Take me out

di AkaNagashima
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 2010 - Sherlock Holmes ***
Capitolo 2: *** A study in pink ***
Capitolo 3: *** The blind banker ***
Capitolo 4: *** The great game ***
Capitolo 5: *** A scandal in Belgravia ***



Capitolo 1
*** 2010 - Sherlock Holmes ***


Ebbene, eccoci qua. Benvenuti in questa avventura da parte mia, in quanto non è stato assolutamente semplice riprendere in mano tutta la serie e tentare di ricordarsi a modo ogni puntata. Fortunatamente ho trovato un sito affidabile dove, non si sa per quale segno del destino, vi sono rappresentate tutte le citazioni di ogni episodio. Tramite questo riesco a ricordarmi ogni dettaglio, il che è una gran bella fortuna. Senza contare che sono fissata con questa serie, altrimenti non sarei qui a fare questo esperimento sociale.
Ho scritto altro su Holmes e Watson, anche se rappresentavo soprattutto un alternative universe o un crossover (come Cargo, ad esempio), ma qui non si parla di rappresentare la fantasia dello scrittore, bensì rappresentare un'idea, una domanda, e magari riuscire a coinvolgere anche chi legge.
Spero che accada, davvero, ne sarei onorata.
Detto questo, buona lettura, e spero riviviate la serie com'è successo a me, ma tramite gli occhi di Watson.




 
𝟐𝟎𝟏𝟎 - 𝐒𝐡𝐞𝐫𝐥𝐨𝐜𝐤 𝐇𝐨𝐥𝐦𝐞𝐬
 
[ . . . ]
 
Quando gli avevano annunciato che avrebbe dovuto affrontare un periodo, seppur misero, di riabilitazione alla mano sinistra, non ci poteva credere. Appena rientrato a Londra, ricoverato d'urgenza a causa della ferita alla spalla sinistra, John si sentiva un pesce fuor d'acqua.
La gamba destra, come aveva pensato, aveva avuto un trauma tanto quanto il resto del proprio corpo rendendolo zoppo come poteva esserlo un vecchio, e non un uomo di soli trentasette anni. Invero, dopo aver dovuto affrontare una guerra che per lui era durata ben nove anni - e continuerà per altri undici - si ritrovò costretto ad andare da un'analista per poter condividere gli orrori che aveva vissuto sulla propria pelle. Ogni soldato aveva bisogno di una psicologa e, nei peggiori dei casi, anche di una psichiatra. Per non parlare dei tranquillanti. Lui, fortunatamente, aveva solo difficoltà a dormire continuando ogni notte a sognare il proprio incidente e lo scoppio assordante delle bombe svegliandolo ad ogni ora della notte. Ella, così si chiamava la donna, gli consigliò di cominciare a scrivere un blog e di usarlo come diario personale.
𝑇𝑖 𝑎𝑖𝑢𝑡𝑒𝑟𝑒𝑏𝑏𝑒 𝑎 𝑟𝑖𝑝𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑒 𝑖𝑛 𝑚𝑎𝑛𝑜 𝑙𝑎 𝑟𝑒𝑎𝑙𝑡𝑎̀ 𝑒 𝑎 𝑟𝑒𝑛𝑑𝑒𝑟𝑡𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑜 𝑐ℎ𝑒 𝑒̀ 𝑓𝑖𝑛𝑖𝑡𝑎.
Così aveva detto. E lui, come un'automa, aveva deciso di seguire quel consiglio. E fu proprio dopo l'ennesima seduta con la donna che, passeggiando per il parco, si sentì chiamare da qualcuno. Non avrebbe mai pensato di incontrare qualcuno che conosceva, era stato anni al fronte e pensava che nessuno potesse riconoscerlo. Invece si sbagliava.
Mike Stampford, un suo compagno di studi, lo aveva non solo riconosciuto, ma lo aveva accolto a Londra con una felicità che John non si aspettava.
Si erano seduti insieme ad una panchina ed avevano cominciato a condividere le loro esperienze dopo l'università. Mike lavorava, ovviamente, al Bart's e sembrava molto contento del proprio lavoro. Lo ricordava molto propenso agli studi quanto goffo. E John, preso dall'euforia del momento di poter parlare con una vecchia conoscenza, gli confidò che stava cercando un coinquilino per convivere in un appartamento e condividerne le spese.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Andiamo, chi vorrebbe mai un coinquilino come me?
𝑴𝒊𝒌𝒆: Sei già il secondo che me lo dice.
𝑱𝒐𝒉𝒏: . . . Chi è stato il primo?
 
[ . . . ]
 
Non si sarebbe mai aspettato di rivedere quel luogo così presto. Mike lo aveva portato nell'obitorio senza un apparente motivo, almeno per il medico, quando l'amico gli sorrise dicendogli che conosceva qualcuno che faceva al caso suo.
Certo, tutto si sarebbe aspettato tranne di trovare un uomo, affatto vestito da infermiere o altro, che frustava il corpo di un morto. E sembrava anche molto concentrato. Ma chi diamine era!?
Doveva ammettere, però, che non era affatto male. Sarà stato alto 1.80 circa, capelli corvini e pieni di boccoli, fisico slanciato e quegli occhi.
Glaciali.
Per un attimo ebbe un fremito ed il flash di altrettanti occhi freddi lo fecero rabbrividire. No, non ci sarebbe cascato di nuovo, se l'era promesso.
Le presentazioni erano state assenti, l'uomo gli chiese il cellulare come se si conoscessero da anni, e solo da esso riuscì a descrivere la vita altrui come se fosse stata la propria, destabilizzandolo.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Gli hai parlato di me?
𝑴𝒊𝒌𝒆: Assolutamente no.
 
