Frammenti di questo secolo

di Breathless
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Milano - 1 Novembre 1936 ***
Capitolo 2: *** El Alamein – 2 Novembre 1942 ***
Capitolo 3: *** Norimberga – 1 Ottobre 1946 ***
Capitolo 4: *** Bonn – 13 Agosto 1961 ***
Capitolo 5: *** Venezia – 15 Febbraio 1739 ( Roma – 17 Giugno 1970) ***
Capitolo 6: *** Lago di Como – 29 Luglio 1983 ***
Capitolo 7: *** Berlino – 9 Novembre 1989 ***
Capitolo 8: *** Berlino – 10 Novembre 1989 ***
Capitolo 9: *** Venezia – 17 Marzo 2011 ***



Capitolo 1
*** Milano - 1 Novembre 1936 ***


Milano - 1 Novembre 1936

La piazza era gremita. Dalle arcate della galleria Vittorio Emanuele fino all’imbocco di via Orefici, le persone avevano occupato ogni posto a disposizione, rendendo impossibile definire la foggia del lastricato su cui sostavano. Eppure il silenzio aleggiava su quel mare vivente, tutta la loro attenzione era catalizzata verso la persona che, animatamente, teneva il discorso in cima al palco. Chiunque nella nazione avrebbe saputo riconoscere la particolare cadenza di quella voce, amplificata dal microfono che aveva davanti. E tramite le parole e la modulazione del tono, suggeriva la risposta del pubblico. In momenti precisi, esso si accendeva in una ovazione accalorata -quasi vi fosse un interruttore- per poi tornare muto e attento.

Italia non lo stava ascoltando. Per lui era solo una delle innumerevoli orazioni a cui era stato obbligato a presidiare nel corso dei tanti secoli della sua vita. Usanza umana di cui, per altro, si era stufato quasi immediatamente. Quindi si limitava a passare pigramente lo sguardo sulla folla, senza osservarla veramente; Il pensiero proiettato al futuro prossimo, più precisamente a cosa avrebbe fatto quella sera. Magari sarebbe andato in qualche buon ristorante del centro.

«Sai, il mio superiore ammira molto il tuo.» il timbro profondo di Germania lo catapultò nuovamente al presente. «Sotto molti aspetti si è ispirato a lui».
Venne interrotto dall’ennesima esultanza del pubblico. A differenza sua stava seguendo il discorso, ma non avrebbe saputo dire se fosse l’interesse a muoverlo o il suo ineccepibile senso del dovere. Fatto sta che gli aveva rivolto quelle parole senza guardarlo, il volto fisso in direzione dell’oratore, offrendogli unicamente il suo profilo altero. Si trovavano accanto al palco, in una posizione rialzata a sufficienza da svettare sulle centinaia di teste, ma abbastanza defilata da non essere al centro dell’attenzione. Poco distanti da loro altri due ufficiali tedeschi invitati per l’occasione, assistevano al comizio. La folla si acquietò e la voce amplificata riprese a levarsi alta, fin sopra le guglie del Duomo.
«Penso che questo potrebbe essere l’inizio di una cooperazione vantaggiosa per entrambi» sentenziò serio, troppo formale per i propri standard.  
Italia dondolò sui talloni per qualche istante.
«Anche io voglio essere tuo amico»
Cantilenò in tono leggero, un aria allegra gli illuminò il viso.
Germania spostò lo sguardo su di lui per qualche istante, senza muovere la testa, poi lo riportò davanti a sé. L’unica risposta fu un debole sospiro, probabilmente involontario, vista la nota sconsolata che lo accompagnava.

Italia non sembrò dargli troppo peso, e continuò a tenergli addosso gli occhi ambrati. Fin dal loro primo incontro, non aveva potuto fare a meno di pensare a quanto somigliasse a lui. Stesso colore di capelli e taglio degli occhi, stessa sfumatura cerulea delle iridi, stesso cipiglio severo e atteggiamento riservato. Ma forse si sbagliava. Germania non aveva dato segno di riconoscerlo e il ricordo di Sacro Romano Impero, suo malgrado, stava venendo corroso dal tempo e diventava sempre più sbiadito. L’ultima volta che lo aveva visto, l’apparenza era quella di un ragazzino che si stava affacciando alla soglia della pubertà. Il viso era meno rotondo rispetto a prima, e la figura andava slanciandosi, lasciando presagire che, una volta raggiunta la maturità, sarebbe stato alto. Ma nelle proprie fantasie non lo aveva mai immaginato muscoloso come Germania. Anche con la divisa verde spento della Wehrmacht perfettamente sistemata addosso, si intuiva la costituzione atletica del tedesco. I lineamenti, seppur squadrati, erano chiaramente giovani. Si chiese da quanti anni avesse quell’aspetto. 
«Hey Germania, quando sei nato?»
Stavolta il tedesco girò tutta la testa verso di lui.
Il significato della parola “nascita” per le nazioni, era un po’ diverso rispetto a quello convenzionale, ed anche la loro crescita fisica era dovuta più agli avvenimenti politici che allo scorrere del tempo.
«Nel 1814, con la fondazione della Confederazione Germanica» disse meccanicamente.
«E che aspetto avevi quando sei nato?»
Un’ occhiata interrogativa tardò di qualche secondo la risposta; non si sarebbe mai del tutto abituato alle stranezze altrui.
«Non troppo diverso da quello che ho adesso. Ero un po’ più basso, sembravo un adolescente»
Lesinò sui dettagli poiché non afferrava il senso della domanda, ma a Italia non aggiunse altro.
«E tu, quando sei nato?» domandò di rimando, forse non volendo risultare scortese nel troncare ancora la conversazione.
«Nel quattrocento o giù di lì»
«Millequattrocento?»
«No, proprio nel quattrocento»
Germania sollevò entrambe le sopracciglia, mentre Italia continuò a far passare il peso del corpo dalle punte dei piedi ai talloni e viceversa con aria incurante, incapace di rimanere fermo nella stessa posizione troppo a lungo. Era contento di aver finalmente catturato l’attenzione del biondo.
«Avrai visto molte cose, in tutti questi anni»
«Tante persone che hanno fatto la storia» annuì per poi aggiungere ridanciano «ed anche tante belle ragazze»
Germania corrugò le sopracciglia senza condividere la sua ilarità.
«E tante guerre» aggiunse al posto suo, spostando l’argomento su qualcosa che gli interessava di più.
«Troppe. Combattere mi fa paura.» Italia abbassò lo sguardo sulla giacca grigio freddo della sua divisa, dove campeggiavano diverse mostrine che gli erano state assegnate, più ad honorem che per veri meriti. «Preferisco dipingere o fare sculture, sono bravo sai?» tentò di svicolare, ma senza successo.
«Eppure combattere è necessario, sia per difendersi dalle altre nazioni che per espandersi, diventare più forti e riscattarsi dai torti subiti»
«Sto bene così» disse come se certe decisioni potessero dipendere da lui, l’espressione allegra si stava spegnendo piano piano.
Il tedesco rivolse un cenno all’uomo sul palco «il tuo superiore non sembra pensarla come te»
Italia girò lo sguardo nella direzione indicata per la prima volta, da quando il discorso era iniziato.
«Lo so» concluse senza aggiungere altro, stavolta pareva essere lui quello deciso a non continuare il discorso.
«Sei davvero il nipote del grande Impero Romano?» la domanda era retorica, e all’italiano non piacque la nota di biasimo che aveva in sottofondo.
Impiegò un po’ a rispondere, gli occhi erano rimasti incollati sull’uomo che gli impartiva ordini da quattordici anni a quella parte.
«Gli umani non lasciano mai passare troppo tempo fra una guerra e l’altra. Presto avrai l’occasione di rifarti per quello che ti hanno imposto a Versailles»
Lo sguardo di Germania si dilatò per qualche istante, l’espressione di chi non si aspettava un’uscita del genere. Aveva centrato il punto con una precisione estrema, quasi dolorosa. Un vago senso di colpa affiorò sul volto del tedesco, si morse l’interno della guancia. Forse si era spinto troppo oltre.
Il ruggito della folla seguito da un lungo applauso sancì il termine del discorso, levandosi alto nel cielo grigio di Milano.
 



Riferimenti Storici: 
  • Il primo Novembre 1936 Mussolini tenne un discorso in Piazza Duomo a Milano.
  • Mussolini e il regime fascista in Italia, furono per diversi anni un modello per Hitler.
  • I paesi vincitori della prima guerra mondiale, imposero pesantissime sanzioni alla Germania durante il Trattato di Versailles. Esse furono fra le principali cause dell’ascesa del nazismo e dello scoppio della seconda guerra mondiale.

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Capitolo 2
*** El Alamein – 2 Novembre 1942 ***


El Alamein – 2 Novembre 1942
 
Una granata esplose poco distante dal punto in cui si trovava Italia, i frammenti schizzarono in tutte le direzioni sopra la trincea. L’onda d’urto gli fece vibrare il petto e penetrò fin dentro le ossa, le orecchie presero a fischiargli. Aveva strizzato così forte le palpebre che decise di riaprirle solo perché cominciavano a fargli male. Giusto in tempo per sentire un rivolo caldo farsi strada attraverso la polvere e il sudore sulla fronte, venendo parzialmente ostacolato dal sopracciglio e proseguendo la sua corsa lungo la tempia e la guancia. Una scheggia doveva avergli provocato un taglio sulla testa, ma non si diede la pena di controllare. Italia era allo stremo, come i soldati tutti attorno a lui. Gli Inglesi erano sul punto di sfondare, i colpi di artiglieria piovevano oramai ininterrottamente mentre la 185esima Divisione Folgore con la quale si trovava, stava tentando una disperata resistenza. Combattevano da giorni, cibo e acqua scarseggiavano e le munizioni erano quasi terminate. Alle prime luci dell’alba era giunta la notizia della ritirata tedesca, a cui aveva iniziato a fare seguito quella italiana.
La mente corse a Germania che si trovava anch’ egli in prima linea con una brigata della Luftwaffe, poco più a nord rispetto a lui. Si domandò se fosse riuscito a mettersi in salvo o se stesse ancora ostinatamente combattendo, come gli aveva visto fare in più occasioni dall’inizio della guerra.
 
«Servono uomini ai cannoni anticarro, subito!»
La voce rauca del Tenente lo fece trasalire. Sgranò gli occhi e scattò in piedi quasi automaticamente, stringendo al petto il fucile e cominciando ad avanzare in quel corridoio di terra arida che costituiva la loro trincea. Attorno a lui grida, imprecazioni, bestemmie e preghiere andavano ad amalgamarsi con i rumori delle esplosioni e degli spari.
Voleva trovarsi altrove, il più lontano possibile da lì, eppure l’idea di scappare non lo aveva sfiorato in quei giorni. Era pervaso da un sentimento estraneo, che non apparteneva a lui ma agli uomini che aveva attorno. Qualcosa che aveva già sperimentato in passato, poiché la propria natura di nazione lo rendeva intrinsecamente suscettibile ai sentimenti del suo popolo.
Lo stesso sentimento che ora lo spingeva a tenere duro e correre il più velocemente possibile verso i cannoni.
 
Passata una curva, andò a sbattere contro qualcuno che proveniva dalla direzione opposta. Accusò il colpo, barcollò e per poco non cadde, andando a ritrovare l’equilibrio con la schiena contro una della pareti.
Non fece in tempo ad alzare lo sguardo, che una mano lo afferrò per il colletto della divisa beige che indossava e lo strattonò con malagrazia, obbligandolo a stare in piedi solo sulle sue gambe.
«Italia!»
Il tono burbero con cui aveva urlato il suo nome era inconfondibile.
Germania era in piedi davanti a lui: I capelli scarmigliati, alcuni ciuffi incollati alla fronte sudata, il biondo reso opaco dalla polvere e dalla sabbia che lo ricoprivano da capo a piedi. Di contro, in mezzo a tutta quella sporcizia, gli occhi sembravano più azzurri che mai. La pelle chiara non aveva resistito al sole, ed era arrossata e scottata nei punti più espositi. Alla divisa, di colore simile alla propria, erano saltati diversi bottoni e si apriva su una canotta che originariamente doveva essere bianca. La croce di ferro identica a quella che aveva regalato a lui pendeva sul petto, il fucile era assicurato sulla spalla. Non seppe dire se il sangue incrostato sulla giacca fosse suo o di qualcun altro, ma sembrava stare bene. Accanto a lui vi era il Capitano, che probabilmente lo aveva guidato alla propria ricerca.
Italia sentì un groppo incastrarsi al centro della gola, rendendogli arduo articolare una risposta.
«Ger…Germa-»
«Muoviti, dobbiamo andare.» lo interruppe bruscamente il tedesco, andando ad afferrargli il braccio e cominciando a tirarlo nella direzione in cui era venuto.
«Aspetta, io non posso-... mancano uomini- i cannoni…» era frastornato, le orecchie gli ronzavano e il conflitto interiore dei propri sentimenti si amplificò. La resistenza fisica che fu in grado di opporre a Germania, tuttavia, era così debole che egli si accorse solo di quella verbale.
«Il fronte è perduto, razza di idiota. Vuoi farti catturare?» abbaiò contro di lui con le sopracciglia corrugate, mentre lo forzava a camminare.
«Sarebbe grave se finissi prigioniero degli inglesi» intervenne il Capitano a supporto del tedesco. Un’altra esplosione poco distante da loro sembrò sottolineare il concetto; la terra sollevata dalla granata cominciò a piovere sulle loro teste.
«Ma che ne sarà di voi? Siamo senza mezzi per la ritirata» la voce uscì incrinata, la consapevolezza fin troppo chiara delle condizioni in cui versavano.
«Ce la faremo in qualche modo» rispose solamente il Capitano, spingendolo verso l’uscita che dava sulle retrovie. Mentre incespicava per tenere il passo di Germania, Italia si girò e vide l’uomo osservarlo per un istante, prima di finire nuovamente fagocitato dalla trincea.
Il senso di colpa lo attanagliò più forte di quanto avrebbe creduto.
Si avvicinarono alla motocicletta che Germania aveva utilizzato per arrivare fino a lì, al manubrio erano appesi un casco e un paio di occhialoni per riparare gli occhi. Il tedesco premette il primo sulla testa di Italia e indossò i secondi, balzando sul sellino e facendogli cenno di mettersi dietro di lui mentre avviava il motore. Egli obbedì meccanicamente e si aggrappò alla sua vita, giusto in tempo per sentire la brusca accelerazione proiettarlo all’indietro. Chiuse gli occhi e rinsaldò la presa, andando ad appoggiare la fronte alla sua schiena. Si concentrò su quel contatto nel tentativo di dominare le innumerevoli emozioni che si agitavano dentro di lui. I battiti cardiaci rallentarono, sebbene non riuscì a trattenere un paio di lacrime che rotolarono silenziosamente lungo le guance.
 
