The Beauty; the Beast - La tregua col Dio della Luna

di Marauder Juggernaut
(/viewuser.php?uid=904883)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: La città delle luci ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Bugie per un alleato ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Amara verità ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: La città delle luci ***


Confessionale:
Dovrei, tipo, smetterla di farmi venire in mente nuove idee e non completare quelle vecchie, ma da un mesetto mi sono rimess3 in pari con One Piece, le idee sono balenate in testa e che fai non le metti per iscritto? Inoltre, l'input è stato dato da una recensione che chiedeva il finale di un'altra fic che, dopo aver letto quella recensione, potrebbe trovare conclusione entro la fine del mese di luglio, dopo gli esami, insieme a un paio di altre.
In ogni caso, date il benvenuto alla nuova ship che non si calcolerà nessuno, perché da quando è comparso lui (insomma, penso che dal titolo si sia capito di chi parli), Ichiji può essere congedato. 
Buona lettura.




The Beauty; The Beast - La tregua col dio della luna


Capitolo Uno: la città delle luci



«Secondo voi … che tipo è la donna che Katakuri-sama smania di vedere, tanto che ogni volta che passiamo vicino a Kanrakugai facciamo tappa?».
«Ssshhh! Perché parli così ad alta voce? Vuoi che ci senta?».
«Tanto non serve a nulla tenere il segreto se riesce a prevedere i tuoi discorsi … e poi non ne sto parlando male, sono solo curioso! Voglio dire, si ferma sempre qualche giorno nella casa di piacere più famosa dell’Isola e ne esce solo al momento di salpare, dopo che ha dato a tutti dei soldi per intrattenersi nei bordelli dell’isola».
«Eheh … Katakuri-sama è sempre così generoso con noi quando siamo a Kanrakugai, non vedo l’ora di…»
«Ehi! Rispondi alla mia domanda prima di pensare con l’uccello…».
«Cosa vuoi che ti dica! Katakuri-sama non vuole nemmeno che ci avviciniamo a Casa Romance quando entra lui, figurati se riesco a capire che tipo di donna incontra … sicuramente una della sua taglia».
«Oppure una donna comune e non ci fa nulla: ci gioca a Shogi e beve sake, sarebbe molto nel suo stile … in fondo, si sa che a Kanrakugai ci sono le prostitute più affascinanti di tutto il Nuovo Mondo».
«Sicuramente una donna bellissima, degna di Katakuri-sama».
«Basta non farlo sapere a Flambé!».
 
Katakuri si trattiene dallo sbuffare: non gli dà fastidio che il suo equipaggio parli di lui, soprattutto perché i termini con cui ne parla sono sempre ossequiosi, colmi di rispetto e ammirazione. Eppure, la parte più infantile di lui vorrebbe esplodere a ridere perché delle congetture che è riuscito a sentire, quasi tutte sono vere.
È vero, la persona che spera di incontrare è degna di Katakuri. Col tempo, il Ministro della farina si è reso conto di non essere disposto a concedere la propria presenza a gente che non lo merita. Già cinque minuti sono sufficienti, figurarsi spendere notti intere.
È vero, è bellissima. Katakuri ha visto quasi l’intero oceano e poche volte ha posato lo sguardo su creature più ammalianti.
È vero, non ci fa nulla. Il tempo della passione impetuosa e incontenibile è sfiorito per entrambi. Ogni tanto, uno dei due ci prova a rinvigorire la fiamma, ma non sempre è un successo e col passare del tempo si sentono sempre più ridicoli.
È vero, è della sua taglia. A essere onesti, svariate decine di centimetri di più (e qualche milione di Berry in più, ma è un’altra questione) e questo è un particolare che ha sempre infastidito Katakuri, ma ha imparato a non darci peso per il quieto vivere.
È falso, invece, che si tratti di una donna, ma questo è un dettaglio che non condividerà mai con nessuno.
 
 
 
 
Kanrakugai si intravede in lontananza ed è bella come una manciata di rubini posati sul velluto. Il sole è appena tramontato e il cielo è cobalto, si possono distinguere ancora le forme dell’isola e della città, ma le luci rosse sono già accese. L’acqua delle Tre Cascate che scendono dal plateau è di un intenso color carminio, il riflesso sulla pietra è amaranto, migliaia di fiaccole colorano ogni edificio e ogni strada dello stesso tono dei petali dell’ibisco.
L’odore inebriante degli aromi speziati e dolci coglie già dal porto: Kanrakugai è un’esperienza sensuale sotto ogni aspetto. Un luogo afrodisiaco nella propria stessa essenza.
L’elevato numero di bordelli, terme, alberghi a ore, case di massaggi lo rendono una tappa obbligatoria per quelli che vogliono perdersi per qualche tempo nelle maglie del piacere carnale.
Volente o nolente, Katakuri è legato a questo posto da più anni di quanti preferisce contarne. Ha ancora sfocati ricordi del se stesso adolescente che provava a sfogare voglie recondite e anelava a certi svaghi da adulti, come ha ricordi delle risate divertite del fratello maggiore che una volta l’aveva sorpreso uscire da una casa di piacere quando tentava di mandare in porto le prime esperienze.
Si dà dell’idiota da solo per queste reminiscenze malinconiche non richieste e si concentra su quello che deve fare, che non è facile, che non è voluto, ma è necessario.
È difficile lasciare andare un legame che va avanti da decenni e le vecchie abitudini sono dure a morire, ma bisogna fare il primo passo, altrimenti quel circolo vizioso da cui si vuole fuggire risulta sempre alimentato dalle proprie masochistiche azioni.
I suoi speroni tintinnano quando scende dalla nave sulla banchina del molo e il profumo lo invade e lo circonda come un abbraccio. Si gode un profondo respiro, nascosto dietro la sciarpa e si incammina verso la propria meta. Tra tutti i bordelli dell’isola del piacere, uno si fa notare per importanza ed è visibile già dal porto: sullo sperone di roccia che fende la cascata centrale, Casa Romance è un diamante in mezzo agli zirconi. Katakuri lo guarda assorto nei propri pensieri, perché lui ha un piano, ma è tutto una variabile: è deciso a tagliare i ponti, ma non può farlo se l’oggetto delle sue attenzioni non è sull’isola. Se non c’è dovrà aspettare e la sua presenza è un terno alla lotteria, perché loro non possono comunicare a lungo, ma soprattutto non sempre si danno retta a vicenda.
Ma questa notte Katakuri ha un forte presentimento che anche la persona che sta cercando si presenterà davvero a Kanrakugai e arriverà nella stanza numero 12 di Casa Romance, dove da anni si incontrano, lontano da occhi indiscreti.
Il pirata si avvia con passo flemmatico senza guardare nessuno in faccia, anche perché tutti distolgono lo sguardo non appena lo riconoscono. Non c’è bisogno che dia indicazioni alla propria ciurma su cosa fare: ha già riempito le loro tasche di oro e li ha condotti nella capitale dei vizi lussuriosi, sanno perfettamente i loro compiti, cioè godere e dimenticare che il loro Comandante si è appartato in un bordello e non ne uscirà per un po’ di tempo.
 
 
 
