Un nuovo mondo di stefy_81 (/viewuser.php?uid=24256)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'approdo ***
Capitolo 2: *** Un nuovo nemico ***
Capitolo 3: *** Isobel ***
Capitolo 4: *** Il potere dei draghi ***
Capitolo 5: *** Complicazioni ***
Capitolo 6: *** La fuga (prima parte) ***
Capitolo 7: *** La fuga (seconda parte) ***
Capitolo 8: *** Un uovo si schiude! ***
Capitolo 9: *** Il drago dorato ***
Capitolo 10: *** Stammi vicino! ***
Capitolo 11: *** Figli ***
Capitolo 12: *** Un nuovo cavaliere ***
Capitolo 13: *** Eleonor ***
Capitolo 14: *** Una nave nella nebbia ***
Capitolo 15: *** Risvegli ***
Capitolo 16: *** Rebekha ***
Capitolo 17: *** Legami spezzati ***
Capitolo 18: *** Una scelta difficile ***
Capitolo 19: *** Squame ghiaccio e squame zaffiro ***
Capitolo 20: *** Un'insolita lezione ***
Capitolo 21: *** Decisioni, Viaggi e Speranze ***
Capitolo 22: *** Al servizio della corte ***
Capitolo 23: *** Un bacio ***
Capitolo 24: *** Lo Spettro ***
Capitolo 25: *** La cerimonia ***
Capitolo 26: *** Eragon Ammazzaspettri ***
Capitolo 27: *** Nella tana di Verschna ***
Capitolo 28: *** Il sogno di Arya ***
Capitolo 29: *** Due volontà a confronto ***
Capitolo 30: *** Le arpie e la battaglia delle uova ***
Capitolo 31: *** Perdonare e dimenticare ***
Capitolo 32: *** Roran Fortemartello ***
Capitolo 33: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 34: *** Specchi incantati e barche magiche ***
Capitolo 35: *** Una inaspettata richiesta di aiuto ***
Capitolo 36: *** Il vero potere dei Draghi ***
Capitolo 37: *** Eldunarì ***
Capitolo 38: *** Rinascita ***
Capitolo 39: *** Isobel è sola ***
Capitolo 40: *** Per Amore ***
Capitolo 41: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** L'approdo ***
Era
l’alba di un nuovo
giorno quando tre piccole imbarcazioni raggiunsero la spiaggia dorata
sotto il
promontorio dove si trovava il giovane Reafly. Era un ragazzo di appena
tredici
anni, i capelli rossi incorniciavano un volto delicato sostenuto da
penetranti
occhi verdi e uno sguardo vivace di chi è in cerca di
rivalsa. Era di carattere
irrequieto e impulsivo. Quella notte, come era solito fare quando la
madre gli
proibiva qualcosa, era sgattaiolato fuori dalla sua stanza e, superate
le porte
cittadine, aveva preso la strada per raggiungere la costa. Doveva
osservare la
stella cometa che da qualche giorno era apparsa nei cieli e, secondo il
suo
parere, il promontorio era il punto migliore dove poterla ammirare in
pace e
tranquillità. L’evento aveva suscitato paura e
timore trai grandi ma Reafly non
era dello stesso parere.
Nella
tiepida notte
stellata aveva atteso fino alla comparsa dei primi raggi di sole,
quando la
cometa iniziò a sbiadire. Solo allora si rese conto che non
sarebbe mai riuscito
a tornare a casa prima che la madre si svegliasse. A quel punto
soffermarsi un
po' di più e vedere i passeggeri di quelle imbarcazioni non
poteva fargli fare più
tardi di quanto lo fosse.
Le
vele raccolte sugli
alberi erano state messe a riposo e gli scafi, sospinti delicatamente
dal mare,
solcarono la sabbia bagnata e si arrestarono nel fragore delle onde che
continuavano
ad abbattersi sul bagnasciuga.
Il
legno con cui erano
state costruite era di un bianco brillante che non apparteneva a nessun
albero conosciuto,
osservò il ragazzo mentre la luce del mattino ne rivelava la
superficie liscia
e priva di difetti.
Per
i primi minuti tutto
tacque, nessun cenno di vita sembrava provenire da quelle imbarcazioni;
era come
se fossero state abbandonate a se stesse e portate lì solo
dalla forza del
mare.
La
curiosità di Reafly
si trasformò presto in stupore quando le due sagome, che
inizialmente gli erano
sembrati due uccelli, apparvero sfrecciando lungo la spiaggia in tutta
la loro
grandezza. Erano due grandi esseri volanti, simili in tutto a lucertole
e
coperti da scaglie imbricate. Uno di loro era rosso cremisi,
l’altro era di un
inteso blu zaffiro. Anche
se Reafly non ne
aveva mai visto uno, sapeva con certezza che quelle creature erano
Draghi.
Il
ragazzo ne aveva
sentito parlare centinaia di volte. Erano leggende raccontate ai
bambini, storie
a cui crescendo nessun prestava più attenzione e anche
Reafly da tempo aveva
smesso di crederci. Almeno fino a qual momento.
Ancora
pieno di
eccitazione lo sguardo del ragazzo tornò ancora una volta
alle barche. L’arrivo
delle due creature aveva chiamato fuori i suoi passeggeri. Erano sei in
tutto ma
i loro volti erano celati dai cappucci. Al di sotto dei mantelli Reafly
poté
solo intravedere lo svolazzare di vesti preziose. Dovevano essere di
nobile
origine, immaginò nella sua mente di fanciullo, e il loro
portamento era altero
ed elegante.
Una
cosa però non
tornava, le storie raccontavano dei draghi come di bestie feroci, senza
alcun controllo,
indomiti esseri mostruosi che distruggevano e devastavano ogni cosa al
loro
passaggio. Ciò che stava vedendo non corrispondeva affatto a
quelle storie e
gli uomini sembravano stare in armonia con i due animali.
Si
fermò ancora a
guardare quelle creature e rimase affascinato dai loro colori brillanti
che
risplendevano alla pallida luce del mattino, la grazia del loro volo
era quasi
ipnotico.
Reafly
scosse la testa
con risolutezza. Doveva ritornare in città a dare la
notizia.
Raccolse
lo zaino che
aveva portato con sé e iniziò la discesa del
promontorio ma a metà strada si
fermò. Un pensiero gli si insinuò
all’improvviso: nessuno avrebbe creduto alla
sua storia. Neanche lui lo avrebbe fatto, se non fosse che aveva visto
i due
draghi con i propri occhi.
Non
poteva andare in
città così. Doveva scendere alla spiaggia e una
volta lì doveva convincere
quelle persone a seguirlo.
Ma
come? L’idea gli
sarebbe venuta durante il tragitto e, con quel pensiero,
deviò la strada a
destra per prendere il sentiero che lo avrebbe riportato giù
alla spiaggia.
Per
tutto il tempo Reafly
continuò a pensare a ciò che aveva appena visto.
Nella sua testa ripeteva la
stessa tiritera: Io Colleman Reafly ho avvistato dei draghi! Io
Colleman Reafly
ho avvistato dei draghi!
Più
lo ripeteva e più
l’intensità della sua affermazione aumentava.
Io
Colleman
Reafly ho avvistato dei draghi!
Giunto
finalmente in
prossimità della spiaggia tornò a guardare verso
le imbarcazioni. Si
intravedevano appena gli alberi da dietro alcune dune ricoperte di
giunchi.
Era
tutto vero. Si
disse con un sospiro. In un momento di titubanza, infatti, il ragazzo
aveva
aumentato il passo, fino a correre, spinto dal timore crescente di
scoprire che
era stato tutto frutto della sua immaginazione.
Si
rimise ad osservare ma
si accorse subito che le navi attraccate non erano più tre.
Una di loro si era allontanata
a vele spiegate e sulla spiaggia erano rimaste solo due persone e i due
draghi.
Il
suo sguardo si
concentrò sulla riva, gli stranieri stavano scaricando
alcune casse. Una in
particolare, osservò Reafly, aveva l’aspetto
d’essere molto preziosa. Gli
uomini la stavano maneggiando con molta cura prima di adagiarla al
suolo,
Reafly non riusciva a capire cosa contenesse.
Percorse
a carponi la distanza
che lo separava dalla spiaggia e stette in attesa di
un’occasione per farsi
avanti. Quando ecco che gli si para davanti l’enorme testa
cremisi di uno dei
due draghi. La creatura era planata proprio davanti al ragazzo, mentre
quello dalle
scaglie blu, appena dietro di lui, lo guardò con i suoi
penetranti occhi
zaffiro.
Il
cuore gli si fermò
mentre il suo sguardo passavano dall’uno all’altro
drago. Era immobilizzato
dalla paura. Poi qualcosa di sottile s’insinuò
nella sua mente, e una voce
rimbombò in testa:
“Chi sei?” chiese una voce bassa
e gutturale
“Castigo così lo spaventi!”
intervenne una seconda voce, diversa
dalla prima, decisamente femminile.
“Il mio nome è Saphira e lui, come avrai
capito è Castigo. Qual è il
tuo?”
Reafly
non poteva
credere alle proprie orecchie
-Voi
due parlate? - riuscì
solo a dire con un filo di voce. Aveva a mala pena sentito la domanda
della
dragonessa e i suoi occhi non riuscivano a staccarsi dalle due creature.
“Certo che parliamo!” rispose la
dragonessa con una certa
irritazione nella voce mentre Castigo avvertiva il suo cavaliere che la
presenza che avevano avvertito era solo quella di un ragazzo. E non dei
soldati
che avevano avvistato qualche minuto fa.
“Fatelo avvicinare, parleremo noi con lui”
***
Il
drago annuì mentalmente
quindi fece un passo di lato mostrando al ragazzo la spiaggia e
invitandolo a
uscire dal suo nascondiglio. Reafly guardò titubante il
sentiero di fronte a
lui, poi con un colpo di spalla si sistemò meglio lo zaino
sulla schiena e facendosi
coraggio si avviò verso la spiaggia. I due stranieri gli
vennero incontro e
Reafly si rese conto che quelli che aveva creduto degli uomini erano
dei
ragazzi poco più grandi di lui. Uno era moro e
l’atro biondo, dovevano essere
dei guerrieri di alto rango perché alle cinture pendevano
delle spade e incastonate
sull’elsa c’erano delle pietre preziose.
-
Vediamo cosa abbiamo
qu i- disse il moro con voce gioviale.
-
Io sono Murtagh e lui
è Eragon – non appena il biondo si
avvicinò gli occhi di Reafly si allargarono di
paura e timore. Le orecchie del ragazzo finivano con una live punta e
il
profilo del volto era delineato da due zigomi appena pronunciati che
non dava
adito a dubbi: lo straniero era di razza elfica ma non sembrava
dimostrare la
stessa ferocia e perfidia con cui tutti gli adulti descrivevano quella
popolazione di barbari. Reafly indietreggiò di un passo.
Eragon si accorse
della reazione e guardò accigliato Murtagh che gli fece
cenno di fermarsi.
-
Qual è il tuo nome
ragazzo e come si chiama questa terra? - continuò Murtagh,
questa volta senza troppi
preamboli. Reafly fu lieto di rivolgere lo sguardo all’altro
straniero.
-
Mi chiamo Reafly
Colleman- disse con fierezza - e voi vi trovate sul suolo di
Zàkhara-
-
Ora faccio una
domanda io, perché fingi di non conoscerci? –
chiese, la voce ora carica di emozioni
che si accavallavano indistinte. Reafly rivolse quella domanda
guardando solo Eragon.
Sulle
prime i due
ragazzi sorrisero appena a quell’accusa e si scambiarono uno
sguardo divertito.
Quella situazione non aveva alcun senso per loro ma
l’espressione seria del
ragazzo li fece capire che la sua paura era reale. Dovevano capire il
motivo di
tanta rabbia. Dopo uno sguardo di intesa Murtagh lasciò
parlare Eragon.
-
Non sto fingendo, non
ho mai sentito parlare di questa terra prima d’ora.
– Eragon aveva parlato con
calma scandendo bene ogni parola – Perché dovrei
conoscervi? – chiese alla
fine. Reafly vide il suo volto sincero e rimase interdetto.
-
Tu sei uno di loro,
sei identico a un Elfo oscuro. Quelli come te sono capaci solo di
uccidere e
distruggere. - rispose con enfasi ma questa volta con meno convinzione
di
prima. Era ancora indeciso se fidarsi delle parole dello straniero.
-
Io ed Eragon siamo
fratelli e non sappiamo chi siano questi Elfi Oscuri. Devi crederci
Reafly – intervenne
Murtagh.
-
Davvero? siete
fratelli? – chiese Reafly aggrottando appena le sopracciglia,
voleva credergli.
-
Le vostre armi, sono
molto belle. Siete dei principi? - chiese subito dopo. La rabbia e la
paura avevano
lasciato il posto alla curiosità.
Murtagh
ed Eragon scossero
la testa divertiti - No non siamo principi, Siamo Cavalieri dei Draghi
-
Reafly
sgranò gli occhi
dallo stupore poi riprese a chiacchierare con più sicurezza.
- Non ho mai visto
le armi di un cavaliere. E quelle pietre. Il loro colore è
quello dei vostri
draghi, è così? - chiese con gli occhi che gli
brillavano di curiosità.
-
Proprio così. Qui
abbiamo un ragazzo davvero sveglio Eragon - disse Murtagh con un
sorriso,
rivolgendosi al fratello. – Abbiamo una tregua? - chiese porgendogli la mano
in segno di pace.
Reafly guardò la mano tesa del ragazzo per alcuni istanti
prima di prendere la
decisione di stringerla.
In
quello stesso
momento Castigo e Saphira fecero un sonoro sbuffo e si alzarono in volo.
“I soldati che hanno avvistato Arya e Jill sono
vicini” dissero entrando
nella mente dei loro cavalieri. Mentre stavano parlando una fila di
soldati si era
avvicinata al campo a passo sostenuto.
“Sono una dozzina e sono armati”
continuarono i due draghi.
“A quanto distano?” Chiese
Murtagh.
“Vi raggiungeranno a momenti”
Reafly
guardò i ragazzi fermarsi per alcuni secondi.
Avevano entrambi gli occhi socchiusi, come se stessero ascoltando
qualcosa.
Quando li aprirono nuovamente Murtagh posò pronto una mano
sull’elsa della sua
spada ma Eragon scosse deciso la testa e indicando con lo sguardo in
direzione
di Reafly e fece capire al fratello che non voleva usare subito le
armi.
Sulle
prime Murtagh lo guardò contrariato, il suo primo
istinto era quello di difendersi. Poi anche lui si convinse che era
meglio
provare a parlare con loro prima e levò la mano da
Zar’roc.
I
soldati li circondarono con rapidità mentre i due
cavalieri non mossero un dito, limitandosi a sondarne le menti per
capirne
intenzioni.
-
Fermi siete circondati - tuonò la voce di un uomo
corpulento che doveva essere il loro capitano
-
I nostri migliori arcieri stanno puntando le loro
frecce su di voi. – Il volto dell’uomo era pieno di
cicatrice che il tempo
aveva mischiato in una maschera dura e impassibile. Reafly da dietro
Murtagh lo
riconobbe subito.
-
Capitano! - Gridò e si parò davanti ai due
cavalieri come
a volergli proteggerli.
La
sorpresa negli occhi dell’uomo era evidente ma il resto
del corpo rimase immobile. Alzò solo un braccio per
comunicare agli uomini della
retroguardia di abbassare gli archi.
-
Ragazzo non dovresti essere qui ma a casa con tua madre
- disse torvo – vieni qui, prima che qualcuno si faccia male
- Reafly sospirò e
corse da lui.
Intanto
Eragon e Murtagh avevano sondato le menti di quei
soldati e avevano percepito in loro molta paura. Ma, andando
più in profondità,
trovarono che c’era anche una sorta di timore che potessero
rappresentare una
minaccia. Avevano paura che fossero degli alleati del loro nemico. Il
nome
degli Elfi Oscuri risuonò ancora una volta nelle loro menti
senza riuscire a
percepire qualcosa su chi erano o cosa avevano fatto per essere tanto
odiati.
Eragon
si rivolse direttamente al capitano - Non abbiamo
intenzioni di fare del male a nessuno, hai la nostra parola - disse con
le
braccia e le mani aperte in segno di pace.
-
Capitano, ascoltali… - iniziò a parlare Reafly ma
l’uomo lo ammonì con lo sguardo, gli
passò una mano sulla guancia e gli arruffò
i capelli sulla testa - Sei stato molto coraggioso ma ora lascia che
siano i
grandi a parlare - lo rassicurò il capitano con un sorriso
forzato. Uno sguardo
più attento agli stranieri gli fece notare che dovevano
avere solo qualche anno
più anni di Reafly. Nonostante la giovane età,
era evidente che le armi che
portavano non erano d’ornamento e l’uomo
intuì che erano avvezzi ad usarle.
-Ci
seguirete a palazzo. La nostra signora ha chiesto di
parlare con voi. Sarà lei ad ascoltare cosa avete da dire.
Siete arrivati in un
momento poco propizio stranieri. Il vostro arrivo è stato
accompagnato dalla
comparsa di una stella cometa, un presagio di sventura per il nostro
popolo -
A
quelle parole i due draghi ruggirono minacciosi. Il capitano
li guardò titubante ma, nonostante il timore che balenava
nei suoi occhi,
rimase fermo nella sua posizione.
Non
fate nulla
disse Eragon a Saphira. Non ci faranno del
male, a meno che non gli diamo motivo. Faremo quello
che ci chiedono per ora disse rivolgendosi mentalmente a
Murtagh
Va
bene Eragon, per il momento faremo a modo tuo
acconsentì suo malgrado.
-
Vi seguiremo, ma lasciateci qualche minuto per
preparaci -
Sollevato
dalla risposta dei cavalieri il capitano
rilassò i muscoli del viso e fece cenno di sì con
testa. Iniziò a dare poche e
concisi ordini ai suoi uomini poi la sua attenzione si rivolse tutta
sul
giovane Reafly. – Hai di nuovo violato il coprifuoco
– lo ammonì con uno
sguardo serio. Reafly era cresciuto solo con la madre e la sorella. Il
capitano,
un vecchio amico di famiglia era ciò che di più
vicino poteva considerare un
padre.
-
Lo so capitano - rispose Reafly abbassando lo sguardo e
incrociando le dite dietro la schiena
-
Lasciami indovinare, dovevi guardare la cometa - lo
anticipò l’uomo addolcendo per la prima volta la
voce – tua madre sarà su tutte
le furie, spero che questa avventura ne sia valsa la pena -
Il
pensiero della ramanzina che avrebbe ricevuto una
volta tornati in città lo fece appena sobbalzare ma, alzando
lo sguardo verso
gli stranieri, accennò comunque a un sorriso.
