Quando qualcuno prega per te

di eclissidiluna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


Lo sapeva. Sapeva che sarebbe successo. Prima o poi. Un cacciatore è “vecchio” anche se, nel mondo “normale”, è poco più che maggiorenne. Quando si è riunito a Sam si percepiva già un “sopravvissuto”.

Ha trascorso gli ultimi quindici anni della sua vita, facendo “tira e molla” con l’aldilà, a chiedersi “Perché sono ancora vivo?!”. Ma la domanda “vera” avrebbe dovuto essere: “Per chi sono ancora vivo?”. Non è mai stato un “fan” di se stesso però… è sempre stato il primo “sostenitore” di Sammy. Ma ora Sam può “sostenere” quel posto vuoto…sull’Impala. E’ pronto.

E’ un buon momento per “distrarsi”. Ora che l’Universo è in mano a Jack può concederselo. Il Paradiso arriva nei modi più impensati. Un punteruolo che trafigge donandoti un Cielo che invade, trasformandoti in nuvola. informe, leggera, soffice.

Sarà tutto perfetto. Sarà pace. Sarà quiete. Sarà respiro profondo, libero, ritrovato.

O forse no.
---
Legna bagnata.
Legna umida e non solo di autunno inoltrato. Ogni ceppo porta, sulle proprie venature, una macchia più scura, una minuscola impronta salata.
Legna che forse stenterà a prender fuoco, lottando per rimanere integra. Ma alla fine si piegherà al potere dell’Inferno che conduce al Paradiso.
Legna che si accartoccerà, divampando controvoglia, obbedendo al volere di chi è manichino senza volto deciso a fare, di quel braciere, la propria rassicurante culla.
Ma non sono i ceppi a rattrappirsi. E’ Sam a farsi dolorosa spirale di ossa e muscoli. E lui…ad “accartocciarsi”.
Negli anni in molti hanno “giocato” con il suo cuore, usandolo come “pallina antistress”. Il demone di turno, Zaccaria, Carestia, il Vuoto…

Sam boccheggia, rammentando il sacrificio di Castiel. Il lento monologo di Dean, diventato “traccia audio” in memoria, lo scuote. La voce di Dean…continuamente interrotta da un silenzio “chiassoso”, perché il respiro  si fa “rumoroso”… come se stesse scappando da un Wendigo, nel bel mezzo di una foresta.

“Corre” Dean, ma non “scappa” dalla fine di Castiel. L’affronta, raccontando di quell’angelo “caduto” che ha fatto, del proprio tramite, l’esempio più elevato di abnegazione e fede. Non devoto a Dio ma all’Umanità migliore che, pur pregando senza dare un nome a chi implora, sa “per cosa” pregare…per un mondo più giusto e meno crudele, più solidale e meno arrogante.

“Corre” Dean e la sua falcata è rallentata da fogliame scivoloso, sentiero in pendenza o radice imprevista. Ogni parola è “inciampo” che sbuccia l’anima. Dean, con l’accorata mestizia del trovatore medievale, narra l’ultimo atto di un Cavaliere del Cielo che, alla “luce” del Paradiso, preferì i cupi corridoi del bunker.

Ma quell’oscuro “quartier generale”, per Castiel, aveva una sua “sacralità”.

Una Billie “morente” ma ancora sufficientemente forte da dispensare morte. Dean in apnea e il sangue di Castiel che si fa sigillo sancendo, per l’ennesima volta, un sentimento che supera ogni definizione terrena o divina.

Castiel decide. Lui, generato per combattere in nome di Dio, accanto ai suoi fratelli, ha scelto. 
Altri fratelli. I Winchester.


Le ali inzaccherate di umana sofferenza si sono fatte pesanti. Ma gli hanno permesso di “volare”. Davvero. Non con la superbia dell’aquila reale ma con la semplice eleganza del gabbiano.

Castiel ha imparato ad amare. Davvero.
Perché Dio” dovrebbe” essere Amore assoluto e, visto com’è finita con Chuck, il condizionale è d’obbligo.

Ma un Angelo di Dio può superare Dio stesso, se si pone come obiettivo finale il Bene. Quello completo, incondizionato, universale. Castiel difenderà quel cuore che per Dean, sfiancato dalla rabbia, dalle troppe sconfitte, dalle innumerevoli rinunce, non è che carne putrida, buona solo a intossicare. 
Castiel è determinato ad essere custode di quell’anima pura, autentica, generosa, preziosa… “perfettamente imperfetta”. Chiama a sè il Vuoto con il sorriso di chi “sa di fare la cosa giusta”.
Castiel ha fiducia in Dean. Ha fiducia in Sam. Vinceranno.

Sceglie il Vuoto. Perché Dean possa “scegliere” a sua volta. Il “libro” di Chuck avrà un numero incredibile di pagine in bianco. Tutte da scrivere. E Dean le riempirà. Insieme a suo fratello.

Sam ansima, tossisce mentre un altro ricordo s’insinua nel bel mezzo di pulsazioni furenti, scosse di terremoto in pieno petto
.
Da un paio di settimane Jack ha vinto quel Dio megalomane e diabolico. 
Perfino una semplice birra ha un sapore diverso, nuovo. Dean la beve sorseggiandola piano, picchiettando sui nomi incisi sul tavolino del bunker. Sam avverte la malinconia di quell’indice che indugia intorno a ogni lettera. La “loro storia” racchiusa in una manciata di segni, poco più profondi di graffi.
“Sai…Sammy…c’è stato un momento, quando ero faccia a faccia con Chuck…in cui io…io ho pensato di…”
Dean sospira e, stringendo il collo della bottiglia, ammette dolorosamente “Volevo ucciderlo, Sam. Era così vicino, così vulnerabile…sarebbe bastato davvero poco per… avrei potuto vendicare papà, la mamma, tutti quelli che sono morti a causa sua!”
“Ma ti sei fermato, Dean…” asserisce Sam, con la manifesta intenzione di lenire l’amarezza, la profonda inquietudine sottesa a quella dichiarazione. Ma Dean lo stupisce. Non ha bisogno di conferme della propria rettitudine. Non più.
 “Sì…mi sono fermato…perché mai avrei potuto deludere Cass…lui ha sempre creduto in me. Anche quando io…”. Dean beve un sorso di birra e Sam comprende che gli serve per riprendere fiato “Non sono un assassino…anche dopo tutto ciò che ho vissuto, che sono stato. Sono…rimasto umano, Sammy…siamo rimasti umani…anche quando eravamo convinti di essere… fottutamente simili ai mostri che combattiamo!”
Poi, con il viso più disteso, lo invita a brindare… “A noi, Sammy!” sorridendogli, con fare complice.
Dean gli sorride.

Sam “torna” al presente. 
Dean non può sorridergli.

Dean è imbavagliato da candida tela. Baco da seta avviluppato. Brucerà.
Ancor prima che il bozzolo tenti di farsi tessuto.
 
Sam non conosce il “demone” che sta “palleggiando” con il suo cuore ma è consapevole che nessuno verrà a salvarlo. Nessuno coglierà di sorpresa il Male, rubandogli il “pallone”. Papà, la mamma, Bobby, Castiel…stelle di un Firmamento così vicino ma… non abbastanza.
Non abbastanza.
Chi potrebbe “immolarsi” per lui?
 C’è sempre stato Dean, il “candidato” ideale. Da quando ha ricordi. Il fratello stolto, impulsivo, temerario, irragionevole.
Dean…venuto al mondo prima di Sam… perché Sam potesse morire dopo di lui.
Ma Dean non può più stipulare arditi accordi. Dean è su quell’improvvisato altare.
E’ già sacrificio.

Sam deve concludere il rito su quell’ara diligentemente preparata. Ma come può dare inizio a quell’orrido “banchetto” quando, egli stesso, avverte di essere ghiotto agnello sacrificale?! Non porterà a compimento il tragico rituale. Non ora. Non con quella trappola per topi che ha preso in ostaggio il suo sterno. Un inquietante “piano” comincia a delinearsi nelle meningi tamburellanti.

Pochi passi.
Per raggiungere un mietitore che si presenterà. Senza invito.
Sam si solleva, aggrappandosi a quell’ultimo giaciglio. Che non è il suo. Ma vorrebbe che lo fosse.
Comincia a camminare.

Pochi passi.
 Si trascina al bunker, sprofondando sul letto. La catasta di legna sarà ancora lì, fra un paio d’ore.

Pochi passi.
Dean sarà ancora lì, su quella pira funebre…quando la sveglia suonerà.
Meno di 120 minuti di sonno. Solo questo. Non un secondo in più. Poi…la sveglia farà il suo dovere.
E lui il proprio.
Ma forse…forse…non riuscirà ad allungare la mano per spegnerla. E, quel fuoco che non ha il coraggio di attizzare, resterà spento. Come lui.
Addormentato. Per sempre.

Attenderà pazientemente quel mietitore poco puntuale a…pochi passi. Non da Dean.
Da lui.
---
La sveglia suona alle 8.00.
Sam, in un gesto meccanico, preme il tasto per fa tacere quel fastidioso ronzio che lo restituisce alla realtà.
E’ vivo. Il cuore batte.
Ancora.
Tutto è
Niente è
Dean ha portato con sé ogni cosa. Ogni cosa è morta. Si è pietrificata. Con Dean.

Miracle, empatico batuffolo di pelo rotolante, fa di tutto per convincerlo che non è bloccato in uno degli incantesimi di Morte. Ma Sam è marmo.
Sam è lapide. Eretta in una notte che non può essere finita…così.
Sam è lapide. In un giorno che non ha il diritto di iniziare…così.

Invece la sveglia dispettosa ha suonato. E ora non ci sono più “scuse”. I battiti sono estremamente lenti, affaticati. Ma regolari.
Purtroppo.
---
Guarda quella fiammella mossa dal vento. L’ultimo patto da rispettare. Perché così vorrebbe Dean.
La mano trema. Più di quella goccia di fuoco.
“Sente” la voce di Dean, estremamente dura e assertiva “Sam! Andiamo! Lancia questo dannato accendino! Facciamola finita! E’ ciò che voglio, Sammy!
Già.
Ma Sam? Cosa vuole, Sam?
Cosa voleva Dean, stringendolo tra le braccia, dopo che Jake lo aveva ucciso?
Cosa voleva Dean quando lo aveva visto sparire nella voragine della Gabbia, insieme a Michele?
Per cosa ha pregato Dean quando, dopo le prove, Sam era pronto a “lasciarsi andare”?

Perché Sam, ora, dovrebbe “volere” qualcosa di diverso?

Per la saggezza “cucita” tra le rughe intorno agli occhi o per la ponderatezza “donata” da una fronte appena più stempiata? Per le troppe catastrofi bibliche “avviate” e risolte? Per non sfidare le ire di quel giovane Dio, onesto, responsabile…allevato come un figlio?

Per ognuna di queste incontestabili ragioni. E per mille altre che la logica suggerisce, con l’inconfutabile evidenza delle esperienze passate.
Ma Sam, razionale per antonomasia, è solo devastata, dirompente, alienante, intollerabile…emozione.

Adesso che non c’è più Castiel, che non c’è più Jack…sono tornati ai “vecchi tempi”.
Stappare un paio di birre, appoggiati al cofano dell’Impala, grati di essere sopravvissuti all’ultimo caso.
Curarsi le ferite a vicenda, sapendo di non poter più contare sull’ aiuto di chi, con il semplice tocco di una mano, risana strappi mortali.
Affidarsi l’uno all’altro, di nuovo, coscienti di non essere in grado di compiere miracoli.

Ma il loro legame è già “grazia divina”.

Lo hanno imparato fra verità urlate e altre “estorte” a fatica. Lo hanno scoperto scambiandosi pugni tanto forti d’annebbiare la vista… e abbracci così intensi da far tornare a vedere.
Lo hanno compreso chiamando l’uno il nome dell’altro, nel buio, in attesa di flebile risposta. E quando quel sussurro caparbio arriva…la notte fa meno paura.

 E’ esaltante “sfidarsi” a chi “regge di più”, tra un bicchiere di whisky usato come anestetico e un “rammendo” che diventerà nuova cicatrice. L’ “intervento” spesso si conclude inghiottendo un paio di antidolorifici, rigorosamente scaduti. Ma, stranamente, fanno comunque effetto.

Perché Sam “è cura” per Dean. E Dean “è cura” per Sam. Anche senza poteri soprannaturali.
Sam deglutisce rispondendo, bizzarramente, ad alta voce.
 “Lo vuoi tu, Dean!”
Con un movimento meccanico del pollice l’impaurita lacrima d’oro resta senza ossigeno.
E Sam recupera ossigeno.
Non lo farà.

“Perdonami, Dean

Sam è in una sorta di stato catatonico. Immobile, di fronte a quel “Dean impacchettato”.  Non sa cosa farne ma… sa bene cosa “non vuole fare”.
Quell’ accendino “tentatore” rimarrà in tasca.

Portarlo al bunker, come fece dopo Metatron, non gli pare un’opzione. Vederlo lì, a decomporsi su quel letto disfatto o in quello “anonimo” dell’infermeria, gli ricorderebbe la propria debolezza. Il senso di colpa, per averlo “tradito”, non gli consentirebbe di trovare il modo per riportarlo indietro. Nel minor tempo possibile e con il minor numero di “effetti collaterali” …possibili.
Accantona persino l’idea di procurarsi una cassa. Perché vorrebbe dire “pensare”. Non può permetterselo.

Si guarda intorno. Come in cerca di “un segno” o di qualche “ispirazione”.
E poi…l’occhio appannato la scorge. La maligna “alternativa”.

Poco lontano c’è una parte di zolla brulla, fragile. Priva d’erba. Quasi una “fossa” naturale. Sam si avvicina. Comincia a scavare. A mani nude. Come un folle.
Sam desidera essere “lucida follia”. E’ l’unica via per non impazzire.
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Non sa quanto tempo sia trascorso. Dal fiato corto e dal sangue che tinge le sue mani, colando fino ai gomiti, potrebbe essere più di un’ora.
E’ solo a metà del lavoro.
 Solleva il corpo inerte del fratello e lo trascina fino a quella buca, iniziata dalla lenta erosione della pioggia e ultimata dalla sua disperazione. Lo fa cadere dentro. Il lenzuolo non è più candido. Schizzi di rosso vivo si confondono con bige macchie di fango.
Sam ha dissotterrato un’infinità di corpi. Quello di Dean lo ha seppellito una volta sola.
Una di troppo.
Preleva un tronco di quella ormai inutile pira. La base è un poco più ampia. Quasi una rudimentale pala.
Il torace è madido di sudore gelido. Ma deve fare in fretta. Non può fermarsi. Non può sostenere a lungo…la follia.

Copre con attenzione ogni centimetro di Dean.
Copre la “prova” del suo crimine.

Non ha mantenuto la promessa…ma non per cattiva volontà. E’ successo. Può succedere.

Uno shock che non riesci a gestire può portare a perdere la ragione. Lo dicono i migliori trattati di psicologia. Quei manuali, consultati tante volte per studiare meglio un caso o per interesse squisitamente personale, saranno il suo “alibi”. Non è una giustificazione ma è l’unica plausibile. Sa che riporterà in vita un Dean deluso e furente.
Dean era pronto.
Lui.

O forse no.
 
---
 
Dean avverte le narici piene e la bocca impigliata in uno straccio che si gonfia impercettibilmente, a ogni sua inspirazione forzata.  Ma è solo illusione. Si chiede perché stia grondando sudore… è morto!

“Che diavolo?! Accid…” sbuffa, mordendo il cotone, amarognolo e terribilmente resistente.
.“Sts…sta’ calmo” sussurra una voce femminile che non conosce.
“Co-sa mi…”
“Sei morto, Dean.” risponde amorevolmente la donna.
“Grazie…me lo ricordo!” grugnisce Dean “Ma dove…” la trachea è quasi del tutto ostruita e le corde vocali sembrano ardere lentamente.
“Sei nel Velo, Dean. Sam non ha bruciato il tuo corpo.”
Dean percepisce il corpo farsi vampata. Anche se Sam non ha onorato quel giuramento.
“Non è…non è possibile! Sam non può aver fa…” ma quel “fatto” non è che farfalla dalle ali spezzate.
“Mi spiace deluderti, Dean. “ e il tono di lei si mantiene tranquillo, appena vagamente ironico.

Dean riflette. Va bene. Lo ha sepolto. Gli ha negato il funerale degno di un cacciatore ma lui non ha intenzione di rimanere nel “Velo”, né di tornare. “Pos…posso andare via…comunque…” esala, sofferente, sperando che, quella voce appartenga alla sua mietitrice. E’ sicuramente una tipa pignola, ligia alle regole ma la convincerà a dargli “un passaggio” per l’aldilà, qualunque sia la ragione che lo trattenga ancora.

Ma lei lo spiazza.

“Certo. Puoi. Avresti già potuto farlo ma, non sei pronto, Dean. La parte che è puro spirito è decisa ad andare, il “resto”… no.” precisa la voce che continua a essere sibilo nelle sue orecchie.
“Spie…spiegati…meglio!”
“Il tuo corpo, Dean…non ti obbedisce. I tuoi occhi vogliono ancora “sorvegliare” Sam, durante una caccia. Le tue braccia vogliono ancora sorreggerlo se venisse colpito e…”
“… e la mia bocca vuole ancora divorare hamburger e strafogarsi di crostata! “sbotta Dean, sarcastico, sforzandosi di mantenersi calmo.
“Dean…sai che Sam potrebbe trovarsi in pericolo, aver bisogno di aiuto e, ogni molecola di te, vuole rispondere a quella richiesta…”. sentenzia lei, con tone greve.

Dean deglutisce, rinunciando a minimizzare con una battuta, lottando contro l’immagine di Sam che urla il suo nome. Nella notte.
“E’ sbagliato! E’ tut-to sba…” conclude, in un grido strozzato.
“Sbagliato per chi, Dean?” lo provoca, lei.
“Per Sammy!! E per me!”
“E chi lo ha deciso?!”
Dean fa leva su quella poca energia che suppone di poter spendere.
Non è morto. Non è vivo. Non è uno zombie. Non è un fantasma.
Non sa cos’è! Come può “dosare” le proprie forze, se non sa a quale “dimensione” appartiene?! E’ fuori da quel “guscio” ma non è come le altre volte.

Non è come quando, nello studio maleodorante del dottor Robert, si “vedeva” perdere colore mentre, il tracciato del monitor, risultava innegabilmente piatto. Ma intanto poteva “amabilmente” disquisire con Morte. Superando di parecchio i tre minuti che gli erano stati “garantiti”.

Non è come quando, durante quel dannato caso di lupi mannari, certo che Sam fosse morto, aveva invocato Billie. Il mix di medicinali assunti lo aveva portato a passare il Velo. Guardava il suo corpo contorcersi, sbavare, "smettere di vivere"…ma ciò non gli impediva di chiacchierare tranquillamente con Billie! Invece ora è “collegato” al proprio cadavere. Praticamente ha la sensazione di essere…sepolto “vivo”…da morto!
Non sa “cos’è” diventato e allora la soluzione può essere un’altra. Sapere… “chi” lo sta tormentando.
“Chi cazzo sei, tu?!”
Tanto affannato e stremato lui quanto serafica e imperturbabile lei.
“Sono Delia, la nuova Morte.”
A Dean pare di udire uno schiocco di dita e, improvvisamente, i polmoni sembrano ampliarsi e, ribattere, pare più semplice.

“Fantastico…e, ovviamente, sarò in cima alla tua lista nera! Quindi…qual è il problema?! Portami con te e risolviamo questa faccenda!!”
“Dean…io non sono Billie. Anzi, a dire il vero, non mi è mai piaciuta come “Capo”. Quando è andata nel Vuoto ero persino felice!” confida la “donna”, quasi con imbarazzo. “Poi però, poco tempo dopo, ho condiviso il suo destino. Niente Vuoto per me ma...”
Dean deglutisce sabbia e fango. E dolore. Ripensando a Cass.
“Giusto…il vostro agghiacciante modo di “far carriera”…il primo mietitore ucciso…”
“Vedo che ricordi le nostre leggi, Dean…” esclama compiaciuta, Delia.
“E come potrei dimenticarle?! Abbiamo passato buona parte della nostra vita a sfidare…Morte!” sottolinea Dean, ironico.
“Vero…”
“Non per essere indiscreto…chi ti ha ucciso? Non è da tutti far fuori un mietitore…” Dean non sa “cos’è” ma sa cos’ è stato. Difficile tenere a freno la curiosità di un cacciatore, su questi “argomenti”.
“Ogni cosa a suo tempo, Dean”.
“Ah, allora tieniti pure il gossip da oltretomba per te…risparmiami gli indovinelli! Il mio tempo, qui, è finito!” ed è come se, non accettando quel “pettegolezzo posticipato”, le confermasse le sue f intenzioni a superare quell’ “intoppo”.
“Vedo che non hai perso il tuo spiccato senso dell’humor…” constata Delia, divertita.
“Portami con te e…giuro che… che il viaggio sarà…sarà un vero spasso…” annaspa, Dean.

Ma “la voce”, pur restando al gioco, sembra non accettare l’invitante proposta. “Non mi dispiacerebbe farmi due risate con te, Dean. Ammetto che il mio “lavoro” è piuttosto monotono e non può certo definirsi “allegro” ma… non posso accontentarti.” comunica amaramente.

"Uno a zero per la stronza!" pensa fra sè Dean, mordendosi il labbro.
---
Sam ha finito.
Sam è sfinito.
Dean è sepolto. Insieme alla propria coscienza.
Dean…ti prometto che…che non durerà a lungo. Troverò il modo.” esclama Sam, con il viso annerito e paonazzo. Raccoglie quattro sassi  conficcandoli nel terreno. Il loro volume gli sembra triplicato. Ha esaurito ogni forza. Cade, Si rialza,  Allunga il braccio per posizionare una quinta pietra centralmente, come a voler “chiudere” quella spartana tomba.
Neppure una croce. Solo un segnale “da scout”. Per ricordarsi dove tornare…per farlo “tornare”.
Prima che il corpo di Dean diventi mucchio d’ossa. Prima che il proprio, sfiancato, si sgretoli.

Dean può avvertire i passi di Sam. Affondano pesanti nel terreno. Creano oscillazioni che rimbalzano sul suo cervello in tempesta.
Per Sam un triste pavimento di fanghiglia, in cui sprofondare.
Per Dean uno claustrofobico soffitto melmoso, da cui farsi schiacciare.
“Sam-my! N-o…” Dean si dibatte come mummia in sarcofago. Pantano e roccia cedevole sono bara senza pareti. Le labbra premono contro la stoffa, tentando di far uscire un lamento. Inutilmente. Se solo Sam sapesse a quale calvario lo ha condannato!
Lei gli viene nuovamente in soccorso. Il tono sempre più premuroso e accogliente.
“E’ solo una sensazione del tuo corpo, Dean. Tu sei spirito. Puoi “adattarti” alla situazione” lo rassicura, Delia. Ma Dean continua a dibattersi. Come se ancora fosse vivo e ingabbiato da un demone con la passione per i film dell’orrore. Lui, del resto, più volte ha vissuto quel “ruolo” alla “Buried”. 
Li rammenta con terrore.
Dean,  salvato dall’Inferno, riemerso dalla propria tomba come uno zombie senza voce.

Dean, certo di doversi rinchiudere nella Ma'lak insieme a Michele. Oni notte sognava quel momento. La batteria del telefonino che lo abbandonava. Il silenzio nell’oscurità. E lui che gridava un nome...Sammy.

Dean...che ora stringe i denti per non far uscire neppure un sibilo. Non quel nome

Sam deve restare libero. Sam deve respirare. Al posto suo. 

“Puoi farcela, Dean…” insiste lei.
“Ma non voglio! Io voglio oltrepassare quel dannato Velo e lasciare questo corpo a marcire!” esplode, Dean.

Lei allora procede, come un’insegnante paziente e fiera dell’apprendimento “spontaneo” del proprio allievo.
“Dean…stai parlando con me. Il tuo spirito prevale. Puoi controllare il tuo corpo.”
Dean ritrova, con stupore, il respiro tolto e, all’istante, il proprio piglio.
“Bene! Allora decido di andarmene!!”
“Non è così facile…”
“Ma se hai appena detto che …”
“Che lo stai tenendo a bada, non che lo hai vinto!” puntualizza, Delia.

Sarà una partita a poker piuttosto complicata.  Credeva di aver finito con quei “giochetti” da Dei altezzosi, ambigui Cavalieri e Arcangeli egocentrici. Si sbagliava.

“Ti prego mostrati…dimmi cosa devo fare…” invoca, Dean, sempre più debole e svilito.

Gli si para davanti. Senza preavviso alcuno. Dean istintivamente, indietreggia. Ma lei non sembra minacciosa. Gli asciuga quella lacrima che Dean non pensava di poter versare. Di nuovo.
“Mi dispiace Dean. Lo so che stai soffrendo…”

E’ bionda, con i capelli raccolti in una crocchia. La carnagione lattea, con qualche efelide sulle guance scavate. Ha i lineamenti spigolosi e la corporatura eterea, affusolata e smunta. Dean pensa che potrebbe essere la figlia ideale del Morte originale! Indossa un lungo abito bianco che la fa apparire ancor più leggiadra.  L’anello che porta non è nero ma hai i riflessi di candida pietra di luna. La sua mano si apre in carezza, sulla guancia che dovrebbe essere solo spirito.
 Invece, ogni millimetro di pelle di Dean, percepisce emozioni. La mano di quella nuova Morte…è esile stalattite che, inaspettatamente, non raggela. Riscalda. Conforta.
“Wow…non sei niente male per essere…be’ ecco…per…”
Lei si schernisce, abbozzando un mezzo sorriso. “Conosco la tua fama di adulatore… ma ti avverto, non sono
facilmente impressionabile…dato il mio ruolo…”
“Certo…certo…dato il “tuo” ruolo…” conferma Dean, quasi lusingato. Ma non può perdersi in chiacchere.
Deve assolutamente oltrepassare quel limbo.
“Senti, mi stai pure simpatica…come la risolviamo? Io non voglio stare qui…io voglio che Sam sia libero…”
Il viso di lei, all’istante, si fa scuro e giudicante. “E tu pensi che lo sarà davvero, Dean?”
“Certo! Potrà farsi una vita, una vita vera! Avrà una moglie, dei figli…”
“Non avrà te.”
“Si abituerà. Ci siamo abituati all’assenza di ognuno di loro.” risponde laconicamente, Dean.
“Avete perso tutti quelli che amavate…è vero. Ma l’uno ha sempre avuto l’altro. Ora Sam sarebbe solo.”
Dean deglutisce.

Solo”…quattro maledette lettere che condannano.
Forse per questo, in fondo, ha sempre sperato di essere il primo a...non invecchiare.

“Non lo sarà a lungo…sono convinto che troverà qualcuno con cui condividere tutto questo…”
“Dean…Il tuo corpo dice il contrario, emana una forza che non puoi dominare…”
“Io non so cosa emani quella carcassa sventrata ma IO so cosa voglio! Non tornerò mai indietro! Mai!”
Delia lo scruta dubbiosa.
“Intanto non ti è concesso passare oltre!”
“Perché?!!”
“Te l’ho già spiegato. Sei ancora legato a Sam.”
“E lo sarò per sempre ma…”
Dean intravede la mano affusolata “chiamare a rapporto” pollice e medio in uno schiocco repentino.
 E i polmoni sono poltiglia “Cos…cosa…cosa hai fat-to?!”
“E’ quel che ti succede quando non mi frappongo tra il tuo spirito e la tua materia. Quest’ ultima ha la meglio.”

Dean non è spirito. Dean percepisce ogni sofferenza fisica. Imprigionato in se stesso. Carceriere di se stesso. “Sammy…” e quel nome, che non vorrebbe pronunciare, gli fugge via in uno spasmo incontrollabile.

Delia lo osserva, quasi intenerita.
“Il tuo corpo Dean, non è pronto…”
“Sam…è…pronto…mi ha det-to…che…”
“Che era tutto ok... che potevi andare…lo so Dean…lo so.”
Dean si accascia. Completamente senza aria.  Sa che è impossibile. Ma vaglielo a dire allo spirito che “è solo sensazione”!!

Un’ anima seviziata. Ora sa “
cos’è”.
Sta soffocando.

Il “colpo di frusta”, di quelle due dita da pianista che si sfiorano, è nuovamente salvifico.
“Meglio?”
“Si…” mormora Dean, riconoscente, voltandosi su un fianco, sconfitto.  Dopo una vita trascorsa a lottare, a difendere il Mondo…si aspettava un po’ di vera, consolante, gratificante serenità. Invece gli tocca ingiusta e continua afflizione.

“Non è pronto, Dean…” ribadisce Delia.
“Smettila di ripetermelo! Ho capito! Il mio dannato corpo è l’impedimento!” urla Dean, rabbioso,  

Delia resta in silenzio. Guardandolo con tristezza. E Dean prende drammatica coscienza che, la sua “resilienza” fisica non è l’unico ostacolo.

Qualcosa gli dice che, quella graziosa e gentile “versione” New Age di Morte, stavolta non si stia riferendo al suo inutile e cocciuto “involucro”, bucato da parte a parte.

Non è pronto.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


L’acqua cola sul sangue raggrumato che, unito al fango, si fa rivoltante puzzle in 3D. Persino insaponarsi è un castigo. La schiuma, per i polpastrelli lacerati in più punti, diventa spuma di spilli.
Sam, con movimenti circolari, tenta di “far saltare” quel miscuglio di vita e di morte, coagulato sulla pelle. Ma, dopo un paio di tentativi, desiste. Prolungherà la sua “permanenza” sotto quel getto purificatore. La “prova” del reato commesso, scivolerà via. Prima o poi.

Appoggia la fronte sulle piastrelle e una nuvoletta di affanno si confonde con il vapore. Avverte una vertigine. I piedi malfermi, vinti dall’acqua che fuoriesce dal piatto doccia, perdono attrito su quel pavimento sdruccioloso. Un tonfo sordo che, presume, lascerà un ematoma evidente sul coccige. Si ritrova seduto malamente, con la schiena contro il muro. Prova a rialzarsi ma è pallina da tennis che rimbalza. Il dorso si graffia, sfregando contro la parete di piastrelle, eppure, quel tragico "andirivieni",  pare l’unico modo per riconquistare la posizione eretta. Raggiunge faticosamente il rubinetto. Un getto sempre più potente. Ecco ciò di cui ha bisogno. Gira la manopola, fin quando la valvola che regola il flusso dell’acqua, glielo permette. Deve togliersi di dosso l’odore di quella morte iniqua, intrisa di efferata fatalità. Ha generato colpa ancor più abbietta.
.
Dean era a un passo da lui. Dean voleva sentirsi dire che poteva andare. E lui mai lo avrebbe deluso. Così gli ha estorto la promessa che, in cuor suo, già temeva di non riuscire ad onorare.
Deve espiare quell’atto di “indisciplinato” egoismo. Accecato dal dolore ha disatteso il giuramento, ha negato a Dean di ammirare il Paradiso che si è guadagnato. Il rimorso gli suggerisce di restare sotto quello scroscio martellante che ricorda la tortura inflittagli da Toni, sadica affiliata degli Uomini di Lettere Inglesi. Ma Sam, con sé stesso, può essere ben più feroce della spietata britannica.

L’acqua non è fredda ma calda. Quasi ustionante. Naso e bocca completamente sottomessi a quella cascata “personale”. Le pulsazioni aumentano. I vasi si dilatano a dismisura. Sam potrebbe perdere conoscenza. Forse è proprio questo il punto…non vuole “aver coscienza” di ciò che ha fatto.
Che non ha fatto.
Toni, che ormai non può più seviziare nessuno, probabilmente sarebbe colpita da tanta resistenza. Anche il “redento” Ketch si complimenterebbe.

Miracle viene attirato dal rigagnolo che filtra sotto la porta del bagno. Abbaia, obbligando Sam ad aprire gli occhi inzuppati. Bruciano terribilmente. Anche quando, chiudendo il rubinetto a tentoni, li tampona con le nocche fumanti. La bocca si spalanca istintivamente, catturando aria rarefatta di vapore. Sulle spalle si creano bolle istantanee che, a contatto con l’esterno, sembrano riempirsi di sale.

Miracle ha posto fine al martirio.

 Il corpo, sottratto a quell’oscuro abbraccio liquido che gli ha arrossato la pelle, subisce lo sbalzo termico. Sam trema prepotentemente e dubita che quei brividi, a breve, lo coglieranno impreparato, esplodendo in convulsione.

Barcollando, raggiunge  l’accappatoio. La vestaglia di spugna riesce a “catturare” un po’ di quel gelo.
Si lascia cadere a terra, battendo i denti in modo incontrollabile, 
come un bambino impaurito, le braccia incrociate sul petto e le mani che cercano i gomiti, strofinandoli. In quel momento, Miracle, con una zampata energica, apre la porta socchiusa. Gli tasta il viso con il muso umidiccio. Gradualmente, il ghiaccio che cristallizza le arterie, si fa meno intenso.
 
Gra-zie, a-mi-co…” farfuglia Sam, accarezzando quel pelo arricciato e caldo. Vivo.

Vivo
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“Come ti senti?’” domanda Delia, sinceramente preoccupata.
Dean si tiene il costato. Ogni rantolo resta incagliato nella gola che si fa imbuto.
“Troppo vivo per essere morto…ti facevo più scrupolosa invece, a quanto pare, sei di quelli che…che lasciano il lavoro a metà…” risponde sarcasticamente Dean, con il fiato rotto.

Delia accetta la battuta che sottolinea il suo ruolo nel mancato “passaggio” all’aldilà. E’ vero…Dean è un’anima “a metà” e lei non può far altro che restargli accanto, in quell’anticamera che è “errore”. E orrore. Non è in suo potere agire diversamente, può solo alleviarne le sofferenze. Non gli sta mentendo. Ma Dean non può crederle. 
Dopo tutto, era…è solo un uomo. Esistono meccanismi che fuggono all’intelletto umano.Per lui è solo l'ennesima ripicca di un mostro di "serie A".  Delia è convinta che, probabilmente, non gli dispiacerebbe avere una falce a portata di mano. 

Dean “non è pronto” a varcare la soglia che lo renderebbe autentico spirito e, al contempo, non è essenza salda, capace di contrastare la percezione di strangolamento che gli rimanda il proprio corpo.
Delia dovrà attendere…fin quando l’ago della bilancia decreterà “il peso” che Dean deciderà di portare.
---
Sono passate poco più di un paio d’ore. A Dean pare che, quel tempo “sospeso”, trascorra come all’Inferno, obbedendo a principi ben lontani dal ritmo terrestre. Suppergiù un lustro ogni due settimane…questo era stato. Un dolore che non ha interruzioni. Nessun time out. Non c’è Alastair a farsi tritacarne, infilzandolo con informe spiedo, sul barbecue della domenica. Ma potrebbe essere comunque un succulento antipasto per le creature della notte che, di “mostruoso”, hanno ben poco.

Il lenzuolo si sfilaccerà presto.

Dean si domanda cosa proverà quando comincerà a decomporsi, assalito dai vermi o da qualche roditore. Se, per allora, dovesse trovarsi ancora in attesa di quel posto sul “traghetto”, sarà veramente “divertente”.
Non solo costretto ad estenuante apnea ma anche sbocconcellato da “squali in miniatura”. Avvertirà ogni più piccolo morso. A pensarci gli sembra già di cogliere un certo pizzicore, lungo le caviglie.

“Dean…lo so che ora ti sembra tutto assurdo ma vedrai che…” tenta di motivare Delia, vedendolo meditabondo.
“Assurdo?! Parli a me di “assurdo”?! La mia vita non è stata altro che un susseguirsi di “assurdità”! Ma questo…questo…non me lo merito, Delia! Una fottuta fine. Punto. E’ chiedere troppo?!” e Dean tossisce, accorgendosi di sputare terra “Fantastico…la mia “dolce metà”, là sotto, deve cavarsela piuttosto male…”
Delia riconosce di rappresentare, per Dean, un’ingiusta punizione. Ma sa anche che, quegli imprevisti “gironi dell’Inferno”, potranno condurre a una consapevolezza nuova, utile a Dean. E a Sam. Alla sommità di quella imponente “scala a chiocciola”, troveranno ciò che è meglio per loro. Proprio sull’ultimo gradino.
 “Concentrati, Dean…” suggerisce, con tono benevolo ma fermo.
“Per quanto?! A cosa serve tutto questo?! Aiuterà il mio corpo ad obbedirmi?! Aiuterà Sam a…” arranca, Dean, non riuscendo a concludere la frase. Ma Delia la termina per lui, decretando, sibillina “Aiuterà entrambi, Dean.”
“Quindi devo…devo restare qui…a “giocare” al sepolto vivo?!” esclama Dean, cominciando ad aver ben chiaro quel perverso percorso di “espiazione”.
“No, Dean…ti porterò con me. E, allontanandoti da qui, rafforzerò il mio controllo su di te. Non proverai il disagio che avverti ora. Te lo prometto. A meno che non sia io a diminuire la mia protezione...”
“Mi stai dicendo che…che dovrò pure stare attento a non farti incazzare?!”
“Sei perspicace, Dean. E, al di là dell’apparenza gentile, non dimenticare chi sono davvero…e tieni sempre presente che non ho un carattere facile” ribadisce lei, punzecchiandolo.
“E chi ha mai detto il contrario?!” conferma lui, raccogliendo la sfida di quel “botta e risposta” poi, come il “turista” che intende aver delucidazioni sul proprio “itinerario”, aggiunge “E dove si va?”.
Delia tace. I suoi occhi diventano improvvisamente più opachi e a Dean pare immensamente umana, vicina, magnanima.

Troppo.
---
“Da non credere! Un cimitero! Senza offesa eh… ma non dovresti…come dire… “decentrarti” un attimo?!!” esordisce Dean, tutto d’un fiato, constatando che Delia non lo ha ingannato. Sembra che il suo spirito, almeno per ora, “viaggi da solo”, contando su una provvidenziale “riserva” di ossigeno, distribuito qua e là ai polmoni compressi.
“Ti permetterà di aprire la mente, di maturare una coscienza nuova, Dean. Analizzerai ciò che hai vissuto… da un'altra prospettiva.”
Dean la scruta con inquietudine, pur cercando di mascherare l’ansia che gli suscita tale affermazione.
“Va bene, facciamo questo viaggio interiore alla Karate Kid! Prima che le interiora fuoriescano del tutto! Tanto, che ho da perdere?! Peggio di così…si muore, giusto, Delia?! E magari potessi farlo per bene!” rincara, Dean.
Delia, pur divertita dall’umorismo squisitamente “noir” di Dean, s’impone di rimanere seria. Un cimitero merita rispetto. Quella tomba merita rispetto.
“Seguimi…devo mostrarti il motivo della nostra visita”

Dean obbedisce svogliatamente. Lui, in mezzo alle lapidi, ci è cresciuto. Se “l’erede” di Billie pensa di sconvolgerlo con questo “camposanto tour” si sbaglia di grosso! Probabilmente deve ancora imparare i “trucchi del mestiere”. Dovrà farne di strada, prima di diventare terrificante come Billie!

Poi ad un tratto la vede. La riconoscerebbe tra mille volti. Anche dopo tutti questi anni. Gli sorride. Facendogli capolino da quell’ovale bronzato.

“No…no, NO!! Dimmi che è un dannato imbroglio?!  Uno di quei vostri giochetti, alla Billie, alla Zaccaria! Una realtà alternativa, creata apposta per annientarmi, per ottenere qualcosa da me!!”
Delia abbassa lo sguardo come se, sostenere gli occhi smarriti di Dean, richiedesse un distacco difficile da mantenere. Anche per la “Regina” dei mietitori.
“Mi dispiace. Nessun imbroglio. E’ successo dopo che l’hai lasciata…andare, Dean.”
Dean si china, restando in ginocchio su quella lapide. La mano sfiora la data che lo fa sussultare. E’ una diabolica correlazione “24-01-2014”. Poi accarezza quel nome che lo trapassa da parte a parte. Come il travetto che lo ha strappato a Sam.
Lisa Braeden
Aveva voluto rivederla. Nell’anno dedicato a quella “lista di cose da fare” del condannato a morte. Qualcosa l’aveva resa speciale, rispetto alle “altre”.
Perché lei era…Lisa.

Lisa che lo invita ad entrare, nel bel mezzo della festa di compleanno di quel bambino che, tra la passione per la musica rock e il modo di ingozzarsi, lo entusiasma. Concedendogli mezza giornata di tenera illusione.
Lisa che gli propone di restare. Con lei. Con Ben. Ma lui ha già un “appuntamento” in agenda.
L’Inferno non ammette ritardi e i Segugi infernali sono “post-it” che non puoi stracciare.
Lisa che lo accoglie quando, in un’epica “staffetta”, l’Inferno che si è lasciato alle spalle, inghiotte Sam.
Lisa che, quando Sam “ricompare” ancora vuole “provarci”, accettando il sottinteso compromesso di averlo “part-time”.  Ma poi le recriminazioni, le ripicche, la gelosia per Sam, il timore di ingrigire, aspettando le “priorità” del cacciatore…hanno la meglio.

Lisa...“abito” del demone di turno. In un letto d'ospedale. E Dean accanto a lei.
Dean che, colpevolizzandosi, immagina il futuro di Ben. Crescere senza una madre. Lui sa bene cosa significhi. Nel cervello in subbuglio, sopraffatto da incessante, incalzante rimprovero, si delinea “la soluzione”.
“Lisa deve vivere! Lisa vivrà se rinuncerò a lei! Non sarei mai dovuto tornare! Mai!”

Non è mai tornato. Non è mai esistito. Rinunciare.

Dean entra in una gabbia di rimpianto, gettando la chiave in un pozzo che non rimanda il lontano suono del ferro, giunto a destinazione.
Pozzo profondo, nero, senza fine.

Dean rinuncia, consapevole che sarà carcere a vita.
---
Lo è stato.
Da quel giorno in cui Castiel lo ha trasformato in bruma.
Lisa e Ben non sono mai diventati “nebbia”, per lui che ha scelto di dileguarsi, nella triste foschia del mattino.

Dopo una caccia massacrante, osservando il soffitto scrostato di un deprimente motel o quello alto e raffinato del bunker, i ricordi non hanno mai smesso di riemergere.

Ergastolo. A vita.
Ma, a quanto pare, non è bastato farsi giudice di sé stesso, per evitarle la pena capitale.

“…come…come…?” bisbiglia, socchiudendo gli occhi pieni.
Delia gli mette una mano sulla spalla quasi volesse render più sopportabile quell’amara verità.
“Dean…non esistono solo i demoni, i mostri a cui dai la caccia. Castiel l’aveva salvata però tu non ti sei "accontentato", hai deciso di fare di più. Privarla della sua memoria perché nulla la potesse ricondurre a te. Ma il destino delle persone è bizzarro. La tua bugia, Dean… rammenti?”
Dean annuisce, continuando a sfiorare le lettere in freddo metallo.
“Un incidente d’auto. Un modo di morire molto più banale dell’essere posseduta. Purtroppo il risultato è stato il medesimo. Un’emorragia che, stavolta, nessun angelo ha potuto arrestare.”
Dean sa che, grazie all’appoggio di Delia può fronteggiare ciò che il suo corpo prova sottoterra. Ma il respiro stavolta non torna.
“Dean…”
“Dean…” ripete Delia, scuotendolo e lui, in un soffio affranto, rigurgita terriccio e parole “Io…io ho rinunciato a lei! Io volevo proteggerla! Non potevo immaginare che…”
“Dean…sarebbe successo comunque. O forse no. Non possiamo saperlo.”
“Cosa…cosa significa?!” esclama Dean, sfibrato, al limite.
Delia rafforza la protezione su quell’anima distrutta. Ne ha bisogno. Ora più che mai. Poi si “pone in cattedra” come insegnante comprensiva ma determinata a…far imparare la lezione.
“Dean…lei ti amava. Tu l’amavi, più di te stesso. Ma non ci avete creduto abbastanza. Non siete stati così tenaci da scommettere su quell’amore. Tu l’hai “liberata”, Dean, certo di portar morte. Ma il mietitore non arriva per mano tua, amico mio.” conclude Delia, in un sospiro intenerito.
“Dimmi…dimmi che non avrei potuto cambiare le cose…ti prego. Dimmelo!” supplica Dean.
Delia lo squadra con uno sguardo che è, al tempo stesso, indulgenza e biasimo “Non posso affermarlo con certezza. Sarei un’ipocrita. Gli eventi cambiano, Dean. Ogni nostra azione modifica il corso dei fatti. Anche la più piccola, quella più insignificante. Ho visto persone evitare un disastro aereo perché, su quel volo, non ci sono salite. Le ho sentite maledire l’ingorgo stradale che poi, a posteriori, si è rivelato essere la straordinaria casualità che permetterà loro di invecchiare.
Era fine gennaio. Nevischiava. Lisa stava rientrando da una serata di svago…non aveva una relazione fissa. E non poteva ricordare di averne avuta una…importante.
E sul verbo “ricordare”, Dean deglutisce.
Forse, se tu fossi rimasto nella sua vita, avrebbe festeggiato il tuo compleanno, cucinando una torta di mele. Ti avrebbe atteso, di rientro da una caccia, per curarti le ferite superficiali e trascorrere qualche ora insieme. L’uno accanto all’altra. Il regalo più bello. Per te. Per lei.
Forse avrebbe deciso di stravolgere la sua “normalità”, pur di donarti spicchi di…famiglia. Forse, se anche avesse trovato la morte, su quella buia statale, Ben avrebbe saputo chi chiamare e tu e Sam avreste potuto chiedere aiuto a Castiel…non lo so, non possiamo saperlo, Dean.”
Non possiamo saperlo.

Ma Dean su una cosa non ha dubbi. Delia ha ragione. L’amava. In modo assoluto. Perciò ha avuto paura di essere cappio al collo. Invece, forse, avrebbe potuto essere nodo che si scioglie, corda che si spezza. All’ultimo minuto.

