La scatola dei ricordi

di MoreUmmagumma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


La scatola dei ricordi

 

Capitolo I

 

Toscana, 1993

 

La pioggia batteva lieve contro le vetrate della chiesa del paese.
Era una mattina di inizio ottobre e la natura sembrava volesse dare già spazio all’imminente autunno. Tutto sembrava essersi fermato, per dare l’ultimo saluto alla donna più longeva del paese.
Laura sedeva in prima fila, il vestito nero leggermente largo all’altezza delle spalle, e fissava il vuoto. Sin da bambina era stata molto legata a nonna Aurora, la nonna di sua madre, e vederla lì quel giorno, immobile, pallida, vulnerabile, le fece provare un grandissimo senso di malinconia. Si guardò intorno e le sembrò di non riconoscere nessuna delle facce dei parenti che singhiozzavano e si soffiavano il naso.
“Da dove saltano fuori tutte queste persone all’improvviso?” pensò. “Che cosa vogliono?”
La seppellirono in un tranquillo e piccolo cimitero di campagna, alle porte del paese. La pioggia aveva cessato, e dei raggi di sole sbucarono coraggiosamente facendosi largo tra incresciose nuvole grigie. Come ultimo gesto Laura posò un mazzo di peonie gialle, le preferite della nonna, sulla sua tomba, tenne stretto nella mano destra il ciondolo che portava al collo, e tra le lacrime calde che le scivolarono lungo le guance, si voltò.

 

♦♦♦

 

L’incontro con il notaio fu un successo: la madre di Laura ereditò la grande casa appartenente alla famiglia di Aurora da cinque generazioni prima di lei. Si trattava di un villino di campagna, a qualche chilometro dal centro del paese, ormai inabitato da una decina di anni. Laura ricordò innumerevoli estati passate lì, correndo per i vigneti, facendo il bagno in un laghetto poco distante, e dondolando sull’altalena che il nonno le aveva costruito sul ramo del grande faggio nel giardino. Quando nonna Aurora diventò sempre meno indipendente lasciò la casa per trasferirsi a casa di Laura. Da allora nessuno vi mise più piede, salvo quelle rare volte in cui Aurora chiedeva ai familiari di andarle a prendere questo o quell’oggetto da tenere con sé.
«Ci ho pensato, sai?»
Laura lanciò uno sguardo interrogativo a sua madre, in attesa.
«Ho deciso di trasformare la casa della nonna in un bed & breakfast. Così forse potremo finire di pagare il mutuo e tu potrai prendere quel bell’appartamento a Firenze.»
Laura rivolse un sorrisetto forzato a sua madre. Amava quella casa;  vederla abitata da degli estranei le avrebbe fatto uno strano effetto. Aveva sempre immaginato, sin da quando era bambina, che un giorno ci avrebbe vissuto lei. 
Ma, ora, con il lavoro a Firenze, sarebbe stato difficile e decisamente troppo lungo tornare a casa ogni sera. Quella casa così lontana dal mondo. Lontana da tutti.
«Stai tranquilla.» Sua madre sembrava averle letto nel pensiero, e le prese le mani. «Ci sarà sempre un posto per te, lì.»
Laura aprì il ciondolo che portava al collo da ormai quasi dieci anni. Le due foto, a distanza di quasi novant’anni l’una dall’altra, ritraevano due bambine dai capelli rossicci, che formavano morbidi boccoli che dolcemente ricadevano sopra le spalle.
Era incredibile come si somigliassero.
Laura approfittò di un momento in cui sua madre le dava le spalle e in un rapido gesto, diede un bacio alla prima fotografia.
«Se non hai da fare questo weekend mi farebbe piacere se mi aiutassi a sistemare la casa.»
«D’accordo.» le rispose Laura. «Ci sarò.»

 

♦♦♦

 

La macchina scricchiolava sul ciottolato, fino a che il motore non venne spento. Parcheggiarono in fondo al viale, delineato da alti cipressi, che divideva il cancello principale dal giardino.
La casa era una bianca villetta di tre piani, con una pianta rampicante che occupava metà della parete che ospitava la porta principale.
Non appena aprirono, un forte odore di chiuso invase le loro narici e il primo gesto fu quello di spalancare tutte le finestre, in modo che entrasse corrente. I mobili erano rivestiti da lenzuola bianche, divenute grigie a causa degli strati di polvere accumulati.
Ci vollero due giorni interi perché la casa tornasse a vivere di nuovo.
Non era cambiato niente.
Aurora aveva sempre vissuto in quella casa, sin dalla sua nascita, e nonostante gli anni, poche furono le volte in cui fu necessaria una ristrutturazione, e la mobilia era sempre la stessa. Da ben più di cento anni. 
«Beh. Direi che abbiamo finito. Manca solo da risistemare la soffitta.»
«Stavolta passo. Non ho più l’età per certi lavori.»
«Tranquilla mamma, ci penso io. Credo che passerò la notte qua e domattina guarderò con calma. Magari possiamo riesumare qualcosa.»
«Non credo, quella soffitta è piena di cianfrusaglie. Anzi, già che ci sei, butta pure tutto quello che puoi. Può darsi che possiamo ricavarne un’altra stanza. Con una sistemata credo che verrebbe fuori un bell’attico.» Le diede un bacio sulla fronte e se ne andò.
Era ormai quasi buio quando Laura si recò nella legnaia per cercare qualche ramo o tronco con cui accendere il camino. Non fu facile, ma con molta pazienza e olio di gomito ci riuscì. Se non altro era l’unica soluzione con la quale riscaldarsi, considerando il fatto che i riscaldamenti non avrebbero funzionato per un bel po’. Andò in cucina, si preparò una tazza di tè bollente e si sistemò sul divano, di fronte al camino. Ascoltò attentamente lo scoppiettare del fuoco, chiudendo gli occhi e cercò di non far rivivere nella sua mente il ricordo di nonna Aurora. Ma tutto in quella stanza era pregno della sua memoria e una lacrima le rigò la guancia destra. Si sdraiò su di un fianco e senza nemmeno accorgersene, tra le lacrime, si addormentò.

 

♦♦♦

 