-
Ho conosciuto dei Cavalieri dei Draghi - disse con un
tono orgoglioso.
-
Sono stati loro a dirtelo? - chiese il capitano tornano
a guardare gli stranieri.
-
Sì signore. Hanno detto di essere fratelli. Mi fido di
loro - disse infine con voce risoluta. Il capitano sorrise a quelle
parole
piene di innocenza e annuì.
-
Questo dovrà deciderlo la Regina - aggiunse. I due
stranieri erano stati fin troppo inclini ad accettare le loro
richieste. La
calma che stavano mostrando dava all’uomo
l’impressione che, nonostante fosse lui
al comando, non aveva tutto il controllo che credeva.
Murtagh
ed Eragon utilizzarono il tempo che li era stato concesso
per raggiungere mentalmente gli altri due membri della compagnia che si
erano
allontanati per una perlustrazione della zona.
Murtagh
spiegò loro brevemente la situazione.
Ritornate
il prima possibile al campo. Qualcuno deve proteggere le uova
Non
mi piace questa storia, mi sembrano molto spaventati e la paura
può far fare
cose stupide
disse Jill. Fate molta attenzione
concluse.
Anche
l’altra, come i cavalieri, aveva sondato le menti
di quei soldati. Non ci faranno del male
ma nel loro cuore regna la superstizione, una parola detta in maniera
sbagliata
potrebbe toccare la loro sensibilità. Come ha detto Jill
dovete stare molto
attenti. I due cavalieri si limitarono ad annuirono alle due
donne.
Staremo
attente Arya, Saphira e Castigo saranno con noi.
Disse
Eragon accennando un lieve sorriso. Poi i due cavalieri fecero segno al
capitano di essere pronti a seguirli.
I
soldati già pronti si schierarono in posizione compatta
dietro di loro mentre i due draghi seguivano la fila
dell’alto.
Dopo
un paio di ore di cammino raggiunsero infine una grande
città. L’abitato era circondato da piccoli
appezzamenti di terra, il coloro
diverso della colture scandivano il paesaggio con lotti regolari. La
città era protetta
da alte mura al cui centro si ergeva una piccola cittadella cinta a sua
volta
da un altro cerchio di mura turrite. Un piccolo gruppo di curiosi si
era
riversato sulla strada principale per assistere al rientro dei soldati.
Grida
di stupore si levarono al passaggio in cielo dei due draghi costretti
ad ampie
planate per restare al passo con gli uomini a terra.
–
Reafly! Reafly! – gridò una donna da dietro una
fila di
astanti. Alcuni di loro si scansarono per farla passare. Il capitano
riconobbe
la donna e prese per mano il ragazzo che già si era
preparato al rimprovero
della madre. Reafly rimase immobile con il capo chino mentre la donna
lo
fulminava lo sguardo
-
Cosa ti è saltato in mente di rimanere fuori tutta la
notte. Mi farai venire i capelli bianchi! – disse infine con
i pugni puntati ai
fianchi e lo sguardo accigliato.
-
Mamma oramai ho quasi quattordici anni, so badare a me
stesso- rispose con orgoglio il ragazzo.
-
Serena non c’è motivo di preoccuparsi oltre. Tuo
figlio
è stato molto coraggioso - lo difese il capitano
strizzandogli l’occhio in
segno di intesa. – devi essere fiera di lui. - Serena li
guardò sospirando rassegnata.
-
Coraggioso o no, ora torniamo a casa. Tua sorella ci
sta aspettando - Reafly lanciò di sfuggita
un’occhiata ai due stranieri. – Ma
mamma, io voglio rimanere- supplicò rivolto verso il
capitano ma l’uomo scosse
la testa.
-
Mi dispiace Reafly. Queste sono questioni da grandi. Va
con tua madre -
Reafly
guardò con deluso l’uomo e la madre in breve
successione poi abbassò lo sguardo rassegnato.
Il
capitano di ritorno dai suoi uomini fece cenno al
gruppo di proseguire. Attraversarono una serie di strade larghe
popolate qua e là
di persone che iniziavano adesso i loro affari in città.
Presto raggiusero le mura
della cittadella. Il piazzale antistate al portale di ingresso era
abbastanza
ampio da permettere ai due draghi di atterrare.
-
Loro dovranno aspettare qui – disse il capitano guardando
in direzione dei due draghi.
Saphira
e Castigo acconsentirono a malincuore a rimanere.
Ma che sia l’ultima volta. Non hanno
idea
di chi hanno di fronte. Quella gente stava trattando i due
draghi alla
stregua di qualsiasi altro animale. Eragon e Murtagh riuscirono a
malapena a
frenare la collera che traspariva dal loro legame ed anche a loro non
piaceva
l’idea di lasciarli indietro. Lo
sappiamo,
ma non possiamo fare altro per ora. Aggiunsero i due
cavalieri prima di
sparire dietro le porte del palazzo.
***
Intorno
ai due draghi, intanto, si era iniziata a creare
una piccola folla di curiosi. Due soldati della pattuglia che li aveva
scortati
erano stati lasciati a guardia anche se era evidente a tutti che non
avrebbero
potuto fare molto contro le due creature se solo avessero voluto
attaccare.
La
paura era il sentimento più forte che i due draghi
riuscivano a percepire.
Nonostante tutto la gente continuava a riversarsi curiosa. Spazientiti
dalla
confusione della gente si andava accalcando sempre più
stretta, dalle loro narici
iniziarono ad uscire leggere nuvole di fumo bianco e caldo.
L’evento suscitò improvvise
grida di stupore e il cerchio intorno ai due draghi si
allargò quel tanto da
permettere loro di far oscillare almeno le code.
***
Nel
frattempo, Murtagh ed Eragon vennero condotti
all’interno del palazzo. Dalla grande sala
d’ingresso due ampie scale laterali
convergevano al piano superiore e ad un lungo corridoio. Salirono le
scale e
percorsero tutto il vano. In fondo si ergeva un grande portale
sormontato da un
arco ad ogiva e sorretto da colonne trilobate su entrambi i lati. Il
soffitto ligneo
era riccamente decorato da motivi geometrici e floreali in rilievo.
-
La nostra regina vi attende - annunciò il capitano una
volta raggiunto il portale bronzeo.
Fa
parlare me, sembra che assomigliare ad un elfo qui non sia di moda.
gli
disse mentalmente Murtagh con un tono tra il canzonatorio e il
preoccupato. Eragon
fece una leggera smorfia La scena
è tutta
tua… rispose tradendo una certa tensione nella
voce.
Quando
le porte di bronzo furono aperte davanti ai loro occhi
si presentò una sala riccamente decorata da marmi colorati.
Un’alta pedana ospitava
una corte di personaggi riuniti intorno al trono dove era la loro
Regia. Una lunga
scalinata centrale dava l’accesso alla pedana. Il capitano
salì per primo e raggiunta
la cima fece un profondo inchino alla figura assisa sul trono. La donna
indossava un abito semplice e leggero dai colori pastello chiaro. I
lunghi capelli
biondi erano sciolti e due ciocche le ricadevano sul petto raccolte in
morbide
trecce. La donna attese alcuni istati prima di invitarlo rialzarsi poi
l’uomo
avvicinò il volto al suo orecchio riferendole qualcosa a
bassa voce come a non
voler far sentire al resto degli astanti. La donna ascoltò
con attenzione le
sue parole e allo stesso tempo lanciava fugaci occhiate nella direzione
di
Murtagh ed Eragon.
-
Fate venire avanti gli stranieri - disse con voce
ferma. Sotto lo sguardo di tutti salirono la scalinata. Eragon si
fermò qualche
passo dietro rispetto Murtagh poi entrambi si inchinarono di fronte
alla regina
in segno di rispetto.
La
regina posò il suo sguardo prima su uno e poi
sull’altro cavaliere compiaciuta. – Io sono la
Regina Isobel di Zàkhara- disse
con voce ferma - La vostra affinità con gli Elfi Oscuri
è evidente- continuò scandendo
lentamente le sue parole - ma allo stesso tempo sembrate umani.
Perciò ditemi
chi siete e quali sono le vostre intenzioni –
-
Maestà io sono Murtagh e lui è mio fratello
Eragon.
Siamo Cavalieri dei Draghi di Alagaësia. Siamo partiti dalla
nostra terra, e
abbiamo viaggiato mesi prima di approdare qui –
La
regina guardò i due giovani con sguardo impassibile
mentre un lieve brusio si alzò tra gli astanti. –
Cavalieri dei draghi avete
detto? Sono draghi quindi le bestie che sono fuori? – chiese
alzando una mano
per far tacere tutte le altre voci.
–
Sono i nostri compagni di mente e di cuore, Maestà -
puntualizzò Murtagh cercando di non risultare scortese
– I loro nomi sono
Castigo e Saphira. Sono creature intelligenti e non amano essere
ignorate –
Isobel
alzò un sopracciglio mentre un cenno di curiosità
sembrò
accendersi nei suoi occhi chiari. - Ciò che mi dite
è nuovo. Le nostre storie riguardo
ai draghi parlano di creature selvagge e prive di controllo, non di
esseri
senzienti. Mi scuso con loro e mi riservo di dargli la dovuta
attenzione il
prima possibile -
-
Lo apprezzeranno molto - le disse Murtagh guardando
dalla parte di Eragon che ne frattempo aveva aperto la sua mente a
Saphira
permettendole di ascoltare la conversazione.
-
Ed ora credo che vorrete sapere qualcosa sugli Elfi
Oscuri e perché li temiamo così tanto- disse
infine Isobel indovinato i loro
pensiero. Murtagh ed Eragon annuirono ed Isobel sembrò
impaziente di continuare
il suo racconto.
-
Trecento anni fa, prima che prendessero l’appellativo
di Oscuri, gli Elfi erano un popolo che sapeva usare la magia e noi
uomini vivevano
con loro in armonia e pace.
Un
giorno, non si sa bene quando, iniziarono a perdere i
loro poteri. La loro razza un tempo luminosa e pacifica divenne
l’ombra di sé
stessa. Un numero esiguo di sopravvissuti andò a stanziarsi
sulla vicina isola
di Artea e per molto tempo non si seppe più nulla di loro.
Quando
iniziarono i primi attacchi nessuno di noi si rese
di quello che stava accadendo. Si trattava per lo più di
scorribande sparse qua
e là. Poi la terra iniziò ad ammalarsi portando
con sé carestie ed epidemie tra
la nostra gente.
Quando
giovanissima venni eletta regina, il nostro regno era
diventato ormai l’ombra di stesso. Con grandi sforzi e fatica
riuscii a
strappare loro una tregua ed ottenere la pace. -
Da
anni non ci sono stati più attacchi, ma quando abbiamo
avvistato le vostre navi, abbiamo temuto il peggio - la Regia rimase in
un silenzio
carico di tensione e dolore prima di riprendere a parlare.
-
Ora che ogni cosa è stata chiarita vorrei
che foste nostri ospiti. Potremo parlare ancora e conoscere meglio la
vostra
storia -
-
Vi ringraziamo per la generosità – disse
Murtagh – Ma abbiamo lasciato due dei nostri compagni e
ciò che abbiamo portato
dalla nostra terra alla spiaggia e abbiamo il desiderio di ritornarci
–
-
A questo possiamo subito rimediare Cavalieri
– con un rapido gesto Isobel fece entrare altre guardie.
-
Che siano scortati alla spiaggia e
i loro bagagli trasportati a Palazzo. Saranno i ben venuti anche i
vostri
compagni. Purtroppo per i draghi non abbiamo strutture tanto grandi da
poterli
ospitare, ma diteci cosa possiamo fare per rendere gradito il loro
soggiorno e
se è in nostro potere sarà fatto –
La
Regina non vi ha dato molta scelta che accettare il
suo invito.
intervenne mentalmente Castigo.
Che
prepari delle ottime scuse
gli fece eco Saphira di rimando.
***
L’ultimo
comandi della Regina avevano
sancito la fine dell’udienza e congedati Eragon e Murtagh
vennero nuovamente
scortati dalle guardie della Regina e dal capitano.
Nel
momento in cui lasciarono la sala
del trono l’atteggiamento dell’uomo
cambiò radicalmente. Si avvicinò ai due
cavalieri e con un sorriso più disteso disse loro - Mi dispiace per
l’accoglienza che vi abbiamo
riservato poco fa, ma dovevamo essere cauti - disse con
semplicità - io sono
Xavier capitano della guardia reale, è un piacere conoscervi
Cavalieri dei
Draghi - disse avvicinandosi a gradi passi al cancello uscita.
-
Il piacere è nostro capitano-
risposero entrambi i cavalieri con fare distratto, le loro menti e
pensieri,
infatti, erano tutti rivolti ai loro draghi. Agitazione e trambusto
trapelava
attraverso il loro legame. I ragazzi ne compresero il motivo una volta
raggiunto l’esterno.
Il
piazzale in cui li avevano lasciati
era gremito da un numero considerevole di persona - Che cosa succede
qui? -
fece eco Xavier facendosi spazio a spallate. Un muro di persona li
separava dal
punto dove si trovavano Saphira e Castigo. I due soldati che stavano
cerando di
gestire al meglio la situazione furono più che lieti di
vedere i Cavalieri
ritorno e aprirono subito loro la strada - Abbiamo cercato di tenere la
gente a
bada ma senza alcun risultato capitano-
-
Li facciamo subito allontanare -
disse capitano dando l’ordine ai soldati al seguito.
Intanto
una bambina dai capelli color del miele era
riuscita a sgattaiolare tra tutte quelle persone e avvicinarsi ad
Eragon. Le
sue piccole manine gli strattonarono la veste con delicatezza
richiamando la
sua attenzione. La mamma che era rimasta qualche passo indietro si fece
largo
superando la prima fila di persone – Perdonate mia figlia, ha
insistito tanto -
intervenne la donna che aveva ormai raggiunto la bambina. I capelli
erano
raccolti in una morbida treccia e il viso era sottile. - Vorrebbe
accarezzarlo -
aggiunse indicando con lo sguardo Saphira. - Le ho detto che non
poteva,
naturalmente, ma non sono riuscita a trattenerla Signore. -
Murtagh
che era accanto a Xavier rivolse a Eragon uno
sguardo interrogativo ed Eragon lo rassicurò con un cenno
del capo. Attraverso
il legame con Saphira aveva percepito qualcosa in quella bambina che
non poteva
ignorare.
Saphira
cosa ne pensi? le
chiese mentalmente il ragazzo Va bene piccolo
mio portala pure qui fu la riposta dolce di Saphira.
-
Non è un disturbo - disse Eragon rivolto alla donna e con
un sorriso issò la bambina in alto tra le braccia.
-
Lei si chiama Saphira. Sei pronta a fare la sua conoscenza?
- chiese rivolgendosi alla piccola. Lei annuì e tese la sua
mano verso la
dragonessa. Saphira gorgogliò qualcosa che doveva essere un
sì e avvicinando il
suo muso la sfiorò appena con la punta del naso.
In
quel momento avvenne qualcosa di inaspettato. Una luce
proruppe da quel breve tocco e nella mente di Eragon scaturì
l’immagine di un
piccolo drago ai piedi della bambina. Poi come era apparsa la luce
sparì e
tutto intorno tornò normale tranne che per un luccichio
argentato sul palmo
della mano della piccola.
-
Succedono sempre cose strane intorno
ai draghi, cose che vanno oltre le nostre stesse comprensione -
sussurrò Eragon
guardando Saphira con rinnovato stupore.
Lo
hai visto anche tu?
Murtagh
lo aveva raggiunto mentalmente. Aveva condiviso con Eragon la visione
del
piccolo di drago.
Sì
l’ho visto e questo può significare una sola
cosa. Eragon non finì la frase – come ti chiami
piccola?
- chiese invece rivolto alla bambina.
-
Eleonor - rispose lei guardandosi
il palmo della mano.
-
Eleonora, sai cosa è successo poco
fa, quando hai sfiorato Saphira? -
-
ho visto un cucciolo e … - la
bambina guardò in direzione della madre.
-
…voglio andare a casa - piagnucolò
nascondendo il viso sul petto del cavaliere.
Lasciala
andare piccolo mio, sarà lei a tornare quando
sarà pronta
le disse mentalmente Saphira
tranquillizzandolo il Gedwey ignasia la
guiderà.
Eragon
annuì con la testa e lasciò scivolare
la bambina a terra. Eleanor stette un attimo a dondolare poi senza
preavviso strinse
con le braccia alle gambe di Eragon, per salutarlo. Sorpreso dal gesto
Eragon le
posò le mani sulle spalle fino a quando la bambina non si
staccò e corse tra le
braccia della madre. La donna non aveva idea di quello che era successo
e
ringraziò Eragon con lo sguardo.
Quando
Eragon raggiunse Murtagh i due
cavalieri si scambiarono uno sguardo di intesa consci del peso di
quanto era
accaduto. La comparsa del marchio portava con sé tutte una
serie conseguenze,
tra cui il compito di addestrare una uova generazione di Cavalieri di
cui
Eleonora sarebbe stata la prima. I due fratelli non erano certi di
esserne
all’altezza.
Sarete
degli ottimi insegnanti, piccolo mio. Io e Castigo
ne siamo certi.
disse la dragonessa, avvertendo l’incertezza
del giovane attraverso il loro legame. Anche Castigo aveva sentito lo
stesso
sentimento da parte di Murtagh.
Non
sarte soli nel compito tigre.
Aggiunse il drago cremisi sbuffando con il naso e
facendo uscire un po’ di fumo dalle narici.
-E’
ora di andare Cavalieri – intervenne
Xavier interrompendo quel momento. Nel frattempo lui e i suoi soldati
aveva
fatto disperdere la folla. La loro ferrea disciplina era ammirevole. La
loro
regina gli aveva affidato il compito di scortali dal loro campo al
palazzo e il
loro capitano lo avrebbe lo portato a termini.