«Stai bene?» Germania ruppe il silenzio. Il tono si era fatto più calmo, ora che stavano lasciando il fronte alle loro spalle. Il suono delle esplosioni si affievoliva mano a mano che si allontanavano dalla linea del fuoco, e l’unica cosa che li inseguiva era lo sbuffo di polvere sollevato dalle ruote della motocicletta.
«Non dormo da due giorni, mi fa male ovunque e farei qualunque cosa per un piatto di pasta. Le nostre razioni fanno schifo, ho rischiato l’avvelenamento a mangiare quella roba.» mugugnò con il suo familiare tono lamentoso, segno che –tutto sommato- stava bene. Percepì la muscolatura del tedesco rilassarsi un po’, sotto la presa delle proprie braccia.
«Io farei qualunque per una birra ghiacciata e per tuffarmi in un po’ di acqua fresca»
Italia colse una sfumatura sollevata che Germania non era riuscito a dissimulare. In quegli anni aveva imparato che, dietro ai sui modi duri e rigidi, teneva nascosto un lato ben più morbido e gentile. Non gli fu difficile immaginare che fosse in pensiero per lui. Lo sentì proseguire:
«Costeggeremo la depressione cercando di non finirci dentro. Con un po’ di fortuna non incontreremo truppe inglesi» si riferiva alla depressione di Qattara, che avevano entrambi avuto occasione di vedere sulle carte. Un’ area del deserto che degradava sotto il livello del mare, formata da sabbia soffice sulla quale qualunque mezzo di trasporto si sarebbe impantanato. Per quello sia le forze italo-tedesche che gli alleati ne erano rimasti alla larga.
«Dovrebbe esserci una nostra divisione al confine con la Libia. Non appena la raggiungeremo ci spediranno dritti a casa» concluse cercando di rimanere ottimista. L’ambiente attorno a loro era ostile e non erano ancora fuori pericolo.
«Al ritorno ti andrebbe di fermarti un po’ a casa mia a riposare? Ti procurerò della birra e per il bagno poi scegliere fra il mare o il lago» propose Italia a bruciapelo. Germania tentennò qualche secondo, sembrò combattuto.
«…forse.» bofonchiò alla fine, abbastanza piano che si sentì a malapena oltre il rombo del motore.
 
La motocicletta tossì, emise un paio di scoppiettii e poi si spense. L’inerzia li sospinse ancora per una manciata di metri, poi Germania fu costretto ad appoggiare i piedi a terra.
«Cosa è successo?» la testa castano caldo dell’italiano fece capolino sopra la sua spalla, andando alla ricerca del quadrante.
«È finita la benzina» sentenziò l’altro togliendosi gli occhialoni e girando lo sguardo verso il sole che stava cominciando ad avvicinarsi alla linea dell’orizzonte «dobbiamo proseguire a piedi»
Italia emise un lamento sconsolato.
«Sono troppo stanco per marciare fino al confine, non ce la farò mai!»
Per una volta il tedesco dovette dargli ragione. Aveva perso il conto delle ore da cui era sveglio, non aveva mangiato e bevuto nulla, la testa gli faceva male per il caldo e la disidratazione.
«Troviamo un posto dove riposare e recuperare le forze. Ripartiremo qualche ora prima dell’alba e cammineremo fino a quando il sole non sarà alto. Poi ci fermeremo di nuovo e aspetteremo il tramonto, quando ricomincerà a fare fresco» il problemi principali erano il caldo e la mancanza d’acqua. «Abbiamo fatto già un sacco di strada, sono sicuro che arriveremo al confine entro domani sera» in realtà non lo era affatto, ma non voleva abbattere ulteriormente l’umore di Italia.
La risposta fu un mugolio sconsolato, ma non avanzò ulteriori proteste. Si rendeva conto perfino lui che non c’era nient’altro da fare.
Germania controllò la borsa attaccata al lato della motocicletta, trovando al suo interno una bussola ammaccata e il kit di primo soccorso dato in dotazione alla fanteria. Li infilò nella tasca della divisa, dopodiché sospinse il mezzo dietro ad un gruppetto basso di rocce e lo fece cadere per terra, cercando di nasconderlo il più possibile e coprire le loro tracce. Infine cominciò a camminare assieme all’italiano, alla ricerca di un riparo.
 
Si sistemarono nell’insenatura alla base di un gruppo di rocce sedimentarie alto pochi metri. Il sole si era già abbassato oltre l’orizzonte, offrendo il suoi ultimi bagliori prima della notte. Si concessero un sorso dalle rispettive borracce, consapevoli che avrebbero dovuto far bastare quella poca acqua il più a lungo possibile.
Italia sentì una fitta nella parte posteriore del braccio. Si era accorto da prima che gli faceva male, ma la aveva evitato di proposito di controllare, nella speranza di raggiungere il presidio e farsi visitare da un dottore.
Si sfilò la giacca della divisa e si contorse per individuare la sorgente del dolore. Trasalì.
«Germania aiutami, credo mi abbiano sparato» la voce si era alzata di un’ottava per lo spavento.
«Cosa?! Dove?» rispose l’altro con tono allarmato.
«Qua dietro» gli mostrò il braccio e il tedesco avvicino rapidamente il volto per esaminarlo.
Sentì arrivargli una scoppola sulla nuca.
«…è solo una scheggia di granata minuscola, stupido.» esalò un sospiro a metà fra lo sconsolato e il sollevato per il falso allarme. Non doveva essere più lunga di un centimetro, i bordi frastagliati e irregolari avevano fatto un discreto buco, ma non era penetrata a fondo nel muscolo; probabilmente lo aveva colpito di rimbalzo. Sporgeva leggermente, rendendola semplice da rimuovere.
«Ma fa male» protestò Italia.
«Adesso la tiro fuori» Germania prese il kit di primo soccorso che aveva trovato prima. All’interno non vi era un gran che, ma per quello che doveva fare sarebbe bastato: una pinza per estrarre corpi estranei, sulfanilamide in polvere per disinfettare e qualche garza.
«Fai piano, mi fa impressione» si raccomandò il castano irrigidendosi nel timore di sentire chi sa quale dolore e serrando le palpebre in attesa. Germania impugnò pinza.
«Se venissi a casa tua» tirò fuori il discorso ben sapendo che effetto avrebbe fatto all’altro. Egli infatti sollevò il capo con aria attenta, riaprendo gli occhi «Non pensi che tuo fratello potrebbe arrabbiarsi? Non sembro andargli molto a genio.»
«Ma no!» Italia era ringalluzzito e la tensione muscolare scemò di conseguenza «Forse protesterebbe un po’ ma alla fine-AHIA!» Germania aveva approfittato del momento di distrazione per estrarre la scheggia; una stilla di sangue colò dalla ferita.
«L’hai fatto apposta!» protestò l’italiano, girando il viso per guardarlo da sopra la spalla. Il biondo emise uno sbuffo soddisfatto dalle narici mentre tamponava. Oramai conosceva bene il suo pollo.
Non avendo la possibilità di pulire il taglio, si limitò a spargervi sopra l’antibiotico in polvere e poi fasciarlo con la garza.
 
Il buio calò su di loro. La falce di luna crescente gettò una luce fredda sui profili delle rocce, accompagnata dai bagliori fiochi e tremolanti delle stelle. La notte nel deserto era spettacolare, ma da quando avevano messo piede in Africa non vi era stata occasione di goderne; e quella sera non furono da meno. Come di consueto le temperature si abbassarono e cominciò a fare freddo. Non poterono accendere un fuoco per scaldarsi, sia per non rendersi visibili, sia perché non c’era letteralmente niente da bruciare.
Italia si strinse addosso al tedesco, andando ad appoggiare la testa alla sua spalla e Germania non se la sentì di sgridarlo o cercare di allontanarlo come faceva di solito. In fin dei conti il tepore proveniente dal suo corpo, era piacevole anche per lui.
Italia era stremato: Le labbra secche e spaccate, i capelli incrostati di sabbia e del sangue raggrumato che gli era sgorgato dal taglio sulla testa. La sua traccia rossastra era rimasta ad adornargli il viso, come una crudele pittura tribale. Sentiva le membra e la testa incredibilmente pesanti, i piedi dolevano avviluppati dagli scarponi. Se avesse potuto, avrebbe dormito per giorni interi. Eppure non riusciva a prendere sonno, i ricordi della settimana precedente gli vorticavano nella mente. Vivo era il suono delle esplosioni, l’odore della polvere da sparo mescolato alla puzza del sudore, del sangue e dei morti che non avevano fatto in tempo a seppellire. E poi quel sentimento estraneo che lo aveva pervaso, quasi obbligato ad andare avanti, fino a quando non si era allontanato dagli uomini e dalla battaglia. Qualcosa già successo in passato, ma su cui non si era mai fermato troppo a riflettere. E pensò a Germania, al fatto che fosse andato ad aiutarlo nonostante fosse una mossa palesemente azzardata. Se non avesse allungato la strada a causa propria, forse la benzina sarebbe bastata per arrivare al confine.
«Germania» mormorò «Perché sei venuto a prendermi, oggi?»
Egli aggrottò le spesse sopracciglia e bionde.
«Come sarebbe a dire “perché”? Sapevo che non avevate mezzi per ritirarvi. Cosa dovevo fare, lasciare che Inghilterra ti catturasse?» borbottò senza capire.
«Ma ora stiamo rischiando di essere presi entrambi»
«E questo cosa c’entra?»
«Sei venuto perché lo volevi veramente tu, o perché il patto stretto dai nostri paesi ti ha influenzato in qualche modo?»
«Non riesco a capire dove vuoi arrivare.»
«A volte è come se non agissi veramente di mia volontà. Come se venissi pervaso da sentimenti che non appartengono a me, ma al mio popolo. Non ti è mai successo?» sollevò il capo puntando gli occhi sul profilo duro di Germania, rischiarato appena dalla luce metallica della luna. «Del resto noi non siamo altro che il loro riflesso, la nostra stessa esistenza dipende dalle scelte politiche che fanno» proseguì il castano, la voce sfumò in un sussurro «quindi mi chiedo fino a che punto ciò che provo sia mio, fino a dove arrivi la mia volontà e dove cominci quella degli umani.»
Il tedesco incrociò il suo sguardo e lo fissò in silenzio per qualche istante, un’espressione indecifrabile sul volto. Forse ci stava riflettendo anche lui.
«Non è da te fare questi ragionamenti, in un momento come questo poi…» più conosceva Italia e più emergevano sfaccettature che non si sarebbe aspettato. «Dovresti lamentarti della fame, del freddo o qualcosa del genere.»
«Ma io ho fame e freddo»
«Ti sei messo anche a piangere prima»
«Non è vero!»
«Bugiardo. Hai i segni delle lacrime in faccia» la polvere lo tradiva, le lacrime avevano lasciato una traccia su di essa, come un fiume in secca. Italia si arrese con un lamento.
«Germania, perché sei sempre così duro con me?» una nota capricciosa, simile a quella di un bambino. Ma a dispetto delle parole, infilò il braccio sotto quello del tedesco e lo strinse.
«E tu sei il solito esagerato. Ora cerca di dormire, ti sveglierò fra qualche ora così mi darai il cambio.»
Italia non rispose, ma fu evidente che non approfondire il discorso era servito a qualcosa. Di lì a poco, la stanchezza ebbe la meglio sui pensieri. Germania udì il suo respiro farsi più profondo e regolare, e seppe che si era addormentato.
 
Quando fu risvegliato, il castano si chiese se non gli fosse passato addosso un carro armato mentre dormiva, perché era esattamente come si sentiva. Ma era consapevole che non avevano il tempo di riposare a sufficienza. Diede il cambio a Germania che si stese con la schiena per terra e, dopo una manciata di secondi, non si mosse più.
L’italiano temette –stupidamente– che fosse morto. Si avvicinò preoccupato con il viso al suo, solo per sentire un respiro leggero fuoriuscire dalle narici del biondo e infrangersi sulla sua guancia. Tirò un sospiro di sollievo e si sedette accanto a lui, piegando le ginocchia e abbracciandosi ad esse.
Si concentrò sul rimanere vigile e innalzò lo sguardo verso il cielo. Era talmente limpido che poteva chiaramente distinguere la striscia chiara e luminosa della via lattea, che lo tagliava verticalmente. Di tanto in tanto la scia di una stella cadente guizzava catturando la sua attenzione, per poi scomparire in un battito di ciglia.
Attorno a lui il silenzio più assoluto, come se fosse capitato su un pianeta disabitato. Una calma che gli sembrò piacevole, quasi confortante dopo tanti giorni passati ad ascoltare solamente la sinfonia assordante dell’artiglieria.
Germania si era raccomandato di svegliarlo non appena avesse visto il cielo cominciare a rischiararsi, per partire ancora con il fresco della mattina. E fra uno sbadiglio e l’altro, il momento arrivò ben prima di quanto si aspettasse. Portò gli occhi ambrati sulla sua figura addormentata e si morse il labbro inferiore:
Il tedesco gli aveva permesso di dormire più ore rispetto a lui. Espirò. Stava già domandandosi se avrebbe dovuto tardare a ridestarlo per regalargli qualche istante in più di sonno, quando un rumore in lontananza spezzò la quiete del deserto. Una scossa di paura lo attraversò e si chinò sull’altro, appoggiandogli una mano sulla spalla e scuotendolo appena.
«Germania… sta arrivando qualcuno» disse con un filo di voce.
Il biondo aveva un’aria distrutta quanto la sua, ma quelle poche parole bastarono a fargli spalancare gli occhi e balzare in piedi. Presero entrambi in mano i fucili e si arrampicarono sul gruppo roccioso dietro al quale si erano nascosti, stendendosi pancia a terra e facendo sporgere appena il capo per controllare la situazione. Trattennero il respiro. Il profilo di un carro armato solitario si stagliava sulla distesa pianeggiante e polverosa, ma la luce era poca quindi dovettero aspettare che si avvicinasse per capirne il modello.
Riconobbero la forma familiare di un Panzer, ed anche l’uniforme tedesca di un soldato seduto sulla sua sommità.
Sarebbero tornati a casa.
 



Riferimenti storici:
 
  • La seconda battaglia di El Alamein si svolse fra il 23 Ottobre e il 11 Novembre 1942 e vide contrapporsi l’esercito italo-tedesco e l’armata britannica. Il 4 Novembre le forze dell’Asse, non essendo più in grado di resistere, cominciarono la ritirata. Tuttavia la fanteria italiana non era provvista di mezzi motorizzati per fuggire e molti soldati furono catturati dagli inglesi.
  • La 185esima Divisione Folgore lottò caparbiamente fino all’ultimo, nonostante le ingenti perdite e la mancanza di munizioni. Cominciò la ritirata nella notte fra il 2 e il 3 Novembre, fungendo da retroguardia per le forze dell’Asse. Ciò che rimaneva della divisone venne circondata dagli inglesi il 6 Novembre e dovette arrendersi.

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Capitolo 3
*** Norimberga – 1 Ottobre 1946 ***


Norimberga – 1 Ottobre 1946
 
Era la prima volta che Germania lo vedeva da quando la guerra era finita. L’ultima era stata più di un anno prima, il giorno in cui la Repubblica di Salò cadde e lui fu richiamato in una Berlino in procinto di essere invasa dai russi. Una settimana dopo fu costretto ad arrendersi.
Venne catturato, separato dal fratello e tenuto in custodia per lungo tempo. Non poté fare altro che assistere in silenzio all’occupazione degli Alleati, che spartirono i suoi i territori e ridisegnarono i propri confini.
Erano circolate voci su dei piani fatti quando la guerra era ancora in corso, che prevedevano di smembrare la Germania per evitare che riacquisisse potenza bellica in futuro.
Ma né lui né Prussia erano ancora scomparsi.
E ora si trovavano seduti l’uno accanto all’altro in un’aula di tribunale a Norimberga, in attesa del termine del processo. La gravità della situazione aveva imposto perfino a Prussia un’espressione seria, sebbene il suo sguardo scarlatto guizzasse più vivo che mai verso il posto in cui era sistemato Russia. Non aveva potuto chiedergli come se la stesse passando, ma immaginava non troppo bene. Dal canto suo Russia sedeva rilassato, le labbra leggermente ricurve verso l’alto in quella espressione infantile che lo caratterizzava, avulsa da ciò che succedeva in aula. Ma sapeva bene cosa celava quel viso apparentemente innocuo. Accanto a lui Francia e Inghilterra ascoltavano assorti, il secondo con le braccia incrociate davanti al petto. America era l’unico a non riuscire a trattenere la soddisfazione, essa trapelava nello sguardo e nella maniera in cui sorrideva. I giudici appartenevano alle nazioni vincitrici, e quello che stava emettendo il verdetto aveva un forte accento britannico.
Ma, da quando aveva visto Italia seduto in disparte assieme a suo fratello maggiore, Germania non era più riuscito a focalizzarsi sul processo. Quando si vive per secoli, un anno non sembra poi così lungo. Eppure gli pareva fosse passata una vita.
 