E allora come diamine faceva quell'individuo a sapere che fosse tornato dall'Afghanistan recentemente?
Non solo, guardandolo da capo a piedi aveva persino appurato, senza controllare in modo approfondito, che la sua zoppia fosse solo psicosomatica. E, effettivamente, in ospedale non avevano trovato niente di rosso al suo interno, nessun osso aveva affrontato qualche tipo di problema. Per quanto risultasse inquietante, ai suoi occhi fu qualcosa di formidabile. Si inumidì le labbra, un tic che gli era rimasto dalla guerra e che risultava per due motivi diversi: nervosismo o interesse.
 
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Il mio nome è Sherlock Holmes e vivo al 221B di Baker Street.
 
Un occhiolino, nient'altro, e l'uscita ad effetto che a John sarebbe rimasta impressa nella mente per gli anni successivi. Nient'altro, solo questo, nemmeno una stretta di mano.
Aveva appena 'conosciuto' un uomo - 𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑢𝑜𝑚𝑜 - e domani sarebbe andato a vedere l'appartamento che avrebbero condiviso, tutto qua. Un altro fremito, tentò di mantenere un autocontrollo almeno esterno, ci riuscì, ma dentro di sè c'era ogni tipo di caos.
Mike lo stava osservando incuriosito, Watson decise di schiarirsi la bocca e tentare di sorridergli per fargli capire che sì, tutta la situazione gli sembrava positiva.
Ma non sapeva una cosa, e con Sherlock Holmes l'avrebbe capita a breve: 𝐓𝐡𝐞 𝐆𝐚𝐦𝐞 𝐢𝐬 𝐎𝐧.

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Capitolo 2
*** A study in pink ***


 𝐀 𝐬𝐭𝐮𝐝𝐲 𝐢𝐧 𝐩𝐢𝐧𝐤
 
[ . . . ]
 
Doveva essere impazzito, ora più che mai. Credeva che andare in guerra e combattere per quasi dieci anni di fila fosse da pazzi, ma adesso constatava che stava facendo qualcosa di altamente peggiore. I suoi passi risuonavano in un eco infinito mentre correva più velocemente che poteva attraverso quel corridoio abbandonato. Tutto buio intorno a sè, a malapena riusciva a vedere dove stesse andando, convinto che prima o poi sarebbe inciampato sui propri piedi o avrebbe picchiato il naso contro una porta chiusa che non sarebbe riuscito a captare in tempo. Nonostante queste accortezze, a John non interessava, per quanto fosse fuori contesto ed estremamente illogico, al dottore interessava solo una cosa: trovare Holmes.
Aveva captato un certo pericolo già dalla prima chiamata di Scotland Yard per un suicidio fuori dall'ordinario, la donna trovata con il cappotto rosa, riversa a terra, sembrava tutto fuorchè davvero pronta a fare un passo tanto disperato, e Sherlock aveva da subito annunciato che quello fosse tutto tranne che un vero suicidio. Da quella vittima se n'erano aggiunti altri due, e l'ispettore Lestrade continuava a brancolare nel buio, sembrava che tutto non avesse alcuna logica, finchè il detective non era misteriosamente sparito da sotto il loro naso.
Ed era per quel motivo che, in quel momento, sommerso nell'oscurità e completamente solo, il dottor Watson correva come un forsennato chiamando Holmes con tutto il fiato che riusciva a trovare nei propri polmoni.
Quanto tempo era realmente passato da quando era riuscito a trovare quel maledetto taxi ed era entrato in quell'università vuota? Non ne era sicuro, ma non ci voleva nemmeno pensare, ogni secondo era categorico ed importante, o Sherlock si sarebbe sicuramente autodistrutto pur di mostrare la propria intelligenza. Lo conosceva da solo qualche giorno ed aveva già compreso quella mente così geniale quanto stupida.
Passando a corsa davanti ad una porta aperta, John inchiodò sul posto e tornò indietro, la finestra della stanza dava direttamente su quella dell'altro palazzo che si trovava accanto e, sotto una tenue luce, potè finalmente vedere la figura del detective insieme ad un altro uomo, molto probabilmente il tassista assassino.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: SHERLOCK!
 
Niente, era troppo distante, le finestre erano entrambe chiuse, e quei due uomini stavano discutendo animatamente. John andò ulteriormente nel panico quando il detective afferrò qualcosa, come una pillola di dubbia provenienza, e sembrava pronto ad inghiottirla senza nemmeno chiedersi a cosa esattamente servisse, ma la mente medica del dottor Watson non ci mise molto a captare ulteriormente il pericolo che già era presente in quella situazione.
Prese un profondo respiro cercando la calma là dove non riusciva a trovarla, poi portò la mano sinistra - quella maledetta mano che, forse, non sarebbe più tornata come prima - ed afferrò la propria pistola, un oggetto che portava sempre con sè più per abitudine che per vera autodifesa.
Ci sarebbe riuscito?
La mano tremava visibilmente e nell'alzare la spalla questa fece male, una fitta improvvisa che lo fece solo irrigidire, ma doveva osare, doveva 𝑓𝑢𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑟𝑒.
 
