta da cui era uscito. "Questa non me l'aspettavo! Mi hai fregato! Ben fatto!"
"Dove cazzo sono Kate e Pete?"
"Alla destra del Signore o all'inferno!" rise il capitano a crepapelle.
Kevin sbarrò gli occhi scioccato e abbassò l'arma. Non poteva credere che fossero morti per davvero. Non era possibile. Non tutti e due. Una rabbia crescente si insinuò in tutto il corpo, la faccia arrossata, gli occhi serrati. Non sentiva più nemmeno il dolore al braccio. Uscì dalla parete e sparò contro Johnson.
Quello chiuse la porta e corse lungo gli scaffali, i proiettili bucherellarono la porta di legno.
Kevin estrasse il caricatore e inserì con calma i proiettili che li aveva dato Kate.
Il capitano svoltò lo scaffale e inciampò sui corpi dei due agenti, ma si mantenne in equilibrio. Controllò il caricatore. Solo cinque colpi. Non poteva affrontarlo. Non sapeva nemmeno da dove avesse preso le pallottole. Guardò alla sua destra, corse alla porta che dava sulla tromba delle scale e se la chiuse alle spalle.
Kevin aprì la porta, la luce del corridoio squarciò la penombra della stanza e la sua ombra si proiettò lungo il pavimento. Una sagoma a quattro zampe si fermò fuori dalla finestra sbarrata dalle assi di legno. Un'altra si mosse sulla finestra di fianco.
Quando Kevin varcò l'entrata, la zampa di un Licker squarciò un'asse e calò all'interno. Il poliziotto si bloccò. Un'altra zampa spaccò le assi dell'altra finestra e una lunga lingua guizzò all'interno.
Kevin sbarrò gli occhi e puntò la pistola.
Un Licker dilaniò le altre assi rimaste attaccate e zampettò lungo la parete interna, seguito da altri tre Lickers. Un'altra creatura distrusse le assi dell'altra finestra ed entrò rapidamente dentro.
Kevin abbassò la pistola e indietreggiò spaventato verso la porta di legno forata dalle pallottole. La chiuse, si voltò e s'incamminò con passo sostenuto lungo il corridoio. La ferita ritornò a pulsare dal dolore, il sangue rivolava lungo le punte delle dita e gocciolava sul pavimento. Non sapeva quanto sangue avesse perduto, ma percepiva un senso di vertigini.
Quando svoltò l'angolo, urtò contro Elliot.
Quello gli guardò scioccato il braccio sanguinante. "Merda... cosa... cosa è successo?"
"Johnson. Quello stronzo ha ucciso Kate e Pete. E ora è scappato!"
Elliot impallidì. Non poteva credere che fossero morti. Pensava che avrebbero risolto la situazione, che avrebbero ucciso o arrestato Johnson. Li aveva visti troppo convinti, almeno Pete, che gli era sembrato molto determinato.
"Sai trattare questa ferita?" domandò Kevin.
Elliot non gli rispose.
Kevin lo sospinse piano con una mano. "Allora?"
Lui ritornò in sé. "Sì, credo di sì."
"Mi sento svenire..."
Elliot si mise il braccio buono attorno alle spalle e lo condusse nell'ufficio del tenente.
"Dobbiamo chiudere l'accesso al primo piano" disse Kevin, pallido in viso. "I Lickers sono qui."
Elliot gli lanciò un'occhiata, preoccupata.



 

Marvin si chiuse la porta di ferro alle spalle. Finalmente era uscito dal tetto e poteva raggiungere gli altri. Mentre scendeva le scale, si fermò sul pianerottolo. La voglia di fuggire gli aveva fatto dimenticare che poteva incontrare zombie e Licker nell'ala est.
Scese piano e girò l'angolo della scala. Si fermò. Uno zombie gli dava le spalle davanti alla porta.
Non poteva superarlo senza attirare la sua attenzione.
Si avvicinò di soppiatto e gli afferrò la testa puntellata da ciocche di capelli castano chiari. Quello provò a morderlo, ma lui gli sbatté ripetutamente il cranio contro il muro e si afflosciò al suolo.
Poi girò la maniglia e sbirciò nel corridoio. Sbarrò gli occhi. Dozzine di zombie se ne stavano immobili a ridosso di una barricata di fortuna, le teste basse. Non emettevano neanche un gemito.
Lui li osservò per un momento. Non sapeva se passare alle loro spalle e raggiungere la balconata interna della hall, oppure aspettare.
"Aspettare cosa?" si chiese. "È l'unica strada che posso prendere."
Lasciò la porta socchiusa e sgattaiolò alle loro spalle dall'altra parte del corridoio. Subito si arrestò e si nascose dietro una fotocopiatrice. Tre non-morti erano sbucati dall'angolo e zoppicavano diritti. Quando si furono allontanati, Marvin uscì da dietro il nascondiglio e raggiunse l'incrocio a T. Non fece caso alle dozzine di zombie nell'ufficio del maggiore Ethan Norwich e girò a destra. Il corridoio era vuoto. S'incamminò con passo sostenuto verso la porta che dava su una piccola stanza, che precedeva la hall, e girò la maniglia. Era chiusa.
Sgranò gli occhi. Non poteva crederci. Come poteva essere chiusa? Nessuna porta interna della centrale era stata mai chiusa. Chi lo aveva fatto? Irons? Johnson? Qualcun altro? Girò ripetutamente la maniglia con foga, ma non servì a niente. Si voltò.
I tre zombie nell'altro corridoio dirimpetto si voltarono. Marvin scattò nell'archivio e socchiuse la porta. Non aveva nemmeno dato un'occhiata all'interno. Quando se ne ricordò, una zombie lo afferrò per le spalle e cercò di mordergli il collo. Lui le passò velocemente alle spalle e quella cadde bocconi a terra. Poi le schiacciò la testa con la pianta del piede. Una poltiglia marrone colò giù dal cranio fracassato.
Le tre sagome sgranate degli zombie vacillarono dietro la finestra posta nella porta e proseguirono oltre. "Non mi hanno sentito... Questo è strano..."
Marvin abbassò lo sguardo. La non-morta che aveva ucciso era l'agente Virginia De Stefano. Non la conosceva bene, ma ci aveva parlato più di una volta durante le numerose e noiose conferenze di Irons. Era una donna simpatica, molto spiritosa e gentile. Aveva un figlio di due anni, che era stato affidato al marito da cui aveva divorziato.
Non sapeva perché stesse pensando a queste cose, ma erano i sensi di colpa a far riemergere questi ricordi.
Le tre sagome sgranate ricomparvero dietro la finestra posta nella porta e si allontanarono.
Marvin aggrottò le sopracciglia, perplesso. "Perché stanno facendo avanti e indietro? Sorvegliano il corridoio?" smorzò un sorriso, divertito. "Sono morti. Come possono fare una cosa del genere? Eppure sembra così... Ma forse mi sbaglio, anche se... No, stanno facendo davvero avanti e indietro. C'è qualcosa di strano."
Chiuse la porta e si aggirò nella stanza. La luce della luna piena illuminava schedari, scaffali con sopra scatoloni pieni di documenti impolverati e cinque scrivanie con sopra dei pc. Uno di questi era acceso e si sentiva il ronzio della ventola che girava. La luce del desktop schizzato di sangue illuminava il busto e la faccia del maggiore Ethan Norwich. Un morso gli aveva strappato metà collo e la testa penzolava dalla parte opposta. Sotto la sedia, una pozza di sangue represso.
Il tenente gli si avvicinò cauto. Non era sicuro che fosse morto. Poteva svegliarsi e saltargli alla gola. Era meglio non rischiare. Quando si fermò accanto, gli guardò il viso. Aveva un buco in fronte e nella mano destra stringeva una 9mm.
Marvin sospirò affranto e staccò l'arma dalle fredde dita del maggiore. Estrasse il caricatore e lo controllò. Cinque pallottole. Lo rimise dentro, posò la pistola sulla scrivania e si piegò sulla tastiera. "Cosa stava cercando nel pc..?"
Lo schermo era fisso sulla schermata della password.
"Sessione scaduta. Immettere la password..." lesse Marvin. "Se non ricordo male, Irons aveva fatto cambiare le password agli uffici dell'ala est, anche se non capisco perché l'abbia fatto... Forse non l'hanno più cambiata. Proviamo... Re98Capcom."
Lo schermo lampeggiò. Password errata.
Gettò un'occhiata sul tavolo e cercò un post-it o qualcosa del genere che potesse contenere la password. Frugò nei due cassetti della scrivania, poi controllò gli altri. Niente.
Ritornò davanti allo schermo e provò le password più disperate. "Rpd123... raccon123... Capcom... Re... Irons..." sbuffò, frustato. "Che cazzo sto scrivendo? Irons? Non credo sia così stupido da mettere il suo cognome come password... Beh, stupido lo era già, ma non a questo punto..."
Si voltò verso Ethan e gli frugò nelle tasche. Quando gli infilò una mano nel taschino esterno della camicia, la testa si staccò dai filamenti muscolari del collo e cadde a terra con un tonfo.
Marvin sbarrò gli occhi, un fogliettino in una mano. "Cazzo! Gli zombie lo avranno sentito!" Corse all'entrata e trascinò piano una fotocopiatrice contro la porta. Indietreggiò, urtò un piede contro la gamba di Virginia e si nascose dietro uno scaffale. Sbirciò.
Le tre sagome degli zombie barcollarono dietro la finestra nella porta e continuarono diritto.
Marvin si accigliò, confuso. Il rumore era stato forte. "Come hanno fatto a non sentirlo?" Poi gli balenò in mente un'altra frase. "Non ha nemmeno sentito il mio odore..." Sapeva che i non-morti potevano fiutare una persona anche a diversi metri di distanza, ma quelli non l'avevano fatto. "Perché? Cosa hanno di diverso? Perché..."
Sgranò gli occhi e si guardò la camicia sporca. La bava del Licker si era asciugata, ma il tanfo era rimasto e lo poteva sentire se avvicinava il naso al tessuto. "Dev'essere la bava che confonde il loro olfatto..." Lanciò uno sguardo alla testa di Ethan sul pavimento. "Ma il rumore l'avranno sentito sicuramente. Perché non sono venuti qui?"
Restò a fissare la finestra nella porta per un lungo momento. Poi ritornò al pc ancora confuso e aprì il fogliettino piegato in quattro parti che teneva in mano. "Sembra una password. Dovevo aspettarmelo... È il motto del nostro dipartimento. Noi lo facciamo." Lo digitò sulla tastiera.
Sullo schermo apparve un file di testo e una pagina di internet explorer aperta su un articolo del The Raccoon City Times, datato il ventiquattro settembre.
I morti camminano!
Luis Dominguez è stato trovato morto attorno alle 22:00 del 23 settembre 1998 in un vicolo, che si affaccia sulla ventunesima strada tra Downtown e Uptown. Pare che la vittima stesse tornando a casa, quando gli aggressori lo hanno assalito e divorato.
Helena Bounty, una testimone che ha assistito alla scena, dichiara: "È successo tutto così in fretta. Camminavo dietro a quest'uomo, quando i barboni sono apparsi da un vicolo laterale e lo hanno assalito. Così sono fuggita, ma sono inciampata in una piccola buca e mi sono storta una caviglia. Mentre cercavo di rimettermi in piedi, i barboni si sono diretti verso di me. I loro visi... erano tutti sporchi di sangue. Tutti... Poi ho visto quell'uomo rialzarsi con le viscere che gli penzolavano dall'addome... Mi sono vomitata sulla gonna. È stato terribile... Poi mi sono alzata e sono scappata, saltellando su una gamba. Lui era morto, capisci? Non era più vivo. Forse nemmeno i barboni erano vivi. Erano tutti morti e camminavano."
Queste sono le parole di Helena Bounty. Non è la prima cittadina che afferma di aver visto i non-morti aggirarsi nei vicoli. Verità? Psicosi di massa? Nessuno ha una risposta concreta. Quello che sappiamo è che Luis Dominguez è scomparso insieme ai suoi aggressori. La polizia ha ritrovato solo il suo portafoglio sulla scena del crimine, immerso in una pozza di sangue.

Il capo della polizia Brian Irons ha negato e minimizzato questi improvvisi episodi di cannibalismo e violenza in una recente intervista: "Non c'è nulla per cui preoccuparsi. Gli onesti cittadini di questa ridente città sono al sicuro. I miei agenti stanno lavorando notte e giorno per trovare i colpevoli e consegnarli alla giustizia. È solo una questione di tempo."
Quando gli è stato chiesto dei non-morti, ha replicato: "È una battuta? Perché la trovo molto divertente, ma è solo una battuta, giusto? Credete davvero che i morti possano ritornare in vita e mangiare le persone? Forse questa gente ha visto troppi film o giocato a troppi videogiochi. Ora se avete delle domande serie da pormi..."
Parole che screditano le testimonianze di oltre duecento persone. Che il capo della polizia Brian Irons stia nascondendo qualcosa? Che stia cercando di non far degenerare una situazione già precaria?
Da quando sono iniziati questi efferati omicidi e sparizioni, il sindaco Warren non ha rilasciato nessuna dichiarazione in merito e l'Umbrella si tiene lontana dai riflettori già da un paio di settimane. Cosa sta succedendo? I morti camminano davvero tra noi?
Marvin aggrottò la fronte. Aveva letto questo articolo giorni fa, ma non aveva mai creduto che i morti potessero tornare in vita. Sapeva che non era un'opera divina o la resurrezione dei morti, ma solo colpa dell'Umbrella.
Quando cliccò su un altro articolo, sulla pagina comparve un procione in lacrime. Aveva una maglietta e un cappello con su scritto I Love RC e un cartellone su una spalla. "Internet non disponibile" lesse Marvin. "Me ne ero dimenticato... La città è isolata..." Chiuse la pagina e lesse il file di testo aperto.
Ethan Norwich,

11:34
La gente è impazzita. Non bastavano i saccheggi e le rivolte, ora uccidono per il gusto di farlo. Hanno ucciso gli agenti al posto di blocco e ora vogliono le nostre teste. Sono davanti al cancello e urlano.

12:49
Ho parlato con Dominic, poco fa. Crede che quelle persone non siano più vive. Cosa vuol dire? Che sono morti? Gli ho detto che è impossibile, che sono persone, non zombie, ma lui ne era così convinto, che ora dubito persino dei miei pensieri.

16:21
Il capo Irons e il capitano Johnson sono spariti. Nessuna sa dove siano. Alcuni pensano che siano morti, ma è improbabile. Forse sono andati a chiedere aiuto. Irons non è la persona cattiva che tutti credono. Non ci lascerebbe mai qui, non ci farebbe mai morire tutti. Ci salverà!

16:58
Sono entrati! La folla ha invaso l'ala est. Sento gli spari e le urla mentre sto scrivendo. Urla di dolore. Ma cosa diavolo sta succedendo? Sono tutti impazziti?

18:06
Mi sono chiuso negli archivi. Non ho la chiave per chiudere la porta, ma credo di essere al sicuro, qui. La maggior parte degli agenti sono morti. L'ala est non è più sicura. Non ho avuto il coraggio di aiutare gli altri, perché quelle persone... sono morti... Dominic aveva ragione. Sono non-morti! Che Dio ci aiuti!

20:17
Virginia è entrata negli archivi. Sembra stare male, eppure non è stata morsa. Mi ha detto che si è nascosta dietro i distributori nella saletta comune, prima di correre qui. Ha detto anche che gli zombie sanno strisciare sulle scale e presto salirono a questo piano. Mi sembra un incubo. Non può essere vero...

21:19
Virginia sta peggiorando. La sua faccia si è fatta più pallida e gli occhi le si sono arrossati. Non so cosa fare. Non sono nemmeno sicuro che sia infetta. Forse ha qualche altra malattia. Per adesso le ho dato dei farmaci per il mal di testa. Non posso fare altro.

02:34
È notte fonda. Virginia è svenuta. Ho cercato di svegliarla, ma non apre gli occhi. Il suo battito è rallentato. A volte mi sembra che non respiri più. Credo sia infetta. Forse diventerà una di loro... Non so cosa fare. Non riuscirei a spararle...

04:09
È morta alle 03:47. L'ho coperta con il telo di plastica che copriva lo schedario 91. Spero che non ritorni in vita. Non avrei la forza di ucciderla...

05:41
È quasi l'alba. Gli zombie fuori dalla centrale si sono allontanati o forse sono entrati qui, non lo so. Quello che so con certezza è che questo piano ormai pullula di non-morti. Li sento strisciare nel corridoio con quei gemiti terribili e insopportabili. Ormai non riescshhjtjfkcvdh...
Marvin sospirò. "Dev'essere stato morso mentre scriveva... Non si è accorto dell'arrivo di Virginia alle sue spalle." Cliccò su salva file, lo chiuse e spense il computer.




Chung si sedette accanto a Tony, l'addestratore cinofilo della divisione K-9. "Come stanno i cani?"
"Non molto bene."
"Come mai?"
"Non lo so, credo abbiano il virus."
Chung non rispose subito. "Marvin mi ha detto qualcosa sui cani zombie che infestano le strade. Non vorrei ritrovarmeli di fronte. Credi che diventeranno come loro?"
Tony abbassò gli occhi. Amava i suoi cani, li aveva cresciuti e addestrati da solo. Non poteva lasciarli trasformare. Doveva sopprimerli prima che fosse troppo tardi. "Non lo so, ma non lascerò che si trasformino. Loro non lo vorrebbero..."
Chung gli posò una mano su una spalla. "Mi dispiace... So quanto sei legato ai tuoi cani."
"Sono tutto quello che mi è rimasto." Bloccò le lacrime e si alzò. "Vado a controllarli. Magari hanno bisogno di me." Si allontanò.
Chung si alzò e fece un girò attorno alla reception. I sopravvissuti si erano fatti ancora più schivi di prima. Lo guardavano in malo modo e bisbigliavano. Liah e Tania, invece, erano seduti in un angolo in disparte. Lo salutarono con un sorriso, che subito ricambiò. Poi raggiunse gli agenti seduti ai piedi della statua.
"Sono preoccupata per Marvin" disse Rita, con una garza attorno al capo. "Non vorrei che... Non voglio nemmeno dirlo."
"Il tenente sa il fatto suo" rispose il primo agente.
"Sì, la penso anch'io così" aggiunse la seconda agente.
"Più che di Marvin, dovremmo preoccuparci dei sopravvissuti" disse Chung.
Tutti lo guardarono.
"Non ti frega niente di lui?" chiese Rita, irritata.
"Certo che mi frega, come mi frega di ognuno di voi. Per questo dobbiamo stare attenti a quelli là." Puntò il dito verso i sopravvissuti. "Stanno progettando qualcosa e non mi piace per niente."
Rita incrociò le braccia. "Elliot ci ha già avvisati. Sappiamo che aria tira. Non c'è bisogno di ingigantire il problema."
"Ingigantire il problema? Forse non hai capito che aspettano solo il momento giusto per saltarci alla gola. Per questo dobbiamo tenerci tutti pronti."
Gli agenti si scambiarono delle occhiate, ansiose.
Rita lo afferrò per un braccio e lo condusse in disparte da loro. "Non devi spaventarli! Non hanno mai lavorato per le strade come te e me. Non le sanno gestire certe cose. Sono agenti da ufficio."
"Non m'importa se sono stati per tutti questi anni col culo su una sedia, devono fare il loro dovere! Non possiamo permetterci un errore, o quelli stronzi prenderanno il sopravvento e ci ammazzeranno tutti!"
La donna si guardò intorno con disappunto. "Lascia fare a me, ok? Me ne occupo io."
"Lo vuoi capire che siamo in pericolo? Quelli non stanno facendo niente perché credono che siamo ancora armati, che abbiamo ancora le munizioni! Appena sapranno che non abbiamo un cazzo, si fionderanno su di noi e ci faranno a pezzi!"
"Allora fingiamo che sia così ancora per un po'. Nel frattempo manderemo Tony a prendere il borsone." Si guardò in giro. "Dov'è, Tony?"
"È andato dai suoi cani" rispose Chung.
"Allora manderò qualcun altro."
"Da quando hai preso il comando?"
"Da adesso!"
Lui la guardò, torvo.
"Non ti sta bene?" chiese lei in tono deciso. "Allora dillo!"
Chung si limitò a fissarla.
"Finché Marvin non torna, prenderò io le decisioni e tu eseguirai i miei ordini, intesi?"
Si fissarono negli occhi per un po', poi Chung si voltò e raggiunse gli altri agenti.




Quando Elliot e Kevin entrarono nell'ufficio del tenente, Megan balzò dalla sedia. "Cosa è successo? Dove..." Si ammutolì.
Kevin la guardò, ma non gli riusciva di dirle che Pete era morto.
Elliot lo fece sedere sulla sedia d'ufficio di Marvin. "Fammi vedere il braccio. Ok, vediamo... La pallottola è uscita, quindi dobbiamo solo trattare la ferita come da prassi."
Kevin sentiva le sue parole distorte. Non rispose.
Megan li guardò, preoccupata. Un'orrenda sensazione si era insinuata nella sua mente. Non voleva nemmeno pensarci. Poi si sedette, scattò subito in piedi e camminò avanti e indietro nella stanza.
Elliot la seguiva con la coda dell'occhio. Come poteva dirle che Pete era morto?
Kevin non riusciva a guardarla.
Elliot gli posò il cotton fioc bagnato di disinfettante sulla ferita e premette su più punti.
Quello smorzò un grido. "Cazzo...  Brucia... Merda... Vaffanculo... Cristo..."

