Quando cala la notte e la magia divampa

di Misaki Starlyght
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Urban Jungle ***
Capitolo 2: *** Golden Prison ***
Capitolo 3: *** Dancing Witches ***
Capitolo 4: *** Disturbing Smile ***
Capitolo 5: *** Debt ***
Capitolo 6: *** Terrifying Mirror ***
Capitolo 7: *** Need ***
Capitolo 8: *** Tomato Sauce ***
Capitolo 9: *** Civil War ***
Capitolo 10: *** Silence ***
Capitolo 11: *** Hope ***
Capitolo 12: *** No Remorse ***
Capitolo 13: *** Snowball ***
Capitolo 14: *** Interchange ***
Capitolo 15: *** Fears ***
Capitolo 16: *** Changes ***
Capitolo 17: *** Dead Center ***
Capitolo 18: *** Guilt ***
Capitolo 19: *** Spiderweb ***
Capitolo 20: *** Pain ***



Capitolo 1
*** Urban Jungle ***


La campanella dell'ultima ora squillò, masse di ragazzi euforici schizzarono fuori dalle aule in tutta fretta come uragani urlanti, liberi finalmente da professori pedanti e lezioni noiose.
Tutti tranne uno, un ragazzo dalla figura sottile, lineamenti affilati e capelli scuri. Con calma mise libri e quaderni nello zaino usurato e mezzo rattoppato. Prova di quanti anni fosse stato usato, senza l'opportunità di poterlo cambiare, ma a Merlin non era mai interessato dare importanza a certi dettagli inutili. Finché l'oggetto fosse servito al suo scopo gli stava bene.
 
Salutò svogliatamente il professore ed uscì, per dirigersi alla fermata dell'autobus come i suoi compagni.
Si sistemò come suo solito in disparte dagli altri ragazzi, per non essere risucchiato dalla massa informe e colorata che formavano, mentre aspettavano il mezzo che li avrebbe riaccompagnati a casa di lì a poco.
 
Al moro non era mai interessato unirsi a loro, al contrario, gli piaceva osservarli da lontano, come uno di quei ricercatori che stanno ore ed ore a osservare un animale nel proprio habitat naturale, per impararne ogni minimo dettaglio ed abitudine. E Merlin, aveva osservato i suoi compagni tanto assiduamente nell’ultimo anno, da conoscerli a memoria. Così tanto, che con nulla più da scoprire, non c’era motivo di interessarsi ancora.
 
I gruppi nei quali si suddividevano abitualmente erano sempre gli stessi: quelli più In e Out, era letteralmente una jungla urbana nella quale il più forte sopravviveva a discapito del più debole. Tutto era lecito in quel campo di battaglia, nel quale il premio era vincere l'agognata corona dorata della popolarità, mentre il sangue che bagnava i corridoi delle aule erano l'autostima e la coscienza persa dei poveri malcapitati. Conosceva addirittura atteggiamenti, ruoli e media scolastica dei singoli nel gruppo... letteralmente tutto. Doveva trovare qualcosa di nuovo su cui spostare il suo interesse al più presto, o sarebbe certamente morto.
 
Merlin non era uno di quei ragazzi che si possono definire comuni, o per meglio dire, "omologati al resto della società, con la testa piena di inutili stupidaggini".
Non era mai riuscito a conformarsi alla massa, non che ci avesse provato più di tanto. Farne parte, era una di quelle cose che da bambino sentiva già a pelle se gli piaceva o meno.
Così sua madre Hunit, non riuscendo a spiegarsi la sua strana apatia verso il mondo, aveva cercato risposte tra medici specialisti e psicologi che si erano fatti un'unica e comune idea su di lui: Merlin Emrys era sano come un pesce, oltre all'essere un vero e proprio genio della sua generazione. Era altresì un ragazzo molto introverso, poco incline alle affettuosità e decisamente portato all'isolamento, ma non c'era nulla di cui preoccuparsi.
Era un genio dopotutto.
Che tradotto per i comuni mortali significava: "Signora, non sappiamo spiegare i problemi di suo figlio. Ma la veda in questo modo. Poteva andarle peggio. Non le pare?"
 
Inutile dire che questa risposta spicciola non colmò nemmeno un poco le preoccupazioni di Hunit; che continuò a prendersi cura di lui come solo l'amore di una madre è in grado di fare: senza pregiudizi o costrizione alcuna. Ma accompagnata sempre, da quel velo di preoccupazione che sottolineava ogni singolo giorno, quanto lei fosse totalmente impreparata a gestire quella straordinaria condizione.
 
Inoltre, non capitava di rado che unito a quel ricordo d'infanzia, Merlin associasse un suo triste pensiero personale: che nel silenzio amorevole di sua madre si nascondesse il desiderio di vederlo meno intelligente e più affettuoso, date le sue dimostrazioni affettive praticamente inesistenti.
Una volta, da piccolo lo aveva persino desiderato, solo per rendere felice sua madre. Finché qualcosa di oscuro dentro di lui, gli fece cambiare idea.
Merlin scosse la testa, nel tentativo di cacciare via quei cupi pensieri, e per ingannare l'attesa del suo mezzo, optò per la musica, da sempre la migliore alternativa per lui, per distrarsi mentre era a caccia di nuovi stimoli.
Passarono dieci minuti buoni e lo scorrere fluido della musica nelle sue orecchie lo fece estraniare completamente dal mondo circostante. Cosa assai gradita, visto che se c’era una cosa che sopportava ancora meno della noia era ascoltare le chiacchiere inutili dei suoi compagni.
E poi lo vide con la coda dell’occhio, con tre minuti di ritardo sulla sua tabella di marcia.
Una mano gli strappò violentemente le cuffie dalle orecchie, seguita subito dopo dalla solita spintonata poco amichevole -Allora, come va oggi, Merlin?-
Un brivido familiare percorse la sua schiena.
 
Quella voce…
 
Quella persona…
 
Detentore dello scettro del potere.
Altezzoso, prepotente e presuntuoso.
Abilità fisiche: formidabili.
Abilità teoriche: scarse.
Promemoria personale: in sostanza un Asino Reale.
In due parole: Arthur Pendragon.
 
Merlin si chinò a raccogliere gli auricolari da terra e rialzatosi due occhi color del cielo sbarrarono i suoi. Innegabile era cosa trasparisse: Guerra. Solo per il gusto di farla.
 
Un tempo gli era piaciuto studiare quelle dinamiche da lontano, le aveva trovate tremendamente interessanti finché non era diventato lui stesso la cavia sfortunata di quel gioco malsano chiamato bullismo.
Da quel momento fu costretto ad ammettere quanto fosse infelice scoprire il livello di mediocrità che può raggiungere un adolescente quando si tratta di umanità.
Lui stesso era consapevole di non esserne particolarmente munito, se non addirittura quasi del tutto esente, ma quello era un altro discorso. Era comunque certo di non far parte della categoria "insaziabili bestie divoratrici".
-Molto bene. Grazie.- rispose il moro, sostenendo il suo sguardo minaccioso. -Davvero? Si vede che il colpo che ti ho dato non era abbastanza forte.- ribatté il biondo mentre un sorriso maligno gli si disegnava sulle labbra. -Mi toccherà impegnarmi di più.-
 
Non vedo l’ora…
 
Pensò il moro pregustando ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco.
Il tempo di un respiro e Arthur finse di sferrargli un pugno in piena faccia, così da costringere Merlin a proteggersi istintivamente con le braccia, per poi arrestarsi e veloce come un fulmine tirare un calcio alla gamba scoperta per farlo cadere a terra.
Lo schianto sull'asfalto fu doloroso per il moro, e gli ci volle qualche secondo per realizzare cosa fosse successo. Ma prima che potesse fare qualcosa, Arthur si parò sopra di lui, bloccandolo fra le sue gambe e afferrandogli i polsi di entrambe le mani, come se fossero strette da delle manette. Ed eccolo, quel brivido lungo il corpo, che seguiva ogni volta che il biondo lo toccava o gli era troppo vicino.
-Te lo chiedo di nuovo, Merlin.- sibilò il ragazzo al suo orecchio -È ancora buona la tua giornata?- mentre la presa ferrea che aveva sui suoi polsi si faceva sempre più stretta e dolorosa, secondo dopo secondo.
Se il biondo avesse continuato ad artigliarlo con la forza con cui un'aquila agguanta la sua preda, Merlin, poteva stare certo del fatto che sarebbe rimasto il segno. Dopotutto per quanto potesse essere superiore a lui di intelligenza, non poteva negare che tra le sue mani era un facile ramoscello da spezzare.
 
Arthur continuò a rimanere in attesa di una risposta, che l'altro non sembrava volergli dare. Al contrario l'unica cosa che gli restituiva era uno sguardo di ferro, intervallato solo dalle smorfie di dolore che andavano sempre più in crescendo con l'aumentare della stretta sui suoi polsi.
Lo irritava sempre l'atteggiamento sfidante di Merlin nei suoi confronti, anche se mingherlino com'era non poteva nulla contro la sua forza bruta. Eppure, ogni volta che si scontravano, il moro non gli dava mai la soddisfazione di sottomissione che pretendeva. Questo almeno lo autorizzava a infierire fisicamente su di lui ancora di più. Ma rimaneva solo uno sfogo, e non altrettanto appagante come il vederlo piegato sotto di sé.
Merlin resistette finché poté, diviso tra il resistere ancora e godersi il suo oblio personale e il dimenarsi per interrompere quella morsa dolorosa. -Sì, lo è.- gracchiò alla fine e Arthur lo spintonò nuovamente a terra frustrato, facendogli sbattere ancora una volta la schiena contro il bollente e duro asfalto del marciapiede, mettendo così fine allo scontro. Per poi andarsene, seguito dalla sua banda di amici fedeli tra risate e schiamazzi.
 
La separazione da Arthur, riportò Merlin alla realtà. Insieme allo sciamare dei brividi che lo accompagnava ogni volta, ma che non durava mai abbastanza.
Odiava ammetterlo ma, per quanto Arthur non gli andasse a genio, non riusciva a fare a meno dei loro bruschi incontri giornalieri da quando si era scontrato con lui la prima volta.
 
***
 
Tutto era iniziato poco tempo dopo essersi trasferito, con sua madre da Eldor lì a Camelot per il di lei lavoro.
Era stato nei primi giorni di scuola che aveva conosciuto Arthur, o per meglio dire, che aveva imparato a conoscere il suo atteggiamento.
Osservandolo era giunto alla conclusione che il giovane era il classico sbruffone della classe, a cui le ragazze correvano dietro senza ritegno, e che i ragazzi prendevano come punto di riferimento, come un modello da seguire.
Per molti versi era anche comprensibile. Arthur Pendragon rispettava tutti i canoni di bellezza della società odierna. Alto, biondo e occhi azzurri, fisico prestante e atletico. Predisposizione al comando con una nota di narcisismo e superficialità. E se si aggiungeva al curriculum: figlio di papà, cacciatore di femmine e festaiolo, si aveva il perfetto figlio della sua classe sociale.
All'inizio Merlin non gli aveva badato più di tanto. Era solo una macchiolina fra tante, uguale a tutte le altre e che presto si sarebbe lasciato alle spalle insieme a tutte le altre venute prima di lui.
Eppure…
Un giorno mentre si dirigeva in una delle aule, dove si sarebbe svolta la lezione seguente, vide il giovane Pendragon accanirsi su un ragazzo del primo anno con più enfasi del solito.
 
Generalmente quando succedevano situazioni simili, il moro rimaneva in disparte come osservatore esterno. In parte per puro interesse antropologico, mentre l’altra, era per il suo spasmodico bisogno di avere tutto sotto controllo. Era una delle sue tante regole e rimanere invisibile al resto del mondo gli permetteva di avere il controllo su tutto quello che lo circondava.
 
Controllo significava sicurezza. Sicurezza assicurava zero problemi. E zero problemi significava Benedetta Pace.
 
Quella volta però, qualcosa dentro di lui lo spinse ad andare in soccorso del povero malcapitato.
Tutt'ora non sapeva spiegare cosa l'avesse spinto a farlo e a maledirsi perché a causa di quel gesto sconsiderato, il mantello che lo aveva tenuto invisibile fino a quel momento, al resto del mondo, era andato in pezzi. I giorni dove lui era l'unico osservatore di quello zoo erano finiti, e da cacciatore si era trasformato in preda.
 
-Basta così. Mi sembra che tu ti sia divertito abbastanza per oggi.- decretò il moro uscendo dalla sua zona neutra, proclamando così la sua morte imminente e per i restanti mesi scolastici che avrebbe dovuto passare con lui.
-Come prego?- Rispose il biondo profondamente seccato dopo che il suo divertimento giornaliero era stato interrotto.
Uno sguardo maligno posato da prima sul poveretto sotto di lui si spostò sul suo nuovo coraggioso e altrettanto stupido disturbatore. -Ti conosco?- chiese ancora scrutandolo più attentamente, mentre con uno strattone mandava via la sua preda precedente.
-Aspetta...- continuò avvicinandosi a Merlin -So chi sei!- concluse infine puntando il dito contro la sua faccia mentre un sorrisetto compiaciuto si disegnava sulla sua bocca. -Sei quello nuovo, dico bene? Non ricordo il tuo nome.-
-Merlin.- rispose secco il moro, che si stava lentamente rendendo conto della situazione nel quale si stava cacciando.
Arthur si avvicinò a lui ancora di più, tanto da mettergli un braccio sulle spalle. Di rimando un brivido corse lungo la schiena di Merlin bloccandolo lì dov'era.
Odiava essere toccato e dovette concentrare tutto il suo autocontrollo per non fuggire da quella presa, cosciente che il suo comportamento avrebbe determinato in bene o in male i minuti seguenti.
-Lascia che ti dica un paio di cosette. Merlin.- La particolare nota con cui pronunciò il suo nome gli diede un altro brivido. -Chi comanda qui sono io, e se provi a metterti di nuovo in mezzo ai miei affari, saprò come rimetterti in riga. E credimi non ti piacerà. Sono stato chiaro?- Precisò ogni singola parola guardandolo dritto negli occhi, cosa che lo metteva nella maledetta condizione di stargli ancora più vicino con la faccia.
 
Per certi versi Merlin non aveva mai capito questo fatto di maltrattare gli altri per sentirsi superiori e marcare il territorio così prepotentemente. Ovviamente lui stesso si sentiva superiore agli altri a causa del suo formidabile quoziente intellettivo, ma questo non gli aveva mai dato la necessità di sventolare la cosa ai quattro venti o di farla pesare ad altri, mostrandosi superiore o più maligno. Aveva scoperto invece che la soddisfazione personale, sul resto di un mondo che non poteva comprenderlo, era decisamente più appagante.
Qualcuno forse avrebbe detto che era un comportamento da stronzo ma, non gli importava e non avendo amici difficilmente le sue orecchie avrebbero udito quella parola.
 
-S...Si.- rispose Merlin più distratto dalla vicinanza dell'altro che dalla sua reale minaccia. Era la prima volta in tutta la sua vita, che gli capitava di non riuscire a rimanere concentrato in presenza di un'altra persona.
Arthur gli era talmente vicino da poter sentire il suo fiato sfiorargli il viso, cosa che oltre ad innescare una serie di brividi sconosciuti e totalmente privi di senso, gli impedivano di mantenersi concentrato.
Era come avviluppato da una nube invisibile che gli toglieva i sensi.
L'unica immagine e suono che il suo cervello registrava erano il volto e la voce di Arthur.
Tutto il resto era lontano, ovattato... Insignificante.
Era come se Merlin fosse diventato un pezzo di ferro e Arthur la calamita che lo attirava a sé contro la sua volontà.
Non aveva potere.
Non aveva controllo.
Non c'era più...rumore.
 
Per un solo, misero secondo, Merlin cercò di aggrapparsi disperatamente a quel silenzio, ma la stretta che Arthur gli diede alla spalla lo riportò bruscamente coi piedi per terra. -È tutto quello hai da dire? Solo "Sì"?-
-D...Dubito che qualunque cosa io dica possa distoglierti dall'idea di picchiarmi, per cui...- non gli uscì altro dalla bocca, dato il suo stato confusionale. Quasi non si rese conto di pronunciare quelle parole ma, Arthur cogliendo quella risposta come un suo tentativo di sfida, non gli diede il tempo di finire la frase e con uno scatto fulmineo si piazzò dietro di lui girandogli il braccio dietro la schiena.
Una stilettata dolorosa gli percorse tutto il braccio fino alla spalla. -Mi prendi forse per il culo sapientone? Non osare mai più rivolgerti a me in questo modo o di dirmi quello che posso o non posso fare! Non hai idea di con chi tu abbia a che fare.- e detto ciò continuando a parlare con la bocca attaccata al suo orecchio bisbigliò -E ora tu, ti sottometterai a me.-
Al suono di quella voce arrogante e melliflua allo stesso tempo, altri brividi percorsero il suo corpo.
Di nuovo quella sensazione di oblio indefinito lo colse.
Quel silenzio.
Quella...pace.
Ancora una volta tentò di aggrapparvisi.
Ma di nuovo quella sensazione durò troppo poco, prima di iniziare a scomparire. E Merlin tra gli spasmi di dolore per il braccio e il fiato corto per tutte quelle sensazioni nuove, riuscì solo a proferire un misero e strozzato -no...- nel tentativo di trattenere quella sensazione ancora attaccata al suo corpo.
 
Sfortuna volle, che Arthur interpretò quelle due sillabe come un rifiuto ribelle verso sé stesso, e strinse la sua presa ancora più forte, costringendo il moro ad inginocchiarsi su una gamba nell'inutile tentativo di lenire il dolore lancinante alla spalla. -E ora?-
Non ricevette risposta da Merlin, perso nella sua mente, ad assaporare qualcosa che mai avrebbe creduto possibile.
Il biodo andò avanti ancora per qualche secondo ma poi, fu costretto a mollare la presa irato per non aver vinto la sfida. Perfino lui sapeva che avrebbe pagato delle conseguenze se gli avesse rotto il braccio. Così lo lasciò andare, ma non prima di avergli assestato un calcio alle costole che gli avrebbe lasciato un bel segno di ammonimento. -Ci si vede in giro idiota.- concluse, per poi andarsene via.
Merlin rimase a terra anche dopo che il Pendragon se ne era andato, sparendo dietro l'angolo. Tutta la parte sinistra del braccio e della spalla doleva e pulsava. Mentre sulla schiena poteva ancora sentire la pressione dolorosa subita dalla scarpa dell'altro sulla sua pelle. Il giorno dopo gli sarebbe sicuramente uscito un ematoma bello profondo. Ma non gli importava.
 
Dopo tanto tempo, aveva sentito qualcosa. Non sapeva dire cosa fosse, ma aveva decisamente avvertito qualcosa di diverso rispetto a come ogni giorno percepiva la sua vita.
Una sopravvivenza costante alla Vita, sua indiscussa e invincibile nemica.
Una condanna, nel quale il suo stesso corpo e la sua mente gli erano nocivi.
Costantemente bloccato in una prigione mentale dal quale era impossibile scappare.
La sua mente era come un buco nero insaziabile e l'unico modo per tenerla a bada era sfamarla.
Sempre.
O il prezzo da pagare sarebbe stato il dolore.
Lo sentiva quando si svegliava, era come un allarme di avvertimento. Un ronzio che diventava sempre più forte e assordante.
Fu negli anni che si rese conto che le emozioni accentuavano la sua condizione, così si promise di eliminarli per riuscire a mantenere la sua sanità mentale.
Ma quel giorno con Arthur fu diverso. Per qualche motivo sconosciuto quel ragazzo totalmente insignificante, aveva colmato quella fame.
Aveva dato silenzio dove il ronzio nella sua testa viveva perenne, divorandolo come un tarlo.
Aveva dato pace ad un corpo stanco e martoriato da una battaglia che non ha mai fine o tregua.
Quel giorno gli aveva dato una speranza, e allo stesso tempo gli aveva tolto il suo amato controllo.
Si rannicchiò su stesso sul freddo pavimento della scuola, nel vano tentativo di trattenere quel meraviglioso oblio ancorato a sé ancora per un po’.
 
Era davvero possibile? Era stato Arthur? Se sì come?
Come aveva fatto Arthur Pendragon, pura concentrazione di caos, rabbia e violenza a silenziare il suo caos?
Doveva scoprirlo. No. Non dovere…Bisogno, era decisamente la parola giusta. Lui aveva bisogno di sapere.
E lo fece.
Nei giorni successivi fece in modo di farsi trovare vicino a lui, che fosse in corridoio tra una lezione e l’altra, in pausa pranzo, alla fermata dei pullman dopo la scuola. Tutto pur di avere la possibilità di avere uno scontro con lui per poter appurare che fosse lui la causa. E per quanto assurdo potesse sembrare, era proprio lui. Ogni volta che Arthur lo toccava, il moro finiva dentro una bolla di beatitudine e il ronzio terrificante lasciava il posto ad un confortante silenzio. L’unica pecca, era che purtroppo durava sempre troppo poco.
 
Così, contro ogni aspettativa, decise che Arthur sarebbe stato la sua nuova cura contro un cancro che violava ogni logica.
Illogico che chiama illogico.
Avrebbe sopportato le sue angherie per avere anche per un solo secondo quell'oblio tanto agognato. Avrebbe accettato di perdere il controllo e cedere al caos dell’altro per colmare il suo.
Caos che chiama caos.
Cos’è questa se non follia?
 
***
 
Una mano dalla carnagione scura entrò nella sua visuale, e Merlin la strinse per rialzarsi da terra. Ormai aveva perso il conto di quante volte quella mano lo aveva aiutato ad alzare le sue chiappe dal pavimento. Aveva conosciuto Gwen il giorno in cui si era scontrato con Arthur, per la prima volta. Anche quel giorno lo aveva aiutato a rialzarsi da terra e da quel momento non lo aveva più lasciato. Nel senso, che lei aveva pensato bene -per chissà quale assurdo motivo- di diventare sua amica e che la cosa sarebbe andata bene anche a lui.
All’inizio Merlin non ne fù particolarmente entusiasta. Gwen era una ragazza piena di energia, rumorosa, chiacchierona e decisamente troppo invadente per i suoi gusti. Qualità indubbiamente indispensabili per un gruppo di amici normale ma, per quel “duo” che sarebbe dovuto rimanere un “uno” rimaneva una infelice accoppiata.
Gwen era tutto quello da cui Merlin era sempre fuggito. Abbracci indesiderati, lunghe telefonate e dialoghi inutili. Il problema era che non potendosene liberare aveva fatto buon viso a cattivo gioco.
Frequentandola Merlin aveva scoperto che Gwen era una vera e propria enciclopedia sui rapporti interscolastici. All'inizio aveva pensato di sfruttare le sue conoscenze per arricchire il suo archivio di dati personali, ma una volta capito che il suo "sapere tutto di tutti" riguardava gossip totalmente inutile, aveva subito rinunciato.
 
Una nota positiva però c’era. L’amicizia che Gwen gli offriva -se così si poteva definire- gli permetteva di mescolarsi alla massa ora che il suo mantello dell’invisibilità era andato perduto.
Inoltre, Gwen, gli aveva permesso di conoscere più a fondo Arthur Pendragon: figlio di Uther Pendragon, fratello minore di Morgana Pendragon. Appartenente alla famiglia più antica di Camelot, tanto che si dice fossero stati gli stessi antenati Pendragon a costruire la città. Non di meno infatti il padre di Arthur possiede quasi tutte le chiavi della città.
Questo spiegava perché quel ragazzo tenesse sotto scacco mezza scuola, senza che nessuno obbiettasse nulla al riguardo. Secondo il ragionamento di Merlin, nessuno si sarebbe mai messo a contestare il comportamento del figlio dell'uomo che possedeva Camelot, e che con molte probabilità finanziava anche la maggior parte degli eventi e iniziative della cittadina.
Scoprì anche che la vita di Arthur Pendragon non era così riservata, anzi tutti sapevano che la madre, Igraine, era morta anni prima dando alla luce lui e sua sorella. Capitano della squadra sportiva della scuola, Arthur un giorno avrebbe portato avanti le redini della famiglia: si diceva che il padre stesse già programmando un futuro matrimonio combinato da lui per allargare l'impresa di famiglia, ma quelle per il momento erano solo dicerie tra banchi.
 
-Ti ha fatto molto male?- chiese Gwen preoccupata. D'istinto allungò il braccio per prendere le mani di Merlin e assicurarsi che non fosse nulla di grave, ma il ragazzo scostò le mani fulmineo e se le infilò in tasca. -No. Non è niente.- dopo tutti quei mesi di frequentazione, per la ragazza non erano estranei i comportamenti evasivi del moro, anche se un po' la ferivano. Ci teneva sul serio ad instaurare un rapporto di amicizia con lui nonostante Merlin le mettesse sempre dei paletti molto netti. E dato che lei rimaneva sempre una inguaribile speranzosa, mandava giù il boccone amaro sperando in meglio nella volta prossima.
-Sai, forse dovresti dirlo a tua madr...- Gwen non fece in tempo a finire la frase che il moro la zittì all'istante. -Non ci provare.-
-Sì... ma...-
-Ho detto no. Gwen. Sai anche tu che sarebbe inutile informare di questa cosa chi che sia. È un Pendragon. Nessuno si mette contro la sua famiglia.-
-Ok... Ma se tu...insomma, è ingiusto quello che devi sopportare ogni stramaledetto giorno!-
-Eppure sei stata tu la prima a dirmi che non si può fare nulla contro di lui. Ricordi?- concluse lui tornando a osservare ciò che lo circondava. -Forse ho sbagliato a dirti quelle parole quel giorno.- rispose rassegnata lei. -Non ti colpevolizzare, Gwen. Dette o meno non avrebbe fatto alcuna differenza.-
 
Ed era vero. Che si potesse fare o meno qualcosa, lui in primis non aveva intenzione di rompere quella catena, ed era certo che di questo ne fosse convinto anche il suo carceriere.
Gwen questo non lo sapeva e l'arrovellarsi su questo dilemma pareva essere diventato il suo punto fisso. Molte volte aveva tentato di farlo ragionare, ma inutilmente. Merlin era l'unica persona che conoscesse, capace di tenere testa ad un Pendragon. Avrebbe potuto parlarne con sua madre e gli insegnanti per farlo smettere, eppure, non faceva mai niente. Come poteva non fare nulla e lasciarsi pestare come un pugile si accanisce contro il proprio sacco da box? Solo un pazzo lo avrebbe fatto.
 
In quei mesi molte volte gli aveva allungato la mano per rialzarsi da terra dopo la furia del biondo. E tutte le volte aveva sopportato i suoi maltrattamenti, senza mai sottostare al suo volere, a differenza di tutti gli altri che preferivano l'umiliazione all'essere malmenati. All'inizio aveva pensato si trattasse di orgoglio maschile, ma con l'andare delle settimane aveva iniziato a notare qualcosa di diverso. Altri si sarebbero lamentati costantemente di quella situazione scomoda, Merlin invece no. Non si lamentava mai. A vedersi, la cosa sembrava non disturbarlo minimamente. Avrebbe quasi detto che gli piacesse perfino, ma quell'atteggiamento malsano era troppo perfino per uno strano come Merlin.
Era cosciente che le sfuggisse qualcosa, ma quel qualcosa non le arrivava mai e Merlin poteva stare tranquillo del fatto che la sua compagna di scuola fosse troppo ottusa per giungere alla conclusione giusta.
Rimasero così, in silenzio ad aspettare, immersi ognuno nei propri pensieri. Mentre l'attesa dell'autobus stava iniziando a diventare interminabile minuto dopo minuto per Merlin, che non vedeva l'ora di prendere lo zaino e andarsene.
 
A lungo andare aveva iniziato a tollerare la sua presenza e tutto sommato non era così male averla intorno. Il vero problema era la sua irrefrenabile invadenza. Che nello specifico si traduceva nel voler conoscere il suo passato e la sua vita prima di arrivare a Camelot.
Il più delle volte se non poteva ignorarla, le rispondeva con poche e concise parole; scarne ma abbastanza per saziare il suo interesse almeno per un po’.
 
Questa era forse una delle sue regole più difficili da rispettare da quando la ragazza era entrata a far parte della sua vita: non divulgare fatti personali. Ovviamente Gwen non conosceva praticamente nulla di lui, oltre al dove vivesse attualmente, ai suoi lavoretti illegali sotto banco e l’idea che si era fatta di lui frequentandolo.
Per Merlin minore era l’interazione sociale, meglio era. Non poteva controllare i pensieri della ragazza, ma era cosciente del fatto che la conoscenza reciproca tra individui portasse alla costruzione di relazioni affettive; e su questo poteva lavorare. Nessun coinvolgimento emotivo equivaleva a zero emozioni, controllo costante, e Il controllo è e restava sempre la sua priorità.
 
Quando l'autobus finalmente arrivò, Merlin salutò Gwen con un cenno della mano e salì sul mezzo. Per tutto il tempo, i polsi non avevano smesso di pulsare.

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Capitolo 2
*** Golden Prison ***


Da sempre ormai, le giornate di Merlin si susseguivano ripetitive. Ma, questo era il suo obbiettivo. Avere sempre qualcosa da fare lo teneva impegnato fino a sera, non avendo così, il tempo per pensare ad altro. Tutte quelle azioni meccaniche, dallo svegliarsi ad un orario preciso la mattina, alle azioni giornaliere, fino al coricarsi la sera, lo aiutavano a mantenere il controllo sulla sua vita, visto che con il suo cervello non sempre era fattibile. Era come vivere a fianco ad una centrale nucleare, in costante altalenanza tra una stabilità precaria e l'immediata implosione. Una tortura mentale e fisica che in pochi avrebbero tollerato con tanta ferrea tenacia e silenziosa freddezza.

E poi c'era Arthur. In tutta onestà, non sapeva ancora bene dove collocarlo nella sua vita, dato che rientrava nella categoria delle cose che non poteva controllare. Eppure quel brivido, che provava ogni volta che si incontravano, pareva essere entrato nella sua lista giornaliera di cose da fare, così dal nulla, come i funghi spuntano in montagna dopo un temporale. E ovviamente, come ogni bravo raccoglitore di funghi che si rispetti, mai avrebbe lasciato sprecate quelle prelibatezze invitanti. Era un appuntamento fisso a cui non voleva rinunciare. Per quanto non lo sopportasse, aveva bisogno di lui. Bisogno di quel singolo secondo, nel quale tutto si annullava. Non capiva perché il Pendragon fosse l'unico a fargli quell'effetto e questo lo irritava non poco.

Finì gli ultimi compiti rimasti, e poi andò a dormire. Il problema è che non riusciva proprio a prendere sonno quella sera. Dopo tre giorni i polsi gli dolevano ancora, anche se i segni violacei erano quasi del tutto spariti. Stufo di rigirarsi continuamente nel letto, si mise a pancia in su ad osservare il soffitto bianco della sua stanza. Tentare di tenere a bada i suoi pensieri era un'impresa ardua, e si chiese se sarebbe mai riuscito ad eliminarli o per lo meno a rallentarli un giorno. Poi gli ritornò alla mente che tempo addietro c'era riuscito ma, che il dolce e tanto agognato oblio era durato solo poco tempo. Un sorriso amaro gli si disegnò sulle labbra a quel ricordo nostalgico. Istintivamente mimò con le mani in aria, il gesto di picchiettare con le dita su una siringa, seguito da un sospirato -Bei tempi...- per poi far ricadere le braccia sul vecchio materasso della sua stanza.

Una luce fastidiosa proveniente dalla finestra catturò la sua attenzione, si era dimenticato di chiudere le persiane. Una luna piena, la più grande che avesse mai visto, splendeva nel cielo. Vedere la regina della notte coronata da un manto nero con diamanti stellati, era qualcosa di maestoso. Ricordò di aver letto su qualche libro di storia, che nell'Antica Britannia la luna era considerata come uno dei tanti volti della Dea Madre: una Dea di un antico culto pagano, ormai morto e sepolto da centinaia di anni.

-Deve essere bello credere in qualcosa che non si può vedere e confutare scientificamente.-

Non capiva perché la gente pregasse divinità immaginarie partorite dalla mente umana che, ovviamente non avevano alcun controllo sulla realtà fisica. Eppure, farlo sembrava portare almeno un po' di conforto e speranza, e per questo un po' li invidiava.

Sarebbe bello credere, almeno per una volta.

Essere come tutti gli altri...anche solo per una volta....

Merlin si alzò dal letto per chiudere le persiane, e passando davanti allo specchio si osservò con la coda dell'occhio notando tanti piccoli lividi e graffi sul corpo. Tutti riconducibili agli scontri con Arthur quando lo stritolava con la sua presa ferrea e lo spintonava a terra. Negli ultimi giorni ci era andato giù pesante, più del solito. Tornava a casa sempre con dei lividi, piccoli e spesso in punti che non si notano ma che si fanno sentire. Era un atleta e sapeva bene dove colpire per causare dolore ma, senza creare troppi danni.

Ringraziava che sua madre, Hunit, da quando si erano trasferiti, faceva due lavori per mantenere entrambi. Le molte ore di lavoro la costringevano a stare via tutto il giorno, andando via presto la mattina, prima che si svegliasse per andare a scuola e tornare molto tardi la sera quando ormai, era già andato a dormire. Riuscivano a vedersi giusto qualche ora il fine settimana e questo, permetteva di nasconderle i segni che gli lasciava il biondo sulla pelle. L'ultima cosa che voleva, era farla preoccupare nella situazione già precaria nella quale navigavano. Inoltre sarebbe stato solo tempo perso, Arthur, era il figlio di Uther Pendragon. Sarebbe stato come scalfire una statua di marmo con un chiodo arrugginito.

Praticamente inutile.

Sentì uno schiocco provenire dalla porta di casa. Sua madre era rientrata, era davvero tardi. Si coricò nel letto, dando le spalle verso la porta chiusa di modo che se fosse entrata, non lo avrebbe visto in faccia. La sentì mettere giù la borsa. Seguì con l'orecchio i suoi spostamenti in casa, mentre si spogliava in camera e poi in bagno a lavarsi fino a sentire un leggero scricchiolio della porta di camera sua.

Sua madre, entrata nella stanza, gli fece un paio di carezze sul capo.

-Ti voglio bene.- Gli sussurrò all'orecchio, e uscì per andare a coricarsi nel suo letto.

In quell'esatto momento, qualcun altro stava guardando quella stessa luna, dall'altra parte della città. Le finestre spalancate della stanza da letto facevano entrare l'aria ormai estiva, i capelli lunghi e neri della ragazza erano adagiati sul cuscino bianco, e la pelle diafana brillava alla luce dei raggi lunari. Gli occhi erano fissi sul ventre bianco del cielo notturno, ma non vedevano lei, bensì oltre il tempo e lo spazio. In estasi dal Potere della Vista, Morgana Pendragon, stava viaggiando con la mente nel futuro.

***

Merlin si svegliò la mattina seguente. Sua madre era già uscita da un pezzo. Andò in bagno a lavarsi e poi fece colazione in cucina come al solito. Casa sua non era molto grande. Faceva parte di una serie di casette a schiera molto vecchie, alla periferia della città. C'era l'entrata con annesso il salotto, la cucina, il bagno e le due camere da letto. Non c'erano ninnoli inutili ad arricchire la casa, secondo sua madre servivano solo a fare polvere.

Gliela aveva sentito dire spesso negli anni da sua madre, anche se non si era mai del tutto convinto che Hunit, si riferisse davvero alla polvere. Semmai ad un suo tentativo di tenere lontano lo sporco sentimentale indesiderato.

Il mobilio era semplice, qualche foto di loro due e quadri appesi qua e là. Nel complesso era comunque una casa accogliente.

L'unica cosa che era sempre mancata tra quelle pareti, era una foto di suo padre.

Non lo aveva mai conosciuto, e sua madre non parlava mai di lui.

Era riuscito a cavarle fuori qualche parola di bocca a sette anni, ma nulla di più.

Merlin, ricordava che un giorno, afflitto dalla frustrazione del non sapere, l'aveva minacciata di non rivolgerle più la parola, se non gli avesse detto almeno una cosa su suo padre.

Passò una settimana di silenzio, prima che Hunit si decidesse a parlare, e dargli due brevi e semplici informazioni proferite con immane fatica.

Gli disse che il suo nome era Balinor e che come lui aveva un quoziente intellettivo fuori dal comune.

Non aggiunse altro a parte il farle promettere di non chiederle più nulla al riguardo, e così Merlin fece. Soddisfando nel tempo la sua fame con quei due miseri dati.

Era chiaro che la testardaggine l'aveva decisamente presa da sua madre.

Conoscere anche solo due semplici nozioni, lo face sentire più vicino a quell'uomo per qualche tempo. Finché la cosa sciamò, quando capì che quella figura paterna che aveva sempre desiderato avere nella sua vita non sarebbe mai tornata. Inoltre, vedere la tristezza sul volto di sua madre nel parlarne, gli fece capire che qualunque cosa fosse accaduta tra di loro, era meglio lasciarla sepolta sotto la sabbia per non riesumarla mai più. Oltre all'imparare un'altra lezione che si sarebbe portato dietro a vita: che l'amore è un'avida puttana.

Finì di fare colazione, mise via i biscotti nella dispensa, lavò la tazza nel lavandino e preso lo zaino uscì di casa, per andare alla fermata dell'autobus. Una nuova monotona giornata stava iniziando.

Arrivato a scuola, Gwen era già li ad aspettarlo. Non abitava lontano dal centro come lui, quindi le bastava prendere la bici per arrivare in orario. -Buon giorno!- Lo salutò con il suo solito entusiasmo.

-Buon giorno, Gwen.- Rispose con una leggera piega della lebbra. La ragazza prese Merlin sotto braccio, che frenò l'istinto di allontanarla, e s'incamminarono verso le aule. Non si sarebbe mai abituato alla sua spiccata vena affettuosa. -Non vedo l'ora che arrivino le vacanze estive! Non ne posso più di banchi e professori. Ci stanno sommergendo di compiti quest'anno e la mia vita sociale è diventata I.N.E.S.I.S.T.E.N.T.E!- Concluse con un broncio teatrale. -Non manca molto alle vacanze estive. Solo due settimane ancora.-

La ragazza si accasciò alla sua spalla piagnucolando. -Troppo lunghe...Approposito! Mi stavo dimenticando. Oggi potresti darmi una mano con i compiti di chimica? Non capisco come tu faccia a non avere un briciolo di ansia per l'esame. Ah no, aspetta che idiota che sono... tu sei uno stramaledetto cazzo di genio! - Concluse, aggiungendo alla frase un pizzico di frustrazione e invidia per sottolineare la fortuna sfacciata che il moro aveva nello studio a differenza sua.

-Se tu ti impegnassi un po' di più non arriveresti ogni volta con l'acqua alla gola.-

-Impegnarmi...tu nemmeno lo fai. Ti basta una lezione per capire tutto. Questa si chiama ingiustizia. Ed è per questo che non capirò mai il perché ti manca un anno di scuola. Non dirmi che ti piace così tanto lo studio che hai corrotto gli inseganti per ripetere l'anno?-

-No.-

-Allora perché?-

-Ho...avuto problemi familiari...te l'ho detto.-

-Che nello specifico vuol dire?-

-Problemi. Familiari.-

-Prima o poi scoprirò il tuo segreto, Emrys.-

Concluse Gwen con determinazione, puntandogli un dito davanti alla faccia.

Tutti quei mesi e ancora non sapeva il motivo del suo anno sabbatico forzato. Era frustrante per lei non sapere. Era la regina del gossip e per quanto lei e Merlin fossero amici, il moro restava ancora un muro indecifrabile e misterioso.

Cosa poteva mai nascondere un diciottenne solitario, introverso e troppo intelligente?

Forse solo la pubertà. Che voleva dire tutto e niente, nella stessa parola.

- Comunque oggi ho da fare. Possiamo fare domani?.-

-Ok. Anche se immagino che con "da fare" tu intenda passare sotto banco compiti già fatti per altri studenti, pagati un occhio della testa.-

ribatte contrariata enfatizzando l'ultima parola con le mani facendo il gesto delle virgolette.

-Non guardarmi così. Sono loro che non vogliono impegnarsi e se vogliono buttare via soldi per dei compiti già fatti è una loro scelta, e se posso guadagnarci qualcosa tanto meglio. Non sarò io ad esse impreparato agli esami. E poi i miei clienti provengono quasi tutti da famiglie ricche, cosa vuoi che siano per loro 200 sterline buttati al vento?-

-lo sappiamo che sono degli idioti certificati ma...andiamo, tu sei meglio di loro.-

-E questo chi lo dice?-

La ragazza fu sul punto di ribattere quando la campanella di inizio lezione suonò, costringendola ad ingoiare le parole che stava per dire. Succedeva sempre, ogni volta che Merlin sfoderava quelle battute taglienti su sé stesso, e Gwen ogni volta non riusciva a fare niente se non ammutolirsi e sentirsi a disagio per lui; non capendo mai se stesse scherzando o meno.

***

Le lezioni mattutine si svolsero tranquillamente, finché non suonò la campanella. I ragazzi uscirono e Gwen raggiunse Merlin alla fermata.

Uno zaino colpì violentemente la testa di Merlin all'improvviso, facendolo barcollare.

-Oh, che sbadato. Sei così insignificante Merlin che non ti avevo visto.-

-Arthur. Credo che tu debba revisionare il tuo arsenale degli insulti. Stai iniziando a perdere colpi.- Rispose Merlin sarcastico, toccandosi la parte lesa della testa. Mentre si pregustava l'oblio che a pochi secondi lo avrebbe avvolto.

Gwen aveva già artigliato il suo braccio per la paura, sussurrandogli di lasciar correre o si sarebbe cacciato nei guai. Non capiva questo suo voler darsi la zappa sui piedi da solo provocandolo, quando era palese che non ce ne fosse alcun bisogno.

-Mi ero quasi scordato della tua lingua tagliente. Dovrei tagliartela.-

Soffiò il biondo mellifluo, sfoggiando quel suo solito sorrisetto sarcastico dall'aria superiore, che irritava Merlin tutte le volte. Detestava quel dannato sorrisetto che il biondo non mancava mai l'occasione di sfoggiare.

Da mesi da quando aveva difeso quel povero ragazzo, il biondo non faceva che vessarlo tutti i giorni. Prima con insulti, poi semplici pizzicotti che lasciavano un leggero alone rossastro che andava via dopo pochi minuti, seguiti poi da lividi veri e propri. Merlin era l'unico con cui ci andava giù pensate, ed era anche l'unico che lo aveva costretto a cambiare più volte tattica per costringerlo a sottomettersi, ma senza risultato.

Arthur si avvicinò a Merlin di un passo ancora, erano ad un soffio l'uno dall'altro. Lo prese per il collo della maglia avvicinandolo a se e soffió acido al suo orecchio per non farsi sentire dagli spettatori li intorno.

-Cosa cazzo devo fare con te?-

Arthur non riusciva a sopportare quegli occhi. Erano mare in tempesta, come la sua anima. Guardarlo lo intimoriva e lo faceva incazzare allo stesso tempo. A volte aveva la sensazione che con quegli occhi riuscisse a scorgere oltre l'armatura che con tanta minuzia si era costruito. Li riconosceva, quelli erano occhi che avevano conosciuto il vero dolore, come i suoi.

Un impercettibile sfumatura.

Una macchia indelebile, che nemmeno il sorriso più costruito poteva camuffare.

E solo chi aveva provato il dolore sulla propria pelle poteva riconoscere.

Non poteva sopportare che qualcun altro fosse in grado di scorgere quello che nascondeva sotto la sua armatura, che con tanto impegno e fatica aveva costruito. Soprattutto lo mandava in collera il fatto che Merlin non volesse arrendersi. Tutti gli altri lo facevano, perché non avrebbero dovuto? Era un Pendragon, tutti abbassavano il capo quando si trattava della sua famiglia.

Tutti.

Tranne lui.

Costantemente lo sfidava tacitamente, come un uccellino dall'animo libero e indomito che scalcia per liberarsi dalla gabbia e volare via. Quello che avrebbe voluto essere lui, libero di volare via da quella vita che ormai era diventata una prigione. 
Una prigione con sbarre d'oro e mobilio di lusso certo, ma sempre una prigione restava.

All'inizio era stato divertente, il nuovo arrivato era spassoso come giocattolo di svago. Il suo essere recidivo nei suoi confronti era diventato una piacevole sfida da affrontare tutti i giorni, il problema era che Arthur si stancava velocemente dei suoi giocattoli e col tempo capì che Merlin, non aveva alcuna intenzione di rompersi. Nella sua mente tutti vedevano che non riusciva a romperlo, e lo questo lo faceva impazzire di rabbia.

Quel ragazzo, con i suoi atteggiamenti ribelli stava minando la sua autorità, e non poteva permetterlo. Se la gente avesse visto com'era realmente, sarebbe stata la fine. Come gli aveva sempre insegnato suo padre fin da piccolo, era meglio essere forti e temuti piuttosto che deboli e compatiti, e questo era quello che aveva sempre fatto, aveva lottato e conquistato il suo trono personale, non conoscendo altro modo.

Merlin lo guardava fisso, quegli occhi non facevano che ferirlo, Doveva fermarli. Subito. D'istinto chiuse la mano, le nocche divennero bianche per la forza con cui strinse. I muscoli delle braccia rigidi, per la tensione accumulata. Stava per mollargli seriamente un pugno in piena faccia. Non capiva più niente, la mente era annebbiata, e l'unica cosa cui riusciva a pensare era di spegnere quegli occhi immediatamente.

Ai suoi occhi era inconcepibile, che quel semplice ragazzo dall'aria insignificante riuscisse a metterlo al tappeto, senza neanche toccarlo.

Cosa diavolo sei tu?

