Tutto dono

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Tutto dono
 

Prologo
 
«Ragazzi, silenzio, per favore».
Samir si passò una mano tra i capelli, che si erano allungati parecchio dall’ultima volta in cui li aveva tagliati e ˗ si era visto quella mattina allo specchio ˗ gli stavano abbastanza bene. Sperò che la madre non lo costringesse a tagliarli.
«Ascoltatemi, devo parlarvi di qualcosa d’importante».
Samir appoggiò la guancia sul palmo della mano chiedendosi perché don Lorenzo, il loro insegnante di religione, si ostinasse a provare a dialogare con loro nonostante non fossero minimamente interessati.
«Basta, Isaac» sibilò Federico Mestri, seduto accanto a lui.
Samir sospirò: Federico era il suo migliore amico, si conoscevano dalla prima media, ed era un ragazzo molto intelligente e tranquillo, ma terribilmente ingenuo. Dire a Isaac Alani di comportarsi bene, per giunta durante una lezione in cui non avrebbe rischiato conseguenze, era solo uno spreco di fiato. Infatti, Isaac cominciò a lanciare palline di carta su di loro, lasciando momentaneamente in pace Sarah Marchetti, il suo precedente bersaglio.
«Lascia perdere» gli suggerì tirando l’amico per la manica e costringendolo a girarsi. «Non gliene frega nulla».
«Non la passerà liscia» borbottò irritato Federico.
«Sì che lo farà. Non credo che don Lorenzo abbia mai fatto una nota in vita sua».
«Oh, no, certo che no» replicò Federico con uno strano sorriso furbo.
«Che vuoi fare?» gli chiese preoccupato. Federico era un ragazzo fin troppo idealista, ma scontrandosi con uno come Alani le parole non sarebbero servite e Federico si paralizzava al minimo cenno di violenza. Samir lo fissò in attesa di una spiegazione: nel loro gruppo di amici era anche quello più responsabile e non gli andava di doverlo essere al suo posto.
«Don Lorenzo non farà nulla, ma il consiglio di classe sì. Cassy mi ha detto che si è lamentato anche lui per il nostro comportamento».
Samir alzò gli occhi al cielo, avrebbe dovuto immaginarlo. Riportò la sua attenzione sul prete che si arrabattava per avere un attimo di silenzio – gran parte delle lezioni trascorreva sempre in quel modo. Lui non avrebbe dovuto seguire quella lezione, perché la madre non voleva, ma rimaneva ugualmente in classe con i suoi compagni: era molto meglio che tentare di fare un’attività extra e, in più, don Lorenzo parlava spesso di attualità e non solo strettamente di religione. Samir lo trovava interessante.
Per conto suo non comprendeva la maleducazione dei suoi compagni. Aveva ricordi sfocati della scuola coranica, che aveva frequentato per qualche tempo prima che il padre entrasse in conflitto con l’imam della loro comunità: nessuno aveva il coraggio di fiatare nonostante fossero solo bambini, alcuni anche molto piccoli. Sua madre sarebbe inorridita scoprendo quello che succedeva nelle aule scolastiche italiane, ma per fortuna non vi era motivo perché lei si presentasse a scuola all’improvviso. Sarebbe stato un incubo.
«Ragazzi, oggi parleremo di…» tentò ancora don Lorenzo.
«Posso andare a farmi un giro?» lo interruppe Isaac.
«No» sbuffò il professore seccato. «Oggi voglio parlarvi di volontariato. Sapete che cosa significa?».
«I volontari cercano di aiutare chi ha bisogno gratuitamente» intervenne Giuseppe Nosmizzi.
«Esattamente. E ora che Natale si avvicina vorrei che anche voi provaste a impegnarvi in qualche attività. Per esempio, ci sono molte persone anziane che vivono da sole e vorrebbero un po’ di compagnia e aiuto per addobbare le loro case».
«Dovremmo fare le badanti gratis?» chiese Marica Ghizzi suscitando gli sberleffi di Isaac e di Paolo Gotto, che lo imitava in tutto.
«No, dovete trascorrere del tempo con loro».
«È la stessa cosa» ribatté Marica testardamente.
«Chi è interessato, me lo dica».
«Quanto tempo abbiamo?» chiese Federico.
Samir scribacchiò sul quaderno che aveva sul banco, incerto sulla posizione da assumere in quella circostanza: era una bella cosa aiutare gli altri, ma non lo allettava la prospettiva di trascorrere del tempo con dei vecchi che non conosceva. Ascoltò distrattamente le domande dei suoi compagni e i tentativi di don Lorenzo di parlare delle associazioni di volontariato attive in città, nonostante il disturbo continuo causato da Isaac, Marica e i loro amici.
 
«Allora, lo facciamo?» gli chiese Federico all’uscita.
«Cosa?» replicò Samir, completamente dimentico dell’ora di religione.
«L’attività che ci ha proposto don Lorenzo!».
«Non sono sicura che mi piaccia. Di solito i vecchi sono scorbutici» intervenne Cassy.
Cassandra Pasini era l’altra migliore amica di Samir, la prima persona con cui aveva stretto amicizia in Italia. All’ epoca era una ragazzina pestifera e dispettosa, ora solamente ribelle. Sempre.
«Non tutti i vecchi sono scorbutici! E poi hai sentito don Lorenzo, lo fanno perché si sentono soli. Noi dobbiamo evitare proprio questo. E poi si tratta di decorare l’albero e la casa. Niente di eccezionale».
«Non credo che mia madre sarebbe contenta» borbottò Samir.
«Non glielo dire» dissero in coro Federico e Cassy. I due ragazzi si fissarono basiti.
«Il fatto che voi siete d’accordo su una cosa del genere, mi spaventa» sentenziò Samir bloccandosi in mezzo al cortile e fissandoli.
«È una bella cosa» si sentì in dovere di puntualizzare Federico. «Se non glielo dici, non rischi nemmeno di disubbidirle».
«Sono fiera di te» strillò Cassy premendosi le mani sul petto con fare melodrammatico, per poi gettarsi tra le sue braccia.
Samir ridacchiò alla scena.
«È nato un nuovo amore e non ci dite nulla?» chiese Vittoria Fullino, mano nella mano con Giuseppe Nosmizzi.
«Smettetela» sbottò Federico imbarazzato. «E tu mollami! Stavamo parlando di una cosa seria!».
«Anch’io ero seria» ci tenne a specificare Cassy. «Sono fiera di te!».
Samir scoppiò a ridere coinvolgendo gli altri, tranne Federico che li fissò corrucciato.
Cassy roteò gli occhi. «Se volete farlo, per me va bene».
«Che cosa?» chiese Vittoria.
«Il progetto di cui parlava don Lorenzo oggi» specificò Samir.
«Ah, ok» disse Giuseppe. «Ci siamo anche noi, se volete».
«Ma è fantastico!» commentò allora Federico rianimandosi.
Samir si strinse nelle spalle: ancora non era per nulla convinto, ma non si sarebbe tirato indietro. In più, anche se non credeva nel significato del Natale in quanto tale ˗ in fondo per lui Gesù era un profeta e nient’altro ˗, gli piaceva molto lo spirito che si respirava il quel periodo: l’atmosfera, le luci, le canzoni natalizie, i regali, il tentativo di essere più buoni.
 

