Four.

di PathosforaBeast
(/viewuser.php?uid=117546)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** perspective. ***
Capitolo 2: *** Shield. ***
Capitolo 3: *** thoughts. ***
Capitolo 4: *** waterfall. ***
Capitolo 5: *** faces. ***
Capitolo 6: *** 400. ***
Capitolo 7: *** journal. ***
Capitolo 8: *** 404. ***
Capitolo 9: *** Look. ***
Capitolo 10: *** yearn. ***
Capitolo 11: *** fly. ***
Capitolo 12: *** Contromano. ***
Capitolo 13: *** mayday ***



Capitolo 1
*** perspective. ***



perspective.
 









 

 
“Anche le stelle
cambiano” ma dentro te
è buio pesto.

 
 
 




 


 








 
____________________________________________

Breve nota introduttiva: grazie a te che hai aperto questa fan fiction ed hai iniziato a leggerla. Sappi che sarà una raccolta con due temi principali: il numero quattro e la vita di Mycroft Holmes. Troverai drabble, flash fiction, one-shot o, come hai potuto appena leggere, un haiku. Anche in questo capitolo, in modo molto sottinteso, il numero quattro è un elemento portante della storia: se addizioni il numero delle sillabe di cui deve essere composto un haiku, avrai un 8, pari a un 4+4: quindi ecco a te un confronto tra i pensieri di due personaggi.
Con questo capitolo volevo semplicemente darti l’introduzione a qualcosa che, spero, riuscirà ad essere a suo modo singolare e di piacevole lettura.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Shield. ***


Shield.
 


“Non sono arrabbiato. Davvero, Myc non sono arrabbiato”. Ti guarda per un solo attimo per poi posare lo sguardo sull’erba ancora bagnata. Incrocia le gambe ma appena le ginocchia ricominciano a sanguinare si porta una manica della camicia vicino agli occhi.
Lo stringi più forte e passi una mano tra i suoi capelli, freddi e umidi.
Ma fai un respiro profondo.
Basta non essere come mamma, ti ripeti.
Calma. Calma e pazienza.
“Va bene, Sherlock… ma lo sai che anche se tu lo fossi, ne dovresti comunque parlare, mh? Ma ora guardami negli occhi”. Sposta leggermente la testa sulla tua spalla socchiudendo le palpebre. Ha sempre ritrovato questi abbracci rassicuranti e non ti sorprendi quando porta una mano al centro del tuo petto per sentire il battito del tuo cuore sotto il palmo della sua mano.
Non cambia nulla. Tu sei lì e ci resterai per tutto il tempo in cui ne avrà bisogno.
Non è giusto che sia così. Ha solo quattro anni e sta attraversando più inferni di qualsiasi altra persona.
“Passerà”, ti ha detto zio Rudy al telefono quando gli hai detto che nel cuore della notte le urla non  stavano terminando. Che Sherlock non migliorava. “Dovete essere forti, forti e coesi.”
Quando ha staccato, sei rimasto con la cornetta tra le mani. Quella notte hai pianto anche l’anima.
Guardi la sua schiena rannicchiata contro il tuo petto. Il tuo piccolo cacciatore di draghi. Con il pollice inizi a disegnare cerchi concentrici sulla sua spalla e ti culli nei vostri respiri sincronizzati.
Solo voi due.
Ed è per un minuto, un piccolo, prezioso istante, che il mondo cade ai vostri piedi. Scivola dalle vostre spalle troppo piccole e potete respirare.
Sherlock sbuffa contro la tua spalla e con un filo di voce, soffocato dal tuo maglione, ti dice: “Myc, Eurus è strana. M-mi fa p-paur…”. Preme il viso contro di te, spaventato per un mondo che si sta rivelando così grande.
Ma tu sarai il suo scudo, non avrà più nulla da temere.
 


 


_____________________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** thoughts. ***





thoughts.
 
 
 
 
Riponi tutte le foto con la stessa reverenza con cui tua madre le lucida ogni giorno: il matrimonio dei tuoi genitori, i nonni, tu che stringi impacciato Sherlock ancora in fasce.
Come vola il tempo.
In una manciata di anni, quei sorrisi incantati che ti erano dedicati dalla beatitudine di una culla, ora esplodono tra le battute di Victor. Sta scivolando dalle tue mani e non puoi farci nulla.
Chissà cosa vi riserverà il futuro, che ne sarà di voi.
Sistemi l’ultima foto, tutti e cinque durante lo scorso Natale, davanti alle altre.
 
Beh, dovrete solo vivere per scoprirlo.
 
 
 


 

___________________________________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** waterfall. ***





 
waterfall.
 



Quasi non senti più il freddo del vetro contro la tua pelle.
Giri di poco la testa verso la porta socchiusa. Non c’è nessuna luce che illumina il corridoio, nemmeno un eco che proviene da una televisione. Nulla.
Ormai ti saresti dovuto abituare, ti direbbe la mamma, zio Rudy non è mai stata una persona particolarmente dedita alla musica, ai rumori o al chiacchiericcio delle persone. Ti saresti dovuto abituare, suvvia. Eppure non riesci a non sentirti sprofondare minuto dopo minuto.
Sempre più giù, sempre più lentamente.
Saranno ore che i tuoi genitori, zio Rudy e Sherlock sono andati via. “Dobbiamo terminare un paio di cose” ti ha sussurrato tuo padre sull’uscio di camera t- della stanza che ti ospita. Continuava a sbilanciare tutto il suo peso tra un piede e un altro mentre si metteva le mani in tasca. “Non dovremmo ritornare se non prima di cena, quindi- ”
“E Sherlock?”
Sai quando qualcosa non andrebbe nemmeno citata per errore, figurati chiederlo con così tanta leggerezza. Eppure non sei riuscito a fermare quel flusso di pensieri che è vibrato direttamente sulle tue stesse corde vocali. Ti sei morso la lingua spostando tutta la tua attenzione sulla carta da parati.
Secondi lunghi come ore, sono passati senza una risposta.
Tuo padre si è irrigidito, contratto in una smorfia che urlava tutta la sua disperazione. Riesci a seguire tutto l’insieme disordinato di pensieri che lo stanno affliggendo: chiedersi perché dovesse essere lui l’unico a parlarti e farti capire, per poi realizzare. Palese, immediato.
Tu non hai bisogno di capire, hai solo bisogno di tempo per guarire. Come lui, come tutti voi. Un ricordo, sottile come un ago e letale come un veleno, gli ha devastato le rughe del volto facendolo invecchiare di almeno dieci anni. Ti ha guardato con un’angoscia che non gli è mai appartenuta, impotente di fronte alle circostanze e alle sue stesse emozioni.

 
Non vedi che sono solo anch’io?
 
Ti hanno sempre detto che amare è il dono più bello che la vita possa offrirti ma ora davanti al viso disperato di tuo padre, colpevole solo di aver amato la sua famiglia senza freni, capisci che tenere agli altri non è un vantaggio* bensì una tragedia pronta a masticarti anche l’ ultimo brandello di anima per poi sputarlo sul pavimento.
“ Andiamo a fare un giro in quel parco dove abbiamo festeggiato il suo compleanno l’anno scorso, ricordi? Sherlock adora quel posto. Poi oggi è una giornata così bella, stare all’aria aperta sarà sicuramente…” Non riesci a comprendere le ultime parole masticate tra le sue labbra. La sua voce si è fatta via via sempre più fievole, più lontana, finché un unico ‘click’ ha accompagnato il suono di panni scoordinati tra loro. Tacchi, scarpe da ginnastica, scarpe eleganti. Un’ unica sinfonia di note scomposte udibile solo a te. Un’ opera che non vi appartiene e perde tutto il lustro con l’avanzare del tempo. Una dedica orribile.
Poi non hai avuto altro che il silenzio.
 
