Kathrine: un amore inaspettato

di Kaiyoko Hyorin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un passaggio in pick-up ***
Capitolo 2: *** Il Puledro Impennato ***
Capitolo 3: *** La cameriera ed il boscaiolo ***
Capitolo 4: *** Polvere di stelle ***
Capitolo 5: *** Quella casa nel bosco ***
Capitolo 6: *** Perfect ***



Capitolo 1
*** Un passaggio in pick-up ***


UN PASSAGGIO IN PICK-UP


 

 

Il pick-up dell’uomo era spazioso, ma non abbastanza da impedire alla ragazza di sentirsi stordita dall’odore che permeava l’abitacolo. Sembrava quasi un misto di ferro caldo, resina di pino e menta, in una combinazione che evocava in lei l’immagine di un’alta montagna e la faceva sentire stordita ed inspiegabilmente a proprio agio.

Non s’era mai sentita così con qualcuno, prima.

Non è vero.

– Allora, – Thorin – Ethan – continuò imperterrita Kat dopo le presentazioni, scoccando un’occhiata in tralice all’autista al suo fianco e proseguendo quella loro strana, innocente, coinvolgente chiacchierata – sei di queste parti?

Sì, direi di sì. Tu da dove vieni?

Nebraska.

L’altro emise un fischio caratteristico che la fece sorridere.

Ne hai fatta di strada… commentò infatti, scoccandole una nuova occhiata diamantina da sopra la spalla Che ci fa una giovane americana in un posto sperduto come questo?

Non aveva mai visto occhi così.

Invece sì.

– Ho sempre voluto viaggiare e fare nuove esperienze.

Quei lineamenti decisi e al contempo quasi nobili del volto avevano su di lei lo stesso effetto di una calamita sulla polvere di ferro e non riusciva a smettere di guardarlo. E, con una punta di profonda soddisfazione, sapeva di stargli facendo un effetto molto simile, giacché quei suoi fantastici occhi erano più spesso rivolti a lei che alla strada dinanzi a loro.

– Ma la verità è che, forse sto cercando qualcosa… – aggiunse, prima di poterselo impedire.

L’interesse che trasparì dallo sguardo altrui la inchiodò sul sedile e al contempo l’accese.

– E cosa stai cercando? – le chiese lui.

Te.

– Non lo so – rispose lei.



– E tu? Quando ti ho chiesto se eri di queste parti non mi sei sembrato troppo convinto.

La voce di lei permeò di nuovo l’abitacolo ed Ethan si chiese per l’ennesima volta come potesse, un semplice timbro di voce, suscitare in lui tanto interesse. Mentre guidava verso il paese più vicino, non poté ignorare la domanda della ragazza seduta al suo fianco, e nemmeno lo voleva, si rese conto con quel poco di razionalità rimasta intatta in lui.

Lui voleva parlare con lei.

E voleva sentirla rispondergli di rimando.

Non s’era mai sentito così prima.

Non è vero.

Io e mio padre ci siamo trasferiti qui in zona da mio nonno dopo la morte di mia madre. Ero piccolo e diciamo che non ho preso bene il trasferimento le disse, facendo spallucce sotto la camicia sbiadita Ho sempre voluto andarmene da qualche altra parte, provare la città, e per un paio d’anni l’ho fatto. Dopo il diploma mi sono trasferito a Calgary, ma due anni dopo mio padre si è ammalato e sono tornato.

Oh…

Per un po’ è stato meglio, ma non poteva durare. Ormai è quasi un anno che non c’è più.

Il silenzio che seguì permeò denso l’abitacolo e questo lo spinse a gettarle una nuova occhiata in tralice. C’era qualcosa in lei che lo spingeva a cercarla con lo sguardo, costringendolo a dover scegliere a chi prestare più attenzione, se a lei o alla strada.

Era come se se ne sentisse attratto, non solo fisicamente.

Non gli era mai capitato niente di simile.

Invece sì.

Ed ora? parlò di nuovo lei, infrangendo il silenzio Come mai sei rimasto? Cosa stai aspettando?

Te.

Non lo so le rispose allo stesso modo, serrando la presa sul volante.


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Capitolo 2
*** Il Puledro Impennato ***


 

 

IL PULEDRO IMPENNATO


 


– Ehi, Thorin! Ultimamente ti si vede spesso!

La gioviale voce da baritono del proprietario del locale la fece voltare di slancio verso la porta aperta, appena in tempo per vedere la figura dell’uomo stagliarsi contro il vano dell’ingresso. Immediatamente il cuore di Kat accelerò i battiti, come ogni volta, e dovette sforzarsi per evitare al nervosismo di trapelare mentre gli andava incontro con il menu in mano.

Erano già trascorse due settimane dal loro primo incontro e da quando l’aveva presentata al proprietario di quella locanda, risolvendo in un colpo solo tutti i suoi problemi: aveva trovato un buon posto dove passare la notte ed aveva anche trovato un lavoro per coprire le spese. E che posto!

A quanto pareva, la moglie del proprietario era una fan accanita di Tolkien ed aveva convinto il marito a chiamare la loro locanda “Il Puledro Impennato”. Non avrebbe potuto trovare posto migliore in cui fermarsi per un po’.

Soprattutto per lui, le suggerì maligna la sua vocina interiore.

Thorin le rivolse un mezzo sorriso e lei, proprio in quel momento, non riuscì a coordinare bene i piedi calzanti i pattini a rotelle. Incespicò proprio all’ultimo secondo e, in meno di un battito di ciglia, si ritrovò sorretta fra le braccia dell’uomo a fissarne l’espressione sorpresa ed allarmata.

L’aveva afferrata al volo ed ora la sosteneva dietro la schiena e per le spalle, mentre la fissava con quei suoi occhi di ghiaccio ben spalancati.

Non appena entrambi si resero conto dell’accaduto, Kat avvampò come un peperone e lui le rivolse un altro di quei suoi mezzi sorrisi da infarto.

– Ciao, Kat – la salutò, con una punta d’ironia nella voce calda.

E tutto quel calore minacciò di far divampare in lei un vero e proprio incendio, facendole andare in fiamme il viso delineato di un sorrisetto teso ed ebete.

– Ciao, Thorin. – lo ricambiò istintivamente, tentando di sopprimere tutto il proprio nervosismo – Vuoi un tavolo o ti accomodi al bancone?

– Ti ci metti anche tu adesso? – le chiese lui con un sopracciglio inarcato, scrutandola dall’alto della sua statura mentre la aiutava a tornare dritta sui pattini.

Sembrò sul punto di aggiungere altro quando la voce della moglie del proprietario li interruppe.

– Ecco, hai visto? Te l’avevo detto che quei cosi sono un pericolo! Faglieli togliere, prima che si rompa una gamba anche lei!

Voltandosi entrambi momentaneamente a guardare la coppia di mezza età intenta a discutere dall’altro capo della sala, Kathrine non poté evitare di ridacchiare, grata per quella parentesi comica di cui approfittò per ricomporsi e ritrovare il proprio autocontrollo.

– L’avrà vinta lei anche questa volta, vedrai – commentò Ethan al suo fianco, con un mezzo sorriso divertito e l’aria di chi ha assistito a una scena simile innumerevoli volte.

Kat ridacchiò ancora, troppo presa dal formicolio che il tocco altrui le aveva lasciato sulla pelle, prima di defilarsi con una scusa. Si fiondò in cucina come se ne andasse della propria stessa vita. E, in effetti, era come se il cuore, ogni volta che lo vedeva o si trovava a parlare con lui, tentasse di uscirle dal petto.


 

– Noi andiamo!

– A domani, signor Bilbo!

Il suono della porta che si chiudeva anticipò di netto il rimbrotto del proprietario della locanda.

– Come…? Ah, Fili! Kili! Ma dove…? – l’uomo si asciugò le mani nello strofinaccio, emergendo dalla cucina con espressione accigliata rivolta verso l’ingresso della sala, prima di scuotere la testa e prendere a brontolare – Benedetti ragazzi, non si fermano un minuto! Che fretta avranno mai, dico io… la vita è troppo breve per correre!

Ethan, ormai avvezzo a quel genere di teatrino, tornò alla propria birra, scegliendo di ignorare la vicenda e le stranezze del vecchio proprietario del Puledro e degli avventori abituali del locale: ormai era del tutto certo che gli abitanti del loro piccolo borghetto non solo lo assecondassero, ma lo incoraggiassero pure. Era sicuro di aver sentito il vecchio Bil chiamare qualcuno della comitiva Balin o Dwalin.

Non sapeva come mai, ma la faccenda alle volte, se vi si soffermava troppo a lungo, gli faceva nascere una strana sensazione al petto, così bevve un altro sorso proprio mentre il locandiere finendo di borbottare saliva dietro al bancone al quale era seduto.

– …due giovani scavezzacollo, proprio come lo eri tu alla loro età.

Ed Ethan rivolse a Bil uno sguardo fra il perplesso e l’accigliato… che venne del tutto ignorato.

– D’altro canto, buon sangue non mente: non per niente sono tuoi parenti.

Ah, giusto. La storia del sangue dei Durin.

Come se i giovani Philias e Kyle non fossero soltanto suoi cugini di quarto grado ma i figli di sua sorella. Come se lui, poi, avesse una sorella.

Stava per aprire bocca e replicare quando la porta della cucina tornò ad aprirsi e ne emerse una ragazza dalla ribelle chioma color mogano e l’espressione assorta. Aveva un vassoio in una mano e con passo rapido e misurato attraversò la sala, diretta ad un tavolo a cui erano seduti quattro escursionisti di passaggio.

Ethan la seguì per un brevissimo tratto con lo sguardo, ma qualcuno lo colse comunque in flagrante.

– Che ne dici di provare a uscire dalla tua montagna, Thorin? – commentò Bilbo – O hai paura che la nostra Kat si tramuti in un piccolo drago sputa-fuoco?

Il diretto interessato tornò istantaneamente a guardare il locandiere con un cipiglio che, di per sé, non nascondeva niente, ma che comunque si ostinò a mostrare, per nulla entusiasta di essere stato colto in fallo. Così, dopo un primo momento di confusione mentale, l’unica cosa che il suo cervello partorì fu un tentativo di depistaggio.

– E tu? Come mai non le hai ancora dato un soprannome? – lo punzecchiò – Non dirmi che è troppo difficile.

Ebbe fortuna, o forse un po’ in quegli anni aveva imparato a conoscerlo, perché il vecchio Bilbo si accigliò pensoso e sollevò lo sguardo sulla sua cameriera part-time.

– Be’ be’… – si mise a borbottare fra sé e sé, tornando a lucidare il bicchiere che aveva fra le mani – …ammetto che non ho ancora deciso. È come se non le calzasse alcun personaggio del Maestro… solitamente, mi basta guardarla una persona per capire se ha qualcosa o no… ma lei, lo confesso, ancora non mi ha dato spunto. Ed è un peccato: si vede che fa parte di questo ambiente. L’ho capito dal primo momento in cui ha varcato quella porta. Però, il nome… il nome mi sfugge!

Ethan, come spinto a causa dell’argomento, tornò a cercarla con lo sguardo mentre Bilbo proseguiva il suo monologo riflessivo.

– Ti assicuro, è la prima volta che mi capita…

La ragazza posò l’ultimo piatto sul tavolo e, dopo un gentile augurio, si volse per tornare in cucina.

– È quasi come se non ne avesse uno dall’universo di Arda.

I capelli legati in una coda alta ondeggiavano ad ogni suo passo, il vassoio accostato al fianco. I suoi occhi grigi erano puntati alla sua meta, fieri e decisi.

Gli occhi di una guerriera.

– Come se…

La schiena era dritta, il portamento orgoglioso tipico di chi cerca di darsi un contegno.

L’orgoglio di una Figlia di Durin.

– Come se non potesse essere altri che…

– Katla.

Quel nome gli uscì spontaneo dalle labbra, nato da un pensiero astratto ed inafferrabile, o forse un’eco di una vita mai vissuta, e quasi non se ne rese conto. Quasi, perché il locandiere invece lo colse perfettamente.

– Katla? – ripeté.

Ed in quel momento esatto, Kat, che era già arrivata alla porta della cucina a lato del bancone al quale Ethan era seduto, si arrestò di colpo, voltandosi a guardarli.

Ma che…?

– Sì? – chiese ingenuamente.

Come i suoi occhi incrociarono quelli di lui, Ethan serrò la presa sul boccale che teneva di fronte a sé, per combattere l’impulso che violento gli salì dalla bocca dello stomaco. Non era la prima volta che notava l’offuscarsi di quelle sue iridi solitamente limpide, ma quella volta riuscì a distinguere chiaramente l’ombra che in un istante era calata dietro di esse: un misto di confusione e rimpianto, talmente profondi da scuoterlo nella parte più recondita del suo animo.

Poi Kat batté le palpebre e quelle infauste emozioni scomparvero, lasciando il posto ad un puro e semplice dubbio.

L’irrazionale bisogno di Ethan di stringerla a sé, per contro, non si attenuò.

– Oh, niente Kat – le disse Bilbo, infrangendo il silenzio e ricalamitando l’attenzione su di sé – Io e Thorin stavamo solo cercando un nome per te: ormai sei parte della Compagnia!

La ragazza allora parve arrossire e, con un sorriso che andava ampliandosi sempre più, spostò lo sguardo dall’uno all’altro con malcelato interesse.

– …e quale? – domandò ancora – La Compagnia dell’Anello o quella di Thorin Scudodiquercia?

Il locandiere da dietro al bancone scoppiò a ridere.

– Ahah! Bella domanda! Tu che rispondi, Thorin?

Ethan tradì un lievissimo sussulto delle spalle, preso alla sprovvista dalla piega della conversazione e, riemergendo a fatica dalle emozioni che lo avevano travolto sino a un attimo prima, cercò di ostentare indifferenza mentre sollevava il boccale per nascondere la propria espressione.

Peccato che il sorso che gli si riversò in gola fu rapido e scarno, tanto che, quando riappoggiò il grosso bicchiere sul bancone, era passato troppo poco tempo perché fosse riuscito a ricomporsi, così deviò lo sguardo corrucciato nella direzione opposta.

– …come se portare una donna a combattere un drago fosse una buona idea – borbottò, imbarazzato.

– Sarebbe l’idea più sensata – ribatté inaspettatamente lei.

Tornando rapido a guardarla, Thorin le vide in volto un sorrisetto orgoglioso ed irriverente, mentre sollevava il mento e drizzava le spalle.

– Solo una donna sarebbe abbastanza forte da affrontare un drago, lo sanno tutti.

Il locandiere rise di nuovo e gli assestò una pacca sulla spalla.

– Be’, eccoti servito! Abbiamo trovato il quindicesimo membro della tua Compagnia, a quanto pare… – affermò soddisfatto come un pascià sulla sua torre di cuscini di seta – Katla, della Compagnia di Thorin Scudodiquercia.

