Forse, sei meglio tu

di _sweet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nel paradiso dei Pesci ***
Capitolo 2: *** SOLO MANINE SUDATICCE ***



Capitolo 1
*** Nel paradiso dei Pesci ***


È iniziato tutto con il sole, la Nutella, un pesce di nome Nemo e una boccia piena d’acqua.
Sì, credo che sia stato in quel pomeriggio di giugno che ho capito di odiare mia sorella. Forse un po’, preda di quella gelosia così comune nei bambini che vanno ancora alle elementari. Forse, un po’ di più del normale. Forse, perché era meglio di me e alla fine me ne ero accorta per davvero.
Comunque, ricordo il sole e il sudore che mi appiccicava i capelli alla base del collo. Ricordo la cioccolata sul cotone del vestito e l’acqua che mi aveva bagnato la punta del naso, una volta tornata a casa.
 

CAPITOLO 1 - NEL PARADISO DEI PESCI 
 
Giugno, 2007

Mamma svita il tappo della bottiglietta, bagna l’angolo di un fazzoletto di carta e mi afferra per il gomito. «Dai, vieni qui.»
Due gocce d’acqua cadono a terra, sul grigio opaco dei sampietrini. Faccio un passo avanti e le copro con la punta delle ballerine; forse così saranno al sicuro dai raggi del sole.
«Sono già qui.» borbotto. 
«Vedi di fare poco la spiritosa, Emma.» Mamma si china su di me e prende il vestito tra pollice e indice, «guarda che razza di macchia. Perché riesci sempre a sporcarti?»
Una ciocca di capelli castani le scivola davanti al viso e, per un secondo, il profumo del suo shampoo alla lavanda copre la puzza di zucchero filato della bancarella più vicina.
Ha ragione, ma io le avevo già detto di non volerlo mettere, il vestito nuovo. E non è colpa mia se il cartone della crêpe scottava tanto da non poterlo tenere bene; ho i polpastrelli tutti bruciacchiati. Alla fine, la Nutella era pure quella finta. Che fregatura.
«Mi fai male. Tiri troppo!» Scuoto le spalle, mamma non lascia la presa. Continua a sfregare il fazzoletto umido sull’enorme macchia marrone, proprio sopra la pancia.
Tanto non andrà mai via, lo so. Un po’ come il succo delle ciliegie sulla camicetta rosa o la striscia verdina, di qualcosa che neanche nonna ha saputo individuare, sui pantaloni di ieri.
Mamma bagna un altro fazzoletto e aumenta il ritmo. «Devi stare più attenta quando fai le cose. Non so più come dirtelo.»
Apro la bocca per rispondere, ma Giada è più veloce di me. «Mammina, quando andiamo a comprare il pesciolino?»
«Mai. Non ti serve nessuno stupido pesce.» dico.
Mamma dà uno strattone un po’ più forte degli altri al vestito. «Non trattare male tua sorella, Emma.»
«Ma io–»
«Fatto. Poi quando torniamo a casa lo diamo a nonna così lo lava per bene.» Mamma si raddrizza e butta i fazzoletti nel cestino.
La macchia c’è ancora ed è anche più grande con i margini irregolari sbiaditi dall’acqua. Non posso andare in giro conciata così, non con Giada che fa le giravolte per vedere le pieghe della gonnellina azzurra ruotarle attorno.
«Adesso andiamo via, vero?» Mi avvicino a mamma e infilo la mia mano dentro la sua.
Lei scuote la testa e stringe le dita di Giada nell’altra mano. «Ora si va a comprare Nemo.»
«Evviva!» Giada fa un piccolo saltello per sottolineare la sua felicità e mi sorride.
Ma non c’è niente da ridere, oggi. Rispondo con una smorfia e incrocio le braccia sulla pancia. Quando passiamo davanti alla vetrina della Benetton mi giro a specchiarmi nel vetro e mi sembra di essere una delle vecchiette che pregano la domenica a messa. Però, non posso farci niente; è l’unico modo per nascondere l’alone di Nutella finta.