 

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Capitolo 2
*** Primo capitolo ***


Primo capitolo
 
Samir accolse in silenzio l’ennesimo rimprovero della madre e mantenne gli occhi fissi sul fuoco finto che decorava la stufa elettrica, che i signori Pasini avevano loro regalato qualche Natale prima. Nell’idea di chi l’aveva progettato avrebbe dovuto assomigliare a un caminetto, ma senza la seccatura della cenere e della legna; eppure a Samir non ricordava nemmeno lontanamente i camini delle illustrazioni natalizie che lui, Cassy e Cassiopea, la sorella minore di Cassy, guardavano sempre da bambini. Riscaldava la casa certo, ma non mandava lo stesso calore di un caminetto. Era diverso. Era come se l’elettricità lo raffreddasse. Sapeva che scientificamente quel pensiero non aveva senso, ma nel suo cuore sì.
Sua madre lo stava rimproverando per l’ennesimo brutto voto che aveva preso in latino. Ma che poteva farci lui, se già aveva difficoltà con l’italiano? Eppure sua madre, che non metteva in fila che poche frasi in quella lingua ˗ infatti inveiva contro di lui in arabo, il che era conveniente quando lo rimproverava in pubblico ˗ non lo capiva. Per lei dipendeva solo dalla sua mancanza d’impegno.
Samir non disse nulla, finché sua madre non uscì di casa trascinandosi spazzoloni, detergenti e la figlia più piccola, poi diede un calcio alla sedia nell’ingresso. Anni prima provava rabbia vedendo la madre andare a fare le pulizie negli appartamenti dei professionisti che abitavano in quel palazzo, perché avrebbe voluto essere lui a lavorare e mantenere la famiglia. Era lui l’uomo in fondo! Eppure tutti dal mediatore culturale, che si occupava del centro di accoglienza doveva aveva trascorso un po’ di tempo dopo il suo arrivo in Italia, alla psicologa del centro fino al dottor Pasini gli avevano detto che a undici anni non si è uomini e non si lavora, ma si studia. E così aveva fatto accettando che anche le donne potessero lavorare e compiere lavori umili. Eppure non comprendeva sua madre: il dottor Pasini le aveva chiesto di fargli da segretaria nel suo studio privato. Sarebbe stato un lavoro di tutto rispetto ˗ la segretaria di un medico! Samir lo capiva anche a tredici anni! ˗ avrebbe lavorato circa tre volte a settimana ˗ il dottor Pasini lavorava anche all’ospedale della città ˗ e avrebbe guadagnato di più. Sua madre si era rifiutata! Rifiutata! Non aveva mai litigato tanto con lei! E a distanza di tempo ancora non capiva il perché. I genitori di Cassy gli avevano detto di non insistere e rispettare il dolore di sua madre, per quanto lui non riuscisse a comprendere il modo in cui lo esternava: aveva dovuto lasciare il paese in cui era nata e cresciuta, non sapeva che fine avesse fatto suo marito e non dimenticava quel bambino che durante il viaggio aveva perso. Samir non poteva aiutarla in questo, ma soffriva percependo soprattutto la sua rabbia: ce l’aveva con quel marito che, secondo lei, aveva tradito i precetti del Corano e si era fatto trascinare in cose più grandi di loro, costringendo la sua famiglia a scappare. Samir ogni tanto fantasticava e sperava che un giorno il padre li avrebbe raggiunti, ma più cresceva più questa speranza si affievoliva: dopotutto le prigioni libiche non erano un bel posto. Sebbene cercasse di convincersi che suo padre avrebbe potuto resistere, erano comunque trascorsi più di cinque anni da allora.
Arrabbiato, prese il giubbotto, la sciarpa, guanti e cappello e le chiavi di casa: non sarebbe rimasto a casa a studiare come voleva lei. Aveva ben altri progetti, ma di questo lei non si era mai interessata una sola volta negli ultimi anni. Il signor Pasini gli aveva consigliato più volte di aver pazienza, ma a volte non era semplice. Sapeva che neppure lui avrebbe approvato il suo comportamento, ma non gli interessava. A volte avrebbe voluto solo essere ascoltato.
Scese le scale di corsa nel caso in cui la madre avesse deciso di tornare indietro per recuperare qualcosa o per riaccompagnare a casa Jasmine che, annoiandosi, la infastidiva.
Sperò che al colloquio, da lì a qualche settimana, almeno il professor Aristano l’avrebbe convinta che lui ci provava o quantomeno che per una volta ascoltasse la professoressa di matematica. Ma c’erano più possibilità che suo padre riuscisse a sopravvivere al carcere, che suo madre ascoltasse il parere di qualcun altro.
«Alla buon’ora! Sto gelando!» lo accolse Cassy appoggiata al muro dell’edificio.
Sobbalzò, perché non l’aveva vista alla luce dei lampioni.
«Ho dovuto dire a mia madre del compito di latino» borbottò non avendo alcuna voglia di sentire le sue lamentele e iniziando a camminare.
«Che palle!» replicò lei. «Federico ha una brutta influenza su di te. Avresti potuto anche non dirglielo».
«Cassy» sbottò irritato. «Gliel’avrebbe detto Aristano al colloquio! E mi avrebbe urlato contro davanti a tutti!».
La ragazza roteò gli occhi. «E perché sei qui?».
«Cosa?».
«Beh, conoscendo tua madre, mi sembra strano che non ti abbia chiuso in casa dopo un tre».
«Me ne sono andato» bofonchiò.
Cassy si fermò di scatto e lo fissò. «Davvero?».
«Non stiamo andando mica a rapinare un supermercato!».
L’amica continuò a fissarlo per qualche secondo poi scoppiò a ridere. «Non vedo l’ora di dirlo a Federico».
«Cassy! Non è un gioco».
Federico li attendeva vicino al Museo e fu subito sommerso dalle chiacchiere di Cassy. Stranamente, però, non fece commenti. Per la seconda volta in pochi giorni quei due sembravano d’accordo sul violare le regole.
I tre camminarono per un po’ nel freddo pomeriggio di dicembre per raggiungere la casa della signora che era stata loro affidata da don Lorenzo.
La donna li accolse tutta sorridente. Era una donnina piccola e il suo volto era pieno di rughe, ma il suo sorriso era molto dolce.
«Accomodatevi, accomodatevi. Oh, sono così felice che don Lorenzo vi abbia mandato da me» disse loro, palesemente desiderosa di chiacchierare.
Il tavolo rettangolare che riempiva quasi tutta la piccola cucina aveva un lungo centrino rosso.
«Ho comprato la cioccolata calda, sapete? Era un po’ di tempo che non ne bevevo… sapete, alla mia età è meglio evitare troppi zuccheri… i miei nipoti non vengono a trovarmi spesso…» disse con una nota triste nella voce.
Samir provò un certo disagio, proprio come aveva immaginato, ma per fortuna Cassy non si lasciava turbare facilmente.
«Le diamo una mano, ok?» disse la ragazza affiancando la signora, che già armeggiava con un pentolino e un cartone di latte.
«Se la vedesse sua madre» sussurrò Federico a Samir. «A casa pretende che la cioccolata gliela portino fino al divano».
Samir trattenne un risolino e si diede da fare per aiutare gli amici e la tensione iniziale sparì: la signora non voleva altro che quello, sembrava così felice! Eppure loro non fecero altro che preparare la cioccolata con lei, aiutarla a decorare l’albero e allestire un piccolo presepe.
 