Ethan incassò in silenzio, non riuscendo a reagire. Non sapeva nemmeno dare un nome al suo stato d’animo, sapeva solo che era una miscela di imbarazzo, agitazione, contrarietà, lusinga e qualcos’altro… qualcosa di inafferrabile eppure innegabile. Per questo, ignorando la sensazione di caldo al volto, si limitò a scoccare un’occhiataccia al suo vecchio amico, che ancora se la stava ridendo sotto i baffi mentre fingeva di essere concentrato nella lucidatura dei suoi bicchieri.

Dopodiché rivolse un’occhiata in tralice alla ragazza in questione e colse perfettamente il rossore che le imporporava le gote e le faceva rilucere di riflessi gli occhi chiari, apparentemente più liquidi del solito. Occhi che scomparvero l’istante seguente, giacché quella si profuse in un profondo e artefatto inchino da palcoscenico, degno del set di un film.

Un inchino rivolto proprio a lui.

– Katla, figlia di Hekla – si presentò, sorprendentemente – Al vostro servizio, Re sotto la Montagna!

E mentre tornava dritta a guardarlo, Ethan avvertì una sensazione talmente intensa di deja-vù da lasciarlo stordito per una manciata di secondi. Tempo sufficiente perché Kat, dopo una rapida piroetta su sé stessa, si defilasse nelle cucine senza più incrociare il suo sguardo attonito.

Ethan stava ancora guardando la porta ondeggiare sui cardini quando Bilbo tornò a parlare.

– Non c’è di ché.

La risposta ad un ringraziamento mai formulato lo aiutò a tornare presente a sé stesso ed alla realtà che lo circondava, abbastanza da tornare a guardare il locandiere con sguardo torvo. Quindi, scegliendo di ignorare i sottintesi di quanto appena accaduto, fece scivolare il proprio boccale vuoto sul bancone.

– Zitto e versami un’altra birra. 

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Capitolo 3
*** La cameriera ed il boscaiolo ***


~ AVVISO AI LETTORI ~

Rating capitolo: GIALLO!
Nel primo paragrafo, per la situazione nattara, sono presenti un paio di termini più scurrili del solito (qualche insulto), niente di mai sentito o troppo violento, ma dovevate saperlo in anticipo
Non ho altro da aggiungere, ne approfitto per augurare a tutti voi buona lettura!

la vostra autrice di quartiere,
Kaiy-chan



 

 

LA CAMERIERA ED IL BOSCAIOLO


 


Il locale non era troppo affollato per essere l’ora di punta, ma Kat non poteva esimersi dal correre da una parte all’altra, smaltendo al meglio delle sue capacità le varie ordinazioni. Vi erano un sacco di clienti abituali, ma anche qualche volto sconosciuto, probabilmente richiamati dalla prima neve che durante la notte era caduta ad imbiancare le cime delle montagne.

Quando Ethan varcò la porta a doppia anta dell’ingresso si fermò appena entrato e spaziò con lo sguardo per l’ambiente, notando quasi subito i giovani “Fili e Kili” fargli cenno con una mano per indicare il posto vuoto al loro tavolo.

Donò loro un cenno d’assenso del capo, ma tardò a muoversi, giacché istintivamente tornò a cercare nella sala una figura in particolare. La trovò accanto ad uno dei tavoli a servire le vivande ai clienti ivi accomodati: grazie al cielo Bil, indaffarato dietro al bancone, aveva del tutto abbandonato l’idea di farle indossare i pattini.

Quando la ragazza, tornata nei pressi del bancone, lo notò, lo salutò con un sorriso ed un rapido cenno di una mano, prima di tornare al proprio lavoro e posare un boccale di birra ad un altro cliente. Fu per questo che Ethan finì per spostare l’attenzione su quest’ultimo, giacché qualcosa in lui lo spinse a soppesarlo con lo sguardo, suo malgrado. Sembrava un avventore come tanti, all’incirca sulla trentina, con la tuta da sci di un rosso sgargiante e gli occhiali poggiati sopra la fronte. Ciò che richiamò la sua attenzione però non fu il suo aspetto, quanto il modo in cui quello seguì con lo sguardo Kathrine dopo che s’era allontanata. Uno sguardo che non gli piacque e che punzecchiò il suo istinto protettivo nei confronti della ragazza.

– Ehi Thorin, muoviti! Abbiamo una fame da lupo qui! – lo richiamò la voce di Philias dall’altra parte del locale.

Con uno sbuffo scocciato ed un’aria corrucciata, Ethan optò per lasciar perdere e, ingoiando l’intensa sensazione di fastidio che gli aveva serrato con un nodo la bocca dello stomaco, fece per avviarsi verso i suoi parenti, ma fu in quel momento che colse un movimento al limitare del suo campo visivo. Tornò a guardare verso il bancone appena in tempo per vedere lo sfrontato cliente allungare una mano verso Kathrine e ciò che accadde subito dopo.

Sotto i suoi occhi Kat lo afferrò per il polso e, con un unico movimento, lo trascinò giù dallo sgabello sul quale era accomodato, cosicché un istante dopo quello stava già con la faccia premuta contro le assi di legno del pavimento ed un braccio abilmente bloccato dietro la schiena.

Il tonfo improvviso ridusse il locale al silenzio, facendo voltare chi ancora non l’aveva fatto ad osservare la scena.

– …mai sentita l’espressione “guardare ma non toccare”? – sbottò Kat, parlando in un tono duro ma calmo al tizio bloccato sotto di lei – Forse non sono stata abbastanza chiara ieri: non sono interessata. Hai capito adesso?

Ethan, rimasto spiazzato dalla facilità con cui lei aveva reagito ad una molestia inopportuna, non comprese del tutto la risposta gemente e dai toni remissivi del malfattore, e neanche gli prestò attenzione. Era troppo preso dal fissare Kathrine che, con espressione severa, gli premeva un ginocchio fra le scapole e ne impediva ogni possibilità di reazione.

Orcamiseria.

Il suo primo pensiero razionale fu un gigantesco “WOW”, tanto che se qualcuno avesse guardato verso di lui in quel preciso momento glielo avrebbe visto scritto in faccia.

Comunque , la risposta del tizio sembrò bastare perché Kat, dopo un ultimo istante, lo lasciò, rimettendosi in piedi ed indietreggiando sino a distanza di sicurezza, senza però perderlo di vista; come se fosse pronta a riportarlo col culo per terra, se soltanto avesse provato a fare un’altra mossa azzardata.

E fu in quel preciso momento, mentre l’uomo si rimetteva in piedi con una serie di invettive per come era appena stato “ingiustamente” trattato, che Ethan, ritrovandosi alle prese con una sensazione ormai fin troppo familiare alla bocca dello stomaco, finalmente realizzò la scioccante verità: era innamorato di lei.

Non poteva essere solo un’infatuazione quella che provava da quando aveva incrociato i suoi occhi grigio-verdi e che lo costringeva a pensare a lei continuamente, ne era proprio innamorato.

Innamorato nel più vero e profondo significato del termine.

Stava ancora cercando di venire a capo dell’improvvisa rivelazione avuta quando lo sciatore, invitato da Bilbo ad andarsene senza troppi convenevoli, borbottando imboccò la strada per l’uscita e si diresse in sua direzione.

Ed Ethan, ancora combattuto fra meraviglia ed intimo orgoglio per ciò che quella giovane e coraggiosa ragazza era stata in grado di fare, l’avrebbe lasciato passare se non fosse stato per le parole che gli sentì bofonchiare a mezza voce.

– ..me la pagherà..mi ha quasi spezzato un braccio quella stronza..

Fu una reazione dettata dall’impulso del momento la sua, giacché il suo braccio si mosse ancor prima di pensarlo, agguantando lo sgradito cliente per il bavero della giacca e scaraventandolo di peso contro lo stipite in legno della porta. Il tonfo secco che ne scaturì fece vibrare i vetri incassati nelle intelaiature delle finestre vicine, riducendo la sala al silenzio.

Quindi, bloccandolo lì e rendendone vano ogni tentativo di ribellarsi alla sua presa premendogli l’avambraccio fra la spalla e la gola, Ethan lo trafisse con uno sguardo che avrebbe incenerito un’intera foresta.

– Se oserai farti rivedere da queste parti, te le spezzerò entrambe io stesso – lo minacciò, dando sfogo all’improvvisa rabbia che gli era divampata dentro – ..sono stato abbastanza chiaro?

Nell’aria immota della locanda quello, ormai pallido come un lenzuolo, deglutì un paio di volte ed annuì. Quando Ethan lo lasciò andare si catapultò letteralmente fuori dalla porta, neanche stesse scappando da un demone… o un Balrog, tanto per restare in tema.

Guardando le ante oscillare sui cardini, il moro allora inspirò a fondo, smorzando così l’irritazione che ancora gli rodeva il centro del ventre e che una parte di lui sapeva si sarebbe placata soltanto in seguito ad un pugno ben assestato sul naso di quel borioso escremento. Perché se c’era qualcosa che non riusciva a digerire erano le calunnie, alle spalle e non, a coloro a cui teneva.

Fu a quel punto che il vocione di Bil si levò sopra il chiacchiericcio generale, richiamando la sua attenzione.

– Ben fatto, Thorin! – esclamò, prima di venir seguito da esclamazioni di assenso provenienti da più punti della sala – Se soltanto avessi avuto qualche anno in meno lo avrei buttato io stesso fuori a calci, ah! Però la prossima volta cerca di non rompermi le porte del locale, sarebbe un problema farle rimettere a posto in giornata.

Improvvisamente consapevole di essersi messo non soltanto al centro dell’attenzione, ma di aver dato spettacolo, Ethan si volse appena in tempo per incrociare lo sguardo di una Kathrine più rigida e rossa in viso di quanto l’avesse mai vista, cosa che contribuì a farlo sentire terribilmente in imbarazzo. Essere oggetto della sua attenzione lo fece arrossire a sua volta, ma subito dopo il sangue che fino a un attimo prima gli stava venendo pompato con tanta energia nelle vene gli si gelò in corpo quando ella distolse bruscamente lo sguardo e sparì in cucina.

Merd… aveva appena sbagliato tutto, vero?

Si era scaldato come un tizzone acceso solo per aver sentito quel bastardo parlare di lei in quei termini e, reagendo impulsivamente, aveva sicuramente fatto la figura del violento. Atto del tutto non necessario, in quanto Kat aveva appena finito di farsi valere! Se c’era qualcosa di cui non aveva bisogno era un rude, burbero uomo dei boschi pronto a menar le mani per vendicare il suo onore.

Rabbuiandosi in volto, ignorando i commenti di apprezzamento che gli venivano rivolti dal resto degli astanti, attraversò la sala a testa bassa ed andò a sedersi al tavolo di “Fili e Kili”, che lo accolsero con esclamazioni entusiastiche.

– Tu sì che sai il fatto tuo, Thorin!

– Lo hai spiaccicato come si deve, quell’idiota!

– E Katla quanto è stata fantastica?! – continuò il giovane Philias, chiamandola con quel soprannome che lui aveva inavvertitamente ideato per lei, eccitato quanto il fratello – Lo ha scaraventato a terra con una mossa in stile kung-fu pazzesca!! Troppo forte!

Kyle rise di gusto.

– È vero! Da non credere, è stata un fulmine! Una furia! Non avevo mai visto niente del genere!

Sì, era stata davvero forte.

Lui invece era stato un cretino, convenne Ethan fra sé e sé, maledicendosi silenziosamente.

Era stato davvero bravo: aveva rovinato tutto ancor prima di provare a mettersi in gioco. E lo aveva fatto proprio con l’unica ragazza di cui si fosse mai davvero innamorato seriamente, proprio un istante dopo averlo realizzato! Davvero complimenti, Thorin!

Reagì a malapena quando il giovane Kyle, ancora sovra-eccitato, prese a raccontare di quella volta che Thorin, alla segheria, aveva sollevato un albero appena abbattuto tutto da solo, cosa che gli fece guadagnare un’occhiata in tralice dal diretto interessato.

– Non è andata proprio così.. – tentò di frenarlo, poggiato al bordo del tavolo con le braccia incrociate e le spalle incurvate.

Per questo il rintocco prodotto dalla caraffa piena che gli venne posata senza preamboli davanti al naso lo fece sussultare, portandolo a sollevare di scatto lo sguardo sull’artefice di quell’interruzione. Kat, comparsa dal nulla accanto al loro tavolo, posò un enorme cestino di alette di pollo al centro di questo.

– Queste le offre la casa – annunciò, guardando un punto imprecisato alla propria sinistra.

Con l’espressione che tradiva una certa tensione, ci mise un altro paio di secondi prima di riuscire a gettargli un’occhiata in tralice dall’alto della sua posizione e quando lo fece Ethan, il cuore già tornato a galoppargli nella cassa toracica, si accorse di sfuggita del rossore che ancora le imporporava le gote. I suoi occhi grigio-verdi parevano brillare di luce propria sotto le ciglia scure.

– …per ringraziarti… per prima.

Quella spiegazione lasciò il diretto interessato inebetito a fissarla e lei, stringendosi il vassoio contro il petto, sempre più in imbarazzo salutò rapida Fili e Kili e si allontanò quasi di corsa, lasciandolo lì a fissare con tanto d’occhi l’inatteso dono di ringraziamento.

Ci mise un minuto intero a realizzarne il pieno significato e quando vi riuscì metà porzione era già sparita nelle fauci di quei famelici ragazzi nel pieno dello sviluppo che erano i suoi cugini di quarto grado.

Per ringraziarlo, aveva detto lei.

Una nuova speranza gli fece comparire un inatteso sorriso sotto la corta barba ben curata.

Forse non aveva sbagliato proprio tutto…




Kat ripose l’ultimo bicchiere pulito sullo scaffale dietro al bancone.

Quella sera toccava a lei chiudere il bar ed era rimasto un unico cliente, Ethan.

Avvertiva il suo sguardo sulla schiena anche in quel momento: un formicolio persistente sottopelle, che la teneva in fibrillazione in attesa di ogni sua parola. O forse era solo nervosa ed emozionata, come ogni volta che si trovava insieme a lui.

Era rimasto a farle compagnia quando aveva capito che quella sera sarebbe stata lei, per la prima volta da quando lavorava lì, a chiudere il locale, con il pretesto di non poterla lasciare sola fino a tarda notte. Come un vero cavaliere.

O un Principe dei Nani, perché no?

– Bene, direi che posso chiudere – commentò, dando un’occhiata all’orologio appeso alla parete sopra le scale.

Era giunto il momento di salutarlo e andare a dormire.

Peccato che non avesse alcuna voglia di separarsi da lui.

Quei suoi incredibili occhi color ghiaccio le procurarono l’ennesimo sussulto del cuore mentre tornavano a scrutarla in viso e Kat, cercando di resistere, si appoggiò istintivamente al ripiano del lavandino dietro al bancone.

– Sì, – convenne lui pacatamente – s’è fatto abbastanza tardi.

Ethan mise mano al portafoglio, ma Kat lo frenò subito.

– No, non pensarci neanche: questa sera offro io – e gli sorrise.

Un sorriso che riuscì a controllare soltanto in parte, mentre si accostava alla cassa e chiudeva il conto.