Veneziano e Romano -così i due si appellavano reciprocamente- erano entrambi di bell’aspetto; cosa che valeva loro una certa popolarità fra le ragazze che solevano approcciare. Erano della stessa altezza e si somigliavano al punto che, in molti, li scambiavano per gemelli. Ma, anche da quella distanza, a lui sembravano evidenti le loro differenze: Veneziano aveva i capelli di un castano chiaro e caldo, mentre quelli di Romano erano di una tonalità più scura e profonda; gli occhi di Veneziano avevano venature ambrate, mentre quelli di Romano viravano al verde; il viso di Veneziano era ovale e aveva una forma più morbida rispetto a quello di Romano, dagli zigomi più pronunciati. E quel ciuffo ribelle che si arricciava verso l’alto, Veneziano lo aveva di lato, mentre quello di Romano ricadeva sulla fronte.
Ciò in cui erano all’esatto opposto, erano le espressioni. Romano non tentava neanche di mascherare l’astio nei suoi confronti, non lo aveva mai fatto fin da quando si erano conosciuti. L’ostilità che provava verso di lui si era sfogata quando aveva deciso di collaborare con gli Alleati, firmando l’armistizio e aiutandoli a sbarcare in Sicilia. Il Patto d’Acciaio era venuto meno e le cose erano cominciate a precipitare.
Dalla parte opposta invece c’era Italia –l’Italia che gli era stata accanto in quegli anni– che lo fissava affranto e preoccupato.
Germania si sorprese a sorridere internamente, seppur in maniera amara. Poteva indovinare con assoluta certezza, cosa gli stesse passando per la testa in quel momento.
Dopo che gli orrori perpetrati dal suo governo erano venuti a galla, dopo che a causa della loro amicizia si era trovato a combattere contro il suo stesso fratello, quell’idiota si preoccupava che potesse avercela con lui.
Sarebbe dovuto essere il contrario, semmai.
Le spalle si curvarono e lo sconforto lo pervase, ripensando a tutto ciò che era successo. La voce del giudice che dettava la sentenza gli sembrava lontana, come se si trovasse in un'altra stanza. Nomi tedeschi pronunciati con accento inglese a cui si alternava, a cadenza regolare, la parola “morte”.
 
Era una bella giornata, un tiepido sole autunnale scaldava la pelle mentre usciva dal Palazzo di Giustizia. Il processo era terminato. Germania si muoveva in maniera lenta, quasi il peso delle proprie preoccupazioni fosse reale e gli gravasse come un fardello addosso. Ebbe solo pochi momenti per salutare Prussia, prima che Russia gli intimasse di allontanarsi assieme a lui. Il fratello lo congedò con uno dei suoi sorrisi sicuri, mostrandosi incoraggiante nonostante il destino incerto a cui andavano incontro.
E poi colse la voce di Romano sul piazzale. Si stava lamentando ad alta voce con Francia, del fatto che suo fratello si fosse allontanato con la scusa di andare al bagno e poi non fosse più tornato.
«…se è sgattaiolato via per andare da quel crucco bastardo giuro che…» non ci provava neanche a non farsi sentire. Ma non gli diede fastidio, anzi. All’idea che Italia lo stesse cercando, sentì alleviarsi un po’ quel grumo di malumore che aveva incastrato in gola.
Senza dare troppo nell’occhio prese a guardarsi attorno, passeggiando in tutta calma e sorpassando i cancelli di ingresso. Uscì in strada, proseguendo lungo le mura che delimitavano l’edificio. Una testa castana sbirciò da dietro l’angolo, in un tentativo piuttosto mal riuscito di essere circospetto.
«Germa-»
Il tedesco lo interruppe portandosi fugacemente un dito davanti alla bocca e intimandogli silenzio. Fece un cenno in direzione della via che costeggiava il lato del Palazzo di Giustizia e mimò con le labbra la parola “fiume”. Italia rispose con un saluto militare, come era abituato a fare quando Germania gli impartiva un ordine.
 
Proprio dietro all’edificio in cui si era tenuto il processo, scorreva il fiume che attraversava Norimberga. La sponda degradava verso il basso e vi crescevano diversi alberi e cespugli, offrendo una discreta copertura alla stradina sterrata utilizzata per le passeggiate.
Si fermò dopo poco nei pressi di una panchina. Ma rimase in piedi, le mani affondate nel cappotto beige che aveva indosso. Non passò molto tempo che udì ancora la voce di Italia.
«Germania!»
Lo chiamò mentre si avvicinava di gran carriera, come gli aveva visto fare decine di volte in passato. Solitamente si buttava addosso, ma questa volta sembrò rendersi conto di ciò che stava per fare. Rallentò il passo fino ad arrestarsi, più o meno a un paio di metri da lui.
L’espressione era titubante, lo sguardo deviò in un punto indefinito della staccionata che correva lungo il greto del fiume, come se non avesse il coraggio di guardarlo in faccia.
«Sei… sei arrabbiato con me?» anche il tono tradiva l’incertezza. Il peso dondolò da un piede all’altro sottolineando il conflitto interiore fra la voglia di avanzare e il timore del rifiuto. Il tedesco scosse il capo.
«No»
Gli rivolse una prima timida occhiata.
«Davvero?»
«Davvero» confermò quietamente.
«Posso… abbracciarti?» decise di osare.
La risposta fu un semplice cenno affermativo. E in un battito di ciglia Italia coprì la distanza che li separava, andando a circondargli il petto con le braccia e stringendosi a lui con forza. Accolse il suo peso spostando un piede all’indietro e mantenendo l’equilibrio per entrambi. Il capo del castano si incastrò fra la spalla e il collo e poté sentire la sensazione soffice dei capelli contro la propria guancia.
«Scusami» il mugolio altrui uscì soffocato dalla stoffa del cappotto.
Italia aveva addosso un odore piacevole, estivo. Si concesse di sollevare le braccia a sua volta, di avvolgergli le spalle e rimanere così per qualche secondo, a occhi chiusi. Curioso come quel contatto a cui aveva faticato ad abituarsi, ora gli stesse facendo bene.
Avrebbe voluto dirgli che era contento di vederlo, che non avrebbe dovuto scusarsi per come erano andate le cose. Ma le parole rimasero impigliate in fondo alla gola, bloccate dalle sue innumerevoli inibizioni.
«Va bene così» riuscì solo a mormorare. C’erano state tante, troppe cose sbagliate in quel conflitto.
«Quando ho saputo che il tuo territorio era stato diviso, ho avuto paura che saresti scomparso» colse una nota rotta nella sua voce. Quando l’abbraccio si sciolse, Italia sollevò la testa e lo guardò con occhi liquidi. Per un singolo istante scorse in lui un dispiacere profondo, che non seppe spiegarsi. Le lacrime si stavano lentamente accumulando e presto sarebbero traboccate oltre le ciglia.
«Sono ancora qua. E non ho nessuna intenzione di sparire» Non era sicuro che la propria volontà contasse qualcosa nelle decisioni degli umani, ma voleva fosse chiaro che non aveva perso la voglia di vivere. Sentiva il desiderio di cancellare quell’ombra di disperazione dall’espressione di Italia.
Sembrò accorgersi solo in quel momento, di quanto si fosse lasciato andare rispetto al solito. Distolse lo sguardo sentendosi un po’ imbarazzato. «perciò non metterti a piangere come il tuo solito» borbottò tastandosi goffamente le tasche alla ricerca del fazzoletto di stoffa che soleva portare con sé.
Italia fece un sorriso agrodolce, che sapeva di tristezza e sollievo allo stesso tempo. Le palpebre, socchiudendosi, spinsero fuori le lacrime prima che il tedesco potesse impedirlo. Su entrambi aleggiò la consapevolezza che non tutto era andato perduto.
Germania si affrettò a tamponargli le guance.
«Quindi mi verrai a trovare?» domandò l’italiano.
«Non penso che America e gli altri abbiano qualcosa in contrario» del resto avevano fatto in modo di renderlo innocuo, ed entrambe le loro nazioni erano logorate dalla guerra. L’unica cosa che volevano fare era riprendersi, tirare un po’ il fiato.
«E anche io posso venire da te?»
«Si, anche se d’ora in poi non sarò più a Berlino» lo avvertì. «Li rimarrà solo Prussia, i miei superiori vogliono che mi trasferisca a Bonn.»
Italia parve un po’ perplesso da quel cambiamento, ma gli rivolse nuovamente un sorriso, stavolta più allegro.
«Meglio, Bonn è più vicina,» trovò il lato positivo «anche se mi toccherà tagliare da casa di Svizz-»
«Lo sapevo!!! Ti ho beccato dannato Veneziano» l’urlo di Romano lo interruppe bruscamente. Proveniva dalla strada, lo intravide da uno spiraglio in mezzo alla vegetazione.
Italia sobbalzò ed emise un verso impaurito.
«Avevi promesso che non lo avresti fatto! Se ti prendo giuro che ti picchio!» inveì ancora il più grande dei due italiani, apprestandosi a scendere la corta scalinata che portava al sentiero.
«Germania, devo scappare. Ci vediamo presto!» lo salutò frettolosamente, cominciando a correre di gran carriera per sfuggire alle ire del fratello. Germania rimise le mani in tasca mentre lo guardava allontanarsi. Italia si voltò per qualche secondo lanciandogli un’occhiata, ed il tedesco colse fugacemente il suo sorriso. Si sentì scaldare.
Romano interruppe momentaneamente l’inseguimento quando raggiunse Germania. Il rancore oramai ben radicato da anni di guerra, traspariva sul volto.
«Tu. Vedi di girare alla larga dal mio stupido fratellino» ringhiò. «Non sai quanto ha frignato per colpa tua» Sapeva che Romano non amava combattere esattamente quanto Veneziano, e che le sue minacce il più delle volte erano tutto fumo e niente arrosto. Ma non sarebbe mai riuscito a capacitarsi di quanto fosse aggressivo e riottoso rispetto a Italia. Tuttavia, che lo volesse o no, nei suoi modi bruschi trapelava quanto tenesse al fratello; e Germania non riusciva ad avercela con lui.
«Non credo di volerlo fare» si limitò a rispondergli quieto, ma con tono fermo.
Romano lo fissò torvamente, dopodiché riprese a correre senza dire una parola.
 
Riferimenti Storici:
 
  • La Repubblica Sociale Italiana (o Repubblica di Salò) venne proclamata da Mussolini nel 1943 in risposta all’armistizio con gli Alleati firmato dal Generale Badoglio e approvato dal re Vittorio Emanuele. Essa comprendeva i territori del nord e centro Italia ancora sotto il controllo tedesco, che combatterono contro l’avanzata alleata. Si ridusse gradualmente fino alla sua caduta nell’Aprile del 1945.
  • Il processo di Norimberga si svolse dal 20 Novembre 1945 al 1 Ottobre 1946. Ventiquattro fra i più importanti capi nazisti furono giudicati per crimini di guerra e contro l’umanità. La metà di essi furono condannati a morte e impiccati.
  • Al termine dell’occupazione Alleata, Bonn fu scelta come capitale della Repubblica Federale Tedesca (o Germania Ovest), mentre Berlino rimase la capitale della Repubblica Democratica Tedesca (o Germania Est).  

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Capitolo 4
*** Bonn – 13 Agosto 1961 ***


Bonn – 13 Agosto 1961
 
«Cosa ci fai qui, Italia?»
«Hai detto che non ti sentivi bene, quindi sono venuto a controllare.»
«Ti ho detto anche che non avevo bisogno di aiuto»
«Ma ero preoccupato, di solito non stai mai male. E oramai sono arrivato fino a qui, vuoi lasciarmi fuori casa?»
Germania fece un lungo sospiro e si scostò dalla porta, permettendo che Italia entrasse con il sacchetto che si era portato appresso. Sapeva che discutere non sarebbe servito a nulla e non ne aveva neanche le forze. Sperò solo che non facesse troppo casino, almeno per quel giorno. Chiuse il chiavistello e si trascinò lentamente verso il divano, abbandonandosi su di esso privo di qualunque energia. Come se non bastasse faceva caldo, il sole di quel pomeriggio d’Agosto batteva senza pietà attraverso il cielo terso. Indossava pantaloni di lino leggeri e una maglia a maniche corte, umida di sudore e appiccicata al petto.
«Come ti senti?» domandò Italia passeggiando nel soggiorno e guardandosi distrattamente attorno.
«Debole, ho gambe e braccia pesanti e faccio fatica a muovermi. È come se avessi il corpo intorpidito.»
«È per colpa di quello che sta succedendo a Berlino?»
«È probabile»
«Ho saputo che ieri notte hanno diviso la città con il filo spinato. Che cosa è venuto in mente a Russia?»
«Forse vuole costruire un muro. A lui e ai suoi capi non è mai piaciuto che la popolazione passasse dalla parte est a quella ovest tramite il settore occidentale di Berlino.» spiegò socchiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. Gli era venuto anche mal di testa «Speravo che la divisione da mio fratello fosse una cosa momentanea e che presto ci saremmo riunificati. E invece…» fece l’ennesimo sospiro e poi riaprì gli occhi. Una delle sue sopracciglia bionde si inarcò «Che cosa stai facendo?»
Italia indossava un semplice jeans e delle All Star che tanto andavano di moda. O meglio, li aveva addosso poco prima, visto che adesso giacevano disordinatamente per terra accanto a lui.
«Mi metto comodo» rispose con tono distratto, tutto preso a slacciare i bottoni della camicia gialla a maniche corte che gli copriva la parte superiore del corpo. «Tanto rimarrò qui a dormire stanotte» decretò gettando all’aria anche quell’ultimo indumento. Ovviamente aveva deciso tutto da solo, senza pensare di interpellarlo.
Germania sprofondò ulteriormente fra i cuscini. Senza forze com’era, non era in grado di contenere Italia e sapeva che avrebbe dovuto subire passivamente qualunque sua trovata.
«…vuoi che ti presti dei vestiti?» ci provò perlomeno.
«No sto bene così, fa caldo.» Era rimasto con solo un paio di boxer a righe addosso. Il fisico di Italia era snello, le forme appena accennate dei muscoli si intravedevano sotto la pelle brunita dal sole estivo. La vita e fianchi stretti contrastavano con le spalle più larghe, ma proporzionate all’altezza, conferendo al corpo una tipica forma maschile a V. Sul petto campeggiava la croce di ferro che Germania gli aveva regalato più di vent’anni prima, quando strinsero il patto d’acciaio. Aveva un’aria vissuta ed era graffiata in qualche punto, ma la superficie smaltata brillava, segno che se ne prendesse cura.
«Hai fame? Ho portato da mangiare» Italia sollevò il sacchetto che aveva con sé, rivelandone il contenuto a base dei generi alimentari più disparati, tutti del proprio paese.
Il tedesco si rese conto solo in quel momento che lo stomaco gorgogliava.
«Ero troppo stanco per preparare il pranzo oggi» bofonchiò senza rispondere direttamente alla domanda. Ma a Italia non serviva altro per capire e fece uno dei suoi sorrisi allegri e spontanei.
«Allora tu stenditi sul divano e riposa, al resto penso io.» rispose trotterellando verso la cucina.
Oramai aveva preparato così tante volte da mangiare a casa sua, che conosceva l’ubicazione di pentole e stoviglie meglio di lui. E su questo aveva la garanzia che avrebbe fatto un buon lavoro: Italia era sempre stato bravo a cucinare. Si stese sul divano e portò un braccio a schermare le palpebre, socchiudendole in preda alla spossatezza.
 
