Another beginnin

di thembra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memories and regrets ***
Capitolo 2: *** Please...find Her ***
Capitolo 3: *** In the memory of the father ***
Capitolo 4: *** Almost there ***
Capitolo 5: *** a little ant and her sun ***
Capitolo 6: *** Her reason for living ***
Capitolo 7: *** Marry me, Rin! ***
Capitolo 8: *** we are a few ***
Capitolo 9: *** explanations ***
Capitolo 10: *** Always with you ***
Capitolo 11: *** The cruel Fate ***
Capitolo 12: *** The power of forgiveness ***
Capitolo 13: *** the weight of the forgivness ***
Capitolo 14: *** Smoke & Sun ***
Capitolo 15: *** Approaching the past towards the future ***
Capitolo 16: *** Do you really think human and demons could love each other? ***
Capitolo 17: *** Revelations and possibilities ***



Capitolo 1
*** Memories and regrets ***


 

 Un improvviso raggio di sole lo colpì agli occhi costringendo Sesshomaru a calarsi gli occhiali da sole dalla fronte intanto che rallentava in prossimità di un incrocio scalando le marce mentre ascoltava distratto le note dell’ultima canzone dell’ennesima idol del momento.
Sul sedile posteriore della sua berlina nera i bianchi petali di un mazzo di gigli vibravano alla leggera brezza che entrava dal finestrino abbassato, il largo fiocco blu che ne legava gli steli cadeva pesantemente sulla pelle del rivestimento.
Mosse leggermente il volto notando che da oltre la curva si incominciavano a vedere le cime dei verdi cipressi che circondavano l’area del cimitero, immobili e imponenti giganti  muti che vegliavano le tombe di coloro che li vi erano sepolti.
Parcheggiò nell’enorme piazzale cementato nel quale in prossimità delle varie entrate stavano delle bancarelle di fiori e le fontane per il rifornimento d’acqua, attraversò il piazzale prendendo il mazzo di fiori verso l’entrata numero 3 dalle alte e lucide colonne in marmo chiaro sulle quali rampicava dell’edera dalle foglie ramate.
 
Raggiunse la tomba che gli interessava soffermandosi a guardare l’immagine nella foto e le date incise sulla lastra che definivano nascita e morte trovando tutto assurdo.
Suo padre non poteva essere morto per davvero, gli esseri come lui non potevano morire, non potevano sparire dal mondo in maniera così stupida e ogni giorno aspettava di vederlo entrare dalla porta di casa con la sua 24 ore in mano stressato dall’ufficio ma di buon umore, voleva vederlo per parlargli, per litigare con lui e criticare la sua scelta voleva urlargli contro di lasciar perdere la donna con la quale usciva perché non era come loro voleva…
Chiuse gli occhi sospirando di una sconfitta morale che bruciava come sale nella ferita.
Voleva chiedergli perdono e che fosse vivo.
 
Erano passati 17 mesi dalla sua morte e il tempo sembrava essersi fermato fermando così anche il loro vivere.
In quella lussuosa villa antica che era stata la loro dimora negli ultimi sessant’anni niente era più come prima.


Poggiò a terra un ginocchio sistemando il mazzo di gigli sulla lucida superficie levigata della tomba costruita col più pregiato dei marmi naturalmente abbellito dalle finissime venature rosate uniche della terra dal quale era stato importato, la lontanissima Italia.
Come al solito i fiori non mancavano e c’erano una decina di vasi tenuti sempre pieni di boccioli freschi e costosi, c’erano i biglietti lasciati dai cari amici del defunto Taisho, l’epitaffio che ricordava il suo buon cuore e l’eroica morte che aveva trovato e proprio vicino alla foto che lo ritraeva in un mezzo sorriso c’era un vaso di cristallo alto e sottile che poteva ospitare solo un fiore tanto era stretto, e da esso spuntava sempre uno stelo scuro il cui fiore molto particolare era costituito da uno sperone uncinato paragonato al becco o agli artigli dell’aquila da cui, come aveva letto su di un libro ne derivava il nome…Aquilegia.
 
Sapeva benissimo chi portava quell’insulso fiore selvatico che stonava col pallore dei suoi gigli o l’eleganza delle calle sulla tomba di suo padre ma non aveva il coraggio di toglierlo perché nonostante tutto aveva rispetto per quello che quel bocciolo aveva rappresentato e tuttora esprimeva.
 
Quella corolla era l’amore che c’era stato e persisteva fra la donna più insolente e indifferente che lui avesse mai conosciuto e suo padre, un patto che non si sarebbe mai sciolto, lacrime di quella ragazza innamorata che aveva sopportato i silenzi dei figli del suo compagno e la fredda ipocrisia di una società troppo nobile e snob per poter accettare lei semplice volontaria d’ospedale.
 
Sul libro di fiori che aveva consultato aveva letto che quel tipo di pianta riusciva a vivere anche in montagna, che era del tipo sempreverde e che nei mesi invernali, anche se la parte verde spariva totalmente sotto terra o sotto la neve essa non moriva, anzi, a tarda primavera rifioriva più bella e rigogliosa di prima ammantando del colore del cielo e della notte i prati e i pendii delle montagne ed in un certo senso la stessa cosa faceva colei che la portava su quella tomba.

Quando lei era entrata nella loro vita nessuno l’aveva accettata e non si erano certo fatti problemi a nasconderlo quando sparivano alle cene di famiglia o non si presentavano agli inviti ricevuti ferendo lei nel profondo e deludendo quel loro padre tanto fiero e comprensivo.
Ricordava benissimo le mille scenate che suo fratello Inuyasha non si faceva problemi a scatenare e ricordava di come si fosse sempre, nonostante tutto, trovato d’accordo con lui quando diceva che semmai lei fosse andata a vivere in quella casa loro avrebbero fatto le valigie e ne sarebbero usciti.
  
Ironia della sorte, suo fratello Inuyasha che si era opposto con tutte le sue forze alla nuova compagna di suo padre aveva avuto una bella faccia tosta a comportarsi così dimenticando il fatto che il suo semplice essere al mondo era il risultato dell’identica cosa a cui si stava opponendo; sua madre Izayoi infatti era quella che aveva rimpiazzato la prima e meravigliosa sposa del più forte demone mai esistito nella storia, sua madre e che quello che lui stava facendo non era altro che il ripetersi di una vecchia storia.
 
In quel caso col tempo le cose erano cambiate lui aveva conosciuto Izayoi e in qualche maniera le si era pure affezionato, i modi gentili e la grazia che possedeva quella donna non erano certo doti comuni inoltre l’immensa pazienza con la quale lei aveva atteso un suo assenso lo avevano convinto di quanto fossero seri forti e sinceri i sentimenti che lei nutriva per suo padre, così alla fine era stato lui a cedere e la vita in quella casa era ripartita da zero con una nuova moglie, un nuovo figlio e un nuovo avvenire che si era rivelato sereno per i due coniugi e quasi divertente per lui che col tempo aveva imparato a sopportare e voler bene a quel suo fratello impulsivo ed esagerato, sebbene ci tenesse a mantenere la cosa nascosta.

L’improvvisa malattia della dolce Izayoi che se n’era andata in silenzio un giorno d’autunno aveva spezzato nuovamente l’equilibrio di quell’esistenza lasciando Inuyasha devastato e suo padre tremendamente solo mentre lui…beh, a volte gli mancavano davvero le maniere premurose che più di una volta Izayoi aveva mostrato nei suoi confronti con semplici gesti come preparargli la colazione, aggiustargli il nodo della cravatta o consegnargli al mattino i suoi plichi di documenti perfettamente riordinati e compilati in maniera tale che neanche la più perfetta delle segretarie avrebbe mai potuto fare.
 
 
Erano passati due anni soltanto dalla morte di Izayoi e dall’ultimo sorriso di suo padre quando di colpo, all’inizio di una nuova primavera egli aveva ricominciato a canticchiare la mattina in macchina e aveva ripreso ad uscire certe sere rientrando tardi per essere al massimo della forma il mattino successivo; non c’era voluto molto per capire che c’era una nuova donna e ancora meno per vederla dal momento che nemmeno tre settimane dopo la sua terza rinascita Inu no Taisho l’aveva portata a casa con sé dopo il lavoro e l’aveva presentata alla famiglia riunita a tavola per cena come la sua nuova compagna.
 
Sorrise d’amarezza al ricordo del casino che ne uscì.
Lanciò un ultima occhiata al cielo limpido di quel giorno prima di voltarsi e far ritorno all’automobile.
 
Schiacciando il pulsante d’apertura automatica della macchina prese posto alla guida guardando oltre al parabrezza verso il centro del grande parcheggio tutte le persone che andavano a far visita ai loro cari perduti, vedeva le vecchie vedove comperare per i loro mariti piante in vaso che sarebbero durate almeno fino alla loro prossima venuta, e inevitabilmente finiva con l’immaginarsi lei, giovane e bella attraversare lo spiazzo con il suo fiore in mano tenuto a testa in giù per evitare che si spezzi chiedendosi ogni quanto andasse li, che cosa pensasse nel rimirare l’enigmatica foto del suo amato e come si potesse sentire una volta uscita…
 
Non l’aveva più vista dal giorno del funerale e forse il suo grande rimpianto era il modo in cui lui e Inuyasha l’avevano abbandonata.
Non si era mai reputato un immaturo ma il modo in cui si erano comportati sia lui che suo fratello era stato proprio infantile oltre che crudele; non le avevano nemmeno comunicato la morte di Taisho lasciando che se ne accorgesse da sola all’indomani quando sarebbe andata a fargli visita, non le avevano riservato un posto a sedere in chiesa e nemmeno stretto la mano per consolarla quando l’avevano vista in fondo alla navata scossa da silenziosi e strazianti singhiozzi trattenuti a forza per rispetto del loro dolore.


Si erano comportati come se lei non fosse mai esistita e ora, dopo tutto quel tempo passato lui se ne pentiva.
C’era arrivato anche Inuyasha a quella conclusione ed insieme, si erano recati all’appartamento in cui viveva lei trovandolo affittato ad una coppia di neo sposini che non avevano saputo dir loro nulla su dove potesse essere andata.
 
Il rimorso che sentiva dentro, era dovuto soprattutto al dolore che era conscio d’aver arrecato al cuore di suo padre che per lei aveva pulsato di sincero amore e devozione.
Sia lui che Inuyasha non avrebbero mai più potuto dimenticare le ultime parole esalate dalle labbra del loro fiero padre morente.
Tre, e tutte uguali.
 
“Rin…Rin…rin”
 
Il demone più potente che la storia avesse mai conosciuto era spirato al morir dell’estate invocando il nome di una donna umana.
 

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Capitolo 2
*** Please...find Her ***


  
 
 
“Sango”
“Dimmi!”
 
La voce di lei, modificata e resa metallica dall’interfono, rispose immediatamente.
 
“Chiama Miroku, ho bisogno di lui.”
 
Per un attimo dall’altro lato dell’apparecchio non si udì alcuna risposta, poi, come sempre la voce calma e ubbidiente di lei rispose un assenso.
Staccando l’indice dal pulsante del congegno Sesshomaru chiuse gli occhi lasciandosi cadere all’indietro sprofondando con la schiena nella morbida imbottitura della poltrona da ufficio in pelle rossa che gli aveva regalato suo padre il giorno che era stato eletto vice presidente della Taisho Corporation.
 
Ricordava spesso quel giorno d’aprile e come da allora tutto poi fosse cambiato.
 
Come tutti i giorni da due anni a quella parte era entrato in azienda assieme ad Inuyasha, col quale condivideva il piccolo ufficio nel reparto logistico al primo piano dell’edificio che ospitava l’impresa; lui era il coordinatore di tutti coloro che lavoravano in quella divisione ed Inuyasha invece aveva il compito di far coincidere i vari turni dei dipendenti loro affidati.
Per essere i figli del proprietario di quell’impero stavano decisamente in basso nella scala gerarchica dell’azienda, ma per volere di Taisho in persona, le loro mansioni all’inizio del loro praticantato dovevano essere le più umili e semplici affinché imparassero come funzionavano le cose all’interno di quel motore fatto di persone e mezzi, perché come credeva lui i frutti più buoni e maturi si ottengono da radici profonde e ben salde nel terreno.
 
“Volete vedere buoni risultati? Piantate le basi perché questi si avviino figlioli!
 
Così gli aveva risposto suo padre il suo primo giorno di lavoro, quando nella hall dell’enorme grattacielo della TC inc. anziché venir invitati in ascensore assieme al CDA, sia lui che il fratello erano stati deviati sul retro, dove stavano i magazzini, dove tutto era caotico, sporco e assurdo.
Ricordava bene l’occhiata piena d’odio che sia lui che Inuyasha avevano rivolto al loro padre ed il sorriso deciso che di rimando lui aveva lanciato loro prima di rispondere quelle poche parole piene di una verità che avrebbero realizzato solo col tempo.
 
E ora che si guardava indietro niente avrebbe potuto essere più vero che quel saggio insegnamento.
Avevano passato in quel settore circa sette mesi poi sia lui che Inuyasha erano stati avanzati di livello e mentre lui aveva ricevuto l’incarico di direttore delle vendite negli uffici al terzo piano Inuyasha era stato mandato a fare da assistente a Myoga che al tempo si occupava della contabilità su al settimo piano.
Un anno dopo suo fratello aveva assunto definitivamente quella carica dopo il pensionamento di Myoga mentre lui era entrato a pieno diritto negli uffici dell’ultimo piano come assistente del Presidente Taisho.
Neanche sei mesi dopo era stato eletto all’unanimità vice presidente e gli era stato donato l’ufficio del vecchio Totosai che a sua volta era entrato nel CDA.
 
Aprendo gli occhi distese il braccio destro carezzando la pregiata pelle che rivestiva il bracciolo della poltrona.
L’aveva notata subito appena era entrato nel suo nuovo ufficio, lucida e ancora ricoperta dalla sua protezione in plastica trasparente, perfetta e dal design unico, fantastica.
 
“Per te figliolo…sei stato bravo!”
 
Una pacca sulla spalla, un sorriso di orgoglio e poi via…tutto ricominciava, tutto si ripeteva e poi, tutto mutava nuovamente.
 
Due anni dopo, in un assurdo incidente stradale Inu no Taisho moriva per salvare la vita ad un neonato rimasto intrappolato nel suo seggiolino fra le lamiere dell’auto su cui viaggiava.
Sua madre, priva della vita lo aveva stretto a sé per proteggerlo mentre il padre era stato sbalzato dalla forza dell’impatto contro un camion a diversi metri fuori dall’abitacolo; Taisho a sua volta aveva dilaniato le lamiere con forza sovrumana e protetto la creatura dall’esplosione venutasi a creare nel tumulto.
 
Nessuno seppe mai spiegare la causa di quella tremenda sciagura ma tutti conobbero l’enorme coraggio di Inu no Taisho, uomo d’affari, presidente multimilionario che nulla doveva al mondo ma che aveva da dato la propria vita per preservare quella di un bambino ignoto.
 
Strinse le dita affondandole nella pelle del rivestimento tanto che le sue unghie avvertirono le minuscole ed irregolari fibre del tessuto, i suoi polpastrelli così come le nocche erano divenuti bianchi per lo sforzo.
 
Non si era mai preoccupato di informarsi dell’identità del neonato che era sopravvissuto e aveva perso la sua intera famiglia, non gli era mai importato.
Il dolore e l’odio per quella vicenda gli avevano ottenebrato la mente e tutto ciò a cui era riuscito a pensare era stato suo padre.
 
Bip Bip Biiiip Bip
 
Svegliati, svegliati!
 
Bip Bip Biiiiip Bip
 
Lo guardava steso immobile su quel letto d’ospedale attaccato a macchine che nemmeno sapeva esistessero mentre col pensiero gli gridava di svegliarsi e a stento tratteneva la rabbia; perché era troppo orgoglioso per esprimere a voce quelle parole, perché non voleva farsi vedere debole perché avevano ancora tante cose di cui parlare, tante liti da chiarire tante cose per cui scusarsi l’un l’altro, perché…perché vedendo l’espressione serena dipinta sul suo volto lui aveva già capito che se ne sarebbe andato e non ci sarebbero state parole o grida o scuse, chiarimenti o desideri che l’avrebbero trattenuto.
 
Era sereno, era felice. Era pronto a far ritorno al punto del principio.
 
“Rin…rin, Rin”
 
Biiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
 
Aprì gli occhi appena un istante prima che il suono di un bussare interrompesse i suoi ricordi.
Si sistemò sedendosi meglio consentendo all’ospite di entrare.
 
“ ’giorno Presidente!”
“Accomodati Miroku”
 
Il nuovo venuto prima di sedersi di fronte a lui in una delle due comode poltrone nere fece tappa al pregiato carrello da bar posto in un angolo ombreggiato dell’ufficio aprendo la lucida calotta che componeva il mappamondo per poter estrarre la bottiglia che gli interessava.
Senza chiedere alcunché dal ripiano sottostante tolse due larghi calici da brandy versandovi dentro l’ambrato liquido prima di richiudere tutto e far marcia verso il suo posto.
 
“Nh”
 
Con un cenno del capo Sesshomaru accostò il proprio bicchiere a quello di Miroku posandolo alla propria destra senza nemmeno berne un goccio.
 
Miroku al contrario con due grandi e discreti sorsi si gustò il suo drink schioccando bene la lingua sul palato in modo da distribuire bene il sapore in bocca.
 
“Di cosa mi volevi parlare?”
 
In silenzio Sesshomaru aprì un cassetto della propria scrivania e ne estrasse una cornice che passò prontamente al suo interlocutore.
Miroku la prese dalle sue mani, curioso di vedere di chi si trattava e non appena lo fece la sua curiosità divenne stupore.
 
“Sesshomaru!?”
“Trovala.”
 
Detta quella parola, con calma e compostezza e senza spezzare il contatto visivo con Miroku, Sesshomaru bevve il suo cognac in un unico sorso inclinando il viso per poterlo appoggiare al palmo aperto della sua mano.
 
“Così non può continuare…”
 
Sesshomaru lo guardò con gli occhi intrappolati fra le proprie dita e Miroku, che lo conosceva da anni non l’aveva visto mai con un’espressione così.
Cos’era, tristezza? Rimorso…angoscia?
 
“Trovala.”
 
Annuì.
 
 
 
…………….
 
 
Uscendo Miroku incrociò lo sguardo di Sango, che seduta alla sua postazione in segreteria lo guardava in attesa.
 
“Sai che non posso dirti nulla Sango; per quanto tu e lui siate in confidenza ci sono limiti che…”
“Ti ha ordinato di cercare Rin?”
 
Lui annuì soccombendo a quegli occhi pieni di preoccupazione che abbandonarono presto la sua figura tornando a concentrarsi sui registri che stava compilando.
 
“Sono mesi che ce l’ha sotto al naso, quell’idiota…”
 
Miroku non capì e nemmeno ebbe l’occasione di chiederle spiegazioni, se Sango parlava ad enigmi era perché non voleva essere intesa.
Sbuffando le salutò e se ne uscì ciondolando così com’era entrato, mani in tasca e sigaretta in bocca.
 
Una volta fuori dalla sede dell’azienda cominciò a farsi alcune domande, per esempio, da dove avrebbe potuto cominciare?
Da che Taisho era stato sepolto di lei non si erano più avute notizie, nessuno l’aveva più vista seduta sul lato della fontana del parco di fronte alla sede ad attendere l’allora presidente né l’avevano più sentita chiamare da lui al telefono per posticipare un loro eventuale appuntamento ; quella donna sembrava essere sparita dal mondo assieme all’uomo che aveva amato.
 
Dopo un attimo di incertezza pensò alla cosa più intelligente da fare e guardandosi intorno cercò con lo sguardo la sua macchina.
Forse aveva un punto di partenza ma poi, come sarebbe andata a finire?
 
 
……………………………………
 
 
Il dolce sospiro del vento scivolava leggero fra le fronde del boschetto di bambù che rigoglioso cresceva poco distante dal piccolo stagno in cui felici, decine di carpe guizzavano increspando le onde dell’acqua nella frenesia del loro pasto.
Tutt’attorno, la bianchissima ghiaia che componeva il piccolo giardino zen nella sua statica immobilità deliziava lo sguardo con le sue linnee irregolari e contrastanti interrotte dai grigi massi disposti secondo le rigide regole di quella struttura e contribuiva a creare la magica scena che le si presentava davanti agli occhi.
 
Che pace
 
Alzandosi dalla vecchia panca in cedro posta appena fuori dagli shoji del ryokan, Rin si alzò prendendo con sé la ciotola di the verde che aveva appena consumato.
 
 
“Pensierosa?”
 
Sorrise.
 
“No, mi incanto sempre a guardare questo spettacolo. Sembra pazzesco che appena si esca da qui ci si ritrovi in mezzo ad una metropoli.”
 
La sua interlocutrice, una ragazza dai lunghi capelli neri rispose al sorriso sedendosi accanto a lei.
 
“Hai ragione, anche se da oltre il muro laggiù possiamo vedere le luci delle insegne e delle macchine in movimento sembra ancora di vivere in un angolo di mondo antico qui…”
“Sarà la tua magia…”
“Oh Rin, piantala, sono una sacerdotessa io, non una maga!!”
“Chiunque tu sia, l’influsso del tuo potere rende tutto tranquillo me compresa e questa è magia per me; nessuno ci potrebbe mai riuscire altrimenti.”
“…”
“Come mai sei qui? Di solito sei al tempio a quest’ora…”
“Stamattina a casa è arrivata questa per te e siccome a pranzo non sei tornata ho pensato di consegnartela personalmente.”
 
Sporgendosi leggermente verso di lei le allungò una lunga busta bianca priva di intestazione.
 
“Chi la manda?”
“Non lo dice ma magari è importante, non sembra una lettera di pubblicità…troppo sottile e ben curata.”
 
Incuriosita Rin prese la lettera aprendola e leggendola immediatamente.
Non sembrava particolarmente entusiasta del suo contenuto.
 
“Brutte notizie?”
“Nah, è l’ospedale dove un tempo facevo volontariato…vogliono che partecipi ad una serata di beneficenza.”
“Non vai più là da quasi un anno, come mai ti hanno chiamata?”
 
Sospirando si accomodò meglio sulla panchina distendendo le gambe levando poi il viso al cielo.
 
“Vogliono ricordare Taisho e vogliono che ci sia anch’io.”
“Rifiuta.”
 
Il tono netto della sua amica la sorprese.
 
“Kagome?”
“Probabilmente ci saranno anche loro e non è il caso che tu li veda quei…dannati bastardi!”
“…”  sorrise all’espressione colorita della sua più grande amica.
“Non ti farà niente bene andarci, ricorderai, rivedrai e rivivrai momenti brutti. Tu non meriti questo Rin.”
“Però Taisho è stato la meraviglia della mia vita, se non ci andassi non sarebbe giusto e poi probabilmente loro nemmeno ci saranno…”
“Come fai a dirlo?”
“Non amano quell’ospedale dal momento che è dove ci siamo conosciuti pertanto non credo ci andranno…tutto ciò che aveva o ha a che fare con me per loro è il nulla … quindi nessun problema, non li vedrò…”
“Sarà…ma sei sicura? Perché a me non lo sembri.”
“Nhm…sicura stai tranquilla.”
 
Le sorrise ma anche quel gesto sembrò non convincere la sua amica che continuava a fissarla con insistenza.
 
“Beh se proprio vuoi andarci ti accompagnerò…”
“Come farai col tempio Kagome?”
“C’è quella persona che si chiama nonno che tecnicamente sarebbe il primo monaco quindi dov’è il problema?”
“Beh caspita…grazie!”
 
Il nuovo sorriso che mostrò fu ben gradito a Kagome che vi lesse dentro maggior decisione e sicurezza.
 
“A proposito, per quand’è?”
“Domani pomeriggio…”
 
Kagome storse il naso.
 
“Dannate poste.”
 
 
 
 
TH
 
Grazie a:
Babydgv
E LarcheeX
Per aver commentato
^w^
 
A:
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per averla nelle seguite
 

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Capitolo 3
*** In the memory of the father ***


  
 
 
“Sbrigati o farai tardi!...”
 
Sbuffando si abbassò per poter entrare nella costosa limousine che era l’auto “Presidenziale” della No Taisho Corporation che l’avrebbe scortato al memorial in onore di suo padre che si sarebbe tenuto nella grande sala congressi dell’hotel a 5 stelle Tokyo Imperial.
Sarebbe stata la solita solfa a cui aveva già partecipato su costrizione del CDA della TC alcune settimane prima, una volta all’orfanotrofio Casa del domani” del quale suo padre era benefattore e l’ultima al museo antico a cui Taisho aveva donato alcuni cimeli che erano stati del clan Inu no per secoli.
 
“Avevo confermato la mia presenza per il ritiro del premio, non a tutto il gala…”
“Si però, ci saranno giornalisti e tv nazionali, devi farti vedere ogni tanto sennò la gente finirà col pensare che…”
“Sango…”
 
L’autista della limousine, una ragazzina che a stento dimostrava la maggiore età sorrise mostrando due file di denti bianchissimi mentre schiudeva gli occhi color del caffè valorizzati appena da una sfumatura d’ombretto purpureo sopra le palpebre.
 
“Ok la smetto ma sai che ho ragione io…”
 
Deviò lo sguardo oltre il finestrino osservando distratto il frenetico vivere serale della capitale sotto all’imbrunire di quel cielo amaranto.
 
“…al di fuori dell’azienda non hai vita, disdegni gli inviti dei soci, non esci mai e lavori sempre fino a tardi…”
“…”
“…anzi…toglimi una curiosità…”
“Dimmi…”
“Ma ogni tanto te la fai una sana trombata?!”
 
Il gomito gli scivolò dal poggia braccia mentre scattava a guardare quella ragazzina che non aveva nemmeno un decimo dei suoi anni ridere alla sfrontatezza con la quale gli si era rivolta…dov’era finito il rispetto che gli si doveva per natura?
Schiuse gli occhi sfidando lo sguardo divertito di lei riflesso nel retrovisore, la visiera del lucido cappello dell’uniforme le nascondeva entrambe le sopracciglia e contribuiva a rendere quel suo sguardo ancora più forte e sicuro.
 
“Sango…”
“Si?”
 
Si concesse una risata interiore.
 
“Fatti gli affari tuoi…”
“Se mi rispondevi di no facevi prima non credi?”
 
Scostò nuovamente il viso perdendo interesse per quell’assurda conversazione mentre lei se la rideva e girava il volante per entrare nel parcheggio e posteggiare l’auto.
Aspettò che scendesse per aprirgli la porta uscendo lui stesso per sovrastarla con la sua altezza e cercare di ammonirla con uno sguardo seccato che era sicuro di non avere in faccia prima di superarla.
 
“Aspetta…”
 
Con una mano sulla spalla lo invitò a chinarsi e gli sistemò il nodo del papillon in seta nera lisciandogli il bordo ripiegato dello smoking prima di lasciarlo andare con un colpetto allo sterno.
 
Le concesse un sorriso divertito.
 
“Eccolo qui il motivo per il quale non ti ho ancora licenziata…”
 
Lei si fece indietro permettendogli di passare mentre chinando il capo gli rivolgeva un sorriso divertito.
 
“Buona rottura!”
 
Aumentò il passo entrando nella hall di porte a vetro scorrevoli avanzando verso le grandi porte in legno massiccio addobbate elegantemente a festa che già si stavano aprendo per mano del portiere che avendolo riconosciuto lo invitò ad entrare chinando il capo.
 
Si ritrovò in una sala gremita dalle luci soffuse dove una folta folla gli dava le spalle mormorando parole di assenso alla voce convinta e pacata dell’oratore d’eccellenza di quella serata.
Il sindaco in persona.
 
“…ed è per questo, che senza ulteriori indugi procedo all’assegnazione di questa croce dorata in memoria ed onore del nostro rispettabilissimo amico e compagno Inu no Taisho, a ricordo del suo eroico gesto e di tutte le innovazioni che ha contribuito a portare alla nostra società…”
 
Ci fu un momento di pausa accolto con profondo rispetto.
 
“…è qui con noi stasera a ricevere questo premio il suo figlio primogenito e grande erede, che con la stessa saggezza e capacità dimostrate dal padre nella gestione della Taisho corporation sta guidando questa azienda fiore all’occhiello della nostra economia verso un futuro roseo e in continua espansione…”
 
Un nuovo silenzio accompagnò la ricerca dell’oratore che aveva preso a scandagliare la platea in ricerca di una sola persona, che venne subito individuata grazie all’abbassamento totale delle luci a cui seguì quella accecante di un faro proprio su di lui.
 
“Signori e Signore, miei illustri ospiti…accogliamo il nostro ospite d’onore Sesshomaru no Inu!”
 
L’applauso iniziato dal sindaco fu emulato da tutta la folla che si fece da parte per permettere a lui di raggiungere il palco allestito per l’occasione.
 
“…A te nobile figlio del nostro compianto amico…”
 
Sesshomaru chinò appena il capo accettando con rispetto il cofanetto dorato la cui imbottitura blu esponeva in bella mostra la croce d’oro a memoria di suo padre.
Si fermò ad ammirarla mentre ritraeva le braccia notando che al suo centro era incastonata una gemma irregolare dal colore grigio opaco.
 
“…quella scheggia è un frammento della pietra lunare portata sulla terra dagli astronauti che nel 1969 sbarcarono sulla luna, è chiamata still stone, ero un grande amico di tuo padre e un giorno che eravamo a pranzo fuori mi raccontò dell’emozione che provò quel giorno e dell’importanza che la luna aveva nella simbologia della vostra famiglia quindi ecco…mi sembrava un dono appropriato da aggiungere a questa onorificenza…”
 
Sesshomaru, rimasto in silenzio si trovò a ritrattare ogni accusa d’ipocrisia che aveva rivolto ai presenti dovendo riconoscere che davvero tutta quella gente, aveva amato molto e rispettava tutt’ora la memoria di suo padre.
 
Portando la teca alla mano sinistra distese la destra che il sindaco seppur meravigliato non esitò a stringere con forza e convinzione conscio del grande onore che gli era stato rivolto dal momento che Sesshomaru era noto alle cronache per avere una totale intolleranza verso qualsiasi tipo di contatto ravvicinato a partire dalla semplice ed innocua stretta di mano.
 
Una volta lasciata la presa, immortalata da decine di flash e zoom delle telecamere oltre che da un crescente brusio d’apprezzamento, il ragazzo si voltò in direzione del microfono sbalordendo nuovamente la platea che si zittì non appena egli schiuse le labbra.
 
“…a nome mio e di mio fratello Inuyasha vi ringrazio per questa serata… è un onore per me sapere che mio padre gode tutt’ora della stima e del rispetto di persone degne a loro volta di stima e rispetto…”
 
Si schiarì la voce, alzano appena il cofanetto.
 
“Grazie davvero…”
 
Detto questo si allontanò cercando di non mostrare la commozione che le sue stesse parole, ma più di tutto gli applausi della folla gli avevano scatenato dentro.
Fu furbo abbastanza da decidere di deviare per le cucine, riuscendo ad evitare giornalisti e curiosi facendosi indicare dal capo chef la via per raggiungere l’uscita sul retro dov’era certo avrebbe trovato Sango ad aspettarlo.
 
“Stavo cominciando a darti per disperso…”
“…”
“Come mai ci hai messo tanto?”
“Ho seguito solamente il tuo consiglio…”
“Tu che fai qualcosa che ti dico io? Ma va….su spara…”
“…glielo dovevo…”
“Mhn?”
“…a mio padre…a quella gente…”
 
L ragazzina si voltò a mezzobusto incrociando direttamente il suo sguardo.
 
“Santo cielo ti stai rammollendo!!! Waah ahh ahh!”
“Zitta e parti Sango…e ricordami di nuovo il motivo per il quale lavori ancora per me…semmai ce ne fosse uno…”
“Perché come annodo i papillon io non li annoda nessuno!!!”
 
Rise a quella battuta ben sapendo che c’era dell’altro…Sango era un’ottima collaboratrice capace di far tutto, dal meccanico all’autista alla cameriera, sapeva tenergli in ordine l’agenda e programmargli gli impegni della settimana ed era l’unica umana che voleva attorno dal momento che non aveva bisogno di un sottoposto per ogni cosa; gli altri membri della società e azionisti avevano stuoli di segretarie autisti cameriere e via dicendo mentre lui aveva Sango, quella pazza impicciona che sapeva farlo essere sé stesso, quella sfacciata che gli chiedeva della sua vita privata con il sorriso sulle labbra ma senza malizia negli occhi, quella piccola e giovane umana che aveva avuto la disgrazia più grande che ad una donna possa mai capitare ma che continuava a vivere e fare del suo meglio…l’umana che lo poteva trattare come un suo pari e non si sentiva superiore agli altri per tale onore concessole…quella che era stata trovata dal benefattore Taisho padre durante un viaggio di pace in terra di guerra e che subito era diventata parte della famiglia …quella che gli aveva insegnato che il cuore non serve solo a pompare sangue ma anche sentimenti…quella che…
 
“Guarda che se non sbatti le palpebre ogni tanto gli occhi ti finiranno per seccare…”
 
 
…quella che c’era sempre.
 
Sorrise abbassando lentamente gli occhi che si erano posati su di una sagoma a lato della strada e che erano riusciti a mettere a fuoco l’immagine appena prima d’esser chiusi.
 
…Rin?
 
Li riaprì immediatamente non appena nome e persona nella sua mente ritrovarono una loro dimensione e i rispettivi sentimenti di rimpianto rivoltigli.
Si voltò a guardare fuori dal finestrino posteriore ma la macchina era già avanzata di molto e la sagoma era indistinguibile fra la marea di persone per strada a quell’ora nonostante fosse sera inoltrata.
 
“Che c’è?”
“…niente, per un attimo mi era parso d’aver visto…”
 
Incrociò gli occhi curiosi di Sango riflessi nello specchietto.
 
“Lascia stare, non ha importanza ora…”
“Come vuoi”
 
Sango osservò a lungo l’espressione che gli era comparsa in volto ma decise di lasciar perdere ben sapendo a cosa era dovuta; l’aveva riconosciuta anche lei l’ultima compagna dell’uomo a cui doveva la vita e non a caso l’auto aveva rallentato nel loro avvicinarsi per poi proseguire come se nulla fosse; a Sango Rin era piaciuta fin da subito e ci aveva spesso parlato volentieri e non aveva mai nascosto a lui di come c’era rimasta male nel vederlo comportarsi così nei confronti della nuova arrivata.
Scosse leggermente la testa al ricordo della lite che avevano avuto e di come le cose avrebbero potuto peggiorare se non fosse stato per Taisho…basta, stava andando a sguazzare in un pantano di ricordi tristi e inutili.
 
“…guarda che se non fissi lo sguardo alla strada mentre guidi rischi di mettere sotto qualcuno o tamponare qualcun altro…”
“Oh cazzo!”
 
Frenò di colpo evitando per puro miracolo di impattare contro il paraurti di un SUV nero fermo al semaforo…cosa cavolo le era preso? Non era da lei distrarsi così accidenti!
 
“Sono…mortificata…io..”
“Non è niente Sango… sei stanca? Vuoi che guidi io?”
 
Negò con convinzione ripartendo una volta che l’auto che li precedeva fu partita e le distanze di sicurezza ripristinate.
 
Sesshomaru si limitò ad annuire tornando a rimuginare su eventi passati e lontani cercando un modo per rimediare che sembrava non esistere.
Forse lasciar perdere tutto sarebbe stata la cosa migliore, lei gli era sembrata serena e per nulla abbattuta, era giovane e bella come sempre, in ottima forma e ….cosa si metteva a pensare?
 
Due minuti dopo scesero nel garage sotterraneo di villa No Inu attraversando la grande rimessa  nella quale erano ospitate decine di altre macchine.
Rallentò nel vedere Sango deviare per l’angolo officina fermandosi ad aspettarla.
 
“Vai pure avanti tu…io devo sistemare la convergenza della Big Limoo…ho notato che non risponde bene alla guida…ci vorrà un po’.”
“Non puoi farlo domani mattina?”
“Domattina serve a tuo fratello, mi ha detto che vuol fare bella figura all’inaugurazione del nuovo municipio…”
“Poteva prendere la berlina nera…”
“Troppo anonima secondo lui… ”
“Che chiami i suoi meccanici allora, tu sei stanca e…”
“…e l’unica autorizzata a metter mano alle vostre auto ricordi?”
 
Ricordandogli la frase che suo padre ripeteva sempre al corpo meccanico dell’officina Sango prelevò alcuni oggetti dei quali lui ignorava non solo l’esistenza ma anche l’utilizzo da una parete rivestita in legno al quale erano appesi centinaia di strumenti perfettamente lucidi e ben esposti.
 
Mosse alcuni passi verso di lei prendendole di mano quello che sembrava una specie di cric,e in quanto tale doveva essere pesante, assumendosi il disturbo di portare quel peso facendo poi ritorno alla lunga limousine.
 
“Grazie, e se proprio vuoi strafare va al volante così faccio prima a regolare gli pneumatici…”
 
Ci misero venti minuti e una volta che il problema fu risolto l’aiutò a rimettere a posto gli oggetti usati stupendosi della cura che dimostrava lei nel maneggiarli e, in questo caso pulirli prima d riporli.
 
“Lo sai che quella chiave avrà come minimo 50 anni?”
 
Sango si bloccò dal rimettere a posto la chiave inglese misura 40 che impugnava guardandola curiosa.
Che era vecchia lo si capiva dal design ma era tenuta benissimo.
 
“Beh… è vecchia si, ma ti assicuro che funziona benissimo…”
“Il capo meccanico che c’era prima di te aveva una cura immensa di questi attrezzi…”
 
Sango annuì ricordando l’uomo che Sesshomaru aveva nominato dal quale aveva imparato ogni segreto sui motori ed ereditato il ruolo di capo meccanico.
 
“Nonno Myoga è stato un buon maestro…”
 
Sorrise a quei ricordi.
 
“Perché ti è venuto in mente?”
“Vedere te ora, è stato come rivedere lui, stessi movimenti e stesse posizioni…stessa cura…”
“Hey Sessho…”
“Nh?”
“Che c’è?”
 
Scattò indietro col volto rimanendo in silenzio a quel tono dolce di domanda.
 
“In che senso?”
“Oggi sei diverso…hai del nostalgico, non scatti alle mie provocazioni non…sembri tu…va tutto bene?”
“Quando sono io…vado bene?”
 
Fu il turno di lei di scattare.
 
“Quando sono schivo, evito le persone e rimango indifferente alla gente…vado bene?”
“È come sei tu, non ferisci nessuno…non rompi a nessuno, certo che vai bene!”
“Due anni fa però non ti andavo bene…”
 
Sbuffò capendo immediatamente a quando si riferiva e a cosa si riferiva.
 
“Due anni fa non eri davvero tu, fingevi e lo facevi anche male, esageravi e indossavi una maschera di pura cattiveria che non ti è mai appartenuta…non mi andava bene solo quella parte finta di te…”
 
Assorbì il silenzio di lui tornando a sistemare l’attrezzo alla parete non potendo fare a meno di ricordare quel loro unico e furioso litigio quando lei aveva “osato” disubbidire a Sesshomaru ed aveva accompagnato a casa Rin dopo una cena-disastro alla quale Inuyasha aveva contribuito con una crisi di nervi finita con la sua fuga da casa; ovviamente Taisho lo aveva seguito senza pensarci due volte e Rin era rimasta sola in quella villa dove  nessuno la considerava  non sapendo come fare per tornare a casa e non riuscendo a trovare nessuno a cui chiedere dove ci fosse un telefono dal momento che tutto il personale era misteriosamente svanito nel nulla così come l’apparecchio che cercava e che era sicura d’aver visto agganciato alla sua base al muro della hall al suo arrivo.
Sospirò ricordando le parole che lui le aveva rivolto e le scuse che non aveva mai offerto optando per un silenzio durato mesi e un lento periodo di riavvicinamento che era sembrato più un favore rivolto a lei che sincera voglia di tornarle amico.
Lei aveva sofferto molto ma non si era mai pentita del gesto compiuto anzi, se non le avesse dato quel passaggio e l’avesse lasciata tornarsene a casa da sola a piedi quella notte, era certa che non se lo sarebbe mai perdonato in tutta la vita.
 
“…stamattina al cimitero mi è venuta in mente lei…”
 
Sango smise di armeggiare con lo straccio e il lucido poggiandoli entrambi sul bancone.
 
“?”
“Rin…”
“Ah...come mai?”
“Ogni volta che vado a far visita a mio padre e vedo quel bocciolo che lei porta fremere alla brezza e sfidare la bellezza degli altri fiori mi ritorna in mente lei…”
“…e?”
“…non lo so…”
 
Sorrise Sango ai pensieri di quel demone che aveva imparato a conoscere le incertezze e i dubbi che possono nascere dalle azioni commesse, sorrise felice al risveglio di quella coscienza troppo a lungo creduta inesistente.
 