Poi, ad un tratto, il pensiero si fa saetta, attraversando cervello e cuore.
“Ben?!”
Delia sospira “Ben è stato affidato alla sorella di Lisa ma…”
Dean si alza di scatto, sudando freddo “Ma cosa?!”
“L’adolescenza è un periodo complicato, Dean. Ha perso sua madre, ha dovuto rivoluzionare la sua vita senza qualcuno che lo guidasse, che fosse davvero un riferimento. E’ diventato un ribelle. Nessuno è riuscito a placare la sua ira. Scappava di casa continuamente, restando fuori per giorni. Alla fine, per il suo bene, lo hanno inserito in un istituto per ragazzi problematici. Ma anche quella soluzione non ha funzionato granché…”
“Ora…ora dov’è?!”
“Perché ti interessa, Dean? Cosa puoi fare per lui?! Devo ricordarti che stai combattendo per oltrepassare il Velo?” e Delia, alterandosi, inarcando il sopracciglio, gli “rammenta” quanto sia ancora “legato” a doppio filo, a quel corpo che inizia a macerare.
“De-li-a…non…non re-si-…” e il tono di Dean è alquanto credibile. Non può resistere. Non può tollerare quel bavaglio di fango quando è già “incappucciato” da una realtà che toglie il fiato.
Delia, provando compassione, torna a farsi “scudo” di quel “mozzicone” di spirito che, ansimando, avanza l’ardita richiesta “Portami…portami da lui…”.
Lei si riserva qualche secondo per rispondere. Poi decide. Del resto, quella scala, va salita.

Scalino dopo scalino.

“Ti accontenterò, Dean. Ma sarò schietta, ciò che vedrai non ti piacerà”.
Dean scuote il capo “Non m’importa…qualunque cosa…qualunque cosa…l’accetterò. Io voglio sapere…Delia…” mormora sottovoce.
“E allora…non sarò certo io a negartelo.” acconsente lei, apprestandosi a schioccare le dita.
Ma Dean afferra l’ossuta mano.
“Aspetta…dammi…dammi solo un momento…”
Delia accetta, comprendendo empaticamente i sentimenti di Dean “Non ho fretta, Dean. Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno.”

Morte si allontana. Dean, che vorrebbe passare “oltre” abbandonando ciò che è zavorra, si china su quel marmo dai profili spigolosi. Dovrebbe esserci lui, sotto quella pietra rettangolare.

“Credevo…credevo che allontanarmi da te, sparire, “cancellarmi” ti avrebbe salvato! Invece… avremmo potuto… provarci. Insieme. Forse…ora tu saresti ancora viva o almeno…lui…Ben…avrebbe avuto…me. Lisa…perdonami…” e Dean piange su quella tomba che vorrebbe “occupare” ma che, da anni, è la “casa” di Lisa.
Una cruda, lancinante consapevolezza…  “nuova”. Come direbbe Delia.
Ha deciso di essere nebbia, quando avrebbe potuto scegliere di essere faro nella notte.
E forse, quella notte, non avrebbe mutato Lisa in… fotografia.

Finalmente può essere sincero, come quando si abbandonava su di un letto, con i vestiti che sapevano ancora di caccia. Guardava il soffitto. Pensava a lei. A Ben. “Parlava” con loro. Mentre Sam dormiva.
O fingeva di dormire.

Un “surrogato di spettro” può finalmente pronunciare quel “Ti amo” negato, domato, “barattato” con la convinzione che, la sua assenza, si sarebbe tradotta in “salvezza” certa.
Oggi ha capito che, l’unica vera “salvezza”, sarebbe stata… non rinunciare…e credere.

In quell’amore.

 “Ti amo…” ripete Dean, anche se tutto è perduto, anche se quell’ammissione suona così inutile e tardiva.
E’ comunque pacificante sentirsi “vivo”. Anche da… “non vivo”.

Un lieve soffio di vento s’insinua tra i capelli di Dean. Come una carezza. Come se, da qualche parte, Lisa potesse sentirlo. Chiude gli occhi, assaporando quella sensazione indicibilmente “concreta”.

Il suo maledetto corpo, ostinatamente in bilico fra due dimensioni, gli ha permesso di avvertire il tenero tocco di chi non c’è più.
Dean, per la prima volta da quando dondola tra Cielo e Terra, benedice la resistenza della propria cocciuta materia.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


“Che ci facciamo qui?” domanda Dean, titubante, temendo la risposta.
“Ho esaudito il tuo desiderio, Dean.”
Dean si passa una mano sul viso, consumando i 2/3 dell’ossigeno “di riserva”.
 “Perché è qui?!”
“Rapina a mano armata. Credeva che si sarebbe limitato a fare “il palo” ma poi qualcosa è andato storto. Si è ritrovato nel negozio, per dar manforte ai suoi complici. Il commerciante ha reagito. Gli altri due sono riusciti a scappare ma lui…si è fatto prendere dal panico. Aveva una pistola con sé. E’ partito un colpo…”
Dean, serrando gli occhi e scrollando il capo, si appoggia alla recinzione che costeggia il penitenziario.
“Lui ha…”
Delia disconferma all’istante. Dean non merita di restare in quell’angoscia. Dean ha già troppa sofferenza da portare “No, Dean. Il proprietario è stato ferito alla spalla. Ha perso parecchio sangue ma Ben non è fuggito.Gli ha prestato le prime cure. Ha chiamato i soccorsi. Questo ha “alleggerito” la sua posizione, di fronte alla giuria.”
Dean recupera una porzione di ossigeno “donato”.
“Da quanto…da quanto è qui?”
“Ha quasi scontato la sua pena, quattro anni. Uscirà fra quattro mesi.”

Dean avverte la nausea salire. Potrebbe essere qualche detrito ingoiato dal proprio corpo, alla mercè di un temporale che smuove la friabile zolla. Quattro. Quel numero ritorna violentemente. Quattro mesi all’Inferno. Quattro anni… “l’Inferno di Ben”.

Quattro mesi per uscirne.
 
 Quattro.
 
“E’ stato qui…qui dentro per quasi quattro anni?!”
Stavolta Delia non può che annuire.
Dean sferra un pugno sul muro di grigi mattoni. Percepisce le nocche gonfiarsi.
“Dean…se infierisci sul tuo spirito…”
“Lo so…lo so. La mano della “mummia” al “piano inferiore”, aumenterà a dismisura…non m’importa, Delia! Tu non puoi…non puoi nemmeno immaginare cosa  stia provando io, in questo momento…” e Dean sta per colpire nuovamente la parete quando, Morte, gli blocca il braccio.
“Risparmiati. Non è il momento di danneggiarti. Altro tormento sarà necessario” e Delia sfiora delicatamente la mano tumefatta che, immediatamente, ritorna rosea.
“Cosa…cosa intendi?”
“Dean, se davvero vuoi vedere Ben è indispensabile che tu ti ricongiunga con il tuo corpo…”
Dean deglutisce “Con il manichino che sta soffocando?! Con il fantoccio che starà già diventando trafficata superstrada, per un panciuto esercito di formiche rosse?!” ribatte, sarcastico.
“E’ l’unico modo per permettere a Ben di vederti in…carne ed ossa…più o meno.” precisa lei, ironica, ripagando Dean con la “stessa moneta”.
Dean alza lo sguardo al cielo “Grandioso! Effetti collaterali?”
“Sensazione di oppressione al cuore, affanno…insomma…il solito” sminuisce lei. Ormai sa che Dean conosce bene, quell’essere “a metà”.
“Ok… “il solito” va bene, non mi preoccupa. E poi…farei qualsiasi cosa pur di poter parlare con Ben.” risponde Dean, senza esitazione.
“D’accordo. Abbasserò il mio livello di protezione su di te, Dean. Giusto il tempo di materializzarti. Non è una cosa “definitiva”, ovviamente. Il tuo percorso di “scelta” è ancora lungo. Ti aiuterò a sostenere la fatica provata dal tuo corpo. Muoviti lentamente, risparmiando fiato. Se seguirai le mie istruzioni, tutto andrà bene e sembrerai…vivo.”
Sul volto di Dean si dipinge un dolente ghigno “Vivo…” ripete, facendo eco a Delia.
---
“Come hai fatto?!”
“Dimentichi che Morte è una delle creature più potenti dell’Universo. Potrei persino mietere Dio, se lo ritenessi opportuno. Vuoi che non riesca a manovrare la mente altrui?! Ti credono un lontano parente. Sono certi di averti chiesto i documenti e che l’incontro sia stabilito da settimane”.
Dean la guarda ammirato “Perfetto…allora, non mi resta che “andare in scena”, giusto?!”
“Con calma e centellinando i movimenti” lo avvisa, Delia.
“E devo ricordarmi di sbattere ogni tanto le palpebre, come il belloccio di Twilight?!”
Delia, trattenendo a stento una risata, rimbrotta “Cammina, che non abbiamo tempo da perdere!”
“Già…il tempo…è prezioso, in qualsiasi “dimensione”, terrena o ultraterrena…” e stavolta Dean non sembra aver voglia di scherzare.

Il tempo che ha perso. Il tempo che non ritorna. Il tempo che sta impiegando per…mettere la parola “fine”…
al “suo tempo”.
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Ben si dirige, con fare sospettoso, verso il tavolo dove Dean lo aspetta, già seduto.
“Ci dev'essere un errore. Io questo non lo conosco…” dichiara, sorpreso.
Dean avverte l’ansia crescere quando l’agente, perplesso, sta per riportare Ben in cella.
“No! Un momento! Nessuno sbaglio! Devo parlarti, è importante!”
Ben allora, incuriosito, fa un cenno al poliziotto che, pur nutrendo qualche dubbio, lo accompagna da Dean.
Dean l’osserva, mentre il cuore tamburella in petto. “Vivo…”

E’ cresciuto, Ben. Dean riconosce gli occhi chiari del ragazzino che ha amato come un figlio e apprezza la corporatura massiccia. Alto più o meno quanto lui, spalle ampie e bicipiti ben sviluppati. Sarebbe un ottimo cacciatore!

“Chi sei? Che vuoi?!” tuona quella voce da uomo che quasi lo fa sobbalzare. E' un uomo. Non è più quel ragazzino che lo considerava un eroe quando, in realtà, era solo meschino codardo.
“Io…ecco, io sono…”
“Aspetta…aspetta un momento…io ti conosco! Io mi ricordo di te…tu sei…sei … aspetta un momento…sì…sei Dean!”

Dean strabuzza gli occhi credendo per un attimo ai miracoli.
Ma la fiducia nei prodigi divini, con tutto il rispetto per Jack, ha breve durata.

“Si…sei proprio tu! Dean, lo stronzo che, quando ero un ragazzino, ci ha investito!”
Dean annuisce tristemente. “Sì sono…sono io”
“E che ci fai qui?!”
Dean vorrebbe rispondergli, urlando “Che cazzo ci faccio qui?! Qui, sulla Terra! Dio solo sa quanto vorrei saperlo anch’io!”
Ma si limita ad un “neutro” e formale “Io, volevo parlarti di…di tua madre”

Ben sussulta. Il labbro trema. Il busto s’irrigidisce. “Dopo tutti questi anni? Cos’è? Hai grane con l’assicurazione?! Hanno trovato qualche cavillo? Sono dei veri bastardi gli assicuratori!  Guarda che se è così, tranquillo, noi non c’entriamo nulla! Mia madre è morta da anni…per un incidente che non hai sicuramente provocato tu. Stavolta…ha fatto tutto da sola. E’ finita fuori strada…una sera d’inverno. Ma non credo t’interessi.”

Dean ridotto a brandelli rammenta le raccomandazioni di Delia.  
Ma come può mantenere la calma vedendo Ben… “il suo Ben” ridotto così?! Cinico, irriconoscibile, devastato. Come lui. Più di lui.

“No…io…io ho saputo di tua madre…mi dispiace molto. Non è per l’assicurazione. Vorrei aiutarti. “
Ben stringe un poco gli occhi, come se dovesse “metterlo a fuoco”.
“Tu, aiutarmi?! Come?! E soprattutto, perché?!”
Ben è abituato che niente è “gratis”. Tutto ha un prezzo. Nessuno agisce per pura, disinteressata solidarietà.

Li credeva amici. Gli avevano offerto un posto per dormire, quando era scappato dalla casa-famiglia. Ma poi, poche settimane dopo, gli avevano messo una pistola in mano. Nulla è “a titolo gratuito”.
Ora sa che, quel letto, avrà un costo. Ma è disposto a pagarlo. Ormai è l’unica strada che conosce. L'unica che può percorrere. Sa che potrebbe ricondurlo in quell’Inferno. Lo ha messo in conto. Ma oggi è più scaltro. Oggi non tamponerebbe quella ferita e non chiamerebbe il 911. Fuggirebbe, nella notte.
Portandosi appresso la propria coscienza irrimediabilmente nera. Più della notte.

Dean, ignaro dei pensieri di Ben, fa leva sulla tendenza a raccontare fantasiose storie da “dare a bere” alle inconsapevoli vittime, coinvolte in un caso. "Recupera" la sicurezza "posticcia" dell'agente dell'FBI. Gli manca giusto il tesserino di riconoscimento, fasullo. Anche quello. 
“Mi spiego meglio. In realtà conoscevo tua madre ma me ne sono ricordato dopo…quando ormai avevate lasciato l’ospedale. Ho provato a rintracciarvi…”
“Be’… ci hai messo davvero parecchio!” constata Ben, scettico.
“Ehm…sì…sono…sono stato impegnato, all’estero, per lavoro ma, una volta tornato, ho continuato le ricerche e così...eccomi qui. Dei vicini di casa mi hanno raccontato dell’incidente e che tu eri…”
“Finito nei guai? Be’ ti svelo un segreto…” e Ben, guardandosi intorno e abbassando la voce, sibila “Io sono praticamente sempre nei guai! Tu piuttosto…un vero detective eh?! Non ho idea di quante Lisa Braeden ci siano in giro ma apprezzo la costanza…cosa volevi da lei?”
Le labbra di Dean ondeggiano. Ricaccia una nausea prepotente. Aspira con il naso ed espira con la bocca. Maledetto bavaglio invisibile! Ben sembra accorgersene. “Ehi?! Che ti prende?! Stai bene?!”
“Sì…sì…” si affretta a rispondere, Dean “Io…io volevo dirle che…che ci conoscevamo da ragazzi…”
Ben scoppia a ridergli in faccia, con una strafottenza che, a Dean, suona disperatamente sconosciuta.
“Stai scherzando, vero?! Mia madre è…” scappa al ragazzo che, un secondo dopo, si corregge “era piuttosto fisionomista…ti avrebbe riconosciuto quel giorno, all’ospedale!”
Già. Lo avrebbe riconosciuto. Come quando, dopo quasi nove anni, aveva aperto la porta di casa, esordendo con un sorpreso ma sicuro “Dean Winchester!”. Nome e cognome. Senza un minimo d’incertezza.

Sì…l’avrebbe riconosciuto.
Se le avesse concesso il privilegio di rammentare il suo viso.

“Era passato molto tempo e…” balbetta, Dean.
“Boh…mi sembra strano. Allora, se ti ha “resettato”, non devi essere stato un suo grande amico!” conclude Ben, spazientito.
Resettato…un termine da “nerd,” una sovrautilizzata definizione, “rubata” al linguaggio informatico. Ma per Dean è tuono che invade la mente. Anticipando il fulmine che lo colpisce in pieno petto.
“No…non lo sono stato…” ammette amaramente, tossendo.
“Ma sei “fatto”?! Sei pallido come un cencio, respiri a malapena, mi parli della mamma come se dovessi svelarmi chissà cosa…tu non ci stai con la testa! Che accidenti vuoi, da me?!” e Ben pare essersi stancato delle assurde giustificazioni di quell’estraneo che gli sta facendo, letteralmente, perdere le staffe.

Dean riflette. Ben ha tutte le ragioni di essere diffidente. Del resto…nemmeno Dean “si fida”. Di sé.
Cosa può volere un morto che “non è morto”? Un idiota che non è neanche stato capace di morire, come si deve?!
Nulla. Decisamente nulla.

Ma Sam è vivo. Sam, quando capirà che deve “lasciarlo andare”, avrà la forza di prendersi cura di Ben.
Sam non fallirà. Dean è il “fallito” per antonomasia. Il ronzino su cui mai devi scommettere. Sam no. Lui è “il cavallo di razza”, quello vincente.
Quello che, alla fine, fa la scelta giusta. La farà. Anche stavolta.

“Senti Ben…io…io voglio solo aiutarti. Quando uscirai di qui…vai da mio fratello…lascerò il suo numero al direttore e…”.
Ben si alza di scatto, esasperato “Io non conosco te, figuriamoci se, quando finirò di scontare questa merda, chiamerò tuo fratello!”. Il rapido cambio di postura, desta l’interesse della guardia che, poco più in là, assiste al bizzarro colloquio. Si avvicina, rivolgendosi a Dean “Tutto bene, qui?” domanda, con fare indagatore.
“Tutto bene, agente, solo un “pacato scambio di vedute”. Siamo stati tutti giovani, vero? I ragazzi d’oggi poi, si alterano, per nulla. Ci vuole pazienza! Mica come ai nostri tempi che ci facevano “ragionare” a suon di cinghia, giusto?!” svia Dean, con uno dei suoi smaglianti sorrisi convincenti. Ben si risiede, bofonchiando qualcosa che, il corpulento poliziotto, finge di non aver sentito. “Va bene…avete ancora cinque minuti e…calma ragazzo!” aggiunge, strizzando l’occhio a Dean, con fare complice.
Ben annuisce, con un seccato movimento del capo.

Restano di nuovo soli e Ben riprende il “pacato scambio di vedute”.

“Mi spieghi l’utilità di questo “siparietto”?! Tu non sei nessuno per me! Probabilmente non conoscevi neanche la mamma! Sei uno psicopatico che si è “fissato” su di lei! Che ne so, forse ti sei fatto un “film” tutto tuo, vedendola in quel letto d’ospedale! Sola, con un figlio…facile “preda”. Posso anche capirti…era…lei era molto bella…” e Ben si interrompe.
Fa male ricordarla. “Rivederla”. Straordinariamente bella…anche spettinata, senza trucco, con i postumi di un trauma cranico…avvolta in quel camicione ospedaliero a fiorellini…ma non era quello l’ultimo “vestito”.

Non era quello “l’incidente”.
Erano state solo… “prove generali”.

“…ma perché inventarti quest’assurda storia?! Perché non ci hai “provato” subito?! Quando sei venuto a scusarti per esserti “distratto”, alla guida! Ricordo benissimo quel momento! Eri sconvolto. Più di noi!”

Dean trasalisce. Era sconvolto. Più di loro. E Ben se lo ricorda…almeno questo. Può rammentare il suo viso sfatto, gli occhi lucidi, quel giustificarsi a mezza bocca. E’ in qualche modo consolatorio che Ben abbia “percepito” la sofferenza che lo spezzava, dietro la maschera di chi si “scusava”, per un momento di disattenzione.
Si era “distratto”. Dalla “strada” che, per lui, era ormai segnata. La vita del cacciatore.
Non poteva esserci altro.

“Si…io…io ero…sconvolto.” ammette Dean, con il fiato corto, poi “aggiusta il tiro”.
“Sai…non mi era mai capitato di andare addosso a qualcuno. Sono un guidatore prudente, attento…” e, immediatamente, s’immagina al volante dell’Impala. Probabilmente Baby, potesse parlare, avrebbe da ridire su quell’ultima affermazione! Gli “ricorderebbe” il piede sull’acceleratore e i limiti di velocità spesso non rispettati! “…però…tornando a noi…so che ti posso apparire un tipo strano e, probabilmente, lo sono!” conferma Dean, allegro, stemperando “Ma…vedi è…è una scommessa che, ai tempi, avevo fatto con mio fratello.” E gli sembra quasi plausibile. “Ci hai preso…mi ero…mi ero davvero… fatto un film…ma non avevo avuto il coraggio di “provarci”. Lui, Sam, mi aveva rimproverato dicendomi che…be’ che era stata una grandissima cazzata…” e Dean deglutisce perché non sta mentendo. La “parte” relativa alla reazione di Sam è vera. Sam che scuote la testa, in un moto di totale disapprovazione. E lui che si volta rabbioso, distrutto, ordinandogli  di non nominare più Lisa e Ben.
Mai più.

“Lo sapevo! In queste cose ci piglio sempre! Quindi, la scommessa?!” interviene Ben, particolarmente “interessato” a quel risvolto.
“Ho scommesso che…anche se avevo perso l’occasione…sarei riuscito a ritrovarla e a chiederle il numero di telefono!” conclude, Dean, con la faccia del bambino scoperto con le mani nel barattolo della marmellata.
 “Be’, mi dispiace, hai perso la scommessa…sei arrivato tardi…amico…” sottolinea Ben, tristemente.
Dean tenta di respirare tra la “rete da pesca” che avvolge le pareti dei suoi polmoni. Forellini sempre più piccoli. Maglie sempre più strette. “Già…lo so. Sono arrivato tardi.” dichiara, abbassando lo sguardo. “Ma…non per te…non è tardi per te. Mio fratello Sam può offrirti una sistemazione…”
“Perché?!”
“Perché…perché…” riprende Dean, in cerca di quell’ “estro creativo” che, spesso, lo ha tolto dagli impicci.
“Pensa Dean. Dannazione, pensa! Sta abbassando la guardia, gli stai risultando quasi simpatico…” si ripete cercando le parole che possono cambiare…
la vita di Ben.
E la morte di Dean.

La parola che gli viene in mente, è una sola. Amore. Non servirà a “riabilitarlo”. Anzi, Ben, a questo punto, sarà sicuro di trovarsi di fronte a un pazzo. 
Ma l'amore, in fondo, non è un po' follia?!

“Perchè…ti sembrerò uno sciocco, un inguaribile romantico ma è…è stato “amore a prima vista”, con tua madre! Non c’è stato giorno in cui io non abbia pensato a lei…” e Dean non teme di apparire bugiardo. Non stavolta.  “Anche se lei non c’è più io…io vorrei, prendermi cura di te…”

Ben ritorna subito sulla difensiva. La sua esistenza è già abbastanza incasinata così, senza lasciarsi coinvolgere da un uomo che, passati i 40, completamente “svitato” e affezionato a un “fantasma”, vuole “giocare” a fare il padre! Probabilmente, nonostante il bell'aspetto,  è uno che non ci sa fare con le donne…se per, tutto questo tempo, è rimasto legato al ricordo di una che, involontariamente, ha quasi ucciso!
Sarà un solitario, mentalmente disturbato. Forse un trauma infantile. E, il Sam di cui parla, è il povero fratello che, tra antidepressivi e lunghi periodi di psicoterapia, se n’è fatto carico!
“Ok…ok…frena, amico. E’ tutto molto romantico, tutto molto “biscotto della fortuna" ma non vado matto per la cucina cinese e sono uno con i piedi per terra! Credimi...questa conversazione non porterà a nulla. Me la caverò.” esclama, risoluto.
Dean lo vede alzarsi, stavolta in modo sereno ma deciso. “Comunque…grazie della visita…non ne ricevo molte e, per quanto tu sia un tipo decisamente “strano”, non sei male.” Ben gli tende la mano e, in quel momento, Dean nota che i polsi del ragazzo hanno delle cicatrici. Deglutisce, soffermando lo sguardo su quei segni.
Ben si stacca rapidamente dalla stretta, abbassando svelto le maniche della divisa.  Poi, con la voce che si fa leggermente tremula, fornisce una risposta al silenzioso quesito “L’inizio non è stato facile ma…ora mi sono abituato. Ora è diverso”.
Dean, abbattuto, senza approfondire, insiste “Chiama Sam…chiamalo, quando uscirai da qui…”
“Perché Sam? Perché non puoi darmi il tuo numero, se ci tieni tanto?!” chiede Ben, sempre più convinto che, questo Dean, entri ed esca da cliniche per malattie mentali!
“Io…io sarò…in Europa…per almeno un anno.” ribatte Dean, fiero della propria prontezza di spirito.
“Wow! Per lavoro?” sta al gioco,Ben.
“Si…per lavoro…” conferma Dean, immaginando Delia ai vertici di una grande e importante holding. E lui in attesa di andare…in trasferta.
Ben finge di credere a Dean. In fondo deve essere un brav’uomo. Forse aveva solo bisogno di ritrovare “l’amore della sua vita”. Forse, se non fosse arrivato tardi, sarebbe guarito. E, quel povero Sam, non continuerebbe a pagargli anni di analisi!

“Allora…in questo caso…buon viaggio, Dean” quindi Ben si volta verso l’agente di custodia. “Guardia? Qui abbiamo finito”.
Ben si allontana, senza voltarsi indietro. A Dean esce un “Grazie…ciao, ragazzo…” desolato e malinconico.

Hanno finito.
Ma non c’è “fine” per Dean Winchester.
---
Dean, dopo aver parlato con il direttore, esce dal penitenziario. Dall’altra parte della strada c’è un viale.
Si appoggia al tronco di un albero. I colori accesi dell’autunno rimbalzano sullo spento grigio di quel moderno inferno, tradotto in sbarre. La invoca. Sfiancato. E Delia gli si para davanti.
“Quando…quando uscirà…metterà la testa a posto?” domanda in un sussurro lacerato, come se, l’esercito di formiche rosse, stesse scavando gallerie sottopelle.
“Non lo so, Dean. Ma ci sono buone possibilità che torni con i delinquenti che lo hanno trascinato in tutto questo.” sentenzia Delia.
Dean serra gli occhi per un istante, poi li riapre, fissandola con disprezzo.
“Ho lasciato il numero di telefono di Sam, al signor Hunter, il direttore. Mi ha detto che è un bravo ragazzo, che in carcere ha studiato, ha partecipato al programma di recupero, si è distinto per buona condotta…può farcela, Delia!” controbatte Dean, che non può rassegnarsi a “quel Ben”.
“Potrebbe, Dean. Come tu avresti potuto restare con loro. Non so se Ben troverà il coraggio di credere in sé stesso…tu credi in te stesso, Dean?” domanda lei, con tono malevolo.

Ma Dean non cede alla provocazione. Non vale la pena parlare di sé. Non vale mai la pena.
Meglio concentrarsi su Ben.

“Io non c’entro nulla! Non si tratta di me! Io devo solo riuscire a morire, una volta per tutte! Ma lui no! Lui non può arrendersi! Il direttore mi ha raccontato che…che era in carcere da meno di un anno …quando…”
“Un mietitore era pronto a raccoglierlo. Ma un suo compagno di cella ha dato l’allarme in tempo.” taglia corto lei, apparendo decisamente “poco sensibile”, all’argomento. E’ pur sempre Morte.
Dean sospira, lasciandosi cadere, ai piedi di quel fusto che gli ricorda l’odore di una catasta che, adesso, starà marcendo. Come lui.
“Non chiamerà Sam, vero?”
“Non lo farà, Dean…mi dispiace.” conferma Delia, distruggendo ogni flebile speranza.

Dean, aguzzando la vista, individua un quadrato di cielo, tra le fronde variopinte, illuminate dal lampione.
Il cielo non gli è mai parso tanto scuro, profondo, buio.
Irraggiungibile.

 “Aiutami Delia…fammi passare oltre…” la implora, con le lacrime agli occhi.
“Non posso, Dean. Dobbiamo tornare vicino al tuo corpo. Almeno per un po’.”
“Perché tu possa godere, nel vedermi soffrire, diventando cibo per vermi?” e non c’è rabbia in Dean. Solo conscia frustrazione.
“Dean… devi tornare nel tuo corpo…alle “condizioni” che t’impone il tuo corpo.”
“Non ti ho chiesto io di farmi fare questo schifoso "zombie-tour", in un presente che non posso cambiare!” esclama Dean e, stavolta, l’ira prevale sulla rassegnazione.
“Sto agendo per il bene tuo e di Sam” ribadisce lei, impassibile.
“Il bene di Sam sarebbe lasciarmi andare! E anche il mio! Se solo potessi… decidere io, per entrambi!” arranca, Dean.
Delia lo scruta, cupa “Dean…deciderai. Ma non sarai il solo a… decidere.”
“Cosa accidenti significa?!!”
“Non porre domande, Dean. Cerca risposte”.

Risposte…

Dean riflette. Non ribatte. Non più. La seguirà, in silenzio. Ha fatto la sua “scelta”.

Resterà in quella “terra di mezzo”, fin quando sarà necessario. Sarà divorato piano piano. Smembrato lentamente. In fondo, lui per primo o, almeno, una parte di lui, ha scelto di non prendere quel “taxi per il Paradiso”.
E allora sarà l’ennesimo Inferno. Non può sottrarsi.

Come non può evitare a Ben di ricadere nel proprio.

Come non può obbligare Sam ad essere l’infallibile “cavallo di razza”. Anche Sam, bloccato dalla paura, può fermarsi, davanti alla staccionata.

Non ci sono “risposte”.
Solo “scelte”.
---
E’ trascorsa più di una settimana.
Gli escrementi di Miracle sono sparsi ovunque, per il bunker. Ha guaito. Ha abbaiato fino a perdere la capacità di farlo. Ora gli esce un gutturale latrato che può sostenere per pochi secondi. Si è fatto sanguinare le zampe contro lo stipite dell’ingresso. Ha provato a mordicchiare la mano di Sam e ha addentato il fondo dei suoi pantaloni, sfilacciandoli.

Non è servito a niente.

Miracle ha continuato a scodinzolare, in attesa che Sam aprisse la porta e lo portasse con sé. Invece nessuna corsa mattutina o passeggiata serale.
Una porta sigillata. Da cui non filtra nemmeno un riverbero di luce.

Sam è diventato sempre più “sbiadito”. Uno spettro. A metà. Come Dean.

Ha scartabellato ogni testo della biblioteca. Pile di libri. Cumuli di sapere, disseminati nel salone...tra le feci di un cane che non si arrende. 

Sam è smagrito in modo incredibilmente rapido, continuo, incessante.
 La pelle ha assunto un colore grigiastro e gli occhi sono contornati di un blu che dà sul violaceo. Ormai del cibo non avverte più necessità. Ha le labbra secche perché, da 48 ore, anche assumere liquidi non pare più una priorità. In quanto a dormire…non si ricorda l’ultima volta che è riuscito a riposare, per un’ora filata.
Forse mercoledì. Ma oggi…oggi è sabato. O domenica.

Non importa. Ciò che conta è che è solo un giorno in più sottoterra.
Per Dean.
Un giorno in più sulla Terra. Per lui.
Senza Dean.

Non ha trovato soluzioni. Non c’è modo per riportarlo in vita se non con un patto con un demone degli incroci. Ma è un’ipotesi fuori discussione. Dean, una volta scoperto lo stratagemma, lo invocherebbe a sua volta, “rivedendo” i termini del contratto.

La seconda alternativa è un antico incantesimo che avrebbe conseguenze per il mondo intero. Creerebbe una sorta di squarcio come quello da cui sono usciti tutti i mostri che hanno combattuto. In questo caso, i vampiri di quel fienile si moltiplicherebbero, perpetrando il medesimo crimine. Con vittime diverse. All'infinito. Il ritorno di Dean implicherebbe “il loro ritorno”. Sotto forma di esercito. Quanti erano, ognuno moltiplicato per cento. Scorrazzerebbero indisturbati, cloni del Male, a rapire bambini. Sam non si fermerebbe, farebbe di tutto per "risolverla" ma Dean non potrebbe mai accettare un simile “effetto collaterale”!

La terza via è quella meno pericolosa per il mondo ma più agghiacciante e destabilizzante per la famiglia. “Offrire” a Dean un corpo non suo. Prendere un poveretto, scegliendo qualcuno che abbia un fisico asciutto e possa essere definito “attraente” (Dean vorrebbe così...) e poi creare una sorta di “doppio altare”, su cui posizionare Dean è il suo “nuovo contenitore”, stabilendo tra i due una “connessione”. Il macabro rito suggellato da un’antichissima formula che, al momento, Sam è riuscito a decifrare solo in parte. Una sorta di moderno Frankenstein. Sam sa che Dean potrebbe odiarlo per questo. E probabilmente Sam stesso faticherebbe ad abituarsi a vedere, alla guida dell’Impala, un perfetto sconosciuto che parla, si atteggia e ha il temperamento di Dean.
Ma abituarsi a quel posto vuoto...non è un opzione. E allora meglio...
Frankenstein.

Sam non ha più forze ma deve tradurre il resto della formula. Deve. Non può fare altro. Non vuole fare altro. Quella pergamena scovata per pura fortuna, nella parte più recondita dell'archivio, è la sola speranza.

 Sam non beve un sorso d’acqua, non si nutre, non riposa. Continuando così non dovrà più preoccuparsi di “come far tornare Dean.”
Lo raggiungerà presto. Sembra che non se ne renda conto.

Ma qualcuno ha ben chiaro che il cuore di Sam cederà tra quelle carte. Non può permettersi di perdere anche lui...

Miracle alza la zampa è la sua urina, dall’odore penetrante, ingiallisce irrimediabilmente la formula tradotta in ore di duro lavoro. L’inchiostro svanisce all’istante. Con un estremo, impertinente "atto d'insubordinazione", si sposta leggermente, "puntando" al delicato papiro. Miracle forse odia l'idea di un Dean "non Dean." 

“Miracle! No!” grida Sam, trascinandosi verso il povero animale e, in un moto di esasperato nervosismo, sta per tirargli un calcio ben assestato. Miracle abbassa le orecchie e mugugna preventivamente, intuendo le intenzioni di Sam.

Sam si blocca. Il piede resta a mezz’aria. Perde l’equilibrio, cadendo in mezzo a quelle pagine maleodoranti.

“Scusami…scusami, piccolo…” ammette Sam, guardandosi intorno.

A fatica si rialza. Le scale sembrano muoversi, prendendosi gioco di lui, come se fossero uscite dal set di Harry Potter. Riesce ad arrivare alla maniglia, con Miracle che lo segue speranzoso.
La luce del giorno quasi lo abbaglia. Non ci è più avvezzo.

Esce dal bunker. 
Deve arrivare al parco. Non può andarci a piedi. E’ troppo debole.
Si mette alla guida dell’Impala. Anche se non vorrebbe essere lui al volante. Fa sempre più male. Ogni giorno che passa.

Miracle,ansima, sul sedile del passeggero, scuotendo Sam che, a stento, mette in moto. 
Miracle ha bisogno di correre.
Sam ha bisogno di dormire.

Gli occhi di Sam si chiudono, alla prima curva.

Non c’è più il sole di quell’autunno inoltrato. L’ultima cosa che vede è il giallo, l’arancione delle foglie secche. E poi il rosso, tendente al bordeaux.
Ma non è certo che sia il colore delle foglie.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Un retrogusto amarognolo in bocca. Una mistura di zinco associata a granelli di altro minerale… non meglio definito. Forse qualcosa “galleggia” ancora, tra tonsille e palato. Vorrebbe rigurgitare quella sorta di bolo ferroso ma, per farlo, dovrebbe almeno potersi voltare su di un fianco, restituendo una sorta di baricentro al proprio stomaco. Arduo “riorientarsi” quando “vedi” solo buio.
Ciglia serrate e collose. Come se qualche sadico angelo gliele avesse cucite “a mano”, con crudele perizia.
 
Valuta attentamente le sensazioni che provengono dal proprio corpo. Cerca di “scomporlo”, tracciando linee immaginarie che ricordano un po’ le sezioni dell’Uomo Vitruviano di Leonardo. Deve farsi “misura” di quella superficie che non distingue, pur avvertendone l’attrito sul dorso. La parte destra è rigida, un blocco di calcestruzzo.  La sinistra pare essere meno caparbia. Può tentare di “forzarla”.
Il pugno si distende a ventaglio e non importa quanto le dita, stranamente intirizzite, “scricchiolino”, come  rami sferzati dal vento. Prova a muovere il braccio, a “rallentatore”, avvertendo un formicolio che interpreta positivamente.

Ma la palpebra continua ad essere ostrica che, risoluta, racchiude perla opaca. Quel guscio non vuole obbedire al comando di un cervello trivellato, ritenuto poco affidabile.

Si aspetta che, a breve, qualcuno decida per lui, “sparandogli” addosso un fascio di luce artificiale con una di quelle minuscole torce tascabili, all’apparenza innocue…ma letali per il bulbo oculare che rifiuta di “collaborare”.  Meglio far da sé e non indugiare. Pollice e indice riconquistati, fanno leva sull’ostile membrana. Tollera la cornea che urla. Vorrebbe fare altrettanto, unendosi al grido di quell’occhio violentato. Ma riesce ad imporsi il silenzio. In fondo ha una soglia del dolore piuttosto elevata. Una personale “scala Richter della tortura”, costruita grado dopo grado, dall’adolescenza in avanti.
Ben presto anche l’altro occhio s’arrende.

Avrebbe dovuto “ascoltare” la congiuntiva in fiamme che, da solerte “sentinella”, lo supplicava di starsene “buono”.
Ora vede. Ed è l’inizio della fine.
---
Un brivido lo pervade mentre una goccia di sudore gelido scivola lungo la tempia pulsante. II neon, la lingua impaniata, l’odore di disinfettante. Voci arrochite provenienti dal corridoio fanno da contraltare ad altre che, limpide e pacate, tentano di quietarle. Mette a fuoco la stanza angusta dall’arredamento spoglio. Un cubo che, come diceva “lui”, ricorda la Gabbia.

Lui.

Eccolo. Tra tavolino e armadio. In piedi, con un libro in mano. Non lo “saluta” con una freddura sprezzante o una delle sue mimiche facciali inconfondibili. Si “limita” a gridargli nelle orecchie “Good Morning Vietnam!”, facendolo sobbalzare. Il cuore arriva a mille in un decimo di secondo.
 
Il sapore sgradevole che ha nelle fauci secche prevale su tutto. Sam deglutisce il nulla, umettandosi le labbra nello strenuo tentativo di “produrre” saliva.
 
“Sam…”
Non è Lucifero a parlare. Il Demonio se ne sta là, con aria indifferente, a leggere il suo tomo. Un tranquillo e abitudinario “studente” pendolare, alla fermata della metro. Non dice una parola, alza solo un poco la copertina, mostrandogli la scritta che campeggia sopra caotiche geometrie dai colori sgargianti. Il titolo, in minaccioso grassetto, “Manuale di Psichiatria”, precisa in modo inequivocabile la materia trattata.

Non dovrà fingere con Dean. Non dovrà giustificarsi per averlo “tradito”, accecato dalla follia di quella perdita.
E’ impazzito.
Per davvero.
 
E’ questa la punizione divina. E’ arrivata, puntuale e inesorabile, come la mannaia del Cavaliere che non si può ingannare.
Sebbene Jack abbia dichiarato che non avrebbe interferito nell’umana esistenza, non può fargliela “passare liscia”. Anche se ama Dean come un padre. Anche se Sam sarà sempre… un padre.

Ma Jack, oggi,  è  Dio…padre.

Ha delle responsabilità. Sovvertire le regole di Morte non è qualcosa che puoi “perdonare” facilmente.  Sam sa di meritarselo, ma non può pensare di convivere nuovamente con lo strazio che non concede tregua, fosse anche solo una situazione “provvisoria”, architettata da Dio per fargli “imparare la lezione”.

 Il tempo cura ogni cosa. Così dicono.
Sbagliano.
Ci sono cose che il tempo non cura.
 
La sua anima non ha più bisogno di un muro di cartapesta che funga da fragile protezione.
La sua anima è ferita ma integra. E’ “autosufficiente” e libera.

Sam è consapevole che Lucifero è stato annientato ma… ricorda perfettamente quelle visioni. Ogni cosa…che il tempo non è riuscito a “curare”.

Ha ben impresso in memoria il resoconto nitido e conscio di ciò che lo attende.
Un’ allucinazione incessante capace di risucchiare, in mulinello senza ritorno, la più strenua cellula cerebrale.
Morirebbe. Nel giro di pochi giorni. E allora…perché aspettare?

Prende atto delle sbarre alle finestre e, a questo punto, è inutile capire a che piano si trovi. Dovrà pensare a un altro…piano. A volte persino le parole si prendono gioco di te in un bizzarro, grottesco e oscuro balletto di sinonimi.
“Sam…ti prego…guardami…” propone la voce femminile, gentile e morbida.
E’ vestita da infermiera e questo non lo rassicura. Un’ambigua trasposizione, un inganno della sua mente perforata. Potrebbe “interpretare” Meg quando le affidarono Castiel che, pentito di ciò che gli aveva inflitto, si era fatto carico del suo tormento. Potrebbe rappresentare il Vuoto. O Morte stessa.
 
“Sam…” ripete lei, ancor più premurosa “…come ti senti?”
Ma Sam, impaurito, indietreggia sul cuscino. “Tu…io…non puoi essere qui. Io non posso essere qui…è un incantesimo…è la mia punizione…tu non sei reale!”  e intanto, con la coda dell’occhio, scorge Lucifero sfogliare il trattato. Si è soffermato su una pagina. Gliela mostra, con il suo fare canzonatorio, posizionando l’indice sul paragrafo che sta leggendo attentamente. L’ inchiostro è condanna, senza possibilità d’appello: “Schizofrenia”.
Sam prende a tremare, digrignando i denti.

Lei sospira. Come dargli torto?! Se toccasse a lei l’essere accartocciata in quelle lenzuola…se lo vedesse entrare con gli occhi cerchiati, il labbro spaccato e il colorito grigiastro…non potrebbe reagire allo stesso modo?! Forse anche lei non darebbe troppo peso alle due coppie di rughe che, ad ogni cambio d’espressione, “si manifestano”, sulla fronte appena più ampia. E non si soffermerebbe sui capelli leggermente più corti. Per quanto il suo lavoro l’abbia abituata a confrontarsi quotidianamente con il sottilissimo confine tra “realtà” e “delirio”, crederebbe di trovarsi nel bel mezzo di una “frattura temporale”. Penserebbe di esser stata gettata a forza in qualche stramberia che appartiene a…quel mondo.

 Il mondo di Sam.

Se Sam fosse l’ignaro “disegno” su una di quelle riviste di cruciverba dove, nel titoletto, ti suggeriscono: “Trova le differenze”, lei potrebbe mettere una bella “crocetta” su quella fasciatura che riveste parte della nuca. La ferita era profonda. Questo è il particolare “nuovo”, degno di nota. E’ "l'indizio" che prevale su qualche capello in meno o sui segni che, ogni brindisi di Capodanno, ha lasciato sul volto di Sam.

Il volto di Sam… devastato dalla mancanza di sonno e di cibo. Come allora.
Qualche escoriazione qua e là. Come allora.

Due vignette pressoché identiche.
Una copia quasi perfetta di Sam.
Una copia quasi perfetta di Marin.

“Sam…sono io, sono davvero io! E non è un inganno della tua mente o un maleficio. Sono Marin…lavoro qui. Da circa un anno” spiega la ragazza, porgendogli un bicchiere d’acqua che Sam non accetta.
Marin annuisce tristemente. “Oh…certo…che stupida!”. Beve lei per prima e poi ritenta “Non è un imbroglio, è solo acqua…Sam, per favore…”
E’ un trucco. Accettare quell’invito è un sicuro azzardo. Se ne pentirà. Ma la gola va a fuoco e l’Inferno di Lucifero ha già “divorato” parte dell’epiglottide.
Porta il bicchiere alla bocca accorgendosi, con terrore, di quanto i denti picchiettino contro la plastica. Inghiotte.
E’ fresca. E’ insapore. E’ inodore.
E’…acqua.
Ma questo non vuol dire che possa “rilassarsi”.
“Sei nella mia testa. Sei solo nella mia testa! Vai via! Esci da qui!!” e, quel “qui”, per Sam non è solo luogo “fisico” ma interiore. Deve “buttarla fuori” dall’inconscio che si sta burlando di lui.

Marin comprende che sarà complicato. Più del solito.
Anche Sam, impegnandosi, può scovare “le differenze” e “risolvere” il quiz della settimana enigmistica.

 “Sam, guarda il mio collo…”
Sam distoglie lo sguardo, respingendola.  Osservarla con più attenzione non farebbe che incentivare quell’immagine psichica che deve cacciare…non può cadere in quell’ennesimo tranello! Ma i suoi occhi sempre più sgranati e irresponsabili accettano la “sfida”. Sam alza lentamente il capo, squadrando il punto di pelle indicato dalla donna. Ricorda che aveva una medicazione piuttosto estesa…ora, al posto del cerotto, c’è la cicatrice di un’ustione…piuttosto estesa.

Sam conosce il responsabile di quel “marchio”.
Lo spirito del fratello morto...che la voleva con sé.
Come lui rivuole Dean. Con sé.

Sam  coglie un diverso taglio di capelli, leggermente più scuri, e una sottile increspatura verticale, tra le sopracciglia che s’incontrano. Le parole di Marin, gradualmente, sembrano meno minacciose. Ma è presto per dichiararla “concreta” e non sinistro ologramma.
“Sam…qualche mese dopo il nostro incontro, ho deciso di proseguire gli studi. Sono diventata infermiera e ho scelto di lavorare in ambito psichiatrico, per assistere chi vive quello che…che ho passato io. Nella mente umana ci sono tanti “fantasmi”, Sam. Non li puoi tener lontani con scorte di sale. Ci vuole preparazione, sensibilità e molta paz…”
"Perché...perché dovrei fidarmi?!" la interrompe Sam, confuso e sconvolto.
"Perché non hai altra scelta...ricordi, Sam? Io… mi sono fidata…di te...ora ti chiedo di fidarti…di me!”
Lei si è fidata. Sam rammenta alla perfezione le parole pronunciate allora, per convincerla ad accettare il suo aiuto e decide di…fidarsi.