Katakuri ha il fiato grosso e la testa leggera quando esce dalla porta del Crimson Lip, accompagnato dall’eco di alcune risate civettuole e dallo schiocco di alcuni baci. Riesce a sentirlo ancora, il calore di quelle labbra sul proprio petto, sulle guance e su altre parti del corpo che a solo ripensarci rischiano di scaldarsi di nuovo. Infatti, non ci vuole pensare perché tutto quello che è successo nelle ultime due ore lo ha lasciato con una sensazione nello stomaco che non è piacevole come tutti gliel’hanno descritta.
È uscito immediatamente perché vuole prendere una boccata d’aria fresca, ma invano perché l’aria esterna è soffocante e speziata come quella del lupanare da cui se n’è appena andato.
Si copre di più con la sciarpa, inspira profondamente nella stoffa per stemperare quel profumo troppo intenso, ma è tutto inutile: anche quell’indumento ne è impregnato. Ha un disperato bisogno di una doccia e non ha la minima intenzione di farla in qualcuna delle terme dell’isola. Rivuole la propria cabina sulla nave, la propria pace e un letto non occupato da altre persone.
Non recrimina nulla alla prostituta con cui è stato. Lei è stata seria e professionale quanto lo richiedeva il suo ruolo. Non ha riso di lui quando le ha chiesto se poteva tenere la sciarpa per tutto il tempo, né della sua inesperienza quando le attenzioni ricevute non hanno sortito l’effetto sperato e di questo gliene è stato silenziosamente grato.
Ma c’è qualcosa nello specifico che non gli è andata giù per il verso giusto e Katakuri ancora non ha capito di che si tratti. Forse la precocità del tutto, il fatto stesso che lui non volesse, che non si sentisse ancora sicuro e interessato eppure era stato rinchiuso nella camera di un bordello con una bella donna, con l’unica raccomandazione di fare quello che voleva.
Alla fine non ci era riuscito: la prostituta più volte si era prodigata nel ricordargli che non era necessario fare l’amore se lui non se la sentiva, che lui aveva comprato il suo tempo, non necessariamente il suo corpo e potevano impiegare quelle ore nel modo in cui lui si sentiva più a suo agio, come giocare a carte o a scacchi, bere liquori costosi o farsi fare un massaggio.
Impotente, Katakuri aveva accettato quelle premure, vergognandosi per non essere in grado di fare quello che gli altri membri della ciurma si aspettavano; dopo il tempo passato insieme, erano rimasti solo insoddisfazione e un vago senso di nausea, nonostante una parte di lui si sentisse più leggera per non aver tenuto fede all’obbligo impartito.
«Dalla tua faccia non sembrerebbe che tu ti sia divertito».
Impigliato com’è nei propri ragionamenti, non nota che seduto su panchina marmorea c’è Perospero. Di solito Katakuri non si fa cogliere con la guardia così abbassata, ma quello è un momento troppo teso della sua vita perché possa addossarsi la colpa di una simile incoscienza.
Il fratello maggiore se ne sta appoggiato al proprio bastone da passeggio e lo guarda con serietà e un pizzico di malizia.
«Perché sei qui?».
«Sono venuto a prenderti».
«Perché me e non Oven o Daifuku?». Non serve davvero chiederlo, Katakuri nel profondo lo sa e la cosa lo irrita.
«Eri il meno convinto dei tre a venire qui stasera» gli risponde in faccia Perospero, senza mezzi termini, ma anche senza farglielo pesare. È bravo in questo, il fratello, oltre a essere capace di leggerlo come un libro aperto.
I gemelli di Katakuri non si erano vergognati, nelle settimane precedenti, a mostrare la dose di libido inappagata che avevano in corpo. Sicuramente adesso si stanno divertendo da qualche parte, non assaliti dai dubbi come lo è Katakuri in quel momento.
«Non devi limitarti, Kanrakugai può andare in contro ai gusti di tutti» e, nel dire questo, Perospero sembra sull’orlo di una risatina. «Anche se, ovviamente, è meglio non farlo sapere troppo in giro…».
«A me piacciono anche le donne» si difende Katakuri e si rende conto solo nel dirlo di quale implicazione si cela nelle sue parole. Non se ne vergogna, come non si è mai vergognato di nulla nella propria vita, ma è un’informazione che preferisce tenere per sé, soprattutto perché la genitrice non sembra propensa a stimolare unioni che non possono generare eredi. E a proposito…
«Dov’è Mamma?».
Perospero schiocca le labbra e si fa riflessivo, come se dovesse scegliere le giuste parole da dire. «Sta incontrando … uno spasimante» risponde con eleganza, ma evitando di guardare in faccia Katakuri mentre si esprime.
Appunto. Altri fratelli in arrivo, altri bambini a cui badare.
«Vuoi tornare alla nave, Katakuri?». Quella è la proposta più allettante che gli hanno fatto quella sera. Ha un disperato bisogno di una doccia, il sudore si è da poco asciugato e gli ha lasciato addosso una sensazione disgustosa. Dell’acqua calda e del sapone sarebbero una manna dal cielo…
Katakuri si blocca in mezzo alla strada, congelato da un brivido.
Solo da un paio d’anni è riuscito a sviluppare il proprio Kenbun-shouku abbastanza da poter percepire le presenze lontane da lui, ma anche se anche se si trattasse di un neofita riuscirebbe a scorgere l’aura che sta avvertendo in quel momento, tanto è evidente in quella coltre di anime tutte uguali. Un’aura fioca, ma che si distingue, come un diamante tra i pezzi di vetro; fa credere che è cheta come una brace che dorme sotto la cenere, ma è pronta a divampare in un incendio al minimo stimolo.
È pericolosa. È una possibile minaccia per Mamma. È una potenziale sfida per lui. L’idea di uno scontro lo attizza e lo infervora più dell’idea di una notte di amore. La passione per la battaglia lo accende più di quella per la carne.
«Credo resterò ancora un po’ sull’isola. Tu va’ avanti…».
Perospero lo squadra da capo a piedi con sospetto, perché non è da Katakuri quel cambio repentino di idea. Il fratello maggiore capisce che c’è qualcosa che non va, ma è palese che non ha capito cosa o che si fida del fratello minore e quindi lo lascia andare un sospiro esasperato.
«Non fare casini» si premura soltanto, incamminandosi in direzione del porto, lasciando Katakuri a se stesso.
La schiena di Perospero non è ancora sparita dalla sua vista che già Katakuri è partito di corsa alla ricerca di quella persona che a Kanrakugai si fa notare con tanta arroganza, abbastanza perché diventi l’unico pensiero fisso che gli annebbia la mente più di qualsiasi fragranza gettata nei fuochi.
Katakuri corre per qualche chilometro prima di arrivare di fronte a quello che sembra uno dei centri massaggi di più di bassa lega dell’intera isola. Ci sono prostitute, sia donne che uomini, sulle soglie dei casini vicini e nessuno di loro ha l’avvenenza che ci si aspetta da Kanrakugai; degli ubriachi affollano i vicoli e l’odore di umori è persino più pungente e fastidioso dell’aroma dell’isola che tenta di nasconderlo. Eppure è il luogo più ricercato da Katakuri perché in una delle zone di relax si trova quell’aura che non dà pace alla sua esistenza da almeno un’ora. Quell’aura è ancora tranquilla, come un leone appisolato che sa che nessuno andrà a disturbare il suo sonno, ma Katakuri è pronto a stuzzicare il predatore mentre individua la finestra della stanza da cui quell’essenza proviene.
Ora che è più vicino riesce a cogliere più particolari. È un uomo ed estremamente pericoloso. Ma la calma che lo avvolge lascia intendere che non è lì per creare guai. A meno che qualcuno non lo disturbi, cioè quello che Katakuri starebbe teoricamente per fare. Ma in realtà non vuole destare un can che dorme; è solo colto da una curiosità che smania di essere soddisfatta e non ne capisce il motivo.
Entra in quella casa di piacere, coprendosi ancora di più il viso con la sciarpa e scostando in malo modo i giovani uomini che tentano di fermarlo sia fisicamente, sia con proposte allettanti. Per regolamento, non si può disturbare chi occupa le case di piacere, ma se a Katakuri importasse delle regole, non farebbe la vita del pirata. Raggiunge con movimenti felpati il terzo piano, dove quella presenza si fa ancora più forte e finalmente ce l’ha davanti, oltre una porta socchiusa, in un corridoio lasciato a luci spente. È insolito tutto quello, perché non si abbandona qualcuno da solo su un intero piano al buio e se le cose sono andate così è perché è stata richiesta una privacy particolare, per non essere visti da nessuno. È un peccato che su quell’isola ci sia anche Katakuri che non sta tenendo a freno la curiosità e sbircia oltre quell’uscio semiaperto che fa intravedere una figura coperta unicamente dalla luce rossa delle fiamme del braciere che arde nella camera e quella che entra dalla piccola finestra che dà sull’esterno.
Il giovane uomo è su un lettino per massaggi, ha il respiro pesante quanto basta perché si possa scorgere il suo petto muoversi. La pelle è rivestita da un velo di sudore che la fa luccicare sulle braccia e sulle spalle. Katakuri potrebbe stare per ore a fissare quel volto dai tratti così delicati da essere femminei, quella pelle ambrata e quelle ali nere che lo sorprendono, che rendono l’oggetto della sua attenzione sempre più simile a qualcosa di disumano e proibito. Un angelo, un demone o comunque un essere che non appartiene a quel mondo. E ciò spiega l’attrazione che ne prova Katakuri, perché è una forza sconosciuta, che lo intimorisce e insieme lo eccita. Non si vergogna di restare a guardarlo più di quanto sia necessario, troppo tempo perché possa essere giustificato con la scusa del capire se si tratti o meno di una minaccia per Mamma.
Ma in quel momento non vuole pensare a sua madre. Il tempo si è fermato e il mondo intero si limita a quella stanza.
Quella creatura angelica si volta, i loro sguardi si incrociano oltre la fessura della porta.
Passa solo un istante, Katakuri fa a malapena in tempo ad accorgersene che subito avverte un dolore lancinante a spina dorsale e scapole: la sua schiena ha impattato contro il muro di mattoni dietro di lui e, con la forza impiegata, è già un miracolo che non sia crollato.
Quando riesce a mettere a fuoco, sopra di sé vede quell’uomo – quel ragazzo – ancora nudo, eccetto per degli asciugamani buttati sulla testa per coprire parzialmente la visione del volto, che si intravede appena insieme a quegli occhi colmi di ira e paura. Una mano si stringe attorno alla sua gola per togliergli il fiato.
«Mi hai visto?». La sua voce è un sussurro roco. Katakuri non parla perché la risposta è scontata, ma non capisce il motivo per cui l’altro dovrebbe nascondere una faccia così angelica.
La forza delle dita che attanagliano il suo collo aumenta, ma c’è qualcosa che non va perché al momento quel ragazzo non sembra così intenzionato a ucciderlo. Anzi, il suo sguardo ora riflette più la confusione che la rabbia, come se avesse studiato Katakuri, ne avesse valutato la forza e non capisse perché non stia reagendo.
Ma Katakuri non combatterà, non perché abbia silenziosamente promesso a Perospero di non combinare casini, ma perché un duello tra le loro forze sull’isola attirerebbe troppo l’attenzione e la presenza di quella creatura celestiale è qualcosa che Katakuri vuole tenere nascosta.
Senza proferire parola, posa una mano sul polso del ragazzo e stringe con altrettanto vigore, giusto per mettere in chiaro che non è spaventato dal divario di capacità, perché questo divario potrebbe non esistere. Quell’altro ragazzo lo sa, è per quello che è così cauto.
«Quanto..?».
Un ennesimo lampo di confusione passa negli occhi di quel ragazzo, non capendo a cosa si stia riferendo Katakuri.
«Cosa?».
«Quanto vuoi per..?» e nel dire questo indica con un gesto casuale il corpo dell’altro completamente nudo; le sue ali nere sono l’unica cosa a celarlo da qualsiasi curioso che abbia il coraggio di sporgere la testa nel corridoio.
Katakuri è certo che, se potesse scorgere sotto gli strati degli asciugamani, vedrebbe il suo volto arrossire per l’imbarazzo poiché il suo sguardo si è fatto più duro, indignato.
«Non sono una prostituta».
Anche se una minima parte di lui se l’aspettava (non era probabile che qualcuno di così forte fosse unicamente di servizio sull’isola), quella schietta risposta lo lascia per un attimo disorientato.
L’idea di Katakuri di poterlo convincere a passare del tempo insieme offrendogli del denaro si sgretola di fronte a quella rivelazione, ma vuole provare lo stesso perché non ha rincorso per ore quell’ossessione per lasciare perdere al primo ostacolo.
Si rigira le parole, con la maggiore sicurezza che lo contraddistingue e con la calma di chi sa che se gioca bene le proprie carte, riuscirà ad ottenere qualcosa dall’altro.
«Non ho detto che lo sei. Ti ho solo proposto uno scambio».
«Perché vuoi questo scambio?».
«Mi interessi».
La stretta attorno al suo collo si fa sentire di più, la tensione che si era allentata per la sorpresa torna a farsi ancora pressante.
«Perché ti interesso? Sai cosa sono?». Katakuri non capisce le implicazioni di quelle parole, ma al momento nemmeno gli importano.
Si mette più comodo contro il muro a cui è bloccato, ma non allenta la presa della propria mano e non distoglie lo sguardo dal ragazzo che ha di fronte.
«So cosa sei». Quelle devono essere le parole sbagliate da dire, perché la morsa si serra in modo quasi letale, ma Katakuri ha abbastanza fiato per continuare la frase. «Sei l’unica persona su quest’isola che ha attirato la mia attenzione e io ti sto dando i miei soldi per comprarmi il tuo tempo o il tuo corpo, o quello che sei disposto a darmi».
«Offrimeli per risparmiarti la vita» ribatte duro, senza smettere di stringere.
«Credi davvero che avresti ancora la mano attorno al mio collo se non te lo lasciassi fare?». Quella frase fa effetto perché la presa si allenta almeno un poco: anche l’altro ha ormai ben capito quanto può essere forte e pericoloso Katakuri.
«Tu sei…» lo riconosce, assottigliando lo sguardo e allentando del tutto la presa, ancora più colmo di sospetto, ma non minaccioso come prima. Anche Katakuri lascia andare il suo polso. Non vuole tenere nascosta la propria identità, non ne avrebbe senso: chiunque con un minimo di interesse per il Nuovo Mondo conosce chi è e la taglia che porta. E poi, deve fare in modo che si fidi di lui.
«Katakuri. Non serve invece che tu dica il tuo nome. E nemmeno che tu ti nasconda» e nel dire ciò, abbassa con un rapido movimento la sciarpa che ha tenuto addosso tutto il tempo per coprire le fauci.
Il ragazzo spalanca gli occhi e si allontana di un passo; solo in quel momento Katakuri può prestare davvero attenzione alla differenza di altezza che li separa, svariati centimetri che rendono quel ragazzo ancora più impressionante e che in parte infastidiscono Katakuri: non gli è mai capitato di guardare qualcuno dovendo alzare la testa, se non sua madre.
Il ragazzo lo fissa intensamente, corrugando la fronte davanti alla visione di quelle zanne, ma oltre alla sorpresa non c’è sdegno né derisione nei suoi occhi.
«Non stai ridendo…» considera Katakuri. È il primo a non farlo da tanto tempo.
«Non rido di qualcuno che potrebbe uccidermi» risponde pragmatico. «Mi chiamo Arbel … e non voglio i tuoi soldi».
«Non accetti la mia offerta?».
Arbel incrocia le braccia, sollevando un sopracciglio con fare diffidente. «Cosa ti fa credere che mi interessino gli uomini?».
Di fronte a quella domanda posta così sulla difensiva, Katakuri lo guarda assolutamente non impressionato: «Se davvero vuoi farmi una domanda simile, prima evita di farti scoprire in una casa massaggi di soli uomini…»
L’altro sembra arrendersi di fronte a quella logicità, ma come realizza che si trova in un luogo scoperto, smette di rispondere e comincia a guardarsi intorno con fare circospetto, esaminando tutto il piano.
Per il momento, Arbel non sembra intenzionato ad attaccarlo, ma non ci può mettere la mano sul fuoco perché non sa come degenererà la situazione.
«Se hai paura che qualcuno ti veda, ti assicuro che non c’è nessuno qui: sentendo il rumore, hanno deciso di restare nei piani inferiori». Mossa intelligente, commenta mentalmente Katakuri.
«Kenbun-shoku…» sussurra stupito Arbel, guardandolo e togliendosi l’asciugamano dal volto per coprirsi parti meno pudiche. «Capivo che eri pericoloso, ma sei tra i primi che incontro in grado di usarlo in questo modo … quanti anni hai?» domanda con una scintilla di curiosità che gli rende più vivo lo sguardo e più leggera l’aria, ora che quella tensione sembra via via dissiparsi.
«Diciotto…».
«Come me … Perché sei su quest’isola?».
«Vuoi davvero stare a discutere in un corridoio di un centro massaggi di bassa lega?».
L’altro non si trattiene dal ridere in modo alquanto sguaiato e ciò sorprende un poco Katakuri che lo guarda strabiliato perché sembra un comportamento troppo umano e volgare perché possa appartenere a qualcuno come Arbel.
«Hai ragione, abbiamo attirato già troppo l’attenzione, meglio andarsene».
«Hai suggerimenti?».
Arbel sembra pensarci un poco, il suo sguardo evade oltre la finestra che si apre nel corridoio e si rivolge alla Cascata Centrale che scende dal plateau dei laghi.
«Su quello sperone di roccia, c’è il migliore lupanare di Kanrakugai, Casa Romance … e so che affitta delle stanze a ore … spero che tu abbia abbastanza soldi, Charlotte Katakuri. Conoscermi come vuoi fare tu ha un prezzo».
 
