Cose Fragili

di vielvisev
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La ferita ***
Capitolo 2: *** Pozione Antilupo ***
Capitolo 3: *** Whiskey e Cioccolato ***
Capitolo 4: *** Polvere ***
Capitolo 5: *** Diventare Memoria ***



Capitolo 1
*** La ferita ***


.La ferita.



Non ci sono modi giusti per descrivere il dolore. Remus Lupin lo sapeva perfettamente.
Dolore era quello che provava ogni volta che la sua cartilagine si stremava e suoi muscoli stravolgevano in una forma che non poteva controllare, spezzandogli le ossa e il respiro, graffiandolo nel corpo e nell'orgoglio. 
 Dolore era anche quello che si auto infliggeva quando si tramutava in mostro, con pugni, morsi e frustrazione, incapace di sentirsi libero in quello stato animale e allo stesso tempo terrorizzato dalla possibilità di provare sollievo e di togliersi le sue stesse catene, lasciandosi andare completamente al lupo feroce, quella forma orribile, che in fondo aveva accettato.
Dolore era anche rendersi conto di aver riversato amore, tempo e fiducia, soprattutto fiducia, in qualcuno che non lo meritava e sentirsi in colpa per questo, responsabile di non aver fatto abbastanza attenzione, di non aver colto tutti i dettagli, tutte quelle ombre che, in una guerra che li aveva sfiniti ancora prima di invecchiare, gli erano parse innocue quando non lo erano. 
 Erano ferite fresche quelle, piene di accusa e rimpianto, e innocenti, come Lily e James, avevano pagato per ogni cicatrice malamente guarita di altri.
Erano bastate poche parole per mandare tutta la sua esistenza in frantumi e far sembrare ora sporco, infimo e terribile quell'amore che da ragazzo lo aveva salvato, trascinandolo a forza fuori dal disgusto per sé stesso e dalla costante sensazione di fallimento. Come poteva odiare adesso quegli occhi che lo avevano dissetato quando la sua gola bruciava solo di rabbia e amarezza?
Dolore era il vuoto. Quella piccola caduta in cui il suo corpo era rimasto fermo e il suo cuore si era infranto al suolo. Quando qualcuno l'aveva abbracciato, al suo ritorno dalla luna piena e aveva sussurrato contro la sua nuca: “I Potter sono morti, Remus. Peter Minus è morto. Lo ha ucciso Sirius Black
 E lui era rimasto zitto e immobile, appoggiato alla spalla di Mary MacDonald come se fosse l'unica cosa reale che gli era rimasta, ma il suo corpo era diventato bruciante e fragile come cenere.

*

Tu come ti chiami?”
 “Remus. Remus Lupin. E tu?”
 Aveva parlato timido e rabbioso allo stesso tempo, ferito da un orgoglio che non sapeva ancora di possedere e il ragazzino di fronte a lui l'aveva osservato di rimando con una smorfia che sembrava quasi canzonatoria, ma illuminata da un guizzo di interesse sincero e aveva ciondolato sulle sue lunghe gambe da adolescente che avevano ferito prima del tempo la morbidezza dell'infanzia.
 “Bel nome. Io sono Sirius Black” gli disse, gli occhi grigi taglienti come lame, resi più gentili dal sorriso accennato.
 “Bel nome” aveva risposto Lupin a capo chino, nascondendosi dietro ciocche di capelli castano chiaro. 
 “Ti piace leggere, vero?” chiese Black sedendosi accanto a lui, cosa che Remus avrebbe preferito evitasse di fare, perché il suo olfatto era ancora sensibile dall'ultima trasformazione e poteva sentire intenso l'odore di menta, polvere e lucido da scopa che emanava l'altro ragazzo.
 Frequentavano le stesse lezioni da quasi un mese, così come lo stesso dormitorio e Sala Comune, ma era la prima volta che Sirius Black gli parlava davvero e a Lupin, che aveva cercato di farsi bastare quella vita priva di amicizia, mancava quasi il respiro. 

 Sapeva di essere strano, senza nemmeno ammettere la sua natura di Lupo Mannaro. Se Sirius era visibilmente avvolto da seta e benessere nella vita, sotto quella strana turbolenza che si intuiva nel suo sguardo, Lupin era lungo e malmesso, la fronte aggrottata e le ferite sottili sparse sul corpo magro, il capo sempre chino, a nascondere il viso dai lineamenti delicati, come a implorare di non essere notato. Strano appunto. Poco amichevole sicuramente, sempre affossato in un libro, sempre con quel velato distacco verso il mondo.
 “Ehi, ti ho chiesto se ti piace leggere” insistette il ragazzo di fronte, lo stupore sincero di chi è abituato a essere il centro dell'attenzione e si ritrova a cercare per la prima volta considerazione. 
 “A volte” rispose secco Remus, fissando ostinato una cicatrice chiara sul dorso della sua mano destra e cercando di ricordare a quando risalisse: erano sempre troppe le ferite con cui tornava da ogni luna piena e rimanevano come una sottile rete intricata sul suo corpo, nonostante le cure quasi amorevoli di Madama Chips.
 “Io e James avremmo davvero bisogno di qualcuno a cui piaccia leggere nel gruppo” sorrise Sirius con naturalezza e l'altro ragazzo rimase stupito che non se ne fosse ancora andato “Noi non ne abbiamo mai il tempo”
 “Nel gruppo?” mormorò Lupin sorpreso: nessuno lo aveva mai voluto in un gruppo.
 “Nel gruppo, Remus, cosa non capisci?”
 “Volete me nel vostro gruppo?” chiese rauco il giovane mannaro e l'altro rise forte, il viso che sembrava brillare. 
 “Esatto Lupin. Ti vogliamo nel gruppo: io James e Peter. Abbiamo bisogno di qualcuno con un po' di sale in zucca. Lo conosci Peter, no? James lo conosce da sempre. Sembra matto ma ti assicuro che...”
 “Va bene” aveva risposto Remus con il cuore in gola, stringendo troppo forte il libro che aveva tra le mani “Va bene” ripeté poi subito dopo con più calma, vedendo il volto di Black bloccarsi a metà della frase e aggrottarsi appena.
Trattennero quasi il fiato, poi Sirius esplose di nuovo in un breve risata, il sorriso che si faceva spazio sul viso chiaro, gli occhi grigi che ardevano di soddisfazione: sembrava brillare tutto di luce propria, Sirius Black. 
 "Allora benvenuto, Remus Lupin" e lo aveva abbracciato di slancio.

*

Remus Lupin non aveva reagito quella notte, quella terribile notte di Halloween. 
 Non come avrebbe voluto, non come si sarebbe aspettato. Nemmeno una stilla del suo incredulo dolore gli aveva contratto i lineamenti, né una lacrima era scivolata sulle sue guance scavate dal sonno. Si era presentato per ultimo dai Potter, quasi trascinato da Mary, che lo guardava piena di apprensione con i suoi occhi bruni. Era straziato e quasi ubriaco, Remus Lupin, e aveva osservato la casa dei suoi migliori amici con distacco e freddezza, tanto da stupirsi di sé stesso. 
 Aveva preso consapevolezza di cosa volessero dire quelle pareti annerite e distrutte, quel silenzio così grave, quell'odore acre che gli bruciava la gola. Aveva ignorato lo sguardo chiaro e insistente di Silente e, dopo un lungo istante, si era semplicemente voltato e se ne era andato, trascinando i piedi sul selciato scuro, il passo lento, arreso. Nessuno aveva provato a fermarlo, non la rigida Minerva, o il sentimentale Rubeus, nemmeno Albus. Non Mary, che con lui aveva passato sette anni di scuola e che forse poteva intuire il suo dolore. Non c'era motivo forse di trattenerlo e probabilmente tutti loro erano consapevoli che nessuna parola avrebbe potuto confortarlo. 
Come si spiega a una voragine cosa significa essere piena? Come si ferma il pulsante ronzio che ti dice: “è colpa tua, sei l'ultimo rimasto”? Come si rallenta un corpo che cade nel vuoto? Come si insegna a qualcuno a mozzarsi da solo il respiro? Remus Lupin non aveva risposta a nessuna di quelle domande.  Ma Lily e James erano morti. E infine urlò solo rauco nella notte, fino a lacerarsi la gola e poi il cuore. Urlò di rabbia e frustrazione. Urlò al nulla che gli era rimasto, senza nemmeno sperare che qualcosa potesse salvarlo.

*

Non guardarmi” disse, cercando di nascondersi dietro il sottile riparo del lenzuolo bianco dell'infermeria.
 Si sentiva orribile e martoriato perché quella luna piena era stata particolarmente intensa, la pubertà sembrava mettere a dura prova la sua licantropia, rendendo ogni trasformazione più dolorosa e stremandolo nel corpo, lasciandolo poi la mattina esausto e frustrato. Il sapore metallico del sangue che non aveva assaggiato che gli si scioglieva nella gola.
 “Pensavo saresti stato contento di vedermi, Moony” rispose Sirius, tranquillo.

 “Io...” balbettò Lupin, perché il cuore gli diceva che non voleva altro che essere osservato da quegli occhi grigi e insolenti, ma le cicatrici bianche e rosate che gli martoriavano il corpo gridavano vergogna.
 “Io...Io...Io” lo prese in giro Black, le labbra piegate in una smorfia morbida “Chips non voleva farci entrare, le ho detto che James e Peter potevano stare fuori, ma non io. Le ho detto che mi avresti voluto con te”
 Si allungò verso di lui, sistemandosi al suo fianco sul letto dell'infermeria. Remus dubitava che se Madama Chips li avesse trovati a dividere il materasso non avrebbe avuto da ridere, per quanto la donna gli volesse bene e fosse sempre fin troppo gentile con lui, ma non disse nulla, per parecchi minuti, accettando il tepore dell'amico al suo fianco, così come la stretta gentile sulla sua mano.
“Sirius... io...” balbettò, pieno di scuse e spiegazioni.
 “Io...io...io” lo prese di nuovo in giro il ragazzo “Non si tratta sempre e solo di te, Moony. Avevo voglia di stare con te. Mi mancavi, diciamo. Peter sa essere estremamente petulante a volte e James può sopportarlo da solo per un po', con tutte le volte che lo abbiamo coperto quest'anno.”
 Remus non disse nulla e non parlarono delle bende che coprivano di nuove cicatrici il suo corpo magro, né del fatto che era la terza volta che lui finiva in infermeria dopo la luna piena, o di quanto Sirius e gli altri Malandrini potessero sospettare della sua natura, mantenendo però il riserbo. Rimasero solo a fissare il soffitto color crema, immobili e felici, cullati dalla risata rauca di Sirius che canticchiava tra i denti.

*

Aveva sentito di far parte di qualcosa, Remus Lupin. 
 Aveva sentito quasi di meritare l'affetto che aveva sfiorato con la punta delle dita, aveva creduto di poter accettare quella parte animale che lo straziava nel petto, come un pegno adatto a quello che la vita continuava a regalargli.  Un pagamento minimo quello di perdere uso della propria umanità ad ogni luna piena, se poteva sentire di appartenere a quel gruppo di ragazzi sfacciati e brillanti. 
Se poteva desiderare la stretta di James Potter sulla sua spalla, la risata di Lily alla distanza di un respiro, le battute meste di Peter e gli occhi grigi di Sirius. Sirius. Cazzo. Sirius Black. 
 Quel sorriso storto e strafottente che aveva rubato ogni sua cellula e respiro, trascinandolo in quel mondo feroce e splendente e pieno di successo che aveva intravisto davanti a loro. 
Nella loro piccola cucina coperta di piastrelle sbeccate, dove bevevano caffé amaro, litigavano furiosamente e ascoltavano vecchi dischi spalla contro spalla, aspettando la fine di una guerra che tre di loro non avrebbero mai davvero vissuto, che nessuno di loro avrebbe mai davvero vissuto, erano stati felici.  O quasi. Si erano costruiti un mondo sopportabile per le loro ferite, dolce per i loro respiri.
Erano adolescenti in corpi di vecchi, con un diploma tra le dita e un appartamento Babbano in cui tornare ogni sera per fingere che andasse tutto bene. Almeno per un po'.
Quanti sogni infranti si erano fatti sfuggire tra i denti, quanta amarezza aveva animato i loro incubi, quanti addii o “Ti amo” avevano trattenuto per timore di sancire la fine di qualcosa che era così fragile.  

 Bambini. Erano tutti bambini che giocavano a fare gli adulti, bevendo burrobirra nella serate quiete intorno al camino e combattendo contro un'oscurità che gli avrebbe comunque inghiottiti. Erano senza speranza o futuro, solo burattini fragilissimi e spezzati. Soprattutto Lily e James, che sfidando ogni pericolo aveva costruito e poi sbriciolato quella piccola famiglia, con la determinazione di due idealisti e il sorriso dettato dal loro buon cuore. Remus Lupin rise solo, nel suo appartamento in cui un tempo era stato quasi felice. Rise amaro e ingollò del Whiskey.

*

Sei felice?”
 Lily glielo chiedeva spesso e Remus si stupiva ogni volta del fatto che la ragazza attendesse una sua risposta, che le importasse davvero. Era speciale Lily Evans.
 “Non lo so, Lils. Tu sei felice?” ribatté, morbido. 
 “No” rispose lei inaspettatamente dura e fu talmente sincera che lo fece irrigidire e girarsi lentamente. 
 Erano su un muretto del cortile di Hogwarts, Lily con le gambe accavallate, il volto assorto, i capelli rossi al vento. Remus troppo lungo e dinoccolato per stare comodo, piegato in avanti in maniera goffa, in modo che i gomiti poggiassero sulle ginocchia, il libro di Storia della Magia accanto a lui.
“Perché non sei felice Lils?” chiese titubante.
“Oh beh, non so” disse lei con un sorriso morbido “Quando puoi sapere di essere felice davvero, Remus?”
“Beh, ma pensavo, sai... tu e James...”
 Lily rise cristallina e allungò un braccio per circondare le spalle dell'amico con un gesto che sapeva di normalità e calore. Il profumo di vaniglia e fiori della ragazza si insinuò nelle narici sensibili del mannaro, rallentandogli il cuore di affetto. Lily era l'unica da cui si facesse sfiorare. A parte Sirius, ovviamente.
 “Sono contenta di uscire con James” annuì lei “Ma la felicità sai... è fatta di tante cose, no?”
 Remus annuì e il suo sguardo si mosse leggermente verso destra, dove James e Sirius ridevano sguaiatamente di qualcosa e un fiotto di affetto gli scaldò il petto alla vista dei due amici, che si spintonavano con il sorriso. Inciampò negli occhi grigi di Sirius, ci galleggiò un istante all'interno prima di annuire tra sé e voltarsi di nuovo verso l'amica.
“Hai ragione. È fatta di tante cose” disse e si accorse di averla quasi fatta sobbalzare, perché lei nel frattempo si era incantata a guardare qualcuno lontano, alla loro sinistra.
 “Come dici?” esalò la ragazza, stirando un sorriso vuoto eppure dolcissimo.
 “Hai ragione” sillabò Remus “La felicità è fatta di tante cose.”
 Lei annuì poco convinta e si appoggiò alla sua spalla e Lupin non dovette voltarsi per avere la conferma di chi stava guardando la ragazza. Era sicuro che se lo avesse fatto avrebbe trovato il volto pallido e assorto di Severus Piton, come al solito solo e corrucciato, ferito dall'assenza dell'amica di sempre. Severus Piton era sempre stato strano. Proprio come lui, Remus Lupin. Ognuno di loro aveva i propri fantasmi.
 “Come va con lui?”
 “Lui chi?” sibilò subito la rossa, sulla difensiva, il viso macchiato di orgoglio e tenerezza. 
 “Piton, Lily. Avete fatto pace?”
 Lei si morse il labbro inferiore, in un gesto infantile e scosse subito il capo, gli occhi immediatamente lucidi. 
 “Non credo che faremo mai pace, Remus”
 “No?” chiese perplesso il giovane mannaro “Ma siete sempre stati molto legati...”

 “Lo siamo ancora” respirò Lily leggera, in uno sbuffo affranto “Il problema è questo. Io e Sev saremo sempre legati, non ci lasceremmo mai andare se fosse per noi due e per questo dobbiamo stare distanti. Non lo faccio certo per James, ma mi conosco: avrei giustificato Severus davanti a tutto e tutti. Sono cieca con lui perché è sempre stato troppo importante per me. La distanza credo sia una cosa buona tra di noi, mette equilibrio. Dovevamo lasciarci un po' andare, siamo troppo diversi, ci saremmo distrutti”
 “Ma così fa male. Non parlarvi dico” sussurrò Remus con dolcezza, per non spezzare ulteriormente quella ragazza sottile e gentile e Lily annuì morbida, prendendo un profondo respiro.
 “Fa male sì.” disse solo, lasciando addosso a Remus una strana amarezza.

*

L'alcool bruciava la gola e i suoi tormenti più spesso di quanto la ragione gli avrebbe consigliato, ma a Remus Lupin andava bene così. Aveva provato ad affrontare il dolore, a essere logico e giusto, ma non aveva funzionato. Il lutto era come una melma che lo avvolgeva sempre più pesantemente ora dopo ora. Le notti erano lunghe, le giornate troppo vuote e nessuno era riuscito a trascinarlo fuori da quella cucina colma di piastrelle e di musica, staccandolo dai suoi rimpianti. 
 I soldi erano finiti prima che potesse accorgersene, la fame lo aveva reso mansueto e stanco e solo la sua parte animale così ribelle e vorace lo aveva tenuto in vita per inerzia. 
 Le lettere di Silente aveva smesso di aprirle da tempo, il telefono a cui Mary aveva provato a chiamarlo era stato staccato, i suoi genitori morti, la sua esistenza barricata dentro pareti di indifferenza. Voldemort era scomparso, insieme a quasi tutti quelli che lui, Remus Lupin, aveva definito amici ed era rimasto l'unico testimone di un'intera generazione, forse insieme a quel Piton e pochi altri.
 Remus e il suo brillante cervello, la sua empatia, il suo sorriso, quel ragazzo così grondante di futuro e promesse che invece marciva lentamente in quel corpo straziato, nutrito dal rimpianto e dalla sofferenza. 
Gli mancava Sirius. E per questo si vergognava. Si vergognava così tanto. Per questo viveva alla macchia, lontano da chiunque potesse riconoscerlo.
 Si vergognava perché tra la dolce fermezza di Lily, che per prima era diventata sua amica, il buon cuore gradasso di James, che l'aveva sempre trattato come suo pari e fratello e le confidenze miti di Peter, che faceva spesso solo a lui, a mancargli era proprio Sirius. 
Si vergognava perché non aveva mai chiamato Mary, che, pur essendosi allontanata dal mondo magico quanto più era riuscita, ancora si preoccupava per lui e lo cercava di tanto in tanto. Non aveva mai pianto Marlene, morta anche lei così giovane e troppo poco ricordata, ma Sirius gli mancava. Sirius che aveva tradito tutti loro, ma più di tutti aveva tradito lui: Remus. 
 E il bruciore dell'alcool, imparziale nel suo avvelenare ogni parte di sé stesso, gli faceva compagnia, gli annebbiava il cuore e stringeva la vista, togliendogli il respiro quanto bastava, senza soffocarlo.
 E le giornate erano diventate tutte uguali in quel minuscolo appartamento Babbano dove lui e Sirius avevano vissuto una manciata di momenti felici, conditi dalla risata squillante di James e quella fragile e nervosa del buon vecchio Peter. Le giornate erano tutte uguali.

*

La prima volta che Sirius lo aveva baciato era stato troppo veloce perché Remus potesse capire se gli era piaciuto. 
 Il suo cervello si era incastrato, il suo cuore era scivolato giù fino allo stomaco, il fiato si era perso tra i suoi denti. 
Era rimasto immobile a guardare quegli occhi grigi e canzonatori per quella che sembrava un'eternità, la logica innata che cercava di sistemare i tasselli di quel che avrebbe dovuto dire e fare, ma che non raggiungeva le sue labbra. 
 Aveva lottato a lungo con sé stesso, Remus, per dire “No” a quell'innamoramento tiepido e insistente che lo aveva invaso lentamente. Si era obbligato al silenzio per non rischiare di sbriciolare quel meraviglioso equilibrio che esisteva tra loro: i Malandrini. Aveva lasciato scivolare in fondo alla mente il sorriso di Sirius, quegli occhi così grigi, la piega chiara del suo collo. Era diventato eccellente a controllare il rossore che sfrigolava sulle sue guance quando si ritrovava a fissarlo un po' troppo a lungo, mentre lui volava con James. Aveva imparato a evitare di osservare le sue dita lunghe e pallide, a non dare peso al modo in cui le sue labbra si muovevano appena per seguire le parole mentre studiavano insieme, ma poi Sirius aveva infranto ogni equilibrio e tentativo di bugia con quel bacio inaspettato, che si era frantumato tra loro.
 Si erano guardati ancora per un istante e poi avevano riso. Riso forte e a lungo. Come di una presa in giro o una battuta sincera e poi senza che se ne fossero nemmeno accorti si erano di nuovo avventati l'uno sull'altro, come calamite. Con la foga della gioventù e la disperazione amara di chi non vuole perdere nessun istante e ora che Sirius lo osservava fiacco con lo sguardo velato di sonno, Remus poteva assaporare la felicità.
 Si erano denudati fino alle ossa con la punta delle dita nel tempo, fermando i tremori dell'altro quando veniva invaso dalla paura. Si erano riscoperti con il timore di incastrarsi nelle loro cicatrici, smussando i loro caratteri, solitamente così diversi, in un legame perfetto. Erano affondati negli incubi e nelle imperfezioni dell'altro, a  vicenda, per creare un luogo bello e sicuro, che avesse un senso, almeno per loro.
 E si amavano, non c'era dubbio, con tenerezza e passione. All'ombra di una guerra che non faceva così paura, mentre si nascondevano dietro le tende del baldacchino di Remus nella torre di Grifondoro, avvolti da un Muffliato di sospiri e poi in mille e altri luoghi, fino a quell'appartamento che potevano chiamare loro, con le sue piastrelle e la sua musica.
 “Mi fissi, Moony?” chiese dolcemente Sirius, il ghigno da lupo su quel viso affilato.
 “Sei piuttosto bello” rispose il giovane mannaro, il rossore che si spandeva in macchie sul collo sottile, mentre Black sogghignava piano e poi rideva, le mani che cercavano la magrezza di Remus, lo sguardo brillante, mai accogliente, sempre adorante.

*

Non c'era nulla nel presente di Remus Lupin che avesse lo stesso sapore di lacrime e speranza. 
 Nulla che potesse coincidere con quell'effimera felicità che aveva sfiorato con Sirius, ricamata con la presenza di James, Lily, Peter e tutti gli altri. 
Ombre. Rimpianti. Di Sirius gli rimaneva solo una scatola di dischi ammuffiti, un gomitolo di rimorso e qualche camicia ormai lisa. Di Mary un numero di telefono scritto sulla lavagna della cucina. Degli altri solo lapidi insensibili.
 Aveva creduto di conoscerlo, Black, 
Sirius Black. Remus credeva di essere arrivato a vedere ogni parte di lui, ogni muscolo, ogni osso, ogni legamento e respiro. Aveva asciugato le sue lacrime quando era fuggito di casa, aveva ascoltato i suoi rimpianti, gli aveva tenuto stretta la mano nelle notti più nere dove la spavalderia della loro Casa si sgretolava in cenere. Gli aveva dato tutto. Con la disperazione di chi non aveva niente da perdere e che ora che niente, davvero, gli era rimasto, comprendeva quanto gli fosse stato tolto. E l'alcool lo carezzava nella sua solitudine. 
 Era arrancato fino a quel bar per noia, la luna piena troppo lontana per non farlo sentire umano. Aveva avuto il bisogno di voci e cuori vicini e seduto al tavolo in legno del Paoiolo Magico, come tanti altri disperati come lui, si era sentito meno solo. Il suo lutto interiore che sapeva di ruggine e pioggia caduta ormai, non più di cocci di vetro e sangue. 
 Poteva sopravvivere ancora un po', bevendo vino elfico e Whiskey incendiario. 
 “Lupin?”
Remus alzò lo sguardo lentamente, chiedendosi se quello fosse davvero il suo cognome. Incontrò due occhi d'onice e odio e si stupì di riconoscere lo stesso arreso rancore che vedeva nei propri davanti allo specchio ogni mattina.
 Era Severus. Severus Piton.
 “Piton. Sei ancora vivo vedo” rispose rauco e forse sbiascicava un po', forse non sapeva cosa dire e l'altro uomo lo fissò per un istante con vago sprezzo, si guardò intorno e poi chinò il capo. 
 “Sei ubriaco?” gli chiese, con tono piatto e distaccato. 
 “Non credo che siano affari tuoi, Mocciosus” rispose il mannaro e quasi si stupì dell'acredine delle sue parole, lui che Piton '
Mocciosus' non l'aveva mai chiamato, nemmeno nella sua più feroce gioventù, ma aveva osservato i suoi amici farlo a lungo.
 L'altro si tese e sembrò disperato e stanco, Remus riusciva a leggerlo in quei lineamenti spezzati e pieni di pieghe e rimpianti. Riusciva a sentire l'odore agrodolce della solitudine sulle sue vesti nere.
 “Sei il solito, Lupin” rispose secco il mago, allontanandosi in uno svolazzo di vesti. 
 E qualcosa si smosse nel petto di Remus, una risata rauca e stanca, che lo fece sentire patetico. Come un adulto che dentro di sé ha solo un ragazzo ferito e mai cresciuto, che si graffia il petto da solo per capire cosa sia il dolore. Passarono i minuti, o forse le ore, in quella bettola di storie  inconcluse sul confine del mondo Babbano. Fino a quando qualcuno non  appoggiò davanti a lui un bicchiere d'acqua con un gesto secco. 
 Remus alzò lo sguardo confuso e lacrimante. 
Era ancora Piton. 
 “Devi idratarti, Lupin. Sei agghiacciante in queste condizioni” gli disse solo e si allontanò, prima che lui potesse rispondere, ma Remus era riuscito a scorgerlo sul suo viso: il dolore.

* * *

Era nato sotto la stella sbagliata Severus Piton, sua madre glielo diceva sempre. Eileen Prince.
 Era scarna sul volto e gli occhi vuoti di pazienza, gli zigomi che si scurivano in lividi e la magia ormai prosciugata nelle sue vene. Eileen Prince: una strega. E non era mai stata bella, ma almeno un tempo aveva avuto il dono del sorriso, ora invece sembrava essersi stravolta e aveva rinnegato tutto di quel che aveva creduto importante, se non sé stessa e quel figlio che altro non era un mucchietto di ossa fragili: Severus. 
 Parlava a tutte le ore del suo passato, Eileen Prince, le dita lunghe incerte che seguivano le cuciture dei suoi vestiti ormai logori. Parlava di Hogwarts, la sua vecchia scuola, in cui si era sentita quasi a casa e di colori, di amicizie lontane e quadri parlanti. Parlava di Pozioni, magie, leggende e storie e il piccolo Severus, le ginocchia appuntite strette al petto, la guardava in silenzio e lasciava che lei si sfogasse, che raccontasse con voce fiacca tutto quello che lo aspettava fuori da quelle quattro pareti che si ostinava a chiamare casa. 
 E si era abituato a bere ogni parola come un assetato, Severus Piton, da quella madre meno amorevole e sempre più fragile. La ascoltava rapito accoccolato ai suoi piedi come un gatto fedele, con la fame vorace di chi è nato sotto la stella sbagliata e ambisce invece a brillare. 
Stava sempre china sulle sue pozioni mentre raccontava, Eileen Prince, l'unica cosa che poteva essere considerata abbastanza banale dal marito Tobias per essere accettata, “simile a cucinare” diceva lui. La bacchetta le era stata tolta, i libri di magia nascosti, i vestiti di velluto e trine da strega bruciati, perché da quando lui la magia l'aveva riconosciuta l'aveva odiata tanto da cercare di ferire quella donna, così diversa da lui, con pugni e parole. 
 Su di lui però Tobias Piton non aveva però mai alzato un dito su di lui, ma nemmeno gli aveva mai detto di volergli bene. Era un padre assente e nervoso, perché con le sue mani rozze e il cervello infangato: Tobias Piton poteva essere considerato tra il peggio anche tra i Babbani. Eppure era stato anche lui giovane e prestante un tempo, con il sorriso storto e gli occhi neri come la notte. Severus lo sapeva. 
 Lo aveva visto nelle foto accartocciate appese in salotto, dove i suoi genitori, ingenui e sottili come giunchi, si abbracciavano con tenerezza sconosciuta, guardandosi in viso a vicenda. 

 Severus Piton era nato sotto una cattiva stella però e quell'amore non l'aveva mai vissuto. 
 Era cresciuto a mollo tra grida e silenzi, i secondi quasi più tremendi dei primi. Aveva sofferto la fame e la vergogna senza sapere come chiamare quelle sensazioni. Si era nascosto in vestiti grigi e informi, fingendo di essere qualcun altro. Aveva imparato a non aspettarsi mai amore. La vita era grigia per Severus Piton, nato sotto una cattiva stella. Grigia, solida e priva di aspettativa. Poi però era arrivata lei. 
 Lily Evans e tutto quel verde chiaro dei suoi occhi, la fiamma dei suoi capelli e i disegni delle sue lentiggini in quel mare di latte che era la sua pelle, ed era stato troppo. Troppo colore, bellezza e respiro e aveva mandato il suo grigio in frantumi, che lo aveva reso affamato di bellezza.

*

Piton entrò in casa a Spinner's End e si tolse il mantello con gesti decisi e abitudinari.  
 In un angolo sobbolliva lenta una pozione, i libri erano ovunque sulle pareti e su ogni superficie piana. 
Casa. Si sentiva stanco, così stanco che anche solo respirare necessitava di concentrazione. Privo di sonno da troppe notti e con la speranza maciullata ai suoi piedi. 
 Aveva creduto in un futuro, Severus, per la prima volta nella sua vita. Aveva sperato di aver scelto bene, di aver indirizzato sé stesso e le sue decisioni verso qualcosa di migliore. Aveva creduto di essere cresciuto di colpo, mettendo alla gogna i propri errori, accettando di far un passo indietro nell'ombra pur di salvare lei: Lily e quella famiglia che per lei era importante. 
 Si era sentito elettrizzato e spaventato insieme, in quel gioco di ruolo su due versanti, in cui il potere e l'equilibrio passava nelle sue mani, ma il fine ultimo era giusto e buono. E quando aveva pensato di cominciare a lavare via la crosta dei suoi fallimenti ecco che qualcuno lo aveva tradito, 
li aveva traditi, un Grifondoro, un puro di cuore e li aveva gettati tutti nel baratro. Sirius Black.
 Qualcuno bussò alla porta d'ingresso. Severus si irrigidì. Le pareti della sua mente, che si erigevano grazie all'Occlumanzia, tremarono piene di stanchezza. Andò ad aprire. 
 “Severus”
Albus Silente lo fissava dall'uscio, le vesti chiare e gli occhialini a mezzaluna. 
 “Professore” mormorò il giovane uomo.
 “Te l'ho già detto più volte Severus, puoi chiamarmi Albus” disse dolcemente lui ed entrò senza aspettare di essere invitato, sedendosi sul divano liso al centro della stanza e guardandolo in volto.
 E avrebbe voluto gridare, Severus Piton, e dirgli di andarsene perché non c'era più modo di lavarsi le colpe di dosso e il dolore era troppo grande per essere metabolizzato, mischiato con il rimpianto,  il fallimento e troppi ricordi in cui annegare.
 “Sei sparito per una settimana Severus” disse quieto l'uomo. 
 “Lo so” rispose l'altro, ma avrebbe voluto gridare
 “Fammi sparire per sempre”
 “So che è molto difficile per te questo momento, so che molto ti legava a Lily, ma non è colpa tua quello che è successo, Severus e purtroppo non possiamo lasciarci andare al dolore e al rimpianto, non dobbiamo abbassare la guardia. È proprio quando si crede di aver vinto la battaglia che si ottengono le ferite peggiori, ho bisogno del tuo aiuto perché ciò non avvenga”
E avrebbe voluto urlare fino a squarciarsi il petto, Severus e dire che lui non poteva aiutare proprio nessuno, perché era solo al mondo e non gli avevano mai insegnato a gestire l'amore, il dolore, la felicità e il rimpianto. Avrebbe voluto urlare che era era orfano e senza amici, che l'idea di fidarsi di qualcuno gli faceva orrore, perché stava imparando a nascondere sé stesso sotto strati e strati di indifferenza e controllo. E avrebbe voluto anche singhiozzare Severus e appoggiare il capo sulla spalla di Albus, godere della sua figura paterna, sentirsi amato e consolato, almeno un poco. 
 Una briciola di sollievo. 
Gli sarebbe bastato. Ma non lo fece.
  “Severus” lo richiamò il preside, mite “Mi stai ascoltando?”
  “Sì, certo” disse in fretta, rigido “Cosa ti serve, Albus? Lui è scomparso, morto”
  “Voldemort tornerà, Severus”

*

E se c'era qualcosa di Lily Evans che conosceva solo lui quelle erano le lacrime. 
 Lily Evans non piangeva mai quando ci si sarebbe aspettato. Non quando era triste, o arrabbiata, o stanca. Lily Evans piangeva all'improvviso, nei momenti più strani, per aver fatto attenzione ai dettagli più imprevisti e si permetteva di farlo sempre e solo con Severus. Il castello conosceva il sorriso di Lily Evans, la sua determinazione, la sua fronte corrucciata e la risata squillante, ma le lacrime no. Quelle appartenevano a lui. 
 E anche quel pomeriggio Lily Evans aveva pianto senza motivo, mentre mormorava la lezione di Trasfigurazione, il libro aperto sulle ginocchia, in quell'angolo di parco dove nessuno li avrebbe disturbati. Parlava tranquilla e poi improvvisamente: le lacrime. Severus alzò di scatto il capo dalla sua pergamena, la fronte aggrottata. 
 “Lily, stai piangendo” mormorò incredulo. 
 Lei sorrise dolcissima e si asciugò le guance con il dorso della mano, sbuffando leggera come una bambina. 
 “Oh, sì” disse quieta, sottile “Di nuovo, stavo solo pensando”
 “A cosa?” domandò lui e gli occhi della ragazza si offuscarono ancora e si fecero brillanti. 
 “Solo che... Siamo proprio fortunati noi, Sev, vero? Siamo maghi” disse dolcemente, osservando il castello poco lontano “Guarda che posto meraviglioso Hogwarts, lo avresti mai creduto?”
 E Severus avrebbe voluto risponderle che sì, lui lo sapeva da sempre che sarebbe finito lì, sui colli verdi che gli descriveva sua madre, le dita sporche di inchiostro e una bacchetta nella divisa di seconda mano, lo aveva sempre saputo e aveva desiderato ardentemente di arrivare proprio in quel posto, per sfuggire al grigiore della sua casa, ma tacque: perché era così bello vedere la commozione di Lily e quelle lacrime, quelle lacrime che erano solo sue. 
 Lily prese respiro, non si asciugò le guance che erano di nuovo rigate di acqua chiara, ma sorrise e si diede della sciocca, legandosi i capelli in una coda bassa, un sorriso leggero sulle labbra rosate. 
 “Ti va di raccontarmi una storia, Sev?”
 “Che storia, Lily?”

 “Una qualunque. Mi piacciono le tue storie.”
 Si stese accanto a lui, i capelli sparsi nell'erba, gli occhi socchiusi, la posa rilassata e piena di fiducia. Severus la guardava sentendosi il petto tiepido e il fiato corto, ancora seduto rigido e pieno di stupore, trattenendosi dal dire che le storie che mormorava lei, fin da quando erano bambini, erano semplicemente quelle che gli aveva raccontato sua madre e che lui le ripeteva con lo stesso accento e le stesse parole. 
 “D'accordo” disse solo rauco “C'erano una volta due maghi e due streghe che decisero di fondare una scuola di magia e...” e continuò a raccontare, con la dolcezza di un ragazzino, sobbalzando appena solo quando Lily allungò alla cieca una mano per ritrovare la sua, in un gesto che facevano nei loro giochi d'infanzia. 
 Severus continuò a raccontare, afferrando la mano tiepida di lei, tenendola tra le sue come fosse un tesoro, snocciolando piano le parole, con delicatezza, come se non volesse frantumarle, senza mai staccare lo sguardo dalle lacrime commosse di Lily Evans, che appartenevano solo a lui, perché solo di lui si fidava abbastanza.

*

Lo studio era scuro e accogliente, pieno di libri e silenzio, quasi come la sua casa di Spinner's End. Severus ci si addentrò quasi con timore, lo sguardo che si muoveva incerto dal caminetto accesso di fronte alla poltrona con l'alto schienale, alla scrivania di legno scuro. 
 “Allora Severus che te ne pare?” chiese quieto Silente e aveva l'ombra di un sorriso sul volto stanco  “C'è sicuramente spazio per i libri che hai se vuoi, la tua stanza è dietro a quella porta e l'aula di Pozioni in fondo al corridoio, come sai. Avrai la tua privacy e possibilità di muoverti per il castello come desideri. Devi solo sopportare i tuoi studenti per le ore necessarie, insegnare loro quel che sai e seguire con Minerva il piano di controllo notturno”
 “Va bene” rispose Piton con un gesto secco ed era tutto quello avrebbe detto. 
 Anche se avrebbe voluto ridere amaro e rauco, spezzandosi il petto e lacrimando sangue, perché non avrebbe insegnato che una stilla del suo sapere a quei ragazzini puri e speranzosi, perché la sua anima era nera e fumosa e lui non poteva condividerla: non voleva avvelenare nessuno.
 “Allora benvenuto ad Hogwarts, Severus. Di nuovo.”
 Silente si avvicinò a lui, poggiandogli per un istante una mano sulla sua spalla e rimasero immobili, con quel gesto di composto affetto a unirli, fino a quando il preside non si voltò, lasciandolo solo.   
 Professore. Delle tante cose che era convinto avrebbe fatto nella vita quella era decisamente l'ultima.  Professore di Pozioni. Lui. Severus Piton. 
 L'uomo abbandonò lo studio per osservare la piccola camera dove un letto a baldacchino lo attendeva nel centro e sospirò di malinconia e rimpianto nel vedere le stesse coperte verdi in cui da ragazzino si era avvolto per nascondere lacrime e dolore. Non sembrava che molto fosse cambiato. 
 Si tolse il mantello, assicurandosi che ogni bottone della sua lunga veste fosse serrato e si stese sul letto in silenzio, gli occhi socchiusi a celare il suo tumulto interiore. 
 Aveva paura Severus Piton. Aveva paura perché per la prima volta da tre anni stava provando del vago 
sollievo, tra quelle mura conosciute che l'avevano accolto e se c'era una cosa che lui non  sapeva come gestire era proprio quel sentimento di fiducia che sa rilassare i muscoli e farti sentire al sicuro. 
 Non si era mai sentito al sicuro Severus Piton, nemmeno da studente, tra le mura di quel castello, ma ora era professore, era un adulto consapevole e drammaticamente ferito e  non ci sarebbero stati i Malandrini a schernirlo e seguirlo di soppiatto, né le ragazze a ridere della sua eccessiva magrezza e del suo naso adunco, non ci sarebbero stati nemmeno Avery e Mulciber ad adularlo quanto bastava per far credere lui di essere, se non speciale, almeno vivo. 
 Severus era solo ormai e di quella solitudine ne faceva giorno dopo giorno la sua armatura.

*

Qualunque cosa ci fosse tra Severus Piton e Lily Evans era ingombrante.
 Non vi era romanticismo nei loro abbracci, nel modo istintivo in cui si cercavano con la punta delle dita, in cui come un duo serrato si muovevano svelti tra i corridoi della scuola. Ed era sconcertante e affascinante come quella ragazza tutta sorrisi e mente arguta, tornasse sempre a quel ragazzo scuro e ansioso, sempre più schivo e torvo nelle movenze e nelle espressioni. E lo giustificava con fervore, Lily Evans, per il suo sarcasmo e la sua solitudine, perché era impossibile non notare come gli altri evitassero quel ragazzino magro e malandato, così vistosamente poco circonfuso da amore, cura e pulizia. Lo giustificava Lily Evans, forse perché aveva visto oltre, oltre quello scudo di insolenza e rabbia, oltre quei silenzi che lo avvolgevano sempre più spesso e quei sorrisi forzati che si obbligava a fare ai professori.
 E si cercavano ovunque, quei due. Come calamite nella Sala Grande, sempre spalla contro spalla nelle lezioni condivise a respirare a vicenda la stessa aria. Sdraiati sull'erba del parco, o in angoli sicuri del castello nei momenti di libertà. C'era molto tra Lily Evans e Severus Piton. C'era una fiducia esagerata e una co-dipendenza per sopravvivere. 
 C'erano sogni mormorati a mezza voce, lacrime conservate gelosamente, tra trattati di Trasfigurazioni e dita sporche di inchiostro per i temi di Incantesimi su cui lavoravano insieme.
 “Perché Piton, Lily?” chiese una volta Remus Lupin, che di maltrattare Piton come gli altri sembrava non averne avuto mai desiderio, eppure come tutti osservava con più curiosità che sospetto quel legame simbiotico e confuso.
 “Perché non Piton?”rispose la ragazzina e il cuore di Severus che era a un passo da loro prese a battere più forte.
Lily si voltò in quel momento, in una nuvola di onde rosse e profumate che erano i suoi capelli.
 “Sev eccoti” sorrise “ti stavo aspettando”
 “Lils” mormorò Piton ed evitò con tutto il corpo e lo sguardo di scivolare verso Lupin e l'altro non disse nulla, tenendo anche lui il viso celato e distratto e il silenzio tra loro si fece pesante e quasi scomodo. Teso.
 “Ci vediamo dopo, Rem” disse Lily al compagno di Casa, abbracciandolo brevemente e Severus lo notò quell'irrigidirsi istintivo dei muscoli di Lupin, quel gesto che faceva sempre anche lui, il gesto di chi non è abituato a farsi toccare, ma abbassa le difese solo per Lily e lo vide il sorriso dolce sulle labbra dell'altro ragazzo, mentre Lily si allontanava di un passo con la sua espressione gentile, per poi prendere la mano di Severus e camminare insieme a lui.
 Severus lo aveva capito che anche Remus Lupin voleva bene a Lily Evans e sentì il panico montare nel petto. La paura della solitudine invaderlo, mentre stringeva la mano della ragazza tra le sue.
 “Da quando sei amica con quello?” chiese, fin troppo aspro e Lily si accigliò.
 “Con Remus?”
 “Sì, quello”
 “Da un po', Sev, non è come gli altri tre che ti perseguitano. Non essere sgradevole per favore. Ho avuto un brutto momento l'altra settimana, un po' di sconforto e lui è stato molto carino a consolarmi. Studiamo insieme. È davvero gentile, ti piacerebbe. Anche lui ama i libri quasi più delle persone” rise allegra.
 E avrebbe voluto dirle, Severus, che lui non aveva nulla contro Remus Lupin, ma non voleva perdere lei, che non aveva mai desiderato baciarla, come mormoravano agli angoli dei corridoi, ma semplicemente non voleva farla svanire, che Lily Evans era troppo per lui, che non l'aveva mai guardata con malizia, ma solo con adorazione e che solamente il suo volergli bene gli permetteva di non lasciarsi cadere nel baratro.

 “Ma le tue lacrime sono mie” disse invece e Lily Evans sgranò gli occhi e poi rise di nuovo, sincera.

*

Piton tornava poco a Spinner's End, tra quelle pareti amare che avevano troppi ricordi. 
 Lo faceva d'estate, quando Hogwarts diventa troppo vuota e malinconica per poterla sopportare, con il rischio di vedere fantasmi sbiaditi del suo passato tra i corridoi. Non che Spinner's End gli desse sollievo, con i suoi mobili lisi, l'odore di polvere e pergamena e quella voragine dove una volta stava la foto dei suoi genitori quasi innamorati, che lui aveva strappato dalla parete per non dover più assistere a quella bugia, appena si era trasferito lì. 
 Non c'era luogo al mondo, in effetti, che desse davvero sollievo a Severus Piton, ma Spinner's End era meglio di Hogwarts, era meglio di Lily e del suo rimpianto, di tutte quelle memorie spezzettate che sembravano come impresse in quella maledetta scuola.
 L'uomo scivolò attraverso la stanza, accese il fuoco nel caminetto, che nell'umida Spinner's End non doveva mai mancare, sistemò sul tavolo da lavoro alcuni ingredienti per le sue pozioni e controllò che gli altri, già accuratamente riposti in vasi di vetro e scatole di legno, non fossero avariati. Passò uno sguardo distratto sulle pareti cariche di libri, nella cucina bianca e immacolata, appoggiò la sua valigia nella sua piccola camera in penombra e fece un sospiro, di fronte a quell'esistenza vuota, lo stomaco troppo stretto per pensare di poter mangiare qualcosa. 
 Sapeva che stava solo temporeggiando, lì in piedi immobile al centro della stanza, il lungo mantello scuro che penzolava sulle spalle magre. Indugiava insicuro di quale sarebbe stato il suo primo passo in quell'estate che sospettava sarebbe stata insipida e vuota. La prima dove era davvero solo.
 Non c'era più il Signore Oscuro, le sue retate, la paura che lo coglieva come un gelo a ogni ora del giorno e della notte. Non c'era più il pensiero di Lily, che da qualche parte stava con Potter e che forse era felice. Non c'era più il padre con il fegato distrutto da troppo alcool a cui però Severus era stato accanto fino all'ultimo respiro. Non più la madre delirante e fragile che si sbriciolava giorno dopo giorno tra le sue dita. Non c'era più nessuno. Nemmeno Avery e Mulciber, entrambi attenti a evitare altri ex Mangiamorte per sfuggire alla giustizia. Persino Silente aveva dato lui una pacca sulla spalla con fare benevolo dicendogli “Cerca di riposarti questa estate, Severus. Divertiti se puoi. Non voglio vederti fino a settembre per il nuovo anno scolastico, svagati”.
 E Severus Piton aveva annuito come sempre distrattamente e aveva afferrato il piccolo pezzo di pergamena che il preside gli porgeva, con un indirizzo vergato con la sua calligrafia sottile: quello della tomba di Lily Evans. 


I passi di Severus scricchiolarono sulla ghiaia grigia del cimitero. Ci aveva messo dieci giorni, prima di decidersi, ma quel pomeriggio d'estate, dopo aver guardato vacuo la parete del suo salotto per più di un'ora senza aver voglia di fare assolutamente nulla, aveva deciso di alzarsi e andare. Aspettare e languire era un tortura, il suo corpo sembrava saturo di sofferenza ed era meglio forse affrontare quell'incontro una volta per tutte. Non poteva evitarla per sempre: la tomba di Lily. 
 Vedere infine il suo nome su una grigia lapide avrebbe reso reale quella morte che per tutti quei mesi aveva ruminato nella sua mente, con composto dolore, stentando quasi a crederci, a volte provando a immaginare che lei fosse con Potter da qualche parte lontana, a vivere la vita che aveva sempre sognato di avere, che avrebbe meritato. Sarebbe stato meglio. 
 Severus chinò il capo, cercando di barricare dietro l'Occlumanzia i suoi pensieri più intimi, in modo da rendere più morbida e ordinata la sua coscienza e frenare le lacrime pronte a uscire dagli occhi scuri. Non aveva più pianto, Severus, non dopo essersi disperato, prosciugando la sua intera anima durante quella notte in cui Lily aveva messo un punto alla loro amicizia.

 Girò a sinistra, affondando in quel piccolo cimitero Babbano nel paesino di Godric's Hollow. Seguì le poche indicazioni che Silente gli aveva lasciato, guardandosi i piedi, rimestando i suoi tormenti e per questo non si accorse di non  essere solo, che qualcuno era già di fronte alla tomba in pietra. 
 “Tra tutti non avrei mai pensato di incontrare te qui, Piton.”
Severus sobbalzò, alzando di scatto il capo, la mano subito alla bacchetta e i fiori che aveva preso per Lily ormai sparsi a terra. L'uomo gli dava le spalle, si scorgeva solo una zazzera di capelli castano chiaro e il corpo magro avvolto in un pesante pastrano marrone, nonostante fosse estate. 
“Ti conosco?” chiese Piton, freddo e controllato, e vide le spalle dell'altro uomo scuotersi appena in una risata amara, prima che si voltasse verso di lui, rivelando il volto arruffato striato di cicatrici e gli occhi color cioccolato vuoti di intenti e colmi di stanchezza. 
 “Lupin. Che sorpresa.” disse il mago, distendendosi un poco, era raro che venisse colto impreparato, gli faceva provare una strana sensazione, come di perdita di equilibrio.
“Non è particolarmente un piacere vederti, Severus, ma sì, è una sorpresa” rispose il mannaro ed era forse la prima volta che lo chiamava per nome e l'altro aggrottò la fronte e fece un passo indietro. 
Si fece silenzio tra loro e per un attimo si scrutarono entrambi attenti, Lupin sembrava consumato, ma sorrideva quieto, Severus era rigido sul posto invece, la bacchetta ancora tra le mani. C'era un passato ingombrante per entrambi sulle loro spalle e il non detto e l'astio che galleggiava tra loro, ma non si erano mai odiati, non apertamente e non con fervore, non avevano irrisolti a frenarli e si studiavano forse quasi curiosi, come a cercare i segni del tempo su qualcuno che aveva vissuto una vita per certi versi simile, ma dal lato opposto della barricata.

