I tre sogni di Arya

di crazy lion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il dolore di Arya ***
Capitolo 2: *** I miei tesori ***
Capitolo 3: *** Il segreto di Fenlia ***



Capitolo 1
*** Il dolore di Arya ***


I TRE SOGNI DI ARYA

 
 
 
 
IL DOLORE DI ARYA
 
Orik, Arya ed Eragon erano stati convocati da Ajihad. Gli Urgali si avvicinavano e dovevano prepararsi alla guerra. Il comandante dei Varden aveva detto che era necessario sigillare tutti i passaggi e i cancelli che conducevano a Tronjheim, per costringere quei mostri a uscire allo scoperto sulla piana che circondava la città, in modo che ci fosse spazio anche per le truppe. Le donne e i bambini erano stati portati nelle valli circostanti. Quando aveva sentito questo, Arya aveva sospirato di sollievo. Almeno Elva era salva. Dopo aver sigillato i passaggi assieme agli uomini e ai nani che collaborarono con loro, Arya decise di andare a trovare Murtagh in prigione. Vi trovò anche Eragon. Sapeva che gli Urgali erano pericolosi e temeva che facessero del male a Eragon.
"Come state?" chiese quando entrò.
"Teso" disse Eragon.
"Non so cosa Ajihad e Rothgar vogliono fare di me mentre voi combattete, quindi vago nell'incertezza."
Arya sorrise a entrambi. Erano passati solo tre giorni da quando si erano ritrasformati in giovani e non erano rimasti più bambini, ma nella sua testa lo erano ancora, perché per loro era stata come una mamma. Cercò di scacciare quel pensiero dalla mente, ma non ci riuscì. Parlò del più e del meno con Murtagh ed Eragon, mentre il petto le doleva. Si sentiva stupida a pensare solo al dolore che provava nel non averli più accanto a sé come bambini, quando là fuori c'erano uomini pronti a morire per vincere la guerra.
"Sono un'egoista" si disse.
E lei non lo era mai stata, o almeno, nessuno gliel'aveva mai detto.
Murtagh sembrava stare bene lì in prigione, aveva un letto comodo e due pasti al giorno, ma Eragon e Arya, quando uscirono, si lanciarono uno sguardo preoccupato.
"Stai bene? A parte Murtagh, intendo" disse Eragon.
"Sì" mentì Arya.
"Sei sicura? Sei incredibilmente pallida. Hai mangiato?"
"Sì. Sto bene, tranquillo."
Era andata nelle cucine dopo aver lavorato nei tunnel e aveva mangiato un piatto di verdure cotte e pane e bevuto un bicchiere di idromele.
"Devo fare una cosa" disse poi e sparì.
Incontrò Orik e gli chiese se Elva fosse già stata portata via con Greta.
"Chi è Elva?” chiese il nano e la guardò confuso.
"La bambina che Eragon ha benedetto."
"Ah, lei. Sì, è già stata portata via, perché?”
"Niente, niente. Curiosità."
Uscì da Tronjheim creando una bolla d'aria che la portasse alla fine del lago Costamerna, poi si mise in cammino. Trovò le valli con estrema facilità. Varie tende erano state predisposte per le donne e i bambini. Le donne stavano accendendo dei fuochi per scaldare il cibo per loro e i figli.
"Sai dove sono Greta ed Elva?" chiese a una donna. "Vorrei vederle."
"Sono in quella tenda rossa là in fondo."
"Grazie."
L'aveva trovata con più facilità di quanto si sarebbe aspettata. Pensava che avrebbe dovuto vagare nelle valli per ore, se non per giorni, e non poteva permetterselo con la guerra alle porte. Voleva solo sincerarsi che Greta e la bambina stessero bene. Quando arrivò davanti alla loro tenda, Greta la aprì – evidentemente aveva sentito dei passi avvicinarsi – e le sorrise.
"Arya!" esclamò.
"Ciao, Greta. Volevo solo sapere come stavate tu e la bambina."
"Bene, ma entra, vieni."
La tenda era grande, avrebbe potuto contenere cinque o sei persone. In un angolo c'era un secchio.
"Il latte" spiegò Greta. "Così posso nutrirla."
Elva dormicchiava in una culla di vimini.
"Posso prenderla in braccio?"
"Ma certo, come l'altra volta."
Arya si avvicinò e prese la bambina con delicatezza. Elva si svegliò, ma non vagì. La guardò con i suoi occhi luminosi, come se si chiedesse chi lei fosse. Ovviamente non poteva ricordare che Arya l'aveva già tenuta in braccio. Stringerla la aiutò a sentire un po' meno dolore, anche se solo per un attimo.
"Devo darle da mangiare" disse Greta.
L'elfa pensò di dire alla vecchia che l'avrebbe aiutata con la bambina, che le avrebbe dato lei il latte, ma sapeva di dover tornare a Tronjheim.
"D'accordo," disse, passando la piccola a Greta, "l'importante è che stiate bene."
"Sì, stiamo bene, tranquilla" la rassicurò Greta. "Sono stanca, è difficile occuparsi di una bambina alla mia età, ma faccio il possibile e poi anche le altre donne mi aiutano."
"Ne sono felice. Ora devo tornare a Tronjheim."
Le due si salutarono e Greta le disse:
"Abbi cura di te."
Arya sorrise.
"E tu di voi."
Tornò nella città e riprese a lavorare nei tunnel.