*
 
Quel pomeriggio Samir era andato da solo dalla signora. Dopo l’Immacolata avevano deciso di andare a trovarla almeno una volta ogni tanto, perché, fin dalla prima sera, era risultata molto simpatica ai tre ragazzi. Quel giorno però Cassy era impegnata straordinariamente a studiare per un’interrogazione del giorno dopo e Federico aveva il corso d’inglese. Sarebbero potuti andare un altro giorno, ma Samir aveva insistito: gli aveva fatto molta impressione vederla così sola, nonostante avesse dei figli ˗ erano lontani e chiamavano ogni tanto la sera e lei attendeva con ansia quelle telefonate.
Quel pomeriggio faceva più freddo del solito quindi si sistemò meglio la sciarpa, rallentando la camminata. Da una parte avrebbe voluto tornare al più presto a casa per scaldarsi, dall’altra sicuramente sarebbe stato accolto dalla sorellina che imitava la madre nei suoi modi imperiosi o la madre stessa che ancora ce l’aveva con lui ˗ sbolliva abbastanza lentamente. Di conseguenza, sarebbe stato meglio rimanere ancora un po’ in giro.
Tra l’altro, quella sera si era spinto in una zona che conosceva poco: era vicino al centro storico, ma non aveva mai avuto motivo di andarci.
Un rumore improvviso attirò la sua attenzione e per un attimo i suoi occhi incrociarono quelli di una ragazza, che si trovava in una specie di sottoscala e di cui si vedeva soltanto il volto. I suoi lineamenti erano ancora infantili e il suo sguardo profondo e triste. Molto triste. Fu solo un attimo, però, poi lei sparì. Probabilmente spaventata dalla sua vista.
Samir s’immobilizzò e fissò quel punto finché non passarono un paio di macchine e il rombo del motore lo riscosse. In quella via dovevano vivere moltissime famiglie, perché mai quella ragazza l’aveva colpito tanto? Scosse la testa sorpreso da se stesso e si avviò verso casa.
 