Poi l'altro gli fasciò la ferita. "Riesci a muovere la mano?"
"Certo, che ci riesco. Guarda!" Gli mosse le dita davanti agli occhi. "Visto?"
"Non c'è bisogno di fare lo stronzo" disse Elliot. "La prossima volta che ti sparano, te la curi da solo la ferita."
Kevin lo guardò in malo modo.
Megan continuava a fare avanti e indietro nella stanza. Non aveva il coraggio di chiedere loro dove fossero Pete e Kate. Era combattuta. Da una parte voleva saperlo, dall'altra no.
I due uomini si scambiarono un'occhiata. Kevin vedeva doppio.
Elliot se ne accorse. "Rilassati. Hai bisogno di riposare un po'. La botta in testa e la ferita sul braccio ti hanno conciato davvero male."
"Non rompermi le palle anche tu! Sono sano! Guarda qua!" Alzò il braccio ferito e smorzò un gemito di dolore. "'Fanculo..."
Elliot lo guardò, torvo. "Ok, fai come cazzo vuoi. Se svieni, poi non aspettarti che ti aiuti. Ti lascerò lì dove sei."
Kevin gli mostrò il dito medio.
Elliot lo lasciò perdere, diede uno sguardo a Nick, i cui occhi roteavano sotto le palpebre, e uscì dalla stanza.
Megan gli andò dietro. "Aspetta!"
Lui si voltò, poco distante dalla soglia. Sapeva cosa voleva chiedergli, glielo leggeva negli occhi umiditi.
Lei vagò con lo sguardo per un momento. Era indecisa. Poi lo fissò. "Pete e Kate..."
Elliot abbassò lo sguardo, affranto.
Megan sbarrò gli occhi. Uno strano formicolio le serpeggiò lungo il corpo e le arrivò in testa. Sentiva un nodulo di sangue dietro la nuca, le gambe pesanti, un vuoto doloroso allo stomaco. Gli occhi le si arrossarono a sangue. Nei suoi pensieri era calato un tetro silenzio. La stanza si era oscurata. Tutto era scomparso. Poi crollò sulle ginocchia, il volto pallido e sconvolto.
Elliot si chinò e le appoggiò una mano sulla spalla.
Lei fissava il vuoto, le lacrime che le scorrevano copiose sul viso. Non voleva sentire queste emozioni che la stavano dilaniando dall'interno. Non voleva sentire più niente. Niente.

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Capitolo 23
*** XXIII. Capitolo ***


Marvin si voltò, raggiunse la porta e l'aprì un poco. Sbirciò fuori. I tre zombie barcollavano dall'altra parte del corridoio. Procedevano quasi allineati, come se ci fosse una sorta di primitiva coordinazione tra loro.
Poi uscì in corridoio ed entrò in un piccolo sgabuzzino. Si guardò intorno. Non c'era nessuno. Frugò tra gli scaffali e afferrò un martello. Se lo girò in mano. "Sì... questo andrà bene."
Raggiunse la porta e spiò dalla fessura. Quando i tre zombie lo superarono, uscì in corridoio e sferrò una martellata in testa al primo zombie di sinistra, che crollò a terra. Gli altri due si voltarono. Marvin sferrò una martellata nel cranio dello zombie centrale, ma l'altro gli afferrò il polso. Il tenente gli mollò un calcio frontale e lo mandò contro un muro. Poi gli spaccò la testa con due secche martellate.
Si girò e riprese fiato. Si aspettava di vedere una dozzina di non-morti svoltare l'angolo, ma non arrivò nessuno. "Strano... non hanno sentito niente?" Una parte di lui gli diceva di indagare, di capire perché non arrivasse nessuno. E un'altra gli suggeriva di non perdere tempo.
Raggiunse la porta chiusa a chiave e martellò ripetutamente la serratura, finché si ruppe. La porta si aprì un poco. Una dozzina di zombie svoltarono l'angolo, altri ne uscivano a frotte dall'ufficio del maggiore Ethan Norwich. "Allora ci sentono!"
S'infilò nella stanza e trascinò una scrivania e due panche contro la porta. La fissò per un momento. Gli zombie ci sbatterono contro e la tartassarono di pugni. I gemiti aumentarono di intensità. Non sapeva per quanto tempo la barricata avrebbe retto ancora, ma sperava il più lungo possibile. Un pensiero si insinuò nella mente. "Perché hanno sentito il martello e non la testa di Ethan che cadeva a terra? Forse è solo una coincidenza? E i tre zombie che facevano avanti e indietro?"
I non-morti colpirono l'anta con più foga.
Marvin uscì dalla saletta di attesa e s'incamminò lungo il corridoio, quando udì una porta laterale chiudersi. Il tenente si accigliò, confuso. Si fermò. Era stato il vento? Oppure la sua immaginazione? Quella porta si era chiusa, lo aveva visto. Non poteva esserselo immaginato.
Sollevò il martello all'altezza del petto, si avvicinò cauto e girò la maniglia.
Un uomo scattò in avanti con un coltello puntato alla sua testa, ma subito si arrestò.
"Ehi, ehi, calma" disse Marvin. "Non sono uno zombie."
L'uomo lo guardò, incredulo. "Sei... sei vivo?"
"Stai bene?"
"S-sì, sto bene." L'uomo era sulla sessantina, magro, con sporadici capelli bianchi in testa. Indossava una camicia bianca e giacca e pantaloni marroni.
Marvin lanciò uno sguardo nella stanza. "Sei da solo?"
L'uomo non rispose subito. "Ci... ci sono altre persone. Siamo in nove."
Il tenente si accigliò, perplesso. Non vedeva nessuno.
L'uomo si voltò alla sua sinistra e fece un gesto con la mano. Sei donne e tre uomini uscirono da dietro un muro divisorio. Guardarono Marvin e la pistola che aveva in mano un poco impauriti. Lui se ne accorse, ma non ne capiva il motivo.
Una donna bisbigliò qualcosa all'orecchio dell'uomo con i capelli bianchi, che scosse la testa.
"Qualcosa non va?" chiese il tenente.
L'uomo abbozzò un sorriso, nervoso. "Siamo solo preoccupati, tutto qui."
"Per cosa? Per gli zombie?"
"Sì, anche per loro."
Marvin lo fissò per un attimo. "Cosa vuol dire anche per loro? Avete paura di me?"
L'uomo coi capelli bianchi e gli altri sopravvissuti si scambiarono delle occhiate.
"Potete dirmelo."
L'uomo gli si avvicinò. "Un... un poliziotto voleva ucciderci. Ha detto di seguirlo, che saremmo stati al sicuro, poi ha cominciato a sparare. È stata una carneficina. Diceva che non saremmo morti, che saremmo ritornati in vita..."
Marvin aggrottò la fronte, turbato. Pensò subito a Johnson. Doveva essere stato lui. "Com'era fatto?"
L'uomo era troppo intimorito per rispondergli.
"Sono qui per aiutare, fidati di me."
L'uomo coi capelli bianchi tentennò ancora per un istante. "Era robusto, sulla sessantina. Aveva dei baffi e una camminata goffa. Diceva che nessuno sarebbe uscito vivo da qui... Ha preso..." Si voltò preoccupato verso gli altri, poi tornò a guardare il tenente. "Ha rapito la figlia del sindaco Warren. Ha detto che voleva giocarci un po', prima di, di, di... non ricordo come ha detto...."
"Di impagliarla" concluse una giovane donna alle sue spalle.
"Sì, di impagliarla" annuì l'uomo.
"Irons..." disse Marvin tra i denti.



 

Tony entrò nel canile e si diresse verso le gabbie. Cinque pastori tedeschi drizzarono le orecchie e lo guardarono, inclinando un poco la testa.
Lui sorrise e pigiò un bottone da un pannello elettrico. Le gabbia si aprirono.
I cani si precipitarono verso di lui, che si sedette sui talloni e accarezzò loro i musi.
"Ehi, buoni, buoni" sorrise. "Anch'io sono felice di vedervi." Lisciò il loro pelo. "Sono passati solo dieci minuti. Non sono mica andato in vacanza."
I cani gli girarono attorno, gli saltarono sopra e gli leccarono faccia e mani, le code che sbattevano in aria.
Tony sentì il cuore riempirsi di felicità. Erano questi i momenti che gli piacevano del suo lavoro. Queste carezze e attenzioni disinteressate che solo i suoi cani potevano dargli. Non le avrebbe mai scambiate per niente al mondo. Era felice in mezzo a loro. Quando le cose andavano male, ci pensavano i suoi cani a risollevargli l'umore. Bastava guardarli. I loro occhi avevano il potere di scacciare il malessere. Un potere sovrannaturale, mistico.
Mentre li accarezzava, fissò Gwenda, il pastore tedesco più anziano del canile. Aveva i bordi degli occhi arrossati e la lingua che le penzolava dalla bocca. Le grattò sotto il muso per farla avvicinare e le osservò gli occhi. Sospirò. Era infetta. Lo sapeva, l'aveva sempre saputo, ma aveva cercato di respingere quel pensiero insidioso. Fino all'ultimo aveva pensato che il virus infettasse solo le persone. Aveva persino tenuto i cani lontano dagli altri, accampando scuse una dietro l'altra, ma non era servito a niente.
I suoi cani erano infetti.
Non sapeva se era stato lui a infettarli, oppure qualcos'altro. Magari era stata l'aria? Il cibo? L'acqua? Aveva letto su un articolo che l'acquedotto era stato contaminato, ma non ricordava chi lo avesse scritto. Non ricordava nemmeno se lo avesse letto davvero, o se era frutto della sua immaginazione. Erano da un paio di settimane che aveva questa strana sensazione di sapere le cose senza averne idea. In giro si diceva che Irons controllasse la stampa, perciò era molto facile che sparissero articoli nel nulla. Forse la spiegazione era proprio quella. Ciò che pensava di aver letto, era in realtà vero.
Gwenda si fermò e digrignò i denti. Gli altri quattro cani uggiolarono e le si allontanarono con le orecchie basse.
Tony la fissò per un momento. La stava perdendo, lo sapeva. Lo vedeva in quegli occhi dai bordi arrossati che cominciavano a sbiadirsi. Non era più lei, non era più Gwenda. Scorgeva quella vivida luce piena di allegria andare e venire nell'oscurità. Non poteva fare nulla per salvarla. Non c'era nessun rimedio. L'unico modo per impedire che soffrisse era sopprimerla. Il solo pensiero gli faceva venire la nausea.
Si alzò e accompagnò gli altri cani nelle loro gabbie. Gwenda restò seduta a fissare il vuoto, la lingua secca che penzolava dalla bocca. Sembrava immersa nei suoi pensieri, ma lui sapeva che era il virus. La stava divorando lentamente e ora aveva raggiunto il cervello. 
Si sedette sui talloni e le accarezzò la testa, le lacrime che gli rigavano il viso. Stava scomparendo. Forse era già scomparsa, ma Tony voleva credere che ci fosse ancora, che dietro a quegli occhi da timidona qual era, da qualche parte, ci fosse ancora lei. Quella cucciola abbandonata in un cassonetto della spazzatura. Quella cucciola che aveva stretto e tenuta tra le braccia come fosse sua figlia. Quella cucciola che aveva cresciuto, che lo aveva reso migliore. Scoppiò a piangere e le posò la testa sulla spalla. Sentiva il suo cuore battere lentamente, il respiro farsi affannoso. Le accarezzò il pelo e le baciò la testa. Il virus aveva vinto.
Gwenda ringhiò.



 

Chung era diretto all'armeria. Aveva deciso che avrebbe preso e portato il borsone dagli altri. Rita non sembrava preoccuparsi della situazione precaria con i sopravvissuti. Non sapeva se aveva tutto sotto controllo, oppure ignorava di proposito ciò che accadeva. Toccava a lui fare qualcosa. Non se lo sarebbe mai aspettato. Fino a pochi giorni fa non gliene sarebbe fregato niente di nessuno, invece adesso si sentiva gravare di un peso insopportabile. Doveva fare qualcosa, o sarebbero tutti morti.
Svoltò l'angolo e continuò diritto. Non passò dagli uffici, ma s'incamminò per il corridoio che lo costeggiava. Avrebbe fatto prima. Ormai era una questione di tempo. Se lo sentiva dentro. Un pensiero fisso, che gli martellava in testa.
Quando raggiunse il borsone, aprì la zip, controllò i proiettili, la richiuse e se lo mise a tracollo. Poi rifece la stessa strada e ritornò nella hall.
I sopravvissuti lo guardarono, perplessi. L'uomo coi capelli rossi disse qualcosa agli altri, che annuirono e si girarono.
Chung si fermò ai piedi della statua, posò il borsone e lo aprì.
Rita e gli altri agenti gli si avvicinarono.
"Finalmente hai fatto qualcosa di utile" disse la donna.
Lui le lanciò uno sguardo, torvo. Poi si rivolse agli altri. "Non fatevi vedere che inserite i proiettili nel caricatore."
"Sei troppo paranoico" rispose Rita. "Dovresti rilassarti un po'."
Chung la ignorò e mise le pallottole nel suo caricatore.
Il borsone venne svuotato in tutta fretta e gli agenti tornarono ai loro posti.



 

Elliot fece sedere Megan tra Nick e Kevin, che comprese subito che aveva ricevuto la brutta notizia. Non sapeva da quanto tempo stessero insieme, ma doveva essere da un bel po' di tempo.
Pete non gli aveva mai parlato della sua fidanzata, come non parlava nemmeno della sua vita privata. Era un tipo vivace e allegro, ma non diceva mai una mezza parola su di lui o su chi frequentava. Non sapeva perché adesso pensasse proprio questo, ma si rese conto di non averlo mai conosciuto davvero.
"Stai qui" disse Elliot. "Vuoi un caffè o..."
"Cioccolata calda..." bisbigliò Megan, come se le fosse difficile alzare la voce.
Elliot annuì, lanciò uno sguardo a Kevin e andò via.
Nick si mosse. Prima un dito, poi una mano e infine un braccio.
Kevin lo osservava, confuso. Non sapeva se lo muoveva lui o era solo uno spasmo involontario. Megan non ci fece caso.
La recluta aprì lentamente gli occhi. La stanza gli vorticava attorno, sgranata. Poi la vista gli ritornò normale e la stanza smise di girare. Si mise seduto sul divano.
Megan e Kevin lo guardarono.
"Dormito bene, principessa?" sorrise Kevin, divertito.
Nick gli lanciò uno sguardo, frastornato.
Megan continuava a guardarlo, apatica. Non riusciva ad essere felice per lui. Non le importava più di niente. Il suo Pete era morto. Lo avevano ammazzato. Come poteva ritornare a essere felice? Non lo sarebbe stata mai più. Mai.
Nick posò i piedi sul pavimento e quasi cadde in avanti.
"Attento a dove metti i piedi, principessa" disse Kevin. "E poi dove stai andando?"
"Devo muovermi" rispose lui.
"Resta nei paraggi, però."
S'incamminò nella stanza con fatica. "Dove sono gli altri?"
"Gli altri chi?"
"Gli altri. Marvin, Rita, Pete e... Kate. Lei dov'è? Ho avuto l'impressione che fosse vicina a me. La sentiva accanto..."
Kevin abbassò lo sguardo, affranto. Megan scoppiò a piangere.
Nick si fermò a guardarli. Non capiva. "Cosa succede?"
Elliot si fermò sulla soglia, incredulo. "Oh, ti sei ripreso! È fantastico!" sorrise. "E sei già in piedi!"
La recluta lo fissò, confuso. "Dove sono gli altri?"
L'altro lo guardò dritto negli occhi. Era combattuto. Non sapeva come dirglielo. Spostò lo sguardo su Megan e Kevin, poi su Nick. "Faresti meglio a sederti."



 

"Mamma, mamma!" Tania le tirava la maglietta, in lacrime. "Mamma!"
Liah si voltò. "Che c'è?"
"Il signore con i capelli rossi mi sta fissando. Ho paura..."
La madre si girò verso di lui e gli lanciò un'occhiataccia carica di rabbia.
Lui sollevò un angolo della bocca e li fissò per un momento. Quel sorrisetto non prometteva nulla di buono.
Liah ne aveva abbastanza. Doveva fare qualcosa. Lo raggiunse con la faccia paonazza e gli mollò un ceffone in faccia. L'impatto dello schiaffo echeggiò nell'atrio. Tutti gli agenti si voltarono, i sopravvissuti erano sbalorditi.
L'uomo con i capelli rossi non si mosse. Restò a fissarla con gli occhi sbarrati dalla rabbia, la forma arrossata delle cinque dita sulla guancia sinistra.
"Non guardare più mia figlia!" gridò Liah a due centimetri dalla sua faccia. "Non farlo mai più!"
Chung, Rita e due agenti accorsero da loro, preoccupati. Temevano che la situazione potesse sfuggire di mano.
"Che sta succedendo qui?" domandò Rita, turbata.
L'uomo con i capelli rossi non distoglieva lo sguardo da Liah, che si voltò e ritornò al suo posto.
Chung e Rita guardarono in malo modo l'uomo, che abbozzò loro un sinistro sorriso.
Poi Rita raggiunse Liah. "Tutto bene? Cosa è successo?"
"Non mi va di parlarne."
"Ti sta dando fastidio?"
Lei si limitò a guardarla.
"Puoi parlarmene."
Sapeva che Rita non avrebbe risolto la situazione, ma non ne aveva bisogno. L'avrebbe fatto da sola, come aveva fatto in tutti questi anni. Lei contro il mondo. E se quell'uomo avesse posato di nuovo lo sguardo su sua figlia, gli avrebbe piantato in pancia il coltellino multiuso che aveva in borsa.
Rita la guardò per un istante, poi si allontanò, seguita da Chung e gli altri due agenti. Solo ora aveva capito la gravità delle parole di Chung, di quanto pericolosa fosse la situazione. Erano sospesi sul filo di un rasoio.
"Era di questo che ti parlavo" disse Chung. "Stiamo perdendo il controllo. Presto quello stronzo farà qualcosa di brutto."
Rita si sedette ai piedi della statua. Non rispose.
Lui le si sedette accanto. "Sai che ho ragione."
"Dobbiamo mantenere la situazione in stallo" rispose lei. "Solo così possiamo controllare indirettamente i sopravvissuti, o scoppierà un massacro."
"Per quanto l'idea mi piaccia, sai meglio di me che è solo una questione di tempo prima che scoppi un casino."
"Abbiamo le armi. Non faranno niente, almeno la maggior parte di loro."
"Non ne sarei tanto sicuro" disse Chung, pensieroso. "Non sappiamo nemmeno se sono armati. Jim, il tizio che Marvin ha sbattuto dentro, aveva una Desert Eagle quando lo abbiamo accolto qui. E l'altro tizio, Shawn O'Neil, quello con i capelli rossi, una calibro 38 in una tasca interna del giubbotto. Tutti e due sono entrati e usciti di prigione svariate volte. Non sono dei santi. E stai pur certa che prima o poi quello stronzo cercherà di prendere il sopravvento."
Rita lo guardò. "Non saremo noi i primi a fare qualcosa di avventato, questo è sicuro."
Chung gettò le mani in aria e si allontanò.



 

"Johnson..." sussurrò Nick, seduto nell'ufficio del tenente. "Non mi sarei mai..." Si ammutolì. "Non posso crederci... Non... Quindi, anche Marvin è..."
"Non lo sappiamo" rispose Elliot. "Forse è riuscito a fuggire."
La recluta aveva il viso ridente di Kate davanti agli occhi. Non aveva mai pensato di poter trovare l'amore in una situazione simile. Non poteva esserci spazio per una cosa bella all'inferno. Era circondato da mostri, zombie e altre creature infernali, come poteva l'amore farsi spazio in una tale oscurità?
Megan non aveva più lacrime da versare, gli occhi rossi iniettati di sangue.
"Non riesco a crederci" disse Nick, affranto. Poi cominciò a fare avanti e indietro. "Non può essere vero... Mi sembra un incubo... Non..."
"Mi dispiace..." rispose Elliot. "Come va il braccio?"
Nick si fermò, lo guardò e lo mosse. "Va meglio, credo. Non sento dolore."
Megan si alzò e lasciò la stanza, il bicchiere fumante di cioccolata calda sul tavolo.
"Ehi, dove stai andando?" chiese Kevin.
"Non ti muovere, tu" disse Elliot. "Vado a vedere dove va."
Kevin grugnì, infastidito. Poi guardò Nick. "Mi dispiace per Kate. Era una brava poliziotta."
Nick non rispose.
"Troverò quel figlio di puttana e lo ammazzerò con le mie mani! È una promessa! L'ultima volta ha avuto fortuna e..." Spalancò gli occhi. "Cazzo, i Lickers!"
Nick si voltò, allertato.
Kevin si alzò dalla sedia e corse fuori.
La recluta gli andò indietro con fatica. "Dove sono?" Quando uscì dall'ufficio, quello era sparito. Si guardò intorno. "Dov'è andato?" S'incamminò negli uffici e uscì in corridoio.
Elliot e Megan erano un poco più in là. Li raggiunse. "Avete visto Kevin?"
Lui si voltò. "No, gli ho detto di non muoversi."
"Ha detto qualcosa sui Lickers, prima di precipitarsi fuori."
Elliot sbarrò gli occhi. Si era dimenticato di loro. Kevin gli aveva detto di chiudere l'accesso all'ala ovest. "Rimanete qui. Credo di aver capito dove sia andato." Corse via.
Nick guardò Megan. "Sai cosa sta succedendo?"
Megan sollevò le spalle.
"Da quando ho perso i sensi le cose sono andate in malora. E poi c'è questo strano suono. È impercettibile, ma lo sento da quando mi sono svegliato. Sembrano dei..."
"Gemiti?" concluse Megan. "Lo sono. Sono in cortile. La centrale è circondata."
Nick aggrottò la fronte con fare turbato. Era l'ultima cosa che voleva sentirsi dire. Erano in trappola. "Quindi il piano di Marvin non è più attuabile?"
"Che vuoi dire?"
"Che Rita non può più passare per il condotto di areazione e chiedere aiuto."
"Non lo so."
Nick corrugò la fronte, pensieroso. Forse il condotto sbucava da qualche altra parte. Se e così, perché Rita era ancora nella hall? Perché non ne aveva approfittato per mettere in atto il piano di Marvin? Oppure era partita da poco e loro non ne sapeva nulla?
Megan abbassò gli occhi rossi. Il volto di Pete le era ritornato di nuovo in mente. Si voltò. "Scusa, voglio stare da sola."
Nick la fissò per un attimo, poi tornò negli uffici ovest.