Un urlo stridulo si alzò dalla bocca di Gwen attirando l'attenzione di tutti su di loro. Merlin invece, non mosse un muscolo, ancora sotto l'effetto anestetizzante di Arthur. Quasi sperò che gli tirasse quel pugno per prolungare quel piccolo momento di pace dalla sua mente frenetica.

Forse la gente lo avrebbe considerato un masochista per questo, ma non gli importava. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per un momento di meraviglioso e bramato silenzio.

Invece un paio di occhi verdi entrarono nella visuale di Merlin, era Morgana Pendragon. La ragazza appoggiò delicatamente una mano sul braccio alzato del fratello per farlo calmare. Subito Arthur divenne un blocco di marmo al suo tocco leggero. Conosceva bene quella luce nei suoi occhi, da troppo tempo ormai. -Adesso basta Arthur. Non è il caso di esagerare...-

Gli occhi di Arthur erano ancora fissi in quelli di Merlin, e con la mano lo teneva ancora stretto in una morsa. Morgana li separò, togliendo lei stessa la sua mano dalla maglietta del moro.

Se Arthur era temuto e rispettato, Morgana era totalmente l'opposto. Gentile e aggraziata, era lei che frenava il fratello quando la situazione diventava troppo critica. Nella sua delicatezza sapeva essere notevolmente forte e determinata nelle sue decisioni. Saper calmare un ragazzo della stazza di Arthur non era per niente facile, eppure, bastava un suo tocco e il biondo riacquistava un po' di calma, quasi per magia.

-Sono certa che Merlin, per oggi, abbia imparato la lezione...-

Pronunciò quella frase guardando Merlin, i suoi occhi lo scrutarono attentamente. Di primo acchito non sembrava avere nulla di speciale, il suo aspetto gracile e pallido non prospettava alcun che di grandioso. Eppure Morgana sapeva che sotto quel suo aspetto innocuo e malaticcio, il moro celava doti, che probabilmente nemmeno lui stesso sapeva di avere.

La sorella prese Arthur sotto braccio, ancora congelato dalla sua presenza, ma poteva lo stesso percepire il suo umore inquieto scalpitare nel silenzio.

-...e poi non vorrai rovinare un così bel faccino?-

Merlin rimase di sasso, non se lo aspettava. Il biondo si divincolò dalla stretta della sorella e se ne andò a pugni stretti. Lo guardarono entrambi andarsene finché Morgana si girò nuovamente verso il moro. Con una mano gli sfiorò il viso. Sembrò quasi una carezza.

-Il Destino ha davvero un'ironia tutta sua.-

Quasi non si accorse di averla pronunciata ad alta voce quella frase, rivolta più a se stessa che a Merlin.

-Ci si vede in giro Merlin.- gli disse lanciandogli un occhiolino per poi seguire il fratello nella folla creatasi lì in torno.

Fu la voce di Gwen al suo fianco a far evaporare la nebbia nella quale la sua mente era caduta.

-...rlin..Merlin? MERLIN?? Stai bene?- Lo chiamava mentre gli scuoteva forte il braccio. -Ma sei stupido? Lo sai che non devi provocarlo! Certe volte te le vai proprio a cercare. E hai visto Morgana? È stato incredibile! Conosce il tuo nome ti rendi conto? Ti ha letteralmente salvato la vita! Ti rendi conto...- Era diventata una mitraglietta umana che non smetteva più parlare tra un gridolino di entusiasmo e l'altro.

Gwen gli stava letteralmente distruggendo un timpano. Andò avanti per venti minuti buoni prima che si calmasse, ed esaurisse tutte le esclamazioni possibili e immaginabili del suo vocabolario, creando perfino un miscuglio tra quelle conosciute per rendere la cosa ancora più grandiosa.

Quando finalmente cambiò discorso, Merlin non la stava più ascoltando da un pezzo. La sua mente era ancora rapita dagli eventi appena accaduti, e un'unica frase continuava a tormentare la sua mente.

"Il Destino ha davvero un'ironia tutta sua."

La sorella di Arthur era davvero una ragazza bellissima quanto enigmatica, e incominciava a pensare che forse ci fosse molto più di quello che sembrava, sotto la cortina di cristallo che la famiglia Pendragon aveva costruito negli anni, intorno a sé. Gli atteggiamenti così violenti di Arthur non potevano essere casuali, e solitamente il fulcro della cosa celava sempre una nota infelice.

 

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Capitolo 3
*** Dancing Witches ***


-Non possiamo più aspettare Sorelle. Dobbiamo fare qualcosa.- Affermò Morgana determinata più che mai. -E come potremmo fare? Siamo a corto di idee al momento, ricordi?- Rispose Nimueh rassegnata. -Lo so, ma ormai la cosa ci sta sfuggendo di mano. Non so per quanto ancora riuscirò a tenere a bada Arthur, con i miei poteri. Il suo odio e la sua rabbia crescono ogni giorno e sta iniziando a diventare immune ai miei trucchetti. Inoltre non posso stargli attaccata 24 ore su 24, se ne accorgerebbe.-

-Ne sei certa? Direi che possiamo concordare tutte e tre che tuo fratello non brilla d’intelligenza.- -Morgause, non sei divertente…Ok, sì lo sei. Ma non è questo il momento.- Ribatté Morgana, mentre alla bionda sfuggiva una sonora risata. -Ok, Miss Devo-proteggere-mio-fratello. -Tornando alle cose serie – Continuò Nimueh - l’abbiamo visto ieri, ha quasi picchiato davanti a tutti quel ragazzo…come si chiama?- -Merlin.- Rispose la Pendragon. -Avrebbe ucciso Merlin a suon di pugni se non fossi intervenuta tu.-

-Caspita! Conosci il suo nome. Non sapevo foste così intimi.- La prese in giro Morgause, mentre l’altra le tirava un occhiataccia. -Morgause, adesso basta!- Nimueh stava iniziando a spazientirsi. La bionda sarà anche stata sua con-sorella e le voleva bene ma, certe volte non riusciva proprio a tollerare il suo caratteraccio. -Quindi che facciamo? Non abbiamo nemmeno idea di come intervenire per risolvere la questione.-

-Io invece, credo di sì.- Affermò Morgana, attirando l’attenzione delle altre due. -Durante la notte di Luna Piena e ho avuto una visione su Arthur e credo di sapere come risolvere il problema.-

-Davvero? A quanto pare la Dea ha ascoltato le nostre preghiere!- Esultò Morgause. -Ne sei certa Morgana? Sai che le visioni non mostrano mai tutta la verità. Non puoi essere certa del suo significato.- rispose titubante la mora. -Non essere disfattista Nimueh! È la prima speranza che abbiamo da mesi!- la rimbeccò la bionda. -Parla, cosa ti ha mostrato?-

-Non ci crederai Morgause ma, sarà proprio Merlin a darci una mano.- disse mentre un sorriso compiaciuto compariva sulle sue labbra. -Mi prendi in giro? Quel ragazzino pelle e ossa sarebbe la soluzione ai nostri problemi? Ti sei forse dimenticata di come è fatto tuo fratello, oppure hai bisogno di un paio di occhiali? Lo ridurrà in briciole in meno di 10 secondi.-

-Qui non si tratta di usare forza, sorella mia ma, di giocare d’astuzia. In futuro Merlin e Arthur sono destinati a stare insieme, sono come due facce della stessa medaglia. Credetemi, non l’ho mai visto così sereno e felice come nella visione. Certo erano solo immagini spezzate e veloci ma, so quello che ho visto.- rispose eccitata. -Due facce della stessa medaglia eh? Merlin e Arthur, chi l’avrebbe mai detto.- Soffiò Nimueh pensierosa, quasi non riuscendo a crederci. -Ok, è davvero tutto molto bello e romantico ma, questo non risolve il problema. Che intendi fare? Incastrarli ad un appuntamento al buio e sperare nel colpo di fulmine? Non credo proprio che funzionerebbe. –

-Morgause ha ragione Morgana.  Arthur odia Merlin, e se lo avesse a tiro lo ucciderebbe senza pensarci due volte. Cosa speri di fare?-

-Sorelle mie, vi ricordo che non siamo semplici studentesse, siamo figlie della Dea e un giorno future Sacerdotesse. Merlin e Arthur staranno insieme solo tra qualche anno, ma noi ne abbiamo bisogno ora. La mia idea è quella di accelerare i tempi giusto un po’, col Potere della Magia.-

-Accelerare i tempi? Morgana qui si parla di modificare il tempo, non abbiamo mai eseguito un incantesimo di questa portata. Sei sicura che ne siamo in grado?- chiese confusa la mora. -Non parlo di accelerare il tempo Nimueh, pensavo più ad un incantesimo di… trasformazione.-

-Trasformazione? Mi piace. Trasformiamo il bel principino in un rospo!  Perché non ci abbiamo pensato prima?- Disse Morgause entusiasta.

-Così poi ci pensa Merlin a sistemare tutto con un bel bacio!- e così dicendo la stanza si riempì delle risate delle tre ragazze.

Dopo anni Morgana, poteva finalmente tirare un sospiro di sollievo. Certo dovevano ancora studiare l’incantesimo e tutti i dettagli, e non sarebbe stato facile. Nimueh aveva ragione non avevano mai osato tanto ma, almeno adesso sapevano cosa fare e come. Ringraziò mentalmente la Dea per essere venuta in suo soccorso. Non avrebbe fallito per nulla al mondo, anche se litigavano spesso, voleva bene a suo fratello e avrebbe fatto qualsiasi cosa per restituirgli un po’ di quella felicità che gli era stata negata fin da piccolo, e vedere anche solo un sorriso sbocciare sulle labbra di Arthur sarebbe stato per lei la migliore ricompensa.

-Hei stregacce! Avete finito di starnazzare come delle galline?- Urlò Arthur mentre dava dei forti colpi, dietro la porta della camera da letto della sorella, interrompendole. Due secondi dopo Morgana la aprì. -Che vuoi? Siamo occupate.-

-Di a quelle là di andare a casa, la riunione tra befane è finita. Fate troppo casino.-

-Come sei noioso fratellino, qui la festa non è ancora finita.-

-Non mi interessa, falle sloggiare!- Arthur e Morgana si scrutarono intensamente negli occhi, sembrava quasi un gara all’ultimo sguardo che nessuno dei due voleva perdere, finchè…

-Ragazze, ci vediamo domani per definire i dettagli.-  Le due ragazze sbuffarono seccate, poi presero le loro cose e uscirono dalla stanza. -Guasta feste!- Bofonchiò Morgause mentre oltrepassava Arthur sulla soglia della porta, dandogli una spallata. Il biondo aspettò che le due ragazze sparissero per rivolgersi ancora alla sorella. -Che stavate tramando voi tre?- chiese a metà tra il sospettoso e il seccato. -Niente che non siano affari tuoi fratellino, a meno che, improvvisamente non ti interessi la mia vita sentimentale. Sai Valiant sembra un ragazzo così carino, non credi? Forte, alto e…- subito una faccia disgustata si dipinse sul volto di Arthur -Sai cosa? Me ne vado a letto. Ciao.- e detto ciò si scostò dalla porta per andarsene dritto in camera sua. Morgana sapeva sempre come far passare le cose sotto il naso di suo fratello senza che se ne rendesse conto.

Abilità molto utile, soprattutto per quando bisognava nascondergli la sua magia. Nessuno in famiglia era a conoscenza delle sue straordinarie capacità. Solo Nimueh e Morgause lo sapevano ma, loro erano come lei. Figlie della Dea. Sacerdotesse. Streghe. Loro erano l’ultimo baluardo di una antica dinastia andata perduta nei secoli in una terra pregna di storia, magia e mistero. Le aveva incontrare da piccola e da allora non si erano più separate. Mentre la sua magia c’era sempre stata. Una compagna silenziosa che negli anni aveva imparato a destreggiare.

***

Arthur entrò in camera sua e chiuse la porta dietro di sé, era finalmente solo. Mollò esausto la borsa degli allenamenti sul pavimento, si tolse scarpe, vestiti e andò in bagno ad aprire l’acqua della doccia. Quel pomeriggio il coach ci era andato giù pesante con gli allenamenti per la squadra. Era bagnato fradicio di sudore oltre che sporco di terra.

Era sua abitudine fare la doccia a casa dopo gli allenamenti di Giostra Medioevale, per quanto la scuola fosse perfettamente munita di docce e spogliatoi. Ma lui non le usava. Mai. Non che non volesse, di Arthur si potevano dire molte cose ma non che fosse schizzinoso. Il problema era che non poteva. Nemmeno i suoi compagni sapevano il reale motivo, e il biondo preferiva di gran lunga le loro idee assurdamente strampalate alla triste quanto vergognosa verità.

Buttò i vestiti sporchi nella cesta e si diresse alla doccia, stando ben attento ad evitare lo specchio. Non voleva vedere i segni sulla sua schiena. Era troppo doloroso e avvilente pensarci. Appoggiò la testa e il braccio contro le piastrelle fredde sul muro, in contrasto con l’acqua bollente che scivolava lungo il suo corpo muscoloso e segnato dagli allenamenti. Ogni volta desiderando che quell’acqua si portasse via quel maledetto marchio sulla schiena. Il marchio del Matricida, impressogli da suo padre.

Sia sua sorella che il personale della casa ne erano a conoscenza, ma il terribile segreto non era mai uscito dalle mura casalinghe. E anche se odiava ammetterlo, doveva ringraziare Morgana, se era riuscito a sopravvivere tutti quegli anni. Non glielo aveva mai detto apertamente data la sua indole orgogliosa. Le era grato sì ma, dall’altro lato non sopportava che tra loro due la più forte fosse lei. Da quando era successo la prima volta non aveva mai smesso di proteggerlo. Nessuno lo avrebbe mai detto ma, l’aiuto che Morgana gli offriva non era fatto di parole, semmai di sguardi silenziosi e atti invisibili che facevano la differenza. Un tacito accordo, stipulato da entrambi. Due ruoli consapevoli e mai ammessi verbalmente per non rendere ancora più tangibile una questione già troppo dolorosa.

Eppure tra la paura di una nuova violenza, l’odio nei confronti di un padre violento e la vergogna di quel marchio e di cosa rappresentava, una piccola parte di lui, era convinta di meritarselo. La giusta punizione per una colpa imperdonabile. La nascita sua e di sua sorella aveva portato all’inevitabile morte della madre Igraine; e suo padre non aveva fatto altro che riprendersi quello che gli apparteneva nell’unico modo che conosceva: la violenza. E alla violenza lo aveva istruito. Insegnandogli che l’unico modo per essere accettati e rispettati nella società era usando il pugno di ferro. Solo sua sorella riusciva ancora a tirargli fuori la sua parte migliore, che lentamente, giorno dopo giorno andava esaurendosi sotto i colpi di una cintura in pelle.

Uscito dalla doccia si avvolse l’asciugamano intorno alla vita. si diresse in camera per prendere dall’armadio un paio di pantaloni da tuta e una maglietta a mezze maniche rossa, per poi lasciarsi cadere sul letto sfinito. Si addormentò così, sdraiato bellamente sul suo letto, mentre la sua mente vagava ancora nel passato e goccioline d’acqua gli scendevano ancora dai capelli umidi, lungo il collo e il cuscino.

Al contrario Morgana passò tutta la notte a studiare l’incantesimo nei minimi dettagli. Doveva essere perfetto.

***

Il mattino seguente i raggi del sole nascente spuntarono dalla finestra della camera di Morgana, mentre stava radunando gli ultimi appunti dell’incantesimo. Dopo una notte insonne passata a scrivere e bere litri di caffè ci era riuscita. Tutta soddisfatta si diresse in bagno a lavarsi e a truccarsi, nel tentativo di coprire le occhiaie, prova del suo duro e segretissimo lavoro. Si vestì con tutta calma e scese a fare colazione, c’è nera di tempo prima di andare a scuola. Per quanto fosse stremata dalla notte passata in bianco non poteva fare a meno di essere felice come un bambino la mattina di natale, che aspetta solo di aprire i regali. Da troppo tempo aspettava quel momento.

-Buongiorno Arthur!- Annunciò la ragazza tutta contenta al fratello, quando scese a fare colazione. – Un po’ presto per la tua sveglia. Dormito bene?- -Cosa hai mangiato sta mattina a colazione? Arcobaleni e unicorni rosa?- ribatté Arthur seccato dal suo esuberante entusiasmo mattutino. -No, sono felice. Cosa c’è? Non posso esserlo? Ah giusto, meglio evitare che ti contamini con la mia allegria. Sia mai che potrebbe scapparti un sorriso.- -Ha ha ha che simpatica. Tu, piuttosto, cos’è quella faccia da panda?- chiese di rimando notando le occhiaie semi coperte dal trucco. -Nulla, ho solo studiato per un esame importante.- -Ah ok…-rispose Arthur mentre dava un morso al suo pane imburrato. Finchè il suo cervello ancora mezzo addormentato non fece clik. - Aspetta! Sei una delle migliori a scuola. Tu non studi mai la nott…--Oh ma tu guarda, devo andare! Le ragazze mi aspettano. Sai come sono fatte.- Lo interruppe lei fingendo di guardare l’ orologio. -Che hai combinato sta notte?- insistette lui con la bocca impastata di cibo ma,  Morgna non gli rispose. Si alzò e veloce come un falco posò un leggero bacio sulla guancia del fratello, per poi scappare via urlando -Buona giornata. Ti voglio bene!-

-Quella è tutta matta.- disse pulendosi la bocca con il tovagliolo, per poi notare delle macchie rosse su di esso. -Ma che cazzo!! Mi hai lasciato il tuo rossetto sulla faccia! Maledetta!- Imprecò a vuoto il biondo che iniziò a sfregarsi il tovagliolo sulla faccia, pregando che il colore venisse via senza doversi scorticare la faccia.

Una volta arrivata a scuola, parcheggiò la macchina nel parcheggio adiacente e raggiunse Morgause e Nimueh quasi saltellando. -Ragazze c’è l’ho fatta!! Ho passato una notte in bianco ma ne è valsa la pena! Dopo scuola ci vediamo a casa mia e vi mostro tutto.-  Disse tutta eccitata. Mentre le altre due la elogiavano per il lavoro svolto, impazienti di sapere i dettagli.

Le lezioni si svolsero come da routine e squillata la campanella dell’uscita, tutte e tre si diressero alla macchina di Morgana per andare a casa sua e mettersi all’opera. -Tuo fratello non è in casa?- Le chiese Nimueh. -Meglio se non c’è, non voglio quel principino tra i piedi.- sbuffò Morgause. -No, ha gli allenamenti anche oggi. Abbiamo tutto il pomeriggio libero.-

Entrarono in camera e mentre le altre si sedevano sul tappeto morbido, Morgana si occupò di prendere gli appunti della notte prima. Li posò in mezzo alle due ragazze che rimasero esterrefatte. -Sorella ti rendi conto che sembra il manoscritto del Signore degli Anelli vero?- disse Morgause -È enorme!! Ma quanta roba hai scritto?- Continuò Nimueh. -Si lo so ma, volevo che fosse perfetto e che non ci fossero scappatoie.- -Beh, dicci tutto allora!- Concluse la mora.

Morgana inizio a descrivere tutto il processo, parlando prima di cosa sarebbe effettivamente successo ad Arthur e come camuffare la cosa a gente esterna, per poi passare alla descrizione tecnica dell’incantesimo. Il materiale era talmente tanto e complesso che ci misero tutto il pomeriggio. -Sono sfinita.- annunciò Morgause alla altre con uno sbadiglio. -Non  sarà facile ma c’è la faremo.- -Puoi scommetterci che c’è la faremo! Sarà un successo!- confermò Nimueh stanca ed eccitata insieme. -Grazie ragazze. Non c’è l’avrei mai fatta senza di voi. Vi voglio bene.- Terminò commossa Morgana abbracciandole con trasporto.

i giorni seguenti passarono piuttosto in fretta, mentre la luna di notte diminuiva il suo volto in falci sempre più sottili. Come sempre Arthur dopo scuola importunava Merlin, per poi prendere la sua macchina e tornare a casa a meno che avesse gli allenamenti, e Morgana non vedeva l’ora di dare un taglio alla questione.

Le ragazze si incontrarono al parco di Camelot in tarda serata come stabilito, in un punto un po’ isolato, vicino ad una quercia, per essere sicure di svolgere il tutto indisturbate. La notte era buia senza la luna a rischiarare il cielo, ed era perfetta. Le vacanze estive erano già iniziate, in questo modo avrebbero avuto tutto il tempo per gestire la cosa. Non potevano chiedere tempismo migliore.

Crearono un altare dove posare gli oggetti necessari, accesero un piccolo fuoco e disegnarono antichi simboli magici nel terreno con il ramo di un albero. Si tolsero scarpe e felpe che le proteggevano dal vento fresco che scendeva di sera, sfoggiando dei lunghi abiti neri. Lo stesso colore associato al terzo volto della Dea: quello di Anziana, detentrice della conoscenza e della trasformazione.

Si posizionarono per formare un triangolo perfetto e una ad una invocarono a gran voce una frase specifica con un ruolo ben preciso. Dopo di che stettero qualche minuto in silenzioso raccoglimento, per poi prendersi mano nella mano. Morgana pronunciò poche parole che le altre due cominciarono a ripetere all’unisono a ritmo lento e costante. Morgana si unì a loro, in quella che sembrava una litania che diveniva pian piano sempre più veloce. Iniziarono a girare in cerchio al ritmo delle parole, e ad ogni giro sentivano il potere crescere sempre di più, mentre invadeva i loro corpi colmandole di pura energia.  A quel punto il canto insieme alla corsa divennero così veloci da creare un Cono di Potere. Le parole si confondevano tra loro creando strani intrecci sonori. L’energia era al limite e quando raggiunse l’apice le tre streghe lasciarono il loro abbraccio per fermarsi e lasciarsi cadere a terra, rilasciando andare a terra e in cielo il Potere e con esso l’incantesimo. Sfinite e accaldate rimasero sdraiate a terra aspettando che i battiti del cuore riprendessero un ritmo regolare.

In quello stesso momento Arthur e Merlin dormivano nelle reciproche stanze indisturbati, mentre il biondo non smetteva di rigirarsi nel letto, mentre il suo corpo era scosso dai tremiti. L’energia stava scorrendo in lui mentre mutava forma e quando dalle sue labbra uscì un urlo, sembrò più l’ululato di un lupo solitario che ha perso la strada. Non avevano la minima idea di cosa si fosse scatenato in quella medesima notte. Eppure al loro risveglio qualcosa sarebbe cambiato. Ciò che le tre streghe avevano fatto, avrebbe cambiato per sempre gli eventi futuri dei due ragazzi. 

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Capitolo 4
*** Disturbing Smile ***


Il sole del tardo mattino fece capolino nella camera da letto di Arthur, che ancora dormiva sotto le coperte. Era in vacanza, e questo significava due cose: niente scuola per tre mesi e puro meraviglioso dolce far niente. Si stiracchiò un poco sotto le coperte, si sentiva ancora stremato dalla notte precedente. I muscoli gli dolevano come se avesse fatto dodici ore di allenamento filato, mentre la testa pulsava dopo una notte di incubi e strane voci femminili senza senso. Nemmeno dopo i suoi peggiori dopo sbornia si svegliava così conciato. Rimase ancora un po’ sdraiato a rimuginare sulla nottata quando sentì il suo stomaco brontolare. Scostò le coperte e scese dal letto, per andare in cucina a fare colazione. Eppure c’era qualcosa di strano. Tutto sembrava più alto rispetto al solito e…in bianco e nero. *Forse sto ancora sognando. Anche se questa è la prima volta che sogno in bianco e nero.*

Si sentiva stordito e dolorante ma era quasi certo di essere sveglio. A parte l’assurdità del momento era tutto molto reale. *Forse il mio cervello è ancora mezzo addormentato e mi fa vedere cose strane.* Si diresse in bagno, per darsi una sciacquata alla faccia. Era tutto troppo strano. Guardò il lavandino dal basso verso l’alto, ma non gli sembrava di camminare a quattro zampe. *Ma che cazzo mi succede sta mattina?*

Nel desiderio di raggiungere il lavandino, percepì il suo corpo alzarsi e allungarsi, anche se non si sentiva seduto o piegato. E quando si guardò allo specchio un urlo terrorizzato gli uscì dalla bocca. O meglio un ululato disperato.

Al posto delle mani posate sul lavabo c’erano due grosse zampe nere e pelose. Mentre al posto della faccia nello specchio vide un grosso muso nero anch’esso ricoperto di pelo. Chiuse gli occhi e si staccò dal lavabo scuotendo la testa a metà tra l’incredulo e lo spaventato. *Che diavolo era quel coso?* Si risollevò di nuovo d’avanti allo specchio pregando che la figura nera di prima fosse sparita.

Aprì gli occhi ma, era ancora lì. *AAAAAAAAAHHH* Urlò di nuovo. La figura nello specchio ululò insieme a lui. Voltò la faccia e la figura scura nello specchio fece altrettanto. Alzò una mano e la zampa si mosse con lui.

Terrorizzato si staccò di nuovo dal lavabo. *Ok! Calma e sangue freddo. Sono un Pendragon, non un pazzo. Probabilmente sto ancora dormendo e non me ne rendo conto. Forse sono diventato sonnambulo? No…aspetta, quelli camminano nel sonno mi pare. Beh…comunque questo è certamente un sogno. Non ci sono altre spiegazioni!* Si diresse in camera per dirigersi allo specchio rettangolare accanto all’armadio. Almeno lì, si sarebbe guardato per intero.

Fece un respiro profondo e osservandosi più attentamente poté constatare che la figura nello specchio era effettivamente lui. O meglio una versione lupesca di lui. Lo specchio gli restituì l’immagine di un grosso Lupo dal pelo nero, lungo e setoso che scendeva lungo un corpo snello e atletico. Gli occhi azzurri (suo unico riconoscimento)  erano grandi ed espressivi, incastonati in un muso fiero e bello, mentre un paio di orecchie pelose a punta spuntavano dalla testa. Sul retro invece una coda lunga e folta si muoveva a ritmo del suo umore. Tentò un sorriso e un inquietante serie di denti aguzzi fece capolino dalla sua bocca. *Certo che questo sogno è proprio assurdo.* Poi guardando la sua coda gli venne un idea.

Con le lunghe zanne aguzze si tirò un morso alla coda sperando di innescare il risveglio ma, con sua dolorosa scoperta ottenne solo un acuto e lancinante dolore alla coda che si propagò lungo tutto il corpo. *AAHHHCHEMMALEEE!!!*

Ripresosi dal dolore di prima si guardò di nuovo allo specchio ma, non era cambiato nulla. Era esattamente come prima con pelo, coda e tutto il resto. Insieme ad una certezza che sempre più velocemente si stava impossessando di lui. *NO! Non è possibile! Non può essere vero! La gente non va a dormire per poi svegliarsi il giorno dopo nel corpo di un cane. Queste cose succedono solo in quei stupidi film di serie B per famiglie anni 90’.*

Il panico stava iniziando a prendere il sopravvento. Non riusciva a dare una spiegazione logica sul come durante la notte si fosse trasformato in una palla di pelo gigante. Tutto ciò era fisicamente impossibile! Non sapeva cosa pensare. La situazione era così assurda che non riusciva a farsene una ragione, mentre ogni fibra del suo essere si rifiutava di accettare che una cosa simile fosse accaduta veramente.

Finché improvvisamente una serie di suoni e rumori indefiniti, investì il suo cervello perforandogli i timpani delle orecchie. Si chinò in avanti con le zampe paffute, tentando di tapparsi le orecchie in qualche modo per tenere all’esterno quei suoni insopportabili. Dopo qualche minuto iniziarono ad abbassarsi permettendogli di distinguerli uno ad uno, e capire che quei suoni provenivano dalla casa. O meglio dai domestici che giravano per casa, svolgendo i loro mestieri mattutini. Un tessuto che sfrusciava sul piano di una mensola. Delle lenzuola sbattute, e molti altri ancora tutti diversi. Era incredibile come riuscisse a percepire ogni cosa stesse avvenendo in quella casa. Abituatosi ai suoni, questa volta fu investito dagli odori. Alcuni così intensi da risultare sgradevoli come il profumo da dopobarba di uno dei domestici, mentre altri, erano invitanti come gli odori dei cibi provenienti dalla cucina. In quel momento sentì il suo stomaco brontolare, ricordandogli che stava morendo di fame, e nel momento in cui si rese conto di stare sbavando con la lingua di fuori la ritirò subito turbato. *Merda! Sono un cane da neanche cinque minuti e già sbavo come un animale.*

Poi un altro suono catturò la sua attenzione. Rumore di passi leggeri, sempre più vicini, si fermarono davanti alla porta di camera sua. Rimase in ascolto, per capire quali fossero le intenzioni della misteriosa figura, finchè non vide la maniglia della porta girare.

*Oh no! Che faccio? Mi nascondo? E se fosse un domestico? E se mi vede?* Si girò ansioso cercando un posto per nascondersi e nella fretta scelse di infilarsi sotto al letto. Lo fece appena in tempo, prima che una figura a piedi nudi e in pigiama fece capolino dalla porta. Era sua sorella Morgana, che entrata con discrezione si guardò in torno curiosa. *Cosa ci fa qui quella maledetta in un momento simile?*

-Arthur?- Chiamò. Nessuna riposta. -Arthur, sei in camera?- ripeté di nuovo iniziando a cercarlo in giro per la stanza. -Dove si sarà cacciato quello stupido?- finché con la coda dell’occhio vide un piccolo ammasso di pelo sbucare da sotto il letto. -Ecco dove eri finito! Arthur esci da sotto il letto sei ridicolo.- disse incrociando le braccia. Ancora niente. *Come se io fossi così stupido da farmi vedere in queste condizioni* -Guarda che lo so che sei li sotto. Vedo la tua coda.- *Aspetta….che?!?* Aveva detto coda. Proprio C. O. D. A. come faceva a sapere Morgana che ora aveva una coda?

Strusciando si tirò fuori dal letto infuriato. *Come diavolo fai a sapere che ho una coda?!* disse rivolgendosi alla sorella che lo guardava dall’alto in basso. * Dimmelo!! Che cazzo sta succedendo?!?!* Morgana si abbassò mettendosi in ginocchio e con tutta la calma del mondo gli disse di calmarsi, mettendogli le mani su quelle che una volta erano state le sue spalle. -So che sei sconvolto e spaventato. È normale…- *Normale!?!?* riprese lui tutto agitato. *Questo ti sembra normale?!?!* -Arthur calmati! Anche se continui ad abbaiare non capisco niente di quello che dici.- *Abbaiare? Io non sto abbaiando! Ti sto parlando! Capisci quello che dico?* Ma poi si rese conto che ogni volta che apriva bocca per parlare, uscivano solo degli abbai ringhi, mugolii e altri versi strani. *Oddio! Sto davvero abbaiando. E tu non mi capisci. Mi sento male. Mi gira la testa.* si distese sul pavimento. Come se quella situazione non fosse già abbastanza assurda, stava pure avendo un attacco di panico. Fu strano e anche piuttosto ridicolo vedere un lupo della sua stazza ansimare sdraiato a terra per la paura. -Va tutto bene.- Gli disse la sorella iniziando ad accarezzargli il fianco. *Non c’è niente che vada bene.* -Quando ti sarai calmato parleremo come si deve. Intanto vado a prenderti dell’acqua.- e detto ciò si alzò e si diresse in bagno, dando ad Arthur il tempo di riprendersi e mettersi seduto.

Tornò pochi minuti dopo, con un bicchiere pieno d’acqua e quando Arthur fece per all’ungare la mano per prenderlo si rese conto di non poterlo fare. Uno sconforto più profondo si impossessò di lui. -Vuoi dell’acqua? Non ho una ciotola ma puoi leccarla dal bicchiere.- gli disse lei ma lui scosse la testa affranto. -Beh…ora che ti sei finalmente calmato, possiamo parlare. Prima di tutto non ti preoccupare. È tutto sotto controllo.- affermò lei sorridendo. *Sotto controllo? Mi hai guardato bene? Sono un cane. Un dannatissimo peloso cane!!* -Sì. Lo so che per te al momento questa non è la migliore delle situazioni.- disse lei intuendo i pensieri del fratello dai guaiti sconnessi che uscivano dalla sua gola. -Ma l’ho fatto per il tuo bene.- *Quindi ammetti di essere stata tu stronza maledetta!* -Ascoltami bene, perché lo ripeterò solo una volta. Io, Nimueh e Morgause ti abbiamo fatto un incantesimo la notte scorsa.- *mi correggo. Tre stronze maledette.* -Ora sei un lupo. Un bellissimo lupo direi. Accidenti abbiamo fatto davvero un gran bel lavoro!- si vantò per un momento la Pendragon. *Non vantarti così tanto! La materia prima c’era già.* -Non ti serve sapere come abbiamo fatto, sarebbe troppo lunga da spiegare. Sappi solo che abbiamo usato la Magia. E hai un solo modo per tornare umano. Al momento solo una persona può capirti, e non sono io ma Merlin Emrys. Sono sicura che ti ricorderai di lui. Capelli neri, gracilino, ti piace bullizzarlo. Devi trovarlo, solo lui può aiutarti a tornare a umano e a trovare il vero te stesso. Come? Dovrai scoprirlo da solo. O sarebbe troppo facile. Tutto chiaro?-

Rimase in silenzio per qualche secondo aspettando un qualche segno di approvazione da parte del fratello. *Tutto chiaro? Ma se non mi hai detto praticamente nulla!* Niente aveva senso. Fino a poche ore fa non aveva mai creduto nell’esistenza della magia e ora si ritrovava vittima di un incantesimo da parte di sua sorella e delle sue maledettissime amiche. Era troppo. *”Trovare il vero me stesso”, ma che diavolo vuol dire? Io ero già il mio vero me stesso, maledizione!! Con le mie braccia, gambe e il resto! Rivoglio il mio corpo dannata strega!!* Arthur iniziò a girare su se stesso come una trottola impazzita mentre ringhi e mugolii gli uscivano dalla bocca, e Morgana immaginò che stesse imprecando fuori di sé dalla rabbia. -Ah…i maschi.- sbuffò. -Dobbiamo sempre fare tutto noi donne.- bofonchiò dirigendosi alla porta d’entrata, per assicurarsi che non ci fosse nessuno nel corridoio. Doveva far uscire Arthur di casa senza che nessuno se ne accorgesse.

Pochi secondi dopo Arthur si fermò con la testa che gli turbinava per il troppo girare, accorgendosi poi, che la sorella lo stava chiamando. -Arthur, ora ti farò uscire di casa. Non devono verderci perciò fa silenzio. Al resto ho già pensato a tutto io.- * tutto cosa?* -Dirò al resto del personale che sei uscito di casa sta mattina presto per una vacanza decisa all’ultimo minuto, e che non ritornerai prima dell’inizio dalla scuola...- *Come scusa? Mi stai dicendo che prima mi trasformi in un cane a mia insaputa, e poi mi sbatti pure fuori da casa mia? Ah no. Io non ci sto. Te lo puoi scordare!* -…e ovviamente, ti conviene ritornare umano prima che inizino le lezioni se non vuoi rischiare di perde l’anno per le troppe assenze.- *Ti ringrazio. Davvero fantastico.*  disse Arthur sarcastico. -Non ti devi nemmeno preoccupare della tua auto, l’ho già fatta sparire, così nessuno sospetterà niente.- Concluse Morgana facendo un occhiolino al fratello. *La mia macchina?! Tu hai fatto sparire la mia MACCHINA? Questo è troppo! Aspetta che ritorno umano e ti concio per le feste maledetta strega!*

-Ok, via libera. In giro non c’è nessuno.  Ti faccio uscire di casa e poi dovrai cavartela da solo. Ricordati di trovare Merlin. È l’unico che può capirti se vuoi risolvere il problema.- *Primo: tu non sei un essere umano. Secondo: non ci penso proprio!* Detto ciò Arthur si sedette per terra, facendo un accenno col muso, ad intendere che non si sarebbe mosso da lì per nulla al mondo. -Arthur non è il momento di fare il bambino. Vieni qui! Non costringermi a portarti giù di peso.- rispose Morgana severa.

Il biondo avrà anche avuto l’aspetto di un lupo ma non avrebbe mai preso degli ordini, soprattutto da sua sorella. Di fatti Morgana fu costretta sul serio, a trascinarlo giù di peso faticando a causa del peso e della grossa stazza. Ma caparbia come era non gliela avrebbe data vinta. Si guardarono negli occhi e Arthur scattò di lato per non farsi prendere da Morgana che tentò di agguantarlo per portarlo fuori. Lo rincorse per tutta la stanza urlandogli di fermarsi. Alla fine riuscì a prenderlo per la coda per poi bloccarlo a terra con il suo peso. Mise le braccia in torno al corpo di Arthur, proprio sotto le zampe superiori e lo sollevò di peso, facendo strisciare le sue zampe posteriori per terra, da quando quanto era grosso. A quel punto il lupo iniziò a lasciare andare il suo dolce peso e a divincolarsi a destra e manca nel tentativo di scrollarsi dalla sua presa, ma Morgana lo teneva stretto.

Uscirono dalla camera da letto, percorsero il corridoio e le scale. -Avrei dovuto trasformarti in un Pincher!-Bofonchiò con il fiato corto per la fatica, per poi sentire uno stano suono uscire dalla bocca di Arthur, e sospettò che stesse ridendo sotto i baffi. Riuscirono ad arrivare alla porta d’entrata senza intoppi. Morgana aprì la porta con una mano, mentre continuava a tenere fermo Arthur che riprese a divincolarsi. -Stai fermo, maledizione!- *Non mi sbatterai fuori di casa!* e così facendo sollevò le zampe posteriori contro lo stipite della porta per allontanare Morgana dall’uscita. Le sue zampe però scivolarono sul legno liscio e questo permise a Morgana di spingerlo fuori e chiudere la porta dietro di sé, con uno scatto fulmineo.

Si sedettero entrambi sul vialetto sfiniti e con il fiato corto per la caparbia lotta. *Devo ammettere che le tue lezioni di pilates sono servite a qualcosa.* Constatò Arthur. -E tu che dicevi che le mie lezioni di pilates erano inutili….Bene, il mio compito è finito. Adesso tocca a te. Ricordati cosa ti ho detto, e vedi di stare nei tempi.  Ah, mi stavo quasi dimenticando. Ho incantato ogni porta, finestra e giardino di casa, così anche se tentassi di entrare non ci riusciresti comunque. Buona fortuna!- *Aspetta cosa??* e così dicendo rientrò in casa, lasciando Arthur da solo davanti alla porta di casa.

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Capitolo 5
*** Debt ***


*Morgana apri questa dannata porta!* iniziò ad urlare o meglio ululare, e a grattare la porta per farsi aprire. Ma nessuno venne in suo soccorso. Non voleva arrendersi. Fece il giro della tenuta per entrare dal giardino. Arrivato al cancello in ferro battuto tentò di infilarsi tra una sbarra e l’altra *Guarda cosa mi tocca fare!* Per un momento sembrò riuscirci infilando prima la testa e poi una zampa ma si rese presto conto di essersi incastrato, in quanto il suo busto risultava essere troppo grosso per i miseri centimetri che separavano le sbarre. Tentò di uscire ma una forza invisibile lo precedette, facendolo scivolare via dalle sbarre e spingendolo a qualche metro di distanza dalla cancellata, rotolando. *Ma che diavolo?* Si scrollò la polvere di dosso e si avvicinò di nuovo al cancello. Questa volta però infilò solo una zampa. Pochi secondi e di nuovo si sentì spingere via da una forza invisibile, rotolando per un paio di metri. *Stronza! Non ci posso credere. Lo ha fatto davvero.* Non sapeva cosa fare, ne dove andare. A casa non poteva tornare. In più stava morendo di fame. Era disperato.

Poi una idea gli attraversò la mente. Si diresse alla panetteria della piazza. *Tutti adorano i cani. Troverò sicuramente qualcuno disposto a darmi qualcosa da mangiare.* Fu umiliante anche solo pensarlo, ma sapeva di non avere scelta. Si sedette vicino all’entrata, sfoderando la sua faccia più tenera. Che a quanto pare non funzionò perché la gente più che avvicinarglisi, lo evitata con qualche brutta affermazione: “Non toccarlo, potrebbe avere le pulci o chissà cos’altro”, “è sicuramente un randagio. Meglio non avvicinarsi, potrebbe mordere.” *Amore per gli animali un corno!* Alla fine uscì il proprietario della panetteria. Un uomo basso e grassottello, con le mani e la divisa sporche di farina. -Vattene cagnaccio!! Mi spaventi i clienti!- gli urlò spingendolo via a colpi di scopa. Arthur gli ringhiò dietro arrabbiato mentre si allontanava. *Se solo sapesse che sono il figlio di Uther Pendragon me lo lancerebbe gratis il pane! Stronzo!*

Girò per i vicoli sperando di trovare del cibo. Incontrò un gatto vicino a dei cassonetti in cerca della colazione. *Vuoi vedere che forse ora posso parlare con altri animali?* Si avvicinò al gatto dal pelo grigio. *Ehi ciao. Scusa non è che sapresti dirmi dove posso trovare del cibo?* Il gatto scese dal cassonetto, ma invece di rispondergli, iniziò a soffiare minaccioso, sfoderando gli artigli affilati. Arthur non fece in tempo a scansarsi quello gli tirò una zampata, graffiandogli la faccia. Un ululato di dolore gli uscì dalla gola e batté la ritirata il più velocemente possibile.

*Grandioso. Non solo non mi capiscono gli esseri umani, ma anche gli altri animali. Non posso parlare con nessuno.* Tirò una zampata ad una lattina schiacciata per la frustrazione.

Al momento solo una persona può capirti…Merlin Emrys.

*Fanculo Morgana! Fanculo te e la tua stramaledetta magia del cazzo!*  Si accasciò affamato, frustrato e dolorante sotto un albero della piazza di Camelot. Con la zampa tentò di tastarsi il graffio sulla faccia. Bruciava da morire. *Arthur Pendragon, figlio di Uther Pendragon. Campione indiscusso della Giostra Medioevale alla Avalon High School, battuto da un gatto.* La giornata non poteva andare peggio di così. Da solo, affamato, senza un tetto sopra la testa e ferito.*Come se quell’idiota mi aiuterebbe se glielo chiedessi.* sbuffò affranto. Solo un idiota masochista aiuterebbe la persona che prima lo bullizzava. Tra tutte le persone che c’erano in Camelot, Morgana aveva scelto sicuramente quella che avrebbe preferito farlo morire di fame. E anche se ci avesse provato, cosa avrebbe mai potuto dirgli? *Ciao Merlin. Probabilmente non mi riconosci conciato così ma sono io, Arthur Pendragon. Ti ricordi me? Quello alto e biondo che ti picchia sempre dopo scuola. Sono stato trasformato in un lupo da quella strega di mia sorella. Assurdo vero? A quanto pare solo tu puoi capirmi. Non è che potresti ospitarmi a casa tua e darmi da mangiare?* Si sentì un idiota, e poi odiava Merlin. Il pensiero di dover vivere sotto il suo stesso tetto e farsi dare il mangiare da lui gli fece drizzare il pelo. *Meglio morire di fame che farsi aiutare da quello là. Sai che umiliazione se la gente lo scoprisse.* ma subito dopo il suo stomaco vuoto e affamato contestò la sua affermazione. *Ti odio.*

Anche se avesse solo “preso in considerazione l’idea” di chiedere aiuto a Merlin, restava il fatto che non avesse la minima idea di dove abitasse e Camelot non era certo un paese piccolo. Ripensò ai loro incontri, cercando di trovare degli indizi che potessero aiutare a trovarlo. Gli unici contatti che avevano erano durante le lezioni che avevano in comune e gli incontri dopo scuola. Sapeva che prendeva l’autobus perché lo vedeva salire e scendere all’andata e al ritorno. Questo poteva significare che abitasse più o meno lontano dal centro. Ma non lo aiutava a restringere il campo. C’erano centinaia di vie dentro Camelot, con altrettanti indirizzi diversi. Sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Sempre che non fosse morto di stenti prima di trovarlo, ovviamente. Cercò di ricordare se avesse visto qualche dettaglio particolare sul suo zaino, e gli venne in mente che attaccato come porta chiavi aveva la tessera di una biblioteca plastificata. Ma questo diceva solo che gli piaceva molto leggere. Lo zaino però era strano. Non era di marca e nemmeno nuovo. È vero che gli zaini hanno sempre un’aria vissuta, ma quello era mal ridotto sul serio. E ora che ci rifletteva bene, indossava sempre gli stessi vestiti. Quindi, o Merlin andava matto per uno stile da barbone, oppure non aveva abbastanza soldi per potersi permettere un guardaroba più nuovo. E le case con gli affitti più bassi si trovavano alla periferia del paese.

Non poteva essere certo delle sue deduzioni ma almeno aveva un punto di partenza da dove cominciare. Avrebbe dovuto controllare ogni singola casa, ma almeno un quartiere non era una cittadina intera. *Non posso credere che lo sto facendo sul serio.* Si alzò per iniziare ad incamminarsi quando l’orologio del campanile suonò mezzo dì. *Posso dire addio anche al pranzo.*

Raggiunse la periferia, ma solo quando calò la sera trovò finalmente la casa di Merlin. Non sapeva se esserne felice o preoccupato. L’aveva trovato ma resta il problema di dovergli parlare. E già si immaginava il fallimento più totale. Camminò avanti e indietro più volte dal nervoso, cercando di trovare le parole giuste, ma ogni tentativo sembrava peggio del primo. Alla fine a tarda sera si decise. Non aveva alcuna intenzione di passare la notte fuori al freddo, e poi avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di mettere qualcosa sotto ai denti. *O la va o la spacca! Sei un Pendragon, fatti valere!*

Si avvicinò alla porta, e grazie al suo udito sviluppato percepì che Merlin era in casa. Prese un paio di respiri profondi e con la zampa grattò un paio di volte sulla porta di legno, come a bussare. Sentì Merlin spostarsi nella casa e avvicinarsi alla porta. La serratura della porta scattò e si aprì. Arthur si ritrovò il moro sulla soglia con indosso un paio di pantaloni da tuta e una maglietta a mezze maniche blu.