“Ti stai proprio rammollendo vecchio mio…”
“Hey…”
“…è un bene…”
 
Glielo disse col tono più dolce e convinto che lui avesse mai udito uscito dal sorriso di due labbra e passato attraverso la lucentezza di quei due occhi color del caffè.
 
Non aggiunse altro lei né volle farlo lui che si limitò a scuotere il capo e precederla verso le scale che portavano di sopra.
Lui era cambiato e su questo non c’erano dubbi, un tempo non avrebbe mai confidato a nessuno i suoi pensieri né tanto meno concesso tanta confidenza ad un essere umano, ora quasi gli piaceva sapere di poter fare affidamento a lei, oramai non viveva più nel mondo antico…
 
 
 
 
 
TH
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 4
*** Almost there ***


 
 
 
 
Il sole stava già incominciando il suo tramontare.
La luce densa e accecante che lo caratterizzava inondava la città e le fronde degli alberi di un vivo color amaranto capace di accecare.
 
Rin, dopo aver osservato bene la vista che si godeva dal cortile del tempio Higurashi si avviò scendendo per le scale, accanto a lei Kagome camminava in silenzio, pensierosa.
 
“Cosa ti preoccupa?”
“So che ti potrei sembrare sciocca, ma ho un brutto presentimento…”
“Vuoi rimanere qui?”
“Vorrei che noi rimanessimo qui.”
 
Sorrise sbilanciandosi verso di lei fino a colpirla scherzosamente con una spallata.
 
“Ho dato la mia conferma, saranno solo un paio d’ore di imbarazzo nel rivedere visi conosciuti e un po’ di nostalgia nel ricordare Taisho, ce la faccio stai tranquilla.”
“Nhm…”
 
Kagome aveva sperato fino all’ultimo in un ripensamento di Rin, non la voleva più vedere piangere né disperarsi nel ricordo di un amore perduto.
In fondo alla scalinata il giallo acceso del taxi catturò la sua attenzione.
 
“A lui che hai detto?”
“La verità…è abbastanza grande per conoscere e capire…ha detto che va bene.”
 
Prima che Kagome potesse ribattere estrasse dalla tasca del giubbotto una busta rettangolare, alzandola al livello degli occhi di entrambe.
 
“Una lettera?”
“L’ha scritta lui.”
 
Curiosa Kagome fece per prenderla ma Rin fu più svelta e la tolse dalla traiettoria, “ Mi ha pregato di non leggerla …”
 
“E allora perché te l’ha data?”
“Vuole che la consegni al suo spirito.”
 
Capendo, Kagome annuì colpita da tale gesto e se fino ad un attimo prima non era ancora del tutto convinta a partecipare ora lo era, era giusto anche per lui; sorridendo saltellò percorrendo gli ultimi quattro gradini arrivando per prima alla portiera del taxi per aprirla e inchinarsi mentre Rin arrivava.
 
“Prego Madame!”
“Scema!”
 
 
…………………………………..
 
Sango sbuffò per l’ottava volta in quei cinque minuti di pausa. Ma si poteva essere così idioti? Aveva tentato in tutti i modi di fargli capire una cosa semplicissima, o meglio, di fargli NOTARE che quella piccola busta dorata che stava sulla sua scrivania da più di due settimane, e che lui non aveva ancora aperto, era la risposta a tutti i suoi problemi.
Concentrandosi su di una macchietta nera nel lucido rivestimento del controsoffitto corrugò la fronte.
L’avrebbe strozzato, si e poi gli avrebbe pure dato un pugno su quel brutto muso perennemente incazzato che si ritrovava.
 
“Ti verranno le rughe a forza di pensare.”
 
In un attimo fu in piedi di fronte al nucleo dei suoi pensieri. Eccolo li il citrullo del secolo, quello che cercava ciò che aveva sotto il naso e non vedeva le cose nemmeno quando ce le aveva davanti agli occhi…quello che…
 
“Ti muovi?”
“Eh?”
“Sono le nove e mezza Sango…non dobbiamo andare a casa?”
 
Adesso lo ammazzava.
 
Esalando un sospiro d’amarezza si scostò dalla parete alla quale si era appoggiata.
 
“Lo fai apposta Sesshomaru?”
“Che c’è?”
 
Con una calma che poco le si addiceva entrò nell’ufficio dal quale lui era appena uscito dirigendosi alla scrivania per prendere quella dannata busta ancora dannatamente intatta. Uscendo gli si parò davanti sbattendogliela al petto.
 
Lui, un po’ sconcertato da quel suo gesto la prese osservandola in silenzio.
 
Tokyo General Hospital…non capiva.
Quella busta gli era stata recapitata ben due settimane prima e siccome sapeva benissimo cosa poteva contenere non si era nemmeno disturbato ad aprirla.
Odiava quel dannato ospedale e non si era fatto alcun problema a palesarlo alla dottoressa Kawasaki, primaria della suddetta struttura all’epoca della sua ultima visita.
Ora che ci pensava, come mai non era stata distrutta come aveva disposto giorni addietro?
 
“Che significa Sango?”
“E me lo chiedi? Ma sei idiota proprio?”
“Non mi piace il tuo tono, ti aveva espressamente detto di…”
“Distruggere l’ennesimo invito al quale sei stato richiesto per ricordare tuo padre? Si lo so ma non l’ho fatto…e sai perché?”
 
Lo sguardo di glaciale curiosità che lui le rivolse non la scalfì minimamente.
 
“Quello è l’ospedale in cui lavorava lei…”
“Lo so…”
“Non la stai forse cercando?”
“E con questo?”
 
Se beccava il tale che andava in giro dicendo che i cani erano animali intelligenti l’avrebbe pestato a sangue perché l’individuo che le stava di fronte, ovvero un noto esponente del clan dei demoni cane più potenti dell’ovest, era l’esatta personificazione della demenza di tale razza.
 
“Non credi che ci sia la minima…e dico minima per non dire ovvia possibilità che anche a lei sia  stato recapitato tale invito? E non credi che andandoci magari, e sottolineo la parola magari tu la possa incontrare?”
“Credo di si…”
“E allora mi spieghi perché, se è da due settimane che hai ‘sta maledetta busta in bella vista sulla tua scrivania ogni dannatissimo minuto tu non abbia ancora pensato al fatto che magari e…”
“Piantala, ho capito…avverti Inuyasha, lo voglio pronto in uno zero due.”
 
Soddisfatta Sango si allontanò dirigendosi all’ascensore col cellulare già in mano in attesa della risposta dell’altro genio di famiglia, quello che probabilmente l’invito ce l’aveva da un mese e mezzo in giro per casa o l’ufficio.
 
 
……………………………
 
 
La serata stava procedendo bene. Nell’aula magna del noto albergo che era stata affittata per l’occasione c’era una piccola orchestra che alleggeriva l’atmosfera con un raffinato repertorio di musica classica, il buffet era qualcosa di delizioso e le persone presenti si erano dimostrate tutte molto cordiali con lei.
C’erano il sindaco della città, alcuni alti dirigenti della sanità, un paio di attori con cui Taisho era stato molto legato e tantissime persone che avevano ricevuto l’onore della sua amicizia.
 
“Rin…”
“Che c’è Kagome?”
“Sono quasi ledieci e  mezza, che dici andiamo?”
“Non ti senti a tuo agio?”
 
Se le avesse detto che il brutto presentimento che le era venuto prima ora era tornato dieci volte più pesante l’avrebbe solo spaventata, così, piantandosi in viso un sorriso poco sincero finse tranquillità nell’esporre la sua risposta.
 
“No, è solo che ormai abbiamo salutato tutti, il discorso lo hai già fatto non vedo alcun motivo per rimanere oltre no?”
 
Vedendo il sorriso dell’amica si rasserenò. Se ne sarebbero potute andare finalmente.
 
“Saluto Megumi e ti raggiungo nella hall ok?”
“Intanto chiamo un taxi.”
“Bene!”
 
Si separarono e mentre Rin raggiungeva l’ancora primaria Megumi Kawasaki per congedarsi e ringraziarla dell’invito, Kagome già stava parlando con l’agenzia dei taxi per prenotarne uno in tutta fretta.
Ma presa com’era dall’agitazione non si accorse che la grande porta d’uscita che il portiere le stava per aprire d’improvviso si spalancò dall’esterno e l’anta la colpì secca sulla fronte facendole perdere la presa sul cellulare che cadde a terra sul lucido marmo rosato spaccandosi.
Non fece in tempo a preoccuparsi di questo perché la botta ricevuta la mandò ko dritta fra le braccia del colpevole di tale gesto.
 
“Oooooooooops cazzo non l’avevo vista!”
“Inuyasha sei sempre il solito imbecille, da qui si esce, non si entra mica e poi a cosa credi che servano i portieri? Non siamo in un campo da calcio dannazione!!!”
“Diamine mi sono distratto Sango, non farmi sempre la predica!”
“Invece di blaterare falla sdraiare da qualche parte e fatti portare del ghiaccio, mi aspetto che tu ti scusi come si deve con questa ragazzina…”
“Ra…gazzina a chi? Ho 25 anni io…”
 
Colpita da una forte reazione d’orgoglio Kagome rispose d’istinto all’offesa appena udita, come potevano scambiarla ancora per una ragazzina? Dimenticò subito l’irritazione però quando un’ondata di calda elettricità le attraversò la schiena. Era una sensazione quella che aveva provato una sola volta nella vita e che le era un poco sgradita. Fece per divincolarsi da quella presa che ancora la teneva in piedi senza però aver successo.
Inuyasha tossì un sorriso sollevato dal fatto che la ragazzi…ops ragazza fosse tornata in sé, divertito dalla prontezza con cui lei aveva risposto a suo fratello e dalla luce fiammeggiante che le vide brillare negli occhi.
 
“Ohio, ma cos’è stato?”
“Colpa mia  mi dispiace…”
“Già, questo idiota non sa leggere ed ha scambiato la parola uscita con entrata…scusalo…ehm?”
 
Sango, imbarazzata attese che la ragazza si presentasse.
 
“Higurashi…mi chiamo Kagome ohi…Higurashi…”
“Dove correvi di tutta fretta?”
“Via da questo posto maledetto…”
 
Sesshomaru, rimasto spettatore di quell’inaspettato teatrino s’intromise sebbene ciò che stava succedendo non gli interessasse particolarmente ma la cazzata di Inuyasha aveva attirato un bel po’ di attenzione e sarebbe stato alquanto sconveniente da parte sua andarsene facendo finta di nulla.
 
“Ho mandato un cameriere a prenderle del ghiaccio signorina, da quel che posso vedere la ferita non è altro che una lieve botta…ma se la testa le dovesse fare molto male non esiti a chiamare il mio ufficio, le ripagheremo le eventuali visite ospedaliere…”
 
“Ma no non si preoccupi…”
 
Titubante Kagome prese il biglietto dalla gelide mani di lui.
Bastò quel semplice contatto per farle aumentare l’agitazione che poco prima l’aveva assalita.
Quella reazione ne scatenò un’altra ed una piccola scossa scaturitale dalle dita allontanò d’improvviso la mano del ragazzo che le aveva appena parlato.
Kagome capì all’istante che si trattava di un demone, e da quello che ella poté leggere negli occhi sorpresi di lui e degli altri due, comprese anche che loro avessero capito chi o cosa fosse lei.
Da secoli immemori demoni e sacerdoti non andavano molto d’accordo e anche se i tempi erano cambiati, l’astio che contrapponeva le due parti non si era mai andato ad affievolire, troppe erano le differenze.
 
“M-mi scusi io…devo an…”
 
Imbarazzata e spaventata da una possibile reazione dei tre Kagome si allontanò di colpo rimettendosi in un alquanto precario equilibrio preoccupandosi di restituire il biglietto che schiacciò fra le mai della ragazza mora che accompagnava il demone.
Compiendo quell’azione riuscì a leggere di sfuggita il nome inciso sull’elegante rettangolo di rigida e lucida carta.
 
Sesshomaru no Taisho
 
Per poco, il terrore nell’appurare l’identità di quello sconosciuto non la fece cadere o peggio ancora svenire.
Ecco a cosa era dovuta l’agitazione, la sua anima aveva percepito l’avvicinarsi di quell’aura demoniaca e se tutto fosse finito qui non si sarebbe poi preoccupata più di tanto, ma quel nome, quel maledetto e indimenticabile nome era stata la principale causa di agonia della sua piccola e adorata sorellina.
 
Sorellina che si trovava da qualche parte in quell’immensa sala e che lei doveva assolutamente portare via
prima che fossero quegli altri a incontrarla.
Con uno sguardo di puro astio rivolto al demone si dileguò fra la folla accorsa nel frattempo ad accogliere i nuovi arrivati ignorando totalmente la borsa del ghiaccio che i cameriere era riuscito infine a portarle.
 
 
 
Rin curiosa si voltò verso l’entrata della sala da dove si era levato un’incessante mormorio.
Si era distratta in chiacchiere con la primaria ed aveva perso la cognizione del tempo, probabilmente Kagome la stava aspettando e non sarebbe stato carino farla attendere oltre.
 
“Meglio che vada ora, mi ha fatto piacere rivederti Megumi, prometto che passerò in ospedale d’ora in poi e scusami se…”
 
Le calde e grandi mani di lei avvolsero le sue in un dolce tocco che sapeva di famiglia.
 
“Comprendo il tuo dolore Rin, e prenditi tutto il tempo di cui avrai bisogno…sappi che nessuno ti porta rancore e che coloro che ancora stanno da noi ti ricordano con affetto immutato.”
 
Calde lacrime le rigarono il viso bagnandole di liquido sale le labbra distese in un sereno sorriso.
In fondo le aveva fatto bene partecipare dopo tanto tempo ad un qualcosa che avesse avuto a che fare con Taisho, forse in un qualche modo aveva finalmente elaborato il lutto che da quasi due anni si portava dentro, forse da domani il cuore non le avrebbe poi fatto così male.
In fondo era amata dalle persone che a sua volta amava e anche se quella più importante della sua vita purtroppo non c’era più il suo ricordo sarebbe stato sempre vivo dentro di lei e non avrebbe più portato solo pianto e lacrime, ma tanti sorrisi.
 
“A presto!”
 
Baciò la tiepida e paffuta guancia della donna che per anni si era presa cura di lei avviandosi poi verso l’uscita.
La concitazione laggiù non si era ancora placata ed era davvero curiosa di sapere chi era arrivato.
Non arrivò a metà tragitto però che incontrò un agitatissima Kagome intenta a guardarsi intorno con aria terrorizzata.
 
Le andò vicino notando solo allora il segno rosso e gonfio che le percorreva la fronte.
 
“Santo cielo Kagome-chan che ti è successo?”
 
Lo sguardo che le lesse in viso fu di puro sollievo.
 
“Grazie al cielo ti ho trovata…andiamo via subito!”
“Eh ma che…? Che hai fatto alla fronte?”
“Sono andata a sbattere contro la porta, non è niente, andiamo…”
 
Si senti trascinare via verso la direzione dalla quale era appena arrivata.
 
“Ma l’uscita è di là…”
“Passeremo per il giardino!”
“Megumi è qui vicino, lasciati dare un occhia”
“NO! Andiamo via!”
“Ma Kagome!?”
 
Non ci fu verso, né di farla visitare da Megumi né di farsi spiegare il motivo di tanta agitazione.
Per il momento decise di lasciar perdere e la seguì in silenzio verso le grandi vetrate spalancate che davano sull’immenso giardino esterno. Fu quasi divertente attraversare di corsa quel parco camminando sulla soffice erba umida e alquanto comico scavalcare le perfette linee di siepi che separavano il giardino dal parcheggio dove finalmente, con grande sollievo di Kagome, c’era un taxi fermo ad aspettarle.
 
“Prima tu!”
“Ok…”
 
 
Kagome si voltò verso il giardino mentre Rin ignara di tutto entrava in macchina.
Vide subito sulla soglia della vetrata la sagoma di colui che poco prima, prendendola alla sprovvista le aveva raggelato il sangue nelle vene.
Purtroppo non era riuscita a portarla via abbastanza in fretta ed era consapevole del fatto che lui l’avesse vista in sua compagnia, ma se quel folle di un demone pensava di potersi avvicinare come se niente fosse si sbagliava di grosso. Notando che stava muovendo alcuni decisi passi verso di loro espanse la sua aura spirituale mandandogli un chiaro avvertimento.
 
Avvicinati ancora e ti purifico, maledetto.
 
Egli sembrò capire perché di colpo si bloccò. Una vibrazione piuttosto sinistra le squarciò tuttavia la barriera.
 
Non ho paura, sembrava dirle, ma per ora mi fermo qui.
 
Rilassandosi si abbassò entrando in macchina senza mai distogliere lo sguardo da quella nera sagoma immobile.
Un’altra vibrazione, stavolta più potente sgretolò la sua barriera attraversandole l’anima come una scheggia gelida e tranquilla.
 
Tuttavia non finisce qui.
 
Rabbrividendo nell’udire chiaramente quella voce nella propria testa Kagome riattivò l’invisibile barriera aumentandone la pericolosità e l’intensità, maledicendosi per aver sottovalutato la potenza demoniaca di quel No Taisho, e si che quella di  prima non era stata affatto una barriera debole.
 
In questo modo comunque egli non avrebbe potuto seguirle e anche più tardi gli sarebbe stato impossibile risalire al loro tragitto usando i suoi poteri demoniaci.
Per sicurezza poi fece fare al taxi un lungo giro e scesero a circa tre isolati da dove stava il Ryokan di Rin.
Non si era dimenticata degli altri due e anche se le continue domande di Rin a proposito del suo strano comportamento furono difficili da aggirare alla fine riuscì a portarla a casa sana e salva.
Prima di andarsene infine attivò una leggera barriera di protezione attorno al Ryokan, potente quel tanto che bastava per nascondere la presenza della sua sorellina all’interno della struttura perché sapeva fin troppo bene che se ne avesse eretta una bella tosta per loro sarebbe stato un gioco da ragazzi rintracciarla.
Se qualcosa di sacro appariva dal nulla ed interferiva coi loro sensi demoniaci avrebbero capito subito dove si “nascondeva” Rin e non ci avrebbero messo molto a trovarla.
 
Solo una cosa non le era ben chiara.
Erano passati quasi due anni da che Inu no Taisho era morto e fino ad allora Sesshomaru l’aveva lasciata in pace, perché tutto d’un tratto si faceva vivo quel maledetto? Cosa voleva ancora da lei?
 
 
Quella preoccupazione la portò a fermarsi a pochi metri dall’inizio delle scale che portavano al tempio Higurashi dove viveva per alzare gli occhi al cielo notturno in cerca di una risposta.
Quella sera la luna sembrava risplendere più del solito, viva della luce d’argento che la ricopriva che sembrava aumentarne la dimensione entro quel cielo cupo e denso.
 
“Siamo pensierose?”
 
L’urlo che creò per lo spavento non riuscì ad abbandonarle la gola dal momento che una fredda mano glielo strangolò in bocca.
Sbarrando gli occhi terrorizzata fissò il proprio sguardo in quello ultraterreno del ragazzo che le aveva sbattuto la porta in faccia neanche un’ora prima. Un mezzo demone, prima non lo aveva identificato dal momento che la sua aura si era confusa con quelle dei moltissimi umani presenti e la sua parte demoniaca lei l’aveva attribuita a Sesshomaru, ora che erano soli invece la poteva discernere chiaramente.
Avvertì sulla propria pelle la puntura di un ago e il disagio che provò le fece intendere immediatamente di che cosa si trattava. La spilla tetra era un aggeggio profano che annullava il potere spirituale di chiunque possedesse un aura, l’unica fortuna era che con i suoi poteri sarebbero svaniti anche quelli del mezzo demone che la stava attaccando.
 
“Sciocca, se mi dici il tuo nome è ovvio che sappia rintracciarti non credi?”
 
Se la mano gelida che le tappava la gola la stava terrorizzando, l’alito caldo che gli usciva dalle labbra mentre parlava e le si infrangeva contro l’orecchio era in grado di calmarla. “ Tanto affanno nel nasconderti non è servito a nulla” e poi quella voce, come mai d’improvviso s’era fatta così sensuale e profonda? Poco prima le era parsa uguale a quella di qualsiasi altro ragazzo esistente sulla faccia della terra mentre ora era totalmente diversa.
 
“Non metterti contro la nostra stirpe ragazzina non avresti speran”
“A cuccia!”
 
Inuyasha si trovò a terra con la faccia spiaccicata sull’asfalto senza capire cosa diavolo…
 
“A cuccia A CUCCIA A CUCCIA A CUCCIA A CUCCIAAAAAAAAAAAAAAAA!!!
 
Ripetutamente si sentì calamitare al suolo e con l’alzarsi del volume della voce di lei aumentava la potenza che l’attirava al suolo e lui era assolutamente incapace di reagire.
 
“Ma che!!? Piantala!”
 
Riuscì ad alzarsi che la ragazzina, strillando come una pazza era già salita a metà della rampa di scale.
Seguirla non avrebbe avuto alcun senso, l’aura mistica che aleggiava attorno al tempio lo avrebbe solamente indebolito e poi era chiaro che ci fosse almeno un altro sacerdote li dentro, non poteva rischiare di finire seriamente ferito e d’altro canto lui non voleva certo incominciare o alimentare l’astio già esistente.
Era stato mandato li per avvertire quella donna di sterne fuori ma a quanto pare, aveva fallito.
 
Sbuffando un mezzo sorriso balzò sui tetti delle abitazioni e fece ritorno a casa sua. Avvertì un tintinnio continuo ad ogni salto che faceva ma non ci fece molto caso.
E non fece caso nemmeno al rosario di perle sacro che a sua insaputa la ragazzina gli aveva messo al collo.
 
Povero Inuyasha, la dolce Kagome gli avrebbe fatto capire molto presto chi dei due non avrebbe avuto speranze.
 
……………………..
 
Entrò in casa tremante di rabbia, paura ed eccitazione.
C’era riuscita…seppur messa alle strette e presa alla sprovvista era riuscita da sola a mettere in fuga un mezzo spettro. Non vedeva l’ora di raccontarlo a suo nonno.
 
“Non metterti contro la nostra stirpe ragazzina”
 
Quella voce le trapanò il cervello irritandola nuovamente…ma come si permetteva quello scemo di…
Sorridendo si diresse alla finestra spalancandola e riempiendosi i polmoni d’aria gridò a squarciagola.
 
“A CUCCIAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!”
 
………………..
 
 
Inuyasha cadde.
 
………………..
 
 
 
 
 
 
^()^
TH
 
Grazie ad Arkya90, Zonami84 Lollyna e Serin88
 
A chi l’ha messa nei preferiti:
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Capitolo 5
*** a little ant and her sun ***


 
 
 
Canticchiando Rin ripose l’elegante soprabito che aveva indossato la sera prima e che nella stanchezza che l’aveva avvolta d’improvviso appena ritornata a casa, aveva appoggiato sullo schienale della poltrona.
D’improvviso si ricordò di una cosa importante e inserendo la mano nella profonda tasca dell’abito estrasse una bianca busta un po’ rovinata sugli angoli superiori.
 
S’e l’era dimenticata.
 
Picchiandosi la tempia per la dimenticanza la inserì in borsa chiudendo l’armadio dopo aver preso una giacchetta più casual. Sul comodino le chiavi della sua piccola monovolume aspettavano d’esser afferrate mentre immobili luccicavano dei raggi di un accecante sole pomeridiano che filtrando da oltre le tende illuminava a giorno la sua camera da letto.
 
Uscendo sul retro del ryokan si avvicinò ad un’aiuola del giardino e con sapienza tranciò uno stelo fiorito da un odoroso cespuglio di magnifici fiori purpurei.
 
Guardando l’orologio da polso fece due rapidi calcoli e il risultato fu che si, poteva farcela.
Kagome non sarebbe passata che per l’ora di cena e lui sarebbe arrivato fra poco meno di tre ore.
Aveva tutto il tempo che voleva.
 
Uscendo chiuse a chiave e dopo essere salita in macchina partì.
 
 
…………
 
 
Schiudendo gli occhi Sesshomaru fulminò per l’ennesima volta suo fratello.
Cribbio quant’era imbecille.
 
Sango appoggiata al bancone della cucina a stento tratteneva le risate cercando di distrarsi preparando delle frittelle.
 
“Finiscila Sango o te le faccio mangiare tutte d’un colpo quelle pan cake. ”
“Pff…scusa è che…ffft fa tropporidereeeeh ahh ahh waah…un pffft rosario sacro…scemo!”
 
Ignorandola Inuyasha tentò per l’ennesima volta di togliere l’odiato oggetto ma tutto ciò che ne ottenne fu una specie di fastidiosissima scossa se solo ne veniva in contatto.
 
“Dannata vipera, adesso vado a quel tempio e la costringo a…”
“Fa silenzio Inuyasha, vorresti andare da solo in un tempio in piena attività? Quella ti purificherebbe non appena varcati i Tori…piuttosto…”
 
Grattandosi il liscio mento Sesshomaru indugiò con lo sguardo su Sango.
 
“Scordatelo! Assolutamente no…io non c’entro e non voglio entrarci.”
“Mi stavo solo chiedendo se…”
“No!”
“Fra poco ci sarà la festa del Tanabata non vorres-”
“Siiiiiiiiii!!! Si si si si si!!! Decisamente si! Cosa vuoi che faccia?”
 
Ridendo mentalmente alla corruttibilità della pseudo sorella Sesshomaru espose il suo piano alla giovane autista che seppur reclutante alla fine, dopo che riuscì a far promettere ad entrambi che non avrebbero torto un capello alla disgraziata finita nelle loro mire, accettò di eseguire la sua parte.
 
“Quindi io vado, controllo se per caso ha un mezzo, glielo metto fuori uso senza farmi vedere e poi mi faccio trovare li per caso disponibile ad offrirle un passaggio e ve la porto qui?”
“Precisamente!”
 
Inuyasha  era caricato a mille e già pregustava l’imminente vittoria.
 
“Scusa Inucchan ma non hai paura che ti possa ehm mandare a cuccia a ripetizione se ti ha a tiro? Pffft ”
“Certo che no scema, sarà imbavagliata quando io entrerò in scena…”
“E secondo te se io guido quando lo trovo il tempo di imbavagliarla?”
“Col gas! Il Gas! La addormenti e poi la”
“No, io ve la porto sveglia e pimpante, già così rischio figuratevi se la narcotizzo…no e su questo punto NON transigo.”
“Ma Sango!?”
“Poche lagne Inu, se non ti va bene va e arrangiati.”
 
Sconfitto e deluso il più giovane dei due fratelli guardò verso il maggiore.
 
“E sia…ma domani la voglio qui…”
“Agli ordini comandante! E ora a tavola che sennò si fredda tutto!”
 
Obbedirono entrambi facendo onore alla cucina di Sango.
 
 
……………
 
 
Inginocchiandosi accanto al bordo della rosea lapide Rin unì le mani davanti agli occhi pregando per l’anima del suo tanto amato compagno.
Mentre nei pensieri esprimeva la sua gratitudine per i bei momenti che le aveva regalato, questi le apparivano vividi nella mente commuovendola scatenandole un silenzioso e timido pianto.
 
Ricordava benissimo la prima volta che i loro occhi s’incrociarono come se fosse ieri e invece erano più di vent’anni.
 
Wah che bella!!!
 
Scendendo d’improvviso dall’altalena la piccola si diede all’inseguimento di un’enorme libellula dal vivido color dello smeraldo talmente lucente e ricca di riflessi che sembrava verniciata con della tempera metallizzata, come quella delle macchine che continuavano a pubblicizzare in televisione.
 
All’improvviso librarsi in volo dell’insetto la piccola levò lo sguardo al cielo rimanendo accecata dalla sfera solare che si venne a trovare davanti ai suoi occhi.
Sbandando cadde battendo la testa contro la terra battuta del vialetto, non prima però d’aver urtato qualcosa.
 
“Oh…”
 
O qualcuno.
Rimase immobile con gli occhi serrati stordita momentaneamente dall’impatto quando d’improvviso con un colpo secco si sentì sollevare e appoggiare a qualcosa di tiepido e caldo e…ritmico.
 
Un tempo il petto di suo padre quando la prendeva in braccio e la cullava abbracciandola le aveva donato la stessa sensazione.
 
Papà…
 
Stringendo inconsciamente i pugni di una morbida camicia pianse.
Suo padre e sua madre erano morti da due mesi ormai eppure…
 
“Tutto bene tesoro?”
 
Colpita da quella voce dolce e rilassante timidamente aprì gli occhi.
Sole.
Li richiuse temendo di accecarsi nuovamente.
Sole che però non bruciava.
Pian piano schiuse le rosee palpebre specchiandosi nel sole più bello che avesse mai visto e che tuttavia non scottava né accecava.
 
Fu un incontro di sguardi che durò a lungo.
 
“Rin Rin!!!”
 
La direttrice dell’orfanotrofio accorse pochi minuti dopo controllando preoccupata le condizioni della piccola che ancora incantata sosteneva lo sguardo dello sconosciuto.
 
“Non è nulla di grave, ha sbattuto la testa contro il collo della mia scarpa che ha attutito il colpo, solo, non mi ha risposto quando le ho chiesto se stava bene…”
“Oh, questo perché la poverina è muta…”
“Muta?”
“…si…”
 
L’anziana direttrice passò lo sguardo sul viso inespressivo della piccolina e poi su quello preoccupato del benefattore dell’orfanotrofio che non poteva sapere nulla riguardo le condizioni della piccola dal momento che era appena arrivata.
 
“Che succede?”
 
Una donna apparve accanto al sole che stava ammirando e fu impossibile per lei non perdersi nelle immense pozze di cioccolato che coloravano le iridi di lei, lucenti e serene come lo erano quelle della sua mamma.
 
“Oh…niente di grave Izayoi, la piccolina mi è venuta addosso mentre cercava di catturare una libellula, ma sta bene...”
 
Con la fronte sfiorò la tempia della piccola distogliendola dal trans nel quale era caduta.
Timidamente e con le guance rosse d’imbarazzo ella annuì beandosi del sorriso che quella bella signora dai lunghissimi capelli neri le donò.
 
Appena toccò terra scappò via imbarazzata fingendo di non sentire i richiami all’educazione che la direttrice le inveiva contro.
L’eco della profonda risata di lui non riuscì mai più a dimenticarlo.
 
Taisho le aveva raccontato in seguito che si era fatto raccontare il motivo della sua incapacità di parlare e che rimase colpito dalla storia che si sentì raccontare.
Izayoi in particolare pianse lacrime amare per la sua tragedia e insieme decisero di prodigarsi per farle recuperare l’uso della parola affiancandole i migliori psicologi in circolazione e facendo visita all’orfanotrofio più spesso.
 
Lei era stata certa d’essersi innamorata di lui all’età di cinque anni, ancor prima di conoscere e capire cosa fosse quel sentimento ma poi, sentirgli dire quella confessione fu qualcosa di struggente che le sciolse anima e cuore legandoli indissolubilmente a quelli del suo primo e unico sole.
Col passare degli anni la terapia diede i suoi frutti e pian piano riprese a parlare.
Compì sedici anni e venne mandata in un’altra struttura dove imparò il mestiere che le sarebbe piaciuto fare da grande e a 18 infine, abbandonò definitivamente l’orfanotrofio riuscendo pian piano a costruirsi una vita.
Anche se erano passati degli anni dall’ultima volta che aveva visto Taisho ed Izayoi il loro esempio le era rimasto dentro e durante il tempo libero che le restava dal lavoro aveva scelto di fare la volontaria sia negli ospedali che nelle case di cura per anziani tentando in tutti i modi di alleviare le sofferenze delle persone e ricambiare l’immenso dono che le era stato concesso dal cielo nel conoscere due così buone persone.
A 22 anni venne a sapere della scomparsa della dolce Izayoi e col cuore gravido di tristezza partecipò al funerale seppur da lontano riuscendo ad intravedere per un istante, oltre la coltre di ombrelli spiegati per il diluvio che imperversava,  il viso devastato dell’uomo che le aveva illuminato la vita.
Avrebbe voluto avvicinarlo e dargli almeno un poco di quella forza e coraggio che lui le aveva dato quando era bambina ma non ebbe il cuore di avvicinarsi, lo sguardo di ghiaccio di un ragazzino che gli somigliava terribilmente la spaventò.
Quel giorno imparò che esisteva anche un sole che seppur rovente e torrido riusciva a raggelare l’anima di chi lo guardava.
Quel giorno vide per la prima volta Inuyasha.
 
Due anni dopo durante un turbolento turno al ricovero per anziani di Tokyo il destino le fece un secondo e meraviglioso regalo.
Due anni dopo, mentre inseguiva il cane impazzito della signora Nakamura portato nella sua stanza di nascosto, all’uscita della camera appena voltatasi per rincorrere l’arzilla bestiola nuovamente fu accecata da un gioco di riflessi che partiti da fascio di luce entrato dalla veranda rimbalzando sulle plafoniere laterali delle lampadine finì con l’infrangersi contro la liscia superficie di un vassoio che un infermiera teneva appoggiato al petto e il suddetto riflesso le investì il viso con un accecante luminosità.
Due secondi più tardi impattò contro la parete rimbalzando all’indietro fino a cadere di schiena.
Il contatto col pavimento però non avvenne mai perché due mani contrastarono la sua caduta.
 
“Tutto bene ragazzina?”
 
L’udire quel tono di voce le fece spalancare gli occhi immediatamente e lei, ignorando il dolore al naso e alla fronte gli si gettò al collo abbracciandolo come aveva fatto quel lontano pomeriggio da bambina.
 
“Signor Taisho!”
“Si ma, lei chi-“
 
Irrigidendosi lui scattò indietro dislocando le due candide braccia che gli cingevano il collo, nei suoi occhi Rin lesse un leggero disappunto per la confidenza che si era permessa prendersi, ma passò immediatamente, rimpiazzato da felice stupore quando sembrò riconoscerla.
 
“…santo cielo…R-Rin?”
 
Con le lacrime agli occhi, il naso arrossato ed un bollo rosso in fronte ella sorrise annuendo.
 
“Ricorda ancora il mio nome…”
 
Incominciò quel giorno la meravigliosa favola della piccola formichina, così la chiamavano all’orfanotrofio,  che era riuscita ad acchiappare il sole.
 
……………
 
 
Tossendo un singhiozzo si portò il palmo della mano alle labbra cercando di contenere i singulti che feroci e quasi rabbiosi le scappavano dai denti.
Gli mancava terribilmente e anche se in una qualche maniera era riuscita ad andare avanti il dolore era straziante, lacerante…insopportabile.
 
 
“Tutto bene piccola?”
 
Una tiepida mano le afferrò la spalla destra attirandola di lato in uno scomodo abbraccio che tuttavia lei non rifiutò.
Non era la prima volta che la proprietaria di quella dolcissima voce le consolava il pianto semmai capitava che le loro visite s’incrociassero.
 
“Kaede!!! Sigh…Kaede!!!”
 
Pianse tutta la sua disperazione contro il petto di quell’anziana donna che aveva conosciuto per caso durante una visita alla tomba di Taisho.
 
“Andrà bene tesoro, il tempo restituisce ciò che il destino toglie, un altro amore ti attende se-”
“No…non voglio…non ci sarà mai più nessuno come lui e io lo rimpiangerò per tutta la vita!!!”
 
Senza la voce strozzata dal pianto Rin singhiozzava cercando di riprendere fiato. Era devastata.
 
“Ci sarà fidati…”
 
Rin urlò in preda all’ennesima crisi di pianto.
 
 
……
 
 
Sconvolto Miroku appoggiò la schiena contro una delle gelide colonne di marmo alzando gli occhi al cielo in un sospiro che sapeva di amarezza.
 
Per anni, da che conosceva Sesshomaru e Inuyasha quei due non avevano fatto altro che parlar male di lei accusandola d’essere l’ennesima arrampicatrice sociale in cerca di una vita facile.
Ne aveva sentite dire così tante su di lei che aveva finito col credere alle parole dei suoi due amici diffidando dei tentativi di Sango di difenderla.
Ora capiva il madornale errore che aveva commesso.
Comprendeva quanto fosse grande il rammarico di Sesshomaru e sosteneva la sua volontà di fare ammenda.
Tristemente tornò a guardare la scena all’interno del campo santo. Rin sembrava essersi calmata e pian piano venne aiutata dalla vecchia a rimettersi in piedi.
Fece per allontanarsi temendo d’esser visto ma poi notò che la ragazza nuovamente si chinò appoggiando qualcosa fra il vaso della sua aquilegia e la lapide.
Di corsa fece ritorno alla sua auto pronto a seguirla per scoprire dove abitasse anche se la disperazione del suo pianto continuava ad accompagnarlo nell’agire.
 
Riusciva finalmente a comprendere le motivazioni che avevano spinto Sango a sostenere la sua scelta e difendere quella Rin…capiva la forza di quel cuore giovane ma saggio che non si era mai fatto influenzare dalla cattiveria di quello dei due fratelli e in un certo senso biasimava sia Inuyasha che Sesshomaru per l’odioso comportamento avuto nei confronti di Rin, e poi biasimava sé stesso per aver creduto e giudicato senza mai aver conosciuto.
 
Seguendo la partenza della piccola perla verde che era l’auto di Rin accese il motore seguendola.
 
…………………
 
Dopo l’ennesimo tentativo andato a vuoto Kagome sbuffando afferrò borsa e chiavi uscendo dall’abitacolo sbattendo la portiera.
 
“Dannato macinino!”
 
Presa da un attacco d’isteria calciò la ruota della sua vecchia mini strillando dal dolore.
 
“Tutto ok?”
“Oh si, solo…ah”
 
Alzando lo sguardo incrociò due occhi dal taglio esotico riconoscendo immediatamente la ragazza che la sera prima accompagnava i due fratelli.
 
Un campanello d’allarme incominciò a trillare, ma il suo spirito non avvertiva nessun pericolo provenire dalla sconosciuta.
Tentando di sorridere spiegò il problema.
 
“Non riesco a far partire la macchina e devo assolutamente andare all’asilo a…beh, non credo le interessino i fatti miei…”
“Sono capo meccanico a villa No Taisho, lasci che dia un’occhiata magari riesco a farle risparmiare la chiamata del taxi.”
 
Presa in contropiede da tanta sincera gentilezza Kagome annuì.
 
Due minuti dopo, mentre lei che di motori non capiva nulla si guardava la punta della scarpa offesa dal calcio alla ruota di poco prima, Sango riabbassò il cofano pulendosi le mani sporche d’olio in un fazzoletto preso dal bagagliaio della sua berlina.
 
“Tutto ok, solo, è rimasta a secco d’olio, se non vuole friggere il motore le consiglio di…”
“Capito.”
 
Distratta dal comporre un numero sul cellulare rispose frettolosamente.
 
“Io vado al quarto distretto.”
 
Anche lei doveva andare li. Scettica Kagome le lanciò un’occhiata storta; che doveva andarci a fare nel quartiere delle scuole l’autista di due ragazzi diplomati da anni?
 
Un secondo campanello le scombussolò i pensieri.
 
“Non la trattengo oltre…grazie per l’occhiata domani la poterò in officina.”
“…oh…ok, buona giornata!”
 
Dirigendosi alla propria auto Sango si rimise al posto di guida. Dannazione, era negata a mentire e se insisteva l’avrebbe resa ancora più diffidente.
Sbuffando inserì la chiave nel blocco motore.
 
Kagome rimase interdetta. Tutto qui?
Guardando l’orologio prese una frettolosa decisione.
 
“Aspetta…se non ti è di troppo disturbo non è che…sa mio nipote..”
“Sali a bordo Kagome.”
 
Il sorriso di lei smorzò il terzo campanello d’allarme e la sacerdotessa si gettò di sua iniziativa in quella che sarebbe diventata l’avventura della sua vita.
 
“Credo che alla fine non ci siamo neppure presentate come si deve…mi chiamo Sango piacere…”
 
Le porse la mano senza distogliere lo sguardo dalla strada. Stretta che venne ricambiata da Kagome con una solida presa.
 
“Kagome Higurashi…”
“Come il tempio?”
“…si esatto, mio nonno ne è il monaco…”
 
Riaggiustando la posizione del sedile e osservando brevemente il retrovisore Sango annuì e dopo aver cambiato marcia e acceso le frecce destre svoltò l’angolo prendendo la direzione del quarto distretto.
 
“So che il festival del Tanabata è fantastico.”
“Davvero? Sono contenta, il nonno si impegna sempre molto per la sua riuscita…”
“Sono sicura però che il tuo contributo è essenziale, i miei colleghi ammirano sempre la disposizione delle bancarelle, i giochi che ci sono e i premi della lotteria non sembrano affatto designati da un, e scusami il termine, vecchio monaco.”
“Hah hah, in effetti è vero, io e Rin ci divertiamo un sacco a…”
 
Si bloccò dal parlare rendendosi conto di aver pronunciato quel nome. Cavoli, aveva abbassato la guardia e si era esposta…se lei avesse…
 
“E dimmi, organizzate anche corsi di meditazione per caso?”
 