“Sei qui per Lily?” chiese infine Remus, quando i minuti cominciavano a farsi densi tra loro. 
 “Ovviamente” rispose a labbra strette Piton e Lupin, curiosamente, non inferì, non gli fece notare come per ironia fosse costretto a presentarsi anche a James per salutare la vecchia amica, non lo prese in giro con parole salate per la sofferenza che portava l'altro sul volto, annuì e basta, si chinò a recuperare i fiori che Severus aveva lasciato cadere e glieli porse.
 “Non volevo spaventarti” disse solo “Ti lascio il posto”
Piton lo squadrò con i suoi occhi scuri, per un istante, prima di riprendere in mano il mazzo di fiori di campo che aveva scelto per Lily che Lupin gli porgeva e inarcare appena un sopracciglio.
“Come hai fatto a riconoscermi senza nemmeno voltarti?” domandò.
 “Sono un lupo mannaro. Non ricordi con quanta enfasi cercavi di farlo sapere a chiunque a scuola?” rispose Remus morbido, facendolo quasi arrossire. 
 “Io... era per Black e... Io... Potter...” non avrebbe mai creduto di balbettare di nuovo nella sua vita, Severus, eppure lo stava facendo, sentendosi friabile e scoperto davanti alla consumata amarezza dell'altro uomo.

 “Lo so” lo fermò Lupin, scrollando stancamente le spalle “Eravamo ragazzi stupidi. Ma era la verità. Sono un lupo mannaro, ho riconosciuto il tuo odore da quando hai varcato il cancello”
Severus si mosse a disagio sul posto, abbassando infine la bacchetta. Tra loro si dilatarono ricordi e parole non dette, erano due testimoni di qualcosa che non esisteva più, di qualcosa che la guerra aveva sbriciolato ed era piuttosto curioso che fossero proprio loro due, tra tutti, a essere rimasti in piedi, proprio loro che per primi si sarebbero lacerati l'anima da soli pur di non veder svanire quelle poche persone a cui avevano dato la loro fiducia.
 “Hai riconosciuto il mio odore?” sillabò quindi solo Severus, impacciato.

 “Sai da sempre di vecchi libri e spezie, Piton. Non una novità” sbuffò Remus e l'altro sorvolò su quella risposta così specifica e prese un respiro lento, guardandolo ancora con sospetto.
  “Mi hai riconosciuto e non te ne sei andato?” insistette “Piuttosto inaspettato, Lupin, non credi?”
 “Avrei dovuto?” rise rauco il mannaro, con l'atteggiamento che sapeva di rassegnata disperazione.


Si voltarono entrambi per un istante verso la tomba dei Potter. Lily sorrideva loro insieme a James da una cornice dorata, in modo così dolorosamente simile a quando era in vita. Severus aveva parole che avrebbe voluto dirle, pronte a scivolare fuori dalla sua gola secca, in uno sfogo che sapeva già di sofferenza e si sentì grato che ci fosse la presenza tranquilla di Lupin al suo fianco, come se fosse in grado di arginare il suo dolore, di mantenerlo risoluto e compatto, forse perché riusciva quasi a comprendere la sua devastazione interiore.
 “Hai bisogno di un momento?” chiese infatti Remus, ma lui scosse la testa e appoggiò solo i fiori sul lato della tomba grigia, mentre l'altro scostava con rispetto lo sguardo.

 E perse solo un istante, Severus Piton, a osservare il volto chiaro di lei e accarezzò con la punta delle dita, incerte, quell'immagine fredda che provava a riprodurre l'amica di infanzia, pensando solo “Ciao Lily” poi si voltò, ricomponendo la sua maschera di freddezza e si affrettò verso l'uscita del cimitero, come in fuga dalle sue stesse ferite sanguinanti. Il mannaro fece un mezzo sorriso, stropicciandosi gli occhi e lo seguì, recuperando la distanza in poche falcate delle lunghe gambe e affiancandosi a lui con passo lento. Camminarono in silenzio uno fianco all'altro, quasi ignorandosi, fino al cancelletto storto. 
 “Che fai ora Lupin?” chiese di getto Piton, con un tono nervoso e stizzito, che sembrava così simile a quello che aveva avuyo da ragazzino “Non ti si vede in giro da un po', pensavo fossi fuggito”
 “E dove dovrei fuggire? Non mi si vede in giro perché non voglio essere trovato” disse Remus con voce misurata, un mezzo sorriso sulle labbra screpolate “Tu invece? Ho saputo che sei diventato professore, complimenti, le notizie corrono anche nei buchi dove mi nascondo”
“È solo che Silente ha voluto...” esalò il mago.
 “Te lo meriti”

Severus si voltò di scatto a guardare l'altro uomo, mettendosi subito teso e sulla difensiva, i lineamenti contratti dal sospetto e da vecchie ferite che tornavano a galla da tempi lontani.
 “Ti prendi gioco di me, Lupin?” sputò arrabbiato, ma si rese conto che l'altro era curiosamente placido e distaccato, le mani affondate nelle tasche del pastrano.
 “Affatto. Penso davvero che te lo meriti, Severus. Sei sempre stato un mente brillante, Lily mi raccontava molte cose di te, ammirava profondamente la tua intelligenza. Non penso sia necessario dirtelo, ma io non sono James e non sono nemmeno Sirius e nonostante loro mi saranno per sempre superiori in molti aspetti, non ho mai concordato sul loro modo di vederti. Se ci fossimo incontrati in altro modo forse saremmo potuti essere quasi amici io e te.”
 Il volto pallido di Piton si contrasse di nuovo in una smorfia incontrollata di disgusto, fece un mezzo passo indietro, titubante, come incerto sulla direzione da prendere.
 “Io non credo Lupin” rispose infine seccamente, nascondendosi dietro muri di rancoroso controllo. 
 “Come vuoi” disse l'altro in un sospiro “Non accetterai quindi di bere un bicchiere in compagnia come due vecchi amici ora, giusto?”
 “Esatto” disse secco Severus “Tu non dovresti bere e noi non siamo amici, Lupin”  
 “Hai ragione, due volte” rise rauco il mannaro, annuendo appena “L'ultima volta che mi hai visto bere in un locale non ero al mio meglio ammetto, ti sono ancora grato per quel bicchiere d'acqua, ma hai ragione anche a dire che no, non siamo amici e non lo siamo mai stati”
Il sole si fece più basso nel cielo sempre più rosato dal tramonto. Era una fresca sera estiva. Piacevole. Rimasero immobili davanti a quel cancelletto di cimitero per interi minuti, quasi facendosi compagnia, come se nel silenzio, dove entrambi riconoscevano le cicatrici che adornavano i loro cuori, fossero migliori a comunicare che con le parole e fu ancora una volta Lupin a rompere lo stallo, facendo un breve respiro spezzato. 
 “Se non abbiamo nulla da dirci, io vado, Severus, ci si vede immagino, o forse no”
 “Lupin” lo salutò l'altro secco, quasi spaventato dalla loro vicinanza, da quella strana consapevolezza di essere simili, che si stava facendo strada in entrambi.
 Remus annuì e si avviò, ma fece solamente due passi prima che Piton lo richiamasse “Ehi.”
 “Sì?” chiese il mannaro voltandosi, un mezzo sorriso, appena accennato, sul labbro marchiato da una cicatrice sottile, gli occhi come sempre gentili.
 “Te la caverai Lupin?”
 “È Remus, Severus.”
 Piton lo fissò, si accorse di quanto il mannaro fosse magro e stanco. Riconobbe i segni dell'insonnia, la vuotezza degli occhi che da troppo tempo non incrociano qualcuno di amato, i capelli arruffati, la barba sfatta, il modo arreso in cui cadevano le sue spalle. I segni e le macchie nascoste dell'alcool, della disperazione e della solitudine, piccole ferite che grondavano sangue invisibile che lui però conosceva come le sue stesse tasche. E desiderò quasi scrollare quel giovane mannaro ormai diventato adulto e dire lui che era stato un Malandrino un tempo e che lui, Severus Piton, lo aveva quasi invidiato per essere uno spezzato in grado però di brillare, mentre camminava per i corridoi di Hogwarts a testa alta, i libri mollemente sotto il braccio, orgogliosamente mano nella mano con Sirius Black, la battuta pronta, il sorriso morbido, la felicità sul viso. 
 “Te la caverai, Lupin?” ripeté quindi di nuovo in un sussurro, terrorizzato dall'idea di star condividendo qualcosa con quell'uomo che aveva sempre evitato.
 “Quelli come noi se la cavano sempre, Severus” rispose il mago “No?”
Non proprio avrebbe voluto dire lui, ma non disse nulla e osservò in silenzio Remus Lupin che si allontanava nel tramonto, lento sulle lunghe gambe, ultimo testimone del suo stesso passato. 



*Angolo autrice*

Ciao Lettori!
Eccomi qui, con il primo capitolo di questa mini long, che durerà tre capitoli e che ha come protagonisti due dei miei personaggi più amati: Severus Piton e Remus Lupin.
Chi mi segue sa come ho sempre ritenuto possibile, se non un'amicizia, almeno del sano rispetto tra questi due animi così profondamente simili eppure diversi. 
Ho provato a immaginare come avessero reagito a una morte così dolorosa come quella di Lily e James ed è saltato fuori questo. 

Sul mio punto di vista: reputo la coppia cosidetta "Wolfstar", ovvero tra Sirius e Lupin, quasi Canon per tanti motivi (gli stessi attori che hanno interpretato i due personaggi l'avevano letta così), ma allo stesso modo reputo valida la successiva relazione di Remus con Tonks e per quanto Severus sia il mio personaggio preferito, non sono una fan della Snily in senso romantico, ma adoro il loro rapporto, purtroppo mortificato da tante teorie e analisi raffazzonate che corrono sui social.

Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, aspetto come sempre vostri commenti e reazioni, sapete che amo confrontarmi con voi e con i punti di vista diversi. 
Il prossimo capitolo idealmente sarà pubblicato fine settimana prossima.
a presto, con affetto
vi




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Capitolo 2
*** Pozione Antilupo ***




.Pozione Antilupo.



I ricordi per Severus Piton erano sempre stati agrodolci, fin dalla sua infanzia. 
 Lo accarezzavano per un istante e poi affondavano dentro di lui come lame ghiacciate, ma,  coperto com'era di ferite immaginarie, ci aveva ormai fatto l'abitudine, così come si era acclimatato alle pareti di Hogwarts intorno a lui. 
 Gli anni scivolavano via come miele, densi di avvenimenti, ma veloci, impalpabili, tanto da stupirsi di quanto fosse cambiato il suo corpo ogni volta che passava per caso davanti a una superficie riflettente. Si sentiva ancora un ragazzino in cerca di riscatto dentro di sé, con il cuore tremante e la paura nelle ginocchia. Non aveva ancora superato l'umiliazione, la solitudine e l'incapacità di comunicare e a volte la rabbia lo invadeva priva di senso e misura, proprio come quando i Malandrini lo deridevano e lui perdeva l'equilibrio del suo controllo. Eppure era ormai un uomo.
 Non aveva ancora superato Lily e la sua mancanza, il senso di colpa che lo copriva come un velo, non aveva superato il ricordo del gelo che le notti di ronda con le vesti dei Mangiamorte gli avevano imposto nelle vene, non aveva superato gli occhi vitrei di sua madre, gli incubi che facevano cedere la sua integrità, la sensazione di fallire, ma non era più il piccolo Severus, quella visione di sé era stata sbriciolata dal tempo denso. Ora era un giovane adulto con più cicatrici e rimpianti che sogni e speranze. Era un professore in quella scuola che aveva dato un senso di tristezza alle sue giornate.
 Piton si passò una mano sul volto e si fece sfuggire un leggero sospiro di stanchezza, mentre si avviava in fretta verso i sotterranei, pronto a togliere il suo scudo e le sue maschere, una volta al sicuro delle pareti della sua stanza. 
 “Severus” la voce di donna lo fece voltare lentamente, teso. 
 Minerva McGranitt e Silente erano le uniche persone a eccezione forse di Remus Lupin, in quel giorno d'estate di quasi dieci anni prima, al cimitero di Godric's Hollow, a essere in grado di coglierlo di sorpresa. 
 Era una donna dura, Minerva, temprata dall'assenza e la pazienza, intelligente in modo quasi spaventoso, dotata di una dialettica svelta e uno sguardo attento. Non si era mai fatta sfuggire nemmeno uno delle ferite di Severus Piton, lo aveva forse compreso più a fondo di chiunque altro, con quel suo senso materno innato e mai appagato, tra le pieghe delle sue vesti così piene di rigori e fermezza. Lo aveva compreso, ma gli aveva lasciato il suo spazio, accostandosi a lui in maniera gentile e rispettosa, mai invadente, senza dubbi e domande tra loro.

“Minerva” disse secco il giovane uomo “Hai bisogno?”
 “Solo di avere un buon conversatore. Ti va un the insieme?”
Gli scudi si rialzarono intorno alla figura sottile di lui. Era vero, si era abituato alle pareti di Hogwarts e i suoi fantasmi, più quelli reali, che quelli del suo animo. Si era abituato ad essere più temuto che ammirato, da quegli studenti così fragili e spezzabili, che camminavano inconsapevoli della durezza della vita, il sorriso sulle labbra. Si era abituato alle notti insonni e alla placida e insensibile calma di quel castello, che in fondo non poteva evitare di considerare casa... 
Ma non si era ancora arreso alle amichevoli chiacchierate con Minerva, ai the pomeridiani in cui si parlava di magia applicata ad alti livelli e curiosità accademiche, non si era ancora arreso nell'avere una sorta, se non di amica, di persona da rispettare. Non si era arreso alla compagnia. E non solo quella di lei, ma anche di Albus, Pomona, Filius e persino quella Chips, così sempre concentrata e accigliata. 
La parte di Severus che si concedeva di mostrare agli altri, a piccoli brandelli e sospiri, stava trovando il suo posto nel mondo, ma lui non lo avrebbe mai ammesso, non ancora, così abituato ai suoi panni di figura tormentata e solitaria.
 “Minerva le tue miscele sono terribili, lo sai”

 “Sono solo speziate, Severus e tu comunque non vuoi offrirmi le tue, dovremo accontentarci” 
 L'uomo fece uno sbuffo dal naso, per nascondere forse un principio di sorriso. La donna rese il suo sguardo quieto e l'espressione più morbida, mentre osservava quel ragazzo cresciuto che aveva così vistosamente bisogno di affetto.
“Ti aspetto in Sala professori, quindi.” disse Minerva “Pomona non vede l'ora di raccontare per l'ennesima volta come ti abbia battuto nel decotto di Mandragole lo scorso anno e Filius sostiene che la tua presenza darebbe un po' di equilibrio con le futili chiacchiere di Poppy e Sibilla.”
 La professoressa fece un leggero sorriso e un cenno di intesa verso di lui. Severus sospirò appena e chinò il capo.
 “Vi raggiungo a breve” disse, voltandosi per allontanarsi con passo svelto, il mantello che svolazzava alle sue spalle come una scia scura. 
 “Mi fa piacere.” disse quella dietro di lui “Ah, Severus, prima dell'inizio della scuola dobbiamo rivedere completamente il piano di protezione del castello, lì dove le misure sono imposte da noi. Sai dopo Black...”
 “Certo” assentì lui pacato e l'Occlumanzia tremò nella sua mente, incrinando la sua facciata composta. 
Con sforzo mise calma ed equilibrio, fece calare scudi e pensò ad acque tranquille, come ogni sera, per tamponare le sue ferite interiori, per mantenersi in pace tra quello che era e ciò che era stato. Sirius Black.
 Severus Piton pensò a Remus Lupin. Non lo aveva mai più visto in quei dieci anni, ma da quando Harry Potter bazzicava nel castello si chiedeva spesso dove fosse il Malandrino e perché non facesse un passo avanti a presentarsi al figlio del suo migliore amico e di Lily Evans, perché non si riprendesse il suo spazio nel mondo. 
Sirius Black. Severus si chiese come passasse le notti ora Remus Lupin a sapere che Black era in giro.

*

Le notti di Luna piena erano più piacevoli ultimamente, come una valvola di sfogo nei suoi pensieri. 
 Si smaterializzava più volte, Remus Lupin, spingendosi quasi sempre al limite della spaccatura, di bosco in bosco, fino ad arrivare lontanissimo da casa. La nausea degli spostamenti troppo ravvicinati tra loro lo lasciavano stordito sul muschio verde, troppo esausto per articolare qualsiasi pensiero, fino a notte fonda, quando la luna sorgeva e lui smetteva di essere sé stesso. 
 Aveva letto i giornali, Remus Lupin. Anche nei buchi dove si nascondeva, fingendo di non essere più parte di quella società che amava e odiava allo stesso tempo, certe notizie non potevano mancare. 
Sapeva di Sirius. Sirius Black. Sirius che era fuggito da Azkaban. E se una parte di lui ruggiva feroce di orgoglio al pensiero che quel ragazzo dagli occhi di fumo grigio, taglienti e ipnotici, fosse riuscito là dove nessun altro aveva avuto successo, un altro lato di sé tremava di orrore all'idea che Black, il suo Sirius Black, che conosceva ogni sua fragilità e tormento, fosse là fuori, assetato di qualcosa che probabilmente Remus non avrebbe saputo riconoscere. 
Se lo chiedeva ancora, nei momenti confusi che precedevano il dolore della trasformazione, cosa avesse spinto Sirius a tradire i Potter e a uccidere Minus. Se lo chiedeva così tante volte, Remus Lupin, nonostante tutti quegli anni passati a languire e leccarsi le ferite, analizzando nei suoi ricordi ogni singolo dettaglio, ricordando la spossante vita di quei giorni di guerra, le ronde inaspettate, i piani estenuanti, i corpi pallidi e le occhiaie profonde a segnare la stanchezza tenuta a bada dal caffé amaro e i sorrisi tirati. Avevano avuto i loro momenti di crisi, anche nel loro appartamento con le piastrelle e la solita musica, ma Remus aveva sempre pensato di trovare Sirius ogni volta che fosse tornato a casa, che tra tutte le variabili così fragili e dolorose della sua vita, Sirius in realtà fosse una certezza. Si sbagliava. 
 Con fatica si alzò sulle ginocchia, le mani affondate nel muschio e il corpo tremante, controllò il suo stato, si era fatto un profondo taglio su un braccio, ma nulla che non potesse sistemare. Era stata una luna piena intensa, Remus sentiva ancora la tensione sprizzare sulla sua pelle ed era consapevole di essere troppo debole per smaterializzarsi, ma aveva brividi di febbre su tutto il corpo e anelava a un poco di calore e una tazza di the caldo. 
Con un sonoro crack sparì dalla foresta dove si era trasformato. E poi ancora. Ancora. E ancora. 

Tornò al suo piccolo appartamento Babbano, che in dodici anni non aveva mai abbandonato, forse per pigrizia, forse per un primo accenno di codardia, persino nel suo spirito così Grifondoro. Perché non era pronto a lasciare andare quei ricordi, quelle notti di felicità appena dopo il diploma, dove si erano sentiti così adulti. La risata rauca di James dall'angolo vicino al caminetto, Lily che lo aiutava a sistemare i bicchieri, Peter che quasi si addormentava sulla sua tazza di the e poi Sirius. Sirius che gli sorrideva affabile, trovando appena poteva il momento di sfiorargli il gomito, carezzargli una spalla, una presenza labile e gentile nella sua vita.
 L'appartamento era rimasto lo stesso, come sempre. Sul tavolo la tazza vuota del caffé che aveva ingollato per poi fuggire di lì in attesa della luna piena, la tavoletta di cioccolato che si era lasciato per il suo ritorno intatta sul ripiano in formica, la coperta dentro cui si avvolgeva la sera, forse solo per avere una parvenza di abbraccio e calore, giaceva a terra dove l'aveva lasciata. Tutt'intorno ordine. I dischi e i libri perfettamente posizionati sui loro scaffali, il bagno limpido, i ripiani spolverati. Erano anni ormai che non vi era nemmeno più una bottiglia di vino, o di Whiskey, a ricordargli di essere miserabile: dodici anni erano sufficienti ad aggiustare almeno le ferite peggiori, anche se alcuni squarci potevano sempre essere pronti a riprendere a sanguinare.
 Tutto era perfettamente uguale a sempre, in maniera monotona. Remus non vedeva l'ora di gettarsi sotto il getto caldo della doccia, per sciogliere i muscoli contratti e poi lasciarsi cadere nel letto e dormire, probabilmente per due giornate intere, prima che riuscisse a rialzarsi. Non aveva impegni fino al giovedì successivo comunque, come sempre dopo la luna piena, per precauzione. Lo aspettavano solo dei turni noiosi nella biblioteca locale, che gli avrebbero garantito un pasto caldo al giorno e del caffé amaro per fargli compagnia. 
Tutto era identico a sempre. Davvero. Tutto tranne Albus Silente seduto sulla poltrona della sala.

*


“Remus Lupin insegnerà in questa scuola” ripeté lentamente Piton.
 Teneva le labbra tese, la confusione per una volta visibile sul volto pallido, mentre camminava per il parco del castello insieme a Silente, il clima estivo insolitamente mite intorno a loro. 
 “Sei sorpreso Severus?” chiese quieto il preside, un vago sorriso sul volto. 
 E sorpreso forse non era nemmeno un termine adatto a descrivere le sensazioni contraddittorie che scuotevano l'uomo accanto a lui. Ci aveva messo dodici anni in fondo, Severus Piton, ad abbassare qualche muro e ad aggiustare qualche crepa di sé stesso, dodici anni dove aveva mantenuto la sua flebile quiete, sopravvivendo a due tentativi di Voldemort di tornare alla vita e allo sguardo verde e accusatorio del figlio di Lily Evans. Dodici anni per concedersi un the qualche volta con gli altri professori e cedere a un conversazione puramente accademica. 
 Remus Lupin non era previsto in quell'equilibrio attentamente costruito, non era previsto il suo sarcasmo sottile e quella tristezza così simile alla sua, che sapeva di umidità e un'arresa solitudine. Severus si vedeva costretto a rialzare pareti e riformare scudi intorno a sé, per non farsi cogliere di sorpresa, umano e in grado di essere ferito. 
“Avrei potuto coprire io la cattedra di Difesa” disse solo, con il suo tono strascicato. 
 “Oh, senza dubbio” sorrise quieto Silente “ma ho altri piani per te.”
 “Non stento a crederlo” strascicò Piton “Ma si fida di Lupin? Voglio dire, lui... e Black!”
 “Mi fido” chiuse il discorso l'anziano.
Arrivarono al limite del parco e rimasero in attesa che qualcosa accadesse. Non parlavano e questa era una delle cose che Severus aveva imparato ad apprezzare di Albus, così come di Minerva e di tutti quelli che in quel castello l'avevano accolto senza remore: il silenzio era rispettato, lo lasciavano libero di macerare nella sua calma, il più delle volte senza inferire, permettendogli di trasformarsi in qualunque cosa volesse, allungandosi a sfiorarlo con la punta delle dita solo quando rischiava di soffocare nel suo astio e nella sua solitudine. 
 Remus apparve all'orizzonte, non con una smaterializzazione come chiunque si sarebbe aspettato. Apparve come un puntolino minuscolo che si faceva man mano sempre più alto e lungo. Non sembravano passati dieci anni per lui dall'ultima volta che Severus lo aveva visto. Era quasi lo stesso. Piton ebbe modo di osservarlo in ogni suo dettaglio mentre si avvicinava, riconoscendone il corpo magro e allampanato nel pastrano pesante, le spalle piegate, la solitudine mischiata ai suoi lineamenti, i capelli arruffati. 
Aveva delle cicatrici in più. Severus se ne accorse subito. Aveva sempre avuto una memoria prodigiosamente visiva e un'attenzione spasmodica ai dettagli, a distanza di vent'anni avrebbe potuto tracciare su un foglio la forma delle lentiggini di Lily il giorno in cui si erano incontrati, senza errore, poteva quindi anche accorgersi della cicatrice chiara che sfiorava il naso del mannaro e di quella che tracciava un leggero solco sulla gota sinistra.

“Remus” lo salutò affettuosamente Albus “è un piacere rivederti”
“Spero di poter rispondere allo stesso modo, Silente” rispose rauco Lupin. 
 “Mantengo le mie promesse, Remus. Sarai ben accolto” disse il preside. 
 “Per questo ha scelto di farsi accompagnare da Piton? Non il massimo dell'accoglienza” 
Ci fu un sottile gelo, che si insinuò sotto la pelle di Severus, inaspettato, mentre il suo equilibrio interiore si sgretolava e la confusione faceva quasi breccia nei suoi occhi scuri, sussultando per quella stoccata inattesa. Aveva sottovalutato Lupin?
 
Ma Remus scoppiò a ridere, tra i denti, quasi sincero, nonostante tutta quella stanchezza nei suoi occhi color cioccolato, si sporse a stringere brevemente la spalla di Severus, come fossero vecchi amici, ignorando quanto l'uomo di fronte a lui sembrasse sorpreso e poi prese a parlare con naturalezza insieme al preside, un fiume di parole composte e gentili, equilibrate e distaccate. 
 Severus cercò di rimanere impassibile, di non sentirsi turbato per il modo in cui Remus Lupin interagiva con lui, per quella strana sensazione che sentiva nello stomaco, un misto di ciò che aveva provato con Lily, ma anche con Lucius e Mulciber: quella sensazione di essere per qualche motivo accettato e compreso. 
 Risalirono i prati del castello, mentre Lupin diceva che sarebbe arrivato il primo settembre con l'espresso di Hogwarts, perché aveva un'altra luna piena in mezzo e alcune faccende da sbrigare. 
 “Ah, Severus nei periodi di luna piena ti sostituirà a lezione e si occuperà della tua pozione Antilupo mentre sarai qui a insegnare” disse Silente, riportando improvvisamente Piton ad essere lucido. 
Remus lo guardava con un sorriso vago sulle labbra, l'espressione composta, gli occhi così stanchi.
 “Lo farai tu, Severus? Davvero?” chiese e sembrava davvero aspettare una risposta. 
“Ovviamente” rispose con distacco Piton, gli occhi onice freddi e illeggibili, pareti, muri e scudi che si alzavano metaforicamente intorno a lui a difenderlo dalla gentilezza di Remus Lupin. 
“Grazie allora. Sono onorato.”

*

La prima volta che aveva visto Harry Potter, Remus Lupin, aveva sentito il suo mondo capovolgersi e tutta quell'integrità, quel distacco, quella voglia di giustizia che lo aveva portato ad accettare la proposta di Silente di tornare ad Hogwarts, si erano sbriciolate come sabbia davanti allo sguardo verde di quel ragazzo uguale al suo amico di gioventù. Uguale a James, ma con gli occhi di Lily. 
 
Lo avevano descritto tutti così, ma nessuno gli aveva detto che fosse davvero così. 
Remus doveva sforzarsi di non sobbalzare quando incrociava quel ragazzino tutto “pelle, ossa e James”, stupendosi ogni volta che dentro quelle fattezze così specifiche non ci fosse la risata scoppiettante del suo amico, con il suo fare caldo e gradasso, il suo buon cuore tiepido, la sua cattiveria dosata, la sua passione trascinante, ma ci fosse invece la calma di Lily, in tutta la sua fragilità e dolcezza, così piena di dubbi e rispetto, mentre si addentrava in un mondo che ancora non riusciva a sentire completamente suo. Harry era inaspettatamente... giusto
E questo aggiungeva confusione e timore per quella scelta avventata che lui aveva preso di tornare al castello. Perché lo aveva fatto? In realtà ne era perfettamente consapevole. Non aveva mai avuto voglia di tornare nei ranghi per un mondo migliore, il mondo intero era franato anni prima per lui. Non aveva particolare rispetto di Silente, che lo aveva dimenticato in un angolo a macerare dolore e tristezza. Non era nemmeno davvero per il desiderio di rivalsa della sua condizione, o di giustizia, o della possibilità di fare qualcosa. La sua era solo codardia. 
 Aveva sempre vissuto agli angoli, Remus Lupin e gli era andato bene così. C'era un senso compiuto nel suo essere il più quieto dei Malandrini, più spesso nascosto in un libro che su un manico di scopa. Aveva amato le possibilità che la vita gli aveva fatto accarezzare e aveva masticato con rassegnato dolore il vuoto che lo aveva colto quando ogni cosa gli era stata tolta. Non aveva più provato né amore, né sollievo, Remus Lupin, ed era atroce non avere nessuno a cui poterlo raccontare, ma non era tornato ad Hogwarts nemmeno in cerca di comprensione e conforto. 
 Remus era lì perché sapeva che, tra le tante cose che non comprendeva più di Sirius Black, l'unica certezza era che sarebbe venuto a cercarlo e, da quando questo gli era apparso chiaro ed ovvio, nella sua mente il dolore del solo pensiero era stato insopportabile. 
Perché non avrebbe retto quello sguardo grigio e le spiegazioni rarefatte che gli avrebbe dato. Perché non poteva scegliere tra il suo cuore e i suoi polmoni, tra Sirius e quello che per lui erano stati James e Lily, ed era codardo Remus Lupin, per il suo spirito Grifondoro, aveva ingoiato il coraggio e la stanchezza e aveva preferito cedere alla protezione delle mura di Hogwarts. Aveva preferito parlare con un ragazzino uguale a James che lo chiamava 'Professor Lupin' al posto che zio come avrebbe fatto in un'altra vita, un ragazzino che non ricordava di aver mangiato pezzi di mela che Remus aveva sbucciato per lui, saltando orgoglioso tra le braccia del padre, sotto lo sguardo di Sirius Black, bruciante di quello che pensava fosse affetto. Un ragazzino che non poteva ricordare la benevole carezza della madre e le risate dei Malandrini intorno a lui. 
 Aveva preferito tornare tra gli spezzati, riconcedendosi al giogo benevolo di Silente, alla maschera di pacata gentilezza che si costringeva a portare con il mondo, persino allo sguardo sospettoso e accusatorio di Severus Piton. 
 Preferiva quello, quella commedia in cui lui recitava nelle parti di un Remus Lupin che avrebbe potuto essere se non fosse stato spezzato dodici anni prima, piuttosto che affrontare il passato nelle vesti di Sirius Black.

*

“Lupin”
 Severus scivolò di lato per farlo passare e richiuse la porta del suo studio alla spalle del mannaro. 
 Remus come sempre non avanzò troppo nella stanza, rimase accanto all'ingresso, lo sguardo puntato sull'altro uomo, ben deciso a non dimostrarsi curioso nel guardarsi intorno. Non era timore il suo, né timidezza, Severus lo sapeva bene: era semplicemente rispetto. Lupin gli mostrava che non voleva invadere i suoi spazi, non voleva forzare le barriere tra loro e Severus apprezzava il gesto senza mai farlo capire all'altro.
Scorrevano sempre veloci i mesi scolastici a Hogwarts, al contrario delle estati pigre e umide a Spinner's End, forse era l'accavallarsi di momenti di pace ai momenti chiassosi e pieni di studenti, forse era la tensione che Severus provava nello sforzo di assicurarsi che tutto fosse al posto giusto, che Harry Potter fosse vivo, Silente vigile, Minerva rassicurata. Era già quasi Natale e la pozione Antilupo gorgogliava lenta, con il suo odore sgradevole. 
 “Ho letto ieri della preparazione della pozione Antilupo” disse Remus “Speravo di poterla fare da solo a un certo punto dell'anno, per sgravarti del compito, ma è piuttosto complessa.”
 “Lo è” rispose Severus distrattamente, abbassando il fuoco e Lupin sospirò appena, per quel silenzio tagliente che quell'uomo imponeva, per quei momenti di condivisione dilatati dall'amarezza, mai distesi, mai confortevoli. 
 “Sei gentile a prepararla ogni mese per me” insistette e teneva le mani dietro la schiena, la smorfia apatica, il sorriso solo lieve su quel viso accartocciato da ricordi e cicatrici.
 “È Silente che mi chiede di farlo, Lupin. Non lo faccio certo per te.”
 “Gli sei molto devoto, vero?” chiese il mannaro, raschiando il fondo della gola con una mezza risata tra l'esasperato e l'amichevole, con l'intenzione di provare almeno un po' a capire quell'uomo che sapeva di vecchi libri e spezie, con cui gli sembrava di condividere il peso del passato e che eppure rimaneva chiuso e distante con feroce ostinazione. 
 “Servono altri quindici minuti alla pozione, Lupin. Puoi ripassare tra poco se preferisci”
 “No. Ti va di fare una passeggiata piuttosto?”
La proposta arrivava così inattesa e diretta che Severus quasi sobbalzò, sentì i muscoli irrigidirsi contro la reazione istintiva e alzò il capo curioso, osservando quell'uomo allampanato e gentile che stava cercando di evitare con tutte le sue forze. Perché per Severus, Remus Lupin, sapeva troppo di rancore e passato. Perché lo ricordava lungo e accartocciato sui libri di scuola, mentre godeva dell'ombra del cortile, mai troppo distante dai suoi amici, eppure così solitario. Lo ricordava con un mezzo sorriso al tavolo dei Grifondoro, spalla a spalla con Black, o con quella sua camminata lenta e distesa a pochi passi dalla figura sottile di Lily. E faceva male ricordare il passato.

 “Mi stai proponendo di passeggiare, Lupin? Hai picchiato la testa per caso?”
 “Penso solo che siamo rimasti gli ultimi testimoni di molto, Severus e non ne abbiamo mai parlato. Potremmo tentare di essere civili. Ci siamo evitati a lungo per...”
 “Preferirei continuare a farlo, grazie”
 “Ci siamo evitati a lungo dicevo” riprese Remus come se non fosse mai stato interrotto “Per scelte che nemmeno abbiamo preso, ma se ti fermi a pensarci abbiamo molto in comune. Lily era amica di entrambi e...”
Il volto di Severus si fece livido e l'espressione contratta, mentre dentro di lui come una cascata acida qualcosa gli si contraeva nel petto. Aveva accettato il rimorso e il dolore, li aveva trasformati in un mantello che pesava costantemente sulle sue spalle, aveva mormorato scuse alla tomba di Lily Evans, persino a James Potter, aveva accettato ogni prova che Silente gli poneva davanti, nel tentativo di scrostare dai suoi respiri il senso di colpa. Aveva costruito un personaggio detestabile, dispotico immorale intorno alla sua magra figura, per tenere tutti a distanza, per non lasciare nemmeno uno spiraglio di luce e sollievo nella sua anima, per non permettersi mai più di affezionarsi a qualcuno, o accettare che qualcuno si affezionasse a lui. 
 E per questo agiva con violenza insensata contro gli studenti più bravi, si dimostrava accondiscendente e imperioso con i Serpeverde, gelido, scuro, senza alcun sentimento contro chiunque altro, specie con i Grifondoro, specie con Harry Potter. Perché lo conosceva il buon cuore dei Grifoni, Severus Piton, sapeva quanto sotto quella scorza di boria e coraggio potessero essere bravi ad ascoltare, a sorreggere, ad apprezzare, quanto il loro spirito fosse atto più a curare che distruggere e Severus Piton non voleva cedervi, non un'altra volta. 
 Eppure quello stupido Remus Lupin era lì, a guardarlo oltre i suoi scudi e il suo rancore, con quegli occhi color cioccolato così liquidi di fatica. Era lì pieno di cicatrici bianche sul volto e di ferite grondanti nella sua anima, con un passato così denso e pesante sulle sue spalle tanto che Severus poteva percepirlo.
 “Possiamo passeggiare. Non dobbiamo parlare. D'accordo, Lupin?”
 “D'accordo.”


*

Le passeggiate con Severus erano sempre silenziose, ma almeno non solitarie. Erano i rari momenti in cui Lupin si lasciava andare a ciò che era stato, che si permetteva di intravedere le ombre di quelle che erano Lily, James, Peter, persino Sirius, nell'oscurità benevola della sera. Non dicevano nulla all'altro, camminavano solo a passo lento, intorno alla scuola, con la scusa di controllare le difese del castello. 
 “Cosa faresti se una di queste sere incontrassimo Black?” chiese Piton a bruciapelo, gli occhi scuri distratti a osservare le cime degli alberi lontani della Foresta Proibita. 
Il cuore di Lupin ebbe un tonfo e all'improvviso l'immagine del vecchio amico che ormai tappezzava tutti i giornali gli saltò davanti al viso. Non c'era nulla di Sirius in quell'uomo che gridava disperato con occhi sgranati strabordanti di rabbia, nulla di quel ragazzo che gli si era steso accanto dopo ogni trasformazione, che lo aveva aiutato a fare il suo primo volo con la scopa, che aveva spinto sulla spavalderia di James e la voglia di avere un gruppo di amici di Peter, per trasformarsi tutti in Animagi e stare insieme a lui, Remus Lupin. 
 Non c'era nulla in quell'immagine acre di Sirius Black che ricordasse il suo odore di menta, polvere e lucido da scopa, quel ragazzo dai capelli scuri e gli occhi grigi, tanto strafottenti quanto magnetici, che se ne stava stravaccato sulla poltrona della Sala Comune, la risata graffiante contro tutti, almeno fino a quando non si chinava verso di lui, cercando il suo sguardo, un braccio sempre pronto a circondargli le spalle, ad aiutarlo a stare fermo sulle gambe.

 Sono qui accanto a te Moony. 
 “Lo fermerei e porterei alle autorità, Severus” si obbligò a dire, in un respiro che era esausto e spaventato.

Piton rise amaro e disilluso, simile a un'ombra scura nella notte. 
“Non ti ci vedo a consegnare Black, Lupin” 
 “Ha tradito Lily e James.” disse secco lui e l'altro scosse il capo.
“Non sai quanto io lo odi per questo.” disse sprezzante il Serpeverde, con il volto tagliente e pronto a cadere in pezzi “Ma non ti ci vedo proprio a consegnarlo. Mi ricordo di voi a scuola. Eravate... qualcosa. Se lo porti alle autorità lo aspetta il bacio dei Dissennatori, Lupin e saresti pronto a dannare per sempre l'anima di Black?”
Era crudele, freddo, preciso, Severus Piton. Dopo tutti quegli anni ancora in grado di colpire dritto al punto. 
“Ha tradito Lily e James” ripeté Remus con semplice fermezza, quasi in cantilena, come a volersi davvero convincere di quel concetto così difficile da digerire, mentre strisciava i piedi nell'erba umida e pensava: non stasera Padfoot. Non stasera.
Perché se li ricordava James e Sirius. Quell'amicizia così profonda e simbiotica, quella fiducia fraterna. Tutte quelle volte che li aveva osservati volare insieme, o accanirsi sui loro compiti senza nessun risultato, pronti a scoppiare a ridere all'unisono, le teste vicine e sempre al lavoro, prima che lo sguardo di James si alzasse su Lily e quello di Sirius su di lui.
 “Come sai che è stato lui?” chiese Severus e quella era davvero la sera in cui sembrava aver più voglia di parlare.

 “A tradirli?”
 “Sì. Come ne hai la certezza?”  
 “Era il custode segreto. Sirius era il custode segreto dei Potter”


 E Severus Piton scoppiò a ridere, con una rabbia che colava di rimpianto, i lineamenti contratti in quella smorfia inusuale per lui, lo sguardo disperato. Si chinò in avanti con le mani sulle ginocchia quasi contorcendosi in quella risata amara, sotto lo sguardo sgranato di Lupin, che lo osservava pieno di sconcerto, perché non capiva come quell'uomo sempre così controllato stesse ridendo di una cosa così dolorosa per entrambi.
 “Severus, ma cosa...” 
 “Credevate di essere perfetti, vero?” sibilò l'altro in un brillio malvagio, rancoroso.
 “Chi?” sussurrò Remus basito, scrutando l'uomo davanti a lui. 
“Voi. I Malandrini. Tu, Potter, Black, Minus. Che vi siete presi tanto gioco di me sezionando con cura i miei difetti e i miei errori, vi siete accaniti con quella vostra cattiveria travestita da gioventù...”
 “Severus, io non ho mai detto una sola parola contro di te...”
“Tu sei più codardo di tutti loro messi insieme infatti” sbottò Piton, gli occhi onice che sembravano due tunnel neri, le guance sgradevolmente chiazzate di rosso “Tu hai scelto il silenzio. Tu che sei uno spezzato, come me. Tu potevi comprendere la mia solitudine, il mio disagio e la mia vergogna. Potevi capire che ero solo un ragazzino privo di amici con i vestiti di seconda mano tanto consumati che mi si scioglievano addosso. Potevi capire, ma hai taciuto. Hai lasciato che mi umiliassero, che schiacciassero la mia autostima, rendendo solo Mulciber, Avery e Malfoy quasi umani ai miei occhi. Hai lasciato che loro mi ferissero tanto a fondo da farmi rantolare nel mio fallimento. Hai lasciato che io inciampassi nei miei errori e nelle mi crepe, senza imparare che ci fosse altro oltre all'accusa e al rancore. Hai lasciato che io continuassi a cadere, che perdessi Lily. Sei stato in silenzio.”

Piton era a un passo, livido di rabbia e Remus parve farsi più piccolo. Piegato da quel risentimento così velenoso.
 “Severus io...”
“Taci” lo fermò l'altro “Vi credevate invincibili e superiori, ma in realtà siete dei fallimenti anche tutti voi, degli spezzati. Potter è morto e tu e Black e Minus...”
 “Anche Minus è morto”

 “Venne da Voldemort lo sai? Peter Minus. Me lo ricordo. Venne a parlare con Voldermort”
 Lo sguardo di Remus si fece vacuo a quelle parole, un clic all'interno del suo corpo causò qualcosa che lo fece tremare. Riuscì a vederlo, Peter. Con quei capelli biondicci e lo sguardo azzurro ansioso. Pallido come un cencio, sempre un passo dietro a James, il sorriso teso e la camminata nervosa. Le camice inamidate sul corpo sottile, non adatto al volo sulla scopa come gli altri due. Le guance che arrossivano con una facilità disarmante a ogni appunto che gli veniva fatto e quell'orgoglio ferito che subito lo accendeva davanti a una presa in giro di troppo, facendogli gonfiare ridicolmente il petto. Se lo ricordava bene Peter, Remus Lupin. Era con lui che aveva corso nella notte per tracciare la mappa del Malandrino. Lui che sotto forma di topo perlustrava ogni angolo del castello per poi tornare indietro da lui, e inseme disegnavano, studiavano e creavano, imprimendo su carta quella che per tutti loro era casa.
 “Severus... ma cosa...” tentò, la gola arsa.
“Non so cosa facesse lì” rispose secco Piton e fece un passo indietro come a prendere spazio “L'ho detto a Silente. Pensavo c'entrasse qualcosa con i Potter, ma se era Black il custode... sai. Tutti macchiati di colpe, no?”
 Piton si voltò con uno svolazzo del mantello nero e si allontanò a grandi falcate, lasciando Remus da solo, intontito dalle sue parole, ferito di squarci invisibili e grondanti di sofferenza, alla luce di tre quarti di insensibile luna.


*

Qualcuno bussò con uno strusciare leggero di nocche.
Severus sapeva riconoscere ormai il modo con cui Lupin si presentava alla sua porta e un fastidio immediato gli si irradiò sulla pelle. Non riusciva a capirlo quello. Non riusciva a leggerlo con la stessa disarmante facilità con cui classificava chiunque incontrasse nella sua vita. C'era qualcosa di soffice e sincero in Remus Lupin, affogato in tutto quel masticare dolore e pena. C'era qualcosa di estremamente umano, in quell'uomo costretto a trasformarsi ad ogni luna in bestia. 
Ma Severus Piton era all'erta. Pronto a chiudersi ermeticamente e fuggire a quella parvenza di comprensione, non sapeva gestirla l'amicizia Severus, a volte si sentiva quasi consumato dentro da quella parola. I nervi tremanti e i legamenti scoperti dall'usura e i tradimenti che portava sulla schiena. Non poteva fidarsi di nessuno. 
 Lo fece attendere per qualche minuto prima di andare alla porta ad aprire. La fece girare sui cardini di un spiraglio e lo vide, il capo chino, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, l'aria mesta. 
 “Lupin”
“Severus...”

“La pozione ha bisogno di riposare almeno per quindici minuti. Torna dopo”
 Gli sbatté la porta in faccia, ma non si mosse di un passo, rimanendo a fissare il legno scuro. Perché lo sapeva che lui era ancora lì dietro, che Remus Lupin rimaneva uno stupido Grifondoro che voleva andare in fondo alle cose, anche a costo di distruggersi. Lo sapeva perché aveva conosciuto ogni respiro e pensiero di Lily Evans prima di lui. 
 Lo strusciare di nocche come previsto riprese sul legno. Piton trattenne il respiro. 
“Severus. Per favore. Voglio solo parlare. So che sei arrabbiato per qualcosa, se solo tu...”

L'uomo riaprì la porta di scatto e Remus, che doveva essere appoggiato allo stipite, arreso al fatto che l'altro non sarebbe uscito tanto presto, quasi perse l'equilibrio e si aggrappò al muro all'ultimo, lungo e goffo com'era.   
 “Severus!” disse sorpreso.
 “Che cosa cerchi Lupin? Mi dai rogna da giorni”
L'altro fece un leggero sorriso, gentile, gli occhi per un istante quasi divertiti. Era vero. Aveva provato a parlargli in ogni modo, sia al tavolo della colazione, che seguendolo per i corridoi con fare disinteressato, ma Severus Piton sapeva essere gelido come l'inverno e stoico come solo i sopravvissuti sanno essere, quando voleva.
 “Si può sapere perché sei sempre così arrabbiato?” domandò il mannaro.
 “Non sono arrabbiato, Lupin, ma non amo perdere tempo con le persone che non apprezzo, come te. Solo questo. Faccio quella pozione solo perché me lo ha...”
 “Ordinato Silente, lo so. So che gli sei molto devoto.”
 Annuì il mannaro, alzando un palmo della mano come in segno di accettazione verso di lui. Perché la vedeva quanta fiducia riponeva l'altro nel preside probabilmente, fiducia di cui Severus si sentiva orgoglioso in modo quasi ubriaco. Perché credere in Silente, inghiottire l'onore e l'orgoglio, abbassarsi a chiedergli aiuto, era stata la scelta che gli aveva cambiato la vita, che aveva portato il suo dolore su una giusta direzione. 
E non poteva permetterselo, Severus Piton, di lasciare che un mannaro, un tempo Malandrino, cambiasse la sua stoica calma, che con la sua gentile pazienza rimestasse quegli equilibri interiori tenuti insieme con un soffio leggero e molta ostinazione. Perché si era accorto, Severus Piton, di come la presenza di Lupin non lo infastidisse più così tanto, come le loro passeggiate quasi silenziose non gli dessero fastidio, come il confronto fosse accettabile. Non poteva.

Severus Piton non aveva mai avuto un amico oltre a Lily Evans, ma Lupin era la persona che più si avvicinava a quell'insulsa descrizione solo perché, oltre ad Albus Silente, era la persona vivente che più cose sapeva di lui. Ma proprio quando si era quasi rilassato, quando aveva cominciato a credere che Lupin non l'avrebbe pugnalato appena la sua guardia si fosse fatta più soffice, ecco che i risolini nel castello erano ricominciati, le occhiate di scherno scivolate negli angoli, mentre gli studenti si coprivano la bocca con la mano al suo passaggio, per nascondere insolenza e risate. 
Piton vestito come la nonna di Paciock nell'ora del professor Lupin.
Severus lo aveva sentito chiaramente dalle parole di un Grifondoro, alle sue spalle, e il panico del ragazzino che un tempo era stato gli aveva serrato la gola. Ad Hogwarts era temuto ora, rispettato, alla peggio disprezzato, ma nessuno si era più permesso di ridere di lui, gli occhi brillanti di scherno e soddisfazione. Nessuno aveva mai più messo in dodici anni in dubbio le sue capacità, la sua integrità, la sua figura. Era diventato un uomo sagace e bidimensionale agli sguardi esterni, sempre scuro ed ermetico, ma efficace, si era tenuto lontano dalla morbidezza dei sentimenti, dalla friabilità dei rapporti positivi. Fino a quel momento. Fino a Remus Lupin.
  
“Severus. Ascolta so che non ami molto la compagnia e...”
 “Non è la compagnia il problema, Lupin. Apprezzo la socievolezza di Minerva. Non la tua.”