Capì di essersi addormentato solo quando si ridestò, tempo dopo. Doveva essere trascorsa almeno un’ora o due. Il sole stava gettando gli ultimi bagliori rossastri oltre le tende, la luce nel salotto si era fatta calda e soffusa.
Dalla cucina proveniva un sommesso rumore di stoviglie e il leggero sfrigolio di una padella sul fuoco, in sottofondo la radio diffondeva un brano dalle note leggere. Un odore invitante si era diffuso nell’aria e gli accarezzava le narici. L’atmosfera era piacevolmente pacata, quasi sospesa, come se stesse ancora sognando.
La assaporò in silenzio, rilassato sul divano, fino a quando non sentì il passo leggero di Italia avvicinarsi e una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla per ridestarlo.
«Germania, è pronto» Il sonno gli aveva fatto recuperare un po’ le forze. Lo raggiunse in cucina poco dopo, mentre stava sfornando una teglia fumante di lasagne. Ma, come da tradizione italiana, quello era solo il primo. Sui fornelli stava finendo di cuocere l’ossobuco, che avrebbe servito come secondo.
Aveva temuto che l’italiano gli avrebbe reso più difficoltosa la degenza, e invece lentamente si accorse che stava accadendo il contrario: Dal momento in cui si sedette sulla sedia, non si accorse quasi del trascorrere del tempo. Mangiarono e chiacchierarono a lungo in salotto, con la televisione a fargli da sottofondo. Una serata tranquilla, che distolse l’attenzione sulla propria condizione e lo spinse a concentrarsi solo su di lui e sui suoi voli pindarici.
Si accorse che era ora di andare a letto, solo quando la stanchezza si abbatté su di lui più prepotentemente del solito. Non provò neanche a chiedergli se voleva dormire nella camera degli ospiti. Tanto sapeva già come sarebbe andata a finire.
 
Si era steso sul materasso dal suo lato preferito, quando vide con la coda dell’occhio Italia varcare la soglia della stanza e richiudere la porta dietro di sé. Distolse lo sguardo, poiché sapeva benissimo che anche l’ultima parte del suo vestiario –ovvero i boxer– era stata rimossa. Non si era ancora abituato alla sua abitudine di dormire nudo, perfino in sua presenza. La cosa gli procurava non poco imbarazzo perché si trovava a non sapere più bene in quale punto guardare. Si trovò a domandarsi se lo facesse indistintamente con chiunque dormisse e in quanti lo avessero visto così. Ma aggrottò le sopracciglia non appena si rese conto di aver fatto quel pensiero. Non erano affari suoi. O forse preferiva semplicemente non saperlo.
«Sei arrabbiato?»
Percepì il peso di Italia adagiarsi sul letto accanto a lui. L’espressione che aveva assunto non era passata inosservata. L’odore del bagnoschiuma che l’altro aveva utilizzato per lavarsi, lo investì.
«No, mi è solo passato per la testa un pensiero stupido» commentò affrettandosi a mettere su una faccia neutra e voltandosi finalmente su di lui. Stava a pancia in giù, la testa appoggiata al cuscino che teneva di traverso, fra le braccia. Gli venne istintivo sollevare il lenzuolo e coprirgli la parte inferiore del corpo. Italia non protestò, una luce vispa negli occhi.
«Ti stai dando tanto da fare negli ultimi tempi, vero? Ho saputo che la tua economia è esplosa» commentò il castano sollevando i piedi sotto il lenzuolo e finendo per scoprire la parte bassa della schiena.
«È normale amministrazione per me. Prussia mi ha abituato a lavorare in questo modo fin da che ho ricordi» disse schiarendosi appena la voce; non voleva dargli l’impressione che si stesse vantando.
«Allora è così che sei, quando non fai la guerra.» Italia fece una breve pausa e sorrise sornione «Mi piace.»
Sentì un vago rossore affiorare sulle guance, percependo una sensazione di piacevole imbarazzo per il complimento appena ricevuto.
«Anche tu ti stai dando molto da fare» borbottò sollevando la mano per andare ad appoggiarla sui capelli dell’italiano, ancora un po’ umidi per la doccia. Li spettinò un po’. «Anche se fai un po’ troppe pause per i miei gusti»
Il castano rise divertito.
«Non posso farci nulla, lavorare è davvero sfiancante.»
«Allora è meglio se ti ci mettiamo a dormire ora» cercava di non dare a vedere la sua debolezza, ma era davvero distrutto e agognava una lunga notte di riposo.
«Sissignore» replicò l’italiano in quell’automatismo militaresco che oramai aveva assunto sfumature giocose. «Buonanotte»
«Notte» mormorò spegnendo la luce e andando a coricarsi supino.
Ben presto gli occhi si abituarono al buio e, guardando accanto a sé, riuscì a scorgere la sagoma di Italia illuminata fiocamente dalla luce che filtrava dalle persiane. Aveva già chiuso le palpebre, ne udì il respiro leggero, ma lento e regolare.
Si trovò a pensare che lo aveva sempre sottovalutato. Troppo a lungo si era soffermato su un singolo lato di lui, quello pigro e indisciplinato, che odiava la guerra e i combattimenti. Ma più passava il tempo più si rendeva conto che Italia, invece, riusciva benissimo in tutte quelle cose belle che la vita ha da offrire. E lo trovò un gran pregio.
Forse era la stanchezza a parlare al posto suo, ma non si era pentito di avergli permesso di restare. Ben presto l’immagine di Italia si sgretolò, andando a mescolarsi con le figure oniriche prodotte dal proprio inconscio.
 
Gli sembrò fosse passato un attimo da quando aveva chiuso gli occhi, e invece era già mattina. Mise qualche secondo a destarsi del tutto, poi ruotò gli occhi chiari di lato pensando di trovare Italia. Al suo posto giaceva solo il cuscino e il lenzuolo stropicciato. Era raro che si svegliasse prima di lui e, unitamente al fatto che il sole era già alto nel cielo, arrivò alla conclusione che doveva essere molto tardi.
Si mise a sedere con uno sbadiglio, sollevando entrambe le braccia per stiracchiarsi. Il mal di testa era passato e anche la pesantezza muscolare era alleviata. Ma non avrebbe saputo dire se stesse veramente meglio, o si fosse solamente abituato a quella nuova condizione.
Cercò di ricomporsi, alzandosi e andando a pettinare all’indietro i ciuffi biondi che gli cadevano disordinatamente sulla fronte per poi recuperare dall’armadio dei vestiti puliti.
La prima cosa che sentì quando uscì dalla stanza, fu la voce di Italia canticchiare una canzone allegra ma di cui faticava a distinguere le parole. Doveva essere uno dei suoi tanti dialetti; dalla cadenza sembrava provenire dalle parti di Romano. Ma era un canto piacevole e intonato, un’altra delle cose che era bravo a fare. Non si accorse della sua presenza e Germania evitò di entrare nel salotto e richiamare la sua attenzione, si limitò semplicemente a sbirciarlo dal corridoio.
Si era rimesso i boxer ed era intento a ripulire il piano della cucina. I vestiti precedentemente gettati all’aria, erano piegati e messi da parte; guardando fugacemente il lavello notò che era la pila di piatti sporchi abbandonata la sera precedente, era scomparsa.
Tornò a posare gli occhi sulla figura di Italia, assorto nel canto e nelle pulizie, chiedendosi dove avesse imparato a fare quest’ultime. E all’improvviso sentì una fitta di nostalgia attraversarlo. Una sensazione dapprima acuta, ma che si stemperò in un languore sempre più sfumato. Non seppe spiegare razionalmente cosa fosse successo. Aveva la certezza di conoscere la risposta, solo che non riusciva in nessun modo ad afferrarla. Scavò senza successo nella memoria, alla ricerca di ricordi simili. Non gli sembrava che ci fosse nulla per poter giustificare un emozione così forte.
La cosa lo confuse non poco. Ma il flusso dei pensieri venne interrotto dalla voce di Italia, che si era accorto di lui.
«Buongiorno!» esclamò gioviale e galoppò verso di lui per buttargli le braccia al collo, salutandolo con un abbraccio come di consueto. Il tedesco attutì l’urto e cercò istintivamente di contenere il suo entusiasmo. Alzò la destra a battere un paio di volte sulla sua spalla, segno che lo stava ricambiando. «Come ti senti oggi, Germania?»
«Un po’ meglio» borbottò ancora un po’ frastornato dalle sensazioni precedenti.
«Bene! Ti ho preparato la colazione» gli fece sapere facendo cenno alla cucina e sciogliendo l’abbraccio. «…anche se io ho già mangiato. Non ho resistito, avevo troppa fame.» ammise poco dopo con un’espressione vagamente colpevole per non averlo aspettato. Germania scrollò la testa, come a dire che non era importante.
«Non sapevo che fossi capace di fare le pulizie» Buttò lì con aria disinteressata, per raccogliere qualche indizio. Era frustrante non capire cosa fosse successo. Il castano ovviamente non colse doppi fini.
«Quando ero piccolo ho trascorso molti di anni nella casa di Austria; aiutavo Ungheria a fare le faccende domestiche.» gli raccontò «E mi tocca farle anche adesso. Ogni volta che Romano ci prova, distrugge qualcosa.»
Niente. Non gli venne in mente assolutamente nulla. Lasciò cadere il discorso, seppur le sopracciglia rimasero aggrottate. Appena si sedette a tavola, venne distratto dall’odore della colazione che Italia gli mise davanti.
Il castano sapeva che preferiva il salato appena sveglio, quindi aveva preparato una colazione tedesca a base di uova strapazzate, caffè amaro e Pretzel da condire con burro e affettato.
Un’ altra delle tante piccole cose che aveva fatto per lui da quando si era presentato, il giorno precedente. Ancora una volta venne colpito da quella sensazione piacevole e fu la goccia che fece traboccare il vaso; c’era troppo da elaborare per il suo cervello.
«Italia!» esclamò con un tono secco e imperioso. Il castano sobbalzò guardandolo confuso, non sapendo dove aveva sbagliato ma temendo che lo stesse per sgridare.
«Qualsiasi cosa abbia fatto non volevo, mi dispiace!» si affettò a dire con una nota di panico nella voce, un riflesso pavloviano derivante dai tempi della guerra.
Il tedesco era rigido, le mani serrate attorno alle posate, la fronte accigliata e lo sguardo fisso sul prosciutto che aveva nel piatto. Se Prussia avesse potuto vedere quell’assurdo tentativo di trattenere, sarebbe scoppiato a ridere di gusto.
Germania fece un profondo respiro.
«Ti va di rimanere a dormire anche stanotte?!?» esclamò tutto d’un fiato. Sembrava più un comando che un invito.
Italia lo fissò stralunato, impiegando qualche secondo ad elaborare la frase. Germania, nonostante cominciasse a rendersi conto di sembrare stupido, non osò muovere un muscolo in attesa di una risposta. Finalmente Italia capì e, lentamente, si rilassò. Curvò verso l’alto gli angoli della bocca, sempre di più, andando a contagiare le guance e infine gli occhi. Una risata allegra e divertita proruppe dalle labbra e sembrò saturare l’intero spazio della cucina.
La risposta positiva si poteva leggere chiaramente sul volto, ancor prima che la esprimesse a parole. 


Riferimenti storici:
 
  • Inizialmente, quando furono istituite le due Germanie nel 1949, i tedeschi pensavano sarebbe stata una soluzione transitoria e che presto la nazione sarebbe stata nuovamente unita.
  • Nella notte fra il 12 e il 13 Agosto 1961, i sovietici separarono senza nessun preavviso la parte occidentale di Berlino da quella orientale, utilizzando del filo spinato. Pochi giorni dopo cominciò la costruzione del muro vero e proprio.
  • Fra gli anni 50’ e 60’ l’economia della Germania Ovest ebbe un rapido sviluppo che venne definito dai giornali dell’epoca Wirtschaftswunder ovvero “miracolo economico”.

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Capitolo 5
*** Venezia – 15 Febbraio 1739 ( Roma – 17 Giugno 1970) ***


