Talvolta si scrive di spettri

di Queen of Superficial
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Reverendo non è la Madonna del Soccorso ***
Capitolo 2: *** Eravamo senza dubbio bambini molto strani, io e te. ***
Capitolo 3: *** Non serve che volino le teiere ***
Capitolo 4: *** Maktub ***
Capitolo 5: *** All the beauty and the bloodshed ***



Capitolo 1
*** Il Reverendo non è la Madonna del Soccorso ***


Per forza di cose, talvolta si scrive di spettri

 

“Era quella l’epoca in cui agivano impunemente le forze occulte della natura umana e il buon umore divino, provocando uno stato di emergenza e di sussulti nelle leggi della fisica e della logica.”
— Isabel Allende, La casa degli spiriti

 

Il giorno in cui Sasha morì io ero con lui.
A dire il vero ero sempre con lui, per mille motivi e altrettante valide scuse; il dolore, la gioia, il terrazzo con le rose di cui non sapeva prendersi cura, il vasto mistero del suo fornello a induzione, il romanzo di Hanya Yanagihara che gli avevo lasciato sul tavolino da caffè accanto al pollo decorativo che, un Natale di tanti anni prima, gli aveva regalato sua madre: insomma, il vario frastuono della vita.
La telefonata, come una lama che squarci il buio, ci colse mezzi addormentati nel corso di una difficile conversazione sull’eventualità di abbattere un bagno per costruirci una stanza per dipingere, anche se nessuno dei due sapeva anche solo lontanamente tenere in mano un pennello e, dettaglio non trascurabile, ufficialmente non vivevamo affatto insieme. Rotolai verso il suo lato del letto e mi stesi addosso a lui, che sbuffò flebilmente, per afferrare il cellulare che poteva essere indifferente mio o suo: “Pronto?”
“Sei tu, baby?”
Devo aver pensato che baby era l’unico nome a cui rispondevo, in California, e deve essermi perciò venuto in mente quel personaggio di un libro di Toni Morrison con lo stesso nome. Baby Suggs era la struggente matriarca di una complicata famiglia che un bel giorno si mise a letto e, in attesa della morte, pensò soltanto ai colori; aveva deciso di sostituire il suo nome di battesimo con Baby perché così la chiamava l’uomo che era stato l’amore della sua vita. Solo, baby. Ascoltai la voce che mi comunicava con poche, misurate, compassionevoli parole quel che era accaduto. Jimmy, richiamato al mondo fenomenico dal suo sesto senso per i cuori che si spezzano, si girò verso di me con tutto il corpo; le molle del letto cigolarono, instillando un sospetto strisciante nel mio interlocutore.
“Ho interrotto qualcosa?”
“No… ma poi, come…”
“Ho chiamato Jimmy ed hai risposto tu, non serve mica un indovino.”
Zacky non era un indovino, e neppure io. Jimmy un po’ sì, invece. Mi accarezzò il viso con la mano aperta; una mano ruvida, abituata al legno scheggiato, ai colli di bottiglia, ai bicchieri, a me.
“Sasha?”, disse soltanto, e la penombra si rischiarò di un po’ di luce.
“Sasha.”
“E come è successo?”
“Si è buttato. Nel vuoto. Si è buttato nel vuoto, dalla finestra del suo appartamento negli alloggi universitari del Memorial.”
San Sullivan sospirò forte, disse tra sé “che vecchio stronzo,” mi guardò intensamente, saltò giù dal letto e si infilò i pantaloni: “D’accordo, andiamo.”
Un quarto d’ora dopo eravamo in macchina. Lui guidava con una lucidità di cui di solito era capace solo dopo l’una di notte. Io guardavo ovunque tranne che la sua mano sulla leva del cambio, fumando la sigaretta che aveva acceso per me.
“Jimmy,” gli dissi, “perché non ci mettiamo insieme e la facciamo finita una volta e per tutte?”
“Intendi farla finita nel senso di morire? Romeo e Giulietta? Io mi avveleno e tu ti accoltelli?”
Non ne avevo nessunissima intenzione, eppure scoppiai a ridere. Nella radio, John Cale cantava Barracuda.
“Puoi mai farmi ridere in un momento del genere?”
“Grazie a dio, sembrerebbe proprio di sì.”
Mi sorrise. Gli sorrisi.
“Comunque per me va bene,” aggiunse, guardando la strada, “io sto aspettando te, lo sai.”
“Potresti fare qualcosa.”
“Per esempio darti una botta in testa e trascinarti a letto?”
“A letto non mi ci hai mai dovuta trascinare, finora.”
“No, devo dartene atto: ci vieni sempre volentieri. Ma non facciamo che dormire.”
“Perché, che altro si fa a letto?”
Sorrise, guardingo. “Un sacco di cose divertenti.”
“Si gioca a Scarabeo?”
“Giocare a Scarabeo non è divertente.”
“Si disegna?”
“Quanti anni hai, cinque?”
“Vuoi sposarmi, Jimmy Sullivan?”
“Ancora? La risposta è sì. Sempre sì.”
Il cortile di quell’ospedale era diventato una sorta di parco a tema; la Mustang di Jimmy (un veicolo incomprensibile) si fece largo tra i van del telegiornale ed una piccola folla di curiosi a colpi di clacson. Smontai all’amazzone e Synyster Gates mi afferrò prima che potessi dare una facciata nel marciapiede.
“Stai perdendo il baricentro, baby.”
“Tu stai perdendo i capelli, Brian.”
Sorrise, mi diede un bacio e mi strinse forte. “So che eravate molto legati, mi dispiace. Il Reverendo ti ha consolata?”
“Il Reverendo non è la Madonna del Soccorso, contrariamente all’opinione pubblica. In ogni caso, non ne ha avuto il tempo.”
Brian rivolse al migliore amico uno sguardo severo da dietro agli occhiali da sole.
“Ti avevo o non ti avevo detto che la vulnerabilità è un grande afrodisiaco?”
“E io ti avevo o non ti avevo detto di non rivolgermi mai più la parola?”, rispose Jimmy, lanciando una sciarpa alla cieca sui sedili posteriori e sbattendo lo sportello.
“Almeno tre volte, questa settimana.”
“Non abbastanza, a quanto pare.”
Quando loro erano vicino a me né il mondo né la realtà avevano grande spazio di manovra, ma poi le vidi; le figlie di Sasha, curve nel dolore dall’altra parte del prato. Iniziai a correre. Più tardi, Jimmy mi avrebbe detto che sembravo lo spettro di una sposa, con il vestito bianco che frustava il vento. Jashe e Shoske mi si gettarono tra le braccia come se io fossi in grado di tenere insieme la fragile fibra di un universo in dispersione.
“Perché l’ha fatto, Viola?”
La risposta esatta, l’unica possibile, era: chi lo sa. Qualcuno alle mie spalle batté la notizia che Alexander Mangrove, Professore Emerito di Etnolinguistica dell’Università della California, Decano, autore di tre best-seller del New York Times, era morto suicida saltando da una finestra. Fu forse per il fastidio che mi provocò il pensiero che un intero individuo, con tutte le sue speranze e contraddizioni, potesse essere ridotto a qualche cenno di una brillante carriera e una tragica fine che dissi: “Perché non ne poteva più del rumore costante.”
L’afa aveva chiuso Los Angeles dentro un barattolo di densa foschia lattea; dalla nube si materializzò Jimmy, come un’apparizione. Shoske era amica di Zacky da quand’erano bambini. Lo guardai negli occhi e capii che qualcosa non andava; troppi Avenged Sevenfold tutti insieme senza strumenti musicali. “La polizia vuole parlarti,” disse, “hanno trovato una lettera indirizzata a te.”
“Che cosa?”
“Può seguirci, dottoressa? Solo lei, per favore.”
Jimmy sovrastava l’agente di una buona decina di centimetri. “Non va da nessuna parte, senza di me.”
“E lei sarebbe?”
“Io sono il fidanzato,” rispose lui, sostenendo impassibile lo sguardo.
Johnny Christ e consorte saettarono nel mio campo visivo da est. “Ed io sono il suo avvocato,” disse Lacey trafelata, tirando al marito una gomitata per estrarre in fretta dalla borsa la tessera dell’ordine. Synyster Gates mi staccò di dosso Jashe e Shoske con mano gentile, ma ferma; aiutò molto il fatto che, da quando il mondo ne aveva memoria, non c’era donna che non si facesse volentieri staccare di dosso a qualcun altro da lui. Il poliziotto squadrò l’improbabile congrega che evidentemente eravamo. “D’accordo,” disse, “l’avvocato e il fidanzato, però il fidanzato aspetta fuori.”
Jimmy gli rivolse un sorriso che era piuttosto un ringhio: “Veda di essere un gentiluomo e me la tratti bene.”
“Cerchiamo di calmarci.”
“Sono calmo.”
“Vogliamo fare un controllo alla fedina penale?”
“Non si disturbi, gliela riassumo: sono stato arrestato più volte. Comportamento violento.”

Viola adorata, non ho tempo di spiegarti e forse nemmeno troverei le parole giuste. Sappi che ogni cosa che ho fatto, inclusa questa, l’ho fatta soltanto per te. Molto rumore per nulla; niente è vano come la vita, bambina mia, ma… una vita per una vita: è questa la regola. Do in pegno ciò che resta della mia perché tu possa avere quella che vuoi.
Con amore,
Sasha


La stanza profumava di magnolia.
“Di che natura era, esattamente, il suo rapporto con il Professor Mangrove?”
“Eravamo amici. Gli ho fatto da consulente per due dei suoi tre romanzi ed ho spesso tradotto per lui. Ma soprattutto eravamo amici.”
“Dottoressa, il Professor Mangrove aveva settantotto anni.”
“Lo so, gli ho fatto fare io la torta per l’ultimo compleanno. E allora?”
“E allora quanti anni di differenza c’erano, tra voi? Cinquanta?”
“E allora?”
“È anche amica delle sue due figlie, non è vero?”
“Sono andata in collegio in Europa con Jashe Mangrove, siamo coetanee. Shoske è più grande di noi di quasi dieci anni, l’ho conosciuta dopo.”
“Aveva una relazione con Alexander Mangrove?”
Jimmy, che non ne aveva proprio voluto sapere di restare in corridoio, si staccò dal muro a cui era appoggiato e rivolse all’agente un’occhiata così intensa e minacciosa da bucargli il cranio.
“Abbiamo detto niente scene, signor Sullivan, o sarò costretto a farla uscire.”
“Abbiamo anche detto che sarebbe stato un gentiluomo.”
“No, non avevo una relazione con Alexander Mangrove,” tagliai corto.
“Questo biglietto… una vita per una vita, significa niente per lei?”
“Tutto e niente. Parlavamo molto, e di molte cose; ci vedevamo per cena una volta alla settimana.”
“Da soli?”
“Sì, il più delle volte da soli.”
“E a lei stava bene?”, chiese il poliziotto a Jimmy.
“Sono il fidanzato, non il carceriere. Non doveva certo chiedermi il permesso.”
“Vivete insieme?”
“Sì.”
“Bambini, cani?”
“Un’iguana.”
“Posso chiedere perché tutte queste domande per una lettera?”, si intromise Lacey, sporgendosi verso l’agente. Lui la guardò.
“Abbiamo trovato anche il testamento del professore; al netto di due decorose rendite ed una proprietà per le figlie, ha lasciato tutto a lei.”
Lacey non batté ciglio. “Mi quantifichi questo tutto,” disse, asciutta.
“Di preciso non so dirle, ma ad un’analisi superficiale direi un sacco di soldi ed almeno tre case, oltre alla sua biblioteca personale.”
“Non vedo il problema,” dissi, “rifiuterò l’eredità.”
Il poliziotto guardò me.
“Dottoressa, lei può fare quello che vuole, ma spero capisca che io ero tenuto a porle queste domande. Per me può andare, grazie del suo tempo e mi perdoni la mancanza di tatto.”