Per nulla scoraggiata Sango fece finta di nulla cambiando discorso e subito Kagome tornò a sentirsi a proprio agio.
 
“Si, due volte alla settimana il martedì e il venerdì dalle otto alle dieci di sera…sebrerà strano ma sono in molti a partecipare…”
“Ci credo, con la vita frenetica di tutti i giorni ed il caos quotidiano chiunque avrebbe bisogno di rilassarsi…”
 
La luce rossa del semaforo impose l’alt al veicolo. Kagome tranquilla prese a trafficare col cellulare.
Approfittando di quella pausa nella guida Sango si girò a guardare Kagome.
 
“Senti, io odio mentire e a questo punto anche tu avrai capito che non ti porterò al quarto distretto quindi parliamoci chiaro…”
 
La seria compostezza di Kagome per un attimo la spiazzò.
 
“Il mezzo spettro sapeva benissimo dove trovarmi, perché mai ha mandato te?”
 
Ridendo Sango riprese la guida svoltando verso la zona residenziale della città. Lo svincolo per il quarto distretto ormai alle loro spalle. Le maestre d’asilo, avvisate del suo probabile ritardo avrebbero badato al piccolo fino al suo arrivo.
 
“Credo non abbia assolutamente alcuna voglia di venir messo a cuccia presumo…”
 
Entrambe non poterono resistere e contemporaneamente scoppiarono a ridere di gusto.
Che strana nemica l’aveva incrociata. Le stava proprio simpatica pensò Kagome che non si perse d’animo nemmeno quando la scura berlina oltrepassò l0enorme cancello di Villa no Taisho.
 
“Seguimi.”
 
In silenzio Kagome la seguì.
……………
 
 
Ah però, niente male davvero.
Spegnendo il motore Miroku osservò per bene l’intero perimetro del ryokan.
Edificio di antica costruzione, fantastico il piccolo giardino che in quel tipo di locande era praticamente d’obbligo e…oh, un albero di magnolia in piena fioritura…
 
“Fantastico.”
“Se le va può entrare a visitarlo.”
 
La voce serena di colei che stava pedinando interruppe il suo riflettere facendolo sobbalzare.
La risata cristallina di lei accompagno le sue scuse.
 
“Le chiedo scusa, non volevo prenderla alla sprovvista.”
 
Rispondere a quel sorriso fu cosa spontanea per lui.
 
“Ma no s’immagini…comunque grazie dell’invito ma sarà per un’altra volta, magari verrò con alcuni miei amici se possibile…”
“Ne sarei onorata.”
 
Aspetta di vedere chi saranno e poi vedremo se sarai ancora contenta Rin.
 
“Ha detto qualcosa?”
“Come? Ah no, stavo pensando tutto qui…”
 
Dannazione a lui e alla sua mani di bofonchiare le sue riflessioni.
Riallacciandosi la cintura salutò e ripartì.
 
Il suo lavoro era concluso.
 
 
 
 
 
 
  

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Capitolo 6
*** Her reason for living ***


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sospirando di noia Rin si guardò attorno.
Che pace.
Che silenzio.
 
La luce pomeridiana che filtrava dalle geometriche linee delle tapparelle si schiantava sulla liscia e chiara superficie del parquet illuminando ancora di più la grande stanza.
Godendosi la pace di casa sua si lasciò cadere sulla stranissima poltrona molliccia che le aveva regalato Kagome. Era strana, ma comodissima.
Lasciandosi coccolare da alcuni raggi di sole chinò all’indietro la testa schiudendo gli occhi, si sentiva già meglio, il pianto assurdamente esagerato di poco prima le aveva davvero fatto bene.
Con le labbra incurvate in un sereno sorriso si addormentò.
 
 
…………..
 
Dopo alcuni minuti di silenzioso cammino giunsero al cospetto di due grandi porte scure.
Appoggiando il palmo aperto su di un anta Sango respirò piano voltandosi per guardarla negli occhi.
 
“Qui nessuno vuole farti del male lo sai vero?”
 
Guardandola diritta negli occhi Kagome annuì in silenzio dando a Sango l’idea di una che sapeva il fatto suo mentre invece dentro, la giovane sacerdotessa stava letteralmente incominciando a farsela sotto.
L’aura spirituale che percepiva al di là della porte era terrificante ed apparteneva solamente ad una delle due presenze che avvertiva.
Diavolo, forse era stata troppo avventata nell’accettare quell’invito, si era buttata da sola in pasto ai leoni.
Il suo istinto magico prese il sopravvento donandole pace, conforto e sicurezza.
 
“Bene, entra pure Kagome-chan.”
 
Salutando la ragazza con un cenno del capo si addentrò all’interno di quella che era un’enorme sala, ma enorme veramente. Dovette girare si sé stessa un paio di volte per rendersi conto di quanto fosse vasta, e soprattutto per individuare l’esatta posizione di coloro che la volevano incontrare.
 
Notandoli comodamente seduti attorno ad un tavolino di cristallo mosse dei passi sicuri verso di loro.
 
Non si scoraggiò quando questi nonostante l’avessero vista dal momento che era entrata non accennarono né ad andarle incontro né a salutarla; woaw, bel modo di cominciare.
 
I loro occhi d’ambrato ghiaccio la scrutavano indifferenti eppure lei l’avvertiva chiaramente la strana inflessione della loro aura.
Sembravano…non spaventati, ma timorosi di qualcosa.
 
Mostrandosi sicura prese posto mettendosi comoda ad un lato del tavolino e nell’attesa si concentrò sul vibrare del loro spirito che per ora era placido e statico nonostante potesse percepire chiaramente delle punte di agitazione…bah
Con un veloce movimento degli occhi scrutò entrambi i fratelli stando attenta ad essere il più discreta possibile.
Notò che i due benché si somigliassero parecchio nell’aspetto che li mostrava come demoni ovvero occhi, capelli e lineamenti affilati del viso, a guardarli bene erano davvero differenti.
L’espressione di Inuyasha era in qualche modo più acerba e non riusciva minimamente ad eguagliare quella perfetta e ormai collaudata dell’impassibile Sesshomaru.
Inuyasha sembrava un bambino cocciuto frettoloso di imitare o compiacere il proprio idolo.
 
Lo sbuffo di Sesshomaru l’allontanò da tutte le sue congetture, lentamente e dopo aver preso un bel respiro lo guardò.
 
“Grazie per aver accettato di…”
“Cosa vuoi?”
 
Lei odiava i preamboli.
 
“Innanzitutto toglimi quest’affare dannata!”
“A cuccia”
 
DONK
 
“Maledetta!”
“A cuccia”
 
SBANF!!
 
“Ti ammazzo!”
“A cuccia”
 
CRACK!!!
 
“Ngrr”
 
SPLOTCH
 
Prima che Inuyasha potesse rialzarsi e tornare all’attacco lo stivale di Sesshomaru lo spiaccicò a terra ponendo fine a quell’assurda scenetta.
 
“Credo tu abbia compreso perfettamente le mie intenzioni signorina Higurashi, e benché non siano affatto affar tuo ho deciso lo stesso di metterti al corrente…”
“Oh ma che gesto nobile!”
 
I suoi occhi indifferenti per un attimo furono attraversati da un lampo d’ira, come si permetteva di fare del sarcasmo a sue spese e in casa sua!?
 
“È mia intenzione riallacciare i rapporti con Rin ” decise di mantenere un tono pacato, per ora.
“Perché?” la voce secca di lei lo troncò subito.
“Perché così avrebbe voluto mio padre…” sospirando le fornì la prima spiegazione che gli venne in mente.
“Sono passati quasi due anni non venire a raccontarmi la storia del caso di coscienza…cosa c’è sotto?” diamine, era furba.
“…posso assicurarti che non…” tentò un nuovo approccio sperando che lo lasciasse finire di parlare almeno.
“In questo caso, fottiti!” speranza vana.
“Prego?” la sua voce s’era fatta un sibilo tagliente, feroce e pericoloso.
“Hai capito bene Sesshomaru no Taisho…fottiti! Effe o ti ti i ti i!!! vuoi che te lo scriva?”
“Ti avverto che stai per entrare in un terreno pericoloso ragazzina …”
 
Abbandonando la sua posa d’elegante immobilità con uno scatto fu in piedi di fronte a lei. La sua anima ribolliva di furia repressa tenuta a freno solamente da un’enorme forza di volontà.
A Kagome venne la pelle d’oca nel saggiarne l’ammontare, ma non avrebbe ceduto, oh no che non lo avrebbe fatto!
 
“Ci sono entrata da che sono salita sulla macchina che avete mandato sotto casa mia! Non avete avuto neanche il coraggio di venire di persona, ma chi diavolo pensate d’essere?”
“Chi diavolo pensi d’essere tu stolta umana, non credere che solamente perché ti ho concesso un’udienza tu abbia il diritto di…”
“Concesso un udienza…? Diritto di cosa?” la voce di lei era una risata isterica.
 
Incavolata più che mai anche lei si alzò in piedi sbattendo un pugno sulla chiara superficie del tavolino.
Per la rabbia anche la sua aura crebbe e scontrandosi con quella demoniaca di Sesshomaru diede origine ad alcune piccole e crepitanti scosse.
Beandosi dell’espressione stupita del suo interlocutore sorridendo continuò.
 
“Te lo ripeto ancora una volta imbecille! FOTTITI!”
 
Alzandosi in piedi si diresse alla porta.
Era pazzesco a come facessero i suoi passi ad essere cosi svelti e decisi, dentro stava letteralmente andando in panico, avrebbero potuto scorticarla che nessuno si sarebbe accorto di nulla, era nella tana di due demoni cane per la miseria! Demoni!
 
“Aspetta!”
 
Lentamente si voltò incenerendo con lo sguardo il minore dei fratelli che aveva deciso di intervenire in soccorso del fratello.
 
“Non vogliamo farle del male, dico sul serio…”
“Non gliene farete perché non la vedrete, mai!”
“…quello che sto cercando di dirti è che vogliamo chiederle perdono per il modo assurdo in cui l’abbiamo trattata…Rin è una persona a posto, e per noi è dura fare i conti tutti i giorni con il senso di colpa che ci-”
 
Ridendo Kagome si voltò del tutto avvicinandosi al mezzo demone.
 
“Ah giusto…i principini si sono pentiti, ma poveri…diamo loro immediatamente la possibilità di chiedere scusa perché hanno i rimorsi, perché altrimenti non riescono a dormire sonni tranquilli…”
 
Avanzava e parlava e parlando faceva loro il verso e più faceva così più dentro si incazzava.
Maledetti bastardi ma sul serio, chi si credevano d’essere?
Una solida presa le bloccò l’incedere.
Abbassando lo sguardo sul proprio avambraccio poté riconoscere la mano artigliata di Sesshomaru sfregiata sul dorso da due strisce color magenta, simbolo del suo essere totalmente demoniaco.
Notò anche che la morsa non era dolorosa ma semplicemente netta.
 
“Lo so che non abbiamo alcun diritto di-?”
“Non mi toccare!”
 
Improvvisamente le giunture gli cedettero e si ritrovò con le ginocchia a terra fissato dai neri occhi di lei.
Avvertiva dentro un’emozione indescrivibile, una pesantezza di cuore che non aveva provato mai.
Inuyasha cercò di avvicinarsi, l’ennesimo a cuccia di lei lo mandò a rovinare sul tappeto.
 
“Lo senti?”
“!?”
“Questo è ciò che era lei quando la conobbi.”
“Nh?”
“Un grumo denso e umido di gelo e orrore; di solitudine e paura; di tristezza, angoscia e tremenda, assoluta disperazione.”
 
Notò solamente in quell’istante Sesshomaru che non era più lui a stringere il braccio di lei, ma viceversa. Quando era successo tutto questo?
 
“Era devastata, a pezzi.
Pian piano io e gli altri abbiamo ricomposto le briciole della sua anima  e la sai una cosa? Non abbiamo ancora finito!” I suoi neri occhi incominciarono a velarsi di rabbiose lacrime. “Ci sono giorni in cui la guardo e tutto ciò che vedo è ombra e lutto e mi chiedo se ne è valsa la pena di provare o tanto valeva  lasciarla morire come mi ha scongiurata di fare la notte che la incontrai…”
“Che co-sa?”
“… Tutto questo grazie a voi due…due idioti che non avevano null’altro da fare che mortificare una povera ragazzina, due…mostri che godevano nel farla sentire una miserabile!” lacrime bollenti le caddero dagli occhi quando con uno scattò passò da Sesshomaru ad Inuyasha che udendo quelle parole aveva perso la voglia di alzarsi.
“Di una cosa però devo darvi atto…avete fatto un ottimo lavoro nel distruggerla, bravi!”
 
Chiudendo gli occhi cercò di ricomporsi e dopo alcuni sospiri ci riuscì. Tornò a guardare Sesshomaru prima di continuare.
 
“È vero che siete pentiti? Beh affari vostri vedetevela fuori tra di voi, vivete con questo perenne rimorso perdete tutte le ore di sonno che ha perso lei, fate quello che volete ma lasciatela fuori!”
“…”
“Non vi lascerò avvicinare a lei, non ve la lascerò neanche guardare maledetti mostri!”
 
Lasciando la presa con una spinta netta si allontanò correndo verso la porta.
Non appena il suo polso fu libero dalla morsa di lei e dall’effetto della sua strana magia, per la sorpresa dell’improvviso distacco Sesshomaru cadde all’indietro, gli occhi puntati sulle mani senza vederle.
 
“Non cercatemi più o giuro che vi rovino! Scriverò ad ogni giornale di che razza di bastardi siete, dovessi andare anche contro la promessa che le ho fatto!!!”
“…?”
 
Il botto della porta che si chiuse lei alle spalle scandì l’epilogo di quell’incontro.
 
Dopo alcuni interminabili minuti di silenzio Sesshomaru si alzò avvicinandosi al fratello per aiutarlo a fare lo stesso.
Il suo cuore che ancora batteva all’impazzata sembrava non essere in grado di pompare abbastanza sangue, sentiva che il plasma schizzava via dal suo cuore come fosse stato olio, troppo viscido e unto per poter essere pompato, troppo inquinato e maledetto.
 
Le emozioni che la sacerdotessa gli aveva trasmesso erano ancora presenti dentro di lui, come aloni sui vetri, come aria gelida sulla pelle dopo un bagno bollente, come eco che infinito risuonava nel canyon dei suoi pensieri.
Ma davvero lei aveva passato quell’inferno?
 
“…Hey Sessho…tutto ok?”
 
Con un colpo di spalla Inuyasha si guadagnò la sua completa attenzione. Fu strano per il minore dei due specchiarsi in due iridi confuse e…corrugò la fronte, spaventate?
 
“Io…”
“Toc Toc…ma ci sentite?”
 
L’intrusione di una terza voce spostò nuovamente l’attenzione generale.
 
“Miroku!?”
“Ciao Inuyasha…Sesshomaru, ho bussato tre volte ma non rispondevate…”  guardando la scena davanti a sé Miroku schiuse gli occhi leggermente sconcertato. Sesshomaru che ci faceva così vicino ad Inuyasha?
 
“Ho interrotto qualcosa?”
 
L’espressione scioccata e furibonda di Inuyasha fu detonatore per le risa dell’investigatore e per la rabbia del demone.
 
“Cosa vuoi Miroku?”
“Ah…hem, ho qui quello che ti interessava sapere…”
“Di già?”
 
Immediatamente Sesshomaru gli fu dinnanzi, la mano stesa reclamava la busta arancio che Miroku stringeva fra le dita.
 
“Sono bravo nel mio lavoro io.”
 
Inuyasha da dietro le spalle di Sesshomaru inarcò un sopracciglio scettico.
 
“Mi è andata di culo e va bene! L’importante è che abbia trovato quello che ti interessava no?”
 
Impercettibilmente Sesshomaru annuì, forse quello era un segno…forse valeva la pena di continuare a provare. La sacerdotessa in fondo in fondo era solo un ostacolo da superare o aggirare non rappresentava affatto un problema, inoltre adesso che sapeva dove trovare Rin non gli era più necessario guadagnarsi la fiducia di lei…sarebbe andato direttamente dalla donna e le avrebbe parlato.
 
…e poi?
 
Finalmente avrebbe potuto dormire senza sognare di loro di quanto fossero uniti e felici e sinceri i loro sentimenti; finalmente avrebbe smesso di provare sulla pelle la delusione che aveva inflitto a suo padre,  il dolore che aveva inflitto a lei.
 
“Ottimo lavoro Miroku, serata libera. Prendi Sango e portala dove vuoi, pago io!”
“Yeah!”
 
 
……..
 
 
“-ma?”
“Nhm…”
“Heey…”
 
Coi pensieri ancora legati al bel sogno che stava facendo lentamente Rin aprì gli occhi focalizzando l’attenzione su due grandi pupille ambrate.
Immediatamente sorrise.
 
“Ciao amore…”
 
Mettendosi a sedere sulla poltrona molliccia distese le sue lunghe e chiare braccia verso la piccola sagoma che le stava di fronte.
 
“Hai fatto il bravo?”
“Ti!”
 
Schioccando un bacio fra i capelli del piccolo richiuse gli occhi beandosi del contatto di quell’abbraccio, del calore che le donava al cuore, della forza che le aveva prestato.
 
“Hai fame?”
“A dire il vero gli ho preso qualcosa per strada…”
 
Finalmente Rin si accorse anche di lei.
 
“Oh ciao Kagome, scusami mi sono appisolata quest’aggeggio è….” Sbuffò un sorriso allegro cercando un aggettivo adatto per descrivere l’oggetto sul quale era comodamente seduta.
“Una figata!?”
“Una figata, ecco!!”
 
Risero entrambe mentre il piccolo le guardava confuso senza capire che cosa si fosse da ridere.
 
“Ti stavo dicendo, ho fatto un po’ tardi perché la macchina ha fatto i capricci ma le maestre si sono trattenute e me lo hanno tenuto fin quando sono arrivata…”
“Oh ma che gentili- tornando a rivolgersi al piccoletto assunse un tono di voce leggero e scherzoso -…allora domani portiamo loro dei biscotti per ringraziarle eh?”
“Ti!”
“…”
 
Kagome sorrise di cuore nel contemplare quella dolce scenetta. Sembrava andare tutto bene finalmente, Rin era serena, era stabile e si era convinta ad andare avanti, non avrebbe permesso a quei due demoni di rovinare tutti i progressi che la sua amica aveva fatto. Col cavolo!
 
 
“ne Kagome?”
“Nh?”
“Tutto bene? Mi sembri preoccupata…”
“Nhm…niente…meglio che torni a casa, stasera c’è il corso di meditazione, il nonno ha bisogno di una mano…”
“Oh…ok, grazie per avermelo portato.”
“Ciao sorellina! Ciao Po-chan!”
 
Come sempre Kagome le baciò la guancia per poi coccolare il piccolo che ridendo del solletico che lei gli faceva agitava gambe e braccia nel disperato tentativo di liberarsi dalla presa.
 
“A domani Kagome…”
 
Non era del tutto convinta ma decise di lasciar perdere, magari non era niente di importante, forse era solo stanca per la lunga giornata.
 
La porta si chiuse che lei ancora guardava il punto ormai vuoto dove prima stava Kagome.
 
“Mama?”
“Dimmi…”
“Oto!”
 
Impaziente il piccolino le indicò la credenza dove stavano i deliziosi biscotti al burro che lei preparava ogni due o tre giorni e che a lui piacevano un sacco, sia inzuppati nel latte tiepido al mattino che da soli, come piccolo spuntino prima di andare a nanna.
 
“Solo un paio però…ecco, come si dice?”
“Ace!”
 
Annuendo gli accarezzò la testa piena di folti e fulgidi capelli color del fuoco sciogliendo il nodo al nastro verde con cui glieli legava sulla nuca tutte le mattine. Erano così belli e lo rendevano così carino che sarebbe stato un peccato tagliarglieli.
 
Dopo aver riposto il contenitore di latta nella credenza lo raggiunse sul divano sedendosi accanto a lui, che intento a masticare il dolcetto s’era incantato a guardare un nuovo episodio di Pocoyo, le guancie piene di briciole, gli occhi verdi che splendevano del riflesso della TV.
Sorridendo di vera e totale serenità Rin prese a fargli le carezze  sotto alla nuca, nel punto che aveva imparato essere il suo preferito. Due minuti dopo quell’angelo le si era addormentato in grembo; ogni tanto muoveva la bocca masticando l’ultimo pezzettino di biscotto che gli era rimasto fra i denti.
La sua candida mano gli scostò un paio di ciocche rosse dalla tempia rivelando un paio di linee chiare e leggermente in rilievo rispetto alla pelle. Dolcemente, come se temesse di ferirlo coi polpastrelli le ripassò chiudendo gli occhi all’improvviso dolore che la pervase.
 
Quelle cicatrici gliele aveva inferte Taisho quando lo aveva letteralmente strappato via dal seggiolino dentro al quale era intrappolato, pochi istanti prima che la macchina su cui viaggiava coi suoi genitori esplodesse.
 
I medici le avevano detto che il blocco in plastica e acciaio delle stringhe gli era rimbalzato in faccia sfregiandogliela, e che se non fosse stato per il fatto che anche il neonato era di natura demoniaca probabilmente il colpo gli avrebbe fracassato il cranio.
Sorridendo tristemente a quella memoria Rin scese con la mano lungo il fianco del piccolo alzandogli la maglietta per rivelare un'altra serie di piccole ferite che apparivano in corrispondenza del costato del bambino.
Erano tre lineette di neanche un centimetro, poste a semicerchio che partivano da poco sotto l’ascella fino a giungere all’ossicino del fianco. Li era dove s’erano conficcate le unghie di Taisho quando l’aveva stretto per allontanarsi dall’auto. L’esplosione e l’onda d’urto da essa causata lo avevano sbalzato in avanti, cadendo, il potente demone aveva appoggiato l’avambraccio per proteggere il piccolo ma l’urto col cemento provocò il contatto forzato fra unghie e pelle e queste gli si erano conficcate dentro per metà.
Ce n’era una ancora più grande ma quella non riusciva proprio a guardarla perché rappresentava una sentenza, se le altre erano guarigione, quella terza cicatrice era pericolo costante, era verdetto definitivo.
Scosse la testa imponendosi di non piangere. Neanche Shippo piangeva mai, quel cucciolo di demone volpe ne aveva passate di tutti i colori eppure ogni giorno era felice, le sorrideva, le stringeva la mano e la chiamava mamma dandole la forza di affrontare un nuovo giorno e di sperare ancora.
Lei apriva gli occhi a mattino perché sapeva che accanto a lei, nel grande letto matrimoniale della sua stanza da letto, c’erano i suoi di occhi, già spalancati e in attesa di guardarle dentro l’anima, già sorridenti e pronti alle mille novità che quel giorno gli avrebbe presentato.

Lei viveva ancora perché lui viveva con lei.
 
 
 
TH
 
 
…doooooooooooooon
…e così adesso Sessho c’ha la pista giusta da seguire…mah, chissà come finirà…
Come sempre grazie a chi segue questa storia, a che la mette nei preferiti, nelle seguite e in quella da ricordare.
Un mega grazie (GRAZIE!!) a chi si prende la briga di commentarla perché mi rende proprio felice… (el me tira su na costa) come diciamo noi montanari xD
Beh, che altro aggiungere? Boh…fatemi sapere da bravi!!!
Ciauz!!! 

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Capitolo 7
*** Marry me, Rin! ***


 
 
 
Lei aveva usato violenza.
Aveva usato il suo potere per provocare dolore ad un’anima già in pena.
Era una sacerdotessa corrotta.
 
 
Mordendosi l’unghia del pollice Kagome strinse con forza la mano che sulla nuca le stropicciava i capelli indifferente all’acuto dolore provocatole dallo sforzo della presa su alcune ciocche; i punti dietro le orecchie e al limitar del collo erano quelli più sensibili.
Avvolta da un aura di commiserazione e vergogna nascose la testa fra le ginocchia sbilanciando la spalla verso la ringhiera di legno che separava la prima rampa di gradini dal boschetto che cresceva ai lati del tempio. In fondo alla ripida e lunghissima gradinata le auto sfrecciavano ignare della sua inquietudine. 
Il ruvido e gelido graffiare delle pietre dei gradini le rigava la pelle attraversando la spessa stoffa dei pantaloni della sua tunica, un sospiro grave sovrastò la quiete che la circondava.
 
Aveva rivissuto quegli istanti decine e decine di volte, analizzano ogni loro parole, ogni sua risposta ogni loro movimento e ogni sua relativa reazione….
 
E aveva concluso che non solo i due fratelli non avevano avuto intenti malvagi nei suoi confronti ma avevano in tutti i modi cercato il dialogo con lei, pregandola di ascoltarli e di andar loro incontro.
Lei, forte di quella loro debolezza invece aveva infierito minacciandoli di rovinare il buon nome della loro famiglia e di quel loro padre che Rin aveva tanto amato e ancora si affannava a piangere; li aveva derisi calpestando il loro proposito e quando Sesshomaru l’aveva toccata in lei era scattato un interruttore inconscio che aveva rilasciato in un istante tutta la frustrazione la rabbia e il desiderio di vendetta che albergavano in lei riversandoli in un incantesimo d’empatia che aveva scagliato sul demone senza quasi rendersene conto.
Una volta fatto però, anziché annullare l’effetto dell’incanto aveva tratto maggior forza dall’espressione stupita e sofferente di lui e ancora aveva infierito; sentiva dentro una sensazione d’appagamento ogni qualvolta le palpebre di lui scattavano di dolore reagendo alle sue accuse, aveva riso internamente del potere che la stava vedendo prevalere su due auree demoniache che…non stavano facendo proprio niente per difendersi dal suo attacco.
Quel lampo di coscienza fu sufficiente a riportarla alla realtà e sebbene non avesse avuto il coraggio di accertarsi delle condizioni del maggiore dei fratelli né di annullare gli effetti posteriori all’incantesimo aveva digiunato la cena della sera e i pasti del giorno seguente dedicandosi alla preghiera e alla meditazione per fare ammenda del suo peccato.
 
Peccato che niente stesse funzionando; e aveva pure una gran fame.
Sbuffando un miagolio di frustrazione serrò occhi e denti tanto che l’unghia del pollice che ancora teneva fra i denti si crepò.
 
“Sei persa nel tuo oblio da che sei rientrata ieri sera Kagome, perché il tuo spirito è in tumulto?”
“Kikyo …”
 
Piagnucolando quel nome batté la testa contro la ringhiera un paio di volte sembrando una bambina capricciosa in preda ad una crisi di nervi per un lecca-lecca negato.
 
Il dolce tocco del palmo della donna contro il dorso della sua mano la convinsero a levare in alto la fronte, dinnanzi a lei il dolce viso dell’unica donna, oltre sua madre e Rin, che adorava alla follia.
Quante volte gli occhi decisi di Kikyo, così forti e taglienti, l’avevano aiutata a superare le difficili prove cui il suo essere sacerdotessa la sottoponeva in continuazione, quante volte la sua voce era stata melodica ninna nanna quando piangeva se non riusciva a compiere un esorcismo fra i più comuni, quante volte i suoi tocchi, i suoi abbracci e i suoi sorrisi l’avevano aiutata a crescere e migliorarsi come persona, quante cose le aveva insegnato quell’anima leggendaria.
Negli anni era diventata il suo esempio e così com’era stato per lei, Kagome aveva deciso di diventare forte e indipendente e di essere per qualche ragazza sola e sperduta un punto di riferimento, un inizio…un’amica.
 
Il giorno stesso in cui quest’idea le si era formata in mente Kikyo le aveva regalato un rosario mistico conferendole di fatto il grado di sacerdotessa.
Lei non aveva capito, Kikyo le aveva risposto che invece si, aveva capito.
 
Il desiderio di essere presente per qualcuno in necessità di sostegno era vocazione, era devozione ed era forza spirituale; se prima di quel pomeriggio pur avendo superato le prove più importanti nel cammino di una apprendista non era riuscita ad ottenere il supporto spirituale necessario ad eseguire per esempio un esorcismo di livello base era semplicemente perché ancora non aveva capito, mentre quel giorno si, aveva infine compreso ed era riuscita a spalancare le immense porte che tenevano sigillato il suo potere mistico.
 
Aveva conosciuto Rin quella sera stessa e seppur spaventata dall’oscurità dentro la quale la ragazzina era precipitata non si era scoraggiata e pian piano l’aveva aiutata a rimettere insieme i mille frammenti della sua vita devastata; c’erano state delle ricadute, oh se ce ne erano state ma per fortuna Kikyo le era stata accanto e poi era arrivato Shippo e ora finalmente, dopo due anni per Rin la vita stava ricominciando da capo, se solo …
 
 
“Cosa c’è Hoshi?”
 
Hoshi. Stella. Come la chiamava sempre da che aveva imparato a ricordare le parole.
 
“Ho ceduto Kikyo.”
“Hai ceduto?”
“Al mio potere … ho lasciato che mi controllasse, ho infierito sull’aura di uno spet- di due spettri…”
 
Il delicato ma netto sopracciglio che la donna aveva levato scettica nel sentirla confessare d’aver perso il controllo si alzò ulteriormente non una, ma due volte nell’udire l’aggettivo venir trasformato al plurale.
Aveva infierito su due spettri?
 
“Kagome?”
“hush …i fartelli No Taisho, te ne avevo parlato tempo fa…”
“I figli del Presidente della Taisho corporation?”
“Si, si sono fatti vivi per, beh, vogliono riallacciare i rapporti con Rin ma lei non è pronta, li ho intercettati in tempo e fermati l’altra sera al galà di beneficenza, ho commesso la leggerezza di presentarmi e mi hanno rintracciata e convocata cercando di chiarire le loro buone intenzioni ma io non li ho creduti e …”
“Kami sama non li avrai…?”
“No! No di certo!! Non sono così forte e poi ero terrorizzata, ho agito d’impulso, il mio potere spirituale ha avuto il sopravvento e ho lanciato un incantesimo d’empatia sul più anziano mentre al giovane…”
“Al giovane?”
“…”
 
Kikyo notò in quel momento che Kagome, guardandosi intorno nervosamente, aveva preso a stringere fra le mani un invisibile collana … un momento, al collo di solito portava il rosario magico che le aveva donato lei…no, non poteva essere…
 
“Mpfh…”
“Non Ridere!!!”
 
Troppo tardi.
La forte e cristallina risata della donna echeggiò soave disperdendosi al vento leggero che s’era levato in quel momento. Gli usignoli che suo nonno teneva nella gabbia dorata accanto al chiosco dei talismani e dei souvenir iniziarono a cantare accompagnandola, deliziati dalla voce della ridente.
 
“Sei diabolica Kikyo! È una cosa seria, io ho usato violenza ho…”
“Hai seguito solo il tuo istinto Hoshi, non darti pena non hai fatto loro alcun male.”
 
Si guardarono per un istante.
 
“Ok, forse allo sventurato che ha il rosario qualcosa hai fatto ma…heh hih non, mpfh preoccupar-tihhih…”
 
Portandosi una mano allo stomaco e una alle labbra la più grande delle due incominciò un altro giro di sghignazzate che altro non fecero che alterare la giovane, che indignata si mise in piedi con una fluida mossa.
 
“Mi hai scocciata, vado dentro!”
“Buon pomeriggio stella! E mangia qualcosa che il tuo stomaco brontola più di te!!!”
 
Era strano ma, si sentiva molto meglio.
Voltandosi appena poté scorgere la figura della donna intenta a vegliare la sua ritirata, sbottando una risata levò in aria la mano distendendo pollice e indice, Kikyo fece lo stesso prima di voltarsi e scendere le infinite scale che dalla quiete del tempio portavano al caos della vita.
 
 
………
 
 
 Stava passeggiando lungo il ponte pedonale che univa il parco al tempietto situato in cima alla collina dei ciliegi e degli aceri. Le macchie rosee e color amarena dei due tipi d’albero, in contrasto col verde tenue dell’erba creavano incanto e lei si stava rilassando solamente ammirando quella meraviglia.
Il cupo e denso colore dello stagno circondava come una cornice quel quadro e le ninfee che galleggiavano sulla superficie sembravano lentiggini fiorite dentro un viso argentato.
 
C’era stato un tempo dove sulla panchina di marmo che stava a lato del tempio protetta dal gazebo di legno ricoperto dal glicine celeste, aveva aspettato fra i sospiri di rivedere il suo amore.
 
°°°
 
Le pallide mani che si ostinava a fissare ormai da più di dieci minuti avevano incominciato a tremarle in grembo ora che il tempo dell’incontro si stava avvicinando.
Era arrivata con 40 minuti di anticipo!
Se glielo avesse detto lui le avrebbe certamente dato della sciocca, della bambina.
Arrossendo sciolse l’incastro di dita e si portò le mani al viso celandolo completamente.
Quello era il suo primo, il loro primo vero appuntamento e per l’emozione la notte precedente non aveva chiuso occhio perdendo tutta la sera a decidere che abito indossare cercando di apparire spontanea ed elegante; e il trucco, mamma mia, aveva perso il conto di quante volte s’era messa e poi tolta ogni tonalità da palpebre e labbra per paura di sembrare troppo sguaiata e provocante. Alla fine aveva scelto una tenue tonalità color pesca per ravvivare le guance  solitamente pallide e un velo di lucidalabbra sulla bocca per renderla glassata e idratata semmai avesse voluto…
Di nuovo avvampò mentre dentro sentiva il sangue liquefarsi e fluirle rovente al centro del petto mentre mille brividi le incorniciavano la schiena.
Inu no Taisho era un gentiluomo, non l’avrebbe mai baciata al primo appuntamento e poi ora, non era nemmeno più così sicura che di trattasse di un appuntamento, lui l’aveva solo pregata di aspettarlo in quel luogo perché aveva una cosa importante da dirle.
 
Così com’era avvampata di colpo sbiancò ricordandosi che un paio di giorni prima al telefono lei gli aveva accennato d’essere alla ricerca di un impiego part-time dal momento che aveva perso il lavoro per via di alcuni tagli al personale che la ditta per cui lavorava era stata costretta a fare, oh probabilmente era quello il motivo, Taisho era un uomo di buon cuore e…
 
“Perdona il mio ritardo, una riunione improvvisa mi ha rubato tutta la pausa pranzo e-”
 
…e sicuramente le aveva trovato qualcosa da fare all’interno della sua azienda e…
 
“-on potevo presentarmi a mani vuote quindi mi sono fermato alla fiorer-”
 
…e lei si era vestita in quella maniera stupida pensando chissà cosa mentre lui le voleva solamente comunicare che forse le aveva trovato un lavoro e…
 
“- ltando? ”
 
…e che faccia avrebbe fatto nel vederla conciata così? Che cosa avrebbe pensato di lei una volta capito che lei credeva che quello fosse un appuntamento?
 
“Rin?”
 
Una mano le si posò sull’avambraccio costringendola ad uscire da quel suo confuso mondo di assurde congetture.
 
“Bu-buon giorno Si-gnor n-no Taisho…”
 
Trovarsi riflessa in quelle due polle di rovente sole la mandò nel caos più totale che sommato al delirio che già l’aveva scombussolata provocò al suo sistema nervoso un cortocircuito da manuale.
La presa che le usava al braccio si strinse debolmente mentre rispondeva al suo sconnesso saluto.
 
“Buon giorno a te Rin, ti trovo in forma…”
“G-gra-zie mmmil-le signoo-r nno Tais-sho…”
 
Di nuovo lui sorrise e lei dentro si sciolse perché tutto il suo essere oramai era pazzo di lui e non bramava altro che…
 
“Passeggiamo?”
“O-ok!”
 
Con lenta delicatezza, cercando di attenuare il tremore che la stava scuotendo, aveva accettato la sua mano tesa lasciando che lui poi la trascinasse al suo avambraccio sinistro piegato dove la depositò appoggiandoci sopra il suo palmo destro.
Aveva abbassato lo sguardo lasciando che i capelli e la frangetta le nascondessero il viso perché  era certa che la sua pelle fosse diventata del medesimo colore delle foglie d’acero giapponese.
E aveva pure smesso di tenere il conto di tutte le volte che distratta dalla sua agitazione aveva rischiato di inciampare e cadere a terra come una cretina.
 
-Respira Rin resp-
 
“Tu che ne pensi?”
“…ira…”
“? Ira? ”
“Nh? Ah co-cosa?”
 
Aveva piantato a terra i piedi costringendolo a fare lo stesso. Che disastro! Voleva sparire voleva che la terra sotto ai suoi piedi si aprisse e la ingoiasse risparmiandole quella patetica figura da povera sciocca.
 
“Sei sicura di star bene Rin?”
“N-nm! È so-solo che…”
“Tutto questo ti imbarazza?”
“Eh?”
“Sto correndo troppo?”
“Eeh?!”
“Ti danno fastidio le mie attenzioni?”
“Eeeeeeeeeeeeh?”
 
Cosa diavolo… allora aveva visto giusto? La stava corteggiando sul serio? Inu no Taisho stava facendo la corte a lei? Sul serio?
 
L’eco della sua roca risata bloccò tutto e il suo viso scattò in alto, guardandolo.
Lui piegò in alto le labbra in un veloce sorriso prima di pararsi di fronte a lei e abbassarsi quel tanto che gli bastava per arrivarle al livello degli occhi.
 
“È così Rin ti sto corteggiando, fattene una ragione perché ”
 
TOMP
 
Era svenuta.
 
Gli era svenuta contro concludendo quella perfetta uscita perdendo i sensi proprio sul più bello addosso all’uomo dei suoi sogni nonché presidente della multinazionale che dava lavoro praticamente a mezza Tokyo per non parlare dell’indotto economico e delle industrie satellite che…ma qui si stava dilagando un po’ troppo, doveva concentrarsi sul rinvenire ora, sul riprendere i sensi perché il limbo della semi incoscienza nel quale era scivolata dopo svenuta non era affatto divertente. Uffa, ma perché il suo cervello non la smetteva mai di rimuginare? Pensava e ipotizzava, ricordava e analizzata tutto in continuazione frullando idee e pensieri fuori da qualsiasi  umana (e sana) concezione.
 
-…Uffa…-
 
Tu-tum tu-tum tu-tum
 
“Nhm”
 
Aveva aperto gli occhi ritrovandosi stretta contro il suo petto.
Erano tornati al punto d’incontro e si trovava in braccio a lui,  l’orecchio appoggiato al suo sterno, il suo braccio a circondarle le spalle e le sue ginocchia sotto… la mano che inconsciamente gli aveva appoggiato al petto strinse la celeste stoffa della sua elegante camicia in uno spasmo di spavento.
 
“Va tutto bene Rin…”
 
E lei si era calmata e lo aveva guardato con due occhi che, come le aveva confessato lui, erano liquidi di desiderio e passione e…per lui era stato impossibile trattenersi dal fare ciò che aveva fatto in seguito.
 
Ovvero baciarla.
Lentamente, con leggeri tocchi di labbra e piccoli indugi contro il contorno inferiore mentre la sua grande e tiepida mano le alzava il mento incastrandole le dita fra i capelli e il pollice le scivolava lungo il mento per schiuderle le labbra delle quali lui si nutrì.
 
Inu no Taisho era un vero gentiluomo che al contrario di tutti gli altri gentiluomini se ne fregava altamente del galateo e se voleva baciare la ragazza a cui stava facendo la corte al loro primo appuntamento inculo a tutti, la baciava e basta per venti interminabili minuti.
Poi le aveva regalato un mughetto che per tutto il tempo aveva tenuto fra le mani senza che lei lo notasse.
 
 
 
°°°
 
Sfiorò con la punta delle dita il gelido marmo della panca sorridendo malinconica a quel ricordo.
Nei giorni e nelle settimane successive s’erano visti in ogni attimo libero di lui; al chiosco dove comperava gli hot - dog che gli piacevano da impazzire quando aveva poco tempo per pranzare o al di fuori della succursale dove di li a breve avrebbe dovuto prendere parte ad una noiosa riunione che il 90% delle volte skippava o, quando aveva molto tempo fra un appuntamento e l’altro, in quello stesso luogo, lontani da occhi indiscreti e protetti dal flagrante profumo di quella pergola di petali blu dove parlavano e ridevano e si conoscevano aprendosi l’anima l’un l’altro, innamorandosi ogni secondo sempre di più fin oltre l’inverosimile, fino a scoppiare d’amore e ridere e piangere di gioia e dolore.
 
Avevano fatto l’amore per la prima volta sei mesi dopo a casa di lui, o meglio nell’appartamento in cui passava la maggior parte del suo tempo libero quando gli impegni di lavoro lo vedevano costretto a rimanere in città per lunghi periodi.
 
Era una casa enorme e lineare dove ogni cosa al suo interno gridava il suo nome. Era tutto forte ed elegante, intenso e rassicurante e non appena alle sue spalle la porta che la separava dalla realtà s’era chiusa spinta casualmente dal tallone di lui si era lasciata andare completamente.
 