Doveva darsi un contegno, dannazione! Ci aveva messo settimane per arrivare a parlargli con naturalezza ed ora, solo perché erano completamente soli, stava regredendo allo stato di nervosismo iniziale? Oh no, non l’avrebbe permesso!

Perché poi fosse così impacciata in sua presenza, non riusciva a spiegarselo: non è che quella che stava sperimentando fosse la prima cotta della sua vita. Anche se, forse, definirla semplicemente “una cotta” era un po’ riduttivo.

Molto riduttivo.

– Oh… be’, grazie – le rispose quello, dopo un primo istante di sorpreso silenzio.

E, che fosse dannata, adorava anche la sua voce profonda e piacevolmente roca.

Si chiese cosa diamine fosse accaduto al loro primo incontro perché le facesse quell’effetto. Era entrato nella sua mente e nel suo cuore in un lampo, e persino nei suoi sogni.

Be’, almeno da quel giorno le crisi di pianto irrazionale non si erano più ripresentate.

– Dovrò sdebitarmi.

Kat quasi sussultò quando se lo ritrovò davanti, dall’altro lato del bancone, ma riuscì a limitarsi ad avvampare in volto come un pomodoro ed a balbettare.

– C-cosa..? No-no… n-non è ne..

Ethan, rivolto di sbieco rispetto a lei, le lanciò uno sguardo da sopra la spalla. Con le mani in tasca sembrava più rigido del solito.

– Domai sera, per caso, sei libera? – la interruppe.

Quella domanda l’avrebbe fatta secca se solo fosse stata un po’ più debole di cuore e nel brevissimo istante di totale blackout che coinvolse il suo cervello, il respiro le rimase impigliato in gola.

– Eh..? A-ah.. ehm – eddai Kat, riprenditi! – Sì… sì, sono libera.

Le spalle di lui parvero perdere tensione.

– Allora, ti andrebbe di vedere un film al cinema?

Di nuovo i suoi muscoli facciali sfuggirono al suo controllo, facendola sorridere come un’idiota.

– Sì! – le sfuggì di getto; ormai anche la voce era fuori controllo – Mi andrebbe molto!

Il sorriso che le rivolse lui di rimando la trafisse dritta al cuore.

– Allora passo a prenderti alle sette.

Kat annuì.

– Buona notte – le augurò Ethan, avviandosi verso l’uscita.

– Notte.

Eppure, quando l’uscio della locanda tornò a chiudersi su sé stesso e lei fu rimasta totalmente sola, il suo cuore non volle comunque saperne di smettere di rimbombarle nelle orecchie.

Dormire ormai era del tutto fuori questione.

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Capitolo 4
*** Polvere di stelle ***


 

 

POLVERE DI STELLE


 


Sistemandosi sul retro del pick-up di lui, Kat si avvolse ben bene nella spessa coperta appena offertale mentre al contempo si lasciava sfuggire una risata ironica.

– …sì, ma devi ammettere anche che in quella scena i raggi laser perforavano lo schermo! Dai, hanno decisamente esagerato!

Il pick-up sussultò leggermente mentre Ethan saliva a propria volta sul cassone, prendendo posto accanto a lei ed imitandola. Si sedette a propria volta sul vecchio piumone sdrucito che aveva portato apposta per ricoprire il fondo in metallo del cassone posteriore e, recuperata una seconda coperta, la stese sopra le gambe di entrambi, gesto che gli fece guadagnare un imbarazzato ringraziamento da parte della ragazza.

– Lo ammetto.. – ammise lui diplomaticamente, in tono che pareva divertito – ..in effetti mi aspettavo qualcosa in più, date le premesse. E poi non mi ha convinto la protagonista: sembrava il tipico personaggio anonimo gettato in mezzo ad una trama già perfettamente delineata.

Avevano mangiato una pizza e, dopo il film, Ethan aveva guidato per un po’ lungo una stradina che risaliva il fianco della montagna che sovrastava il paese, fermandosi in quello che si era rivelato un ottimo punto panoramico sulla valle. Diverse centinaia di metri più in basso le luci del piccolo abitato erano delimitate dai boschi circostanti e le vette dei monti incoronavano il paesaggio, scintillanti nei loro copricapi di neve e ghiaccio alla luce della luna. Il cielo quella sera era incredibilmente terso e la quiete che permeava i boschi circostanti si sposava perfettamente con la fase a cui l’appuntamento era giunto: due chiacchiere sotto la luce delle stelle.

All’inizio Ethan non le aveva rivelato dove stessero andando e, benché un po’ incerta a causa della strada scarsamente frequentata da lui intrapresa con il pick-up, Kat aveva scoperto di non provare alcun timore mentre salivano sempre di più. Quando infine avevano parcheggiato e lei era scesa, trovandosi ad ammirare il panorama notturno della valle non era riuscita in alcun modo a nascondere la meraviglia nella propria espressione.

Adorava quel genere di cose.

Per quanto semplice, quello era appena diventato il miglior appuntamento della sua vita.

Espirando una nuvoletta di fiato, Kathrine intrecciò ambo le mani dietro la nuca a mo’ di cuscino, pur avendone già uno sotto il capo, e si perse nella contemplazione della volta celeste sopra di loro mentre Ethan si sdraiava a sua volta. La sua presenza, impossibile da ignorare per la ragazza, era solida e rassicurante nella quiete invernale.

– Comunque non ti facevo un tipo da film di fantascienza – commentò lei, tornando ad infrangere il silenzio.

Se avesse lasciato che la conversazione morisse lì, riprenderla sarebbe stato per lei molto più difficile a causa dei sentimenti che caotici le si agitavano in petto. Perché sì, anche se era stata una serata estremamente piacevole e divertente, quello era pur sempre un appuntamento e lei non ne aveva mai davvero avuto uno: da orfana aveva dovuto imparare a badare a sé stessa, perciò l’amore era sempre stato un po’ in secondo piano. Poi c’era stato l’incidente e dopo neanche a parlarne.

Per questo il cuore le batteva così forte nel petto e sempre per questo non riusciva a smettere di cercare nell’aria l’odore di ferro e menta che sembrava caratterizzare l’uomo al suo fianco. Uomo perché, nonostante avesse solo cinque anni più di lei, era dotato di un fisico ben piantato ed un modo di fare serio e composto che le rendevano impossibile pensare a lui come ad un ragazzo.

Per non parlare della sua voce…

– In effetti non lo sono, ma questa settimana in sala proiettavano solo due film e l’altro era un documentario sui macachi, perciò… – le rispose pacato lui, deliziandola con quel suo timbro di voce basso e leggermente roco.

Oh, avrebbe potuto sciogliersi proprio lì, pensò lei abbozzando un mezzo sorriso.

– Sì, non c’era molta scelta – confermò lei ridacchiando, prima di gettargli un’occhiata di sbieco – ..qual è allora il tuo genere preferito?

Ethan corrugò le sopracciglia scure senza distogliere lo sguardo dal cielo sopra di loro, cosa che permise a Kat di osservarne indisturbata il profilo immerso nella penombra. Il naso dritto, il mento coperto dalla corta barba corvina, l’aria imperscrutabile che gli conferiva la notte, tutto in lui sembrava ispirare ad un antico e nobile re d’oltreoceano.

– Non so se ne ho uno in particolare; mi piacciono i film d’azione e gli storici, soprattutto quelli riguardanti il medioevo – le rispose dopo una pausa di riflessione lui, voltandosi a cercarla con lo sguardo e facendo solo per questo accelerare i battiti del suo cuore – tu invece?

– Il fantasy ovviamente – affermò lei, sfoggiando un ampio sorriso sornione e tornando a guardare le stelle.

– Ovviamente – ripeté lui, con una nota di ironico divertimento che la fece ridere.

– Sì – confermò – ..quindi non credo ti converrebbe far scegliere me o la prossima volta potrei trascinarti a vedere una delle repliche de Il Signore degli Anelli!

La bassa risata di lui riempì l’aria immota della notte.

– Non sarebbe così male…

– Vedere con me Il Signore degli Anelli?

– Già – annuì lui, prima di aggiungere – ..perché vorrebbe dire che ci sarebbe una “prossima volta”.

Quell’osservazione lasciò Kat senza voce per una manciata di secondi a seguire, colta completamente di sorpresa da ciò che stava a significare, ed arrossì come un peperone, tanto che si convinse di essere sul punto di andare a fuoco.

Eppure al contempo un’assurda sensazione di felicità ed euforia le colmarono il petto, facendola sorridere come un’ebete. In cuor suo, la ragazza ringraziò profondamente la provvidenziale scelta di Ethan di portarla in un luogo così scarsamente illuminato.

– B-Be’ sì… non vedo perché no… – bofonchiò, balbettando impacciata e voltandosi persino parzialmente dalla parte opposta a quella di lui per tentare di sfuggire al suo sguardo.

Quindi calò il silenzio, ma era un silenzio delicato, colmo di sentimenti non rivelati e preziosamente custoditi, ed in quella lunga pausa trascorsa ad ascoltare il frusciare del vento fra gli alberi ed i rumori della natura circostante, i due rimasero a contemplare le stelle ognuno perso nei propri pensieri.

– È davvero bellissimo qui – mormorò dopo un po’ Kat, non riuscendo a frenarsi dal dare loro voce – ..so che è lo stesso cielo sotto il quale ho passato tutta la vita – non proprio tutta – ma è come se non lo avessi mai visto così… – espirò, svuotando i polmoni in un sospiro che si disperse in fretta nella brezza notturna – Ti sei mai chiesto, guardando le stelle, quanti mondi a noi preclusi esse racchiudano, lassù, nell’universo?

Come formulò la domanda, un’intensa sensazione di deja-vù la colpì, facendole trattenere il respiro mentre aspettava, più tesa di quanto razionalmente avrebbe dovuto, una risposta.

Che strano, era come se avesse già chiesto una cosa simile a qualcuno…

Accanto a lei Ethan si mosse, sollevandosi a sedere e strappandola dal lieve senso di inquietudine che le stava nascendo in petto solo per gettarla in un’improvvisa preoccupazione nei suoi riguardi. Per questo si alzò a propria volta, sporgendosi leggermente verso di lui per cercare di distinguerne meglio i lineamenti del volto in parte adombrato e tormentato.

– Thorin? – lo chiamò, usando istintivamente il soprannome che il vecchio Bil gli appioppava ogni volta che passava al Puledro Impennato.

Quello si voltò leggermente a guardarla ed i suoi occhi chiari la trafissero nella penombra, incredibilmente luminosi ed intensi alla luce della luna piena.

– Non è nulla – tentò di rassicurarla, abbozzando un vago sorriso a fior di labbra sul suo volto contratto – ..ho come la sensazione che mi abbiano già fatto una domanda simile, ma non riesco a ricordare.

Il vedere per la prima volta incertezza e disagio in lui provocò in Kathrine un subitaneo istinto di protezione che la spinse a cercare di rimediare alla situazione di cui era involontariamente stata la causa.

– Non importa, – gli assicurò, cercando persino di instaurare un contatto nel posargli una mano sul braccio coperto dal pesante giubbotto – era solo una domanda sciocca.

Ma Ethan scosse il capo e anche le ultime tracce di quel tormento senza nome scomparvero dal suo volto.

– No, era una bella domanda – la contraddisse, con rinnovata pacatezza.

Quindi le prese la mano con la propria e la sollevò sino alle labbra. Quando vi alitò sopra, infondendo calore nelle sue dita gelide, Kat venne pervasa da un violento brivido in tutto il corpo che la fece accendere e boccheggiare, improvvisamente in carenza d’ossigeno.

– T-Thorin… – balbettò, completamente nel pallone per la tempesta che all’improvviso quel semplice ed intimo gesto le aveva scatenato dentro.

I suoi occhi la tennero inchiodata a lui con lo sguardo, mentre il sangue le scorreva sempre più veloce nelle vene.

– È strano.. – mormorò Ethan, più confidenziale, iniziando a sporgersi verso di lei col busto, trattenendo ancora la sua mano in ostaggio ad altezza del petto – ..non mi dispiace per niente quando sei tu a chiamarmi così.

Il fiato di lui, ormai abbastanza vicino da oscurarla con la sua ombra, le sfiorò la pelle del volto ed in quel momento Kat avvertì aspettativa ed eccitazione mescolarsi in lei. La strana e terribilmente piacevole sensazione di vertigine tipica della fase subito precedente a quella del bacio la investì, attraendola irresistibilmente mentre Ethan avvicinava il volto al suo. Quando le loro labbra si incontrarono, il sollievo e l’emozione le bloccarono il respiro in gola ed il cuore al centro del suo petto esultò. E, per la prima volta, Kathrine avvertì come se, nel profondo, tutti i pezzi in cui era frammentato il suo stesso animo fossero d’improvviso tornati finalmente al proprio posto.

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Capitolo 5
*** Quella casa nel bosco ***


 

 

QUELLA CASA NEL BOSCO


 


Ethan tornò dabbasso, scendendo le scale che conducevano alle camere del piano superiore con il necessario per passare la notte sul divano sottobraccio. Nel caminetto già ardeva, vivace e confortante, il fuoco che aveva acceso poco dopo aver rimesso piede in casa propria, diffondendo nel salotto dalle pareti in pietra e legno una calda luce aranciata.

In quel momento, oltre la porta chiusa del bagno, il rumore dell’acqua corrente si spense. Cercando di non pensarci, si costrinse a mettersi seduto sul divano, dando le spalle all’anta lignea dietro la quale Kathrine stava asciugandosi dopo una doccia ristoratrice.

– Grazie ancora per l’ospitalità – gli giunse la voce di lei, leggermente ovattata, richiamando subitaneamente la sua attenzione – non dovevi.

No, probabilmente non avrebbe dovuto neanche pensarci, figurarsi proporglielo. Peccato che, appena l’aveva vista in difficoltà sul marciapiede, davanti ad un Puledro Impennato illuminato dalle luci del camion dei pompieri ed a un vecchio Bil costernato e quasi stralunato, non aveva potuto in alcun modo fare finta di niente.

Quella sera, quando erano usciti per il loro primo appuntamento, un tubo era scoppiato al Puledro, allagando gli alloggi e costringendo ogni ospite e persino i proprietari a lasciare lo stabile in attesa dei lavori di ripristino.

– Non preoccuparti – le rispose pragmatico, prima di concludere con una battuta ironica – ..ho solo pensato non fosse la stagione giusta per il campeggio.

La breve risata di Kat gli si insinuò sottopelle, facendogli nascere una strana e per nulla spiacevole sensazione nel centro del petto.

– Sì, soprattutto quando ti ritrovi con quasi tutto il tuo equipaggiamento zuppo d’acqua – convenne ilare lei.

Fu nella breve pausa di silenzio che seguì che Ethan pensò di aggiungere: – Se ti serve il phone, lo trovi nel primo cassetto sotto il lavandino.

Un’altra breve pausa.

– Trovato, grazie mille!

– Di niente.