-Ciao. E tu che ci fai qui?- Arthur deglutì a vuoto senza sapere cosa dire. Merlin si sporse dalla porta per vedere se ci fosse qualcuno in torno ma non vide nessuno, allora si inginocchiò davanti ad Arthur per fargli un carezza sulla testa. Fu una sensazione davvero strana per Arthur, essere sfiorato delle mani del moro. Era la prima volta. -Ti sei perso? O sei scappato?- Ancora non rispose. Merlin fece scivolare le mani dalla testa al collo di Arthur per capire se avesse un collare sotto tutto quel pelo. Ma nulla. -Niente collare. Forse sei un randagio.- *Non sono un randagio.* -Chi ha parlato?- chiese Merlin alzandosi in piedi di scatto, sentendo una voce rispondergli. *Io.* -Io chi? Se questo è uno scherzo non è divertente.- *Non è uno scherzo.* rispose Arthur *Sono io. In basso. Il cane.* -Si certo, molto divertente. Chiunque tu sia ti conviene andartene o chiamo la polizia!- *Sono veramente io, idiota!* Merlin si girò a guardare il lupo questa volta. -Ma cosa?- *Sì. Io parlo. E tu puoi sentirmi.* -No, non è possibile. Non sta accadendo.- rispose il moro, che stava iniziando a capire la verità. *Si invece. Sta accadendo eccome. E credimi la cosa non piace nemmeno a me.*

Come un fulmine Merlin, scattò in casa chiudendo la porta dietro di sé. *Hei! Merlin aspetta! Ti devo parlare! Apri la porta!* -Come fai a conoscere il mio nome? Chi sei tu? Chiese Merlin in preda all’ansia. Possibile che fosse il suo cervello a tirargli un brutto tiro. Era peggiorato a tal punto da avere perfino le allucinazioni? *Sono io. Arthur. Pendragon.* - Questo è impossibile!- E non un allucinazione qualsiasi. Bensì un lupo, con la voce di Arthur.

*Lo so che sembra assurdo! Anche io non riesco ancora a crederci. Eri ero nel mio corpo, e sta mattina mi sono svegliato così.* -E sentiamo come avresti fatto?- Forse se assecondava l’allucinazione poi se ne sarebbe andata. *È stata mia sorella Morgana. A quanto pare è una strega e insieme a quelle antipatiche delle sue amiche mi hanno fatto un incantesimo con la magia. Mi hanno trasformato in questo cane e a quanto pare solo tu puoi capirmi.* Non credeva sarebbe stato così facile dirlo. *Mi hai sentito?* -S..si…- *Ottimo. Ora puoi aprire la porta?* Non sapeva dire se aprendo la porta l’allucinazione se ne sarebbe andata o meno. Ma temeva anche di renderla permanente. Come se il gesto di aprire potesse significare un’entrata definitiva, e non era sicuro di voler vedere un’allucinazione a forma di Arthur girare per casa sua. -No.- Non voleva rischiare. *Cosa? Come no? Merlin apri questa porta!* iniziò a gridare il Pendragon grattando la porta. Non era venuto fin li per avere un NO come risposta. -Vattene!- *Non fatto tutta la strada a piedi fin qui, per andarmene via a mani vuote. Apri questa dannata porta!!* -NO!- Urlò Merlin tappandosi le orecchie per non ascoltarlo. Finchè la voce di un vicino urlante attirò la sua attenzione. -Fate tacere quel maledetto cane!!- Perfino Arthur si zittì.

Impossibile…

Pochi secondi dopo, Merlin aprì la porta con la faccia sconvolta. -Tu sei vero.- disse il moro guardando Arthur dall’alto della sua statura. *Già.* Fece un respiro profondo. -E sei Arthur Pendragon.- *Esatto.* Altro respiro. -E sei stato trasformato in un lupo da tua sorella.- *Corretto.* -Tutto questo non ha senso. La magia non esiste.- *Questo era quello che credevo anche io ma…eccomi qua. Sorpresa!* -Ok…supponiamo che io creda a quello che dici. Perché riusciresti a parlare solo con me?- *Forse perché o mia sorella ha una malattia mentale non dichiarata o è davvero una sadica stronza che si diverte nel torturarmi. Non hai idea di quello che ho passato oggi.* -Mi stai dicendo che lo ha fatto…perché voleva liberarsi di te?- *Cosa? No! Non lo farebbe mai…almeno…credo…* -Beh…ti ha trasformato in un lupo. Mi pare piuttosto ovvio.- *Non è questo il punto. Lei mi ha detto che solo tu puoi aiutarmi a tornare come prima. Ha detto qualcosa a proposito del mio vero me stesso, ma non ho idea di cosa voglia dir..* Non fece in tempo a finire la frase che Merlin chiuse la porta un'altra volta.

*Hei aspetta! Merlin! Che fai? Torna qui. Apri la porta!*  -Scordatelo! Se sono l’unico a poterti aiutare, non lo farò.- -Sei ingiusto! Hai visto in che stato sono. Non posso restare così a vita! Apri la porta!* -No! Vattene! Vai a casa o in qualunque altro posto. Io non ti aiuterò. Perché dovrei farlo? Tu non aiuti mai nessuno. Sei solo un bullo molto ricco che si diverte nel tormentare gli altri. Forse è per questo che tua sorella lo ha fatto. E forse te la meriti per davvero questa punizione.- Quelle parole ferirono Arthur come coltelli. Fu duro ascoltarle ma, non poteva negare la loro veridicità. *Non posso tornare a casa. L’incantesimo me lo impedisce. Non ho un posto dove andare.* -Non è un mio problema.* concluse Merlin dietro la porta e il biondo non seppe più cosa fare. Stanco, affamato e sconfortato attraversò la strada raggiungendo la fermata dell’autobus. Almeno lì avrebbe avuto il riparo del tetto in plastica e la luce del lampione. Non poteva fare altro. Aveva fallito. Qualunque fossero state le intenzioni di sua sorella, buone o cattive. Sarebbe rimasto un lupo per sempre.

Merlin si appoggiò con la schiena alla porta e si fece scivolare per terra. Era esausto e…non sapeva definire altro. Era invaso da mille emozioni diverse. Non sapeva definire cosa fosse appena successo tanto era stata assurda la situazione. Ammise di sentirsi appagato nell’avergli detto quelle parole. Arthur era veramente uno stronzo di prima categoria. Si meritava quello che gli era capitato. Chissà che magari, avrebbe imparato un po’ di umiltà prima di torn… -Merda.-

Solo in quel momento si rese conto che se Arthur fosse rimasto un lupo per sempre, lui non avrebbe più avuto il suo sedativo giornaliero. Si era ripromesso di resistere per tre mesi, sapendo che dopo le vacanze estive avrebbero ripreso i loro incontri. Ma con la nuova situazione che si prospettava d’avanti, voleva dire buttare nel cesso la sua unica possibilità. Gli sudarono le mani e un brivido di terrore gli percorse la schiena al solo pensiero di dover tornare alla vita di prima. -Merda.-

Si cambiò le scarpe è uscì di corsa sperando di riuscire a trovarlo. Camminò per qualche metro e lo trovò rannicchiato alla fermata dell’autobus. -Non credo che passerà qualcuno tanto presto.- Arthur alzò il muso sentendo la voce di Merlin *Cosa?* chiese confuso. *Oh…già…* rispose, capendo dopo a cosa si riferisse. *Che cosa ci fai qui? Credevo che non volessi aiutare uno bullo ricco e stronzo.* -È vero. Ma ho cambiato idea.- *Perché?* -Diciamo solo che sono in debito.- *In debito con chi?* -Questo non ti riguarda.- *Come non mi riguarda? Sono io quello che….* -Vuoi entrare in casa sì o no?- *Sì.* Non se lo fece ripetere due volte. -Allora seguimi.-  gli disse incamminandosi verso casa con Arthur al seguito.

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Capitolo 6
*** Terrifying Mirror ***


*Che cosa meravigliosa! È buonissimo!* -Guarda che è solo un panino.- *Non importa! Lo adoro. Stavo morendo di fame.* rispose Arthur mentre ingoiava letteralmente l’ultimo pezzo di Sandwich preparatagli da Merlin, seduto sulla sedia e il muso affondato nel piatto. -Hai avuto davvero una giornataccia.- constatò il moro serio, seduto dall’altra parte del tavolo. *Non ne hai idea.* -Di chi è il merito del graffio che hai sulla faccia?- Non era sicuro di volerglielo dire. Era troppo imbarazzante.

*Sono caduto.* -Caduto?- sul momento gli sembrò la scusa migliore. *Sì. Dentro un cespuglio.* -Ho capito.- disse Merlin, incrociando le braccia e appoggiando la schiena sul retro della sedia. -Quindi sei caduto e un cespuglio con gli artigli ti ha graffiato la faccia. Ha senso. In effetti se ci penso un sacco di animali vengono aggrediti tutti i giorni da una flora feroce e…- *Oh maledizione! Sono stato aggredito, ok?* -Da chi?- insistette Merlin *Ma che ti importa?* -Se ti devo tenere in casa mia, devo sapere se stai bene. Non voglio rischiare di trovarti domani mattina morto stecchito perché hai ficcato la faccia dove non dovevi. O peggio ancora, se rischio di beccarmi qualche malattia strana, voglio saperlo.- *Come sarebbe a dire “peggio ancora se tu?” Guarda che non sono un randagio pieno di pulci!* -Beh lo sarai se non me lo dici. O se preferisci ti posso portare dal veterinario domani di prima mattina.- *A quelle parole ad Arthur gli si drizzò tutta la pelliccia. *Non dici sul serio.* -Io non scherzo mai.- rispose serio. *Fanculo.* sbuffò Arthur in trappola.

Conosceva Merlin abbastanza da sapere che non era una persona molto ilare e che difficilmente scherzava quando diceva qualcosa. *È stato un gatto.* Bofonchiò a bassa voce, senza guardarlo negli occhi. Non voleva vedere la sua faccia mentre se la rideva o godeva della sua sfortuna. Ma Arthur non sentì nessuna risata arrivare dal moro. -Lo immaginavo.- rispose invece Merlin, restando serio e composto. *D…Davvero?* chiese il lupo più sorpreso dalla reazione dell’altro che dalla risposta in se. -Sì.- continuò alzandosi dalla sedia e prendendo da un cassetto della cucina la valigetta del pronto soccorso, per poi poggiarla sul tavolo. -Si vede lontano un chilometro che è un graffio fatto da un animale. Volevo solo sapere chi fosse stato.- aprì la valigetta, prese delle garze e un antisettico. -Per ora te la disinfetto e basta ok? Non sembra grave ma, con gli animali randagi non si può mai sapere.- il biondo si sarebbe aspettato di tutto. Tranne quello. *Perché lo fai?* chiese confuso.

Dopo tutto quello che ti ho fatto io…

-Fare cosa?- *Curarmi. Essere gentile. Non sei obbligato a farlo.* -La mia non è gentilezza. Sono solo obbiettivo. Se ti aggravi per me diventa un problema e preferisco evitarlo. Inoltre, al momento non hai le dita prensili. Con quelle zampe non puoi tenere in mano nulla, figuriamoci curarti da solo.-
Fu lapidario. Non si aspettava una risposta così onesta e tremendamente veritiera. Merlin aveva ragione. Non poteva fare nulla nelle sue condizioni. Non senza un aiuto. Prenderne atto fu tremendo e umiliante. E ancora più inquietante fu il modo in cui lo disse. Una persona normale avrebbe espresso dei sentimenti nei suoi confronti, belli o brutti che fossero. Da Merlin invece, non trasparì nulla. Non c’era compassione o derisione nella sua voce. Solo la dura e cruda verità.
Per certi versi ne fu felice, non avrebbe sopportato di essere deriso dal suo peggior nemico. Ma dall’altra parte non poteva che constatare, ancora una volta, quanto quel ragazzo fosse diverso dagli altri. Non aveva mai parlato veramente con lui ma, già dal loro primo incontro gli era bastato guardarlo negli occhi per capirlo. Quegli occhi…così maledettamente simili ai suoi. Due specchi azzurri come il ghiaccio, terrificanti come la morte, pronti a riflettere la sua anima dannata. Se perfino Dorian Gray non era riuscito ad affrontare la sua anima dipinta…perché avrebbe dovuto farlo lui? Lui che al posto di un quadro coperto, aveva un ragazzo in carne e ossa.

Chissà se anche lui vede quello che vedo io?

-Allora?-  chiese Merlin guardando Arthur con in mano la garza imbevuta di antisettico *Come?* -Mi permetti di pulirti la ferita o preferisci tenertela così?- *Sì…cioè…no.* non si era accorto di aver perso il filo del discorso con Merlin. I pensieri lo avevano totalmente risucchiato. -Sì o no?- *Sì…sì.* Si avvicinò a lui e con una mano Merlin, gli sollevò il muso e con l’altra iniziò a tamponare delicatamente le ferite. Ancora una volta, al tocco del moro, una sensazione strana percorse il suo corpo ma, il contatto con il liquido giallognolo non tardò a riportarlo alla realtà. Le ferite iniziarono a bruciare da morire e Arthur cercò di non fiatare.
Fino ad allora solo Morgana lo aveva toccato per curarlo. Si rese subito conto della diversità abissale che c’era tra quelle mani e ancora di più si sorprese di non provare fastidio per quel tocco fresco, delicato e meticoloso. E ancora di più, sapeva, che dopo tutto quel graffio non era niente…perché nulla poteva battere quel maledetto e terrificante dolore

***

Quando decisero di andare a dormire, era quasi mezzanotte. Merlin lo condusse in camera sua e quando Merlin entrò si stupì di quanto fosse piccola, abituato alle grandi e spaziose stanze di casa sua. C’erano solo il letto, un comodino con sopra una lampada. Un armadio, una scrivania con sopra dei libri e uno specchio a muro. Il tutto era incorniciato da un ordine innaturale. Di norma la camera di un adolescente è disordinata, sporca. La sua non lo era ma, solo per merito delle domestiche che la tenevano pulita e in ordine. Se non ci fossero state loro, sarebbe stato un macello. Ma quella di Merlin era diversa. *Cazzo, che ordine!* -Grazie.- *Sei tu a tenerla così?* -E chi altri se no?- *Giusto…è solo che…Non sarai mica un serial killer psicopatico vero?* Merlin lo guardò confuso -Perché dovrei esserlo?- *Al venerdì sera mandano sempre questo documentario sui serial killer. E sono quasi sempre tutti fissati con l’ordine.* -E il mio sarebbe un ordine da serial killer?- *Oh si.* -Beh…non lo sono…sono solo…ordinato. Tutto qui.- rispose il moro sentendosi improvvisamente a disagio.

Era strano avere Arthur in camera sua. Era strano avere qualcuno in camera sua e basta. Non ci aveva mai fatto entrare nessuno a parte sua madre e doversi giustificare per il suo ordine anomalo lo innervosì. Non poteva certo dirgli che quella era una delle numerose routine che aveva per mantenersi mentalmente sano. Ordine, controllo, monotonia. Tutto quello lo aiutava a restare sano e vigile. Ed era anche tutto quello che Arthur non era. *Ok…allora…hem…vivi da solo?* -No, perché?- *Beh è mezzanotte e ci siamo solo io e te in casa.* -Abito insieme a mia madre. Torna spesso tardi la sera a causa del lavoro. Sarà qui a momenti.- *Capisco…e per il dormire come ci sistemiamo? Non vorrai mica farmi dormire per terra.* -Se non lo hai notato il mio letto non è molto grande.- *E tu se non lo hai notato, anche se ho le sembianze di un cane, non lo sono. Non ho intenzione di dormire per terra.* -Puoi lamentarti quanto vuoi ma non hai molta scelta.- *Potresti sempre offrire ad un povero ragazzo sfortunato il tuo letto.* -Scordatelo.-

Il moro sistemò delle coperte per terra prese dall’armadio, così da attutire il duro del pavimento. Ma ad Arthur non allettava nemmeno un po’ l’idea di dormire su quelle coperte raffazzonate. Rivoleva il suo letto, con le coperte e il materasso grande e morbido.
Alla fine si stese sul giaciglio improvvisato, mentre Merlin si coricava nel letto. Al moro non ci volle molto per addormentarsi. Posata la testa sul cuscino si rese conto di quanto fosse esausto. Gli avvenimenti della serata gli avevano prosciugato ogni briciola di energia. Non solo per l’assurdità della situazione ma anche per lo sforzo fisico e mentale che aveva dovuto fare per restare concentrato e impassibile.

Al contrario Arthur non riuscendo a mettersi comodo, quando capì che Merlin dormiva profondamente, saltò sul letto e si accoccolò a mo’ di ciambella ai suoi piedi. Non lo allettava nemmeno l’dea di dormire con Merlin. Ma tra lui e il giaciglio fatto di coperte preferì di gran lunga sorvolare sull’imbarazzo di dormire con un altro ragazzo e stendersi su un vero letto.

Qualche minuto più tardi la madre di Merlin rientrò a casa, dopo la lunga giornata di lavoro. Come al solito andò a dare un’occhiata nella stanza del figlio, trovandosi però d’avanti, una scena che non si sarebbe mai aspettata. Augurò la buona notte ad entrambi per poi chiudere la porta e andare a dormire. Sfortunatamente però, sia per Arthur che per Merlin non fu una nottata serena. Il Pendragon dovette ammettere che il letto del moro era effettivamente piccolo per entrambi, perché cadde un paio di volte per terra, a causa dei movimenti suoi e di Merlin. Solo alla fine sembrarono riuscire a trovare un compromesso durante il sonno, visto che Arthur non voleva saperne di dormire per terra e Merlin dal canto era talmente stanco che si arrese dal buttarlo giù per poter dormire.

***

Merlin si svegliò il mattino seguente a causa di alcuni rumori esterni. Era ancora intontito dal sonno quando si rese conto che quei rumori provenivano dalla cucina. Con gli assurdi avvenimenti della sera prima si era completamente scordato che il mattino seguente, Hunith sarebbe andata al lavoro più tardi. Poco dopo anche Arthur si svegliò. *Cos’è questo rumore?* chiese con aria assonnata sbucando dal fondo del letto. -È mia madre. Mi ero dimenticato che oggi iniziava tardi al lavoro.- rispose il moro scendendo dal letto sbadigliando, mentre Arthur ancora fra le coperte si stiracchiava i muscoli. -Tu aspetta qui. Quando sarà andata via ti faccio uscire.- *Cosa? Non se ne parla!*-Se permetti, non voglio far prendere un colpo a mia madre, presentandole un lupo spuntato dal nulla.- *Ok, va bene. E cosa le dirai?* chiese scendendo dal letto con il pelo tutto arruffato -La verità…più meno. In questo caso, credo che una via di mezzo sia la cosa migliore.- *Si beh…qualunque cosa tu voglia dirle, fallo in fretta. Dal profumo che c’è in casa, credo abbia fatto i pancake. E mi sta salendo una fame.* -Certo che a te l’appetito non manca proprio mai.- Arthur non fece in tempo a ribattere che Merlin uscì dalla stanza.

-Buon giorno tesoro. Dormito bene?- lo salutò Hunith con il suo solito sorriso raggiante, appena il figlio entrò nella sua visuale. -Buon giorno….Sì…A te come è andato il lavoro?- rispose il moro cercando di sembrare il più naturale possibile e contemporaneamente pensare a come dirle del lupo che in quel momento si trovava nella sua stanza e che voleva tenerlo, trovando però una scusa plausibile. -Al solito, sai com’è.- rispose girandosi con un piatto colmo di pancake in mano. -Hai davvero fatto i pancake.- disse Merlin ad alta voce. Arthur aveva ragione -Si, sono ancora i tuoi preferiti, vero?- -Sì, certo. Ma perché li hai fatti?-
Era insolito vedere sua madre sfornare pancake a meno che non fosse un giorno, che secondo lei, era da definirsi “speciale”, come il suo compleanno ad esempio. Ma quel giorno non era il suo compleanno a meno che con “speciale” non si intendesse il fatto che Arthur Pendragon, trasformato in lupo, in quel momento si trovasse in camera sua. Ma sua madre non poterlo saperlo. -Te lo dico solo, se tu mi spieghi perché quando sono rientrata a casa ieri notte, c’era un grosso cane che dormiva nel tuo letto.- La sua richiesta lo spiazzò. -Veramente è un lupo.- -Meglio ancora. Sono tutta orecchi.- Disse la donna curiosa, poggiando i gomiti sul tavolo.

In tutta sincerità non sapeva cosa rispondere. Sua madre lo conosceva bene e sapeva che per quanto preferisse la compagnia degli animali a quella degli altri esseri umani, non era mai stato il tipo da tenerli. -Se te lo dicessi, non mi crederesti.- Rispose Merlin quasi bisbigliando. -Sorprendimi, allora.-
Decise di partire dall’inizio, cercando di rendere la storia il più normale e convincente possibile -Me lo sono ritrovato alla porta ieri sera. Non smetteva di grattare e ululare. Era affamato, così gli ho dato da mangiare, solo che poi non ha più voluto andare via…- Cosa che di fatto, era vera -Ho capito. E così, finalmente, anche mio figlio è caduto vittima della tenerezza degli animali. Stupida io a credere che non sarebbe mai successo.- Non si aspettava una risposta del genere ma, ne fu sollevato. Credere che suo figlio improvvisamente desiderasse l’affetto e la compagnia di un animale, giocava a suo favore. -Quindi ti sta bene?- -Che domande sono? Certo che mi sta bene. Infondo siamo solo io e te. A causa del lavoro sono sempre via e ci vediamo così poco. Sai quanto mi dispiaccia che resti sempre da solo. Non ti ho mai preso un animale perché non mi hai mai detto di volerne uno ma…ti ci vuole un po’ di compagnia. Dici sempre che le persone parlano troppo, mentre un cane non parla. È perfetto.- mai parole pronunciate, furono più sbagliate ma, non poteva certo dirglielo. -Forza, vai prenderlo.-

Merlin si alzò dalla sedia per andare da Arthur ma prima si rigirò un'altra volta verso sua madre. -Quindi hai fatto i pancake perché ho portato in casa un animale? -Nooo.- La sua risposta fu tutt’altro che convincente. -Mamma.- -Ok. Va bene. L’ho fatto per il cane.- -Lupo.- -Quello che è. È sempre un gran giorno per fare i pancake.- Replicò sua madre con il sorriso sulle labbra. -Beh, che aspetti? Fammelo conoscere.- gli disse sventolando la paletta sporca di impasto. -Sì…hem…torno subito.-

*Allora? Glielo hai detto?* gli chiese Arthur in trepidante attesa, quando Merlin aprì la porta di camera sua. -Lo sapeva già.- *Davvero? Come?* -Ti ha visto quando è rientrata ieri notte- *E come l’ha presa?* chiese ansioso -Piuttosto bene direi. Vuole vederti.- rispose senza andare nei dettagli della conversazione.
-E così sei tu quello che sta notte ha dormito con mio figlio.- Disse la madre, guardando Arthur per poi abbassarsi a fargli qualche carezza. Alle orecchie di entrambi la frase sembrò piuttosto ambigua. -Ma sei bellissimo!- *Hai visto? Le piaccio. Io piaccio sempre alle donne.* Disse Arthur vantandosi, e godendosi quelle coccole gratuite. -Mi sembra ovvio. Sei un peluche formato gigante.- -Abbiamo preso confidenza vedo. Certo non mi aspettavo che partissi da un cane con una taglia così…grande…ma se ti piace e lo vuoi tenere…-

“Piacere” e “volere” non erano proprio le parole giuste per definire quella situazione ma dovette fare buon viso a cattivo gioco. C’era in palio la sua sopravvivenza. Per quanto non gli piacesse l’idea di ospitare Arthur in casa sua, aveva bisogno di lui. -Lo so ma, vorrei tenerlo lo stesso.- -Sei sicuro che non sia di qualcuno?- -Non aveva medaglietta quando l’ho trovato.- -Capisco. Così sei un senza nome.- disse guardando di nuovo Arthur -Potremmo tenerlo e se salta fuori il suo padrone lo restituisco. Promesso.- -E va bene…mi hai convinta. Allora…che nome diamo al nuovo arrivato?- *Non Lucky, o ti ammazzo!*

***

Sua madre ondò via poco dopo e augurò una buona giornata a entrambi, così poterono tutti e due fare colazione al tavolo, con i pancake cucinati da Hunith. -Tua madre è davvero brava a cucinare.- -Sì, lo è…comunque hai intenzione di dormire nel mio letto ogni notte finché resterai qui?- *Te lo detto, io per terra non ci dormo.* -Questo è da vedere.-

Mettere delle regole. Fu la prima cosa a cui pensò mentre finiva la sua colazione. Non poteva permettere che Arthur in quelle settimane distruggesse tutto quello che con fatica aveva costruito. La sua routine, il suo autocontrollo. Doveva fare in modo che tutto restasse esattamente come prima. Non poteva permettere che il Pendragon scoprisse il suo segreto. Avrebbe preferito fargli credere qualsiasi cosa, perfino che fosse un sociopatico iperattivo. Tutto sarebbe stato meglio della verità. E questo voleva dire una cosa sola: far tornare Arthur umano il prima possibile.

-Allora…cosa ha detto tua sorella esattamente, riguardo all’incantesimo? Forse dalle sue parole possiamo capire come annullare questo…incantesimo…o qualunque cosa sia.- il lupo alzò il muso dal suo piatto completamente ripulito. *Beh…non c’è gran che da dire. Non si è sprecata molto in parole. Ha detto solo che tu sei l’unico a potermi capire e ad aiutarmi a trovare il “vero me stesso”. Come se questa cosa avesse il minimo senso.* -Io? Aiutare te?- *Già…* il silenzio sconfortante che calò tra i due confermò la similarità dei loro pensieri. Quale persona sana di mente avrebbe mai potuto pensare che Merlin, pienamente cosciente del suo non essere empatico verso gli altri, avrebbe potuto aiutare un bullo violento a trovare il suo vero sé?

-A ritrovare il vero te stesso…il vero te stesso…forse è un indovinello, o un anagramma di qualche tipo.- *Un che?* -Lascia stare…Ma che le hai fatto per farti trasformare in un lupo?- *Proprio niente! E il bello è che mi ha pure detto “Lo faccio per il tuo bene”.* disse mimando la voce della sorella. *Certo! Come no.* -Questo è un problema. Non abbiamo molto su cui lavorare. E abbiamo meno di tre mesi per farti tornare umano.- *Non farmici pensare.* concluse Arthur sempre più sconfortato.

-Ho bisogno di fare un passeggiata, devo schiarirmi le idee.- disse poi Merlin, alzandosi e sparecchiando la tavola. *Vengo con te.* -Veramente…pensavo di farlo da solo….sai, per pensare…in silenzio.- *Oh…certo…ok.* improvvisamente Arthur si sentì un intruso. Ma dopo tutto, lo era. Per quanto Merlin lo avesse accolto di sua spontanea volontà, per quale motivo, ancora non lo aveva capito. Era un estraneo per lui, tanto quanto lo erano le pareti di quella minuscola casa.

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Capitolo 7
*** Need ***


Aveva bisogno di pensare. Doveva trovare il modo per gestire quella situazione. Il problema, è che non aveva idea di quale fosse questo “modo migliore”. Come ci si deve comportare in una situazione come la sua? Può una situazione fuori dall’ordinario essere gestita con raziocinio? I limiti a cui era abituato, sarebbero bastati o avrebbe dovuto mettere il piede fuori da una porta inesplorata? Ma soprattutto c’è l’avrebbe fatta? Sarebbe riuscito ad uscirne indenne? La verità è che non lo sapeva. Non sapeva niente di nulla. Per la prima volta, dopo tanto tempo dovette ammette a sé stesso che non sapeva cosa fare.

Avrebbe dovuto aiutare il suo nemico. Un nemico complesso, imprevedibile e di cui aveva estremo e maledetto bisogno. Avrebbe dovuto ospitarlo in casa sua, vivere al suo fianco. Condividere spazio e tempo. Avrebbe dovuto fare tutto quello che aborriva di più al mondo. E in tutto questo sbrogliare una matassa totalmente incomprensibile. Come si spezza un incantesimo, quando fino al giorno prima non sapevi nemmeno dell’esistenza della magia? Come poteva lui risolvere un enigma tanto complesso senza nemmeno avere le istruzioni per l’uso?

Aiutare Arthur a trovare il vero sé stesso.

Chi era lui per poterlo fare? Perché tra tutte le persone che c’erano nella vita di Arthur, Morgana aveva scelto proprio lui? In tutta Camelot. Solo. Lui. Cosa aveva di così speciale?

Era sempre stato bravo a risolvere i problemi. Erano il suo pane e la logica il coltello con cui lo sezionava e ne estirpava ogni dato fino alla briciola più insignificante. La razionalità era da sempre stata la sua terra sicura e ora aveva paura che per risolvere quell’enigma avrebbe dovuto lasciare le sue sponde sicure per immergersi in un mare sconosciuto, che lo avrebbe fatto annegare. Perso senza bussola e vinto dalla pazzia.

Perso com’era nei suoi pensieri, non si rese conto che per la foga, si era messo a correre per le vie di Camelot. Corse sempre più veloce mentre la sua mente si affollava sempre più da dubbi e domande che non avevano risposta. E in insieme a quelle anche la paura iniziò a impossessarsi di lui. Paura di non farcela. Di perdere il controllo…e poi lo sentì…quel ronzio lieve che saliva nella sua testa.

NO! Non adesso, ti prego!

Gli mancò il fiato. Sentì la sua mente annebbiarsi a poco a poco mentre il terrificante ronzio nella sua testa si faceva sempre più forte. Si fermò di colpo, con le gambe doloranti per lo sforzo e i polmoni svuotati. Il cuore gli martellava nel petto.

Non poteva lasciare che gli venisse un attacco proprio in quel momento. Con il fiato grosso e sudato per la corsa e il caldo estivo si impose di calmarsi. Di ritrovare il suo autocontrollo. Con le dita iniziò a contare i battiti, mentre ad ogni respiro si impose di svuotare la mente. Doveva restare calmo e concentrato. Avrebbe risolto tutto, come aveva sempre fatto ogni volta. Non doveva vedere quella sfida come un muro invalicabile ma come una scala. Complessa certo, ma, l’avrebbe percorsa fino all’ultimo gradino. L’ennesima opportunità per tenere la sua mente sazia e occupata.

Esausto si sedette sul muretto di una casa. Gli ci vollero parecchi minuti prima di riprendersi completamente e solo dopo, quando alzò la testa per capire dove fosse finito, si rese conto che le sue gambe lo avevano portato fino alla villa dei Pendragon.

-Bella giornata vero?- gli disse una voce femminile alle sue spalle. Merlin si girò di colpo, credendo fino a quel momento di essere solo. -Ti stavo aspettando ma, onestamente non credevo saresti arrivato così presto.- -Morgana…- la ragazza si avvicinò alla cancellata sorridendogli dolcemente. -…mi stavi aspettando?- le chiese confuso -Certamente. Vieni dentro.- Gli disse aprendo il cancello, senza mai staccargli gli occhi di dosso. -Ti offro un tea.- e così dicendo si avviò dentro il giardino di casa sua. Il moro non sapeva cosa fare, in dubbio tra il seguire la ragazza che era la causa dei suoi problemi o correre via, il più lontano possibile da quella famiglia maledetta. Eppure lei aveva detto che lo stava aspettando. Per cosa non lo sapeva ma, in quel momento si rese conto del mare di domande che aveva da farle. -Avanti, non avere paura. Non mordo mica.-

Si sedettero su una tovaglia da picnic, riparati dal sole sotto un albero di melo. Morgana gli offrì un bicchiere di tea ghiacciato. -Sarai assetato. Deve essere stata una bella corsa da casa tua fino a qui.- Merlin prese in mano il bicchiere ghiacciato, in contrasto con la sua mano sudata. -Come facevi a sapere che sarei  venuto da te?- -A quest’ora mio fratello ti avrà raccontato come stanno le cose, e chi sono in realtà.- gli rispose per poi bere un sorso dal suo bicchiere. -Una strega.-  -Allora ti sei già risposto da solo. A proposito, come sta?- -Piuttosto incazzato al momento.- le disse cercando di mantenersi freddo e distaccato ma, quella ragazza emanava un fascino che non sapeva decifrare e non era solo per il suo aspetto indubbiamente bello.

Sentiva, in qualche modo che quella ragazza, sotto la sua pelle diafana, i capelli lunghi e corvini e quegli occhi azzurri potesse mostrarti sì la bellezza di una fredda e maestosa distesa di ghiaccio ma, che se solo lo avesse voluto, avrebbe potuto mostrarti anche quanto quello stesso gelido paesaggio potesse essere pericoloso e terrificante.

-Gli passerà. Quando capirà che l’ho fatto per il suo bene se ne farà una ragione.- -E del mio di bene, che cosa ne dici?- -Ovviamente la sua risposta vale anche per te. Pacchetto completo.- -E cosa ne sapresti tu?- -Al momento, più di te. Credimi. Quello che ho fatto, l’ho fatto per il bene di entrambi, dopo tutto.- -E cosa ti fa pensare che lo volessimo?- -Il bene non si basa sul volere, ma sul bisogno, Merlin. Tu dovresti saperlo più di chiunque altro.- gli rispose gelida -Che cosa dici? Di che cosa stai parlando?-

Lei non può saperlo! Non è possibile! Nessuno lo sa.

-Sai bene di cosa parlo. Lo combatti da tutta una vita. Io ti sto solo dando l’opportunità di…liberartene.- continuò la ragazza con un gesto della mano. -Se così si può dire.- Merlin deglutì a vuoto.

Chi diavolo sei tu?

-Credi che non lo veda? Ti sta logorando…- -Smettila!- Gli urlò Merlin mentre i battiti del suo cuore acceleravano di nuovo. -Rilassati Merlin.- disse con voce calma e suadente. -Non ti ho fatto venire qui per farti stare male. Bevi un sorso. Ti sentirai meglio.-

Titubante Merlin guardò il bicchiere che aveva ancora in mano e poi il viso dolce e inquietante di Morgana. Si sentiva la gola secca e accaldato più che mai. Si decise a bere e appena il liquido fresco toccò le sue labbra si sentì subito meglio.

-Te lo detto. Io non vi ho dato quello che volevate ma, solo quello di cui avevate bisogno.- -E cosa sarebbe questa “cosa” di cui abbiamo tanto bisogno?- -beh… se te lo dicessi, in primis non mi credereste. In secondo non imparereste nulla e non avrebbe senso aver creato tutto questo, per poi smontarlo prima che iniziaste il viaggio.- -Di che viaggio parli?- -Della Vita, Merlin. Quella “cosa” meravigliosa che ci fa battere il cuore. E che tu tanto temi.- Merlin iniziò a sudare freddo. Come poteva quella ragazza, all’apparenza fragile e innocua, sapere così tante cose su di lui?

Inconsciamente il moro iniziò a stringere più forte il bicchiere che aveva in mano. -Come fai a sapere tutte queste cose?- -Ho le mie fonti. Ma non temere, sono brava a mantenere i segreti.- disse schioccandogli un occhiolino. Merlin si sentì a disagio. Era la prima volta che qualcuno gli dava l’impressione di sapere qualcosa sul suo maledetto disturbo. -Se davvero sai qual è il mio problema dimmelo e basta!- -Se potessi lo farei, ma te l’ho detto. Non ho lasciato nulla al caso. Come Arthur deve trovare il proprio sé, anche tu dovrai trovare la tua…cura.- -Non esiste una cura!- gli urlò Merlin. -Scommettiamo?- gli rispose Morgana lapidaria.

-Ascoltami, tu e mio fratello avete più cose in comune di quanto crediate. E scoprirete che alla fine, quando e se avrete spezzato il mio incantesimo, non sarà stata la meta il traguardo ma, il viaggio stesso.- Merlin bevve un altro sorso. Gli scoppiava la testa. L’aveva seguita sperando di ricevere delle risposte ma quello che la Pendragon gli stava dando erano solo altre domande. -Davvero confortante.- -Io non sono qui per confortarti Merlin ma, sapevo che avresti avuto bisogno di qualcuno che rispondesse alle tue domande.- -Peccato che non lo hai fatto o mi hai risposto per enigmi.- -Ma tu sei bravo negli enigmi. Risolvilo e avrai le risposte che cerchi.- -Gli enigmi hanno regole, delle linee guida. Io non ho niente.-

-Al contrario. Ti ho dato tutto quello di cui tu hai bisogno. Devi solo cambiare il tuo modo di pensare e di vedere le cose. So quanto ti spaventa. Ma quale uomo che ha fatto la storia non ha sfidato le proprie paure per arrivare alla meta?- -Io non sono così coraggioso.- -Ne sei sicuro? Credo che potresti sorprenderti.- concluse sorridendogli.

-Dici di aver fatto tutto questo per il nostro bene. Quello che non capisco è perché? Cosa ti ha spinto mettere su tutto questo maledetto teatrino?- -So quanto mio fratello possa essere uno stronzo di prima categoria ma, gli voglio bene. E per certi versi, voglio bene anche a te.- -Come puoi dirlo se non ci siamo mai parlati?- -È buffo sentirtelo dire. Tu che ti ostini a non provare affetto per le persone che ti conoscono da una vita….Imparerai che certi affetti non si possono misurare. Semplicemente….esistono.-

-Quindi è tutto qui, quello che hai da dirmi?- -Per il momento sì. E ora è il momento che tu vada.- disse alzandosi. Al che Merlin posò il bicchiere e si alzò anche lui. -È stato bello chiacchierare con te.- il moro la osservò un ultima volta più confuso di come era arrivato. -Posso farti un ultima domanda?- -Certo.- -Se sei davvero una strega. Sei buona o cattiva?- -Tu cosa diresti?- -Al momento, non lo so.- -Allora facciamo così. Quando lo saprai, sarai tu stesso a dirmelo. Ora vai. E ricordati…dovete farcela prima della fine delle vacanze.- Morgana gli scoccò di nuovo un occhiolino e improvvisamente Merlin, si ritrovò fuori dalla cancellata della villa dei Pendragon. Nel punto esatto dove aveva incontrato Morgana.

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Capitolo 8
*** Tomato Sauce ***


Era primo pomeriggio quando Merlin tornò finalmente a casa, dopo aver vagato tutta la mattina per Camelot, rimuginando su quello che Morgana Pendragon gli aveva detto.
Conclusione?
Non aveva la minima idea di cosa dovesse fare. Parlare con la ragazza gli aveva solo incasinato di più le idee. Aveva affermato, di avergli dato tutti gli strumenti di cui aveva bisogno; ma si sentiva più preso in giro che altro. Sentiva, di non avere in mano niente.
L’immagine che probabilmente più si avvicinava alla sua situazione, era quella di essere davanti ad un puzzle da completare. Con l’unico problema di avere tutti i pezzi capovolti, così da vedere solo un mare di tasselli maledettamente confusi e identici.
 
Aprì la porta e entrato in casa si accasciò sul divano sfinito. La mente esausta, il corpo sudato e dolorante dalla corsa e la lunga camminata. *Sei tornato! Stai bene?* gli urlò Arthur avvicinandosi al moro evidentemente provato. -Si, sto bene. Perché?- chiese Merlin strizzandosi gli occhi con una mano, leggermente infastidito dal tono alto della sua voce. *Beh…sei stato via praticamente tutta la mattina e ora sono le due del pomeriggio.* -Ma senti un po’. Non ti sarai mica preoccupato?- chiese il moro con una punta di sarcasmo nella voce. *Io? Preoccupato per te? Ma scherziamo! Ero preoccupato per me ovviamente.* ribatté il Pendragon alla svelta. *Cosa ne sarebbe di me se tu facessi una brutta fine?* -Di certo con mia madre, non moriresti di fame. Consapevole che starebbe via molte ore ti lascerebbe cibo per una settimana. Con l’unica pecca che dovresti farti andar giù il cibo per cani.- *Allora morirei di fame di sicuro.* -In quel caso allora, avresti la felice consapevolezza di non restare un lupo a vita perché moriresti prima.- *Wow…davvero fantastico. Dovresti lavorare per quei centri di sostegno morale. Faresti i botti.* rispose il biondo acido alla sua stoccata poco simpatica. -Botti? D’artifico?- *No. Da sparo, visto quello che ti esce dalla bocca.* -Non capisco.- chiese Merlin realmente interessato alla sua reazione. -Fai schifo a tirare su il morale alla gente. Davvero. Schifo.* -Non sei la prima persona che me lo dice.- rispose il moro con la sua sincera e immatura indifferenza verso la gravità della sua affermazione. *Sei serio? Che cazzo di problema hai?* -Da che pulpito. Proprio tu parli?- *Beh…Io almeno non sono un cazzo di robot. Le emozioni le provo!*
 
A quella risposta Merlin, aprì finalmente gli occhi su Arthur, pronto a ribattere alla sua stoccata. Ma aperta la bocca, non gli uscì nulla. Il Pendragon aveva maledettamente ragione. Doveva esserlo, se voleva viere. Ma per qualche motivo, quelle parole lo ferirono, nonostante non fosse la priva volta che gli venissero rivolte. Non tanto per il significato in sé, quanto forse per il loro portatore. Molte persone al mondo avrebbero potuto dirgli quella frase ma, per lui Arthur, era l’ultima persona al mondo che potesse farlo. E avere la conferma che il Pendragon potesse prendere coscienza di ciò, lo fece sentire molto piccolo. Sapere che Arthur potesse essere più bravo di lui in qualcosa lo intimorì improvvisamente. Non per qualcosa di futile come lo sport o i compiti. Ma per qualcosa di molto più complesso e arcano. Un territorio per lui completamente inesplorato e terrificante: il regno delle emozioni e dei sentimenti.
Ciò significava solo una cosa: per quanto Arthur potesse essere un ricco bullo stronzo e viziato, rimaneva comunque più umano di lui.
 
Preso coscienza di quella paura, non desiderò altro che poter cambiare discorso e guardando il lupo negli occhi si accorse che c’era qualcosa di diverso in lui. -Perché hai il muso sporco di salsa al pomodoro?- *Sì…hem…beh…ecco…* -Che diavolo hai combinato?!- *Beh…Tu non arrivavi…e io avevo fame…così ho cercato qualcosa da mangiare e…* -E?- *…e…potrei aver fatto esplodere per sbaglio un barattolo di salsa al pomodoro in cucina.* -Per…sbaglio?- chiese ancora Merlin enfatizzando l’ultima parola, improvvisamente più preoccupato per quello che avrebbe trovato nell’altra stanza. *Giuro che non volevo farlo apposta.* rispose il lupo in sua difesa alzando la zampa destra come se stesse facendo una solenne promessa con mano sul cuore.
 
Arrivato in cucina, quello che gli si presentò d’avanti agli occhi fu un campo di battaglia. Una sedia era spostata sotto la dispensa, l’anta dell’armadietto del cibo era aperta. Mentre quattro barattoli di salsa al pomodoro erano per terra semi aperti con il contenuto riversato sul pavimento e schizzato ovunque sulle pareti e sui mobili. -Quello lo chiami un barattolo?- chiese piuttosto irritato ad Arthur. Non era passato nemmeno un giorno che il Pendragon, lasciato solo per qualche ora, gli aveva stravolto e imbrattato la cucina di salsa al pomodoro. Di conseguenza non voleva nemmeno pensare a come gli avrebbe ridotto la casa da li a tre mesi.
Con un respiro profondo si costrinse a rimanere calmo. Non voleva dare di matto anche se avrebbe voluto strangolarlo molto volentieri.
 
*Non volevo pensassi che fosse così tragica. Insomma…non è così…messa male.* affermò Arthur minimizzando senza alcun successo. -Tragica? Sembra che abbiano sgozzato dei capretti nella mia cucina! Come diavolo hai fatto a combinare questo casino?- *Te lo detto, avevo fame e…* -Taglia corto.- lo ammonì l’altro. Stava iniziando a perdere la pazienza e le sue inutili battutine, di certo, non aiutavano a migliorare la situazione. *Beh…allora…dunque…ho trascinato la sedia vicino alla mensola, ci sono salito sopra e con la bocca ho aperto l’anta. Non è stato facile sono caduto un paio di volte. Ho sentito talmente tanti odori che ho cercato di capire cosa ci fosse dentro e a furia di annusare mi sono cadute un paio di scatolette. Ho provato a prenderle ma non ho le mani così, una l’ho schiacciata tra i denti per sbaglio e le altre sono cadute per terra.* -Cavolo. Vedo che anche da lupo l’inventiva non ti manca.- *Non mi caccerai via vero?* chiese Arthur improvvisamente preoccupato di doversene andare. -No, che non ti caccio ma, mi darai una mano a pulire. È il minimo che tu possa fare.- rispose Merlin scocciato. *Ok.* replicò il lupo poca entusiasta all’idea. Non aveva mai pulito qualcosa in vita sua, ma non voleva rischiare di inimicarsi il moro più del necessario. *Comunque…sai… se tu fossi tornato prima…* -Non ci provare nemmeno! Se mi avessi aspettato invece di prendere la stupida iniziativa di comportarti da essere umano, ora non dovremmo pulire.- *Come facevo a sapere che saresti tornato?* -È casa mia. Ovvio che sarei tornato e piantala di pensare che ti farei morire di fame. Ho promesso di aiutarti a tornare umano ed è quello che farò ma, ti prego, se vuoi qualcosa chiedimela prima fare delle cavolate! Ok?- *Ok.* confermò Arthur improvvisamente a disagio.
 
