Your Guardian Angel di eli the_dreamer (/viewuser.php?uid=81860)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dazed and Confused ***
Capitolo 2: *** Sweet Child O' Mine ***
Capitolo 3: *** You can't always get what you want ***
Capitolo 4: *** I don't want to miss a thing ***
Capitolo 5: *** Cherry Pie ***
Capitolo 6: *** Bad Company ***
Capitolo 7: *** Now I'm here ***
Capitolo 8: *** One minute of silence ***
Capitolo 1 *** Dazed and Confused ***
Dazed and Confused
“Tira una brutta aria” Haziel affiancò Umabel, lo sguardo perso davanti a sé mentre udiva, pur facendo finta di non sentirle, le grida dei suoi fratelli maggiori.
Umabel non rispose, nella sua Grazia vi era però incisa la stessa cupa espressione del fratello. Haziel sospirò “Credi che Lucifer...” non fece in tempo a finire la frase che Umabel lo interruppe “Io non credo nulla” disse in tono greve, lasciando il fratello da solo.
Umabel non era stato totalmente sincero. Forse era vero che non credeva nulla, ma per il semplice fatto che non voleva farlo.
Si rifiutava categoricamente di pensare che qualcosa di orribile potesse succedere per colpa di uno dei suoi fratelli. Non per colpa di Lucifer, il più bello, il più luminoso. Tutti dicevano che era il preferito di Dio e Umabel non aveva mai messo in discussione questo fatto, forse a causa delle parole che Gabriel disse tempo addietro.
Tuttavia né Umabel, né Gabriel, né nessun altro - eccezion fatta forse per Michael - sembravano soffrire di gelosia. Era così e basta, Lucifer era il migliore di tutti.
Ma allora perché tutta quella rabbia? Umabel non sapeva nemmeno se definirla tale, non aveva mai dato peso ai sentimenti, in fin dei conti non ne aveva mai provato uno, non per davvero.
Proprio per quello, forse, non capiva il comportamento atipico di Lucifer, non comprendeva la gelosia che l'Arcangelo provava nei confronti degli Umani appena creati da Dio.
Umabel, così come tutti gli altri suoi fratelli, si era inchinato a loro secondo il volere di Dio, Lucifer invece si era ribellato e si era scatenato il putiferio lì in Paradiso.
Lucifer era arrabbiato con Dio, Dio era arrabbiato con Lucifer. E Michael, come al solito, si era messo in mezzo. Non per fare da paciere, ovviamente.
Michael non avrebbe mai appoggiato nessuno contro il suo stesso Padre, avrebbe spalleggiato Dio sempre e comunque, non importavano le circostanze, non importavano le motivazioni. Lui si considerava solamente un bravo figlio e un bravo figlio era sempre dalla parte del padre.
Questo non impediva però a Umabel di sentirsi a disagio dato che Lucifer era pur sempre suo fratello.
Certo, era rimasto sorpreso tanto quanto gli altri Angeli per quella ribellione, ma una seppur minuscola parte di sé sapeva che qualcuno avrebbe dato di matto per quella nuova sconfinata passione di Dio. Ma avrebbe puntato più su Michael, il figlio devoto che si era visto sorpassare prima da Lucifer e poi dall'ultima creazione del caro papà. Gli Umani.
Umabel li trovava estremamente buffi nell'aspetto e non solo ma non si era mai soffermato a pensare a loro. Osservarli lo annoiava persino qualche volta, li trovava strani e a volte aveva come l'impressione che potessero essere crudeli. Ma non erano forse stati creati ad immagine e somiglianza dello stesso Dio?
Forse era proprio questo ad aver infastidito Lucifer oltre ogni cosa, forse mal sopportava che fossero gli Umani quelli simili a suo Padre e non lui e i suoi fratelli, coloro che dovevano solamente obbedire, combattere, proteggere.
Umabel ci aveva riflettuto a lungo, voleva trovare una risposta nel disperato tentativo di risolvere le cose, ma anche se avesse trovato qualcosa, ormai era troppo tardi.
Michael aveva sconfitto Lucifer e l'Angelo più bello del Paradiso venne rinchiuso in una gabbia, troppo lontano da casa, all'Inferno.
Una punizione tremenda che non fece altro che accrescere lo smisurato ego di Lucifer, specialmente quando, o almeno così si ritrovò a pensare Umabel, quel povero fesso di Gadreel venne imprigionato perché aveva permesso a Lucifer di entrare nell'Eden.
Il povero Guardiano era stato rinchiuso nelle prigioni del Paradiso, una differenza sostanziale dalla prigione lugubre e glaciale nella quale si trovava il loro fratello ribelle.
***
“Gabriel?” Umabel pronunciò il suo nome con voce soffice e l'Arcangelo sospirò. Osservò le Porte del Paradiso e, colpevole, si voltò verso il proprio fratello, senza avere il coraggio di guardarlo per davvero.
Non disse nulla, lasciò che fosse Umabel a parlare nuovamente.
“Che stai facendo?” il giovane Custode osservava l'Arcangelo e la domanda che gli aveva appena posto sembrava incisa nei suoi occhi e nella sua Grazia.
Gabriel sorrise mestamente e chinò il capo, come se si stesse vergognando dei suoi stessi pensieri che, in quel momento, gli affollavano la mente.
Era strano per un Angelo pensare così tanto, eppure Gabriel non si risentiva di quello nonostante i suoi pensieri lo stessero conducendo ad intraprendere azioni che lo avrebbero allontanato forse per sempre da ciò che aveva di più caro: la sua Famiglia.
“Lucifer, Michael, Papà. E pure quell'idiota di Raphael che sembra l'ombra di Michael. Ne ho abbastanza. Non voglio più far parte di questo” mormorò, lasciando Umabel stupefatto e confuso*.
“Gabe...” disse in un sussurro, incapace di dire altro mentre avanza titubante verso di lui. Gabriel non si mosse, rimase ad aspettarlo, forse attendendo la sfuriata del fratello che però non avvenne.
Gabriel aveva considerato Umabel sempre un po' strano.
Era uno degli Angeli più particolari che potessero affollare il Paradiso.
Umabel era quello che rideva per i suoi scherzi, l'unico - o comunque uno dei pochi - a dimostrare vero affetto per ogni suo fratello.
Umabel era il 61esimo Soffio e non appena venne creato da Dio, Gabriel capì che sarebbe stato singolare. L'Arcangelo fu il primo ad avvicinarlo, il primo a comunicare con lui. Lo aveva preso, in senso più o meno letterale, sotto la sua ala.
Gabriel, dal canto suo, era l'Angelo più simpatico e divertente di tutti secondo Umabel e il Custode non ne aveva mai fatto un segreto. Questo perché era sempre stato terribilmente schietto.
Era quello il motivo che aveva spinto Gabriel a credere in una possibile e accorata invettiva del fratello.
Gabriel rimase sbalordito da quel silenzio, col risultato che si sentì ancora più in colpa di quanto già non fosse “Mi dispiace, Mabe” disse in un sussurro, facendosi sempre più vicino.
Posò le labbra sulla fronte di Umabel, la cui Grazia si illuminò appena.
Poi l'Arcangelo scomparve oltre quelle Porte che nessuno di loro avrebbe mai dovuto oltrepassare.
Umabel rimase ad osservarle, le fissò a lungo come se volesse dissolverle. Ma non aveva i poteri adeguati per farlo e mai li avrebbe avuti.
Le guardò fino a quando fu come se non le vedesse, mentre in lui si faceva spazio la consapevolezza che non avrebbe più rivisto il più amato tra i suoi fratelli.
Gabriel lo aveva abbandonato.
Non provò rabbia, non provò risentimento, ma solo uno strano vuoto che non riusciva a capire.
Per un lungo istante ebbe l'impulso di seguirlo, ma continuò a rimanere impalato cercando di capire che cosa stesse provando.
Quando si rese conto che non avrebbe mai trovato una risposta alla sua domanda, fece un passo in avanti ma si fermò, consapevole che gli spettava un compito importante tra chissà quanto tempo.
Non poteva lasciare il Paradiso.
Note dell'autrice: * Stupefatto e confuso, in inglese Dazed and Confused (come il titolo del capitolo) è il titolo di una canzone di Jake Holmes, meglio nota nella versione dei Led Zeppelin, contenuta nel loro primo album.
Haziel è l'angelo custode dei nati fra il 1° e il 5 Maggio, di conseguenza sarà anche l'angelo custode di Sam Winchester (nato il 2 Maggio).
Umabel è l'angelo custode dei nati tra il 21 e il 25 Gennaio, di conseguenza sarà anche l'angelo custode di Dean Winchester (nato il 24 Gennaio).
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Capitolo 2 *** Sweet Child O' Mine ***
Sweet Child O' Mine
1979
“Congratulazioni signor Winchester, è un maschietto!” l'infermiera sorrise all'uomo dal volto stanco ma felice, porgendogli un fagottino.
John Winchester sorrise, aveva gli occhi lucidi. Stava tenendo in braccio suo figlio per la prima volta, il suo primogenito “Ciao, Dean”. Dalla sua voce si poteva intuire l'emozione che provava in quel momento e il neo-papà poté giurare che quella piccola creatura gli avesse sorriso.
Solo allora guardò la moglie, rossa in volto, provata ma felice come lui “Non è bellissimo?” chiese lei con voce fioca, lo sguardo adorante rivolto a John e al loro bambino.
John annuì “È il più bel bambino che abbia mai visto” mormorò in risposta.
***
“Hai un nuovo protetto, Umabel” l'Angelo sobbalzò al suono di quella voce e il suo sorriso si spense in maniera quasi automatica, come colto in flagrante a commettere un terribile reato.
Sospirò con aria rassegnata “Non è un protetto qualsiasi, Michael” disse rivolgendo un innocente sorriso all'Arcangelo che scrutò il fratello con attenzione prima di parlare “Ecco cos'era quel sorrisetto: puro e semplice orgoglio per essere l'Angelo Custode di Dean Winchester!” esclamò facendo un sorriso sghembo e sornione, il sorriso di chi sembrava aver capito tutto. Tuttavia non sembrava propenso ad appoggiare il fratello che guardò con aria di rimprovero.
Umabel chinò il capo per nascondere la sua espressione colpevole. In cuor suo sapeva che Dean Winchester non era un protetto come tutti gli altri, ma lui non poteva di certo fare distinzioni.
L'unione tra John Winchester e Mary Campbell era stata una priorità assoluta in Paradiso e il loro primogenito non poteva che essere speciale, importante.
E Michael aveva ragione: quel sorriso che l'Angelo si era affrettato a nascondere era di puro e semplice orgoglio.
L'Arcangelo non poteva concordare con quel tacito pensiero. Dean Winchester doveva nascere nella maniera più assoluta e così era stato, nessuno più di Michael poteva saperlo, ma non gli sembrava il caso che Umabel provasse orgoglio per essere il suo Angelo Custode.
Sarebbe stato folle e totalmente sbagliato, perché per Umabel, Dean Winchester doveva essere uno qualsiasi.
Le labbra di Michael si incresparono in un sorriso indecifrabile, amaro, persino risentito forse “Potrebbe essere pericoloso avere dei prediletti, Umabel”. Era incredibilmente serio e andò via con un frullo d'ali.
Umabel rimase a guardare il vuoto lasciato da Michael e rifletté sulle parole dell'Arcangelo.
Non poteva dargli torto. Lassù in Paradiso erano poche le cose concesse agli Angeli e avere dei prediletti non era certamente tra queste.
Avere dei prediletti significava provare qualcosa e un Angelo con dei sentimenti non è un Angelo che si rispetti.
Era un qualcosa che Umabel, nonostante gli anni, ancora non comprendeva appieno ma d'altro canto non era neanche capace di comprendere l'intera gamma delle emozioni umane con annessi e connessi sebbene non trovasse niente di particolarmente sbagliato nell'amore o nell'affetto.
Dean Winchester non sarebbe stato il suo prediletto.
O almeno non lo avrebbe dato a vedere.
Era il 24 Gennaio del 1979 e Umabel capì per la prima volta cosa significasse provare gioia.
4 anni dopo
“Forza, andiamo a dare la buonanotte a tuo fratello*” Mary Winchester teneva in braccio il figlio Dean che poi scese, si sporse dalla culla e diede la buonanotte al suo fratellino.
Dean Winchester era un fratello maggiore e si sentiva orgoglioso di questo, proprio come il suo Angelo Custode si sentiva orgoglioso di lui.
Dean Winchester amava suo fratello Sam, amava sua madre Mary e amava suo padre John.
Dean Winchester amava la sua famiglia come un bambino di quattro anni dovrebbe fare e quel sorriso sulle sue piccole labbra era una prova dei suoi sentimenti sinceri. Un bacio a Sam, un sorriso a sua madre e di corsa tra le braccia del suo papà, il suo eroe.
“Che ne pensi? Credi che Sam sia già pronto per giocare a football?*” chiese l'uomo.
Dean rise, scuotendo la testa dai capelli biondi “No, papà*” rispose. Perché Sam era ancora troppo piccolo e quelle piccole manine che afferravano le dita di mamma, papà e di Dean, non erano ancora in grado di afferrare una palla!
Forse sarebbe stato proprio Dean a insegnargli a giocare a football un giorno, con l'aiuto di papà ovviamente, perché il lavoro di un fratello maggiore era davvero simile a quello di un padre. Un fratello maggiore protegge, proprio come un padre, ma ha anche lui bisogno di un padre.
John era l'eroe di Dean proprio per quel motivo. Un padre è sempre un eroe agli occhi dei figli.
***
Il frullo d'ali annunciò l'arrivo di Raziel alle sue spalle, ma Umabel non si voltò ben sapendo il motivo che aveva portato l'Angelo a palesarsi accanto a lui “Spero che tu ti stia dedicando a tutti i tuoi protetti e non solo a Dean Winchester” l'ammonì in tono irritato, proprio come Umabel si era aspettato.
Umabel lo guardò di sbieco, stanco dei continui rimproveri di colui che non era affatto il suo superiore. Certo, anche Michael non gli lasciava tregua, ma almeno lui era un suo superiore diretto, aveva tutto il diritto di farlo.
Umabel trovava il comportamento di Raziel snervante oltre ogni dire e col passare del tempo aveva scoperto che non gradiva particolarmente la sua compagnia.
“Sono un bravo Angelo Custode, Raziel. Mi occupo di tutti i miei protetti” rispose con un pizzico di aggressività.
Lo sguardo di Raziel sembrò infiammarsi, non di rabbia ma di uno strano orgoglio.
E di certo non era orgoglioso del comportamento di Umabel di per sé, ma piuttosto del fatto che era stato proprio lui a farlo reagire in quel modo, un modo che ben poco si addiceva ad un Angelo del Signore “Va bene, va bene...scusa!” disse Raziel, non troppo seriamente.
Umabel strinse la mascella, inghiottendo parole che mai avrebbero dovuto lasciare la sua bocca “Non hai nessuno a cui infondere la Conoscenza?” lo canzonò.
Raziel guardò perplesso l'angelo davanti a sé “Stai iniziando ad assomigliare troppo a qualcuno che non vediamo da tempo” disse freddamente.
Umabel si irrigidì ben sapendo a chi Raziel si stesse riferendo.
Gabriel era assente da millenni, eppure Umabel non lo aveva mai dimenticato.
L'Arcangelo era sempre presente nei suoi pensieri, nonostante l'infinità di tempo che avevano passato lontani l'uno dall'altro. Gli mancava terribilmente e il vuoto che aveva sentito quando il suo adorato fratello varcò le Porte del Paradiso per non fare più ritorno non era mai stato riempito, nemmeno dall'arrivo di Dean Winchester.