𝑀𝑎𝑙𝑒𝑑𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑎 𝑡𝑒, 𝑓𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑓𝑢𝑛𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖!
 
Ripensò al suo percorso in accademia, ripensò a quegli allenamenti estenuanti, a quei pomeriggi passati al poligono di tiro, a quella sua voglia di imparare a maneggiare le armi, alla mira perfetta, al sentirsi orgoglioso di quanta strada era riuscito a percorrere e poi, inevitabilmente, alla disperazione provata nel venir congedato dal campo di battaglia. Tutte quelle emozioni si addensarono prima alla spalla, poi scesero come un fiume in piena verso la mano sinistra che teneva ben salda la pistola, adesso non più tremante, un ultimo profondo respiro ed il grilletto venne premuto.
Uno sparo, come un rombo nelle proprie orecchie, e la pallottola si conficcò nella spalla altrui dall'altra parte dell'edificio. La sorpresa fece sobbalzare lo stesso detective che mollò la presa su quella pillola del demonio, poi John non vide altro andandosene esattamente com'era arrivato.
 
[ . . . ]
 
Finalmente all'esterno di quell'edificio venne accolto dai colori blu dei lampeggianti di Scotland Yard. Davanti a quei due edifici c'erano pattuglie che stavano aspettando un riscontro ed un'ambulanza, probabilmente Sherlock aveva già avvertito Lestrade di come fosse andata. Nel vederlo finalmente uscire e discutere con l'ispettore, Watson tirò un sospiro di sollievo senza mostrarsi più di tanto, restando in disparte come se non avesse minimamente partecipato a tutta la situazione.
I loro occhi s'incontrarono, azzurro contro blu, in uno sguardo silenzioso e prolungato. John sorrise, seppur in modo molto asettico, e si rese conto improvvisamente che quell'adrenalina che aveva provato era proprio quella che stava cercando, che davvero sentiva la mancanza della guerra ma che, soprattutto, aveva trovato finalmente qualcuno per cui lottare di nuovo.
 
𝐇𝐨𝐥𝐦𝐞𝐬 & 𝐖𝐚𝐭𝐬𝐨𝐧 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐢𝐥 𝐫𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨.

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Capitolo 3
*** The blind banker ***


𝐓𝐡𝐞 𝐛𝐥𝐢𝐧𝐝 𝐛𝐚𝐧𝐤𝐞𝐫
 
[ . . . ]
 
Finalmente quella sua laurea presa durante la carriera militare era servita a qualcosa facendogli trovare un lavoro onesto come medico esattamente dove aveva studiato: al Saint Bart's di Londra.
La sua convivenza con Sherlock sembrava più vivibile di quanto potesse pensare, nonostante quei silenzi improvvisi e quello strimpellare di violino improvvisi e senza un apparente contesto. Nonostante ciò continuava a trascinarlo in casi sporadici, sempre collegati a Scotland Yard. Vedeva talmente spesso l'ispettore Lestrade che ormai pensava a lui come ad un terzo inquilino del 221B.
Ma adesso, cosa molto più importante, John ricordava solo di aver provato ad avere un approccio di tipo romantico con la dottoressa Sarah Sawyer, colei che gli aveva fatto il colloquio. Certo, vista così sembrava che avesse voluto bruciare le tappe, ma in cuor suo sperava di poter finalmente avere una vita normale ed una famiglia, cominciava ad avere una certa età.
Erano andati a teatro, ma qualcosa era andato storto, ed improvvisamente aveva visto completamente buio, come se qualcuno gli avesse calato un sacchetto sulla testa, non prima di averlo addormentato.
Quando finalmente riuscì nuovamente a vedere, davanti a lui c'erano dei tizi - visibilmente asiatici - che parlavano cinese tra loro e continuavano a chiamarlo Holmes. Come spiegargli che lui non era esattamente il detective che stavano cercando? Dovevano far parte della setta. Male, molto male. Sarah era altrettanto legata alla sedia ed imbavagliata, visibilmente impaurita. Come darle torto?
Fortuna volse che Sherlock arrivasse appena in tempo per aiutarli, o almeno provarci. Quando riuscì a liberarsi, mentre il detective lottava, afferrò la propria pistola, ma era ancora mezzo addormentato a causa del sonnifero.
Ci volse del tempo per riuscire ad atterrarli, ma ulteriore fortuna volse che Scotland Yard era stata avvertita e li raggiunsero in breve tempo.
 
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Fortuna ha voluto che ho deciso di seguirvi. E tu che ti eri persino offeso.
𝑱𝒐𝒉𝒏: E tu questa la chiameresti fortuna!? Ci è mancato poco ci facessero secchi.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Ma non è successo, giusto? Tutto perchè 𝒊𝒐 ho deciso di seguirti e controllare che tutto andasse come doveva. Non c'è bisogno che tu mi ringrazi.
 