“Perché?” chiese l'altro perplesso, lo sguardo color cioccolato appena aggrottato e Severus ebbe il forte istinto di richiudergli violentemente la porta in faccia, ma temette la sua ostinazione.
“Vieni qui a cercare di fare l'amico e ti prendi gioco di me con i tuoi studenti, Lupin.”
Remus sbatté le ciglia in modo perplesso un paio di volte, prima di mettere a fuoco le parole di Severus, poi un ghigno sghembo e stanco che sembrava arrivare dal passato gli si aprì sul volto, illuminandolo. Rise. Rise di gusto.
 “Avanti, Severus. Intendi per Paciock? È stato divertente. Quel ragazzo aveva bisogno di una spinta”
Piton si irrigidì ulteriormente, le labbra pressate in un'espressione dura. 
 “Non lo trovo divertente io.”
 E c'era qualcosa di così amaro e dal sapore di ruggine e lacrime in quelle parole, che Remus si raddrizzò appena, guardandolo attentamente, smise di ridere, la testa leggermente piegata verso di lui.
 “Hai ragione, Severus. Ho pensato a Neville e non a te. Sono stato superficiale. Scusami”
Scusami. Quella parola parve bruciare come un marchio sulla pelle di Piton che si irrigidì imperioso. Scusa.
 “Non c'è bisogno che vieni qui a dire patetiche scuse Lupin, se...”
 “No, Severus” lo fermò l'altro “Lo intendo davvero. Per questo e per tutto quello che c'è stato. Ti chiedo scusa.”
Si creò un silenzio strano tra loro, scomodo. Severus sentì il cuore che gli batteva forte nel petto, destabilizzante, traditore. Nessuno gli aveva mai chiesto scusa. Nessuno. Lui si era spaccato le labbra a forza di mormorare le sue scuse inascoltate a Lily e persino a James Potter, sulla sua tomba. Aveva chiesto scusa singhiozzando nella sua solitudine, sperso e disperato. Aveva chiesto scusa sanguinando rimorso da ogni ferita, ma nessuno gli aveva mai detto quella parola e Severus ne aveva dimenticato quasi il suono, ma Remus Lupin lo fissava pacifico e sincero, a un solo passo di distanza, e gli aveva chiesto scusa, e lui non sapeva cosa dire o provare. 

 “Entra” sputò solo, scostandosi per farlo passare e tornando in fretta alla pozione. 
 Lupin lo seguì, ma come al solito non si accomodò e non si guardò intorno, rimase solo accanto alla porta, le mani dietro la schiena, paziente e Piton lasciò che il silenzio tra loro si dilatasse, come sempre, facendo grondare tra loro il non detto. Rimase chino sulla pozione, ultimandola, lasciando che il suo corpo si abituasse alla presenza del mannaro. Sentiva lo sguardo di Lupin, ma cercava di ignorarlo. 
 “Non devi farti per forza odiare, Severus, lo sai? Dai tuoi studenti intendo”
Lui fece uno sbuffò ferito e sarcastico, lanciando lui solo una veloce occhiata. 
“Farsi odiare è più pratico e semplice, Lupin. Mi permette di non essere coinvolto, di essere lucido, efficace, a distanza. Nessuna fazione mi considererà mai un elemento completamente comodo così, né perfettamente inserito. È l'unico modo che conosco per stare a galla. Tu hai trovato l'alcool, io l'odio” 
Lupin annuì mesto, passandosi una mano sul volto con fare distacco.
“Posso farti una confessione, Severus?” chiese infine e Piton avrebbe voluto gridare che 'No. Non poteva'
 Perché scambiarsi segreti tra loro, conoscersi più a fondo, significava condividere qualcosa e Severus era convinto di spartire già fin troppo con quell'uomo fragile che lo fissava dall'altra parte della stanza.  Rimase in silenzio, senza dare risposta, chiuso nel suo scudo di rigore, ma Lupin sembrò non farci caso. 
 “Non so se riuscirei mai a consegnare Black.” disse serafico. 
Severus spense il fuoco da sotto la pozione e alzò il capo lentamente, fissandolo con curiosità.
 “Perché me lo dici, Lupin?”
 “Perché mi fido di te.” rispose Remus e qualcosa di caldo si espanse nel petto di Piton, come melassa, come camomilla, come qualcosa che sapeva di tepore e infanzia, una rivalsa tardiva di quel bambino che si stringeva le ginocchia al petto nel feroce tentativo di trovare il suo posto nel mondo. 
 “Black... lui è....”
 “Non sei riuscito a consegnare Lily Evans, tu.” rispose pacato Remus e Severus inghiottì saliva. 
 “No, non sono riuscito.” ammise rauco.
 “Nemmeno io potrei consegnare, Sirius. Se mai dovessimo incontrarlo in una delle nostre passeggiate, Severus, dovrai essere tu ad aiutarmi. Avrò bisogno che tu ci sia. Ti cercherò. Perché io da solo non potrei mai alzare nemmeno un dito su di lui. Devi aiutarmi a fare la cosa giusta, mi fido di te, Severus. Puoi fidarti anche tu?”
 Piton inghiottì un boccone di aria che sembrò lacerargli la gola. Le lunghe pallide dita si muovevano sul tavolo di preparazione, imbottigliando la pozione di Lupin. Si prese tempo, controllando ogni respiro e movimento, prima di tornare a guardarlo, senza sapere se sul volto fosse riuscito a cesellare la smorfia distaccata che sperava di avere.
 “Posso provarci, Lupin” rispose infine.


*


Severus Piton era la cosa più simile a un amico che Remus Lupin si sentiva di avere in quel momento della vita. 
Si sentiva solo. Spesso. Si sentiva quasi sempre annegare dalla mancanza e dall'odio per Sirius. Lo sognava di notte, sussultava ogni volta che incontrava la sua foto sui giornali e se anche Silente aveva avuto ragione sul suo incarico da insegnante e lui si era sentito trascinato da un'insana euforia in quel ruolo, reso vitale dagli studenti, e se anche il suo cuore rallentava il suo battito di sollievo e gratitudine ogni volta che passava del tempo con Harry, quel povero ragazzo come tutti così famelico di risposte e confuso dai suoi perché, Remus era solo. Inevitabilmente solo. 
 Aveva un intero passato a gravargli sulle spalle, nessuno con cui scambiare più che della sottile cortesia, tranne Severus.
 Con lui era diverso. Non si aiutavano, non si supportavano e a malapena si ascoltavano. Non c'era della simpatia tra loro, forse solo qualche curiosa similitudine, non c'era un rapporto basato sull'affetto e sullo scambio, c'erano invece del rancore incrostato nel loro quieto convivere negli stessi spazi. 
Eppure si sopportavano e quando facevano le loro passeggiate, in bilico sulla precaria fiducia che stavano costruendo, potevano almeno permettersi di togliersi le maschere, di condividere il peso della solitudine e delle sofferenze che intuivano dell'altro. Potevano permettersi di stare in silenzio senza dover dare spiegazioni, di guardare lo stesso punto del castello, sapendo in quale ricordo stavano affondando le dita dell'altro. 
 Era un equilibrio strano, ma per cui Remus era pur sempre grato, così come era grato per la menta che Severus aggiungeva alla sua pozione Antilupo per togliere un po' di amarezza, per il modo in cui quell'uomo affilato e ferito, rimesso insieme da mani incerte, stesse provando quantomeno ad accettarlo.
 Si era stupito di non ricevere alcun commento a riguardo di lui e Sirius. Era evidente che Severus sapesse che la loro non era solo un'amicizia particolarmente forte, che molto si celava dietro quegli sguardi, quei sorrisi, quegli abbracci e strette di mano che si erano scambiati da studenti, ma non ne sembrava turbato. Anzi. A ferirlo dei Malandrini era l'atteggiamento, la rabbia giovanile che lo aveva investito, non certo i rapporti tra due uomini. 
 Era curiosamente retto Severus, stoico, complicato e più volte Remus si era chiesto cosa fosse successo a tutti loro se al posto che tediarlo e umiliarlo, avessero provato a spiegare il loro punto di vista.

Erano solo giochi, scherzi.  Lo aveva detto lui stesso a Piton quando l'aveva scoperto qualche giorno prima a requisire la mappa del Malandrino a Potter e quella si era rivolta contro di lui e il suo naso in maniera poco gentile. Uno scherzo di qualche burlone, Severus. Niente di più. Nulla di oscuro. Ma guarda che cosa erano diventati. 
E quando Piton era tornato al suo ufficio, più tardi, osservandolo con sospetto e chiedendo 'È quella mappa con cui ve ne andavate sempre in giro, vero?', Lupin non aveva avuto coraggio di mentire e aveva risposto semplicemente 'Sì' ed era rimasto incredulo nel vedere Severus annuire e tornare sui suoi passi, senza chiedere lui la mappa indietro, senza accusarlo, senza fare alcun tipo di commento. Aveva annuito e gli aveva lasciato la mappa. Si era fidato. 

Lupin sospirò lentamente, indebolito dalla luna piena in arrivo. Si passò una mano sul volto e si chinò nuovamente sulla Mappa del Malandrino, curioso, scivolando con la punta delle dita su quella pergamena sottile e osservando quei nomi che si muovevano lenti alla luce della candela. Era affascinante cosa erano riusciti a creare e sorrise debolmente, come se non riuscisse a contenere quello strabordante entusiasmo che un tempo era appartenuto a James Potter. 
Fece scivolare i polpastrelli tra quei corridoio ben conosciuti, in ogni angolo dove lui, Peter, Sirius e James avevano corso e riso, parlato e pianto, vivendo quella loro gioventù al massimo, assetati di quella normale adolescenza che si sarebbe infranta nella guerra che li attendeva finita la scuola.
Sentì quasi un sussulto simile a un singhiozzo chiudergli la gola, Remus Lupin e quasi lasciandosi scivolare in quella malinconia, quasi dimentico di Piton e la sua pozione, che probabilmente lo stavano aspettando, inciampò in un nome: Peter Minus. Peter Minus che si stava muovendo verso il Platano Picchiatore, insieme a Harry, Hermione, Ron e... Sirius.
Sbatté le ciglia due volte Remus Lupin e il dolore al petto lo fece rendere conto che stava trattenendo il respiro, gli si annebbiò la vista e le gambe già indebolite dalla luna in arrivo presero a tremare. Si aggrappò al legno della scrivania ripetendosi come una litania 'Peter è morto, Remus, è stato Sirius a ucciderlo, Sirius che ha tradito Lily e James', ma non riusciva nemmeno più a credere a quelle parole. Perché Peter Minus si muoveva sulla pergamena sgualcita della Mappa del Malandrino e Remus sapeva che la mappa non mentiva, perché l'aveva creata lui. 
Si costrinse a prendere respiro, nel panico, dilatando quasi con disperazione la sua cassa toracica per permettere all'aria di invadergli i polmoni e forse dargli un po' di lucidità. Peter era vivo. Questo cambiava tutto, questo frantumava i castelli di bugie che si era creato per tamponare il suo dolore. Si ricordò di Severus, di come lui glielo avesse detto di aver visto Minus da Voldemort e si accorse di tutte le crepe di quel quartetto che lui aveva creduto perfetto e in cui aveva riversato tutto il suo affetto. 
 Barcollò sul posto prima di afferrare la bacchetta e correre fuori dal suo ufficio. Per un istante pensò di raggiungere Piton nei sotterranei di avvisarlo che qualcosa non andava, che mantenesse la guardia alta, ma c'era qualcuno che gridava nella sua mente più forte di qualunque cosa: il sé stesso ragazzo che gli implorava di affrettarsi. 
 Doveva andare da Sirius. Adesso. Subito. Dopo dodici anni non sentì mai più la mancanza di Sirius Black, come in quel frangente di tempo in cui corse dal suo ufficio attraverso il parco, fino al Platano Picchiatore. 

*


Severus Piton non si preoccupava per qualcuno da anni. Aveva imparato a distaccarsi dai sentimenti, dall'ansia, dalla paura. Si era abituato a non reagire davanti a scene disumane e inaccettabili, si era costruito uno scudo, fatto di Occlumanzia e controllo, raffinando la sua arte nel parlare e nel muoversi nell'ombra. Aveva imparato a vivere da solo, a non farsi domande, a non meritare comprensione. Cedeva all'essere sé stesso, non a diminuire il controllo, né essere meno all'erta, ma solo a concedere spiragli di sé stesso, solo con Silente e a volte, solo a volte, con Remus Lupin.
 Il mannaro gli aveva chiesto fiducia. Severus non l'aveva davvero concessa, ma lo tollerava e per la prima volta dopo molti anni non poteva impedirsi di preoccuparsi lievemente nel non sentire il solito bussare leggero, quella strusciata di nocche sul legno che aveva imparato a riconoscere giorno dopo giorno. Lupin non arrivava e Severus si rifiutava di andarlo a cercare, ma quando i minuti diventarono ore e la sera si avvicinò, lei e la sua luna piena, diventò inquieto. 
Aveva camminato per il suo studio sistemando libri e ingredienti, fingendo noncuranza per quell'assenza, ma ora era intervenuta una vaga apprensione, l'idea che potesse essere colpa sua se Remus non avesse preso la pozione e si soffermò ad analizzare le conseguenze. Magari si è sentito male nel suo ufficio, ma se si trasforma avremo un lupo mannaro senza controllo all'interno del castello.
 
E si convinse una volta di più che quello fosse il motivo, rigore, rispetto e la sicurezza del castello, per cui si affrettò  fuori dal suo studio in uno svolazzo di mantello, affannandosi lungo i corridoi, ma lasciando comunque la pozione sulla sua scrivania nel caso in cui Remus si aggirasse per il castello e arrivasse da lui in ritardo. Si convinse che era per eccesso di sicurezza che aumentava il passo fino a quasi correre per i corridoi quasi deserti nel pomeriggio tardo e buio. Si convinse che non fosse preoccupazione quella che gli pungolava lo stomaco mentre lo cercava.
Arrivò allo studio di Lupin con il viso rigido, ma il fiato spezzato. Lo trovò vuoto e la sensazione che la terra gli scivolasse via da sotto i piedi lo destabilizzò per un istante. Il mannaro doveva essere corso via di fretta perché una candela morente brillava ancora sulla scrivania. Severus avanzò con grandi falcate, percorso da urgenza e ci volle un solo istante perché si accorgesse che la pergamena sul tavolo era la mappa. Quella mappa. 
Rimase assorto, suo malgrado impressionato dalla minuziosità di quei dettagli, lasciò scorrere lo sguardo su tutti quei nomi e quelle persone ignare nell'essere spiate e si chiese quante volte James Potter doveva aver sibilato tra i denti nel vedere il nome di Lily Evans accanto al suo, Severus Piton. Appoggiò delicatamente una mano sulla pergamena e si fece più attento, scacciando l'immagine di Lily Evans dalla sua mente quasi con rabbia, chiudendola dietro un muro di Occlumanzia e con sguardo analitico cercò il nome di Lupin in quei ghirigori di corridoi e persone. 

Quando infine lo trovò il fiato gli si spezzò nel petto e tutto il suo rigore sparì dal suo viso, macchiato improvvisamente da una smorfia di sincero stupore. I Malandrini. Potter, Black, Minus e Lupin. 
 I loro nomi che galleggiavano nella Stamberga Strillante come non fosse passato un solo giorno e poco importava che fosse Harry il nome, e non James, accanto al cognome Potter. Poco importava che Peter Minus avrebbe dovuto essere morto, che Black poteva essere pericoloso e che Remus Lupin era quasi un suo amico, che gli aveva detto di avere fiducia in lui, poco importa che sono tutti adulti e cresciuti ora. 
 L'acido in fondo alla gola di Severus sapeva di paura e vendetta mentre barcollava indietro, confuso. Faticava a essere lucido ed era la prima volta dopo molto che gli capitava. Sentì i muscoli intorpiditi e il bisogno irrazionale di fuggire, andare via di lì, perché la storia non dovesse ripetersi ancora una volta. Perché ci aveva messo ben più di dodici anni Severus Piton, per accettare di essere solo, non degno di affetto, sgradevole. Ci aveva messo così tanto a ricucire le sue ferite e i cocci del suo orgoglio nel comprendere che non lo attendeva dietro l'angolo il futuro brillante di cui gli aveva parlato sua madre, ma solo fatica, prese in giro e rassegnazione. Ci era voluto così tanto tempo e fatica a cedere alle moine dei Mangiamorte e credere che lui valesse davvero, che potesse davvero essere utile a qualcosa, a qualcuno.
Gli occhi scuri di Piton inciamparono ancora una volta nel nome di Lupin, ma scorsero oltre, mettendo a fuoco altri tre nomi: Potter, Granger e Weasley. E non si sentì mosso a compassione, né nutriva affetto o rispetto per quei tre ragazzini, ma avevano tredici anni ed erano dentro una battaglia non loro, vecchia di troppi anni pieni di silenzio, differenze e rancore ed erano soli al cospetto di un lupo mannaro, di un probabile Mangiamorte e di un fantasma che non dovrebbe più esistere, forse con la presunzione di uscirne anche vivi.

Severus Piton afferrò la bacchetta e la mappa e si affrettò fuori dall'ufficio. Non erano lodevoli le sue intenzioni, sentiva la vendetta e il desiderio di giustizia mischiarsi nelle sue viscere con la paura e l'ostinazione, ma aveva fatto una scelta anni prima, andando a chiedere aiuto ad Albus Silente e non poteva certo tirarsi indietro. 
 La luce stava calando là fuori e per un istante Piton si chiese se non dovesse tornare a prendere la pozione, ma sapeva in cuor suo di non avere tempo. Avrebbe preso i tre ragazzi, li avrebbe portati al castello, avrebbe lasciato che ciò che rimaneva dei Malandrini si dilaniasse da solo e sarebbe andato a dare la posizione di Black.
 Qualcosa si rimestò nel suo petto, al pensiero di Lupin, gli occhi color cioccolato, la camminata strascicata, il corpo lungo e gentile avvolto nel suo pastrano. Si chiese cosa gli sarebbe successo se quella notte si fosse trasformato e avesse ucciso qualcuno, magari proprio Black e qualcosa di simile alla compassione fece breccia nei suoi pensieri. 
 Coordinò di nuovo i suoi piani: avrebbe preso Black, lo avrebbe portato insieme ai ragazzi al castello, Lupin si sarebbe trasformato nella Stamberga come da ragazzino, sarebbe stato doloroso, ma Severus non vedeva alternative.
 L'indomani mattina, con il mondo rimesso in equilibrio, sarebbe andato insieme a Poppy alla Stamberga per assicurarsi che stesse bene, gli avrebbe portato una pozione rinvigorente e forse messo una mano sulla spalla, giusto per fargli sapere che capiva quanto amaro fosse il retrogusto del fallimento. Piton aumentò il passo. 

*

Si era immaginato tante volte di rivedere quegli occhi, Remus Lupin.
 Si era visualizzato il sollievo, l'apprensione, la paura, ma niente assomigliava a quello che provava a quel momento, quel desiderio amaro di piangere e ridere insieme davanti al corpo massacrato di Sirius Black.
 “Remus, non capisci? Dobbiamo ucciderlo”. 
C'era follia dietro quel grigio, c'erano ore, giorni, anni, di gelo e umidità ad Azkaban. C'era qualcosa che offuscava la baldanzosa irruenza di Sirius Black, qualcosa che aveva avvelenato la sua flemmatica eleganza. Era un corpo affamato e maltrattato, ora, come non fosse più abituato ad essere umano, tormentato fino al midollo, tenuto in piedi solo da una vorace vendetta che gli trasfigurava i lineamenti delicati.
 “Sirius” sussurrò Remus, incapace di credere che lo stava davvero abbracciando, che sotto quello sporco, quella sofferenza, quei muscoli atrofizzati e tremanti, ci fosse quel ragazzo con cui aveva ascoltato musica nel loro piccolo appartamento Babbano pieno di piastrelle, con cui aveva immaginato un futuro che non era mai arrivato, passato i pomeriggio al tepore del sole, affondando sotto la sua pelle come fossero una persona sola.

“Non c'è tempo, Remus” ripeté Sirius, il corpo che vibrava di agitazione, qualcosa di simile alla paura e l'adorazione nascosta nei suoi lineamenti contratti, in quegli occhi così sgranati.
“Harry merita di sapere.” spiegò Lupin, lo sguardo che correva su quel viso che stava imparando di nuovo a riconoscere come non fosse passato un solo giorno e gli sembrò quasi di abbandonare il suo corpo, mentre le grida di Hermione lo insultavano e accusavano di qualcosa che non aveva mai fatto
 'Lei lo ha aiutato tutto il tempo vero. Io mi fidavo. Non ho detto a nessuno che era un lupo mannaro'.
 'Da quanto lo sai, Hermione?'

'Da secoli, da quando Piton ci ha fatto quella lezione in classe'

E si costrinse a spiegare, Remus Lupin, sempre più pallido e affaticato, obbligandosi a mormorare la verità lettera dopo lettera, raccontando di quando erano solo ragazzi entusiasti e ingenui, di come avevano corso insieme nella notte, di quale irrefrenabile felicità lo avesse colto nel trovare degli amici come loro: James, Peter, Sirius. 
Si costrinse a dire la verità, raccontare a Padfoot di Severus Piton che ora insegnava ad Hogwarts, dello scherzo che Sirius fece lui e quanto potesse finire male. Si sforzò di essere sincero, quando avrebbe solo voluto prendere il viso dell'altro uomo tra le mani, appoggiare la fronte sulla sua, sentirlo respirare vita e pregarlo di perdonarlo, di aggiustarsi insieme, dopo tutti quegli anni di dolore e solitudine.

“Per questo lei non piace al professor Piton?” chiese Harry dolcemente “Lui aveva scoperto che eri un lupo mannaro e pensava che fossi coinvolto nello scherzo? Vero?”
 Per un momento qualcosa nella mente annebbiata di Remus tremò e il pensiero corse a Severus. Si rese conto di non essere andato da lui quella sera, si chiese se lo stesse cercando, se fosse mosso più da senso di amicizia o di dovere nel provare a capire perché non avesse bussato alla sua porta. Si sentì quasi in colpa, Remus Lupin, per non aver Piton al suo fianco come gli aveva promesso, perché forse sarebbe stato migliore di lui a gestire quella situazione.

“Professor Lupin” chiese di nuovo Harry, benedetto ragazzo, con quegli occhi così simili a quelli di Lily “Per questo lei non piace al professor Piton?” 
Remus fece per rispondere, lo sguardo di Sirius, interrogativo, che scivolava sul suo volto, ma qualcuno lo anticipò. 
 “È per questo Potter, sì”
Si voltarono tutti e il cuore di Remus percosse violentemente la sua gabbia toracica, mentre Severus appariva da sotto il mantello dell'invisibilità che era appartenuto a James Potter. Sorrise malevolo ai tre ragazzi, dicendo un “L'ho trovato ai piedi del Platano, molto utile Potter, ti ringrazio”, prima di voltarsi verso lui e Sirius. 
 E lo vide chiaramente, Remus Lupin, quel senso di delusione sul viso contratto dell'uomo di fronte a lui e ripercorse di nuovo le sue parole e il suo racconto e si rese conto di aver abbozzato Piton come qualcuno di ingannato e rancoroso, così furente per il loro scherzo, così spezzato da voler dire a chiunque che lui era un lupo mannaro e sentì le scuse pronte a uscire della sue labbra, di nuovo. 
 Vide il dolore, la stanchezza, la rabbia e la vendetta passare come un lampo confuso sui lineamenti pallidi di Severus, lo vide fremere come se scegliesse accuratamente come ferirli. Non erano più due adulti che si fronteggiavano, non erano due amici, non erano due insegnanti di Hogwarts: erano due ragazzini con un passato doloroso, che si erano aggiustati insieme forzati dal destino e che ora forse si sarebbero bruciati a vicenda, pieni di rancore. 
 “Severus, lascia che io...” iniziò Lupin, cercando il suo sguardo, pensando che forse poteva mettere una mano sulla spalla e ripetergli ancora una volta che poteva fidarsi di lui, che doveva ascoltarlo, ma l'altro fece un passo indietro, gli occhi neri brulicanti di rabbia e vergogna e si sentì stupido, Remus Lupin, per non aver davvero capito quanto a fondo quell'uomo fosse spezzato, quanto l'avesse profondamente ferito, di nuovo.
 “Taci” disse Piton e fece uscire dalla sua bacchetta dei nastri che gli si strinsero intorno ai polsi e sulla bocca. 
 Remus non sussultò, non disse nulla, lo guardò con dispiacere e speranza, il cuore che batteva nel petto, la stanchezza che gli scuoteva le membra e i pensieri. 

*


Non si era fidato di nessuno per anni, Severus Piton. Nemmeno di Silente. 
Aveva dato la sua bacchetta e il suo tempo per la causa, aveva direzionato i suoi sforzi, compreso i suoi errori, ma la fiducia, addirittura l'affezione per qualcuno era tutt'altra storia. 
Però aveva ceduto a Remus Lupin, ai suoi 'scusa', alla sua compostezza, alla sua gentilezza, al fatto che gli lasciasse la sua porzione di vita per soffrire insieme. Aveva ceduto quanto bastava per abituarsi ai suoi consigli non richiesti, alle loro camminate silenziose, alle loro confidenze caute. Abbastanza per dire che avrebbe potuto fare il tentativo di fidarsi di lui. 
Ed era davanti a lui Remus Lupin, mentre lo descriveva nelle sue debolezze a tre ragazzini, fermo nelle sue scelte mediocri, con quell'aria affettata e sempre troppo soffice. Eccolo Remus Lupin, capitolare nuovamente nella sua gentilezza, lo sguardo che, anche mentre era legato e muto, d'istinto si muoveva verso Sirius Black. 
C'era qualcosa che sapeva di acidità e pena nei pensieri di Severus e aveva voluto fargli male a Remus Lupin, offenderlo e ferirlo là dove forse non aveva ancora cicatrici. Perché ancora una volta, lui che poteva capirlo, lui che era uno spezzato, lui che lo conosceva, almeno un poco, lo aveva tradito. Lo aveva ferito e umiliato, venendo meno a quella labile fiducia tra loro, alle sue promesse, alle sue parole ricamate. Come mille altre persone avevano fatto nella vita dilaniata e confusa di Severus Piton, come Lily Evans aveva fatto, quando al suo “Noi saremo amici per sempre Sev e quando fallirai, se cadrai, io ti verrò a cercare e ti porterò con me” aveva invece lasciato solo la solitudine, il silenzio e la sua pena. Maledetti Grifondoro, maledette promesse. 
 E se il bambino che era stato, così pieno di fiducia e grandi sogni, avrebbe voluto piangere in quel momento, nascondendosi sotto un tavolo, l'uomo che era diventato, così avvelenato dall'ingiustizia della cattiva stella sotto cui era nato, sentiva solo il senso di vendetta a scuoterlo, insieme a una feroce voglia di sentirsi davvero superiore a tutti loro. 
 “Professor Piton, forse dovremmo ascoltarli” mormorò Hermione, torcendosi le mani e distogliendolo dal suo rancore per un breve istante.
 “Per una buona volta, signorina Granger, chiuda quella bocca. Non sa di cosa sta parlando.”
 “Ma...”

E sentì l'esasperazione, Severus Piton, di essere messo sempre in discussione, di non poter essere ascoltato, di non aver mai sufficiente credito. Tremò di rabbia e di impazienza, perché malgrado avesse detto a Lupin che avrebbe portato Sirius dai Dissennatori non avrebbe mai preso quell'assurda responsabilità. Perché voleva andare al castello con quel marasma di incoscienti il prima possibile, per chiudere quella notte di errori e ricordi amari una volta per tutte. Non avrebbe permesso a Sirius e a quel ratto, se davvero era Peter Minus, di spezzare un'altra volta la sua credibilità, non l'avrebbe permesso nemmeno a Potter e quella banda di ragazzini. 
Non l'avrebbe permesso a Remus Lupin. Si era fidato di lui. Lo aveva accettato nella sua vita e lui aveva ribaltato ogni cosa, ancora e ancora, come ogni volta che Severus si concedeva di abbassare la guardia.

Si voltò verso l'uscita e trovò Harry di fronte a sé. Lo sguardo verde così pieno di ostinazione che gli parve quasi di conoscerlo. Sentì la stanchezza Severus, di combattere in maniera ciclica le stesse battaglie. Ancora e ancora.
“Potter, levati immediatamente”
E fu buio. 

*


Remus si svegliò lentamente, vagamente confuso, le palpebre pesanti sugli occhi. 
Si mosse lentamente e allungò la mano a tentoni a sfiorare il profilo di Sirius. Era sveglio, gli occhi grigi a fissare il soffitto, leggermente sgranati. Lupin si allungò per afferrarlo e portarlo contro di sé, lo sentì sospirare dolcemente, buttare aria fuori dai polmoni e rilassare i muscoli. 
 “Buongiorno” disse rauco, il sonno ancora attorcigliato sulle corde vocali. 
 “Buongiorno” rispose Sirius “è presto. Dormi.”

 “Quanto presto?”
 “Sono le sette di mattina”
 “Non è così presto. Perché tu non dormi, Sirius?” 
 “Non riesco.”
Remus sospirò lieve, lo strinse ancora per un istante a sé, inebriandosi sempre più di quell'odore che lentamente stava tornando a essere quello dei suoi ricordi: menta, polvere, lucido da scopa.
“Vado a preparare la colazione, ok? Raggiungimi quando vuoi”
E lo sapeva, Remus Lupin, che Sirius non l'avrebbe raggiunto di sua volontà, che finita di preparare la colazione sarebbe dovuto andare da lui e forzarlo a uscire da quel letto. Che ci erano voluti giorni, mesi, lentissimi e difficili perché quell'essere di sola pelle e ossa, intarsiato di tatuaggi sconosciuti, tornasse ad essere l'ombra della persona che era stata un tempo. Lo sapeva, Remus Lupin, che Sirius era spezzato, che si svegliava di notte con gli occhi sgranati, come a cercare l'aria sufficiente per vivere, che a volte il corpo gli tremava incontrollabile e una strana smania di fare qualcosa lo scuoteva dal profondo. E aveva provato a calmarlo, Remus Lupin, ad accarezzare le sue cicatrice, ad accogliere i suoi pianti e i suoi occhi sgranati, a ricomporlo con la punta delle dita, quello che era stato Sirius Black, con tutto quell'amore che era riuscito a racimolare dal suo cuore che aveva ormai creduto arido di affetto.

 C'erano giorni buoni, a volte, in cui Sirius quasi sorrideva, i respiri più quieti, il capo poggiato sulla spalla di Lupin, le labbra screpolate che sussurravano le parole delle melodie sui loro dischi. C'erano giorni in cui quegli occhi grigi tornavano placidi e divertiti, in cui Sirius per primo si avvicinava ad abbracciarlo, senza vergogna, senza pensare a quando Remus era andato a prenderlo, rinchiuso in una grotta come un animale e l'aveva costretto ad andare a casa con lui, l'aveva lavato e curato con pena e dolore, ritrovando quel corpo amato accartocciato quasi su sé stesso.
 C'erano giorni buoni, in cui Sirius sembrava quasi adulto e chiedeva notizie di Harry e dell'Ordine e ascoltava mite Remus, annuendo piano tra sé, ragionando, pianificando. Giorni in cui sembrava che a tenerlo in vita non fosse solo il rancore, ma anche l'amore che Remus gli dava ogni giorno, lentamente. 
 Ma c'erano anche giorni in cui Sirius sembrava irraggiungibile nella sua rabbia, in cui si graffiava il corpo, convinto che qualcosa lo stesse mangiando dall'interno, in cui Remus lo trovava in lacrime, le mani a coprirsi le orecchie, raggomitolato nella vasca, tremante come un bambino. C'erano giorni in cui la calma e gli abbracci non erano sufficienti, in cui il gelo di tutti quegli anni passati divisi nel reciproco dolore sembravano insinuarsi tra loro. In cui gli incubi e le torture facevano tremare il loro rapporto e Sirius singhiozzava disperato come una bambino, mentre Remus lo stringeva a sé. C'erano giorni in cui Sirius affogava in sé stesso, mormorava il nome di Regulus, di James, di Lily, con terrore, chiudendosi in un nodo di asprezza e dolore e toccava a lui scioglierlo, con pazienza e riportarlo all luce.

Quel giorno era una buona giornata. Sirius lo raggiunse a sorpresa mentre l'acqua del the bolliva.

“Ehi tu” gli sorrise Remus e anche le labbra dell'altro si tesero quasi in risposta. 
 “Dovresti parlare con Piton” disse Black dal nulla, sedendosi sulla sedia di fronte a lui e sgranocchiando un biscotto.
Lupin inarcò un sopracciglio, osservandolo stupito, si mosse lentamente nello spazio, quasi temesse di spaventarlo.
“Perché dici?” chiese cauto, versando lentamente l'acqua bollente nella tazza.
 “Mi hai detto che hai capito perché ha detto a tutti che sei un lupo mannaro. Mi hai detto che vi siete conosciuti meglio quest'anno, che probabilmente l'hai ferito troppo a fondo.” snocciolò Sirius, gli occhi grigi fissi su di lui. 
 “È così.” ammise quieto Lupin “Durante quest'anno lui mi è stato di grande aiuto, mi ha preparato la pozione Antilupo ogni mese, è stato umano, si è quasi aperto con me, ma io l'ho ferito più volte, o meglio, credo di avergli riaperto ferite già esistenti. Mi sono scusato, gli ho chiesto di fidarsi di me, ma Severus è una persona fragile dal punto di vista emotivo e...”

 “Come me.” lo interruppe Sirius incerto.
 “Come tutti noi.” lo corresse Remus, sorridendogli dolcemente “Siamo tutti degli spezzati.”

 “Non avrebbe dovuto comunque dire a tutti che sei un lupo mannaro.”
 “No, non avrebbe dovuto” concesse l'altro “Ma è successo. Ne capisco il motivo e non mi sento di accusarlo. Severus quando si sente messo alle strette ha l'istinto di attaccare. Quest'anno avevamo raggiunto un equilibrio che io l'ho più volte rotto. Gli avevo promesso che lo avrei coinvolto se ti avessi trovato, ma non l'ho fatto. Mi ero scusato per il passato, ma nella Stamberga Strillante nei miei racconti l'ho fatto passare per uno sprovveduto pieno di rancore. Gli ho tenuto nascosto molto, quando gli avevo detto di fidarsi di me. In un certo senso ho dato ragione agli innumerevoli dubbi sulla mia persona che aveva largamente espresso a Silente. Sai quanto può essere ostinato.”
“Merlino, lo odio Mocciosus” sputò Sirius e rise rauco e sincero, tanto che per un attimo sembrò quel ragazzo strafottente e sicuro di sé che aveva camminato per Hogwarts e riuscì quasi a tracciare a memoria i tratti di quella sicurezza, Remus Lupin, di quello sfacciato fascino che Sirius sapeva tirare fuori all'occorrenza, che ancora si intravedeva quando scriveva a Harry, o si vedevano con gli altri dell'Ordine. 
 Black sapeva ricostruirsi quando era in mezzo agli altri, e sapeva dare il meglio di sé nell'essere di nuovo l'arrogante e coraggioso Grifondoro che aveva rimescolato più volte le carte della sua esistenza, quella testa calda amorevole che Remus Lupin sentiva di conoscere.  Solo con lui si permetteva di andare in pezzi, di essere fragile, ma Remus era talmente grato di averlo di nuovo con sé che sarebbe stato disposto a passare la vita intera a ricomporre Sirius Black. 
Sorrise debolmente in risposta a lui, bevendo un sorso di the. 
 “Perché se lo odi tanto vuoi che parli con lui?” chiese curioso, il cuore che riprese a battere nel vedere sul volto dell'altro il ghigno aprirsi ancora un poco, arrivando fino agli occhi grigi. 
 “Voglio odiarlo liberamente e con tutto me stesso, Moony. Non voglio sentirmi in colpa per qualcosa. Se voi due fate la pace e tornate grandi amici tutto sarà come prima. Tu sei libero di essere gentile, io di odiarlo cordialmente.”

 Remus rise sincero, scuotendo appena la testa, Sirius appoggiò il capo sul braccio, osservandolo con un mezzo sorriso, poi allungò la mano verso di lui, il palmo verso l'alto, le dita dolcemente protese nella sua direzione. 
 “Ci parlerò oggi pomeriggio, ok?” chiese soffice Lupin e appoggiò la tazza sul tavolo di legno e allungò anche lui piano la sua mano, intrecciando le dita con quelle dell'altro e sospirarono appena, si guardarono per un lungo istante.
 “Mi sei mancato, Moony.”
 “Anche tu, Padfoot”
Si sorrisero.


*


Quando sentì quello strusciare di nocche leggero Severus sapeva perfettamente chi aspettarsi sull'uscio e per un momento fu quasi tentato di non andare ad aprire, di ignorare Remus Lupin e le sue scuse, ma prima che potesse prendere quella decisione le gambe gli si mossero come un automatismo, trascinandolo fino alla porta. 
Remus era avvolto nel suo pastrano, la barba sfatta di qualche giorno i capelli arruffati. Sembrava un elemento fuori posto, lì, nell'umida Spinner's, una volta tanto con uno sguardo curioso mentre osservava assorto l'ingresso della casa.
 “Severus” lo salutò con un mezzo sorriso.
 “Lupin”
 “Mi fai entrare?”
“No”

L'altro rise rauco e scosse appena il capo, ma poi mise le mani nelle tasche e annuì appena. 
 “D'accordo. Sono qui a portarti le mie scuse, ma immagino che tu non le voglia accettare”
 “Immagini bene”
 “C'è qualcosa che possa risistemare le cose tra noi, Severus?”
 “Non c'è nulla da risistemare, Lupin. Non eravamo amici, non lo siamo nemmeno ora”
 E sentì puzza di bugia, Severus Piton, nelle sue stesse parole, perché in tutte quei silenzi che avevano condiviso c'era stata dell'amicizia e, se non quella, del sano rispetto. Perché entrambi avevano sofferto. Entrambi provavano vergogna. Entrambi erano stati soli al mondo a lungo, ma ora le cose erano sbilanciate, le ferite erano esposte e se Remus non era più solo a ricucirle, nulla aveva portato sollievo a Severus. Non aveva meritato né riconoscenza, né perdono. Nessuno era più venuto a cercarlo la notte in cui Sirius Black era fuggito. 
 “Chi ti ha dato l'indirizzo di casa mia?” chiese nervosamente al mannaro.
 “Silente, ovvio” rispose quello, ancora sorridente.
 “Ovvio” sillabò Piton, con un'ombra di fastidio, ma indurì subito lo sguardo e fece quasi un passo indietro.
 Ed era certo che Lupin l'avrebbe lasciato andare, perché la gentilezza ha un limite entro cui doveva valerne la pena e non si dovevano niente loro due, l'unica cosa a legarli era la sofferenza e anche quella può passare e si cicatrizza con il tempo. 
 “Lily mi parlava molto di te.” sussurrò Remus e Severus si sentì gelare e sentì quelle parole pugnalarlo nel petto.
 “Come dici?” esalò, improvvisamente pallido.

“Lily mi parlava molto di te. Diceva che sei intelligente, gentile, attento. Io sorridevo” disse Remus lentamente “Perché non riuscivo a vederti in quella descrizione, ma lei era insistente e mi diceva talmente tante volte che io e te in fondo eravamo simili, che ho finito per crederci anche io. Era distrutta quando avete litigato. Diceva che separarvi era necessario, perché lei ti avrebbe perdonato qualunque cosa, che era la cosa giusta, perché forse non si sentiva al sicuro, ma le mancavi terribilmente. Ogni giorno.”
Severus prese un profondo respiro, ma rimase immobile, come fosse fatto di pietra. Poi sciolse lentamente la posa, muscolo dopo muscolo, controllando ogni micro movimento, prima di alzare lo sguardo verso il mannaro. 
 “Nessuno ti dà il diritto di venire qui a torturarmi Lupin” sibilò.
 “Non voglio torturarti.” disse subito l'altro “una volta mi hai detto che noi Malandrini ti abbiamo a costretto a vedere dell'umanità solo nel marcio dei Mangiamorte. Avevi ragione. Ma siamo cresciuti tutti, Severus. Volevo farti sapere che anche allora c'era qualcun altro che ti considerava abbastanza.”
 Piton sbatté le ciglia una sola volta, sentì un ruggito di dolore nel petto, ma lo ignorò, raddrizzandosi. Lupin era più alto di lui, eppure la vide quella micro contrazione sotto l'occhio di lui, di vaga preoccupazione. Perché Piton sapeva di poter fare terrore se voleva, di poter incutere rispetto, di trasudare potere e controllo. Conosceva i suoi limiti, aveva imparato a inscatolare i suoi sentimenti, sapeva come modulare il suo sguardo e la sua rabbia. 
 “Lily è morta, Lupin” disse arido.
 “Lo so.” rispose subito quello “ma non era l'unica a pensare bene di te.”
Sorrise, con aria da ragazzaccio, ma Severus non colse e fece un passo indietro, pronto a chiudersi la porta alle spalle, a schermarsi nel suo mondo di vecchi e libri e spezie. Sicuro. Stabile. Facilmente controllabile.

La mano di Remus fermò la porta. Severus si congelò e lo vide sospirare con stanchezza, combattuto.
 “Ascolta Severus, non ti chiedo di nuovo di avere fiducia in me solo...”
 “Solo cosa? Cosa stai cercando di dirmi? Non ho tutto il giorno e su una cosa concordiamo, non ho nessuna fiducia in te.”
 “Non voglio che stai solo” mormorò l'uomo “non voglio che soffri più del necessario”
Severus fece appena un sibilo scuotendo il capo, rise amaro, facendo un altro passo indietro dentro la casa.
“Passare del tempo con il cane ti ha reso sentimentale, Lupin. Torna da Black, non sono certo che apprezzerebbe sapere che cerchi di essere in maniera così testarda amico di Mocciosus. E su una cosa devo concordare con lui: io e te ci odiamo, Lupin. Ci siamo sempre odiati. Il fatto che ora siamo più adulti e feriti non cambia le carte in tavola.”
 “Credevo che avessimo già superato questo punto, Severus. Io non ti odio”
“Come vuoi” ribatté esasperato l'altro, cercando di chiudere la porta “Ora mi stai stancando, vattene.”
 “Avanti, Severus, hai detto a tutti che sono un lupo mannaro. Dovrei essere io a odiarti! Sono qui a implorarti invece, non so, di essere civili. Ci vedremo spesso con l'Ordine, dovremo comunque collaborare, concedimi due parole qualche volta, concedimi di avere riconoscenza.”

 “Riconoscenza?” disse Severus e per la prima volta in molti anni si sentì confuso, un vago rossore sulle guance, sorpreso che qualcuno avesse davvero fatto caso a lui.
 Sbatté le ciglia perplesso davanti al sorriso morbido di Lupin, si rese conto di quanto fosse ridicola quella situazione, soffriva la sua solitudine da quando era un bambino in quella stessa casa. Perché rifiutava così tenacemente l'offerta di Lupin? Perché aveva così tanta paura di essere ferito quando non gli rimaneva addosso nemmeno un lembo di pelle senza segni e rabbia?
“Riconoscenza Severus. Mi hai preparato la pozione Antilupo per un anno. Sei stato gentile.”
 “Albus...”

 “Silente non ti chiedeva di mettere la menta perché risultasse meno amara. Non ti ha costretto a passeggiare con me. Non ti ha spinto a concedermi la tua fiducia, né a raccontarmi qualcosa di te. Volevo solo dirti grazie.”
 Severus inghiottì aria e fece un leggero cenno con il capo, vagamente sconfitto, confuso.
 “Prego” disse rauco infine e si sentì incredibilmente più leggero, perché era la prima volta che rispondeva con quella parola a qualcuno, era la prima volta forse che qualcuno lo ringraziava così apertamente. 
Lupin sorrise, ora più soddisfatto, vagamente più giovane e allegro.
 “Ci vediamo alle riunioni allora, Severus” disse, arretrando nel piccolo giardinetto di fronte alla casa. 
“Torni dal cane?”
 “Qualcuno deve pur dargli da mangiare” rise. 
 E Severus Piton sentì le labbra arricciarsi vagamente in un sorriso, osservando la figura alta e sottile di Remus Lupin che si allontanava nella luce della sera, trascinando i piedi sul terreno, lungo e dinoccolato. Una figura riconoscibile. Una figura quasi amica.



*Angolo Autrice*

Ciao Lettori! 
Scusate il leggero ritardo, ma è stata una settimana complicata. 
Nuovo capitolo di questa storia a cui tengo davvero molto. Devo dire che è stato piuttosto intenso tentare di entrare nei panni e nei fragili equilibri di Severus e Remus, ma spero di esserci riuscita. Mi piace moltissimo questa amicizia tra loro, che per me è credibile e per questo cerco di rendere i personaggi più IC possibile. D'altronde della storia noi conosciamo il punto di vista di Harry, ma sia Remus che Severus sono due adulti indiendenti e con un passato ingombrante.
Trovo divertente il fatto che Severus non abbia mai chiamato Remus per nome, ma il mannaro invece si ostini a nominare l'altro quasi in ogni frase. 

Volevo solo avvisarvi che oltre al terzo capitolo ci sarà anche un epilogo :)
Grazie infinite a coloro che hanno lasciato un parere e una recensione nel precedente capitolo, ma grazie anche ai lettori silenziosi. Il vostro parere è per me sempre molto importante.
Prossimo capitolo uscirà probabilmente tra una settimana e mezza circa. 
A presto, con affetto.
vi

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Capitolo 3
*** Whiskey e Cioccolato ***


.Whiskey e Cioccolato.



La luce dell'alba entrava pallida e rosata dalla finestra socchiusa.
Remus Lupin rimase a osservare quella lama chiara, dentro cui granelli di polvere volteggiavano pigri da quelle che sembravano ore intere. Era già giorno e nonostante si sentisse stanchissimo non riusciva a dormire, consapevole di come lo aspettasse una giornata terribilmente complicata, oltre che una riunione infinita con tutti i membri dell'Ordine. 
 Era dolorosamente cosciente, Remus Lupin, del fatto che Silente avrebbe chiesto lui di tornare a collaborare con i lupi mannari, così come aveva già cominciato a fare quando era un ragazzo e sapeva anche, ovviamente, che questo lo avrebbe fatto assentare per lunghi periodi, motivo per cui si sentiva profondamente agitato. 
In quegli anni di pace aveva apprezzato la stabilità, Remus Lupin, persino la calma della solitudine. Si era abituato alla routine e all'organizzazione e il suo periodo ad Hogwarts lo aveva reso stranamente pacato e adattato a quella società che a lungo aveva ripudiato. Lo studio della strategia, il ragionamento, la stesura dei piani era un qualcosa che gli si addiceva e in cui si sentiva di essere bravo. Non voleva andarsene. Non poteva lasciare da solo lui. 
 Sirius sembrava un bambino stropicciato al suo fianco, ancora profondamente immerso nel sonno. I capelli scuri ricadevano disordinati intorno al viso troppo magro e affilato per essere considerato dolce, la mano destra appoggiata accanto a lui sul cuscino, con il palmo rivolto verso l'alto. Remus rimase incantato a osservarlo, inciampando sulle lievi rughe d'espressione che faticava ad accettare su quel volto che nella sua mente era ancora ragazzo, su quei tatuaggi incerti che gli dipingevano il petto e le mani di parole e simboli sconosciuti. 
Da qualche parte nella casa Kreacher sibilò tra sé e sé e i pavimenti cigolarono senza che nessuno ci camminasse sopra, come se quella vecchia dimora percepisse le ombre di quel che era stato il suo passato, mentre queste si aggiravano inquiete tra quelle pareti damascate. Riusciva a immaginarlo, Remus Lupin, il giovane rampollo Black, che camminava irrequieto tra quelle stanze in cerca di una scappatoia. Poteva quasi vedere la smorfia annoiata ed esasperata, la camminata tesa, il nervosismo palpabile e timoroso.
 Non era stato facile per Sirius tornare lì. Remus lo sapeva. Ne vedeva le crepe e i cocci nella sua postura contratta, nei sospiri spezzati che faceva prima di addormentasi, nel modo ansioso in cui si torceva appena sentiva un rumore, come se temesse di ritrovarsi di fronte un fantasma. E a poco servivano le sue carezze sulla punta delle dita, i silenzi che si ostinava a preservare perché fosse l'altro a strabordare parole, in uno sfogo senza capo né coda. 
Remus sapeva che Sirius, il suo cuore, il suo compagno, era in realtà spezzato e che l'ombra di quella dimora austera non lo aiutava a ricomporsi. Sapeva che sarebbe stato meglio tornare nel loro appartamento Babbano, pieno di piastrelle e respiri che avevano diviso fino a quel momento e lasciarsi una volta per tutte alle spalle quella guerra che sapeva di stantio, oltre quella vecchia dimora Purosangue così colma di polvere e passato che ora chiamavano “Quartier generale”. 
Remus Lupin era consapevole che ogni ora che Sirius Black si costringeva a vivere tra quelle pareti, lo sguardo grigio che instabile scivolava sui ritratti arcigni dei suoi famigliari, specie quello sbiadito di suo fratello Regulus, erano pari a un veleno che si diffondeva sotto la sua pelle. Ma sapeva anche che nulla lo avrebbe fatto tornare sui suoi passi, che Sirius aveva bisogno di quello: di dimostrarsi utile, di macinare azioni e scelte in quella casa che odiava, nel costringersi a dilaniarsi pur di andare avanti, come l'adolescente orgoglioso e strafottente che era stato.