Attorno alla statua di Leopardi al centro della piazza le bancarelle sono più numerose e la gente riempie tutto lo spazio disponibile, allungandosi sopra le merci esposte al sole. Collane e bracciali con le pietre grandi come nocciole, pile di libri dalle copertine sbiadite, piantine grasse con le spine simili a stecchini, borse di finta pelle e ancora piadine, hot dog, frittelle di mele e formaggi che odorano di calzini sporchi. Troppe cose insieme e troppe persone in un solo posto, nello stesso momento.
Lo stand degli animali è l’ultimo, al limitare della piazza. Per fortuna non c’è quasi nessuno, tranne un ragazzino che tiene al guinzaglio un cane nero e un signore con la camicia appiccicata alla schiena dal sudore.
Giada si avvicina all’acquario dei pesci e appoggia i palmi sulla plastica opaca per le ditate untuose di centinaia di altri bambini.
«Ciao, piccolina. Ne vuoi uno?» La signora dietro alla bancarella inforca gli occhiali appesi al collo e indica i pesci.
Giada annuisce. Un riccio ribelle fugge dalla pinzetta e le rimbalza sulla fronte. «Quello arancione.»
La donna distende le labbra in un sorriso e guarda mamma. «Quello arancione, allora?»
Mamma dice di sì e lei prende un retino, lo immerge nell’acquario e tira fuori il pesce. Le squame arancio e argento sembrano cosparse di brillantini.
«Ecco qua, piccola.» Dice, mettendo un sacchetto di plastica pieno d’acqua nella mano tesa di Giada.
Nemo non ha abbastanza spazio per nuotare. Credo che gli piacerebbe tornare dai suoi amici.
«Emma, scegli un pesciolino anche tu.».
Ma io non voglio un pesce. Mi piacerebbe uno dei gattini grigi che si rotolano nella scatola. Magari il più piccolo, quello con le striature marroni attorno alle orecchie.
«No, non mi va.»
«Sì, Emmy! Così Nemo non si sentirà solo.» Giada preme un’altra volta la mano che non tiene il sacchetto contro il vetro.
«Non lo voglio un pesce!» ripeto.
Perché Nemo dovrebbe avere un amico? Allora, tanto vale portarsi via uno dei gattini che ci sono per fargli avere un po’ di coccole. Ma a mamma non piacciono i gatti, o i cani o qualunque altro tipo di animale che sia più grande di un pugno.
«Va bene, scelgo io un compagno di giochi per Nemo.» Annuncia mamma, «prendiamo…lui.»
E un altro pesciolino, questa volta giallo limone, viene tuffato nell’acqua di un secondo sacchetto di plastica.
La signora della bancarella ci saluta, le banconote strette nel pugno.
«Ecco, Emma. Questo è tuo.» Mamma mi dà il sacchetto.
Devo ammettere che è carino il pesciolino che ha comprato, con le squame più rosse verso la coda e la bocca che si apre e si chiude velocissima. Anche se non è l’animale che volevo posso avere lo stesso quello che ha Giada. Anzi, il mio Limone è addirittura più bello del suo Nemo. E comunque, che razza di nome è Nemo?
Le campane della torre iniziano a suonare, i rintocchi sfumano nell’aria e alcuni uccellini si alzano in volo dal tetto del Comune. La gente ammassata vicino alle bancarelle si schiera ai lati di una strada immaginaria, sul cotto della piazza. Mamma mi spinge di lato in linea con i suoi sandali dorati come se fossi un soldatino di stagno, quello della storia che ho letto ieri sera. Nell’ultima pagina, se non ricordo male, il soldatino e la ballerina di carta che ama bruciano insieme nelle fiamme del camino. Mi tocco una guancia ed è bollente per il caldo; spero che non facciamo tutti la fine di quei due giocattoli innamorati.