Avrebbe voluto strozzarlo, ma si trattenne. Da una parte aveva persino ragione, se non l'avesse seguiti al teatro - distruggendo l'appuntamento, ma era una questione di punti di vista - John si sarebbe trovato nei guai, e con lui anche la povera Sarah che non c'entrava assolutamente niente.
Questa era la sua convivenza con quel genio di Sherlock Holmes, con un uomo dalla mente sottile, dalla genialità incomparabile e dalla passione di mettersi nei guai ed essere ad un passo dalla morte.

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Capitolo 4
*** The great game ***


𝐓𝐡𝐞 𝐠𝐫𝐞𝐚𝐭 𝐠𝐚𝐦𝐞
 
[ . . . ]
 
Spalancò gli occhi all'improvviso riprendendo fiato con una vitalità tale da pensare che fosse rimasto senza fiato per un tempo indefinito. L'idea peggiore che ebbe, nonostante fosse un medico e sapeva che fosse tale, fu tirarsi su improvvisamente, tanto che la stanza cominciò a vorticargli intorno.
Non ricordava bene cosa fosse successo - e questo cominciava a capitargli fin troppo spesso - ma era consapevole di trovarsi davanti casa propria quando aveva perso conoscenza. Aveva discusso con Sherlock per qualche motivo, adesso ben lontano, e qualcuno lo aveva sedato sul posto facendolo crollare. Che militare da pensione, non si accorgeva nemmeno più se qualcuno lo attaccava alle spalle.
Ma adesso?
Indossava un giacchetto verde che non era il proprio e lo sentiva pesante, quando decise di aprirlo, impallidì: 𝐞𝐬𝐩𝐥𝐨𝐬𝐢𝐯𝐢.
Perchè?
Si guardò intorno circospetto, abbastanza incuriosito ed inquietato dal luogo in cui si trovava. Un luogo che non riusciva a riconoscere, sembrava..
 
?: Uno spogliatoio di una piscina, esatto.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Chi..
?: .. sono? Oh, farò la mia presentazione a breve, Johnny Boy. Ti dispiace se ti chiamo così? Certo che no, ti dona, sai? A breve arriverà la nostra vittima principale e tu dovrai solo stare al gioco. Non sarà difficile.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Sei stato tu a farmi indossare questi, non è vero?
?: Che occhio, complimenti. Sì, sono stato io, amo la teatralità che ci vuoi fare.
 
Un altro uomo, abbastanza possente rispetto a colui con cui stava parlando, lo afferrò per le spalle facendolo alzare con la forza. L'uomo più basso, il suo interlocutore, gli consegnò un foglietto con delle battute da dire, minacciandolo di farlo saltare in aria se non avesse collaborato. Erano passati diversi minuti da quando si era svegliato, adesso cominciava a rimettere in sesto tutti i tasselli e colui che doveva raggiungerli, era proprio Sherlock.
 
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Ti ho portato un piccolo regalo "per conoscerti". Oh, ecco a cosa serve, vero? Tutti i tuoi piccoli enigmi, che mi fanno ballare. Tutto per distrarmi da questo.
 
Watson venne sospinto fuori da quella cabina dall'uomo più robusto e si palesò davanti a Holmes che teneva in alto la pistola pronto a sparare a chiunque gli si fosse palesato davanti con cattive intenzioni. Quando si rese conto che colui che si era fatto vedere era proprio il medico, l'espressione di Sherlock cambiò radicalmente, soprattutto dopo che il biondo gli mostrò cosa nascondesse sotto la giacca verde.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: 'Sera. Questa è una svolta, vero, Sherlock?
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: John. Che diavolo..?
𝑱𝒐𝒉𝒏: Scommetto che non l'hai mai visto arrivare. Cosa vorresti che gli facessi dire dopo? Gottle o' geer. Gottle o' Geer. Gottle o' g—
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Smettila.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Bel tocco questo, la piscina. Dov'è morto il piccolo Carl. L'ho fermato. Posso fermare anche John Watson. 𝐹𝑒𝑟𝑚𝑎 𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑐𝑢𝑜𝑟𝑒.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Chi sei?
 
John non sapeva cosa rispondere in quanto non aveva nemmeno lui idea di chi fosse il pazzo che si celava dietro a quel gioco di morte. O meglio, non conosceva il nome, ma aveva riconosciuto l'identità guardandolo in viso.
Il ragazzo che la dottoressa Hooper aveva presentato in obitorio quella mattina, lo stesso che Sherlock aveva catalogato come 'gay' solo perchè era più curato del normale. Come se lui non lo fosse.
Ma in quel momento, in mezzo a quei due fuochi, in mezzo a quello spettacolo, John aveva paura per la prima volta.
 
?: Ti ho dato il mio numero. Ho pensato che potessi chiamare. Hai in tasca un Browning L9A1 dell'esercito britannico? O sei solo contento di vedermi?
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Entrambi.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Jim Moriarty. Ciao.
 
Silenzio assoluto. Nessuna reazione da parte di Sherlock, mentre John guardava la scena sentendo solo brividi lungo la schiena. Aveva paura di saltare in aria da un momento all'altro, senza contesto, se Sherlock avesse deciso di sfruttare la propria lingua biforcuta, e sperò tanto che per quella volta tacesse.
 