La soffitta si presentava ancora peggio di quello che si aspettava. Sembrava una foresta di ragnatele e la polvere ne invadeva qualsiasi centimetro.
“Qui ci vorranno più di due giorni!” pensò.
Cominciò col dividere le cose da buttare e le cose da tenere. 
Una sedia a dondolo. Tenere.
Un vecchio appendiabiti. Tenere.
Uno specchio crepato. Buttare.
Un piccolo armadio verdognolo del ‘900. Tenere.
Divise i vari oggetti a gruppi di due nella stanza prima che il suo sguardo si incrociasse con un vecchio baule.
Assolutamente tenere.
Lo aprì, scoprendo con delusione che non conteneva altro che vecchi abiti di lana che odoravano di muffa e naftalina. Nemmeno cento lavatrici avrebbero mandato via quell’odore. 
Buttare.
Mise in una busta i piccoli oggetti da tenere, pronta ad affrontare un pomeriggio di pulizie. Non appena fece per recarsi verso la porta, il suo piede si posò su un asse del pavimento che si mosse sotto il suo peso, facendole quasi perdere l’equilibrio.
La guardò e notò con sorpresa che l’asse in questione non era fissata al pavimento come avrebbe dovuto.
Posò la busta che aveva in mano e si inginocchiò.
Spostò l’asse e un sospiro di sorpresa le uscì dalla bocca quando le sue mani presero in mano il piccolo portagioie rosso che vi era nascosto. 
Come nei libri di avventura che leggeva da bambina, si sentì come un corsaro di fronte a un tesoro seppellito nella sabbia. 
Lo aprì. E il contenuto valeva molto più di qualsiasi oro trovato su un'isola sperduta.
Erano ricordi.
Ricordi di una gioventù perduta, gelosamente nascosti perché qualcuno difficilmente li trovasse.
“Ma perché nascondere qualcosa del genere?”
Sono solo bottoni, una vecchia spilla di brillanti ormai divenuti opachi, una fotografia e delle lettere.
La foto ritraeva due giovani fanciulle, che timidamente sorridevano al fotografo. Laura riconobbe subito nonna Aurora: i capelli rossicci e ricci, raccolti per metà in un grande fiocco dietro la testa, erano inconfondibili nonostante il colore seppia della fotografia, il vestito chiaro, forse bianco, col colletto di pizzo, le donava un aspetto di spensierata giovinezza. 
“Quanti anni avrà avuto?”
Forse sedici, forse diciassette. Sicuramente non più di venti.
“Ma l’altra ragazza?” Chi era?
Laura non ne aveva mai sentito parlare. 
Aveva ascoltato molti racconti da parte della nonna della sua giovinezza, ma non aveva mai nominato né fatto cenno a quella ragazza dai boccoli biondi e gli occhi azzurri, che nella foto poggiava la testa sulla sua spalla. Sembravano molto unite.
Girò la foto ma ci mise un po’ a leggerne la dedica ormai sbiadita dal tempo.
“Ad Aurora. Ovunque tu sarai, possa il mio ricordo accompagnarti per sempre. Ed io ti cercherò negli occhi di chi verrà dopo di te(*). Tua, Gabriella”
No. Decisamente non ne aveva sentito parlare.
La curiosità si fece strada dentro di lei, tanto da farle venire la voglia di aprire quelle lettere.
“No, non sta bene!” pensò.
Ma ormai la scatola segreta era stata scoperta.
Nonna Aurora non c’era più.
E giurò a se stessa che qualunque cosa avesse trovato dentro quelle lettere, se la sarebbe portata nella tomba, così come aveva fatto Aurora.
Ne aprì una. Il mittente non era segnato sulla busta, ma il destinatario era sempre lo stesso.
“Cara Aurora…”

 

Note dell’autrice:

(*)“Chissà se un giorno, guardando negli occhi di chi ti avrà dopo di me cercherai qualcosa che mi appartiene.” -Pablo Neruda

 

Questa frase mi è piaciuta così tanto che ho voluto inserirla (cercando di non copiarla troppo).

Ci tengo a precisare che è veramente tanto tempo che non scrivevo, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per mancanza di ispirazione, perciò non so cosa ne è venuto fuori.
La storia mi è venuta in mente quando per caso mi sono imbattuta in una poesia che studiai al liceo tanto tempo fa. Si tratta di “L’amica di nonna Speranza”, di Guido Gozzano. È una poesia molto carina, se non la conoscete vi consiglio di andare a leggerla :)
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. E spero di non aver fatto errori. Per quanto possa leggere e rileggere per ricontrollare me ne sfugge sempre qualcuno.
Un abbraccio.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II

Toscana, 1910

 

Il sole picchiava forte quel giorno di metà giugno e nessuna nuvola minacciava di rovinare il bel tempo.
Aurora si sporse verso il finestrino della carrozza e una lieve brezza estiva le accarezzò il volto, smuovendole i capelli.
Finalmente tornava a casa.
La vita in collegio, lontano dalla sua terra, diventava ogni anno più dura. Suor Teresa non le dava tregua, né alle sue compagne. La rigidità con cui dirigeva l’istituto era divenuta popolare in tutta Roma, tanto che ogni anno sempre meno ragazze decidevano di entrare a farne parte, preferendo ricevere altri tipi di istruzione. 
Ma ora, anche se per pochi mesi, era libera.
Niente e nessuno avrebbe rovinato quell’estate.
Gabriella, la sua compagna di stanza e migliore amica da tre anni a questa parte, sedeva accanto a lei nella carrozza, e le rivolse un sorriso, stringendole la mano.
«Sono così contenta che tu abbia accettato il mio invito.» disse Aurora.
«Ed io che tu me l’abbia chiesto.»
«Vedrai, passeremo un’estate indimenticabile.»
La carrozza svoltò l’angolo e un lungo viale di cipressi le accolse. 
Un largo sorriso si dipinse sul volto Aurora, felice di vedersi di nuovo a casa.
«Bentornata, signorina Aurora.»
«Grazie Ottavio.» rispose la ragazza all’anziano maggiordomo, che la stava aiutando a scendere dalla carrozza.
Non appena mise piede in casa venne avvolta dal caldo abbraccio di Maddalena, governante e cuoca della casa.
«Bambina mia, non sai che gioia averti di nuovo qui!”
«Anche io sono contenta di essere di nuovo a casa!”
Gabriella spuntò dalla porta, osservando la scena, mentre Ottavio portava dentro casa i bagagli delle ragazze.
La madre di Aurora stava ritta sull’uscio che dava sul salotto, vestita di lungo abito rosso bordeaux ed una acconciatura legata con morbidezza sopra la testa, in attesa.
Aurora le venne incontro e la donna le sorrise, le prese il volto tra le mani e la baciò sulle guance.
«Bentornata, figlia mia.»
«Vi ringrazio, mamma.»
Fu a quel punto che si girò verso l’ospite, aspettando di essere presentata.
«Mamma, lei è la mia amica Gabriella. Nel telegramma non vi ho ringraziato abbastanza per aver acconsentito a farle passare l’estate qui da noi.»
«Gli amici di mia figlia sono i benvenuti nella nostra casa. Siamo felici di averti qui, Gabriella. Io mi chiamo Emma.»
«Vi ringrazio di cuore, signora.» rispose timidamente la ragazza.
Gabriella venne accolta nella casa di Aurora con un abbondante banchetto che si tenne nella grande sala da pranzo, a lume di alte candele.
«Allora, Gabriella, raccontaci di te.» le chiese la padrona di casa, rivolgendole un grande sorriso. «So che sei di buona famiglia.»
«Si, mio padre è un banchiere. Viviamo in un maniero nella periferia di Roma, dove possediamo dei terreni.»
«E ti trovi bene nell’istituto?»
«Sì, molto.» mentì.
Aurora le rivolse un’occhiata interrogativa.
Gabriella odiava il collegio. Odiava Suor Teresa. Le punizioni erano ormai all’ordine del giorno: la sua voce nel coro era inudibile, le preghiere ripetute con parole inventate. Per non parlare poi delle continue proteste sulla scarsa qualità del cibo servito nel refettorio.
In tutto questo Aurora partecipava passivamente; sapeva che se la sua famiglia lo avesse saputo, avrebbe passato dei guai.
«Le nostre compagne mi hanno anche nominata capocorso.» disse con un sorriso che solo a chi sapeva, risultò malizioso.
Aurora ricordò subito di quella volta in cui Gabriella, alle spalle di Suor Teresa, organizzò una gita notturna presso la via dei bordelli.
Al loro ritorno fu l’unica del gruppo ad essere stata colta in flagrante, mentre sgattaiolava nella sua stanza, con ancora la mantella addosso.
Ne seguirono settimane con le ginocchia sui ceci, o a pulire i piatti e il pavimento della cucina.
Ma le compagne la adoravano.
Dava loro un barlume di speranza che qualcosa potesse cambiare in quella vita così monotona, così grigia, sempre al passo coi tempi.
Tuttavia, l’amicizia tra le due ragazze non nacque certo all’improvviso.
Quando Aurora arrivò all’istituto, Gabriella non ne fu contenta: un nuovo arrivo avrebbe potuto minacciare la sua autorità di “capobranco”.
Ma Aurora era docile, serena, gentile con tutti.
E in meno di tre mesi diventarono inseparabili.
Aurora si perse in quei ricordi, mentre Gabriella continuava, imperterrita, a chiacchierare con i genitori dell’amica.
«Avete davvero un bellissimo strumento.» disse poi, volgendo lo sguardo verso il pianoforte a coda, posto in un angolo della stanza.
«Sai suonare?» le domandò Emma.
«Quando ero bambina. I miei genitori insistettero perché prendessi lezioni.»
Aurora sgranò gli occhi.
Gabriella non le aveva mai detto di saper suonare il piano. 
La cosa la sorprese perché anche lei, da bambina, prese lezioni, spinta dalla volontà di sua madre.
«Ti prego, Gabriella, suonaci qualcosa.» le chiese Emma.
Con riluttanza, e con un po’ di imbarazzo, a causa del lungo tempo passato senza toccare una tastiera, Gabriella si alzò, e si mise a sedere sullo sgabello.
Mosse lentamente le dita, come a volerle scioglierle, e dolcemente le posò sui tasti bianchi, facendo librare in aria le prime note del Notturno op. 9 n°2 di Chopin.
Il pianoforte non era particolarmente accordato ma bastarono le sue doti di pianista a far emozionare il suo piccolo pubblico. 
In particolare Aurora, che osservava attentamente ogni minimo dettaglio: la fluidità con cui le dita scivolavano sui tasti, il corpo di Gabriella che faceva lentamente avanti e indietro, dandole il ritmo e le sue labbra, leggermente socchiuse, che si muovevano quasi impercettibilmente, come se stesse ripetendo sottovoce le note della composizione. 
Un brivido la pervase.
Anche lei, anni addietro, aveva imparato quella melodia, ma la maestria con cui la sua amica la eseguì, le fece dubitare di tutto il tempo cercato ad automigliorarsi.
Ma la sua non era invidia.
Era ammirazione.
Che cresceva giorno dopo giorno, da quando diventarono amiche per la pelle.
Gabriella non era solo la sua migliore amica: era il suo punto d’appoggio, la sua forza maggiore. E ora che l’aveva trovata, non l’avrebbe mai lasciata andare.