 
 
Il vino liquoroso scorre e fluisce nei loro calici, li inebria a sufficienza per non pensare all’alba, quando Katakuri dovrà salpare perché il compito di sua madre su quell’isola inizia e termina in una notte.
Gli occhi di Arbel sono attenti a ogni variazione, come lo sono quelli di Katakuri perché una parte di loro non si fiderà mai dell’altro, ma è giusto così: il Nuovo Mondo non è un luogo in cui puoi fidarti di qualcuno appena incontrato.
È disturbato dal fatto che probabilmente in qualche altra camera di quel bordello ci sia sua Madre che dorme dopo aver avuto un incontro con uno dei suoi amanti, ma la presenza di Arbel concentra su di sé la completa attenzione di Katakuri, che dimentica tutto il resto.
È un giovane serio, ma con un umorismo pungente che non dispiace a Katakuri, risponde alle sue battute sagaci con risposte altrettanto perspicaci. Non beve molto, ma apprezza gli alcolici che gli vengono versati nel bicchiere; non sa giocare a shogi, ma è un maestro nei giochi di carte e fa le puntate più audaci al tiro dei dadi.
È un amante inesperto, come lo è Katakuri, ma se lo fanno andare bene mentre sono sdraiati sulle lenzuola stese sul pavimento perché il letto di quella camera è troppo piccolo per loro. I cuscini sono tanti, li sorreggono e li accolgono mentre i giovani uomini strappano per loro stessi gli ultimi minuti di pace e piacere prima del sonno. Lasceranno alle spalle tutto al sorgere del sole.
«Sai perché i fuochi di quest’isola bruciano di rosso?» domanda Arbel, girato su un fianco. Sta schiacciando un’ala col proprio peso, ma sembra non farci caso, quindi non deve essere poi così fastidioso.
«Per la polvere delle fragranze che ci mettono dentro» risponde ovvio Katakuri e sposta il proprio sguardo dal soffitto all’elegante braciere della camera che permea tutta l’aria degli odori di incensi alla vaniglia e alle more.
«A causa del legno che usano per accendere il fuoco» lo corregge Arbel. «È una tipologia di pianta che cresce solo su quest’isola; bruciando, la fiamma diventa rosso sangue e il fumo che genera è un discreto afrodisiaco. Kanrakugai è quindi una città a luci rosse in tutto e per tutto».
«All’inizio del Nuovo Mondo» continua Arbel, fissando le lenzuola «C’è un’isola dove piovono fulmini come fosse grandine, ma ti puoi riparare come nulla fosse usando un ombrello».
Katakuri resta in silenzio, curioso di sapere dove andrà a parare quel monologo e di conoscere di più su luoghi di quel mare che non ha ancora avuto l’occasione di vedere.
«Se vuoi raggiungere l’isola di Wa no Kuni, devi farti trasportare da enormi carpe koi su per una cascata verticale … sull’isola di Totland nevica zucchero filato…».
«Si può sapere dove vuoi andare a parare?». Sentir nominare così a cuor leggero la propria isola da un individuo così pericoloso gli lascia una strana sensazione addosso, ma Arbel non se ne cura e lo guarda serio, senza tradire alcuna emozione.
«Ci sono cose incredibili nel Nuovo Mondo … vorrei continuare a vederle» e nel dire così mette un foglio di carta nel palmo di Katakuri. Solo nel Nuovo Mondo un pezzo di carta bianco può essere d’aiuto a ritrovare una persona, perché striscia nella sua direzione.
Quel mare è davvero pieno di cose incredibili.
Katakuri chiude gli occhi e stringe la Vivre Card nel palmo della mano. Il foglio sembra volersi agitare nel suo pugno per tornare dal suo possessore. Quella velata dichiarazione di intenti, quell’idea di mantenere saldo un legame che nella mente di Katakuri doveva sfaldarsi all’alba, gli fa avvampare una fiamma nel petto. Aspettativa. «Mia madre è qui una volta all’anno, sempre in questo periodo. Se vuoi trovarmi ancora, sarò qui l’anno prossimo, solo per qualche giorno. Non di più».
Arbel chiude gli occhi e si concede un sorriso leggero.
«Me lo farò bastare».
 
 
Sull’ammiraglia della flotta della pirata Big Mom c’è aria di confusione. Le sorelle maggiori sono soddisfatte, i fratelli appagati e tutti lasciano Kanrakugai a malincuore, salutando le loro fiamme della notte precedente che si accalcano sul molo. È un turbinio di urla che pare una sagra.
Anche Katakuri scruta il molo, ma sa già che è inutile: il suo compagno dalla notte precedente se n’è già andato, non c’è traccia di lui su nessuna parte dell’isola.
Lo ha salutato quella mattina stessa, ancora intontito per il sonno e con la mente annebbiata dai fumi dell’alcol. Si erano presi del tempo per se stessi, godendone con calma e appieno per i pochi minuti necessari, prima che Arbel se ne andasse.
Katakuri era rimasto lì ancora un poco, riponendo la Vivre Card nella sciarpa, ripensando con tenerezza agli sprazzi della notte appena finita, che era iniziata come una disfatta per concludersi poi come una delle notti più dolci della sua vita.
Katakuri sorride.
«Sembri contento, fratellone!». Oven interrompe il flusso dei suoi pensieri passandogli il braccio attorno al collo forza eccessiva e goliardia cameratesca; un abbraccio fraterno che sembrava voler dire “capisco perfettamente perché sei felice, lo sono anche io allo stesso modo e per lo stesso motivo”.
Una parte di Katakuri vorrebbe sconvolgerlo, vorrebbe dirgli in faccia di aver passato la parte migliore della notte tra le braccia di un giovane uomo più forte di lui, ma il suo lato razionale lo convince a trattenersi perché è certo che se lo facesse sapere in giro, la voce arriverebbe a Mamma che gli impedirebbe di continuare quegli incontri.
In tutta la famiglia, solo Perospero è a conoscenza delle preferenze di Katakuri e, fino ad adesso, il fratello maggiore si è dimostrato degno della sua fiducia.
Si libera dall’abbraccio di Oven, sogghignando dietro la sciarpa. «Hai odori diversi addosso, Oven. Con quante donne sei stato?».
Il fratello ride, soddisfatto delle proprie prestazioni. «Quattro. La prima da solo … le altre, tutte e tre assieme!» e scoppia ancora a ridere, alzando il collo e mostrando la gola, piena di segni di labbra e morsi, le braccia coperte di graffi come se avesse lottato con un gatto.
«E tu, invece? Mi sembri troppo pulito…».
«Io mi lavo, a differenza tua, idiota!». Lo aveva fatto davvero, ma era stata una sciacquata molto sommaria. Era rimasto nella doccia di quella camera forse solo pochi minuti, accorgendosi dopo del ritardo che aveva accumulato stando a riposo. Sperava di essersi tolto di dosso i rimasugli di quella notte per non destare il minimo sospetto una volta tornato sulla nave. Gli unici testimoni rimasti sono i succhiotti che tiene ben coperti sotto la sciarpa. Li aveva notati solo quando si era guardato allo specchio e i suoi zigomi avevano assunto una colorazione che non aveva nulla da invidiare ai fuochi di Kanrakugai. Li aveva toccati come a sincerarsi che fossero davvero lì, si era arrabbiato con Arbel perché glieli aveva lasciati come un souvenir indesiderato e con se stesso perché non aveva precisato che non li voleva. Ha solo un vago ricordo di quale fosse stato il momento in cui l’altro ragazzo si era avvinghiato al suo collo come una succube, ma la memoria si confonde e tutto è più difficile da distinguere, perché Katakuri era allora troppo preso, troppo disorientato e ammaliato perché gliene potesse importare qualcosa.
«Vai a farti una doccia, fratello. E poi va a dormire, hai la faccia di uno che non si regge in piedi altri due minuti».
«Sono stato sveglio tutta la notte per i motivi giusti!» gli ricorda Oven con un’altra risata mentre scende sottocoperta per dare ascolto ai consigli del fratello maggiore, che sbuffa divertito e rilassato.
«Tu invece dovresti nascondere meglio con chi ti accompagni la notte, Katakuri. Hai odori maschili addosso…».
Katakuri gela sul posto, ma trova la forza per voltarsi verso Perospero con sguardo truce. «Stai mentendo».
«No, ma ti va bene che sei uomo anche tu e puoi dissimulare la cosa». Perospero fa qualche passo verso di lui, guardandolo di sbieco. «Fai più attenzione la prossima volta, se vuoi continuare questo tipo di … incontri».
Non lo sta fermando: lo sta mettendo in guardia. Perospero ha capito cosa aveva fatto Katakuri della propria nottata e non lo giudica, ma mette in chiaro che dovrà fare più attenzione perché per quanto Mamma sembri menefreghista nei confronti dei figli, è scaltra nel capire se uno di loro sta agendo in modo che non le piace.
«Starò più attento».


 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2: Bugie per un alleato ***


 
 Capitolo 2: Bugie per un Alleato

 
 
 
«Questi sono i soldi» dice Katakuri riponendo un sacchetto con una sostanziosa quantità di monete d’oro sul bancone, di fronte alla proprietaria di Casa Romance, che si degna di accogliere nel proprio bordello solo i clienti più facoltosi. Katakuri è uno di questi.
«Sono più del dovuto, come al solito» ridacchia Stussy, contandoli e ponendoli in un cofanetto sotto al banco, per poi ritirare la chiave della camera numero 12.
«È per comprarmi anche il tuo silenzio» ribatte Katakuri senza mezzi termini, guardandola con serietà.
Stussy non smette di sorridere maliziosa quando si sporge oltre il bancone per essere più vicina possibile al suo volto, il suo corpo attraente a pochi centimetri da Katakuri. È una donna sensuale, ha in pugno molti personaggi scomodi, ma Katakuri non ha simili mire e questo lei lo sa. È una dei pochi a saperlo. «Sai perfettamente che a Kanrakugai vige il segreto professionale, ancora di più a Casa Romance. Non oserei mai spifferare in giro quanto vedo, anche perché potrei mettere in crisi la metà della gente che bazzica il Nuovo Mondo». Stussy ha potere perché controlla un’isola senza legge dove le persone arrivano e si spogliano, mettendo a nudo la parte più vera e intima di sé; non è sospetto che lei conosca informazioni che possono compromettere tutto il mare. «E poi non sono così stupida da inimicarmi due dei pirati più pericolosi che esistano» conclude e torna al suo posto facendo le spallucce.
Ha ragione. In fondo, se il loro segreto non è stato ancora scoperto è anche grazie a quell’imprenditrice che ha saputo tenere la bocca chiusa. Aveva tutto da guadagnare con quello scoop, ma ci avrebbe perso la vita con molta probabilità. Stussy non è mai stata una donna stupida.
«C’è anche questo» dice Katakuri, allungando una lettera sul banco per lei.
Stussy lo guarda accigliata, battendo le palpebre incuriosita quando nota il simbolo di Big Mom sulla ceralacca che chiude la busta.
«“Ufficialmente invitata al matrimonio tra Charlotte Pudding – trentacinquesima figlia di Charlotte “Big Mom” Lin Lin, regina di Totland – e Vinsmoke Sanji – terzo figlio di Judge Vinsmoke, re di Germa.”» legge ad alta voce con tono divertito. Senza smettere di sorridere, guarda Katakuri. «Immagino che sia un ordine di partecipazione, più che un invito, dico bene?».
«No. Puoi non venire. Cosa ti potrà accadere se non vieni, è fuori dalle mie previsioni» le risponde serio e la donna ride ancora di più, intascandosi il biglietto con un movimento fluido.
«Di’ pure a tua madre che ci sarò, è da un sacco che non mi invitano a un matrimonio. Quelli della famiglia Charlotte, poi, sono sempre in grande stile» e nel dirlo, appoggia il mento sulla mano e gli dedica un occhiolino malizioso. «Aspetto con ansia il giorno in cui sarò invitata al tuo».
Katakuri sente un prurito alle mani che è facilmente traducibile in una voglia di strozzare la donna che ha davanti, ma si trattiene perché se le capita qualcosa, dovrebbe sorbire l’ira della madre e non crede di esserne pronto, non per una sciocchezza simile.
Non le risponde, si limita a prendere la chiave e a dirigersi verso la camera.
«A volte mi chiedo se tu sappia prevedere più futuro di quanto tu ammetta: dalle mie fonti, ho scoperto che lui si presenterà a Kanrakugai questa notte» lo informa Stussy a bassa voce prima che lui si possa allontanare del tutto.
Dietro la sciarpa, Katakuri sorride compiaciuto: non sbaglia mai una previsione.
 