Concordando
con il capitano Saphira e
Castigo mossero le loro ali impazienti di alzarsi in volo. Anche Eragon
e
Murtagh lo erano e con un agile movimento salirono suoi loro dorsi
-
Noi andiamo avanti con loro. Vi
seguiremo dall’alto- I
due draghi che
non aspettavano altro, avevano già spiegato le ali e le
ultime parole di Murtagh
si persero nel rumore provocato dal loro battito. Una folata di vento
investì i
soldati che rimasero a guardare le due creature librarsi in aria e
virare
eleganti nel cielo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Un nuovo nemico ***
Una
volta congedati i cavalieri la regina mandò via anche
il resto dei cortigiani e rimase da sola nella stanza del trono. I suoi
lineamenti di solito belli e solari si contrassero in una smorfia di
fastidio
mentre ripensava agli ultimi eventi. Dalla comparsa della cometa il suo
sonno
era diventato frammentato e agitato ed ora l’arrivo di questi
Cavalieri dei
Draghi dava a Isobel altri pensieri.
Una
figura esile emerse alle sue spalle dall’ombra - Hai
chiamato mia signora? – chiese con una voce fredda e
tagliente.
-
Sì Oliviana. Il momento è arrivato. Non esitare,
vai e
fa quello che devi - disse solo e nell’ombra la donna si
dileguò così come era
comparsa.
Isobel
si alzò dal trono e uscì per ritirarsi nei suoi
appartamenti privati. Le sue stanze erano un’area riservata
solo a pochi
addetti del palazzo, ognuno i loro era stato scelto personalmente dalla
regina per
una sua dote peculiare. Le piaceva pensare che protetti da quelle mura
potessero coltivare quelle loro doti lontano dalle superstizioni del
popolo. Al
resto degli abitanti della cittadella non era permesso entrarvi. Chi
non era
nella cerchia stretta degli adepti sapeva solo che al loro interno
avvenivano i misteri.
Così venivano chiamati i riti
si svolgevano all’interno di quelle stanze. Chi ne era a
conoscenza era tenuto
a mantenere il segreto. Le conseguenze se si fosse violato questa
regola
sarebbero state terribili. Era credenza, infatti, che la pace fosse
mantenuta
proprio grazie ai misteri. Isobel
sorrise a quelle dicerie che nonostante tutto avevano un fondo di
verità;
quindi, chiamò a sé alcuni attendenti che si
trovano nella stanza. I due uomini
si affrettarono a raggiungerla salutandola con un inchino - Chiamate il
mio
consiglio privato – ordinò loro - Ho dei compiti
precisi de affidarvi per
l’arrivo dei nostri ospiti. -
***
Jill
era seduta sulla sabbia bagnata osservando un punto
nero che da qualche minuto era comparso sulla linea
dell’orizzonte. La sua
corporatura era esile e il profilo delicato si delineava sotto il
tessuto
morbide delle sue vesti. La sua apparente fragilità non
doveva trarre in
inganno, Jill era infatti un’abile spadaccina e con un
coltello poteva fare
centro a diverse iarde di distanza. Aveva servito a lungo sotto
Galbatorix come
suo sicario personale e la sua lama si era rivelata letale per molti
incauti
che avevano sottovalutato le sue abilità. Ma quel capitolo
della sua vita
faceva orami parte del passato. Molte cose erano cambiate da allora.
Aveva
conosciuto Murtagh, si era innamorata di lui e per amore lo aveva
seguito fino
agli estremi angoli del mondo. Jill non avrebbe voluto essere da
nessun’altra
parte.
Aveva
anche trovato degli amici. Durante quei mesi di
navigazione si era molto affezionata all’Elfa dal portamento
altero ed algido.
Ora riposava appena dietro di lei. Era caduta in uno stato di profonda
quiete.
Dopo molte insistenze Jill era riuscita a convincerla a stendersi e
riposarsi. Non
c’era motivo di essere in due a preoccuparsi per i due
cavalieri pensò la
giovane passandosi una mano sulla fronte.
Si
alzò per sgranchirsi le gambe indolenzite per essere
stata a lungo nella stessa posizione e tornò di nuovo a
guardare il punto nero.
Questo
si era trasformato nella sagoma scura di una nave che
si stava avvicinandosi a loro ad una velocità
impressionante.
La
ragazza sobbalzò dalla sorpresa e corse subito da Arya.
Chinandosi su di lei la scosse energicamente da un braccio.
-
Arya presto guarda! - chiamò. L’Elfa
aprì gli occhi.
- Cosa succede,
sono tornati? - chiese e dopo un primo momento di torpore
L’Elfa sentì tutti i
sensi del suo corpo di nuovo all’erta.
-
No, ma credo che sia meglio che tu guardi con i tuoi
occhi -
Arya
guardò nel punto indicatole da Jill dove un veliero nero
come la pece avanzava inesorabile. Un vento di ponente che non aveva
nulla di naturale
gonfiava le sue vele.
Arya
aprì la sua mente e cercò di stabilire subito un
contatto con Eragon. Quando alla fine riuscì a trovalo
cercò di trasmettere
tutta l’urgenza del momento.
Eragon
venite al più presto. Una nave
si sta avvicinando e non sembrano amichevole.
Eragon
e Murtagh erano da poco ripartita dal palazzo
reale. La risposta del cavaliere arrivò subito Stiamo arrivando.
***
Eragon
aveva comunicato il messaggio di Arya e in risposta
Saphira e Castigo aumentarono la loro velocità con colpi di
ali più decisi.
Sotto di loro i soldati guidati da Xavier, che fino a quel momento li
aveva
seguiti, cercarono invano di tenere il passo ma rimasero
inesorabilmente
indietro. Eragon vide gli uomini fermarsi e dal basso guardarli andare
via, ma
non c’era tempo per poterli avvertire. I soldati non potevano
correre più
veloce di così, li avrebbe solo rallentati.
L’unica cosa che premeva ai due
cavalieri era raggiungere le loro compagne, in seguito ci sarebbe stato
tutto
il tempo per spiegare.
Eragon
si strinse più forte alla dragonessa, sotto di lui
poteva sentire i potenti muscoli tendersi allo spasimo per lo sforzo.
Dal
momento in cui aveva chiuso il breve collegamento mentale con Arya un
presentimento
si era insinuato nella sua mente. Sentiva come se qualcosa di terribile
stesse
per accadere. Quel pensiero non riusciva ad abbandonarlo mentre il
vento gli
sferzava i capelli. Cercò di mandarlo via ma il disagio
raggiunse presto anche
la mente di Saphira. La dragonessa allora gli sfiorò
delicatamente la mente.
Stiamo
correndo il più possibile piccolo mio
cercò di rassicurarlo.
Lo
so Saphira, ma sento che qualcosa non va
Spinta
anche lei dalla stessa sensazione di pericolo
Saphira superò Castigo.
Eragon
cosa succede? Chiese
Murtagh che con Castigo si erano resi
conto della loro accelerazione.
Ho
un brutto presentimento spero sia solo una sensazione
lo
informò brevemente Eragon.
Quando
Saphira e Castigo piombarono sulla spiaggia Eragon
e Murtagh si trovarono davanti il campo completamente vuoto e messo
sotto sopra.
Era come se una bufera vi si fosse abbattuta sopra.
Scesero
dal dorso dei draghi con un salto ed entrambi i
cavalieri aprirono subito la loro mente in cerca della presenza delle
due
donne. Sentirono un lieve segnale di vita provenire alla loro destra.
Eragon e
Murtagh corsero in fretta in quella direzione. Nascosta dietro dei
giunchi e
riversa in una risacca d’acqua c’era Jill. Murtagh
si chinò immediatamente su
di lei. Il suo corpo era immobile e pieno di tagli, graffi e contusioni.
-
Jill svegliati, ti prego – la chiamò Murtagh
mentre la
tirava su dalle spalle. Il petto della ragazza si alzava e abbassava in
un respiro
fievole.
Cono
cautela Murtagh prese in braccio il corpo ancora incosciente
di Jill. Un leggera smorfia di dolore increspò gli angoli
della bocca mentre il
cavaliere la tirava su.
-
Vieni portala qui - lo chiamò Eragon che nel frattempo
aveva sistemato una coperta su cui far adagiare la ragazza. Una volta
assicurati che fosse coperta e all’asciutto i due cavalieri
continuarono a
perlustrare il campo. Seguirono le tracce da dove avevano scoperto Jill
e non
ci misero molto a trovare i segni di una colluttazione. Le tracce
continuavano
verso il mare. Sulla sabbia erano ben visibili i solchi lasciati da uno
scafo insieme
alle orme di almeno di una decina di piedi. Con molta
probabilità Arya era
stata portata via sull’imbarcazioni.
Eragon
fremette di rabbia poi si guardò intorno. Un
rapido sguardo alle casse scaricate dalle navi e si rese conto che ne
mancava
una. La disperazione del ragazzo crebbe ancora di più.
Saphira
le uova, hanno preso anche loro.
Disse tramite il loro
legame. Accanto a lei Castigo proruppe in un lamento.
Rivolto
verso il mare anche Murtagh guardava disperato le
onde infrangersi sulla spiaggia. Guardando più in
là notò qualcosa che veniva
sospinto dalla corrente. Si avvicinò al punto e gli stivali
del ragazzo vennero
lambiti dall’acqua e dalla schiuma mentre si piegava per
raccogliere quello che
a tutti gli effetti era un lembo di stoffa bagnato.
-
Eragon viene, guada cosa ho trovato - disse chiamano immediatamente
il fratello che si affrettò a raggiungerlo. Anche i draghi
si avvicinarono.
Castigo annusò la stoffa dalla mano del suo cavaliere e
arricciò le labbra.
Odora
di inganno. Non mi piace
Murtagh lo guardò accigliato mentre tastava
la stoffa con le dita. - Deve essere appartenuto a uno degli
assalitori. Anche
se piccolo abbiamo un indizio da cui partire - disse porgendola ad
Eragon. Il
ragazzo prese il lembo tra le mani e ne osservò la trama
-
Una stoffa nera - aggiunse con voce asciutta. La
situazione era rapidamente precipitata ed Eragon non era in grado di
fermare il
vortice di emozioni che sentiva, amplificate da quelle provenienti dal
suo
legame con Saphira.
I
lamenti di Jill riportarono i due cavalieri alla realtà.
La ragazza aveva iniziato ad agitarsi afferrando e strattonando la
coperta su
cui l’avevano avvolta. I due Cavalieri la raggiunsero in un
attimo e cercarono
di tenendola ferma. Con sicurezza Eragon posò una mano sopra
il viso della
ragazza e chiudendo gli occhi pronunciò alcune parole
nell’antica lingua per calmarne
gli spasmi. Nel farlo si accorse di un particolare che prima gli era
sfuggito. Chiunque
aveva ridotto Jill in quello stato aveva anche usato la magia su di
lei; un
incantesimo la teneva costretta in un sonno senza sogni. Eragon vide
anche
un’altra terribile verità, l’incantesimo
era stato creato per portarla una lenta
e inesorabile morte. Se non fosse intervenuto subito
l’avrebbero persa per
sempre. Passata la sorpresa iniziale il cavaliere si mise in fretta a
formulare
una serie parole che gli permisero di svelare la struttura
dell’incantesimo, dopo
di che ne creò un secondo per scioglierlo; una volta
lanciato Eragon sentì il
sangue delle vene gelarsi mentre la magia riscuoteva il suo prezzo. La
quantità
di energia che abbonò il suo corpo lo lasciò
spossato. Chi lo aveva ordito era
molto abile nell’uso dell’antica lingua ed il suo
scopo era di infliggere il
più possibile dolore.
Piccolo
mio sono qui
intervenne Saphira sostenendolo attraverso
il loro legame.
Eragon
lasciò che Saphira gli infondesse forza e attese
che il mondo smettesse di girargli intorno prima di aprire gli occhi.
Accanto a
lui Murtagh lo osservò preoccupato. – Che cosa
è successo? -
–
Dopo te lo spiego, ora occupiamoci delle sue ferite -
si limitò a dire Eragon sistemandosi meglio accanto alla
ragazza. Non voleva
preoccupare il fratello fino a quando Jill non si fosse stabilizzata e
in
silenzio iniziò ad esaminare il corpo. Alcuni tagli erano
profondi, altri più
superficiali, tutti erano stati inflitti dalla stessa arma. Le ferite
le
avevano anche provocato una leggera febbriciattola che le imperlava la
fronte di
sudore. Eragon prese un respiro e iniziò con il processo di
guarigione.
Fu
un lavoro lungo e meticoloso. Eragon si immerse nel
compito senza risparmiarsi. Occupare la mente con qualcosa di utile lo
aiutò ad
allontanare il pensiero di Arya che minacciava di sopraffarlo. Murtagh
aveva
compreso il suo bisogno e lo aveva lasciato lavorare vegliando di tanto
in
tanto su di lui.
***
Il
ragazzo aveva quasi finito quando Xavier li raggiunse con
il drappello di soldati. Saphira emise un basso ruggito di avvertimento
quando
l’uomo si avvicinò troppo al suo cavaliere ancora
chino su Jill.
-
Credevo ci avreste seguito. Che cosa è successo qui? -
chiese avvertendo la tensione nell’aria.
Murtagh
andò incontro all’uomo - Saphira tranquilla, ci
sono io – disse volgendo lo sguardo al Capitano –
C’è stata un’irruzione al
campo. Una nave è arrivata portandosi via una dei nostri e
lasciando l’altra ferita
- disse il ragazzo senza riuscire a mascherare l’angoscia che
stava provando. -
Non siamo riusciti ad arrivare in tempo per fermarli –
-
Le sue condizioni? – chiese rivolto a div era Jill.
-
Eragon se ne sta occupando -
Il
capitano guardò verso il cavaliere. Sapeva che si
trattava di magia ma quell’ argomento era un tabù
per volere della stessa
Isobel e non gli era permesso parlarne.
-
Quando abbiamo perlustrato il capo, al nostro arrivo, abbiamo
trovato questo - continuò Murtagh porgendo al capitano la
stoffa trovata sulla
spiaggia - Vi dice qualcosa? -
Il
capitano Xavier osservò il lembo del tessuto e il suo
volto si fece torvo. Ne aveva riconosciuto immediatamente la
provenienza - Questa
trama non può che essere dalle uniformi degli Elfi Oscuri.
Non ho dubbi - disse
con voce asciutta
-
Ne sei certo? - chiese Murtagh.
Il
volto di Xavier si contrasse in una smorfia - Ho
combattuto contro quelle belve abbastanza a lungo da esserne certo
Cavaliere. Questo
attacco porta la loro firma - Disse Xavier sospirano - Non pensavo
sarebbe
successo di nuovo. Mi spiace sia capitato proprio a voi –
disse sinceramente
dispiaciuto - Con il vostro permesso i miei uomini ed io vorremmo
iniziare a
portare via le vostre cose. Non è più un posto
sicuro questo –
Murtagh
si limitò ad annuire quindi andò da Eragon che
nel frattempo si era alzato in piedi e stava prendendo un sorso di
idromele
dalla bisaccia dalla sua cintura. Era visibilmente stanco e si
appoggiò al
fianco di Saphira.
-
Vuoi spiegarmi ora cose succede? – chiese impaziente Murtagh.
Il Cavaliere aveva notato un lieve tremore nella mano del fratello e
iniziava a
preoccuparsi.
Eragon
non poteva più indugiare oltre, Murtgh doveva
sapere la verità. Riallacciò la bisaccia alla
cintura e cercò con cura le
parole – Jill è stata avvelenata da un
incantesimo. Chiunque abbia affrontato la
giù era qualcuno esperto di magia. Ho fatto tutto quello che
era in mio potere
per scioglierlo. Ora dobbiamo solo aspettare che si svegli - Murtagh si
girò di
scatto a guardò il volto di Jill, per la prima volta da
quando l’avevano
trovata era di nuovo rilassato e aveva assunto il suo colorito roseo.
Eragon
aveva deliberatamente evitato di entrare nei particolari
dell’incantesimo, ma Murtagh
immaginò che dovesse esser stato potente. Se quello che gli
aveva detto il
capitano Xavier era vero allora l’aggressore di Jill aveva
anche un nome
-
Eragon il capitano ha riconosciuto la stoffa.
Appartiene agli Elfi Oscuri - gli disse di getto.
Eragon
non rispose subito. Soppesò le parole del fratello
per alcuni istanti prima di scuotere la testa - Tutto questo non ha
senso, la
magia non appartiene più a quel popolo. Così ci
hanno detto – Murtagh annuì meditabondo
-L’ho
pensato anche io, ma Xavier ne è sicuro-
-Ti
fidi così tanto di lui? - Murtagh percepì la
diffidenza di Eragon. Non era la prima volta che si trovavano in
disaccordo su
qualcosa, ma Eragon gli stava nascondendo qualcosa o per lo meno non
gli stava
dicendo tutto e questo li stava allontanando.
-
Sì Eragon, penso che mi stia dicendo il vero - rispose
asciutto Murtagh. - Che mi fidi o no del capitano, non possiamo
rimanere qui a
lungo. Per cui, a meno che tu non abbia qualche prova del contrario, dovrai fidarti anche tu. -
Eragon scosse la
testa, non aveva prove a suo favore ma solo sensazioni. Murtagh
annuì
soddisfatto. - Dobbiamo prepararla Jill per il viaggio. Mi dai una
mano? - gli
chiese, questa volta usando con tono più conciliante.
***
Castigo
lasciò che i due Cavalieri lavorassero sulla sua
sella. Eragon sistemò delle coperte per fare in modo che la
ragazza potesse
viaggiare più comodamente possibile. Mentre Murtagh
adagiò il corpo di Jill e
l’assicurò alla sella con dei legacci, poi il
ragazzo sussurrò alcune parole
nell’antica lingua a rinforzo delle cinture.
Da
una certa distanza il Capitano li stava osservando. I
suoi uomini avevano quasi finito di caricare le casse e lui aveva degli
ordini
precisi a cui attenersi. Si avvicinò ai Cavalieri e
salutò Eragon con un cenno.
-
Mi dispiace interrompervi Cavalieri, ma sarà meglio
rientrare –
I
due ragazzi annuirono e il capitano ne fu sollevato.
-
Sono contento che vi vogliate affidare alla protezione
della nostra regina Isobel- disse - ma soprattutto che non abbiate
agito da soli-
aggiunse pensando alla delicata situazione in cui si trovavano.
-
Capitano vi seguiremo e accettiamo l’invito della
vostra regina, ma quando sarà il momento agiremo come meglio
riterremo
opportuno – fisse Eragon rivolgendo quelle parole
più che altro a Murtagh che
al capitano.
-
Naturalmente siete liberi. Ma dovete capire che senza
il nostro supporto la situazione della vostra amica potrebbe
peggiorare. -
Quel
riferimento ad Arya colpì Eragon in un modo
particolare. Il ragazzo sentì un misto di rabbia e
irritazione montarli dentro.
-
E’ forse una minaccia? - disse guardando il capitano
negli occhi.