 

Tania tirò un lembo della maglietta della madre. "Mamma, andiamocene. Non mi piace stare qui. Per favore, andiamocene. Farò la brava..."
Liah le accarezzò la testa. "Va bene, staremo con i poliziotti. Prendo la borsa."
Tania sorrise, gli occhi arrossati dal pianto.
Madre e figlia si avviarono verso la statua. Quando Liah stava per scendere la piccola rampa, l'uomo coi capelli rossi la afferrò per la coda e la tirò a sé.
Tania cacciò un urlo, spaventata. "Mamma!"
Tutti gli agenti si voltarono nella sua direzione.
"Dove cazzo credi andare?" domandò Shawn O'Neill, l'uomo con i capelli rossi.
Liah si dimenò. "Lasciami andare!"
Rita, Chung e gli altri agenti si precipitarono verso di loro, le armi puntate.
"Lasciala andare, O'Neill!" urlò Chung. "Non peggiorare la situazione."
Shawn posò un coltello a serramanico contro il collo di Liah. "Questo ti è sfuggito durante la perquisizione, stronzo!" Si voltò verso i sopravvissuti e fece loro un cenno con la testa. Quelli si diressero verso la porta dell'ala ovest.
Rita si accigliò, confusa. "Che volete fare? Liberare Jim?"
"Che si fotta quello stronzo!" gridò Shawn. Poi indietreggiò verso gli altri superstiti, il coltello a serramanico pressato contro la gola di Liah.
"Mamma!" urlò Tania in lacrime. "Mamma!"
"Fate stare zitta quella mocciosa o giuro che sgozzo a sua madre!"
Rita si chinò e l'abbraccio. "Andrà tutto bene."
Chung fece tre passi in avanti.
Shawn premette la lama un poco in profondità sulla gola di Liah, una goccia di sangue le scivolò lungo il collo. "Non fare un altro passo, testa di cazzo! O giuro che la sgozzo davvero questa stronza!"
I sopravvissuti entrarono nell'ala ovest. Shawn raggiunse la porta.
"Dove credi di andare?" chiese Chung. "La centrale è circondata dai non-morti. Morirete tutti!"
L'uomo coi capelli rossi abbozzò un sinistro sorriso. "Chi ha parlato di uscire? Prenderemo un'altra strada."
Chung comprese subito cosa voleva dire. "Le fogne?"
"Sei proprio un genio." Lo canzonò Shawn con un finto sorriso. "Chissà come hai fatto a scoprirlo? Certo che sono le fogne. È l'unica via di fuga."
"Elliot è stato quasi ucciso da quella cosa lì sotto. Non vi conviene andarci."
"Io non sono così stupido! Ammazzerò quella cosa e andremo via da questa città del cazzo!"
"Non ne uscirete vivi!"
"Voi non ne uscirete vivi, fottuti figli di puttana!"
Udirono una porta cigolare sulla balconata interna dell'hall.
Chung ci lanciò uno sguardo. "Marvin!"
Il tenente aveva lo sguardo accigliato, le mani poggiate sul corrimano. Alle sue spalle, nove sopravvissuti uscirono dalla porta e si scambiarono degli sguardi, turbati.
"È arrivato anche l'altro coglione!" disse Shawn con un sorriso amaro. Liah provò a liberarsi, ma lui le tirò un pugno nella costola sinistra. "Stai ferma, cazzo!"
I poliziotti scattarono un poco avanti, preoccupati. Gli occhi della donna si umidirono.
Marvin s'incamminò lungo la balconata interna e scese la scala a pioli dirimpetto alla reception, seguito dai nuovi sopravvissuti. Shawn lo osservava, nervoso. Era infastidito da quella sua tranquillità. Il suo volto inespressivo pareva una maschera di pietra. Indietreggiò e sbatté le spalle contro lo stipite della porta.
Marvin gli si piazzò davanti, a quindici passi di distanza. "Che stai facendo?" chiese piano, senza alcuna emozione.
Shawn si accigliò, confuso. Non riusciva a rispondergli. La sola presenza gli infondeva paura e disagio. I suoi occhi marroni gli penetravano fin dentro le ossa. Si sentiva un incapace, uno stupido.
"Allora?" domandò Marvin. "Che stai facendo?"
L'uomo coi capelli rossi lanciò un'occhiata alle sue spalle, poi guardò il tenente. Tentennava. Voleva dirgli qualcosa, ma non sapeva cosa. Le parole gli si perdevano nella mente.
Tutti lo stavano fissando. Tania piangeva tra le braccia di Rita. Chung si era mosso di qualche passo in avanti, a destra.
Shawn si avvicinò all'orecchio di Liah e le parole gli ritornarono in mente. "Se non mi avessi tirato quello schiaffo, ti avrei lasciata andare, dico sul serio." Le annusò i capelli. "Purtroppo seguo il principio occhio per occhio, capisci?"
"Io..."
Lui le piantò il coltello nella costola destra, la spinse in avanti e si fiondò oltre la porta, chiudendosela alle spalle.
Gli agenti aprirono il fuoco, le pallottole bucherellarono il legno dell'anta. Alcuni si avvicinarono vicino alla soglia.
"Fermi!" urlò Marvin. "Lasciatelo andare."
I poliziotti abbassarono le armi, confusi. Gli zombie fuori dall'ingresso picchiarono con violenza le mani putride contro il portone e le due grandi vetrate antiproiettile. Gli spari li avevano eccitati.
Il tenente si voltò verso Chung. "So cosa hai in mente. Rimani al tuo posto!"
Lui era stato l'unico a non sparare. Aveva voluto scattare verso Shawn, acciuffarlo e sparargli dritto in faccia, ma si era dovuto fermare per le pallottole.
Tania si staccò dalla braccia di Rita e corse verso la madre, distesa sul pavimento in una smorfia di dolore. Gli altri la raggiunsero subito dopo.
Marvin si piegò su di lei e le alzò un poco la maglietta inzuppata di sangue, altro sangue fiottava abbondante dalla ferita aperta nella carne.
"Portatemi un kit di pronto soccorso!" urlò Marvin. "Presto!"

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Capitolo 24
*** XXIV. Capitolo ***


Kevin si diresse lungo il corridoio e si fermò poco prima di raggiungere la porta bucherellata. Dietro si udiva uno zampettare frenetico. "I Lickers devono essere ancora all'interno..." Poi i pensieri andarono a Pete e Kate. Forse le creature non avevano preso i loro corpi. Magari erano ancora là. Aggrottò la fronte e tornò indietro, affranto. Chiuse la doppia porta del corridoio e ci trascinò contro tre panche. Poi prese l'ascia antincendio da una parete e la bloccò tra le maniglie della doppia porta.
Non sapeva se la porta avrebbe retto all'impeto dei Lickers, ma non era quello a preoccuparlo tanto. Doveva sbarrare tutte le finestre del primo piano, ma sarebbe stato impossibile farlo senza fare rumore.
Si allontanò. "Forse è meglio sigillare l'accesso all'intera ala ovest." Svoltò l'angolo e proseguì lungo il corridoio per un momento. Quando arrivò negli uffici, chiuse la doppia porta e si avviò nell'ufficio del tenente. Megan, Elliot e Nick erano seduti sul divano. La donna aveva gli occhi rossi iniettati di sangue e guardava un punto nel vuoto.
Elliot si alzò. "Kev! Dove sei stato?"
"Dobbiamo andarcene da qui. Torniamo nella hall."
"Che succede? Nick mi ha detto che..."
"Ci sono i Lickers. Non so se arriveranno anche qui, ma non voglio scoprirlo. Nell'atrio saremo al sicuro."
Nick lo guardò. "Quelle cose possono entrare dalla balconata interna. L'unico posto sicuro è dove non ci sono porte e finestre."
Kevin incrociò le braccia. "Quindi da nessuna parte?"
La recluta annuì.
"Per adesso non hanno mai cercato di entrare nell'atrio e poi nell'ala ovest sono entrati solo per..." Lanciò uno sguardo a Megan e si zittì.
"Per?" chiese Elliot, perplesso.
"Non importa. I Lickers sono qui vicini, quindi andiamo nell'atrio."



 

Chung prese il medkit dalla reception e corse da Marvin. "Tieni, c'è tutto."
Il tenente aprì la scatola, prese lo spray disinfettante e ne spruzzò un poco sulla ferita.
Liah gridò dal dolore.
Tania l'abbracciò in lacrime. "Mamma..."
La madre le sorrise. "Non guardare. Allontanati. Vai con Rita."
La bambina prese la mano di Rita e si allontanarono verso la statua. La donna la fece sedere. "Tua madre è una donna forte, una guerriera. Non preoccuparti."
Tania abbassò lo sguardo, rattristita. "Perché il signore con i capelli rossi la voleva uccidere?"
Lei non sapeva cosa risponderle. Non poteva dire a una bambina la verità. Forse non l'avrebbe capita o l'avrebbe elaborata a suo modo. "Vuoi vedere una cosa?"
La bambina la fissò con fare curioso. Annuì.
Rita le prese per una mano e la condusse alla reception. Aprì un cassetto e prese qualcosa. Si voltò, le mani dietro la schiena. "Indovina cos'è?"
Liah cacciò un urlo di dolore. Tania si girò nella sua direzione, terrorizzata.
"Ehi, Tania" disse Rita con un sorriso. "Non avere paura. Marvin la sta medicando. È pratico di queste cose."
Lei non capiva. Come poteva aiutarla se stava facendo gridare sua madre?
Rita se ne accorse. "Cos'ho in mano?"
La bambina si accigliò, pensierosa. "Mmmh... non lo so."
Le sorrise. "Fai un tentativo."
Ci rifletté per un momento. "Cioccolato! No, no, caramelle? Oppure... biscotti!"
Rita scosse la testa con un sorriso.
"È qualcosa che si mangia?"
Scosse la testa.
"È un giocattolo?"
"Una specie."
"È bello?"
"Non lo so. Questo dipende da te."
"È una barbie?"
Rita scosse la testa.
"È una macchina?"
Scosse la testa.
"È un animale?"
Annuì.
Liah lanciò un altro urlo. Tania si voltò.
"Tania, guardarmi. Devi ancora indovinare, ma sei molto vicina."
La bambina spostò lo sguardo sul pavimento, poi alzò la testa. "È un portachiavi? Un ciondolo?"
Rita sorrise. "Esatto! Bravissima!" Glielo porse. "Ora è tuo."
Tania sgranò gli occhi per la felicità. "È un cane! È bellissimo! Io sul mio zaino della scuola ho un castoro, un procione, un coniglio e..." Si accigliò, pensierosa. Non ricordava il nome dell'animale. Poi alzò gli occhi. "E una tattaluga."
"Una tartaruga?" chiese Rita.
"Sì, quella con il guscio." Si raggirò il ciondolo tra le mani. "Perché era in questo cassetto? Non ti piaceva?"
Rita non sapeva cosa risponderle. "L'avevo dimenticato qui."
Tania baciò la testa della tartaruga. "Poverino, tutto solo nel cassetto. Ora non sarai più solo. Quando ritorneremo a casa, ti farò conoscere i miei tre amichetti! Sono divertenti. Ti piacerà stare con loro!"



 

Johnson bussò alla porta. Attese per un momento. Bussò di nuovo. "Sono io, Johnson!"
La porta si aprì. Irons era dall'altra parte con fare guardingo. "Ti credevo morto."
Johnson entrò e si chiuse la porta alle spalle. "Beh, ci è mancato poco."
Irons si fermò dietro la sua scrivania, si versò due dita di Whisky e lo mandò giù tutto d'un colpo. "Perché sei qui? Non hai detto che volevi lasciare la città?"
"Non mi offri da bere?"
"Vai a scroccare da bere da qualche altra parte!"
"Davvero gentile."
Irons afferrò la bottiglia e pigiò un bottone alla sua destra. Il muro si aprì, rivelando un ascensore. Ci entrò e guardò Johnson. "Vieni con me? O ti levi dalle palle?"
Johnson lo raggiunse. L'altro premette il bottone del seminterrato. L'ascensore fremette e cominciò a scendere.
"Dove sei stato per tutto queste tempo?" chiese Irons.
"In giro."
"È sangue quello che hai sua giacca?"
Johnson si guardò le macchie rosse sul tessuto. "Probabile."
"Non fare il criptico con me. Ho sentito gli spari. Sei stato tu?"
Lui lo fissò per un attimo. "Probabile."
L'ascensore si fermò. Le porte si aprirono e s'incamminarono nel corto corridoio. Un leggero odore di legna bruciata e muffa ammorbava l'aria.
"Lo so che sei un pazzo psicopatico" disse Irons. "Ti ho visto quando hai ucciso Gregory. Ti ha supplicato in lacrime, ma tu non hai battuto ciglio. Bang! Un colpo al cuore. Volevi che ritornasse in vita, non è vero?"
Johnson lo guardò con un sorrisetto. "Ho imparato dal migliore. E poi anche tu hai ucciso Ed. Ti ho visto!"
"Hai una bella immaginazione, capitano." Irons inserì e girò la chiave nella toppa.
Entrarono in una piccola stanza. Un vivace fuoco scoppiettava nel camino e illuminava un poco la camera, proiettando ombre sulle pareti umide e sugli scaffali colmi di cianfrusaglie.
Irons posò la bottiglia su un tavolo e si guardò intorno. "Dove ti sei nascosta?"
Johnson si accigliò, confuso. "Ora ti metti a parlare da solo? Quante bottiglie ti sei scolato?"
"Chiudi quella cazzo di bocca!" Si voltò e puntò gli occhi in ogni angolo della stanza. "Esci fuori, o giuro che ti rovino quel bel faccino!"
Johnson non capiva se c'era davvero qualcuno nella stanza o se stesse parlando da solo. Forse stava dando di matto?
Irons s'incamminò nella stanza e frugò dietro gli scaffali. Poi si fermò davanti a un tavolo messo in verticale contro un angolo del muro. Lo sradicò a terra. "Ti ho trovata!"
Katherine Warren cacciò un urlo, terrorizzata. Scattò in avanti, ma Irons le afferrò per i lunghi capelli biondi e la tirò a sé. "Dove pensi di andare?" Abbozzò un sorriso inquietante, che fece rabbrividire persino Johnson. "Non hai ancora capito che da qui non puoi più fuggire?"
Johnson li guardò avvicinarsi a un lungo tavolo. Era davvero la figlia del sindaco Warren. Come aveva fatto a rapirla?
"Ti prego, non farmi del male!" disse Katherine con gli occhi arrossati per il pianto.
Irons le accarezzò la guancia. "Che pelle liscia. Nemmeno un'imperfezione." Lei lo fissava, tremante. Lui le fece scivolare un dito lungo il braccio. "Perfetta! Sarebbe davvero uno spreco se tu diventassi uno zombie. La tua pelle andrebbe in putrefazione. Ma non preoccuparti, ho grandi progetti per te."
Katherine trattenne le lacrime.
Johnson la guardava, apatico. Non capiva cosa avesse di bello quella ragazza. Non aveva più di vent'anni, viso ovale, pelle chiara, quasi vellutata. Gli occhi marroni da cerbiatto e lunghi capelli biondi ondulati che le cadevano ammassati sulle spalle. Indossava una lunga veste bianca sporca in più punti, che metteva in luce le forme armoniose del suo corpo.
"Alla fine hai indossato l'abito che ti ho portato" sorrise Irons, compiaciuto. "Guardati!" Allargò le braccia in un gesto plateale. "Sei bellissima! Una Dea! Sarai perfetta per la mia collezione!"
Katherine scoppiò a piangere.



 

Quando Kevin, Megan, Elliot e Nick entrarono nella hall, restarono sorpresi nel vedere la porta bucherellata e il sangue sul pavimento. Avevano sentito gli spari e si erano precipitati per vedere cosa era successo. Adesso se ne stavano immobili a fissare Marvin, Chung, Rita e i nuovi nove superstiti ai piedi della statua.
"Nick!" disse Rita con un grande sorriso dipinto sulla faccia. Gli corse incontrò e lo abbracciò. "Stai... stai bene! Non sai quanto ero preoccupata."
"Anche per me è bello rivederti!" sorrise lui.
Marvin salutò gli altri e presentò loro i sopravvissuti. Poi raccontò la sua rocambolesca avventura sul tetto e nell'ala est.
"Solo tu potevi sopravvivere a tutto questo" disse Kevin nei cui gli occhi si leggeva il rispetto che nutriva per quell'uomo.
Nick scrutò una donna con fare pensieroso, finché gli venne in mente dove l'aveva incontrata. Non poteva crederci. "Zoey?"
Lei lo fissò, sorpresa. "Nick!"
Si abbracciarono.
"Sono felice di rivederti! Dov'è tuo fratello?"
"È una lunga storia."
"Oh, mi spiace..."
"No, non è morto. Abbiamo... diciamo che abbiamo litigato."
"Quindi sei da sola? Come... come sei arrivata qui?"
Zoey distolse lo sguardo. "Ora non mi va di parlarne."
Marvin guardò oltre le spalle di Kevin, Megan e Elliot. "Dove sono Kate e Pete?"
Kevin serrò gli occhi, irato. "Sono morti. Li ha uccisi Johnson."
Marvin sentì una fitta allo stomaco. Morti? Non poteva crederci. Era impossibile.
"Li vendicherò!" continuò Kevin. "Quello stronzo mi ha anche quasi ucciso!"
Marvin abbassò lo sguardo, addolorato. Poi lanciò un'occhiata verso Megan dagli occhi arrossati. Non riusciva a crederci. Conosceva Pete da anni. Lo aveva formato appena uscito dall'accademia militare. Erano andati subito d'accordo. Era stato uno dei primi agenti a sospettare della complicità di Irons con l'Umbrella. Come poteva essere morto?
Kevin si accorse che il tenente era scosso, quindi si girò verso Chung e ci scambiò due parole.
Elliot si avvicinò a Rita. "Dove sono gli altri superstiti? E Liah e Tania?"
La donna indicò la reception con lo sguardo, poi gli disse cosa era successo.
"E Liah come sta? Sta bene?"
"Sì, si riprenderà. Per fortuna la lama non è penetrata troppo in profondità. Se non fosse stato per Marvin, sarebbe morta dissanguata."
Elliot aggrottò le sopracciglia, pensieroso. "Noi non li abbiamo visti mentre venivamo qui, sennò..."
"Hanno preso un'altra strada. Sono scesi nelle fogne. Marvin non ha voluto che li inseguissimo."
"Perché? Non possiamo lasciarli liberi."
Il tenente li raggiunse e li guardò. "Nessuno uscirà vivo da là sotto."



 

"Dai, muoviti, coglione!" Urlò Shawn. "Che aspetti? Apri quella cazzo di porta."
Il ragazzo lo guardava, spaventato. Non aveva più di vent'anni e le mani gli tremavano.
Shawn gli puntò il coltello a serramanico verso la faccia. "Sei sordo? Apri quella cazzo di porta e vai a dare un'occhiata!"
"Pe-perché devo f-farlo io..?"
"Perché se non ti dai una mossa, ti pianto il coltello in pancia e ti lascio morire qui!"
Il ragazzo si voltò e girò la maniglia. Il tanfo di fogne invase subito la stanza. I sopravvissuti si tapparono il naso. Alcuni vomitarono, altri vennero percorsi da conati di vomito.
Shawn spinse con un calcio il ragazzo nel canale fognario. "Vai a controllare!"
Quello si limitò a guardarlo, terrorizzato. Non voleva andarci. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non andarci.
Shawn scattò in avanti per aggredirlo e il ragazzo si allontanò, spaventato. L'altro restò sulla soglia e lo osservò. "Muoviti!"
Il ragazzo s'incamminò su una delle due pedane che correvano lungo le pareti. Le luci illuminavano un'ambiente dominato dalla penombra. Più si allontanava dalla porta, più l'acre odore di fogna si faceva più intenso. Si portò bocca e naso nell'incavo del braccio e proseguì lentamente per un po'. Della melma verdognola colava dai canali di scolo che si aprivano lungo le pareti. Si fermò e si vomitò sulle scarpe. Poi venne colto da una serie di conati, che gli fecero diventare gli occhi gonfi come due palle da golf. Non ce la faceva più. La gola gli bruciava e lo stomaco gli faceva male.
Tornò indietro, ma si fermò subito dopo. Non poteva tornarci. Shawn lo avrebbe ammazzato. Si voltò e ritornò sui suoi passi. Superò il vomito e continuò a camminare, finché si fermò a dieci metri da una parete scura. Non riusciva a vedere niente. Un gocciolio costante riverberava lontano oltre le tetre tenebre. Non poteva avventurarsi nel buio. Non sapeva cosa lo aspettava lì dentro. Restò immobile per un lungo momento, poi tornò indietro con passo sostenuto.
Quando si fermò davanti alla porta, bussò.
Shawn l'aprì e lo guardò. "Sei vivo! Quindi non c'è nessuno?"
"N-non lo so..."
L'altro serrò gli occhi, minaccioso. "Che cazzo vuoi dire che non lo so?"
"Posso spiegarti! Sono arrivato fino a una zona non illuminata. Oltre c'è solo buio. Non vedevo o sentivo niente."
Shawn lo afferrò per il colletto della maglia. "E perché non sei andato a controllare? Ti ho detto di controllare questo fottuto canale!" Gli sferrò un pugno in faccia, che lo fece cadere oltre la porta, sulla pedana. "Ora vai a controllare! E se ritorni senza averlo fatto, ti taglio quella cazzo di gola!"
Il ragazzo scattò in piedi, impaurito. Tutti i sopravvissuti non aveva mosso un dito, né lo avrebbero fatto.
Shawn sbatté la porta in faccia al ragazzo, che s'incamminò tremante lungo il canale.