Ancora una volta le parole di Merlin e la vista di quella cucina, gli avevano ricordato, quanto la sua situazione fisica fosse realmente e orrendamente limitante. Da quel momento in poi non avrebbe più potuto fare tutto quello che voleva. Se voleva uscire doveva essere accompagnato. Per bere e mangiare avrebbe dovuto chiedere. Per lavarsi avrebbe dovuto far fare a qualcun altro. Vero è, quando abitava a villa Pendragon aveva sempre fatto fare tutto ai domestici ma, questa volta era diverso. Non sarebbe stato un padrone di casa che da ordini ai suoi sottoposti, quanto più un invalido nella casa di uno sconosciuto. E soprattutto senza mani non avrebbe più potuto prendere le cose come una persona normale. Era una bestia e come tale avrebbe dovuto agire: mangiare direttamente dal piatto con la bocca, camminare a quattro zampe. Era nudo agli occhi del mondo.
Mai come in quel momento, Arthur Pendragon, si sentì alienato dal suo stesso corpo. Lui che era sempre stato fiero del suo aspetto, si ritrovò disgustato da quella forma bestiale così priva di umanità, che era diventata la sua figura.
 
La voce di Merlin che lo chiamava lo riportò alla realtà. Aveva riempito un secchio d’acqua e preso degli stracci per pulire e gliene stava porgendo uno bagnato. -Inizio a pulire in alto, tu in tanto portati avanti con il pavimento e i mobili in basso. Togli il grosso poi al resto ci penso io. Ok?- *S…sì…va bene.* il moro non sembrava essersi reso conto della sua momentanea assenza e il lupo ne fu felice. Non voleva aggiungere la vergogna, alla lunga lista di emozioni che stava già provando in quel momento. Anche se Merlin non sembrava intenzionato a farlo sentire un cazzo di disabile. Non volutamente, almeno.
 
*Allora…come mai sei stato vai per così tante ore? Ti sei perso per Camelot?* chiese Arthur sinceramente curioso di sapere cosa avesse fatto il moro per tutto quel tempo; mentre con la zampa muoveva avanti e indietro lo straccio sul pavimento macchiato. -Ho incontrato tua sorella.- rispose Merlin secco. *DAVVERO? Cosa è successo?*rispose il lupo improvvisamente teso. -Per caso sono finito a casa tua e lei era lì ad aspettarmi. Ammetto che è stato un po’ inquietante. Mi ha offerto del tea in giardino e abbiamo parlato.- *Cosa ti ha detto?* -Non molto, in realtà.- Non se la sentiva di rivelare tutto quello che era stato detto, durante la loro conversazione. -Ha detto che siamo più simili di quanto crediamo. A quanto pare come io devo aiutare te, tu devi aiutare me e solo facendo un percorso insieme possiamo capire come risolvere tutto questo, prima dell’inizio della scuola. Ha ribadito che ci non ci può dire nulla perché non capiremmo.- *Spero tu le abbia rovesciato il tea addosso.* -Non credo avrebbe aiutato la nostra situazione.- *Forse no ma, se lo meritava. Come pretende che risolviamo questo casino senza sapere cosa fare? Forse quando ha lanciato il suo maledetto incantesimo si è dimenticata qualche pezzo per strada.* rispose sfregando più velocemente lo straccio ormai pregno di salsa.  -Non secondo le sue parole. A quanto pare ha calcolato tutto nei minimi dettagli. Pacchetto completo. Parole sue.- *Cioè?* -Secondo lei abbiamo tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno. Dobbiamo solo ampliare il nostro modo di pensare per uscirne.- *Come se questa cosa avesse un senso. Tipico di mia sorella sganciare le sue maledette frasi da befana new age.*
 
-Bene, ora tocca a te.- disse Merlin rivolgendosi ad Arthur, dando l’ultima passata di straccio. *Io cosa?* -Sei sporco dalla testa ai piedi di pomodoro. Vuoi lavarti o preferisci restare così?- *Ovvio che voglio lavarmi. Faccio io! Non ho bisogno che mi aiuti.* rispose il Pendragon seccato prima di dirigersi verso il bagno. -E come pensi di aprire l’acqua della vasca?- A quel punto un ringhio frustrato proruppe dalla gola del lupo *Fottiti!* replicò.
Il moro aprì l’acqua della vasca e fece entrare Arthur. Con una mano iniziò a spalmargli lo shampoo lungo tutta la pelliccia d’ebano, mentre con l’altra reggeva il doccino per sciacquare via il sapone.
Ancora una volta, brividi percorsero il corpo del biondo dove le mani di Merlin lo toccavano. Lo seguiva una delicatezza disarmante in perfetto contrasto con il suo atteggiamento distaccato.

Una vampata di imbarazzo lo avvolse, mentre le mani dell’altro scorrevano su di lui. Cercò disperatamente di ignorare il fatto che un ragazzo lo stesse lavando dentro la sua vasca da bagno ma, non ci riuscì. A tutto c’era un limite e molto probabilmente quello era il suo. Avrebbe sopportato di mangiare da una ciotola, chiedere aiuto per prendere una cosa, ma farsi palpare bagnato fradicio dentro una doccia da Merlin Emrys, quello, era fin troppo. *Hai finito?* chiese nervoso, desideroso di uscire al più presto da quella stanza. -Quasi. Ti è rimasta della schiuma sulle orecchie. Chiudi gli occhi così non rischio di mandartela negli occhi.-  Arthur fece come richiesto e ancora una volta la delicatezza di quelle mani pallide lo pervase. Quasi gli mancò il fiato, mentre contava i secondi che mancavano alla fine di quel maledetto ambiguo e allo stesso tempo piacevole tormento. *Ora hai finito?* pregò di non sembrare così disperato come invece si sentiva. -Sì. Esci dalla vasca che ti sciugo.- rispose Merlin chiudendo l’acqua. *Non c’è né bisogno, posso asciugarmi fuori al sole.* replicò prontamente l’altro. L’ultima cosa che voleva, era essere avvolto ancora una volta da quelle mani, e detto ciò schizzò fuori in giardino a scrollarsi prima che il moro potesse replicare.
 
Si sdraiò sull’erba riscaldata dal sole, potendosi finalmente rilassare. Le bianche e morbide nuvole scorrevano annoiate sopra di lui, interrompendo di tanto in tanto il contatto con i caldi raggi solari. Una pace silenziosa lo avvolse e iniziò a pensare a tutto quello che gli era capitato nelle ultime quarantotto ore. Tutto quello che gli riuscì di fare, fu mettersi le zampe sulla testa e urlare dentro di sé. Non c’era una cosa andata bene da quando era iniziata quella fottutissima estate. E quello che più temeva, era che le cose potessero solo peggiorare. Mai in tutta la sua vita glie era mancata così tanto la sua triste e solitaria casa. Si rigirò più volte nell’erba sperando di farsi venire in mente qualche idea per migliorare la situazione ma nessuna lampadina sembrava volersi accendere nella sua testa. Finché un’ombra più grande e vicina calò su di lui attirando la sua attenzione. -E tu chi sei?-

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Capitolo 9
*** Civil War ***


*Io? Chi sei tu?* Rispose Arthur, ricambiando lo sguardo incuriosito della ragazza dalla pelle ambrata. *Aspetta! Lo so chi sei.* affermò subito dopo, rialzandosi da terra, riconoscendo il suo volto vispo e la massa di ricci che aveva in testa. *Sei la ragazza che a scuola gira sempre con Merlin. Com’è che ti chiami? Grace? Glenna? Ganette?*
-Hei, Gwen! Che cosa ci fai qui?- rispose Merlin sbucando dalla porta d’entrata con i capelli bagnati e vestiti puliti. -Che domande! Vengo a trovarti mi sembra ovvio. Se non fosse per me ti rivedrei direttamente il primo giorno di scuola.- ribatté lei parcheggiando la bicicletta. -Quel cucciolone chi è? Oltre a vendere i compiti sotto banco, ora fai anche il “Puppysitter” per arrotondare durante le vacanze?-Il moro non fece in tempo a zittirla, che Arthur aveva già drizzato le orecchie a quella nuova e interessante affermazione. *Vendere compiti?*
 
-Zitta! Vuoi che ti sentano tutti?- la rimproverò andandole in contro, ma ormai era troppo tardi. Arthur l’aveva sentita. -Tutti chi? Il cane?- ribatté Gwen pensando di essere divertente. -Spiritosa.- replicò il moro serio e per nulla divertito. *Sul serio di quali compiti parla?* chiese ancora Arthur sempre più interessato a quel risvolto di Merlin totalmente inaspettato. Al che il moro non potendogli rispondere davanti alla ragazza optò per un’occhiataccia che facesse intendere un “non sono affari tuoi!” grosso quanto un cartello stradale illuminato. *Oh…ma dai! È la prima cosa interessante che sento da quando sono arrivato.*
-Gwen vuoi del tea freddo? Oggi fa davvero caldo.-
*Non provare a svignartela! Tanto scoprirò cosa nascondi!* e così dicendo lo seguì in cucina, mentre Gwen si sedeva sui gradini dell’entrata -Sì volentieri, grazie.-
 
-Che cavolo pensi di fare?- sibilò nervoso Merlin, mentre preparava due bicchieri di tea ghiacciato. *Mi faccio gli affari tuoi, mi sembra ovvio.* rispose il lupo piuttosto divertito e eccitato all’idea di scoprire qualcosa sul suo nuovo padrone di casa. -Beh…non puoi!- continuò Merlin imperterrito. *E perché?*
-Perché no. Punto e basta!-
*E cosa dovrei fare allora, dal momento che sono bloccato qui con te? Annoiarmi a morte?*
-Non lo so. Inventati qualcosa visto quanto sei bravo.- ribatté acido il moro. -Ma, resta fuori dalla mia vita privata. È chiaro?- Arthur non fece in tempo a rispondere che la voce di Gwen li interruppe da fuori, chiedendo del suo tea ghiacciato. *Non finisce qui.* lo ammonì Arthur sempre più curioso. -Oh sì, invece. E dopo faremo una bella chiacchierata.- ribadì Merlin con tutta la freddezza glaciale che possedeva.
*A che proposito?*
-Regole. Mai sentito parlarne?- e detto ciò uscì dalla cucina raggiungendo la ragazza.
 
Era la prima volta che vedeva Merlin così nervoso. Era la prima volta che lo vedeva così da quando lo conosceva. Il che è molto su cui discutere, visto che nemmeno quando lo picchiava a scuola era così. Sempre fermo, incrollabile e imperscrutabile. Aveva perso il conto per quante volte lo aveva fatto impazzire il suo atteggiamento glaciale e incomprensibile ma, ora stare nel suo territorio, nella sua casa…era diverso. Per qualche motivo il ragazzo si sentiva minacciato.
 
Come lui, anche Merlin negli anni si era costruito un’armatura perfetta e ora, quale fosse il motivo non lo sapeva, quegli stessi pezzi perfettamente incasellati si stavano crepando. Ma, la domanda che più tra tutte gli attanagliava lo stomaco era un’altra: la sua di armatura avrebbe retto per quei mesi necessari, o sarebbe crollata un pezzo alla volta strascinandosi dietro anche lui? Troppe volte a scuola aveva cercato di sottometterlo, fallendo miseramente ogni volta. Permettendo ai suoi occhi di decifrarlo come un libro aperto.
Non sapeva come e quanto avrebbe resistito, ma per certi versi il suo nuovo aspetto risultava essere una specie di scudo. Era lui e allo stesso tempo non lo era, perché il lupo faceva cosa che Arthur umano non avrebbe mai fatto.
 
-Ma quanto ci hai messo?-
-Scusa, non trovavo il ghiaccio.- rispose il moro sedendosi accanto a lei. -Allora?-
-Allora cosa?-
-Il cane mi pare ovvio.-
-Lupo, e non mi pagano per tenerlo. L’ho trovato. Anzi lui ha trovato me.- rispose mentre Arthur usciva dalla porta per stendersi accanto a loro. -Resterà qui finché non ritroveremo il suo padrone.-
-Non hai modo di contattarlo?-
-No, purtroppo. Non ha né medaglietta né micro cip.-
-Come fai a sapere che è di qualcuno? Potrebbe essere un randagio. Ci hai pensato?-
-Credimi ci ho pensato.- rispose tirando un’occhiata ad Arthur che ricambiò prontamente. Sembrava soppesare ogni sua parola, pronto a scattare al minimo segno di sgarro. -Ma non lo è.-
 
Fu in quel momento che Arthur notò una cosa che non aveva mai notato prima: la sua straordinaria capacità di fingere e mentire. Nei loro brevi e intensi scambi, aveva appreso quanto potesse essere un attento e freddo osservatore. Insolitamente solitario e incosciente il più delle volte, vista la frequenza con la quale si scontravano, insieme alla sua straordinaria persistenza nel farsi picchiare senza alzare un muscolo per difendersi.
Prima se gli avessero chiesto di descrivere Merlin Emrys, l’avrebbe sicuramente descritto come un secchione asociale, taciturno e introverso con qualche accenno di masochismo, visto quanto sembrava piacergli essere malmenato. Avrebbe detto tutto questo, tranne l’essere bugiardo. E che bugiardo.
 
Lui era bravo, perché era stato costretto a diventarlo ma, Merlin era di un altro livello. Ogni parola, ogni gesto era misurato a dovere, riuscendo a trasformare quelle menzogne in una vera e propria opera d’arte. Le parole fluivano cristalline e senza intoppi. Talmente limpide da mascherare la sorgente torbida e oscura dalla quale provenivano.
E poi c’era anche la questione della vendita di compiti ancora irrisolta, eppure sentiva di avere la risposta ad un palmo dal suo naso.
 
-Gli hai già dato un nome? O hai optato come tuo solito per qualcosa di asettico tipo “Canide”?-
*Giuro che ti mordo se le dici un nome stupido*
-Arthur.- gli uscì dalla labbra senza pensarci. Sapeva che con tutta probabilità sarebbe stato meglio dirle un nome inventato. Avrebbe creato meno sospetti, soprattutto alla ragazza più sospettosa e ficcanaso di Camelot, ma il nome semplicemente era uscito da sé, come se avesse una volontà propria. Come se nemmeno la migliore delle bugie potesse contrastare la presenza fisica di Arthur. Lui esisteva e di conseguenza nulla di lui poteva essere ignorato, nemmeno il suo nome. -Arthur? Sei serio?- chiese lei al limite della perplessità e dell’incredulità. -Sì.-
-Mi stai dicendo che tra tutti i nomi che potevi dare a quel povero cane…-
-Lupo.-
-Quello che è. Tu gli hai affibbiato il nome del tuo torturatore a scuola?
-Ci sono un sacco di altre persone al mondo che si chiamano Arthur, e altrettante che chiamano il loro animale domestico con questo nome. È più quotato di quanto si creda.-
-Certo…Lo sai che questo è da masochisti vero? Lo sei oppure odi talmente tanto quel povero cane da affibbiargli quel nome.-
-Lupo. Seriamente. È così difficile riconoscere la differenza tra un comunissimo Canis lupus familiaris e un Canis lupus? E comunque gli dona fidati.-
-Perché?-
-Perché Arthur dal gallico si traduce Uomo-Orso.-
-E quindi?-
-Quindi, un po’ orso lo è.-
*Guarda che ti sento!* lo fulminò Arthur, ma il moro lo ignorò volutamente. -Perché non lo dai via allora? Se non ti piace non sei costretto a tenerlo.-
*E io che credevo fosse simpatica.* affermò il biondo risentito nell’orgoglio, ma subito dopo percepì il peso di quella domanda, per lui non così velata. Cosa avrebbe mai potuto rispondere Merlin?
 
Diciamo solo che sono in debito…
 
Che cosa pensava realmente?
-Come ho detto è solo in parte orso.-
Una risposta lunga un battito di ciglia. Lunga un respiro mancato. Arthur non si era reso conto di essersi messo seduto a orecchie tese con la coda fremente. Si era aspettato un insulto a ciel sereno, ma quello che arrivò lo spiazzò ancora di più. Soprattutto perché non sapeva come doveva considerare quella frase.
-Merlin Emrys, prima o poi capirò cosa ti frulla in quella testa.-
-Puoi provarci ma, non è detto che tu ci riesca.- ed eccolo immancabile e sempre presente, il suo atteggiamento evasivo. -Posso accarezzarlo?-
*Devo proprio?* chiese subito Arthur allarmato. Non gli andava di essere coccolato come un normale quadrupede e Merlin non potendo rispondere ad alta voce si raschiò leggermente la gola, sottolineando quanto fosse ovvia la risposta. *Non se ne andrà finché non lo avrà fatto, vero?* seconda raschiata di gola. *Che palle! E va bene.* sbuffò alla fine. -Certo. Ma stai attenta.- rispose il moro rivolgendosi alla ragazza. -Perché?-
-Ha un debole per le ragazze.-
*Che spiritoso! Lo dici solo perché sai che non può sentirmi. E per la cronaca: mi piacciono SOLO le ragazze carine. È lei non è carina! Mi avrebbe sbattuto fuori di casa. Ora capisco perché siete amici. Siete entrambi senza cuor…* forse aveva ragione ma, quando Gwen gli si avvicinò per accarezzarlo, le parole gli morirono in bocca.
 
Fu una sensazione strana. Non spiacevole, semplicemente….diversa. le sue mani erano delicate ma per nulla timide. Diverse da quelle di sua sorella e ancor più diverse da quelle di Merlin. E in quel momento capì quanto il tocco di una persona potesse parlare di lei. Poteva riconoscere nelle sue mani e nel suo odore la sua vitalità spumeggiante e decisa. Percepì la sua parte animalesca trarre piacere da quel contatto e capì perché agli animali piacesse tanto. Un tocco spontaneo e di sincero affetto, avvolgente e sorprendentemente piacevole. Un piacere che poche persone nella loro vita potevano avere la fortuna di sperimentare. Ma la sua parte umana non era dello stesso parere. C’era qualcosa in quel tocco che lo infastidiva. Non sapeva dire cosa fosse ma, in quel momento non se la sentì di approfondire. Decise di lasciare che le mani della ragazza scorressero sulla sua morbida pelliccia d’ebano, finché non si fosse soddisfatta. La sua mente era comunque più occupata a capire il mistero della vendita dei compiti…quando un ricordo gli trapassò il cervello come una freccia. *Taliesin.*
 
Ci fu uno scarto di pochi secondi e poi vide la faccia di Merlin mutare. La mascella da prima rilassata ora era contratta, il colorito della pelle si fece improvvisamente più pallido, il battito accelerato. Aveva fatto centro. Non disse altro consapevole di aver toccato un tasto delicato vista l’inaspettata reazione da parte del moro. -Gwen scusami ma ora dovresti andare. Ho delle faccende da sbrigare.- fu evidente per Arthur lo sforzo che costò a Merlin per mantenersi calmo. -Non puoi rimandare?- chiese invece lei, totalmente ignara della cosa e di quello che si sarebbe scatenato di lì a poco. -No, purtroppo.-
-Capisco. Beh, ci vediamo in giro allora.- disse porgendogli il bicchiere vuoto per poi dirigersi alla sua bicicletta parcheggiata. -Certo.- rispose lui cercando di sembrare il più amichevole possibile, ma la sua mente era già oltre la loro futile conversazione.
-E fatti sentire ogni tanto. Così so che sei ancora vivo.-
-Lo farò.-
-Ciao!-
-Ciao…-
 
Il moro aspettò che Gwen fosse abbastanza lontana da non poterlo sentire e solo allora si preparò a quella che si aspettava essere un conflitto a fuoco. Dopo tutto non aveva mai pensato che le cose tra loro due potessero filare lisce. E così era stato: non erano ancora passate ventiquattro ore e ora stava per scatenarsi la loro prima vera ostilità.
-Come fai a saperlo? Non lo sa nessuno a parte Gwen. Te lo ha detto lei?- gli chiese gelido. *Cosa? Ma che dici? L’ho scoperto ora.* gli rispose l’altro sulla difensiva. *Uno dei miei amici aveva il tuo contatto e quando Gwen ha parlato della vendita dei compiti, è stato facile fare due più due. Ancora non ci credo! Tu sei Taliesin! Il mago dello studio che vende i compiti a scuola. I miei amici hanno passato settimane a cercare di capire chi fosse. E per tutto questo tempo eri tu!*
 
-Allora forse, non sei così stupido come sembri.- rispose il moro pungente.
*Nemmeno tu sei così puro come sembri. Ti credevo un perfettino casa e chiesa e invece ti scopro essere un vero bad boy. Vendi compiti, sei un asso nel mentire…e a quanto pare non ci metti due secondi a dubitare dei tuoi amici. Cos’altro nascondi, Melin Emrys, sotto quella tua bella maschera?* Soffiò il Pendragon e per un momento al moro sembrò di avere lì il vero Arthur, quello umano, che a scuola lo torturava sempre sibilando nel suo orecchio, con la sua voce melliflua. -Che cosa hai detto?-
*Mi hai sentito.*
-Pensi seriamente di poterti permettere di fare la predica a me?- ribatté rabbioso. -Non sarò un santo Merlin, ma mai e dico MAI, ho messo in discussione la fiducia dei miei amici.*
-Allora dimmi…quale servo si sognerebbe mai di tradire il proprio padrone?-
*Così è questo che pensi?*
 
-Non importa quello che penso. Che tu sia un donnaiolo, con un quoziente intellettivo scarso e problemi di gestione della rabbia è un dato di fatto. Non mi interessa come tu o altri spendiate il vostro cazzo di tempo. Di conseguenza non voglio che tu ficchi il naso nella mia vita! Quello che faccio non ti riguarda!- dichiarò il moro sempre più furioso. Il Pendragon stava decisamente superando il limite. *Immagino che questo valga anche per Gwen.*
-Vale per tutti!- Detestava perdere il controllo sulle sue emozioni, lo rendevano più soggetto alle crisi, ma ancor di più detestava perdere tutto quello per cui aveva tanto faticato. E se una sfuriata gli avrebbe permesso di non buttare nel cesso anni di lavoro per colpa di una singola persona, allora lo avrebbe fatto. Avrebbe detto e fatto tutto quello che poteva e di più, se fosse stato necessario, per proteggere la sua confort zone. Avrebbe graffiato e morso finché si fosse sentito braccato e minacciato.
 
Era stato un errore far entrare Arthur in casa sua. La paura di perdere la sua cura temporanea lo aveva distratto dall’unica pecca che accumuna tutti gli esseri umani: la curiosità. Non aveva pensato che Arthur avrebbe potuto desiderare di familiarizzare con lui nonostante i loro trascorsi. Ma ora, il terrore di perdere la sua precaria sanità mentale gli stava facendo desiderare di ritornare ad essere come era sempre stato: solo.
 
*Bell’amico che sei.*
-Io non sono suo amico. E tu non sei qui perché dobbiamo conoscerci meglio e per dirmi come devo gestire i miei rapporti sociali; ma perché tua sorella, quella che “sostiene di volerti bene” ti ha trasformato in un quadrupede e buttato fuori di casa. Il che la dice lunga su quello che pensa la tua famiglia di te.-
*Smettila! Ora stai esagerando!*
-Tu, se non la smetti, questo sarà tutto quello che avrai da me.-
*Mi stai cacciando?*
-Dipende. Vuoi essere cacciato? Ti aiuterò a sciogliere questa maledizione a patto che non ci sia alcun contatto fra di noi, a meno che non sia strettamente necessario, come i momenti del pasto e capire come risolvere questa dannata cosa. Ti accompagnerò quando dovrai uscire di casa, visto che non puoi girare da solo per Camelot, ma soprattutto starai lontano dal mio letto. Questo non è un albergo! Se le mie regole non ti piacciono, quella è la porta!-
*Wow…e tu pensi seriamente di risolvere questa storia vivendo sotto lo stesso tetto, senza parlarci?*
-Perché tu pensavi di risolverla in un altro modo?-
*Per quanto non mi piaccia l’idea di vivere appiccicato a te per i prossimi tre mesi conciato così, di certo non mi aspettavo di essere rinchiuso in una prigione con l’ora d’aria o peggio. Hai sentito cosa ha detto mia sorella: dobbiamo aiutarci a vicenda per risolvere questo casino.*
 
-E tu le credi?-
*è mia sorella!*
-Come se il sangue facesse qualche differenza. Sto iniziando seriamente a dubitare di tutto quello che ci dice Morgana o per meglio dire, non ci dice. Io non ho bisogno di nessun aiuto!- quasi lo urlò pensando alle parole che la strega gli aveva detto. -Quello che è nella merda fino al collo tra noi due, se tu. Se i mie metodi non ti piacciono, forse dovresti provare altrove.-
*Sai che c’è…eri molto più simpatico quando ti pestavo.* disse Arthur furibondo. Si aspettava di essere attaccato. Dopotutto questo è quello che fanno i topi quando si sentono in trappola. Lottano a qualunque costo, ma quello che non aveva previsto era l’entrata della sua famiglia sul piatto della battaglia. E quello era decisamente troppo per uno che veniva punito da tutta la vita, per il solo fatto di essere nato.
 
-Posso confermare lo stesso di te.- ribatté gelido il moro
Lo aveva detto sul serio, Arthur non ci poteva credere. Merlin Emrys aveva appena affermato di preferire le percosse anziché affrontare una normale conversazione. Quale persona sana di mente preferisce questo? L’unica motivazione che gli venne in mente fu: la paura. Solo chi teme qualcosa si rifugia nel mutismo e lui lo sapeva bene. Il silenzio era da sempre una sua fedele compagna di vita. Nemmeno lui desiderava svelare i suoi scheletri rinchiusi a chiave nell’armadio, ma a quanto pare con Merlin non si poteva nemmeno toccare la superficie.
 
Forse aveva temuto la cosa sbagliata, credendo di non poter sopportare la sua vicinanza. Merlin sembrava temerla anche più di lui. Si era promesso di resistere cercando di non far trapelare nulla, di ingoiare i rospi che gli sarebbero piovuti addosso, ma il moro, a differenza sua appariva totalmente intollerante al minimo indispensabile per una convivenza.
 
Cos’è che ti fa tanta paura?
 
*Io sarò anche vittima di un sortilegio ma tra i due quello messo peggio sei tu. Credimi!*

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Capitolo 10
*** Silence ***


Passarono tre giorni dalla furiosa litigata e nonostante ciò, regnava ancora il silenzio più totale fra i due. Oltretutto, entrambi parevano non voler dare alcun segno di cedimento. 

Dopo la sua sfuriata, il moro si era chiuso a riccio, limitandosi a parlare il minimo indispensabile, come ad esempio, lo scandire l'orario dei pasti. E se non doveva cucinare o fare mestieri di altro genere, passava quasi tutto il tempo in camera sua a leggere, e nel caso la giornata fosse stata particolarmente bella ma non eccessivamente afosa rimaneva seduto sotto il portico di casa, mentre il vento estivo che passava fra le travi di legno gli scompigliava i capelli neri come la pece.

Arthur dal canto suo, iniziò a passare le giornate come meglio poté, rispettando le rigorose leggi di Merlin. Che sostanzialmente consistevano nel non disturbarlo a meno che non fosse strettamente necessario. 

Era tornato a dormire sullo scomodo giaciglio di coperte, questa volta sistemato strategicamente in salotto, così da evitargli  ogni possibile entrata in camera di Merlin. 
Si dovette pure tenere la ciotola dell'acqua e del cibo per terra, messi da Merlin il giorno dopo la loro sfuriata. Con tutta probabilità, messe per evitare di essere disturbato anche solo per un bicchiere d'acqua ma, ad Arthur non piacque comunque l'idea di dover bere e mangiare come un quadrupede qualunque. 
Mai come in quei giorni il suo orgoglio di Pendragon fu messo alla prova.
Passando letteralmente dalle stelle alle stalle.

Per il resto poteva fare quello che voleva, come guardare la tv se riusciva a beccare i tasti giusti con le sue grosse zampe pelose o dormire in giardino sul soffice prato verde o in qualunque altra parte della casa, esclusa la stanza di Merlin, ovviamente.

Sembrva aver sviluppato una sorta di letargo intermittente, che lo coglieva all'improvviso nel caso non ci fosse nulla di abbastanza interessante da intrattenerlo. Gli bastava sdraiarsi pochi minuti per addormentarsi profondamente senza quasi rendersene conto, per poi svegliarsi una o due ore dopo come se nulla fosse. 

Sapeva che i cani di giorno dormivano parecchio, ma di certo non si aspettava di essere anche lui vittima di quello strano sonno totalizzante. Non che gli dispiacesse, visto che non aveva modo di fare nulla per occupare il tempo, tranne esplorare le sue nuove capacità lupesche come: il super udito e il fiuto iper sensibile. Ma da atleta quale era avrebbe preferito occupare il suo tempo in modi migliori e più produttivi, piuttosto che poltrire tutto il giorno, origliando le conversazioni dei vicini. 

Questo non fece altro che demoralizzarlo ancora di più visto che si sentiva a tutti gli effetti un vero e proprio cane domestico. 
Già si immaginava a distanza di anni, ancora lì, in quella casa con Merlin e sua madre a ingrassare e dormire come un cane qualunque. Senza più rivedere la sua squadra, la sua casa. Chiedendosi per quanto tempo lo avrebbero cercato e dopo quanto si sarebbero scordati del Grande Arthur Pendragon, erede della Famiglia Pendragon, Capitano della Squadra e Ruba Cuori indiscusso della scuola. 
Forse con il tempo si sarabbe pure dimenticato chi fosse davvero, e chissà se avrebbe incominciato ad invecchiare come i cani normali. Se così fosse questo voleva dire, vivere ancora pochi anni al massimo...dodici anni se era fortunato, visto che per un cane un anno vale per sette. Ma nemmeno l'idea di trascinarsi come una vecchia carcassa lo allettava gran che. 
Gli si drizzò la pelliccia a quei pensieri funesti.

Meglio morire giovane!

E mentre Arthur vagava in una sorta di limbo tormentato dal pensiero di rimanere un lupo per sempre, Merlin sembrava aver ritrovato la sua dimensione, nonostante il Pendragon fosse ancora in casa con lui. 
Il non parlare con Arthur della sua vita privata, anzi il non parlargli affatto, gli aveva giovato anche se era perfettamente conscio di non poter passare così il resto dell'estate. 
Il problema andava risolto, anche se detestava l'idea di dover parlare con Arthur per riuscirci. Non voleva perdere nuovamente il controllo per colpa sua e soprattutto voleva evitare che ficcasse il naso dove non doveva. 

Di contro, anche Arthur non se la sentiva di interrompere quel silenzio. Non riusciva a mandare giù tutto quello che Merlin gli aveva detto. 
Ammise in seguito che forse, aveva leggermente esagerato nel farsi gli affari suoi, ma non riusciva comunque a comparare la sua sfuriata con il vendere i compiti a scuola. Conoscendo le personalità che giravano alla Camelot High School, difficilmente qualcuno lo avrebbe denunciato al personale scolastico. 
Con tutta probabilità nei mesi da che era arrivato, aveva salvato le chiappe a talmente tanti ragazzi, da guadagnarsi non solo i soldi ma anche il loro silenzio.

Enigma a parte, tre giorni non gli erano bastati per sbollire le parole di Merlin. 
Ne erano volate di frasi fredde quel pomeriggio ma quelle scottanti erano state anche peggio. Come l'aver portato la sua famiglia sul piatto della bilancia. 
Il problema era che quei giorni avevano anche contribuito a mettere il seme del dubbio nella sua mente. Possibile che Merlin avesse ragione? Possibile che sua sorella lo odiasse così tanto da fargli un torto simile? Per quante volte rigirasse la storia, la verità era che di fatto in quel momento era una palla di pelo, sbattuta fuori di casa che mangiava e beveva da una ciotola e dormiva per terra. Non proprio il modo migliore per dire al proprio fratello che gli vuoi bene.

Non riusciva a spiegarsi un cambiamento così radicale. Vero è, che spesso non andavano d'accordo, ma erano sempre stati alleati l'uno con l'altro nel momento del bisogno e nella loro famiglia questi momenti non avevano mai tardato a presentarsi. 
Eppure, non gli aveva mai confidato di essere una strega e da un giorno all'altro senza alcun motivo, lo aveva trasformato in un animale.
Ancora una volta si ritrovò in un vicolo cieco senza sapere cosa pensare della propria famiglia. Dopo tutti quegli anni, davvero ora, non poteva fidarsi nemmeno di sua sorella oltre che di suo padre?

Lo fatto per il tuo bene...

Fottiti Morgana!

Dubbi o meno, vero o non vero. Voleva tornare alla sua vita il prima possibile e questo implicava per prima cosa, fare pace con Merlin. 
Come diceva quel vecchio detto? 

"Tieniti stretti gli amici e ancora di più i nemici"

Avrebbe fatto così. Come aveva detto il moro, non erano lì per diventare amici, ma dato che entrambi non si sopportavano, un po' di finta simpatia per agevolare il processo non avrebbe guastato. Sarebbero andati d'accordo, il moro lo avrebbe aiutato a tornare umano e una volta risolto il problema ognuno sarebbe andato per la sua strada. Forse non sarebbe stato proprio etico usarlo così, ma dopo tutto la situazione andava decisamente sforando il perimetro di ciò che può essere definito etico. Sua sorella in primis. E poi a quanto aveva capito, nemmeno Merlin simpatizzava per l'eticità. 
In pratica, il mentire era d'obbligo.

C'era un solo ed unico problema: non aveva idea di come fare. Ogni volta che entrambi aprivano bocca, finivano per litigare.

Per il resto del pomeriggio rimase ad osservarlo da lontano cercando di non farsi notare. Lo osservò mentre era intento a leggere un libro e dopo ancora durante qualche mestiere casalingo, per carpire un qualche indizio su come approcciarsi senza scatenare la seconda guerra mondiale. Risultato: non sembrava molto intenzionato a far pace visto quanto si impegnava per evitarlo.

Forse avrebbe potuto fare leva su di lui, sfruttando la logica, visto che la tecnica della compassione non funzionava. 
Peccato che la logica non era mai stata il suo campo di gioco; era da sempre un ragazzo instintuale,  che per risolvere le situazioni ragionava di pancia o di muscoli se lo riteneva necessario.

Ripensò a tutte le volte che si erano scontrati e constatò che mai una volta Merlin aveva ceduto sotto le sue maniere forti. Se ora avesse provato a saltargli addosso e morderlo si sarebbe di certo ritrovato con il culo sull'asfalto in mezzo alla strada.

Da quando era diventato un lupo sembrava aver perso la sua aura minacciosa. Davvero ironico visto che tecnicamente, ora era ancora più letale con zanne e il resto, eppure Merlin sembrava non sfiorarlo minimamente l'idea che potesse ferirlo. Gracile come era non gli era mai sembrato così intoccabile.

Alla fine si alzò e gli andò in contro sfoggiando un aria il più decisa possibile. *Ti devo parlare.* -Se devi uscire, puoi aspettare? Prima devo finire una cosa.- gli rispose il moro distaccato, mentre usciva dal bagno con la cesta dei panni in mano. *Non devo uscire.* -Hai sete?- ribattè allora Merlin, pensando che l'acqua nella ciotola fosse finita. *Non è per l'acqua.* -Qual'è il problema allora?- rispose questa volta, seccato dalle sue continue interruzoni. *Ti devo parlare.* -Spero sia importante.- rispose di nuovo, mentre si dirigeva allo stendino sotto al portico. *Lo è. Quindi se non ti dispiace, potresti posare quello che hai in mano e ascoltarmi solo per un secondo?*

Quello slancio dopo tre giorni di silenzio gli fece capire che per Arthur era importante sul serio. -Ti ascolto.- rispose, posando i panni appena lavati per terra *Non possiamo andare avanti così.* -Da cosa lo hai intuito?- *Dico serio.* ripose il lupo risentito da quella frecciatina -Anche io.- ribattè Merlin . -Quindi cosa proponi?- *Un patto.* -Fino ad ora non mi pare abbiano funzionato molto, o mi sbaglio?- era difficiele non arrabbiarsi con uno come lui, sempre con la risposta pronta sulle labbra.

*Una tregua allora. Io rivoglio la mia vita e tu la tua. So che non siamo partiti con il piede giusto, ma ci voglio riprovare. Questa cosa va risolta e non può essere ignorata.* -Su questo almeno, mi trovi d'accordo.- *Bene. Possiamo metterci una pietra sopra e ripartire da zero?* Sapeva che non erano proprio delle scuse ma sperò di essere lo stesso convincente. 

-Lo sai che pretenderò lo stesso delle regole, vero?- *Lo capisco.* -Allora come la mettiamo?- *Prima di tutto ci faremo gli affari nostri. Niente interferenze nella vita privata dell'altro.* -Ottimo.- *Ma non puoi negarmi delle chiaccherate. Sei l'unica persona con cui posso parlare e se devo stare zitto per i prossimi tre mesi finirò per impazzire.* -Va bene, anche se non so di cosa  potremmo mai discutere io e te.- ribattè il moro sinceramente perplesso. *Punto due: niete ciotole. voglio tornare a mangiare al tavolo da pranzo come una persona normale.* -Ok.- *E niente più dannato pavimento per dormire.* Su questo non voleva sentire obiezioni.

-Il mio letto è fuori discussione.- *Quello di tua madre?* -No.- *Il divano allora.* -Non se ne parla.- *Hai presente come funziona una tregua? Si concede da entrambe le parti.* -E va bene. Divano sia. Altro?- *Visto che lo chiedi vorrei fare qualcosa di più sportivo ogni tanto. Sono stufo di non fare nulla per tutto il giorno.* -Ad esempio?- *Potremmo andare a correre* -Io non corro.- rispose gelido. Sicuro che quella parte di accordo non gli sarebbe piaciuta per nulla. *C'è l'avrai una biciletta.* -Sì, come tutti.- *Ottimo io corro e tu mi segui con la bicicletta.* Passo qualche secondo di riflessione ma alla fine cedette -Concesso.- un giro in bicicletta ogni tanto poteva anche sopportarlo.

*Cinque giorni a settimana.* -Non se ne parla. Uno.- *Quattro.* -Tre. Ultima offerta.- *Andata.* -Hai finito?- *Direi di sì.* concluse il lupo, molto soddisfatto del patteggiamento. *Tu? Niente da reclamare?* -Tu che stai fuori dalla mia privacy e dalla mia camera mi basta....anche se un aiuto in casa non sarebbe male.- rispose pensieroso *Che tipo di auto?* chiese il lupo poco convinto -Non so...vedrò situazione per situazione.- *Io non faccio le pulizie, sia chiaro. Non sono un domestico.* -Cinquanta e ciquanta, ricordi?- gli fece notare il moro *Accidenti! e va bene. C'è altro?* -Sono a posto.- concluse Merlin curioso di vedere quanto sarebbe durata questa volta la tregua.

***

Morgana fece scorrere le mani sulla bacinella, un unghia perfetta increspò l'acqua per l'ultima volta mentre un sorriso soddisfatto passava sulle sue labbra. Fu felice, nel constatare che ci avessero messo meno del previsto per trovare un punto d'incontro. Sapeva bene che le sfide non erano finite e che le montagne più ardue da scalare dovevano ancora arrivare ma...

-Ogni cosa a suo tempo.-

La Pendragon ruppe la connessione e le immagini nella bacinella svanirono. -Chi è?- 
Chiese prima che una domestica bussasse alla sua porta, annunciandole che Uther era rientrato dall'ennesimo viaggio di lavoro e attendeva di vedere i suoi figli. -Digli che arrivo subito.- -Si, Signorina.- rispose la voce femminile ovattata da dietro la porta. -E per quanto riguarda il Signorino Arthur?-  -Non dirgli niente. Ci penso io.- ribatté freddamente la mora -Si, signorina.-

La domestica se né andò, e Morgana prese un respiro profondo. Aveva sperato che suo padre stesse lontano da quella casa ancora per qualche mese, ma ovviamente, non poteva essere tutto perfetto. Si sistemò la gonna e scese le scale per andare nell'ufficio di Uther.

L'uomo era seduto sulla poltrona di pelle, dietro la scrivania, intento a controllare alcuni documenti. Arrivata, la ragazza si posizionò davanti a lui a pochi passi di distanza. -Ben tornato a casa...Padre.- Difficile pronunciare quella parola conoscendo l'uomo che era. -Morgana.- Pronunciò il suo nome con la sua voce severa e profonda. Non avrebbe detto altro per salutarla, se non pronunciare il suo nome per farle sapere che era consapevole della sua presenza nel suo ufficio. - Dov'è tuo fratello?- chiese mentre la penna scivolava veloce sul foglio di carta. Unico suono a spezzare il silenzio tra il loro freddo botta e risposta -In vacanza.- rispose prontamente la Pendragon -Come sarebbe a dire "in vacanza"?- -Arthur Voleva svagarsi un po' ed è andato in Europa.- -E doveva andare così lontano?-

So quanto ti secchi che lui non sia qui.

Non rispose alla sua domanda ovviamente retorica. Da quando era arrivata, Uther non aveva tolto un solo secondo gli occhi dalle scartoffie per guardarla in faccia, ma poteva percepire comunque il suo dissenso sulla faccenda. -Sai almeno quando tornerà o sei incapace di dirmi anche questo?- 

Ti manca non poterti sfogare su di lui, vero?

Morgana non poté evitare di stringere i pugni dietro la schiena, nel tentativo di tenere a bada la rabbia e soprattutto la lingua. -Starà via per tutte le vacanze estive.- -Capisco. Puoi andare.- concluse congedando la figlia con un gesto secco della mano. La ragazza uscì a passo svelto da quella maledetta stanza e chiuse la porta dietro di sé, tirando un sospiro di sollievo.

Non sapeva se essere fiera di sé per essere riuscita a trattenersi o delusa con sé stessa per non aver avuto il coraggio di parlare e dirgli in faccia quello che pensava. Odiava avere paura di lui, e per un momento non poté evitare di sperare, che Arthur non tornasse più in quella casa. Amava suo fratello, ma avrebbe preferito cento, anzi mille volte, farlo restare un lupo per tutta la vita, che vederlo ritornare in quella casa maledetta a sopportare le angherie del padre.

Non sarà così per sempre!

 

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Capitolo 11
*** Hope ***


*AUUUUUUUU!!!!* -Sul serio, devi proprio?- urlò Merlin nel tentativo di sovrastare gli ululati di gioia dell'altro, mentre guidava la bicicletta di sua madre. *Invece di lamentarti perché non ti godi il giro in bici?* gli rispose Arthur con il fiatone per la corsa in atto. -Lo farei, se tu la smettessi di gridare.*
Il lupo rallentò la corsa fino a fermarsi per riprendere fiato e Merlin accostò vicino a lui con la bicicletta. *Te l'ha mai detto nessuno, che sei un vero guastafeste? Mi stavo solo divertendo un po'.*-Urlando?- chiese il moro, incapace di comprendere il suo sfogo creativo *Dovresti provare ogni tanto, sai? È liberatorio. Forse avresti meno l'aria di uno stoccafisso.*

Lo disse come se fosse un'esperto. La verità...era la prima volta che lo faceva in tutta la sua vita. Non aveva mai avuto modo di liberare veramente quello che aveva dentro. Di sfogarsi e urlare fino a farsi scoppiare i polmoni. Ma essere lupo, come si era reso conto, gli aveva permesso di fare cose che non aveva mai potuto o avuto il coraggio di fare prima. 
In forma di lupo nessuno poteva sentirlo. Avrebbe potuto urlare e gridare qualunque cosa e per il resto del mondo sarebbe sembrato solo un cane che ulula al nulla.
L'unica persona che poteva capirlo era Merlin, ma a quel punto non gli importava. Il moro era talmente alienato dalla natura umana che il non comprendere certe sue azioni o pensieri lo portava a non giudicarlo. Era inquitante e utile al tempo stesso, avere accanto una persona che pur non comprendendo certe dinamiche se ne frega invece di giudicare. -Grazie, sto bene così.-
*Ci avrei giurato.*

Arthur, ancora con il fiato corto, tentò di stirarsi le zampe piegandosi in dietro, inarcando la schiena e allungandosi dalla testa fino alla punta della coda. Era passata una settima da che era diventato un lupo e quello era il primo giorno di corsa dopo tutti quei giorni di fermo. *Quanti km abbiamo fatto secondo te?* chiese a Merlin, che conoscendolo sicuramente il suo cervello sarebbe riuscito a calcorarlo. -Vediamo...è passata più o meno un ora...- Rispose scrutando il paesaggio e la strada percorsa. La frase gli morì sulle labbra, mentre il suo cervello iniziò a calcolare numeri e dati incomprensibili per il Pendragon. 

Il silenzio della campagna inglese li avvolse e Arthur rimase ad assorverare il volto sereno di Merlin che riunchiuso nel suo palazzo mentale, svolgeva i suoi calcoli. Dopo tre giorni di convivenza pacifica, stava iniziando a riconescere quello sguardo. Anche se ancora riusciva a sorprenderlo, il modo in cui il moro riusciva a distaccarsi dalla realtà. Gli piaceva guardarlo in quei momenti di calma assoluta. Il suo corpo sempre controllato si rilassava, mentre lo sguardo vagava perso chissà dove, le labbra socchiuse a metà fra una muta parola e un respiro dimenticato. 
Aveva capito di aver visto un altro volto di Merlin, forse il migliore fino a quel momento, ma non per il silenzio. Aveva sempre saputo che fosse un secchione, ma non aveva mai capito fino a quel momento, quanto la conoscenza per lui fosse un vero e proprio piacere. Bastava osservarlo un momento per capirne l'evidenza e gli piaceva. 
Lo rendeva umano, caratteristica che fino a quel momento Arthur aveva sempre creduto non gli appartenesse.