La mattina dopo il ragazzo si concentrò faticosamente sulle chiacchiere degli amici fuori dalla scuola: chissà perché non riusciva proprio a dimenticare quel volto.
«Mancano sì e no due settimane a Natale, dovrebbero lasciarci in pace» borbottò seccata Vittoria Fullino.
«Prova a dirlo alla Diaconi quando ti chiamerà in matematica» replicò Cassy, impegnata nella lettura di un saggio sulla nascita dei sindacati.
«Potrebbe chiamare te» ribatté Vittoria.
«Ma a me non interessa».
«Vittoria, se discuti con Cassy, non finirai di copiare gli esercizi prima che suoni la campanella» commentò Federico.
«Ma sei sicuro che sia giusto? A me sembra arabo!».
«Non lo so» rispose Federico. «Samir, potresti mostrarci i tuoi? L’ultimo a me non è proprio uscito».
Samir, però, non stava proprio ascoltando: aveva appena notato lo stesso viso della sera prima, solo che questa volta non era circondato dal buio di quello che doveva essere uno scantinato, ma da un burka scuro. Ancora una volta i loro occhi si incrociarono; persino la ragazza sembrò sorpresa e si fermò ad osservarlo.
«Terra chiama Samir!» strillò Cassy urtandolo con la sacca di educazione fisica.
Il ragazzo la ignorò e chiese: «Chi è quella?». Sperò che gli amici l’avessero vista prima che scomparisse nella folla di studenti. «Quella con il burka».
«Non è che io conosca molte persone» rispose Federico stringendosi nelle spalle e probabilmente molto più preoccupato per la goniometria.
«No, mai vista» disse, invece, Vittoria seguendo il suo sguardo. «Perché?».
Samir si strinse nelle spalle, si sentiva stupido a raccontare della sera precedente.
«È di prima» rispose a sorpresa Cassy. Tutti la fissarono. «Sta in classe con mia sorella. Lo so per questo. È una strana: non parla mai, si assenta molto, non ha libri… Immaginate quanto la ami la Merisi…».
«Non nominarla di prima mattina» sbottò Vittoria, guardandosi intorno come se la temuta professoressa di disegno e storia dell’arte potesse apparire all’improvviso.
«Come si chiama?».
«E che ne so? Chiedilo a Cassiopea» replicò Cassy, tornando alla sua lettura.
Samir non replicò, ma quel volto continuò a tormentarlo per tutta la mattina, tanto che fece a malapena caso alle consuete provocazioni di Isaac e del suo gruppo.
«Samir, vorrei parlarti un attimo».
Il ragazzo guardò perplesso la professoressa Diaconi, ma la seguì nel corridoio.
«Credevo volessi fare l’ingegnere dopo la scuola».
Era una donna che andava dritta al punto, ma Samir non comprese ugualmente.
«Sì, mi piacerebbe».
«Lo sai che chimica è importante? Non bastano matematica e fisica».
Chimica. La conversazione non solo stava prendendo una piega inaspettata, ma probabilmente non sarebbe stata nemmeno piacevole.
Samir scrollò le spalle: non si era mai posto il problema.
«Non lo sai? Allora, te lo dico io» disse la Diaconi fermandosi vicino all’aula della prima B. «Non è possibile che tu abbia nove in matematica e due in chimica. Significa che non apri nemmeno il libro».
«No, ma…» tentò Samir.
«Niente, ma. Sei abbastanza intelligente da aprire il libro e studiare, indipendentemente dal rapporto che hai con la professoressa. Bisogna studiare per se stessi e non per gli altri».
Il ragazzo annuì sommessamente: la Diaconi sapeva perfettamente quanto la collega fosse odiata dalla maggior parte degli studenti e quanto poco insegnasse agli allievi; eppure gli stava chiaramente dicendo che quella non era una giustificazione.
«Sono qui, smettetela di fare chiasso e prendete posto» disse la professoressa rivolta ai ragazzini di prima. «Chiaro, Samir? Mi aspetto che da qui alla fine del quadrimestre la situazione cambi».
«Va bene» assentì Samir per nulla convinto: quella di chimica non lo poteva vedere. Gli metteva due sulla fiducia, ecco perché non aveva sprecato più di tanto il suo tempo con quella materia. Naturalmente, adesso ci avrebbe provato: stimava molto la Diaconi e ci teneva al suo giudizio. I suoi occhi caddero sulla ragazza seduta all’ultimo banco. «Come si chiama?» chiese alla professoressa.
La Diaconi, colta alla sprovvista dalla sua domanda, seguì il suo sguardo e sul suo viso si dipinse una smorfia. «Ami» rispose. «Perché?».
Per l’ennesima volta, a quella domanda, Samir si strinse nelle spalle. Non lo sapeva. Si era fissato con lei. «Ha lo sguardo triste» le parole gli scapparono dalla bocca prima che potesse controllarle. Era quello?
L’insegnante si accigliò. «Sì, effettivamente sì».
«Lei sa perché?».
«No, magari avrò la possibilità di conoscere i genitori al colloquio. Ora torna in classe».
Samir annuì.
All’uscita fermò Cassiopea e alcuni suoi compagni.
«Ciao» disse con un sorriso.
«Mia sorella?».
Il ragazzo roteò gli occhi: Cassy e Cassiopea erano assurde. Litigavano sempre tra loro o erano in competizione per qualcosa. A volte persino i loro genitori erano esasperati.
«Volevo chiedervi che cosa sapete di Ami, la vostra compagna» disse ignorando la domanda della ragazzina.
«Niente» rispose Cassiopea con fermezza.
«E, dai, tua sorella è con gli altri. Ci aspetta al solito posto. Ora rispondimi» borbottò.
«Non me ne frega nulla di Cassy» replicò la ragazzina. «Non sappiamo nulla di Ami. Non parla mai. Viene a scuola solo perché è obbligata, vero ragazzi?».
«Già, chissà poi perché ha scelto lo scientifico. Se fosse andata al professionale nessuno le avrebbe rotto le scatole…» commentò una delle ragazzine che accompagnava Cassiopea.
Quest’ultima non sembrò felice della considerazione, ma non ribatté. «Non sappiamo nulla, Samir… Ma quelli sono i tuoi compagni?».
Il ragazzo si voltò in tempo per vedere Isaac bagnare con una bottiglietta d’acqua un ragazzino all’incirca di quattordici anni.
«Purtroppo sì».
«Contisi è uno scemo, se le va a cercare».
Cassiopea, tendenzialmente più riflessiva della sorella maggiore ma tutto sommato non così diversa da come si ostinava a dimostrare, lanciò un’occhiataccia alla compagna e si avviò a passi svelti verso Isaac Alani e Paolo Gotto, che si intrattenevano nella loro attività preferita: dare fastidio agli altri.
Samir le andò dietro: Isaac e Paolo erano suoi compagni e si sentiva in parte responsabile del loro comportamento; ma soprattutto Cassiopea era una specie di sorellina.
«La vogliamo smettere» sibilò Cassiopea rivolta ai due ragazzi, molto più alti e grandi di lei. Assomigliava terribilmente a Cassy in quei momenti.
«Oooh, abbiamo una piccola principessa che vuole difenderti… mi dispiace, principessa, ma a lui non potrai mai piacere» trillò Isaac divertito.
Samir osservò il ragazzino che veniva trattenuto da Paolo: era paonazzo in volto e sembrava pronto a scoppiare in lacrime. La sua colpa? Indossava una maglia fucsia. Davvero, Cassy e Federico avevano ragione a dire che i loro compagni avevano un solo neurone, quanto bastava per compiere le operazioni elementari.
«Smettetela, è più piccolo di voi» sbuffò.
«Stanne fuori tu» sbottò Isaac fissandolo con cattiveria.
Samir strinse i denti e fece un passo avanti: non era abituato ad abbassare la testa davanti ai prepotenti. «Mollalo».
Isaac lo spintonò e Samir lo strattonò per un braccio. Paolo e gli altri rimasero immobili, in attesa di capire che cosa fare.
«Che state facendo?» intervenne una voce severa fuori dal loro campo visivo. Si fermarono all’istante riconoscendola. Samir si sentì gelare, mentre con gli occhi individuava il preside, che si stava avvicinando a grandi passi. In sua compagnia c’era don Lorenzo.
«Non stavamo facendo nulla» si affrettò a mentire Isaac, lanciando un’occhiata di avvertimento agli astanti.
«A me non pare proprio, Alani!» sbottò l’uomo, che probabilmente aveva visto più di quanto i ragazzi avrebbero voluto. «Sapete benissimo che non tollero questi comportamenti!».
Samir si fissò le scarpe da tennis: era perduto! Se fosse stato sospeso, sua madre l’avrebbe ucciso.
«Ma in realtà si può sempre fraintendere, no?» intervenne inaspettatamente don Lorenzo. «Abbiamo visto da lontano, ma magari i ragazzi stavano solo scherzando».
Samir sollevò gli occhi in tempo per vedere l’espressione incredula del preside, ma anche quella furiosa dei ragazzini di prima.
«Don Lorenzo» disse il preside in tono di avvertimento, «conosciamo entrambi questi ragazzi e io non credo di aver frainteso».
«È Natale, mi conceda di occuparmene io».
Sembrò interminabile il tempo che il preside si prese per riflettere sulla proposta, alla fine sospirò: «E sia. Quanto a voi state attenti. Alani, non tirare troppo la corda».
Don Lorenzo attese che il preside si congedasse prima di rivolgersi ai ragazzi. «Allora?».
I ragazzini di prima fecero a gara per raccontargli quello che era accaduto, il prete li ascoltò pazientemente come era sua abitudine, alla fine li mandò a casa. «Devo andare anch’io» borbottò Isaac.
«Non così in fretta» disse don Lorenzo. «Io vi ho salvato, voi mi dovete un favore».
Samir avrebbe fatto qualunque cosa purché sua madre non venisse a sapere nulla.
«E la carità cristiana?».
«Se vuoi, posso sempre chiamare il preside e lo chiedi a lui».
Isaac sbuffò scuotendo la testa.
«Bene. Ascoltatemi. Sono sicuro che sarete bravissimi».
 

