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Era quasi
notte inoltrata ed il temporale continuava ad imperversare sulla città di
Parigi con tuoni e fulmini a farla da padrona, innalzando un muro d’acqua che
non permetteva di vedere ad un palmo dal naso, a meno che tu non fossi un super
eroe.
Ormai
erano ore che lo scrosciare dell’acqua addosso le pareti e sui tetti accompagnavano
i parigini fino a che i più assonnati non si addormentarono tra i sussulti e
con il pensiero che se il brutto tempo avesse continuato per tutta la notte,
l’indomani si sarebbero svegliati con una città completamente allagata.
Un
rintocco quasi spettrale risuonò attraverso l’ululato del vento quando un uomo
sulla cinquantina di bell’aspetto, alto, corporatura magra, capelli neri lisci
e con sguardo glaciale, stava discutendo animatamente con un suo coetaneo molto
più basso e grasso, in testa portava un caschetto antinfortunistica color
arancio nonostante indossasse una camicia a scacchi e una cravatta nera, un
abbigliamento che faceva ben intendere di non essere un operaio qualsiasi, ma
qualche capo reparto che passava le sue giornate comodamente seduto sulla
poltrona del suo ufficetto ingurgitando ciambelle zuccherose e caffè
all’interno della sua tazza bianca con inciso a caratteri cubitali “ti
voglio bene papà”, mentre impartiva ordini ai lavoratori della catena di
montaggio, e che infilasse quell’elmetto protettivo solo se si richiedeva la
sua presenza all’interno del reparto. Giusto per non ritrovarsi con un buco in
testa.
Si
trovavano in una fabbrica che produceva prodotti chimici ad alta tossicità,
probabilmente di proprietà di quello più alto.
Due
occhi color smeraldo continuavano a seguirli con insistenza ed enorme
curiosità.
Le
gocce d’acqua di quel temporale colpivano ripetutamente il vetro dell’ufficio
posto ai piani alti e il rumore di tuoni e fulmini si udivano in lontananza.
“Quindi
tu vuoi dirmi che non c’è più posto per stoccare le scorie!” Disse in tono
calmo quello alto mentre controllava minuziosamente il grafico appena
allungatogli.
“S-si!”
Confermò timidamente muovendo la testa su e giù.
L’amministratore
delegato prese la cartellina e chiuse gli occhi facendo un bel respiro profondo
voltandosi, poi senza un accenno e con violenza, tirò quell’oggetto addosso al
grassone facendogli cascare gli occhiali da vista sul pavimento polveroso.
“SEI
UN’IDIOTA, DIDIER! In mezzo anno ti sei giocato l’equivalente di tre, adesso
che cosa facciamo?”
Il
grassone si accucciò a raccogliere quanto caduto e dopo un paio di tentativi
riuscì a trovare quelle lenti.
“Mi-mi
dispiace signor Arthur. La produzione è salita molto nell’ultimo semestre,
dovrebbe essere contento di quanto guadagnato fino ad ora.” Trasalì per cercare
di indorare la pillola.
“Il
problema resta! E lo risolverai TU mio caro” Gli puntò un dito nel petto che
affondò nel grasso, digrignando i denti, non aveva intenzione di pagare per un
errore di calcolo di quell’imbecille, infondo, era quello il suo lavoro, no?
Risolvere i problemi, mentre lui sganciava ingenti somme di denaro
guadagnandone altrettanto.
“I-io?”
Balbettò spaventato, non era semplice far sparire quintali di scorie tossiche
senza che nessuno se ne accorgesse.
Un
fulmine squarciò il momentaneo silenzio tombale che si era creato all’interno
dell’abitacolo della fabbrica, e se quei due avrebbero guardato fuori dalla
finestra, sarebbero riusciti a scorgere sue sagome ben distinte che li controllavano
mentre stavano appostati sul tetto difronte.
“Si,
tu. Hai capito bene”
“Cosa
vuole che faccia?” Chiese aprendo le braccia.
“Non
me ne importa: portatele a casa, bevile se ti fa piacere, ma voglio che
spariscano di qua.”
Didier
arricciò le labbra poco convinto, anche se avrebbe chiamato tutte le centrali
nucleari, nessuno avrebbe acconsentito a ricevere quelle scorie, doveva trovare
un altro modo e in fretta se non voleva essere licenziato, e lui aveva la
soluzione a portata di mano.
Volse
lo sguardo appena fuori la finestra in basso e appena l’ennesimo fulmine
illuminò il vicolo, vide un tombino e un canale di scolo aperto.
“Va
bene. Mi disferò di quei liquami”
Il
signor Arthur lo guardò di sottecchi, nonostante fosse un uomo d’affari molto
potente, la sua ricchezza se l’era guadagnata senza sotterfugi o imbrogli di
alcun tipo, i suoi conti erano sempre stati limpidi e trasparenti come l’acqua,
ma quell’ultima frase del suo collaboratore, soprattutto nel modo in cui gliela
aveva detta, lo aveva fatto preoccupare e non poco.
Didier
era un ottimo braccio destro quando non beveva troppo o si intratteneva con
donne che non fossero sua moglie, oltre l’orario di lavoro in ufficio.
Si,
Arthur sapeva anche delle sue scappatelle, ma era pronto a passarci sopra se lui eseguiva bene il suo lavoro, ma ogni tanto aveva
bisogno di qualche scossone per riattivare i neuroni del suo cervello e farlo
rigare nella giusta direzione.
“In
modo pulito ovviamente” Sottolineò l’amministratore delegato dandogli le spalle
prendendo la via della porta, per poi voltarsi di scatto e lanciargli
un’occhiata fulminante “…inutile dirti che se intendi fare qualcosa di losco,
la colpa ricadrà su di te. Tu dirigi il reparto, tua la colpa.” Disse in tono
mellifluo chiudendo dietro di sé la porta lasciando il grassone da solo con i
suoi pensieri.
Non
ci pensò due volte e prese la bottiglia mezza vuota di gin che teneva
nell’ultimo cassetto della scrivania e senza troppi complimenti ne trangugiò un
bel sorso fino a che la gola non gli bruciò e dovette buttare fuori dell’aria
dalla bocca per sopperire a quel breve, ma dolce dolore.
“Fa
presto lui a parlare…” Berciò tra sé e sé buttando la testa all’indietro “…e
intanto si incassa i bei soldoni…” Ingurgitò dell’altro gin cercando di trovare
un’altra soluzione, questa volta più pulita rispetto a quella di svuotare i
bidoni nelle fogne rischiando di avvelenare i parigini.
Volse
nuovamente lo sguardo fuori dalla vetrata e quando un altro fulmine squarciò il
cielo vide una figura nera che lo stava osservando nel tetto difronte.
Indietreggiò
per lo spavento riconoscendo quella figura inquietante: Chat Noir.
Poi,
quando fece per assicurarsi che fosse ancora lì, il super eroe era sparito.
“Sarà
stata solo la mia impressione” Tirò un sospiro di sollievo staccandosi dalla
bottiglia che lanciò nel primo cestino libero.
*
“Dici
che ti ha visto?” Chiese sussurrando la nuova portatrice del miraculous dell’ape mentre assieme a Chat Noir saltellavano
tra i tetti della città.
L’eroe
in nero fece spallucce “Anche se fosse? Non hai sentito che cosa aveva in mente
quel delinquente?”
“Non
puoi esserne sicuro, e poi sarebbe una cosa terribile da fare.”
“Il
capo gli ha detto chiaramente di far sparire quelle scorie” Chat Noir richiamò
la sua farfalla spia sulla punta del dito indice quando rientrò in casa dalla
finestra che aveva lasciato aperta seguita dalla giovane, poi schioccò le dita
facendola sparire per sempre.
“Peccato,
era carina!” Fece spallucce la ragazzina bionda trattenendo uno starnuto.
“Ha
fatto il suo dovere, non abbiamo più bisogno di lei…Plagg,
Duusu, dividetevi” Chat Noir venne avvolto da una
luce verdastra con sfumature bluastre.
“Ritrasformami!”
Ordinò lei prima che la porta si spalancasse furiosamente.
“Dove
siete stati voi due??” Chiese un’iraconda Marinette
ancora con i capelli arruffati ed il segno evidente sulla guancia lasciato dal cuscino
“…non avete visto che ore sono? E TU…” Si rivolse a suo marito con l’indice
alzato “…TI PARE TRASCINARE UNA RAGAZZINA DI QUATTORDICI ANNI CON QUESTO
TEMPACCIO E A QUEST’ORA DELLA NOTTE NELLE TUE SCORRIBANDE, PER GIUNTA AMMALATA???”
Lo avrebbe preso volentieri a schiaffi quel gattaccio.
Adrien
trasalì e deglutì il nulla, era incazzata e questa volta non l’avrebbe passata
liscia.
Gli
occhi di Marinette erano lucidi, ma anche fuori dalle
orbite e presto avrebbero anche sputato frecce avvelenate addosso a lui; doveva
fare qualcosa, per prima cosa: rimanere il più calmo possibile per non
rischiare di litigare proprio davanti a sua figlia.
“Tu
dormivi” Disse con naturalezza sfoderando il suo fascino “…e poi Emma mi ha
detto di stare bene, l’influenza è passata.” Adrien prese un asciugamano dal
bagno personale e ne passò subito dopo uno alla figlia, dovevano asciugarsi
immediatamente, altrimenti rischiavano di beccarsi un malanno entrambi.
Nonostante
fosse primavera inoltrata e la temperatura era salita di qualche grado nelle
belle giornate, c’era sempre l’inconveniente che quando pioveva, l’aria
diventava gelida, costringendo i cittadini a rispolverare i vecchi cappotti
riposti con cura all’interno degli armadi o negli scatoloni per il cambio
stagionale.
“Si,
mamma. Sto bene” Confermò la bionda ragazzina con ovvietà, sentendosi ad un
tratto strana: la vista iniziava ad annebbiarsi e lo stomaco improvvisamente
contorcersi dal dolore e dal senso di nausea.
La
testa iniziò a farle male e le guance avvampare all’improvviso.
Brividi
di freddo le attraversarono il corpo, costringendola a chiudersi di più nell’asciugamano
per non far trasparire il suo malessere.
“Lo
decido io se stai bene, OK???! Vuoi forse finire all’ospedale a causa della tua
patologia?” Non aveva mai visto sua madre così furiosa e allo stesso tempo
preoccupata.
Questa
volta padre e figlia l’avevano combinata grossa, più Adrien, perché era stato
lui ad acconsentire ad Emma di uscire di casa nel buio e nel freddo di quella
notte tempestosa.
“La
tratti come un’appestata!” Convenne Adrien prendendo le difese della biondina
ammiccandole “…se ti ha detto che sta bene, sta bene.”
Marinette digrignò i denti
dalla rabbia ricordando alla perfezione lo spaghetto che entrambi avevano preso
quando solo qualche mese fa Emma era stata ricoverata in ospedale in condizioni
gravi.
Ora,
era reduce da una semplice influenza, ma ampliata dai problemi respiratori di
cui soffriva la giovane, diciamo pure un souvenir che nonna Emilie le aveva
trasmesso, una forma di asma rara e pericolosa se non curata a dovere, ma gli
Agreste potevano contare sempre sulle cure migliori in assoluto, soprattutto grazie
alla generosità di nonno Gabriel, il quale donava spesso denaro al reparto di
terapia intensiva e devolveva anche aiuti alla ricerca sulle malattie
respiratorie rare.
“…ormai
sono giorni che non ha più la febbre e per me può ricominciare la scuola già da
domani.” Continuò il biondo con aria spocchiosa fomentando ancora di più l’ira
della moglie che non la pensava di certo allo stesso identico modo, ma si
fidava anche molto di suo marito e sapeva bene che non avrebbe mai messo in
pericolo sua figlia per niente al mondo, in fondo quella sera sarebbe toccato a
lei pattugliare quella fabbrica, dopo che Gabriel aveva espresso la
preoccupazione del suo amico Arthur su sospetti illeciti compiuti dal suo
braccio destro Didier.
Peccato
che Marinette si era addormentata non appena aveva
toccato il divano del salotto nel tentativo di trascorrere un po' di tempo con
Hugo, il figlio più piccolo, che la seguì a ruota appena aveva appoggiato la
sua testolina nera sul suo petto.
“Forse
hai ragione… sto esagerando.” Mormorò Marinette
avvicinandosi al marito e vedendo che Emma tutto sommato stava bene, ma solo
all’apparenza, perché la ragazzina non vedeva l’ora di ritornarsene nella sua
stanza e sotto le coperte.
“Stai
lavorando sodo in questo periodo, è normale essere stanchi.” Adrien le mise le
mani sulle spalle amorevolmente ed Emma non potè non
pensare che al mondo esistessero genitori migliori di loro due e sorrise mentre
strofinava i capelli dentro l’asciugamano e tremava dal freddo.
“La
sfilata si avvicina e sai bene che acque tirano ai piani alti.” Sospirò
mestamente ricordando tutta la fatica di quel periodo, però aveva un uomo
meraviglioso accanto che sapeva bene come tirarle sempre su il morale e farle
dimenticare per qualche attimo tutti gli impegni lavorativi e non.
Le
bastava un suo tocco per lasciarsi andare completamente a lui.
Adrien
sogghignò, nonostante il suo ufficio si trovasse un po' più in basso, nei
corridoi si percepiva la tensione che scendeva dall’alto.
Vento
freddo,
lo chiamava per scherzo.
Stoffe
del colore e del tessuto errato, gioielli che non arrivano, pizzi sgualciti,
modelle e modelli che si danno malati e quindi da sostituire… per non parlare
di Gabriel Agreste e di come riusciva a trasmettere la sua ansia all’intero
staff.
E
conosceva bene quella sensazione di smarrimento, la testa che vortica e tu
vorresti solo vomitare, proprio come era accaduto ad Emma in quel preciso
momento prima di svenire sul pavimento della camera da letto dei genitori.
*
Continua
*
Angolo
dell’autrice:
HolaMiraculer! Eccovi come
promesso la storia nuova ambientata nel futuro, spero vi piacerà.
In questo mio
scritto vedremo un nuovo cattivo, il quale è stato menzionato all’interno della
seria, ma lo ritroveremo più avanti.
E come di consueto
ringrazio fin da subito chi vorrà intraprendere con me questo viaggio che vi
racconterò.
Un ringraziamento
speciale va a summerlover o persefoneb, la quale dispensa sempre ottimi
consigli.
Un abbraccio, e vi
do appuntamento alla prossima settimana.
Emma
aprì lentamente gli occhi, e la prima cosa che la colpì fu l’esalazione acre e
pungente di medicinali e disinfettanti che aleggiavano all’interno della stanza
asettica.
Ci
mise un po' a mettere a fuoco la vista, perché oltre all’odore schifoso di
quell’ambiente sconosciuto, i suoi occhi avevano dovuto fare i conti con la
luce del sole che filtrava dalle tapparelle lasciate leggermente aperte, da cui
arrivava anche una leggera brezza.
Fuori
era una bella giornata, e quello dove aveva riposato non era di certo il suo
letto, e quella non era di certo la sua cameretta.
La
sua stanza da letto odorava di vaniglia e le pareti erano dipinte di un rosa
tenue, quella era bianca, piccola e puzzava. Dio se puzzava.
Sbadigliò
portandosi distrattamente una mano alla bocca prima di scostare le lenzuola
bianche e poggiare i piedi nudi sul freddo pavimento di linoleum verde.
Emma
indossava una sorta di camice bianco e non il suo pigiama preferito nero con le
impronte da gatto verde fluo, un omaggio al padre super eroe, e visto che in
giro non se ne trovavano più, la piccola aveva espressamente richiesto alla
madre di confezionargliene uno ad hoc per lei.
Unico
nel suo genere, era stata la sola ed esclusiva condizione.
Emma
aveva avuto il suo bel pigiama come ordinato e lo sfoggiava ogni sera
fieramente.
*
Voleva
molto bene a suo padre e lo definiva già un eroe anche se non sospettava
minimamente fosse il famigerato Chat Noir della favola della buonanotte che Marinette era solita a raccontarle ogni sera, fino a quando
una notte non lo vide rientrare a casa mentre lei era di ritorno dal bagno, e
de trasformarsi proprio davanti ai suoi occhi innocenti.
Aveva
fatto cadere il coniglietto a terra mentre osservava un Adrien sconvolto e
terrorizzato.
Emma
non doveva sapere.
Nessuno
dei suoi figli doveva sapere.
“Emma
vieni con me.” Le ordinò con aria seria e lei non se lo era fatta ripetere due
volte.
Aveva
seguito suo padre fino al suo studio e lo aveva visto prendere un sacchettino
marrone dalla cassaforte.
“Mi
dispiace, tesoro. Ma è per il tuo bene!” Adrien prese un po' di polvere, ma
prima di soffiargliela in faccia esitò.
Adrien
si morse il labbro inferiore e guardò sua figlia negli occhi, gli stessi suoi
occhi: Emilie.
“Che
cosa ti dispiace, papà?” Chiese innocentemente.
Adrien
fece un bel respiro profondo temporeggiando, era pericoloso spargere la polvere
della memoria, non sapeva che cosa effettivamente potesse cancellare e quanta
evidentemente da utilizzare per non eliminare troppo.
Sorrise
e si lavò la mano.
Per
quanto avesse sette anni, Adrien riteneva Emma una bimba intelligente e
soprattutto si fidava di lei.
“Che
tu lo abbia scoperto così.” Le rispose.
“Ma
io lo sapevo già.” Fece spallucce lasciando suo padre piuttosto perplesso “…
avevo visto Plagg che rovistava nel frigorifero una
volta, ma lui non mi ha notata, quindi se due più due fa quattro, tu non potevi
essere nessun altro, a meno che non abbiamo un ruba formaggio in casa.”
Sogghignò divertita.
“E
non mi hai mai chiesto nulla?”
Emma
incurvò un labbro “Beh… non ne ero sicura e poi non volevo che mi sgridassi.”
“Perché?”
“Perché…
la notte che ho visto Plagg ero in punizione in
camera mia, e sia tu che la mamma mi avevate detto di non muovermi da lì, ma io
avevo tanta sete.”
Adrien
le sorrise innocentemente e le scompigliò i capelli “Sei un po' monella… mi
ricordi qualcuno… ma ti voglio bene, Emma… senti, che ne dici se questo sarà il
nostro piccolo segreto?” Le allungò il dito mignolo che lei attorcigliò con il
suo minuto e sottile.
Adrien
si fidava di lei e non lo avrebbe detto di sicuro al fratello più grande, né a
quello piccolo nato ormai da un anno.
“Va
bene, non lo dirò nemmeno alla mamma” Poi assottigliò gli occhi “… a meno che
la mamma non sia…” Si arrestò di colpo e spalancò la bocca “… Lady Bug!”
Adrien
non proferì parola e questo bastò alla piccola per confermare la sua scoperta.
*
Emma
si avvicinò alla finestra ed alzò del tutto la tapparella per far entrare più
luce, era già stata in quella clinica qualche tempo fa.
La
stessa clinica dove le era stata diagnosticata un’asma tra le più aggressive,
diciamo pure un regalino di nonna Emilie, anche lei affetta dalla stessa
malattia e aggravata successivamente dall’uso del miraculous
del pavone.
*
“Ho
sempre saputo che siete speciali voi due, ma non così…” Cinguettò felice la
bimbetta saltellando qua e là per la stanza prima di essere colta da un colpo
di tosse.
“Shhh… non lo dire ad alta voce” Sibilò Adrien premendole il
dito indice sulla bocca.
“Ah!
Già il nostro segreto” Confermò lei parlando a bassa voce.
Emma
tossì ancora un paio di volte.
“Posso
fidarmi di te?” Le chiese intenerendo lo sguardo abbassandosi al suo livello.
“Sempre,
papà!” Tossì ancora, questa volta più forte e uno strano sibilo le uscì dalla
bocca “…non respirò, papà!” Emma annaspava alla ricerca di aria ed Adrien in
preda al panico, ma con sangue freddo, aveva preso la bambina di peso e portata
all’ospedale più vicino dove le furono date subito le prima cure.
*
“Tesoro,
sei sveglia! Siamo stati in ansia per te!” Marinette
entrò come un lampo nella stanza ed abbracciò la figlia.
“Sto
bene, mamma, non devi preoccuparti.” Ricambiò l’affetto per poi scostarsi di
colpo “…ma che ci faccio qui?”
“Non
ricordi niente?” Le chiese Marinette.
Emma
negò con il capo.
“Ieri
sera sei svenuta in camera nostra dopo che sei tornata dalla ronda con papà.
Avevi la febbre altissima e facevi fatica a respirare.”
Emma
si guardò attorno non trovando l’altro genitore.
“Dov’è
papà?” Sembrava più preoccupata perché non era lì che della sua salute.
“E’ andato a casa, è
rimasto qui tutta la notte.”
“Ora
ricordo… stavate litigando.”
Marinette trasalì “Ti ha
portato a fare una ronda con quel tempaccio nonostante fossi ammalata, sai che
non devi prendere freddo per non peggiorare la tua situazione, e soprattutto
usare un miraculous per…” Si fermò di colpo per non
dire qualcosa di cui si sarebbe subito pentita.
“Dillo
mamma… non vuoi che faccia la fine di nonna Emilie!” Emma indurì lo sguardo.
“Non
intendevo questo e tu lo sai bene. E’ solo che non
sappiamo gli effetti collaterali che possono avere questi gioielli su un
sistema immunitario debilitato.” Spiegò accomodandosi sulla sponda del letto.
*
Marinette rimase alzata
tutta la notte attendendo notizie da Adrien che si trovava all’ospedale.
Al
telefono era stato molto sul vago, dicendole di non averla avvertita perché
Emma non respirava più e che ogni secondo sarebbe stato prezioso.
Si
era trasformato in Chat Noir e in pochi secondi aveva raggiunto l’atrio
dell’ospedale, de trasformandosi pochi attimi prima di entrare con quella
creatura tra le braccia e subito subito portata dentro una stanza ed attorniata
da medici abili ed esperti.
Emma
quella settimana aveva avuto una febbre molto alta, come altri suoi compagni di
classe, ma ne era uscita indenne solo dopo pochi giorni e senza conseguenze
apparenti.
La
tosse che aveva da un paio di giorni non destò molta preoccupazione nei suoi
genitori, anche perché il pediatra li aveva rassicurati dicendo di essere un
rimasuglio dell’influenza e che con i dovuti sciroppi sarebbe passata presto.
Ed
invece Emma quella sera si era sentita male e per fortuna Adrien era lì con
lei.
Le
aveva salvato la vita.
Ai
suoi occhi sarebbe risultato nuovamente il suo papà l’eroe e non i medici che
continuavano a ronzarle intorno.
Il
cellulare di Marinette finalmente squillò alle sei e
trentatré del mattino facendola sussultare.
“Pronto?”
Rispose con la voce impastata dal sonno quando le dita smisero di tremare e
riuscì ad avviare la conversazione.
“Emma
è fuori pericolo” Disse Adrien con sollievo “… ma dovresti venire qui appena
possibile, il dottore vuole parlare a tutti e due.” Cambiò totalmente tono.
“Preparo
Louis per la scuola e porto sia lui che Hugo dai miei”
“Ti
aspetto!”
“Adrien…”
Lo richiamò con voce preoccupata “…quanto è grave?” Marinette
trattenne a stento una lacrima.
“E’ forte la nostra
bambina…”
*
“Ancora
con questa storia!” Emma alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente prima di
incrociare le braccia sotto il seno minuto.
“Tua
madre a ragione!” Intervenne Adrien comparso come per magia sull’uscio della
porta.
“Papà…
non ti ci mettere anche tu!” Lo canzonò addolcendo lo sguardo sperando così di
fargli togliere quell’aria torva che le ricordava molto il nonno Gabriel.
Adrien
avanzò verso di lei con passo deciso mettendosi vicino a Marinette.
“D’ora
in poi non userai più il miraculous dell’ape.”
Emma
sogghignò credendo che suo padre stesse scherzando e che quello fosse un
tentativo inutile di dissuaderla a prendere parte alle future ronde o missioni
perché troppo piccola, ma infondo anche i suoi genitori quando avevano avuto in
dono i loro di miraculous avevano più o meno la sua
età.
“Non
è divertente, papà!”
Adrien
si sentiva in colpa per negarle quel privilegio, ma doveva farlo, era per il
suo bene e non poteva rischiare assolutamente di perdere sua figlia.
“Non
ti sto prendendo in giro… è una decisione che abbiamo preso io e tua madre,
anche se l’idea è stata mia.”
“Tua?
Ma se mi hai incoraggiato dal primo momento che ho indossato quel pettine” Emma
tremava e il sangue le stava iniziando a ribollire nelle vene.
Erano
anni che non si vedeva una portatrice dell’ape così dinamica ed intraprendente
come lei, e ora che cosa volevano fare quei due? Tarparle le ali? No, grazie.
“Si,
ma tu non sai come mi sono sentito ieri quando sei svenuta” Avrebbe voluto
tanto dirle, ma non sarebbe stato giusto rinfacciarle una cosa che lui aveva
incoraggiato.
Stava
bene, era quello che gli aveva detto, infondo era vero, ma a causa di una serie
si fortunati eventi la serata era diventato un incubo atroce, come quella
maledetta sera di sette anni prima.
Adrien
ricordava bene viscere dentro il suo ventre mentre si contorcevano fino a
fargli mancare l’aria mentre attendeva in quella sala d’aspetto notizie sullo
stato di salute di sua figlia.
Era
così piccola…
*
Li
accolse un dottore alto e magro sulla cinquantina, capelli brizzolati, occhi
azzurro cielo coperti da un paio di occhiali tondi.
“Signor
Agreste, Signora Agreste, prego, se volete seguirmi nel mio studio” Fece strada
il medico procedendo a passo spedito lungo il corridoio, seguiti dai due
coniugi visibilmente preoccupati.
Aprì
la porta marrone e li fece accomodare sulle poltroncine di fronte alla
scrivania.
Prese
una cartella clinica, lesse qualcosa alla svelta e poi l’appoggiò.
Guardò
prima Adrien e poi Marinette.
“Emma
è fuori pericolo ora, ma…”
Fu
quell’avverbio a destare preoccupazione in Adrien e sussultare Marinette che atteso il verdetto con grande fremito.
“…è
affetta da una forma molto aggressiva di asma bronchiale, anche un semplice
raffreddore per lei potrebbe essere letale.”
Emma
era uscita dalla clinica privata dov’era ricoverata dopo circa una settimana.
Una
lunga settimana visto gli innumerevoli esami a cui era stata sottoposta la
quattordicenne, inutili a suo dire, perché si conosceva benissimo la sua
patologia e non vedeva l’utilità di ricevere altre punture o flebo contenenti
chissà quali sostanze.
“E’ necessario!” Le
aveva detto categorico Adrien puntando il suo sguardo verde e severo contro
quello azzurro e innocente della figlia, zittendo la moglie mentre stava per
dire qualcosa, in altra maniera ovviamente, più amorevole e garbata.
Adrien
si sentiva terribilmente in colpa per quanto era successo alla figlia e il
rimorso con la consapevolezza che quella vicenda avesse potuto prendere una
piega peggiore del previsto, lo stava logorando dentro e trascinando in un
baratro senza fine, costringendolo in qualche modo ad usare maniere brusche ed
incontrollate contro di lei.
Non
che fosse colpa di Emma, lo sbaglio lo aveva fatto lui quando le aveva
accordato il permesso di seguirla in quella notte buia, fredda e tempestosa
mentre si stava ancora rimettendo da una brutta influenza.
Ma
Adrien non aveva potuto dirle di no, non glielo diceva mai.
Erano
giunti a casa da poco quando la biondina aveva comunicato che si sarebbe vista
con un’amica nel pomeriggio.
“No”
Aveva risposto Adrien mentre portava il borsone con le cose da lavare nella
lavanderia in fondo al corridoio.
“No?”
Fece di rimando la quattordicenne pretendendo una spiegazione in merito.
“Sei
indietro con i compiti e non uscirai finché non ti sarai preparata
adeguatamente.” Girò le spalle e sparì dalla sua stanza.
Emma
digrignò i denti e seguì il padre con ampie falcate, quando lo raggiunse lo
prese per una spalla e lo costrinse a voltarsi.
La
bionda deglutì il nulla quando si scontrò con il suo sguardo: severo e
iniettato di sangue.
“Qualcosa
non va?” Chiese mellifluo.
“Li
ho già finiti i compiti in ospedale.” Ribadì indurendo lo sguardo, se voleva
giocare, allora Adrien aveva trovato pane per i suoi denti.
“Bene!
Allora sai che sei indietro con le lezioni di pianoforte.” Precisò non
trovandosi impreparato, quello in ospedale non lo aveva potuto di certo fare.
Emma
puntò i piedi “Non me ne importa nulla di uno stupido pianoforte. Voglio
uscire, è chiaro?”
“Non
usare quel tono con me, signorinella. Sono tuo padre, e ho tutto il diritto di
non darti il permesso di uscire. E poi non sono stato io ad importi di seguire
le lezioni di piano.”
“Si,
ma questo non ti dà l’autorizzazione di chiudermi in camera mia.”
“Posso
e lo farò. Vuoi scommettere? E comunque non mi sembra di averti rinchiusa in
camera tua, ho solo precisato che sei indietro con le lezioni di piano. Punto.”
Adrien gonfiò il petto e se possibile, le scoccò un’occhiata ancora più severa.
Emma
deglutì per l’ennesima volta, suo padre le suscitò preoccupazione in quel
preciso momento, non lo aveva mai e poi mai visto così, e non riusciva a capire
perché.
“Non
serve, starò in camera mia se questo ti farà stare meglio” Berciò offesa la
ragazzina voltando le spalle e sbattendo la porta facendo vibrare leggermente
le pareti.
Adrien
era sul punto di crollare emotivamente, non voleva rivolgersi a lei in quella
maniera e sapeva in cuor suo di aver esagerato.
Forse
sarebbe stato più facile spiegarle il vero motivo di questo suo cambiamento,
avrebbe capito, certo, lei era una ragazzina intelligente, ma pur sempre un
adolescente con la voglia di spaccare il mondo, proprio come lui alla sua età,
quando per evadere dalla routine pesante delle giornate si trasformava in Chat
Noir e si librava in aria, trovando sollievo nel frequentare l’unica persona
che avesse mai amato e che fosse in grado di fargli vibrare forte il cuore: LadyBug.
Adrien
sospirò, ma non tornò indietro sui suoi passi, continuò a camminare con quella
borsa pesante in mano fino a lasciarla sopra la lavatrice e svuotarla del suo
contenuto subito dopo nel cestone dei panni sporchi. Non separò bianchi e
colorati, gettò tutto come capitava.
Marinette aveva ascoltato
quella conversazione in un’altra stanza, era pronta ad intervenire se ce ne
fosse stata la necessità, ma non voleva intromettersi, era una questione tra
Emma e Adrien, avrebbe parlato più tardi a suo marito.
*
Quello
che ci voleva a Marinette era una bella boccata
d’aria fresca, soprattutto perché il piccolo Hugo stava iniziando a fare troppo
domande, anche lui aveva assistito alla sfuriata del padre nei confronti della
sorella, quindi la corvina aveva deciso di prendere il piccolo e portarlo nel
parco giochi dietro casa.
C’era
tempo per le spiegazioni, e quella era una giornata prettamente primaverile in
una stagione dove neve, freddo e caldarroste facevano ancora da padrone.
“Perché
papà è arrabbiato?” Le aveva chiesto il piccolo con aria innocente.
Marinette deglutì.
Ora
che cosa gli avrebbe detto? Qual era la risposta giusta? Non la conosceva
nemmeno lei in realtà, per questo Marinette doveva
assolutamente parlare con Adrien quella sera stessa mentre tutti erano a letto,
lo avrebbe fatto ragionare come sempre e avrebbe portato l’equilibrio nella sua
famiglia.
“Papà
è un po' stanco, tesoro. Ora su, vai a giocare.” Gli diede una piccola pacca
sulla spalla incitandolo a correre verso le giostre assieme ad altri bambini,
più o meno che conosceva.
Marinette si accomodò su
una panchina da cui godeva di una buona visuale e i suoi occhi da mamma attenta
potevano osservare il figlio giocare in tutta sicurezza sotto la sua
supervisione, oltre che a togliersi la sciarpa pesante e il cappello di lana
per beneficiare del calore di quel bellissimo sole.
Prese
il cellulare dalla borsa con l’intento di chiamare Adrien che era rimasto a
lavorare da casa, ma appena cercò di scorrere la rubrica, un uomo alto e molto
magro, un po' invecchiato rispetto a come lo ricordava, indossava un completo
elegante grigio, al collo portava un fischietto nero e appuntato sulla giacca
come un trofeo spiccava un piccolo medaglione nero a pois rossi, si sedette
accanto a lei sospirando.
Inconfondibile.
Il
signor Ramier.
E
quello era il magical charm che Lady
Bug gli aveva fatto dono molti anni prima per evitare che Papillon lo prendesse
nuovamente di mira e lo akumatizazze per la
settantatreesima volta.
Si
accomodò accanto a lei con eleganza e galanteria dopo averla salutata.
“Buongiorno,
signora Marinette”
“Buongiorno,
signor Ramier. Ha visto che bella giornata?” Intavolò
il discorso iniziando dal tempo. Un classico, insomma.
Il
signor Ramier tirò fuori dalla borsa di plastica un
sacchetto di carta marroncino, che Marinette avrebbe
riconosciuto tra mille, anche perché portava a caratteri cubitali la sigla
della pasticceria dei suoi genitori.
Ogni
mattina l’uomo passava in quel negozio a prendere il pane rigorosamente caldo
per lui, e Sabine sapeva già di mettere in un altro sacchetto un paio di
michette avanzate dal giorno prima per i suoi amati piccioni.
Ne
estrasse un pezzo ed iniziò a cospargere le briciole sul pavimento, non gli
servì usare il fischietto per avvisarli che la pappa era pronta che i primi
impavidi volatili arrivarono a beccare quella manna dal cielo con grande
voracità.
“Sembrano
non mangino da giorni” Sorrise Marinette.
“E’
così in realtà.”
Marinette lo guardò a
chiedergli spiegazioni in merito, con la scusa della figlia ricoverata, la
corvina non era stata in grado ad accompagnare Hugo al parco a giocare, cosa
toccata prima a nonno Gabriel e poi a nonna Sabine in alternanza.
“Vede,
Marinette… in settimana il sindaco Bourgeois e
l’agente Roger mi hanno dato un ultimatum, dicendomi che se non la smettevo di
venire qui e sporcare il pavimento, mi avrebbero cacciato dalla città.”
“Ma
è terribile, non sta facendo niente di male” Incalzò Marinette
coprendosi la bocca con una mano per lo stupore.
Il
signor Ramier abbassò lo sguardo affranto “Già… ma
vede, io non riesco proprio a non venire qui e nutrire i miei figli… io non mi
sono mai sposato e non ne ho, quindi per me loro sono la mia famiglia.” Seguì
una breve pausa “… per fortuna Papillon è solo un ricordo e grazie alla
coraggiosissima Lady Bug io non potrò venire akumatizzato
di nuovo.”
Marinette arrossì
vistosamente, un po' anche per la vergogna, perché nonostante fossero passati
anni, il ricordo che dietro la maschera di Papillon o Falena Oscura ci fosse
stato il suocero le faceva ancora venire i brividi, soprattutto perché Adrien
non ne sapeva niente.
*
“Ti
prego, non dire nulla ad Adrien.” La supplicò mentre lei lo guardava negli
occhi con quello sguardo severo.
“Come
può chiedermi una cosa del genere?” Lady Bug stringeva nella sua mano destra il
miraculous della farfalla e quello del pavone appena
strappato dal suo vestito.
Gabriel
sapeva che Adrien e Marinette erano i due super eroi
di Parigi, lo aveva scoperto perché li aveva fatti seguire entrambi da un sentimostro spia ideato dalla mente geniale e brillante di
Nathalie.
Ma
ora era tutto finito. Tutto…
“Ti
prego, Adrien ne uscirebbe distrutto.” Lo stilista si era inginocchiato al suo
cospetto in quel vicolo.
Lady
Bug stava attendendo Chat Noir rimasto indietro perché lei aveva usato il
portale per tele trasportarsi al cospetto di Falena Oscura e coglierlo di
sorpresa.
“E
lei ne uscirebbe pulito” Tuttavia Lady Bug non voleva fargliela passare liscia
anche se sapeva benissimo che Adrien avrebbe sofferto e che se suo padre fosse
finito in prigione, lui sarebbe stato messo in una casa famiglia fino al
compimento dei diciotto anni, sempre che sua zia Amelie non avesse acconsentito
a prendersene cura.
In
ogni caso lo avrebbe perso e sarebbero stati separati, proprio ora che si erano
rivelati e che erano liberi amarsi.
“Se
lo ami non lo priveresti di un padre, Marinette.”
Lady
Bug si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare perché i denti erano
penetrati troppo in profondità, e questo le impedì di sferrargli un pugno in
pieno volto.
Ma
aveva ragione, Adrien non poteva soffrire di nuovo, sicuramente scoprire una
cosa del genere lo avrebbe fatto certamente impazzire e chissà quale sarebbe
stata la sua reazione nel confronto del padre.
“Se
lei amasse suo figlio glielo direbbe. E si sbaglia, io non sono Marinette.”
“Lo
amo più della mia stessa vita, per questo ho cercato di ridargli sua madre.
Avresti fatto la stessa cosa per i tuoi figli, ma questo lo capirai in futuro.
E per la cronaca conosco le vostre identità segrete perché sono riuscito a
farvi seguire da un piccolo sentimostro.”
Marinette sbuffò dal naso,
era stata scoperta, erano stati scoperti stupidamente.
Ma
ora il problema rimaneva, per quando odiasse ammettere, bisognava proteggere il
segreto di Gabriel e per amor di Adrien, lei lo avrebbe coperto.
“Per
favore, non mi dica cosa devo fare… al momento non dirò nulla ad Adrien, farò
come mi ha chiesto.” Marinette vide negli occhi dello
stilista la disperazione di una persona che aveva tutto e che lo avrebbe perso
se solo avesse pronunciato una parola.
“Grazie”
“Non
deve ringraziarmi.” Strinse i pugni e i denti cercando di reprimere il suo
risentimento di rabbia che attanagliava il suo cuore in quel preciso momento,
perché in lontananza potè sentire il suo compagno
avvicinarsi, grazie ai suoi sensi super acuiti da super eroe.
Chat
Noir aveva saltellato a per di fiato lungo i tetti fino a che era riuscito a
raggiungere la sua lady e inaspettatamente suo padre.
“Signor
Agreste! Che ci fa qui’” Aveva chiesto allungando gli occhi in maniera più che
sorpresa.
Gabriel
esitò.
Se
LadyBug non avesse aperto bocca in quel preciso
momento probabilmente il signor Agreste avrebbe detto qualcosa che avrebbe
potuto compromettere la sua persona.
Doveva
dire a Chat Noir che lui sapeva della sua identità segreta e che Falena Oscura
era sempre stato lui, non poteva vivere con quel segreto e suo figlio aveva
tutto il sacrosanto diritto di sapere che suo padre non era la persona che
credeva.
“Mi
ha aiutato a strappare le spille a Falena Oscura, o meglio, ha evitato che mi
facesse del male.”
Gabriel
rimase attonito e con la bocca spalancata.
“Hai
visto chi era?” Chiese entusiasta.
Lady
Bug negò con il capo “No, mi dispiace. Quando gli ho tolto le spille sono
caduta all’indietro e non ho visto nulla. Il signor Agreste mi ha aiutata, mi
ha detto che era di passaggio, si è fermato in quella gioielleria all’angolo e
ha visto il trambusto.” Raccontò in maniera molto blanda sperando che Chat Noir
credesse alla sua storia, e fortunatamente così fu.