 

♦♦♦

 

Dopo che la cena si conluse, Aurora accompagnò Gabriella nella stanza degli ospiti.
Avrebbe voluto raccontarle delle sensazioni che aveva provato qualche ora prima, ma le parole le morirono in gola.
Gabriella la guardava, i suoi occhi azzurri parevano avessero capito, ma nemmeno lei osò dire niente.
«Ti auguro una buona notte.» disse Aurora, poggiando su un mobile il candelabro che aveva in mano.
«Buonanotte anche te.»



 

Note dell’autrice: voglio ringraziarvi per aver letto questi due capitoli e un grazie particolare va a chi ha speso due righe per il primo.

Per quanto riguarda questo capitolo, ho deciso di non raccontare nulla di particolare, perché ho preferito descrivere i caratteri delle due protagoniste. Il padre di Aurora è praticarmente inesistente, poiché non ha una rilevanza particolare nel racconto in sé: c’è ma non si vede. Spero di aver reso bene l’idea delle caratteristiche principali dei personaggi.

Il finale l’ho lasciato un po’ così, perché preferirei descrivere i sentimenti nei capitoli seguenti. 
Spero davvero che questa storia vi stia piacendo.

Un abbraccio.
 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

 

Era passato davvero tanto tempo dall’ultima volta in cui Gabriella era entrata di sua spontanea volontà dentro una chiesa.
Il forte odore d’incenso le dava la nausea e tutto lì le riportava alla mente l’orribile ricordo di Suor Teresa e della sua voce stridula.
Quella donna non aveva mai avuto una particolare simpatia per lei, già dal primo giorno in cui mise piede nell’istituto. 
Ricordò benissimo la prima volta che ricevette una punizione: erano ormai due settimane che si trovava lì, aveva dodici anni, e il grande ciliegio nel giardino era già pieno zeppo di grandi e succose ciliegie, destinate ad essere vendute per ricavarne soldi da donare alla chiesa. Nessuno era autorizzato a raccoglierle.
Ma Gabriella non prestò attenzione agli avvertimenti delle compagne. Era abituata sin da bambina ad arrampicarsi sugli alberi, così un pomeriggio rubò un cestino di vimini dalla cucina, e approfittando dell’assenza di Suor Teresa cominciò a cogliere prima quelle più basse, e poi, non contenta, pensando di prenderne un po’ anche per le sue amiche, si arrampicò.
Ma non fece in tempo ad arrivare a quelle più in cima che il ramo sotto al suo piede di spezzò, causandole una brutta caduta con una gamba fratturata.
Il medico che la curò costò caro all’istituto. Suor Teresa, oltre che per la sua severità, era conosciuta anche per la sua taccagneria. Per questo Gabriella, dopo aver ricevuto una quantità indefinita di bacchettate sui palmi delle mani, fu reclusa nella stanza nel sottotetto per “convalescenza”.
Ma ciò non bastò a placare il suo animo ribelle e diventò presto la beniamina delle sue compagne.
Quando Aurora arrivò all’istituto, Gabriella ne fu gelosa. Diventò subito la sua nuova compagna di stanza e non perse tempo a nasconderle le rane sotto le lenzuola o a tagliarle ciocche di capelli durante la notte.
Ma Aurora non rispose mai alle sue provocazioni. Anzi, era sempre pronta a perdonarla o a ignorarla. E fu l’unica che riuscì veramente a “domare” Gabriella con la sua dolcezza ed ingenuità.

 

♦♦♦

 