 Un tempo però c'era stato James Potter a placare la rabbia di Sirius Black, ad assimilare per lui il rancore, trasformandolo in coerenza. Era lui da cui Sirius era corso quando era scappato di casa, lui l'amico che era quasi un fratello, con cui scambiava sfoghi frastagliati dietro le tende del baldacchino di James, o con cui correva a stressare i muscoli in ore e ore di volo sulle loro scope. James e Sirius si erano sempre capiti all'istante, forse perché fatti della stessa pasta di luce ed eroismo, con quei sorrisi affamati di futuro, così grondanti di strafottenza gentile. 
Remus era sempre arrivato dopo invece, come un manto leggero, ad asciugare le lacrime che erano già state versate, a offrire la pace e il silenzio, a far metabolizzare il dolore e lenire le ferite. Remus portava la dolcezza, un pezzo di cioccolato da dividere insieme, un sorriso mesto di consolazione e poi passava la punta delle dita sui muscoli contratti di Sirius e tra i suoi capelli arruffati, imponendo un istante per distendersi.
 Ora invece tutto il peso del dolore dell'altro gli era rovinato addosso, i giorni buoni e i giorni terribili, in una straziante cacofonia torrenziale che si costringeva a gestire senza mai chiedere aiuto. E Sirius era complesso da gestire, complesso da metabolizzare e comprendere. Perché camminava angosciato tra quelle pareti, snocciolando piani, chiedendo scusa, combattendo con fantasmi, senza mai ascoltare. Si infiammava con l'ardore di un ragazzino, si ostinava con una forza imprevista, si offendeva a morte per parole sussurrate. Non era mai in pace, mai a disposizione, come trascinato da troppi anni di pensieri acidi e rancore, come se qualcosa lo mangiasse dall'interno.
 “Moony”


Remus abbassò lo sguardo sull'altro uomo e sorrise dolcemente. Gli occhi di Sirius erano annebbiati dal sonno, il ghigno morbido, l'espressione vagamente confusa e felice. Qualcosa di tiepido e piacevole si rimestò nel petto del mannaro ed allungò la mano, scostandogli una ciocca di capelli dal viso e continuò la sua carezza leggera fin dietro il collo, lasciando che il palmo riposasse poi sulla spalla dell'altro, in un gesto dolce e sospeso. 
“Padfoot”
 “Non dormi?” gracchiò Sirius, le ciglia lunghe che sfioravano le sue guance magre. 
 “No” rispose quieto Remus e si avvicinò a lui, scivolando tra le lenzuola di cotone profumato. 
 Sirius ne seguì il movimento, con uno sbuffo gentile, incastrandosi sotto il suo collo. Si aggrappavano ancora tra loro con la punta delle dita, fragili e spezzabili, ma pieni di amore. C'era qualcosa tra loro di intatto, come fossero rimasti dei ragazzini trascinati dall'inconsapevolezza e allo stesso tempo si fossero sfibrati e frantumati fino alle ossa. Sirius così piegato dal giogo di quella prigionia imposta e Remus dalle responsabilità che continuava ad ammassare su di sé.
 “Oggi c'è la riunione?” chiese Black. 
 “Sì” assentì Remus tranquillo. 
 “Ci sarà anche Mocciosus?”
  “Ci sarà anche Severus, sì.” rispose lentamente l'altro “Dovrebbe esserci tutto l'Ordine”

 Sirius aggrottò appena la fronte, come sforzandosi di recuperare il filo del discorso e per un istante Remus ebbe la visione fugace dello sguardo scuro e incerto di Piton, l'ultima volta che si erano parlati da soli alla casa di Spinner's End.
Pensare a Severus aveva un che di velata malinconia e ironia mischiate insieme. Riusciva quasi sempre a immaginarlo, chino sul suo calderone, le dita pallide al lavoro, lo sguardo assorto, la solitudine pesante sulle spalle magre. E a Remus dispiaceva per lui. Sinceramente. A volte si sentiva in colpa come se lo avesse abbandonato.
 Si erano visti raramente in quell'anno, sempre e solo per brevi incontri, quasi solo alla presenza di terzi. Severus presenziava di rado alle riunioni, maggiormente impegnato su altri fronti, ma i suoi ingredienti e le sue pozioni erano giornalmente stipati nella scorte dell'Ordine, probabilmente raccolti e preparati durante le notti di ronda, e i suoi appunti e considerazioni arrivavano puntualmente sui tavoli delle riunioni sotto forma di pergamene strettamente arrotolate e vergate con una scrittura sottile e appuntita, che Remus aveva imparato a riconoscere ovunque.
 Non avevano più passeggiato però, loro due, Remus e Severus, non si era più confidati e quando si incontravano mantenevano tra loro una discreta ed educata distanza che sapeva di sospetto e ferite. 
Sirius prendeva dolcemente in giro Remus per la propensione che aveva di prendere sempre le parti di Severus, quando il nome del professore di Pozioni veniva snocciolato negli incontri dell'Ordine, come un'ombra che agiva alle loro spalle per proteggerli e Lupin sorrideva a quelle stoccate gentili, circondando le spalle di Sirius con un braccio e mormorando piano: “Non essere crudele con lui, Padfoot. Meriterebbe molto di più, Severus, credimi”
 “Mocciusus?” ghignava sempre Black “Forse merita di più, ma un amico come te mi sembra troppo per lui, Moony”


 “Non mi ricordo più, siete tornati amici?” gracchiò Sirius e sembrò improvvisamente combattere con il sonno. 
 E Remus sapeva che a volte la memoria di Sirius diveniva confusa, che tredici anni ad Azkaban avevano lasciato il segno e tutto quello che era avvenuto dopo la sua liberazione era difficile da processare. Sapeva che a volte Sirius dimenticava di come fosse arrivato in una stanza, che seguire le riunioni e le parole per lui era uno sforzo, che spingeva alla risoluzione, all'attacco, all'azione, in modo a volte incoerente e testardo, perché una parte di lui era rimasta il ragazzino incosciente di un tempo, incarcerato seppur privo di colpa e tenuto in piedi solo da onore e sete di normalità. 
 Quel ragazzino che con Remus aveva ascoltato musica, mormorando di tempi migliori. Lo sapeva Remus Lupin, ma era difficile accettare quella nuova realtà dove quasi affogavano, pur disperatamente provando a stare a galla insieme.
 “No” scosse il capo il mannaro “Io e Severus non siamo mai stati amici, Padfoot. Ma parliamo. Quello sì”
 “Ah già, ora ricordo” mormorò Black con un sospiro di sollievo “A me non piace lui”
 “No, lo so” sorrise Remus, posandogli un bacio veloce sulla fronte e districandosi dalle coperte. 
 Si vestì velocemente, combattendo contro il freddo che sembrava invadere quella casa, nonostante fossero in estate, si voltò una volta pronto per osservare l'altro uomo, ancora sdraiato sulla schiena, lo sguardo grigio rivolto al soffitto. 
 “Sirius” lo chiamò dolcemente “Vuoi fare colazione insieme prima di andare dagli altri?”
 “Mi piacerebbe, Moony” mormorò lui, costringendosi a mettersi seduto, fragile e magro. Simile a un'ombra.
 “Non devi per forza partecipare alla riunione oggi, se non vuoi, nessuno si asp...”
 “No, Rem. Voglio partecipare. Voglio capire cosa stiamo facendo. Voglio aiutare.”
 Remus gli sorrise lentamente e annuì appena, si chinò in avanti a rubargli un bacio, mormorò tra i denti “Ti aspetto in cucina”, ma avrebbe voluto gridare, perché se c'era un modo sicuro di perdere di nuovo Sirius Black era vederlo annegare in una guerra non più sua e che lo avrebbe sopraffatto prima ancora che se ne rendesse conto. 

*

Severus destava presenziare alle riunioni dell'Ordine a Grimmauld Place. 
Quella casa era semplicemente rivoltante. Il broccato alle pareti, le teste di elfo appese in corridoio, i quadri arcigni che seguivano ogni suo movimento. Ogni cosa risvegliava in lui quel senso di inadeguatezza che aveva afflitto la sua infanzia e adolescenza, facendolo sentire sbagliato, non voluto, inappropriato. 
Aveva combattuto duramente, Severus, per dimostrare a tutti di avere capacità e cervello, aveva sbandierato con orgoglio le sue origini, puntando i piedi sul suo essere migliore, nonostante non avesse il sangue puro. Ed era stata proprio quella sua sete di essere accettato che lo aveva fatto arrossire più del dovuto ai complimenti dei Serpeverde più grandi, che lo avevo reso duttile alle loro moine, che lo aveva messo su un strada di cui ancora provava a scrostarsi le colpe. 
Ed ora quella casa di pizzi e ricchezze, anche se appassita e resa grigia dal tempo che passava, gli ricordava con violenza quanto fosse stato vano combattere con tutto sé stesso, perché in fondo ci sarebbe sempre stata una casta pronta a considerarsi migliore di lui. Migliore di tutti i maghi.
Grimmauld Place era decrepita, grondante di magia oscura, stantia nei suoi motti e nelle sue colpevolezze. Severus riusciva a immaginare gli inchini delle donne e gli sguardi gelidi degli uomini nei Gala delle grandi occasioni, riusciva a visualizzare con chiarezza cristallina l'orgoglio tronfio dei Black di generazione in generazione. Glielo aveva raccontato Regulus Black, con un misto di rispetto e imbarazzo, di quanta nobiltà e vigliaccheria aveva galleggiato in quelle pareti. 
Glielo aveva raccontato nel suo ultimo anno di scuola, quando lui e Severus avevano cominciato a scambiare qualche timida parola piena di sospetto. Entrambi più giovani degli altri Mangiamorte, entrambi più desiderosi di essere riconosciuti come giusti e potenti. Non era rimasto più nulla di Regulus Black. Nemmeno un ricordo, nemmeno un lamento. 
“Severus” 
 Piton si voltò, distogliendo lo sguardo dal grande albero genealogico che riempiva tutta la parete della stanza e trovò Remus Lupin che lo osservava appoggiato mollemente allo stipite della porta, un sorriso gentile sul volto. 
 “Lupin” rispose in un saluto appena accennato.
 “Mi chiamerai mai con il mio nome, Severus?”
 “Non credo, no.”

 “Sei il primo, gli altri arriveranno tra un minuto” rispose quello, gentile e amaro alla stesso tempo, facendo morire tra i denti la risata secca e attraversò la sala fino a una vetrinetta polverosa da cui prese dei bicchieri e un vecchio Whiskey, appoggiandoli sul tavolo in legno scuro. 
 Severus rimase in silenzio, con misurato e studiato distacco, lo sguardo che però controllava distrattamente le nuove ferite di Lupin, come un automatismo, i graffi, le imperfezioni che lui era troppo distratto per curare, ma che Severus, con la sua attenzione ai dettagli, non faticava a riconoscere.
 La luce fuori dalle finestre si abbassava sempre di più, disegnando aloni rossastri e blu al di là delle tende sottili, Lupin accese con un colpo di bacchetta le candele del vecchio lampadario di diamanti e vetro colorato, che troneggiava sopra di loro. Il fuoco crepitava rumorosamente nel camino, come se volesse sottolineare il silenzio tra loro.
 “Un bicchiere?” chiese il mannaro con un sorriso. 
Severus si irrigidì istintivamente, come sempre davanti alla gentilezza del mago, ma fece un debole cenno di assenso e prese posto su una vecchia sedia, lo sguardo di nuovo rivolto verso l'albero genealogico. Remus non lo disturbò con altre parole, lasciandolo al suo silenzio, ma prese posto accanto a lui, bagnandosi appena le labbra con il suo Whiskey, prima di passarsi stancamente una mano sul volto. Piton notò il gesto e aggrottò le sopracciglia. 
Mancavano quasi due settimane alla luna piena, eppure Lupin sembrava stravolto, le occhiaie erano pesanti sul suo viso, le spalle basse, l'aria arruffata ed esausta. E l'istinto che aveva assunto nell'anno speso insieme tra le mura di Hogwarts pungolò di nuovo sgradevolmente lo sterno di Severus, provocando una vaga preoccupazione. 
 “Non dormi abbastanza, Lupin?” chiese secco, senza riuscire a trattenere la domanda. 
 Remus alzò lo sguardo color cioccolato su di lui, sorpreso, le labbra socchiuse in un'espressione buffa. 
 “No, in effetti” ammise tranquillamente dopo un istante. 
 “Black ha gli incubi e guaisce nel sonno tenendoti sveglio?” chiese pungente l'altro. 

Non riusciva a essere cortese, Severus, non riusciva a comporre domande placide come faceva l'altro, perché era sempre così stanco, e solo, e arrabbiato, soprattutto. Perché nessuno gli chiedeva mai come stesse lui, nessuno si preoccupava mai che lui dormisse abbastanza. Tranne Lupin. Perché passava le notti da solo a intrattenersi con i Mangiamorte, Severus Piton, indossando maschere affogate nell'Occlumanzia e poi le mattine si costringeva a lavorare al piano di studi degli studenti di Hogwarts, a cui malgrado tutto doveva insegnare, per mantenere la sua copertura. E i suoi pomeriggi erano sprecati a ripristinare le protezioni della scuola, che doveva però essere in grado di spezzare, comunicando con dei professori che non poteva più farsi amici, fintanto che Silente non lo avrebbe reso partecipe di quale fronte gli toccava ferire a morte.
Era finito da tempo il periodo dei the in compagnia e delle chiacchierate accademiche fatte insieme a Minerva e gli altri docenti, perché i giorni erano senza fine e le sere erano dedicate all'Ordine, ovviamente, le riunioni, il costruire una rete di comunicazione, gli appunti, le ricerche. E poi Potter, Harry Potter, a infangare ogni suo pensiero e a ostinarsi a mettersi nei guai più di quanto non fosse, diventando la sua più grande preoccupazione, tanto che appena chiudeva gli occhi, Severus sognava solo Lily, accusatoria e arcigna, seppur bellissima, che lo guardava e...
 “In effetti è così.” rispose pacato Remus, con la sua costante gentilezza, incapace di mostrarsi ferito dalle parole dell'altro uomo e Piton sbatté le palpebre confuso, dimentico del motivo per cui Remus gli stava parlando.
 “Come dici Lupin?” chiese rauco e freddo. 
 “Le notti di Sirius sono difficili a volte” rispose quello “e se aggiungi le sue crisi post Azkaban, le ronde e le riunioni mi rimane poco tempo per dormire. Immagino che anche per te non sia semplice, Severus, quindi potrai capirmi”
Piton si sentì arrossire, con una strana sensazione, simile a quella che aveva provato nel chiamare Lily 'Sanguesporco', che gli strinse il petto e pressò le labbra in risposta, lo sguardo onice fisso sulla parete. Tra tutti in realtà Lupin era quello che meno voleva ferire. Perché il mannaro era destinato come lui alle retrovie, ai compiti gravosi e ingrati, oltre che essere travolto dai suoi problemi personali. Eppure si ritrovavano sempre insieme a stuzzicarsi con gentile comprensione e a ferire il silenzio reciproco per non soffrire troppo la solitudine. 
Un bicchiere di Whiskey a sancire la distanza tra loro.

 Severus lo sapeva cosa poteva fare Azkaban, perché li aveva visti alcuni dei Mangiamorte un tempo sadici, ma ferocemente intelligenti, trasformarsi in bestie dopo la prigionia. Poteva immaginare le difficoltà di Black e vedeva chiarmaente l'ostinato amore di Lupin, la sua calma nel cucire le ferite dell'altro, rinunciando a sé stesso.
 “So che è dura, Lupin” si forzò quindi a dire, lottando contro l'arsura che sentiva nella gola e le pareti di Occlumanzia che come un istinto antico calavano feroci nella sua mente, ma Remus si voltò e gli fece un debole sorriso. 
 Prima però che potessero aggiungere altro, o che il silenzio si facesse teso, ci fu un tramestio e i coniugi Weasley entrarono nella stanza, seguiti dal primogenito e la figura magra di Sirius Black. Severus indugiò con uno sguardo distaccato sul profilo del Malandrino, mentre quello scopriva i denti in un'espressione sprezzante. 
 “Mocciosus” disse solo Sirius.
“Cane” rispose Piton rigido, senza tentare di nascondere lo sprezzo, ma senza nemmeno sentirsi ferito. 
 Era lontano il tempo in cui la presenza di Sirius Black gli aveva provocato timore. Lontano il tempo in cui i suoi sentimenti per i quattro Malandrini erano stati solo rabbia e invidia. Potter era morto. Minus aveva tradito. Black era un'ombra di sé stesso e Lupin... Gli occhi di Piton si mossero d'istinto verso il mannaro che sorrideva al nuovo arrivato, lo vide spostare la sedia accanto alla sua e far accomodare Black accanto a sé, notò lo sguardo che si scambiarono, il modo in cui i loro corpi sembravano adattarsi allo spazio in modo da stare il più vicino possibile. 
 “Sii gentile con Severus, Sirius” mormorò gentile Remus e a Piton quasi sfuggì un sussulto, mentre usava tutta la sua concentrazione per rimanere indifferente, anche se il ragazzino che era stato quasi gridava di gioia e confusione nel rendersi conto che Remus Lupin lo stava difendendo alla presenza di un altro Malandrino. 
 “Si può sapere perché lo difendi sempre?” sbiascicò Sirius, avvicinandosi a Remus di un altro millimetro e continuando a ignorare ostinatamente Severus come se non fosse lì.
 “Perché stiamo collaborando con lui, Sirius e perché è simpatico”
 “Mocciosus non può essere simpatico.”
“Questo lo dici tu, Padfoot”
 “Moony”
 “Dimmi”

 “Sei strano.”

Non stavano nemmeno più badando a lui, Severus sentì come un telo calare tra sé e i due vecchi amici, che battibeccavano con i volti vicini, prima di tornare entrambi lucidi e focalizzarsi sui piani che Arthur mostrava loro.
 Non si accorse nemmeno, Severus Piton, che tutto l'Ordine era presente, che Albus era arrivato a capo del tavolo, che Kingsley stava ponendo delle giuste questioni, che Minerva lo osservava con il suo sguardo severo e gentile. Non si accorse di tutte le discussioni riguardo Potter, le protezioni necessarie, il lavoro da fare per limitare il Ministero nelle sue azioni che sarebbero state sicuramente sovversive. Non si accorse di niente di tutto ciò.
 L'unico elemento che attrasse l'attenzione di Severus, per l'ora che rimase seduto a quel tavolo, fu il modo in cui la mano di Black aveva preso a tremare dopo che l'aveva puntata sulla pergamena davanti a Bill e di come il mago l'avesse nascosta prontamente sotto il tavolo, chiudendola stretta in un pugno per non mostrare al resto dell'Ordine la sua debolezza, sfoggiando in cambio un ghigno feroce. E si accorse poi, Severus Piton, di come Remus Lupin si fosse prontamente chinato verso l'uomo, con un sorriso gentile e come avesse mormorato lui qualcosa, prima di tornare ad appoggiarsi allo schienale della sua sedia, il volto rilassato rivolto verso i presenti, attento ai temi della riunione. 
La relazione tra i due maghi non era segreta, ma sembrava incapace di soffrire il pettegolezzo, perché Black e Lupin erano stati da subito esageratamente protettivi verso la loro coppia. Nessuno ne parlava apertamente e loro sembravano apprezzare la situazione, tenendo gelosamente tra loro ogni aspetto privato, come una cosa bella che non si è pronti a condividere. Eppure era così evidente il loro legame. Come se un filo dorato li unisse uno all'altro.
 Severus non aveva mai fatto commenti sprezzanti a riguardo del loro rapporto, nemmeno per prendersi gioco di Black. Aveva tenuto ben separate nella sua mente il difficile senso di fiducia che divideva con Lupin e lo sprezzo tagliente che scambiava con Black, ma qualcosa di tiepido lo invase nel vedere come, seppur tenendo il corpo a una distanza discreta dall'altro mago, la mano di Remus aveva di nuovo raggiunto il pugno tremante di Sirius sotto il tavolo, aprendolo con una mossa gentile, intrecciando le dita a quelle dell'altro, in un gesto protettivo e pieno di conforto, che sapeva di vissuto e affetto. Si sentì scosso, Severus Piton, in fondo alla durezza del suo animo, vedendo come la preoccupazione si spandesse sul volto di Remus e il sorriso di Black si facesse più spaurito.
 E per la prima volta, davanti a quel muto affetto tra i due Malandrini, che senza parlare si supportavano l'un l'altro, Severus si chiese se quello fosse amore e soprattutto si domandò, con stupita angoscia, perché, se un creatura così spezzata, confusa e fragile, come Black, ormai ombra di sé stesso, senza più famiglia e passato, era in grado di accettarlo e farlo suo, di coltivarlo con quell'attenzione e rispetto, perché lui, Severus Piton, non era capace nemmeno di far entrare nella sua vita una cosa semplice come l'amicizia.

E si sentì invidioso come da ragazzino, Severus, con quella vorace voglia di affermarsi e la sensazione frustrata di aver sbagliato qualcosa e di non poter desiderare di meglio per sé. E strinse i denti chiedendosi perché tutti avessero un motivo per lottare per un futuro migliore e lui era l'unico che cercava ostinatamente di migliorare il passato. 
 Indurì il suo sguardo, Severus, facendosi gelido e rabbioso, mentre per distrarsi elencava mentalmente con minuzia tutto quello che lo aspettava una volta uscito di lì: le pozioni che avrebbe dovuto preparare per l'Ordine, i piani da rivedere, l'incontro con Albus all'alba, prima di passare poi da Mulciber e Nott e...
 Severus prese bruscamente respiro e sentì gli occhi di Remus spostarsi verso di lui indagatori a quel gesto. Lo vide scrutare il suo profilo mentre lui lo ignorava trattenendo il respiro, ma proprio quando il petto gli si occludeva di dolore e mancanza d'aria, pungolandolo con l'idea di abbandonare quell'assurda casa gremita di magia nera, dove si giocava a fare la Resistenza, la porta della sala si aprì di scatto, mostrando la figura agitata di Dedalus Lux.

 “Dissennatori!” esalò quello “Dissennatori, da Potter. Il ragazzo si è difeso... il Ministero.... Immagino Wizegamont...” Black in un attimo fu in piedi, attraversando la stanza con slancio verso Lux, e Severus riuscì a vedere un lampo di feroce protezione nei suoi occhi grigi al pensiero di Harry in pericolo. Una protezione per cui, persino Piton, si accorse di provare un vago rispetto. Perché una voce dentro di sé quasi sibilò che Lily Evans sarebbe stata orgogliosa di aver scelto come padrino Sirius Black. Perché Lily Evans era stata dolce e gentile, con quelle sue lacrime che si decideva a versare solo per Piton, con quel suo sorriso onnipresente, ma Severus la ricordava anche ostinata e battagliera, pronta a difendere senza vergogna, sulla linea di guerra ogni volta che veniva ferito il suo senso di giustizia. Lily che aveva...
La mano di Lupin si strinse inattesa sulla sua spalla, in supporto e lui alzò la testa di scatto a scrutare lo sguardo tranquillo del mannaro, chiedendosi per l'ennesima volta perché Remus Lupin volesse essere suo amico ora che a legarli non c'era più nemmeno la stessa solitudine e amarezza, ora che lui poteva essere felice. Almeno un po'.
 “Stai bene, Severus?” chiese il mannaro “Sei pallido”
L'altro inghiottì un boccone d'aria e annuì in un gesto secco. 
 “Sto bene. Stanco” strascicò “Va da Black, Lupin”
 Remus gli lanciò un'ultima occhiata attenta, ma annuì a sua volta, attraversando poi la sala per raggiungere Black, spezzato dall'agitazione per il suo pupillo. E Severus esalò un sospiro e subito sibilò tra i denti al pensiero di Potter ancora in pericolo, mentre al suo fianco Ninfadora Tonks, una sua vecchia studente con capelli di un ridicolo viola acceso, scuoteva appena il capo, attirando così la sua attenzione. 
 “Non sa stare al sicuro per un solo secondo questo Harry Potter” mormorò la giovane, lo sguardo perso verso Black che inveiva contro Lux e Remus che cercava di calmarlo con pazienza. 
 Piton si voltò, lanciandole una veloce occhiata. 
 “Concordo.” disse solo. 

*


Sirius aveva appena avuto una crisi. Terribile. Violenta.
 Si era svegliato gridando, il corpo così contratto da far spavento, lo sguardo chiaro sgranato rivolto verso il soffitto. I sensi di Remus, acuiti dalla vicinanza con la luna piena, erano subito andati all'erta e in un istante si era ritrovato lucido accanto all'uomo, liberandolo dalle lenzuola e chiamandolo dolcemente. 
 “Padfoot” esalò, mentre alla rinfusa afferrava la bacchetta e lanciava un incantesimo insonorizzante sulla stanza.

 Sirius si mosse ancora di scatto, senza controllo, come in preda alle convulsioni, le labbra tanto strette da sembrare viola. Si guardò intorno spaventato, muovendo le mani nel vuoto in un suono rauco e Remus fu svelto ad afferrarle e a trattenerle tra le sue, per fare in modo che non si graffiasse. 
 “Padfoot” lo richiamò dolcemente, stringendolo con forza contro di sé, impedendogli di sfuggire.
Lo aveva visto una volta lanciarsi contro una parete più volte, fino a svenire a terra. Lo aveva visto picchiare la fronte con disperazione fino a coprirsi di una maschera di sangue. Lo aveva visto crearsi cicatrici di graffi ed escoriazioni, o strapparsi i capelli convinto che qualcosa lo attaccasse dall'interno, piangere disperato di colpe non sue, mentre snocciolava nomi con frenesia. La mente di Sirius, il suo Sirius, era fragile e dolorante.
“Padfoot. Sei al sicuro. Sei a casa. Sono io, Moony.”
 “Sono a casa” disse rauco l'altro e sebbene i suoi muscoli si allentarono un poco, il suo respiro rimase accelerato.
 I secondi passarono lenti, fino ad addensarsi in minuti grevi e penosi, ma infine Remus sentì la cassa toracica di Sirius calmarsi contro il suo petto e la pace scorrere tra i loro corpi in modo che lentamente si distesero entrambi, l'uno contro l'altro, sfiniti da quell'attacco improvviso e imprevisto.

Avevano passato delle buone giornate e delle notti tollerabili, fino a quel momento. Con l'estate Sirius era stato preso quasi da un insensato buon umore e Remus lo aveva visto persino ridere, più simile a sé stesso di quanto non si fosse aspettato di vederlo mai più nella vita. Lo aveva osservato parlare con Harry con fare complice e presente, lo aveva sentito respirare pacato nel sonno, lo aveva percepito leggero e pieno di speranza. E aveva approfittato di quella flebile gioia Remus, quando Sirius arrivava nelle giornate buone in cucina e si versava il caffé, con quel ghigno da lupo che lui amava, prima di sussurrare “buongiorno”, le dita che gli sfioravano la guancia e la dolcezza mischiata alla stanchezza. “Che cosa facciamo oggi, Moony? Qualunque cosa tu voglia per me.”. 
 E ne aveva approfittato a piene mani di quei momenti di baci, Remus Lupin, di ferite ricucite insieme, di calore, pelle e corpo. Dove gli occhi grigi di Sirius sembravano pieni di qualcosa che non fosse disperazione, gli abbracci si erano fatti soffici e le giornate positive. Mentre vivevano quegli stralci di vita insieme, dove tornare dalle ronde, non significava trattenere il respiro per capire quale faccia incrinata, del diamante spezzato che era Sirius Black, avrebbe dovuto affrontare, ma significava complicità e affetto.

 “Mi dispiace” mormorò Sirius, con le lacrime agli occhi che Lupin non avrebbe mai creduto di vedere su quel  viso nobile e affilato. Non avrebbe mai creduto di vedere a spezzato l'orgoglio di Sirius Black.
 “Non hai motivo di dispiacerti, Padfoot. Stai bene. Stiamo bene” mormorò in risposta, baciandolo sulle labbra e sulle guance, stringendolo a lui, ricomponendolo pezzo dopo pezzo, con un briciolo di ostinazione e una vaga disperazione. 
 E ancora, e ancora, e ancora. 

  “Questa casa non mi fa bene” sussurrò rauco Sirius.
 “Immagino di no” rispose lui Lupin “Vuoi andartene? Possiamo tornare nel nostro appartamento se lo preferisci. Anche solo per un po', basta chiedere, Padfoot. Silente non...”

 Ma Sirius scosse di nuovo il capo e prese respiro. L'aria stanca e la maglia scostata sul petto scarno, a mostrare i tatuaggi sottili. Remus sospirò appena, spostò la mano dal costato dell'uomo fino a quei disegni incerti, li accarezzò lentamente, mentre Black tratteneva il respiro, come se non fosse ancora pronto a quel nuovo livello di intimità: le parti di loro stessi che non conoscevano dell'altro, quei tredici anni di silenzio tra loro.

“Quando li hai fatti quei tatuaggi?” chiese lentamente Remus, con l'intento sincero di parlare d'altro, di qualunque cosa. 
Il volto di Sirius si contrasse appena, ma poi si spezzò con un sorriso gentile, brillante. 
 “Non te l'ho mai raccontato?” mormorò dolcemente, stranamente rilassato. 
 “No” rispose lui Remus, esortandolo a continuare con un cenno del capo, mentre entrambi si appoggiavano contro la spalliera del letto, nella penombra calma della notte, i cigolii della casa a far loro da cornice.
 “Li ho fatti da solo con china e disperazione. Ad Azkaban. Questo ramo al centro rappresenta Hogwarts” disse Sirius, spostando la mano di Lupin, facendola scorrere sul suo sterno “Questo è James” continuò lentamente, portando le dita del mannaro su una linea sottile che sembrava il profilo di una scopa “Questo sei tu” aggiunse con l'ombra di un sorriso, muovendosi su varie fasi della luna, tratteggiate con mano malferma, che Remus sentì scorrere spesse sotto i polpastrelli “Questa linea spezzata rappresenta Pete. Questo obelisco rappresenta Mary, mi ricordava il suo rossetto. Questo quadrato è il libro preferito di Marlene. Questo ovale è un fiore chiuso, un bocciolo diciamo, rappresenta Lily. Questa linea ondulata invece è una serpe rappresenta Piton. Questo invece...”

 “Hai tatuato qualcosa che rappresenta Severus sul tuo corpo?” chiese curioso Remus e Sirius sbuffò. 
“Sapevo che ti saresti fermato su questo punto” rise appena tra i denti, stancamente “E no, non rappresenta Severus, come lo chiami tu. Rappresenta il passato però, rappresenta qualcosa che non volevo dimenticare, rappresenta Hogwarts. Azkaban tende a rendere tutto confuso mentre sei lì.  È un posto che...”
 “Toglie molto” mormorò Remus con sguardo di scuse “Lo so, me l'hai detto” aggiunse e si allungò sul comodino per prendere una barretta di cioccolato, spezzandone un quadratino per darlo a Sirius. 
 “Sei ancora convinto che tutto si aggiusti con un pezzo di cioccolato, Moony?”
 Il mannaro sorrise appena e si chinò su di lui, gli rubò un bacio che sapeva di dolcezza, si strinsero per non cadere in pezzi, pronti a dormire per qualche ora nervosa di sonno e veglia, prima  che le ronde riprendessero per Lupin e la noia ripiombasse come una condanna sulle spalle di Black.


 “Ci tieni davvero a Mocciosus. Vero?” chiese Sirius nel sonno “Ci tieni davvero.”
 “Sì, certo. Tengo a lui” rispose Lupin, stringendo il corpo magro dell'altro in cerca di calore. 
“È un po' il tuo Regulus” esalò Sirius in un sussurro e Remus ricordò il profilo sottile del secondo fratello Black. Non pensava a Regulus da secoli. 

 Eppure improvvisamente gli tornò il ricordo dell'angoscia di Sirius per quella versione di sé più giovane e sospettosa, ricordò le litigate dei due sputate tra i denti, ricordò gli sguardi ostinati che si scambiavano in Sala Grande, ma mai nello stesso momento. C'erano delle volte in cui era Sirius che cedeva ad avvicinarsi al fratello, in un segno di protezione ed esasperazione, cercando un dialogo attraverso la sua ostinata irruenza, la sua logica per lui ferrea e per Regulus troppo piena di imperfezioni e boria. C'erano delle volte in cui invece era Regulus ad avvicinarsi all'altro, lo sguardo brillante di orgoglio e le spalle incassate, le labbra piene di parole sussurrate, di inviti a riflettere, a discutere civilmente, a non perdersi, che rimbalzavano sulla rabbia giovanile dell'altro. 
 Erano due varianti dello stesso problema che non riuscivano mai a incontrarsi, Regulus e Sirius, che si avvicinavano di un passo pieni di speranza, per poi bruscamente chiudersi in loro stessi, a leccarsi le reciproche ferite, ad affrontare ognuno per sé i propri incubi, spesso così simili tra loro. Non riuscivano a guardarsi davvero, pur essendo a un solo passo. 

Esattamente come lui e Severus. 
 “Sì. Piton è un po' il mio Regulus, forse” mormorò lentamente Remus, ma Sirius già dormiva.

*

Nevicava. Nevicava copiosamente. 
Severus fece un mezzo sospiro nervoso nel guardare quel candore inatteso fuori dalla finestra, mentre Bill Weasley controllava un'ultima volta il piano di ronde della settimana a venire e lui si sforzava di annuire a tempo con le sue domande. Anche Remus era presente, silenzioso, seduto in un angolo dell'ampio salone su una vecchia poltrona, gli occhi chiusi, come se stesse sonnecchiando in quell'attimo di pausa. Nevicava. E se c'era una cosa che agitava Severus profondamente, più della pausa estiva piena di nulla se non di silenzio, allora quella era la neve. 
 “Remus dovrà fare i primi sopralluoghi per cercare i branchi” snocciolò tranquillo Bill, ignaro dello stato d'animo dell'altro uomo, mentre si legava i lunghi capelli in una coda bassa e arruffata. 
 Era uno dei pochi Weasley di cui Severus tollerava la presenza perché lo trovava pragmatico e discreto. Ci aveva a che fare il poco necessario per considerarlo una mente adeguata al ragionamento e a non innervosirsi quindi a ogni respiro. Considerò distrattamente le parole del rosso e si costrinse ad abbassare di un millimetro il mento, in segno di assenso. Gli occhi scuri che tremolarono per un breve istante lontani dalla neve verso la figura lunga e rannicchiata di Lupin. 
 Il mannaro però non sembrò farci caso, socchiuse solo lo sguardo, per poi annuire a sua volta in segno di assenso, la testa sorretta dalla mano, come se i pensieri gli stessero diventando insopportabili.
 “Cosa si sa dei branchi?” domandò Severus, in una richiesta strascicata.
 “Poco. Abbiamo una segnalazione di almeno due piccoli gruppi a Sud di Londra” disse Bill  “Attualmente sembrano innocui, nessun attacco segnalato al San Mungo. Potrebbero solo in cerca di aiuto e sarebbe ideale prendere contatto con loro, o almeno far sapere che hanno la possibilità di parlarci se vogliono”
 “Mi sembra un'ottima idea” disse piatto Severus, lo sguardo di nuovo distratto dalla neve chiara.
Perché era romantica la neve, ovviamente. Nel senso più lato del termine. Faceva venire voglia di prendersi una pausa, di rallentare, di concedersi un attimo di pace e contemplazione. Ed era così piena di ricordi, la neve. Di giochi da ragazzino e di momenti di vacanza che avevano l'odore di spezie, the caldo e biscotti allo zenzero. Lily Evans.


“Abbiamo anche un piano di case sicure ormai attivo.” riprese il rosso “Andromeda ha comunicato ieri a Tonks che lei e il marito ci lasciano la loro in caso servisse. È protetta anche da magia del sangue, in quanto Spezzaincantesimi posso testarne l'efficacia con un sopralluogo. Ovviamente anche quella di Dedalus è disponibile, ma alcuni dipendenti del Ministero ne conoscono l'ubicazione e non potremo fidarci troppo a lungo del Ministero. Stessa situazione per quella di Kingsley. Silente si sta attivando per analizzarle personalmente.”
 “Rosmerta?” chiese Piton incerto, un sopracciglio scuro inarcato, mentre tornava a dare una veloce occhiata prima a Lupin, ancora assopito, e poi al Weasley “Ha detto che alcune stanze del pub possono essere protette”
 “Rosmerta ha il pub, appunto” spiegò quest'ultimo “Essendo un luogo così pubblico per definizione ci sarà troppo movimento. Se dovessimo attuare delle evacuazioni sarebbe complicato, ma è utile per le urgenze, o gli spostamenti lampo di persone, anche perché a Hogsmeade non abbiamo appoggi, è decisamente un punto debole che dovremo sistemare, a meno che Minerva non riesca ad aver successo con Abeforth, ma...”
 “Albus non era molto fiducioso, lo so.” mormorò Piton in un sospiro.
Neve. Lily. Non pensava più molto a Lily, in realtà, Severus Piton, non nel modo feroce e disperato dei primi tempi. Era diventata una presenza tenue nei suoi pensieri, relegata in un angolo quieto della sua esistenza, dove l'aveva mutata in motore logico delle sue scelte. Lily era morta. Vero. Lily era morta perché lui aveva ambito per una volta della vita a essere guardato con gratitudine e orgoglio da qualcuno, perché aveva sperimentato la voglia di essere apprezzato, di essere riconosciuto come valido. Aveva ceduto e Lily era morta. Severus non era più disposto a cedere a nulla.
 “Che mi dici della profezia?” chiese nervosamente, cercando di sviare il discorso “Non possiamo continuare a lungo a fare la guardia all'Ufficio Misteri senza destare sospetto. Specie dopo l'attacco di Natale a tuo padre”

 “Lo so” lo interruppe Bill “Ma non abbiamo un posto sicuro dove portarla e in realtà equivarrebbe a rubare al Ministero se accompagnassimo lì Harry a prelevarla. L'ufficio Misteri, anche se non sorvegliato strettamente da noi, in fondo rimane un luogo sicuro. Anche perché o Voldemort in persona si presenta, o...”
 “Piuttosto difficile che Harry fugga da scuola e si diriga là a prendere una profezia di cui non conosce l'esistenza” rispose per entrambi Lupin, snocciolando le risposte che masticavano da giorni con asprezza inconsueta.

Piton lo osservò per un istante, registrò la stanchezza negli occhi color cioccolato, il modo in cui l'uomo si passò di nuovo una mano sul volto in un gesto pieno di stanchezza, prima di chinarsi in avanti e poggiare i gomiti sulle proprie ginocchia, in quella che sembrava una posizione straordinariamente scomoda. Severus non commentò, trattenendo l'umanità che a volte, in quella situazione dove tutti si ritrovavano a dividersi a morsi pezzi sbrindellati di speranza, arrivava ad accarezzargli tentatrice lo sterno, incrinando le sue numerose maschere d'astio. 
 Non si era più fidato di nessuno, Severus, non aveva affidato più la sua amicizia a terzi. Non dopo Lily. Non dopo Regulus. Nemmeno a Remus Lupin, che più di tutti si avvicinava alle sue stesse ferite. Ma Severus non viveva più nemmeno nel rancore e nella disperazione disarmante dei primi tempi. Il volto dell'amica d'infanzia non appariva in tutti i suoi incubi e aveva smesso di lacrimare sangue e rimpianto. Il tempo sembrava aver parzialmente ricucito l'assenza, reso meno insopportabili le colpe, equilibrato la sua sofferenza. 
La morte di Lily Evans era diventato semplicemente il punto di svolta della vita del nuovo Severus Piton. Della vita di un uomo che non cedeva a sé stesso, per lavorare “più in grande”, rinunciando alla possibilità di vivere, scegliere e persino di sbagliare, ma per il bene comune. Severus Piton era ormai programmato unicamente per il fine ultimo, per la morte di Voldemort, per la liberazione di tutti quei pesi sulle sue spalle. Poi avrebbe riposato. Forse. In fondo a ogni cosa. Ci avrebbe provato almeno.
 La nausea lo attanagliò allo stomaco, si staccò dal tavolo, sotto lo sguardo perplesso di Bill e si avvicinò alla finestra, cercando di inghiottire nella memoria l'immagine di lui e Lily bambina che giovano nella neve, di loro che mangiavano biscotti guardando i fiocchi cadere, ridendo forte, infantili e vicini. Cercò di estirpare il ricordo di Lily che correva per i corridoi del castello per raggiungerlo, perché la prima neve era una cosa che apparteneva a loro due, tanto quanto le sue lacrime. Perché anche se crescevano e cambiavano, quando tutto si copriva di quel bianco soffice e insensibile, Lily Evans e Severus Piton dovevano essere lì, immobili e senza parole a vivere quel momento spalla contro spalla.

 “Se vuoi fermarti qui per Natale, Piton” iniziò Bill con tono educato “Mia madre sarebbe contenta, sarebbe bello per tutti. Anche Silente apprezzerebbe che....”
 “Grazie Weasley, abbiamo finito” lo fermò secco Severus, con un gesto del capo e Bill sembrò incerto solo per una manciata di secondi, prima di accennare un mezzo sorriso mortificato e allontanarsi a grandi falcate, lasciandolo solo.  


Natale. Ci mancava solo l'idea di obbligarsi a passare quella giornata in una casa piena di un passato ingombrante e di persone che non lo volevano davvero. Persone anzi da cui lui stesso si era tenuto distante, con parole concise e velenose, con una rabbia misurata e precisa. Non poteva permettersi l'umanità e il calore, Severus Piton. No.

 Perché lui l'aveva distrutta Lily Evans e tutta la sua infanzia. L'aveva abbandonata nel suo passato complicato e quasi scordata per tutti in quegli anni nervosi e gelidi in cui lei aveva costruito una famiglia per sperare nel futuro e lui aveva invece disperatamente cercato una motivazione per vivere a dispetto del suo passato. Tutti quegli anni bui e senza uscita in cui aveva anelato il riconoscimento dei suoi meriti e delle sue capacità. In cui aveva cercato il sapore dell'amicizia. 
Aveva cercato di non pensare a lei, Severusrelegandola tra i ricordi più soffici e indistinti e ci era anche riuscito in qualche modo, almeno fino a quando Voldemort non aveva detto quelle tre parole, quelle tre terribili parole, in risposta alla sua profezia riferita per metà e snocciolata tra le labbra sottili con confusione: Sono i Potter.
“Sono i Potter” e improvvisamente Severus si era reso conto che dall'altra parte della guerra c'erano delle persone. Persone. Non delle ombre indistinte che lottavano contro di loro in nome di qualche archetipo o scrittura. Erano delle persone. Persone che avevano degli ideali reali, differenti da quelli del suo Signore. Erano persone con sogni e sentimenti, ricordi e pensieri propri. Erano persone come Lily Evans. Erano solo... 
 Piton arrancò lontano dalla finestra, inciampando nei suoi stessi piedi e le ginocchia ossute picchiarono sul pavimento duro, quando il suo orientamento perse ogni direzione. Sentì il panico invadergli i muscoli, facendolo tremare. Sentì gli occhi lacrimare e il fiato rantolare nel suo petto in cerca di via d'uscita. Il sapore metallico del sangue in bocca gli annebbiò i sensi, sentì grida, percepì la sua pelle indurirsi di brividi e paura. Annaspò, credendo di soffocare. Non ricordava più come si stesse in vita.

“Severus” la voce pacata di Remus gli arrivò da lontanissimo, obbligandolo a mettere in fuoco la situazione. 
 Passarono secondi, minuti, forse ore, prima che riuscisse a sentire di nuovo il corpo come suo, a riconoscere il dolore dei muscoli contratti, dei polmoni strapazzati dall'apnea. Si accorse con orrore di essere in ginocchio di fronte a un Lupin nella stessa posizione e chino verso di lui. Si accorse di avere la fronte appoggiata alla spalla dell'altro uomo e che lacrime gli colavano sulle guance. Si sentì inerme, debole e cercò di contrarre i fasci di muscoli e nervi per riprendere il consueto distacco tra loro e fuggire da quella stanza e la sua umiliazione, ma il suo corpo sembrava non rispondergli. 
 “Respira, Severus” ripeté Lupin tranquillo, le mani lunghe che premevano sulle sue spalle, come due presenze ferme e gentili, il corpo rannicchiato vicino al suo per farlo sentire protetto da quella stanza che sembrava troppo vasta per il suo smarrimento.
 Passarono altri secondi, minuti, ore. In quella casa che probabilmente odiavano entrambi. Severus si concentrò sul respiro tranquillo di Lupin, lo sguardo però fisso oltre la spalla del mannaro, pieno di vergogna nel farsi trovare così fragile. Scivolò tra i rami dell'arazzo sul muro, inciampando in volti sconosciuti e austeri, fino a ritrovarsi a fissare il viso sottile di un ragazzo ricamato, che dopo qualche istante riconobbe come Regulus Black. 
 Regulus Black. Ecco un altro fantasma che arrivava dal passato con orrore. Regulus Black. L'unico tra i Mangiamorte  con cui si era azzardato a parlare, con cui si era azzardato a respirare a tempo ammettendo la paura. Entrambi giovani in mezzo agli adulti, entrambi assetati di determinazione. Era svanito anche lui, Regulus Black, come cenere al vento.  
Severus non avrebbe saputo nemmeno dire quando o perché, ma improvvisamente sentì con chiarezza la sua assenza. Regulus Black. Un giorno camminava con lui nei ranghi dei Mangiamorte, guardandosi le spalle a vicenda, pieni di sospetto e comprensione, il giorno dopo l'avevano dichiarato morto in situazioni non chiare. Black. 
 
“Regulus” sussurrò inaspettato, nel tentativo di schiarirsi la gola secca e brucianti.

Lupin si riscosse a quel suono, lo osservò attentamente, come se stesse ragionando e Severus sbatté le palpebre, instupidito da quel momento di confusione, fino a quando Remus non gli tese una mano e lo aiutò a mettersi in piedi. 
 “Perché nomini Regulus?” chiese tranquillo il mannaro, ma l'altro uomo scosse il capo scuro, la fronte aggrottata, di nuovo chiuso ed ermetico dietro muri di ostinazione e paura irrazionale.
 “Non so. Mi è venuto, così” mormorò fragile, ma sincero “L'ho visto sull'arazzo.”
 Remus si voltò a guardare il ritratto a sua volta, lo scrutò per un istante prima di annuire assorto e si mise a cercare qualcosa nella tasca del suo pastrano che poi porse a Piton. 
 “È solo cioccolato, Severus.” disse, notando la fronte aggrottata dell'altro “Non morde”

 “Non lo voglio. Grazie.” rispose lui, con un leggero passo indietro.
 “Ti può aiutare, sai?”
 “Lupin...” iniziò con vago imbarazzo Severus “Non dire a Black...”
 “Che hai nominato Regulus?”
 “Sì. Non dirglielo”

 “Vi conoscevate?” chiese Remus “Tu e Regulus intendo” “Un po'” si obbligò a sputare Piton tra i denti, sperando che l'altro non facesse altre domande, che non lo obbligasse ad affondare le dita nei ricordi grigi del suo passato inconcludente e amaro tra le file dei Mangiamorte.

“Hai avuto un attacco di panico Severus. Non c'è nulla di cui vergognarsi” tentò il mannaro “Quello che puoi aver detto, o pensato, rimane tra me e te. Se non vuoi che citi Regulus...”
“Non dirlo” ripeté Piton, gli occhi neri simili a onice rovente, mentre fissavano l'altro uomo “Regulus non voleva che si parlasse di lui a suo fratello, me lo disse più volte. Mi disse che se fosse morto voleva essere dimenticato”
 Remus lo guardò con un vago stupore, forse rendendosi conto che non doveva essere stato l'unico giovane Mangiamorte spezzato, Severus Piton, che chissà quanti come lui e Regulus Black si erano frammentati in pezzi di sabbia contro un ideale in cui avevano pensato di credere e che si era rivelato invece una voragine.
 “Non dirò nulla a Sirius” mormorò infine e il sollievo che sentì Severus rischiò quasi di farlo sospirare e piegare in avanti per abbracciare l'altro uomo. 
 Perché poteva quasi sopportare il mannaro, Severus Piton, poteva quasi accettarlo quanto bastava nella sua vita, dandogli gocce di malferma fiducia, poteva gestire i suoi rimpianti e il ricordo confuso di Lily Evans, a volte eterea e delicata nella sua testa, altre volte testarda e forte, ma non aveva la forza anche di pensare alle torture, al gelo, alla disillusione del suo passato. Al modo in cui lui e Black, Regulus Black, senza mai dirlo nemmeno ad alta voce, avevano compreso di non avere posto al mondo in cui sentirsi a casa. Non nelle loro case. Non ad Hogwarts. Nemmeno tra i Mangiamorte. 

Erano a un passo l'uno dall'altro, Remus e Severus, la tavoletta di cioccolato tra loro. Le occhiaie sui volti, la stanchezza sulle spalle. Consumati, aridi di speranza, in piedi per pura inerzia. Piton che riprendeva lentamente il controllo, chiuso in una maschera di freddezza, Lupin via via più distratto, lo sguardo lontano e il respiro lento. Rimasero in silenzio. 
Fermi al centro di quella vacua stanza, all'ombra del grande albero genealogico della famiglia Black. Erano confusi come due bussole spezzate, troppe poche di ore di sonno sulle ciglia e l'assenza di un momento di pace da giorni. Fuori la neve continuava a cadere e nessuno dei due sembrava avere la forza di abbandonare quella stanza. 
 Severus sarebbe stato solo con i ricordi fantasmi di quei fiocchi leggeri, Lupin avrebbe dovuto ricomporre Sirius Black per la terza volta in una giornata, tracciando solchi e ferite che conosceva a memoria, sfinito in partenza. 
 Rimasero lì quindi, a farsi una tenue e muta compagnia. Stremati dal dover vivere in funzione di qualcosa, e fu infine Lupin, dopo parecchio tempo, a spezzare per primo quello strano momento di condivisione, condito solo dai loro sguardi perplessi e agitati.