Qualche
settimana dopo quell’episodio, Marinette cancellò
dalla mente dello stilista a sua insaputa, tutti i crimini commessi e il
ricordo di essere stato prima Papillon e poi Falena Oscura grazie alla ‘polvere
della memoria’ (un regalino del Guardiano Celeste Su-Han), inducendolo a
condurre una vita normale e senza rimorsi.
E
in quello stesso giorno, Marinette raccontò ad Adrien
tutta la verità, scusandosi per non averlo fatto prima.
*
“Ogni
tanto li vedo, sa… intendo i due super eroi saltare qua e là sui tetti. Anche
se Falena Oscura non c’è più, sono sicuro che Lady Bug e Chat Noir ci
proteggono lo stesso…” Il signor Ramier si portò poi
due dita sul mento “…chissà se quei due hanno avuto dei figli, stavano così
bene insieme.”
Marinette ebbe un sussulto,
ma cercò di mantenere la calma “Chi lo sa…” Fece spallucce alzando il viso al
cielo per beneficiare dei raggi solari.
Aprì
gli occhi dopo circa un quarto d’ora, quando vennero oscurati da una figura
piuttosto imponente, due a dire la verità, una alta e una più bassa e
corpulenta.
“CHE
COSA LE AVEVO DETTO, EH????” Iniziò a sbraitare quello vestito da agente della
polizia attirando l’attenzione dei passanti e dei bambini che si erano fermati
nel giocare per assistere alla scena.
Il
signor Ramier mortificato e si scusò un sacco di
volte.
“ME
NE FREGO DELLE TUE SCUSE, ORMAI NON CI CASCO PIU’! POSSIBILE CHE NON RIESCI A
CAPIRE CHE STAI CONTINUANDO A SPORCARE LA CITTA’ DI PARIGI? SE VUOI DARE DA
MANGIARE A QUESTI UCCELLACCI MALEDETTI, FALLO A CASA TUA IN QUELLA BETOLA DI
APPARTAMENTO CHE TI RITROVI”
Marinette si alzò di scatto
pronta a difendere il povero signore a spada tratta.
“Ma
non vi vergognate? Non sta facendo nulla di male e il signor Ramier è molto amato in città e voi ne state facendo un
affare di stato.”
“Non
si metta in mezzo signora, altrimenti dovrò bandire anche lei dalla città”
L’agente Roger tirò fuori dal suo borsellino di pelle nera un blocco dove aveva
iniziato ad appuntare qualcosa.
“IO???”
Il
sindaco di toccò nervosamente le mani che iniziarono a sudare freddo, sapeva
bene chi era la signora con cui stava parlando Ramier,
ovvero la nuora di Gabriel Agreste.
“Agente
Roger sta esagerando, la signora non c’entra nulla con questo pezzente.” Spiegò
mortificato peggiorando solo che la situazione.
“Signora
Marinette, non si metta in mezzo, apprezzo quanto sta
facendo per me…”
L’agente
Roger tirò fuori un foglio con la firma apposta in calce in bella scrittura dal
sindaco, e l’unica cosa che il povero malcapitato era riuscito a leggere, ma
non solo lui visto le risate che era riuscito a provocare era: ESPULSIONE!
Quando
lesse quella parola ad alta voce si alzò un coro di risate sadiche ampliate
dalla paura che il povero signor Ramier provava in
quel momento.
Proprio
come un topo che scappa con la coda tra le gambe, imboccò un vicolo e si gettò
dentro il primo tombino che riuscì ad aprire.
*
Continua
*
Angolo Autrice: Buongiorno e buona vigilia di Pasqua! Con
questo capitolo entriamo un po' nel vivo della storia, abbiamo da un lato la
storia tra Emma e Adrien, ovvero il difficile rapporto padre-figlia che si
amplierà nei prossimi, e dall’altro lato abbiamo ritrovato il Signor Ramier, sempre alle prese con il solito problema… e qui vi
lascio in suspence fino al prossimo sabato.
*
Con
l’occasione ringrazio chi continua a sostenere la storia, vedrete che andando avanti
la cosa si farà interessante e spero di non deludere le vostre aspettative.
Auguro
anche a tutti voi una serena e felice Pasqua.
Maledetto
suo padre e maledette le pulci nelle orecchie che gli metteva, inconsciamente s’
intende.
Se
Gabriel non avesse accennato di un problema legato alla ditta del suo caro
amico Arthur, Adrien non si sarebbe mai e poi mai trasformato in Peacock
Noir per andare a controllare la situazione e trascinato Vesperia con lui in quella notte da lupi,
soprattutto se quest’ultima era reduce da una brutta influenza e se Marinette non fosse crollata sul divano.
Non
importava se Gabriel avesse rimosso il fatto di essere stato Falena Oscura in
passato, lui trovava sempre qualche modo per mettere in mezzo i Miraculous, e una vocina dentro di sé gli diceva che quella
confidenza avuta con il figlio sarebbe arrivata alle orecchie dei due super
eroi di Parigi.
Adrien
chiuse la porta del suo studio posto in fondo al corridoio del piano superiore
dell’enorme villa dove abitava.
“Non
credi di essere stato troppo dure poco fa?” Chiese Plagg
sbucando fuori dalla sua camicia.
Adrien
lo fulminò con lo sguardo “Non ti ci mettere anche tu, sai?” Si sentiva già
abbastanza in colpa per aver alzato la voce con lei, non aveva bisogno di altre
critiche da parte di nessuno.
Si
sedette sulla poltrona in pelle dietro la scrivania e avviò il pc.
Sbuffò
e si portò le mani sulla faccia massaggiandosi le gote ricoperte da una leggera
barba bionda.
“Non
è stata colpa tua se…” Provò a dire il piccolo dio della distruzione aleggiando
davanti al suo volto colpevole.
“Smettila,
Plagg. E’ solo a causa mia
se Emma è finita in quella camera di ospedale, sarebbe potuta morire e io non
me lo sarei mai perdonato. Marinette non mi avrebbe
mai perdonato.” Strinse un pugno e digrignò i denti per essersi comportato da
vero irresponsabile.
“Marinette è intelligente e ti conosce, sa che ami i tuoi
figli più di qualsiasi altra cosa al mondo e che non li metteresti mai e poi
mai in pericolo.”
Adrien
cliccò il tasto sinistro del mouse nel tentativo di aprire la casella di posta
elettronica e controllare le ultime mail ricevute.
“Però
l’ho fatto con Emma… forse non sono il padre che meritano.”
Plagg tamburellò una
zampetta sulla sua testa “Pronto? C’è nessuno in casa? Che cos’è questa
autocommiserazione?”
“Basta,
Plagg! Devo lavorare e tu mi stai distraendo.” Mosse
una mano come a voler scacciare una mosca fastidiosa.
“Ma
se hai quel foglio bianco da mezz’ora davanti agli occhi e l’unica cosa che
vedo è il cursore lampeggiare…vai da tua figlia e parla con lei.”
Adrien
sospirò e per quanto odiasse ammettere, quella creatura irritante aveva
ragione, ma prima di andare da Emma, doveva sbollire un po' la rabbia che gli
attanagliava le viscere e trovare un po' di pace.
Se
fosse andato ora da lei, sicuramente avrebbero litigato nuovamente e si
sarebbero ritrovati al punto di partenza.
Anche
Marinette aveva deciso di fare una passeggiata con
Hugo per lasciarli da soli e liberi di chiararsi mentre Louis era in biblioteca
a studiare con un paio di amici, e Adrien non escludeva ci fossero anche delle
ragazze.
Beata
gioventù… i suoi bambini crescevano troppo in fretta.
Sorrise
inconsciamente ripensando ai suoi diciassette anni, quello era un periodo
felice, quello difficile era stato due anni prima.
*
Adrien
stava per mettersi al lavoro quando udì in lontananza una soave melodia suonata
al pianoforte e di conseguenza le sue gambe si mossero da sole quando s’accorse
che alcune note stonavano e gli accordi non erano del tutto melodiosi come
meritavano invece di essere.
Bussò
alla porta della camera ed entrò solo quando Emma gli aveva accordato il
permesso.
Aveva
il viso provato e gli occhi arrossati, sicuramente aveva pianto con la testa
affondata sul cuscino che ora era sgualcito.
Adrien
si sentì morire dentro per aver ferito sua figlia.
Emma
non disse nulla, ma continuò a far scorrere le dita sinuosamente sui tasti
bianchi e neri seguendo con gli occhi lo sparito posto in cima al pianoforte.
Adrien
si accomodò accanto a lei ed iniziò a suonare il duetto.
Emma
sapeva bene che se suo padre avesse sentito quella canzone sarebbe accorso
subito in suo aiuto, e così fu.
Si
guardarono anche negli occhi durante un passaggio chiave che eseguirono alla
perfezione e si sorrisero a vicenda.
Ad
Adrien sembrò di rivivere alcuni momenti della sua adolescenza e suonare quello
strumento era l’unica cosa che accumunava lui e suo padre, nonostante fosse
severo ed intransigente, a volte Gabriel mostrava a suo figlio il lato dolce e
sensibile, quello che da qualche anno a questa parte riserva ai suoi tre
nipoti.
Si
sa, i genitori quando diventano nonni si ammorbidiscono e cambiano il loro
comportamento.
“Questa
canzone la suonavo sempre con tuo nonno.”
Emma
fece spallucce “Lo so, me lo ha detto.” Disse spicciola volgendo lo sguardo
offeso da un’altra parte.
Adrien
alzò un sopracciglio sorpreso, ma non più di tanto in verità, perché da quando
Gabriel non recitava più la parte di Falena Oscura, il suo atteggiamento nei
confronti del figlio era notevolmente cambiato, migliorato per la precisione,
ed era riuscito a lasciarsi alle spalle la compianta Emile, facendo spazio nel
suo cuore per un nuovo amore: Nathalie.
Era
tornato anche a lavorare alla Casa di Moda, aiutando Marinette
con i suoi bozzetti quando la ragazza si presentava a Villa Agreste per stare
con Adrien, ma alla fine era più il tempo che passava assieme a Gabriel che con
il fidanzato stesso.
A Marinette non dispiaceva ricevere dei consigli da parte del
suo mentore, ma non poteva non ammettere che la cosa gli risultasse strana e la
stessa Guardiana dei Miraculous si interrogava ogni
giorno se la memoria dello stilista sarebbe un giorno ritornata quella di prima.
“Fate
molte cose con il nonno quando siete da lui?”
“Il
nonno è super! Non è divertente come nonno Tom, ma a me va bene così… mi
accontenta in tutto.” Sorrise la giovane in maniera scaltra.
“Ti
accontenta perché tu gli ricordi molto mia madre.”
“Com’era
nonna Emilie, papà? Non parli mai di lei.”
Adrien
sorrise e il suo cuore mancò un battito, era da tanto tempo che non ripensava
ai bei momenti trascorsi con sua madre e questo gli suscitò molta malinconia.
Le
mise delicatamente una mano sulla spalla minuta “Perché ho la versione più
giovane qui con me. Sei uguale a tua nonna.”
Emma
si rabbuiò “Già… ho ereditato anche la parte più brutta di lei”
“Non
dire così… le predisposizioni genetiche non possiamo prevederle.” Mormorò
mortificato non sapendo che altro dire o aggiungere per farla stare meglio.
“…ma ora stai bene, quindi che ne dici se ci lasciamo tutto alle spalle?”
L’abbracciò.
“Va
bene.” Mormorò tirando un sospiro di sollievo, l’ultima cosa che desiderava era
un rapporto burrascoso con suo padre.
“Mi
raccomando però, non spaventarci mai più.”
“Te
lo prometto, papà… ora sto bene, i dottori mi hanno imbottito di farmaci e
credo che ci metterò un anno prima di smaltire il tutto.”
“Credi
mi faccia piacere vederti su un letto di ospedale?”
“No,
lo so.”
Adrien
si stava innervosendo nuovamente ma non per colpa di Emma, quello no, mai, non
avrebbe pagato lei le conseguenze di una sua mancanza o superficialità, se solo
avesse avuto più polso e fosse stato più convincente, Emma non sarebbe andato
con lui quella sera.
“Allora
ti prego non farne più di queste battute.”
Emma
sapeva che suo padre si stava dando la colpa per quanto era successo, glielo aveva
sentito dire a sua madre in ospedale mentre credeva che lei stesse dormendo
profondamente.
“Sei
il papà migliore del mondo e ti voglio tanto bene” Emma lo abbracciò d’istinto.
“Mi
caverei gli occhi da solo piuttosto che vederti stare male e non poter far
nulla per impedirlo.” Le sussurrò all’orecchio ed Emma iniziò a piangere
dall’emozione.
“Sono
una roccia, proprio come il mio papà.” Constatò lei facendo sorridere Adrien
mentre le asciugava le guance con il pollice.
“Però…”
Convenne lui alzando uno sopracciglio “…devi esercitarti di più al pianoforte,
a volte stoni” Non mancò la battuta per smorzare la tensione “…e allora sarai
come me” Ammiccò.
Emma
di rimando gli riservò una linguaccia e pensò, visto che gli animi si erano un
attimo placati, di chiedere a suo padre una delle cose più naturali del mondo.
“Papà…
posso vedere la mia amica Alexandra? E’ al parco con
la mia compagnia, e manco solo io.”
Adrien
sospirò, non era molto d’accordo col farla uscire, ma visto la splendida
giornata sarebbe stato un vero peccato non approfittarne.
Stava
per darle il consenso, quando Emma pensò bene a starnutire per tre volte di
seguito.
“NO!”
Esclamò lui indurendo lo sguardo.
“Papà,
sto bene… è solo polvere!” Starnutì un’altra volta.
“Ho
detto: NO!”
Emma
si alzò in piedi irritata.
“Oh!
Ma dai andiamo! Cos’è? Ora mi rinchiuderai sotto una campana di vetro per non
farmi respirare nemmeno la polvere? Farai sterilizzare la mia camera ogni volta
che ci entrerò e voi per venirmi a trovare indosserete un camice monouso,
mascherina e guanti?”
Adrien
non disse nulla e questo irritò ancora di più Emma che continuò il suo
monologo.
“…sto
bene, è solo uni starnuto”
“E’
SOLO UNO STARNUTO? STO BENE!!!??? Me lo hai detto anche l’altra settimana, ma
guarda caso qualcuno è finita in ospedale.”
“Era
vero, stavo bene!” Continuò lei ad avvalorare la sua tesi.
“Ma
non lo sei stata dopo”
“Non
puoi proteggermi per sempre” Puntualizzò lei puntando i piedi a terra.
Era
vero, prima o poi le spiccherò il volo e non sarà più un problema di Adrien
badare alla propria figlia.
“Intanto
resti nella tua stanza!”
Emma
aveva le lacrime agli occhi, non voleva andasse a finire così, amava suo padre
e il cuore le stava morendo sentendosi dire quelle parole, ma rimanere zitta
non era tra le sue virtù.
“TU
STAI DIVENTANDO PROPRIO COME NONNO GABRIEL! Non risolverai niente chiudendomi
in casa… anzi, sai cosa ti dico? ESCI SUBITO DALLA MIA STANZA!” Puntò l’indice
verso la porta e non solo quello, anche il suo sguardo azzurro era furioso.
Adrien
sobbalzò, quello che non voleva era seguire le orme di suo padre, conosceva
bene la solitudine e il dover sopperire a delle regole assurde solo perché
Gabriel doveva soddisfare la sua sete di vendetta e il suo desiderio.
Ma
questo non avrebbe cambiato le cose.
Emma
sarebbe rimasta nella sua stanza mentre lui se ne sarebbe andato ottenendo
quello che voleva.
*
Grossi
camion erano stati caricati fino a scoppiare, finalmente Didier aveva trovato
il modo per liberarsi di quelle scorie senza troppi giri strani.
Li
aveva dati in carico ad una fabbrica ad un’ora di strada che avrebbe provveduto
al suo smaltimento riciclandoli in qualcos’altro, dopo ovviamente averli
trattati e purificati.
“Ottimo
lavoro!” Aveva esclamato Arthur mentre l’ultimo barile grigio con apposto il
marchio di un teschio bianco veniva stipato minuziosamente.
“Ti
avevo detto che me ne sarei occupato io, amico. Lo sai che di me non devi
dubitare.” Si accese il sigaro ed entrò nella fabbrica quando il camion partì, seguito
a ruota dal suo capo.
Ora
che il lavoro era stato portato a termine, non c’era più bisogno che rimanesse
lì a fissare il camion mentre compiva il suo viaggio.
Peccato,
perché avrebbe potuto assistere alla scena di poco dopo, e magari sarebbe anche
riuscito ad intervenire in qualche modo.
Il
conducente aveva caricato troppo il cassone ribaltabile, e dopo aver sobbalzato
alla prima buca di dislivello stradale, un barile cadde inavvertitamente
sull’asfalto.
Rotolò
veloce per qualche metro fino a che non raggiunse lo scolo dell’acqua piovana dove
si incagliò e riversò l’intero contenuto all’interno della fognatura, perché la
caduta aveva fatto apire il coperchio.
*
Marinette entrò in casa in
maniera agitata e chiamò Adrien, il quale accorse subito dopo aver salutato
Hugo salito in camera sua saltellando.
“Che
succede?” Chiese preoccupato notando la moglie più agitata del solito mentre
poggiava borsa e giacca sull’attaccapanni posto all’ingresso.
“Oggi
ho visto il signor Ramier…”
*
Continua
*
P.s. per chi volesse, faccio parte di un gruppo telegram a tema miraculous, ma vi
garantisco che si parla spesso di altro, quindi se volete entrare per sclerare
con noi su qualsiasi argomento, vi lascio il link
Gabriel
continuava a girare e rigirare il cucchiaino d’argento nella tazza contenente
il liquido bollente ed ambrato.
Il
vapore sprigionato gli salì fino agli occhiali appannandoli, costringendolo ad
allontanare la porcellana dal viso attendendo che si raffreddasse un po'.
“Succede
sempre anche a me.” Mormorò Arthur seduto comodamente sulla poltrona del
salotto della sua villa imponente un po' fuori dal centro di Parigi.
“Quanto
odio portare gli occhiali!” Sospirò Gabriel appoggiando la tazza qualche
secondo sul tavolino di legno pregiato tirando un sorriso di circostanza.
Lo
stilista era stato invitato a prendere un tè a casa dell’amico di vecchia data
quel pomeriggio, era da tanto che non passavano qualche ora insieme a parlare
del più e del meno, sempre impegnati a lavorare, anche se ultimamente Gabriel
aveva dato molta responsabilità a Marinette e Adrien,
i prossimi successori alla Casa di Moda. I documenti per il passaggio di
proprietà erano già pronti, bisognava solo fissare un appuntamento dal notaio
per ufficializzare la cosa.
Non
gli mancava molto alla pensione, anche se sicuramente avrebbe vigilato su di
loro finché le forze lo avrebbero tenuto in piedi, sempre se Adrien non lo
avesse bandito e ritirato il badge per l’accesso, affissando anche una foto
segnaletica all’entrata per non fargli varcare mai più quella soglia e godersi
un po' di riposo.
“Non
mi ci abituerò mai, eppure li porto da così tanto tempo che mi sembra di
esserci nato.” Addentò un biscotto dopo averlo inzuppato.
“Quei
biscotti, Gabriel, sono favolosi!” Convenne Arthur imitando il suo gesto.
“Provengono
dalla pasticceria dei miei consuoceri.” Disse fieramente.
“Fai
i complimenti al signor Dupain da parte mia, perché
credo di non aver mangiato mai nulla di simile in vita mia.”
“Sarà
fatto, certamente” Mormorò sorseggiando il thè che si era raffreddato un po'
diventando bevibile e non più ustionante per la gola. Mancava un po' la nota acidula
data dal limone che il padrone di casa si era dimenticato di tagliare.
“Ho
sentito dire che la sfilata è andata bene. Sono molto contento di ciò. Sei
stato formidabile anche questa volta.”
“In
realtà” Appoggiò la porcellana vuota sul tavolo di cristallo e accavallò le
gambe “… il merito va a Marinette. I bozzetti, le
stoffe e la realizzazione è tutto merito suo, io mi sono limitato a rimanere
nell’ombra e a vigilare sul suo lavoro.” Gabriel si ritenne molto soddisfatto
di come erano andate le cose, e sapeva già che Marinette
avrebbe fatto un ottimo lavoro anche senza il suo zampino, anche perché ormai erano
arrivati ad un punto dove era giusto che iniziasse a gestire tutte le
situazioni, dalla più facile all’impresa impossibile, che anche quella volta si
era presentata puntuale, ovvero la location scelta era stata enormemente
danneggiata dal brutto temporale che si era abbattuto su Parigi.
Un
fulmine aveva colpito la centralina elettrica causando un corto circuito e
annesso incendio.
Ma
sia Marinette che Adrien, non si erano persi d’animo
e alla velocità della luce erano riusciti a trovare una location alternativa,
certo con qualche modifica al programma e relativo scarto dalla lista di alcuni
invitati.
“Ha
avuto un bravo maestro in questi anni” Arthur si accese un sigaro mentre il
camino dietro di lui scoppiettava e gliene offrì uno all’amico, ma questi
rifiutò scuotendo leggermente la testa.
“Marinette non hai mai avuto bisogno dei miei insegnamenti,
anzi, a volte era lei che ispirava me con la sua impronta fresca sulle cose,
non mi ha mai deluso e sono contenta che Adrien abbia lei al suo fianco.”
Arthur
buttò fuori del fumo dalla bocca stando attento alla sua direzione, non voleva
di certo che il tanfo finisse dentro le narici dello stilista.
Era
stato piuttosto nervoso nei giorni scorsi a causa del suo braccio destro
Didier, e se avesse commesso un solo errore, tutta la città di Parigi ne
avrebbe pagato le conseguenze.
Ora
invece le cose sembravano essersi sistemate e Arthur aveva potuto tirare un
sospiro di sollievo quando anche l’ultimo camion contenente le scorie aveva
lasciato lo stabile.
“Vorrei
dire la stessa cosa anch’io su Didier.”
Gabriel
lo guardò stranito, sapeva che c’erano problemi giù alla fabbrica, ma gli
risultavano essere stati risolti pochi giorni prima.
Arthur
espirò un’altra boccata di fumo.
“Pensavo
fosse tutto apposto.”
“S-si,
lo è, ma ho come una strana sensazione.”
“Che
ti abbia raggirato?”
“No,
no. La ditta che ha scelto per lo smaltimento la conosco bene e ha un’ottima
fama in fatta di riciclo, sono sicuro che useranno quel veleno per produrre
qualcosa di buono e utile.”
“E
allora che cosa c’è che non va?”
Arthur
sospirò alzandosi dalla poltrona per dirigersi verso la finestra da cui poteva
beneficiare di una vista mozzafiato direttamente sulla natura, dopo aver spento
il sigaro sul posacenere.
“Ho
un pallino che non mi lascia andare e che prima o poi capiterà qualcosa di
brutto.”
“Non
ti preoccupare, sono sicuro che Lady Bug e Chat Noir sistemeranno ogni cosa,
loro sono i nostri sorveglianti e non ci hanno mai deluso.” Gabriel tirò su il
labbro superiore in un sorriso un po' forzato.
Arthur
sbuffò dal naso, era convinto che anche ora ci fosse il loro zampino,
altrimenti Didier non avrebbe mai cercato di sistemare la faccenda in maniera
pulita, lo conosceva bene e aveva potuto anche osservarlo dalle telecamere di
sorveglianza le sue movenze e quel tipo poco raccomandabile che aveva
incontrato in un vicolo.
Sperava
solo che non fosse tutta una copertura per farlo stare zitto e mettersi il
cuore in pace.
“Potresti
dirgli di controllare la fabbrica ogni tanto?”
Gabriel
sussultò “P-perché io?”
“Tu
li conosci, no?”
“No,
no, ti sbagli” Lo stilista mise subito le mani avanti, anche se a quella
considerazione lo stomaco s’ingarbugliò ed immagini sconnesse e sfocate
apparvero davanti agli occhi costringendolo a chiuderli e a riaprirli subito
dopo.
“Stai
bene?” Chiese Arthur preoccupato.
“Ho
avuto solo un capogiro… forse è meglio che vada ora.” Gabriel tremava e le mani
avevano iniziato a sudare. Non capiva perché.
“Va
bene, riguardati, amico mio.”
Gabriel
chiuse il pesante portone dietro di sé dopo aver salutato il suo grande amico.
Salì
in macchina e ordinò all’autista di condurlo a casa sua, da Nathalie.
*
*
Puzzavano.
Che
le fogne puzzassero era ormai risaputo, ma il signor Ramier
non era riuscito a trovare altro, rifugiandosi nel primo luogo accessibile e
soprattutto lontano da tutti e tutto.
Ferito
e avvilito, si era rintanato con la coda tra le gambe nell’unico luogo dove
nessuno si sarebbe mai sognato di cercarlo
Chi
mai scenderebbe all’interno di quei cunicoli per rintracciare una persona
odiata?
Nessuno…
era questo che credeva.
Il
signor Ramier usciva di notte solo per sgattaiolare
nel suo appartamento e prendere qualcosa da mangiare per sé stesso e per i
topolini che gli facevano compagnia durante la giornata, erano diventati i suoi
unici amici.
Non
sarebbero mai stati come i suoi adorati piccioni, liberi e felici li vedeva
librarsi in aria verso la libertà, invece un topo era costretto a nascondersi
negli antri più bui e a vivere in completa solitudine.
Lo
stesso destino che era toccato a lui.
Percorse
i vicoli più nascosti per non farsi vedere dalla gente, con indossi un cappello
e un trench nero lungo fino ai piedi, e quando ne sentiva i passi in lontananza
attaccava la schiena al muro e si impalava come un gatto di sale nell’ombra.
Tirò
un sospiro di sollievo quando tremolante riuscì ad aprire la porta di casa.
Respirò
il profumo di lavanda presente nell’ambiente, la signora delle pulizie era
stata nel suo appartamento a rassettare come ogni mercoledì, e visto che il
fine mese era arrivato, aveva lasciato una busta con il suo compenso sul
tavolino di cristallo all’ingresso, per la prossima volta che sarebbe recata
lì.
Si
tolse le scarpe all’ingresso e anche i vestiti gettandoli nella pattumiera che più
tardi avrebbe svuotato, l’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era
farsi una doccia calda e rilassante per togliersi di dosso il tanfo di
escrementi e di altre schifezze che si insinuano ogni giorno nelle fogne
alimentando il fiume di liquami che scorre sotto le strade parigine.
Una
volta, anzi qualche giorno fa, gli sarebbe bastato scrollarsi di dosso le piume
grigie che s’intonavano perfettamente al completo elegante che era solito ad
indossare, per essere felice.
Ora
non lo era più. E la solitudine e l’angoscia cresceva ogni giorno dentro di
lui, facendolo sentire inutile e superfluo.
Soprattutto
ora che aveva aperto la posta notificata per puro caso quella mattina
all’inserviente.
Una
busta bianca pesante e con apposto il sigillo del comune in ceralacca rosso.
Le
mani del signor Ramier tremavano mentre leggeva
quelle parole dure e totalmente inopportune, doveva lasciare la città di Parigi
nell’immediato se non voleva far fare una brutta fine ai suoi amati piccioni.
“Bastardi…”
E aggiunse qualche parola più pensate mentalmente, perché, per quanto fosse,
lui era sempre un signore con un certo riserbo.
Appallottolò
quell’ingiunzione intimidatoria gettandola nella pattumiera in cucina nel
cestino riservato alla carta e cartone, perché lui si, era un cittadino modello
anche in fatto di riciclo e rispetto dell’ambiente.
Rabbia…
dentro di sé aveva tanta rabbia repressa di tutti questi anni volti a subire
ingiustizie ed angherie una dietro l’altra.
“Me
la pagherete!” Grugnì a denti stretti stringendo i pugni “…ho dato tanto a
questa città e questa è la ricompensa.” Poi però pensò al sorriso della signora
Marinette e tutto divenne più colorato, lei era
l’unica insieme a Lady Bug e Chat Noir ad aver avuto fiducia in lui in tutti
questi anni, non sarebbe stato giusto vendicarsi di una città dove vivevano
anche persone meravigliose e poi che cosa avrebbero pensato i due super eroi di
lui?
Il
signor Ramier scosse la testa come a volersi liberare
di quei pensieri impuri, aprì la doccia e lasciò scivolare lungo tutto il suo
corpo acqua calda e schiuma bianca profumata.
*
Passò
un po' di tempo nel suo appartamento, prendendosi cura delle piante del suo
balcone, la vista era totalmente diversa rispetto a quando splende il sole, ma
ora aveva anche dimenticato che colore avesse e quanto erano caldi i suoi
raggi.
Si
fece cullare dalla brezza notturna prima di rendersi conto che se avesse
aspettato ancora un po' avrebbe rischiato che qualcuno lo vedesse.
Nella
sua testa rimbombava la notizia falsa che ci fosse una taglia proprio sopra la
sua testa, una specie di caccia alle streghe in chiave moderna.
Chiuse
tutto minuziosamente e si precipitò fuori.
Guardò
a destra e sinistra, nemmeno fosse un ladro dopo aver commesso un furto e si
diresse verso il tombino da cui era uscito qualche ora prima.
Subito
lo investì un odore acre che contrastava con il bagnoschiuma al pino che aveva
appena usato e per poco non vomitò.
Eppure
ci aveva fatto quasi l’abitudine.
Un
piccolo ratto gli corse incontro e lui gli posò all’interno della zampetta un
pezzo di formaggio ammuffito che aveva trovato dentro il frigo, in un angolo
remoto.
“Scusami,
piccoletto, domani cercherò di procurarti del cibo migliore.” Poi com’era
apparso, il topo sgusciò all’interno di un piccolo buco nel muro.
“Grazie
tante, eh!” Disse in tono sarcastico accucciandosi nel materasso lercio che era
riuscito a raccattare qua a e là.
Chiuse
gli occhi, ma uno squittio quasi stridulo attirò la sua attenzione.
Dietro
di lui un topino ricoperto da una strana sostanza verde, cercava di chiedere
aiuto come poteva.
Il
signor Ramier scostò quella specie di coperte in un
nano secondo e prese quel mammifero nelle sue mani.
“Oh
piccoletto, dove sei andato?” Quella sostanza brillava in controluce e pulsava,
Ramier pensò si trattasse di bioluminescenza.
Prese
un fazzoletto di stoffa bianco con ricamate le sue iniziali dalla tasca interna
della giacca grigia ed iniziò a pulirlo, ma quella schifezza viscida sembrava
proprio non voler venir via, anzi, più il pover’uomo gli strofinava il pelo, e
più le sue mani si imbrattavano di quella sostanza.
Gli
occhi gli bruciavano e fu costretto a chiuderli ogni tanto perché continuavano
ad inumidirsi e lacrimare.
La
testa vorticava e la vista presto si annebbiò.
La
gola bruciava per la secchezza e nonostante avesse appena finito la bottiglia
d’acqua che si era portato giù nelle fogne, ne reclamava ancora finché non si
chiuse del tutto facendogli perdere i sensi.
Il
signor Ramier si accasciò a terra, la mano che teneva
il fazzoletto si aprì e quel pezzo di stoffa volò giù nel canale fognario.
*
Continua
*
P.s.
per chi volesse, faccio parte di un gruppo telegram a
tema miraculous, ma vi garantisco che si parla spesso
di altro, quindi se volete entrare per sclerare con noi su qualsiasi argomento,
vi lascio il link
Erano
giorni che non vedeva i suoi amici oltre l’orario scolastico perché suo padre
continuava a tenerla sotto una campana di vetro per ogni minimo starnuto che
faceva.
Non
poteva nemmeno tossire in sua presenza se non voleva farlo dare di matto, più
del solito s’intende.
E
questa situazione la stava buttando giù sempre di più ogni giorno.
Persino
Marinette lo aveva rimproverato per il suo
comportamento, ma ogni tentativo di parlargli per farlo ragionare in qualche
maniera erano tutti andati a vuoto.
Cocciuto
e testardo.
Continuava
a colpevolizzarsi per quanto le era accaduto sere prima.
Ma
forse qualcosa quella mattina si era mosso, e Adrien le aveva detto che sarebbe
potuta andare a studiare dalla sua amica nel pomeriggio per completare il
progetto scolastico, a patto che non sarebbe subito ritornata a casa appena
avessero terminato i compiti.
“Certo,
papà!” Gli aveva detto non molto convinta e con riluttanza mentre scendeva
dalla macchina, però Emma pensò che quello poteva essere un primo passo verso
la sua libertà, ed era già tanto se suo padre non l’avesse costretta ad
indossare una mascherina a scuola per evitare di contagiarsi.
Maledetta malattia ereditaria.
Ma
forse Emma capì il perché del suo comportamento, del resto suo padre aveva
perso la madre molto presto e non voleva che anche lei facesse la stessa fine.
Esagerato?
Per
lei sicuramente, perché la medicina aveva fatto passi da gigante e quella sua
condizione bastava tenerla controllata con farmaci specifici.
Emilie
si era accorta della malattia troppo tardi e poi non esistevano a quel tempo
medicinali adatti ad arginare il problema se si fosse presentato, invece sia a
lei che ai suoi fratelli erano stati fatti i dovuti accertamenti già in tenera
età, ma solo lei avrebbe portato quella croce.
Non a
caso nonno Gabriel continuava a ripeterle ogni santo giorno che lei gli
ricordava molto la defunta moglie.
Sospirò
e si diresse verso la sala degli armadietti, aprì il suo con la combinazione e
quando lo richiuse due braccia le avvolsero il ventre minuto baciandole il
collo strofinandoci poi il naso.
“Buongiorno,
mia ape regina!”
Emma
vibrò per lo spavento momentaneo.
“Tu
sei tutto scemo!” Si rivolse al suo ragazzo stampandogli un bacio sulla guancia
risparmiandogli un sonoro ceffone per il brutto scherzo. “E comunque non sono
un’ape regina, odio quel soprannome.” Ironia della sorte, quel ragazzo le aveva
affibbiato quel nomignolo non conoscendo affatto la sua identità da super eroe.
Emma
non voleva mentirgli, ma sia sua madre che suo padre erano stati molto chiari
su questo aspetto: nessuno doveva sapere che lei era la super eroina Vesperia.
“Da
quando?” Domandò interrogativo, eppure gli sembrava che le piacesse
quell’appellativo.
“Da
ora!”
“Oh!
Oh! Che cos’è successo?”
“Niente!”
Emma s’incamminò verso la classe, la campanella era appena suonata e
l’insegnate avrebbe fatto l’ingresso in aula a momenti.
Il
ragazzo moro con gli occhi color cioccolato la bloccò al muro.
“Ora
mi dici che cosa c’è!” Cercò di essere il più delicato possibile, l’ultima cosa
che voleva era farle del male.
Emma
volse lo sguardo al pavimento per evitare di guardarlo negli occhi.
“E’ complicato,
Michel!” Mormorò non aggiungendo altro.
“Farò
uno sforzo, spiegamelo.” Disse con più convinzione “… Emma sono il tuo ragazzo,
a me puoi dirmi tutto, e lo sai” Aggiunse vedendola ancora più chiusa in sé
stessa.
“S-si,
lo so.”
“E’
per tuo padre? Vuoi che gli parli io? O che lo prenda a pugni?” Imitò il gesto
dell’ultima domanda.
Emma
sogghignò nell’immaginarsi Michel prendere a calci nel sedere Adrien, ma era
anche vero che non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da un ragazzino di
quattordici anni, del resto lui era pur sempre Chat Noir.
“Meglio
che tu non ti metta contro mio padre.”
“Non
ho paura, e poi non è giusto che ti tratti come una carcerata.”
Emma
deglutì un po' di saliva “E’ preoccupato per me.”
“Lo
difendi pure?” Incarò lui.
“No,
non lo difendo, sto solo cercando di capire perché si comporta così.” La bionda
si sedette sulla panchina di metallo portandosi le mani dentro i fili dorati.
“… mi sento sola, Michel. E la cosa è frustante.”
“Non
sei sola” Le mormorò prendendole delicatamente le mani “… ci sono io al tuo
fianco.”
Emma
lo abbracciò mormorandogli all’orecchio un grazie.
“E
per dimostrartelo…” Michel s’inchinò al suo cospetto dopo aver preso un
pennarello indelebile nero incidendole le parole I love You
sulla punta bianca della sneakers.
Emma
scoppiò a ridere “A mia madre prenderà un colpo.”
“E’
una stilista famosa, apprezzerà la mia modifica!” Ammiccò.
La
biondina lo sperò, perché oltre a Chat Noir, il fidanzato avrebbe dovuto
affrontare anche la furia di Lady Bug, e in quel caso là sarebbero stati cacchi
amari.
*
Entrarono
in classe mano nella mano un po' prima dell’insegnate, andarono ad accomodarsi
nei rispettivi posti.
Emma
sedeva nel primo banco a destra della cattedra con la sua migliore amica,
Michel invece a sinistra della cattedra nell’ultima fila.
“Oh!
Hai sentito del ballo?” Le chiese Francoise attirando la sua attenzione con un
paio di gomitate.
“Il
ballo?” Fece Emma di rimando.
“Il
prossimo sabato ci sarà il ‘Gran Galà Degli Eroi’ della nostra scuola in
palestra, gli studenti sono tutti invitati, non facciamo altro che parlare di
questo al pomeriggio.”
“Già,
peccato che sono settimane che esco con voi e gli inservienti stanno affiggendo
i manifesti ora” Le fece notare alla rossa.
“Scusami,
pensavo che Michel ti avesse invitata.” Parlò a bassa voce per non disturbare
la lezione.
Emma
scosse la testa “A dire il vero no, e non mi ha detto del ballo.” Si voltò di
scatto in direzione del suo ragazzo lanciandogli un’occhiataccia.
Michel
di rimando le fece l’occhiolino tornando a seguire la lezione costringendola a
voltarsi nuovamente.
“Lo
farà, si, era venuto in spogliatoio per chiedertelo visto che ieri era uscita la
data definitiva.”
“Forse
non è così, magari era venuto solo per salutarmi, a meno che…” Emma si ricordò
che forse non era dell’umore adatto a ricevere un simile invito.
“A
meno che, cosa?” Chiese invitandola a continuare il racconto “… se pensi che ci
andrà con un’altra, ti sbagli di grosso, lui ha occhi solo per te Emma
Agreste.”
“No,
no… è che per colpa mia l’ho distratto.”
*
Le
lezioni si susseguirono una dietro l’altra e finalmente la campanella delle
tredici e venti trillò, decretando così la fine di quella lunga giornata
scolastica.
Emma
rimase a fissare il manifesto della festa che si sarebbe tenuta tra due sabati,
un po' perplessa.
Il
tema scelto erano i super eroi di Parigi, in primo piano erano raffiguranti i
perni della squadra, ovvero Lady Bug e Chat Noir e sullo sfondo, non per
importanza tutti gli altri.
“Scusami,
Emma, prima mi sono dimenticato di chiedertelo se vuoi venire con me.” le
sussurrò un ragazzo da dietro facendole rizzare la pelle.
Emma
gli puntò un dito sul petto “Tu devi smetterla di farmi prendere un colpo.”
“Non
lo farei mai… allora? Ci vieni?”
Emma
si morse il labbro inferiore non emettendo alcun suono continuando a fissare la
super eroina dalle sembianze di ape, sapendo che non avrebbe mai più vestito i
suoi panni.
“Certo
che ci vengo con te alla festa, non penso che mio padre non mi darà il
permesso, anche perché gli dimostrerò di essere una figlia modello in queste
settimane, così non potrà dire di no. E se mi verrà da tossire o starnutire
perché ho inalato un po' di polvere o la saliva mi è andata di traverso,
cercherò di trattenermi.” Disse con convinzione e determinazione, presto Adrien
si sarebbe dimenticato della sua condizione e a lei non serviva altro che
comportarsi bene e ad essere accondiscendente, anche se sapeva già costarle una
fatica enorme.