 “Sei…sei davvero tu? Non sei un sogno, una creazione del mio subconscio?!”
“Sam…sono reale!” e Marin cautamente domanda “E’ tornata? La “voce”, Sam… è tornata?”
Sam sposta lo sguardo tra armadio e tavolino. Lucifero è sparito. Forse era solo uno dei suoi soliti incubi, un tragico dormiveglia, indotto dai farmaci. Si arrischia a rispondere in maniera negativa “No…non è tornata…”
Marin si lascia scappare un respiro più ampio, ma è ancora in cerca di risposte.
“E allora mi spieghi come fai ad essere ridotto così?! Ti ho riconosciuto subito, dal vetro, senza bisogno di entrare nella stanza! Sei arrivato qui disidratato, con tutti i segni clinici di chi non dorme da giorni e sei decisamente sottopeso. Deliravi, pronunciavi frasi sconnesse. Hanno dovuto sedarti. E’ tutto…è tutto come allora, Sam! Solo che, stavolta, non ti hanno investito ma eri tu alla guida. Sei andato fuori strada, schiantandoti contro un albero. C’era un cagnolino con te…”
Il particolare di Miracle scuote Sam. Un’altra… “differenza”.
“…lui…lui…dov’è?!”
“Non agitarti…sta bene” lo tranquillizza lei “era solo spaventato a morte. Non si è allontanato dall’auto. Ti leccava il viso. E’ stata una vera fortuna che, in turno, ci fosse Paul. Il paramedico che ti ha soccorso è un accanito sostenitore della pet therapy. E’ finito spesso nei guai per questo…  appena scopre che un degente ha qualche animale domestico ad “aspettarlo”, non esita ad organizzarsi per farlo entrare qui, di nascosto. E funziona! Ha un effetto benefico sui pazienti!” esclama Marin, entusiasta “Paul si è convinto che il cane fosse tuo.  Lo ha caricato sull’ambulanza. Era certo che, l’averlo accanto, ti avrebbe aiutato a riprendere conoscenza. In effetti, mentre lui mugolava, i tuoi parametri sono migliorati. Adesso è a casa sua e sono certa che gli darà doppia razione di cibo e coccole!”
“Grazie a Dio” sospira, Sam, abbozzando un sorriso, pensando per un attimo a Jack.
“Ora che abbiamo stabilito che il cane è tuo e che non siamo vittime di un sortilegio o intrappolati in un insensato déjà-vu…cosa ti è successo, Sam?!” conclude Marin, con tono severo.

Sam deglutisce e gli occhi si fanno poco più che fessure.
“Mio fratello…Dean…lui è…è…”
Marin s’incupisce, gli accarezza le mani tremanti e ghiacciate. Le strofina energicamente per scaldargliele, pur sapendo che, quel gelo, non svanirà.
“Mi dispiace tanto, Sam…”
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“Lui…lui è qui?”
“No…non è uno spettro. Dean era pronto. Credo che la sua anima ormai sia in pace ma io…io quella pace non la voglio, Marin!” afferma esasperato, Sam. “Ho conservato il suo corpo. Sto cercando il modo per…” e Sam stenta ad ammettere quella verità. A Marin. E a se stesso. “…per farlo tornare…” conclude, con un fil di voce.
 
Lei lo scruta con aria sgomenta ma non giudicante “Sam…nessuno meglio di me può comprenderti ma ho visto cos’era diventato mio fratello…dovevo lasciarlo andare…me lo hai insegnato tu, ricordi?”.
Sì, ricorda anche questo. Ma è facile “mettersi in cattedra” quando non sei direttamente coinvolto.
“Lo so ma…non ce la faccio, ci ho provato ma…non posso. Lui non è pericoloso. Non è un fantasma impazzito. Quando lo riporterò in vita tornerà ad essere De…” ma un conato di vomito interrompe l’ardita “spiegazione”. Lei, lesta, gli porge la traversa che, per precauzione, aveva già posizionato ai piedi del letto.
“Scusa…scusami…” sussurra Sam, profondamente a disagio.
“Non ti preoccupare… se sei schizzinoso non scegli questo mestiere! Tutto nella “norma”.  E’ il trauma cranico. I medici hanno parlato di lesione da monitorare.”
E Sam dà un senso alla nausea “tradotta” in briciole ferrose sulla lingua.
Marin gli pulisce delicatamente le labbra cambiando discorso. Meglio non parlare di Dean.  Meglio ricondurre Sam a “chi” lo sta aspettando. Ed è vivo.

 “Chiamerò Paul e gli dirò che, anche stavolta, ci ha visto giusto. A proposito…come si chiama il tuo cane?”
“Miracle…si chiama Miracle…” risponde Sam, meditabondo.
“Be’ è…è davvero un bel nome…”
“Lo ha scelto Dean. Era Dean il suo padrone…”
“A giudicare da come ti ha vegliato dopo l’incidente credo che adesso sia tu…il suo "capo branco", almeno fin quando…insomma…fin quando non troverai una soluzione…”
Sam annuisce stancamente mentre lei sostituisce la traversa con una pulita “In caso di bisogno ma credo che ormai il peggio sia passato…ora cerca di riposare un po’, ok?”
“Ci proverò.” afferma Sam, poco convinto. Poi, mentre Marin si allontana, dirigendosi alla porta, la richiama “Aspetta…ancora una cosa…quanto dovrò restare qui?” domanda, impaziente.
“Hai vomitato…dovrò segnalarlo…” comunica lei, con tono improvvisamente professionale.
Sam comprende che deve riportarla a un registro comunicativo più confidenziale. Ha bisogno che Marin sia “dalla sua parte”.
“Per favore Marin…non farlo. Mi conosco, è una semplice commozione cerebrale…”
“Sam, potrebbe essere una complicanza rilevante. Potresti aver bisogno di un intervento chirurgico per rimuovere l’ematoma…non posso tacere, è troppo rischioso.” conclude lei, perentoria.

Un intervento chirurgico…sa che non sarà la “lobotomia” che gli “paventava” Lucifero, terrorizzandolo. Ma non può perdere tempo prezioso a…farsi trapanare il cervello! E’ già “schiumarola” che tenta di trasformarsi in mestolo.
“TI prego…Marin. Non dire nulla. E’ la conseguenza di ciò che ho vissuto negli ultimi dieci giorni…non dormo a sufficienza e praticamente digiuno…da quando…”
Marin fa un cenno di dissenso “Così non va, Sam. Non puoi continuare ad autodistruggerti…” poi, rivedendo la propria decisione, acconsente “Ok…faremo come dici tu. Ma al prossimo conato suoni il campanello e io avviso la caposala. Intesi?”
“Intesi…” obbedisce, Sam, grato di quella provvidenziale “complicità”.
Marin, dal canto suo, pur restando “in allerta”, vuole che Sam ritrovi un po’ di speranza. E non può ritrovarla temendo di restare a lungo ricoverato “Domani il medico ti visiterà. Probabilmente, deliri e allucinazioni, verranno imputati al trauma cranico…se non subentrano complicazioni, nel giro di qualche giorno, ti dimetteranno.”
Qualche giorno. Una settimana. Un'altra. Per lui...e per Dean.
Troppo.

“Io…io non posso rimanere più di un paio di giorni…” e non serve che Sam entri nei dettagli. Marin comprende il motivo sotteso all’esigenza di “guarire”, in fretta.
“Adesso non pensarci…vedrai che, se seguirai le indicazioni dei medici, ti riprenderai prima del previsto.” lo consola, controllandogli la flebo. “Ora devo andare altrimenti la mia collega mi terrà il broncio per il resto del turno, è una tipa suscettibile! Mi raccomando Sam, non tradire la mia fiducia...”
Sam afferra debolmente il campanello, tenendolo a portata di mano. Marin non è un’ingenua. Non gli permetterà di “imbrogliare”.

Marin, lasciando la stanza, chiude la porta dietro di sè e Sam si auspica di non dover pigiare quel dannato pulsante.
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Sono trascorse da poco le dieci di sera e Sam non ha avuto bisogno di premere il tasto di emergenza.
E’ riuscito a dormire. Non sa per quanto. Forse un paio d’ore. Prima che lui lo svegliasse con un lungo applauso… “a scena aperta”. Sam è sobbalzato. Ma, fortunatamente, al posto dell’inquietante Lucifero, ha scorto la confortante Marin.

“Tutto bene, Sam?”

Marin si aspetta uno schietto “No…non proprio…” ma, quando riceve un “depistante” e frettoloso “Sì…si certo…sto molto meglio.” non si stupisce più di tanto. L’assenza di emesi, dal punto di vista della prognosi, la rasserena ma Marin sa che, un’allucinazione visiva, può “bucare” il cervello più di una craniotomia.

E’ lungimirante Marin.

“Ho cambiato turno. Domani farò la notte. Il reparto, a quell’ora, è più tranquillo. Potrò stare un po’ di più…con te.”
“No…non voglio metterti in difficoltà…” si irrigidisce, Sam.
“Sam…ho fatto un favore alla mia collega, lei odia il turno di notte! E poi il medico responsabile lo sa che mi prendo a cuore i nuovi arrivati…non lo troverà insolito! Così ti terrò d’occhio… e vedrai che non dovrai prolungare la tua degenza. Chiacchiereremo, mi racconterai quello che “mi sono persa” e io ti parlerò della mia smisurata passione per Jung...ti distrarrai e Charles Manson se la darà a gambe levate!” dichiara Marin, vagamente solenne.
“Grazie…Marin…” sussurra Sam.
“E poi…poi decideremo cosa fare…con …”
Sam torna sulla difensiva “E’ fuori discussione, Marin. Io non voglio coinvolgerti.” chiude, categorico.
“Giusto, è “fuori discussione” che io …ne resti “fuori”! Sono già coinvolta, Sam. Tu mi hai aiutata…con mio fratello. Io ti aiuterò con il tuo…”

Poi, dopo aver frugato nelle tasche, gli offre una barretta di cioccolato confezionata.
 Sam sorride “Vai sempre matta per gli snack ipercalorici?”
“Sempre… ma non li rubo più! L’ho presa alle macchinette…però devo ammettere che, l’adrenalina della cleptomane, un po’ mi manca!”
Sam concorda, divertito.

“Te ne lascio una metà, per lo spuntino “di mezzanotte”, ora che la nausea sembra darti tregua...” quindi Marin scarta la barretta e, lasciandola sul comodino, motiva “Nel caso le mani tremassero un po’ troppo…”.
Sam apprezza quel gesto così tenero e spontaneo.
“Riposa, Sam…ci vediamo domani mattina”
“Ma mi hai appena detto che sarai qui per il turno di notte…”
“Appunto…quindi ho la mattinata libera!” annuncia Marin allegra “Così ti darò notizie di Miracle e ti porterò qualcosa di commestibile…la colazione qui non è granché…almeno per me che vado matta per i cornetti appena sfornati!”

Sam non è abituato a tali premure. Lo conosce appena. Marin non è Jody o Charlie. Non fa parte del “loro mondo”. Ha avuto una tragica esperienza personale di “contatto con l’aldilà”. Ma niente più di questo.
Marin non è che una “vittima”. Una di quelle tante “vittime” che loro hanno incrociato, tra un caso e l’altro. Non gli deve nulla.

“Marin…non sentirti in dovere di essere gentile con me, non sono che un semplice paziente…non hai nessun debito nei miei confronti…è stato tanto tempo fa…e poi era…è il mio lavoro…” spiega Sam, quasi in imbarazzo.
 E’ il suo lavoro. Lo è ancora.
Anche se Dean non c’è più…a guardargli le spalle.

“Sam, lo so che è il tuo “lavoro”… ma tu eri a un passo dalla morte! Avresti potuto fregartene, concentrarti su te stesso invece di ascoltare i deliri di una perfetta sconosciuta! Ricordo ogni cosa, Sam. Ti muovevi a fatica e percepivo quanto stessi lottando contro la tua angoscia. Quando hai ammesso di non farcela a tracciare il cerchio di sale…eri schiacciato dalle visioni, Sam. Lo so bene. Ma hai resistito, hai mantenuto la lucidità necessaria a guidarmi, per portare a termine il rito. Mi hai permesso di “liberare” mio fratello e me stessa…non posso dimenticarlo, Sam! In questi anni ho continuato a pensarci. Ho continuato a pregare per te, a sperare che tu, in qualche modo, avessi vinto…contro quei mostri che ti volevano rubare l’esistenza, divorandoti il cervello…”

Sam deglutisce, colpito dal fatto che Marin abbia percepito in modo così netto il dramma di allora. Esattamente come riesce a far proprio quello di oggi.

“Adesso tocca a me…non ti lascerò solo…qui e…fuori di qui…”
Sam non sa se accetterà il supporto di Marin. Ma, una parte di lui, vorrebbe non essere solo…davanti a quella fossa.

Quando Marin,si congeda da lui, Sam fa un cenno con la mano, adagiando piano la testa sul cuscino. E' ancora in una “centrifuga” ma le tempie sembrano “rallentare”.
Dormirà. E, più tardi, proverà a dare un morso a quello snack “condiviso”. Spartito…a metà.
Come il dolore per un fratello perso.

Forse Jack, dopotutto, non l’ha voluto punire. Lo ha condotto a chi mai avrebbe creduto di rincontrare.
Dio ha sempre un “piano”. Nulla è casuale. E’ un “dogma” che ha imparato. Nel bene e nel male.

Sam, con timore, da un’ultima occhiata tra armadio e tavolino. La metro è stranamente in orario. Lo studente “fuori corso” non sosta più sulla banchina. Si preparerà “in solitaria” all’esame.

Sam riempie i polmoni ed espira. Quella stanza è reale, è nel presente.
Lucifero è nel passato, relegato alla dimensione onirica.
Canta sguaiatamente. Lo pungola, irrompe con una frase sarcastica e… lo applaude… “in differita”. 
Lucifero ride. Sono le risate pre-registrate di una bizzarra sit-comedy, come quelle create ad hoc da Gabriele. Lucifero resterà lì. Non gli permetterà di varcare la soglia di quel set dalle coloratissime pareti, di posticcio compensato.

Marin ha ragione, lui lo ha combattuto.
Continua a combatterlo. Ogni giorno.
Continuerà a farlo.
Anche se è rimasto solo a cacciare i mostri e, quelli che “lo abitano”, attaccandolo “dall’interno”, fanno decisamente più paura.

Buonanotte, Dean…ovunque tu sia…” mormora Sam, scrutando il soffitto, quella volta dipinta di azzurro che, secondo le moderne tendenze d’arredo dei centri di cura e riabilitazione, aiuta a “ritrovare se stesso”.
Forse Dean, ha già “ritrovato se stesso”, in un “azzurro” ben più profondo e sicuro.

Forse Dean, in Paradiso, sta già pregando…
 per lui.

Nella benefica sonnolenza che lo avvolge, Sam è quasi certo di distinguere una voce.
E non è quella di Satana o di Charles Manson.

Buonanotte, Sammy”.
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“Dean? Dean?”
Dean non risponde. Le labbra non possono più aprirsi. Sigillate. Incollate. Come se qualche sadico angelo gliele avesse cucite “a mano”, con crudele perizia.

Gli occhi non possono più definirsi tali. Sono mistura informe di ciglia, terra e fango. A volte Dean crede che qualche talpa, con uno spiccato senso dell’umorismo, gli abbia strappato le pupille, per usarle come macabre “lenti a contatto”. Qua e là il corpo è martoriato, sfregiato. Non solo formiche rosse ma anche scarafaggi e lombrichi che, ad ogni passaggio, gli fanno accapponare ciò che resta della pelle. E poi ci sono “loro”. Con il corpo snodato che si appiattisce, per infilarsi nei punti più impensati. Con quella lunga coda che è frusta in miniatura.

Potrebbero fare la controfigura nei più celebri classici Disney. Peccato che non vestano variopinte magliette e buffi cappellini.
Sono scaltri, veloci. Non si vergognano delle proprie nudità e, mentre affondano denti e zampine nei tuoi polpacci, sono troppo concentrati per confezionare abiti, gorgheggiando soavemente. Peccato. Avessero la passione per la sartoria potrebbero rammendare il suo sudario.
Il lenzuolo è a brandelli. Quasi inesistente. E, invece, lui “esiste”… ancora.

Povero Sam. Inguaribile ottimista! Probabilmente credeva che quella fibra fosse più robusta. O forse non pensava che dovesse “reggere” a lungo. Uno dei “cavalli di battaglia” di Sam… “Troveremo un modo, una soluzione, Dean!”. Quante volte glielo ha sentito dire!

Inguaribile ottimista, il suo fratellino.

Ma qualcosa, stavolta, non deve aver funzionato. E lui è ancora lì, cumulo di resti umani che non si rassegnano al proprio destino. Ormai lo ha accettato. E’ sceso a patti con l’involucro che continua a lottare. Fin quando sarà briciola che si confonde con la roccia frantumata. Quei rudi topolini che non si sentono “degnamente” rappresentati da Mickey Mouse, prima o poi, avranno la meglio. Dean sarà tavola imbandita, succulento buffet.

La voce di Delia suona così ovattata. Lontana. E il dolore provato è talmente dirompente, penetrante, incredibilmente tangibile da non consentirgli neppure un soffio di risposta.
Ma ci prova. L’anima rannicchiata di Dean, in un gesto estremo, emette un sibilo che fa muovere un filo d’erba.
“Dean…puoi sentirmi, vero?”
Il filo d’erba oscilla. Impercettibilmente.
Delia sospira a sua volta, come se la tortura inflitta a Dean avesse messo a dura prova anche lei.
“Mi dispiace molto, Dean. Non hai ceduto. Non hai vacillato. Hai atteso con pazienza che io decidessi la…prossima mossa. Sei un ottimo giocatore, Dean!” afferma Morte, con un compiacimento che lo fa imbestialire.
Grandissima puttana!” pensa Dean, fra sé, rivalutando Billie. Lei, almeno, non stava a “pensarci” troppo.  Avrebbe stretto il suo cuore senza neppure avvisarlo, spappolandoglielo in mezzo minuto.
Invece questa Morte è capace di una crudeltà sottile. Lo spaventa. Anche se gli pare stupido provare paura. E’ ridotto a carcassa di carne umana, cos’altro potrebbe fargli?! Ancora?!

“Bene, Dean…si riparte!” comunica Delia, entusiasta.
Dean non ha più fiato a sufficienza, per ottenere delucidazioni. Il filo d’erba resta immobile. Come la sua anima scuoiata.
Lei gli si avvicina. Ponendo l’indice sulla fronte lurida e madida.  L’anima di Dean, improvvisamente, non soffre più.  Non percepisce più nulla. Spogliato di materia. Quella materia che è solo tormento.

Dean si domanda cosa lo attenda. Ci sarà uno scotto terribile da pagare.
Per quel nulla. Che è tutto ciò che desidera.

“Perché?! Cosa…cosa hai in mente?!”
Delia, schiocca le dita e Dean cade in una sorta di catalessi che gli permette di “vedersi”. Sottoterra.

Un ribrezzo che non ricorda di aver mai provato. Per nessuno delle orripilanti creature affrontate e sconfitte.
Trattiene un rigurgito “illusorio” che non può espellere, afflosciandosi come spaventapasseri sventrato. Dato in pasto ad argute cornacchie.
“Lo so…non è un bello spettacolo vero? Il tuo corpo è dannatamente tenace, Dean.” e pare che quasi provi sincera pietà, per lui.
Dean ha lo sguardo perso nel vuoto, come il condannato a cui deve essere comunicato il “mezzo” con cui verrà giustiziato. Che sia per fucilazione o impiccagione…poco importa. Il “risultato” sarà il medesimo.

“Dove…dove vuoi portarmi stavolta? E poi…con quel…insomma…“L’alba dei morti viventi” vuoi fare il remake?!” sottolinea veemente Dean, mettendosi la mano sulla bocca, come a voler trattenere un hamburger che non ha mangiato. Non può più rimpinzarsi di panini imbottiti ma ha tutti i sintomi di una “digestione” difficile.
Lei gli sorride, furbamente, palesando delusione “Mi sottovaluti, Dean! Non sono una sciocca e posso manipolarti a mio piacimento, “rigenerarti”, all’infinito” puntualizza e un lampo attraversa le chiare iridi.
Dean barcolla. Quel “rigenerarti all’infinito” gli suona orrendamente “familiare”. L’Inferno. Alastair.
Pezzetto dopo pezzetto. Polverizzato. Fino all’ultimo.
Per poi ricominciare. Dal primo. All’ultimo.

“Il tuo corpo sarà integro. Solo la ferita fatale…quella rimarrà aperta. Un buco in pieno petto. Ma farò in modo che gli altri non la vedano.”
“Aspetta…spieg…”
Ma Dean è già nuvola di molecole che si frammenta per poi “ricompattarsi”.
Altrove.

Stronza!” riflette e, confermando la preferenza per Billie, si prepara alla nuova…mano di poker.
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Si ritrova davanti a un cartello che conosce bene. Per triste “esperienza pregressa” e facendo un rapido calcolo matematico intuisce che potrebbe aver chiesto di essere sepolto lì. Tra chi amava e credeva di non meritarsi…quell’amore.
E’ completamente disarmato. Non ha “assi nella manica”. Non vuole più giocare.

Basta.

Si appoggia al legno. Implorante. “No…no! E’ stato importante per me! Risparmiami almeno questo! Ti supplico, Delia! Lisa, Ben…e ora lui…non posso accettarlo!” e Dean grida tutta la propria disperazione.
Lei lo guarda compassionevole e non cede alla tentazione di “lasciarlo sulle spine”.
“Dean…nessuna tomba. Sonny non è morto. Anzi…posso svelarti che gode di ottima salute. E’ a New York, a un convegno promosso da alcuni imprenditori filantropi. Ha aderito a un progetto che potrebbe portare cospicui fondi alla comunità.”
Dean si siede, ai piedi dell’insegna, boccheggiando “Allora lui…lui sta bene?! Non mi stai mentendo?!”
“Dean…non mento mai. A volte vorrei esserne capace. Quando ero un mietitore spesso provavo pena per chi dovevo “abbracciare”. Quando mi toccavano dei bambini…poi…” e Delia si blocca, per una manciata di secondi. “Avrei voluto essere capace di “addolcire” la verità, rendendola più lieve, ricorrendo a una bugia o inventandomi una favola... ma non riuscivo a farlo.” conclude, pensierosa e Dean è stupito da tanta sensibilità.  “Dico il vero, Dean. Sonny, nonostante l’età che avanza, continua a dedicarsi ai “cattivi ragazzi” con la stessa passione di sempre”
Dean sorride e non gli sembra vero di ricevere quella “buona notizia”.
“Ma allora…perché siamo qui?!”
“Nessuno ti ha mai detto ogni cosa a suo tempo, Dean”
Dean sbuffa, squadrandola torvo “Certo! Tu, continuamente! Da quando è cominciato questo calvario!”

Delia ride. E Dean si fa di nuovo…nuvola.
 ---
“Non è la casa famiglia…” constata Dean, amareggiato. Anche se Sonny non c’è torna sempre volentieri in quel luogo. Gli dà serenità. Pace. Quella che gli sembra irraggiungibile.
“No, ma è una casa” illustra lei, descrivendo il lapalissiano.
“lo vedo! Sono semi-morto, non sono stupido!!” ribatte Dean, offeso.
“Diciamo che, anche da vivo, non hai mai brillato per intelligenza!” chiarisce lei, sagace.
Dean borbotta il proprio disappunto, stando comunque al gioco “Bene…allora, riassumendo per quelli che, come me, hanno pochi neuroni che si rincorrono…che ci faccio qui?!”
“Oh…guarda…c’è un campanello!” suggerisce Delia, fingendo meraviglia.
“Ma stai scherzando, vero? Non so che cazzo di ora sia…ma è giù buio. Non so nemmeno chi viva qui!”
“Appunto…suonando lo scoprirai.”
“Un altro dei tuoi giochetti da perversa isterica! Mi fai rimpiangere Billie!”
“Addirittura?!” esclama Delia per nulla risentita. “Vuol dire che sto diventando credibile come Morte!” e gli strizza l’occhio.

Dean scuote la testa, accostando l’indice al campanello. Aspetta poco più di minuto e poi, ringhiando un udibilissimo “Accidenti a te!”…suona.
E la porta si apre.
La riconosce. Un pensiero inatteso e nitido gli percorre la mente, all’istante: è sollevato nel vederla viva. Avrebbe potuto essere “volto su lapide”.
Anche lei.
Invece è in piedi, davanti a lui, sorpresa ma con le labbra che si distendono, in espressione emozionata. Pronuncia il suo nome… “Dean Winchester!”.
Anche lei.

 “Dean Winchester! Ma…ma che ci fai qui?!”
“Ciao…ciao, Robin…ecco io…io passavo da queste parti e ho pensato che…che forse…” balbetta Dean provando ad inventarsi qualcosa. Ma non è necessario. Il respiro viene meno e si ricorda che, il “foro” nel torace, avrà sicuramente la “sua parte” in quel “giro sulle giostre” che Delia gli ha offerto. Rappresenta il “filo diretto” con la carcassa. Giusto per ricordargli “il solito”, come direbbe la puttana.

“Dean! Entra, mi spiegherai tutto con calma… puoi fermarti qui, per la notte!” gli propone Robin, sorreggendolo.
Dean rimane volutamente sul generico, perché non sa quanto “tempo” gli concederà Delia. “Grazie… solo…solo un paio d’ore…poi me ne andrò…”
“Mamma? Tutto bene?!”
La voce proviene dal piano superiore. Non è come quelle di Ben, ormai uomo. Questa è ancora “in evoluzione”.
Dal loro ultimo incontro non era emerso che Robin fosse sposata o avesse un figlio…Dean non capisce perché glielo abbia voluto nascondere.
“Va tutto bene, tesoro. Ma non indovinerai mai chi si è appena seduto sul divano di casa!”

Dean, recuperando fiato, tra un cuscino e l’altro, ode passi svelti scendere le scale. E la voce ha presto un “proprietario”.
Alto. Magro. Biondo. Occhiali sul naso.

“Dean!! Dean Winchester!”
Gli si avvicina, con fare compito e beneducato e, porgendogli la mano, esclama “Bentornato Dean, signore!”
Una stretta vigorosa, cordiale.
Come gli ha insegnato…lui.

Dean.

“Timmy! Timmy…wow, sei davvero cresciuto!” constata Dean, incredulo.
“Già, porto sempre gli occhiali ma questo non mi impedisce di essere piuttosto bravo quando devo prendere la mira!”
“Non stento a crederci, ragazzo!”
Poi interviene Robin “Sam? Lui dov’è?’” domanda, tradendo apprensione.
“Lui…lui…” tentenna Dean scatenando la scioccante reazione di Timmy “Siete qui per la Baba Yaga! E’ da tempo che le stiamo dando la caccia! Ha preso Sam?!”
Dean guarda Robin con aria interrogativa e poi Timmy e poi di nuovo Robin. Finché la donna non rompe il silenzio che si è creato “Calma, calma Timmy. Lascia che Dean ci spieghi…scusalo ma purtroppo non è la prima volta che si trova a combattere contro quella strega. L’anno scorso un suo amico è rimasto quasi ucciso. Sono in gamba ma troppo giovani e inesperti. Sonny li ha addestrati a sparare, ad usare il coltello ma non hanno una vera e propria guida. Non è facile essere cacciatori.”
Dean strabuzza gli occhi.          
“Tu hai detto…hai detto cacciatori?! Ho sentito bene?!”
Robin ride, accompagnando la risata a un eloquente gesto del capo “Hai sentito bene, Dean. Qui hai lasciato il segno, da ragazzino e, a quanto pare, anche da adulto!”
Dean, sbigottito, si gira e rigira sul divano, passandosi una mano sul viso e l’altra tra i capelli. A più riprese, tenta di alzarsi…senza risultato. Il “foro” non si vede. Ma c’è.
“No no…non può…lui…tu...che caspita c’entrate con la caccia?!”
Robin nota che Dean si sta “alterando” e cerca di correre ai ripari. Non conosce i dettagli, della caccia che li ha fatti nuovamente incontrare. Non ha ferite evidenti ma quella mano ancorata al torace, quel respiro grosso, le fa capire che, l’ultima cosa di cui ha bisogno, è “irritarsi”.

“Dean…è tutto ok…Timmy, per favore, vai a prendere qualcosa da bere”
Timmy, accondiscendente e solerte, si dirige in cucina e Robin accetta di buon grado la battuta di Dean “Spero che non mi porti dell’acqua…ho bisogno di qualcosa di decisamente più forte!”
“Dean…” riprende Robin, paziente “Timmy…solo tu puoi immaginare quanto abbia sofferto. Solo tu lo puoi capire davvero.”

E Dean abbassa lo sguardo. Una madre che si sacrifica per salvarti. Una madre che diventa fiammata e poi ritorna, come fantasma impazzito. Una madre diventata mostro e che Timmy deve “cacciare” per evitare che rubi altre vite. Si…lo può capire.

 “A quell’età, con il suo vissuto, con quegli incubi che non gli facevano chiudere occhio…conosci Sonny da abbastanza tempo per sapere come funzionano queste cose. Nessuna famiglia l’avrebbe tenuto a lungo, trasformando l’affido in adozione.”
Maledettamente vero, ragiona Dean.  E’ già complicato allevare un figlio che, ogni tanto, ha paura di cosa si possa nascondere nell’armadio…figuriamoci uno che, suo malgrado, ha scoperto che “qualcosa” di terribile può davvero celarsi tra la camicia a quadrettoni e il giaccone imbottito.
“Quindi…tu…” ipotizza Dean, cominciando a mettere insieme i pezzi del puzzle.
“Ho deciso di occuparmene io.” conferma Robin “Le richieste di affido di un single solitamente faticano ad essere accolte ma il giudice Morgan è stata compagna di scuola di mia madre. Mi conosce da quando sono nata. Mi ha dato fiducia, sapendo che non l’avrei delusa. Sonny mi ha aiutata a prendermi cura di lui. Non so come avrei fatto, in questi anni, senza il suo supporto! Conciliare la tavola calda e le esigenze di Timmy…non è stato semplice. Ho assunto un paio di cameriere. Meno guadagni ma più tempo da trascorrere insieme…a mio figlio” e Robin sorride, orgogliosa.
“Ma ancora non capisco come sia arrivato a…”
“Ho cominciato ad interessarmi di occulto. Di incantesimi. Insomma, “roba per voi”.” chiarisce Timmy, porgendo una birra a Dean. Probabilmente ha intuito che, dell’acqua, sarebbe stata poco gradita al loro ospite.
 “Non sapevo bene da dove partire ma la mamma non mi ha ostacolato…”
“Tu…tu davvero non…” esclama Dean, mandando giù una golata di birra.
Robin lo squadra, con aria polemica “E perché avrei dovuto, Dean?!Tu, alla sua età, non volevi fare il cacciatore. Sognavi di diventare una rockstar o un buon meccanico…”
“Appunto!”
“Dean…Timmy non vuole fare il cacciatore ma conosce il Male che c’è la fuori…vuole potersi difendere. E io non gliel’ho impedito. Gli piacerebbe insegnare o lavorare in biblioteca. Come vedi, dedicarsi alla “caccia” non è tra i suoi piani ma quando c’è qualcosa di sospetto nei dintorni… lui non si tira indietro.” argomenta Robin.
Dean, a quella precisazione, non si sente più tranquillo.
“Ma non ti puoi improvvisare cacciatore, e  pericoloso! Devi essere preparato e pronto a tutto! Se lo ami come un figlio…come puoi accettare che…”
”Proprio perché lo amo come un figlio non gli chiederò mai di scordare cosa hai fatto per lui…per noi.”
E Timmy prende la parola, spiazzando completamente Dean.

“Dean…signore, lei mi ha cambiato la vita. Mi ha dato coraggio, mi ha fatto sentire capace di grandi cose. E poi…la mamma… se non fosse rimasta coinvolta in quel caso, probabilmente non mi avrebbe mai adottato. Sarei rimasto semplicemente uno dei suoi allievi di chitarra. Un ragazzo difficile…di Sonny, senza alcuna possibilità di diventare altro. Credevo di essere destinato a rimanere un orfano. Credevo di dover fronteggiare i miei incubi da solo. Invece c’è stata lei, la mamma…ad abbracciarmi. Ogni notte.”
“Non so…non so davvero cosa dire…” mormora Dean, guardandosi attorno, deglutendo.
“Be’, forse una pacca sulla spalla e qualche parola d’incoraggiamento…” suggerisce Robin, vagamente stizzita.
“Certo…certo…è solo che…davvero non avrei mai immaginato che…” si giustifica Dean, imbarazzato.
“Che un mingherlino, pauroso e con gli occhiali, potesse cavarsela con streghe e vampiri?” ironizza Timmy.
 
“No…non fraintendermi…non volevo affatto dire questo…sono…sono sicuro che tu sia un tipo in gamba…” e Dean pensa a Garth che, ben prima di trasformarsi in lupo mannaro, era un amico fedele e un cacciatore forse un po’ maldestro ma abile.  “Credimi…non volevo offenderti…”
“Non mi sono offeso, signore!” risponde prontamente, Timmy.
“Possiamo smetterla con questo “signore” e vuoi darmi del tu, per favore?!” e Dean, in quell’approccio così reverenziale, rivede se stesso. Davanti a John.
“Certo…certo come vuole sig…Dean, volevo dire, Dean.” si corregge il ragazzo.

Robin tira su con il naso accarezzando il viso di Timmy “Ora che ne diresti di lasciar riposare Dean? A quanto pare Sam non è nei guai e quella creatura riuscirete a prenderla, vedrai!”
“Vorrei tanto che tu avessi ragione, mamma. Poi…be’ forse, Dean, una volta guarito, potrebbe…darci una mano…”
“Ecco io…io non so per quanto potrò fermarmi…Sam sta indagando su un caso a Boston… devo raggiungerlo, appena possibile. Ci siamo divisi perché… io dovevo riprendermi da una brutta ferita.” E Dean si tasta il petto, sapendo di risultare decisamente credibile.
“Certo, certo, capisco…” afferma Timmy, visibilmente deluso. “allora vado a preparare la stanza degli ospiti”
“No, ragazzo, lascia stare…il divano andrà benis…”

Ma Timmy è già al piano superiore. Ha fatto gli scalini a due a due, con l’entusiasmo di chi ha appena scoperto che, il proprio super-eroe, dormirà sotto lo stesso tetto. Poco importa se si fermerà per una notte sola. I super-eroi, si sa, sono parecchio impegnati a salvare il mondo.
E Dean, per Timmy, resterà per sempre “Dean-spaccamostri”. Rigorosamente senza mantello. Timmy, cacciando, ha compreso a cosa si riferisse, con quella battuta…un mantello sarebbe davvero poco pratico!

“Lascia perdere, quando si mette in testa una cosa non lo distogli. A quest’ora starà già tirando fuori il lenzuolo di lino delle grandi occasioni!”
Dean, alla parola “lenzuolo”, avverte un brivido lungo la schiena,
“Deve essere un bravo ragazzo e poi con te…insomma, sembrate davvero molto legati…” e Dean ha in mente quella famiglia “non di sangue” che non li ha mai abbandonati.
“Ci sono voluti tre anni ma, quando mi ha chiamato “mamma” è stata…è stata un’emozione indescrivibile!” e Robin si asciuga una lacrima. “Eravamo proprio qui, su questo divano. Non era un giorno speciale, non eravamo vicino a Natale o al suo compleanno o al mio…era un giorno come un altro. Una semplice serata davanti alla TV. Mi si è accoccolato vicino. Come ogni sera. Ridevamo, guardando un film di Sandler e lui, come se niente fosse, mi ha detto “Ti voglio bene, mamma”. Da allora…non sono più Robin…”
Dean fa un cenno con il capo accorgendosi che, quello stato “a metà” non gli impedisce di percepire gli occhi farsi specchio.
“E’…è una bella storia…”. Ne aveva bisogno. Aveva un disperato bisogno di…una bella storia.
“L’hai scritta tu, Dean…”
Dean deglutisce. Stavolta non c’è una pietra su cui piangere. O un figlio senza madre.
C’è una donna generosa e un ragazzo che, al contrario di Ben, ha vinto la crudele fatalità che ti può condurre nei fondali più profondi.

Robin si dirige verso la libreria. Prende un volume piuttosto corposo. E lo tende a Dean che inizia a sfogliarlo, incuriosito. E’ una raccolta di fotografie che ritraggono Timmy, Sonny e Robin.
Halloween trascorsi con improbabili costumi “fai da te”…Sonny è esilarante con la dentatura da Vampiro Alfa! Natali che immortalano Timmy tra pacchetti rossi e dorati. Momenti di vita scolastica, dalla recita di fine anno, all’esperimento di chimica realizzato in gruppo, con tanto di ampolle e alambicchi. Una foto attira particolarmente l’attenzione di Dean: Timmy stringe al petto la riproduzione, a grandezza naturale, di un vocabolario, placcato oro. Robin “risponde” alla perplessità di Dean. “Un po’ kitsch, devo ammetterlo… ma Timmy ne va fiero! E’ arrivato primo alla gara di sillabazione!” e Dean, sottolineando la bravura di Timmy, prosegue in quella carrellata di quotidianità.
Weekend in tenda, trascorsi con i ragazzi del centro, con Timmy e Sonny davanti al fuoco e Robin che suona la chitarra. E poi… i primi piani. Robin riesce a cogliere le luci e le ombre di ogni viso. I volti di chi è stato maltrattato, di chi ha trasformato la propria sofferenza in ribellione, di chi non sa se potrà credere di nuovo in se stesso. Il volto rugoso e accogliente di Sonny. Il volto pensieroso di Timmy.
“Scatti di vita”. Una vita che, Dean, ormai sa di aver perso per sempre. Lo sa che, quel corpo rimesso “a nuovo”, è solamente “in prestito”. E per un momento vorrebbe che le cose fossero andate diversamente.
In quel maledetto fienile.

“Davvero…davvero notevole…” esordisce Dean, chiudendo con delicato rispetto, l’album. “…così, alla fine, non hai rinunciato alla fotografia…”
“In un certo senso è così. Ho realizzato il mio sogno. Non fotograferò luoghi esotici e lontani, non vedrò mai il mondo ma non me ne dispiaccio. Ogni individuo che incontri è un meraviglioso continente, tutto da scoprire, da attraversare senza bussola e senza guida turistica. Me lo ha insegnato Timmy e… un ragazzo che, “da grande”, voleva fare il meccanico per riparare i motori, per far tornare le vecchie auto su strada…”
Dean sospira “Quel ragazzo ha rinunciato ai suoi sogni…”
 “Ha fatto di meglio… ha finito con il “riparare” e salvare persone. In fondo anche questo è molto “rock”! Non credi Dean?!”

Dean sorride. Si sente stranamente bene. Anche se è morto. Anche se per lui non ci saranno weekend in tenda o alberi addobbati da immortalare.

“Ora vai di sopra e riposati, Dean” consiglia Robin, accarezzandogli il viso..
“Ok…allora grazie e…be’ a domani…”
“A domani, Dean e vedi di non sparire. Ricordati che mi devi sempre un ballo!”
“Farò…farò del mio meglio per non “sparire”…” e vorrebbe poter raccontare a Robin un’altra “storia”, senza “lieto fine”. Ma a che servirebbe?
---
“Allora Dean, ti è piaciuta la mia sorpresa?!”
Dean balza sul letto- Era quasi riuscito ad abbandonarsi a un breve sonno. Non gli sembra vero che, “quel lenzuolo”, sia integro e profumi di fiori di campo.
“Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Oh, scusa tanto, ti parrò indelicata ma, nella tua situazione, non credo che uno spavento possa peggiorare le cose!”
Dean annuisce, abbacchiato.
“Cosa vuoi? E’ ora di andare?”
“No. So che sei abituato a scappare senza salutare ma Robin e Timmy meritano di poterti dire addio. Proseguiremo il nostro viaggio domani.”
“Perciò a cosa devo la tua visita?” ringhia, Dean.
“E’ stato lui”
“Lui chi? E a fare cosa?!”
“E’ stato Timmy ad uccidermi”

Dean stringe gli occhi, esterefatto “Lui?! Davvero è stato lui?! Come?!”
“Ero a un passo da quel suo amico, quello di cui ti ha parlato. Timmy era sulle tracce della Baba Yaga ma Arthur l’ha vista…prima che lui potesse intervenire. Ha una malformazione cardiaca, congenita e… l’attacco di panico ha fatto il resto. Ero lì per...lui. Gli stavo dicendo di stare calmo. Avrei voluto essere capace di raccontargli una “bugia”…ma sono solo riuscita a dirgli che non avrebbe più rivisto i suoi genitori e che doveva venire con me perché…il suo tempo era finito.”
Dean scuote la testa “Ma non c’è una sorta di corso di formazione per mietitori?! Come accidenti si fa a parlare così a un ragazzino?! E poi…che è successo?!”
“Non so come sia riuscito a vedermi. Forse perché ha avuto quell’esperienza di "contatto" con lo spirito di sua madre... non lo so Dean…ma mi ha visto. E non ha esitato. Prima che io potessi mietere Arthur avevo già una lama conficcata in pieno petto. Così sono diventata la nuova Morte. Timmy ha affrontato la strega, insieme ad altri due compagni di caccia. Ma lei è riuscita a dileguarsi. Arthur è tornato in fretta e furia nel proprio corpo e, dopo due settimane di coma…ce l’ha fatta.”
“E’ davvero un prodigio questo Timmy! Caspita, uccidere un mietitore! E senza un’arma particolare…com’è possibile?!”
“Lui ha impresso un’energia, una forza tale a quel semplice pugnale che non è servito null’altro. E sai una cosa? Mentre, tremante, affondava la lama, continuava a ripetere “Come un lottatore, come un lottatore…come Dean…” quell’atipico “mantra” ha funzionato.”

Dean sorride soddisfatto. Le parole pronunciate per infondergli il coraggio necessario a “lasciare andare” sua madre.
“Direi che ha funzionato alla grande!!”
“Sai che potrei farti pentire di tanta ilarità, vero Dean?!” lo minaccia Delia.
“E dai, Delia, fammi godere un attimo di felicità…poi da domani tornerò sottoterra ad essere cibo per topi. Ma oggi…oggi fammi assaporare questa piccola vittoria…”
Delia lo scruta e non sembra voler dar seguito alle sue intimidazioni.
“E’ una grande vittoria, Dean…tu hai fatto “la differenza” per Timmy e per Robin. Avresti potuto farla anche per Ben.”

La puttana non può vederlo felice. Neppure per una frazione di secondo.
“Cosa…cosa c’entra adesso Ben?!” esplode Dean.
“Lui non può ricordare le tue parole, Dean. Non può rammentare la fiducia, l’amore, i valori che gli hai insegnato…” illustra lei, spietatamente onesta.
E Dean non può che incassare.

“Io…io…non potevo sapere che lui…volevo solo proteggerlo…”
“Lo so, Dean. Lo so. Ma tu sei uno straordinario “continente”, come direbbe Robin. Se solo avessi permesso, a chi hai incontrato, di seguire la “mappa”, invece di “rubarla” a quell’esploratore che chiedeva solo di viaggiare. Con te.” ribadisce lei, senza alcuna pietà.

“Ora basta…lo sappiamo entrambi che è finita. Sam non ha trovato soluzioni e io marcirò a breve, per quanto testardo possa essere il mio corpo. Non c’è che un unico “viaggio”, un’unica meta “da scoprire” e la mia anima non…non desidera altro…” e Dean si maledice, rendendosi conto di quanto la voce oscilli, sul finire.

Delia lo scruta “Perché “è giusto così” vero, Dean?”
Dean non ribatte, pur cogliendo il sottile sarcasmo di Morte. E lei rincara la dose “Ricordati di salutarli, domani. Robin e Timmy non sono Lisa e Ben. La loro memoria è integra. Loro…si fidano di te.”

Dean muove le labbra in attesa “d’ispirazione”. Vorrebbe dire qualsiasi cosa, anche una fesseria pur di non tacere, pur di non restare lì, ammutolito. Ma Delia ormai è svanita.

Torna a distendersi, inebriandosi di quel prato che gli sembra di poter toccare. Guarda il soffitto, come tante volte ha fatto. Negli ultimi dieci anni.
Prega.

Per Robin e Timmy, perché possano continuare a vivere la loro “storia”. Fotografia dopo fotografia.

Per Ben perché, alla fine, trovi la forza di cambiare la propria “storia”. Scegliendo un autoscatto, in cui sia lui a decidere in che “posa” farsi ritrarre.

Per Sam, perché possa voltare pagina. Continuando “la storia”…che lui non può più scrivere.

Dean prega…e non ha bisogno dell'azzurro del Paradiso per farlo.

Buonanotte, Sammy

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Un degente “modello”, di quelli che seguono ogni raccomandazione alla lettera, senza discutere. Si è fatto pungere quotidianamente per gli esami ematici, ha atteso pazientemente il responso della TAC e risposto diligentemente alle domande “trabocchetto” sulla propria attività onirica.  Ogni volta che entra il medico per il giro visite, un inserviente per portargli il pranzo o un’infermiera con bicchierino e pasticche, l’accoglie con un sorriso di circostanza, stampato in viso. Fa una battuta sul tempo meteorologico e ringrazia educatamente. E’ snervante. Quattro giorni “sotto esame”.
La testa gli pare attraversata da fuochi d’artificio, il che potrebbe essere quasi eccitante. Ha sempre amato gli spettacoli pirotecnici del 4 Luglio. Ma quelle cangianti spirali concentriche, accompagnate da “scoppiettii” che rimbalzano nel cervello, “compaiono” quando si alza dal letto troppo velocemente e, a dire il vero, non hanno nulla di attraente. Sam è convinto che non siano i postumi dell’incidente. Non solo. E’ la tensione per quell’ “orale” interminabile, degno di Stanford. Non deve guadagnarsi un 30 e lode ma una lettera di dimissioni.
 
E Sam, al quinto giorno, teme di essere…rimandato al prossimo appello.
 Marin non fa che confermare le sue supposizioni.
 
“Perché Marin?! Io sto bene!”
“Sam…l’ematoma non si è ancora riassorbito completamente e poi…la notte scorsa la mia collega ti ha sentito “litigare” con Lucifero…” motiva Marin, con espressione sconsolata, analoga a quella di Sam ma, nella sua, distingui anche rabbia e impotenza.
 
Sam le ha svelato un po’ del “suo mondo” e Marin gli ha raccontato un po’ del proprio. Il lavoro saltuario in una fattoria, ad accudire cavalli per pagarsi gli studi. La fobia del fuoco che non le permette di avvicinarsi neppure a un semplice barbecue. Suo fratello che ancora, ogni tanto, le si presenta in sogno ma non per spaventarla…per rassicurarla. Marin, al risveglio, si sente bene, pronta ad iniziare un nuovo giorno.
 
Anche per lui. Che non vedrà quell’alba. Né quel tramonto.
Al contrario, Lucifero non rassicura. Lucifero non fa che ricordare, a Sam, quanto possa essere terribile, lo spazio che intercorre tra tramonto e alba.
 