Il familiare e costante ronzio della ventola dell’asciugacapelli si interpose in quel loro breve scambio, riportando il silenzio, ed Ethan deviò lo sguardo verso il caminetto, svuotando i polmoni con un sospiro per tentare di rilassarsi un poco. Non le aveva offerto di stare da lui perché avesse cattive intenzioni nei suoi riguardi, niente del genere, eppure gli risultava incredibilmente arduo mantenere il sangue freddo ora che la prospettiva di averla sotto il suo stesso tetto si era concretizzata.

Scacciando da sé la consapevolezza di lei a pochi passi di distanza con poco più di un asciugamano addosso, finì per posare lo sguardo sul tavolino accanto a sé, notando il vecchio libro dalla copertina morbida abbandonatovi sopra: “Lo Hobbit” di J.R.R. Tolkien. Era di Kat, una delle poche cose che, stando alla quantità di vestiti che erano già esposti sulle varie sedie poste appresso al camino ad asciugare, era scampata all’acqua.

Più per inerzia che per vero interesse, Ethan lo prese e quando se lo rigirò fra le mani, osservandone il bordo consunto e i vari pezzi di scotch applicativi a rinforzo, avvertì come un’inattesa e struggente sensazione sfiorargli il petto. Conosceva la storia ovviamente, ma la prima volta che l’aveva letta essa gli aveva creato una tale serie di emozioni contrastanti quali rimpianto e frustrazione, ma anche una strana malinconia, che non aveva più voluto averci a che fare.

Be’, questo almeno finché lei non era comparsa d’improvviso nella sua vita.

Da quel giorno molte cose erano cambiate ed altre stavano ancora cambiando, dentro e fuori di lui. Lo provava il fatto che, tenendo in mano quel vecchio libro, provava sì nostalgia e tristezza, ma anche un’inspiegabile euforia. 

La Compagnia di Thorin Scudodiquercia… 

Ripensando a quella volta che aveva involontariamente coniato per Kat il suo soprannome al Puledro Impennato, si chiese se, nel caso in cui lui avesse vissuto realmente i panni di Thorin e se la giovane chiusa nel suo bagno avesse davvero fatto parte di quell’avventura, le cose non si sarebbero svolte diversamente per gli Eredi di Durin.

Il rumore della porta del bagno che si apriva lo riportò bruscamente alla realtà, costringendolo a riporre il libro dove l’aveva trovato ed a combattere contro la sensazione di imbarazzo tipica di chi era appena stato colto in flagrante.

– Ho finito – gli annuncio la giovane, uscendo dalla piccola stanza in cui era rimasta chiusa per poco più di un quarto d’ora.

Ethan si volse meccanicamente per gettarle un’occhiata da sopra la spalla, ma appena ne inquadrò la figuretta che scalza stava calcando l’assito del pavimento si irrigidì in ogni muscolo e spalancò le palpebre. Kat, fermatasi accanto alla parete per spegnere la luce, indossava la camicia che lui stesso le aveva prestato e nient’altro, cosicché le gambe di lei spiccavano al di sotto del lembo di quell’indumento palesemente più grande di almeno due taglie.

Quando i loro occhi si incrociarono, Ethan si ritrovò ad artigliare il cuscino del divano con forza mentre l’immagine di lei si stampava a fuoco nella sua mente. I suoi capelli, più voluminosi e indomabili che mai a causa dell’effetto del getto d’aria calda con cui li aveva asciugati, le incorniciavano il viso leggermente arrossato e la trama a scacchi della stoffa che ne avvolgeva il busto ed i fianchi ne seguiva piuttosto bene le curve, soprattutto a causa del fatto che ella stringeva sottobraccio i vestiti che aveva avuto addosso prima di entrare in bagno. 

In quella situazione il sorriso imbarazzato che lei gli rivolse gli fece perdere più di un battito.

– Il bagno è tutto tuo – gli disse Kat, scostandosi con un gesto distratto una ciocca dietro un orecchio – ..scusa se ci ho messo tanto, credo di essermi un po’ distratta.

I suoi neuroni parvero finalmente decidersi a riprendere il normale funzionamento sinaptico, cosa che gli permise di riscuotersi e di distogliere bruscamente lo sguardo dalla ragazza.

– Non fa niente – le rispose spiccio, dopo essersi schiarito la gola.

Giusto, era venuto il suo turno di lavarsi.

La prospettiva di chiudersi in bagno per un po’ non gli parve così male: aveva bisogno di tempo per schiarirsi le idee, ed una doccia era proprio ciò che faceva al caso suo.

Quindi si rimise in piedi senza sforzo, per poi raccogliere il cambio d’abiti che aveva recuperato poco prima dalla propria camera, ma nel tornare a drizzar la schiena, i suoi occhi tornarono istintivamente a cercare la sua ospite. La trovò intenta ad aggirare il divano, diretta verso il caminetto, apparentemente inconsapevole del subbuglio interiore che minacciava di scatenargli, ed Ethan si maledì mentalmente per la propria sconsideratezza: avrebbe continuato a rivedersela davanti agli occhi con addosso soltanto quella sua vecchia camicia a quadri verdi e neri per il resto della nottata, ne era mortalmente sicuro. 

Perché poi lei gli facesse quell’effetto non riusciva a spiegarselo: non è che non avesse mai visto una ragazza “poco vestita”. Di una cosa però era certo, ed era che lei, per lui, era speciale, più di qualunque altra ragazza avesse mai incontrato in quella vita. Forse era a causa dei sentimenti che provava per lei se si sentiva attratto da ogni suo gesto, ogni sguardo, ogni parola che gli rivolgeva. Di una cosa però era certo: era lei l’unica ad avere il potere di destabilizzarlo e condurlo sull’orlo della perdizione. Ci aveva provato, a mantenere il controllo di sé con lei, ma l’effetto che ne aveva ottenuto era stato il fomentare le proprie fantasie. Fantasie che, ora, avevano appena acquisito nuovo e scottante materiale su cui lavorare, proprio grazie alla sua fantastica idea di prestarle una misera camicia.

Sì, doveva decisamente farsi una doccia.

Una doccia fredda. 

No, meglio gelata.

Si mosse automaticamente, aggirando il divano dal lato opposto ed avviandosi con passo deciso verso il bagno.

– Farò in fretta – le disse senza più guardarla, del tutto focalizzato a raggiungere la propria meta, tanto da rivolgerle automaticamente la prima formula di cortesia che gli venne in mente – tu fa’ come se fossi a casa tua.

Ancor prima di udirne la risposta si era già richiuso la porta alle proprie spalle.

 

 

Kat si accomodò sul divano per il verso della lunghezza, sollevando le gambe sui cuscini e coprendosi con la coperta in spessa lana ivi lasciatale dal padrone di casa. L’atmosfera del salotto era tipica di una casa di montagna, con il caminetto acceso che diffondeva calore, un sommesso crepitio nell’aria e, oltre i vetri della finestra, il fitto bosco montano avvolto nell’ombra e nella neve.

Sospirò, confortata da quell’atmosfera quasi romantica, andando quindi ad aprire il proprio vecchio libro già poggiato sulle ginocchia.

Aveva bisogno di calmare i nervi che, perfino dopo una più che rilassante doccia calda, erano stati costantemente a fior di pelle sin da quando aveva acconsentito a restare qualche giorno da Ethan. In fin dei conti il suo stato d’intima agitazione era comprensibile: aveva appena accettato di passare la notte sotto lo stesso tetto dell’uomo con cui era appena uscita e per cui provava dei sentimenti.

Per questo motivo fece del suo meglio per sgombrare la mente ed immergersi in un racconto che già conosceva e cui si sentiva legata in un modo che andava al di là della sua comprensione.

In realtà erano molte le cose che la riguardavano a sfuggire alla sua comprensione dal giorno in cui si era svegliata in un letto d’ospedale, ma ormai era da tempo che si era arresa all’idea. E poi, rifletté sovrappensiero, gli attacchi di panico e le crisi di pianto da quando era arrivata in paese erano svanite, quindi magari la sua psiche stava iniziando a riprendersi dal trauma dell’incidente.

Una parte di lei si chiese se non fosse proprio Ethan la causa di un tale miglioramento così netto.

La sua mente, in barba alla pagina che stava fissando da una manciata di minuti, le proiettò nuovamente il ricordo del bacio che c’era stato fra loro appena due ore prima, ed un brivido caldo e freddo insieme le risalì lungo la spina dorsale, facendole incassare il capo fra le spalle e sorridere fra sé e sé.

Era stato… indescrivibile.

Lui era indescrivibile, le suggerì la sua vocina interiore, sempre pronta a provocarla.

Lo sguardo le scivolò sul polsino della camicia a scacchi che le aveva prestato, giacché tutti i suoi vestiti si erano infradiciati a causa di ciò che era accaduto al Puledro Impennato ed ora giacevano appresso al camino, ad asciugare su alcune sedie ivi accostate per l’occorrenza. Non si era salvato niente, ma almeno entro l’indomani sarebbe stato tutto asciutto.

Così imparava a lasciare quasi tutte le proprie cose ammassate nello zaino, sul pavimento.

Non tutto il male però veniva per nuocere se ora poteva crogiolarsi in quel capo d’abbigliamento e nella sensazione di fibrillazione che le incuteva la consapevolezza di indossare qualcosa che apparteneva a lui. Se avvicinava il naso alla flanella del colletto ed inspirava, poteva cogliere una debole traccia del suo odore.

Arrossì violentemente, cercando di darsi un contegno mentre tornava a leggere le avventure di Bilbo e della Compagnia di Thorin Scudodiquercia, ma quell’attività non ebbe in lei l’effetto sperato, giacché ogni volta che sulla carta leggeva il nome di Thorin il suo cuore fremeva e le ricordava che un altro Thorin era a pochi metri da lei, oltre una semplice porta chiusa, a farsi una doccia.

No, ora si stava asciugando i capelli, si rese conto nel riconoscere il familiare rumore del phone oltre l’anta.

L’orologio a pendolo appeso alla parete già segnava l’una e mezza di notte, rendendola consapevole del costante quanto inevitabile scorrere del tempo, e una parte di lei ringraziò il fatto di non dover andare al lavoro il dì seguente: Bil avrebbe riaperto la sala ristoro della locanda quello successivo a causa dei danni provocati dall’acqua.

Se non ricordava male anche Ethan aveva affermato di avere il giorno libero, l’indomani.

Il pensiero che, forse, lo avrebbero passato interamente insieme le fece accelerare il battito del cuore nel petto e scosse il capo per cercare di scacciare tutti i pensieri e le aspettative che stavano già affacciandosi alla sua coscienza.

Non doveva aspettarsi nulla, ricordò a sé stessa una volta di più, zittendo il conflitto interiore che era stato sul punto di scatenarsi in lei: non aveva accettato la sua ospitalità perché si aspettava qualcosa, sapeva che la sua offerta non era nata da doppi fini, quindi pensarci non sarebbe valso a niente. Anche se… 

– Smettila Kat – si ammonì a mezza voce, imbarazzata da sé stessa.

Come se ciò che provava per lui fosse assimilabile soltanto ad una banale attrazione fisica. No, i suoi sentimenti erano decisamente più profondi e complessi e non avrebbe rischiato di rovinare tutto solo a causa dell’improvvisa decisione dei suoi ormoni di tornare in attività dopo neanche lei sapeva quanto!

Se l’era appena ripetuto mentalmente quando la porta del bagno si aprì e l’oggetto dei suoi pensieri uscì in soggiorno. Kathrine sollevò lo sguardo in sua direzione più per un mero riflesso condizionato che per una reale intenzione, ma quando i suoi occhi si posarono su di lui il fiato le si impigliò in gola e spalancò le palpebre, completamente presa in contropiede.

Ethan, con una mano a reggere un asciugamano sopra una spalla, lo stesso con cui doveva essersi tamponato i capelli corvini, indossava un paio di sformati e vecchi pantaloni della tuta grigio chiaro, abbastanza bassi sui fianchi da lasciar intravedere l’elastico dei boxer. E nient’altro.

Per la prima volta da quando lo conosceva Kat posò lo sguardo sul suo corpo seminudo e l’unico pensiero razionale che riuscì ad avere fu che la peluria che gli ornava il petto non era abbastanza da mascherarne i pettorali ben definiti. Aveva un fisico allenato, più di quel che si era intimamente immaginata, con muscoli di braccia e spalle evidenti, tipici di chi è abituato a sollevare pesi considerevoli quasi tutti i giorni. 

Ethan, totalmente inconsapevole dello sguardo incantato di lei, attraversò parte del salotto e scomparve in cucina, cosa che permise alla ragazza finita in trance di rientrare in possesso delle proprie facoltà mentali e di tuffare di nuovo il naso ne Lo Hobbit.

Oddio, oddio, oddio

Quello del boscaiolo doveva proprio essere un mestiere duro.

– Se hai sete c’è dell’acqua vicino al lavandino – le annunciò all’improvviso il padrone di casa dall’altra stanza, facendola sussultare meccanicamente ed arrossire fino alla punta delle orecchie.

Kat riuscì in qualche modo ad annuire mentre al contempo cercava di sprofondare, al colmo dell’imbarazzo, fra i cuscini del divano: dell’acqua fresca sarebbe stata l’ideale per la sua bocca improvvisamente riarsa, ma il solo pensiero di alzarsi era fuori questione, figurarsi andare in cucina passandogli letteralmente accanto.

Inspirò ed espirò più volte a fondo, cercando di calmare il sordo martellare del cuore nelle proprie orecchie, ma nel farlo si estraniò abbastanza da ciò che la circondava da non accorgersi che l’uomo dei boschi era tornato in salotto.

– Che stai facendo?

Kat rischiò seriamente l’infarto stavolta, giacché se lo ritrovò ad un metro di distanza, in piedi dietro al divano, intento a fissarla. Quasi le scappò un urletto ed Ethan la ricambiò con uno sguardo perplesso ed inquisitorio, perforandola con quei suoi occhi chiarissimi e penetranti.

– C-che..? N-niente – balbettò, avvampando ancor di più in volto e distogliendo lo sguardo, prima di tentare di rimediare alla figura che stava sicuramente facendo – ..stavo leggendo.

– Oh sì, vedo – ribatté quello con naturalezza – ..e vedo anche che ti sei messa comoda.

La sottile ironia del suo tono di voce spinse la ragazza a tornare a sollevare lo sguardo sul suo interlocutore, già chinatosi per appoggiarsi con ambo gli avambracci alla sommità dello schienale del suo autoproclamato “letto provvisorio”.

– Sì, infatti.. – gli confermò, corrucciandosi, confusa – ..perché?

Lui sfoggiò un lieve mezzo sorriso dei suoi, uno di quelli che riuscivano sempre ad accelerarle il battito cardiaco nel petto, ed un nuovo brivido la percorse. Distolse un’altra volta lo sguardo da lui, puntandolo sulle pagine del libro ancora aperto sulle proprie ginocchia.

– Perché, in realtà, quello sarebbe il mio posto…

Kat a quelle parole prima inarcò un sopracciglio e poi, dopo esser tornata a fissarlo dritto in volto, non riuscì a nascondere l’ironia ed il divertimento che le traboccarono dalle labbra.