La stanza numero 12 è opulenta in modo assolutamente indiscreto. Stussy dice che ha assegnato loro quella perché è quella adatta alle dimensioni di Katakuri e Arbel e di certo è vero, ma non è l’unica motivazione. Sì, il letto, le poltrone, il tavolo, i bauli, gli armadi con tutto l’occorrente sono più grandi del normale, ma c’è una cosa che ha sempre disturbato Katakuri. Specchi. Ovunque ci sono specchi, sulle pareti, sui mobili. Sul soffitto. Ovunque volti la testa, non c’è il rischio che non veda la propria immagine riflessa che lo fissa.
Se ne era lamentato la prima volta che era stato nella camera e, in preda all’imbarazzo e all’irritazione, era tornato nella hall della casa chiusa a chiedere spiegazioni a una Stussy ancora apprendista che gli aveva dato la chiave della stanza.
Non aveva avuto spazio a sufficienza per lamentarsene perché Arbel era arrivato in quel momento e si erano dovuti accontentare della camera 12, nonostante Katakuri avesse assicurato all’altro che la stanza coperta di specchi non era stata una sua idea.
Avrebbe capito quella notte stessa a cosa servivano, perché proprio a loro avevano assegnato quella stanza. Dovunque si girassero, non potevano non scorgere i loro volti stravolti dal piacere, con le lacrime e il sudore che rigavano le guance. Katakuri si era rimirato nello specchio sul soffitto mentre incassava – accoglieva – gli affondi di Arbel e si era visto tremendamente vulnerabile. Ovunque si fosse voltato, avrebbe scorto se stesso avviluppato nelle spire di piacere, avvolto dalle braccia di Arbel. L’unico modo per non farlo era chiudere gli occhi, ma Katakuri detestava abbassare così tanto la guardia. E aveva capito il perché degli specchi, il perché di quella stanza assegnata a loro. Quella piccola apprendista col caschetto biondo e il sorriso malizioso voleva mettere in chiaro come loro, temibili pirati e spauracchio del Nuovo Mondo, a Kanrakugai non fossero altro che l’ennesima coppia che si mostrava nella parte più intima e profonda di sé, vulnerabili come dei bambini e coi loro segreti a nudo come loro, a disposizione di chi manteneva celata la confidenza.
Kanrakugai li aveva in pugno e loro non potevano controbattere.
Katakuri sospira accantonando i ricordi e appoggia sul tavolo coperto di specchi al centro della stanza la scacchiera di vetro. Sta per estrarre i pezzi dal piccolo cassettino, quando cambia idea.
La rimette al suo posto e prende invece un mazzo di carte. Si attraggono più mosche con il miele che con l’aceto, quindi se vuole rendere ben disposto il futuro ospite, è meglio accoglierlo con un benvenuto adatto alle sue corde.
Si mette a sedere sulla poltrona dopo aver preso un libro da leggere. Avrà ancora del tempo da aspettare.
 
 
Katakuri alza gli occhi dal libro che sta leggendo quando sente avvicinarsi dei passi. In realtà, i passi sono ancora distanti da qualche parte nel castello, ma Katakuri sa per certo che si stanno dirigendo da lui.
Torna a leggere, in attesa che quella persona si palesi davanti a lui per chiedergli in faccia quello che le serve. 
Nella vasta biblioteca del castello, ci sono un sacco di libri impilati nelle posizioni più assurde e precarie, tanto che una colonna di tomi in bilico gli era quasi caduta addosso quando aveva provato a prenderne uno nello specifico. Quella biblioteca merita una sistemata e nessuno vuole prendersi la briga di farlo a parte il suo fratellino Mont d’Or, che sembra invece parecchio propenso a mettere in un posto ben specifico ogni libro che gli capita sottomano. Probabilmente ha un futuro come studioso, poiché per il combattimento non sembra molto portato.
Volta la pagina con interesse, l’argomento di cui sta leggendo lo ha intrigato più di quanto immaginasse. Corruccia la fronte davanti ad alcune parole che non subito comprende, ma inserite nel contesto hanno significato più chiaro (sua madre si era impuntata che tutti i suoi figli sapessero quanto meno la base della cultura, quindi leggere e scrivere e fare quel minimo di conto che impedisse loro di venire fregati quando reclamavano denaro o dolci).
Il motivo per cui aveva preso quel libro era stata l’immagine sulla quarta di copertina: un angelo con le ali nere. Nello specifico, quella lettura parla di diverse razze antichissime che hanno calcato la Terra, alcune ancora esistenti e altre no. I giganti, le sirene, i…
«Lunariani» lo interrompe dai suoi ragionamenti sua Madre, comparsa davanti a lui in quel momento, con il collo piegato abbastanza in avanti per capire cosa stia leggendo il figlio. «Pelle scura, capelli chiari, grandi ali nere … pirocinesi» elenca con un sorriso sempre più largo e si lecca le labbra, come se la sola idea di parlare di una simile razza le faccia venire appetito. Il suo sogno di riunire tutte le razze sotto il suo vessillo non si ferma nemmeno di fronte a una popolazione tecnicamente estinta. «È un peccato che non ne esistano più» continua infatti, guardando negli occhi il proprio figlio forse prediletto. «Si diceva fossero anche incredibilmente forti e resistenti … quanto mi sarebbe piaciuto averne uno nella ciurma!» fantastica ad alta voce, sollevando la testa.
Katakuri si blocca e si irrigidisce; spera che la donna di fronte a lui non se ne accorga, ma ha un dubbio che non riesce a togliersi dalla testa. «Quindi … è impossibile che esistano ancora, vero?». Non deve insistere troppo, non vuole attirare sospetti, ma…
«Mh?» domanda la madre, sollevando un sopracciglio e guardando il giovane uomo. «Si dice che il Governo paghi cento milioni di Berry anche solo per delle informazioni a riguardo, ma non ne troveranno mai. Non esiste più nessun Lunariano».
Non esiste più nessun Lunariano. Katakuri guarda l’immagine disegnata sul libro, di un uomo e una donna dotati di ali nere e circondati da fiamme, troppo simili ad Arbel perché si tratti di una coincidenza.
«Mi cercavi, madre?» cambia completamente discorso, senza smettere di guardare il disegno.
«Mh? … Sì!» esclama Big Mom, come se si fosse ricordata solo in quel momento perché si trovi in quel luogo, davanti a suo figlio. «Il prossimo mese dovrò incontrare un uomo».
Katakuri chiude gli occhi e trattiene un brivido di disgusto, perché non può mostrarlo davanti a quella pirata in particolare. La possibilità di avere altri fratelli non lo infastidisce, anzi, ma la l’idea di dover di nuovo sopportare sua madre incinta non lo entusiasma particolarmente. I suoi attacchi di fame uniti alle voglie della gravidanza risultavano sempre una situazione non semplice da gestire per i figli Charlotte.
«La nave ammiraglia di dirigerà a Kanrakugai». Il giovane uomo alza lo sguardo, all’improvviso più interessato e attento. Una volta all’anno Charlotte Linlin si reca su quell’isola per incontrare i suoi amanti e porta con sé i suoi figli più maturi come scorta e per far loro sfogare una libido che non sanno tenere davvero sotto controllo. Katakuri è sempre uno dei figli prescelti perché, anche se è il migliore a mantenere la calma, si vede che smania per arrivare su quell’isola e appartarsi nessuno dei fratelli ha ancora capito dove. Tutti hanno liquidato la questione come eccessiva dose di testosterone in un corpo che sta crescendo a dismisura, come a un sano giovane uomo si richiede.
E ogni volta che arriva sull’isola, Katakuri può incontrare quello spasimante che sembra contenere in corpo tanta voglia quanta ne ha lui. Sono quasi tre anni che riescono a convivere con questo tipo di incontri. Dietro la sciarpa, Katakuri sorride deliziato all’idea di poterlo rivedere di nuovo tra un mese, perché se adesso sua madre gli sta dicendo quello è perché vuole che l’accompagni in quella “missione”.
Accarezza il libro con sguardo assente. Non c’è nemmeno la garanzia che possa incontrarlo ancora proprio in quei pochi giorni che sarà là, ma si aggrappa a ogni minima speranza perché non può negare la pesantezza che gli era albergata nel petto durante gli ultimi tre anni al pensiero che l’unica persona con cui era disposto a condividere l’intimità era disperso chissà dove nel mare. Katakuri non ammetterà mai di sognare di notte i rari momenti insieme, come non ammetterà mai di aver perso di tanto in tanto interminabili minuti a guardare la Vivre Card strisciare verso un impreciso Nord-Ovest. «Tu verrai con me e un altro gruppo di tuoi fratelli e sorelle. Dovrai badare a Cracker … sai che intendo». È chiaro: Cracker ha ormai compiuto diciotto anni e, come quell’imbarazzante rito di passaggio richiede, dovrà passare una notte in uno dei bordelli di Kanrakugai. Perospero l’aveva fatto per lui e i suoi gemelli, ora Katakuri deve farlo per Cracker. Si domanda perché non possa farlo di nuovo Perospero, ma non osa controbattere in quel frangente: non vuole farsi sfuggire la possibilità di andare sull’isola a luci rosse.
«Inoltre, c’è una donna che dovrai conoscere molto a fondo».
Il tempo rallenta fino a congelarsi. Katakuri è convinto di sentire un vaso di vetro andare in frantumi solo per rendersi conto che in realtà è il suo animo che è stato attraversato da una crepa.
Guarda incredulo la propria madre, che sta sorridendo soddisfatta come se quella fosse un’idea geniale e anche Katakuri la ritenesse tale.
«Cosa intendi?». Vuole fugare ogni dubbio, ma non ce ne sono davvero. Sua madre vuole dire una cosa sola.
«Dovrai unirti a lei e darmi dei nipotini. Sono certa che dei figli tuoi sarebbero un’ottima aggiunta al potere complessivo della ciurma».
Katakuri fissa le pagine, ma non vede le parole. Sfumano e si confondono sulla superficie bianca e Katakuri vorrebbe solamente vomitare in quel momento, perché sa che non può opporsi alla decisione di sua madre. Vuole patteggiare, farle presente che non è il caso, ha solo ventun anni dopotutto, c’è ancora tempo, ma sa che è tutto inutile: sua madre troverebbe fuori ogni scusa per obbligarlo, tacciandolo di ammutinamento se si rifiutasse fino alla fine.
Deglutisce e stringe la copertina del libro fino a farsi sbiancare le nocche. «Non mi sento ancora pronto per sposarmi…» si oppone a mezza voce.
Big Mom solleva un sopracciglio, prima di ridere sguaiatamente. «Non devi sposarti! Nessuna donna ti vorrebbe con una bocca simile. Devi solo fare dei figli con lei!».
Il commento della Madre è una stoccata al suo orgoglio. Katakuri serra le fauci in preda all’ira e allo sdegno, non riesce a credere che il capitano – sua madre – si prenda la briga di esternare giudizi simili al figlio a cui ha appena detto che dovrà giacere con una donna per darle dei nipoti.
Katakuri fissa il libro e batte le palpebre, colto da un’idea. Potrebbe farlo, sì … potrebbe spifferare a Big Mom che un Lunariano esiste ancora, che balla tra le dita di Katakuri già da qualche anno, che potrebbe trovare un modo per farlo unire alla ciurma. Potrebbe rivelarle che si vedono di nascosto una volta all’anno a Kanrakugai per …
Katakuri deglutisce. Non oserebbe dire al suo capitano che ogni volta che lei si era recata sull’isola, lui aveva impiegato il proprio tempo in compagnia di un altro uomo. Non vuole farle sapere dell’esistenza di Arbel per un egoistico desiderio di “salvezza” dai doveri di pilastro fondante della ciurma. L’essenza di Arbel come segreto lo fa sentire colpevole in modo compiaciuto, ma è una regola non detta quella che si sono imposti entrambi di non far sapere a nessuno quegli incontri, quindi non svelerà nulla. Non vuole convivere con l’ira dell’altro sulla coscienza.
Katakuri chiude gli occhi e obbedisce, perché per ora non può fare altro.
 