Una volta finita la cena, che mangiò nelle cucine, andò in camera sua a prendere una tunica pulita, poi si diresse a fare un bagno. L'acqua le lambì le gambe dopo che si fu spogliata e la giovane – in fondo aveva soltanto cento anni, per gli elfi non era vecchia –, si immerse nella vasca. Si insaponò il corpo e si lavò i capelli con acqua e sapone, creando bolle e schiuma. Stare in acqua la rilassò, ma non voleva addormentarsi com'era successo giorni prima. Così, quando si sentì completamente rilassata, uscì, si asciugò, si strizzò i capelli con un panno, fece una magia per asciugarli e si infilò la tunica pulita, consegnando a un servo di passaggio quella sporca. I vertici dei Varden sapeva che era una principessa, ma il resto dei Varden non ne era al corrente. Nemmeno Eragon lo sapeva.
Una volta in camera, una stanza molto grande e spaziosa, si buttò sul letto senza mettersi sotto le coperte. Pregò qualcuno più in alto di lei che le facesse sognare Eragon e Murtagh da bambini, perché le mancavano. Lo disse ad alta voce, che però fu sul punto di spezzarsi quando pronunciò i nomi dei due. Sul comodino aveva una caraffa piena d'acqua. Bevve con avidità. Il liquido era fresco e la aiutò a far sparire il dolore della sua gola riarsa. Batté le mani sulla caraffa ma con delicatezza, per non romperla, e si sciacquò il viso. Dall'altra parte della camera, appeso a una parete, c'era un piccolo specchio. Guardò la sua immagine riflessa. Era pallida, aveva le occhiaie e l'aria di chi non dorme da giorni. In effetti non aveva più riposato bene da quando Eragon e Murtagh si erano trasformati ed erano tornati come prima. Scoppiò in singhiozzi e fu così che si addormentò.
A un certo punto si svegliò di soprassalto. Le pareva di aver sentito un rumore. Davanti al letto c'era una donna magra e slanciata, con i capelli e gli occhi nerissimi. Arya poteva vederla bene perché aveva lasciato accesa una candela sul comodino. La donna indossava una leggera sottoveste, che pareva quasi impalpabile.
"Chi sei?" domandò Arya e si alzò per fronteggiare l'intrusa. "Come hai fatto a entrare? La porta è chiusa a chiave."
Si chiudeva sempre dentro. Non sapeva perché lo facesse, era una cosa che si portava dietro da quando era un'adolescente. I contrasti con la madre, la regina Islanzadi, l'avevano spesso portata a chiudersi in camera propria. Ma come tutti gli adolescenti, anche lei era cresciuta. Non vedeva sua madre da tempo. Le mancava moltissimo e sperava di rivederla presto, quando sarebbe andata a Ellesmera con Eragon.
"Sono Savrielle, lo spirito del lago Costamerna" disse la donna.
Aveva la voce più dolce che Arya avesse mai sentito.
"Sono entrata qui senza aprire nemmeno una porta perché so rendermi invisibile e passare attraverso porte e finestre in quella forma. Pochi Varden sanno che esisto e a essi ho detto di non rivelare la mia presenza nel lago, o chissà cosa ne penserebbero Ajihad, Rothgar e gli altri Varden."
"Perché sei venuta proprio da me?"
"Perché a me importa di te, così come mi importa di tutte le altre persone che ho aiutato. Ti ho sentita piangere e ho percepito il tuo dolore. Ho capito che c'era qualcosa che non andava. E sì, avrei potuto fregarmene e non aiutarti, avrei potuto rimanermene in acqua e non pensare a quell'elfa che piangeva inconsolabile, ma non l'ho fatto perché voglio aiutarti. Dimmi solo come posso farlo."
"Vorrei…" Arya si schiarì la voce, prima di scoppiare di nuovo in singhiozzi. Da giorni avrebbe voluto che qualcuno le dicesse quelle parole. "Vorrei sognare Eragon e Murtagh da bambini. Mi mancano moltissimo."
Le raccontò della loro trasformazione, di come si era presa cura di loro con amore e di quello che aveva provato quando si erano ritrasformati.
"Ti prometto che li sognerai" disse. "Farai tre sogni. Il primo stanotte e sarà un incubo molto breve, gli altri non so dirtelo, ma li rivedrai bambini, te lo prometto. E alla fine sarai felice. Ah, tra il primo sogno e il secondo passerà qualche giorno, ma farai il terzo la notte seguente."
"Puoi davvero fare questo per me?"
"Certo! Con la mia magia."
Arya spalancò gli occhi.
"Ti ringrazio!" esclamò, colma di gratitudine.
Si avvicinò alla donna e le strinse forte le mani. Erano gelate e bagnate, e dai suoi capelli scendevano gocce d'acqua che si depositavano sul pavimento.
"Lo farò volentieri. Ora devo andare."
E senza un saluto sparì.
Arya si chiese se quella che aveva appena avuto era una visione o la verità, ma dalla piccola pozzanghera sul pavimento di pietra si disse che doveva essere stato tutto vero. Aveva i piedi ghiacciati a furia di rimanere in piedi su quel pavimento. Asciugò l'acqua con un panno e poi tornò a letto. Si era già infilata la camicia da notte, ma si mise anche un paio di calze, sperando che i suoi poveri piedi si scongelassero.
 