Venezia – 15 Febbraio 1739
 
Italia corse facendosi spazio fra le ampie gonne di due donne in maschera; esse sobbalzarono sorprese scatenandogli una risata divertita. Campo San Zanipolo era pieno di persone travestite in occasione del carnevale, nobili e popolani si mescolavano per piazza vociando e assistendo a uno dei tanti spettacoli di saltimbanchi. La Basilica dei Santi Giovanni e Paolo vegliava imponente e silenziosa, assieme al monumento equestre in marmo e bronzo di uno dei più famosi capitani della Serenissima. Ma nonostante la confusione, Italia attirava gli sguardi delle persone accanto alle quali passava: una marsina color crema dai ricami dorati a coprire la parte superiore del busto, assieme a una camicia candida il cui pizzo fuoriusciva fastoso dalle maniche. Braghe del medesimo colore della giacca e richiuse all’altezza delle ginocchia, da cui partivano calze bianche di seta aderente. Esse coprivano il polpaccio, fino alle scarpe decorate con una fibbia. A coprire il viso una maschera Zanni dal naso lungo e arcuato, decorato con motivi d’oro e ramati. Dimostrava si e no tredici anni, ma ne aveva molti di più.
Costeggiò i gradini che scendevano fino al canale, superando una barchetta mollemente adagiata sul pelo dell’acqua e voltandosi indietro. Fece un cenno al giovane che lo stava seguendo.
«Sbrigati, prima che comincino a cercarci»
Si diresse verso il Ponte del Cavallo e lo attraversò, fendendo la folla e obbligandola a farsi da parte, fra lo stupore e qualche occhiataccia.
«Per di qui!»
Si immerse nelle calle del quartiere antistante la chiesa, intrufolandosi in un vicolo particolarmente stretto e in cui non passava nessuno. Si arrestò e si voltò giusto in tempo per vedere il giovane svoltare l’angolo e quasi finirgli addosso. Si urtarono e Italia rimbalzò indietro di un paio di passi, lasciando andare un’altra risata cristallina. Gli occhi ambrati si sollevarono sulla figura ansante che lo aveva seguito fino a lì. A differenza sua aveva un costume che non dava nell’occhio perché era fra i più diffusi, ovvero la Bauta. Un tabarro nero e pesante copriva interamente il corpo, la testa era sormontata da un tricorno del medesimo colore e senza ornamenti. La maschera in gesso spiccava sul vestiario sia per la colorazione bianca, che per il grosso labbro allungato come un becco a coprire interamente il viso. Gli unici indizi sull’identità del proprietario erano un ciuffo biondo che sfuggiva dal cappello e il guizzo di iridi azzurre e attente dai fori per gli occhi.
«Ce l’abbiamo fatta! Dai, togliti quella maschera Sacro Romano Impero» sorrise Italia andando a slacciare il nastro che legava la propria. I tratti del suo viso, benché cominciassero ad affacciarsi all’adolescenza, presentavano ancora molte rotondità tipiche dell’infanzia. Quello del biondo invece era più asciutto e allungato, negli ultimi tempi gli zigomi avevano preso ad accentuarsi. Né ripercorse i lineamenti che conosceva a memoria, constatando che oramai lo aveva superato di qualche centimetro in altezza. Ma anche lui dimostrava grossomodo la medesima età.
«Perché sei scappato dalla festa? Il signor Foscari finirà per offendersi»
Italia fece spallucce «È più bello festeggiare il carnevale in strada.» una breve pausa «E poi volevo stare un po’ da solo con te.» confessò senza pudore, provocando un vago colore rosato sulle guance di Sacro Romano Impero.
«…e cosa vuoi fare?» domandò in maniera un po’ impacciata, perché in realtà sapeva bene cosa sarebbe successo.
Italia non rispose, gli sorrise andando ad afferrargli entrambe le mani e avvicinandosi a lui. Si alzò sulle punte dei piedi e premette le labbra contro le sue, in un bacio morbido e prolungato. Il biondo era un po’ rigido ma lo ricambiò. Sbirciandolo fra le ciglia, l’italiano poté vedere le sue palpebre chiuse e la fronte leggermente aggrottata, come se ci stesse mettendo tutto il suo impegno. La pelle del viso aveva raggiunto una gradazione rosata ancora più accesa. Non poté che trovarlo estremamente carino.
Il bacio si interruppe e Sacro Romano Impero guardò alle sue spalle, verso l’ingresso del vicolo, come a controllare che nessuno li stesse osservando. Poi prese l’iniziativa e sospinse Italia verso il muro, andando a coprirlo il più possibile con il corpo e il mantello, ritagliandosi una maggiore intimità. Poi si chinò su di lui e riprese il contatto fra le labbra. Una sensazione tremendamente piacevole che era mancata a entrambi.
Il castano gli accarezzò le mani che ancora stringeva e, sotto i polpastrelli, percepì la stoffa ruvida delle bende. Una fitta di inquietudine incrinò il suo buon umore.
«Ti sei fatto di nuovo male?» Nei secoli lo aveva visto andare e tornare così tante volte dalla guerra, che ne aveva perso il conto. Ma ora stava attraversando un periodo di declino, e ogni volta che tornava aveva sempre più ferite addosso. Avrebbe voluto controllare anche il resto del suo corpo.
«Non è grave, e poi ci sono abituato.» minimizzò cercando di rassicurarlo. Italia si appoggiò con la testa alla sua spalla, le braccia si infilarono sotto il tabarro e si allacciarono alla sua vita.
«Stai perdendo sempre più territori. E fra poco dovrai ripartire.» Nonostante cercasse di evitarlo, quel pensiero gli aveva martellato la testa incessantemente e glielo confessò. «Ho paura che un giorno non tornerai»
Italia percepì Sacro Romano Impero ricambiare il suo abbraccio, la stretta salda attorno le proprie spalle.
«Non mi è concesso tirarmi indietro.» Disse piano. Venezia era così bella; quasi quanto Italia. Avesse potuto, sarebbe rimasto lì con lui per sempre. «Ma riprenderò i territori che mi hanno sottratto. E qualunque cosa succederà, tornerò da te. Te lo prometto.»
Il tono traboccava di determinazione e non poté che credergli. Si fidava di lui. Schiacciò il viso nell’incavo del suo collo e ritrovò la calma, abbandonandosi a quel contatto che tanto amava.
 
Italia aprì all’improvviso gli occhi e si ritrovò abbagliato dalla luce del lampadario appeso al soffitto, alle orecchie giunse la voce del telecronista proveniente dal televisore. Impiegò qualche secondo a mettere a fuoco la stanza e capire dove si trovasse. Il salotto della casa che condivideva con suo fratello aveva un mobilio dai toni caldi, il marrone predominava e la carta da parati era decorata con motivi floreali. Il calendario appeso al muro, segnava la data 17 Giugno 1970.
Si sentiva intorpidito. Quello non era stato un semplice sogno, aveva vissuto un ricordo di molto tempo prima. Ed era stato così vivido e nostalgico che sentì un nodo formarsi sul fondo della gola. Chiuse le palpebre e cercò di rievocare il viso di Sacro Romano Impero. Era sicuro di essere riuscito a vederlo bene, nel suo sogno, ma ora la memoria tornava a offuscarsi assieme ai suoi lineamenti. Emise un lamento sommesso in preda allo sconforto, e si rese conto che aveva gli occhi umidi; un paio di lacrime erano sfuggite dalle ciglia.
«Veneziano, ti sei già addormentato? La partita non è neanche iniziata»
La voce di suo fratello lo riscosse, costringendolo a sollevare il busto aggrappandosi allo schienale del divano. Romano si abbandonò pesantemente accanto a lui mentre fissava lo schermo della televisione, una grossa ciotola di popcorn in mano. Aveva una maglia azzurra della nazionale identica a quella che indossava lui.
«Hai fatto un brutto sogno?» la voce baritonale di Germania attirò la sua attenzione, facendolo voltare nella direzione opposta. Il tedesco si sedette alla sua destra, a lato del divano. Indossava la maglia della sua nazionale, totalmente bianca fatta eccezione per il colletto e i bordi delle maniche neri.
«Qualcosa del genere» Non era vero, ma come avrebbe potuto spiegarglielo? Si soffermò per qualche secondo sul suo volto. La memoria galoppava ancora alla ricerca dei lineamenti di Sacro Romano Impero, ma essi si sovrapposero a quelli di Germania e preferì distogliere lo sguardo.
«Ah, il piccolo Italia ha avuto un incubo?» il tono caldo e un po’ cantilenante di Spagna lo raggiunse; si trovava in piedi alle sue spalle. Si girò giusto in tempo per vedere la mano altrui oltrepassare lo schienale e accarezzargli i capelli, mentre gli rivolgeva un sorriso incoraggiante. «Concentrati sulla partita e vedrai che fra poco lo avrai già dimenticato» disse facendo cenno allo schermo. La maglia dello spagnolo era azzurra, suo fratello doveva averlo convinto a indossarla.
Italia annuì e accennò un sorriso, Romano fissò Spagna e aggrottò le sopracciglia.
«Idiota vieni qua a sederti» lo apostrofò scocciato.
Sentì il contatto di un dito sulla guancia e si accorse che Germania gli stava silenziosamente passando il pollice prima sotto a un occhio, poi sotto all’altro, per asciugare la traccia umida lasciata dalle lacrime. Una premura che gli aveva rivolto chissà quante volte, da quando si erano conosciuti.
Non ebbe il tempo di ringraziarlo che Spagna si fece largo sul lato opposto del divano, costringendo Romano ad addossarsi a lui e lui ad addossarsi a Germania.
«Cazzo se si sta stretti, è tutta colpa tua crucco bastardo. Non puoi essere meno grosso?» si lamentò suo fratello. Per quanto l’ostilità nei confronti del tedesco si fosse attenuata, continuava a non godere delle sue simpatie.
«Romano, non essere scortese» lo rimbrottò Spagna in un tentativo di essere conciliante.
«Non sono io scortese, è lui che è ingombrante. Veneziano piantala di invitarlo!» prese una grossa manciata di popcorn e se li infilò in bocca, come a sottolineare l’asserzione.
«Se tu puoi invitare Spagna, perché io non posso invitare Germania?» protestò Italia venendo chiamato in causa. E poi stargli così attaccato non gli dispiaceva affatto. Ma fu proprio il tedesco ad alzarsi, suo malgrado, lasciando loro spazio.
«Apri le gambe» quella frase sarebbe sembrata equivoca detta da chiunque, fuorché dalla voce seria di Germania. E Italia gli obbedì come al solito, senza battere ciglio.
Lo vide sedersi sul tappeto sistemandosi fra le proprie ginocchia, un braccio appoggiato alla sua coscia e la schiena contro la seduta del divano. Non era da lui sedersi per terra, tanto meno cercare il contatto di sua iniziativa. Sembrava quasi averlo fatto apposta. Infatti a Romano non parve andare a genio neanche quella soluzione. Stava già per aprire bocca per protestare quando Italia intervenne con un sorriso.
«Sei comodo adesso, no?» Gli piaceva quella posizione, anche perché quando cedette alla tentazione di toccare i suoi capelli biondi, gli fu facile raggiungerli con le dita.
La semifinale dei mondiali di calcio, Italia contro Germania Ovest, stava per cominciare.
 
 
Riferimenti Storici:
 
  • Zanni è una delle maschere più antiche della commedia dell’arte. Incarna la figura di un servo dal carattere grezzo e sciocco, legato agli istinti della fame e del sesso.
  • La Bauta era un travestimento molto in voga nel carnevale veneziano del settecento. Veniva indossato sia dagli uomini che dalle donne e garantiva un totale anonimato, grazie anche alla forma della maschera che permetteva di bere e mangiare senza toglierla.
  • La semifinale dei mondiali di calcio 1970 fra Italia e Germania Ovest, fu particolarmente emozionante e influente, al punto che venne chiamata “La Partita del Secolo”.

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Capitolo 6
*** Lago di Como – 29 Luglio 1983 ***


Lago di Como – 29 Luglio 1983
 
Le risate lo investirono squillanti e chiassose, il moto di fastidio crebbe inesorabilmente in lui.
La voce dal timbro maschile la conosceva fin troppo bene, apparteneva a Italia; l’altra, dalle tonalità più alte, era della giovane gelataia con la quale stava flirtando.
Germania torreggiava rigidamente dietro di lui, la mascella lievemente contratta e una piccola increspatura che andava accentuandosi in mezzo alle sopracciglia. La mancina era serrata attorno al manico della borsa da spiaggia strapiena che aveva appesa alla spalla; ad accompagnarla la tracolla dell’ombrellone. Indosso una camicia a maniche corte con una fantasia a fiori tropicali, sbottonata unicamente sul collo, e bermuda blu scuro. La pelle, palesemente troppo chiara per quelle latitudini, aveva assunto una colorazione rosa acceso, quasi rosso, a causa del sole inclemente dei giorni precedenti. Il cappellino con visiera premuto in testa era solo un debole tentativo di difesa. Ogni cosa del suo aspetto, sembrava indicare che si trattasse un tedesco in vacanza.
«I gelati si stanno sciogliendo» si intromise nella conversazione con tono strascicato e incolore.
Italia si accorse in quel momento che due rivoli gusto stracciatella da un lato e cioccolato dall’altro, erano colati sulle mani fino a oltrepassare i polsi.
«Ah scusa, mi ero distratto»
Si affrettò a porgergli il suo cono per poi rivolgere l’ennesimo sorriso alla ragazza.
«Devo andare, ma ci vediamo presto» ammiccò voltando i tacchi e allontanandosi, seguito da un Germania muto come una tomba.
Italia si appoggiò sul naso i Ray Ban modello Wayfarers, senza dare segno di essersi accorto di nulla, e anzi, con una espressione gongolante perché la ragazza gli aveva dato corda.
«Questo gelato è particolarmente buono, fidati» gli assicurò andando a leccare il rivolo dolciastro che, nel mentre, gli era arrivato all’ avambraccio. Germania non pareva affatto in vena di conversazione, ma leggere le situazioni non era mai stato il suo punto forte. Raccolse un discreto boccone con la lingua e lo assaporò soddisfatto. Italia sembrava risplendere come il sole sopra le loro teste; perfettamente a suo agio nel crop top che gli sfiorava l’ombelico, grigio e con una scritta da college americano, e con i pantaloncini di jeans che aveva indosso.
Non avrebbe saputo dire quando aveva cominciato a provare quel desiderio nei suoi confronti; il preciso istante in cui anche la sua parte conscia aveva fatto quello scatto, e aveva compreso di volerlo per sé. Quando si era ritrovato a reclamare silenziosamente le sue attenzioni, i suoi sorrisi, il suo contatto. Forse da più tempo di quanto fosse disposto ad ammettere.
E ora si trovava in un limbo: da un lato una spinta profonda, viscerale, che lo portava a guardare con brama la linea piatta del suo ventre che si tuffava oltre bordo del pantaloncino. Dall’altro il vuoto totale dell’incertezza. La sensazione di trovarsi davanti a un baratro di cui non vedeva il fondo, e la consapevolezza che avrebbe dovuto buttarsi per scoprire cosa c’era sotto. Mille domande sulla loro natura, umana solo in apparenza, la paura del rifiuto e delle conseguenze dettate dalla loro posizione. E a completare il tutto vi era la sua intrinseca insicurezza nelle relazioni. Sehnsucht, la chiamavano dalle sue parti, la malattia del doloroso bramare.
«Ti piace?» Italia lo riportò alla realtà, domandandogli del gelato. Adesso era a lui che stava colando su una mano. Il castano piego appena il capo nella sua direzione, gli occhi ambrati fecero capolino da sopra le lenti scure. Sentì un piccolo fremito attraversarlo.
«Mh» riuscì a produrre solo un suono gutturale mentre lo assaggiava. Era buono davvero.
 