 

Marvin mandò i sopravvissuti alla reception e raggruppò tutti gli agenti ai piedi della statua. "Abbiamo aspettato tanto, ma ho la sensazione che il tempo sta per scadere." Si voltò verso Rita. "Sei pronta?"
Lei annuì.
"Come farà con gli zombie quando tornerà con gli aiuti?" chiese Kevin.
"Ve ne siete già dimenticati?" domandò Rita. "Li allontaneremo con un diversivo. Ci andrò io. Il negozio di musica non è molto lontano."
"Te l'ho detto, è fuori discussione" rispose il tenente.
"Allora sarà impossibile tornare qui con gli aiuti" aggiunse Elliot. "Dobbiamo mandare per forza qualcuno. Non abbiamo altra scelta."
"Posso andarci io" disse Nick.
"Ti sei appena ripreso" rispose Marvin, serio. "Non..."
"Forse non mi riprenderò più."
Tutti lo guardarono, turbati.
"Che vuoi dire?" domandò Marvin.
"Non lo so, ma non mi sento più lo stesso. Ho questo mal di testa che va e viene e uno strano sapore metallico in bocca. Forse... forse sono ancora infetto."
Nessuno rispose. Non sapevano cosa dire.
Marvin si accigliò, perplesso. Lo conosceva molto bene. Poteva essere una bugia, così che accettasse di inviarlo verso una missione suicida. Sapeva quanto fosse altruista, ma non era una giustificazione valida per mettere a rischio la propria vita. E poi si era ripreso da poco. Non poteva mandarlo fuori. Poteva sentirsi male o essere inseguito dai cani zombie o Lickers e fatto a pezzi. Allora chi mandare? Kevin? Chung? Elliot? Sé stesso?
Nick sollevò un poco la garza e mostrò loro il morso al braccio. "Guardate! Vedete i bordi della ferita? Sono neri. Ho la sensazione che qualunque cosa Pete mi abbia dato, ha solo rallentato il virus."
"Ti sei ripreso poco fa" disse Kevin. "E poi Pete stava bene prima che... Beh, non ha mostrato segni di debolezza o altro."
"Io sono stato morso da un Licker. Credo sia diverso da..."
"È sempre saliva quello che ti è entrata in circolo. Non puoi essere sicuro che il tuo malessere sia colpa del virus."
"Meglio non rischiare, no? Quindi è meglio se ci vado io. Se ho ragione, diventerò uno di loro." Puntò il dito verso gli zombie accalcati contro le due grandi finestre dell'ingresso.
Marvin sapeva che aveva ragione. Forse era meglio mandare lui, che qualcuno ancora sano.
"Anch'io sono infetto" disse Elliot. "Quindi potrei andarci io. Non ho problemi ad andarci. E poi sono io ad aver pensato a questo piano. Inoltre, conosco delle scorciatoie per arrivare prima."
"Il tuo caso è diverso dal mio" rispose Nick, deciso. "Io sono stato morso. Tu sei... beh, ti hanno vomitato in bocca e hai sputato tutto fuori. Non sei stato morso."
"Ma ho sempre mal di pancia quando corro. Vorrà dire qualcosa, no?"
"E vuoi andartene in giro sapendo questo?"
Elliot non rispose.
"Questa non è una gara su chi è più infetto" disse Marvin in tono autorevole. "Ma vi sentite quando parlate? Se la situazione non fosse così seria, scoppierei a ridere." Sbuffò per il nervoso. "Questa è una missione pericolosa. Chi ci andrà, forse non tornerà più indietro. Non va presa alla leggera."
"Io ho già deciso due minuti fa" rispose Nick. "Lo sai che ho ragione riguardo al morso. Non rischiare, manda me."
Il tenente spostò lo sguardo prima sugli altri, poi su di lui. Nessuno aveva niente in contrario.
Rita era pensierosa. "Nessuno ha tenuto conto di una cosa. Solo io sono minuta abbastanza da poter strisciare nel condotto."



 

Irons frugò tra le cianfrusaglie negli scaffali, poi controllò i cassetti dei due comodini. Digrignò i denti, irato. "Dove cazzo li ho messi..?"
Katherine Warren lo guardava, terrorizzata. Era rannicchiata in un angolo, le braccia cinte attorno alle ginocchia.
Johnson si avvicinò al camino e allungò le mani verso il fuoco per riscaldarle.
Irons si guardò intorno. "Dove cazzo li ho messi?!" Poi scaraventò un tavolino sul pavimento. "Cazzo!"
"Rilassati" disse Johnson, piano. "Sei più agitato del solito."
"Non rompermi i coglioni!"
Johnson scosse la testa con un sottile sorriso.
"Forse li ho lasciati di sopra..." aggiunse Irons tra sé. "Sì, dev'essere così..." Raggiunse a gran passi l'ascensore e ci entrò.
Johnson si voltò, confuso. "Dove stai andando?"
"Sono cazzi miei!"
Le porte dell'ascensore si chiusero.
Johnson lanciò un'occhiata a Katherine, che fissava il pavimento con la testa incassata nelle spalle e metà faccia affondata fra le ginocchia.
"Sei la figlia del sindaco, giusto?" chiese Johnson.
Lei non rispose.
Lui prese una sedia e le si sedette di fronte, lo schienale rivolto verso di sé. "Sai, conosco tuo padre. È un figlio di puttana peggio di Irons. Non mi sorprende che ti abbia mollata qui."
Katherine girò la testa per non guardarlo.
"Magari è fuggito. Ma che dico, certo che è fuggito. Sarà stato il primo a lasciare questa città del cazzo."
La donna cominciò a piangere, le spalle che sussultavano ad ogni nuovo singhiozzo.
"Sono sicuro che non ti ha nemmeno cercata. Forse non ci ha neanche provato" abbozzò un sorrisetto. "Il fottuto padre dell'anno, no?"
"Lasciami stare..." disse Katherine con un filo di voce.
Johnson mostrò un sorriso compiaciuto. "Non ti ho detto nulla che non sai già. Non sei così stupida come cerchi di far sembrare, lo sai? Ti ho notata in tutti quei ricevimenti con tuo padre. Non facevi che ridere e parlare con tutti gli invitati. Cercavi di compiacerli e ci riuscivi anche bene. Lo hai ereditato da tuo padre."
Lei smise di piangere e lo fissò con gli occhi arrossati.
Johnson sollevò un angolo della bocca. "La maggior parte degli uomini guardano solamente il tuo aspetto fisico, non vedono cosa c'è dentro quella testolina. Io la vedo, è cristallina. Sei intelligente e furba, ma non quanto Irons. Ci avrà visto qualcosa di speciale in te." Sbuffò un sorriso. "Ma che dico, avrà visto solo due paio di tette e un culo di marmo, nient'altro."
Katherine serrò gli occhi, irritata.
"Lo so che non sei una gatta morta come tante altre, ma credo che Irons si sia fatto un'idea sbagliata di te. E se ti ha segregata quaggiù, beh..."
"Beh?"
Johnson si alzò dalla sedia e la rimise al suo posto. Si voltò. "Sai benissimo cosa voglio dire. Dopotutto, sei una donna intelligente."



 

Il ragazzo se ne stava fermo a fissare la parete scura da cui giungeva uno sgocciolio lontano. Non riusciva a muoversi. Non poteva entrare lì dentro, ma neanche tornare indietro. E se fosse tornato con una bugia? Shawn se ne sarebbe accorto? Forse era meglio non rischiare.
Mosse timidamente un piede, poi l'altro. Si avvicinò alla parete scura e tentennò un momento. Qualcosa gli diceva di non farlo, che forse si sarebbe perso o peggio. Si guardò alle spalle, spaventato. Shawn lo preoccupava di più. La sua minaccia era reale. Non era paragonabile ai pericoli ignoti che si celavano oltre quelle tenebre. Forse non c'era nessuno. Non aveva altra scelta.
Posò una mano sul muro e s'incamminò nell'oscurità.
Il cuore cominciò a martellargli nel petto e la bocca si seccò. Proseguì per un lungo momento, senza sapere dove si stava infilando. La parete era diventata più umida e qualcosa di viscido e appiccicoso colava giù. Le dita gli si appiccicarono, ma non se le pulì. Doveva continuare a camminare. Se si fosse fermato, avrebbe dato di matto.
Poi la mano andò a vuoto e quasi cadde in avanti. Il cuore gli implose nel petto e una fitta fastidiosa lo colpì alla bocca dello stomaco. Indietreggiò di due passi e toccò nuovamente il muro con la mano.
Era arrivato a un angolo.
Svoltò a sinistra e continuò a camminare per un lungo momento. Il muro si faceva più asciutto, quando sbatté contro qualcosa. Sobbalzò. Le gambe tremarono e la mano che aveva sul muro si portò istintivamente a protezione del volto. Restò immobile, gli occhi che guizzavano cechi nelle tenebre. Quando riprese coraggio, allungò una mano in avanti e toccò qualcosa, un muro. Sospirò per il sollievo.
Lo sgocciolio cessò.
Il ragazzo si accigliò, turbato. Quel suono lo aveva accompagnato fino a qui, come una lancetta che scandiva il tempo. Perché non si sentiva più? Era stato il suo sospiro a interromperlo? Come poteva il suo sospiro fermarlo? Forse quello sgocciolio era solo frutto della sua immaginazione. Non era reale. Scacciò via i pensieri e si concentrò. Non doveva farsi assalire dalla paranoia. Doveva restare lucido.
Quando si mosse lungo la parete, qualcosa gli sfiorò la mano. La ritrasse spaventato e si lasciò scappare un piccolo grido, che echeggiò lungo il canale. Si paralizzò, gli occhi che roteavano frenetici in ogni direzione. Non sentiva alcun rumore. Qualcosa gli aveva sfiorato la mano. Lo aveva sentito sulla pelle. Era reale. Non poteva esserselo immaginato.
Restò fermo per un lungo momento, poi proseguì. La parete tornò ad essere umida e viscida. E più andava avanti, più il cemento armato sembrò lasciare il posto a qualcosa di gelatinoso. Il tanfo di fogna si fece meno intenso, finché l'acre odore di putrefazione gli penetrò nei polmoni e lo piegò in avanti per la nausea.
Quando indietreggiò da quella puzza, urtò le spalle contro qualcosa e si voltò. Una folata di aria putrida gli sferzò il viso. Qualunque cosa fosse, era molto vicino alla sua faccia. Poteva percepirlo.
Arretrò terrorizzato e scivolò su qualcosa di viscido, che lo fece cadere a terra. Quando si rialzò, qualcosa gli bloccò la testa con le zampe e gli infilò una lunga lingua a forma di pungiglione dentro la bocca. Lui si dimenò con tutta la forza che aveva in corpo, ma non riusciva a muovere un muscolo. Poi quel pungiglione gli scivolò lungo la gola e gli rigurgitò dentro.



 

Marvin posò cinque lastre ingioiellate su un piccolo pilastro davanti alla statua. Quella fremette e si alzò di qualche metro, rivelando ai suoi piedi un condotto di areazione.
Tutti gli agenti guardarono Rita e la salutarono con strette di mano e parole di incoraggiamento. Quando arrivò il turno di Nick, lui si limitò a stringerle la mano. Non era affatto contento di non poter fare da diversivo. Qualcosa gli diceva che non sarebbe arrivato a domani, che il virus erano ancora dentro di lui e che era solo una questione di tempo. Voleva essere utile, ma non sarebbe mai riuscito a entrare in quello stretto condotto.
Rita gli fece un sorriso di intensa. "Tienili d'occhio per me, ok? Specialmente Kevin."
Lui annuì e si guardarono per un attimo. Poi lei lo abbracciò. "Grazie per essere venuto a cercarmi e per avermi salvata" Gli sorrise.
"E tu per avermi salvato da quel Licker" rispose Nick.
Si guardarono negli occhi per un altro po'. Poi Rita si voltò ed entrò nella piccola vasca che cingeva la statua.
"Aspetta!" disse Marvin. "Tieni, è una ricetrasmittente. Non avrà un gran raggio d'azione, ma usalo quando sarai nei paraggi, ok?"
La donna annuì. "Lo farò!" Salutò gli agenti con un'ultima occhiata e strisciò nel condotto di aereazione.
Kevin si diresse spedito verso l'ingresso dell'ala ovest, seguito da Nick. I loro volti non avevano nulla di amichevole.
"Dove state andando?" chiese Marvin.
Quelli non risposero e sparirono dietro la doppia porta bucherellata.
Il tenente si avvicinò a Chung. "Come stanno Ben e Jim?"
"Non lo so. Nessuno è sceso là sotto da quando Johnson ti ha rapito."
"Dovevate farlo. Non possiamo mica lasciarli da soli."
Chung si accigliò, confuso. "Non vorrai liberare Jim, tenente?"
"Forse Shawn l'avrà già liberato."
"Non credo. Non correva buon sangue tra di loro già da prima che lo sbattessi dentro."
"Lo so. Comunque non possiamo lasciarli nelle celle. Quando Rita ritornerà con gli aiuti, nessuno rimarrà indietro."
Chung non rispose subito. Era titubante. "Pensi che tornerà?"
Marvin lo guardò con aria di rimprovero. "Dubiti delle sue capacità?"
"No, niente affatto. È solo che, come dire, può accadere di tutto là fuori."
"Ce la farà!"

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Capitolo 25
*** XXV. Epilogo ***


Quando le porte dell'ascensore si aprirono, Irons ne uscì con una cassetta degli attrezzi e una valigetta. Li posò sul tavolo e si voltò verso Katherine, ancora rannicchiata in un angolo. Le sorrise. "Vieni qui. Cominciamo l'opera che ti donerà l'immortalità!"
Lei si nascose la testa fra le ginocchia. Johnson, che si trovava nuovamente davanti al camino con le mani protese in avanti, lanciò un'occhiata a Irons.
Quello si avvicinò alla donna e le allungò una mano. "Poi non dire che non sono un gentiluomo."
Katherine non lo guardò nemmeno, non ci riusciva. Sapeva cosa l'aspettava, ma non aveva più lacrime da versare. Era stanca e affamata. Solo la morte poteva cancellare questo malessere.
"Prendi la mia mano, o ti trascino per i capelli!" urlò Irons col viso paonazzo. Lei gliela prese tremante e lui la tirò verso di sé, facendola cadere in avanti. "Dai, alzati!"
Johnson si sedette su una sedia e posò i piedi sull'altra. "Che vuoi fare? Appenderla nel tuo studio come un trofeo?"
Irons gli lanciò un'occhiataccia, poi fece sedere Katherine sul lungo tavolo. "Stenditi."
Lei si distese, il viso apatico, gli occhi arrossati per il pianto. Era un corpo senza più un'anima. Aveva raggiunto il fondo.
"Dove l'appenderai?" chiese Johnson."
Chiudi quella cazzo di bocca!"
"Sono curioso. Non credo che a qualcuno piacerà la vista di una donna impagliata in un ufficio, non credi?"
Irons non rispose.
"Dove la terrai? Qui sotto? A casa tua?"
L'altro si voltò, afferrò la pistola da sopra un tavolino e gliela puntò contro. "Ora conto fino a cinque. Se non ti levi dal cazzo prima del mio cinque, ti sparò alle gambe e ti do in pasto agli zombie."
"Dai, non fare..."
"Uno!"
"Non dici sul serio."
"Due!"
Johnson lo fissò, pensieroso.
"Tre!"
Si alzò dalla sedia.
"Quattro!"
Johnson entrò nell'ascensore.
Irons poggiò l'arma sul tavolino. "Saggia decisione, capitano."




 

Kevin e Nick proseguivano nel corridoio.
Il primo si voltò verso l'altro. "Che fai? Ti metti a seguirmi come Elliot? Quell'idiota è stato proprio di grande aiuto. Non ha fatto altro che vomitare. Quindi non starmi tra i piedi."
"Rita mi ha detto di tenerti d'occhio."
"Sei proprio un bravo cagnolino."
Svoltarono l'angolo e proseguirono.
"Stai andando nell'ufficio di Irons, giusto?" chiese la recluta.
Kevin si voltò. "Secondo te?"
"Pensi che Johnson sia lì?"
"Dove altro potrebbe essere? Nel suo ufficio?" Fece una pausa. "Lo sapevi che nell'ufficio di Irons c'è un passaggio segreto? Nessuno sa se esiste davvero, ma non rimarrei sorpreso se fosse vero."
"Sembri piuttosto preparato" disse Nick. "Come sai del passaggio segreto?"
"È una cosa che sanno tutti. Marvin non te ne ha parlato?"
La recluta scosse la testa.
"Questo edificio era un museo, tempo fa" disse Kevin. "Poi Irons è riuscito a comprarlo e ci ha piazzato la centrale di polizia. Questo posto è pieno di passaggi segreti e stanze segrete. Si dice che in profondità ci siano altre stanze e che una di queste collega la centrale con lo stabilimento dell'Umbrella."
"Ora stai esagerando" aggiunse Nick, poco convinto. "Lo stabilimento dell'Umbrella si trova ai confini della città. Sai quanto dovrebbe essere lungo un tunnel del genere? Almeno quattro chilometri."
"Secondo me, esiste" rispose Kevin, deciso. "Come esistono i sottopassaggi e le stanze segrete. Sono più che sicuro che troveremo una cosa simile nell'ufficio di Irons."
"Oppure non troveremo niente."
"Vedremo."
Nick pensò che forse la bambina che aveva trovato nell'ala est, si era nascosta in uno di questi passaggi e sperava che stesse bene.




 

Shawn aprì la porta di ferro e diede un'occhiata nel canale. Si accigliò. Era passata quasi un'ora e il ragazzo non era ancora tornato. Che fine aveva fatto?
"Shawn" disse un uomo corpulento alle sue spalle. "Se non torna, cosa facciamo? Non possiamo mica starcene qui. Forse è meglio tornare indietro."
L'altro serrò gli occhi. "Dopo tutto quello che abbiamo fatto? Non ci penseranno due volte a spararci contro!"
"Sei stato tu ad accoltellare quella donna. Noi non abbiamo fatto niente."
Tutti i sopravvissuti guardarono Shawn, che si limitò a fissarli in malo modo. "Credete che vi accoglieranno a braccia aperte? Che andrete tutti d'amore e d'accordo? Dove cazzo vivete? Su Marte?"
L'uomo corpulento si guardò intorno in cerca di consensi. "Se il ragazzo non torna, non abbiamo altra scelta. Dovremmo tornare indietro."
Shawn fece scattare la lama del coltello a serramanico contro la sua gola. "Forse tu non hai capito che dovrai percorrere quel fottuto canale!" Guardò gli altri. "E questa vale per tutti voi! Nessuno tornerà indietro! Nessuno!" Spinse l'uomo corpulento contro gli altri e sbirciò dalla porta.
Il canale era silenzioso. Non si udiva nemmeno il gocciolio costante che giungeva da lontano. Forse era accaduto davvero qualcosa al ragazzo? Oppure aveva trovato una via di fuga e se l'era filata a gambe levate? "Dev'essere così..." si disse. "Avrà trovato una via di fuga e sarà fuggito. Quel fottuto pezzo di merda!" Tornò dagli altri. "Aspetteremo per altri dieci minuti, poi proseguiremo lungo il canale."
"Forse è meglio trovare un'altra via di fuga" disse l'uomo corpulento.
Shawn sbuffò nervoso e gli tirò un pugno in faccia, facendolo cadere sugli altri. "Mi hai rotto il cazzo! La prossima volta ti apro lo stomaco da parte a parte!"
L'uomo corpulento si rialzò aiutato dagli altri, la mano sul labbro superiore spaccato.




 

 

Quando Marvin, Chung e Elliot scesero nel blocco delle celle, Ben e Jim erano sdraiati sul lettino. Quest'ultimo scattò in piedi e si diresse verso la porta della cella. "Ehi, fammi uscire. Non farò niente, lo giuro. Ho riflettuto. Riconosco i miei sbagli."
I tre lo superarono e si fermarono davanti alla cella di Ben. Chung lanciò uno sguardo compiaciuto verso Jim, che corrugò le sopracciglia, irritato.
Il tenente girò la chiave nella toppa. "Bertolucci, questa è la tua ultima possibilità di uscire. Se chiuderai di nuovo la porta della cella, rimarrai bloccato qui dentro."
Ben restò seduto sulla branda, gli occhi coperti da un braccio. Non rispose.
Marvin attese per un momento, poi si girò, si fermò davanti alla cella di Jim e l'aprì.
Quello lo guardò, sorpreso. Non si aspettava di uscire, credeva che sarebbe marcito lì dentro.
"Esci!" disse Marvin, serio.
Jim uscì timidamente dalla cella. Chung lo guardò di sottecchi e l'altro fece lo stesso.
"Ho notato come vi guardate" aggiunse Marvin in tono autorevole. "Se rivedo di nuovo quegli sguardi, vi sbatto tutti e due dentro. La mia pazienza ha un limite!"
Entrambi abbassarono lo sguardo.
Il tenente lanciò un'ultima occhiata a Ben, sdraiato sulla branda, e si diresse fuori dal blocco delle celle, seguito dagli altri.