 
Eragon e Murtagh erano con lei, dall'altra parte del lago. Il più piccolo camminava traballando sul suolo ghiaioso, mentre il maggiore gettava sassolini nell'acqua.
"Vuoi giocare con me, Arya?" le chiese.
"Sì, ma cambiamo gioco, questo lo fai da un po'."
"Va bene."
Arya fece comparire dei pezzi di legno di diversi colori. Notò che Eragon, che si era seduto per terra come loro, nonostante la sua età possedeva la qualità di riuscire a far combaciare i colori. Accostava il pezzo verde a un altro verde e così via. Poi Murtagh costruì una torre, che Eragon buttò giù. Il più grande, che aveva solo tre anni e mezzo, la stessa età di quando si erano trasformati, si mise a piangere.
"Non fare così, tesoro. È piccolo, lui, non capisce che non si devono distruggere le cose degli altri. Ora ne facciamo un'altra, va bene?"
Il bambino annuì.
Ma in quel momento comparvero dieci Urgali. Da dove erano spuntati? Arya andò in panico. Orik non c'era, così come gli altri nani. Con la sua spada, che portava al fianco, si lanciò contro uno di loro, ma stare dietro a tutti era impossibile. Un altro aveva afferrato Murtagh per l'orecchio e l'aveva sollevato, causando al bambino un gemito di dolore. Un altro aveva preso Eragon. Arya corse dietro ai due Urgali. Era molto più veloce di un essere umano e ne colpì uno con la spada, tranciandogli il braccio di netto che cadde a terra. La vista del sangue non la inorridiva più da anni, ormai. Ma l’Urgali, che aveva Eragon in braccio, nonostante l’agghiacciante urlo di dolore continuò la sua corsa. Lui e i suoi compagni sparirono nella boscaglia e lei non li vide più. Le avevano portato via i suoi bambini e, nel sogno, si mise a urlare finché non ebbe più voce. Chiamò Orik, Nasuada, Rothgar, Ajihad… ma nessuno rispose.
 
 
 
NOTA:
nel Medioevo cominciano a esserci i primi specchi, di piccole dimensioni, fatti di vetro e metallo.

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Capitolo 2
*** I miei tesori ***