Mentre uscivamo dalla stanza sentii il braccio di Jimmy che mi afferrava la vita.
“Così adesso state insieme?”, chiese innocentemente Lacey.
“Siamo sempre stati insieme,” risposi io, distratta. C’era qualcosa che volevo vedere.
Il guardiano del campus sorvegliava la porta dello studio di Sasha: “Dottoressa Grail,” mi disse, “lei non può stare qui, e infatti io non l’ho vista.”
Si voltò dall’altra parte per lasciarci entrare. Lacey si confuse, ma Jimmy aveva capito. “Cosa cerchiamo?”
“Una commedia di Shakespeare: Molto rumore per nulla. E qualsiasi altra cosa ti sembri utile.”
“Definisci utile.”
“Conoscevi Sasha.”
La stanza odorava di legno di sandalo. Jimmy si bloccò davanti ad uno scaffale.
“Baby…”
Io avevo appena sfilato il libro che mi serviva dal cassetto in cui Sasha mi lasciava sempre le traduzioni da fare e le pagine da correggere, insieme al suo mazzo di tarocchi marsigliesi.
“Baby.”
Nella polaroid che teneva in mano, io e Jimmy eravamo di schiena, seduti su una panca che guardava Dana Point; la mia testa sulla sua spalla, il suo braccio intorno a me. Sul retro il professore aveva attaccato l’arcano maggiore numero 6: gli amanti.
“Dov’era questa, Jimmy?”
“Proprio qui.”
Mi indicò i dorsi di due romanzi.
“Prendili, per favore. E andiamocene in fretta, prima che al custode torni la memoria.”
Uscii di corsa infilando i libri nella borsa di tela e afferrai Jimmy per il polso in un moto inconscio di disperazione; lui convertì il gesto in un discreto, ma solido, prendermi per mano. Ci fermammo soltanto in cortile, quando gli dissi: “Ho freddo,” e lui si sfilò la giacca di pelle per darla a me. Brian faceva avanti e indietro senza pace nei pressi di una siepe, in disparte; andammo da lui e crollammo a sedere sulla panchina che il chitarrista stava ignorando. Mi presi la testa tra le mani, i resti di un gelido inverno che mi franavano dentro la cassa toracica da qualche punto molto in alto. Ero rimasta orfana altre volte e di molte cose, ma mai in questo modo.
“Ho bisogno che tu mi dia tutti i dettagli, baby, oppure non saprò cosa fare nel caso in cui i poliziotti insistano.”
Guardai Lacey, la sua calma; si era vestita in fretta ed ora suo marito le porgeva un caffè da asporto. L’altro era per me, macchiato freddo, con latte scremato e poco caramello. La nebbia non accennava a diradarsi. Jimmy era sempre lì, inamovibile al mio fianco su quella scomoda panca di marmo oppressa dal ligustro. Un uomo che chiaramente amavo, e che chiaramente amava me, ma con cui non ero mai andata oltre qualche bacio.
“La lettera era un messaggio; voleva che andassi nel suo studio, che trovassi quella commedia e probabilmente anche la foto. Ci saranno altri indizi sparsi nei tre libri che ho nella borsa. È un enigma; lui è sempre stato così.”
“Un enigma? Per arrivare a cosa?”
“Al tempo.”
“Al tempo? Non capisco, dammi un attimo. Sapevi che aveva intenzione di uccidersi?”
“Certo che lo sapevo.”
Sospirò e si rivolse a Jimmy con un cenno del viso: “Tu lo sapevi?”
“Ovviamente sì,” risposi, prima che potesse farlo lui, “Da quando lo conosco non c’è stata una sola cosa che io non gli abbia detto.”
“Reverendo e confessore.”
“Come se non sapessi anche tu che tutti quanti si confessano con lui,” sorrisi dietro il cappuccino. Fu doloroso.
“Hai qualche idea del perché Mangrove ti abbia lasciato una tale eredità?”
“Sì, una,” risposi, con tranquillità.
Lacey mi guardò intensamente.
“E quale?”
“Credo che Sasha fosse mio nonno. Il padre biologico di mia madre.”
Calò un silenzio surreale che non seppi come riempire; le parole mi sfuggivano da tutte le parti come perle di una collana rotta e, in ogni caso, erano cose da pazzi. Cose che solo Jimmy poteva ascoltare senza vacillare, con concentrato e sereno interesse e dalla viva voce di Sasha, nel suo salotto con le pareti verde acqua e le litografie di Cuba sui muri, il camino sempre acceso, il mobile bar di un altro secolo, i manufatti etnici dei quattro angoli del mondo e un’infinità di misteri travestiti da oggetti d’arredamento. Cose che solo io potevo trascrivere e alle quali potevo credere, perché ero stata educata fin da bambina a prestare attenzione a quella parte di realtà che prescinde il carcere dell’aria ed esiste solo perché invisibile all’occhio umano.
“Ascoltami bene, Lacey. Non distrarti, non fermarmi, fammi domande solo alla fine.”
Lei mi guardò, tranquilla. Non disse niente. Quando anche Brian fermò il suo vagabondare per sentire l’assurda storia — solo allora, iniziai.
“Sasha sosteneva che in ciascuno di noi esistesse, dalla nascita, una mappa rudimentale di tutti i nostri possibili futuri; trovata la chiave interpretativa, era possibile vederla e prevedere i diversi esiti e percorsi della vita di qualcuno, come osservare un labirinto sotto vetro. Ma ogni labirinto ha un centro, un cuore; una specie di punto fisso verso cui le diverse vie inevitabilmente convergono. Diceva che al cuore del mio labirinto, indipendentemente da quale strada io prendessi, c’era sempre lo stesso uomo. Il problema era che al centro del labirinto di quest’uomo, invece, c’era sempre la morte.”
Brian si sedette accanto a me, dall’altra parte; più precisamente si lasciò cadere, perché seppe all’istante e senza chiedermelo chi era l’uomo in questione.
“Hai visto Il settimo sigillo di Ingmar Bergman: la morte non si può sconfiggere, è cosa nota. Si può solo rinviare. Credo che Sasha, uccidendosi, abbia offerto gli anni che gli restavano a quell’uomo. Gli ha dato tempo. Non sappiamo quanto. E lo ha dato anche a me, perché trovassi il modo di rubarne ancora.”
“Rubare il tempo?”
“E ingannare la morte.”
“Chi altro lo sa, baby?”, mi chiese, seria, Lacey.
“Nessuno, a parte Jimmy, conosceva la storia per intero. Comunque, Zacky e Matt si sono prestati al gioco ed ora hanno il loro arcano. E Valary, ovviamente.”
Estrassi il mazzo di tarocchi dalla borsa, lo aprii a ventaglio e lo porsi alla donna che mi stava di fronte perché scegliesse una lama: “Mi dispiace, Lace, ma questa cosa riguarda tutti. Anche te.”
Sfilò una carta e la guardò, stranita: la Giustizia. Spostai il braccio verso Brian, che fece lo stesso: “L’eremita,” mi informò, fissando l’uomo con il cappuccio e la lanterna.
Porsi il mazzo a Johnny, che estrasse il Papa.
“Questo è affascinante,” commentai, “era la carta di Sasha.”
“La tua qual è, baby?”, si informò il bassista.
“L’Imperatrice.”
“Io sono il Sole,” si intromise Shadows, facendomi una carezza in testa a titolo di saluto. Nessuno capì da dove era spuntato, ma qualcuno gli rispose: “non ci saremmo mai permessi di dubitarne.”
“Io sono il Carro,” aggiunse Zacky.
“E Jimmy?”
“E Jimmy, come al solito, non si capisce: oscilla tra l’Arcano numero 1, il Mago, e quello numero 0, il Matto.”
Lacey stava ancora fissando la Giustizia con diffidenza.
“È parte dell’enigma, che a sua volta è parte della ricerca.”, provai a spiegarle. In realtà non c’era molto da spiegare.
“È una cosa da pazzi, lo sapete?”
“Per fortuna noi siamo sempre stati tutti pazzi.”
Alzai lo sguardo verso Zacky e gli fui molto grata per quella frase.

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Capitolo 2
*** Eravamo senza dubbio bambini molto strani, io e te. ***


Subito dopo il funerale di Sasha venne una tremenda tempesta.
Io e Jimmy saltammo fuori dalla sua auto e scivolammo sul selciato del viale di casa mia sotto la pioggia sempre più intensa; quasi ridemmo, scontrandoci nella fuga, e approdammo in casa zuppi d’acqua nonostante avessimo percorso solo pochi metri. Era una villa antica quanto l’America alla periferia di Huntington Beach, abbastanza vicina all’oceano da consentirgli di sfondare le finestre con il suo respiro incessante nei mesi più caldi. Lo guardai mentre faceva ripartire il contatore centrale con un cazzotto e si scrollava di dosso l’acqua in eccesso sopra un tappeto che Ausencia, la mia governante, non vedeva l’ora di dare alle fiamme; quando lui era in casa gli chiedeva istruzioni, gli sottoponeva questioni di economia domestica e lo faceva parlare con il giardiniere nella muta speranza che restasse per sempre. Quella donna minuta ed efficiente, che era già di mezza età quando io ero bambina, lo adorava in un modo sconsiderato; sapevo che le ricordava il figlio che aveva perduto molti anni prima in circostanze che lei non aveva voglia di spiegare e su cui io non indagavo per discrezione.
“Prima o poi dovremo fare qualcosa per questo maledetto contatore,” disse. Ausencia apparve da dietro un angolo. “Ma che bello avervi a casa tutti e due.”
Jimmy le rivolse un sorriso pieno di fascino: “Hola, mi amor.”
Tu mi amor. Levati quella maglia, ti prenderai un malanno. Hai fame? Forse meglio se preparo uno dei miei famosi borrachos per tutti e due. Come stai, mi niña? Hanno dato una degna sepoltura al vecchio corvo?”
Sospirai mentre lo guardavo sfilarsi i vestiti e depositarli nella cesta in attesa tra le braccia di Ausencia; mi fece segno di fare lo stesso e mi affrettai a obbedire. “Sai com’era fatto. Un funerale di stato.”
“Hai letto quel passo che volevi leggere?”
Stavo combattendo inutilmente con la chiusura dell’abito e le risposi solo quando Jimmy accorse ad aiutarmi con mano esperta. “Ho letto Tutto e niente di Borges, che fu scritto per Shakespeare. L’altro mi sembrava troppo intimo per darlo in pasto alla folla piangente.”
Lui era in ginocchio davanti a me e mi stava sfilando le calze; mi guardò e non disse niente, ma Ausencia era chiaramente soddisfatta della piega che avevano preso le cose.
“E le ragazze?”
“Sono tristi e frastornate.”
Y tu, muñeca?”
“Io sono preoccupata.”
“Sono trent’anni che sei preoccupata, non facciamone un dramma. Vado a mettere questi in lavanderia e a prepararvi da bere, voi nel frattempo fate un bel bagno caldo. Insieme, che fate prima.”
Jimmy era in mutande ed aveva le mie scarpe in mano: sorrise. Ausencia svoltò l’angolo e sparì.
“Sei inopportuna!” le urlai dietro.
“Sì, sì,” mi giunse la sua voce, “sbrigatevi! Se non tornate giù entro mezz’ora poso tutto in ghiacciaia e mi metto a recitare un Magnificat di ringraziamento.”
Scoppiai a ridere, una cosa che mi accadeva di rado. Guardai lui, che guardò me. Il mondo divenne uno sfondo sbiadito.

Il piano di sopra aveva una stanza da bagno con stucco veneziano alle pareti e un’enorme vasca proprio al centro; Jimmy, che da me si muoveva come e meglio che a casa sua, stava facendo correre l’acqua calda e il getto potente riempiva in fretta la cava blu dove ci saremmo ripresi dal freddo improvviso. Tolsi il reggiseno e sentii il suo sguardo posarsi su di me, denso e possessivo come un gesto; tenni gli occhi ostinatamente puntati oltre lo specchio vicino alla grande finestra, nella notte che avanzava in anticipo sul tempo e nella tempesta che minacciava di sfondare i vetri. La luce elettrica regolabile era già soffusa: l’intera stanza riverberava di romanticismo e desiderio. Tolsi anche gli slip e li buttai in un angolo. Nuda, afferrai una bottiglia dalla forma strana e rovesciai una generosa quantità di bagnoschiuma al fico nella vasca, che si riempì di bolle. Lui mi fissava incantato. Arrossii.
“Cosa fai, non li togli i boxer?”
Non si mosse ne parlò, ma in un modo così dolce che mi sorse spontaneo un sorriso; mi avvicinai con cautela e glieli tirai giù io. “Se abbiamo deciso di farci trattare come bambini da Ausencia, tanto vale che andiamo fino in fondo. Entra prima tu, scegli la parte che vuoi.”
Ma alla fine, una volta dentro, mi stesi su di lui e mi lasciai abbracciare.
“Eravamo senza dubbio bambini molto strani, io e te,” gli dissi.
“Posso darti almeno un bacio?”
Misi la bocca all’altezza della sua e annuii. Il bacio fu tenero e pericoloso, sistemarmi di conseguenza inevitabile, e per poco non rischiammo di fare qualcosa di molto stupido.
“Vedi perché non possiamo baciarci?,” gli dissi, a un passo dall’irreparabile, “perché baciarsi, per noi due, vuol dire dover fare l’amore subito. E non possiamo fare l’amore.”
Mi accarezzò come solo lui sapeva fare, con le mani e le labbra e il viso. Parlò sulla mia pelle, vicino alla mia bocca. “Perché hai così paura di una profezia, baby?”
“Perché nella vita ne ho viste accadere anche di più strane. E perché non posso perderti.”
“Non mi perderai.”
“Questo non lo sai.”
“Sì che lo so. So anche che non senti ragioni, però. E che pensi al fare l’amore con me come a un imperativo categorico, il che ovviamente mi fa molto piacere.”
“Sai anche che non è solo per la profezia, allora. La tua cartella clinica non è certo un mistero.”
Jimmy si accigliò brevemente e mi pizzicò un fianco.
“Io sono un uomo, piccola, non una cartella clinica. Non è che posso vivere trattenendo il respiro per tutto il tempo che mi resta, poco o tanto che sia. Nessuno può, e nessuno sano di mente vorrebbe.”
Mi girai nel suo abbraccio e gli appoggiai la schiena al torace; le sue mani sul mio seno non furono una provocazione né una dichiarazione di intenti, semplicemente un fatto.
“Va bene?”, mi chiese, pieno di premura.
“Certo che va bene.”
“Comunque,” disse, “se potessi scegliere modo e tempo morire, ora e qui non sarebbe affatto male.”
Sorrisi all’oscurità che avanzava. “Dammi un figlio almeno, prima.”
“Per poterti dare un figlio dovrei fare l’amore con te, mi duole informarti. Circostanza che, mi pare, almeno per il momento abbiamo escluso.”
Gli presi la mano che giocava con il mio seno e la baciai più e più volte.
“Sei davvero convinta che risolvere l’enigma di Sasha servirà a qualcosa?”
“Sì.”
“Quindi qual è il piano?”
“Il piano, per ora, è parlare con mia nonna. Aprire quei romanzi, portarli da lei, farci dire cos’è che non vediamo. Val sta facendo progressi con la lettura delle carte.”
Jimmy scoppiò a ridere. “È tutto così assurdo. Mi piace.”
Risi anch’io. Ausencia bussò alla porta: “Spero di interrompere qualcosa.”
“Solo il bagno.”
“Se non mi state facendo un pargoletto di cui prendermi cura uscite, siete lì dentro da un secolo. I drink sono serviti, vi ho fatto anche qualcosa da mangiare.”
Mi alzai controvoglia e lo rivolli addosso nell’istante in cui mi staccai dal suo corpo per infilare l’accappatoio; non era l’acqua ad avermi ridato calore alle ossa raggelate dal freddo e dal lutto, era lui. Lui che mi guardava, ancora abbandonato contro il bordo della conca blu; gocce d’acqua, vapore e occhi azzurri che tagliavano la superficie dura delle cose per andare al di là, sempre al di là. L’intricata mappa delle sue braccia. Le piccole cicatrici delle operazioni al cuore tra i tatuaggi sul torace. Tutto in lui era casa mia, l’unica a cui non riuscivo mai a fare a meno di tornare. Mi inventai un altro finale, un altro mondo. Rinnovai la mia promessa di credere all’incredibile pur di trovare un compromesso con Dio e tenerlo con me. Forse aveva ragione lui, dovevamo fare l’amore e sperperare il nostro tempo in un’assoluta e fragile felicità. Ma lui non vedeva quel che io stavo guardando in quell’istante, mentre si scrollava l’acqua dai capelli e si tirava su: un uomo amato oltre ogni lume della ragione che non avrei mai smesso di confondere con un dio, tanto da costruire per lui un’epica intera, da intridere ogni sua cellula di così tanta poesia da raddoppiarne, triplicarne il peso e l’impronta che avrebbe lasciato quando ora e qui non sarebbero più stati un’opzione per lui. Amore… il fragore dell’onda e la prima lama di luce che annuncia il giorno. Amore come una preghiera, un’invocazione, una necessità. Tu eri il vespro, il vespro e non la messa; eri il compieta e non l’elevazione. A messa si va pure senza fede, ma il vespro è veramente di chi crede. Mi alzò tra le braccia e girò su se stesso.
“È bello che ti preoccupi tanto per me, piccola. Ma adesso andiamo a bere qualcosa…”
“… che non potresti bere…”
“… che non potrei bere, ma berrò comunque insieme alla donna che vorrei tanto poter…”
Gli chiusi la bocca con le dita per impedirgli di finire la frase e gli sorrisi. “Andiamo.”