Una goccia all’improvviso bagna il vetro e, sollevando il braccio, lasci cadere dalle tue spalle le coperte per inseguire in punta di dita quella scia trasparente che si rinnova a ogni centimetro.
C’è solo il silenzio.
In questa stanza
Tra voi
I- in Sherlock…
 
Era capitato in passato, sì, ma mai con questa frequenza. Sono mesi che non fa altro che resta in totale silenzio durante il giorno per poi urlare con tutto l’ossigeno che quel corpicino riesce a trattenere gli incubi che gli porta la notte.
Ha perso peso. Ha le occhiaie.
Sai che tutto questo è una logica e drammatica conseguenza di un trauma che è impossibile da superare da soli ma quando percorri il corridoio e lo osservi con gli occhi spalancati intenti a studiare quel vuoto anomalo riempito un’eternità fa da una cornice di legno e una famiglia felice e sorridente, ti rendi conto che tuo fratello è ancora lì.
Sotto le macerie di una casa che non esiste più.
Sotto le mani giunte di tue padre intento a pregare.
Sotto le lacrime di tua madre che urlava i vostri nomi.
Sotto la voce di una bambina che cantava e ora non c’è più.
Lui è ancora lì. Ricorda.
È ancora tuo fratello, il tuo piccolo Sherlock: troppo vispo e innocente per una vita che non si è voluta adattare. Ma puoi ancora sperare.
Non deve essere tutto finito. Non ora, non qui. Doveva esser tutto diverso, doveva… dovevi fare più attenzione, essere il primo a poter capire. Invece che hai fatto? Hai ignorato tutti i segnali che ti venivano spiattellati in faccia.
Stupido. Idiota.
Riprendi la coperta ancora sul materasso e te la stringi nuovamente sulle spalle. Pesante, calda.
Le gocce continuano a lasciare sempre più velocemente nuove scie sul vetro.

 
Due… tre… quattro…

Quattro. Ora siete solo quattro. E non c’è niente che tu possa fare per ritornare indietro.
Nascondi il viso tra le ginocchia tremanti riempiendo il silenzio con i tuoi singhiozzi.
Ti hanno strappato di dosso anche la vita.
Quattro.
 
 
________________________________________________________
 


 
 


Pablo Picasso, Poveri in riva al mare, 1903. Durante il periodo blu, il pittore si avvicinò al tema della morte (a seguito del suicidio del suo miglior amico, Carlos Casagemas) nei suoi dipinti che fu fortemente caratterizzato dall’uso di figure solitarie e malinconiche. È quindi simbolico osservare questo gruppo familiare che, nonostante sia composto da individui che fisicamente sono vicini, si abbraccino da soli rinchiudendosi in se stessi rendendo l’incomunicabilità tra i personaggi il reale soggetto dell’opera.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** faces. ***




faces.
 


Come zio Rudy riesca a restare vicino al camino per la maggior parte della giornata senza portare con sé l’odore del fumo, per te resterà sempre un mistero. Continui a strofinarti le mani sotto l’acqua ghiacciata e cerchi di concentrarti sul sapone alla lavanda che continua a scivolarti tra le dita.
La lavanda. Mamma ne teneva sempre una piantina nelle vicinanze continuando a dire quanto fossero importanti i suoi benefici- rilassante, capace di donare la calma. Forse avresti dovuto regalarle una pianta bella grossa per il suo compleanno, avrebbe sicuramente apprezzato di più.
Guardi il tuo riflesso nello specchio del bagno. Preferiresti nasconderti oggi, accovacciato sotto le lenzuola del letto con gli auricolari pronti a proteggerti da qualsiasi parola. Invece indossi il tuo completo migliore, nascondendo ogni piccola imperfezione possibile e passandoti le mani tra i capelli.
Sarebbe facile dire che non c’è nulla da temere, che devi abbracciare ciò che di positivo c’è nella tua famiglia ma sai che sono tutte bugie per cercare di controllare al meglio la situazione. È estenuante vivere con quest’ansia. Se ripensi ai commenti di Sherlock su zio Rudy lo scorso anno, ti s’infiammano ancora le gote.
Con calma, Mycroft. Meglio ben vestito e in ritardo, che in orario e… neanche per sogno.
Ti mordi le labbra aprendo l’armadio. Sarebbe azzardato, quasi eccessivo, presentarsi con le scarpe nere in pelle che usi per gli incontri importanti. Sono per gli sconosciuti, per dare una buona impressione. Diventi poco più alto, abbandonando tutta la goffaggine che ti costringeva sotto la chioma di un albero piuttosto che per i prati, pronto a sudare.
Urgh.
Tiri immediatamente fuori le scarpe perdendoti in un rituale di odori e colori dedicati solo a te.
 
Scendi le scale con passo lento e misurato mentre il cappotto è perfettamente piegato in due sul tuo braccio sinistro. Sei chi scegli di essere, non quello che gli altri pensano di vedere; continui a ripeterti a ogni gradino.
Sistemi un’ultima volta i polsini della camicia voltandoti verso il salone. Le luci dell’albero di Natale restano ancora lì accese, in un gioco di gialli e verdi che si susseguono e il volto di zio Rudy rapito da una tale meraviglia. È l’unica, gentile frivolezza si sta concedendo in questi tempi. Sorridi nel vederlo così sereno.
Il ticchettio dell’orologio distoglie la sua attenzione trovandoti appoggiato all’uscio della porta. Raddrizza la schiena, tossendo imbarazzato. Affonda le mani tra le tasche del suo cappotto marrone e tira fuori due pacchetti. Quadrati, piccoli e discreti. Degli scatoli?

- Per te-.Non riesci a dire nemmeno una parola. Ti avvicini meccanicamente verso di lui che continua a porgerteli. Non hai fatto niente che valesse la pena di essere celebrato in questi ultimi mesi, non hai fatto nulla, solo rispettato gli standard che ti eri prepos-

- So di star interrompendo un’ovvia ma non meno interessante sessione di deduzioni ma per una volta cerca di fermare questo flusso di pensieri e scarta questi regali. E fallo anche in fretta, direi. Non sono molto sicuro che Sherlock apprezzerebbe nel vederti ricevere più regali di quanti gliene darò io quest’anno.-Sorridi imbarazzato mentre prendi il primo pacchetto che ti viene porto.

- Posso?-

- Certamente.- Zio Rudy continua a osservarti mentre, con le dita ancora tremanti, sciogli i nodi del nastro e strappi la carta da regalo lasciandola sulla prima superficie a disposizione. Sì, è uno scatolino. Blu delle iniziali incise in grigio. Le tue.

- Mycroft aspetta. Prima di aprirlo, scarta anche quest’altro.-Riprende lo scatolino tra le sue mani mentre ti lascia scartare l’altro. Blu, iniziali in grigio. Di nuovo.
Sono perfettamente uguali. Non c’è nessuna differenza né nella misura né nella tonalità di colore.
Lo guardi confuso.

- Ora - dice zio Rudy sedendosi sul divano – poggiali uno vicino all’altro sul tavolino. Poi apri quello che preferisci.-Sei ancora più confuso. Abbassi la testa e apri quello che avevi appena lasciato.
Una coppia di gemelli. Bianco e argento che si accompagnano e, anche se non sono sfarzosi, è evidente che zio Rudy non abbia badato a spese.
Apri l’altro. Un’altra coppia di gemelli. Nero e argento.

- Vedi Mycroft, nella vita tutti noi dobbiamo fare delle scelte. Per molti sono pazze e secondo la loro modesta opinione, ci definiranno per sempre come esseri crudeli e senza cuore ma non essere mai certo che loro abbiano ragione e tu no. Anzi, spesso siamo noi ad avere il coraggio di fare quello che gli altri non hanno nemmeno la ferocia di pensare. Se lasciassimo a loro la comodità di prendere decisioni al nostro posto, non saremo mai chi vorremmo diventare. Ma ricordati una cosa, ragazzo mio: a un certo punto, se non sarai cauto e coscienzioso abbastanza, diventerai chi fai finta di essere. Diventerai il risultato di una scelta che hai fatto in passato. Se è bella, diventerai un uomo stimato da tutti ma se sbagliata… devi essere attento. Non lasciarti ingannare da nessuno e non lasciare che nulla a questo mondo ti soffochi completamente. Nolite te bastardes carborundorum.-Chiudi gli occhi e copri con i pollici due lacrime che prepotentemente minacciano di scendere. Almeno lui, nonostante tutto, c’è. C’è e non ti chiede nulla in cambio, non vuole altro che non sia il tuo benessere.-

Nessun urlo, nessuna discussione. Solo parole che ti entrano nel cuore e lo riempiono.
Sì, la vita può essere un insieme di scelte. Scelte che ancora hai paura di fare, che mormori nel cuore della notte per poi apparire più sicuro la mattina dopo senza che nessuno noti l’ombra leggermente più scura che accompagna i tuoi occhi. Ma sono scelte perfette. Perfette perché tue, perché non smetti nemmeno un momento di crederci.