Più il tempo passava e più quel vuoto si faceva ingombrante e oscuro, quasi volesse inghiottirlo. Umabel si era reso conto che non poteva fare niente per controllarlo, per cui si limitava a fare il suo lavoro di Custode, concentrandosi sui suoi protetti, ma continuava a cercare Gabriel, ovunque fosse, con la speranza di poterlo rivedere.
Quei tristi pensieri - perché ormai Umabel stava cominciando a capire che la mancanza di Gabriel lo rendeva triste - lo incupirono.
Raziel continuò a parlare, incurante del fastidio che si faceva prepotentemente largo nel fratello “Tu sai dov'è, sai perché se ne è andato, vero?” chiese in un sibilo.
“No” fu la laconica risposta dell'Angelo. Nessuno avrebbe potuto capire se mentisse o meno come, almeno in parte, aveva fatto. Non sapeva dove fosse Gabriel, dire che si trovava sulla Terra sarebbe stata una risposta troppo generica, ma era a conoscenza delle motivazioni che avevano fatto fuggire Gabriel da casa.
Umabel avrebbe tanto voluto scagliarsi contro suo fratello Raziel.
Raziel d'altro canto, non aspettava altro, osservò Umabel, la sua Grazia tesa come mai l'aveva vista e sogghignò. Ma Umabel rimase al suo posto e rivolse un sorriso di scherno verso il suo petulante fratello “Hai sempre voluto avere il suo posto quando lui era qui, ma anche adesso che è assente da millenni quel posto non è tuo e mai lo sarà, lo sai molto bene. Dev'essere frustrante. Perché non vai a controllare Haziel? Lui è il Custode di Sam Winchester, sei certo che non sia il suo favorito?” il suo tono era provocatorio, persino infantile, ma servì allo scopo: lo sguardo di Raziel vacillò fino a diventare rabbioso ed ora era lui a volersi scagliare contro il fratello.
L'unica cosa che lo fermò fu un grido disperato.
Nessuno gridava mai in Paradiso. Non più da quando Lucifer era stato chiuso nella gabbia.
Era la voce di John Winchester, Umabel l'avrebbe riconosciuta tra mille.
“Porta fuori tuo fratello più in fretta che puoi! Non guardare indietro. Ora, Dean, vai!*”
Mary Winchester era morta, un demone l'aveva uccisa e Dean era diventato orfano di madre.
***
“Perché?” Umabel gridò con rabbia. Lo sguardo freddo e distaccato di Michael era già una risposta, ma l'Arcangelo parlò ugualmente “Era destino, Umabel. Era già tutto scritto.” disse in tono pacato.
Sin dalla nascita del suo protetto, Umabel sapeva che sarebbe stato un protetto speciale, eppure non aveva immaginato neanche lontanamente ciò che il destino aveva in serbo per lui.
Un Cacciatore, ma non un Cacciatore qualsiasi, era ciò che Dean Winchester sarebbe diventato.
Non rispose a Michael, lo guardò con delusione e in quel momento la mancanza di Gabriel lo colpì come un macigno.
Quel vuoto si fece ancora più grande, ancora più nero, ancora più spaventoso. Se Gabriel fosse stato lì, Umabel si sarebbe rifugiato da lui in cerca di conforto.
Ma Gabriel non c'era e Michael non provava dei veri sentimenti.
“Odio guardare dentro quegli occhi e vederci una traccia di dolore**”. La voce di Umabel era appena udibile e forse l'Arcangelo fece finta di non sentire quelle parole.
Era il 2 Novembre del 1983 e Umabel capì per la prima volta cosa significasse provare paura.
Note dell'autrice: * le frase e le scene annesse sono tratte dal pilot di Supernatural.
** si tratta della traduzione di un passo (I hate to look into those eyes and see an ounce of pain) della canzone Sweet Child O' Mine dei Guns N' Roses, che da il titolo al capitolo.
Umabel, l'Angelo Custode di Dean, fa parte del Coro degli Arcangeli, a cui fa capo Michele.
Haziel, l'Angelo Custode di Sam, fa parte del Coro dei Cherubini, a cui fa capo Raziel.
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Capitolo 3 *** You can't always get what you want ***
You can't always get what you want
1989
Dean se ne stava a testa bassa appoggiato con la schiena alla ringhiera delle scale di quella grande casa.
Era una cosa che gli mancava: avere una casa, affacciarsi alla finestra e vedere una bella staccionata bianca a delineare un giardino ben curato, ma la forza dell'abitudine, in quegli anni passati in giro per gli Stati Uniti d'America, l'avevano portato a non curarsene troppo se non in qualche rara eccezione.
In ogni caso la sua mente era rivolta altrove. Detestava il modo in cui suo padre lo guardava dopo quello che era successo a Fort Douglas* e non faceva che accrescere i suoi sensi di colpa già insopportabili per un bambino.
“Dannazione, John, è solo un bambino!” la voce roca di Blake Dalton lo distolse dai suoi pensieri e Dean si affacciò a guardare. Le sue piccole dita strinsero la ringhiera in ferro battuto, fredda al tatto - eppure lui sembrava non accorgersene - talmente forte che le nocche diventarono bianche.
Suo padre John aveva il volto stanco e si passò una mano sulla barba incolta da giorni mentre lo sguardo vitreo era posato sull'uomo davanti a lui, ma sembrava che non lo stesse realmente guardando. I suoi occhi andavano oltre “Dean ha sbagliato e ha messo in pericolo Sam” disse gelido.
Dean serrò la mascella, le sue dita scivolarono lentamente sul ferro battuto e lui indietreggiò, passo dopo passo, fino al muro. Si lasciò scivolare contro di esso prima di raggomitolarsi su se stesso e iniziare a piangere in silenzio. Nessuno doveva sapere che stava piangendo, specialmente suo padre.
Al piano di sotto, Blake fissava John inorridito “Certo che ha sbagliato: è un bambino!” ribadì a denti stretti.
Non ricevette risposta, John lo guardò duramente.
“Ti rendi conto di quello che gli stai facendo passare, John? Ha solo dieci anni e tu lo costringi a comportarsi come un adulto, anzi come un soldato. Stai rovinando i tuoi figli per una crociata che non avrà fine” il tono di voce di Blake era pacato, ma il suo sguardo era accusatore. John rise sprezzante “Con che coraggio vieni a dirmi queste cose? Prima di farci entrare in casa, tua figlia ci ha fatto tutti i test possibili per assicurarsi che non fossimo creature malvagie. Sam ha creduto che fosse pazza! Ha solo sei anni e sa già cosa si nasconde la fuori, non sei molto diverso da me, Blake” ringhiò.
Blake scosse la testa “Almeno io non la porto in giro per l'America. Mia figlia ha una casa, degli amici e soprattutto non ha responsabilità che non dovrebbe avere” sputò quelle parole come fossero veleno e lasciò John da solo, sperando che riflettesse su ciò che si erano appena detti.
Una porta, al piano di sopra, si aprì e Dean si asciugò in fretta le lacrime.
Amethyst, la figlia di Blake, uscì dalla sua stanza, si affacciò alla balaustra e sbuffò prima di voltarsi verso Dean e regalargli un sorriso “Ciao” disse in tono allegro.
Dean inarcò un sopracciglio, guardandola con sospetto e curiosità “Ciao” rispose come se qualcuno lo avesse costretto a farlo. La bambina avanzò verso di lui tentennante, stringendo tra le dita sottili il lembo della maglia del pigiama “Dean?” disse richiamando l'attenzione del suo giovane ospite che la guardò spronandola a continuare. Lei si fece coraggio e gli tese una mano per farlo alzare “Controlleresti se c'è il mostro dell'armadio nella mia stanza? Solitamente lo fa papà” chiese con dolcezza, sorridendo appena mentre arricciava il piccolo naso a punta. Dean fece roteare gli occhi, afferrò la mano della bambina e si alzò dal pavimento “Ok” disse stancamente.
Si diresse verso la stanza di Amethyst e con cautela aprì l'armadio. Si assicurò per davvero che non ci fosse nessun mostro, sentendosi ancora in colpa per ciò che era successo a Sam. Di certo non voleva che per colpa sua succedesse qualcosa anche a quella bambina che aveva appena conosciuto. Si voltò verso di lei e forzò un sorriso “Non c'è nessun mostro, Amethyst” disse in tono serio, chiedendosi ancora una volta che razza di nome le avessero dato i suoi genitori.
Amethyst gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia che lo sorprese “Grazie, Dean. Buonanotte” cinguettò lei infilandosi sotto le coperte mentre Dean si passò le dita sulla guancia ad eliminare l'invisibile traccia di quel bacio “Buonanotte” borbottò uscendo dalla stanza. Si chiuse la porta alle spalle in maniera delicata per non fare troppo rumore e quando si voltò si scontrò con suo padre.
Dean prese un grosso respiro, gli occhi verdi erano fissi su quelli furenti del padre “Domattina partiamo presto, vai a dormire” disse John duramente, sorpassando il figlio senza attendere una risposta “Sissignore” rispose quello quasi sottovoce, dirigendosi nella sua stanza.
Sam dormiva beatamente e Dean gli sistemò meglio la coperta azzurra, facendo attenzione a non svegliarlo “Mi dispiace, Sammy” mormorò più che altro a se stesso, con gli occhi lucidi, coricandosi nel letto accanto a quello del fratello.
***
Umabel scosse il capo e chiuse lentamente gli occhi.
“Stai diventando un angelo sentimentale” ridacchiò Haziel affiancando l'angelo custode “Taci!” ruggì quest'ultimo con rabbia.
Haziel sorrise strafottente “Mi correggo: un angelo sentimentale e rabbioso!”. Umabel si voltò a guardarlo “Come faccio a proteggere un bambino che è venuto a conoscenza del mondo reale troppo presto? Nessuno dovrebbe sapere di ciò che si nasconde nelle tenebre, nessun bambino almeno” sbottò.
Haziel sospirò “Nessuno ha mai detto che fosse facile” mormorò con noncuranza.
Le labbra di Umabel si aprirono per lasciar spazio ad un sorriso amaro, in parte incredulo per le parole di suo fratello. Lui più di tutti avrebbe dovuto capirlo.
“Ciò non toglie che tutto questo sia ingiusto. Non per me...ma per Dean e Sam...” deglutì a vuoto nel tentativo di reprimere quelle sensazioni nascenti che mai avrebbero dovuto far parte del suo essere “Non voglio che soffra in questo modo. Tu non hai paura per Sam?” mormorò infine, cercando lo sguardo di Haziel. Ma non lo trovò, suo fratello era già andato via.
Umabel ringhiò di frustrazione e si calmò solo quando sentì la mano di Michael posarsi sulla propria spalla. Si voltò a guardarlo, cercando il suo sostegno “Sarà sempre così?” domandò con voce flebile, timoroso di porre quella domanda.
L'Arcangelo aveva il viso voltato in un'altra direzione, sembrava pensieroso e distante e Umabel si rese conto di esserne la causa perché era evidente che Michael non volesse nemmeno guardarlo “Non puoi sempre ottenere quello che vuoi**” disse con aria stanca, evitando di rispondere in maniera diretta alla domanda del Custode.
Umabel percepì la rabbia crescere in sé “E questo chi lo dice? Dio? Io neanche l'ho mai visto Dio” sibilò.
Forse se ne pentì e si sentì tremare quando Michael, finalmente, puntò gli occhi nei suoi.
Si creò un silenzio assordante tra loro.
“Non metterti nei guai” disse Michael dopo interminabili minuti passati ad osservarlo, a guardarlo quasi con curiosità e un poco di incredulità per i comportamenti che stava dimostrando il suo sottoposto. Sparì senza dire altro, lasciando l'Angelo da solo con la propria rabbia e i propri pensieri che si rincorrevano affannosi in cerca di una spiegazione.
1996
Al mondo, non c'era niente di simile al rombo del motore dell'Impala di John Winchester.
Amethyst Dalton, nel sentirlo, si precipitò nel vialetto, non vedendo l'ora di riabbracciare i Winchester.
Nel vederla arrivare, Dean spalancò le braccia affinché lei ci si rifugiasse dentro come faceva quando era una bambina, ma la ragazzina gli saltò addosso avvinghiandosi a lui con le lunghe gambe.
Amethyst aveva tredici anni ma era già molto più alta di tutte le ragazze della sua età. Ed era sicuramente molto più sveglia anche di qualunque coetaneo del maggiore dei Winchester.
Dean rise “Ma guardati! Sei più alta di Sammy!” esclamò divertito posando la ragazza a terra che poi stritolò Sam in un caloroso abbraccio “Mi siete mancati, ragazzi!” disse rivolgendo loro un sorriso che incluse anche John. L'uomo ricambiò il sorriso e silenzioso si avviò verso la casa.
Blake lo stava attendendo sulla soglia e dopo aver salutato i ragazzi si rinchiuse nello studio con John.
“Allora, quanto vi fermate?” domandò allegra Amethyst sprofondando nel divano di pelle. Dean la imitò, sedendosi poco distante.
“Spero più dell'ultima volta” mormorò Sam, sedendosi tra loro. Amethyst posò la testa sulla spalla del minore dei Winchester e sospirò “Vi rendete conto che sono passati tre anni dall'ultima volta che ci siamo visti?”.
Dean rise “Sì e somigliavi a un putto. Invece ora sei una ragazzina slanciata e sicuramente selvaggia” si beccò un cuscino in piena faccia da parte della ragazza suscitando l'ilarità di Sam.
C'era un clima disteso, sereno...familiare. Amethyst aveva sempre adorato passare il tempo con Dean e Sam e il rivederli l'aveva resa più solare del solito.
Amethyst alzò lo sguardo verso Sam e gli sorrise “Ti stai facendo proprio carino, sai?” disse senza peli sulla lingua, dandogli un leggerissimo colpetto col dito sulla punta del naso. Le gote del ragazzo si colorarono di un bel rosso acceso e, mormorando quello che doveva probabilmente essere un “grazie”, si alzò per dirigersi in cucina. Amethyst lo guardò con aria interrogativa “Ma certo, fai come se fossi a casa tua!” disse ironica vedendo che Sam apriva il frigorifero in acciaio per poi infilarci la testa dentro come alla disperata ricerca di qualcosa.
In realtà voleva evitare di sentire i commenti del fratello perché Sam era sicuro che Dean avrebbe fatto qualche battuta che lui non avrebbe gradito.
“Guarda, lo hai fatto scappare” disse il maggiore dei Winchester ironicamente. La ragazza si avvicinò a lui e rise “Non era mia intenzione” disse allargando appena le braccia.
Si voltò a guardarlo, rimanendo incantata da quel profilo. Un'ombra di barba gli adornava il volto, le lunghe ciglia sembravano rendere ancora più luminosi quei grandi occhi verdi. Amethyst non si era mai resa conto di quanto Dean Winchester fosse bello, non fino a quel momento.
A quel pensiero arrossì e prontamente nascose il viso tra i lucenti capelli biondi, sperando che il ragazzo non si fosse accorto di nulla.
Nei giorni successivi la bionda aveva già capito di essersi presa una colossale cotta per Dean Winchester.
Suo padre non doveva saperlo. Sam non doveva saperlo, ma soprattutto non doveva saperlo il diretto interessato.
Seduta accanto a Sam nella scalinata di marmo della scuola in attesa di Dean, Amethyst si era persa nei propri pensieri, maledicendosi per aver preso una sbandata per un Cacciatore.
Niente sarebbe stato sicuro -E poi sono solo una ragazzina, che speranze credo di avere con lui?- si ritrovò a pensare.