“Devo andare, mi aspetta la ronda più tardi e volevo assicurarmi che Sirius fosse ok. Sei sicuro di stare bene, Severus?”
Piton si sforzò di piegare i muscoli irrigiditi e annuire in risposta, esalando piano un “Sì. Certo.”
 “Sai che puoi venire da me se hai bisogno?”chiese Remus lentamente.
  “Lo so, ma non lo farò” sputò sulla difensiva.
 “Lo so” sorrise amaro il mannaro “Ma è importante che tu lo sappia comunque.”
 “Con chi fai la ronda Lupin?”
 “Tonks” rispose quello, stupito dalla domanda dell'altro, forse. 
 Severus annuì lentamente una sola volta e percorse con lo sguardo il volto del mannaro, vagamente grato del suo aiuto, spezzato nel vedere che persino la gentilezza di Remus Lupin, la sua ostinata speranza, il suo sincero affetto per il figlio di Potter e Lily e il rinnovato amore per Black, non bastassero a tenere lontano l'esausta amarezza. 
 “Stai attento, Lupin.” disse, costringendosi a sputare fuori quelle parole, a cedere per un istante all'empatia che gli scaldava il petto “Mi dispiacerebbe non vedere più la tua brutta faccia”
 Remus sorrise mesto, annuì appena, distratto, gli lanciò un occhiata amichevole sussurrando “Lo sarò, Severus”. 
Poggiò la barretta di cioccolato sul tavolo e se ne andò.


*

Era ormai sempre nervoso Sirius, piegato dall'ansia e dalla frenesia, come se fosse costantemente sul punto di fare un ultimo scatto di corsa. A poco serviva la pace che Remus cercava di infondergli, le parole mormorate a tarda notte e affogate in tazze di the. Sirius era irrimediabilmente frammentato, incompleto, sempre sulla soglia di qualcosa, come in bilico con sé stesso. Annebbiato. E dormiva a manciate di minuti ormai e non più di ore. Si rinchiudeva nella soffitta con Fierobecco sempre più spesso, rannicchiato su sé stesso, le labbra fragili che mormoravano parole inudibili. 
L'inattività lo tediava e peggiorava la sua razionalità. L''assenza di stimoli, di Harry, o di altre novità a costringerlo a mettere insieme i suoi cocci, lo portavano all'incuria. Remus ci provava. Ci provava davvero a scrollarlo dalla sua condizione, a scavare in quel relitto di persona per cercare l'amore della sua vita, ma Sirius gli scivolava dalle dita.
 E cercava di ignorare la stanchezza persistente, Remus, le ronde sempre più massacranti alleggerite solo dalla presenza brillante di Tonks al suo fianco, cercava di mettere insieme sé stesso ogni volta che tornava a casa dai giorni insieme agli altri mannari, nel tentativo di essere soffice e tranquillo per Sirius, senza pensare all'odore metallico di muschio e sangue che avevano i suoi simili e che gli si attaccava addosso come una maledizione. Si convinceva di dover ricucire le sue ferite, rimettendo in equilibrio i frammenti di Sirius Black, placando il suo malessere, ma era stanco, Remus. Stanco tanto che a volte si sentiva solo un insieme di legamenti e respiri, senza più direzione, carne o futuro.
 “Da quanto non dormi Lupin?”
Severus lo fissava con sguardo scuro e preoccupato, Remus non si era nemmeno accorto che fosse ancora lì. 
 Di solito scivolava nella stanza, Severus Piton, lasciava la pozione Antilupo sulla scrivania a volte, accettava un pezzo di cioccolato, o un bicchiere di Whiskey nelle giornate più nere e se ne andava. Le spalle chine, i pensieri altrove. 
 Quel giorno invece qualcosa lo aveva trattenuto, ed era lì a strapparlo dai suoi pensieri, la fronte aggrottata e la punta delle dita pallide a stringere un pezzetto di cioccolato che doveva avergli offerto senza esserne accorto. 
 Remus grattò un po' di forza dal fondo della sua apatia, si costrinse a stendere un sorriso stanco, a rendere più gentili le linee della sua espressione. Non meritava acidità e altri problemi, Severus, non quando metà della guerra per qualche motivo gravava sulle sue spalle magre. 
 “Sto bene, Severus, davvero”
 “Non sembra”
 “Da quando ti preoccupi?”

 Il fastidio passò come un lampo sul volto dell'altro uomo, Lupin lo riconobbe in un battito di ciglia. Aveva imparato a leggerlo, Severus Piton, anche se nessuno dei due lo avrebbe mai ammesso. Aveva imparato a riconoscere la stanchezza nel tremore della palpebra, il sospetto nei lineamenti duri, la rassegnazione delle labbra serrate. Aveva imparato i dettagli in anni sbriciolati in rare passeggiate, molti silenzi e vecchi liquori consumati chini sui piani di ronda.   Era stato un appiglio per Remus, Severus Piton, una costante ermetica e sgradevole, che cercava di respingerlo con costanza, ma in cui eppure si riconosceva senza sforzo alcuno e che era grato di non avere mai troppo distante da sé. 
Si erano entrambi abituati alla presenza della solitudine dell'altro, forse. 
 “Non voglio essere una tua preoccupazione, Severus”
 “Non lo sei”

 “Allora non chiedere risposte che non vuoi in realtà conoscere”
 “Non ti odio, Lupin. Non abbastanza da vederti massacrare in questo modo.” rispose secca la voce dell'altro.

Era sempre gelido, Severus Piton, ma Remus doveva dargli atto di una certa coerenza nel suo rispetto blando, che quasi concedeva solo ad alcune persone, tra cui lui. Si mordeva con Black infatti, Piton, rivangando il passato e sputando sentenze, ma quando loro due passavano tempo insieme, Remus e Severus, anche solo confrontando i piani, le notizie e le possibilità, non citava mai Sirius. Non cercava di umiliarli per la loro condizione, quella di un coppia che si prosciugava di amore e pena, non scrollava Moony dicendo lui che cercava un fantasma dentro quegli occhi grigi, come aveva fatto Molly Weasley. Severus lasciava che Remus trovasse il suo modo di cucire le proprie ferite e quelle di Sirius e non inferiva mai, come se il suo fine ultimo fosse quello di lasciare ad ognuno il proprio spazio per esistere.
Ed era grato, Remus, a quei 'Stai bene, Lupin?' sputati tra i denti di quell'uomo rigido e controllato. Grato di quella fugace attenzione che scivolava su di lui senza mai soffocare, quasi solo come una carezza amichevole e di conforto.

 “Ho un disperato bisogno di dormire” sussurrò il mannaro e allungò una mano a poggiarla sulla spalla dell'altro uomo, stupendosi quando non lo sentì ritrarsi come sempre e lo vide pallido nel tentativo forse di apparire gentile.
 “Come sta Black? È lui che ti preoccupa?” mormorò Severus, a voce tanto bassa che quasi non sembrava reale e Remus sentì gli occhi che pizzicavano di lacrime e sale a quella domanda così netta e inattesa. 
 Perché ancora una volta Severus Piton svestiva la sua corazza per creparsi di una rispettosa comprensione. Perché forse lui più di tutti poteva immaginare gli incubi che sconvolgevano i giorni di Sirius Black.

 “Sta male” mormorò il mannaro “A volte sembra perdersi dentro di sé e non so come raggiungerlo”

Piton lo guardò per un istante, poi mangiò con aria assorta il pezzetto di cioccolato ormai sciolto tra le dita pallide. Sembrò dondolare un poco sui talloni, incerto, prima di affondare una mano nella tasca della sua veste e tirarne fuori una boccetta, lo sguardo distratto, vagamente rivolto alla figura sottile di Regulus Black sulla parete.
 “è Bevanda della pace” mormorò rauco e accigliato, con l'aria di chi vuole fuggire dalle sue stesse parole “L'ho appena distillata. Fagliela bere prima di dormire. Credo funzionerà meglio del tuo cioccolato, ma si basa su un concetto simile. Black probabilmente soffre di allucinazioni causate dall'esposizione prolungata ai Dissennatori. Sappiamo poco degli effetti a lungo termine, perché ci sono, come puoi immaginare, pochi casi di studio, ma un po' di questa pozione, la possibilità di fare bagni caldi e lunghi sonni, oltre che la tua presenza dovrebbe aiutare.”

 Remus sentì le labbra piegarsi appena in un sorriso per quel regalo inaspettato e perse un istante a chiedersi se più che per lui Severus lo stesse aiutando perché Sirius, nonostante tutto, era fratello di Regulus Black. Alzò lo sguardo per ringraziare, ma l'altro si era già voltato e si avviava a grandi passi verso il camino, per tornare ad Hogwarts, il mantello nero sulle spalle magre, come una scia fredda e scura. Il mannaro sospirò e rimase per un istante immobile, come se non sapesse dove spostare le sue energie: lungo, dinoccolato e solo in mezzo alla stanza piena di arazzi e ombre.

 Gli occhi scivolarono per un istante sul profilo spigoloso di Regulus e qualcosa nella sua smorfia, altezzosa e fragile allo stesso tempo, gli ricordò Sirius. Sirius con la sua molle alterigia, il suo sorriso furbo, la mente arguta, così come era stato nei suoi giorni migliori tra i corridoi di Hogwarts, la scopa da volo su una spalla e la risata coordinata con quella gradasse e sincera di James Potter.
 Si trascinò verso la soffitta, Remus Lupin, senza più speranza e con molta stanchezza. Si trascinò dal suo unico cuore pulsante: Sirius Black e quando lo trovò addormentato ai piedi di Fierobecco, raggomitolato su sé stesso in una forma di pelle e ossa tenute insieme con la volontà, si sentì perso. Si chinò su quell'uomo amato, le labbra che avrebbero voluto mormorare canzoni e ricordi lontani all'ombra di Sirius Black e che invece si spaccavano per il gelo sopportato nell'ultima ronda. Si chinò su quell'uomo adorato, Remus Lupin, scostando ciocche di capelli da quegli occhi chiusi che sapeva grigi, sfiorando quella pelle tiepida e martoriata, sentendo che Sirius Black stava scivolando via dentro sé stesso e nemmeno tutto il suo amore avrebbe potuto fermarlo.
 “Sirius” mormorò, scuotendolo appena “Andiamo a dormire.”
 L'altro socchiuse gli occhi e annuì alla cieca, raddrizzandosi incerto e poi seguendolo silenzioso giù per le scale, le dita fragili intrecciate debolmente con quelle di Remus, lo sguardo perso su pensieri lontani.

 “Ho paura Remus” mormorò affranto, un velo di sudore sulla fronte, mentre si rannicchiavano nel loro letto, aggrappandosi come sempre tra loro, tremanti ed esausti. 
 “Anche io Sirius” rispose il mannaro e quasi non si accorse della stanchezza troppo pesante che lo trascinò nell'incoscienza un istante dopo, prima che potesse anche solo provare a confortare Sirius Black.

 Rimase nel torbido limbo di chi è abituato a dormire con la bacchetta stretta al fianco, pronto a scattare in piedi alla prima occasione, allenato all'emergenza, alla guerra silenziosa di chi si prepara a combattere nel tedio delle retrovie. Si svegliò d'improvviso quelli che sembravano essere pochi secondi dopo e che invece erano ore. 
 La stanza era buia e silenziosa. La casa intera sembrava trattenere il respiro. Sirius non c'era e un panico lieve percorse Remus non trovandolo accanto a sé e uscì in corridoio chiamandolo, arrancando spaventato contro gli scalini fino al piano inferiore, maledicendosi per essersi addormentato senza prima ricomporre l'animo di Black. 
 “Moony”


Sirius fece capolino dalla porta della sala principale e Remus quasi cadde sulle ginocchia nel guardarlo in viso. 
 “Padfoot?” chiese rauco e incredulo, senza quasi riconoscerlo. 
Gli occhi grigi erano stranamente a fuoco, privi di quella patina d'angoscia di cui Azkaban li aveva ricoperti, il volto disteso, la posa morbida, le spalle rilassate e i lineamenti del viso affilati e pronti, ma non contratti. Lo guardava in viso, Sirius Black, con un accenno di uno dei suoi sorrisi da lupo che a Remus mancavano come l'aria e con una strana determinazione a inquinare le sue movenze. Non c'era la frenesia malsana di chi cerca una via d'uscita, non c'era nemmeno la sorda angoscia di chi non riesce a fuggire dai propri incubi. Sirius Black sembrava rinato. 
 E forse per questo Remus non riuscì a dire nulla, né a reagire, quando quello stesso uomo che nelle ultime notti passate disperatamente insieme gli era sembrato distrutto e che aveva confortato, tenendolo stretto per impedirgli di ferirsi da solo, all'improvviso si fiondò verso di lui, gli prese il volto tra le mani e gli  diede un bacio sulle labbra che sapeva di vittoria e vibrava di qualcosa che sembrava essere stato fino a quel momento dimenticato.
 E non riuscì ad essere razionale Remus Lupin, nemmeno un po', quando la fronte di Sirius si posò contro la sua e i loro respiri si coordinarono per una strana magia. Non riuscì a frenarsi, Remus Lupin, quando Sirius sorrise apertamente e gli diede un altro bacio e poi un altro ancora, le dita che affondavano nei capelli arruffati del mannaro.

“Padfoot” gracchiò confuso, dopo quelle che parvero ore, labbra contro labbra, screpolati e tremanti a mischiare i respiri, mentre si aggrappavano tra di loro in quella stretta che finalmente sapeva di amore, oltre che di disperazione. 
 “Moony. Dobbiamo andare al Ministero” sussurrò Sirius, stringendolo contro di sé e a Remus Lupin, così alto e goffo, gli sembrò di affondare contro il corpo magro dell'altro, di essere per un momento una cosa sola.
 “Al Ministero?” sussurrò confusamente, aggrottando le sopracciglia come faceva da ragazzo. 
 “Al Ministero” confermò Black “Harry e altri ragazzi stanno andando lì a quanto pare. Mocciosus ha dato l'allarme poco fa, ha dato di matto in realtà, si disperava di avvisarti di ogni cosa il prima possibile, ma volevo che ti riposassi fino a quando non avessimo capito cosa fare e fossimo certi che Harry fosse davvero in pericolo, prima di uscire allo scoperto. Il fatto è che non sono a scuola, non sappiamo ancora cosa sia successo, ma hanno bisogno di rinforzi. Ora.”
 Remus sbatté le ciglia perplesso, assimilando quelle informazioni, mentre lentamente la guerra ricadeva sulle sue spalle. Mise a fuoco la missione, ricordò le prime stanze dell'ufficio Misteri che aveva ispezionato con un Indicibile amico e Arthur Weasley l'estate precedente e i brividi gli corsero sulla pelle e la sua licantropia, che odiava, ma che l'aveva reso più reattivo e sensibile negli anni, mischiandosi con le sue reazioni e i suoi sensi, gli seccò le fauci e lo mise in allerta, ampliando  la sua percezione e gridando al pericolo imminente.
 “No, Sirius” mormorò prontamente, la sensazione di essere sul bordo di un precipizio che lo faceva barcollare, il petto stretto dalla paura di perderlo per troppa foga, di nuovo “No, no, Padfoot. Tu non puoi...”
 “Non ti lascerò là fuori a combattere da solo, Moony. E non abbandonerò Harry”
 “Devi stare al sicuro. Tu...”
 “Nessuno di noi è al sicuro da molto tempo, Rem. Respira ora”

Ed era calmo, Sirius Black, come non lo era mai stato negli ultimi due anni. Aveva la sicurezza di chi ha tutto sotto controllo, che sfoggiava da ragazzino, il modo di fare placido di chi sa come andranno le cose, tanto che Remus, per la prima volta in quel tempo di inferno, pensò che poteva affidarsi all'altro, che insieme potevano farcela, che non era lui a dover gestire entrambi in quella lotta, che potevano salvarsi a vicenda.  
Perché lo sguardo di Sirius Black era limpido, presente, mentre affondava negli occhi color cioccolato del mannaro e Remus Lupin non riuscì a impedirgli di prendere la sua scelta, non si sentì abbastanza forte, né abbastanza fermo, ma si ritrovò già ad annuire, mentre il cuore gli sanguinava di amore, spezzato tra la gioia di rivedere Sirius, il suo Sirius, in quei lineamenti adulti e la paura di osservarlo sparire come polvere.
 Ma era un eccezionale combattente, Sirius Black, Remus lo sapeva e continuava a ripeterselo. Era agile, intelligente e spietato. Poteva difendersi con efficacia, perché era stato un tempo uno studente brillante al limite del credibile.
 E poi in fondo lo sapeva, Remus Lupin, che se anche se si fosse opposto all'idea che Sirius lasciasse quella maledetta casa piena di ricordi e cigolii, andando da solo a salvare Harry e lasciando che lui macerasse nell'attesa di vederlo tornare, lo avrebbe perso comunque, nei meandri della sua noia. Non subito forse, ma giorno dopo giorno, ora dopo ora in cui Sirius Black viveva senza riconoscere sé stesso allo specchio.
Non ragionò quindi, Remus Lupin, per una volta nella sua vita e si lanciò contro quel sorriso da lupo, assaggiando quelle labbra che sapevano di perdono e speranza, mentre Sirius continuava a stringere tra le mani il suo volto con ferma delicatezza, quegli occhi grigi così brillanti che lo scrutavano fino in fondo alla sua anima tremante. 
 Fecero entrambi una risata rauca e amara quando smisero di baciarsi come ragazzini, ebbri di un'insensata felicità e si strinsero in quell'abbraccio ancora un istante, nascondendo la paura che il loro mondo si sbriciolasse dietro espressioni quiete e stranamente controllate, alimentate da una sorda adrenalina.

 Il tutto era durato non più di una manciata di secondi affrettati, ma Remus Lupin avrebbe potuto descrivere il sapore di quell'abbraccio, avrebbe potuto dire il numero di respiri che si erano scambiati, l'odore preciso dei loro baci. 
 “Ti amo da impazzire, Remus Lupin” disse Sirius afferrandolo per mano, pronto a raggiungere gli altri, con quell'aria baldanzosa da ragazzaccio che era, ancora legato al passato e assetato di futuro, il sorriso da lupo a tagliargli il viso.
 “Sei il solito esibizionista, Padfoot” sorrise Remus mite, seguendolo giù per le scale, ma mentre già macinavano i primi gradini verso le voci degli altri dell'Ordine, Black titubò, voltandosi verso di lui, le labbra serrate: insicuro e pensieroso.
 Lui che non aveva mai avuto la grazia di ragionare due volte a qualcosa, in passato, lui che della logica e la preparazione poco gli importava, fin dai loro scherzi immaturi e divertenti ai tempi della scuola, lui che si spingeva all'azione con coraggio irresponsabile dal primo istante in cui aveva vissuto: si fermò.
 “Mi ami anche tu, vero Moony?” sussurrò con strana lentezza e sembrò improvvisamente fragile, tanto che Lupin lo guardò con stupore, le labbra socchiuse dalla confusione. 
 “Ne dubiti?” chiese con tatto “Farei qualunque cosa per te.”
 “Lo so” rispose Sirius con aria un poco spersa, grattandosi dietro il capo come faceva da bambino, ciocche di capelli scuri che nascondevano le gote pallide “È che a volte mi sento la disgrazia della tua vita”
“Lo stai dicendo davvero a un lupo mannaro?” sorrise Remus, poggiando il palmo della mano sul volto dell'altro, rimirandolo per un istante, in ogni piccolo dettaglio, avvertendo ancor più forte la sensazione di un precipizio accanto a loro in cui avrebbero potuto lasciarsi cadere, mischiata alla voglia di prenderlo per mano e fuggire per nascondersi egoisticamente dal mondo, forse per tornare al loro appartamento di piastrelle ad ascoltare musica e bere caffé nero. Felici. Almeno una volta ancora, una soltanto. 
 “Tu mi hai salvato.” disse Remus con candore “Non lo sai? Ti amo anche io, Sirius Black”. 
 L'altro sorrise con vago sollievo a quell'affermazione, le ciglia che accarezzavano le guance mentre respirava piano, si mise sulle punte per baciarlo di nuovo e lo fece lentamente questa volta, con dolcezza struggente, tanto che il cervello di Remus si annebbiò di quell'ondata di benessere e felicità che non aveva più sperato di provare. 
Erano entrambi sullo stesso precipizio ora e si amavano terribilmente. Andava tutto bene.
 “Andiamo a salvare Harry” mormorò sulle sue labbra Black, gli occhi grigi di nuovo vivaci. 

E Lupin non disse nulla e scacciò il pensiero di Severus Piton che fece breccia per un istante nella sua mente, inaspettato. Perché era certo, Remus, che il Serpeverde, se fosse stato lì, gli avrebbe detto di ragionare, di guardare Sirius e accorgersi delle sue ferite interiori, di tenerlo al sicuro per non essere di nuovo uno spezzato, lui, Remus Lupin.  
Forse era proprio il motivo per cui Piton aveva cercato di parlare con lui e Remus se ne rese confusamente conto in quel momento. Forse Severus, se fosse stato lì, lo avrebbe aiutato davvero a prendere scelte migliori, a preservare Black perché lui non ne uscisse ferito. Ma Severus non c'era e Remus si sentiva invincibile.
 Afferrò Sirius per mano, inghiottendo la sensazione di addio che gli formicolava addosso, lasciandosi guidare dall'urgenza, osservando con occhi sgranati il profilo amato di Black, mentre pensava alla tazza di the che avrebbero bevuto una volta di nuovo in salvo, al profumo delle lenzuola del letto che avrebbero diviso guardandosi finalmente in volto, al colore del cielo che avrebbero osservato dalla loro casa, in futuro: Sirius lucidando la sua nuova scopa, la risata tra i denti e l'aria da ragazzaccio su quel volto nobile e bello, i tatuaggi a ricamare il suo pallore, la loro canzone canticchiata sommessamente nel silenzio. Remus che leggeva invece il suo libro preferito, indossando il suo vecchio maglione bucherellato sul corpo magro, una tazza di the sulle ginocchia appuntite, il sorriso sereno appena accennato. Tra loro di loro sarebbe rimasta solo una tavoletta di cioccolato, un bicchiere di Whiskey e forse la musica di sottofondo, da ascoltare insieme, spalla contro spalla.
 Respiro contro respiro.


*Angolo Autrice*

Ciao Lettori. 
Dovete scusarmi per questa assenza, ma è stato un mese terribile e nelle ultime settimane ho avuto anche un lutto in famiglia, quindi, come potete immaginare, aggiornare non era nei miei pensieri e, come ho ripetuto più volte, tengo molto a questa storia e non volevo affrettare la pubblicazione. 
Capitolo complicato questo. Soprattutto doloroso da scrivere e immagino non semplice da leggere. Attraversa i traumi di Sirius, ma osservandoli dal punto di vista distrutto e annebbiato di Remus e quello più cinico e distaccato di Severus, che eppure si preoccupa per il mannaro. 
Ho immaginato che Piton e Regulus si conoscessero e avessero condiviso dei momenti e dei punti di vista, essendo di gran lunga i più giovani tra i Mangiamorte (Regulus lo diventa a 16 anni, Severus a 17 e tra loro vi è un anno di differenza).
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Con affetto
vi



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Capitolo 4
*** Polvere ***




.Polvere.



Non ci sono modi giusti per descrivere il dolore. Remus Lupin lo sapeva meglio di chiunque altro e proprio perché aveva sperimentato nella sua vita sia il dolore lampante e nervoso del corpo che si strema, che quello personale e sordo del sentirsi rigettato da una società bigotta e infine quello pungente e disperato di chi raschia il fondo della propria coscienza alla ricerca di una direzione, Remus Lupin si chiedeva se questa nuova categoria di dolore, che aveva la forma degli occhi grigi di Sirius e il rumore della sua assenza, potesse avere dei confini. 
 Perché era era convinto di aver già provato tutto sulla sua pelle, Remus Lupin. Era convinto che nella sua gioventù avesse già imparato a dire addio, quando Lily si era spenta e con lei i Malandrini si erano sgretolati. Era passato attraverso le difficili fasi dell'accettazione, della disperazione, della negazione, del rimpianto. Aveva finito le sue lacrime, trovato una ragione  e si era annebbiato nell'alcool fino a perdersi in sé stesso, per poi risalire.
Aveva già masticato a lungo il rancore e la sofferenza, le grida agrodolci di chi sopravvive e avrebbe voluto solo sparire. Era convinto di essere pronto, abituato, quasi ormai portato alla perdita. Ma erano tutte bugie. 
 Perché Sirius Black non era ad Azkaban per i suoi errori, non era nascosto in qualche grotta insieme al suo Ippogrifo, convinto di fare la cosa giusta ad affamarsi, celandosi al mondo, non era perso nei ricordi torbidi della prigionia, immerso nell'acqua ormai fredda della vasca da bagno di casa, le ginocchia al petto scheletrico e gli occhi sgranati. 
 Sirius Black non era più, semplicemente, in nessuna forma e ragione, era polvere e Remus Lupin non poteva nemmeno odiarlo per averlo lasciato di nuovo solo, non poteva sentirne la mancanza con la speranza di rivederlo, non poteva pensare troppo a lui senza sentirsi soffocare.  Sirius Black era scomparso dietro un velo e Remus Lupin era solo. 
 Un bussare affrettato gli ferì le orecchie. Qualcuno di insistente alla porta. Remus si raggomitolò su sé stesso, nel buio del vecchio appartamento Babbano così greve di ricordi, ignorò il bussare, si concentrò sui suoi respiri pigri e distratti. 
Sentiva ancora qualcosa che ricordava il profumo di Sirius in quella casa, se si concentrava, il lascito di quelle confuse giornate prima di spostarsi a Grimmauld Place, passate a confortarsi a vicenda, a ricercarsi nelle ferite dell'altro accettando di essere entrambi lì, spalla contro spalla, sbriciolati nell'animo e quasi interi nel corpo.
Il bussare si fece ancora più insistente, Remus serrò gli occhi, sibilò tra i denti, contò lentamente i respiri e schiuse le ciglia solo per iniziare a fissare i nodi del legno sul soffitto spiovente della stanza. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei...

“Remus apri, per favore, sono passate due settimane” Tonks
Lupin respirò più pesantemente, avvertiva il profumo di miele e cannella della ragazza, il suo fiuto reso sensibile dalla luna piena in arrivo. Per un istante si chiese se stesse sopportando tutto quel dolore senza morire, o annientare il suo corpo, solo grazie alla sua licantropia, che per istinto e rabbia animale lo teneva in vita, come aveva fatto in passato. Remus odiò ancora di più la sua condizione. Detestò ogni fibra di sé stesso. In un rifiuto nauseante e violento.
 “Remus. Aprimi. Lascia che io ti parli”
Rise rauco tra i denti Remus Lupin, quasi ringhiò di quella giovanile insistenza. Nei suoi pensieri Ninfadora Tonks era confusa, poco più di una macchia rosa sfocata nella sua memoria. Tutte quelle ronde fianco a fianco con la ragazza, a mormorare sciocchezze perché il tempo non diventasse simile a melassa, durante quelle notti a girovagare con il pensiero fisso a Sirius, che in preda ai suoi fantasmi lo aspettava tra le pareti grige del quartier generale, sembravano lontane e quasi irreali. Avevano davvero condiviso qualcosa che non fosse polvere e silenzio?
 Sì. Aveva riso un tempo con Tonks, Remus Lupin, aveva lasciato che quella ragazza parlasse di tutto per entrambi, con il suo tono entusiasta e gli occhi brillanti. Si era fatto contagiare da quel buon umore discontinuo e irruente che la giovane Auror spargeva tutto intorno. Eppure ora, nonostante avvertisse il suo odore attraverso la porta chiusa, nonostante sapesse che la ragazza era reale e che lo chiamava a gran voce, Remus Lupin non sentì nessun istinto di affetto, comprensione e amicizia a spingerlo ad avere pietà di quella cieca insistenza e andare ad aprire. 
Sirius era morto. A Remus non poteva importare di meno di Ninfadora Tonks. 
 “Sei testardo come uno Schiopiodo, Remus” sibilò la voce giovane attraverso il legno della porta, grondante di rassegnazione e rabbia mischiate insieme “Sirius era anche mio cugino, sai? Era un membro dell'Ordine, era un Black, era il padrino di Harry. Stiamo soffrendo tutti. Lo so che per te era importante, Rem. Non ne abbiamo mai parlato, ma tutti sapevamo. Stare chiuso lì dentro ad affamarti e distruggerti non ti aiuterà. L'ho visto morire anche io. È anche colpa mia. Non mi sono mai sentita così stupida e impotente come in quel momento, sai? Odio mia zia per quello che ha fatto, credimi. Mi vendicherò un giorno, posso giurarlo. Però ti prego, lascia che ora io possa aiutare almeno te. Ti prego, Remus. Aiutiamoci a vicenda”
Ma il mannaro serrò gli occhi fino a quasi cadere dentro sé stesso, arrestò il respiro e finse di non esistere e riuscì a rimanere talmente a lungo immobile in quella posizione, rannicchiata e disperata, che dovette addormentarsi senza nemmeno essersene reso conto e quando riaprì gli occhi, in quello che gli parve solo un battito di ciglia, la notte era calata improvvisa nel piccolo appartamento. 
 Remus sbatté le palpebre pesanti di lacrime e stanchezza e si mise sull'attenti in un secondo, la pelle d'oca che invadeva la schiena a presagire il peggio, mentre i suoi sensi intorpiditi dal dolore, ma resi acuti dal lupo che aveva in sé riuscivano a percepire la presenza di qualcuno nella casa. L'odore di polvere, spezie e vecchi libri. 
 “Chi è là?” chiese rauco, mettendosi in piedi con qualche difficoltà e inciampando nella coperta caduta a terra, mentre arrancava in cerca della bacchetta, senza ricordare dove l'avesse fatta cadere.
 “Ti rendi un facile bersaglio, Lupin.”
 Severus Piton sedeva rigido su una sedia, la bacchetta del mannaro tra le dita e gli occhi onice freddi e distanti.
 “Severus” gracchiò Remus sorpreso, osservando le vesti dell'altro mago, impolverate e usurate, doveva essere arrivato direttamente da qualche ronda, o missione e sembrava molto stanco “Cosa ci fai qui?”
“La ragazzina è venuta da me singhiozzando, rischiando tra l'altro di espormi in molteplici modi e sostenendo che avevi bisogno di aiuto.” disse Severus con tono vellutato e vagamente annoiato “Ho provato a dirle che in quanto petulante Grifondoro se avessi avuto davvero bisogno di aiuto avresti chiamato, che eri grande e in grado di prendere le tue scelte, ma era isterica, il che è un peccato, perché avevo avuto l'impressione errata che fosse quasi in gamba”
 “Ragazzina?” gracchiò di nuovo Lupin, sorpreso. 
“Ninfadora.” disse secco l'altro.
 “Oh” esalò Remus. 
 Cadde uno strano silenzio imbarazzato. Il mannaro ciondolò sulle gambe lunghe e magre, mentre Severus lo osservava attento, ma privo di vivacità, come se stesse analizzando una radice, senza dire nulla. Sentivano probabilmente entrambi il peso della solitudine dell'altro, ancora una volta messi sullo stesso piano da una vita ingiusta. E se il volto di Piton era fermo nella suo composto e rispettoso distacco, quello dell'altro era accartocciato di sentimenti e paure mischiati insieme. Tacquero a lungo, ma fu Remus a capitolare per primo, quando quella situazione di stallo sembrò diventare insostenibile e il buio e il silenzio parvero premere sulle loro spalle. Fece un leggero sospiro, allungò la mano per sfilare la sua bacchetta da quelle di Severus e accese pigramente la luce.
 L'appartamento apparve ancora più chiaramente squallido e vuoto agli occhi di entrambi.
 “Vuoi un the?” chiese Remus all'altro uomo, con tono arreso.
 “Sei in grado di preparalo, Lupin? Sembravi un relitto fino a poco fa”
“Sto bene”
 “Non sembra” sibilò Severus.
 “Sto bene.” ripeté di nuovo il mannaro, stropicciandosi gli occhi “Come hai fatto a entrare?” 
 “Sembravano tutti molto preoccupati di ferirti in qualche modo, volevano lasciarti il tuo spazio, ma si angustiavano allo stesso tempo di non sapere se tu fossi vivo. Un comportamento stupido se ci pensi, se tu fossi stato qui dentro agonizzante, nel tentativo di rispettare il tuo dolore, ti avrebbero lasciato morire solo” disse Piton con tono secco e Remus fece uno sbuffo dal naso che poteva assomigliare a una risata, mentre metteva il bollitore sul fuoco. 
 “Immagino tu non avessi nessun rispetto da darmi e hai aperto la porta senza porti domande, Severus”
 “Non credo sia una questione di solo rispetto, Lupin. Onestamente non avrei sopportato i piagnistei di quella ragazza un giorno di più. Ora posso dire che sei vivo, che non è affar mio e che lei può smettere di crogiolarsi nel suo affanno”
“Tonks si è affannata così tanto per me?” chiese perplesso Remus, ricordando le confuse parole della ragazza alla sua porta quelle che sembrano poche ore prima e forse invece erano già giornate.
 “Se trovi la cosa un comportamento disdicevole e infantile hai finalmente il mio appoggio, Lupin” 
 Remus non rispose e Piton tacque. Il sibilo sottile del bollitore riempì il silenzio e impedì le domande che entrambi forse avrebbero voluto fare. Perché lo sapeva, Remus Lupin, che dietro il nero sarcasmo dell'altro c'era un po' di comprensione, che Severus Piton aveva rotto la sua solitudine per venirlo a strappare dal dolore che entrambi conoscevano perfettamente e che più gli anni passavano, più li rendeva simili.
 “Severus...” iniziò rauco il mannaro, poggiando le tazze sul tavolo della cucina.
 “Non cercare conforto in me, Lupin.”
 “Ma non so con chi parlare”
 “Con nessuno” disse secco l'altro “Quelli come noi non possono fidarsi di altri che di sé stessi. Black era l'unico che poteva capirti. È morto, Lupin e non tornerà, a te aspetta tutto il lato orribile del sopravvivere, un destino gramo.”
Remus inghiottì un groppo di saliva e si obbligò a respirare profondamente, sapendo quanto le parole dell'altro, per quanto prive di empatia e conforto, fossero la verità. Sirius era morto. Non sarebbe tornato. Improvvisamente la verità così semplice e amara gli crollò addosso e gli bloccò il respiro. Gli parve di poter vedere il volto di Black, il suo sorriso storto, da lupo, la sua gioventù bruciata in quei lineamenti sconvolti dal dolore.
 “Non sono nemmeno riuscito a dare lui la pozione della pace che mi avevi dato” si obbligò infine a dire a Piton e gli parve un dettaglio così stupido quello della pozione, quel piccolo balsamo che avrebbe dovuto dare sollievo a Sirius e che era rimasto inutilizzato da qualche parte a Grimmauld Place, che avvertì le lacrime sulle ciglia. Black era morto comunque con il sorriso, pensando di fare la cosa giusta, ma a Remus non rimaneva ora che polvere e silenzio.

Piton non disse nulla per molti minuti. Lo fissava da lontano, con sguardo corrucciato e volto contratto. Remus provò a leggerne l'espressione, nel tentativo di capire cosa stesse pensando, ma non ci riuscì. Era come se lui e Severus Piton fossero stati messi su una stessa zattera a galleggiare e fossero entrambi in grado di salvare l'altro, ma si ostinassero invece a provare a salvare tutto il resto del mondo, osservando in silenzio il reciproco dolore. Era un destino ingiusto.
 “Non passerà, Lupin” disse infine l'uomo e il mannaro trasalì. 
 “Che cosa?” chiese.
 “Il dolore.” ribatté secco Piton “Non passerà. Ti chiedevi se ha un confine, non ce l'ha. Crederai di essere forte abbastanza, di essere rinato, poi il tuo sguardo cadrà su un'ampolla di bevanda della pace e crollerai. Il dolore non ha confini, Lupin. Muta, si trasforma, ma non diminuisce. Rimane. Black è morto e tu soffrirai”
 Remus respirò a fondo, a volte dimenticava quanto per Severus fosse semplice leggerlo, grazie alle sue capacità di Legilimens. Per lui era semplice riconoscere la sua presenza, con il suo inconfondibile odore di polvere, spezie e vecchi libri, per l'altro era semplice capire ogni suo pensiero e incrinatura, come un libro aperto.
“Cosa devo fare?” chiese Remus.
 “Cerchi davvero consiglio da me Lupin?” lo schernì l'altro amaro “Penso ancora a Lily e alle mie colpe dopo anni, non credo di essere la persona più adatta a farti superare un lutto.”
 “Mi basta sopravvivere” ammise Remus a capo chino e li sentì quegli occhi d'onice che lo fissavano con strana attenzione, studiandolo in ogni sua piega, rimpianto e cicatrice. 
 “Allora affronta la vita come hai fatto appena Black ha passato il velo” rispose Severus e il mannaro aggrottò la fronte e scosse il capo, chiaramente confuso.
 “Cosa intendi?”
Severus piegò appena le labbra. Poteva essere una smorfia di disgusto o l'ombra di un sorriso, aleggiò sul volto pallido per un istante, creando una breve bolla di silenzio tra loro.
 “Black ha passato il velo. Tu hai capito che era morto. Che la persona più importante per te era appena svanita. Ti si è spezzato il cuore. Hai ceduto alla disperazione e cosa hai fatto?” chiese apatico Piton, strascicando le parole come se gli costasse un terribile sforzo parlare con lui. 
 Remus arrancò nella confusione della sua memoria, le mani serrate sulla tazza rovente che iniziarono a formicolare. Gli parve di rivedere la grande stanza ad anfiteatro. L'arco e il velo. Il sorriso da lupo di Black a tagliarli in due il volto amato, gli occhi grigi pieni di famelica voglia di vivere. E poi Harry. Harry Potter.
 “Ho fermato Harry” disse lentamente Remus ad alta voce e si rese conto di quanto assurdo fosse quel fatto, il suo lucido istinto, che al posto che farlo gridare fino a lacerarsi i polmoni e lasciarsi investire dal dolore, lo aveva invece spinto verso Harry, fermandolo appena in tempo, stringendo quel ragazzo che aveva in sé sia Lily che James contro di sé, assorbendo anche il suo dolore. Severus chinò appena il capo in un cenno pigro di assenso.
 “Hai fatto la cosa giusta” disse secco “Hai inghiottito il dolore. Ti sei ridotto a un'ombra e per istinto hai fatto la cosa giusta, Lupin. Non so se c'è spazio per la felicità per quelli come noi. Possiamo però fare la cosa giusta”
“Per quelli come noi?” 
“Quelli nati sotto una cattiva stella”

* * *

Severus Piton non aveva mai amato particolarmente la sua esistenza, ma rifuggiva alla morte. 
 I corpi riversi e senza vita lo terrorizzavano, gli occhi vuoti dei cadaveri lo facevano sentire esposto. Era un uomo logico Severus, abituato a non avere speranza, nutrito dal pragmatismo cieco e netto. Morire per lui significava cessare di esistere. La vita era un barattolo in cui qualche dio malvagio ti permetteva di giocare per poi farti uscire in modo che tu smettessi di esistere. Non c'era un luogo dove andare, non c'era speranza. 
 Albus Silente era di altro avviso. Nelle pigre sere estive, prima dell'annuale ritorno di Severus a Spinner's End, avevano spesso parlarono nel silenzio notturno, con passeggiate lente e prive di direzione. Era Albus in realtà a parlare e Severus ad ascoltare con sufficiente distacco e disinteresse, ma le ipotesi del preside sulla morte avevano sempre avuto il potere di affascinarlo. Credeva in un aldilà simile a un pensatoio, Albus Silente, dove la vita poteva essere rivista e cambiata, dove i momenti migliori potevano essere eterni, dove si potevano creare falsi ricordi ed estirpare il dolore. Un finale giusto, dove ognuno poteva avere ciò che meritava e non era necessario rinunciare a nulla.
 “Non è comunque un buon motivo per cercare di uccidersi” disse secco Piton, osservando la mano dell'altro uomo, bruciacchiata su tre dita, fragile. Mosse lentamente la sua bacchetta su e giù dal polso alla punta delle dita, ispezionando con cura l'esame diagnostico e ripetendo gli incantesimi di contenimento. Scelse poi un unguento e lo applicò in silenzio sulle nocche dell'anziano, la fronte aggrottata mentre provava a pensare ad altri modi per rallentare la maledizione.
Albus Silente taceva, lo sguardo azzurro tranquillo e l'aria pensosa e assorta.
 “Non si muore quasi mai per scelta Severus, ma per accettazione” disse infine e l'altro annuì distratto.
 “Come credi” mormorò Piton “Dovrò venire a rifare il tutto prima dell'inizio dell'anno” aggiunse poi, con cenno pigro alla mano annerita, la smorfia carica di disappunto.
“Ti ringrazio.” rispose il preside con un sorriso, osservandolo da sopra gli occhialini a mezzaluna. 
 “Sono serio Albus. Devi tenere sotto controllo questa ferita, non strafare.”
 “Sono vecchio Severus” esalò il preside con vaga stanchezza “E molto fortunato ad averti al mio fianco”
 “Non puoi permetterti di invecchiare ora” disse secco Piton “Ci sono troppe cose sul piatto”
 “So che posso fidarmi di te, Severus, anche se dovessi morire so che non lascerai nulla di incompiuto”
 “Non hai molto rispetto per la mia anima”
 Silente gli lanciò uno sguardo tranquillo che sapeva di affetto, come un vecchio padre stanco e disilluso, Severus lo avvertì sulla pelle e si sforzò di ignorarlo con tutto sé stesso. Non sapeva mai cosa provare nei confronti di Albus Silente, se gratitudine, o rimpianto. Si era abituato alla presenza dell'anziano nella sua vita, come una guida salda e sincera. Aveva imparato a leggerlo e comprenderlo, a dipanare i suoi ragionamenti, ad accettare le sue azioni sibilline. 
Era contorto Albus Silente, Severus ci aveva messo parecchio a capirlo, a conoscere anche solo una parte di quel mago di incredibile potere che si ostinava a fare la cosa giusta in mezzo a mille fallimenti. Per salvare i più Silente era in grado di sacrificare vite, muovere pedine, rinunciare a sé stesso, ma lo faceva sempre con un dolore consapevole, con un rispetto sincero e profondo, con una compassione struggente. Era forse questo, questo lucido cercare di fare ostinatamente la scelta giusta, caricandosi sulle spalle le responsabilità delle sue azioni, comprendendo il peso di ogni cicatrice e valorizzandone l'esistenza, che lo aveva reso così diverso da Voldemort. Severus si era accorto di ammirarlo negli anni, ma di provare anche nei confronti di quella pregna saggezza un pacato terrore, perché non c'era modo di sfuggire allo sguardo limpido di Silente e alla sua tranquilla accettazione del corso degli eventi. Anche davanti a cose atroci. Anche davanti a cose che avrebbero sbriciolato in polvere chiunque.
 “Se le cose andranno per il verso giusto, Severus” mormorò il preside, sorridendo lui con quello che sembrava affetto “mi auguro che la tua anima verrà compresa e perdonata.”
 Piton fece un mezzo grugnito nervoso in risposta, bendò con strana delicatezza le dita dell'anziano e si fece sfuggire un sospiro di stanchezza, mentre si alzava per avviarsi verso l'uscita.
 “Vai da Remus?” chiese Silente, con fare leggero.
 Il giovane si irrigidì appena a quella domanda. Non amava che nell'Ordine si desse per scontato che lui e Lupin fossero amici, specie quando era Silente a farlo, ma era innegabile che il mannaro fosse tornato alla vita solo dopo il suo intervento, che dopo settimane dove nemmeno l'ostinazione di Ninfadora Tonks aveva avuto successo, Lupin aveva smesso di annullarsi solo per le sue parole e che, agli occhi di terzi, questo doveva sicuramente avere valore. 
Severus si trattenne dall'irrigidire le spalle e annuì seccamente in direzione del vecchio mago. 
“Sì” rispose a voce bassa “Lupin mi aspetta per la ronda di stasera.”
“Bene, bene” mormorò Silente e per quanto lo sguardo chiaro si fosse subito spostato verso la finestra, con aria casuale e distratta, Piton ebbe l'impressione che stesse sorridendo tra sé e sé. 
Uscì dall'ufficio del preside imboccando i corridoi deserti. C'era sempre qualcosa di pacifico e poetico nelle notti ad Hogwarts, specie d'estate, quando l'assenza degli alunni era lampante tra quelle vecchie pareti. A passo svelto l'uomo ridiscese fino all'ingresso. Aveva imparato a non soffermarsi più ad ogni angolo della scuola, in cerca di fantasmi passati. Aveva imparato a essere freddo e controllato, focalizzato sempre su qualcosa di più importante, che lo spingeva ad andare costantemente in avanti. Lily Evans, i Malandrini, tutto quel passato ingombrante che gli pesava sulla schiena e che inevitabilmente ancora oggi gravava sulle sue scelte, a volte sembrava irreale e confuso, come se quel Severus fragile e spezzato, così ardentemente ansioso di trovare il suo posto nel mondo, pronto ad ascoltare le storie di Eileen Prince, le ginocchia nodose e gli occhi colmi di feroce intelligenza, non fosse in realtà mai esistito. 