Un altro rintocco. Chissà se anche Limone, come le rondini, ne ha paura. A giudicare dal palpitare lieve delle sue pinne direi di no, forse le bollicine d’acqua formano una barriera impenetrabile per i rumori spaventosi.
Una tromba e un tamburo si mescolano agli ultimi suoni vibranti delle campane. Dal fondo della strada dritta disegnata dalle persone spuntano i cappelli e le giacche blu della banda, poi un prete vestito di bianco che tiene un microfono tra le mani intrecciate sopra la tonaca. Dietro, quattro tizi con il viso arrossato spingono un carro, seguiti da una folla a capo chino il cui canto esce gracchiante dagli altoparlanti all’inizio della fila. Su un panno damascato che copre le ruote del carro c’è San Vito.
Mamma mi tocca una spalla e subito faccio il segno della croce. Ti prego San Vito, fa’ che nessuno si sia accorto che ho il vestito sporco.
Lui mi passa davanti, gli occhi dipinti di azzurro in risalto sulla pelle chiara di cartapesta, e posso solo immaginare che mi abbia ascoltato. Starnutisco; tutti quei gigli che lo circondano risucchiano ogni particella d’ossigeno con il loro odore.
«La mano davanti alla bocca, Emma.» sussurra mamma.
Sì, so come si starnutisce, io. Non sono mica Giada, sempre a disperdere la sua saliva in giro. Però, non è una cosa furba sfidare la sorte un’altra volta e mostrare a tutti il pasticcio marroncino, tipo una pennellata venuta male di acquerello, che ho sulla pancia.
La processione ci sfila difronte, una donna con un foulard nero in testa si aggiunge a quelli che camminano e sparisce alla vista. Anche altri seguono il suo esempio mentre io, mamma e Giada restiamo ferme. È facile così, vorrei dire; è facile mettersi in mezzo e raggiungere la chiesa oltre la salita proprio ora, quando c’è gente che marcia sotto al sole da chissà quanto. Davvero troppo comodo. Mi mordo la lingua perché so che sarebbe sbagliato, nonna me lo dice sempre che la verità non è quasi mai la scelta giusta. Nessuno vuole sentire quello che gli crea sofferenza, stellina. Be’, oggi può essere orgogliosa di me, visto che non ho detto a Giada che odio Nemo o al prete di sgridare i furbetti ritardatari in processione.
Quando la scarpa del signore in fondo alla fila calpesta il bordo della piazza, la stradina creata dal nulla viene distrutta. Le persone ricominciano a parlare e le parole si confondono in un ronzio costante senza senso.
Mamma si gira verso l’orologio sulla parete della torre e stringe gli occhi. «Adesso andiamo a casa, va bene?»
Va bene mille volte per me. Giada non è dello stesso avviso. Sporge in avanti il labbro inferiore e dilata al massimo gli occhi marroni, già troppo grandi. I raggi del sole le spruzzano l’iride di una manciata di pagliuzze dorate, in perfetto accordo con i riflessi di miele tra i boccoli. Lei lo sa che nessuno, neppure papà, riesce a resistere quando fa così. A volte, questo superpotere può tornare utile anche a me, per un nuovo gioco o una porzione gigante di patatine fritte, eppure in questo momento vorrei che non sapesse farlo, risultare dolce e tutto il resto.
Mamma le accarezza il viso e le appunta una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Domani ritorniamo alla fiera anche con zia e nonna.»
Giada ritira di scatto il labbro. «Se lo prometti, allora va bene.»
Falsa. Quella frase glie l’ho insegnata io, dovrebbe almeno ringraziarmi.
 