-
Eragon, calmati - intervenne immediatamente Murtagh,
preoccupato per la reazione del fratello. – Il capitano
Xavier, vuole solo
aiutarci – gli disse poggiando la mano sulla sua spalla. Non
era da lui
rispondere con quei toni bruschi.
Ma
Eragon non aveva intenzione di calmarsi. Strattonò la mano
del fratello per liberarsi e si allontanò a grandi passi da
loro. Murtagh si
girò verso il capitano e poi verso Saphira alzando le mani
impotente.
La
dragonessa si mosse nella direzione presa dal suo
cavaliere.
Eragon,
piccolo mio. Cosa stai facendo?
Per
favore, non dirmi anche tu di calmarmi.
I suoi occhi erano lucidi
mentre si girava a guardare la dragonessa. Nel farlo Eragon lesse la
stessa
angoscia e preoccupazione. La sua rabbia scemò appena.
Scusami
Saphira, anche tu oggi hai perso qualcosa di importante.
le
disse profondamente dispiaciuto.
Sto
bene piccolo mio. Rispose
attraverso il legame. Ma ora sarà
meglio andare. Eragon
trattenne una nuova ondata di rabbia e si voltò
dall’altra parte prendendo un altro
profondo respiro.
Non
mi piace questa situazione. La sensazione di pericolo che ho sentito in
volo
non è ancora andata via. Saphira
gorgogliò preoccupata.
Anche
a me il capitano Xavier mi sembra sincero.
Lo incalzo la dragonessa
con dolcezza sostenendo la scelta di Murtagh. Il suo muso si
scontrò
delicatamente contro la spalla del cavaliere invitandolo voltarsi.
Ora
più che mai abbiamo bisogno i aiuto, di qualcuno che conosca questa terra e soprattutto
che conosca gli Elfi
Oscuri. Sensazioni di pericolo o no.
Le
argomentazioni di Saphira erano inoppugnabili ed
Eragon non trovò argomenti con cui ribattere.
Non
abbiamo scelta, vero?
le chiese con un sospiro.
Sembra
proprio di no.
Murtagh
e Xavier videro Eragon tornare verso di loro
seguito da Saphira.
-
Va bene possiamo andare - disse secco ai due uomini.
-
Hai fatto la scelta giusta- disse Xavier. Murtagh non
aveva perso di vista il fratello.
-
Vi seguiremo in volo con Saphira e Castigo. Potete
andare avanti - disse. Xavier annuì quindi fece cenno ai
suoi uomini di mettersi
in marcia verso il palazzo.
Quando
furono di nuovo soli Murtagh guardò il fratello di
traverso.
-
Eragon noi due dobbiamo parlare. Adesso. Se vogliamo
riprenderci ciò che ci è stato portato via
sarà meglio non inimicarsi le uniche
persone in grado di aiutarci. Non pensi? -
La
risposta di Eragon non tardò ad arrivare - Proprio tu
mi parli di collaborare? -Rispose stupito. - Il capitano ci ha fatto
capire che
il loro aiuto dipenderà da come ci comportiamo. Ha
minacciato Arya -
Murtagh
prese un respiro profondo - Eragon non fidarsi è
un conto. Ma questo è intestardirsi, ed è una
cosa completamente diversa -
Eragon
era sempre più esasperato. - Bene ora mi sto
intestardendo?! -
-
Tu stravolgi ogni mia parola. Ti sto solo pregando di
essere più ragionevole -
-
Murtagh… - Eragon non poteva dirgli che sentiva ancora
la sensazione di imminente pericolo, né del male che aveva
avvertito quando
aveva curato Jill ma rimase di fronte al fratello con le braccia lungo
i
fianchi e le mani stretta a pugno.
La
discussione fu interrotta da un colpo di coda di
Saphira e Castigo. I due draghi avevano ascolto il loro battibecco
senza intervenire
ma ora era arrivato il momento di interromperli
Ricordate
cosa è successo l’ultima volta che avete litigato?
gli
ammonì la dragonessa con voce brusca.
-
Va bene Saphira la smettiamo - gli rispose Eragon ed
anche Murtagh dall’altra parte annuì.
Siamo
tutti stanchi. E voi due avete bisogno di riposare. Non siete
indistruttibili.
Saphira
aveva parlato ad entrambi i cavalieri che non
poterono fare altro che riconoscere la verità delle sue
parole.
In
silenzio, immerso ognuno nei propri pensieri salirono
sul dorso dei draghi.
A
volte è veramente esasperante e cocciuto
si
lamentò Murtagh attraverso il suo legame con Castigo. Beh
siete fratelli.
Fu la risposta secca del drago rosso.
Senza
dargli il tempo di replicare il drago aprì le sue ali
e abbassandosi con le zampe posteriori spiccò un potente
salto. Le ali si
chiusero subito dopo a dare una seconda spinta che gli permise di
portarsi
ancora più in alto. Dietro di loro la sagoma di Saphira li
seguì a una certa
distanza.
Il
sole stava scendendo verso l’orizzonte e il cielo, tinto
dei colori del tramonto, mostrava già il profilo di una luna
pallida. Una
leggera brezza soffiava dal mare e sul dorso di Castigo Murtagh si
abbandonò al
dolce cullare del suo volo.
***
Jill
si mosse piano, la prima cosa che avvertì fu la sensazione
di essere sospesa nell’aria. Non riusciva ancora ad aprire
gli occhi e questo le
permise di focalizzarsi sugli ultimi avvenimenti. L’ultima
cosa ricordava era
di trovarsi immersa nel buio più totale. Ma non era solo
addormentata, qualcosa
la tratteneva in quel buio. Delle mura fatte di oscurità,
disperazione e
solitudine. Le si erano chiuse intorno soffocandola e togliendole ad
ogni minuto
che passava speranza e voglia di vivere. Jill ebbe la netta sensazione
di stare
morendo, cercò di ribellarsi ma
l’oscurità era più forte. Stava quasi
per
arrendersi al suo destino quando sentì qualcosa battere
contro le pareti della
sua prigione. Sentì quelle mura alte tremare sotto dei colpi
potenti. Qualcuno
stava lottando per liberarla. Un filo di luce si insinuò
nella sua coscienza. La
speranza si trasformò in gioia quando sentì
l’oscurità che la stava opprimendo sgretolarsi
in mille pezzi. Raggi di luce penetrarono nelle fessure per poi entrare
dirompente
con tutta la sua forza riscaldando il suo cuore. Era di nuovo libera ma
non era
ancora cosciente. Lentamente scivolò verso un ambiente caldo
e confortevole.
A
poco a poco Jill riacquistò i propri sensi. Aprì
lentamente gli occhi ma quando riuscì a mettere a fuoco
desiderò di non averlo
fatto. Si trovava sospesa nel vuoto contro qualcosa di duro e squamoso.
Lanciò
un urlo e un ragazzo si voltò verso di lei. Aveva i capelli
mori e lo sguardo
che le rivolse fu intenso. Non capiva perché ma gli
ispirò subito fiducia.
Poi
il ragazzo parlò
-Jill,
ti sei svegliata! -
La
ragazza lo guardò con aria smarrita, come faceva a sapere
il suo nome? Improvvisamente si rese conto di non ricordare nulla del
proprio passato,
solo qualche sprazzo della sua infanzia. Una fattoria nei pressi di una
città
chiamata Uru’ben, suo padre che le insegnava a combattere e
poi il vuoto.
Sentì
il suo stomaco fare le capriole mentre la creatura
dalle squame di fuoco si abbassava improvvisamente di quota per
assecondare una
corrente. Nella sua mente confusa un barlume di conoscenza si accese.
Stava volando
sopra un Drago e il ragazzo davanti a lei non poteva che essere un
Cavaliere
dei Draghi. Jill non aveva idea del perché sapesse tutte
quelle cose ma sapeva
che era così. Non riuscendo a venire a capo in tutta quella
confusione che
aveva in testa decise di accantonare i suoi problemi per un attimo e di
cercare
una sistemazione più comoda; saggiò la resistenza
delle corde che le premevano
contro il corpo, erano strette ma non così forti da
impedirle un certo
movimento. Girando il collo da un lato notò con stupore che
c‘era anche un
secondo drago, volava a pochi metri di distanza da loro e il colore
delle sue
squame era di un blu intenso.
Una
brusca virata la costrinse a girare di nuovo la
testa. Qualsiasi fosse stata la loro destinazione Jill intuì
che erano quasi
arrivati.
Sotto
i draghi il capitano Xavier ordinò ai suoi uomini
di entrare dentro il maschio del palazzo e prima di sparire anche lui
al suo
interno fece un segno ai cavalieri di avanzare oltre le mura. Castigo e
Saphira
sorvolarono una parte della città castello per poi iniziare
la loro lenta
discesa all’interno di un cortile circondato da un porticato
che gli girava
tutto intorno.
Una
volta atterrato Murtagh scese dal dorso di Castigo e
si affrettò a raggiungere Jill ancore ancorata alla sella.
La slegò dalle corde
e la fece scendere adagio.
-
Jill come ti senti? - chiese alla ragazza lasciando il
suo braccio.
-
Non lo so …- rispose Jill un po’ spaesata ma grata
di
riuscire a stare in piedi con le sue gambe. Quel ragazzo era veramente
preoccupato per lei, pensò mentre la sua frustrazione
aumentava. Se solo fosse
riuscita a ricordare il suo nome! Intanto anche l’altro drago
e il suo
cavaliere erano atterrati e si stavano avvicinando a loro.
-
Voi chi siete? Come fate a conoscere il mio nome? -
Murtagh
la guardò accigliato – Jill cosa dici, sono io
Murtagh – le parole di Jill ebbero l’effetto di uno
schiaffo sul giovane che
indietreggiò di un passo. - Non ricordi chi sono? -
-No,
non ricordo nulla. So solo che mi chiamo Jill e
che…- Jill vacillò sulle gambe e
indietreggiò di qualche passo cercando di
guadagnare tempo per dipanare la confusione che regnava nella sua
mente. Eragon
riuscì a prenderla in tempo prima che cadesse a terra.
Jill
guardò nei suoi occhi, erano di un nocciola inteso e
la scrutarono con attenzione mentre la sorreggeva tra le braccia. Anche
lui
mostrava una sincera preoccupazione per lei, ma allo stesso tempo
c’era
qualcosa che lo rendeva familiare.
-
L’oscurità non ti tiene più prigioniera
Jill, che cosa ti
trattiene ancora? - le chiese sondando la sua
mente e a quel punto
Jill capì. Era stato lui a liberarla. Jill si
sentì ancora più confusa.
-Lasciami,
ti prego – gli chiesi cercando di liberarsi
dalla sua presa. – Ho bisogno di spazio -
Eragon
annuì e la lasciò andare. Murtagh lo
guadò
smarrito, ora i due fratelli erano lontani più che mai.
Eragon avrebbe voluto
parlare con lui e cercare il sanare il divario che si era appena creato
ma l’arrivo
di Isobel glielo impedì. La regina era seguita da una
giovane donna, una delle
ancelle che le era stata accanto nel loro primo incontro; portava degli
abiti
diversi da quelli indossati la mattina, questo era rosso e stretto,
avvolto in
vita da una cintura dalla banda larga dello stesso colore della veste;
i
capelli erano
raccolti in una
acconciatura che ne rivelava il collo affusolato adornato da una
collana.
-
Il capitano Xavier mi ha appena informato di quello che
è accaduto all’accampamento - il suo sguardo
passò da un Cavaliere all’altro,
le mani giunte in grembo - Gli Elfi oscuri hanno violato la tregua per
qualche
motivo. Vorrei capire il perché. Vi hanno forse preso
qualcosa di importante? -
chiese ponendo la domanda in modo innocente.
-
Non è stato preso nulla di valore maestà - le
mentì
Eragon anticipando qualsiasi risposta di Murtagh. Il Cavaliere
cercò il
fratello con la coda dell’occhio per vedere la sua reazione
ma Murtagh lo evitò.
Se Isobel si accorse della tensione tra loro non lo diede a vedere,
invece rimase
a guardare Eragon per un lungo istante prima di tornare a parlare
– Bene -
aggiunse con voce asciutta. Quando il suo sguardo si posò su
Jill il volto
della regina ebbe una leggera contrazione che disturbò per
un attimo
l’imperturbabilità del suo volto.
-
Vedo che la vostra amica si è svegliata- disse riuscendo
a stento a nascondere una certa sorpresa.
-
Sai dirci qualcosa del tuo aggressore mia cara? –
chiese Isobel rivolgendosi direttamente alla ragazza. Jill
raddrizzò la schiena
come sentì la voce della donna e un brivido le
attraversò la spina dorsale. Scosse
la testa con vigore.
-
E’ ancora molto provata, Maestà- intervenne
Murtagh
rispondendo al suo posto per proteggerla.
Isobel
annuì poi voltò lo sguardo verso Murtagh
-
Ti prego, non usare Maestà, chiamami Isobel- disse
piegando le labbra in un sorriso privo di allegria. Quindi
proseguì - Ma noi
stiamo parlando quando voi siete molti stanchi. Le vostre stanze sono
già
pronte e i vostri bagagli sono stati sistemati al loro interno. Potete
lavarvi e
cambiarvi e domani mattina sarete ospiti di banchetto in vostro onore.
-
Dove andranno Saphira e Castigo? - chiese allora Eragon.
-
Per ora abbiamo allestito due tendoni all’interno dei
giardini del palazzo, se si alzano in volo potranno scorgere i
falò che li
circondano-
Non
ti preoccupate per noi, ce la caveremo piccolo mio
Disse Saphira.
Manterremo
il nostro contatto, non vi lasciamo soli
aggiunse Castigo. Poi i
due draghi volarono via.
La
notte era ormai scesa e in aria si potevano udire a
una certa distanza le grida dei pipistrelli a caccia di qualche
succulenti
insetti. Uno di loro si era intrufolato tra le colonne del chiostro.
Eragon udì
distintamente il rumore delle sue ali che batteva contro le colonne.
Anche la
regina si girò verso quel suono.
-
Vi lascio alle cure di Aglaia. – disse prendendo per
mano la ragazza che era venuta con lei e portandola di fronte ai
cavalieri.
-
Vi aspetto domani -
***
Solo
nelle sue stanze Eragon si stese sul letto, il
materasso era morbido e soffice e il ragazzo vi sprofondò
sopra con tutto il
suo peso. Era sfinito sia mentalmente che fisicamente Gli eventi della
giornata
lo avevano lasciato completamente svuotato. Solo con i suoi pensieri il
ricordo
di Arya e del suo rapimento lo travolse con tutta la sua forza.
La
sua voce che gli chiedeva aiuto risuonò nelle orecchie.
Eragon non riusciva a perdonarsi il fatto di essere arrivato tardi e di
non
aver potuto far di più.
Sentendosi
sopraffatto da quel turbinio di emozioni nascose
il volto tra le mani e si costrinse a allontanare quel pensiero.
Prese
un respiro profondo, il suo sguardo cadde sulla brocca
d’acqua sul tavolo accanto al letto e gli venne in mente che
avrebbe potuto
divinarla con facilità. Probabilmente l’avrebbe
vista avvolta in un alone scuro,
dato che non poteva conoscere il posto dove la tenevano, ma gli avrebbe
permesso di conoscere le sue condizioni. Spronato da quel pensiero si
alzò, versò
il liquido della brocca in una bacinella e con un sussurro
pronunciò le antiche
parole:
-Drum-koapa-
Il
volto di Arya comparve qualche istante dopo. Era
avvolta da un alone di luce azzurrina e sembrava distesa. Doveva essere
addormenta
pensò Eragon. Guardò l’immagine
riflessa nello specchio d’acqua per alcuni
minuti poi lasciò che svanisse da sola. I suoi occhi si
riempirono di lacrime
ma le cacciò via passandosi una mano sul volto. Arya non
avrebbe voluto vederlo
così.
L’Elfa
si sarebbe concentrata sul presente. Eragon sapeva
che doveva prepararsi all’incontro con Isobel. Non aveva idea
di come stesse
Murtagh in quel momento. Dal loro litigio giù alla spiaggia
non avevano avuto
più modo di chiarirsi e non averlo al suo fianco lo fece
sentire improvvisamente
solo. Anche Saphira era stranamente silenziosa.
Accantonando
per il momento quei pensieri Eragon si
lasciò il letto alle spalle ed entrò nella sala
da bagno. Non poteva certo addormentarsi
in quelle condizioni. Gli abiti e il corpo erano sudici e
impolveratati. Si spogliò
con e usò un catino per lavare via terra e sporcizia con
l’aiuto di una spugna.
Finite le abluzioni andò ad immergersi nell’acqua
tiepida della vasca.
Il
calore lo aiutò a rilassarsi e i muscoli intorpiditi
si sciolsero abbandonando tutte le tensioni accumulate. Eragon si
lasciò
cullare da quella sensazione piacevole ancora per un po’ di
tempo poi uscì e avvolgendo
il corpo con un telo fece ritorno nella stanza da letto.
Cercò
nel proprio baule
delle vesti puliti e nel prenderle notò un debole luccichio
provenire dal fondo.
Andando a rovistare con la mano Eragon scoprì con stupore
che si trattava della
collana amuleto donatagli da Gannel durante il suo soggiorno a
Celbedeil. Fece
scivolare lentamente la collana tra le dita, era da quando aveva
sconfitto
Galbatorix che non la portava più. Non poteva essere un caso
che l’avesse
ritrovata proprio adesso. Decise che sarebbe stato prudente indossarla
di nuovo.
Così se la fece passare sopra la testa sistemandola sul
petto; la sensazione dell’argento
freddo contro la pelle nuda lo fece sussultare. Eragon si
sentì subito più
sicuro nel percepire di nuovo l’incantesimo del nano scorrere
all’interno del
piccolo ciondolo d’argento. Ora se i loro nemici avessero
cercato di divinarlo,
chiunque fossero,
avrebbe avvertito. Ma
chi erano questi nemici? Si chiese sdraiandosi nel letto. Murtagh
sembrava
averli trovati negli Elfi Oscuri, ma Eragon non era dello stesso
parere. Mentre
scivolava lentamente nel sonno sperò con tutto se stesso di
sbagliarsi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Isobel ***
Jill
sentiva di stare andando lentamente alla deriva.
Era stata sballottata qua e là senza che nessuno le avesse
chiesto cosa lei
avrebbe voluto fare. Dopo essersi separata dai Cavalieri aveva seguito
una
giovane ancella in una serie infinta di corridoi e stanze fino a
giungere di
fronte ad una grande porta di legno laccata di rosso e intarsiata con
elementi florali.