Trovò Lupin appoggiato a uno delle colonne del cortile, lo sguardo rivolto verso la falce della luna nuova. Gli dava le spalle e sembrava non essersi accorto della sua presenza, ma Severus sapeva che i suoi sensi da licantropo dovevano averlo già avvertito, come quella volta al cimitero, presso la tomba di Lily Evans, ormai parecchi anni prima.
 “Severus” lo salutò il mannaro, azzardando un sorriso sincero.  
 “Lupin”
 “C'è una stellata stupenda”
 Piton alzò appena un sopracciglio in risposta e si incamminò per primo lungo il sentiero, avvertendo dopo un istante le falcate lunghe dell'altro uomo seguirlo. Non parlarono per parecchi minuti, mentre con gesti ormai coordinati controllavano il perimetro, ripristinando qua e là gli incantesimi protettivi lungo il confine del parco. Non avevano più parlato dello stato in cui Severus aveva trovato Lupin ormai settimane prima, con quell'angoscia negli occhi scuri e la voglia di morire attaccata alla pelle. Non avevano più parlato di Black e della sua assenza che persino Piton riusciva a percepire. Si era così abituato a vedere Remus dividere la sua aria con l'altro uomo, con quei gesti che sapevano di affetto e abitudine, che ora osservarlo camminare solo, le spalle basse e il corpo dinoccolato, pareva quasi sbagliato.
 “Avete ripreso le ronde nelle città?” chiese Piton, quando erano ormai quasi tornati al punto di partenza e Remus alzò il capo di scatto, sfoggiando un'aria confusa, come se fosse stupito che l'altro mago avesse rotto per primo il silenzio. 
 “Sì” rispose infine con la sua solita inflessione calma e gentile “Io e Tonks controlliamo Diagon Alley domani”
“Bene” esalò Piton, arricciando appena le labbra per mimare un'espressione di sprezzo. Solo un gesto istintivo per far credere all'altro che non fosse una vera conversazione sul nulla la loro. Che non erano davvero amici.  “Tonks dice di amarmi. Forse avevi ragione tu, Severus è testarda e infantile”
 L'affermazione del mannaro cadde tra loro e Piton si ritrovò a fermare la sua camminata, voltandosi verso l'altro con aria contratta e ferita. Sentì una rabbia violenta ardere per un istante nel petto, senza una vera motivazione, facendogli tremare appena le mani. Remus lo guardava cauto e sembrava addirittura più nervoso di lui, lo sguardo basso e la mandibola tesa e Severus capì che era a disagio nel fare quell'ammissione, con le occhiaie marcate sotto gli occhi color cioccolato, date probabilmente dalle notti rese ancora insonni dal pensiero di Black e il respiro spezzato. 
 “Perché lo dici a me, Lupin. Non vorrai di nuovo dei consigli per le tue pene” sputò infine, sbattendo una volta le ciglia per tornare prontamente lucido e capì all'improvviso da cosa era causata quella repulsione e il suo tremore: ancora una volta lui e Remus si ritrovavano ad essere simili, soli e abbandonati, ma al mannaro era offerta una redenzione e lui, per un affetto che si rifiutava di ammettere di provare, era costretto ad accettarlo in silenzio, lasciarlo andare.
 “Non so con chi parlarne” ammise Remus, le guance stranamente rosate sotto le cicatrici chiare “Lei è così testarda e sicura di sé, sembra aver già pensato ad ogni cosa, mentre io non so cosa fare con me stesso”
 Lupin sembrò incurvarsi ancor più su sé stesso, spezzato e Piton riconobbe nella sua espressione contratta qualcosa che gli ricordò il ragazzo lungo e mite che un tempo aveva passeggiato per Hogwarts accanto a Sirius Black e i Malandrini, con quell'aria stupita di chi si chiede come possa meritare tanta fortuna, la stessa che Severus sapeva di aver avuto stampata sul viso pallido ogni volta che si era trovato accanto a Lily. 
 “So che amavi Black” disse infine secco, scostando lo sguardo scuro verso le cime della foresta proibita.
 Remus inarcò le sopracciglia, sorpreso dalla frase dell'altro e Severus poté scorgerne lo stupore e quasi scoppiò a ridere rauco e sincero di fronte a quell'espressione incredula e contratta. E avrebbe voluto dire al mannaro che mentre lui non sapeva come affrontare l'amore e si affannava nel chiedersi se fosse adatto a quella ragazzina, lui, Severus Piton, avrebbe dovuto sopportare la morte. Che Albus Silente era destinato a spegnersi lentamente e che lui temeva ormai da giorni il suo coinvolgimento. Che non poteva fidarsi di nessuno, eterno spezzato tra Ordine e Mangiamorte, senza posto nel mondo e che le notti erano gelide e lunghe e piene di fantasmi. 
 “Lo amavo” rispose però Lupin, stranamente sincero, strappandolo dai suoi pensieri sempre più neri e angoscianti “Lo amo ancora così tanto che a volte dimentico di respirare”
 “E non sai cosa fare con la ragazzina e il suo entusiasmo” disse per lui Severus, sprezzante. 
 Remus fece un sorriso stanco e tirato, da lupo, tanto che nella luce tenue per un momento ricordò lui Sirius Black.
 “Tonks dice che ci sarà la guerra e non vuole morire sola.” mormorò Lupin, abbassando ancora di più il capo e incassando le spalle “Dice che io sono gentile, che ho sofferto abbastanza, che possiamo aiutarci a vicenda. Dice che l'amore vero esiste una sola volta nella vita, l'ha visto con i suoi genitori, che le hanno insegnato ogni cosa. Il suo amore lei l'ha dato a Charlie Weasley, ma lui l'ha rifiutata con tenerezza, incapace di sapere cosa volesse. Io il mio invece l'ho dato a Sirius Black e lei lo sa bene. Dora dice che non ci resta che combattere la solitudine insieme”
 “Pensi che abbia ragione?” quasi abbaiò Severus, travolto da una strana ostilità “Pensi che tutto si risolva con una bugia? Che basti un po' di compagnia per lenire le ferite?”
 Era volutamente amaro e stanco. Lo aspettavano poche ore di sonno. Un incontro con Mulciber. Una notte chino sulle pozioni. La solitudine di Spinner's End come rifugio e condanna. Lui non aveva mai trovato qualcuno che sostituisse quel che avevano costruito lui e Lily e il loro non era stato nemmeno amore, ma quell'amicizia complicata e ingombrante, simbiotica, senza possibilità di rottura. Certo, c'erano state le moine degli altri Serpeverde, Regulus Black e il suo silenzioso orgoglio, il fare paterno e consolante di Albus Silente e poi lui Remus Lupin, con la sua paziente ostinazione, quel modo di fare quieto e gentile, che sapeva di rispetto e comprensione, ma nessuno si era avvicinato a Lily, nemmeno Remus Lupin e la sua quasi amicizia. 
Non c'era quella condivisione morbida tra loro, quell'adorazione sincera, quel bisogno di sentirsi un tutt'uno che aveva caratterizzato il suo rapporto con Lily Evans. Severus ne era consapevole e l'aveva da tempo accettato. Era destinato alla solitudine. Eppure, seppur ne fosse privato, crescendo qualcosa sull'amore lo aveva capito e se avesse dovuto tratteggiarlo con poche linee su un foglio, allora l'avrebbe descritto con il modo in cui Sirius Black e Remus Lupin si protendevano l'uno verso l'altro, senza che potessero farne a meno e in quel quadro Ninfandora Tonks, con la sua irruenta gioventù, il suo testardo coraggio e dirompente ottimismo era una nota stonata persino per lui.
 “Non lo so cosa penso, Severus” esalò Lupin “Sei tu di solito a fare la cosa giusta, non io”
 “Davvero divertente, Lupin.” ribatté subito aspro l'altro mago, in un tremore incontrollabile, il volto livido di rabbia trattenuta, le labbra serrate su ricordi sbiaditi “Io sono il ragazzo che ha fatto tutte le scelte sbagliate”
“Sei molto di più.” mormorò Remus, ma Severus non rispose e camminarono in silenzio fino a tornare all'ingresso. 
 Il cielo era pieno di stelle e la luna insensibile e distante sopra di loro. Lupin si infilò le mani nelle tasche e prese un sospiro tra i denti, osservando circospetto l'altro uomo. Severus camminava con passo spedito, il mantello nero, onnipresente come il pastrano del mannaro, nonostante fossero in estate, che veleggiava sulle sue spalle magre.
 “Nessun consiglio per me quindi?” tentò di nuovo il mannaro quando Severus fu sul punto di rientrare al castello senza nemmeno salutare e Piton rallentò fino a fermarsi, si afferrò la radice del naso con la punta delle dita, cercando un controllo che scivolava via ad ogni respiro.
 “Nessun consiglio per te, Lupin” confermò infine, voltandosi di scatto, la mente piena di preoccupazioni affannate e immagini distorte, dal volto solare di Ninfadora Tonks, la mano nera di Albus Silente, le lentiggini di Lily Evans, gli occhi grigi e malinconici di Sirius Black.
 “Severus” lo chiamò lentamente il mago e Piton tentennò sul posto.
 E forse fu quello strano tono di preghiera a farlo voltare, forse fu la consapevolezza di essere di nuovo a un bivio, che molte cose sarebbero accadute nei mesi a venire e la sua amicizia con Lupin era fragile come un granello di polvere e poteva sparire dal mondo, nel tempo breve di un respiro. Si voltò ad osservare l'altro mago, avendo cura di contrarre il volto in un'espressione di misurato sprezzo. 
 “Che cosa vuoi, Lupin?”
 “Pensi che sopravviveremo alla fine di tutto?”
 Severus rimase per un istante interdetto, masticando quella domanda nella sua coscienza. Osservò il volto stanco dell'altro uomo, come una ragnatela di cicatrici chiare. Erano ancora entrambi degli spezzati, in bilico su una vita che sembrava non appartenere più a nessuno dei due. Erano i rimasugli sbagliati di un passato formato da persone che non avevano avuto futuro, ma solo sofferenze. E aveva abbastanza fiducia in Albus Silente, Severus Piton, per sapere che la fine prima o poi sarebbe arrivata, che il cielo sarebbe stato illuminato da una nuova alba, che c'era un futuro da qualche parte. Eppure lui si sentiva così distante da quella possibilità, come un elemento estraneo in quella storia. Non vedeva pace per sé stesso, non vedeva un posto al mondo dove avrebbe potuto ricucire le sue ferite e ritrovare il suo equilibrio. Osservò il mannaro di fronte a lui, così simile a sé stesso, così piegato dalle stesse ombre e paure. Anche Remus Lupin era un elemento estraneo, che si sarebbe sbriciolato una volta finita la speranza. 
“No, Lupin. Non penso che ci sia un futuro per quelli come noi.”
“Noi nati sotto una stella sbagliata”
“Esatto.”


* * *

Tonks sembrava essersi spenta all'improvviso, come consumata dal suo rifiuto, aveva trovato un modo di sfuggire alle ronde insieme, lo evitava, mandando invece Kingsley al suo posto, sviando ai suoi tentativi di chiarire, ostinata e chiusa. E Remus aveva ceduto, lasciandola al suo silenzio. Non poteva permettersi il lusso di avere qualcuno accanto nella sua esistenza già complicata, non voleva rovinare altre vite. Se Tonks voleva reagire con rabbia ostinata era suo diritto e lui non l'avrebbe certo fermata. La compagnia di Kingsley per altro, così calmo e silenzioso, non gli dispiaceva. Badavano ognuno a scambiarsi solo poche parole, mai di circostanza, sempre accuratamente selezionate. Erano pratici e veloci nello svolgere i loro compiti e piuttosto efficaci, ma nonostante fingesse che tutto andasse bene, che le cose si sarebbero sistemate, che Dora avrebbe capito, Remus viveva nel senso di colpa. 
Perché l'aveva intravista Tonks, arrabbiata e grigia, così diversa dall'ottimismo che di solito amava spandere intorno a sé, lo aveva capito che si sentiva spezzata per il suo No a dividere la loro solitudine insieme. È che Remus ancora sperava in qualcosa di roseo e bello per lei, mentre forse quella giovane donna aveva imparato a gioire giorno per giorno e deposto ogni ambizione. Era così diversa da Sirius, Tonks, nonostante entrambi fossero animati da quella contagiosa strafottenza gentile, quel modo di aggredire il mondo con un sorriso bieco e gli occhi brillanti.
 Remus sospirò di stanchezza e Kingsley accanto a lui si accigliò appena. 
 “Dovresti riposare Lupin”
 “Sì, lo so” sorrise mesto il mannaro “Tutti dovremmo farlo.”
Raggiunsero il punto della smaterializzazione, Kingsley tese una mano in saluto e Remus rispose alla stretta.
“Sai che se hai bisogno di parlare con qualcuno hai amici ad ogni lato, Lupin, lo sai, vero?”
 “Sì, grazie Kingsley” sorrise lui.
 “Allora a domani” disse l'uomo, con la sua voce profonda.
“A domani” rispose quieto il mannaro, ma dopo il crack della smaterializzazione dell'altro rimase immobile a osservarsi i piedi, incapace di prendere una decisione su dove andare.
 Non aveva voglia di tornare nel suo appartamento a languire, non aveva nemmeno voglia di andare all'Ordine e nelle stanze vuote che sapevano così tanto di Sirius e ricordi agrodolci. Non aveva voglia di vedere Hogwarts con le sue ombre e fantasmi ed era consapevole che per lui non sarebbe stato sicuro bighellonare a Diagon Alley e che doveva tenersi lontano dai bar tristi e il Whiskey quando dilagava nello sconforto. 
 Improvvisamente pensò a Severus, Remus Lupin. Non lo vedeva da giorni interi, perché l'uomo era troppo risucchiato nel suo ruolo di spia. L'aveva trovato più stanco, tagliente e disilluso, ogni volta che per caso lo aveva incrociato, eppure allo stesso tempo era parso anche più ostinato e focalizzato su obbiettivi che Remus non poteva immaginare. 
 Aveva rinunciato a capire cosa animasse quell'uomo da tempo, Remus Lupin, eppure gli mancava Severus. Le loro passeggiate tranquille e così prive di spiegazioni e parole. Solo la loro presenza mite, l'accettazione del dolore e la consapevolezza dei pesi sulle loro spalle. Era qualcosa di tranquillizzante, di tiepido, a pensarci.
Remus si smaterializzò quasi sovra pensiero e si stupì appena nel rendersi conto di trovarsi all'ingresso del cimitero di Godric's Hollow. Lasciò che i suoi piedi lo portassero alla tomba dei suoi amici e si sentì quasi confortato nel vedere il viso sorridente di Lily e quello luminoso di James, che passava dal guardare Remus dalla sua cornice a osservare la moglie con aria innamorata. Se loro fossero stati lì avrebbero avuto consigli adeguati per lui, Remus lo sapeva. 
Gli avrebbero detto come doveva comportarsi con Dora, lo avrebbero aiutato nella sua sofferenza dilaniante per la mancanza di Sirius, forse l'avrebbero persino ascoltato su Severus, su quell'amicizia che negli anni si erano costretti a costruire. A Remus sembrò quasi di sentire la voce squillante dell'amica dire “Severus è speciale, Remus. Credimi”, riusciva quasi a immaginarla, con lo sguardo ostinato e brillante di chi è guidato dal senso di giustizia, il sorriso reso morbido dall'affetto, le sue mani protese verso di lui, pronte a sostenerlo con un calore che non aveva mai rivisto in nessun altro.

“Lupin”
Il mannaro si girò di scatto, stupendosi di ritrovarsi di fronte a Piton stesso. Non lo aveva sentito arrivare e nemmeno percepito, troppo perso dai suoi pensieri, ma l'odore penetrante di vecchi libri e spezie ora lo investì irruento. Era dimagrito Severus Piton, sembrava quasi pallido e consumato, ma risiedeva un certo orgoglio nel suo sguardo scuro e attento, un ostinato controllo che faceva tenere lui la schiena ritta e il volto contratto.
 “Severus. Una sorpresa”
 “Non mi hai percepito” disse l'altro con tono perplesso, studiandolo attentamente e Remus sorrise.
 “Stiamo invecchiando entrambi, Severus” mormorò.
 Il Serpeverde fece un gesto sfuggente con il mento e si diresse a passo incerto verso la tomba degli amici. Sembrava ignorare con tutto sé stesso la foto di James, goffo come era stato da ragazzino, gli occhi onice fissi su Lily. Remus lo osservò poggiare il mazzo di fiori di campo sul marmo freddo e poi prendersi un momento di riflessione. Il mannaro lo lasciò fare, ma non indietreggiò fino a quando l'altro mago non si voltò verso di lui. 
 “Sei ancora qui, Lupin”
 “Niente di meglio da fare”
 “Devi avere una vita noiosa” 
 “In effetti sì”
Si incamminarono insieme lungo i sentieri del cimitero con aria vagamente distratta, entrambi stanchi e consumati.
 “Come mai i fiori di campo?” chiese all'improvviso Lupin, in cerca di qualunque cosa che spezzasse il silenzio e rimase turbato quando Piton rispose con tono mesto, senza irrigidirsi, senza cercare di difendersi. 
 “A Lily piacevano i fiori di campo”
“Capisco” mormorò Remus, osservandolo con più attenzione.  
Gli occhi di Piton erano spenti, le occhiaie marcate, il respiro tremulo, sembrava stravolto, come se avesse pianto a lungo ed era chiaramente fragile, sul punto di cedere, nonostante sfoggiasse un'aria dura e affilata. Ma lo conosceva bene Severus Piton, Remus Lupin e anche se non sapeva leggerlo, aveva imparato a scovarne le ferite fresche. 
 “Stai bene Severus?” chiese.
 “Certo, Lupin”
 “Non sembra”
Si fermarono entrambi, consci che le parti tra loro sembravano essersi invertite. Remus osservò Severus tentennare, ma gli lasciò il suo spazio e non forzò la mano per sapere nulla di più. 
 “Ho visto il nuovo Patronus di Tonks” disse infine Piton e il mannaro fece un rantolio spezzato.
 “Molly me l'ha detto” biascicò infine e sul volto stropicciato dell'altro mago si aprì un mezzo ghigno che sembrava quasi divertito, fragile e sarcastico allo stesso tempo. 
 “Cosa gli hai fatto a quella ragazza, Lupin?”
 “Provo a salvarla, Severus”
Severus tirò su col naso in segno di vago sdegno, il mannaro si sforzò di arricciare le labbra in una smorfia appena più morbida e divertita e in qualche modo si ritrovarono entrambi ad annuire. Si ricordava di quando si erano incontrati in quello stesso punto anni prima, Remus Lupin. Di come Severus fosse ferito e pieno di rancore, di come le lacrime al tempo sembrassero sciolte nella ruggine e nel sangue. C'era una sorta di rassegnazione invece ora tra loro, che sapeva forse di salsedine e pioggia leggera, come qualcosa che ha l'odore della malinconia e sta già per finire. 
 “L'ultima volta che siamo stati in questo stesso punto, Severus, ti offrii da bere come due vecchi amici e rifiutasti”
 “Non eravamo amici, Lupin” ribatté rauco l'altro.
 “E ora?”
 “Non lo siamo nemmeno adesso”
 “Ma ti va di bere un bicchiere?”
 “è rischioso farci vedere insieme in giro, Lupin.”
 “A casa tua allora?”
 Severus sembrò tentennare, Remus video il dubbio brillare sul volto pallido, ma infine chinò il mento in un cenno vago di assenso e qualcosa di simile al terrore scosse il mannaro nel profondo. Perché dovevano essere in bilico su un baratro di rovi e disperazione se Piton accettava in quel modo la sua amicizia, se accettava di condividere qualcosa con lui, ma non disse nulla, chinò il capo a sua volta, distrattamente, annuendo appena.

Si smaterializzarono in un battito di ciglia a Spinner's End e quando furono entrati nella casa piena di libri, spezie e silenzio di Piton a Remus mancò quasi il respiro. Era la prima volta che vedeva l'interno del posto dove l'altro viveva, l'ultima volta che era stato sulla soglia di quella casa, l'indirizzo scritto da Silente su una pergamena nella sua tasca sinistra, Severus non lo aveva fatto entrare, avevano scambiato poche battute e poi lui era tornato da Sirius, che lo aspettava nel loro appartamento Babbano, con quegli occhi grigi così bisognosi di amore ed equilibrio. 
 Severus prese una bottiglia di vino e lo servì a entrambi, Remus cercò di frenare la curiosità, lanciando solo un veloce sguardo intorno. Sedette sul divano liso, in una posizione tesa, le lunghe gambe piegate in modo che le ginocchia risultavano troppo alte per essere davvero comodo. Sorseggiarono lentamente la bevanda, senza parlare, il crepitio del fuoco che Piton aveva avuto la cura di accendere che riempiva il silenzio. 
 “Cosa succede, Severus?” si azzardò infine Remus, incapace di attendere oltre
 “Non lo so, Lupin. Non lo so” rispose vago l'altro e il fatto che Severus Piton non fosse in controllo di qualcosa mise ancora più terrore al mannaro, che lo osservò in silenzio lo vide disarmato, arreso.
 “Prova a spiegarlo” si sforzò di chiedere mite, osservando i lineamenti del mago che sedeva di fronte a lui. 
Piton esalò un sospiro e si passò una mano sul volto, con fare così fragile che faceva paura, sembrava sconvolto, tanto che se gli avesse detto di aver incontrato il fantasma di Lily Evans camminare per strada, Remus ci avrebbe creduto. L'equilibrio tra loro si tese fino a diventare vibrante, i loro respiri sembravano essere l'unico rumore.
 “Silente non sta bene” mormorò infine Severus e quasi Remus provò sollievo a quell'affermazione, perché era una cosa che già intuiva e che silenziosamente considerava meno peggio di tante cose che potevano accadere. 
 “Lo so, l'ho visto” disse mite, con tatto. 
 “E ci sono cose che cambiano.” continuò Piton, il volto contratto come se stesse combattendo una difficile guerra interiore, scegliendo accuratamente ogni singola parola “I Malfoy sono esposti, non solo Lucius, ma ora anche Draco e Narcissa, la situazione sta precipitando per tutti, c'è molta tensione”
 “Sei sempre bravo a gestire la tensione, Severus” rispose Lupin, nel tentativo di risultare gentile, mentre cercava di capire qualcosa nella sottile agitazione dell'uomo difronte a lui.
 Piton si tese di nuovo, raddrizzò la schiena cercando di darsi un contegno, raschiando sé stesso in cerca di controllo.
 “Ho dovuto fare un voto infrangibile con Narcissa, le ho promesso che proteggerò Draco” ammise infine e il mannaro dovette sforzarsi di non sgranare gli occhi per lo stupore. Sapeva che l'uomo e Narcissa Malfoy erano legati, ne aveva intuito una forma di rispetto nelle parole che Severus usava per descrivere la donna, sapeva che tra tutti quelli che seguivano la parola di Voldemort, se Piton avesse potuto salvare qualcuno, avrebbe scelto lei senza battere ciglio e di conseguenza quel figlio smilzo e arcigno che aveva visto crescere, Draco Malfoy. Ma un Voto Infrangibile era qualcosa di invasivo e di molto definitivo da accettare, qualcosa a cui nemmeno Remus era preparato.
 “Il ragazzo era in pericolo?” chiese cauto.
 “Siamo tutti in pericolo, Lupin” sibilò il mago, bevendo nervosamente un grosso sorso di vino.
 “Immagino di sì” esalò Remus con stanchezza, senza riuscire a dare un senso a quella conversazione “Silente lo sa?”
 Severus quasi rise tra i denti, improvvisamente di nuovo freddo e amaro, come quell'uomo di vetri e cicatrici, gelido e stoico come l'inverno, che il mannaro si era abituato a riconoscere. 
 “Silente sa sempre tutto”
 “Perché gli sei molto devoto”
 “È così” disse solo Severus. 
 E non parlarono più. Finirono il loro vino muti, scrutandosi appena, lasciando che il silenzio si dilatasse tra loro, mentre fuori dalle finestre la luce calava e le braci del camino si trasformavano lentamente  nell'unica fonte di luce della stanza. Severus tossicchiò all'improvviso e Remus parve destarsi di scatto e stese le gambe intorpidite, godendo ancora per un istante del quieto silenzio tra loro. 
 “Cercherò di evitare Grimmauld Place a Natale” disse infine alzandosi. 
 Non avrebbe potuto tornare lì, a fronteggiare nella sua mente il sorriso stanco e dolce di Sirius, le sue canzoni natalizie stonate e così piene di insensato ottimismo, tutti quei brevi frammenti in cui Black sembrava essere tornato sé stesso, in cui lo abbracciava e amava in silenzio e in cui Lupin aveva sperato in un futuro. 
 “Mi sembra una scelta saggia” rispose secco Piton, ed era di nuovo il freddo uomo di sempre, pieno di spigoli, ma privo di incrinature, almeno dall'esterno. 
 “Tu sarai qui?”
“Sì. Mi tengo a distanza da Hogwarts”
 “Mi sembra una scelta saggia”
 Lupin ciondolò fino all'ingresso, si voltò un'ultima volta a guardare l'altro uomo, ancora immobile sulla sua poltrona, il calice di vino in mano, i libri a fargli da cornice. Si chiese per un istante se avrebbero parlato mai davvero lui e Severus, se sarebbero mai stati in grado di affrontare insieme il loro passato, di analizzare la loro amicizia, tutti quei fardelli che volenti o nolenti condividevano. Si chiese se avesse davvero ragione lui e loro fossero semplicemente nati sotto una cattiva stella, se il loro dolore fosse davvero frutto di un destino ingiusto e crudele. 
“Ti troverò qui se avrò voglia di un bicchiere di vino?”
“Non siamo amici, Lupin”
 “Questo lo dici tu, Severus”

* * *


Non so come fare per aiutarlo”

Severus scrisse quell'appunto su una pergamena sgualcita e lo affrancò alla zampa del vecchio gufo che subito si alzò in volo, diventando preso un piccolo punto nell'azzurro morente del cielo. Era vero. Non sapeva come aiutare Draco Malfoy e scriverlo su una pergamena che sarebbe stata letta e poi bruciata da Remus Lupin non lo aiutava a risolvere il problema, ma in qualche modo lo faceva sentire più in equilibrio. 
 Le stava provando tutte, Severus, per salvare quel ragazzo. Perché riconosceva il freddo orgoglio di Malfoy, il modo caotico e confuso in cui cercava di non fallire, di essere efficace. Riconosceva quella chiusura ostinata, quel rifuggire alle mani tese ad aiutarlo per diventare sempre più solo e arrabbiato. Aveva vissuto sulla sua pelle tutte quelle sensazioni, Severus Piton, ne portava ancora addosso il marchio dopo troppi anni di rancore e stanchezza e avrebbe voluto risparmiare la stessa umiliazione a Draco, ma il ragazzo era sfuggente, troppo simile a un giovane sé stesso, troppo orgoglioso e cieco alle alternative, spaventato a morte fino al midollo, codardo per osare sperare in un futuro migliore.
 Un brivido gli corse lungo la schiena e Severus sentì la febbre salire e il gelo attaccarsi alla sua pelle. Era stremato e conoscendo bene il suo corpo e i limiti di sé stesso, era anche ben consapevole di essere ben oltre il confine. Eppure non trovava soluzione, le ore di sonno erano ormai drasticamente poche, una manciata di minuti nervosi di incoscienza agitata, il pensiero delle cose da fare, ascoltare, studiare, le precauzioni da prendere, era semplicemente costante. 
 Silente non esigeva nulla da lui, come un padre mansueto, se non di essere ascoltato, mentre snocciolava fragili istruzioni, ma era la consapevolezza del male a essere motore delle giornate di Piton, a spingerlo ad accanirsi oltre la sua stanchezza, sulla mano di maledetta del preside in cerca di una risoluzione, nelle riunioni infinite e sempre più fiacche dell'Ordine, nelle retate gelide e terribili tra i Mangiamorte, nelle pianificazioni, nello spionaggio. 
 Ogni volta che cedeva a qualche ora di calma e si costringeva a chiudere gli occhi, galleggiava in realtà nell'Occlumanzia, le labbra serrate nello sforzo di non perdere la sua concentrazione, le mani aggrappate sul nulla. 
E pensava a Lily quando si sentiva troppo esausto, Severus Piton, Lily Evans che avrebbe meritato una vita felice e invece non l'aveva avuta, per colpa del suo tradimento, per colpa di quell'attimo di vanagloria lontano in cui aveva creduto di avere nella vita un riconoscimento. Almeno uno.
 Il Patronus a forma di lupo di Remus interruppe improvvisamente i suoi pensieri e galleggiò davanti a lui. Sembrava tentennare nel buio tenue della sera, esattamente come faceva il mago che lo aveva prodotto, quando azzardava una domanda che sapeva di non dover fare e poi attendeva pacato la risposta, lasciando all'altro il suo spazio.
“Ho ricevuto il messaggio. Vediamoci, Severus. Vengo a Hogsmeade. Dimmi dove” 
 Piton lasciò che la figura argentea svanisse, prima di evocare la sua. La cerva trottò per un istante intorno a lui, aggraziata e leggera, come a ricordare lui dove doveva dirigere tutte le sue poche energie.
“Confine della foresta proibita, Lupin. Adesso”
 Quando la cerva sparì l'uomo rimase un solo secondo immobile, gli occhi chiusi e il respiro lento, nel tentativo di sciogliere i muscoli contratti dalla giornata infinita, di ignorare la febbre crescente. Riprese i suoi passi scendendo di nuovo verso l'ingresso della scuola, incrociò Minerva e Pomona che controllavano i corridoi insolitamente tranquilli e fecero lui un leggero cenno di saluto a cui rispose brusco. Cercava di tenere distanza da loro, con fatica, ma era una forma di protezione necessaria nei loro confronti. Non che Minerva avesse bisogno di qualcuno che rendesse la sua vita più sopportabile, era una donna dura e resistente, ma Severus Piton non voleva essere causa di altro dolore e più apprendeva cose sul suo compito e più si sentiva come un veleno inarrestabile, perché era tutto così complicato da gestire emotivamente, così pieno di inganni e non detto e lui non voleva avvelenare quelle persone.
 Uscì nel parco, lasciandosi alle spalle le pareti sicure del castello, il prato umido di brina debolmente illuminato da una mezza falce di luna che pareva brillare di luce propria. Era una notte tranquilla, priva di nuvole e nell'aria c'era l'odore fresco della neve in arrivo e il suono di lontano di qualche civetta. 
Lupin lo aspettava al confine della foresta, i capelli disordinati sul capo magro e il solito pastrano che pendeva dalle spalle contratte. Sembrava invecchiato, consumato e lo sguardo cioccolato era distratto, come se stesse pensando ad altro. Black. Immaginò Piton senza fatica. Black con cui in quello stesso parco aveva sognato un futuro. 

“Lupin” lo salutò seccamente, tenendosi a qualche passo di distanza.
 “Severus come stai?” rispose l'altro mago, stropicciandosi gli occhi con un gesto arreso.
Piton si obbligò ad annuire in risposta e Remus tese un sorriso stanco. 
 “Bene, bene” mormorò tra i denti, appena un sussurro “Harry invece, sta bene?”
“Potter è come sempre fin troppo in forma” rispose secco Severus e il mannaro rise, ora un po' più dolcemente, l'espressione resa morbida al solo pensiero di quel ragazzino per cui forse avrebbe voluto essere una guida presente e da cui invece, inconsapevolmente, era tenuto a distanza, mentre Potter piangeva la morte di Black, ironicamente forse pensando che, nonostante Lupin, Sirius fosse la sua unica figura paterna. Severus lo trovava ingiusto.
“Il tuo gufo mi ha raggiunto mentre stavo tornando al quartier generale, mi spiace per il ragazzo, Draco intendo” disse Remus, interrompendo i suoi pensieri e Severus annuì di nuovo, improvvisamente pentendosi di aver accettato di vedere l'altro. Di cosa avrebbero dovuto parlare? Non erano a una ronda, il silenzio poteva divenire scomodo tra loro, carico di rancore e rimpianto, ma lui aveva sentito il bisogno di aggiornare il mannaro sul suo sconforto e Remus lo fissava paziente, gentile, come se fosse in attesa che lui decidesse di rivelargli qualcosa. Severus si mosse a disagio.
 “Tu Lupin come...” iniziò, per sviare il discorso
 “Non sapevo che fosse una cerva il tuo Patronus” lo fermò il mannaro e Piton trasalì.
 “I Patronus cambiano forma, sono strani, non attendibili”
 “Davvero? Il tuo quando è cambiato?” indagò l'altro e Severus si obbligò a deglutire.
 “Non è mai cambiato. È sempre stato così da che ricordo” si sforzò a rispondere “Una volta rappresentava un ideale, ora probabilmente è così perché vuole ricordarmi il motore della mia motivazione”
“Lily” disse quieto il mannaro.
 “E ciò che rappresenta” concluse scontroso Piton, trincerandosi dietro muri di Occlumanzia, la febbre che premeva sulle sue tempie, togliendoli lucidità e calma.
 “Era davvero qualcosa di vitale per te, vero?” chiese il mannaro.
 La domanda così netta e sincera quasi lo destabilizzò, ma Piton ormai celava i sentimenti con la stessa facilità con cui si ricordava di respirare e annuì con vago imbarazzo in risposta, pur consapevole di non avere nulla da nascondere all'altro mago. Perché avevano vissuto entrambi in quel castello nello stesso periodo, loro due, e Remus Lupin li aveva visti, lui e Lily Evans quando vivevano spalla a spalla, in una strana simbiosi impossibile da spezzare, respirando la stessa aria, animati da una frenetica speranza. Lo sguardo di Lupin si fece un po' meno stanco e più presente. 
 “Lily mi diceva spesso che tu eri stato il suo primo amico, che eri la persona di cui aveva più fiducia al mondo.”
 “Io e Lily avevamo un rapporto molto profondo, difficile da spiegare” tentò rauco Severus e non seppe perché le parole gli scivolassero così facilmente dalle labbra, forse aveva bisogno di essere ascoltato, forse era la stanchezza.
“James lo definì ingombrante al tempo. Forse aveva ragione, Lily non ha mai smesso di pensare a te completamente” sorrise Remus “Una parte di me sarà sempre convinta che inizialmente lei abbia accettato di uscire con James con il fine di farti reagire, di farti arrabbiare forse, ma si è poi innamorata. Il che è piuttosto ironico”
Severus annuì appena, distrattamente, lo sguardo corrucciato.
 “Era ingombrante sì.” mormorò solo, distrattamente, perso nei ricordi. 
Non era mai stato geloso di James, non aveva mai pensato di essere abbastanza per sostituirlo, non aveva mai desiderato strapparlo a Lily, non era su diritto, né un dovere. Lo aveva odiato cordialmente però, per la sua boria, per i suoi atteggiamenti meschini, per essere così diverso da lui, così visibilmente vincente e viziato, così circonfuso di speranza.  
Non per Lily, non perché stavano insieme. Erano due cose profondamente separate. Odiava James per il modo in cui si comportava, le loro inconciliabili diversità, lo trovava mediocre, imbarazzante, semplicemente perché era lui, non perché lei lo amava. Certo, se avesse potuto scegliere, non lo avrebbe trovato adatto a lei, ovviamente, ma non spettava a lui decidere con chi dovesse uscire Lily Evans, a chi dovesse dare il suo cuore.
 “Tonks?” chiese Severus improvvisamente e forse lo fece perché si sentiva esposto e non voleva essere l'unico in un posizione scomoda “A proposito di Patronus che cambiano.”
 “Lo hai detto anche tu, Severus” si schernì Remus “I Patronus cambiano, sono poco affidabili. Anche il mio da qualche tempo mi sembra più simile a un cane che a un lupo. Quello di Tonks tornerà come un tempo spero.” 
 Il silenzio cadde ancora tra loro, ma era tiepido e privo di tensione. Osservarono le cime ondeggianti della Foresta Proibita e poi le stelle brillanti che spezzavano il blu vellutato del cielo. Remus mosse il piede con aria distratta, smuovendo con la punta della scarpa un po' di terra. Severus si strinse nelle spalle magre, il viso contratto e chiuso.

“Lupin, per quanto riguarda Black...” disse infine, e non seppe perché si fece sfuggire quelle parole, perché cercasse di parlare di Black con il mannaro, così chiaramente ancora fragile e incerto.
 Non voleva torturarlo. Non voleva obbligarlo a pensare a quel suo amore frastagliato che gli era scivolato tra le dita, come un'ombra sbiadita di ciò che era stato. Non aveva sospesi con Black, Severus Piton. Si erano feriti a vicenda con parole taglienti sputate tra i denti, si erano odiati in modo sincero e paritario. Non aveva rimpianti con lui Piton, ma nessuno gli aveva mai chiesto come si sentisse dopo la morte di Lily, nessuno si era mai preoccupato di sapere cosa stesse provando, quando lui aveva così tanto bisogno di piangere e imparare di nuovo a respirare. E sentiva di dovere quell'accortezza a Remus Lupin, Severus, quella possibilità, se voleva, di crollare e urlare, o snocciolare parole e memorie su Sirius Black, su quello che era stato il loro amore.
 Ma il mannaro lo interruppe, mormorando un “Devo andare”, ritirandosi di qualche passo e Piton sbatté le palpebre per un istante confuso e lesse il dolore sul volto dell'altro, che ancora lo trafiggeva fresco e acuto. Annuì quindi, arreso all'evidenza che la conversazione tra loro dovesse per forza essere quasi assente, oppure penosa, piena di ricordi e composta sofferenza. Accettò la ritirata dell'altro, comprese la sua sete di solitudine e rimpianto.
 “Ricorda la tua pozione” aggiunse solo “La luna piena è vicina”
 “Sei gentile a preoccuparti per me”
 “Non mi preoccupo per te, Lupin”
 “Mi chiamerai mai con il mio nome, Severus?”
 “No, non credo, no” 
L'altro rise stanco e amaro, scuotendo appena il capo, con aria che sembrava quasi divertita. 
 “Ci vediamo la prossima settimana allora, Silente mi ha chiesto di fare una ronda a scuola.”
Severus aggrottò la fronte, perplesso.
 “Una ronda a scuola? Perché?”
Remus scrollò le spalle con disinteresse, lanciando un ultimo sguardo veloce all'altro. 
 “Non lo so” rispose quieto “Sai come è fatto Silente, prende dieci scelte, ma non te ne racconta nessuna”
 “Già” disse Severus, ma il respiro gli si bloccò nella gola e l'agitazione gli si rimestò nel petto.
 Il mannaro camminava già verso i confini della scuola, le gambe lunghe che procedevano a grandi falcate, il capo chino, come una figura che ormai Severus avrebbe riconosciuto ovunque, in tutti quegli anni a ricomporsi malamente.

 “Lupin” lo chiamò rauco e l'altro si girò e rimase a distanza, ed era troppo buio perché Severus potesse indovinare la sua espressione, ma gli parve di sentire gli occhi color cioccolato che lo studiavano attenti. 
 “Dimmi” disse il mannaro in un mormorio che arrivò quasi indistinto alle sue orecchie. 
 Severus pressò le labbra, incerto, sentendosi fin troppo scoperto, come se stesse offrendo volontariamente un fianco a un sacrificio inutile e meschino. Prese un profondo respiro, lottando con l'Occlumanzia per ordinare i pensieri, per restare in controllo rispetto alla paura che irrazionale gli irrigidiva i muscoli. Continuò a fissare la figura sottile del mannaro, ancora rivolta verso di lui, in attesa. Si obbligò a raschiare del coraggio dal fondo dei suoi intenti. 
Perché lo sapeva di non avere scampo, Severus Piton. Sapeva che Lupin era l'unico testimone della sua esistenza.
“Lasciami il beneficio del dubbio, Remus. In futuro. Lasciami il beneficio del dubbio”
 E non seppe mai se il mannaro avesse davvero sentito le sue parole, se fosse stupito, o avesse semplicemente annuito, perché Severus si voltò, il mantello che si mosse silenzioso nel buio della notte mentre ritornava su suoi passi. 
 Verso Hogwarts. Verso il suo destino.


* * *

Si scambiarono solo uno sguardo Remus Lupin e Severus Piton. 
 Uno sguardo affrettato in mezzo a grida, polvere e incantesimi. Uno sguardo forse disperato, pieno di parole che il mannaro non aveva colto. E non furono possibili spiegazioni, né fermarsi nella loro battaglia, si incrociarono solo per un istante: Piton che si torceva come in cerca del saluto dell'altro mago, Remus velatamente confuso per quell'attenzione.
 Ma poi ci furono altre urla e feriti ed entrambi svanirono dalla vista dell'altro e fu solo mentre la polvere della lotta si posava pigra lungo i corridoi, che Remus comprese la disperazione che aveva scorto in quell'uomo scuro e solo, che dopo anni lui aveva imparato a leggere, ma non a comprendere. E si rese conto, Remus Lupin, di come Severus fosse affondato per un istante dentro di lui, con forse una punta di disperazione, o malinconia, che nella foga della battaglia il mannaro non era stato in grado di cogliere. Severus, in effetti, gli era sembrato simile a un uomo che affoga e cerca redenzione senza trovarla e lui se ne rendeva conto solo in quel momento.
“È successo qualcosa” pensò Remus Lupin, unendo i puntini, realizzando che Severus era corso su per la scala che nessuno di loro era stato in grado di imboccare, come bloccati da forze esterne. Che era tornato giù nella battaglia con la morte nel cuore, lo sguardo rovente, il volto pallido, una mano stretta sulla spalla di Draco Malfoy in forma di protezione. Che nella fuga per qualche motivo aveva cercato lo sguardo di lui, Remus Lupin. 
Ma quando il mannaro ridiscese le scale verso l'ingresso, appena i Mangiamorte furono scomparsi e si ritrovò davanti al corpo spezzato di Albus Silente, ai piedi della torre di Astronomia, non riuscì a dare il beneficio del dubbio a Severus Piton.
 E non riuscì nemmeno a placare l'acidità che gli invase le fauci e gli atrofizzò il cuore, mentre la sensazione di tradimento gli invadeva il petto. Lo stesso identico presentimento che aveva provato quando Mary McDonald aveva detto lui che Sirius Black era la causa della morte dei suoi due migliori amici, che aveva tradito James e Lily. Lo stesso lacerante dolore che Remus si era sentito incollato addosso per tredici anni.
 E se la razionalità provava a placare la sua rabbia, ricordandogli poi che Sirius lo aveva ritrovato, in mezzo a mille bugie, spezzato e fragile, bisognoso di cure e amore sulle sue ferite, la rabbia rovente nelle vene gli faceva provare un odio viscerale per Severus Piton, che dopo tutti quegli anni, forse, con quel gesto atroce e inaspettato, si era infine vendicato del dolore che aveva dovuto portare a lungo sulle spalle, dell'umiliazione che i Malandrini gli avevano inflitto e di cui non si era mai liberato.
“Lasciami il beneficio del dubbio, Remus”
 Glielo aveva chiesto Severus, chiamandolo per la prima volta per nome. E Remus sapeva che qualcosa di quell'omicidio a sangue freddo del preside di Hogwarts stonava con quel ragazzino ossuto che aveva visto un tempo scivolare silenzioso nei corridoi di Hogwarts, quel ragazzino che aveva meritato l'amore incondizionato di Lily Evans, che poi si era fatto uomo, ferito e sanguinante, ma retto, giusto. 
“Possiamo però fare la cosa giusta, Lupin”
Glielo aveva sentito dire, al limite del suo confuso dolore, e ci aveva creduto a quelle parole, Remus Lupin. Ed era per questo che si era trascinato sui gomiti fuori dalla sua sofferenza, che ci aveva provato davvero a fare la cosa giusta, non per sé stesso, ma per Harry e per un futuro che non sentiva ancora completamente suo. 
E si ricordava, Remus, di quanto Severus fosse devoto a Silente, di quello strano rapporto padre-figlio che lui non aveva mai compreso, ma in cui il Serpeverde si sentiva a suo agio. E ricordava la crudezza delle parole di Piton in ogni momento di sconforto, il modo in cui affrontava la vita con gelido distacco e controllo maniacale. E non poteva essere un caso quindi il Voto infrangibile che aveva preso per Draco Malfoy, né le parole che aveva snocciolato nei loro rari incontri e nemmeno quel Remus appena sussurrato, che gli aveva detto una manciata di giorni prima. 
“Lasciami il beneficio del dubbio, Remus”
 Il beneficio del dubbio. Remus Lupin si rifiutava di credere che la devozione di Severus arrivasse fino a quel punto. Si rifiutava di credere che fosse tutto un piano, che Silente fosse morto per sua volontà, che Piton avesse accettato di frantumare una volta di più la sua anima, ridursi a un niente, obbligarsi alla solitudine più estrema, vanificare ogni suo volere, in favore di un piano più grande. Si rifiutava di crederlo, Remus Lupin. Anche se ogni ragionamento portava per lui a quella conclusione. Si rifiutava di crederlo perché era un sacrificio troppo terribile, troppo gravoso, persino per Severus Piton. E quindi l'unica spiegazione possibile era pensare che l'uomo avesse davvero ucciso Silente di sua volontà, che era un Mangiamorte, che la sua sofferenza fosse fittizia e che dunque lui, Remus Lupin, si fosse sbagliato su quel mago con cui aveva cicatrizzato le proprie ferite, che aveva creduto simile a lui. 

E fu con rabbia ed egoismo, dopo le lacrime, dopo lo sconforto, dopo le parole e le spiegazioni, che Remus baciò Tonks nella luce pallida dell'alba in arrivo. Fu con un senso di rivalsa e di rifiuto che si strinse a lei, costringendosi a essere gentile, riempiendosi le narici del suo profumo di miele e cannella, obbligandosi a credere di essere diverso, diverso da Severus Piton, diverso dall'uomo che aveva provato ad essere e che ancora amava Sirius Black. 
 Baciò Ninfadora Tonks per trovare una via d'uscita da quell'incubo, Remus Lupin, una speranza, una via di fuga forse anche da sé stesso e non dalla solitudine come lei sosteneva. La baciò credendo di amare la sua incoscienza, la sua gioventù, tutti quegli anni di vita che aveva davanti. La baciò teneramente, mormorando scuse e lasciò che lei si aggrappasse al suo braccio, che gli stringesse la mano al funerale, che trovasse conforto nella sua presenza, mentre fingevano di non essere i relitti umani in cui le guerra li stava trasformando. 
 E giurò a sé stesso che non avrebbe rinunciato più a nulla, Remus Lupin, che lui non era uguale a Severus Piton come aveva a lungo creduto, che avrebbe preso tutto quello che la vita aveva da dargli a piene mani, che avrebbe combattuto per un futuro, che avrebbe costruito qualcosa, coltivato ogni possibilità, che avrebbe lasciato una traccia di sé stesso in quel mondo così amaro, che avrebbe amato. 
 E sbatteva le ciglia, Remus Lupin, stupendosi appena che Tonks fosse ancora al suo fianco, dopo due notti di ronde e inferno, con quell'espressione dolce e ostinata che aveva imparato a conoscere, la smorfia tranquilla di chi ha trovato un posto nel mondo e l'ha accettato senza avere smania di nient'altro, lo sguardo fisso sulla bara bianca di Silente, il vestito nero che le fasciava quel corpo sottile, così fragile, così bello.
 E sussultò confuso, Remus Lupin, nel rendersi conto che aveva creduto fosse passato un solo istante da quell'ultimo sguardo scambiato con Severus Piton, la notte della morte di Silente e invece erano trascorse intere giornate. Giornate così piene di sussurri e parole, di solitudine e dolore, di noia e stasi. E nonostante il braccio tiepido di Ninfadora intorno alla sua vita, forse più a sostenerlo che a cercare protezione, nonostante la dolce carezza di lei nell'incavo del suo polso, come a ricordargli che erano in due ormai, Remus si sentì andare alla deriva e si obbligò a fissare il capo rosa della ragazza che aveva preso una scelta per entrambi, in cerca di un sostegno che non lo facesse crollare.
 “Andrà bene, Remus. Troveremo il modo” disse Tonks e Lupin annuì meccanico in risposta, anche se non sapeva se lei intendesse che avrebbero trovato il modo di sopravvivere, o forse di amarsi, nell'ombra di Sirius Black che sembrava osservarli da lontano. Forse Tonks intendeva che avrebbero trovato il modo di addormentarsi la notte senza rimpianti, e che lui, Remus Luoin, forse avrebbe trovato il coraggio di estirpare i  dubbi pungenti su Severus Piton che lo facevano tremare di terrore. Forse Tonks intendeva che avrebbero trovato il modo entrambi di dimenticare, di ricostruirsi da zero, per ottenere quel futuro che Lupin bramava, ma non sentiva di meritare. 
 Perché riusciva ancora a vederlo davanti a sé Severus Piton, pieno di cicatrici e rimpianto. Severus Piton che in fondo era quasi un amico e che scuoteva il capo, amaro e disilluso, con un sospiro spezzato e una risata tra i denti. 
Perché lo aveva detto, Severus, che non c'era futuro per loro, nati sotto la stella sbagliata, e nonostante Remus stringesse Tonks al suo fianco, mormorando parole di conforto, chinandosi verso Harry per offrire il suo sostegno di mite e gentile lupo mannaro, ammaestrato, quasi umano, Remus Lupin sapeva che c'era stata una sola persona al mondo che era sempre stata sincera con lui, seppure nella sua crudele schiettezza. Una sola persona in tutta la sua misera vita che non aveva mai provato a proteggerlo dalla verità, anche quando questa faceva male, anche quando significava accettare la morte di Sirius Black. E questa persona era Severus Piton. 
 Remus pensò che forse in effetti non lo aspettava un futuro, ma che se anche ad attenderlo era la morte, pronta a liberarlo dai suoi tormenti e ricordi dolorosi, prima avrebbe ritrovato Severus Piton. Lo avrebbe afferrato per le spalle magre, lo avrebbe guardato in quegli occhi d'inverno, avrebbe contato le sue cicatrici, come fossero uno specchio delle proprie e gli avrebbe offerto un bicchiere di qualcosa, in onore della vecchia amicizia che non avevano mai ammesso di condividere, dicendo: “Parliamo Severus. Abbiamo tante cose da dirci. Il silenzio a volte non basta”
 E forse lui avrebbe riso rauco amaro, gli avrebbe raccontato della sua infanzia di stenti, del marchio che nascondeva sul braccio sinistro, delle umiliazioni che aveva subito, delle paure che aveva avuto, degli orrori a cui aveva assistito, delle perdite che aveva masticato tra sé e sé con lacrime e dolore. Avrebbero messo entrambi sul piatto tutto quello che sapevano, ma che non avevano mai affrontato: Lily, i loro genitori, Sirius, tutti quei sentimenti che non credevano di meritare e che la vita infatti, impietosa, aveva tolto a entrambi. Morso dopo morso.
 “Mi fido di te, Remus” avrebbe forse detto infine Piton, finalmente tranquillo.
 E Remus avrebbe sorriso, versando un bicchiere di whiskey e masticando lento del cioccolato amaro, lo sguardo quieto che osservava l'altro uomo, con i suoi capelli scuri intorno al volto pallido e le vesti nere a celare il corpo magro.
 “Lo so, Severus” avrebbe risposto mite Remus “'L'ho sempre saputo.”
 E non erano altro che memoria e dolore. 
 Come polvere nel vento.


*Angolo Autrice*

Ciao Lettori. 
Eccomi qui con un nuovo capitolo. Anche se è passato un po' dal precedente.
è dolorosa questa storia, mi accorgo di masticarla con difficoltà, di provare pena per i personaggi, di arrancare un poco nelle loro sofferenze.

Severus e Remus sono sempre stati i miei due personaggi preferiti, ho provato a rendere loro omaggio con questa storia, piena di dolore, certo, ma anche di momenti di sollievo. Sappiamo tutti, in fondo, che non aspetta loro un lieto fine, che hanno la tragedia nel sangue. Sono molto legata a entrambi da sempre e amo il pensiero che questa amicizia, tra le righe del Canon, possa effettivamente essere esistita. 

Sul mio polso sinistro, appena sopra le vene dove si sente il battito del cuore, insieme al disegno di manciata di libri e una tazza di the, ho tatuata la firma "Severus", sul mio polso destro invece, di lato, a guardarmi costantemente, la parola "Moony" e alla fine di questa storia sento di amare questi due minuscoli segni di inchiostro ancora di più. 

Scrivere di loro, in questo periodo strano della mia vita è stato bello e catartico. 
Ci aspetta un altro capitolo ancora in realtà, un epilogo, che forse è inatteso, ma che ho ritenuto necessario, per concludere in modo agrodolce il percorso di questi due personaggi. 
Spero vi faccia piacere posticipare il saluto ancora di un poco.