Merlin riemerse pochi secondi dopo. Lo sgurado prima assente ritornò presente e vigile -A occhio e croce direi quattro Km.- *Solo?* chiese il lupo stupito -Tornando indietro sono altri quattro. Otto km in totale li definisci pochi?-
*Di solito ne faccio molti di più senza problemi. Sono stato fermo solo una settimana, ma è poco tempo per avere risultati così scarsi.* rispose Arthur insoddisfatto. -Forse devi solo abituarti alla forma di lupo.- constatò il moro *In effetti faccio un po' fatica a correre con quattro zampe. Ho come la sensazione di inciampare da un momento all'altro.* ribattè il Pendragon battendo le zampe sulla strada sterrata per la frustrazione, ma in ogni caso felice, di essere tornato a sentire il vento accarezzargli il viso. -Sono sicuro che entro una settimana andrai come un razzo e la bicicletta non basterà più per starti dietro.- *Tu dici?*
-Gli sport sono sempre stati il tuo forte.- rispose Merlin sincero *Sbaglio o mi hai appena fatto un complimento?*
-No, è una semplice constatazione.-

Arthur non ebbe nulla da ridire a quella affermazione. A parte accogliere con un muto sorriso quel "non" complimento nei suoi confronti. Dopo quella prima settimana con Merlin, ormai aveva capito che la sua ingenua e cruda sincerità era con tutta probabilità il suo miglior pregio. Non aveva peli sulla lingua nell'esprimere il suo dissenso o la sua approvazione, sia in bene che in male. 
Era crudelmente sincero nell'esprimere le sue idee, senza mezzi termini o giri di parole. Andava dritto al punto e questa sua peculiarità faceva quasi a botte con la sua incapacità di comprendere se il suo interlocutore si fosse offeso o meno. 
Certe volte era come parlare con un bambino con la mente di un vecchio in un corpo da adolescente. 
Inquietante forse, ma nella mente di Arthur si era sviluppato un altro aggettivo per descrivere questa sua stramba qualità: tenera.

Apprezzava la sua sincerità, che lo portava a fidarsi di quello che diceva. Qualità che molto spesso era mancata nella sua vita, sia da parte sua, che da parte delle persone che lo circondavano. Mentre la sua mancanza di tatto e empatia, ormai compresa, lo portavano spesso a ridere per quello che diceva e di conseguenza a provare una sorta di tenerezza nei confronti di Merlin, che si esprimeva nello spiegargli le sue battute, a ridere di cuore o semplicemente a sorridere in silenzio in parte deliziato da quei buffi inframezzi e in parte invidioso di quella igenuità, ormai persa anni a dietro.

Arthur spostò lo sguardo dal volto di Merlin al paesaggio che li circondava. Si erano spinti fuori Camelot nelle zona dei campi coltivati. 
Lí si potevano fare giri per ore, immersi nella campagna inglese, grazie alle molteplici stradine sterrate che costeggiavano i campi coltivati. *Ci voleva una corsa in una bella giornata come questa. Non sei d'accordo?* disse inspirando a pieni polmoni l'aria calda e incontaminata dallo smog della città -Avrei sicuramente trovato qualcosa di utile da fare a casa. Ma non nego che il paesaggio è davvero bello.-
*Come fai a paragonare casa tua a una vista del genere?* ribattè Arthur a metà tra lo scioccato e il divertito -A casa avrei impiegato il tempo in modo più utile piuttosto che guardare un panorama. Non nego che sia bello ma non me ne faccio nulla.-
*Utile? Merlin, è un panorama, non deve essere utile. Te lo devi solo...godere.*
-Se ti riferisci all'apprezzare il suo perfetto ed eficente ecosistema, allora...-
*Ok, stop!* Lo interruppe Arthur sempre più scioccato e divertito mentre si passava una zampa sul muso per la disperazione. *Non intendevo nemmeno quello! Sembravi il nostro prof di scienze.* -E allora cosa? Non capisco.-
*Non ti arriva nulla guardando questo posto?* gli chiese indicando con il muso la campagna illuminata dal sole -Continuo a non capire.- rispose Merlin sempre più perplesso e leggermente irritato per il suo non capire le intenzioni dell'altro.

Per un momento Arthur si sentì in imbarazzo, nel dovergli dare un esempio così intimo, come la spiegazione di un emozione. Ma dovette anche ammettere a sé stesso che se l'era cercata. 
Guardò il vasto spazio diviso tra il verde dei campi e l'azzurro del cielo che si perdevano a vista d'occhio. Gli facero pensare ad una sola cosa. *Libertà. Se guardo questo posto mi fa pensare alla libertà.*
-E da cosa lo hai deciso?-
*Non te lo posso spiegare. Devi solo guardarlo e dire la prima cosa che ti viene in mente. Non è difficile. Forza sapientone, prova.*
-Perchè? Non ne vedo l'utilità.- ribattè il moro incerto, ma il Pendragon non gli avrebbe permesso di scamparla *Che cazzo Merlin! è un gioco. Fallo e basta.* 

Poco convinto Merlin si mise ad osservare la distesa di campi e l'immensità del cielo. Sul momento non seppe veramente cosa fare. Non sapeva cosa doveva cercare e se doveva effittivamente cercare qualcosa. Rimase lì, immobile ad osservare finchè quel quadro perfetto e silenzioso non divenne improvvisamente pesante. 

Perfetto...silenzioso

Quelle due semplici parole lo colpirono come un proiettile. Il suo respiro mancò per un momento la sua normale regolarità. Ripensò a quello che aveva detto riguardo la perfezione dell'ecosistema. Tutto era perferttamente al suo posto. Le piante, gli animali, le persone. Perfino Arthur sembrava non perdere il suo centro nella sua condizione. Lui invece? Non aveva mai avuto un centro. Era un essere imperfetto in un mondo incasellato alla perfezione. Un pezzo di puzle di troppo che andava buttato, finito per sbaglio nella scatola sbagliata. 
E insieme percepì anche il silenzio che apperteneva a quel luogo così sereno. Un silenzio confortante che mai in vita sua aveva potuto provare.

Per me non c'è mai silenzio.

-Non mi piace questo gioco.- sibilò alla fine e Arthur non potè non notare il suo cambiamento improvviso. La calma e la comunicazione che si era creata tra di loro venne improvvisamente interrotta, lasciando di nuovo spazio ad un silenzio distante e glaciale. 
Erano passati solo pochi secondi eppure, in quel breve lasso di tempo qualcosa nella sua mente era scattato.
Non sapeva dire cosa, e per un momento fu sul punto di chiedergli cosa fosse successo, ma si trattenne. 
Se avesse parlato avrebbe sicuramente causato più danni che altro e non aveva alcuna intenzione di mandare in fumo i pochi e traballanti passi in avanti.
Decise di rimanere in silenzio, concedendogli tutto il tempo di cui aveva bisogno. 
Senza, però, staccargli gli occhi di dosso un solo istante. Pronto a cogliere ogni respiro, gesto o parola fuori posto.

La curiosità che era nata nei confronti di Merlin, solo pochi giorni prima, si stava lentamente trasformando in un tarlo fastidioso e dolorante. Voleva sapere. Sapere cosa nascondevano i suoi occhi. Sapere quale segreto serbava la sua mente complessa ed enigmatica. Ancora non capiva se volesse farlo per un puro atto egoistico o perchè gli importava qualcosa di lui. Era troppo presto per dirlo, soprattutto perchè qualche settimana prima, avrebbe dato qualsiasi cosa per vederlo sanguinante, sottomesso e con gli occhi cavati; tanta era la rabbia che gli procuravano. 
Nonostante ciò, rimase in assoluto e rispettoso silenzio, mentre il suo corpo fremeva per quella dannata e insensata curiosità.

Per fortuna non mi ha trasformato in un fottuto gatto.

-Se ti sei soddisfatto, torniamo in dietro.- disse poi Merlin dal nulla, nuovamente sereno e pacato. E Arthur non potè che rispondere con un assenso fingendo che quell'inframezzo indesiderato non fosse mai avvenuto. -Bene...è un problema se nel ritorno ci fermiamo in biblioteca? Altrimenti ci posso andare da solo oggi pomeriggio.-
*Che cavolo ci vai a fare in biblioteca in piena estate?*
-Prendo dei libri. Mi sembra ovvio.-
*Grazie tante genio. Con tutta probabilità sei l'unico ragazzo che in estate si infila in mezzo ai libri piuttosto che stare fuori a divertisi.*
-Statisticamente parlando è impossibile che io sia l'unico.-

Eccola spuntare fuori, la sua buffa ingenuità condita con un esagerato quozziente intellettivo. *Sei impossibile lo sai.* gli disse bonariamente il Pendragon, conscio che l'altro non avrebbe mai capito cosa intendesse dire. -Perchè?-
*Lascia stare. Monta in sella cowboy!* e detto ciò con uno scatto fulmineo si rimise a correre lungo la strada sterrata costeggiata da alti alberi e fossi pieni d'acqua. -Ma che fai? Aspetta!- gli urlò il moro che colto di sorpersa, montò in sella il più velocemente possibile per raggiungerlo.  -Ma quindi che fai, vieni?-
*Ovviamente.*
-Allora avevo ragione.-
*Su che cosa?*
-Non sono l'unico ragazzo che va in biblioteca in estate.-
*Fottiti Emrys!*

***

*Io davvero non so come fai.* disse Arthur mentre girava al fianco di Merlin fra gli enormi scaffali polverosi della biblioteca di Camelot -Per lo stesso motivo per cui tu vai a correre. Ecco come.-
*Colpito e affondato. Allora...che libri devi prendere?*
-Alcune opere di Shakspeare.- rispose il moro che ormai conosceva quel posto come le sue tasche. *Sembra...fico.* rispose il lupo sperando di essere convincente. -Non hai idea di chi sia vero?-
*Dovrei?*
-Lo abbiamo studiato quest'anno a letteratura.- 

L'espressione che Arthur gli regalò, la disse lunga sui suoi interessi scolastici, educazione fisica esclusa. Il perfetto connubio tra "non ho idea di cosa tu sti parlando" e "se non lo so, vuol dire che non era importante." -Autori del Rinascimento ti dice qualcosa?- A quella domanda il vuoto si fece ancora più presente, condito con una spruzzata di "seriamente, sta roba serve veramente a qualcosa?" Al che Merlin, spazientito, non potè che lasciargli l'ultimo indizio rivelatore. Sperando ovviamente che ci arrivasse da solo. -Romeo e Giulietta?- 

Al sentir pronunciare quei nomi, finalmente una lampadina si accese nel cervello del Pendragon. *Aspetta...non sarà mica quel tizio che ha scritto di quei due, che hanno un colpo di fulmine, le famiglie si odiano, fanno sesso e poi muoiono?*
-Davvero molto accurata come descrizione.- ribattè il moro al limite dello sconcerto. *Però è quello giusto?*
-Sì.-
*Perchè quella faccia allora? Alla fine me lo sono ricordato.*
-Penso solo che non sono proprio le parole che avrei usato.-
*Ovviamente no. La tua sarebbe stata solo un'esposizione luuuunga e noiosissima.* rispose Arthur incorniciando la frase con un ridicolo sorriso che mostrava le zanne lunghe e affilate. -Lo prendo come un complimento.- 

*Ora che ci penso, qual'cosa mi ricordo di quella lezione.* disse Arthur riprendendo a camminare fra i libri. -Qualcosa di utile spero.- *Le facce della ragazze.* disse improvvisamente eccitato -Non capisco.- il Pendragon non potè che girarsi e guardarlo perplesso, poi si rese conto che stava parlando con Merlin Emrys. *Giusto. A volte dimentico che certe cose non le noti. Quando il prof ha spiegato la trama e letto alcuni estratti, le ragazze erano impazzite.*
-Sei sicuro che stiamo parlando della stessa lezione? Ricordo che quella volta le ragazze erano piuttosto attente e silenziose.-
*Appunto. Avevano gli ormoni a mille. Te lo dico io.*
-Continuo a non capire.-
*Le ragazze adorano questa roba.*
-Quale..."roba"?-
*Amori impossibili, morti tragiche, galanteria vecchio stile. Ne vanno matte. Ecco perchè è così facile conquistarle. Una frase smielata lì, un mazzo di rose là, ed è fatta. Ti si buttano letteralmente in braccio. A volte non devo nemmeno impegnarmi troppo. Un gioco da ragazzi.* concluse il Pendragon molto sicuro di sè.

-Non credo che la tua teoria sia molto valida.-
*Ma che dici? Certo che lo è. Hai idea di quante ragazze ho conquistato?*
-Sono sicuro che siano molte. In ogni caso non mi interessa. Quello che voglio dire è che non credo che il tuo medoto sia davvero efficace. Non per tutti almeno.-
*E chi lo dice?*
-Pensa alla squadra di dibattito. Hai mai conquistato una ragazza della loro squadra?-
*Cosa? Per carità, ma le hai viste?*
-Eppure i co-capitani si frequentano. E che mi dici dei ragazzi del club di scienze?-
*Poveretti. Quelli non hanno speranza.*
-Ma chissà come Frank del secondo anno ha la ragazza.-
*Davvero? Frank denti di castoro?*
-Gwen è una fonte molto affidabile, credimi, anche se facevo volentieri a meno di questa informazione.-

*E quindi? Arriva al punto.*
-Il punto è che loro hanno una compagna, nonostante non abbiano usato il tuo metodo di conquista "infallibile". Con tutta probabilità alcune non le avresti conquistate anche volendo.-
*Ah sì. E sentiamo, perchè?* ribattè il lupo leggermente stizzito. -Non tutti sono attirati dall'aspetto fisico. Alcune persone provano attrazione verso il carattere, la mentalità e le affinità. Non dico che l'aspetto fisico non si rilevante, ma quando una femmina cerca un partner fisso solo l'aspetto fisico non basta a compensare tutto il resto. Per questo Frank ha la ragazza e tu no.-

*Capirai...Frank ne ha una. Io ne ho avute a decine. E comunque anche i miei compagni di squadra ci riescono allo stesso modo. Come la mettiamo?* Rispose sfidandolo. -Voi rientrate in una determinata categoria sociale. Per questo motivo, questo tipo di approccio con scopi esclusivamente a fini sessuali per voi funziona.- *Ah sì...sentiamo allora.* A questo punto era proprio curioso di sapere cosa sarebbe uscito da quella bocca sottile ma letale. Anche se mai si sarebbe aspettato di affrontare una conversazione del genere con Merlin. 

-Beh...prima di tutto tu e i tuoi amici appartenete ad una classe sociale più alta e questo vi rende già appetibili in partenza; in quanto la ricchezza è indice di stabilità e confort. Giocate in una squadra vincente e ben collaudata. Il che vi porta ad essere ammirati,rispettati e di conseguenza desiderati. Aggiungi anche l'aspetto fisico che coincide perfettamente con i canoni di bellazza imposti dalla società e il gioco è fatto. Perciò i meriti delle tue conquiste non vanno accreditate a due frasette lanciate al momento giusto, ma alle tue caratteritiche fisiche e al tuo status sociale. Tu e i tuoi amici siete ovviamnete consci di essere attraenti e popolari, e sfruttate questa qualità a vostro vantaggio. E come dicevo prima, con questa tecnica potete attirare una certa tipologia di ragazze: una che non sia attirata dalle vostre capacità intellettive indubbiamente scarse, ma dal semplice appagamento sensoriale e sussuale. Come dite voi, la famosa uscita da una botta e via. Non che sia un male, ma a differenza di altri maschi il vostro status sociale vi porta ad avere un egocentrismo di enormi dimensioni che vi impone un certo impegno. Una sola ragazza non basterebbe a soddisfarlo.- cocluse il moro con totale nonchalance, riprendedo a scorrere i titoli dei libri sugli scaffali, come se avesse parlato delle previsioni del tempo.

Ad Arthur ci volle quasi un minuto per assimilare tutto quello che Merlin gli aveva detto. Indeciso alla fine se offendersi o prendere il tutto come un complimento. *Stai dicendo che le ragazze vengono a letto con me solo per il mio aspetto fisico e non perchè sono interessante?*
-é quello che ho detto, se poi trovano qualcosa di interessante questo non so dirtelo.-
*Questa fa male Emrys.*
-Tu fai la stessa cosa con le ragazze. Non vedo quale sia il problema.-
*Sì...ma così...insomma...mi fai sembrare più triste e patetico di Frank denti di castoro. E poi da dove ti escono tutte queste perle di saggezza? Mi parli di rapporti e sei la persona più anti sociale che io conosca.*
-è semplice Antropologia.-
*Antro...che? Anzi no. Non lo voglio sapere.*

Davvero la gente lo vedeva così? Come uno stronzo egocentrico che usa le belle ragazze per divertirsi e svuotarsi? il fatto che non avesse mai avuto una ragazza fissa era inopugnabile. Ma la reale motivazione era decisamente fuori dalla portata tutti. E tale doveva rimanere. Avere una ragazza fissa nelle sue condizioni, signifacava mettere a rischio tutta la sua vita. Il sapere in quella scuola aveva sempre portato al pettegolezzo e quest'ultimo alla rovina. Non lo avrebbe permesso. Anche a costo di sacrificare possibili relazioni, avrebbe continuato sulla sua strada solitaria, fatta di sesso fine a sè stesso e uscite di scena in piena notte. Quale ragazza sana di mente lo avrebbe voluto conoscendo la sua reale situazione? La sua vita sociale era una finta facciata ben orchestrata mentre il dietro le quinte era un palcoscenico marcio e macabro nel quale il padre gestiva e comandava i suoi figli come dei burattini con la paura e la violenza. Lui e sua sorella erano sopravissuti fino a quel momento solo perchè erano gli unici eredi della famiglia, lo sapeva bene. Suo padre non aveva mai smesso di farglielo presente da che ne aveva memoria. 

-Non capisco, sei praticamente in cima alla piramide sociale. Perchè dovresti sentirti patetico?-
*Perchè...*rispose Arthur *mi hai dato dello stronzo che tratta le ragazze come oggetti. A me le ragazze piacciono, ok.*
-Non lo metto in dubbio, ma non ho detto che le usi. È logico che il tipo di ragazze che ti porti a letto vuole la stessa identica cosa che vuoi tu. Quindi siete pari.-
*Si ma, insomma...sei stato così freddo. Sembrava di ascoltare uno di quei documentari sull'accoppiamento che danno su National Geografic.*
-Quindi mi stai dicendo che mi sono sbagliato perchè ho tralasciato la componente romantica?- il lupo ci riflettè un momento, per poi rendersi conto di non avere scappatoie. Melrin aveva ragione su tutta la fottuta linea. *No.* rispose alla fine Arthur sconsolato -Tu sei proprio strano.- concluse il moro guardandolo dall'alto in basso, non sapendo come intrepretare la sua reazione priva di logica.

*Però mi hai anche detto nel tuo modo contorto che sono bello.* riprese Arthur subito dopo. Evidentemente guarito dal suo status di orgoglio maschile ferito -Non ho detto questo.-
*Sì invece. Hai detto che sono un fico da paura.*
-Smettila! Non era quello il punto del discorso.-
*Però lo hai detto.* insistette il lupo. -Pensala come vuoi.- Ribattè il moro esasperato. Possibile che di tutto quel discorso, Arthur avesse assimilato solo quello?  *Quindi ora, a rigor di logica, tocca a te compensare tutte quelle ragazze. Forse dovresti iniziare a riempirmi giornalmente di complimenti.* continuò Arthur trattenedo a stento una risata -Sei proprio scemo.- concluse alla fine il moro, ansioso di concludere quella conversazione il più velocemente possibile, così da non dargli altri motivi per vantarsi. E mentre il Pendragon se la rideva ancora sotto i baffi, Merlin colse l'occasione per sparire dietro la colonna dei gialli di Agatha Cristie, prendere i libri interessati e andare via. 

***

Di nuovo in strada iniziarono a dirigersi verso casa, camminando l'uno affianco all'altro. *Ma se quel William come si chiama lo abbiamo già studiato perchè hai preso i suoi libri da leggere?* chiese Arthur sinceramente curioso -Perchè penso che affrontare un autore, studiando solo una sua opera sia riduttivo.- *Quindi non lo fai per le ragazze.* ribattè l'altro che sperava fosse un suo modo per approcciarsi al gentil sesso. -Certo che no.- rispose il moro con una nota un po' troppo alta nella voce, perchè preso alla sprovvista *Sei proprio un secchione. Per un momento ci ho sperato. Ma quindi con le ragazze?* 
-Le ragazze?- 
*Mi hai parlato di metodi alternativi per conquistarle fino a poco fa. Il tuo qual'è?*
-Io...non ho un metodo.- rispose schietto Merlin, iniziando a capire dove quel discorso sarebbe andato a parare. *Ma dai su, guarda che me lo puoi dire. Siamo tra maschi, non lo dirò a nessuno se proprio ci tieni.*
-Dico sul serio. Non ho un metodo.- riconfermò Merlin che iniziava a sentirsi a disagio. *E Gwen allora?* 
-Gwen cosa?- 
*Non state insieme?* 
-Cosa? No! siamo solo...amici.- Ora decisamente non gli piaceva la piega che stava prendendo quel discorso. *Davvero?*chiese Arthur sorpreso. -Sì!- ribatté l'altro leggermente seccato*ok, ok...scusa. E che sai, state sempre insieme e credevo che stesse insieme.* 
-Ma che vul dire? il fatto che passiamo del tempo insieme non vuol dire per forza che abbiamo una relazione. Ci hai mai visto amoreggiare?- 
*Che ne so io, magari sei uno di quei tipi timidi a cui non piace fare le cose in bubblico.*

A quel punto Merlin si fermò di botto sul marciapiede, non potendo più permettere a quella conversazione di andare avanti. Il Pendragon aveva intrapreso una conversazione che dondolava sul filo di un rasoio. -Arthur.- 
*Dico sul serio. Per me dovresti solo scioglierti un po'. Alle ragazze piacciono quelli timidi. Te lo dico io. Non sentirti in imbarazzo.* continuò il lupo del tutto incosciente dello stato d'animo dell'altro -Arthur.- 
*Forse posso darti una mano. Non dovrebbe essere difficile attirarne qualcuna con il mio nuovo aspetto. Loro adorano coccolare gli animali. Potresti sfruttare questa tecnica per attaccare bottone...* -Arthur!- 
*Che c'è?* 
-Stai oltrepassando il limite.- 
*Oh...io...non volevo. Non mi sono reso conto...* disse il lupo resosi conto solo in quel momento di aver esagerato e sentendosi un idiota per non essersi fermato prima. -Lo so...é tutto ok.- lo perdonò Merlin.

I due ripresero a camminare e un silenzio imbarazzato calò su di loro. Dentro di sè, Arthur sperò di non aver fatto troppi danni nello sforare il patto stabilito. Azione, che da parte sua fu del tutto involontaria e priva di ogni significato negativo o bellicoso. Avrebbe adirittura preferito cambiare discorso ma a quel punto non era certo che Merlin volesse ancora chiaccherare con lui, così optò per un silezio che bruciava la pelle e l'ossigeno fra loro.

Merlin invece con sua incredibile sorpresa non si trovò arrabbiato come si era aspettato dall'ultima volta che Arthur aveva invaso la sua privacy. A disagio sì, dato il tema per lui così ostico, ma nulla più. Senza riuscire tra l'altro a darsi una reale spiegazione. Arthur aveva volutamente o no, messo un piede fuori dalla linea prestabilita, eppure in quel momento l'unica cosa a cui riusciva a pensare, era quanto quel silenzio improvviso lo infastidisse. Forse, anche più della conversazione appena conclusa.

-Davvero mi daresti una mano con le ragazze?- chiese incerto alla fine. 
Sapeva di non essere obbligato a riprendere in mano lo stesso discorso. Eppure qualcosa dentro di lui gli diceva che se non lo avesse fatto, un argomento diverso non sarebbe stata la stessa cosa. Che sarebbe sembrata solo una imbarazzante toppa rammendata da schifo, su uno strappo, forse non così brutto e insopportabile. 

*Cosa...? Sì.* Rispose Arthur inciampando tra la sorpresa e la confusione per quel ritorno inaspettato. -Ti ringrazio ma...non funzionerebbe.- continuò Merlin pesando con cautela le sue parole; nel tentativo di capire lui stesso quando sentisse di potersi sbottonare con Arthur. *Oh...hem...e perchè?* chiese di rimando il Pendragon, anche lui intento a soppesare le proprie domande. Accogliendo di buon grado lo sforzo che il moro gli stava dimostrando, con evidente fatica. -Beh...perchè non mi interessano.-
*In che senso?*
-Nel senso che ho altri...gusti.-
*Ohhh...ho capito! Sei gay. Aspetta! Se è questo che non mi volevi dire...guarda che non è un problema. Dico davvero.*
-Lo so che non è un problema. Penso solo che...siano affari miei. Tutto qui.-

*Qualcun'altro lo sa?*
-No, nessuno.-
*Nemmeno Gwen? O tua madre?* -Meno Gwen sa, meglio è. Fidati. Per quanto riguarda mia madre...onestamente non lo so. Non ne abbiamo mai parlato.-
*Come fai a non averne mai parlato con tua madre, se non è un problema? Cazzo è tua mamma.*
-Non la trovo una cosa così importare di cui discutere.-
*Come fa a non essere importante? è tua mamma e questa cosa ti riguarda. Se fossi tua madre vorrei saperlo.*
-E perchè?-
*Per fare tutte quelle cose che suppongo le mamme facciano. Tipo sostenere i figli o raba del genere. Io che ne so. Sei tu quello con la mamma viv...insomma. Conoscendo tua madre...probabilmente lo sa già.* Per un secondo si sentì morire, al pensiero di aver quasi concluso quella frase. E pregò che Merlin non se ne fosse reso conto. 

La morte di sua madre non era un segreto, ma un tabù severamente punito se nè veniva infranto il silenzio. Suo padre aveva stabilito così anni additro. Nessuna parola. Nessun conforto. Solo il vuoto e triste silenzio di qualcosa che nemmeno si conosce, e così facendo sua madre negli era diventata il fantasma di quella casa maledetta. Una presenza costante, e al tempo stesso terribilmente sconosciuta. Invisibile, impressa a fuoco nell'anima di una casa che sapeva ancora dannatamente di lei. 

-Cosa te lo fa pensare?- 
*Prima di tutto è una mamma. Secondo, è tua mamma.* 
-Lo so che è mia mamma. Che cavolo vuol dire?- 
*Vuol dire, che lo sa.* 
-Se lo sa, perchè allora non mi ha detto nulla?- 
*Forse aspetta che sia tu il primo a farlo.*
-Perchè? Non ha senso.- *
Solo per te non ha senso. È ovvio che vorrebbe che fossi sincero con lei e non vuole pressarti. Per questo aspetta che sia tu a dirglielo.* 
-Che stupidaggine.- 
*Se ne sei così sicuro, perchè non glielo chiedi sta sera quando torna dal lavoro?*
-Cosa? NO!- *HA! Ci avrei scomesso. Non sei così diverso da ogni altro adolescente allora!*
-Cosa vorresti dire con questo?-

Non era sicuro di volerglielo spiegare. Probabilmente non avrebbe capito lo stesso, ma andava bene così. Forse l'importante era che lo avesse capito lui e per una volta in vita sua si rese conto che forse, non avrebbe dovuto fingere del tutto. Forse c'era davvero una speranza per loro.

 

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Capitolo 12
*** No Remorse ***


Le tre settimane successive scorsero velocemente sotto gli occhi di Merlin e Arthur, che avevano ormai trovato un loro equilibrio, una routine, che ormai si poteva definire stabile. Portando alla conclusione il primo mese di convivenza.
Tre volte a settimana Merlin accompagnava il lupo a correre e ogni volta, la sua coordinazione e la sua resistenza si facevano sempre più forti, portandolo ogni volta più lontano. Macinando sempre più Km. Proprio come Merlin aveva previsto.

Condividere i pasti e le giornate non era più un peso, ora che Arthur era passato dal vivere la sua condizione non come una prigionia forzata, ma come un'esperienza da vivere. Ormai cosciente di non essere mai stato più libero e forte in quel corpo quadrupede e dai sensi iper sviluppati, rispetto a quando era un ragazzo ricco che aveva tutto e al tempo stesso niente.

Una serenità sconosciuta aveva addirittura iniziato a pervadergli le membra.
Sensazione, che iniziò a credere, Arthur, fosse dovuta alla presenza di Hunit. 
Non vedeva spesso la donna a causa dei molti e lunghi turni di lavoro ma quelle volte che si incrociavano era sempre bello passare del tempo con lei. 
Dormendo sul divano del salotto, spesso la sentiva andare via la mattina presto e rientrare la sera tardi. E ogni volta la donna prima di andare via gli concedeva sempre una calda e amorevole carezza sulla testa. 
A volte dopo il lavoro, la sera tardi, si sedeva qualche minuto con lui sul divano. Concedendosi un momento di silenzio per riordinare i pensieri, accarezzando con una mano il pelo morbido del lupo, che puntualmente appoggiava il muso sulle sue gambe. 
Quella era la mano di una madre. 
Quella era la carezza di una madre. 
Gesto che in diciassette anni, non aveva mai conosciuto. 

Non avendo mai avuto una mamma non sapeva esattamente come dovesse essere. Sua sorella si era presa cura di lui, ma non era la stessa cosa. 
Mentre dalle balie e babysitter che lo avevano cresciuto, non aveva mai realmente percepito un sentimento materno da parte loro. Dopotutto venivano pagate da Uther per occuparsi di lui. 
I gesti sinceri e spontanei di Hunit invece, lo portarono a pensare che le donne dovessero prendere esempio da lei per essere delle mamme perfette. Non era ricca e non aveva una grande casa, eppure quelle piccole e basse mura erano piene di qualcosa di più grande e prezioso che casa sua non aveva mai posseduto. 
Hunit era una donna forte e determinata che lottava per la felicità e l'indipendenza sua e di suo figlio. E nonostante non riuscisse ad essere sempre presente, era impossibile non percepire la sua presenza amorevole e solare. La casa era piena del suo profumo. Del suo tocco gentile rivolto a Merlin e ora anche a lui visto che per la donna, anche Arthur faceva parte della famiglia. 

A volte ne era felice, altre volte invece una tristezza lo coglieva di sorpresa durante la notte, tenendolo sveglio per ore. Cosciente di non far veramente parte di quel nucleo e che di lì a poche settimane avrebbe dovuto lasciarlo per tornare umano. 
Per tornare alla sua vita reale. 
Alla sua vera casa. 
Alla sua vera, malata e disfunzionale famiglia.

Nonostante ciò, conoscere Hunit, gli aveva permesso di conoscere più a fondo Merlin.
Ora capiva da dove proveniva la sua ostinata caparbietà. 
Su questo lui e la madre erano uguali, per tutto il resto invece erano due mondi completamente diversi.
La donna possedeva una solarità e una giovialità che il moro non aveva. 
Merlin era molto più ombroso e riservato. Privo di ogni atteggiamento affettuoso, ma nonostante ciò non avrebbe mai detto fosse una persona arida come suo padre. 

Non sapeva perché Merlin fosse così, ma in quelle settimane aveva capito che come per lui non c'era mai stata una madre, per Merlin non c'era mai stato un padre. 
Non sapeva se fosse vivo o morto, l'argomento fino a quel momento non era mai saltato fuori. E conoscendo Merlin così sarebbe rimasto. 
Regola numero uno: non si parla della propria vita privata. 

Solo una volta la regola era stata infranta, quando Arthur aveva finito involontariamente per parlare dei gusti sessuali di Merlin, ma a parte quel piccolo inframezzo risolto con molto imbarazzo, non era più stato toccato nessun argomento critico o delicato. 
Una parte di lui lo rispettava. 
Come poteva non farlo? Lui che custodiva uno dei segreti più oscuri di Camelot. 
Ma l'altra parte di sé scalciava e bruciava per la volontà di sapere la verità. Sapere perché Merlin fosse quello che era. Se era così dalla nascita o se gli fosse capitato qualcosa durante il suo percorso di vita. 

Nessuno nasce con quegli occhi.

Oltre a questo con grande sorpresa di entrambi, durante la seconda settimana, si era aggiunta una seconda attività da condividere piacevolmente insieme: girando un pomeriggio, fra gli scaffali impolverati della libreria di Camelot, Arthur aveva scoperto un reparto ben fornito dedicato alla letteratura horror. Fra i quali torreggiava Stephen King e Lovecraft.
Questo gli fece aprire un succulento dibattito con Merlin. In primis perché Arthur, da folle amante dell'horror quale era, scoprì di poter combinare l'intensa attrazione che il moro aveva per i libri, con il suo vorace interesse per un genere così sottovalutato. Facendo così conoscere a Merlin un nuovo, raccapricciante e insensato mondo della letteratura; fino ad ora a lui sconosciuto. Da sempre improntato sulla saggistica e la scienza.

Questa unione fece scoprire ad Arthur l'accattivante e coinvolgente dizione di Merlin. Che rese la lettura per il Pendragon ancora più intrigante, grazie al tono profondo e trascinante che assumeva la sua voce durante la lettura. Ma soprattutto divertente, visto che il ragazzo puntualmente ad ogni fine capitolo, commentava concitato quanto quella lettura fosse senza senso e priva di logica e ogni volta Arthur gli rispondeva divertito che così doveva essere. A quel punto, il moro per tentare di dare un senso a quello che leggeva iniziava ad estrapolare concetti sociali e psicologici, innescando conversazioni stimolanti che a volte duravano per ore, sotto il portico di casa Emrys. Ovviamente non sempre il lupo riusciva a star dietro alle sue elucubrazioni mentali ma era bello vederlo così coinvolto e pieno di entusiasmo (per quanto Merlin potesse dimostrarlo) verso qualcosa che a lui piaceva. 
Per la prima volta stavano condividendo veramente qualcosa. 

In breve tempo il loro entusiasmo si estese anche al cinema e Arthur si impose di fare un bel corso accelerato a Merlin sulla cultura cinematografica horror. 
Il riscontro fu più o meno lo stesso e sempre spassoso visto che il moro non riusciva a capacitarsi di quanto fossero scemi i protagonisti che puntualmente venivano rapiti, posseduti da inquietanti entità, torturati, sbudellati, decapitati e molto altro ancora.

***

*Dovremmo andare al lago* propose Arthur, un pomeriggio di Luglio particolarmente afoso. -Al lago?- chiese Merlin sorpreso di quella richiesta diversa dal solito, mentre si versava l'ennesimo bicchiere d'acqua mai abbastanza ghiacciato per combattere il caldo ostinato che aveva preso piede nella valle. *Sì.* confermò il lupo, sdraiato sul pavimento fresco intento a sopportare la soffocante calura estiva. *Sarebbe divertente. E poi sarebbe anche un modo intelligente per liberarci da tutto questo caldo insopportabile. Mi sta uccidendo.*

Merlin non rispose subito come Arthur si era prefissato. Al contrario lo vide seduto sul divano, buttare giù un lungo sorso d'acqua analizzando pensieroso la sua nuova richiesta. Nonostante ciò, era certo che il moro non potesse dirgli di no. 
La sua fronte imperlata di sudore e la maglietta fastidiosamente appiccicata alla pelle diafana per il troppo caldo parlavano chiaro. 
Anche lui non né poteva più di quel caldo persistente e soffocante. -Mi hai convinto.- rispose alla fine il moro concorde ma senza l'entusiasmo che il lupo si era aspettato. *È tutto ok?* 
-Sì, perchè?- 
*È solo che...non mi sembri molto entusiasto di andare al lago.*  
-No...Lo sono...é solo colpa del caldo.- rispose Merlin, cercando di mascherare il proprio disagio. -Quando vorresti andare?-
*Anche domani. E restare a mollo per i prossimi due giorni.* ribattè il lupo ignorando volutamente la bugia dell'altro. -Domani sia allora. Ci toccherà prendere l'autobus visto che mia madre ha la macchina.- 
*A questo punto mi andrebbe bene qualunque cosa per raggiungere il lago.* 

A quella risposta un leggero e raro sorriso increspò la bocca di Merlin. *Tu che non sorridi mai...cos'è quella cosa che hai sulla faccia?* chiese subito Arthur, cogliendolo inflagrante sul fatto. -Quale cosa? È la mia faccia.- ribattè repentino Merlin sulla difensiva, consapevole di essere stato beccato *No, no. Ti ho visto! Hai sorriso, non negarlo.* insisistette indicando la sua bocca con la zampa -Non so di che parli. Il caldo ti avrà dato alla testa.- 
*Certo il caldo. Guarda che non mi freghi. Vuota il sacco.* 
-Ti dico che non era nulla.- 
*Merlin Emrys giuro che adesso mi alzo, vado in camera tua e mi sdraio sul tuo letto se non parli.* 
-Non lo faresti mai.- 
*Scommettiamo?* e detto ciò il lupo finse di alzarsi e dirigersi in camera del moro. 

Non sarebbe mai entrato per davvero. Non senza il suo permesso e Merlin lo sapeva.
Eppure una parte di lui decise di stare al gioco. Non l'avrebbe mai ammesso davanti ad Arthur, ma gli piaceva essere stuzzicato da lui. 
Come i loro bruschi incontri a scuola, anche quei brevi amichevoli battibecchi fra di loro, riuscivano a procurargli quel lieve brivido lungo la spina dorsale. 
Non avevano la stessa potenza travolgente capace di annullare tutto il resto, ma era abbastanza per tenerlo calmo e centrato. 

Mai come in quegli ultimi giorni, fu felice di ricredersi riguardo alla convivenza con Arthur e i conseguenti pensieri catastrofici.
Si era aspettato litigi di ogni tipo e un susseguirsi di crisi, una dietro l'altra; invece alla fine, con suo grande sollievo, erano riusciti a trovare un equilibrio. 
E se all'inizio aveva vissuto l'incanto di Morgana come una maledizione, ora si era trasformata in una benedizione. 
Aveva vissuto l'inizio della vacanze con grande preoccupazione, al pensiero di dover passare tre mesi da solo temendo l'agguato delle sue crisi dietro ogni angolo. Mentre ora, quegli angoli bui e terrificanti non facevano più paura, illuminati dalla costante presenza di Arthur. Era un sole vivente dagli occhi blu e i capelli dorati, capace con il suo calore, di bruciare tutti i suoi demoni nascosti nell'ombra.

Si insinuò in lui il desiderio che quell'estate non giungesse mai al termine, per avere Arthur sempre al suo fianco. 
Il suo Cerbero personale dalla pelliccia nera, uscito dalla più oscura delle notti senza stelle, pronto a ingoiare e spaventare i suoi incubi peggiori. 
Era il custode delle porte della sua mente. 
Il guardiano del suo inferno personale.

Era l'unica persona che riuscisse a tenerlo vivo e ancorato alla realtà. Come una calamita, riusciva a tirarlo fuori dalla sua zona sicura, facendolo camminare nel mondo come se fosse una persona normale. Dandogli la parvenza di non essere marcio dentro, almeno per un po', prima di tornare a rendersi conto della realtà delle cose. 
Di rendersi conto che quello non era altro che un bel sogno e che avrebbe dovuto abbeverarsene finchè fosse durato, perchè alla fine sarebbe giunto al termine. 
Si sarebbe svegliato, il suo sole si sarebbe spento e i demoni sarebbero usciti dalla loro prigione ingoiandolo una volta per tutte.

Lo voleva per sè, nel modo più egoistico e spasmodico possibile. 
Nacque in lui il pensiero di non iutarlo a tornare umano, così da averlo accanto a sé per sempre. Aveva più paura delle crisi che di Arthur e avrebbe sopportato volentieri il sua rabbia e la sua frustrazione pur di averlo accanto. 
Cosa avrebbe fatto senza di lui? Come sarebbe sopravissuto una volta che Arthur fosse tornato umano? 
Non c'è l'avrebbe fatta. Ecco cosa sarebbe successo. 

Si convinse che non sarebbe mai rimasto al suo fianco, dopo la rottura dell'incanto.
Nessuno lo obbligava a farlo e dopo tutto, perchè mai avrebbe dovuto? 
Dopo tre mesi insieme, sicuramente ne avrebbe avuto abbastanza di averlo intorno, preferendo tornare alla sua vita di prima, senza di lui. 
Magari lasciandolo addiritura stare, il che sarebbe stato anche peggio. 
Ma vista la complessità dell'incanto non era nemmeno detto che sarebbe riuscito a risolverlo. Se ci pensava, non era davvero sicuro di riuscirci, e più ci rimuginava sopra, più quelle parole non facevano che crescere e prendere spazio nella sua mente, creando una valida giustificazione a sè stesso per il suo infame comportamento. Si ripeteva che nessuno avrebbe potuto biasimarlo se avessero saputo quanto soffriva e chiunque al suo posto avrebbe fatto la stessa cosa. 
Il suo era puro istinto di sopravvivenza.

-Non era nulla. Una cosa stupida.- 
*A me piacciono le cose stupide, ricordi?* disse il lupo in piedi davanti all'entrata della sua camera da letto. *In più dovrei perdermi Merlin Emrys che dice una cosa stupida? Sarei un matto a non farlo.*

Merlin non potè evitare di guardarlo negli occhi, così simili a quelli dell'Arthur umano.
Non gli fu diffice immaginare la sua espressione facciale. Gli occhi azzurri e profondi come il mare, pronti a ricambiare il suo sguardo. A risucchiarlo dentro di sè. Il suo maledetto sorriso sghembo stampato sulla bocca. 
Lo stava sfidando e gli piaceva. 
Ne voleva ancora. 
Voleva vivere per sempre con il ricordo del suo corpo e delle sue mani su di lui, mentre lo distruggeva. Sospeso sul picco della montagna in bilico fra l'estasi del paradiso e il baratro dell'inferno.

Sì. Il suo era proprio istinto di sopravvivenza...l'istinto di un drogato. 
E Arthur era la sua droga incarnata. Il suo limbo personale servito su un piatto d'argento. 
Una dose infinita sempre pronta all'uso, ogni volta ne avesse avuto bisogno. Gli sarebbe bastato restargli vicino, respirare il suo stesso ossigeno, parlare con lui per avere la sua voce calda e profonda nella orecchie e nella testa, per essere "fatto".

Una volta che diventi un drogato, non importa se riesci ad uscirne. Lo sei per il resto della tua vita.

-È solo che quando hai detto "qualunque cosa" ti ho immaginato sul carretto del fruttivendolo, incastrato tra la frutta e la verdura implorando di raggiungere la spiaggia il prima possibile.- Arthur rimase per un secondo scioccato a fissare il volto sudato di Merlin -Ti avevo detto che era una cosa stupida.- disse il ragazzo non sapendo come intrepretare la reazione muta di Arthur, e prima che potesse dire altro il lupo scoppiò in una spontanea e fragorosa risata, che mandò Merlin in confusione. -Davvero ti fa ridere?- 
*Sei serio?* rispose il lupo tra una risata e l'altra *Hai appena detto la tua prima battuta! Allora qualcosa hai imparato dalle nostre conversazioni. Questo giorno entrerà nella storia!*concluse a stento rischiando di morire soffocato dalle risate.

Avrebbe dovuto sentirsi un mostro nell'usarlo in quel modo. Dopo tutto Arthur si era rivelato essere una persona totalmente diversa, da quello che si era delineato. Non era l'arrogante principino che aveva conosciuto fra le mura scolastiche. Era più acuto e intelligente di quanto facesse credere. Interessante e capace di mostrargli lati della vita che Gwen, non era mai stata capace di catturare. Era riuscito ad acettare il suo modo di vivere e comprendere il mondo con una rilassata ironia totalmente sua. 
Aveva perfino smesso di odiarlo, portando la loro interazione ad un altro livello; anche se non sapeva quale. Non erano più nemici, ma nennemo amici. Erano finiti in una zona nebulosa fra gli strati dell'esistenza. Erano per motivi diversi, un agglomerato di desideri inespressi e frustrazione repressa.

Positivo o negativo. Complicato o semplice. In ogni caso, preferiva decisamente quello stato totalmente sconosciuto rispetto ad una possibile amicizia. Non era mai stato bravo in quello. I drogati non hanno amici, non sono capaci di tenerseli stretti e non provano rimorso. Al contrario farebbero qualsiasi cosa pur di avere ancora una singola piccola dose di perdizione. 
Niente è più forte del desiderio. 
Nessun limite è mai troppo alto per essere scavalcato. E il degrado personale mai troppo basso per essere ripudiato. Mentire, approfittare, rubare...Cos'erano quelli se non miseri ostacoli lungo la strada per raggiungere l'agognato bottino?

Mi cost'asse il tuo odio, non ti permeterò di lasciarmi...

 

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Capitolo 13
*** Snowball ***


Il Lago di Avalon distava circa un'ora di bus da Camelot e Arthur non era mai stato così eccitato nel fare qualcosa.
Il tempo passato fra le mura di casa Emrys sembrava raddoppiato, triplicato in confronto alla realtà.
L'incanto di Morgana non sembrava più aver trasformato lui, ma il tempo e lo spazio intorno a loro, dando così origine ad una sorta di pellicola trasparente capace di separarli dal resto del mondo.

La sensazione era quella di essere catapultati dentro una palla di vetro con la neve.
Belle.
Perfette.
Un vero e proprio sogno cristallizzato.
E Arthur viveva quel sogno, nel quale di tanto in tanto la palla veniva sbattuta, smuovendo e facendo danzare la neve in piccoli mulinelli.
Leggere scosse che lo risvegliavano dal sogno, ricordandogli chi fosse veramente, cosa doveva fare e che al di fuori di quel vetro, il mondo c'era.
Lo attendeva.
Ma queste duravano poco. Il sogno lo rapiva di nuovo e lui si lasciava prendere senza troppe cerimonie.

Abbiamo tempo...

Questo si ripeteva nella mente, sperando così di ritardare il ritorno al mondo, ancora per un po'. Allora tutto ritornava fermo e immobile.
Ritornavano ad essere lui e Merlin, distaccati dal resto del mondo.
Fuori dal tempo e dallo spazio.
Pieni della loro routine, delle conversazioni costanti ma mai noiose e di quel appagamento senza nome che ormai stava diventando sempre più conscio, palpabile e visibile ad occhio nudo.