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Jim? Jim dell'ospedale? Eh. Ho davvero fatto un'impressione così fugace? Ma poi suppongo che fosse piuttosto questo il punto. Non essere sciocco. Qualcun altro tiene il fucile. Non mi piace sporcarmi le mani. Ti ho dato un assaggio, Sherlock, solo un piccolo assaggio, di quello che sta succedendo là fuori nel grande mondo cattivo. Sono uno specialista, vedi. Come te.
 
A Watson venne naturale alzare lo sguardo o guardarsi semplicemente intorno per controllare che qualcuno fosse effettivamente nascosto pronto a sparare, ma non vide nessuno. In fondo cos'avrebbe potuto fare? Era in trappola.
 
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: "Caro Jim, per favore, mi aiuterai per liberarmi della cattiva sorella del mio amante." "Caro Jim, per favore, puoi aiutarmi per farmi sparire in Sud America."
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Solo così.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Consulente criminale. Brillante.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Non è vero? Nessuno ci arriva mai. E nessuno lo farà mai.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Io l'ho fatto.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Sei arrivato il più vicino. Ora sei sulla mia strada.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Grazie.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Non lo intendevo come un complimento.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Sì, l'hai fatto.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Sì, ok, l'ho fatto. Ma il flirt è finito, Sherlock. Papà ne ha abbastanza adesso! Ti ho mostrato cosa posso fare. Ho liberato tutte quelle persone, tutti quei piccoli problemi. Trenta milioni di sterline solo per farti uscire e giocare. Quindi prendi questo come un avvertimento amichevole, mio caro. Indietro. Sebbene. Ho amato questo. Questo nostro piccolo gioco. Interpreto Jim da IT. Gioco da gay. Ti è piaciuto il piccolo tocco con l'intimo?
 
Stavano 𝑑𝑎𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜 discutendo di questo? Beh, c'era poco da sorprendersi, due geni ancora bambini che giocavano a chi era il più furbo dentro quella stanza colma di acqua, circondati da probabili cecchini e lui pieno di esplosivo addosso. Cosa poteva sperare?!
Quando finalmente Sherlock si risolve a lui per domandargli se fosse tutto a posto, John non seppe cosa rispondere, ma soprattutto non sapeva se poteva farlo.
 
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Puoi parlare, Johnny Boy.
 
Ci fu il breve scambio dello stick che Mycroft aveva consegnato a Sherlock in precedenza dove, al suo interno, vi erano delle informazioni top secret sulla missilistica britannica. Oh no, davvero pensavano che sarebbe finita così? Non davanti ad un soldato inglese.
Ormai John aveva dimenticato di essere in pericolo di vita e sotto tiro, tanto che saltò letteralmente addosso a Moriarty tentando di tenerlo fermo il più possibile da dietro, una presa che in guerra aiutava molto. Sì, se non si è imbottiti di esplosivi.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Sherlock scappa!
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Ah! Bene. Molto buono.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Proprio così. Premi quel grilletto, signor Moriarty, e saliamo entrambi.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: È dolce, capisco perché ti piace averlo intorno. Ma poi le persone diventano così sentimentali riguardo ai loro animali domestici. Sono così toccanti e leali. Ma ops! Ha piuttosto mostrato la sua mano lì, dottor Watson. Capito!
 
Una luce, poi due, poi tre.. tanti piccoli puntini che si irradiarono contro il corpo di Holmes e, successivamente, sul suo volto.
𝐶𝑒𝑐𝑐ℎ𝑖𝑛𝑖.
Doveva immaginarselo. Guardò verso l'alto nel tentativo di vedere qualcuno e pensò, immancabilmente, al colonnello Moran. Lui per primo era uno dei cecchini migliori in guerra.
Per il bene di tutti decise di lasciare il consulente criminale che, con fare abbastanza nervoso, si sistemò il completo.
 
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Westwood. Sai cosa succede se non mi lasci in pace, Sherlock? A te.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Oh fammi indovinare, vengo ucciso.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Ucciderti? Ehi, no. Non essere ovvio. Voglio dire, ti ucciderò comunque un giorno. Non voglio avere fretta però. Lo sto risparmiando per qualcosa di speciale. No no no no. Ti brucerò il cuore.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Sono stato informato in modo affidabile che non ne ho uno.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Ma sappiamo entrambi che non è del tutto vero. Bene. È meglio che me ne vada. È così bello avere avuto una vera chiacchierata.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: E se dovessi spararti adesso? Proprio adesso.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Allora potresti apprezzare lo sguardo di sorpresa sul mio viso. Perché sarei sorpreso, Sherlock. Davvero lo sarei. E solo un po' deluso. E ovviamente non saresti in grado di apprezzarlo a lungo. Ciao, Sherlock Holmes.
 
Quell'espressione fintamente sorpresa su quel volto che, poco prima, aveva solo mostrato un sorriso sghembo e malato fece rabbrividire John, tanto che quando se ne fu andato potè solo esserne felice. Sherlock gli si avvicinò velocemente strappandogli di dosso tutta quell'artiglieria gettandola vicino al bordo della piscina. Una volta libero, con le gambe tremanti, Watson barcollò finendo col sedere a terra, il tremito addosso, il cuore che galoppava.
 