Gabriella osservava Aurora, seduta in seconda fila, mentre cantava. Le piaceva il modo in cui la sua bocca si faceva rotonda per scandire bene le “O” e il suo sguardo sereno, pieno di fede, quella fede che ormai lei aveva perso da tempo, che sentiva che in qualche modo le impediva di essere se stessa.
Aurora si accorse di lei e le sorrise, senza smettere di intonare quel canto religioso, che sulle sue labbra sembrava la melodia più soave del mondo.
«In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.» la voce del parroco la destò dai suoi pensieri e subito li scacciò con un cenno della testa. «Ite, missa est.»
«Deo gratias.»
Ad Aurora invece piaceva andare in chiesa: era l’unico momento in cui poveri e ricchi si riunivano assieme. Non che fosse una fanatica religiosa, ma quel luogo le dava una specie di sicurezza. Inoltre, trovava un certo piacere nel vedere come vestivano le nobildonne e pensava che un giorno, anche a lei, sarebbe piaciuto disegnare abiti per signore altolocate, e vederli andare in giro, indossati con così tanta grazia ed eleganza.
«Aurora! Che grande piacere averti di nuovo qui!»
«Buongiorno, don Pietro!»
Il prete avvolse la ragazza in un caloroso abbraccio.
«Che cosa devo fare per averti di nuovo nel coro della mia umile chiesa?»
«Quando desiderate, don Pietro. Resterò in paese fino alla fine dell’estate.»
«Sono certa, don Pietro, che la nostra Aurora sarà più che ben lieta di unirsi ai vostri canti domenicali.» si intromise Emma, stringendo la mano dell’uomo.
«Me ne compiaccio.» rispose lui. «Ho notato un certo calo della frequenza da quando se ne è andata.»
Emma rise, portandosi una mano sul cuore.
Gabriella fu presentata, con un certo restìo da parte sua. Sicuramente avrebbe speso più che volentieri le domeniche mattina in altro modo, piuttosto che sentire sproloqui sul Vangelo volti alle orecchie di annuenti e devoti seguaci.
Salutarono don Pietro ed Emma invitò le ragazze ad unirsi con lei nella carrozza, che le avrebbe riportate a casa.
«Se non vi dispiace, mamma, preferiamo passare la giornata fuori oggi. C’è un così bel sole. E poi vorrei mostrare la campagna a Gabriella.»
Emma si raccomandò di ritornare a casa prima che facesse buio, dopodiché salì sulla carrozza e se ne andò.
Così, le due ragazze si incamminarono verso i campi.
Immense distese di prati si stagliarono di fronte a loro in tutta la loro maestosità. Il sole era caldo e i suoi raggi si poggiavano dolcemente sui loro volti, facendone diventare rosee le gote, nonostante i cappelli di pizzo a far loro ombra. 
Per i primi dieci minuti nessuna di loro aprì bocca: di comune e silenzioso accordo decisero entrambe di godersi i suoni che la natura serbava. Ma qualcosa turbava la mente di Gabriella. Aurora la conosceva abbastanza da potersene accorgere con un solo sguardo. 
«Cos’è che ti preoccupa?» le chiese.
Ma Gabriella non rispose.
«Stai forse pensando a quando torneremo a Roma?»
«Io non ci torno.» le disse infine, voltandosi verso di lei, con sguardo serio.
Aurora non capiva.
Cosa significava?
Non aveva ancora raggiunto la maggiore età per potersi mantenere da sola, cosa avrebbe fatto?
Si sedettero sul prato, sulla riva di un laghetto non molto distante dalla casa di Aurora.
«Ma cosa farai? Che ne sarà di te? Ti prego, Gabriella, parlami. Non posso sopportare l’idea di saperti da qualche parte da sola, lontana da me.»
Gabriella sospirò.
«I miei genitori stanno considerando l’idea di mandarmi in un convento in Svizzera. Non ho una buona reputazione nel collegio a Roma, dicono che nessuno mi accetterà mai come moglie se continuo così. Come se questa fosse la cosa alla quale tengo di più.»
«Non vuoi sposarti un giorno?»
«No.» rispose secca.
Aurora era ancora più confusa. Conosceva l’animo ribelle di Gabriella, ma aveva sempre dato per scontato che fosse una fase della crescita, che si sarebbe un giorno acquietata una volta diventata adulta e moglie.
«Io voglio viaggiare, voglio vedere il mondo, andare in America forse.  Le donne in Inghilterra si stanno battendo per il diritto al voto e qui noi ci preoccupiamo di quale centrino si abbini meglio con le tende del salotto. Pensaci, Aurora...» le disse, prendendole le mani. «Pensa a come sarebbe se fossimo veramente libere… a come sarebbe essere te stessa, senza che nessuno ti giudichi.»
Per un momento Aurora si sentì stupida.
Non aveva mai riflettuto su queste cose e Gabriella sapeva andare lontano con le parole; le piaceva l’influenza che aveva su di lei, come se sapesse tirar fuori quello che aveva dentro e che ancora non sapeva di avere.
Per un attimo pensò di unirsi a lei. L’idea di fare quelle cose fuori dal comune la attirò come una calamita. Ma la realtà la riportò indietro: quello era un mondo di uomini e due ragazzine di diciassette anni non sarebbero andate poi tanto lontano.
Ma Gabriella pareva entusiasta. 
«Vieni con me.» le disse, come se quasi le avesse letto nella mente.
Aurora accennò un lieve sorriso. 
Si ritrovò a fissare lo sguardo intenso della sua amica, dimenticandosi completamente della conversazione che stavano avendo. 
Quegli occhi blu come il mare ad agosto, la guardavano come nessuno aveva mai fatto prima. D’improvviso sentì il cuore martellarle nel petto e il fiato le morì in gola. 
Perché la osservava così?
Perché più la guardava e più si sentiva vulnerabile?
Ma soprattutto, perché non le dispiaceva?
Aurora non sapeva darsi una risposta.
Dall’altra parte Gabriella provava le stesse sensazioni, ma al contrario di Aurora sapeva benissimo cosa stava accadendo. 
Si soffermò ad osservare le sue labbra, così tenere e piene, resistendo all’irrefrenabile impulso di sfiorarle con le sue e si domandò se anche lei stesse provando lo stesso. 
«Gabriella?»
Il tempo sembrava essersi fermato. 
Perfino le cicale parevano essersi ammutolite in quel preciso istante.
«Sei la migliore amica che una ragazza possa avere.» continuò Aurora. «E io non voglio perderti.»
Le stampò un bacio sulla guancia. 
Il viso di Gabriella si fece rosso e i battiti del cuore si fecero più veloci. 
Tentò di scacciare quelle sensazioni incomode di calore; guardò l’acqua del lago e immediatamente le venne una voglia improvvisa di tuffarcisi dentro, tanto sembrava fresca.
Si alzò di scatto, si levò gli stivaletti e tese una mano ad Aurora.
«Dai, facciamoci un bagno!» le disse.
«Adesso?! E se passa qualcuno e ci vedesse?»
«Chi vuoi che passi? Dai, ci saranno almeno trenta gradi oggi.»
«Ma non abbiamo l’abbigliamento adatto!» rise Aurora, mentre Gabriella si disfaceva dell’abito, lasciandosi addosso solo la sottana.
«E allora? Abbiamo la sottoveste!»
Aurora la vide correre verso l’acqua e immergervisi dentro senza nessuna esitazione.
La campagna era deserta e il paese distante almeno due chilometri. L’unico rumore era il frinire delle cicale, la brezza estiva che muoveva dolcemente le fronde degli alberi e gli schizzi d’acqua del laghetto misti alla voce di Gabriella, che cercava ancora di persuaderla ad unirsi a lei.
Aurora sospirò e in un breve istante si fece convincere; rimanendo anche lei con la sottoveste si immerse nell’acqua, tra schizzi e risate e per la prima volta nella sua vita, capì cosa significava essere giovane e libera.

 

♦♦♦


 

Quel pomeriggio, al suo rientro a casa, Aurora trovò una sorpresa ad attenderla.
Seduto sulla poltrona del salotto, a bere una tazza di tè con i genitori, c’era suo fratello maggiore Tommaso, bersagliere da due anni fino ad allora, e rientrato a casa dalla licenza.
Aurora gli corse incontro, saltandogli letteralmente addosso.
Sin da bambina era molto legata a lui, ma da qualche anno erano rare le volte in cui poteva godersi la sua compagnia.
«Che bello che sei tornato! Quanto rimani?»
«Un paio di settimane, circa.» le rispose lui. «Ma non potevo assolutamente non prendermi qualche giorno per stare un poco con la mia sorellina.» aggiunse, facendo poi il solletico alla ragazza che scoppiò in una fragorosa risata, mentre cercava di divincolarsi.
Un istante bastò poi per Tommaso per notare Gabriella vicino alla porta, mentre guardava la scena, divertita.
Da figlia unica quale era, era difficile per lei immaginarsi quei momenti di tenerezza che si potevano provare avendo un fratello maggiore nella propria vita.
«Sono desolato, non sapevo avessimo ospiti.»
«Tommaso, questa è la mia amica Gabriella, è la mia compagna di stanza nel collegio.»
«Incantato.» 
Il ragazzo le prese dolcemente la mano sinistra e se la portò alle labbra, sfiorandone dolcemente la pelle.
Gabriella arrossì visibilmente. 
Non tanto per trepidazione, quanto per l’imbarazzo del non aver mai ricevuto un baciamano prima d’ora. 
Gli uomini sapevano essere galanti, questo lo sapeva, ma il sorriso compiaciuto di Tommaso le fece dubitare che sapessero bene quando un gesto lusinghiero venisse apprezzato o no. 
Ma decise comunque di non darlo a vedere.
«Il piacere è tutto mio.»