Palla di neve a parte, un unica cosa gli mancava: il contatto con altre persone che non fossero solo ed esclusivamente Merlin Emrys.
Gli piaceva passare del tempo con lui, ma dopo un mese o poco più di convivenza forzata, iniziava fisicamente a sentire il peso e la mancaza di interazioni con i suoi amici, la sua squadra.
Gli mancavano gli allenamenti sotto il sole cocente. Le feste con musica e alcol che iniziavano e non finivano mai finchè non sorgeva il sole del giorno dopo. Flirtare con le ragazze.
Gli mancava la sua vita sociale e per quanto vedesse l'impegno che Merlin ci metteva, a suo modo, per non fargli mancare nulla, nemmeno lui riusciva a sopperire a tutta quella mancanza così numerosa e festaiola.

Non gliene faceva una colpa, ovviamente. "Numeroso" e "festaiolo" non erano due termini che rientravano nel vocabolario del moro e chidergli di esserlo sarebbe stato un insulto.
Ma non lo avrebbe fatto in ogni caso.
Merlin andava bene così come'era, nella sua stramba e complessa unicità e stava bene dove dove stava, colmando parti di lui che invece il suo nutrito gruppo di amici non era mai stato in grado di fare. E che nemmeno lui sapeva di avere fino a quel momento.

Per questo motivo era così eccitato di andare al lago.
Una parte di lui sperava di trovare lì la sua vecchia compagnia a divertirsi.
Era perfettamente conscio del fatto che non avrebbe potuto in alcun modo interagire con loro; ma sperava almeno in quel modo, di colmare la loro mancanza.
Anche solo osservandoli da lontano, sentendo le loro voci familiari e ascoltando i loro discorsi.

*Ma quanto ci mette il pullman ad arrivare? Con la mia macchina saremmo già arrivati da un pezzo.* chiese Arthur sfinito dal caldo dell'asfalto e dal sole che picchiava sulle loro teste, mentre aspettavano alla fermata degli autobus. *Hai mai preso un pullman?*
-Che domande. Vengo da una famiglia ricca. Ovvio che non nè ho mai preso uno.*
-Allora devi sapere che gli autisti non sono mai in orario.-
*Che strazio! E che fai di solito allora?*
-Nulla. Mi ascolto la musica e aspetto.-

*Provare a farglielo notare no?* gli chiese il Pendragon indignato dalla totale mancanza di rispetto dell'orario da parte dell'autista. A casa Pendragon una cosa del genere non se la sarebbe sognata nessuno.
-Una volta un tizio lo ha fatto, ma l'autista lo ha minacciato di lasciarlo alla fermata ogni volta che lo avesse visto. Così ho pensato non fosse il caso di insistere a mia volta.-
*Se vosse stato un Pendragon a dirglielo col cavolo che avrebbe risposto così. Te lo dico io.* Rispose indignato e allo stesso tempo compiaciuto del suo status familiare. -Non saprei.- disse poco convinto Merlin *E perchè?*
-I Pendragon non prendono gli autobus.- Ad Arthur ci volle qualche secondo per capire che il moro aveva appena fatto la sua seconda battuta in due giorni, prima di scoppiare a ridere. -Cazzo Emrys! Due battute in due giorni. Quasi non ti riconosco!*
-Devo ammettere che frequentarti ha migliorato le mie tecniche di conversione.-
*Quindi stai dicendo che ti ho insegnato qualcosa?* chiese Arthur sorridendo sotto i baffi, ma ovviamente era troppo chiedere che il moro gli desse anche la soddisfazione di una assenso come risposta. -Ora non esagerare.-

Il pullman arrivò con quindici minuti buoni di ritardo e l'autista dopo aver guardato storto Merlin con una sacca da spiaggia in mano e accanto un lupo senza guinzaglio dalla dubbia docilità li fece salire con un:
-Guai a te se la tua bestiaccia piscia sulla mia Cindy. Hai capito?-

*Ma che simpatico.* disse Arthur a Merlin con evidente sarcasmo nella voce, mentre si dirigevano all'utima fila di sedili. *Chi cavolo è Cindy?*
-Il suo Autobus.-
*Sul serio?* chiese esterrefatto il Pendragon. *Ha chiamato il suo autobus Cindy?*
-Io l'ho sempre detto che la gente è strana.-
*Proprio tu parli?*
-Io non do nomi femminili agli oggetti.-
*E menomale. Ci mancava solo questo.*
-Ma se tu chiami sempre la tua macchina Baby.- rispose perplesso il moro, ripensando a tutte le volte che Arthur aveva nominato la sua macchina preoccupato, non sapendo dove sua sorella l'avesse nascosta. *Mi stai paragonando a quel ciccione pelato? Si dà il caso che la mia macchina sia una Lamborghini Aventador da settecentosettanta cavalli. È una Signora Macchina. Mentre questo è un ferro vecchio di nome Cindy. Non potrà mai competere con la mia Baby.*
-Sai...inizio a pensare che potreste andare daccordo.- disse sinceramente confuso e allo stesso tempo divertito dal loro bisogno di dare un nome femminile ad un mezzo di trasporto. *Non sei divertente!* Il moro non rispose a quella battuta. Semplicemente si girò a gardare fuori dal finestrino mentre un leggero sorriso increspava le sue labbra sottili.

Arrivati alla spiaggia, si sitemarono sotto l'ombra di un albero. Arthur aiutò Merlin come potè a sistemare i due teli sull'erba, e una volta finito il lupo si lanciò come un razzo nell'acqua fresca del lago. Ci sguazzò felice dentro finchè non si rese conto che Merlin, non lo aveva seguito come aveva sperato.
Lo vide invece seduto composto sul suo telo, al riparo dal sole cocente, mentre tirava fuori un libro dalla sacca.

Veloce uscì dall'acqua e dopo essersi scrollato la pelliccia gli si avvicinò. *Che cosa fai?*
-Leggo. A te che cosa sembra?-
*Lo vedo. Quello che non capisco è perchè se siamo qui al lago, tu sei qui sotto un albero a leggere, invece di buttarti con me in quell'acqua fantastica laggiù.*
-E solo che...ora non mi va. Mi butterò più tardi, ora sto bene così.- rispose Merlin con evidente difficoltà. *Ma se ci saranno almeno quaranta gradi oggi. E tu sei sudato fradicio.*
-Sì...beh...te l'ho detto. Ora non mi va. Preferisco stare qui all'ombra a leggere un po'.- rispose il moro cercando di sembrare il più naturale possibile, nonostante il caldo insopportabile e l'insistenza di Arthur lo stessero decisamente mettendo alla prova.

Il Pendragon a quel punto non insistette oltre, capendo di essere sulla soglia di una ennesima porta che non doveva essere aperta. Anche se lui avrebbe volentieri preferito scardinarla a suon di pugni. *Te lo giuro Merlin, prima o poi capirò come funziona il tuo maledetto cervello.*
-Buona fortuna allora. Ti toccherà metterti in fila.- Rispose Merlin tirando un sospiro di sollievo nel vedere il biondo mollare l'osso.
*Fa come ti pare zuccone. Io vado a farmi un bagno.*
E detto ciò si voltò per buttarsi un altra volta in acqua, portandosi dietro quella costante curiosità, che ormai lo avvolgeva come una coperta, nei confronti di Merlin.

Arthur rimase un'ora buona a galleggiare in acqua e a rimuginare sul perchè Merlin non avesse voluto unirsi a lui.
Conoscendolo, aveva iniziato a pensare alle cose più astruse, passando poi al semplice:
Forse vuole solo stare un po' da solo per i fatti suoi senza avermi in torno.

In ogni caso, qualunque fosse la reale motivazione, non avrebbe mai potuto saperla senza che il diretto interessato gliela dicesse. Così alla fine, contro voglia si mise l'anima in pace e uscì dall'acqua per fare una passeggiata lungo il bagnascuga.

Camminò per una ventina di mentri finchè alle sue orecchie non giunsero delle voci familiari. Veloce, diresse lo sguardo verso la musica alta e il vociare divertito, e subito vide alcuni ragazzi della sua cerchia di amici.
Riconobbe quattro ragazzi della sua squadra con in mano una birra e tre cheerleader intente a prendere il sole, di cui con una era stato a letto mesi addietro.
Lentamente si avvicinò alla loro postazione, posizionandosi non troppo vicino per essere notato ma nemmeno troppo lontano per ascoltare le loro conversazoni.

Per un po' rimase semplicemente sdraiato sotto l'ombra di un albero lasciando che le loro voci familiari gli accarezzassero la mente, mentre le ragazze parlavano di gossip, moda e altro ancora, e i ragazzi delle loro ultime conquiste, degli allenamenti e delle feste più in a cui sarebbero andati. Iniazialmente non diede molto peso alle conversazioni ma con l'andare dei minuti si rese conto di quanto quello scambio fosse frivolo.
In tutta onestà non ricordava i loro discorsi così vuoti, al contrario, ricordava le battute divertenti, le risate e...in effetti...quelle conversazioni piene di nulla.
Perché effettivamente non parlavano di altro.
Lui non aveva mai parlato di altro con loro.

Li conosceva da quando era piccolo dato che tutte le famiglie altolocate di Camelot si frequentavano assiduamente; ma solo in quel momento si rese conto di non conoscerli veramente.
Frequentarli era praticamente un obbligo sottinteso da generazioni e suo padre non si sarebbe aspettato altro da lui come aveva fatto a sua volta, così da coltivare incentivi economici. Perché fondamentalmente tutto in quella famiglia era indirizzato verso quell'obiettivo.

Ma solo ora si rendeva conto di averli scelti non come singoli individui, ma come imposizione paterna.
Come avrebbe potuto?
Erano tutto il suo mondo e lui aveva visto e conosciuto solo quello che suo padre gli aveva mostrato.
Li aveva accolti nella sua vita cosciente che nessun altro avrebbe potuto prendere il loro posto, ignorando tutto il resto del mondo; mai abbastanza alla sua altezza per essere considerato.
Sapeva per filo e per segno come sarebbe stata la loro vita. Compresa la sua.
Un percorso già segnato dai propri genitori senza scampo, né deviazioni.
Non conosceva i loro sogni, le loro aspirazioni. Forse nemmeno li avevano. Come lui, non si erano mai posti il problema.

È lui cosa voleva? Cosa desiderava?
Non lo sapeva.
Era la prima volta che si poneva quella domanda, e questa improvvisa consapevolezza lo spiazzò.
C'è qualcosa di confortante nel desiderare nulla e lasciare che gli altri ti spianino la strada. La sicurezza di avere tutto programmato senza la paura dell'ignoto. Ma prendere coscienza di non avere aspirazioni, idee proprie, scelte proprie era altrettanto terrificante.
Chi era lui?
Quale era il suo vero io senza quella strada spianata? Senza quelle imposizioni? Senza quegli insegnamenti?
Nessuno, se non la copia di chi lo aveva cresciuto.

Un conato di vomito gli salì dalla bocca dello stomaco a quel pensiero.

Io non sono come lui...

Ma anche se avesse potuto scegliere, nessuno poteva dargli la conferma sulla riuscita dei suoi piani.
Nessuno dice di no a suo padre.
Nessuno.
Quindi...non avere piani alternativi, forse non era poi così male.
Non dover provare la delusione e lo sconforto del fallimento.
Avere su di sé lo sguardo punitore di Uther, mentre si congratula con lui per il suo fallimento assicurato.
Rimproverandolo della sua patetica inettitudine.

Tu non sei nulla senza di me! Come ti ho creato, posso distruggerti. Ricordatelo!

E poi...
E poi c'era Merlin.
Un altra imposizione. Questa volta da parte di sua sorella, nonostante ora, non la vedesse più così.
Lo era stato all'inizio, ma per quanto fossero stati costretti, Merlin, lo aveva accettato nella sua vita. E in un mese o poco più avevano condiviso più di quanto avesse fatto lui in anni con la sua presunta cerchia di amici.
Lui e Merlin non potevano essere più agli antipodi di così, eppure avevano trovato un modo per incastrarsi.
Non erano obbligati a conoscersi, ma lo avevano fatto. Avevano scelto di farlo.
Merlin lo aveva scelto nonostante i loro trascorsi e lui lo aveva scelto nonostante fosse la persona più lontana da lui.
Lo stava conoscendo, lo stava accettando e apprezzando per quello che era.
E soprattutto voleva continuare a conoscerlo in tutte le sue sfumature. Anche quelle più oscure che il moro si rifiutava di mostrare.

Si rese conto di sapere più cose sul conto di Merlin, che sui suoi amici, nonostate la sua regola ferrea sulla privacy.
Sapeva che Merlin aveva una fame insaziabile per la conoscenza. Non importava cosa e quanto piccola o grande fosse. Lui aveva questo bisogno di sezionare ogni cosa nel minimo dettaglio e conoscere a fondo anche il granello più insignificante.
Sapeva che era fissato con l'ordine e che ogni oggetto aveva un suo posto preciso. Sapeva che prima di leggere un libro, gli piaceva sfiorare le pagine con le dita e sentire il profumo della carta mischiata all'inchiostro.
Sapeva che era caparbio e assurdamente metodico in tutto quello che faceva e che mai e poi mai qualcuno sarebbe riuscito a fargli fare qual'cosa che non voleva.
Lui ne era la prova vivente. E sapeva che gli piaceva davvero chiaccherare con lui, e condividere le reciproche passioni perchè cascasse il mondo Merlin Emrys avrebbe preferito il silenzio piuttosto che cedere a qualcuno.
E Arthur lo ammirava per questo.

Sapeva che per quanto Merlin, potesse sembrare un robot senza anima agli occhi del mondo, in realtà non lo era affatto.
Era sì riservato e per nulla incline al contatto fisico, il rapporto che aveva con la madre bastava come dimostrazione; nonostante ciò sapeva che Merlin avrebbe smosso mari e monti per lei.
Di fatti, aveva scoperto che la maggior parte dei soldi guadagnati dai compiti venduti sotto banco, contribuivano alle spese mensili di vitto e alloggio.

Aveva conosciuto la sua mente acuta e brillante. La sua natura buona e un po' infantile. E sapeva che Merlin non era come tutti gli altri.
Sapeva quello che voleva e faceva di tutto per prenderselo a differenza sua.
Era un anima indipendente, risoluta che si era costruita da sola lottando, per guadagnarsi il proprio posto nel mondo.
Dio solo sa quanto lo invidiava.

Aveva un modo diverso di vedere la vita, forse un po' troppo analitico certe volte, ma di una cosa era assolutamente certo: Merlin non era una di quelle persone che si lasciano andare con facilità per questo motivo era certo del fatto, che chiunque fosse riuscito a guadagnarsi la sua fiducia, avrebbe guadagnato la migliore amicizia che una persona potesse desiderare.

Pregno di quella consapevolezza, decise di lasciare i ragazzi ai loro svaghi e tornare da Merlin con rinnovato vigore, quando una voce lo trattenne.

-Qualcuno di voi ha sentito Arthur? È da un mese che non si fa sentire.- disse Yuin. -Ho incontrato sua sorella l'altro giorno in centro.- rispose Giselle. -Mi ha detto che è partito per una vacanza in Europa, da solo.-
-Questa sì che è bella! Arthur non se ne andrebbe mai in giro senza di noi. Non ha detto altro? Tipo il perché ci ha abbondati qui come degli stronzi senza dire nulla?-
-Solo che improvvisamente aveva bisogno di stare da solo e che per questo ha praticamente staccato il telefono. Roba da matti. Ha aggiunto dicendo che ci saluta tanto e che sicuramente riceveremo una cartolina.- concluse la bionda.
-E tu le credi?- chiese Clare, la mora accanto a lei con evidente disgusto nella voce -Lo sanno tutti che sua sorella è matta. Gira sempre con quelle due svitate.-
-Sarà anche matta, ma io me la farei volentieri.- rispose Valiant. -Tu ti faresti chiunque.- rispose Yuin. -Vero. Ma te lo immagini con una Pendragon?-
-Saresti morto prima di poterci provare.- intervenne Eliot. -Dici che Arthur se la prenderebbe se ci provassi con sua sorella?-
-Io mi preoccuperei più di lei che di lui.- disse Eleanor -Mentre Arthur al massimo ti spaccherebbe quel tuo bel faccino. Morgana ti farebbe di peggio, fidati.-
-Ma che avete contro sua sorella? A me sembra una a posto.-
-A parte essere dieci volte più intelligente di te? Alcuni dicono che pratichi la magia nera insieme alle sue amiche pazze. Io non ci proverei se fossi in te.- aggiunse Clare
-Magia nera eh...eccitante!-
-Sei disgustoso! Voi maschietti non sapete proprio tenerlo nei pantaloni.- rispose Giselle. -Sai chi altro non se lo starà tenendo nei pantaloni?- intervenne Eliot -Un certo biondino di nostra conoscenza, che ci ha mollato qui per tenersi le europee tutte per sé.-
-Su questo non ti devi preoccupare. Quelle europee non si perdono nulla.- disse stizzita Eleanor.
-Ma che cazzo dici? È di Arthur Pendragon che stiamo parlando!-
-Appunto. Ma che te lo dico a fare? A voi maschi basta svuotarvi e siete a posto per un'altra settimana.-
-Che permalosa che sei! Cosa hai mangiato a colazione sta mattina? Acido e cereali?-

Yuin non poteva comprendere le parole della ragazza, perché era esattamente come lui quando era ancora umano.
Ma ora...
Sapeva bene quello che intendeva dire, e la triste verità era che aveva ragione.
Lui e Eleanor avevano cenato nel ristorante più In di Camelot per poi prenotare una camera nell'hotel sovrastante.
Lo aveva fatto tante di quelle volte da venirgli naturale. La parola giusta, il tocco giusto e poi sù dritti in camera da letto. Lui le lasciava pregustarsi il momento lasciando che fossero loro a sbottonargli i pantaloni e la camicia, stando però attento a non farsi mai togliere quest'ultima.
Non la tirava mai troppo per le lunghe.
Non voleva che le loro mani indugiassero troppo sul suo corpo. Sulla sua schiena maledetta.
Le prendeva di peso per poi sbatterle sul letto. Certe volte erano talmente affamate da voler avere loro l'iniziativa.
Allora si metteva a pancia in sú e le lasciava giocare con le loro mani e bocche piene di desiderio.
Poi le bloccava sotto di lui così da avere il pieno controllo. Faceva loro un lavoretto tra le gambe lasciando che le loro mani si insinuassero fra i suoi capelli spettinati, per poi girarle a pancia in giù e prenderle da dietro senza troppe cerimonie.
Non dava loro nemmeno il tempo di accoccolarsi insieme dopo una sana scopata.
Scendeva dal letto si rivestiva e le sbolognava con un conciso: -La camera è pagata per tutta la notte, goditela pure. Se hai fame ordina quello che vuoi. Offro io.-

Come se le stesse facendo un favore.
Forse nemmeno le prostitute che vivevano nella casa di piacere ai margini della città, venivano trattate con così poco riguardo.

Una settimana dopo aveva saputo che Eleanor si era presa una bella cotta per lui, e ovviamente non aveva preso bene la sua fuga repentina è priva di garbo.
L'unica cosa che fece, fu farsi una risata, guardare i suoi amici ed esclamare: -Le passerà.-
Eleanor non avrebbe potuto usare parole più azzeccate. Perché pochi giorni dopo aveva già trovato un'altra ragazza con cui svuotarsi.
Solo ora si rendeva conto del suo comportamento più che discutibile.

Si portava dietro da così tanti anni quelle cicatrici, da non rendersi conto degli effettivi danni che gli avevano arrecato.
Come uno storpio aveva imparato a camminare con il suo bastone di sostegno senza quasi più rendersene conto.
E da impedimento quelle stesse cicatrici erano diventate una corazza di duro metallo, contro tutto il resto del mondo.
Una corazza così spessa da impedirgli non solo di non percepire la sofferenza degli altri, ma anche la propria.

La sua paura era diventata sarcasmo.
Il suo disagio, collera.
E la gioia? Una mera maschera bugiarda. Indossata talmente bene da non riuscire più a scollarsela dalla faccia.

Il sesso si era trasformato in una mera necessità e non in un momento nel quale dare e ricevere piacere.
Quante cose si era precluso?
Quante cose suo padre gli aveva tolto?
Tante... così tante da non poterle contare. Compresa la sincerità.
Compreso l'amor proprio.
Compresa la libertà.

Ma sentire quello che avevano detto nei confronti di sua sorella...quello fu anche peggio. Valiant avrebbe fatto meglio a stare lontano da Morgana o gli avrebbe spaccato molto di più della sola faccia. E le altre?
Che sua sorella fosse una strega era innegabile...ma pazza?
Pazza era la sua famiglia.
E come si fa ad uscire sani di mente dall'inferno che avevano passato?
Solo i sui occhi e le sue orecchie conoscevano il dolore e la sofferenza che si celava fra quelle sfarzose mura casalinghe.
Solo le sue braccia gli avevano dato conforto quando nessun'altra mano era voltata in suo aiuto.
Sei lei era pazza...allora lo era anche lui.
Due matti in fuga dal loro inferno personale.
Lei aveva trovato Morgause, Nimueh e la magia.
E lui?
Non era certo di poter dire di avere Merlin al cento per cento. Ma vedendo cosa gli si presentava davanti al vetro l'ultima cosa che si sognava di fare, era di rompere quella palla di neve.

 

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Capitolo 14
*** Interchange ***


Arthur non voleva restare lì un minuto di più. Tutto quello che aveva sentito, era abbastanza per un giorno solo.
Iniziò quasi a pentirsi di essere rimasto ad ascoltare le loro parole, ma una vocina dentro di lui, gli fece cambiare idea.
Forse era giusto così. Doveva conoscere la verità, per quanto triste e penosa fosse.

Che Morgana lo sapesse? E fosse un suo trucco per fargli vedere la verità con i suoi occhi?
Tante volte gli aveva detto quanto i suoi amici non le piacessero, che li  vedeva solo come involucri vuoti, e di aprire i suoi orizzonti, limitati da loro padre; ma lui non le aveva mai dato retta.

Al contrario si arrabbiava e le sbraitava contro, non capendo la sua antipatia per dei ragazzi che non aveva nemmeno mai provato a conoscere.
Ma ora, finalmente, le sue parole avevano un senso.
Che cazzo gli stava facendo Morgana?

Prima la trasformazione in lupo, poi Merlin e ora questo.
Sembrava che il suo intero universo e i saldi pilastri sui quali si reggeva, si stessero frantumando e collassando su sé stessi.
Il suo mondo, la sua visione delle cose, tutto si stava capovolgendo e disfacendo.
O forse la solidità di quei pilastri era solo fittizia?
Le fondamenta che aveva sempre creduto essere di acciaio erano in realtà di legno. L'umidità era penetrata e con la sua silenziosa inesorabilità aveva fatto marcire qualunque cosa.
Stava perdendo tutto e tutti, e allora, di chi poteva davvero fidarsi?

Avrebbe potuto accettare la sua compagnia con le loro sole frivolezze, ma vedere quello che realmente pensavano....Quello mai!
Accettava e comprendeva il pensiero di Eleanor conscio delle sue colpe. Ma quello che pensavano nei confronti di sua sorella era inaccettabile. Vederla esposta come un pezzo di carne da conquistare e aggiungere alla lista.

Te lo immagini di farlo con una Pendragon?

Come se il nome ne definisse il prezzo e la qualità. Quanto valeva sua sorella? Quanto valevano tutte le ragazze che si era portato a letto?
Si sentì marcio e sporco dentro, al pensiero di quante volte le aveva valutate e catalogate con i suoi amici.

E dato che erano davvero questi i pensieri su sua sorella: una scopata, una pazza, una strega, una diversa. Quanto tempo sarebbe dovuto passare per scoprire quello che realmente pensavano di lui?
Lo facevano già o il momento sarebbe giunto con il tempo inevitabilmente?
Lui lo aveva fatto, molte volte, giudicare i libri dalla copertina.
E cosa avrebbero potuto dire di lui?
Che era strano?
Indubbiamente!
Quale ragazzo non si toglie mai la maglietta e non si fa la doccia con i propri compagni, nello spogliatoio dopo una partita? Insieme a tante altre situazioni analoghe.
Nessuno gli aveva mai posto domande.
Ma se non lo avevano fatto con sua sorella, perché avrebbero dovuto farlo con lui?
Cosa li fermava? Il suo nome di famiglia? Le sue reazioni violente? Forse entrambe. Perché ormai era innegabile.
Vivendo con Merlin i suoi cambiamenti erano palesemente evidenti. Aveva acquisito una serenità e una libertà mai provata prima. La rabbia e la violenza che lo artigliavano lo avevano abbandonato, lasciando però l'innegabile verità di quello che era stato: un bullo. Un violento. Un dominatore. Come suo padre e lui era stato l'erede perfetto di quella corona tirannica.

Si mise in piedi per andarsene, ma girato lo sguardo due occhi in tempesta incontrarono i suoi.
*Da quanto tempo sei qui?* Domandò il lupo con un misto di sorpresa e timore nel trovarlo all sue spalle. -Da un po'. Eri sparito da tanto e sono venuto a cercarti. Non sapevo dove fossi finito.- rispose pacatamente il moro. *Beh...mi hai trovato.* Rispose Arthur freddamente, oltrepassandolo per ritornare alla loro postazione.
Sapeva che fare finta di niente non era il migliore modo di agire, ma non era pronto per affrontare una conversazione con lui in quel momento; ancora troppo sconvolto, triste e arrabbiato.
Se avessero parlato, Merlin non volendo avrebbe detto sicuramente qualcosa che lo avrebbe fatto incazzare e non voleva litigare con lui. Non ora che le cose tra di loro stavano andando a gonfie vele.

-Va tutto bene?- gli chiese il moro dopo che si furono seduti entrambi sui teli da spiaggia.
Credere che Merlin se ne sarebbe rimasto zitto dopo quello scenario era pressoché impossibile. Quanto aveva sentito? Che idea si era fatto?
Non era sicuro di volerlo sapere. E non aveva nemmeno idea di cosa rispondergli, senza sembrare turbato, arrabbiato e sulla difensiva.
*Quanto hai sentito?* Chiese alla fine Arthur. -Abbastanza direi.- rispose Merlin sempre con quella sua calma inconfondibile. *Se hai qualcosa da dire, dilla e basta. Non mi importa.* Concluse abbandonandosi sul telo sfinito.
-Non ho nulla da dire.-
*Meglio così.*
-Anzi, una cosa da dire c'è l'ho.-
Non la voleva sentire. Non in quel momento. Non voleva analisi logico matematiche sulla probabilità che una cosa del genere potesse succedere o sviscerare elaborazioni psicoanalitiche. Voleva solo silenzio...

-Ho paura dell'acqua.-

E poi ancora una volta, Merlin lo sorprese.
Si girò verso di lui, non aveva la forza di parlare, ma nel suo sguardo triste e silente la domanda era implicita.

Perché?

Lo sguardo di Merlin vagò sulla distesa cristallina del lago prima di rispondere. Le ginocchia al petto e le braccia intorno ad esse. Era evidente la fatica che stava provando nel confidargli un evento del proprio passato. Eppure lo stava facendo, di sua spontanea volontà.
Il motivo? Chi lo sà. Certe volte era già difficile capire quello che diceva, ma capire perché faceva cosa...quello era tutto un altro discorso.

-Quando andavo alle elementari, io e la mia classe andammo in gita all'acquario. Come saprai non è difficile prendermi di mira...In breve, dei bulletti per farmi uno scherzo, mentre stavamo passando accanto alla vasca dei delfini, mi spinsero dentro. Io non sapevo nuotare. Gli sport a differenza tua non sono mai stati il mio forte. La nostra guida si tuffò per riprendermi. Inutile dire che quei ragazzini vennero sospesi, ma ormai il danno era fatto. Non sono rimasto sott'acqua a lungo, eppure quei pochi secondi lì sotto mi sono sembrati infiniti e per un momento ho pensato che sarei morto.-

All'inizio del racconto non lo aveva capito. Ma quello che Merlin aveva appena fatto, era stato condividere.
Aveva colto la sua sofferenza e aveva volutamente scelto di condividere un po' del suo disagio, per non farlo sentire solo.
Un gesto così... Umano.

*Quei ragazzini sono stati dei veri stronzi.*
-I ragazzini, fanno cose stupide.-
*E gli adolescenti?*
-Anche.-

Un nuovo silenzio li pervase. Un silenzio fatto di conoscenza reciproca e consapevolezza.
E Arthur capì, che era giunto il momento. Ci aveva pensato spesso negli ultimi giorni, anche se ogni volta che pensava di farlo  il  suo orgoglio Pendragon, i pochi rimasugli rimasti, lo facevano desistere dal passo definitivo. Consapevole che se avesse detto quelle parole, tutto sarebbe cambiato, perché come gli aveva insegnato suo padre. Nessuno della loro famiglia dice quella fottuta parola. Solo i deboli.

*Mi dispiace*
-Non devi scusarti. Non è colpa tua.-
*Quello che ti ho fatto io, sì. Mi sono comportato da vero stronzo con te. Mentre tu mi hai accolto in casa tua come niente fosse, e io non mi sono mai nemmeno scusato per tutto quello che ti ho fatto.*
-Non c'è né bisogno.-
*Sì invece!*
-Ok, però io non ho fatto nulla per impedirtelo quindi direi che siamo pari. E aggiungerei anche, che quello che ti ha fatto Morgana basti e avanzi come punizione.-
*Sei serio? È la prima volta che cerco di scusarmi per tutte le volte che ti ho messo le mani addosso e tu vuoi fare a metà?*
-Voglio dire che per me è tutto a posto.-
*Per te sarà anche così, ma per me no! Io ho bisogno di farti le mie scuse, come tu meriti di riceverle.* Quelle parole gli uscirono quasi con disperazione dalle labbra. Era giusto che lo facesse, e lo voleva, con tutto sé stesso. Perché sapeva, che finché non avesse pronunciato quelle parole con sincerità, non sarebbe mai avvenuto il cambiamento che desiderava. Non sarebbe mai stato veramente tutto a posto con Merlin.
-E va bene. Se ci tieni così tanto, ascolterò le tue scuse.-
Arthur si mese a sedere davanti a Merlin. Lo sguardo fisso nei suoi. Non voleva perdersi una sola espressione di quegli occhi che per mesi lo avevano tormentato.
*Mi dispiace. Mi dispiace per tutte le parole offensive che ti ho detto. Mi dispiace per tutte le volte che ti ho spintonato a terra e ti ho stretto procurandoti lividi e graffi. Mi dispiace di essere stato un coglione insopportabile.-

Sei una delle persone migliori che io conosca.

-Ti ringrazio e accetto le tu scuse.-

Ancora una volta i loro sguardi non si separarono. Non seppe dire se per Merlin era cambiato qualcosa. Ma per lui era cambiato tutto.
In qualche modo dire quella parola di poche sillabe, aveva allentato la presa ferrea di suo padre sul collo.
Non era facile reggere il suo sguardo, non sapeva ancora il perché, ma sentiva che loro erano simili. Perciò resistette alle sue tempeste silenziose. Perché forse se si fosse deciso ad annegarci dentro, sarebbe riuscito a tornare a respirare.

-E ora?-
*Che vuoi dire?*
-È la seconda volta che parliamo della mia vita privata. Ormai il patto e rotto.-
*Che ne dici se ripartiamo da zero?*
-E come? È passato più di un mese.-
*E se invece di romperlo, lo aggiornassimo?*
-Cosa proponi?-
*Che ne dici di dire semplicemente quello che pensiamo quando vogliamo. Possiamo farci delle domande, ma non siamo obbligati a rispondere e se l'altro non dirà nulla sapremo che non né vuole parlare. Nessuna invasione e litigio evitato. Che ne pensi?*
-Non sembra proprio una regola e mi è difficile fare le cose senza.-
*Lo so. Ma vedi alternative?*
-No.-

Più andavano avanti e più per Merli, era incomprensibile la convivenza con Arthur.
Aveva sempre usato le regole per riuscire a districare i fili della vita, ma stare con il biondo lo costringeva ogni volta a valicare i suoi limiti senza subire le conseguenze dei suoi demoni. E ogni volta che pensava di avere raggiunto il limite definitivo, lui gliene faceva scoprine un altro.
La sensazione era quella di stare sulle montagne russe. La paura e l'eccitazione insieme, il non sapere quando ci sarà la prossima curva o la prossima terrificante discesa in picchiata.
Nonostante ciò, ne voleva ancora. Voleva essere sorpreso e terrorizzato. Voleva sentirsi vivo.

-Arthur?-
*Sì.*
-Noi che cosa siamo?-
La domanda che Merlin gli pose, lo sorprese non poco, e non era neppure una domanda facile a cui dare una risposta.

Che cosa siamo?
Non so più nemmeno cosa sono io.
Come faccio a sapere cosa siamo noi?

*Non lo so. Tu cosa vorresti che fossimo?*
-Io...non lo so. Non sono mai stato bravo nelle amicizie, e tu?-

Vorrei che fossi mio amico...

*Non mi dispiacerebbe essere amici. Una volta passato sopra alle tue stramberie, non sei tanto male.*
-Nemmeno tu sei tanto male per essere uno che è stato trasformato in un lupo.-
Un live risata riempì lo spazio che li separava.
-Quindi che si fa?-

Vorresti essere mio amico?

*Che ne dici di andare per gradi?  Vediamo come va con la nuova regola e poi decidiamo, va bene? Dopotutto, non siamo amici.*
-Giusto.-

Per la prima volta in vita sua si era chiesto cosa desiderasse. Solo pochi minuti prima non aveva saputo darsi una risposta. Ora invece ne aveva una. Non era molto, ma era vera. Autentica. E solo sua.
Desiderava davvero, che Merlin diventasse suo amico.
Desiderava conoscerlo in tutte le sue sfaccettature, anche quelle più oscure. Desiderava trovare altri punti in comune con lui o anche non trovarli. Qualunque cosa gli sarebbe andata bene finché fosse stata autenticamente sua. E altrettanto desiderava essere un buon amico per lui.

-Se vuoi possiamo andare a casa.-
*Non ancora, prima tu devi fare una cosa.* Disse serio il lupo. -Che cosa?-
*Entrare in acqua.*

 

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Capitolo 15
*** Fears ***


-Cosa?!? Non ci penso proprio. Hai sentito quello che ho detto?-
*Si. Ed è proprio per questo motivo che devi farlo. Non puoi far vincere quegli stronzi.* Rispose Arthur alzandosi e piazzandosi in piedi di fronte al moro ancora seduto. *Non è giusto che tu debba avere paura dell'acqua solo perché degli idioti ti hanno fatto uno scherzo stupido e pericoloso.*
-Puoi dire quello che vuoi, io lì dentro non ci entro!-
*Non sei stanco di avere paura?*

Io sono  stanco di avere paura...

-Ho paura dell'acqua, non degli idioti.-
*Questo lo so bene.- quasi gli fece sorridere la sua risposta, ben sapendo che in quella frase era compreso anche lui.
C'era un che di confortante nel sapere che Merlin non lo temeva; questo dettaglio gli dava l'opportunità di aprirsi altre strade verso di lui. Perfino la rabbia in un certo senso glielo aveva permesso.
Per mesi era stata un lungo e sottile filo rosso che li aveva tenuti legati, e che lui appena poteva strattonava per fargli sentire la sua presenza.
Lo aveva odiato con tutto sé stesso. Ava odiato i suoi occhi che potevano vedere oltre la cortina di fumo che si era creato attorno.
Guardandosi ora allo specchio, non era del tutto certo delle sue intenzioni. La verità sotto sotto, forse non era la distruzione. Ma il grido inconscio di un'anima torturata che desiderava essere vista.

*Ma...non ti piacerebbe entrare in acqua come tutti gli altri?*
-Vivo bene anche senza.-
*Certo...soffro di caldo per te solo a guardarti.*
-Quando torniamo a casa mi farò una doccia.-
*Ma fammi il piacere! Alza quelle chiappe pallide ed entra in acqua!*
-Pensi davvero che il tuo tono perentorio mi farà entrare in acqua?-
*No, ma fare questo sì.*
Come un fulmine il lupo prese in bocca il libro che Merlin si era portato dietro e con altrettanta velocità si diresse verso l'acqua del lago stando attento a non inzuppare il libro.

Forse da tutta la vita lo aveva desiderato, non sapendo bene come fare. Sempre alla ricerca, senza mai trovare la persona giusta che potesse comprenderlo e accettarlo nel bene e nel male.
Faceva paura. Perfino ora, nonostante la consapevolezza di questa verità, non poteva fare a meno di esserne terrorizzato.
Fa paura spogliarsi di fronte a qualcun altro e lasciagli vedere tutto senza filtri. Ciò nonostante, non desiderava altro da lui.
Solo la libertà di essere sé stesso e sperare di essere ricambiato.

-Che cazzo fai!? Ridammi il libro!!- gli urlò Merlin alzandosi in piedi, preso completamente alla sprovvista.
*Entra in acqua e te lo ridò.*
-No!-
*Allora il libro resterà qui con me.*
-Lo bagnerai tutto.-
*Di certo non può morire affogato. Un ora al sole con questo caldo e sarà come nuovo.*
-Arthur non è diverte!- disse Merlin ancora scioccato per quell'improvvisa presa di posizione. *Vero. Per questo lo faccio.*
-Fare cosa?-
*Aiutarti.*
Uno sbuffo sarcastico uscì dalla bocca del moro. -Aiutarmi? Forse volevi dire fare lo stronzo.-
*Io la chiamerei più... terapia d'urto.*
-Non sapevo che Arthur Pendragon fosse anche spicologo.- disse a metà tra l'irritazione e il sarcasmo. *Scherza pure. Io dico sul serio.* Lo riprese l'altro serio -Vorrà dire che aspetterò che tu esca dall'acqua.- rispose allora il moro, piazzandosi al limite del bagnasciuga. -Non potrai stare lì per sempre e dovrai uscire prima o poi.-
*Mi stai sfidando? Parli con uno che vince sempre le sfide.* Disse sfoggiando il suo sguardo più sfrontato. -Sicuro che non siano sempre gli altri a farti vincere Mr. Mio-padre-possiede-mezza-città?- ribatté Merlin, sperando che la sua battuta affilata infastidisse tanto l'altro da obbligarlo a uscire dall'acqua.
*Huhuh... ci hai provato Emrys. Apprezzo lo sforzo di farmi arrabbiare, ma non funzionerà. Niente mi smuoverà da qui. Tranne te che vieni da me ovviamente.* Continuò questa  volta il lupo,  facendogli l'occhiolino e dando alla sua voce un tono volutamente più suadente.
-Nemmeno il pullman che non passa dopo le sette?- rispose invece Merlin, ignorando i suoi tentativi di convincerlo e aggrappandosi alla necessità del mezzo di trasporto come ultima risorsa.
*Io non ho problemi a farmi una corsa. E tu?* Concluse Arthur rincarando ancora di più la dose. Per qualche motivo lo divertiva molto stuzzicarlo in quel modo. E ancor di più lo faceva ridere il suo non cogliere il suo tono di voce.

Merlin c'è li aveva eccome i problemi e lui lo sapeva. Non sarebbe durato cinque minuti a correre con lo zaino sulle spalle.
Frustrato, il moro picchio un piede per terra, mentre un imprecazione sibilante gli usciva dalle labbra.

Il Pendragon lo aveva incastrato su tutti i fronti.
Fosse stato un altro, probabilmente avrebbe  mollato lui e il libro nel lago.
Ma Arthur ormai, lo conosceva abbastanza bene da sapere, che la sua ossessione per l'ordine era troppo in là per lasciare che un singolo libro prendesse anche una sola goccia d'acqua.
Il pagare una multa alla biblioteca, se il libro non fosse stato riportato completamente integro, passava addirittura in secondo piano di fronte alla sua necessità ossessiva.
Per non parlare del fatto, che non poteva abbandonare lì la sua ancora di salvezza.
-Ti odio.-
*Cambierai idea.* Rispose sornione.
-Perché ho l'impressione che tu stia sorridendo?-
*Perché scommetto che entro la fine dell'estate riuscirai a farti un bagno.*
-Continua a sognare.-
*Scommettiamo?*
-Non mi metterò a scommettere con te.-
*Hai paura di perdere forse?*
-L'unica cosa che temo di perdere è il tempo che sto sprecando con te ora.-
*Eddai su!Prova a toglierti quel palo dalle chiappe una volta tanto. Cosa scommetti? Se vinci tu cosa vuoi che faccia per te?*

Non lasciarmi.

-Io...Non lo so... Nulla...credo.- rispose il moro non sapendo bene cosa dire come seconda opzione. Dato che la prima era pressoché impronunciabile ad alta voce. *Davvero? Nulla?* Chiese Arthur sgomento che si era preparato mentalmente a tutto tranne che quella risposta da parte sua.
-Sono a posto.-
*Però così non vale. Non possiamo scommettere se entrambe le parti non mettono qualcosa in palio.*
-Che peccato.- ribatté Merlin mettendo in risalto il suo evidente non dispiacere per quell'occasione persa. -E cos'è che avresti voluto da me nel remoto caso vincessi?-
*Vieni da me e lo saprai.* Rispose malizioso -Sei esasperante. Per il libro devo venire lì da te. Per una semplice risposta devo venire lì da te. Ti strozzo se inizi a darla come risposta a tutto quello che ti chiedo.-
*Peccato che per strozzarmi tu debba comunque venire qui da me.*
-Vaffanculo!-
*Ohhh...sicuro di voler tirare fuori le parole grosse? Ho un ostaggio qui con me.*
-Tutto questo è ridicolo!- ribatté esasperato. Avevano appena stipulato un nuovo patto, eppure Arthur non ci aveva pensato due secondi ad accartocciarlo e buttarlo via *Tu che non vieni da me è ridicolo. Non saremo distanti più di un paio di metri e l'acqua è bassissima. È fisicamente impossibile che tu possa annegare.*
*Non m'importa!!* Gli urlò contro alla fine a gran voce, attirando così l'attenzione dei bagnanti poco distanti da loro.
Sentendo i loro sguardi curiosi addosso, il moro, si mise a sedere per non dare nell'occhio e fingere una convenzione al telefono. L'ultima cosa che voleva era che qualcuno chiamasse la polizza perché la spiaggia del lago era disturbata da un diciannovenne squilibrato che parla da solo.

Arthur fece qualche passo in avanti, stando sempre ben attento a non bagnare il libro che teneva stretto fra le zanne.
*Allora che vuoi fare Emrys? Restate lì a guardarmi male per il resto della giornata o venire a riprenderti il tuo libro?*

Vieni da me...

Aveva davvero sperato che in un impeto di rabbia, il moro, riuscisse a superare la paura per riprendersi il libro.
Ma proprio come lui, Merlin era un vero testardo.
Ma anche il moro si disse, avrebbe dovuto rivedere i suoi conti. Merlin aveva conosciuto sì nel tempo, il suo ostinato atteggiamento collerico e maligno : una fissazione incentrata sulla rabbia repressa e un terrore costantemente nutrito. Ma quello che aveva di fronte ora, non era quello stesso ragazzo. La sua nuova tenacia aveva radici diverse. Più salde e indiscutibilmente migliori rispetto a quelle precedenti.

Voleva aiutarlo e per la prima volta si rese conto di quanto quella scintilla, ardesse più forte di tutti i suoi fuochi rabbiosi.
Era una fiamma che lo stava lentamente incendiando di energia.
Lo avrebbe bruciato così come Merlin stava bruciando lui. Faceva male ma innegabile era la verità: non può esistere guarigione senza la sofferenza.

Ancor di più conosceva lo sguardo che Merlin gli stava ricambiando, che per anni era stato il riflesso del suo.
Lo sguardo di chi non vuole essere aiutato e che nemmeno pensa di averne bisogno.
Il mix perfetto tra rabbia, dolore ignorato e presunzione crescente.

Lo aveva conosciuto come la persona più anaffettiva e rigida del mondo. Nelle settimane precedenti aveva scoperto i suoi pregi e ora, ancora una volta stava scoprendo la sua anima persa e spaventata.
Proprio come lo era lui.
Due anime affini, perse, sole e spaventate dal resto del mondo.

Guardare Merlin era come ammirare un cristallo pieno di angoli e sfaccettature. Sapeva essere delicato ma allo stesso tempo tagliente. Duro come il diamante e terribilmente affascinante. Terrificante come uno squalo dalle fauci spalancate pronto ad ingoiarti vivo e allo stesso tempo un cucciolo spaurito, ignorante su molte cose della vita a cui non riesci a fare a meno di guardare con profonda tenerezza.

Merlin non rispose. Semmai rimase seduto con le ginocchia al petto, ignorando volutamente lo sguardo del lupo.
Fu evidente per Arthur la sua muta intenzione. Se non poteva combatterlo a voce si sarebbe rifugiato nell'unico territorio a lui congeniale: l'indifferenza.
Sapeva di poter sopportare la rabbia di Merlin ma gestire la sua indifferenza era un altro paio di maniche.
Poteva combattere e scavare nella paura, come nella rabbia, tanto erano due serpenti simili e famelici che si mordono la coda a vicenda.
Ma l'indifferenza... Era un coltello dalla lama sottile e tagliente come un bisturi, una pistola munita di silenziatore.
Non la  vedi.
Non la senti.
Eppure nulla ti dilania e squarcia il petto come l'indifferenza.

Odiami se vuoi...ma non ignorarmi...ti prego...

Se il moro non voleva mollare, non lo avrebbe fatto nemmeno lui.
Voleva essergli amico e per farlo avrebbe dovuto scalare quella montagna come tutte quelle che il ragazzo gli avrebbe posto di fronte in futuro e se Merlin voleva davvero giocare la carta dell'indifferenza allora avrebbe giocato anche lui, usando l'unico asso nella manica che aveva: Il tempo.
Avrebbe spezzato quella catena con l'attesa, perché nulla corrode gli oggetti dell'esistenza più del tempo.