***
 
Limone e Nemo nuotano in cerchio nella boccia di vetro sopra al tavolino. Giada mi si siede accanto sul divano, i piedi nudi a qualche centimetro dal parquet. «Secondo te sono felici di stare lì dentro?»
Mi stringo nelle spalle. «Forse. Non lo so.»
Quello che so è che non c’è niente di più bello dell’aria condizionata sulla pelle dopo l’afa di prima. Sono quasi sicura che anche i pesciolini si rendano conto della differenza.
 «Facciamo un gioco?»
Giada stacca gli occhi dalla boccia e gli angoli delle labbra le schizzano all’insù. «A che cosa giochiamo?»
Prendo una treccia che mi solletica la spalla e inizio a mordicchiarne l’estremità. Un gioco, ma quale? Nonostante il bel fresco che c’è in casa fa troppo caldo per mettersi a correre. E in cucina ci sono mamma e nonna che preparano la cena; ci sgriderebbero di sicuro.
Un gioco, un gioco…
Allontano i capelli dalle labbra e vado al centro della sala. Mi fermo sul rombo rosso in mezzo al tappeto. «Ho trovato. Facciamo che siamo principesse di un regno sotto al mare e che loro» punto l’indice verso i pesciolini, «sono le guardie del nostro palazzo.»
Giada batte le mani e si avvicina. «E ci prepariamo per andare al ballo come Cenerentola?»
«No, siamo delle principesse guerriere!»
Giada aggrotta la fronte. «Quindi non balliamo?»
Perché non arriva a capire le cose? Per fortuna che è la più brava della classe.
«La nostra è una danza che ci farà vincere la guerra. È magica, capito?»
«Capito. E contro chi dobbiamo combattere?»
Ecco, questa sì che è una bella domanda. Qualcosa di terribile, qualche mostro terrificante…
«Ognuna sceglie il suo cattivo. Il mio sarà un polipo gigante con i tentacoli ricoperti di broccoli.»
In effetti, mi sembra abbastanza spaventoso. Ora tocca a Giada. Si passa la lingua sulle labbra, poi arrotola il bordo della canotta attorno all’indice tozzo. «Io scelgo uno squalo.»
Banale. Sarà un nemico fin troppo semplice da sconfiggere.
«Come vuoi. Ora, dobbiamo solo sperare che Limone e Nemo ci avvertano in tempo dell’arrivo dei nemici.»
Giada annuisce e lascia il bordo della canottiera, ormai spiegazzato. «Adesso iniziamo il gioco?»
Limone e Nemo si rivelano dei cavalieri impeccabili; gridano avvertimenti e ci incitano a sconfiggere i mostri. Poi, Giada interrompe a metà una piroetta che dovrebbe aiutarla a ridurre in cenere i canini appuntiti dello squalo. Guarda la boccia e mi fa cenno di avvicinarmi.
Limone galleggia immobile sulla superficie dell’acqua. Nemo continua a nuotare frenetico, sfiorando con le pinne i sassolini sul fondo.
«Emmy, è morto!» Giada si copre la bocca con le mani.
Corro a chiamare mamma e anche lei dice che non c’è più nulla da fare. Limone starà già esplorando il Paradiso dei pesci. Guardo l’acqua del water vorticare in un mulinello che inghiotte Limone ed è difficile pensare che lui sia davvero tra coralli e stelle marine.
Torno in salotto. «Non voglio giocare con te, sei noiosa!» grido a Giada che mi tira per una mano, pronta a riprendere il combattimento lasciato a metà.
Lei si precipita in cucina. Me la immagino seduta sulle gambe di mamma a lamentarsi della mia cattiveria. Chissenefrega, voglio restare sola.
Non è giusto. Perché il mio Limone è morto e il suo Nemo respira ancora?
Giada ha i capelli ricci che si schiariscono in estate, i dentini bianchi e perfetti, le guance paffute che su di lei non sono qualche chilo di troppo ma un altro elemento di tenerezza, amichette da invitare ogni sabato pomeriggio e adesso, come se non bastasse, ha anche un pesce.
No, non è giusto.
Vado al tavolino, afferro la boccia e la rovescio. L’acqua si allarga in una pozza sul legno e il centrino attutisce la caduta dei sassolini. Nemo è una piccola mezzaluna arancione sul bianco del pizzo. Il corpicino sussulta, la coda si agita così tanto che uno schizzo d’acqua mi finisce sul naso. Ha gli occhi rotondi fissi alla porta, ma nessuno verrà ad aiutarlo.
I pesci hanno bisogno dell’acqua per respirare e so che tra pochi secondi Nemo morirà.
A ogni spasmo vedo i capelli di Giada diventare lisci e neri, i denti macchiarsi di giallo e distanziarsi fino a lasciare uno spazio tra gli incisivi superiori, le guance lievitare come il pane che nonna mette in forno coperto dallo strofinaccio a righine e le sue amichette smettere di salutarla.
Deglutisco. Nemo è immobile.
Se Limone è nel Paradiso dei pesci, ora non è più solo e se il Paradiso dei pesci si trova in cielo, allora San Vito potrà giocare con loro.
«Emma, vieni ad apparecchiare!» grida mamma dalla cucina.
«Arrivo!» Spengo la luce del salotto e, anche se gli occhi di Nemo non possono più vedere niente, sento il suo sguardo incollarmisi addosso.

Note:
Savle a tutti! Se siete arrivati fino a qui: GRAZIE PER AVER LETTO.
Poi, alcune precisazioni veloci sulla storia che intendo sviluppare. Semplicemente e banalmente, l'idea è quella di raccontare il rapporto tra Emma e Giada nel corso della loro vita, tramite la narrazione di alcuni episodi salienti della loro quotidianità. Dunque, aspettatevi salti nel tempo e nello spazio che spero saranno sempre e  comunque abbastanza chiari. E niente, non voglio rubarvi altro tempo o fare eventuali spoiler. Dico solo che, per cause relative alla vita e che esulano dal mio controllo, non sono sicura di quando potranno avvenire gli eventuali aggiornamenti della storia. 
Con la speranza di non aver annoiato nessuno, a presto!

P:S. Se volete farmi sapere la vostra opinione su quanto avete appena letto ne sarei molto felice. Solo così si può migliorare, giusto? 