 

Se le follie si ripetono nella famiglia lo si deve al fatto che esiste una memoria genetica che impedisce che si perdano nell’oblio. —
 

Sul retro della villa c’era quello che Viola chiamava ‘il Passaggio’. Era una radura di biancospino e rose circondata da ogni parte da piante verdeggianti; sulla parete ovest della grande tenuta crescevano dei rampicanti più antichi della casa stessa ai quali generazioni di Grail avevano appeso, negli anni, ciondoli e ricordi dei giorni felici. Viola e Theodore, suo fratello, avevano trasformato lo spazio in un luogo di convivio; il gazebo, il tavolo, il dondolo, perfino l’altalena appesa all’immenso faggio poco lontano parlavano di loro, l’ultimo capitolo di una stirpe in cui il mistero era sempre stato risposta e mai domanda. Jimmy era seduto a torso nudo nell’aria di aprile ripulita dalla tempesta, con il viso al sole per non perdere il centro delle cose, lontano dalla protezione del gazebo; Ausencia cuciva all’ombra, in una vecchia sedia di vimini, e lo teneva d’occhio come la nonna e la madre che non aveva avuto il tempo di essere.
“Allora, mi niño?”
“Allora cosa, amorcito? È da quando sono arrivato che vuoi farmi domande, lo so, ma non ti decidi.”
Jimmy non aveva neppure aperto gli occhi per risponderle; Ausencia arricciò le labbra in un’espressione più concupiscente che materna — aveva sempre pensato che quell’incidente diplomatico tra l’America e l’Irlanda con gli occhi azzurri fosse dotato di un fascino discolo e innocente che lo rendeva irresistibile — e disse solo: “Non sempre le domande si devono fare, niño. Ad alcune si risponde con tutta la vita.”
Lui sorrise. “Mi fa bene al cuore questa cosa che mi chiami niño anche se ho quasi quarant’anni.”
“Cosa c’entra? Io ne ho quasi 75”
“Portati benissimo”
“E comunque che tu abbia messo il tuo coso in qualche decina di donne e fatto un po’ di soldi non fa di te un adulto. Sei sempre figlio a me, in un certo senso. E di essere figli si smette un po’ solo quando si diventa genitori.”
Questa volta lui scoppiò a ridere e si voltò a posare uno sguardo pieno di affetto sull’anziana.
“Che ne pensi di tutta questa storia, Ausie?”
“Di quale parte, mi amor? Bebé è sempre stata matta come un cavallo, da quando era piccolina. Ma questo lo sai già. Però io sono con la famiglia da prima che lei nascesse, e mentirei se ti dicessi che è la prima volta che vedo accadere cose che non stanno né in cielo né in terra.”
“È già successo?”
“Sono sempre stati sfortunati in amore, i Grail. Lei ha portato la rivoluzione. Il suo talento non sono le parole, ma la capacità di leggere anche quello che non dicono.”
“Quello che non dicono i libri?”
“I libri e le persone. Non so cosa pensi tu di lei, però. A parte che è bella come gli angeli e matta come Dio.”
Jimmy sospirò al bicchiere di limonata che aveva affianco.
“Con lei ho scoperto che, quando ami davvero una donna, è impossibile farti un’idea di chi è secondo te. La accogli e basta. La veneri. Desideri proteggerla da ogni male, e tutto di lei ti appartiene: il presente, il passato e il futuro. Non c’è niente che non sei disposto a fare. E non c’entra il fatto che sia fisicamente bella, lei è bella tutta. È bella perfino nel modo in cui odia le  poche cose che odia. Per esempio, le fave.”
Ausencia sorrise, ma quel che seguì la prese in contropiede.
“Perché non vuole fare l’amore con me, Ausencia?”
“Perché il vostro legame sta alla base di tutta quell’assurda teoria dei destini del Professore. E, se lui ha ragione, consumare affretterebbe la rovina.”
“Una sentenza di morte ce l’ho già, è tutto scritto nero su bianco da dottori in medicina. Se proprio devo andarmene, almeno che ne sia valsa la pena.”
L’anziana donna si strinse nelle spalle studiando un punto complicato del lavoro all’uncinetto che aveva in grembo.
“Ci dormi insieme. Bloccale i polsi sopra la testa e dille come stanno le cose. Cederà, perché lo vuole come lo vuoi tu.”
Jimmy si finse sorpreso: “Non è certo il tipo di suggerimento che mi sarei mai aspettato da te.”
“Non essere ridicolo, corazón. Il sesso è una cosa naturale. Privata, ma naturale. Ed è bene che accada fra due che lo desiderano, perché non si pensa lucidamente sennò. E poi tu sembri così sicuro di te. Come sai che la ami davvero?”
“So che la amo davvero perché mi trovo dentro un quadro metafisico senza capo né coda che non mi spiego e, anche se non sono mai riuscito a credere in Dio, non ho avuto un attimo di esitazione a credere in lei.”
“Allora fai quello che dice. Andate in Messico dalla bruja, portatele i vostri dubbi. Saprà dire qualcosa che io non so. Lo ha sempre fatto.”
“Viveva qui?”
“La señora Ananke? Poco. Comunque, quelle rare volte che c’era questa casa impazziva. Impazzivano gli oggetti, li si trovava ovunque. Una volta estrassi una collana di rubini dal forno acceso, nessuno seppe mai com’era finita lì. I bambini non potevano essere stati, perché erano tutti e due in collegio in Europa. E non è tutto. Impazzivano i libri. Impazzivano gli animali del bosco qui vicino e quelli dell’oceano oltre l’aranceto. Impazzivano gli uccelli, perdevano la rotta del cielo.”
Jimmy aveva preso una posizione d’ascolto dei tempi delle elementari, con la testa tra le braccia sul tavolo da picnic.
“Mi sembra quasi di riuscire a vederla, questa misteriosa nonna” disse, “si somigliano?”
“In alcune cose sì, molto. Per esempio, quando c’era lei qui c’era sempre anche il vecchio corvo. Il suo migliore amico, diceva.”
“E lo era?”
“Come tu lo sei per Viola.”
Jimmy sorrise interdetto, senza malizia: “Questa è una cosa molto delicata da dire, Ausie.”
“Lo so, dev’essere qualcosa nell’aria di qui che vi fa comportare tutti come degli stronzi smidollati.”
“Avrei detto come eroi di una qualche tragedia di Shakespeare.”
“È la stessa cosa.”
Lui rise. “Non farti sentire da Viola.”
“Comunque, sai che Ananke è un nome greco? Significa ‘la necessità, il fato’. È un nome che ha a che fare con l’inevitabilità. Quel che deve per forza accadere.”
“Ti prego, non torniamo sull’argomento.”
“Torniamoci, invece. Questa è una storia di generazioni di antropologi e linguisti che si sono uniti in matrimonio quasi esclusivamente con generali e nobili. Parliamo di donne come fiamme al vento. Anche sua madre, la figlia di Ananke, era così. Fragile, ma eterna. Queste femmine sono diamante o cristallo, ma in ogni caso riflettono una luce da cui è impossibile non essere abbagliati. Ananke e Mangrove erano sempre in giro per il mondo a studiare mitologie e antichi riti, ma c’era qualcosa quando li guardavo lavorare insieme alle loro ricerche chini sullo stesso tavolo che non si dimentica in quarant’anni. Le bionde dagli occhi striati come le tigri che produce questa discendenza sono la rovina di qualsiasi uomo perbene.”
Alzò lo sguardo su di lui, divertita: “Fortunatamente per gli uomini perbene, però, loro sembrano preferire compagni di un altro tipo.”
“Non so se è un insulto o un complimento.”
“Ti chiamo ‘mi amor’ perché lo sei, figlio mio. Sei il mio amore grande. E non ti dimenticare che sono stati gli uomini perbene a portare questo mondo allo sfacelo,” sentenziò, mettendo da parte il lavoro, “neanche Mangrove era un uomo perbene. Però sapeva il fatto suo, e in più di un’occasione io stessa sono stata testimone dell’efficacia delle sue assurde soluzioni ai problemi. E la mia señora bruja, se possibile, è anche più brava di lui. Comunque, il dio di questa casa non è mai stata lei.”
“E chi è stato?”
Ausencia fece un cenno vago verso la finestra del secondo piano.
“La tua ragazza è la dea incoronata di queste mura. Non c’è diamante più duro né spaccapietre più ostinato di lei. Se la nostra Viola del Pensiero vede una luce in fondo al tunnel, per quanto assurdo sembri, con l’aiuto di Dio e delle sue due braccia, vuol dire che c’è. Il corvo ha già fatto qualcosa, e Ananke saprà decifrare il resto ed indicarle la strada.”
“Secondo te funzionerà?”
“Deve. Perché se non funziona questo, non funziona niente. E io vi perdo entrambi. La mia bambina non sopravvive un giorno senza di te. E non è un timore, è una certezza.”
Jimmy respinse quel pensiero insopportabile con un colpo di tosse: “Sei un po’ bruja anche tu, non è vero?”
Ausencia non disse nulla: arricciò il naso e sorrise.

Fece le scale a due a due e arrivò nel lungo corridoio del piano di sopra. Si guardò intorno e fece caso al modo in cui l’aria si disponeva intorno alle cose in quella fragrante mattina di aprile; non era mai sveglio prima di lei, ma questa volta sì. I suoi sogni erano pieni di simboli e cifre che non sapeva interpretare. Ausencia e la limonata erano rimaste a scaldarsi di sotto; ogni soprammobile e quadro, ogni vaso di rose riluceva di un bagliore latteo, come se anche il corridoio fosse soltanto un sogno. Spinse la porta dolcemente e guardò i capelli di lei sparsi sul cuscino, il suo corpo sotto il lenzuolo, la quieta respirazione di fiore che aveva quando era immersa nel sonno. La stanza era in penombra, ma il buio era altrove ed i contorni dei mobili — e della donna — erano chiari e vicini. Si ricordò dell’uomo ineffabile con cui aveva passato tante sere dell’anno e mezzo precedente; la barba corta e curata, bianca come i suoi capelli, gli occhi vividi e accesi che sembravano sempre tornare da un’altra dimensione quando si posavano addosso a qualcuno. Il suo amato camino — inusuale, per la California, — e le pareti ingombre di libri, alcuni dei quali molto più vecchi di tutti e tre loro. “Devi capire, James,” diceva Mangrove nella sua memoria, “che esiste un ordine invisibile che regola le cose. In gran parte siamo noi stessi a definirlo, con le azioni e i pensieri di cui siamo la sorgente e che tornano misteriosamente negli anni, come evocati da una magia. Sai quando pensi ad un film in un determinato giorno, apparentemente casuale, e dai ricordi che ripropongono annualmente quei maledetti social network scopri di averlo visto per la prima volta quello stesso giorno di molti anni prima? Funziona più o meno così anche con le emozioni, le sensazioni, le decisioni. Per questo si dice che la storia si ripete, per questo un percorso è fatto di passi ed è dunque possibile prevederne l’esito. Ma noi siamo qui per diventare l’eccezione, non la regola. Siamo qui per incastrare l’ingranaggio ed opporci a ciò che è già scritto.”
Viola quella sera indossava un vestito di seta color carne che somigliava un po’ alla camicia da notte che aveva addosso in quel momento. “Noi sconfiggiamo i presagi,” aveva detto, interrompendo i pensieri di Mangrove, che la usò come una rampa di lancio spirituale: “Esatto. Shakespeare, Amleto: noi sconfiggiamo i presagi. La scienza ci dice che il tuo cuore è il problema, i miei tarocchi mi dicono che un altro cuore può essere la soluzione.”
Quel cuore invincibile batteva sotto la stoffa della veste di seta, addormentato e languido nel torpore del mattino. Quando si era seduto accanto a lei? Le scostò i capelli dal viso, pregando che un sogno gentile la stesse strappando per un po’ al suono insopportabile dell’orologio che scandiva il passare di un tempo inclemente. La mano che afferrò la sua gli ricordò che tutto in lei arrivava sempre un attimo prima del pensiero, e di solito si trattava di un attimo determinante.

 

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Capitolo 3
*** Non serve che volino le teiere ***


— Lei non credeva che il mondo fosse una Valle di lacrime, ma al contrario una burla di Dio, sicché era stupido prenderlo sul serio, se Lui stesso non lo faceva.—

 

Val giocherellava con gli arcani maggiori al tavolo da pranzo della villa a Cabo. Sullo specchio alla sua sinistra era attaccata la sua carta: la Forza. Mischiò il mazzo e ne estrasse sette carte; il Sole, l’Eremita, il Carro, il Papa, il Matto, il Giudizio, la Morte. Mischiò di nuovo, ne prese tre. Il Matto, l’Imperatrice, gli Amanti. Ne prese una quarta. La Morte. Rifece tutto da capo; il Mago, l’Imperatrice, gli Amanti. La quarta stavolta fu la Ruota della Fortuna.
“Forse ho capito!”
“Che hai capito?”
Il Sole si stava versando il terzo Margarita, pensando che aveva rimandato di due settimane l’inizio dei lavori in studio per il nuovo album per andare a caccia di fantasmi e fattucchiere in Messico. La Forza si voltò: “È una combinazione. C’è una variabile. Quando Jimmy è il Matto”
“Cioè sempre”
“C’è la Morte. Quando Jimmy è il Mago”
“Altrettanto sempre”
“La Morte non c’è più.”
Baby spuntò da una porta con un lungo abito a fiori ed un libro in mano. Jimmy, fino a quel momento insensibile ai maneggi mistici di Valary Sanders, alzò gli occhi dalla poltrona su cui stava leggendo Il Maestro e Margherita di Mikhail Bulgakov.
“Ah, Baby. Mi stavo giusto chiedendo… di chi è questa casa?”
“È mia,” disse Viola, chinandosi alle spalle di Jimmy e passandogli una mano tra i capelli per fargli piegare il collo in avanti; lui rabbrividì percettibilmente, lei sorrise.
"Che cerchi?”, provò a chiederle.
“L’occhio onniveggente,” rispose lei, senza fornire ulteriori dettagli.
“Quante case hai?”, si informò ancora Shadows.
“Molte. Vuoi sposarmi per ereditare?”
Lui si strinse nelle spalle. “Un attimo solo. Val, voglio il divorzio,” disse a sua moglie.
“Va bene,” mormorò Valary, che stava leggendo istruzioni dal libro di Mangrove e non aveva prestato la benché minima attenzione allo scambio.
“Hey,” protestò Jimmy.
Zachary Carro Baker e Brian Eremita Haner riemersero dalla veranda inondata di un’estate fuori stagione.
“C’è qualcosa di strano, qui,” disse il Carro, infilandosi la t-shirt alla rovescia.
“Il tuo senso estetico,” ribatté l’Eremita.
“Qualcos’altro. È nell’aria. È come se ci trovassimo fuori dal tempo canonico.”
“Quanta tequila ha bevuto?”, si informò prosaicamente il Sole.
“Non abbastanza, evidentemente,” ribatté Brian.
“Finitela, sono serio.”
“E da quando tu credi ai fantasmi, Zacky?”
Il Carro sfilò pensieroso dalle mani di Jimmy il romanzo russo e lo aprì ad una pagina a caso: quindi, diceva il libro, ieri agli stagni Patraršie lei ha incontrato Satana.
“Da tutta la vita,” rispose.

