Spezzare le catene

di Milkyna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un'ospite poco gradita ***
Capitolo 2: *** I Wittebane e i Noceda ***



Capitolo 1
*** Un'ospite poco gradita ***


“Rafael.”

Quel nome era un altro incubo per l’Imperatore delle Streghe, e il solo riportarlo alla mente gli provocò una fitta alla tempia.

“Rafael.”

Era forse la sua coscienza a chiamarlo? Impossibile, se mai ne aveva avuta una, l’aveva sepolta nelle parti più remote e sgradite del suo inconscio.

“Rafael.”

Non lo vedeva da anni, era morto, lui l’aveva ucciso, eppure il suo fantasma non si arrendeva e seguitava a tormentarlo.

Lui, con il sorriso e gli occhi buoni, con l’aria innocente e gentile di chi non farebbe del male ad un moscerino. Lui, il suo esatto opposto.

Belos scosse la testa e si apprestò ad accogliere la cara ospite che negli ultimi mesi gli aveva reso le cose difficili come mai era accaduto in cinquant’anni di regno, e in trecentocinquanta di vita.

Eccola, la ragazzina umana che aveva osato ficcare il naso in faccende che non le competevano, imbrigliata nei rovi pungenti di Terra Bocca di Leone. I glifi le erano stati confiscati e i suoi arti non toccavano il pavimento, motivo per cui era inerme, senza vie di fuga.

Luz provava a dimenarsi, a mordere le piante che la costringevano come le spire di un pitone, ma era inutile e inoltre, una dei Capitani delle Guardie le puntava la lancia contro una guancia.

“Silenzio, umana!”

Belos, vedendo quel gradito spettacolo, si alzò in piedi e discese le scale dorate del suo trono.

“Ma che sorpresa, Luz.”

I due umani si trovarono presto faccia a faccia, e il più vecchio poté apprezzare gli sguardi colmi di rabbia della più giovane: c’era il fuoco in quelle iridi color nocciola, l’alito di fenice che brucia tutto quanto c’è di sozzo nel mondo.

Belos si mise a ridere, sempre senza perdere la sua quieta compostezza.

“Mi odi, non è così? Non vorresti vedere arrivare il Giorno dell’Unità.”

Gli occhi di Luz si restrinsero ulteriormente.

Belos alzò la testa verso i suoi seguaci:

“Lasciateci soli.”

Senza aggiungere altro, la Congrega sparì oltre il grande portone della sala del trono, e Luz si ritrovò sdraiata sul tappeto verde e fino che conduceva alla scalinata.

D’un tratto, da dietro la sedia del trono, la ragazza scorse una figuretta conosciuta, rossiccia e dagli strani capelli a forma di mani. Kikimora.

Un fiotto d’ira le attraversò il corpo; oltre a Belos, le toccava sopportare la presenza di quella traditrice in miniatura, colei che aveva preso la sua gentilezza per farla a pezzi. I due aspiranti assassini di Hunter erano lì con lei.

Luz, senza preavviso, avvertì la bocca farsi più leggera, e le braccia liberarsi dai rovi della Bocca Di Leone. Con rinnovata energia, si alzò e prese ad urlare:

VOI! VOI…”

“Apprezzo la tua volontà di instaurare un dialogo, Luz l’Umana, ma vorrei pregarti di renderlo costruttivo.” la canzonò Belos, divertito.

“Costruttivo? Nessuno della tua Congrega sa quali siano le tue veri intenzioni! O forse lei sì?”

Luz fece un cenno del capo verso Kikimora, che rimase immobile.

L’Imperatore, per nulla turbato, sorrise nuovamente.

“Di cosa mi stai accusando, Luz?”

“Di voler distruggere le specie magiche nel Giorno dell’Unità.”

Con un sorriso compiaciuto, Belos si rivolse alla sua fidata collaboratrice:

“Kikimora, ti risulta che il Giorno dell’Unità sia ciò che quest’umana sta vaneggiando?”

“No, mio signore, quella ragazza è un’istigatrice!”

La vocetta aspra di Kikimora graffiò i timpani di Luz, e in cuor suo la quattordicenne si domandò come potesse quella demone essere così cieca.

“Molto bene, Kikimora. Puoi ritirarti.”

La demonietta sparì lungo il corridoio e nella sala del trono rimasero solo l’Imperatore e Luz.

Terra e Kikimora camminavano silenziose lungo il corridoio, i passi attutiti dal lungo tappeto verde smeraldo.

“Hai fame?” le chiese la donna-pianta, e la demone annuì.

Con un sorriso zuccheroso, Terra la condusse nella mensa imperiale, e una volta lì diede ordini al cuoco.