“Questa
è la mia ragazza!” La baciò senza pensarci, ed Emma chiuse gli occhi per
lasciarsi trasportare dal momento.
Non
si erano mai lasciati andare con effusioni in pubblico o all’interno della
scuola, tant’è che nemmeno la sua miglior amica pensava che lei e Michel
avessero veramente una storia.
Emma
sorrise quando si staccò da lui. “Ora andiamo dai, siamo rimasti solo io e te
qua dentro.”
Mano
nella mano percorsero i locali della scuola fino a raggiungere l’uscita.
La
biondina si guardò intorno alla ricerca della berlina nera del padre.
Non
c’era, prese il telefono per controllare i messaggi, ne aveva uno di Adrien
dove le diceva di aspettarla che tra cinque minuti sarebbe arrivato. Colpa di
un ingorgo causato da un’incidente.
“Vuoi
che aspetti con te?” Le domandò Michel apprensivo.
“No,
tranquillo, sarà qua a momenti e non voglio che ci veda assieme.”
Michel
le sorrise, l’abbracciò e poi le stampò un bacio sulla guancia teneramente.
Presto
il sorriso di Adrien si tramutò in una smorfia di rabbia.
Digrignò
i denti e strinse con vigore il volante di pelle quando per puro caso di era
ritrovato ad assistere a quella scena.
Romantica,
certo! Ma si trattava pur sempre della sua bambina, la sua dolce e innocente
bambina.
“Stai
bene, Adrien? Hai una faccia!” Gli disse Plagg che se
ne stava seduto accanto a lui nel sedile del passeggero ingurgitando formaggio
a tutto spiano.
Dalla
sua prospettiva, Plagg, non poteva di certo vedere
che cosa aveva provocato quel repentino cambiamento d’umore nel suo portatore.
“Bastardo!”
Grugnì cercando di trattenersi nello scendere dalla macchina e fare una
scenata, o meglio una figuraccia.
Plagg si alzò
leggermente in volo per controllare di persona, anche se Adrien gli aveva
espressamente vietato di farlo.
“Oh!”
Mormorò sorpreso quando vide quel moro fare il bacia mano a Emma. “Vuoi che lo
cataclismi per te?” Chiese poi con naturalezza il suo kwami
mentre preparava con nonchalance la zampetta in alto.
“Non
dire sciocchezze!”
“Beh!
Visto che non me lo fai fare con Hugo, almeno fammi sfogare con quello lì. Emma
mi è simpatica al contrario di quel mangia formaggio a tradimento.” Berciò
acido incrociando le zampette sul petto ricordando quando il più piccolo della
famiglia aveva assaggiato per puro caso quella cremosità e trovata subito
appetibile e golosa, tanto da costringere il kwami a
nascondere le scorte in angoli remoti della casa lontano da quelle piccole
manine.
“Non
ti farò mai usare il tuo potere su uno dei miei figli, mettitelo in testa.”
Ribadì Adrien con un mezzo sorriso.
“Ma
mangia il mio formaggio.” Sottolineò Plagg con
disperazione.
“E
tu mangi il suo!”
“Solo
perché ha trovato le mie scorte personali.”
“Shh… ora basta. Emma è qui.”
*
Un
silenzio quasi spettarle ed imbarazzante anche, aleggiava all’interno
dell’abitacolo della macchina.
Emma
continuava a torturarsi le mani nervosamente, pensando a come chiedere a suo
padre il permesso di andare alla festa.
“Devi
dirmi qualcosa?” Si fece avanti Adrien vedendola inquieta.
“Tanto
so già che mi dirai di no!” Emma mise subito le mani avanti nel tentativo di
farlo sentire in colpa.
“Potrei
sorprenderti… chi lo sa.” Rispose parcheggiando l’auto nell’enorme vialetto di
casa.
“Ecco…
sabato prossimo… c’è una festa in maschera… a scuola…e vorrei andarci” Emma non
lo guardò mai una volta negli occhi, anzi rimase con la testa bassa a guardarsi
le scarpe con le mani sullo le cosce.
“Qualcuno
ti ha invitato ad andarci con lui? Magari quel ragazzo alto e moro che ti stava
baciando fuori dalla scuola?”
“MI
SPII ADESSO?” Emma inveì contro di lui. Gli occhi erano lucidi e dilatati, di
un blu scuro e non limpido come al solito.
Il
cuore accelerò i suoi battiti quando il padre le fece quella rivelazione, era
stata scoperta, e adesso sicuramente sarebbe stata in punizione.
“Esigo
la verità. Sono tuo padre e ho il diritto di sapere con chi ti vedi.” Impose la
sua autorità genitoriale, un po' per curiosità, un po' per gelosia, soprattutto
quest’ultima gli dettò quella domanda.
Non
poteva credere che la sua bambina potesse già avere un fidanzatino alla sua età.
“Non
hai risposto alla mia domanda.”
“E tu
alla mia!” S’impose “… con sentiamo, con chi ci andrai? Con quel tipo dai
capelli assurdi e dalla giacca ridicola?”
“Si
chiama Michel, ed è il ragazzo più tenero e gentile che conosco.”
Adrien
parlò senza pensarci troppo e dalla fretta gli sfuggì qualcosa di scomodo.
“Non
ci andrai alla festa e men che meno quel rockettaro da strapazzo.” Il biondo
aveva notato il fodero nero a tracolla di una chitarra.
Emma
scoppiò a piangere “TI ODIO!” Gli disse prima di scendere dall’auto e correre
dentro casa.
“L’hai
combinata grossa sta volta” Constatò Plagg agendo
come una coscienza.
“Sta
zitto!”
*
Adrien
non ne combinava una di giusta, e ogni tentativo di parlare con Emma diventava
sempre motivo di litigio, anche per la minima cosa.
Se Marinette avesse assistito alla scena del pomeriggio
sicuramente si sarebbe arrabbiata molto con lui e lo avrebbe accusato di
mettersi sempre in mezzo alla vita personale di Emma.
Stava
crescendo e lui doveva farsene una ragione.
Ora
che la fase della malattia della figlia sembrava essere superata, un nuovo
nemico turbava il suo equilibrio mentale.
Adrien
non immaginava di certo che Emma, potesse sperimentare l’amore così presto.
Il
solo ricordo di quelle mani viscide e polipose che toccavano la sua bambina lo
mandarono fuori di testa, tanto da fare ricerche su chi fosse e andare a fare
quattro chiacchere con lui.
“Non
credi di esagerare?” Gli chiese Plagg vedendolo
immerso e preso da quel fascicolo in mano.
“Quando
avrai una figlia, capirai cosa sto provando!”
“Non
puoi trasformarti in Chat Noir solo per intimidirlo! Se lo scoprisse Marinette ti ucciderebbe all’istante.”
“Posso,
e lo farò! Plagg, trasformami!”
Un
bagliore verde lo avvolse e senza pensarci due volte si portò a quattro zampe
sul balcone, pronto a spiccare il volo verso casa di quell’essere.
Voleva
fare solo quattro chiacchere, niente di più… forse!
“Dove
stai andando?” Non si accorse però, che in quel preciso momento Marinette aveva aperto la porta del suo studio con
l’intento di chiedere il perché sua figlia stesse piangendo a dirotto in camera
sua.
A
Chat Noir si rizzò il pelo.
Scoperto!
Ora
era morto… e Plagg lo aveva anche avvertito.
Chat
Noir fece una smorfia affranta e scese dal balcone, si ritrasformò e crollò
sulla poltrona di pelle nera.
Il
respiro affannoso gli impedì di aprire gli occhi al primo colpo, ma in maniera
lenta e graduata mentre cercava in tutti i modi di far ritornare il battito
cardiaco il più regolare possibile.
Ogni
tentativo di riprendere fiato stava diventando una lenta e dolorosa agonia. Il
petto doleva all’inverosimile ad ogni boccata d’aria inspirata.
La
vista continuava ad annebbiata e tutto essere intorno aveva assunto sfumature sfocate
facendo sembrare l’ambiente circostante un ammasso irregolare di colori e forme.
La
testa vorticava e quando fece per alzarsi, un bolo di vomito biancastro misto a
schiuma uscì dalla sua bocca costringendolo a sedersi per evitare di non
collassare nuovamente.
Si
tenne la testa dolorante, mentre odori e suoni attorno a lui diventavano sempre
più forti rimbombandogli nella testa, dandogli l’impressione che potesse
scoppiare come un palloncino da un momento all’altro.
Sarebbe
impazzito. Ne era più che certo.
Appoggiò
la schiena alla parete umida impregnata dall’umidità e da qualcosa di
limaccioso dalla colorazione verde scuro, sospirò sonoramente al cielo (in quel
caso lì al soffitto) chiudendo gli occhi.
Quando
la vista iniziò a farsi un po' più nitida, d’istinto controllò le mani che gli
sembravano essere inaspettatamente calde.
Peli.
Erano
coperte da lunghi peli marroni ed irti. Le unghie erano inaspettatamente lunghe,
appuntite e nere.
“Ma
che…?” Mormorò toccandosi petto e faccia nevroticamente ispezionandone ogni
centimetro.
Anche
il viso era di una forma strana, affusolato e pieno di peluria.
Si
avvicinò gattonando velocemente alla riva del canale e si specchiò tirandosi
subito indietro perché quello nell’immagine riflessa sulla superficie verdastra
non era di certo lui.
Si
portò un pugno all’interno della bocca per soffocare un lamento disperato, poi
buttò fuori dal naso dell’aria e si avvicinò nuovamente alla riva per
controllare meglio e con più calma.
Forse
era solo frutto della sua immaginazione.
Quello
che rivide, fu il riverberato di un mostro dalle sembianze di ratto.
“Come
può essere successo? Sono io quello?” Anche la sua voce era cambiata: più roca
e più spaventosa. Si guardò attorno alla ricerca di una spiegazione logica. Vi
trovò solo il topo che la sera prima aveva cercato di aiutare, morto stecchito
ancora ricoperto da quella sostanza verde fluo appiccicosa.
Lo
scacciò via con un calcio ben assestanto.
Deglutì
sperando di non dover fare la sua stessa fine, ma a questo punto meglio morto
che trasformato in un mostro costretto a mangiare spazzatura e a vivere nelle
fogne per il resto della sua vita.
Anche
se era quello che si era ridotto a fare nelle ultime settimane.
Annusò
il cadavere di quel mammifero un paio di volte, ma oltre a riconoscerlo come un
suo simile, non trovò nulla di strano.
Fino
a qualche minuto prima.
L’ex
signor Ramier si ritrovò a piangere disperato sulla
riva di quel canale quando vide scorrere sulla superficie dell’acqua una strana
chiazza oleosa verde fluo, deducendo che quella fosse la stessa sostanza che
aveva messo fine alla vita di quel piccolo essere e trasformato lui in un
abominio.
Si
alzò in piedi e capì subito che dalla sua postura non sarebbe stata più la
stessa, più bassa e più curva del solito.
“Maledetti!
Me la pagherete!” Grugnì pensando ci fosse lo zampino del sindaco e della sua
banda di smidollati con il distintivo.
Non
solo avevano deturpato lui, ma sembrava che avessero intenzione di avvelenare
anche tutta la città.
Doveva
assolutamente scoprire da dove provenisse quel veleno e del perché lo aveva
reso un mostro.
Senza
star lì a pensare troppo, iniziò la sua missione vagando per i tunnel della
rete fognaria seguendo senza sosta la scia verde.
Presto
all’inseguimento si unirono anche un gruppo di topolini che lo scortavano come
fosse il loro padrone, dove andava lui, andavano anche loro.
Se
l’ex signor Ramier si fermava, si fermavano anche
loro.
Se
gli impartiva un ordine, quei piccoli esseri pelosi erano subito pronti ad
eseguirlo alla lettera.
Sorrise
esponendo di più i due enormi incisivi.
Quello
che però lo lasciò di stucco, era il modo in cui riusciva a comprendere i loro
squittii alla perfezione e lui a sua volta riusciva a farsi capire con le sole
parole.
“Portatemi
alla fonte, mie piccole gioie!” Mormorò correndo più veloce che poteva nel
tentativo si seguirli, e nel farlo, dopo aver attraversato una luce immensa, si
ritrovò innaspatamene al punto di partenza.
“Ma
che…?” Si guardò attorno ancora più stranito e strabuzzò gli occhi quando
rivide la sua persona compiere le stesse movenze di qualche attimo prima.
Cercò
in qualche modo di interagire con il sé stesso provando a richiamarlo con
movimenti veloci delle braccia e starnazzando come un’oca impazzita, ma furono
tentativi inutili, sembrava essere invisibile.
Quello
che però gli saltò subito all’occhio, era scoprire come la sua personalità di
uomo era stata devastata e mutata, e come l’immagine nell’acqua riflettesse
esattamente quanto aveva visto.
Quando
il sé stesso iniziò a correre proprio come aveva fatto lui, si lasciò cadere
con le ginocchia a terra ed iniziò a piangere disperato.
“Che
cosa mi è successo? Perché a me? Che cosa ho fatto di male?” Le lacrime andarono
a bagnare il pavimento e il tintinnio impercettibile ad orecchio umano, lui
riuscì ad udirlo forte e chiaro.
Plic… Plic…
Un
rumore fastidioso.
*
Non
riuscì in ogni caso a trovare una soluzione al suo primo problema, che subito un
altro attanagliò i suoi pensieri, ovvero come aveva fatto a tornare al punto di
partenza.
Che
quella sostanza avesse aperto un varco? Che avesse creato un tunnel temporale?
Oppure nelle fogne esisteva una specie di buco nero in grado di far viaggiare
nel tempo le persone?
Tutta
roba fantascientifica e di improbabile realizzazione. Pensò.
Doveva
assolutamente trovare la sorgente del suo problema e delle spiegazioni
plausibili, altrimenti tutto sarebbero state solo delle inutili congetture.
Questa
volta non corse, ma camminò seguendo il percorso segnato dal fluido verde con
alle calcagna i ratti di fogna, girò diversi angoli, scavalcò dei grossi tubi
neri ricoperti di melma viscida dal colore indefinito, come l’odore, e a volte
dovette accucciarsi perché i pertugi che doveva percorrere erano stretti e
bassi, ma alla fine, dopo un lungo tragitto riuscì ad arrivare ad una camera
dal soffitto alto da cui filtrava la luce dalla cima di un tombino aperto.
Guardò
in alto e si coprì gli occhi perché il riverbero gli provocò fastidio, trovò
poco distanti e abbandonati in un angolo un paio di occhiali da saldatore di
gomma, se li portò sopra il naso per poter vedere meglio.
Dal
soffitto, o meglio dall’apertura stava colando quel liquido verde.
Salì
la scala a pioli arrugginita e non appena fu in cima, scoprì la fonte del suo
problema: un barile contenente sostanze chimiche altamente tossiche con un
bigliettino attaccato.
Senza
pensarci, l’ex signor Ramier prese il foglio per
leggere che cosa ci fosse scritto, ma la pioggia del giorno prima lo aveva
logorato e cancellato buona parte del contenuto, l’unica cosa visibile era la
firma apposta in calce a quel documento ‘Bourgeois’.
“Ancora
tu! Maledetto!!!!” Stropicciò quello che rimase del pezzo di carta e si rintanò
nelle fogne portando con sé anche il barile per analizzarlo.
I
suoi studi da chimico e ingegneria lo avrebbero aiutato a scoprire che cosa
c’era dentro, se solo fosse stato in grado di procurarsi l’attrezzatura giusta.
*
L’ex
signor Ramier continuava a girare attorno in cerchio
cercando una soluzione al suo problema.
Poteva
benissimo derubare un laboratorio nelle vicinanze, oppure dirigersi presso la
facoltà di bioingegneria attraverso il condotto fognario, con il rischio di
venire catturato ed essere lui stesso vittima di esperimenti scientifici.
No,
questo piano era troppo pericoloso, e non poteva rischiare di essere visto
dalla gente lì fuori.
I
topolini continuavano a bisbigliare tra loro e a destare l’uomo ratto dai suoi
pensieri.
“Ve
ne potete stare zitti? Sto cercando di riflettere?” Si rivolse a quelle
creature in tono minaccioso mostrando i denti di un colore misto tra il giallo
e il marrone.
Poi
cercò di capire che cosa gli stavano dicendo e nel marasma generale aveva
intuito che da qualche parte nelle fogne c’era una specie di laboratorio
segreto abbandonato.
I
mammiferi non erano stati molto precisi sulla natura di quell’ufficio e del
perché si trovasse proprio sotto i marciapiedi di Parigi, ma avevano attirato
la curiosità dell’ex signor Ramier, il quale non
perse tempo e chiese a quegli adepti di condurlo in quel luogo segreto.
Arrivò
poco dopo davanti ad una porta arrugginita abbassandone la maniglia lentamente.
“Chiusa!
C’era da aspettarselo.” La mosse con più vigore, ma quello che ne ricavò fu
solo la rottura della manopola a causa del deterioramento dei materiali causata
dalla ruggine.
Questa
situazione fece imbestialire ancora di più l’ex signor Ramier
che accecato da un attacco di ira iniziò a sbattere i pugni con enorme vigore contro
l’acciaio inossidabile, inutili anche gli innumerevoli calci tirati, che
provocarono alla porta solo dei solchi.
Annaspò
riprendendo fiato, e quando tutto sembrò perduto, con le ultime forze rimaste
provò a sollevare la porta, fino a scardinarla del tutto dalla parete alzando
un muro di polvere quando la scaraventò addosso ai mattoni dalla parte opposta,
provocandone l’abbattimento definitivo.
Tossicchiò
un paio di volte nell’incavo del gomito per espellere la calce entrata nelle
narici, poi quando anche l’ultimo granello di polvere toccò la lurida
pavimentazione, l’ex signor Ramier poté ricominciare
a respirare aria, maleodorante, ma pure sempre aria.
Avanzò
nel buio della stanza con le mani avanti calpestando con le zampe pelose i
detriti sparsi per terra.
La
luce si accese di scatto spaventandolo a morte, e quando si voltò, vide una
colonna di topolini vicino all’interruttore principale.
“Bravi,
miei servitori.” Mormorò mellifluo ispezionando l’enorme sala.
C’erano
un paio di scrivanie e vecchi computers proprio sul davanti, invece vicino
quadro generale dell’elettricità sulla parete all’ingresso, si trovavano alcuni
armadietti di metallo, ne scardinò uno per vedere che cosa contenessero.
Vuoto,
c’era da aspettarselo.
Ne
aprì un altro e prese il camice bianco da laboratorio con l’intento di
indossarlo dopo essersi tolto gli stracci che un tempo davano vita ad un vestito
elegante da uomo raffinato.
E
ritornare quell’uomo elegante, riprendendosi la sua dignità, era quello a cui
aspirava in quel momento, e per farlo, doveva assolutamente scoprire quale
razza di sostanza tossica lo aveva trasformato in quell’essere orripilante, per
trovare così un antidoto efficace.
Fece
ancora qualche passo in avanti sistemandosi al meglio le maniche bianche
osservando l’enorme abbassamento nel terreno ricoperto da piastrelle bianche
lucide.
Controllò
ogni angolo più volte, ma di microscopi, provette, sostanze alcaline e quanto
altro gli servisse, non ve n’era traccia.
“Mi
avevate detto che c’era un laboratorio qua, dov’è? DOV’E?????” Inveì contro le
creature pelose spaventandole a morte, costringendole ad andare a nascondere
nei pertugi per non assaggiare la sua ira.
Il
più coraggioso del gruppo di mammiferi si alzò in piedi su due zampe ed annusò
l’aria più volte, poi si abbassò ed iniziò a correre per la stanza in lungo e
in largo, seguito con gli occhi dall’ex signor Ramier.
Quando
lo vide fermarsi davanti a quello che sembrava essere solo un muro bianco
ricoperto da lunghe e fitte ragnatele, si apprestò a raggiungere l’adepto e ad
osservare quella parete notando nulla di strano.
Ma
fu quando iniziò a togliere la sporcizia che intravide delle linee che
segnavano la sagoma di quella che dove essere una porta.
Spinse
leggermente il muro che si mosse di qualche millimetro, la polvere e l’umidità
lo stavano bloccando, ma ancora un po' di pressione e quell’apertura si allargò
un altro po', permettendogli di sgattaiolare dentro.
Tutto
intorno a lui era buio, tranne per il piccolo spicchio di luce che entrava dal
passaggio appena aperto, e subito lo investì un odore di muffa e di chiuso che
non lo schifò affatto, anzi, ne era quasi affascinato.
Annusò
l’aria involontariamente e si avvicinò a quella che al tatto gli sembrò essere
una vetrina, e ancora una volta la luce si accese all’improvviso.
Si
voltò di scatto verso l’entrata e per l’ennesima volta vide la pila di ratti
che si ergeva in lunghezza verso l’interruttore elettrico.
“Voi
dovete smetterla di farmi prendere un colpo ogni volta.”
Ma
l’enorme vetrina contenente macchinari scientifici, manuali, provette e
sostanze alcaline, batuffoli di cotone, non erano le uniche cose presenti nello
stanzone maleodorante; al suo interno si trovavano anche scaffali contenenti
plichi di carte relativi a diverse annate.
Ne
prese uno per soddisfare la sua curiosità dopo aver tolto con la mano dalla
forma di zampa la polvere.
Lo
poggiò sul ripiano d’acciaio dietro di lui e ne sciolse il nodo.
Sulla
copertina era impresse l’etichetta ‘Analisi acqua anno 2020’ ed iniziò a
leggere con aria sconvolta quei documenti vidimati dal comune, dal sindaco per
la precisione.
Alcuni
portavano dati e valori allarmanti, ma che lui ricordasse non erano mai stati
diramati allerte o di stare attenti a bere l’acqua che arrivava nelle case.
L’ex
signor Ramier realizzò in poco tempo che quello non
era un semplice laboratorio, ma qualcosa di più allarmante.
Continuò
con la ricerca e la sua attenzione fu attirata da una busta aperta trovata in
mezzo a quel tomo pesantissimo, impolverato e dalle pagine ingiallite fragili,
la scartò con le mani tremolanti, come fosse un regalo di Natale inaspettato.
Si
trattava di una lettera di rilevante importanza indirizzata al sindaco arrivata
da una ditta molto conosciuta in città, in cui si scriveva che per errore erano
stati riversate nella rete idrica delle sostanze altamente tossiche e di
informare i cittadini a far attenzione a bere acqua o consumare quella che
sgorgava dai rubinetti fino a che i valori non fossero tornati alla norma.
“Brutto
bastardo!” Digrignò i denti dalla rabbia per quanto era appena venuto a sapere.
L’ex
signor Ramier ripiegò quella missiva e la riporse
dentro la busta, poi se la mise dentro al camice con tutta l’intenzione di
smascherare quel criminale e far venire a galla una verità che i suoi
concittadini dovevano sapere.
Ma
prima aveva un’altra cosa da fare, ovvero scoprire quale veleno aveva deturpato
il suo corpo rendendolo un mostro.
“Portatemi
il barile mie creaturine” Ordinò alla banda di ratti che obbedirono subito al
suo ordine, ritornando poco dopo con quell’ammasso di ferraglia arrugginito.
L’attenzione
dell’ex signor Ramier fu catturata dal simbolo mezzo
cancellato. Lo esaminò sconvolto, perché quel logo era lo stesso che era
impresso nella busta indirizzata al sindaco di qualche anno fa.
Battè i pugni
sull’acciaio della tavola provocandone un paio di solchi “Brutto bastardo, me
la pagherai. Smaschererò i tuoi sotterfugi e ti farò incriminare.” Si guardò
allo specchio con malinconia “… guarda che cosa mi hai fatto… ero un uomo che
dava solo da mangiare ai suoi piccioni…” Si toccò il petto notando che al collo
portava ancora il suo amato richiamo, se lo strappò con forza e lo gettò a
terra frantumandolo “… E ORA SONO UN ORRIBILE, ORRIPILANTE RATTO DI FOGNA!!” L’ex
signor Ramier si portò le mani sul volto per
coprirselo vergognandosi del suo aspetto.
Poi
le tolse e su quel muso apparve un sorriso sadico “Potrei sempre presentarmi
alla stampa e dire a loro che cosa ho trovato, ma prima mi serve un nome.”
I
topolini lo guardarono in maniera interrogativa mentre osservavano il loro capo
andare da una parte all’altra della stanza.
“Un
nome… un nome… un nome” Continuava a ripetersi a mezze labbra “Ci sono:
TOPOLINO” Urlò scartando subito quell’ipotesi “Troppo gentile, e poi potrebbero
scambiarmi per un cartone animato… un nome… un nome…”
Quella
solfa proseguì per oltre un’ora e quando stava per arrendersi, la lampadina si
accese. All’improvviso si ricordò il suo nome da akumatizzato,
ovvero Mr. Piccione.
“Ma
certo… IO SARO’ IL SIGNOR RATTO!!! BUAHAHAHAH”
Quel
nome e quella risata malvagia, si propagarono attraverso i tunnel delle fogne.
Quello
che aveva scoperto il Signor Ratto durante la sua lunga permanenza all’interno
di quel laboratorio, lo sconvolse.
Non
in quanto si continuava a domandare che cosa ci facesse un locale del genere
nel cuore della rete fognaria sotto la città di Parigi, ma perché si trovavano
ancora al suo interno una pila infinita di documenti della massima riservatezza
e importanza.
Forse,
il sindaco o chi per esso, pensava fosse un posto sicuro dove nascondere ed
insabbiare analisi dell’acqua alquanto preoccupanti senza informare i
concittadini e farla così franca.
Nessuno
avrebbe mai scoperto niente, e chi aveva accusato malesseri in passato, veniva
semplicemente detto che con molta probabilità aveva ingerito del cibo avariato
o che si trattava di una semplice influenza di stagione. Niente di allarmante,
quindi.
Uno
di questi, era proprio lui. Ricordava bene quando si era recato al pronto
soccorso in preda ai crampi alla pancia che non lo facevano dormire la notte.
Il
dottore che lo visitò lo aveva mandato a casa con dei semplici analgesici per
alleviare i disturbi che si erano protratti per altre due settimane.
Ad
un primo acchito non aveva dato peso alla cosa, ma ora che teneva in mano quel
referto ingiallito da dove si evinceva che uno degli effetti collaterali, se si
fosse venuto in contatto con quell’acqua contaminata, erano proprio forti
crampi alla pancia e altri, come mal di testa e nausea, lo stavano mandando
fuori di testa; soprattutto perché erano tutti sintomi che aveva accusato il
signor Ramier, e scambiati per una banale influenza.
Il
Signor Ratto giurò vendetta contro la città ora che la verità era venuta a
galla e la stava toccando con mano.
Ormai
era certo che la causa della sua trasformazione da onesto parigino a ratto di
fogna, era dovuto a quella sostanza verdastra gettata apposta nella rete
fognaria per sbarazzarsi definitivamente di lui.
Forse
qualcuno era riuscito a pedinarlo, a scoprire dove si nascondeva e glielo aveva
riferito a chi di dovere, provvedendo così a fare il lavoro sporco.
Quello
che però non era stato calcolato, era che il signor Ramier
era riuscito a sopravvivere e che presto sarebbe ritornato a spaventare la
città e questa volta senza l’effetto del potere di Papillon o di Falena Oscura,
nemmeno Lady Bug e Chat Noir avrebbero potuto aiutare la cittadinanza.
Si
professavano eroi e i parigini avevano eretto anche statue a loro nome, però
dov’erano quando lui aveva bisogno di essere salvato?
Batté
i pugni sul tavolo mentre digrignava i denti lunghi ed ingialliti dalla rabbia.
“Me
la pagherete anche voi!” Non risparmiò la sua ira nemmeno ai super eroi, loro
che lo avevano aiutato per ben settantadue volte.
“E
voi che avete da guardare?” Chiese ai topolini alzando il tono della voce,
spaventandoli a morte.
Si
ritrassero sotto i tavoli attendendo che la sfuriata di quello che avevano
appena incoronato loro leader, passasse.
Il
Signor Ratto stava dando di matto, scalciava le sedie girevoli logore e
smangiucchiate dalle tarme, da dove fuoriusciva il gommapiuma duro e giallo, i
fogli di carta volavano e i suoi occhi erano iniettati di sangue, mentre una
vena gli pulsava nella tempia coperta dalla peluria.
“PERCHE’
A ME???? PERCHE’???? PERCHE’?????” Urlava e sbraitava distruggendo buona parte
delle attrezzatura dimenticate.
Quando
cercò di calmarsi perché il cuore aveva iniziato a galoppare troppo
velocemente, annebbiandogli persino la vista, osservò che cosa aveva appena
fatto.
Si
lasciò cadere su una poltroncina abbandonata sollevando un piccolo muro di
polvere; tossì portandosi una mano, no, una zampa alla bocca quasi a soffocare
un lamento.
Il
Signor Ratto pianse a lungo non riuscendo a venire a capo di niente, quando un
topolino timidamente risalì la sua gamba, andandosi a posare sul ginocchio su
due zampette annusando l’aria come a volerlo confortare.
“Vorrei
fosse così, piccolino!” Disse accarezzandogli la testolina comprendendo
perfettamente quello che gli stava dicendo in quel momento “… ma non credo
andrà tutto bene.”
Il
topolino continuò a guardarlo e muovere la bocca come se stesse masticando
qualcosa.
Il
Signor Ratto sopirò. “Non sarà facile analizzare quel barile e trovare un
antidoto.”
“Puoi
sempre però avere la tua vendetta portando queste carte in municipio, o meglio
ancora alla stampa.”
“Non
posso in queste condizioni mi rinchiuderebbero in qualche sotterraneo e
butterebbero la chiave, o peggio ancora, potrei essere vittima di esperimenti… non voglio finire con aghi e fili infilati per
tutto il corpo o essere affisso in piazza come un fenomeno da baraccone.”
“Oppure
potresti tornare indietro nel tempo, nell’esatto momento in cui hai trovato il
mio simile nelle fogne, prima di trasformarti.”
“Non
ho questo potere.”
“O
si che ce l’hai… e lo hai fatto prima di trovare il
laboratorio, te ne sei scordato?”
Il
Signor Ratto ripensò a quanto gli stava dicendo il suo adepto e sogghignò
soddisfatto, forse poteva ancora vedere la luce in fondo al tunnel, doveva assolutamente
provare che quel mammifero non si era sbagliato e ora che era riuscito a
mettergli la pulce nell’orecchio, era convinto più che mai a provarci.
Forse
era stato solo frutto della sua immaginazione, come anche la conversazione
avuta pocanzi con il topolino, prima che prendesse il pezzo di formaggio
ammuffito allungato dal Signor Ratto e se ne andasse dietro al tavolo ribaltato
a mangiarlo.
*
Il
Signor Ratto si portò le mani dietro la schiena dopo essersi alzato finalmente
da quella poltrona, in cerca d qualcosa di concreto che provasse la sua teoria.
“E
se questa trasformazione mi permettesse di viaggiare attraverso il tempo e lo
spazio?” Osservava il muro bianco ricoperto da uno strato nero di muffa,
rivedendo davanti a lui la scena vissuta in prima persona: una forte luce e poi
lui di spalle che riprendeva a correre.
“No,
non è possibile, mi devo essere sbagliato… non esiste
nulla del genere… non si può viaggiare nel tempo, è
pura fantascienza… cose da film.” Sbuffò cercando di
dare un senso logico a tutto, ma se era vero che il fatto di viaggiare nel
tempo fosse solo una cosa di pura invenzione, una chimera che gli scienziati
cercavano di inseguire, allora perché non ne era del tutto convinto?
Per
il semplice fatto che non credeva nemmeno fosse possibile trasformarsi in un
mostro.
Se
il suo aspetto era riuscito a cambiare, allora forse poteva presumere che gli
studiosi si erano sempre sbagliati nel corso di quegli anni.
E
ora che ci pensava bene, ricordava ancora quando Lady Bug era apparsa dal
nulla, attraversò un portale ovale e lo aveva portato in un altro luogo, se non
sbagliava, si trattava della sua cinquantesima akumatizzazione.
“Perché
semplicemente non ci provi, invece che parlare a vanvera?”
Il
topolino era ritornato, sempre sulle sue zampette dritte mentre annusava
l’aria.
“Smettila
di dire assurdità, è una cosa che non si può fare!”
“Non sei poi
così convinto delle tue stesse parole, vero?”
Il
Signor Ratto esitò prima di rispondergli un no.
“Prova. Non ti
costa nulla, mal che vada ti sei fatto una corsa e basta.”
Maledetto
ratto e le sue stupide idee.
“E
va bene!” Esclamò iniziando a correre seguito dal suo adepto.
*
Il
Signor Ramier si fermò di colpo cercando di
riprendere fiato, quella corsa forsennata lo stava debilitando parecchio.
Inspirò
ed espirò profondamente un paio di volte, e quando finalmente sia il respiro
che il battito cardiaco ripresero il suo naturale ritmo, si guardò attorno
notando che non era cambiato niente.
Solito
tunnel, solita acqua che scorreva lungo il canale.
“Te
l’ho detto che non era niente vero. Non si può viaggiare nel tempo.” Si rivolse
acido al topolino facendo spallucce.
“Ah, si? Osserva
meglio!”
Gli indicò la porta del laboratorio chiusa del tutto.
“Siete
stati voi a ripristin…” Si fermò perché sentì delle
voci avvicinarsi, e il suo primo istinto fu quello di nascondersi dietro una
colonna per non essere visto.
Forse
erano il sindaco e i suoi scagnozzi che erano tornati, quelle voci e quei passi
non potevano appartenere a nessun altro se non a loro.
Ed
invece, quello che si trovò davanti lo spiazzò del tutto: lui seguito da una
mandria di topi.
Allora
era vero, i viaggi nel tempo erano possibili e lui ci era riuscito.
Questa
volta non cercò di interagire con il sé stesso di un breve passato, ma volle
riprovarci.
Corse
di nuovo in lungo e in largo, ma quello che ne ricavò fu solo riavvolgere il
tempo per altri pochi minuti, il suo tentativo di tornare indietro prima che
prendesse in mano quel topo, fu del tutto inutile, se avesse continuato a
correre nuovamente, sarebbe morto d’infarto.
Per
quanto fosse tenace, la sua età glielo impediva, e quindi dovette arrendersi
prima di fare una brutta fine.
Il
Signor Ratto doveva assolutamente inventare un qualche marchingegno capace di
riportarlo al punto di partenza, e senza alcuno sforzo. Non sarebbe stato
difficile con le sue competenze in materia, del resto, il campo meccanico correlato
alla scienza era il suo pane quotidiano.
Ma
cosa inventare così su due piedi in grado di soddisfare la sua sete di
vendetta?
“Ci
sono!” Esclamò alzando un dito appena ebbe un’idea che sembrava geniale “…
costruirò una macchina del tempo!”
“Bravo, genio. E
dove la rimedi un auto quaggiù?” Chiese telepaticamente il solito
topolino, così simile alla voce del suo subconscio.
“Ma
tu non hai nulla da fare?” Berciò infastidito contro l’adepto, ma aveva
ragione, e poi una macchina del tempo così si era già vista in qualche film,
lui doveva essere originale perché sicuramente sarebbe stato ricordato.
Del
canto suo, il topolino non rispose, ma si limitò ad annusare l’aria com’era
solito fare.
Il
Signor Ratto, così, pensò ad un veicolo su due ruote, molto simile ad una moto,
ma anche quell’idea fu quasi subito scartata, perché non ci sarebbe stato il
giusto spazio per inserire il motore in grado di generare una potenza tale da
permettergli un lungo avvolgimento del tempo.
“Eppure dovrebbe
essere semplice… sei un ratto…
pensa, pensa…” Continuava a ripetergli il topolino
nella sua mente non suggerendogli la risposta per niente al mondo.
Perché
doveva essere tutto così tremendamente difficile? I poteri li aveva, com’ era
riuscito ad ottenerli, era un mistero.
Anche
dopo aver analizzato minuziosamente quella sostanza tossica nel tentativo di
pensare ad una prima soluzione al suo problema, la risposta non era stata
ottenuta: inconcludenti. C’era
scritto nel referto appena stampato, che il Signor Ratto appallottolò e gettò
in un angolo della stanza con rabbia.
*
Passò
qualche minuto a piangersi addosso perché non riusciva a venirne a capo, e
perché ad ogni attimo che passava vedeva allontanarsi sempre di più la speranza
di ritornare normale, un essere umano con una dignità.
Forse
era davvero un incapace come continuava a ripetergli il sindaco ogni volta che
tentava di allontanarlo dalla città.
No.
Si sbagliava. Ne era più che certo.
Stava
per arrendersi e ad abbandonarsi al suo destino, ovvero quello di andare alla
stampa così conciato e con quello scoop in mano, quando all’improvviso un lampo
di genio gli passò proprio sotto il naso.
Uno
degli adepti aveva trovato un barattolino di metallo e ci stava giocando,
continuando ad attraversare la stanza in lungo e in largo, correndoci dentro.
Il
Signor Ratto pensò subito ad una ruota gigante.
“Si… potrebbe funzionare!” Sul suo volto si dipinse un
ghigno sadico e malefico.
Prese
senza pensarci troppo carta e una matita ed iniziò a disegnare su un foglio di
carta, appuntando formule matematiche e le caratteristiche che gli permettesse
di costruire questa sua invenzione.
Quando
ebbe finito, prese delle puntine da disegno ed attaccò quel progetto pieno di
dettagli e particolari minuziosi, alla lavagna di sughero.
Si
allontanò di qualche passo portandosi due dita sul mento.
Ricontrollò
tutto molto, soprattutto le formule matematiche, erano quelle che gli avrebbero
permesso di programmare il motore del suo progetto.
“Come la
chiamerai?”
Chiese sempre il solito topolino.
“Non
ci ho ancora pensato” Rispose in tono meravigliato cercandogli subito un nome.
Anche
in quel frangente, vagliò qualche appellativo, scartandoli tutti.
Perché
se c’era una cosa che il Signor Ratto non era in grado di fare, era dare nomi
alle sue invenzioni, e non solo a quelle.
“Ruota del
tempo”
Propose “… potrebbe andare?”
Il
Signor Ratto si accarezzò il mento ripensando a quanto proposto, trovando il
suggerimento interessante.
“E
sia! Costruiremo la Ruota del tempo!!!”
Alzò le braccia al cielo in maniera quasi teatrale, in attesa di un applauso
che non arrivò mai, guardò i topolini sotto di lui sospirando in maniera
delusa. “E comunque un bravo, me lo sarei anche meritato!” Berciò dedicandogli
una linguaccia.
“Padrone, lei è
sempre molto intuitivo!” Si complimentò il solito adepto.
Il
Signor Ratto lo prese in braccio e con un dito gli grattò la pancia. “Ti posso
chiamare, Edgard? Sai, lui era il piccione più
intelligente che conoscevo.”
Tuoni,
fulmini, lampi, e saette di ogni tinta, coloravano la stanza circostante.
La
famigerata ‘Ruota del Tempo’ era quasi pronta, e il Signor Ratto stava
per mettere a punto gli ultimi dettagli che gli avrebbe permesso il suo
utilizzo.
Aveva
costruito quella che sembrava una ruota da criceto gigante, dotandola di
poltrone comode e una consolle di comando, a cui era attaccato il motore a
propulsione che gli avrebbe permesso di raggiungere la velocità necessaria per
tornare indietro nel tempo.
Con
una leva, riusciva anche a farla volare, così da utilizzarla come mezzo di
trasporto.