- Grazie mille zio, lo apprezzo davvero tanto.- dici mentre sorride di fronte alla tua commozione. Esiti un’ultima volta prima che possa rialzarsi -… quale pensi che dovrei mettere oggi?-

- La scelta sta a te, Mycroft. Posso solo aiutarti ad indossarli.- 

I gemelli risaltano perfettamente contro i vestiti. Zio Rudy termina di raddrizzarne uno. Ha quasi terminato ma con la coda dell’occhio noti qualcosa. Gli fermi il polso con delicatezza e gli sussurri. – Zio, prendi un attimo l’acetone.- Ti guarda incredulo, sbigottito per poi seguire il tuo sguardo e sussultare appena lo nota.
In silenzio recupera tutto il necessario. Lasci che la leggera scia fucsia resti sull’ovatta lasciando libera l’unghia. – Temo che se non ci travestissimo a dovere, queste armature potrebbero crollare molto più velocemente di quanto crediamo.-
 
Il suo respiro incerto ti fa stringere di più la presa sul suo polso.
 
- Grazie.- 
 
 
______________________________________________________



 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 400. ***




400.
 

 
‘’Abbiamo avuto davvero tanta pioggia questo Giugno.’’
Kacey  impallidisce di fronte alla quantità imbarazzante di appunti che colma lo spazio tra voi due. Alza lo sguardo verso di te, avvilita, prima di sbuffare per la quarta volta nella prima mezz’ora.
Sarà una giornata lunga.
 Ti porti una mano sul viso, facendo forza sulla tua fronte. ‘’ Già.’’ La chiave è concentrarsi sulla pressione, ti ripeti, non sul senso di nausea. Inspiri profondamente.
 

Inizi a rovistare tra le tue cose e lei, notando i tuoi movimenti, sospira sommessamente. L’ha capito. Siete ben consci di quanto siano severe  le regole della biblioteca ma alla fine la tua non è altro che un’offerta. Certamente non è colpa tua se appena tiri fuori i soliti biscotti, lei te li strappa quasi di mano e inizia a mangiarli non riuscendo a trattenere le risate. È una sua scelta. E sai che anche se lei continuerà a insistere per dividerli, tu rifiuterai. Così come hai declinato ogni suo invito per eventuali pasti: lei ti gira gli appunti di Mr. Sanders senza che tu debba trovare un’escamotage per seguire due corsi in contemporanea e lei sfrutta i tuoi.
Uno scambio favorevole, nient’altro.
Nel frattempo, lei accavalla le gambe lasciando che le briciole cadano e si morde un labbro di fronte a quel pubblico così semplice e ignaro. Persino il modo in cui rigira la penna tra indice e medio, riesce a incantarti tanto da non restare a fissare più il pavimento. Ti passi una mano contro la giacca, graziosamente larga. Qualsiasi cosa, se costellata da tanti piccoli sacrifici, può portare ai risultati desiderati.
Il colpo gentile di un ginocchio contro la coscia ti distrae da questi pensieri. “Dai, spostati un po’ o mi beccano un’altra volta” e lasci che ti tenda la mano per abbandonare al più presto quell’insolita scena del crimine. Se avessi dovuto permetterle di essere la tua unica fonte di conoscenza, sei certo che la tua media scolastica sarebbe vacillata pericolosamente. Ma sorridi, lasciandola nell’ingenua convinzione della tua ignoranza, e le permetti di puntare verso primo posto libero da occupare.
Stringi gli occhi. Ti senti tramortito, quasi come se fossi stato colpito da un’onda.
È possibile che tutto possa iniziare a essere così- orizzontale e instabile?
Prima che tu possa raggiungere qualsiasi posto a sedere, il boato di alcuni libri attira la tua attenzione. I tuoi. È l’ultima cosa che riesci a ricordare.
 
Senti delle mani afferrarti la testa e alzarla quanto possibile mentre qualcuno continua a ripetere il tuo nome. A tentoni provi a muovere la dita della mano destra ma una presa salda te lo impedisce. Apri gli occhi e la prima persona che ti osserva è Kacey che si rilassa immediatamente.
“Mycroft mi stavi spaventando a morte…”
Senti altre voci circondarti, altre mani afferrarti. Cerchi di ritrarre la mano da lei ma ti risulta davvero impossibile. Senti il loro sguardo su di te e il chiacchiericcio farsi sempre più insistente. Azzardi nel cercare sostegno dalla tua mano sinistra sul pavimento, sollevandoti bruscamente. “Non è stato nulla, tranquilla. Solo un calo di zuc-“
Prima di svenire di nuovo, la senti urlare il tuo nome.
 

Ci vuole tutta la pazienza di Mrs. Reid per fermare Mr. Moore nel chiamare casa tua. “Certe volte mi chiedo davvero se ti ricordi i tempi in cui sei stato uno studente” l’ha rimproverato “ Il periodo degli esami è delicato e difficile per tutti e avere dei cali di pressione è la cosa meno insolita a cui si possa assistere”. Si volta verso di te, con un sorriso che le illumina le rughe e gli occhi nocciola. L’espressione tipica delle nonne, non di una bibliotecaria. “Su giovanotto, finisci di bere e poi esci a prendere un po’ d’aria fresca. Non hai idea quanta voglia di scappare possa portare tutta questa polvere sui libri. Se potessi, lo farei molto più spesso di quanto tu possa pensare”.
Quindi ti sei ritrovato gentilmente spinto verso il cortile con un’ombra più bassa che seguiva ogni tuo passo. Deglutisci, pensando al bicchiere semivuoto lasciato su quella scrivania.  Senti ancora il peso di ogni singolo granello di zucchero sostare sul tuo palato. Vorresti correre in camera tua e nasconderti tra le coperte.
Kacey continua a osservarti lasciando che i libri restino abbandonati sull’erba. Hai bisogno di combattere ogni fibra del tuo essere per non fiondarti a riprenderli e poggiarteli sulle gambe. Al coperto, come meritano di essere.
Ma sei troppo stanco e tutto quello che puoi fare è restare immobile contro lo schienale della panchina.
“Mycroft… cos’è successo?”
Inspiri.
Dai, non è difficile mentire.
“Mi sa che non ho fatto abbastanza attenzione a pranzo e non ho assunto zuccheri a sufficienza”. Semplice, parzialmente vera, totalmente plausibile. Perfetta.
“Tutto qua?” continua a parlare osservando due ragazze scambiarsi un bacio sotto l’ombra accogliente di un albero. “Se non ci avessi fatto caso… e non lo dico perché dovresti restare in un angolo a guardare qualsiasi cosa io faccia… ma anche io uso la mensa, sai?’’ si stringe un polso, per poi sfregare le mani l’una contro l’altra. “ Sono settimane che non ti vedo lì, che t’invito fuori e non vuoi venire ma, soprattutto non ti ho mai visto toccare qualcosa che non sia una bottiglia d’acqua-”
Senti il cuore esploderti nel petto. “Magari ci siamo andati in momenti diversi e non ci siamo semplicemente incrociati” lasci che un sorriso sbieco e veloce ti dipinga il viso. “ Cosa vuoi che ti dica? Non sono mica…”
Ti volti per guardarla in viso e i suoi occhi rossi bruciano ogni parola che stavi per dire.
“Mica cosa? Mycroft, pensi che non abbia capito che i biscotti che porti in biblioteca ogni giorno, sono quelli che dovresti mangiare ogni mattina? Non pensare che sia stupida, non pensare che non ti capisca. N-non lo f-fare perché io ci sono…” si asciuga le lacrime mentre continua a parlare “… capisco cosa si possa provare, Mycroft. E posso capire molto di più di quanto gli altri possano pretendere di sapere”.
 

Senti lo stomaco, la gola, persino la voce diventare meccanici e freddi. “Kacey, non so cosa tu stia alludendo ma sto… bene”.  Stringi le braccia contro lo stomaco.
Non puoi lasciar trapelare nulla, nessuno può permettersi di sapere nulla.
Non sarebbero in grado di capire che cosa stai provando. Non l’hanno fatto quando le cose sono state palesi, come potrebbero farlo ora? Come potrebbero raccoglierti dal casino che sei diventato e aspettarti niente se non urla  e persone che parlano di te all’una di notte di nuovo?
Come puoi pretendere di poter essere amato e protetto se non ci hanno mai provato nemmeno quando era semplice?
Non puoi. Quindi perché continuare a parlare?
 