 

— ma nel momento più intimo, nel punto preciso della solitudine e del presagio della morte,  —

 

Quando lo vide entrare nella stanza, Viola sentì il solito, familiare dolore al basso ventre. Può il desiderio trascendere il pensiero e diventare un male fisico, una sete? Jimmy la guardò come se l’avesse appena inventata. “Fammi capire,” disse. Lei gli restituì uno sguardo tenero e si strinse nel cardigan. Io vissi nell’attesa di te, il mio cuore non era che i tuoi lenti passi. Paul Valéry. Lui le sorrise.
“Ce la fai a dirmi che mi ami, oggi, oppure aspettiamo ancora?”
“Io te lo dico ogni giorno, Jimmy. Non a parole, forse.”
Jimmy annuì, gli occhi blu accesi di una vecchia fiamma. Si sedette sul letto attrezzando un’espressione seria e si batté le mani sulle gambe; lei rimase ferma a guardarlo, e d’improvviso sentì che indossava un vestito troppo corto ed un cardigan troppo leggero.
“Sto cercando le parole per dirti che credo che né io né l’ordine cosmico ci offenderemmo, semmai volessi finalmente deciderti a dimostrarmelo.”
Lo disse senza guardarla, e Viola sorrise. Si fece vicina, così vicina da sfiorarlo, da potergli sedere in braccio. Invece lo colpì dolcemente con la punta del piede su quel delirante 1981 che si era tatuato sul polpaccio. “Ma io te lo dimostro eccome. Forse non come vuoi tu, però…”
Gli sedette, invece, accanto, e fu già una resa; cercò la sua mano, giunta all’altra in mezzo alle ginocchia. Una sconfitta o una preghiera. Jimmy la prese e le baciò il dorso e il palmo. Sembrò pensarci su un momento, poi la strinse forte tra le braccia e respirò i suoi capelli: “Devi metterti bene in testa che io non ti lascerò mai. Mai. Qualsiasi cosa accada.”
A Viola venne da piangere, ma si raggelò; praticamente scavalcò Jimmy e si frappose tra lui e la cosa che era appena entrata dalla finestra aperta, facendogli scudo con il suo corpo. Il corvo la guardò curioso, piegando la testa. Sembrava si stesse chiedendo lei chi era. Il batterista emise un flebile “ma che cazzo.” Il corvo disse: “cra.” Viola non disse niente, ma si alzò in piedi e si avvicinò con cautela all’animale; si squadrarono per lunghi secondi. Poi lei fece un cenno con il capo, fuori. E il corvo uscì da dove era entrato.
“Dobbiamo andare da nonna Ananke. Il più presto possibile, domani mattina. Va’ ad avvisare gli altri, per favore, io chiudo la finestra.”
“Il vecchio corvo…” sussurrò lui.
“Sì, è un presagio,” disse Viola, “non positivo, generalmente.”
“È un presagio, è vero, ma è anche Sasha.”
“Cosa?”
“Sasha. Ausencia lo chiama così, non ricordi? Il vecchio corvo.”
“Credi che abbia appena cacciato di casa lo spirito di mio nonno?”
“Beh, comunque ci aveva interrotti in un momento molto romantico.”
Senza volerlo, Viola sorrise. Jimmy la raggiunse alla finestra e la abbracciò stretta; fuori, vide che il corvo si era appollaiato su una delle palme basse. Decise di non dirglielo.
“Amore mio, io sono pronto a discutere tutto ciò che è ragionevole in qualsiasi momento, ma anche tu devi essere disposta a mettere un po’ in disordine le tue convinzioni. Magari non tutti i corvi vengono per nuocere.”
Lei gli accarezzò i capelli dietro la nuca in quel modo carico di sottintesi che gli dava sempre i brividi.
“No, hai ragione. Una civetta sarebbe stata molto peggio. E che dolore quando mi chiami amore mio
“Perfino il tuo nome detto da me suona come amore mio, non so come mai.”
“Come fa la gente a sopravvivere alla perdita di qualcuno che ama più di se stesso?”
“Molti ce la fanno.”
“Non io. Quindi non mettermi alla prova.”
Jimmy sciolse l’abbraccio per guardarla con un’intensità che non ricordava di aver mai posseduto. Bionde con gli occhi striati come le tigri. Gli occhi di Viola erano argento scurissimo quando piangeva, quasi oro nel sole, onice screziato se qualcosa la preoccupava. Niente in lei gli ricordava qualcun altro, non la trovava mai altrove. Viola era solo in lei.
“Molto più di me stessa, Jimmy. Più della vita, più della gioia. Preferirei un’esistenza di terrore con te che una di ininterrotta felicità in cui tu non ci sei. Non chiedermelo più, per favore. Andiamo giù dagli altri, devo preparare Shadows all’impatto con l’assistente di mia nonna.”
“Perché tua nonna ha un’assistente?”
“Perché è una persona intelligente, a differenza di me.”

Il Sole stava riverso sul dondolo in terrazza, centro nevralgico di tutta l’umidità e tutte le zanzare della Baja California; insensibile al meteo e agli insetti, fissava accigliato una pagina del manuale dei Tarocchi di Valary Sanders, già appartenuto all’esimio Professor Alexander Mangrove.
“Questa roba…” esalò tiepido quando li sentì arrivare, “dovremmo pensare di scriverci un album.”
Né Jimmy né Viola dissero nulla: si limitarono a fissarlo con così tanto affetto che Matt si alzò, tanto per fare qualcosa, e versò a tutti e tre un’ingente dose di alcol da una brocca. Scelsero il conviviale divanetto ad angolo, meno assillato da bestie volanti.
“Hai decifrato gli indizi nei libri?”
“No. Li conosco così bene che non ci trovo niente di preciso, nulla attira la mia attenzione.”
“Il che, conoscendoti, significa che tutto attira la tua attenzione. Molto bene. Pensi che tua nonna possa esserci d’aiuto?”
“Senz’altro. Voglio andarci domani mattina, magari ci fermiamo qualche giorno lì da lei.”
“Val sta sbroccando con quel manuale, è convinta di essere diventata una specie di indovino mistico.”
“A sua discolpa,” si intromise Jimmy, “ti voglio segnalare che tua moglie dava segni di cedimento già da un po’.”
“Credi che non lo sappia?”
“Cosa, che sto diventando matta?”
Valary era apparsa nella cornice della portafinestra, scalza e con un bicchiere in mano.
“Vorrei che il paranormale fosse più paranormale, Baby. Meno discreto e sottile. Nell’immaginario collettivo non è una cosa da decifrare; anzi, è piuttosto sfacciato.”
“Lo so, Val, anche a me piacerebbe che levitassero le teiere come ne La casa degli spiriti di Isabelle Allende, o che qualcuno salisse in cielo corpo e anima mentre piega le lenzuola nel cortile, ma purtroppo non è così che funziona. Non abbiamo che suggestioni, indizi, briciole. Sensazioni che possono essere tutto e il contrario di tutto. E non so perché.”
“Perché è dentro di noi. Tutto è dentro di noi,” disse Jimmy, “il paradiso, l’inferno, il tangibile e l’intangibile. Siamo contenuto e contenitore. L’uomo è l’unico animale che pianifichi il proprio funerale. Sacchi di sangue e impulsi elettrici, diretti discendenti delle stelle che erano qui prima del mondo stesso, capaci di inventarsi Dio e conversare con gli angeli. Abbiamo costruito e sfasciato imperi con le nostre nude mani e ancora crediamo di doverci rivolgere a qualche entità invisibile nell’alto dei cieli per ottenere l’assoluzione di tutti i peccati o la dannazione eterna, incapaci di ammettere l’evidenza, e cioè che abbiamo tutto qui. L’universo intero dentro una massa di gelatina grande quanto un pugno, protetta a stento dal cranio. Basterebbe rendersi conto di questo per accettare con un po’ di serenità che tutto è possibile, non serve che volino le teiere.”
Calò un silenzio da museo. Jimmy registrò con relativa serenità il fatto che Viola lo stava guardando come un’icona sacra.
“Io lo capisco, il conte Dracula, davvero” disse lei, “non c’è oceano del tempo che non sarei disposta ad attraversare pur di venirti a riprendere.”
“Cercherò di non andare a finire così lontano.”

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Capitolo 4
*** Maktub ***


— Cercò di ricordare il freddo, il silenzio e quella preziosa sensazione di essere i padroni della terra, di avere vent’anni e la vita davanti, di amarsi tranquilli, ebbri dell’odore di bosco e di amore, privi di passato, senza pensare al futuro, con l’unica, incredibile ricchezza di quell’istante presente in cui si guardavano, si odoravano, si baciavano, si esploravano, avvolti nel mormorio del vento tra gli alberi e del rumore vicino delle onde che si  frangevano contro le rocce a picco della scogliera, esplodendo in un fragore di schiuma profumata, e loro due, abbracciati sotto la stessa coperta, come fratelli siamesi in una stessa pelle, ridendo e giurando che sarebbe stato per sempre, convinti di essere gli unici in tutto l’universo ad avere scoperto l’amore. —

La donna arcigna spalancò la porta di legno intarsiato, li squadrò uno ad uno e disse: “Portate la morte con voi.”
Il Sole sorrise: “Portiamo anche i dolci, però.”
Matthew Sanders sollevò con ostentata serenità il vassoio di pasticceria incartato verso la figura spettrale che gli aveva aperto la porta e aggiunse: “Le dispiace se entriamo?”
La figura si fece da parte senza ricambiare il sorriso; li lasciò sfilare oltre l’ingresso, guardò Viola senza stupore: “Allora l’ha fatto davvero.”
“Sì.”
La vecchia fece un rapido cenno con il mento, indicando Jimmy.
“Per lui?”
“Per me.”
“Non ti ho chiesto perché Sasha sia morto. Ti ho chiesto perché sei qui.”
Viola, confusa, arrossì. “Per lui, sì.”
L’altra la fulminò con lo sguardo. “Allora Sasha è morto per lui.”
Zacky si era immaginato casa di nonna Ananke come una capanna nel deserto, invece quella era una villa coloniale appena fuori Puerto Escondido e la signora, magrissima e con un paio di penetranti occhi scuri, gli ricordava uno di quei quadri nei corridoi dei manieri che fanno paura dopo il tramonto. Un uccello crudele. Passò in rassegna gli ospiti senza calore né dolcezza: “Ananke sarà subito da voi.”
Il chitarrista ritmico si confuse: “Lei non è…?”
“Io sono Natasha,” si qualificò la donna-uccello, sfilando dalle braccia di Shadows l’incarto con i dolci, “e questi li prendo io. Aspettate nel salone degli smeraldi, il tè verrà servito tra trenta minuti.”
Sparì alla loro destra, lasciandoli al silenzio. Viola li recuperò prima che iniziassero a vagare a naso in su osservando l’improbabile arredamento di quel posto.
“Venite, vi porto al salone degli smeraldi.”
“Perché si chiama così?” Si informò Johnny, insospettito dal quantitativo di marmo.
“Sul camino sono incastonati quattro smeraldi indiani. Li portò mio nonno da un viaggio in Sri-Lanka.”
“Il che ci suggerisce, inoltre, che c’è più di un salone,” intervenne Shadows, inquisitivo.
“Ce ne sono tre, in questa parte della casa. Due nell’altra.”
“Che se ne fa la gente di cinque saloni?”
“Organizza tornei di bridge,” rispose una morbida voce da poco lontano.
La signora era apparsa dal nulla ai piedi di una scalinata. Aveva gli occhi verdi, una lunga treccia bianca, un’elaborata tunica di broccato e le mani piene di anelli. Età: indefinibile. Zacky si stupì del suo stesso clamoroso errore quando posò lo sguardo su di lei; era inequivocabile, lei doveva essere Ananke. Lei e nessun altro. Viola fece qualche passo incerto e la abbracciò.
“Mi dispiace per Sasha, piccola mia, ma sai com’è fatto. Comunque è più contento così. Ha guadagnato del tempo prezioso, inoltre; nelle carte ho visto una notte molto buia. Ma venite, abbiamo tante cose da dirci.”
Il soffitto del salone degli smeraldi era a volta, decorato con una mappa del cielo; tutto, lì dentro, ricordava l’interno di una torre di astronomia. Le pareti, arazzi e file di scaffali e teche ingombri di libri e misteriosi manufatti, sembravano emanare energia pura ed un vago profumo orientale.
“Che cazzo di posto…” sibilò Brian tra i denti, ma Zacky non lo stava ascoltando; guardava Ananke che guardava Jimmy, attratto da un elefante ornamentale con pietre preziose al posto degli occhi. No, non un elefante. Un dio. “Ganesh,” sussurrò di rimando a Brian, “una divinità indù associata alla saggezza e all’acume.” Brian fissò l’amico come se non l’avesse mai visto prima. “Dunque non il tuo dio, Brian,” sospirò Zacky. Jimmy allungò le dita per accarezzare la proboscide della scultura.
“Prendo il tuo interesse per Ganesh per un buon auspicio,” lo informò Ananke, “i suoi fedeli lo chiamano il distruttore di ogni ostacolo.”
“È bello. No, non bello. È forte. Tu porti anche il nome di una divinità indù, vero?”, sussurrò poi a Viola, continuando ad accarezzare la proboscide dorata.
Lei gli si fece accanto, languida: “Sì. Come fai a ricordartelo? Devo avertelo detto mezza volta, ed eravamo ubriachi.”
“Mi ricordo tutto quello che mi dici.”
“Vogliamo sederci?”, li interruppe Ananke, il cui sguardo — che a Zacky ricordò quello di alcune raffigurazioni sacre, ma non riuscì a identificare quali — non li perdeva di vista un attimo. “Farò servire il tè.”
Il tè arrivo in un servizio di porcellana cinese che mandò Shadows in un breve panico per il timore reverenziale che gli instillò la prospettiva di dover maneggiare oggetti di così chiaro valore; i dolci erano stati disposti su un vassoio smerigliato con intarsi in oro puro. Chiese di nuovo alla sua memoria uno sforzo di volontà per risalire al momento in cui Viola e Jimmy si erano conosciuti e innamorati e, come al solito, quella gli restituì l’eco distante di una pernacchia. Per quanto ci provasse, proprio non riusciva a ricordare.
 Viola appoggiò la tazza sul piattino con mani tremanti e parlò ad Ananke senza introduzione alcuna, come se nessuno di loro fosse lì.
“Non ho la minima idea di cosa devo fare, non voglio perderlo, non posso, ma i segni si confondono sulle pagine e non so più dove è il nord e dove è il sud, se sono ancora viva, se qualcosa di tutto questo è reale.”
Jimmy la guardò, preoccupato, farsi violenza per interrompere il flusso fuori controllo di parole che le era emerso da dentro e accoccolarsi ai piedi dell'anziana signora in poltrona.
“Mi dispiace, nonna,” disse poi, in quel silenzio cortese che l’aveva avvolta, “Anche tu hai perso Sasha. Soprattutto tu.”
Ananke ribatté con una giovialità che li spaventò tutti: “Nessuno si perde e nessuno si trova, bambina mia: le persone non sono mazzi di chiavi. Quante volte te l’ho già detto?”
“Molte.”
“E ancora non mi credi.”
“No.”
Brian, che affondava nei cuscini verdi di seta, ebbe la netta sensazione di aver avuto accesso immeritatamente ad una conversazione tra persone fatte di un’altra pasta, rispetto a lui e ai normali esseri umani che ogni giorno parcheggiavano male e affollavano la terra con i loro piccoli pensieri e le loro piccole azioni.
“Hai portato i tuoi libri?”
“Certo.”
“Brava. Non è detto che serva sempre una domanda precisa per trovare una risposta da qualche parte, anzi.”
“Una risposta a che cosa?”
“Ma all’eterno enigma del presente, è ovvio.”
A beneficio degli altri, che non avevano alcuna speranza di aver capito il senso del discorso, spiegò: “In genere queste vite legate a doppio filo iniziano con un patto di sangue, ma mi sembra evidente che nel vostro caso non sia stato necessario: voi siete anime affini. Viola, Jimmy, quando è iniziata la vostra relazione?”
Viola si era alzata, aveva fatto marcia indietro e preso posto sul vecchio divano bordeaux accanto a Jimmy; lo guardò con mistero e dolcezza.
“Mi riferisco alla vostra relazione fisica” specificò Ananke, senza tradire alcun imbarazzo.
Lo sguardo di lei cambiò e si fece perplesso: “Oh. Non abbiamo ancora… non abbiamo mai…”
Sua nonna parve incredula: “Non avete mai…? E posso sapere perché?”
“Perché Viola temeva che… eseguire il legame avrebbe affrettato l’avverarsi della profezia.”
Shadows si sorprese a pensare che Jimmy era bellissimo, con le braccia tatuate e gli indumenti d’adolescente, mentre, disinvolto, beveva tè da porcellane cinesi che probabilmente avevano qualche anno in più degli Stati Uniti d’America.
“Un’accortezza comprensibile ma inutile, ritengo", concluse Ananke, inappellabile, "la profezia procede sui vostri sentimenti, non sui vostri scambi di fluidi.”