 
Kanrakugai quella sera è meno accogliente di quanto lo sia mai stata negli anni precedenti. C’è lo stesso colore rosso, lo stesso odore di incensi, ma questo, invece di essere afrodisiaco, stringe lo stomaco di Katakuri in una morsa che gli dà la nausea.
È la quarta volta che sta facendo il giro di quel quartiere con la scusa che si tratti di un pattugliamento, quando in realtà sta solo aspettando che suo fratello Cracker esca dal Thorned Rose per riaccompagnarlo alla nave; si rifiuta di aspettarlo fuori dall’entrata del bordello perché, per quanto ha ormai sviluppato il Kenbun-shoku, se si concentrasse troppo sulla presenza di Cracker, riuscirebbe a percepire azioni che sta eseguendo di cui farebbe volentieri a meno di venirne a conoscenza.
Purtroppo però, il suo vagabondare senza meta lo lascia solo coi propri pensieri e agitazioni. Dopo aver riaccompagnato Cracker alla nave, dovrà raggiungere Casa Romance, ma non per incontrare chi desidera davvero. Una donna lo attende in una delle stanze di quell’albergo a ore già da un po’, ma Katakuri sta vigliaccamente ritardando il suo incontro con lei perché è più forte di lui: non gli interessa andare. Si rende conto che in ogni caso dovrà obbedire agli ordini del suo capitano e prima lo fa, prima smette di pensarci, ma non ci riesce. Quando varcherà la porta della camera, spererà soltanto che duri il meno possibile, ma da quanto poco lo entusiasma l’idea, ha addirittura paura che non riuscirà a eccitarsi abbastanza per concludere.
Scuote la testa per allontanare quei pensieri e si concentra su altro, come quella presenza estremamente forte che lo assilla sin da quando Queen Mama Chanter ha attraccato sull’isola il giorno prima. Sa che Arbel si trova qui, nella camera numero 12. Chissà se è riuscito a distinguere la presenza di Katakuri sull’isola, se ne è altrettanto ossessionato da tenere i sensi tesi per percepire ogni singolo cambiamento nell’aura di Kanrakugai; oppure non lo sta davvero attendendo ed è qui solo per gustare l’ospitalità che l’isola offre.
Quando passa di fronte alla porta del Thorned Rose per l’ennesima volta, c’è Cracker ad aspettarlo sdraiato su una panchina, semicoperto dal proprio mantello.
Katakuri non si preoccupa: non deve nemmeno avvicinarsi per rendersi conto che è vivo, vegeto e pure cosciente. È soltanto stanco e, di base, è una persona estremamente teatrale in qualsiasi cosa.
Cracker ha gli occhi chiusi e Katakuri è tentato di stuzzicarlo con la punta della scarpa, ma si limita a dargli un colpetto con l’asta di Mogura. Cracker fa una smorfia.
«Fammi spazio almeno» lo incalza con un altro colpo Katakuri; ancora senza aprire gli occhi, il fratello si mette a sedere composto e gli lascia posto sulla panchina.
Il mantello scivola lungo il petto scoperto di Cracker, rivelando i numerosi segni di morsi e succhiotti che gli costellano collo e pettorali.
«E copriti, sei indecente».
«Hai altri ordini da darmi, fratellone?» domanda sardonico con voce gracchiante, come se l’avesse usata troppo nelle ultime ore, ma fa come gli viene detto.
Katakuri lo studia per alcuni secondi, sondando ogni espressione del suo volto, ma gli sembra solo rilassato. È comunque bene accertarsene.
«Come ti senti?» domanda con un accenno di apprensione.
«È difficile stare meglio di così» mormora il fratello con sguardo distante anni luce, perso in chissà quale ricordo appena creato.
Katakuri sbuffa divertito: sapeva che per Cracker non sarebbe stato un problema quella “prova del fuoco” destinata a tutti i maschi Charlotte. Fino ad adesso, sembra che l’unico ad avere avuto problemi sia stato Katakuri stesso.
Sospira. «Alzati, dai. Ti riaccompagno alla nave».
«Stai solo evitando i tuoi doveri, fratello». La frase di Cracker è un colpo di mannaia che agisce dove fa più male. Katakuri è irritato dal fatto che sia il fratello minore a ricordagli quello che deve fare, ma la motivazione per cui Katakuri è lì a Kanrakugai si è diffusa tra la ciurma a macchia d’olio. Tutti ne parlavano a bassa voce guardando Katakuri che si è domandato come lo sapessero, dato che quello doveva essere solamente un’informazione privata tra lui e la Madre.
Non si sorprenderebbe di scoprire che è stata Brulee a raccontarlo in giro, troppo agitata del segreto di cui era venuta a conoscenza per non dirlo a qualcuno. Per giorni Katakuri ha sopportato in silenzio lo sguardo colmo di giudizio e rispetto dei propri fratelli che avevano capito quale sarebbe stato il compito di Katakuri, quando dentro di sé voleva soltanto urlare e ammutinarsi a quell’ordine che gli stava pesando addosso come una cappa di piombo.
«Non me lo faccio ricordare da mio fratello minore…» ringhia a mezza voce, fulminando con gli occhi, ma ciò sembra non sortire alcun effetto, perché Cracker lo guarda con una serietà che Katakuri stesso non immaginava.
«Perché ti fa così schifo l’idea? Ogni volta che vieni a Kanrakugai ti imboschi da qualche parte e non ne esci finché non è ora di salpare … cosa cambia questa volta? Perché l’ha scelta Mamma invece che te?» indaga Cracker, mettendosi meglio seduto e scrutando il fratello maggiore come se cercasse una qualsiasi falla nella sua armatura impenetrabile.
Katakuri riflette sul mettersi a nudo. Il suo fratellino è alle volte troppo impiccione e Katakuri non vuole rischiare di svelare i propri segreti a qualcuno solo per scoprire che poi ne sarà a conoscenza l’intera ciurma. Ma è anche vero che Cracker saprebbe mantenere il segreto, Katakuri si fida di lui (si è affezionato tanto nel corso degli anni); inoltre, sta indagando troppo: potrebbe dirgli una mezza verità, ma non vuole correre il rischio che si impunti e lo tampini.
«C’è … già una persona» si limita a dire e solo quelle parole bastano ad ammutolire Cracker che lo guarda sorpreso. Katakuri non incrocia il suo sguardo e forse quel gesto potrebbe apparire come imbarazzo, ma in realtà non vuole che Cracker ci legga più del dovuto.
«Ah … E Mamma non l’approverebbe lo stesso?» domanda tastando il terreno.
«È un uomo, Cracker…». Quella frase basta a far congelare sul posto il fratello minore, che adesso fissa il vuoto con stupore di fronte a quell’inaspettata rivelazione.
Katakuri si aspetta di tutto, tranne quel rumoroso suono deglutizione e la voce del fratello, di solito alta e casinista, così flebile e insicura. «È una questione pericolosa, fratello». Katakuri non risponde e non lo guarda. Resta in silenzio quando la fronte dell’altro gli colpisce la spalla e rimane lì. «Cosa hai intenzione di fare allora?».
«Non lo so…» risponde, sull’orlo dell’esasperazione. È proprio quello il problema: Katakuri ha le spalle al muro. Per tutto il mese, da quando sua madre era comparsa nella biblioteca per impartire quell’ordine, Katakuri ha pensato a un modo per uscirne, senza riuscirci. La frustrazione gli annebbia la mente e ogni idea si fa confusa e irrealizzabile. Tutta quella situazione gli sembra assurda come una barzelletta.
«Non per cacciarti nei guai, ma potresti…».
«Se stai per dirmi “dillo a mamma”, ti rispondo già che mi caccerebbe nei guai…».
«Tsk, non interrompermi! Non sai quello che sto per dire, e a meno che tu non voglia il mio suggerimento…».
Katakuri sospira e guarda la strada di fronte a sé con occhi assenti, arreso. «In questo momento accetto qualunque proposta».
 
 
 
La stanza di Casa Romance odora di un miscuglio di frutti rossi e chiodi di garofano che sta dando alla testa a Katakuri. L’intera camera è in penombra, non c’è luce che delinei le forme se non quella dei bracieri. Sta seduto sul bordo del letto e non guarda in faccia quella cosina che se ne sta nascosta, nuda, tra le lenzuola e lo fissa con apprensione.
Cosa avesse in mente Mamma quando ha deciso che sarebbe stata lei, proprio non riesce a capirlo. È una giovane donna umana, forse qualche anno più grande di Katakuri, ma glielo si legge in volto che non vuole essere lì, che è stata la paura a convincerla a infilarsi in quel letto. Una paura che deve essersi dilatata per tutte le ore in cui Katakuri non si è presentato.
Ora c’è solo uno spesso strato di imbarazzo che riempie lo spazio tra di loro, perché nessuno dei due sa come cominciare quell’obbligatorio rituale che devono compiere. Ci ha provato, lei, ma era tutto così finto e impostato che ha rinunciato non appena aveva visto che Katakuri non stava rispondendo.
«Io…» inizia a dire la donna, ma Katakuri la blocca con un gesto fermo della mano.
«Non dire nulla» la rassicura. «Rivestiti. Non ti obbligo a fare questa cosa. E non ti biasimo per non volerla fare». La osserva per la prima volta, vede come si nasconde con un gesto pudico dietro il lenzuolo, come i lunghi capelli castani scendono come una coltre sulle sue spalle. È molto più minuta di lui. Si domanda come avrebbe fatto a…
Non importano questi pensieri. Loro due non faranno assolutamente nulla.
Lei ha comunque le spalle contratte per la paura. «Ma tua madre punirà la mia famiglia se…».
«Non accadrà» la rassicura con tono solido. Come in battaglia, anche adesso non può permettersi di mostrarsi indeciso. E non potrà mostrarsi indeciso neanche quando dovrà affrontare sua madre sul perché non è riuscito ad avere degli eredi. «Tu non devi preoccuparti. Non succederà nulla a te o alla tua famiglia, mi assicurerò di questo».
Lei sembra sull’orlo delle lacrime e Katakuri non è sicuro se si tratti di sollievo o di terrore. Ma in una più che decennale esperienza di fratello maggiore, sa cosa deve fare in questi casi. Attrae a sé con delicatezza quella sconosciuta, stringendola tra le sue braccia possenti come se stesse consolando uno dei fratelli minori. Le braccia bianche della ragazza si avvolgono attorno al suo collo e nasconde il viso nella sua spalla, senza soffocare i singhiozzi liberatori.
«Grazie … grazie…».
Katakuri non risponde. Non sa come reagire a quella gratitudine, perché l’idea che ha in testa per mettere in salvo entrambi ancora non ce l’ha definita, solo un suggerimento dato dall’inesperto fratello minore. Ma ci penserà più tardi. Adesso si stacca solamente da quell’abbraccio, si alza e rassicura la giovane donna che potrà restare nella stanza finché la ciurma di Big Mom non avrà abbandonato l’isola il giorno dopo.
Adesso, vuole solo prendersi del tempo per se stesso e godersi quella nottata prima di prendere il mare di nuovo.
 