Vedo come stai. Vedo come tu mi guardi ogni volta che mangio… ma riesco soprattutto a sentire quanto, nonostante tu non voglia non voglia mostrarlo, tutto questo ti stia pesando.”
“ Non ne hai idea.”
“ Invece sì. Guardami. Guardami, ti prego. Guardami come hai guardato Thomas il primo giorno di scuola e dimmi se ti sto mentendo quando ti dico che riesco a vederti. Ti giuro che non dirò nulla. Non sono come lui, non ti colpirei mai.”
Sollevi lo sguardo verso Kacey e lasci che il tuo gioco di deduzioni prenda il sopravvento sui suoi capelli lunghi e le mani forti. Non sai perché lei voglia insistere in questo modo per fartelo dire ad alta voce. Perché dovresti dirlo a lei e non ad altri. Perché a Kacey… con le sue unghie rovinate… e gli appuntamenti dal dentista sempre più frequenti…
Senti le sue braccia stringerti più forte mentre, in ginocchio, le stringi la vita tremando come una foglia.
“So che cosa significa svegliarti e pensare che la colazione non sia altro che quattrocento calorie che stanno per devastarti il corpo. Ti vedo, Mycroft e ti prego, t-ti prego… non provare nemmeno a immaginare di voler sparire.”
Per un attimo è tutto muto e avvilente. La senti piangere per se stessa… e per te.
Per te.
Lei sta piangendo per te.
 

 
Quattrocento.
Un giorno non saranno più delle calorie contate con l’ansia nel cuore. Saranno i passi lontani da questo tunnel.
 

Kacey posa un bacio sulla tua fronte e ti promette che da questo momento in poi andrà tutto bene. È una lotta che finora hai combattuto in silenzio, senza nessuno che potesse davvero capirti.
Sì, finora.
 




 





_______________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** journal. ***


 
Journal.
 


Abbassi la maniglia, strattonandola più volte. È chiusa.
Da solo, finalmente.
Ti abbandoni contro la porta con un sospiro di sollievo. Non riuscivi più a restare in cucina con tutte quelle domande pregne d’aspettativa che ti venivano rivolte. Ti sei sentito pari a un poliziotto pronto a dover fare rapporto in un caso di estrema importanza descrivendo minuziosamente fatti e dettagli. Ad ogni passo, ogni virgola che non seguiva una loro idea pre-impostata, ti veniva chiesto gentilmente di digredire, descrivendo tutte le possibili cause e conseguenze. Come se non ti fosse mai stato chiesto di ponderare una decisione.
Se solo sapessero.
La loro è pur sempre una preoccupazione dettata dalla vulnerabilità genitoriale, hai continuato a ripeterti. Ma tanto è più grande l’obiettivo che si vuole raggiungere, tanti saranno i sacrifici da dover fare.
Un’ora dopo hai abbandonato la cheescake a malapena assaggiata fingendo un mal di testa e sei corso su per le scale dicendo di voler riposare per un paio d’ore.
In totale, assoluto e pacifico silenzio.
Finché non inizieranno nuovamente.
Sei stremato.
 
 
Rabbrividisci contro il gelo della stanza. Ricordavi che da bambino adoravi nasconderti sotto le coperte più pesanti che avevi eppure non ricordavi tutto un freddo così pungente. Riprendi la vestaglia, sfregando i palmi contro il tessuto spesso e morbido.
Ti sgranchisci il collo, voltandoti verso la finestra e sobbalzi di fronte alla tua immagine alla finestra. Eri così basso l’ultima volta che sei entrato qui che credevi di non poter raggiungere neanche l’altezza del cornicione. Ora ti guardi, ti sistemi meccanicamente il ciuffo, ma non riconosci chi è quel giovane uomo riflesso.
Sei al centro della stanza, circondato da una penombra che non ti è più familiare. Questa non è più camera tua. È così strano che tu riesca a notarlo solo ora- dopo anni, dopo che ti sei concesso il lusso di fermarti e restare lì a osservare.
Porti le mani vicino alle labbra e, invano, provi a riscaldarle con il tuo respiro.
Assurdo. Alcune cose non sono cambiate per nulla: ci sono ancora le conchiglie agli angoli della scrivania che ti ricordano quelle infinite e caldissime estati al mare, la lampada con i suoi pizzi ingialliti e la pila di libri con le copertine usurate ma che non hai mai letto.
Lo farò quando avrò tempo. Quante volte te lo sarai ripetuto? Invece di tempo non ne hai mai trovato. È corso via, molto più veloce di te o di chiunque altro, pronto a ricordarti che ormai sei cresciuto e che è arrivato tempo di maturare.
Attentamente prendi la tua copia del “L’importanza di chiamarsi Ernesto”. È uno dei ricordi che ti sono più cari. Una piccola recita scolastica, era iniziato tutto così. Se non fosse stato per Mr. Cox ti saresti accontentato del ruolo più marginale possibile. L’ importante era raggiungere i crediti scolastici necessari.
Dopo anni ringrazi ancora la sua testardaggine.
Non avresti mai pensato di poter amare così profondamente stare sul palco. È paralizzante l’idea di restare lì, di fronte a tutto e tutti coperto da abiti e trucchi che non sono i tuoi a esternare pensieri così variopinti. Eppure ricordi vividamente la luce che dai proiettori ti riscaldava il viso e il cuore che ti batteva a mille. Brillavi sotto agli occhi di tutti che, incantati, ti seguivano come avrebbero fatto con un vero artista.
Eri al centro del mondo ed eri amato.
Sfogli gli altri libri, osservandone strappi e orecchie.
Assottigli lo sguardo, sentendo già il flusso di pensieri partire con prepotenza.
Queste non sono usure dovute certamente dal tempo ma da letture continue negli anni. Molto frequenti, quindi fatte da qualcuno che abita in questa casa- qualcuno di famiglia. Letture solitarie, piegate ripetutamente sugli stessi margini. Molto probabilmente fatte da un’unica persona. Per svago. Non trattano temi medici o giuridici che possano essere utili in un’eventuale professione. Diverse frasi che si accostano alle filosofie esistenzialistiche con varianti inerenti all’ascetismo sono evidenziate più volte. Non è svago, quindi, è solitudine. Eppure queste non sono le condizioni in cui tu avresti mai trattato i tuoi testi. No, tu non li hai toccati nemmeno una volta. L’unico capace di ridurre un libro in questo stato in famiglia è sempre stato-
Oh, Sherlock.
Vorresti quasi non averlo dedotto.
 
 
La dovresti smettere di procrastinare ricordando anime e storie dietro ad ogni oggetto, lo sai. Dovresti aver iniziato già questa mattina ma questo nodo alla gola sembra strozzarti.
Non dovrebbe essere così difficile.
Sei ritornato qui, “a casa tua”, a dover impilare parte di te in pochi scatoloni.
Sei ritornato per dover fare una cernita di tutta la tua vita e lasciare che ciò che non hai considerato strettamente necessario resti qui a marcire per sempre. Una parte di ciò che ti ha formato, che ti ha aiutato a crescere, svilupparti, fiorire sosterà qui, d’ora in poi. Eterno, immobile e silenzioso- come un’aggraziata sposa in una novella di Dickens.
Pronto a deteriorarsi sotto il lento giudizio del tempo.
Ci sono cappotti e camicie che ormai non sono più della tua taglia. Ti stringe il cuore vederli lì, appesi, come se non fosse cambiato nulla. Ma la verità è che tu sei cambiato.
Devi intraprendere la tua strada.
Apri le ante dell’armadio e, inginocchiandoti, dal fondo della cassettiera inizi a spostare lenzuola e federe, pregando che nessuno abbia avuto la malaugurata idea di voler spostare le tue cose. In verità, più della metà dei tuoi vestiti sono ancora in valigia, come se da un momento all’altro dovessi prepararti a scappare, ma l’unica cosa che conta è in fondo a quel cassetto di mogano. La copertina senape, con gli anelli neri in ferro nasconde te stesso al mondo. Raccogli il tuo journal e risistemi tutta la confusione.
Solo un altro minuto di pace, vi prego.
 Non lo potresti definire un diario (come se tu fossi così sciocco da descrivere per filo e per segno cosa stai vivendo). Solo l’idea di tua madre che legge, col suo sorriso sornione, sfumature d’idee e avventure che non hai nemmeno osato immaginare, ti stringe lo stomaco. Non vorresti essere così drastico ma è così semplice pensarlo che non puoi far altro che prendere tutte le precauzioni possibili.
Quindi no, niente inutili sentimentalismi.
È solo un’abitudine che hai coltivato negli anni. Una semplice e lineare raccolta d’idee, immagini e citazioni. Nulla che possa suscitare stupore o deduzioni affrettate.
Appartiene solo a te e ti fa stare bene.
Restare lì, seduto, impugnando una penna e citare Oscar Wilde o Virginia Woolf ti fa sentire- forte. Le loro parole s’incastrano sotto le tue dita e non ti spaventano più i nuovi confini che ha assunto il tuo cuore. Anche ritagliare un’opera d’arte e lasciare che la Venere di Velázquez possa adagiarsi tra le pieghe dei tuoi pensieri e possa essere nascosta dal biglietto della prima play che hai visto insieme a… a lui, è diventato tanto naturale quanto necessario.
Afferri la penna e inizi a riempire qualche pagina.
Quant’è dolce poter affondare in te stesso.
 