 

Nick e Kevin si fermarono davanti alla doppia porta bloccata da un'ascia antincendio infilata tra le maniglie.
"Chi è il genio che ha bloccato la porta?" chiese Nick.
"Io" rispose Kevin, infastidito. "Ho dovuto farlo. Ci sono diversi Lickers nella stanza in cui sono morti Kate e Pete. Non volevo che uscissero in corridoio e arrivassero nella hall."
"Possono arrivarci ugualmente" disse Nick. "Ci sono lucernari e finestre nell'atrio. Possono entrare da un momento all'altro."
Kevin si sentì un po' uno stupido. Ma se non erano entrati fino a quel momento, forse non lo avrebbero mai fatto.
"A cosa pensi?" domandò Nick.
"A niente. Aiutami a spostare le panche."
Una volta fatto, i due aprirono la doppia porta e proseguirono lungo il corridoio. Kevin aveva l'ascia antincendio in una mano e una pistola nell'altra. "Non fare rumore, ci stiamo avvicinando ai Lickers."
Raggiunsero l'angolo del muro e sbirciarono nel corridoio di destra.
"Sembra tutto tranquillo" disse Nick.
"Appunto... Stiamo attenti."
S'incamminarono cauti nel corridoio e si fermarono poco prima di arrivare alla porta bucherellata. Le pareti erano forate dalle pallottole, il pavimento cosparso di intonaco e la porta sventrata. Sembrava di essere sul campo di battaglia. Nick lanciò uno sguardo a Kevin, che gli disse di restare in silenzio con un cenno della mano.
Dietro la porta si udiva uno zampettare frenetico. I due proseguirono oltre e si fermarono davanti alla porta della scala di emergenza interna.
In lontananza, si muovevano le facce putride degli zombie dietro la finestrella posta nella porta di ferro, dove tempo addietro Irons avevano tentato di uccidere Marvin.
"Andiamo!" bisbigliò Kevin.
Salirono le scale e aprirono la porta che dava sul corridoio dell'ufficio di Irons. Un fascio di luce filtrava da sotto la fessura della porta. I due si scambiarono uno sguardo.
"Dev'essere lì dentro" disse Kevin, compiaciuto.
"Può esserci anche Irons."
"Quindi? Anche quello stronzo è in combutta con lui. Due piccioni con una fava, no?"
"Non sottovalutarli."
"Non lo faccio."
Nick lo fissò poco convinto. "A me sembra proprio di sì."
"Non rompere il cazzo! Siamo qui per ammazzare quello stronzo! Non dirmi che ti stai tirando indietro?"
"Non girare la frittata."
"Che?"
"Non manipolarmi. Anch'io voglio far fuori quel figlio di puttana. Ha ucciso Kate! Pensi che mi tirerei indietro solo ora? Quello che non voglio è finire morto ammazzato senza nemmeno accorgermene."
Kevin non parlò subito. "Quale sarebbe la tua idea?"
"Cautela. Non sappiamo se ci stanno aspettando, quindi agiamo con cautela."
"Non avrei agito diversamente."
"Certo, come no. Ti saresti fiondato lì dentro sparando all'impazzata. Ti conosco, Kev. La pazienza non è il tuo forte."
Kevin abbozzò un sorriso con fare colpito. "A quanto pare tra poco prenderai il posto di Marvin in quanto a precauzione. Il tenente ha fatto un ottimo lavoro con te."




 

 

Marvin si chinò accanto a Liah, che aveva l'addome fasciato dalle garze. Tania le era seduta accanto. "Come stai?" chiese il tenente.
"Come una che si è presa una coltellata nel fianco" rispose lei con un debole sorriso.
Il tenente ricambiò il sorriso. Poi guardò Tania. "E tu?"
La bambina arrossì e spostò lo sguardo da lui alla madre, rigirandosi tra le dita il ciondolo a forma di cane datole da Rita.
"Non essere maleducata, Tania" disse Liah. "Marvin ti ha fatto una domanda, rispondi."
La bambina lo guardò, timida. "Sto bene, grazie."
Lui sorrise, si alzò e salutò madre e figlia con un cenno della testa. Si allontanò dalla reception e tornò dai nove sopravvissuti che erano ai piedi della statua.
L'anziano che aveva incontrato nell'ala est gli si avvicinò. "Come sta la signora?"
"Bene, presto si riprenderà."
"Ne sono felice." Si guardò attorno, pensieroso. "Lo svitato tornerà?"
Il tenente lo guardò. "Non credo. Sa cosa lo aspetta se si fa vivo. Forse potrebbero tornare gli altri, ma anche questa possibilità è minima."
Restarono in silenzio per un momento.
L'anziano gli allungò una mano. "Comunque mi chiamo Francisco Hanna, piacere! E grazie ancora per averci salvato."
Gliela strinse. "Marvin Branagh."
"Hai idea di dove può essere Katherine?"
"La figlia del sindaco?"
"Sì, lei."
"Non lo so. Da quanto mi hai detto due ora fa, deve essere stato Irons ha rapirla."
"Forse l'ha portata nel suo ufficio?" chiese Francisco.
Il tenente aggrottò la fronte, pensieroso. "Se è così, Nick e Kevin la troveranno. Credo si siano diretti proprio nel suo ufficio." Lo guardò, dubbioso. "Conosci Irons? Come sai che ha un ufficio?"
"È su tutti i giornali da almeno un anno. Ogni giorno c'è un nuovo articolo su di lui. Corruzione, abuso di potere, violenze e via dicendo. Credo che tutti a Raccoon City conoscono il capo della polizia Brian Irons meglio della propria madre."
Marvin abbozzò un sorriso. "Sì, hai ragione. Scusami se ti sono sembrato sospetto."
Francisco sorrise. "Non preoccuparti. È il tuo lavoro, dopotutto."




 

Shawn aprì la porta di ferro che dava nel canale fognario e si voltò verso i dieci sopravvissuti. "Muoviamoci! Quello stronzo avrà sicuramente trovato l'uscita."
I sopravvissuti fissarono l'uomo corpulento, in attesa che facesse qualcosa. Ma lui, a testa bassa, si limitò a raggiungere l'uomo coi capelli rossi. Aveva imparato la lezione. Non poteva mettersi contro Shawn, lo avrebbe fatto a pezzi. Tutti gli altri, pur terrorizzati all'idea di proseguire nelle fogne, non avevano mosso un dito per aiutarlo e mai lo avrebbero fatto. Lo sapeva bene, quindi tanto valeva non fare niente.
Shawn lo spinse oltre la porta e si voltò a guardare gli altri, che seguitarono a varcare la soglia. Poi chiuse la porta di ferro e disse a Francisco di muoversi con un cenno della pistola.
Quello si avviò piano, trascinando i piedi sulla pedana. Gli altri seguivano alle spalle. Shawn si manteneva un poco distante, il coltello a serramanico sollevato all'altezza del petto. Non era più sicuro che il canale fosse libero. Non udiva nessun suono, eccetto per il mormorio costante dei sopravvissuti.
L'uomo corpulento si voltò verso Shawn, che gli intimò con gli occhi di muoversi.
Quando si fermarono davanti alla parete scura, che inghiottiva il resto del canale, tutti si voltarono a guardare l'uomo coi capelli rossi. Quello fissò l'uomo corpulento. "Muoviti!" disse.
L'altro spostò lo sguardo dal canale inghiottito dalle tenebre a Shawn. Non voleva andarci. Arrivava un cattivo odore da quella direzione e qualcosa gli diceva di non farlo.
L'uomo coi capelli rossi gli puntò la punta della lama alla gola. "O ti muovi, o ti sgozzo. A te la scelta!"
L'uomo corpulento impallidì e cominciò a tremare, mani e piedi ghiacciati. "Non..." balbettò. "Io... non posso... Non..."
Shawn serrò gli occhi e gli premette un poco la lama nella pelle, un rivolo di sangue gli scivolò lungo il collo. "Sei sicuro di voler morire con la faccia nella melma?"
L'altro non rispose, non riusciva a pensare a niente. La sua mente si era svuotata di ogni cosa. Persino la minaccia di Shawn si era dissolta nel nulla. Sentiva solo il panico serpeggiare nello stomaco, contorcersi in tremende fitte.
"Ultimo avvertimento" disse l'uomo coi capelli rossi. "Sicuro di voler morire qui?"
L'uomo corpulento lo guardò negli occhi. Il panico stava prendendo il sopravvento, lo sentiva strisciare lungo la schiena, gli mancava il respiro.
Poi qualcosa di caldo gli colò sul collo e il sangue zampillò vivido dalla gola. Sbarrò gli occhi, portandosi le mani sullo squarcio.
I sopravvissuti indietreggiarono un poco, terrorizzati.
L'uomo corpulento crollò sulle ginocchia, lo sguardo piantato su Shawn. Quello gli andò alle spalle con un sorriso compiaciuto e lo spinse con la pianta del piede. L'altro cadde di faccia nella melma, il sangue che si amalgamava con i rifiuti organici.




 

"Ok, tieniti pronto" disse Kevin.
Nick annuì.
Kevin spalancò la porta con un colpo secco e si fiondò all'interno, la pistola puntata in varie direzioni. L'ufficio di Irons era vuoto.
Nick sollevò le mani con disappunto. "Ma che cazzo, Kev! Dovevi entrare con calma."
Quello lo ignorò e si guardò in giro con una smorfia irata sul viso. "Cazzo, vaffanculo! Ero così sicuro che... Doveva essere qui."
La recluta osservò le teste impagliate di alcuni animali lungo le pareti. Era stato qui solo una volta, quando era stato assunto. E fin da subito aveva trovato inquietante quei musi imbalsamati.
Irons era orgoglioso di quei trofei e si vantava di aver ucciso centinaia di animali. "Mi diverto a vedere la vita spegnersi nei loro occhi" gli disse al primo incontro. "C'è qualcosa di magico, capisci? Qualcosa che non puoi descrivere. Non esiste una definizione, una parola adatta. È una cosa che va vissuta. E poi sai quanti ne ho uccisi per divertimento e lasciati lì nel bosco? Tantissimi."
Quelle parole gli fecero venire il voltastomaco. Come poteva essere così crudele? Una settimana dopo, la segretaria di Irons sparì in circostanze misteriose. Quasi tutti i sospetti ricaddero su di lui. L'agente Ed lo aveva visto litigare con lei nella tromba delle scale di emergenza. Non era rimasto a sentire la discussione, ma era bastato questo a insospettire tutti.
"Forse è nel suo ufficio" disse Kevin.
"Non credo che sia così stupido da andare nell'ala est" rispose Nick.
"Allora dove cazzo si trova?"
"Se lo sapessi te lo direi, no?"
Kevin si passò una mano sul volto, impaziente. "Devo trovarlo a tutti costi!" Si avviò verso la porta.
"Dove stai andando?"
"A cercarlo!"
"Non è meglio aspettarlo qui?"
Kevin si fermò sotto la soglia e lo guardò per un momento. "Forse hai ragione. Questo è l'unico ufficio a non avere finestre. E poi quello stronzo di Johnson ci è molto affezionato." Chiuse la porta, sistemò una sedia di fronte all'ingresso e si sedette.
Nick fece altrettanto. "Poco fa hai detto che ci sono passaggi segreti tra le mura della centrale. Johnson li conosce, giusto?"
"Non lo so, può darsi. Lui e Irons conoscevano questo edificio come le loro tasche. Comunque dove vuoi arrivare? Pensi che usino i passaggi?"
Nick annuì. "Pensaci, sono stati per tutto il tempo da soli e sono sopravvissuti senza grosse difficoltà. Johnson era solito chiudersi nel suo ufficio. Quello che voglio dire è semplice. Quando zombie e Lickers hanno invaso l'ala est, Johnson non poteva fuggire. L'unico modo per mettersi al sicuro era usare i passaggi segreti."
Kevin ci rifletté un poco. "Può essere, ma anche tu e Rita ne siete usciti vivi. Senza contare Marvin e gli altri sopravvissuti."
"Io e Rita siamo quasi morti e siamo stati fortunati a essere ancora vivi. Guardarmi, sono stato morso da un Licker. Se non fosse stato per Rita, sarei morto. Inoltre, non sono nemmeno sicuro di non essere più infetto."
Restarono in silenzio per un po'.
Kevin rilassò la schiena contro lo schienale. "Se Johnson ha usato i passaggi segreti, allora può entrare in questo ufficio senza farsi vedere." Si voltò di scatto in preda alla paranoia, ma non vide nessuno. Poteva essere dietro a un muro, magari li ascoltava e aspettava il momento giusto per colpire.
"Ora non fare il paranoico" rispose Nick. "Se Johnson ci stesse..."
Kevin gli disse di fare silenzio con un gesto della mano. Andò dietro la scrivania di Irons e posò un orecchio sul muro.
Nick lo fissava, perplesso. Se lui aveva ragione, Johnson aveva ascoltato la loro discussione. Allora perché non ne aveva approfittato per uscire alle loro spalle e ucciderli? Forse il passaggio segreto si trovava sulle pareti laterali? Le guardò per un momento, poi scacciò via quel pensiero. Era impossibile che si trovasse lì, sempre ammesso che esistessero davvero i passaggi segreti.
Kevin picchiò le nocche contro la parete con fare attento. Continuò così, finché si fermò sul muro laterale. Sgranò gli occhi, sorpreso.
Nick aggrottò le sopracciglia. "Hai trovato qualcosa?"
L'altro gli indicò di venire con un cenno della mano.
Lui lo raggiunse e ci appoggiò un orecchio.
Kevin picchiò le nocche contro il muro. "Lo senti?" chiese in un bisbiglio quasi impercettibile.
Nick annuì. "Sembra una parete finta, come di cartongesso."
"Non è finta. C'è un vuoto dall'altra parte."
Allontanarono le orecchie dal muro. Kevin tastò ogni centimetro della parete con molta attenzione, tolse i quadri e controllò persino i battiscopa.
"Cosa stai cercando?" domandò Nick.
Kevin non rispose subito, assorbito com'era nella ricerca. "Se dietro questo muro c'è un passaggio segreto, allora dovrà esserci un bottone o qualcosa del genere per aprirlo."
La recluta incrociò le braccia in silenzio.




 

Liah si alzò dal divano, che Marvin e Elliot avevano sistemato alla reception, e raggiunse gli altri insieme a Tania.
Marvin le sorrise. "Vedo che stai meglio."
Lei ricambiò il sorriso. "Grazie a te."
Il tenente le presentò gli altri, che furono felici di conoscerla. Poi lui si allontanò con Elliot verso l'ingresso. "Hai controllato nell'ufficio della STARS?"
"La console è fuori uso. Avevi ragione tu."
Marvin guardò preoccupato la ricetrasmittente che aveva in mano. "Poco fa ho cercato di mettermi in contatto con Rita, ma non risponde."
"Forse la frequenza è disturbata" disse Elliot.
"Può darsi, ma il disturbo non è così elevato nelle vicinanze. Se si trova nel negozio di dischi, la frequenza dovrebbe essere ancora pulita. Spero solo che non le sia capitato niente. Anche se..." Corrugò la fronte, pensieroso. "Forse il raggio della ricetrasmittente è più corto del previsto."
Elliot gli posò una mano su una spalla. "Non preoccuparti, tenente. Andrà tutto bene."
Chung entrò di corsa dall'ingresso e li raggiunse con il fiatone. "Tenente! Tenente!"
"Che succede?"
"Jim è fuggito!"
Marvin lo guardò senza un'espressione precisa.
"Cosa facciamo?" chiese Elliot.
"Niente" rispose Marvin. "Sapevo che avrebbe tentato la fuga, per questo l'ho liberato. Sicuramente si sarà diretto dagli altri."
Elliot e Chung si scambiarono delle occhiate, confuse.
"Credevate davvero che sarebbe rimasto con noi?" domandò il tenente con un sorriso.
I due si guardarono un'altra volta.
"Se raggiunge gli altri, poi tornerà indietro con loro" aggiunse Elliot, turbato.
"Nessuno di loro tornerà indietro."




 

Shawn fissò i nove sopravvissuti che lo guardavano, terrorizzati. "Mi serve un altro volontario."
Quelli si scambiarono diverse occhiate.
"Allora? Qualcuno si offre volontario?"
Abbassarono gli occhi.
"Non siate timidi. Scegliete qualcuno."
Ritornarono a guardarsi per un attimo, poi tutti gli sguardi si posarono su una donna di mezz'età.
"Oh, bene, bene, bene" disse Shawn con un sorriso, compiaciuto. "Ecco la nostra donna fortunata. Dai, non piangere." Le accarezzò una guancia. "Tra poco sarà tutto finito." La faccia sorridente mutò improvvisamente in un'espressione glaciale e la spinse verso la parete scura.
Lei guardò gli altri in cerca di aiuto, ma tutti si voltarono dall'altra parte.
Shawn le puntò la lama verso il viso. "Ora cammina, o finirai come questo stronzo!"
La donna si girò e si avviò tremante nelle tenebre. Non vedeva niente. Ogni tanto si girava per vedere gli altri sopravvissuti in lontananza. Ma più camminava, più quelli si rimpicciolivano.
Poi l'oscurità divenne più intensa, totale. Poggiò una mano sul muro e continuò a camminare per alcuni minuti. Mentre proseguiva, percepiva qualcosa sopra la sua testa. Alle volte era un movimento o un alito di vento. Altre volte era un rumore impercettibile, come lo zampettare di un ragno, che la costringeva ad aumentare il passo.
Poi una folata di vento putrefatto le sferzò la nuca. Appena si voltò con gli occhi sbarrati dal terrore, qualcosa di viscido le si serrò attorno alla testa e gliela strappò di netto insieme a una parte della spina dorsale. Il sangue schizzò sulle pareti e sulla melma e il corpo decapitato crollò nella poltiglia organica.
L'orrendo suono echeggiò tra i canali fino a raggiungere i superstiti.
"Avete sentito?" chiese una donna.
I sopravvissuti si voltarono a guardarla, turbati.
"Cosa c'è?" domandò Shawn.
"Ho... ho sentito qualcosa. Un rumore."
"E?"
La donna abbassò gli occhi, intimidita.
"Che cazzo hai sentito? Parla!"
"Un... un suono. Q-qualcosa che si rompe, come u-un osso o qualcosa d-del genere."
I sopravvissuti si guardarono tra loro e si capirono tramite veloci sguardi. Era accaduto qualcosa alla donna che si era avventurata nelle tenebre.
Shawn se ne accorse. "Il silenzio può giocare brutti scherzi, ti sarai confusa."
Le persone bisbigliarono tra loro per un momento, poi fissarono Shawn.
Quello serrò gli occhi, minaccioso. "Che cazzo avete da guardare?"
I sopravvissuti sostennero lo sguardo e gli si avvicinarono con aria di sfida.
L'uomo coi capelli rossi puntò la lama verso la loro direzione. "Ehi, non fate un altro passo, o vi ammazzo tutti!"
Quelli lo ignorarono.
"Non fate un altro passo, cazzo!"
La gente continuava a camminare nella sua direzione, facendolo indietreggiare verso la parte del canale inghiottito dall'oscurità.
Shawn affondò la lama verso l'addome di un uomo, ma quello arretrò appena in tempo da non farsi colpire.
"State indietro, cazzo! Indietro!" urlò l'uomo coi capelli rossi.
Nessuno di loro accennava a fermarsi. Erano decisi più che mai a fargliela pagare, a fargli imboccare il canale inghiottito dall'oscurità.
Quando arrivò quasi a ridosso delle tenebre, qualcosa lo afferrò per la giacca e lo tirò versò di sé a una velocità impressionante. Cacciò un urlo di dolore, che fu smorzato quasi sul nascere. Poi il rumore di ossa tritate riverberò nel canale.
I sopravvissuti indietreggiarono per un momento, poi fuggirono terrorizzati verso la porta di ferro. Alcuni scivolarono sulla pedana o finirono di faccia nella melma. Altri spintonarono chi era davanti, calpestandoli nel processo.
Una dozzina di grossi ragni sbucarono dall'oscurità e zampettarono rapidamente lungo il soffitto e le pareti.
I sopravvissuti si accalcarono davanti alla porta di ferro e la tartassarono di pugni e calci, gridando aiuto. Alcuni cercavano di aprirla, ma non sapevano che poteva essere aperta solo dall'interno o con una chiave.
I ragni raggiunsero i sopravvissuti dell'ultima fila e la melma cominciò a dipingersi di rosso.
La gente si strinse agli altri, come se questo potesse aiutarli a salvarsi. Gli insetti si gettarono sulle persone e piantarono le zampe affilate nelle loro carni. Alcuni li avvolsero in ragnatele e li tirarono a sé, per poi affondare i denti aguzzi nella carne e avvelenarli.
Le grida iniziarono a scemare e nel canale calò il silenzio, interrotto ogni tanto dallo stridio e lo zampettare dei ragni.
Una ventina di minuti dopo, Jim raggiunse il canale fognario e scorse una pozza di sangue coagulato sotto la fessura tra la porta e il pavimento. Quando girò la maniglia, un cadavere dalla testa scarnificata crollò ai suoi piedi.
Quello sobbalzò, spaventato. Molti corpi erano ammassati davanti all'ingresso. Non capiva cosa era successo. Aveva sentito delle strane voci sulle fogne infestate da ragni e altri inquietanti parassiti, ma non ci aveva mai creduto. Per lui erano solo voci diffuse dai poliziotti per tenerli buoni e sotto controllo. Adesso non ne era tanto sicuro. "Forse avevano ragione..." si disse. "C'è davvero qualcosa mostruoso negli anfratti di questi canali abbandonati."
Lanciò un'ultima occhiata al corpo dalla testa scarnificata e si girò per andare via, quando qualcosa avanzò rapidamente alle sue spalle. Si voltò di scatto.
Un Hunter Gamma lo sollevò per i gomiti e lo ingurgitò fino alla vita. Jim si dimenò con tutta la forza che aveva in corpo e urlò a squarciagola, ma nessun suono usciva dal ventre della orrenda creatura. Poi quella spinse il resto del corpo dentro la grande bocca e lo ingoiò tutto intero. Gli acidi gastrici sciolsero carne e ossa in una frazione di secondo e Jim non capì nemmeno com'era morto.