I laghi del nord Italia gli erano piaciuti fin dal primo momento, quindi li visitava spesso nei mesi estivi, quando si concedeva un po’ di pausa dal lavoro. Ma quella estate non era come tutte le altre. In Europa si erano registrati i picchi di temperature più alti di sempre e Germania non aveva mai tollerato bene il caldo. Fu dunque felice di arrivare alla loro destinazione: una spiaggetta defilata rispetto al centro della città, a cui si accedeva scendendo per qualche metro una scalinata di pietra. La riva era rialzata rispetto al livello dell’acqua e la sabbia, mescolata alla terra, era punteggiata da chiazze erbose. Dal bar che dava sulla strada, provenivano le note elettroniche di uno dei brani italo-disco più famosi del momento. Rimasero entrambi in costume, e il tedesco cominciò a spalmarsi uno strato di crema solare spesso abbastanza da lasciare una patina bianca sulla pelle. A Italia venne da ridere, ma lo aiutò diligentemente a metterla anche sulla schiena. Per quanto lo riguardava, si difendeva dalle scottature con l’abbronzatura oramai marcata. Così, nel tempo rimanente, si dedicò a gonfiare un materassino a forma di tigre viola, palesemente da bambini, che si era portato appresso.
Una volta ultimati i preparativi si buttarono da un piccolo molo di pietra, evitando i sassi della riva e immergendosi nell’acqua piacevolmente fredda. Italia non perse l’occasione per giocare e buttarsi addosso, e il tedesco gli fece da trampolino, lasciandolo salire sulle spalle per tuffarsi.
E dopo un po’ finirono entrambi aggrappati al materassino, uno da un lato e uno dall’ altro, le braccia appoggiate e le spalle che affioravano dall’acqua. Italia si era tirato indietro i capelli bagnati, scoprendo totalmente il viso, mentre lui aveva la frangia appiccicata alla fronte, dando vita a una curiosa inversione di pettinature. Germania fu faccia a faccia con l’italiano, a breve distanza da lui, mentre andavano mollemente alla deriva verso il centro del lago.
Si perse qualche secondo ad osservare i dettagli del viso, giusto quanto bastò per notare il castano puntare lo sguardo alle proprie spalle, con un’aria furba.
«Hey Germania, ci sono due ragazze su un pedalò che ci stanno guardando»
Il biondo serrò la mandibola.
«E quindi…?»
«Sono davvero carine, magari potremmo invitar-»
«È possibile che tu voglia provarci con ogni donna che incontri?» aveva sbottato prima che la sua parte razionale potesse fermarlo. Ora si trovava con un Italia sorpreso e un po’ intimorito da tono brusco che aveva usato. Inutile dire che si pentì immediatamente di quella reazione, palesemente esagerata.
«Scusa, è più forte di me… quando vedo una bella ragazza, mi viene voglia di parlarci» cercò di giustificarsi abbassando lo sguardo «Ma non allungo mai le mani, giuro!» forse temeva che lo avesse preso per un molestatore. «E poi quelle due sembravano più interessate a te che a me» proseguì con tono sommesso. «Tu non te ne accorgi mai, ma ci sono un sacco di ragazze che ti guardano.» rivelò tornando con gli occhi su di lui.
Germania si sentì preso in contropiede. «Mi guardano…?» domandò confuso.
«Hai un bel viso, dei begli occhi e un bel fisico. Sei attraente, è normale che ti guardino.» spiegò facendo un cenno verso di lui. Il tedesco ringraziò di essersi messo tutta quella crema solare, perché sentiva il sangue affiorare alle guance; non seppe bene se per la rivelazione o perché Italia aveva detto che era attraente. Si affrettò ad aggrottare le sopracciglia, facendo finta di nulla.
«Beh, anche se fosse, non sarebbe opportuno avere una relazione con un’umana» bofonchiò spostando lo sguardo di lato «e non lo sarebbe neanche per te»
Lo sapevano bene entrambi, gli umani rispetto alle nazione sono fragili. Si ammalano e muoiono velocemente, mentre loro rimangono immutate per secoli e possono arrivare ad esser vecchie di millenni.
«Lo so, ma…» Italia fece un breve sospiro «provo invidia per gli umani, per come vivono le relazioni e l’amore.»
E a quelle parole, la domanda sorse spontanea nella mente di Germania
«Tu» tentennò indeciso per un istante, ma la voglia di sapere ebbe la meglio. «Ti sei mai innamorato di qualcuno?»
Italia impiegò qualche secondo a rispondere.
«Si» confessò infine. «Una volta è capitato.»
«Un’umana?»
«No, una nazione come noi»
«Chi?» Germania cominciava a perdere le inibizioni e andava a briglia sciolta. Sentì il cuore che battere nel petto più velocemente di quanto avesse voluto. Gli dava quasi fastidio che Italia avesse provato un sentimento così profondo nei confronti di un loro simile, ma allo stesso tempo gli premeva scoprire quel suo lato sconosciuto. Voleva farsi un’idea del passato, perché forse intravedeva una speranza flebile per il futuro. Ma al contrario del tedesco, Italia sembrava faticare sempre di più a rispondere.
«Non lo hai mai conosciuto. È scomparso tanto tempo fa.»
Lo sguardo di Germania si dilatò, nel cogliere un dettaglio fondamentale.
«Era un maschio?»
Italia annuì senza parlare, e fece sprofondare il viso fra le braccia che aveva incrociato sul materassino. Era la prima volta in cui lo vedeva in quello stato, oscillante fra il disagio e l’imbarazzo.
«Capisco» mormorò.
Non volle metterlo ulteriormente in difficoltà, quindi non gli fece altre domande.
L’italiano rimase in silenzio per un po’, meditabondo, ma poi rialzò la testa e sollevò lo sguardo. Sembrava avesse appena preso una decisione, seppur colse un pizzico di timore nella sua espressione.
«Ti somigliava» sputò improvvisamente quelle parole. «Davvero tanto. Al punto che la prima volta che ti ho visto, ho creduto che fossi lui.» finalmente ammise quella cosa, che si era tenuto dentro per quasi settanta anni. «Hai i suoi stessi occhi, i lineamenti sono simili e anche il colore dei capelli, come ti cadono sulla fronte quando non li hai pettinati» sollevò la destra per sfiorargli in un gesto delicato la frangia che si stava asciugando al sole. «Anche certi tuoi modi di fare ricordano i suoi.» parlava in maniera sempre più sciolta, mano a mano sembrava liberarsi di un pesante fardello. «Ma tu non sapevi chi ero, la prima volta che ci siamo incontrati. Ed è impossibile che si sia dimenticato di me, della promessa che ha fatto. Chiunque altro avrebbe potuto, ma non Sacro Romano Impero.» pronunciò quel nome, e poi tacque.
Un silenzio pesante, così denso da essere quasi palpabile, calò su di loro.
Germania sentì il cuore martellargli nelle orecchie, ma non riuscì a staccargli lo sguardo di dosso. Ebbe la sensazione di essere entrato in un luogo in cui non avrebbe dovuto mettere piede, di avere violato i suoi recessi più intimi. Mentre Italia parlava, aveva visto passare sul suo viso emozioni che mai avrebbe immaginato. Da una malinconia dolce e amara allo stesso tempo, ad una tristezza recondita e profonda. Gli era sembrato un’altra persona, come se, in tutti quegli anni, non lo avesse mai conosciuto realmente. E poi quello che aveva detto, le parole gli rimbalzavano confusamente nella testa. Suo fratello gli aveva parlato di Sacro Romano Impero, colui che lo aveva preceduto, ma non aveva mai accennato alla somiglianza o alla relazione che aveva con Italia.
Si sentì sopraffatto. Sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa, ma le parole si accavallavano nella mente senza che riuscisse a formare una frase di senso compiuto. Fu Italia stesso a rompere il silenzio, mosso da un senso di colpa visibile nell’espressione.
«Mi dispiace, non avrei dovuto dirtelo. Non volevo metterti in difficoltà.» accennò un sorriso debole, che provocò una morsa allo stomaco nel tedesco. «È che non sono mai veramente riuscito ad accettare la sua morte. Forse vedo in te più somiglianze di quante ce ne fossero realmente.» Ammise anche l’insicurezza che lo aveva accompagnato per tutto quel tempo. «Dopo tutto, è passato talmente tanto tempo che nei miei ricordi, la sua faccia sta cominciando a sbiadire» Non aveva versato una singola lacrima, eppure quella piccola incrinatura che percepì nel tono gli fece male.
«No. Sono io che non avrei dovuto farti tutte quelle domande.» in qualche lontano recesso della sua gola, Germania ritrovò la voce. «Ti ho fatto parlare di qualcosa di doloroso. Mi dispiace.»
Italia scosse la testa.
«Da quando Francia mia ha detto che non c’era più, è la prima volta che riesco a parlare di lui e a pronunciare il suo nome.» mormorò. «Forse questo è il primo passo per lasciarlo finalmente andare.»
Germania non sapeva che pensare, non aveva idea se tutto questo fosse una cosa positiva o negativa, ma percepiva forte la spinta a confortarlo. Rivoleva l’Italia che aveva sempre conosciuto: sorridente, con il cuore leggero e pronto a combinare qualche guaio.
Non era mai stato bravo a consolare, ma mosse la mano verso la sua e la coprì, per poi stringerla.
Italia girò il palmo e intrecciò le dita con le proprie, per poi guidare il dorso della mando del tedesco ad appoggiarsi sulla sua guancia. Il suo viso era caldo, la pelle morbida e piacevole da toccare. Lo osservò chiudere gli occhi e rimanere in silenzio, un sorriso leggero a curvargli le labbra, come se quel contatto lo aiutasse a risanare la vecchia ferita.
Non era un gesto plateale, eppure gli sembrò così intimo. Per un breve istante, Germania si dimenticò del resto del mondo.
 
Riferimenti Storici:
 
  • Nel Luglio del 1983 si verificò una delle maggiori ondate di caldo mai registrate in Europa. L’Italia fu maggiormente colpita nelle zone centro-settentrionali, con punte di 40°C

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Capitolo 7
*** Berlino – 9 Novembre 1989 ***


Berlino – 9 Novembre 1989
 
Germania fece scontrare vigorosamente il boccale di birra contro il proprio. Parte della schiuma fuoriuscì e cadde a terra, ma la cosa non sembrò preoccuparlo. Anzi, una risata profonda esplose dalle sue labbra, l’ennesima della serata.
Italia lo aveva visto raramente ubriacarsi in quel modo, e probabilmente mai così euforico.
Il motivo ce l’aveva di fianco: Prussia aveva appena fatto eco alla risata con il suo peculiare tono ruvido e sguaiato. L’ultima volta che si erano visti, era stato quarantatré anni prima.
Germania barcollò e si aggrappò alla spalla del fratello che traballò a sua volta. Per poco non caddero. Un’altra esplosione di risa.
Si trovavano fuori da un locale nella zona ovest di Berlino, non molto lontano dal valico di frontiera di Bornholmer Straße, che era stato attraversato da una fiumana di persone quella sera. Le stesse persone che ora li circondavano e festeggiavano, in un clima di felicità e emozione.
I locali stavano servendo da bere gratis, ed erano ancora aperti nonostante fosse notte fonda.
Italia bevve un generoso sorso dal proprio boccale, sorridendo contagiato dal buon umore generale. E dire che aveva assistito a quell’evento per caso.
Si trovava a casa di Germania in una delle sue consuete visite, quando Prussia aveva chiamato avvisando che stava succedendo qualcosa. I suoi capi avevano deciso di concedere l’attraversamento del muro tramite un lasciapassare e avevano dato anche a lui il permesso, dopo tanti anni, di andare dall’altra parte. Il provvedimento sarebbe entrato in vigore la mattina successiva.
Germania era voluto partire subito alla volta di Berlino e Italia lo aveva seguito, offrendosi di guidare la macchina. Al loro arrivo qualche ora dopo, gli abitanti della parte Est, avevano già invaso le vie di quella Ovest. Un errore in un comunicato stampa, spiegò loro Prussia, aveva fatto ammassare ai posti di blocco una folla smisurata e alle guardie di frontiera non era rimasto altro da fare, che lasciarli passare.
 
Lo sguardo di Italia vagò sulle persone attorno a sé; l’eccesso di alcol non lo aveva risparmiato e il panorama pareva ondeggiare. Focalizzò la sua attenzione su un giovane e, a causa dei riflessi rallentati, impiegò un po’ a capire cosa stesse facendo. Mosso dalla curiosità si avvicinò, tracannando un altro sorso di birra. Aveva in mano un piccone e picchiava ripetutamente sul muro che tagliava in due la città, scavando un buco e facendo saltare per aria calcinacci.
Quando si accorse di essere osservato gli rivolse un’occhiata furtiva, cercando di caprine le intenzioni.
Italia lo guardò con espressione beata, dondolando sui talloni e mimando un brindisi con il boccale. Compreso che non avrebbe tentato di fermarlo, il giovane riprese a picconare.
Un frammento di cemento decorato dalla vernice spray di un graffito, rotolò vicino al suo piede. Il castano si piegò e lo raccolse, osservandolo per qualche momento. La propria felicità non era esplosiva come quella dei due tedeschi, ma qualcosa di più morbido e diffuso. Sapeva cosa significava tutto questo per Germania, per il suo orgoglio. La speranza che questo potesse dare inizio alla tanto desiderata riunificazione, si accendeva sempre di più.
Infilò il frammento di muro in tasca, giusto qualche secondo prima che di sentire la presa di un braccio maschile e forte passargli attorno alle spalle e attirarlo a sé. Si ritrovò appiccicato al fianco di Prussia.
«Italia, cosa ci fai qua da solo? E con il bicchiere mezzo vuoto, per giunta» biascicò, la voce era maggiormente roca rispetto solito. Probabilmente era il più sbronzo fra di loro. «Andiamo a riempirlo» disse entusiasta cominciando a trascinarlo verso il locale.
«Solo se lo riempi anche tu» Lo assecondò Italia, senza nessuna intenzione di frenarlo. Prussia si era sempre comportato in modo amichevole nei suoi confronti, e quei lunghi anni di isolamento non sembravano averlo cambiato.
«Allora, ti sei preso cura del mio fratellino mentre non c’ero?» gli domandò con un sorriso sghembo, ma non lo lasciò rispondere che subito berciò in direzione di Germania. «Hey West, sono geloso! Tu sei stato tutto il tempo con Italia e al magnifico me è toccato Russia. Hai idea di quanto sia inquietante stare con lui? Adesso facciamo cambio per un po’!»
«Neanche morto fratello!» rispose Germania con tono divertito.
 
Prussia farfugliò qualcosa di incomprensibile e poi tornò a far ciondolare la testa sul petto. Italia constatò che, nonostante fosse leggermente più basso e meno muscoloso rispetto al fratello minore, era comunque parecchio pesante da trasportare. Specie perché era tutto fuorché collaborativo: a stento muoveva i piedi in dei passi malfermi.
«È svenuto?» chiese rivolto a Germania.
Lo sorreggevano dai i lati e si erano fatti passare le sue braccia attorno al collo.
«Credo di sì» rispose il biondo lanciandogli una breve occhiata. «Riesci a portarlo?»
«Certo, non è niente in confronto ai tuoi allenamenti» replicò, anche se stava facendo fatica. Ma la loro vecchia casa era vicina al punto in cui avevano parcheggiato, quindi non avrebbero dovuto fare tanta strada. Il cielo cominciava a rischiararsi, segno che l’alba stava giungendo. Faceva freddo ma, a causa dell’alcol ingerito, non se ne accorgeva quasi. Germania sembrava essersi un po’ ripreso rispetto a qualche ora prima, si comportava in maniera più composta. Ma il passo traballante tradiva il fatto che la sbornia non fosse ancora passata.
«Erano davvero così terribili?» il tedesco cercò il suo sguardo. Lo aveva fatto così tante volte quella sera, che aveva perso il conto. E lui ne era stato inevitabilmente felice.
«Pessimi» Annuì con un sorrisetto, mentre varcavano il cancello e attraversavano il piccolo giardino che dava su un portico in legno. Ottenne un piccolo sbuffo divertito in risposta.
Per poco non cadde sotto il peso eccessivo, quando Germania allentò la presa sul fratello per aprire la porta. Ma tenne duro e riuscirono a trascinarlo fino alla sua camera da letto. Prussia non diede segno di accorgersi di nulla, neanche quando lo lasciarono cadere scompostamente di faccia sul materasso.
«Vai pure, ci penso io a levargli il giubbotto e le scarpe» fece cenno il biondo e Italia lo lasciò fare, uscendo dalla stanza.
 