 

 
Non ti sei neanche accorto di quanto tempo sia passato, finché non ti ritrovi costretto a dover accendere la luce della lampada. Il sole è ormai tramontato da un po’ e si sta avvicinando l’ora di cena.
 “Mycroft, Sherlock è pronto per la cena, sbrigatevi!”
Come volevasi dimostrare.
Segni una ‘x’ al termine della pagina ma proprio mentre stai per richiudere tutto con un movimento brusco dell’avambraccio, non fai in tempo a riprenderlo che cade lasciando a terra tutti i ritagli più recenti insieme alla tua foto di laurea. Una foto in bianco e nero. Molti potrebbero pensare che appartenga a qualche membro più anziano della tua famiglia ma la verità è che hai sempre trovato affascinante poter spogliare un’immagine della sua tavolozza originale e poterne cogliere l’essenza. Quindi ci sei tu, ritto e sorridente nella tua toga, mentre stringi il tuo cappello di laurea. Felice. È perfetta. I tuoi genitori, allo stesso modo, hanno riposto l’originale nell’album di famiglia.
Toccandola, senti sul retro una consistenza strana, quasi di cartapesta. La rigiri e quattro petali rossi sono attaccati intorno alla tua grafia che nell’angolo a destra recita:
“ Puoi essere tutto quello che vuoi”.
La frase che tua madre, orgogliosa, ti sussurrò mentre ti porgeva i fiori.
Un sorriso ti dipinge di riflesso il viso.
Non la ricordavi più.
Cosa daresti per ritornare indietro.
“Mycroft, sbrigati a scendere!” la voce non più acerba di Sherlock inizia a chiamarti. Volgi gli occhi verso la scrivania e sorridi amaramente verso quei libri che non possono consolare i tuoi occhi lucidi. Sai quanto sia arrabbiato con te e con che forza tu gli abbia devastato il cuore. È così giovane, troppo giovane ed egoista da non capire che anche tu meriti di trovare una strada felice. Hai visto con quanta ferocia Sherlock stia cercando qualcosa a cui appigliarsi per poi assorbirla totalmente. Vuole sentirsi parte di qualcosa che lo possa arricchire e completare. Qualcosa che lo faccia sentire vivo… ma non sa neanche a cosa voler fare riferimento e tantomeno da dove iniziare.
Preferirebbe tagliarsi la lingua piuttosto che esternarlo.
Raccogli tutto e ripieghi nuovamente le lenzuola con il massimo della meticolosità. Sistemi i polsini, rimuovi l’inchiostro tra le dita e raddrizzi la schiena. Niente che le sue deduzioni possano comprendere. È tuo fratello, gli vorrai bene per sempre. Daresti la via per lui.
Non puoi permettere, però, che la tua vita sociale, romantica e sessuale possano diventare la sua nuova ossessione ferendoti ogni volta che vuole.
“Sì, arrivo”.
Rigiri la chiave nella toppa ed esci fuori.
È tempo di andare e ricominciare.
 



 
 


 
__________________________________________

 
*  Venere di Velasquez: “Venere e Cupido” è un quadro dipinto da Diego Velázquez ed è conservato alla National Gallery di Londra. Il dipinto rappresenta il simbolo della fugacità della bellezza e della vita.
* "Aggraziata sposa in una novella di Dickens" : Miss Havisham, personaggio tratto da “Grandi speranze” di Charles Dickens. Miss Havishman si innamorò perdutamente di un uomo che era, però, interessato solo alle sue ricchezze. Mentre indossava l’abito da sposa, lei  ricevette una lettera da Compeyson e capì di essere stata raggirata ed abbandonata sull'altare il giorno delle nozze. Da quel giorno in poi rimase chiusa in casa da sola nella sua enorme dimora in decadenza, non togliendosi mai l'abito da sposa.
* Oscar Wilde e Virginia Woolf sono delle personalità note che fanno parte della comunità LGBT.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 404. ***





404.
(error not found)
 

 
A mia madre,
tanto preziosa quanto fragile.
 



Sei riuscito addirittura a prenderlo in braccio. Tu, tu che hai sempre detestato l’attività fisica, quello debole che mai si è azzardato all’idea di dover sollevare qualcosa che non fosse stata la legna per il camino della casa dei vostri genitori, con più cervello che muscoli; ti sei ritrovato a sollevare tuo fratello in preda agli spasmi.
Tremante e impaurito come le notti in cui lo andavi a riprendere dalla culla per farlo smettere di piangere. Ma ora è un giovane uomo e i suoi occhi sono tinti da molto più dolore. Più di quanto ne possa sopportare. Più di quanto tu ne possa prendere e gestire.
Il suo viso esangue, le lacrime agli angoli degli occhi e le siringhe ai piedi del materasso. Ti ha stretto l’avambraccio perdendo anche l’ultimo spiraglio di lucidità. La testa si è rivolta all’indietro sul materasso facendo alzare una quantità immane di polvere. L’arancio del tramonto ha cozzato contro i suoi lividi scuri, così scuri che i suoi capelli al confronto sembravano pallidi e la stanchezza, improvvisa e minacciosa nelle sue palpebre ormai abbassate, gli ha pervaso il corpo come il più vittorioso dei nemici.
Mentre tu, lì, dovevi fare i conti con la tua coscienza e i tuoi errori.
Non sai nemmeno come siete arrivati in ospedale. Hai corso, hai corso con tutta l’anima che ti vibrava dentro. Tuo fratello con gli occhi rivolti all’indietro e tu con la voce ridotta a un’increspatura di suoni quando ti hanno chiesto di dare tutte le sue generalità. Come se fosse carne da macello, da etichettare e spedire nel settore adatto.
Sono stati rapidi, gli infermieri. Ti hanno fatto domande, si sono scambiati qualche occhiata allarmata, necessariamente distaccati dalla tua disperazione. Hanno portato Sherlock via da te, lasciandoti sedere su una sedia di plastica chiedendoti di aspettare.
Hai sentito sbattere qualcuno contro la tua spalla ma eri troppo saturo per voltarti e dire qualcosa. Sentivi solo gli occhi pesanti, le mani leggere e i piedi che ti trascinavano dritto all’inferno.
 