 

Erano passati quaranta minuti da quando Rita aveva lasciato la centrale di polizia. Il condotto di aereazione l'aveva portata nel retro dell'edificio, dove si era calata da un tubo pluviale. Nel cortile che dava nel parcheggio, aveva incontrato pochissimi zombie, così si era precipitata al cancello da cui era uscita. In strada, si era imbattuta in altrettanti pochi non-morti.
E ora, mentre camminava tra i cadaveri e i veicoli che puntellavano l'asfalto, pensava a com'era stata fortunata a non incontrare nessun Lickers.
"È probabile che siano tutti sulla facciata anteriore della centrale" si disse. "Questo spiega anche i pochi zombie nel cortile del parcheggio."
Imboccò uno stretto vicolo costellato da sacchi di immondizia e bidoni e uscì dall'altro lato dell'isolato. Le scene in strada erano sempre le stesse, eccetto per il posto di blocco sfondato in lontananza.
Proseguì lungo il marciapiede e lo superò con passo sostenuto. "Non c'è nemmeno uno zombie" si disse. "Devono essere andati tutti alla centrale. Questo vuol dire che appena farò suonare qualcosa a tutto volume, tutti gli zombie verranno verso di me, compresi i Lickers..."
Svoltò l'angolo e continuò a camminare per un lungo momento. Quando arrivò davanti al negozio di musica, aggrottò la fronte, pensierosa. L'ingresso era bloccato. Un furgone si era schiantato contro la vetrata. Doveva trovare un altro modo per entrare.
Si avvicinò al lato del negozio e s'incamminò nello stretto e corto vicolo. Uno zombie era immobile a pochi passi dalla porta di servizio. Gli si avvicinò alle spalle, lo spinse a terra e gli schiacciò la testa con la pianta del piede. Sangue e cervella colarono sul freddo cemento. Poi si diresse alla porta di servizio e tirò la maniglia verso di sé.
Il corto corridoio era buio. Oltre, s'intravedevano le sagome degli scaffali avvolti nella penombra. Picchiò le nocche contro la porta e attese per un lungo momento. Nessun non-morto sbucò dal negozio. Si chiuse la porta alle spalle, superò il corto corridoio e frugò nel primo scaffale vicino. Afferrò il primo disco che le capitò in mano e raggiunse lo stereo. Pigiò il bottone, ma non si accese. Corrugò la fronte e lanciò un'occhiata alla presa. Era collegata.
"Forse manca l'elettricità... Il contatore dev'essere saltato o spento."
S'incamminò nel corto corridoio e tastò le pareti buie con una mano finché toccò il contatore elettrico. Sollevò la levetta. Tutte le luci del negozio si accesero di colpo, compreso il cartellone a neon là fuori. Raggiunse lo stereo, infilò il disco degli M83 impostato sulla canzone Outro e alzò il volume al massimo. La musica cominciò a suonare lentamente. Non sapeva se quella canzone avrebbe attirato tutti gli zombie nei paraggi. Attese per un momento, poi si avviò all'uscita di servizio.
Il vicolo era vuoto. S'incamminò verso la strada, quando la musica implose in tutta la sua forza. Sorrise e continuò a muoversi. Uscita dal vicolo, una cinquantina di zombie barcollavano verso la sua direzione. Si voltò alla sua destra e sbarrò gli occhi, pietrificata. Più di un centinaio di non-morti zoppicavano dall'altra parte. Era bloccata tra due orde.
Gli zombie erano stati attirati fin dai primi secondi dalla canzone, anche se era suonata molto lenta e quasi inudibile.
Si guardò attorno, turbata. Non sapeva cosa fare. Aveva pensato che avrebbe avuto almeno un minuto per allontanarsi, ma i non-morti avevano l'udito sensibile quasi quanto i Lickers. E proprio quest'ultimi le correvano incontro con ampie falcate lungo le facciate dei palazzi.




 

Kevin posò per caso una mano su un bottone incassato nel muro, accanto a un quadro che ritraeva i boschi di Raccoon City. "Lo sapevo! Guarda!"
Nick gli si avvicinò alle spalle. "Non vedo niente."
"È proprio qua, lo vedi? È quasi invisibile, se non ci metti una mano."
La recluta ci posò due dita e toccò un piccolo bottone quadrato che aveva lo stesso colore del muro. "Sì, hai ragione. C'è qualcosa qui." Kevin fece per pigiarlo, ma Nick lo fermò per un braccio. "Aspetta! Non sappiamo cosa c'è là dietro."
"C'è Johnson, ecco chi c'è! Ora smettila di rompermi i coglioni e guardami le spalle."
Nick arretrò un po'. Kevin premette il bottone.
Si udì uno scossone, poi le pareti fremettero e un punto del muro si sollevò in alto.
Kevin puntò la pistola verso l'ascensore. "Libero!" disse. Abbassò l'arma e diede un'occhiata all'interno. "È incredibile... Sapevo dell'esistenza di qualcosa del genere, ma non credevo fosse vero. Non un'ascensore, almeno. Pensavo a un normale passaggio segreto, magari con delle strette scale o una rampa che scendeva in profondità."
Nick si fermò sotto la soglia dell'ascensore. "Sono sorpreso quanto te."
La porta dell'ufficio si aprì con un cigolio. Si voltarono.
Johnson era fermo sotto l'uscio con fare incredulo. Si fissarono per un momento, poi si spararono addosso.
Un proiettile si conficcò nella costola di Johnson, che sbatté la porta alle sue spalle e si precipitò lungo il corridoio.
Kevin diede una forte pacca sulla spalla di Nick. "Cazzo! Lo hai centrato al primo colpo! Ora andiamo a farlo fuori!"
Si fiondarono fuori dall'ufficio e si guardarono intorno. Il capitano era sparito.
"Ci sono delle tracce di sangue" disse Nick.
"Seguiamole!" rispose Kevin.
Corsero lungo il corridoio, le pistole puntate in avanti. Svoltarono l'angolo e continuarono spediti per un po'.
Kevin osservò le tracce di sangue farsi più copiose sul pavimento. "Quello stronzo sta perdendo molto sangue. Spero non tiri le cuoia troppo presto!"
Girarono un altro angolo e si arrestarono di colpo.
Johnson era in piedi, il viso scolorito, la pistola puntata verso di loro e una mano sulla ferita da cui rivolava sangue. Alle sue spalle, gli zombie tartassavano la porta di ferro che dava sulla scala antincendio. I loro gemiti erano intesi, eccitati. Avevano sentito l'odore del sangue e fremevano per affondare i denti nella calda carne di qualche malcapitato.
Il capitano abbassò un poco l'arma, che non riusciva a tenere alzata e premere il grilletto. Poi una gamba cedette e crollò su un ginocchio. Provò nuovamente ad alzare la pistola, ma quella diventava sempre più pesante e gli cadde di mano.
Kevin e Nick lo raggiunsero con tutta calma.
"Fottuti figli di puttana..." biascicò Johnson a fatica, il sangue che colava dalla ferita.
Kevin mostrò un sorriso trionfante. "Si raccoglie ciò che si è seminato, capitano."
"Che cazzo vuol dire? Che cazzo c'entra?"
Kevin si piegò sui talloni e lo fissò negli occhi. "Sono tentato di svuotarti tutto il caricatore addosso o strangolarti con le mie mani! È una scelta difficile, non trovi?"
Johnson fece un mezzo sorriso. "Sei solo una testa di cazzo! Un fallito! Un incapace che non riesce nemmeno a entrare nella STARS! Persino un idiota ci sarebbe riuscito! Anzi, la STARS è piena di idioti!"
Kevin gli mollò un pugno in faccia. Quando fece per rifarlo, Nick lo bloccò da dietro le braccia e lo allontanò. "No, non farlo, non ascoltarlo. Vuole che tu lo uccida. Non deve decidere lui come morire."
Kevin si liberò dalla presa. "Non mi frega un cazzo! Deve morire! Come cazzo fai a essere così tranquillo? Ha ucciso Kate! E Pete! Come cazzo fai a non essere incazzato?"
Nick serrò gli occhi. "Lo sono! Ma quello che tu vuoi dargli non è una buona morte!"
Kevin aggrottò la fronte, perplesso. "Che vuoi dire?"
Johnson si trascinò verso il muro, lasciandosi dietro di sé una scia di sangue. Poi appoggiò le spalle contro la parete.
La recluta si avvicinò alla porta di ferro. Uno zombie calò una mano nella finestrella posta nel mezzo e cercò di afferrarlo, i denti che battevano, ingordi.
Kevin sorrise. "Ho capito cosa vuoi fare. Non ci avevo pensato. Non so se ritenerti un genio o un sadico."
Johnson spalancò gli occhi terrorizzato e sollevò debolmente una mano. "Non farlo... Non..."
"Zitto, coglione!" urlò Kevin. "Te lo meriti dopo tutto quello che hai fatto!"
Nick girò la maniglia e si allontanò alla svelta dall'ingresso. I non-morti spalancarono la porta e barcollarono all'interno.
Il capitano provò ad alzarsi, ma le sue gambe erano pesanti come due macigni. Allora cercò di trascinarsi sui gomiti. "Aiutatemi! Aiuto!"
Kevin incrociò le braccia, soddisfatto. Nick si limitò a fissare il capitano con gli occhi umidi dalle lacrime. Pensava a Kate. Lei non gli aveva mai fatto niente. Quando le voci di corruzione avevano cominciato a girare per il dipartimento, Kate era stata l'unica a non schierarsi con nessuno. Vedeva sempre il buono nella gente. Credeva che tutti meritassero una seconda possibilità, che ogni persona era capace di fare del bene.
Johnson si trascinò verso di loro, gli zombie che zoppicavano e gemevano eccitati a pochi passi dalle sue spalle.
Kevin gli puntò la pistola, ma Nick posò un mano sulla canna della pistola e scosse la testa. "Non serve, non riuscirà a fuggire."
Il primo non-morto si gettò sulle gambe di Johnson e gli affondò i denti nel polpaccio, staccandogli lembi di pelle, muscoli e tessuto. Lui lanciò un urlo di dolore e gli tirò un calcio in faccia con la pianta del piede.
Altri tre zombie gli si buttarono addosso e lo morsero al braccio e al fianco. Il terzo gli tranciò due dita con i denti marci e anneriti. Cacciò un altro urlo, prima di scomparire sotto un ammasso crescente di non-morti.
"Com'è che non mi sento meglio?" chiese Kevin, pensieroso. "Pensavo che dopo mi sarei sentito bene, invece niente. Non sente niente."
"La vendetta non mette fine al dolore" rispose Nick.
"Però quel figlio di puttana se lo meritava!"
"Meritava anche di peggio."




 

Marvin scese le scale e seguì il corto corridoio che lo condusse al canile. Girò il pomello della porta. Era chiusa. Bussò. "Tony! Sono Marvin. Perché hai chiuso a chiave la porta?"
Dall'altra parte c'era solo silenzio.
"Tony!"
Tutto taceva.
Bussò più forte e provò a girare il pomello con più forza. "Tony! Rispondi!"
Stava per parlare di nuovo, quando si bloccò. Un leggero ringhio arrivava da dietro la porta. Si accigliò, confuso. Era il ringhio di un cane, ma c'era qualcosa di strano in quel tono, qualcosa di familiare e mostruoso.
Il cane cominciò a raspare sotto la porta con le unghia. Poi se ne aggiunse un secondo, un terzo e un quarto. I ringhi aumentarono di volume.
Le punte delle unghie insanguinate comparivano e scomparivano rapidamente sotto la fessura tra la porta e il pavimento.
Marvin sgranò gli occhi. "Ho capito cos'è questo rumore... Sono... cani zombie!" Indietreggiò di qualche passo, senza distogliere lo sguardo da quelle unghia che apparivano e svanivano in continuazione. "Tony dev'essere..." Si voltò e salì le scale. "Si è chiuso dentro perché sapeva che i cani erano infetti. Ecco perché ultimamente accampava scuse per non usarli in servizio..." Aprì una porta e continuò a camminare. "Dovevo capirlo, ma con tutto quello che è successo, non l'ho notato. Questo dimostra perché non si faceva vedere spesso nella hall. Voleva stare con i suoi cani. Eppure lui non era infetto, non era stato morso, quindi perché chiudersi con loro nel canile?" Svoltò l'angolo e attraversò un lungo corridoio. "No, forse non è come penso. Non credo che abbia scelto di morire con loro... Non può essere, ma... amava quei cani. Li trattava come dei figli. Forse..."Girò la maniglia della porta ed entrò nell'atrio. "Forse è proprio come penso. Ultimamente mi era sembrato più triste del solito..."
Chung lo raggiunse. "Come sta, Tony?"
"Credo sia morto."
L'agente abbassò lo sguardo. "Lo hai visto?"
"No, ma ho sentito i cani raspare dietro la porta. E quelle cose non erano vive."
"Cani zombie?"
"Già."
"Guardate!" urlò Elliot. "Gli zombie si stanno allontanando!"
Tutti si precipitarono verso le due grandi vetrate e osservarono i non-morti uscire dal cancello. I nove sopravvissuti si abbracciarono per la felicità e gli agenti si scambiarono diversi sorrisi.
"Rita ha raggiunto il negozio di musica" disse Marvin con un ampio sorriso, che mutò presto in un'espressione di tristezza.
Elliot gli posò una mano su una spalla. "Sono sicuro che tornerà da noi con i rinforzi."
Il tenente restò in silenzio.




 

Rita si precipitò verso l'entrata di un condominio di sei piani e si chiuse la porta alle spalle. Era in trappola. Non sapeva come avrebbe fatto a uscire da quella situazione. Gli zombie li poteva gestire, ma i Lickers erano tutt'altra cosa. Sperava di non aver attirato anche i cani zombie, o sarebbe rimasta in quell'edificio per sempre.
Si guardò intorno. Sui primi gradini delle scale, tre cadaveri crivellati di proiettili. Il sangue sembrava ancora fresco. La donna si chinò a esaminarli. "Si sono trasformati... Pensavo fossero morti da vivi." Guardò in alto per un momento, in mezzo alla tromba delle scale. Poi cominciò a salire.
Le due porte del primo, secondo e terzo piano erano chiuse a chiave. Quando si fermò al quarto, uno zombie era di spalle contro un muro con metà testa spappolata. Altri sei non-morti giacevano sul pavimento davanti a una porta socchiusa.
S'incamminò verso la porta dirimpetto e girò la maniglia. Era chiusa a chiave. Si voltò e osservò le pareti forate e macchiate di sangue. Poi spostò lo sguardo sulla porta socchiusa. "Da come sono posizionati i corpi, credo ci sia qualcuno all'interno."
Si avvicinò all'ingresso, si appoggiò contro il telaio e sbirciò nella fessura. Il corto corridoio era vuoto. Spinse piano la porta che cigolò un poco ed entrò.
Due zombie erano riversi al suolo. Li superò e si fermò nel soggiorno. Una rozza barricata formata da tre sedie, due scaffali, quattro comodini e due divani impedivano l'accesso alla stanza adiacente.
Appena si mosse in quella direzione, sentì un click alle sue spalle.
"Fai un altro passo, e ti faccio saltare la testa!" disse una voce da donna.
Rita alzò le mani in aria. "Ehi, calma. Non ho brutte intenzioni."
"Dicono tutti così, finché ti rubano tutte le provviste e ti sparano in testa."
"Sono una poliziotta. Mi chiamo Rita Phillips e..."
"Non mi frega niente di come ti chiami. I nomi non hanno più importanza. Prima o poi moriremo tutti."
"Aspetta, io..."
"Non voglio ucciderti, ma sei entrata nella mia casa senza permesso. Ho tutto il diritto di piantarti una pallottola nella schiena."
"Cercavo solo un posto sicuro."
"Un'altra classica frase."
Restarono in silenzio per un momento.
Rita provò a guardarsi alle spalle con la coda dell'occhio, ma non scorse niente. "Posso abbassare le mani?"
"Ok, ma niente scherzi."
"Sì, certo..." La poliziotta si girò lentamente e vide una donna alta, sulla quarantina, il viso squadrato, i capelli rasati a malo modo, gli occhi grigi e labbra un poco carnose. Indossava un giubbotto nero, sotto un maglione grigio e pantaloni neri con tasche laterali. Imbracciava un fucile a canne mozze.
La donna la squadrò, diffidente. "Non mi piacciono i poliziotti. Se fossi stata una di quei bastardi della SWAT, ti avrei uccisa seduta stante. Dammi la pistola!"
Rita le consegnò l'arma. Non sapeva cosa dire o fare.
"Ti ho vista uscire dal negozio di dischi. Perché hai messo la musica? Volevi farti ammazzare?"
La poliziotta non rispose subito. "Era un diversivo. Dovevo attirare gli zombie lontano dal dipartimento di polizia."
"Vieni dalla centrale?"
"Sì, lì ci sono altri agenti e sopravvissuti. Tu sei da sola?"
La donna serrò gli occhi, insospettita. "Forse."
"Puoi venire con me."
"Sto bene qui... Perché continui a fissarmi la testa?"
Rita deviò il suo sguardo. "Io... Insomma, sembra che ti siano caduti i capelli o che ti li sia strappati."
"Me li sono rasati."
"Perché?"
"Gli zombie possono afferrare i capelli. Mi è già successo due volte, quindi ho preferito rasare tutto."
"Capisco."
La donna la osservò per un po'. Non nutriva sospetti sulla poliziotta, perciò gli allungò la pistola. "Sparisci da qui!"
Rita si accigliò, confusa. Pensava di aver instaurato un minimo di rapporto amichevole per un eventuale collaborazione.
"Prendila!"
Rita afferrò l'arma, perplessa.
La donna gli puntò il fucile a canne mozze. "Ora vattene da qui!"
"Sicura di non voler venire con me? Sto cercando aiuto per lasciare la città."
La donna abbozzò un mezzo sorriso. "Là fuori sono tutti morti. E chi non è morto, si nasconde e vuole ucciderti." Fece una pausa. "Troverai solo morte."
Rita corrugò la fronte. "Ci sono persone che contano su di me, devo provarci."
La donna la fissò negli occhi per un momento. "Quella è la porta."
Rita le lanciò un'ultima occhiata e si avviò verso l'uscita.
"Mamma!"
Rita si voltò.
Un bambino era davanti alla donna dai capelli rasati. Non aveva più di sette anni. "Non voglio restare qui. Ho paura."
La donna guardò Rita con fare minaccioso. "Vattene!"
"Mamma!"
"Zitto, Mark!"
Il bambino corse dietro la barricata con le lacrime agli occhi.
La donna puntò il fucile a canna mozze contro Rita, che uscì dall'appartamento.




 

Nick e Kevin camminavano lungo il corridoio.
"Ora dobbiamo sigillare il primo piano" disse Nick.
"Prima o poi doveva succedere" rispose Kevin. "Passiamo dall'ufficio di Irons. Voglio sapere dove conduce l'ascensore."
"Meglio di no. Non sappiamo nemmeno se funziona o dove conduce. E poi possiamo rimanere bloccati o cadere di sotto."
"Non c'era polvere. Quindi è probabile che Irons lo usasse spesso."
Svoltarono l'angolo e continuarono a proseguire.
"Può esserci di tutto là sotto" disse Nick. "E se incontrassimo un'altra orda di zombie? Poi ci toccherà risalire e saremo circondati altri non-morti. Meglio lasciar perdere."
Kevin abbozzò un sorriso, divertito. "Hai paura?"
La recluta lo fermò per un braccio e lo guardò negli occhi. "No, ma non ci tengo a morire per una tua curiosità."
Kevin scacciò l'aria con una mano. "Il tuo problema è che pensi troppo."
"E il tuo è che non pensi affatto."
Kevin lo spinse. "Ehi, non insultarmi!"
Nick ricambiò la spinta. "Allora non farlo nemmeno tu!"
"Il mio non era un insulto."
"Nemmeno il mio."
Si guardarono per un momento, poi tornarono a camminare lungo il corridoio.
Quando arrivarono davanti all'ufficio di Irons, Kevin si fermò e Nick continuò a muoversi.
"Non ti fermi?" chiese Kevin.
"Se vuoi farti ammazzare, fai pure. Non sarò io quello che ti fermerà."
Kevin lanciò uno sguardo nell'ufficio con fare indeciso. Era troppo curioso per non dare un'occhiata. Voleva scoprire dove portava l'ascensore. E se lo avesse condotto fuori dalla centrale? Forse potevano fuggire tutti da lì, oppure potevano esserci degli zombie o qualcos'altro. Forse era meglio non rischiare. Sbuffò irritato e raggiunse Nick. "Certo che sei uno stronzo."
"Detto da un altro stronzo è un complimento."
Kevin gli diede una piccola spinta in modo amichevole. "Hai sempre la buttata pronta, eh?"
Quando raggiunsero la doppia porta che Kevin aveva barricato qualche tempo prima, la barricarono nuovamente. Sistemarono dietro le panche e infilarono l'ascia antincendio fra le maniglie. Poi si diressero alla hall.
Varcata la porta, Marvin si avviò verso di loro, seguito dai sopravvissuti e gli agenti. "State bene?"
I due annuirono.
"Johnson?"
"Da qualche parte, tra i morti" sorrise Kevin.
Il tenente aggrottò le sopracciglia, confuso. "Che vuoi dire?"
"È morto" aggiunse Nick. "Lo abbiamo fatto divorare dagli zombie."
Marvin abbozzò un mezzo sorriso. "Ottimo lavoro! Sapevo che ce l'avreste fatta!"
Megan sgranò gli occhi inumiditi e abbracciò i due, scoppiando a piangere. "Grazie..."