– Ahah… sì, certo.. non sapevo potessi essere un tipo così spiritoso! – lo prese in giro, prima di riaffermare la propria posizione – Certo, è casa tua, ma... be’, è colpa tua che non hai specificato nulla quando mi hai detto di fare come se fossi a casa mia.

– Ah, è così… – le rispose Ethan a quel punto, scuotendo il capo con fare sconsolato prima di raddrizzare la schiena e guardarla dall’alto della sua statura.

I suoi occhi color ghiaccio sembravano brillare, tinti dei riflessi del fuoco, e Kat osservandoli si abbandonò con la schiena contro il cuscino. Allentò persino la stretta con cui reggeva il proprio libro sulle gambe, rapita da quel paio d’iridi splendenti.

Ci si sarebbe smarrita più che volentieri, in quella coppia di distese ghiacciate.

– In ogni caso, sappi che per stanotte questo divano è mio – continuò imperterrito il moro, prima di alludere al piano superiore con un cenno del capo – ..tu dormirai nella mia camera.

A quelle parole Kat, riavendosi bruscamente dalla propria silenziosa contemplazione, si aggrappò a Lo Hobbit neanche si fosse trattato della sua unica àncora di salvezza.

– Cos..? – le sfuggì a mezza voce, quasi strozzandosi da sé mentre il respiro tornava a incastrarlesi in gola.

Come sarebbe a dire che avrebbe dormito nella sua camera?

E dove, di preciso, nella sua camera? Non intendeva nel suo letto, vero??

Thorin sembrò a disagio sotto il suo sguardo inquisitorio, perché sollevò una mano a grattarsi la nuca e deviò lo sguardo verso le scale.

– Purtroppo la stanza degli ospiti non è in condizioni di riceverne.. – ammise, pragmatico – Domani ne approfitterò per sistemarla, ma per stanotte dovrai accontentarti della mia.

Kat deglutì, osservandone distrattamente le spalle muscolose sollevarsi in un chiaro gesto di rammarico, cercando di riprendersi dall’improvvisa agitazione che la prospettiva di passare la notte fra le lenzuola di lui le causava.

– N-no, no, no.. – iniziò, sollevando la schiena e rimettendosi in una perfetta posizione seduta, così da affrontare quel discorso surreale in tutta serietà – Non posso farlo. Non posso dormire nel tuo letto – stabilì, prima di aggiungere, cercando una giustificazione accettabile che non tradisse i suoi reali sentimenti – non mentre tu te ne stai qui su questo divano: non è giusto. No, dormirò io qui per stanotte.

Di nuovo Ethan inarcò un sopracciglio nello scrutarla e lei, per contro, mantenne stoica la propria posizione sfoggiando un’espressione decisa e leggermente corrucciata.

Non avrebbe chiuso occhio se l’avesse sfrattato dal suo stesso letto, e non certo per i sensi di colpa!

– La mia non era una proposta: è già deciso.

– Scordatelo.

– Bene, se la metti così… – se ne uscì a quel punto lui, accigliato, prima di muoversi.

Aggirò il divano e si lasciò ricadere seduto su di esso, dal lato opposto a quello scelto da lei, costringendola con un’esclamazione contrariata a raccogliere le ginocchia al petto per evitare che lui la schiacciasse.

Incredula, Kat lo fissò con tanto d’occhi mettersi comodo, come se lei non esistesse nemmeno, con le braccia allargate sulla sommità dello schienale e le gambe ben distese.

– Ma scusa…!

Lui la ignorò, emulando un sospiro eloquente che gli gonfiò il petto. La calda luce del fuoco proiettò piccole ombre danzanti sui suoi pettorali.

– Così va meglio – affermò con artefatta soddisfazione.

Kathrine a quel punto inarcò un sopracciglio, riemergendo dal proprio stupore per sferrargli un’occhiata carica di scetticismo.

– Ah, davvero?

L’altro, per contro, non fece una piega, rivolgendole un mezzo sorrisetto ironico.

– Oh sì – confermò, reclinando il capo all’indietro.

Kat, rivolta inevitabilmente verso di lui, al vederlo abbassare le palpebre si soffermò involontariamente a fissarne il profilo ed il rossore tornò prepotente a tingerle le gote. Come poteva apparirle così bello e virile persino in un momento di disaccordo come quello? E dire che avrebbe ormai dovuto essersi abituata a quel suo carisma di condottiero d’altri tempi.

Forse con l’età stava iniziando a tramutarsi in una di quelle pervertite che molestano i bei ragazzi…

Scacciò quel pensiero inquietante dalla propria mente, ritrovando grazie ad esso il senso della realtà ed il filo del discorso: non poteva dargliela vinta.

Si schiarì quindi la voce per catturarne l’attenzione.

– Stai dicendo – esordì – che, piuttosto che lasciarmi sul divano e dormire nel tuo letto, preferisci che ce ne stiamo tutti e due qui a litigarci il poco spazio disponibile?

Le spalle di lui si sollevarono di nuovo in un chiaro messaggio di noncuranza che la fece accigliare ancora di più.

– Così pare.

Kat sbuffò a cotanta insensata testardaggine.

– Io non posso crederci!

– Credici – ribatté quello, serafico – non intendo cedere.

– Io nemmeno – gli rispose lei risoluta, impuntandosi e traendo dalla propria contrarietà la forza per mantenere la propria posizione. Sollevò persino il libro che ancora reggeva fra le mani in posizione verticale, per limitare la propria visuale sul suo fisico, giacché l’averlo di fronte senza più di una coperta e poche decine di centimetri d’aria a separarli era per lei una fonte troppo efficace di distrazione. Senza contare l’effetto che creava la calda luce proiettata dal focolare sulla sua pelle nuda.

– Sei mia ospite: non posso lasciare che tu dorma su uno scomodo divano – ritornò alla carica Ethan dopo un po’, lanciandole un’occhiata da sotto le palpebre.

– Almeno io ci sto per intero, a differenza di qualcun altro – borbottò in replica Kat, imbronciata come una bambina.

La frecciatina parve colpire nel segno perché lo vide inarcare un sopracciglio, prima di darsi uno sguardo e uscirsene con uno sbuffo divertito.

– Sì, ok.. in effetti questo è vero.

Grazie al cielo stava tornando alla ragione..

– Però la cosa non cambia: io non intendo muovermi da qui.

..o forse no.

– Nemmeno io – negò lei, cocciuta, sistemandosi meglio nella propria posizione rannicchiata a sottolineare quanto appena detto.

– Bene.

– Bene.

Quindi il silenzio tornò ad interporsi fra loro, turbato soltanto dal fioco scoppiettare del fuoco, e durò quasi un minuto durante il quale la povera ragazza non riuscì ad impedirsi di gettare continue occhiate al suo compagno di divano.

Non potevano passare la notte in quel modo o la mattina dopo, oltre ad un paio di pesanti borse sotto gli occhi ed un mal di testa da urlo, ci avrebbe pensato il mal di schiena a farli pentire delle loro rispettive posizioni.

Sospirò, iniziando ad avvertire la stanchezza della giornata appena trascorsa.

– Così è questo che si intende per “stallo alla messicana” – commentò, scoccandogli un nuovo sguardo da sotto le ciglia.

Ethan sollevò il capo, emettendo uno sbuffo divertito dal naso, prima di rivolgerle un nuovo mezzo sorriso.

– Eh già.

Quindi ella lo vide cercare di assumere una posizione un po’ più comoda, scivolando più in basso sulla seduta e intrecciando le mani dietro la nuca. Nonostante il suo tentativo, a Kat apparve chiaro come in realtà i suoi sforzi si fossero rivelati inutili: sembrava sul punto di cadere dal divano da un momento all’altro.

Abbassando lo sguardo sulle pagine del libro, ella impiegò un altro paio di minuti per trovare il coraggio di esporre l’unica idea che, nel mentre, le era venuta in mente come alternativa alla loro scomoda situazione.

– Senti… – esordì per attirarne l’attenzione, sentendo le gote scottarle sempre di più mentre prendeva coraggio; inspirò a fondo, prima di decidersi e tornare a sollevare gli occhi sul suo interlocutore, oltre il bordo superiore de Lo Hobbit – …forse c’è un’alternativa.

Ethan, riabbassando le braccia, ricambiò il suo sguardo, inarcando un sopracciglio.

– E quale?

L’agitazione minacciò di serrarle la gola e Kat, per riflesso, sfuggì il contatto diretto con gli occhi di lui solo per finire per abbassare lo sguardo poco più in basso. Fu la scarica di adrenalina che le provocò la vista dei capelli neri di lui adagiati sui suoi muscoli delle spalle il carburante che le diede il coraggio di continuare.

– Invece di dividerci un angusto divano.. – gli disse, con il cuore che le rimbombava assordante nelle orecchie – ..sarebbe forse più logico dividerci un comodo letto, no?

Nel dirlo sollevò di nuovo gli occhi grigio-verdi sul volto altrui e fu per questo che poté essere spettatrice del cambiamento ne colse l’espressione: lo vide spalancare le palpebre, palesemente preso in contropiede da ciò che gli aveva appena detto, e poi un rossore sempre più accentuato fare la sua comparsa sui suoi zigomi, sopra il bordo della sua barba scura.

La pausa di silenzio che seguì vide il prolungarsi di quella situazione di stasi al punto che Kat, soggetta allo sguardo fisso e penetrante dell’altro, desiderò intimamente di non aver detto niente, giacché ora l’imbarazzo in lei era tale da farle rimpiangere anche solo di aver pensato a un’alternativa del genere.

Chissà quali idee si stava facendo lui sul suo conto a causa di quel che aveva appena proposto?

Stava per aprire di nuovo bocca e ritirare tutto quando, improvvisamente, Ethan abbandonò quella sua prolungata immobilità, voltando il capo nella direzione opposta ed infrangendo il silenzio.

– Va bene.

E a quell’unico, semplice assenso, il cuore di lei mancò un battito.


 

Come la sua coscienza tornò a riemergere dal mondo dei sogni, il suo braccio si mosse istintivamente a cercare una presenza accanto a sé. Il vuoto che trovò lo aiutò a riemergere dal proprio stato di dormiveglia, ma era ancora intontito quando, confuso, aprì gli occhi.

Il sole doveva essere sorto da un pezzo, pensò Ethan, a giudicare dalla luce che dalle imposte semi-chiuse filtrava nella sua stanza. E c’era qualcos’altro, qualcosa di diverso dalle mattine precedenti.

Il lontano suono di una voce femminile che canticchiava in sottofondo fu il primo messaggio chiaro che i suoi sensi gli riportarono alla mente. Il secondo fu la sensazione delle lenzuola a diretto contatto con la pelle del proprio corpo. Tutto il proprio corpo.

Reclinando il capo verso il proprio petto non ebbe bisogno di più di un’occhiata per avere la conferma che era nudo e l’istante seguente il ricordo della notte appena trascorsa lo colpì a tradimento, facendolo ricadere all’indietro a fissare il soffitto di quella che era la sua camera.

Orcamiseria.

Inspirò, incamerando aria nei polmoni e permettendo all’ossigeno di entrargli in circolo.

Loro avevano…?

Incredulo, tornò a voltarsi verso il posto vuoto accanto a sé, e quasi non ebbe il tempo di chiedersi dove fosse lei che di nuovo quel canticchiare indistinto tornò alla sua attenzione.

E quello non era forse odore di pane tostato?

Ormai del tutto desto e padrone di sé, Ethan si alzò lesto e s’infilò il primo paio di pantaloni che gli capitò sotto tiro, prima di avviarsi verso la porta socchiusa. Scese le scale in legno con passo celere, lasciando che la gravità facesse parte del lavoro, e mentre attraversava il salotto gettò un’occhiata nei pressi del camino. Le braci s’erano quasi del tutto spente, infittendo la penombra che sostava in quella parte della casa, e gli abiti di Kathrine erano ancora dove li avevano lasciati la sera precedente.

Il tipico rumore di qualcosa che sfrigola in padella, unito all’odore di cibo, lo richiamò verso la cucina e, quando vi si affacciò, ciò che i suoi occhi videro lo indusse a fermarsi ad osservare la scena: la figuretta di Kat, con addosso la stessa camicia che lui le aveva procurato la sera prima, era di schiena davanti ai fornelli accesi e stava facendo saltare quelle che, da quel poco che egli poté vedere dalla sua angolazione, dovevano essere uova strapazzate. Accanto a lei, sul ripiano piastrellato, due piatti attendevano con già delle fette di prosciutto da un lato, e sulla tavola apparecchiata svettavano una pila di frittelle ed un cestino di fette di pane arrostito.

Piacevolmente sorpreso, Ethan si soffermò un paio di minuti in quella sua silenziosa contemplazione, ritrovandosi a sorridere fra sé e sé mentre ammirava la giovane donna che, ignara della sua presenza, stava preparando una vera e propria “colazione dei campioni”, come l’avrebbero definita i più, canticchiando allegramente un motivetto che non gli era del tutto estraneo. 

Probabilmente gli aveva svuotato il frigo, considerò. Non che dentro ci fosse stato molto, prima del suo passaggio… avrebbe dovuto fare un salto in paese per comprare qualcosa per cena prima di sera.

Non che l’idea lo disturbasse in qualche modo. 

In realtà gli piaceva ciò che stava vedendo… in ogni suo aspetto.

Attese il momento in cui Kat spense il fornello per decidersi a farsi avanti.

– Buongiorno – esordì pacatamente.

Quella sussultò leggermente, presa di sorpresa, prima di voltarsi a gettargli un’occhiata da sopra la spalla. Quando i loro occhi si incrociarono, un sorriso che pareva derivata della luce stessa le delineò le labbra rosee, e lui pensò ancora una volta che era bella, davvero bella, con quei suoi folti capelli dai riflessi color mogano scompigliati dalla notte appena trascorsa e vestita soltanto della sua vecchia camicia a quadri neri e verdi.

– Oh, buongiorno – lo ricambiò lei dopo un istante, costringendolo a tornare a guardarla in volto.

Nemmeno si era accorto di aver abbassato lo sguardo sulle sue curve.

Doveva darsi una regolata, non poteva pensare a certe cose di prima mattina.

– Scusami se mi son messa a trafficare nella tua cucina – stava dicendo intanto Kathrine, tornando a riversare il contenuto della padella che stava maneggiando nei piatti lì accanto – non volevo sembrare sfacciata, ma quando mi sono svegliata avevo fame ed ho pensato sarebbe stato lo stesso per te; così, dato che c’ero mi sono messa a preparare la colazione…

La sua voce allegra colmò ogni angolo della piccola cucina ed Ethan, sorridendo maggiormente fra sé e sé, le si avvicinò da dietro, cedendo all’istinto di cingerla con ambo le braccia e poggiando al contempo il mento sulla sua spalla sinistra.

– Hai fatto bene – l’interruppe, stringendola delicatamente e crogiolandosi nella sensazione del suo corpo contro il proprio – Cos’hai preparato?