Ormai è notte fonda. Resti qui ad aspettare senza nessuna risposta.
Tutto è così stonato, così inesatto, così… ingiusto. Perché doveva succedere proprio a Sherlock? Perché doveva essere lui quello che ora doveva trovarsi su un letto d’ospedale a combattere contro la morte?
Un paio d’ore fa una donna è passata stringendo tra le mani un rosario. Sei stato così tentato dal fermarla e chiederle se proprio questa fosse la ‘giustizia divina’. Se fosse proprio il desiderio di un qualsivoglia dio a volere che un ragazzo così giovane debba star lì, in una sala operatoria. O la giustizia divina è tale finché non colpisce chi ami?
Ma lei non ti ha nemmeno notato perché è andata ad abbracciare suo marito su una sedia a rotelle.
Invece tu sei rimasto qui a osservare il cielo incupirsi minuto dopo minuto.
Vorresti non sapere come siete arrivati a tutto questo. Vorresti alzate le mani e dire al resto del mondo che non ne hai colpa, che sei innocente e non avresti mai pensato a un’azione del genere. Che era impossibile che Sherlock finisse in un circolo vizioso del genere.
Ma è come se gliel’avessi ficcato tu quell’ago sottopelle. Come se avessi dosato sadicamente ogni goccia per ottenere la sofferenza più atroce possibile e aver prontamente scelto già il velluto migliore per la sua tomba.
Fai schifo, ecco cosa.
Un misero, orrido e deformato errore.
Te ne stai qui a stringere il suo cappotto tra le mani, anche se non lo meriti. Qui, in una sala d’attesa dove nessuno profana il silenzio. In una comunione di dolore, dove nessuno osa porsi un passo in avanti e ci si limita a percorrere mille volte un corridoio nell’attesa di un dottore che si asciughi il sudore dalle tempie e possa dire che “è andato tutto bene”.
Te ne sta qui, come un bravo soldato, aspettando che quel bene possa arrivare davvero.
 Te ne stai qui, ripetendo a te stesso che, sì, deve andare tutto bene. È un ragazzo impulsivo ma troppo sveglio e intelligente per superare il limite dell’azzardo.
Andrà tutto bene, ti ripeti. Ma non puoi far altro che nascondere il viso nel suo cappotto e pregare che non sia l’ultima volta che tu senta il suo profumo.
 
Andrà tutto bene.
 
 
 
“Figliolo, sei sicuro di star bene?” Sobbalzi, quando una mano si posa sulla tua spalla. Una donna si siede accanto a te, con il viso paffuto affondato nella sua sciarpa gialla.
Ti guardi intorno a fatica, sperando che si sia semplicemente confusa.
Ma ci siete solo voi due.
“Mi scusi, penso che lei mi abbia semplicemente confuso con un’altra persona” le mormori, allontanando il resto del cappotto dal tuo viso. “Temo di non conoscerla”.
Ti sorride, spostando una ciocca bionda dietro l’orecchio. “E io temo che tu abbia tremendamente ragione ma restando qui ci facciamo tutto compagnia. Giovani e meno giovani ”.
 Aggrotti la fronte. Proprio a te doveva capitare un soggetto del genere? Proprio ora? “Mi scusi ma non capisco perché lei voglia parlare con me. Non voglio essere scortese ma sto aspettando che una persona esca da lì”. Le dici, indicando la sala operatoria, nel vano tentativo di sentirti libero da parole e discorsi. Hai solo bisogno di restare qui con il tuo dolore.
Chi potrebbe mai capirti?
“Oh, mi dispiace”. Lei continua a guardarti, pacifica e sorridente, come se ti avesse incontrato in un teatro e si stesse intrattenendo durante un intervallo. Non come se foste entrambi in un ospedale a disagio in un ambiente troppo sterile. Guarda verso la finestra che hai osservato per tutta la notte, per nulla disturbata dalla tua perplessità. Fa un respiro profondo prima di continuare. “Sai, stanno facendo un check up a mio… a un… oh, non sono la sua madre naturale ma l’ho cresciuto per così tanto tempo che mi ci sono tanto affezionata”. Abbassa lo sguardo, giocherellando con un bottone del cappotto avorio.  “Proprio ora, non molto distante da qui. I dottori mi hanno guardata e mi hanno detto letteralmente  di ‘andarmi a fare un giro’. Così eccomi qui, a farmi un tour per tutti i reparti. Sarà questo l’effetto che fanno gli ospedali. Ti dicono di far qualcosa e sei lì, pronta a fare di tutto pensando di compiere il gesto che salverà la situazione. Anche se, ripensandoci, la mia non è stata la più saggia delle mosse”.  Ti sorride, alzando di poco il mento. “ Ha più o meno la tua età, sai? Sono anni che cavalca e all’improvviso è bastato così poco che tutto si è capovolto. Ancora non ci credo che siamo stati così fortunati. É stato davvero un miracolo”. Arricci le labbra, pur di non dirle qualcosa di spiacevole. È stata solo fortuna mista a coincidenza ma perché farle credere altro? “Invece tuo padre come sta?” dice, abbassando lo sguardo sul cappotto che stai stringendo.
Di riflesso, lo guardi anche tu.“Oh.. no, no è mio fratello minore. Sette anni più piccolo. N-non si è sentito bene e ora è in rianimazione…” Non sai quanto sia giusto da dover dire e quanto sia meglio da celare. Eppure lei è qui che ti guarda, una donna che non conosce nemmeno il tuo nome e vuole solo stare qui ad ascoltarti. Una madre che c’è e a suo modo vuole solo trovare un po’ di empatia in qualcuno. Qualcosa da condividere, una lacrima da rendere più leggera.“Sa, sicuramente sarà sorpreso di riuscire a sopravvivere a tutti questi giorni in ospedale. In fondo lui…” ti mordi un labbro, masticando le parole che vogliono subito uscire mentre senti gli occhi lucidi e la lingua attorcigliarsi. “ha sempre avuto paura degli aghi, non so proprio come ci crederà a tutta questa storia”.
 “Oh caro, credimi che andrà tutto bene”. Senti la sua mano, tiepida, poggiarsi nuovamente sulla tua spalla. Non sai che cosa ti stia accadendo, se è tutto dettato dalla stanchezza o dalla paura che ormai ti ha stordito tanto da non darti più spazi per pensare, ma all’improvviso una sensazione di pienezza e tranquillità ti pervade insieme a una strana sensazione di caldo improvviso. Ma non come quello di un fuoco che arde, anzi. Molto più simile a una candela. Un calore timido ma costante. “ Abbi fede in quello che sta accadendo in quella stanza perché tu fratello ne uscirà sano e salvo. Ci sono piani per ognuno di noi. Sono le Sue mani a decidere. A proposito, come vi chiamate entrambi?”
Ti volti verso di lei, porgendole la mano, imbarazzato per non essere stato nemmeno il primo a presentarti.“Io sono Mycroft e mio fratello è Sherlock”.
Le palpebre si sollevano, facendo sembrare i suoi occhi azzurri enormi. “Pish posh ma che nomi singolari! Immagino che i vostri genitori siano persone davvero dedite alla creatività! A proposito, il mio nome è…”
“ Aziraphale, 'Zira, mi vuoi dire dove sei finita?” Un uomo alto, snello e con i capelli ramati appena vi nota si avvicina a voi quasi correndo. “Per una volta, una, mi vorresti dire dove vuoi andare? Almeno in quale reparto! Sarà più di un’ora che ti sto cercando!” Mette una mano tra i capelli, spaventosamente simile a “Il Genio del Male” di Guillaume Geefs. Arrossisci violentemente quando senti gli occhi della coppia su di te.
E il sorriso sornione che ti rivolge l’uomo.
“Mycroft, ti presento Anthony, il mio…” guarda il suo ragazzo immediatamente, posando poi lo sguardo sul pavimento. Anthony si irrigidisce di rimando. “un mio carissimo amico. Anthony, lui è Mycroft”.
“Va bene, va bene. Piacere di conoscerti Myc, ora dobbiamo andar…”
La donna si acciglia, alzando la voce. “ Ah no, Crowl- Anthony, caro. Ora tu gli porgi la mano, gliela stringi per bene, con le dovute raccomandazioni che mi avevi promesso. Un atto di gentilezza per un altro”.
Anthony ferma per un momento di passarsi le mani sulla giacca. “Ora la chiamiamo addirittura ‘gentilezza’?” Lei annuisce senza muoversi di un centimetro. Posa poi lo sguardo su di te e ti senti messo così a nudo nonostante la giacca, il panciotto e la camicia che ti coprono che, a disagio, ti volti verso la porta sperando che ora arrivi qualcuno pronto a salvarti.
Magari tuo fratello che urla vittorioso per quella nuova battaglia vinta.
“… e sia. Vieni qua, giovanotto”.
Apri la bocca, contrariato dai suoi toni poco cordiali ma gli porgi ugualmente la mano. “I modi di fare educati e standard ti porteranno solo in avanti e con molti meno nemici dietro l’angolo” continui a ripeterti  tronfio. Appena le vostre mani s’incontrano, però, rabbrividisci. Ti senti travolto da un senso di nausea e i tremiti sono così forti che pensi davvero di svenire. Ma le mani di entrambi ti sorreggono e ti portano diligenti contro la sedia. Mentre ‘Zira continua ad assicurarsi che tu stia meglio, Anthony schiocca le dita e si risistema gli occhiali sul naso. Sbagli o i suoi occhi sono… gialli?
 “ Oh caro, caro, caro. Mi sa che questa notte non hai affatto mangiato, vero? “ 'Zira rovista tra la borsa, lasciandola poi accanto a sé. “Prendi, ecco qui: questo è cioccolato belga, aiuta a riprendere anche le anime più in pena. Nulla che possa far risanare di  più quanto una sana carica di zuccheri”. Te lo mette direttamente tra le mani, scartandotelo. “ Mangialo e ti prometto che ti sentirai meglio”.
“L-la ringrazio. Non doveva, davvero”.
“ É davvero un piacere, non ti preoccupare”. Si volta improvvisamente e, seguendo la direzione del suo sorriso, noti un medico che, stremato, si sta avvicinando a voi.
Senti il cuore morderti il petto, violento e speranzoso di buone notizie.
“ Mycroft Holmes?” Senti la gola stringerti, è davvero arrivato il momento di saperlo?
“É lui”. Ripete in unisono la coppia accanto a te.
“É andato tutto bene, suo fratello è fuori pericolo”. Ti sorride, felice quanto te. Felice di sapere che una vita oggi è sopravvissuta. “Ora mi permetta ma devo ritornare in sala”.
Inizi a tremare così tanto che ti stringi nelle spalle e inizi a piangere per la gioia.
È tutto finito. È tutto andato.
È andato tutto bene.
‘Zira ti accarezza la testa. Sei in pace, sei felice. “…e , tesoro, ricordati che non sei un errore. Sei perfetto ai Suoi occhi”.
Trattieni il respiro ma appena rialzi la testa non c’è più nessuno accanto a te.
Solo una sciarpa gialla.