La casa di Ananke, spalancata su uno dei polmoni dei Tropici, non aveva un senso architettonico; però aveva un sentimento. Jimmy riusciva a intuirne il respiro perfino nel labirinto dei corridoi, nei colori tenui delle mura, negli spazi aperti. La vecchia signora aveva dato a lui e Viola una stanza da condividere che affacciava sull’immenso giardino; dal terrazzo privato si indovinava in lontananza il moto incessante del mare. Lui stava fermo, fissava gli arredi e la notte che, passo dopo passo, inondava di ombre il profilo delle cose. Tutto era delicato e neutro come la calma. Il letto, troppo grande e bianco, sembrava morbido ed era pieno di cuscini. Viola uscì dal bagno in accappatoio e si sciolse i capelli con un sorriso; non avrebbe dovuto. Lo guardò indecisa per un istante e, visto che lui non diceva niente, prese dalla cassettiera sotto lo specchio una camicia da notte con la chiara intenzione di indossarla dove lui non potesse vederla. La decisione fu presa prima ancora di capire. Alzando gli occhi nello specchio, Viola quasi sussultò; non si aspettava di trovarsi Jimmy alle spalle. Lui si sporse piano per respirarle i capelli. “Jimmy, se Ananke si sbagliasse…” protestò flebilmente lei, ma le mani dell’uomo alle sue spalle già armeggiavano con la cintura del suo accappatoio. “Jimmy, aspetta…”
“Stai zitta.”
Il letto era soffice e solido, come Jimmy se l’era immaginato guardandolo; lei gli dischiuse le gambe e lasciò che le si stendesse addosso, ma all’ultimo a lui venne quasi da esitare. “Solo se lo vuoi anche tu,” le disse con la voce frustrata dall’eccitazione, ma lei lo guidò dentro di sé con una tale urgenza che restarono a fissarsi, sorpresi e annebbiati, per un lungo istante. Si andarono incontro senza freni né ragione finché l’ultima goccia di quella sensazione ferale non si fu esaurita. Restarono fronte contro fronte a riprendere fiato. La baciò ancora e ancora, piccoli assaggi di labbra ed un tenue sorriso. “Non ho capito cos’è successo,” le disse. “Neanch’io ho capito cos’è successo,” sorrise lei sulla sua bocca. Finì di spogliarlo con delicatezza, attenta a non rompere l’incantesimo del contatto; quando ripresero, lo fecero con una calma e un’intensità che nessuno dei due ricordava di aver mai provato prima. I vetri che avevano dimenticato di oscurare non poterono opporre alcuna resistenza all’irruzione dell’alba, ma tanto il nuovo giorno li trovò ancora lì, insieme.
“Forse dovremmo dormire un po’,” osservò Viola tra i sospiri, leccando via dal collo di Jimmy qualche goccia di sudore salato. “Sai di buono…”
“Tu sai di miele. E non ho alcuna intenzione di dormire, voglio starti addosso finché non verrà qualcuno a prenderci per costringerci a fare colazione. O finché non entra un cazzo di pterodattilo del malaugurio dalla finestra, non lo so. Non so mai cosa aspettarmi, quando sono con te.”
Viola sorrise e lo afferrò alla base della schiena per spingerlo più a fondo in lei.
“Si sono estinti, gli pterodattili,” disse.
“O così pensavamo, poi è apparsa l’assistente di tua nonna.”
La baciò con dolcezza e si perse negli occhi lucidi e accesi di lei, nella sensazione del corpo di Viola sotto il suo, le sue gambe che tremavano leggermente intorno ai suoi fianchi. Si scostò un po’ per guardarla meglio in viso: “Abbiamo davvero fatto l’amore?”
“Stiamo ancora facendo l’amore, Jimmy,” sussurrò la donna, affondando i denti in una delle manette tatuate. Lui ringhiò piano e si mosse d’istinto in lei, strappandole un gemito limpido.

Con la pace dei sensi nel corpo e nell’anima e le occhiaie più scure che Shadows avesse mai visto, Jimmy crollò a sedere al tavolo della colazione e gettò la testa all’indietro per prendere fiato.
“Nottata movimentata?”
“Nottata molto dolce.”
“Forse era il caso di rimandarla di un giorno ancora. Stamattina era meglio farvi trovare riposati.”
“Tra il sollievo e il riposo scegli sempre il sollievo, Matt: è un consiglio fraterno.”
Il Sole sorrise sardonico dietro il succo di frutta: “Prendo nota.”
Natasha servì a Jimmy un caffè nero forte e uno sguardo inquisitore, poi sparì verso le cucine.
“Quella donna sembra un uccello preistorico,” osservò Shadows, pensieroso.
“Una gallina cattiva, per la precisione.”
La rettifica di Carro Vengeance gli giunse dalla porta che dava verso l’androne; in pigiama ed occhiali da sole, il chitarrista ritmico gettò sul tavolo una copia gualcita di Santa Barbara dei Fulmini di Jorge Amado e disse: “Ora, non voglio dire di essere un esperto di divinità Orisha, ma…”
“Tu, un esperto di divinità Orisha? Non me lo aspettavo di certo, ma in realtà nemmeno mi stupisce.”
Fosse dove fosse, occupata in quel che fosse, Santa Barbara, quella dei Fulmini, avrebbe finito per udire ed esaudire.”
Jimmy e Matt si scambiarono uno sguardo interdetto. “Ok…?”
Zacky non diede segni di cedimento. Impassibile, afferrò una tazza, versò il latte e il caffè, diede un sorso e proseguì: “Il nome si ode e si dimentica, giammai si ripete, nessuno lo ritiene nella memoria, solo la madre e la figlia, la iyá e la yawó, ne conoscono la pronuncia.
“No, non so che significa,” sussurrò Jimmy nel pallone. Su un lato del salone delle colazioni (c’erano quattro diversi saloni adibiti ai pasti, le cui nature e circostanze apparentemente richiedevano un mobilio apposito) c’era l’ingrandimento di una foto di Viola e Ananke; lei ragazzina, in un vestito di primavera, con una corona di fiori, e l’altra più giovane, ma sempre con la treccia candida ed uno dei suoi ricercati caftani da passeggio. Il luogo in cui era stata scattata a Jimmy sembrò il Passaggio.
“La madre e la figlia, la iyá e la yawó. Le iyá sono le donne che, a Bahia, si prendono cura del culto degli Orishas.”
“Cosa sono gli Orishas?”
“Maledizione, Matthew,” lo rimproverò Zacky con impazienza, “Sono divinità elementali africane, più precisamente Yoruba. Con ogni probabilità, esportate dall’Africa Occidentale attraverso le navi negriere ed approdate infine sulle coste di questo continente vanesio. Nei secoli il culto a loro dedicato si è mischiato con quello dei santi; in molti casi iconografia cristiana e Yoruba si sovrappongono; da cui, i sincretismi. Hai presente? Santa Barbara, per esempio, è Yansã, la divinità dei fulmini e dei venti. Tra le altre cose.”

Il Sole non ci stava capendo il becco di un cazzo.
“Mi ricordo di Yansã…” sussurrò Jimmy.
“Dovresti. Credo che Viola ne abbia un’effigie da qualche parte in quella villa del mistero in cui abita. Forse in cucina.”
“Chi è che tiene il quadro di una… ehm, divinità Yoruba in cucina?”, osservò analitico Matt.
“Io, caro, ad esempio.”
Gli uomini si alzarono al suono della voce di Ananke, sfoggiando un’insospettabile cavalleria.
“Buongiorno, signora.”
“Non chiamarmi signora. Chiamami Ananke, o nonna. Ma non mi chiamare mai signora.”
“Ricevuto.”
L’anziana donna aveva l’effetto ipnotico di certe maestre su tutti loro, che pure bambini non erano più (e da un po’); prese posto al tavolo e sorrise, rivelando due file di denti bianchi come perle. I suoi occhi verdi saettarono tra l’uno e l’altro con una punta di maliziosa curiosità mentre si versava un infuso carico di mistero e bergamotto.
“Passato una bella nottata?”
“Io ho dormito molto bene, grazie, s… ehm, nonna,” incespicò Shadows.
“E quanti tra noi non hanno dormito, invece? Come stanno?”, si informò ancora lei, guardando Jimmy.
“Molto bene. Grazie.”
Viola scese le scale cantando una melodia che aveva imparato da bambina, musicò un “buongiorno” planando nella sala in cui erano tutti e infine, svolazzando nel vestito lungo piena di vita e di energia, scelse un mango dal cesto della frutta e si sedette alla destra di sua nonna.
“Zacky ci stava tenendo una breve lezione sulle divinità Yoruba,” la informò Shadows.
“E come mai?”
“C’è una donna,” zittì tutti la voce d’acqua di Ananke, “che vive in un posto un po’ fuori mano, un posto chiamato Le Dune. Natasha lo conosce bene, ci va a prendere i mirtilli che coltiva lei. La chiamano la Santa, perché nessuno le vede mai il volto; è truccata da Santa Muerte tutti i giorni e indossa un pesante velo, tutto l’anno. Si vocifera che quelli sul viso siano tatuaggi, non disegni, e che in realtà sia cieca. Ha una certa età, ma nessuno sa quale sia. Le leggende del luogo raccontano che c’è sempre stata e ci sarà sempre.”
Viola, che stava sbocconcellando il mango con fare assente, rivolse a sua nonna due occhi più profondi del mare; lo sguardo non sfuggì a Jimmy ma, dal momento che lei non diceva nulla, non si azzardò a chiederle se andasse tutto bene. Piuttosto, fu subito attratto da Ananke, che guardava sua nipote con l’ombra di un sorriso: “Due giorni fa mi ha mandata a chiamare, ha detto che doveva parlarmi urgentemente. Sono andata da lei, com’è naturale; e lei mi ha raccontato di un’ombra.”
La stanza era fredda, così fredda che sembrava inverno. Viola guardava la tazza di caffellatte con il miele che Natasha le aveva appena messo davanti come se dentro vi stesse leggendo l’insondabile trama del futuro; si arrabbiò infinitamente, — Jimmy se ne accorse benissimo, — ma chissà con chi.
“Tu sei una brava ragazza, Viola. Piena di bontà e coraggio,” proseguì Ananke, allungando sul tavolo una mano che sua nipote non prese. Viola non sembrava sorpresa, né delusa; soltanto fredda, come l’aria intorno a loro: “Con l’inganno. Tu ci hai spinti a fare l’amore con l’inganno.”
“Mi dispiace, bambina, ma la ruota del fato non si può bloccare, solo spezzare. L’universo se ne accorge se lo prendi in giro, se metti un destino in catene; ora tutto è di nuovo in movimento ed avete una speranza più concreta di vincere questa mano di carte con la morte.”
“Se l’ho ucciso perché quadrassero i conti nei vostri mazzi di carte del cazzo giuro che nessuno di noi avrà più un minuto di pace finché avrò vita. E io vivrò a lungo, come sai. Così è scritto.”
Maktub.”
“Già, maktub. È stata la Santa a darti questa idea di merda, nonna?”
Jimmy, Shadows e Zacky sussultarono, perché molto di rado il linguaggio di Viola si macchiava di qualcosa che non fosse puro mistero.
“Mi ha detto che l’ombra si allunga e si ritrae, aspetta. Che una donna della nostra famiglia sta facendo arrabbiare molte entità, che oppone resistenza al corso naturale delle cose. E che, se quell’ombra non si muove, se quasi non lo ghermisce, non c’è modo di spezzare la catena che lo sta trascinando verso l’altrove. Andate a parlare con la Santa, bambina.”
“Perché, la Santa ha una santa soluzione?”
“Perché lei vede più in là del futuro, Viola. Lei vede ogni futuro possibile.”
“Come tutti quanti, Ananke.” La voce di Jimmy sovrastò le altre, per un momento. Viola e Ananke si voltarono a guardarlo; se ne stava tranquillo, seduto a quel tavolo da pranzo come un bambino ribelle, e non sembrava impressionato dalla mistica condanna a morte che gravava su di lui. “Tutti quanti vedono ogni possibile futuro; è precisamente questo il motivo per cui ci alziamo dal letto la mattina. Ma se secondo te l’opinione insondabile di una vecchia pazza nel deserto può riuscire a tranquillizzare Viola, anche solo per un po’, allora carichiamo il fuoristrada e partiamo. Adesso.”
Viola abbassò gli occhi sul mango mangiato a metà. “Piccola,” la chiamò lui, sporgendosi per prenderle la mano — la sua, Viola, la afferrò subito, a differenza di quanto aveva fatto con sua nonna. “Ascoltami bene. Non mi pento di niente. Né di quello che abbiamo fatto, e che continueremo a fare, né di quello che faremo da qui in poi perché tu possa vivere in pace. Non so neanche se ci credo in questa storia del cazzo, non so se devo morire e se posso evitarlo. Ma so che tu sei l’unica cosa che conta, e farò tutto quello che mi chiedi, tutto quello che ti serve.”