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Va bene? Tutto bene?!
𝑱𝒐𝒉𝒏: Sì, sto bene. Sherlock—Sherlock! Stai bene?
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Io? Sì. Bene. Bene. Quella, ah... cosa che hai fatto. Che tu, ehm, ti sei offerto di fare. Era, ehm... bene.
 
Stava davvero balbettando perchè aveva cercato di proteggerlo? Aveva già ucciso per lui.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Sono contento che nessuno l'abbia visto.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Eh?
𝑱𝒐𝒉𝒏: Mi stai strappando i vestiti in una piscina buia. La gente potrebbe parlare.
 
𝐸 𝑝𝑒𝑟 𝑚𝑒 𝑒̀ 𝑠𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑖𝑛𝑜.. 𝑏𝑒𝑙𝑙𝑜.
Ma non lo aggiunse, non avrebbe mai potuto.
 
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: La gente fa poco altro.
 
Risero entrambi, o almeno ci provarono, giusto per alleggerire la tensione. Tanto era tutto finito, no?
E allora perchè quelle luci rosse erano tornate!?
 
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Scusate ragazzi! Sono così mutevole! È una mia debolezza. Ma per essere onesti con me stesso, è la mia unica debolezza. Non puoi essere autorizzato a continuare. Non puoi. Proverei a convincerti. Tutto quello che ho da dire ti è già passato per la testa.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Probabilmente la mia risposta ha incrociato la tua.
 
John riprese a sudare freddo quando vide il detective puntare la pistola prima contro Moriarty e, successivamente, come se avesse avuto un improvviso ripensamento, sulla giacca carica di esplosivi. Era convinto che sarebbero saltati tutti in aria e, ne era consapevole, Sherlock ne avrebbe avuto il coraggio.
La canzone Staying Alive riempì l'aria circostante bloccando entrambi, che si voltarono nuovamente verso Moriarty, l'unico abbastanza impassibile davanti a tutti.
Gli stava suonando il cellulare o..
 
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Ti dispiace se rispondo?
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Oh no, per favore. Hai il resto della tua vita.
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Pronto? Sì, certo che lo è. Cosa vuoi? [ . . . ] Dillo di nuovo! Dillo ancora e sappi che se mi stai mentendo, ti troverò e ti scuoierò.
 
Ancora qualche minuto di silenzio e la chiamata venne chiusa, a quella minaccia di scuoiare vivo il povero malcapitato al telefono, John ebbe un brivido. Se anche Sherlock avesse provato qualcosa di simile, il dottore non seppe appurarlo.
 
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Scusa. Giornata sbagliata per morire.
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Ah. Hai ricevuto un'offerta migliore?
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Avrai mie notizie, Sherlock.
 
Tutto improvvisamente si fermò, i cecchini si ritirarono ad uno schiocco di dita e Morarty se ne andò, John sperò definitivamente.
 
𝑴𝒐𝒓𝒊𝒂𝒓𝒕𝒚: Quindi se hai quello che dici di avere, ti renderò ricco. Se non lo fai, ti trasformerò in scarpe.
 
Quando tutto fu finalmente - e definitivamente - silente John alzò lo sguardo su Sherlock che abbassò l'arma e prese un profondo respiro, lui stesso era rimasto teso come una corda di violino.
Watson aveva ancora il cuore che martellava, avrebbe volentieri dato di stomaco, ma era un soldato e come tale doveva restare coi nervi saldi.
Probabilmente avevano davanti uno dei casi più lunghi e complicati che avrebbero mai incontrato, ma una cosa era certa: quell'uomo era il diavolo in persona.
E si rese conto che in guerra aveva solo incontrato il purgatorio e non il vero inferno.
 
𝐓𝐡𝐞 𝐠𝐚𝐦𝐞 𝐢𝐬 𝐨𝐧.

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Capitolo 5
*** A scandal in Belgravia ***


𝐀 𝐬𝐜𝐚𝐧𝐝𝐚𝐥 𝐢𝐧 𝐁𝐞𝐥𝐠𝐫𝐚𝐯𝐢𝐚
 
[ . . . ]
 
La moquette sottostante attutiva il suo dei suoi passi lungo quel corridoio finemente decorato. Si notava subito quanto quella villetta fosse di proprietà femminile, era tutto così in ordine, ma se non fosse stato un luogo che John stava odiando, probabilmente tanta pulizia l'avrebbe apprezzata. Si domandava ancora perchè si trovavano in quel luogo - nonostante avesse visto tutto ciò che era accaduto e sentito altrettanto - e perchè Sherlock fosse così interessato a quella donna. Già, quella donna.
Irene Adler era il motivo per cui quel cliente così importante aveva chiesto di loro. Una dominatrice, fin troppo furba, dagli zigomi affilati, capelli corvini, pelle candida ed occhi ghiaccio. Era una bella donna, a John sarebbe potuta interessare, ma dentro di sè l'urlo del fastidio e della gelosia aveva cominciato a dare sfogo quando si era avvicinata troppo al detective.
Portava una bacinella di acqua ed una pezza di stoffa datagli dalla cameriera di Miss Adler per 'disinfettare' il graffio che Sherlock aveva sullo zigomo prodotto da lui stesso. Gli aveva chiesto un pugno, ebbene glil'aveva dato con piacere.
Quando aprì la porta e vide quella scena - Irene, completamente nuda, in piedi davanti ad uno Sherlock Holmes perplesso - a John venne un brivido di nervoso lungo la schiena, ma rimase immobile.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Potrebbe mettersi qualcosa addosso per favore? Ah, proprio niente. Tovagliolo?
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Perché? Ti senti esposto?
 