Avevano finito di bere la bottiglia di vino bianco che lui teneva fra le dita, guardandosi nell’anima, scambiandosi casti baci e leggere carezze sul viso.
Poi ad un certo punto si erano trovati di fronte e lui non l’aveva più lasciata andare e ghermendola per la vita l’aveva schiacciata a sé scendendo a baciarle il viso, il collo, il lobo dell’orecchio che era la parte più sensibile al solletico di lei e poi le labbra, ingoiandole il respiro, annegando dentro di lei mentre i gemiti della sua nuova vita gli riempivano l’universo ed il cuore facendogli oltrepassare il limite che per mesi s’era imposto di non superare con lei.
 
“Ngh”
 
Il netto rumore di uno strappo le rubò un gemito, lui parve tornare in sé e con uno scatto l’allontanò.
 
 “Scu-sami…”
“Nmno…continua ti prego…”
 
Con gli occhi chiusi e le labbra dischiuse in un sorriso enigmatico gli si spalmò contro piantandogli le unghie al petto, graffiandolo scendendo verso l’addome rapita in una sensazione della quale non conosceva bene la natura ma era l’istinto a guidarla e la passione a spingerla ad osare e…
 
E quando lui le cinse i polsi portandoseli dietro la schiena attirandola a sé mentre insinuava una gamba fra quelle tremanti di lei fu solo il paradiso.
Quando il deserto degli occhi di lui catturò l’oasi notturna delle iridi di lei una fiamma divampò dentro entrambi, avviluppando i loro corpi e bruciando le loro anime che tanto a lungo s’erano cercate, corteggiate e rincorse, trovandosi finalmente ad ardere della stessa fiamma.
 
Fu la sua prima volta e lui fu gentile, fu un maestro passionale e attento che seppe toccare dov’era giusto toccare e sfiorare appena dov’era giusto carezzare.
Le parole che le aveva sussurrato poi erano state in grado di intensificare ogni emozione provata risvegliandone di nuove.
Le aveva chiesto di muoversi in una certa maniera, di sottomettersi a lui con fiducia e devozione e l’aveva posseduta con ardore divorando ogni singola porzione di pelle.
Le aveva mostrato come compiacerlo compiacendola a sua volta e quando a notte fonda stremata era franata nel mondo dei sogni l’aveva stretta a sé vegliandola fin quando anche i suoi occhi avevano ceduto alla stanchezza e al mattino successivo lei aveva riaperto gli occhi per prima scoprendolo per la prima volta in una luce totalmente diversa da come lo vedeva di solito.
 
Quando i suoi occhi erano chiusi i lineamenti decisi del suo volto assumevano forse anche grazie all’inclinazione del viso, un non so che di fanciullesco, di etereo e mistico.
I fili di luna che erano i suoi capelli poi gli rigavano sottili il viso sfuggiti al debole nodo scioltosi nel furore della notte appena trascorsa e persino le sue labbra sembravano delicate e pareva quasi impossibile pensare che dietro a quei morbidi contorni si celassero due bianchissime file di denti di demone, le stesse che l’avevano riempita di morsi e segni praticamente ovunque.
Un brivido le percorse la schiena al preciso ricordo di quando per la prima volta i suoi canini le erano affondati nella carne di un seno e lei catturata dall’ipnotico sguardo di lui aveva emesso un gemito nasale rimanendo senza fiato nel provare quella nuova e proibita sensazione.
Stava per portarsi le dita al seno ferito per percorrere la traccia formatasi quando un contatto improvviso proprio in quel punto le bloccò il movimento; un umido calore la stava accarezzando proprio lì.
Istintivamente gli strinse le mani dietro alla nuca inarcando la schiena per dargli maggior accesso mentre lui avidamente le leccava il capezzolo tracciandone il bronzeo contorno con la pressione della punta della lingua.
Chiuse gli occhi prendendo a respirare spasmodicamente regalandogli ogni tanto in miagolio d’approvazione godendo al contatto che ora le sue ruvide mani gli donavano alla schiena, salendo e ridiscendendo fino alla giuntura delle gambe e poi in mezzo, dentro e ancora dentro finchè le venne da gemere forte e urlare e piangere dalla felicità al culmine del suo ennesimo orgasmo.
 
 
“Sposami Rin”
 
Quelle parole proibite che da bambina tanto aveva sognato erano state l’inizio del suo incubo.
 
 
 
 
…………….
 
 
 
 
 
 
“Sposami Rin”
 
Col respiro impazzito ed il viso madido di sudore si ritrovò sveglio a fissare il soffitto; a pochi centimetri da dove era concentrata la sua attenzione lampeggiava il timer riflesso della sveglia informandolo dell’ora tarda.
 
Il pigiama di seta che indossava nel suo dimenarsi s’era sbottonato fino a poco sopra l’ombelico e le coperte gli erano scese sotto a vita ingarbugliandosi fra le sue gambe.
Ne scosse una cercando di uscirne ma tutto ciò che guadagnò fu un gemito di eccitazione.
 
“Ngh!”
 
Premendo sui gomiti si alzò quel poco che gli bastava per vedere oltre il proprio petto, che fra l’altro era fradicio, notando un rigonfiamento anomalo e particolarmente sensibile.
 
Sbuffando una protesta si lasciò cadere nuovamente affondando la nuca nel cuscino coprendosi gli occhi col dorso dell’avambraccio.
 
Si sentiva un liceale in piena crisi ormonale, no davvero, da quand’è che non gli veniva un’erezione del genere?
 
“Dannazione papà…smettila di tormentarmi…”
 
Sbuffando quelle parole scattò fuori dal letto dirigendosi in bagno mentre lasciava a terra pezzi del suo pigiama intriso di sudore nella parte superiore misto a qualcos’altro in quella inferiore.
Un liceale in piena crisi ormonale sarebbe resistito di più, robe da non credere.
 
Mentre l’acqua gelida gli rigava la schiena spezzandogli quasi il respiro appoggiò la fronte contro le fredde mattonelle di porcellana celeste che rivestivano la doccia.
A sprazzi, dietro le sue palpebre chiuse per lo sforzo di resistere al freddo, si proiettavano in continuazione immagini di lei che sorrideva, mentre camminava per le vie illuminate dalle decine di lanterne del festival di fine estate reggendo fra le mani un’enorme stecco di zucchero filato…ricordava quell’episodio, era successo quattro anni prima durante un delle loro prime uscite da fidanzati ufficiali e l’aveva sognata per l’ennesima volta la settimana prima.
 
“Nhm…”
 
La scena di lei nuda e tremante sotto di lui sostituì quella casta del festival e nonostante il congelamento prossimo delle sue parti basse una nuova ondata di bollente eccitazione riportò in piedi il suo amico dei piani bassi.
 
“Perché?”
 
Strinse la mano contro al muro e le dita, scivolando contro l’umida piastrella gli si chiusero a pugno poco sopra alla tempia.
Le palpebre da tanto erano chiuse gli causarono un lampo di luce.
E lei gli apparve sopra mentre lentamente lo cavalcava ondeggiando soavemente contro il suo bacino, una mano gli stringeva un ginocchio, l’altra era bloccata dal momento che la punta dell’indice si trovava fra i suoi denti.
La calma surreale nascosta dietro il velo di liquido piacere degli occhi di lei gli incatenò lo sguardo, ipnotizzandolo. Dentro al cuore gli si aprì un foro.
 
“Nghrrr! PERCHE’!!?”
 
Batté un colpo secco di nocche colpendo il  bordo del pomello di regolazione dell’acqua col sensibile osso, il dolore sembrò accentuare l’immenso piacere del quale era succube e per un attimo le ginocchia gli cedettero.
 
Gemette un sibilo di rabbia quando l’ennesima visione gli illuminò la memoria.
E questa fu la peggiore di tutte.
 
“…non ce la faccio più…sigh io non ce la faccio più! È…finita!”
 
Era la voce spezzata dal pianto di lei e gli occhi irrorati di sale e la bocca sformata dal pianto e le guance rosse come se avesse avuto la febbre a quaranta e il corpo era scosso da mille singulti e il suo bel vestito era lacerato e rovinato e…
 
Ricordava quel giorno, lui ed Inuyasha avevano dato il peggio di loro per rovinarle la festa, e si che si era tanto impegnata per far si che tutto fosse perfetto per la cerimonia di premiazione di suo padre come miglior filantropo dell’anno mentre loro alle sue spalle avevano disdetto l’ordine dei fiori, del catering e sostituito la band musicale con uno stupido spettacolo di clown per bambini e, ah si, l’avevano spinta nel roseto del giardino del Grand Hotel ferendola e strappando il semplice ma bellissimo vestito color crema che lei aveva tanto faticato per comperarsi.
 
Poi erano rimasti per godere della sua faccia mortificata nel vedersi arrivare il pagliaccio con tanto di valigetta rattoppata e palloncini da gonfiare in mano, l’avevano osservata rialzarsi mentre non vista andava a sistemarsi nel retro cercando in tutte le maniere di non piangere. Per un istante i loro sguardi s’erano incontrati e se il suo era stato glaciale e indifferente quello di lei era puro fuoco e angoscia.
Sembrava chiedergli perché?
 
Le sue labbra sillabarono una muta risposta che tuttavia lei capì benissimo.
 
Un colpo alla schiena lo mandò a vacillare in avanti.
Suo padre doveva essere arrivato, in anticipo come sempre quando li sapeva in compagnia di lei, ed era corso in suo soccorso, urtandolo nella fretta senza degnarsi nemmeno di salutare lui o Inuyasha.
 
In silenzio lo aveva seguito accompagnato dal fratello ed avevano udito le magiche parole che aspettavano di udire da sei anni ormai.
 
“…non ce la faccio più…sigh io non ce la faccio più! È…finita!”
 
E suo padre aveva cercato di farle cambiare idea, l’aveva stretta e consolata e abbracciata e rassicurata ma lei non ne aveva voluto più sapere nulla.
Se tutte le precedenti volte lei li aveva glissati ridendoci su o evitando all’ultimo i loro scherzi questa volta era capitolata e se la sghignazzavano loro mentre lei dentro singhiozzava e si cambiava indossando una semplice e sciatta tuta da ginnastica uscendo di corsa da li senza nemmeno accorgersi di loro due.
Inu no Taisho rimase dentro ed entrambi saltarono colti alla sprovvista quando il rombo di un colpo nel muro fece cadere calcinacci e schegge di cemento proprio nel punto dove stavano nascosti loro. Il grido di disumana rabbia che lanciò Taisho li convinse a dileguarsi alla svelta.
 
Quando uscirono di lei non c’era più traccia ed anche la sua piccola macchina verde era sparita dal piazzale, il pagliaccio venne loro incontro chiedendo indicazioni su come raggiungere l’orfanotrofio Sacred Heart dato che dal momento che il suo ingaggio li era saltato la gentile ragazza gli aveva chiesto di andare a rallegrare i piccoli ospiti di quella struttura.
Non avevano avuto il cuore di dargli le indicazioni sbagliate.
 
Inu no Taisho da quel giorno smise anche di guardarli e la sera stessa di quel funesto giorno fece trasferire le sue cose dalla villa all’appartamento.
Non videro più Rin né lui.
Due mesi dopo in uno stupido incidente stradale Inu no Taisho morì.
 
Dieci mesi più tardi incominciarono i sogni.
Alcuni giorni dopo Inuyasha venne a bussare alla sua porta ubriaco perso e in lacrime dicendo che non ce la faceva più, che di notte veniva perseguitato da immagini di lei, dalla sua voce dai suoi sorrisi da com’era veramente e che il senso di colpa lo stava divorando.
Si limitò ad annuire al fratello dicendo che per lui era lo stesso guardandosi bene dall’informarlo che lui la immaginava in estasi sotto di lui mentre la possedeva più e più volte.
Decisero quindi di trovarla e chiederle scusa notando che se si affannavano a cercarla i sogni sparivano ma le loro ricerche non diedero alcun frutto.
Desistettero ed i sogni tornarono.
 
 
La loro punizione sarebbe stata eterna.
 
 
 
 
 
“Sposami Rin”
“Nhm…si!”
 
….
 
“…non ce la faccio più…sigh io non ce la faccio più! È…finita!”
 
….
 
“Urwaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaargh!!!”
 
 
 
L’urlo di rabbia e mortificazione che cacciò Sesshomaru sovrastò il tonfo del suo ennesimo pugno mentre sul piatto della doccia la gelida acqua si tinse di rosso.
 
 
 
 
 
 
 
TH
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** we are a few ***


 
 
 
Teneva in mano una spessa busta di carta rigida che nulla lasciava intravedere del suo contenuto, o, dal momento che l’unica cosa che poteva contenere quel rettangolo era un foglio di carta, cosa c’era scritto.
Profumava di noci, di terra e umida erba.
 
Miroku gliela aveva consegnata assieme alle foto del suo piccolo pedinamento dicendo che l’aveva trovata incastrata fra i fiori sulla lapide di Taisho dopo che era ritornato al cimitero al ritorno dal Ryokan di Rin.
 
Sospirò accarezzando con un polpastrello la ruvida carta; non l’avrebbe mai creduta compatibile con quel tipo di lavoro dal momento che richiedeva un sacco di impegno, di tempo e conoscenza di ricette e tradizioni spesso molto antiche e non nascondeva il fatto che fosse rimasto molto colpito di scoprirla proprietaria di una così antica casa che poi, da quel che ne sapeva lui apparteneva da tempo antichissimo ad una casata di pacifici demoni minori.
 
I Kitsune delle illusioni…
 
Strano però…aveva sentito dire che la loro stirpe si era interrotta con la morte degli ultimi due demoni il cui unico figlio era andato perduto in un attacco nemico accaduto da poco meno di due anni, ricordava bene che l’intera comunità dei demoni benché molto discretamente si era data un gran da fare per ritrovare il cucciolo ma l’esito non era stato positivo, o così gli era stato riferito, a quel tempo aveva avuto altri grattacapi di cui occuparsi e non aveva voluto sapere di nient’altro.
 
“Hey bro! La macchina è pronta!”
 
L’improvviso arrivo di Inuyasha lo destò dal suo pensare e dopo aver infilato la busta nella tasca interna del suo elegante impermeabile  si voltò pronto a dare inizio alla sua giornata.
 
“Di a Sango di lasciare le chiavi, oggi andiamo soli quindi ha la giornata libera…”
“Tutto bene?”
“Si, voglio solo verificare un paio di cose prima di…”
“Oh…è ancora un tasto cauto eh?”
“Hmn…sono passati più di quattro anni da che abbiamo discusso e nonostante quello in torto sia io non le ho mai chiesto scusa…”
“Il bello di Sango è che sa capire, ti ha già perdonato Sesshomaru…”
“Non ho dubbi, ma resta il fatto che le debbo delle scuse e tutt’ora non ho…”    il coraggio di guardarla negli occhi e chiedere perdono…
“… arriverà il momento anche per quello, andiamo?”
 
Annuì.
 
L’antica residenza degli “Inu no”  era una villa enorme costruita sui resti di un antichissimo castello al limitare di un promontorio a picco sul mare, per chi come loro aveva sangue di spettro quel luogo era ricco d’influssi, una culla che preservava la loro stirpe.
Mentre guidava la lussuosa fuoriserie osservava distratto il fluire dell’immenso estendersi della proprietà, le fronde dei verdi alberi, la netta linea divisoria di roccia a picco su mare e cielo, i giardini coi gazebo in marmo ed i loro rampicanti in perenne fioritura e gli aceri che in fila delineavano il lungo viale che portava alla città.
 
Era casa loro da tempo immemore e nell’ultimo mezzo secolo ci dimoravano stabilmente, Inuyasha era nato lì poco più di quarant’anni fa, la sua seconda incarnazione come aveva loro raccontato Taisho.
La cosa interessante dell’essere di natura demoniaca era l’immortalità dell’anima.
Si poteva venire uccisi nel corpo dilaniati nelle carni e addirittura fatti a pezzi o bruciati ma se non si veniva esorcizzati c’era la sicurezza del ritorno.
 
Pochi decenni di sonno e poi si ritornava a calpestare la terra dei viventi con le stesse sembianze e la medesima natura di un tempo. Svanivano i ricordi e le memorie che a volte, ma non sempre, ritornavano come nebbia ed eco di sogno a dare certezza e fede. Succedeva raramente ma quando accadeva era dono celestiale.
Taisho gli aveva confidato che era stato uno di quei nebulosisogni a dargli la certezza nel chiedere in sposa Izayoi più di cinquant’anni addietro. L’amava e ne era certo ma la differenza nel loro essere demone ed umana l’avevano frenato e così una notte di luna piena gli era apparso in sogno il viso sorridente e stremato di lei che teneva fra le braccia un piccolo fagottino dalle orecchie canine.
Il cielo e gli dei gli avevano concesso di conoscere il volto di suo figlio dieci anni prima che nascesse, dando certezza ai suoi sentimenti, come avrebbe potuto vivere senza di lei dopo quella notte?
 
Una sera di alcuni anni prima aveva chiesto a suo padre se anche con Rin era capitata la medesima cosa e quando s’era sentito rispondere di no era tornato all’attacco dicendogli di lasciarla perdere allora perché significava che non era destino.
Taisho semplicemente gli aveva risposto che non erano necessari segnali divini se non esistevano dubbi.
 
Non appena uscirono dal grande cancello d’entrata Sesshomaru emise un sospiro che Inuyasha notò ma decise di lasciar perdere.
Col gomito impuntato al finestrino aveva contato per l’ennesima volta tutti i tronchi d’albero che costeggiavano il lato del viale dal quale stava lui e si, anche per oggi c’erano tutti e 185 all’appello.
 
Da piccolo aveva passato un’estate intera a saltare da un ramo all’altro di quegli aceri deciso a fare andata e ritorno senza mai toccare terra.
Suo padre e sua madre avevano riso della sua idea, ma 45 minuti dopo, quando aveva fatto ritorno erano lì davanti al portone della villa ad aspettarlo.
La vecchia Deona, cuoca ufficiale da più di cent’anni gli aveva preparato una deliziosa merenda e lo aveva lodato per la velocità con la quale era andato e tornato.
 
Sbuffando scostò lo sguardo dal ciglio della tangenziale in cui si erano immessi.
 
Deona era morta da quasi un anno e mezzo.
Vecchiaia aveva detto tristemente il saggio e vecchio demone medico Hitsumo ma sia lui che Sesshomaru avevano capito che a fermare il buon cuore della gioiosa e cara Deona erano state le decine di crepe che le loro azioni meschine e crudeli gli avevano inflitto.
Deona era morta di crepacuore poche settimane dopo il funerale del suo amato signore.
Avevano scoperto in seguito, mentre col cuore e la mente vuoti impacchettavano gli averi di lei, che la vecchia e buona Deona, come testimoniava la foto che faceva bella mostra di sé sulla mensola a lato della finestra nella sua stanza, adorava Rin alla follia.
 
Quella scoperta e l’inizio degli strani sogni che lo vedevano sostituirsi a suo padre in compagnia di lei erano stati l’inizio del suo pentimento.
Venire a conoscenza che anche Sesshomaru era caduto vittima della stessa punizione era segnale divino.
Per tutto quel tempo, tutti quegli anni loro avevano sbagliato.
 
….era ora di rimediare.
 
“Rileggimi il distretto ‘yasha…”
“Sesto distretto quartiere…? Non è dove abitavano i Kitsune delle illusioni?”
“Nh…così parrebbe…”
“Ma che c’è finita a fare laggiù?”
“Credo sia quello che scopriremo non appena la incontreremo no?”
“…già…era un posto vivace una volta, ricordi che ci andavamo spesso?”
“Papà mi costringeva a portartici altrimenti non la smettevi più di lagnare…”
“Non mi sembravi affatto uno con l’aria di chi era costretto quando ti beccavo a sbranare con gli occhi la dolce Keriko…o almeno non fino a quando non sposò Shihon…”
 
Il tono del minore subì una variazione nel finire la frase, da secco e divertito mutò divenendo mesto e triste.
Sesshomaru non gliene volle a male e  rispose sinceramente.
 
“…aveva gli occhi più belli che avessi mai visto, color della giada…”
“…già…poi rideva sempre e faceva mille scherzi assurdi…”
“L’ultima volta che la vidi mancavano pochi giorni al parto, era al settimo cielo e  tutti al quartiere stavano aspettando il momento della nascita per festeggiare…”
“Peccato invece che anziché una nascita si siano piante quattro morti…”
“Siamo rimasti in pochi Inuyasha…”
 
Sesshomaru si concesse alcuni momenti per riflettere sulla drasticità di quelle parole.
 
Suo padre aveva dedicato gran parte della sua vita a garantire la sopravvivenza della loro razza ed aveva viaggiato a lungo per il continente orientale alla ricerca di demoni e sottospecie in modo da insegnar loro a convivere con gli umani senza attaccarli come invece succedeva nell’epoca antica ed era anche grazie a lui se le arcaiche paure che suscitava negli umani la loro natura erano pressoché estinte.
I monaci e le sacerdotesse, anch’essi un numero esiguo rispetto al passato erano gli unici umani che conoscevano a fondo il loro antico istinto ma sembrava davvero che avessero messo da parte il loro astio a favore della tolleranza.
Un antico patto infatti era stato stipulato fra un potente monaco e suo padre alcune centinaia di anni addietro che consisteva appunto nell’accettazione della loro stirpe riducendo la loro opera alla sola esorcizzazione di quegli esseri abbietti che ancora si ostinavano a vivere da parassiti mietendo le anime di ignari e innocenti umani.
 
Inu no Taisho era stato uno degli ultimi demoni assoluti e uno dei più antichi a calpestare il suolo terrestre; morendo aveva lasciato a lui, Sesshomaru, il compito di equilibrare la coesistenza fra le due razze.
Non era un impresa troppo complicata e poteva contare sull’appoggio di decine di demoni maggiori che a capo delle loro tribù mantenevano effettiva la pace, inoltre i demoni minori molto spesso decidevano di accorparsi a queste tribù scegliendo di servirle in cambio di protezione quindi tutto sommato a parte alcuni incontri segreti che si tenevano un paio di volte all’anno negli ultimi tempi non era successo nulla di grave o importante, a parte la morte di Taisho ovviamente e forse la misteriosa scomparsa di questo cucciolo di demone volpe.
 
La comunità dei demoni comprendeva tutte le razze e quelle minori e c’era grande attaccamento ad ogni singolo componente poiché dal momento che erano in continua diminuzione ognuno di essi era fondamentale alla sopravvivenza della loro stirpe quindi era comprensibile tutto il trambusto che si era andato a creare attorno a quella sparizione e solamente ora anche lui si rendeva conto che forse avrebbe potuto fare molto di più, che era suo compito fare di più.
 
In tutta l’Asia non erano rimaste che poche centinaia di demoni minori e quelli assoluti erano ancora meno, la perdita di quel piccolo demone volpe era stata un duro colpo.
 
Se solo non si fosse intestardito troppo su fare il bastardo con quella donna umana probabilmente col suo contributo e quello di Inuyasha avrebbero potuto salvare quel cucciolo in fasce.
Ma ora era inutile cedere al rammarico, sia lui che suo fratello avevano deciso di andare avanti, di ricominciare con tutto a partire da lei.
 
“Gira a sinistra…credo sia necessario salire questo versante per raggiungere il Ryokan…”
 
Obbedì e pochi minuti dopo incominciarono a riconoscere i luoghi di quel grazioso borgo rurale.
La piccola piazzetta di ciottoli costruita attorno alla fonte in pietra dove facevano la festa del raccolto, ricordava le belle lanterne in carta di riso colorata e i profumi dei semplici cibi arrostiti alla piastra, il gusto pungente e secco del sakè che scorreva a fiumi e le voci dei partecipanti che ridevano e urlavano e si divertivano in quelle notti di puro divertimento.
Ora che attraversavano le vie del quartiere silenzioso e tranquillo sembrava che il tempo si fosse fermato, c’erano poche persone a passeggio, la maggior parte era al lavoro e non c’erano più bambini che si rincorrevano, poche erano le anime demoniache che i suoi sensi riuscivano a percepire.
 
“Laggiù…”
 
Ed ecco che d’improvviso,  dopo essersi lasciati il quartiere alle spalle si incominciava a scorgere da lontano  la locanda dove ora risiedeva lei.
 
Il cuore incominciò a battere velocemente dentro al suo petto.
L’ora della verità era infine arrivata.
 
Un movimento improvviso colse l’attenzione del maggiore dei fratelli e d’istinto il piede schiacciò sul freno bloccando l’auto in un istante.
 
“Sesshomaru che…?”
 
 
Una ventina di metri più avanti, di spalle, intenta a strappare delle erbacce da un aiuola di fiori c’era lei, c’era…
 
“Rin…”
 
Non appena sussurrò quel nome la testa di lei si alzò voltandosi un poco alla sua sinistra, una piccola sagoma uscì saltellando da un paio di cespugli fioriti arrivandole sulla schiena con uno scatto.
 
Iniziarono delle risa giocose e lei perdendo l’equilibrio finì seduta a terra col fagottino attaccato al collo.
Partì un attacco di solletico, delle grida più acute e la voce resa di cristallo dalle risate di lei era suono melodioso.
Divincolandosi con guizzo di velocità la piccola sagoma si allontanò di alcuni passi rendendosi visibile.
 
Un piccolo viso non ben distinguibile contornato da fulgidi capelli rossi, un animo agitato che non stava mai fermo e che si muoveva troppo velocemente rispetto ai pochi anni che dimostrava vista l’altezza.
 
“Sesshomaru?”
“…”
 
D’improvviso il ragazzino si bloccò distraendosi dai movimenti della ragazza che si stava avvicinando sghignazzando per riprenderlo venendo ghermito di sorpresa.
 
“Kyah!!! Mama!!”
 
Tuttavia esso non smetteva di guardare nella loro direzione.
Inuyasha smise di pensare imbambolato com’era davanti a quella scena.
Il colpo netto della chiusura della portiera lo destò d’improvviso dal suo trance.
Sesshomaru era uscito dalla macchina e si guardava intorno. Era teso e notò le sue narici dilatarsi mentre respirava, sembrava stesse riconoscendo qualche odore…ma quale?
 
Stava per imitarlo anche lui ma la sua portiera venne chiusa non appena scattò la serratura.
Stupito guardò oltre il finestrino rimanendo fulminato di fronte allo sguardo glaciale di due occhi artici che non vedeva da anni.
 
“Ko…?”
 
Prima che potesse finire di pronunciare quel nome un doppio scatto segnò l’aprirsi e richiudersi della portiera da cui era sceso suo fratello, un’altra persona si mise al volante, girò la chiave e partì facendo inversione.
Non si fermò finché non raggiunsero la piazzetta di prima.
 
Ripresosi dalla sorpresa stava per aprir bocca ma di nuovo venne interrotto.
 
“Che cazzo state cercando di fare?”
 
…………………………
 
 
“Che cazzo state cercando di  fare?”
 
Dopo essersi rialzato e messo a sedere si spolverò via un po’ di terra dall’impermeabile, di fronte a lei gli occhi verdi di chi l’aveva mandato a ruzzolare oltre il muretto di recinzione lo fissavano seccati.
Trovò la forza di aprir bocca.
 
“Ayame?”
 
 
 
 
 
 
TH
 
  

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Capitolo 9
*** explanations ***










“Che diavolo credete di fare voi due?”
 
Gli occhi verdi di Ayame bruciarono Sesshomaru che dal canto suo rimase impassibile.
 
“Quello che faccio io non è affar tuo lupa…togliti dalla mia strada.”
 
Ridendo lei non si scostò di un millimetro frapponendosi fra lui e l’alto cespuglio di lillà in cima alla ripida costa oltre i quali erano ruzzolati.
Si portò le mani ai fianchi, era evidente che non intendeva attaccarlo ma solamente parlare. Il fatto che non lo ritenesse una minaccia tuttavia lo infastidì non poco.
 
“Naturalmente no, sia mai…il fatto è che tu stai interferendo in ciò che “è affar mio” caro Sesshomaru, quindi se qui c’è qualcuno che deve togliersi dalla strada quello sei tu!”
 
La sua unica reazione alla sfrontatezza della lupa fu un impercettibile tic dell’occhio destro, Normalmente non avrebbe sprecato altro fiato con chi gli era inferiore ma le parole di lei lo avevano incuriosito.
 
“Spiegati!”
“Non sono tenuta a farlo!”
“Co-”
 
In quel momento sia lui che Ayame percepirono una presenza avvicinarsi, il suono netto di un ramo spezzato preannunciò la comparsa da dietro un tronco di cedro di una minuscola zampetta color crema.
 
Sesshomaru abbassò la guardia scambiando l’intruso per una lepre, Ayame sbuffando un sorriso furbo con uno scatto fulmineo si diresse là.
Sesshomaru la osservò mentre si chinava con le ginocchia a terra pensando che volesse catturare l’animale deciso a sfruttare quella distrazione per allontanarsi, il grido acuto emesso dalla bestiola mentre ruzzolava fra le foglie a terra però lo bloccò.
 
“Kya!”
“Beccato!”
 
Ridendo la lupa si rimise in piedi tenendo in mano un fagotto strillante e isterico che non la smetteva di dimenarsi.
 
“Te l’avrò spiegato almeno 50 volte, prima di tentare l’inseguimento se si tratta di demoni ricordati di azzerare la tua aura…”
“’ecato sipo gwah ah ecato!”
 
Ridendo Ayame baciò la fronte di quello che solamente ora riconosceva essere un volpacchiotto, lo stesso che prima era saltato sulla schiena a Rin chiamandola “mama”…ma tutto questo non aveva senso non erano rimasti che pochi demoni adulti di quella stirpe e si erano spostati al nord rimasto privo di esponenti…tutto questo non aveva alcun senso.
 
Quando i suoi occhi d’ambra ritrovarono quelli di lei l’espressione della lupa fu più mite.
 
“Che significa tutto questo? Quel kitsune chi è? Che ci fa ancora qui? Perché chiama Rin mam-”
 
Si bloccò al palmo alzato di lei. Doveva stare zitto ma perché? Sopprimendo un ringhio scostò lo sguardo sulla creaturina che Ayame teneva in braccio e che già da un po’ lo stava fissando curioso.
Doveva ammettere che i suoi occhi di cucciolo erano molto espressivi e il taglio, un po’ troppo allungato e raro da riscontrare nei demoni volpe gli ricordava qualcuno.
 
“Perché non torni dalla mamma eh? Io e questo signore dobbiamo discutere un altro po’, ti raggiungo poi… ”
“Ssssht shhht?”
“Si da bravo, non dirle nulla…si spaventerebbe…”
 
Nel pronunciare quell’ultima parole Ayame lanciò un’occhiata più che eloquente a Sesshomaru che scrollando le spalle si accomodò contro il primo tronco che la sua schiena trovò incrociando braccia e gambe.
 
Il rumore della ritirata del cucciolo fu simile agl’impacciati salti di una lepre fra il fogliame d’autunno.
Quando vide sparire la folta coda del demone oltre i cespugli tornò a guardare Ayame che come lui, sorridendo ne aveva accompagnato la dipartita.
 
“Certo che voi due avete veramente un tempismo del cazzo!” sospirando aveva preso ad attorcigliarsi il ciuffo di un codino fra le dita.
“Ayame non ho tempo da perdere dietro alle tue considerazioni sbrigati e…”
“Stai zitto e calmati un secondo, tra poco arrivano anche gli altri e… se proprio vuoi saperla tutta bastava che tu o Inuyasha veniste ad almeno uno dei sette concili che abbiamo fatto negli ultimi due anni per essere al corrente della situazione attuale…!”
 
Diamine, era davvero un insofferente arrogante e pomposo figlio d’un ca… tappandosi le labbra prese a ridere del suo pensiero cercando di smorzarsi in gola quella che per il demone aveva tutta l’aria di una grassa risata.
 
“Cosa ci trovi di così divertente?”
“Oh niente, a te la cosa risulterebbe offensiva…probabilmente.”
 
Stringendo gli occhi la degnò d’un ultima occhiata prima di scostare lo sguardo in alto da dove provenivano le nitide risate di Rin e del cucciolo; un altro suono attirò la sua attenzione e con tutta la grazia possibile e la sua caratteristica calma fece un largo passo laterale.
Contemporaneamente un enorme blocco colorato di rosso si sfracellò nel punto esatto dove si trovava prima alzando in uno stanco sbuffo una manciata di foglie secche.
 
“Udito fine come sempre eh Sessho?”
“Koga…”
“….dannato bastardo d’un lupo castrato questa me la paghi!”
 
Alzandosi in piedi il mezzo demone fece per attaccare il nuovo arrivato che nel frattempo era atterrato silenziosamente vicino ad Ayame.
 
“Sta zitto Inuyasha!”
 
Non gli rimase che obbedire.
 
“C’è qualcun altro che deve arrivare?”
“Una persona ci sarebbe…ma non credo sia l’ora di incontrarla e credetemi, lo dico nel vostro interesse…”
 
Diede una gomitata nelle costole a Koga che s’era lasciato sfuggire una risatina mentre teneva lo sguardo fisso sul petto di Inuyasha.
 
“Che diavolo hai da ridere eh?”
“Niente botolo, stavo ammirando la bellissima collana che porti al collo, cos’è, l’ultima moda dalle tue parti?”
“Bah, va al diavolo!”
“Su smettila Koga…”
 
Ayame smise di sghignazzare e mosse alcuni passi verso i due fratelli, Sesshomaru s’era appoggiato al tronco di un abete, Inuyasha invece se ne stava accucciato a terra con lo sguardo deviato di lato, offeso.
 
“Se ci siamo tutti allora incomincia a spiegarmi cosa diavolo è successo qui…le cose non sono esattamente come me le ricordavo…”
“Ma dai?”  battendo le mani Ayame si fece burla di lui. “E dimmi grande Sesshomaru, cos’altro hanno notato le tue onniveggenti pupille?”
“Aya…calmati dai…”
 
Sbuffando la lupa obbedì, Koga aveva ragione, non aveva senso torturare ulteriormente i due fratelli dopotutto, come diceva il proverbio? Meglio tardi che mai…
 
“Si Sesshomaru, sono cambiate un paio di cose, i kitsune sono migrati al nord e il quartiere è stato messo sotto alla nostra protezione…”
“Come mai?”
“Perché come avete benissimo potuto vedere, Inuyasha, qui ci abita Rin!”
“Ma lei che centra?”
“Se ti calmi un attimo te lo spiego uffa!”
“Ok ok non ti scaldare…” –keh donne!-
 
L’occhiataccia di Ayame lo fece deglutire.
 
“Fin dove sapete di lei?”
“In che senso?”
“Quando avete smesso di avere a che fare con lei?” sempre che il modo di trattarla si potesse riferire tale…
 
“Subito dopo il funerale di papà…” Il tono di Inuyasha tradiva rimpianto.
“E che sapete della morte di Taisho?”
“Che è stato un incidente…” Stavolta fu di scherno.
“E voi ci avete creduto?”
“Certo che no! Abbiamo assoldato i migliori investigatori per cercare di capire le dinamiche di quell’incidente, siamo scesi in campo persino noi due ma non abbiamo trovato niente di niente…”
“Questo perché noi abbiamo cancellato tutte le tracce rimaste.”
“Cosa?” Fu il turno di Sesshomaru di intromettersi e i due lupi avvertirono nitidamente il picco d’ira nell’aura del demone cane.
“Sta buono! L’abbiamo fatto per far credere a tutti che si trattasse di un banale incidente ma in realtà si è trattato di un vero e proprio attentato.”
“Eh?”
 
Un lampo rosso velò gli occhi di Sesshomaru e nemmeno s’accorse d’essersi portato di fronte ad Ayame. Se la lupa non si fosse spostata ora si ritroverebbe nella stretta dei suoi artigli.
 
“Datti una calmata idiota!”
 
Al contrario, e qui si stupì il doppio, era il suo polso destro ad esser finito in una morsa d’acciaio, più precisamente quella fissa e decisa di Koga che con sguardo gelido e tono furente gli stava intimando di controllarsi.
 
Riprese fiato e annuì al lupo.
Il fatto che considerasse quella razza inferiore a sé stesso non significava necessariamente che lo fosse, i lupi dei villaggi dell’est e dell’ovest esattamente come i demoni cane, erano puri di razza da centenni, inoltre Ayame era la promessa di Koga e se solitamente il lupo manteneva una facciata di ironico disinteresse non era saggio minacciare la sua compagna.
 
“Va avanti…”
 
Inuyasha rilasciò un sospiro di sollievo.
 
“Quello che abbiamo scoperto è stato il principio di tutto il cambiamento che c’è stato al borgo dei kitsune…”
“E che avreste scoperto di strettamente correlato fra le volpi e mio padre?” Ayame e Koga si guardarono per un istante e fra loro sembrò intercorrere qualcosa, come se le parole di Sesshomaru avessero fornito loro ulteriore conoscenza.
 
“Come ben sai il clan delle volpi è leale ai cani della Luna crescente da quasi tre secoli, si occupa delle relazioni con gli altri clan di spettri, veglia la progenie degli Inu e mantiene forte e sicura la propria…ebbene…Keriko e Shihon avevano sentito delle voci circolare negli ambienti bassi ultimamente, voci di una possibile rivoluzione e dopo averne fatto parola con Taisho al terzo concilio degli otto regnati decisero di indagare in gran segreto…”
 
Sesshomaru ovviamente sapeva della collaborazione fra le volpi e la sua stirpe ma non aveva mai indagato sulla natura vera e propria di tale simbiosi, la cosa sembrava portare enormi vantaggi sia a loro che alle volpi quindi dove stava il problema? I lupi di Ayame e Koga erano serviti dai Tanuki che nonostante la loro natura truffaldina e paurosa mai li avevano traditi, le pantere convivevano con decine di colonie di gatti, i rapaci della Mongolia che Taisho aveva raggruppato da alcuni decenni nella grande alleanza demoniaca si servivano della collaborazione dei guardiani delle montagne, i Tengu.
 
“E cosa ne risultò?”
“La loro fine…”
“Che cosa?”
 
Inuyasha scattò in piedi guardando allibito i lupi e poi suo fratello che portava scritta in volto la sua stessa espressione di stupore.
Loro erano stati avvisati poco dopo il funerale di Taisho che Keriko e suo marito erano morti tragicamente in un incidente stradale.
 
“Morirono nell’esplosione del tunnel che coinvolse la tratta di…”
“Quella fu la spiegazione che vi fornimmo noi…per…proteggervi…”
“Pro-proteggerci?”
 
Sbuffando Ayame alzò lo sguardo al cielo, il sole a picco era offuscato dalle fronde degli alti alberi centenari che popolavano il boschetto della ripida costa.
Avrebbe preferito dir loro la verità in un'altra occasione come in effetti aveva tentato di fare in precedenza ma i due coglioni si erano sempre rifiutati di parlarle e avevano dato buca ai concili minori e non c’era stato modo alcuno di avvicinarli, lei e Koga erano stati incaricati di vegliare sul kitsune e l’umana e non potevano assolutamente allontanarsi inoltre erano pochissime le persone a conoscenza della verità, la paura di una talpa fra i demoni della cerchia era alta e comprovata da tempo.
Beh ripensò calciando una pigna cadutale davanti ai piedi d’improvviso, meglio tardi che mai.
 
“La verità è che Keriko e Shihon morirono la stessa notte in cui morì vostro padre.”
 
 
ooooooo
 
 
“ecato ipoh becato!!”
 
Saltellando il piccolo seguì la voce di Rin che giocosa lo chiamava. Il suo pancino cominciava a brontolare, era l’ora della merenda.
Alzando gli occhi al sole il piccolo cucciolo sorrise all’enorme sfera bruciante che si stagliava quasi in mezzo al cielo. Ogni giorno quando raggiungeva quel punto la sua mamma o le maestre all’asilo gli facevano uno spuntino.
 
“Shippo!”
“Ui ipoh!”
“Wah!!”
 
Ridendo la ragazza lo prese al volo portandoselo al petto per un veloce abbraccio.
La forte risata del suo piccolino era un elisir che magicamente la rimetteva al mondo.
 
“Hai fame?”
 
Annuendo si lasciò sistemare sulla grande seggiola colorata e da bravo bambino prese a bere il suo succo di melograno passando poi ai deliziosi biscotti che la mamma gli aveva messo in un piattino.
 
Mentre Shippo mangiava Rin si appoggiò al davanzale della grande finestra ad arco che occupava la facciata frontale dell’antico ryokan e dava sul piccolo giardino zen dove Shippo si divertiva a zampettare zigzagando fra i bianchi massi verticali, nascondendosi dietro il sottilissimo tronco dell’acero giapponese che da poco avevano messo a dimora al centro del giardino.
Oltre ad esso spuntavano le verdi fronde dei cedri mescolate alle cime dei pini, la luce del sole le colorava di colori vivi mentre la brezza le smuoveva dolcemente.
Si sentì strattonare dolcemente il bordo del cardigan grigio.
 