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo ***


Capitolo secondo
 
«Davvero don Lorenzo si aspetta che voi due, insieme, organizziate un evento di beneficenza per Natale?» sospirò incredulo Federico.
«Già» rispose Samir poggiando la testa sul tavolo. Tutto perché aveva ceduto alle provocazioni di Isaac.
«E noi dovremmo aiutarvi» sbuffò Cristoforo Alani, gemello di Isaac.
Subito dopo che don Lorenzo aveva illustrato loro la geniale idea, Samir aveva chiesto aiuto ai suoi migliori amici e, a quanto sembrava, anche Isaac aveva avuto lo stesso pensiero.
In quel momento si trovavano in una nota gelateria del centro, perché nessuno dei due gruppi sarebbe andato a casa degli altri. Grande esempio di maturità.
«Il preside non vi avrebbe sospeso per due spintoni» sbuffò Cassy, rigirando la sua tisana calda. «Al massimo domani sareste dovuti venire a scuola accompagnati».
«Al massimo? Pasini non hai capito nulla» sbottò Isaac. «Mio padre mi stacca la testa! Sono già stato sospeso per quello scemo di Vettori!».
«Nessuno ti ha chiesto di fare il prepotente» replicò Cassy. «Oh, ma tu ce l’hai nel sangue, no?».
Samir ringraziò mentalmente Federico e Cristoforo che intervennero per calmare le acque. Tutto sommato la pensava come Isaac: accompagnato o sospeso, sua madre ne avrebbe tirato fuori una tragedia.
«Ormai, siamo qui e dobbiamo trovare una soluzione» disse Federico.
«Ah, sì, e quale?» sbuffò Isaac.
«Siamo qui per deciderlo, no?».
«Allora, decidete e poi chiamatemi» replicò Isaac alzandosi.
«Col cavolo» sbottò Cassy. «Tu non ti muovi da qui e fai funzionare quell’unico neurone che ti ritrovi».
«Pasini, controlliamo quanti ne hai tu?».
«Più di te sicuramente».
«La smettete?» sbottò Cristoforo, tirando a sedere il fratello.
«Dovremmo fare qualcosa che spinga le persone a pagare per assistervi».
«Propongo un film porno, sono sicuro che diventeremmo ricchi solo con la nostra scuola… se poi allargassimo anche alle altre…».
«Idiota» dissero in coro Federico e Cristoforo.
«Ma guarda, non hai nemmeno il neurone che pensavo» commentò Cassy sorseggiando la sua tisana.
«Non pensi che don Lorenzo potrebbe venirlo a sapere?» chiese Paolo sollevando lo sguardo dai biscotti che stava divorando.
«Non era serio» sibilò Cristoforo seccato.
«Una partita di calcio sarebbe meglio, no?» continuò Paolo. «Tipo la partita del cuore».
«Sei un genio!» gridò Isaac. «Abbiamo risolto!».
«E chi dovrebbe giocare?» chiese Federico.
«Noi, no?».
«Noi chi, Alani?» ribatté Cassy. «Vuoi esibirti da solo sul campo per dare sfogo al tuo narcisismo?».
«Beh, l’idea non è male» intervenne Samir per evitare che ricominciassero a discutere tra loro.
«Potremmo coinvolgere il resto della scuola» propose Paolo.
Si trattennero ancora nella gelateria, ma alla fine fu l’idea migliore che venne loro in mente; così si congedarono lasciando a Isaac il compito di prendere accordi per il campo.
 
*
«Samir». Cassiopea lo trattenne appena scesero dalla macchina.  «Sei ancora interessato alla mia compagna? Ad Ami?».
«Sì, perché?».
«Ho notato che c’è una ragazza che prova a passare del tempo con lei. Magari sa qualcosa in più».
«E chi sarebbe?».
«Marianna Defiano, la sorella del tuo compagno di classe».
«La sorella di Luca?».
«Sì, lei».
«Perfetto, grazie. Allora le parlerò».
«Ma perché ti sei fissato con lei?» gli chiese Cassiopea.
«Non lo so» rispose sinceramente Samir.
La ragazzina lo fissò per un attimo, poi sbuffò: «Di solito Marianna, insieme ad altri della classe, prima di entrare si trova vicino all’edicola».
Samir la ringraziò ancora e, dopo aver detto velocemente ai suoi amici che si sarebbero visti in classe, si mise alla ricerca di Marianna. Non la conosceva per nulla, ma un paio di volte l’aveva vista in compagnia del fratello.
Per primo intravide il ragazzino che qualche giorno prima Isaac prendeva in giro, poi lei.
«Ciao» si avvicinò sorridendo.
I ragazzini ricambiarono.
«Tu sei il ragazzo che mi ha difeso l’altro giorno, vero? Io mi chiamo Roberto».
«Piacere, Samir» replicò educatamente, nonostante l’impazienza di scoprire qualcosa di nuovo. «Ehm, Marianna, giusto? Volevo chiederti che cosa sai di Ami».
Lo fissarono straniti, d’altronde la richiesta era assurda.
«Perché?».
«Sono curioso… io beh l’ho vista fuori dalla scuola e…». E ora come glielo spiegava?
«Ti sei innamorato?» gli chiese Roberto.
«No».
«Comunque non so molto» disse Marianna accigliata. «Ami, quando viene a scuola, si siede sempre da sola… siamo dispari… ogni tanto provo a sedermi accanto a lei e a parlarle… lei non risponde mai, ma mi è apparso che gradisse la mia compagnia… a me sembra molto sola…».
«Si assenta spesso?».
«Sì, alcuni professori dicono che rischia di essere bocciata».
«Sapete dove abita?».
«No, te l’ho detto, lei non parla mai».
«Va bene, grazie».
«C’è qualcosa che la fa soffrire e tanto» aggiunse Marianna.
«Ho la stessa impressione» ammise Samir, salutandoli.
 