Poco dopo, Kikimora aveva dinnanzi a sé un succulento arrosto di pollodiavolo con bacche di rosa mannara.

“Questa volta Durquell si è superato!” esclamò Kikimora, elogiando il cuoco.

“Sono felice che ti piaccia.” le disse Terra, con fare materno.

Mentre la collega mangiava, la donna dai capelli verdi si sedette sul tavolo con fare insinuante.

“Scusa la domanda indiscreta, Kiki… Hai qualche notizia sulla Guardia d’Oro?”

Improvvisamente, la demone lanciò la forchetta nel piatto ed ebbe un moto di stizza:

“TERRA! Sto mangiando! Devi proprio parlarmi di quel moccioso?”

La Capostrega della Congrega delle Piante incassò il colpo:

“… Hai ragione, scusami. Mangia pure con calma.”

Terra scese dal tavolo e si apprestò ad uscire dalla mensa; si fermò sulla soglia, osservando Kiki con fare deluso e scocciato.

“Non va bene…” mormorò soltanto.

Frattanto, Luz era ferma in mezzo alla sala del trono, a studiare ogni mossa di colui che una volta si faceva chiamare Philip Wittebane.

Luz non capiva, non capiva proprio cosa avesse spinto Philip a diventare un tiranno, così decise di sondare il terreno con una domanda che, sperava, avrebbe potuto scuotere l’animo nero dell’umano pluricentenario.

“Non pensi mai alla tua famiglia?” gli chiese con asprezza, con un tono e una voce che risultarono molto più adulti dei loro quattordici anni.

Belos parve colpito e si mise a pensarci sopra, sempre con i suoi soliti occhi color del ghiaccio, che nella loro esistenza avevano contemplato abomini inenarrabili.

Tuttavia, quel breve momento di riflessione venne troncato da un sorrisino malevolo, che fece restringere gli occhi in una piega soddisfatta.

“La mia famiglia appartiene al passato, Luz.”

Belos smise di parlare e si scontrò con l’espressione ostile della giovane.

“… Scommetto che tu sei affezionata alla tua famiglia… Amore, protezione, condivisione… Belle parole, non è vero? Quando ero giovane, cercavo tutto questo in mio fratello maggiore. Caleb era la mia luce e la mia guida. Con il passare degli anni, ho capito che mio fratello era una creatura imperfetta, che avrebbe potuto essere migliore.”

Una rivelazione colpì Luz all’improvviso:

“… Ed è per questo che hai creato Hunter? Per rimpiazzare tuo fratello?”

Belos la guardò annoiato.

“Se Caleb poteva essere migliorato, perché non provarci?”

Luz strinse i denti; come poteva quell’uomo parlare di suo fratello come se fosse un oggetto difettoso, da sostituire?

“E come avresti fatto a migliorarlo?” lo sfidò la ragazza.

La bocca di Belos si piegò in una smorfia di fastidio.

“Non ci sono ancora riuscito, purtroppo. Ogni Grimwalker creato mi ha sempre scontentato, alla fine.”

“E quindi hai pensato bene di ucciderli…” mormorò Luz, lugubre.

L’Imperatore aveva un’espressione ancora più disgustata di prima.

“Sai, sei esattamente come mio fratello. Anche lui mi ha guardato con disprezzo, quando ho cercato di farlo rinsavire. Caleb credeva che avrebbe trovato la felicità stando insieme a quella strega, quella… Shaylee Clawthorne.”

Luz annaspò.

Belos era soddisfatto di aver fatto centro.

“Non lo sapevi? Quel povero sciocco di mio fratello ha sposato la progenitrice dei Clawthorne.”

La mente di Luz esplose letteralmente. Quell’uomo, il tiranno delle Isole Bollenti, era imparentato con Eda e Lilith.

Si rifiutava di crederlo.

Con le ginocchia che le cedevano, la ragazza fece un’ultima domanda, ben consapevole che la risposta avrebbe potuto non piacerle.

“Che cos’hai fatto a tuo fratello?”

Lo sapeva.

Lo sapeva…

Belos le rispose con la sua solita nonchalance:

“Ho dovuto terminare le sue sofferenze. Il mio povero fratello delirava, era convinto di poter unire streghe ed umani in un grande popolo armonico. Il mio è stato un atto di pietà.”

Luz non voleva credere alle sue orecchie.

“Ma ora basta, con questi convenevoli. Voglio farti una proposta, Luzura…”

La giovane si mise sulla difensiva.

“… Collabora con me al Giorno dell’Unità. Se lo farai, ti permetterò di scegliere dieci streghe da salvare. Vivranno con te nel Regno Umano, in pace.”

“E se mi rifiutassi?”

Gli occhi gelidi dell’uomo la trafissero con disprezzo misto a noia.