“Non era un delirio psicotico! Era uno dei miei soliti incubi! Ti ho parlato di cosa ho vissuto!”
 
Gliene ha parlato, durante uno di quei turni di notte che Marin, rinunciando alla pausa prevista dopo le due del mattino, ha trascorso in buona parte in quella stanza, con la complicità di Holly.
 
Holly è un’appassionata di musica Viking metal e, il suo gruppo preferito, terrà un concerto il mese prossimo, proprio il sabato che, da prospetto turni, “le toccherebbe”. Per Marin è stato un baratto fin troppo facile. Il silenzio di Holly l’è costato un week-end in più sul lavoro. Non le peserà. Del resto, Marin, non ama granché la mondanità. Ricorda noiosi giorni di riposo passati a rimpinzarsi di gelato, davanti alla TV, in cerca di qualche programma capace di non farla addormentare, alla fine del primo tempo. Ascoltare Sam, è molto più avvincente, è una "serie" che vorresti catalogare come fantasy ma che finisci con il definire horror.
 
Sam non è entrato “nei particolari” ma ha accennato alla Gabbia, ad alcune delle prove più difficili che ha dovuto sostenere, superate grazie a Dean, quel fratello maggiore sempre al suo fianco, Dean non lo ha mai abbandonato, fino a...quella notte. Quando gli è stato “sottratto”, in circostanze tanto agghiaccianti quanto beffarde.
 
Ora Marin può affermare, senza ombra di dubbio, che la mente di Sam è granitica. Chiunque sarebbe crollato. Ma Sam no.
Sam riesce ancora a parlarne. E lei gli crede.
Perché Marin sa che “il mondo di Sam”... esiste.
 
Marin avrebbe fatto la quarta notte consecutiva, elemosinando l’ennesimo cambio alle colleghe sposate o fidanzate con le quali, “giocandoti” un mattino, vai a “colpo sicuro”. Ma la caposala glielo ha impedito, sciorinandole una serie di norme contrattuali. Ieri, in “riposo obbligato”, non c’era a “coprire” quegli incubi, inevitabilmente segnalati in consegna come “Allucinazioni visive e uditive”.
 
“Sam…mi dispiace…”
Sam, senza commentare, apre l’armadio in cerca dei suoi vestiti.
“Cosa stai facendo?!” domanda retoricamente Marin, alzando la voce.
“Me ne vado. Ho già perso troppo tempo!”
 “Per favore, Sam…” implora lei, consapevole di quanto siano ancora precarie le sue condizioni.
“Marin, non posso più aspettare. Ti ringrazio… di tutto. Per esserti presa cura di me, per Miracle e anche per l’auto…a proposito…sai quando sarà pronta?”
 
Marin sospira. Già…quell’auto d’epoca tanto preziosa. Per Sam. L’ha “recuperata” dal demolitore a cui era stata “affidata” dalla polizia, intervenuta sul luogo dell'incidente. Il parabrezza in frantumi e la parte anteriore accartocciata. L’ha consegnata a Mark, il compagno di Holly, che gestisce un’officina insieme al padre.
 
Mark e Holly si sono conosciuti a un raduno di motociclisti. Uniti dagli stessi gusti musicali e il “culto” per la due ruote, hanno iniziato a frequentarsi senza troppe aspettative. Entrambi delusi da relazioni sbagliate, troppo “scottati” per credere che, la passione di una sera, potesse “durare” oltre le quattro settimane. Nel giro di sei mesi condividevano l’appartamento di lei e Mark, in ufficio, aveva la fotocopia dei turni di reparto. Uno stratagemma efficiente per organizzare le varie riparazioni, riuscendo ad essere più libero, durante i riposi di Holly.
 
Talvolta Marin prova una leggera invidia. Un “riposo in più”, per Holly, non vuol dire strafogarsi di gelato, immaginando di essere l'eroina di qualche film strappalacrime...Holly, ogni tanto, ha provato a trascinarla in un “uscita a quattro” ma Marin non ha trovato…il “motociclista” giusto.
 
Mark, appena ha visto le condizioni dell’Impala, è stato dubbioso sulla possibilità di recuperare i pezzi di ricambio ma, alla fine, si è messo all’opera…cedendo alle insistenze della sua ragazza che lo ha convinto ad accettare quel lavoro, impegnativo e dal risultato incerto. Holly ha un talento naturale nel percepire i sentimenti delle persone. Ha compreso che, per Marin, quel paziente, è “diverso” ma, agendo con discrezione, le ha risparmiato “l’interrogatorio”.
 
“Te la consegneranno a metà settimana. Ti costerà un occhio della testa…forse, visto che è un po’ “datata”, ti sarebbe convenuto lasciar perdere e rottamarla…” azzarda Marin.
Sam s’adombra, come se avesse detto un’eresia “Te l’ho già spiegato, l’Impala fa parte della famiglia. Se anche dovesse esserci ancora qualche ritocco, sfuggito al meccanico, ci metterà le mani Dean, quando tornerà. Lui e quell’ auto sono una cosa sola! E’ la sua Baby… tornerà come nuova, puoi starne certa!”
Marin annuisce, tralasciando di ribattere che continua a nutrire profondi dubbi su quel “ritorno”. Non sa se, quel ferrovecchio, potrà contare sulle abili mani di chi deve averla amata davvero molto, per definirla con quel suggestivo vezzeggiativo…  “Baby”.
 
“Allora…sembro abbastanza sano di mente?!” domanda Sam passandosi l’asciugamano sul viso, imperlato di sudore. E’ intenzionato ad affrontare il primario, prima di opzionare la fuga. Marin lo squadra con scetticismo. Lo vede “ondeggiare” e tenersi al lavabo, come se volesse evitare una probabile caduta.
 
“Hai le vertigini, vero?”
“No…no affatto…” risponde evasivo, Sam.
“Ok… pallido, sudaticcio e malfermo sulle gambe…direi che è meglio rimandare il tuo “debutto in società”…”
“Marin, devo andare! Stanotte sarò fuori di qui, con o senza il benestare del primario!”
“Distenditi solo un’ora e giuro che ti accompagnerò io stessa nello studio del dottor Carter.” contratta lei.
“Meno di un’ora…” afferma con decisione Sam, affondando la testa sul cuscino.
“Va bene, Sam…punterò il timer come quando cucino una crostata!”

Sam chiude gli occhi, deglutendo. E Marin sa che, “il tempo di cottura”, non sarà sufficiente per apparire “sano di mente”.
---
Lo studio del dottor Carter è ordinato e essenziale. Sulla parete campeggiano un paio di aforismi di Freud e sulla scrivania, in mezzo a tre pile di documenti suddivise con criterio, scorgi immediatamente una serie di fotografie. Sono inserite in cornici in materiale naturale, fatte a mano, artigianalmente...  “raccontano” di una giovane moglie sorridente e quattro figli. Il più grande ha diciannove anni. Il più piccolo otto. In mezzo due gemelle quindicenni che, ogni mattina, trasformano il corridoio di casa in un ring di Wrestling, per accaparrarsi lo specchio del bagno.
 
E’ un medico altamente preparato e sensibile, il dottor Carter. Quando legge “disturbo ossessivo compulsivo” si appunta il nome del paziente. E “parte” da lì. Da un nome. Non da una diagnosi.
Marin ha ancora un po’ di soggezione di lui, benché in più occasioni, le abbia dimostrato di stimarla.
 
“Dottor Carter…” sussurra, intimidita, facendo capolino dalla porta.
“Oh Marin, entri, s’accomodi. Cosa posso fare per lei?”
 
E’ estremamente professionale, il dottor Carter. Non passa facilmente al “tu” se non con i suoi collaboratori più stretti, alcuni li conosce dai tempi dell’università e li ha voluti nella sua “squadra”.
“Ecco…io…io sono qui da circa un anno e…non gli ho mai chiesto nulla…”
“No…anzi…ha diverse giornate di ferie arretrate…”
 
E’ innegabilmente preciso, il dottor Carter, quando si tratta del personale…conosce a menadito diritti, doveri e vademecum di reparto.
Marin si stupisce che, un medico impegnato come lui, possa ricordarsi le ferie non fruite, dei propri operatori!
 
“Appunto…se io…se io le chiedessi una settimana…a partire da…da domani?”
“Così…su due piedi…sostituirla sarebbe difficile, Marin…” s’acciglia l’uomo.
 
E' un tipo fiscale, il dottor Carter. Quel mancato preavviso complicherà le cose. Ma Sam ha una situazione…ben più “complicata”…e lei non lo lascerà solo. Lotterà per ottenere ciò che, fino a pochi giorni fa, non si sarebbe mai sognata di chiedere.
“Senta, dottor Carter, si tratta di un paziente. Di Sam Winchester…”
 
E’ assolutamente rigido, il dottor Carter, quando si mischia lavoro e vita privata.
“Cosa può mai avere a che fare, un nostro ospite, con le sue ferie?!” e Marin avverte un malcelato rimprovero, da parte del suo superiore. E’ una di quelle regole incontrovertibili. Gli ospiti sono fragili, in difficoltà, basta un gesto più gentile del solito per confonderli e peggiorare le loro condizioni. Carter raccomanda al personale di mantenere la “giusta distanza”.
 
“Io…io lo conosco. Era…era un amico di mio fratello.”
Carter sembra rilassarsi. Una conoscenza pregressa al ricovero appare più comprensibile ma deve comunque essere gestita con le dovute cautele “Continuo a non capire, Marin…so che suo fratello è mancato da anni…”
“Sam mi ha aiutato a…a superare il dolore. A voltare pagina.”
 
Non è “tutta la verità” ma è “la verità” che un uomo di scienze può accettare. Joshua è passato “oltre” e lei ha potuto continuare a vivere.
Grazie a Sam.
 
 “Lo sa che, la morte di mio fratello, il crollo che ho avuto dopo… è uno dei motivi per cui ho scelto la psichiatria…” aggiunge, con voce tremula.
“Lo so, lo ricordo bene. Avevo trovato umanamente significativo il riportare, nel curriculum, le motivazioni che l’hanno condotta a questo particolare settore della medicina” e Carter pare rivivere l’emozione provata, nel valutare il percorso di studi, le esperienze lavorative e di “vita”, di quella giovane candidata.
“Sam…lui ha perso recentemente suo fratello…”
“Non mi ha detto nulla! Sarebbe stato un particolare rilevante per definire meglio il quadro clinico …” la riprende Carter, in modo perentorio.
“Mi dispiace aver taciuto dottor Carter…ma lui si rifiuta di parlarne. Erano molto legati.” si giustifica Marin.
“Uhm…questo spiegherebbe le allucinazioni, l’incidente…potrebbe essere un disturbo post-traumatico da stress”
“E’ certamente così…e scusi se mi permetto di avanzare ipotesi diagnostiche…”
 
E’ innegabilmente “democratico”, il dottor Carter. Ogni operatore che ha a che fare con il reparto, dallo specializzando al medico con carriera ventennale, dall’infermiera all’inserviente, può contribuire al benessere dei ricoverati.
“No…non deve scusarsi. Non si bada al protocollo o alla gerarchia professionale quando si può giovare al paziente. Ogni informazione, ogni intuizione è un tassello prezioso! Noi componiamo puzzle, mosaici…mettiamo ordine nella mente di chi ci viene affidato…è la nostra “missione”, Marin.”
Marin ammira il dottor Carter quando, infervorandosi, definisce il loro lavoro “missione”. Forse questo è il momento giusto per avanzare la richiesta. Quella più difficile da… “far passare”.
 
“Dottor Carter…la prego…lo dimetta. Restare qui non lo aiuterà a rielaborare il lutto…”
“Ma c’è pur sempre il trauma cranico…” ribatte lui, coscienziosamente.
“Per questo ho bisogno di quelle ferie arretrate…”
Carter la osserva meditabondo. “Ho capito. Vuole restare con lui…per monitorare la situazione…”
Marin annuisce, grata della perspicacia del suo responsabile.
 
E’ perspicace ma prudente, il dottor Carter.
“Marin…capisco cosa la spinge. Ha un debito di riconoscenza verso Sam…ma sappiamo entrambi che, in questi casi, la persona può avere reazioni molto pesanti e imprevedibili. Non conosco il legame che vi unisce. Non so se eravate intimi…ma sono trascorsi anni, da allora. Probabilmente vi siete persi di vista. Il “Sam di oggi” potrebbe essere molto diverso da quello che l’ha confortata. Dimostra di avere conclamati disturbi del sonno, presenta vaneggiamenti che non sembrano migliorare con la terapia ed è innegabile la sua vulnerabilità psichica. La dinamica dell’incidente è piuttosto chiara. Non c’è nemmeno un segno di frenata…probabilmente è un tentativo di suicidio. Se la frustrazione, la rabbia per la morte del fratello, venisse rivolta non solo verso se stesso…potrebbe diventare molto pericoloso restargli accanto…”
 
“Sam non dormiva da giorni! Era devastato per quella tragica scomparsa inattesa. Ha solo bisogno di tempo per riprendersi. Fuori di qui, tornando a casa propria, con il suo cane, riuscirà a superarla. E poi…glielo posso garantire, Sam non farebbe male a una mosca! Non ho mai conosciuto persona più disposta ad aiutare il prossimo! Può solo nuocere a se stesso…perciò ho bisogno di quelle ferie!” e Carter è colpito dall’enfasi con cui Marin “difende” e tesse le lodi di Sam.
Ma Carter sa che, essere eccessivamente fiduciosi nel prossimo, può portare a conseguenze irreparabili.
 
“Marin… lei era assunta da poche settimane…ha visto cosa è successo alla collega Susan…”
Marin deglutisce. “E’…è una situazione totalmente diversa…”
“Perché lo conosce? Non mi pare sufficiente, Marin. Albert partecipava due volte alla settimana al gruppo di psicoterapia. Da almeno cinque anni. Tutti noi, compresa Susan, lo consideravamo “non pericoloso”. Era scritto nero su bianco, nel suo fascicolo. E’ stato confermato anche dai medici che lo avevano in cura, dal primo insorgere dei sintomi. Credevamo che la patologia fosse stabile, addirittura in regressione. Invece…”
 
Il dottor Carter abbassa lo sguardo. Il tono di voce si fa terribilmente greve.
 
Albert aveva cominciato a dare segni di squilibrio al secondo anno di college e, in rapida escalation sintomatologica, a manifestare deliri persecutori che sfociavano frequentemente in reazioni aggressive e autolesioniste.
Susan aveva meno di trent’anni. Come Albert. Carter aveva notato la spontanea inclinazione verso quel paziente. Forse per età e affinità intellettuale, Susan era decisa a comprendere a pieno il disagio del giovane che, entrato in confidenza, le raccontava del rapporto burrascoso con il padre, rimasto vedovo troppo presto.
Sembrava in un “buon momento”. Ci s’illude di tenere a bada gli spettri…quelli che se ne infischiano dei cerchi di sale.
 
Susan, talvolta, s’intratteneva con lui, alla fine della seduta. Parlavano di poesia e di letteratura citando brani e opere della Dickinson, Neruda, Oscar Wilde…Carter l’aveva messa in guardia ma Susan non presagiva alcuna minaccia, in quelle conversazioni. E, in fondo, i fatti le davano ragione. Mai uno scatto d’ira. Mai un gesto insolito. Mai una parola fuori posto. La terapia farmacologica e il supporto psicologico stavano funzionando al di là di ogni aspettativa.
Era un buon momento.
 
Albert era arrivato per primo, quel giorno, in sala riunioni. Susan stava sistemando le sedie, in cerchio. Si era offerto di aiutarla. Era gentile, Albert. Disponibile con il personale, attento e premuroso con gli altri membri del gruppo.
Era un buon momento.
 
Ma, quando meno te lo aspetti, lo scenario muta. Non è più una savana incantata, dove prede e predatori hanno imparato a coesistere in piena armonia. L’infingarda zampata del leone afferra la leggiadra gazzella.
La voleva. La desiderava. Lei, con quel poco di fiato aggrovigliato in gola, ingabbiato da quelle mani che, fino a poco prima, apparivano così delicate e cortesi, aveva tentato di tranquillizzarlo, chiamandolo per nome… come Carter le aveva insegnato. Un nome…oltre la diagnosi.
 
Era convinta di poterlo riportare indietro. Invece Albert è andato avanti. Non c’è stato soffio per null’altro, neppure per un sottile grido.
Se n’è andata con quel nome sulle labbra, che si son tinte di lavanda.

Un pavimento di laminato verde acqua e, in mezzo a quell’incompleto cerchio di poltroncine écru, una tenera antilope addormentata. Per sempre.
 
“Marin…non posso permettere che la cosa si ripeta. Non posso consentirle di andare, da sola, a casa di un paziente che, in un agitato dormiveglia, impreca contro il demonio!”
Marin tenta di trovare una spiegazione “plausibile”. E’ sempre stata piuttosto “creativa”, nell'inventare bugie o “edulcorare” la realtà. Forse, quella tendenza caratteriale, c’entra con la sua smodata predisposizione per i dolci.
 
“Sam appartiene a una famiglia molto religiosa…sta semplicemente attribuendo la morte del fratello al Male che…che si è abbattuto su di loro…lo so che potrebbe sfociare in un disturbo ossessivo compulsivo di tipo mistico ma… io posso aiutarlo a razionalizzare, ne sono sicura …”
 
Carter la scruta, incerto sul da farsi. “Non è mia abitudine interferire nella vita privata del personale…e tantomeno in quella dei pazienti. Ho visitato giusto ieri, Sam. E concordo con lei…allo stato attuale nulla mi fa ipotizzare un quadro clinico grave, irreversibile. Inoltre non abbiamo una documentazione che attesti un esordio di malattia, precedente all’evento traumatico…tuttavia...anche per le sue condizioni fisiche…”
“Dottor Carter…le prometto che, se Sam dovesse manifestare ulteriori sintomi, o se lo vedessi diventare più nervoso, confuso…l’avviserò immediatamente…”
“Potrebbe non aver il tempo di avvisarmi, Marin…”
“Si fidi di me…Sam non mi farà del male…”
Carter comprende che non riuscirà a farla desistere. Allora tanto vale provare a darle la concreta possibilità di… avvisarlo.

“Vedo che è davvero determinata…in tal caso…” Carter, annota qualcosa su un post-it e glielo porge con fare complice “Questo è il mio numero di cellulare, privato. Per qualsiasi cosa Marin, a qualsiasi ora…me lo promette?”
“Ma sua moglie non sarà gelosa?!” sottolinea Marin, mentre i suoi occhi azzurri indugiano sulla terza fotografia, quella con la cornice in caucciù.
Carter sorride “Se fosse stata gelosa dei doppi turni in ospedale o delle chiamate in piena notte, mi avrebbe lasciato dopo un anno di matrimonio!”
Marin, guardandolo con riconoscenza, ripone il bigliettino nella tasca della divisa.
“Grazie dottor Carter…grazie davvero…”
“Stia attenta e non solo a Sam…anche ai colleghi. Dovendo riorganizzarsi alla svelta per coprire i suoi turni, non credo saranno comprensivi! Al rientro si aspetti musi lunghi e qualche tiro mancino!” stempera il primario, per allentare la tensione.
“Può dir loro che sarò in servizio a Natale e Capodanno, per ripagarli del disagio di questi giorni! Le festività sono sempre un buon “baratto”!” sentenzia Marin con l’espressione di chi “la sa lunga” sul meccanismo dei turni “meno ambiti”.
“Per definire i turni di Dicembre… ne riparleremo. Ora ha ben altro a cui pensare. Vada da Sam e le comunichi la buona notizia.” conclude Carter con tono paterno.
Marin esce dallo studio a passo svelto, quasi per scongiurare la possibilità di un suo ripensamento.
 
Il dottor Carter si augura che, quella ragazza coraggiosa, tra le sue infermiere migliori, potrà “contrattare” con i colleghi, scambiando quella settimana di “pausa non programmata” con la vigilia di Natale in reparto.

Le indagini hanno sollevato l’ospedale da ogni responsabilità. Persino i genitori di Susan, al suo funerale, hanno sottolineato quanto la figlia, consapevole dei possibili rischi, amasse profondamente il proprio lavoro. E’ stata una tragica fatalità. Nessuno poteva prevederlo. I test effettuati su Albert rilevavano una buona risposta al percorso riabilitativo e un’elevata capacità di autocontrollo.
 
Un errore di valutazione commesso da più specialisti diventa una “condanna equamente distribuita”, tradotta in “assoluzione”. Per tutti.
Ma Carter non potrà mai sentirsi “assolto”.
 
Non sopporterebbe “Un’altra Susan”.
Anche i primari di psichiatria possono temere di impazzire…di dolore.
 
Come Sam.
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“Ti dimettono”
Sam sgrana gli occhi mettendosi faticosamente seduto sul letto “Come…come hai fatto?!”
“Semplice…avevo una settimana di ferie arretrate” ridacchia, lei.
“Tu…tu…vuoi dirmi che…” e l’espressione allegra, di poco prima, muta in seccato cipiglio.
“Queste sono le condizioni Sam, prendere o lasciare. Il primario firmerà le tue dimissioni e le mie ferie. In contemporanea. Ti ha affidato a me. Ora…sta a te decidere.” stabilisce Marin, ferma sulle proprie posizioni.
“Va bene…accetto” si arrende Sam.
“Come pensavo. Tra un’ora aspettami all’uscita, il tempo di passare nel mio appartamento e prepararmi un borsone con qualche cambio, per la settimana e…a proposito…hai una stanza degli ospiti?”
“In verità, ho parecchie stanze disponibili…ma credo che, come ho lasciato casa…non ti piacerà…”
“Eri denutrito e disidratato…dubito che troverò cartoni di pizza e lattine disseminate sul pavimento!”
“No…troverai decisamente di peggio…” ammette Sam, passandosi una mano sul viso, ricordando gli escrementi di Miracle.
“Ok…ok…vorrà dire che daremo una sistemata ma non farci l’abitudine eh?! Infermiera a domicilio mi sta bene ma scordati che ti faccia da colf!” borbotta lei.
“Grazie, Marin…”
 
Marin guarda quegli occhi umidi e stanchi. Non può essere pericoloso. Non Sam.
Il dottor Carter non verrà svegliato nel cuore della notte.
 
Non ci sarà “Un’altra Susan”.
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“Oh…accidenti Sam! Intendevi questo?!” e Marin si tappa il naso, avanzando con riluttanza.
“Carino qui…certo, ci fosse qualche finestra, non sarebbe male…” constata, guardandosi intorno.
L’odore penetrante di urina e feci, al chiuso del bunker, ha generato una sorte di invisibile “nube tossica”.
“Lascia…ci penso io…” si affretta a rispondere Sam, mortificato.
“No…lo faremo insieme, procurami sacchi dell’immondizia, stracci e detersivi. Te l’ho già detto, non sono schizzinosa!”. Sam obbedisce, sperando che Miracle, in quei giorni di totale “abbandono a se stesso”, abbia avuto almeno l’“accortezza” di prediligere gli angoli più… “in vista”.
 
Marin, mentre ripulisce piastrelle e battiscopa, canticchia, suscitando l’affascinato stupore di Sam.
“Come fai?!”
“Be’…passo il panno avanti, indietro e…” risponde lei, perplessa.
“No…intendevo…come fai a canticchiare in una situazione così assurda?! Tra cacca e pipì di cane e in compagnia di uno che pare uscito da un film di Hitchcock?!”
Marin esplode in una fragorosa risata “Oh be’…quando sei abituata a pulire quella di esuberanti stalloni, questo e niente! E poi tu…non sei tanto male come Norman Bates! “Parli” con Lucifero…ok…ma ricordo una paziente che, ogni notte, convinta di essere Jodie Foster, colloquiava amabilmente con Hannibal Lecter e credimi…erano dialoghi piuttosto inquietanti! Le tue chiacchierate con Satana, a confronto, sembrano il tè della domenica pomeriggio!”
 
Sam scoppia a ridere “svelando” quelle fossette appena accennate, che lo fanno apparire più giovane. E’ la prima volta che riesce davvero a ridere da quando Dean…
per un attimo si meraviglia di esserne ancora capace.
 
Riordinando le carte, sparpagliate tra secchio e strofinacci, Sam raccoglie la preziosa pergamena “salvata in extremis” dalla scia color paglierino di Miracle. La traduzione è completamente sbiadita, irrecuperabile però l’originale è spiegazzato ma integro. Sam può ricominciare da capo. E ricomincerà… da capo. Qualche frase la rammenta. Sarà meno arduo ricostruire i passaggi del rituale.
 
Un Dean non Dean. L’unica soluzione possibile. Miracle dovrà rassegnarsi. Come lui.
 
Come Dean stesso.
 
“E questo reperto degno del Museo di Storia Naturale di New York, cosa sarebbe?”
“Questo…questo è il biglietto di ritorno per Dean…” esclama Sam, fissando l’incartapecorito papiro.
 
Marin, sforzandosi di mantenere un’espressione il più possibile neutra, riprende a strofinare energicamente il parquet.
 
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“Wow…hai un frigo decisamente vuoto!”
“Era Dean quello che si occupava della spesa. Lui era una buona forchetta…”
“Al contrario di te…”
“Al contrario di me…” conferma Sam, non staccando gli occhi dalle pagine che ha ripreso a riempire, con calligrafia svelta ma comunque leggibile.
“Bene…allora credo che andrò a comprare qualcosa…cheeseburger, birra e il dessert, ovviamente. Che ne dici?”
Sam tace, non distogliendosi dal proprio lavoro.
“Perfetto…lo prenderò per un sì…” sospira Marin, facendo spallucce e salendo le scale. Una volta giunta davanti alla porta d’uscita lo scruta, con crescente apprensione. Dall’alto è una scena piuttosto sconcertante.

La fronte madida, i lunghi capelli che avrebbero bisogno di uno shampoo, la mano che, febbrilmente, continua a scrivere. Gli ricorda vagamente Russell Crowe in “A Beautiful Mind”. Al posto dei numeri...parole.
 
Marin stringe tra le mani il riferimento del dottor Carter. Una sequenza di numeri. Forse dovrà comporla. Per avere la meglio sulla... “sequenza” di parole.
 
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“Ora basta… vieni…a mangiare…Sam”
Nessuna risposta.
“Sam!”
Nessuna risposta.
“Dannazione, Sam!” e Marin gli si avvicina afferrandogli il polso della mano ormai indolenzita. Sam ha un sussulto come se si riprendesse da uno stato di trans.
“Scusa…scusami…”
Marin alza gli occhi al cielo “Scuse accettate ma ora smettila di giocare a Indiana Jones e sforzati di mangiare qualcosa…”
 
Sam in meno di cinque minuti termina la sua cena, alternando sproporzionati bocconi di panino a sorsate di birra, per favorire la masticazione. Pensa che Dean riderebbe di tanta voracità. Solitamente èera lui ad addentare i cibi con un’ingordigia sconosciuta a Sam.
 
“Ti va una fettina di torta?”
“No...no sono a posto…grazie…” risponde educatamente Sam, inghiottendo l’ultima foglia di lattuga con cui sta per strozzarsi.
“Certo…sei…a posto…” ironizza Marin, vedendolo nuovamente chino sulle carte, ma Sam è troppo preso per cogliere il tono di scherno.
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Marin, dopo aver riassettato la cucina, tira giù una lista della spesa, nell'intento di "far scorta” per la settimana. Nella dispensa, elencando i vari acquisti da fare, trova un foglietto con su scritto “sandwich, cereali, latte, crostata”…non è la calligrafia di Sam. Ormai, quella, la riconoscerebbe ovunque.

Avverte un groppo in gola, ripiegando il bigliettino con cura, per non “profanarlo”. Se Dean non dovesse “tornare”, se Sam si sbagliasse…Marin sa quanto potrebbe essere importante, quella…lista.

Per Sam.
 
Poi, dopo aver inviato un paio di SMS a Holly, avvisa con un vocale Paul. Domani andranno a prendere Miracle. Marin spera che, quella fedele palla di pelo, riesca a distrarre Sam. Forse Miracle riuscirà a catturare la sua attenzione…lei ormai ci ha rinunciato.
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“Dove posso sistemarmi per la notte?”
“Dove vuoi…”
“Ok… chiaro…domanda stupida. Non scomodarti a farmi fare il giro della casa e se, domani mattina, non dovessi presentarmi per la colazione, cercami in qualche botola o passaggio segreto…”
“Eh? Cos’hai detto? Puoi ripetere, per favore? Non stavo ascoltando…”
Marin scuote la testa, rassegnata. “Niente Sam…non fare caso a me… mi arrangerò…”.
...
 
Marin si aggira con circospezione nei corridoi del bunker. Le porte sono semi-aperte. Entra in una stanza a caso. E, per una manciata di secondi, trattiene il respiro. E’ la sua stanza. Lo capisce dalle ciotole in ferro, ai piedi del letto. Miracle…era il cane di Dean.

Il copriletto sistemato di fretta, gettato svogliatamente sul lenzuolo. Un tocco "personale", con quelle armi appese alla parete quasi fossero trofei. I vestiti sparsi qua e là e qualche bottiglia di birra su comodino e tavolino. E' una camera "cristallizzata",  che "attende" il suo proprietario.
Come se dovesse rientrare, da un momento all’altro, da una passeggiata con Miracle.
 
Marin si siede sul letto, chiude gli occhi e, accarezzando la coperta, può sentire l’odore di Dean. E il dolore di Sam… e il suo per Joshua. Due dolori che si compenetrano, si riconoscono, si uniscono.
 Marin distingue quella stilettata. Il cuore che si spacca a metà. Lei sa cosa vuol dire sentirsi spezzata. Una fitta che ti serra le mandibole e non risparmia neppure una molecola di te.
Marin, d’istinto, intreccia le mani e inginocchiandosi ai piedi di quel letto disfatto, con i gomiti appoggiati sul plaid color salmone…inizia a pregare.
 
Prega perché Dean possa riparare Baby, trovando da ridire sulla mancanza di precisione di Mark.
Prega perché Dean torni a riempire di croccantini le ciotole di Miracle, “rivendicando” il suo ruolo di “capobranco”.
Prega perché Sam  “smetta di scrivere” e Dean possa “continuare a scrivere”…la lista della spesa.

Marin prega per Sam ed è un po’ come pregasse per sé stessa.
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Sono le quattro del mattino quando Marin, che si è sistemata nella stanza che ospitò Mary, si sveglia di soprassalto, per il trambusto proveniente dal salone. Si alza e, senza perdere tempo a indossare le pantofole, percorre il corridoio di corsa, a piedi nudi. Arriva nella sala trafelata, intravedendo l’ombra di Sam a terra. Gli si avvicina e, per deformazione professionale, tasta immediatamente il polso. I battiti sono accelerati e Sam sembra riaversi da uno stato d'incoscienza. Ha gli occhi gonfi, pesti.
“Sam! Cos’è successo?!”
“Mi…mi dispiace averti svegliata…sono…sono inciampato come uno sciocco…” e Sam, rialzandosi grazie al suo aiuto, s’appoggia al tavolo, sommerso di appunti.
Marin lo guarda con disapprovazione “Sam, non sei inciampato…dimmi cosa è successo veramente o giuro che ti carico di peso in auto e torniamo in reparto! Arriverai giusto in tempo per la colazione: sciape gallette in annacquato caffelatte!”
Sam deglutisce, massaggiandosi le tempie, trattenendo un conato. E’ bianco come un cencio e suda freddo. Marin, aiutandolo a sedersi, riformula la domanda “Sam…sei svenuto, vero?” e Marin non fa nulla per nascondere quanto consideri superflua la risposta.
“Non è niente…solo…solo un po’ di emicrania…” tergiversa Sam, ansante.

Marin lo accompagna al divano e Sam la segue come un cieco in un ambiente totalmente ignoto, privo di riferimenti. La luce delle lampade è abbagliante. Quasi quanto i… “fuochi d’artificio” nella sua testa.
“Sam…smettila con questa dannata formula! Lo so quanto sia importante per te ma non credo che un giorno in più possa cambiare le cose, per Dean!”.

Per Dean forse no ma per Sam sì. Dean potrà anche “riposare” ma Sam vuole svegliarsi.

La caccia era finita, "i cattivi" vinti e lui pensava che, dopo aver riportato in salvo i bambini, sarebbero tornati al bunker. Dean avrebbe stappato un paio di birre, lanciandogliene una, così, per gioco, per controllare i suoi riflessi. Lui, di rimando, avrebbe preso in giro il maggiore ricordandogli che in realtà, il “vecchietto” di casa, non era certo lui. Poi, vedendolo navigare online, in cerca di un’altra sagra di torte, si sarebbe divertito nel cogliere l’espressione d’estasi dipinta sul volto di Dean, “rapito” dalle immagini di prelibate ghiottonerie.

No…

nessuna risata, nessuna birra presa al volo, nessuna immagine a tutto schermo di zuccherosi e morbidi dischi di panna. E’ stato incubo. Continua ad esserlo.
Anche un giorno in meno nella notte può contare molto. Non per Dean che forse è già passato oltre, ignaro dei suoi perigliosi progetti…

per Sam.

“No...no…solo un paio di frasi…ancora…”.
“Sam…devi riposare e farti una doccia…o finirai con il puzzare più del pavimento che abbiamo ripulito!” e Marin pare non voler scendere a patti.
Sam abbozza un sorriso esausto. Forse Marin ha ragione, forse, può ancora sopportare un giorno nell’angoscia, se questo può tenerlo lontano da chi, non conoscendolo come lei, decreterebbe la sua condanna, Schizofrenia…una diagnosi inappellabile, da annotare in cartella, con il beneplacito di Lucifero che, per l’occasione, indosserebbe camice bianco e finti occhiali “di scena”.

“Ok…ok, ricevuto…riposo e doccia…grazie Marin…”
“Finiscila di chiedermi scusa o di ringraziarmi. Non mi pento di essere qui, ho deciso io di esserci…ma tu devi prenderti una pausa o sarà tutto inutile, Sam. Ti prego, ascoltami o dovrò davvero farti ricoverare…” Marin usa un tono persuasivo, pacato. Con il pollice gli sfiora delicatamente l’arcata sopraciliare sinistra e Sam avverte la nausea diminuire. I ferri aguzzi che trapanano le meningi smettono di roteare e lo stomaco non pare più così in subbuglio. Per Sam quel tocco lieve è affinità, è sintonia, è armonia.

“No…niente ospedale, per favore…prometto che ti…ti ascolterò…ti ascol…” e Sam, si crogiola in quella carezza che è… quiete.

Sam si addormenta. E stavolta Marin sa che la “voce” sarà messa all’angolo. Non disturberà quel meritato sonno. Anche la voce…riposerà.
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“Dean…mi dispiace che Sonny non abbia potuto vederti…gli avrebbe fatto piacere. Gli dirò che sei passato…”
“Grazie…avrebbe…avrebbe fatto piacere anche a me salutarlo.” ammette Dean, schietto.
“Potrebbe essere una buona ragione per tornare …” propone Robin, con voce speranzosa.
“Giusto…sarà…sarà per la prossima volta” e la voce di Dean s’inclina. Sa bene che non ci sarà una “prossima volta”.
Poi rivolgendosi a Timmy gli raccomanda “Prenditi cura di tua madre e, anche se continuerai a dare la caccia a quella Baba Yaga…stai attento e tieniti lontano dai guai, intesi?!”
“Farò del mio meglio signo…volevo dire…farò del mio meglio Dean!”

Timmy, che di coraggio ne ha da vendere, cerca quel coraggio. Quando sei di fronte al tuo eroe, pare che le parole restino impigliate tra cuore e gola. E non conta nulla essere arrivato primo alla gara di sillabazione!
Ma non sa quando e se lo rivedrà. Dean deve andarsene sapendo cosa rappresenta per lui. In parte glielo ha già detto ma Timmy è certo che, con quel paragone, comprenderà davvero. Potrebbe aiutarlo con i “cattivi”, sostenerlo nei momenti difficili, dandogli la forza e la prudenza necessarie per…tornare.

“Dean…tu…tu resterai sempre il mio “Dean-spaccamostri”…” esordisce Timmy e, dietro le spessi lenti, scorgi un luccichio particolare.
Dean lo tira a sé, trasformando quella stretta di mano “da uomo”, in un abbraccio che vorrebbe poter prolungare. All’infinito. Ma, come direbbe Delia…il tempo di Dean…è finito.
Quando Dean sta per incamminarsi Robin lo richiama “Dean…aspetta!”. Gli si accosta, baciandolo sulla guancia, aggiungendo “In primavera qui c’è la settimana Country…si alternano diversi musicisti locali che suonano a livello amatoriale…mi esibisco anch’io!” precisa con un pizzico di orgoglio. “Se…se ti ritrovassi da queste parti, in quel periodo…be’ potresti pagare il “tuo debito” Dean!”.
Dean deglutisce. “Sarebbe…sarebbe bello, Robin…ma…”

Vorrebbe essere sincero, dirle che, in primavera, lui sarà polvere, spera di essere polvere. Ma non se la sente di deluderla. Una bugia “bianca”. Come quelle che Delia non sa raccontare ma che, per sua stessa ammissione, vorrebbe esser capace di dire. E allora, lui che è sempre stato il “re delle frottole”, perché non può far credere a Robin che quel ballo “negato”, rimasto “in sospeso” nella loro adolescenza, prima o poi, ci sarà?
“Ma…che ne diresti di un lento?” e Dean sfodera il suo sorriso da affascinante mascalzone. Gli riesce ancora.

Anche da “semi-zombie” gli riesce ancora…

“Direi che sarebbe perfetto, Dean…” e Robin sorride, sorniona.
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“Sai che ci sono brani country squisitamente romantici e lenti, Dean?” lo stuzzica Delia.
“Puoi almeno risparmiarmi la tua ironia, Delia?! O anche questo è chiedere troppo?!”
“Fammi divertire ancora un po’…siamo alla fine del viaggio, Dean”
Dean corruga la fronte, speranzoso “Vuol dire che…che finirà?! Che passerò il Velo?!”
“Te l’ho già detto…sceglierai Dean…ma non sarai il solo a scegliere…”
“Ma io ho già…” e la voce su “scelto!”, inspiegabilmente, cala di un tono.
“Bene…allora un’ultima tappa e poi…anima e corpo si uniranno, Dean. E a quanto pare, sai già chi prevarrà.”

Dean, annuisce, senza spavalderia alcuna, immobile. Ormai avvezzo a quella modalità di “teletrasporto”, resta in attesa di uno schiocco di dita che non tarda ad arrivare.
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Una casa. Un’altra. E’ una villetta su due piani, con un giardino ben curato, gli infissi in stile inglese, il tetto in tegole scure e un patio dove, tra le rose bianche, trovano posto un dondolo e due sedie in vimini.

“Chi…chi devo incontrare, questa volta?” domanda Dean, curioso, fissando il portoncino blu.
“La regola è sempre la stessa, Dean” e Delia, con l’affusolato indice, gli mostra il campanello.
Dean, indispettito ma senza obiettare, preme il pulsante.

La porta si apre e Dean scorge una donna anziana. Non ci vuole molto perché la “metta a fuoco”, facendola riemergere dalla memoria.

Quando si ha poco più di vent’anni chi ne ha poco più di cinquanta pare… “decrepito”. Oggi può essere decisamente più “obbiettivo”. Non gli sembra più così vecchia…gli anni sono passati…anche per lui. Si cambia prospettiva. Decisamente.

“ Sei proprio tu?!” e la donna, uscendo, l’abbraccia. Un abbraccio vigoroso, sincero, inaspettatamente accogliente.
A quanto pare anche lei si ricorda di lui e Dean si domanda perché non gli abbia sbattuto la porta in faccia. Perché non gli abbia inveito contro, schiaffeggiandolo, augurandogli la morte, non sapendo che, qualcuno, ha già provveduto a “far giustizia”.

Sono passati quasi quindici anni. Forse ha fatto pace con quel dolore. Ma si può davvero “fare pace” con l’ingiusta perdita di un figlio?! E quando ti ritrovi faccia a faccia con chi, seppur in modo indiretto, te lo ha portato via…come puoi resistere alla tentazione di infierire su di lui?

“Dean, caro, entra! E’ il Signore che ti manda!”
Dean vorrebbe rispondere che non è Jack l’artefice di quella visita insolita ma…non ne vale la pena. Sarebbe un’inutile precisazione da “addetti ai lavori”.

Dean avanza, con cautela, seguendo la donna che si muove  appoggiandosi a un bastone. Un corridoio bianco che sa di Paradiso. Dean la riconosce, in quei rettangoli che si alternano, spezzando il candore della parete. I capelli biondi, le occhiaie scure, il sorriso fiero di chi deve aver lottato. Fino all’ultimo.

Layla.

Nelle ultime immagini appare profondamente invecchiata. Irriconoscibile. I capelli corti, radi, scavata ma il sorriso…è intatto. Il sorriso di chi crede…fino all’ultimo.
“Signora Rourke, mi…mi dispiace tanto per Layla…”
La signora Rourke si volta. Quelle “scuse tardive” non mutano l’espressione del viso che si mantiene ostinatamente sereno e allegro “E perché dovresti dispiacerti Dean?! Tu sei stato il suo angelo. Lei ha sempre creduto che tu…fossi un angelo…e ora, l’averti qui…me lo conferma. La mia Layla ci aveva visto giusto!”
Dean è sbalordito da quell’affermazione. Adesso è tutto chiaro.

Delia l’ha condotto in quella casa, colpita da una tragedia che il tempo non può lenire, per mostrargli che un lutto simile può farti perdere la ragione. Sam potrebbe impazzire e trovarsi a vaneggiare, come la madre di Layla che ancora non si è rassegnata alla terribile perdita. Ma, per quanto il legame con Sam sia forte, suo fratello ha tutta la vita davanti. Può sposarsi, avere dei figli…non resterà imprigionato in quel…fienile. Andrà avanti.  Sarà marito. Sarà padre. Sarà ciò che Dean non potrà essere.

“Signora Rourke…non capisco cosa intenda…io…sono Dean Winchester, si ricorda di me? Ci siamo incontrati dal reverendo Roy…Roy La Grange il…il guaritore…” e Dean deglutisce nel definire “guaritore” quel pover’uomo che, convinto di fare del bene, in realtà, “barattava” una vita con un’altra.
“Ma certo che mi ricordo Dean! Ed è lì che Layla ha compreso che tu eri il suo angelo!” insiste l’anziana signora, per nulla smarrita.
“Continuo…continuo a non capire…”
La signora Rourke si sofferma davanti a una di quelle foto, sfiorando il viso della figlia. “Al ritorno a casa era felice, fiduciosa, distesa…mentre io ero…ero distrutta dalla consapevolezza di ciò che mi sarebbe toccato. L’avrei vista morire. Piano piano.”
“Signora Rourke…io…” e Dean, sempre più abbattuto, vorrebbe trovare parole di conforto, di consolazione. Ma ogni frase gli sembra inopportuna.
“Dean…dimmi…hai pregato per lei, vero?”
Dean è spiazzato da quella domanda, tuttavia sa cosa rispondere.
“Io…io…be’…sì…ho pregato per lei…”

Non è un caritatevole ed empatico tentativo di non contraddire la donna.
Dean ha pregato per Layla.

Dean ha passato molto tempo a sentirsi responsabile di quella “mancata guarigione”. Era stato “scelto” da Roy, in qualche modo “rubando” quel posto che, di diritto, sarebbe toccato a lei. E dopo…se solo avessero aspettato a smascherare la moglie del pastore…oggi la signora Rourke non accarezzerebbe quelle foto con aria trasognata e adorante. E’ vero, un’altra vita sarebbe andata perduta e, probabilmente, Layla avrebbe portato per sempre il peso di quel rimorso. Ma, del resto, perché avrebbero dovuto rivelarglielo? Dean era stato guarito. Qualcun altro era morto “al posto suo”. Non avrebbe potuto essere così anche per Layla?

Invece…a lei è toccato un “miracolo interrotto”. Da Dean.

Chi era lui per decidere “chi poteva vivere”?! Come disse la signora Rourke, allora “Cos’hai tu più di mia figlia per meritarti di vivere?!

Nulla. Dean, oggi, saprebbe come rispondere. No…non meritava di vivere, non aveva nulla di speciale, se non un destino segnato tra Inferno, Purgatorio e un Paradiso dominato da dittatori egocentrici, che giocavano a bowling con una Terra vulnerabile, sempre in bilico tra un burrone e l’altro.

Era semplicemente un “cacciatore di mostri”… costretto spesso ad essere “più mostro” delle stesse creature che cacciava.
Layla avrebbe potuto essere molto più di questo. Molto più di lui.

Dean ha pregato, perché quei mesi fossero un’esaltante “somma” di luce e non frustrante “conto alla rovescia”, in attesa del buio.
Ha persino creduto che potesse guarire…povero sciocco! Si dichiara senza fede e poi…confida nell’impossibile!

“Ma…non è servito a molto…” afferma avvilito.
Le labbra della signora Rourke si distendono “Oh Dean…le tue preghiere sono arrivate al Cielo! Lei ha vissuto intensamente, completamente!”
“Era…lei era così giovane…per quanto possa aver affrontato tutto con la volontà di non farsi abbattere, in sei mesi…in appena sei mesi…” e Dean si maledice per essersi abbandonato a quella riflessione ad alta voce.
“Sei anni, Dean…Layla ha vissuto per sei meravigliosi, straordinari, incredibili anni…” lo corregge, commossa, la donna.
Dean sobbalza, confuso.
“Ma come…com’è possibile?! Avevano detto che il tumore era inoperabile…”
“Infatti lo era Dean, ma ti ripeto, Layla aveva una tale energia, una tale carica. Continuava a ripetermi che le vie del Signore sono infinite e che avrebbe vissuto ogni giorno con gratitudine, rendendolo unico e speciale.” E la donna si siede sul divano, riprendendo fiato.  Poi, con gli occhi pieni, prosegue nel suo racconto.