Era dalla seconda guerra mondiale che non metteva piede in quella casa. Molti ricordi affiorarono mentre attraversava il corridoio e il salotto, tornando all’ingresso. La maggior parte dei mobili era rimasta uguale, anche se tanti degli accessori e degli elettrodomestici erano stati rimpiazzati con quelli moderni. Era tutto più disordinato rispetto a un tempo, chiaro segno che in quella casa Prussia fosse solo. Aprì la porta e fu di nuovo all’esterno; inspirò a fondo l’aria fredda del mattino, lasciando fuoriuscire dalle labbra una nuvola di condensa.
Trovò posto sulla panchina sotto il portico, a osservare il cielo che diventava via via più chiaro e si colorava di giallo e arancione. Si accorse solo in quel momento di avere sonno. L’adrenalina data dai festeggiamenti stava sparendo, lasciando posto alla stanchezza della nottata in bianco. Ma allo stesso tempo voleva godersi un po’ quell’atmosfera tranquilla, il pacato silenzio della città che si svegliava prima che ci fossero persone e macchine in strada. I Berlinesi stavano per ridestarsi su una nuova epoca.
Germania lo raggiunse poco dopo. Non si voltò ma lo sentì aprire la porta e, con la coda dell’occhio, vide che aveva ancora il cappotto addosso.
«Che ci fai qua fuori? Fa freddo» lo guardò con una punta di curiosità, forse cercava di capire quanto era ancora ubriaco.
«Guardo l’alba» Italia fece un cenno verso il cielo. Il tedesco in risposta, mise le mani in tasca e si sedette accanto a lui. Percepì la sua spalla sfiorare la propria e gli venne istintivo appoggiarsi, cercarne il contatto. Ebbe l’impressione che anche l’altro si fosse chinato verso di lui.
«Ah, a proposito» un pensiero tornò alla mente del castano, e frugò nella tasca andando ad estrarre il frammento di cemento che aveva raccolto in precedenza.
«Un ragazzo stava spaccando il muro prima» spiegò tenendolo fra il pollice e l’indice per mostrarglielo «Mi sembra di buon auspicio.» spiegò porgendoglielo. Germania osservò quel pezzo di calcestruzzo colorato, rigirandolo fra le dita con aria meditabonda.
«Me lo stai regalando?»
Italia annuì
«È tuo, del resto. E poi io ho già un ricordo di questa serata» spiegò con aria sorniona, andando a tirare fuori dalla stessa tasca una polaroid e mettendogliela sotto il naso. Nell’immagine, un po’ sottoesposta, si vedevano loro due cingersi il fianco a vicenda, ognuno con un boccale mezzo vuoto in mano. Prussia si era messo davanti, con le ginocchia piegate per non coprirli e di boccali ne reggeva ben due. Vedere un sorriso così ampio sul volto dell’albino non è cosa rara, e neppure sul quello di Italia. Ma quando la stessa espressione, per giunta ubriaca, si trova sul viso di Germania, le cose si fanno decisamente più interessanti. Il biondo strabuzzò gli occhi per la sorpresa. Si ricordò solo in quel momento dell’uomo con la macchina fotografica che andava in giro a immortalare i presenti.
«Aspetta, non puoi tenere una foto del genere!» protestò cercando di afferrarla, ma Italia fu rapido a sottrargliela e la nascose all’interno della giacca.
«Troppo tardi» sentenziò con aria soddisfatta. «È mia.»
«…non provare a farla vedere in giro» brontolò il tedesco che, nonostante percepisse ancora l’ebbrezza dell’alcol, sentì affiorare l’imbarazzo.
Italia osservò il suo broncio e si lasciò cullare dalla sensazione piacevole che gli dilagava nel petto ogni volta che stava con Germania. Quante volte era successo? Aveva perso il conto da anni.
«Solo se dopo mi fai dormire assieme a te» sentenziò.
«Tanto dormiresti comunque con me, no? Dovresti chiedermi qualcosa che non sono disposto a fare.» sospirò il biondo, anche se non era veramente scocciato. Anzi, proseguì con tono morbido «Possibile che debba insegnarti anche come ricattarmi?»
Italia ridacchiò divertito e anche felice per ciò che implicavano le parole altrui.
«Lo sai che mi piace quando mi insegni le cose» Concluse senza l’intenzione di ricattarlo sul serio.  Semplicemente andò ad appoggiarsi di nuovo a lui, ma con aria più disinvolta.
«Mi piace un sacco anche Berlino, spero che tornerai presto a viverci» continuò guardando l’alba che si levava. «La prima volta che sono stato qua, non era neppure diventata la capitale della Prussia. Era così piccola rispetto ad adesso…» gli raccontò di ricordi lontani, offuscati dal trascorrere del tempo. Germania impiegò qualche secondo a rispondere.
«Eri con Sacro Romano Impero?» chiese e dal tono si intuì che stava soppesando le parole.
Italia fece un cenno con la testa. «Si, ero con lui.»
Da quando si era sfogato la prima volta, riusciva a parlarne sempre più tranquillamente. Come se quella ferita rimasta a lungo aperta stesse finalmente guarendo.
Germani rimase in silenzio, ma lo sentì tendersi leggermente contro di lui, come se volesse dire o fare qualcosa. All’italiano venne da girare lo sguardo alla ricerca del suo volto. Lo trovò con gli occhi puntati sul pavimento, le sopracciglia avevano formato una piccola ruga al centro della fronte. Forse fu l’alcol che aveva ancora in corpo a sconfiggere le resistenze e tirare fuori quello che gli ronzava in testa da un po’ di tempo.
«Italia» cominciò «Tu vuoi stare sempre assieme a me, vieni a trovarmi spesso anche se questo fa arrabbiare tuo fratello. Sei rimasto mio amico perfino dopo quello che è successo durante la guerra.» fece un piccolo sospiro «È perché ti ricordo Sacro Romano Impero?» cacciò finalmente fuori quella domanda, rifuggendo il suo sguardo. «Mi è venuto il dubbio che forse preferiresti ci fosse ancora lui, al mio posto.»
Italia non sembrò sorpreso dalla sua uscita, anzi, sul viso si formò sorriso mesto ma consapevole.
«Sai, avevo paura che ti saresti fatto questa idea. È uno dei motivi per il quale ho impiegato tanto tempo a dirtelo» si morse il labbro inferiore. Non gli piaceva che Germania pensasse questo di lui, ma allo stesso tempo il dubbio era più che legittimo. Dal canto proprio, conosceva la risposta già da tempo.
Andò a prendergli la mano e se la portò al volto, esattamente come aveva fatto qualche anno prima sul gonfiabile in mezzo al lago. Ma questa volta andò ad appoggiare al proprio viso il suo palmo, e chiuse gli occhi. La testa gli vorticò leggermente a causa della birra, ma il contatto gli sembrò così rassicurante. La mano di Germania era grande, un po’ ruvida ma molto calda.
«Germania, hai sempre un’aria severa e ho perso il conto delle volte in cui mi hai sgridato. Ma sono state molte più le volte in cui ti sei comportato in maniera gentile. Pensi di non darlo a vedere, ma io me ne accorgo sempre. Ti preoccupi per me e mi aiuti ogni volta che ne ho bisogno. Mi assecondi quando voglio fare qualcosa, anche se quella cosa non ti piace, e stai con a me anche se combino un sacco casini. Mi hai pure salvato molte volte, durante la guerra.»
Tenne gli occhi chiusi e le parole fluirono senza esitazioni, perché era già da tempo che aveva fatto i conti con quei sentimenti.
«Mi piace la tua espressione quando mangi quello che cucino, mi piace il modo in cui corrughi le sopracciglia quando sei concentrato in qualche lavoro, mi piace come ti imbarazzi quando fai un gesto carino, mi piace come ti cadono i capelli sulla fronte appena sveglio, ma mi piace anche come li pettini non appena ti alzi. Mi piace come rispondi ai miei abbracci, mi piace appoggiare la testa sul tuo petto e sentire il rumore che fa il tuo cuore. Batte così lento, è molto tranquillizzante sai?» finalmente aprì gli occhi. Incontrò lo sguardo di Germania che ora lo fissava talmente immobile che sembrava essersi dimenticato di respirare.
«Sono questi i motivi per il quale ti sto sempre appiccicato. E altri ancora.» Italia sorrise, girando il viso contro la sua mano e andando a posare le labbra sul palmo. Un bacio morbido, in cui inspirò il sentore leggero della sua pelle. «Credimi, non penso che sarei riuscito a frequentarti troppo a lungo, se tu mi avessi ricordato Sacro Romano Impero e basta. Mi avrebbe fatto solo male.» Mormorò.
Germania rimase fermo in silenzio per un lungo istante, sembrava frastornato, come se avesse appena ricevuto un colpo in pieno viso senza aspettarselo. Poi il suo respiro fremette e Italia sentì la mano che aveva contro il volto muoversi, afferrargli la nuca e tirarlo contro di sé. Prima di rendersene conto, si ritrovò con il viso premuto contro il suo petto. Il tedesco si era chiuso su di lui, entrambe le braccia erano strette in una presa salda, il capo chinato sul suo e la bocca posata contro la chioma castana. Era la prima volta che lo abbracciava di sua iniziativa. Poteva sentirne il respiro accarezzargli le ciocche e il rumore del suo cuore. Ma al posto del suo solito battito lento, lo sentì martellare furiosamente contro il petto, come se volesse scappare fuori.
«Germa-» lo chiamò sollevando la testa alla ricerca del suo sguardo, ma trovò invece le sue labbra. Germania aveva azzerato le distanze premendo la bocca contro la sua.
La mente ebbe un blackout e il cuore prese a galoppare con la stessa furia di quello del biondo. Una sensazione prepotente eruppe dal petto e si sparse in tutto il corpo, cancellando qualunque pensiero. Andò ad aggrapparsi al suo collo con una mano, mentre l’altra si appoggiò al viso. Dischiuse le labbra per rendere più profondo il bacio, per farlo durare più a lungo possibile. Non riuscì a quantificare quanto tempo rimasero così, ma quando si staccarono gli occhi si trovarono ancorati ai suoi.
Italia non disse nulla, fece solo un paio di rapidi respiri e poi si avventò nuovamente contro la sua bocca.
Gli era sempre sembrata un’ipotesi così remota, quella di riuscire a baciarlo, che si rendeva conto solamente ora di quanto lo avesse desiderato.
E non poteva quasi crederci nel sentire come Germania rispondeva, con quanta foga lo cercasse a sua volta e come la presa fosse salda attorno al proprio corpo, quasi avesse paura gli sfuggisse. Presto la bocca non gli bastò più e passò a baciare il collo del biondo, la pelle sottile della gola che lo richiamava più invitante che mai. Inspirò a fondo il suo odore e gli sfregò contro il capo. Poi sentì un sussurro.
«Entriamo»
La voce roca e profonda di Germania, il respiro caldo vicino l’orecchio, gli provocarono un fremito. Annuì.
Il biondo mantenne la presa attorno a lui e quasi lo portò di peso dentro casa. Barcollarono entrambi verso il letto, liberandosi dei giubbotti, della sciarpa, e lasciandoli cadere a terra. Italia si aggrappò al suo collo e si lasciò cadere con la schiena contro il materasso, trascinandolo con sé e obbligandolo a rimanergli addosso. Gli catturò ancora le labbra, mentre inarcava la schiena e sollevava il bacino a premerlo contro il suo. Sentì che era eccitato quanto lui.
Il sorriso affiorò spontaneo mentre Germania gli sollevava il maglione e gli slacciava i pantaloni, e si affrettò a ricambiare il favore. Nell’arco di poco si trovarono sotto le coperte, uno addosso all’altro, pelle contro pelle. A Italia sembrò strano non essere l’unico completamente svestito. Approfittò per esplorare il corpo altrui con le dita, saggiarne le forme e percepire la muscolatura in punti che il tedesco non gli aveva mai concesso di toccare.
La testa girava e l’atmosfera gli sembrò irreale, sospesa come il pulviscolo che fluttuava in lente volute, colpito dalla luce del mattino. I movimenti energici ma a tratti sgraziati di Germania, ne rivelavano l’inesperienza. Tuttavia traboccavano di premura e di una malcelata urgenza, che era la stessa di Italia. Anni e anni passati l’uno accanto all’altro, a desiderarsi e trattenersi, fino a quando i loro sentimenti avevano cominciato a straripare senza che se ne accorgessero.
Italia pensò che fosse andata bene così. Sentirlo muoversi addosso a lui, poterlo stringere, sapere che quel piacere intenso proveniente dal bassoventre era opera sua, era quanto di più bello potesse provare.
Con sommo appagamento, Germania gli rimase addossato anche quando terminarono. Si stesero su un fianco rivolti l’uno verso l’altro e il tedesco gli avvolse il busto fra le braccia, appoggiando il capo biondo e spettinato contro il petto. Italia lo ricambiò stringendo le spalle con un braccio e il collo con l’altro, affondando le dita fra i capelli sulla nuca e accarezzandoli lentamente. Erano entrambi totalmente sfatti e si abbandonarono al sonno, inseguiti dalle sensazioni del tutto nuove che avevano appena provato.
 
Riferimenti Storici:
 
  • Il 9 Novembre 1989 venne deciso che gli abitanti di Berlino Est avrebbero potuto attraversa il confine con un apposito permesso. Il provvedimento sarebbe entrato in vigore il giorno successivo, dando il tempo alle guardie di frontiera di organizzarsi. Durante la conferenza stampa che si tenne poco dopo il ministro della propaganda della Repubblica Democratica Tedesca, che non aveva ricevuto informazioni precise, disse che il provvedimento risultava effettivo da subito. Migliaia di Berlinesi si precipitarono ai posti di blocco e le guardie, non avendo mezzi per sedare la folla, furono costrette ad aprire la frontiera e lasciarli circolare liberamente. Vi furono grandi festeggiamenti e i bar nei pressi del muro cominciarono ad offrire da bere gratis.

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Capitolo 8
*** Berlino – 10 Novembre 1989 ***