Con quel pensiero fisso, si avviò all’interno della scuola.
«Abbiamo un problema» lo accolse Isaac, palesemente seccato.
Perfetto, amava i problemi.
«Quale?».
«Il campo da calcio non è disponibile».
«In tutta la città non c’è un campo da calcio disponibile?».
«Quelli più vicini, genio» ribatté Isaac. «O vuoi far andare tutti dall’altra parte della città?».
«Quindi dobbiamo trovare un’altra soluzione?».
«La signora al telefono mi ha detto che al massimo mi può offrire un campo da tennis».
«Ma per tutta la settimana i campi saranno impegnati?».
«Alla gente normale piace il calcio» si strinse nelle spalle Isaac.
«E tu fai parte della gente normale?» replicò Samir. Cassy sarebbe stata fiera della sua risposta.
Isaac alzò gli occhi al cielo. «Beh, per risolvere il problema, ho prenotata il campo da tennis».
«Cosa? Avremmo dovuto parlarne! Tu sai giocare a tennis?».
«No, ma che ci vorrà mai? Quanto vogliamo trascinare questa cosa? Diamo a don Lorenzo quello che vuole… così non romperà più…».
«Ma chi giocherà?».
«Oh, questo è un problema tuo. Io ho trovato il campo!».
Samir non aveva idea di come risolvere, perciò decise di rivolgersi alla persona più sportiva che conosceva. «Vittoria!».
L’amica era già in classe che litigava con la versione di latino. «Quando ci danno le vacanze?» sbottò fissandolo come se la colpa fosse sua.
«Sai giocare a tennis?».
«Perché?».
«Perché Isaac ha prenotato un campo da tennis».
«Non pensavo che Alani fosse così stupido» borbottò Giuseppe Nosmizzi seduto sul banco dietro Vittoria.
«Ho giocato un paio di volte».
«Ottimo, quindi potrai giocare tu e…».
«Scordatelo, Samir. Il mio allenatore non vuole, potrei infortunarmi».
«Per una partita di tennis!».
«Non si sa mai, poi chi lo sente?».
Samir sbuffò: quel compito assegnatogli da don Lorenzo stava diventando sempre più complesso. Non c’era via di uscita.
«Ciao».
Samir fece cenno con la mano alla compagna appena arrivata e si stravaccò sulla sedia di fronte a Vittoria. Peccato che non avesse un’eloquenza come quella di Federico o Cassy, avrebbe potuto convincerla,
«Sarah, sei la mia salvezza» trillò Vittoria. «Puoi darmi la tua versione?».
Sarah Marchetti era una ragazza molto riservata, ma sempre disponibile.
«Che hai Samir?».
Il ragazzo le raccontò brevemente quanto era accaduto.
«Non ho mai giocato, però…».
«Però?» la sollecitò Samir.
In quel momento entrò il professore d’italiano e presero posto. Il ragazzo, però, non avrebbe voluto aspettare due ore per conoscere il punto di vista della compagna. Quella situazione lo stava esaurendo. Le due ore d’italiano e latino sembrarono più lunghe che mai. Non riuscì nemmeno a rallegrarsi per Vittoria che aveva scampato l’interrogazione.
Al cambio dell’ora si precipitò da Sarah. «Che stavi dicendo prima?».
«Che potreste chiedere a don Lorenzo di coinvolgere quel centro di accoglienza di cui ci ha parlato durante l’ultima lezione. Magari tu puoi giocare contro uno di loro».
«Io non ho mai giocato a tennis» borbottò Samir.
«No? E perché avete scelto proprio questo sport?».
«Perché Isaac è un cretino».
«Ah, ora capisco» ridacchiò Sarah. «Mi sa che don Lorenzo ti ha mollato un bel pacco».
Il ragazzo fece una smorfia e annuì. «Comunque la tua è una buona idea. Ne parlerò con don Lorenzo più tardi».
«Però devi trovare qualcuno disposto a giocare? Vittoria?».
«Il suo allenatore non vuole… sai, deve passare nella squadra delle grandi o una cosa simile».
«Giuseppe?».
«Non gliel’ho chiesto! Sei un genio!».
Sarah scosse la testa imbarazzata.
«Ehi» quasi strillò Cassy e per poco non scivolò tra la fila di banchi.
«Che ti prende?» le chiese Federico.
«Mi dovete aiutare per il regalo di Paolo. Ho deciso cosa prendergli, ma non so la misura».
«Non ora» la zittì Samir, beccandosi un’occhiataccia.
«Tu l’hai già fatto il tuo regalo per il Babbo Natale Segreto?» gli chiese Federico.
«No, ma non è il momento. Giuseppe, sai giocare a tennis?».
L’amico lo fissò perplesso, qualcuno degli altri rise. «No».
«Ma che importa? State cercando un campione?» interloquì Vittoria. «Se i giocatori faranno ridere, non sarà un problema».
«Grazie» borbottò Giuseppe.
«Ne parlerò con don Lorenzo pomeriggio».
«Poco più di una settimana e saremo in vacanza» sospirò Cassy all’ingresso della professoressa Diaconi.
 