“Quando mi parlò di quel corso di cucina trovai l’idea grottescamente ridicola! Mai avrebbe provato il piacere di cucinare per un marito, per un figlio! Ma lei si iscrisse ugualmente, nonostante i miei rimbrotti. Matthew era uno dei partecipanti. Lo chef tirò a sorte, per stabilire le coppie che avrebbero dovuto collaborare, per quella prima lezione. Prepararono un dolce. Insieme. Una mousse…si sono innamorati…a prima vista. Nessuno avrebbe mai accettato di operarla. Troppo rischioso. Ma lui, giovane e già affermato neurochirurgo, mettendo a repentaglio la propria carriera, impugnò il bisturi con il piglio del guerriero valoroso, pur sapendo che il Male non si sarebbe fermato. Una tregua. Una battaglia vinta. Questo sarebbe stato. La guerra aveva un esito già scritto. Matthew sapeva che l’avrebbe persa. Lo sapevano entrambi. Ma quel “tempo”, quella “tregua”, Dean…è stata luce e inestimabile pace!” e la signora Rourke si alza dal divano e, prendendo una cornice dal mobile del salotto, gli mostra una foto, una bambina bionda, con gli occhi color nocciola.
“Lei è Faith.  Aveva quattro anni appena quando…eppure ha ricordi nitidi di sua madre. Non sembra vero quanto un figlio, a quell’età, possa rammentare in modo così preciso chi l’ha lasciato troppo presto!”

Dean deglutisce. Quattro anni di Mary. Quattro anni di Layla. Sì…può confermarlo, può comprendere che Faith ricordi perfettamente il profumo, la voce, le carezze di sua madre.
“Io…io sono così…così felice che lei abbia…abbia potuto vivere abbastanza da…”
“Ha sempre pensato che fosse merito tuo.”
“Cosa?! Merito mio?! No…io non c’entro assolutamente nulla con tutto questo…” disconferma Dean, sbigottito, agitando nervosamente le mani e scuotendo il capo.
 
“Hai pregato Dean…”
“Certo ma…”
“Quando qualcuno prega per te, non importa se credente o ateo…quell’amore “arriva”, Dean…lei era convinta di questo. Non so quanto abbia contato la casualità, quanto ciò che abbiamo vissuto sia stato “miracolo” o fortunata coincidenza ma so che Layla, fino all’ultimo istante, ha pregato per me, per la sua famiglia e…per te…Dean.”

Dean avverte un buco in pieno petto. E non è certo che sia quella ferita che “non si vede”. Un cuore che, a questo punto, non dovrebbe più battere, scalpita come cavallo indomito.

Lui ha pregato per Layla.
Layla ha pregato per lui.

“Io…io posso…posso sedermi un attimo?”  e quella richiesta è poco più che un sussurro. “Certo…certo Dean…” e Dean si lascia andare sulla poltrona in tessuto floreale. Ora non gli pare più tutto “bianco Paradiso”. Dean si sofferma sul rivestimento variopinto del divano, sul vaso di orchidee, al centro del tavolino in mogano, su quella parete carta da zucchero dove trova posto una lavagnetta su cui, la signora Rourke, annota l’agenda settimanale di Faith… “dentista”, “lezione di danza”, “festa di compleanno di Wendy: comprare regalo!”

“Vuoi un bicchiere d’acqua?” propone la donna, vedendo Dean visibilmente scosso.
“No…no…sto bene…”

In quel momento la porta d’ingresso si spalanca. La ragazzina entra con passo pesante, posando pigramente zaino e libri sul pavimento. “Uff…che fatica! Oggi l’interrogazione di storia è stata interminabile! La professoressa Anderson continuava a farmi domande! E meno male che ieri papà mi ha aiutato a ripassare! Cosa c’è per merenda, nonna? Sto morendo di fame!”
“Pane e burro di arachidi? Può andare?”
“Ti adoro!” e in quell’istante Faith si accorge dell’ospite. “Oh…buongiorno…” saluta garbatamente.
La signora Rourke scruta per un istante Dean, poi osserva la nipote. Potrebbe tacere. Potrebbe inventarsi un nome. Potrebbe presentarlo come un piazzista di prodotti per il giardinaggio…ma perché rinunciare alla possibilità di “materializzare” il protagonista della “favola della buona notte”, raccontata da Layla?

“Cara…lui …lui è Dean…”
Dean guarda smarrito entrambe ma non fa in tempo ad avere una reazione qualunque che la ragazzina gli corre incontro, buttandogli le braccia al collo, come se fosse uno zio che non vede da un paio di settimane e alla quale è legatissima.

“Davvero?! Tu sei “l’angelo della mamma”, sei davvero tu?!”
Dean non sa cosa rispondere. “Io…io ero un amico della mamma…” biascica.
“Ok…ok va bene, lo posso capire. Gli angeli viaggiano in incognito e non si possono svelare al primo venuto! Amico…certo! Amico è perfetto!” ribatte lei, senza scomporsi.

Quando Faith si dirige in cucina, pronta a divorare il suo panino, la signora Rourke prende la parola. “Layla ha voluto raccontarle la “loro” storia, partendo da te. Dal vostro incontro, da quel giovane che, forse inconsapevolmente, le ha fatto ritrovare la fede. Ha pensato che per Faith sarebbe stato di conforto credere in una sorta di “angelo di famiglia” che, in qualche modo, ha permesso a sua madre di metterla al mondo. Ho agito d’istinto. So che può apparire azzardato, la stramberia di una vecchia, presentarti come Dean, sapendo “cosa” quel nome rappresenti per la bambina. Ma in fondo, per Layla, per noi…sei stato questo Dean…un angelo, “indossato” da un uomo!”

Dean sospira. Pensa a quanto sia straordinaria l’intera situazione. Pur non sapendo praticamente nulla del “loro mondo”, Layla ci è andata inspiegabilmente “vicino”.

Jimmy Novak era un uomo. Un uomo devoto che si è fatto tramite. Per Castiel.
E Castiel…era un angelo…che si è fatto “umano”, attraverso l’amore che ha provato per lui e per Sam.

L’amore di una preghiera.
L’amore di un sacrificio.
L’amore che genera amore…anche se non lo sai. Anche se “non credi”.

Le preghiere di un ateo possono volare alto. Molto più di quanto immaginiamo.
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Quando si congeda dalla signora Rourke lei lo abbraccia con la stessa intensità di quando lo ha accolto.
“Abbi cura di te, Dean.”
Dean fa un cenno con il capo, abbozzando un mezzo sorriso. Scende i gradini di casa e la ragazzina lo raggiunge di corsa.
“Ehi, Dean…volevi andar via senza salutarmi?!”
E quella frase lo colpisce nel profondo, ricordandogli quella sua pessima abitudine. Andar via…senza salutare.
“No…certo che no…” e Dean si china per rendere più facile quel saluto. Faith gli sussurra all’orecchio “Il tuo segreto è ben custodito. Non lo dirò a nessuno che sei un angelo ma adesso ti svelo il mio segreto: ogni notte, prima di dormire, prego per te, Dean. La mamma mi ha detto che qualcuno avrebbe dovuto continuare a farlo, al posto suo.”
“Grazie…grazie, Faith …”

Dean lancia ancora una rapida occhiata a nonna e nipote. Due figure che si sostengono, l’un l’altra, immerse in una nuvola di rose.
S’incammina senza meta, avvertendo i loro sguardi affettuosi sulle sue spalle ricurve. Rallenta, per godersi a pieno quella tenera attenzione, fin quando, in lontananza, non ode chiudersi il portoncino blu.

Procede a passo lento, in attesa che Delia sbuchi fuori da una siepe, per condurlo alla…fine.

Poi si ferma, riflettendo.

Lui che è stato torturatore di anime sottoposto di Alastair, Demone al soldo di Crowley e custodia di un Arcangelo sterminatore… per Faith è un angelo.
Un potente, benevolo, serafico angelo.

Faith prega per lui.
Ogni notte.

Una lacrima scivola lungo la guancia piacevolmente rosea, tiepida.

Viva.

 
 

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Sam esce dalla doccia con un asciugamano attorno alla vita e un altro ad avvolgere i capelli, a mo’ di turbante. Vedendo Marin, appena fuori dalla porta del bagno, arrossisce, imbarazzato.
“Ehi! Non sei niente male in versione induista!” ironizza lei, per nulla a disagio.
“Ehm…Marin…non è il caso che tu mi segua come un’ombra…”
Lei, per tutta risposta, comincia a prendersi gioco di lui, mettendosi una mano sugli occhi e alterando la voce “Oh mio Dio! Mostrarti così…sapendo che hai ospiti! Con quale disinvoltura, con quale sfacciataggine osi presentarti in codesto modo?! Ti credevo un gentiluomo e invece…che delusione!” e Marin enfatizza, tirando su con il naso come se fosse letteralmente sconvolta dalla “disinvoltura” di Sam.
Sam la lascia fare e, “liberando” i capelli dal rettangolo di spugna, la “smaschera” con un mezzo sorriso.
 “Hai finito?”
Marin, ridendo, annuisce sorniona “Però ammettilo, l’interpretazione della “pudica donzella” non era male, vero?!” poi, mantenendo un’espressione giocosa, aggiunge “Sam…sono un’infermiera…credi davvero che mi imbarazzi vedere un uomo semi-nudo?! E poi non metterti strane idee in testa! Sono rimasta fuori dal bagno solo per intervenire, in caso di necessità. Hai dimenticato che, poco prima dell’alba, hai perso i sensi?!”
“No…certo che no…ma ora sto bene…e non sto mentendo, Marin…” ribadisce Sam.
“Lo so, lo vedo…cammini senza barcollare e hai un colorito un po’ meno “fumo di Londra”…direi che le sette ore di sonno filate ti hanno giovato!”
“Sì…e, a dirla tutta, non mi sembra vero di essere riuscito a dormire più di due ore… ” conferma Sam, tamponandosi la capigliatura. Niente vertigini. Nessuno “spettacolo pirotecnico”. Non più. Nemmeno a testa in giù…una sensazione di benessere lo invade e “stare bene” è qualcosa che credeva impensabile.

Impossibile.
Dopo quel dannato fienile.

“Dal punto di vista fisico, c’è un netto miglioramento, Sam. Continueremo con la terapia ma più per precauzione che per reale necessità.”
“Lo so che non vuoi che ti ringrazi ma…è merito tuo, Marin…” afferma Sam, guardandola dritto negli occhi zaffiro.
Marin è certa di non aver fatto nulla di speciale. Ha semplicemente deciso di “esserci”, come Sam fece con lei.  “Se proprio vuoi dimostrarmi la tua gratitudine…vista l’ora, che ne diresti di un caffè veloce e poi mi porti a pranzo fuori?!” suggerisce lei, ammiccante.
“Dammi un minuto e arrivo!” accetta entusiasta, Sam.

Sam entra nella sua stanza, indossa un paio di jeans e una camicia, asciugandosi i capelli di fretta. E’ allegro.  Ha appetito. E’ riposato.

Lo specchio riinvia la propria immagine. Sta sorridendo. E quel viso rilassato lo infastidisce. Non può appartenergli. Si sente improvvisamente svuotato e le labbra, nell’intento di rimediare a quell’ “atto di insubordinazione”, si chiudono in smorfia svilita. Cosa sta facendo?! Come può pensare di uscire a pranzo con Marin, come se niente fosse?! Come può pensare di tornare a sorridere…prima che lui…torni?!

E’ mezzogiorno. Sam ripiomba nella consapevolezza che, quel “mezzodì”, significa “giorno inoltrato”... non più di 24 ore nell’angoscia. Non potrebbe tollerarlo.
Ciò che prova è una sorta di tregua, di “anestetico naturale”, dovuto alle attenzioni e alla pazienza di Marin. Ma “la cura”, quella che porterà alla guarigione completa, è una sola. Ha un solo nome.

Dean.
---
Quando Sam raggiunge Marin in salone, lei si rende immediatamente conto che non ha più la serenità di pochi minuti prima. “Legge” il mutamento d’umore in quella fronte corrugata, in quelle guance tirate.

“Senti Marin…ripensandoci…mi dispiace ma… a me basterà un caffè. Vai tu a mangiare qualcosa fuori, io me la caverò, hai appena detto che…”
Ma Marin non gli permette di finire la frase “Ho detto che stai meglio ma preferisco evitare di lasciarti da solo, almeno per il momento. Non preoccuparti, sapessi quanti pranzi “saltati” per un’emergenza in reparto! Non c’è problema.” Marin può comprenderlo. Deve andare per gradi. Sa che si ritufferà nel lavoro di traduzione ma è determinata a “strappargli” almeno una colazione come si deve.
“Niente pranzo ma un buon caffè, accompagnato da una fettina di torta… quella che hai rifiutato ieri sera!”
Sam annuisce, con aria grata.
Poi Marin torna all’ “attacco”. Non lascerà che “ridiventi” Russell Crowe. Sam dovrà “staccare”, dovrà distrarsi, dovrà tornarea vivere. Prima di “far tornare” Dean.
“E oggi pomeriggio andiamo a prendere Miracle e a far provviste, promesso?”
“Promesso” acconsente Sam.

Ha evitato di restare mesi nel reparto di psichiatria. E’ in piedi, con ritrovato equilibrio e stabilità. Ha dormito più di due ore. Ha fatto una doccia mantenendo la giusta temperatura dell’acqua, ricordandosi di respirare, sotto il getto ristoratore.

E non ha più il posto in prima fila per quei vortici luminosi, che deflagravano nella sua testa.

Marin si è presa cura di lui…
In cuor suo, mai smetterà di ringraziarla.
 
 ---
Beve un sorso d’acqua e, con la mano tremante per l’emozione, traduce le ultime righe…è completa! Finalmente!
E’ "la soluzione"…ce l’ha fatta!

Andare all’obitorio. Scegliere un uomo sulla quarantina, passato a miglior vita magari per un’ischemia o un trauma cranico…in fondo non tutti possono avere un’infermiera a domicilio. Com’è toccato a lui.
Rubare quel cadavere, fregandosene di chi si domanderà che fine abbia fatto. Fregandosene di una famiglia che non potrà dare degna sepoltura a un figlio, un marito o un…fratello.
Bando ai sentimentalismi. Non può lasciarsi intenerire, indagando eccessivamente sulle generalità del “contenitore”. Sam non potrà concedersi tentennamenti. Non potrà pensare a “chi è stato” ma esclusivamente a "ciò che dovrà essere"…una “scatola di pelle umana”.
Nulla più di questo.

Macinare chilometri per trovarlo, in un luogo sufficientemente lontano. E farne altrettanti per riportarlo a Lebanon, nel bagagliaio, guardandosi bene dallo spaccargli le ossa perché, per un gesto maldestro, Dean potrebbe “svegliarsi” con fratture irreparabili.
Posizionarlo su un altare, a fianco del cadavere che avrebbe dovuto essere cenere. E poi evocare l’anima di suo fratello. Ovunque essa sia.

Scardinarla da qualsiasi luogo in cui si sia adagiata.
Sottrarla al frenetico vagare dello spirito “bloccato”, condannato alla follia.
Strapparla a qualunque pace sia riuscita, nel frattempo, a conquistarsi.

Trasferirla in un’ampolla con la mano ferma del chimico e la temerarietà del cacciatore di spettri.

Quindi, con un coltello intriso del proprio sangue, incidere il “contenitore”, all’altezza del cuore. Più o meno nel punto in cui, quel maledetto chiodo, ha trafitto la loro esistenza.
E, in quella fessura, infilarci lo spirito di Dean.

Finito.

E’ terribile quello che dovrà fare.

Lo aveva intuito ancor prima che Miracle rendesse vano il lavoro di giorni.
 
Quando è svenuto, ieri notte, era arrivato al paragrafo relativo al sangue.
Ci vorrà sangue. Il suo.

Sarà la fase più semplice.
Si ferirà il palmo com’è solito fare, per invocare demoni di un certo livello o stipulare patti dagli esiti nefasti. Poi avvolgerà la mano con un fazzoletto, annodandolo stretto…come Dean gli ha insegnato, quando era poco più di un bambino. Perché un’emorragia indebolisce e chi stai cacciando “fiuta” la debolezza. I ruoli s'invertono. Diventi facile preda.

Versare il suo sangue, non lo preoccupa. Le inevitabili questioni di coscienza che, un “piano” simile, porterà con sé, al contrario, lo angustiano.

Dovrà fari i conti con la consapevolezza di utilizzare un cadavere come “tramite”. Non molto diverso dall’odioso “modus operandi” di Demoni e Arcangeli.
Senso di colpa e la convinzione che, quell’atto di egoismo, gli costerà il Paradiso. Ma la supererà. Qualsiasi cosa pur di riottenere Dean. Non teme l’Inferno. Non più di quello che già vive.
In fondo, “razionalizzando, per “il contenitore” sarà “solo” un "funerale mancato”. Quel corpo avrà la sua “seconda occasione”. Potrebbe appartenere a un impiegato sedentario e annoiato. E in questo caso…una vita alternativa come cacciatore…perchè no?! Quelle ignare membra potrebbero trovarlo persino eccitante!
 
Era sfinito, Sam, stamattina, alle prime luci dell’alba quando si è afflosciato come palloncino sgonfio e ci è voluta la voce risoluta di Marin, per farlo desistere. E le sue dita carezzevoli… per farlo addormentare.

Ma adesso Sam sta bene. E’ decisamente più lucido ed efficiente.

Sam, con la pignoleria che gli appartiene, rilegge tutto con attenzione. Le pupille corrono veloci sulle pagine e poi, inaspettatamente, prendono a dilatarsi e restringersi, ritmicamente. Le iridi si appannano.
Il cuore accelera in modo insostenibile. Fuoriesce dal torace. Un cuore “a molla” che palpita per la coniglietta con il gonnellino plissettato che, senza difficoltà, va a canestro. Immerso in un cartoon in puro stile Space Jam…ma lui non è Bugs Bunny. Forse, a dire il vero, “si sente” più Duffy Duck, “mentalmente instabile” quanto lui.

Sam non riesce a “riprendere” il proprio cuore. Non riesce a bloccare il guantone gigante che gli sta assestando pugni “a random” e, appena tenta di rimettersi in piedi, si accorge di una minaccia ancor più grave… l’incudine in ferro, appeso al soffitto. Distingue il sibilo che accompagna la “caduta libera” che terminerà …sul suo sterno.
Ma gli sprazzi di lucidità gli consentono di percepirsi umano. Ancora.
Non è in una “creazione” partorita della fervida fantasia di Fred Jones, il vecchio cacciatore psicocinetico, amico di papà.

Inspira. Espira. Inspira. Espira.
Buio. Cubo. Gabbia. Incudine…a mezz’aria. Bloccato. Giusto in tempo.

Lucifero applaude dagli spalti. Sta gridando qualcosa, come uno sfegatato tifoso di Jordan che, stoppando un paio di avversari, è pronto al tiro. Ma gli applausi non sono per lui.
Bravo Sam! Bravo il mio ragazzo! Sei sempre stato un tipo sveglio! E adesso? Chi glielo dice a quella tua insulsa, insignificante, irritante parte retta e onesta? Ti piace così tanto fingere di essere il “buon Sam”, vero? Ma finalmente farai prevalere “il lato oscuro”, Sammy! E che “la forza sia con te”, mio erede, mio tramite perfetto! Papino è orgoglioso di te, era ora che Anakin Skywalker diventasse Dart Fener!”
In sottofondo a quel terrificante monologo s’inseriscono le ormai note risate pre-registrate.
Sogghigni isterici degni di Joker, It, di qualsiasi maledetto clown incontrato negli anni. Dai protagonisti dei “classici horror”, a quelli “in carne ed ossa” del Serraglio Magico di Plucky Pennywhistle, fino agli spiriti combattuti e vinti. Ma stavolta Sam non può interrompere lo sketch.  La scena e tutta loro. Escono dall’ombra. A decine.

Il fiore finto, appuntato al taschino della giacca a scacchi, zampilla, pronto a schizzarlo. Ma non è acqua.
E’ sangue.
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Il contenitore di cui parla la pergamena non è un cadavere. E’ un uomo. Vivo. Da uccidere con un fendente al cuore, usando uno stiletto intriso del sangue di colui che compie il macabro rituale.
Quando Sam reciterà la formula quella “feritoia” diventerà crepa dorata, pronta ad accogliere l’essenza di Dean.
 
Un malinteso. Una svista. Un errore.
“Su Sammy, non fare quella faccia! Non abbatterti! Può capitare di confondersi…poco male! Ora hai ben chiara la procedura corretta! Il “compito” è salvo, mio adorabile secchione! Devi solo eseguire le istruzioni e risolvere il problema con i dati a disposizione. E lo farai, Sam. Sappiamo entrambi che non lasci mai un “compito” a metà…”
Lucifero sghignazza, raddrizzandosi il papillon e sistemandosi gli occhiali sul naso. Scrive appunti su una lavagna di nera ardesia, in un’aula universitaria che si riempie a vista d’occhio di clown. Sfilano concentrati, nelle loro variopinte giubbe provviste di fiori spara…sangue. Li azionano, all’unisono, seguendo la coreografia di una raccapricciante parata.

Ci vorrà sangue. Non solo il suo.

 
Il cuore “a molla” rimbalza sulla volta, per ricadere a terra in un sordo tonfo.
Come anatra colpita in volo.

L’incudine si è schiantato.

Su Duffy Duck.
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“Sam!”
Marin ha riconosciuto il rumore del corpo che si abbatte sul parquet anche se, per un attimo, si è autoconvinta fosse una suggestione. Carter l’ha certamente influenzata, mettendola in guardia sulle insidie che può celare un apparente miglioramento.
Come volevasi dimostrare Carter aveva ragione.

Quando arriva in salone Sam è cosciente ma trema come una foglia. Marin teme possano trattarsi di convulsioni. Ma sono brividi di paura. Una paura che fa digrignare i denti e ti attraversa come scossa elettrica.

“Sam, guardami, cerca di calmarti!” e Marin si rimprovera di aver sopravalutato gli effetti di quel benefico riposo. Sam ha un sonno arretrato che non si risolve con meno di otto ore su un cuscino.
Gradualmente gli spasmi si fanno meno violenti. “Così…bravo…respira, piano…” Marin guida ogni atto respiratorio di Sam e, nel frattempo, con un occhio all’orologio, controlla le pulsazioni, augurandosi che decelerino. Ci vogliono circa dieci minuti perché Sam riprenda colore e i battiti tornino pressappoco regolari.

“Sto meglio…” soffia Sam.
“Si…la tachicardia è rientrata ma aspetta a rialzarti…sei ancora in affanno” 
Sam rimane a terra, senza opporsi. Quando Marin reputa che possa muoversi, lo fa con cautela, appoggiandosi a quel corpo minuto che, negli ultimi giorni, non fa che essere sostegno sicuro.
“Che cosa è successo? Avrei giurato che tutto procedesse bene…”
“infatti…è così…ma…ma ho avuto una delle mie visioni…” è la “mezza verità” che Sam decide di condividere.
Marin si rattrista. La "voce" deve essersi “svegliata”, rinvigorita da quella pausa. Anche lei.
“Sam… perché non mi hai chiamato, perchè non hai urlato?!”
“Non ne ho avuto il tempo. Lucifero si è materializzato davanti a me…in mezzo a un paio di clown…ti ho detto il rapporto che ho con i clown, vero?
Marin, pur faticando, riesce a mantenersi seria “Sì…so che non hai un grande feeling con i locali stile Plucky Pennywhistle…”
“Appunto. Sono rimasto come paralizzato…e poi ho perso i sensi. E’ durato poco, meno di un minuto…credo…”
“Sam…forse dovremmo…” suggerisce Marin, preoccupata.
“No, Marin…non posso tornare in ospedale…sai che finirei con il restarci per mesi…”

Marin lo sa. Per questo, sebbene sia in ansia, decide di dargli fiducia. Non è una “ricaduta”, semplicemente il processo di “rielaborazione del lutto” è appena iniziato. Ci vorrà pazienza.
“Allora… aspettiamo…diamoci tempo e vediamo come va. Al massimo aumenteremo la terapia al bisogno, per favorire il sonno. Devi solo riposare il più possibile…”
Sam tira un sospiro di sollievo. Ora non deve far altro che avvalorare la sua tesi. Marin deve convincersi che si possa risolvere tutto con una bella dormita. Otto ore filate di sonno e Lucifero, con la sua banda di saltimbanchi, con cerone e naso rosso, svaniranno.

 “Hai ragione…è certamente questo il problema…stanotte decidi tu il dosaggio delle gocce…io mi fido di te, Marin.”
Marin lo scruta con crescente affetto “Vale lo stesso per me, Sam. Ce la faremo. Vedrai…ce la faremo.”
Marin si fida di lui.

Sam risponde con un sorriso sghembo e una domanda straziante si espande nel cervello, facendolo sentire un colpevole bugiardo.
Lui può fidarsi di sé stesso?
---
Miracle, gli corre incontro scodinzolante, leccandogli il viso ancora provato dal malore.
“Ehi, amico! Quanto mi sei mancato!” e Sam affonda il viso in quell’ovatta in movimento. Paul assiste alla scena con evidente commozione.
“Grazie…grazie per esserti preso cura di lui…” continua a ripetere Sam mentre Miracle non smette di saltellargli addosso.
“E’ stato un piacere…sono felice che possa tornare a casa…la sua vera casa.”
Poi Paul, dando un’ultima carezza a Miracle, gli sussurra all’orecchio “Tieni d’occhio il tuo padrone, mi raccomando!” e l’animale pare comprendere l’importanza della richiesta.
Ora che Dean non c’è più qualcuno dovrà prendersi cura di Sam. E’ lui il suo nuovo padrone.

 Miracle ha scelto il suo capobranco. Dean non tornerà.
Ma Sam è tornato.
---
“Non ci credo!”
“Hai visto? Sono brava a tenere un segreto, vero?! Holly mi ha detto che Mark era riuscito a terminare il lavoro prima del previsto…per questo non sono venuta con te, da Paul, inventandomi la scusa del supermercato. Me l’ha portata poco fa. Volevo farti una sorpresa!”
“E ci sei riuscita! Marin…tu…tu non puoi nemmeno immaginare quanto significhi per me riavere Baby…” mormora Sam, sfiorando la carrozzeria con tenero rispetto.
“Bene…ora...ora non resta che riprenderti in mano la tua vita, Sam.” Marin sa che la “rinascita” di Sam può passare attraverso un guinzaglio e un volante.
“Sì…è così…è un inizio…” mormora Sam “Tu vai a fare la spesa e io…posso aspettarti al bunker…” propone Sam, deglutendo, lanciando uno sguardo triste in direzione del posto del guidatore. Tocca a lui occuparlo. Toccherà a lui…per quanto, ancora?!

Marin scuote il capo, titubante. “Sam…sei svenuto poche ore fa, non mi sembra una buona idea. Dammi solo il tempo di fare un po’ di provviste…non ci vorrà molto. Poi tu ti metterai alla guida e io mi accoderò dietro, con la mia auto. Rientreremo al bunker insieme, d’accordo?” suggerisce Marin.
“Va bene…” accetta Sam. Non ha voglia di discutere. Non servirebbe. E poi…ha già altro in mente.
“’Il parco è qui vicino, a Miracle farà bene camminare un po’. E anche a me.” sentenzia, pensieroso.
“Sam…sicuro di sentirti bene?” domanda Marin, accorgendosi di quell’improvviso rabbuiarsi.
“Sì…sto bene…davvero…ho solo voglia di fare due passi…”
Fidarsi. Marin se lo ripete. Non c’è nulla di strano nel voler restare un po’ da solo. Fa parte del percorso di quel “riappropriarsi” di sé.
“Allora…facciamo fra un’ora al parcheggio?”
“Perfetto.”

Il pick-up è presto un puntino arancio, in lontananza. Sam deglutisce. Marin gli mancherà.

Non poteva prevedere che avrebbe riottenuto Baby eppure, quasi come un automa, prima di uscire, è andato in armeria. E’ appuntito, piccolo. Poco più grande di un bisturi. Può incidere la pelle con la stessa precisione del ferro chirurgico. Può perforare un organo vitale come il punteruolo che ha trapassato Dean.
 
Non tornerà al parcheggio. Non andrà all’appuntamento con Marin. La sottile lama dondola nella tasca del giaccone, avvolta nelle due pagine trascritte in ordinata grafia.
Una passeggiata con Miracle. Poi si metterà in viaggio. Sulla ritrovata Baby che, con il suo capiente bagagliaio, sarà complice di quel delitto.
Lucifero lo guarda compiaciuto, facendo stridere il gesso sulla lavagna. E' in compagnia. Sam si pulisce il viso, con aria schifata. Lo sa che è solo nella sua testa. Lo sa che il sangue che continua a togliersi dalla faccia non è reale. Ma quel fottuto clown, che porta un’inguardabile giubba a rombi gialli e fucsia, è a cinque centimetri da lui. Continua a sganasciarsi, premendo un petalo della margherita che ha cucita sul taschino.

E tutto diventa porpora. Persino il pelo di Miracle è innaffiato di amaranto.
 
---
“Ciao Dean”
Eccola. L’aspettava. Un paio di siepi fa. E’ in ritardo.
“E’ graziosa Faith, vero?” domanda Delia, come se volesse intrattenersi in una conversazione amichevole, come una semplice “vicina” di casa. Di “quella” casa.
“Si…lo è…” conferma Dean, abbassando lo sguardo.
“Chi l’avrebbe mai detto che un “ex demone”…per qualcuno potesse essere…un angelo! Buffo, vero?”
E Dean non risponde. “Buffo” è un termine che non “rende giustizia” a ciò che ha provato.

"Era l’ultima persona che dovevi incontrare Dean. Ora ti lascio libero.
Dean, con indicibile emozione, coglie la parola “libero”… mentre si fa macchia di atomi scomposti che si riaggregheranno altrove.
 ---
“Ed eccoci qui, come promesso.”
Dean osserva la terra smossa. Sa cosa c’è lì sotto. Cosa “resta” di lui.
Lì sotto.

“E…e adesso?”
“E adesso aspettiamo Dean.” asserisce Delia, sedendosi tranquillamente ai piedi di un albero come un’altera principessa elfica.
“Il mio corpo sta cedendo?”
“Ormai è al limite. E’ involucro sfatto, piegato su se stesso.”
Dean deglutisce. “E quando resterà solo la mia anima lei…lei…”
Lei, la tua anima, era pronta…dall’inizio, giusto Dean?”
“Giusto…”
“Allora non ci saranno problemi…”
“Non…non ci saranno problemi…” ripete Dean, con la voce leggermente gracchiante. “La mia anima…deciderà…”
“Non solo la tua…” puntualizza Delia, allungando le gambe e giocherellando con il lungo abito.
“Che cazzo vuol dire?! Basta con i tuoi rebus da sfinge stronza!” esplode Dean, esausto.
“Modera i termini, Dean!” lo riprende lei, ricordandogli “chi comanda”.

Dean si frantuma. Esala un grido che non ha più nulla di umano. Ogni sensazione del suo eroico corpo consumato gli viene rimandata. E Dean non ha più occhi, naso, bocca. Un ammasso di carne informe.

Deve aspettare.

La fine.
---
“Posso?”
Quella voce lo scuote, “salvandolo”. Sam ha lo sguardo perso nel vuoto. Apparentemente non prova alcuna emozione, fissando un punto imprecisato, tra il fogliame multicolore ma, la sua anima, sta scappando da un’orda di pagliacci killer.
“Eh?”
“Posso sedermi?” ripete educatamente l’uomo, un po’ stizzito.
“Certo…certo…” balbetta Sam, riavendosi.
Miracle si scosta, scendendo dalla panchina, facendo posto allo sconosciuto.

“Grazie! E grazie anche a te, piccolo!” e l’uomo sfiora Miracle che mostra i denti più per prudenza che per concreta minaccia. “Ehi…sei da guardia, non c’è che dire!” esclama, ritraendo la mano. Poi si lascia andare mollemente sulla panchina, posando il suo voluminoso zaino a terra, tra le ginocchia. Sistema alla meglio anche la custodia di uno strumento musicale, altrettanto ingombrante.

Sam lo scruta. E’ accaldato. Stanco. Presume che abbia superato i 35 anni. Statura media e muscolatura tonica. Probabilmente è uno sportivo.
Ha capelli biondo miele, naso piccolo e labbra carnose.
E un’aria un po’ boriosa.
E gli occhi verdi.
Ma non è “quel verde”. E’ più tendente al nocciola.
Prende una birra dalla sacca e gliela offre. “Vuoi? Non è freschissima ma di buona qualità. Fa un caldo pazzesco, per il periodo, non trovi?!”
“Già…già…” replica Sam.
“Allora?”
“Allora cosa?”
L’uomo lo squadra spazientito. Ma è l’unica panchina all’ombra nelle vicinanze e lo zaino è pesante e lo ha in spalle da un paio d’ore. Maledetti bus sempre in ritardo! S’impone di mantenere la calma.
“La birra…la vuoi? Sì o no?”
“No…no, grazie”
“Non bevi? Sei astemio?”
“No, non sono astemio…ma ora…ora non mi va…grazie” ribadisce Sam, immerso nelle sue congetture.
L’uomo senza ulteriori indugi, stappa la bottiglia, mandando giù un paio di golate.
“Comunque…per la cronaca… io sono John Stewart” e gli porge la mano sudaticcia.
Sam a quel “John” ha un leggero fremito. “Sam…Sam Winchester”
“Sei di Lebanon? Vivi qui?”
“Si…poco fuori città e tu?”
“Io sono solo di passaggio. Viaggio spesso per lavoro, mi muovo in autobus ma…come vedi…non sono affidabili! Dovevo prendere quello per St. Louis. un’ora fa ma…sono ancora qui! Ogni tanto noleggio un’auto. Mi piace guidare ma non posso permettermi di mantenere un’automobile di proprietà!”
“Che lavoro fai?” domanda Sam, pur intuendolo, dal bagaglio che si  porta appresso.
“il musicista. Canto in locali di livello medio-basso…non è il massimo ma, in fin dei conti, faccio ciò che mi piace e riesco a guadagnarmi da vivere. Sai, la discografia è un settore difficile…” precisa, quasi a voler “giustificare” la propria “carriera mancata”.
Sam deglutisce “E…cosa canti?”
“Ho un repertorio rock, suono il basso…canzoni dei Queen, in gran parte. Certo non sono Mercury ma ho un pubblico che, a metà serata, non fa più gran caso alle stecche!” e John ridacchia, finendo l’ultimo sorso di birra.
“Deve…deve essere interessante…” tenta di approfondire, Sam.
“Sì, lo è. Non mi lamento. E’ la vita che mi sono scelto. Mai un posto fisso, mai una relazione fissa. Non sono fatto per una famiglia, per un legame stabile. Mi annoierei a morte!”
“Credi? A volte la normalità non è poi così male...” sospira Sam.
“Ormai tra poco avrò quarant’anni credo di sapere cosa faccia il caso mio!” ribatte John, saccente.
“Tra poco…be’ allora…buon compleanno…”
“No, niente auguri…facevo così, per dire. In realtà ci vogliono ancora un paio di mesi ma sai…i 40 anni sono un po’ una meta… quando ne parli sembrano dietro l’angolo!”
“Giusto…” risponde distrattamente Sam, pensando che, “i suoi 40” non avrà alcun senso festeggiarli.

Nulla ha senso. Senza Dean.

“Il 24 gennaio”
 “Che cosa…cos’ hai detto?!” Sam sbianca e, in un atto involontario che non riesce a frenare, balza in avanti, andando quasi addosso a John che si scosta, come se avesse timore di essere colpito.
“Ehi! Che ti prende?!”
“Hai…hai detto il 24 gennaio…” sibila Sam.
“Be’…sì…è il mio compleanno. Non stavamo parlando dei miei 40 anni?!” motiva l’altro, sempre più  scocciato dall’atteggiamento di Sam.
“Certo…certo…scusa…” balbetta Sam, sedendosi nuovamente sulla panchina come un giocattolo con le pile scariche. Si muove al rallentatore perché gli alberi ballano, le panchine si alzano in volo, gli edifici rimbalzano.

Gli sembra la trama ordita da un Trickster. Il nome, i lineamenti, i colori…e ora anche la data di nascita! Sfiora la piccola arma, nella tasca, la percepisce attraverso l’inestimabile carta usata per avvilupparla.

E se fosse un demone? O peggio una sua allucinazione?! Se in quel momento gli altri lo vedessero parlare da solo, su quella panchina?! D’istinto osserva Miracle. Lui lo ha accarezzato e Miracle gli ha fatto posto. Miracle lo ha “visto”, gli ha mostrato i canini…ma se anche lui facesse parte di quell’imbroglio di un semi-dio burlone?

Sente un fischio e poi John esordire dicendo “Ehilà, gran bel culo…mi fai venire voglia di allenarmi!”
“Cretino!” grida la ragazza bionda che, intenta a fare
 jogging, prosegue ad ampie falcate, scuotendo il capo in segno di disapprovazione.
John fa spallucce “Be’…non dico che sia un approccio da gentleman ma ogni tanto funziona! Qualche volta mi becco un ceffone, qualche volta si fermano per insultarmi e, se me la gioco bene, ottengo un numero di telefono! Spesso ci scappa cena e dopo cena!” conclude fiero John, facendo l’occhiolino a Sam.

Ok. Non è un’allucinazione.

“Stai bene?”
“Ah?” risponde Sam, provando a cercare, all’interno di sé, qualcosa di più “articolato”. Ma quel suono da ebete è già sforzo immane.
“TI senti bene?! Insomma…sei “fatto”o sei semplicemente nato così…un po’ “rallentato”… alla Forrest Gump?!”
Schietto. Diretto. Ironico.

Come Dean.

“No…no…è solo che…sono stati giorni difficili. Ho perso mio fratello…” svela Sam, quasi senza rendersene conto.
Di colpo l’espressione di John diventa seria e dispiaciuta.
“Scusami…non intendevo mancarti di rispetto…mi sembravi solo un po’ strano, uno svitato…ecco tutto. “
“Non fa niente, non potevi sapere.”

Nessuno può sapere.

Cala un silenzio cupo e imbarazzato. Sam ne approfitta, proponendogli la piccola borraccia che porta sempre con sè. Acqua benedetta…
“Un sorso d'acqua?"
“In effetti, la birra è dissetante ma, in questi casi, l’acqua aiuta a ritrovare la parola…”. John prende la fiaschetta, accostandola alle labbra. Sam è pronto a vederlo contorcersi, gridare, sfrigolando. Invece non succede nulla.
“E un tantino stantia…ma grazie lo stesso…” osserva John, asciugandosi la bocca, con malcelato disgusto.
Sam vorrebbe poter usare la lama. Ma non per compiere quel crimine ignobile. Semplicemente per…
Ma John, inconsapevolmente, soddisfa la sua curiosità.

 “Accidenti!” esclama, tenendosi la mano.
“Cos’hai fatto?!”
“Un chiodo…”

Sam deglutisce. Un chiodo.

“Fammi vedere…”
“Non è niente, sono panchine vecchie, non ho fatto caso al ferro che usciva dal legno. E’ solo un graffio”

Sam rimane rapito da quel rigagnolo rosso che, dal dito, cola lungo il palmo.
Non è un demone.

Sam non sa se provare gioia o inquietudine.

John si avvolge il dito con un fazzoletto, senza troppi commenti. Sam nota alcune cicatrici sparse qua e là, sugli avambracci lasciati scoperti. Ha caldo John. Il giubbotto in pelle lo ha annodato alla vita.
“Non hai un disinfettante con te?”
“Stai scherzando? Non sono mica una femminuccia! Vedi questa?” e John mostra a Sam uno degli sfregi più evidenti “Lotta libera con uno stronzo che, a scuola, non mi lasciava in pace. Ho sfondato la portavetro della sala insegnanti…avevo 12 anni e mi hanno dato…12 punti! Comico eh?! Invece questa è recente. Una scazzottata in un locale. Non mi ricordo il motivo della litigata…forse una donna…avevo finito l’esibizione e il proprietario era rimasto entusiasta, tanto da propormi consumazioni gratis…e ne ho approfittato!” e John ride, non entrando nei dettagli.
“E quella?” fa Sam, indicando una nodosa “colata di lava” in rilievo, nella zona del polso.
John si incupisce “Questa…questa è una punizione di mio padre. Era un tipo all’antica, ci andava giù pesante. E bastava poco per fargli perdere la pazienza. Quel giorno era letteralmente fuori di sé. Ha preso l’attizzatoio del caminetto e mi ha marchiato. Come si fa con il bestiame.”
Sam abbassa lo sguardo “Perché…perché era così rigido con te?”
John resta in silenzio. E ora è lui quello “rallentato”, alla Forrest Gump.

“Scusa sono stato indiscreto …non ne vuoi parlare…lo capisco…” dice Sam, scusandosi della propria indelicatezza.
Ma John risponde secco, fissando le nuvole “Avevo un fratello”
E quel verbo al passato, per Sam, è già frustrazione.
“Anche tuo fratello è…” e anche se non è una domanda, pare che Sam si aspetti una risposta.
John si volta verso Sam, rinunciando a mantenere le pupille perse nel cielo.

“Sì…ma non l’ho conosciuto.  Solo attraverso i racconti di mia madre. Dalle foto mi assomigliava ma aveva i capelli più scuri. Mio padre adorava Gerard. Trascorreva con lui ogni momento libero dal lavoro. Io sono di Boston e i miei avevano un cottage, in collina, ereditato da mio nonno paterno. Era immerso nel verde e ci andavano ogni fine settimana. Gerard amava quel posto. Stava giocando con papà, a nascondino. Mio padre gli diceva sempre di non allontanarsi troppo ma lui voleva…vincere. C’era una sporgenza, nascosta tra i rami. Era autunno, un autunno tiepido, con tutte le sfumature tra il rosso e il marrone, tipiche delle nostre parti. Quel dirupo era troppo vicino e lui...era troppo piccolo per rendersi conto del pericolo. Aveva compiuto sette anni il mese prima. E’ stata la sua ultima fotografia, scattata mentre spegne le candeline. Ha messo male un piede ed è diventato un mucchio di cenci. Un bambolotto di porcellana, rotto in mille pezzi. Mio padre ha stentato a riconoscerlo. Mia madre ha preferito continuare a guardare quella foto. Gerard davanti a una torta a due piani, con quell’orsetto di cioccolato, immerso in uno strato di pasta da zucchero. Negli anni ho osservato ogni particolare di quel dolce…sono arrivato a immaginarne persino il gusto!”

“Mi…mi dispiace…” sussurra Sam, maledicendosi per aver riaperto quella ferita che, probabilmente, si è “tradotta” in … “colata di lava”, sul polso di John.

 “Il cottage è stato svenduto di fretta e io, con mio padre, non ho mai giocato a nascondino…per ovvi motivi.” E John non pare turbarsi per il cinismo di quella frase. Poi continua, prendendo un lungo respiro. “Sono il figlio “sostituto”. Quello nato per “rimpiazzare” Gerard ma…non sono lui. Non lo sono mai stato.” E nella voce di John cogli l’amara consapevolezza di cosa “è stato”…
delusione.

“Capisco…per loro, per i tuoi genitori sarà stato terribile…” tenta di giustificare, Sam.
“Mia madre se n’è andata per un cancro, quando avevo sedici anni…e a lui…sono rimasto solo io. Credo che, un sacco di volte, abbia pensato che, quel tumore ai polmoni, avrebbe dovuto colpire me. Del resto, a tredici anni, già fumavo. “
John non ha intenzione di “giustificare”.

“Non può averlo pensato…è pur sempre tuo padre…”
“Ti sbagli, Sam…lui era il padre di Gerard. E Gerard era quello che si meritava di essere suo figlio. Papà lo portava spesso nello studio legale. Era orgoglioso di quanto Gerard fosse a suo agio tra quelle scartoffie. Si sedeva sulle sue ginocchia in religioso silenzio, ascoltando le lunghe telefonate di lavoro. Era affascinato dalla sua parlantina. Gerard allineava le penne, con precisione maniacale, dicendogli che, da grande, avrebbe voluto una scrivania come la sua. Ci ha provato. Papà ci ha provato…ma non ha funzionato. Ero chiassoso, irruento, la disperazione delle due segretarie che, anche loro, non facevano che guardarmi con rammarico, compatendo mio padre. Bisbigliavano, confrontandosi su quanto fosse “calmo e giudizioso” Gerard. Credevano che non le sentissi. Ma sono un musicista…ho sempre avuto un ottimo udito. Alla fine papà ha capito che non faceva per me. Ha smesso di portarmi in studio.”
E John respira ravvicinato come se quel senso di inadeguatezza facesse ancora male. Sam può comprenderlo. Tante volte, agli occhi di suo padre, si è sentito inadeguato, rispetto a Dean. Lui era il nerd di casa, quello da proteggere, quello che avrebbe voluto una vita “normale”, l’anello debole…era in un certo senso “sbagliato” per John.
E qui c’è un John…“sbagliato”. Come può essere curiosamente ironica l’esistenza.

“Avrebbe voluto che continuassi la tradizione di famiglia. Una prestigiosa università, Harvard o Stanford. Il mio nome sotto il suo, sull’ insegna dello studio legale…ma io mi sento libero solo quando suono, girovagando da uno Stato all'altro, fermandomi in un motel dove puoi decidere “chi essere”. Ogni tanto mi registro con nomi d’arte, inventati. Ne ho quattro! E’ divertente.”
Stanford.

Un padre che sognava un figlio avvocato.
Un padre che lo voleva accanto, per portare avanti… “gli affari di famiglia”.

Sam è frastornato da quante analogie si accavallino tra passato e presente, creando una ragnatela di fili che lo uniscono a “quel John”.

“Potresti…potresti provare a parlargli…dicendogli cosa provi…quanto hai patito la sua indiferrenza…” suggerisce Sam, ricordando gli occhi pieni di suo padre quando sono riusciti a parlarsi “davvero”, grazie alla perla dei desideri. Avessero potuto farlo prima che…
ma è prevalso il rancore e l’orgoglio.
“No…non ho bisogno di lui. Va bene così. Non ci sentiamo da diciotto anni, ormai. Credo che, se morissi, non lo verrebbe neppure a sapere.  E poi non lo vorrei al mio funerale. Io certo non andrei al suo. Non voglio un soldo da lui. Non me ne frega un fico secco dello studio, della villa…ricordo solo mia madre che piange davanti a una foto, accarezzandomi la schiena con aria distratta. E poi quel camino, quell’attizzatoio…vorrei che quella casa bruciasse all’Inferno.” E Sam, negli occhi di John, scorge scintille degne della Gabbia.
Poi John si ricompone, quasi mortificato di essersi “svelato” fino a quel punto. “Scusami…tu sei in lutto per tuo fratello e io ti vomito addosso i miei traumi infantili!" e si alza, a disagio, allontanandosi.
“No, aspetta! Resta ancora un momento, mi fa piacere fare due chiacchiere e poi…anch’io non ho avuto un rapporto facile con mio padre…”
“Davvero?!” e John che zaino e strumento in spalle, era pronto ad andarsene, si ferma. Poggia il borsone a terra e ne estrae una birra “Be’ in questo caso…visto che hai ascoltato la mia storia lacrimevole ora tocca a te raccontarmi la tua. Ma stavolta ci bevi su e… non acqua rancida!”  e, così dicendo, gli lancia una birra al volo.
Sam l’afferra, d’istinto, deglutendo. Il cuore ha ricominciato la sua corsa e non c’è Marin che tiene il conto dei battiti.
“Ottimi riflessi, Sam!”