I MIEI TESORI
 
Arya si svegliò nel letto dove aveva dormito con Eragon e Murtagh nel mese in cui erano stati piccoli, nella caverna di Saphira. Sentì un pianto, e poi una voce dolce dire:
“Hai già imparato a piangere, eh? Ma ciao! Ecco, qui c'è la tua mamma.”
Dalla lanterna schermata della caverna, che proiettava una fievole luce, Arya riconobbe Margaret, una donna che aveva un bambino di pochi mesi.
“Che è successo?” chiese.
Era ovvio che si trattasse di un sogno.
“Eragon è un neonato” rispose Margaret con un sorriso e glielo mise subito fra le braccia. “L’ho trovato vicino a te sul letto mentre piangeva.”
A Margaret quella trasformazione sembrava una cosa normale, così come a Orik che arrivò poco dopo. La guerra era finita, si disse Arya pensando alla realtà. Eragon aveva ucciso Durza, e per questo molti lo chiamavano Ammazzaspettri, colpendolo al cuore, e quando era successo i clan degli Urgali si erano messi a combattere l'uno contro l'altro. Molti erano stati uccisi, altri erano fuggiti nei tunnel e i nani e gli umani li stavano stanando. Murtagh era morto. Ma nel sogno tutto era diverso. Non si aspettava che Eragon fosse così piccolo. E cosa più importante, Murtagh era lì e dormiva!
“L'ho appena allattato” disse Margaret. Era una donna giovane, avrà avuto vent'anni, quasi una ragazzina, e aveva i capelli biondi e gli occhi color miele. “Ritornerò ogni due ore. La notte resterò qui. Per fortuna il mio bambino dorme senza mai svegliarsi. Ricordati di tenergli sollevato il collo.”
Arya lo fece. Non aveva mai avuto a che fare con un neonato. Era così minuscolo. Aveva un ciuffo di capelli neri sulla testa e gli occhi del colore indefinibile dei neonati appena nati. Sentì un bozzo duro e poi ricordò che Durza l’aveva colpito e che ora Eragon aveva una cicatrice che andava dalla spalla destra al fianco sinistro. Nessuno era riuscito a guarirla.
“Wayse heill!” esclamò lei, facendo un tentativo, ma non accadde nulla.
Quando Margaret se ne andò, Orik si avvicinò al letto.
“Stai bene?” le chiese.
“Sì, solo che sono stata catapultata in questo sogno e non mi aspettavo tutto ciò.”
“Arya, perché Eragon piange così?”
Murtagh, accanto a lei, si era svegliato, e quando sentì la sua voce, il bambino più piccolo smise di lamentarsi.
“Perché è un neonato” gli spiegò Orik, “e i neonati piangono spesso, mentre tu, in questo sogno, sei rimasto della stessa età, mi sembra. Quanti anni hai?”
“Tre e mezzo.”
“Appunto. Ti va di giocare?”
“Sì, a re e cavaliere. Tu sei il re.”
“D'accordo. Come tuo re, ti comando di correre fino alla fine della caverna in trenta secondi. Io inizio a contare.”
Murtagh non riuscì a farcela in così poco tempo, quindi Orik alzò a due minuti.
Intanto Arya si era alzata dal letto. Teneva Eragon nell'incavo del braccio e lo cullava. Margaret aveva detto “qui c'è la tua mamma”, come se sapesse che, anche se non era stata lei a partorirlo, gli voleva bene come una madre. Lo cambiò e poi il piccolo si addormentò, così lei andò a giocare con Orik e Murtagh.
“Come tuo re, Arya, ti ordino di saltare per dieci minuti senza mai fermarti.”
“Non ce la fa mai” disse Murtagh.
“Si dice farà, lo corresse Orik. E staremo a vedere.”
Mentre lei saltava e il bambino più grande giocava con i cubi di legno, Orik si avvicinò al letto.
“Non è stupefacente?” chiese Arya che, anche se saltava da qualche minuto, non appariva affatto stanca.
“Sì, è un bambino bellissimo” disse Orik a voce bassa. “Ma sei sicura di riuscire a occupartene? È davvero molto piccolo.”
“Ci proverò al massimo delle mie forze” disse Arya.
Dopo dieci minuti di salti non aveva perso il fiato.
“Dimenticavo che voi elfi siete più forti di qualsiasi umano o nano” disse Orik.
Arya si mise a giocare con Murtagh a costruire torri e piccoli castelli con i cubi di legno.
“E chi abita in questo castello?” gli chiese.
“Un re e una regina” rispose subito Murtagh. “Con una principessa.”
“La loro figlia?”
“Sì.”
“E quanto ha?”
“La mia età e si chiama Aurora.”
In quel momento Saphira atterrò.
Sono stata a caccia disse, leccandosi la bocca su cui c'era un rivolo di sangue. Si avvicinò a Eragon.
Si sono ritrasformati?
“Sì” rispose Arya.
Saphira annusò una mano di Eragon e la sua tunica, che gli arrivava alle ginocchia.
È ancora più piccolo! Ho paura di romperlo.
Arya rise.
“Anch'io.”
Orik dovette andare per tornare al suo clan.
Quel pomeriggio, creando una bolla d'aria come aveva già fatto, Arya portò i bambini dall'altra parte del lago. Ma scoprì che faceva freddo.
“Che mese è?” chiese quando rientrò, non volendo che i bimbi si ammalassero, soprattutto Eragon che era delicato.