Il
Signor Ratto sollevò la visiera della maschera da saldatore e si asciugò il
sudore della fronte con uno straccio passato da uno dei topolini, perché lo
scienziato non stava lavorando da solo al progetto, ma era aiutato dai suoi
fedeli adepti.
Si
sporcò la faccia di olio, perché il panno che gli avevano allungato, era quello
che serviva per lucidare i pistoni del motore, quando si specchiò per puro caso
sul lucido del tavolo d’acciaio dov’erano appoggiati i suoi strumenti, inveì.
“RAZZA
DI STUPIDI IDIOTI!” Berciò in direzione dei topolini indaffarati nel sistemare
la stanza come meglio potevano, liberandola dai pezzi di ferraglia che il
Signor Ratto gettava dietro di sé.
I
mammiferi trattennero una risata per due motivi: il primo, il loro capo si
sarebbe arrabbiato; secondo, non sapevano se erano in grado di poterlo fare.
“Non
conoscete la differenza tra un canovaccio e un fazzoletto?”
Nessuno
ebbe il coraggio di rispondere, ma si limitarono a continuare il loro lavoro,
bulloni, viti e altra minuteria, erano sparsi in tutta la stanza, col rischio
che se qualcuno ci avesse camminato sopra, sarebbe sicuramente scivolato, e
allora lì sarebbero stati cavoli amari.
E
per qualcuno, s’intendeva proprio lo scienziato.
Provvidenziale
fu l’intervento di uno dei ratti, che riuscì a togliere un cilindro dal
pavimento prima che il Signor Ratto ci inciampasse sopra mentre raggiungeva
quel luogo angusto chiamato bagno.
Sporco,
lercio e nauseabondo.
Nemmeno
i topolini osavano entrarci.
L’ex
Signor Ramier accese la luce posta sopra lo specchio
arrugginito, la colpì un paio di volte con la mano finchè
questa non smise di produrre luce ad intermittenza.
“Dannata
lampadina!” Esclamò aprendo l’acqua corrente gettandosela poi sulla faccia, per
pulire l’olio dal suo pelo.
*
Era
passata quasi una settimana da quando aveva iniziato a lavorare al suo
progetto, e con sua somma sorpresa, stava rispettando tutti i tempi.
Se
avesse continuato di questo passo, nel giro di qualche giorno, si sarebbe
ritrovato nell’ufficio del sindaco, col il suo aspetto originario e con un
plico di documenti scandalistici che avrebbero costretto il primo cittadino a
stralciare la diffida nei suoi confronti ed incoronarlo Cittadino Onorario.
Il
Signor Ratto si vedeva già sorseggiare Champagne costoso alle feste più
sfarzose della città, insieme ad illustri ospiti, mentre disquisisce con loro
dell’importanza dei piccioni parigini.
“Non
è troppo azzardato come piano?” La nuvoletta del sogno sparì non appena
il solito, saccente topolino intervenne a riportarlo con i piedi per terra.
Il Signor
Ratto poggiò la chiave inglese a terra e sbuffò.
“Ma
tu devi sempre rovinare tutto?” Lo guardò in cagnesco.
“No,
ti sto solo riportando alla realtà!”
“Questa
è la realtà…” Sottolineò indispettito “… presto il sindaco avrà quello che si
merita e io attuerò finalmente la mia vendetta. Gli lascerò decidere se marcire
in galera, oppure di insabbiare la cosa rendendomi la mia libertà. Guarda come
sono ridotto ora… ero un cittadino del tutto rispetto e adesso? Sono costretto
in questo corpo da fenomeno da baraccone, obbligato a mangiare spazzatura e
parlare con dei TOPI DI FOGNA!” Si alzò ed iniziò a prendere a calci il tavolo
d’acciaio, gettandolo a ridosso del muro, facendo cadere tutti gli strumenti
che c’erano sopra.
Il
Signor Ratto tremava, proprio come la sua voce, pentendosi subito di come aveva
reagito, anche se quelli con cui aveva a che fare in questo preciso momento
erano solo insignificanti topi, quegli animaletti gli ricordarono subito i suoi
adorati piccioni.
“Perdonate
per la sfuriata… è tutto nuovo anche per me.” Si scusò cambiando subito
atteggiamento.
“E
noi è la prima volta che abbiamo un leader della tua portata!”
Sul
volto del Signor Ratto si materializzò un sorriso caldo e amorevole,
s’inginocchiò ed aprì le braccia.
“Venite
qui, amori miei!” E come una mamma fa con i propri figli, li abbracciò e baciò
uno ad uno, ringraziandoli per il lavoro svolto fino ad ora.
*
Dopo
una pausa durata circa un’ora, il tempo necessario per distrarsi un attimo e
racimolare le idee finali, il Signor Ratto, attorniato dai suoi adepti, si
rimise al lavoro.
Non
mancava poi molto al collaudo finale, giusto due o tre dettagli, i più
importanti, ed infine avrebbe messo in funzione quella sua strabiliante
invenzione.
“E’ finita!” Esclamò
quando poggiò la chiave dinamometrica nella cassetta degli attrezzi.
Si
asciugò la fronte imperlata di sudore con l’avambraccio e si allontanò di
qualche passo per ammirare in tutto il suo splendore la sua creazione.
Al
centro di quello stanzone contaminato troneggiava l’enorme palla trasparente
con all’interno una poltrona e consolle di comando collegata ad un monitor di
dimensioni stratosferiche.
Grossi
cavi neri uscivano dalla scatola d’acciaio del vano motore, uniti a decine e
decine di piccoli tapis roulant, posti dietro la poltrona atta ad ospitare il
Signor Ratto.
“La
mia bambina” Sussurrò quasi commosso davanti a cotanta bellezza.
Ma
per il Signor Ratto non c’era tempo da perdere in inutili venerazioni, aveva
necessità di collaudare al più presto la sua invenzione e fare le opportune
modifiche, se ne avesse avuto bisogno.
Aprì
una piccola porticina posta sul lato ed entrò, seguito da un centinaio di
topolini che si piazzarono al loro posto, ritti sulle zampe posteriori e pronti
a ricevere gli ordini del loro superiore.
Il
Signor Ratto si posizionò sopra il naso gli occhiali neri da saldatore ed avviò
la macchina premendo il pulsante rosso di accensione con una pressione decisa
della mano.
Il
motore si avviò in men che non si dica facendo tremare il sottosuolo, tant’è
che i parigini in superficie credettero ci fosse stata una scossa di terremoto.
L’enorme
palla si sollevò appena e il suo comandante prese il timone per manovrarlo, lo
tirò verso di sé con forza spingendo la nave più in alto, ancora di più, finchè non bucò il soffitto ed uscì dal buio della rete
fognaria, sradicando alberi, tirando su terriccio e porfidi dalla strada.
Alcuni idranti spararono acqua in alto.
I
parigini che si trovavano in quella zona scappavano da ogni direzione
spaventati a morte, altri si abbracciarono credendo che il giorno del giudizio
fosse già arrivato.
“Ho
paura, mamma!” Urlò un bambino di sette anni attaccandosi ancora di più alla
gamba della donna, stringendo con la mano libera il lecca lecca
color arcobaleno che le aveva appena comprato per la buona condotta.
“Finirà
tutto presto, tesoro!” Gli disse osservando l’enorme palla trasparente
sovrapponendosi tra loro e il sole.
Strabuzzò
gli occhi quando vide l’individuo che manovrava quel veicolo, per poi
richiuderli subito dopo presa dal panico, o per non credere di essere pazza.
Un
enorme topo gigante che guidava una palla gigantesca da criceti.
Robe
da pazzi!
Stava
sognando. Era chiaro, ma allora perché sembrò tutto così reale e nitido?
Non
fece tempo a darsi una spiegazione che, appena aprì nuovamente gli occhi,
quello strano mezzo di trasporto era sparito dalla sua vista, lasciando solo un
enorme buco da dov’era uscito fuori.
*
“FORZA
MIEI PRODI TOPOLINI! CORRETE! CORRETE PIU’ FORTE!” Li incitò il Signor Ratto.
Il
suo marchingegno per riavvolgere il tempo stava funzionando alla grande,
infatti tutto attorno a lui stava assumendo forme e colori indefiniti, fino a
formare un tunnel che attraversarono ad una velocità supersonica; presto,
avrebbero raggiunto la luce bianca alla fine che s’intravedeva.
I
topolini continuavano imperterriti a correre e così ad alimentare il meccanismo
apposita, sotto lo sguardo austero del suo creatore, il quale controllava
meticolosamente gli aghi dei sensori.
Una
luce bianca li investì poco dopo, e il Signor Ratto diede l’ordine ai topolini
di fermarsi.
Portò
la ‘Ruota del Tempo’ a terra e non preoccupandosi minimamente di
nasconderla da qualche parte, stava troppo bene lì dov’era e poi nessuno sarebbe
stato in grado di manovrarla anche se fosse riuscito ad aprirla. La lasciò al
centro del parco piantumato d’alberi, vicino al municipio.
Il
Signor Ratto si avviò con ampie falcate alla porta principale, stringendo tra
le braccia i documenti incriminati, convinto di schiaffarglieli in faccia a
quell’inietto del sindaco, dimostrando che cosa gli avesse fatto.
Salì
le scale a grande velocità, non facendo caso alle persone all’interno
dell’edificio che non si accorgevano della sua presenza; in una colonna aveva
letto che l’ufficio del sindaco si trovava al terzo piano.
Bene,
non gli bastava altro che seguire le indicazioni per raggiungere il suo
obiettivo.
Il
cuore del Signor Ratto batteva come un tamburo all’interno del suo petto, e il
respiro iniziava a farsi più affannoso mano a mano che
si avvicinava a quella porta di legno immensa intarsiata.
Non
bussò, perché quell’abietto non meritava nessuna cortesia da parte sua.
Spalancò
la porta volgendo agli inquilini, ovvero al sindaco e all’agente Roger, uno
sguardo assassino.
Il
rosso alzò lo sguardo dalla tastiera del pc e si guardò attorno con aria
interrogativa.
“Tutto
bene, agente?” Aveva chiesto il sindaco notando la sua perplessità.
“Mmm… credo di sì.” L’agente di polizia aveva sentito un
alito di vento percorrergli la spina dorsale.
“Bene,
allora andiamo avanti” Il sindaco riprese a camminare in lungo e in largo con
le mani incrociate dietro la schiena, con sguardo fiero ed altezzoso. “… e alla
luce di ciò, io, Andrè Bourgeois, sindaco di Parigi,
ti espello dalla città” Recitò, mentre l’agente Roger batteva freneticamente la
tastiera sotto dettatura.
Il
Signor Ratto sbiancò ricordando perfettamente le parole apposte in quella
raccomandata, facevano ancora male, ma mai quanto ne avrebbe fatto lui a loro.
“FERMATEVI!”
Urlò entrando prepotentemente nella stanza per poi poggiare i documenti sulla
scrivania di mogano.
Il
sindaco e l’agente Roger continuarono nel loro lavoro senza dare alcun peso
alla presenza dell’uomo dalle sembianze di ratto.
“EHI!
EHI! SONO QUI!!” Urlò sgolandosi e sbracciando, ma anche quel tentativo non
mutò la situazione, facendolo risultare invisibile ai loro occhi.
“Agente
Roger, stampi pure la lettera e la porti all’ufficio postale.” Gli ordinò il
sindaco con noncuranza.
“Subito,
signor Sindaco!” Asserì con il capo rimettendosi il cappello blu di servizio.
Il
poliziotto, dopo essersi alzato dalla sedia, si sistemò sopra il pancione il
cinturone nero e partì per la sua missione attraversando il corpo del Signor
Ratto.
“Ma
che…?” Si chiese il viaggiatore del tempo vedendolo andare via come se niente
fosse, fischiettando un motivetto odioso.
Rimasto
solo, il sindaco si lasciò cadere sulla poltrona con un sorrisetto soddisfatto,
finalmente si sarebbe liberato del Signor Ramier e
non avrebbe più dovuto affrontare i cittadini sull’orlo del piede di guerra.
“BRUTTO
BASTARDO!” Gli urlò inutilmente digrignando i denti e stringendo i pugni con
l’intento di sferrarglieli, ed è quello che provò a fare, ma più colpiva e più
si rendeva conto che i suoi movimenti non avevano alcun effetto sul suo
acerrimo nemico.
“Padrone…
non può interagire!”
Mormorò il topolino Edgar cercando di farlo rinsavire in qualche modo.
“Che
cosa ho sbagliato?” Piagnucolò raggomitolandosi in un angolo della stanza con
le mani sulla testa “… il mio piano era perfetto, e poi la ‘Ruota del tempo’
ha compiuto al suo dovere, non capisco perché non posso interagire con loro.”
“Perché
non può cambiare il passato o il futuro, si vede che il suo potere si limita
solo al semplice telespettatore.”
“Devo
assolutamente trovare il modo per cambiare il mio destino…”
“E
come farà?”
Chiese curioso.
Il
Signor Ratto ci pensò un attimo, alzò poi il volto emergendo dalle ginocchia
con un ghigno sadico ed iniziò a ridere istericamente, facendo venire i brividi
al suo piccolo amico.
“Grazie
al miraculous del coniglio.”
*
Marinette se ne stava in
piedi, difronte ad un Adrien sull’orlo di una crisi di nervi.
Il
biondo, si stava rendendo sempre più conto di iniziare a trattare la sua
adorata figlia Emma, proprio come aveva fatto suo padre alla sua età.
E
questo non poteva permetterlo, in quanto conosceva bene la sofferenza provata
quando si è rinchiusi in una prigione senza alcuna possibilità di uscita.
Amava
sua figlia più qualsiasi cosa al mondo, ma la sua smania di protezione gli
stava facendo commettere errori su errori.
Ma
non solo quella, anche la sua gelosia lo stava accecando, mandandolo
letteralmente fuori di testa, al punto che sarebbe andato da qual ragazzino per
dirgli di stare lontano da sua figlia.
“Che
cosa sono diventato?” Si stava chiedendo e nel mentre domandava la stessa cosa
alla moglie.
Marinette, d’altro canto,
si avvicinò a lui stringendogli le spalle.
“Sei
un uomo meraviglioso, Adrien. Tua figlia ti ama molto.”
“Non
ne sono poi così sicuro… mi odia invece.” Fece una breve pausa riprendendo
fiato “… mi sto comportando proprio come mio padre faceva con me.”
“Vai
a parlarle, ti ascolterà.”
Adrien
stava per dire qualcosa, o meglio avviarsi con convinzione verso la camera di
Emma, quando all’improvviso un boato assordante squarciò il silenzio della casa
e la fece tremare.
A Plagg andò quasi di traverso il formaggio che stava
ingurgitando.
“Che
sta succedendo?” Chiese avvicinandosi al suo portatore mentre controllava la
colonna di fumo nero che si ergeva alta nel cielo.
Adrien
e Marinette, con sguardo attonito, continuavano a
guardare dalla loro finestra dello studio, quel muro di fumo nero che raggiunse
presto il cielo.
“E’
opera tua, Plagg?” Scherzò Adrien guardandolo di sottecchi.
Di
risposta il kwami negò lentamente con il capo “No, e
poi sai bene che è nulla questa cosa in confronto a quello che potrei scatenare
con un sol tocco.”
“Sei
sempre il solito sbruffone!” Incalzò stizzita Tikki.
“Sono
solo realista, zuccherino mio.” Ammiccò.
“Non
chiamarmi zuccherino!” Starnazzò stizzita la kwami
della creazione.
“Basta
voi due! Dobbiamo pensare se intervenire o no” Mormorò Marinette
accendendo la televisione per controllare la situazione, se Parigi era stata
presa di mira da un super cattivo, sicuramente al telegiornale lo avrebbero
detto.
Ed
infatti così fu.
Un
inviato alquanto spaventato era già stato mandato sul posto e stava commentando
quanto stava accadendo alle sue spalle.
Marinette non credeva ai
suoi occhi: dal nulla era comparsa una palla trasparente gigante con
all’interno un numero indefinito di ratti che correvano sul tapis roulant,
sotto gli ordini di un topo gigante e spaventoso.
Adrien
scoppiò irrimediabilmente a ridere.
“Stiamo
scherzando???” Chiese ironico continuando a sbellicarsi dalle risate.
“Non
è il momento, Adrien!” Lo rimbeccò la moglie seguendo il notiziario preoccupata.
“Scusa.”
Mormorò asciugandosi una gocciolina salata che gli si era formata al lato
esterno dell’occhio “… ma questa cosa è troppo diverte” Poi si portò due dita
sul mento ritornando serio “… e mi ricorda qualcosa”.
Quello
che sembrava un lurido topo gigante scese dal suo mezzo di trasporto, si
avvicinò al cronista con aria minacciosa, o forse questo era dettata dal suo
aspetto insipido, gli strattonò il microfono dalle mani.
Dopo
un fischio iniziale stridulo che gli fece socchiudere gli occhi, iniziò a
parlare.
“Lady
Bug, Chat Noir. So che mi state ascoltando. Se mi porterete il Miraculous del coniglio, prometto che non farà alcun male
alla città di Parigi. Avete un’ora!”
La
trasmissione s’interruppe di colpo, lasciando Adrien e Marinette
attoniti.
“E’
il cattivo più imbranato di sempre oppure è solo una mia impressione?” Domandò
ironico il biondo grattandosi la testa dall’imbarazzo.
Marinette sospirò “Non lo
so, ma quel che è certo è che dovremo andare a controllare.”
“Cos’è?
Vuole far piovere formaggio per mesi interi?” Ipotizzò Adrien.
Plagg aprì gli occhi
dallo stupore immaginandosi mentre il suo amato camembert scendeva giù dal
cielo, e lui con la bocca spalancata a prenderlo per farselo scendere giù per
l’esofago.
“Se
la sua intenzione è quella, per me lo può anche fare!” Mormorò con aria
sognante venendo subito smontato da Tikki.
“Non
essere stupido… ha ragione la mia padrona, devono andare a controllare.”
“Però
non dobbiamo andare da soli, ho come l’impressione che questo individuo non sia
così stupido come voglia far credere.” Marinette si
portò due dita sul mento per poi dirigersi verso la cassaforte dov’era
custodita la Miracle Box.
Spostò
il quadro che ritraeva lei e Adrien nel giorno del loro matrimonio e l’aprì con
la combinazione segreta.
“Marinette…” Chiamò la moglie con voce tremolante, sapeva
che avrebbe dato ad Emma il pettine dell’ape, ne era certo.
Sua
moglie lo guardò e capì subito la sua preoccupazione.
“Stai
tranquillo, non avevo pensato a lei… ci serve una seconda occasione.” Pigiò il
tasto centrale della palla ovale e ne estrasse il bracciale.
Sass si stiracchiò e
sbadigliò rumorosamente. “Aaawww… Buongiorno, Guardiana.”
Il serpentello sibilò facendo un inchino di circostanza.
“Ciao,
Sass. Pronto ad entrare in azione?” Chiese Marinette sorridendogli.
“Certo!”
Rispose con convinzione.
*
Marinette ed Adrien si
avvicinarono alla stanza del figlio Louis, che in quel momento stava studiano,
l’indomani avrebbe avuto una verifica molto importante prima degli esami di
fine anno.
“Avanti!”
Disse quando sentì bussare alla porta “Mamma, papà. Va tutto bene?”
Marinette porse il
bracciale.
“Oh!
Capito… che è successo sta volta?” Chiese curioso alzandosi dalla sedia per
indossare il gioiello.
“Un
pazzo dalle sembianze di topo vuole seminare il panico.” Rispose Adrien quasi
riluttante.
“Non
è meglio che sia Vesperia ad intervenire?
Potrebbe paralizzare l’avversario con il suo veleno.” Propose il maggiore dei
fratelli.
“Ci
serve una seconda occasione, non sappiamo con chi abbiamo a che fare.” Rispose Marinette.
“Con
un cretino… hai mai visto un cattivo dalle sembianze di topo?” Constatò Adrien
“… e poi che razza di piano è: Lady Bug e Chat Noir voglio il Miraculous del coniglio? Potevamo anche non aver visto il
telegiornale e essere fuori città.” Scimmiottò “… a parte il fatto che non lo
abbiamo noi il gioiello.” Sottolineò.
“Topo?”
Domandò Louis quasi incredulo, per poi cambiare del tutto espressione “… i
serpenti mangiano i topi… Sass…squame striscianti!”
“Plagg, trasformami”
“Tikki, trasformami”
I
tre super eroi erano pronti ad entrare in azione, quando una voce ferma ed
imperativa fermò il terzetto pronto ad uscire dalla finestra.
“E
IO???” Chiese con un’espressione imbronciata ed iraconda per essere stata
evidentemente esclusa dalla missione.
Lady
Bug si avvicinò alla quattordicenne con aria materna.
“E’ pericoloso,
tesoro. E poi andiamo solo a dare un’occhiata.” Le schioccò un tenero bacio sulla
fronte. “Torneremo in men che non si dica, promesso.”
“Si,
ma non è giusto che Louis possa venire, e io no.” Protestò mettendo il broncio
e pestando i piedi.
L’eroe
dalle sembianze di serpente si schiarì la voce “Serpeverde,
grazie.” Sottolineò con lo stesso charm che era solito ad usare il padre.
“Anch’io
potrei esservi utile, potrei paralizzare l’avversario con il veleno.”
“Non
è questo, tesoro.” Intervenne Lady Bug “… non sappiamo con chi abbiamo a che
fare, dobbiamo andarci molto cauti. La prossima volta verrai con noi, ok?”
Chat
Noir deglutì il nulla sentendo la moglie parlare così e una strana sensazione
nelle viscere si fece strada in lui.
Avrebbe
voluto dirle che non avrebbe mai più preso parte ad una missione, ma prima di
essere troppo impulsivo, contò fino a dieci mentalmente.
“Si,
si.” Rispose poco convinta la biondina guardandosi la punta delle scarpe dopo
aver incrociato quello verde del padre.
Emma
aveva capito dalla sua espressione che non avrebbe mai più indossato i panni di
Vesperia.
“Bada
a tuo fratello!” Gli ordinò Chat Noir facendole segno col capo che il settenne
era proprio accanto a lei.
Poi,
tutti e tre i super eroi spiccarono il volo verso la propria destinazione.
Hugo
tirò su con la cannuccia il succo di frutta che stava bevendo.
“Per
fortuna non stai mangiando quel formaggio puzzolente.” Sospirò l’adolescente
tornandosene in camera sua, seguita a ruota dal fratello.
“Uhm…
no. Non sono riuscito a trovarlo, mi sa che Plagg me
lo ha nascosto di nuovo.”
Emma
non riuscì proprio a trattenere una sghignazzata. Il sol pensiero di quel
piccolo kwami nero che ruba il formaggio al fratello
la faceva sbellicare dalle risate.
Eppure
anche Hugo non era da meno, riusciva sempre a trovare le scorte nascoste del
dio della distruzione sparse per casa, e non era di certo un appartamento da
quaranta metri quadri.
“Oppure
sei talmente ingordo che te lo sei fatto fuori oggi a pranzo e non te lo
ricordi nemmeno.” Emma si accomodò sulla poltroncina della scrivania ed accese
il pc.
Hugo
si portò due dita sul mento “Forse hai ragione… partita?” Propose poi credendo
che la sorella volesse giocare ad un qualche videogioco.
“No.
Devo vedere che sta succedendo a quei tre.”
“Tanto
tu non puoi intromettersi!” Sottolineò il fratello più piccolo con somma
innocenza.
Ma
quelle parole toccarono l’animo di Emma nel profondo, perché sapeva che se sua
madre non le aveva dato il pettine dell’ape era tutta colpa di suo padre, e
della sua mania di proteggerla… dal niente.
Voleva
intervenire ed in qualche maniera lo avrebbe fatto.
Non
aveva il permesso di toccare la Miracle Box e non
conosceva affatto la combinazione della cassaforte, un piccolo accorgimento che
Marinette aveva adottato. Non si sa mai.
Gli
unici a conoscerla erano proprio i due coniugi Agreste, ed in caso di estrema
urgenza, Plagg o Tikki
sarebbero riuscita in ogni caso ad aprire il piccolo portoncino nera blindata.
“Tanto
tu non puoi intervenire!” Scimmiottò Emma ripetendo le parole del fratello
“… beh! Questo lo vedremo!” Aggiunse poi continuando ad osservare il notiziario
sul monitor.
“Smettila
di prendermi in giro.” Hugo mise il broncio.
“Avanti
scimmietta… stavo scherzando” Gli scompigliò i capelli neri.
*
Il
Signor Ratto se ne stava beatamente seduto dentro la sua sfera trasparente in
attesa che i super eroi si facessero vedere.
Nel
frattempo, la polizia era accorsa sul posto e stava pensando a come agire per
bloccare quel pazzo, ma appena si muovevano, il gigantesco ratto sparava nella
loro direzione della sostanza verde e acida, con un dispositivo installato al
di fuori della Ruota del Tempo che scioglieva qualsiasi cosa, costringendoli ad
arretrare e ad ideare un nuovo piano.
Stavano
per riprovarci, quando all’improvviso apparvero Lady Bug e Chat Noir.
Serpeverde era rimasto appostato
di vedetta su un tetto lì nelle vicinanze ed osservava la situazione, pronto ad
intervenire.
“Seconda
occasione!” Azionò il meccanismo del bracciale.
Il
Signor Ratto capitombolò dalla seduta quando vide i due super eroi davanti a
sé.
“Finalmente!”
Sibilò tra i denti.
“Certo
che sei brutto forte anche dal vivo!” Esclamò Chat Noir notando il suo aspetto.
“Chat
Noir, non è il momento” Lo rimproverò Lady Bug alzando la voce per poi
fulminarlo con lo sguardo.
“Ma
come ti permetti?” Domandò alquanto irritato il Signor Ratto scendendo dalla
sua invenzione.
“Senti!
Ho altre cose da fare, più importanti di questa pagliacciata” Iniziò Chat Noir
con tono altezzoso, riferendosi ovviamente alla questione in sospeso con la
figlia “… dicci che cosa vuoi e facciamola finita.”
Il
Signor Ratto tirò su le maniche della camicia pronto a suonargliele a quel
gatto da strapazzo.
“Te
la faccio vedere io la pagliacciata!”
“SMETTETELA!”
Intervenne Lady Bug, sicuramente quella con la mente più lucida dei due.
Chat
Noir e il Signor Ratto si zittirono all’istante, poi guardarono la super eroina
con sguardo da cane bastonato.
“Signor…”
L’eroina coccinella lo invitò cortesemente a presentarsi.
“Ratto…
sono il Signor Ratto.”
Chat
Noir non ce la fece proprio a trattenere una risata fragorosa che stizzì non
solo il loro nuovo nemico, ma anche Lady Bug, la quale cercava un modo gentile
per risolvere la situazione.
“Si-signor…
Ratto… ma che razza… di nome… è???”
L’eroe
gatto non ce la faceva più, la pancia gli faceva male, e più ripensava a quel
nome ridicolo e più rideva a crepapelle.
Solo
l’intervento provvidenziale di Lady Bug, salvò la situazione.
Gli
prese il suo bastone d’acciaio e glielo suonò in testa.
“Smettila
subito!”
“Ok,
la smetto!” Si fermò all’istante massaggiandosi la testa, nel punto preciso
dove era stato colpito.
“Mi
scusi, Signor Ratto…” Anche Lady Bug trattenne a stento una risata questa volta
“… perché vuole il Miraculous del Coniglio?” Domandò
gentilmente.
“Per
tornare indietro nel tempo, è ovvio… a qualche attimo prima che mi trasformassi
in questa mostruosità!” Rispose riluttante guardandosi le mani pelose e
appuntite.
“Che
cosa le è successo?”
“Il
sindaco mi ha avvelenato!” Fece una breve pausa “… non gli è bastato umiliarmi
e bandirmi dalla città, doveva trasformarmi in questo mostro! E poi… ci sono
altre cose che non sapete…” Scavalcò i due super eroi andando dritto dal
cronista nascosto dietro un cespuglio, guardò dritto in telecamera con quegli
occhi gialli iniettati di sangue, prendendogli il microfono “…inquadrami,
babbeo!” Ordinò al cameraman “… quello che non sapete è che sotto le fogne
c’è…”
Uno
sparo raggiunse il Signor Ratto dritto al petto.
Il
Signor Ratto si trovava ancora a terra inerme, sotto lo sguardo sbigottito di
Lady Bug e Chat Noir.
“Sai chi era quello?” Chiese con voce quasi strozzata Lady Bug.
Chat Noir scosse leggermente il capo non riuscendo a produrre alcun suono.
“Il Signor Ramier.” Disse infine lei, riconoscendo
nelle sue parole quell'uomo
sempre così gentile con tutti.
Nel frattempo, gli agenti di polizia impegnati nella missione, spalleggiati dal
sindaco
di Parigi, stavano festeggiando la totale riuscita del loro piano, ovvero
quello di
mettere fuori gioco quell’individuo ad ogni costo.
Lady Bug si voltò nella loro direzione con gli occhi lucidi dal pianto che da
lì a poco
avrebbe scatenato, stizzita ed in preda all’ira.
“MA SIETE IMPAZZITI TUTTI?” Sbraitò, zittendoli momentaneamente.
“No, tu sei pazza se pensi che avremo lasciato quell’abominio libero di
circolare
seminando il panico per le strade.” Intervenne uno degli agenti in tenuta da
anti sommossa, avrà avuto si e no la
loro età. Non lo conosceva comunque.
“Stavamo cercando di ragionare, non serviva usare la violenza… era un uomo
distrutto dal dolore per l’umiliazione che gli ha inferto il sindaco!” Gli
puntò l’indice
guantato e tutti i presenti gli posarono lo sguardo.
Il sindaco Bourgeois si tirò il colletto della camicia con un dito e deglutì il
nulla,
anche perché era stato lui a dare l’ordine alla polizia di usare qualsiasi
mezzo per
atterrarlo e metterlo fuori gioco, poi il suo corpo sarebbe stato donato alla
scienza.
“Era un pericolo” Mormorò in tono altezzoso sistemandosi la fascia tricolore che
portava orgoglioso sul petto ingrassato “… e poi nessuno vi ha chiamato!” Disse
convinto
incrociando le braccia davanti.
“In verità, è stato lui” Rispose Chat Noir con naturalezza “… voleva qualcosa da
noi.”
Il Sindaco agitò una mano in aria come per non dargli importanza “Si, si, si. Tutti
vogliono i vostri Miraculous, non era una novità. Vi
ho solo tolto un impiccio.”
“Non era un impiccio, ce la saremo cavati come sempre.” Incalzò Lady Bug
alzando i
toni della conversazione.
“Sono mesi che non abbiamo più bisogno di voi… i miei agenti proteggono Parigi
in
maniera egregia.”
Lady Bug e Chat Noir strabuzzarono gli occhi per lo stupore.
E presto quel sentimento si tramutò in rabbia per entrambi.
Tutti quegli anni a proteggere Parigi, prima da Papillon, poi da Violet
Butterfly e da
tutti coloro che minacciavano il perfetto equilibrio tra i cittadini, buttati
letteralmente
nel cesso e tirato lo sciacquone senza tanti ringraziamenti.
I due super eroi erano stati liquidati con un sommesso “non abbiamo più bisogno
di
voi.”
Chat Noir non ci stava a tale provocazione, ma starsene fermo con le mani in
mano e
vedere la sua milady che stava per avere una crisi di nervi, gli fece partire
un embolo.
Con un paio di ampie falcate raggiunse il plotone e senza che lui facesse o
dicesse
niente, gli agenti gli aprirono un varco in modo da aprirsi direttamente sul
sindaco.
“E questi sono i ringraziamenti per averla salvata un sacco di volte dalle akumatizzazioni? Se non fosse per noi, Parigi sarebbe
stata ridotta ad un cumulo di
macerie già da un po' di tempo, e lei che fa? Ci tratta come un lurido cencio??”
Il Sindaco si guardò a destra e a sinistra con aria preoccupata pensando di aver
provocato la persona sbagliata, ma lui era pur sempre il primo cittadino,
ovvero colui
che comandava.
Si schiarì la voce e ordinò l’arresto del super eroe.
I poliziotti non potendo altrimenti, ubbidirono, muovendosi nella direzione di
Chat
Noir.
“Ehi, ma che fate!” Intervenne Lady Bug avvicinandosi al marito e dimenticando
in
fretta che qualcuno avrebbe potuto evitare quello spiacevole equivoco. Serpeverde, che se ne stava appostato dietro un
comignolo, considerò che quella era
l’opportunità giusta per riportare indietro il tempo.
“Seconda occasione!” Pronunciò, venendo poi avvolto da una nebbia bianca, per
sparire subito dopo.
Il super eroe non perse tempo, e visto che il Signor Ratto era ancora in piedi,
vivo e
vegeto, pensò bene di agguantarlo e allontanarlo di là prima che la situazione
si
ripetesse.
“Ma che fai?” Sbraitò dimenandosi tra le braccia di Serpeverde
come un bambino
capriccioso.
“Le salvo le chiappe!”
“Ma non avete ancora capito che siamo nemici? Io voglio il Miraculous
del
Coniglio.” Pestò i piedi causando delle piccole crepe nel porfido.
“L’aiuteremo, ma non in questo modo” Confermò Lady Bug in tono calmo e
rassicurante.
“LO SAPEVO CHE ERA TUTTA UNA FARSA!!! VOI SIETE IN COMBUTTA
CON LORO!! Ma sapete una cosa??? Non mi catturerete mai vivo!” Il Signor Ratto
con un balzo raggiunse la sua palla trasparente ed avviò il motore.
Il veicolo si alzò di qualche metro ed iniziò la sua folle corse tra le strade
di Parigi,
sparando a raffica una sostanza rosa dalla consistenza viscida che incollava
qualsiasi
cosa.
“Sono stato proprio un genio ad installare anche quest’arma.” Sogghignò
osservando
i tre super eroi che gli stavano appresso. “…questa, più il cannone spara acido
mi
renderà invincibile.”
Il Signor Ratto imbrattò muri, lampioni, porte e finestre, di quella via, non
dando la
possibilità a nessuno di poter entrare oppure uscire di casa.
Un povero cagnolino randagio era stato incollato per sbaglio assieme alla sua
padrona
sul muro.
Chat Noir usò il cataclisma per liberarli, e riprendere l’inseguimento subito
dopo.
*
Emma e Hugo osservavano la scorribanda davanti al monitor del pc.
“Se la stanno cavando bene!” Mormorò il piccolo.
“Ma che dici? Non vedi che quel topo di fogna si sta prendendo gioco di loro??”
Disse stizzita la biondina, che di starsene con le mani in mano non ne aveva
alcuna
voglia.
Le prudevano le mani, ed entrare in azione come Vesperia
era l’unico modo per far
sparire quel fastidio, ma era anche ben consapevole che non aveva accesso alla Miracle Box, e che avrebbe fatto bene ad abbandonare
quell’idea.
“Per me stai esagerando… c’è Louis con loro, vedrai che presto riavvolgeranno il
tempo, sempre se non lo stanno già facendo.”
Emma si era alzata dalla sedia perchè di continuare a
guardare in televisione quello
scontro, non ne aveva più alcuna intenzione.
Doveva assolutamente uscire di casa, anche se questo avrebbe significato
lasciare a
casa da solo il fratello e disubbidire ad un preciso ordine dei suoi genitori.
Ma Hugo era un bravo bambino, e non gli sarebbe capitato nulla.
Con convinzione e determinazione disse al ragazzino che lei sarebbe tornata
presto e
soprattutto che non avrebbe dovuto commettere imprudenze.
“Dove vai?” Le chiese con fare sorpreso.
“Raggiungo gli altri.”
“Così? Senza super poteri? Non rischi di essere d’intralcio? E soprattutto non
rischi
di venire chiusa in casa per il resto della tua vita?”
Giusta osservazione.
Emma aprì la borsetta e guardò quel sacchettino di iuta che teneva ben nascosto
in
uno scomparto, quello le sarebbe servito in caso le cose si fossero messe male,
e per
male intendeva se suo padre l’avesse sgridata e minacciata alla clausura
forzata.
“Ho il mio lasciapassare” Sorrise ammiccando.
“Per me stai commettendo uno sbaglio… la cosa migliore è rimanere qui e… ehi,
ehi,
ma dove stai andando?”
Emma era stufa di star a sentire quel saccente del fratello, sempre con la sua
aria
spocchiosa e da bravo ragazzo, lui e Louis erano i fratelli perfetti, lei
invece la pecora
nera della famiglia, colei che sbagliava sempre e non ne combinava mai una di
giusta.
Camminò lungo il corridoio con il bambino che cercava di stare al suo passo.
“Tu rimani qui, se pensi sia pericoloso.” Gli mise le mani sulle spalle
invitandolo a
starsene buono buono.
“Emma, ti prego, ripensaci!”
La ragazza si arrestò di colpo e poi si voltò in direzione del bambino “Senti,
non è
che hai paura di rimanere da solo?” Lo rimbeccò.
Hugo, d’altro canto, si sentì ferito e non accettò la provocazione, ma si
limitò solo a
dirle che si sbagliava e che avrebbe dimostrato a mamma e papà di essere più
responsabile di una ragazza di quattordici anni.
Emma se ne andò digrignando i denti e sbattendo il portone di casa.
*
Non era stato difficile per la ragazzina arrivare al luogo dove si stava
consumando lo
scontro tra i tre famigliari e quello che si faceva chiamare Signor Ratto.
Se ne restò nascosta dietro ad un muro di mattoni pensando ad un piano efficace
da
suggerire ai tre super eroi.
Perché se c’era una cosa che aveva ereditato dal padre, era l’astuzia, e non a
caso, il
Maestro Fu anni addietro, gli aveva donato il Miraculous
del Gatto Nero.
Ma sarebbe stata una buona idea uscire allo scoperto? Oppure Hugo aveva
ragione, e
lei sarebbe stato solo un intralcio?
Non lo sapeva bene nemmeno lei, e fu quella consapevolezza a farla agire nel
migliore dei modi, ovvero andarsene finchè fosse
ancora in tempo.
Mise mano alla borsetta per evitarla di sbattere sul muro e fare rumore mentre
si
alzava, ed improvvisamente si ricordò di avere la polvere della memoria
all’interno.
Era fatta.
Ecco il piano perfetto.
Sarebbe uscita allo scoperto e appena Lady Bug o Chat Noir si fossero
avvicinati per
intimarle di andarsene, le avrebbe allungato quell’intruglio destinato al
Signor Ratto.
Lo avrebbero aggirato per bene, facendogli dimenticare il suo scopo, per
indurne un
altro, uno di meno sadico e che non richiedeva i miraculous.
Perché Emma teneva quella polvere ben custodita nella borsetta? Semplicemente
perché voleva usarla su Adrien, con lo scopo di fargli dimenticare il motivo
della sua
prigionia dentro le mura domestiche.
Era riuscita a sottrarla dalla cassaforte dimenticata aperta per sbaglio
qualche giorno
prima, ma non aveva ancora avuto il coraggio di usarla. Marinette era stata sempre molto chiara sulle pozioni
e sulle conseguenze che ognuna
di esse potevano avere, soprattutto su questa, non si poteva sapere quali
ricordi
sarebbero stati cancellati e come la persona avrebbe potuto agire con quelli
nuovi
inventati.
In questo caso, non avrebbe avuto importanza, perché quel pazzo era ormai diventato
un pericolo per i parigini, e non si sarebbe fermato finchè
non avrebbe ottenuto quello
che voleva.
Alzò la testa quel tanto che bastava per vedere bene cosa stava accadendo.
Chat Noir stava roteando il bastone per evitare la sostanza viscida sparata da
uno dei
due cannoni, mentre Lady Bug si faceva scudo per schivare quella verde acida. Serpeverde cercava di dare man forte, balzò sul tetto
della palla trasparente in
prossimità delle armi, cercando con la sua forza di metterle fuori uso, ma
quando il
Signor Ratto se ne accorse, virò verso destra in maniera brusca, facendo
capitombolare il super eroe giù.