 

Quella sera a cena l’attenzione era tutta concentrata sugli aneddoti accaduti dall’ultima volta che Tommaso era tornato a casa.
Aurora pendeva dalle sue labbra e divagò più volte quando il fratello le chiese cosa combinassero lei e le sue compagne nell’istituto, affermando che i suoi racconti fossero molto più interessanti dei propri.
Gabriella in tutto questo rimaneva in silenzio, sorridendo per non sembrare sgarbata, Apprezzava la fedeltà di Aurora e il modo in cui cercava di spostare l’attenzione al suo interlocutore.
Non che a Tommaso dispiacesse.
Lo aveva capito dal modo insistente con cui l’aveva guardata per tutta la serata.
Non era un cattivo ragazzo, questo lo aveva intuito.
E nemmeno un pallone gonfiato.
Ma in qualche modo lei gli aveva evidentemente dato dei messaggi sbagliati.
E il non saper come rimediare le mise un’ansia addosso.
Chissà se Aurora se ne era accorta.
I suoi pensieri vennero interrotti dalla cuoca, che entrò in sala da pranzo brandendo una lettera in mano.
«Signora Emma!»
«Cos’è tutto questo trambusto, Maddalena?» rispose la padrona di casa. «Che motivo c’è di agitarsi tanto?»
«Mi sono dimenticata di dirvi che è arrivata questa lettera stamattina. Oh cielo, che sbadata che sono! Eh, non ho più la memoria di una giovane, io.»
La madre di Aurora lesse la lettera in silenzio, lasciando il resto dei commensali col fiato sospeso.
«Di cosa si tratta, mamma? Vi prego, non ci tenete sulle spine.»
«È una lettera del Conte e della Contessa Lanza. Daranno una festa nel loro palazzo questo sabato in onore del venticinquesimo compleanno del figlio Rodolfo. Oh, finalmente! Era ora che la nostra piccola Aurora facesse il suo debutto nella società. Allora, Aurora, sei contenta?»
Aurora era più che contenta.
Non le pareva vero, aveva l’occasione di sentirsi un po’ come una principessa di una fiaba, avrebbe danzato tutta la sera, indossato un vestito per l’occasione, magari disegnato e cucito da lei stessa, e poi gioielli… oh, stava divagando. 
«Verrà anche Gabriella, vero mamma?»
Gabriella sorrideva, sperando di sembrare entusiasta almeno la metà di come lo era Aurora. Ma vederla così felice fece smuovere un senso di contentezza anche dentro di lei. 
«Ma certo!» rispose Emma. «Non possiamo mica lasciarla qui a casa tutta sola. E poi, finché sarai ospite di questa casa, verrai trattata come un membro della famiglia.»


Quella sera Aurora andò a letto con tanta eccitazione in corpo.
Finalmente aveva l’occasione di uscire dai panni di una ragazzina ed entrare nel mondo degli adulti. 
Quella vacanza stava procedendo nel migliore dei modi, addirittura meglio di come aveva immaginato.
Ma la cosa che più la faceva trepidare era il poter condividere tutto quello con Gabriella. E si rese conto quella notte che il suo affetto per lei cresceva a dismisura. 
Di colpo le ritornò in mente quello che era successo quel giorno al laghetto.
Quel sentimento sconosciuto provato allora la tormentò dentro, impedendole di prendere sonno.




Note dell'autrice:
Mi scuso per il ritardo con cui ho postato questo capitolo, ma un po' per impicci personali, un po' per mancanza di ispirazione, ci ho messo un po' per scriverlo.
Io spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, se avete consigli, critiche o avete trovato qualche errore fatemelo sapere :)
Non so quando pubblicherò il prossimo capitolo, ancora devo capire bene come mandare avanti la storia ^^'
A presto!!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

 

Il giorno della festa dai Conti Lanza era finalmente arrivato. 

Aurora aveva speso quei giorni a modificare un vecchio vestito che era rimasto nascosto dentro l’armadio per molto tempo: aveva aggiunto pizzi, sistemato l’orlo e accorciato le maniche. Mancava soltanto qualche gioiello da abbinarci. Finalmente per una sera poteva dire addio a quegli abiti che la facevano sembrare l’adolescente che era.
Quel pomeriggio si ritrovava in camera sua a sistemare gli ultimi bottoni mancanti.

«Se non hai niente da mettere posso prestarti qualcosa di mio. Mi avanza del pizzo, in caso potrei aggiungerlo.»
Gabriella era nella stanza con lei, nascosta dietro un paravento di legno si provava alcuni degli abiti che aveva portato con sé.

«No, mia madre deve aver messo qualcosa di elegante.» le rispose, con una voce non del tutto entusiasta.
«Sei mai stata a un ballo?»  le chiese a quel punto Aurora, con aria sognante.

«Si. Mia madre adora organizzare feste. Ne fa una ogni anno in primavera. Ma da quando sono al collegio non ho avuto occasione di andarci.»

«Io ci andrei tutte le sere se fosse possibile. Anzi, quando avrò una casa tutta mia ne organizzerò una a settimana, e tu sarai l’ospite d’onore.»

Aurora completò la sua opera: anche l’ultimo bottone era stato attaccato, e il vestito era perfetto. Lo stese sul letto e cercò nel baule ai piedi del letto un paio di scarpe da abbinarci, e chiese a Gabriella: «Il mio vestito è finito, tu sei pronta?»

«Dici che mi faranno entrare se vengo vestita così?»

Aurora si voltò verso di lei e si lasciò sfuggire un sussulto.

«Ma che ti sei messa addosso?»

«Perché, non ti piacciono?»

Gabriella sorrideva a braccia aperte, fiera di mostrarle i pantaloni di una taglia decisamente più grande, sostenuti su da un paio di bretelle nere, e una camicia bianca di lino.

«No, sei...» Aurora tentò invano di contenere le risate. «Sei così buffa.»

Gabriella fece finta di togliersi un cappello immaginario e mimò gli sbuffi di una pipa, che fece scoppiare Aurora in una fragorosa risata. Dopodiché si avvicinò al grammofono vicino alla finestra e mise su un disco e in pochi secondi le note del “Sul bel Danubio blu” si librarono nell’aria.
«Signorina» si avvicinò lentamente ad Aurora e le porse la mano in un inchino. «Mi concede l’onore di questo valzer?»
Aurora sorrise e si piegò in un inchino, assecondandola. «L’onore è mio, signore.»

Gabriella l’accompagnò al centro della stanza, le posò una mano sul fianco, e lentamente iniziò a guidarla nel ritmo del valzer. 

«Sei davvero un mare di sorprese.» le confessò Aurora. «Suoni il piano in maniera divina. E in più sei una ballerina eccezionale. Come fai a guidare così bene?»

Gabriella arrossì visibilmente e le sussurrò all’orecchio «È perché sono una pessima dama.»

Il ballo continuò tra risate e piedi calpestati. Aurora non era bravissima a ballare il valzer ma in quel momento poco le importò: quel valzer scoordinato ballato con Gabriella valeva più di qualsiasi ballo con un cavaliere perfetto.

Di colpo la porta si aprì e le due ragazze fecero un balzo per lo spavento.

«Che sta succedendo qua?» Maddalena entrò, incuriosita dalla musica e dalle risate provenienti dalla stanza. Guardò Gabriella e strabuzzò gli occhi.

«Gabriella mi stava insegnando a ballare» rispose timidamente Aurora, nascondendo la braccia dietro la schiena. 

«Beh, dovete sbrigarvi!» le rimproverò l’anziana domestica, ormai esasperata. «I tuoi genitori stanno per andare senza di voi. Forza, su, vestitevi! E tu togliti quei pantaloni! Non vorrai mica andare conciata così?»

Le due ragazze scoppiarono a ridere non appena Maddalena se ne andò, sbattendosi la porta alle spalle. 

«Dai, vestiamoci, altrimenti faremo tardi.»

 

♦♦♦

 

Due ore più tardi la carrozza si fermò di fronte al castello dei Conti Lanza. 

Le due ragazze scesero dalla carrozza in estasi: una folla di gente elegante si accingeva ad entrare, l’acqua delle fontane danzava in un delizioso scroscio e il vialetto che accompagna all’ingresso era adorno di lumi accesi. 

Emma ed il marito Giuseppe si tenevano sottobraccio ed annuivano sorridenti ai conoscenti che li salutavano. Dietro di loro Aurora e Gabriella camminavano fianco a fianco, scortate da un elegantissimo Tommaso in frac che cercava di stare il più vicino possibile a Gabriella.