“Novembre” le rispose Orik.
“Per questo faceva così freddo.”
Il nano si trovò a fissare due occhi luminosi, come se Eragon si domandasse chi lui fosse. Arya lo cambiò di nuovo. Lo faceva a ogni poppata, ma anche prima se sentiva che era bagnato o sporco. Quando si addormentò gli adulti giocarono con Murtagh a fargli il solletico e a rincorrerlo per la caverna. Il bambino si divertì moltissimo e, alla fine della cena e dopo che la balia ebbe allattato Eragon, si addormentò.
Orik aiutò Arya a preparare il necessario per il bambino: fasce pulite, un vestitino per cambiarlo nel caso ce ne fosse stato bisogno, e lei creò con la magia una culla di vimini nella quale metterlo e una copertina azzurra di lana per avvolgerlo.
“Però, ci sai proprio fare con queste cose, sai?” gli disse, prendendolo garbatamente in giro.
“Mi sono occupato di un bambino umano dei Varden, un figlio di una coppia che si era ammalata. Era più grande di Eragon, aveva un anno. E, comunque, mi è sempre piaciuto badare ai bambini piccoli.”
Si sorrisero.
“Ora devo andare, ci vediamo domani” disse Orik.
“D'accordo, buonanotte.”
“Notte.”
Arya avrebbe voluto rimanere sveglia tutta la notte con il bambino in braccio, ma alla fine crollava dal sonno e la balia le consigliò di mettere il bambino nella culla di vimini. Arya lo fece e lo coprì. Il bambino si lamentò appena, ma non si svegliò. Rimase un po' a guardare i suoi bambini dormire, mentre i loro petti si alzavano e si abbassavano.
Murtagh ebbe qualche incubo riguardante il padre, ma Arya riuscì a calmarlo con facilità, dato che il bambino era stanco e si addormentava presto. Ma Arya si alzava spesso per controllare che i piccoli stessero bene. Anche quando la balia nutriva Eragon, Arya si svegliava e rimaneva così fino a quando il bambino riprendeva sonno. Ci teneva. Nel frattempo le due parlavano dei rispettivi bambini.
“Il mio piccolo si chiama Casgar, ed è l'amore della mia vita. Io e mio marito l'abbiamo avuto anche se siamo giovani, e per fortuna i nostri genitori non si sono arrabbiati.”
In effetti era normale che le donne avessero figli in giovane età, anche di più rispetto a Margaret.
“E com'è?”
“Assomiglia a me, ma ha i capelli rossi come il padre.”
Ad Arya non piaceva il nome che gli avevano dato, ma non lo disse.
Il giorno dopo, Eragon si svegliò prestissimo. Saphira si alzò dal suo cuscino e si avvicinò a lui, facendo un basso borbottio. Il bambino si calmò, ma la balia lo nutrì.
“Vado un po' a dormire, ma tornerò presto” disse.
Era stanchissima, lo si vedeva dalle sue occhiaie.
“Grazie” le disse Arya.
“Figurati, sono felice di aiutarti.”
L’elfa prese in braccio Murtagh.
“Come stai?”
“Bene, ma ero più felice quando Eragon era un po' più grande, perché avrei potuto giocare con lui.”
“Forse nel prossimo sogno lo sarà.”
“Farai altri sogni?”
“Sì.”
“Come lo sai?”
“Segreto” gli sussurrò all'orecchio. “Non posso proprio dirtelo.”
“Va bene.”
Poco dopo arrivò un nano a portare la colazione. Arya e Murtagh mangiarono. Giunse Orik con una tela e dei colori a olio.
“Che cosa vuoi fare?”
“Ritrarre questi meravigliosi bambini.”
Arya ne fu sorpresa. Non credeva, chissà perché poi, che Orik sapesse dipingere. Mentre lei giocava con Murtagh o coccolava Eragon, lui li dipingeva. Alla fine Arya fece asciugare la tela con la magia e i due bambini le parvero dipinti alla perfezione.
“Sei stato bravissimo” gli disse. “Sembrano vivi sulla tela.”
“Grazie. Puoi tenerla, se vuoi.”
“Volentieri, grazie.”
Intanto Saphira si era sdraiata vicino a Eragon, che si trovava nella culla di vimini, e l'aveva coperto con un'ala. Ma il bambino si mise a piangere.
“Forse è troppo grande e lo soffoca, ma non è colpa tua” le disse Arya per tranquillizzarla.
Lo cambiò e dovette farlo anche con la tunica, perché si era sporcata. Fece sparire le fasce sporche e diede la tunica a Orik perché la portasse a lavare. Quando questi tornò,, chiese di poter prendere fra le braccia Eragon, visto che non l’aveva mai fatto. Se lo strinse al cuore e lo baciò su una guancia.
“È bellissimo!”
Era come in trance, continuava a rimirarlo senza mai staccargli gli occhi di dosso.
“Già.”
Quando il nano se ne andò, Arya tenne a lungo Eragon e Murtagh in braccio, rimirandoli con gli occhi che le brillavano per la gioia e la commozione. Quelli che considerava suoi figli erano lì con lei ed erano la cosa più bella e preziosa che le avesse dato la vita.
“Siete i miei tesori, vi voglio bene” mormorò, prima di dare a entrambi un bacio sulla testa.
Fu così che i tre si addormentarono, seduti. Quando si svegliò, Arya si ritrovò in un altro sogno.
 