Fammi sentire le tue dita dietro il collo ancora una volta. Le tue dita che mi rendono strumento, che  estraggono la musica dal cumulo di ossa e nervi che io sono. Tormento e assoluzione, il desiderio ineludibile di un po’ di dolore, estasi e condanna.
Viola non riusciva a stare ferma e composta; tutto in lei gridava il suo nome. L’hacienda in cui si erano fermati a pranzare non aveva camere da letto; lo trascinò nei bagni e lo spogliò feroce, con lui che rideva e cercava di contenere la sua impazienza. Ignorandolo, si tolse gli slip e se lo tirò addosso contro il muro. “Va bene,” sussurrò Jimmy sulle sue labbra, e la prese lì dove erano, costretto dalla posizione scomoda a spingere a fondo ogni volta.
“Ti sto facendo male.”
“Sì. No. Non fermarti.”
Viola non sapeva cosa voleva. Voleva restare incinta. Voleva diventare lui. Voleva una tregua dal tempo, dal dolore, dalla paura. Lo amava così tanto e così profondamente che non riusciva più a pensare; lei, che del pensiero aveva fatto un’estensione del suo stesso nome; lei, che di parole era piena fino a scoppiare, non riusciva a trovarne neppure una che potesse rendere giustizia all’abisso traboccante di fiori che averlo vicino le apriva dentro. Sapeva solo dimostrarglielo nell’unico modo che le veniva in mente, cioè dargli quello che troppo a lungo gli aveva negato e darglielo d’avanzo, che non ne potesse più di riceverlo. E lo voleva, Dio… lo voleva sempre. Solo sfiorarlo la faceva sentire come un filo scoperto, carica di elettricità. La sostenne contro la parete quando finirono, fronte contro fronte a riprendere fiato come la prima volta e tutte le successive: “Scusa,” gli disse lei, “ti sto facendo fare gli straordinari.”
“Non c’è bisogno che ti scusi, sono a tua disposizione.”
“C’è il rischio concreto che io resti incinta.”
“Lo so. Ne sarei molto felice.”
Lo baciò, perché non c’era altro di sensato da fare. Si separarono dolcemente, e controvoglia.
L’aria ferma del Messico li colpì in pieno quando uscirono nel patio per riunirsi agli altri, un’onda lunga di risate e tintinnio di bicchieri intorno al tavolo da pranzo.
“Sono stata troppo lontana dalla vita troppo a lungo,” disse, guardando quello spettacolo d’arte varia di ordinaria quotidianità.
“Che tu ci creda o no, Viola,” disse Jimmy, “io e te siamo stati molto fortunati.”
“A me non sembra,” rispose, sollevando lo sguardo su di lui, che era l’unico spettacolo a cui non si sarebbe mai stancata di assistere, “ma se ti fa stare meglio raccontartela così, sappi che è un tuo diritto insindacabile.”
Lui fece un sorriso obliquo, un po’ stanco: “Non mi fa piacere, è ovvio, ma non mi spaventa poi così tanto.”
Si riferiva all’eventualità di morire.
“Io l’ho vista la vita senza di te, e non ha nessun senso. Credimi.”
“Sei chiaroveggente?”
“Non serve.”
Lui le prese la mano.

La casa della Santa non solo era una strana costruzione di pietra chiara, ma era anche l’unica nel raggio di chilometri; Le Dune, nonostante il nome, erano dune solo per metà, puntellate da scoppi di vegetazione variopinta e grossi alberi frondosi che non si sapeva come facessero a resistere in quel clima incomprensibile. La Santa li aspettava seduta sulla soglia, coperta dai suoi pesanti veli. Viola smontò dal fuoristrada prima degli altri e le si piantò davanti, in attesa, senza dire una sola parola. La vecchia la guardò, o così le parve: “Bene. La ruota è di nuovo in movimento. Forse possiamo fare qualcosa. Stai scatenando il panico in un universo fragile, Viola Grail. Ma sei fortunata. L’universo ha sempre avuto un debole per i suoi figli ribelli.”
Jimmy le si fece accanto, i capelli sconvolti dal vento del Messico e gli occhi azzurri in balia degli scherzi del sole. “Tuo marito,” osservò la Santa, sempre rivolta a Viola.
“Mio marito, sì.”
Sotto la coltre di veli, la vecchia sembrò sorridere: “Viola Grail parla, il Cosmo la sente.”
La ragazza afferrò d’istinto la mano di Jimmy e lo scostò un po’ dalla traiettoria del presunto sguardo della strega, mettendosi tra loro; un gesto che piacque alla loro ospite, anche se nessuno dei due avrebbe saputo dire perché.
“Voi entrate,” sibilò la Santa, alzandosi in piedi. Non era molto più alta che da seduta. “Voi entrate, gli amici aspettano qui.”
Viola fece un cenno vago a Zacky, che gliene fece uno di rimando. Provò a cercare dentro se stessa la eco di una qualsiasi emozione, ma non trovò niente.
L’interno della casa era ingombro di oggetti della più varia foggia, e rosso, e scuro; da qualcosa che bolliva sul fornello saliva del fumo denso, odoroso di spezie. L’aria era immobile, né calda né fredda. Viola ebbe appena il tempo di rivolgere a Jimmy uno sguardo interrogativo quando sentì una mano adunca arpionarle il ventre. “Non avere paura, bambina,” sussurrò la vecchia, “sei forte. Qui c’è la vita. Da qualche parte, tutto intorno a noi, la morte. Cos’hai fatto, ragazzo, per piacerle tanto?”
“L’ho ascoltata, credo.”
“Non a lei. Alla morte. Cos’hai fatto per piacere tanto alla morte?”
Jimmy osservava, calmo e diffidente, la mano decrepita che dal ventre di Viola stava salendo verso il seno. “Un cuore forte, bambina. Daresti il tuo cuore per il suo?”
“Sì,” rispose lei, senza esitare né pensarci. “No,” la sovrastò Jimmy. Ne aveva avuto abbastanza. La strappò dalla presa della donna e se la tirò al petto. “Adesso basta. Perché siamo qui?”
La Santa cantilenò qualcosa, poi andò al fornello e riempì due tazze con il liquido che bolliva. “Bevete questo,” disse loro, porgendogliele, “poi andate di là. C’è un letto. Fate quello che avete fatto stanotte, e poco fa quando siete andati a pranzo con gli amici, nei bagni.”
Guardando che Viola esitava, Jimmy sorrise, sbuffò e buttò giù velocemente il contenuto della sua tazza: “D’accordo. D’accordo, vediamo un po’ se ho capito bene: mi tocca scoparti davanti a una vecchia strega con una maschera tatuata sul viso nel bel mezzo del Messico indigeno? Va bene, facciamolo.”
La Santa li sorpassò vivace, dando un colpetto di approvazione sul petto di Jimmy con la mano ossuta: “Il ragazzo mi piace, è sveglio. Pratico.” Stava raccogliendo una serie di strumenti, candele ed alcuni fasci d’erba essiccata. “Non farete neppure caso a me. Non spaventatevi e non vi fermate, qualsiasi cosa accada. Sarà un po’ più intenso del normale, e non vi capiterà mai più. Bevi, bambina.”
“Cos’è?”
“Sa di topo. Bevi,” la incoraggiò Jimmy.
“Perché, tu sai che sapore abbia un topo?”
“No, ma immagino che sappia di questa cosa qui. È viscosa, sembra aloe. Né amara né dolce. Dai, piccola, facciamo in fretta.”
Viola sorrise. “I topi non sanno di aloe,” sussurrò alla tazza. Il terrore se ne andava, quando lo aveva davanti così, scanzonato ed eterno, che faceva il cretino con l’imponderabile ed accettava con sorprendente serenità qualsiasi assurdo risvolto avesse in serbo la giornata. In quei momenti le sembrava invincibile, immortale. Effettivamente, il liquido sapeva di topo.
La stanza in cui li scortò la vecchia — ma senza entrare con loro — era un poligono di cui Viola non fece in tempo a contare i lati; si sentì la testa leggera ed urtò contro il giaciglio rotondo che doveva fungere da letto, crollandoci sopra. Non vide i drappi, né le candele già accese, né gli acchiappasogni e le offerte appese ai muri. Non registrò neppure il fatto che la camera non avesse finestre. Nella nebbia tiepida che le stava intorpidendo i sensi, vide Jimmy che si toglieva la maglia e le rivolgeva uno sguardo famelico. Ayahuasca, disse, o forse si limitò a pensarlo. Si strappò l’abito leggero di dosso come se le stesse bruciando la pelle e aprì le gambe, invitandolo, improvvisamente inquieta e bisognosa di lui, il prima possibile. Lo sentì dentro di lei senza aspettarselo, come un coltello nel burro fuso, e si mosse con una tale frenesia che perse il conto dei sospiri; rovesciò la loro posizione e inarcò la schiena, gettando la testa all’indietro mentre le mani di lui le cercavano il seno e i fianchi. Un lampo di luce squarciò il buio sopra la sua testa, e per un attimo le parve di vedere qualcosa. Il piacere era insopportabile. Lo tirò a sedere sotto di sé e lo baciò a lungo, piena di fame; desiderò, ben lontana da qualsiasi controllo della propria ragione, che morissero insieme, in quell’istante, facendo esattamente quello che stavano facendo. Jimmy le disse qualcosa, ma lei non poté sentirlo perché stava guardando la figura nel cappello a cilindro dietro le sue spalle; cercò quelli che secondo lei erano gli occhi del dio dei morti e affondò le unghie nella schiena di Jimmy, come a sfidarlo a strapparglielo dalle mani. È mio. Non smise di muoversi neppure quando l’elegante ombra le si fece così vicina che Viola temette che volesse baciarla; schiacciò Jimmy il più possibile contro il suo corpo e lo avvolse protettiva con le braccia, e si sentiva così unita a lui che avrebbe fatto fatica a credere che potessero essere stati, nel recente passato, due persone distinte e separate.
Le crollò tra le braccia, come svenuto, non appena ebbero finito; in realtà dormiva sereno nell’aria nuova della camera, che sembrava un altro luogo da quanto era limpida e leggera. Viola lo coprì con il lenzuolo e poi, malferma sulle gambe, si buttò addosso il vestito e cercò la Santa nell’unica, enorme altra stanza della casa. La vecchia era seduta su una poltrona a dondolo e fumava una lunga pipa.
“Ci hai dato dell’ayahuasca,” commentò, cercando qualcosa per sedersi. La vecchia le indicò con la pipa una sedia di vimini che, nella penombra, non aveva notato. “Non è una medicina delle vostre parti. È del cuore dell’Amazzonia.”
Cercò la borsa di paglia che aveva lasciato da qualche parte vicino all’ingresso e ne estrasse una sigaretta, che accese. Era altera e sottile, come tutte le donne della sua famiglia, e riluceva di sudore e calma. “Perché ci hai dato la liana degli spiriti?”, la incalzò ancora.
La vecchia sbuffò alcuni cerchi di fumo verso il soffitto e sembrò assaporare quel momento tra donne; solo allora Viola si rese conto che i veli che di solito le coprivano il viso erano alzati fino agli occhi, e che la pelle era davvero coperta di intarsi d’inchiostro che simulavano l’anatomia di un teschio. “I suoi demoni danzano ostinati, ragazza. Cos’hai visto?”
“Non mi hai risposto. Perché la liana degli spiriti? È un rimedio sciamanico. Provoca allucinazioni. Cosa importa quel che ho visto?”
“Hai visto lui, non è vero? Se tu hai visto lui, lui ha visto te.”
Viola si lasciò cadere sulla sedia che la Santa le aveva offerto poco prima; tirò su un ginocchio, vi appoggiò il viso, e fumò per riprendere il controllo del respiro.
“Tua nonna dice che sai tante cose, e non si sbaglia. Non è facile riconoscere l’ayahuasca. Sei molto giovane per tutti questi pesi. Sicura che lo vuoi salvare? Il prezzo è alto.”
“Il prezzo è niente, in confronto al valore di lui.”
“Non sai di cosa parli.”
“Tu non sai di cosa parli.”
La Santa non se l’aspettava. Si voltò a guardarla — sempre che potesse vederla — con un certo intrigato mistero. “Ti appartiene. Così è scritto. Ti apparterrà anche se passa oltre. Che differenza fa?”
“Non so niente di questo oltre, Madre.”
Alla Santa toccò sorprendersi di nuovo; la ragazza l’aveva chiamata madre, e con il giusto accento. Ma non ebbe il tempo di indagare, perché Viola non aveva finito: “So che quelli che ho amato e se ne sono andati non li ho mai più visti, mai più abbracciati, non ci ho mai più preso un treno o un caffè. Non dirmi che è uguale, che un letto vuoto è la stessa cosa di un letto pieno. Se è vero, come dici, che lui mi appartiene, è qui con me che deve stare. Sveglio con me.”
La vecchia rise piano. “C’è troppa scienza, in quella testa. Troppa scienza e poco stupore. Ma non puoi salvarlo senza un po’ di stupore, bambina. La donna bionda che è qui con voi…”
“Val?”
“… Lei ha la chiave. Falle leggere quei tuoi libri. Per quanto riguarda la spezia sacra, invece… vi ha dato tempo. Dovevate vedervi, dichiararvi. Dovevi sfidarli, Viola. Ora la sfida è lanciata, e lui è il premio. Ma tu sei sola. Loro sono tanti e forti. Ti batti da sola, con qualche anima di buona volontà dalla tua parte. E un universo che fa il tifo per te. Non è detto che basti.”
Viola tacque, persa nei suoi pensieri. Si sentiva molto stanca.
“Un tempo non serviva una terza persona per un matrimonio. Bastavano quelli che lo contraevano, e le intenzioni con cui si univano. Così è stato per me e mio marito. È lui che fa crescere gli alberi qui, dove non può crescere niente.”
La ragazza alzò due occhi antichi su di lei, e comprese ancor prima che le dicesse qualcos’altro.
“Quello che hai già in grembo lo perderai. Se lo prenderanno loro in cambio del tempo in più che vi hanno concesso oggi. Quanto tempo, non lo so, ma abbastanza per attrezzarvi. Dovrai essere veloce quando accadrà, è sempre vita contro morte. È sempre lo stesso braccio di ferro. Ed è un peccato, perché sarebbe stato la nuova vita del vecchio Mangrove. Potrebbe anche andargli bene così, accontentarsi di prendersi i tuoi bambini uno dietro l’altro e lasciarti il tuo compagno, oppure proveranno a prendersi lui, che è quello che veramente vogliono. E se proveranno a prendersi lui, come penso accadrà, non lo faranno all’improvviso, perché non giocano così; ci saranno piccoli segni, avvertimenti, difficilissimi da vedere. Ma tu dovrai vederli. Perché dovrai essere pronta. Se riesci a strapparglielo nel momento della verità, non potranno più riprovarci. È la legge.”
Viola aveva ascoltato tutto con estrema attenzione; il mozzicone ormai spento le fumava debolmente tra le dita.
“È un maleficio?”, chiese, anche se non ci credeva, se non lo voleva sapere.
“No, o sarebbe facile disfarlo. È un destino. È scritto così da quando è nato. Ma tu… tu hai cambiato le cose. Non c’era niente nel suo futuro, prima di te; solo il silenzio eterno.”
Un flebile rumore nell’altra stanza le avvertì che lui si era svegliato; le gambe di Viola anticiparono il pensiero e gli andò incontro, incerta su cosa aspettarsi. Lo trovò che si stava rivestendo, e sembrava più in salute di quanto non fosse mai stato da quando lo conosceva. Quando la vide, le sorrise con tutto se stesso: “Dio, che botta assurda. Mi sento un leone. Cos’era, e soprattutto dove la ritroviamo?” Si infilò la maglia al contrario e Viola si affrettò ad aiutarlo a rigirarla per il verso giusto. “Calma, tigre… è ayahuasca, ma te lo spiego meglio mentre torniamo a casa.”
“Abbiamo finito? Dovevamo solo fare sesso?”
“Pare di sì.”
“Pensavo molto peggio.”
“Lo so.”
La Santa si alzò dal suo trono; mentre Viola raccoglieva le cose che aveva lasciato sparse per quel luogo delirante, si avvicinò a Jimmy, lo tirò giù all’altezza del suo viso e sollevò i veli dagli occhi, fissando le orbite vuote dentro le sue. Quel che vide lì dentro non lo spaventò, ma lo sorprese. La vecchia gli diede una piccola borsa di tela: “Gli unguenti sono per lei, le compresse per te, e le foglie per entrambi. Non vi fermate. Non c’è energia più potente e più pura di quella che sprigionano due innamorati.”
“Così però lo fai sembrare un lavoro.”
“Ma è un lavoro. È il lavoro più antico del mondo, il tentativo di sopravvivere alla propria fine perpetrando la specie. Mettile un anello al dito e seguila nei suoi viaggi. Avrai tempo per scoprire tutte le altre parti di te che ancora non conosci, accanto a lei.”
Viola gli era apparsa accanto; gli prese la sporta dalle mani e la infilò nella borsa di paglia, poi gli sorrise.
“Abbassati, ragazza; anche tu devi guardare,” le ingiunse la Santa.
“Oh, ma lo so,” la stupì lei, “io so cosa sei. Non ho bisogno di guardare. Ci aspettano. Grazie.”
“Tua nonna ti conosce bene, ma non bene quanto pensa. Sa che sei uno strano demone, e una monade ostinata, ma non sa che sei anche un potente amuleto.”
“Gli amuleti non si preoccupano. Io, invece, tendo a farlo spesso.”
“Sì che si preoccupano, o non funzionerebbero. Prendete la strada dei monti. Non vi fermate. E non tornate più qui.”
Si lasciarono la casa alle spalle senza voltarsi. Jimmy aveva un’infinità di domande da porle, ma lei era si era già arrampicata sul sedile posteriore della Jeep e il Sole aveva messo in moto; le guardò le gambe nude, le piccole macchie di sangue sul vestito strappato.
“Zacky,” disse Viola, all’improvviso, “lo sai che al mondo ci sono circa diciannove miliardi di polli? Noi siamo solo otto miliardi di persone.”
“Dici che se domani mattina i polli decidono di farla finita con la razza umana siamo in un mare di guai?”
“E vedi tu.”
“Sì, ma che vi ha dato questa Santa? Qualcosa di utile?”, si intromise Shadows, regolando il retrovisore.
“Speranza,” rispose, soltanto, Viola. “Ci ha dato speranza.”
Trovarono il maniero di Ananke avvolto dal sopore del tardo pomeriggio. Brian era sul dondolo nel portico, uno strano sceriffo, con di fianco una birra e un posacenere che traboccava di mozziconi e incertezza.
“Bene,” sussurrò a Val, “sono ancora tutti e quattro, e tutti interi. Fammi un favore e vedi se la gallina preistorica riesce a rimediarci dell’alcool, hanno tutta l’aria di averne un gran bisogno.”