“Ame, tutto bene?”nel chiederlo, Sam le posò una mano sulla spalla facendola sobbalzare appena. Lei gli rivolse un sorriso radioso tipico dei suoi, uno di quelli che le faceva arricciare il naso “Sì! Sto solo pensando al compito di letteratura che ci aspetta domani” mentì prontamente.
Non era la prima volta che mentiva. Mentiva ai suoi compagni di classe e ai professori circa il lavoro di suo padre. Mentiva praticamente a tutti, nascondendo ciò che sapeva realmente sul mondo crudele di cui faceva parte. Non le risultò difficile mentire anche a Sam per una cosa così banale.
Dean finalmente si fece vivo. Stringeva la mano a una ragazza e non una ragazza qualsiasi. Monica Taylor era la ragazza più popolare della scuola e Amethyst la detestava.
“Allora ci vediamo domani” disse Monica, rivolgendosi a Dean, con fare svenevole. Persino la sua voce era capace di irritare Amethyst. Dean sorrise e posò le labbra su quelle carnose della sua - momentanea - ragazza. Amethyst lanciò una fugace occhiata a Sam infilandosi due dita in bocca mimando l'atto di vomitare. Il ragazzo ridacchiò appena per non farsi vedere dal fratello maggiore e da Monica che si stava allontanando ancheggiando visibilmente.
“Allora ci vediamo domani” disse Amethyst in almeno un tono sopra la norma, scimmiottando la capo cheerleader “Vedo che non hai perso tempo” aggiunse poi sarcastica. Dean la spinse appena, ridacchiando e lei si unì alla risata del ragazzo. Ma moriva dentro -Non puoi sempre ottenere quello che vuoi**-.
Note dell'autrice: * fa riferimento alla puntata 1x18 Something Wicked.
** è la traduzione del titolo, che è anche una canzone dei Rolling Stones, la stessa che da il titolo al capitolo.
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Capitolo 4 *** I don't want to miss a thing ***
I don't want to miss a thing
Umabel gridò di dolore.
La lama angelica era fredda in netto contrasto col sangue che caldo scivolava su di essa lento, inesorabile.
Gridò di dolore, ma il suo sguardo freddo e sicuro fece capire a Raziel che no, non aveva intenzione di cedere.
“PARLA!” gridò esasperato l'Angelo. La mano, ricoperta di sangue scarlatto, fremette facendo tremare la lama sul volto del fratello che rimase impassibile “È proibito per voi angeli custodi scendere sulla Terra” sibilò Raziel ad un soffio dalla pelle lacerata di Umabel.
Un riso di scherno stese le sue labbra bagnate dl suo stesso sangue “E chi ti dice che io, Umabel, un Angelo del Signore, sia sceso sulla Terra?” la sua voce parve stanca, ma il tono era più tagliente di quella lama che aveva tormentato la sua Grazia.
Raziel grugnì frustrato e sentì la rabbia crescere in lui, spaventosa e inarrestabile.
La presa sulla lama si fece nuovamente salda, il braccio alzato a mezz'aria, pronto a colpire.
Umabel fissò Raziel in volto. Non disse una parola e nei suoi occhi non si vedeva quella paura che Raziel avrebbe tanto voluto leggervi.
Sarebbe bastato un affondo per togliere la vita all'Angelo Custode e Raziel era deciso a farlo.
“Fermati Raziel” tuonò una voce alle sue spalle.
La spada gli scivolò tra le mani e tintinnò a terra, leggera.
“Michael” disse tra i denti, volgendo lo sguardo verso il primogenito di Dio.
“Non puoi uccidere Umabel” la voce ferma dell'Arcangelo non lasciava spazio a repliche ma Raziel lo ignorò comunque “Ha disobbedito” sbraitò. Lo sguardo folle, la bocca piegata in una terribile smorfia.
“Non spetta-a te-DECIDERE” urlò. Raziel non ebbe il tempo di ribattere, né di scusarsi, uno schiocco di dita di Michael e scomparve.
Umabel si lasciò andare ad un sospiro di sollievo mentre Michael liberava le sue braccia dalle pesanti catene, poi l'Arcangelo posò due dita sulla fronte sporca di sangue rappreso dell'angelo, guarendolo così dalle ferite.
“Ti avevo detto che avere dei prediletti poteva essere pericoloso” sentenziò cercando, negli occhi dell'Angelo, un perché a quel folle gesto.
Lo sguardo di Umabel era però indecifrabile e imperturbabile “Non capisco a cosa tu ti riferisca” disse seccamente, facendo per abbandonare la stanza.
Michael lo fermò, trattenendolo per un braccio “Non prendermi per un idiota, Umabel. So della tua piccola fuga sulla Terra” sussurrò preoccupato.
Un sorriso stanco si dipinse sulle labbra dell'Angelo “Sto solo facendo il mio dovere, Mickey” rispose, liberandosi dalla morbida presa di Michael.
Umabel sapeva che la strada che aveva iniziato a seguire era pericolosa eppure non vi era altra strada che volesse percorrere.
Scendere sulla Terra gli era proibito, doveva fare il suo lavoro di Custode dall'alto, senza intervenire in nessun modo se non quando specificatamente richiesto, ma non poteva e non voleva farlo, voleva semplicemente intervenire prima che fosse troppo tardi. E per farlo aveva bisogno dell'aiuto di Gabriel.
Umabel era sceso sulla Terra nel disperato tentativo di trovarlo e il tutto si era rivelato un buco nell'acqua, ma di certo non si sarebbe arreso tanto facilmente.
1999
Cutler Bay era forse l'unica città di tutti gli Stati Uniti d'America in cui i Winchester si erano soffermati più volte.
John si era reso conto che a nessuno dei suoi due figli dispiaceva particolarmente - se non affatto - bivaccare nel salotto dei Dalton mentre lui discuteva di un caso insieme a Blake.
Parcheggiarono in Sterling Drive affiancando l'inconfondibile furgoncino Volkswagen bianco e blu che apparteneva da sempre a Blake Dalton.
“Si deciderà mai a cambiare quel rottame?” brontolò Dean scendendo dall'auto. John rise appena “Io non cambio la mia auto dal 1973 e non ti sei mai lamentato” lo rimbeccò.
Il ragazzo fissò l'Impala e sorrise, allargando le braccia “Ma l'Impala non è un rottame, è una signora auto!” esclamò, accarezzandone la carrozzeria come si si trattasse di una bella ragazza.
Sam rise appena, scuotendo la testa prima di guardare speranzoso il padre “Papà, possiamo andare a prendere Amethyst a scuola?” domandò.
Blake si schiarì la voce mentre avanzava nel vialetto di ghiaia “Non dovresti chiederlo a me, giovanotto?” disse con la risata nella voce.
***
Amethyst chiuse l'armadietto e sospirò rassegnata, facendo roteare gli occhi quando si ritrovò di fronte Troy Acosta in tutta la sua altezza “Che cosa vuoi, Troy?” chiese stancamente issandosi la tracolla in spalla.
Il ragazzo la guardò spaesato, aspettandosi che lei, come tutte le altre, gli sorridesse svenevolmente portandosi indietro i capelli con un gesto sensuale del capo.
“Vai, Big T.!” lo incitò uno dei suoi amici, spingendolo appena.
-Big T.? Sul serio? Oddio, è peggio di quel che pensavo- Amethyst guardò il capitano della squadra di football con una certa aria di superiorità. Non si credeva migliore di lui, ma Troy Acosta era il cliché del ragazzo popolare: bello ma totalmente idiota.
Il ragazzone sorrise sfrontato “Non manca molto al ballo...vieni con me?” disse sicuro di sé.
Amethyst inarcò un sopracciglio. Si aspettava che Troy le proponesse di andare al ballo scolastico insieme, ma lei non aveva nessuna voglia di andarci. Specialmente con lui.
“No” disse semplicemente, stringendosi appena nelle spalle e superandolo per dirigersi all'uscita, lasciando basiti i due ragazzi.
Troy Acosta non era abituato a ricevere un due di picche e Amethyst fece per uscire dalla scuola inseguita dagli insulti delle tante ragazze che avrebbero voluto essere al suo posto, ma a lei quello non interessava.
Alice Walcott, la sua migliore amica, le si avvicinò con aria sconvolta, gli occhi nocciola sbarrati, la bocca rosea a formare una comica “O” per qualche istante “Tu...hai detto di no a Troy Acosta?” domandò finalmente dopo diversi attimi di silenzio durante i quali Amethyst si chiese se l'amica avesse perso l'uso della parola.
La bionda ridacchiò, gettando la testa all'indietro con un'espressione noncurante e annoiata “Andiamo, non è mica un Dio” disse in uno sbuffo.
Alice la guardò come se fosse impazzita e sgranò ancora di più gli occhi leggermente truccati “Lo è per noi disperate ragazze del liceo, specialmente ora che il ballo si avvicina!” esclamò “Troy Acosta è il ragazzo più desiderato della scuola, è il capitano della squadra di football e sarà il Re del ballo” disse agitata come se stesse parlando di una questione di vita o di morte.
Amethyst si arrestò, parandosi davanti all'amica che per poco non le rovinò addosso “Woah frena! Prima di tutto: io non sono disperata” l'amica la interruppe sbuffando, roteò gli occhi e la indicò con un gesto molle della mano “Certo, tu sei carina. Alta. Bionda. Occhi azzurri. Fisico da modella.”
Amethyst la ignorò “Non ho neanche intenzione di andare a quello stupido ballo. E in secondo luogo Troy Acosta, che sarà pure carino, è un idiota patentato!” disse allargando le braccia e rischiando di colpire in pieno viso un ragazzo del primo anno che fuggì via prima che Amethyst potesse anche solo pensare di chiedergli scusa.
Alice la guardò con un'espressione a metà tra il deluso e lo sbigottimento, poi fissò qualcosa alle spalle dell'amica e aggrottò le sopracciglia, confusa “Scusa, ma non sei candidata a Reginetta?” chiese indicando il poster alle spalle di Amethyst.
La ragazza la guardò con aria spaesata prima di voltarsi e vedere il poster che la raffigurava insieme ad una grossa scritta sull'azzurro che con un elegante font diceva “Vota per Amethyst Dalton”.
Respirò profondamente e strinse i pugni “Lucas!” esclamò a denti stretti avendo capito chi aveva osato candidarla senza prima renderne conto a lei “Giuro che lo ammazzo” ringhiò strappando il poster dal muro.
Alice rise nervosamente “In effetti mi sembrava improbabile che fosse opera tua, ma non mi sembra il caso di ammazzare Lucas” disse tentennante.
Amethyst sbuffò e la ignorò ancora una volta mentre a passo di marcia si dirigeva fuori dalla scuola dove era certa che avrebbe trovato Lucas, colui che avrebbe dovuto essere il suo migliore amico ma che invece l'aveva appena pugnalata alla spalle.
Lucas sapeva quanto Amethyst odiasse quel genere di cose. Odiava la popolarità, odiava i balli scolastici e odiava Troy Acosta e la sua combriccola di ragazzi e ragazze popolari.
Lo trovò nel cortile, appoggiato al suo motorino mentre fumava una sigaretta, Alice la seguiva con passo veloce per cercare di evitare una catastrofe.
Il ragazzo non appena la vide si affrettò a spegnere la sigaretta e iniziò a mormorare delle scuse, proteggendosi il volto - e gli occhiali - con le braccia “Non è stata una mia idea, te lo giuro! Mezza scuola voleva che ti candidassi, non vogliono che vinca Judith” disse srotolando quelle parole con velocità e senza respirare.
Amethyst gli diede un colpo a braccio “E tu hai pensato bene di accettare senza consultarmi, vero?”. Lucas la guardò con aria colpevole ben sapendo che Amethyst non poteva resistere ai suoi occhioni blu.
Infatti la ragazza si calmò, sbuffò e incrociò le braccia sotto il seno “Comunque al ballo non ci vado” disse in tono stanco.
Alice le afferrò un braccio “Oh. Mio. Dio. Ma quello è Dean Winchester!” esclamò con voce strozzata. Non conosceva Dean Winchester, lo aveva visto solo in qualche foto mostratele da Amethyst e non poteva che concordare con l'amica: Dean Winchester era decisamente bello.
Amethyst si voltò subito in direzione dello sguardo dell'amica.
Dean Winchester era proprio lì, appoggiato all'Impala.
Affianco a lui suo fratello Sam, più alto di quanto Amethyst si ricordava.
Con un gran sorriso corse loro incontro saltando in braccio a Dean che rise stringendola a se “Sei per caso felice di vederci, scheggia?” domandò il maggiore mentre lei abbracciava Sam.
“Papà non mi ha detto che sareste venuti!” disse lei in tono entusiasta, continuando a sorridere e totalmente incapace di smettere.
Alice e Lucas si avvicinarono al gruppetto, Alice con espressione estasiata e Lucas con fare un poco annoiato.
Amethyst soffocò una risata, presentando i suoi amici ai fratelli Winchester prima di salutarli e andare così a casa.
“Posso stare davanti?” disse facendo gli occhi dolci a Sam. Il ragazzo sospirò rassegnato aprendo la portiera posteriore per sedersi dietro.
***
Blake si passò le dita sugli occhi stanchi e chiuse il libro sul quale stava studiando con violenza “Avanti, John! È palese che si tratti di un comune fantasma” disse in tono lamentoso.
John sospirò, gli occhi segnati da profonde occhiaie lasciavano intuire quanto poco avesse dormito in quei tre giorni passati a Cutler Bay “Sì, probabilmente hai ragione tu” disse stancamente, lanciando un'occhiata a Dean, seduto al suo fianco.
Il ragazzo non sembrava del tutto convinto “Hey, ragazzi! Voi che ne pensate?” disse richiamando l'attenzione di Sam e Amethyst seduti sul divano a guardare passivamente la TV.
Amethyst fece un largo sorriso e corse nello studio del padre. Sam, meno entusiasta, la segui a passi strascicati e si sedette accanto al fratello lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia.
In religioso silenzio, Amethyst lesse tutte le notizie riguardanti le misteriose morti avvenute a Goulds in quegli ultimi giorni, confrontando il tutto con le vecchie leggende presenti nei libri di suo padre.
Aggrottò le sopracciglia e sollevò lo sguardo verso il padre “Perché sei così sicuro che si tratti di un fantasma?” domandò scettica. Blake inarcò un sopracciglio scuro e la guardò distrattamente “Queste misteriose uccisioni sono iniziate subito dopo la morte di Killian O'Reilly” spiegò spazientito. Sembrava che nessuno volesse dargli ascolto: John era scettico, Dean aveva addirittura chiesto l'opinione di due ragazzini e Amethyst sembrava sul punto di tirare fuori una teoria folle e strampalata“Potrebbe essere una banshee!” concluse con convinzione. Blake scosse la testa stancamente mentre Dean osservò la ragazza e le sue labbra si incresparono in un sorriso soddisfatto e di ammirazione, ma Blake scoppiò in una fragorosa risata “Le banshee non sono spiriti maligni, Amethyst” disse rudemente.
Amethyst non si lasciò intimorire dalla sguardo severo del padre “Non secondo tutte le leggende! Esistono delle banshee maligne. E poi che motivi avrebbe un fantasma di asportare dalla vittima il suo lobo frontale?” sentenziò decisa posando sotto gli occhi del padre il rapporto stilato dal medico legale. Tenne lo sguardo fisso su Blake che però non sembrava voler dare retta alla figlia.
“Sono stanco, Ame, non ho voglia di starti a sentire dire stronzate. Escludo categoricamente che si tratti di una banshee” disse in un tono che non ammetteva repliche.