 
*
 
«Mi sembra che sia quasi tutto a posto, no?» mormorò Federico strofinandosi le mani guantate. Quel pomeriggio era veramente freddo, quanto meno per i loro standard.
Alla fine don Lorenzo era stato molto felice dell’idea di Sarah e altrettanto positivamente avevano accolto la proposta i ragazzi del centro. Il preside si era mostrato disponibile a collaborare con loro, un po’ meno i rappresentanti d’istituto ma anche loro avevano accettato. La manifestazione – il ricavato dalla vendita dei biglietti sarebbe stato impiegato per la creazione di una casa famiglia ˗ si sarebbe svolta due giorni prima delle vacanze, ma avrebbero partecipato solo le terze, perché il campo non era abbastanza grande. In compenso, don Lorenzo aveva coinvolto anche gli anziani presso i quali erano andati a fare volontariato. Sarebbe stata una giornata impegnativa.
«Samir, ci sei?».
«Facciamo una deviazione?».
Stavano tornando a casa a piedi, abitavano entrambi al centro e avevano deciso di fare due passi. O almeno aveva deciso Samir; se fosse stato per Federico avrebbe chiamato il padre.
«Dove vuoi andare? Non dovevi finire chimica? Hai detto alla Diaconi che ti saresti fatto interrogare».
«Dopo. Perdiamo solo qualche minuto».
«Oook» assentì Federico per nulla convinto.
«No» replicò pensieroso. Stava tornando lì, questa volta magari avrebbe provato ad attirare la sua attenzione, a parlarle. Negli ultimi giorni Ami non era andata a scuola.
Rimasero in silenzio, affaticati dalla salita. Samir si fermò di fronte al palazzo nel cui seminterrato aveva notato Ami.
«Dove stai andando?» lo bloccò Federico mentre entrava nel cortile.
«Qui abita Ami» gli spiegò, avvicinandosi alle scale dove c’era la finestrella da cui aveva intravisto la ragazza. «Abita qui» specificò inginocchiandosi.
«Ma sei serio? Sarà uno scantinato».
La finestrella era semiaperta, abbastanza perché si potesse sbirciare all’interno. «Ci sono delle persone» gli sussurò.
«Delle persone?». Federico si abbassò accanto a lui. «Non vedo».
«Guarda. Che fanno? È quasi buio». Samir si scansò un po’ permettendo all’amico di osservare dallo spiraglio.
«E voi chi siete?» ringhiò una voce alle loro spalle.
Samir si sentì sollevare, ma non riuscì a liberarsi dalla forte presa. Federico venne rimesso in piedi da un signore particolarmente corpulento.
«I-io volevo…».
«Zitto, negro, qui parliamo noi» sibilò l’uomo che lo tratteneva. Aveva un alito pesante, a tratti alcolico.
Un brivido gli percosse la schiena e fissò Federico, il cui volto era lo specchio della sua stessa paura.
«Perché vi impicciate?» esclamò con rabbia quello che placcava Federico.
«Cercavamo un’amica. Oggi non è venuta a scuola». Samir si pentì subito delle sue parole, Federico stesso lo guardò con tanto d’occhi.
L’energumeno gli strinse il braccio dietro la schiena e Samir non riuscì a non gemere.
«Non ci sono ragazze qui. Hai capito, negro?» gli sibilò nell’orecchio.
«Non è la prima volta che bazzica da queste parti».
«Allora, forse è meglio che gli spieghiamo come funzionano le cose».
Samir fu gettato sul pavimento di pietra e gemette. L’uomo iniziò a prenderlo a calci. Le sue urla si mescolarono a quella di Federico che osservava la scena trattenuto dall’altro. Nessuno di coloro che vivevano nelle case vicine si affacciò o, se lo fece, non intervenne per aiutarli.
Dopo che si sfogò, l’uomo lo ritirò su. I loro visi a poca distanza: «Non farti rivedere qui, negro».
«Né tu né i tuoi amici. Chiaro?» aggiunse l’altro, liberando Federico dalla sua presa.
Samir annuì tremando violentemente. Tirò Federico per un braccio e si allontanarono correndo. Un po’ corsero, un po’ zoppicarono, attirando le occhiate di alcuni passanti. Solo quando furono lontani e in un luogo molto affollato, si sedettero su un muretto, senza parlare. Federico diede di stomaco. Sembrava totalmente incapace d’intendere. Samir si passò una mano sul volto: il suo migliore amico reagiva così di fronte alla violenza. Era tutta colpa sua, che gli era saltato in mente? Eppure non comprendeva veramente quello che era successo.
Non aveva ben idea di quanto tempo fosse passato quando il suo cellulare squillò. Cassy.
«Pronto?» disse con voce rauca.
«Siete ancora in giro? Mi dovete aiutare con il regalo di Paolo».
«Dove sei tu?».
«In macchina, con mio padre. Se siete ancora da don Lorenzo, mi accompagna lì».
Samir lanciò un’occhiata all’amico ancora scioccato per quanto successo. «Non ora. Potete venirci a prendere?».
«Tutto bene, Samir?».
«No» mormorò.
Cassy e suo padre non impiegarono molto a raggiungerli. Samir indicò Federico al dottor Pasini, che si avvicinò subito a lui.
«Che diamine avete fatto?» esclamò l’amica squadrandoli.
Samir non le rispose, ma l’abbracciò. La ragazza, abbastanza allergica a quelle manifestazioni d’affetto, s’irrigidì ma poi provò a ricambiare la stretta. Il suo gesto, però, fece gemere Samir.
Cassy lo fissò stralunata, ma suo padre la spinse da parte e le intimò di occuparsi di Federico. Samir provò a sfuggire al tocco dell’uomo: voleva che il suo migliore amico stesse meglio.
Di quei momenti, però, gli rimase solo una vaga idea. Solo ore più tardi, al pronto soccorso, cominciò a tornare lucido. Il dottor Pasini, nonostante le sue proteste, aveva voluto sottoporlo a esami più approfonditi.
Cassy non si era staccata da Federico, il quale era sotto shock; a lei poco dopo si aggiunse il giudice Mestri.
Alla fine si spostarono tutti a casa di Federico, perché il giudice voleva che il figlio riposasse ma anche andare al fondo di quella questione.
Il dottor Pasini non toglieva gli occhi di dosso a Samir che, per fortuna, a parte qualche livido e una costola contusa, non aveva nulla di grave.
«Che cos’è successo?» chiese Cassy, che, in confronto ai due adulti, non aveva pazienza nemmeno normalmente e si era trattenuta fino a quel momento solo perché preoccupata per i due amici.
Samir lentamente raccontò quello che era successo e poi di Ami.
«Ma chi vi ha mandato senza di me? Voi due insieme non tenete testa nemmeno a quel cretino di Isaac!».
«Cassandra» sbottò il dottor Pasini fulminando la figlia.
Il giudice Mestri gli pose una serie di domande, alle quali Samir cercò di rispondere. Infine, si congedarono.
«Lo dirà a mia madre?» chiese al dottor Pasini in macchina.
L’uomo sbuffò, palesemente stanco e preoccupato. «Non le dirò tutto, si preoccuperebbe troppo. Le dirò solo che ti sei scontrato con delle persone… sono sicuro che non farà altre domande…».
«Mi ammazza» sospirò Samir, anche lui stanco e ancora sconvolto.
«Siete stati degli incoscienti» sibilò il dottore lanciandogli un’occhiataccia, ma non seguì la predica temuta da Samir. Probabilmente il più grande comprese che era stato sufficiente quanto vissuto.
Nelle scale, il dottor Pasini lo fermò: «Io parlo con tua madre e tu ti metti a letto. Cassy aiutalo con la maglia del pigiama, la costola gli farà male per qualche giorno».
«Grazie» sospirò grato di non dover affrontare anche la madre.
 