 
________________________________________________
 

 
Ed eccomi, così, alla mia prima fan fiction crossover tra Good Omens e Sherlock BBC. È sicuramente uno degli esperimenti più azzardati (e, forse, molto meno comprensibili) che abbia mai prodotto ma questa storia nasce come tante alte: ho idee, piani e obiettivi molto definiti per poi cambiare tutto di punto e in bianco perché il cuore mi dirige altrove. La verità è che sono molto più impulsiva e sentimentale di quanto vorrò mai ammettere.
Vi riassumerò “in breve” la trama: Mycroft porta Sherlock in ospedale a seguito di un overdose. Aziraphale, che si trova in ospedale, si reca da quest’anima sola e in pena e assunto l’aspetto di una donna (ricordiamo che angeli e demoni vanno oltre i concetti inerenti alla carne) si finge una madre in pena per il figlio ottenendo l’empatia del ragazzo e alleviandogli l’animo. Ed ecco che si presenta Crowley (che si scopre compagno in questo piccolo ‘tour’ ospedaliero da parte dell’angelo) che a seguito della richiesta di ‘Zira – abbreviazione del nome- permette di compiere “quell’atto di gentilezza”, ovvero una ‘grazia’, che gli viene richiesta dall’angelo.
Fu così che Mycroft scoprì che suo fratello era sano e salvo e che, sì, qualcuno per la prima volta lo guardava e gli diceva di non essere un errore a questo mondo.
Ed eccoci al titolo “404” . ‘404’ è il numero che viene mostrato nelle pagine che non troviamo su internet (“error not found/ page not found”).
 
 
L’immagine di questa storia si rimanda alla pratica del Kintsukuroi: ovvero l’arte del riparare le ceramiche frantumate. Kintsukuroi significa “riparare con l’oro”: è ciò che possiamo fare quando qualcosa si rompe nella vita. Impariamo a curare le nostre ferite per farne la nostra bellezza.
Perché siamo meravigliosi.
Non lasciate mai che il mondo vi faccia credere di essere sbagliati.
Ricordatevelo.
404.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Look. ***




 Look.
 
 

Mi guardai intorno un mattino
sperando con ardore
che quel riso non nascesse da un errore
ma dal giubilo di un bambino
 
Mi guardai intorno un pomeriggio
c’era un giovane testardo
che sfidava il mondo gagliardo
ma con il flemma di un rodiggio
 
Mi guardai intorno una sera
tra documenti e contatti
a cui interessavano solo i fatti
per non scatenare una bufera
 
Mi guardai dentro una notte
stretto in mille coperte
- ma non erano mani esperte
solo emozioni rotte.














_________________________________________________




 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** yearn. ***






Yearn.
 
 
 
 
Vivi nella penombra. Mai totalmente buia, mai totalmente nera.
Ritto su una poltrona a tessere le sorti di un mondo in bilico.
In silenzio, con i pensieri ovattati ma le spalle tese, non demordi: non hai bisogno della luce del sole per decidere cosa fare.
 
 
 
 
 

 
 
 
___________________________________________
 
4 frasi, 44 parole.
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** fly. ***




 
Fly.
 



Chiudi gli occhi sotto il tepore delicato del sole. Il vento ti accarezza il viso e l’accenno di barba lasciandoti respirare il profumo dell’erba. Alzi un palmo verso il cielo e per un attimo ogni centimetro di pelle è disposto a farti capire quanto possa essere piacevole sentirsi vivi.
Accarezzi il collo e poi i bordi della camicia, incuriosito dall’idea di vedere la tua pelle assumere due tonalità diverse. Una scura e vissuta, per chi crede impossibile che tu sia al di sopra di qualsiasi dinamica sociale, l’altra pallida e perenne, che si rivela solo nell’intimità della tua camera da letto. Un ossimoro perfetto.
Hai letto da qualche parte, o l’avrai sicuramente ascoltato con gli occhi pieni di meraviglia eoni fa dalla voce profonda e sapiente di zio Rudy, che gli esseri umani trovano pressoché rassicurante la successione ritmica e metodica delle azioni e delle cose che li circondano. Sarebbe rimasto lì, a citarti quanto i concetti di scelta hanno influito nei campi filosofici e artistici a questo mondo, per poi posare lo sguardo sul pavimento, ingentilire le rughe del viso, e ricordare che di fronte a lui c’era solamente suo nipote e non il Primo Ministro che aveva bisogno di chiedere udienza. Allora rialzava lo sguardo poggiando le dita sulla finestra.
Spariva Kierkegaard e dava spazio alla natura.
Allora comparivano le zampe dei gatti che massaggiavano le superfici di fronte a se stessi in ricordo di una madre che chissà se fosse mai esistita o l’incessante intervallarsi delle onde che mai sembrano stancarsi di ritrovarsi nella sabbia.
Istanti brevi ma preziosi in cui va accettato il loro flusso naturale e non cercare di ostacolarlo attraverso negazioni che potrebbero portare solo a digressioni inutili e sentimentali.
Poi avrebbe messo la mano su una spalla e ti avrebbe ripetuto come sempre: “Mai andare contro la massa se si ha la capacità di regolarla dall’interno”.
Abbandoni la testa contro un gomito, mentre ti giri su un fianco e ti lasci cullare dal dondolio dell’altalena.
Forse è solo questo che gli uomini vogliono, ti fermi a riflettere: abbandonarsi almeno per una volta nella vita e sentirsi al sicuro. Protetti.
Incroci le braccia contro il petto.
Nemmeno il rumore di un ramo spezzato a pochi metri da te riesce a turbarti.
 
 
Riapri gli occhi.
La vecchia casa di famiglia, con le mura scorticate e il suo giardino selvaggiamente troppo cresciuto, è ora chiusa in un religioso silenzio. Senti un dolore atroce alla testa, vicino al collo, e quando provi ad alzare un braccio verso la parte lesa, ti rendi conto troppo tardi che ogni tentato movimento è impossibile.
Sei troppo lontane dalle lapidi, senza appoggi né alcuna via di fuga.
Ti agiti contro le corde che ti costringono sulla sedia, ruvide e spesse, agganciate a qualcosa di pesante.
La sottile ironia del portarsi addosso i macigni. Se ne avessi la forza, rideresti di te stesso.
All’improvviso senti qualcosa di caldo sfiorarti uno zigomo. Una mano.
Senti tutti i muscoli tendersi, il respiro diventare sempre più flebile e spaventato.
L’anello sull’anulare ti fa ricordare stranamente tuo padre. I calli sulle dita, le sere spese a spaccare la legna, gli abbracci dati a tua madre intenta a cucinare e i sorrisi condivisi davanti al camino.
Ti rendi contro troppo tardi che ti stai tendendo verso quella carezza sconosciuta e nell’arco di un secondo un secco, sordido schiaffo ti rimette immediatamente al tuo posto.
Perché tu sei questo: deriso, umiliato e inutile.
Così stupido nel fidarti degli altri.
 