Varcato il portone percorsero un’altra serie di corridoi e
stanze simili alle
precedenti fino ad arrivare a un piccolo studiolo dalle pareti
completamente
affrescate e arredata con poltrone e tappeti. Al contrario dei
Cavalieri la
ragazza non le rivolse una parola ma a Jill non dispiacque stare in
silenzio. Quando
infine fu lasciata sola prese un profondo respiro e si
rilassò per la prima
volta da quando si era svegliata.
Senza
nulla da fare iniziò a girare per la stanza e gli
affreschi sulle pareti attirarono presto la sua attenzione. Occupavano
la
superficie dal pavimento fin sopra al soffitto Su ognuna di loro vi era
riportata
una carta geografica. Una in particolare le parve molto familiare. Si
avvicinò
alla parete e scorrendo sui nomi delle città riconobbe tra
tutti quello di
Uru’ben, l’unico posto che ricordava del suo
passato. Jill notò con un certo
stupore che l’effige sopra il nome era un drago nero avvolto
su mura turrite. Fece
scorrere rapidamente gli occhi in basso, sul cartiglio al centro della
cornice,
dove era posta la scritta Alagaësia. Jill
emise un sospiro carico di rabbia,
tutto il resto dei nomi continuavano a non dirle nulla. Si
girò allora ad osservare
il resto dei dipinti sulle altre pareti. Si soffermò sui
tanti nomi segnati e il
suo sguardo indugiò sulla dovizia di particolari usati dal
disegnatore per
caratterizzare ognuno di quei luoghi. Dopo quello che a Jill
sembrò un’infinità
di tempo la porta si aprì e un’ancella, diversa dalla precedente,
entrò con un vassoio su cui erano stati
poggiato biscotti e un qualche tipo di infuso caldo.
Jill
non trovò nient’altro da fare che mangiare
ciò che
le era stato offerto. Si sedette su una delle poltrone e
iniziò a sorseggiare
la bevanda. Prese anche dei biscotti accorgendosi, nel mangiarlo, di
essere
affamata. Improvvisamente sentì le membra del corpo farsi
pesanti. Senza che se
ne accorgesse la tazza le scivolò tra le dita e cadde in
sonno profondo.
Non
passò molto tempo che nella stanza entrò la
regina Isobel.
La donna si avvicinò lentamente a lei e la scrutò
dalla testa ai piedi come se
fosse stata un insetto sotto una lente di ingrandimento.
Quella
ragazza non sarebbe dovuta sopravvivere eppure era
lì di fronte a lei. Contro le sue aspettative il
più giovane dei Cavalieri era
riuscito a salvarla dalla morte a cui l’aveva condannata.
Anche la perdita di
memoria dovuta a gli ultimi residui del suo incantesimo sarebbe svanita
molto
presto ma Isobel aveva con sé altre frecce alla sua faretra
e avrebbe
trasformato in un vantaggio anche questa loro piccola vittoria
***
Arya
venne destata da due mani ruvide che la scuotevano delicatamente
per un braccio. Aprì gli occhi si trovò davanti
il sorriso sereno di un vecchio
elfo, il suo viso imbrunito dal sole era attraversato profonde rughe.
-
Siamo quasi arrivati mia Signora -
Arya
scansò via la coperta che le era stata data per
coprirsi e uscì fuori all’aria fresca.
Il cielo sopra la sua testa era ancora avvolto dalla coltre scura della
notte
mentre all’orizzonte già si intravedevano i primi
raggi del sole inibiti da una
fitta nebbiolina che girava tutta intorno alla nave. Arya fece un breve
giro
del ponte e tornata alla prua guardò di fronte a lei. Il
vento le aveva
scompigliato i capelli e con un gesto distratto scansò via
una ciocca che le si
era appiccicata sulla fronte. Fu allora che scorse le luci tremolanti
provenienti
dal porto. Dall’alto udì la voce del capitano
della nave che dava ordini a un
gruppo di marinai per la esecuzione della manovra di attracco.
L’elfo aveva notato
la sua presenza e alzando una mano in segno di saluto scese il ponte
per
raggiungerla.
-
Spero la traversata sia stata di vostro gradimento e
che siate riuscita a riposare- le chiese l’Elfo nella
tradizionale cortesia del
loro popolo
-
La ringrazio capitano, il viaggio è stato gradevole -
La
nave su cui stava viaggiando era stata sulle loro tracce
da giorni. Il capitano li avrebbero già intercettati prima
se non li avessero
persi di vista durante una delle burrasche che aveva colpito lo stretto
tra le
due terre di Zàkhara e Anthera. Quando riuscirono a
scorgerli nuovamente
avevano già attraccato sulle coste dei loro nemici. Una
volta appreso che i due
cavalieri e i loro draghi erano oramai dalla regina il capitano aveva
insistito
affinché almeno lei fosse messa in salvo. Ad un elfo
sorpreso sul suolo di Zàkhara,
infatti, aspettava la condanna a morte. Arya non avrebbe mai accettato
di
lasciare tutti indietro, ma Jill l’aveva convinta ad
accettare il loro aiuto. Avrebbe
avvisato lei Eragon e Murtagh e con Saphira e Castigo
l’avrebbero raggiunto
entro la sera. Ma i suoi amici non si erano fatti vivi ed ora sentiva
un incolmabile
vuoto.
Dalla
vedetta, in alto, venne lanciato il segnale di
arrivo, il suono del corno vibrò nell’aria seguito
da un secondo, proveniente
dalla costa.
-
Tra poco sul ponte ci sarà un bel da fare, le
consiglio di ritornare alla sua cabina, Arya Svit-kona.
Quando sarà
tutto finito verremo a chiamarla - la informò il capitano.
Arya
annuì ed entrò di nuovo nella plancia della nave.
Quando
le navi entrarono nell’area del porto, furono
gettate le ancore. Sul ponte era un tirare di corde nodi e manovre,
tutto si
concluse nel giro di mezz’ora poi gli Elfi si preparano a
scendere.
Ad
attenderli a terra era il re Aron e il suo seguito di
dignitari. La sua postura era curvata dal peso degli anni.
L’Elfo si reggeva su
un bastone di legno e i suoi occhi un tempo vigili e fieri guardavano
con
malinconia la giovane che le stava di fronte. Arya si
inchinò ma il re la fece
subito alzare prendendole la mano con il braccio libero.
-
È una gioia per me e un onore incontrarvi Arya Svit-kona.
Attendavamo da secoli il ritorno dei discendenti di coloro che patirono
per le
terre al di la del mare- Gli occhi indugiarono alle sue spalle ma non
c’era stato
nessun altro a parte lei il suo volto si rabbuiò.
-
I nostri esploratori avevano avvistato tre navi. Dove
sono i tuoi compagni e i due draghi che erano con voi? -
Il
volto di Arya si contrasse in una smorfia - Sono rimasti
su Zàkhara, Maestà, sono preoccupata per quello
che potrebbe succedergli -
-
Lo so, la tua compassione è degna di lode. Ma prima ci
sono delle cose che devi sapere riguardo al nostro popolo. Poi
penseremo a come
aiutare i tuoi amici. Non temere abbiamo i nostri informatori nel cuore
della
capitale, non sono soli. – lo rassicurò il vecchio
Elfo.
-
Seguimi e lascia che ti mostri prima come abbiamo
riscoperto i nostri poteri –
Arya
guardò gli occhi enigmatici del sovrano valutando
la bontà delle sue parole. Non c’era traccia di
inganno o di menzogna. Malgrado
l’urgenza di sapere cosa era successo ai suoi amici
l’Elfia lo seguì.
***
Murtagh
si svegliò alle prime luce alba, aveva dormito
si e no qualche ora e il suo sonno era stato costellata da incubi.
Andò a sciacquarsi
il viso con dell’acqua fredda in cerca di sollievo ma non
servì a molto. Si
vestì e uscì dalle sue stanze. Indugiò
solo un attimo di fronte alla porta delle
camere dove era alloggiata Eragon prima di passare oltre. Nonostante
desiderasse più di ogni altra cosa riappacificarsi con il
fratello non era
ancora disposto a scendere a compromessi con lui. Il
suo scopo in quel momento era trovare Jill
e assicurarsi che stesse bene. Chiuse gli occhi e si
concentrò sul suo viso. La
mente del Cavaliere cominciò a vagare tra la miriade di
coscienze che era
presenti nel palazzo e si sorprese nello scoprire che fosse popolato da
così
tante persone. Quando infine percepì la sua presenza,
qualche minuto dopo, aprì
gli occhi e si diresse in direzione della ragazza.
Nel
suo vagare apparentemente senza meta tra i corridoi
del palazzo Murtagh incrociò diversi abitanti che lo
osservarono incuriosito.
Alcuni di loro lo avevano riconosciuto come lo straniero arrivato il
giorno
precedente, altri lo ignorarono completamente, intenti nei loro doveri
giornalieri. Quando le persone iniziarono ad essere più rade
improvvisamente
percepì un cambiamento nell’aria. Si
guardò intorno e la sua attenzione venne catturata
da una grande porta laccata di legno rosso finemente intarsiato.
Sembrava che tutti
se ne tenessero a debita distanza, ma Jill si trovava da qualche parte
dietro
quella porta. Murtagh si avvicinò alla porta con cautela ma
appena la sua mano
toccò la maniglia la ritrasse come scottato da qualcosa.
-
Magia- sussurrò appena.
L’aveva
sentita chiara e limpida come ora vedeva il
rosso della lacca. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato
in tutto questo e
in quel momento si pentì di non aver chiamato il fratello.
Cercò
di raggiungere Castigo, ma la mente del drago era stranamente
chiusa. Stava per tornare da Eragon per informarlo di quanto aveva
scoperto
quando la porta si aprì e comparve Aglaia. Era
l’ancella della regina che li
aveva serviti la sera precedente. Era una ragazza alta dal corpo
flessuoso. I
capelli lunghi erano raccolti in una coda alta ad eccezione di due
ciocche che
le incorniciavano il volto. Aveva il naso aquilino e due grandi occhi
chiari e
sopracciglia fine e arcuate. La ragazza non sembrò sorpresa
nel vederlo. Si
chiuse la porta alle spalle e prendendolo sotto braccio lo fece
allontanare.
-
Gli ordini di Isobel erano di aspettarmi nelle vostre
camere insieme a tuo fratello, non è prudente girare nel
palazzo solo. - disse con
un tono di rimprovero. Murtagh ebbe la netta impressione che lo stesse
trattando come bambini e si liberò dalla sua presa.
-
Qualcosa non va? – chiese Aglaia nel notare il suo
sguardo infastidito. Murtagh rimase interdetto di fronte alla sua
calma.
-
Vorrei solo sapere – chiese con tono innocente –
che
tipo di magia viene praticata dietro questa porta – questa
volta Murtagh lesse
un guizzo di sorpresa negli occhi dell’ancella che portandosi
l’indice alle
labbra gli fece segno di tacere.
-
Queste sono le stanze private della regina, a nessuno
è permesso entrarvi o conoscere suoi segreti, a meno che non
si è stati
invitati. –
-
Non hai risposto alla mia domanda - la incalzò
Murtagh. Punta sul vivo Aglaia lo fulminò con uno sguardo.
-
Questo non è né il luogo né il momento
adatto per questo
genere di conversazione- disse irritata da qualcosa che Murtagh non
seppe dire.
- Non mi è permesso parlarne liberamente, lo capisci?
– riprese con voce più intensa-
a quello parole Murtagh sentì lo stomaco serrarsi in una
dolorosa morsa.
-
Ti ha fatto giurare nell’antica lingua, non è
così? -
disse guardandola ora come se la vedesse per la prima volta. La sua non
era
stata una domanda ma una affermazione. Aglaia annuì comunque.
-
Io e mio fratello dobbiamo andarcene via da qui il
prima possibile- disse rivolgendosi più che altro a
sé stesso.
-
Lo farete ed io vi aiuterò, ma adesso devi continuare
a fingere di non sapere. -
-
Perché dovrei fidarmi? –
-
Non posso darti il perché ma ti fiderai comunque, non
hai scelta. - Murtagh sapeva che aveva ragione.
Tornarono
ai loro alloggi e trovarono Eragon ad
attenderli fuori dalla stanza. Man non era solo. Xavier stava
affabilmente chiacchierando
con lui. - Finalmente eccoti Murtagh, tu ed Eragon dovete seguirmi. La
regina
vi attende. -
Aglaia
lo guardò interdetta, apprendeva quella notizia
solo adesso. – Perché non sono stata informata?
– chiese al capitano. Xavier non
le prestò molta attenzione - Ordini di Isobel - rispose -
Inoltre vuole che tu
ti occupi dei nuovi arrivati al reparto dei rifornimenti - Aglaia
incassò il
colpo e annuì trattenendo a stento la sua delusione -
Comunica alla regina che
sarà fatto Xavier. -
Era
un compito che anche le più semplici ancelle
avrebbero potuto fare. Questo poteva solo significato che Isobel non la
voleva
coinvolta. Guardò un’ultima volta i cavalieri e si
congedò.
Xavier
si rivolse ai due cavalieri – Andiamo, vi
accompagno –
Mentre
camminavano Murtagh cercò lo sguardo del
fratello. Eragon aveva notato il suo disagio gli si affiancò
Cosa c’è
Murtagh? chiese attraverso il legame mentale.
Avevi
ragione tu Eragon… Murtagh
esitò un attimo,
ora che doveva parlare gli era difficile ammettere i suoi errori.
Cosa
vuoi dire?.
Su
Isobel. È in grado di usare la magia e
chissà su cos’altro ci ha mentito –
Questa
volta Eragon si girò a guardarlo rallentando
appena il passo per la sorpresa. -
Che cosa facciamo? - gli chiese solo. Murtagh gli fu grato
per non aver
detto nulla riguardo alla loro discussione.
Per
ora andremo a questo banchetto. Poi
escogiteremo qualcosa.
Murtagh
sentì che Eragon voleva fargli altre domande a
riguardo ma Xavier interruppe la loro conversazione.
-
Siamo arrivati -
I
fratelli venero introdotti all’interno di una sontuosa
aula ovale. Il centro era occupato da una tavola riccamente
apparecchiata e ai
suoi lati gli altri invitati al banchetto stavano già
chiacchierando. Per un
attimo tutti si fermarono a guardarli, poi uno di loro si
staccò dal gruppo e
andò incontro a Xavier
-
Capitano avete portato i Cavalieri - a quel punto gli
altri ripresero a chiacchierare.
-
È un piacere conoscervi! – li salutò
l’uomo corpulento
e gioviale.
Un
po’ imbarazzati i due ragazzi gli strinsero la mano.
L’uomo continuava a guardarli con crescente interesse -
Sembra che la regina vi
farà un grande onore oggi -
-
Può bastare adesso Bale - lo fermò Xavier
cercando di
contenere il suo entusiasmo.
-
Benvenuti a tutti miei graditi ospiti - La voce di
Isobel arrivò alle orecchie di tutti in maniera chiara
grazie alla particolare
acustica della sala. - Potete prendere posto, Cavalieri per cortesia
sedetevi
pure accanto a me - I ragazzi si guadarono negli occhi e andarono a
sedersi.
Al
lato della sua sedia vi era un campanello. La regina
lo prese e lo fece suonare, dalle porte laterali tre file di camerieri
entrarono e servirono le prime pietanze. Venne anche portato del vino e
i
camerieri avevano il compito di riempirli in modo che non fossero mai
vuoti.
Isobel era una eccellente oratrice e intrattenne tutti con storie e
aneddoti
della corte. Si incuriosì molto quando Eragon
declinò con gentilezza i piatti
contenti carne e coinvolgendo tutti volle sapere il perché
di questa scelta.
Durante
tutto il pranzo Murtagh lanciò sguardi
preoccupati di verso Eragon. Tutte quelle chiacchiere e il vino stavano
avendo
un effetto stordente su di lui e lo stesso stava accadendo ad Eragon.
Il
banchetto terminò nel primissimo pomeriggio. Ad un
cenno di Isobel uno ad uno tutti gli invitati si congedarono e i due
cavalieri
si trovarono da soli con la regina.
Improvvisamente
come un lampo a ciel sereno un ruggito
di rabbia risuonò nella testa di Murtagh. Il ragazzo non ci
misero molto capire
che provenivano da Castigo. Si alzò di scatto dalla sedia ma
il vino doveva
aver abbassato i suoi riflessi perché sentiva mente
intorpidita.
Questo
torpore non
può essere causato
solo dal vino
pensò Murtagh allarmato. Era stato anche drogato. Un sorriso
affiorò sulle
labbra di Isobel.
-
Qualcosa non va mio giovane Cavaliere? - Murtagh
guardò allarmato verso Eragon. Il fratello non si era mosso
dalla sua sedia, a
differenza sua sembrava essersi completamente bloccato e lo sguardo era
sofferente. Murtagh si costrinse ad accantonare per il momento le sue
preoccupazioni
per Castigo, il suo compagno se la sarebbe cavata e si
concentrò con tutte le
sue energie per rimanere vigile.
-
Rimettiti seduto - ordinò con voce aspra. Murtagh
crollo di uovo sulla sedia.
-
Che cosa significa tutto questo Isobel - disse Murtagh
pronunciando il suo nome con disprezzo. Isobel sostenne il suo sguardo
e alzandosi
in piedi si mise accanto a lui. Gli passò la mano affusolata
sul viso e lo
costrinse ad alzare il volto verso di lei. – Ancora non lo
hai capito? Credevo
che come servo di Galbatorix tu fossi più in gamba - al nome
del tiranno anche
Eragon si girò verso il fratello. Murtagh sentì
il suo sguardo che lo cercava e
si costrinse a guardare verso Isobel.
-
Galbatorix è stato sconfitto ed io sono ormai libero
da ogni legame con lui - disse rigettando con tutto sé
stesso la sua vita
passata.
-
Si lo so, sono venuta a conoscenza della tua
ribellione. Voi due siete la causa per cui ho perso un grande maestro e
alleato
-
-
Ti illudi se pensi che Galbatorix ti considerasse un alleato.
Lui aveva solo servi -
Isobel
rise - Tu ti riferisci ai rinnegati guidati da
tuo padre. Sei tu che ti illudi se pensi che mi possa paragonare a
loro. -
Nel
mentre Eragon era riuscito a radunare un po’ di
forze. - Che cosa hai fatto a Saphira! – disse con voce
tremante.
Isobel
si girò verso di lui, infastidita –
Starà bene se
non farai mosse azzardate - gli rispose con un ghigno maligno.