 

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Capitolo 2
*** SOLO MANINE SUDATICCE ***


Giada è nata a luglio, diciannove giorni dopo il mio secondo compleanno e una settimana prima dell’inizio di agosto. Con il tempo sono arrivata a pensare che lo avesse fatto apposta per costringermi a condividere con lei anche quella piccola porzione di tempo. Luglio avrebbe potuto essere una cosa solo mia e lei ci si era subito insinuata, strappandomela senza rimorso.
Comunque, nonna raccontava spesso che quando mi diede la Grande Notizia io alzai la testa dal disegno, lanciai il pennarello a terra e inizia a saltellare per tutta la camera. “Ho una sorellina, una sorellina!”, gridavo felice. Non posso confermare che andò davvero così, ma darei buona parte della pensione per poter tornare indietro e leggere nella mente della me che sono stata tanto tempo fa. Perché sì, di sicuro non avevo ben capito che cosa nascondesse quella parola, sorellina, altrimenti non sarei balzata di gioia da un capo all’altro della stanza. Poco ma sicuro.
Ero una bambina di due anni con il viso tondo, le fossette sulle guance paffute e un piccolo neo sopra al labbro superiore. Una di quelle bambine a cui la gente sorride per strada e che starebbe proprio bene in una rivista di moda per l’infanzia, con gli occhi scuri, i boccoli castani e le manine cicciottelle. Zia lo diceva in continuazione che sarei potuta diventare una modella e Mamma ci stava pensando davvero a farmi fare un servizio fotografico. Lo so perché nonna parlava tanto, negli ultimi tempi, e sembrava che solo le minuzie del passato riuscissero a tranquillizzarla. È grazie a quei mesi passati seduta sul suo letto d’ospedale, nell’odore pungente di disinfettante e pelle di malato, che sono venuta a sapere di tante cose che prima ignoravo; cose piccole come la mia carriera di indossatrice stroncata sul nascere e cose che avrei voluto rimanessero occultate per sempre nella sua memoria ormai piena di crepe.
 