Sam sorride, inebetito, frastornato.

Terrorizzato.

Esaltato.

Un musicista rock che suona in locali di infimo livello. Si muove principalmente con i mezzi pubblici, noleggiando, di tanto in tanto, un’auto. Talvolta usa un nome d’arte. Il suo pubblico “tipo” vuole trascorrere una serata senza pensieri…clienti che alzano il gomito e non disdegnano le zuffe. Troppo disattenti e ubriachi per memorizzare il volto del cantante.
Una donna in ogni locale. Ma nessuna che ricordi il suo nome.
Un padre ancorato al proprio puntiglio.
Nessuno lo cercherà.
Nessuno farà caso a Dean. Quel viso “donato” passerà inosservato. Del resto…non si dice che, per ognuno di noi, esistano sette sosia al mondo? Dean potrebbe essere il sosia di un certo John Stewart.

 La “morte” di John potrebbe addirittura esser dichiarata, per evitare qualsiasi complicazione. Un incendio che polverizza. Le fiamme avvolgeranno i resti di Dean. Ma la sua anima sarà al sicuro. Lui sarà vivo. Nel corpo di un cantante sfortunato. Che non arriverà ai “suoi 40”.

Sam prova un pizzico di gioia nell’immaginarsi a scrivere un telegramma, per avvisare quell’uomo ingrato, che ha rinnegato John. Quella seconda paternità avrebbe potuto essere conforto. Ma è stato continuo paragone, permanente biasimo, impietoso giudizio. La “sentenza” arriverà, anche per lui. A nulla servirà la laurea in legge e la brillante carriera d’avvocato. La “difesa” perderà.
Il rimorso è un giudice estremamente severo. Quell’uomo sarà condannato.

Piangerà due figli.

“Che ne diresti se ti dessi un passaggio? Così eviti di aspettare l’autobus?”
“Davvero faresti questo per me?!”
Sam si morde il labbro. “Non solo per te…lo farei per me…anche per me…così potrei raccontarti con calma…la mia storia…”
“Sarebbe grandioso!”
Miracle lancia un’occhiata di rimprovero a Sam e poi comincia ad abbaiare e ringhiare contro John, nel disperato tentativo di farlo allontanare.
“Miracle, che ti prende? Basta!” intima, Sam.
“Uhm…credo di non stargli simpatico…forse…forse è meglio aspettare l’autobus…grazie lo stesso…” e John indietreggia, impaurito dalla reazione di Miracle.
“No, no…non ti morderà! E’ bravissimo, è solo un po’ diffidente con gli sconosciuti ma si abituerà…si abituerà…vedrai che…alla fine del viaggio sarai…sarai uno di famiglia…” lo rassicura Sam, con un lampo ambiguo nello sguardo. Poi si china su Miracle. “Buono bello, va tutto bene…è tutto a posto…” e poi, abbassando la voce “ti prego Miracle…”.

Miracle annusa John. Sembra simpatico. Ha un buon odore. Di birra, di hamburger, di giubbotto in pelle e stivali di cuoio. Ha mani che sfiorano con gentilezza e occhi velati di malinconia che però sfavillano…quando ride.

Si accuccia ai piedi di John. Sa che non è giusto ciò che il suo padrone sta per fare ma è il suo “capobranco”.
E poi, forse, anche lui preferisce un “Dean non Dean” a un mondo… "Senza Dean”.

Vedi…ha già cambiato idea!esclama Sam, orgoglioso della fedeltà di Miracle.
“Ok…allora…d’accordo, andata!” e John s’incammina, affiancando Sam, seguito da Miracle.

Sam sfiora la lama che, a ogni suo passo, “danza” nella fodera del giaccone. Un’ ultima “piroetta” prima di “uscire” allo scoperto. Per il gran finale.
Un “altro John” si sacrificherà…di nuovo. Per restituire la vita a Dean.
Un colpo netto, preciso, svelto. Non si accorgerà di nulla.

Lucifero si posiziona alle spalle di John. Sam lo “vede”. Ha un’espressione appagata. Come quella del clown che lo accompagna.
Sam dovrà pulirsi la faccia.

E non sarà un fiore di gomma a sgorgare fiotti color vermiglio.
 

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Capitolo 7
*** capitolo 7 ***


Il supermercato è gremito e, all’ingresso, ci sono un paio di stand allestiti con festoni e carte lucide, dalle tonalità sgargianti. Alcune commesse abbigliate come se fossero sul set di “Elf” ti accolgono con un sorriso smagliante. Offrono promozioni su dolciumi e liquori in confezione regalo. Marin è particolarmente attratta dalle caramelle mou, in versione strenna. C’è già aria di Natale.

. E’ il periodo dell’anno che preferisce anche se, in quei giorni, Joshua le manca più del solito. Accarezza il grande fiocco dorato che impreziosisce una scatola rettangolare, a righe rosse e verdi. Contiene tre birre di marca che Marin ricorda di aver visto da qualche parte. Forse in uno spot pubblicitario. O forse…in quella stanza rimasta… “in attesa”.

Si ritrova a pensare che Sam, ben presto, soffrirà…
più del solito.

Scacciando quella malinconia che già s’insinua tra pacchetti abbacinanti e volantini ridondanti, Marin fruga nella borsa, nel portafoglio e, con uno sbuffo innervosito, nella tasca del paltò. Si mordicchia il labbro maledicendo la propria sbadataggine. Della lista della spesa non c’è traccia.

“Oh no! Accidenti!” esclama, incurante delle occhiatacce degli altri clienti. Le capita spesso di parlare da sola, ad alta voce. Sa che, in quelle situazioni, può apparire un po’ stramba ma non se preoccupa più di tanto. Quando conosci la follia, quella “vera”, non temi il giudizio di chi si stupisce di fronte ad un innocuo “pensiero ad alta voce”. Ha uno spiccato senso pratico, Marin. E’ consapevole che la sua memoria è piuttosto debole.

 Ricorda che la dispensa del bunker è semivuota.
Ricorda un frigo…decisamente vuoto.
Ricorda di aver scritto una serie di parole ma…non riesce a “visualizzarle”.
Sta per telefonare a Sam, chiedendogli un cambio di programma. Dovranno tornare al bunker e recuperare la nota. Ma, quando è certa di doversi “arrendere”, sente “qualcosa”, nella tasca interna della borsa, a fianco del cellulare. Eccola! Ma...non è un semplice elenco di acquisti…c’è una paginetta che pare quasi essersi incollata al promemoria scritto con scrupolosità, per evitare di tralasciare qualcosa. Ma, su quel foglio colloso non c’è la sua calligrafia.

Marin “rievoca” cos’ha fatto, prima di uscire.

Ha recuperato la nota lasciata incautamente in mezzo a quegli appunti che, disseminati sul tavolo, costituiscono “la missione di Sam”. Nella fretta deve aver preso una parte di quella prima “stesura”. Lo intuisce dai cerchi intorno alle parole e da quegli asterischi ai margini. Immagina che Sam, in un secondo momento, abbia trascritto “in bella” il corposo lavoro di traduzione. Quello che ha tra le mani non è che un insignificante scampolo di “minuta”. Qualcosa le dice che sarebbe meglio limitarsi a ripiegare il foglio, concentrandosi sul “suo” scritto che “narra” di marmellata, pane tostato, verdure di stagione… utile a "riempire" il carello e il cervello di…normalità.

Meglio non sapere cosa prevede quel “rituale di ritorno”.

Ma, alla prima confezione di biscotti, Marin non resiste alla tentazione. Vuole scoprire quale sarà “l’offerta speciale” che permetterà a Dean di festeggiare il Natale…con Sam.

Marin legge. Ed è la parte “saliente”. Quella che Sam, inizialmente, non ha compreso.
Marin legge ed è sufficientemente vigile, lucida e avvezza al “mondo di Sam”, per intuire l’orrore.
Nessun fraintendimento. Nessuna svista.

La corsia degli alimentari si fa improvvisamente imbuto. Le scatolette di fagioli diventano mine di latta, pronte ad esplodere, le caramelle incellofanate proiettili e, più in là, i detersivi in polvere si trasformano in armi chimiche che le bloccano il respiro.  La testa gira, insieme a quei treni di lettere, montagne russe di un dirompente saliscendi che riduce il cuore a fisarmonica. Marin cerca di recuperare fiato e concentrazione, fissando l’incarto della barretta di cioccolato che riproduce un allegro Santa Claus…respira. Torna a respirare, tra Babbi Natali e frolle a forma di abete.

Prende il cellulare e cerca in rubrica il numero del dottor Carter. Compone le prime due cifre ma poi si ferma. Non può telefonargli. Per dirgli cosa?! Sam non l’ha aggredita. Sam non ha fatto male a nessuno. Non ancora.

Ma ucciderà.

Sam come Albert…per ragioni diverse. Con modalità diverse. Ma le sue mani saranno mosse dal medesimo buio. Marin non può avvisare Carter. La pazzia è già "partita" complicata quando si “gioca” con le regole della Terra. Un "campo soppranaturale" sarebbe troppo. Anche per un primario capace e sensibile come lui.

Solo lei può tentare di impedire che quell’oscurità avvolga Sam…e il malcapitato che sarà immolato a breve.
Marin esce di corsa da quel supermercato che è già vestito “a festa”.

C’è aria di Natale.

Nell’andirivieni di sentimenti e pensieri che la confondono, ha un’unica certezza: Sam non accetterà di soffrire…

 più del solito.
---
Sam gli ha  parlato di Stanford, dell’ “azienda di famiglia” che avrebbe dovuto mandare avanti, di quel John burbero ed esigente…il giovane omonimo di suo padre non ha fatto che ascoltarlo. Attentamente. Empaticamente.

“Mi spiace molto per tuo padre…però credo che… che fosse diverso dal mio. Lui ti voleva bene, Sam. Doveva essere una brava persona…”
Sam fa un cenno di assenso, stringendo un poco il volante.
“Lo era…sì…lo era…anche se non riusciva a dimostrarmi il suo amore…non come avrei voluto e forse, non come avrebbe voluto. Però John…un padre è sempre…” e Sam, quasi involontariamente, si ritrova a volerlo consolare. Una parte di sé vuole che muoia convincendosi di essere stato amato.

Tutti dovrebbero morire con la rincuorante certezza di essere stati desiderati e amati.

Ma John non ha potuto contare su Dean. Non ha avuto un fratello maggiore pronto a farti da padre anche se, egli stesso, aveva un disperato bisogno di sentirsi figlio. John non ha avuto qualcuno che riempisse i silenzi con una battuta o che si prendesse un ceffone al suo posto. John era solo, con il fantasma di Gerard tatuato sul polso.
“No…è tutta un’altra storia…” e John batte nervosamente l’indice sulla tappezzeria che contorna il finestrino.

Sam, a questo punto, comprende che John lascerà il proprio corpo maledicendo suo padre e quel ferro rovente. La cicatrice non sarà più affar suo.

Diventerà “l’eredità” di Dean. Sam la vedrà ogni giorno. Quando Dean pulirà le armi, quando accarezzerà Miracle, quando berrà una birra con lui. Si augura che suo fratello perda l’abitudine di arrotolarsi la manica della camicia. Il polsino abbottonato potrebbe aiutarlo a… non ricordare.

Sam vorrebbe invertire la rotta, trovare una bugia plausibile per “cambiare strada”. E tornare indietro. Viaggiano da ben poco ma è già troppo...perché ormai ha scelto quale “strada” percorrere.  John non arriverà mai a St. Louis. 

Miracle mugola accucciandosi sul sedile posteriore, come se volesse schiacciare un pisolino. Sam immagina che non voglia assistere alla “preparazione” di quel “surrogato di Dean”. Si sveglierà a cose fatte. Meglio così.

“Il cucciolo qui, ha sonno!” osserva John, voltandosi all’ indietro, per dare un buffetto sulla testolina pelosa di Miracle.
“Bene…bene…non gli piace granché l’auto…patirà meno il viaggio” mente, Sam.
“A proposito…non vorrei sembrarti scortese e di poca compagnia…ma ho gli occhi che si chiudono, Sam. Ti spiace se mi appisolo, solo una mezz’oretta?”
Sam deglutisce. Pare che John, totalmente inconsapevole, voglia rendergli le cose più facili.
“No, certo che no…riposati. Ti chiamerò più avanti…quando saremo quasi arrivati…” acconsente Sam, con la voce che oscilla.
“Sei fantastico!! Io credo nella dea bendata, sai?! Un paio di volte ho trovato lavoro per caso, grazie a un caffè preso di fretta, bevuto aspettando il bus. Il titolare aveva appena ricevuto la disdetta del gruppo musicale ingaggiato per la serata! E’ stata una vera fortuna incontrarti!”
“Già…una vera fortuna…anche per me, John” concorda Sam, avvertendo il mostro che si sta facendo largo tra clown urlanti e il “Prof. Lucifero”.

Pochi minuti dopo John è addormentato, in quel posto che, come Miracle confermerebbe, ha ancora l’odore di Sam. E’ il posto di Sam.
Negli anni è stato occupato raramente da Dean, giusto quando era ferito o troppo stanco per guidare.

Nella penombra gli pare di scorgere le fattezze di Dean. Anche se, la “custodia”, non ha ancora il suo prezioso contenuto. Si lascia cullare in quella stolta emozione. C’è già Dean, sull’Impala. Sta riposando…
L’incisione del chirurgo non lascerà scampo ma non sarà taglio che conduce alla morte. Riporterà alla vita.

Quegli occhi saranno più tendenti al nocciola, i capelli di una tonalità più ambrata e non sarà la voce di Dean a pronunciare “Sammy…”…ma sarà perfetto.

O quasi.

Sam fa inversione. Lasciandosi alle spalle la freccia con l’indicazione per St. Louis.
---
John dorme profondamente. Il respiro tranquillo, regolare, sereno. Di chi si sente al sicuro. E’ uno che ha fiducia nel prossimo, John. Nonostante quel burrone che è stato voragine per lui e la sua famiglia. Non si è accorto di nulla. Non ha avvertito la brusca manovra, l'acceleratore a manetta e poi...l’Impala rallentare. Fino a fermarsi.

Sam è sceso. Ha aperto la portiera dal lato passeggero. Lo ha tramortito con una pietra. Un semplice grugnito. Come se avesse appena disturbato quel riposo. Ma Sam doveva assicurarsi che, quel sonno spontaneo, fosse indotta perdita di coscienza. Almeno per un po’.
Quando si risveglierà gli chiederà scusa per quel bernoccolo al centro della nuca. Chiederà scusa a…Dean. Non a John.

Lo trascina, posandolo a terra, a pochi metri da quel dolmen in miniatura. Quei quattro sassi che sono il “riferimento” dello scout esperto. Dovrà dissotterrarlo, riportarlo alla luce, sottraendolo a quel buio che forse, per suo fratello, è già bagliore. Ma non importa. Si scuserà… anche per questo.

Comincia a scavare nella terra già friabile e smossa dall’umidità dicembrina. Intravede un lembo di stoffa sporca. Ma è solo una piccola porzione di quel cadavere che riaffiorerà. Prima di essere scheletro.
“Uhm…”
Non ora, accidenti, non ora! Doveva restare svenuto, dandogli il tempo di ultimare la riesumazione. Invece dovrà interrompersi e, con le mani scivolose di fango e sudore, impugnare il coltellino. E’ già supino, John. “In posizione”.  Sam si augura che gli occhi di John restino chiusi… ancora una manciata di secondi. Non è certo di riuscire a tollerarli, tragicamente attoniti, su di sé...mentre affonderà la lama nel suo petto.

Lo conosce appena ma abbastanza per provare un sentimento di pena e rimorso nei suoi confronti. L’unica colpa di John? Essersi fidato.
Di un uomo “rallentato” e di un cane “accomodante”.

Gli strapperà l’anima. John Stewart smetterà di esistere. Non ricorderà i luoghi visitati, i “nomi d’arte” inventati e le donne di cui non ricorda il nome.
Non saprà leggere le note musicali, i brani imparati a memoria e non potrà più suonare il suo amato basso. Però, in fin dei conti, Dean è piuttosto portato per la musica…potrebbe perfino tentare di strimpellare qualcosa...

Non potrà fare pace con suo padre. Né portare quel fiore sulla tomba di Gerard. John glielo ha rivelato durante la passeggiata con Miracle, fino all’Impala.

John, un paio di volte l’anno, prega sulla tomba di famiglia dove riposa sua madre, sepolta con il fratello che non ha conosciuto. Suo padre ci va ogni mese. La “fortuna” ha voluto che mai s’incontrassero. E, in quasi vent’anni, il padre di John non si è mai chiesto la provenienza di quell’orchidea. A volte l’ha scoperta in tutto il suo splendore, altre volte ormai avvizzita. Ma non gli ha mai fatto una telefonata per avere la riprova che, probabilmente, non gli preme ottenere. Quell’elegante fiore striato non comparirà più sul freddo granito. E l’avvocato Stewart non si domanderà il perché di quell’ “assenza”.

Nessuno cercherà John.

Una “custodia in pelle umana”. Niente più di questo.
John, nato per “sostituire”, morirà per essere “pezzo di ricambio”.

Sam avverte una profonda nausea. Salirgli dalla bocca dello stomaco, fino alle narici, passando per la gola. Impugna il coltello lo fa correre sul palmo della mano libera. Vede il proprio sangue fluire sulla lama.

E’ sporca a sufficienza, del suo sangue. Ma non sarà il solo sangue. Ad essere versato.
Difficile “prendere” la mira, con quel luccichio rossastro che annebbia la vista…
Sangue nel sangue.
Sangue che blocca sangue…che corre lento, placido, irrorando il cuore ignaro di John.
Sangue che gocciola…sulla camicia in velluto di John.
E su quella in flanella di Sam.
Sangue che è solo il suo.
E resterà…

il suo.

Non può farlo.
Dean lo ha “addestrato” alla generosità. Non all’egoismo.

 Sam ripone l’arma, nella tasca del giaccone ed estrae “il compito” per cui “Prof. Lucifero” lo avrebbe promosso. Aspira profondamente l’aria più fradicia delle sue mani imbrattate.
Sam “uccide”…
 la frase che avrebbe dovuto essere “strappo”.

 La carta si lacera, piegandosi alla prepotenza di sdrucciolose dita che non hanno un minimo di incertezza.
 Le briciole accartocciate, nel suo pugno, si fanno mistura di inchiostro e linfa carminio. Sam le lascia andare. Planano sul terreno, come minuscole farfalle grondanti sangue.
Anche la premeditazione che non si realizza in delitto, imbratta la coscienza. Comincia a piovere. Sam apprezza le schegge d’acqua sul viso. Si gode quel minuto di pace purificatorio, in cui il clown è messo all’angolo. Sembra imbarazzato e nervoso. Il meccanismo che regola il fiore “spara-sangue” si è inceppato. Nessuna risata in sottofondo.

Avvolge il fazzoletto attorno al taglio. Un nodo stretto stretto. Come gli ha insegnato…lui.
Sam accarezza quel lembo di lenzuolo. Tornerà. Per finire il lavoro.
Stavolta…finirà “il lavoro”.

Sam si carica in spalla il corpo ciondolante e lamentoso di John. Lo adagia sul sedile. Come più di una volta ha fatto con Dean, ferito. Anche… quella notte. Ma non usciva alcun gemito dalle labbra del maggiore.
Si lascia andare mollemente sul sedile, stringendo il volante e appoggiandoci per un istante la fronte bagnata. Avvia il motore e procede accelerando, imboccando nuovamente la statale.
Una deviazione. Un errore. Dopo tutto uno “rallentato”, alla “Forrest Gump” può sbagliare a leggere le indicazioni stradali. E non solo quelle.
Ma ora è tornato sulla careggiata. Segue la freccia che indica St. Louis.

Si scuserà.
Con John.
---
“Ehi…amico! Dove siamo?! Ho un mal di testa terribile!” dichiara John, riprendendosi, sfregandosi la nuca.
“Si…scusa…ho sbagliato strada. Tu eri addormentato e mi sono ritrovato in una via sterrata…tutta buche. Abbiamo avuto un piccolo incidente, mi sono reso conto che avevi picchiato la testa…sei svenuto…”
“Caspita! E non mi sono nemmeno svegliato?! Ho proprio il sonno pesante!”
“Sì…in effetti…eri profondamente addormentato…” balbetta Sam “mi… mi dispiace”
Gli dispiace. E si rallegra che John abbia il sonno pesante.
John minimizza “Tranquillo… è solo un bernoccolo…tu piuttosto, che hai fatto alla mano?!!”
“Nulla, mi sono ferito mentre cercavo di scavare sotto la ruota impantanata…non è niente…davvero…”
“Sam…perché non mi hai svegliato?! Avrei potuto aiutarti! Hai una faccia! Sicuro di sentirti bene?!”
Sam deglutisce. Come può John preoccuparsi per lui quando, un'ora fa, stava per essere ucciso…da lui?!
“Sei…eri svenuto, John…ho pensato fosse meglio lasciarti riposare. Io sto bene…sono solo…solo un po’ stanco…” ammette.
“Vuoi che guidi io?”
Dean non glielo perdonerebbe mai. Dean fatica…faticava a lasciare Baby persino a lui, che era suo fratello. Cosa penserebbe se la vedesse guidare da un estraneo?! Ma Sam è confuso, sfinito…e sa che, presto, arriverà la parte più difficile. Il rogo rimandato. Si concede di “disobbedire” a Dean. In fondo, da quando se n’è andato, non ha fatto che disattendere le promesse fatte al maggiore.
“Be’, se te la senti…ok…a me va bene.” propone Sam, accostando.
John si mette al volante “Wow! E’ fantastica! Non mi sembra vero di guidare una Chevy del ’67!” asserisce, entusiasta.
“Ti spiace se accendo un po’ di musica? Hai preferenze?”
“No…no…chi guida sceglie la musica…è la regola…” sussurra Sam.
“Allora…se non ti dispiace…Metallica tutta la vita!” afferma John, armeggiando con l'autoradio.

Sam appoggia la testa al finestrino. Una lacrima si confonde con quella pioggia misto nevischio che traccia geroglifici sul finestrino. Le temperature si sono abbassate bruscamente  Il clima mite degli ultimi giorni era solo una burla. Siamo a dicembre.

Dicembre. Natale. Sam soffrirà.
Più del solito.

Nella penombra vede John canticchiare, andando a tempo di rock, mentre guida. E’ allegro. Per un attimo gli occhi hanno quell’inconfondibile verde.
Quel verde.
“Grazie…”
“Per cosa, amico?!”
“Per esserti messo alla guida…al mio posto…”
“E un piacere e poi, quando mi ricapita una macchina così?! Tu riposa…ci penso io!”
Ci penso io…se solo aggiungesse… a te…sarebbe perfetto. Perfino la voce non gli sembra più quella di John.
Sam sorride.
E’ solo un’illusione. Come quel sole fuori stagione. Ma assaporerà ogni minuto di quel viso che dondola, a ritmo di musica.
---
“Allora…ciao…Sam e grazie della compagnia”. John scarica lo zaino e il basso, seguito da uno scodinzolante Miracle, sceso per sgranchirsi le zampe e “segnare” il territorio. Pare aver capito che non dovrà abituarsi a quel “Dean non Dean”.
“Grazie…grazie a te, John”
John prende in braccio Miracle, si fa leccare il viso. Sam abbassa lo sguardo e il cuore perde un battito.
Poi, vedendolo entrare in uno di quei motel a basso costo, dallo “stile”  ben noto, lo richiama. “Comunque…prova…prova a chiarirti con tuo padre…potrebbe bastare una telefonata…”
“No…non servirebbe a nulla ma…invece…perché non mi dai il tuo numero di telefono? Potresti venire a sentirmi suonare! E ti offrirei una birra!”

Sam, si passa una mano tra i capelli, corrugando la fronte e accennando un sorriso storto. John…nato per essere… “sostituto”. Ma Dean è insostituibile.

“Sono sempre di corsa…non ne avrei il tempo, John…grazie lo stesso:”
John ripone il cellulare in tasca, un po’ deluso.
“Ok…come vuoi…allora…addio, Sam”
“Addio, John…prenditi cura di te”
“Anche tu…Forrest!”

Sam, prima di salire sull’Impala, si sofferma ad osservarlo, mentre assolve le formalità per ottenere la camera. Il corpulento proprietario mastica chewingum e gli chiede di ripetere le proprie generalità.  John, imperturbabile, fornisce nuovamente i dati. L’albergatore lo squadra, un po’ perplesso ma poi, vedendolo pagare in contanti, non approfondisce, completando la registrazione.
“Benvenuto signor Perry Mason, ecco le chiavi della sua stanza, la 24.”

John, dalla vetrata della hall, intravede la sagoma di Sam tra gli alberi del parcheggio. Ha i gomiti appoggiati al tettuccio dell’Impala, come se volesse assicurarsi che quel soggiorno inizi…sotto una buona stella.
John, facendogli l’occhiolino, gli mostra il numero inciso sul portachiavi in legno.
Sam, scorgendo quel “24”, sorride. Il 24… fra un paio di mesi, festeggerà i “suoi 40”.

Sarà una stanza fortunata.

Per John.
---
Quando rientra al bunker è ormai giorno. Davanti al portone, c’è lei ad attenderlo.
“Sam!” grida Marin, al limite. Ha gli occhi arrossati e sta visibilmente tremando.
“Marin…mi dispiace…io…”
“Ti dispiace?! E’ tutto ciò che sai dirmi?! Sono impazzita, al parcheggio! Non c’era più l’Impala, ti ho atteso per ore. Poi sono tornata qui! Ho pensato di tutto! Che ti fossi addormentato alla guida, che fossi scappato! Sei sotto la mia responsabilità! E poi…poi…” in quel momento Marin vede la mano fasciata di Sam e macchie di sangue rappreso su camicia e pantaloni. Gli occhi le si riempiono di lacrime e terrore.
 “Sam…la mano…il sangue…cosa…cosa hai fatto, Sam? Cosa hai fatto?” sussurra.

Sam sospira. “E’ il mio sangue, Marin…è solo il mio sangue. Per…per farlo tornare…avrei dovuto…avrei dovuto uccidere un innocente ma…non l’ho fatto. Mi sono fermato. Dean non tornerà più…Dean sparirà in fiammata…come Joshua.” E Sam crolla, in ginocchio, piegato da quel crimine non commesso. La sua coscienza resterà moralmente integra. Ma si spezzerà comunque.

Lei si china, abbracciandolo, accarezzandogli i capelli. “Andrà bene…andrà tutto bene, Sam…lo faremo insieme…io non ti lascio…ci penso io a te.”

Ci penso io a te.
Non è la voce di Dean. Ma, stranamente, quella frase ha lo stesso “potere” di rassicurarlo.

 "Finirà il lavoro" e Miracle non sarà il solo testimone di quel mesto falò.
 
 

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


Le gocce si susseguono, l’una dietro l’altra, terminando la propria corsa sul fondo del bicchiere. Hanno un che di “musicale”, anche se non producono suono. Ricordano il ticchettio dell’orologio, la stalattite che scurisce la grotta, la rugiada in bilico su una foglia. Marin, su quel flaconcino, ha una presa “professionale” ma, al contempo, deliziosamente naturale. Accompagna le stille “indecise” con un impercettibile colpetto dell’indice, unendo la destrezza dell’alchimista all’accattivante gestualità della maga. Soffermarsi su quei movimenti sicuri e suadenti, per Sam, è già terapia. La predisposizione alla calma arriva prima di ingerire il liquido dispensatore di oblio “a buon mercato”, spalmato in qualche ora di sonno.

Marin lo ha convinto a concedersi una pausa. Prima di “finire il lavoro”. Marin è certa che, spegnere cervello e anima, gli darà la forza di accendere quel fuoco.
L’odore brusco del preparato raggiunge le narici prima che Sam porti il bicchiere alle labbra. Forse, se il farmaco fosse maggiormente diluito, risulterebbe più accettabile ma è Marin a stabilire quantità e proporzioni, perché risulti efficace. E Sam non obbietta. Beve il sonnifero in un’unica golata, nonostante lo sgradevole sapore aspro si scontri con le sue papille gustative.

Marin…sa.
Sa cosa è meglio per lui.

Ha compreso “come funziona” e Sam che, fin dalla tormentata infanzia, si considera una persona decisamente “complicata”, a volte si stupisce di come ci sia riuscita, nell’arco di un tempo tanto breve.

Marin pare cogliere il ronzio di libellula che svolazza nella mente di Sam.

“Sam…non fallirai. Ti conosco da allora. Ho scoperto in quell’occasione la tua forza e la tua dedizione agli altri. Non ti sei arreso, non hai rinunciato a renderti utile, neppure quando eri in balia delle visioni, neppure quando il tuo cuore stava cedendo. Ce la farai, Sam. Tu e Dean vi siete presi cura l’uno dell’altro. Lo so che nessuno potrà mai sostituirsi a lui. Ma non sei solo, Sam. Non più.” e il tono gentile di Marin fa pizzicare meno la gola.

Sam annuisce, avvertendo già un placido torpore. Non è solo.
---
Un freddo pungente che penetra nelle ossa facendole stridere. Quel pomeriggio di dicembre rivendica il potere conferitogli da calendario.

Sam erge la pira “in sospeso” avvertendo l’aria umida che appiccica la camicia allo sterno.
Marin, in silenzio, china sui legni di cui conosce lo scopo, li posiziona seguendo quel “progetto” non scritto.  Sam è l’ingegnere e lei il capocantiere.

Il “letto” di Dean è preparato. Di nuovo. E a Sam viene in mente quel materasso memory foam di cui il maggiore andava orgoglioso. Ma quel giaciglio di legna da ardere, non si “adatterà” al corpo di Dean. Lo divorerà. Come drago famelico che non lascia scampo.

Sam si ferma, lasciandosi cadere ai piedi di quella catasta che si farà mostro. Riprende fiato e poi lancia un’occhiata all’orlo di lenzuolo che riaffiora dal terreno.
“Vuoi…vuoi che rimandiamo a domani? Ormai la pira è costruita e…” suggerisce Marin, vedendolo così sfatto.
“No…ho già tardato troppo.”  risponde desolatamente Sam, socchiudendo gli occhi.

Non può più posticipare. Deve farlo. Anche con il fiato che gli esce un po’ spezzato. In fin dei conti il suo respiro non sarà più… completo.

 Inutile aspettare.
--- 
Sam, per quanto “esperto in materia”, ha assodato, con disgusto e afflizione, che sono sufficienti pochi giorni per “attaccare” un cadavere. Dean è ridotto a informe manichino, bucherellato qua e là, in un sudario color caffè che, di “sacro”, non ha più nulla.
 
“Fratello…” mormora Sam, appoggiandosi alla pala, usandola come improvvisato bastone.

E' scosso da brividi. Il sudore, evaporando, si è fatto ghiaccio sulla pelle. Marin lo aiuta ad indossare il giaccone. “Gr-azie…” e la voce di Sam è terribilmente bassa, inghiottita da una nuvoletta di condensa. Marin prova una pena indicibile per lui.
Vorrebbe fermare tutto. Vorrebbe essere una fata, una strega o una qualunque creatura che appartiene al “mondo di Sam”. Accetterebbe perfino di trasformarsi in uno dei mostri che Sam combatte, se questo le permettesse di evitargli quel angosciante martirio.

Ma è solo “un’umana”. Niente più di questo. Non ha poteri straordinari. Non ha doti soprannaturali.
Non può ribaltare le sorti di Dean e di Sam.

 Marin può unicamente assistere a quel rogo. E sarà la parte più difficile.
 Non solo per Sam.

Sam fruga nella tasca. E’ ancora lì. Pronto a “finire il lavoro”…lui.

L’accendino.
---
"E’ giunto il momento, Dean. Puoi andare. Sei solo spirito.” annuncia Delia, accarezzandogli la guancia con fare materno. Ma Dean non avverte quel tocco. Non prova più alcun dolore.
E’ solo spirito. Finalmente.

Ma Sam no. Sam è ancora un uomo, “tutto intero”, con un accendino tra le mani… gelide come questo pomeriggio di dicembre. Dean lo vede girare attorno alla pira. Ha un passo arrancato e innaturale, tale da farglielo apparire carico di anni. E invece sono trascorse un paio di settimane.

“Sam…che ne sarà di Sam?” domanda, apprensivo.
"La sua anima…ha scelto di mantenere la promessa. Ti "sopravviverà", Dean...in fondo è quello che hai sempre voluto...giusto?"
Dean deglutisce "Si, certo" rafforza, anche se, quel "prefisso" che modifica profondamente il verbo "vivere", gli suona così stonato.
---
Un legno dopo l'altro, appiccando il fuoco con lentezza esasperante. Si muove in modo meccanico, spandendo lacrime roventi. Altre, silenziose e incolore, bruciano in egual misura, sul viso annientato da quella meditata agonia.

"Sam...così è peggio..."sussurra Marin, mantenendosi a debita distanza. Vuole essere presente a quel triste epilogo. Lo vuole con tutta sé stessa. Ma l’affetto che nutre per Sam nulla può contro il terrore che prova per quelle fiamme che procedono pigre. Preferirebbe si unissero in veloce vampata.

Marin vorrebbe un incendio prepotente, capace di bruciare anche i pensieri.
Sam, al contrario, cerca di trattenere la moltitudine di ricordi legati a Dean… prima di offrili in pasto al drago.

"Sarà presto cenere…comunque…” risponde Sam senza alzare la testa, proseguendo ad alimentare la snervante “processione” di fuoco.
“Ok…ok…come vuoi, Sam” e Marin, indietreggia ancora. Sam ha bisogno di “spazio”, fisico e mentale.

Sam e Dean.

Marin sa di essere di troppo.
Marin sa.

Che le toccherà “raccogliere” … la “cenere”. Dopo.
E non saranno le spoglie di Dean.
---
Il fumo annebbia la vista. Dean distingue solo ombre. Quella di Sam e, più in là, una donna che non conosce. Si rallegra. Per Sam.
 La coltre si fa più spessa e gli occhi diventano insieme scomposto di venuzze, senza più iride. Due bianchi globi rotolanti che donano capacità “divinatorie”, proprie degli eremiti e dei veggenti.

Sarà tutto perfetto. Sarà pace. Sarà quiete. Sarà respiro profondo, libero, ritrovato.

O forse no.

Non era “pronto” quel corpo che ha lottato macerandosi mentre l’anima, spavalda, attendeva trepidante di oltrepassare il Velo. E ora, il suo spirito, non ha più quella fiera baldanza.

Ora Dean sa cosa è stato, cosa non ha avuto il coraggio di essere e cos’è.
Non solo cacciatore.

E’ uno spacca-mostri, un uomo che avrebbe potuto essere padre ed è...
un angelo.
Per qualcuno è...un angelo.

Dannata Delia che lo ha costretto a “prendere coscienza” una “coscienza nuova” di cosa lo ha portato a dire quel “E’ tutto ok”!
E a pretenderlo da Sam.
---
E’ l’ennesimo tiro mancino di un’esistenza che non ha fatto che metterti alla prova. E quando ti senti trapassare da parte a parte, un secondo dopo, comprendi che, stavolta, la “prova” non la supererai. Quel ferro appuntito “sceglie” per te. Ora che potevi “scegliere”. E forse avresti deciso tu stesso di “appoggiarti” alla colonna, incurante di quel chiodo sproporzionato. Come si fa quando devi recuperare fiato, dopo una caccia sfiancante. Brami il robusto tronco di un albero o un muro ruvido che possa “sostenere” il peso della tua schiena. Sai che, senza una parete a disposizione, crollerai.  Hai bisogno di qualcosa che ti “tenga insieme”. E alla fine, quel punteruolo aguzzo, nonostante tutto, torna utile.  Ti terrà “insieme” il tempo necessario…per dire addio a Sam. Stavolta non puoi sgattaiolare via…senza salutare.

Hai trascorso l’intera vita a “nasconderti” dietro quell’espressione strafottente e sicura. Perché devi essere riferimento, devi essere sicurezza, devi essere roccia. Anche quando ti senti sabbia.
Ma ora sei a un passo dalla morte…e questo ti permette di “chiedere”. Chiedi a Sam di non lasciarti solo.

Non te ne frega niente di quel kit di pronto soccorso. Nessuna benda può “riempire” quella voragine. Invece lui…Sam, può colmare il senso di “vuoto” che ti attraversa, inanellandosi nell’oblò di viscere e sangue. Non dovrai “giustificarti” per quella “debolezza”.

Un moribondo può concedersi di “chiedere”.

Lo hai messo sempre al primo posto. Hai giurato a te stesso di tutelarlo, dando per scontato che saresti stato tu…il primo. Ad andartene. Inconcepibile essere “dall’altra parte”. Essere “Chi resta”. Anche quando sei tornato da Lisa e Ben, tentando di… “sopravvivergli”, in realtà hai sempre sperato che, quella “normalità”, fosse semplicemente una pausa, una “parete”…a cui appoggiarsi. Per un po’.

Non hai smesso di scartabellare ogni possibile testo dell’occulto. Perché non accettavi di dire, a te stesso, “E’ tutto ok”.
Perché, in fondo, non sei roccia e…a dirla tutta…Sam non ti ha mai chiesto di esserlo.

Sam è sveglio. Fin da ragazzino.
Sa che fai una fatica incredibile a… “tenerti insieme”.

Quel sofferto “Dammi solo un minuto” ti serve per riordinare le idee, per preparare “la scena finale” ma Sam non è pronto a “recitarla”. E tu, implorando quel “Dean, è tutto ok, puoi andare”, sveli la fatica del pronunciare le ultime battuteAnche se, tra una stilettata che ti fa muovere il capo in un gesto di insofferenza e le lacrime di Sam che tolgono il fiato più di quel buco, affermi con un sorriso, convinto e convincente…

 “Va bene così”.

Non va bene. Non ora. Non così.

Puoi essere sabbia. Puoi essere fragile. Puoi avere paura e pur accettando che... “questo giorno”... sia "il giorno", puoi sentirti perso e incredibilmente incazzato.  
Chuck ha scritto buona parte della tua fottuta esistenza ma ora, Morte, ti offre una possibilità che non ti aspettavi. Devi solo avere il coraggio di prendere quella “penna”.

Devi solo avere il coraggio di…
avere paura.

E di essere sabbia.
---
"Un momento...hai detto che...che potevo decidere..."
"Hai già deciso "il meglio" per tutti, Dean" lo incalza lei.
"Non è il meglio per me! Non ora!” sbraita, Dean, stupendosi egli stesso del tono usato.
 Delia sobbalza a quella imprevista risposta. Dean Winchester che “contratta”…non per Sam ma per sé…da non crederci! Lo guarda ammiccante, restando in attesa della “proposta di negoziato”.

"Dimmi solo se...dimmi se posso...se sono ancora in tempo..." approfondisce Dean, meno battagliero.
"Sei ancora in tempo ma quando forzi il destino, quando cerchi di opporti a quell'orologio che si è fermato... come dici tu..."finisce sempre male", Dean..."
"Cosa...cosa provocherò? Chi danneggerò?" e nella mente di Dean s’insinuano orridi scenari che lo spaventano più di quei ciocchi arroventati.
“Non temere, non darai il “via libera” a una nuova Apocalisse, non “disegnerai” alcuno squarcio nel terreno e non dovrai “ospitare” furiosi parenti di Dio. Danneggerai te stesso. Solo, esclusivamente, te stesso. So bene quanto questo sia rincuorante. Hai un senso dell’autoconservazione piuttosto relativo. La ferita mortale, quella, la richiuderò ma, questa “toppa”, non cambierà granché il tuo destino, Dean. Avresti dovuto pensarci prima.  Il tuo corpo è andato troppo oltre...pur non passando "oltre", sembra uno scioglilingua, non lo trovi divertente?”

Lo trova agghiacciante ma non le darà mai la soddisfazione di mostrarsi inorridito. Ha bluffato con mostri peggiori. "Certo, da sbellicarsi ma, giusto per avere un’idea, non potresti essere più precisa sul… quanto…mi “danneggerò”?!"

Gli occhi di Delia sono attraversati da saette d’argento. Le labbra si fanno due fili sottili che delineano un allarmante riso sardonico.

"Tornerai a "metà", Dean. Nella peggiore delle ipotesi bloccato dal collo in giù." precisa Morte, con voluta noncuranza.
"E nella migliore?" mormora Dean mentre, tutt’ intorno a lui, la temperatura aumenta in modo esponenziale.
"Dalla vita in giù" comunica Delia, impietosa.

Dean abbassa lo sguardo. Questo cambia le carte in tavola.  E Delia ha un poker d’assi tra le mani candide e ossute.

 "Difficile, vero? Difficile pensare di dover dipendere in tutto e per tutto da lui. Lo condanneresti, tu che lo hai sempre difeso. Saresti ancóra…e non di salvezza. Dovrebbe rinunciare a ciò che conosce. Che lo hai obbligato a conoscere. Vivresti nell’angoscia di qualche “attacco a sorpresa”. In molti potrebbero approfittare del tuo stato irreversibile. Vi siete fatti parecchi nemici nel corso degli anni e sai bene che, avere conoscenze “ai piani alti”, non ti aiuterebbe..."

Uno “stato irreversibile”… e nessuna “interferenza” da parte di Jack.

Rinuncerà. Anche stavolta. Del resto…sarebbe una “vita non vita”. E allora. Tanto vale.
Sam andrà avanti...e la sua anima… proseguirà.

"Allora, Dean?"
Dean deglutisce “Allora…in questo caso…io sono pronto…”
“Bene. Come immaginavo.”

Un inatteso schiocco di dita fa trasalire Dean.
Sam resta chino su un ceppo che sta attizzando. Per un momento anche il fumo è innocua macchia grigia, un fumetto “solido” che non irrita occhi e vie respiratorie.
“Perché?! Perché hai fermato il tempo?! Che c’è ancora?!” tuona Dean, annichilito.
Delia, non risponde. Gli mostra un cristallo luminescente. Dean, scrutando il rilucente prisma, scorge spicchi di futuro… un lavoro “normale”, partite da baseball con suo figlio, acquisti natalizi e passeggiate al parco con Miracle. Non è la “sua” esistenza. Ma è come se lo fosse.

Dean è estasiato, felice. Il suo Sammy…sarà marito, sarà padre.
“E’ pronto! Andrà avanti…il mio fratellino!” esclama, esultante.

“Aspetta, Dean. Guarda con più attenzione…” suggerisce Delia, riappropriandosi del diamante che trasforma in cubo, invitando Dean a tenerlo tra le mani. Dean lo accoglie come se stesse ricevendo una mina inesplosa.

Non ci sono più angoli di luce.
C’è solo un dado grigio…il cuore di Sam.

Sam è...un'anima in "stand-by". Nemmeno Sam può sapere quale sarà "il suo giorno" ma Dean ha una strana sensazione. E’ come se lo aspettasse. Minuto dopo minuto, lanciando un’occhiata all’orologio…il suo.
Lo ha conservato. Lo porta sempre con sé al polso che, negli anni, perde forza e massa muscolare.
Sam aspetta.
Aspetta quel "È tutto ok, puoi andare" che lui gli ha imposto.
Sam lo imporrà, a sua volta, a un figlio che "libera il padre" in una stanza piena di foto, che “parlano” molto della “prima vita” di Sam e poco della “sopravvivenza”.

Gli sopravviverà. 

Sam, inconsapevolmente, lo ha condannato a essere smembrato in quella zolla di terreno. Il suo corpo ha resistito poco più di due settimane.  Lui lo condannerà, consapevolmente, a ben altro. Sam continuerà ad essere puzzle. Per poco meno di un trentennio.

Dean ripiomba nello sconforto più tetro. Più di quel cubo che racchiude l’anima di Sam.

Sam vivrà…a metà.
Lui potrebbe rivivere…a metà.

Lui, abituato a cacciare, a "giocarsi" intensamente ogni istante, a non risparmiarsi… ritornerebbe come un “Dean non Dean”. Non si riconoscerebbe più. Non sarebbe più lui. Stenterebbe a “riconoscerlo” perfino Sam.

Dean ripensa con orrore a quel periodo in cui, sotto l’incantesimo di una strega, stava regredendo, perdendo conoscenze, abilità, ricordi… se Rowena non fosse intervenuta avrebbe dimenticato non solo come s’impugna una pistola ma anche come si usa una forchetta o come si deglutisce. Non avrebbe più ricordato la mamma, papà e…Sam sarebbe diventato uno sconosciuto. Persino rammentare il proprio nome richiedeva uno sforzo immane. Rivede l’immagine di sé, davanti allo specchio. Sarebbe arrivato a…chiedersi di chi fosse quel viso. Non potrebbe mai accettarlo.

“Aspetta...la mia mente...la memoria, la capacità verbale sarebbero integre? O mi ritroverei come una specie di “bell'addormentata villosa”, cucita su di un letto?!" 
Lei lo scruta con uno sguardo stranamente benevolo.

"Saresti "tu", la volontà, l'ironia, il coraggio, il bene smisurato che provi per lui...intatti...fino alla fine dei tuoi giorni. E non ci è dato sapere quando...finiranno, Dean." e Delia non è sarcastica ma sollevata a quella rivelazione.

 Una larva...una larva conscia di essere tale...ma non sarà un peso. Come, a parti inverse, Sam non lo sarebbe per lui. Può incoraggiarlo e sostenerlo. Può essere paretedi sabbia. Può reimparare a vivere egli stesso. Layla, Faith…il tempo speso su questa Terra può essere breve… ma prodigioso.