«Giuseppe! Emma! Che piacere vedervi qui stasera.» i Conti Lanza accoglievano i loro ospiti alla porta, che piano piano si affollava di gente.
«Il piacere è nostro.» rispose fiero Giuseppe. «Vi ringraziamo immensamente dell’invito. Vorrei presentarvi i miei due figli: Tommaso e Aurora.»

I due giovani si inchinarono e il Conte strinse la mano a Tommaso.

«Tommaso, so che sei un bersagliere. È un onore conoscere un vero eroe della patria.»

Tommaso abbozzò un sorriso timido e lo ringraziò. 

In quel momento una terza persona si unì, aggiustandosi velocemente la giacca. «Vogliate scusare il ritardo, la duchessa Aldovrandi mi ha tenuto a parlare con lei per mezz’ora dei suoi acciacchi.»

La contessa gli sorrise e si rivolse ai suoi invitati. «Vorrei presentarvi mio figlio Rodolfo. Vogliate scusarci, andiamo a salutare gli altri ospiti. Rodolfo, caro, fai tu gli onori di casa. Compermesso»

Rodolfo posò gli occhi su Aurora e dal suo sguardo si capì subito che ne rimase incantato. Le prese la mano e gliela sfiorò leggermente con le labbra, senza staccare gli occhi dai suoi.

Aurora arrossì. Non tanto per l’emozione quanto per l’imbarazzo. 

Gabriella invece era nervosa. Ma la percezione della mano di Tommaso che cercava la sua non l’aiutò a liberarsi di quella sensazione.

«È una vera gioia fare la conoscenza di una tale bellezza.»

Aurora non potè fare a meno di ricambiare lo sguardo azzurro del giovane conte. Si girò, notando con sorpresa che i suoi genitori si erano appena distratti a salutare altri invitati di loro conoscenza. L’unica che comprendeva il suo disagio era Gabriella, che la osservava preoccupata. 

«Il piacere è mio.» rispose con cortesia, cercando un modo per dileguarsi. «Perdonatemi, credo che i miei genitori ci stiano aspettando.»

E con gesto della testa si allontanò da lui, che la osservava mentre il trio si mischiava nella folla. 

Non appena la festa ebbe inizio i musicisti iniziarono a suonare il valzer. Nella sala principale si formò subito una cerchia di gente, mentre al suo interno alcune coppie aprirono le danze. 

Tommaso invitò Gabriella a danzare con lui che accettò con estrema riluttanza, per non risultare sgarbata. 

Aurora, rimasta sola, fece il giro della sala, facendosi spazio tra la gente che, con un calice di champagne in mano, osservava le danze. Cercava i suoi genitori ma non riuscì a trovarli. Si sedette su un divanetto, sperando di essere notata il meno possibile.

Tuttavia le sue preghiere non furono ascoltate, poiché dinanzi a lei, con passo sicuro di sé, arrivò nientedimeno che Rodolfo, che si mise a sedere accanto a lei.

«È un tale peccato vedervi qui tutta sola.»

Aurora non seppe cosa rispondere. Accettò un canapè offerto da un cameriere e disse «La mia amica sta ballando.»

«Allora non sarebbe del tutto fuori luogo se vi invitassi a ballare.»

Aurora si arrese. Sapeva che se non avesse accettato sarebbe stato difficile liberarsi di lui. 

Così si fece trasportare da Rodolfo sulla pista da ballo. Gabriella la notò e i loro sguardi si incrociarono, supplicando l’una all’altra di portarla via da quel supplizio. Non essendo una gran ballerina, Aurora faceva fatica a seguire i passi di Rodolfo, il quale tuttavia non sembrava turbarsene. 

Un altro ballo passò e un altro ancora.

Quando finalmente le due ragazze riuscirono a liberarsi dei rispettivi cavalieri si incontrarono alla porta e uscirono nel giardino.

L’aria era calda e profumava delle rose sparse qua e là. Si sedettero su una panchina, di fronte alla fontana principale.

«Certo che tuo fratello non si arrende davanti a nulla.»

«Dici così perché non sei stata notata dal conte Lanza.» Aurora enfatizzò la parola “notata” con una nota di disgusto nella voce.

«Questo tipo non mi piace per niente.» 

La voce di Gabriella era ferma, solida. Poi si voltò verso Aurora.

«Non mi piace come ti guarda, come ti tocca… Non credo abbia delle intenzioni genuine nei tuoi confronti. Dovresti dirlo ai tuoi genitori.»

«Stai scherzando?! Non aspettano altro che vedermi sposata a un nobile.» 

Aurora posò la testa sulla spalla di Gabriella, la musica della festa riecheggiava fino al giardino ma le due ragazze ascoltavano il silenzio intorno a loro. 

«Me ne voglio andare da qui. E non intendo solo questa stupida festa.»

Aurora alzò la testa. I loro visi non si erano mai trovati così vicini prima d’ora. Il battito dei loro cuori era più forte del valzer che si udiva da lontano. Le loro labbra non fecero in tempo a sfiorarsi che si udì il fruscio dei cespugli, dai quali uscì una coppietta la cui dama aveva bevuto qualche champagne di troppo, sorretta tra sghignazzi e gridolini dal compagno che cercava di portarla via. 

«Forse dovremmo rientrare, la tua famiglia ci starà cercando.»

Rientrarono nella sala da ballo, giusto in tempo per vedere il momento in cui Rodolfo spegneva le venticinque candeline su un’immensa torta a tre strati. 

Tra gli applausi e un commovente discorso su quanto il festeggiato fosse onorato di avere così tanti amici ad elogiarlo, Tommaso prese da parte Gabriella. Aurora li vide allontanarsi, per parlare indisturbati vicino alla grande porta-finestra che dava sul terrazzo. Non riuscì a capire cosa si stessero dicendo ma vide che Gabriella ascoltava attentamente il ragazzo a braccia conserte, annuendo di tanto in tanto.

Il discorso del Conte Lanza finì tra gli applausi generali degli ospiti. Era ormai notte fonda, l’orchestra suonava gli ultimi valzer, poche coppie erano rimasti tanto sobri da riuscire ancora a ballare. 

 «Di che parlavate voi due?»

«Niente di importante, non ti preoccupare.»

«Dimmelo, ti prego!»

«Ma niente… mi ha chiesto di andare a fare una passeggiata domani.»

Aurora non sapeva se crederle. Gabriella sapeva mentire se voleva, ma sapeva anche che questo a lei non lo avrebbe mai fatto.

Le due ragazze vennero presto richiamate da Emma e Giuseppe, la serata stava finendo, e la carrozza era pronta per riportarli a casa. Li avrebbero aspettati quarantacinque minuti di viaggio, era meglio sbrigarsi.

Si congedarono dai Conti, ringraziandoli per la piacevole serata. Rodolfo baciò di nuovo la mano di Aurora, strappandole la promessa che si sarebbero rivisti molto presto. 

Nella carrozza calò un silenzio di tomba, un po’ per la stanchezza, un po’ per la tensione che si era creata tra i tre giovani, che cercavano in tutti i modi di non darlo a vedere.

Aurora cercò disperatamente lo sguardo di Gabriella.
Con delusione si rese conto però che durante quel breve tragitto gli sguardi dell’amica, stavolta, non erano rivolti a lei. 



 

Note dell'autrice: bene, ritorno su questa storia dopo quasi due anni. Approfitto di questa quarantena per stargli un po' più dietro, ché tra lavoro, amici e mancanza di ispirazione *coffcoff* l'ho trascurata molto. Per chi già in precedenza la seguiva spero tanto che continui ad ispirarvi, per chi è nuovo, beh... spero tanto vi piaccia. Suggerimenti e pareri sono ben graditi, anche negativi purché costruttivi. 
A presto!