 
Arbel ha le spalle alla porta quando Katakuri entra nella camera numero 12. La linea del suo dorso è più rigida del solito, come se fosse rimasto in una posizione scomoda per troppo tempo. E l’attesa può essere una posizione estremamente scomoda, soprattutto se si sa che l’oggetto del proprio pazientare si trova sull’isola da diverso tempo e non si è mai presentato all’incontro fino a quel momento.
Katakuri chiude la porta dietro di sé e vi si appoggia con la schiena guardando l’altro che ha voltato appena la testa con un movimento lento che ha smosso i lunghi capelli bianchi.
«Sei venuto, alla fine…». Ha un tono neutro, ma Katakuri è convinto che nasconda una buona dose di irritazione. Non importa: Katakuri non gli deve niente.
«Potevi andartene, se ti stavi annoiando». Non lo nasconde perché non è mai stato persona che le manda a dire, anche se una parte di lui è contento che non se ne sia andato e che abbia invece deciso di aspettarlo, in fondo fiducioso che Katakuri si sarebbe presentato all’incontro.
«E fare tutta la strada fino a Kanrakugai per nulla?». La voce di Arbel è ancora più dura, mentre marcia spazientito verso di lui, ma per ora non sembra esserci l’intento di alzare le mani: sembra piuttosto infastidito dal fatto che Katakuri lo abbia lasciato lì ad aspettare. Se il suo fastidio, in qualche momento, si sia trasformato anche in preoccupazione, Katakuri non lo saprà mai.
«C’è pieno di bordelli in cui potevi andare» insinua Katakuri, con un tono di sfida. «Qui a Casa Romance» fa un passo verso Arbel senza abbassare lo sguardo: ora sono a meno di un metro di distanza «ci sono le più belle prostitute di tutta Kanrakugai e la scelta va incontro ai gusti di tutti: se non volevi farti tutta la strada per nulla, nessuno ti impediva di portarti nel letto quanti uomini e donne volessi».
«Come hai fatto tu?» ringhia Arbel, forse involontariamente.
«È gelosia quella che sento?» lo stuzzica e forse tira troppo la corda perché un lampo indefinibile passa per gli occhi del Lunariano, ma quello che Katakuri riesce a leggere dalle sue intenzioni non è una voglia di violenza, ma un incontenibile desiderio di andarsene. Per la prima volta da quando lo conosce, Katakuri vede Arbel a disagio.
Non sa se l’altro darà ascolto a quegli istinti che gli dicono di abbandonare la stanza e Katakuri per non farsi più vedere, ma il secondogenito Charlotte non si è dannato l’anima per giorni per lasciar scappare il vero motivo per cui ha deciso di presentarsi a Kanrakugai.
«Mia madre voleva che avessi degli eredi». Questa frase doveva essere un segreto per l’intera ciurma Charlotte, non perché fosse necessariamente una nozione riservata, ma perché Katakuri si vergognava a parlarne. Tutti ne erano a conoscenza, ma non per sua volontà. Gli sembra quasi impossibile che gli sia uscita con tale naturalezza di fronte ad Arbel. Come se lui potesse capirlo; o per lo meno, non volesse giudicarlo. «Mi ha obbligato ad avere rapporti con una giovane donna appartenente a una famiglia della criminalità organizzata affiliata alla nostra ciurma».
Negli occhi di Arbel c’è una scintilla di incredulità. «Tua madre vuole che ti sposi?» e nel dirlo sembra quasi prenderlo come un affronto personale.
Quella domanda scatena un’amara risata di pancia a Katakuri. «No, no … come dice lei, con un bocca simile nessuna donna vorrebbe sposarmi». A sentire quelle parole, Arbel sembra irrigidirsi per un istante, ma è talmente rapido che Katakuri può esserselo immaginato. «Alla fine comunque non l’ho fatto e dopo aver chiarito la questione con quella ragazza, sono venuto qui».
Gli occhi di Arbel proprio come Katakuri se li aspettava: non lo stanno giudicando, ma lo fissano impassibili. «È stato un azzardo. Non serve conoscere il futuro per sapere che tua madre non la prenderà bene».
Katakuri scuote la testa e si avvicina di un altro passo. Ora non c’è che un velo di aria a dividerli. «Ho un piano. Ma non voglio pensarci adesso». Alza lo sguardo sulla bocca di Arbel che è appena dischiusa e sembra promettere peccati e paradiso. Negli ultimi anni, i capelli del Lunariano si sono fatti più lunghi, li tiene raccolti in una treccia e lo rendono ancora più sensuale, assottigliando le forme del suo viso.
Arbel alza una mano per scostare la sciarpa di Katakuri e accarezzare il suo volto, poggiando la fronte sulla sua. Gli sfiora lo zigomo con il pollice, un gesto insolitamente tenero per loro due, quasi fuori luogo. «Per quanto possa valere» sussurra con voce rauca, guardandolo fisso negli occhi «Tua madre ha torto sulla questione della tua bocca».
Katakuri non commenta. Se Arbel pensa così, tanto gli basta.
 
 
Non è ancora l’alba, Katakuri ne è sicuro. C’è un venticello tiepido che entra dalla finestra e la stanza è buia. Ha un attimo di confusione mentre cerca di capire cosa l’ha svegliato, prima di notare che Arbel è all’angolo della stanza, concentrato sul braciere. È spento e non è chiaro da quanto. Con un gesto casuale della mano di Arbel, torna in vita, come se le braci non si fossero mai soffocate. Katakuri chiude gli occhi e con un sussurro interroga il ragazzo tornato a sedersi accanto a lui e che ha appena ravvivato il fuoco senza nessun mezzo se non la propria mano.
«Hai mangiato un frutto del diavolo?». La sua voce è più impastata dal sonno di quanto avesse preventivato, ma le parole sono ancora chiare e il suo dubbio pure.
«Sì».
Bugiardo, riesce solo a pensare Katakuri.
Arbel si è preso qualche secondo per rispondere, secondi di troppo perché si tratti della verità.
«Un potere interessante, controllare le fiamme» mormora ancora, voltandosi nel letto per ricercare di nuovo il riposo e non mostrare all’altro quanta verità sulla sua natura davvero conosca.
«Mette in difficoltà molti nemici…» conferma Arbel con voce neutra, pronto ad alzarsi di nuovo dal letto per rivestirsi, ma non per lasciarlo solo. Non lo fa mai e Katakuri non vuole leggere ragioni dietro quel gesto.
«Sembra che tu ne abbia parecchi…». La voce del secondogenito Charlotte è di nuovo spezzata dal sonno: Arbel, complice l’altalenarsi di emozioni di quella nottata, lo ha lasciato più stanco del solito. Più insaziabile di quanto lo fosse stato le volte precedenti; una possessività nei suoi tocchi mai dimostrata prima, come se ciò che Katakuri gli aveva confessato appena entrato in camera lo avesse rinvigorito a tal punto da dimostrare quanto Katakuri si stesse sbagliando.
«È così. Ma è normale, è difficile sapere di chi fidarsi in queste acque» risponde ancora senza alcuna inflessione, dando un’occhiata a Katakuri.
«E di me ti fidi?» lo interroga il secondogenito Charlotte, mettendosi finalmente a sedere su quel letto enorme. Arbel lo fissa intensamente negli occhi, ma non risponde, cosa che infastidisce Katakuri.
Infatti lo chiede di nuovo. «Allora, sono un alleato o sono un nemico?».
«Mi pare abbastanza chiaro cosa tu sia…» risponde, senza smettere di rivestirsi.
A Katakuri viene quasi da ridere per quella risposta affettata che riceve. «È chiaro? Davvero? Solo perché puoi godere di questo» dice, scoprendosi del tutto con un gesto di stizza «dai per scontato che siamo alleati?».
«Allora mettiamola così» si spazientisce Arbel, fronteggiando Katakuri standosene ritto ai piedi del letto, fissando da quella posizione sopraelevata l’altro ancora sdraiato e completamente nudo. «Non mi hai dato ancora motivo per dubitarne».
Quella è la più grande dichiarazione di fiducia che Katakuri possa mai ricevere da Arbel. Che un uomo così fiero eppure così schivo potesse affermare qualcosa di simile, era fuori anche dalle previsioni di Katakuri. Arbel non ha abbassato la guardia, perché non lo fa mai (come Katakuri, del resto), ma sta platealmente dicendo che in compagnia di Katakuri, gli volterebbe le spalle perché convinto che lui non gli darebbe mai una pugnalata. E forse ha ragione. La mente del secondogenito della famiglia Charlotte non può che volare alla conversazione con la madre avuta poco più di un mese prima, quando avrebbe potuto consegnare Arbel nelle mani del suo capitano per evitare una copulazione non richiesta e invece aveva preferito ritrovarsi con l’acqua alla gola a cercare una scusa per la propria inadempienza e potersi godere ancora quei momenti con l’altro.
Forse Arbel, pur ignorando tutto questo, fa bene a fidarsi perché quel legame clandestino che ha intessuto con Katakuri è diventato più importante della fedeltà al suo capitano, alla sua famiglia. Nemmeno Katakuri sa come sia possibile (lui, figlio esemplare e fratello devoto), ma una risposta è forse da cercare nel fatto che con Arbel può essere finalmente se stesso, senza nascondersi.
E niente vuole nascondere. «Io so cosa sei … Lunariano».
Succede tutto in un secondo, il movimento con cui una mano di Arbel minaccia di prendergli la faccia e sbatterla contro il muro sembra più reale di quanto Katakuri abbia preventivato, ma il tempo rallenta e, sebbene Arbel sia tremendamente contrito in volto, non lo colpisce. Ancora, non c’è violenza nelle sue intenzioni, forse perché intuisce che se il Governo e la Marina non sono ancora venuti a sfondare la porta di quella camera è perché la sua natura non è trapelata.
«Da quanto lo sai?». La sua voce è poco più di un ringhio.
«Solo da un mese…» ammette Katakuri, appoggiandosi contro la testiera del letto, sforzandosi di guardare Arbel negli occhi per evitare di fissare le mille riproduzioni date dagli specchi.
Il Lunariano fa una smorfia. «Non vuoi i soldi che offre il Governo? Farebbe finta di non vedere la tua taglia se gli dicessi di me».
«Non mi servono i soldi…» preferisco quello che ho qui rimane non detto e Katakuri spera veementemente che Arbel non lo capisca, perché significherebbe mettersi a nudo più di quanto non abbia già fatto.
L’altro chiude gli occhi con espressione pensosa, sedendosi sul letto a fianco a Katakuri. Resta in silenzio per un minuto, prima di confessare. «Ho alleati che … se scoprissero la mia natura, mi venderebbero alla Marina senza pensarci due volte. Eppure, tu che mi conosci appena».
Katakuri sbuffa: probabilmente lo conosce meglio lui di tanti sedicenti alleati, nonostante si fossero visti di persona solo una manciata di volte.
«Eppure tu che mi conosci appena, ti fidi abbastanza da non raccontare in giro un segreto che ti frutterebbe milioni. Pensi che io sia un tuo alleato?».
«Mettiamola così: non mi hai dato ancora un motivo per dubitarne». Katakuri gli restituisce la frase e l’atto di fiducia che l’altro giovane uomo ha riposto nei suoi confronti.
Arbel spalanca gli occhi. Per qualche istante è così sorpreso da non dire nulla. Anzi, è come se volesse dire qualcosa per scardinare quell’equilibrio che hanno appena creato, ma alla fine ci ripensa e non dice nulla.
Sbuffa una risata (un suono così raro provenire dalla sua bocca) e appoggia la fronte a quella di Katakuri, passandogli la mano sotto la mandibola, accarezzandola.
«Spero che tu non cambierai idea troppo presto».
Katakuri non capisce cosa intenda, vuole chiederlo, ma il bacio che gli regala Arbel lo lascia senza il fiato per domandare.
 
 
Si sentono urla per tutta Queen Mama Chanter, ma le singole parole sono indistinguibili. È un impeto di rabbia che trova epicentro nella cabina del capitano e si dirama alle orecchie di ogni singolo pirata presente sulla nave. Cracker trattiene Bruleé dallo sgattaiolare in uno degli specchi per origliare meglio e scoprire quindi la sorte del fratello maggiore, Perospero fa buona guardia alla porta che conduce alla stiva in modo che nessuno possa avvicinarsi ulteriormente.
La nave è ormeggiata in mare aperto da diverse ore e da altrettanto tempo la furia di Big Mom si sta scagliando contro Katakuri. Anche dalle altre navi della flotta accanto all’ammiraglia si affacciano membri della ciurma curiosi di conoscere le sorti del figlio più ammirato.
I ruggiti senza senso della Madre sembrano quietarsi per un minuto, due, sempre di più, prima che dalla porta su cui è appoggiato Perospero arrivino dei passi e si spalanchi completamente, tanto che il fratello maggiore ha giusto il tempo per spostarsi se non vuole essere travolto.
Da sottocoperta riemerge altero Katakuri; il suo volto è corrucciato in un’espressione grave, ma non sembra più provato del solito. Perospero lo squadra dall’alto in basso con sguardo dubbioso.
Il fratello minore nemmeno lo guarda: «Streussen, prepara subito una cheesecake ai frutti tropicali … Mamma sta per avere uno dei suoi attacchi di fame improvvisa, risolvilo prima che faccia un disastro».
Il capocuoco della ciurma scatta sull’attenti, correndo in cambusa e poi in cucina per eseguire gli ordini dati da Katakuri, che se ne va facendo lunghi passi e non guardando in faccia nessuno dei fratelli che se ne stanno ancora lì a bocca spalancata, domandandosi cosa stia succedendo.
Solo Perospero però lo segue, agitando il bastone e dando ordini a tutti di levare l’ancora e salpare verso la prossima isola.
Katakuri si avvicina a un parapetto nel trambusto generale, pronto a saltare sulla nave che gli compete comandare insieme ai gemelli, ma un colpo secco e deciso sulla sua spalla lo fa voltare irritato: Perospero lo guarda colmo di fraterno rimprovero. Poco dietro di lui, Cracker si sta affaccendando a fare cose inutili solo per poter origliare il discorso.
«Dunque?».
Katakuri fa una smorfia, ma la sciarpa ne smorza l’intensità. «Governa questa nave, Perospero. Non mi metterò in ridicolo ulteriormente per ripeterti roba che hai già sentito» e fa per andarsene di nuovo, ma quel colpo fermo lo blocca di nuovo.
«Quanti anni?». Il fratello maggiore calca meglio la domanda questa volta; i suoi occhi si assottigliano per il sospetto e le sue pupille si fanno più attente, come se cercasse di carpire prima una risposta che in ogni caso non gli sarebbe piaciuta.
«Non mi ha tolto degli anni … per ora».
Perospero fa una faccia come se avesse ingoiato un limone. Sapere che Mamma possa, da un momento all’altro, decidere di togliere anni di vita come minaccia al fratello minore non è piacevole per niente.
Lo biasima apertamente. «Spero per te che almeno ne valesse la pena».
«Ogni singolo minuto». La voce di Katakuri è marmorea. Non c’è segno di cedimento né nelle sue parole né nel suo sguardo e almeno questo Perospero glielo deve riconoscere.
«E dimmi». La voce del fratello maggiore si fa più bassa, in modo che Cracker ancora appostato non possa sentire quale bugia avesse detto Katakuri al capitano sul perché non avesse potuto procreare con quella donna. Non che ce ne sia davvero bisogno: quell’idea stessa l’aveva in parte lanciata Cracker. «Come convincerai Mamma a portarti di nuovo a Kabuchojima ora che le hai fatto credere che il miglior frutto dell’albero Charlotte non può dare frutti a sua volta?».