Non più cacciatore. Ma potrà ancora essere fratello. Potrà ancora essere riferimento.
E non solo per Sam.

"Accetto"
Delia sospira, meditabonda. “E’ ciò che vuoi? Che vuoi davvero, Dean?”
“Andiamo! Non chiedermelo due volte…non essere così dannatamente sadica! Sì…è ciò che voglio!”  ringhia, Dean.
Delia sorride. Un sorriso enigmatico e appagato.
 
Sam termina di accendere quel legno lasciato…
a metà.
Dean non è più un’anima in attesa di farsi luce. Ha scelto.
Di essere corpo…
a metà.
---
Finirà così. Com’è iniziata. Soffocando.
Al posto della terra che ti sommerge il fumo che ti avviluppa.
Arso vivo. Ora è…maledettamente vivo sotto ciò che resta di quell’”imballaggio”, degno di Tutankhamon.

Sam! Sammy…no! Fermati! Sono…sono…qui!”
Dean è su quel “materasso” di brace. A un metro da Sam.

Ma Sam è altrove.
---
Non puoi dar retta a quella voce imbavagliata. È uno dei tuoi deliri. È Lucifero che si prende gioco di te, tra tomi di psichiatria, sgargianti papillon e sinistri pagliacci. E’ la tua mente “puzzle”. Qualcosa ti fa supporre che resterai così… spaccato in mille cocci, affilati come lame. Ci conviverai e cercherai di non farti infilzare.

“Sammy! Sono…sono qui…”
Maledetto Lucifero.
“Sam! Sammy!”
Maledetta psiche.
“Samm…”
Maledette allucinazioni.
Ma non permetterai loro di succhiarti il cervello…sarai più forte.

Sei più forte.
Dell’Inferno che hai vissuto e di quello che ti attende.

Manterrai la promessa. Puoi vivere senza Dean. Non in maniera completa. Non come Dean avrebbe voluto. Non come vorresti. Ma sei abbastanza saldo per non farti confondere e resistere. Combatterai. Come ti ha chiesto di fare. Come ti imponi di fare. Ogni giorno. Anche contro te stesso e quella parte che vorrebbe che la finissi qui. Com’è iniziata. Con un cuore che speri si schianti o un ultimo salto. Tra le fiamme.

Ma scegli di vivere. Anche per Dean.
Come Marin vive per Joshua.

“S-a…”
Benedette fiamme che, procedendo come domino di fuoco, zitteranno quel mozzicone di suono così familiare…malignamente ingannevole.

Addio, Dean
---
Marin è razionale. 

Ha dovuto esserlo per non impazzire, dopo la sorte toccata a Joshua. Una morte inattesa e ingiusta seguita da un triste vagabondare. Solo…penosamente solo. Tanto da indurlo a volerla con sé, tentando di trasformarla in torcia umana. Viva per miracolo. Viva per incontrare Sam…che è stato “miracolo”…definitivo. Per lei e per suo fratello.

Marin è razionale.

Deve esserlo quando si avvicina a chi ha fatto della furia la “realtà". Marin ci entra in punta di piedi, muovendosi con cautela, sfidando il ragno nero che avvolge ogni cosa, nella sua vischiosa bava. Marin sa che c’è sempre il rischio di “inciampare” nella ragnatela ordita dall’alienazione.

Marin è razionale… “la voce” non è quella che “dorme” in Sam, impedendogli di dormire.

Marin si fida del proprio udito. Fa due passi in avanti e pur nell’inquietudine che le provoca, l’avvicinarsi a quelle fontane incandescenti, percepisce distintamente quel nome. E poi quella consonante che, strenuo sibilo, si addossa a una vocale lasciata in sospeso.
Marin si fida della propria vista. Il falò rende i contorni indefiniti e ondeggianti ma, concentrandosi sui particolari di quel burattino strappato alla terra e gettato nel fuoco, scorge l’impercettibile movimento del collo, cinto da corde che, seppur logore, ancora immobilizzano.  I fantasmi non annaspano provando a catturare aria, attraverso stoffa tarmata.

Maledette fiamme!

Marin non è una fata. Non è una strega. E’ una donna…razionale.
E questo può cambiare i destini di Dean e Sam.

"Fermati, Sam!" urla, accostandosi con cautela.
"Devi fermarti! "ripete imperiosa a un Sam “altrove”. Resistere a Lucifero è un’impresa che richiede ogni particella di sé. Si aggrappa a flashback che rimbalzano sulla corteccia cerebrale, “proiettando” immagini diverse ma che hanno due unici protagonisti.
Dean e Sam.
 Da bambini. Da ragazzi. Da adulti. Insieme. Sempre. Lo saranno ancora. Sarà solo questione di…tempo. Fingerà di essere a Stanford. E, prima o poi Dean, tornerà a prenderlo. Lo atterrerà cogliendolo di sorpresa, chiamandolo “Tigre”. E poi lo caricherà. Su Baby.

Dovrà solo aspettare. Guardando l’orologio.
---
 Marin si domanda come sia potuto accadere. Dean è…vivo. Dean non è spirito. Ma fra poco…lo diventerà.

Si sfiora la cicatrice. Il terrore grida in lei come se gli anni non fossero trascorsi. Ma il panico travestito da Inferno, non può vincere. Sam era avvolto da lingue arancioni che rischiaravano il volto di Lucifero ma questo non gli ha impedito di salvarla. Ora tocca a lei…essere “miracolo”.

Si toglie il cappotto, cominciando a soffocare le fiamme che soffocano Dean, affumicando miseri polmoni raggrinziti.
Sam si scuote e, pur sbigottito, finisce con l’imitarla. Ha imparato a fidarsi di lei. Ha imparato che non è solo. Anche quando crede di esserlo. Affronta il fuoco abbattendolo, riducendolo a fumo ancora ostile ma meno minaccioso.

Il drago resterà a pancia vuota.
---
Dean è tornato. Non in un corpo "rubato". Nel suo…quasi ridotto in polvere.

“Sam…non è un fantasma, non è un delirio!” irrompe Marin tossendo, armeggiando su quel fantoccio e stracciando il telo con unghie fuligginose. Lo “libera”, scoprendogli il volto. È scurito, arrossato e violetto. Ustionato in più punti e "mordicchiato" in altri. Ma è "il suo". E Sam…lo riconosce.

"Dean!"

Dean, con la voce che è scala a chiocciola scricchiolante, ansima "…Sammy…"

E Sam rinuncia a qualsiasi ulteriore “prova”. Può essere spirito o demone, spettro impazzito o esito di patto infausto, stipulato con Lucifero in persona e siglato da uno stuolo di clown.
E’ tornato. Punto.

Miracle, scodinzolando, scottandosi le zampe tra un guaito e l’altro, cerca di raggiungere quel pupazzo di pelle seviziata, avvolta in brandelli di lino. E per Sam è la conferma definitiva…è Dean.
Miracle non si farebbe ingannare da un “Dean non Dean”. 

Sam avverte il cuore e la testa farsi leggeri. Diventano piuma.
D’angelo.

Dean avverte tutto il fardello di un corpo martoriato, trivellato, fracassato. Ma, “manca qualcosa”. O meglio…c’è di nuovo “qualcosa”…scampoli di “materia” a riempire il “foro”. Delia non gli ha mentito.  Nessuna ferita mortale. Ma a giudicare dalle sensazioni che percepisce, gli sarà toccata…”la peggiore delle ipotesi”. Non importa.

Quel “Sammy” gracidante gli è “uscito” comprensibile. Potrà ancora chiamarlo “Sammy”.
Sam, voltandosi, lo “riconoscerà”.

E Dean riconoscerà sé stesso.
---
Ha un vago ricordo del “dopo pira”. 
Il dolore intenso, a ogni movimento della lettiga. Come se il suo corpo continuasse ad ardere, a sbriciolarsi. Poco a poco.
Mani estranee e rapide che si occupano di lui, restituendogli l’abitudine a respirare, sollecitando cuore e polmoni. E qualcuno che continua a chiamarlo per nome. Senza sosta.Dean si aggrappa a quella voce che non ha proprietario perché gli occhi continuano ad essere poco più di due asole, senza bottoni. Ma non ha bisogno di “vedere” a chi appartiene.
La distinguerebbe tra mille.
---
“Ehi, amico! Sei sveglio?”
“Così dicono i miei occhi aperti…sono aperti, vero?” domanda Dean, valutando che sono due fessure, contornate di medicazioni.
“Si…direi di sì, Dean…” conferma Sam, deglutendo.
“Sono…sono in versione mummia o è solo una sensazione?”
"Ho…ho parlato con i medici…" e Sam tentenna, temendo la reazione di Dean.
"Non sei mai stato granché nell’arte del tergiversare…” lo stuzzica, Dean.
“Be’…in questo…in questo non ti batte nessuno, Dean…” cerca di guadagnare tempo, Sam.
“Dovrò… procurarmi una maschera come il “Fantasma dell’Opera”?" e Dean prova a sorridere ma le labbra sono così tumefatte che gli pare di avere addentato un triplo hamburger, di quelli che devi masticare lentamente, se non vuoi slogarti la mascella.
"Hai ustioni e lacerazioni su buona parte del corpo, Dean...c'è il rischio d'infezione ma…”
“Ma quelle sul viso non lasceranno cicatrici e guariranno nel giro di qualche settimana” interviene Marin con quel temperamento ottimista che Sam ha potuto apprezzare.
“Lei…lei è Marin… “la Marin” di quando sono stato ricoverato…prima che Castiel…  ”
“Quella Marin?! Quella che hai aiutato quando il tuo cervello era il drive-in preferito di Lucifero?!” esordisce Dean, entusiasta di ricordare e di esprimersi con estrema facilità. Delia non gli ha mentito.
E’ stata onesta.

E’ tornato “triturato” ma con facoltà cognitive e verbali…integre. Fin dal primo giorno di quella vita “a metà”.

Sam si concede un sorriso tirato. Se solo Dean sapesse quanti “cinema all’aperto”, nell’ultimo periodo!

“Si…sono proprio io!” conferma allegramente, Marin.
“E’ un’infermiera” precisa Sam.
“E ho una certa esperienza personale…in fatto di ustioni…” sottolinea Marin, aggiungendo “…non sarà nulla di permanente, Dean.”
"Bene…” si rassicura Dean “vorrà dire che, per il momento, non chiederò il numero di telefono alle tue colleghe.” conclude in un rantolo.
Sam, per un istante, pensa a John. Sarebbe stato divertente farli conoscere. Ognuno…nel proprio corpo!
Marin ride alla battuta, rincarando “Sono certa che, appena comincerai a togliere qualche benda, faranno a gara per farti le medicazioni!”
“Sembri una tipa brillante…come fai a stare con mio fratello?!”
“Dean! Non stiamo insieme!” E’ tornato…e Sam, sebbene si senta in profondo imbarazzo, è lieto di quel disagio. Marin, arrossendo un poco, non commenta. Poi, rivolgendosi a Sam, spiega “Ho parlato con il dottor Carter…ho dovuto giustificare la “ricomparsa” di tuo fratello…”
“Cosa ti sei inventata questa volta?!”
“Un incidente in una cava, un’esplosione. Disperso. Tutti lo avevano dato per morto ma lui è riuscito a tirarsi fuori dalle macerie, vagando per giorni in stato di shock.”
“Wow! Apprezzerò sempre la tua fantasia, Marin!”
Dean vorrebbe fare una battuta ma si convince che sia meglio risparmiare fiato. Per cose...serie.
“Dovevo trovare qualcosa di plausibile, per “resuscitarlo” con ustioni e fratture” dichiara lei, gongolante.
Dean interviene, con quel fiato “accantonato”.
 “A proposito di fratture…" sibila, attendendo la triste sentenza.
Sam scambia un’occhiata d’intesa con Marin. Vuole restare da solo con Dean. Deve essere lui a dirglielo.
“Io…io ora devo andare ma domani verrò a trovarti, Dean…” poi Marin gli si avvicina, sussurrandogli all’orecchio “…bentornato!” quindi si congeda da Sam, sfiorandogli la mano, con fare complice.

Appena Marin chiude la porta dietro di sé Dean non perde tempo per tormentare Sam.
“Uhm…devo essermi perso qualcosa…”
“Non ti sei perso nulla, Dean. E’ solo un’amica.”

Dean si accontenta. Per il momento. Pensa che, del resto, hanno parecchio da raccontarsi e sente di non potersi perdere in chiacchere. Non sa per quanto potrà restare sveglio. Le palpebre sembrano di piombo. Come...tutto il resto di lui.  Meglio “andare al sodo” e sapere…quale “ipotesi” gli ha riservato Delia.

“Ok…ok, Sam. Devi dirmi qualcos’altro? Di meno piacevole di una tua possibile love-story?”
Sam prende un bel respiro.
“Accidenti…non promette nulla di buono…” brontola, Dean, rassegnato.
"Dean…l'affronteremo… "
"Si…come sempre…Sam…tu e io…"
Dean sa che potrà contare su di lui. Sarà costretto…a dipendere da lui. Ora più che mai.

“Tu e io…” ripete Sam e si vergogna nel provare gioia. Sa benissimo quanto Dean stia patendo e cosa lo aspetti. Ma non può fare a meno di sentirsi immensamente felice.
 Poi il verdetto si commuta in pena "Sei mesi...al massimo nove...Dean…"

Non se lo aspettava. Credeva che avrebbe avuto…più tempo. Delia deve aver trascurato qualche particolare. Dean non sa se dispiacersi o rallegrarsi. In ogni caso…vivrà quei mesi come...li avrebbe vissuti Layla.

"Ok...a questo punto…cercherò di arrivare a nove. Del resto sono già morto un sacco di volte, so come funziona…mi godrò i mesi prima della partenza e non mi preoccuperò di cosa mettere in valigia…" conclude Dean, ironicamente.

Sam strabuzza gli occhi tra il terrorizzato e il confuso.
 "Eh?! Ma cos'hai capito?!! E’ la prognosi, i tempi ipotizzati per la guarigione...Dean!” e Sam percepisce il cuore scalpitare. E’ un malinteso ma l’incubo è troppo recente per non provare ansia alle parole del fratello. “Le braccia…le gambe…ci vorrà un po’ prima che tu riesca a… ”comandarle”, Dean. E…i tuoi polmoni, senza ossigeno, collasserebbero. Hai lesioni vertebrali importanti…non sarà semplice. Dovrai metterci impegno e pazienza…conoscendoti, quella, ti mancherà di sicuro! Hanno accennato a un periodo in carrozzina…" e Sam è certo che, nella mente di Dean, si faccia strada l’immagine di Bobby.

Bobby, su quella sedia a rotelle…svilito, costretto in una situazione che non accettava. Tanto che, alla fine, si era venduto l’anima a Crowley. Bobby aveva un legame particolare con Dean. Così irruenti, burberi, testardi…simili. Perciò Sam si affretta a specificare “Ma non sarà definitivo…su questo i medici sono stati decisamente ottimisti…tornerai a camminare, tornerai come…come prima…devi credermi, Dean."

 Sam non può sapere cosa passi per la testa a Dean.

Grandissima figlia di puttana! Mi ha fregato! Mi ha rigenerato quel tanto che basta perché io possa tornare...completo!

Dean, pur immobilizzato… “vola”.
Qualcuno ha pregato per lui.
Faith…prega ogni sera. Per “un angelo” camuffato da uomo.

"È...è fantastico, Sam! E’ grandioso!” e le labbra gli sembrano più sgonfie, come se il “boccone” fosse… “a metà”.
Sam, sbalordito dalla risposta del fratello, ipotizza che sia troppo provato per comprendere la gravità della situazione.  “Dean…hai…hai capito cosa ho detto?! Mesi di fisioterapia, ospedale, riposo assoluto, niente caccia…” illustra, pazientemente.
“Ho capito Sam, ho capito! E stanne certo, questa fottuta spina dorsale non mi deluderà! Ma ricovero, riabilitazione e tutto il resto...mi farò bastare tre mesi..."
Sam lo squadra torvo. Ha capito. E, come sempre, vuole fare di testa sua!
"Affrettare i tempi di recupero?! Perché? Per cosa?! Per tornare a cacciare, Dean?! Possiamo prenderci una pausa...ce la meritiamo! Dio solo sa quanto ce la meritiamo!" scoppia, Sam, alzando la voce.
Dean usa un tono solidale, con l’intenzione di riportare la calma. Litigare con suo fratello è l’ultima cosa che vuole. "E ce la prenderemo…Sammy. Una pausa…sì, sono d’accordo. Mai stato più d’accordo! Mi merito quella spiaggia di sabbia fine! E anche tu! Ma ti chiedo…ti chiedo di sostenermi, Sam. Devo riprendermi in fretta. Devo uscire di qui e possibilmente con le mie gambe ma…non per cacciare..."
Sam si rilassa all’istante, intuendo le vere ragioni di Dean. Probabilmente si sta riferendo a qualcosa che deve aver vissuto…da morto.

“Ok…allora…in questo caso…se, dopo tre mesi, la guarigione non dovesse essere completa…mi prenderò cura io di te…” e Sam gli stringe la mano, sorridendogli. Dean si rende conto di non riuscire a ricambiare la stretta. Vorrebbe abbracciarlo ma è un blocco di cemento.  Questo sarà, per un po’.
Solo…per un po’.

“Grazie Sammy…so che posso sempre contare su di te…”
“Sempre…sempre, Dean…” sancisce Sam, con la voce che oscilla.
"A proposito…cos’hai fatto mentre..." lo interroga Dean, sornione.
"Io...be' ti ho promesso che non avrei fatto nulla per riportarti indietro, quindi…”
“Quindi?”
“Le solite cose, Dean...stavo pensando di ritinteggiare la tua stanza e farci un’essenziale ma funzionale palestra attrezzata, con tanto di tapis roulant. Miracle non faceva che scodinzolare. Era entusiasta all’idea..."
"Si...certo..." ride Dean, stando al gioco. Gli torna alla mente quel caso di lupi mannari, in cui pensava di averlo perso per sempre. Sam, una volta “ricucito”, uscendo dall’ospedale gli aveva posto “la domanda”… e la risposta di Dean era stata più o meno la stessa: una Jacuzzi nella camera di Sam. In realtà, aveva fatto una delle sue “capatine” nell’aldilà, per incontrare Billie e scendere a patti con lei. Il solito “scambio d’ufficio”. Dean non gli ha mai raccontato la verità, mantenendosi “sul vago”, come al solito.

Ma Sam, al contrario, non vuole raccontargli frottole. Sam non teme di mostrarsi… sabbia. Si alza dalla sedia. Si allontana. Fissa un punto imprecisato, fuori dalla finestra. E’ ormai buio. E Sam “deve” raccontare a Dean, “il suo” buio.

 "Ti ho tradito, Dean. Ci ho provato a mantenere la promessa. Ma non ce l'ho fatta. Sono impazzito, cercando una soluzione. E quando sono uscito dal bunker, dopo giorni di ricerche, mi sono messo alla guida e…sono finito contro un albero…”
“Sam…”
“…tranquillo…ho già provveduto a far riparare Baby! Mi dispiace, Dean…so quanto tu tenga all’Impala ma non dormivo, non mangiavo da quando…"
"Sammy..." e Dean non sta certo preoccupandosi della carrozzeria di Baby.
"I miei incubi su Lucifero sono aumentati a dismisura, diventando vere e proprie visioni. Cosi concrete, tanto reali da farmi svenire. Non ci fosse stata Marin...mi avrebbero internato. Lei lavora nel reparto di psichiatria…mi hanno ricoverato lì…dopo l’incidente…"
Dean, resta in silenzio, ma aspira rapido dalle cannule dell’ossigeno.
Sam nota quanto suo fratello sia in difficoltà. Non può muovere un muscolo eppure Sam è certo che, “dentro”, ascoltando quel “resoconto dell’orrore”, stia tirando pugni contro “l’ologramma” di un tavolo.

Tuttavia non può interrompersi. Non troverebbe il coraggio di ritornare sull’argomento. E ora sta per dire la verità più ignobile, cruda, terrificante. Dean isserà Il “tavolo”, prendendolo per le gambe intarsiate e…lo scaraventerà.

“…poi ho pensato bene di uccidere un uomo...mi serviva per un rituale…per farti tornare"
Sul pavimento, "nella testa" di Dean, i resti di qualche asse di legno verniciato.

"Dimmi che…che non..." soffia Dean, sgranando gli occhi che sono rossastri chicchi di riso.
"Mi sono fermato...a un passo dal farlo"
Dean ringrazia di avere a disposizione quell’ossigeno in “barattolo”. Gli manca l’aria. Più di quando Sam lo ha sepolto “vivo”. Più di quando, poche ore fa, stava per essere bruciato… vivo.

"Non...non era tutto ok...ti ho mentito, Dean…" confessa, Sam.
E’ tempo di confessioni. Dean respira a pieni polmoni, fin tanto che non avverte uno strappo tra sterno e costole, come se una fionda li catapultasse oltre la gabbia toracica.
"In fondo...non era tutto ok nemmeno per me…Sam.” e Dean, abile nel “tergiversare”, sa di dover andare “dritto al punto”. Senza indugi.
“Avevo...avevo paura Sam. Sentivo la vita scivolarmi via e volevo rassicurarti...volevo rassicurare me stesso. Sarebbe andata bene. Per entrambi. Volevo che tu sapessi che…che io…sono…”
Ma Sam è sveglio. Sa quanto, suo fratello, nonostante il carattere impulsivo e iroso, sia fiero di lui.
"Lo so...lo so che sei orgoglioso di me, Dean...” e gli occhi di Sam si fanno pieni, come quella notte, in quel diroccato fienile.
Avrebbe voluto dirglielo...allora...ma non era "il suo momento". Era "quello di Dean".

“Quando…quando ero a Stanford… mi mancavi Dean. Ho… ho trascorso notti intere con il telefono in mano…rigirandomi nel letto. Volevo sentire la tua voce ma non avevo il coraggio di chiamarti. Sapevo di averti ferito, andandomene. Avevo paura. Temevo che non mi avresti risposto o che, se lo avessi fatto, sarebbe stato solo per urlarmi contro, augurandomi di…di crepare. Quando sei venuto a dirmi di papà…ho pensato che le cose, tra noi, avrebbero potuto sistemarsi. Anche restando lontani. Sapevo che non l’avresti abbandonato. Poi ho perso Jessica …ed è stato terriibile ma tu…tu eri con me, Dean. Tu eri “casa”, famiglia, rifugio. Ho capito che mai avrei potuto vivere una vita “normale”, altrove. Non senza mio fratello.”

Dean avverte le lacrime scendere giù, lievi, leggere. Catturate dalle garze che sembrano essere lì a proposito. Lui, davanti al dormitorio. Per ore.
Sam, con un telefono in mano. Notti intere.
Più di quindici anni…per riuscire a confidarlo. L’uno all’altro.

“Sammy… tu puoi, tu…”
“Io…io posso, Dean, sì…posso vivere senza di te…ma non vivrei davvero! Un giorno…riuscirò… sarò pronto…ma non è questo “il giorno”…” riconosce Sam.
Il cubo…Dean pensa a quel dannato cubo. Ma Sam riuscirà a farlo rilucere. Un giorno.

"Io...io credevo che per me…che per me quello fosse il giorno ma...sbagliavo...e qualcuno…me lo ha fatto capire…”
Sam non osava porre domande. Ci è già passato. Con l’inferno. Con il Purgatorio. Con Michele. Non sa cosa possa aver subito Dean. Sa di doverci…andare piano. Ma quella frase sembra aprire uno spiraglio di… conversazione.

"Dove...dove sei stato, Dean? Come hai fatto a..."
Dean sospira. Occorre troppo fiato. Troppo “cuore” per “raccontare”. Non adesso. Non ora.

"Te ne parlerò...giuro che lo farò ma ora…sono...sono stanco, Sammy. Sono letteralmente a pezzi..." boccheggia Dean, e a Sam non pare uno dei suoi soliti tentativi di eludere, per cambiare discorso e tener la tortura vissuta… per sé.
“Certo…abbiamo tempo… Dean” e Sam si avvia verso la porta, tenendo a bada la propria curiosità e ipotizzando di andare a bersi un caffè. Lascerà che si addormenti e poi tornerà da lui. Sa che Dean odia farsi vedere debole, dipendente e, purtroppo, lo attendono mesi di scarsa autonomia.

Ma Dean non ha più paura di “chiedere”.
“Aspetta...Sam. Puoi...puoi restare qui, con me, per favore?”
Sam entra in allerta e un brivido gli serpeggia lungo la schiena. Torna al suo capezzale, lasciando la porta socchiusa e restando con gli occhi incollati al campanello d’allarme.
"Certo...certo...ma lascia che chiami aiuto, Ok?" e Sam ha già il pulsante ben saldo tra pollice e indice.
"No…non me ne sto andando...tranquillo.” lo rassicura, Dean “E giù le mani da quel dannato aggeggio…non ho voglia di camici bianchi tra i piedi…almeno non stanotte…voglio solo starmene un po’ con il mio fratellino…"
Sam controlla il monitor. Nessun tracciato pare impennarsi o, al contrario, rallentare. Non gli sta mentendo. Semplicemente non vuole più mostrarsi roccia. Si commuove al pensiero che Dean si sveli a tal punto.
 
Dean ha capito. Non farà nulla per celare la propria fragilità. Non piangerà da solo. Guardando il soffitto. Chiamerà Sam, nella notte. Anche se non sarà a un passo da Delia.
“Non vado da nessuna parte…ma tu…tu resta con me, Sammy…”
“Ok…ok ,Dean, rimango qui...chiudi gli occhi, cerca di riposare...Marin, lei dice sempre che il sonno è la miglior terapia..." e Sam si sorprende di riferirsi a Marin in quel modo così "familiare", come se Dean la conoscesse.

“Marin…lei…lei ti è stata vicino mentre io…”
“Si è presa cura di me. Ed è…è stata lei a salvarti, sulla pira. Io…io credevo che la tua voce fosse una delle mie allucinazioni” e Sam deglutisce, colpevole.
“Be’ allora ricordati di ringraziarla da parte mia!” conclude Dean come a volerlo distogliere da quel pensiero.
Sam sorride. La ringrazierà…magari portandola a pranzo fuori…perché Marin preferisce un dolce miele e cannella piuttosto che “smielati” convenevoli.
“Sai…si è persino trasferita al bunker, con me...”
“Wow! Si è trasferita al bunker? E me lo dici cosi?!”
“Frena la tua torbida immaginazione, Dean! Per me era l’unica possibilità di tornare a casa. Altrimenti non mi avrebbero dimesso.”
“Deve tenere molto a te…”
“E’ solo gratitudine. Nulla di più.”
Perché Sam non vuole che sia “di più”. Non può essere che riconoscenza.
Dean è già in una sorta di “pre-dormiveglia” ma qualcosa gli dice che è il momento di svelargli che... non c'è più.

""Sai Sam…Lisa, lei…lei è morta...pochi anni dopo il nostro ultimo incontro…un incidente d’auto…"
Sam intuisce che quel sofferto annuncio, farfugliato, è parte del “Dove sei stato?”
"Mi...mi dispiace molto...Dean”
Dean annuisce, aspirando svelto l’ossigeno, fin quasi a farsi scoppiare le narici.
“Credevo di averla protetta…privandola della memoria ma…avevi ragione tu Sam. Avrei dovuto… avere più coraggio…”
“Dean…pensavi di fare la cosa giusta…”
“Già…ma non sempre ciò che è “giusto” per noi lo è anche per chi amiamo…”

Dean vede la fronte di Sam corrugarsi, come se un pensiero “soggiornasse”, per una manciata di secondi, su quel viso segnato dalla fatica delle ultime settimane.

“Cerca…cerca di riposare un po’ anche tu, Sam…quel poco che vedo, che riesco a mettere “a fuoco”, non mi piace. Mai pensato di comprarti una bella maschera? Magari da clown” ridacchia Dean, per stemperare. E Sam, alla parola “clown”, ha un sussulto. Ma lo perdona, dopotutto Dean non conosce “gli sviluppi” della sua fobia per i pagliacci.

“Davvero divertente, Dean!”
“E dire che sono io quello che è praticamente morto!”
“Ma ora sei vivo, Dean. E dormirò. Anche rannicchiato su questa seggiola. Non avrò incubi. Non stanotte. Lo so.”

E Dean, di fronte a quella constatazione disarmante, rinuncia ad ogni freddura. E non nutre più alcun dubbio.

Sam lo riconosce.
Anche se è una statua di pietra in un letto e ha manifestato tutta la propria vulnerabilità.
Dean si riconosce.
Anche le rocce si scheggiano. Ma possono continuare ad essere riparo o appoggio sicuro.

Quel giorno” è stato una prova “generale”, per “il giorno”.
Scriveranno la “loro storia”. Come avrebbe voluto Castiel.

La scriveranno pagina dopo pagina. A quattro mani.
Fino all’ultima…scena.

 E sarà davvero…
tutto ok.




 
Note dell’autore: non è la fine. Ci sarà ancora un capitolo. Spero di aggiornare prima del solito. Avrei potuto “agganciarlo” a questo ma sarebbe risultato troppo lungo e articolato. Ho preferito “spezzare”…il finale. Ho scritto in condizioni a me poco congeniali perché ho usato per buona parte il cellulare e poi “copiato” sul file del pc. Non ho riletto e ho pubblicato… “di pancia”. Mi scuso anticipatamente per “sviste” ed errori!  Grazie a chi mi ha seguito in questa “avventura”. Ho tirato fuori la parte un po’ “noir” e tormentata di me ma, al contempo, anche quella inguaribilmente fiduciosa nei confronti della Vita.

Per chi vorrà vi aspetto… all’ultimo capitolo!

Grazie.

Eclissidiluna

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Capitolo 10
*** capitolo 9 ***


Incapace di respirare, incapace di sostenere il peso di un bicchiere, incapace di rigirarsi senza aiuto. Raramente suona quel dannato campanello. Preferirebbe piagarsi piuttosto che essere palla da bowling nelle mani professionali, cortesi ma comunque distaccate, del personale sanitario. Aspetta Sam. E Sam arriva. A cingerlo con presa sicura, per fargli cambiare posizione, destreggiandosi come Merlino nel suo laboratorio. Dean è “alambicco umano”, una somma di “vasi comunicanti”. Delia…onesta come solo la Morte sa essere (fatta eccezione per quella psicopatica di Billie!) glielo aveva “anticipato”. Una “pezza” sul “foro”…ma questo non avrebbe cambiato granché la sua situazione.
Trivellato, come una sagoma al poligono di tiro. Trafitto da parte a parte. Ugualmente. Al posto del ferro, una serie di tubicini che Sam va a “districare”, con pazienza certosina, per evitare che si sfilino, zampillando sangue. E’ successo una volta…e le lenzuola si sono tinte di rosso. Dean l’ha trovato quasi divertente. Il letto sembrava la tavola imbandita di un Rugaru.
E Sam non ha potuto evitare di suonare il campanello.

Non avere addosso i propri vestiti fa sentire totalmente "nudi", in un modo così diabolicamente "completo" che ti annulla. Forse da questo nasce la tendenza degli Dei a esigere vittime denudate, sugli altari sacrificali. Percepisci di essere già "pietanza", ancor prima di diventarlo. Gli Dei famelici, probabilmente, avvertono le che il tuo corpo “trasuda” cortisolo e adrenalina e questo deve stimolare in loro un certo languorino.

Dean preferirebbe una camicia imbrattata di resti di mutaforma e pantaloni maleodoranti, come dopo un bel tuffo in un fiume vicino alla discarica, o un ruvido e urticante costume da cavaliere, come quello indossato alle giostre medievali organizzate dalla dolce Charlie…qualsiasi cosa sarebbe meglio di quel ridicolo camice che ti lascia le natiche scoperte. Anche se deve ammettere che, notare gli sguardi furtivi e "interessati" delle infermiere, mentre rifacevano il letto... è stato piuttosto elettrizzante. Molto meno la faccia di Sam quando, mentre aiutava le graziose signorine a mobilizzarlo, ha visto quel "fumetto" di sangue sulla traversa. Una pozzetta che si è rappresa all'istante.  Ma ancora troppo lentamente per l'apprensivo Sam.

Sam pone la massima attenzione a non “stiracchiare” la vena di turno o la membrana interna che è la “stazione” di quei crocevia. Purtroppo, per quanta cautela e impegno ci metta, può capitare. In quei casi Dean inghiotte un urlo, come ha imparato a fare da ragazzino, quando ha cominciato ad essere “rammendato” da John. Dean, avvertendo quello “strappo” interno, si trova a riflettere su quanto conti “essere nelle grazie” della Dea Fortuna. E se avesse riaperto la sua bisca clandestina? Forse varrebbe la pena farci di nuovo due chiacchere!  Anche se, in fondo, sa di essere “fortunato”. Nonostante quella complessa serie di “canali” che lo percorrono.

Ognuna delle sottili “gallerie”, color bianco opaco, ha il suo scopo. Non farlo disidratare, non farlo soffocare, non far “addormentare” cuore, polmoni e reni. In una frase: non far…tornare Delia.

Il cibo non ha gusto perché è triturato è ha un aspetto decisamente peggiore di ciò che, da sempre, è “appetitoso” per Sam. I tendini sono corda tesa che si spezza, alla sola idea di flettere un mignolo. Ogni sollecitazione muscolare, anche la più piccola e insignificante, gli produce un dolore sordo e intenso che si propaga sottopelle, come l’onda d’urto di una deflagrazione. Non osa pensare a quando comincerà la riabilitazione…quella vera. Sarà bomba atomica.

Dean riflette su quanto quel dolore fisico, che non ha nulla a che fare con i “rischi” del loro mestiere, sia dannatamente simile a ciò che ha subito… nel “suo mondo”. Come direbbe Marin.
Una benefica tortura, con il nobile fine di curarlo…ma è "tortura".

Non è poi così diverso dall’essere pungolato e “spezzettato” da Alastair.
L’ossigeno “sottovuoto” è costantemente a disposizione ma, ciononostante, è a corto di fiato come quando, “mostro” tra i “mostri”, correva zigzagando tra gli alberi… del Purgatorio.
E combatte contro delle emicranie insopportabili come se, la sua testa, fosse ancora “magazzino” dalla porta instabile…presa a calci e pugni da un furibondo Michele.

Essere cacciatore, a volte, fa maledettamente schifo. Essere un uomo ridotto ad… “alambicco”...altrettanto.

 A volte, quando Sam, all’ennesimo “Sammy, fuori di qui! Ora!” si trascina a prendersi qualcosa da mangiare, concedendosi venti minuti di “pausa”, Dean, rimasto solo… supplica Delia… di tornare.

Ma Delia non è Dio. Probabilmente non ascolta le preghiere degli uomini e, a ripensarci…nemmeno Jack lo fa. Nessuna interferenza…giusto.
“Meglio essere padroni di sé stessi, senza poter contare sull’ “aiuto da casa”, che giocare una partita dove, “qualcuno”, ha già deciso le tue mosse!”
Dean se lo ripete,contando i minuti che lo separano da Sam, per tenersi occupato e non impazzire.

E Sam sembra “sentirlo” perché “la pausa” spesso si riduce a un quarto d’ora. Dean restando volutamente ad occhi chiusi, lo rimprovera, con tono burbero “Sam…come fai ad essere già qui?! Non hai avuto nemmeno il tempo di arrivare alle macchinette!” ma Sam ha sempre la battuta pronta “Mi sottovaluti, fratello! Ampie falcate e la mia corsa mattutina mi permettono di attraversare il corridoio in meno di un minuto! Sai bene chi, tra i due, è lo sportivo salutista!”. E Dean borbotta qualcosa ma non può evitare di sorridere, con gratitudine.

A volte si pente di aver accettato quella condizione.  Non è “irreversibile” ma, arrivare alla fine del giorno, sapendo che quello dopo sarà tragicamente uguale comincia ad essere… “invivibile”.

Ma Dean…è vivo.
---
In un mattino, dove il cielo è bianco e carico di nuvole che promettono neve, vede entrare Sam, seguito da Marin.

Marin ha l’aria circospetta e vagamente colpevole della bambina che ha combinato un guaio. E Sam, nonostante quei pasti frugali, ha il viso disteso e infinitamente sereno. Dean ricorda di averlo visto raramente così riposato. Eppure, da quando Dean è tornato, non ha trascorso una sola notte al bunker, nel suo letto…

Dean crede di avere le traveggole quando è certo di scorgere un movimento, nel sacco pronto per la lavanderia…Miracle, nascosto nel carrello della biancheria con la complicità di Paul, fa un’“entrata in scena” degna di uno spettacolo circense! Posa le zampe sul copriletto con una delicatezza incredibile, quasi Sam lo avesse “addestrato” e Dean, accarezzandogli la testolina, avverte gli occhi pungere.
Dean “corre ai ripari”, dichiarando, tra sé “Delia…stavo scherzando…lo sai che sono uno a cui piace scherzare!”. Perché la Morte non ascolta le preghiere di chi ha “lasciato” sulla Terra. Ma meglio non rischiare.

Dean ha scelto. E deve continuare a “scegliere”. Ad ogni tramonto. Ad ogni alba.
Dovrà sopportare ciò che verrà…con il caparbio coraggio del cacciatore.
E dell’uomo… “alambicco”.
---
Marin è arrivata con tre bottiglie di birra, in confezione natalizia, quella che aveva catturato la sua attenzione durante quella “spesa interrotta”. Dean ha strabuzzato gli occhi. “Ehi! Sei fantastica!”
“Dean, è Natale…anche qui. Sapevo che ti avrebbe fatto piacere ma non vuol dire che tu possa berle! Avrai tempo per farlo…”
“Marin…solo un sorso…”  piagnucola Dean e lei, guardandosi intorno, sbuffa un tirato “Ok…hai vinto!”
Dean, trionfante, esclama “Marin, giuro che se Sam ti lascia scappare, lo uccido con le mie stesse mani…be’ appena riuscirò a muoverle!”
Marin abbozza un sorriso e poi, sfiorandogli la mano destra, osserva “Dean…riesci già a muoverle…”
“Si, ma diciamo che posso farci ben poco…” ribadisce lui, aprendo e chiudendo le dita, “a rallentatore”.
Marin, senza ribattere, stappa una birra e gliela porge.
“Ma ti ho appena detto che…”
“Prova, Dean, dammi retta…”
Dean è stizzito. Gli pare un’inutile perdita di tempo. Ma Marin gli ha salvato la vita…è “autorizzata” ad essere un po’ insistente. L’accontenterà.

Dean allunga la mano, non senza sforzo, lasciando che lei gli sistemi le dita attorno al dorso della bottiglia, “aggiustandogli” la presa, come se stesse decorando un albero di Natale.
“Ok…vedi che…che…” brontola aspro.
Le labbra di Marin si stendono. E quelle di Dean si aprono in espressione stupita.
 “…che stai tenendo la tua birra, Dean.” conclude Marin, vittoriosa.
Dean avverte il vetro freddo a contatto con il palmo. E’ una sensazione grandiosa.
“Ci riesco!”
“Non te l’avrei proposto, Dean, se non avessi notato un miglioramento. Devi solo avere fiducia. Credo, che dopo le festività, potrai iniziare con la riabilitazione vera e propria.”
“Grazie…grazie Marin…” e Dean continua a godersi quel momento di ritrovata autonomia. Sta stringendo una birra in mano! Conscio di avere stampata in faccia un’espressione da ebete, tenta di ricomporsi, tornando sul suo “argomento preferito”.
 “Quello che ho detto prima, riguardo a Sam…”
Marin abbassa lo sguardo “Non c’è niente, Dean. Davvero” ripete tranquillamente, Marin.
Dean palesando delusione rincara “Peccato. Un’infermiera in famiglia…ci tornerebbe comodo!”
Marin sorride, sfiorandogli il viso. Nulla di permanente, come aveva ipotizzato.
“E chi l’ha detto che io non possa comunque occuparmi di voi? Ormai so dove abitate!”
“Suona un po’ inquietante… “So dove abiti…”!” scherza Dean.
Marin, stando al gioco, fa una battuta sulla grandiosa interpretazione di Kathy Bates, nel ruolo di un’infermiera pazza, in “Misery non deve morire”.
“Ora basta chiacchere, Dean…devo andare, turno di notte!” conclude sospirando, sistemando la sedia consapevole che, a breve, accoglierà Sam.
“La vigilia di Natale?! E domani?”
“Turno di notte…come a Capodanno” comunica Marin, alzando le spalle.
“Ma questo Carter ce l’ha con te! Possibile che ti tocchino tutte le festività?!”
 “Sei fuoristrada, Dean…il dottor Carter è gentile, non ha fatto altro che aiutarmi e consigliarmi, da quando lavoro qui, solo che…ho preso una settimana di ferie senza preavviso, un po’ di tempo fa…” motiva Marin, giocherellando con una ciocca di capelli “sapevo che, al rientro, avrei dovuto “coprire” qualche turno “scomodo”. Meglio così…almeno resto nei paraggi, Dean!”
Dean la scruta con riconoscenza. “La settimana di ferie”. Ora è tutto chiaro.
“Grazie, Marin…non solo per avermi salvato… ma anche per Sam…”
“Va tutto bene, Dean.”
“Resta ancora un momento…Sam tornerà fra poco…”
“No…devo salire ma con Sam abbiamo una sorta di “appuntamento” domani…per farci gli auguri come si deve, la mattina di Natale…” e il tono di Marin è graziosamente “solenne”.
“Wow! Il mio fratellino mi stupisce! Non mi ha detto nulla! Pranzo di Natale in dolce compagnia!”
Marin scoppia a ridere “No, Dean…quando smonto dalla notte…alle 7.30, davanti alle macchinette… per un caffè e uno snack!”
“Dimmi che non è vero…” e Dean si mette una mano sul viso, palesando disapprovazione.
“Guarda che a me va bene, Dean…mi basta…mi basta salutarlo e…vedere i suoi occhi non cerchiati” confessa Marin, pur sapendo di “svelarsi” irrimediabilmente.
Dean annuisce “Sei una persona speciale, Marin…”
“Ora fammi andare o arriverò in ritardo e mi toccherà sorbirmi i rimproveri della caposala!”  e Dean apprezza quel lieve rossore fiorire tra qualche lentiggine.
“Buon Natale, Dean!”
Dean ricambia gli auguri e, vedendola allontanarsi, pensa che, fra pochi giorni, potrebbe avere forza a sufficienza per… strozzare Sam. 

Marin ha sistemato le birre sul davanzale della finestra. E Dean gli ha chiesto di lasciare le veneziane aperte. Filtrano roboanti luci natalizie che rimbalzano su soffitto e pavimento, facendo a gara con i neon della sua stanza. Non gli danno fastidio. “Gli ricordano” che è Natale.
Non un Natale vissuto in uno scrostato motel, ad aspettare papà.
Non un Natale trascorso sull’Impala, guidando verso un caso, accompagnati dalla radio che rimanda i “classici” del periodo, da Bublé a Mariah Carey.
Non festeggiato “fuori tempo”, con un enorme albero decorato con maestria da Mrs. Butters, quella specie di “governante”, custode del bunker.
E’ un Natale… in ospedale…e sta aspettando Sam che, per una volta, non è a perdere diottrie davanti allo schermo del pc, impegnato nella spasmodica ricerca di…soluzioni.
Sam è al sicuro, “impegnato” sì… nello shopping natalizio.

Un Natale perfetto.

Dean si beve un altro sorso di quella birra che ha continuato a tenere ben salda nel palmo, fino a sentirlo scricchiolare. Con un movimento degno di un’ultracentenaria tartaruga, tenta di posarla sul comodino. E’ concentratissimo e avverte il sudore farsi strada, sotto il camice, all’altezza del collo. Quando sente il “toc” del fondo della bottiglia, “atterrata” sul ripiano, gli esce un “Eh vai!” straordinariamente liberatorio.

Si concede di appisolarsi.
Per oggi, “l’uomo alambicco”, ha fatto abbastanza.
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Mentre Dean riposava Sam, guardandosi bene da svegliarlo, ha appeso un paio di decorazioni nella camera e ha messo un alberello a led, sul tavolino. Quando Dean riapre gli occhi è Pinocchio nel Paese dei Balocchi.
“Ehi! Guarda un po’ cosa mi hai combinato! Grazie Sammy!”
“Di niente, Dean…buon Natale, fratello…” e Sam ripensa a quando, sull’Impala, con quel John che doveva essere “custodia”, ha pianto in silenzio, prendendo atto di quanto avrebbe sofferto…quella vigilia.
Sam non può fare a meno di ringraziare Jack. Anche se sa che non deve a lui…questa vigilia.

“Marin mi ha regalato delle ottime birre e l’infermiera, sai quella brunetta, capelli a caschetto, quarta di reggiseno?”
“Dean!”
“Be’…hai capito chi intendo…mi ha dato una tazzina di zabaglione! L’ha fatto apposta per me!”
“Sempre il solito rubacuori!” ride Sam, sistemandogli il cuscino. “Ed era come piace a te?”
“Chi? L’infermiera? Be’ ho ancora qualche problemino ad…”assaggiarla”!”
“Dean! Lo zabaglione! Mi riferivo a quello!”
Dean ride di gusto. Sam diventa ancora fucsia quando si fa cenno a sesso e donne…l’anima “ingenua” di Sam!
Sam arrossisce…come Marin.
“Ah…lo zabaglione, certo…era perfetto, Sam…era perfetto…come questo Natale che è uno dei migliori dei Winchester!”
“Sai che, considerare un Natale in ospedale, uno dei nostri “Natali migliori”, la dice lunga sulla nostra vita, Dean?!” sottolinea Sam, ironico.
“Oh be’ Sammy, devo ricordarti quello in cui stavamo diventando “la cena” della vigilia? A casa di quell’allegra coppia di divinità?! Ghirlande maledette e maglioncini che parevano usciti da “Mamma ho perso l’aereo”!”
Sam ha una smorfia di disgusto “Ti prego, non farmici pensare…l’unghia ci ha messo quasi due mesi a ricrescermi!”
“E meno male che hanno suonato alla porta…o io non avrei il mio sorriso smagliante!”