Emma aprì la bocca dallo stupore vedendo il fratello con una brutta ferita alla
testa.
Lady Bug, senza pensarci, abbandonò momentaneamente lo scontro per dedicarsi
alle
cure del figlio, che da lì a poco si sarebbe ritrasformato, lasciandoli
scoperti dal
potere della seconda occasione. Accompagnò Louis ancora trasformato in un
vicolo poco distante, lasciando Chat
Noir da solo a combattere quella battaglia.
“Ti arrendi?” Chiese il Signor Ratto continuando a lanciare colpi che
prontamente
venivano deviati.
“MAI!” Esclamò Chat Noir arretrando.
Ma non era facile resistere, soprattutto ora con due persone in meno ad
aiutarlo.
Quello che doveva fare al momento, era abbandonare lo scontro per riprendere
fiato e
pensare ad un piano efficace.
O meglio, capire come sarebbe potuto balzare sul tetto ed usare il cataclisma
sulle
armi senza farsi scoprire.
Un altro colpo lo fece arretrare ulteriormente e il successivo lo fece balzare
all’indietro proprio dietro al muro dov’era nascosta Emma.
I loro sguardi s’incrociarono e mentre in Emma cresceva la preoccupazione per
quello che le sarebbe accaduto una volta rientrata a casa, Chat Noir rimase
immobile
ed inerme, chiedendosi che cosa ci facesse lei in quel luogo pericoloso e priva
di
super poteri.
Il super eroe gatto non fece a tempo ad aprire la bocca, che sparì dalla vista
di Emma,
risucchiato da un portale che si era aperto alle sue spalle, dopo che una bolla
trasparente lo aveva imprigionato.
*
continua
A volte bisogna stare attenti a ciò che si desidera veramente, perché non si sa
mai chi può essere in ascolto in quel momento per esaudirlo.
Emma fissò attonita per qualche secondo il punto esatto doveva aveva appena
visto suo padre venir risucchiato da quel buco nero, per poi svanire
improvvisamente davanti ai suoi occhi, senza darle la possibilità di fare
qualcosa. Ad esempio
allungargli una mano e tirarlo a sé con tutta la forza che aveva in corpo.
“Papà…” Sussurrò a mezze labbra con gli occhi che si stavano riempiendo di
lacrime.
Il cuore in gola per i battiti accelerati e la consapevolezza che se suo padre
era sparito da lì, solo per causa sua, solo perché aveva voluto intervenire in
una battaglia dove le era stato categoricamente impedito di partecipare.
Ma infondo non era quello che desiderava? Farlo sparire per avere la
possibilità finalmente di essere libera di fare quello che voleva? No, non era
quella la sua volontà, ma un impulso dettato solo da un momento di rabbia. Ed
Emma se ne stava
rendendo conto solo ora.
Amava suo padre e l’ultima cosa che sperava era che gli accadesse qualcosa di
male.
Dove si trovava ora?
Ma non ci fu il tempo di pensare, che il nemico contro cui stavano combattendo
sparò un razzo facendo saltare il suo nascondiglio e di conseguenza un punto da
cui partire per scappare, visto che la situazione si stava facendo pericolosa.
Oltre a non avere più la protezione di Chat Noir, non aveva visto in quale buco
si erano infilati Lady Bug e Serpeverde.
D’istinto, Emma si portò le mani sulla testa a proteggerla dai detriti che
stavano
piovendo su di lei.
Lady Bug che osservava la scena di soppiatto poco distante, mentre attendeva che
Louis riprendesse le forze prima di riportarlo a casa, rimase sbalordita e
senza parole,
per due ragioni: la prima era che suo marito era sparito proprio davanti ai
suoi occhi;
la seconda, sua figlia era lì.
Che cosa ci faceva Emma sul campo di battaglia? E soprattutto dov’era Hugo? Lady
Bus sperava lo avesse lasciato a casa e non trascinato in quel delirio, anche se
continuava comunque a guardarsi attorno per prudenza.
“Emma…” Mormorò.
“Emma è qui?” Fece di rimando Louis tenendosi la testa dolorante.
Lady Bug annuì con il capo “E tuo padre è sparito!” Aggiunse con voce
tremolante.
“Che significa papà sparito???” Tutte quelle emozioni improvvise lo fecero
quasi svenire.
Erano successe troppe cose nel giro di poco tempo e Lady Bug stava per
collassare e
scoppiare, ma di mollare proprio adesso non se ne parlava proprio.
La cosa principale era mettere in salvo i suoi figli, a Chat Noir ci avrebbe
pensato poi
anche se stava rimuginando su come poterlo aiutare sta volta.
Sarebbe bastato prendere lo yo-yo, aprirlo e tirare fuori il Miraculous del cavallo per creare il portale dimensionale
dove avrebbe potuto trovare Chat Noir.
Certo, se solo non si fosse resa conto che la modifica apportata anni addietro
fosse risultata pericolosa nel caso qualcuno le rubasse la sua arma; così Lady
Bug, dopo aver recuperato tutti i kwami e riposti
nella Miracle Box, aveva dovuto chiudere
definitivamente il portale magico che la collegava direttamente a quest’ultima.
E
perciò, per avere a disposizione altri Miraculous
doveva tornare a casa a prenderli in caso di bisogno.
Il Signor Ratto preparò in canna il secondo colpo da lanciare contro la
ragazzina e lo
sparò senza scrupoli, ma Emma lo evitò con un balzo felino prima che Lady Bug
lanciasse lo yo-yo per salvarla.
Emma era scaltra e veloce anche senza il costume da super eroe, frutto degli
esercizi
che faceva quasi giornalmente con il padre nel giardino di casa, saltando di
qua e di là
per allenare i riflessi.
Adrien lo faceva più che altro solo per passare del tempo con sua figlia,
quando il
loro rapporto non era burrascoso come negli ultimi tempi.
Lady Bug per poco non svenne, e con un brandello di lucidità attivò la sua arma
per
avvilupparla attorno al corpo della figlia e trarla nel vicolo dove si era
nascosta.
Solo che facendo così aveva rivelato al nemico dove si nascondeva, il quale,
sorrise
malignamente preparando la prossima mossa.
“Non mi sfuggirai, Lady Bug!” Mormorò digrignando i denti e girando l’enorme
palla trasparente in quella precisa direzione.
“Che ci fai qui?” Le aveva chiesto il fratello stringendo gli occhi.
Emma non rispose perché sua madre aveva preso la parola anticipandola,
sicuramente
i due fratelli avrebbero litigato, e quello era il momento meno adatto per
dissapori.
“Non c’è tempo, dobbiamo andare via subito!” Aveva detto sorreggendo Louis.
Emma sbiancò davanti al fratello malridotto.
“Che è successo?” Domandò portandosi una mano sulla bocca.
“Ti ho già detto che dobbiamo sbrigarci e andare via!” Ed infatti il terzo
razzo colpì
la palazzina adiacente facendola collassare sopra le loro teste.
Il Signor Ratto iniziò a ridere istericamente e gli occhi gialli sembravano
potesse
schizzargli fuori dalle orbite per lo sforzo.
Una risata malefica che si propagò per tutto l’isolato.
“Siete caduti dritti, dritti nelle mia trappola…” Sogghignò. “… proprio come…
topi… ahahahahah!” Quell’ultima analogia lo fece
sbellicarsi dalle risate, ma solo lui
sembrava coglierne il significato, perché i ratti all’interno del suo veicolo si
guardarono spaesati.
Ma la sua vittoria durò ben poco, perché la super eroina si palesò subito
davanti a lui
dopo aver fatto tornare a casa i suoi figli.
Era sola contro quel mostro e il suo esercito di ratti schifosi.
“Non credo!” Disse facendolo smettere di ridere immediatamente.
Il Signor Ratto digrignò i denti dalla rabbia per non essere riuscito nemmeno
questa
volta a mettere fuori gioco la coccinella, ma almeno di uno se ne era liberato,
quello
più fastidioso e che non la smetteva di parlare.
“RIDAMMI CHAT NOIR!” Gli intimò ingrossando la voce per non far trapelare la
sua irrequietezza e disagio sul sapere di non poter contare su nessuna spalla al
momento.
Il Signor Ratto la squadrò in modo interrogativo come ad accertarsi di aver
capito
bene la sua richiesta e scoppiò a ridere, come se Lady Bug avesse fatto una
battuta di
spirito.
“SMETTILA DI RIDERE!” Si spazientì e colpì il suo veicolo con un calcio. Non si
scalfì per niente, ma nemmeno lei aveva pagato le conseguenze di quell’azione.
Unica cosa che ottenne, era la sua risata placata e il volto di quel mutante
farsi serio.
“NON TI DARO’ UN BEL NIENTE!” Fece una pausa “… prima tu mi devi dare il Miraculous del Coniglio.” Spiegò in tono mellifluo.
“Questa non è una trattativa! Io ESIGO Chat Noir indietro, o almeno dimmi dove
lo
hai spedito.” Conosceva bene i portali dimensionali, e quello dov’era stato
risucchiato
l’eroe gatto ne aveva tutta l’aria.
Durante l’addestramento in Tibet con i Guardiani Celesti, sia Marinette che Adrien,
erano riusciti ad imparare molti segreti sui kwami e
sui loro poteri, ottenendo così il
benestare di tutta la gerarchia dei Grandi Guardiani di custodire quella
determinata Miracle Box.
Lady Bug puntò i piedi a terra con determinazione.
Non aveva un piano preciso in mente, ma era convinta più che mai a salvare la
vita di
suo marito, e per farlo doveva scoprire che cosa aveva in mente quell’inietto,
oltre
ovviamente a capire che cosa era successo al Signor Ramier
che conosceva.
*
“Dobbiamo aiutare la mamma!” Disse Emma mentre medicava la ferita alla testa di
Louis. “E tu dovresti vedere un dottore, secondo me servono dei punti di sutura
qui!”
“Se non fosse stato per te, papà sarebbe ancora qui con noi!” La rimproverò il
fratello
in tono acido e accusatorio.
Emma indurì lo sguardo mentre incrociava le braccia sotto il seno “Non provare a
farmi la paternale, ok?” Si sentiva già abbastanza in colpa senza qualcuno che
glielo
ricordasse ogni cinque minuti.
“Che poi scusami tanto, ma cosa ci facevi lì? Non ti era stato detto che non
potevi
venire?”
“Gliel’ho detto anch’io!”
Hugo che stava assistendo alla scena, tirò su il succo con la cannuccia facendo
il
classico rumore del risucchio, infastidendo la sorella.
“SMETTILA!” Inveì contro di lui che non si scompose minimamente.
“In realtà dovresti smetterla te… Louis ha ragione, è solo colpa tua se papà
non c’è
più e la mamma sta combattendo da sola contro quello schifoso di un ratto”
Rabbrividì, perché se c’era una creatura che Hugo non sopportava, erano proprio
i
topi.
“Non ti ci mettere anche tu, ora!”
“Ho solo detto la verità… ho provato a fermarti, ma tu no, dovevi andare… beh!
Grazie tante, hai fatto solo casini, Emma! E papà è scomparso.” Negli occhi
verdi di
Hugo, vide la stessa identica espressione di Adrien quando osava rimproverarla
e in
quel momento il cuore si serrò in una morsa dolorosa.
“Da come lo dici sembra sia morto… è solo… da qualche parte, lo troverò.” Disse
sbrigativa come se avesse già un piano geniale da mettere in atto.
“Speriamo non lo sia, altrimenti ti rimarrà sulla coscienza solo perché gli hai
disubbidito!”
Aveva solo dieci anni, ma sapeva bene quali tasti del cuore toccare per far
sentire le
persone in colpa, e soprattutto, Hugo era proprio come sua madre, parlava senza
pesare le parole che la sua lingua non riusciva a tenere a freno.
Non era colpa sua, ma del suo carattere impulsivo, che ancora ad oggi non
riusciva a
controllare.
Emma scoppiò e scappò a piangere nella sua stanza divorata dal senso di colpa.
I suoi fratelli avevano ragione, se suo padre era finito nei guai era solo per
colpa sua e
di nessun altro, ma nonostante ciò, se c’era una cosa che accumunava i due
ragazzi,
era il vedere la loro unica sorella piangere e stare male.
“Dovevi proprio dirle quelle cose?” Louis rimproverò il più piccolo.
“Se lo è meritata!” Rispose con convinzione “… io l’avevo avvertita che non era
una
buona idea.”
“Disse quello che esegue alla lettere gli ordini dei genitori!” Scimmiottò.
“Sei antipatico, lo sai?” Gli riservò una linguaccia.
“Dai, andiamo a scusarci! È già dura pensare che mamma dovrà sistemare tutto
questo casino, sperando non le succeda niente.”
“Mamma è forte!”
“Mamma non ha papà, ora.”
*
Lady Bug e l’ex signor Ramier battibeccarono per un
bel po' di tempo.
Ognuno rimaneva fedele alla propria richiesta.
Lady Bug rivoleva indietro Chat Noir in cambio, gli avrebbero dato l’aiuto di
cui
necessitava.
Il Signor Ratto voleva solo il Miraculous del
Coniglio per fare lui tutto il lavoro, non
aveva bisogno che altre persone risolvessero i suoi casini.
“Non l’ho io! È l’unico che non tengo con me!” Gli confidò sperando si
arrendesse al
più presto.
“BUGIARDA!” Digrignò i denti stringendo la mano pelosa nel pomello di avvio del
veicolo.
“Non le sto mentendo, Signor Ramier.” Lady Bug si
rivolse a lui con il suo vero
nome.
Un errore, visto che chiamandolo così ottenne solo l’effetto contrario, ovvero
che si
arrabbiasse di più.
Il Signor Ratto iniziò a sparare razzi e raggi laser in direzione dell’eroina
cercando di
colpirla e ferirla, ma lei era molto abile e riusciva a schivare ogni colpo con
facilità e
destrezza.
E questo non fece altro che inasprirlo ancora di più.
“FERMATI RAZZA DI INSETTO FASTIDIOSO!!!” Pigiò tasti e tirò leve a caso
cercando di risolvere quella situazione, ovvero metterla fuori gioco.
Sarebbe stato più facile aprire un ulteriore portale dimensionale e spedirla al
suo
interno, ma poi come avrebbe ottenuto quello che cercava? Era vero quello che
stava
dicendo e che il Miraculous del Coniglio non era in
suo possesso?
Doveva accertarsi che non fosse tutto un bluff e un tentativo della coccinella
di
fregarlo.
E un modo c’era.
Ovvero di darle un ultimatum, che poi non era nemmeno un inganno vero e proprio.
Lady Bug saltava di qua e di là per evitare i colpi sparati da quell’arma di
distruzione,
ed intanto aveva invocato un lucky charm in suo
aiuto, ma aveva ottenuto solo un
coniglio di peluche rosso a pois neri.
Non sapeva come usarlo, o meglio, non voleva che la soluzione del caso fosse
così
scontata e consegnare al Signor Ratto quello che voleva.
“DAMMI IL MIRACULOUS SE VUOI QUEL GATTO SPELACCHIATO
INDIETRO!”
“MAI!” Disse lei evitando un altro colpo.
Lady Bug lanciò lo yo-yo attorcigliandolo alla pistola laser, tirò con tutte le
sue forze,
ma non riuscì ad estrarle e romperla.
“E’ tutto inutile! E’ costruita con una lega speciale,
e tu non puoi fare nulla per
sconfiggermi!” Berciò ridendo credendo di avere la vittoria in mano.
“Questo lo vedremo!” Digrignò i denti lei indurendo lo sguardo.
Non sapeva più che cosa inventarsi e Lady Bug doveva ammettere che quella era
una
battaglia che sarebbe stata vinta solo da chi avrebbe ceduto per prima o che si
sarebbe
arreso.
Ma quando tutto sembrava essere perduto, Lady Bug volse per puro caso lo
sguardo verso una crepa sul vetro, forse le sarebbe bastata un colpo di yo-yo
per far esplodere quella palla di vetro in tanti piccoli pezzettini.
Il Signor Ratto se ne accorse seguendo dove puntavano i suoi occhi azzurri.
“Io non lo farei se fossi in te!”
“Perché?” Chiese la super eroina rientrando lo yo-yo in sede.
“Vedi… sono l’unico che può ridarti il gattaccio.” Ora aveva tutta l’attenzione
della super eroina che aveva osato intromettersi nei suoi piani. “… è
intrappolato in una
bolla spazio-temporale che solo io sono in grado di raggiungere.”
“Posso usare un Miraculous in particolare per
trovarlo, non è un problema.”
“AHHH! Ti ci vorrebbe troppo tempo… tempo che tu non hai” Spiegò mellifluo “…
o meglio, lui non ha tempo, perché… tempo un mese e la dimensione in cui è
confinato collasserà su sé stessa distruggendo tutto al suo interno, compreso
lui…
TIC TAC, TIC TAC… il tempo scorre Lady Bug!” Detto questo, il Signor Ratto sparì
dalla sua vista, doveva sistemare il suo veicolo di trasporto prima che i danni
potessero diventare ingenti.
Lady Bug tornò a casa e subito si precipitò nello studio dove teneva la Miracle Box.
Aveva urgente bisogno di parlare con Kaalki e capire
se quell’inietto aveva ragione.
Quando udirono la madre rientrare, tutti e tre i ragazzi la attorniarono per
ascoltare le
ultime novità, e soprattutto come avrebbe voluto salvare il loro padre.
“Dovrei capire che tipo di portale si tratta, non tutti sono uguali. Mi spiace
per il signor Noir.” Mormorò Kaalki con le lacrime
agli occhi, consolato da una Tikki
alquanto preoccupata, anche lei ci teneva a salvare Plagg.
“Dovresti chiamare Alix.” Le suggerì Tikki
tristemente. Marinette si morse il labbro inferiore e si lasciò
cadere sul divanetto con una mano
sulla fronte.
“Mi sa che è l’unica cosa sensata da fare al momento.”
Marinette, o meglio PegaBug
cercò in qualsiasi modo di raggiungere la dimensione dov’era rilegato Chat Noir
da un giorno ormai.
“Tic Tac… Tic Tac… il tempo scorre LadyBug.” Queste
erano state le ultime parole del delinquente che era riuscito a strapparle via
suo marito e che continuavano a rimbombarle nella mente, infondendo dentro di
lei un senso di inquietudine e di smarrento.
La cosa più sensata da fare sarebbe stata quella chi prendere il telefono e
chiamare Alix per entrare nella sua tana, tornare indietro nel tempo prima che
Chat Noir venisse risucchiato nel portale dimensionale.
Ma sapeva bene che non poteva manovrare il tempo a proprio vantaggio o
piacimento, in quanto ci sarebbero potute essere conseguenze disastrose,
preferì quindi arrangiarsi come meglio poteva o credeva, nonostante sia Kaalki che Tikki le avevano
suggerito di chiamarla il prima possibile.
“No, dev’essere proprio l’ultima spiaggia.” Aveva detto ad entrambi. PegaBug provò a creare un altro portale prima che Kaalki sciogliesse la sua
trasformazione a causa della stanchezza.
“Ritrasformami!” Mormorò quando vide il piccolo cavallo stanco e sfinito
accucciarsi tra le sue mani.
Subito gli passò un paio di carotine e un macaron alla fragola a Tikki.
“Perdonatemi.” Disse tra le lacrime e la disperazione. Non era da lei usare i kwami in quel modo frenetico e sconsiderato, ma questa era
un’emergenza, e se non si fosse
sbrigata avrebbe perso il suo amato per sempre. Marinette era chiusa nel suo studio ormai da quasi
ventiquattro ore, non aveva né mangiato e né dormito, e la stanchezza si
ripercuoteva sul suo viso scavato e dalle borse nere e pronunciate sotto gli
occhi.
“Marinette, non devi… tu devi scusare noi per non
riuscire ad esserti d’aiuto” La consolò la sua kwami
accarezzandole il volto con una zampetta rossa, mortificata.
“Rivoglio Adrien.” Singhiozzò come una bambina affondando la testa dentro le
ginocchia.
“Lo so, amica mia… ma sai che c’è solo una soluzione.” Anche Tikki rivoleva
indietro quel petulante di un mangia formaggio. Le mancava, anche se non glielo
avrebbe mai detto apertamente. Marinette si asciugò le lacrime con la mano e prese
il telefono che teneva sopra la scrivania bianca, buttato a caso sotto una pila
di disegni raffiguranti gli schizzi di abiti ed accessori di alta moda.
Cercò nella rubrica il numero di Alix sperando non lo avesse cambiato per
l’ennesima volta nel giro di un anno. Marinette tirò un sospiro di sollievo quando il
telefono aveva iniziato a squillare.
“Pronto?” Disse la voce dall’altra parte, era cristallina, felice, e per poco
non fece fare un infarto alla corvina che dovette spostare quasi d’istinto
l’apparecchio
dall’orecchio.
“Alix? Sono Marinette!”
“Tesoro, ma ciao! Come st…” Cinguettò la rossa.
“Non c’è tempo, Alix.” Tagliò corto lei tralasciando tutti i convenevoli “… devi
venire subito qui, è una questione della massima urgenza.” Il tono di Marinette faceva intendere che qualcosa di grave era
successo.
Dall’altro capo seguì un attimo di silenzio, e la voce che prima sembrava
essere scherzosa, si tramutò in seriosa e cupa.
“Arrivo subito.”
“Grazie!”
*
Alix arrivò a casa di Marinette aprendo un portale,
se fosse salita sul primo aereo ci avrebbe messo qualche ora prima di
atterrare, e dal tono della sua amica sembrava che questo non fosse di certo
contemplato.
“Ho fatto prima che ho potuto!” Disse Bunnix
palesandosi proprio davanti a lei.
“Non so davvero come ringraziarti” L’abbracciò stringendola forte.
“Non devi, sai che puoi sempre contare su di me… ritrasformami!” Mormorò poi
facendo comparire Fluff accanto a lei, e che andò subito nella Miracle Box a salutare
i suoi compagni. Marinette la squadrò dalla testa ai piedi con un’espressione
perplessa. Indossava un paio di bermuda beige e una maglietta classica bianca
con sopra un gilet, in testa portava un cappello bianco ampio per proteggersi
dal sole.
Alix la seguì con lo sguardo “Oh! I miei abiti… ero in Africa a fare un safari.”
Ma non era quello che aveva attirato la sua attenzione, piuttosto i graffi che
Alix aveva sulla gamba “Che hai fatto??” Chiese in tono preoccupato.
“Stavo combattendo contro un branco di leoni.” Spiegò con entusiasmo “… ero
circondata, poi d’improvviso… bam… uno salta e io lo
atterro con un calcio
roteante” Mimò il gesto lasciando Marinette
perplessa, conosceva bene lo spirito d’avventura dell’amica, ma così stava
esagerando, prima o poi si sarebbe fatta male sul serio.
“Lo sapevo che ti avrei disturbata.” Si grattò la testa mortificata.
“Macchè… non ti preoccupare!” Le sorrise “…
piuttosto, tu come stai? Hai una faccia… sembra che un treno ti abbia
investito.” Alix fece la gnorri, ma in realtà aveva già visto all’interno della
sua tana il casino che era appena successo e del perché era stata richiamata
all’ordine, per questo prendere un aereo per far ritorno a
Parigi era fuori discussione, ci avrebbe messo troppo tempo, tempo che Chat
Noir non aveva.
In quel preciso momento la porta dello studio si era spalancata e i tre ragazzi
entrarono ad abbracciare la zia. “Ciao ragazzi!!! Quanto mi siete mancanti!”
Baciò i maschietti uno ad uno. Emma
invece si tenne a debita distanza, non perché Alix le fosse antipatica, ma
perché saperla lì significava che la situazione era più grave del previsto e
questo non faceva altro che alimentare dentro di lei il senso di colpa per
quanto accaduto ad Adrien.
“Papà è nei guai!” Esordì il più piccolo non perdendo tempo.
“Lo so, tesoro!” Gli diede un buffetto sulla guancia.
“Ci aiuterai?” Continuò Louis.
Emma invece se ne stava in disparte in un angolo della stanza con l’aria triste
e sconsolata e dal suo viso provato, anche lei non aveva dormito un granché,
proprio
come Marinette.
“E me lo chiedete?” Disse con entusiasmo.
“Posso entrare nella tana con te?” Domandò Hugo stringendo i pugni con
convinzione.
“No, scimmietta. Tu vuoi solo vedere i regali dei prossimi compleanni.”
“Oh! Uffa!” Sbuffò imbronciato.
“Comunque, se vuoi saperlo…” Alix gli sussurrò qualcosa all’orecchio facendoli
mutare totalmente espressione.
“Sul serio?”
“Non dico bugie!”
“Ma è magnifico!”
“Oh! Insomma… abbiamo cose più importanti!” Esordì Marinette
spazientita, scusandosi subito dopo per la sfuriata.
Alix le si avvicinò con un mezzo sorriso “Riporteremo Adrien qui, te lo
prometto.
Forza, andiamo a vedere con cosa abbiamo a che fare.”
*
Alix e Marinette invocarono il loro potere ed insieme
varcarono la soglia della tana di Bunnix, lasciando i
tre ragazzini a casa in attesa del loro ritorno.
“Grazie davvero per essere venuta così presto!” Disse Lady Bug mettendosi una
maschera nera sugli occhi per evitare di vedere cose a lei non riservate.
“Figurati! Non potevo non rispondere ad una richiesta d’aiuto.” Bunnix fece scorrere la mano guantata all’indietro sullo schermo
principale, ritornando così al momento in cui Chat Noir era stato risucchiato
nell’altra dimensione.
“Non posso permettermi di perdere nessuno dei due.” Mormorò la coccinella
mordendosi il labbro inferiore.
“Non succederà… hai chiamato la migliore.” Ammiccò in direzione dell’amica, che
per ovvie ragioni, non vide.
“Non ti allargare, eh!” Sogghignò divertita Lady Bug, le piaceva stuzzicare la
coniglietta, le ricordava molto i vecchi tempi quando Alix sfidava chiunque.
Femmine, maschi, alti, bassi, grossi, magri, a lei non faceva paura nessuno,
soprattutto perché sapeva benissimo che se la sarebbe cavata in qualsiasi
situazione, e quella determinazione l’aveva fatta diventare un’esploratrice
molto conosciuta ed apprezzata a livello mondiale.
Tutti parlavano delle sue imprese e delle scoperte in ambito archeologico, la
più
famosa era il ritrovamento di Atlantide, ed Adrien non escludeva che fosse
stato proprio il buon vecchio Plagg a suggerirle il
posto preciso.
Ovviamente lei aveva sempre negato il tutto.
“Lo sai bene che è così, io vengo chiamata quando le cose si fanno dure. E
quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. E io sono una dura.”
“Si, se smetti di ripetere la parola duro in
ogni tua frase.”
“Non ti ricordavo così antipatica, amica mia!” Constatò fermando la mano
improvvisamente.
“Scusa, è tutta questa situazione…”
“Non ti preoccupare, sai che a me piace scherzare… oh, ecco, ci siamo.” LadyBug sollevò la maschera quel tanto che le
permettesse di controllare l’azione sullo schermo, e quando vide Emma
accucciata dietro quel muretto di mattoni a vista, avrebbe voluto saltare
dentro il monitor e prenderla a schiaffi solo per averle disubbidito, ma non
era per quel motivo frivolo che doveva tornare indietro.
In ballo c’era la vita di suo marito e stando a quanto rivelato dal Signor
Ratto, non gli
rimaneva un granché.
“Ma che…” Disse Bunnix avvicinando di più il volto al
mega schermo per essere
sicura di aver visto giusto.
“Che c’è?” Chiese in tono preoccupato Lady Bug guardando a destra e sinistra
senza
capire quale fosse il problema.
“Non ne sono sicura, ho bisogno di avvicinarmi…”
“Non possiamo interferire con gli eventi, e lo sai.”
“Si, ma ho visto una cosa e non mi piace per niente.” Bunnix
prese il braccio di Lady Bug trascinandola dentro il passato, rimasero a debita
distanza e ben nascoste, in modo che nessuno le potesse notare.
La coniglietta attivò sui suoi occhi una maschera azzurra trasparente, una sua
invenzione, che le permette di vedere a lunghe distanze e anche di registrare gli
avvenimenti.
Pigiò il pulsantino sopra gli occhiali che si accesero nell’immediato,
catturando
l’esatto momento in cui la dimensione spazio-temporale si era aperta e richiusa
subito dopo aver risucchiato al suo interno Chat Noir.
Lady Bug ebbe nuovamente un tuffo al cuore e una lacrima uscì dai suoi occhi
per andarle a morire sulle labbra rosse.
“Lo aiuteremo, amica mia” Le sussurrò Bunnix
mettendole una mano sulla spalla.
“Lo so!” Disse convinta sospirando.
“Ora andiamo… tana!” Sparirono all’interno del portale qualche attimo prima che
Emma si voltasse venendo raggiunta da un alito di vento che le mosse i capelli
biondi.
*
Alix si stava mangiucchiando l’unghia del pollice quando raggiunse lo studio di
Marinette.
I bambini accolsero le due donne con enorme entusiasmo e anche ansia non appena
varcarono la soglia della stanza.
“Allora?” Chiese apprensivo Louis, il primo che si era alzato dalla poltrona.
“Siamo tornate indietro a vedere che cos’era successo.” Marinette
volse uno sguardo intimidatorio verso Emma, che in quel momento si stava
guardando la punta delle scarpe con nervosismo.
Aveva paura di scoprire il verdetto e si sentiva ulteriormente in colpa quando percepi' l’anima essere trafitta dagli occhi di sua madre.
Non disse nulla, non ci riusciva, e sapeva anche se avesse proferito parola,
sua madre non le avrebbe dato il tempo di spiegare e sarebbero finite a
litigare, come al solito.
“Marinette, ho bisogno di parlare con Kaalki.” Disse Alix in tono serio.
La corvina si allontanò per prendere la Miracle Box e
richiamare il cavallino a
rapporto, il quale, dopo aver visto lo spezzone dagli occhiali di Alix, capì
subito la gravità della situazione.
Non sarebbe bastato solo capire dove si trovava, e per la cronaca, Kaalki ora lo
sapeva, ma bisognava abbattere una barriera magica che si era contrapposta tra
la realtà e quella dimensione magica, e l’unico in grado di farlo era proprio
Chat Noir con il suo cataclisma. Marinette ebbe un mancamento e si lasciò cadere sul
divano con la mano sulla testa a sorreggerla.
“Santo cielo, che casino!” Sussurrò.
“Sta tranquilla, mamma. Troveremo il modo.” Ci pensò Louis a infonderle
coraggio.
“Basterà tornare indietro ed impedire ad Emma di scappare di casa, così papà
non si distrarrà e non finirà all’interno della dimensione.” Spiegò Hugo con
tutta la
semplicità del mondo, quel bambino si era sempre distinto per il suo intuito in
ogni situazione.
“Non possiamo!” Ci pensò Alix a smorzare il suo entusiasmo “… non possiamointerferire con gli eventi passati o futuri,
rischieremo di crearne altri ancora più catastrofici.”
“E allora che cosa pensi di fare?” Emma le puntò il suo sguardo duro.
“EMMA!” La rimbeccò Marinette in tono alterato.
“Scusala, Alix.”
“Non c’è problema… vi spiego il mio piano… andremo nel passato nel momento in
cui Adrien si sfilerà l’anello, lo prenderemo, lo useremo oggi e poi glielo
riporteremo indietro. Non si accorgerà di nulla e soprattutto non interagiremo
col passato.
Semplice, no?” Sorrise dopo aver ideato quel piano geniale che non faceva
alcuna piega, però, non tutto sembra così facile.
“Adrien non si sfila mai l’anello.” Confermò Marinette
“… è più facile che si tolga la fede.”
“Davvero?” Alix si portò una mano alla bocca “… questo è un problema…”
“Non possiamo andare indietro di qualche giorno e spiegare il piano a papà?”
Ipotizzò Louis.
“Cosa del non dobbiamo interagire non è chiaro?”
“Aspettate!” Esclamò Marinette come se avesse trovato
la soluzione attirando
l’attenzione di tutti “… c’è stata una volta, qualche anno fa, oddio, parecchi
anni fa…
quando ha rinunciato a Plagg, ha lasciato il suo
anello su un tetto ed io l’ho recuperato, potremo anticipare la me del passato
e poi rimetterlo prima che io torni indietro a prenderlo.”
“Papà ha rinunciato al miraculous?” Chiese Emma
attonita.
“E’ stato molto tempo fa… una lunga storia.” Poi si rivolse ad Alix “… potrebbe
funzionare?”
“Deve! Perché sarà la nostra unica occasione.”
*
“Vorrai dire… la mia occasione… ahahahahah”
*
continua
Il Signor Ratto si stava ancora sfregando le mani all’interno del suo covo
segreto
mentre contemplava il monitor collegato al topolino spia che aveva attaccato
alla super eroina coccinella, senza che ella se ne accorgesse minimamente.
Era stata una fortuna che il Miraculous Lady Bug
avesse ripristinato il laboratorio nascosto in un antro delle fognature, andato
distrutto dopo che lui era uscito dal soffitto in maniera cosi'
teatrale, facendone conseguentemente collassare il pavimento con la sua ultima
e unica invenzione.
La microspia era stata apposta qualche istante prima che il ratto gigante
colpisse il palazzo per farlo crollare in testa a Lady Bug, sparata dal fucile
semitrasparente e di conseguenza attaccata ai suoi capelli al primo colpo.
Era stato costretto a quella mossa in quanto aveva previsto una ritirata della
super eroina, rivelatasi poi vincente.
Non tanto per aver scoperto l’identità di Lady Bug e Chat Noir, nonché della
portatrice del Miraculous del Coniglio, ma perché ora
conosceva il loro piano, e portarle via quell’orologio prezioso sarebbe stato
un gioco da ragazzi adesso.
Stava ancora ridendo malignamente mentre pregustava la vittoria e la vendetta
in contemporanea, quando un topolino gli toccò il braccio riportandolo alla
realtà.
“Non distrarti, o ti perderai tutto il piano
di quelle due.” Gli disse telepaticamente.
“Oh, si… giusto… giusto…” Tossicchiò sedendosi
composto sulla sedia e ritornando a sentire i loro discorsi alzando il volume
delle casse acustiche.
Il Signor Ratto osservò dallo schermo piatto il volto provato dalla
disperazione di Marinette, e quasi si sentì in colpa
per averle giocato quello scherzo, a lei, l’unica persona che in quell’insulso
paese che gli rivolgeva ancora una parola gentile.
Ma la parte animalesca di lui soppresse subito quel ripensamento, emergendo in
un ghigno sadico.
Il tempo scorreva, e più passava, e più lui sentiva che la sua parte umana lo
stava abbandonando definitivamente e che presto la personalità malvagia del
Signor Ratto avrebbe prevalso su quella buona e gentile del Signor Ramier.
Picchiettò le unghie nere appuntite sulla scrivania, in attesa della parola
chiave che gli permettesse di raggiungere il luogo prestabilito per iniziare la
loro missione.
“Andiamo…” Biascicò nervosamente digrignando i denti.
* Marinette ed Alix avevano ideato il piano perfetto,
una toccata e fuga senza che nessuno si facesse male e soprattutto senza troppo
sconvolgimento temporali, con il rischio di crearne altri.
Ora, avevano solo bisogno di scoprire quanto tempo avessero a disposizione
prima che la Lady Bug del passato arrivasse sul luogo dove poco prima Chat Noir
aveva abbandonato lì il Miraculous.
“Forse qualche minuto!” Ipotizzò Marinette facendo
spallucce.
“Anche un solo secondo può fare la differenza.” Alix le portò una mano sulla
spalla “… per sicurezza controllo nella mia tana.” Poco dopo la ragazza
procedette con la trasformazione in Bunnix e
conseguentemente ad aprire un varco con l’ombrello ed entrarci.
Ne uscì pochi minuti dopo con un enorme sorriso.
“Bene, abbiamo quattro minuti e ventidue secondi.”
“Poco…” Mormorò Emma mestamente.
“No, ti sbagli. Se calcoliamo ogni nostra mossa con precisione, tutto andrà
bene.”
“E se ci fosse qualche imprevisto?” Ipotizzò Louis.
“Tu potrai usare il Miraculous del Serpente e
riportare indietro il tempo, così da restituirci una seconda occasione.” Disse Marinette.
“Si, giusto.” Asserì la rossa.
Emma lanciò un’occhiata gelida a tutti e tre, ancora una volta era stata
esclusa dal piano, ma era solo colpa sua se suo padre era finito nei pasticci,
e lei si sentiva in dovere di rimediare.
Nella sua mente ripercorreva gli ultimi attimi in cui aveva incrociato lo
sguardo sorpreso di suo padre, poi trasformato in delusione per non aver
obbedito a un loro preciso ordine; infine lo aveva visto essere risucchiato
all’interno di quel portale, e il suo cuore con lui.
Una morsa le se strinse attorno al petto facendole mancare l’aria
momentaneamente, e la mestizia divenne presto rabbia.
“E’ compito mio salvare papà” Puntò i piedi la biondina attirando l’attenzione
dei presenti.
“Hai già fatto abbastanza, Emma” Berciò il fratello nella sua direzione
fomentando ancora di più quel fuoco dentro di lei.
“SMETTILA DI RIPETERLO!” Il volto di Emma divenne cremisi e le pupille degli
occhi si dilatarono al massimo oscurandone l’azzurro “… voglio aiutare papà.”
“Ma se lo odi!” Convenne Louis “… chi mi dice invece che farai di tutto per
lasciarlo dove si trova?”
Emma si sentì morire, non odiava affatto suo papà. Certo, avevano avuto diverse
divergenze nell’ultimo periodo, ma lei era ben consapevole che lo stava facendo
solo ed esclusivamente per il suo bene, se ne stava rendendo conto solo ora,
anche se dentro di lei c’era sempre quella vocina e quella voglia di ribellione.
“Io… io… non lo odio” Strinse i bugni ed abbassò lo sguardo “… NON POTREI
MAI FARLO!” Alzò il volto e lanciò al fratello un’occhiata mista tra l’affranto
e iracondo.
“E allora perché ti sei presentata sul luogo della battaglia quando ti avevano
espressamente detto di non farlo? A quest’ora sarebbe tutto apposto, ma invece
TU hai dovuto fare come sempre di testa tua!”
“ADESSO BASTA!” Intervenne Marinette urlando, facendo
andare quasi di traverso il triangolino di formaggio che stava ingurgitando
Hugo per placare un piccolo languorino, trovato dietro l’anta di un armadietto
dello studio di Marinette momentaneamente vuoto.
“Ho trovato le tue scorte” Aveva sogghignato Hugo quando aveva aperto lo
sportello grigio guidato da quel delizioso profumino.
“E’ inutile guardare al passato” Iniziò a dire quando ebbe l’attenzione di
entrambi i figli “… ormai è successo e ora salveremo papà.”
“Si, ma io voglio aiutare anch’io” Piagnucolò Emma con gli occhi velati di
lacrime.
“Tesoro…” Marinette si avvicinò amorevolmente a lei
“… so che vuoi molto bene a papà, e lui sarebbe fiero di sapere che vuoi
partecipare alla sua missione di salvataggio, ma non è necessario. Quello che
puoi fare è aspettarlo qui a braccia aperte ed abbracciarlo forte quando
varcherà la soglia di casa.”
Sembrava che Emma si fosse convinta con le parole di conforto della madre.
Sembrava. Lei era testarda, lo aveva ereditato da Adrien.
“Va bene, aspetterò qui.” Mormorò ideando già un suo piano.