Amethyst si alzò di scatto facendo cadere la sedia con un sonoro tonfo “Lo escludi categoricamente solo perché te lo sto dicendo io? Lo sai che sono brava, ma sei troppo orgoglioso per ammettere che ti stai sbagliando e che io ho ragione” gridò con rabbia, gli occhi azzurri sgranati e le mani posate saldamente sul tavolo.
Blake le diede uno schiaffo che le fece voltare il viso lasciando tutti basiti “Blake, non avresti dovuto farlo” lo rimproverò Dean “Non dirmi come trattare mia figlia, ragazzo. Non sei un padre e non hai idea di come ci si comporti” disse con calma.
Amethyst abbandonò lo studio senza dire una parola, si massaggiò la guancia arrossata, facendo una smorfia di dolore, solo quando ebbe la certezza di non essere vista specialmente da suo padre perché, anche se non lo avrebbe mai ammesso, era orgogliosa tanto quanto lui.
***
“Hey, tutto bene?” Amethyst sollevò lo sguardo verso Dean, appoggiato allo stipite della porta della sua stanza.
Gli occhi azzurri di lei erano arrossati dal pianto, ma sorrise al ragazzo che era ancora più bello di quanto ricordasse.
Sospirò e annuì, tirando su col naso. Da sotto il letto tirò fuori una grossa scatola di legno e prese un lucente pugnale d'oro “Una banshee si uccide pugnalandola con una lama d'oro” disse porgendo il pugnale a Dean.
Il ragazzo lo prese, sorridendo per poi stringere in un abbraccio Amethyst che affondò il viso nell'incavo della sua spalla “Gli guarderò le spalle, te lo prometto. E ucciderò quella banshee” mormorò Dean con dolcezza.
Amethyst sollevo lo sguardo e sorrise “Grazie. E grazie per credere in me anche quando mio padre non lo fa” disse prima di scoccargli un bacio sulla guancia.
Dean le scompigliò i capelli e rise “Figurati, scheggia. È un piacere” disse cingendole le spalle con un braccio e accompagnandola al pian terreno. John e Blake erano già pronti alla partenza e aspettavano in auto solamente Dean.
Sul tavolo del soggiorno vi era una grossa scatola con un fiocco blu. Dean la indicò “Da parte di tuo padre” disse dandole un buffetto sulla guancia.
Amethyst si avvicinò al tavolo e prese il biglietto posato sulla scatola.
Lucas e Alice mi hanno detto che diventerai Reginetta. Spero ti piaccia.
Con affetto, papà.
Amethyst si lamentò appena ma aprì la scatola tirando fuori un abitino blu notte, con una scollatura a cuore decorata da minuscoli brillantini che seguivano la linea dei seni.
Sam scoppiò a ridere “Ora si che sei costretta ad andare al ballo” disse canzonandola. Si guadagnò un'occhiata truce da parte della ragazza che ripose il vestito dentro la scatola con una smorfia.
Dean si schiarì la voce “Ame, devi dirmi se ti piace, tuo padre lo vuole sapere” disse indicandosi dietro le spalle, in direzione dell'Impala dove John e Blake ancora aspettavano.
Amethyst sbuffò “Digli che mi piace ma che non andrò a quello stupido ballo” disse acida.
Dean ridacchiò e uscì di casa salutando i ragazzi.
“Perché ti ostini a non volerci andare? Hai ricevuto anche diversi inviti” le chiese Sam, cingendole le spalle “Non mi piace nessuno di quei ragazzi” mormorò seguendo Dean, che saliva in auto, con lo sguardo.
Sam guardò nella sua stessa direzione e chiuse gli occhi “Dimmi che stai scherzando...Dean, sul serio?” disse un poco affranto, chiaramente dispiaciuto per la sua amica.
Amethyst lo guardò sconsolata “Ho una cotta per lui da circa tre anni” ammise “Ma lui non deve saperlo” si affrettò a dire minacciosa.
Sam le sorrise, scostandole i capelli biondi dal viso “Non glielo dirò Amethyst” la rassicurò abbracciandola.
Amethyst si strinse a lui e rise amaramente “Di tutti i ragazzi che ci sono al mondo mi dovevo prendere una cotta per un Cacciatore. E non uno qualsiasi” disse in tono ironico. Sam la guardò e sorrise “In fondo Dean non è tanto male” disse anche se non sembrava troppo convinto delle sue stesse parole: voleva bene a suo fratello, ma a volte lo considerava un vero idiota, specialmente per come si comportava con le ragazze.
Amethyst sollevò lo sguardo ad incrociare quello del minore dei Winchester e fece un sorriso divertito “Non è tanto male? È incredibile! Perché credi che mi sia innamorata di lui? Solo per il suo bel faccino?” disse e Sam la guardò come se lei fosse una causa persa.
Aveva appena ammesso di essere innamorata di suo fratello, non di avere una semplice cotta e Sam sapeva che quello l'avrebbe portata a soffrire. Tuttavia non disse nulla al riguardo, le regalò un sorriso dolce e le scompigliò i capelli biondi “Tu verrai al ballo” disse deciso e Amethyst sciolse l'abbraccio allontanandosi da lui “No” disse risoluta, quasi indispettita, incrociando le braccia al petto esibendo un fiero cipiglio.
Sam non si sarebbe arreso, aveva deciso che Amethyst doveva andare al ballo e così sarebbe successo.
Sapeva però che non sarebbe mai riuscito a convincerla.
“Pronto?” Dean rispose al secondo squillo e Sam deglutì temendo la reazione del fratello.
“Ehm...Dean...mi dovresti fare un favore” disse Sam titubante. Dean sbuffò e fece roteare gli occhi come se il fratello potesse vederlo e non solo immaginarselo come in effetti stava facendo “Dimmi, Sammy” disse, allontanandosi dal padre e da Blake che stavano discutendo sul caso.
“Quando tornate, fai in modo di convincere Amethyst ad andare a quel dannato ballo” disse guardandosi intorno per assicurarsi di essere solo.
Dean corrugò la fronte, sorpreso da quella richiesta “E non potresti farlo tu?” chiese stizzito, lanciando un'occhiata in direzione di John che aveva alzato la voce.
Sam sbuffò spazientito “A me non da ascolto, a te invece sì. Ah...un'altra cosa: dovrai fare da chaperon al ballo” disse in fretta, aspettandosi appunto la sfuriata di Dean che non tardò ad arrivare.
“Che cosa? No, Sammy...io non ci vado” gridò il maggiore, sgranando gli occhi verdi un po' per la rabbia e un po' per lo stupore.
E forse anche un po' per la paura. Badare a degli adolescenti durante il ballo scolastico? Era l'ultima persona al mondo adatta per quel compito, ne era perfettamente consapevole!
“Non ti puoi tirare indietro, ormai ti hanno assegnato il ruolo e ci devi andare. E trascinaci pure Ame” disse. Chiuse la chiamata prima che Dean potesse ribattere, sperando che non lo richiamasse.
***
Dean guardava le fiamme che si alzavano dalla fossa. Le fissava come se si aspettasse di poter vedere qualcosa attraverso di esse. Una Banshee.
Sapeva che non si trattava di un fantasma e il corpo bruciato di Killian O'Reilly non avrebbe fermato quelle morti.
“Torniamo a casa, questo figlio di puttana ha finito di seminare cadaveri” disse Blake, distogliendo lo sguardo dal fuoco e avviandosi, sacca in spalla, verso l'Impala.
John lo seguì, incitando Dean a fare altrettanto, ma il ragazzo non si mosse “Non possiamo aspettare almeno fino a domani? Giusto per assicurarci che la teoria di Amethyst fosse sbagliata”.
Blake lo guardò accigliato “Non ho intenzione di dare retta ad una ragazzina” disse lanciando la sacca nel sedile posteriore dell'auto. Era visibilmente irritato, ma più di ogni altra cosa, Blake si era reso conto che sua figlia stava per intraprendere la sua stessa strada e non lo avrebbe mai voluto. Si maledisse per averle rivelato ogni cosa del mondo soprannaturale, si maledisse per non averla protetta come avrebbe dovuto fare.
Dean serrò la mascella, facendola scattare appena “Quella ragazzina è tua figlia e onestamente, Blake, credo più alla sua teoria che alla tua” disse risoluto.
Blake non ebbe modo di rispondere. Un urlo agghiacciante squarciò l'aria calda e umida e l'uomo si accasciò a terra, tappandosi le orecchie.
Dean e John lo guardarono straniti “Fatelo smettere” grido Blake che sembrava stesse per impazzire. John e Dean non sentivano niente e cercarono di far alzare Blake che, nel frattempo, aveva iniziato a sanguinare dalle orecchie gridando che era insopportabile, pregandoli di far cessare quelle grida.
Fu allora che Dean la vide. Era una figura femminile che sembrava fatta di nebbia.
I lunghi capelli scuri svolazzavano nell'aria facendo somigliare le ciocche a dei tentacoli. Aveva gli occhi rossi e la bocca aperta in un grido che lui non poteva sentire.
La banshee si avvicinò a Blake e il suo pianto disperato si fece sempre più forte, più acuto e l'uomo iniziò a sbattere la testa sulla lapide, impazzito.
D'improvviso, la figura si dissolse in un'effimera nebbia scura. L'ultima cosa che Blake vide fu Dean, il respiro leggermente affannato, la mano che stringeva un pugnale d'oro. Poi svenne.
Arrivarono a Cutler Bay nella metà del tempo. Dean e John trascinarono Blake, ancora privo di sensi, dentro casa e lo adagiarono sul divano.
“Papà!” gridò Amethyst, correndo giù per le scale fino ad arrivare al capezzale del padre. “Starà bene” la rincuorò Dean posandole una mano sulla spalla.
Con dolcezza, Amethyst lo ripulì dal sangue ormai rappreso e Blake aprì lentamente gli occhi, sorridendole “Mi dispiace. Se non fosse stato per te e per Dean, ora non sarei qui. Grazie. Ad entrambi”. Amethyst trattenne le lacrime, si fece forza e sorrise al padre, mettendo da parte il suo stupido orgoglio esattamente come lui aveva appena fatto “Perché ha attaccato te? Le banshee maligne cacciano solo chi è vulnerabile” mormorò, accarezzando il volto stanco del padre. Blake la guardò sorpreso, quella ragazzina sapeva evidentemente più cose di lui “Forse perché pensavo a te e a tutto il male che ti ho fatto” ammise e Amethyst non riuscì a trattenere più le lacrime. Abbracciò suo padre dicendogli che andava tutto bene. Sembrava quasi che i ruoli di figlio e genitore si fossero invertiti.
***
“Posso entrare?” Amethyst annuì senza sollevare lo sguardo dalle proprie dita che si stavano torturando le une con le altre e Dean le si sedette accanto “Lo faresti felice se andassi a quel ballo” disse.
La ragazza sorrise amaramente “È solo uno stupido ballo” mormorò appena, gli occhi ancora fissi sulle dita.
Dean si schiarì la voce “Sì, è vero: è solo uno stupido ballo. Ma significa vita normale e tuo padre desidera che tu abbia una vita il più normale possibile. Potresti pentirtene, sai?”
Amethyst sollevò finalmente lo sguardo verso di lui. Quegli occhi verdi la perforarono per l'ennesima volta, ma non si lasciò intimorire da essi, le piaceva guardarli “Perché lo pensi?” chiese abbracciandosi le ginocchia.
Dean sospirò, si morse appena l'interno della guancia e strizzò gli occhi per qualche istante. Ciò che stava per rivelarle, non lo aveva mai detto a nessuno “Perché io me ne son pentito” fu come liberarsi di un peso “Avevo più o meno la tua età e mi trovavo in una tenuta per ragazzi...difficili. Conobbi una ragazza e le promisi di andare al ballo con lei, ma proprio quella sera mio padre tornò a prendermi. Scelsi di andare con lui perché volevo seguire la mia famiglia e non mi pento di questo, ma ci sarei voluto davvero andare a quel ballo*” concluse.
Amethyst si umettò le labbra e sorrise quasi impercettibilmente “Una tenuta per ragazzi difficili?” domandò in tono canzonatorio “Una sola parola con qualcuno e ti ammazzo, intesi?” rispose Dean in tono fintamente minaccioso, prima di scompigliarle i capelli “E poi quell'idiota di Sammy ha assicurato alla vostra professoressa che io avrei fatto da chaperon, quindi vedi di andarci a quel ballo, non ho intenzione di andare lì con la consapevolezza che quella di mio fratello sia l'unica faccia conosciuta”.
Amethyst rise e Dean fece per andarsene “Dean?” lo richiamò la ragazza. Lui si voltò “Dimmi tutto, scheggia” disse con un sorriso. Amethyst andò ad abbracciarlo “Grazie” disse in un sussurro “Per cosa?” chiese lui confuso.
La bionda sospirò, liberando Dean da quella dolce morsa “Per aver salvato mio padre. Sei un eroe...il mio eroe” disse arrossendo un poco.
Dean fece un largo sorriso “Ho semplicemente mantenuto la mia promessa” disse per poi abbandonare la stanza.
***
Amethyst ancora non riusciva a credere al fatto di aver ceduto: stava per andare al ballo scolastico.
Aveva indossato l'abito regalatole dal padre, raccolto i capelli in una elegante ma semplice treccia e indossato delle scarpe tacco dodici con le quali avrebbe sovrastato praticamente chiunque, eccetto forse Troy Acosta.
“Amethyst, vuoi muoverti?” la voce impaziente di Alice che proveniva dabbasso la fece sbuffare “Arrivo, arrivo!” esclamò scendendo le scale.
“Oh porca troia! Sei uno schianto vestita da donna” Lucas si beccò uno sguardo truce da parte di Blake e della sua stessa amica “Un altro commento del genere e di cavo un occhio con il tacco” commentò lei acida.
Sam le sorrise, impacciato nel suo smoking affittato nel negozio del centro “Sei bellissima” disse.
Un commento senza dubbio più gentile di quello di Lucas. Amethyst lo ringraziò e sorrise raggiante, arrossendo e scostando un ciuffo ribelle dietro l'orecchio sinistro “Andiamo, prima che cambi idea!” disse spintonando gli amici, compreso Dean, verso la porta d'ingresso.
Passarono la serata a ballare tutti insieme, eccetto Dean che se ne stava dietro il banco del punch - rigorosamente analcolico - con aria annoiata, fino a quando non arrivò il momento di annunciare il Re e la Reginetta del ballo.
Judith Pearson, fasciata in un troppo stretto abitino color rosa confetto, sorrideva incessantemente tenendo gli occhi fissi sulla coroncina. Era sicura di vincere e strinse - anzi, stritolò - la mano di Troy il quale aveva ripiegato su di lei dopo il rifiuto di Amethyst.
“...e il Re del ballo è...Troy Acosta!” annunciò la professoressa James al microfono, sfoderando un finto sorriso.
Troy venne incoronato, nessuno si sorprese di tale nomina, come se fosse già stato scritto nelle stelle.
“La Reginetta di quest'anno è...rullo di tamburi...Amethyst Dalton!” un altro sorriso forzato, un boato assordante e il braccio di Amethyst stritolato da Alice scandirono quel momento.
Con fare annoiato, Amethyst si diresse sul palco, si lasciò incoronare e accettò con aria passiva lo scettro. Tuttavia l'espressione sconfitta di Judith bastò per farla sentire decisamente meglio.
Sulle note di “I don't want to miss a thing” degli Aerosmith, il Re e la Reginetta - con gran disappunto di quest'ultima - diedero il via alle danze.
Già a metà della prima strofa, Amethyst abbandonò Troy in mezzo alla pista, si avvicinò ai tre amici e iniziò ad intonare a squarciagola quella canzone che tanto amava, anche se non lo avrebbe mai ammesso a nessuno.
Ballarla con Troy sarebbe stato un vero spreco.