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Capitolo 5
*** All the beauty and the bloodshed ***


Hope is a dangerous thing for a woman like me to have

“Abbracciami.”
Viola guardò Shadows, che guardò lei, e lo fece. Stettero un po’ così a fissare il tramonto, finché lei non decise che era arrivata l’ora di fare quella domanda.
“Perché Brian non è venuto con noi a cercare la Santa?”
“Perché gli abbiamo chiesto uno sforzo che va al di là delle sue possibilità.”
“Intendi affrontare la possibilità concreta che Jimmy non sia immortale?”
“Intendo vedere te e Jimmy tubare come due piccioncini. Lo sai che Brian è innamorato di te.”
“Secondo te tutti quanti sono innamorati di me.”
“Sì, e non mi sbaglio.”
Viola sorrise. Avevano bevuto un po’, non sapeva neppure come mai fossero soli su quel terrazzo.
“E tu? Anche tu sei innamorato di me?”
“Facciamo finta che tu non me l’abbia mai chiesto, così non sono costretto a risponderti. Piuttosto, dovremmo rientrare. Quell’uccellaccio impagliato dell’assistente di tua nonna starà per farsi venire una crisi di nervi. In quale salotto siamo dislocati, stasera?”
“In nessun salotto, siamo nel gazebo in terrazzo.”
“Qui non c’è un gazebo.”
“Infatti non ho detto questo terrazzo. Siamo in quello principale, nella parte alta dell’ala ovest. Natasha sta dirigendo uno strano traffico di catering e addobbi floreali da questa mattina presto, suppongo sia un evento in grande stile.”
“Allora non possiamo farla arrabbiare.”
“Sono certa che sapresti come disinnescarla. Mio adorato Shadows, nessuno più di te è adatto a riportare una gallina a più miti consigli.”
“Come dimostra il mio lungo e, tutto sommato, sereno matrimonio.”
“Ho sentito perfino le virgole mentre lo dicevi, quel tutto sommato.”
“Ti prego, chiudiamo il discorso ancor prima di aprirlo.”
“Allora con me non vuoi parlare di niente.”
“Non è che non voglio,” disse Matt, pensieroso, “è che non posso.”

Viola arricciò il naso con fare cospiratore e il Sole sorrise, incantato.
“Val è una brava ragazza. Non saprei nemmeno da dove iniziare a vivere senza di lei; stiamo insieme praticamente da sempre ed è come se fosse una parte di me, ormai. Però a volte penso a come sarebbe una passione folle. Incontenibile. Incontrollabile. Fare l’amore con una donna perché devi, non perché ne hai voglia; perché non farlo significherebbe morire. Come Jimmy lo fa con te.”
Gli occhi di lei si inondarono di luce: “Te l’ha detto lui?”
“Non serve, lo conosco meglio di quanto conosca me stesso.”
“Val ti ama più di quanto tu non ami lei, ma non è insolito, tra un uomo e una donna.”
“Beh, Jimmy ti ama più di quanto, secondo me, sia possibile amare un altro essere umano.”
“Jimmy ha un talento per l’amore che prescinde la comprensione; tutto quello che ama, lo ama infinitamente. Non solo me.”
“Sì, ma te un po’ di più. Fidati.”
“Mi fido. Anche perché contraddirti è impossibile. È come cercare di discutere con le Dodici Tavole.”
“Ha smesso di bere come un pazzo, l’hai notato? Ha smesso e basta. E non gli manca. Me ne accorgerei, se gli mancasse. Tu non lasci spazi vuoti, fai sparire le ombre con un colpo della tua mano, e sei sempre nel posto giusto: accanto a lui.”
“Non lo faccio apposta; è che per me ‘accanto a lui’ è l’unico posto possibile.”
Si accorsero, quasi per caso, di aver camminato abbracciati fino all’altro gazebo e la sagoma di Jimmy si stagliò chiarissima nella poca luce della sera; aveva in mano un ananas e stava facendo ridere Natasha — cosa che, fino a quel momento, forse neppure Ananke aveva mai creduto possibile. Viola nascose il viso nel suo collo e si chiese quanto lontano si possa andare per amore dell’amore, che non è mai un sentimento, sempre una persona; nessuno ha mai scritto d’amore senza che ci fosse un corpo. Dante non aveva scritto la Divina Commedia per offrire un’analisi della condizione umana o della situazione politica del suo tempo, e men che meno per essere protagonista di un’epica migliore di quel poco che poteva dargli il quotidiano della vita, ma perché amava Beatrice e Beatrice era morta, se n’era andata per sempre da questo mondo di fenomeni, profumi e ritardi, ed aveva bisogno di un altro posto dove stare. Le serviva un nuovo mondo in cui essere viva e risplendere, fare quel che qui non aveva avuto il tempo di fare, — sempre così ciechi, tutti noi, così convinti di essere immortali, — ed avere ancora una mano da tendergli, una che lui potesse stringere. Così, si era seduto ed aveva scritto.

“Viola vuole sapere che un grande amore può tramortire un inevitabile destino.”
“Certo, è così. Ma sarebbe uno sbaglio dimenticare che è altrettanto valido, nonché molto più comune, il contrario: spesso un inevitabile destino tramortisce un grande amore.”
“Questo non la rassicurerà.”
“Ma lei non vuole essere rassicurata, Matthew; lei vuole una soluzione. E se la posta in gioco è così alta è giusto che sappia cosa rischia.”

Matt odiava che quella breve conversazione con Zacky e Ananke lo tormentasse notte e giorno. Matt odiava inoltre l’impertinenza delle zanzare, la geografia approssimativa del Messico indigeno, i salti quantici delle veneziane, gli schiaffi che gli tirava sua moglie durante il sonno (espressione, secondo lui, di un qualche inconscio turbamento della donna che però, in tutta onestà, non sentiva di condannare fino in fondo), l’acqua di mare troppo salata, ma soprattutto odiava l’idea che Jimmy potesse non essere lì per veder crescere i suoi figli. Per un uomo con un ego delle dimensioni di Saturno, che nei picchi di massimo autocompiacimento doveva reprimere la tentazione di provare a moltiplicare le sogliole nel reparto pescheria di Whole Foods per quanto si sentiva invincibile ed eterno, trovarsi faccia a faccia con il lato oscuro della materia e la caduca impertinenza della condizione umana non era stata una passeggiata.
“Dove sono i libri di Viola?”
La voce di sua moglie lo colse alle spalle, cosa che non finiva mai di fargli salire una furia omicida.
“Per favore,” si costrinse civilmente a risponderle, “restringi il campo e dimmi cosa intendiamo per i libri di Viola, perché per quanto mi riguarda tutti i libri del mondo, quelli già scritti e quelli ancora da scrivere, sono i libri di Viola.”
La casa degli spiriti e Santa Barbara dei Fulmini.”
Santa Barbara dei Fulmini ce l’aveva Zacky, l’ultima volta che l’ho visto. L’altro non so, sarà in uno dei ventisette salotti, sotto un astrolabio o a fare la guardia a un idolo di pietra recuperato durante una difficile ma avvincente spedizione archeologica sul fiume Orinoco.”
Val gli scoccò uno sguardo di complice approvazione: “Ti piace, questa famiglia.”
“Mi piace che siano pazzi in modo interessante.”
“Perché, esiste anche gente che è pazza in modo noioso?”
“Non ti è capitato di avere a che fare un po’ col mondo, negli ultimi decenni?”
Lei emise uno strano sbuffo da teiera che poteva voler dire tutto e niente. “Vado a cercare Zack, mi serve almeno uno dei due libri. Sento che devo leggerlo.”
Nel pieno della sua ricerca, trovò Jimmy che guardava la notte da uno dei balconi del primo piano.
“Stai bene?”, gli chiese, senza pause, “Dov’è Viola?”
“Io sto bene. Viola è con Ananke. Qualcosa a proposito di Mangrove, non mi andava di interferire.”
“Era davvero suo nonno?” 

“Sì, lo era davvero. Non so se lo fosse biologicamente, ma questo non conta. La adorava. Baciava la terra dove lei camminava. Restava ore ad ascoltarla, incantato. E non le ha mai permesso di dubitare del suo valore.”
Val si avvicinò con cautela.
“Stai bene, Jim?”
“No. Sono stanco, mi fa male il petto,” rispose con un sospiro, schiacciando con rabbia la sigaretta nel posacenere, “e l’unica cosa a cui penso è Viola. Tutto il tempo. Non sopporto l’idea di spezzarle il cuore.”