“… Allora morirai assieme a loro.”

Belos batté le mani una volta, e diverse guardie bloccarono mani e piedi di Luz con catene magiche.

“Conducetela nelle segrete. Avrà modo di riflettere in questa settimana di preparazione.”

Le guardie tirarono le catenelle di malagrazia e Luz rischiò di perdere l’equilibrio, ma proprio mentre stava per uscire dalla sala del trono, Belos la fermò.

“Domattina ti farò visita, Luz l’Eroina. Nel caso tu non abbia ancora cambiato idea, ti racconterò qualcosa che ti certo considererai… pregevole.”

Ogni parola pronunciata dall’Imperatore era una carezza mortale, l’uomo non amava alzare la voce, non era un tipo da insulti o sguardi colmi d’odio. Una serafica indifferenza aveva preso il posto dal livore feroce che lo aveva animato in gioventù contro le streghe e chiunque gli si opponesse.

“Cammina!”

Un forte strattone la costrinse a camminare nuovamente.

Mancavano sette giorni al Giorno dell’Unità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** I Wittebane e i Noceda ***


Gli eco topi correvano lungo i canali di scolo, mentre l’acqua bollente che di tanto in tanto bruciava le Isole omonime gocciolava qua e là. Luz fu costretta a spostarsi di tanto in tanto, onde evitare di ustionarsi la pelle.

La cella nella quale era rinchiusa era piccola, poco più di una gabbia da zoo. Luz se ne stava seduta, rannicchiata, con le ginocchia contro il petto. Si sentiva in trappola, ma non aveva alcuna intenzione di cedere.

All’improvviso, si udì un cigolio metallico e un incedere imperioso di passi. Le strette scalette d’accesso alle prigioni vennero presto riempite dalla figura imponente di Belos.

Aveva su la maschera, ma non appena si fu fermato davanti alla cella di Luz, l’uomo se la levò, rivelando nuovamente il suo volto imperturbabile ed il suo sorriso incorruttibile.

“Buongiorno, Luz. Dormito bene?”

Luz strinse forte le sbarre di metallo, sostenendo lo sguardo dell’Imperatore.

“Hai pensato alla mia offerta?”

“Non accetterò mai.” rispose subito lei, senza quasi dargli il tempo di terminare la domanda.

Negli occhi azzurri di Wittebane passò un lampo di delusione.

“Tipico di voi eroi.”

Fece per andarsene, ma all’improvviso gettò per terra un ninnolo colorato. Esso si schiantò sul pavimento polveroso con un suono legnoso, rivelandosi un portachiavi con disegnato sopra un bouquet di fiori.

Luz lo vide, ed ebbe quasi un mancamento: la testa prese a girarle, le fischiavano un poco le orecchie, il fiato le si era fatto corto.

“Come hai avuto questo?” gli chiese.

Belos raccolse il portachiavi da terra, trattandolo come se fosse stato spazzatura.

“Questo portachiavi apparteneva ad un uomo. Era tanta la sua fretta di tornare a casa, dalla sua famiglia, da averlo dimenticato qui. Riconosci quello stemma, non è vero?”

Oh sì, che lo riconosceva.

Sentiva già un mare di lacrime montarle dentro, ma non poteva permettersi di essere debole, di lasciare che la tristezza e la distruzione albergassero nel suo animo, Eda aveva bisogno di lei, così come King e Gufy. E Amity… Se si fosse arresa in quel momento, non avrebbe più potuto abbracciare la sua patata dolce.

“Siccome ti serve qualche stimolo in più per aderire al mio piano, ti racconterò la storia di quello stemma. E’ l’emblema dei Noceda, un’antica famiglia di origine ispanica, coltivatori di fiori per vocazione da intere generazioni. Sai, Luz, mia moglie era una Noceda. L’avevo sposata quattro anni prima di arrivare su questa carcassa di Titano… Rosa, si chiamava. Un nome appropriato. Aveva lunghi capelli castani e la pelle dorata. Era una vera bellezza, ed io l’adoravo. Insieme abbiamo avuto un figlio, Manuel. Sono scomparso dalle loro vite quando aveva appena due anni. Mia moglie sarà morta detestandomi e maledicendo il mio abbandono. Mio figlio ha portato avanti il nome di quella gloriosa famiglia… Fino a te, Luz.”

Un terrore feroce aveva attanagliato l’animo dell’adolescente, la quale aveva la schiena appiccicata al muro portante e non riusciva più a muovere un muscolo.

Belos si avvicinò ulteriormente alle sbarre, fissando Luz con la contentezza del predatore.