 

Rita s'incamminò nel corridoio del condominio e si fermò davanti alle scale. Lanciò un'ultima occhiata verso l'appartamento da cui era uscita e salì i gradini. Il quinto piano era vuoto, le porte chiuse a chiave. Nel sesto trovò una porta abbattuta con sopra una zombie, la testa ridotta fracassata. Si avvicinò cauta all'entrata e sbirciò dentro per un momento. Non si udiva niente.
"Non credo ci sia qualcuno qui..." si disse. "Se fosse così, avrebbe tolto il cadavere e barricato l'entrata, ma potrei sbagliarmi. Anche la donna del piano di sotto aveva la porta socchiusa... Meglio tenere gli occhi aperti."
Varcò la soglia e proseguì lentamente nell'appartamento. Il soggiorno e la cucina erano in perfetto ordine. Quando raggiunse la camera da letto, trovò una valigetta aperta su un letto sfatto a due piazze. All'interno, una pistola magnum e dodici banconote da cento macchiate di sangue. Un corpo giaceva di lato sul pavimento, il retro della testa squarciato da un proiettile.
Rita osservò le banconote. "Devono essere più sedicimila dollari." Poi spostò lo sguardo sul cadavere ai suoi piedi. "Forse era una trafficante di droga o qualcos'altro..."
Quando si chinò, scorse un foglietto in una mano. Lo prese e lo lesse.
"Sta per scatenarsi qualcosa di grosso in città. Prendi i soldi e vai a Stone Ville. Mi troverai al Motel Luxe, camera 13. Non dimenticarti di..."
Il resto delle parole erano imbrattate di sangue. Guardò il corpo senza vita. "Qualcuno gli ha sparato in faccia. Dev'essere stato qualcuno di cui si fidava. Forse sua moglie o la donna di giù..? Credo sia inutile pensarci adesso."
Afferrò la magnum, uscì dall'appartamento e salì sul tetto. La luna splendeva timida dietro un agglomerato di nuvole e il forte tanfo di putrefazione aleggiava persino a quell'altezza. I gemiti stavano aumentando di intensità, segno che si stavano radunando tutti verso la fonte del suono.
Non sapeva quante canzoni ci fossero nel disco degli M83, ma sperava il più possibile. Si affacciò dal parapetto e guardò giù. Le strade erano ricolme di non-morti e altri ne arrivavano a frotte da ogni angolo. Dovevano essere più di un migliaio. Non aveva mai visto così tanti zombie in una volta sola.
Arretrò e si guardò intorno. L'unico modo per scendere era usare la scala antincendio, ma il vicolo era invaso dagli zombie. Era in trappola.
Quando si voltò, un Licker sbucò da dietro il parapetto e ci si fermò sopra, la testa che scattava rapida in ogni direzione, la lingua che saettava nell'aria. Aveva captato qualcosa, ma non era sicuro del suono.
Rita era stata attenta a non fare rumore, ma non poteva esserne certa al cento per cento. Forse quando aveva aperto la porta del tetto, quella aveva cigolato impercettibilmente. Oppure la creatura era lì per caso.
La poliziotta indietreggiò verso l'uscita del tetto, l'aprì e scese le scale fino al quarto piano. La porta che aveva precedentemente trovato socchiusa, adesso era chiusa.
Bussò piano. "Sono Rita."
Nessuna risposta.
Girò il pomello, ma la porta non si aprì. "Ehi, siamo in pericolo. Dobbiamo lasciare al più presto questo palazzo. Mi senti?"
Bussò nuovamente con più forza.
La porta si aprì un poco e la donna la guardò, minacciosa. "Ti avevo detto di sparire!"
"C'è un Licker sul tetto e credo che ne arriveranno degli altri!"
"Un Licker? Cosa sarebbe?"
"Non c'è tempo per spiegarti cos'è. Conosci un modo per lasciare il palazzo?"
La donna la fissò negli occhi per un momento. Voleva capire se diceva il vero, ma la poliziotta che aveva davanti era visibilmente spaventata. Glielo leggeva negli occhi. Spalancò la porta. "Su entra."




 

Zoey raggiunse Nick vicino a una delle due grandi vetrate dell'ingresso. "Ehi"
La recluta si voltò. "Ehi, tutto bene?"
"Sì..."
Restarono in silenzio per un po', cercando il coraggio di parlare. Entrambi si sentivano impacciati uno accanto all'altro.
"Cosa è successo a tuo fratello?" chiese Nick.
Lei sospirò, rattristita. "Quando te ne sei andato, abbiamo discusso molto. L'ho rimproverato per come ti ha trattato, ma a lui non interessava. Allora sono uscita a cercarti, quando ho sentito uno strano rumore. Hai presente il suono che emettono i coccodrilli? Il suono era molto simile, forse era persino quello, ma molto più forte e amplificato. Veniva nella stessa direzione in cui mio fratello ti aveva mandato."
"Quindi voleva uccidermi?" domandò Nick, serio. "Ho incontrato un'alligatore gigante. Mi ha quasi ucciso."
Zoey sgranò gli occhi, spaventata. "Dici sul serio?"
"Ti sembra che stia scherzando?"
"Mio fratello non voleva ucciderti, ne sono sicura. Alla fine sei arrivato all'uscita, no? Non hai proseguito lungo il canale, giusto? Joey ti aveva detto di non farlo."
"Beh, l'ho fatto. Ero curioso. E poi sospettavo che tuo fratello mi avesse mandato incontro alla morte."
"Allora non lo puoi incolpare di niente" aggiunse Zoey, stizzita. "Sei vivo, quindi ti ha mandato nella giusta direzione."
Rimasero in silenzio per un attimo.
"Poi cosa hai fatto quando hai sentito quel tremulo?" chiese Nick.
"Sono tornata indietro a tutta velocità. Mio fratello era sulla soglia e mi ha detto di seguirlo, ma non ho voluto farlo, perché sapevo dove mi avrebbe portata."
"Dove?"
Zoey lo guardò per un momento. "Nel laboratorio dell'Umbrella."
Nick si accigliò, ma non rispose.
"Mi ha detto che era sicuro, che avremmo lasciato la città usando un treno merci dell'Umbrella, ma non gli ho creduto. Lui voleva solo tornare nel suo laboratorio e continuare le sue ricerche."
"Come lo sai?"
"Per lui il lavoro viene prima di tutto. Voleva solo accertarsi che fossi con lui, che non fossi in pericolo." Fece una pausa. "Una volta l'ho sentito parlare al cellulare. Stava discutendo di un esperimento biologico, qualcosa in grado di rianimare i morti. Non ricordo bene, ma ricordo la sua eccitazione quando gli hanno riferito l'arrivo di nuovi investimenti su un progetto a cui stava lavorando."
"Quindi i miei sospetti erano fondati" disse Nick, pensieroso. "C'era qualcosa di strano in tuo fratello. Le sue risposte erano sempre molto ambigue e evasive."
"Non mi dici nulla di nuovo" rispose Zoey. "È sempre stato così. Comunque abbiamo discusso di nuovo, finché abbiamo sentito di nuovo quel suono. Allora l'ho seguito perché ero terrorizzata e non volevo restare da sola. Siamo arrivati vicino a un'uscita che portava in superficie. Lui mi ha detto di proseguire, ma io non ho voluto. Così abbiamo discusso di nuovo, fino a quando sono comparsi quei grossi ragni dal nulla e ci hanno attaccato. Io sono fuggita in superficie e Joey verso il canale." Abbassò gli occhi, rattristita. "Non lo vedo da quel momento..."
"Mi dispiace..." disse Nick.
"Non è morto. Lo saprei se fosse così. Dev'essersi rintanato nel suo laboratorio."
La recluta non rispose.
"Comunque sono uscita davanti alla stazione di polizia e sono corsa qui dentro."
"Non hai incontrato zombie?" chiese Nick.
"Non davanti al cancello, ma stavano arrivando da entrambi i lati della strada."
"Sei stata fortunata."
"Già."




 

Rita seguì la donna nel soggiorno messo a soqquadro, superarono la barricata e si fermarono nel bagno. Un ponte di assi di legno collegava la finestra del bagno con la finestra del palazzo adiacente.
"Lo hai fatto tu?" chiese Rita.
"No, mio marito. Ha costruito un passaggio lungo questi otto palazzi, in caso questo palazzo venisse invaso."
"La poliziotta era sbalordita. "Ha fatto tutto da solo?"
"Sì, era un carpentiere... Ora è morto."
"Mi spiace."
La donna si limitò a guardarla.
"Conosci il tizio del sesto piano?" chiese Rita. "Quello a cui hanno sparato in testa?"
"Sono stata io."
La poliziotta corrugò la fronte, turbata. Non rispose.
"Ha sparato a mio marito mentre attraversava questo ponte. Lo ha colpito a una gambe ed è caduto giù... Poi il bastardo mi ha trascinata di sopra e ha cercato di violentarmi. Così gli ho sparato in testa con la stessa pistola con cui ha ucciso mio marito." Lanciò uno sguardo alla magnum che Rita aveva in mano. "Vedo che l'hai trovata."
"Mamma" disse il bambino sotto la soglia. "Quando andremo via? Non voglio più stare qui. Succedono sempre cose brutte. Ho paura."
La donna guardò prima il figlio, poi Rita. "Sembra che non abbiamo altra scelta."
La poliziotta annuì, contenta. "Troveremo gli aiuti, ne sono sicura."
"C'è un altro poliziotto che si è rintanato nell'ultimo palazzo dell'isolato. Mio marito si teneva in contatto con lui con una ricetrasmittente. Prima di morire, mi ha detto che Harry stava cercando un furgone cellulare con cui lasciare la città."
"E l'ha trovato?"
"Non lo so. Mio marito aveva con sé la ricetrasmittente quando è caduto giù."
Rita prese la sua. "Sai il canale su cui parlavano?"
"No, ci parlava solo lui."
La poliziotta si sintonizzò su diverse frequenze. "Mi chiamo Rita Phillips, qualcuno è in ascolto?" Ripeté lo stesso messaggio per due minuti, poi agganciò la ricetrasmittente alla cintura. "Dobbiamo andare da Harry e sperare che sia ancora lì."
"E se non lo è?"
"Troveremo un altro modo per fuggire."
La donna si girò verso il figlio. "Vieni, Mark. Andiamo."
Il bambino corse da lei con un sorriso, che svanì subito dopo. "Non voglio camminare là sopra."
"Papà ti ha insegnato come si fa, ricordi?"
"Ma lui è caduto. C'è stato quel forte suono e poi è caduto giù. Io non voglio cadere."
La madre gli accarezzò i capelli castani a caschetto. "Non cadrai. Ci sarò io con te. Andrà tutto bene."
Il bambino scosse la testa.
Rita scavalcò la finestra, camminò sopra le assi di legno ed entrò nella finestra dell'condominio adiacente. Gettò un rapido sguardo nel bagno e si voltò verso la finestra da cui era arrivata.
Madre e figlio parlavano in piedi.
La poliziotta stava per dire qualcosa, quando scorse sei Licker scendere lentamente lungo la parete esterna del palazzo, le lunghe lingue che ondeggiavano nell'aria putrida.
Sventolò rapidamente le braccia sopra la testa per farsi vedere dalla donna, ma lei non se ne accorse. Non poteva fare niente. Se avesse sparato, tutti i Lickers nei paraggi le sarebbero saltati addosso.
La donna si appoggiò alla traversa dalla finestra e la scavalcò. Appena si girò verso il figlio, una lunga lingua le cinse il collo e la tirò in alto con uno scatto.
Il bambino urlò, terrorizzato. Cinque Lickers zampettarono rapidamente dentro la finestra e le grida del bambino cessarono di colpo.
Rita restò a guardare, la magnum puntata tremante verso la finestra. Non poteva fare niente. Era stata colpa sua. Se non avesse attirato l'orda nei paraggi, madre e figlio sarebbero ancora vivi.
Abbassò la pistola, lo sguardo fisso sul pavimento. Poi urtò le spalle contro la parete e si lasciò cadere, una mano tra i corti capelli biondi. Scoppiò a piangere. "Forse ho sbagliato a non fare niente. Potevo salvarli, sparare ai Lickers. Se lo avessi fatto, loro sarebbero ancora vivi..." Ma un'altra voce le diceva che non poteva fare niente, che i Lickers avrebbero fatto a pezzi prima lei, poi loro. Questo pensiero non lo aiutava per niente. Era come se le fosse caduto sulle spalle un grosso macigno, un fardello insopportabile da gestire. Sapeva che non poteva salvare tutti, ma aveva l'impressione che la loro morte poteva essere evitata.
Restò a singhiozzare seduta sul pavimento per mezz'ora, le spalle contro il muro, il viso rigato dalle lacrime. Poi si alzò, si asciugò il viso con la manica della camicia logora e inspirò profondamente. "Devo rimediare. Marvin conta su di me. Devo farcela!"
Uscì dal bagno, s'incamminò nel soggiorno e gettò uno sguardo fuori dalla finestra. Nessun Lickers. La scavalcò e attraversò il ponte di assi. Continuò spedita fino all'penultimo palazzo. Il marito della donna aveva pensato proprio a tutto. Aveva bloccato le scale con divani, sedie e mobili per impedire agli zombie di salire. Poi aveva svuotato gli appartamenti di cibo, acqua e medicinali. "Doveva essere un uomo molto pratico."
Quando si fermò davanti alla finestra, le tre assi di legno che dovevano fungere da ponte non c'erano. Guardò giù nel vicolo. Non erano nemmeno lì. "Forse Harry le ha tolte quando ha sentito lo sparo."
Restò a fissare la finestra dirimpetto per un lungo momento. Forse se lo avesse chiamato, lui avrebbe risposto.
"Harry!" disse con tono non troppo alto. "Harry! Mi senti? Mi chiamo Rita Phillips. Mi serve il tuo aiuto."
Nessuna risposta.
Provò a chiamarlo per altri tre minuti, poi scorse una sagoma dietro la tenda. "Ehi, ti ho visto! Harry! Mi serve il tuo aiuto! C'è della gente al dipartimento di polizia che aspetta il mio aiuto. Harry!"
La sagoma passò nuovamente lungo la finestra, poi tornò indietro. Sembrava girare in tondo. "Forse sta riflettendo..." si disse Rita.
La sagoma continuò a muoversi per un momento, poi sparì dietro un muro.
Rita fissò la finestra a lungo. Non sapeva cosa fare. Forse Harry stava prendendo le assi per farla passare, oppure se ne era andato, sempre ammesso che fosse lui. Non poteva permetterlo. Andò in soggiorno, prese un portacenere, lo svuotò dalle cicche e tornò in bagno. Guardò la finestra per un attimo, poi lo lanciò contro. Una parte del vetro andò in frantumi.
La sagoma spuntò da dietro la tenda.
"Ehi, Harry! Devi ascoltarmi! Mi serve il tuo aiuto! Dico sul serio. C'è della gente e..."
Un uomo sollevò l'anta della finestra e si affacciò. Era robusto, sulla trentina, con occhiali rotondi e un accenno di doppio mento. Indossava l'uniforme della polizia. "Chi sei? Dov'è Terry?"
Rita si accigliò, perplessa. "Terry?"
"Sì, Terry. Dov'è?"
"Non lo so, io..."
"Allora non abbiamo niente da dirci."
"Aspetta! Non chiudere la finestra. Sono un agente di polizia proprio come te e..."
Harry la guardò, seria. "Non sono cieco, la vedo la divisa che indossi. Quindi dovrei aiutarti solo perché siamo colleghi? Io nemmeno ti conosco. Potresti essere una pazza per quanto ne so. Magari alla prima occasione mi sparerai alle spalle."
Rita sbuffò, irritata. "Ti ho detto la verità. C'è davvero della gente nel dipartimento di polizia. Mi serve il tuo aiuto!"
"Sei un disco rotto. Non ti credo. È inutile che me lo ripeti, non cambierò idea." Posò le mani sull'anta per abbassarla.
"Come posso farti cambiare idea?" chiese Rita.
Lui la fissò per un momento. "Dimmi dove si trova Terry?"
"Ma io non conosco nessun Terry."
"Allora addio e buona fortuna."
"Aspetta! Aspetta! Terry aveva una moglie e un figlio?"
Harry annuì.
"Ho conosciuto soltanto la moglie e il figlio. Se Terry era suo marito, allora è morto. Un uomo gli ha sparato a una gamba mentre attraversava il ponte di assi."
Harry la fissò, guardingo. "Non ti credo."
"È vero. Sua moglie mi ha parlato di te. Ha detto che parlavi con suo marito, che ti eri messo a cercare un furgone cellulare per lasciare la città."
Il poliziotto abbassò gli occhi, poi li puntò verso di lei. "Se lui è morto, dove sono Zara e Mark?"
Rita lo fissò e scosse la testa.
Harry abbassò gli occhi, addolorato.
"Li avevo convinti a venire da te. Poi sono comparsi i Lickers e li hanno uccisi."
"Lickers? Gli esseri con la lunga lingua?"
"Sì, loro."
L'uomo lasciò la presa dall'anta della finestra. "Se mi avesse ascoltato, ora saremmo al sicuro fuori città. Invece ha preferito non farlo..."
Rita non capiva a cosa si riferiva e restò in silenzio.
Harry si allontanò dalla finestra e tornò con tre assi di legno che sistemò tra la sua finestra e quella di Rita. Ci premette le mani con forza. "Avanti, vieni da questa parte."




 

Marvin, Chung, Elliot, Nick e Kevin erano usciti in cortile, chiuso il cancello e fatto un giro attorno al dipartimento.
"Ci sono ancora zombie" disse Kevin. "Credevo che si fossero allontanati tutti."
"Mettiamo in sicurezza il perimetro" aggiunse Marvin.
Uccisero i pochi zombie rimasti con armi contundenti e tornarono di fronte all'ingresso.
Marvin afferrò la ricetrasmittente. "Rita, sono Marvin, mi ricevi?"
Una statica.
"Sono Marvin, mi ricevi?"
Un'altra statica.
Sospirò e agganciò la ricetrasmittente alla cintura.
Kevin guardò oltre le sbarre del cancello. "Le strade sono vuote, anche se il fetore è sempre presente."
"Anche i Lickers sono spariti" disse Elliot. "Rita ha fatto proprio un ottimo lavoro."
"E se non dovesse tornare?" chiese Kevin.
Tutti lo guardarono in malo modo, specialmente Marvin. "Tornerà."
Kevin mise le mani in avanti in segno di resa. "Il mio era solo un esempio, però..." Tutti lo fissavano. "Voglio dire, dobbiamo avere un piano B, giusto? Se non dovesse tornare, qualcuno deve andare là fuori. Oppure possiamo andarci tutti."
"Andarci tutti?" rispose Nick. "Sei impazzito? Sai cosa c'è là fuori? Non credo che tu ci sia mai stato."
Kevin si avvicinò a un palmo dalla sua faccia e lo fissò dritto negli occhi con aria di sfida. "E con questo? Pensi che solo tu puoi capirlo? Che solo tu sei capace di affrontare ciò che c'è in strada?"
Si guardarono dritti negli occhi, in attesa che l'altro facesse la prima mossa.
Marvin si frappose tra loro e li divise. "Ok, ora calmatevi. Non risolveremo le cose saltandoci alla gola." Si voltò verso Kevin. "Hai ragione. Ci serve un piano B, ma sono sicuro che Rita tornerà a salvarci."
"Nel frattempo pensiamo a un piano B, no?" aggiunse Kevin.
Entrarono nella centrale.
Marvin chiuse il portone e si diresse con gli altri alla reception. Lanciò uno sguardo a Kevin. "Visto che sei l'unico fissato con il piano B, dicci di cosa si tratta."
Kevin spostò lo sguardo dal tenente, agli altri. Poi nuovamente su di lui.
"Allora?" chiese Marvin.
"Non ho un piano."
Nick, Chung e Elliot si scambiarono dei lievi sorrisi.
Marvin rimase impassibile. "Dovevo immaginarlo. Ma avrai un'idea, giusto?"
"Beh, andare fuori e cercare un modo di uscire dalla città."
Chung abbozzò un sorriso, beffardo. "E ti sembra un buon piano?"
Kevin serrò gli occhi, irritato. Non rispose.
"Qualcun'altro ha altre idee?" domandò il tenente.
Si scambiarono delle veloci occhiate.
"C'è una stazione di pullman non molto lontano da qui" disse Elliot. "Possiamo prenderne uno e provare a lasciare la città."
"Ci sono molti posti di blocco nelle strade" rispose Nick. "Alcuni sono ancora intatti. E poi ci sono gli zombie. Se incontrassimo un'orda, potremmo rimanere bloccati. Senza parlare dei Lickers e dei cani zombie."
"Forse un paio di furgoni sarebbero un giusto compromesso?" chiese Chung. "Sono abbastanza veloci da poter tornare indietro, nel caso incontrassimo i non-morti."
"Può darsi" disse Nick. "Se Rita tornerà con i rinforzi, sicuramente verranno con i furgoni cellulari. Sono molto resistenti. Forse potremmo persino attraversare un'orda a bordo di un mezzo simile."
Tutti guardarono Marvin. "So cosa pensate. Purtroppo i nostri furgoni cellulari sono dispersi in città."
"Potremmo recuperarli" aggiunse Kevin. "Posso farlo io."
"No, è troppo pericoloso" rispose il tenente. "Aspetteremo l'arrivo di Rita."
"Ma non sappiamo se tornerà."
Marvin lo fissò negli occhi. "Tornerà."