Sì, realizzò fra sé e sé mentre inspirava a pieni polmoni il suo odore e le depositava un bacio sotto l’orecchio, sulla pelle del collo, ora andava molto meglio.

La sentì rabbrividire leggermente in reazione alle sue attenzioni, ma l’istante seguente ne percepì i muscoli rilassarsi del tutto e ogni resistenza venir meno. Il suono di una fugace risatina di gola gli solleticò le orecchie.

– Ho trovato le uova in frigo, e così… – iniziò a rispondergli, appoggiando la padella ora vuota di nuovo sul ripiano cottura – …però non sapevo come le volevi: se all’occhio di bue o strapazzate, così ho pensato di farle in entrambi i modi, insieme a un po’ di prosciutto arrosto. Però poi mi è venuto in mente che non sapevo se avresti preferito una colazione dolce, e così…

Il moro non riuscì a trattenere uno sbuffo divertito, cogliendo la nota impacciata che colorava la voce della ragazza che aveva fra le braccia, fattasi insolitamente loquace, ed una parte di lui la trovò adorabile, tanto che tardò un istante ad andarle in soccorso.

– Vanno benissimo così – la frenò, rinsaldando l’abbraccio – adoro le uova col prosciutto a colazione. E mi piace anche tutto il resto.

E per “tutto il resto”, intendeva davvero tutto il resto.

Il verso di stupore misto a divertimento che le sfuggì, gli rese noto quanto anche lei avesse colto la velata allusione appena fatta, sorridendo fra sé e sé. 

Avrebbe potuto passare il resto della propria vita a svegliarsi così, pensò distrattamente. O meglio ancora: la metà del resto della propria vita, l’altra l’avrebbe volentieri passata svegliandosi con lei accanto, pronta ad accoglierlo fra le sue braccia come era accaduto la notte appena trascorsa.

In realtà il ricordo che serbava su come fosse iniziata era confuso nella sua mente: un attimo prima stava finalmente appisolandosi dal suo lato del letto e l’attimo dopo era sopra di lei, affondando fra quelle sue dolci, morbide labbra. Quel pensiero gli fece serrare la presa sui suoi fianchi ed al contempo gli fece nascere un basso mugolio di gola al quale Kat si fece sfuggire un ansito.

– T-Thorin…?

Quel soprannome, unito al tono con cui ella l’aveva appena proferito, ebbe il potere di fargli tornare il sangue al cervello e rallentarne il defluire verso ben altri posti, cosa che gli permise di realizzare ciò che stava facendo e che lo spinse ad allentare i muscoli delle braccia.

Che stava combinando?

– Scusami, sono un idiota – si schernì, arrossendo vistosamente e lasciandola andare, facendo persino un passo indietro per darle spazio – non so cosa mi sia preso stamattina: di solito non sono così…

Così arrapato, concluse mentalmente, vergognandosi troppo per ammetterlo ad alta voce.

A sua discolpa ci sarebbe da dire che l’abbigliamento di lei non lo aiutava a non pensare a certe cose, giacché per lui non vi era nulla di più sensuale di quella che nella sua personale classificazione della moda odierna era la perfetta mise da sesso: camicia maschile di due taglie più grande, calzettoni e nient’altro. Anche se nessuna gli aveva mai fatto lo stesso effetto che Kat gli faceva dal primo momento in cui l’aveva incontrata e questa era una delle cose che faticava ancora a spiegarsi.

La ragazza intanto, di nuovo libera di muoversi, si voltò a guardarlo e la sua espressione lo colpì come un pugno dritto al petto, giacché era l’esatta copia della sua: il rossore le tingeva le gote e le faceva rilucere gli occhi grigio-verdi dei riflessi della luce del giorno, mentre l’aria tesa ed imbarazzata con cui si morse il labbro inferiore gli fece venir un’incredibile voglia di baciarla.

Doveva darsi una regolata.

– Non sei un idiota..

A quella contraddizione il cervello di Ethan si inceppò momentaneamente, facendolo bloccare in ogni muscolo mentre si chiedeva se aveva sentito bene. 

No, probabilmente il “non” se l’era immaginato.

– ..perché vorrebbe dire che, allora, saremmo in due – concluse quindi Kat, abbassando lo sguardo e ravviandosi in un gesto abituale ed automatico alcune ciocche di capelli dietro l’orecchio sinistro.

E, se possibile, era ancor più rossa in viso mentre andava a tormentarsi con ambo le mani il lembo inferiore della camicia di flanella, gesto che, maledizione a lui, gli permise di distinguerne l’orlo inferiore delle mutandine.

Stavolta Ethan fu certo di aver capito bene, ma lo stupore gli impedì qualsiasi altra reazione non fosse quella di rimanere a fissarla, cosa che spinse la ragazza di fronte a lui ad accigliarsi e schiudere nuovamente le labbra.

– Non mi ha dato fastidio, è.. è solo che mi hai sorpresa, e poi.. insomma.. – e mentre parlava gli scoccava occhiate fugaci da sotto le ciglia, come se non riuscisse a sostenerne il contatto visivo, finché parve spazientirsi e lo fissò d’improvviso dritto in volto, quasi arrabbiata – Come potrei non provare le stesse cose se ti presenti così in cucina di prima mattina? Ma ti guardi mai allo specchio o quello in bagno lo tieni solo per fare arredamento?!

Quello sbotto improvviso, palesemente nato dall’imbarazzo che doveva star provando per aver appena ammesso i suoi sentimenti, lo lasciò spiazzato. Il sollievo che gli nacque in petto l’istante seguente però allargò il sorrisetto che gli si formò in volto non appena realizzò appieno ciò che le parole di lei stavano a significare, e non riuscì a simulare in alcun modo la propria soddisfazione né il senso di vittoria che gli nacque in petto.

Se le cose stavano davvero così, allora forse poteva anche rilassarsi un poco.

– Stai dicendo che non ti dispiace quello che vedi? – le domandò, tornando a far un passo avanti e cercando di agguantarla per i fianchi con ambo le mani.

Quella tentò di indietreggiare ma l’unico risultato fu che si ritrovò schiacciata fra lui ed il mobile alle sue spalle, con ambo le mani a premergli sul petto nudo in un vano tentativo di frenarlo.

– C-come se non lo sapessi – gli ribatté a tono, tornando a deviare lo sguardo a lato per evitare di guardarlo.

Era carina anche con quell’aria imbronciata, pensò il moro mentre aderiva con il bacino al suo basso ventre. La sensazione che gli pervenne da quel contatto indiretto ne richiamò alla memoria un’altra, ben più intensa ed avvolgente, ed una serie di brividi di eccitazione gli si diffusero in tutto il corpo. E sarebbe andato avanti in quella sua personale operazione di persuasione se un improvviso brontolio non avesse infranto il momento, risuonando nel silenzio come un gorgoglio di protesta, proveniente dallo stomaco di lei.

Appena Kat lo realizzò, la vide trattenere bruscamente il respiro e come tornò ad incrociarne lo sguardo, Ethan si ritrovò a frenare una nuova risata divertita, tanto per l’ironia del momento quanto per la buffa espressione che le lesse in volto e che pareva proprio volergli dire: “Non osare aver sentito qualcosa, chiaro?!”.

E, se avrebbe dovuto sentirsi un po’ infastidito da quell’interruzione, in realtà così non era e si sorprese ancora una volta dell’effetto che lei riusciva a fargli, finanche in momenti come quelli. La tensione sessuale ormai allentata e perfettamente sotto controllo, Ethan si chinò a donarle un bacetto complice sulla punta del naso, a dimostrazione della sua buona volontà di darle tregua.

– Be’, dato che ti sei data tanto disturbo è meglio fare colazione – affermò, sorridendole – Ho una fame da lupo.

Avrebbe potuto passare ore a fissare quell’iridi grigio-verdi, pensò distrattamente mentre la osservava rilassarsi e ricambiare il suo sorriso. Un sorriso dolce, colmo di affetto e gratitudine, ma anche divertito, che gli fece nascere una ormai familiare sensazione di calore al centro del petto.

No, non avrebbe mai più potuto rinunciare a quel suo sorriso, si rese conto mentre si chinava di nuovo a baciarla sulle labbra. Così come non avrebbe permesso che quei suoi occhi luminosi guardassero qualcun altro come stava guardando lui in quel momento.

Era incredibile come si sentisse indissolubilmente legato a lei, come se la conoscesse da sempre, ma non avrebbe ignorato il modo in cui lo faceva sentire. Non sapeva dove quella storia l’avrebbe portato, ma di una cosa era intimamente, inconsciamente, irrevocabilmente certo: ora che l’aveva trovata non l’avrebbe più lasciata andare, perché era lei la ragione per cui era nato su quella terra.


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Capitolo 6
*** Perfect ***


 

 

PERFECT


 


Come aveva fatto a finire in quella situazione?

Non era la prima volta che Kat, da quando aveva messo piede in paese, se lo chiedeva, ma quella era senza dubbio il coronamento di tutte le serate precedenti. Tuttavia, le bastò incrociare un paio di occhi color azzurro-ghiaccio per trovare dentro di sé la risposta a quella domanda: per lui. Era finita dov’era soltanto perché, quel lontano giorno d’autunno, aveva conosciuto lui.

O forse, anche da prima di quel momento.



Fu Gandalf ad aprire la porta d'ingresso, rivelando sullo sfondo della notte scura la figura del nano in attesa. Thorin Scudodiquercia si fece avanti, varcando l'atrio circolare della piccola casa hobbit con passo sicuro e pesante.

– Avevi detto che era facile da trovare [...] ho smarrito la via due volte!

~

– Ascia o spada? Qual è l'arma che preferite? [...] E voi, mia signora?

– ...spada, [...] anche se confesso di non averne mai maneggiata una vera.

Thorin, dal canto suo, non sembrò affatto sorpreso e scoccò un'occhiata eloquente agli altri suoi compagni lì presenti.

– Lo immaginavo.

~

– Come ha detto Gandalf, sono in possesso di conoscenze a voi inaccessibili e vi servirà il mio aiuto, [...] che lo vogliate o meno.

– Molto bene.. – esordì infine Thorin, distogliendo l'attenzione da lei per riporla sull'Istar – faremo a modo tuo.

~

– Lascia che mi presenti a dovere: sono Katla, figlia di Hekla; ma puoi chiamarmi Kat, se preferisci [...] al vostro servizio, Re sotto la Montagna.

Preso alla sprovvista, Thorin inarcò un sopracciglio, ma se non altro perse il cipiglio che gli aveva corrucciato l'espressione sino ad un attimo prima.


Peccato che quei ricordi preziosi non facessero più parte di lei.

Altri ne avevano preso il posto, insostituibili alla pari di quelli cui Kat aveva scelto di rinunciare per sempre ormai diverso tempo prima. Il vuoto che però avevano lasciato l’aveva portato dentro per tutti mesi a seguire e ancora la destabilizzava la consapevolezza che ci fosse qualcosa, nel profondo di sé stessa, che non conosceva e non sapeva come aggiustare.

Qualcosa che, meno di un’ora prima, si era ripresentato ancora una volta al suo animo.



Kat sollevò lo sguardo dal bicchiere che stava asciugando, appena in tempo per ritrovarsi a guardare il volto sorridente di Taylor oltre il bancone.

– Ehi Katla, perché non fai una pausa? Non ti sei fermata un solo minuto da quando è iniziata la serata – le propose, accennando al tavolino a cui era stata accomodata quasi tutta la sera, prima di farle l’occhiolino ed aggiungere – Vieni a sederti con noi!

– Ah… c-certo, va bene – annuì la mora, sorpresa, prima di scoccare un’occhiata dubbiosa al proprietario del locale, intento a spillare l’ennesima birra chiara.

– Tauriel ha ragione: per stasera hai già corso abbastanza! Goditi il resto della serata, saranno questi scansafatiche a venire a prendersi da bere, se ne vogliono ancora! Vero ragazzi?!

Un coro di assensi e qualche protesta per l’appellativo a cui erano stati designati si sollevarono da vari punti della sala.

Perplessa ma sollevata, Kathrine annuì e lanciò un’ultima occhiata di sfuggita all’uomo accomodato a quello stesso bancone, pochi posti più in là. Ethan le rivolse un lieve, morbido sorriso di incoraggiamento e lei, non riuscendo a non sorridergli a propria volta, gli fece un rapido cenno prima di voltarsi rapida e avviarsi al camerino dei dipendenti. Dopo una serata tanto intensa si sentiva un po’ stanca, ma il pensiero di avere il moro ad aspettarla contribuiva a infonderle nuove energie, giacché non era per nulla intenzionata a rinunciare al tempo in sua compagnia, per quanto poco potesse essere.

Per questo, quando tornò indietro dopo essersi debitamente disfatta di grembiule e maglietta da lavoro, aspettativa ed ansia si agitavano nel bel mezzo del suo ventre, facendola sentire in fibrillazione. Tuttavia quella sensazione si freddò, come improvvisamente congelata, quando, varcata la soglia che dava sulla sala del pub-ristorante, i suoi occhi tornarono meccanicamente al bancone. La scena che scorse bloccò ogni suo muscolo e pensiero razionale, mentre l’immagine che catturarono le sue retine le si impresse nella mente al pari di una fotografia: Ethan, seduto ove l’aveva lasciato, stava sorridendo mentre era intento a parlare con Taylor. Lei, ferma sullo sgabello vicino, gli stava rispondendo qualcosa con una naturalezza ed un’attenzione totali. Sembravano in confidenza, abbastanza da intrattenere una conversazione vera, una di quelle in cui si partecipa entrambi e non fatta esclusivamente di convenevoli. Lei rise, lui scosse il capo corvino e le disse qualcos’altro con un gesto vago a indicare Bil, cosa che suscitò altre risate nella rossa. Ed una strana sensazione di malessere, come una trave che si faceva strada nel suo addome, nacque in Kat mentre era spettatrice involontaria di quella discussione amichevole.

Non poté fare a meno di pensare che sembravano stare bene insieme, come due elementi di uno stesso quadro perfettamente armonizzato in ogni sua forma. Entrambi erano alti e belli, di quella bellezza che non si limita al solo aspetto esteriore perché derivante da qualcos’altro, qualcosa che trasudava dai loro gesti e dalle loro espressioni. Belli in un modo che lei non avrebbe mai potuto neanche sperare di essere, non con tutti i casini che si portava dentro.

Era una stupida, lo sapeva, non aveva motivo di sentirsi così in difetto, eppure non poté fare a meno di considerarsi alla stregua di un’estranea intenta ad osservare un mondo a cui non apparteneva completamente.

L’oscurità ghermì il cuore di Kathrine al pari d’una mano artigliata, provocandole una fitta ed al contempo una strana sensazione di deja-vù che le fece serrare le mani a pugno lungo i fianchi. Stava ancora cercando di aver ragione del proprio lato irrazionale e di trovare il coraggio di muoversi, prima che uno dei due la notasse, quando l’improvviso assalto di Philias la colse di sorpresa.