“A guadi mama?”
“Nh? Oh…il sole, guarda che bello che è…”
 
S’inginocchiò e dopo avergli tolto alcune grosse briciole di biscotto dagli angoli della bocca prese in braccio Shippo appoggiandoselo su di un fianco mentre scostava le bianche tende per indicargli il cielo.
 
“Guarda che bei colori, nhm?”
 
Gli occhi verdi e attenti di lui puntarono diritti alla sfera bruciante, Rin non se ne preoccupò, aveva imparato da tempo che la luce diretta del sole non accecava per niente gli occhi dei demoni.
 
“Ochi…mama…”
“Occhi?”
“…ochi come sole….ma shhhhhhhhhhhhhht! Paventa mama shhhht”
 
Incuriosita cercò di capire cosa volesse dirgli ma dal piccolo non ebbe altre informazioni. Sbuffando un sorriso abbassò gli occhi sul largo davanzale notando una cornice.
 
“Oh…capisco…”
 
Chinandosi leggermente prese in mano la foto, l’unica che teneva in casa di lui.
La semplice cornice d’argento racchiudeva dietro alla superficie di vetro l’immagine dell’uomo che non avrebbe mai dimenticato.
L’oro vivo che gli bruciava negli occhi sembrava proprio un sole ardente.
 
“Sole! Ochi come sole!!”
“Già…”
 
Rilasciò un sospiro triste prima di posare la foto al suo posto.
 
 “Andiamo a riposare?”
“Nana ipoh…”
 
Dopo avergli lavato i denti lo portò in camera sua e si sdraiò accanto a lui che partì  subito per il mondo dei sogni; mentre aspettava che Morfeo ghermisse anche lei s’incantò a guardare la magia di vita che era quel cucciolo. Le lentiggini che gli puntellavano la zona attorno al naso si erano accentuate molto negli ultimi mesi e se prima bisognava cercarle ora si vedevano senza problemi.
Sapeva che la crescita dei demoni era più veloce di quella di un umano e lo aveva potuto appurare già durante i primi mesi di vita di Shippo che a quattro sapeva già camminare e doveva seguirlo ovunque per evitare che cadesse dalle scale o sbattesse la testa mentre Shiba tranquilla come sempre lavorava a maglia sulla vecchia sedia a dondolo vicino al caminetto; a sei lui sembrava già capirla, a nove disse la sua prima frase e poi cresceva a vista d’occhio, aveva 18 mesi ma dimostrava più di tre anni.
 
Quel piccolo fagottino caldo e morbido si sarebbe trasformato in un bel demonietto molto, molto presto.
Attirandolo a sé chiuse gli occhi pronta al sogno.
 
 
Oooooooooooooooooo
 
 
 
Lo shock di quella notizia li colpì come una scarica elettrica.
Koga e Ayame li guardavano aspettandosi una loro reazione, magari violenta, ma quando ciò non avvenne la rossa continuò.
 
“Noi pensiamo lo stessero raggiungendo per aggiornarlo su ciò che avevano scoperto ma non fecero in tempo. Subirono un attacco calcolato e Taisho, che si trovava sulla stessa strada ma più avanti sentite le esplosioni tornò indietro. Non poteva sapere che i bersagli erano i suoi fedeli alleati e loro non fecero in tempo a dirgli nulla…stando a quando abbiamo riscontrato sulla scena dell’incidente Taisho deve aver combattuto contro qualcuno e…”
Stringendo gli occhi in un’espressione di sofferenza Ayame continuò. “… solo la presenza dei kitsune decretò la sua fine…”
“Come sarebbe a dire? Furono loro?”
“CERTO CHE NO! Erano i più fedeli, avrebbero sacrificato tutto per Taisho e quasi lo fecero ma lui non volle…fu lui a sacrificarsi perché…”
“?”
 
Koga fece un passo in avanti lasciando che Ayame, i cui occhi le s’erano riempiti di lacrime ingoiasse il groppo che le aveva incrinato la voce.
 
“Siete stati informati del motivo della morte di Taisho no? Morì difendendo un neonato dall’esplosione concatenata delle auto coinvolte ebbene…quel neonato altri non era che Shippo il figlio di Shihon e Keriko nato da appena tre giorni…”
“Il cucciolo di cui Rin si prende cura da quasi due anni…”
 
Non ci fosse stato quel tronco dietro di lui, sicuramente Sesshomaru sarebbe caduto a terra proprio come fece Inuyasha. Entrambi rimasero sbigottiti, shockati…incapaci di parlare.
Ma come mai Rin sapeva del cucciolo? Come mai era finita lì in quel borgo di demoni e come mai era protetta dai due più potenti esponenti degli Okami-youkai?
 
“So che avete mille domande da farci e che questo non è il momento adatto ma almeno a quella principale vi voglio rispondere…Rin si trovava all’ospedale che ricevette in cura Taisho per una visita, fu avvertita dell’accaduto dal primario dell’ospedale che le era molto amico nonostante fosse risaputo che i due non erano più fidanzati, e per prima cosa lei chiese che veniste avvertiti voi due, rimase con Taisho finchè arrivaste poi se ne andò dal piccolo.
“….”
“Noi nel frattempo eravamo già sulla scena dell’incidente, Koga seguì Taisho in ospedale mentre io ed i miei cercammo di salvare Keriko e Shihon ma erano già spirati quando arrivammo, sapevamo del cucciolo e lo cercammo ovunque, non trovandolo pensammo ad un rapimento e ci demmo da fare per cercarlo ma invano”
“Ma voi come mai tenete d’occhio Rin?”
“Per caso, per dovere…per rispetto verso Taisho…”
“Che vorreste dire?”
 
Ayame perse la sua aria triste e fulminò Sesshomaru con uno sguardo elettrico.
 
“Non è un mistero il fatto che non vi sia mai piaciuta, e se sia lei che Taisho mascheravano la cosa come semplice indifferenza noi sapevamo benissimo dell’odio che le serbavate, ebbene dopo la morte di vostro padre perdemmo ogni contatto con lei, sparì nel nulla come se non fosse mai esistita…per sei mesi non ci fu verso di rivederla.”
“Come la ritrovaste?”
“Fu merito della vecchia Shiba…”
“La madre di Shihon?”
 
La rossa annuì prima di continuare.
 
“Shiba fu l’ultima matriarca del clan dei kitsune, conobbe Rin quando lei era al capezzale del piccolo Shippo che per le ferite rimase in bilico fra la vita e la morte per due settimane prima di aprire i suoi occhioni e vedere lei…”
“Queste cose ve le ha dette Shiba?”
 
Rattristandosi Ayame deviò lo sguardo a terra.
“In un certo senso…voi la conoscete la via dei sogni, no?
 
I due fratelli annuirono, loro per primi ne erano tormentati.
 
“È l’unico modo che gli spiriti dei defunti conoscono per comunicare con chi è ancora in vita, mostrano ai propri cari in maniera onirica scene di vita passate, a volte di vite passate, insegnano ancora nonostante abbiano lasciato la vita terrena, sperano ancora, capite?”
 
“Cosa ti ha mostrato Shiba?”
 
Sesshomaru doveva sapere. Ayame lo guardò e nel suo sguardo Sesshomaru lesse angoscia e risentimento, lei sapeva non c’era dubbio, tuttavia era lì in quel posto pronta a spiegar loro tutto ciò che volevano sapere. Li biasimava per come si erano comportati e probabilmente non li avrebbe mai perdonati, ma cosa avevano fatto di così grave da spingere non uno ma ben due demoni completi ad un simile livello di devozione nei confronti di quell’umana?
Un gelido groppo gli si formò alla gola, si rese d’improvviso conto che aveva paura di scoprirlo…
 
“…non è il momento…”
“Ayame?”
“…non credo siate pronti né tu Inuyasha men che meno tu, Sesshomaru…”
“Chi sei tu per decidere?”
“Quella che sa.
“Ayame!?”
 
Koga, che fino a quel momento se ne era rimasto in disparte mosse alcuni passi verso la lupa posandole una mano sulla spalla, guardò i fratelli poi e si trovò d’accordo con lei.
 
“Come dice Aya, non è il momento giusto, non sapete nulla non siete pronti per tutta la verità ed il suo carico di emozioni…”
“Non ti ci mettere anche tu lupastro…”
“Sono serio, Inuyasha.”  Zittì il mezzo spettro col suo tono di voce, poi dopo aver scostato lo sguardo su Sesshomaru prima e oltre il boschetto poi continuò. “Per ora vi basti sapere che è tutto sotto controllo, Rin e il cucciolo stanno bene e sono al sicuro, in verità non credo sia una buona idea che vi due piombate nella loro vita così d’improvviso, mi spiace ma dovrete aspettare.”
“Quanto?”
“Questo non sta a noi deciderlo…”
“A chi sta allora?” Inuyasha cominciava a spazientirsi, non amava fare come gli dicevano gli alti, lo detestava e non riusciva a capacitarsi della tranquillità che suo fratello ostentava, non era forse lui quello che fra entrambi bramava il perdono di Rin più di tutto?
“Hey Sesshomaru, di qualcosa…”
“….”
“Non c’è bisogno di scaldarsi botolo, le condizioni non si cambiano e poi non vi pare egoistico da parte vostra pretendere che si faccia tutto a modo vostro? Benché ne abbiate l’aspetto non siete più dei ragazzini, non lo siete da secoli diamine quindi calmatevi e non azzardatevi più a fare di testa vostra, lei non lo merita…”
 
Era ovvio che con lei intendeva Rin. Solo questo impedì ad Inuyasha di rispondere per le rime a quell’arrogante di un lupo. Diamine odiava quando Koga aveva ragione….si sentiva impotente.
 
“Andiamo Inuyasha.”
 
Allontanandosi dal tronco che ancora lo sosteneva Sesshomaru mosse alcuni passi verso sinistra. Un piccolo e scosceso sentiero di bosco scendeva verso valle. Di sicuro la loro auto era stata spostata laggiù.
 
“Ma come?”
“Vedo che almeno ad uno dei due è rimasto un briciolo di cervello, obbedisci botolo, ci faremo sentire noi più avanti...”
“…sarà meglio lupastro…”
 
Con uno sbuffo ed un cenno del capo salutò i due demoni sparendo con suo fratello oltre la coltre di foglie.
 
“Ci daranno retta?”
“Si Aya…faranno bene a farlo, qui non si tratta più di sciocchi litigi di gelosia, faranno bene a dimostrare d’essere i figli del Gran Generale dei demoni cane o…andrà tutto a puttane…”
“Sai Koga…nonostante tutto credo meritino fiducia…hanno imparato la lezione.”
“Npfh…”
 
E in un attimo, nel luogo in cui prima stavano quattro demoni non rimasero che alcuni mucchietto di foglie sconquassate.
 
 
Flashback
 
“Waaaaah!!!”
 
Assisteva sorridendo ai giochi d’una bimba che pestava nell’ acqua coi nudi piedini. Si stupiva ogni volta di come facesse a resistere, quel piccolo rio doveva essere gelido. Se alzava lo sguardo infatti poteva vedere le cime dei monti che padroneggiavano sull’altopiano ancora bianche di neve.
 
Ma la piccola rideva e pestava e schizzava qualcuno che con voce gracchiante le diceva di piantarla imprecando i Kami celesti perché la facessero smettere finchè il sordo tonfo d’un sasso contro la tempia lo faceva tacere.
 
E quando questo accadeva lei rideva d’una cristallina risata che sapeva di cascata, e subito usciva dal fiumiciattolo correndo sulla soffice erba rugiadosa verso qualcuno che solo ora s’incominciava a vedere emergere dall’orizzonte di fronde boscose al limitar della radura.
 
Lo chiamava per nome ma non distingueva le parole dalle risa, lui le si fermò accanto e proprio in quel momento una fresca brezza d’improvviso smuoveva le verdi foglie dei rami sollevandosi in un soffice fischio che scompigliava le vesti di lei e sollevava dolcemente una folta chioma fatta di fili argentati.
 
“Taisho-kun…”
 
 


..E sorrideva Rin, mentre nel sogno viveva…

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Capitolo 10
*** Always with you ***


 
-ALWAYS WITH YOU-
 
 
 
TONF
 
 
L’oscurità lo avvolse non appena la spessa porta blindata si richiuse alle sue spalle con un netto stacco.
Era buio.
Fresco.
E silenzioso.
Inspirò staccandosi appena dalla porta controllando i dintorni.
C’era un odore denso e forte ma non di stantio come si era aspettato dal momento che erano quasi due anni che nessuno ci metteva piede e nemmeno di polvere o muffa. Sembrava che suo padre sarebbe potuto rientrare da un momento all’altro, se l’avesse trovato lì…
Gli venne l’istinto di uscire ma poi si ricordò che non sarebbe successo, che il brivido che gli stava nascendo nel cuore era dettato dalla sua sciocca speranza, da un minuscolo frammento di anima che continuava a sopravvivere giorno dopo giorno nonostante il suo freddo carattere sapesse benissimo che dal mondo dei morti non si faceva ritorno.
Mosse alcuni passi decidendo da che parte andare; non era pratico di quel posto.
Taisho era molto geloso dei suoi spazi e se con la villa fuori città dove abitavano tutti era permissivo e dava loro massima libertà il discorso cambiava quando si trattava del suo rifugio, l’appartamento che si era comperato in città ancora prima di conoscere Izayoi.
 
Era enorme e che doveva essere molto luminoso lo si capiva dalle grandi finestre poste in cucina, nell’ampio salotto e sicuramente anche nelle stanze, nonostante ora fossero oscurate dalle spesse tende color beige.
Si trovava in una bella zona residenziale vicina al centro all’ultimo piano di una palazzina nel cui quartiere, lo aveva visto arrivando, erano presenti piccoli supermarket panetterie e negozi raffinati.
C’era un parco attorno ad ogni palazzina e tanti alberi piantati ordinatamente offrivano ombra d’estate a chiunque si sedesse sulle panchine messe vicine, alcuni giochi per bambini e fontanelle rendevano il complesso adatto anche alle famiglie.
Dall’ultimo piano dov’era situata la proprietà si godeva poi di una vista molto piacevole.
 
Muovendosi lasciò scivolare le chiavi lungo il palmo della mano destra e queste finirono dentro ad un cesto in ceramica nera posto sopra il pass che separava la cucina dall’atrio.
Entrò passando per un bellissimo arco rivestito di pietra grezza esplorando la stanza, le mensole erano laccate di nero, lucide e lineari, i piani cottura ad induzione e gli elettrodomestici in acciaio inox.
Una grande finestra percorreva quasi tutta la lunghezza della parete e dei faretti illuminavano la zona dell’isola e del lavandino.
Aprì le credenze rimanendoci quasi male nel trovarle vuote ma prive comunque di polvere.
Qualcuno doveva passare regolarmente a dare una pulita ma ignorava chi fosse, diamine, aveva trovato le chiavi di quella casa per puro miracolo quando l’avvocato di famiglia gli aveva presentato le carte di tutte le proprietà fra le quali aveva trovato l’indirizzo di quella casa.
Le chiavi erano state per mesi dentro al sacchetto trasparente che conteneva gli oggetti personali che l’ospedale nel quale era stato ricoverato Taisho aveva consegnato a lui e Inuyasha dopo la sua morte.
C’erano il portafoglio con dentro le foto di tutti, da Inukimi, a Izayoi, la sua e quella di Inuyasha e in un angolino la foto tessera di una sorridente Rin.
C’erano la sua collana d’oro fino col ciondolo dello stemma di famiglia, l’anello d’oro rosso che portava all’anulare, un braccialetto di cuoio molto ben fatto, le chiavi della macchina ed un mazzo con un portachiavi di peluche che non entrava in nessuna serratura a loro conosciuta.
Aveva collegato le due cose solo dopo aver ricevuto le carte dall’avvocato, trovato l’indirizzo a soprattutto il coraggio per recarsi in quella casa.
Coraggio che dopo mesi gli era venuto quel pomeriggio.
 
Gironzolò per il salotto dove stavano due divani in pelle scura completi di cuscini, un tavolino in vetro basso sopra un tappeto chiaro dalla trama semplice.
Appoggiato alla parete un mobile da soggiorno ospitava un vecchio giradischi una lampada e la pila di innumerevoli 45 giri che suo padre tanto amava.
Diceva sempre che la grezza melodia data dalla punta del giradischi contro la superficie del vinile era il segreto che completava la bellezza della musica. Più volte li aveva esortati a lasciar perdere lettori cd e mp3 in favore del vinile ma senza successo e così aveva finito per portare via i suoi vecchi apparecchi per concedersi quel piacere in solitudine; o chissà, magari a Rin piaceva.
Sapeva con certezza che l’aveva portata lì più di una volta, era ovvio.
Dal momento che alla villa le scenate si sprecavano non se ne stupiva, quello e il piccolo appartamento di lei dovevano essere stati gli unici posti dove potevano stare tranquilli.
 
Lì vicino c’era l’interruttore, lo pigiò e di colpo una luce soffusa e calda illuminò gli spazi gettando ombre sulle pareti delineando meglio lo stacco fra la cornice delle molte fotografie appese e la chiara parete.
Si avvicinò per poter vedere chi vi era raffigurato.
Erano tutte di Rin.
Tutte quante.
Rin che assorta leggeva un libro all’ombra di un albero al parco del tempio che si vedeva alle spalle.
Rin che lo guardava sorridendo all’obiettivo
Rin indecisa davanti alla vetrina di un negozio di dolci.
Rin vestita da clown nel reparto di pediatria e tanti sorrisi e occhi vispi attorno a lei.
Rin, sempre al tempio seduta sulla riva dello stagno che con le dita sfiora la superficie, e quella libellula ripresa per caso che aleggia sopra il dorso della sua mano.
Rin che lo abbraccia.
Rin che lo bacia.
Rin che dorme nel suo letto.
Rin che-
 
Gli venne un senso di vertigine quando iniziò a sentire i suoni e le voci che avevano accompagnato quegli scatti.
 
Guardava la prima foto e sentiva il vento fra le fronde e il sommesso canto degli uccelli.
Sentiva la voce di suo padre chiamarla d’improvviso e scattare non appena il sorriso di lei era inquadrato.
Sentiva le risa dei bambini dell’ospedale accompagnare la buffa voce impacciata che faceva.
Sentiva la sua voce chiamarlo mentre lo stringeva e il suo fiato sotto all’orecchio.
Sentiva un esplosione nel cuore mentre l’immortalava addormentata fra le sue lenzuola con le labbra rosse e il fiatone. Lo sentiva diventargli duro perché sapeva cos’avevano fatto, diamine, i suoi gemiti acuti e le unghie piantate nella schiena, il tremore delle sue palpebre mentre le chiudeva sopraffatta dal piacere, i suo gemiti languidi che gli facevano capire che quello che le stava facendo le piaceva eccome, che non doveva fermarsi e che…
 
E poi la scena cambiava d’improvviso trasferendosi sul pianerottolo del piccolo appartamento di lei.
 
“Torna con me Rin”
“M-ma i tuoi figli…”
“…non m’importa se a loro non sta bene…”
 
Poteva vederla dalla prospettiva di suo padre piccola e confusa mentre lo guardava con quegli occhi nocciola grandi e lucidi.
Sentiva l’impazienza di stringerla e il prurito nelle vene dove il suo sangue di demone pulsava di passione e voglia e desiderio.
Sentiva l’amore di quel grande demone verso la debole umana, provava la fatica che stava facendo suo padre  per resistere e darle il tempo di decidere anche se dubitava che un suo rifiuto sarebbe stato in grado di fermarlo.
Lei lo amava e lo capiva da ogni respiro che le sue labbra emettevano, ogni luce nelle iridi di lei erano profondo sentimento, ogni movimento delle sue mani era tic dal quale s’imponeva di resistere per non abbracciarlo…e quelle sue gambe chiare e sode erano la porta per il paradiso, portavano alla fonte del piacere assoluto.
Ricordava gli spasmi dei suoi fianchi nell’averle strette intorno.
Erano due settimane che l’aveva lasciato e non sarebbe resistito un minuto di più senza di lei.
 
“Non posso saperti viva e lontana da me Rin…non posso… e non è giusto che a pagare per i capricci di due sciocchi  siamo noi…Rin!”
 
Mosse un passo in avanti stringendo fra le mani lo stipite del portone d’entrata.
Era stata saggia lei a non farlo entrare perché sapeva a cosa andava incontro.
Lì, esposti agli sguardi e alle orecchie dei vicini erano costretti a trattenersi, se l’avesse fatto entrare sarebbe stata la sua condanna.
 
“Ti…ti prego T-Taisho io non ce la faccio…” si morse le labbra e gli occhi le divennero lucidi. “Mi guardano come se fossi una pezzente, umiliano ogni mio tentativo di…di- e io non so nemmeno perché ci ho provato per tutto questo tempo, non pretendevo chissà cosa, solo la risposta ad un saluto, l’accenno di un sorriso magari…ma perché mi odiano così tanto? Cosa diavolo credono che voglia farti?”
 
Scoppiò in lacrime contro il suo petto.
O per meglio dire, al primo accenno di un suo cedimento suo padre la strinse a sé soffocandole il pianto fra le pieghe dei suoi eleganti vestiti.
Approfittando di ciò spinse entrambi oltre la porta richiudendola alle proprie spalle.
Poi aspettò che lei si calmasse, carezzandole la nuca, la schiena e stringendola forte per farle capire che c’era sempre lui con lei, anche quando tutto il mondo le voltava le spalle.
 
“Capiranno Rin, e allora vedrai che non sapranno più cosa inventarsi per fare ammenda…abbi pazienza amore mio…resisti con me…”
“Sigh…due anni…resisto da due anni ma anziché cambiare quegli… stronzi peggiorano!”
“Mpfh…”
“Che c’è da ridere?”
“Questa è la prima volta che ti sento insultarli…”
“…già…mpfh… heh…sigh…però è vero…sono degli stronzi!”
“I più stronzi di tutti gli stronzi esistenti al mondo…”
“Concordo...”
 
Fu lei a stringerlo stavolta, e sentì il tremore scuotere i suoi muscoli per lo sforzo.
In quel momento, guardandola mentre con braccia e corpo non suoi la stringeva si rese conto di quanto fosse esile e fragile quella piccola umana.
 
“Ti amo Taisho…non voglio stare senza di te…ti amo!!”
“Ti amo anche io Rin…sei la mia gioia, la mia resurrezione. Sei la mia pace e non intendo rinunciare a te per nessuna ragione al mondo…chiaro?”
“Nhm”
 
Bene.
Appurato ciò rimaneva solamente una cosa da fare.
Lanciò un occhiata all’appartamento verso il corridoio dove sapeva ci fosse la sua camera da letto.
La sentì ridere.
 
“Sei incredibile…ci vediamo ora dopo giorni e l’unica cosa a cui pensi veramente è…”
 
Insinuò una gamba fra quelle di lei piegandola in modo da incastrarla bene all’inguine.
La sentì fremere e ridere quando il contatto con la sua erezione prigioniera dei jeans la fecero sussultare.
Inspirò e sentì anche qualcos’altro.
 
“Vuoi davvero metterti a fare la moralista?”
“Non vale però…non fosse per i tuoi sensi non ti saresti accorto di niente…”
“Tu dici?” Strusciò la gamba facendola gemere ancora, il picco di piacere che le stava causando la faceva profumare di buono, di passione. “Ho visto come mi guardavi Rin…a frenarti c’era solo la paura per quei due…stronzi!”
“Mpfh…vero…ma adesso che non c’è più?”
“Mi chiedo perché stiamo ancora parlando…”
“…”
 
Smorzò la sua risposta con un bacio affamato.
Le aggredì le labbra insinuandoci dentro la lingua facendolo diventare dolce solo verso la fine, quando si erano saziati, quando non c’era più l’ansia del distacco sofferto.
Spingendola all’indietro la diresse verso l’isola della sua piccola cucina e premendole le dita sulle natiche la issò a sedere sul freddo piano di marmo.
Non sarebbe resistito fino alla camera da letto.
Si nutrì dei suoi respiri e dei suoi singhiozzi di piacere dedicandosi poi a solleticarle il collo fin dove questi si univa alla spalla che le sue mani avevano sapientemente liberato dai larghi indumenti che indossava.
Si posizionò fra le sue gambe attirandola a sé, premendo forte il su bacino a quello morbido e piatto di lei, non vedeva l’ora di…
 
“Taisho…”
 
Si lasciò andare completamente e la fece sua con ardente foga contro quel mobile poi senza staccarsi si diresse in camera da letto prendendola con dolce passione poi e con rilassata calma infine.
Se la strinse forte al petto posando il suo grande e rovente palmo sopra il piccolo dorso della mano che lei gli aveva posato sul cuore.
 
“Sempre con te.”
 
Lei gli fece eco con voce sussurrata donandogli un pigro bacio sul petto.
 
“Sempre con te…”
 
Finì tutto in un istante; così com’era incominciato, quel flashback terminò riportandolo all’interno dell’appartamento vuoto di suo padre.
Chiuse le dita contro il muro contro il quale si era appoggiato per non cadere.
Si odiò.
Si odiò come non aveva mai odiato nessuno.
Si diede del bastardo, del vigliacco della bestia, dello stronzo.
Mentre la schiena scivolava contro la parete verso il basso continuava a ripetersi quella parola come un mantra.
Stronzo stronzo stronzo.
 
Ne avevano combinate troppe lui ed Inuyasha e non c’erano scuse o rimedi che avrebbero espiato la loro crudeltà.
Lui, che era uno che portava rancore a vita per delle sciocchezze come poteva pretendere il perdono di una ragazza buona che non gli aveva mai fatto niente e che lui di rimando aveva tormentato per mesi? Come poteva anche solo aver pensato di avvicinarla?
Non l’avevano coinvolta quando c’era stato l’incidente, non le avevano comunicato la morte di Taisho non le avevano permesso di stare nei primi banchi della cattedrale e neanche di mettere la sua piccola corona di fiori bianchi vicino a quelle sfarzose dei soci dell’azienda e delle varie associazioni.
Non si erano più preoccupati della sua esistenza dimenticandola come se mai fosse esistita, con una facilità mostruosa, degna dei demoni che erano.
 
Lei invece, piccola fragile debole triste e sola aveva sopportato e si era pure presa in carico il cucciolo di volpe salvato da Taisho.
Loro due neanche si erano degnati di sapere chi fosse, lei lo aveva adottato.
Shippo era della stirpe dei demoni e loro gli avevano voltato le spalle.
Lei che era umana lo amava come fosse figlio suo.
 
Che schifo!
 
Aveva soffocato la purezza e la bontà dell’animo di Rin col fango della crudeltà e del suo egoismo.
Come poteva anche solo guardarsi allo specchio senza provare vergogna?
 
….
 
“Lo senti?”
“!?”
“Questo è ciò che era lei quando la conobbi.”
“Nh?”

“Un grumo denso e umido di gelo e orrore, di solitudine e paura; di tristezza, angoscia e tremenda, assoluta disperazione.”
 
…..
 
Ripensò alle parole della sacerdotessa, riprovò quell’atroce sensazione di totale abbandono e terrore.
Com’era riuscita quella fragile creatura ad andare avanti?
 
Alzò le ginocchia poggiandoci sopra i gomiti, le mani gli nascondevano il viso, la lunga frangia scendeva a solleticargli le dita, i capelli ricadevano in avanti schermandolo dal mondo e dalla vergogna.
 
Si rese conto d’essere impotente.
L’unico modo per rimediare alle sue azioni tremende sarebbe stato quello di tornare indietro nel tempo e cancellare tutto, d’essere consapevole che quella buffa ragazzina non avrebbe rappresentato alcun pericolo né per loro, né per Taisho men che meno per il ricordo che avevano delle loro madri.
Ma se era vero che dal regno dei morti non si tornava, lo era altrettanto il fatto che le azioni ed il tempo trascorso non potevano essere cancellate.
Non vedeva via d’uscita.
 
Improvvisamente il cellulare incominciò a vibrargli nel taschino della camicia.
Preso alla sprovvista sussultò raggiungendo l’apparecchio per vedere chi lo chiamava.
 
INUYASHA
 
“Si?”
“Dove diavolo sei finito?”
“Sono in città, avevo bisogno di muovermi…”
“Ah…senti, so che potrebbe sembrarti scemo ma, ho appena visto una reclame alla tv, fanno una raccolta fondi per il reparto oncologico dell’ospedale dove siamo stati l’altra settimana, pensavo che potremmo fare una donazione…no? ”
 
Sorrise internamente all’indecisione del fratello. Inuyasha era sempre stato una testa calda, istintivo e passionale, quello che doveva avere l’ultima parola su tutto eppure quando si trattava di lui, suo fratello maggiore perdeva tutta  la spocchia e diventava insicuro, quasi avesse paura di fare qualche mossa sbagliata e perdere la sua fiducia, perdere lui.
Da quando era morto loro padre quell’insicurezza nel rivolgersi a lui si era moltiplicata. Erano rimasti soli ed era lui, Sesshomaru il solitario della famiglia, quello che non badava troppo alle relazioni famigliari, quello che se c’eri o non c’eri non faceva differenza mentre Inuyasha amava stare in compagnia anche se non era necessario chiacchierare a qualsiasi costo.
Un film a casa, una cena in famiglia, le vacanze passate insieme.
Tutto pur di non rimanere da solo, per questo forse non si era mai arreso da piccolo quando le tentava tutte per farsi accettare dal suo terribile glaciale e schivo fratellone.
Ce l’aveva fatta e anche se non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura non avrebbe mai rinunciato a lui. Inuyasha era suo fratello, punto. Un testa di cazzo si, ma gli voleva bene.
 
“-oh ci sei?”
“Nh? Si…si ci sono…”
“…allora? Che te ne pare?”
“Ottima idea ‘Yasha”
“Davvero?”
“Si, e dato che è stata un’idea tua lascerò che sia tu ad occuparti di tutto compresa la parte delle scartoffie…”
“Hey hey heeeey! Tropp faci-”
“Ci vediamo a cena, ciao!”
 
Riattaccò levandosi in piedi, dirigendosi verso il fondo della casa, dove dovevano esserci le stanze da letto, i bagni il ripostiglio.
Entrò nel grande bagno piastrellato di nero marmo i cui minuscoli cristalli brillavano reagendo alla luce.
C’erano due lavandini in tinta con le piastrelle, gli armadietti e lo specchio lucidi e puliti nel bicchiere due spazzolini, uno elettrico che riconosceva essere di suo padre e uno col manico colorato di rosa.
La grande vasca idromassaggio era contornata di candele, di vasi contenenti essenze sali da bagno e petali di rosa, sui ganci due tuniche, una enorme, una minuscola in confronto, ambedue candide e perfettamente stirate.
 
Vivevano insieme?
 
Uscì svoltando a destra, entrando nell’enorme suite che era la stanza la letto dai mobili lineari con un enorme porta finestra che dava su un terrazzo ampio e pieno di vasi di piante verdi e fiori perfettamente curati, c’erano delle sedie in vimini molto eleganti ed un dondolo, ed un piccolo barbecue e un caminetto e la balaustra che recintava il terrazzo aveva dei piloni alla cui base stavano dei grandi vasi in legno dai quali nascevano verdi e rigogliose viti che risalendo i fili del pergolato creavano una tettoia verde e fitta sotto alla quale erano stati appunto posizionati i mobili da guardino.
In un vaso di terracotta crescevano poi un glicine e in un altro ancora più grande un olivo dal tronco grigio come le pietre dei fossi e dalla fitta chioma.
Piccole piantine di fragole e viole ornavano la parete della casa o le ringhiere dando un tocco femminile.
 
Alzò le tende ed uscendo inspirò l’aria e i profumi che aleggiavano lì immergendosi in un mondo a parte fatto di silenzio e profumi.
 
Si era costruito proprio un paradiso e non si stupiva più del motivo per cui ne fosse stato così geloso.
Se solo glielo avesse detto avrebbero rovinato anche quel mondo di pace.
 
Si sedette su di una poltrona sentendola scricchiolare sotto al proprio peso, dalla tasca del giaccone estrasse un pacchetto di sigarette e ne accese una, c’era un posacenere sul tavolino basso da giardino e sapeva che suo padre fumava, non gli avrebbe dato alcun fastidio.
 
Inspirò un paio di boccate schiudendo gli occhi, levandoli al cielo che incominciava a tingersi dei colori del tramonto…si era fatta sera oramai ed era lì dentro a cercare chissà cosa da ore.
Si concentrò sui colori, sui profumi e sulle leggere ondate di brezza lasciando che il senso di colpa se ne andasse via.
Sembrava così vicina la pace dei sensi che…
 
“Taisho-kun?”
 
La mano che stava per portargli la sigaretta alla bocca si bloccò a mezz’aria.
Un tuffo al cuore e il sangue smise di essere plasma trasformandosi in ghiaccio appuntito e viscido che ad ogni pulsazione lambiva ogni parte del suo essere.
Due parole ed il suo mondo si fermò.
Non osò girarsi.
 
“Ta-Taisho-kun?”
 
Stavolta la voce vibrava di pianto e speranza.
Sentì qualcosa cadere a terra ed un tintinnio, probabilmente erano la sua borsa e le chiavi, la porta finestra che lui aveva lasciato semichiusa venne sbattuta e aperta completamente.
 
“Taisho-kun?”
 
Lo chiamò di nuovo ma lui non si voltò.
Non era pronto per guardarla negli occhi, non era pronto ad accettare la sconfitta quando questi, vedendo di chi si trattava realmente, si sarebbero riempiti di terrore e angoscia.
La sigaretta si era consumata del tutto e il cilindro di cenere gli cadde sulle ginocchia sfumando via.
 
Sentì la sua voce chiamarlo nuovamente, stavolta fra i singhiozzi, la sentì andargli sempre più vicino finchè una piccola mano gli si posò sulla spalla.
Appena avvenne quel contatto come un fulmine si alzò e voltandosi velocemente la strinse al proprio petto chiudendosi su di lei che piangeva e si disperava impedendole di guardarlo in faccia
.
Rimasero così fin quando il pianto si placò, poi dolcemente mentre la allontanava da sé le chiese di chiudere gli occhi.
Lei obbedì e coi pollici portò via le lacrime dai suoi occhi tremanti.
Non riuscì a resistere e con un dolce tocco le sfiorò la fronte.
Qualcosa poi in lui scattò e un attimo dopo erano le labbra di lei ad essere fra le sue, non più quella pallida liscia e morbida fronte, ma due labbra impazzite ed una lingua che sapeva di succo al mirtillo.
 
Gemette lui e con l’aiuto dei palmi le alzò il viso angolandolo nel modo più comodo per poterla baciare più a fondo.
Gli parve di impazzire, più assaggiava e più voleva, ogni bacio ne chiedeva un altro e un altro ancora e non gli importava se incominciava a mancargli il respiro, niente al mondo l’avrebbe convinto a staccarsi da quelle labbra.
 
“Mhg”
 
Niente a parte un peso morto che gli cadeva addosso.
Ricevendola ondeggiò un poco indietro scostandole dal viso i neri capelli che le ricoprivano la fronte e parte della guancia.
Chinandosi appena la prese in braccio catturandole le ginocchia poi rientrò adagiandola sul letto le cui sottili lenzuola s’incresparono  non appena subirono il suo peso.
 
Era bella da togliere il fiato.
Uguale a come se la ricordava.
Rimase con lei fino ai primi sintomi di risveglio, poi sparì uscendo da quell’appartamento senza fare alcun rumore.
Se aveva un po’ di fortuna lei avrebbe scambiato tutto per un sogno.
E poco importava che invece lui non avrebbe fatto altro che ripensare alla dolcezza delle sue labbra, al calore del suo piccolo corpo tremante, alla foga con cui di rimando, Rin, credendolo qualcun altro, aveva risposto a quel bacio.
 
Sul terrazzo, oltre la porta che si era richiuso alle spalle, celato dalle tende calate c’era l’angolo coi mobili da giardino, un tavolino e sopra un posacenere.
Dentro un mozzicone.
 
 
 
 
 
 
È un’eternità che  non aggiorno questa storia.
Tuttavia in molti mi avete scritto per chiedere se la continuavo,
per farmi i complimenti e dirmi cosa ne pensavate.
Vi ringrazio.
Ultimamente ho davvero poco tempo per scrivere,
 spesso mi mancano le idee, la voglia…l’entusiasmo che avevo un tempo
quando in una sera scrivevo 10 pagine di word senza nemmeno rendermene
conto.
Sono cresciuta, non ho più 17 anni come quando incominciai a provare a scrivere all’epoca di Manga.it (scoperto fra l’altro durante l’ora di informatica all’alberghiero) tuffandomi dentro questo meraviglioso universo fatto di parole
idee trame personaggi fantastici e lettori stramitici.
Adesso ho quasi trent’anni…
Ho perso parte della mia spudoratezza che mi spingeva a scrivere tutto quello che volevo e guadagnato troppi blocchi troppi limiti,
costrizioni e freni.
Forse adesso ho paura perché quando scrivo metto molte cose, forse troppo di me.
Quello che penso, come vedo il mondo come sono io e credo che sia sbagliato perché finisco per imporre la mia visione del mondo ad un personaggio che non mi appartiene, che è totalmente opposto a come sono io, che dovrebbe essere trattato con rispetto e coerenza.
Ho paura di finire per confondere la mia realtà con la trama della storia e per rovinarla.
O forse semplicemente così come ho smesso da anni di impazzire per i manga…
(Inuyasha finito One piece decaduto e Naruto una delusione [ovviamente parlo per me Nda]) ho finito per non appassionarmi più così tanto alla scrittura preferendo di gran lunga leggere le meravigliose storie che voialtri pubblicate.
E si, leggo ma non recensisco…maleditemi!!!
 
Detto ciò, semmai ci fosse ancora qualcuno qui, a tenere d’occhio i miei aggiornamenti
eccone uno, il primo di tanti spero perché ogni storia che ho scritto, che abbia 10 6 o 3 anni è un pezzo di me, di com’ero quando la iniziai e non intendo lasciarne incompiuta nemmeno una.
Perciò abbiate tanta, tanta…tanterrima pazienza e chissà, forse domani forse l’anno prossimo ci sarà un altro aggiornamento.
A voi ragazzi, di nuovo GRAZIE e Buon Natale, Buone Feste e giorni felici.
 
TH

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Capitolo 11
*** The cruel Fate ***


 
 
 
Splendeva un sole meraviglioso, ed il colore del cielo era terso e limpido sporcato appena qua e là da buffe macchioline chiarissime e sfumate.
 
Il creato era qualcosa di meraviglioso e incompreso.
 
Non c’era anima in tutta la Terra, e di questo ne era convinta, che fosse in grado di apprezzare tanta bellezza, così presi dalla frenesia della vita chi mai poteva permettersi il lusso di fermarsi e osservare? Chi mai si sarebbe ricordato di farlo?
Folli
 
Col viso sereno e concentrato Kagome muoveva avanti e indietro il rastrello metallico ammucchiando le rosse foglie degli aceri che poi sua madre e Sota raccoglievano in grossi sacchi di telo.
Spesso però non resisteva ed alzava il viso verso l’astro e il contrasto che la sua luce creava sulle zone d’ombra, adorava vedere le cupole verdi che erano le fronde degli alberi, tutte in fila lungo le strade o i viali, oppure le macchie più grandi in prossimità dei parchi.
 
Se si impegnava poteva immaginare com’era un tempo la spianata ai piedi del Tempio, pensava a prati sterminati coltivati a riso, terre arate con l’aiuto dei buoi, piccole capanne dai tetti di paglia, pozzi per la raccolta dell’acqua, donne sedute all’ombra coi pargoli in mano, vecchi e uomini al lavoro, monaci e sacerdotesse compivano lunghi pellegrinaggi per portare fede e protezione di villaggio in villaggio, e poi boschi e vita selvaggia per giorni e giorni di cammino, e ruscelli e …
 
 
‘Era bella casa mia, non è vero?’
 
“Ki…Kikyo!”
 
Gli occhi eterei di lei si schiusero appena.
 
“Mi hai spaventata …”
 
Piegandosi in avanti raccolse da terra il manico del rastrello che aveva lasciato cadere dalla sorpresa.
Chi altri poteva coglierla di sorpresa a quella maniera?
Le balenò alla mente il viso di Inuyasha ma fu svelta a tossir via quel pensiero.
Era stata solo fortuna, quella sera l’aveva colta alla sprovvista approfittando della sua preoccupazione per Rin, non l’avrebbe fregata una seconda volta.
 