Grazie a chi lascerà un commento.
Grazie anche a chi legge in silenzio. 
con affetto
vi


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Capitolo 5
*** Diventare Memoria ***


.Diventare memoria.
(Capitolo lungo, leggetelo con calma)



Severus Piton ebbe la certezza che quella notte sarebbe stata l'ultima della sua vita quando vide Remus Lupin morire.
E sorrise amaro dentro di sé nel rendersi conto quanto ancora la fine di qualcosa potesse provocargli dolore.
 E anche Remus Lupin, nel suo ultimo battito di ciglia, forse, ebbe la stessa certezza: quella del privilegio di una morte accanto a un amico quando, in un ultimo gesto repentino, alzò lo sguardo color cioccolato e riconobbe il volto di Severus nella confusione della battaglia e vi scorse l'affetto, il rimpianto e la paura. 
Un respiro. Tanto bastava per passare dall'essere una persona in carne e ossa a un semplice ricordo.

 Per un istante mannaro e spia furono una cosa sola, come se i tormenti dell'uno potessero ancora una volta travasarsi nel petto dell'altro in un precario equilibrio ostinato e condiviso.  Sembrarono quasi scambiarsi mille parole, discorsi, sussurri che non erano mai riusciti a dire ad alta voce e che eppure conoscevano a memoria per tutte le volte che li avevano snocciolati nel buio della loro esistenza. Avevano avuto un anno complicato, Remus e Severus, loro che erano nati entrambi sotto la stella sbagliata e che si erano nutriti di oscurità, anelando la luce. 
 Severus schiuse le labbra, come pronto a dire qualcosa, ma la gola gli si chiuse nell'orrore che provava. Il mondo sembrò improvvisamente andare avanti a rallentatore, come se la battaglia stesse scorrendo su binari diversi da quelli dove lui e il mannaro si trovavano in quel momento. Soli. Stranamente vicini. 
 E scelse il sorriso, Remus Lupin, come ultima smorfia dedicata alla sua vita, un sorriso dolce e comprensivo e Severus lo vide chiaramente, quell'incurvarsi debole e gentile di labbra che aveva imparato a riconoscere e accettare e rimase immobile ed esterrefatto, schiacciato dalla comprensione di ciò che stava accadendo. 
 Sorrideva, Remus Lupin, in pace con ciò che era ora e che era stato nella sua vita ferita e fragile e continuò a guardare Severus per un istante ridicolmente lungo, prima che il suo corpo crollasse nella polvere del parco, con tanta lentezza e quasi eleganza, che Piton si chiese, sconcertato, se la sua licantropia non lo stesse provando a curare dalla morte stessa. Come un'ultima ostinata battaglia d'amore verso la vita, per poi fallire, lasciandolo immobile a terra.
 Antonin Dolohov, lì accanto, si terse la fronte bassa con la manica della veste di Mangiamorte. Gli occhi chiari colmi di stanchezza e il ghigno plastico sul viso squadrato. Sembrava provato dal duello appena concluso. Remus aveva combattuto con enorme e lucida capacità, sdrucciolando solo su un singolo errore, minuscolo, banale: la distrazione che lo aveva colto nel riconoscere i capelli rosa di Tonks, riversa a terra poco più in là.
Un respiro. Era bastato un respiro perché Dolohov lo ammazzasse.


 “Era ostico questo.” esalò il Mangiamorte, riportando Piton bruscamente alla realtà.
Severus si schiarì la voce, rauco. Lanciò uno sguardo al corpo senza vita di Ninfadora, provando un fiotto di doloroso senso di colpa, poi tornò a fissare Dolohov sentendosi per un istante senza controllo.

“Era Remus Lupin” sussurrò e subito sentì brucianti gli occhi di Dolohov correre al suo volto, carichi di sospetto, nell'analizzare ogni sua mossa. 
 “Lo conoscevi?”
 Il Serpeverde abbassò leggermente il capo come a raccogliere i pensieri, i rumori e le grida della battaglia poco distante che gli ferivano la mente. Tonks era bella nella sua immobilità, così giovane e idealista, i capelli rosati a raggiera intorno al volto ovale, ora non più così arcigno. Severus si umettò le labbra, studiandone il profilo sottile e pensò al Patronus della ragazza, alle sue lacrime quando pensava che Remus non avrebbe mai superato la morte di Black, al sarcasmo di lei che aveva quasi apprezzato. Pensò al figlio che non l'avrebbe mai avuta per madre, Severus, invaso da sottile rabbia, ma non riusciva a guardare Remus, non riuscì semplicemente a ruotare il capo e alzò invece gli occhi scuri verso l'altro mago, in uno sguardo colmo di gelido distacco.
 “Come dici?” domandò.
 “Ti ho chiesto se lo conoscevi, Piton. Sembri... sconvolto”

Severus chiuse la sua espressione in una smorfia contratta, cauta. Gli occhi onice, freddi come l'inverno, ora pericolosamente fermi, attenti. Era pallido in volto, le spalle rigide in una posa che faceva pensare al controllo.
 “Frequentavamo Hogwarts negli stessi anni” disse tetro “Era un membro dell'Ordine di Silente, della cricca di Black e Potter, il marito di Ninfadora Tonks, padre di un neonato. Era un lupo mannaro.”
 La sua voce tremava di rabbia e cattiveria mal nascoste e Dolohov fece un istintivo passo indietro. Perché avevano imparato a temerlo, i Mangiamorte, a temere la freddezza e il controllo di Severus Piton, quel suo gelido modo di fare, distaccato davanti a violenze e torture, quell'aplomb annoiato e stanco che nemmeno i Mangiamorte più folli riuscivano a preservare.

 “Lo conoscevi bene allora, Piton.” disse Dolohov con occhi sgranati, incerto e Severus sbatté solo una volta le ciglia, come se stesse considerando attentamente le parole dell'altro e scegliendo come reagire.
 “Non lo conoscevo abbastanza” esalò infine, gelido, in controllo “Ottimo lavoro, Antonin”
 Lo sguardo del Mangiamorte si accese per un istante, come orgoglioso di aver ricevuto un complimento dal sempre impassibile Severus Piton. Sembrò un bambino troppo cresciuto, l'espressione grondante di allegria e Piton percepì quasi il sollievo che scivolò sul volto squadrato e nei respiri dell'altro.
 “Grazie Piton. Lo apprezzo” disse il Mangiamorte.
 “Avada Kedavra”. 
 Dolohov cadde a terra con un tonfo sgraziato e Piton abbassò la bacchetta in un movimento fluido. L'angolo della bocca ancora tremante nel falso sorriso mellifluo che gli aveva dedicato prima di ucciderlo. Si avvicinò alla mole del gigante biondo, spingendolo con un piede per farlo rotolare sulla schiena e gioendo silenziosamente nel vedere quegli occhi chiari ora vitrei e senza forma di vita. Era questo che avrebbe reso per sempre Severus Piton un'anima grigia, incastrato tra i buoni propositi e l'ambizione più nera. Era l'equilibrio, quel desiderio di giustizia malsano e costante, che gli provocava un'acida gioia quando ogni cosa tornava al suo posto, dopo molta pazienza, anche a costo di una violenza, anche a costo di perdere un pezzetto di sé stesso.

 Perché Piton era disposto a distruggere sé stesso e la sua anima in pezzi minuscoli in favore di un bene più grande, della sua redenzione, dell'equilibrio, della giustizia. Aveva grattato così a lungo il fondo della sua esistenza, che nelle notti buie e piene di incubi si chiedeva a volte quale differenza ci fosse in fondo tra lui e Lord Voldemort. Tutto valeva l'equilibrio e la giustizia per lui. Tutto valeva l'immortalità per Voldemort.
Un respiro. Il prato di Hogwarts, scuro come inchiostro nella notte, brillò sfocato per un istante davanti ai suoi occhi.
 “Pezzente” sibilò Severus al Mangiamorte, prima di voltarsi verso l'altro corpo che giaceva a un passo. 
Era Remus Lupin. Remus Lupin. Il suo vecchio amico.

 Ora improvvisamente Severus riusciva ad ammetterlo con sé stesso e sentì il peso di tutto quel passato che fino a quel momento avevano condiviso silenziosamente in due, pesare ancora più oscuro solo sulle sue spalle magre. Osservò il volto rilassato dell'altro uomo, scandagliò le nuove cicatrici, individuandole con facilità, si accorse della magrezza e delle occhiaie stanche anche nella morte.
 Un respiro. Era stato un anno difficile. Un anno logorante. Eppure Severus Piton era ancora vivo per concludere ciò che doveva fare, guardando incredulo il cadavere del mannaro. Eppure ancora non poteva cedere al nulla, ma i ricordi incrinarono il labirinto interiore costruito sulle basi solide della sua Occlumanzia. Un respiro. Un altro ancora.


*

Era stato un anno difficile.
Un respiro.
Un altro ancora.


Severus si obbligò a espandere la sua cassa toracica per permettere all'aria di entrare nei suoi polmoni. Il silenzio intorno a lui era tanto denso da ferirgli le orecchie come fosse un boato. Riprese il suo equilibrio, strinse i denti e si ritrovò a contrarre i muscoli di tutto il corpo in modo repentino, doloroso.
La stanza era quasi buia e dai contorni indistinti. Al di là della grande finestra, solo parzialmente coperta dalle pesanti tende di broccato, riconobbe la sagoma trasparente della serra del Manor. Erano salvi.  
 Bellatrix scoppiò a ridere all'improvviso, alla sua destra, rompendo quell'attimo di stasi con la sua gioia malata e riportandolo bruscamente alla realtà, facendogli mettere a fuoco ciò che era accaduto.
 “Silente è morto” disse lei stridula, gli occhi lucidi di una sincera felicità.
 Severus non disse nulla, ma sotto la sua mano sinistra sentì la spalla di Draco tendersi. Bellatrix si voltò con passo vittorioso, i capelli scuri che sferzarono l'aria intorno a lei, mentre si guardava intorno con malizia evidente. Grayback la seguì a ruota fuori dalla stanza subito dopo, con un mezzo grugnito, il ghigno giallastro che gli tagliava in due il volto ferino.

 Avery, Dolohov e Jugson, invece, apparivano confusi e si scambiarono uno sguardo perplesso, concedendosi di provare un vago sollievo solo quando Severus fece loro un leggero cenno con il mento, permettendogli di rompere le righe e lasciando che si affrettassero anche loro ad abbandonare la stanza.
 L'uomo, rimasto nella stanza solo con il giovane Malfoy, si obbligò a prendere un altro respiro, il volto di nuovo placido a nascondere i suoi sentimenti, l'Occlumanzia che tranciava i suoi tormenti, alzando barriere e labirinti. 
 “Draco” disse rauco, la mano a stringere ancora la spalla del ragazzo, che alzò gli occhi grigi, liquidi di pianto, su di lui.

 “Sì?” chiese incerto, la voce sottile piena di dolore.
 Lo aveva evitato tutto l'anno, quel ragazzino, sfuggendo ai tentativi di Severus di aiutarlo, forse sentendosi un po' predestinato, o credendosi abbastanza forte da affrontare quell'incarico che aveva il solo fine di ridicolizzarlo. Ora però sembrava incredibilmente giovane agli occhi di Piton, il volto magro e pallido, le guance chiazzate di rosa e di vergogna.
 “Devi ricomporti, Draco. Usa l'Occlumanzia, torna in te”
 Malfoy trasalì, il labbro inferiore che tremava senza controllo, ma subito annuì, inghiottendo un groppo di saliva, mentre due lacrime gli rigavano le guance. Per un attimo Severus pensò di dire altro, di provare a essere umano e consolarlo, ma si rese conto che nessuna parola sarebbe stata davvero di conforto.

 L'anima di Draco forse non si era macchiata di una morte, proprio come voleva Silente, ma il ragazzo aveva comunque già fatto il suo passo nel vuoto. Un po' come Severus che, quelle che sembravano vite prima, aveva sputato quella parola, sanguemarcio, definendo così la sua condanna. 
 Draco prese a tremare senza controllo, il petto che si alzava e abbassava in spasmi agitati e lo sapeva, Severus Piton, cosa stava provando il giovane Malfoy, così come sapeva che non ci sarebbe stata pace per lui, che gli incubi lo avrebbero tormentato a lungo, che il disgusto per sé stesso gli si sarebbe attaccato addosso come una condanna.
 “Ho paura” disse sottile la voce del giovane, il capo chino di vergogna. 
Severus tolse la mano dalla sua spalla, risucchiando nuova aria nei suoi polmoni. 
“Non ti è concesso avere paura, Draco. Non ti è concesso più provare nulla ora”
 E si voltò di scatto in un dondolio di mantello, lasciando che il ragazzo affrontasse i suoi mostri. E lo sentì singhiozzare alle sue spalle, mentre lui si affrettava ad abbandonare la stanza, la mente che correva a tutto ciò che doveva fare, quell'intricato e fragile piano che Silente una volta di più aveva affidato a lui, che gli pesava addosso.

Era stanco, Severus Piton. Consumato, ma l'inerzia dei suoi intenti e sensi di colpa lo obbligavano ad andare in avanti ad affrontare i giorni di insonnia che lo attendevano, i piani, le retate, le lunghe ore passate alla presenza gelida del suo Signore.
Sbatté le ciglia una volta, Severus, inghiottendo nella sua mente la luce verde che aveva illuminato la torre d'Astronomia, il corpo di Silente che cadeva nel vuoto, in modo incredibilmente lento e lo sguardo confuso di Remus Lupin che cercava di leggerlo dentro, senza però riuscirci.
Remus Lupin. Piton serrò gli occhi a contare i suoi respiri, lasciando che la calma appianasse la sofferenza. I singhiozzi di Draco arrivavano flebili ora alle sue orecchie, lontani. Remus Lupin. Severus trasalì. Remus Lupin che forse ora si stava rendendo conto di cosa era successo, di quanto Piton fosse stato in grado di annullare sé stesso in favore di un ideale che non gli apparteneva nemmeno, ma che era stato un tempo di Lily Evans, la bambina che lo aveva accettato. 
Non avrebbe capito, Remus Lupin, anche se lui glielo aveva chiesto, con disperazione, di lasciargli il beneficio del dubbio. Non avrebbe capito perché in fondo era un Grifondoro, animato dal coraggio e dal buon cuore e Severus era invece come un veleno amaro, anche quando voleva fare del bene. Severus era disposto a dannare sé stesso per vincere, Remus Lupin solo a portare il peso del mondo sulle sue spalle.
 I singhiozzi del ragazzo continuarono a spezzare il silenzio del Manor. L'uomo sospirò e ritornò sui suoi passi, fino alla stanza dove Draco Malfoy piangeva da solo. Sapeva perfettamente cosa avrebbe fatto Lily Evans al suo posto. Lily avrebbe abbracciato Draco Malfoy, con quel suo broncio contrito e la fronte aggrottata. Lo avrebbe stretto contro di sé fino a imporgli la calma, ragionando fervida alla ricerca di una soluzione, poi lo avrebbe scosso appena, gli avrebbe intimato di trovare il coraggio, gli avrebbe assicurato che lei sarebbe stata a combattere al suo fianco.
 Severus si chinò invece sulle ginocchia, di fronte al ragazzo rannicchiato, lentamente, flettendo i muscoli doloranti per la tensione del combattimento. Guardò Malfoy con distacco distratto e si chiese cosa avrebbe fatto anche Lupin al suo posto. Lupin che una volta lo aveva salvato da un attacco di panico, con pacata gentilezza e un pezzo di cioccolato. Lupin che ora forse lo odiava, sentendosi improvvisamente tradito. 
 Draco alzò appena il capo, pieno di imbarazzo, il volto congestionato come quello di un bambino. Piton mosse solo una mano, appoggiandola sulla sua spalla, come tante volte aveva fatto con lui Silente. 
 “Respira Draco” disse solo, fissandolo freddo “Devi immettere aria nei polmoni.”
Il ragazzo annuì, inghiottendo bocconi di nulla nella gola arida e sbattendo più volta le ciglia.
“Non ci riesco” tremò. Era sotto shock. Sembrava sul punto di perdersi. 
 “Sì, che ci riesci” disse pigro Severus, la mano ancora sulla sua spalla, la mente confusamente persa in ricordi dove i volti di Lily, Remus, Silente, Black e il giovane Regulus si intrecciavano nella sua coscienza “Respira” impose. 
 Draco questa volta eseguì in modo goffo e meccanico, tossendo saliva e angoscia e Severus annuì lentamente. 
 Si sentirono i passi affrettati di qualcuno lungo il corridoio e sulla porta un istante dopo apparve Narcissa, scarmigliata dalla corsa eppure come sempre austera e in controllo. La donna rimase perplessa a osservare il figlio e Piton che gli stava di fronte, una mano sulla sua spalla, poi sbatté le ciglia e fece un passo avanti. Aveva i capelli sciolti e portava una veste da camera in seta, larga e leggera, che eppure risaltava divinamente sulla pelle diafana come quella del figlio e slanciando con eleganza il suo corpo magro e asciutto.
 “Severus” mormorò, con vaga dolcezza. 
 L'uomo si staccò da Draco, rimettendosi in piedi e annuendo appena, si avvicinò alla vecchia amica, guardandola negli occhi con aria grave, come se volesse comunicargli ogni sua preoccupazione, pur senza lasciare intravedere nemmeno una delle sue ferite grondanti di colpa.
 “Che è successo?” chiese lei, pacifica.
 “La missione è riuscita” 
 Gli occhi di Narcissa tremarono dietro i suoi muri di Occlumanzia. Severus la vide incrinarsi, ma solo perché si conoscevano molto bene. Inarcò appena un sopracciglio, per intimarle il controllo e in un respiro Narcissa fu di nuovo sé stessa, stese un sorriso morbido e chinò il capo in un cenno di ringraziamento. 
 “Grazie per aver riportato a casa Draco”
 “Non che avessi scelta”
 “Grazie comunque”
“Il ragazzo ha bisogno di cioccolato” disse Severus.
“Cioccolato?” chiese vagamente stupita la Black. 
“Cioccolato” confermò lui con un cenno stanco e uscì dalla stanza con uno sventolio del suo mantello.
Un respiro.

*

Un respiro.
Un altro ancora.

I capelli rosa di Tonks erano intrecciati con fiori di campo e lei sorrideva, avvolta nel semplice vestito bianco e sembrava così giovane e spensierata, felice forse. Remus Lupin si sentiva un relitto invece, sul punto di affogare, mentre stringeva le mani della ragazza e si obbligava a sorridere a sua volta, anche sé dentro di sé continuava a sanguinare. 
 Aveva abbandonato l'appartamento Babbano dove lui e Sirius erano stati quasi felici, Remus Lupin, lasciandolo quasi intatto: una tazza vuota appoggiata accanto al lavello, i dischi nella loro scatola, i libri spolverati sugli scaffali. 
 Non aveva portato nulla con sé in quella nuova vita, se non sé stesso e una sacca di vestiti. Si era lasciato trascinare da Tonks amorevolmente, aveva osservato la sua nuova casa con distacco, obbligandosi solo a una smorfia gentile, mentre ispezionava distratto i mobili in legno e le ampie e luminose finestre. 
Tonks era viva, tutto intorno a lui, ostinata a ritagliarsi in quella guerra un pezzetto di pace. Non gli faceva mai domande, non lo obbligava a essere contento, né a prendere delle scelte, solo gli stava accanto, poggiando la sua testa sulla sua spalla la sera, prendendogli il volto tra le mani a volte, baciandolo delicatamente sulle labbra.
 Cercava di amarla, Remus Lupin, concentrava su quella ragazza tutte le sue energie, per non pensare all'anima persa di Sirius Black, il corpo spezzato di Silente alla base della torre di Astronomia, gli occhi scuri colmi di paura di Severus Piton. Abbracciava Tonks quando si sentiva di perdere l'equilibrio, si ricordava di farle un sorriso ogni volta che beveva un sorso di caffé, cercava di ricordarsi che lei era vera, che esisteva, che lo stava salvando dalla solitudine. 
 Aveva smesso di andare al cimitero da Lily e James, Remus Lupin, per paura di incontrare Severus. Si era rivelato ancora un codardo, come anni prima aveva accettato il suo incarico ad Hogwarts solo per paura che Black lo andasse a cercare. Fuggiva dalle responsabilità con garbo, applicandosi solo quanto il suo ruolo di membro dell'Ordine richiedeva.  

 Ascoltava le riunioni, usava la strategia sui piani in modo fiacco, pensava distrattamente ad Harry, accettava di andare presso i branchi di lupi mannari durante le trasformazioni senza mai lamentarsi, carpiva informazioni, dava sostegno a chi lo chiedeva, senza dare peso alle sue cicatrici sempre più numerose e alla stanchezza quasi soffocante. 
Galleggiava, Remus Lupin, obbligandosi blandamente di fare la scelta giusta. Si ricordava appena di mangiare e si abbandonava al riposo quando Tonks glielo imponeva. Le sorrideva allora, la carezzava se si sentiva lucido a sufficienza, cercava di essere gentile e quando lei la notte gli si stringeva contro, tiepida e dolce con il suo odore di miele e cannella, Remus la abbracciava a sua volta e strizzava gli occhi in cerca di dettagli su cui lasciar cadere la sua concentrazione: il piccolo neo nell'incavo del collo di lei, il profumo delle pareti della loro stanza, il suono dei loro respiri. Si lasciava portare avanti dalla marea tranquilla Remus Lupin, respiro dopo respiro, tentando di provare gratitudine, facendo qualunque cosa in suo potere per essere una brava persona e non dover pensare mai e poi mai a Severus Piton e a quella richiesta spezzata: “Lasciami il beneficio del dubbio, Remus.”

 Tonks gli aveva chiesto di sposarla una mattina, sorridendogli in quel suo solito modo leggero e tranquillo, mentre leggeva le notizie del Profeta sgranocchiando un biscotto. Aveva i capelli di un arancione chiaro quel giorno e lentiggini sparse sul piccolo naso che gli facevano pensare a Lily.
 “Potremmo fare una piccola festa dei Weasley” aveva detto la ragazza, scrollando le spalle come fosse una cosa di poco conto “Prima che tutto peggiori potrebbe essere un bel momento da ricordare”
 E Remus aveva alzato il capo e aveva pensato subito al matrimonio di Lily e James, in quella tiepida giornata che era sembrata a lui perfetta. Aveva pensato alla spalla di Sirius contro la sua, a Peter Minus che rideva alle battute di Mary in modo troppo sguaiato, alla speranza che lo aveva invaso nell'incoscienza della sua giovinezza, mentre ruotava ubriaco sulla pista da ballo insieme a Black, strizzandosi ai vicenda i fianchi, un po' per scherzo un po' per amore.

Sei felice, Moony?”
“Solo se lo sei anche tu, Padfoot”

Aveva pianto quel giorno Lily, mentre lei e Remus osservavano da lontano James ridere con Sirius di qualcosa. Aveva pianto lacrime pesanti, che si mischiavano al suo sorriso perenne, in mezzo a tutte le sue lentiggini. Aveva pianto perché Severus non era lì con lei e Remus l'aveva abbracciata con dolcezza, trovandola fragile e vera, e le aveva offerto un pezzetto di cioccolato, che Lily aveva afferrato ridendo appena, scuotendo il capo con un gesto elegante, ciocche rosse che le accarezzavano la fronte e le gote.

Sei davvero il solito, Remus Lupin”
“Tu sei la solita Lils, per questo ti voglio bene”

“Cosa pensi? Ci sposiamo?” aveva chiesto di nuovo Tonks, con una risata leggera.
 E Remus aveva risposto “Ok Dora, sposiamoci” e ora che lei gli era di fronte, con i capelli rosa intrecciati di fiori, quasi non ci credeva e sorrideva meccanicamente in modo quasi felice e pensava che Lily aveva avuto ragione. 
 Mancava Severus. L'unica persona che era testimone di tutta la vita di Remus Lupin. Mancava decisamente Severus a quel matrimonio con poco senso e tanto amore, tra una giovane e un mannaro, dove Tonks sorrideva felice e i Weasley applaudivano affettuosi. Severus che se ci fosse stato avrebbe scosso la testa e detto: “Ora sì che sei fregato, Lupin. Chissà cosa direbbe quel cane di un Black?”, alzando verso di lui un bicchiere di Whiskey, il ghigno in fondo non così amaro.
 Remus Lupin si sentì sul punto di piangere, come non faceva da anni e la sua sofferenza venne presa dai presenti per commozione. Strinse la mano a Dora, per non perdere il coraggio, si obbligò a spandere la cassa toracica per continuare a vivere.
Un respiro.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

Severus represse la nausea e la stanchezza in fondo alla sua volontà, mentre avanzava nei corridoi del Manor. 
 Lucius lo seguiva a pochi passi, terrorizzato dalla sua stessa ombra, fragile come vetro. Non sapeva come aiutarlo, Severus Piton, che un tempo aveva giudicato Lucius Malfoy quasi un amico, un discreto conoscete almeno, e che ora cercava di ignorarlo per controllare la sua irritazione.
“Severus” lo chiamò rauco l'altro l'uomo “Cissy dice se potessimo risparmiare a Draco...”
 “L'Oscuro ha detto che devono esserci tutti, Lucius. Tuo figlio ha il marchio. Non lo salverà la sua età. Se volevi risparmiarlo avresti dovuto evitare di andare ad Azkaban e di far sì che lui fosse marchiato”
Lucius fece un mezzo rantolo, mentre arrancava nel seguirlo, ma Severus Piton non diminuì il passo, né lo degnò di uno sguardo. La magia nera di quel luogo gli si incollava addosso come inchiostro gelato, rendendolo insofferente e facendo tremare la sua Occlumanzia. Era ormai però una macchina di perfetta e cinica freddezza, Severus Piton e con impazienza fece solo calare altre pareti interiori, ordinando ricordi e informazioni su scaffali immaginari, stipandoli in modo didascalico in un labirinto che conosceva a perfezione. PrecisoOrdinato
 Una piccola parte di sé si chiedeva a volte se occludere le sue emozioni così a lungo non lo avrebbe reso inumano, ma non aveva in fondo nessuno più al mondo con cui essere sé stesso, Severus Piton, poteva fregiarsi del titolo di mostro.
 “Severus...”
 “Taci Lucius. Risparmia il fiato” gli intimò mentre scendeva l'ultima rampa di scale verso la sala principale.

 Quando entrarono nella sala gremita di Mangiamorte, intorno al tavolo lucido e nero reso più ampio del solito dalla magia, l'aria era tesa e resa pesante da una tangibile attesa. Severus non reagì e contrasse la sua Occlumanzia fino allo sfinimento, nel tentativo di ignorare i brividi involontari che la magia nera provocava sulla sua pelle pallida e pregando che Lucius avesse la decenza di continuare a muoversi fino alla seduta libera accanto a Narcissa, come sempre elegante e dall'aria vagamente distratta. 
 “Severus” sussurrò Voldemort nel vederlo, il tono mite, quasi dolce nei suoi confronti “Siedi qui, alla mia destra.”
Piton fece un breve cenno con il capo ed eseguì senza battere ciglio, ignorando gli sguardi nervosi dei presenti. 
 C'era qualcosa nel modo in cui l'Oscuro lo trattava che gli dava ancora una sorta di tiepido piacere, una rivalsa nei confronti del sé stesso appena adolescente che insieme a Regulus Black aveva occupato gli angoli delle stanze, senza che nessuno si accorgesse di lui. C'era qualcosa anche nel cieco terrore e nella gelosia latente, che coglieva negli altri maghi intorno al tavolo, che faceva tremare dentro di sé un ghigno vittorioso e misurato, perché anche se lavato delle sue cattive intenzioni, il capo chino per redimere i suoi peccati, Severus Piton rimaneva una persona avida di riconoscenza.
Ed era ora utile, Severus Piton, ben diverso dal bambino che aveva ascoltato pieno di desiderio di rivalsa i racconti scomposti sussurrati da sua madre. Era utile ora, Severus Piton, esattamente come Silente gli aveva chiesto di essere. Utile tanto da poter sedere accanto a Voldemort con relativa calma, avendo il privilegio di notare i vaghi tremori e le sottili crepe che il mago Oscuro cercava di nascondere. Utile abbastanza da avere il diritto di parola e la concessione della credibilità.

 Voldemort era sul confine tra la vita e lo sgretolarsi del proprio corpo, sempre più simile a un guscio tenuto insieme da rabbia e volontà, era evidente. Severus ne era testimone, ma era anche consapevole di come questo dovesse provocare terrore e spingerlo ancor più intensamente a non abbassare la guardia. Perché come un animale in gabbia che sa di essere sul punto di morte si ostina a sperare nella vittoria, diventando rabbioso e privo di logica, sapeva che Voldemort, anche se consumato dalla sua stessa avidità, poteva essere ancora pericoloso.
Per questo fingeva più distacco di quel che servisse, Severus Piton, lasciando che fosse Bellatrix a mostrare dell'infantile entusiasmo a ogni successo. Per questo si era ammantato di mistero e freddezza, rinunciando con un battito di ciglia ai premi che l'Oscuro dava ai suoi sostenitori più accaniti, rifiutando le prigioniere, scivolando via durante i festeggiamenti di ogni vittoria. Perché Severus teneva in equilibrio la sua figura, allontanandosi da ogni piacere o gentilezza, assicurandosi l'arido controllo della sua esistenza. Si fingeva umile e restio a muovere il suo pensiero su altro che non fosse la loro causa. Era solo e triste. Il servo perfetto di Lord Voldemort.
 Mormorò parole giuste al momento giusto in quella riunione, lottando con la nausea e il disgusto, facendo scivolare fuori dalle labbra le informazioni, dando consigli. E rimase impassibile Severus, il volto distaccato e la mente che correva a mille ragionamenti, aggrappandosi a immagini varie e confuse che lo portassero fuori di lì, mentre i Mangiamorte tenevano il capo chino al tavolo, come ogni volta che Voldemort sorrideva, persino Bellatrix e Draco sembrava sul punto di accartocciarsi su sé stesso. Solo Narcissa teneva il capo sollevato.

“Severus ti prego. Siamo amici”
 Piton si irrigidì appena e mise a fuoco la situazione di fronte a lui, da cui aveva provato a estraniarsi.
Charity Burbage lo guardavo con occhi umidi di terrore, le labbra sottili socchiuse in una preghiera speranzosa, il corpo legato e provato dalla prigionia e Severus Piton cercò di non provare nulla, di nascondere il moto di paura che lo aveva invaso dietro lo sprezzo, perché sapeva che gli occhi di Voldemort lo stavano scrutando, sapeva che la sala intera stava trattenendo il respiro, ed era anche dolorosamente consapevole di come Charity Burbage non fosse una pedina abbastanza importante per permettersi mettere tutto in gioco.
Charity era una reazione collaterale, il male necessario perché ogni cosa seguisse il suo corso nel modo corretto. Salvarla non era strategicamente corretto. Non avrebbe migliorato la posizione di Severus nei Mangiamorte, non avrebbe indebolito Voldemort, non avrebbe salvato Potter. Charity Burbage era sacrificabile. 
E non importava che Piton avesse chiacchierato con lei tra i corridoi della scuola, stupendosi della pacata intelligenza della Corvonero. Non importava che l'avesse vista seduta accanto a Minerva nelle sere invernali, a ridere sommessamente con una tazza di the tra le mani. Non importava che fosse una sua collega, gentile per altro e capace, che una volta gli avesse augurato 'Buon Natale' con un sorriso quasi amichevole, che fosse mite e riservata, in modo inusuale e apprezzabile e che soprattutto non avesse nessuna colpa, se non quella di insegnare Babbanologia. 
Severus sbatté nuovamente le palpebre, grondante di disinteresse e la donna torse ancora il collo, le lacrime che le colavano tra le guance magre e lo guardò dritto in volto, ripentendo ancora e ancora “Severus, ti prego. Siamo amici”.
E avrebbe voluto stracciarsi il petto e morire Severus Piton. Proprio in quel momento. Avrebbe voluto smettere di combattere una guerra di cui intuiva non avrebbe visto la fine, ma continuò a guardare Charity Burbage, dritto negli occhi: quel danno collaterale, quella pedina sacrificabile.  Si lasciò avvelenare dall'odio per sé stesso, Severus, mentre una parte blanda del suo cervello si chiedeva quanti incubi avrebbero tenuto sveglio quella notte il giovane Draco Malfoy, che singhiozzava dall'altro lato del tavolo, mascherando la sua paura con un'espressione di orrore e l'altra si chiedeva cosa avrebbe fatto lui, Severus Piton, ingrato e incapace di dire una parola per risparmiare a una collega quella fine orribile, se su quel tavolo lucido e nero ci fosse stato Remus Lupin.
La morte di Charity Burbage era un evento collaterale, certo, ma la sentì abbastanza gelida contro le sue ossa, Severus, per capire che non sarebbe riuscito a compiere il destino che lo aspettava se avesse conservato un po' di speranza. Perché la speranza era falsa e ingannatrice. Perché era la speranza che aveva fatto voltare la donna verso di lui, in cerca di aiuto e compassione e lui, Severus Piton, non poteva permettersi il lusso di sperare, né di sbagliare. 
 Si alzò meccanicamente insieme agli altri al gesto del suo signore, mentre gocce di sangue cadevano sul pavimento con suono sordo e Nagini si allontanava in una scia di sangue. Si costrinse a non trasalire al tocco di Voldemort sulla sua spalla, rarefatto e gelido, ma velato di approvazione. Si obbligò a camminare verso Draco Malfoy e costringerlo ad alzarsi, dato che Lucius non sembrava reagire e lo esortò a seguirlo fuori da quella stanza, prima che qualcuno potesse approfittare del suo terrore. 
 Si nascose dietro maschere di Occlumanzia, rabbia e ostinazione, Severus Piton, lasciandosi alle spalle quella scena che sapeva di rancore e perdita, con uno svolazzo di mantello, provando a non pensare allo schiocco delle mandibole di Nagini e mantenendo l'espressione chiusa e austera, la mente che già galoppava al suo prossimo compito.

 Non poteva permettersi di piangere Charity Burbage, che un tempo aveva riso alla tavola dei professori, avvolta in quelle vesti un po' datate che amava però indossare. Non poteva permettersi di immaginare lo sguardo color cioccolato di Remus Lupin su quel tavolo nero, non implorante come la donna, ma anzi: serio e arreso.
 Piton strinse la mano più forte sulla spalla di Draco, spingendolo per i corridoi del Manor, inghiottì saliva, cercò il controllo. Perché lo sapeva perfettamente, Severus Piton, che se fosse stato Remus Lupin quello in procinto di essere sbranato da Nagini, allora forse la sua maschera sarebbe caduta con un clangore tragico, frantumando in pezzi la ragione. Forse un atto di egoismo lo avrebbe spinto a intervenire, a non perdere un'altra fragile parte di sé, un altro amico. Severus strinse gli occhi e inalò aria, sentì la voce sottile di Draco chiamarlo con tremore. 
 “Professore. Professore, si sente bene?”
L'uomo aprì gli occhi a scrutare verso il basso quel ragazzino pallido e ferito. 
 “Sto bene, Draco. Va in camera tua ora” rispose secco “Chiudi la mente, impara a nascondere il terrore. Puzzi di paura lontano un miglio. La paura è un'arma pericolosa, non lasciare che ti sbriciolino, Malfoy. Ok?”
 “Signore io...”
 “Non fidarti di nessuno. Nemmeno di me” lo fermò Piton e ancora una volta gli diede le spalle e si allontanò in fretta, ascoltando il suo stesso consiglio, nascondendo il suo dolore e il volto di Charity dentro di sé.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

Remus beccheggiò in avanti, il sudore che gli colava lungo il collo e i denti tanto stretti da trafiggergli con un dolore sordo le tempie. Cercava di trattenere George contro il suo corpo con il braccio destro, ma il sangue che usciva copioso dall'orecchio del gemello rendeva la presa scivolosa e il sapore ferroso che si irradiava da lui distraeva i suoi sensi. 
 “George, non mollare la tua scopa.” mormorò con disperazione, ma il mugolio che il gemello fece dal limite della sua coscienza lo mise maggiormente in allarme, piuttosto che tranquillizzarlo. 
 Remus inclinò la scopa con la mano sinistra, schivando per un pelo un getto verde lanciato verso di loro e avvertendo un fiotto di disperazione nel petto. Non poteva usare la bacchetta per difendersi, o George sarebbe caduto e cercava quindi solo disperatamente di evitare le maledizioni in arrivo, gestendo goffamente la scopa con la mano sinistra.

 Ma non era mai stato provetto nel volo, Remus Lupin. Sirius era quello bravo, quello che insieme a James, persino nella luce trasparente delle albe invernali, si librava leggero sulla sua vecchia scopa come se fosse fatto d'aria. Riusciva a vederlo chiaramente nei suoi ricordi, Sirius Black con lo sguardo illuminato dal divertimento e l'ebrezza della velocità che gli scompigliava i capelli. Bello, vincente, inarrivabile. Remus ci aveva provato a volare, anche solo per non sentirsi troppo diverso, anche solo per causare in Sirius un sorriso, ma stare lontano dal terreno lo metteva a disagio, rendendolo particolarmente vulnerabile e seccandogli le fauci, ed era stato Sirius a insegnarli come trattenere la scopa per ammorbidire la caduta e come muoversi in aria in modo accettabile, evitando di essere strattonato a destra e sinistra.
 Un altro fiotto di luce rossa si diresse verso di loro, sfiorando il suo gomito sinistro. Remus trattenne il respiro stringendo George con più disperazione e invertendo bruscamente direzione. Doveva scendere a terra. Ora. 
 La sua mente si mosse confusa in cerca di una strategia che avesse senso. Era sempre bravo a improvvisare sotto tensione, nonostante amasse preparare meticolosamente ogni sua mossa. E il suo istinto era buono per quanto non sempre amasse seguirlo, dubitando della parte animale che si celava nel suo sangue. Ma Remus lo sapeva, non c'era tempo di ragionare in quel momento, il cielo sopra di loro era una ragnatela di incantesimi, urla e maledizioni e quindi continuò a muoversi, per non rendersi un facile bersaglio, pungolando il peso di George sul suo fianco.
 “Mi sento svenire” mormorò il ragazzo.
 “Resisti” gli rispose lui, cercando di ignorare il panico. 
George aveva ancora le fattezze di Harry, che era un ragazzo piuttosto smilzo, ma di lì a poco la Polisucco avrebbe terminato il suo effetto e l'alto e dinoccolato gemello sarebbe stato più difficile per Remus da gestire. Serrando le labbra, lanciò un ultimo veloce sguardo ai combattenti per valutare la situazione e riprese a scendere. Era impossibile riconoscere le sagome delle persone da quella distanza, mischiate in una furia cacofonica, eppure il suo sguardo trovò senza fatica Severus. Severus
 L'uomo si muoveva seccamente in aria, con traiettorie nervose e spezzate, come se cercasse di essere ovunque, ma non fosse completamente a suo agio sulla scopa. Remus sbatté le ciglia e lo vide sparire in uno sbuffo di fumo nero e comparire in un altro punto del cielo un secondo dopo, muovendo la bacchetta da ogni lato, in gesti precisi e studiati. 
Non stava colpendo nessuno. La consapevolezza cadde sul mannaro come un manto, in un altro battito di ciglia. E lo sapeva, Remus Lupin, che Severus Piton non era fatto per fallire nella vita.   Che era abile e spietato e che se avesse voluto avrebbe potuto ucciderli tutti. Perché era potente, allenato, avido di riconoscimento. Preciso.
Lo sapeva, Remus Lupin, che in nessuno scenario possibile poteva esistere un Piton che mancava più volte i suoi avversari, mentre le sue maledizioni sfioravano l'aria intorno all'Ordine, ma non andavano mai a segno. Le lanciava e subito dopo il suo sguardo si muoveva di nuovo, come in cerca di un nuovo bersaglio da non colpire. 
In quell'attimo di consapevolezza Remus si chiese se addirittura Piton non stesse cercando di distrarre i Mangiamorte, con tutte quelle fatture così luminose, che passavano così vicine alle loro scope, potenti e destabilizzanti, ma mai letali e nel momento in cui rimase a guardare, il mannaro si rese anche conto che Piton aveva ferito George proprio mentre Dolohov li stava inseguendo e si chiese, se il Sectumsempra non fosse stato rivolto a lui piuttosto che a loro.

La nausea gli serrò il respiro. Era troppo da gestire e processare e George stava perdendo sangue a fiotti e pesava sempre di più. Remus si chinò in avanti, scendendo nuovamente di quota, non poteva smaterializzarsi con il gemello in quella condizione e non potevano farsi notare se volevano uscirne vivi. 
 “Ci sei George?” chiese. 
 “Non molto Rem” rispose atono il ragazzo, pallido in volto e con gli occhi sgranati.
 “Resisti ancora un poco” rispose il mannaro, guardandosi cautamente alle spalle “Dobbiamo scendere lenti”
 Severus Piton era immobile nel cielo stellato e anche a distanza Lupin seppe che era rivolto verso di loro e si chiese per un attimo cosa stesse pensando quell'uomo distrutto che aveva quasi creduto amico, con cui aveva condiviso cioccolato e whiskey d'annata, sgrattando le reciproche colpe con stanca arrendevolezza. Si scambiarono uno sguardo ferito e senza parole e Remus si ritrovò a pensare alla richiesta dell'uomo di concedergli il dubbio, che lui non aveva voluto prendere in considerazione, allontanandola ferocemente dai suoi pensieri. 
 “Rem” sussurrò rauco il gemello “è Piton quello che ci sta guardando?” 
Lupin inalò aria e non rispose, ma scese lentamente di qualche altro metro, continuando a lanciare sguardi all'indietro per assicurarsi che tutti gli Harry e i loro difensori si attenessero al piano. Piton era ancora immobile e sembrava completamente assorbito dai suoi pensieri. Si stagliava come un'ombra nera e austera sul cielo illuminato dai lampi della battaglia, il mantello ondeggiante nella notte tiepida.
Aveva colpito George. Vero. Non poteva essere che lui, perché quel taglio sanguinolento era chiaramente inferto da un Sectumsempra, ma forse il suo intento era stato fermare Dolohov? Remus se lo chiese di nuovo e di nuovo e ancora. 
Quando il gigante biondo si era accanito su di loro, ridendo animalesco e senza controllo, non aveva forse gridato Piton “Lasciali a me, Antonin, tu va oltre?”. Ma Piton non li aveva seguiti, li aveva lasciati fuggire, aveva permesso che Lupin riafferrasse George e si allontanasse quanto bastava perché si rimettessero in equilibrio sulle loro scope.

 Remus schiuse le labbra, preso dallo stupore, il cuore che gli batteva feroce nel petto e gli occhi improvvisamente lucidi di stanchezza. Cercò di ritrovare il respiro. Cercò di pensare a Tonks e la sua razionalizzata calma nell'affrontare ogni cosa, ma era difficile. 
 “Rem” esalò di nuovo George, il mannaro chinò il capo a controllare il gemello e quando lo rialzò Severus non era più lì. Con la coda dell'occhio vide Malocchio gridare, nel tentativo d riafferrare Mundungus, che preso dal panico si smaterializzò poco più in là. Ci furono altri lampi e la notte per un istante venne illuminata dalla morte. 
Remus lanciò un ultimo sguardo intorno in cerca di Severus, ma l'uomo sembrava essere scomparso. Contò le copie di Harry in aria. Uno, due, tre. Il vero Harry non era più lì: potevano andare. Remus inclinò la scopa e sentì l'aria data dalla velocità della loro discesa sferzargli il volto e cancellargli le lacrime. Trattenne il respiro, strinse George e raggiunse il prato sotto di loro, atterrando con un po' troppa irruenza. La passaporta li attendeva. Un vecchio scatolone al lato della strada. Remus strinse con forza George e si mise a correre. I lampi della battaglia continuavano a rischiarare per brevi istanti il cielo sopra di loro, da laggiù sembrava quasi un temporale.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

Preside. A volte Severus avrebbe voluto ridere amaro della sua condizione, l'avrebbe fatto, se non fosse stato così stanco. 
 Preside. Capo di una scuola che odiava ed amava con tutto sé stesso. Ragno su una tela di menzogne e piani intrecciati insieme. L'uomo si chinò in avanti e vomitò sull'erba umida del parco, scosso da tremiti. Non riusciva più a respirare Severus Piton. Non riusciva più a gestire la solitudine, il rimorso e la paura, le pareti Occlumantiche del suo labirinto interiore costantemente alzate, il disgusto fasullo che gli sta contraendo i lineamenti in una forma nuova. 
 Aveva bisogno di dormire Severus, ma le notti erano consumate a camminare sul perimetro della scuola, come un tempo aveva fatto con Remus Lupin, lasciando che la mente corresse veloce, ad analizzare ogni prossima mossa e schema e i giorni era estenuati dai Mangiamorte e le richieste, da quella magia Oscura così malata.
Aveva perso la sua motivazione Severus, il suo riscatto, la sua possibilità di sopravvivere a quella guerra. Albus era ridotto a un dipinto ironico che gli parlava da una parete, nessuno sapeva del suo doppio gioco, le responsabilità e gli occhi rossi di Lord Voldemort che pesavano sui suoi incubi terribili e gelidi. Si chiedeva blandamente quanto a lungo potesse ancora resistere, mentre sentiva la magia oscura addensarsi nei suoi polmoni e sui suoi legamenti, come un veleno logorante e acido. Si riempiva lo sguardo di orrore, avvertendo l'odio degli studenti ogni volta che entrava in una stanza. Lo temevano, ma non più come forma di rispetto e stupore. Lo temevano tutti con un sguardo rovente e feroce. Severus tremava la notte al solo pensiero. 
 Era stato un ragazzino solo, affamato di riconoscimento e nutrito dall'ambizione un tempo. Era stato un ragazzino fragile, incapace di processare i sentimenti, avventato nel suo timido fervore. Non meritava questo. 
 “Piton.”
Severus era ancora chino in avanti, scosso da deboli conati, ma raddrizzò la schiena, facendo leva sulle ginocchia con le mani e cercando di ignorare il sapore acido che sentiva nel fondo della gola. Tremò. Era debole. E ferito.
 “Minerva”
 La donna lo guardava con perplessità evidente, un sopracciglio inarcato verso l'alto che le dava uno sguardo severo. 
 “Stai poco bene?” lo chiese con tono asciutto, ma velato di preoccupazione.

 Severus si lasciò sfuggire un ghigno stanco, gli occhi scuri torbidi di rassegnata stanchezza. Una punta di umiliazione che gli pungolava lo sterno nell'essersi fatto trovare così privo di difese.
 “Da quando ti preoccupi di come sto, Minerva?”
Le labbra della donna ebbero un guizzo curioso, gli occhi chiari vagamente indignati. 
 “C'è stato un tempo in cui mi sono molto preoccupata per te, Severus”
 “E ora?” chiese acido lui, scostando lo sguardo.
Perché non riusciva a gestire anche l'odio di Minerva nei suoi confronti, Severus Piton, non sentiva di meritare anche quel terribile flagello. Non voleva affogare anche in quella umiliazione feroce.

 Minerva rimase immobile, senza dar cenno di volersi avvicinare, ma nemmeno di andarsene. Lo scrutò con rassegnata tristezza, un velo di dispiacere a inquinare i suoi lineamenti, le labbra serrate in sconforto. 
“Ora non riesco a capirti, Piton”
 “Forse non l'hai mai fatto Minerva.”
 “Sono stata tua insegnate” replicò nervosamente lei “Credo di conoscerti meglio di quel che pensi”
“Albus Silente è stato insegnante del Signore Oscuro, eppure non è riuscito a fermarlo.”
 “Vuoi che io ti fermi, Severus?” chiese pacata lei e lui si voltò a guardarla e per un istante ci fu silenzio.

 “Non puoi fermarmi” disse brevemente “Non dipende da me”
 La donna si strinse le mani, osservandolo attentamente, nella luce serale parve quasi più austera, avvolta di una strana bellezza, con quel volto che esprimeva rispetto e che avrebbe voluto distribuire dolcezza. Era stata una buona conoscenza per Severus, Minerva McGranitt, un'altra delle innumerevole persone che aveva dovuto spolverare dalla sua esistenza, in una privazione continua e sfiancante.
 “Perché lo hai ucciso?” chiese lei, con tono tranquillo, stranamente comprensivo “Perché hai ucciso Albus? Come hai potuto, Severus? Lui ti voleva sinceramente bene, eri come un figlio.”
 Due lacrime caddero dagli occhi neri dell'uomo prima che potesse fermarle, rigando le gote magre, ma la sua espressione rimase piegata dal disgusto, le labbra serrate, le spalle rigide, la mente distante. Minerva lo scrutò in silenzio.

 “E Remus...” riprese pacata. 
 “Cosa c'entra il mannaro?”
“Eravate amici, no? E gli hai voltato le spalle. Forse non sei stato mio amico, Severus... ma Remus.”
 “Non eravamo amici. Non lo siamo mai stati.”