 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


CAPITOLO V

 

Dalla sera del ballo seguirono innumerevoli ed interminabili giornate di pioggia. 
Sembrava quasi che l’estate dovesse concludersi alla fine di luglio. 
Aurora passò gran parte dei pomeriggi a guardare malinconicamente fuori dalla finestra, annoiata, contando le goccioline di pioggia che cadevano eleganti lungo il vetro. Gabriella deliziava le sue giornate sedendosi al suo pianoforte, tra uno Chopin, un Beethoven e un Mozart. 
Una mattina Gabriella si svegliò di buon ora, un raggio di sole filtrava dalla finestra sulle coperte di lino bianche. Finalmente l’estate aveva deciso di tornare sui suoi passi. Si mise a sedere sul letto, scostando le coperte e guardò fuori. Mancava ancora un mese alla fine delle vacanze e presto sarebbero tornate a Roma, o nel peggiore dei casi, in Svizzera, in un convento di monache di clausura. Suo padre era stato abbastanza chiaro: se le opinioni di Suor Teresa su di lei non saranno cambiate, l’unica soluzione sarà quella di diventare suora a vita. Avrebbe voluto escogitare un modo per evitare di tornarci. Avrebbe potuto scrivere a quella sua cugina di Milano, pregandola di stare da lei. Ma non si scrivevano da una vita e conoscendo la famiglia di suo padre non era sicura che sarebbe stata una buona idea. In più, avrebbe dovuto allontanarsi da Aurora… Al mondo non avrebbe potuto esistere una punizione peggiore di quella. 
Si vestì con calma e scese nella sala da pranzo, notando con suo stupore che Aurora non si era ancora alzata. 
«Buongiorno Gabriella»
«Buongiorno, signora»
Emma sedeva alla tavola e sorseggiava una tazza di tè bollente. 
Invitò la ragazza a fare colazione con lei, la quale accettò con garbo.
«Più tardi andrò in paese a fare delle compere, Tommaso mi accompagnerà in calesse, vuoi unirti a noi?»
Gabriella non seppe cosa rispondere; rifiutare sarebbe stato scortese e non voleva assolutamente che la signora Emma si facesse delle opinioni negative sulla sua educazione. Ma rimanere da sola con Emma, che con la sua austerità le metteva in qualche modo soggezione, non era una proposta allettante. 
Prima che potesse aprire bocca Tommaso entrò salutando nella stanza, diede un bacio sulla guancia a sua madre e si mise a sedere accanto a Gabriella. 
«Di che parlavate?» chiese il ragazzo. 
«Mi domandavo se Gabriella avesse voglia di fare una passeggiata con noi in paese questa mattina» rispose Emma.
Tommaso sorrise alla ragazza e attese la sua risposta, con la speranza che dicesse di sì. 
Gabriella esitò un secondo, salvo poi essere salvata seduta stante dall’apparizione di Aurora, la quale, scusandosi per il ritardo, prese posto a tavola interrompendo la conversazione.
«Mamma, se non avete nulla in contrario vorrei andare in paese questa mattina. Vorrei comprare delle calze nuove»
Gabriella sospirò sollevata. Sperò con tutta se stessa che la madre acconsentisse a portare entrambe. 
E così fu deciso.

Più tardi quella mattina i quattro presero il calesse e si diressero verso il paese.
La giornata era bella e soleggiata, il caldo era quasi sopportabile, specialmente dopo lunghe e interminabili giornate di pioggia. Ne approfittarono per sedersi in una caffetteria a prendere un gelato. 
Finché qualcuno non si fermò a rivolgere loro un saluto.
«Madame, che piacere incontrarvi»
La donna alzò lo sguardo e presa alla sprovvista per essere stata sorpresa mentre degustava il gelato si alzò con imbarazzo per salutare il giovane uomo che, elegante con il cappello sotto braccio e il bastone da passeggio, le prendeva la mano per salutarla.
«Conte… che piacevole sorpresa. Non mi aspettavo di trovarvi qui»
Rodolfo Lanza sorrise, fece un cenno del capo ai ragazzi per salutarli e rispose.
«È una bellissima giornata, pensavo di far piacere alla mia sorellina offrendole un gelato in paese. Ma vedo che voi avete avuto la mia stessa idea.»
La ragazzina che accompagnava il giovane sorrise timidamente e rivolse subito lo sguardo al fratello, il quale continuò.
«Vorrei approfittare di questo incontro per invitare vostra figlia Aurora a fare una passeggiata con me domenica pomeriggio. Spero che non riteniate la mia proposta inopportuna… ovviamente se non avete nulla in contrario»
Per ben due volte Emma rimase colta alla sprovvista. Il pensiero che sua figlia Aurora avesse suscitato un certo interesse nel conte le parve inaspettato quanto sperato. Per tutta la vita aveva desiderato per sua figlia una vita molto più agiata: essere proprietari di un piccolo terreno non era abbastanza, bisognava puntare più in alto. Ed ora sembrava quasi che l’occasione si fosse finalmente presentata.
«No, no, assolutamente nulla in contrario… Aurora ne sarà incantata, vero cara?»
Aurora rimase sbigottita: accettò l'invito con estrema riluttanza. Per quanto Rodolfo fosse un uomo attraente ed affascinante, l'idea di rimanere da sola con lui non la metteva a proprio agio. Non era certa se Tommaso se ne accorse, ma quest'ultimo propose alla fine di unirsi ai due, e di organizzare una passeggiata in campagna portando con sé anche Gabriella, la quale di certo, in cuor suo, non avrebbe voluto lasciare andare Aurora da sola. 
«Allora è deciso.» disse Rodolfo.«A domenica.» Se ne era rimasto deluso, fu abilissimo nel nasconderlo, dopodiché prese la mano di Aurora, le posò un bacio delicato sul dorso e si congedò. 
Nel tragitto verso casa le due ragazze non si parlarono. Si limitarono a guardarsi negli occhi, leggendo i pensieri l'una nello sguardo dell'altra. Aurora aveva capito che Gabriella non era particolarmente entusiasta di quella gita e Gabriella aveva capito benissimo le intenzioni del giovane conte, e non le piacevano affatto. 
Aurora non poté fare a meno di notare l’espressione compiaciuta sul volto di sua madre. Avrebbe voluto dirle che non voleva andare, che non avrebbe mai voluto attirare a sé le attenzioni di Rodolfo Lanza, ma non seppe come fare. Per tutta la sua vita aveva fatto ciò che i suoi genitori avevano deciso per lei, e non si era mai posta il problema che potessero essere decisioni sbagliate. Ma per la prima volta in vita sua sapeva cosa non voleva… e cosa voleva. Fu in quel momento che, in silenzio, riposò lo sguardo su Gabriella. 