“Hey Reginetta, ti va di ballare?”, aveva provato un brivido nel sentirsi sfiorare la spalla, come se il suo corpo avesse percepito che a sfiorarla fosse stato Dean.
Rise appena, Amethyst, la corona storta sui capelli biondi, ma non poteva dire di no ad un ballo con Dean Winchester, non sulle note di quella canzone.
“Sei davvero bellissima, scheggia” le disse lui con un sorriso. E Amethyst si sarebbe potuta perdere in quel momento per sempre**.
Note dell'autrice: * fa riferimento alla puntata 9x07, Bad Boys.
** la frase è un riferimento alla canzone degli Aerosmith che da il titolo al capitolo.
Spero comunque che vi piaccia. Grazie a tutti quelli che decidono di leggere queste storie!
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Capitolo 5 *** Cherry Pie ***
Cerry Pie
Umabel sospirò e osservò a lungo le Porte del Paradiso nello stesso modo in cui le aveva osservate la prima volta che le aveva viste così da vicino, ovvero quando Gabriel se ne era andato.
Ancora una volta le guardò come se volesse che si dissolvessero, poi decise di non perdere più tempo e di varcarle forse per l'ultima volta.
Qualcosa gli diceva che non sarebbe più tornato a casa. Proprio come Gabriel.
La ricerca del tramite, non fu delle migliori. L'ultima volta - nonché la prima - ad avergli detto “sì” era stato un barbone ubriaco e l'Angelo non ci teneva particolarmente a ripetere l'esperienza dato che gli serviva qualcuno che non venisse allontanato a causa del proprio aspetto.
Si era ritrovato a pensare che gli Umani tanto amati da suo Padre, spesso e volentieri, erano proprio crudeli e superficiali.
Quella volta invece trovò il consenso in un giovane e umile avvocato di Tallahassee, un vero e proprio paladino della giustizia che combatteva con vigore per le cause dei meno fortunati.
Poi, ironia della sorte, si recò a Winchester, nell'Ohio, perché le sue ricerche lo avevano portato fino a lì.
Si sedette al bancone della tavola calda.
Era a disagio, motivo per cui la cameriera lo guardò con aria stranita prima di chiedere - con un sorriso di circostanza sulle labbra lucide di gloss - cosa volesse ordinare. L'Angelo si schiarì la voce e allentò il nodo della cravatta dalle improbabili fantasie floreali del suo tramite.
“Quello che ha preso lui” disse indicando l'uomo alla sua sinistra. La ragazza sorrise “Arriva subito” disse prima di sparire per qualche istante.
L'uomo piegò le labbra in un sorriso divertito prima di prendere un boccone della sua torta di ciliegie “Hai deciso di dedicarti ai piaceri della vita, Mabe?” disse ridacchiando.
Umabel fece un sorriso tirato alla cameriera che gli porgeva la torta di ciliegie e il succo di mirtilli. Si sistemò la giacca goffamente e si passò una mano sul volto stanco. I suoi occhi avevano un'aria triste “Non sei più tornato” mormorò spezzando con la forchetta la punta della fetta di torta.
L'altro sospirò posando con lentezza la forchetta. Si voltò a guardarlo e umettandosi le labbra abbassò lo sguardo “Mabe...” mormorò prima di essere interrotto da Umabel “Mi hai abbandonato Gabriel” disse in un sussurro, afferrandogli la mano e facendolo sobbalzare appena.
Gabriel non si mosse, rimase immobile con lo sguardo basso, forse divorato dai sensi di colpa.
Aveva abbandonato Umabel, aveva abbandonato tutti i suoi fratelli.
Umabel lasciò scivolare la mano e abbassò lo sguardo a sua volta. Gabriel non era l'unico ad aver abbandonato i suoi fratelli.
“Sei qui per caso?” chiese l'Arcangelo prima di ridere della sua stessa domanda. Conosceva bene la risposta: suo fratello non era lì per caso.
Era ovvio che Umabel avesse un piano o almeno parte di esso, non era totalmente sprovveduto ed era sceso sulla Terra - per la seconda volta in tutta la sua lunghissima esistenza - perché era riuscito a trovare Gabriel e questo il più giovane degli Arcangeli lo sapeva piuttosto bene.
“Come mi hai trovato?” chiese decidendo che quella potesse essere senza dubbio una domanda migliore, la cui risposta gli sfuggiva.
Umabel, in silenzio, assaggiò la torta di ciliegie. Non sentiva nessun sapore, non sapeva che sapore avesse una torta di ciliegie, né il succo di mirtillo, né nessun'altra cosa. Avrebbe potuto aggiungerlo alla lista “cose da invidiare agli umani”. Ed era una lista davvero lunga.
Umabel, tra le altre cose, invidiava il fatto che gli umani sapessero godersi le piccole cose, come una torta, ma loro, gli angeli...loro non potevano godersi niente.
Non potevano provare niente.
Buttò giù un secondo boccone, poi si voltò, guardandolo negli occhi per la prima volta dopo tanto tempo. Il tramite di Gabriel aveva un volto buffo, ma di aspetto gradevole e Umabel si ritrovò a sorridere. Provò una strana sensazione agli occhi che iniziarono a pizzicargli. Si erano fatti lucidi e in quel momento si sentì davvero umano “Non è stato difficile. Non ti vedo da millenni ma riconosco il tuo senso dell'umorismo, sebbene si sia adattato ai tempi” disse ridendo appena.
Gabriel non represse un sorriso divertito, non avrebbe nemmeno fatto in tempo se lo avesse voluto “Anche se ci ho messo parecchio tempo” continuò Umabel e l'Arcangelo rise appena “Ci hai messo millenni!” lo canzonò e Umabel lo guardò con aria colpevole “Solo qualche anno” ammise. Improvvisamente si sentì in colpa per non averlo cercato subito, per non essergli stato accanto e non averlo aiutato ma quando Gabriel aveva deciso di scappare, Umabel non aveva capito quanto suo fratello avesse bisogno di aiuto. D'altronde Gabriel non lo aveva mai chiesto, se ne era andato e basta.
Con evidente imbarazzo afferrò il proprio bicchiere e bevve un sorso del succo di mirtillo. Percepì il fresco della bevanda, ne sentì la consistenza, ma il sapore continuava a non sentirlo. Guardò il liquido scuro come se dentro potesse trovarci delle risposte e Gabriel sospirò “Ti ci abituerai col tempo. Sempre se rimarrai. In quel caso perché non ti cerchi un tramite più carino?” disse senza mai lasciare da parte il suo umorismo. Umabel abbassò il capo per guardarsi e si toccò il viso come per ricordare che aspetto avesse il suo tramite “In effetti non mi sento a mio agio qui dentro. E vorrei che continuasse a fare il suo lavoro: è un avvocato che aiuta i più bisognosi” spiegò mentre con la forchetta torturava la fetta di torta. Gabriel fece uno strano sorriso “Si chiama Matt Murdock?” domandò ridacchiando. Umabel lo guardò con aria spaesata, aggrottando le sopracciglia “No, si chiama Joshua Robertson” rispose con serietà. L'Arcangelo scoppiò a ridere sotto lo sguardo interrogativo del fratello “Roba da Umani” spiegò il maggiore e Umabel fece un dolce sorriso che si spense alle successive parole del fratello “Sai che non posso aiutarti, vero?” gli disse.
Lo sguardo di Umabel si rabbuiò “Quindi Dean Winchester continuerà a fare la vita del Cacciatore?” domandò. La voce era flebile e ben poco si addiceva alla mole del suo tramite. Ancor meno a quella della sua Grazia che Gabriel era perfettamente in grado di vedere.
Gabriel si strinse nelle spalle “Non lo so e non lo sai nemmeno tu. Veglia si di lui, Mabe. Veglia su tutti i tuoi protetti” disse. Avrebbe tanto voluto dirgli di non commettere il suo stesso errore e di non scappare, ma era troppo codardo anche solo per ammettere che il suo era stato uno sbaglio. Non lo ammetteva nemmeno a se stesso.
Umabel rimase a fissare gli occhi ambrati del fratello in silenzio. Si sentì immensamente solo nel rendersi conto che non avrebbe potuto seguire Gabriel ora che non si sentiva più a casa in Paradiso.
Annuì mestamente e ancora una volta la tristezza lo pervase “Ora devo andare, ma tornerò a trovarti se lo vuoi” disse prendendo una banconota da venti dollari e posandola accuratamente sul bancone. Gabriel sorrise “Ti aspetterò, Mabe” disse e fu una di quelle rare volte in cui non usò il suo sarcasmo. Umabel si alzò e prese un grosso respiro, restio a salutare il fratello ritrovato. Lo guardò, registrò ogni più piccolo particolare del suo nuovo tramite e poi si voltò salvo per fermarsi ancora una volta “Mi sei mancato, Gabe” disse prima di andarsene.
Gabriel rimase a fissare il vuoto lasciato dal fratello per alcuni istanti “Anche tu, Mabe. Anche tu” mormorò tra sé e sé consapevole che Umabel non potesse sentirlo.
Per quel giorno era stato troppo sentimentale, mise da parte l'Arcangelo, tirò fuori la sua non più tanto nuova natura di Trickster amante dei dolci e finì la torta di ciliegie lasciata da suo fratello.
2001
La musica era assordante. Amethyst e Alice si agitavano sui sedili dell'auto che sfrecciava a velocità moderata verso Amity, in Arkansas.
A nulla sembravano servire le suppliche di Lucas di abbassare il volume. Era il loro secondo giorno di viaggio e l'abitacolo della Ford Mustang Cobra Jet del '69 - rigorosamente di seconda, forse anche terza, mano - che Blake aveva regalato a sua figlia per il suo diciottesimo compleanno, era stato ininterrottamente riempito da musica rock a tutto volume. Di conseguenze le orecchie di Lucas non avevano avuto un attimo di tregua “Ma almeno mi avete sentito?” chiese dopo l'ennesima supplica, affacciandosi tra i due sedili anteriori. Con quella domanda il ragazzo peggiorò la situazione perché le due amiche iniziarono a cantare a squarciagola.
She's my cherry pie
Cool drink of water such a sweet surprise
Tastes so good make a grown man cry
Sweet cherry pie oh yeah
She's my cherry pie
Put a smile on your face ten miles wide
Looks so good bring a tear to you eye
Sweet cherry pie yeah*
Lucas si afferrò ai sedili, lo sguardo spiritato, anzi, terrorizzato dritto verso la strada “Ame, potresti andare più piano?” chiese, rendendosi conto che la voce gli tremava. La bionda rise, continuando a cantare, incurante di tutto, insieme a Alice. Agitò le braccia e Lucas si sentì il cuore in gola “Le mani sul volante!” strillò, rifilando un'occhiataccia alla spericolata autista “Oddio, ti prego, guarda la strada” piagnucolò infine, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Amethyst rise, gettando appena la testa all'indietro, ma obbedì all'amico: mani sul volante, sguardo sulla strada. Alice si premurò invece di abbassare il volume e, ancora scossa dalle risate, si voltò verso l'amico “Sei la voce della nostra coscienza. Il nostro Grillo Parlante. Grazie di esistere” disse allungando una mano per afferrargli una guancia.
Lucas si scostò da quel tocco, apparentemente infastidito e sbuffò “Ricordatemi perché stiamo sprecando il nostro primo week-end libero dalla scuola per andare in una cittadina di settecento abitanti” si lamentò, sprofondando sul sedile della macchina.
Alice fece un largo sorriso “Perché Amethyst vuole posare nuovamente gli occhi sul culo di Dean Winchester” disse in tono eccitato. Si beccò un leggero pugno sul braccio da parte dell'amica, le cui guance si erano colorate appena perché in fin dei conti quella di Alice non era propriamente una bugia.
Lucas ridacchiò appena e stuzzicò Amethyst piantandole poco delicatamente un dito nella guancia destra che lei scostò malamente “Voglio solo riabbracciare dei vecchi amici che non vedo da un po'” puntualizzò stizzita. La presa sul volante si fece più salda, tanto da far sbiancare le nocche, ma né Alice, né Lucas parvero accorgersene “Sì, certo, ma vuoi riabbracciare soprattutto Dean. Ti capisco, sai? È così sexy!” ribatté prontamente con aria sognante.
Lucas tornò a posare le spalle sullo schienale del sedile, incrociò le braccia al petto e sbuffò “Non capisco cosa ci troviate in uno come lui. Non mi sembra poi tanto diverso dai Troy Acosta” disse osservando il paesaggio che fuori dal finestrino scorreva veloce.
Amethyst lanciò un'occhiata allo specchietto retrovisore, reprimendo una risata nel vedere l'espressione imbronciata dell'amico “Può sembrarlo all'apparenza, ma è totalmente diverso da quel coglione. Tu non lo conosci come lo conosco io” disse come a rassicurarlo.
Amethyst pensava davvero quelle parole: Dean Winchester si comportava spesso da idiota, non stava mai con la stessa ragazza per più di una settimana e faceva il duro, ma aveva quello che si poteva definire un cuore d'oro, era coraggioso, divertente e persino intelligente anche se tendeva a non mostrare troppo quel suo lato di sé.
Mezzora dopo arrivarono finalmente a destinazione.
La Mustang era sul punto di rallentare nei pressi di un motel, ma non appena Amethyst vide la figura di suo padre troppo intenta a cercare di guardare nell'abitacolo della macchina, accelerò nuovamente e alzò il volume della musica come se questa potesse effettivamente nasconderla da lui “Cazzo, cazzo, cazzo” disse a denti stretti mentre si faceva sempre più piccola contro il sedile.
Alice la guardò accigliata, si voltò verso il parcheggio del motel dove vide Blake Dalton salire in fretta e furia sul suo pulmino bicolore, poi tornò a guardare l'amica “Ci stai dicendo che tuo padre non sapeva niente di questa piccola innocente gita?” chiese in tono sarcastico, ormai consapevole che quella gita, con tutta probabilità, non aveva proprio niente di innocente.
Lucas si lasciò sfuggire un lamento, portandosi una mano alla fronte in un gesto abbastanza disperato: Blake Dalton gli metteva addosso una paura fottuta, forse a causa della sua mole o forse a causa del suo sguardo perennemente duro o forse, e molto più probabilmente, a causa di entrambi.
Amethyst guardò dallo specchietto retrovisore il pulmino che si avvicinava sempre di più e accostò, fermando finalmente l'auto.
Sospirò, tenne le mani strette sul volante e posò la testa contro di esso, mormorando delle scuse agli amici mentre saliva l'ansia crescerle nel petto.
-Sono una tale cogliona- si ripeté mentalmente più volte. Sapeva che ci sarebbe stato suo padre, sapeva anche che si sarebbe arrabbiato nel trovarsela lì, ma nel momento in cui prese l'infelice decisione di partire per Amity, andare contro suo padre e rischiare la sua ira non le sembrava una prospettiva così terribile se quello voleva dire poter rivedere Dean Winchester.
“Voi state zitti” disse ai due amici, mentre scendeva dall'auto.
Non fece in tempo a fare nemmeno un passo che suo padre era già di fronte a lei, furente di rabbia “Volevo solo salutare i ragazzi” si affrettò a dire lei, esibendo il suo miglior sorriso. Blake serrò la mascella e si passò una mano sul viso: era evidente che stesse trattenendo la sua rabbia “Sali sulla tua auto e vai immediatamente al motel” disse in un sibilo prima di fare marcia indietro e salire sul pulmino bianco e blu che gli apparteneva da decenni.
Amethyst fece come ordinato e non appena Lucas cercò di parlare, lei lo zittì subito. Nei pochi chilometri che li separavano dal motel, nell'abitacolo regnò il silenzio più assoluto.