 Lo sguardo della donna tremò incerto e il dolore si spanse nel corpo di Severus. Scorse nell'anziana un po' di comprensione, del dubbio, della tenerezza. Era una strega incredibile Minerva, potente, intelligente, sagace. Coraggiosa come il peggior Grifondoro, con la mente fervida di un Corvonero, la volontà di un Tassorosso e l'istinto tagliente dei Serpeverde chiusi tutti in un'unica persona, ma era una pessima Occlumante e Severus non voleva caricarsi anche della sua morte, non voleva essere la causa della fine di Minerva McGranitt. 
 “Non ficcare il naso dove non devi, Minerva. Stanne alla larga.”
 “Sto solo cercando di capire, Severus. Non capisco come il figlio putativo di Albus, il migliore amico di Lily Evans, una delle poche persone in grado di tenermi testa in questa scuola e colui che ha trascinato Remus Lupin fuori dalla sua depressione, malgrado il disprezzo che avevi per Sirius, si possa essere trasformato in un tale mostro.”
“Minerva. Devi rimanere fuori da...”
 “Io non credo che tu sia un mostro. Credo che tu mi stia nascondendo molto. Credo che tu stia soffrendo al posto di tutti noi e non è giusto. Albus aveva tante qualità e una mente brillante, Severus, ma a volte mancava di...”
 “TACI” ruggì Severus, il volto macchiato da chiazze rosse e il respiro trafelato e Minerva trasalì, percependo il pericolo in quell'uomo così spezzato, senza più forze e tenuto in piedi dalla disperazione. 
 “Severus...”
 “Taci.” ripeté lui debolmente “Sono un mostro, Minerva. Non cerco compassione, non cerco redenzione. Ho ammazzato Albus Silente sulla torre di Astronomia senza battere ciglio. Sono marchiato come ogni Mangiamorte per ricordare a chi appartengo. Non ho amici, non ho appoggi e non li voglio. La mia anima è nera e grondante di rabbia. Non ho possibilità di salvezza e provo solo disgusto per voi che mi guardate con la vostra pietà ridicola, speranzosi di potermi salvare. Non voglio il tuo aiuto, Minerva. Non voglio la tua compassione”
 “Severus, se solo tu...”
 “Non sei mia madre” sibilò lui con sospiro e sul limite della sua risposta, osservando il tremore nello sguardo dell'altra, capì che se voleva impedire che la donna si mettesse in pericolo, scoprendo cose che non poteva occludere, doveva ferirla più a fondo, doveva recidere per sempre il loro legame, o lei avrebbe continuato a scrutarlo in cerca di qualcosa che assomigliasse a speranza “Non sei mia madre, Minerva. Non sei la madre di nessuno. Sei una donna arida e senza futuro che perde i suoi giorni tra queste pareti per studenti che non apprezzano quello che sei e quello che fai. Sei ridicola Minerva. Sorpassata. Nemmeno Albus si fidava abbastanza di te da dirti cosa aveva in mente. Ti ha lasciato con nulla in mano se non la tua disperazione e sei talmente cieca che continui ad affannarti per persone che ti considerano nulla. Stai lì a guardarmi con occhi sgranati, nomini Lupin, Silente e la sudicia Evans, forse nella speranza di smuovere qualcosa in me. Mi fai pena. Mi disgusti. Mi fai ribrezzo”
 Le parole uscivano dalle labbra di Severus come un fiume in piena, facendolo sentire sempre più vuoto. Ad ogni insulto la voragine della sua solitudine si apriva sotto di lui, pronta a inghiottirlo e il suo cuore tremava disperazione, mentre il volto di Minerva e la sua compostezza si sgretolavano di fronte a lui e il ricordo di quelli di Lily, Albus e Remus si confondevano nel suo passato. L'attacco di panico lo colse all'improvviso, mentre ancora snocciolava cattiverie. I polmoni gli si chiusero, la vista sfocò e i muscoli tremarono disperati, contraendosi in cerca di una inesistente via di fuga.
 Ma non c'era Remus Lupin quella volta, a ordinargli di respirare e a tenerlo ancorato al terreno, come Severus aveva imparato a fare con il giovane Draco Malfoy. Non c'era nemmeno la dolcezza determinata di Lily, o la distratta e tranquilla presenza di Regulus Black. Non c'era il paterno silenzio di Albus, nemmeno il materno sostegno di Minerva. 
 “Forse sei davvero un mostro, Severus” mormorò la donna, scacciando una lacrima dai suoi occhi chiari con un battito di ciglia “Forse è bene che tu sia maledetto, dimenticato e abbandonato. Sei sicuramente la mia più grande delusione” 
 E si voltò imperiosa, Minerva McGranitt, con uno sguardo gelido che sapeva di dignità e coraggio e lo lasciò rannicchiato a terra, a rantolare in cerca di aria che non si sentiva nemmeno di meritare. E lo sentì Minerva, Severus Piton, che annaspava dicendo il nome di Remus Lupin, in cerca di aiuto, ma non fermò i suoi passi, né addolcì il suo sguardo. Perché, sebbene la donna avesse compreso che qualcosa di nebuloso non le era chiaro di lui, su una cosa il giovane uomo aveva ragione. Lei non poteva salvarlo.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

L'idea di diventare padre non aveva mai sfiorato Remus Lupin. Nemmeno quando il suo migliore amico, James Potter, aveva avuto Harry, in quell'atto di folle coraggio che solo la gioventù a volte spinge a fare. 
 Era convinto di essere già abbastanza fortunato ad essere vivo e aver provato cosa fosse l'amicizia, si era accontentato di essere trattato in modo diverso da una bestia, aveva accettato amore e cercato di darne abbastanza, ma procreare, lasciare che una creatura con i suoi geni e il suo sangue camminasse per il mondo, era tutta un'altra questione.
 “Remus” Tonks lo guardava, seria e preoccupata. 
Gli aveva dato la notizia senza un sorriso, con lo sguardo pragmatico di una combattente che analizza la guerra che la circonda e si chiede dove avrebbe trovato spazio per un bambino, ma Remus aveva notato il brillio degli occhi della ragazza, il modo protettivo in cui la sua mano già giaceva sulla base della sua pancia, mentre si mordeva il labbro pensierosa. Tonks non avrebbe mai rinunciato a quel figlio. Lo sentiva già suo, lo difendeva già con ferocia, mentre Remus sbatteva le palpebre, chiedendosi ancora come potesse essere reale. 
“Remus” lo richiamò di nuovo lei “Per favore parlami. Rimestare tutto nella tua testa non migliorerà le cose.”
Lui alzò lo sguardo verso di lei, colpevole, cercando di trovare le parole più giuste per non ferirla. Perché ci teneva a Ninfadora Tonks, Remus Lupin, in un misto di affetto e gratitudine. E malgrado i loro limiti e le loro ferite mai ricucite, non l'avrebbe mai e poi mai esposta consapevolmente al pericolo. 
“Sono un lupo mannaro, Dora” disse soffice “Se il bambino avesse... e siamo in guerra. Non sarebbe sicuro e....”
Lei agitò con noncuranza una mano, una smorfia insofferente sul volto chiaro.
“La guerra potrebbe durare anni, Rem. Non ci sarà un momento buono per fare un figlio.”
 “Lo so”

 “E io voglio questo bambino. È capitato, ma già lo amo. Potrei essere una pessima madre, ma lo sento mio. Nostro.”
 “So anche questo”
 “Mi importa solo che tu non dia di matto, ok?” disse lei tranquilla, i capelli che viravano leggermente all'azzurro “Non voglio che inizi a pensare come un pazzo a tutte le implicazioni. So che è anche tuo figlio. È giusto che tu ne faccia parte, ma non puoi impedirmi di tenerlo, Rem. Non perché pensi che possa essere un mostro. Tu sei un lupo mannaro e non sei un mostro. Sei l'uomo più dolce della terra. Troveremo un modo per essere al sicuro, farò attenzione”
 “Dora...” sospirò l'uomo. 
“Fidati di me, Rem. Questo bambino sarà felice” Ed era sicura di sé e quasi brillante Tonks, in quel momento, tanto che Lupin si fece sfuggire un mezzo sospiro e poi un sorriso.

Quando Lily aveva annunciato lui di aspettare un bambino la sua mente si era arenata nella confusione e aveva sentito un misto di felicità e cieco terrore, stravolto da sentimenti tanto intensi come non aveva mai creduto di provare. 
Lui e Sirius avevano parlato a lungo di quel bambino in arrivo, tenendo le mani intrecciate e i respiri lenti, fino a notte fonda nel loro piccolo appartamento Babbano. Avevano percepito quella nascita come un cambiamento, qualcosa che li aveva lasciati scossi, devastati e felici. Una speranza. Qualcosa che li trasformava tutti in adulti.
Ora invece Remus sentiva di non riuscire a immettere abbastanza aria nei polmoni, aveva i piani di evacuazione delle case sicure che lui e l'Ordine avevano stilato quel pomeriggio impressi nella memoria, la prima trasformazione di un ragazzo morso nemmeno un mese prima da Grayback stampata nella retina, le grida della famiglia Mezzosangue che avevano provato a salvare inchiodate nella sua mente. La guerra.
Aveva anche il pensiero di Harry, Remus Lupin, costantemente a interrompere il suo sonno. Quel bambino che avevano pensato di viziare e amare, quella nascita inattesa e bellissima, ora costretto ad affrontare paure più grandi di lui. E non vedeva speranza, Remus Lupin, non riusciva a trovare un posto nel mondo per un bambino con il suo stesso sangue, eppure qualcosa dentro di lui lo desiderava ferocemente, un misto di curiosità e amore. 
 “Remus” sussurrò Tonks e lo abbracciò, con quel suo modo gentile e pieno di rispetto “Andrà tutto bene. Tu sarai un papà meraviglioso. Lo ameremo. Andrà tutto bene”.
 Lupin rimase in silenzio, stringendo a suo volta la ragazza, cullandosi a vicenda con tenerezza e affetto. Cercando di pronunciare senza riuscirci parole di conforto, ma si sforzò di sorriderle, come poteva, placando la sua agitazione.
 “Proverò a non dare di matto” disse piano, ma la sua sapeva di bugia e Dora lo guardò con attenzione. 
 “Se scappi ti verrò a prendere”
 “Tornerei da solo”
 “Ti schianterei appena appari” sorrise lei.
Rimasero un attimo in silenzio, tenendosi ancora contro il petto dell'altro.

 “C'è qualcuno a cui vorresti dirlo?” chiese lei “Forse dovremmo essere cauti nel non spargere troppo la voce, ma non siamo costretti a tenere il segreto. Io lo dirò ad Arthur e Molly e ci terrei a sentire anche Fleur”
 “Certo, chi vuoi.” mormorò Lupin, baciandola sulla cima della nuca. 
 Era molto più lungo e alto rispetto a lei, che nonostante la sua dirompente energia rimaneva così minuta. 
 “Tu? So che non hai avuto molte persone con cui parlare, dopo Sirius e Severus. Forse Kingsley?”
Era cauta, gentile e Remus si sforzò di stendere un sorriso, annuendo piano. Era vero. Non aveva molte persone con cui parlare. Gli occhi di Sirius, grigi e innamorati, ancora gli facevano sanguinare il cuore, ma erano scomparsi dietro un velo. Lo sguardo d'onice di Severus era stato inghiottito dall'oscurità, lasciandolo ancora più profondamente solo e ferito. Severus Piton. Remus trattenne il respiro e chiuse gli occhi, per un istante, prima di tornare a guardare la moglie.
 “I Weasley al completo saranno sufficienti. Poi Kingsley, certo. Verrebbe comunque a saperlo.”
 “Remus” insistette mite Tonks, lo sguardo morbido “Puoi scrivere a Severus se vuoi”
Il mannaro inghiottì un groppo di saliva, guardandola incredulo. 
 “No. È un Mangiamorte, Dora.”
 “Era un tuo amico”

 “Ha ucciso Silente”
 “Mi hai detto che forse ha provato a salvare te e George. Mi hai detto che lui ti chiese di dargli il beneficio del dubbio. Mi hai detto che ci sono cose che non comprendi. Lo ripeti ogni notte nel dormiveglia e nelle tue febbri prima delle trasformazioni. Io non ne ho parlato a nessuno, ma mi fido del tuo istinto, Remus.”
 “Dora...” esalò Lupin, stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani. 
“Dico solo che potrebbe essere un'idea. Era tua amico. Minerva ci ha detto che qualcosa non va in lui, che non riesce a capire come sia possibile tutto questo. E sappiamo che Piton è spaventosamente eccezionale come combattente. Se c'è una possibilità di toccare il suo cuore, di ripristinare la vostra amicizia e riportarlo tra noi...” Tonks trattenne il respiro e scosse appena il capo “Insomma, anche se lui sapesse che sono incinta non saremmo più in pericolo di ora. Un nostro figlio non è un'informazione succosa per Voldemort. Se c'è la possibilità di entrare in contatto... sentiti libero”
 Remus la guardò negli occhi, le afferrò il volto tra le mani e le baciò la fronte. 
 “Non sono certo che Severus Piton abbia un cuore. Ci penso, Dora. Grazie”

 E gli mancava spaventosamente Severus Piton, Remus lo sapeva. Gli mancava quell'uomo così arido, ferito e freddo come l'inverno perché era l'unico con cui condivideva il suo passato, l'unico che con i suoi silenzi, dopo la morte di Sirius lo aveva fatto sentire capito. Malgrado l'affetto dei Weasley, il rispetto di Harry, l'amore pacato di Tonks, gli mancava Severus Piton e si vergognava di ciò, terribilmente.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

“Severus. Mi stai ascoltando?”
Piton sbatté gli occhi, trasalendo. Era stanco, con troppe poche ore di sonno sulle ciglia e un fastidioso mal di testa a premere sulle sue tempie. Ogni volta che il ritratto di Albus gli parlava, in quei momenti di dormiveglia che si concedeva, appoggiato allo schienale della sedia del preside, trasaliva, perché la sua mente ci metteva sempre un istante di troppo a ricordare che la voce del ritratto era solo un'impronta di chi era stato Albus Silente e che se l'uomo non poteva più essere realmente al suo cospetto era solo colpa sua. 
 “Severus” lo chiamò dolcemente il preside, paterno e accorto, persino tra quelle pennellate di tintura magica. 
 “Albus” esalò il Serpeverde, raddrizzandosi appena “Perdonami no, non ti ascoltavo.”
 “So che sei esausto, mio caro ragazzo” annuì piano il ritratto “Siamo quasi alla fine, un ultimo sforzo.”
 “Certo” rispose Piton, quasi in automatico, scacciando con la mano la stanchezza dal volto e riesumando ogni briciola di energia rimasta per tornare concentrato. Non importava in fondo quanto senza forza potesse rimanere, il suo compito era andare sempre avanti, andare oltre, tenere insieme le fila di una ragnatela complicata, disegnata forse molto prima che lui nascesse. Severus prese respiro e contrasse i muscoli perché rimanessero insieme. 
 “Cosa dicevi, Albus?”
 “I fratelli Carrow stanno cercando Harry nel castello.”
 “Potter?”

 “Voldemort è inquieto, pare. I ritratti sussurrano. Credo dovresti andare dal tuo Signore e poi a cercare Minerva.”
“Minerva” ripeté meccanicamente Severus, cercando di trattenere un brivido lungo la schiena. 
 Non aveva più affrontato la donna dopo averla allontanata, né aveva mai più incrociato il suo sguardo e Minerva McGranitt lo aveva a sua volta accuratamente evitato, non concedendo lui nemmeno il beneficio di un'occhiata sprezzante. Severus aveva avuto l'impressione che si stesse persino sforzando di occludere in sua presenza e la cosa lo aveva fatto sentire vagamente ferito e indiscutibilmente più solo, ma era giusto così. Lui poteva portare una ferita in più senza troppi drammi, purché la donna potesse essere preservata dall'ira dell'Oscuro Signore.

 “Severus. Devi andare” lo riprese Silente “Questa potrebbe essere l'ultima conversazione che abbiamo.”
 L'uomo alzò lo sguardo verso il dipinto del vecchio preside, sentendo improvvisamente la bocca arida e la strana sensazione di essere in procinto di cadere. Vaghi punti neri gli passarono davanti allo sguardo, mentre il panico gli stringeva il cuore. Lasciò che scorresse, che il suo corpo venisse percorso da tutta la paura che provava, ora che poteva concedersela.
 “Cosa ti aspetti da me Albus questa notte?” chiese, quasi in un automatismo. 
Il preside sorrise con strana tenerezza, gli occhi azzurri improvvisamente più dolci. 
 “Ci sono molte cose che questa notte potrebbero succedere, ma non ti chiederò nulla di più se non parlare con Harry. Che lui conosca il suo destino è di estrema importanza, Severus. L'ultimo elemento che Harry sta cercando è qui ad Hogwarts, lui lo sa e grazie a te ha la spada. Voldemort verrà qui, ci sarà battaglia, prima che arrivi il finale Harry merita di sapere il suo destino, merita di prepararsi e raccogliere i pensieri.”
 “Non può scegliere però. Il ragazzo deve morire.”
 “Il ragazzo deve morire, sì.”

 Severus si sentì pizzicare gli occhi e desiderò quasi essere in grado di piangere. Non gli importava molto di Potter e lo ammetteva con una certa vergogna, ma le storie tragiche di chi non aveva possibilità di scelta lo toccavano in qualche modo da vicino e il fatto che quella fine riguardasse il figlio che Lily Evans aveva amato, era quasi doloroso.
 Perché quando aveva scoperto che Lily aveva avuto un bambino, per molti notte insonni Severus aveva pensato al nascituro, provando quasi una certa emozione nel sapere che la sua amica d'infanzia aveva dato la vita a qualcosa di vivo, qualcuno che avrebbe avuto un suo destino. E l'aveva immaginata con il bambino tra la braccia, il sorriso sul volto nell'essere una madre meravigliosa, lo sguardo brillante. Ma quando era arrivato il momento di incontrare il ragazzino per la prima volta, lì ad Hogwarts, Severus non aveva trovato nulla di particolare negli occhi verdi di Harry e aveva provato solo rabbia cieca per il fatto che lui fosse lì, ignaro della storia che aveva alle spalle, di tutta la vita a cui quei genitori che lo avevano messo al mondo avevano rinunciato.
 Harry Potter semplicemente lo fissavata con il volto di James Potter mischiato alla gentilezza di Lily Evans e faceva male, tanto che si era sentito estenuato, Severus Piton, davanti all'undicenne, perché nel momento in cui lo aveva incontrato, senza provare l'emozione mistica in cui aveva sperato, si era reso conto che sarebbe stato costretto a proteggerlo contro il suo volere e si era sentito disgustato all'idea di essere per lui una guida e una figura d'esempio, come in uno scherzo del destino, e aveva usato quindi tutto l'odio e la rabbia che ben gli si cucivano addosso per tenere a distanza lui e i suoi amici. Per essere ancora una volta quella figura scomoda, incuneata tra il bene e il male e perennemente mai appartenente a nessun gruppo, come una blanda maledizione.
 “Severus. Potrai scegliere cosa sarà di te questa notte” mormorò Silente, ma non sembrava credere nemmeno a lui a quelle parole.
 “Non credo che ci sia spazio per me tra i vinti, Silente” ribatté pronto Piton, con strascicata stanchezza. 
 “Te lo meriti, mio caro ragazzo. Hai dato ogni attimo della tua vita a questa battaglia. Meriti la libertà. Non importa quanti errori hai fatto in passato. Hai pagato abbastanza. Credimi.”
 “Regulus Black ha pagato con la morte i suoi errori e così suo fratello. Siamo una generazione frantumata, Albus”

 “Ma loro capiranno. L'Ordine dico, spiegheremo ogni cosa. Prova a sperare in un futuro. Sai anche tu che persone come Remus Lupin saranno con te. Che ti perdoneranno”
 Severus si fece sfuggire un sorriso amarissimo e fragile e scosse il capo. La mano che istintivamente andava al suo petto, alla tasca dove teneva il biglietto di Remus, ricevuto qualche mese prima.


“Divento padre, Severus. Sono terrorizzato. Mi manca il tuo lucido sarcasmo in questi momenti. 

So che da qualche parte, tra il dolore e la rabbia, tu ci sei ancora.

Con affetto. Remus”

Severus aveva letto quella frase centinaia di volte, incredulo di quel messaggio, di quel segno che ci fosse ancora qualcuno nel mondo che credeva che sotto gli strati di acredine e dolore, lui Severus Piton, quel bambino famelico di vita e giustizia, trascinato avanti dall'ostinazione e dalla curiosità, gli occhi sgranati ad ascoltare le parole di Eileen Prince, esistesse ancora. E chi poteva essere quell'immancabile idealista se non Remus Lupin, che era fatto della stessa materia della sua sofferenza, ma cercava con l'amore per la vita di aggiustare ogni frattura?
 “Remus Lupin è uno spezzato, Albus” mormorò Severus “Come me, come te, come Regulus e persino Sirius Black. Il nostro destino non spetta a una nostra scelta, siamo nati sotto la stella sbagliata. Siamo destinati all'ombra”
 “Severus...” mormorò il quadro e sembrò quasi cercare parole, ma l'altro uomo sorrise, finalmente sincero, raccolse il suo dolore e lo nascose dietro muri di Occlumanzia. 
 “Grazie di tutto, Albus. Sei stato come un padre. Folle, certo. Ma un buon padre” mormorò e uscì dalla stanza. 


 Hogwarts era meravigliosa in quella tiepida sera estiva, nell'aria c'era il profumo dell'estate in arrivo, qualcosa che sapeva di menta, di risate e ginocchia sbucciate. Severus Piton quasi sorrise, mentre rallentava il passo per osservare le cime lontane della Foresta Proibita che risaltavano nere, contro il cielo rosato dal tramonto. Sarebbe stata una nottata limpida, probabilmente colma di stelle nel velluto blu del cielo. I fantasmi della sua vita gli sembrarono farsi più vicini, la risata di James Potter nei suoi ricordi non gli parve più così acre, nulla in confronto al ricordo tiepido del tempo che gli era stato concesso accanto a Lily, accanto a Regulus, a Narcissa, ad Albus e persino a Remus Lupin. 
Severus si prese un momento di pace, cercando di essere grato. Era l'ultimo momento in cui poteva essere sé stesso.

Non farti portare via questa felicità”

Aveva scritto in risposta a quel biglietto di Lupin, dopo giorni di silenzio. Aveva scritto una risposta perché qualcosa gli diceva che il tempo dei Whiskey e cioccolato era ormai passato, che non avrebbero avuto modo di contare nuovamente le ferite dell'altro. Il loro tempo era finito prima ancora che iniziasse. La loro amicizia era stata solo un sospiro prima di diventare già memoria. Ma era esistita. Per quell'attimo. E aveva dato a Severus forza e concentrazione.

Vivila questa felicità per me, Remus Lupin. Per Lily. Per gli amici che non hai più.
Vivila con tutto il tuo sangue, tutte le tue cicatrici. Tutto te stesso.
Con sdegnato affetto, Severus.”

Ascoltò il suono del suo cuore nel petto, Severus Piton. Gli sembrò di amare la vita con la stessa ferocia di quando era bambino, per un momento. Gli parve quasi di percepire il sangue che gli scorreva nelle vene, di comprendere il peso dei suoi respiri, del tempo che gli si posava sulle spalle. Sarebbe stata una lunga notte. 
 In uno sbuffo di fumo nero, sotto quella stellata di una bellezza crudele che faceva capolino nel blu del cielo, Severus andò da Lord Voldemort, pronto ad affrontare il suo destino.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

Remus Lupin guardò Hogwarts dal basso del parco, studiandone la bellezza in silenzio. Nonostante gli anni e tutte le sofferenze vissute tra quelle mura, quel luogo era ancora casa. Camminò lungo il perimetro, con aria assorta, appena distratto dal gruppo sparuto di ragazzini alle sue spalle che lo seguiva, l'aria determinata di chi ancora pensa di cambiare il mondo. L'azzurro pallido della protezione traslucida, che Vitious aveva attivato intorno alla scuola, riverberava sui loro visi, facendoli apparire ancora più giovani e pallidi.
 Non più di quanto non lo fossimo noi la prima volta pensò con dolce amarezza. 
 Hogwarts non era poi molto cambiata da quando erano i Malandrini, Marlene, Lily, Mary e Severus Piton a indossare la loro divisa. Ma loro sì, erano cambiati. I più fortunati, come lui, invecchiando e crepandosi come porcellana mal riuscita, i più sfortunati, trasformandosi troppo presto in memoria. 
 Lupin si fermò e il suo sguardo color cioccolato si incagliò sulla sagoma lontana del Platano Picchiatore. Un sentimento di malinconia gli invase il petto al pensiero di tutte quelle notti di libertà sfrenata, durante le quali lui, Sirius, James e Peter avevano corso nella brina del mattina, immaginando di avere l'intero mondo sul palmo della mano. 
E quante volte era stata Lily ad applicare cerotti sui suoi graffi, scuotendo appena il capo, mentre Sirius le diceva “Ha la corteccia dura il nostro Moony, Evans. Non ti devi preoccupare” per poi guardarlo con sfacciata dolcezza in volto.
Quante volte lui e Marlene avevano osservato James, Mary e Sirius sfrecciare sulle loro scope? Quante volte lui e Peter avevano passeggiato insieme, studiando ogni angolo e passaggio per disegnarlo sulla mappa del Malandrino? Quante volte James gli aveva sorriso chiedendo “Tutto ok, Moony”? Quante volte Lily si era aggrappata al suo braccio, benevola e testarda, o Sirius lo aveva afferrato per il viso, brillante, con il suo sorriso da lupo e lo aveva baciato all'ombra degli angoli più quieti del castello? Erano vite intere, ricordi intensi. Memorie. Un respiro. 

 Remus si voltò verso il gruppo di ragazzi in attesa, che lo guardavano stringendo le loro bacchette.
 “Quanti di voi sanno fare un Patronus?” chiese. 
 “Pensa che ci saranno Dissennatori professor Lupin?” domandò Ernie Mcmillan. 
Remus annuì e gli studenti si scambiarono un veloce sguardo tremante d'ansia, prima che una manciata di bacchette si levasse in alto in risposta alla domanda fatta.

 “Molto bene” riprese Remus “Chi è in grado di evocarlo stia allora vicino a chi non è capace. Copritevi le spalle. Utilizzate incantesimi semplici e di cui siete sicuri. I Protego per difendervi e gli Schiantesimi per attaccare. Potrebbero esserci molte creature magiche di vario genere. Come forse sapete uno Stupeficium non ha effetto su tutte le creature, se vi trovate ad averci a che fare, impastoiate e pietrificate. Con le creature oscure invece incendiate e usate la luce. Sono tutte cose che sapete fare. Nessun panico.”
 Prese fiato per guardare gli studenti che lo ascoltavano attenti. Non sembravano spaventati, solo incerti e fragili.
 “Professor Lupin, ci saranno lupi mannari?” chiese una ragazza sconosciuta, gli occhi giganti di paura. 
Remus le sorrise dolcemente, posandole una mano sulla spalla e prese un profondo respiro, in pace con sé stesso.
 “Io sono un lupo mannaro da quando ho cinque anni. Come vedete sono qui e non sono trasformato, né pericoloso. Non ci sarà luna piena stanotte, anche lupi mannari come Grayback non devono farvi paura, sono più resistenti, ma umani. Sarete in grado di fermarli tranquillamente se lo vorrete” disse pacato, raddrizzando la schiena e si stupì di non vedere il terrore sul volto dei giovani di fronte a lui, ma un brillante e inatteso sguardo pieno di rispetto.

 “Grazie professore, per essere qui a guidarci” disse Cho Chang, l'aria sicura e il sorriso gentile.
 “Grazie a voi per essere qui a combattere” annuì Lupin e si stava voltando, pronto a confrontarsi con il nemico, ma si fermò e domandò “Chi vi ha insegnato il Patronus, non penso sia nel vostro programma ed è magia molto avanzata”
 “Harry Potter, signore” sorrise Susan Hossas. 
 “Bene” mormorò solo Lupin, osservando l'azzurro traslucido della difesa di Hogwarts sopra di loro inclinarsi in onde leggere, ma il suo cuore rombò di uno strano orgoglio per quel bambino che non aveva visto crescere e che era diventato uomo. James, Lily, Sirius tutti loro sarebbero stati così felici e orgogliosi di quel ragazzo.

 “Glielo ha insegnato lei ad Harry, vero?” domandò Cho Chang al suo fianco, con voce sottile. 
 Remus la osservò e schiuse le labbra, confuso, mentre prendeva coscienza di quel particolare e si rendeva conto che ogni gesto aveva avuto importanza e che lui stesso faceva parte di una grande scrittura, ma quando fece per rispondere la barriera sopra di loro si incrinò di nuovo e tremò.
“Sta iniziando. Tenetevi pronti” mormorò Remus e “Merlino, Sirius, quanto ti vorrei qui” si ritrovò a pensare. 
Un respiro.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

C'erano stati altri biglietti, dopo quella prima pergamena in cui Remus Lupin gli annunciava di star diventando padre. Biglietti scritti nelle notte più fredde della sua esistenza di Mangiamorte, lottando contro l'insonnia e gli incubi. Biglietti in cui Remus Lupin gli raccontava del terrore meraviglioso che significava avere un figlio e Severus gli rispondeva con parole appuntite e piene di sdegnato affetto. Sempre e solo una manciata di frasi, scritte contraffacendo quanto possibile la scrittura di entrambi, da paranoici quali erano. Da spezzati quali erano sempre stati. 
 Si promettevano che un giorno avrebbero bevuto insieme quel Whiskey, senza crederci davvero. Era una bugia. Era arrivata la fine senza che il piccolo Teddy Lupin potesse crescere, senza che Severus potesse rivedere l'amico. Ed ora erano sul limite dell'ultima battaglia e il cuore di Severus era ancora pesante per il modo in cui era dovuto fuggire dalla scuola, con lo sguardo d'odio di Minerva che gli trafiggeva il cuore.
 Il Serpeverde apparve con uno schiocco nella Foresta Proibita, nel mezzo degli altri Mangiamorte. Nessuno parlò, ma sentì gli sguardi tesi di tutti i presenti sulla pelle: in attesa. 
 Hogwarts, lontana di fronte a lui, sembrava un puntino fragile e rarefatto da quella radura, mentre le protezioni che Vitious stava erigendo brillavano azzurrine nella notte. Severus si voltò e vide Voldemort in disparte, che gli fece un cenno leggero con il capo, perché si avvicinasse a lui. Eseguì, quasi scivolando nella direzione del suo padrone.
 “Cosa accade nel castello, Severus?” chiese il mago con tono basso, quasi affabile e lo vide, Severus Piton, quell'animo ormai sbriciolato e mutilato, a un solo passo dallo sparire. Vide la stanchezza in quegli occhi ormai così poco umani e crudeli, vide la fine di quell'agonia che era stata anche la sua vita.

 E desiderò ucciderlo, Severus Piton, desiderò cancellare quell'uomo abominevole e anche il ragazzo che un tempo era stato. Desiderò grattare via dalla faccia della terra quella persona che aveva rovinato la sua intera esistenza, ucciso Lily Evans e i suoi sogni, Regulus Black e i suoi rimpianti, costringendo lui e persone come Remus a rinunciare ad ogni cosa in nome di qualcosa di più grande. Desiderò vederlo cadere a terra con un tonfo banale, privo di solennità. Vuoto.
 “Harry Potter è arrivato, mio signore. Hogwarts si prepara a combattere” mormorò a capo chino. 
“Stolti. Come possiamo batterli?” 
 Severus strinse le labbra incerto, avrebbe potuto elencare molti modi per entrare nel castello, avrebbe potuto essere ancora una volta meschino e crudele, ma non aveva più forze. Eresse muri di Occlumanzia in un battito di ciglia e sorrise falsamente gentile.
 “Ci sono maghi molto abili lì dentro, mio signore. I professori sono decisi a difendere la scuola. Dovrebbe tentare di proporre una tregua per accedere a Potter. Potrei parlare con il ragazzo e...” 
 Voldemort agitò una mano e Severus si zittì, lo sguardo che distrattamente scivolava su Nagini, racchiusa in una sfera di luce che la proteggesse. 
“Non questa volta, Severus” sussurrò l'Oscuro “Attaccheremo a piene forze, solo dopo proporremo la tregua.”

Piton chinò il capo e arretrò, il cuore in gola che gli toglieva il respiro. Cercò di razionalizzare con fatica il panico, gli occhi lucidi di terrore vivo. C'era Minerva là dentro, c'erano suoi colleghi, studenti innocenti, c'era l'ultimo barlume della sua umanità. C'era sale dove lui e Lily Evans avevano camminato tenendosi per mano, promettendosi un futuro. C'erano i luoghi dove persino uno spezzato come lui aveva trovato conforto, dove lui e Remus Lupin avevano passeggiato, in bilico sul fragile filo della loro amicizia. C'erano...
 Severus annaspò e quasi si piegò in avanti, con disperato bisogno di aria. Alcuni Mangiamorte lo superarono, correndo svelti verso il castello, le maledizioni che colpivano la cupola di protezione, incrinandola e scuotendola in onde. Severus si portò la mano al petto, sull'ultimo biglietto ricevuto da Remus poche ore prima, cercò di ricordare come l'uomo aveva placato il suo panico in passato, ma la sua vista era annebbiata e il corpo contratto.

 “Respira.”
 Piton annaspò e si obbligò ad espandere la cassa toracica, la sua mente ormai sfiancata dall'Occlumanzia che tremava in cerca di un barlume di stabilità. Una mano fresca e femminile gli circondò il polso in un gesto gentile. Severus abbassò lo sguardo su quelle dita pallide e poi lo rialzò, trovando gli occhi chiari di Narcissa. 
“Severus, respira” ripeté la donna, la sua voce sottile quasi coperta dalle grida dei combattenti. 
 Piton annuì recuperando di nuovo il controllo, nessuno si era accorto del suo attacco di panico, nessuno lo guardava, tutti trascinati dall'adrenalina, ma Narcissa era lì, gli occhi tremolanti di paura e orgoglio.

 “Narcissa” le disse rauco, il panico sempre più controllabile, in fiotti caldi e conosciuti che gli invadevano il petto “Almeno tu stai al sicuro” mormorò. Perché almeno una persona poteva salvarla. Lei. Erano rimasti soli al limite delle Foresta Proibita, Narcissa e il suo sguardo tagliente e Severus, pieno di controllo e rigore, spezzato nel profondo.
 Ma la donna non lasciò il suo polso e scosse il capo, mentre lo studiava attentamente in volto, lo sguardo determinato pieno di una luce tranquilla, che gli ricordò improvvisamente Lily Evans.
 “Severus” sussurrò lei “Cosa dobbiamo fare?”
 “Cosa intendi Cissy?”
Lei si corrucciò, solo vagamente confusa e fece un sorriso stanco. 
 “Lui non può vincere. Lo sai. Non può vincere, Severus”

 La protezione di Hogwarts si spezzò in quel momento, insieme alle grida dei Mangiamorte che squarciarono la notte. Piton pensò confusamente ancora a Minerva, a quelli che quella notte rischiavano di morire, a Remus. Guardò Narcissa in volto con la sensazione di vertigine. Si stava fidando. Non aveva scelta. Narcissa aveva affidato a lui la vita del suo stesso figlio, Severus si sentì di fare qualcosa di simile e le prese le mani e la guardò in volto pieno di dolcezza.
“Qualunque cosa succeda, Cissy, proteggi Harry Potter come fosse tuo figlio”

*

Un respiro.
Un altro ancora.

E la battaglia li travolse. E Remus agì. Si sorprese di riuscire a guidare il suo drappello attraverso la lotta con strana efficacia. I ragazzi lo ascoltavano con fiducia, erano preparati, erano abili e lui agiva da guida e scudo, coordinando i movimenti di tutti e rallentando ciò che a loro sfuggiva.   La furia degli incantesimi, le urla e il buio soffocavano ogni speranza, eppure avanzavano sul terreno scuro e coperto di brina e sangue. Remus si mosse agile e si stupì di considerarsi bravo, lui che un combattente non aveva mai voluto esserlo e di essere perfettamente nel suo ambiente.
Si ritrovò a usare tutti i suoi sensi, anche quelli da cui era sempre rifuggito, quelli del lupo di istinto e odore. E fu per quello forse che, dopo quelle che sembrarono ore di lotta, avvertì Tonks ancora prima che lei lo chiamasse: miele e cannella. La individuò nel primo istante, ed ebbe tempo di vedere il suo sorriso, la sua aria sicura e battagliera, bella come una dea nella polvere del campo di battaglia. Poi il lampo verde meschinamente la investì alle spalle e la vita abbandonò i suoi occhi scuri con una lentezza teatrale. Bellatrix. Tonks era appena morta per mano della stessa donna che gli aveva portato via Sirius e che ora con un sorriso bieco e uno schiocco scompariva davanti ai suoi occhi. 
 Remus mancò un battito del cuore e si sentì senza speranza, perché se fino a quel momento della sua vita non era andato alla deriva, dopo aver perso Sirius, dopo aver perso Severus, Malocchio, Silente, era stato solo grazie a Tonks, a quel suo testardo amore per quella vita che lui non riusciva più a comprendere. Perse un battito e un respiro, Remus Lupin, mentre Dolohov avanzava improvvisamente verso di lui e la sua mente si contorse, in un gioco di immagini e ombre, il pensiero che  correva al tiepido peso del corpo di Teddy quando gli si addormentava tra le braccia, quel ciuffo blu per cui aveva provato un immediato e viscerale amore, quelle minuscole smorfie di quella personcina che esisteva grazie a lui: Remus Lupin e alla dolce pazienza e volontà di vivere di Tonks.

 E sentì il cuore spezzarsi, Remus, perché Severus Piton aveva ragione, non c'era spazio per persone come loro alla fine  battaglia, ma Dora avrebbe dovuto esserci, per Teddy, per il futuro di quel figlio che avrebbe meritato il mondo intero, a cui appena nato Remus aveva già sussurrato così tanto di sé, del suo passato, di Sirius, dei Malandrini, persino di Severus Piton. Chi ti racconterà quanto io e tua madre ti abbiamo amato, Teddy?
 Sbatté le ciglia Remus Lupin, sentendosi incredibilmente stanco. Pregò un Dio in cui non credeva che Harry Potter vedesse la fine di quella lunga notte di sangue, sbatté le ciglia, di nuovo, mentre rispondeva meccanicamente agli attacchi di Dolohov con tutta la sua forza. Il suo sguardo cadde sulla chioma rosa di Tonks, di nuovo, si sentì invadere dalla dolcezza, pensò alla loro casa, a lei quando si svegliavano la mattina, così stropicciata e tenera e Teddy. Teddy. E Sirius. E Tonks di nuovo. Teddy. 
 E solo quando la maledizione di Dolohov lo colpì al centro del petto, quasi di sorpresa, Remus Lupin pensò a Severus Piton. A quanto avesse ragione su tutto, alla loro solitudine alla fine di ogni cosa. E cadde, Remus Lupin, mentre le cellule cercavano di ricomporsi al limite della sua ostinata licantropia, che aveva combattuto per tutta la vita, ma a causa della quale aveva trovato le persone migliori. E mentre il suo corpo già si distaccava dalla vita, i suoi sensi avvertirono confusamente l'odore di vecchi libri e spezie, e vide i due occhi neri materializzarsi davanti a lui. Severus
 Fu allora, Remus Lupin, che capì che stava per morire. E avrebbe voluto chiamarlo, Severus dirgli “Ti prego almeno tu, vivi tutta la vita che riesci ad afferrare, anche se costellata di cicatrici”, avrebbe voluto dire lui che c'era un futuro, anche se sapeva che sarebbe stata una bugia, che la sabbia stava finendo, che i loro legamenti li avevano sorretti fino a quel momento solo per volontà, ma che facevano entrambi parte di un passato che non esisteva più. 
 E tentò di sorridere Remus Lupin, sperando che quell'uomo, Severus Piton, che per un gioco malsano si ritrovava ultimo ad assistere alla fine di un'era, con tutto il peso di essa sulle sue spalle magre, capisse che glielo aveva lasciato il beneficio del dubbio, che si fidava di lui, che era un amico e che aveva pensato spesso a quanto sarebbero andate diversamente le cose se si fossero incontrati loro due in quello scompartimento. Remus e Severus.
Le cellule nel corpo del mannaro smisero lentamente di lottare, la sua licantropia si arrese alla fine della notte. E non smise di guardare il volto contratto di Severus, Remus, lo ringraziò mentalmente di non averlo lasciato da solo, del biglietto di risposta che anche lui costudiva gelosamente nella tasca interna della giacca. Con sdegnato affetto, Severus.
 La morte era più lenta di quanto Remus Lupin si aspettasse. Pensò confusamente a Teddy, alle lentiggini di Lily Evans, la risata di James, il bacio che aveva dato sulla fronte a Tonks prima di uscire di casa e infine, con occhi sgranati, vide un'ultima volta le stelle. 
Sarà bene che ti fai trovare dall'altra parte, Padfoot. Si disse. 
Qualunque cosa per il nostro Moony. Sembrò rispondergli il cielo stellato.


*

Un respiro.
Un altro ancora.

La fine delle cose è semplice. Circolare.
 Severus Piton aveva avuto la certezza che quella notte sarebbe stata l'ultima della sua vita quando vide Remus Lupin morire. E un istante prima che accadesse a lui, mentre Voldemort parlava di bacchette e destini, Severus Piton capì che avrebbe potuto fuggire, con lucida consapevolezza. Avrebbe potuto salvarsi e andare lontano, come gli aveva detto Silente, lasciando che altri si svenassero al suo posto, che altri rinunciassero a qualcosa. Ma era rimasto. 
 Era rimasto perché nell'attimo in cui aveva compreso che la sua vita sarebbe finita in modo più simile a quello di Charity Burbage che a quella di Remus Lupin, si era reso conto di non sapere dove andare. Che non aveva più posto nel mondo. Non sulla collina dove i fantasmi di sé stesso e Lily Evans bambini avevano corso nelle estate tiepide e piovose di Spinner's End. Non nella casa dove sua madre si era spenta e lui aveva imparato ad odiare suo padre, nascondendo il suo dolore tra pagine di libri, inchiostro e pozioni che sobbollivano lente. Non nelle stanze vacue di Grimmauld Place e nemmeno lì ad Hogwarts, dove la sua anima si era stracciata negli occhi chiari di Albus Silente e il corpo di Remus Lupin giaceva nell'erba umida di brina, sotto il cielo stellato.
Severus Piton accolse la sua solitudine alla fine dei suoi giorni, insieme ai denti di Nagini, provò un terrore tanto veloce da non riuscire a razionalizzare, come a fare un passo nel vuoto quando ti aspetti un altro gradino. Non ebbe tempo di pensare, Severus Piton, costretto a cedere anche quegli ultimi istanti di vita a uno scopo non suo. Fai sapere ad Harry il suo destino. E lasciò che parti di sé stesso scorressero fuori da lui in fiumi argentati, annegò nel verde di Potter per non dover morire con negli occhi la sua solitudine. E pensò a Lily, Severus, si chiese se ora avesse fatto abbastanza per meritarsi il suo perdono, o se dovesse stracciare altri parti di sé stesso. Ma cosa rimaneva in fondo?
Severus  giacque sul pavimento in legno di quella stanza dove un tempo Remus Lupin era stato felice pur in un corpo non suo, dove il dolore si era trasformato in speranza, intrecciato con la vita di spezzati vittoriosi. Vide gli occhi di Potter allontanarsi e capì che per il mondo era già morto. Era lenta però per lui la morte, mentre i pensieri si facevano tiepidi e incoerenti, costellati di lentiggini, biscotti allo zenzero e piedi in corsa. E improvvisamente, senza nessuna ragione, gli parve di vedere il volto di Remus Lupin chino sopra di lui.

 “Accetterei volentieri quel Whiskey insieme ora, Lupin. Avrei così tanto da raccontare” gracchiò.
E gli parve di sentire la risata gentile e discreta dell'uomo vicino a sé.

 “Mi racconterai di Lily, Severus? Di come hai ricucito le tue ferite?”
 “Di Lily, dei miei sogni di bambino, che si sono infranti sulla mia solitudine”

 “È molto da raccontare a una persona che non consideri tua amica.”
 “Hai altro da fare, Lupin? Certo che sei mio amico”
 “Hai dovuto morire, testardo di un Piton, per ammetterlo”
 “Taci, mannaro”
Le parole uscirono in gorgoglii sempre più indistinti dalla gola di Severus, nel vuoto intorno a lui, solo come era sempre stato. Allucinava, nell'aria stantia della Stamberga Strilante. Perché era vero, avrebbe potuto fuggire, si rese conto, ma non aveva saputo dove andare. Perché era nato sotto la stella sbagliata, gli diceva sua madre, perché era uno spezzato, perché rimaneva solo a testimoniare della vita di un'intera generazione.
 “Lupin” gorgogliò.
 “Severus”

 Gli pareva di sentire risate, un odore che sapeva come di erba tagliata, il calore sulle membra contratte.
 “Puoi non lasciarmi solo ora?”
 “Sono con te, Severus. Ma dovresti chiamarmi per nome.”
La mente allucinata di Severus non considerò quell'appunto. Si sentiva spaventato, come da bambino. Gli sembrava che tutti i morti del suo passato stessero venendo a prenderlo. Si chiedeva se sarebbe stato ancora odiato.
 “Fa male, Lupin?” 
 “Morire?”
 “Sì”

 “Certo che fa male. Devi lasciare andare quel che ti ha tenuto in vita e poi ricominciare tutto da capo. Hai squarci in tutto il corpo, Severus. Nagini ti ha dilaniato. Devi arrenderti, stai soffrendo.”
“Ho paura. Non volevo davvero morire”

 Remus Lupin lo guardava. Così reale. Con il suo pastrano sulle spalle magre. Il corpo lungo e dinoccolato, lo sguardo benevolo. Amichevole. Così fastidiosamente gentile. Teneva la mano intrecciata a quella di Black, fermo al suo fianco, visibilmente più giovane, con il suo sorriso da lupo. Lily Evans era alle loro spalle bella da far male, felice come un fiore, il viso ricamato di lentiggini e dolcezza. E poi c'erano altre persone si muovevano dietro di lei, forse Potter, forse Eileen Prince, raggiante come lo era stata ad Hogwarts e lo sguardo paterno di Albus Silente e quello affilato e gentile di Regulus Black, ma Remus Lupin stava davanti a tutti loro, concedendo il suo tempo a Severus.
 “Non sarai solo, Severus. Sono qui tutti per te.”
 “Non mi odiano?”
 “No, non qui”
 “Tutto questo è nella mia testa?”
 “Sì, Severus. Stai solo morendo. Lascia andare”

 “Ok, Remus. Mi fido di te.”
 “Ok, Severus. È tutto ok.”
 Il corpo di Severus Piton giaceva senza vita nello squallore della Stamberga Strillante, il collo dilaniato e il sangue mischiato agli abiti scuri. Solo una lacrima rimaneva come cristallizzata sul volto ormai privo di vita. Il biglietto di Remus Lupin appoggiato sopra il cuore, nascosto nel suo vestito.

Di tutti gli uomini nati sotto una stella sbagliata, tu, Severus Piton. 
Sei il migliore che abbia conosciuto.
Ho amato la felicità che mi sono concesso. 

Ti aspetto dall'altra parte. È tutto ok”

Severus Piton era appena morto, solo, da uomo grigio e incompreso. Le cicatrici sul corpo, simili a quelle dell'anima, come una ragnatela. Un biglietto sul cuore. In un battito di ciglia erano tutti diventati memoria.


E non ci furono più respiri.
Erano solo memoria.


*Angolo Autrice*

Ciao lettori. 
Lo so, manco da un po', ma eccomi qui a concludere questa storia. 
Mi sono ritrovata ad affrontare questo racconto a cui tengo moltissimo in un periodo curioso della mia vita, che me ne ha resa difficile la scrittura, ma sono molto contenta di aver finito questo capitolo e anche se difficilmente chi scrive è soddisfatto del suo lavoro, sono anche molto orgogliosa di questa breve raccolta, che spero avrà maggior visibilità di quella ricevuta finora.


Non ho mai trovato molto da leggere su un'amicizia tra Remus e Severus, mi sono sentita un po' una pioniera nell'analizzare questo rapporto per me in realtà così lampante e ne sono uscita ritrovandomi ancora più legata a questi due personaggi spezzati. 

 Spero con le mie parole di avervi fornito un nuovo punto di vista e nobilitato un poco questa amicizia e la loro storia. Così come spero di aver spiegato in modo esauriente la mia visione di come sia la Wolfstar che la Remadora sono ai miei occhi due relazioni assolutamente canon e piene di dignità e rispetto. 

Unico appunto che mi sento di lasciarvi è sulle due morti dei personaggi. Mi è piaciuto ipotizzare l'esistenza di un breve tempo di "Limbo" che chi muore vive prima di perdere la coscienza. Harry si allontana dal corpo di Severus perché per lui è ormai già morto, ma la coscienza di Piton ancora aleggia appena fuori dal suo corpo e in modo allucinato gli permette di avere una breve conversazione immaginaria (o forse no?) con Remus. Idem per la morte lunghissima di Remus, resa ancora più sospesa grazie alla sua testarda licantropia. 

Spero di ritrovarvi presto tra altre righe e altre storie. 
Se volete sostenere la mia scrittura con un caffé potete farlo QUI

Come sempre grazie mille. 
Aspetto vostri commenti, dubbi e reazioni. 
Con affetto

vi

ps. La traduzione della frase "Anything for our Moony" è una citazione alla bellissima storia di "All the Young Dudes" di Mskingbean89, che vi consiglio caldamente 

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