 
*
 
La mattina della partita si rivelò mite e il cielo era terso. Perfetto, per divertirsi un po’, peccato che l’umore di Samir fosse pessimo. Provò a sorridere agli altri, ma lasciò che Isaac si pavoneggiasse come se fosse stato lui a compiere la maggior parte del lavoro.
Il pomeriggio prima Cassy, Vittoria e Giuseppe avevano decorato la rete del campo con fili e palline colorate. Semplice, ma tutto sommato carino.
Si sedette sull’erba fuori dal campo, gli altri ragazzi erano ammassati intorno alla rete per assistere all’incontro che sarebbe cominciato a breve.
«Avete fatto un ottimo lavoro» disse don Lorenzo dandogli una pacca sulle spalle. «Come ti senti?» aggiunse, visto che lui non aveva risposto.
«Male» mormorò.
«Ho portato il giornale» strillò Cassy.
«Bene, grazie. Abbiamo una notizia per te, Samir» disse don Lorenzo.
«Eccola. In prima pagina sulla Gazzetta!» trillò Cassy che sembrava felice. «Sfruttamento di donne e minori al centro della città».
Samir sgranò gli occhi e le strappò di mano il giornale.
«La polizia ha compiuto una retata stanotte. Quelli nella foto sono i due tizi che vi hanno aggredito, vero?» continuò la ragazza.
«Sì, come lo sai?».
«Li ha riconosciuti Federico».
«Hai sentito Fede?».
L’amico non era andato a scuola il giorno precedente.
«Sono qui. Scusate il ritardo».
Vederlo, con un leggero sorriso sulle labbra, fece sentire Samir molto più tranquillo. Si alzò e lo abbracciò, dimenticandosi per un attimo della costola.
«Dovresti stare attento» disse Federico incupendosi un po’.
«I soliti imbranati» sbottò Cassy alzando gli occhi al cielo.
Don Lorenzo invitò i due ragazzi ad avviarsi e disse a Samir: «Sei stato bravissimo».
«Ho fatto solo guai».
«Non è vero. Hai mostrato vero spirito natalizio. Hai messo tutto te stesso in quello che hai fatto e l’hai fatto per gli altri. Sono fiero di te».
«Grazie» mormorò sorpreso.
«Dai, andiamo sono proprio curioso di vedere chi vince».
Giuseppe era stato rapidamente istruito da Vittoria e aveva guardato dei video su YouTube, ma effettivamente era la seconda volta, nel giro di pochi giorni tra l’altro, che stringeva in mano una racchetta.
Vittoria avrebbe funto da arbitrio e quindi l’aveva degnato a malapena di uno sguardo da quando erano entrati in campo, perché non avrebbe mai fatto favoritismi.
Il suo avversario era un ragazzo poco più grande, arrivato dalla Algeria da qualche anno e con grosse difficoltà con la lingua.
Vittoria si avvicinò ai due avversari e disse loro qualcosa che Samir non riuscì a intendere a distanza, poi lanciò una monetina.
Giuseppe commentò e gli fu tirata la palla.
«Anche a calcio si fa così» disse Isaac poco distante. «Per scegliere chi batte per primo o la metà del campo».
Samir annuì, anche se in realtà la questione gli era indifferente. Tifava per il suo amico naturalmente, ma tutti gli aspetti tecnici non lo attiravano per nulla.
«Ora hanno cinque minuti per scaldarsi e poi s’inizia… Fullino è davvero pignola come arbitro».
«Ma tu non eri quello che non conosceva nulla di tennis?» gli chiese annoiato.
«Mi sono informato» rispose il compagno stringendosi nelle spalle come se fosse ovvio.
La partita si protrasse a lungo o quanto meno fu quella l’impressione di Samir. Giuseppe, per conto suo, subì una pesante sconfitta, perché, come scoprirono a loro spese, il suo avversario aveva giocato per anni a tennis prima di arrivare in Italia.  Nonostante ciò fu comunque una mattinata serena e, come aveva desiderato don Lorenzo, all’insegna della solidarietà.
 
*
 
 
«Samir, puoi venire un attimo, per favore?».
Il ragazzo sospirò convinto che la Diaconi volesse parlargli del due in chimica. Alla fine non aveva studiato tutti gli argomenti, ma anche la Gallerani era stata totalmente irragionevole: il mercoledì era andato a scuola solo perché rimanere a casa con sua madre sarebbe stato peggio, ma la professoressa aveva voluto interrogarlo lo stesso.
Sorprendentemente in corridoio c’era anche Ami. «Ciao» disse felice. Sembrava stare bene.
La Diaconi gli presentò anche l’assistente sociale che accompagnava la ragazza.
«Ami non può parlare» gli spiegò l’assistente sociale. Quello spiegava molte cose in effetti.
«Si è preoccupata per te, però. Ti ha riconosciuto l’altra sera».
Samir le sorrise. A quel punto si avvicinò Marianna Defiano e le due ragazze tornarono in classe insieme.
«Sei un ragazzo di cuore, Samir. Cerca di non metterti più nei guai in quel modo però» mormorò la Diaconi apprensiva, prima d’invitarlo a entrare in classe.
Samir sedette accanto a Federico, che gli sorrise. Nonostante la paura, era felice di aver aiutato Ami. L’occhio gli cadde sulle bibite e i dolci che i compagni avevano radunato su due banchi in fondo alla classe. Pensò al regalo per Luca, che aveva nello zaino.
Capiva che cosa intendeva don Lorenzo quando diceva che lo spirito natalizio non era in vendita nei negozi.
 

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