— outro —

Accadde tutto molto in fretta e, sebbene i segni ci furono, nessuno li vide; nemmeno lei, che viveva con addosso quel senso di allerta costante tipico di tutti i sopravvissuti a qualsiasi catastrofe. 
Sono già rimasta orfana molte volte, e di molte cose, ma mai in questo modo.
Brian era rimasto di sopra, millantando un mal di testa. O, almeno, Viola era quasi certa che lo stesse millantando; qualcosa nell’aria gli aveva disturbato la digestione della realtà e si era chiuso in un risentito mutismo. Brian diventava indecifrabile, quando qualcosa lo turbava; lontano come una stella e altrettanto rovente al tatto. Solo Jimmy, con quella sua innata propensione a non tener mai conto dei limiti propri ed altrui, poteva fare spontaneamente breccia nel muro di pietra che il chitarrista ogni tanto sollevava tra sé e il mondo; ma Jimmy non era con lui, era lì, sul pavimento buio del patio, e Viola lo urtò come si urta un oggetto caduto. Il panico della festa si contrasse fino al parossismo, il rumore si fece così forte che sparì dalla sfera della percezione, e lei guardò l’uomo che amava dalla distanza irreale da cui doveva star guardando anche Dio, il presente le sfuggì tra le dita e scoprì di non poter gridare, né muoversi, né immaginare oscure ombre col cappello a cilindro che ghignavano in lontananza. Le lacrime arrivarono così veloci che non seppero dove cadere, e le si appannarono gli occhi. Valary, parzialmente illuminata dai fiochi faretti della piscina, si sfilò le scarpe col tacco e cominciò a correre; doveva pesare la metà di Jimmy, ma lo sollevò da sola e lo accomodò in malo modo sopra una delle chaise-longue biposto. Una sua gomitata — tutt’altro che accidentale — all’altezza dello sterno rimise Viola in pari col mondo. Guardò Johnny, che guardò lei con il medesimo, crudele sgomento. Shadows apparve nella cornice della porta-finestra, senza capire: “Luce!”, gli gridò Viola, “Fai luce!”
Tutte le lampade del cortile si accesero all’unisono, in perfetta armonia, mentre lei scavalcava Val, saliva addosso a Jimmy e gli praticava un massaggio cardiaco feroce. Non c’era polso.
“Chiama un’ambulanza,” urlò Val a suo marito.
“Non c’è tempo,” sibilò Viola, disperata. “No, no, no. Avanti, amore! Avanti!”, urlò, mentre aumentava la forza dei colpi, mentre forse gli rompeva le costole, come le aveva insegnato l’Oracolo, reduce da anni di professione medica e da due o tre cose che nessuna università può insegnare: spezzare le ossa per salvare la vita. Colpire dritti al cuore. Senza paura. “La mia vita del cazzo per quella di lui. Tutte le nostre vite del cazzo per quella di lui,” imprecò tra i denti, e si rese conto che, nei pochi momenti che valgono davvero qualcosa, non c’è alcuna differenza tra un’imprecazione e una preghiera.
Non stava funzionando. “Val, fa’ il massaggio cardiaco e non essere gentile, meglio un paio di costole rotte che… io provo a farlo respirare.”
“Cazzo, Jimmy!”, urlò Valary. Sferrò un pugno di pura frustrazione sul petto del suo migliore amico, e lui tossì debolmente sulle labbra di Viola. Il battito cardiaco, lieve come una lucciola stanca, riapparve. Lui aprì gli occhi e li richiuse. “Ciao, amore”, disse Viola. Non vide e non sentì gli infiniti possibili futuri in cui avrebbe detto ciao, amore al vento, ciao, amore al vuoto, ciao, amore al tempo e all’aria che la guardavano, indifferenti, mentre qualcosa di importante le accadeva e lui non era più dove sarebbe stato giusto che fosse.
“Hey,” esalò debolmente Jimmy.
“Sono qui. Siamo tutti qui.”
Un rombo terribile invase tutto lo spazio; Zacky era entrato in cortile con la Jeep, travolgendo tavoli e sedie. “Mettetelo sui sedili posteriori e non perdiamo tempo, cazzo. Dov’è Brian?”
“Ma che ne so, aveva uno dei suoi momenti e si è chiuso nella camera da letto al piano di sopra come un cazzo di eremita.”
Valary ebbe un giramento di testa così violento che per poco non vomitò. “Che cazzo hai detto?”, aggredì suo marito, che aveva appena finito di sistemare Jimmy tra le braccia di Viola.
“Che cazzo ho detto?”
Ma Zacky partì con la portiera ancora aperta e il cuore in gola.

Val salì al piano di sopra e prese la porta di suo cognato a calci. Brian aprì agguerrito e confuso e lo schiaffo che lo colpì in pieno volto lo fece vacillare sui talloni. “Eri tu,” disse la donna, che piangeva inconsolabilmente, “il segno eri tu. Quando tu e il tuo carattere di merda siete venuti a rinchiudervi qui sopra. L'Eremita.”
Shadows planò in corridoio e gettò uno sguardo allarmato alla scena. Val gli restituì due occhi di brace. “Luce. È quello che ti ha detto Viola, no? Fai luce. Il Sole. Zacky che è arrivato sul prato con il fuoristrada per portarlo in ospedale, il Carro. Io l’ho tirato su da sola, l’ho alzato e l’ho messo su quella chaise-longue. La Forza.”
Matt la guardò confuso, intenerito, e molto preoccupato. “Era questa sera,” disse infine Val, tremando come una foglia, incapace e indisposta a sentire ragioni, se ragioni da qualche parte c’erano: “quello che vedevo in quelle cazzo di carte di Mangrove. Era questa sera.”

Zacky correva nella notte, e l’Oceano Pacifico era una striscia confusa così grigia da sembrare nera oltre i vetri dell’automobile. Jimmy respirava debolmente sotto le dita di Viola, fisse in una carezza immobile sul suo collo per controllare che ci fosse battito e che restasse lì.
“Ha avuto un infarto?”, chiese l’uomo alla guida, ma le parole gli si strozzarono in gola.
“Sì. No. Non lo so. Gli si è fermato il cuore.”
“Valary non doveva muoverlo.”
“Valary ha agito prima di pensare. E meno male, perché io ero paralizzata. Io ero già morta, Zacky. Non ho il telefono. Hai il telefono?”
“Ho già chiamato Shoske. Sa che Jimmy stava molto male e che stiamo arrivando. Viola?”
Lei si costrinse a staccare gli occhi da Jimmy con uno sforzo spaventoso. “Hm?”, disse, nel retrovisore. Le iridi verdi di Zacky, uniche al mondo, si piantarono terrorizzate dentro le sue. “Vivrà?”, chiese, poi distolse in fretta lo sguardo, cogliendo un lampo impossibile. “Ma che… L’hai visto?”
Non solo l’aveva visto; Viola si era proprio appena voltata a guardarlo, sfacciatamente e con intenzione. Un punto del buio nel lunotto posteriore in cui Zacky aveva creduto di distinguere…
“No” rispose secca lei, serrando la presa intorno a Jimmy, che ebbe un piccolo spasmo. Zacky sterzò per un pelo; andava così veloce che non poteva distrarsi, e quell’allucinazione da panico gli aveva quasi fatto perdere la svolta per l’ospedale. Frenò davanti al filtro del pronto soccorso, dove Shoske Mangrove ed un equipe di medici stavano già aspettando; mani sicure presero Jimmy e lo depositarono su una lettiga, nonostante Viola avesse opposto una certa resistenza. Zacky rispose al telefono e prese il braccio di Viola. “Stanno arrivando, ma Valary ha detto che devi assolutamente stare con lui. Che non devi lasciarlo per nessun motivo.”
Viola sorpassò le porte e raggiunse Shoske come in trance: “Vengo con voi.”
“È contro il regolamento, Viola, e credimi, se potessi…”
Ma lei non la sentiva; sentiva una vecchia strega, nel cuore riarso del Messico, che le diceva la donna bionda che è venuta con voi, lei ha la chiave.
Prima che le porte si chiudessero, Zacky vide Viola afferrare la mano intubata di Jimmy e sparire insieme a lui in un corridoio pallido, dentro un crescendo di proteste che non avrebbe mai potuto fermarla.

Zacky fumò quattro sigarette, una dietro l’altra, prima di veder smontare da un’auto bianca gli amici stravolti; lo stordirono di domande, e lui non seppe far altro che alzare le spalle, chiudere gli occhi e riaprirli. Val diede uno schiaffo anche a lui. “Cosa facciamo?”, chiese Matt.
“Preghiamo,” rispose Johnny, a bruciapelo. “Andiamo a pregare.”
“Ti senti bene?”
“No. Andiamo.”
La cappella dell’ospedale era gelida, asettica e ingombra di ex voto di pessima fattura. Per un momento, credette di aver visto di nuovo la sagoma che l’aveva spaventato sulla highway, ma Johnny lo distrasse prendendolo per mano.
“Noi non crediamo in dio, e neanche lei,” scandì piano Brian, che non aveva detto una parola ed era bianco come un morto, “perché mai dovremmo…”
Dobbiamo farlo,” insisté Johnny, “dobbiamo.”
Sottovoce, gli uscì dalla gola un’orazione di quand’erano bambini che tutti si stupirono di saper recitare ancora a memoria.

Diversi piani più sopra, Jimmy era appena andato di nuovo in arresto cardiaco. Viola si fece da parte per lasciare spazio al paramedico col defibrillatore. “Non toccarlo, Vi,” le ingiunse severa Shoske, ma lei pensò che l’elettricità non le avrebbe fatto niente, che non poteva lasciarlo così, con le sue braccia tanto lontane, guardare e basta, non poteva… Non sapeva molto di scariche e voltaggi, ma vederlo sussultare sul tavolo operatorio le fece venire voglia di urlare. Tacque. La sua ombra sul muro crebbe e si distorse. “La mia vita del cazzo per quella di lui,” sibilò di nuovo, rivolta al nulla.

Nella casa tra gli aranci, Ausencia Santander aspettava. Seduta nel buio della cucina che era stata sua molto più che di chiunque altro avesse posseduto quella villa nell’ultimo secolo e mezzo, respirava piano e aspettava il segnale che, sapeva, sarebbe arrivato.

Jimmy aprì gli occhi.
Aleksandr Afanas’evič Mangrove gli restituì uno sguardo saggio. Si rese conto di essere seduto in poltrona sentendo il velluto sotto le mani e gli venne in mente una sola domanda: “Lei dov’è?”
“Accanto a te,” rispose il vecchio.
“Sei morto, Sasha.”
“Sono morto, sì.”
“Sono morto anch’io?”
Il professore si strinse nelle spalle: “Questo è il tuo momento.”
La stanza era perfettamente normale, come Jimmy la ricordava; le pareti coperte di libri, le teche con i manufatti, la mappa sul camino. Notò per la prima volta un dipinto a olio raffigurante una bellissima ragazza che conosceva bene. “È Ananke, non è così? C’è sempre stato?”
“Sì, c’è sempre stato. L’hai conosciuta?”
Jimmy guardò gli occhi di Mangrove illuminarsi di nostalgia e di qualcos’altro che gli era molto familiare: “Eravate amanti?”
Il vecchio batté la punta di un sigaro sul tavolino di caffè alla sua destra, poi sorrise e lo accese: “Eravamo tante cose,” rispose, guardandolo.
“È buffo,” aggiunse Jimmy, “solo ora mi rendo conto che non pensavo di morire davvero. Non adesso, almeno. C’è sempre troppa vita con lei. Cos’è questo rumore?”
“Una lavatrice.”
“C’è una lavatrice nell’aldilà?”
Mangrove rise. “In realtà no.”


Il rumore della centrifuga della vecchia lavatrice era l’unico suono udibile nella grande villa buia. Ausencia sospirò. Guardò, senza vederla, la lama dei tarocchi poggiata sul tavolo davanti a lei: la Temperanza.

La Temperanza, arcano maggiore numero 14 dei tarocchi: questa carta solitamente viene raffigurata una figura femminile alata, un angelo, mentre tiene due anfore, una per ciascuna mano, e versa un liquido da un’anfora all’altra, creando così un flusso continuo, come per simboleggiare un ciclo. Il suo volto è rilassato e imperturbabile, non si lascia condizionare da niente e da nessuno. Trasmette serenità e dolcezza. 

Viola rifletteva alla velocità della luce, in un modo che non le era mai capitato prima e non le sarebbe mai più capitato poi. Vide diversi barattoli pieni di pillole alla sua destra, poi un bisturi abbandonato. La mia vita del cazzo per quella di lui, pensò di nuovo. Dillo ancora una volta, e abbiamo un patto, rispose una voce nella sua testa. Afferrò il bisturi e se lo puntò alla gola, nell’indifferenza dei medici che, indaffarati intorno a Jimmy, non la videro neppure. Era calma e lucida. “La mia vita del cazzo per quella di lui,” disse, questa volta in un sussurro limpido, ma qualcosa che sembrò una scossa di terremoto squassò la stanza, proiettando tutti e tutto contro le pareti. La luce andò via.
Val, Matt, Johnny e Zacky si aggrapparono l’uno all’altro nella piccola chiesa; aiutò il fatto che si stavano già tenendo per mano, immersi nella preghiera. Si guardarono sgomenti per un secondo, formulando un unico pensiero, e poi iniziarono a correre verso l’uscita.

La lama squarciò il buio non appena la terra smise di tremare.

Jimmy e Mangrove non sembravano per nulla turbati dal terremoto, ma Jimmy sentì qualcosa, come un piccolo taglio sul petto, all’altezza del cuore. D’istinto si guardò la maglia, ma non c’era niente.
“Devi andare, credo,” gli disse Mangrove, fumando. Qualcosa gli salì agli occhi. Erano lacrime. Jimmy si sfiorò il viso; stava piangendo anche lui.
“Non abbiamo tempo, ragazzo. Ascoltami con attenzione,” sentenziò serio il vecchio professore, cullando un rimpianto.


Shoske Mangrove si rialzò in piedi con la sensazione di aver dormito un secolo, e per qualche breve istante non ricordò assolutamente dove si trovava né cosa stesse facendo. Jimmy tossì una volta, poi due, poi tre, finché lei non fu in grado di metterlo a fuoco e cercare di precipitarsi su di lui, ma sembrava incapace di muoversi. Cos’era tutto quel rosso? Sangue. Il catetere endovenoso si era staccato e la valvola era aperta. Cercò aiuto da qualcuno dei suoi, ma erano tutti svenuti; vagò con lo sguardo nella sala devastata e vide, come dentro una densa nebbia, una mano veloce che chiudeva l’ugello, dita che gli presero il polso, assicurandosi che il cuore battesse ancora. Quanto sangue aveva perso? Perché quell’uomo era così importante? Qualcuno in ginocchio a pochi metri da lei si infilò un ago cannula in un braccio e collegò l’altra estremità del tubicino al catetere di Jimmy. A quel punto, Shoske chiuse di nuovo gli occhi e si lasciò svenire. 

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