***
Amethyst era seduta sulla scalinata del motel, aveva le ginocchia al petto e il naso posato su una di esse mentre guardava le proprie mani afferrare la punta in gomma - un tempo bianca - delle sue Converse.
“Hey, tutto bene?” Non si voltò nel sentire la voce di Lucas alle sue spalle, aspettò semplicemente che il ragazzo si sedesse accanto a lei “Alice è andata a comprare la cena. Patatine fritte incluse” la informò lui mentre prendeva posto.
Amethyst si lasciò sfuggire una risata priva di allegria “Avete sentito l'animata discussione tra me e mio padre” non era una domanda, probabilmente li aveva sentiti chiunque nel raggio di due miglia e la bionda sapeva perfettamente che le patatine fritte servivano a tirarle su il morale.
Lucas si strinse appena nelle spalle e spostò lo sguardo dall'amica verso l'orizzonte: il sole era sparito dietro i palazzi colorando il cielo sgombro di nubi di svariati colori. “Tuo padre non può obbligarti ad iscriverti al college se non vuoi, ma ha reagito così perché ci tiene a te” disse il ragazzo, continuando a guardare davanti a sé.
Amethyst inarcò un sopracciglio e lo guardò come se pensasse che fosse davvero stupido “Grazie, Lucas! Non ci sarei mai arrivata se non fosse stato per te” disse ironica. I due giovani scoppiarono a ridere insieme e non appena Alice tornò dalla tavola calda, cenarono tutti e tre insieme sulle scalinate per volere di Amethyst.
Nella stanza del motel infatti, i Winchester e Blake stavano discutendo sull'ennesimo caso di caccia e Amethyst voleva che i suoi amici rimanessero all'oscuro di tutto, come era sempre stato.
Qualche ora dopo, Lucas e Alice, stravolti, si rintanarono nella camera tripla che avevano affittato mentre Amethyst decise di rimanere ancora un po' all'aperto.
Venne raggiunta da Sam che le propose di fare un giro nella cittadina. La ragazza accettò solo perché il minore dei Winchester le aveva detto che aveva delle novità.
Si sedettero in una panchina del piccolo parco deserto e Sam fece un enorme sorriso che rassicurò Amethyst tanto da farle tirare un sospiro di sollievo “Avanti, non tenermi ancora sulle spine se è così una bella notizia!” esclamò dandogli una lieve spinta.
Sam non attese oltre “Sono stato ammesso a Stanford” disse facendo congelare il sorriso sul volto di Amethyst che rimase in silenzio per alcuni minuti.
Sam la guardava come se la stesse supplicando di dire qualcosa “John e Dean lo sanno?” domandò lei.
Non erano le prime parole che Sam si era aspettato di sentire: si aspettava delle congratulazioni, un abbraccio condito dalla risata allegra tipica di Amethyst.
“Ancora no” rispose finalmente lui, con lo sguardo basso.
Non si sentiva in colpa nei confronti della sua famiglia, non voleva sentirsi in colpa perché desiderava una vita normale.
Fece un verso stizzito per il nuovo silenzio dell'amica e si alzò dalla panchina “Tu sei fortunata! Vorrei un padre come Blake” disse allargando le braccia, visibilmente nervoso “Hai la possibilità di vivere lontana da tutto lo schifo che si portano dietro i Cacciatori e invece ti ci butti dentro a capofitto solo per metterti in mostra con Dean!”
Gridò quelle parole con rabbia, forse perché una parte di sé provava invidia nei confronti di Amethyst che aveva un padre che teneva alla sua istruzione e che non la trattava come se fosse un soldato.
Amethyst si alzò di scatto dalla panchina e spintonò l'amico “Tu non hai capito proprio un cazzo. Credi sul serio che lo faccia per mettermi in mostra con Dean?” gridò a sua volta “E non dirmi anche tu cosa devo fare della mia vita. Non è affar tuo se non voglio andare al college e solo perché sai perfettamente che tuo padre si arrabbierà per la tua scelta, non devi prendertela con me” disse a denti stretti.
Sam rimase in silenzio ad osservarla, riprese fiato e si portò una mano ai capelli, tirandoli indietro “Non dire niente a Dean” disse in un tono che non ammetteva repliche.
Amethyst strabuzzò gli occhi per quella richiesta che aveva tutta l'aria di essere un ordine e poi rise amaramente “Sono molto tentata di farlo, ma non pugnalo alle spalle quelli che considero una famiglia” quella poteva sembrare una frecciatina e forse, almeno in parte, lo era.
Sam fece per parlare nuovamente ma Amethyst lo fermò con un gesto della mano “Non sono arrabbiata perché tu hai deciso di andartene e di vivere una vita normale. Sono arrabbiata perché ancora non ne hai parlato con tuo padre e tuo fratello. Più aspetti e più per loro sarà doloroso, ma a questo non ci hai pensato, vero Sam?” disse velenosa.
Non aspettò una risposta, tornò semplicemente al motel, da sola.
***
La luce debole della lampada illuminava le pagine del libro in cui, sino a pochi momenti prima, Alice era assorta. La testa della ragazza iniziò a ciondolare lentamente e lei si riscosse non appena il mento toccò il petto. Sbatté le palpebre più volte nel tentativo di mettere a fuoco ciò che la circondava e chiuse il libro posandolo poi sul comodino.
Assonnata diede un'occhiata fuori dalla finestra. Era notte fonda, fuori la strada era illuminata dai lampioni e dalla luce al neon tremolante dell'insegna del motel.
Assottigliò lo sguardo quando scorse nel parcheggio la figura di un grosso cane dal manto nero che sembrava contorcersi. Incuriosita si alzò dal letto e si avvicinò ala finestra per osservare meglio l'animale, ma d'improvviso quello si trasformò sotto i suoi occhi in un essere umano.
Alice urlò e cadde a terra, incespicando nelle sue stesse gambe. Il suo sedere non aveva ancora sbattuto sulla moquette verde scuro della stanza che Amethyst era già balzata in piedi.
Persino durante il sonno, la giovane Dalton rimaneva all'erta. Non era stato difficile per lei svegliarsi all'istante e mettersi subito in guardia, in fin dei conti ci era abituata. Anzi, si era allenata praticamente per tutta la vita, ma suo padre, ovviamente, non ne aveva la minima idea.
Da quel momento in poi successe tutto molto velocemente.
Amethyst, tra le mani, stringeva una pistola e si precipitò subito alla finestra mentre Lucas, svegliato anche lui dall'urlo di Alice, si mise a sedere sul letto “Che è successo?” chiese con voce impastata dal sonno, tenendo gli occhi chiusi.
Alice fissava la figura di Amethyst - in particolar modo la sua pistola, a dire il vero - intenta ad osservare fuori dalla finestra, ma le uniche cose che vide furono le auto dei pochi clienti del motel.
Si voltò quindi verso l'amica “Che cosa hai visto? Perché hai urlato?” chiese in tono concitato, avvicinandosi a lei, ancora in terra.
Alice deglutì a vuoto “Hai una pistola! Perché hai una pistola?” disse con voce tremante - e fu in quel momento che Lucas aprì finalmente gli occhi - ma Amethyst ignorò la sua domanda.
“Dimmi che cosa hai visto” disse decisa “Chi è che ha una pistola?” Lucas parlò nello stesso momento, ma Amethyst lo zittì con un gesto della mano, continuando a guardare Alice negli occhi che, finalmente, iniziò a parlare.
“U-un cane, ma poi è diventato un uomo. Me lo sono sicuramente immaginato” ridacchiò in maniera nervosa, alzandosi da terra e sfoderando un sorriso all'amica come a chiedere conferma delle ultime parole.
Perché Alice era fermamente convinta di essersi immaginata tutto, non poteva aver visto davvero una cosa simile.
Amethyst non parlò, si umettò le labbra e sospirò, scuotendo il capo. Rimase in silenzio alcuni istanti, poi si avviò alla porta “Voi rimanete qui” ordinò uscendo dalla stanza, ancora scalza e con indosso ciò che aveva usato per dormire.
“Hey! Perché hai una pistola?” la voce di Alice le arrivò ormai lontana e non sentì le parole di Lucas “Amethyst ha una pistola?”.
Amethyst bussò nelle camere occupato da suo padre e da John, Dean e Sam “Skinwalker” disse semplicemente non appena tutti i Cacciatori le furono di fronte.
Lucas e Alice si affacciarono dalla loro stanza “Che cos'è uno Skinwalker?” chiesero all'unisono “E perché hai una stramaledetta pistola?” aggiunse Alice, sull'orlo di una crisi isterica.
Amethyst chiuse gli occhi, consapevole che stava per trascinare i suoi migliori amici in un mondo orribile, quello reale che loro avevano visto solo nei film horror.***
Alice, seduta sul letto, guardava davanti a sé. Non vedeva per davvero Blake Dalton e non sentiva nemmeno ciò che le stava chiedendo insistentemente da almeno cinque minuti.
“Che aspetto aveva il cane?” nessuna risposta, la ragazza era sotto shock.
“Hey ragazzina!” sbottò l'uomo, schioccandole le dita davanti al viso. Amethyst si mise tra loro, scacciando via il padre e sorridendo all'amica.
Le prese il viso tra le mani con delicatezza “Alice, che cane era quello che hai visto? È importante che tu me lo dica” disse in tono dolce, sotto lo sguardo attento, ma confuso, di Lucas.
Anche lui, come Alice, non si capacitava di ciò che era appena venuto a sapere: i mostri erano reali. Tutti i mostri con cui lui era fissato a causa dei suoi amatissimi film horror erano reali. Anzi, quelli reali erano persino di più.
Alice sbatté le palpebre e mise finalmente a fuoco Amethyst “Era nero. Un pastore belga nero” mormorò. Amethyst annuì e le sorrise di nuovo “Bravissima. E l'uomo che aspetto aveva?” chiese.
Alice deglutì a vuoto e prese un grosso respiro prima di concedersi il lusso di rispondere, tanto che Blake e John cominciavano a spazientirsi “Era molto alto. E ben piazzato. I capelli erano scuri e aveva un tatuaggio nella schiena, ma non sono riuscita a capire cosa fosse” disse, sorprendendosi di se stessa per tutti quei particolari che non credeva neanche di aver visto.
Amethyst le schioccò un bacio sulla fronte “Sei stata fantastica” le disse regalandole poi un largo sorriso. Alice rispose al sorriso con uno più tirato e insicuro: era sull'orlo della lacrime e Amethyst la guardò come se la stesse implorando di non piangere.
John Winchester caricò la propria pistola con proiettili d'argento e lo stesso fece Blake Dalton prima di voltarsi verso sua figlia con uno sguardo carico di rabbia “Tu rimani qui. E non voglio sentire storie” ma Amethyst era già pronta a ribattere.
Fu Dean a fermarla, posandole una mano sulla spalla con ferrea dolcezza, le porse alcuni proiettili d'argento e sospirò, ricercando il suo sguardo che lei prontamente sollevò su quello del ragazzo “Hey, perché tu e Sam non rimanete qui? Quel bastardo potrebbe sempre tornare da queste parti” e quel sorriso che le rivolse per lei fu annientamento ed estasi al contempo.
Ricambiò il sorriso con uno che sapeva di amara sconfitta, ma sapeva benissimo perché Dean le avesse detto quelle parole. C'erano tanti motivi dietro e Amethyst li sapeva tutti.
Quando i tre cacciatori più grandi uscirono dalla stanza armati delle loro pistole, tra quelle quattro pareti calò un silenzio assordante se non fosse per i bisbigli di Alice e Lucas. Sam, pistola alla mano, guardava fuori dalla finestra all'erta, pronto a scattare nel caso lo Skinwalker si fosse fatto vivo.
Alice e Lucas fissavano invece Amethyst con quello sguardo che lei non avrebbe mai voluto vedere sui loro volti. Vi era paura, sgomento e persino un velato ribrezzo che lei percepì comunque. I due si scambiarono uno sguardo, annuirono e poi si avvicinarono a lei. Alice la guardò con fermezza, Lucas con una nota di tristezza in quegli occhi che erano sempre stati vivaci.
“Noi torniamo a casa, c'è un pullman circa un'ora”. Fu Alice a parlare, la voce appena tremante che faceva percepire quella paura che l'aveva avvolta. Paura di quello strameledetto Skinwalker, paura delle bugie, paure della stessa Amethyst.
La giovane cacciatrice guardò l'amica con occhi sgranati, confusa o forse impaurita da ciò che lo sguardo di Alice, così come quello di Lucas, lasciava trapelare “Posso accompagnarvi io domani mattina” disse e la voce le uscì meno sicura di come avrebbe voluto.
Alice fece un cenno di diniego col capo e non aggiunse una parola, si voltò semplicemente verso Lucas, il quale annuì nuovamente prima di fare un cenno di saluto ad Amethyst e a Sam e uscire insieme ad Alice dalla stanza del motel per dirigersi nella stanza che avevano affittato insieme a recuperare i bagagli.
Amethyst rimase sulla soglia della porta ad osservare le figure dei due amici prima di scorgere una figura nera che avanzava veloce verso di loro.
Con uno scatto fulmineo, Amethyst raggiunse i suoi amici, seguita da Sam, e allontanò Alice con una spinta, facendola cadere per terra. Cadde a terra a sua volta, sovrastata dal pastore belga nero che riuscì a graffiarle la spalla, facendola gemere di dolore. Non sentì le grida di Alice, troppo intenta a cercare di recuperare la propria pistola, scivolatale di mano, non sentì nemmeno lo sparo con il quale Sam aveva mancato di poco lo Skinwalker, ma seppur dolorante riuscì a prendere la propria pistola e sparare un colpo al fianco dell'animale che le cadde addosso, nuovamente in forma umana.
Alice gridò di nuovo, Lucas era al suo fianco e Sam aiutò Amethyst a scrollarsi di dosso lo Skinwalker ormai privo di vita.***
Erano tutti nella stessa stanza. John, Blake e Dean erano tornati dopo che Sam li aveva chiamati dicendo loro che Amethyst era riuscita ad uccidere lo Skinwalker.
Dean le aveva sorriso e l'aveva stretta a sé stando bene attento a non toccarle la ferita alla spalla. Si complimentò con lei, dicendole di essere orgoglioso, ma quel sorriso appena accennato di Amethyst gli fece capire che c'era qualcosa che non andava.
Solo in un secondo momento Dean capì del perché dell'umore nero dell'amica.
“Come ho detto, noi torniamo a casa. Il pullman passerà tra poco”. La voce gelida di Alice lasciava poco spazio ad altre interpretazioni che non fossero quella reale. Era arrabbiata, sconvolta, spaventata. Spaventata da ciò che celava il buio, spaventata da quell'amica che conosceva da una vita ma che, alla fine dei conti, non conosceva affatto. Forse non poteva nemmeno definirla amica.
“Alice, aspetta...” fu il tentativo di Amethyst di fermarla, trattenendola per un braccio che la mora ritrasse subito.
“No, Amethyst! Basta! Hai idea di quello che ho passato stanotte?” e per quanto Amethyst sapesse che quella era una domande retorica, combatté con se stessa per non risponderle. Perché lei, quello che l'amica aveva passato quella notte, lo viveva da quando era una bambina. Ma Amethyst rimase in silenzio, guardando l'amica con una tristezza negli occhi che di rado, per non dire mai, le apparteneva.
Lucas non disse una parola, guardò Amethyst deglutendo a vuoto, poi cinse le spalle di Alice con un braccio e abbandonarono la stanza, diretti alla stazione dei pullman.