-
Questo comprende ogni forma di magia, anche quella che
non fa uso dell’antica lingua - disse anticipando le
intenzioni del giovane. Eragon
serrò i denti quando venne raggiunto da una nuova ondata di
dolore – Non la
userò ma falli smettere! -
Isobel
alzò una mano e i volto di Eragon si
rilassò appena.
-
Ora che ho la vostra attenzione mie giovani cavalieri vi
darò un consiglio. La magia non è una conoscenza
da condividere con tutti –
-
Questo è certo - rispose Murtagh. Isobel ignorò
il suo
commento carico di odio e continuò a parlare
-
Quando ieri vi ho visto per la prima volta non avevo
compreso a pieni il vostro valore. Per questo ho inviato uno dei mie a
fare
visita al vostro campo. Non potevo permettere che ve ne andaste liberi
sulle
mie terre. Il suo compito doveva essere quello di uccidere le due donne
facendo
ricadere la colpo sugli elfi oscuri -
-
Non c‘è mai stata un’incursione, non
è così? Sei
sempre stata tu fin dall’inizio -
l’accusò Murtagh. La regina lo guardò
con
accondiscendenza.
-
Vorrei potermi prendere il merito di tutto, ma non
posso. Una nave elfica è stata avvistata sulle nostre coste,
la vostra
principessa è con loro adesso. - disse con una vena
disappunto nella voce. – ma
nella loro miopia hanno deciso di salvare solo quelli della loro razza
lasciandomi
qualcosa di molto più importante, le vostre preziose uova.
È stato sciocco
mentirmi sulla loro presenza - disse rivolta direttamente ad Eragon.
-
Ti avrei perdonato la somiglianza con gli Elfi, ma
tenermi nascosto questo è inaccettabile. -
Mentre
la regina parlava una decina di soldati fecero
irruzione nella sala con le armi sguainate.
-
C’è un elfo qui, ha cercato di attentare alla mia
vita
- disse indicando Eragon.
Come
se lo vedessero per la pria volta le guardie
puntarono le armi contro il cavaliere disarmato. Con la punta di una
spada
puntata al collo Eragon fu costretto ad alzarsi dalla sedia mentre
altri due
guardie lo presero per le braccia. Lottò contro di loro
strattonando per
liberarsi ma un terzo lo colpì alle tempie con
l’impugnatura della spada
tramortendolo. Le guardie lo afferrano prima che cadesse a terra.
-
Portatelo via – ordinò alle guardie Isobel.
Accanto
a lui Murtagh serrò i denti impotente. Aveva le
braccia e le caviglie bloccate saldamente alla sedia da legacci
invisibili.
–
Cosa vuoi da noi? –
-
Cosa voglio da te, vorrai dire? –
-
Non capisco – lo guardò cupo il ragazzo.
-
Murtagh, Murtagh. Galbatorix mi ha parlato molto di te,
al contrario sembra proprio che tu non sappia nulla di me. –
il silenzio del
cavaliere era eloquente e la regina sorrise sodisfatta.
-
Seguimi, ti mostrerò qualcosa di interessante. –
Murtagh
sentì la pressione intorno alle gambe allentarsi
quel tanto da permettergli di alzarsi e seguì Isobel in
completa balia degli
eventi. Attraversarono la porta che accedeva alle sue stanze private e
Isobel
lo portò nella sala dove la sera prima c’era stata
Jill. Murtagh trasalì nel
vedere la mappa di Alagaësia disegnata nei minimi particolari.
La regina
sorrise trionfante.
-
Questo è il mondo disegnato dai miei cartografi.
Quando raggiunsero la vostra terra Galbatorix rimase molto sorpreso
nell’apprendere della nostra esistenza. Venne qui diverse
volte quando erano
ancora in vita i rinnegati. Mi insegnò tutto quello che
sapeva sulle arti magiche
e lasciò alcuni dei suoi maghi a seguire la mia istruzione.
Fu in una delle sue
ultime visite che mi promise un cucciolo di drago con il quale con il
quale
avrei sconfitto i miei nemici. -
Un
drago,
Murtagh scosse la
testa a quella possibilità - Galbatorix non faceva nulla
senza un tornaconto
personale, cosa ha chiesto in cambio? – Chiese. Isobel gli
sorrise
-
Hai ragione. Avevo qualcosa di molto prezioso per lui.
Due giovani Ra’zac. –
Isobel
vide lo sguardo impietrito di Murtagh e
soddisfatta continuò il suo racconto.
-
Li salvai ancora cuccioli sui monti ai confini delle
terre selvagge e da allora mi considerano la loro madre. Galbatorix ne
era
rimasto affascinato ma sapeva meglio di me che dovevano passare ancora
alcuni
anni prima che la loro trasformazione fosse completa e insieme
decidemmo di
attendere. Con la sua morte improvvisa, come ben sai, il nostro accordo
sfumò. –
Murtagh
registrò le parole di Isobel nella sua mente
cercando di dargli un senso. Sapeva che Galbatorix gli aveva tenuto
nascoste
delle cose ma non avrebbe mai immaginato un segreto del genere.
-
Puoi immaginare la mia sorpresa quando ho scoperto cosa
avevate. Le stesse persone che mi avevano tolto tutto mi portavano su
un piatto
d’argento ben quattro uova. Molto più di quanto mi
era stato promesso! –
La
regina fece una breve pausa prima di riprendere a
parlare - Presto avrò una nuova generazione di draghi al mio
servizio e tu mi
aiuterai a crearla - aveva alzato la voce fino a diventare un selvaggio
grido
di trionfo.
Murtagh
ascoltava le sue parole mentre il cuore gli
batteva forte nel petto.
-
Se accetto di servirti che cosa succederà? -
La
domanda di Murtagh spiazzò Isobel che lo guardò
sorpresa.
-
Che cosa vuoi dire? Devi essere più specifico –
-
Se accetto di servirti lascerai libero Eragon? –
Isobel
girò intorno al Cavaliere e si fermò dietro alle
sue spalle
-
Se lo vuoi la sua vita sarà salva. Ma liberarlo…-
Isobel aveva avvicinato la bocca al suo orecchio
-
Non sono una sciocca. Mi ricordo che Saphira era
importante per Galbatorix è lo sarà anche per me.
–
Murtagh
respirò piano la mente cominciò a girare
vorticosamente. Era appena uscito dalla schiavitù di
Galbatorix ma la sua
influenza ancora lo perseguitava. Se voleva avere qualche
possibilità di liberare
il fratello avrebbe dovuto giocare con le sue stesse carte e sarebbe
stato costretto
a servire un tiranno.
-
Rispondi ora a una mia domanda. Perché continui a
difendere qualcuno che non ha fatto altro che portarti miseria e
sofferenze? –
-
Eragon è mio fratello. –
-
Certo, lo so. La famiglia non si sceglie ma possiamo
prendere le distanze da loro se minano alla nostra felicità.
Lascia che ti
mostri le conseguenze del suo ultimo gesto –
Batté
le mani e poco dopo Jill comparve nella stanza. Il
suo sguardo si posò su Murtagh e il ragazzo ebbe un moto di
gioia quando vide
un segno di riconoscimento nei suoi occhi poi lei si inchinò
di fronte a loro.
-Sì
Maestà, desiderate? -
-Jill,
ti ricordi di Murtagh, il Cavaliere del Draghi di
cui eri innamorata. Devi sapere che ha accettato di aiutarci nella
battaglia
contro gli Elfi oscuri -
-
Certo mia Signora -
-
Vorrei che tornassi ad essere la sua compagna e
compiacere ogni suo desiderio, merita tutta la nostra gratitudine
–
-
Farò tutto il possibile. – sussurrò lei
ancora con la
testa china.
Murtagh
prese Isobel sotto il braccio e la portò da una
parte. Lei lo lasciò fare senza scomporsi. – Lei
devi lasciare fuori da questo
– Allora Isobel lo guardò con compassione
– Tuo fratello ha eseguito un
incantesimo maldestro. La sua mente era troppo sconvolta per tornare
come prima.
– Murtagh strinse i pugni, non credeva minimante alle sue
parole ma non poteva
negare il fatto che al suo risveglio Jill ricordasse a malapena il suo
nome.
-
Tu hai cercato di ucciderla –
-
Sì, e sono stata io stessa a confessartelo. Ma questo
prima di capire quanto fosse importante per te questa donna -
Murtagh
non disse nulla e Isobel continuò - So che c’era
qualcosa tra voi. L’ho visto quando ho indagato nella sua
mente. Non posso
cancellare quello che le ha fatto Eragon. Posso solo fare in modo che
torni a
provare quei sentimenti. –
Murtagh
guardò Jill, il terreno sotto i suoi piedi stava
lentamente scivolando via come sabbie mobile. In quel momento era la
sua ancora
di salvezza e l’afferrò con tutte le sue forze.
– Va bene Isobel accetto -
Le
andò vicino e prese con delicatezza le mani per farla
alzare.
Isobel
sorrise nel guardarli l’uno accanto all’altra
–
Hai fatto la scelta giusta Murtagh -
*
*
*
Eragon
venne condotto lungo una scala che girava intorno
al perimetro di una delle torri della cittadella. Era ancora stordito
dal colpo
ricevuto in testa e a malapena si rese conto di dove lo stavano
portando. Raggiunta
la cima della torre i due soldati che lo tenevano per le braccia lo
spinsero
dentro una cella e, senza alcun preavviso, gli assestarono un calcio
alle
ginocchia. Lui crollò a terra boccheggiante. - Questo
è per tutti i compagni
caduti nella vostra guerra sporco elfo - sibilò il soldato
piegandosi su di lui
e sputandogli in faccia. La porta di ferro venne chiusa alle sue spalle
con una
serie di chiavistelli; i mandanti emisero un cigolio sinistro mentre la
porta veniva
serrata. Eragon si pulì il volto con la manica e si rimise
lentamente in piedi.
Con un breve sguardo analizzò l’ambiente in cui si
trovava. Le pareti erano di
un bianco sporco, un pagliericcio rivestito di tela era stato sistemato
ad un
angolo affiancato da un tavolino su cui era poggiato un catino.
L’unico
affaccio all’esterno era una finestra incassata profondamente
nel muro e munita di sbarre da cui riusciva a penetrare la luce del
giorno. Avvicinandosi
Eragon vi poté scorgere uno spicchio di cielo azzurro.
Nuvole bianche lo
attraversavano veloci. Il suo pensiero andò a Saphira. Con
un brivido ricordò
di aver sentito il suo grido di dolore attraverso il loro legame e come
quel
dolore lo avesse paralizzato. Doveva uscire di lì al
più presto. Ma come! Sentiva
le braccia e la testa pesanti e faceva fatica a concentrarsi. Si
passò una mano
sulla tempia dove era stato colpita dal soldato, era gonfio e caldo al
tatto,
presto si sarebbe formato un ematoma. In quelle condizioni non sarebbe
andato molto
lontano. Si trascinò verso pagliericcio crollandovi esausto,
senza alcun motivo.
Si girò
un paio di volte colto dal
un’inquietudine improvvisa. Murtagh era rimasto solo con la
regina ed Eragon
era preoccupato per lui, Isobel conosceva Galbatorix e lo aveva
chiamato suo servo.
Che cosa voleva dal fratello? Prima di chiudere gli occhi il suo ultimo
pensiero andò ad Arya, almeno lei era al sicuro tra la sua
gente.
*
*
*
Arya
attraversò la città accanto al re, un budello di
case che si inerpicavano in alto fino a una grande fortezza in cima
all’altura
che sovrastava il porto. Le case erano basse, di uno o massimo due
piani e
costruite di mattoni. Al loro passaggio alcune finestre si aprirono e
si
intravidero i volti dei loro abitanti.
Guardandosi
intorno tutto le sembrava nuovo ma allo
stesso tempo familiare; era difficile pensare agli Elfi come a dei
costruttori
ma soprattutto non si era mai resa conto di quanto la magia dei draghi
avesse
trasformato e forgiato la loro razza. Guardando ora quel popolo poteva
leggervi
ancora la loro fierezza ma le mancavano quelle caratteristiche che le
erano
valse la fama di stirpe leggendaria.
Il
re accanto a lei vide tutto questo riflesso nei suoi occhi.
-
Ho visto tante volte quello sguardo negli occhi degli
umani. Non giudicarci per questo -
-
Non era mia intenzione offendervi Maestà. Solo mi
riesce difficile pensare agli elfi come creature mortali -
Il
re annuì mesto, erano infine arrivati ai cancelli
della fortezza e presto ne raggiunsero il suo cuore. Arya non aveva mai
visto
un insieme di volte e porticati e una ricchezza di decorazioni prima
d’ora.
-
Questo Arya svit-kona, è il nostro
quartier generale. Da quando abbiamo
scoperto che la magia esisteva ancora, abbiamo messo insieme tutti i
nostri
studiosi per cercare di recuperare l’uso
dell’antica lingua. Qualche progresso
lo abbiamo ottenuto, ma il lavoro è l’ungo e
costellato di insuccessi. -
Guardò
Arya con occhi pieni di speranza.
-
Ma se tu ci insegnerai, forse avremo qualche possibilità in
più per sconfiggere
Isobel -
Arya
incominciò a girare lenta fra le scrivanie, si
fermò davanti ad un giovane
intento a scrivere qualcosa.
-
Posso? - gli fece con gentilezza. L’elfo si alzò
dal suo lavoro e gli porse il
libro. Arya iniziò a leggere alcune righe. Lo studio era
incentrato sulla
parola ramo, e il modo in cui poteva esser utilizzato.
-
Dimmi tu sai usare la magia? -
-
Sì - gli fece subito il ragazzo.
-
Ed hai sperimentato tu tutto quello che hai scritto? -
-
Certamente…-
Arya
gli sorrise con dolcezza.
-
Hai
fatto un buon lavoro. - L’Elfa era
veramente impressionata e ritornò dal
re che la stava aspettando alla porta.
-
Sarà un onore per me istruirli, e se ci raggiungeranno anche
Eragon e Murtagh,
potremo prepararli per ogni tipo d’attacco. -
Il
re sembrò soddisfatto. Poi una giovane si
avvicinò a loro.
-
Arya svit-kona Alicia ti mostrerà i
tuoi alloggi. Chiedile pure tutto
ciò che desideri. -
La
ragazza le sorrise - Sono a vostra completa disposizione, mia signora -
gli
fece subito la giovane.
-
Ti ringrazio per l’ospitalità, Maestà.
Spero di riuscire a vedervi più tardi. –
Alicia
l’accompagnò nella sua stanza. Nonostante le sue
insistenze Arya ottenne di rimanere sola. Apparentemente al sicuro, in
quel
momento Arya si sentì più che mai vulnerabile.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Il potere dei draghi ***
Xavier
camminava per le strade della città di Abalon. Quella
mattina era libero da impegno
ufficiali e ne approfittò per fare visita alla famiglia
Colleman.
La madre,
Serena, contava molto su di lui per tante piccole cose. Nonostante
fosse
un’eccellente sarta e i suoi merletti non avessero uguali in
tutta Zàkhara, in
tempi di guerra il suo lavoro non le permetteva di sostenere la
famiglia. Dalla
morte del marito la loro entrata principale era il sussidio che la
regina aveva
messo a disposizione delle famiglie dei caduti. Quei soldi bastavano a
mala
pena a sostenere le spese della casa e il capitano era ben lieto di
aiutarli
con quello che poteva. L’unico modo per onorare la memoria
del suo amico Phill.
Ad aprirgli
la porta di casa fu una ragazza dai capelli bruni. Era Rebekha la
sorella di
Reafly. Era di qualche anno più grande del fratello ma i
lineamenti delicati e
la sua corporatura minuta la facevano sembrare una ragazzina.
Non appena
lo riconobbe gli saltò al collo
- Mamma,
mamma, indovina chi è venuto a trovarci? -
Serena si
affacciò dalla cucina e venne incontro al capitano con un
largo sorriso.
- Questo
sono le provviste per una settimana – disse porgendo alla
donna un involto con
dentro i viveri.
- Che gli
spirti ti benedicano Xavier - lo ringraziò Serena
abbracciandolo con forza.
Xavier ricambiò il gesto poi guardò la donna
negli occhi.
- Come sta
Reafly – nel nominarlo lo sguardo di Serena si
rabbuiò
- Sempre
agitato. Ieri sera non riusciva ad addormentarsi e stamattina ancora
raccontava
di come aveva parlato con i due draghi, quello con le squame blu
zaffiro e
l’altro rosse –
Erano passati
sette giorni ormai dagli eventi legati all’arrivo della
cometa. Aveva
attraversato i loro cielo e se ne era andata via lasciando dietro di
sé un senso
di inquietudine e di incertezza. Tutti sapevano dell’arrivo
del cavaliere dei
draghi Murtagh e del suo drago Castigo, che era ospite della regina e
che si
era offerto di aiutarli nella guerra contro gli elfi oscuri.
- Rebekha
per favore va in cucina e sistema nella dispensa quello che ci ha
portato il
capitano – chiese alla figlia. Serena voleva parlargli sola.
Rebekha intuì le
intenzioni della madre e sbuffò.
- Va bene
madre. -
La donna
seguì la figlia con lo sguardo fino alla porta poi si
rivolse all’uomo.
- Dimmi
sinceramente Xavier, cosa ne pensi di questo Cavaliere?- la donna usava
il suo
nome solo quando voleva da lui un parere spassionato. - Ci si
può fidare?
Reafly ne sembra così affascinato! –
- Come lo
sono tutti i ragazzini della sua età. – rispose
Xavier soppesando bene le sue
parole prima di continuare.
- Non ho
potuto conoscere bene il cavaliere in questi giorni, la regina lo tiene
sempre occupato
ma che io sappia non ce ne sono altri come lui. -
- Se
è così,
allora chi sono Eragon e Saphira? Dove può averli
conosciuti? -
- Non lo so
Serena - disse il capitano pensieroso.
- Ho paura
che tenti di andare a cercarli. Non è la prima volta che
scappa inseguendo quello
gli passi per la testa. E gli elfi oscuri sono tornati a navigare il
mare –
disse riferendosi alle navi nere avvistate qualche giorno fa.
- Ho
già
perso un marito a causa loro, nono voglio perdere anche un figlio.-
- Abbiamo
raddoppiato
i turni di guardia alle porte dalla città.
Di una cosa
sono certo. La nostra regina sa quel che fa, con un cavaliere al nostro
fianco
tutto sarà diverso –
Serena non
ne era convinta.