“Brava la mia ragazza” Marinette le lasciò un piccolo
bacio a stampo sulla guancia prima di ritornare vicino ad Alix e alla Miracle Box. *
Il Signor Ratto continuava ad osservare tutto dal suo monitor “Perché ci
mettete tanto, dannazione?” Sibilò a denti stretti spazientendosi.
Si alzò dalla sedia tirandola indietro con forza, facendo così sussultare i
topolini che gli stavano vicino.
“Stai calmo, padrone. La vendetta è un piatto
che va servito freddo.” Gli disse il
solito adepto in modo mellifluo e cadenzato.
“Lo so, ma sono ad un tanto così da raggiungere il mio obiettivo” Il Signor
Ratto indicò una brevissima distanza tra il suo pollice e l’indice “… e queste
oche che fanno? Parlano di problemi futili.” Dal nervoso sputacchiò un po' di
saliva addosso al topolino che si pulì con la zampetta.
“Deve pazientare, padrone. Ecco,
guardi” Gli indicò il monitor “…
sembra si stai muovendo qualcosa.”
Le immagini mostravano Marinette ed Alix che avevano
invocato il potere dei loro Miraculous e si erano trasformate, seguite poi dal
figlio più grande.
Il Signor Ratto aveva alzato il volume della casse nuovamente per ascoltare
meglio la
conversazione e non perdersi alcun dettaglio.
“Dobbiamo andare nel luogo dove il Signor Ratto ha aperto il portale la prima
volta.”
Disse Bunnix “… è lì che apriremo il portale
dimensionale dove si trova Chat Noir.”
“Non è più sicuro farlo qui?” Ipotizzò Emma.
“No. Purtroppo questi portali funzionano così. Non possiamo aprirli in altri
luoghi, soprattutto se li dobbiamo distruggere. Sono dei piccoli scorci nello
spazio-tempo che hanno una durata limitata. E si trovano in luoghi specifici.”
Poi Bunnix sospirò “…
mi spiace ammetterlo, ma chi lo ha trovato deve avere una spiccata conoscenza
della scienza e della fisica. Un fottuto genio!”
“BUNNIX!”
L’eroina coniglio si grattò la testa “Scusami, Pega
Bug, mi è sfuggito.”
Il Signor Ratto si inorgoglì sentendo quelle parole.
“Capisco… allora in bocca al lupo” Mormorò Emma. Bunnix annuì e le scompigliò la chioma bionda “Ti
riporteremo tuo padre, stanne certa.”
“Lo so.” Deglutì lei.
L’eroina coniglio guardò poi Pega Bug e Serpevedere “Andiamo.”
E con loro anche il Signor Ratto partì nel luogo prestabilito, portando con sé
un
congegno che gli avrebbe permesso di diventare invisibile.
*
Tutto sembrava perfetto.
Il piano, era perfetto.
Tocca e fuga nel passato, Bunnix avrebbe preso il Miraculous lasciato incustodito e portato nel suo tempo, Pega Bug sarebbe stata pronta ad aprire il portale e Serpeverde
già addestrato nell’usare l’anello del gatto nero per distruggere la barriera
che imprigionava Chat Noir.
Una volta salvato il super eroe, Bunnix sarebbe
ritornata indietro prima che la Lady Bug del passato raccogliesse il Miraculous.
Facile. Semplice. Veloce.
Ripassarono il piano qualche volta per imprimerlo bene nella mente. Serpeverde e Pega Bug erano
pronti ad entrare in azione una volta che Bunnix
avesse fatto ritorno.
“Allora, io vado” Disse l’eroina coniglio nascondendosi nel vicolo adiacente la
strada. E dopo aver disegnato un cerchio perfetto con la punta del suo ombrello
bianco, entrò nella tana ed iniziò a far scorrere le immagini fino ad arrivare
al momento desiderato.
Quello che non avevano messo in preventivo Serpeverde
e Pega Bug, era il fatto che qualcuno li avesse
potuti pedinare o spiare. Pega Bug e Serpeverde
stavano parlando quando due aghi appuntiti oltrepassarono la carne del loro
collo, facendoli crollare in un sonno profondo.
Emma che era arrivata nello stesso istante, ansante e sfinita per la corsa,
strabuzzò gli occhi quando vide comparire dietro i loro corpi inermi lo stesso
schifoso ratto gigante
che aveva causato la scomparsa di suo padre.
Digrignò i denti dalla rabbia e dal senso di impotenza di quel momento, perché senzai suoi super poteri poteva fare ben poco.
“Fuori due… ora manca il coniglio.” Sibilò il Signor Ratto volgendo lo sguardo
alla luce azzurra che proveniva dal vicolo. Avrebbe potuto prendere i due Miraculous, ma non erano quelli che gli interessava.
Anche Emma seguì la stessa scia con gli occhi e non ci pensò due volte a
correre dietro al topone gigante e raggiungere la tana di Bunnix
per avvertirla, entrò dopo il Signor Ratto con una capriola prima che il
portale si richiudesse dietro di lei.
“ATTENTA, BUNNIX!” Urlò la biondina incontro alla super eroina, la quale si
voltò di scatto non appena sentì il suo grido disperato.
Dietro di lei c’era quello schifoso di un topo con una siringa in mano
contenente la stessa sostanza che aveva fatto addormentare Pega
Bug e Serpeverde, rendendo così il piano iniziale un
vero e proprio fallimento.
“Ma che…” Disse la rossa iniziando a combattere contro quell’abominio.
“DAMMI IL TUO MIRACULOUS!!!” Starnazzò lui incrociando le mani pelose con le
sue e spingendole le braccia verso di lei in modo da farla arretrare e
chiuderla in un angolo.
“MAI!” Rispose lei facendo pressione verso il suo petto per respingerlo con
tutta la forza che aveva.
Emma si guardò attorno alla ricerca di una qualche arma da usare, non fece caso
alle caselle ovali che componevano quel luogo, anche se la voglia di darci
un’occhiata era
del tutto legittima, ma ora aveva altro a cui pensare.
Niente.
Non trovò niente.
L’unica cosa che pensò di fare, è stata quella di attaccare da dietro il Signor
Ratto, anche se suo padre gli aveva insegnato che un avversario non si colpisce
mai alle spalle, è da vigliacchi farlo.
Ma tra il venire considerato un vile o perdere un Miraculous,
Emma scelse la prima senza alcun dubbio.
Gli tirò un forte calcio allo stinco rachitico che lo costrinse a lasciare la
presa su Bunnix e voltarsi di scatto con gli occhi
iniettati di sangue.
“TUUU… mocciosa… non sai con chi hai a che fare!” Berciò acido pompandosi il
petto con lo scopo di intimorirla.
Ma lei era coraggiosa, una super eroina senza costume al momento, figlia di
Lady Bug e Chat Noir, ci voleva ben altro per spaventarla.
“NON MI FAI PAURA… RATTO SCHIFOSO!” Gli sputò addosso con tutto il disprezzo
che covava all’interno di sé.
“VATTENE, EMMA!” Le intimò Bunnix prendendo il suo
ombrello da dietro la
schiena con l’intento di darlo sul capo al Signor Ratto per tramortirlo.
L’ex signor Ramier se ne accorse in tempo bloccando
il colpo con la mano, alzare Bunnix e scaraventarla
addosso a Emma, che insieme caddero doloranti sul pavimento bianco.
“Ahia!” Si lamentò la ragazzina.
“Scusami, tesoro!”
“Non è colpa tua”
“Stai qui e non metterti in mezzo, non è un nemico alla tua portata.” Bunnix partì nuovamente all’attacco, doveva scacciare
subito via quell’inietto da casa sua.
Seguì un breve scontro e di colpi tra ombrelli e mani nude, dove il ratto stava
per prevalere, se non fosse stato per Emma che con un balzo si attaccò alla sua
schiena pelosa con lo scopo di atterrarlo e bloccare a terra.
“EMMA, NOOOO” Urlò Bunnix colpendo a vuoto il nemico
con l’ombrello che nel frattempo si stava dimenando cercando di togliersi
quella pulce attaccata al pelo.
“VA VIA! INUTILE RAGAZZINA!” Con le zampe, il Signor Ratto era riuscito a
raggiungere Emma, prenderla e scaraventarla in uno dei portali aperti poco
prima da Bunnix.
“DANNATO RATTO!” Con il cuore palpitante in gola, Bunnix
era riuscita con un calcio a spedire fuori dalla sua tana il suo nemico, e con
le mani ancora tremolanti e mezza dolorante si precipitò alla consolle di
comando.
La mano guantata di bianco scorreva veloce sullo schermo cercando di
individuare dove poteva essere finita la ragazzina. Bunnix strinse gli occhi tenendosi la ferita al
costato.
“Maledetto…” Imprecò prima di poter dire qualcos’altro.
Gli occhi di Bunnix si spalancarono quando notò il
momento in cui Emma era stata
catapultata.
“Che dio ce la mandi buona.”
*
continua
Emma
aprì gli occhi di scatto quando udì il suono di un clacson forarle i timpani.
Si guardò attorno spaesata. La testa le doleva all'altezza della tempia e non
solo, anche il petto e le gambe le facevano male, ma riusciva comunque a stare
in piedi e a camminare barcollando fino all'inizio del vicolo dove si era
risvegliata, a volte reggendosi al muro. Le sembrò tutto un brutto sogno.
L'ultima cosa che ricordava era la lotta all'interno della tana di Bunnix e il Signor Ratto che si dimenava con tutte le sue
forze con lei attaccata saldamente alla sua schiena pelosa coperta dal camice
bianco da laboratorio, per togliersela di dosso.
Quella strada era stranamente diversa e il negozio all'angolo dove andava
sempre a prendere le caramelle con nonna Sabine, ora era una gelateria.
Com'era possibile?
Cercò attorno a lei qualcuno che la potesse aiutare, ma come al solito, quando
si vuole disperatamente raggiungere un obiettivo, non la si ottiene mai
immediatamente.
Quindi, l'unica cosa che le restò da fare, era di ritornarsene a casa, sperando
di non venire sgridata per l'ennesima volta e finire in punizione.
Parigi era diversa.
Le persone erano diverse.
Che Emma avesse battuto la testa così forte da non ricordare che colori o forme
avesse la sua città? Forse era questo un potere del Signor Ratto. Alterare la
realtà.
La biondina svoltò l'angolo e rimase di sasso quando vide un enorme spiazzo
erboso al posto della sua enorme villa."E' uno
scherzo, spero?" Si disse indietreggiando.
Forse aveva sbagliato strada. No, non poteva essere così, perché le case
attorno erano quelle di sempre, persino l'albero da frutto dall'altra parte
della strada dove lei si divertiva a raccogliere i frutti maturi.
Emma corse via, c'erano solo due luoghi dove poteva andare per avvalorare la sua
tesi: una era casa di nonno Gabriel e l'altra la pasticceria dei nonni materni,
ma erano entrambe molto lontane da dove si trovava ora.
Il luogo più facile da raggiungere a piedi era l'Hotel Le Grand Paris, ovvero
quello della famiglia Bourgeois.
Sbuffò perché non le piaceva l'idea di addentrarsi in quell'atrio ed incontrare
quell'antipatica di Chloè, l'ultima volta l'aveva
squadrata dalla testa ai piedi con sguardo austero e giudicatore, deridendo il
suo modo di vestire, solo perché non indossava un paio di scarpe col tacco. Marinette in quell'occasione aveva ricordato alla sua
ex compagna di scuola che Emma aveva solo quattordici anni e che era libera di
vestirsi come meglio credeva.
In punta di piedi, Emma, varcò l'enorme porta girevole proiettandola all'interno
dell'hotel sorprendentemente deserto.
Guardò a destra e sinistra con circospezione in attesa di scorgere una
qualsiasi forma umana abbastanza disponibile alle sue domande, solo una in
realtà.
Dopo pochi attimi, vide emergere dal bancone della reception un valletto
vestito di tutto punto mentre si sistemava con la punta delle dita i baffi neri.
Si avvicinò timidamente a lui."Ehm... buongiorno.""Buongiorno, signorina. Come posso
aiutarla?" Chiese l'uomo gentilmente.
"In che anno siamo?" Quella domanda spiazzò il receptionist che la
guardò con aria di chi si stava domandando se quello fosse uno scherzo di
cattivo gusto oppure una candid camera di qualche
emittente televisiva famosa.
"Come, prego?" La invitò a riformulare la richiesta.
"In che anno siamo?" Ripeté lei ancora più convinta e più disperata.
"Duemila ventuno" Rispose infine notando la faccia della ragazzina
sconvolta che stava lasciando l'hotel dopo aver ringraziato.
"Le serve aiuto?" Le domandò, ma non ottenne alcuna risposta.
*
Emma questa volta l'aveva fatta grossa, probabilmente dopo la colluttazione era
stata sbalzata all'interno di uno schermo lasciato aperto da Bunnix in precedenza.
Appoggiò la schiena sul muro di un palazzo e scivolò fino a sedersi
completamente per terra, infilò la testa tra le ginocchia e pianse.
Non solo non era riuscita a salvare suo padre come desiderava, ma era anche
stata in grado di mettersi in guai, e seri per giunta, perché Bunnix era stata molto chiara, non bisognava per alcun
motivo modificare il passato e in questo era compreso l'interazione con altre
persone.
Che cosa doveva fare adesso?
Aspettare lì buona, buona che qualcuno tornasse dal futuro a riprenderla,
oppure rimboccarsi le maniche andando dall'unica persona ingrado
di aiutarla?Alix era la più gettonata, ma ricordava
anche che sua madre non le avrebbe dato il Miraculous
prima di qualche mese.
Se fosse andata da Marinette avrebbe sicuramente
causato qualche disastro, e in più che cosa le avrebbe potuto raccontare? La
verità era fuori discussione, non se ne poteva di certo uscire con un
"Ehi, ciao, sono Emma, tua figlia che proviene dalfuturo.
Ho combinato un guaio e per colpa mia papà è intrappolato in una dimensione
spazio temporale che si autodistruggerà tra qualche giorno. E a tal proposito
mi serve il suo anello per usarlo ed abbattere la barriera e salvarlo." No,non avrebbe di certo
funzionato e Marinette in ogni caso avrebbe avuto una
sincope scoprendo che suo padre era niente di meno che Adrien Agreste.
Aveva detto sincope? No, Marinette sarebbe morta
stecchita sul colpo per la fortissima emozione compromettendo così anche
quell'unica occasione di ritornare nel suo tempo incolume.
Anche andare da Adrien non sarebbe servito a molto perché non era ancora a
conoscenza dell'identità di Lady Bug. "Sono fottuta!" Si lasciò
scappare tra i singhiozzi. Non era solita ad imprecazioni o a linguaggio
scurrile se non c'era la necessità, e comunque sempre e solo lontano dalle
orecchie dei genitori e fratelli, soprattutto dal più piccolo.
Si sentiva come un cucciolo smarrito e a tal proposito le vennero in mente le
parole sagge della madre "Se un giorno ti dovessi perdere, rimani dove sei
e non muoverti per alcun motivo." Ed è quello che aveva intenzione di
fare, perché sicuramente Bunnix sarebbe tornata
indietro per riprenderla, a meno che non le fosse successo qualcosa di brutto.
Del resto aveva visto mamma e fratello stramazzare al suolo, non sapeva nemmeno
se erano vivi o morti, e la stessa sorte magari era capitata a Bunnix.
Una cosa era certa, quel lurido Signor Ratto l'avrebbe pagata molto cara.
Emma rimase in quel vicolo un'ora abbondante e nessuno era ancora arrivato in
suo soccorso, infondendo in lei un profondo senso di inquietudine e smarrimento.
Forse aveva ragione, nel suo futuro era successo qualcosa di grave, altrimenti
non si sarebbe spiegato una certa mancanza.
Inspirò profondamente con l'intento di darsi una calmata, più passavano i
minuti e più prendeva piede l'ipotesi che nessuno sarebbe arrivato
nell'immediato.
Era sola e doveva cavarsela con le sue stesse forze.
La prima cosa sensata da fare era ritornare nel proprio tempo, poi salvare la
sua famiglia.
Tutto era riposto nelle sue piccole spalle ed un fallimento non era contemplato.
Emma prese il pacchetto di fazzoletti di carta dalla borsetta che aveva con sé
e notò il piccolo sacchettino di iuta marrone dimenticato al suo interno.
Si trattava della polvere della memoria."Certo,
la potrei usare per... mmm... no, meglio di no"
Si rimangiò subito quello che stava per dire, perché le vennero in mente le
parole dei suoi genitori mentre li sentì discutere una volta tra loro."È pericolosa" e "Non si sa mai che
cosa potresti cancellare".E se l'avesse usata
per aggirare la quattordicenne di sua madre e avesse cancellato qualche
avvenimento importante? Magari avrebbe rimosso erroneamente l'amore che provava
per suo padre o il fatto di essere Lady Bug. No, non poteva rischiare di
combinare qualche malanno.
In ogni caso doveva trovare un modo per avvicinarla senza destare alcun
sospetto. Marinette era l'unica che poteva aiutarla.
*
Passeggiò una buona mezz'ora in lungo e in largo su quella via stando bene
attenta a non incontrare nessuno di noto, non che avrebbero potuto
riconoscerla, ma meno interagiva con il passato e meglio era per tutti.
Escogitò vari piani nella sua mente, che prontamente venivano smontati
per delle falle.
E quando tutto sembrava perduto, Emma udì delle voci stridule avvicinarsi
sempre di più.
Si nascose dietro un bidone della spazzatura per controllare meglio.
Nei modi della ragazza bionda riconobbe Chloè che
stava parlando, o meglio inveiva contro una signora molto bella e dal
portamento elegante.
"E' assolutamente ridicolo il modo in cui ci hanno trattato in quella
boutique." Starnazzò gesticolando in modo altezzoso.
"Farò scrivere una recensione negativa, questa è certo!" Continuò la
donna al suo fianco, sicuramente Audrey Bourgeois, molto più giovane di come la
ricordava, o meglio, con molta meno plastica addosso.
Le vittime perfette per la sua polvere magica, e si, l'avrebbe usata anche
perché nessuna delle due le stava particolarmente simpatica, e meno male che i
loro genitori avevano a che fare con quelle due oche solo in ambito lavorativo.
Emma si palesò davanti a loro spaventandole a morte, soffiando quella polvere
davanti ai loro volti.
Audrey non fece a tempo a chiedere chi fosse quella tipa strana che Emma parlò perprima."Ciao, mamma" Esordì lei.
"E tu chi diavolo saresti?" Domandò interrogativa squadrandola da
testa a piedi.
"Zoe, tua figlia." Usò il suo secondo nome, apparteneva alla nonna
paterna di Adrien.
"Zoe?" Fece lei di rimando inarcando un sopracciglio, così smemorata
che era non ricordava nemmeno di avere un'altra figlia.
"Io non ho sorelle!" Intervenne Chloè
saccente mettendosi davanti alla madre.
"Ovvio, non ci siamo mai viste perché non sono figlia di tuo padre, ma di
un noto regista e siccome mamma si vergognava, mi ha nascosto a te."
Audrey non sapeva che dire mentre guardava Chloè
scusandosi con lei per la mancanza.
"Mamma... potevi dirmelo che avevo una sorella, non avrei usato Sabrina
come una serva in questi anni" Poi si rivolse a Zoe "... e perché mai
sei comparsa ora?" Le alitò sul volto.
"Avevo detto alla mamma un paio di giorni fa che volevo conoscere mia
sorella e che sarei tornata a Parigi."
"Eri a New York?"
"Si, io abito a New York... ovviamente quando non sono in giro per il
mondo" Cercò di essere più teatrale possibile e di comportarsi proprio
come se fosse una viziata figlia di papà; tutto il contrario della sua
personalità dolce e gentile.
"Scusami, cara. Non mi ricordava più che saresti venuta. Vieni. Faccio
preparare una camera in albergo" La invitò Audrey a seguirla all'interno
dell'hotel.
Emma tirò un sospiro di sollievo, la prima parte del piano era fatta, ora
avrebbe dovuto fare amicizia con Marinette,
intrufolarsi nella sua camera e prenderle il Miraculous
del Coniglio, sperando di ricordare la combinazione per aprire la scatola del
cucito, e il tutto sarebbe dovuto avvenire in pochi giorni.
*
Emma si sentì prendere e sbattere sul muro con violenza. Chloè le puntò il suo sguardo azzurro e intimidatorio
addosso.
Per la prima volta ebbe paura. Paura di essere stata scoperta, anche se quella
ragazza non le era mai sembrata abbastanza sveglia da poter pensare da sola con
il suo cervello da gallina che si ritrovava.
"Senti tu... ora devi dirmi la verità!"
Emma deglutì "Quale verità?"
"Il reale motivo per cui sei venuta qui... è per comprare l'affetto di
nostra madre?" Tirò un sospiro di sollievo, per un attimo aveva creduto
che la sua copertura fosse saltata.
"Certo che no" Le schiaffeggiò la mano che stringeva il bordo
superiore della sua giacca nera "... credi mi faccia piacere essere qui?
Io stavo bene dov'ero adesso che ti ho conosciuta."
"Bene, allora potresti tornartene da dove sei arrivata" Le disse in
tono minaccioso cercando di spaventarla.
"Non ci penso minimamente. Qui sono e qui rimango." Mormorò con
convinzione quella che credeva essere sua sorella. Chloè stava per dire qualcosa quando venne interrotta
dalla madre ritornata indietro a prendere entrambe le figlie.
"Ma non ci credo. State già litigando voi due?"
*
Il sindaco Bourgeois era appena tornato a casa dopo una lunga giornata
lavorativa.
Aveva bisogno di rilassarsi un attimo perché le notizie che aveva appena
ricevuto non erano di certo delle migliori.
Da poco aveva dato il via ad un progetto segreto e di massima importanza,
ovvero controllare la qualità dell'acqua che arrivava puntualmente all'interno
delle case di tutti i parigini attraverso analisi di laboratorio.
Il problema era che la società che avrebbe dovuto occuparsene, non avrebbe
potuto farlo alla luce del giorno, in quanto la polizia stava conducendo delle
indagini su una nota fabbrica di prodotti chimici e più precisamente allo
smaltimento degli scarti di quest'ultima.
Gli era giunta voce che alcuni barili venivano riversati nelle fogne con
puntualità.
Quello che aveva fatto il sindaco a tal proposito, era stato predisporre un
laboratorio sotterraneo per far controllare la qualità dell'acqua con
discrezione, ed in caso di positività a qualche agente tossico, si sarebbe
potuto agire senza che niente trapelasse alle orecchie dei diretti interessati.
La porta del suo ufficio si aprì senza che nessuno annunciasse il suo arrivo.
"Buona sera Audrey, cara. Siete già tornate?"
"Antony... ehm... Andrè... c'è una cosa che devo
dirti." Il suo tono non era per nullanervoso.
"Si, dimmi." Quella giornata non poteva andare peggio di così, che
cosa c'era di più grave che scoprire che l'acqua della città è avvelenata?
"Mia figlia è qui."
"Chloè? Non la vedo da nessuna parte."
"No Chloè... ma Zoe!"
"E chi è Zoe?" Domandò preoccupato.
*
continua
Tutto
sommato il sindaco Bourgeois stava anche prendendo bene la notizia che Audrey
aveva avuto una figlia al di fuori del matrimonio, ma fu quando aveva cercato
di fare domande un po' più specifiche che Emma era stata costretta a spolverare
anche lui.
Non poteva rischiare in alcun modo di far saltare la sua copertura.
Del resto quell'uomo le era sempre sembrato un mezzo mollusco, e aveva fatto di
lui e di quelle due oche bionde le vittime perfette da manovrare per il suo
scopo. Un po' le dispiaceva, doveva ammetterlo, perché Andrè
le era sempre sembrato succube di moglie e figlia.
Sua madre una volta venuta a conoscenza della sua macchinazione non avrebbe
battuto ciglio, anzi, forse si sarebbe anche complimentata con lei per
l'intuito, un po' meno suo padre visto che comunque Chloè
era stata una sua amica d'infanzia e cercava in ogni modo possibile di
giustificare il suo fare saccente e arrogante.
Emma vide l'espressione di Andrè affranta e la moglie
che s'imponeva sopra di lui con ogni mezzo cercando di giustificare
quell'adulterio, ed in fondo infondo forse ci aveva visto anche giusto,
riportando a galla un avvenimento di cui l'uomo ne era perfettamente a
conoscenza.
Si sentiva in colpa, ma al momento non poteva farci nulla.
I due coniugi discutevano animatamente ripercorrendo i periodi più bui del loro
rapporto, più precisamente dopo la nascita di Chloè,
ed è stato in quel frangente che Audrey era partita per New York mollando quel
fagottino di poche settimane direttamente nelle mani di Andrè
e tradito quest'ultimo con quel regista famoso, per poi fare ritorno dopo un
anno chiedendogli perdono.
Senza volerlo, Emma aveva trovato la situazione perfetta.
"Che cosa sono queste scartoffie?" Chiese Audrey cambiando argomento,
non che le importasse un gran ché in realtà. Andrè nascose frettolosamente quei documenti perché
non li potesse vedere, rilegandoli in un angolo remoto dei cassetti della sua
scrivania, nonostante non ricordasse che cosa contenessero di così importante e
perché nella busta c'era inciso a caratteri cubitali ed in rosso la parola
"CONFIDENTIAL".
"Niente!" Rispose semplicemente "... tutte cose che a te non
importerebbero."
"Forse hai ragione... sicuramente cose noiose." Audrey non aggiunse
nulla di più, ma si limitò a dargli la schiena e ancheggiando sinuosamente
raggiunse la porta per andarsene.
Si voltò solo per informarlo che avrebbe preso il suo autista e la sua macchina
per far fare un giro della città a Zoe, e che quando sarebbe tornata desiderava
che la stanza per la figlia fosse pronta. Andrè si sfregò le mani abbassando la testa
"Come tu desideri, mia regina".
*
Emma guardava fuori dal finestrino dai vetri oscurati il panorama che si
susseguiva.
Quella era decisamente una Parigi che non conosceva.
Molte cose presenti nel suo tempo, nel passato mancavo, oppure erano cambiate
radicalmente, come ad esempio quella piccola villetta in mezzo al nulla, chi lo
avrebbe detto che dopo trent'anni sarebbe diventato un quartiere residenziale
per i più agiati?Dentro di lei nascevano sentimenti
contrastanti e il solo trovarsi nel passato e saper di dover essere l'unica a
salvare il futuro della sua famiglia la destabilizzava e di non poco.
Sospirò mentre scacciava quei brutti pensieri dalla sua mente e chiuse gli
occhi per la stanchezza, cullata dalle parole della guida turistica al comando
della macchina.
Immagini dei suoi ultimi momenti nel suo tempo continuavano a susseguirsi e a
sovrapporsi tra loro.
Il suo ragazzo che le chiede se le andava di partecipare al ballo della scuola,
lo sguardo deluso di suo padre, i rimproveri di Marinette
incalzati da quelli del fratello più grande, il più piccolo che le chiede se ha
visto il suo formaggio, lo sguardo perfido di quel ratto gigante corredato dai
suoi enormi dentoni gialli e da quell'alito acre, ed infine lei che viene
risucchiata in un tempo che non le appartiene.
Poi un botto che la costrinse a svegliarsi.
"Oh, mi scusi signorina.
Ho preso una buca, stiamo passando in una zona che tra un po' verrà
sistemata." Disse l'autista continuando poi con il monologo continuando a
guardare la strada davanti a sè.
Era talmente presa tra il fare la guida turistica e continuare a guidare che
non si era nemmeno accorta che la ragazzina seduta dietro si era addormentata
profondamente.
Emma si asciugò con il dorso della mano la bava che le fuoriusciva dalla bocca.
"Non si preoccupi!" Mormorò a bassa voce gettando poi lo sguardo
nuovamente fuori sulla strada.
Le si illuminarono gli occhi, perché nonostante il tempo passato, l'avrebbe
riconosciuta tra mille, ed infatti ordinò all'autista di fermarsi alla
pasticceria all'angolo.
"Uhh... quella è una delle migliori pasticcerie
della città, ma dobbiamo proseguire,mi
dispiace."
"La prego... volevo portare dei dolci alla mamma e Chloè."
Non sapeva nemmeno se avrebbero gradito il gesto, ma poco importava, quello che
desiderava Emma era vedere Marinette.
"Allora se le cose stanno così, va bene." Si fermò proprio davanti
all'ingresso cercando di non arrecare disagio alle altre autovetture.
Emma scese sospirando e subito l'investì una fragranza di pane appena sfornato.
"Mmm... che buono!" Pensò rimanendo
imbambolata a contemplare la vetrata, da cui poteva vedere indistintamente la
nonna Sabine destreggiarsi dietro al bancone in maniera egregia.
"Fai provare me, nonnino" Le rimbombò nella testa ricordando la prima
volta che aveva messo piede nel laboratorio di nonno Tom e la farina le era
caduta in testa perché non riusciva ad arrivare a prenderla sopra la tavola.
L'ennesimo cliente era uscito con un sacchetto ripieno di pane, volse uno
sguardo alla ragazza salutandola con un cenno leggero del capo.
Entrò e la campanella trillò.
La stessa di sempre.
"Buongiorno, signorina. Come posso aiutarla?"
Emma si guardò attorno spaesata e smarrita, sperava di vedere sua madre sbucare
da un momento all'altro, ma così non fu.
Non poteva chiedere alla nonna di lei, oppure avrebbe attirato a sé sospetti
inutili, rendendo così vano il tentativo della buona riuscita della sua
missione, quindi non le restò altro che prendere i dolcetti per la finta
famiglia.
"Ci siamo già viste?" Chiese Sabine squadrando la ragazza da capo a
piedi, aveva un'aria così famigliare.
"N-no, non credo. Sono di New York ed è la prima volta che metto piede a
Parigi."
Spiegò cercando di essere più convincente possibile.
"Capisco..." Le sorrise imballando il cabaret "... ad una prima
occhiata dovresti avere l'età di mia figlia Marinette.
"Un brivido le percorse la schiena che la fece tremare impercettibilmente.
"Ho quattordici anni."
"Si, allora siete coetanee... mi sa che tra un po' dovrebbe essere qui,
l'ho mandata a fare una commissione, ma come al solito è in ritardo, si sarà
messa ad ammirare un cartellone di Adrien.
"Emma soffocò una risata portandosi una mano sulla bocca facendo finta disbadigliare.
"Adrien Agreste?"
"Si, proprio lui."
"Sono fidanzati?" Chiese per curiosità, ricordava che sua madre le
aveva detto che lei e suo padre si fossero messi assieme più o meno in quel
periodo.
"Oh! No, no..." Sabine stava per continuare quando venne interrotta
dal tintinnio della campanella sopra la porta.
Era Marinette con in mano una cassa di mele rosse.
Emma perse un battito e deglutì.
Era arrivata e stava pensando ad un modo per braccarla o strapparle una parola.
Non fu difficile, perché Marinette era parecchio
sbadata e non ci mise molto ad inciampare sui suoi stessi passi e a cadere,
soccorsa ovviamente dalla stessa Emma che l'aiutò a raccogliere tutte le mele
da terra.
"Ahio!" Esclamò massaggiandosi il
fondoschiena.
"Non ti preoccupare, ti aiuto io. Ti se fatta male?" Chiese
porgendole la mano sorridendole.
"No, ci sono abituata. Sono molto goffa."
"Anch'io!" Le sorrise sentendo il cuore scoppiare nel petto, un po'
per l'emozione di aver effettivamente visto e toccato per mano sua mamma in
versione teenager e un po' perché a breve le avrebbe dato una brutta notizia.
Anche Marinette si sentì improvvisamente strana
vicino a lei, quella ragazza aveva qualcosa di vagamente famigliare.
"Come hai detto che ti chiami?" Chiese curiosa.
"Em... Zoe, mi chiamo Zoe!" Si corresse appena in tempo.
"Zoe, Zoe, Zoe... no, non mi dice niente questo nome."
"Non sono di qua, sono solo in visita, non so quanto mi fermerò."
Deglutì.
"Oh! Allora guarda..." Marinette prese un
pennarello nero dalla borsetta ed iniziò ad appuntare qualcosa sulla scatola
che teneva in mano Zoe "... questo è il mio numero.
Chiamami per qualsiasi cosa, ok?"
Emma prese il pennarello a Marinette e le scrisse il
suo di numero sul dorso della mano, il cellulare funzionava.
Almeno quello.
Forse con la scusa più banale al mondo l'avrebbe potuta abbordare ed entrare
nelle sue grazie, ma il tempo stringeva ed Emma ne era più che consapevole.
Ma probabilmente la cosa più sensata da fare era scoprire le carte in tavola
allo stesso momento sia con sua madre che con suo padre, con il rischio di
compromettere irrimediabilmente il suo futuro.
Emma aveva bisogno di pensarci ancora un po'.
"Allora ci vediamo ma... Marinette!" La
salutò uscendo dal negozio con la mano alzata."Ciao,
Zoe!"
*
Emma potè respirare un po' d'aria fresca e cercare di
darsi una calmata.
Il cuore le batteva forte in petto per l'emozione.
Quell'incontro non del tutto casuale l'aveva messa parecchio a disagio, aveva
voglia di prenderle la mano e condurla in casa per raccontarle semplicemente
tutto, con il rischio di farle venire un infarto e compromettere così non solo
la sua salute, ma anche la sua incolumità.
Un primo passo era stato fatto, non grandissimo, ma intanto era riuscita a
scambiarci due parole e vedere che persona era.
Esattamente come le aveva raccontato suo padre: solare, gentile, disponibile e
anche goffa.
Il secondo passo invece, l'avrebbe compiuto l'indomani, quando si sarebbe
trovata faccia a faccia anche con l'altro genitore. Chloè era entrata prepotentemente nella sua stanza
avvisandola che il giorno dopo sarebbe andata nella sua stessa scuola, ma che
grazie a lei, non sarebbero state nella stessa stanza, non poteva permettere ad
una che si vestiva in quel modo di essere definita sua sorella, che figura ci
avrebbe fatto?
Gli abiti di Emma erano molto belli, si vedeva lontano un miglio essere costosi
e di alta sartoria, ma non dello stile chic di Chloè.
"Tacchi, devi indossare i tacchi" Starnazzò spaccandole il timpano
mentre le porgeva quelle scarpe bellissime tra le mani.
"Per andare a scuola?" Chiese sfarfallando le ciglia incredula.
"Certo!"
"Non mi sembra che tu li porti!" Le fece notare increspando le labbra
poco convinta.
"Quello che io faccio o come mi vesto non sono affar tuo. Io ti dico cosa
devi fare e tu lo fai, ok?"
"Non mi metterò mai i tacchi per andare a scuola." Chloè volse lo sguardo verso i suoi piedi e scoppiò a
ridere quando notò le sue scarpe ridicole.
"E ci verrai con quelle?"
"Si" Asserì con il capo indurendo lo sguardo, Emma si stava
spazientendo, non immaginava che passare del tempo con quella ragazza le
sarebbe risultato alquanto difficile.
"Fa un po' come ti pare, ma non venirti a lamentare da me se quei perdenti
ti prenderanno in giro.
"Uscì dalla stanza sbattendo la porta e di rimando Emma gettò addosso le
scarpe che Chloè le aveva lasciato lì perché le
indossasse.
Il sangue le ribolliva nelle vene e l'avrebbe presa volentieri a schiaffi, i
suoi genitori e i suoi zii non erano affatto dei falliti, ma persone generose,
gentili e buone, tutto il contrario suo.
Prese di fretta il cellulare che teneva nella borsetta con l'intento di
chiamare Marinette, la sua voce l'avrebbe di certo
calmata, ma che cosa le avrebbe detto?Cancellò il
numero che aveva composto e si buttò a bomba sul letto, affondò la testa nel
cuscino e pianse. Di nuovo.
* Andrè Bourgeois camminava in lungo e in largo con
circospezione all'interno del suo studio, all'ultimo piano dell'hotel.
Sistemava scartoffie varie che comprendevano lamentele dei clienti più
facoltosi perché la jacuzzi non funzionava, oppure perché lo champagne ordinato
non era di gradimento, quando sentì improvvisamente dentro di sé un enorme
vuoto, come se qualcuno avesse rimosso dalla sua mente qualcosa di estremamente
importante.
Il sindaco, nonché proprietario e direttore dell'Hotel Le Grand Paris
continuava a ripercorrere quanto fatto quella giornata odierna, ed oltre al
fatto di essersi trattenuto la mattinata in municipio per una serie di
riunioni, e poi essere tornato in albergo, doveva aveva ricevuto quell'
improvvisa e shoccante notizia da parte della moglie, non ricordava più nulla.
Alla fine si arrese del tutto e si abbandonò ad un bel bagno caldo e profumato.
*
continua
Dopo
una lotta che sembrò interminabile all'interno della sua tana, Bunnix riuscì a scacciare, a colpi d'ombrello,
quell'ignobile ratto, facendolo scappare con la coda tra le gambe attraverso
una falla nella parete, provocata dallo stesso cattivo nel tentativo di
prevalere sull'eroina coniglio.
Inutili gli sforzi del Signor Ratto di utilizzare il suo asso nella manica,
ovvero spruzzarle in faccia anche del veleno paralizzante attraverso un piccolo
congegno di sua invenzione, che Bunnix ormai aveva la
vittoria in pugno.
Un calcio ben assestato allo stomaco e quello schifoso di un topo di fogna
ritornò nel mondo reale inciampando persino sui suoi stessi passi finchè provava a seminare la super eroina per non essere
inseguito.
"Lo prenderò!" Le aveva urlato riferito al suo miraculous,
mentre lo vede svoltare l'angolo con un pugno alzato, salire su quella palla
gigante da criceti e sparire oltre il cielo blu. Bunnix di tutta risposta digrignò i denti e stava per
controbattere qualcosa quando il suo sguardo si posò sui corpi inermi di LadyBug e Serpeverde poco
distanti.
"Oh mio dio!" Aveva esclamato precipitandosi da loro con aria
apprensiva e preoccupata per prestare le dovute cure.
Tirò un sospiro di sollievo quando notò i loro petti alzarsi e abbassarsi in
maniera lenta, ma regolare.
Schiaffeggiò con vigore la guancia di Lady Bug e si fermò solo quando notò le
palpebre strizzarsi ed aprirsi poi."Mi hai fatto
prendere un colpo!" Le disse.
Lady Bug si sentiva pesante ed intontita, spaesata anche.
Quel tranquillante che il Signor Ratto le aveva inoculato era molto potente,
forse aveva qualcosa a che fare con gli elefanti, altrimenti non si spiegava il
suo malessere.
La testa vorticava all'inverosimile e Bunnix dovette
spostarsi velocemente per non essere raggiunta dal rivolo di vomito uscito
dalla bocca della coccinella.
Le passò un fazzoletto per pulirsi e anche una bottiglietta d'acqua per farle
togliere quel saporaccio acre dalla bocca.
"Che è successo?... la mia testa!" Si lamentò nuovamente tenendosi la
fronte.
"Siete stati presi in contropiede dal Signor Ratto.
Vi ha drogato con qualcosa."
Ipotizzò.
Lady Bug iniziò a vedere davanti a lei tante lucine colorate e tutto attorno a
lei assumeva forme e colori distorti, facendola anche straparlare come se fosse
in preda ad un trip.
"Beeeeelloooo!" Una farfalla variopinta
svolazzava davanti ai suoi occhi incutendole un senso di pace e serenità, ma
facendole presto dimenticare il motivo perché si trovavano lì.
Cercò di prenderla con le dita affusolate non riuscendoci ovviamente,perché quello era tutto frutto della sua
fervida immaginazione.
Poi volse lo sguardò verso Serpeverde e sorrise
inebetita "Lui dorme ancora... ehi...ehi, svegliati, dormiglione!" Lo
scosse leggermente senza ottenere alcun risultato. Bunnix la schiaffeggiò con vigore entrambe le guance
quattro o cinque volte"SANTO CIELO, LADY BUG,
NON ABBIAMO TEMPO! TORNA IN TE!!!"