– Ehi, Katla! Ti sei liberata, vedo!

Sotto il peso del ragazzo che con tanta irriverenza le si era appena avvinghiato addosso, appoggiandosi di peso con un braccio sulle sue spalle, Kat incespicò in avanti ma, piantato un piede a terra, riuscì ad evitare di perdere del tutto l’equilibrio. Quando tornò a drizzarsi, sollevò quindi lo sguardo sul biondino che con tanta familiarità aveva appena invaso il suo spazio personale. Di nuovo.

– Fili! – sbottò accigliata, cercando di divincolarsi – Sei pesante!

Il cugino di quarto grado di Ethan finalmente la lasciò andare, sollevando ambo le braccia in universale segno di resa e ricambiando al contempo la sua occhiataccia con un sorriso sornione.

– Scusa, scusa… volevo solo dirti che fra poco è il nostro turno. Sei pronta o vuoi startene qui con quell’aria da funerale ancora un po’?

A quelle parole pregne di ironia Kat strabuzzò gli occhi.

– Come, scusa? – sbottò incredula, mentre il cuore le balzava in petto.

– Be’, ma è vero – ribatté l’altro candidamente, prima di indicare verso il palco con un cenno del capo – ..per un attimo mi è parso di star guardando mio fratello: avevi la sua stessa espressione.

Scoccando un’occhiata in tralice verso l’altro lato della sala, Kathrine notò la figura del giovane Kyle intento a cercare di leggere l’elenco delle canzoni per il karaoke sul tablet che reggeva fra le mani. O almeno era quello che sperava di far credere, perché in realtà erano più le occhiate che lanciava in direzione di Taylor che quelle allo schermo luminoso. Il suo volto contornato da ribelli ciocche castane era solcato da un’espressione insolitamente nervosa e cupa, una che Kat non gli aveva mai visto assumere da quando conosceva lui e suo fratello, cosa che le fece inarcare un sopracciglio.

– È innamorato di lei da quando eravamo piccoli ed era la nostra babysitter –  le rivelò il giovane “Fili”, in tono divertito e rassegnato al contempo – non si è ancora arreso e, conoscendolo, non credo lo farà mai.

Kathrine a quel punto serrò le labbra in una smorfia piatta, cercando di sopprimere la familiare sensazione di imbarazzo che la colse nel momento in cui realizzò quanto il biondo avesse ragione.

– Credo… – esordì, prima di deglutire a causa del groppo che le si era serrato in gola – …credo che mi riposerò un po’ prima di unirmi a voi – quindi, tornando a guardare il maggiore dei due fratelli, esibì un mezzo sorriso sardonico mentre lasciava spazio alla propria abituale ironia – e poi, prima vorrei capire se siete all’altezza di esibirvi con la sottoscritta.

Philias accolse lo scherzo, rispondendole a tono ed accantonando, con sollievo della diretta interessata, il discorso precedente.

Kathrine lo osservò allontanarsi in direzione del fratello minore, pronto “a spaccare”, come aveva appena affermato lui stesso prima di lasciarla. In rari casi, come quello appena trascorso, sembrava decisamente più maturo della sua età e, per certi versi, in quei momenti somigliava molto a suo cugino Ethan.

Quel pensiero la fece sorridere e, tornando a cercare Tauriel e Thorin con lo sguardo, li ritrovò intenti a guardare nella sua direzione. Sorridendo loro in risposta al cenno che le stavano facendo perché li raggiungesse, una parte di lei si rese conto che quell’ombra impalpabile, pronta a gravarle addosso come un rapace vendicatore, era già scomparsa.


Per questo non aveva neanche lontanamente ipotizzato che quella sera sarebbe stata La sera. La sera in cui sarebbe crollata in pezzi ancora una volta sotto l’effetto di emozioni che, dal primo momento, erano fuori dal suo controllo.

Ed era stato pochi minuti dopo aver creduto che quell’ombra, sempre in agguato appena oltre la sua sfera razionale, fosse stata infine sconfitta.

 

La musica dal ritmo country[*] si riversò fuori dalle casse disposte a lato del piccolo palchetto allestito nella sala della locanda per l’occasione, mentre gli avventori presenti già si entusiasmavano alla prospettiva di assistere all’esibizione dei giovani Fili e Kili.

E la prima strofa non poteva che essere cantata dal maggiore.


Hey brother
There's an endless road to rediscover[1]


Kat non poté far a meno di sorridere ancor di più a quell’esordio, piacevolmente sorpresa e al contempo divertita, giacché il testo sembrava calzare loro a pennello. Poi il fratello minore fece un balzello avanti, cantando la strofa successiva e guardando dritto verso di lei.


Hey sister
Know that water's sweet but blood is thicker[2]


Come quelle parole le risuonarono nelle orecchie e vide Kyle farle l’occhiolino, qualcosa in lei si tese, congelando il sorriso sul suo volto e minacciando di turbare il suo buon umore. Ci pensò il suo istinto di autoconservazione a salvarla da sé stessa, giacché negli ultimi mesi aveva avuto modo di allenarlo a dovere per prevenire ogni avvisaglia di crisi emotiva e anche questa volta esso fece egregiamente il suo dovere, sopprimendo ogni accenno di disagio in fondo all’animo e lasciandola libera di godersi lo spettacolo.

E Kathrine lo fece, pur ritrovandosi ad ascoltare ogni parola di quella canzone con insolita ed approfondita attenzione, canticchiando persino qualche strofa del ritornello sul finale e battendo le mani a tempo di musica. Una musica allegra, che ebbe il potere di colmarle il petto di entusiasmo e qualcos’altro: una sensazione agrodolce indistinta, molto simile alla nostalgia.


What if I'm far from home?
Oh brother, I will hear you call
What if I lose it all?
Oh sister, I will help you out
Oh, if the sky comes falling down
For you
There's nothing in this world I wouldn't do[3]


Allorché le ultime note risuonarono attraverso le casse ed i due fratelli si inchinarono all’unisono, vari commenti si levarono per la sala del Puledro da parte degli avventori abituali, insieme a qualche fischio, e Kat ridendo si unì a loro, alzandosi in piedi ed unendosi all’allegria generale.

– Grazie! Grazie! – esclamò allegramente Philias, prima di lasciare il microfono.

Kat, ancora sorpresa per la perfetta coordinazione dei due ragazzi nell’esibizione, si volse verso la ragazza seduta al suo stesso tavolino.

– Sono stati bravissimi!

– Ahah, sì! La cantano ogni volta! – le rispose Tauriel senza guardarla, con ancora un ampio sorriso a delinearle le labbra rosse.

Aveva scoperto che era la stessa cameriera che, prima di lei, si era rotta una gamba lavorando sui pattini al Puledro Impennato.

Quando se l’era trovata davanti aveva dovuto alzare lo sguardo e, benché inizialmente si fosse sentita quasi in soggezione, preda di una diffidenza istintiva e del tutto immotivata, si era dovuta ricredere appena avevano iniziato a parlare.

Era stato grazie al sorriso di lei se avevano fatto subito amicizia, un sorriso come quello che stava sfoggiando adesso guardando i due giovani scendere dal palco.

Poi ella si volse a guardarla e la sua espressione mutò in un istante.

– Katla.. – la chiamò, tradendo un’improvvisa preoccupazione nel tono di voce – ..tutto bene?

Ricambiandone lo sguardo apprensivo, Kathrine inarcò un sopracciglio.

– Sì, perché?

La sua risposta però non convinse affatto la rossa, che spostò lo sguardo oltre lei, come cercando qualcosa. O qualcuno.

– Thorin – lo chiamò soltanto.

E Kat fece lo stesso, confusa e dubbiosa, voltandosi verso il diretto interessato, cercando di capirci qualcosa. Come incrociò gli occhi chiari di Ethan seduto al tavolino accanto però, anche lui parve perdere del tutto ogni allegria sul volto barbuto, alzandosi addirittura in piedi e bruciando con un paio di rapide falcate la distanza atta a separarli.

Il repentino cambiamento, nonché quel suo improvviso avvicinamento, la fecero quasi sussultare.

– Kat, – la sua voce era seria, quasi allarmata mentre pronunciava il suo nome, sondandola con il suo sguardo penetrante – cos’è successo?

– Co..? – la mora, iniziando a sentirsi a disagio, non capendo cosa stesse succedendo intorno a lei, incespicò con la lingua e se ne uscì con una breve risata nervosa e sulla difensiva – N-niente, perché?

Nella pausa che seguì, alternando gli occhi chiari dall’uno all’altra, non mancò allora di notare che ora lui e Tauriel non erano gli unici a prestarle attenzione, e la cosa contribuì ad aumentare la tensione che rapida stava montando in lei.

La risposta intanto tardò ad arrivare e Kat, dopo un paio di secondi, ci riprovò.

– Ho qualcosa in faccia per caso?

Lo disse ironicamente, tanto per dire, e fece persino il gesto di spazzarsi le guance con una mano e fu a quel punto che colse la sensazione di bagnato sotto le dita. Ritirando il proprio arto, si ritrovò quindi a fissare i propri polpastrelli ricoperti di una sostanza umida e trasparente, del tutto simile all’acqua.

Quelle erano…?

La consapevolezza la colpì nello stesso istante in cui una nuova serie di lacrime scivolò sulle sue gote, strabordando dalle ciglia scure: stava piangendo. Stava piangendo silenziosamente e neanche se n’era resa conto.

Confusione e spaesatezza si sovrapposero nella sua mente.

– Ma che..? – soffiò, prima che la voce le s’infrangesse in un singhiozzo.

Immediatamente si tappò la bocca con ambo le mani ed il panico le artigliò il petto in una fredda morsa, facendole sollevare di scatto lo sguardo su Ethan, ancora immobile al suo fianco. Come i loro occhi si incrociarono, qualcosa in Kat scattò e lei si mosse d’impulso, giusto un attimo prima che lui tentasse di sollevare una mano a toccarla.

Si voltò e, senza una parola, con nuove lacrime che le scivolavano copiose sulle guance arrossate, fuggì.

Scappò via, attraversando di corsa la sala e gettandosi sulla porta che dava sul vano scala e l’accesso al vicolo sul retro, cedendo al panico ed ignorando la voce profonda di lui che la chiamava per nome.


Su quel palco, con il microfono in mano ed il tablet davanti pronto ad avviare la musica che aveva scelto, Kat si sentì come sospesa in un limbo. Ripensò agli ultimi mesi, all’ingenuità con cui aveva creduto di essere di nuovo libera da quelle crisi di pianto che l’avevano afflitta sin dal suo risveglio in ospedale, ed al motivo per cui si era illusa di essere “guarita”.

Peccato che quella stupida convinzione fosse crollata con così tanta facilità solo pochi minuti prima, come una sottile e lucente lastra di vetro che improvvisamente si frantuma in un inarrestabile reticolo di schegge e collassa su sé stessa.

Così si era sentita, finché lui non l’aveva sorpresa ancora una volta.

 

Kat si lasciò cadere in ginocchio nella neve, le braccia strette intorno al busto per cercare di contenerne il tremito. I singhiozzi risuonarono sulle pareti del vicoletto dietro al Puledro, scuotendola dall’interno, mentre l’aria della notte le gelava la pelle accaldata, lì ove le lacrime l’avevano bagnata scivolando sino al collo.

Perché?

Perché era accaduto di nuovo? Perché proprio quella sera?!

Tentò di far entrare aria nei polmoni, ma i singhiozzi che la scuotevano erano talmente violenti da rendere il suo tentativo un’impresa. Confusa e dilaniata da un’irruenta ondata di emozioni che nemmeno riusciva ad interpretare, a malapena riconobbe la gelida morsa del panico fra queste. Panico, perché lui era stato testimone dell’accaduto.

Cos’avrebbe pensato?

Cosa gli avrebbe detto quando le avesse chiesto spiegazioni?

Aria, aveva bisogno di più aria.

– Kathrine!

La porta alle sue spalle si aprì di scatto e sbatté contro il muro con un tonfo secco e, un istante dopo, Ethan era al suo fianco, in ginocchio, a sostenerla ed al contempo massaggiandole la schiena.

– Piano, respira piano – le giunse dalla sua voce bassa e ferma, tipica di chi ha tutto sotto controllo – segui il mio ritmo: dentro, fuori.. dentro, fuori…

Kat tentò di seguire quella cadenza regolare quanto rassicurante e, lentamente, il respiro tornò a riempirle i polmoni, facendole arrivare nuovo sangue al cervello. Tuttavia, per quanto potessero quietarsi i sussulti che le sconquassavano il petto, i sentimenti che li avevano provocati non si affievolirono, bruciandole dentro come fuoco di drago.

Dolore, disperazione, rimpianto, nostalgia e senso di colpa. Ed una tristezza senza fine.

Erano queste le emozioni che tutte insieme si erano affacciate al suo animo, mute eppure presenti, ed ancora la tormentavano, facendole serrare con forza le mani sulla stoffa della propria maglietta, ad altezza del petto, ed impedendole di dare attenzione a ciò che la circondava.

– Kat – di nuovo la voce di Ethan, roca e rassicurante, tornò a richiamarla e lei sollevò gli occhi gonfi e colmi di lacrime sul suo volto solcato di preoccupazione – cos’è accaduto?

La guardava con una pena tale che il cuore le fece ancor più male mentre serrava le labbra in una linea piatta, cercando di trattenersi dal singhiozzare ancora, cosa che portò ad una nuova serie di piccoli sussulti delle spalle.

– Dimmelo – insistette lui al suo silenzio – ti prego.

E lei, davanti a tanta sincera preoccupazione, non poté più tacere.

– N-non lo so – balbettò, la voce terribilmente incrinata, come se fosse sul punto di spezzarsi – ..non so come.. come mai è.. i-io…

L’incapacità di capire sé stessa, unita alla sensazione di essere terribilmente vicina a farlo, fecero nascere in lei una frustrazione ed un’insofferenza tali da raggiungere il punto di rottura e qualcosa nel suo animo rispose, lacerandosi. Il freddo dell’inverno, lo sguardo travagliato di lui, la sensazione d’impotenza… tutto questo, per un unico, fugace istante, provocò nella sua mente il sovrapporsi di un’immagine terribilmente simile alla scena che aveva di fronte e, nello spazio di un battito di ciglia, Kat non fu più lì, con Ethan, su quella terra, ma in un mondo lontano, totalmente diverso. Per il tempo di un singolo sussulto del cuore tornò sulla vetta di Collecorvo, al momento in cui Thorin Scudodiquercia, ferito a morte, aveva voltato lo sguardo verso di lei ed i loro occhi si erano incrociati per l’ultima volta.

E le lacrime tornarono ad offuscarle la vista, incandescenti come fuoco liquido.

– M-mi dispiace… – ansimò, senza fiato, sconvolta da quella visione che l’istante seguente tornò all’oblio dal quale era stata strappata, giacché erano ricordi che non le appartenevano più ma i cui sentimenti perdurarono in lei, facendola crollare in una litania spezzata di singhiozzi – ..mi dispiace, Thorin… mi dispiace… mi dispiace…

Scoppiò in un pianto a dirotto che si infranse contro il suo petto, giacché Ethan subito l’avvolse fra le braccia, stringendola a sé con la stessa forza con cui lei gli si aggrappò alla camicia di flanella.