‘Che c’è?’
“Niente perché? Mi sono persa ad osservare il cielo oggi è meraviglioso non ti pare?”
‘Si, è raro vedere un cielo così in novembre’
 
Il bel viso della donna si addolcì, chissà pensò Kagome, magari stava ricordando qualcosa … le aveva accennato a casa sua …
 
“È cambiato così tanto questo posto?”
‘Beh, non c’erano che un centinaio di piccole capanne mentre ora il cemento ricopre tutto, laggiù avevamo costruito la nostra io e Kaede, dopo che quella appartenuta alla nostra famiglia fu distrutta da un incendio … il fiume passava per di là e qui dove ora sorge il Tempio di tuo nonno una volta c’era una radura accerchiata dal bosco di betulle e cedri, il villaggio occupava appena un sesto del quartiere di Naka-Meguro e non c’erano così tanti abitanti … si, direi che è mutato parecchio …’
 
Sospirando riprese a rastrellare, l’odore pungente della terra pregna d’umidità le diede una connessione con la natura aiutandola a rilassarsi.
 
‘Va tutto bene Hoshi?’
“Si … sono un po’ preoccupata per Rin, non la sento da giorni …”
‘Va a trovarla se sei in pena ’
“Nah … sarà presa da Shippo … quella peste le riempie le giornate!”
‘Ed è un bene a quanto ricordo…’
“lo è Kikyo, eccome se lo è.”
 
Sorridendo si appoggiò al rastrello piegandone le sottili estremità, l’occhio le cadde su Sota che tranquillo riempiva il sacco che sua madre teneva largo, era bello vedere il contrasto della zona dov’era lei con quella pulita; il piazzale del tempio era ampio circondato da alti alberi che ogni autunno perdevano migliaia di foglie tappezzandone il chiaro lastricato, l’effetto era bello anche così, ma le foglie marcendo finivano col macchiare le lastre per questo era un dovere dei monaci o dei custodi tenere pulito.
 
“Tu pensi che dovrei metterla al corrente di quello che vogliono fare?”
‘Di che parli?’
“Di quei due demoni, odio nascondere le cose a Rin, ma ho il terrore che se glieli nominassi solamente potrebbe …”
‘Ti  comprendo, non è una scelta facile la tua, lo spirito di quella ragazza è stato spezzato e ridotto in briciole, fatico io per prima a credere che due anime che hanno portato a ciò possano decidere di redimersi, ma so anche che i miracoli accadono, e che le persone più coraggiose sono quelle che hanno la forza di subire le conseguenze delle proprie azioni …’
“… dovrei dirglielo …”
‘La risposta la sai già Hoshi…’
 
 
Kagome annuì soltanto riprendendo il lavoro.
Sota si stava avvicinando, aveva solo un paio di mucchietti di vantaggio inoltre quel dispettoso di Bujo si stava divertendo a  zampettare su di essi, battendo le mani lo cacciò ridendo al suo buffo salterellare.
 
“Gattone obeso …”
 
 
………………
 
 
 
Occhi dorati osservavano da decine di minuti ogni suo movimento.
Reggeva fra le dita il contenuto della busta che gli aveva consegnato Miroku giorni addietro, un cartoncino ruvido rigato da sottili fili di matita.
 
‘Non so cosa sia, ho visto Rin lasciarla accanto al fiore deposto’
 
Le parole del suo investigatore non spiegavano nulla, quegli scarabocchi si.
Se si concentrava infatti Sesshomaru poteva sentire l’aura di chi aveva ‘scritto’ quel biglietto ed era arrivato alla conclusione che quella doveva essere una lettera che il cucciolo di volpe che Rin cresceva aveva scritto a suo padre.
Non aveva traduzione, ma con lo spirito si poteva intuire lo stato d’animo con cui il demone aveva scritto imprimendo più o meno forza nel premere la mina sul foglio, piccole sbavature ricalcavano l’orma di una zampetta di demone, fra uno spazio e l’altro l’indecisione di come continuare.
 
Grazie. Avrò cura di lei.
 
Un’eco di voce fanciullesca ripeté quelle poche parole con tono solenne e fu a quel punto che il demone si riscosse tornando a vedere ciò che effettivamente lo circondava.
Il suo ufficio, la scrivania oltre la quale stava seduto con aria scocciata suo fratello Inuyasha.
 
“Alla buon’ora … dove diavolo eri andato?”
“Di che parli? Ero qui … ”
“Intendevo dire che sembravi andato in trance …”
“Oh … stavo esaminando questo cartoncino, credo sia meglio rimetterlo al suo posto.”
“Sulla tomba di papà?”
“Nh”
“Ce lo porto io, è un sacco che non vado da lui,” non appena scattò a guardarlo Inuyasha scostò appena lo sguardo grattandosi un inesistente prurito sotto  la nuca, in volto quel misto di imbarazzo e broncio che mostrava un lato puro e insicuro del suo carattere sconosciuto ai più. “… e comunque volevo passare da mamma nel pomeriggio quindi …”
 
Espirò il suo assenso e dopo aver rimesso il cartoncino nella busta con uno svelto scatto di dita glielo lanciò.
 
“Ci vediamo”
 
Dopo che se ne fu andato Sesshomaru si alzò dirigendosi alla grande finestra del suo ufficio.
Erano passati giorni da quando l’aveva incontrata ma ancora sentiva sulle labbra i dolce sapore di quelle di lei, ne i palmi delle mani poteva sentire il calore delle sue spalle, nel naso il profumo dei suo neri capelli.
 
“Dh!”
 
Piantò il palmo sul vetro serrando gli occhi al bruciore dello schiaffo, il vetro neppure tremò, la sua pelle pizzicava da morire.
 
Esalò un singulto.
Voleva rivederla.
 
Chiuse gli occhi sbattendo la fronte contro il vetro rimanendo contro la superficie fredda e trasparente.
Voleva stringerla di nuovo.
Morse con forza la propria spalla voltando appena il viso per distrarsi dalle sensazioni che lo pervadevano se pensava a lei ma non funzionò, anzi, l’acuto dolore sembrava renderlo più lucido e deciso.
Voleva rivederla.
Un lampo rosso gli annebbiò la vista colorandogli l’oro d’amaranto.
Voleva rivederla.
 
L’ombra saettante d’un uccello in volo distrasse la sua attenzione, fuori un falco s’era gettato in picchiata su un ignaro piccione.
Una coppia di quei rapaci aveva nidificato sul tetto del grattacielo da anni, e suo padre li aveva presi subito in simpatia dal momento che se c’erano loro sparivano i colombi e le loro schifose deiezioni.
 
Con l’acuta vista tenne d’occhio la traiettoria del falco rimanendo indifferente quando questi, con millimetrica precisione impattò sul dorso dell’ignara preda mandandola a schiantarsi contro la facciata di un palazzo vicino ghermendola poi con tremendi artigli prima di far ritorno al nido.
 
Si ricordò una cosa che da tempo aveva scordato.
Era un demone.
Un demone completo e superiore.
Al pari di quel rapace poteva fare cose che gli altri spettri nemmeno sapevano esistessero.
Se voleva rivedere quella ragazzina non ci sarebbero stati demoni o sacerdotesse che tenevano, come un’aquila l’avrebbe ghermita e portata via.
 
Con l’animo inspiegabilmente più sereno tornò al suo posto, la giornata era ancora lunga e non aveva fretta, nei ricordi che aveva condiviso con lui suo padre gli aveva fornito tutti i posti che lei amava frequentare, se voleva trovarla non gli restava che darsi da fare.
 
 
 
……….
 
 
 
 
Una leggerissima brezza le scompigliò appena la corta frangetta facendole finire un paio di ciuffi proprio sopra all’occhio che chiuse per evitare di pungersi .
Sorridendo la sistemò prendendo poi un bel respiro mentre lasciava spaziare lo sguardo oltre la foto che da ben dieci minuti fissava incessantemente.
 
Centinaia di lapidi spuntavano dal terreno nelle loro ordinatissime file distanziate da chiarissima ghiaia sporcata appena qua e la da mucchietti di foglie cadute dalle querce mentre i sempreverdi cipressi delimitavano i viali principali.
 
C’erano poche persone quel giorno, qualche anziana che dava acqua alle piante in vaso, una giovane coppia in lontananza toglieva dalle fresche ghirlande le foglie secche aggiustando i nastri spostati dal vento cercando di armonizzare la moltitudine di crisantemi lillà mazzi di lunghi gigli bianchi.
 
Era venuta da quella direzione e si era imbattuta nell’ennesima nuova tomba, succedeva quotidianamente purtroppo che la morte facesse visita ai vivi sconvolgendone la routine, era toccato a Keriko stavolta, una bella bambina nel cui largo sorriso tutto si poteva leggere fuorché la morte.
Aveva due occhi grandi e spalancati sul mondo, un paio di codini al lato del viso e due finestrelle lungo l’arcata superiore dei denti.
Aveva pianto per lei raccogliendo la foto provvisoria notandola caduta urtata probabilmente dallo scivolamento di un mazzo di gerbere dalla ghirlanda dietro stante;  spalancò la bocca esalando un gemito di pura angoscia nel trovarsi di fronte quel piccolo viso d’angelo strappato alla vita troppo presto, ma alla piccola non era importato, protetta dal vetro della cornice la osservava in un immota eternità dove niente oramai poteva ferirla e sfiorarla, soffocando i singhiozzi Rin aveva sistemato l’oggetto allontanandosi poi col cuore in gola che batteva a mille ed un pensiero rivolto ai genitori di lei, al loro tormento. Al loro inferno.
 
Guardandoli ora, mentre con composta tristezza sistemavano il luogo dell’eterno riposo della loro piccola Rin sentì dentro una specie di sollievo, quei due genitori nonostante l’amarezza si continuavano a prendersi cura della loro piccola e vedendo il sorriso un po’ forzato della donna capì che ella ne avrebbe conservato per sempre l’amorevole ricordo.
 
Espirò tornando a cercare lo sguardo di Taisho.
Sorrise .
 
‘Quanto eri bello amore mio, e forte e buono, e dolce …’
 
Ripensò a quanto s’era sentita inadatta al suo fianco ma sicura nei suoi stretti e caldi abbracci, ricordò la sua bontà e tutto quello che aveva fatto per lei quando era solo una bambina e a tutte le gentilezze che le aveva riversato addosso una volta ritrovata da adulta.
Il modo in cui le stringeva appena la mano se avvertiva le sue insicurezze, a come prendendola per una spalla l’avvicinava improvvisamente a sé se per strada qualcuno la guardava per un secondo di più, i suoi sorrisi sghembi quando pensava a cose sconce, il roco rimbombo della sua virile risata quando a letto si divertiva a prenderla in giro.
 
Un brivido la invase d’improvviso.
Se incominciava a ricordare il loro tempo insieme sarebbe sprofondata nuovamente nella disperazione e lei non voleva più angosciarsi, e poi era felice.
Taisho era venuto a trovarla in sogno, l’aveva abbracciata e baciata. La stava proteggendo e vegliava su di lei, non doveva temere niente.
 
Sporgendosi in avanti baciò la bella foto prese la borsetta che aveva lasciato a terra rimettendosi poi in piedi, fra poco Shippo finiva l’asilo e toccava a lei andarlo a prendere oggi.
Voltandosi, mentre alzava il viso fece appena in tempo a scorgere l’ombra prima che il terrore, dopo mesi, tornasse a ghermirla.
Incominciò a suonarle il cellulare.
 
“… Rin?”
 
La bella borsetta cadde per terra.
 
Di fronte a lei Inuyasha no Taisho la guardava col fuoco negli occhi.
 
 
 
……………………..
 
 
 
 
Ma che diavolo gli era saltato in mente di andarle così vicino?
All’inizio gli era sembrata una bella idea notando come l’aura di lei fosse rilassata e serena ma ora che si trovavano faccia a faccia il panico che si era impossessato di lei lo stava colpendo con schiaffi d’aura cupi e densi.
Aveva gli occhi sbarrati e lucidi prossimi al pianto e il respiro erratico tipico di chi è sotto shock, le candide mani tremavano e il bel colorito che si ricordava avesse in viso era sparito lasciandole la pelle bianca più del latte.
Stava incominciando a dubitare del suo slancio di coraggio.
La suoneria intanto non accennava a smettere.
 
“Dovresti rispondere …”
 
Questo parve scuoterla.
Senza smettere di guardarlo si abbassò finché le mani sfiorarono la borsetta, pallide dita aprirono la zip estraendo un piccolo cellulare sonante.
Notò che non appena gli occhi di lei si abbassarono sullo schermo un nuovo shock la scosse.
Senza più badare a lui Rin rispose cercando di mantenere la calma.
 
‘Rin? Rin sono Matsuka, vieni subito al Sacred Heart  Shippo sta ma…’
 
Un gemito le spezzò il pianto muto in cui si era sciolta nel rispondere e in un attimo la vide correre verso l’uscita, senza pensarci la seguì curioso di capire cosa fosse successo al piccolo. Era ovvio che avesse sentito tutto, era pur sempre un mezzo spettro.
Mentre raggiungeva il parcheggio pigiò un pulsante del suo orologio.
 
“Chiama Sesshomaru ufficio … ”
 
 
Con le parole di Ami Matsuka che le rimbombavano nella mente Rin corse più veloce che poteva verso la sua macchina gridando di rabbia e frustrazione nel vederla imbottigliata fra altre tre con quel fottutissimo carrello delle immondizie rovesciato dal peso dei bidoni.
Non sarebbe mai arrivata in tempo.
Guardandosi intorno sperduta cercò qualsiasi auto in uscita ma niente, quel maledetto destino ce l’aveva proprio con lei.
Un gelido vento le scivolò nell’anima cristallizzandole il cuore come già era successo quasi due anni prima la notte che seppe dell’incidente di Taisho.
Lacrime roventi le bruciavano le guance mentre la fresca brezza autunnale esaltava il contrasto di quel contatto sulle sue guance gelide.
Ma perché gli dei la odiavano così tanto? Perché si divertivano a toglierle chiunque amasse, cosa diavolo aveva fatto per meritarsi quella vita?
 
‘Rin? Rin sono Matsuka, vieni subito Shippo sta ma…’
 
Gemette  un grido disperato incominciando a correre, l’ospedale pediatrico prefissato per Shippo era dall’altra parte della città, ma ci sarebbe arrivata correndo se questo doveva fare.
Con le lacrime che le impedivano di vedere e il cuore colmo di rabbia angoscia e panico le sue gambe parevano non toccare nemmeno terra attraverso piedi divenuti sfocati.
Ma la potenza durò poche decine di metri, Rin era solo una piccola umana, non praticava alcuno sport ed era priva di resistenza alcuna inoltre il suo stato emotivo le aveva mandato a puttane respirazione e battito lasciandola in balia di una tempesta di sentimenti contrastanti.
 
Scivolò sul viottolo tappezzato di umide foglie rovinando a terra su di un fianco sbattendo la testa rimanendo intontita.
Non urlò neppure  limitandosi a rimanere giù priva del fiato necessario al semplice respirare.
 
 
Fu così che la trovò Inuyasha pochi attimi dopo, sconvolta dai conati di vomito a vuoto causateli dal debito d’ossigeno.
Senza fare troppo rumore le si inginocchiò vicino raccogliendo borsa e cellulare, poi con dolcezza le sfiorò appena la spalla; rimase stupito nel sentirsi stringere il polso da una presa di ferro.
 
“Portami da lui sniff  … ti prometto che poi sparirò … non mi farò vedere mai più neanche qui ma ti prego … portami dal mio bambino ….”
 
Piangeva sibili spezzati dai singhiozzi e la voce di lei era pura tortura per quel suo cuore oramai pentito.
 
“Vieni con me Rin …”
 
La aiutò a rimettersi in piedi portandola fino alla macchina col quale l’aveva raggiunta. Era stata sua intenzione accompagnarcela fin dall’inizio quando aveva visto il problema notando l’utilitaria verde di lei prigioniera di un parcheggio selvaggio.
 
Piangendo lei lo seguì senza togliersi le mani dal viso. Mortificata e disperata stava chiedendo aiuto al nemico.
Non appena toccò il sedile si rannicchiò in posizione fetale incominciando a piangere a dirotto.
Il suo bambino era stato portato all’ospedale colto da un’altra crisi improvvisa cui nemmeno i medicinali di emergenza avevano saputo far fronte e questa volta sarebbe potuta essere l’ultima, avrebbe perso anche lui e non le sarebbe rimasta più nessuna ragione per vivere.
 
Inuyasha provò a confortarla ma lei sembrava sprofondata in un limbo di angoscia senza fondo.
 S’immise con l’auto nella tangenziale e schiacciò l’acceleratore al massimo.
 
 
………………….
 
 
 
 
 
 
“Finito!”
 
Asciugandosi un paio di gocce di sudore Kagome rimise al suo posto il rastrello a poche decine di metri il suo fratellino faticava a tenere aperto il sacco mentre contemporaneamente ci buttava dentro le foglie ammucchiate, guardando il cielo arrivò alla conclusione che doveva essere quasi ora di cena, sua madre era rientrata per preparare da mangiare lasciando solo Sota.
 
Sorrise ai goffi gesti del piccolo ometto di casa avvicinandosi per aiutarlo.
 
“Tengo largo io?”
“Grazie sorellona!”
 
Fecero presto a finire poi vedendo che incominciava ad imbrunire mandò avanti Sota visto che doveva farsi il bagno sporco di terra e sudore com’era, a sistemare i sacchi di foglie ci avrebbe pensato lei.
 
“Un ultimo sforzo ed è fatta!”
 
Canticchiando fra sé l’ultimo singolo della sua cantante preferita Kagome afferrò i manici della carriola bassa costruita apposta anni addietro da suo padre per trasportare i sacchi della spazzatura o delle foglie e qualsiasi merce pesante.
Era stata studiata bene per salvaguardarla schiena di chi la maneggiava avendo il pianale basso e piano così la merce stava ferma e non ondeggiava col rischio di sbilanciare tutto.
Ringraziò il suo papà benedicendo il suo nome prima di raggiungere l’inizio dei sacchi messi in fila come soldatini.
Era giunta quasi a metà quando d’improvviso il suo cuore emise un battito fra i battiti e la sua aura fremette.
 
Demone in avvicinamento.
 
Svelta si guardò intorno, diamine se era potente, ma dov’era suo nonno quando c’era bisogno d’aiuto?
Col cuore in gola si preparò spiritualmente. C’era un esorcismo da fare.
 
‘Sta calma Hoshi …’
 
Beh, per lo meno Kikyo non tardava mai a raggiungerla se avvertiva problemi in avvicinamento.
Annuendo esalò via tutta la sua ansia battendosi i palmi sulle guance.
Era pronta.
 
‘Schiva!’
 
“Kyaaaagh”
“Wah!”
 
Pronta un corno!
 
Atterrò miracolosamente in piedi dopo aver scartato all’ultimo uno scatto d’aura nera e maligna diretta al suo fianco.
 
Con gli occhi bene aperti e i sensi bene all’erta teneva d’occhio le vicinanze, ma era difficile, si trovava troppo vicina al boschetto ed ogni fruscio era uno scatto del suo viso, ogni carezza del vento sull’erba una distrazione.
Doveva allontanarsi da li.
 
“Ssssshhhhhhh”
 
Kagome’
 
Stavolta si fece trovare pronta, con un singulto interiore scatenò un picco d’aura chiarissima riuscendo a contrastare il fendente nero mentre con il potere della percezione individuava l’origine del potere.
La trovò immediatamente ed estraendo dalla tasca un paio di pergamene le scagliò con elettrico potere verso il tronco di un albero. La carta colpì ruvida corteccia appiccicandosi ad essa.
Kagome, respirando piano rimase in attesa.
Improvvisamente questa incominciò a brillare d’azzurro rivelando la sagoma di uno spettro che mimetizzandosi al tronco pensava d’averla fatta franca, povero stolto.
 
Contorcendosi dal dolore scisse la sua essenza da quella dell’albero rivelandosi per quello che era.
Uno spettro dalle sembianze serpentine.
 
‘Ora!’
 
Veloce Kagome estrasse della polvere bianchissima lanciandola contro l’abominio.
Nonostante la sua consistenza che prevedeva il suo disperdersi nelle immediate vicinanze la polvere si scagliò verso il demone con velocità assurda ricoprendolo completamente.
Con voce bassa e atona intanto Kagome aveva preso a recitare un’antica preghiera di contenimento.
 
‘Brava’
 
Dimenandosi all’impazzata l’essere ormai alle strette incominciò a sibilare girandosi sulla schiena con l’intenzione di lavarsi via la polvere, gesto inutile, una volta scagliato e unitosi alla sua preda quel talco spiritico non se ne staccava più.
La serpe incominciò a sciogliersi svanendo nella notte permettendo a Kagome di rilassarsi.
 
‘Attenta!’
 
E questo sembrò aspettare l’essere infido perché non appena la sacerdotessa abbassò la guardia un colpo nero partì da essa scagliandosi verso un’ignara Kagome.
 
‘Kagome!!'
“Ce n’è un altro!”
 
Stupita Kikyo seguì l’attenzione della sua protetta, che sciocca, a distrarsi era stata lei e non Kagome.
Questo però non cambiava le cose, quel colpo l’avrebbe messa ko per un bel po’ e lei non avrebbe potuto fare nulla per aiutarla e poi, ora che lo percepiva sentiva chiaramente che il demone in avvicinamento era infinitamente più forte di quello stramazzante a pochi passi da loro.
 
Nell’attimo che le ci volle a comunicare con Kikyo Kagome cercò di schivare il fendente ma sapeva che non ce l’avrebbe fatta, maledicendosi per l’inesperienza cercò di emanare una scossa spiritica sperando di riuscire ad inibire l’attacco.
Aspettò col cuore in gola di sentir dolore da qualche parte ma non avvenne nulla, si udì solamente il rumore di un contatto fra due corpi estranei al suo.
Senza capire aprì gli occhi, sbiancando letteralmente.
 
Subito davanti a lei, col braccio teso ancora fumante per il colpo appena parato si stagliava in tutta la sua demoniaca potenza Sesshomaru no Taisho, postura fiera e capelli al vento, la classica immagine del prode salvatore, la ragione principale del suo estraniarsi dalla battaglia solamente pochi attimi prima.
 
Che diavolo voleva da lei quel maledetto?
 
Alzandosi in piedi, nemmeno s’era resa conto d’esser caduta, lo prese per la spalla costringendolo a girarsi senza badare al fendente appena fuoriuscito dai suoi artigli che liquefece letteralmente gli ultimi rimasugli dimenanti del demone appena sconfitto; una volta che ebbe la sua attenzione inspirò forte per fargli una bella ramanzina, non avrebbe tollerato altre incursioni da parte sua.
 
L’unico grido che le uscì dalla gola fu quello di spavento nel sentirsi prendere in braccio di forza prima di ritrovarsi letteralmente sospesa nel vuoto a sfrecciare oltre i tetti delle case sottostanti al tempio.
Le grida successive furono smorzate dal caldo e ampio palmo che il demone le premette sulla bocca, in gola tuttavia lo strillo proseguiva di pari passo ad ogni singola maledizione che la povera Kagome lanciava al bastardo.
 
Dal canto suo Sesshomaru si stava quasi divertendo, avrebbe potuto fingere di lasciarla cadere per acciuffarla all’ultimo ma ci teneva alla pellaccia, se avesse esagerato era certo che una volta passata l’emergenza quella pazza scatenata gliela avrebbe fatta pagare, già così rischiava di brutto ma non conosceva modo migliore per muoversi se non il suo potere demoniaco, a prender la macchina con gli ingorghi del ritorno serale non sarebbe mai arrivato al tempio in tempo, non aveva il suo numero di telefono e dubitava che semmai l’avesse fatta chiamare ella gli avrebbe dato retta quindi, non appena Inuyasha l’aveva chiamato informandolo dell’accaduto tutto ciò che gli era venuto in mente di fare era stato di aprire la finestra e alzarsi in volo verso il tempio Higurashi.
Di fatto non erano trascorsi che cinque minuti e probabilmente sarebbero arrivati all’ospedale ancor prima di Inuyasha e Rin.
 
‘Maru sono io, sono con Rin, deve andare all’ospedale Sacred Heart Shippo è ricoverato lì, ce la sto portando tu recupera Kagome e raggiungici lì … a dopo!’
 
Non ci aveva capito molto ma aveva eseguito la richiesta.
Ma che significava che Shippo era malato? I demoni erano molto più coriacei degli esseri umani e non soffrivano delle loro patologie, doveva trattarsi di qualcosa di più serio. Gli balenò alla mente un idea così, assicurando Kagome al suo fianco tramite la sola presa del braccio sinistro guadagnandosi un calcio allo stinco e un paio di acuti stridii non appena la sua bocca fu libera, estrasse il cellulare e digitò il numero rapido di chiamata per Koga.
Il lupo rispose immediatamente e ancor prima di sentirsele troncò la voce con una semplice richiesta.  
 
“Cosa diavolo ha il cucciolo di volpe?”
 
Contemporaneamente al mutismo di Koga anche Kagome smise di strillare intuendo la situazione.
Doveva essere successo qualcosa a Shippo ecco perché tutto quel trambusto.
E Rin?dov’era Rin? Perché lui era andato da lei se Rin …
 
“Ce a sta portando ‘Yasha si … dimmi piuttosto del cucciolo … capisco … no, cene occupiamo noi voi badate a casa loro … si ti aggiornerò personalmente … ci sentiamo.”
 
Oramai il vuoto allo stomaco non la infastidiva più, Rin era più importante persino della sua paura dell’altezza, non appena lo sentì metter via l’apparecchio si fece coraggio.
 
“Cos’è successo?!”
 
Abbassando appena il volto Sesshomaru incrociò gli occhi di lei pieni di preoccupazione e ansia.
 
“Non so i dettagli, Inuyasha mi ha detto d’averla incrociata al cimitero, da quello che ha sentito il piccolo demone che Rin cresce è stato ricoverato e … ”
“Kami-sama! No … ”
 
Sesshomaru intese che lei dovesse saperne di più quindi ricambiò la domanda.
Aggrappandosi a lui si assicurò d’esser ben salda prima di rispondergli, poi nascondendo il viso contro la sua spalla lo esortò a fare più in fretta.
Lui annuendo obbedì e lei nuovamente avvertendo il cambio di velocità soffocò un grido.
 
 
 
…………………………………
 
 
Un quarto d’ora.
Non di più, eppure a Rin sembrava che i secondi sull’orologio digitale della berlina di Inuyasha si divertissero a scorrere velocemente facendosi beffa di lei e del suo cuore impazzito.
Non appena varcarono le porte dell’ospedale ebbe l’istinto di spalancare la portiera, si trattenne solo notando che Inuyasha aveva deviato prendendo la stessa strada delle ambulanze, così facendo sarebbe entrata direttamente dal pronto soccorso.
Il mezzo demone si preoccupò di parcheggiare l’auto in modo che non fosse d’intralcio scendendo poi per accompagnare la donna.
Spinse con forza le porte scorrevoli facendo strada ad entrambi sbottando due parole ai paramedici che pretendevano spiegazioni.
 
Una volta dentro fu questione di pochi secondi prima che la voce di Kagome chiamasse entrambi.
 
“Rin! Inuyasha, di qua!”
 
Instabile su un paio di gambe che non sentiva più sue Rin si fiondò nell’abbraccio saldo di Kagome scoppiando in lacrime, notò il secondo estraneo solo dopo che tutti e quattro furono fatti accomodare nell’ufficio del primario.
 
“Sta bene Signorina, l’abbiamo stabilizzato e non è in pericolosi vita, si rilassi, anzi, se può servire a tranquillizzarla può andare da lui anche subito, Signorina Higurashi la vuole accompagnare lei?io devo scambiare un paio di parole con i Signori no Taisho.”
 
Fu il plurale a farle scattare nuovamente l’embolo del terrore e non appena alzando il viso incrociò gli occhi d’ambra liquida di Sesshomaru seppe d’essere perduta.
Cosa diavolo avrebbero preteso da lei? Cos’altro si sarebbero inventati per renderla ancora più miserabile di così? Che razza di persona abominevole era stata nella sua vita precedente per meritarsi una punizione del gene-
 
Furono nuovamente il tocco di Kagome e la sua presenza a darle pace e calma.
 
“Shhh va tutto bene … seguimi Rin così ti spiego …”
 
Tremante si lasciò portar via.
Il dottore attese un paio di secondi prima di rivolgersi ai due fratelli.
 
“Veniamo a noi Sesshomaru-sama … ”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
TH
 
 
 

 

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Capitolo 12
*** The power of forgiveness ***


 
 
 
 
 
 
La stanza dove era ricoverato Shippo era posto in un piano isolato ricavato si poteva dire nella mansarda dell’ospedale. Era stata studiata apposta per emergenze come quella che colpivano spesso piccolo demone ed era fornita di tutti gli strumenti necessari a garantirne il benessere.
Il continuo atono e ripetitivo – bip - dei macchinari stava a significare che la crisi era passata, che il cuore del suo angelo aveva ripreso a battere normalmente e che ancora una volta le gelide spire della morte lo avevano solamente carezzato.
Mordendosi il labbro e dimenticandosi di tutto il resto Rin si sedette a fianco del materasso prendendo fra le dita la piccolissima mano del demone. Sentendola calda espirò un sospiro di sollievo convincendosi finalmente dello scampato pericolo.
 
Kagome le rimase accanto in silenzio aspettando che chiedesse spiegazioni sul motivo della presenza dei due fratelli ma quando ciò non accadde decise di uscire e lasciarla sola a smaltire l’ansia con la sua forza, ovvero il piccolo che le dormiva serenamente accanto.
Girò la manovella per chiudere le veneziane in modo che dall’esterno non la potessero vedere, non c’era nessuno ma voleva dare privacy alla sua amica, poi silenziosa schiuse la porta facendo un cenno all’infermiera posta nel cubicolo apposito che la rassicurò con un sorriso luminoso.
Reika era eccezionale con i pazienti come Shippo.
 
Prese le larghe scale scendendole fino a raggiungere il pronto soccorso dove deviò gli angoli necessari per raggiungere l’ufficio del primario.
Aveva fatto quel tragitto talmente tante volte che le linee guida poste sul pavimento non le servivano più, che poi a dirla tutta in realtà avevano sempre e solo incasinato di più il suo già nullo senso dell’orientamento.
 
Scuotendo la testa abbassò la maniglia aprendo la porta.
La conversazione sembrava essere già finita infatti i due fratelli, se li trovò di fronte, erano stati sul punto di aprire loro stessi la porta.
Facendosi da parte senza incontrare il loro sguardo li lasciò passare tornando a sedersi per scambiare due chiacchiere col dottor Jenshin.
Non sapeva come comportarsi, doveva ringraziarli questo era certo, ma non le venivano le parole, ricordando poi il modo in cui li aveva minacciati l’ultima volta.
Tremò interiormente d’imbarazzo, avrebbe dovuto far ricorso a tutto il suo coraggio per fronteggiarli.
 
“Questa volta c’è mancato veramente poco signorina Higurashi; Matsuka è stata eccezionale.”
“Come sempre del resto.”
 
La voce del dottore deviò i suoi pensieri su binari diversi anche se comunque angoscianti così, annuendo, Kagome attese che il medico continuasse; sapeva benissimo dove sarebbe andato a parare quel discorso e le inevitabili conseguenze che tutto ciò avrebbe generato.
In attesa di sentire parole già intuite prese un bel respiro stringendo i pugni sulle ginocchia in un punto dove, all’altezza di entrambe le ginocchia  notava che c’era una macchia verde causata dall’erba del prato sulla quale s’era inginocchiata nel pomeriggio; Sesshomaru l’aveva portata via talmente in fretta da non lasciarle neanche il tempo di pensare d’essere in disordine, e non si stupiva d’essere un totale disastro: aveva sudato parecchio e sentiva i capelli attaccati alla nuca, la stoffa dei suoi abiti odorava di fatica e d’acre odor d’incenso e ovviamente la sua faccia non doveva essere un bel vedere.
Solitamente dopo aver effettuato un esorcismo la pelle del viso le diventava ancora più chiara le palpebre inferiori si scurivano, le labbra assumevano una tonalità bruna e …
 
“Shippo va operato d’urgenza, non sappiamo quando sarà la prossima crisi e non abbiamo la certezza che le contromisure funzioneranno ma … ”
 
Ricomponendosi annuì portandosi un’ingarbugliata ciocca di capelli dietro l’orecchio. Si sentiva uno schifo.
 
“Ma cosa si aspetta che faccia Rin? Senza sangue demoniaco non c’è  nemme-”
“ ma parlando col signorino No Inu siamo arrivati ad una soluzione.”
“-no la certezza che l’intervento possa aver successo come pote-te … che ha detto? Soluzione?”
 
Sorridendo benevolo il dottore spiegò brevemente ciò che intendeva fare chiedendole di spiegarlo a sua volta a Rin, avrebbe dovuto convincerla a tutti i costi a lasciarli fare, se fino a questo punto erano stati fortunati adesso non potevano più giocare con la fortuna, a farne le spese alla fine sarebbe stato solo il piccolo.
 
“Lasci fare a me.”
 
 
Lasci fare a me un bel corno!
 
Sbuffando levò lo sguardo al cielo muovendosi verso la strada attraversando l’enorme parcheggio.
Tremando dal freddo si portò le mani alle braccia sfregandole per scaldarsi, avrebbe dovuto farsela a piedi.
Aveva lasciato il cellulare nella tasca della felpa che ovviamente non indossava poiché per il caldo l’aveva tolta nel primo pomeriggio ed attaccata al moncone di un ramo su uno degli alberi del viale.
Che situazione.
In strada non girava nessuno ed era naturale visto l’orario, di notte anche gli incidenti e le emergenze sembravano diminuire.
 
In serata era salita su da Rin decisa a parlarle ma una volta entrata, vedendola per davvero ora che l’emergenza era passata, decise di aspettare.
Aveva sulla tempia un enorme bernoccolo e due rivoli di sangue secco che le sfregiavano il bel colore della pelle del viso.
Reika le aveva detto che non c’era stato verso di curarla, non aveva permesso a nessuno di avvicinarsi a lei, non finché non avesse avuto la certezza che Shippo fosse stato fuori pericolo.
Si era fatta consegnare un kit dall’infermiera e stando attenta a non farle male le aveva pulito e disinfettato il viso fin giù al collo dove il sangue rosso rubino, a contatto con la pelle calda non si era ancora asciugato del tutto. Per nascondere il colletto sporco le spostò in avanti una ciocca di capelli.
 
“Sei una disastro, se si svegliasse e ti vedesse così lo faresti morire di spavento …”
“… Hai ragione.”
“Ti ho portato qualcosa da sgranocchiare e del tè caldo, ti farà bene ai nervi.”
“C’è mancato poco Ka’… ”
“Nh.”
“Ho creduto che …”  Quando Kagome tornò in azione per pulirle l’occhio da della polvere Rin le allontanò la mano facendole intendere che non aveva bisogno d’altro. “Al cimitero, quando mi sono girata e mi sono trovata davanti Inuyasha  contemporaneamente il cellulare ha squillato …” Prendendo fiato la ragazza lisciò un paio di pieghe dal leggero copriletto dell’ospedale. “ Non appena ho letto il nome sullo schermo mi sono sentita morire e risucchiare nel passato; vedere il suo viso era segno funesto anche due anni fa, succedeva sempre qualcosa quando lo incrociavo, le ruote bucate, l’evento al quale dovevo partecipare spostato, anticipato o addirittura cancellato …”
Kagome incominciò a sentir crescere dentro una rabbia immensa, quel bastardo maledetto.
Posandole la mano sul ginocchio cercò di calmare l’amica.
“Mi ha detto di rispondere, credevo fosse il diavolo che era venuto a godere della mia faccia sapendo chi mi stava chiamando e perché, ti giuro che per la prima volta in assoluto ho avuto paura di lui, il sangue dentro le mie vene sembrava olio gelido e bagnato, sentivo il cuore pompare a vuoto, ero completamente persa Kagome io …”
“Va tutto bene Rin, non gli permetterò di farti soffrire …”
“Non è questo, … non immaginavo che mi avrebbe aiutata.”
“Oh?”
 
Spostando gli occhi da Shippo a lei Rin la guardò con una calma negli occhi che a Kagome parve d’esser risucchiata in una dimensione di pace totale dove anche il minimo respiro, considerato fastidio, diventava silenzio e serenità, le batté forte il cuore per un attimo.
 
“Non gli ho neanche detto grazie …”
 
….
 
 
Non gli ho neanche detto grazie …
 
Sapeva che Rin era buona, ma ogni volta che succedeva qualcosa quella ragazzina tirava fuori un lato del suo carattere nuovo e sorprendente.
 
Non gli ho neanche detto grazie …
 
Dopo tutto quello che le aveva fatto passare quel damerino lei era già pronta a dimenticare in funzione di una singola gentilezza.
 
Pazzesco!!
Incredibile!
Ammirevole.
 
-hey!-
 
 
Si sentì tirare indietro mentre luci di fari che notava solo ora la superarono accompagnate da un paio di strombazzate di clacson.
 
-guarda dove vai rintronata!!-
 
“Oh … mi scu-scusi!”
 
Imbarazzata gesticolò all’autista del camioncino dal quale per poco non si era fatta investire sperando d’esser sentita. Sentiva caldo dalla vergogna, ma che razza di deficiente era per perdersi così nei propri pensieri?
Inutile dire che il mezzo s’era già dileguato e quindi il conducente
mica la poteva sentire.
 
-Mica ti può sentire, scema!
 
Uh?
 
Guardandosi intorno stupita cercò di capire come mai avesse sentito ad alta voce i suoi pensieri e come mai s’era data della scema se non lo aveva pensato.
Il motivo lo trovò immediatamente personificato nell’essere che meno desiderava vedere.
 
“Cosa diavolo … perché … tu che … gra- … ah...”
 
Notò qualcosa di colorato avvolgerla. Una giacca rossa.
 
Oh …
 
Ecco perché sentiva caldo.
 
- Che avresti farfugliato?-
 
Imbarazzata scappò via dal suo sguardo dorato puntando gli occhi a terra.
 
“…”
-Hai perso i denti da veleno che non ne sputi più?-
 
Aveva un paio di paroline sulla punta della lingua ovvio, e se il bellimbusto non la piantava immediatamente gliele avrebbe sputate eccome su quella brutta faccia.
 
-Che c’è? Non si usa più dire grazie?-
“Grazie …”
 
Stringendosi nella maglia della felpa lo dribblò attraversando la strada ora che il segnale era verde.
 
-Dove vai?-
“Al mare.”
-…-
 
L’ombra di lui copriva quella delle sue gambe, la stava tallonando senza starle troppo addosso ma l’avrebbe seguita fino al tempio ne era sicura.
Sbuffando piantò i piedi a terra aspettando che la raggiungesse girandosi di scatto una volta che lo ebbe di fianco.
 
Che qualcosa non quadrava lo capì immediatamente, quando entrambi i piedi toccarono terra infatti la vista sembrò giocarle un brutto scherzo deformando dapprima la visuale periferica e poi i contorni argentati della folta chioma del mezzo demone che le stava accanto.
La sua voce inoltre le arrivò ovattata e risonante, quasi al rallentatore.
 
-Ueeeey cuoooosa tui prrrueendeee-
 
Vide tutto nero.
 
-Tonf-
 
 
……………
 
 
Facendo meno rumore possibile Reika entrò nella stanza dove riposava il piccolo reggendo fra le mani una pesante coperta ed un morbido cuscino.
 
“Rin?”
 
Dolcemente scosse la spalla della donna chinata sul letto costringendola svegliarsi.
Dormire in quella posizione e senza nulla addosso non le avrebbe fatto bene per niente.
Mentre Rin si svegliava appoggiò le cose su di una poltrona inclinandola per permettere alle ruote fissate sotto di spostarla senza fatica; la avvicinò al letto del piccolo poi schiacciando un paio di bottoni questa si alzò e spiegandosi divenne un letto a tutti gli effetti seppure un poco più stretto rispetto ad un materasso normale.
Dall’armadio accanto alla finestra estrasse un lenzuolo con cui foderò il mobile. Appoggiò il cuscino in alto e la coperta spiegata facendo cenno alla donna di raggiungerla.
 
“Non sarà la cosa più comoda sulla quale dormirai ma …”
“Andrà molto più che bene, grazie di cuore Reika …”
 
Con la voce ancora resa roca e debole dalla stanchezza Rin ringraziò sorridendo l’amorevole infermiera fiondandosi nel comodo giaciglio che già praticamente stava dormendo.
 
……………….
 
 
-Oi!-
“…”
-Oooooi-
 
Mugugnando un lamento Kagome aprì gli occhi mandando via con una manata la fastidiosa fonte di quelle fredde folate che le colpivano la faccia.
La mano affondò in un morbido panno mentre mentalmente tutto prendeva una forma comprese le ore trascorse che divennero ricordi e sensazioni  …
 
“Dove diavolo so-Ouch!!”
 
Alzatasi in piedi  di scatto batté la testa contro qualcosa che pur essendo foderato di morbido le piegò il collo all’indietro obbligandola a ricadere.
 
Si trovava all’interno di una spaziosissima automobile coi sedili opposti.
Una limousine?
 
Strinse i pugni avvertendo la sensazione di aver qualcosa frale dita.
Guardandosi la mano notò uno un’ombra oltre il suo pugno riconoscendo più per istinto che per visione lo stramaledetto spettro.
 