Lady Bug di rimando chiuse gli occhi e si schermò le orecchie, quelle urla le
stavano martellando la testa."Mmm... voglio
dormire." Piagnucolò mettendosi accanto a Serpeverde
in posizione fetale. Bunnix sospirò sonoramente e spazientita, non solo
perché aveva finalmente capito che era lei il vero bersaglio del nuovo nemico,
o meglio, il suo miraculous che non avrebbe ceduto
per niente al mondo, se lo voleva, glielo doveva strappare dal suo cadavere, ma
anche perché ora avevano a che fare con tre grossi problemi.
Il primo era salvare Chat Noir dalla dimensione spazio temporale in cui era
imprigionato.
Il secondo, Emma era finita in qualche epoca sconosciuta.
Il terzo, Lady Bug e Serpeverde erano in preda un
trip mentale provocato dall'assunzione di qualche strana droga, e Bunnix doveva trovare subito un modo per farli tornare in
sé per risolvere così gli altri due.
Le vennero in mente le lezioni di chimica dell'università, in particolare
quando c'era stata la discussione su come contrastare i vari effetti della
droga ancora al primo anno, ricordò che una ragazza aveva avvalorato l'ipotesi
di un forte shock, oppure semplicemente di aspettare che passasse l'effetto con
una buona dormita di qualche ora.
Ma Bunnix non aveva tempo per far riposare quei due,
prese Lady Bug per un braccio mettendola seduta e la guardò dritta negli occhi.
"Sono stanca e mi gira la testa" Mormorò in maniera lenta e cadenzata.
"Ascoltami bene..." Iniziò a scuoterla con decisione "... Chat
Noir ha le ore contate..."
"E allora? Così impara a mettersi nei guai" Farfugliò non pesando
minimamente a quello che stava dicendo.
"Emma è confinata in qualche epoca passata"
Furono quelle ultime parole che fecero rinsavire la super eroina coccinella.
"CHE COSA?!" Sembrò destarsi improvvisamente da un sogno cambiando
totalmente espressione, da beata e incantata a preoccupata e iraconda.
"... perché non me lo hai detto prima?" Bunnix si portò una mano guantata di bianco sulla
faccia.
* Marinette continuava a camminare nervosamente su e
giù lungo il corridoio di casa in attesa di ricevere notizie da Bunnix circa sua figlia.
Louis dormiva nel frattempo beatamente sul suo letto in attesa gli passasse lo
sballo.
Hugo dondolava nell'altalena del giardino di casa in maniera spensierata, ma
questo non gli impediva di essere in apprensione per le sorti di suo padre e di
sua sorella, nonché del kwami della distruzione.
Chissà se li avrebbe più rivisti? E quasi quasi si sentì in colpa per aver
cambiato posto alle scorte segrete del formaggio Camembert di Plagg.
"Dove siete?" Mormorò al cielo mentre una timida lacrima gli solcava
una guancia paffuta.
*
Il Signor Ratto, nel frattempo, era ritornato nel suo covo segreto a medicarsi
le ferite, perché nonostante il suo corpo fosse coperto da una peluria
corazzata, Bunnix gli aveva provocato ingenti danni,
tra cui una lacerazione sanguinante sotto lo zigomo destro e anche un incisivo
scheggiato, oltre ad alcune contusioni qua e là su tutto il corpo, guaribili
comunque in poco tempo se avesse avuto la costanza di cospargere della pomata
medicante sulle parti lese.
Digrignò i denti quando un paio di adepti tentarono di fasciargli le ferite."E fate piano, idioti!"
Doveva prendersela pur con qualcuno per la sua momentanea sconfitta, anche se
sapeva bene che se c'era qualcuno da incolpare quello era solo ed
esclusivamente lui, non aveva messo in preventivo che quella rossa picchiasse
davvero forte.
"Che intende fare ora, signore? Con questo ultimo tentativo si è esposto
parecchio. Ora i nemici conoscono alcuni suoi segreti, e non sarà difficile per
quel coniglio tornare indietro e vedere che cosa è effettivamente successo."
"Potrei farlo anch'io, se è per questo!" Disse in direzione del
topolino.
"Si, ma lei non può cambiare il passato, mentre quel coniglio si."
"NON ME LO RICORDARE!!!" Starnazzò con voce roca alzandosi in piedi
improvvisamente, ribaltando i flaconi di disinfettante, le pomate e le garze
che i topolini avevano adagiato sul tavolo d'acciaio mezzo arrugginito,
facendoli scappare a grande velocità e a nascondersi nei loro pertugi.
"Mi scusi, non volevo affatto farle perdere la pazienza, padrone"
Abbassò la testa sperando di venir risparmiato dalla sua ira.
Il Signor Ratto si avvicinò alla sua Ruota del Tempo pensando ad un modo per
modificarla in modo potesse viaggiare nel tempo e cambiarne il corso degli
eventi.
Non gli interessava più tornare indietro ed impedire a sé stesso di diventare
un ignobile mostro, doveva anche fargliela pagare al sindaco per i suoi sbagli,
una cosa così grave non poteva di certo passare impunita, e di sicuro un essere
così meschino non doveva rappresentare mai più la città di Parigi.
Prese in mano in vecchi progetti e ci lavorò su un bel po' di tempo prima di
arrendersi del tutto.
Non esisteva nessun elemento in natura che permettesse di modificare il corso
degli eventi, ma solo il viaggiare, per il cambiamento ci voleva un qualcosa di
magico che non appartenesse a quel mondo che i comuni mortali conoscono.
Aveva un disperato bisogno del Miraculous del
coniglio per raggiungere il suo scopo.
*
La faccia di Bunnix non faceva presagire niente di
buono. Marinette la scrutava per capire che cosa tra un po'
le sue labbra avrebbero mormorato, giusto per prepararsi mentalmente al peggio.
Anche Hugo era accorso appena aveva visto una luce bianca illuminare una delle
stanze della casa, anche lui era in apprensione.
Prese la mano della mamma e gliela strinse forte in attesa di ricevere la notizia.
"Avanti, parla!" La invitò Marinette. Bunnix preferì sciogliere la trasformazione.
"Emma si trova nel passato..." Marinette dovette sedersi per reggere quanto dirà
successivamente, perché stando alla sua espressione non doveva essere nulla di
buono.
"... nel duemila ventuno per la precisione."
"Oh santo cielo!" La corvina si portò una mano alla bocca. "...
dobbiamo andarla a prendere prima che interagisca con me o con Adrien, e che
possa dire qualcosa che comprometterebbe il nostro futuro." Una crisi di
panico stava assalendo Marinette, la quale iniziò a
tremare e a portarsi le mani all'interno dei capelli, mentre il suo cuorenaccelerava i battiti e il respiro diventava sempre
più affannoso e doloroso.
"MAMMA!" Esclamò Hugo con gli occhi spalancati per lo spavento nel
vedere sua madre cercare disperatamente l'aria per calmarsi e una soluzione a
quel grosso problema.
"Tranquilla, Marinette!" Alix fu lesta a
passarle dell'acqua per bagnare la gola che le si era seccata di colpo.
La buttò giù d'un sorso a grande velocità.
Non solo Adrien, ma ora anche Emma era sperduta in un tempo che non conosceva e
rischiava anche di provocare seri danni involontariamente. Marinette inspirò ed espirò profondamente prendendo
coscienza che ora come ora si trovavano davanti ad una bella gatta da pelare,
facendo passare in secondo piano la minaccia del Signor Ratto.
E giusto per puntualizzare, se si fosse presentato in quel preciso momento, ci
avrebbe pensato la stessa Marinette a mani nude a
porre fine alla sua vita, facendole dimenticare per una frazione di secondo che
sotto quella pelliccia irta e nauseabonda si nascondeva il cuore e animo
gentile del signor Ramier.
Gli conveniva stare dove si trovava ora e non farsi vedere per almeno un bel
po'.
A lui ci avrebbe pensato a tempo debito, perché, ma non per importanza, prima o
poi sarebbe arrivato il suo turno di essere salvato.
"Va meglio, mamma?" Hugo la guardò con sguardo languido e triste.
"Si, grazie, tesoro!" Mormorò scompigliandogli i capelli neri,
cercando di non far trasparire tutta la preoccupazione insediata nel suo cuore
e nella sua mente. Marinette stava vivendo uno dei periodi più bui della
sua vita.
Certo, di difficoltà ne aveva affrontate, alzandosi sempre a testa alta, come
quella volta che si era fatta soffiare sotto il naso tutti i kwami.
Tutti eccetto due.
In quell'occasione era stato Chat Noir ad infonderle la forza necessaria per
riprenderseli tutti, uno ad uno, aggiungendo alla Miracle
Box anche i due che erano da sempre mancati all'appello.
Ma ora non c'era l'eroe gatto, il suo compagno sia nella lotta che nella vita
vera a tenderle quella mano artigliata per issarla alla sua altezza.
Tutto era nelle sue spalle e questa volta se la sarebbe cavata da sola.
"Vedrai mamma. Li salveremo tutti" Quegli occhi color smeraldo,
quell'animo nobile e gentile, e soprattutto quello sguardo che infondeva
sicurezza, erano tutte qualità che Adrien aveva trasmesso al figlio più piccolo.
"Lo spero!" Sospirò abbracciandogli la testa.
*
La prima cosa sensata da fare era quella di andare a prendere Emma nel passato.
"E' troppo tardi!" Le aveva detto Alix increspando le labbra.
"Come sarebbe a dire?"
"Emma si è già infiltrata e ha un piano ben preciso in mente."
"Spiegati bene, Alix."
"Ha cambiato nome ed ha usato la polvere della memoria su Chloè, Audrey ed il sindaco, facendo credere a loro di
essere parte della famiglia." Marinette strabuzzò gli occhi "Aspetta... cosa?
Cosa significa che ha cosparso la polvere della memoria? E'
pericolosa da usare... e soprattutto come l'ha avuta??"
"Questo non so dirtelo, sta di fatto che li ha spolverati"
"La voleva usare con papà per andare al ballo" Hugo attirò
l'attenzione delle due donne "... l'ha presa quando hai lasciato aperta la
cassaforte per sbaglio. Devi stare più attenta, mamma" Puntualizzò con
aria saccente di chi non commette mai errori. Marinette deglutì per la svista, ma non ci marcò
molto sopra, anzi, ringraziò Hugo per la soffiata.
"Bravo bambino, comunque sei in punizione"
"CHE COSA??" Puntò i piedi a terra protestando.
"Hai fatto la spia e questo lo sai che non si fa."
"MA MAMMA!!"
"Niente ma... ora vai in camera tua e ci resti finché non te lo dico io."
Hugo farfugliò qualcosa di incomprensibile mentre lasciava la stanza.
"Andiamo avanti, Alix..." Disse poi la corvina.
"Le intenzioni di Emma sono quelle di avvicinarsi a te per prendere il Miraculous del Coniglio e tornare nel nostro tempo,
ovviamente prima vuole l'anello del gatto nero."
"Adrien non glielo darà mai..." Rispose con ovvietà per poi ritornare
seria e preoccupata "... a meno che non gli racconti la verità" Marinette si alzò e l'ansia che fino a pochi minuti fa
sembrava essere sparita, ora era ritornata ad impossessarsi di lei "... E' UN DISASTRO! NON PUO' FARLO... E'
PAZZA! RISCHIA DICOMPROMETTERE IL NOSTRO FUTURO! Oddio, mi sento male!" Si
tenne alla sedia per non cadere.
"Dobbiamo avere fiducia!" Marinette si voltò verso la figura comparsa sulla
soglia del salotto, era Louis.
"Non finirà affatto bene."
"Mamma, Emma è una ragazzina intelligente, non farebbe mai qualcosa di
stupido ed insensato... pensaci un attimo, sarebbe stato molto più facile se
avesse usato la polvere della memoria con te o papà, ma non l'ha fatto."
"Forse non le è venuto in mente!"
"Non credo..." Louis si avvicinò a lei e le poggiò delicatamente le
mani sulle sue spalle "... vedrai che Emma tornera'
presto da noi sana e salva e riusciremo a riprenderci anche papà."
A Marinette non piaceva l'idea che sua figlia si
trovasse in un tempo che non conosceva e soprattutto con una responsabilità
così grande sulle spalle, per dio, aveva solo quattordici anni e non era giusto
che si sobbarcasse di tutta quella responsabilità.
"Marinette..." Anche Alix voleva infonderle
fiducia e tranquillità "... Emma se la caverà e se il futuro al momento
non è cambiato, questo significa che deve andare così. Lasciamola agire."
*
continua
Non
le bastava essere finita in un tempo che non conosceva, doveva anche farsi akumatizzare da Papillon. Se l'avesse vista sua madre...
E tutto per colpa di quella scellerata di Chloè e le
sue maledettissime scarpe col tacco e della sua smisurata voglia di imporsi
sugli altri con prepotenza.
Manco le piaceva indossarle, nonostante avesse fatto spesso e volentieri da
modella per sua madre quando lavorava da casa.
Non vedeva l'ora di toglierle e le chiedeva spesso come le persone, compresa la
madre stessa, riuscissero a indossarle senza spaccarsi una caviglia mentre
camminavano su quei trampoli.
"Non devi farti calpestare, oppure loro calpesteranno te." Continuava
a ripeterle Chloè fomentando sempre di più la rabbia
dentro di lei fino a diventare un facile bersaglio per Papillon.
Non era riuscita a resistergli, troppo grande la voglia di schiacciarla sotto
la suola delle sue scarpe e fargliela soprattutto pagare per i soprusi subiti
da una giovane Marinette.
Ancora adesso Emma si domandava come sua madre era riuscita a non farsi akumatizzare per colpa sua, eppure sapeva bene quante
persone erano cadute sotto il potere di quell'inietto per farla pagare alla
biondina saccente e spocchiosa.
Però di una cosa l'aveva dovuto ringraziare, ovvero a causa dell'odio che
nutriva nei suoi confronti, non era caduta nella tentazione di rivelare le
identità di Lady Bug e Chat Noir.
Allora sì, che sarebbe stato una catastrofe.
Aveva sorriso malinconicamente quando li aveva visti entrambi scambiarsi quel
pugno in segno di vittoria, e aveva anche cercato di fermarli prima che
sparissero dalla sua vista, ma i loro Miraculous
stavano suonando e presto si sarebbero ritrasformati davanti a lei, buttando
all'aria il primo tentativo di avvicinamento.
In ogni caso, la prossima occasione si sarebbe presentata presto, perché se ci
sono di mezzo i capricci di Chloè, era chiaro come il
sole che Papillon o Papillombre sarebbe stato con le
orecchie tese in attesa di infilare la sua akuma
all'interno di qualche anima pura.
"Ciao, Zoe!" La salutò Marinette mentre
prendeva le cose dal suo armadietto.
"Ciao, Marinette!" Le sorrise.
"Uh! Finalmente conosco la sorella di Chloè.
Ciao, piacere, io sono Adrien." Esordì il modello dietro della corvina
facendola impalare come un baccalà.
Emma se ne accorse e sogghignò. Com'erano teneri a quell'età.
"Sì, sì lo so chi sei" Si portò una mano alla bocca perché pensò di
aver fatto una gaffe, poi si ricordò che da giovane suo padre era un modello
famoso "... nel senso che le tue foto sono tappezzate per tutta la città
di Parigi." Continuò entusiasta mascherando benissimo un certo imbarazzo.
"Già..." Sospirò, non andava fiero del suo successo perché fare anche
le cose più semplici come ad esempio andare a prendere un gelato con gli amici
era diventato un inferno, e spesso il tutto si trasformava in un vero e proprio
inseguimento da parte di una folla di fan inferocite che cercavano di
strappargli una foto o un autografo.
Adrien la guardò meglio "Hai... un'aria famigliare..." Assottigliò
gli occhi per catturare i tratti del suo volto.
"È la stessa cosa che le ho detto anch'io" Convenne Marinette.
"Scusatemi, devo andare!" Disse frettolosamente prima di ritrovarsi a
dover rispondere ad altre domande scomode e anche perché mettersi a parlare con
lui la stava mettendo in un certo imbarazzo e disagio.
"Che ragazza strana!" Aveva detto incontro a Marinette.
"Ti sbagli, è una apposto, nonostante sia la sorella di Chloè!"
"Questa sì che è bella... non sapevo che Chloè
avesse una sorella... cioè Audrey è sempre stata una donna sopra le righe, ma
arrivare a tradire il marito..."
"Sinceramente non so che cosa possa passare nella testa a quella donna, ma
sono contenta che almeno una della famiglia non abbia problemi mentali."
"Marinette..."
"Scusa, sai che non sopporto Chloè... ma Zoe è
diversa, e non so dirti perché" E in realtà non si spiegava nemmeno perché
riuscisse a parlare in modo così normale con lui accanto.
"Sembra assomigliarti per certi versi." Adrien fece l'errore di
guardarla dritta negli occhi mentre le diceva ciò.
Il cuore di Marinette mancò un battito e sentì le sue
guance diventare improvvisamente calde, sarebbe svenuta se Alya non fosse
intervenuta destandola da un bellissimo sogno a occhi aperti. "Ehi,
piccioncini! La campanella è suonata da un pò..."
"Pi-pi-piccioni? Ehm... piccioncini? Non è co-come credi." Balbettò Marinette facendo cadere i libri e quaderni che teneva
stretti al petto.
Adrien si prodigò per aiutarla a raccogliergli, ma ottenne l'effetto contrario,
in quanto la ragazza scappò via di corsa alla ricerca di aria fresca da
respirare lasciando tutto sul pavimento.
Sarebbe morta se avesse inalato ancora il profumo di Adrien.
"Ma che le prende?" Chiese lui attonito osservando l'ingresso vuoto.
Alya fece spallucce "Che vuoi che ti dica, è Marinette"
Rispose con ovvietà girando i tacchi.
*
La mattinata era trascorsa come al solito in maniera tranquilla.
E come ogni giorno la signorina Bustier aveva tenuto
delle lezioni interessantissime che avevano coinvolto in maniera appassionante
tutti i suoi studenti.
Se non fosse stato che, dopo il pranzo, il preside Damocless
aveva esordito con la notizia che un regista famoso si sarebbe presentato a
scuola l'indomani per girare un cortometraggio che sarebbe servito a far
conoscere la scuola e che avrebbe inaugurato il nuovo laboratorio, ovvero
quello teatrale. Marinette si era subito proposta per fare da
costumista, Marc e Nathaniel per la stesura della storia, Nino per le musiche e
aiuto regista, e invece il resto della classe avrebbe recitato, tutti compresa
Zoe, su proposta di Marinette.
Visto che lei era figlia di un regista sarebbe stato utile averla in squadra,
ovviamente con riluttanza di quella che credevano sua sorella.
In ogni caso non c'era tempo da perdere in inutili congetture e capricci di chi
si credeva essere chi sa chi, e tutti, tranne ovviamente Chloè,
che preferì rimanere in disparte a leggere una rivista di moda, avevano
attorniato chi in primis doveva scrivere la storia e le battute da recitare, e
nel frattempo Marinette si tirava avanti con le
misure per gli abiti da realizzare.
"Perdenti... ricordatevi che io sarò la protagonista" Cinguettò
spocchiosa Chloè non distogliendo lo sguardo da quei
meravigliosi abiti e accessori immortalati tra le pagine patinate, ricevendo da
parte dei compagni delle occhiatacce, anche dallo stesso Adrien.
Aveva cercato svariate volte di farle cambiare atteggiamento e tutte le volte
aveva fatto un enorme buco nell'acqua, alla fine, ci aveva anche rinunciato.
Gli dispiaceva infondo, perché Chloè non era affatto
così e lui la conosceva bene.
Da piccola era una bambina dolce e sensibile, invece ora sembrava che dentro di
lei stesse crescendo un mostro che prima o poi sarebbe arrivato a divorarle
anche quel briciolo di bontà che le era rimasta sotto quella corazza che aveva
innalzato attorno al suo corpo.
E invece la parte delle protagoniste erano andata a Zoe e Mylene.
*
L'indomani tutto era pronto per accogliere questo famosissimo regista,
mancavano solo da mettere a punto i dettagli e il gioco era fatto, ma quello
sarebbe avvenuto durante le riprese, anche perché il tutto era solo una bozza,
e si sa, i cambiamenti più importanti, le cosiddette illuminazioni, avvengono o
quando il prodotto è finito e si può ancora modificare, o in fase di
elaborazione. Chloè era entrata trionfante sfoggiando un abito
giallo e nero, corredato da un cappello da cowboy.
Peccato che il suo entusiasmo fu smorzato subito dopo aver appreso che la parte
della protagonista era andata a quell'impedita di Mylene
e a sua sorella Zoe, la quale comunque aveva cercato di avvertirla durante la
cena del giorno prima, giusto perché non trovasse la sorpresa sul set e andasse
in escandescenza, come infatti accadde.
Delusa, arrabbiata e frustrata, alla fine se ne era andata via mandando al
diavolo tutti i presenti, nonostante cercasse insieme a papino di far cambiare idea a tutti e
imporre i suoi capricci da bambina viziata qual era.
"Tanto quel film faceva schifo!" Aveva detto singhiozzato rintanata
nella macchina, mentre attendeva che l'autista avviasse il motore per
tornarsene dritta a casa ed essere coccolata dai valletti, pagati per
soddisfare i suoi bisogni e anche capricci.
Purtroppo si sa, se c'è di mezzo Chloè, l'akumatizzazione è sempre dietro l'angolo, e infatti non a
caso, Papillon o Papillombre, ne ha fatto la sua
vittima numero uno.
La bionda viziata era stata trasformata in Queen Banana ed insieme al suo
gorilla sentimostro stava terrorizzando la città, più
precisamente quei perdenti che l'avevano privata del suo ruolo da protagonista,
anche se in realtà ce l'aveva solo con sua sorella Zoe.
Lady Bug era intervenuta in suo soccorso avendo visto in lei una perfetta
portatrice dell'ape.
Emma e Lady Bug si trovavano nei sotterranei della metropolitana quando la
supereroina tirò fuori dal suo yo-yo il pettine dell'ape.
Emma gioì internamente e senza far trasparire nessuna emozione, se non quella
di un certo imbarazzo, doveva farle assolutamente credere di non conoscere
quegli esserini, in particolare Pollen.
Si morse il labbro inferiore e declinò l'invito ad utilizzarlo, con la banale
scusa che Chloè si sarebbe infuriata ancora di più.
Doveva decidere in fretta perché il soffitto tremava sotto i colpi del sentimostro e presto sarebbe stato in grado di raggiungere
entrambe le ragazze.
Emma esitò e strinse gli occhi a trattenere il velo di lacrime che gli si era
formato sulla superficie.
Desiderava tanto riavere Pollen, e quella era la prova lampante che lei era
destinata a quel Miraculous, o lo sarebbe stata.
"Va tutto bene?" Le domandò Lady Bug in trepidazione perché
accettasse il prima possibile di combattere al suo fianco. Al loro fianco.
Infatti sentiva sulla strada Chat Noir urlare il nome della sua compagna, era
in difficoltà e aveva bisogno di aiuto.
Suo padre aveva bisogno di aiuto anche nel futuro, per questo alla fine accettò
quel pettine di buon grado con l'intento di sistemare quell' assurda faccenda
al più presto per raccontare tutto a sua madre e mettere in salvo Adrien.
"Sì, senti, io però, devi dirt..." Emma
stava per dire qualcosa quando un pezzo del soffitto poco distante era crollato
sotto uno dei micidiali pugni del gorilla giallo.
"Milady... che stai facendo? Il tuo gattino ha bisogno di aiuto qui"
Emma per poco non sputò un polmone sentendo Chat Noir rivolgersi così a Lady
Bug, e non stavano nemmeno insieme al momento.
"Sono occupata, sai?" Borbottò stizzita.
Tutte cose di ordinaria amministrazione, se suo padre irritava sua madre, lei
gli rispondeva in maniera acida e starnazzante, ma infondo Lady Bug adorava
quando si rivolgeva a lei in quella maniera, anche se non lo avrebbe mai
ammesso davanti a lui, giusto per non aumentare ancora di più il suo ego.
Emma rinsavì ripensando al perché si era trovata catapultata senza alcun
preavviso nel duemila ventuno, tutto era in mano a lei e non poteva di certo
permettere che sua madre perdesse il suo bellissimo sorriso che sfoggiava
quando era in compagnia di Adrien o dei suoi figli.
"Ti aiuterò!" Emma appuntò il pettine dietro la testa facendo
comparire davanti a lei Pollen.
"Salve, mia regina" Era bellissima, quel kwami
le era sempre piaciuto molto, non perché si rivolgeva a lei con garbo
trattandola con una regina appunto, ma perché spesso e volentieri prendeva le
sue difese con suo padre.
Ovviamente Plagg non poteva redimersi
nell'intervenire e ne scaturiva sempre un simpatico teatrino che padre e figlia
si mettevano comodi a osservare, facendo dimenticare le divergenze.
"Devi dire: Pollen trasformami!" Mormorò Lady Bug.
Emma annuì con il capo facendo finta che quella fosse la sua prima volta.
Quando aveva indossato il pettine si sentì potente e invincibile, una
bellissima sensazione di totale libertà e leggerezza l'aveva avvolta.
"Pollen, trasformami"
*
Lady Bug, seguita da Vesperia, saltarono da un tetto
all'altro fino a raggiungere il luogo dove Chat Noir stava combattendo da solo
contro Queen Banana e il sentimostro. Vesperia si sentiva completamente a suo agio e sapeva
che potevano vincere con facilità, non era una pivellina e il suo potere lo
sapeva usare più che bene, e infatti fu quello che aveva notato Lady Bug per
tutto lo scontro.
Di solito i nuovi portatori avevano bisogno di un rodaggio prima che
riuscissero a padroneggiare la forza e le conseguenti abilità, Vesperia invece, sembrava essere nata per quel Miraculous.
Anche il modo in cui saltellava ed evitava i colpi era sospetto.
In ogni caso non c'era tempo per distrarsi e chiedersi il perché, forse era
stata solo una coincidenza, ma lo sguardo della nuova portatrice dell'ape
diventava sempre più famigliare, soprattutto la maniera in cui si contraeva la
sua faccia.
"ATTENTA, MILADY!" Le urlò Chat Noir. Vesperia aveva fatto a tempo a evitarle di venire
colpita grazie alla trottola allungabile.
"Grazie, Chat Noir. E grazie anche a te Vesperia!"
Chat Noir raggiunse con un balzo le due ragazze per proteggerle con il bastone
e pensare ad un piano efficace.
"Sei distratta, Milady. Non è da te!"
"Forse è perché sta facendo da balia a me. Scusate sono una frana."
Mormorò Vesperia con aria affranta.
"Ma che stai dicendo, sei fantastica! Sai usare il potere di Pollen
magnificamente, credo che nemmeno Chloè ci riuscisse
così bene."
"Vi ringrazio!" Rispose timidamente arretrando di qualche passo per
dar modo ai due super eroi di prevalere sui nemici.
"Quando te lo dico io, Vesperia, userai il tuo
potere." Si rivolse a lei Lady Bug continuando a roteare lo yo-yo per
evitare le banane sparate dalla pistola di Chloè.
*
La battaglia era durata un'altra ora abbondante, ma alla fine i tre super eroi
erano riusciti a contrastare il nemico in maniera impeccabile, soprattutto la
nuova arrivata.
"Sei stata grande, Vesperia" Si complimentò
Lady Bug.
Di tutta risposata Chat Noir le prese la mano guantata e con garbo le stampò un
dolce bacio "Mi dispiace, devo andare... alla prossima" Le disse
quando sparì dal suo anello il terzo puntino verde.
Lady Bug si schiaffeggiò la faccia per l'imbarazzo "Ignoralo come faccio
io" Le fece cenno di seguirla nel vicolo vicino.
"Perché? Poverino, che ti ha fatto?" Non doveva chiedere nulla, non
doveva intromettersi, ma era stato più forte di lei.
Si morse l'interno della guancia mentre a malincuore le riconsegnava il pettine
dell'ape.
"E' irritante... ma è un ottimo partner... ci vediamo!" La saluto con
la mano alzata dopo averla ringraziato per l'aiuto.
Emma la vide sparire per l'ennesima volta e per l'ennesima volta non le era
riuscita di parlarle.
Il tempo stringeva, ed erano passate già due settimane da quando suo padre era
stato intrappolato in quella maledettissime bolla spazio-temporale. Non aveva
più tempo e questa consapevolezza le stava martellando il cuore.
Ma giunti a questo punto non sapeva davvero come fare per avvicinare entrambi,
doveva solo sperare in un miracolo.
*
continua
Bunnix continuava a
controllare attraverso lo schermo principale posto all'interno della sua tana i
progressi che stava facendo Emma.
Non molti a dire la verità, ma già il
fatto che fosse riuscita a integrarsi perfettamente nel gruppo di amici di Marinette fu un passo avanti, anche se Chloè
le dava spesso filo da torcere, mettendola in cattiva luce davanti agli altri e
prendendola in giro perché frequentava quei perdenti.
Almeno lei si divertiva e non
rimaneva da sola nella sua camera dell'hotel a contemplare riviste di moda e
spettegolare di tutti mentre Sabrina, nascosta all'interno del suo armadio al
buio, le sistemava i compiti di scuola per l'indomani.
Ma non per questo motivo si
abbatteva, anzi, procedeva sempre dritta verso il suo obiettivo, e un enorme
passo avanti era stato fatto quando Lady Bug le aveva affidato il Miraculous dell'ape, anche se in maniera temporanea.
Questo stava a significare che era
lei l'unica e sola portatrice del pettine.
Marinette continuava a
camminare su e giù calpestando il pavimento bianco sollevando nuvolette che
sbuffavano a ogni suo passo. Si smangiucchiava l'unghia del pollice mentre
ripercorreva con la mente i momenti che l'avevano costretta a stare così in
apprensione per suo marito e sua figlia.
"Maledetto ratto! Gli strapperò
quei peli uno ad uno con una pizzetta per sopracciglia... oppure lo farò
divorare direttamente da Chat Noir, no, meglio di no. Potrebbe infettarsi anche
lui." Mormorò Marinette stizzita.
"Chissà che cosa lo ha
ridotto in quello stato. Era un signore tanto gentile" Mormorò Bunnix volgendo lo sguardo a Marinette.
"Blaterava che c'è qualcosa
nelle fogne..." Gesticolò con le mani alzate facendo una faccia alquanto
schifata "... tu non puoi vedere?" Chiese curiosa avviandosi verso la
consolle di comando. Marinette sapeva perfettamente
di non potersi avvicinare troppo perché le immagini diventavano sempre più
nitide mano a mano che avanzava davanti allo schermo,
e a lei non era permesso vedere che cosa stava succedendo, né per quanto
riguarda il passato e né per il futuro. Bunnix prese
la prima cosa che le capitò a tiro e le coprì la testa. Era pesante e Marinette pensò subito a una pentola, o qualcosa del genere
visto il rumore metallico.
"Ahio!
Pesa sta cosa!"
Bunnix sogghignò
"Non lamentarti, è per il tuo bene."
"Devo vedere che cosa sta
combinando mia figlia." Quella era la sua priorità al momento.
"Se la sta cavando bene. Non si
è fatta mettere i piedi in testa da Chloè se vuoi
saperlo, ma nonostante ciò è finita per essere..." Seguì qualche attimo di
silenzio "... akumatizzata da Papillon per colpa
sua!" Disse poi d'un fiato facendo quasi prendere un
accidenti alla Guardiana.
Marinette si tolse
velocemente la padella dalla testa, doveva assolutamente vedere con i suoi
occhi in che mostro era stata trasformata la sua dolce bambina "Che cosa? Chloè... me la pagherai!" Digrignò i denti, ma non
fece tempo a scorgere nulla che Bunnix, non solo le
rimise la padella in testa, ma gliela aveva anche assicurata al suo capo con
del nastro adesivo marrone da pacchi.
"Oh! Ma sei seria?"
Protestò lei.
"Te lo ripeto, Marinette. Non devi vedere nulla. Mi dispiace, è la
regola."
"Ma dove hai preso lo scotch?
Qui non c'è niente di simile!"
"Oh... ehm... l'ho preso da
sopra la scrivania." Balbettò.
"Quale scrivania?"
"Non importa!" Tagliò
corto, non poteva di certo dirle che aveva rubato quell'oggetto toccando uno
schermo per entrare in un ufficio sconosciuto, l'avrebbe cazziata alla grande.
E avrebbe fatto bene. Anche di fronte a un'emergenza.
"Sta bene Emma?" Chiese
infine preoccupata.
"Sì, certo. Sai che le hai dato
il Miraculous dell'Ape? Che incredibile
coincidenza."
"Emma è perfetta per Pollen. E
comunque se mi stai raccontando tutto, tanto vale che dia un'occhiata. Il
passato lo conosco molto bene. L'unica cosa che spero è che non venga a sapere
che è Gabriel, Papillon. Morirebbe all'istante."
Nessuno dei suoi figli lo sapeva, Marinette e Adrien si erano ben riguardati nel non rivelare
gli sbagli del passato del nonno paterno.
"No, non credo. Lo sai bene che
lo avete scoperto molto tempo dopo."
Marinette ricordava
bene quel giorno e il dolore di Adrien nell'apprendere la notizia. Rabbrividì.
"Cambiamo argomento, per
favore" Le faceva ancora male rivangare quell'episodio, e in quel momento
non aveva bisogno di deprimersi ancora di più.
"Certo, Marinette."
"Che cosa stavi dicendo di
Emma?"
Bunnix
sorrise "Che è una ragazzina sveglia, vedrai che riuscirà nel suo intento
di parlare ad Adrien e poi interverrò io quando avrà preso l'anello
riportandola qui."
"Sono sicura che non avrà
problemi a farlo, sono curiosa di sapere però che cosa s'inventerà per farselo
dare. Spero solo che questo non cambi il futuro, sarebbe un
disastro."
Bunnix non disse
nulla e quel silenzio insospettì un po' troppo Marinette.
"Parla, Bunnix."
"Vedi, Marinette...
c'è un'altra possibilità. Che vada a prendere Emma e tornare al nostro piano
originario."
Marinette ammise di
averci pensato, ma metterlo in pratica avrebbe solo significato una totale
sfiducia in Emma, la quale sicuramente ne avrebbe risentito essendo una
ragazzina molto sensibile, e il non sentirsi adatta ad un compito l'avrebbe rattristata e scoraggiata molto.
Marinette sapeva anche
che stava sbagliando a lasciarle quel peso sulle sue spalle, ma era anche ben
consapevole che amava molto suo padre e che non avrebbe mai permesso al Signor
Ratto di vincere quella guerra. Chat Noir sarebbe stato salvato da Emma, era
giusto lo facesse lei.
"No, ho piena aspettativa in mia
figlia."
"E' solo una ragazzina, Marinette!" Bunnix provò a
farla ragionare.
"Anch'io avevo solo la sua età
quando il Maestro Fu mi ha affidato il Miraculous
della coccinella e combattevo al fianco di Chat Noir per sconfiggere
Papillon." Gli occhi di Marinette si velarono di
una leggera rabbia "... ed ero la stessa ragazzina quando ho dovuto
sopportare l'umiliazione del furto dei kwami. Mi sono
abbattuta? Forse, ma alla fine sono riuscita a vincere la guerra. Avevo solo
quattordici anni, la stessa età che ha Emma in questo momento. Questa missione
sarà per lei niente, rispetto all'inferno
che ho dovuto passare io." Marinette si morse il
labbro inferiore, non voleva essere così dura e diretta, ma aveva bisogno di
sfogarsi, di buttare fuori quello che aveva nel cuore, e ora che lo aveva
fatto, si sentiva più leggera.
"Stai meglio?" Le chiese la
rossa.
"Si, grazie!" Rispose lei.
"Ho solo bisogno che qualcuno le
faccia sapere che tifiamo per lei."
*
Il concerto sulla barca di Anarka durò circa un trequarti d'ora. I Kitty Sectionavevano
suonato alcuni brani inediti che avrebbero portato alla prossima audizione di
Bob Roth. Emma continuava a volgere delle occhiate ad Adrien alla tastiera, e
ogni tanto guardava sua madre che era seduta accanto a lei.
"Sono bravi vero?" Le
domandò.
Emma annuì timidamente stringendo le
ginocchia con le mani sudate.
Quella poteva essere una buona
occasione per appartarsi con Adrien e raccontargli tutto, poi sarebbe andata da
Marinette chiedendole di farla tornare nel suo tempo
con il Miraculous del Coniglio. Facile, no? Certo,
perché Adrien sicuramente si sarebbe bevuto subito la storia che lei era sua
figlia venuta del futuro e che gli serviva l'anello del gatto nero per
salvarlo.
"Stai bene, Zoe?" Continuò
lei vedendola particolarmente tesa, e intanto la melodia con la voce squillante
e rombante di Rose continuava a risuonare ed echeggiare nei dintorni.
Emma deglutì, era un fascio di nervi
e presto sarebbe scoppiata, proprio come il suo cuore nel petto.
"N-no... cioè sì" Marinette le appoggiò amorevolmente una mano sulla spalla
intuendo il suo disagio.
"Se hai bisogno di parlare, sono
qua. Ti ascolto!" Per un momento il viso adulto di sua madre si
contrappose a quello giovane, non era cambiato di molto, forse qualche rughetta
d'espressione che la rendeva ancora più bella ai suoi occhi.
"G-grazie, ma al momento non
puoi aiutarmi!" Rispose spicciola.
"Se Chloè
ti rende la vita impossibile basta che me lo dici, e ci penserò io a farle
cambiare atteggiamento."
"Oh, lo farai!" Sogghignò
ricordando tutte le volte che la biondina si presentava a casa sua con il
menabò del mensile da far uscire, ma lei solo per dispetto lo rimandava al
mittente, ed era solo per grazia di Adrien che la cosa finiva quasi sul
nascere.
"Che cosa?" Emma si
irrigidì accorgendosi di aver detto qualcosa di sconveniente ad alta voce.
"Niente, scusami, parlavo tra me
e me." Emma era così impegnata a mantenere un certo controllo psicofisico
che nemmeno si accorse che il concerto era finito e che Adrien stava andando da
loro per salutarle.
"Piaciuta la canzone e
l'arrangiamento?" Chiese Adrien con un bellissimo sorriso mentre prendeva
una bibita fresca dal frigo.
Marinette avvampò e
non spiaccicò una parola, Emma annuì con il capo.
"Ma io sono più brava di te con
la tastiera!" Si pavoneggiò.
"Wow, non sapevo suonassi."
"Suono il pianoforte a coda da
quando sono piccola!"
"Grande! Allora dovremo fare
presto un duetto io e te!" Ammiccò verso la biondina mentre sorseggiava la
bibita.
"Smettila di corteggiare queste
due ragazze!" Intervenne Luka sedendosi tra Emma e Marinette.
"Stavo solo facendo quattro
chiacchere, sapevi che Zoe suona?"
"Ma non mi dire?" Luka la
squadrò dall'alto in basso mettendola in soggezione. Luka era un artista molto
conosciuto nel suo tempo, e sotto sotto lei era una fan della sua musica,
vederlo così giovane e pieno di talento anche a quell'età la riempì di gioia.
"Qualche arrangiamento, nulla di
che... sto ancora imparando" Fece spallucce "...ora scusate, devo
andare in bagno!" Le serviva una scusa per togliersi da quella situazione
imbarazzante e per prendere un po' d'aria fresca. Oltre che coraggio per
avvicinare Adrien.
"Vuoi che ti accompagni?"
Si propose Marinette vedendola particolarmente
strana, forse aveva solo bisogno di sfogarsi e parlare con qualcuno, non doveva
essere per niente facile essere la sorella di Chloè.