- Tutto quello
che so è che eravamo appena usciti a ristabilire una certa
normalità nelle
nostre vite ed ora una nuova guerra incombe su tutto quello che abbiamo
faticosamente
ricostruito. –
Xavier
poteva capire le preoccupazioni della donna ma lui era pur sempre un
militare.
Come tale aveva giurato fedeltà alla sua regina e alla sua
patria. Il
sacrificio faceva parte della sua vita, come lo era stato per il
marito.
- Il popolo
è stanco, Xavier e non vuole altri martiri da sacrificare. -
In quel
momento entrò Rebekha, guardandosi negli occhi entrambi
tacquero di comune
accordo.
- Ho pensato
potessi gradire - disse la giovane reggendo tra le mani un vassoio con
sopra tè
e biscotti.
Xavier sorrise
e si andò a sedere al tavolo mentre la madre gli
avvicinò la tazza per versargli
il tè.
Con la
presenza di Rebekha la loro conversazione si alleggerì.
Xavier raccontò alle
due donne di alcuni avvenimenti accaduti in caserma, mentre Rebekha
intrattenne
il capitano con episodi che le erano successi a scuola. Tra una risata
e
l‘altra il tempo voltò via in fretta.
- Devi
ascoltare questa Capitano - stava dicendo Rebekha mentre si preparava
ad
imitare la voce della sua insegnante.
- Temo
dovrai raccontarmi questa storia un’altra volta, si
è fatto tardo devo rientrare
- disse alzandosi dalla sedia.
- Di
già?! -
esclamò la ragazza delusa. Xavier la guardò
aggrottando appena la fronte, prese
uno degli ultimi biscotti dal piatto e se lo mise in bocca
assaporandolo con
gusto.
- Non posso
resistere ai tuoi biscotti - la lusingò con un sorriso.
– la prossima volta cercherò
di rimanere più a lungo. -
***
Reafly era
di ritorno dalla scuola. Aveva deviato di proposito il percorso
allungano il
tragitto fino a casa per un motivo ben preciso. Da qualche giorno, a
dispetto
dei consigli della madre e del capitano, si era messo a fare domande
sul
cavaliere dei Draghi. A chiunque avesse chiesto, la risposta che
riceveva era
sempre la stessa, come una litania. Il cavaliere era una benedizione e
sarebbe
stato a loro fianco se ci fosse stato un nuovo attacco.
Ma Reafly aveva
un ricordo ben diverso di quel giorno. A sbarcare non era stato solo
Murtagh ma
anche suo fratello Eragon. Lui non si era subito fidato di loro ma la
loro
gentilezza e la presenza dei draghi gli aveva fatto abbassare quasi
subito la guardia.
I draghi poi gli avevano parlato. Le loro voci risuonavano ancora
limpide nella
sua testa, quella cristallina si Saphira e quella più rude
di Castigo, non era
qualcosa che si poteva dimenticare così facilmente.
Reafly
sembrava l’unico che lo ricordasse. Ed ora era diretto a
palazzo deciso ad
andare in fondo a l’enigma.
Non era la
prima volta che andava a trovare il capitano. Le guardie lo lasciarono
passare
e lui si recò direttamente verso il campo
d’addestramento dove sapeva che lo
avrebbe trovato.
Al centro Xavier
stava combattendo con un cadetto. Parò con
facilità una sera di fendenti poi,
con un colpo fulmineo, fece ruotare la sua spada e disarmò
l’avversario che
cadde a terra di schiena con un sonoro tonfo; la lama del capitano
calò
fermandosi a qualche centimetro dalla testa del ragazzo.
- Morto -
disse l’uomo madido di sudore e con il respiro affannato.
– Sei migliorato Ivan
ma sei ancora troppo lento nei movimenti. Riprenderai gli allenamenti
domani -
diede una pacca paterna al giovane e gli tese una mano per aiutarlo ad
alzarsi,
quindi si avviò a grandi passi verso Reafly che lo stava
osservando dal limite
del campo.
- Ragazzo
cosa ti porta da queste parti, vuoi allenarti anche tu? - Reafly scosse
la
testa con un sorriso.
- Ero venuto
a chiederti una cosa - Xavier si stava asciugando il sudore con un
panno e si
fermò a guardarlo intensamente.
-
Cosa? -
- Riguardo
ancora
al il Cavaliere dei Draghi Murtagh - Xavier che sapeva dove il giovane
sarebbe
andato a parare lo guardò accigliato
- Tua madre
sa che sei qui? - gli chiese. Reafly abbassò lo sguardo
smuovendo il terreno sotto
i piedi. Xavier sospirò.
- È
molto
preoccupata per te. Avevamo già parlato riguardo a questa
tua fantasia -
- Non
è una
fantasia – ribatté con decisione Reafly - Se solo
mi permettessi di parlare con
lui! Non chiedo altro- Xavier rimase impassibile. Era pericoloso
alimentare
questo suo capriccio. Doveva essere duro con lui per il suo bene.
- Il Cavaliere
non può essere disturbato da una cosa così
sciocca - usò quella parola con
l’intento preciso di dissuaderlo ma il risultato che ottenne
fu il contrario.
- Non
è
sciocco. Ti dico che c’erano due cavalieri e due draghi -
Reafly era offeso e
il sorriso bonario che gli rivolse Xavier lo fece ancora più
infuriare.
- Suvvia
vieni dentro ragazzo, torna a casa prima che tua madre si preoccupi
davvero -
Reafly
sapeva che il capitano parlava per il suo bene, non riusciva mai a
rimanere
arrabbiato con lui troppo a lungo. L’uomo gli
passò una mano sulla testa
scompigliandogli i capelli come faceva sempre e lui annuì
seguendolo, deciso, però,
a defilarsi non appena la situazione glielo avesse permesso.
**
Murtagh
accarezzò
il caschetto nero di Jill e le baciò la nuca. La ragazza
aveva la testa
appoggiata sul suo petto ma si tirò su quando lui si
alzò scostandola
gentilmente. Era diventata una abitudine stare con lei dopo le lunghe
riunioni
con Isobel e la sua corte.
- Sei
turbato – affermò lei osservandolo in volto
preoccupata.
- È
così
evidente? – le rispose Murtagh alzando un sopracciglio. In
quel momento gli sembrò
che Jill fosse tornata ad essere sé stessa.
- Se
è
qualcosa che ho fatto io ti chiedo perdono. – si
affrettò a giustificarsi la
ragazza arrossendo. Murtagh cacciò indietro un sospiro di
frustrazione.
- No Jill,
non sei tu – Le disse scansandole con dolcezza una ciocca di
capelli che le era
caduta sul volto. Jill aveva riacquistato la sua memoria ma tutto
quello che lo
aveva fatto innamorare di lei, la sua forza il suo coraggio e la sua
intelligenza
era offuscato da un unico scopo: quello di compiacerlo. La sua
personalità era
stata annullata asservita a Isobel a cui lei riferiva ogni cosa.
- Allora
cos’è?
–
Il volto di
Jill si rabbuiò nel sentire il suo sospiro frustrato.
- È
ancora
per tuo fratello Eragon? Io non so dove lo hanno portato e Isobel dice
è meglio
che tu non lo sappia, per il tuo bene – Murtagh scosse la
testa
- So bene
quello che dice Isobel. Ma non è questo che ora mi preoccupa
adesso -
- Se non
è
tuo fratello allora cos’è? Lo sai che puoi dirmi
tutto – Murtagh soppesò bene
le sue parole.
- Sì
tratta
di Eleonor – Ad aggiungersi alle persone che Isobel aveva in
pugno, infatti, si
era aggiunta anche la bambina incontrata il giorno del loro arrivo ad
Abalon e
a cui Saphira aveva donato il gadwey-ignasia. Era
arrivata a palazzo
qualche girono fa a chiedere la protezione dei cavalieri. Il simbolo
dei draghi
che brillava sul suo palmo aveva attirato non poche attenzioni e la
gente,
superstiziosa, aveva iniziato a fare congetture sul suo significato.
Non
potendosi dare risposte qualcuno aveva iniziato ad avere paura della
bambina;
il seme del sospetto si era insinuato nelle loro mente tanto da
accusare la sua
famiglia di avere legami con gli elfi oscuri.
- Vedi come
l’influenza di Eragon ha rovinato anche l’esistenza
di questa bambina? - Gli aveva detto
Isobel una volta in
più. – Cos’altro ti serve per
capire che devi prendere le distanze da lui?
Murtagh
cacciò via dalla sua testa quelle parole e tornò
a guardare Jill che stava in
attesa che proseguisse a raccontare.
–
Isobel mi
ha chiesto di portarla di fronte alle uova. Ma nessuna di loro si
è schiusa. –
- E non sai
darti
un perché - aggiunse Jill dando voce ai suoi pensieri.
Murtagh i limitò ad
annuire
- Le ho interrogate attraverso
la magia. Ho
usato diversi incantesimi cercando di essere il più delicato
possibile con loro.
– Murtagh era rimasto colpito della forza delle giovani vite
che pulsavano al
loro interno. Era stata un’esperienza elettrizzante, le loro
menti erano
malleabili come creta e delicate come il cristallo. - Hanno subito
mostrato
entusiasmo e curiosità quando le ho toccate con la mano,
riconoscendomi come
cavaliere. La mano di Eleonor l’hanno sentita a stento
–
- Ti sei dato
una spiegazione? -
- È
qualcosa
di molto insolito, a meno che in futuro Saphira e Castigo non generino
altre
uova oltre a quelle che già abbiamo –
- Devi
parlarne con la regina. Credo sia una cosa importante –
- Lo
farò.
Ora vorrei uscire a fare un giro da solo desso, ci vediamo domani?
– disse e la
lasciò con un bacio sulla fronte.
Orami fuori
Murtagh si lasciò andare a un respiro più
profondo. Tante cose erano successe
in quei sette giorni che aveva dovuto nascondere a Jill. Isobel parlava
giornalmente
con lei e se fosse venuta a conoscenza delle sue attività
sarebbe stata la fine
per tutti loro. Aveva scoperto che Aglaia, una delle sue ancelle
più vicine,
era in realtà le orecchie e gli occhi degli elfi nella
capitale. Grazie a lei
era riuscito a sapere che Arya era stata portata al sicuro e che
stavano organizzando
una spedizione per portare tutti loro via, lontani
dall’influenza di Isobel. Una
nave li avrebbe attesi nella baia del fiume Striamone a nord di Abalon
Murtagh stava
ragionando su quante cosa ancora dovevano fare quando si
trovò di fronte il
capitano Xavier.
Il suo sguardo
andò subito al giovane dai capelli rossi accanto al
capitano. Murtagh vi
riconobbe il ragazzo che aveva incontrato con Eragon alla spiaggia. Gli
sembrava
fossero passati secoli da allora
- Capitano -
disse rivolgendosi all’uomo. Il capitano mise le mani sulle
spalle di Reafly e se
lo portò davanti.
- Cavaliere
ti ricordi di Reafly? -
- Ma certo,
come stai ragazzo? - gli fece Murtagh rivolgendogli un sorriso distratto
- Bene Signore
- Reafly guardò Murtagh con occhi pieni di ammirazione ma il
caliere lo stava considerando
a male pena.
- Ora se mi
scusate devo andare - disse con una certa fretta.
- Mi ha
fatto piacere divederti Reafly - Il ragazzo arrossì appena,
si era ricordato di
lui e questo era già tanto.
Quando
rimasero soli, Xavier gli rivolse uno sguardo eloquente - Hai visto?
Come ti ho
detto è molto occupato. -
Il ragazzo si
limitò ad annuire seguendolo in silenzio. Arrivati in
prossimità dei cancelli stava
già disperando di dover tornare a casa senza aver ottenuto
nessuna riposta,
quando il capitano lo fermò ponendogli una mano sulla
spalla. - Aspettami qui e
non ti muovere - gli disse e andò incontro a due soldati.
Con il capitano
distratto dalla conversazione Reafly ne approfittò per
sgattaiolare di nuovo
dentro. Fece un cenno alle due guardie che sorvegliavano le porte di
essersi
dimenticato qualcosa e chiese loro il permesso di ritornare indietro.
Le
guardie lo lasciarono andare.
Xavier si
sarebbe arrabbiato parecchio per questa sua fuga, ma a questo ci
avrebbe
pensato più tardi. Ripercorse a ritroso il sentiero appena
fatto e si diresse
verso la porta dove aveva visto entrare Murtagh. Varcata la soglia si
ritrovò
davanti un lungo corridoi, una fila di colonne correva su entrambi i
lati. Il
rumore di passi lo costrinse a nascondersi dietro ad una di esse. Erano
due cameriere
che stavano camminando fianco a fianco chiacchierando.
- Devo portare
queste cose nelle stanze del Cavaliere, ti raggiungo tra poco - Reafly
non
poteva credere di aver avuto un colpo di fortuna. Prestando attenzione
ad ogni
passo seguì la ragazza.
Una volta
dentro Reafly impiegò diversi minuti ad abituarsi
all’oscurità che vi regnava. Si
acquietò ad un lato e si mise ad attendere. I minuti
scorrevano lenti e si
trovò a studiare le ombre della stanza illuminata da un filo
di luce proveniente
dallo spiraglio di una finestra. Dal punto dove si trovava
notò la spada del
cavaliere poggiata al muro e il debole bagliore rosse del rubino
incastonato
nell’impugnatura; una serie di carte geografiche radunate
sopra un tavolo
sporgevano dai bordi. Il cavaliere sembrava stesse progettando qualcosa.
Poi
finalmente la porta si aprì
e vi entrò Murtagh, non era solo. Aglaia chiuse la porta
dietro alle spalle. Il
cavaliere si buttò sul letto con un tonfo sordo ma si
accorse subito di una
presenza nella stanza. Si rialzò di scatto.
- Chi
c’è? -
Reafly,
che aveva trattenuto il
respiro fino a quel momento, si alzò dal suo nascondiglio, e
si fece avanti un
poco titubante.
- Sono
io signore…-
-
Reafly? Come hai fatto ad
entrare? -
-
Signore…io…volevo parlare con
te di…di quello che è successo da quando tu e tuo
fratello Eragon siete arrivati…-
Se non
ci fosse stato
l’oscurità Reafly avrebbe visto
un’espressione di stupore e di speranza
accendersi negli occhi del Cavaliere.
- Ti
prego non chiamare
nessuno…- chiese supplichevole il ragazzo. Aglaia intanto
era andata ad aprire
la finestra lasciando entrare la luce nella stanza.
Murtagh
non poteva credere alle
proprie orecchie. Si avvicinò al bambino ed inginocchiandosi
davanti a lui lo
prese per le spalle:
- Stai
dicendo che ti ricordi
di Eragon e Saphira?- il ragazzo annuì timidamente.
-
Eragon
è tuo fratello e Saphira è il suo
drago. Dovevo parlarti di loro, così ho ingannato il
capitano Xavier e mi sono
intrufolato qui - Reafly disse quelle ultime parole con un certo
orgoglio per
l’imprese compiuta, facendo scappare a Murtagh una risata
benevola.
-
Sei molto
coraggioso ragazzo, anche se il capitano non ci metterà
molto a scoprire dove
sei –
- Ma ora so
che quello che ho visto alla spiaggia non era solo frutto della mia
immaginazione… –
- No, non lo
è - gli disse Murtagh a conferma le sue parole.
Il ragazzo era
eccitato. Quella risposta lo portò al quesito successivo.
- Ma se Eragon
e Saphira erano con voi, ora dove sono? – il sorriso di
Murtagh si trasformò in
una leggera smorfia.
- Mio
fratello è nel palazzo ma non mi è permesso
vederlo. Saphira, invece, l’hanno
portata qui, da qualche parte tra queste montagne – disse
prendendo una mappa e
facendo scorrere l’indice su una zona montuosa.
-
Perché la
Regina gli sta facendo questo!? Non hanno fatto niente di male
– Gli occhi di
Reafly si accesero di sincero stupore. Non capiva. Murtagh
sospirò e chiuse la
mano a pugno mentre ricordava come la donna li avesse ingannati tutti.
- Lei vuole
quello
che abbiamo io ed Eragon. Il potere che deriva dal nostro legame con i
draghi. –
- Se state
progettando
di andarvene – quella di Reafly non era una domanda ma una
semplice
constatazione. - Avrete bisogno di tutto l’aiuto possibile-
Murtagh lo
guardò con affetto. - Reafly non posso chiederti di
rischiare tanto, è già pericoloso
che tu sia qui adesso… - ma Reafly lo interruppe subito.
- No, non
sto parlando di me, ma del capitano Xavier. Lui vi aiuterebbe, se solo
sapesse
la verità! -
- Reafly posso?
- gli chiese Aglaia che fino ad ora era rimasta in disparte. Il ragazzo
conosceva bene chi fosse Aglaia ne era intimorito. Cercando di
mantenere i
nervi saldi annuì semplicemente non volendo provare la
fermezza della voce. La
ragazza gli prese delicatamente il viso tra le mani e appoggiando i
pollici
sulle palpebre per tenerle alzate osservò i suoi occhi per
alcuni istanti.
L’iride era limpida.
- La tua
mente non è offuscata dalla magia – disse
lasciandolo di nuovo andare. - Forse
parlare con i draghi ti ha permesso di resistere, non posso dirlo con
certezza
– Reafly batté gli occhi e scosse la testa con
decisione
- Ma ci
hanno sempre detto che la pratica della magia è proibita! -
- Isobel vi
ha mentito. Usa da anni la magia per tenervi tutti sotto il suo potere,
alimentando
il vostro odio nei confronti degli elfi oscuri -
Reafly non
seppe dire il perché ma sapeva che la ragazza gli stava
dicendo la verità.
- Xavier
è
sotto il suo incantesimo come tutti a Abalon. Posso provare a
spezzarlo, ma non
posso garantire che ci aiuterà -
***
Xavier era
arrabbiato con sé stesso per essersi fatto raggirare dal
ragazzo in quella
maniera. Fino a qualche attimo prima Reafly era al suo fianco e in
quello
successivo era scomparso. Quando si metteva in mente qualcosa non
c’era modo di
tenerlo lontano dal suo obiettivo. Xavier temeva solo che la sua
bravata potesse
arrivare alle orecchie della regina. Allora non sarebbe stato
più in gradi di
proteggerlo.
- Cavaliere,
apri la porta per favore, so che Reafly è li con te
–
Dall’altra
parte della porta Murtagh fece cenno agli altri di tacere quindi
andò ad aprire.
- Capitano
Xavier entrate - disse stendendo il braccio e facendogli cenno di
entrare.