No, si sentiva a disagio. Gli dava fastidio vederla nuda, nonostante fosse una bella donna e sì, le curve erano al posto giusto - purtroppo aveva pure controllato - e a Sherlock sembrava interessare particolarmente. Avrebbe voluto prendergli la testa e girarlo da un'altra parte.
 
𝑺𝒉𝒆𝒓𝒍𝒐𝒄𝒌: Non credo che John sappia dove guardare.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: No. Penso che sappia esattamente dove. Non sono sicura di te.
 
Miss Adler ebbe la fortunata accortezza di allontanarsi da Holmes, prima che Watson reagisse un po' troppo, ed accomodarsi su di una poltrona, cosa che il medico fece subito dopo osservando ed ascoltando. Solo successivamente vennero attaccati da tipi che cercavano la stessa cosa - delle foto scabrose di clienti influenti - con un modo leggermente meno ortodosso del loro.
Dopo essere riusciti ad aiutarla, l'unica cosa che Miss Adler riuscì a fare fu drogare Sherlock, e John non potè fare niente per impedirlo.
 
[ . . . ]
 
Il Natale era alle porte, quell'anno, e John si sorprese di non trovarsi in guerra, magari esposto a qualche nemico che avrebbe potuto ucciderlo con un battito di ciglia. Immerso in quel luccichio prodotto dall'albero, che aveva montato da solo perchè viveva con una sottospecie di Grinch, il medico si rese conto che qualcosa era successo.
Da quando avevano incontrato quella donna, il detective si comportava in modo strano, e più quel comportamento proseguiva, più al medico militare dava fastidio, compreso di suoneria oscena registrata sicuramente dalla donna. Ma poi una chiamata con Mycroft fece fare un'espressione a Sherlock nonostante avesse tentato di rimanere immobile. Non ascoltò mai la chiamata, eppure..
Un messaggio da parte di Holmes senior anche a lui. Un comportamento bizzarro in quanto, solitamente, o chiamava o andava direttamente a prenderlo davanti casa senza nemmeno dirglielo. Eppure gli dava appuntamento in un luogo strano, che non conosceva, ma si parlava pur sempre di Mycroft Holmes, cosa poteva sperare?
Quindi eccolo, completamente solo, che cammina in questo corridoio buio, adesso i suoi passi riecheggiavano.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Sai che Mycroft potrebbe semplicemente telefonarmi se non avesse questo maledettamente stupido complesso di potere.
 
Continuava a camminare, si guardava intorno con curiosità, convinto di parlare prima di Anthea - la segretaria - e successivamente con Mycroft, magari con entrambi insieme.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Sta scrivendo musica triste. Non mangia. Parla a malapena. Solo per correggere la televisione. Direi che aveva il cuore spezzato, ma, ah, lui è Sherlock. Fa tutto ciò comunque--
 
Quando si trova davanti Irene Adler, che lo guardava sorridendo immancabilmente con quel classico ghignetto di vittoria sul volto, John si blocca. Se non fosse stata una donna probabilmente l'avrebbe già picchiata volentieri.
Aveva provato una profonda antipatia per lei già all'inizio, adesso che è riuscita ad ottenere l'attenzione di Sherlock - cosa che a lui mai era capitato - e a farlo soffrire in quel modo, la sua antipatia si stava tramutando in disgusto.
 
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Salve Dr. Watson.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Digli che sei viva.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Verrebbe da me.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Ti cercherò se non lo fai.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Oh, ti credo.
 
Non aveva idea di come avrebbe fatto e di cosa le avrebbe fatto passare se avesse fatto soffrire Sherlock Holmes ancora ed ancora. Perchè lui, la sofferenza, la conosceva bene. E quegli occhi, quei maledetti occhi chiari, stavano patendo un sentimento che nemmeno conosceva.
 
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Guarda, ho fatto un errore. Gli ho dato una cosa affinché la tenesse al sicuro, ed ora ho bisogno che mi venga restituita, ho bisogno del tuo aiuto.
𝑱𝒐𝒉𝒏: No.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: È per la sua sicurezza.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Allora è questo: digli che sei viva.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Non posso.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Bene. Glielo dirò. E ancora non ti aiuterò.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Che dico?
𝑱𝒐𝒉𝒏: Cosa dici normalmente?! Gli hai scritto molto!
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Solo le solite cose.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Non c'è una consuetudine in questo caso.
 
La stava davvero aiutando in questo? Seppur a parole. Davvero voleva mettere la felicità di qualcun altro al primo posto, di nuovo? A quanto sembrava sì, non aveva imparato un bel niente dal proprio passato.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Hai flirtato con Sherlock Holmes?
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Non risponde mai.
𝑱𝒐𝒉𝒏: No, Sherlock risponde sempre. A tutto. È il signor Punchline. Sopravviverà a Dio cercando di avere l'ultima parola.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Questo mi rende speciale?
 