“Si può sapere perché diavolo mi perseguiti?”
-Non ti sto perseguitando-
“Noo?”
-No-
 
Gli piantò il più assassino dei suoi sguardi sulla fronte.
 
-Mi sto solo accertando che tu possa arrivare  a casa tua sana e salva-
 
Ricordò lo strattone all’attraversamento pedonale e la felpa che ancora le avvolgeva le spalle nonostante il calore irradiato dall’automobile e di come si fosse preso cura di lei quando poco prima aveva avuto il mancamento.
Non aveva mangiato nulla dalla fretta e dallo stress e se non lo faceva le capitava spesso di avere cali di zucchero dopo un esorcismo.
Arrossì dalla vergogna sentendo caldissimo d’improvviso.
Stava collezionando una figuraccia dopo l’altra con lui.
Fingendosi interessata al paesaggio che sfrecciava fuori dai finestrini laterali si prese un secondo per riorganizzare le idee.
Uffa!
 
“Grrr-grazie!”
-Non c’è bisogno che lo ringhi, se ti brucia essere in debito con me fai finta di niente … -
“Non mi brucia per niente essere in debito con te!”
-Davvero?-
 
Sporgendosi in avanti la indusse inconsciamente a fare lo stesso.
 
“Davvero!”
 
I loro visi erano a pochi centimetri ma lei non ci badò presa com’era a non distogliere lo sguardo da quelle due sfere d’oro brillanti e maliarde.
 
-Sicura?-
“Certo che sono sicura infatti ti ho detto grazie asino!”
-Mah, mi sembravi poco convinta dal tono con cui l’hai detto, tutto qui …-
 
Ritirandosi si rilassò contro il comodo sedile della macchina e solo allora le venne un lampo.
Se Inuyasha era con lei chi …
 
“Chi diavolo è che guida?!”
 
La faccia di Inuyasha si deformò in una smorfia di puro terrore.
 
-Oddioooo è vero chi diavolo è che guiiiiii –
“Kyaaaaaaah”
-daaaaaaah ahh ahhahh ahh!-
 
E mentre Kagome strillava come una dannata Inuyasha scoppiò a ridersela di gusto piegandosi letteralmente.
Le ci vollero una ventina di secondi passati nel panico più totale per capire che il maledetto a stava prendendo in giro.
 
-Rilassati ragazzina stavo solo scherUiiiiii-
“A cuccia! A cuccia a cuccia!!!! A cuccia a cuccia a cuccia!!!”
 
La macchina, guidata per la cronaca da una rilassatissima Sango, ebbe alcune pericolose sbandate prima di proseguire il suo tragitto verso la parte della città che ospitava il tempio.
Cosa che avvenne nel più totale dei silenzi.
 
Poche decine di minuti più tardi l’ingombrante mezzo si accostò nella rientranza di proprietà del tempio Higurashi dove solitamente sostavano i bus.
 
Senza degnare Inuyasha di uno sguardo ringhiò, stavolta per davvero, uno svelto ringraziamento prima di fiondarsi all’esterno.
Si pentì subito della scelta quando dinnanzi si trovò la bellissima ma serafica scalinata che conduceva in cima alla collina.
In quelle condizioni chi cavolo glielo faceva fare di farsi una sfaticata del genere? Normalmente non le costava alcuna fatica salire tutti quei gradini ma in quel momento avrebbe preferito cento, mille volte avere a che fare con l’insopportabile demone appena allontanatosi a bordo della limousine che muovere anche un solo, minuscolo passo.
 
Piagnucolando fra sé e sé della sua miseria alzò appena la suola di una scarpa prima che l’aria che aveva nei polmoni le venisse risucchiata da un gridolino.
 
“Yuc!”
 
Era buio e l’unica cosa che sentì fu un vuoto alla pancia e le luci dei lampioncini laterali alla scalinata che sfocandosi diventavano scie lunghe e deformi come piccole anime spettrali in bilico fra i due regni prima di tornare punti fissi all’interno delle cupole di vetro una volta che i piedi le toccarono di nuovo terra.
 
Era incredula.
 
Era in cima.
 
-Qui ti abbiamo presa, qui ti riportiamo-
 
Capì cos’era successo solo quando le braccia di Inuyasha le scivolarono via dalle spalle. La sua voce, così com’era successo la prima volta, le diede nuovamente i brividi scivolandole lungo il collo riscaldata dal suo caldo alito.
Fissando la sua arrogante espressione di superiorità come un pesce lesso incapace di spiccicare anche la più inutile delle sillabe Kagome annuì solamente scuotendosi poi, vedendolo prepararsi ad un nuovo balzo, nel ricordarsi una cosa.
 
“La tua giacca!”
 
In tutta risposta lui scrollò le spalle coperte solamente da una leggera felpa mostrandole un bianchissimo sorriso sghembo.
 
-Riportamela domani, da qui a casa tua saranno almeno duecento metri rischi di prenderti un malanno e poi … -
“Che?”
-Oramai l’avrai capito no?-
 
Nonostante il tono fosse stato ancora scherzoso l’espressione e la luce dentro ai suoi occhi dorati si fecero serie e definitive.
 
-Dobbiamo parlare, parlare seriamente; di Rin, di Shippo e … -
“Si.”
 
Annuì solenne prima di dargli le spalle per correre verso casa sua.
Aveva il cuore che le batteva a mille ed un sorriso sulle labbra che nonostante la preoccupazione dettata da quel dialogo appena concluso non ne voleva sapere di diventare stretta linea.
 
In lontananza Inuyasha rimase a vegliare su di lei finché non vide accendersi la luce dell’interno e seppe che era al sicuro.
Sui palmi delle mani il piacevole prurito scaturito dall’incontro delle loro frizzanti energie gli scivolava verso i nervi solleticandolo.
 
Levando gli occhi al cielo scosse la testa un paio di volte prima di spiccare un balzo che avrebbe fatto impallidire chiunque svanendo nel torbido blu di quel cielo senza stelle.
 
 
 
TH
 
 
 
 
 
Ciauz!

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Capitolo 13
*** the weight of the forgivness ***






Occhi velati da shock e indecisione fissavano oramai da interminabili minuti il plico di prestampati standard leggendoli senza realmente intendere nulla di tutto ciò che vi era scritto sopra.
Assicurazioni, massimali, rischi copertura minima …
 
“Come ho in precedenza già detto alla sua amica, c’è mancato poco, Rin. Il cucciolo deve essere operato, aspettare aumenterebbe il rischio di decesso nel caso di nuovi, pesanti attacchi. Prenditi il tuo tempo, ma decidi cosa è meglio per Shippo.”
 
Il dottor Jenshin era stato sempre sincero con lei, a volte persino brutale, nel dirle e ribadire ogni volta che la situazione del piccolo era critica e prima si interveniva meglio era cosa sulla quale lei non poteva che trovarsi d’accordo.
L’unico problema? Il clan dei Kitsune delle illusioni dal quale proveniva Shippo era sparito da anni migrato a nord, dicevano le voci, ma impossibile da rintracciare il che era un male poiché era necessario sangue compatibile per permettere al cucciolo di sopravvivere qualora fosse stato necessario ricorrere alla trasfusione. E Sato Jenshin, primario di chirurgia demoniaca era assolutamente convinto del fatto che ce ne sarebbe stato bisogno.
Shippo era piccolo inoltre la pressione sanguigna e il battito dei demoni differiva da quello umano essendo più accelerato e potente, il che significava che alla prima incisione di un bisturi il sangue sarebbe schizzato fuori al doppio se non triplo della velocità dal quale esso fluiva dall’arteria umana. E bisognava tener conto del fatto che sarebbe stato sedato.
 
Sospirando schiuse gli occhi sperando di veder cambiare le parole in frasi più incoraggianti.
Niente da fare.
 
‘Prendi la penna e firma’
 
Ma la mano non si muoveva, rimaneva immobile accanto al foglio col pollice che sfiorava la penna.
 
Tutto d’un tratto quell’unica opzione incominciò a suonarle come sentenza di morte.
 
La porta dell’ufficio del primario si aprì alle sue spalle e lei seppe d’istinto che non si trattava né del suo proprietario né di Kagome.
I nervi del collo irrigidendosi le fecero rizzare i capelli come succedeva spesso quando …
Al diavolo, doveva smetterla di pensare sempre al peggio. L’avevano aiutata no? La stavano aiutando quindi basta paura, basta terrore e angoscia, basta pass-
Una mano le sfiorò la spalla e lei smise anche di respirare.
Accorgendosi del suo madornale errore Sesshomaru fu svelto a togliere il contatto rispondendo all’occhiata allibita di Inuyasha, colpito forse più di lei dal suo gesto, con un’espressione neutra. Che voleva gli dicesse? “Non posso resistere” e “La devo assolutamente toccare” non sembravano neanche lontanamente scuse plausibili e più ne prendeva coscienza più si rendeva conto che non gliene fotteva un bel niente perché lui la doveva toccare, la voleva sentire e … Kami-sama, basta!
 
“Sato ci ha detto che ti avremmo trovata qui …”
“…” *respira Rin, respira*
 
In silenzio Sesshomaru attese se non che rispondesse almeno un po’ d’attenzione, uno sguardo timido, un’occhiata un cenno del capo … qualcosa.
Ma lei nemmeno batteva ciglio, sembrava diventata una statua. Era immobile e se non fosse stato per il suo battito, che nonostante tutto almeno era regolare, si sarebbe preoccupato.
Abbassando gli occhi nello spazio fra le sue mani notò che i fogli non erano neanche stati toccati.
 
“Non hai ancora avuto modo di leggerli?”
“…” *li ho letti TRE volte, ma …*
 
Stavolta deglutì, la vide e arricciando le labbra all’interno si umettò l’inferiore. Si stava preparando a rispondere?
 
“…”
 
Falso allarme.
 
Inuyasha dal canto suo faticava a contenersi.
La pazienza, a differenza di suo fratello, non era mai stata una sua qualità, anzi, la perdeva con facilità sbottando subito se qualcosa non seguiva i suoi ritmi ma stavolta stava facendo un’eccezione, dopo tutto lo doveva alla povera ragazza di fronte a lui che si sentiva come nella gabbia dei leoni, no?  
Ciò non toglieva che stesse facendo un’enorme sforzo, il tic al sopracciglio e il ripetuto ticchettio delle sue unghie sul tavolo contro il quale s’era svaccato ne erano la prova.
Non avvertiva angoscia e cupa paura come quando s’erano incontrati alcuni giorni prima, sembrava tranquilla allora perché non interagiva con loro?
La voce di suo fratello lo distrasse per la terza volta e lentamente portò le sue gemme ambrate su di lui ascoltando con attenzione le sue parole lanciando ogni tanto una leggera occhiata per vedere se lei reagiva.
Tutto questo incominciava a stancarlo.
All’ennesimo silenzio prolungato non riuscì a trattenersi.
 
“La stregaccia che ti fa la guardia non c’è?”
 
Magari se ci fosse stata le avrebbe ceduto un po’ di veleno e rabbia visto che la vipera sembrava averne abbastanza per due tanto era feroce.
 
L’espressione stanca che le aveva visto in viso quando l’aveva avvicinata per “salvarla” dall’essere investita trafisse per un attimo l’idea che aveva di Kagome rendendosi conto che alla fin fine si trattava di una ragazzina che al pari di Rin aveva paura ma reagiva in modo diverso per proteggere chi amava diventando leonessa per combattere i leoni, comportandosi da umana quando le umane preoccupazioni la affliggevano.
 
C’era stato un periodo in cui aveva creduto che suo padre avesse bisogno d’esser protetto dalle grinfie di quell’umana opportunista che null’altro desiderava che ascendere nell’alta società senza farsi scrupoli nell’approfittarsi del cuore spezzato e malconcio di un povero demone ma se avesse visto con gli occhi di un esterno avrebbe sicuramente capito che la creatura indifesa e triste che adesso gli stava a pochi metri era veramente come Taisho gliel’aveva sempre descritta. Innocua e gentile.
Se l’avesse guardata senza i filtri dell’odio della gelosia e della rabbia per la perdita di sua madre avrebbe capito già allora e probabilmente non si sarebbe comportato come il demone che la sua natura gli imponeva di essere.
 
“Stre-gaccia?”
 
E proprio quando stava partendo per la sua ennesima maratona di pare mentali la voce di Rin spezzò l’imbarazzante silenzio fievole come il miagolio insicuro d’un micio sperduto.
Al contrario, guardarla negli occhi ora che Rin lo fissava stupita fu qualcosa di completamente diverso. In essi c’era qualcosa di sereno ed immobile, una calma color nocciola dall’aroma intenso come quello del caffè, una sensazione completamente impossibile da spiegare e che non aveva paragoni perché mai, nessun’altra emozione l’aveva fatto sentire così. Era in pace, come se niente di quello che fosse successo in precedenza avesse più importanza, come se quello fosse un nuovo punto di partenza per la loro storia e la maniera in cui si sarebbero interposti l’uno con l’altra.
Davvero Rin poteva fare questo?
Cancellare e dimenticare tutto così?
 
E mentre il suo animo cercava di spiegare quell'avvenimento o dare risposta alle sue ultime domande successe qualcosa di inaspettato.
 
“Kuku…mpfh ahha…stregaccia…”
 
Rin rise.
Timidamente, con occhi schiuse e dita davanti alle labbra e mai tono di voce sembrò più lieto ai due fratelli che d’improvviso si sentirono sollevati da qualcosa che da anni oramai premeva loro sul petto generando tuttavia un nuovo bisogno in esso.
Proteggerla.
Loro dovevano proteggerla.
Lo avrebbero fatto.
A qualsiasi costo.





TH

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Capitolo 14
*** Smoke & Sun ***


 
 
 
 
 
Accartocciandolo con uno scatto di dita Rin gettò l’ennesimo bicchiere di plastica nel cassonetto dell’indifferenziata strusciando la lingua sul palato in modo da assaporare al massimo il forte aroma del caffè solubile delle macchinette così da non pensare a quanto tremendamente desiderasse una …
 
Una nuvoletta dal forte odore pungente entrò nella saletta snack dell’ospedale attraverso la porta aperta da un infermiera mandando a quel paese i buoni propositi di Rin riguardo al non fumare che miagolando uno sbuffo estrasse altre monetine inserendole nella fessura pigiando nervosamente il pulsante per un extra forte senza zucchero.
E che diamine!
Frugò per l’ennesima volta nella tasca del retro della borsetta sperando magari di trovarci una sigaretta dimenticata ma a parte alcuni filamenti di tabacco un elastico per capelli ed una monetina da pochi cent non vide nient’altro.
Avrebbe dovuto accontentarsi del caffè.
Quando il sonoro squillo dell’apparecchio l’avvertì che era pronta la sua dose di veleno era pronto levò la plastica di protezione estraendo il bicchierino fumante pieno fin quasi all’orlo, l’inutile paletta di plastica venne gettata via poi voltandosi prese a sorseggiare il bollente liquido osservando cosa succedeva fuori.
 
Al di là delle vetrate si poteva scorgere il grande giardino dell’ospedale delimitato da alti e centenari pini mentre il parco era attraversato da decine di stradine acciottolate alcune delle quali percorse da infermieri con appresso degenti in carrozzina o parenti in visita ai propri cari.
Levando appena gli occhi notò come fosse una bella giornata e che solitamente a quell’ora del primo pomeriggio lei e Shippo scendevano in giardino a giocare un po’.
Peccato che in vece il piccolo fosse di sopra ancora sopito a riprendere le forze dopo l’enorme fatica che il suo piccolo cuoricino aveva affrontato per resistere agli spasmi che per l’ennesima volta avevano cercato di portarglielo via.
 
Schiuse gli occhi cercando di non pensare a cosa avrebbe fatto se avesse vinto la morte e nel farlo, per un istante il suo sguardo notò il proprio riflesso nel vetro rimanendo di stucco.
Era in condizioni pietose … i capelli arruffati non avevano alcuna forma, gli occhi sbarrati dinnanzi a quella vista erano da schizzati, sulla camicetta c’erano chiazze di sporco e sangue e ora che abbassava lo sguardo sul proprio vestiario notò che pure i pantaloni portavano l’alone scuro risultato dalla caduta del giorno prima, le mani poi, nonostante fossero pulite erano screpolate e arrossate.
Non seppe che pensare e se considerava che per più di un giorno era stata vicina a delle persone in quelle condizioni non poteva fare altro che vergognarsi e …
Incominciava a capire perché Reika le avesse suggerito di prendersi una pausa; toccandosi una guancia con dita tremanti esalò una frase solamente.
 
“Mamma mia faccio spavento!”
 
Doveva andare a casa a cambiarsi.
Fece per uscire ma si ricordò di come la sua auto si trovasse dispersa nel parcheggio del cimitero a più di mezz’ora di strada da lì e quindi non le rimaneva che prendere il treno, o il bus.
Rabbrividì … il solo pensiero di salire su di un mezzo in quello stato le faceva venire la pelle d’oca, l’avrebbero come minimo scambiata per una fuggita da un manicomio e poi non conosceva né orari né tratte e … poteva chiamare Kagome … ma la poverina le era sembrata distrutta e sicuramente stava riposando quindi non sarebbe stato giusto disturbarla ma lei non riusciva a rimanere in quelle condizioni un secondo di più ora che se n’era finalmente resa conto quindi …
 
Inconsciamente le sue mani trovarono una monetina che d’istinto finì nella fessura della macchinetta mentre le dita premevano a memoria la scelta dell’extra forte amaro tornando a tormentare l’orlo della camicetta durante il tempo d’attesa.
Dopo il sonoro biiiip  levò la parte in plexiglas estraendo il bicchierino togliendo la paletta avvicinando il caffè alla bocca finché quando stava per bere una mano le bloccò il movimento.
 
“Credo che sei caffè in due minuti possano bastare … lo bevo io questo, ok?”
 
La voce potente ma piena di umorismo di Inuyasha fece breccia nei suoi pensieri e lei si rese conto solo in quell’istante che non si ricordava d’aver dato l’impulso al suo cervello di ordinare un altro caffè.
Mollò la presa sul bicchiere lasciando che il minore dei due fratelli lo bevesse tutto d’un fiato senza risentire del calore mordendosi un labbro per non ridere a come infine questi si lamentò dell’assenza di zucchero.
 
“Bleah! Come diavolo facciate a bere questa schifezza rimarrà sempre un mistero per me …”
 
Subito Inuyasha infilò una chiavetta selezionando una bevanda al massimo delle dolcezza bevendola in un sorso per contrastare l’elevata amarezza del caffè masticando poi a vuoto con la bocca prima di ritenersi del tutto soddisfatto e rivolgerle nuovamente la propria attenzione.
 
“Ti cerco da un po’ …”
“Mi … stavi cercando?”
“Te ne sei uscita in tutta fretta senza dire nulla dall’ufficio del primario mentre io e Maru stavamo rivedendo un paio di cose, pensavamo fossi salita dal piccolo ma non trovandoti ci siamo preoc … ehm …”
 
Gli sembrava talmente ridicolo pronunciare quella parola che troncò lì la conversazione scostando lo sguardo verso il giardino cercando di prendere tempo per rimediare alla coglionata appena detta
Eravamo preoccupati per te ‘sto paio di ciuffoli!  
Arrossendo d’imbarazzo man mano che il silenzio si protraeva osò lanciarle un’occhiata di sfuggita incantandosi a guardare l’espressione che stava ora mostrandogli lei.
Commossa, imbarazzata … felice.
 
“Avevo bisogno di qualcosa di forte … ho perso le sigarette e visto che sono astemia l’unica alternativa valida era il caffè … ”
“Sigarette?”
 
Stupito levò un sopracciglio accorgendosi di come subito lei, imbarazzata da quella confessione  scostasse lo sguardo tentando invano col palmo delle mani di lisciarsi gli assurdi capelli prima di riprendere a parlare.
 
“Ehm .. non è proprio un vizio ma, ogni tanto ecco … quando sono stres-”
“Toh!”
 
Un pacchetto di Lucky Strike praticamente nuovo fatta eccezione per un paio di cicche le apparve sotto al naso stretto nella mano di Inuyasha che sorridendo levò l’angolo della bocca in un sorriso sghembo alla sua esitazione.
 
“E ho anche da accendere!”
 
Annuendo Rin estrasse una sigaretta seguendolo all’esterno dove trovarono posto su di una panchina all’ombra di un pino.
Fumarono in silenzio ascoltando il vociare di chi stava in giardino, il cinguettio degli uccelli e il rombo lontano dei motori delle auto che transitavano nelle vie adiacenti.
Fu confortante per Rin accorgersi e soprattutto convincersi che non aveva più paura di lui, e rendersi conto  che con Inuyasha avrebbe potuto ricominciare da capo.
Inspirando piano schiuse le labbra parlando appena.
 
“Grazie”
“Nh? Di niente, anzi se vuoi prendine al-”
“Per ieri …”
“…?”
“… fra una cosa e l’altra ieri non ho avuto modo di dirtelo e così …”
“Non dirlo nemmeno Rin …”
 
Stringendo fra i denti la sigaretta Inuyasha abbassò il viso in modo che la frangia gli nascondesse gli occhi.
 
“… non dirlo nemmeno …”
 
 
 
…………………………….
 
 
Occhi brillanti di sole vegliavano nel buio la piccola creatura.
Il riflesso luminoso della luce del monitor rischiarava alcuni tratti di quel suo viso perfetto adombrandone altri.
Il meccanico cinguettio emesso dal sistema di respirazione era quasi confortante così come riuscire pian piano a percepire che l’aura del piccolo demone stava man mano rafforzandosi.
Le guance tonde stavano riprendendo colore, il torace si alzava sempre di più e da erratici e ravvicinati i respiri s’erano fatti calmi e ampi segno che il piccolo stava tornando alla normalità.
L’infermiera poi aveva smesso di venire a controllare ogni cinque minuti e di limitava ad apparite ogni tanto giusto per essere sicura che tutto filasse liscio.
 
Schiudendo gli occhi Sesshomaru rilasciò un sospiro di sollievo.
Si sarebbe salvato e così il sacrificio di suo padre e gli sforzi di Rin non sarebbero risultati vani.
Gli balenò alla memoria l’immagine di due occhi verdi come gli smeraldi più scintillanti ed il cuore gli si chiuse in una morsa di dolorosa agonia
 
Keriko
 
Una voce gioiosa e squillante attraversò la memoria uditiva del demone ed il ricordo di come lo divertisse la compagnia di quella folle fu nostalgico e struggente.
Del suo primo amore non rimanevano altro che i ricordi e che quel batuffolo addormentato.
 
Un cucciolo Maru ma ti rendi conto?!
 
Gli aveva parlato con una voce così felice e piena di sentimento che per la prima volta era riuscito a sciogliersi in un sorriso sincero mentre con delicatezza la stringeva a sé per farle gli auguri e neanche stringere la mano al buon Shihon gli fu difficile perché mai gli aveva fatto alcun torto e in cuor suo Sesshomaru sapeva che i Kitsune non erano affini ad altre razze se non alla propria e che la bella Keriko per lui non nutriva altro che profondo sentimento di amicizia quindi la rabbia e la delusione erano durate solamente il tempo di un respiro.
 
Sarò mamma!
 
Peccato che mamma lo fu solamente per pochi giorni perché subito il suo dovere di guardiano l’avrebbe costretta a scegliere fra la felicità e quindi la vita o la fedeltà con rispettiva morte.
Cosa c’era stato di così nero e pericoloso a minare la loro salvezza se una fanciulla tanto felice e dedita alla vita aveva scelto il sacrificio pur di sventare la minaccia?
Cos’era successo veramente quella sera di due anni fa?
Le parole secche e taglienti di Ayame tornarono a ferire la sua coscienza e la spiegazione di Koga non faceva che aumentare le domande anziché diminuirle.
Chi li aveva incaricati di vegliare sull’umana e sul demone volpe se nessuno al concilio sapeva della loro ubicazione? Se tutti erano convinti della sparizione della prima e della morte del secondo, come mai i due lupi sapevano e li proteggevano? Perché non avevano voluto rivelar loro dei progetti della perduta Shiba?
Perché lui ed Inuyasha erano stati tagliati fuori?!
 
Un cumulo di rabbia incominciò a generarsi nel suo cuore ingrandendosi ad ogni palpito rinvigorendosi ad ogni respiro finché cessarono i rumori e tutto ciò che la mente impetuosa del demone vedeva erano gli occhi verdi di una madre mai diventata, di un padre sacrificato e di un demone leggendario assassinato da chi o che cosa non gli era dato di sapere.
Erano rare le volte in cui Sesshomaru si infervorava.
Ma quando questo accadeva c’era da stare sull’attenti.
 
Esalò un paio di sbuffi ravvicinati stringendo il lenzuolo bianco che copriva il lettino di Shippo, doveva sapere … voleva sapere a tutti i costi!
 
Poi un tocco lieve cancellò tutto in un istante e gli occhi di Sesshomaru tornarono a concentrarsi sulla realtà piuttosto che sulla collera. Il cuore ebbe un palpito fresco e tremulo ed un nuovo sentimento vibrò per tutto il suo corpo espandendosi ad ogni nervo e poro.
Istintivamente lo sguardo cercò la fonte di quel contatto, di quella calma, di quella purezza così chiara e tiepida da essere in grado di obliare le tenebre del suo rancore e la trovò sotto forma di manina stretta al suo indice.
Risalì il piccolo arto fino a giungere al viso del cucciolo nascosto quasi per intero dalla maschera dell’ossigeno che si annebbiava ad ogni respiro; gli occhi stavano per schiudersi e quando furono aperti il loro colore riuscì a folgorarlo.
Erano verdi come quelli di Keriko, all’apparenza molto più calmi probabilmente per via della debolezza del piccolo ma la forza racchiusa in quella stretta fu tale da far tornare la sua attenzione su quel punto.
Dove le sue dita stringevano si sprigionava un calore enorme, le vibrazioni dello sforzo le poteva avvertire fino al gomito.
Rimase incantato interi istanti prima di rinvenire e decidersi a pigiare il pulsante di richiamo.
Doveva avvertire Rin.
 
“… ole …”
“Nh?”
“Mama?”
“Adesso la chiamo la tua mamma …”
 
Fece per alzarsi ma la presa non si affievolì anzi, sembrava quasi che il volpacchiotto non volesse che lo lasciasse.
Rilassandosi si rimise comodo rimanendo in silenzio a sostenere lo sguardo del suo protetto mentre questi senza demordere gli stringeva la nocca dell’indice fra dita esili come ciuffi d’erba ma forti come radici di mangrovia.
 
...sole…
 
 
 
………………………………..
 
 
 
 
Distesa a letto con gli occhi fissi sul soffitto Kagome prese un bel respiro.
Aveva riposato a sufficienza, era ora di tornare all’ospedale e magari portare un cambio a Rin tuttavia … voltandosi su di un fianco strinse fra le mani la giacca rossa che le aveva lasciato Inuyasha la sera prima e che lei, stanca com’era aveva appena fatto in tempo a togliersi prima di fiondarsi sotto le coperte e morire letteralmente di stanchezza.
Inspirò il forte profumo della colonia che impregnava il tessuto chiudendo gli occhi mentre ripensava agli attimi trascorsi in sua compagnia e a come seppur lei non avesse fatto mistero della sua antipatia nei suoi confronti Inuyasha si fosse comunque preso cura di lei preoccupandosi che arrivasse a casa tutta intera, cosa, che non sarebbe successa se fosse dipeso solamente da lei.
 
“Ci sarei tornata a distanza di pochi minuti e come paziente se non fosse stato per lui”
…..
“Chissà, forse posso abbassare un po’ la guardia, forse quei due meritano davvero un’occasione …”
‘Certo che la meritano, e tu lo sai bene …’
 
Rannicchiandosi nelle spalle sbuffò affondò la testa totalmente nella giacca prima di voltarsi velocemente per incontrare gli occhi grigi e buoni della sua amata guida.
 
“Kikyo!”
 
Sorridendo la sacerdotessa scostò lo sguardo verso l’indumento rosso, notando ciò Kagome avvampando lo prese nascondendolo sotto il piumone.
 
“Non è come credi, io, lui … era freddo e …”
 
Di nuovo la risata cristallina di lei interruppe il suo farneticare ma fu il dolce tocco delle sua candide dita a darle la calma di cui aveva bisogno.
 
‘Va tutto bene Hoshi, è una cosa normale essere affascinati da chi ci incuriosisce …’
“Affascinata io? No ma ch-”
‘Kagome puoi mentire a te stessa, ma non a me … sono la tua guida e …’
 
Incassando la verità di quelle parole Kagome sbuffando si mise a sedere appiattendo la superficie rigonfia del piumone.
 
“La mia luce, lo so … ma sembra tutto così folle! Fino all’altro giorno lo detestavo mentre ora …”
‘Conoscere il vero animo delle persone porta spesso a questo stato di’incertezza, è naturale’
“Ma Rin? ”
‘Il cammino di Rin, così come quello di milioni di altre persone è già segnato Hoshi e tu non puoi far nulla per alterarlo. È vero che è  possibile ritardare alcuni eventi e talvolta schivarne altri ma mai, e ti giuro, mai è successo che qualcuno sia riuscito a mutare il compimento del proprio destino poiché esso non è legato alle nostre percezioni, ma al peso che le nostre azioni riflettono sul nostro spirito …’
“Parli sul serio come un’antica sacerdotessa del 15° secolo … ”
‘Perché è quello che sono’
“Eppure me lo dimentico sempre … sei con me da che ho memoria e ti vedo più come una sorella che come uno spirito guida tanto che a volte vorrei lo fossi stata veramente … che meraviglia sarebbe poterti stringere e averti vicino sempre …”
‘Ma lo sai che è così …’
 
Di nuova la sacerdotessa l’accarezzò e con uno scatto Kagome fece per stringerle il polso.
Non fu vera delusione per Kagome vedere la propria mano trapassare quella di lei poiché sapeva da anni che Kikyo non era altro che uno spirito di un tempo passato intrappolato nell’eterno e che il suo compito era assistere le sacerdotesse come lei nel loro lungo e difficile cammino ma un lampo di tristezza le oscurò lo stesso un battito al pensiero di ciò che sarebbe potuto essere.
 
“Fisicamente Kikyo! Avverto il vibrare della mia anima quando mi sfiori ma so che non è calore umano ... vorrei poterti abbracciare forte e sentire di rimando la tua stretta vorrei tirarti i capelli quando mi fai arrabbiare e far pace con una fetta di torta quando proprio non ce la faccio più a non parlarti e … ”
‘Sei dolce e cara piccola mia ma non crucciarti per quello che non è possibile ottenere combatti per impedire che ciò che ti è vicino ti venga strappato via …’
“Me lo dici ogni volta …”
‘Perché tu ogni volta lo scordi …’
 
Seppure imbronciata non seppe trattenere uno sbotto di risa e cos ì la loro piccola discussione svanì, leggera come il velo di un dubbio spazzato via dal vento della verità.
 
Di punto in bianco Kagome decise che era tempo di tornare al lavoro e alzandosi scese dal materasso dirigendosi all’armadio per prendere un cambio da portarsi in bagno senza rendersi conto di quanto fosse intento e devoto lo sguardo di colei che la osservava dall’altro lato della stanza.
 
Sparì dietro la porta con un ‘torno subito’ mentre Kikyo con l’affetto negli occhi ed un’ombra di nostalgia pronunciò la più fatale delle verità.
 
 ‘Siamo più vicine anche dell’esser sorelle gioia mia e non è lontano il giorno in cui questa realtà sarà per te la più crudele delle condanne poiché a differenza dei molti, il tuo cammino nel tempo, non è che bianca via ancora da tracciare …’
 
Sparì così, vibrando come luce di candela, l’evanescente bellezza dello spirito guida di Kagome mentre nell’altra stanza l’acqua della doccia ripuliva dalla stanchezza la carne di colei che viveva; ignara di tutto.
 
 
 
 
TH
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 15
*** Approaching the past towards the future ***


 
 
Rilassando le spalle Sesshomaru roteò leggermente il collo per sciogliere i muscoli della schiena; era fermo da troppo tempo che palle! Inspirando si guardò attorno incrociando qua e là le occhiate curiose perplesse o addirittura sdegnate di demoni i cui nomi a malapena ricordava oltre che visi, o per meglio dire, musi totalmente sconosciuti.
Nessuno di loro tuttavia accennò a voler avvicinare il figlio del loro compianto leader e anche se sapeva benissimo che non poteva biasimare nessuno a parte sé stesso quel comportamento di distacco lo stava un po’ intimidendo.
 
“Tsk che ti aspettavi, il comitato di benvenuto?”
“…”
 
Levando appena un sopracciglio lanciò uno sguardo neutro a Koga che, perfettamente a suo agio in mezzo a quella mandria di sconosciuti si stuzzicava le unghie appoggiato ad un’alta colonna di marmo color del miele mentre Ayame, seduta composta sulla panca attigua non gli toglieva gli occhi di dosso.
Probabilmente non vedeva spesso il suo simile negli abiti tradizionali della tribù Yoro dopotutto da quando il genere umano aveva infestato praticamente ogni angolo del globo per un lupo del clan Yori non era più considerato ‘decoroso’ andarsene in giro mezzo nudo con solo due stracci di pellicce addosso, peggio ancora se si era un Tengu delle montagne … Sesshomaru inorridì al ricordo di come vestissero quegli spettri sperando di non trovarsene davanti qualche rappresentante quella sera.
Fortunatamente i demoni cane erano sempre stati più sobri nel vestire dimostrando gusto ed eleganza sin dai tempi antichi al contrario di quegli altri rozzi spiriti selvaggi.
Il preziosissimo bingata* col quale era stato confezionato il suo kimono di seta bianca decorato con motivi floreali, era stato tessuto nelle isole di Okinawa ben 400 anni prima ed era una preziosissimo eredità del tempo antico, la folta e pesante pelliccia che gli copriva una spalla si diceva fosse la coda appartenuta ad uno dei demoni cane più potenti che siano mai esistiti mentre l’armatura che gli corazzava torso e spalla sinistra assieme alla letale katana, entrambe forgiate dal mitico Totosai erano cimeli di inestimabile valore.
 
Percorse con i polpastrelli l’impugnatura nera della propria arma riflettendo sulla storia che c’era dietro ogni minimo oggetto che lui o qualsiasi altro demone presente in quella sala indossava quella sera.
I gioielli che adornavano il collo e le braccia di Ayame erano prismi di giada e ametista di straordinario valore capaci di assorbire custodire e sprigionare un’enorme quantità di energia, i bracciali di Koga, apparentemente semplici polsiere di cuoio, emanavano invece un potere antico e quasi dimenticato e persino la sua arma nonostante il sigillo impresso sull’elsa racchiudeva in essa un potere immenso.
 
Un lieve brusio si levò d’improvviso e incuriosito Sesshomaru lasciò la presa dall’impugnatura direzionando la sua attenzione su ciò che stava succedendo.
 
La folla che gremiva l’elegante salone interrato del santuario dei demoni si divise per lasciarne passare un gruppo al quale faceva capo Miyoga, il demone più anziano che per questo ricopriva la carica di giudice del Consiglio seguito in ordine di anzianità da altri spettri delle più svariate tribù; alcuni li conosceva di persona, altri di fama mentre di un paio non sapeva proprio niente.
 
Suo padre gli aveva narrato centinaia di racconti inerenti alle antiche gesta dei demoni che erano stati soffermandosi maggiormente sui nomi di coloro divenuti leggenda poiché le loro imprese erano state importanti e storiche. Miyoga Totosai e Saiga erano stati importanti e per questo nonostante non avesse mai scambiato con loro più di due parole portava loro grande rispetto.
Se i demoni erano riusciti a sopravvivere agli anni bui della follia umana era stato anche grazie a loro, che alleandosi con Taisho avevano provveduto a salvare e proteggere tantissimi clan.
 
“È ora.”
 
Koga si allontanò dalla colonna aspettando che la folla si disperdesse prima di dirigersi verso il grande portone di mogano nero presente in fondo alla sala che finalmente dopo quasi un’ora di attesa stava venendo aperto per permettere a tutti i presenti di partecipare al Consiglio dei Demoni.
Lentamente Sesshomaru lo seguì tenendo lo sguardo alto e fisso dinnanzi a sé risparmiando un solo cenno ad Ayame che dopo averlo affiancato gli bisbigliò di rilassarsi.
 
Oltrepassare la soglia fu come entrare in un altro mondo fatto di silenzio energia e mistero.
L’interno della sala del consiglio era quasi totalmente al buio e l’architettura al contrario della hall esterna mutava radicalmente a tal punto che le travi che da fuori erano squadrate e lineari all’interno divenivano linee morbide tonde ed irregolari più simili a radici che elementi architettonici. Stessa cosa valeva per le colonne, dimenticato il marmo pregiato e lucido dell’esterno i pilastri erano fatti di grezza pietra ruvida nei cui capitelli erano scolpite teste di drago o simboli dell’antico culto demoniaco.
Il pavimento era scuro parquet reso liscio solamente dal continuo camminarci sopra e sia l’enorme tavolo ovale che le sedie che lo circondavano erano ricavati da spesse assi di legno massiccio e pesante sopra le quali erano posizionati cuscini imbottiti di pregiato velluto.
Le uniche fonti di luce erano rappresentate da sfere di vetro dentro alle quali bruciavano anime demoniache inesauribili.
Sedendosi alla destra di Koga attese che tutti i partecipanti prendessero posto e finalmente dopo  un altro buon quarto d’ora il consiglio ebbe inizio.
 
………………
 
 
Chiudendo la portiera Rin mosse un passo indietro lasciando che l’auto proseguisse fino al parcheggio.
Mentre Inuyasha la raggiungeva infilò le chiavi nella serratura aprendo la porta precedendolo poi al piano di sopra.
Stranamente non era nervosa né impaurita.
Mentre saliva i gradini pensò se fosse stato giusto da parte sua lasciare Shippo, finalmente fuori pericolo e con la promessa che sarebbe ritornata al più presto, alle amorevoli cure di Reika; la buona infermiera con un sorriso l’aveva convinta a dormire su di un vero letto almeno per una notte così l’indomani sarebbe stata fresca e riposata.
Avrebbero trattenuto il piccolo fino al giorno dell’operazione che, grazie all’intercessione di Sesshomaru e Inuyasha, sarebbe avvenuta entro una settimana e così finalmente il suo adorato volpacchiotto sarebbe stato finalmente salvo. Con questo felice pensiero in mente Rin aprì il portoncino blindato dell’appartamento precedendo il suo ospite.
 
Inuyasha entrò nell’atrio rimanendo stupito; si trovavano all’ultimo piano di una struttura che ospitava un ryokan e quindi era partito dal presupposto che anche lo stile di quell’unità fosse tradizionale invece l’appartamento in cui era entrato era … moderno.
Le luci del tramonto filtrando dalle tapparelle abbassate per metà creavano un’aura magica all’interno dell’abitazione ed essendo la chiara mobilia ridotta al minimo l’ambiente sembrava spazioso e luminosissimo.
 
“Accomodati pure, io vado a darmi una ripulita torno subito …”
“Fa con calma Rin.”
 
Togliendosi la giacca si sedette sul divano appoggiandosi allo schienale inspirando forte il profumo che impregnava l’aria.
Sapeva un poco di stantio essendo rimasto chiuso per quasi tre giorni ma i profumi principali lì dentro erano quello delicato di Rin e quello un po’ più forte e deciso del piccolo Shippo.
Una cosa li accomunava comunque nonostante fossero state fragranze opposte ed era la serenità.
Serenità di stare in un luogo sicuro, pace nel ritrovarsi a casa.
 
Alcuni minuti più tardi un bagliore gli pizzicò una palpebra ed aprendo pigramente un occhio vide un luccichio sull’angolo una cornice posizionata sul davanzale della grande finestra infuocata nel tramonto.
Alzandosi si avvicinò per prenderla e vedere chi era così importante da meritarsi la posizione forse più bella di tutta la casa.
 
Una scarica elettrica lo trapassò facendolo sussultare non appena i suoi occhi vennero fulminati dallo sguardo carico e potente di suo padre. Taisho non era messo in posa anzi, sembrava proprio che lo scatto fosse stato volutamente fatto di sorpresa in maniera da bloccare nel tempo quella sua espressione talmente spontanea e meravigliosa capace di far venire la pelle d’oca a chiunque.
Inu no Taisho lo guardava di sbieco mentre nell’atto di togliersi la giacca piegava appena il busto per facilitare l’uscita di un braccio dalla manica del suo elegante giaccone.
Sullo sfondo un arco di ferro battuto ricoperto di rami foglie e grappoli di fiori faceva da cornice naturale all’ampio spaccato di giardino alle spalle di lui.
Inuyasha poteva facilmente immaginare lo sbotto divertito che suo padre aveva sicuramente fatto al fotografo una volta sentito il click dello scatto.
 