 
Spalanchi gli occhi contro l’oscurità.
Ti senti immobilizzato contro le tue stesse lenzuola, le dita bloccate in pugni mai dati, in rabbie e angosce ammutolite perennemente. Giri la testa contro il cuscino a destra e sinistra con violenza. Le pareti, la porta, la finestra… non è cambiato nulla. Sei nella tua stanza e non c’è nessun pericolo.
Sei sfinito. Passi una mano sulla fronte imperlata di sudore e ti siedi appoggiando la schiena contro la testata del letto. Chissà se saranno i mattoni ad assorbire la tua paura o sarà questo sudore a rientrarti nelle ossa celandosi a chiunque.
“ È solo un incubo”, ti dici. Ma gli incubi non sono altro che manifestazioni del proprio subconscio.
Se zio Rudy fosse qui, cosa ti direbbe?
Forse sorriderebbe e ti racconterebbe qualche aneddoto su Freud mentre porterebbe la mano sotto il mento scrutando ogni dettaglio che i contorni arrossati dei tuoi occhi hanno bisogno di condividere.
“ Tanto, mio caro Mycroft, non siamo altro che storie. Se siamo demoni o angeli?” riesci quasi a sentire il profumo dei suoi sigari penetrarti le narici “ dipende solo dal punto di vista del lettore. Tu cerca solamente di non pentirti mai delle tue azioni”.
Ti alzi dal letto, raggiungendo la scrivania accanto alla porta.
Se zio Rudy fosse qui, saprebbe ovviamente come consolarti.
Ma se zio Rudy non fosse qui, il confine della sua libertà non si sarebbe confuso con quello della tua nuova prigionia.
Abbracci l’urna.
Se fosse qui, ti avrebbe detto come si dovrebbe dire addio.
Se non fosse qui, non avresti dovuto affrontare tutto questo.
Eppure ti ha lasciato questa lezione per ultima: vivere l’assenza come presenza.
Andare avanti anche se ti manca un pezzo di cuore.
 
La sveglia delle quattro inizia a tuonare imperativa su di te. La spegni. È ora di metterti in viaggio.
Devi dare a zio Rudy finalmente le ali.
 
 
 
 
 
 
___________________________________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Contromano. ***




Contromano.
 



Gli scenari della città continuano a ripetersi costantemente come in una vecchia pellicola di scarsa lega.
Palazzi, qualche insegna semi-accesa e immensi tratti di verde totalmente deserti. Nessuno s’impegna abbastanza, tutto scorre con una lentezza atroce.
Ma la sera è ormai calata. Le luci del tramonto hanno smesso di sporcare le finestre lasciando che il buio sfiorasse le superfici. Guardi di nuovo l’orologio che sembra rallentare solo per farti un dispetto. La stessa identica routine ti attanaglia ormai da quasi cinque giorni.
Cerchi di consolarti pensando che ogni volta che apri una porta qualsiasi di casa, senti l’odore dei dolci alla mandorla. In effetti, l’unico aspetto positivo in tutta questa faccenda è che non stai sopravvivendo a furia di cibi precotti perché c’è qualcuno che realmente si preoccupa di restare ai fornelli. A questo non hai tempo, tu. Vai avanti solo nell’attesa del prossimo meeting o di un rumore frenetico di tacchi che precede un “Mr. Holmes, c’è urgente bisogno del suo intervento”.
Se solo questo bastasse ai tuoi genitori. Ogni volta che ritorni a casa loro è una tortura. Non senti altre che ascoltare le loro battute infelici sulla tua poca forma fisica. Probabilmente pensano che parlandoti così riusciranno a spronarti nell’ essere diverso, “migliore”. Sempre qualche capello più grigio da dover sistemare, le rotondità che vanno sempre contenute o il respiro che non dovrebbe essere così rumoroso. Tutto sarebbe perfetto se fosse semplicemente l’opposto di te.
Nel carattere, nell’aspetto, nei modi.
Se avessi ancora la forza, rideresti quando ti chiedono perché indossi il panciotto anche con questo caldo asfissiante. Possono davvero essere così ingenui?
Ti consoli pensando che l’arte della deduzione spetti principalmente a te in questa famiglia. Loro sicuramente avranno altre qualità. Certe volte addirittura Sherlock si rivela così… noioso.
 
Spegni un’altra sigaretta, l’ennesima della giornata. Chiudi gli occhi abbandonandoti al suono delle carezze del mare. All’improvviso un chiacchiericcio che diventa sempre più forte attira la tua attenzione. Un gruppo di ragazzi si sono appartati poco sotto il tuo terrazzo nella vana speranza di essere soli e poter fare tutto quello che vogliono. Avranno la tua età, ad occhio e croce.
Eppure sembrano così tremendamente giovani.
Li osservi, inspirando forte.
Domani dovrebbe essere domenica, se ricordi bene. Hanno dei piccoli lavori e vivono solo in funzione di terminare la settimana per potersi vivere i weekend come preferiscono. Per loro l’ oggi va sfruttato al massimo, senza ripieghi o scuse. Anche se non c’è motivo, si festeggia e si celebra la vita.
Ti mordi il labbro mentre osservi il tuo letto ancora disfatto.
È ancora caldo al tatto.
Ti sporgi dal terrazzo, con i polsini ancora stropicciati e lo sguardo di ghiaccio. Speri che possano incrociare il tuoi occhi e fermarsi anche solo per un attimo, ammutolirsi di fronte alla tua presenza infastidita. Ma non succede nulla di quello che speri. Loro continuano a vivere senza nemmeno degnarti di uno sguardo. Non sei altro che un’ombra silenziosa nelle loro risate, nei loro scherzi intrisi nell’odore dell’alcool.
Un piccolo alone su una finestra che è troppo alta per destare l’attenzione o l’amore di qualcuno.
Il tuo posto è lì, ad osservare una vita che potrebbe essere la tua ma che hai scelto di evitare con ogni forza possibile.

 
Ad andare contromano, non fai altro che ucciderti.
 
 




​_______________________________
______________________________

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** mayday ***


 
mayday mayday mayday 



"Quindi come stanno andando le cose a casa? Non senti nemmeno un po' la nostra mancanza?" si asciuga le mani sullo straccio a fiori mentre ti guarda con gli occhi vispi e vivaci che non si accordano alla sua età. " Lo sai che per qualsiasi cosa puoi chiamarmi e correrò subito da te, vero? Che razza di madre sarei a lasciarti da solo!"
Senti riecheggiare le stesse maledette frasi da tre giorni, quattro, contando oggi e alzi gli occhi al cielo maledicendoti per essere stato così stupido da pensare che stessi avendo una buona idea. Se uno di base è nullità alla fine non ti puoi aspettare ben altro, ti ripeti. Te lo sei cercato da solo, stupido che non sei altro. Sapevi che non ci fossero i tuoi chilometri salvavita a dividervi, solo cinque minuti scarsi se Tiche* può avere particolare pietà di te.
Eppure continui a riprovarci sperando che ogni volta sia quella giusra
Tutto è così monotono e maledettamente noioso. Non hai chiamate da fare, qualcuno che ha bisogno di te. Ti passi le mani sul viso, accarezzando l'accenno delle occhiaie di queste ultime notti. Stai diventando troppo pigro, a ritmi così lenti che addirittura Sherlock potrebbe lavorare al tuo posto.
" Sono perfettamente in grado di cavarmela da solo" grazie alle cameriere che rasettano l'ufficio asettico che è diventata la tua casa ma questo tua madre non ha bisogno di saperlo. Vuole solo essere ingannata credendo che la tua vita vada a gonfie vele e che tu non ne stia rattoppando ancora le pareti. " Sono io ad aiutare, non il contrario".





 





______________________________________________
* Dea greca, personificazione della sorte, generalmente intesa in senso positivo

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3820184