♦♦♦

Quella domenica Rodolfo arrivò a bordo di una magnifica carrozza trainata da due cavalli. Emma e il marito lo accolsero nel soggiorno, offrendogli una tazza di caffè bollente. 
«Mi dispiace dovervelo chiedere così su due piedi» disse il giovane, togliendosi il cappello «ma vorrei discutere con voi in privato di una faccenda molto importante» Tommaso era là, aspettava che le ragazze fossero pronte per uscire. Con uno sguardo capì che doveva togliersi di mezzo, così lasciò la stanza, chiudendosi le porte alle spalle.
Aurora e Gabriella scesero insieme qualche minuto dopo, l'una a fianco all'altra, giusto in tempo per vedere Rodolfo uscire dal soggiorno  con un sorriso soddisfatto e subito dopo i quattro giovani salirono in carrozza, dirigendosi verso la campagna. 
Durante il tragitto Rodolfo finse di interessarsi alla carriera da bersagliere di Tommaso facendogli domande, per poi rimanere compiaciuto nell'apprendere che presto sarebbe ripartito. 
Arrivarono nei pressi di un boschetto, Aurora aveva portato con sé un cestino di vimini per raccogliere delle more per farne una marmellata. 
Cercò con tutta se stessa di non rimanere sola con il conte, ma questi la prese da parte, offrendosi di aiutarla a cogliere frutti di bosco. 
«Sono contento abbiate accettato il mio invito»
Aurora di risposta abbozzò un timido sorriso.
«Non avrei accettato un no come risposta» il tono con cui pronunciò quelle parole la fece rabbrividire: era calmo, fermo, fin troppo sicuro.
Guardò dietro di sé e vide che Tommaso e Gabriella erano rimasti indietro, troppo più indietro. 
Stava per rispondere quando Rodolfo le prese la mano e la guardò negli occhi.
«Non faccio altro che pensare a voi, dalla sera di quel ballo. Il vostro viso, i vostri occhi mi hanno stregato anima e corpo. E mi fareste l’uomo più felice del mondo se accettaste di sposarmi»
Aurora rimase senza fiato, non si aspettava una dichiarazione del genere.
«Io… mi dispiace deludervi, conte… ma il mio cuore appartiene già a qualcun altro» la sicurezza con cui lo affermò la lasciò di sorpresa, ma non il giovane conte, che non sembrava esserne affatto intimorito, anzi…
«Ho parlato con i vostri genitori oggi pomeriggio e hanno dato il loro consenso. Appena compirete la maggiore età diventerete ufficialmente mia moglie» 
Aurora non poté credere alle sue orecchie non poteva essere stata ingannata così dai suoi stessi genitori «No, non è vero!»
«Mi pare di aver capito che l’azienda di vostro padre è in ristrettezze economiche.» Con quella affermazione il conte non tardò a rivelare la sua vera natura, mentre un ghigno si formò sulle sue labbra e avvicinandosi all’orecchio di Aurora aggiunse «sarebbe una tragedia e uno scandalo se perdeste tutto, non è vero?»
Gli occhi d’Aurora si fecero improvvisamente lucidi e il cuore prese a martellarle nel petto. Avrebbe voluto dirgli che non avrebbe ceduto ai suoi ricatti, né ora né mai. Invece ricacciò indietro le lacrime e con fare fiero e sicuro di sé gli disse: «Riportatemi a casa!»

♦♦♦

Quella sera nessuna delle due fu in vena di mangiare. Nemmeno il piatto preferito di Aurora sulla tavola imbandita riuscì a sollevarla di morale dagli avvenimenti di quel pomeriggio. 
Emma non fece altro che parlare della proposta di Rodolfo, il matrimonio sarebbe avvenuto la primavera seguente quando Aurora avrebbe compiuto diciotto anni. 
Per la prima volta in vita sua Aurora ebbe l’ardire di controbattere, sostenendo con fierezza lo sguardo della madre.
«Non voglio sposarlo! Io non lo amo!»
Emma, in tutta fermezza ricambiò il suo sguardo, combattuta tra la voglia di schiaffeggiarla e quella di non creare drammi davanti ad altre persone.
«Tu non decidi proprio niente, Aurora. Il conte è un ottimo partito e non sarai tanto sciocca da buttare via questa occasione che non ti si presenterà più davanti»
«Ma come avete potuto prendere una decisione senza nemmeno consultarmi? Senza nemmeno chiedermi cos’è che voglio!»
«E cos’è che vuoi?» le chiese Emma, con aria di sfida.
Aurora non rispose.
«Tu lo sposerai, Aurora, che ti piaccia o no»
Gabriella era là, avrebbe voluto dire qualcosa anche lei, ma rimase immobile, inerme. 
«Perdonatemi, non mi sento molto bene. Compermesso» Aurora si alzò da tavola e si diresse in camera propria. 
A quel punto Gabriella, volendo seguirla, si alzò anche lei. 
«La cena era ottima, come sempre. Vogliate scusarmi»
Si incamminò verso la camera di Aurora e bussò alla porta. 
«Avanti»
«Tutto bene?»
«Sì… » tentennò. 
«Sicura?»
«Non voglio sposarlo!» sbottò. «Non voglio. E non so più come dirlo ai miei genitori. Mi porterà via da te» 
Aurora era ormai sull’orlo del pianto. Gabriella odiava vederla così, perciò la abbracciò, rassicurandola. «Non glielo permetterò»
Aurora nascose il viso nella spalla dell'amica e si lasciò andare ad un pianto liberatorio. Gabriella la teneva stretta a sé. Poteva sentire il profumo dei suoi capelli e il calore del suo corpo. Avrebbe dato qualsiasi cosa per fermare il tempo e rimanere così per sempre, strette l'una all'altra.
Non fece neanche in tempo a pensarlo ché in quel momento entrò Maddalena, con una tazza di camomilla in mano. 
«Mi manda sua madre. Tenga, prenda questa, le farà bene»
Aurora prese la tazza, e iniziò a sorseggiare. In un primo momento si sentì subito meglio, ma niente al mondo poteva levarle da dosso quella orribile sensazione al pensiero che molto probabilmente sarebbe diventata la moglie di quell’uomo senza scrupoli. 
Gabriella avrebbe voluto rimanere con lei tutta la notte, per consolarla e rassicurarla, ma sentendosi gli occhi della governante addosso sì alzò, e augurando loro la buonanotte se ne tornò in camera sua. 

Più tardi quella notte qualcosa svegliò Gabriella da un sonno tutt'altro che profondo. Ci mise un po’ a capire che qualcuno si era seduto al pianoforte e stava tentando di suonare il preludio n°4 di Chopin, il suo preferito. Si mise addosso la vestaglia e andò di sotto, e sbirciando dalla porta vide che si trattava di Aurora, che vestita in camicia da notte era seduta al piano, sotto la luce fioca di una candela, i lunghi capelli rossi che le cadevano addosso come una cascata. Le dava le spalle ma poteva vedere benissimo le mani che si muovevano sui tasti, e cercava di ricordare le note, sbagliando puntualmente sempre sulla stessa. 
La vide sbuffare e ricominciare da capo, e di nuovo sbagliare sempre sullo stesso pezzo. Eppure gliel’aveva spiegato tante di quelle volte. 
D’istinto aprì la porta ed entrò e senza dire una parola si sedette accanto a lei, le rivolse uno sguardo dolce e iniziò a suonare. Aurora la imitò, seguendo le sue mani e non poté fare a meno di rimanerne incantata, come ogni volta che sentiva la sua amica suonare. Sbagliò ancora la stessa nota, il che fece ridere Gabriella in una risata quasi soffocata, non volendo fare troppo rumore per non svegliare nessuno. Aurora rise di rimando, era buffo come con Gabriella tutto le sembrava divertente. 
Smisero di suonare, continuando a ridere finché non si guardarono negli occhi, i visi vicinissimi l'uno a l'altro. In quel momento qualcosa cambiò, entrambe si fecero serie e senza sapere chi delle due prese l'iniziativa le loro labbra si sfiorarono, in un bacio casto, dolce… il primo. 
Due cuori all’unisono presero a martellare nei loro petti e in quell’istante tutto ciò che le circondava svanì; le mani accarezzavano il viso, le braccia, i fianchi; in quell’angolino di mondo che si erano create si sentiva solo il suono dei loro respiri. 
Tutti i dubbi e le incertezze che fino ad allora regnavano nel cuore di Aurora si erano fatti più chiari. Adesso sapeva per certo cosa voleva e niente e nessuno glielo avrebbe tolto. 
O almeno così pensava. 

 


Note dell’autrice:

Dopo anni finalmente ricompaio con un aggiornamento, io mi scuso con chi seguiva la storia da quando la pubblicai ma per mancanza di ispirazione e impegni vari non mi sono mai messa a scrivere (almeno fino ad ora).
Questo è perché come al mio solito pubblico storie senza sapere minimamente come svilupparle, ma ora più o meno un’idea ce l’ho e spero di non metterci altri due anni per pubblicare il prossimo capitolo. 

Se invece siete nuovi spero che la storia vi stia piacendo ^^
A presto!


 

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