Amethyst, ancora una volta, li guardò allontanarsi, rimanendo sulla soglia della porta. Sobbalzò appena quando Dean le sfiorò il braccio con delicatezza “Vieni, medichiamo questa ferita, che ne dici?” Amethyst annuì, si richiuse la porta alle spalle e si sedette sul letto, accanto a Sam. Il ragazzo aveva il capo chino, era stanco e provato da tutto quello.
In parte immaginava cosa stesse passando Amethyst in quel momento, ma la sua mente era ormai invasa da un unico pensiero: come dire a suo padre e a suo fratello dell'ammissione a Stanford.
Si era chiuso in se stesso e nemmeno si rese conto di quando Blake rimproverò Dean con tono tutt'altro che bonario quando il ragazzo si propose di medicare la ferita di Amethyst “Tieni le mani a posto, ragazzo. Ci penso io” Dean lo guardò perplesso, Amethyst sospirò contrariata, ma nessuno osò aggiungere altro, nemmeno John che lanciò uno sguardo ammonitore al figlio maggiore, prima di posarlo curioso e indagatore su Sam.
I Winchester si spostarono nella camera adiacente, lasciando Blake e Amethyst da soli.
Amethyst li aveva guardati allontanarsi con occhi quasi supplichevoli, aspettandosi una sfuriata del padre che però non avvenne.
“Sei stata brava, questa sera. Ma sai che non cambierò mai idea” le disse prima di posarle un bacio sulla fronte. Amethyst sorrise appena “Sì, ma al college non ci voglio andare comunque. Mi annoierei” mormorò, consapevole forse che sarebbe stata costretta a vivere l'avventura del college da sola. Aveva la sensazione che Alice e Lucas la mettessero da parte, che non avessero più intenzione di vederla.
Nemmeno la mattina dopo Amethyst sembrò trovare il sorriso, turbata da ciò che era successo e anche dal discorso fatto con Sam la sera precedente. Dean l'aveva osservata a lungo, immaginando cosa le passasse per la testa e con quel suo tipico fare scanzonato l'affiancò sorridendole “Hey, scheggia. Torta di ciliegie per colazione?”.
Solo in quel momento Amethyst ritrovò il sorriso, rivolgendone a Dean uno luminoso come era solita fare “Torta di ciliegie” affermò con la gratitudine nello sguardo. Anche nelle piccole cose Dean Winchester sapeva essere il suo eroe.
Note dell'autrice: * è il ritornello della canzone dei Warrant che da il titolo alla storia. E il riferimento continuo alla torta di ciliegie si rifà sempre a quello.
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Capitolo 6 *** Bad Company ***
Bad Company
Da
quell'incontro in quella tavola calda con Gabriel, avvenuto circa due
anni prima, Umabel non era più tornato in Paradiso, non era
più
tornato a casa.
Non lo sentiva più casa, dopotutto.
Si sentiva
estraneo, distaccato, incompreso.
Più passavano gli anni più
questo si faceva evidente.
Nemmeno Haziel gli era di conforto,
colui che più di tutti avrebbe dovuto capirlo.
Sam Winchester, il
suo protetto, soffriva tanto quando Dean. Soffriva in maniera diversa
dal fratello maggiore, ma soffriva. Terribilmente.
Era anche
capace di darlo a vedere maggiormente, dimostrando quel malessere che
si portava dietro sin da quando era un bambino, ma Haziel non
sembrava particolarmente turbato dalla cosa.
L'ultima volta che
Umabel lo aveva visto, Haziel si era stretto nelle spalle, aveva
accennato un sorriso e lo aveva guardato “È
cosi che deve essere, quindi perché dovrei preoccuparmi?”
Quelle parole avevano turbato Umabel nel profondo e solo
successivamente si rese conto che furono proprio quelle - e non
soltanto la spasmodica ricerca di Gabriel - a spingerlo a scappare,
ad abbandonare quella casa che non era più un rifugio.
Dopo
Gabriel altri angeli avevano abbandonato il Paradiso, nel silenzio
più totale.
Lo sapevano tutti, ma nessuno ne parlava.
E quel
Padre tanto venerato non era mai intervenuto, lasciandoli fare,
lasciandoli al loro destino che scritto o meno sembrava sancire la
loro fine. O meglio, la fine della loro eterna missione: salvare
l'Umanità.
Con quei pensieri che gli affollavano la mente,
confuso come mai era stato prima d'ora, spaventato come mai gli era
capitato, Umabel andava da un tramite all'altro, sentendosi
braccato.
Erano sulle sue tracce e si chiese perché tra tutti gli
angeli che avevano lasciato il Paradiso, stessero cercando proprio
lui.
Forse era vero che essere l'Angelo Custode di Dean Winchester
era un ruolo importante, ma se non poteva proteggerlo per davvero che
senso aveva stare appollaiato sulle nuvole ad osservarlo mentre egli
soffriva?
2003
“Ancora
non ho capito perché ti sto permettendo tutto questo.”
Nella
voce di Blake Dalton, così come nel suo sguardo, c'erano
tante cose.
Amarezza, tristezza, ma anche uno sconfinato orgoglio e forse persino
una punta di divertimento.
“Perché
ad individuare il problema sono più brava e più
veloce di te.”
Nella
voce di Amethyst Dalton, così come nel suo sguardo, invece
non vi
era nient'altro che puro orgoglio.
Blake sorrise, ma si lasciò
andare ad un sospiro che lasciava trapelare la sua rassegnazione.
Non
si era ancora abituato al fatto che sua figlia lo accompagnasse
durante la caccia, ma non poteva negare quanto fosse in gamba.
Era
attenta, meticolosa, forte.
Negli anni precedenti non si era reso
conto di quanto Amethyst si allenasse costantemente e Blake si chiese
se non avesse dato la caccia a qualche mostro in solitaria o in
compagnia di qualche altro cacciatore, magari Dean Winchester, senza
renderglielo noto.
“Non
posso negarlo. Quindi abbiamo a che fare con degli Oni...Avremo
bisogno di rinforzi.”
Gli
Oni - che apparivano come semplici umani a meno che non si
presentassero nella loro reale forma con corna, artigli e un terzo
occhio - erano creature potenti e scaltre, creature demoniache
originarie del Giappone che presentavano più poteri e
abilità che
debolezze. Affrontarli in due sarebbe stato sciocco e
inutile.
Amethyst sorrise, quella luce negli occhi a far capire al
padre quanto lei si trovasse a suo agio in tutto quello, quanto non
avesse paura.
Blake lo trovava disturbante in un certo senso.
Avrebbe voluto che sua figlia seguisse orme differenti dalle sue, ma
Amethyst era più testarda di chiunque altro avesse mai
conosciuto,
più testarda di lui e a niente erano serviti i rimproveri,
le
litigate, le preghiere per tenerla lontana da quel mondo ostile,
pericoloso, mortale.
Se non altro lui era sempre lì, a guardarle
le spalle, pronto a salvarla al primo pericolo.
“Ho
già chiamato i Winchester e Bobby Singer.”
A
quella affermazione, Blake inarcò entrambe le sopracciglia,
sorpreso
- anche se non avrebbe dovuto esserlo - dalla prontezza della figlia.
Sembrò persino divertito, perché se era sorpreso
dal fatto che
la figlia avesse già chiamato qualcuno per aiutarli, non si
sorprese
affatto di chi avesse chiamato.
“Bobby
Singer. E i Winchester, eh?”
Perché
Blake lo aveva sempre notato: quando c'erano i Winchester nei
paraggi, Amethyst appariva sempre più allegra del solito.
“Bobby
è un genio e i Winchester sono i cacciatori migliori che
conosciamo e
hanno già affrontato degli Oni.”
***
Il rombo del motore dell'Impala di John Winchester era
ancora inconfondibile.
Ma Amethyst non era più una ragazzina, non
si sarebbe precipitata fuori per saltare in braccio a Dean
Winchester.
Attese, mascherando l'emozione dietro un sorriso furbo
sotto lo sguardo indagatore di suo padre.
Nemmeno quel bussare
lento la fece balzare dalla sedia. Si alzò semplicemente con
grazia,
andando ad aprire per poi sorridere ai tre uomini che le si paravano
davanti.
Bobby, con il suo cappellino calato in testa, l'aria
burbera dietro la barba non troppo curata.
John, con lo sguardo
vivido, il sorriso velato di tristezza che formava quelle fossette
nelle sue guance.
Dean, con quell'aria di sicurezza, il sorriso
sfrontato e gli occhi smeraldini. Ancora più bello
dell'ultima volta
che si erano visti.
Blake sbucò alle spalle della figlia e
allargò appena le braccia, lasciandosi andare ad una breve
risata
che sapeva di speranza, confortato nel vedere quei volti
conosciuti.
“Mia
figlia ha messo su proprio una bella squadra!”
esclamò entusiasta.
“Questo
perché è più in gamba di te.”
Bobby
non si curò affatto di nascondere ciò che pensava
mentre
abbracciava Amethyst che, dal canto suo, se la rideva
soddisfatta.
“Ritiro
quello che ho detto, questa è proprio una cattiva compagnia*.”
ed era incredibile come la risata di Blake Dalton potesse mettere
buonumore a chiunque, nonostante il suo essere burbero, perfino
più
di Bobby Singer, e incazzato per la maggior parte del tempo.
Poi
Amethyst abbracciò brevemente John e infine Dean.
E come al
solito si perse in quell'abbraccio, in quell'odore tipico di lui, di
pelle, polvere da sparo e bagnoschiuma.
“Hey,
scheggia.”
“Dovresti
smetterla di chiamarmi in questo modo.”
si lamentò scherzosamente lei, sciogliendo l'abbraccio.
E Dean
non poté fare a meno di guardarla.
La osservò come se volesse
soppesare l'affermazione di lei e si rese conto che quel nomignolo
che lui le aveva affibbiato quando era ancora una bambina, non le
rendeva di certo giustizia.
“In
effetti...”
mormorò
con quel pizzico di ironia che raramente metteva da parte ma con una
smorfia compiaciuta che gli fece guadagnare un lieve pugno sulla
spalla da parte della bionda, che nascose prontamente il rossore che
si era impadronito delle sue gote.
Perché Amethyst Dalton non
era più una ragazzina, ma i sentimenti per Dean Winchester
non si
erano affievoliti col passare degli anni.
***
Il
tavolino della stanza del motel era ingombro di bottiglie di birre
vuote e appunti, ma Bobby Singer era molto più interessato a
una
foto che ritraeva un uomo sulla cinquantina dai capelli brizzolati e
i lineamenti marcati “Siete
sicuri si tratti di lui?”
chiese.
Amethyst annuì con espressione seria e decisa.
“Sì.
Circa vent'anni fa Fred Wilkinson era in questa stessa cittadina.
Anche allora si verificarono alcuni disastri, uno dietro l'altro.
Ross era sulle sue tracce, lo aveva identificato.”
Bobby inarcò un sopracciglio “Ross
Clayton?”
La
bionda annuì nuovamente e non le sfuggì il
sorriso sghembo di Bobby
da sotto la folta barba.
“E
tu hai chiamato noi e non Ross?”
“Ross
se lo è fatto sfuggire. Voi tre avete già
affrontato e ucciso degli
Oni. Nessuno prima di voi era mai riuscito nell'impresa.”
L'orgoglio
parve dilagare tra i tre cacciatori, specialmente nel più
giovane.
Dean Winchester non aveva neppure compiuto 24 anni, ma
era già riuscito laddove prima di lui tutti avevano fallito.
Poteva
permettersi di dimostrare quell'orgoglio in qualità di primo
cacciatore ad aver ucciso un Oni. Dopotutto era grazie a lui se ora
si sapeva come uccidere quelle creature: colpire il loro terzo
occhio, posto appena sotto l'attaccatura dei capelli.
Affiancò la
ragazza, posandole un braccio sulle spalle mentre sul suo volto si
faceva spazio un sorriso strafottente “Allora,
Blake, ancora convinto che siamo una cattiva compagnia?”
Blake
rise appena, sistemando alcuni fogli delle ricerche fatte da Amethyst
“Sì. Tu soprattutto.
Hai una cattiva
influenza su mia figlia, Winchester. Era una bambina dolce e carina
prima di conoscerti. E leva quel braccio da lì.”
Dean
sollevò le mani in segno di resa, Amethyst
sollevò gli occhi al
soffitto cercando di nascondere il fastidio provato per le parole di
suo padre che per quanto dette in tono divertito, secondo lui
rappresentavano la realtà.
Non poteva dare le colpe a Dean
Winchester, il carattere che lei stessa sapeva essere a volte
difficile, non glielo aveva di certo forgiato lui.
Amethyst Dalton
era sempre andata per la sua strada, aveva sempre deciso da sola, a
prescindere da Dean Winchester.
“Forse
è meglio concentrarsi sul caso.”
John
aveva dato voce ai pensieri di tutti. Non potevano perdersi in
inutili chiacchiere e tutti sapevano che avrebbero dovuto agire in
fretta.
“Amethyst,
sai perché è tornato proprio qui?”
John
Winchester non si perdeva di certo in chiacchiere, appunto, ed era
uno dei motivi per cui Amethyst lo ammirava tanto, proprio come
ammirava Dean e Bobby.
Anche suo padre era solito arrivare al
punto quando si trattava di cacciare una qualche creatura maligna, ma
quando c'era di mezzo Amethyst le emozioni prendevano il sopravvento
sul resto, sin da quando era una ragazzina a cui non voleva dar retta
anche quando aveva ragione.
Era sempre Amethyst, tra loro, che
cercava di far rimettere in carreggiata il padre e lo faceva con
fermezza tale che ormai lo stesso Blake aveva imparato ad
assecondarla.
“La
sua prole. Il bastardo ha cinque figli.”
La risposta della ragazza lasciò tutti sbalorditi, eccetto
Blake
che già sapeva.
“E
siamo certi di non voler chiamare qualcun altro per aiutarci? Sei Oni
sono parecchi.”
Nonostante
la sorpresa, il tono di Bobby era calmo pur essendo fermamente
convinto delle proprie parole, ma Amethyst gli rivolse un sorriso
furbo e il perché di quel sorriso non tardò ad
arrivare.
“In
realtà sono praticamente tre, il padre e due figli. Gli
altri non
hanno ancora completato la trasformazione, sono vulnerabili. Ma
dobbiamo agire in fretta o rischiamo che Fred compia il rituale per
rafforzarli. Io e papà abbiamo già individuato il
loro covo,
l'unica cosa da fare è ucciderli. Ho già
procurato dell'agrifoglio
per tutti, così non ci influenzeranno e in caso non
riuscissimo a
farli fuori, ho preparato tutto l'occorrente per il rituale con i
semi di soia per bandirli dalla città. Ma siamo una bella
squadra,
no? Li uccideremo. Basta iniziare dalla prole.”
Bobby emise una risata di gola e John, volgendo uno sguardo
divertito a Blake, sembrò dare voce ai pensieri dell'amico.
“Se
ammazziamo prima la prole, indeboliamo lui, hai ragione! Tua figlia
è
per davvero più in gamba di te.”
asserì.
Blake sbuffò, allargando le braccia e per quanto odiasse
che sua figlia avesse intrapreso quella strada, decidendosi di non
iscriversi al college come invece lui avrebbe voluto, era davvero
orgoglioso di lei “Lo
so, lo so! Da quel caso con la banshee ho imparato ad ascoltarla.”
***
Umabel si era rifugiato nell'ennesimo tramite. Una
giovane donna che non aveva più nulla da perdere, che non
aveva più
nessuno.
Il Custode aveva provato compassione per lei, morente e
sola e lei, con un sorriso, aveva detto sì, dandogli il
permesso di
controllare il suo corpo perché almeno in quel modo avrebbe
avuto
una missione, una causa da portare avanti. D'altronde Umabel le aveva
detto che il suo compito era quello di proteggere una persona molto
importante per l'intera umanità, perché era
questo che il giovane
Dean Winchester, nel cuore dell'angelo, era destinato ad essere.