Berlino – 10 Novembre 1989
 
 Gli occhi chiari di Germania si aprirono lentamente. Si sentiva frastornato e la prima cosa che percepì fu il lamento del proprio corpo. Lo stomaco in subbuglio, la testa dolente e la bocca secca e impastata. Tipici sintomi da post sbornia. Poi mise a fuoco Italia, o meglio, il petto al quale stava appoggiato.
Impiegò qualche secondo a realizzare cosa era successo prima che si addormentassero. Le parole che il castano gli aveva detto sotto al portico riecheggiarono nella sua mente, e anche quello che era successo dopo.
Sentì il cuore sobbalzare e il sangue affluire rapidamente alla faccia. Non riusciva a credere di essere stato avventato al punto di baciarlo. Ma nessuno mai gli aveva rivolto parole del genere e da nessuno avrebbe voluto sentirle, se non da Italia.
Le emozioni avevano preso il sopravvento, una spinta interna così forte che se non l’avesse assecondata, ne era certo, sarebbe esploso.
Ma il risultato era stato il migliore possibile, e lo aveva fra le braccia in quel momento. Italia lo aveva ricambiato senza esitare e lo aveva spinto a volere di più, a prendere ogni cosa di lui.  E ora giaceva accanto a sé, il respiro lento e regolare, il braccio adagiato mollemente sulle proprie spalle. Sentiva il corpo aderirgli per tutta la lunghezza, e all’altezza del pube il calore proibito e invitante proveniente dal mezzo delle sue gambe. Si trovò a dover reprimere una scossa di eccitazione. Sentiva la faccia bruciare, non poteva specchiarsi ma aveva la certezza di essere paonazzo. Non gli sembrava vero, eppure non stava sognando, Italia era più reale che mai fra le proprie braccia.
Con cautela, fece scivolare la mano dalla schiena altrui al fianco, scendendo fino a toccare con il pollice l’incavo dell’inguine. La pelle gli restituiva una sensazione piacevolmente liscia. Scalò la curva dell’anca fino ad arrivare al sedere, fermandosi quando il palmo ne fu totalmente pieno. Se qualche ora prima lo aveva stretto con disinvoltura e con una foga mai provata prima, ora vi affondò timidamente le dita per tastarne la consistenza.
«Buongiorno»
La voce di Italia lo fece trasalire e gli occhi guizzarono verso l’alto, incontrando un sorriso furbo. Ritrasse immediatamente la mano, come se si fosse accorto di averla appoggiata su un tizzone ardente. Un’altra ondata di imbarazzo lo pervase: era stato scoperto a palparlo di nascosto, una cosa che non era da lui.
Ma l’italiano non sembrava arrabbiato, anzi, tuttalpiù compiaciuto a giudicare dall’espressione divertita che gli vide stampata in faccia. Germania riuscì solo a farfugliare qualcosa di incomprensibile, andando a nascondere il viso arrossato contro il suo petto.
La stretta di Italia aumentò e la sua risata limpida e allegra risuonò per la stanza.
«Guarda che puoi toccarmi quanto vuoi, mi piace» lo rassicurò accarezzandogli il capo.
«...davvero?» mormorò il tedesco in risposta.
Lo sentì sollevargli il viso e lo assecondò, trovando lo sguardo color ambra dilatato. L’espressione del castano aveva una sfumatura soffice, pacata e si trovò a desiderare che lo guardasse sempre così.
«Davvero» confermò posandogli un bacio morbido sulle labbra.
Quel contatto fece affiorare lo stesso languore della sera precedente, restituendogli un po’ di sicurezza e tranquillità. Appoggiò la mano sul viso altrui, apprestandosi a rispondere e approfondire il bacio, quando la porta si spalancò all’improvviso.
«West!» l’urlo di Prussia fece sussultare entrambi «Ho appena visto il telegiornale, si è radunata una folla lungo il muro e hanno cominciato a scavalcarlo e perfino abbatterlo in alcuni punti! Non ti senti già più leggero?»
L’albino era talmente preso dalla notizia che impiegò qualche secondo a comprendere la situazione, ma essa era inequivocabile: i loro visi a un soffio l’uno dall’altro, i torsi nudi che affioravano dalla coperta, i vestiti sparsi alla rinfusa fra pavimento e letto, i segni violacei che avevano entrambi sul collo e sulle clavicole.
Prussia trasecolò.
«Voi- voi due… sul serio?!?»
Germania sentì l’impellente bisogno di prendere una pala e andarsi a sotterrare da qualche parte.
«Da quando? Non mi avete detto nulla!» continuò il maggiore fra i due tedeschi, lo stupore trapelava dalla voce.
«È successo questa mattina, in realtà» Intervenne Italia senza tentare di negare l’evidenza, mettendosi a sedere. La maniera in cui si grattò la nuca, lasciava trasparire una punta di imbarazzo anche da parte sua.
«Ah, dovevo essere già collassato. Non mi sono accorto di niente.» Prussia andò ad appoggiarsi con naturalezza allo stipite della porta con una spalla.
«Allora finalmente ci sei riuscito, West» mostrò un sogghigno fra il divertito e il soddisfatto.
L’italiano sbatté le palpebre un po’ stupito «Sapevi già che gli piacevo?»
«Glielo si leggeva in faccia già verso la fine della guerra.» spiegò disinvolto «Per non parlare di come ti guardava ieri sera. Imbarazzante» Prussia parlava senza alcun filtro come al solito. «Solo tu potevi non accorgertene.»
Italia sembrò piacevolmente sorpreso da quelle rivelazioni.
«Capisco. Per il momento potresti evitare di raccontarlo in giro? Se mio fratello lo venisse a sapere, penso gli prenderebbe un infarto» Italia già immaginava la faccia di Romano.
«Non temere, il magnifico me è il migliore a tenere i segreti!»
Intanto Germania era rimasto immobile, paralizzato come un cervo davanti agli abbaglianti di un automobile. La tranquillità disarmante con cui Italia e Prussia conducevano quella conversazione gli sembrava surreale. Ma il vantarsi di Prussia lo riscosse e le sue labbra ebbero un fremito.
«Sarò più muto della tomba del vecchio Fritz, del resto sono bravo in tutto quello che fa-» il maglione di Italia gli arrivò in faccia come un missile, sparato dal braccio possente di Germania.
«Te ne vuoi andare o no?!?» l’urlo baritonale del tedesco tremava a metà fra l’imbarazzato e lo scandalizzato. «Tu invece non ti accorgi mai di quanto sei dannatamente inopportuno!» gli abbaiò dietro mentre Prussia incassava il colpo e si dileguava con una risata divertita, chiudendo la porta alle sue spalle.
Germania boccheggiò, cercando di far rallentare il battito del cuore, e si coprì la faccia con entrambi i palmi, ricadendo pesantemente con la schiena sul materasso. Troppe emozioni in così poco tempo.
Sentì Italia andare ad appoggiarsi sul suo petto e sbirciò fra le dita.
Sorrideva ad un palmo dal naso, con aria serena e spensierata. E nonostante l’ondata di imbarazzo appena attraversata, si sentì felice.
Andò ad afferrargli le spalle con la mancina e lo attirò a sé, stringendolo in silenzio. Malgrado i postumi della sbornia sentì riaffiorare una forza dimenticata da tempo. Gli sembrava di avere più energie, di potersi muovere più liberamente. Perfino la mente gli pareva più sgombra. Non seppe dire se fosse perché i Berlinesi stavano abbattendolo gradualmente il muro e tornando a mescolarsi fra di loro, o per quello che era successo con Italia, o per entrambe le cose.
L’unica cosa che sapeva è che Prussia aveva ragione, si sentiva più leggero.
 
Rifermenti Storici:
 
  • L’abbattimento del muro di Berlino cominciò nella sera del 9 Novembre e continuò nei giorni seguenti. Diverse persone crearono passaggi non autorizzati con mezzi di fortuna, conservando i frammenti come souvenir. Il governo della Germania Est poco dopo intervenne con dei bulldozer per riaprire i principali varchi della città. Il muro venne ufficialmente smantellato fra Giugno e Dicembre 1990, sancendo il primo passo verso la riunificazione della Germania.
 

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Capitolo 9
*** Venezia – 17 Marzo 2011 ***


Venezia – 17 Marzo 2011
 
«Sei certo che non sia il caso di tornare? Siamo fuori da un bel po’, potrebbero essersi già accorti che la “boccata d’aria” era solo una scusa»
In tutta risposta, Italia prese Germania a braccetto continuando a camminare.
«Lo sai che i discorsi mi annoiano a morte. E poi è la mia festa, sarò libero di trascorrerla come mi pare, no?»
«Si, ma non è una festa qualunque, è il centocinquantesimo anniversario dell’unità.» commentò il biondo. Ligio al dovere com’ era, si sentiva a disagio a comportarsi in maniera così irresponsabile. «E Romano si starà facendo strane idee vedendo che siamo spariti assieme» aggiunse con un sospiro. Al maggiore fra i due italiani non era ancora andato giù il fatto che stessero assieme.
«Romano se la sarà presa perché non ci ha pensato prima lui» sorrise imperterrito il castano. «Torneremo in tempo per il rinfresco, promesso. E poi non ti sta piacendo il giro?»
Erano usciti da Palazzo Pisani e si erano allontanati velocemente, perdendosi fra le calle. Erano passati davanti a una chiesa e Italia lo aveva condotto sul il Ponte di Rialto, insistendo per fare qualche selfie assieme e dirigendosi poi verso il sestiere di Castello.
«Non ho detto questo, Venezia è sempre bellissima.» borbottò affondando le tasche nel Montgomery beige che indossava. Erano entrambi vestiti eleganti, Germania aveva il cappotto chiuso dagli alamari, pantaloni in fresco lana grigi e scarpe eleganti. Italia un trench nero lasciato aperto su una camicia bianca e una cravatta sottile, del medesimo colore del soprabito.
«Allora goditi il panorama e la compagnia, e non pensare al resto» sentenziò totalmente incurante delle proprie azioni.
Capì che non lo avrebbe convinto a tornare indietro e quindi non gli rimase che assecondarlo, come sempre.
 
Arrivarono nei pressi della Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, ed il tedesco si distrasse a osservare la parte laterale della chiesa.
«Ciao! Da quanto tempo…!»
Italia si stava rivolgendo a una coppia piuttosto anziana che passava di lì, un evento usuale quando andava in giro con lui. Era talmente espansivo che pareva conoscere il mondo intero.
Fece educatamente un saluto anche lui, e il castano attaccò a parlare. Sapeva già che non avrebbe esaurito in fretta i convenevoli, quindi tornò a osservare la basilica. Mosse qualche passo per dare uno sguardo alla facciata e, non appena vide la parte della piazza che dava sul canale, uno spettacolo insolito gli si parò davanti.
Una folla in abiti carnevaleschi storici, risalenti al settecento o giù di lì, passeggiava davanti al sagrato. L’attenzione venne catturata dai vestiti e le maschere, ma anche il portamento delle persone che si salutavano o erano radunate in piccoli capannelli a chiacchierare. Sembrava tutto incredibilmente realistico, vi era perfino un saltimbanco in abiti colorati che si esibiva giocolando con delle palline. Si chiese cosa ci facessero li, considerato che il carnevale si era già concluso da un po’. Che si trattasse di una rievocazione storica per festeggiare l’anniversario dell’unità? Stava per girarsi a chiamare Italia e domandargli se ne sapesse qualcosa, quando qualcuno gli arrivò alle spalle e lo superò, fermandosi a un paio di metri da lui.
Era un ragazzino con indosso vestiti chiari, che risaltavano rispetto agli altri, e una maschera dal naso lungo e arcuato. Ma quello che colpì Germania furono alcuni particolari fin troppo familiari: La tonalità ambrata degli occhi che intravedeva dietro la maschera, la sfumatura dei capelli, la pettinatura e quel ricciolo ribelle che si arcuava sul lato della testa. Il ragazzino gli fece concitatamente cenno di seguirlo e, senza sapersi spiegare il perché, il tedesco percepì l’impulso di andargli dietro. Il giovane si mise a correre a perdifiato lungo il bordo del canale, superando una barchetta che pareva anch’essa giunta da un’altra epoca. Lui lo inseguì con ampie falcate, cercando di non perderlo di vista. La persone in maschera erano ovunque, continuò a incrociarle sul ponte e le vide fino in fondo alla via verso la quale stava correndo. Pareva come se all’improvviso avessero invaso tutta Venezia e fosse lui il pesce fuor d’acqua, con quegli abiti moderni. Ma continuò imperterrito a farsi largo e andare dietro al giovane che, di tanto in tanto, si girava a controllare che ci fosse ancora e lo incitava con la mano a brigarsi. Lo vide intrufolarsi dentro un vicolo talmente stretto che temette quasi di non passarci e, non appena voltato l’angolo, se lo ritrovò improvvisamente davanti.
Lo sconosciuto rise senza emettere alcun suono, sollevando le mani a slacciare i nastri che assicuravano la parziale copertura del suo viso.
Stava dicendo qualcosa, ma non riusciva a sentire le sue parole. La voce arrivò dopo un po’, sembrando un eco proveniente da molto lontano.
«…dai, togliti quella maschera Sacro Romano Impero»
Rimase sbalordito nel vedere il volto per intero. Era giovane, le guance rotonde e gli occhi grandi, ma i tratti erano incontrovertibilmente quelli di Italia. Boccheggiò. Come lo aveva chiamato?
«Germania!»
La voce di Italia arrivò alle sue spalle, molto più forte e netta rispetto a quella appena udita. Il tedesco si girò di scatto, l’espressione frastornata e confusa. L’italiano come sempre lo aveva conosciuto, era appoggiato ansante alla parete del vicolo. Dietro di lui i passanti indossavano comunissimi abiti moderni.
«Che cosa è successo? Ti ho visto scappare all’improvviso senza dire niente» una nota preoccupata nel tono. Germania girò rapidamente la testa, lì dove aveva visto Italia in versione ragazzino, ma il vicolo era vuoto. Tornò a quello adulto e rimase a fissarlo senza rispondere. Si sentiva stordito e non riusciva a spiegare cosa gli era appena successo. Italia mosse un passo verso di lui e, solo in quel momento, sembrò accorgersi dove si trovava. Qualcosa parve tornare alla memoria del castano, nell’osservare le pareti annerite dal tempo.
«Perché sei venuto qui? Che cosa ti prende?» l’urgenza di una risposta nella voce era aumentata.
Germania sentì l’impulso irrazionale di stringerlo e, quasi il suo corpo non gli appartenesse, coprì la poca distanza che li separava per cingergli le spalle e tirarselo contro. Percepì una spinta interna che non seppe spiegarsi, come se qualcosa volesse uscire ma fosse ostacolato. E finalmente sembrò ritrovare la voce.
«Non ne sono sicuro. Io ho visto… qualcosa.»
Italia sembrò accorgersi di quanto era scosso e lo abbracciò a sua volta, prendendo ad accarezzargli la schiena.
«Cosa hai visto?»
«Ricordi quando siamo scappati da El Alamein e abbiamo passato la notte nel deserto?» disse il tedesco all’improvviso «Mi hai chiesto se fossi venuto a prenderti di mia volontà, o se fossi influenzato dalla nostra alleanza» Perché ne stava parlando? Apparentemente non c’entrava nulla. Ma Germania provava solo il desiderio impellente di liberare ciò che gli premeva dentro. Un sentimento, una promessa, qualcosa che sembrava appartenere a un’altra persona e a un’altra vita.
«La risposta è che sono venuto perché lo volevo io. Quello che provo per te, non è mai stato e non sarà mai dettato dalla politica o dagli umani» cacciò fuori quella risposta che aveva tenuto in sospeso per quasi settanta anni. «Qualunque cosa succederà, anche se i nostri capi dovessero dichiararsi guerra a vicenda, io starò sempre con te. Non me ne andrò mai più.» non seppe neanche lui perché aveva terminato con una frase simile, visto che –da quando si erano conosciuti– non erano mai stati separati troppo a lungo. Ma fu come togliersi un grosso macigno di dosso e finalmente espirò.
Italia invece era immobile, quasi cristallizzato, un’espressione attenta ma indecifrabile si era formata sul suo viso.
«Germania… cosa hai visto?» disse con un filo di voce e si accorse che, nell’attesa di una risposta, stava trattenendo il respiro. Il tedesco esitò. Stava forse impazzendo? Non aveva idea se le nazioni potessero perdere la testa e avere le allucinazioni come succedeva agli umani.
«Te» confessò infine «O meglio, te ma avrai avuto dodici o tredici anni. Avevi addosso una maschera e dei vestiti da carnevale. Mi facevi cenno di seguirti e hai corso fino a questo punto.» deglutì cercando di cogliere la sua reazione. Temeva di averlo spaventato.
Le palpebre di Italia si spalancarono, ma solo inizialmente. Sentì le sue mani scivolare ai lati del volto, i pollici accarezzargli lentamente gli zigomi. Si aspettava un’espressione sgomenta e confusa, invece sul viso vide solo una profonda consapevolezza, come se sapesse esattamente di cosa stava parlando. Le pupille si dilatarono e un sorriso morbido, nostalgico, gli curvò le labbra verso l’alto. Probabilmente il sorriso più bello che avesse mai visto sul volto di Italia. E infine posò la bocca contro la sua, baciandolo in maniera lenta, quasi stesse godendo di ogni singola sensazione proveniente da quel contatto.
Dopo le emozioni forti e improvvise che aveva provato, Germania si sentì bene a tal punto che non gli importò di trovarsi in pubblico.
Quando il bacio scemò in maniera naturale, Italia rimase a un soffio dal suo viso, andando ad appoggiare la fronte alla sua. I loro respiri si incrociarono.
«Alla fine sei tornato» mormorò guardandolo negli occhi.
«Cosa…?»
Italia non rispose e lo prese per mano intrecciando le dita con le sue, per poi girarsi e cominciare a tirarlo verso l’uscita del vicolo.
«Vieni, credo proprio che sia Prussia che Francia debbano spiegarci un po’ di cose»
Germania non poteva capire, non ancora. Ma si sentiva così in pace con sé stesso, che non avanzò altre domande. Si lasciò guidare dal passo sicuro e rapido di Italia, ovunque lo avrebbe condotto lui lo avrebbe seguito.
 
Riferimenti Storici:
 
  • Il 17 Marzo 2011 si è celebrato il 150° anniversario dell’unità di Italia.

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