 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3: Amara verità ***


Confessionale:
Ho modificato il testo e alcune cose nei capitoli precedenti, ma non incidono particolarmente sulla trama.
Buona lettura!
M.J.

 


Capitolo 3: Amara Verità

 


Un battito d’ali ritmato distoglie l’attenzione di Katakuri dalle pagine del libro che sta leggendo, per portarla sulla finestra lasciata preventivamente aperta. Il rumore si fa sempre più forte, come le pale di un’elica in avvicinamento.
Con calma, si alza dalla poltrona su cui è seduto e si toglie dalla traiettoria di atterraggio del suo ospite. Giusto in tempo poiché, nel giro di qualche secondo, una creatura preistorica varca la soglia della finestra e in un istante si trasforma in un essere di svariati metri coperto di latex. Stussy aveva ragione, così come le sue previsioni.
«Ciao, Arbel» lo saluta laconico Katakuri, mentre il primo comandante della flotta di Kaido si toglie la maschera ed esala un profondo respiro. È stanco, glielo si legge in faccia. Lo conosce da troppi anni e ha imparato ogni minima variazione del volto dell’altro.
«Katakuri» risponde con rispetto Arbel, posando la maschera sullo schienale di una delle poltrone e lasciandosi cadere sulla seduta. «Dimmi che c’è del rhum in uno di quegli armadietti».
Il dolce comandante sbuffa divertito a quella pretesa, prendendo quanto richiesto da una delle ante e versandolo in un bicchiere che poi tende ad Arbel, che lo ringrazia con un cenno del capo.
«Periodo pesante?».
«Non ne voglio parlare…» confessa e adocchia il mazzo di carte lasciato sul tavolo. Con rapidi movimenti delle mani, comincia a mescolarlo mostrando una tecnica del tutto invidiabile.
«Queen?» indaga Katakuri con un sorrisetto. Negli anni, King ha confidato diverse volte come il compagno di ciurma fosse la causa della maggior parte dei suoi diverbi e malesseri all’interno del gruppo delle Cento Bestie. Non aveva mai rivelato nel dettaglio cosa tramavano, ma si era sfogato in più occasioni su come Queen non si facesse problemi a sperperare i fondi in feste grandiose che però portavano soltanto a liti e a un’intera isola da ripulire da macchie di vomito, sangue e altri liquidi corporei.
Katakuri e la famiglia Charlotte non avevano nulla da recriminare: a parte l’assenza di caos e alcolici, anche i tea party non erano altro che uno spreco di berry per compiacere Big Mom, mostrare il suo potere e tenersi buoni gli alleati, esattamente come le feste organizzate da Kaido e i suoi.
«Ti serve davvero una risposta?» il tono irritato e sconfitto è una risposta sufficiente. Smette di mescolare e distribuisce le carte a entrambi; Katakuri si siede, prendendo in mano le proprie, ma senza davvero guardarle. La sua mente è altrove e, così come Katakuri riesce a capire ogni sfumatura del volto di Arbel, il Lunariano può leggere Katakuri come un libro aperto. «Vuoi dirmi cos’è che ti preoccupa, Charlotte?».
Katakuri sospira, abbassando per un secondo le carte per guardare l’altro in faccia. «Arbel…».
L’altro resta in silenzio mentre mette da parte il mazzo, aspettando che parli.
«Smettiamola».
Arbel corruga un attimo la fronte, prima di rilassarsi e prendere le proprie carte per sistemarle.
«Immaginavo me l’avresti chiesto».
Katakuri ride sommesso dietro la sciarpa, riportando attenzione alle proprie carte. C’è una doppia, da scartare e sbuffa davanti all’ironia della sorte: è il re di picche. «Da quando anche tu riesci a prevedere i discorsi che stanno per fare le persone?» chiede, scartando la carta.
Arbel fa solo un sorriso un po’ arreso, senza alzare lo sguardo dalle proprie carte. «Chi lo sa … forse ho davvero passato troppo tempo con te…» dice, scartando l’asso di cuori.
 
 
 
L’ironico dilemma di Perospero si era rivelato quasi del tutto infondato, poiché tempo pochi mesi e la flotta di Big Mom era cresciuta talmente tanto da rendere necessaria la presenza di capitani di flotta. Essendo il fiore all’occhiello della famiglia, è stato quasi naturale per Katakuri essere messo a capo di una di queste navi, che poteva comandare come meglio credeva, purché seguisse gli ordini di sua madre.
Quando lo inviava in qualche missione di riscatto di dolciumi, cercava sempre di metterci meno tempo possibile, calcolando poi la rotta più rapida per la città a luci rosse. In questo modo, gli incontri con Arbel si erano fatti più frequenti e di durata più lunga. Da quella saltuaria volta all’anno, adesso avevano modo di vedersi anche ogni pochi mesi, riuscendo a concordare addirittura periodi precisi. Nulla rendeva Katakuri più soddisfatto che attraccare a Kanrakugai e niente lo faceva irritare più che levare l’ancora da quell’isola. Ma per quei giorni che intercorrevano tra l’arrivo e la partenza, Katakuri poteva godere dei momenti migliori della sua vita. Quello che provava in quelle occasioni difficilmente era replicabile da altri momenti di vita quotidiana. Nemmeno le sue merende gli davano tutta quella soddisfazione. Raramente parlavano della loro vita al di fuori di Kanrakugai. Una volta sola Katakuri si era azzardato chiedere. Aveva domandato dov’era che andasse alla fine di ogni loro incontro se non viveva sull’isola.
«Lontano dagli occhi del Governo Mondiale … e da tutti quelli che possono riconoscere la mia specie».
Katakuri si era infastidito a sentire queste parole che non erano niente più che una mancata risposta, ma una parte di lui non voleva indagare oltre: aveva come l’impressione che se si fosse impuntato, avrebbe premuto il tasto dolente che tutti e due volevano evitare.
Il secondogenito di Big Mom si rendeva conto che quella era una scelta imprudente: Katakuri non sapeva davvero chi aveva di fronte e Arbel era forte. Che potesse essere una minaccia era ormai appurato da anni, ma quel breve discorso sull’essere alleati che avevano avuto solo qualche anno prima gli metteva almeno un po’ l’anima in pace: Arbel non gli aveva ancora dato motivo di dubitare di lui.
Katakuri quindi faceva di tutto per non pensarci e si limitava a godere di quella piccola libertà che si concedeva.
 
«Un giorno tua madre scoprirà tutta questa faccenda» mormora Arbel tra le sue braccia, mentre si fa accarezzare con inaspettata docilità i capelli. Nessuno dei due è tipo da smancerie, ma all’alba dei venticinque anni hanno imparato a lasciarsi andare ogni qualvolta ne abbiano l’occasione perché raramente capiterà loro un momento di dolcezza. Ormai il Lunariano ha imparato a memoria ogni centimetro del suo corpo. Katakuri ha fatto la stessa cosa.
Gli piacciono i suoi capelli, con cui sta pian piano giocando e che sta districando dai nodi. Gli piacciono le sue spalle possenti e la schiena, dove c’è l’attaccatura delle ali, che spesso ha accarezzato con tocchi delicati perché Katakuri ha scoperto essere estremamente sensibile. Poche cose eccitavano Arbel più di un contatto in quella zona. Le ali; altro punto che incuriosisce tutt’ora Katakuri. Si ricorda i primi incontri in cui si sentiva quasi intimorito da quel mantello nero che calava su loro due, ma nel tempo gli hanno instillato una sensazione di protezione che non credeva di avere bisogno. Le ha accarezzate con vigore innumerevoli volte, anche se inizialmente Arbel gliele allontanava dalla portata di mano, giustamente sospettoso che qualcun altro potesse toccare un tratto tanto particolare. Non era durata molto questa diffidenza: già a ventun’anni se le faceva accarezzare con assoluta tranquillità.
«Fino ad allora non farti questi problemi…». Katakuri non nega che prima o dopo sua Madre possa scoprire qualcosa, ma non ci vuole pensare. Sarebbe nei guai Katakuri, sarebbe in pericolo Arbel. «Finché non lo scopre, resto con te». Non sa da dove gli viene questa confessione, ma sorprende sia se stesso che il Lunariano, che lo guarda con gli occhi spalancati per la sorpresa.
Al secondogenito Charlotte viene da arrossire e volta la testa di lato, nascondendosi il viso con le braccia: raramente ha provato una vergogna così grande e forse adesso Arbel ha buone ragioni per andarsene, perché Katakuri non doveva mostrarsi tanto vulnerabile e dire, anche sottovoce, una cosa simile.
Non ne hanno mai parlato, ma l’accordo è chiaro: non c’è niente tra di loro oltre ai saltuari incontri in un bordello. Forse riesce a dissimulare e a salvare la propria dignità, facendo credere all’altro che intendesse dire proprio quello, che ciò che desidera è in realtà solo il suo corpo perfetto, di cui può godere come più vuole ormai.
Non fa in tempo a girarsi che le labbra di Arbel si posano sul suo zigomo, proprio al di sopra della sua cicatrice. È sorpreso, ma non riesce ad esprimersi perché quelle labbra si posano sulla sua bocca per un istante. Poi sotto la sua mandibola e il corpo pesante di Arbel gli fa compagnia appoggiandosi sul suo petto non appena prova a voltarsi verso di lui. I suoi capelli bianchi sono ovunque, le braccia gli avvolgono tutto il torace e ha l’orecchio appoggiato sullo sterno, lì dove può sentire un respiro agitato e un cuore che batte all’impazzata.
«Anche a me piace stare qui con te…». Katakuri si domanda come faccia l’altro ad ammetterlo con tanta leggerezza, senza andare nel panico come ha fatto lui. Ma quelle parole così lievi gli scaldano lo stomaco e quindi abbraccia Arbel per tenerselo ancora più vicino.
«Spero che non troverai mai motivo per mandarmi via». Katakuri lo guarda e non capisce perché la sua voce scherzosa abbia una vena di malinconia. Glielo vorrebbe chiedere, mentre accarezza quel volto impeccabile, ma il Lunariano si sporge verso di lui e dà un colpo di reni fin troppo eloquente.
Il sorriso malizioso è solo un’altra caratteristica che lo rende ancora più desiderabile.
«Ne hai ancora, Charlotte?».
«Per tutta la notte, Lunariano».
No, pensa Katakuri, mentre lo bacia, mentre lo mette sotto di sé, gli divarica le cosce e gli spalanca le ali, non avrò mai motivo per mandarti via.
 