Ma
la donna si lasciò morire poco dopo, dando a Umabel il
controllo
totale del corpo per sempre.
Aveva sentito una strana sensazione.
Ormai, dalla nascita di Dean Winchester ventiquattro anni prima,
provava emozioni di continuo, in grado di sconvolgerlo. O
sconvolgerla.
Doveva ammettere che si sentiva più a suo agio in
quel tramite ma aveva comunque sentito dolore, un dolore profondo
avvolto da tristezza e ancora non si era abituata a tutto quello
quando un'ondata di paura e sgomento la travolse
inaspettatamente.
Haziel era di fronte a lei, Umabel ne riconobbe
la Grazia oltre l'involucro umano.
“Haziel,
che ci fai qui?”
Haziel sorrise. Il volto del suo giovane tramite era sereno, lo
sguardo compassionevole e Umabel sentì quella paura venire
meno,
sostituita da un senso di pace.
Suo fratello gli era mancato in
quei due anni, non poteva negarlo.
“Volevo
vederti.”
Haziel
prese con delicatezza le sue mani, le accarezzò le nocche e
Umabel
si sciolse in un sorriso prima di abbracciare il fratello.
Un
abbraccio vero e sentito che Haziel riuscì a ricambiare
qualche
istante dopo, sorpreso da quello slancio affettivo.
Eppure non
avrebbe dovuto sorprendersi.
Anche quando su in Paradiso tutto
sembrava normale e Umabel non era ancora diventato l'angelo custode
di Dean Winchester, Umabel era sempre stato in grado di dimostrare
affetto verso tutti i suoi fratelli.
Solo col senno di poi Haziel
aveva compreso perché Gabriel avesse giudicato sin dal
principio
Umabel uno degli angeli più particolari che potessero
affollare il
Paradiso.
Umabel era difettosa. E vi erano davvero pochissimi
angeli difettosi, lassù, in Paradiso.
“Mi
sei mancato, Haziel. Ma non voglio che tu finisca nei guai a causa
mia.”
Gli occhi
di Umabel erano velati di lacrime quando Haziel sciolse
quell'abbraccio e il maggiore** non riusciva davvero a comprendere
cosa provasse. Perché lo
provasse.
“Non
finirò nei guai.”
la rassicurò in tono pacato, la giovinezza del suo tramite a
far
sembrare il tutto davvero troppo assurdo.
“Hai
visto Gabriel?”
Quella
domanda giunse inaspettata e Umabel scosse la testa. Non
capì perché
stesse mentendo, era una cosa che le era venuta spontanea, quasi
sentisse di non potersi fidare, nonostante Haziel le fosse stato
sempre fedele.
Si disse che, in fin dei conti, mentì perché non
poteva tradire Gabriel, tradire quella fiducia che l'Arcangelo aveva
riposto in lei quell'unica volta in cui si erano incontrati dopo
millenni.
“Ma
almeno tu sei qui. Perdonami, Mabe.”
Umabel
si irrigidì, ma prima ancora che potesse reagire, si
ritrovò
nuovamente in Paradiso, chiusa in una cella che non le lasciava
scampo.
Haziel l'aveva tradita. L'aveva avvicinata perché sapeva
che con lui avesse un legame speciale. Gli angeli custodi di Dean e
Sam Winchester non potevano che essere legati, dopotutto.
“Haziel!
Haziel! Perché lo hai fatto? Fatemi uscire di qui!”
Ma
Umabel non ricevette nessuna risposta.
Soltanto uno sguardo era
rivolto a lei: nella cella di fronte alla sua, Gadreel la guardava
senza alcuna emozione, la Grazia provata dai millenni di
prigionia.
***
“Questa
roba punge.”
si
lamentò Dean, grattandosi il petto dove era adagiata una
collana di
agrifoglio. La prima e l'ultima volta che se l'era vista contro un
Oni si era lamentato esattamente delle stessa cosa.
“Non
fare il bambino!” lo
ammonì Amethyst con un lieve colpo allo stomaco che, per
riflesso,
lo fece piegare in avanti.
Davanti a loro i cacciatori più
anziani avanzavano lenti e in silenzio, verso il vociare che
proveniva da una delle stanze adiacenti al corridoio che stavano
attraversando.
Sbucarono l'uno dopo l'altro, prendendo alla
sprovvista i giovani Oni che subito si alzarono in piedi.
“Salve,
ragazzi! Papino è in casa?”
La battuta di Dean fece sorridere Amethyst, ma non le creature
che senza indugiare, passarono subito al contrattacco.
Ne seguì
una lotta cruenta, alcuni spari andarono a vuoto e i due Oni che
avevano ormai completato la trasformazione - e che assunsero la loro
reale forma, rivelando corna e artigli - sembrarono avere la meglio
sui cacciatori. Più di una volta i cacciatori vennero
colpiti con i
Kanabo degli Oni, le loro armi e uno dei loro punti di forza.
Quelle
mazze pesanti sembravano in grado di fracassare le ossa se usate con
maggior forza e nessuno di loro ci teneva particolarmente ad essere
colpito fino a quel punto.
Amethyst riuscì a disarmarne uno,
prendendo possesso del Kanabo e rendendo l'Oni più
vulnerabile
all'attacco del terzo occhio.
Fu Dean a colpirlo con un coltello
prima che questo si avventasse sulla ragazza e l'Oni cadde a terra
morto, dopo che Blake, John Bobby uccisero i tre Oni non ancora
completi.
Davanti a loro, infuriato, si ergeva l'unico figlio
rimasto. Era circondato e continuava a fendere l'aria con il suo
Kanabo.
Amethyst rise sprezzante quando la mancò “Papino
non avrebbe dovuto lasciarvi da soli.”
Un
lampo d'orgoglio attraversò il verde degli occhi di Dean che, in
un'azione fotocopia, ma a parti invertite, di prima, riuscì
a
disarmare l'Oni e permettere ad Amethyst di finirlo con la
pistola.
Le bastò un unico colpo e il proiettile colpì il
terzo
occhio del mostro.
Dean le sorrise, regalandole un veloce
abbraccio che venne però interrotto da un terribile grido.
Fred
Wilkinson era arrivato in tempo per vedere l'ultimo dei suoi figli
morire.
Il legame di sangue tra padre e figli era forte e lo aveva
attirato lì alla morte dei primi, ma lo aveva anche
indebolito,
causandogli un forte dolore non solo emotivo.
Il volto di Fred
Wilkinson era una maschera di dolore e di rabbia, la sua voce un
grido disperato, carico di odio verso quei cacciatori che sporchi e
feriti erano di fronte a lui.
Fu strano vedere una creatura così
potente sopraffatta da dolore.
Fred si portò una mano alla testa
dove comparvero le corna, accasciandosi a terra, e dopo le corna
comparvero anche gli artigli.
Con un balzo, Fred si parò davanti
ad Amethyst pronto a sferrare un colpo.
L'avrebbe ferita se non
fosse stato per Dean che riuscì a mozzargli qualche dito con
il
coltello ancora pregno di sangue del figlio dell'Oni.
Fred gridò
nuovamente di dolore, pronto a sferrare un nuovo colpo stavolta
indirizzato al giovane Winchester, ma Dean fu più veloce.
Estrasse
la propria pistola e senza neanche dover prendere la mira
sparò un
colpo, uccidendo l'ultimo Oni rimasto.
Amethyst, stanca e provata,
si sedette a terra, lasciandosi andare, accanto a Dean, sedutosi a
sua volta.
“Quante
volte ancora devo dirti che sei il mio eroe?”
Dean
rise, attirandola a sé per un altro abbraccio.
Rimasero stretti
in quell'abbraccio per diversi istanti, sotto lo sguardo degli altri
cacciatori.
***
Amethyst era seduta sul
cofano della sua Mustang.
Era fiera di se stessa. Fiera di suo
padre, fiera di Dean. Era fiera per come erano riusciti a gestire le
cose con quegli Oni.
Eppure nel suo sguardo vi era una profonda
tristezza, perché tutto quello le aveva fatto pensare a
quanto
qualcosa - o per meglio dire, qualcuno - mancasse in tutto quello.
Non si era mai resa conto, fino a quel momento, di quanto Sam le
mancasse. Da quando era partito per il college non lo aveva più visto ed erano passati troppi mesi dall'ultima volta in cui lo aveva sentito, per stessa volontà del ragazzo.
Avevano condiviso risate e segreti, avevano più volte
scoperto insieme come poter uccidere il mostro di turno.
Quella
mancanza la colpì improvvisamente.
Una mancanza che aveva sempre
represso sapendo che sarebbe dovuta rimanere sempre concentrata.
Ma
soprattutto l'aveva sempre repressa spaventata dall'idea di
soffrire.
Aveva gli occhi lucidi e una lacrima le solcò una
guancia. Si affrettò ad asciugarla quando sentì
la porta della
stanza del motel aprirsi e scorgendo, con la coda dell'occhio, Dean
che la raggiungeva.
Non voleva che Dean la vedesse piangere, anche
se era uno dei pochissimi ad averla vista in altre occasioni.
Ma
Amethyst non voleva e non poteva spiegargli perché stesse
piangendo.
Si sarebbe sentita in colpa a riversare addosso a lui quella
tristezza.
Dopotutto Sam era suo fratello e Amethyst poteva solo
immaginare cosa Dean provasse al riguardo e non poteva comparare le
due cose nemmeno lontanamente.
“Sai
che sei davvero in gamba, scheggia?”
Nella voce di Dean si poteva leggere vera ammirazione e forse
anche un po' di preoccupazione e malinconia, forse perché
avrebbe
voluto per lei una vita normale, lontana da tutto quello.
“Ti
ho detto di non chiamarmi più così.”
Dean
rise mentre le posava sulle spalle la propria giacca di pelle, quella
che era appartenuta a John.
Amethyst la indossò, sentendo il
calore avvolgerla. Era di troppe taglie più grande, ma si
sentì
bene in quel momento, tanto che ignorò persino le successive
e
ironiche parole dell'amico.
“Giusto.
Con quelle belle forme che ti ritrovi in effetti non ti si addice.”
O
almeno provò ad ignorarle dato che non poté
reprimere il rossore
che nuovamente si fece spazio sul suo viso, che lei coprì
con i
capelli biondi, chinando appena il capo.
Dean aveva dato voce ai
pensieri che lo avevano colpito quel pomeriggio, ma il tono scherzoso
lasciava intuire quanto niente fosse cambiato tra loro.
“Però
sei in gamba davvero, stasera sei stata straordinaria.”
Aveva la voce calda, Dean, più profonda di quelli della sua
età
e ad Amethyst faceva qualche effetto ormai da diversi anni.
Tuttavia
lei sorrise, voltandosi a guardarlo, il volto nuovamente sereno,
lontano dalla tristezza che l'aveva colpita.
“Anche
tu sei stato straordinario, ma non sono sorpresa. Sei pur sempre il
mio eroe, no?”
Dean
le sorrise, posandole un bacio sulla tempia per poi attirarla a
sé,
facendo in modo che lei posasse la testa sulla sua spalla.
“E
lo sarò sempre, intesi?”
“Intesi.”
Rimasero
in silenzio per qualche minuto, fino a che Amethyst balzò
giù dal
cofano dell'auto.
“Ma è quasi mezzanotte!”
esclamò per poi aprire la portiera del passeggiero e frugare
nel
cassetto del cruscotto alla chiara ricerca di qualcosa.
“E
quindi? La tua auto si trasformerà in zucca?”
chiese Dean cercando di vedere cosa stesse facendo l'amica.
“No,
idiota! È il tuo compleanno!”
Era
appena scattata la mezzanotte e il 24 Gennaio era arrivato.
Dean
sorrise appena, in tutto quel marasma se ne era completamente
scordato.
Non che avesse mai festeggiato il suo compleanno, se non ogni
tanto quando era bambino e suo padre non era in giro per l'ennesima
caccia.
Amethyst tornò accanto a lui, sedendosi nuovamente sul
cofano. Aveva un sorriso dolce sulle labbra e uno sguardo che avrebbe
detto tutto se Dean non avesse negato a se stesso di
comprenderlo.
“Buon
compleanno, Dean.”
mormorò, porgendogli un piccolo pacchetto dalla carta
azzurra.
Il
ragazzo rise appena, prese il pacchetto e lo scartò,
rivelando una
scatoletta di plastica nera.
Quando l'aprì rimase a guardare il
contenuto per qualche istante in silenzio, ma il sorriso che gli
riempì le labbra lasciava capire quanto apprezzasse quel
regalo.
“Grazie,
Ame. Lo...lo adoro!”
era un anello in argento e Dean fece per indossarlo all'anulare della
mano sinistra.
Fu Amethyst a fermarlo “No!
Non si mette mai all'anulare della mano sinistra. Poi non ti sposi!”
Dean la guardò perplesso per qualche istante prima di
scoppiare
a ridere.
“Perché,
pensi che mi sposerò, prima o poi?”
e nonostante l'ironia delle sue parole, indossò l'anello
alla mano
destra, a causa di quel desiderio mai espresso di voler una vita normale e crearsi una famiglia, un giorno.
“Mai
dire
mai. Io mi vorrei sposare prima o poi. Anche se con questa vita...”
lasciò morire la frase mentre sul suo volto si fece spazio
una
strana espressione.
La vita da cacciatrice era stata una sua
scelta, tuttavia, avere qualcuno accanto da amare e che l'amasse era
qualcosa che lei desiderava davvero.
I suoi sentimenti per Dean
mettevano ancora più in bilico quel suo pensiero,
perché era lui
che avrebbe voluto accanto, ma era certa che per lui non fosse lo
stesso.
“Facciamo
un patto.”
Dean
le prese una mano nel dire quelle parole e ricercò lo
sguardo di
lei.
Il suo era furbo, vivido, luminoso come il sorriso che stava
esibendo in quel esatto momento.
“Che
patto?”
“Se fra vent'anni saremo entrambi single, io
e te ci sposeremo.”
Dopo
un primo momento di sbigottimento, in cui le sue guance tornarono ad
arrossarsi ma senza che lei avesse la prontezza di nasconderlo,
Amethyst scoppiò a ridere.
Non poteva negare di essersi
emozionata, ma sapeva che quel patto non significava niente.
“Guarda
che non sto scherzando!”
Solo
grazie a quelle parole la risata di Amethyst si affievolì,
almeno un
poco.
“Fra
vent'anni, mh? Più che ancora single dovremo essere entrambi
ancora
vivi, non trovi?”
I
cacciatori, d'altronde, non avevano una lunga aspettativa di
vita.
Dean sembrò rabbuiarsi appena.
Il solo pensiero della
morte di Amethyst era in grado di raggelargli il sangue nelle vene.
Non sarebbe mai riuscito ad accettare una sua prematura
scomparsa.
“Hey,
non provarci nemmeno a morire giovane. Io, finché
sarò in vita, ti
guarderò le spalle, devo essere sempre il tuo eroe, giusto?
E solo
per questo farò di tutto per morire il più tardi
possibile.”
Amethyst si perse nell'osservare il sorriso dolce che
abbellì le
labbra del cacciatore, poi sollevò lo sguardo verso i suoi
occhi
occhi smeraldini e sorrise a sua volta.
“Allora
facciamo questo patto. Non possiamo dire che fra vent'anni saremo in
cattiva compagnia.”
Dean
le posò un bacio sulla fronte, accarezzandole i capelli
biondi,
inspirando il loro profumo e sentendosi a casa.
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