“… Nove anni fa, è giunto un umano sulle Isole Bollenti. Per qualche strana ragione mi ha ricordato Rosa, e fatto immaginare Manuel da adulto. Rafael Noceda era completamente ignaro della vera natura di questi luoghi, si è approcciato a me chiedendo dove fosse, essendo lui capitato qui per errore. Mi ha raccontato di aver udito un grido provenire da una vecchia casa in rovina, di esserci entrato per controllare che tutto fosse a posto e di essere stato assorbito da uno strano fascio di luce. In effetti me lo sono ritrovato a vagare nel mio Castello senza una meta… Aveva la stessa aria meravigliata e curiosa di mio fratello Caleb…”

Ora il respiro si era completamente bloccato all’interno della gabbia toracica di Luz.

Belos, tuttavia, non aveva finito.

Mentre continuava a raccontare, la sua mente viaggiò indietro fino all’incontro con quell’uomo irritante, che aveva trovato il modo di oltrepassare la barriera, mentre a lui risultava impossibile.

“C’è una barriera.”

L’Imperatore aveva proteso una mano verso il Portale che Rafael aveva attraversato con tanta semplicità.

“E’ strano, io sono venuto di qua senza problemi.”

La mano guantata di Belos continuava a scontrarsi con quel muro d’aria invisibile.

“Forse questa barriera vale solo per voi…” aveva provato ad ipotizzare Rafael, irritando inconsapevolmente Belos.

“Noi?” gli aveva infatti chiesto.

“Beh, sì. Voi streghe e stregoni.”

A quel punto, Belos si era tolto l’elmo ed aveva rivelato il suo volto all’estraneo; il suo volto, seppur segnato da una maledizione che appariva severa, era umano in tutto e per tutto.

Rafael si sorprese:

“Oh, quella striscia verde-” incominciò a dire.

“Dimmi come hai fatto a venire qui.” tagliò corto Belos, con un principio d’impazienza nella voce.

“Te l’ho detto… Ho semplicemente attraversato un portale.”

“Sono umano anch’io e anch’io sono giunto qui attraverso un portale. Dimmi perché non ha più effetto su di me.”

Rafael si bloccò: l’insistenza dell’Imperatore lo metteva a disagio, lo faceva sentire sotto pressione, quasi come se delle risposte negative avrebbero significato per lui guai a non finire.

“Io… Non lo so. Davvero non lo so.”

“Non lo sai? Allora sei inutile.”

C’era stato un flash intenso, esploso davanti agli occhi di Mr. Noceda con una potenza inaudita. Aveva avvertito un forte dolore al petto e quando era riuscito nuovamente a capire dove fosse il sopra e il sotto si era ritrovato sul prato circondante la casa abbandonata, nel suo mondo.

Si rialzò, tastandosi la cintura per assicurarsi di non aver perso il suo marsupio, ignaro di aver perso il portachiavi con lo stemma dei Noceda.

Di lì a poco, si sarebbe spento a causa della maledizione di Belos, irradiandosi dal cuore al torace, passando per gli arti e condannandolo ad una lenta cancrena.

“Sei disumano.”

Senza volerlo, Luz aveva insultato Belos nel modo peggiore.

Belos, o meglio, Philip, amava la sua umanità, la amava così tanto da accettarla in ogni sua sfaccettatura, anche la più orrida.

Il volto di Luz era ormai allagato dal pianto, soffocato da una disperazione senza pari, annientato dalla consapevolezza di aver perso l’amato padre per colpa dello stesso, spietato assassino che stava combattendo.

“Ti sbagli, Luzura, io sono sempre stato umano.”

Suo padre era stato nel mondo delle streghe, forse attirato dal richiamo del sangue, lo stesso che scorreva nelle sue vene. Era una Wittebane, imparentata con Hunter e con i Clawthorne. Stava girando tutto ad una velocità tanto, troppo vorticosa.

Ad un tratto, un pensiero fievole si fece pian piano strada nella sua mente:

“E la mamma?”

Camila non ne aveva saputo nulla, anche se ora Luz aveva il dubbio tremendo che avesse sempre finto di non conoscere il mondo magico.

Non c’era tempo comunque per recriminare, Belos aveva ricominciato a parlare:

“Vedo che non sei disposta a collaborare. Poco male, resterai qui come mia ospite ancora per un po’. Tra sei giorni sarà tutto finito.”

Quella di Belos era sia una velata minaccia che una carezzevole promessa, e quando la porta d’ingresso alle segrete finalmente si chiuse, la ragazza si abbandonò finalmente ad un sonno prepotente, che la lasciò stordita. In esso, le immagini di sua madre e suo padre s’ingarbugliavano come gomitoli senza fine, e quella strana dormiveglia la rese più stanca e svuotata di prima.

“Non devo arrendermi…” si disse ancora, con la testa dolorante.

 

 

 

 

 

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