 
CAPITOLO 2
SOLO MANINE SUDATICCE
 
Giugno 2007, dopo cena
 
Seguo Giada lungo il corridoio. Alcuni boccoli, raccolti in due codini morbidi ai lati della testa, sono fuoriusciti dagli elastici di colori diversi e le incorniciano il capo come un’aureola bionda. Tipo quella che hanno i Santi nei quadri appesi a San Francesco, solo che lei non è buona. Ma questo, nessuno tranne me lo sa.
Giada accende la luce in salotto e rimane immobile sulla soglia. La mano che tiene una Gocciola, immancabile dolcetto del dopo cena, le scende lungo il fianco e un po’ di briciole finiscono a terra, in rilievo sul marrone più chiaro del parquet. Mamma non ne sarà affatto contenta.
«Emmy.» sussurra, girandosi verso di me. Un velo di lacrime le trema già contro l’iride. «Emmy, g-guarda.»
Non c’è bisogno di guardare, so già che cosa l’ha sconvolta tanto. E come potrei non saperlo?
«Che cosa c’è?» Mi accarezzo la punta della treccia in un tono che spero il più neutro possibile.
Lei non risponde. Si schiaccia contro lo stipite della porta e mi fa cenno di entrare. Altre briciole cadono a terra e quando le passo davanti sento un leggero crick-crack sotto la suola degli infradito.
Tutto è come l’ho lasciato prima di andare in cucina ad apparecchiare e prendermi un “bravissima” da parte di mamma: Nemo è immobile sul pizzo e le lampadine si riflettono tremolanti sul sottile strato d’acqua che ricopre il tavolino. I sassolini grigi e bianchi, invece, sono tornati asciutti e opachi. Mi ero dimenticata, per colpa della tortura di dover finire l’insalata, degli occhi del pesciolino sbarrati, cechi. Morti.
Mi passo la lingua sulle labbra. «Sei stata tu?»
Giada scuote la testa, il labbro inferiore inizia a tremolare. «Ma è solo caduto fuori dalla boccia, vero? Adesso lo rimettiamo nell’acqua e starà bene, vero?»
No, non funziona esattamente così. «Io…non lo so.»
Ma che cosa dico? Io la so la verità e la verità è che non c’è nulla da fare per Nemo se non buttarlo nel water, tirare lo sciacquone e vederlo sparire. Poi, gettare il centrino in lavatrice, asciugare il tavolino, pulire la boccia e rimetterla a posto sulla mensola in alto della lavanderia dove non riesco ad arrivare neanche salendo sulle sedie. Avrei potuto, avrei dovuto spiegarle tutto. Non era questo lo scopo di quello che avevo fatto? Osservare la mia sorellina perfetta realizzare di non poter ottenere ogni cosa solo sgranando gli occhi e mettendo il broncio?
Giada tira su con il naso. «M-m-mamma lo sa di sicuro.»
Non faccio in tempo a richiamarla indietro che lei è già corsa via. Mamma non è Giada, non ha la misera intelligenza di una bambina qualunque che tutti credono un piccolo genio solo perché è la preferita della maestra. Mamma sa ogni cosa e capirà. Allora, che importa se prima mi ha detto “bravissima”?
Devo fare qualcosa e anche in fretta.
Ok, eliminare le prove. O almeno, provarci.
Prendo la boccia rovesciata e la raddrizzo. Afferro a manciate i sassolini e li lascio cadere sul fondo. Così potrebbe andare. Come ha detto Giada, Nemo ha solo nuotato troppo forte, magari ha fatto un salto fuori dall’acqua per godersi il panorama sul salotto e non ha centrato l’apertura della boccia. È finito di fuori e ha schizzato acqua da tutte le parti. Perfetto. La Signora in Giallo sarebbe molto fiera di me.
«…vieni a vedere, vieni a vedere!» urla Giada.
Mi precipito alla porta e il cuore batte così forte che mi fanno male le orecchie. Forse esploderò, a questo punto.
«Tesoro, devo finire di là.» dice mamma.
«Vieni, vieni!» La vocetta acuta di Giada si fa più vicina ed eccola, che tira mamma per un braccio con tutta la forza che ha.
Mamma guarda Nemo. Giada guarda lei. Io mi guardo lo smalto fucsia scheggiato sull’unghia dell’alluce.
Giada rompe il silenzio. «Che cosa facciamo, mammina?»
Alzo lo sguardo, curiosa di sapere. Esatto, ora che si fa?
Mamma accarezza la guancia di Giada con il dorso della mano. Serra le labbra e mi cerca con gli occhi. Deglutisco. So che sa.
Sei colpevole solo se ti comporti come tale. Lo ha detto ieri la signora Fletcher nell’ultimo episodio della stagione che ho visto con nonna. Insomma, una cosa del genere. E io sì, sono colpevole, ma basta fingere di non esserlo.
«Giady, Nemo adesso è nel Paradiso dei Pesci insieme a Limone.» dico.
Mamma annuisce, ma mia sorella si mette a piangere lo stesso e scappa via. In cameretta, raggomitolata sopra le lenzuola insieme a Sara, l’orso con la camicia da notte color panna. Lo fa ogni volta. Normale amministrazione, insomma.
Mamma sospira e si avvicina a Nemo. «Emma, hai qualcosa da dirmi?»
Ehm, potrei mangiare un altro biscotto prima di andare a lavare i denti?