Se la rendeva speciale? Lo stava prendendo in giro!? Ma poi perchè gliel'aveva chiesto? No, John non avrebbe voluto risponderle, no. Non era speciale, forse. Sherlock non provava certe emozioni per qualcuno.. forse.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Non lo so, forse.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Sei geloso?
𝑱𝒐𝒉𝒏: . . . Non siamo una coppia.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Sì, lo siete.
 
Maledizione, no! Non lo erano. Lui non era gay, Sherlock non era gay, nessuno qua era gay!
𝐿𝑒 𝑑𝑜𝑛𝑛𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑜𝑛𝑜 𝑙𝑎 𝑚𝑖𝑎 𝑎𝑟𝑒𝑎.
Tranne quel punto.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: . . .
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Ecco. "Non sono morta. Ceniamo."
𝑱𝒐𝒉𝒏: Per la cronaca, se a qualcuno interessa ancora, in realtà non sono gay.
𝑨𝒅𝒍𝒆𝒓: Beh, io lo sono. Guardaci entrambi.
 
In quel silenzio che si poteva tagliare col coltello, in quel corridoio dove anche il respiro veniva riprodotto ad eco, la suoneria di Sherlock risultò fin troppo udita. Entrambi si voltarono indietro, significava che Holmes aveva ascoltato ogni parola e John, immancabilmente, si morse la lingua.
Aveva detto senza remore di non essere gay - ed era anche vero - e di non essere geloso, l'ultima parte non era poi così sicura, ma questo il detective non poteva saperlo e John non gliel'avrebbe mai detta volutamente.
 
[ . . . ]
 
Quando John si ritrova Mycroft sotto casa, coperto da un ombrello, a fumare una sigaretta dopo averlo contattato, il medico è decisamente confuso. Ma notando l'espressione, più umana del solito, sul volto altrui, quella confusione lascia posto alla consapevolezza di qualcosa.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: È quello il file su Irene Adler?
𝑴𝒚𝒄𝒓𝒐𝒇𝒕: Chiuso per sempre. Sto per andare a informare mio fratello - o se preferisci, tu - che in qualche modo si è infilata in un programma di protezione dei testimoni in America. Nuovo nome, nuova identità. Sopravviverà e prospererà. Ma non la rivedrà mai più.
 
Una scusa come un'altra per fargliela dimenticare, tarpare così le ali su un sentimento nuovo ed intricato, tipico di Mycroft.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Perché dovrebbe interessarsene? Alla fine l'ha disprezzata. Non la menzionerò nemmeno per nome. Solo la donna.
𝑴𝒚𝒄𝒓𝒐𝒇𝒕: È disgusto o un saluto? Unico nel suo genere, l'unica donna che conta.
 
Lo stomaco ebbe una capriola a sentire quelle parole: 𝑙'𝑢𝑛𝑖𝑐𝑎 𝑑𝑜𝑛𝑛𝑎 𝑐ℎ𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑎. No, probabilmente non era così. Oppure sì? John non voleva nemmeno pensarci.
 
𝑱𝒐𝒉𝒏: Non è così. Non sente le cose in quel modo. non credo.
𝑴𝒚𝒄𝒓𝒐𝒇𝒕: Mio fratello ha il cervello di uno scienziato o di un filosofo, eppure sceglie di essere un detective. Cosa potremmo dedurre dal suo cuore?
𝑱𝒐𝒉𝒏: Non lo so.
𝑴𝒚𝒄𝒓𝒐𝒇𝒕: Neanch'io. Ma inizialmente voleva essere un pirata.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Starà bene con questo. Protezione dei testimoni, non vederla mai più. Starà bene.
𝑴𝒚𝒄𝒓𝒐𝒇𝒕: Sono d'accordo. Ecco perché ho deciso di dirglielo.
𝑱𝒐𝒉𝒏: Invece di cosa?
𝑴𝒚𝒄𝒓𝒐𝒇𝒕: È morta. È stata catturata da una cellula terroristica a Karachi due mesi fa e decapitata.
𝑱𝒐𝒉𝒏: È sicuramente lei? L'ha già fatto.
𝑴𝒚𝒄𝒓𝒐𝒇𝒕: Questa volta sono stato meticoloso. Ci vorrebbe Sherlock Holmes per ingannarmi. E non credo fosse a portata di mano. Cosa dovremmo dire a Sherlock?
 
La verità. E fu proprio quella che disse a Sherlock una volta rientrato su al 221B di Baker Street, mentre come sempre restava seduto al microscopio posizionato in cucina a studiare chissà cosa. Non sembrò sorpreso da quella notizia, anzi, sembrava che sapesse già tutto. Ma cos'avrebbe dovuto pensare?
Un addio scritto poco prima di sparire, come se sapesse che sarebbe successo. A John questo non tornava poi molto, conoscendo il detective probabilmente era anche partito a cercarla. Ma non era nei propri interessi, ormai il caso della donna era giunto al termine.
 
𝐕𝐚𝐭𝐢𝐜𝐚𝐧 𝐂𝐚𝐦𝐞𝐨

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