 
 
NOEA:
1. so che Eragon compie gli anni in primavera, ma dato che in sogni successivi avevo bisogno che li compisse a novembre, ho deciso di scrivere così anche in questa fanfiction, dove all’inizio è proprio un bambino appena nato.
2. Wayse heill = guarisci

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Capitolo 3
*** Il segreto di Fenlia ***


IL SEGRETO DI FENLIA
 
Arya si svegliò e la prima cosa che notò fu un tetto di un azzurro limpidissimo. Ah no, si sbagliava, era il cielo. Si mise a sedere. La sua mente era confusa, ma poi ricordò ogni cosa.
“Sono nel bosco con Orik e i bambini” disse.
Ci erano arrivati a dorso di drago, dopo pochi giorni di viaggio, e avevano trovato una casa abbandonata che avevano ripulito e sistemato. Ora era un'abitazione degna di questo nome, non più sporca e piena di ragnatele. Arya aveva detto a Orik che preferiva dormire sotto le stelle, anche se era febbraio, e così si era avvolta nelle coperte e addormentata. Entrò in casa e trovò Murtagh ed Eragon seduti per terra a giocare con delle ciotole di legno. Il più grande aveva quattro anni.
“Buongiorno” disse Orik.
“Buongiorno” rispose Arya.
Dopo i saluti, l'elfa vide che il nano stava preparando la colazione.
“Mangi la pappa d'avena, o vuoi le verdure anche a colazione?”
Arya rise.
“La pappa d'avena va benissimo, grazie.”
L’elfa era affascinata. Eragon, che ora aveva quindici mesi, metteva una ciotola più grande dentro una più piccola.
“Come fa a non capire che non ci entrerà mai?” si chiese l'elfa.
Lo aiutò, dicendogli che quella più piccola andava in quella più grande.
Lui le sorrise quando gli ridiede le ciotole.
“Mamma” disse.
Arya lasciava che la chiamasse così. Quand'erano in viaggio Murtagh le aveva chiesto perché, e lei gli aveva risposto che Eragon era troppo piccolo per pronunciare il nome “Arya” e per comprendere che lei non era sua mamma.
Dopo la colazione uscirono tutti e arrivò anche Saphira, che era andata a caccia.
Ho sentito la presenza di un altro drago. Venite con me. Non credo sia pericoloso.
“Come fai a saperlo? E in che modo l'hai percepita?” domandò Orik.
Lui mi ha sfiorato la mente e ha lasciato che io lo facessi con la sua.
“Arya, voglio giocare con i soldatini!” si lamentò Murtagh.
“Dopo ci giochiamo, te lo prometto.”
Tutti seguivano Saphira, che camminava davanti a loro, e per starle dietro dovevano quasi correre.
Lo sento, è vicino.
“Maschio o femmina?” chiese Murtagh.
Femmina.
Eragon, stanco di correre vista la sua età, chiese di essere preso in braccio alzando le piccole braccia e Arya esaudì il suo desiderio.
Faceva freddo, quella mattina di febbraio, ma tutti erano ben coperti. Giunsero vicino a una caverna.
Possiamo entrare? chiese Saphira alla dragonessa.
rispose questa.
Tutti entrarono, un po' spaventati. Non sapevano cosa aspettarsi. Trovarono una dragonessa dalle scaglie rosa.
“Mai visto un drago del genere” disse Arya.
Sono unica nella mia specie, a parte il mio compagno, che però mi ha lasciata dopo l'accoppiamento. Succede sempre così, fra i draghi.
Era seduta su un giaciglio di paglia e da lì non si muoveva.
“Come ti chiami?” le chiese Orik.
Fenlia.
“Bel nome” osservò Arya.
Grazie. Avvicinatevi, accarezzatemi pure. Siete i primi umani che vedo. Nessuno viene in questo bosco.
“Perché?” chiese Orik.
Una volta mi sono resa invisibile e sono andata nel villaggio degli umani qui vicino. Dicevano che ero la protagonista di alcuni libri di favole, e che alcune storie non finivano bene perché ero cattiva. Così, per non incontrarmi, nessuno entra qui.
Io non riesco a rendermi invisibile, hai un potere che non ho. Sono Saphira, comunque.
Piacere, Saphira. Hai un bel nome.
Grazie.
“Non ti senti sola?” chiese Arya.
No. Mangio carne ma solo di grandi animali, quindi ho fatto amicizia con gli uccelli, i topolini, gli scoiattoli, nonostante la mia mole.