E come erano passate le ore mattutine, passarono anche quelle del pomeriggio. I bagnanti sulla spiaggia del lago andavano e venivano, mentre loro restavano immobili, senza parlare, ognuno al proprio posto. Arthur nell'acqua a pochi metri di distanza con la mascella che doleva per lo sforzo di tenere il libro in bocca e non distruggerlo tra le sue zanne affilate e lo stare in piedi attento che l'acqua non lo bagnasse.

Merlin, invece, era seduto a un passo dal bagnasciuga. Le ginocchia al petto, intento a posare lo sguardo ovunque tranne che su Arthur. Non voleva guardarlo e più di tutto non capiva questi suoi improvvisi cambi di atteggiamento.
Avevano raggiunto un accordo valido, si era addirittura confidato. Eppure ad Arthur sembrava non bastare mai. Se gli dava un dito, voleva la mano, e se gli dava la mano voleva l'intero braccio. Perché non bastava mai? Perché doveva andare sempre oltre?

Cos'altro vuoi da me? Non ho nulla da darti.

Da quando aveva incominciato a conoscere i suoi punti deboli sembrava che Arthur, avesse sviluppato una sorta di accanimento terapeutico nei suoi confronti. Non sapeva dire se si sentisse obbligato a farlo per ripagare l'ospitalità o per altre ragioni a lui sconosciute. Certe volte sembrava che volesse solo tormentarlo. Ma qualunque fosse la reale motivazione voleva che smettesse.
Avevano fatto un accordo. Nessuno dei due avrebbe invaso l'altro senza il proprio consenso. Peccato che in questa situazione di consenso non c'era manco una briciola.
Per l'ennesima volta aveva agito di testa sua, ignorando le sue necessità.
Aveva accettato di salire sulle montagne russe del Pendrgon ma non poteva pretendere di lasciarlo senza le cinture di sicurezza di cui tanto aveva bisogno.

Perché non poteva stare zitto e buono e lasciare che si godesse la sua presenza curativa in santa pace? Perché con Arthur doveva essere sempre tutto complicato? Perché doveva sempre essere così egoista?

Avrebbe voluto chiederglielo, carpire la reale motivazione che si celava dietro tanta ostinata perseveranza; ma sapeva che l'unica risposta incomprensibile che gli avrebbe dato, sarebbe stata: "per aiutarti"
Come se una frase del genere avesse senso.
Come se decine di dottori non avessero già provato a farlo prima di lui.

Non aveva nulla da guadagnarci, se non il prolungare la sua agonia e sprecare del tempo prezioso per tornare umano . Il che non aveva senso.
Nessuna persona sana di mente butterebbe via una cosa così importante  e vitale come il tempo.
Perché preoccuparsi per lui quando avrebbe dovuto preoccuparsi esclusivamente di sé stesso?

Poteva capire i suoi tentavi di conoscerlo per andare d'accordo durante la loro strana convivenza, dopotutto era nella natura umana instaurare rapporti sociali.
Poteva anche arrivare a  comprendere che provasse una strana curiosità nei suoi confronti, ma aiutarlo andava ben oltre quello che c'era tra loro due.
Era troppo...intimo...profondo...
Non era sicuro di essere pronto...figuriamoci volerlo.
E se non c'è l'avano fatta dei medici con dottorati e decine di anni di esperienza alle spalle, perché avrebbe dovuto riuscirci uno come lui?

Il fatto che  Arthur riuscisse a placare i suoi demoni non significava che avrebbe addirittura capito come eliminarli del tutto dalla sua vita.
Era impossibile. Nessuno era più intelligente di lui, di conseguenza era fisicamente impossibile che qualcuno ci riuscisse al posto suo.
Avrebbe voluto gridarglielo, ma il massimo che gli riuscì di fare fu di guardarlo male un ultima volta e poi distogliere di nuovo lo sguardo.

-Non verrò lì da te. Scordatelo.-
*Sicuro? Perché la mascella inizia a farmi male e non vorrei rischiare di bagnare questo povero ostaggio indifeso.*
Un altro sbuffo frustrato uscì dalle labbra del moro.
*Lo sai che ti conviene tenere d'occhio l'orario vero? O ti toccherà davvero fartela a piedi fino a casa.*
-Perché?-
*Perché cosa?*
-Perché devi sempre rovinare tutto?-
*Questo lo pensi tu.*
-Avevamo un accordo e tu per l' ennesima volta hai deciso di fare di testa tua.-
*Io cerco solo di aiutarti.*
-Perché?!? Non ti ho chiesto di farlo.-
*Proprio per questo motivo. Anche io non chiedevo mai aiuto. Nessuno lo fa mai.* Il volto di sua sorella gli sfrecciò nella mente come una stella cadente.
-Le persone lo fanno quando ne hanno veramente bisogno.-
*Io non sto parlando di una persona che si è persa e ha bisogno di indicazioni stradali dalla vecchietta del paese. O si è rotto una gamba e deve andare in ospedale. Quando è stata l'ultima che hai chiesto aiuto per come ti sentivi?*
-Io non ho bisogno di parlare dei miei sentimenti.- disse a denti stretti *Eppure sei qui al lago, in una caldissima giornata d'estate, terrorizzato dall'idea di entrare in acqua. Io due domande me le farei.*
-Io non sono come te e tutti gli altri.-
*E come sei allora?*
-Diverso ok?!?!- fu quasi una sofferenza dirglielo *Diverso come? Dimmelo.*
-Non capiresti.-
*Non credi che spetterebbe a me deciderlo?*
-E tu non pensi che spetterebbe a me decidere cosa dirti? Perché devi sempre obbligarmi?-
*Non è quella la mia intenzione!*
-Ma lo fai!
*Beh...scusa se ci tengo a te e mi viene spontaneo volerti aiutare!*
-Perché?!? Non ho fatto nulla per meritarmi questo trattamento da parte tua.-
*Tu davvero non te né rendi conto?*
-Di cosa??? Quello che davvero non capisco è come uno nella tua situazione possa  fissarsi su di me, quando quello che dovrebbe fare realmente, è trovare un modo per tornare umano visto che tra meno di due mesi rischi di restare a quattro zampe a vita.-
Fu un rischio per lui dirlo, visto che anche lui, aveva  sempre volutamente evitato l'argomento per non lasciarselo scappare. Ma a quel punto la curiosità era troppa. I suoi continui cambi decisionali lo stavano portando ai matti. Doveva sapere. E soprattutto doveva tenerlo alla larga dalla verità. Quella era la cosa più importante, forse perfino più del suo desiderio di tenerselo stretto.

Arthur rimase in silenzio per qualche secondo. Sapeva che quella frase, prima o poi sarebbe uscita dalla sua bocca. Dopo più di un mese passato ad ignorare quell'argomento scomodo, era innegabile che sarebbe venuto a galla presto o tardi.
Era il loro personale elefante nella stanza.
*Vero. Nella mia situazione, pensare a me stesso sarebbe la cosa più sensata da fare.*

Altra pausa. Era pronto. Dopo tutte quelle settimane passate insieme, si sentiva finalmente pronto. Non poteva pretendere che Merlin si aprisse senza che lo facesse lui  per primo e per la seconda volta in quella giornata si buttò nel vuoto sperando che il moro a sua volta lo prendesse per mano per buttarsi anche lui.

*Il punto è che non voglio farlo. E non perché voglio nascondere la testa sotto la sabbia e ignorare il problema. La verità è che la mia vita prima di tutto questo faceva schifo. E tu penserai "schifo?" Certo fa davvero schifo essere ricchi sfondati, avere tutto dalla vita ed essere popolari fino alla nausea. Beh... È una farsa... Tutto era una farsa. Le persone che credevo fossero mie amiche e con cui sono cresciuto sono le più false che abbia mai conosciuto. Mia madre...* Prese un respiro profondo per prendere coraggio prima di continuare *...è morta dandomi alla luce lo sai? Certo che lo sai. Tutti lo sanno, solo che nessuno ne parla.* Fu impossibile non sentire gli occhi gonfiarsi per le lacrime, ma face del suo meglio per trattenerle. *Non ci avevo mai pensato prima di conoscere tua madre. Ma da quando la conosco ho iniziato a pensarla più spesso, e questa cosa mi rattrista molto perché avrei voluto conoscerla. Avrei voluto che fosse lei a crescermi e non delle tate pagate per farlo. Avrei voluto conoscere il profumo dei suoi abbracci e tante altre cose. Avrei voluto che mio padre fosse diverso e non il figlio di puttana che è. Avrei voluto non sentirmi così solo e arrabbiato. Avrei voluto che tante cose fossero diverse. Solo che prima di tutto questo, non me ne rendevo conto.*

Si era sentito pronto a dirgli quel fiume di parole, anche se sul momento non si era reso conto della travolgente ondata emozionale che aveva portato con sé. La foga gli mozzò il fiato dandogli il tempo per recuperare il respiro che aveva consumato in quella lunga e stremata confessione.
Voleva che Merlin lo vedesse.

*Tutte queste cose le ho capite stando con te. Non hai idea dell'influenza che hai su di me, Merlin. Per qualche assurdo motivo riesci a rendermi una persona migliore e la cosa ancora più assurda è che mia sorella lo sapeva o non avrebbe fatto su tutto questo casino assurdo.*

Solo Merlin può aiutarti a ritrovare il vero tè stesso...

*Ma da quando sono con te... mi sento bene. Non dico che sia facile. Niente con te è facile. Sei l'enigma più assurdo che abbia mai incontrato* Una risata amara gli sfuggì dalle labbra.  *Ma una volta tanto posso dire di star facendo delle scelte mie. Inizio finalmente a sentirmi me stesso e mi piace.
Per questo motivo faccio quello che faccio. Come tu riesci a far stare bene me, voglio fare stare bene te. Lo so che abbiamo appena stipulato un nuovo patto e l'ho ignorato ma...mi dispiace. Non c'è la faccio. Voglio essere tuo amico e solo questo non mi basta.

Ma tu già lo fai...non hai idea di quanto tu sia lentamente diventato la mia droga preferita...

*Per anni  sono stato escluso dalla mia vita a causa di mio padre, dei miei doveri, dalla società e mi sembra incredibile dirlo ma mai come in questa situazione dove non ho il controllo sulla mia vita, mi sono sentito di avere il pieno potere su me stesso.
Per questo motivo evitavo il discorso. Non volevo tornare alla vita schifosa che avevo prima, per quanto assurdo, questa è cento volte meglio. Non pretendo che tu sia un amico per me lo so bene, non voglio obbligarti. Posso aspettare ma...ti prego lascia che io lo sia per te.*

Era la sua seconda confessione in un giorno e si sentiva svuotato di ogni cosa. Merlin continuò a stare nella sua bolla di mutismo ma sapeva che questa volta non lo stava ignorando ma, analizzando. Lo aveva colpito ne era certo e ora Merlin stava soppesando per filo e per segno tutto ciò che gli aveva detto.
Il tempo sembrò dilatarsi mentre aspettava che la mente del moro facesse il suo corso. I secondi divennero minuti, mentre il cuore gli batteva all'impazzata nel petto.

Per Merlin era difficile immedesimarsi nelle altre persone; riusciva a capire certe dinamiche antropologiche ma non aveva mai pensato di avere un tale influsso su Arthur. Questa presa di coscienza lo trafisse come un fulmine prende un albero con tutta la sua potenza elettrica.
A quanto pare non poteva pretendere di averlo senza avere nulla in cambio. La logica di per sé non era sbagliata, il problema è che andando avanti non sapeva  chi dei due avrebbe rischiato di farsi più male.
Ma quelle erano le terrificanti montagne russe di Arthur Pendragon...

-E se non arrivasse mai quel giorno? Se dovessi aspettare per sempre?-
*Lo accetterei.*
-Davvero? Non puoi esserne certo. E se un giorno ti stufassi di aspettare e te ne andassi?-
*Penso che sarei un vero idiota. In più farei la stupidaggine di darti di nuovo la possibilità di dubitare sempre degli altri.*
-Anche tu dubiti degli altri.-
*Vero, ma sto cercando di migliorare.*

...e quando decidi di salire, non si torna più indietro. Nonostante sia capace di ferirti e guarirti allo stesso tempo.

Alla fine Merlin si alzò. Non erano molto distanti e ciò permise al suo fiuto di percepire il suo odore come le sue emozioni. Nelle ore di silenzio aveva percepito molteplici sensazioni provenire da lui: frustrazione, rabbia, paura, indecisione. Ora invece in piedi ad un soffio dall'acqua oltre alla paura percepì una sensazione nuova cui non seppe dare un nome.
Vide Merlin tirare un respiro profondo come per darsi coraggio e...entrare in acqua.

Il contatto freddo dell'acqua con i piedi caldi scaldati dal sole lo fece sobbalzare. Lentamente Merlin, mosse un piede davanti all'altro cercando di mantenere il respiro controllato mentre il petto gli batteva dolorosamente nel petto.

Sì. Vieni da me... così...

Il lupo non disse una parola ad alta voce. Non voleva distrarlo dalla sua terrificante traversata, comprendendo bene la pura e il disagio che lo impregnavano. Lasciò che lo raggiungesse, prendesse fra le sue mani il libro per poi voltarsi e tornare a riva.
Fu un sollievo per i muscoli della sua bocca ormai rigidi e doloranti dopo tante ore in tensione.
Lentamente si avviò anche lui verso la spiaggia camminandogli dietro, pronto a sostenerlo nel caso fosse scivolato sui sassi scivolosi.

-Sospettavo che i tuoi atteggiamenti non fossero casuali.- disse dopo essere uscito dall'acqua ed essersi scollato di dosso la paura provata poco prima .
Arthur ancora dietro di lui vedeva solo le sue spalle.
La sua frase non era né un accettazione né un rifiuto alle sue parole. Ma la semplice verità di quello che Arthur aveva sempre sospettato.
Lui lo aveva sempre...visto.

-Hai vinto. Cosa vuoi che faccia per te?-
*Vorrei poter entrare in camera tua.*
-Perché ci tieni così tanto ad entrare?-
*Perché è l'unico posto della casa dove non posso andare.*
-È solo una camera.-
*No. È la tua camera.*
Il sotto testo era evidente: voglio conoscerti...parlami di te.
 

 

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Capitolo 16
*** Changes ***


Per un colpo di fortuna, Merlin e Arthur riuscirono a prendere l'ultimo autobus delle sette.
Ancora una volta, si sedettero in fondo alla fila per non essere disturbati, anche se, il mezzo per tutta la durata del ritorno fu quasi vuoto.
Non si rivolsero praticamente mai la parola, finché non arrivarono a casa.

Arthur si sentiva su di giri, per la giornata probabilmente più intensa che avesse mai vissuto con Merlin. Non si sentiva ancora pronto a rivelare tutti i dettagli scabrosi della sua vita dietro le quinte, ma per il momento si sentiva più che soddisfatto.

Era la prima volta che Arthur raccontava i lati negativi della famiglia Pendragon, e per la verità non sapeva con precisione come si sentisse, le emozioni erano tante e confuse; ma in generale positive.
Si sentiva in parte stordito dall'adrenalina, che pian piano stava sciamando dal suo corpo. Triste per la verità di quelle parole e sereno di averle confidate a Merlin, conscio che con lui sarebbero state accolte e ben custodite nonostante non avesse ancora detto una parola al riguardo.

Merlin dal canto suo, fece del suo meglio per metabolizzare le parole del lupo. Si sentiva confuso e sopraffatto.
Aveva sempre vissuto la sua vita come spettatore esterno e nonostante fosse conscio che ad ogni azione corrispondesse una reazione uguale o contraria; non aveva mai pensato di poter avere un così forte impatto su qualcuno.
Aveva sempre fatto in modo di limitare i contatti, così da poter condizionare il meno possibile la vita degli altri, e ovviamente questo valeva anche per la sua.
Soprattutto la sua.

Non lo aveva mai desiderato, le implicazioni emotive erano troppe. Per questo di "amica" aveva solo Gwen, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno, e di conseguenza la teneva ben distante così che non potesse fare danni.

Eppure per quanto l'insistenza di Arthur e Gwen potessero sembrare simili, in realtà erano del tutto diverse.
La curiosità spasmodica di Gwen nasceva dal pettegolezzo e dal bisogno di sapere le cose per appagare un bisogno personale. Un bisogno che la facesse sentire parte della vita degli altri.
La curiosità di Arthur era profonda e limpida come l'acqua che scorre nella roccia viva. Nasceva dall'oscurità più tetra per diventare linfa curativa.
Oscurità che chiama oscurità.
Acqua che chiama acqua.
Simile che chiama simile.

Una piccola parte di lui, non poteva negarlo, lo apprezzava. Anzi, gli scuoteva ogni fibra del corpo. Perché questo per lui significava una sola cosa: Arthur non aveva alcuna intenzione di separarsi da lui.
All'inizio si era convinto che Arthur non lo volesse, ma quella scoperta cambiava tutte le carte in tavola.
Non avrebbe più dovuto faticare per tenerselo stretto, d'altro canto però, avrebbe dovuto concedere ad Arthur molto di più di quanto si fosse aspettato.

Voglio essere tuo amico...solo questo non mi basta.

Non basta.
Non aveva neanche mai pensato di poter dare qualcosa a qualcuno e ora Arthur gli diceva addirittura che voleva di più, facendogli intendere che poteva, e che avesse molto altro da dare.
Non aveva idea di dove Arthur trovasse tutto quel potenziale in lui, ma dopotutto quello più ferrato sui sentimenti tra loro era il Pendragon, quindi forse doveva solo fidarsi e basta.
Non che avesse molta altra scelta.
Inoltre non poteva negare che anche Arthur lo aveva condizionato molto nelle ultime settimane.

Aveva imparato a condividere in primis gli spazi, cosa che all'inizio aborriva. Aveva scoperto il piacere di fare una buona conversazione indipendentemente da quanto l'argomento fosse serio o frivolo.
Aveva imparato a confidarsi, certo non era ancora così sciolto, ma quel poco che aveva raccontato ad Arthur non lo sapeva nessuno, eccetto lui.
Non era stato sempre facile o piacevole, ma nonostante questo in cuor suo sapeva che quel poco detto era al sicuro; non perché non potesse raccontarlo a nessuno vista la sua condizione lupesca, ma perché ora sentiva che Arthur capiva il significato di quelle parole.
Comprendeva il dolore e la solitudine a modo suo.
Glielo aveva letteralmente sbandierato in faccia e per quanto Merlin fosse fatto di ghiaccio, non poteva ignorare una cosa del genere.
Il suo sole gli aveva decisamente sciolto e smussato gli angoli.

-Ti va una pizza? Non ho voglia di mettermi a cucinare oggi.- disse Merlin pacato, una volta entrati in casa e posate le borse. *Certo.*
-Che pizza vuoi?-
*La solita va bene.*
-Ok.- concluse prendendo in mano il telefono per chiamare il Drago Fumante e ordinare due pizze belle calde.

In seguito, i due, seduti sul divano a mangiare la pizza, per Merlin fu inevitabile non pensare a tutti quei piccoli dettagli che Arthur era riuscito a fargli cambiare. All'inizio non ci aveva fatto caso, tanto il cambiamento era stato lento e graduale. Come quello che stava vivendo in quel momento: una volta, mai si sarebbe sognato di mangiare una pizza sul divano guardando un film solo per il piacere di farlo.
Prima del Pendragon non riusciva a ricordare quale fosse l'ultima volta che aveva provato a fare qualcosa, solo per il gusto di farla e non per rimanere dolorosamente lucido.
Forse, non ci era mai riuscito, tralasciando quel piccolo arco della sua vita mai durato abbastanza. Anche se ridotto com'era, a quel tempo, non poteva dire di ricordarsi gran che. Qualche lampo sporadico di lucidità, tanta beata oscurità e sensazioni annebbiate e dolcemente distorte.

*Un penny per i tuoi pensieri.* Disse Arthur tutto un tratto rivolto a Merlin che si era accorto del suo vagare silente. -Tu non hai un penny.- rispose pacato il moro, riemergendo dal suo mare di pensieri *Che ne dici di una fetta di pizza?* Un lieve sorriso increspò le labbra di Merlin. -Sono a posto, grazie.- disse pulendosi le labbra con il tovagliolo.
*Dimmi a cosa pensi.* Disse di nuovo puntando i suoi occhi azzurri sul ragazzo. Non era un comando, ma il tono che usò era morbido e suadente come miele. Assomigliava molto al tono che usava quando era umano e gli sussurrava cattiverie all'orecchio.
Simile sì...ma non uguale; pregno di un abbraccio accogliente che ormai era quasi onnipresente nelle loro conversazioni.
Merlin si girò verso di lui per ricambiare lo sguardo. -Cosa vuoi sapere?-
*Tutto quello che ti senti di dirmi.*
-Onestamente non lo so.-
*Semplifichiamo allora...dove eri andato poco fa?*
-Da nessuna parte stavo solo...-
*Cosa?*
-Pensavo solo a quante cose sono cambiate da quando sei arrivato. Tutto qui.-
*E cosa mi dici del responso finale? Positivo o negativo?
-Positivo.-
*Non ci hai pensato molto.*
-Sono piuttosto sicuro di questo.*
*Credo sia la cosa più carina che tu mi abbia mai detto.*
-Ora non ti montare la testa. Era solo una constatazione.- rispose svelto, percependo sul proprio volto una sensazione di calore sulle guance mai provata prima.
E preso alla sprovvista dalla sua reazione fisiologica totalmente inaspettata, Merlin, fece del suo meglio per girarsi e guardare un punto non ben definito della stanza, per fare passare quella improvvisa ondata emotiva e contemporaneamente non farsi vedere dal lupo.
Da quando arrossiva in sua presenza?

*Non mi importa, fa lo stesso.- rispose sorridendo Arthur, all'apparenza ignaro dell'improvviso e più unico che raro, tumulto emotivo che stava vivendo l'altro.

Quella sera un'altra cosa cambiò. Per la prima volta Merlin, dormì fuori dal suo letto.
Non ci furono rituali serali o altri meccanismi abitudinari. Semplicemente si addormentò, cullato dai suoni della TV in sottofondo e la voce di Arthur mentre gli raccontava aneddoti divertenti avvenuti durante gli allenamenti a scuola.
Mai con tanta serenità si era lasciato prendere dalle braccia di Morfeo, e quando Arthur si accorse del suo lieve russare, semplicemente, con il muso spense la TV per poi accoccolarsi vicino a lui.

Quando Hunit rientrò a casa quella notte, e li vide entrambi dormire pesantemente sul divano, non ebbe cuore di svegliarli.
Li coprí con una coperta, diede ad ognuno un bacio sulla fronte e disse: -Buona notte ragazzi miei.-

Il giorno seguente, il risveglio, non fú così dolce come l'addormentamento. Il divano non era comodo e largo come il letto, di conseguenza erano finiti per dormire appiccicati e in posizioni leggermente scomode; ma nessuno dei due fiatò.
La conquista di quel nuovo traguardo da parte di Merlin superava perfino una schiena dolorante. E solo Dio sapeva quanto Arthur fosse pignolo nel tenerne il conto, felice tutte le volte che Merlin involontariamente o no, superava una delle sue tante barriere mentali.

I giorni seguenti invece, tornarono ancora al lago, faceva davvero troppo caldo per rimanere fermi dentro quattro mura.
Ovviamente per Merlin era ancora troppo presto entrare in acqua. Chiaccherarono, lessero e ascoltarono musica oltre alla valanga di bagni e tuffi che fece Arthur. Un paio di volte il Pendragon gli chiese pure se volesse fare una passeggiata sul bagnasciuga. Incredibilmente Merlin accettò di camminare con i piedi bagnati dall'acqua ma alla condizione di stare più vicino alla parte della terra ferma e di avere il lupo ben accanto nel caso fosse scivolato. Arthur non se lo fece ripetere due volte e accettò subito di buon grado. Forse non sarebbe riuscito a  farlo entrare in acqua per la fine dell'estate, ma per il lupo fu lo stesso un traguardo enorme.

Alla fine del secondo mese, Merlin si sentì pronto per soddisfare la famosa vincita di Arthur.
Stavano per andare a dormire quando Merlin chiamò Arthur.
*Sei sicuro? Non voglio metterti fretta.*
-Sono sicuro.- rispose deciso.
Sapeva bene il Pendragon, cosa comportava per Merlin quel passo.
Era pronto a farlo entrare ufficialmente nella sua vita.
Pronto a donargli la sua chiave.
Pronto ad accettare e ricambiare la sua amicizia.
Un altro evento più unico che raro.

Il moro ci aveva riflettuto sù fino alla nausea, prima decidersi a farlo. Valutando tutti i pro e i contro, rendendosi poi conto alla fine, che non era così che poteva valutare la sua scelta. La verità era che se avesse continuato a valutare il problema con occhi razionali, Arthur non sarebbe mai entrato in camera sua.
Così, per l'ennesima volta dall'inizio di quella assurda estate, fu costretto a provare un'altra cosa nuova: scegliere sulla base di ciò che provava.
Bastò solo il pensiero a farlo tremare di terrore mentre un lungo e gelido brivido gli percorreva la spina dorsale. Così, fece l'unica cosa che poteva fare: proteggersi col pensiero della presenza di Arthur accanto a lui, sperando bastasse a tenere lontana la sua oscurità, nonostante si stesse infilando volontariamente nella tana del lupo cattivo.
E così, ancorando l'immagine di Arthur alla sua mente fece quello che si era sempre ripromesso di non fare per tutta la vita.

Con incertezza e timore discese la lunga scalinata che conduceva ad una porta che non apriva da anni: le sue emozioni, i suoi sentimenti.
La ricerca fu terrificante e disorientante all'inizio. Non comunicava con le sue emozioni da così tanto tempo, che sul momento si sentì a disagio in loro presenza. Per un momento fu perfino difficile trovarle e riconoscerle. Fece del suo meglio per non farsi travolgere da esse e toccarle piano, con cautela, timoroso che da dietro un angolo buio, sbucasse fuori uno dei suoi terrificanti demoni.
Il contatto fu incerto e certe volte perfino difficile da decifrare. Alcune erano di facile comprensione, altre invece erano più complesse e quindi difficili da riconoscere e collocare. Erano come tante bolle cristallizzate, delicate e fragili che Merlin studiava fra le sue mani. Sarebbe bastato un movimento sbagliato per farle cadere e mandarle in mille pezzi, come se con il molto tempo passato a non usarle, come un arto del corpo, fossero diventate più gracili e atrofizzate.

Se le rigirò più volte fra le mani mentre come un film faceva scorrere tutti i momenti passati con Arthur. Era eccitante e terrificante insieme associare le emozioni ad un ricordo specifico.
La curiosità nata all'inizio, nei suoi confronti.
La rabbia e il rifiuto durante i litigi.
L'ansia di averlo accanto e dopo la paura di perderlo.
La possessività.
La timida gioia di stare insieme a lui.
La fiducia che aveva instillato nei suoi confronti giorno dopo giorno.
Il sollievo per la sua capacità di comprenderlo e accettarlo con tanta naturalezza.
L'imbarazzo di avere il suo sguardo su di sé...e infine la colpa e la vergogna verso sé stesso per aver desiderato di intrappolarlo nella sua rete per non lasciarlo scappare via. Tutte quelle emozioni, erano il chiaro segno di un tangibile e reale affetto nei confronti del Pendragon.
Gli voleva bene in un modo che non sapeva spiegare a parole e come Arthur, si ritrovò a pensare quelle stesse parole che gli aveva detto quel fatidico giorno al lago.

La stanza era pregna dell'odore di Merlin e perfettamente ordinata.
Arthur rimase fermo, ad osservarla in silenzio, cercando di carpirne ogni minimo dettaglio e fissarlo nella sua mente.
-Certo che sei strano. Non vedevi l'ora di entrare e ora non dici una parola.-
Arthur inspirò a fondo il suo odore inconfondibile. Era perfetto. Quel momento era perfetto.
*Grazie.*

Quelle sei lettere toccarono Merlin come mille parole, pregne di molti più significati di quanti se ne potessero contare in quel momento; ma se si potesse comprimere tutto e semplificare in poche parole, probabilmente la frase più simile alla realtà sarebbe: Grazie per aver scelto me fra tanti altri.

-Manca solo una cosa ora.- disse alla fine Merlin, forse più rivolto a sé stesso che al Pendragon
*Cosa?*
-Manca un mese all'inizio della scuola ormai e dobbiamo trovare un modo per farti tornare umano.-

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Capitolo 17
*** Dead Center ***


Il giorno dopo, Merlin e Arthur, si misero subito all'opera per decifrare e risolvere l'enigma magico.
Il moro prese un quaderno bianco per trascrivere tutte le informazioni che avevano e seduti sotto la veranda di casa sua, si fece elencare dal lupo per filo e per segno, tutto ciò che Morgana gli aveva detto.

Solo una persona può capirti...Merlin Emrys...

...lui può aiutarti a trovare il vero tè stesso...

...dovete spezzare l'incantesimo prima della fine dell'estate o rimarrai un lupo per sempre.

-Sei sicuro che sia tutto qui quello che ti ha detto?-
*Sicurissimo.*
-Non è molto su cui lavorare, può voler dire tutto e niente. Ne sei certo? Sarai stato nel panico e posso capire se ti fosse sfuggito qualcosa.-
*Sono. Sicuro. Ero spaventato non sordo.* Lo rimbeccó il lupo leggermente stizzito. -Ok ok, ti credo. Volevo solo essere certo di avere tutte le informazioni.-
*Che mi dici di te? Cosa ti ha detto?*

L'ho fatto per il bene di entrambi...

...vi ho dato ciò di cui avevate bisogno...

...tu e mio fratello avete più cose in comune di quanto crediate...

...ti sto dando l'opportunità di liberarti da ciò che ti logora tanto...

-Le stesse cose che ha detto a te.- mentì.
Gli voleva bene, ora poteva ammetterlo a sé stesso senza andare nel panico, ma non era ancora pronto per scoperchiare sotto gli occhi di Arthur la sua tenebra.

Avevano condiviso molto negli ultimi due mesi e poteva dire di non rimpiangere nulla, ma aprire quella porta...
Non riusciva a farlo lui stesso, nonostante ci convivesse da anni, come avrebbe fatto a dirglielo senza morire dentro?
Come poteva chiedergli di accettare una cosa che nemmeno lui era capace di accettare e comprende?
Lo avrebbe visto diversamente?
E lui avrebbe avuto il coraggio di farsi guardare di nuovo da lui sapendo la verità?

Si convinse di non aver bisogno che Arthur sapesse tutta la sua versione per risolvere l'enigma. C'è l'avrebbe fatta per lui. Per entrambi.

*Credi sia una specie di enigma?*
-Forse, onestamente non lo so.-
*Se lo fosse dovrebbe essere facile per te. Tu sei bravo in queste cose.* un lieve sorriso si dipinse sulle labbra di Merlin al suono di quelle parole. *Che c'è? Che ho detto?*
-Nulla, è solo che... è la stessa cosa che mi ha detto tua sorella.-
*Sul serio? Non ci posso credere! Io lo so perché ti conosco da due mesi ormai e lei invece già lo sapeva?!? Maledetta strega!*
-Non dirmi che sei geloso.- disse il moro divertito dalla sua reazione piuttosto vivace.
*Non sono geloso! Semplicemente, non è giusto che lei sappia più cose di me su di te. Ti ricordo che sono io quello che vive qui con te, non lei.*
-Quindi sei geloso.-
*Non. Sono. Geloso! E poi come fa a sapere questa cosa di te?*
-Penso sia risaputo da tutti che sono quello con la media più alta a scuola.-
*Sì ma perché proprio te? Insomma poteva scegliere chiunque e invece...*
-Ha scelto me. Mi ha detto di non aver lasciato nulla al caso e che tutto era stato calcolato. Aggiungendo che lo ha fatto per il bene di entrambi e che abbiamo più cose in comune di quanto crediamo.-
*Quindi possiamo dire che ti ha spiato? E come ha fatto? Ha sorvegliato mezza scuola, dentro e fuori prima di sceglierti? Perdendo giorni e notti riuscendo comunque a non impazzire e tenere i suoi voti vertiginosamente alti, come i suoi stra maledetti tacchi?*
-Beh...ha ammesso di essere una strega. Direi che possiamo aspettarci di tutto a questo punto. Anche sorvegliarmi di giorno e di notte per scegliermi.-

Questo spiegherebbe in parte perché mi conosce così bene, ma non il perché è a conoscenza del mio segreto.

-Quando le ho chiesto come facesse a conoscermi, mi ha risposto che aveva le sue fonti.-
*E chi? Schiere di pipistrelli spia addestrati?*
-Ha detto di essere una strega, non Batman con la sua Bat caverna.-
*Fidati. Io c'è la vedo eccome, insieme a quelle stregacce delle sue amiche.*
-E dove la metti la caverna?-
*Sotto la casa ovviamente.*
-Tu hai davvero troppa fantasia.-
*Che ne sai che non sarò io a risolvere l'incantesimo invece? Forse per spezzare una magia, la fantasia è quello che ci vuole.* Disse tutto fiero della sua idea.

-Quindi che facciamo? Andiamo a casa Pendragon con una pala e iniziamo a scavare? Il tutto senza farci beccare ovviamente. Finché non troviamo la caverna dentro la quale non puoi entrare, perché un incantesimo non ti permette di varcare la soglia di casa tua?- rispose il moro smontando la sua proposta.
*Si beh...era solo un'idea.*
-Anche se la caverna esistesse davvero non ci servirebbe a niente. Anche se...-
*Cosa?*
-Morgana ha detto che per risolverlo dovevo iniziare a pensare fuori dagli schemi.-
*Vedi? Avevo ragione. Hai bisogno di me per allargare i tuoi orizzonti. Non sei abbastanza fantasioso.* Rispose Arthur rinvigorito. -Vorrà dire allora, che cercherò di tenere a mente anche le tue idee più strampalate. Per il momento però, cerchiamo di andare per gradi.- concluse alla fine il moro, cercando di mettere insieme tutte le informazioni che avevano.

-Ti ha mandato qui, permettendoti di parlare solo con me, quindi è evidente che il fulcro della cosa siamo solo tu e io. Concordi?-
*Concordo. E ha anche detto di averlo fatto per il nostro bene.*
-Esatto. Anche se ancora non lo comprendiamo.- disse scrivendo tutto sul quaderno. *Quindi pensa che io e te abbiamo qualcosa che non va e solo stando insieme possiamo sistemarlo.*
-Corretto.-
*Tipico di mia sorella sentirsi superiore con il complesso della salvatrice. Ma sistemare cosa?*
-Ha parlato di vero tè stesso. Quindi non si riferisce a cose materiali ma più astratte, come la personalità, la mentalità.-
*Beh...se pensiamo a come eravamo all'inizio ne abbiamo fatta di strada. Non ci potevamo sopportare e ora guardaci.*
-Amici.- disse guardandolo negli occhi.
*Amici* rispose l'altro ricambiandolo.

*Direi che questo vale come cambiamento astratto, non ti pare? Io non sono più quello di prima e nemmeno tu.* Disse indicandolo con la sua enorme zampa nera. *E poi ha aggiunto che abbiamo più cose in comune di quanto crediamo. Beh...le abbiamo trovate! facciamo un sacco di cose insieme. Allora perché non sono ancora tornato umano?*
-Forse non hai ancora raggiunto il cento per cento del tuo vero tè stesso...credo.-
*Non ci credi nemmeno tu a quello che hai appena detto.*
-No, per niente.- rispose Merlin sconsolato, affondando le mani nei capelli *Non capisco! Che vuol dire? Che non torno umano, perché in realtà il mio vero me stesso è essere un animale?!* Disse improvvisamente Arthur, preso dalla rabbia e dallo sconforto. -Non credo sia così.- ribatté Merlin cercando di consolarlo, ma senza successo.
*Allora cosa? Cosa manca? Cos'altro dobbiamo fare? Io non sono più lo stronzo che ero prima, e tu non sei più un manichino apatico...*
-Ti ringrazio.-
-Figurati. Siamo amici...allora cosa manca?*

Le parole gli morirono in gola per la frustrazione.
Cos'altro mancava?
Merlin accanto ad Arthur era frustrato e avvilito quanto lui, mentre pensava alla sua parte di enigma.
Cos'altro mancava?
Morgana gli aveva esplicitamente detto di avergli dato ciò di cui aveva bisogno, e quello di cui aveva bisogno, era una cura contro la sua mente autodistruttiva.
Gli aveva servito Arthur, la sua unica salvezza, su un piatto d'argento e da quando il lupo gli aveva confermato la sua volontà di restare al suo fianco, non correva più il rischio di rimanere senza la sua ancora di salvezza. Entrambi sembravano aver raggiunto l'obiettivo. Allora perché tutto restava immutato?

-Cerchiamo di non scoraggiarci. Abbiamo appena iniziato dopo tutto.-
Arthur si girò a guardarlo e riconobbe sul suo viso, la sua tipica espressione di quando era concentrato su qualcosa. I capelli neri scompigliati, le sopracciglia aggrottate e il labbro inferiore leggermente gonfio perché costantemente tormentato dai denti.
*Sei carino quando cerchi di fare quello propositivo*

Eccolo di nuovo, quel calore sulle guance di Merlin, totalmente inaspettato.
Inspirò a fondo per aiutarsi a concentrarsi e ignorare quella nuova sensazione che sembrava volersi infilare in lui ogni volta che Arthur gli faceva un complimento o una battuta piccante.
Non poteva permettersi distrazioni.
-Si beh... continuiamo a pensare.-

E lo fecero. Pensarono e pensarono fino allo sfinimento, ideando teorie una dopo l'altra, scrivendo e cancellando e scrivendo di nuovo sul quaderno ormai pieno di cancellature, sempre più rabbiose. Ciò nonostante, non cambiò nulla.
E ogni volta che sembrava avessero trovato la soluzione, si rendevano conto che mancava sempre un pezzo al loro puzzle. Costringendoli per l'ennesima volta a cancellare quelle scritte pregne di speranza.

*Dove vai?* Chiese Arthur dopo tre giorni passati in casa a scervellarsi. -Ho bisogno di uscire. Non riesco più a pensare stando qui dentro.-
*Vuoi compagnia?*
-No, ho bisogno di pensare da solo...o forse non pensare.- disse sfinito, stropicciandosi gli occhi con le mani pallide.
*Lo capisco. Non vorrei mai essere il responsabile del corto circuito del tuo cervello. Ci tengo troppo a quella testolina.*

Ed eccoli lì, l'ennesima battuta affettuosa e l'ennesimo calore sulle guance. Ormai nemmeno li contava più. Semplicemente respirava e cercava di ignorarli per farli passare il prima possibile.
Ma forse, avrebbe dovuto aspettarselo. Aveva riaperto la porta delle sue emozioni e non poteva certo pretendere di non avere ripercussioni per una tale decisione.
Quello che davvero non capiva, era perché tra tutte le emozioni che avrebbe potuto provare, era proprio l'imbarazzo a coglierlo di sorpresa, insieme alla vergogna di essere beccato da quegli indistinguibili occhi azzurro cielo.

Uscì in fretta dalla porta di casa senza fiatare, prese la bicicletta poggiata sul retro e inizio a pedalare deciso. Sapeva esattamente dove voleva andare.

Arrivato alla metà, casa Pendragon troneggiava sopra di lui con la sua ostentata ricchezza e la sua aura inquietante.
-Sapevo che saresti tornato.- disse una voce femminile da dietro la cancellata, ma questa volta Merlin, era preparato alle comparse improvvise della Pendragon e non si preoccupò né si scandalizzò. -Morgana.-
-Merlin-
-Dobbiamo parlare.- disse il ragazzo con decisione. -Lo immaginavo.- rispose la ragazza con il suo solito fare enigmatico. -Vieni ti offro una tazza di tea.-

Per la seconda volta i due si ritrovarono sotto lo stesso albero della volta prima. Unico custode e ascoltatore delle loro conversazioni.
-Vedo che tu e mio fratello avete fatto progressi.- disse, dando il primo sorso al suo bicchiere ghiacciato. -A cosa devo la tua visita?-
-Se sai dei nostri progressi, saprai anche che siamo ad un punto fermo. Come faccio a far tornare Arthur umano?-
-Non come "tu". Ma come "voi", non ti dimenticare che siete in due su questa barca e non è consentito fare le cose per conto proprio.- un sospiro nervoso uscì dal naso di Merlin. -Sapevo che ci avresti provato. Sei troppo abituato a fare le cose da solo.-
-E va bene.- ribatté esasperato. -Cosa dobbiamo fare...- chiese questa volta, dando enfasi alle ultime due parole -...per fare tornare Arthur umano?-
-Domanda sbagliata.- rispose allora Morgana con tutta calma. -Come sbagliata?!-
-Cosa ti ho detto l'altra volta? Non è il traguardo la vittoria, ma il viaggio stesso. Fare tornare Arthur umano è il premio, non l'obbiettivo.- disse trafiggendolo con i suoi occhi penetranti.
-Quello che dici non ha senso. Basta enigmi! Sono tre giorni che ci arrovelliamo su questo dannato incantesimo e non siamo arrivati da nessuna parte. Hai detto che avevo tutte le linee guida di cui avevo bisogno ma non è vero! Se fosse così lo avremmo già risolto! Hai mentito!!-
-Io non ho mentito!- Ribatté lei, glaciale e spaventosa come una lama alla gola ben affilata, e per un solo singolo secondo il cielo parve oscurarsi -Siete diventati amici, è vero. Ma non è quello l'obbiettivo. L'amicizia è solo una bella conseguenza.-
-Ma Arthur è cambiato! Lo hai visto.-
-E tu? Tu sei cambiato? L'incanto non funziona solo su Arthur ma anche su di te e se tu non troverai il tuo centro, condannerai Arthur a restare un lupo per sempre.- disse gelida.
-Ah...questa si che è bella. Trasformi tuo fratello in un animale e hai il coraggio non solo di lavartene le mani, ma addirittura di dare a me la responsabilità del suo futuro. Arthur aveva ragione a dire che sei una vera stronza! Come puoi essere così insensibile da mettere tuo fratello in una situazione del genere e non avere un minimo di rimorso?!- urlò tutto d'un fiato in faccia alla Pendragon che non si scompose nemmeno di una virgola; e quando il ragazzo credette che gli avrebbe risposto per le rime, Morgana fece l'unica cosa che mai si sarebbe aspettato: applaudì.
Applaudì con tutta la grazia e il fascino di cui era in possesso.

-Devo dire che le emozioni ti donano. Anche se a pensarci bene, è piuttosto ironico che sia proprio tu a fare questo discorso a me. Non ti pare?- Bevve un altro sorso di tea freddo. -Non perdete la speranza, siete quasi arrivati.-
-Me ne frego se manca un centimetro o mille chilometri. Ma ricorda, se Arthur rimane un lupo a vita, sarà solo colpa tua. E ora fammi uscire da questo dannato giardino.-
-Come desideri Merlin caro.- rispose la strega e schioccando le dita, Merlin si ritrovò di nuovo fuori dalla proprietà dei Pendragon.

Era sfinito. Le sue emozioni lo avevano sfinito. Morgana e le sue stupide battutine lo avevano sfinito.
L'unica cosa che voleva, era andare a casa e scusarsi con Arthur per la sua incapacità di aiutarlo. Non sapeva se Morgana si sarebbe sentita in colpa, ma era certo che lui lo sarebbe stato. Già ora lo era. In colpa per averci messo così tanto e aver sprecato del tempo prezioso. In colpa per non sapere cosa fare per aiutarlo. In colpa per essere quello che era, perché se lui non fosse stato così, Morgana non lo avrebbe scelto e ora non sarebbero a quel punto morto.

Tornato a casa, quando Arthur lo vide, la sua faccia la diceva lunga su dove fosse andato e come fosse andata la conversazione. *Non saresti dovuto andare da lei.* gli disse seguendolo in camera sua. -Dovevo fare un tentativo.- rispose l'altro lasciandosi cadere sul letto sfinito, a pancia in giù. *E come è andata?* Chiese avvicinandosi al suo viso e posando il muso sul materasso. -Le ho detto che è una stronza e me ne sono andato.*
*Beh...direi che è andata bene. Peccato essermelo perso.* Rispose cercando di tiragli su il morale. -Mi dispiace.-
*Per cosa?*
-Per tutto questo.-
*La colpa non è tua. È stata mia sorella a farmi questo.*
-Ma lei ha ragione. Ti avrà anche trasformato, ma se non riuscirai a tornare umano la colpa sarà solo mia.- era la prima volta che Arthur vedeva Merlin così triste e abbattuto. Talmente tanto da chiedere scusa per una colpa non sua.
*Vorrà dire che ti toccherà sorbirmi per il resto della tua vita. Dopo tutto non è così male. Ho cibo, un letto, una compagnia niente male e...*
-Non cercare di indorarmi la pillola.-
*Non lo sto facendo.*
-Si invece.-
*Ti ricordi la parte in cui ti dicevo che la mia vita è più bella adesso rispetto a prima, o lo hai dimenticato?*
-Mettiamo anche solo per un attimo...- disse girandosi sul lato per guardare Arthur negli occhi. -...che non risolviamo l'enigma e devi rimanere in questo corpo a vita. Non puoi essere sicuro che un giorno non ti sveglierai arrabbiato e deluso per non essere nel tuo corpo.-
*Ma avrò te.*
-Quindi, mi stai dicendo con assoluta certezza, che non ti sveglierai un giorno pensando, che se sei in quel corpo è solo perché io non stato capace di aiutarti?-
*È così.*
-Non ci credo. Sei davvero disposto ad accettare di vivere con la persona che ti ha negato la libertà?-
*Sei l'unica persona con cui posso parlare.*
-Che è anche peggio! Forse potremmo andare d'accordo ancora per qualche mese, alla meglio un anno, forse due. E poi? Ti stancherai di questa vita. Ti mancheranno le tue libertà. Inizieremo a litigare, perché non puoi fare nulla senza di me e finiremo di nuovo per odiarci, perché io mi terrò responsabile della tua condizione e tu altrettanto!- Le sentiva. Le lacrime. Gli pungevano gli occhi pronte ad uscire come un fiume in piena. Quando era stata l'ultima volta che aveva pianto?
Non lo ricordava.
Non aveva importanza.