 
«Aaaah». La smorfia infastidita di Cracker non passa inosservata; anzi, attira l’attenzione di tutti i membri della ciurma presenti.
Katakuri gli lancia solo un’occhiata distratta, prima di concentrarsi nuovamente sui rapporti delle rendite agricole dell’isola di Komugi. Sua madre l’ha reso Ministro di quell’isola, ma ciò non significa che sia ferratissimo in tutte le responsabilità che un simile ruolo comporti. Ha ancora un po’ da imparare, ma di giorno in giorno le informazioni e i compiti si fanno sempre più comprensibili.
«Cosa c’è, Cracker?». È la flemmatica Amande che dà voce al pensiero di tutti.
«Morgans e la sua redazione stanno facendo troppa pubblicità a Kaido» borbotta irritato, girando una pagina di giornale. Sul tavolo ha posato il malloppo di avvisi di taglia, i nuovi numeri con cui la ciurma delle Cento Bestie è richiesta dal Governo Mondiale.
La sorella li sfoglia, un fruscio di carta colma il silenzio incuriosito che si è creato nella stanza quando Cracker aveva dato notizie della ciurma rivale.
«Ora lui ha una taglia più alta della tua, Katakuri». Tutti i fratelli presenti si voltano verso Amande, che ancora esamina gli avvisi, come se facesse dei calcoli. Commenti di disapprovazione si sollevano dalla bocca di tutti, mentre lanciano occhiate al secondogenito che ormai ha abbandonato sul tavolo i resoconti e si è alzato per raggiungere la sorella.
«Non mi sorprende» risponde, mentre sbircia da sopra la spalla della terzogenita i volti di Kaido e dei suoi comandanti.
La taglia dell’Imperatore è stratosferica come al solito, abbastanza da intimorire ogni cacciatore di taglie esistente al mondo. Le cifre dei suoi sottoposti non fanno eccezione.
La sua attenzione è attirata dall’avviso di taglia che Amande tiene ancora in mano, quello a cui lei si era riferita. Glielo chiede con un gesto gentile e lei glielo porge senza dire una parola.
È da diverso tempo che la sua famiglia tende a paragonarlo a King, il secondo in comando della ciurma di Kaido. Non sa se per una questione di forza o di ruolo (in quest’ultimo caso, starebbe come a significare che tutti i suoi fratelli lo vedono come potenziale successore di Mamma, con buona pace per Peros e per i suoi diritti di anzianità).
La Marina vuole King per oltre ottocento milioni, scalzando il record di Katakuri che, per quanto cospicuo, conta qualche decina di milioni in meno.
Il secondogenito resta a riflettere per qualche minuto in silenzio. Non ha mai incontrato King di persona, ma è certo che saprebbe riconoscerlo a prima vista: quella maschera nera, in primissimo piano nella foto, onnipresente in ogni volantino di taglia, salta all’occhio più di qualsiasi sciarpa possa indossare Katakuri stesso.
«La taglia non vuol dire nulla!» sbotta ancora Cracker, sbattendo il giornale sul tavolo e guadagnandosi così un’occhiata contrita di Amande. La ignora e si alza stizzito dal tavolo. «Anche quel Queen ha una taglia più alta della mia, ma non esiste che sia più forte di me!».
Katakuri si astiene da commentare l’uscita del fratello minore, anche se da una parte ha ragione: la taglia non significa tutto.
«E tu che ne pensi, Katakuri? Pensi di essere più forte di King?».
Pur interpellato, non stacca gli occhi dalla foto. «Non l’ho mai incontrato e non ho intenzione di farlo se non ne ho motivo» risponde con semplicità, lasciando finalmente perdere l’avviso di taglia. Cracker non è contento per quella risposta. Katakuri sospira. «Se si rivelerà una minaccia per Mamma, lo affronterò. E non perderò». Quella sicurezza e quella fiducia nelle proprie capacità sono ciò che serve per tranquillizzare ed esaltare tutta la famiglia. Non c’è un singolo movimento del suo corpo che lo conferma, ma dentro di sé Katakuri è contento che la sua famiglia confidi così tanto in lui.
Torna dai rapporti della sua isola, non pensando più a King. Tra qualche giorno potrà fare una nuova tappa a Kanrakugai e lì sì che c’è qualcuno che vale la pena incontrare, quindi farà meglio a far quadrare i conti prima di allora.
 
 
L’aria è tesa e il mare è in tempesta. Le onde sono cavalloni che si infrangono contro le prue della Queen Mama Chanter e delle navi che l’hanno accompagnata in quella spedizione in mare aperto che si è però rivelata un viaggio nella tana del lupo.
Poche navi della flotta di Big Mom che fronteggiano tante, troppe navi di un altro Imperatore dei mari.
Non appena qualcuno farà la mossa sbagliata, sarà guerra e si spaccherà il cielo per questo scontro, Katakuri ne è certo.
Resta in silenzio mentre vede le armate di Cracker difendersi da attacchi di cannoni che minacciano l’integrità delle navi. Questi colpi sono solo d’ammonimento, ma Katakuri sa che quelle dannate bestie presto attaccheranno per far male. Lo sente e avverte sua madre per questo, che se ne sta a prua della Queen Mama Chanter e sorveglia con sguardo attento l’ammiraglia della flotta di Kaido.
«Abbiamo sconfinato nel suo territorio, ma stavamo raggiungendo uno dei nostri porti … quel ragazzino non ha alcun diritto di sbarrarci la strada».
Sua madre si volta verso di lui e suo fratello Perospero con un ghigno teso. «Mettetemi in contatto con Kaido».
Fa appena in tempo ad andarsene sottocoperta a chiamare l’altro imperatore che un boato e un turbine di fiamme si leva in cielo da una delle navi avversarie e piomba su di loro come un colpo di mortaio. Tutto questo prende vita nella testa di Katakuri prima che accada davvero.
Con un balzo si butta a bloccare quell’attacco con un affondo di Mogura. Le punte del tridente si infrangono contro gli artigli di una creatura volante che dovrebbe essere estinta da milioni di anni. Crepita un fuoco sul dorso del dinosauro che per un istante divampa a causa del potente scontro di haki che i due sono costretti a sostenere. Dietro la sciarpa, un ghigno compare sulla bocca del secondogenito Charlotte: immaginava che prima o dopo avrebbe dovuto affrontarlo…
Così com’è nato, il sorriso gli si congela sulle labbra e il fiato gli si blocca nel petto. Il suo Kenbun-shoku lo mette in guardia dall’artigliata che gli sta per arrivare addosso ed è solo la sua prontezza di riflessi che gli permette di togliersi di dosso lo sbigottimento e deviare un colpo che lo avrebbe decapitato. Un colpo inferto per uccidere.
«Torna qui, Katakuri! Mamma non ti ha dato ordine di intervenire» sbraita qualcuno dalla nave e per una volta è contento di seguire gli ordini perché non è uno scontro che adesso può affrontare.
Anche King si ritira sulla propria nave e Katakuri non gli toglie gli occhi di dosso mentre lo fa. Un fuoco gli divampa nello stomaco, un acido gli sta corrodendo il fegato, una sensazione di nausea lo pervade da cima a fondo e ha paura di non riuscire a stare nemmeno in piedi.
«Dov’è mamma?» chiede non appena Perospero si avvicina.
«Ancora al lumacofono con Kaido … non hai una bell’aspetto, fratellino, ti ha colpito?» domanda il maggiore con un filo di preoccupazione.
«No, non è così». Il problema è un altro. È il suo haki kenbun-shoku che è troppo allenato, un portento tale da permettergli di riconoscere e identificare la presenza di ogni persona in quel tratto di mare. Spera con tutto il cuore di sbagliare, ma ha probabilmente appena scovato un segreto che avrebbe fatto volentieri a meno di apprendere.
La porta che conduce a sottocoperta si spalanca improvvisamente e Big Mom esce con tutta la sua imperiosità. Nonostante sia ritta e fiera, è tesa e il suo solito ghigno lo dà a vedere.
«Perospero, Katakuri, Oven, con me! Abbiamo una visita da fare adesso». Non è saggio salire su una nave nemica senza armi e Charlotte Lin Lin vuole giustamente portare le più potenti che ha. Forse Kaido gliel’ha concesso; o forse no, ma è raro che sua madre obbedisca agli ordini.
Katakuri non vuole andare. Vuole restare il più lontano possibile da quella verità che teme di aver scoperto e sa che se sale sulla nave di Kaido e si rende conto che tutto quello cha ha intuito si rivela giusto, allora non ha idea di cosa potrebbe esserne di lui e del proprio cuore.
“Io non sono necessario. Può andare Daifuku al mio posto” è quello che vorrebbe dire, ma sa che è una menzogna. Lui non è necessario: lui è essenziale. Il più temuto membro dei Charlotte non può tirarsi indietro di fronte a uno dei più importanti avversari della famiglia. Che figura ci farebbe di fronte ai fratelli e a Kaido? E già sente lo sguardo furibondo della madre su di sé se solo provasse a esternare quei pensieri, un’accusa che non è pronto a portare sulle spalle, come se il disagio che già prova non bastasse.
Ingoia un groppo amaro e obbedisce agli ordini.
 
È bravo a non dare a vedere il malessere che sente, perché una volta arrivato sulla nave ammiraglia del nemico tutti lo guardano con evidente rispetto e timore, si riparano dietro alle loro armi sollevate come se quelle potessero metterli al sicuro da un suo eventuale attacco.
Katakuri li ignora e guarda dritto verso la porta della cabina del capitano, aprendo la strada ai fratelli e alla madre che sta incutendo la stessa paura di un’incontenibile calamità naturale.
Kaido è seduto su uno scranno nella sua cabina, un re assiso in trono pronto a incontrare degli ambasciatori di un regno nemico.
Tutto in quella stanza sembra più grande del normale per accomodare le dimensioni degli occupanti.
«Lin Lin». Dal tono di voce, Kaido sembra già ubriaco e per questo non sarà una discussione semplice. A fianco a lui, i suoi due fedelissimi stanno ritti in piedi e li guardano con occhi minacciosi, con Queen che si fuma un sigaro e con movimenti calcolati batte via la cenere prima di riportarselo alla bocca e King … King non gli stacca lo sguardo di dosso ed è più perforante di una baionetta. Le sue ali nere sembrano talmente grandi da occupare tutta l’altezza della stanza e Katakuri le conosce ormai troppo, troppo bene.
«Kaido…» ribatte Big Mom fissandolo senza nessun timore. Lo sguardo di Big Mom poi scivola verso destra, nello stesso punto in cui sta fissando Katakuri. Nota che sua madre si sta leccando le labbra a quella vista e spalanca gli occhi, come se non potesse credere a quello che sta vedendo. «Da quando hai un Lunariano nella tua ciurma? E non mi hai avvisato?».
Quella conferma non fa che aumentare il senso di nausea di Katakuri, che si chiede da quanto sua madre studiasse e bramasse quella razza per poterla riconoscere con un solo sguardo e senza vedere il vero volto di King.
«Non è di questo che voglio parlare!» urla Kaido, lanciando il barile da cui stava bevendo contro Big Mom, che resta impassibile mentre Katakuri devia e distrugge quell’improvvisato proiettile. È uno stimolo sufficiente per la far tornare lucida la sua mente annebbiata.
Non può dimostrarsi debole e disattento, soprattutto in quel momento che Kaido lo guarda con più interesse. «Charlotte Katakuri … mi ricordo bene di te. Sembri diventato più forte…».
Big Mom sorride con una punta di malsano orgoglio. «Lo è. Probabilmente più di tutti i tuoi sottoposti…».
Kaido irrigidisce la mascella e digrigna i denti, mostrando le zanne da bestia che ha in bocca. «Cosa vorresti insinuare, Lin Lin? Che siamo deboli? Vuoi che dimostriamo di cosa siamo capaci?!».
Katakuri punta l’asta di Mogura sulle assi del pavimento della nave. A occhio esterno, poteva sembrare un modo per dimostrarsi pronto alla sfida, ma in realtà è solo un tentativo di sostenere le sue ginocchia sul punto di cedere.
Una voce si intromette. «Kaido, non li abbiamo lasciati salire sulla nostra nave per questo» dichiara con fermezza King dal fianco del suo capitano.
Ogni dubbio si dissipa dalla mente di Katakuri perché non può non riconoscere quella voce. La ricorda meno dura e autoritaria, più calda e suadente mentre gli sussurra dolci parole nell’orecchio quando sono avvolti dal calore dell’intimità, oppure più leggera e scherzosa mentre sono sdraiati nel letto a raccontarsi avvenimenti mondani e idioti. Ricorda un tono diverso, ma il timbro è uguale.
Chiude gli occhi per darsi un contegno, per non dimostrare agli altri occupanti della stanza come il suo cuore sia appena andato in pezzi.
«Il Lunariano ha ragione» concorda Big Mom. Si rivolge poi ai propri figli, concentrandosi su uno di loro in particolare. «Oven, fuori dalla porta» e il gemello si sbriga a obbedire agli ordini e a sbarrare la strada a chiunque possa avere la malaugurata idea di entrare. Katakuri vorrebbe andare al suo posto, ma non ha il fiato per parlare e non vuole contraddire gli ordini di sua madre in un momento così delicato.

Ora, con ancor meno gente nella stanza, sembra che l’attenzione possa concentrarsi ancora di più su di lui. Si rende conto in quel momento, con la pressione di sua madre che gli grava addosso, con il potere di Kaido che permea e soffoca l’intera stanza, con gli occhi di Arbel che non si sono ancora mossi e gli trapassano l’anima, che quelle saranno tra le ore più lunghe ed estenuanti della sua vita.
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4025163