Era grande quasi quanto Saphira.
Arya la accarezzò.
“Hai le scaglie morbide!” esclamò. “Sembrano piume.”
Sì.
Saphira le si avvicinò e la annusò.
Hai un buon odore, sai di fiori.
Fenlia sembrò sorridere.
“Possiamo farti toccare dai bambini?” le chiese Orik, poi gli adulti si presentarono.
Sì, sono buona, non farò loro del male.
Arya mise Eragon a terra e il bambino accarezzò Fenlia.
“Mmm” disse, affondando le mani nelle scaglie morbide della dragonessa, che sotto il suo tocco si piegarono, ma a lei non fece male.
“Io sono Murtagh e lui è Eragon” disse il bambino mentre la toccava.
Sono bei nomi.
“Possiamo giocare con te?” le chiese il più grande.
Sì, tanto le mie uova possono restare un po' senza di me, non devo sempre tenerle al caldo.
Quando si alzò, tutti videro quattro uova.
“Ma com'è possibile?” chiese Arya. “Galbatorix ha ancora due uova, non esistono altri draghi oltre a Saphira.”
Ma qui siamo fuori dall'Impero le fece notare Fenlia.
“Hai ragione, solo che non pensavo che esistessero draghi fuori.”
Invece sì, e le mie uova si schiuderanno presto.
Arya sorrise e le accarezzò.
Anche i bambini e Orik fecero lo stesso.
Fate bene a toccarle, disse Fenlia, perché sentono le vostre carezze e a loro piace.
Uscirono dalla caverna e le due dragonesse si misero a correre, mentre i bambini le inseguivano e ridevano. Fenlia si lasciò prendere da Eragon, andava, come Saphira, lenta, apposta perché i bambini potessero acchiapparle. Poi Murtagh prese Saphira.
“Possiamo volare con te, Fenlia?” chiese.
Certo!
Orik si avvicinò ai bambini e anche Arya. Ridevano entrambi per essere riusciti a prendere le dragonesse.
“Da soli?” chiese l'elfa. “Non mi fido. Monterò anch'io. Scusa, Fenlia, ma loro non hanno mai volato da soli.”
Non ti preoccupare, va bene così. Non devi scusarti di nulla.
Fenlia si abbassò per permettere loro di salire in groppa. Arya prese in braccio Eragon e Orik aiutò Murtagh, poi, con un solo battito d'ali, Fenlia si alzò in volo, seguita da Saphira.
“Bellissimo!” Murtagh urlò quella parola e allungò l'ultima vocale per dare più enfasi al concetto. Ora Orik e il bosco erano solo dei puntini indistinguibili.
Avete nausea? Vi viene da vomitare?
“No, siamo abituati a volare, avendo Saphira” disse Arya, poi chiese a Murtagh se avesse quei sintomi, per sicurezza.
“No” rispose il bambino.
Passarono gran parte della mattina e, dopo pranzo, del pomeriggio, a volare, e i bambini rincorsero ancora le due dragonesse, oppure furono loro a inseguirli e prenderli. I piccoli si divertirono come matti, ma poi Fenlia tornò nella sua grotta e si sedette sopra le uova per covarle.
Guardate cos'ho dietro di me.
Tutti la aggirarono e videro una montagna di monete d'oro. Non avevano mai veduto tanto denaro.
Questo è il mio tesoro. Le ho trovate in giro, negli anni, nel villaggio degli umani, e le ho raccolte e collezionate, anche se non erano mie. Ma non le ho rubate, perché qualcuno le aveva perse. Potete prenderne alcune, se vi servono per il viaggio, se dovete farne uno.
Arya la ringraziò e ne prese diverse manciate, così come Orik, che misero in una bisaccia.
Poi si sentì un piccolo crack.
Le mie uova cominciano a schiudersi! Sto per avere dei figli.
Fenlia era emozionatissima.
“Andiamo, bambini, lasciamola sola” disse Orik.
No, restate.
Fu così che spuntò una piccola testa rosa e poi il primo draghetto venne fuori. Eragon fece un versetto di sorpresa quando accadde e la madre prese subito a leccarlo per togliergli la membrana che lo ricopriva. Fece lo stesso con gli altri, quando nacquero.
Sono ancora troppo piccoli per capirne il sesso. Se volete potete toccarli.
“Non prenderanno il nostro odore?” chiese Arya. “Ci sono animali che abbandonano i cuccioli, se sentono l'odore degli umani, come i gatti, per esempio.”
Per i draghi non è così disse Saphira.