Si copri il viso con le mani per cercare di frenarle e contemporaneamente non fare vedere oltre, il suo sfogo emotivo ad Arthur.
*Ok, ora basta.- disse tutto ad un tratto il lupo. -Mi stai facendo preoccupare. Dico sul serio.- continuò avvicinandosi di più a lui e poggiando una zampa sulla spalla e la fronte contro la sua. -Non so cosa ti abbia detto mia sorella, ma qualunque cosa sia, non mi piace. Perciò ora, prendi il tuo bel cervellino, clicchi sul tasto cancella e elimini tutte le stronzate che ti ha detto. Chiaro? Il tempo non è ancora scaduto.*
-Non esiste il pulsante cancella.- rispose Merlin a singhiozzi, ancora intento a trattenere le lacrime.
*Allora fai come me e ignora tutto quello che ti dice.*
-Tu la ignoravi anche prima e sei finito qui.-
*Beh...non credo possa andare peggio di così. Non ti pare?*
-Potrebbe sempre trasformare anche me in un cane.-
*Questo sì che sarebbe divertente.* E a quelle parole, entrambi iniziarono a ridere di gusto.

Risero così tanto da farsi male la pancia e quando Arthur vide Merlin riacquistare uno stato più tranquillo gli disse *Sai che facciamo ora?*
-Cosa?- chiese il moro mettendosi seduto e riacquistando la sua solita compostezza. *Una cosa che ti piace. Andiamo in biblioteca, scegli un libro, torniamo a casa, lo leggiamo e lo svisceriamo fino alla nausea. Puoi anche prendere un libro di fisica quantistica se vuoi, non mi importa se è mortalmente noioso.*
-Ma non abbiamo tempo...-
*Zitto!* Ribatté, alzandosi su due zampe e posando una grossa zampa sulla bocca di Merlin e l'altra sul suo petto, per zittirlo. *La vita è mia e scelgo io. Andare avanti su questa strada non serve a nulla. Non sto rinunciando, sia chiaro. Ma non voglio nemmeno trovarti morto stecchito domani perché hai esagerato e il tuo cervello è esploso.*

Arthur aveva notato che da quando Merlin gli aveva aperto le porte di camera sua, era diventato più emotivo. Soprattutto quando gli lanciava frecciatine a doppio senso o semplici complimenti. Quel gesto aveva fatto la differenza, ma aveva anche comportato una serie di imprevisti: come la difficoltà di gestire le emozioni a volte.
Fu naturale per lui ergersi come suo pilastro di sostegno, durante quelle tempeste emotive.

*Il tempo non scade domani, perciò voglio che ritorni in te, così possiamo elaborare una nuova strategia. Va bene?*
-Va bene.-
*Ottimo. Ora alzati e andiamo.*

 

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Capitolo 18
*** Guilt ***


La ricerca della soluzione continuò per un altra settimana, ma senza risultato. Merlin aveva dato fondo a tutte le sue conoscenze scientifiche e anche Arthur non era stato da meno, dando tutto ciò che poteva.
-Non so più che cosa fare.- disse il moro sfinito e scoraggiato. *Lo so, ma non possiamo arrenderci.*

Merlin al pensiero di non riuscire a risolvere l'enigma, sentì la sua oscurità muoversi dentro di lui come un serpente famelico pronto ad ingoiarlo.
Subito fece un respiro profondo e stringendo i denti la ricacciò nel buco freddo e inospitale dal quale era venuta.

-Io non voglio arrendermi!- urlò all'improvviso sbattendo i pugni sul tavolo della cucina; spaventando Arthur che non si era aspettato una reazione così impetuosa da parte sua.

-S...scusami...non so cosa mi sia preso...- disse subito dopo, rendendosi conto della sua reazione violenta e cercando di riacquistare uno stato controllato.
Ma non ci furono battute o rimproveri da parte del lupo, che al contrario lo guardò con affetto e comprensione.

*Va tutto bene.* Lo tranquillizzò Arthur sfiorando con il muso la gamba del moro *Se fossi al tuo posto, credo che avrei fatto molto di più che sbattere i pugni su un tavolo.*
-È solo che non...non mi piace sentirmi così.-
*La rabbia è una cosa normale Merlin. So che non ci sei abituato.*
-Tu come fai a non essere arrabbiato?-
*Non è che non sono arrabbiato... è solo che...sono stato arrabbiato per tutta la vita e credimi, non è una bella compagnia.*
-Quindi confermi che la rabbia è una brutta cosa.-
*Non è brutta, è solo...normale. Ma se non sei capace di gestirla e incanalarla ti consuma. Vorrei solo che non te la trascinassi dietro come ho fatto io.*

Io sono già consumato dentro.

-Morgana aveva detto che avevamo tutto ciò che ci serviva. Che dovevamo solo mettere insieme i pezzi. Perché non riesco a trovare la soluzione?!- disse frustrato, affondando le mani nei suoi capelli neri come la notte.
Poi, tutto ad un tratto una frase di Morgana che il suo cervello aveva registrato, tornò a galla.

E tu? Tu sei cambiato? L'incanto non funziona solo su Arthur ma anche su di te e se tu non troverai il tuo centro, condannerai Arthur a restare un lupo per sempre.

Quando l'aveva sentita la prima volta, le sue emozioni lo stavano dominando, impedendogli così di analizzare la frase nella sua interezza.
Sul momento aveva solo percepito la sua colpevolezza in quelle parole, ma riascoltandole ora, la lettura era diversa e la consapevolezza di quel contenuto gli trafisse il cervello come una pallottola ben assestata mentre il suono dello sparo gli perforava i timpani.

Era vero. Tutto fottutamente vero.
Lui non era cambiato tanto quanto Arthur.
Non si era esposto tanto quanto lui.
E soprattutto non era ancora riuscito ad essere onesto, tanto quanto lui.
Una parte di Merlin desiderava davvero lasciarsi andare, ma la paura che tutto andasse a puttane era troppa.

Ogni frase detta dalla Pendragon iniziò a rimbombargli nelle orecchie. Le sue parole ancora una volta si trasformarono in piccoli pezzi di puzzle nella sua mente e questa volta, dopo tanti tentativi andati a vuoto, finalmente andarono al proprio posto, incastrandosi perfettamente l'uno con l'altro.

L'ho fatto per il bene di entrambi...

Morgana non gli aveva scelti a caso.

...vi ho dato ciò di cui avevate bisogno...

E ora tutto quello che la ragazza aveva detto iniziava ad avere un senso.
Loro avevano sempre avuto la soluzione in mano, perché nient'altro serviva se non loro due.
Si era convinto che l'incantesimo fosse l'enigma e questo lo aveva sempre portato fuori strada, invece loro erano l'enigma!

...non è la meta il traguardo ma, il viaggio stesso...

Tutto questo non poteva essere più poetico di così.
Quale è l'enigma più grande se non l'essere umano?
E come poteva tutto questo essere ancora più epico se non basare l'incantesimo sull'enigma più grande di tutti: il loro complesso e complicato rapporto.

...devi trovare il vero tè stesso...

Cosa c'è di più poetico di Arthur che risolve il grande enigma del secolo: chi è Merlin Emrys? E viceversa....Chi è Arthur Pendragon?

...non ti dimenticare che siete in due su questa barca e non è consentito fare le cose per conto proprio...

Il respiro gli si sbloccò in gola, il cuore saltò un battito e il suo corpo iniziò a sudare freddo.
Se aveva capito bene l'incantesimo si sarebbe spezzato nel momento in cui entrambi avessero svelato i propri altarini.

...se te lo dicessi, in primis non mi credereste. In secondo non imparereste nulla e non avrebbe senso aver creato tutto questo, per poi smontarlo prima che iniziaste il viaggio...

Di che viaggio parli?

Della Vita, Merlin. Quella cosa meravigliosa che ci fa battere il cuore. E che tu tanto temi...

Il problema, era che Morgana non aveva tenuto conto di una cosa: le reazioni umane.
L'incantesimo si basava sul fatto che sarebbe andato tutto bene a prescindere, ma nessuno poteva confermarlo. Non nei tempi prestabiliti almeno.

E se Arthur non fosse stato del tutto sincero con lui o non lo avesse accettato del tutto? E lui lo stesso?
Tutto quello che Morgana aveva fatto era stato creare un incantesimo che girasse intorno al loro rapporto, ma non poteva obbligarli a dire la verità. Lo svolgimento del tutto doveva essere graduale, spontaneo e sincero.
E se c'è l'avessero fatta ma sforando i tempi? In entrambi i casi sarebbero stati condannati. Nessuno può mettere fretta ai propri sentimenti.
In sostanza, la ragazza aveva messo nelle loro mani una bomba pronta ad esplodere senza sapere davvero i danni che avrebbe causato.

E se così fosse andata?
La conclusione sarebbe stata anche peggiore delle vecchie prospettive perché in quel caso Merlin avrebbe dovuto trascorrere la sua esistenza sì con la sua ancora di salvezza ma allo stesso tempo anche con lo specchio più terrificante al mondo. L'unico che conosceva e rifletteva la sua vera natura. E Arthur? A lui sarebbe toccato vivere fino alla fine in un corpo che non gli apparteneva, costretto alla vicinanza dell'unica persona che lo capiva e che non avrebbe più potuto tollerare.

...ti sto dando l'opportunità di liberarti da ciò che ti logora tanto...

Questo apriva le porte anche ad un'altra grande domanda. Come poteva, l'essere onesto con Arthur riguardo le sue crisi, aiutarlo a liberarsene invece che complicare le cose? Ne aveva parlato più volte con diversi medici da piccolo, perché parlarne con Arthur sta volta avrebbe fatto la differenza?
Il Pendragon non possedeva poteri magici e nemmeno un QI sopra la media. Come avrebbe mai potuto liberarlo definitivamente?
C'erano troppe incognite dentro quella assurda equazione e iniziava a pensare che forse Morgana era davvero così narcisista da credere che il suo piano non avesse delle falle, perché le aveva. Ed erano grandi come i crateri sulla luna. Difficile non cascarci dentro e mandare a puttane un intero piano.

Era davvero ironico.
Su una cosa però entrambi i Pendragon avevano avuto ragione: era riuscito a risolvere l'enigma, anche se non ci sarebbe mai arrivato se non fosse stato per Arthur che lo aveva spronato a confrontarsi di nuovo con la sua parte emotiva.

...devi solo cambiare il tuo modo di pensare e di vedere le cose...

Con la sua mente analitica di prima non ci sarebbe mai arrivato, perché non avrebbe nemmeno tenuto conto della parte emozionale di un individuo.
Invece ora, a un minuto dallo scadere del tempo ci era arrivato e sapeva che quello stesso minuto sarebbe andato perso perché Morgana gli aveva chiesto troppo.

Scoprirai di essere più coraggioso di quanto credi...

La Pendragon si sbagliava. Lui poteva essere tante cose ma mai e poi mai sarebbe stato coraggioso.
Il coraggio richiedeva doti e impegno che lui non possedeva. Essere coraggiosi era impegnativo e stancante. Voleva dire mettere costantemente alla prova i propri nervi e i propri limiti, cosa che lui non poteva permettersi. Significava vivere con la costante paura di affrontare l'ignoto, vivendo con un piede su un precipizio e l'altro pure.
No. Non lo avrebbe fatto.
Vivere la sua vita era già difficile così, con la costante compagnia dei suoi demoni nascosti dietro la porta, senza che ci fosse anche il coraggio a bussare. Preferiva essere un sopravvissuto che un eroe.
Gli eroi sono coraggiosi ed è a loro che vengono costantemente richiesto delle conferme. Mentre a nessuno verrebbe mai l'idea di andare a scomodare un sopravvissuto. Perché sanno che quello che ha passato basta e avanza e che con tutta probabilità non sopravviverebbe un'altra volta.

Inoltre Morgana non aveva tenuto conto di un altro fattore importante: le sue crisi. Per quanto non volesse sminuire i sentimenti di Arthur, Morgana non poteva mettere sullo stesso piano il loro Io. Se Arthur si fosse esposto non gli sarebbe successo nulla. Lo stesso discorso invece non voleva per lui.

*Merlin, va tutto bene?*
-Sì, perché?- chiese il moro riemergendo dal tumulto soffocante dei suoi pensieri. *Sei sbiancato all'improvviso e non parli da dieci minuti buoni. Devo preoccuparmi?*
-No...scusami...mi sono solo perso nei miei pensieri.- Dovette decisamente raschiare il fondo del barile per rispondergli nel modo più tranquillo e pacato possibile. Il lupo restò a fissarlo ancora per qualche secondo perplesso, finché non si convinse delle sue parole e lo lasciò perdere.
*Credo proprio che ci serva una pausa, non credi? Dopo tutto, quello che fa il lavoro sporco fra noi due sei tu.*
-Questo non è vero. Il tuo intervento mi è molto utile.-
*Sì, ma io non ho il tuo cervello. Mi spiace ammetterlo ma è la verità, per questo il mio compito e controllare che tu non esageri troppo. Perciò ora ci fermiamo e facciamo una bella pausa.*

Questa presa di coscienza mise il moro in una scomoda posizione, diviso tra il suo bene e quello di Arthur. Tanto che la settimana seguente lo rese ancora più scontroso e di pessimo umore. Si sentiva come se stesse camminando su una strada fatta di chiodi e ogni parola scambiata con Arthur, equivaleva ad un passo più doloroso dell'altro dato dai chiodi che gli perforavano e dilaniavano la carne dei piedi.
Stava sperimentando per la prima volta la colpa.

Arthur diede la colpa del suo malumore al fatto che non riuscisse a risolvere l'enigma. All'inizio aveva provato a consolarlo ma quando vide che le sue rassicurazioni non facevano che innervosirlo ancora di più smise, senza però dall'altra parte, sapere cosa fare per poterlo aiutare.
Quello che stava vivendo era un nuovo volto di Merlin totalmente inesplorato.

Forse Merlin non sarebbe stato divorato dalla rabbia come Arthur, me dopotutto nessuno è uguale all'altro e questo fa sì che ognuno sviluppi i propri aguzzini. Forse quello di Merlin era la colpa. Il che era davvero ironico. Lui che per tutta la sua vita aveva vissuto con il distacco, sarebbe finito morto consumato dal mostro più improbabile: il rimorso per un'infrazione morale. Lui che da persona scientifica quale era, se n'è era sembra sbattuto degli altri e della morale.

Qualche sera più tardi, mentre due ragazzi stavano rientrando a casa dopo una passeggiata serale piuttosto lunga - colpa di Gwen che li aveva incontrati e si era auto invitata alla passeggiata per un pezzo di strada, prima di lasciarli davanti a casa sua. Cosa che non aveva aiutato affatto a smorzare l'aria tesa che aleggiava intorno a Merlin. Anzi, l'aveva peggiorata e Arthur stava iniziando a stancarsi del suo atteggiamento scontroso e dei suoi malumori, soprattutto perché qualunque cosa facesse per aiutarlo, subiva l'effetto contrario. - arrivarono alla porta e mentre Merlin stava cercando le chiavi di casa dentro le sue tasche, una voce maschile lo chiamò da dietro le spalle.

-Merlin Emrys?- chiese lo sconosciuto -Lei chi è?- chiese a sua volta il ragazzo. -Sei tu Merlin?- chiese ancora, evitando la prima domanda.
-Le serve qualcosa?-
-Dipende. Sei tu Merlin?
-Mi sembra che lei sappia già chi sono. Chi è lei?- rispose questa volta il moro seccato. Non era la serata giusta per gli sconosciuti molesti.
-Davvero non lo immagini?-

P.S.
Non so dire come mi sia uscita questa idea malsana visto che è già tanto se riesco a stare dietro a questa FF🤦🏻‍♀️...ma...Ve la butto lì...mal che vada finisce nel dimenticatoio e amen...era tanto per divertirci un po' insieme.
Mi sembrava carino chiedervi cosa vi piacerebbe che scrivessi.
Una cosa con poche indicazioni ma mirate, io scrivo e vediamo che cosa esce fuori. Ovviamente cose brevi tipo drabble, flashfic, One shot o Song fic. Niente che richieda troppe cose impegnative...a quello ci penso io senza problemi.

Es. Banale:
- libro, manga, serie TV, film (magari che conosco così non devo fare recuperi estremi)
- personaggi e personagge
- Het o Slash?
-Rating
-Genere
- Contesto
- Avvertenze
- Trope

- trama

Basta che mi scrivete in privato quello che vi piacerebbe e io farò il possibile per scriverla e pubblicarla.
Sempre che questa cosa funziona💁🏻‍♀️...e nulla ho finito. Giuro.
Alla prossima!🙋🏻‍♀️

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Capitolo 19
*** Spiderweb ***


Mi sembra che lei sappia già chi sono. Chi è lei?-
-Davvero non lo immagini?-


L'uomo si avvicinò di qualche passo e questo diede a Merlin la possibilità di scrutarlo con più attenzione: la barba era folta ma curata, i capelli lunghi e brizzolati erano raccolti in una coda bassa.
Era vestito di tutto punto con giacca e pantaloni eleganti, nonostante il caldo estivo.
Qualcuno lo avrebbe sicuramente scambiato per un impiegato di qualche azienda importante, ma i vestiti che indossava erano troppo costosi per appartenere ad un comune uomo che sta seduto dietro ad una scrivania.

*Lo conosci?* Chiese Arthur mettendosi sulla difensiva. -No.- rispose il moro a bassa voce, per non farsi sentire dallo sconosciuto. -Non l'ho mai visto in tutta la mia vita.-
Di questo poteva essere sicuro al cento per cento, data la sua memoria praticamente infallibile. Eppure quell'uomo si comportava come se lo conoscesse.

-Se è delle tasse. Non ho nulla da dirle. Mia madre non c'è. Quando avremo i soldi per pagare sarete i primi a saperlo. Le auguro una buona serata.- disse questa volta Merlin, rivolgendosi direttamente allo sconosciuto, per levarselo di torno ma l'uomo non si mosse.
-Non sono delle tesse. E non sono qui per tua madre, ma per te figliolo.- disse con tono freddo e distaccato.

-Perché? Cosa vuole da me?- chiese il moro sorpreso. -Ti ho osservato molto attentamente, Merlin.- rispose lo sconosciuto, muovendosi nella sua direzione -E sono arrivato alla conclusione che io e te abbiamo molte cose in comune.- concluse compostamente, senza tradire alcuna emozione.
-Osservato? Mi ha spiato per caso?- chiese Merlin, sentendo un leggero nervosismo salirgli dalla bocca dello stomaco.
Non bastava l'incantesimo a tormentarlo, dovevano anche aggiungersi sconosciti spuntati dal nulla a perseguitarlo.
Quanto assurda poteva ancora diventare quella calda estate? Come se tutto quello che aveva già vissuto, non fosse stato abbastanza fuori dalle righe.

-Che brutta parola spiare. Diciamo solo che...mi sono preso delle libertà per sapere chi fossi. Tutto qui.- ribatté questa volta l'uomo, ostentando un certo orgoglio, decisamente fuori luogo per l'atto che aveva compiuto.

-E cosa vuole uno come lei, da uno come me?- chiese secco Merlin, cercando di analizzarlo al meglio nel più breve tempo possibile, visto che non aveva la minima idea di chi fosse e cosa volesse.
Una parte di lui non era nemmeno certo di volerlo sapere, visto il bagaglio di problemi che già si trascinava dietro.
Ma non poteva ignorare il fatto che quell'uomo, si fosse preso il disturbo di indagare su di lui. Oltre a sembrargli stranamente familiare.

-Te l'ho detto. Ti ho osservato e sono arrivato alla conclusione che io e te potremmo aiutarci a vicenda, per così dire.-
-Per così dire? O mi dice chiaro e tondo chi è e cosa vuole oppure se ne vada. Non ho tempo da perdere.- ribatté gelido il moro che già spazientito di suo non avrebbe tollerato a lungo troppi giri di parole. -Quelli come noi non hanno mai tempo da perdere. In ogni caso, non credo che questo sia il luogo più adatto per discutere di affari.- rispose, eludendo le richieste del moro -Inoltre.- continuò con una nota di disgusto nella voce, mentre osservava casa sua -È un vero peccato che uno con le tue potenzialità viva in un posto come questo. Che spreco.-

E a quelle parole, una rabbia improvvisa si impossessò di Merlin - non ancora propriamente in grado di gestire le sue emozioni- che lo portò a decretare la fine di quella conversazione, durata anche fin troppo per i suoi gusti, vista l'ambiguità dell'argomento e dove il discorso era andato a parare.
Avrebbe anche potuto approfondire l'argomento, nonostante l'uomo fosse così enigmatico. Soprattutto, perché pareva molto interessato alle sue potenzialità.
Ma l'uomo era andato decisamente oltre.
Non solo lo aveva spiato, ma aveva avuto anche il coraggio di criticare, con evidente disappunto, la sua casa.
Il luogo che lui e sua madre avevano costruito per loro stessi.
E questo non poteva tollerarlo.

Chi era quell'uomo per permettersi di criticare una donna come sua madre?
Lui e Hunith non vivevano di certo nell'agio più totale, ciò nonostante sua madre non gli aveva mai fatto mancare nulla.
Hunith era una donna rispettabile, benvoluta da tutti, forte, amorevole e determinata, oltre ad essere una brava madre. E questo bastava.
Era sempre bastato.

-Non mi pare di averle dato il permesso di criticare dove vivo e mia madre visto che questa è casa sua.-
-Beh... tecnicamente non è sua visto che siete in affitto.-
-La smetta!- urlò Merlin fuori di sé dalla rabbia. -Non si azzardi mai più a parlare di mia madre!-
-Mi devi aver frainteso ragazzo. La mia era una semplice constatazione.- disse l'uomo con calma raggelante -Mi sorprende che tu l'abbia presa come un insulto. Ma... dopotutto non posso negare che sei sempre il figlio di tua madre.-

Come poteva quella frase, uscita da quella bocca, non sembrare un ennesimo insulto?
Come se a quell'uomo facesse qualche differenza chi fosse sua madre.

Ameno che...

-Sa che le dico? Qualunque sia la sua offerta non mi interessa. Oltre al fatto che trovo poco credibile che un uomo adulto come lei, voglia fare affari con un adolescente come me. Credo proprio che lei abbia sbagliato persona. E ora se n'è vada!- Concluse il moro, enfatizzando l'ultima frase nel tentativo di levarselo di torno, ma l'uomo decisamente non era arrivato fino a lì per ricevere un due di picche.

-Eppure non ci sono molti Merlin Emrys.- insistette l'uomo, avvicinandosi ancora di qualche passo, ma Arthur lo fermò subito con un ringhio piuttosto inquietante.
Chiunque fosse quell'uomo, non gli piaceva affatto.
Non sembrava nemmeno che si fosse spaventato, ma ad Arthur, almeno per il momento, bastava che fosse stato recepito il messaggio: restare lontano da Merlin.
In caso contrario, non si sarebbe fatto scrupoli a mordere qualche gamba o braccio per difenderlo.
Da umano le sue mani lo avevano sempre ferito, mentre ora, quelle zanne mostruose lo avrebbero protetto.

-Allora suppongo che lei non sia una persona molto fortunata, avrà beccato quello sbagliato. Le consiglio di ritentare con il prossimo, forse, sarà più fortunato.-
Concluse il moro, sperando di liquidarlo definitivamente questa volta.
-Ne dubito. Quelli come noi difficilmente sbagliano.-

Ameno che...non la conosca...

Ancora quel "noi". Perché continuava a ripeterlo?

-Non so di cosa lei stia parlando. Io non sono come lei. Non la conosco e se lei pensa di conoscermi perché mi ha pedinato, beh...si sbaglia di grosso! E ora. Se ne vada o chiamerò la polizia.- gli disse Melrin, tornando a cercare le tanto agognate chiavi di casa, mentre Arthur si assicurava che l'uomo rimanesse esattamente al suo posto.
*Merlin entriamo in casa. Quel tipo non mi piace.*
-È quello che sto cercando di fare. Nemmeno a me piace quel tizio.- sibilò il moro.
Ma proprio quando trovò finalmente le chiavi, l'uomo parlò ancora una volta. Dimostrando di essere un ragno famelico che dopo aver accuratamente e silenziosamente eretto la sua tela intorno alla mosca, era pronto a tirare i fili per divorarla compiaciuto.

-Merlin Emrys. Diciotto anni. Nato il primo Gennaio del 1988 a Eldor. Figlio di Hunith Emrys. Padre apparentemente sconosciuto. In possesso di un quoziente intellettivo di 230 e una scarsa capacità relazionale. Ha vissuto anni...come era scritto sul fascicolo? Ah... sì...turbolenti a Eldor fino a pochi mesi fa, per poi trasferirsi qui a Camelot per motivi di salute. Gentile da parte dell'investigatore definire così la tua situazione. Anche se totalmente inutile. Ammetto di aver trovato particolarmente interessante il tuo anno sabbatico prima di venire qui...-

No...

*Merlin...* Lo chiamò Arthur preoccupato, ma l'altro nemmeno lo sentì; improvvisamente terrorizzato dall'idea di sapere cos'altro quell'uomo sapesse su di lui. Lo aveva chiuso in una trappola e lui c'era cascato dentro con tutte le scarpe, senza rendersene conto.
Per la prima volta qualcuno lo aveva battuto al suo stesso gioco e ora, l'unica cosa che poteva fare era pregare che non parlasse oltre, data la presenza di Arthur accanto a lui.

-...Credi ancora che io abbia sbagliato persona o devo continuare?- chiese l'uomo con soddisfazione, stringendo sempre di più i fili della sua tela mefitica. E Merlin non riuscì a fare altro se non congelarsi sul posto per la paura che ora, quell'uomo gli instillava.

Per Arthur fu terrificante vedere come quell'uomo stesse giocando al gatto e al topo con Merlin. Il problema era che il moro pareva non rendersene conto, tanto era vittima delle sue emozioni in quel momento.
Quanto avrebbe voluto avere in dietro per un solo secondo il vecchio Merlin per vederlo distruggere con precisione chirurgica quello sconosciuto. O essere di nuovo umano per poter fare qualcosa di concreto.

-Perché mi sta facendo questo? Chi diavolo è lei?!- chiese disperato, mentre iniziava a sudare freddo nonostante il caldo estivo.
*Merlin, ti prego. Entriamo in casa.* Lo implorò il lupo, ma il moro era fuori di sé. Troppo sconvolto per dargli retta.
-Sono al quanto sicuro che tu possa arrivarci benissimo da solo.-

No...non può essere...

A quel punto il lupo, poteva quasi vedere la tela invisibile e velenosa che usciva dalla sua bocca per avvinghiarsi intorno a Merlin e stritolarlo a suo piacimento, e prolungare così il proprio divertimento e l'agonia del ragazzo.

-Se lei è un altro dei giochetti sporchi di Morgana se ne vada!-

È così...

Per Merlin, nominare la sorella di Arthur, venne spontaneo, dopo tutto quello che aveva passato.
A rigor di logica, chi altri avrebbe potuto mandare un inquietante sconosciuto che parlava per enigmi, e che lo conosceva per giunta, se non per obbligarlo a portare a galla le sue verità. Cosa poteva essere quello, se non un subdolo trucco di una strega, visto che ormai il tempo che avevano a disposizione era agli sgoccioli.

Deve esserlo...

-Non so chi sia questa Morgana.-
-Certo, come no. Le credo sulla parola.- disse sarcastico Merlin. -Anzi, sa una cosa? Non mi importa se è stato mandando da quella strega o da chi che sia. Ognuno di voi deve restare fuori dalla mia vita e soprattutto dal mio passato!-

Passato...

L'uomo sfoderò un leggero sorriso compiaciuto. -Allora avevo ragione.-
Un sorriso che il vecchio Merlin conosceva molto bene.

Uno con le tue potenzialità...

L'atteggiamento freddo e implacabile.
Le frasi dirette e taglienti come rasoi.

Noi non sbagliamo mai...

Il maniacale bisogno di raggiungere la perfezione.

Io e te abbiamo molte cose in comune...

E ad uno sguardo più attento li vide: i tratti somatici così simili ai suoi: i capelli neri, mascherati dalle ciocche bianche, i lineamenti spigolosi del viso, nonostante le rughe date dall'età. Lo stesso sguardo severo e annoiato nei confronti della vita.

Sei sempre il figlio di tua madre...

Come poteva importargli chi fosse.
A meno che...

Chi è lei?

Davvero non lo immagini?

Il fiato gli si mozzò in gola.

No...

Il suo corpo divenne una lastra di marmo.

No.

Il terrore gli si dipinse sul volto.

No...ti prego NO!

-E se hai ereditato anche solo la metà delle mie capacità, figliolo...-

La serratura che teneva a bada il suo inferno si ruppe e tutti i demoni contenuti dietro quella porta, uscirono fuori.

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Capitolo 20
*** Pain ***


Cos'era la luce?
Era mai esistita prima?
C'era mai stato qualcosa prima di quella oscurità?
Non ricordava.
Il ragazzo si sforzò con tutte le sue forze, ma non riuscì a ricordare nulla.

Non esisteva nulla al di fuori di quella densa oscurità terrificante e disorientante.
Il tempo e lo spazio non esistevano in quel luogo, come non esistevano più un sopra e un sotto.

Era forse lo spazio?

No. Ci sono le stelle nello spazio e ovunque fosse non c'erano luci. Non c'è n'erano mai state e mai ci sarebbero state in quel luogo maledetto.

Era fatto della stessa sostanza del nulla e dentro il nulla galleggiava senza meta. Senza via d'uscita.
Da quanto tempo era lì?  Non lo sapeva. Potevano essere pochi minuti, ore o perfino giorni. Forse era sempre stato lì...
Come si poteva vivere in un luogo così spaventoso?
Non c'è vita...e lui era vivo o morto?

Poteva sentire il suono del suo fiato uscirgli dalla bocca, insieme ad un ronzio sempre più crescente.
No. Non era un ronzio. Erano urla.
Chi stava urlando e perché?
Lui...lui stava urlando.
Chi era lui? 
Il nulla non urla. Era forse qualcosa di diverso da esso? Chi era allora se non il nulla?

Merlin. Lui era Merlin. Era il suo nome.
E più urlava, più aveva la sensazione che quella densa oscurità lo avvolgesse, lo stringesse e lo soffocasse.

Perché stava urlando?
Dolore...stava soffrendo.
Il suo intero corpo stava bruciando sotto il fuoco di mille soli neri. Ogni parte del suo essere...pelle...muscoli...ossa...tutto bruciava, scioglieva e sbriciolava.

Desiderò morire, tanto era insopportabile il dolore. Desiderò che quel fuoco lo consumasse definitivamente, per poter non sentire più nulla...ma lui non smetteva mai.
Come una ruota infinita respirava e bruciava, viveva e moriva. E per quanto lo desiderasse, non raggiungeva mai la fine. C'era sempre qualcosa da consumare, mangiare e nutrire.
Quello faceva il nulla. Si nutriva di lui implacabile...mai sazio, mai stanco.

Da qualche parte sentì i suoi occhi bruciare per le lacrime, insieme alla gola sfiancata dalle urla.
Sarebbe mai venuto qualcuno in suo soccorso?
Chi mai avrebbe potuto sentirlo in quel luogo?
Era solo.
Solo nel suo dolore.
Solo nella sua paura.
Come era sempre stato e più prendeva dentro di sé questa consapevolezza, più aveva la sensazione di sprofondare dentro quel nulla, sempre più giù, sempre più a fondo.
Artigli d'ombra placcano e avvolgono il suo corpo nudo ed indifeso. Gli strappano le corde vocali e gli fanno sanguinare l'anima, mentre bocche demoniache si abbeverano della sua essenza, strappando carne pezzo dopo pezzo.
Quello è il suo banchetto e lui è la portata principale.

Aspetta... c'è qualcosa laggiù...che cosa è?
Quella cosa...brilla...ed è calda. Ma non fa male e più la guarda, più capisce quanto sia importante raggiungerla.
Le spire malefiche sembrano capire le sue intenzioni e lo stringono più forte a loro ma Merlin non vuole mollare. Non può mollare.

Frenetico, il ragazzo, cerca le sue braccia e le sue gambe nell'oscurità per nuotare fino a quella luce.
Allora esiste la luce!
Non sa dire quanto sia bella. La vuole...la desidera disperatamente.
L'oscurità stringe la sua presa ma la disperazione e la speranza sono due alleati potenti e più si avvicina, più sente l'energia benefica che trasmette.
Sana le sue ferite, colma il suo vuoto e rinvigorisce le sue membra fragili e doloranti.
Lascia che quella luce lo avvolga come un abbraccio protettivo e rassicurante.
È lo scudo dietro al quale difendersi e la spada con la quale fendere l'oscurità.
I demoni ombra si ritraggono e svaniscono alla sua venuta, mentre voci rassicuranti e amorevoli riempiono le sue orecchie.
L'inferno si dissolve alle sue spalle mentre le porte del paradiso si spalancano di fronte a lui.
È accecante.
È bellissima.
È al sicuro.

***

L'uomo continuava a parlare implacabile mentre Merlin si accartocciava sempre di più su sé stesso.
Una mano, aggrappata alla porta nel disperato tentativo di rimanere in piedi, mentre l'altra stringeva la testa nel vano tentativo di non sentire nulla e bloccare quella voce maledetta. -B...b...basta...- sussurrò Merlin disperato -T...ti...p...prego basta...-
Arthur lo chiamò per l'ennesima volta. Era in preda al panico, inerme di fronte a quello che stava succedendo. Lo stava perdendo, senza sapere il come ed il perché.

L'uomo tentò ancora una volta di avvicinarsi ma Arthur gli ringhiò contro *Stai lontano da lui lurido figlio di puttana!*  ma quando si rigirò di nuovo verso Merlin, vide che le sue gambe avevano ceduto. Le ginocchia ora poggiavano scomposte sul legno della veranda, entrambe le mani stringevano le tempie e le orecchie arrossate, mentre copiose lacrime gli sgorgavano dagli occhi chiusi e strizzati dalla sofferenza provata. -F...a...ale...fa m...male...- rantolò improvvisamente il ragazzo.

Non sapendo cos'altro fare, il lupo, poggiò la sua fronte contro quella del moro. Se avesse potuto piangere in quel momento, lo avrebbe fatto. Avrebbe pianto per la paura, per la rabbia e la frustrazione.
Non sapeva se tutto quello fosse opera di sua sorella o di un agghiacciante scherzo del destino ma dentro di sé pregò che finisse.

Vedere Merlin ridotto in quel modo lo straziava e ancora di più lo straziava la sua inutilità. *Merlin...ti prego. Se riesci a sentirmi. Ti devi alzare...devi aprire la porta ed entrare. Merlin... ti prego! Non c'è la faccio da solo! Ti prego!*
Ma Merlin non gli rispose.
Lo sapeva, lui non era più lì. Il suo corpo era scosso da forti tremiti, il cuore gli batteva all'impazzata nel petto e anche se dalla sua bocca uscivano parole spezzate, la sua mente era altrove. Persa chissà dove e irraggiungibile.
*Mi dispiace Merlin...mi dispiace di essere così inutile. Perdonami...mi dispiace così tanto.*

-Merlin?-
Una voce femminile e familiare squarciò l'aria all'improvviso. Era Hunith, la madre di Merlin e voltato lo sguardo la vide avvicinarsi potente e minacciosa come mai prima di allora. -Che cosa ci fai qui Balinor?- chiese la donna scioccata e al tempo stesso severa.
Arthur ormai era sempre più sconvolto. Hunith conosceva quell'uomo? Come?

-Sono solo passato a salutare nostro figlio.- rispose l'uomo con la sua ormai conosciuta calma glaciale.

Che cosa? Suo figlio?

-Vattene Balinor. Non hai alcun diritto di stare qui!- ringhiò la donna. -Al contrario. Nessuno ha più diritti di me di stare qui. Guardalo.- rispose Balinor girandosi nella direzione di Merlin. -È come me.- 
-No che non lo è!- ribatté la donna sempre più furiosa.
-Mi hai sentito figliolo?-
-Merlin non ascoltarlo!-
-Un po' mi dispiace di averti passato una così pessima compagnia. Ma io e te siamo uguali. Tu sei mio.- e a quelle parole un fuoco negli occhi di Hunith si accese dandole la forza di spintonarlo. -Smettila!! Lui non è tuo e non lo sarà mai!-
-Io sono l'unico qui che ti capisce, Merlin. L'unico che può insegnarti come liberartene.-
-Merlin- urlò di nuovo la donna -Entra in casa. Subito!- e a quelle parole il corpo del ragazzo sembrò finalmente rispondere, riemergendo per qualche secondo dal suo inferno.
Non era lucido, ma il suo corpo rispose all'ordine della madre e con fatica iniziò a rimettere in piedi il suo corpo, aggrappandosi dolorosamente alla porta d'entrata. Arthur fece quello che poté per sostenerlo. Il moro girò la chiave e appena Arthur sentì lo scatto della porta e la vide aprirsi, prese fra i denti un lembo della sua maglietta e con tutta la forza che aveva in corpo lo trascinò dentro casa.

Merlin che era troppo debole per reggersi in piedi cadde malamente sul pianerottolo, iniziando poi a strisciare sul pavimento nel tentativo di raggiungere la sua camera.
Arthur lo seguì con lo sguardo ancora fermo all'entrata, indeciso se aiutare Merlin o dare manforte a Hunith.
I due ora stavano litigando ma la donna rispondeva con decisione ad ogni battuta dell'uomo.
Per un momento pensò di azzannarlo, ma cambiò subito idea quando sentì Merlin urlare dall'interno della casa.

Mai come in quel momento Arthur avrebbe voluto il potere di sdoppiarsi, per poter contemporaneamente prendersi cura di Merlin e tenere d'occhio Hunith, e assicurarsi che Balinor non le facesse nulla di male. Ma la situazione lo costrinse a scegliere il ragazzo e lasciare da sola la madre, che in tutta onestà, se la stava cavando benissimo da sola.

Veloce come un fulmine si precipitò da Merlin che aveva quasi raggiunto la sua stanza. Il moro si era bloccato per terra agonizzante. *Merlin!* urlò il lupo terrorizzato, accostando il muso al suo viso *Merlin, mi senti?*
-M...male...fa male...* sibilò il ragazzo piangendo. *Dove ti fa male?*gli chiese Arthur, che non riusciva a capire l'origine del suo dolore. Non aveva ferite, nonostante ciò si comportava come se coltelli invisibili gli stessero lacerando la carne.
Balinor aveva detto qualcosa riguardo all'avergli passato una brutta compagnia, che si trattasse di una malattia genetica? Eppure non gli aveva mai visto prendere farmaci di alcun ché. -Tu...tto.- rispose di nuovo il moro.

Quanto avrebbe voluto che Merlin gli dicesse cosa avesse e cosa fare. Nelle sue condizioni non era in grado di mettere un cerotto, figurarsi curare un male invisibile. *Merlin, ascoltami. Dobbiamo arrivare in camera tua. Ci siamo quasi, non manca molto. Ma devi aiutarmi. Da solo non c'è la faccio.* lo pregò il lupo, che ancora una volta, rimpianse il suo corpo umano. Se lo fosse stato, avrebbe potuto prenderlo fra le sue braccia e sollevarlo come una piuma, portarlo nella sua stanza senza fargli fare il minimo sforzo e depositarlo nel suo letto con estrema cura.
Ma non poteva. Perciò si limitò ad aspettare che Merlin reagisse alle sue parole, posasse un braccio intorno al suo collo e con il suo aiuto iniziasse a gattonare fino alla sua stanza.

Raggiunsero il letto con fatica e una volta sdraiatosi, Merlin si raggomitolò su sé stesso, portando entrambe le mani alle tempie.
In cuore suo, Arthur, aveva sperato che raggiungendo il letto e allontanandosi dal trambusto sarebbe stato un po' meglio, invece sembrò peggiorare.
I tremiti ripresero a scuotergli le membra sfinite e il dolore aumentare di nuovo perché riprese ad urlare e piangere, implorando che smettesse.
*Merlin non so che cosa fare. Dimmi cosa devo fare." lo implorò Arthur, ma tutto quello che Merlin gli restituì furono solo frasi sconnesse dove implorava di essere salvato.

Hunith era sua mamma e avrebbe sicuramente saputo cosa fare, d'altronde era stata l'unica a riuscire a farlo muovere, ma ora non era lì. Era ancora fuori, intenta a mandare via Balinor. Poteva sentire con il suo orecchio fine, le frasi concitate della donna.

-Basta...Basta!- supplicò Merlin -Mandalo via...ti prego mandalo via!- e al suo grido di aiuto, Arthur fece l'unica cosa che era in grado di fare. Salì sul letto del ragazzo e si adagiò accanto a lui. Con cautela si sistemò a mezzaluna dietro la sua schiena, così da dargli la sensazione di essere abbracciato e protetto. Infilò il muso nell'incavo tra il collo e la spalla e iniziò a sussurrargli all'orecchio.

*Andrà tutto bene.*
-Basta!-
*Passerà presto.*
-Mandalo via!-
*Lo mando via, te lo prometto.*
-Male...Fa male!-
*Lo so, sono qui. Passerà presto, vedrai *

Il corpo di Merlin era bollente al contatto con la sua pelliccia morbida, la maglietta era fradicia di sudore. Aveva la febbre e Arthur continuò a sussurrargli per aiutarlo a calmarsi, almeno finché non fosse arrivata la madre. Finché nuove parole non si aggiunsero alle altre, costantemente ripetute come un disco rotto.

-Non lasciarmi! Ti prego non lasciarmi!-
*No, che non ti lascio Merlin. Sono qui, non vado da nessuna parte.*
Non sapeva dire se Merlin fosse cosciente di averlo accanto, se si stesse riferendo a lui, a sua madre o a qualcosa di indefinito. Ma se rispondere alle sue richieste di aiuto lo faceva stare meglio, anche solo per poco, lo avrebbe fatto. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. -Non lasciarmi!*
*Sono qui, Merlin. Resto qui con te.*

Lentamente il corpo di Merlin iniziò a girarsi nel letto e con le mani doloranti, cercare la sua salvezza. Arthur di rimando gli sfiorò delicatamente il viso con il muso. Aveva la tremenda sensazione che se avesse osato fare più pressione di quanto fosse necessario, lo avrebbe rotto in mille pezzi da quanto fosse delicato Merlin, in quel momento.
*Va tutto bene. Sono qui. Sei al sicuro ora.*
Le mani di Merlin, si mossero di nuovo, facendo scorrere le dita sul pelo morbido e setoso del lupo, per poi stringerlo fino a farsi sbiancare le nocche.

Si stava letteralmente aggrappando a lui e Arthur glielo lasciò fare, diventando la sua ancora di salvezza nel mare oscuro nel quale il moro stava navigando.
E dopo interminabili minuti, finalmente Arthur percepì un cambiamento positivo da parte del ragazzo.
Le frasi sconnesse diminuirono, il pianto interrotto divenne un flebile lamento e il corpo da prima rigido iniziò finalmente a rilassarsi.
L'unica cosa che Merlin non mollò fu lo stretto abbraccio disperato su Arthur.
Ciò nonostante, il lupo non smise un solo secondo di sussurrargli frasi dolci e rassicuranti. Anche quando sentì la presa della sua mano allentarsi sulla sua pelliccia e vide scomparire la maschera di dolore che fino a pochi minuti prima aveva distorto i suoi lineamenti affilati.

Parecchi minuti dopo, Arthur non seppe dire quanti, vide Hunith precipitarsi sulla soglia della camera del ragazzo. Ma appena la donna vide che sui figlio stava dormendo serenamente fra le braccia del lupo con il viso e le mani affondate nella sua pelliccia d'ebano tirò un sospiro di sollievo.
Lentamente e senza fare rumore si avvicinò e si sedette accanto a loro. Aveva il viso stanco e provato, gli occhi gonfi e arrossati, segno che aveva pianto poco prima di entrare.
La lite con Balinor l'aveva messa a dura prova, ma aveva pianto dopo. Di questo ne era certo. Lui era un lupo, ma lei era una leonessa.
Con una mano, accarezzò con delicatezza i capelli neri e scompigliati del figlio, stando attenta a non svegliarlo. Con l'altra accarezzò Arthur e un lieve sorriso le si disegnò sul volto. -Grazie.- disse rivolta ad Arthur - Qualunque cosa tu abbia fatto. Ti ringrazio.-
Detto ciò, li baciò entrambi ed uscì dalla stanza.

Arthur non seppe cosa pensare di tutta quella storia, se non che la faccenda fosse più seria e dolorosa di quanto credesse. All'inizio aveva supposto che suo padre fosse morto o che sua madre essendo ancora giovane, fosse rimasta incinta per sbaglio e avesse deciso lo stesso di tenere il bambino. E di conseguenza per quello non c'erano foto sue in casa. Ma questo andava oltre ogni sua congettura.
Hunith inoltre, lo aveva ringraziato e le parole che aveva usato gli fecero pensare, che quella non era la prima volta che succedeva una cosa del genere a Merlin.

Un lungo sbadiglio lo colse, sintomo di quanto fosse esausto. Non avevano cenato e fuori dalla finestra era calato il buio. Era passato più tempo di quanto credesse, ma si era talmente concentrato su Merlin da ignorare tutto il resto. Sentì Hunith coricarsi a letto e decise che anche per lui era meglio dormire e recuperare le energie.
Merlin stava finalmente dormendo serenamente fra le sue braccia, Hunith tutto sommato stava bene e Balinor se n'era andato. Tutto era tranquillo. Tutto era finalmente silenzio. Al resto ci avrebbe pensato domani.

 

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