«No, mammina.» Prendo un fazzoletto pulito dalla tasca dei pantaloncini e lo appoggio sopra alla pozza d’acqua. Vedi, sono solo una brava bambina che ti aiuta a rimediare a un pasticcio combinato da un pesce troppo sciocco.
Il fazzoletto si bagna d’acqua e diventa molliccio. «Buttiamo Nemo?» E ora, vedi la proposta di una brava bambina che vuole sbarazzarsi di un animale inutile per desiderio di ordine e pulizia, sia chiaro.
Mamma ci mette un secondo in più del normale a rispondere di sì. Lo sa. O forse sono stata bravissima, così brava che non riesce a capire davvero se il sospetto che le scorgo annidato nel marrone caldo degli occhi sia reale.
«Emma, te lo chiedo un’altra volta. Devi dirmi qualcosa?»
Domani devi lavorare o vieni al mare anche tu?
«Mammina, non capisco.» Con un movimento veloce del polso spingo prima di lei sulla plastica dello sciacquone. «Che devo dire?»
«Come ha fatto Nemo a finire sul centrino?»
No, non ci voleva. Stringo i capelli nel palmo e li sento appiccicarsi alla pelle. Sto sudando. Anche gli assassini che trova la Signora in Giallo sudano spesso, quando vengono interrogati dal poliziotto grasso. Non va affatto bene.
«E smettila di tormentarti i capelli.» Mamma libera la fine della treccia dalla stretta delle mie dita, «ecco perché sei piena di doppie punte.»
«Scusa, mammina.» Nascondo le mani dietro la schiena.
«Allora? Come ci è finito Nemo fuori dall’acqua?»
Mi stringo nelle spalle. «E io che ne so? Quel pesce era di Giada, mica mio.» Mi alzo sulle punte e prendo il dentifricio nel bicchiere accanto al rubinetto. Vedi, prima che me lo dici tu mi sto anche lavando i denti. Sono proprio brava, lo so.
«Emma, rispondi.»
Apro il tubetto e lo spremo. Dal basso e non dalla punta. Un altro punto per me. «Non lo so! Forse…forse ha fatto un salto ed è caduto. Prima io e Giada giocavamo alle principesse, Nemo e Limone erano le nostre guardie al palazzo e forse lui voleva continuare il gioco da solo.»
Apro la bocca e inizio a spazzolare gli incisivi superiori. Adesso non ho più uno spazio enorme, fatto di sola gengiva, lì dove i denti da latte sono caduti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. Ci sono due rettangolini bianchi e anche se non sono né dritti né vicini li trovo un netto miglioramento rispetto a prima.
Mamma si passa una mano sugli occhi. «Emma, dimmi che non sei stata tu a tirare fuori Nemo dall’acqua.»
«On ata io.» sputacchio, la bocca piena di dentifricio. Alcune goccioline di schiuma finiscono sullo specchio e scorgo mamma scuotere la testa, tra una macchiolina bianca e l’altra. «Sul serio. Te lo giuro, mammina.»
La carne umida delle guance brucia e sfrigola; odio questo dentifricio alla menta. E ce ne è anche un altro, di bruciore, che mi solletica la pelle. Come quando prendo troppo sole sulla spiaggia, poi torno a casa e mi sento tutta dolorante e tesa.
«Perché lo hai fatto, Emma?»
Mi sciacquo la bocca. «Io non ho fatto niente.»
Mamma mi appoggia le mani sulle spalle e mi fa girare verso di lei. «Avreste potuto giocare tutte e due con Nemo. Sarebbe stato di entrambe, tuo e di Giada.»
Stringo i pugni per vincere la tentazione di giocherellare ancora con la treccia che mi solletica la schiena. «Limone era mio. Nemo era di Giada. Punto.»
Lo aveva detto anche lei, nel momento in cui mi aveva dato il sacchetto pieno d’acqua con Limone dentro; Questo è tuo, Emma. Non di Giada, non ti tutte e due, ma mio. Mio e basta. Solo mio come niente lo era stato prima, né la gonnellina a quadretti rossi né il grembiule della scuola con Flora ricamata sulla tasca. Perché era tutto passato a mia sorella, insieme al pigiama di Topolino o il costume con i brillantini, visto che a me andavano troppo stretti o corti ed erano quasi nuovi. Un peccato buttarli via, secondo nonna.
«Che cosa hai ottenuto, facendo quello che hai fatto?»
Una domanda trabocchetto. Mamma voleva farmi ammettere che sì, ero stata io a uccidere Nemo per poi mettermi in punizione. Mi avrebbe proibito di leggere e io ero troppo curiosa di sapere se Edmund avesse rivisto i suoi fratelli, scappando dal castello di ghiaccio della Strega Bianca. O mi avrebbe vietato di mangiare il gelato e guardare i cartoni. Perché mamma a volte era cattiva ed era più che consapevole di ciò che mi importava.
«Tanto tu non mi credi mai!» Faccio un passo indietro, «per te io sono bugiarda e Giada dice sempre la verità.»
Non è la prima volta che piango per questo e mamma sospira. La ruga leggera che ha sulla fronte si fa più profonda; e se per colpa mia quella brutta riga non se ne andrà più? Se le spunteranno strisce profonde anche sulle guance e intorno agli occhi come a nonna? Righe e strisce che si uniranno in ragnatele tremolanti a causa della bugia che ho detto.