Avvolta in quel nuovo calore, Kathrine pianse tutte le lacrime che ancora aveva, dando voce al dolore insito nella parte più profonda del suo cuore, travolta da esso in un modo del tutto nuovo quanto assoluto. Le ci volle una manciata di minuti per calmarsi e durante tutto il tempo Ethan non allentò la stretta con cui la stava abbracciando, neanche per un secondo, né le disse nulla. La lasciò sfogare, inginocchiato con lei nella neve, apparentemente immune al gelo che filtrava attraverso i vestiti bagnati.

Quando finalmente i singhiozzi d’ella si placarono e le lacrime smisero di traboccarle dalle ciglia ed inzuppare la camicia di lui, giunse il momento tanto atteso e temuto delle spiegazioni.

– Ora mi dirai cosa ti è successo là dentro?

Una bella domanda.

– Non lo so – confessò Kat in un soffio, asciugandosi il volto sulla stoffa della camicia di lui prima di trovare il coraggio di alzare lo sguardo ad incrociare il suo – non era mai successo, non così… non saprei neanche spiegarlo.

Affetto ed apprensione solcavano il volto contornato dalla corta barba ben curata dell’uomo, che allentò la presa sulla sua schiena, abbastanza da permettere ai loro occhi di incrociarsi ma non di più. Come se avesse paura che, lasciandole solo un po’ più di spazio, lei avrebbe tentato di nuovo di scappare via da lui.

– Perché non ci provi? – le propose con una nota incredibilmente morbida nella voce calda e profonda – Ti prometto che ti ascolterò fino in fondo. Non andrò da nessuna parte. 

Kat sussultò, presa alla sprovvista da quell’ultima affermazione che aveva appena centrato il segno di ogni sua più intima paura. Si ritrovò ad arrossire, sentendosi colta in fallo da quella promessa insperata e, abbassando lo sguardo, cercò la risposta dentro di sé.

Alla fine, malgrado la propria stessa confusione, non poté che acconsentire.

– Ci proverò.


Per questo motivo aveva deciso di salire su quel palchetto di legno improvvisato.

Per questo Ethan, in piedi sotto quello stesso palco, la guardava fisso senza prestare attenzione a nient’altro.

Tornando a focalizzarsi sul testo della canzone che aveva scelto, ne scorse le strofe un’ultima volta prima di decidersi ad avviare il brano. Sì, con qualche piccola modifica sarebbero andate bene.

Come le prime note colmarono il silenzio[*], Kat chiuse gli occhi, concentrandosi sulla melodia e lasciandosi ben presto trasportare da essa.

Quando giunse il momento, serrò la presa sul microfono e schiuse le labbra.


Talking with you while I'm all by myself
Voices stay silent to everyone else
[4]


La sua voce inizialmente uscì flebile dalle casse dell’impianto audio, graffiata dallo sforzo a cui le corde vocali erano state sottoposte fino a pochi minuti prima, ma man mano che le parole prendevano forma dando vita a ciò che covava in fondo all’animo, risuonavano sempre più limpide.


You were my heroe and you were my hope
Till you left me so hurt and afraid, all alone
[5]


Perché, anche se non lo ricordava, qualcosa le era successo quel lontano giorno d’inverno. Qualcosa di cui aveva sentito terribilmente la mancanza per mesi e che l’aveva cambiata, forse distrutta. Eppure, in qualche modo, si era rialzata ed aveva ripreso in mano la propria vita.


And maybe I'm a monster, but I am what you made
Lost memories that hurt me, will fly apart and fade
And maybe I'm a monster, but I don't give a damn
For maybe I am imperfect ~ imperfect…
Just the way I am
[6]


Aveva intrapreso il suo viaggio e lungo la strada aveva incontrato il suo Thorin.

E lui ora era lì di fronte a lei, e la stava guardando fisso, senza distogliere lo sguardo.


I don't wanna feel, tell me was it worth it?
'Cause I don't give a damn, I don't wanna feel
Tell me that I'm imperfect, just the way I am


Cosa c’era di sbagliato in lei, in fondo? Era solo una ragazza normale, con qualche cicatrice in più nel cuore. Non c’era motivo di nascondere ciò che era, perché lui non sarebbe andato da nessuna parte: glielo aveva promesso. 

Quindi continuò a cantare e per ogni strofa riacquistava un po’ della propria sicurezza, o forse era solo la sua capacità di lasciarsi trasportare dalla musica e dai sentimenti che le rievocava.

E mentre cantava sollevò lo sguardo sulla sala della locanda, notando fra gli astanti i cugini di Ethan alzare un pugno in segno di vittoria ed incoraggiamento. Le venne da sorridere alla loro spontaneità e di nuovo provò una sensazione pungente al centro del petto, che la spinse a riversare ciò che sentiva nella propria canzone.


I don't wanna feel, tell me was it worth it?
'Cause I don't give a damn, I don't wanna feel
Tell me that I'm imperfect, just the way I am


Non aveva più bisogno di guardare il testo, giacché lo conosceva e le ultime strofe al di fuori del ritornello erano subordinate ad un intervento che sapeva non ci sarebbe stato: nessuno le avrebbe risposto. O almeno era questa la propria convinzione mentre ascoltava ad occhi chiusi la melodia colmare l’aria.

Per questo motivo, quando ciò accadde, Kat spalancò le palpebre di scatto, totalmente presa di sorpresa.


Oh, you're perfect, don't cry, don't change[7]


La sua calda voce colmò il vuoto mentre Ethan, procuratosi il secondo microfono, saliva i pochi gradini del palco. Fischi di apprezzamento da parte dei suoi parenti si levarono dalla sala.

Incrociandone gli occhi azzurrissimi ancora una volta, Kat avvertì un intenso brivido correrle su per la schiena e la situazione le fece nascere un sorriso spontaneo sulle labbra.

Quindi fece un passo verso di lui, tornando a sollevare il microfono.


And I can trust you, I'm still trying to
But my heart is still exploding, corroding into shame
[8]


Ed era vero, pensò mentre lui le si fermava davanti, fissandola dall’alto della sua statura con un’intensità tale da farla vacillare, mentre le rispondeva ancora una volta.


Oh, you're perfect, don't cry, don't change


E va bene, pensò dentro di sé mentre il sorriso le si ampliava in volto, gli avrebbe creduto.


I don't wanna feel, tell me was it worth it?
'Cause I don't give a damn, I don't wanna feel
Tell me that I'm perfect, just the way I am

I don't wanna feel, tell me was it worth it?
'Cause I don't give a damn, I don't wanna feel
Tell me that I'm perfect, just the way I am


La speranza rifiorì in lei, che rivolta nuovamente verso il pubblico sentì dentro di sé gli ultimi strascichi di malinconia dissolversi come fumo al vento, soppiantati da un’euforia nuova e travolgente. Fu per questo che accompagnò le ultime note con la propria voce, in un – na na na – fine a sé stesso, solo per il gusto di farlo, e quando sentì di nuovo quella di Ethan sovrapporsi e sommarsi alla sua, accompagnandola, credette che il cuore fosse sul punto di esploderle in petto dalla gioia.

Quando la musica cessò e la canzone finì, il proprio battito le risuonava talmente forte nelle orecchie che si sommò all’improvvisa ovazione che pervenne dalla sala del Puledro Impennato di fronte a loro. Ovazione i cui fautori principali erano proprio Fili e Kili.

Kat, non abituata a quel genere di cose, arrossì ed al contempo non poté non ridere dell’entusiasmo esagerato dei due ragazzi per il debutto del loro cugino preferito, verso il quale rivolse un’occhiata da sopra la spalla. Come ne vide l’espressione perplessa mutare in una di bonario rimprovero, pur non mancando di sfoggiare uno dei suoi mezzi sorrisi, si chiese cosa avesse fatto per meritarsi di incontrare un uomo del genere.

– ..sì, sì.. dateci un taglio – stava dicendo ai suoi parenti il diretto interessato, prima di riporre il microfono da parte.

Fu a quel punto che si voltò a guardarla e come i loro occhi tornarono ad incrociarsi, il familiare tuffo al cuore che sperimentava ogni volta che questo accadeva si ripresentò a serrarle la bocca del ventre in una dolce morsa. Poi, dopo quel primo momento di stasi, le sue labbra si mossero, sillabando un’unica, semplice frase: “Sei perfetta… per me.”

Quell’unica silenziosa affermazione, unita al lieve sorriso che le rivolse, la colpirono dritta al cuore e lo stupore, unito al divampare nel suo ventre di una familiare e al contempo nuova sensazione di calore furono l’innesco con cui i profondi sentimenti che provava per lui esplosero in lei, arrivando a spazzare via anche la più remota sensazione di vuoto che negli ultimi mesi l’aveva tormentata tanto a lungo. Quell’ondata di emozione la investì e la travolse al pari di un fiume in piena e le fece istintivamente serrare la presa sul microfono che ancora teneva sollevato nella mano destra per resistervi, invano. Essa traboccò come se fosse dotata di vita propria, prendendo vita sulle sue labbra.

– …ti amo.

Lo disse senza quasi rendersene conto, completamente dimentica che il proprio microfono fosse ancora acceso, e per questo il sentire quello che aveva creduto soltanto un proprio intimo pensiero risuonare per tutta la sala la fece sobbalzare.

Allo stesso modo Ethan si fece come di pietra, bloccandosi alla pari di un cervo di fronte ai fari di un’auto e guardandola allo stesso modo, ma fu solo per un paio di secondi. Nello spazio di un battito di ciglia, mentre la fautrice di quella confessione involontaria avvampava in viso e lasciava cadere a terra il microfono con un tonfo sonoro, lui si mosse, bruciando la poca distanza intercorsa a separarli con un’unica falcata.

La baciò davanti a tutti, con un trasporto tale da toglierle il respiro e farle perdere ogni percezione della realtà circostante: non colse l’improvviso sollevarsi delle voci degli spettatori, amici e parenti, ancora presenti nella sala, né avvertì altra sensazione che non fosse il suo tocco sulla propria pelle, dalla morbidezza delle sue labbra alla pressione delle sue mani ai lati del proprio volto, e finanche il suo sapore.

Pochi secondi dopo, quando Ethan si staccò da lei abbastanza da permetterle di respirare, Kat tornò ad osservarne il volto vicinissimo al proprio e, mentre tentava di elaborare mentalmente quanto appena accaduto, lui le sorrise.

– Ti amo – le sussurrò, gli occhi piantati nei suoi e le loro fronti che quasi si toccavano.

Il cuore le fece un’altra capriola nel petto a quell’unica, preziosa ammissione, e Kathrine sentì i propri occhi tornare a pizzicare. Commossa, gli sorrise a propria volta e gli gettò le braccia al collo, tornando a baciarlo con lo stesso trasporto dimostrato da lui poc’anzi, sentendolo ricambiarla in egual misura e avvertendo le sue braccia accoglierla e stringerla a sé.

Si staccarono solo quando, poco dopo, alla cacofonia generale si sovrappose la classica battuta: – Trovatevi una stanza!

Una provocazione alla quale Ethan, senza scomporsi e senza lasciar andare la ragazza, replicò prontamente: – Ehi Bil, lo hai sentito? Offrici una stanza!

E risate si levarono fra i tavolini, e più di una testa si voltò verso il locandiere, che preso alla sprovvista iniziò a brontolare come una caffettiera, negando la disponibilità e dando vita ad un breve dibattito ironico al riguardo.

Kathrine, assistendo alla scena di cui era stata in qualche modo fautrice, si ritrovò quindi a sorridere divertita.

– Cos’era quello? – chiese al suo boscaiolo preferito, tornando a guardarlo negli occhi con un sorrisetto sbarazzino – Un lato di Thorin che ancora non conoscevo?

– Può darsi – le rispose a tono lui, ricambiandola – vogliamo andarcene da qui e vedere insieme se ce ne sono altri?

Se Kat non lo fosse stata già da tempo, sarebbe arrossita in volto come un semaforo a quella chiara allusione, ed il brivido che le risalì lungo la spina dorsale entrò in netto contrasto con l’incendio che le era appena divampato in corpo, accentuandone gli effetti e spingendola ad aderire maggiormente al corpo altrui.

Oh, stava accadendo di nuovo: quando si trattava di lui, ogni lucidità di pensiero si tramutava in un lontano ricordo. Ma forse, pensò distrattamente fra sé e sé mentre acconsentiva alla sua proposta con un cenno del capo, non era necessariamente un male.

 



~ LEGENDA ~

Grassetto = titoli.
Corsivo = evocativo (flashback, canzoni, citazioni, parole in altra lingua o toni dal timbro particolare).
MAIUSCOLO = toni alti.
[1, 2, 3..] = si tratta di annotazioni e/o traduzioni che aiutano il lettore a comprendere al meglio il testo. Basta sostarvi sopra con il mouse perché compaia la nota cui fanno riferimento.
[*] = facendovi click con il mouse aprono il link al video cui il testo fa riferimento (musiche, canzoni, ecc).


» Note:
1. "Hey brother / there's ad endless road to redescover" = Hey fratello, c'è una strada infinita da riscoprire
2. "Hey sister / know that water's sweet but blood is thicker" = Hey sorella, sai che l'acqua è dolce ma il sangue è più denso.
3. "What if I'm far from home? / Oh brother, I will hear you call / What if I lose it all? / Oh sister, I will help you out / Oh, if the sky comes falling down / For you / There's nothing in this world I wouldn't do" = E se io fossi lontano da casa? Oh fratello, ti sentirò chiamare. E se perdessi tutto? Oh sorella, ti aiuterò. Oh, se il cielo cadesse, per voi non c'è niente al mondo che non farei.
4. "Talking with you while I'm all by myself / Voices stay silent to everyone else" = Parlo con te mentre sono da solo. Le voci restano silenziose a tutti gli altri.
5. "You were my heroe and you were my hope. Till you left me so hurt and afraid, all alone" = Eri il mio eroe ed eri la mia speranza. Finché non mi hai lasciato così ferita e spaventata, tutta sola.
6. "And maybe I'm a monster, but I am what you made / Lost memories that hurt me, will fly apart and fade / And maybe I'm a monster, but I don't give a damn / For maybe I am imperfect ~ imperfect… / Just the way I am" = E forse sono un mostro, ma sono ciò che hai creato. Ricordi perduti che mi hanno ferito, sono volati via e svaniscono. E forse sono un mostro, ma non me ne frega niente. Perché forse sono imperfetta ~ imperfetta... Sono fatta così.
7. "Oh, you're perfect, don't cry, don't change" =Oh, tu sei perfetta, non piangere, non cambiare.
8. "And I can trust you, I'm still trying to / But my heart is still exploding, corroding into shame" = E posso fidarmi di te, ci sto provando. Ma il mio cuore sta ancora esplodendo, corrodendosi nella vergogna.


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