Infatti, Saph ha ragione. Non abbandonerei mai i miei cuccioli.
Come mi hai chiamata?
Saph. Un diminutivo per far capire che ti conosco, che stiamo diventando amiche.
Carino commentò Saphira, anche se disse ad Arya, e solo a lei, che quel nomignolo non le piaceva poi tanto. Non apprezzava i diminutivi e, fino ad allora, nessuno gliene aveva dato uno. In più, continuò, considerava Fenlia una conoscente, non un’amica.
Devi pensare che lei non ha nessun amico drago, per questo ti ha detto così le spiegò l’elfa.
I bambini toccarono i cuccioli, con le scaglie rosa come la madre e grandi come l'avambraccio di Murtagh. Una volta, quando era grande, Eragon aveva detto ad Arya che, da appena nata, Saphira era lunga quanto il suo avambraccio. I piccoli di Fenlia, invece, erano ancora più piccini.
Cresceranno rapidamente disse la dragonessa, che dissipò i dubbi di Arya circa la loro crescita. Ora, però, sono stanca. Devo allattare i miei piccoli e dormire un po'. Non dite a nessuno che mi avete vista.
“Lo promettiamo” dissero insieme Arya, Murtagh e Orik.
“Grazie per questa bella giornata” disse l'elfa.
Figurati. E venite a trovarmi quando volete.
Tutti uscirono con il cuore pieno di gioia. Esisteva un drago fuori dall'Impero, anzi, ora erano cinque. Era stupefacente. E poi avevano assistito alla schiusa di quelle uova ed era stato bellissimo.
“Orik, posso fare il bagno nel lago?” chiese Murtagh.
“Adesso no, è sera. Domani.”
Arya decise di dormire assieme a Orik e ai bambini, in un comodo letto dalle coperte profumate. Si sdraiò, con Murtagh ed Eragon uno a destra e l'altro a sinistra, mentre Orik andò in un'altra camera. La casa era piccola. Aveva un minuscolo salottino, una cucina, una latrina e due camere.
Dormirono tutti un sonno ristoratore.
Il giorno dopo Arya fece indossare a Murtagh una corta tunica e il bambino andò nel lago a nuotare, sempre sotto la supervisione degli adulti. Aveva imparato a farlo al mare.
“Non allontanarti troppo” lo ammonì Orik.
L'acqua del lago poteva diventare profonda in pochi secondi. Ma il bambino nuotò solo vicino alla riva, perché aveva paura di andare oltre.
Quando fu asciutto, tutti andarono a trovare Fenlia, che stava allattando i cuccioli. La dragonessa fu felice di vederli. Ma i quattro ripartirono presto per tornare dai Varden. Poi, mentre erano in volo, divenne tutto nero e Arya si svegliò.
A parte il primo sogno, gli altri due erano stati meravigliosi e non li avrebbe più dimenticati. Sorrise nel ripensare a Eragon e Murtagh da bambini. Li adorava.
Trovò Eragon, ovviamente cresciuto, nelle cucine, mentre facevano colazione. Lei si riempì un piatto di verdure, si sedette accanto a lui dopo aver chiesto il permesso e iniziò a mangiare.
“Ho fatto dei sogni, in questi giorni” disse.
E li raccontò.
“Devono essere stati proprio belli” asserì Eragon.
Il tono della usa voce era triste.
“Sì. Eragon, mi dispiace che Murtagh sia morto, davvero.”
Si presero la mano.
“Anche a me, non sai quanto. Era come un fratello.”
Rimasero così a lungo. Per consolarsi, Arya pensò ai momenti he aveva passato con i piccoli, ma questo non la aiutò. Presto ci sarebbe stato il funerale di Ajihad, al quale sarebbe succeduta sua figlia, Nasuada. Dovevano prepararsi per quell'evento. Mettendo da parte i sorrisi e la felicità, Arya si concentrò solo sul dolore che in quei giorni provavano i Varden. Non era giusto che lei fosse stata tanto felice, mentre gli altri soffrivano.
Si alzò e si ritirò nelle sue stanze, fino a quando qualcuno l'avrebbe chiamata per il funerale. Si buttò sul letto e scoppiò a piangere.
 
 
NOTA AUTRICE.
Ed eccoci arrivati alla fine di questa breve raccolta. Ho voluto terminarla con un finale dolce-amaro, perché non si pareva giusto farlo felice quando erano morte così tante persone. Spero che la cosa non vi dispiaccia.

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