"No, tranquilla." Rispose
mestamente.
*
Emma rimase sulla prua della barca a
contemplare l'acqua che passava sotto di essa per qualche minuto prima che
Adrien prendesse coraggio e si avvicinasse a lei. Qualcosa dentro di lui gli
diceva che era giusto farlo, ma non conosceva il motivo preciso. Si sentiva
strano accanto a lei, non perché provasse qualcosa per lei, questo era ovvio,
ma quella ragazza aveva un'aria famigliare e doveva scoprire assolutamente
perché.
Si appollaiò accanto a lei e la vide
sussultare.
"Ti ho spaventata?" La sua
voce era calda e amorevole.
"Un po', sì, lo devo
ammettere!" Cercò di mantenere un certo rigore, poi si guardò dietro, e
oltre la cabina di comando non vide nessuno, solo di poppa si sentivano le voci
degli altri ragazzi che ridevano e scherzavano. Erano soli. La sua occasione
perfetta per portarlo in un angolo ben nascosto dove poter parlare senza
rischiare di venire interrotti.
Era una questione della massima
importanza, perché ne andava della sua vita e della
vita di suo padre."
"E io che credevo di avere
fascino!" Lo disse solo per rompere il ghiaccio, di solito con le ragazze
non usciva mai la personalità da Chat Noir. Emma scoppiò a ridere, le sarebbe
sempre piaciuto sapere che tipo era suo padre da giovane, un conto era venirlo
a sapere attraverso i racconti di sua madre o dei suoi zii, un conto era
viverlo di persona.
"E così, sei la sorella di Chloè..." Continuò lui assottigliando gli occhi quando
le risate si placarono.
Emma deglutì "S-sì"
"Mmm...
strano, nessuno ti ha mai nominata... scusami, nel senso che conosco Chloè da quando ne ho memoria, ma non mi ha mai raccontato
di avere una sorella." Disse mellifluo.
"Era ovvio, tutti si
vergognavano di me... sai... la pietra dello scandalo" Rispolverò le sue
doti da attrice che sfoggiava solo ed esclusivamente in certe situazioni di
emergenza, e quella lo era a tutti gli effetti.
Adrien si toccò il mento perplesso
"Di solito, Audrey vive di scandali e mi sembra strano di non aver nemmeno
mai sentito mio padre parlare di te."
"Senti, pa...
ehm Adrien, io dovrei dirti qualcosa" Aveva preso finalmente coraggio e
presto avrebbe saputo chi era in realtà, odiava mentirgli e portare avanti
quella farsa, e in ogni caso doveva ridurre il suo soggiorno e andarsene prima
che poteva.
"Certo, ti ascolto."
Emma inspirò profondamente, ma prima
di dar fiato ai suoi pensieri purtroppo venne interrotta da Rose.
"Oh ecco dov'eravate! E' arrivata la pizza!" La biondina venne trascinata in
sala da pranzo per prendere parte a quel banchetto prima che Ivan divorasse
tutto quel ben Didio.
Il
passo incessante e il picchiettio delle suole dure delle scarpe eleganti si
propagò all'interno del corridoio in maniera ritmata.
Tutto era tranquillo e in ordine
all'interno del municipio, e gli unici rumori che provenivano da quel piano,
l'ultimo per la precisione, era lo squillo del telefono di qualche ufficio
momentaneamente vuoto e la stampante che continuava a sputare fuori fogli
bianchi, nonché, se una persona teneva un udito sopraffino, anche il cigolio
delle ruote di un carrello per le pulizie trascinato dalla signora addetta al
rassetto.
Con il fiatone e con il cuore che
galoppava nel petto, l'uomo vestito elegante, basso, grassoccio e con il
riporto, si aggrappò alla porta dello studio del sindaco Bourgeois.
Ci mise un po' prima di bussare, perché
temeva un infarto da un momento all'altro; colpa delle due ciambelle alla crema
che si era appena sbaffato pocanzi alla pasticceria vicino al municipio. In
mano teneva una busta nera dal contenuto importante, almeno così sembrava dal
modo con cui le sue dita grassocce la stringevano, o forse era solo una
contrazione momentanea dovuta al dolore del braccio sinistro.
Tirò un sospiro di sollievo quando
tutto finalmente passò.
Si sistemò giacca e cravatta, e con
un colpo della mano destra scacciò via le briciole e lo zucchero al velo che
gli era rimasto come testimone della sua lauta colazione.
Tossicchiò leggermente per schiarirsi
la gola e alla fine bussò.
"Avanti!" Fu la risposta
ovattata ricevuta dall'altra parte della porta.
"Permesso, Signor Sindaco."
La sua voce era nasale.
L'uomo richiuse la porta dietro di sé
e si avvicinò alla scrivania del primo cittadino, intento a battere i tasti
della tastiera del pc.
"Ecco le analisi sulla qualità
dell'acqua che aveva richiesto." Il Sindaco deglutì spostandosi il
colletto della camicia non sapendo di che cosa stesse parlando il suo
segretario, non ricordava di aver mai chiesto una cosa simile.
"Oh, sì grazie! Mettile pure
lì." Si apprestò a rispondere frettolosamente indicando il tavolino di
cristallo rotondo con i fiori gialli, per non fare una figuraccia, più tardi ci
avrebbe dato un'occhiata e magari gli sarebbe anche saltato in mente il motivo
di tali esami e urgenza. Maledetta vecchiaia.
Il segretario fece come ordinato
contraendo la faccia in una smorfia perplessa.
Eppure gli era sembrato molto
preoccupato qualche giorno fa quando le aveva richieste, e invece ora sembrava
cascare dal mondo delle nuvole, come se per qualche strano motivo gli fosse
stata resettata la memoria.
Infondo però lo compativa, con una
moglie e una figlia di quel calibro c'era da andare fuori di senno, e in più si
era aggiunta l'altra questione, ovvero Zoe, sbucata dal nulla, così
all'improvviso.
"Va bene." Si limitò a dire
mostrando poi il punto esatto "... le lascio qui."
"Grazie." Disse
immergendosi nella lettura di un comunicato che gli era appena arrivato.
"C'è altro che posso fare?"
"No, è tutto!" Rispose
alzando gli occhi dal foglio, facendogli segno con la mano di andare.
Il segretario aprì la porta, e appena
lo fece, si trovò lo sguardo truce di Chloè davanti.
"Oh! Buongiorno,
signorina!" Cercò di essere più cordiali possibile, anche se quella
spocchiosa ragazzina gli dava sui nervi, soprattutto per come trattava quel
povero mollusco che si trovava seduto dietro la sua scrivania.
"Sì, sì. Ciao anche a te...
ehm... coso ... c'è
papino?" Cinguettò con la sua aria arrogante come se la presenza di
quell'individuo la irritasse. Ma a dire il vero, ogni forma vivente stizziva Chloè Bourgeois.
Il segretario le scoccò un'occhiata
truce "E' dentro!" Rispose prima di oltrepassarla senza chiederle il
permesso.
*
Chloè avanzò
convinta attraverso la stanza e poggiò i libri e quaderni di scuola che aveva
in mano sul tavolino di cristallo, proprio sopra la busta nera che non era
stata affatto notata dalla biondina, in quanto, sotto il tavolino era stato
posto un tappetto vaporoso dello stesso colore.
"Dimmi, mio dolce tesoro, di che
cosa hai bisogno?"Chloè batté i palmi delle mani
contro la scrivania.
"Perché a mia sorella è permesso
venire a scuola con la mia stessa auto?"
Andrè trattenne
uno sbuffo seccato, limitandosi a gonfiare solo le guance.
"Zuccherino mio... non serve
usare due macch..."
Chloè batté i
pugni nuovamente interrompendo il genitore facendolo sussultare nuovamente.
"NON MI INTERESSA!" Zoe da
oggi in poi andrà con una nuova macchina, oppure se la farà tranquillamente a
piedi." La biondina si soffiò le unghie ritenendosi soddisfatta per come
stava affrontando la cosa, ancora un altro po' e avrà convinto suo padre.
"Ma perché?"
Chloè strabuzzò
gli occhi "Come sarebbe a dire, scusa? Non ti sembra che respirare la mia
stessa aria sia un motivo più che valido per allontanarla da me?"
"E' tua sorella, dovresti
volerle bene." Ad Andrè quella ragazza stava
simpatica, era semplice, gentile e per nulla viziata.
Chloè cercava di
renderla come lei, e grazie al cielo non ci stava riuscendo per niente, e forse
era per questo che provava in qualunque modo a cambiarla, senza successo.
Ad Andrè
sarebbe piaciuto che la figlia fosse meno esigente e che la smettesse di fare
la bulletta con le persone solo perché non le danno corda; avrebbe molti più
amici e sarebbe benvoluta.
Forse era colpa sua che le concedeva
sempre tutto senza battere ciglio solo per sopperire alla sua mancanza di
figura paterna, del resto lui era un uomo di successo, che si divideva tra il
governare una città importante e l'essere la figura più autoritaria all'interno
dell'Hotel Le Grand Paris, e non una bambinaia, anche se amava Chloè più di qualsiasi persona al mondo.
Avrebbe anche potuto farla andare a
New York diverse volte con Audrey, ma era quest'ultima che non voleva averla
tra i piedi. Lei doveva lavorare e non pensare a quell'impiastro.
"Questo è ridicolo,
assolutamente ridicolo. Non vorrò mai bene a una come lei." Alzò il mento
in segno di superiorità.
"Senti, Chloè...
porta pazienza un altro giorno, ok? E domani vedrò di recuperare un'altra auto
per tua sorella."
La biondina sogghignò malignamente,
era riuscita a ottenere un'altra vittoria, e presto avrebbe fatto ritornare Zoe
da dov'era venuta.
Chloè se ne andò
dallo studio prendendo tutti i suoi libri e quaderni, e purtroppo anche
qualcos'altro che poco dopo gettò dritto nella spazzatura dell'addetta alle
pulizie.
*
Emma se ne stava seduta in disparte
con le ginocchia attaccate al petto e con il cuore che tamburellava all'interno
dello sterno.
La campanella che annunciò l'inizio
dell'intervallo era suonata da qualche minuto e lei aveva deciso di uscire
dall'aula e prendere un po' d'aria, trovando riparo dal sole cocente sotto un
salice piangente all'interno del giardino della scuola.
Si era trovata da sola a ripensare
alla sera precedente, quando un portale si era aperto in camera sua facendo
comparire Bunnix davanti a lei, convinta che
l'avrebbe portata via da quell'incubo assurdo che per uno strano scherzo del
destino era stata costretta a vivere.
E invece aveva intrapreso quel
viaggio solo per incoraggiarla nell'andare avanti e che la sua famiglia credeva
in lei, ma che non aveva quasi più tempo a disposizione.
Doveva agire subito se non voleva
perdere per sempre suo padre.
Una grossa responsabilità pendeva
sulla sua testa e fallire non era per niente contemplato.
Ed Emma in quel momento si era resa
conto che cosa dovevano aver provato alla sua età mamma e papà quando erano
stati scelti per ricoprire il ruolo di Lady Bug e Chat Noir.
La biondina affondò la testa
all'interno delle ginocchia per soffocare le sue lacrime e liberarsi di un
macigno che portava sul cuore.
"Giornata pesante?" Le
chiese una voce famigliare accomodandosi accanto a lei. "Sì, giornata
pensate!" Si era risposto da solo quando aveva visto Zoe alzare la testa
palesando il volto rigato dalle lacrime e gli occhi arrossati.
Lei le asciugò al volo con il palmo
della mano e tirando su con il naso, attenta a non fare troppo rumore, un vizio
che dava fastidio ad Adrien il quale la rimproverava sempre di soffiarsi via il
moccio piuttosto che farlo andare su nel cervello. Una cosa che la faceva
sempre ridere. E anche in quell'occasione non mancò un piccolo sorriso legato a
quel ricordo.
"N-non è come pensi..."
Disse soffocando un singhiozzo appoggiando il mento sulle ginocchia ancora
rannicchiate, una posizione che la rassicurava molto nei momenti peggiori e
tristi.
"Se vuoi, io sono qua!"
Mormorò con voce calma e calda. Emma alzò il labbro superiore accennando a un
sorriso, pensò che suo padre non era poi così cambiato negli anni, sempre
pronto ad ascoltare e a dispensare ottimi consigli.
"È difficile da
spiegare..." Soffiò via abbassando lo sguardo, ma per il suo bene doveva
farlo, anzi, quello era proprio il momento giusto per raccontargli la verità.
Emma era sicura che non avrebbe avuto
altre occasioni perché sapeva benissimo che nonno Gabriel lo teneva rinchiuso
in gabbia in quel periodo e non lo faceva uscire se non era per scuola o
impegni vari, ma la situazione era notevolmente migliorata da quando aveva
cominciato a frequentare Marinette (glielo aveva
raccontato lui!), e il tempo stringeva, aveva atteso troppo che si presentasse
l'attimo propizio.
"Provaci, sono sicuro che ci
riuscirai." Il suo bellissimo sorriso trasmetteva calma e serenità.
Emma deglutì il nulla cercando il
modo meno sconcertante per rivelargli tutto e soprattutto non fargli prendere
un colpo. Ecco, una cosa che non le era mai passata per la mente in quei giorni
di permanenza, ovvero provare a trovare delle parole giuste da utilizzare al
momento opportuno, ossia ora.
"Ecco... pa...
Adrien... vedi... io..." La voce tremava e le mani sudavano, dovette
strofinarle più volte sui jeans per asciugarle e soprattutto per darsi una
calmata. "...tu..." Deglutì nel tentativo di bagnarsi la gola perché
le si era seccata di colpo. L'aria le era mancata improvvisamente e parlare con
lui si stava rivelando più difficile del previsto. Il cuore galoppava a una
velocità impressionante e le prime stelline si erano palesate davanti i suoi
occhi.
Emma inspirò profondamente sotto lo
sguardo attonito di Adrien, di solito era Marinette
quella che non riusciva a parlare in modo tranquillo di fronte a lui.
Eppure doveva essere facile visto che
suo padre negli ultimi tempi era diventato il suo confidente principale, ancora
meglio di sua madre doveva ammettere, ma tentennava a causa degli ultimi
trascorsi e diverbi che avevano avuto e vissuto prima che Adrien venisse
risucchiato in quella maledetta dimensione spazio temporale.
Gli screzi, le incomprensioni e i
castighi impartiti, stavano rovinando il modo di Emma di affrontare la cosa.
Tutta quella responsabilità sulle sue
esili spalle, e se fosse andata male? Se Adrien le avesse dato della bugiarda?
Oppure se fosse scoppiato a ridere? Non lo avrebbe sopportato, perché lei non
mentiva mai, soprattutto ai suoi genitori. Non era necessario rivelarle chi
fosse sua madre, quello che era importante, Adrien lo portava all'anulare
destro.
Adrien le mise una mano sopra la sua
"Zoe, va tutto bene... non ti mangio mica!" Scherzò lui.
Emma si alzò di scatto e portò le
mani chiuse a pugno lungo i fianchi "Mi dispiace, ma non ci riesco!"
Esclamò prima di scappare via a gambe levate con le lacrime agli occhi,
vedendosi così sfumare anche quell'occasione per rivelargli la verità.
Nel frattempo anche Marinette, che aveva assistito alla scena da lontano, si
era avvicinata al compagno di classe chiedendo spiegazioni e soprattutto che
cosa avesse detto a Zoe per farla piangere.
Adrien era perplesso "Non lo so,
stavamo parlando, e lei se n'è andata" Rispose con semplicità
ripercorrendo mentalmente gli ultimi attimi, ma come ricordava, dalla sua bocca
non era uscita nessuna parola offensiva o che giustificasse il suo stato
animo.
Zoe non era scappata per quello che
le aveva detto.
Marinette continuò a
non perdere di vista Zoe e decise di lasciare Adrien lì da solo a chiedersi che
cosa aveva mai potuto dirle per farla andare via in quel modo.
"Scusami..." Gli disse al
compagno.
La corvina la raggiunse poco dopo nei
bagni delle femmine.
"Zoe!" La chiamò bussando a
tutte le porte finché non trovò quella dove si era nascosta.
"Vattene via!" Ma Marinette non ne aveva alcuna intenzione, nemmeno ora che
la campanella della fine dell'intervallo era suonata.
"Se è per tua sorella Chloè, le posso parlare io... oggi diceva che aveva
convinto suo padre a farti venire a scuola con un'altra macchina..." Marinette dovette restare in piedi davanti a lei perché
quello spazio angusto non le permetteva di avvicinarsi.
"Non è mia sorella!"
Mormorò quasi impercettibilmente.
"C-COSAA? Ho capito bene?" Marinette si portò entrambe le mani a coprire la sua bocca
spalancata per lo stupore.
Emma mosse il capo in segno di
conferma e guardò Marinette dritta negli occhi. I
suoi stessi occhi.
A Marinette
divennero le gambe di gelatina e dovette appoggiare la schiena al muro per non
cadere all'indietro. Il cuore mancò un battito.
"Io... io... il mio nome non è
Zoe, o meglio, quello è il mio secondo nome.
"Marinette
scosse il capo e fece un bel respiro profondo per affrontare la rivelazione.
"Mi chiamo Emma, vengo dal
futuro e tu... TU SEI MIA MADRE!"
Gli
occhi di Emma si erano riempiti di grosse lacrime che scesero inesorabilmente
dai suoi bellissimi zaffiri, bagnandole la maglietta bianca con la stampa a
fiore. Marinette, in piedi di fronte a lei, era rimasta per
qualche secondo con la bocca spalancata dalla notizia scioccante appena
ricevuta.
Sempre se quella fosse la verità
.Una figlia venuta dal futuro... ancora non poteva crederci.
Una bellissima ragazza per giunta e dall'animo buono e gentile proprio come il
suo.
Già dalla prima volta che l'aveva vista in pasticceria, Marinette
sentiva che quella coetanea aveva attorno a sé un'aria famigliare e allo stesso
tempo misteriosa, come se la conoscesse da una vita, anche se in realtà non si
erano mai viste.
Poi si era presentato al fianco di Chloè con aria
altezzosa e spocchiosa, rivelando a tutti i suoi compagni di essere sua sorella
depistando ogni sospetto che stava nascendo dentro Marinette.
Quella sera, mentre osservava le foto di Adrien appiccicate alla bacheca di
sughero posta accanto al suo letto, gli balzò subito il dettaglio dei suoi
occhi.
Adrien e Zoe avevano lo stesso identico taglio.
Lo avrebbe riconosciuto tra mille.
Tanto che, Marinette aveva pensato fosse una sua
parente della quale non conosceva l'esistenza, diciamo pure che lei non era che
conoscesse molti parenti del ragazzo, a parte, per ovvie ragioni Ameliè e Felix, ed era intenzionata a chiedergli se appunto
in città fosse arrivata una sua cugina, se mai ne avesse avuto il coraggio di
avvicinare il ragazzo e non svenirgli davanti rischiando di fare una pessima
figura. Come sempre del resto.
Poi quel fulmine a ciel sereno che l'aveva fatta desistere nel suo intento.
"S-tai... stai... di-dicendo sul serio?"
Era riuscita poi a chiederle balbettando.
Emma annuì e affondò nuovamente la testa all'interno delle ginocchia
nascondendola come una tartaruga.
"Scusami!" Sussurrò tra i singhiozzi.
Gli spasmi stavano diventando per Emma sempre più dolorosi, soprattutto perché
ora doveva per forze di cose scoprire le carte in tavola.
La gola doleva e sembrava che qualcuno la stessa grattando con la carta vetrata. Marinette le passò un bicchiere d'acqua notando che
si stava massaggiando la zona dell'esofago.
"Grazie." Lo buttò giù tutto d'un sorso ritornandole il bicchiere di
plastica che Marinette gettò poi nel cestino posto
vicino al lavandino.
"Meglio?"Emma era riuscita a calmarsi e ad
asciugare il viso rosso e provato dalla disperazione.
Sentiva un peso opprimente sulle spalle e alla fine era crollata.
Solo che aveva commesso l'errore di confidarsi con la persona sbagliata, perché
Marinette non doveva assolutamente sapere nulla.
Emma scosse la testa e tirò sul con il naso, ora doveva per forza raccontare
tutto a lei.
"Eri seria, poco fa?"
"Sì!" Deglutì il nulla rannicchiandosi ancora di più in posizione
fetale.
"Com'è possibile? Perché sei tornata indietro nel tempo?"
"Pensi sia stata una cosa voluta? Non doveva andare così... insomma, io
non dovrei nemmeno parlare con te di questa cosa." Emma si alzò e sorpassò
Marinette per uscire di lì, ma la corvina, convinta
stesse inventando una storia solo per attirare l'attenzione, la bloccò per un
polso puntandole il suo sguardo indignato.
"Mi sbagliavo sul tuo conto... sei esattamente come tua sorella Chloè!"
Se l'intenzione di Marinette era quella di provocarla,
allora ci era riuscita.
Già a Emma, Chloè non stava particolarmente
simpatica, figuriamoci essere paragonata a lei senza avere nessun grado di
parentela vero e proprio.
"Non ti azzardare!" Avrebbe voluto dirle, ma questo avrebbe
significato mancarle di rispetto, e sebbene si trovasse davanti a una
quindicenne, Marinette era pur sempre sua madre.
"Ti ho già detto che non sono sua sorella." Ribadì Emma sperando che
finalmente le credesse. Marinette le lasciò andare il polso e incrociò le
braccia al petto "E sentiamo, se sei veramente mia figlia, chi è tuo
padre?" In realtà temeva quella risposta, in altre circostanze e con altra
maturazione non avrebbe avuto importanza, ma ora come ora prevaleva la
curiosità.
"Adrien... Adrien Agreste." Sussurrò timidamente.
* Marinette rimase impietrita per qualche secondo, come
se qualcuno le avesse iniettato nelle vene dell'azoto liquido.
Una figlia con Adrien... nemmeno nei suoi sogni più reconditi poteva immaginare
una cosa simile, anche se a pensarci bene ci aveva fantasticato su. Marinette si portò le mani sulle gote accaldate e
mentre il cuore le batteva forte nel petto, certa che il suo sogno si era in
qualche modo realizzato, iniziò a fantasticare su come lui si fosse finalmente
dichiarato, l'abito bianco e infine loro due che tenevano in mano quel
fagottino.
Quando però tutto svanì in una nuvoletta di fumo, Marinette
ritornò in sé."Smettila di prendermi in
giro" Disse stizzita indurendo lo sguardo. Tutti conoscevano la cotta che
aveva per il bel modello, ma arrivare a prendersi gioco di lei, quello no,
quello era davvero troppo. E Marinette era sempre più
convinta che ci fosse lo zampino di Chloè.
"Ma è la verità..." Rispose mestamente, ma forse era anche un bene
che lei non le credesse, in ogni caso, era una questione di orgoglio, se c'era
una cosa che Emma odiava, era quello di essere ritenuta una bugiarda "...
e a dirla tutta, non ho nemmeno più tempo a disposizione."
"Che intendi?" Quell'ultima frase attirò l'attenzione di Marinette.
Emma fu titubante, ma sapeva anche che sua madre non l'avrebbe lasciata andare
prima di conoscere la verità, o quello che le aveva da dire.
"Devo riuscire a prendere l'Anello del Gatto nero per liberare papà."
"Sai dei Miraculous?" Marinette
strabuzzò gli occhi come se non ricordasse di averle affidato il Pettine
dell'Ape qualche settimana prima
."So anche dove andarlo a prendere..."
"Tu... tu vaneggi..." Balbettò in preda al panico mettendo le mani
avanti."... e so che tu sei Lady Bug!" Le confessò infine. Marinette scoppiò a ridere tenendosi la pancia
"Questa è bella..."
"Tikki la tieni nella borsetta e le piacciono i
macarons... alla fragola specialmente."
La corvina deglutì, era vero.
"Non sei obbligata a rispondermi..." Fece lei "... ma io devo
avere quell'anello per salvare papà... altrimenti la dimensione spazio
temporale dove si trova ora, verrà chiusa senza alcuna possibilità di essere
ritrovata."
"Scusami, ma non potevate andare direttamente dal Chat Noir del tuo
tempo?" Quella era la soluzione più ovvia "... vi sareste risparmiati
un bel po' di casini... tipo essere qui e spiattellarmi in faccia tutto col
rischio serio di compromettere non solo il mio, ma anche il tuo futuro. Se
veramente sei chi dici di essere e tuo padre è Adrien, non credi che questo
potrebbe creare una spaccatura nel contino spazio tempo? E Bunnix?
Perché non è intervenuta?... No... io credo che tu mi
stia raccontando un sacco di balle." Marinette
continuò imperterrita con il suo monologo un tempo indefinito,dimenticandosi totalmente che ora si
trovava nel bagno della scuola e che la lezione era iniziata da un pezzo, se ne
sarebbe potuta andare in qualsiasi momento, ma la sola curiosità la stava
trattenendo lì.
Una cosa era certa, doveva assolutamente andare fino in fondo a quella
faccenda, e se alla fine si fosse rivelata una bufala, almeno così avrebbe
saputo finalmente di che pasta fosse fatta Zoe Lee. Emma Zoe Agreste...
continuò a risuonarle nella mente.
"Oh... giusto... hai ragione... perché non ci ho pensato" Si
schiaffeggiò la fronte per sottolineare la sua stupidità.
"Vedi, avevo ragione io... sei una bugiarda! E tu non conosci affatto le
identità di Lady Bug e Chat Noir." Del resto come crederle se lei stessa
non sapeva chi si nascondesse dietro la maschera del micione?"Non
credi che non sia andata dal Chat Noir del mio tempo perché... sì...insomma...
impossibilitato?" Sperava lo capisse da sola che Adrien e il super eroe
gatto fossero la stessa persona.
"Sì, e che cosa doveva fare di così importante?" Chiese sarcastica
portandosi le mani sui fianchi.
Emma tirò le labbra "Non ci arrivi, eh?"
"Arrivare a cosa?" Sospirò.
Aveva già fatto un danno enorme rivelando a sua madre tutti quei dettagli e non
poteva spiattellarle in faccia anche quella verità, ma ormai era in ballo e
doveva ballare.
"Papà e Chat Noir sono la stessa persona" Disse d'un fiato
distogliendo subito lo sguardo aspettandosi una ramanzina, che invece non
arrivò perché Marinette svenne all'istante.
*
"Lo sapevo!" Esclamò in preda al panico cercando di farla riprendere
con un paio di schiaffi sulle guance.
Emma le bagnò anche la fronte sotto suggerimento di Tikki,
che al contrario della sua padrona, credette alla storia della ragazza,
soprattutto perché aveva rivelato dettagli che solo Marinette
conosceva, tipo la combinazione della scatola del cucito.
"Che faccio se non si sveglia?"
"Dovresti andare in infermeria e chiamare aiuto."
"Tutto questo non sarebbe successo se avessi avuto il coraggio di parlare
a papà." Emma si sentiva terribilmente in colpa.
"Beh! Su questo assomigli a tua madre, te lo posso assicurare."
Alla biondina venne da sorridere "Sì, me lo ha raccontato... in effetti è
strano come quei due si sono poi avvicinati... mi..."
"Fermati!" La invitò Tikki "... non
voglio sapere altro."
"Scusami hai ragione!"Marinette strizzò gli
occhi e li aprì subito dopo.
La vista era leggermente annebbiata e il cuore le galoppava veloce nel petto.
Sperava fosse tutto un incubo e che la conversazione con Zoe non fosse mai
avvenuta, ma si dovette ricredere quando vide la sua faccia triste e colpevole.
E per indorare la pillola, Tikki le stava svolazzando
accanto.
"Stai bene?" Fu la prima cosa che Emma le domandò preoccupata. Marinette si tenne la testa "Ho una terribile
emicrania"
"Vado a chiamare aiuto!" Si prodigò venendo fermata subito dopo.
"No, rimani." Seguì un attimo di pausa dove Marinette
osservò meglio la ragazza che aveva davanti per poi abbracciarla amorevolmente
"... scusami se non ti ho creduto." Le sussurrò all'orecchio.
"Mi sarei meravigliata del contrario... mamma" Marinette
si asciugò le goccioline salate che si formarono alle estremità dei suoi occhi,
non poteva crederci, sua figlia era proprio davanti a lei. Una giovane donna
forte e coraggiosa.
"Mi sembra tutto così assurdo" Fece Marinette
poggiandosi alla parete.
"Lo è... soprattutto perché è tutta colpa mia...
se solo avessi dato retta a papà, ora non mi troverei in questa
situazione." Disse a denti stretti ripensando ancora a quel maledetto
giorno.
I suoi occhi verdi puntati su di lei, la delusione e poi l'oblio."E
così quel gattaccio trova sempre il modo per mettersi nei guai." Sospirò
al cielo.
"Già..." Sogghignò mettendosi vicino a lei.
"Quello però che mi chiedo è perché ho mandato te, qui."
"Non sei stata tu... purtroppo varie circostanze e avvenimenti accaduti
all'improvviso hanno fatto sì che ci fossi io... ho combinato un disastro, a
cui rimedierò."
"Lo spero, altrimenti qui succederà davvero un macello... ma visto che ci
siamo... ho avuto solo te...?"
Emma scoppiò a ridere di gusto "Mi piacerebbe davvero raccontagli dettagli
della tua vita, ma credo sia più importante salvare papà, ora."
"Giusto... ehm..." Il cuore di Marinette
cominciò ad accelerare "... dobbiamo raccontare tutto ad Adrien?" Il
panico s'impossessò presto di lei.
"In realtà era il mio piano fin dall'inizio... io... io non dovevo dire
nulla a te, però non ci sono riuscita, nel mio tempo le cose con papà non sono
delle migliori e questo ha fatto sì che scappassi davanti a lui." Emma
iniziò a piangere divorata dal senso di colpa.
Tutto pendeva sulla sua testa, e la fretta la stava mettendo in una condizione
tale da commettere sempre più errori.
Ora non solo aveva la responsabilità di dover salvare suo padre, ma doveva
anche capire come rimediare al fatto di aver vuotato il sacco con sua madre.
Una catastrofe, Emma aveva combinato davvero un bel guaio.
"Troveremo una soluzione... aspetta, dove vai?"
Emma si era alzata e aveva lasciato velocemente la stanza, quando voltò
l'angolo del corridoio ebbe una colluttazione con Adrien, il quale cercò di
chiederle che cosa avesse.
Non ottenne alcuna risposta, ma quando fece per inseguirla, Marinette
incrociò il suo cammino e tutto intorno si era fermato.
*
continua
Marinette
rimase per qualche secondo impietrita con la bocca spalancata a osservare il
ragazzo che le stava davanti e che la guardava con aria stranita, ma lei non
fece caso all'espressione di Adrien.
"Marinette, stai bene?" Le domandò inarcando un sopracciglio perché
la sua migliore amica gli sembrò più bizzarra del solito, e intanto lei stava
sognando a occhi aperti immaginandosi un film mentale degno del tanto ambito
Premio Oscar, per la storia e l'interpretazione dei protagonisti.
Corredato di bacio appassionale finale e soundtrack dedicato, che sarebbe stata
la colonna sonora di molte altre storie d'amore.
Un figlio con Adrien... ancora non poteva crederci.
Alla fine era riuscita a vincere la timidezza e a dichiararsi per far avverare
quel sogno tanto agognato? Forse. Perché i dettagli non li conosceva affatto,
magari nel futuro si erano messi insieme, e poi lasciati... Marinette credette
di sentirsi male se mai fosse andata veramente così.
Emma aveva accennato a un problemino legato a suo padre, probabilmente perché i
due si erano separati e lei era costretta a fare da spola da una casa all'altra.
Terribile,una situazione terribile.
La nuvoletta sopra la sua testa svanì come una bolla di sapone ridestandola da
quel sogno.
"Ehi, Marinette." Mormorò Adrien sorreggendola per evitare che
cadesse all'indietro e potesse ferirsi.
Le sue braccia erano così confortevoli.
"S-sto bene, scusami." Balbettò sedendosi sulla panchina con le mani
a coprirle il volto.
"EMMA!" Esclamò poi ricordandosi quel dettaglio alzandosi di scatto.
"Chi è Emma?"
"Zoe..."
"Zoe?" Adrien se possibile si ritrovò ancora più confuso "...
vuoi spiegarti meglio Marinette? Non ci sto capendo più nulla."
La compagna di classe si ritrovò davanti a un bivio terribile: se raccontare
tutto quello che aveva scoperto fino a ora, oppure se lasciare questo compito
alla diretta interessata, ovvero a Emma.
Marinette optò infine per la seconda opzione, anche perché sicuramente Adrien
non avrebbe creduto a lei e avrebbe trovato quella storia sicuramente assurda,
già lei non poteva esserne certa, figuriamoci se quella spiegazione fosse
uscita dalla sua bocca in maniera sconclusionata.
E in più, certamente avrebbe negato fino alla morte di essere il portatore
ufficiale del Miraculous del Gatto Nero, meglio se questa patata bollente fosse
passata nelle mani di Emma, infondo era lei quella venuta dal futuro per
salvare Chat Noir e colei che avrebbe risolto questa assurda situazione.
"Dobbiamo trovarla." Disse infine con un fil di voce e con aria
preoccupata, iniziando a guardare con altri occhi il bel modello.
"Mi fai preoccupare così. Vuoi dirmi che cosa sta succedendo?"
"Te lo spiegherà lei, Adrien." Disse indurendo lo sguardo e con il
cuore che sussultò dopo che lui le aveva toccato il polso.
*
Il futuro era caratterizzato da attimi di totale apprensione.
Ormai mancavano pochissimi giorni alla data e ora 'X', e Marinette avrebbe
perso per sempre Adrien se Emma non fosse riuscita a ritornare in tempo con
l'anello del gatto nero, completando così la sua missione.
Marinette da giorni ormai non mangiava e passava le sue giornate ad attendere
il suo arrivo, nonché quello di Alix se le cose avessero cominciato a prendere
una piega diversa.
E in più, per completare il quadro di disastri, il Signor Ratto ogni tanto
riprovava ad attaccare Marinette, venendo puntualmente sconfitto ogni volta,
rimarcando il fatto che presto sarebbe comunque stata costretta a consegnargli
il Miraculous del Coniglio se non voleva perdere per sempre il suo amato.
Stava per crollare e per chiamare Alix perché riportasse indietro Emma dal
passato prima che potesse combinare inavvertitamente qualche disastro, causando
la rottura dell'equilibrio di quella linea temporale.
Bastava solo cambiare una virgola e tutto avrebbe assunto altre sfumature.
Marinette scostò la tenda bianca e aprì la porta finestra per uscire un pò nel
terrazzino del suo studio a prendere una boccata d'aria fresca.
Fuori faceva caldo, ma l'aria condizionata le dava fastidio in quel momento.
Sbuffò e si appollaiò sulla ringhiera di marmo volgendo lo sguardo al cielo
azzurro completamente sgombro dalle nuvole.
Avrebbe dovuto lavorare alla nuova collezione, ma la sua mente la riportava
sempre su un unico punto, tanto da costringerla a fare una pausa perché non le
riusciva nemmeno ad abbozzare un semplicissimo disegno.
Si considerò una pessima moglie e soprattutto un pessimo genitore.
Che razza di madre lascerebbe mai sua figlia quattordicenne da sola in un tempo
che non conosce a compiere una missione così importante?
Solo lei era riuscita in quell'impresa e a candidarsi per il premio di 'madre dell'anno', spodestando così la
pluri premiata Audrey Bourgeois, la quale, nemmeno a distanza di anni, era
riuscita ad avere un rapporto con sua figlia Chloè, l'eterna ragazzina sempre
alla ricerca di una parola gentile e un po' di attenzione da parte sua.
Magari Emma stava chiedendo il suo aiuto e lei non c'era al suo fianco.
Si passò velocemente una mano sulla faccia e rientrò in ufficio prima che il
calore del sole di mezzogiorno le provocasse una qualche sorta di malessere,
sommato a quello che aveva già, ovviamente.
"Sei pazza ad uscire con questo caldo!"
Marinette sobbalzò dallo spavento.
"Ma dico... sei matta a presentarti così?" Berciò in direzione di
Alix che se ne stava comodamente seduta sulla sua poltrona con le gambe
accavallate.
"Avresti preferito una telefonata?" Chiese ironica la Guardiana del
Tempo.
"Dimmi che cosa sei venuta a fare, Alix!" Disse in tono seccato
tagliando corto.
Marinette aveva i nervi a fior di pelle ed era facile per lei sbottare con
chiunque.
"Vedo che siamo piuttosto nervosi oggi..."
"Scusami... io... non volevo essere scortese..." Gesticolò con le
mani per l'imbarazzo a causa della gaffe appena fatta.
"Non devi, lo sarei anch'io se stessi vivendo la tua stessa situazione...
in parte è così, ma non sono emotivamente coinvolta come te."
Marinette si lasciò cadere sul divanetto sospirando per l'ennesima volta, ormai
era diventato per lei una cosa così naturale che non ci faceva nemmeno più caso.
"Dammi buone nuove, ti prego!" La supplicò con un velo di lacrime a
coprirle gli occhi.
Alix deglutì rumorosamente, non sarebbe stato facile per Marinette reggere la
notizia che stava per ricevere, soprattutto perché quello che stava accadendo
nel passato stava influenzando il futuro.
"Speravo che non saremo mai arrivati a tanto..." Per puro caso lo
sguardo si poggiò sul ritratto di famiglia che la corvina teneva sopra la
scrivania e in bella vista vicino al monitor del PC e sbiancò.
La testa di Hugo e le braccia di Emma erano scomparse, assieme alle gambe di
Louis.
"Che intendi?" Marinette non si era ancora accorta di nulla."...
Emma ha detto alla te del passato quello che sta succedendo qui, ovvero di Chat
Noir..."
"Non vedo come possa essere un disastro" Marinette lo aveva intuito
dal suo sguardo cupo e preoccupato.
"Purtroppo non si è limitata solo a questo, ha confessato di essere figlia
tua e di Adrien."
Marinette spalancò gli occhi all'inverosimile, temeva che questa cosa qui
sarebbe potuta succedere, del resto tutto quel peso sulle spalle e quella
responsabilità la conosceva bene perché l'aveva vissuta lei stessa quando a
solo quindici anni era stata nominata Guardiana dei Miraculous.
Era scoppiata e non poteva darle contro in alcun modo, anzi, ora che aveva
appreso la notizia di un possibile fallimento, a Marinette non restò altro che
autocommiserarsi e prendersi la colpa per tutto.
Sarebbe stato meglio attenersi all'altro piano, anche se era stata la stessa
Alix a dirle di non modificare altro.
"Se Adrien non sa ancora nulla, forse potremo salvare la situazione in
qualche modo."
Alix voltò la foto in modo che Marinette la vedesse.
"O mio Dio!" Si portò una mano sugli occhi per coprirli.
Le veniva da piangere, ma in quel momento non poteva lasciarsi andare.
La situazione era più seria del previsto e dovevano intervenire al più presto,
anche se ormai giunti a quel punto non sarebbe stato semplice ribaltare le cose.
"Già..."
"Siamo nella merda!" Si lasciò sfuggire Marinette.
"Non è l'espressione che avrei usato, ma sì... te la concedo."
"Dobbiamo lasciare che gli eventi facciano il loro corso, oppure
suggerisci di intervenire?" La corvina attese un'opinione dell'esperta
anche se il suo cuore le consigliava di andare nel passato per fermare Emma nel
dire qualcosa di troppo, a questo punto sarebbe andata lei da Adrien
trasformata da Lady Bug a chiedergli di consegnarle momentaneamente il
Miraculous.
"Sono state cambiate tante cose, Marinette. Bisogna che il tempo ora
trascorra normalmente."
"Ma Chat Noir... Adrien...
""Marinette... fidati di me, ok?"
*
continua