«Emma, smettila con questa storia per favore.»
«Anche tu.»
Mamma si avvicina e alza un indice, puntandomelo contro. «Non mi piace il tuo atteggiamento, signorina. Fila a letto e rifletti su quello che hai fatto. Non sono per niente contenta, Emma, per niente.»
Be’, poteva finire in modo peggiore. «Buonanotte.» mormoro, rivolta ai fiorellini lilla del tappeto.
In cameretta, alzo il cuscino e mi metto il pigiama. Mamma si siede sul letto di Giada, la schiena rivolta verso di me. Nascondo la testa sotto le lenzuola anche se fa caldo. Così, la voce di mamma e i singhiozzi di mia sorella arrivano ovattati e si confondono in brusii lontani. Nel nero dietro le palpebre serrate mi concentro sulle mille lucine colorate che esplodono e pulsano, evitando di dover vedere mamma che asciuga le lacrime a Giada e la coccola e le accarezza i capelli.
«Notte, mammina.»
«Notte, cucciola.»
E quelli, di sussurri, li sento benissimo anche con le orecchie coperte.
Mamma accosta la porta, dal corridoio solo una lama di luce aranciata rischiara il buio della stanza.
«Giady, dormi?»
«No.»
Ha la voce impastata e bagnata di chi ha ricominciato a piangere.
La gola mi si fa secca.
«Emmy, tu dormi?»
«No.»
Non so che cosa le ha detto mamma. Potrebbe averle rivelato il sospetto che ha su di me e allora anche Giada terrà il muso per giorni. Rifiuterà ogni proposta di giocare insieme, farà castelli di sabbia lontani dai miei e conoscerà altre bambine con cui cantare canzoncine alle onde per far calmare il mare.
Scalcio le lenzuola e quelle mi si arrotolano attorno alle caviglie. Mi dà fastidio che lei possa, in qualche modo, sapere quello che ho fatto.
Sapere che sei stata tu a uccidere Nemo.
Uccidere. Nemo.
Agito una mano davanti al viso, ma l’aria che riesco a spostare è più appiccicosa di quella di oggi pomeriggio.
«Stai piangendo?»
«No.» risponde Giada in un singhiozzo strano, come se avesse tentato di farlo sparire affondando la faccia nella federa del cuscino. O tra le pieghe della camicia da notte di Sara.
Sta piangendo. Lo so.
«Piangi per Nemo?»
«N-no.» Altro singhiozzo, «s-si.»
Giro il cuscino dalla parte più fresca e richiudo gli occhi. Dovrei essere felice. Ho raggiunto il mio scopo. E allora perché gli occhi mi pizzicano? Se solo Giada smettesse di produrre quei suoni strozzati riuscirei a dormire con un bel sorriso di soddisfazione; Nemo non c’è più, mamma non mi ha messo in punizione, domani potrò mangiare il gelato per merenda e gli incisivi superiori mi sembrano più lunghi di ieri a passarci sopra la lingua, così.
Eppure, eppure le mie labbra non si tendono verso l’alto e non riesco a immaginare che gusto potrei scegliere nel cono.
Mi metto a sedere sul materasso, cerco con i piedi gli infradito e vado verso il letto di Giada, identico al mio.
«Giady, posso?» Senza aspettare risposta scosto le lenzuola, allontano Sara e mi sdraio accanto a lei.
Le sue iridi brillano nel buio insieme alle lacrime. Ed è strano perché gli esseri umani non brillano al buio.
«Non devi essere triste.» Le allontano un boccolo schiacciato sulla fronte, «Nemo ora è un pesciolino felice.»
«Non puoi saperlo.»
«Invece lo so.» Sorrido, spero che anche lei riesca a vedere questa parte di me brillare nel buio. «Starà nuotando con Limone tra nuvolette di alghe celesti.»
«Ne sei sicura?»
«Assolutamente.»
Giada cerca la mia mano e la stringe. È calda e sudaticcia, però sento il sorriso che ho messo su solo per lei farsi più ampio e vero.
Nemo è morto e lei ha ancora i capelli ricci che alla fine dell’estate avranno riflessi color miele, ha ancora i dentini piccoli e perfetti, ha ancora gli occhioni enormi e la capacità di apparire perfetta.
Ha ragione mamma; che cosa ho ottenuto?
Niente, tranne il dover dormire accanto a Giada e svegliarmi, domani, con il suo respiro a solleticarmi le narici.
E per una notte, mi va bene così.

 
Note:
Grazie a tutti coloro che sono arrivati alla fine anche di questo secondo capitolo!
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Un grazie particolarmente caloroso a _Il colore del vento_ (lei sa perché). Autrice fantastica che, se ancora non la conoscete, vi invito a iniziare a leggere SUBITO. Vi basterà entrare nel suo profilo, aprire una qualunque delle sue storie e lasciarvi trasportare dalla magia delle sue parole. Non ve ne pentirete, promesso.
Alla prossima!
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 

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