Sam, continuando a ridere, estrae un pacchetto, dalla tasca della giacca. “Te lo scarto, Dean…” mormora offrendolo a Dean “No, no…posso farcela da solo…” e Sam, vedendolo muovere le dita sulla carta argentata, prova un’emozione indefinibile. La stessa che vive Dean, quando scopre il contenuto dell’involucro.
 “Sammy…è…è…davvero bello…”
“Avevo bisogno di…voltare pagina, Dean. Ma dovevo farlo con qualcosa che ricordasse il passato. Non una "copia" ma un nuovo… “originale”…”
Dean passando il pendaglio di ottone da una mano all’altra, in una “danza” lenta ma precisa, sussurra “E’…un bel modo per guardare al futuro…grazie Sammy…”.
Dean ripensa a quel Natale. Passato.

Un cielo che aveva mantenuto la promessa. Come oggi.
Nevicava.
Ma papà forse non sarebbe tornato. Forse non avrebbe potuto mantenere la promessa fatta a Sam.

Quel ciondolo che Sam gli aveva regalato, in realtà, era per papà…ma in fondo…Dean, anche allora, con appena quattro anni in più, gli faceva… da padre. Avrebbe potuto farlo…per sempre. Ricorda di averlo pensato. Mentre se lo metteva al collo.

Ma oggi…è più complicato. Metterselo al collo.

Sam prova a farglielo indossare ma poi desiste…risulterebbe un altro impiccio, l’ennesimo “filo”, “da gestire”. “Forse…forse non è stata una buona idea…” constata, il minore, mortificato.
“E’ stata un’ottima idea, Sam!” e Dean afferra il cordoncino, togliendo Sam dall’imbarazzo.
Stringe il monile nel pugno che ha appena riacquistato vigore “Lo terrò sotto il cuscino e appena mi toglieranno un po’ di questi aggeggi, lo metterò.” Poi Dean allunga il collo, in direzione del comodino “Aspetta…anch’io ho qualcosa per te…apri il cassetto!”
Sam esegue e tira fuori un regalo dalla carta rossa e il fiocco dorato. Ha sottile forma rettangolare. Immagina sia un libro ma si sbaglia. E’ una fotografia, incastonata in una cornice placcata che, riflettendo la luce, risplende in più punti.

Sono ai piedi del letto di Dean. Lui e Marin… stanno giocando con Miracle. Non si sono accorti che Paul li stesse immortalando. Hanno l’espressione divertita e complice.
 “Dean…come…”
“Paul…quel ragazzo è in furbacchione! Siete rimasti bene…una coppia e un cane! Peccato per lo sfondo un po’… “bianco ospedale”, ma non si può avere tutto!”
Sam sospira, facendo un impercettibile segno di dissenso con il capo “Dean…avremmo, avremmo potuto metterci in posa…avresti potuto esserci anche tu…”
“Cosi imbalsamato?! Ma dai! Lascia almeno che mi rimetta in piedi! No, così è perfetta! Marin, tu e Miracle…”
“Grazie…grazie, Dean…è…è un bel pensiero…” e Sam deglutisce, come se, quel “non voler esserci” di Dean, facesse parte della “preparazione”.
“La metterò in camera mia…” esclama Sam, soffermandosi su Marin che, inginocchiata, coccola Miracle.
“Bene! Bene, Sammy” e Dean si rallegra, immaginando che ci saranno foto ben allineate su mensole e mobili.

Non solo le fotografie della mamma, di Bobby, di papà, di due ragazzini e di due giovani cacciatori…
non solo.

“Che ne dici? Ci guardiamo la partita?” propone Sam, con la voce lievemente tremula.
Dean si umetta le labbra. Un albero decorato con i deodoranti per auto.  L’ultimo Natale prima che i segugi infernali lo divorassero. Ma oggi non c’è “una scadenza”.
“Ottima idea, Sammy!”
Dean guarda fuori. Sta nevicando. Le birre staranno al fresco.
Le luci notturne, azzurrine, riposano la vista e la televisione, a basso volume, rimanda la voce del telecronista un po’ “ovattata”. In sottofondo passi svelti e un parlottio indaffarato, cigolanti carelli per la terapia e il bip bip regolare dei macchinari che monitorano Dean.
Nessun mostro ad attenderli. Nessuna vittima da salvare all’ultimo minuto. E la mano destra che continua ad essere attiva e collaborante, “custodendo”… il futuro.
Si…Dean ne è convinto.

Uno dei loro Natali migliori.
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Marin si è superata, trasformando il reparto in una sorta di “festa a sorpresa”, con tanto di palloncini colorati e infermiere inclini alla battuta.  Come previsto, una volta che, le bende sul viso di Dean si sono ridotte a un paio, le colleghe di Marin hanno cominciato a tormentare Sam, per saperne di più sul fratello maggiore.

“Fai sempre colpo Dean, anche se ormai sei un “vecchietto”!!”
“E chi l’avrebbe mai detto?”
“Non fare il finto modesto con me! Ti sei sempre pavoneggiato per il tuo fascino con il gentil sesso, fin da ragazzino!”
“No…intendevo…chi l’avrebbe mai detto che avrei potuto ancora festeggiare… un compleanno…Sammy…” chiarisce Dean, pensieroso ma sorridente.
Sam deglutisce. “Invece…invece siamo qui, Dean…ce l’hai…ce l’abbiamo fatta…”
“Già…e direi che…dopo tutto quello che è successo, anche se non riesco ancora a liberami di questo “trono” …posso ritenermi fortunato!” e Dean con una mano tamburella il bracciolo della sedia a rotelle e con l’altra accarezza il ciondolo che, adesso, può tranquillamente indossare.
“Sì, Dean… sarà il letto 24…che ti ha portato fortuna. Dicono che se “incontri” il numero del tuo giorno di nascita può essere positivo…”
“Davvero?! Questa non l’avevo ancora sentita! E chi te lo ha detto?”
Sam sorride… “Uno…uno che crede parecchio nella fortuna…”
“E credere in quella esigente Dea che, come ben sappiamo, bendata non è, gli ha portato bene?!”

Sam riflette. John poteva essere morto. Poteva essere ignaro “vuoto a perdere”. E invece…Sam si è fermato.

“Decisamente!” afferma senza indugio, invitando Dean a brindare.
 “Buon compleanno John…” augura Sam, tra sé e sé.

Dean si unisce a quel brindisi ma un pensiero va a un “24” sfortunato…che avrebbe potuto festeggiare con lei…se avesse avuto il coraggio di non andare via.
Senza salutare.
 “Non ti deluderò Lisa…non stavolta”.
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Segreteria telefonica.
Sempre. Da sempre.
Anche se ormai lo studio e nelle mani di giovani avvocati e lui fa solo qualche consulenza ai clienti “storici”.

“Questa è la segreteria telefonica dello studio legale Stewart, lasciate un messaggio dopo il segnale acustico, sarete richiamati al più presto. Grazie”.
“Ciao…ciao papà, volevo…volevo dirti che sono in zona, suono a poche miglia da Boston e stavo pensando…che forse… potrei…potremmo ved…”
Ma poi s’interrompe. Perché lasciare quel messaggio?

Non lo richiamerà.
Non è un cliente.
Sta per riagganciare. Come faceva Sam, quando quel “John padre” non rispondeva agli accorati appelli lasciati a una voce pre-registrata.
Ma succede qualcosa.

“John?!”
“Sì…si signore…sono io…è partita la segreteria telefonica…credevo che…”
“Ho sentito che eri tu… e ho preso la chiamata”
“Ecco, io…” balbetta John, sentendosi “in difetto”. Come sempre. Quando parla con suo padre. Sta cercando le parole appropriate, quelle che non lo infastidiscano eccessivamente ma lui lo anticipa. Lui è un avvocato…avere un ricco “vocabolario” è una delle doti dei Principi del Foro.
“Dopo tutti questi anni…John…cosa vuoi?”
Cosa vuole...dopo “tutti questi anni”? Essere amato, semplicemente questo. Ma John sa che suo padre sta pensando a ben altro.
“Non…non ho bisogno di soldi e ripartirò fra un paio di giorni…pensavo solo che avremmo potuto vederci. Solo questo…”
John avverte un sospiro dubbioso, dall’altro capo dell’apparecchio. E un “no” ma, probabilmente, suo padre “addolcirà la pillola”, adducendo motivi di lavoro. A quasi settant’anni, “il lavoro” è ancora la cosa più importante. Certamente più di John.

“Devo controllare in agenda…ho parecchi appuntamenti…”
Avesse scommesso con Sam sull’esito di quella telefonata, “giocandosi” una birra…avrebbe vinto.
“Certo…certo…come non detto…” rettifica John. Ha già “rubato” troppo tempo, a suo padre. Chiude con un laconico e formale “Grazie lo stesso…signore…” per togliere entrambi dal disagio di quella chiamata.
“Aspetta un momento…John…”
“Va bene così…non c’è problema.” E John pone fine al supplizio.

Ci ha provato.
Si domanda se, un giorno, potrà mai dire a “Forrest” che…ci ha provato.

Dopo cinque minuti squilla il cellulare. John risponde senza controllare il numero. Si augura che non sia il locale, per disdire. Quei soldi gli fanno dannatamente comodo.
“John…’”
“Papà?!” esclama stupito. Era sicuro che si fossero detti tutto ciò che…c’era da dire. Ovvero…nulla.
Ma il padre di John, fra meno di tre mesi, compirà settant’anni e non sa se avrà ancora il tempo di dire… “qualcosa”.

“E’ stato…è stato il mio modo per sapere che te la cavavi…che eri vivo… quell’orchidea, sulla tomba di…famiglia.”
E quel di famiglia suona così inclusivo. Non è la “tomba di Gerard”. Non solo.
John avverte la voce di suo padre traballare. Lui che la ricorda così ferma e imperativa.
“Ho…ho sempre pensato che se…se fosse trascorso un anno, senza quel fiore sulla lapide, nulla…mi avrebbe ancora trattenuto su questa Terra.”
John sente gli occhi riempirsi.
“Papà…”
“Mi farebbe piacere sentirti suonare, John…”
“Domani…domani sera, è un locale un po’ in periferia e non è un granché…”
“Alla mia età non mi spavento certo di un pub fuorimano. Mandami l’indirizzo. Ci sarò…per una birra…”
“Per…per una birra…perfetto!”
“Buonanotte figliolo…e…buon compleanno.”
“Grazie…buonanotte…papà”

John riaggancia. Scoppia a piangere. Lacrime trattenute per troppi “24 gennaio”. Oggi ha “festeggiato” i suoi 40.
E suo padre gli ha fatto gli auguri. Suo padre si è ricordato che lui…è nato. Il 24 gennaio. Non per sostituire Gerard. Per essere John. E avere “un posto”…non solo nella tomba di famiglia.

Domani andrà a comprare…l’orchidea.

Lo ha ascoltato. Gli ha dato retta. Si è fidato di “Forrest”. Sedersi su quella panchina è stata una vera fortuna.
Sam gli ha migliorato la vita.
 John crede nella Dea bendata. John aveva bisogno di qualcuno che, “attraversando” segreterie telefoniche, senso d’inferiorità, rimpianto e… amore paterno ritrovato, lo spronasse a comporre quel numero.

 “Grazie… Sam” bisbiglia, rischiarandosi la voce e sistemandosi la tracolla del basso.

Deve provare. Più del solito. Dovrà essere perfetto. Impeccabile. Come se fosse davanti a uno stadio pieno di fan urlanti e adoranti.
Domani sera non dovrà “steccare”.
Domani sera suonerà…
per suo padre.
 
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"Basta così per oggi...devi avere pazienza, Dean..."
"No...sto bene...ancora un ultimo giro." ansima, Dean, contrattando con il  fisioterapista.
È giovane. Potrebbe essere suo figlio. Ha i capelli bronzati e gli occhi trasparenti di Jack. Dean gli ha dato spontaneamente “del tu”, dal primo giorno di riabilitazione. E Nathan non ha mosso obiezioni. Dalla cartella clinica sapeva che sarebbe stata durissima per quel paziente. Conveniva, da subito, creare un’atmosfera “informale”. Quando dai del "tu" è più facile "chiedere scusa"… dopo aver lanciato anatemi e improperi. All'inizio era una sequela di “fanculo” e “merda” a ogni minimo cambio di postura o tallone a terra.
Poi, Dean, è riuscito a...controllarsi, diminuendo le imprecazioni e risparmiando fiato, per arrivare alla fine dell’ora di terapia.

"Sei esausto, Dean..."
"Lo sono...è vero...ma non ho più molto tempo...devo andarmene da qui e...senza quella spider!" e Dean con un movimento rapido del collo , indica la sedia a rotelle. Nathan crede molto nel proprio lavoro. Dean, per quel che ne sa lui, ha tutta la vita davanti. Non può rischiare di convivere con dolori lancinanti alla spina dorsale, per affrettare i tempi di recupero. Sarebbe sciocco e incauto.
"Con calma, Dean, o non farai che prolungare la tua permanenza lì sopra!" ripete sorreggendolo e impedendogli quell’ ennesimo “andata e ritorno”, sulla pedana.
"Ok...ok..."si arrende, Dean, lasciandosi mobilizzare in sedia. 
"Perché tanta fretta? Una donna?” domanda Nathan, prendendo coraggio, sistemandogli le pedaline.
  "No...un figlio" risponde Dean, affannato, asciugandosi il sudore con la bianca spugna. 
Nathan lo scruta, meravigliato da quella rivelazione.

Da quando hanno iniziato le sedute Dean non è mai entrato in un argomento così “intimo”. Per lo più due parole sullo sport, sui suoi gruppi musicali preferiti e qualche scambio ironico sulle relazioni di una notte, “alla Dean”. Una volta Nathan, usando una metafora, ha accennato alla pazienza di Yoda, facendo riferimento alla saga di “Guerre Stellari” e da, allora, per Dean è diventato “Giovane Jedi”.
Nathan sa che ha un fratello devoto, con il quale ha dovuto “lottare” per evitare che rimanesse con lui, durante gli esercizi. Ma, a parte, Sam, non ha mai trovato nessun’altro, ad attenderlo in stanza. Qualche volta è venuta Marin, a “recuperarlo”, direttamente in palestra.
"Perché non viene a trovarti?"
"Non può e poi…anche potesse, non verrebbe...mi ha aspettato, troppo...".
"Capisco...i miei genitori sono divorziati. Un divorzio complicato, continui litigi, continue ripicche...mio padre ci ha messo un po' prima di ricostruire un rapporto con me e mia sorella."

Dean rammenta quel dialogo con Lisa. Una coppia che decide di “separarsi”. Pur amandosi ancora. E’ stata sofferenza. Per tutti. E, in mezzo, Ben.
Ben che lo chiama di nascosto.
Ben che spera sia una “bufera passeggera”.
Ben che considera “il terzo appuntamento” un’emergenza. Perché potrebbe essere “nuovo inizio” per sua madre e “fine certa” per Dean. Invece è stata…la fine. Per tutti.
Ben che lo accusa di abbandonare la sua famiglia. Proprio lui che “predicava” su quanto contasse…la famiglia.

Non è poi così diverso da ciò che deve aver vissuto Nathan.

"Si a volte è…davvero complicato…non far soffrire chi ami. "e Dean si allontana con, un paio di “bracciate” energiche.
"Allora...a dopodomani. Resta qui, ormai conosco la strada.  Ciao, “Giovane Jedi”...rientro alla base, la Morte Nera mi aspetta.” scherza Dean, avviandosi all’uscita.
"Aspetta, Dean. Domani sono a riposo ma, in mattinata, potrei venire da te...ti mostrerò qualche esercizio da svolgere per conto tuo, con l'aiuto di tuo fratello." 
“Grandioso! Grazie…grazie Nathan!”
“Ma senza strafare, ok?!”
Dean improvvisando una sorte di “saluto militare” esclama “Agli ordini, signore!”. Nathan gli ricorda sempre più Jack.
E a Nathan, Dean, ricorda il padre che aspettava davanti alla scuola.
Inutilmente.

Un giorno, finalmente, è arrivato. La barba trascurata, la sigaretta in bocca, fumata a metà e l’odore di una giacca posata in locali diversi, tra cocktail, pollo fritto e l'effetto vapore del ghiaccio secco. Gli ha chiesto scusa. Lo ha abbracciato, scompigliandogli i capelli, un po’ troppo lunghi. E poi lo ha portato dal barbiere. Una giornata “tra uomini”. Insieme.
Nathan si augura che Dean possa riabbracciare chi lo “ha aspettato troppo”. E che possa farlo sulle sue gambe.

Dean attraversa il corridoio che lo separa dall’ascensore. Ormai è di casa. Conosce il nome di medici e infermiere senza doversi soffermare troppo sul tesserino identificativo. Tutti sanno chi è quel “redivivo” che deve avere la pellaccia dura e resistenza da vendere, per essere riuscito a riemergere dalle macerie, quando persino suo fratello lo dava per spacciato. Marin ha “fantasia”. Dean crede che, per divertirsi un po’, abbia esagerato inventandosi “epici” particolari dell’evento! Qualcuno lo saluta con rispetto, bisbigliando subito dopo. Una specie di “eroe”…anche se non sanno nulla di lui. Si chiede se possa comunque essere sufficiente a “ispirare” la Dea Fortuna, tanto da “metterci una buona parola”.

Tornerà a cacciare. In qualche modo…tornerà a “fare l’eroe”. Ma per il momento vuole una cosa sola.
Ha un figlio…che lo aspetta. Che lo ha aspettato.

Troppo.
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“Dean, forse è meglio che venga con te…”
“No Sam, è una cosa che devo fare io. Da solo.”
“Ma non direi una parola, te lo prometto…però potrei intervenire, aiutarti se le cose si mettessero male, sostenerti…” e per Sam, il verbo “sostenere” ha un duplice significato. Ma Dean, decide di “coglierne” solo quello pragmatico.
“Per quello ho le mie mitiche compagne di viaggio!”

Si è liberato della “spider” ma non riesce ancora a reggersi in piedi. La gamba sinistra è accondiscendente e volenterosa, quella destra ancora intorpidita e ribelle. Il risultato è quel paio di stampelle che gli servono per non caricare troppo sulla schiena, evitando eventuali microfratture o complicanze. Va avanti ad antidolorifici e ci sono notti in cui, trovare una posizione che gli permetta un paio di ore di sonno, è come vincere alla lotteria. Ma Sam resta con lui e, tra una birra e un ricordo d’infanzia o di caccia, arriva l’alba.

Non hanno mai avuto tempo per…parlare. Davvero.
E Sam, da sempre il più introspettivo, è entusiasta di “quel tempo”.

Dean gli ha raccontato di Delia, di Robin e Timmy, di Layla e Faith.
A Sam non è parso così strano che qualcuno possa considerare suo fratello un angelo. Un angelo, nell’immaginario collettivo, protegge. E allora…chi, più di Dean, merita quell’appellativo?!
Sam gli ha raccontato i suoi incubi, quelli così “reali da farlo svenire” e Dean si è ripromesso di evitare qualsiasi battuta sui clown. Sam nutre qualche dubbio sul fatto che Dean “resista” alla tentazione ma è sicuro che ci proverà.

Hanno parlato per ore di Castiel, ricordando il suo sguardo stralunato, il suo umorismo involontario, la sua fierezza, il suo senso del sacrificio. E poi di Jack, quel bambino in un corpo da adolescente. Le continue domande, a volte imbarazzanti. Il suo inesauribile amore per le piccole cose, quelle più semplici, apparentemente banali. Ha insegnato loro che, in realtà, la grandezza, si rivela in un gesto d'affetto, in quel considerarti "famiglia" anche se sei nato per essere "nemico" ed  estraneo abominio.

Hanno ricordato ogni amico caduto, sulla strada,  perché loro potessero procedere.  Ognuno è diventato “altro”. Cristallo di neve, goccia di pioggia, spicchio di sole, continuando a “essere” presente. Lungo il cammino.

Hanno guardato e commentato quella fotografia che li ritrae con mamma e papà. Surreale. Fuori da ogni logica spazio-tempo. Dean ha pensato che Robin ne sarebbe entusiasta.
Hanno rammentato i guai combinati da ragazzini a casa di Bobby e le bevute al Roadhouse, battibeccando con Jo.

Hanno rivissuto tutte le volte in cui l’uno ha perso l’altro, o ha creduto di averlo perso.
Senza filtri. Senza remore. Senza giudizio. Sinceri fino a farsi male. Fino a quando il cuore pareva stretto in una morsa che rimpiccioliva la trachea e strizzava i polmoni. Ma Sam ha respirato per Dean e Dean ha respirato per Sam. E non ci sono state battute sagaci, sedie tirate in aria e bruschi cambiamenti di argomento.

Dean però non ha detto a Sam che ha visto…quel cubo. E’ rimasto il suo segreto. L’unico.
Dean è convinto che…rilucerà. Ed è certo che, Ben, possa far parte di quel bagliore.

Dean scende dall’Impala incamminandosi verso l’ingresso del penitenziario. Ha telefonato al direttore, per esser certo dell’orario preciso di scarcerazione.
E’ arrivato con un’ora di anticipo.
Sam guarda dallo specchietto retrovisore. Dean avanza a fatica ma a testa alta, con quelle due gambe “di riserva”.
Vorrebbe scendere, offrirgli il braccio e aiutarlo a raggiungere quel portone così vicino…ma così maledettamente lontano…per Dean. Ma ha voluto che parcheggiasse nel vialetto. E gli ha chiesto di non scendere dall’Impala, qualsiasi cosa accada.
E’ arrivato con un’ora di anticipo.
---
La porta si apre. Oltrepassa la soglia, un po’ tentennante.
E’ fuori. E’ finita.
 Respira.
Ben respira.
E’ la stessa aria che c’è nel cortile interno dell’edificio che mai dimenticherà.
Ma è completamente diversa. Ha un peso specifico nettamente inferiore.

Ben strabuzza gli occhi vedendolo alzarsi dalla panchina. E’ lui…è davvero lui.
In una decina di passi arrancati lo raggiunge. Ben si chiede perché lo abbia aspettato. Avrebbe potuto far finta di niente e avviarsi. In direzione opposta. Ma, in fin dei conti, sarebbe stato terribilmente scorretto.

E' completamente svitato…ma non pericoloso.

“Ciao! Che ci fai qui?! Non dovevi essere all’estero, per lavoro? Cosa ti è successo?”
“Lunga storia. Niente Europa ma queste come souvenir” risponde Dean, alzando una gruccia.
“Un altro incidente?!”
“Più o meno…ma stavolta non guidavo io.”
“Spero che l’assicurazione ti rimborsi un bel po’!”
Dean sorride, annuendo. Il senso pratico di Ben. E’ vero…potrebbe chiedere un “risarcimento” a Delia ma teme che lo polverizzerebbe. In uno schiocco di dita!
“E tu come stai, Ben?”
“Come uno che si è fatto quattro anni di carcere e gli sembrano quaranta…ma passerà”
Dean deglutisce, abbassando lo sguardo. Quarant’anni. Inferni condivisi.

“Senti Ben, vieni con noi, con me e mio fratello. Possiamo offrirti una sistemazione…”
“Non ho bisogno di nulla, grazie. So a chi rivolgermi. Ho degli amici”
“Amici?! Quelli per cui sei finito qui dentro?!” sbotta Dean, alzando gli occhi verso l’edificio “Begli amici! Tipi davvero affidabili!” rincara.
Ben s’irrigidisce. “Ma ti fai i cazzi tuoi?!” e si pente di non “aver fatto finta di niente”.
“No, aspetta…Ben…”.
Ben ha il passo veloce della fuga. Dean si affida alla gamba sinistra e molla le stampelle, ai piedi di un albero. Dopo tutto riesce a camminare. Ogni passo è un fulmine che lo attraversa ma prosegue, mettendo  a tacere  gli insulti che gli “urla” la propria schiena.
“Ma che ti prende?! Credo che quelle non siano un optional!”
Sam, in macchina, ringhia qualcosa di simile.
“Solo…solo se vuoi una schiena senza troppe…troppe “deviazioni”…” tergiversa Dean, appoggiandosi al muro che costeggia il carcere, stringendo i denti. Approfittando del fatto che Ben abbia rallentato riesce ad afferrarlo per un braccio.
“Ma che ti prende? Lasciami andare!”
“No…ho già commesso l’errore di lasciarti andare…”
“Tu devi farti curare…e non solo la schiena!” e Ben, con uno strattone esasperato, si allontana.
“Ben…voglio occuparmi di te…”
“Eh?! Ma chi ti conosce?! Credevo che ci fossimo chiariti, quando sei venuto a trovarmi. Mia madre non c’è più, probabilmente saresti stato anche il suo tipo ma sei arrivato tardi, Dean…avresti dovuto avere più coraggio quel giorno, dopo l’incidente…”
Avrebbe dovuto avere più coraggio. Prima e dopo… l’incidente.
“Mi dispiace…” ripete Ben, recuperando la calma “ma non posso farci niente. Purtroppo. ” e allunga il passo.

“Ti piace giocare a baseball e adori i videogame. Tua madre ti rimproverava sempre per questo. E avevi un  gioco…un gioco assurdo dove le piante facevano fuori gli zombie…” tossicchia, Dean.
Ben neppure si volta, rispondendogli per educazione “Facile…trovami un ragazzino che non giochi a qualche console e non pratichi il baseball!”
Dean deve essere più convincente.
“Ti piace l’hamburger mezza cottura e…le uova strapazzate a colazione… con una bella manciata di sale”
“Wow! Sono basito! L’esempio dell’americano medio!” e Ben è ormai dall’altro lato della strada.

Dean si sente perso. Si maledice per averlo privato della memoria. Non riesce più a stargli dietro. Si accascia contro la parete di mattoni che ormai fa angolo, mentre Ben è sempre più lontano.
Tenterà il tutto per tutto. Cercherà di “raggiungerlo” con la voce…che gli esce sempre più spezzettata e stridula.

“Adori gli AC/DC, la musica rock in generale…e le torte…quelle con la crema e vai pazzo per i motori; Rayan un bulletto sovrappeso e poi…aspetta…Cindy…Cindy Hamilton, portava le trecce, aveva gli occhi verdi e le curve al punto giusto…prometteva bene e ti aveva fatto perdere la testa!”
Ben si ferma, voltandosi con espressione smarrita.
“Tu…tu come fai a…”
“Io ti conosco, Ben. Eri…sei come un figlio per me. Dammi…dammi una possibilità…per favore…”
Ben gli si avvicina, aiutandolo ad alzarsi “Chi sei tu?!”
Dean deglutisce, appoggiando la mano al muro. Sa che “è il momento”. Non può sbagliare. Non più.
 “Sono uno stronzo che ha preferito lasciarti andare, pensando di proteggerti. Ma mi sbagliavo. E ora voglio recuperare il tempo perduto…Ben…”
Ben resta in silenzio. L’osserva da cima a fondo. Poi, senza dire una parola, si allontana. Non può credergli. Quell’uomo è un mix di guai e follia. E lui ne ha abbastanza.

Di guai e follia.

“No…Ben aspetta … tu credi nella famiglia, anche se non ci sono legami di sangue… lo so che ci credi!” grida Dean ma le gambe cedono di nuovo e stavolta è rovinosa caduta. Si ritrova, suo malgrado, con la guancia sul marciapiede “Accidenti!” grugnisce.

Dean annusa l’asfalto. Ha un odore “nuovo”. L’aveva dimenticato. Si è abituato a pavimenti lindi che sanno di disinfettante. Invece c’è un sapore di ferro e fogna che, passando per il naso, ti arriva al cervello. Lo aveva scordato. Persino il sangue che versi da “uomo alambicco” pare “filtrato”, ha un’“aroma” meno intensa che sfiora appena le narici. Al primo mostro da affrontare, alla prima ferita, si riabituerà al sangue “grezzo”.

Sam ha osservato tutta la scena e si è imposto di non intervenire. Ma ora, vedendolo con la faccia sulla strada, non può più stare a guardare. Fa scattare la serrattura…ma poi si trattiene. Si morde il labbro e richiude la portiera.

Ben si blocca. Come Sam.

Prenditi cura di tua madre”…che frase assurda, in bocca a uno che non ti conosce…che ti ha appena conosciuto…investendoti con la sua auto. Ma, se per te quel ragazzino è importante, se per te è famiglia e gli stai dicendo addio, senza “dirglielo” realmente…suona così tragicamente perfetta.
Mentre Dean pensa a come rialzarsi avverte una presa energica, all’altezza dell’avambraccio. Istintivamente fa leva sulla gamba più “accondiscendente”.
 Ben lo sta sorreggendo, tenendo le stampelle nell’altra.
 “Cercavi queste? Non sei poi così vecchio…perché rischiare di restare storpio? ” esordisce con tono quasi scherzoso.
Sam, sull’Impala, tira un sospiro di sollievo
“Vuoi dire che…” esclama Dean, fiducioso.
“Vacci piano. Non ho detto che accetto la tua proposta. Ma ti aiuterò ad arrivare a quell'Impala, perché qualcosa mi dice che è tua…vero?”
Dean annuisce con un sorrisetto furbo.
“Devo ammettere che hai un certo stile…”
“Be’ dentro…dentro è una bomba. E’ la mia Baby. Sarebbe un vero peccato fermarsi alla carrozzeria…credimi…”
Ben sorride. “In effetti…sarebbe un peccato. Potresti darmi un passaggio…”
“Potresti darmi una possibilità” ribatte Dean, a bruciapelo.
“Amico…io non so chi sei e non ho idea di dove tu abbia preso quelle informazioni su di me! Potresti essere un folle stalker che, dopo esserti fissato con la mamma, vuole fare il buon sammaritano con me… mi sta scoppiando la testa e mi chiedo dove possa essere la telecamera nascosta di uno di quegli stupidi programmi televisivi. E’ tutto così assurdo!”
“Lo so, Ben…lo so…ma se solo tu…”

Ben scruta attentamente quegli occhi verdi. C’è qualcosa di stranamente piacevole in quegli occhi. Non se lo sa spiegare.
“I tuoi occhi… sono così…” sussurra
“Stanchi? Cosa vuoi farci…non sono stati mesi facili…e poi ho passato i 40…occhiaie e zampe di gallina sono nel kit di soppravvivenza che ti forniscono…per arrivarci!” ironizza, neanche troppo, Dean.

Ma Ben non sta scherzando. E’ profondamente serio.

“No, non volevo dire questo. E’ che…nessuno…nessuno mi ha più guardato così da quando… è morta la mamma...” ammette, espirando.
Dean avverte i battiti accelerare “Ben…”

Ben si allontana ma non per scappare. Non stavolta. Semplicemente per “prendere le distanze” da quella sensazione così potente e indefinibile.
“Cazzo, Dean! La mia vita è già un film dell’orrore! Ci mancavi tu! Forse è un effetto collaterale dei quattro anni di galera! Forse ho perso qualche rotella ma sento che…”
Ben respira. Di nuovo. Quell’aria che mai gli è parsa più leggera e salutare, a dispetto dei tombini aperti e dello smog cittadino.

“…che per me ci sei stato…Dean.”

Dean ha la stessa espressione di quel giorno, all’ospedale. Quando gli ha detto che gli era “venuto addosso”. Ben la riconosce. E ha la conferma che desiderava. Non ricorda nulla di lui. Eppure…quegli occhi non appartengono a un estraneo. Già allora…gli erano parsi esageratamente disperati e stranamente…familiari.
“E voglio esserci, Ben…permettimi di esserci…” implora Dean, commosso.
“Ok…ok…Dean…un viaggio sulla tua Baby. Scegli tu la meta. Mi fido.”
“Un viaggio su Baby…” ripete Dean, con un groppo in gola che si scioglie in sorriso.

Ben, da Baby, non scenderà più. Ora che lo ha ritrovato Dean non rinuncerà.
S’incamminano verso l’Impala, chiacchierando di motori e auto d’epoca.
---
Il cellulare di Sam vibra. E’ Marin.
“Tutto bene?”
“Si…credo di sì…deve averlo convinto a venire con noi…anche se non è stato facile…”
“Be’…mi sembra un buon inizio!”
“Lo spero, Marin. Lo spero tanto.”
“…Dean ha un controllo, il prossimo mese, lo ha fissato Nathan, con uno dei migliori ortopedici che abbiamo. Intanto, mi raccomando, continua con gli esercizi per la colonna, ok?
“Si certo, brontola sempre un po’ ma credo che alla fine, la volontà di tornare a guidare, sarà lo stimolo decisivo!”
“Ti manderò via sms la data esatta…”
“Ok…grazie Marin…grazie di tutto…”
“E di che? Solo un promemoria dei controlli di Dean…lo sai che sono una fanatica delle liste della spesa e dei post-it!”

Quella lista. Quella spesa.

Sam si fa improvvisamente serio “Se tu non fossi rimasta con me…davanti alla pira…”
“Non ho fatto nulla, Sam. Ho semplicemente un ottimo udito!” si schernisce, Marin.
Non ha solo un ottimo udito. Ha forza, ironia, empatia. Ma Sam mai riuscirà a dirglielo.

“Sam…tutto ok?”
“Si…scusa…tutto ok”
“Sam…vedi di non sentire la voce del mostro di Milwaukee!”
“E tu vedi di non trasformarti in Jodie Foster!” ribatte, Sam.
“Sarebbe un vero guaio per Lecter, avere una logorroica come me, tra i piedi!”
“A presto, Marin…” e Sam si rende conto di quanto Marin riesca a metterlo di buonumore. Sempre.
“Sam, aspetta…Paul mi ha detto che apriranno un’ala nuova del parco, riservata ai cani… potremmo andarci, con Miracle!”

Sam deglutisce. La foto sul comodino, nella sua stanza. Una coppia, serena, complice. Con un cane.
Ma è solo una fotografia. Non può essere…la realtà.

 “Marin…quando Dean si riprenderà torneremo a cacciare…è il nostro lavoro, è questo che facciamo…noi…”
Salvate le persone…lo so Sam…lo so bene…e continuerete a farlo.” E a Sam pare una parafrasi di…quel discorso che gli ricorda che, domani, potrebbe toccare a lui…un chiodo, in un fienile.

Ma Marin è razionale.
Marin sa.

Che non rinuncerà a Sam.
Il Mondo “razionale” ha bisogno di essere “salvato”. E Sam e Dean fanno questo…salvano il Mondo.

Marin è razionale.
Quando Sam sarà troppo stanco persino per prendere sonno o per scartare uno snack, saprà dove tornare. Lei gli accarezzerà un sopracciglio, aspettando che il suo respiro si faccia più calmo. Gli resterà accanto.
Com’è rimasta davanti a quel drago che… ha perso. Perché lei è riuscita a vincere. 

Marin ha smesso di avere paura del fuoco.

“Sai Sam, c’era una super offerta di barrette di cioccolato…al supermercato. Non ho resistito e ho fatto incetta! Potremmo…potremmo condividerle…io non ho paura di ingrassare. E tu?”
Sam comprende quella sorta di dichiarazione…”in codice”. Dean gli ha insegnato che le occasioni non tornano. Anche quando torni dalla morte.
“Io…nemmeno io ho paura…di ingrassare, Marin…” risponde, in un soffio.

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 Sam scende dall’auto, per “presentarsi”.
 “Così tu saresti il famoso Sam, quello del numero di telefono?!”
“Sì…piacere di conoscerti, Ben!”
“Ben ha accettato di viaggiare con noi!” comunica Dean, trionfante.
“Bene! Benissimo! Accomodati dietro…”
“Qualche idea sulla meta?” domanda Sam, mettendosi alla guida.
“Prima ci fermiamo a mettere qualcosa sotto i denti perchè sto morendo di fame e poi…potremmo proseguire e far scoprire a Ben quegli insuperabili pancake che fanno al…”
“Al Cus's Place, i migliori pancake alla banana che si possano trovare, giusto Dean?!” conclude Sam sornione.
“Esattamente” conferma Dean mentre sta già pensando che è primavera. E forse, mettendosi d’impegno, le gambe potranno “reggerlo” per tre minuti. Il tempo…di un lento.
“Ti va l’idea, Ben?” domanda gentilmente, Sam. Ai tempi in cui guidava papà non gli è mai piaciuto sentirsi “il più giovane”…sull’Impala. Vuole che Ben possa esprimere il proprio parere. Quel viaggio è anche “il suo viaggio”. Deve esserlo.
“Tranquillo…ho dato “carta bianca” al tuo ostinato fratello. E poi è un casino di tempo che non mangio un pancake e se lui dice che sono così buoni…mi fido di Dean” e nel tono di Ben c’è una sicurezza che intenerisce Sam.
Sam aiuta Dean a sedersi, “stimando” i possibili danni. Ma Dean gli fa l’occhiolino come a dire “Dolore gestibile e umore alle stelle!”
Sam, annuisce, risparmiandogli sibilanti paternali. Poi si mette al volante, osservando Ben rilassarsi, guardando fuori dal finestrino.

“Allora…si parte, sei pronto, Ben?” domanda Sam, avviando il motore.
“Io sì e voi? Siete pronti?!” e la domanda di Ben suona così “profetica”.
Sam e Dean si guardano l’un l’altro.

Ci stanno “lavorando”. Il viaggio insieme finirà. Inevitabilmente.
 Uno dei due continuerà a guidare l’Impala sulla Terra.
L’altro in Paradiso.

“Non proprio ma…lo saremo” risponde Sam, con un movimento del collo un po’ teso, ma senza perdere il sorriso.
 Dean, squadrandolo fiero e picchiettandogli un paio di volte la spalla con il pugno chiuso, gli fa eco “Lo saremo”.
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Dean è sicuro che il cibo “unisca”, faccia sentire “famiglia”. Gli piace vedere Sam scegliere gli ingredienti della sua insalata e Ben optare per un cheeseburger. In quanto a lui…dopo il primo hamburger si concede un meritato bis.
“Voi andate a fare il pieno, io vi raggiungo dopo, datemi solo il tempo di finire questa meraviglia!”
Sam e Ben si alzano, avviandosi al distributore, continuando ad osservarlo, con la bocca piena e lo sguardo beato.
“E’ più vorace di me che esco da anni di mensa del carcere!” constata Ben.
“Oh be’…Dean è sempre vorace! E poi, in realtà, ha bisogno di riprendere le forze. Sono stati mesi complicati.” motiva Sam, sganciando la pompa per iniziare il rifornimento. “Ha fatto di tutto per accelerare i tempi di riabilitazione…la fatica si fa sentire…”
Ben lo scruta, con aria interrogativa “Accelerare? Perché accelerare? Perché non seguire le tempistiche che gli hanno consigliato i medici?”
Sam fissa i numeri che continuano a girare.
“Caspita! Diventa sempre più caro, viaggiare!”
“Sam…”
“Ben…non ha importanza…”
“Voleva essere in piedi per me…per aspettarmi, per esserci oggi…”
“Non vorrebbe che tu lo sapessi…” conferma Sam, pentendosi di aver svelato troppo.
“Certo…certo…non dirò nulla…tranquillo” accetta Ben, abbassando la voce, vedendo sopraggiungere Dean.
“Era un po’ che non mi concedevo un bis di hamburger! Peccato per il dolce. Fossi riuscito a trovare anche quello sarebbe stato perfetto!” sospira Dean, rammaricato.
“Dean…eri troppo concentrato sul menù dei panini per accorgerti dei dolci!” e Ben gli indica la vetrina con  crostate e torte.
Dean strabuzza gli occhi “Wow! Torno subito!”  e si riavvia al locale, entusiasta, facendo “lo slalom” fra gli altri avventori che, scostandosi, gli lasciano campo libero. “Ogni tanto queste grucce sono vantaggiose!”, pensa Dean.

Ben resta solo con Sam. E gli sembra un “segno del destino”.

“Ha saltato la fila intera e ha certamente pestato i piedi a qualcuno, avanzando con le stampelle!” fa notare Ben.
“E’ piuttosto “combattivo”, quando si tratta di introdurre zuccheri!” motiva, Sam, ridendo.
Ben vede Dean sedersi al tavolo, davanti al suo burroso triangolo di frolla, strenuamente conquistato. Ha un’espressione felice. E Ben, dopo anni, si scopre ad essere…felice. Per Dean. E per sé stesso.

“Sai…quando ero in galera…ho pregato… che mio padre comparisse…venisse a tirarmi fuori da lì…”
Sam comprende che Ben ha bisogno di “raccontare” quel che ha vissuto. Nessuno meglio di lui lo può capire.
“Mi…mi dispiace Ben…” 
“Da un po’…non prego più…non ne ho più bisogno…”
“Il carcere…è un’esperienza che segna profondamente, che ti fa perdere fiducia in te stesso, in Dio…ma…”
“No, Sam…non prego più perché, in cuor mio, so che qualcuno mi ha ascoltato …”

Sam riannoda i pensieri. La “visita a sorpresa”, quando Dean era apparentemente vivo. Invece era spirito, ancorato al proprio corpo. Prigioniero. Come Ben.
“Ben…lui…ti ama moltissimo ma Dean…lui non è…” e vorrebbe non dover sottolineare quell’amara realtà. Vorrebbe che Ben potesse “cullarsi” in quell’illusione ma…non sarebbe giusto. Ha il diritto di continuare a cercare suo padre. A credere di poterlo conoscere. Un giorno.

Ben, per nulla dispiaciuto o contrariato, gli sorride, non permettendogli di finire la frase.
“Lo so…lo so Sam. Ma ho comunque scelto di non pregare più.”
Sam gli mette una mano sulla spalla, con gli occhi lucidi. Entrambi posano uno sguardo intenerito su Dean che, affondando il cucchiaino con aria trasognata, carica una nuvoletta di panna.
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Si riparte.
Sam gira la chiave, allegro. Nota che Ben apprezza i sedili posteriori dell’Impala, accarezzando il rivestimento, a mano aperta. “Questa macchina è veramente una figata!”
“Che ti avevo detto?!” commenta Dean, orgoglioso. E non solo di Baby.
Dean si muove più agilmente come se, le sue ossa malconce, cominciassero a riacquistare energia. Dean ride. Con Ben. Con Sam.

Un viaggio su Baby.
 Ci saranno…altre foto.

Dean sarà “continente”.                                                          
Non temerà di svelarsi e permetterà al turista di “nicchia” di soffermarsi negli angoli più intimi e oscuri della propria anima. Lo deve a quel corpo sgretolato che ha avuto il fegato di “fargli cambiare idea”. Lo deve a sé  stesso. A Sam che non si è arreso e a Ben che imparerà, da entrambi, a non arrendersi.

Quando arriveranno da Sonny saranno una famiglia.

Lo sono già.
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Delia vede allontanarsi l’Impala, in un rombo.
Sorride, compiaciuta. E non è sola.
“Grazie…”
“E’ stato un piacere Jack. E poi io non ho fatto nulla…se non mostrar loro la verità. “Tecnicamente” tu non sei intervenuto e poi…lo sanno tutti che Morte e più potente di Dio!”
“Già…non fai che ricordarmelo! Comunque…ti devo un favore…”
“No…tu mi hai solo detto che il corpo di Dean Winchester stava combattendo…non mi hai suggerito cosa fare.”
Il libero arbitrio è un valore imprescindibile. Da quando Jack “governa” il Paradiso.
“Ma sapevo che cosa pensavi di lui…e di Sam. Sapevo che avresti scelto di mostrargli ogni cosa, utile a…farli scegliere…” ammette Jack che mai rifiuterà di assumersi le proprie responsabilità. Fa parte dell’educazione che ha ricevuto. E’ un Winchester. Dopo tutto.

“E allora?! Nessuno poteva garantirti come sarebbe finita. Non mi hai influenzata. La Morte sceglie di testa sua. Lo sai dai tempi di Billie...diciamo che sei stato fortunato che io, nel frattempo, abbia…fatto carriera!”
Delia ha sempre odiato Billie. Ha sempre “tifato” per i Winchester, da quando era una mietitrice.

“Quando Timmy mi ha uccisa non ha fatto che rafforzare la mia idea su Dean…ispirare un tale coraggio, essere un esempio tanto potente…non è da tutti. Sam ha convissuto buona parte della sua esistenza con lo spettro di Lucifero. Ma questo non gli ha impedito di aiutare il prossimo, con tenacia e sensibilità. Era devastato, facile bersaglio dei suoi incubi. Avrebbe potuto cedere e spegnere una vita invece…l’ha migliorata. Quei due meritano il tempo di…prepararsi.” sentenzia, Delia.

Jack sorridendo, grato, concorda.
“Lo meritano”

E le iridi di Jack si fanno specchio d’acqua.
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Delia li ritroverà…soddisfatti delle decisioni prese, paghi di ciò che saranno riusciti a costruire…in quel tempo.

Dean le manca già. Ammette di essersi affezionata a quello strafottente cacciatore, con una volontà incrollabile e uno spiccato senso dell’humor. Dean ha “imparato la lezione”. Ma ogni legame che si crea è sempre "crescita" reciproca.

Delia ha imparato a raccontare favole a chi è costretto a seguirla troppo presto. E ogni giorno raccomanda, ai “suoi” mietitori di accompagnare con saggia amorevolezza, chi devono “raccogliere”.
E quando toccherà a Dean, lei stessa gli si presenterà. Indosserà un abito lungo, vaporoso ed elegante e si appunterà i capelli con un fermaglio di perle. Si preparerà con cura, certa di suscitare qualche apprezzamento “galante” del maggiore dei Winchester. Delia scuote la testa divertita. Sarà “un vero spasso”…viaggiare con Dean.

Dean la riconoscerà, salutandola come una vecchia amica che non ti aspetti ma che non temi.
Le offrirà di fare un giro, su Baby.
E guiderà lui.
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Arrivederci, ragazzi”, sussurra, Delia.

Indice e pollice si sfiorano, producendo uno schiocco deciso ma delicato.

L’ultimo.
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Note dell’autore: ho fatto “scorta” di emozioni in questo mio “viaggio”. Le “metterò da parte”, come un previdente “scoiattolo”, perché non sempre hai tempo e modo di scrivere e solo quando non c’è “quel tempo” ti rendi conto di quanto sia prezioso. E’ più di un “hobby”…è una potente valvola di sfogo, uno spazio “tuo” che decidi di condividere. Grazie a chi ha letto e a coloro che confrontandosi, attraverso le recensioni o un rimando, sono sempre arricchimento. Vi saluto e, come direbbe la mia “amica” Delia, con una battuta in “stile” Rowena e Crowley:

“Arrivederci, ragazzi”

Grazie a tutti!

Eclissidiluna

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