 

Rita seguì Harry giù per le scale e si fermarono dietro il portone d'ingresso.
Harry la guardò. "Stammi dietro. L'ultima volta che sono stato qui era pieno di zombie."
"Se è pieno di zombie, perché passarci in mezzo?"
"Non dobbiamo passarci in mezzo. Voglio dire, non nel senso cui ti riferisci."
"Che vuoi dire?"
"Lo vedrai." Harry tirò la maniglia.
Centinaia di zombie barcollavano dietro una doppia rete di metallo puntellata di lastre di ferro. Correva fino a un parcheggio multipiano.
Rita aggrottò la fronte, sorpresa. "L'hai fatto tu?"
"No, è stato Terry. Io l'ho aiutato come potevo."
"Ha fatto tutto questo in poco tempo?"
"Sì, quasi in due giorni."
La donna era colpita.
"Dobbiamo passarci in mezzo" disse Harry. "Ma dobbiamo muoverci velocemente, o gli zombie butteranno giù la recinzione."
Rita annuì. "Il furgone cellulare si trovava nel parcheggio multipiano?"
"Sì, ora andiamo!"
Scesero i quattro gradini e corsero lungo la doppia rete. I non-morti la tartassavano di pugni, i gemiti che ovattavano qualsiasi rumore e la rete metallica che ondeggiava come se dovesse cadere da un momento all'altro.
Quando arrivarono all'ingresso del parcheggio multipiano, Harry disse a Rita di fermarsi con un cenno della mano. Poi aprì la porta del gabbiotto, prese due mazze e ne diede una.
La poliziotta lo guardò, perplessa. "A che ci servono?"
Harry non rispose subito, sembrava tentennare. "Questa non è la prima volta che ho tentato la fuga. Ci ho già provato tre ore fa, ma non è andata come speravo. Alcuni zombie sono riusciti a entrare nel parcheggio, così ho dovuto abbandonare l'idea di arrivare al furgone."
La donna aggrottò la fronte, pensierosa. "Quindi volevi lasciare Zara e Mark da soli?"
"Non sapevo come contattarli. Non sapevo nemmeno se fossero vivi. Terry non mi ha risposto più, perciò ho pensato che fossero morti. Ho persino tolto le assi dalle due finestre per paura che qualunque cosa li avesse uccisi, poteva arrivare da me."
Rita serrò gli occhi, disgustata. "Sei un poliziotto, Harry. Il tuo dovere ti obbliga a..."
"Non farmi la morale. Nessuno ci ha preparato a tutto questo. All'accademia non ti insegnano come affrontare un'apocalisse zombie. Pensi che sia l'unico agente a essersi rinchiuso in casa o da qualche altra parte?"
Rita non rispose.
Harry la fissò negli occhi. "Ho visto gente sparare ai poliziotti, SWAT uccidere le persone. Tu non hai visto ciò che ho visto io. Non hai passato ciò che ho passato io, o non parleresti così."
La donna resse il suo sguardo per un momento. "Hai ragione. Non ho passato tutto ciò, ma non mi sarei rinchiusa in una stanza e non avrei tentato di andarmene senza sapere che fine avevano fatto i miei amici. Non li abbandonerei mai in questo inferno."
Harry incrociò le braccia. "Ok, sei una donna coraggiosa, altruista, ma non mi pento di quello che ho fatto."




 

Marvin raggiunse il distributore di bibite, inserì ottanta cent e pigiò il bottone del caffè. Poi si voltò verso Nick, seduto poco distante con un bicchiere fumante di tè verde in mano. "Stai bene?"
"Sì, sto bene." Soffiò debolmente sul tè.
"Ti vedo pallido."
"Sono solo stanco."
"Pensi ancora di essere infetto?"
Nick lo guardò, ma non rispose.
Il tenente prese il bicchierino di caffè e si sedette di fronte. "Là fuori te la sei cavata bene con gli zombie, ma non eri proprio in forma. Ti sei indebolito. Non riesci quasi più a soffiare, segno che i tuoi polmoni stanno cedendo."
La recluta lo fissò, sorpreso. Come aveva fatto a notarlo?
Marvin soffiò sul caffè e bevve un sorso. "Non lo dirò agli altri, se non vuoi."
"L'avevo già detto poco prima che Rita strisciasse in quel condotto, ricordi?"
"Non penso che ti abbiano creduto."
Restarono in silenzio per un momento.
"Se dovessi diventare uno di loro, fai quello che devi fare" disse Nick.
Marvin annuì con un'espressione amara.
La recluta bevve due sorsi di tè. "Se fossi in te, terrei d'occhio anche Elliot. Potrebbe trasformarsi anche lui."
"Non sembra stare male. Anzi, non vomita più e sembra essere ritornato in forze."
"Lui è stato infettato in maniera diversa da me" disse Nick. "Potrebbe non mostrare sintomi."
"Sì, può essere. Lo terrò d'occhio, allora."




 

Rita e Harry s'incamminarono nell'ampio pianterreno del parcheggio puntellato da veicoli. Un forte odore di benzina e putrefazione ammorbava l'ambiente.
"Tieni gli occhi aperti" disse Harry. "Devono essere qui intorno."
"Quanti sono?" chiese Rita.
"Non lo so, forse una decina."
"Sai come sono entrati?"
"Forse arrivano dai piani superiori."
"Se è così, dobbiamo bloccare le due rampe." Le indicò con la mazza.
"Con cosa?"
"Possiamo mettere di traverso un'auto o qualcosa del genere. Ma prima troviamo gli zombie che sono qui."
Si diressero verso il fondo del parcheggio inghiottito dalla penombra. Solo sporadici neon illuminavano a macchia di leopardo l'ambiente desolato.
"Il furgone si trova in fondo, giusto?" chiese Rita.
"Sì, in un angolo. Mi sembrava il posto ideale per nasconderlo."
"Nasconderlo da chi?"
"Dagli altri."
"Hanno provato a rubarlo?"
"No, ma se fossi in loro ci proverei" disse l'uomo. "Con questo mezzo puoi mettere sotto un sacco di zombie senza correre il rischio di rimanere bloccato. È un biglietto sicuro verso la salvezza."
Rita scosse la testa con disappunto. "Tu porti proprio onore alla polizia."
Harry le lanciò un'occhiataccia.
Uno zombie sbucò da dietro una colonna di cemento e allungò una mano putrida verso loro. Il poliziotto gli andò incontro e lo colpì in testa con la mazza. Il non-morto cadde a terra. Poi gli fracassò il cranio con quattro colpi. "Hanno la testa dura, eh?"
Rita non rispose.
Proseguirono cauti. Due zombie barcollavano in mezzo ai veicoli parcheggiati. Rita spaccò la testa al primo, spinse il secondo al suolo e gli aprì la testa con una secca mazzata.
Continuarono verso il fondo del parcheggio.
Sette non-morti attorniavano un furgone cellulare. Un cadavere ridotto a brandelli era riverso accanto alla portiera del veicolo.
Harry spalancò gli occhi. "Lo sapevo. C'era qualcuno quando sono venuto qui. Avevo sentito dei passi, ma non ero sicuro."
Rita lo guardò. "Lo conosci?"
"No, ma credo volesse rubare il furgone. Ho fatto bene a nasconderlo."
Rita si guardò intorno. "Potrebbe non essere da solo."
"Sei armata, no? Quindi non faranno niente."
La donna aggrottò la fronte, turbata. "Possono esserlo anche loro."
"Se quel tizio fosse stato armato, mi avrebbe sparato alle spalle."
"Non tutti sono assassini."
Harry la guardò, serio. "Non sai di cosa sono capaci le persone quando si tratta di sopravvivere."




 

"Cazzo!" disse Kevin. "Guardate! Quello è Johnson!"
Tutti si precipitarono alle due grandi vetrate dell'ingresso e lo osservarono zoppicare.
Megan strappò il martello di mano a Elliot e aprì il portone.
"Megan!" gridò Marvin. "Fermati!"
La donna si diresse verso Johnson, che barcollava nel cortile dandole le spalle. Quando gli fu vicino, quello si girò. Gli occhi vitrei la pietrificarono all'istante. Non sapeva cosa si era aspettato di vedere, ma di certo non quello sguardo privo di vita. L'uomo che aveva ucciso Pete, non c'era più. Al suo posto, un corpo martoriato da numerosi morsi, il petto dilaniato, il ventre squarciato, la faccia quasi del tutta scarnificata.
Lui allungò le mani verso di lei, che arretrò un poco.
Tutti gli agenti uscirono in cortile e accerchiarono Johnson, i sopravvissuti restarono sulla soglia del portone.
Megan strinse le dita attorno al martello, gli occhi ribollenti di odio puntati in quelli vitrei di Johnson.
"Megan" disse Marvin.
Johnson girò la testa verso di lui. Megan scattò in avanti e gli sferrò una martellata dietro la testa. Quello si voltò con un gemito e cercò di afferrarla, ma lei si spostò a lato e lo colpì nuovamente. Un occhio penzolò fuori dall'orbita.
Una donna vomitò sui gradini.
Megan gli sferrò altre martellate in rapida successione con una rabbia e un odio mai provate prima.
Johnson era ancora in piedi e la fissava con l'unico occhio vitreo che gli era rimasto. Era quello sguardo a darle fastidio, a irritarla. Voleva fargli male, farlo soffrire, ma lui non provava niente e mai lo avrebbe provato. Continuava a barcollare, a cercare di afferrarla. Poi lei cacciò un urlo di rabbia e lo colpì ripetutamente in testa, facendolo crollare al suolo. Lui le afferrò una gamba, ma Megan gli si gettò sopra e gli ridusse la testa in poltiglia sotto una raffica di colpi. Continuò così, finché Marvin le posò una mano su una spalla. Allora lasciò cadere il martello insanguinato e realizzò solo allora che non avrebbe più rivisto Pete. Scoppiò a piangere.




 

Rita e Harry si fermarono davanti al furgone. Dietro di loro, gli zombie giacevano al suolo con le teste spaccate.
Il poliziotto inserì le chiavi nella toppa, aprì la portiera e si mise al posto di guida.
Rita si sedette affianco e afferrò la ricetrasmittente dalla cintura. "Marvin, sono Rita, mi ricevi?"
Diversi crepiti statici.
"Marvin?"
Un'altra statica.
Harry girò la chiave nel blocco di accensione e il motore borbottò un attimo. I fanali squarciarono una parte dell'oscurità che adesso premeva ai lati.
"Andiamo" disse Rita.
"Non devi avvisare Marvin del nostro arrivo?"
"Questa ricetrasmittente ha un raggio davvero corto, perciò ci proverò strada facendo."
Harry ingranò la prima e schiacciò l'acceleratore. Mentre il furgone cellulare si avviava verso l'uscita recintata, gli zombie sbucarono dalla rampa e invasero il parcheggio.
"Dannazione!" disse Rita, tesa in viso. "Ci siamo dimenticati di sbarrare l'accesso alla rampa." Si voltò verso Harry. "Accelera! Dobbiamo superarli prima che diventino troppi!"
Il poliziotto schiacciò a tavoletta l'acceleratore. Il veicolo investì i non-morti e li schiacciò sotto le sue ruote, traballando un poco. Quando arrivò vicino all'uscita, il poliziotto sbandò varie volte e frenò prima di schiantarsi contro un pilastro di cemento, un filo di fumo si sollevò dalla scia bollente lasciata dai copertoni.
"Ci è mancato poco..." disse Harry.
Gli zombie tartassarono di pugni la carrozzeria e alcuni si affacciarono dietro i finestrini, martellandoli di colpi.
"Muoviti! Muoviti!" urlò Rita, spaventata.
Harry ingranò la retromarcia. Il furgone schiacciò i non-morti che arrivavano alle spalle, le teste implosero sotto le ruote. Altri uscivano dalla rampa. Il veicolo sbatté debolmente il paraurti posteriore contro la parte anteriore di una monovolume e accelerò verso l'uscita, investendo gli zombie.
"Ma da dove arrivano?" chiese Rita.
"Non lo so" rispose Harry. "Terry e io non siamo mai saliti al primo piano. Lui credeva che fosse pieno di zombie."
"E aveva ragione. Perché non avete fatto niente per ostruire la rampa?"
"Non venivamo mai qui. Ci siamo stati solo tre volte."
Il furgone ruppe la barriera del gabbiotto, svoltò bruscamente a destra, sradicò una parte della recinzione di metallo e passò sopra ai non-morti. Poi serpeggiò lungo la strada puntellata dai numerosi veicoli abbandonati.
Rita si portò la ricetrasmittente alla labbra. "Marvin, sono Rita, mi ricevi?"
Una crepitio.
"Marvin, mi ricevi?"
Un altro crepitio.
"Sei sicura che la ricetrasmittente funzioni?" domandò Harry.
Rita lo guardò senza rispondere. Poi provò di nuovo a mettersi in contatto con il tenente.
Il furgone sfondò il cancello di un posto di blocco e continuò spedito per un lungo momento. Poi svoltò a sinistra e proseguì diritto.
"Le strade sono vuote" disse Rita. "Non credevo che si sarebbero svuotate così in fretta."
Harry le lanciò un'occhiata, perplesso. "Sei stata tu?"
"A fare cosa?"
"A mettere la musica a tutto volume."
"Sì, dovevo far allontanare gli zombie dalla centrale."
Il poliziotto la guardò per un istante. Poi piantò gli occhi sulla strada.
Il furgone superò un posto di blocco le cui reti metalliche erano state divelte, svoltò a destra e frenò, le ruote fischiarono sull'asfalto.
"Un ingorgo" disse Harry. "Il furgone non può passare da lì. Non ci voleva." Ingranò la retromarcia e s'inoltrò nel vicolo.
"Stai facendo il giro più lungo" aggiunse Rita. "Potevi prendere..."
"Conosco queste strade."
"Era solo un suggerimento."
Il veicolo uscì in strada e girò a destra. Poi proseguì per i vicoli per una decina di minuti.
"Marvin, sono Rita, mi ricevi?"
Una statica.
"Marvin, mi ricevi?"
La donna stava per posare la ricetrasmittente sul cruscotto, quando sentì una voce. "Rita! Stai bene? Rita!"
Harry gettò uno sguardo a Rita, che fissava felice la ricetrasmittente. "Sì, sto bene. Gli zombie si sono allontanati?"
"Sì, qui è tutto tranquillo. Anche i Lickers sono spariti. Poco fa abbiamo ripulito il cortile da alcuni zombie ritardatari."
Rita pensò a Zara e Mark, ma scacciò subito quel pensiero. Non poteva farsi prendere dai sensi di colpa. Doveva rimanere concentrata. "Sto arrivando a bordo di un furgone cellulare. Sarò li tra dieci minuti."
"Ottimo lavoro! Noi ti aspettiamo qui."
"Va bene, tenente. Ma tieni gli occhi aperti. Credo che il motore del furgone stia attirando tutti gli zombie nei paraggi."
"Non preoccuparti, li respingeremo!"




 

"Visto?" disse Chung. "Rita ha avuto la mia stessa idea."
"Tu non hai parlato di furgoni cellulari, ma solo di furgoni" disse Kevin.
"Sono la stessa cosa."
"Non lo sono."
I due si guardarono, torvi.
Marvin sbuffò. "Ok, se avete finito di fare i ragazzini, abbiamo un'evacuazione da preparare." Fece una breve pausa. "Kevin e Nick fate un giro nel cortile e controllate che vada tutto bene. Elliot e Chung trovate delle armi contundenti con cui respingere gli zombie in arrivo. Tutti gli altri con me."
Uscì nel cortile e si fermò davanti al cancello. "Il furgone entrerà da qui, quindi dobbiamo creare una barricata per coprire entrambi i lati del cortile. Gli zombie entreranno sicuramente dalle due porte di servizio poste agli angoli delle mura." Batté le mani. "Forza, mettiamoci a lavoro."




 

Nick e Kevin proseguivano lungo il vialetto.
"Credi che ce la faremo a uscire da questo schifo?" chiese Kevin.
"Non è da te essere dubbioso" rispose Nick.
"Non lo sono, ti ho solo chiesto un parere."
"Andrà tutto bene."
"Non per te, però."
La recluta aggrottò la fronte, perplesso. "Che vuoi dire?"
"Non hai una bella cera. Forse avevi ragione, sei infetto."
"Credo di esserlo."
Camminarono in silenzio per un momento.
"Non hai paura?" domandò Kevin.
"Paura di morire?"
"Sì, non ti spaventa?"
"Non ci penso."
"Ma dovrai farlo prima o poi."
Svoltarono l'angolo dell'edificio. Uno zombie allungava le mani attraverso le sbarre della porta di ferro. Nick lo raggiunse e gli infilò il coltello in un occhio. Il non-morto si afflosciò lungo le sbarre e cadde a terra.
Tornarono a camminare.
"Io ne sarei spaventato" disse Kevin. "Ho ancora un sacco di cose da fare. Una di queste è farmi la ragazza della tavola calda qui di fronte. Anzi, credo che sia a lei ad avere il chiodo fisso per me."
Nick scosse la testa con un sorriso. "Non credo sia viva."
"È partita pochi giorni prima che scoppiasse questo casino. È andata dai suoi genitori, quindi si è salvata."
"Non hai pensato che può essere così ovunque?"
Kevin lo guardò, pensieroso. "Non credo, il governo avrebbe fatto qualcosa."
"Come ha aiutato Raccoon City, giusto?"




 

"Siamo quasi arrivati" disse Harry. "Avvisa Marvin di tenersi pronto."
Il furgone girò a sinistra, serpeggiò tra i veicoli e continuò spedito.
"Marvin, siamo quasi arrivati" aggiunse Rita alla ricetrasmittente.
"Gli zombie sono entrati! Fate presto!"
La poliziotta sbarrò gli occhi, spaventata. "Tenete duro! Arriviamo!"
Il veicolo superò due auto carbonizzate e un posto di blocco la cui torretta era crollata contro un condominio di sei piani. Una decina di cadaveri erano ammassati vicino a un muro scalfito dalle pallottole.
Il furgone svoltò a destra.
Il dipartimento di polizia era ormai a due isolati di distanza. Harry schiacciò a tavoletta l'acceleratore.
Quando raggiunsero il cancello della centrale, migliaia di zombie barcollavano da entrambi i lati della strada. Altri entravano nel cortile dalle due porte di servizio.
Si udirono diversi spari ovattati dai gemiti assordanti.
Harry fece inversione a U, ingranò la retromarcia e spalancò il cancello sbattendoci contro il paraurti.
Rita passò nel retro e aprì le doppie portiere posteriori. "Entrate!"
Gli agenti formarono un cerchio attorno ai sopravvissuti, che corsero dentro il furgone.
"Non fateli avvicinare!" gridò Marvin. "Uccidete quelli vicino alle barricate!"
Gli zombie crollavano uno dopo l'altro in rapida successione, ma altrettanti ne arrivavano alle loro spalle.
"Sono troppi!" urlò Kevin. "Non ce la faremo a respingerli tutti!"
"Continuate a sparare!" gridò Marvin.
Una decina di zombie superò la barricata a destra.
"Merda!" disse Nick. Si portò vicino agli zombie e cominciò a ucciderli con una coltellata alla testa. Ma erano troppi da gestire e altri ne arrivavano a frotte.
I tre agenti davanti alla barricata avevano finito le munizioni. Uno di loro afferrò il martello legato alla cintura e colpì un non-morto in testa, ma l'estremità dell'arma rimase incastrata nell'osso. Lo zombie gli affondò i denti nel polso e lo trascinò a terra.
Un secondo agente corse ad aiutarlo, ma due zombie lo presero alle spalle e lo gettarono a terra, seguiti da altri zombie.
Nick si voltò verso Marvin. "Dobbiamo creare un diversivo, o ci uccideranno tutti!"
"Continua a sparare!"
"Ho finito le munizioni!"
Il tenente si frugò nelle tasche e si rese conto che anche lui aveva finito i proiettili. Si guardò intorno. Il tempo sembrava essersi rallentato. Tra i volti scarnificati e putridi dei non-morti scorse un volto familiare. Era Brad Vickers. Sbarrò gli occhi, incredulo. Non poteva credere che fosse morto. Un membro della STARS addestrato a gestire quasi ogni situazione delicata. Se lui era morto, allora nessuno sarebbe uscito vivo da Raccoon City.
"Tenente!" urlò Nick. "Cercherò di allontanarli. Tenente!" Lo scosse, guardandolo dritto negli occhi. "Tenente, mi hai sentito?"
"Sì..." rispose Marvin, stordito. Poi ritornò in sé. "No, non fare niente." Si girò verso gli altri. "Entrate tutti nel furgone! Vi coprirò io!"
Nick lo guardò con disappunto, ma sapeva che doveva essere fatto. Se avessero continuato ad arretrare lentamente, prima o poi gli zombie li avrebbero accerchiati e uccisi tutti. "Ti aiuterò!"
"No, vai anche tu!"
"Sai che non posso. Guardami! Lo vedi il rossore agli occhi? Non posso andare. Per me è finita!"
Il tenente lo guardò per un momento, poi cominciò a colpire con un martello gli zombie che arrivavano da entrambi i lati, aiutato da Nick. Elliot si aggiunse poco dopo, restio a lasciarli da soli.
Kevin, Chung e altre due agenti salirono sul furgone e guardarono i tre venire accerchiati da un ammasso crescente di non-morti.
"Vattene, Elliot!" Urlò Marvin. "Mettiti in salvo!"
Elliot gli lanciò uno sguardo. Non rispose.
"Marvin!" urlò Rita con tutta la voce che aveva in corpo. "Sali a bordo!"
"Andate via!" urlò il tenente. "Andate prima che..."
Brad Vickers gli affondò i denti in una costola. Marvin lanciò un urlò di dolore e lo fissò dritto negli occhi vitrei, la bocca insanguinata da cui penzolavano pezzi di tessuto e carne. Non riusciva a colpirlo. Conosceva Brad da molti anni e non poteva ucciderlo. Non ci riusciva.
Nick lo spinse via dal tenente e provò a conficcargli il coltello nel cranio, ma Brad sparì dietro agli altri zombie. Poi guardò la ferita del tenente. "Dobbiamo ritirarci all'interno! Andiamo!"
Marvin lanciò un ultimo sguardo a Rita, uno sguardo carico di commozione. Non aveva potuto dire addio sua moglie e sua figlia e non sapeva nemmeno se fossero vive o morte. Sperava che fossero al sicuro da qualche parte. Ma ora aveva potuto salutare Rita, che negli anni era diventata come una figlia adottiva.
Lei gli sorrise con gli occhi arrossati dalle lacrime, Kevin che la stringeva con un braccio per confortarla. Poi il tenente si voltò, salì i gradini e si chiuse il portone alle spalle.
Il furgone si allontanò verso l'ignoto, carico di speranze e zero certezze.




NOTA: Siamo giunti alla fine. Spero che questo lungo racconto vi sia piaciuto. A me scriverlo è piaciuto moltissimo. Avevo questa storia in testa da un paio di anni. Doveva essere un piccolo racconto centrato solo su Marvin Branagh, ma le cose sono andate diversamente: i personaggi hanno preso il sopravvento e hanno scritto loro la storia.
Ringrazio tutti quelli che hanno seguito e letto questo lungo racconto! E un ringraziamento speciale a Summer_Moon per le correzioni e le frizzanti e simpatiche recensioni!

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