“Mi aveva appena regalato una Canon EOS 1300D  e non persi tempo a provarla …”
 
Colto di sorpresa per poco non fece cadere la cornice e sentendosi come un bambino colto in flagrante a fare qualche birichinata fece per posarla ma la piccola mano di Rin fermò il suo movimento inclinando la superficie in modo che la potessero vedere anche i suoi occhi.
 
“… è l’unica foto che non sono riuscita a nascondere … ”
“Nh?”
“Dopo che mi trasferii lasciai tutto ciò che avevo di lui in uno scatolone nello scantinato del mio vecchio appartamento, tutto ciò che mi ricordava lui tranne questa foto … questa proprio non riuscii a metterla via … ”
“…”
“Forse credevo che sarei riuscita ad archiviare anche lui ma non successe e …”
 
 
Aspettandosi di vederla piangere cercò di pensare a qualcosa da dire per evitarle la tristezza ma non ce ne fu bisogno. Ricomponendosi Rin tirò appena su col naso rimettendo a posto la fotografia dopo averla ripulita delicatamente da un paio di granelli di polvere.
Inuyasha rimase affascinato dalla cura con cui ella trattava quell’oggetto.
 
“Mi dispiace così tanto …”
 
In quel momento Inuyasha capì qualcosa. Corrugando le sopracciglia osservò la ragazzina con attenzione cercando di cogliere qualcosa che confutasse la sua teoria ma così non fu. Le spalle basse, la testa china, la voce flebile e lo spirito inconsolabile significavano solamente una cosa, rimorso; Rin si comportava come se avesse qualcosa da espiare, come se quello che era successo a suo padre fosse colpa sua.
 
Sfiorandole la spalle decise di chiederle se fosse tutto a posto ma non riuscì ad aprir bocca che la serratura della porta d’ingresso scattando distolse entrambi dal momento di tensione.
 
“Certo che avresti anche potuto dirmelo che saresti tornata a casa …”
 
Buttando la giacca a casaccio sull’appendiabiti e togliendosi le scarpe in movimento Kagome richiuse l’anta col tallone raggiungendoli in salotto.
 
“Mi sono fatta il tragitto fino all’ospedale per niente perché Shicchan dormiva e …”
 
Per la sorpresa il fiato le morì in gola, la busta di cartone contenente la spesa che teneva in mano si sbilanciò facendo cadere sul pavimento alcune cipolle una delle quali si fermò a contatto con la punta delle scarpe di Inuyasha.
Non si aspettava di trovare anche lui.
 
“C-Ciao!”
 
Dirigendosi di scatto in cucina posò il sacchetto sul piano di lavoro togliendo vari pacchetti ed involucri mentre balbettava fra sé.
 
Rimasto spiazzato (Inuyasha si aspettava un 'a cuccia!’ di benvenuto) il mezzo demone si voltò rendendosi conto dello sguardo di Rin trovando nella sua espressione stupita il suo stesso stato d’animo e forse qualcosa in più visto il sorrisetto appena accennato delle sottili labbra di lei.
Levando un sopracciglio perplesso si chinò raccogliendo le cipolle per consegnarle alla moretta schizzata che da quel poco che aveva decifrato del suo blaterare aveva deciso di preparare del riso al curry.
 
“Beh, visto che c’è la vipeh” di scatto il viso di Kagome si levò quando questa smise di affettare i peperoni tenendo a mezz’aria la grande e all’apparenza affilatissima mannaia, negli occhi una luce sinistra … “Ehm visto che c’è Kagome io andre …”
“Perché non ti fermi a cena?”
 
La mano di Rin sull’avambraccio interruppe il suo goffo tentativo di fuga.
 
“Kagome è bravissima a cucinare e poi mi piacerebbe ringraziarti per il disturbo che ti sei preso …”
 
Di nuovo inspiegabilmente tranquillo Inuyasha negò lievemente ribadendo il suo pensiero.
 
“Non è necessario Rin te l’ho già detto …”
“Hai altro da fare?”
“Eh?”
 
In effetti con Sesshomaru fuori regione per il concilio e sapendo che questo lo avrebbe trattenuto via per almeno due giorni non gli andava proprio di tornarsene a casa e rimanere da solo ma … era il caso?
Un lampo gli trapassò la mente. Koga ed Ayame normalmente facevano a turno per tenere d’occhio la situazione ma credendo Rin in ospedale e quindi sotto la sua sorveglianza avevano deciso di accompagnare entrambi Sesshomaru in modo da calmare gli animi di demoni eventualmente incazzati e, al caso, intercedere per lui col Consiglio; questo significava che Rin sarebbe stata sola e … trovandola intenta a fissarlo accigliata guardò Kagome che riprese immediatamente la sua opera con uno sbuffo … probabilmente la presenza della sacerdotessa sarebbe stata sufficiente a far desistere eventuali aggressori che poi, chi diavolo poteva avere interesse a molestare Rin?
Accidenti a quei due lupastri maledetti, gli avessero detto sin dal principio come stavano le cose avrebbe avuto più elementi su cui basarsi per elaborare le sue tesi e …
 
 
“Allora?”
“N-no ma …”
“Rimani … per favore …”
 
Non gli rimase che annuire.
 
 
…………………………………….
 
 
La luna crescente si stagliava nel cielo come una falce; luminosissima ed in netto contrasto con le tenebre della notte riusciva a calmare il suo spirito in tumulto.
Espirando l’ennesimo sospiro di frustrazione Sesshomaru levò il capo al firmamento immergendo i propri sensi nel cupo e silenzioso blu che era la volta celeste.
10 ore.
10 fottutissime ore di consiglio e non era arrivato a capo di niente.
Per prima cosa si era fatto il censimento di ogni clan demoniaco e, notizia incoraggiante, c’erano due nuovi nati fra le fila dei serpenti del sud, un cucciolo sano e forte per la tribù degli Yoro e all’estremo nord dell’Hokkaido tre nuovi Kitsune avevano aperto i loro occhi sul mondo.
Due di loro erano primi cugini di Shippo, figli della sorella di Shihon Yun-mei nati la primavera precedente e tenuti nascosti fino a questa sera. Il terzo era sicuro fosse stato proprio Shippo anche se era nato l’anno prima ma con sua somma sorpresa notò che del piccolo che accudiva Rin nessuno pareva sapere nulla.
Con uno bisbiglio aveva chiesto spiegazioni a Koga ma questi intuita la sua domanda gli aveva intimato con lo sguardo più glaciale che possedeva di cucirsi il muso a filo doppio.
 
“Temiamo ci sia una talpa”
 
Quella frase, balenandogli nella memoria riuscì a stemperare l’offesa del gesto subito.
Shippo veniva prima di tutto. E Rin con lui a quanto pareva.
 
Il secondo punto fu quello di chiarire il grado di benessere percepito e di come andasse la convivenza laddove la presenza umana era ben radicata negli antichi territori dei demoni e anche qui la risposta fu più che sufficiente.
Terzo punto la divisione delle cariche lasciate vacanti da eventuali morti accorse e qui lui venne chiamato a ricoprire la carica di rappresentante del clan No Inu essendo l’erede di Taisho cosa che per fortuna era riuscito a ritardare non sapendo neanche da che parte incominciare non avendo idea di come funzionassero le cose nella gerarchia dei demoni. L’occhiata severa di Miyoga però stava a significare che la faceva franca solamente per quella volta.
Dal quarto all’ottavo punto si era trattato di questioni noiose riguardanti futili liti e ripicche fra famiglie i cui figli sposati avevano deciso di divorziare e fra uno sbuffo ed un lamento Sesshomaru si era reso conto che in fin dei conti fra demoni ed umani non c’era poi tanta differenza per quanto riguardava l’agomento.
 
Il punto numero nove riguardava la preoccupante notizia che fra i discendenti degli antichi monaci e dei temibili sterminatori fosse in atto un’alleanza segreta comprovata da lettere e documenti confidenziali fortunatamente intercettati dalla fitta rete di spie infiltrate nelle loro fila.
Per ora si era trattato di sporadici incontri per fare il punto della situazione e, come aveva giustamente fatto notare un saggio rappresentante dei Tengu, non poteva esserci in quello nulla di male dal momento che lo stesso era fatto regolarmente dalle tribù dei demoni e quindi fra un battibecco e l’altro la questione, seppur non chiusa, era stata momentaneamente accantonata.
 
Al decimo punto (l’unico degno di interesse secondo lui) non si era arrivati poiché, visto il protrarsi delle liti dal punto quattro al punto otto si era deciso di posticiparlo e inserirlo come priorità al prossimo consiglio che si sarebbe tenuto in data da destinarsi.
 
Dire che gli erano saltati i cinque minuti era poco ma benché se ne fosse uscito stizzito dall’assemblea a nessuno parve interessare.
 
“Sei scocciato ‘Maru?”
 
Girandosi appena squadrò Ayame da capo a piedi. Come l’aveva chiamato?
Ridendo nell’intuire il suo sdegno questa gli si avvicino sedendosi sulle ginocchia a pochi passi da lui.
I suoi grandi occhi verdi brillarono dei riflessi della luna che a sua volta parvero venire inglobati nei brillanti prismi degli eleganti gioielli.
 
“Ti aspettavi qualcos’altro?”
“Mi aspettavo di arrivare a capo di qualcosa. Mi aspettavo parlassimo di Rin e di Shippo, mi aspettavo di sapere se qualcuno avesse potuto aiutare il piccolo e …”
“In un consiglio pubblico? Ma sei fuori?”
 
La voce con cui parlò la demone fu di pura sorpresa.
 
 “Uh?”
“Te lo ha detto Koga che si trattava di un consiglio pubblico o no?”
“Si, ma …”
“Cosa vuoi che importi agli altri di Rin? Il novanta per cento di loro manco sa che esiste ed il restante dieci l’ha dimenticata da tempo il che è un bene, credimi.”
“Ma che ci sono venuto a fare allora qui?”
 
Colpendolo scherzosamente sulla spalla coperta dalla pelliccia Ayame indirizzò la sua attenzione ai piedi della montagna dov’erano in fermento i preparativi per qualcosa a quanto poteva vedere.
 
“A presentarti ai tuoi simili sciocco e fare bella impressione si spera, il che implica il tuo essere presente al saluto all’alba di fra poco.”
 
Ah già … il saluto all’alba. Era tradizione che passato un mese dall’equinozio di autunno si rendesse omaggio all’astro che benediva la Terra con un falò talmente grande da illuminare a giorno l’ora più buia prima dell’alba. 
 
“Avevo scordato quest’usanza …”
“Hai scordato molte cose ‘Maru …”
 
Di nuovo la guardò e sospirando rivolse per un’ultima volta l’attenzione alla luna.
 
“Le ricorderò tutte Ayame.”
 
Alzandosi il demone s’incamminò verso il fondo della valle dov’era stato deciso si sarebbe tenuto il falò.
Ayame rimase seduta a guardare la sua dipartita con un sorriso incerto sulle labbra.
Miyoga era rimasto si stupito quando, alcuni giorni prima del ritrovo, lei e Koga lo avevano informato della presenza del maggiore dei figli di Taisho, ma non poteva dire se in maniera positiva o meno il che non era di buon auspicio calcolando che fra tutti e tre gli anziani maggiori lui da sempre era quello più espansivo e alla buona.
 
***
“Al consiglio di dopodomani io e Koga vorremmo portare Sesshomaru no Inu, Miyoga-sama. ”
Seduto dietro alla poltrona del suo elegante ufficio un vecchio anziano sorseggiava  quello che all’apparenza doveva essere dell’ottimo vino visto il denso colore rubino da un calice di cristallo che la sua segretaria gli aveva appena portato.
Ad Ayame tuttavia bastò un respiro per capire dall’odore che non si trattava di vino ma di sangue.
Salutando Meiko, uno spettro dei fiumi che lavorava per il saggio da decenni, Ayame attese che l’anziano assimilasse la sua richiesta.
“E sentiamo, che vuole venire a fare uno come lui al consiglio?”
“Chiedere aiuto …”
Lo sguardo serio dell’antico demone richiedeva una spiegazione e lei, dopo essersi accertata che fossero soli vuotò il sacco.
“Lui ed Inuyasha hanno trovato Rin e sanno di Shippo; vogliono sapere se qualcuno di voi può contattare  gli altri Kitsune e chiedere sostegno durante l’operazione nel caso il piccolo abbia bisogno di …”
“Se non sbaglio tu e Koga avevate il compito di proteggerla.”
“È successo al cimitero Miyoga-sama. Nonostante avessimo fatto in modo che i loro giorni di visita non coincidessero mai è successo che Inuyasha ha incrociato Rin il giorno stesso del ”
“… malore di Shippo …”
Grattandosi la guancia Miyoga sembrò riflettere su qualcosa; aveva ricevuto il rapporto di quel giorno dai due lupi avvalorato per giunta da una terza persona esterna alle loro conoscenze e non poteva assolutamente dar loro colpa alcuna. Girando la poltrona si estraniò completamente per alcuni minuti osservando la vista della città dall’altro poi bevendo d’un fiato il contenuto del bicchiere rigirandosi posò l’oggetto sulla scrivania schiacciando il pulsante dell’interfono per richiamare Meiko. E sia, ma doveva avvertire anche Saiga e Totosai.
 
“ Suppongo dovessimo aspettarci questo tipo di risvolto dopotutto  -mpfh- al destino non si comanda.”
“Che intendete dire signore?”
“Oh, ma sei ancora qui?”
“Non mi avete ancora congedata signore né dato una risposta …”
“Portalo pure ma avvertilo che sarà un consiglio pubblico e che di questi affari parleremo più avanti e in privato … ”
“Ma signore, l’intervento è programmato fra otto giorni …”
“E il consiglio fra due, non posso annullare tutto per il capriccio di uno.”
“Capriccio?”
“Non ha mai dato segni di interesse verso la nostra civiltà e adesso, solo perché ha bisogno di noi dovremmo tutti rimetterci ai suoi piedi? Non funzionano così le cose nel mondo demoniaco Ayame e tu dovresti saperlo bene …”
Miyoga aveva ragione ma c’era in ballo la vita di Shippo.
“Lo so, signore.”
“Adesso vai …”
Fece per alzarsi ma la preoccupazione per Shippo era più forte del rispetto e del timore che nutriva per l’anziano. Miyoga parve intuirlo e si affrettò a finire la frase lasciata in sospeso.
“Una lezione di umiltà non potrà fargli che bene, a quel viziato …”
Sorridendo Ayame annuì felice. Miyoga sicuramente aveva già pensato a tutto.
“Va bene signore, grazie infinite!”
 
 
 
***
 
 
Una volta raggiunta la folla per prima cosa Sesshomaru si diresse a rendere omaggio a suo padre sull’altare dei caduti depositando un piccolo bocciolo bianco di margherita appaiato a quello indaco di aquilegia ai piedi del blocco di pietra bianca scolpita nel granito.
 
Koga gli si avvicinò porgendogli la fiamma con la quale il falò sarebbe stato acceso e lui, incredulo si guardò intorno riscontrando nello sguardo dei presenti unanime accordo.
Annuendo fece un cenno ai tre saggi seduti alla sua sinistra prima di recitare l’inno antico, la preghiera comune a tutti i demoni gridando i versi alla gelida notte sperando che il suo immutato significato raggiungesse assieme alle scintille del vivido fuoco le stelle e le anime di coloro che rimpiangevano.
 
Venne infine accerchiato da decine di capotribù che presentandosi rinnovarono la loro amicizia e lealtà elogiando il nome di Taisho e il sua storia.
E mentre il fuoco ardeva in attesa della vera alba Sesshomaru capì che non erano mai stati soli lui ed Inuyasha, semplicemente avevano voluto esserlo.
Con la ripromessa di cambiare e l’intenzione di assumere il suo ruolo con impegno e responsabilità spiccò il volo diretto a casa.
Aveva molto da dire a suo fratello.
 
Il viso di Rin gli balenò nella mente facendolo fremere.
 
Voleva parlare anche con lei e risolvere tutto, voleva a tutti i costi togliersi il peso del suo rimpianto dall’anima e liberare anche lei dalla paura che era certo ancora provasse per lui.
 
 
 
 
TH
 
 
Ciao a tutti, arieccomi qua!
 
 
Come sempre grazie a tutti voi che leggete, preferite ‘piacete’ e ricordate!
Ma soprattutto a chi recensisce =D
 

Maria76
Shippo d’ora in poi rinascerà, non dico altro ma avrà un peso non indifferente in questo arco finale della mia storia.
Grazie della recensione sono davvero contenta che ti piaccia!

 
Elerim
Prima di tutto grazie della comprensione e delle belle parole! Sono felice di sapere ciò che pensi e spero di riuscire a non cadere nel banale ora che un po’ di inghippi sono stati sciolti.
Da qui in avanti i No Inu boys verranno tartassati un pochino in meno da Kagome e dal passato ma qualcosa nell’ombra attende di entrare in azione, chissà che accadrà  …
Un saluto e alla prossima.

 
ComeBack
Sono rimasta colpita dalla tua recensione e mi sono gasata nel sapere di averti acchiappata/o nonostante la storia sia aperta e i lentissimi aggiornamenti.
Spero di non deluderti, di riuscire a mantenere il carattere dei personaggi mantenere il tuo interesse e una trama semplice ma limpida e fresca.
Fammi sapere mi raccomando!
 

 
 
 
 
 
 
*I Bingata sono tessuti dalle colorate trame d’ispirazione naturale, che prendono il nome dall’omonima tecnica, radicata a Okinawa da secoli.

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Capitolo 16
*** Do you really think human and demons could love each other? ***









“Avessi saputo che c’eri anche tu ti avrei riportato la giacca …”
 
Girandosi appena verso la soglia della porta finestra Inuyasha sorrise appena.
 
“Non fa niente me la darai la prossima volta …”
 
Espirando sbuffò del fumo di sigaretta dal naso tornando ad osservare la luna piena.
Titubante la ragazzina gli si avvicinò ma anziché mettersi comoda come lui, che stava sbilanciato in avanti coi gomiti appoggiati sulla balaustra Kagome strinse appena il rivestimento in legno mantenendo un po’ di distanza.
Levando un sopracciglio Inuyasha la guardò perplesso.
Come mai stava così sulla difensiva?
 
“Era molto buono il tuo curry …”
“Grazie ”
“Devi dirmi come fai a bilanciare così bene i sapori, quando lo cucina Sango risulta troppo saporito e nonostante mi piaccia un sacco poi faccio una fatica immensa a digerirlo … ”
“… se vuoi te la scrivo …”
“Nh …”
 
Portando la sigaretta alla bocca inspirò poco convinto.
Che razza di discorsi si metteva a fare con …
 
“-sata?”
“Uh?”
 
Cosa gli aveva appena chiesto?
 
“Se non vuoi dirmelo fa lo stesso  ma ecco …”
 
Aveva la faccia un po’ imbarazzata e demoralizzata, come se si fosse appena resa conto d’aver detto qualcosa di sbagliato o fuori luogo o … che fosse questo il motivo della sua titubanza?
 
“Non ho seguito la domanda ero distratto … che hai detto?”
“Oh, volevo sapere se, ecco … anni fa, all’inizio del mio apprendistato al tempio ho letto in un antico testo che voi demoni potete reincarnarvi …”
“Da quel che so anche voi umani …”
“Si ma uhm, ricordate qualcosa della vostra vita passata?”
“… no.”
“Davvero?”
“Per quanto mi riguarda questa potrebbe essere la prima volta che esisto … ”
“Non conosci la leggenda della sacerdotessa Kikyo?”
“Mai sentita nominare, perché dovrei?”
“Beh … Ad un certo punto si incrocia con quella di un mezzo demone che sembra te in tutto e per tutto.”
“Davvero?”
 
Interessato da quelle parole Inuyasha si girò verso di lei concedendole tutta la sua attenzione.
 
“In quell’epoca buia, la Sengoku se non sbaglio, demoni ed umani combattevano per il dominio sulla Terra e nonostante il vostro potere fosse immenso lo divenne anche quello degli uomini. Ebbene pare che in questa parte del Giappone esistesse il villaggio protetto dalla sacerdotessa Kikyo che era famoso per essere uno dei più sicuri della regione. Nessun demone osava attaccare queste terre, solamente uno sciocco  mezzo spettro che tuttavia non feriva le persone o le coltivazioni ma ce l’aveva proprio con Kikyo …”
“Davvero?”
“Anche se nel testo non è chiarito cosa questi volesse da lei, pare che ce la mettesse proprio tutta nei suo tentativi di attacco ma inevitabilmente  i suoi sforzi finivano in fallimenti …”
“Allora non può trattarsi di me, io non sbaglio ma-“
“Oh ma che bella collana! ”
 
Sibilando la vocale mancante si scansò evitando che gli toccasse i grani del rosario che ancora era costretto a portare.
 
“Simpatica vero? Me l’ha donata una tizia schizzata senza un minimo senso della moda che si cre-”
“Aaaaa”
“Hiiii”
 
Sbiancando Inuyasha cacciò un gridolino stridulo preparandosi a finire spiaccicato a terra.
 
 “CCiù!”
“…”
“Hih hih …”
“Scema … toglimela adesso.”
“Neanche per sogno.”
“Non puoi costringermi a tenerla …”
 
Allungando le labbra in un sorriso bastardissimo Kagome espirò solamente una parola. Era tornata sicura di sé e lo guardava con una luce scherzosa negli occhi.
 
“Dici?”
“Eccome se lo di-”
“Insomma voi due, non ce la fate proprio ad andare d’accordo?”
 
Con voce risa, Rin apparve sulla soglia tenendo in mano un piccolo vassoio sul quale erano posizionate tre tazzine quasi piene di caffè fumante una zuccheriera ed alcuni biscottini.
Sbuffando a sua volta Inuyasha scompigliò i capelli alla ragazza al suo fianco avvicinandosi al tavolino posto nell’angolo del terrazzo per sedersi con Rin.
 
“Naaaah che dici? Siamo amiconi ormai, pensa che già ci scambiamo i vestiti!”
“Lo sguardo di Rin si fece attento mentre quello di Kagome precipitò a terra!”
“Ma che dici scemo?”
“Non mi hai appena detto di aver scordato la mia giacca?!”
“Ma non, si cioè no tu … io …”
 
Benché fosse divertita dal comportamento della sua amica Rin decise di finirla lì.
 
“Pfffft dai Kagome vieni a sederti o il caffè ti si fredda …”
 “E finiranno i biscotti … crunch buoni!”
 
Se solo avesse potuto spiaccicarlo a terra quel dannato spettro l’avrebbe fatto ma non voleva rovinare casa a Rin perciò, segnandosi questo affronto nella memoria decise che gliela avrebbe fatta pagare più avanti.
 
“Kagome i tuoi occhi brillano di una luce sinistra …”
“Sarà il riflesso della luce Rin …”
“Se lo dici tu …”
“Piuttosto Inuyasha …”
 
Masticando sonoramente il suo biscotto Inuyasha la guardò appena rallentando le mandibole fino a bloccarle nell’esatto momento in qui Kagome finì di parlare.
 
“Ho ancora la macchina dal meccanico dopo lo scherzetto dell’altra volta, mi accompagni tu dopo al tempio?”
“Uggh!!”
 
Per poco il poveretto non si strozzò.
 
“Di che parli Kagome?”
“Sono sicura che lui lo sa … allora, amicone?”
“No-non cc c’è pro-problema KakaKagome!”
“Molto gentile e grazie!”
 
E piantandosi in faccia l’espressione più angelica che potesse esistere Kagome prese a sorseggiare elegantemente il suo caffè.
 
“Ottimo come sempre Rin”
“A ah grazie!”
 
Non ci stava capendo niente ma andava bene così.
Erano anni che non passava una serata così piacevole, fantastica proprio per la semplicità con la quale era trascorsa. Chiacchierando di tutto e di niente, mangiando cose buone in compagnia di … osservò brevemente Inuyasha mentre cercava di fregare l’ultimo biscotto al cocco dal piattino di Kagome che ignara sorseggiava il suo caffè, gli occhi ambrati del demone trovarono i suoi in un attimo fugace e il fiato le mancò quando questi, sollevando appena un angolo della bocca le fece un brevissimo occhiolino prima di portare a termine la sua missione con successo.
Non possedevano più quella scintilla di odio rabbia e gelosia che molte volte in passato aveva visto in essi, erano limpidi e caldi come quelli degli …
…amici.
 
“Dannato spettro il mio biscotto!!!”
“Non so di cosa diavolo tu stia parlando …”
“Era qui un attimo fa e adesso non c’è più …”
 
Sbuffando un sorriso Rin si estraniò dall’ennesimo battibecco di quei due accomodandosi contro il fresco cuscino della seggiola da giardino levando gli occhi alla luna.
Taisho la vegliava.
Le aveva mandato due angeli.
 
... grazie mille amore mio …
 
 
Quasi due ore dopo salutò entrambi stringendosi le spalle all’improvviso senso di nostalgia che la avvolse nel vederli allontanarsi.
 
Erano anni che non dormiva da sola e fu tentata di richiamare indietro Kagome ma, vedendola già intenta a bisticciare con Inuyasha decise di lasciarla stare. D’istinto sorrise e poco importava se non l’avrebbero vista. Quello che stava succedendo fra loro sarebbe stato bellissimo.
 
“Farete scintille ragazzi!”
 
Non appena l’auto nera sparì oltre la discesa che portava alla città Rin rientrò chiudendo bene la porta dopo essersi accertata che il cartello di chiusura fosse ben visibile.
L’avevano contattata in molti in quei giorni ma lei non aveva il tempo e neanche la voglia di dedicarsi al ryokan. Ora Shippo era la sua priorità.
 
 
 
…………………….
 
 
Il lampeggiante rosso della sirena illuminava ad intermittenza l’interno dell’abitacolo dell’auto dentro ai quali erano confinati da quasi venti minuti mentre la pattuglia controllava che i suoi documenti fossero a posto e soprattutto, che il macchinario del  test dell’etilometro che lo dava per pulito non fosse rotto.; le mani incrociate sul volante picchiettavano contro il ruvido rivestimento nell’attesa che le chiavi gli fossero restituite.
Sbuffando dopo aver controllato che il poliziotto fosse abbastanza lontano Inuyasha si rivolse ad una mortificatissima Kagome.
Quasi gli venne da ridere a vederla così.
Dopotutto quello che era loro successo aveva davvero del tragicomico.
L’istinto di buttarla sul ridere fu talmente forte che si costrinse a serrare le mandibole pur di non parlare. Non era arrabbiato anzi, dentro stava ridendo come un matto ma voleva tormentarla ancora per un po’.
 
“Senti …”
“Mi dispiace moltissimo non so cosa mi sia preso davvero io … pagherò la multa e …”
 “Non abbiamo più finito il discorso prima …”
“Discorso di prima?”
“Mi stavi raccontando della sacerdotessa e del mezzo demone no?”
“Oh … beh non c’è molto altro da dire a parte che si allearono per combattere un demone molto potente e furbo e …”
“E?”
“Si insomma … beh lo sai …”
“Come posso saperlo se non l’ho mai sentita ‘sta storia?” Concentrandosi sulla buffa espressione di lei notò che oltre all’avvilimento c’era dell’altro, era rossa d’imbarazzo altro che! “Che è quella faccia?”
“Alla fine si sposarono ecco!”
“Ah!”
“Uh?”
“Però!”
“Solo però!?”
“Che altro dovrei dire?”
“Non ti sembra familiare? O che so … credi davvero che sia possibile per umani e demoni … di innamorarsi?”
“Lo stai davvero chiedendo a me? Ti ricordo che mia madre era umana, scema …”
“L’avevo dimenticato … scusa …”
“E anche fra papà e Rin, adesso ne sono certo, era vero amore …”
 
Sul punto di rispondergli in maniera sarcastica Kagome si morse la lingua. Il tono con cui Inuyasha le stava parlando tradiva rammarico e reale, profondo dolore. Quello sciocco era davvero pentito di come si era comportato.
Sorridendo gli diede un buffetto sulla spalla.
 
“Vuoi parlarmi di lei?”
“Nh?”
“Tua madre, Rin dice fosse bellissima e gentilissima, insostituibile …” traendo un profondo sorriso Kagome trovò il coraggio di guardarlo prima di proseguire. “Mi racconta sempre di quando la andava a trovare all’orfanotrofio, della bambolina che le regalò dopo che la sorprese ad osservare sognante quella che una coppia di genitori adottanti aveva regalato alla loro nuova figlia; lei e Taisho l’avevano anche portata allo zoo una volta, conserva ancora il gorilla che tuo padre vinse per lei allo stand del tiro al bersaglio è il preferito di Ship-”
“…”
 
Tacque immediatamente quando la mano artigliata di Inuyasha le ghermì la spalla ma non per paura, semplicemente l’espressione che quel mezzo demone le stava mostrando adesso era straziante.
Rimase immobile lei ad osservare il ragazzo deglutire più e più volte per mandar via il groppo alla gola, la luce rossa illuminandolo dall’esterno ne colorava di nero i lineamenti facendolo sembrare un’ombra fluida ed elegante.
Adesso grazie all’empatia poteva anche sentirla la sua pena ed era seconda solamente a quella che aveva sentito in Rin quando l’aveva conosciuta. Con gli occhi lucidi provò a chiedergli perdono.
 
“Non avrei dovu-”
“No … è che … ci parlavano spesso di lei, di quanto fosse stata sfortunata e come fosse triste e cupa. Papà in particolar modo non poteva credere che nei suoi occhi non ci fosse rimasto neanche un briciolo di speranza, era terrificante per lui anche solo pensare che una così piccola creatura dovesse essere condannata a vivere col gelo nell’anima. Io e Sesshomaru non potevamo capire … e in seguito nonostante avessimo subito la medesima perdita ci rifiutammo di farlo … che idioti!”
“Non tormentarti ormai è passata …”
“…”
“E poi sono sicura che Rin ha già dimenticato tutto, probabilmente rivedervi a fatto bene anche a lei.”
“Tu … credi?”
“Si. Lei è sempre stata convinta d’aver fatto qualcosa di sbagliato, di aver incrinato quello che era il vostro equilibrio e credo che in un qualche modo si senta anche responsabile per la morte di Taisho … si rammarica del vostro allontanamento, è convinta di avervelo portato via.”
“Lei crede questo?”
 
Ecco a cosa erano dovute le sue scuse di quel pomeriggio davanti alla foto.
 
“Non ha colpa di nien-”
 
Tok Tok
 
L’improvviso rumore distrasse i due dal loro dialogo portando la loro attenzione sul vetro sul quale cozzavano i ripetuti colpi di nocca di uno dei due agenti.
Aprendo la portiera Inuyasha attese l’epilogo di quella stupida vicenda, Kagome dal canto suo tornò a tremare come una foglia.
 
“Signorino No Taisho i suoi record stradali sono impeccabili, mai una multa o un richiamo per guida pericolosa quindi per stavolta la passerete liscia.”
“Grazie agente.”
“Ma si ricordi che se vuol far provare il brivido del gimkana alla sua ragazza” kyah “esistono i circuiti appositi quindi si astenga dal trasformare le stradine di città in percorsi da brivido siamo intesi?”
“Sicuro agente, non cercherò più di impressionare la mia ragazza con simili e pericolosissime trovate … grazie di cuore per la comprensione …”
 
Guardandolo poco convinto l’agente sbuffò lanciandogli il mazzo di chiavi confiscato in precedenza sbottando uno ‘sparite prima che cambi idea’ voltandosi poi per far ritorno alla sua autovettura.
 
Ridacchiando Inuyasha fischiò via la sua tensione incrociando poi lo sguardo di Kagome ancora sconvolto e imbarazzato.
 
“La prossima volta che vuoi mandarmi a cuccia dolcezza almeno accertati che non stia guidando ok?”
“S-si”
 
Il mezzo spettro mise in moto e ripartì e stavolta il viaggio terminò nel più totale dei silenzi.
Kagome, troppo imbarazzata per l’accaduto e per il modo in cui Inuyasha era stato al gioco senza smontare l’ipotesi del poliziotto, non riusciva neanche a guardarlo in faccia e passò tutto il tempo cercando di darsi un minimo di compostezza ma il cuore che le pulsava a mille nel petto le pompava in circolo eccitazione e … felicità?
Coprendosi il viso con le mani esalò un gridolino mortificato strappando una risata ad Inuyasha che dal canto suo, ricordò che alla fine non aveva più risposto alla domanda che lei gli aveva fatto prima.
Cominciando a fischiettare leggermente cambiò marcia svoltando verso il distretto del tempio Higurashi trovandosi a pensare che si, infondo non sarebbe stato impossibile.
L’auto nera sfrecciò via nella notte vegliata da un’immensa e limpida luna piena.
 
 
 
 
“… credi davvero che sia possibile per umani e demoni … di innamorarsi?”
 
 
 
 
 
 
 
TH
 
Arieeeeeeeeeeeeccomiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!

Grazie di cuore a Maria76 per le bellissime parole, come sempre mi gaso da matti a leggere le tue recensioni e spero di sentire ancora che ne pensi della storia. =)

Shivax23 Sesshomaru qui non c'è ma dal prossimo capitolo ci sarà la tanto attesa svolta che non vedevo l'ora di inserire nella storia e che porterà a qualcosa di davvero fotonico!!! HIh Hih hih!!! ma non ti dico cosa!!! muahh ahh ahh ciauz!!!

Serin88 Grazie della recensione e del tempo che hai dedicato nel farmela!
Sesshomaru come ho già detto non è presente in questo capitolo ma ci sta, dal prossimo entrerà in full action.
Sono contenta che ti piaccia l'interazione InuKag (il mio terrore è di andare troppo OOC non tanto l'andarci perchè sono sicura che vado OOC, ma proprio l'andarci troppo, frenami semmai questo dovesse accadere ne? XD) e pure il carattere di Inuyasha (cerco di essere credibile, spero di riuscirci ^__^''
Per quanto riguarda Rin, beh è Rin, la mia preferita in assoluto, la mia eroina nonostante piccola piccola ma non credere, fra poco anche lei .... XD XD
A presto e grazie!!!


Grazie a tutti che leggete, commentate seguite ricordate etc... chuuuu!!! XD
saludo!

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Capitolo 17
*** Revelations and possibilities ***


Viste dall’alto le città degli umani erano meravigliose. 

Le strade erano scie diritte e regolari sulle quali migliaia di auto sfrecciavano creando bagliori chiari e rossi, ai lati di esse gli enormi edifici stagliandosi nel buio creavano una massa di luci irregolari simili a stelle. 

Da lassù i rumori giungevano ovattati e pareva di osservare un cielo in terra. Cupo dov’erano i campi e le foreste, puntellato di bianco dov’erano i piccoli villaggi sperduti e luminoso come la via lattea nei grandi centri metropolitani. 

 

Cominciò a scendere in prossimità dell’antico rione dei Kitsune. 

Inuyasha lo aveva informato che se n’era andato da pochi minuti e Rin era rimasta sola in casa. 

Non aveva avvertito alcun pericolo ma per precauzione Kagome avrebbe innalzato una potente barriera. 

Gli aveva risposto con un vocale dicendo che non ce ne sarebbe stato bisogno, entro pochi minuti avrebbe raggiunto il ryokan. 

Ci pensava lui adesso, Inuyasha poteva rilassarsi e magari riposare un po', quei giorni in cui sia lui che i due lupi erano stati lontani erano stati sicuramente pesanti per suo fratello, meritava un po' di pace. 

 

‘sei sicuro ‘maru?’ 

‘Sicuro Inuyasha.’ 

‘Ok, ci vediamo domani così mi racconti ...’ 

 

….ci fosse stato qualcosa di utile da raccontare … 

Sbuffò stizzito non ancora del tutto convinto se quel Concilio fosse stato utile o meno. 

 

 

…........ 

 

‘Figlio di Taisho permettete una parola?’ 

 

A distrarlo dai vari capi tribù una voce di vecchia più simile ad un sussurro. Tutti tacquero e si fecero rispettosamente da parte permettendo al giovane demone di dare ascolto all’ultima arrivata. 

 

E voltandosi, dietro il vivido color dello smeraldo di due occhi antichi e dal taglio affilato più del ghiaccio, c’era lo spettro bianco di un Kitsune-sama.  

Lunghi capelli bianchi si muovevano alla brezza di un altro mondo, un portamento regale e maestoso, la bellezza eterea di uno spirito defunto che tuttavia doveva essere stato di una potenza immensa. 

La matriarca dei demoni dell’illusione, Shiba, regina dei Kitsune del nord gli si palesò davanti. 

Deglutì chinando il viso in segno di rispetto sentendosi avvolgere da una tiepida brezza. 

 

‘Dite’ 

È ora che il nostro principe faccia ritorno …'  

 

…................ 

 

Con che faccia e che coraggio avrebbe potuto dire a quella ragazzina che entro la prossima primavera il suo prezioso bambino sarebbe tornato a casa? 

Rin avrebbe capito?  

Avrebbe accettato?  

Avrebbe sopportato? 

 

Non ci voleva un genio per capire che se era riuscita ad andare avanti lo si doveva unicamente a Shippo; il doversi prendere cura di lui l’aveva spronata a vivere e dare il meglio di sé. Separarsene sarebbe stato devastante per lei. 

 

Aveva provato a controbattere ma le leggi dei demoni non ammettevano eccezioni. Non esistevano casi dall’alba dei tempi di demoni allevati da umani, e sebbene l’etereo spirito nutrisse per Rin la più profonda gratitudine, tutti al nord non vedevano l’ora di conoscerlo.  

Lo avevano creduto morto assieme ai suoi genitori per due anni, volevano con loro il figlio dei loro amati principi mai divenuti re e regina. Lo avrebbero cresciuto nelle loro tradizioni, gli avrebbero insegnato l’arte a loro sacra lo avrebbero amato, protetto e rispettato. 

Era la cosa migliore anche per Shippo e lo sapeva benissimo. 

Ma Rin? 

Che ne sarebbe stato di lei? 

 

 

 

…......... 

 

 

 

‘Sia bene inteso, non le verrà strappato da esseri senza cuore, la sua presenza sarà bene accetta e desiderata e se lo vorrà troverà una casa al nord, la scelta è sua ...’ 

 

E aveva infine sorriso l’antica regina eliminando così la sua più grande preoccupazione. 

Questo significava che Rin poteva andare con loro se lo desiderava? 

Perché questa notizia anziché allietarlo lo stava devastando dentro? 

 

‘C'è ancora tempo piccolo principe.’ 

 

Sorpreso Sesshomaru la guardò e lei sorrise divenendo magnifica volpe d’argento a nove code. Ancora una volta aveva inteso le sue preoccupazioni leggendogli nell’anima, ancora una volta lo stava tranquillizzando … 

 

‘Hai ancora tempo … ’ 

 

Detto questo la volpe schiuse gli occhi come a sorridere allo sbigottito demone cane e levando gli occhi all’alba nascente sfumò via come polvere lucente disperdendosi nel cielo indorato. 

 

….................... 

 

 

Atterrò sul tetto dell’antica locanda immergendosi nella quiete del silenzioso rione oramai quasi del tutto disabitato. Poche famiglie vivevano nei dintorni essendo un quartiere antico, più che altro vecchi proprietari di botteghe destinate alla chiusura. Sarti, calzolai cappellai, niente di interessante per la gente moderna, ma se solo avessero saputo tutti quanti della storia e dell’importanza di questo posto avrebbero fatto a gara per … sussultò quando nella mente gli balenò un’idea. 

Stavano sbagliando tutto. 

I demoni non dovevano abbandonarle le città. 

I demoni non dovevano arrendersi così. 

 

I tempi erano cambiati. Potevano coesistere. Sempre celati sempre in incognito ma chi voleva poteva vivere fra gli umani. 

A mantenere la pace ci avrebbero pensato lui ed Inuyasha. 

E così forse Shippo poteva rimanere. E Rin con lui. 

 

 

 

TH 

 

 

Allora lo so che è corto e manco da anni ma stasera mi è saltata la another beginnin mania …. vi giuro ho così tante cose da dire che scoppio ma ci vuole tempo, sono un po' arrugginita e anche se ho ‘na marea di materiale già scritto, ho fatto la cazzata, anni fa, di passare direttamente alla parte succulenta, devo adesso riuscire a far combaciare il prima, l’intermezzo (sto capitolo qui e i prossimi due o tre per intenderci) con ciò che ho già … tanta roba credetemi … 

Praticamente la fine è già scritta e salvata da...(uhm spetta che vardo) … agosto 2015 … minchia, sette anni!!! 

A volte rileggo e tento di riprendere ma se non ho la vena ‘beginniana’ non c’è niente da fare ... uffi. 

Spero ci sia ancora qualcuno … dico davvero. 

 

Ringrazio Lady_94, Seydna, SyrioxTaro e Stardust_777 per le bellissime parole. Leggo spesso le recensioni che ricevo e sono onorata delle belle parole di incoraggiamento che mi rivolgete, siete davvero gentili e non sapete che carica danno!!! 

Perciò grazie, grazie....GRAZIEEEEEEEEEEE!!!! 

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