L’uomo
lo
superò con poche falcate e fece scorrere rapidamente lo
sguardo nella stanza. Era
in cerca del ragazzo ma la sua attenzione fu attirata dalle presenza di
Aglaia,
una delle ancelle più intime della regina, e dalle molte
carte sparse su un
tavolo il cui accesso era riservato a pochi.
- Fatemi
parlare con Reafly. Questo posto non adatto a un ragazzo, se la regina
lo
sapesse passerebbe dei guai – disse fremendo impaziente.
- Sono qui
Capitano- si fece
avanti Reafly a capo
chino. - Ti prego ascolta Murtagh – Il capitano
guardò uno ad uno i presenti.
Reafly gli aveva già chiesto una volta di farlo, quando
erano alla spiaggia ma quella
volta aveva rifiutato di farlo. Ora gli sembrò di non avere
più un motivo
valido. Molte cose gli sembravano confuse adesso
-
Perché non
ti siedi - lo invitò il cavaliere porgendogli una sedia.
L’uomo accettò
l’invito di buon grado.
- Non saremo
noi a parlare alla regina del ragazzo, se è questo che temi
Capitano e questa
stanza è da tempo schermata dalla magia - gli rispose
Murtagh. Più di una volta
Xavier gli aveva dimostrato di avere poca dimestichezza con tutto
ciò che era
magico ma era anche un uomo d’armi e aveva un animo pratico,
la chiarezza
poteva essere la chiave giusta per avere il suo appoggio.
Murtagh si
andò
ad poggiare con la spalla alla pare opposta e guardandolo da quella
distanza
incrociò le braccia.
- So che Reafly
ti ha parlato di mio fratello, Eragon. Mi ha detto ci avresti aiutato
se ti
avessimo spiegato la verità su di lui e sul suo drago,
Saphira–
- Per cui non
sono frutto della sua immaginazione? - Xavier sentì
improvvisamente la sua
mente leggera e fu grato di aver accetto di sedersi. Aglaia aveva
iniziato a
pronunciare le parole necessarie per spezzare l’incantesimo
che teneva la sua
mente offuscata.
- Sono reali
come lo siamo noi. Ed Isobel, la donna che hai giurato di servire, non
è quello
che vuol far credere di essere. -
Xavier
batté
le palpebre come destato da un sonno lungo cent’anni
- Ti ascolto
-
* * *
Eragon
aveva
completamente perso la cognizione del tempo. Non aveva idea di quanti
giorni
fosse rimasto confinato nella sua cella. Al suo risveglio, il giorno
seguente
il suo arresto, aveva trovato una fascia sottile di metallo che gli
cingeva il
collo.
Non
ci
mise molto a collegare la presenza del collare al fatto di non poter
più usare la
magia. Prima d’ora non si era reso conto di quante volte al
giorno si affidava a
lei anche per compiere i più piccoli gesti, ad ogni accenno
di usarla poteva sentire
il metallo sfrigolare dolorosamente contro la sua pelle mentre
attingeva alle
sue energie lasciandolo spossato e con un senso di vuoto. Eragon
iniziò a porre
attenzione a quello che faceva per non scatenare il dolore ma non era
solo
quello lo scopo del collare. Eragon scoprì presto che
attraverso esso chiunque
in gradi di usare la magia potevano infliggergli dolore. Isobel gli
aveva
mostrato ciò che era in grado di fare solo qualche giorno
prima quando aveva
usato Eleonor come pretesto per punirlo. Quando lo lasciò
riverso a terra con tutti
i muscoli del corpo tesi e doloranti la sola consapevolezza fu che non
si
sarebbe potuto difendere da lei se fosse tornata.
Quell’isolamento
forzata lo stava facendo impazzire ed ogni giorno cercava di rompere la
monotonia delle sue giornate eseguendo degli esercizi fisici e
meditando per calmarsi
e trovare pace quando i dubbi e le paure lo assalivano.
Quando
quel pomeriggio sentì i chiavistelli scorrere di nuovo
Eragon si mise
lentamente in piedi mentre sentiva un miscuglio d’emozioni
affollarsi
nell’anima. In quei giorni si era posto così tante
domando, su Isobel, sul
collare connesso con la sua magia e su Eleonor. Tante volte aveva
formulato
delle risposte senza riuscire a giungere mai ad una conclusione. Quando
vide nuovamente
la donna in piedi sulla porta le parole gli morirono in bocca.
Isobel
lo squadrò da capo a piedi, soddisfatta nel vedere il
turbamento sul suo volto.
-
Seguimi-
gli ordinò con voce tagliente.
Bastò
una
leggera scossa dal collare ed Eragon si affrettò ad
obbedire. Fuori c’era una ragazza
ad attenderli. - Questa è Oliviana il mio braccio destro.
È un formidabile
sicario e una potente maga - lo informò Isobel con voce
secca. Era appoggiata
allo stipite della porta d’ingresso e stringeva tra le mani
una cinghia di
cuoio che terminava con una catenella. Ad un cenno della regina si
staccò dalla
porta e gli andò incontro. Eragon serrò la
mascella quando lei assicurò la
catenella all’anello sul suo collare e usò la
cinghia come un guinzaglio. I
loro sguardi si incrociarono. - Finalmente conosco chi ha spezzare il
mio
incantesimo. Sei un mezz’elfo – constatò
lei con freddezza scrutando con
attenzione i suoi lineamenti. Eragon
sussultò
a quelle parole – l’avresti lasciata morire
togliendole ogni speranza. Che
razza di persona ha il coraggio di fare questo? – gli disse
sostenendo il suo
sguardo.
-
Qualcuno che ora ha il controllo di un Cavaliere. – gli
rispose Oliviana strattonando
il guinzaglio e ponendo fine alla loro breve conversazione.
Guidati
da Isobel camminarono per una serie infinita di cunicoli sotterranei
per quelle
che ad Eragon parvero ore. Uscire fuori dalle mura della
città in un tratto che
si affacciava in aperta campagna. Fuori c’erano tre cavalli.
Eragon assaporò alcuni
attimi di libertà mentre tornava a respirare
l’aria fresca poi Oliviana lo strattonò
dirigendolo verso il più giovane dei destrieri. Il cavallo
scalpitò nervoso non
appena gli furono vicino.
-
Sali –
gli ordinò fredda. Sotto lo sguardo vigile di Oliviana
Eragon si accostò al
cavallo che nitrì e agitò la testa seguito a
distanza dagli altri due, erano tutti
e tre spaventati. Istintivamente poggiò la mano sul suo
collo e iniziò ad accarezzarlo
per fargli sentire la sua presenza. Quando infine riuscì a
tranquillizzarlo,
gli salì in groppa Oliviana lo assicurò alla
sella legandogli i polsi con
l’estremità libera del guinzaglio.
Anche
le
due donne montarono sui loro cavalli ed Eragon capì il
perché di tanta
agitazione e provò compassione per loro, entrambe le donne
avevano in mano un
frustino che non esitavano a usare per impartirli ogni comando.
Oliviana fece
trottare il suo destriero intorno a quello di Eragon un paio di volte
per poi accostarsi
e prendere le sue redini, quindi i cavalli vennero spronati al galoppo,
diretti
verso l’entroterra.
Per
Eragon non fu un viaggio piacevole, nel legarlo Oliviana aveva lasciato
poco
gioco al guinzaglio e ad ogni sobbalzo sentiva il collare sferzarlo
dolorosamente.
Presto
il
paesaggio di prati e le colline lasciarono il posto a una serie di
affioramenti
rocciosi. I cavalli vennero spronati in quella direzione. Quando furono
abbastanza vicini Eragon notò che sulle sue pareti di roccia
che si ergevano
tutte intorno a loro si aprivano delle caverne. Trepidò
mentre iniziava a comprendere
chi potevano ospitare.
-
Sì
Eragon, stiamo andando a trovare Saphira - lo raggiunse la voce di
Isobel
mentre Oliviana lo liberava dalla sella. Il viaggio sarebbe proseguito
a piedi.
Ignorarono
le prime aperture dalle grandi entrate e si diressero, invece, verso
quelle più
piccole che si aprivano su una serie di insenatura nella roccia. Isobel
scelse l’imbocco
di una galleria stretta e angusta e ne percorse la lunghezza per alcune
iarde poi
il corridoio si aprì su una grotta dalla grande capienza. In
fondo alla sala
c’era Saphira. La luce nella grotta proveniva da una grande
apertura sul soffitto.
La dragonessa aveva le zampe posteriori incatenata al muro, altre
catene le
bloccavano le ali e la coda e il suo muso era serrato da un museruola.
Saphira
non si mosse al loro arrivo. Sembrava dormire.
A
quella
vista, Eragon camminò dritto verso di lei fino a tendere il
guinzaglio ma Oliviana
tenne la posizione con fermezza.
-
Che
cosa le avete fatto?! – chiese, le dita intorno al collare
mentre premeva facendo
resistenza.
-La
dragonessa
è ostinata quasi quanto il suo cavaliere. Ma non
così tanto. – rispose Isobel
con voce melliflua
Il
basso
ruggito di Saphira scosse le pareti della sala. Aveva udito la voce di
Eragon e
lanciò alla regina uno sguardo eloquente.
-
Oliviana
lascia che Eragon la raggiunga -
La
donna
lasciò cadere il guinzaglio dalle mani permettendogli di
muoversi liberamente.
Eragon non se lo fece ripetere due volte e in pochi passi percorse la
distanza
che lo separava dalla sua compagna. Saphira
teneva ancora la sua mente serrata. - Saphira ti prego parla. Di
qualcosa. -
gli disse ad alta voce. Ma la sua unica risposta fu un basso ringhio.
La
dragonessa esitava, aveva riconosciuto il suo cavaliere ma allo stesso
tempo non
capiva perché non l’avesse già
raggiunta con la mente.
Eragon
allungò
una mano per sfiorarle il muso e gli occhi di Saphira lampeggiarono di
rabbia quando
caddero sull’oggetto intorno al suo collo. Rimasero
così fermi per alcuni lunghissimi
minuti poi
qualcosa sfiorò la mente di Eragon.
Piccolo
mio, come stai?
Il cavaliere piegò gli angoli della bocca in un sorriso
triste.
-
Sono
stato meglio, tu invece? - Saphira gorgogliò appena.
Non
ti preoccupare per me, sono più forte di quello
credono. Eragon
annuì,
fiero di lei, ma iniziò a percepire un misto di ansia e di
trepidazione
provenire dalla sua compagna. Da tempo aveva imparato a conoscere il
suo modo
di agire e di pensare. Saphira aveva già messo in atto
qualcosa di cui ancora
non era a corrente ed ora stava cercando il momento giusto per
parlagli.
-
Saphira
so di Eleonor e del suo fallimento - disse tenendo gli occhi fissi in
un punto
di fronte sé mentre ricordava come Isobel lo avesse punito
poi li rialzò lentamente
- Puoi dirmi il motivo per cui siamo qui? – Incalzata dalla
sua domanda Saphira
rispose
La
bipede è ossessionata. Non si fermerà
finché non avrà
capito perché nessuna delle mie uova si è schiusa
per lei.
Eragon notò lo sdegno nella voce
della sua compagna ma anche qualcos’altro. Lei sapeva la
verità. Eragon lo
percepì chiaramente. Le ho
consentito di condividere
questa conoscenza con lei a patto di mostrarlo prima a te
disse Saphira
anticipando la sua domanda. Sei pronto? Chiese. Eragon
annuì e prendendo
un profondo respiro allargò il torace e chiuse gli occhi. Le
immagini lo investirono
con tutta la loro potenza. Lo stupore per ciò che rivelarono
gli fece
dimenticare per un attimo la presenza dei loro carcerieri. Eragon
aprì gli
occhi e poggiò la fronte al suo muso, ora che si erano
ritrovata era dolorosa anche
solo l’idea di lasciarsi.
Dall’altra
parte della grotta la regina seguì la scena fremendo di
impazienza. Batté lentamente
le mani tre volte. Eragon vide con la coda dell’occhio
Oliviana che si
avvicinava a lui poi le ginocchia cedettero sotto il suo peso e cadde a
terra colpito
da un dolore acuto che gli strappò un gemito. Quando
riaprì gli occhi un attimo
dopo Oliviana troneggiava su di lui, la vide piegarsi per raccogliere
il guinzaglio
che giaceva a terra e senza troppe cerimonie lo fece alzare da terra e
lo
trascinò via.
Saphira
al
suo fianco riuscì ad emettere solo un basso ruggito. La
regina sentì la mente
della dragonessa toccare la sua. Rabbia e odio sprigionavano dalla
possente
creatura.
Ti
dirò ciò che vuoi, ma non abusare del tuo potere.
La intimò la dragonessa.
Ti
ascolto.
Saphira
chiuse
gli occhi e mostrò nuovamente la visione a favore della
regina. Era come
essere in volo sul dorso di un drago. Isobel riconobbe la sua terra, la
costa e
la città di Abalon. Poi il paesaggio sotto di lei
iniziò a cambiare, si erano addentrati
dove nessuno aveva mai osato, oltre le Terre Selvagge. Li, in mezzo a
un paesaggio
roccioso, Eleonor faceva schiudere un uovo di drago. Un drago femmina. Il
suo
colore era di un bianco iridescente e non apparteneva a nessuna di
quelle in
suo possesso. Era un uovo nato in quella terra. Isobel non poteva dire
perché
ma sapeva che era così poi la visione
svanì
-
Questo
va oltre ogni mia immaginazione. – disse con un sorriso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Complicazioni ***
Era primo
pomeriggio quando Castigo rientrò nella cittadella dopo aver
volato sulle campagne
intorno ad Abalon. Nuvoloni neri si stava ammassando
all’orizzonte minacciando l’arrivo
di un temporale. Sulle montagne, verso nord, erano già
visibili il bagliore dei
lampi in lontananza.
Murtagh aspettò l’arrivo di Castigo nel cortile
del palazzo mentre un
venticello frizzante face svolazzare il mantello.
Ho sorvolato il posto dove tengono Saphira. Lo
informò il drago
attraverso il loro legame mentale.
Ci sono
enormi voragini che squarciato la roccia, alcune di queste sono
abbastanza
grandi da permettere a un drago di passare... Aggiunse
mandando una serie di immagini di quello che
aveva visto …Mi sarebbe bastato poco per
distruggerle e liberarla.
Murtagh
sentì tutta la rabbia e la trepidazione trapelare dalla voce
del suo compagno.
Lo so
Castigo ma dobbiamo avere pazienza.
Quando sarà il momento lo farai.
Che cos’altro hai scoperto? Domandò
invece mentre lo osservava battere
le ali e scendere verso terra in verticale.
C’è
una
radura tra le rocce. È un buon nascondiglio da cui possiamo
volare via una
volta che saremo tutti fuori.
Castigo poggiò le possenti zampe posteriori a terra, chiuse
le ali con eleganza
quindi allungò il muso verso il suo cavaliere. Murtagh
accorciò la distanza tra
loro. Quando gli fu accanto face scorrere lo sguardo sulle squame
cremisi del
mento e con le dita lo accarezzò con dolcezza.
Te la
senti di volare un altro po’ con me? Gli
chiese passandogli la mano su un fianco. Sotto la pelle i muscoli del
drago
erano ancora caldi e tesi per lo sforzo. Castigo sbuffò
orgoglioso. Sono
sempre pronto, Tigre.
Il ragazzo gli
sorrise quindi andò a prendere la sella e iniziò
a sistemarla con cura sul suo
dorso. Mentre si muoveva stringendo le cinghie con sicurezza i suoi
pensieri correvano
rapidi Manca un giorno all’arrivo della nave
promessa da Arya poi questo in cubo
finirà. Disse mentre finiva di tirare
l’ultimo laccio della sella.
Se Castigo
era preoccupato per Saphira, Murtagh lo era per Eragon.
Non lo
avrebbe mai ammesso a sé stesso ma da quando avevano
lasciato Alagaësia era
divento molto protettivo nei confronti del fratello minore. Il pensiero
che
Isobel potesse fagli del male gli era insopportabile. Conosceva bene
quella
sensazione di impotenza mista a rabbia e sconforto, l’aveva
provata lui stesso sulla
sua pelle quando era stato catturato da gemelli.
Stai
proiettando le tue paure su di lui. Eragon è forte
abbastanza da sopportare
tutto questo, come hai fatto tu. Ti stai preoccupando troppo per lui Lo
rimproverò bonariamente Castigo percependo
i suoi pensieri. Come potrei non farlo, sono il fratello
maggiore. Disse
e montò con agilità sul suo dorso.
Castigo si
diresse
verso la costa per evitare pericolose correnti temporalesche che
avrebbero
potuto sbatterli a terra. Volarono a lungo sfruttando i venti
provenienti dal
mare. Quando rientrarono nel cortile Aglaia era lì ad
attenderli. La ragazza aspettò
che Murtagh scendesse prima di avvicinarsi; in alto l’aria
carica di poggia e umidità
avevano imperlato gli abiti e i capelli di Murtagh di tante piccole
goccioline
d’acqua. Nel venirle incontro il ragazzo se le
sgrullò di dosso con non curanza
e sul viso aveva uno sguardo limpido e pieno di vita, per alcune ore
aveva dimenticato
i loro problemi lasciando che vi fosse solo il legame con il suo drago.
Il volto
teso che gli rivolse Aglaia lo riportò rapidamente alla
realtà.
- Dobbiamo rimandare la nostra riunione. La regina ti vuole nella sala
del
trono. Subito. Non so cosa abbia in mente. – le disse la
ragazza.
Murtagh
corrugò la fronte - Pensi sospetti qualcosa? –
chiese.
Aglaia
valutò
per un attimo a quella possibilità poi scosse la testa
- No, se così fosse, non saremmo qui a parlarne ma stai
comunque molto attento-
Murtagh annuì. Non aveva altra scelta che andare ma non era
necessario
rimandare la loro riunione. Si rivolse mentalmente a Castigo.
Manteniamo il nostro contatto mentale così potrai
riferire agli altri ciò
che mi dirò con la regina.
Poi
rivolgendosi alla ragazza - Se manterrò il mio contatto con
Castigo sarò in
grado di comunicarti le informazioni più importanti e Isobel
non sospetterà
nulla se parlo con il mio drago -
Aglaia
annuì
- Potrebbe funzionare. Ora va però, la regina ti aspetta -
Una volta
entrato a palazzo Murtagh venne raggiunto da due intendenti incaricati
di
accompagnarlo da Isobel. Non lo portarono alla sala del trono ma nei
suoi
appartamenti privati, nella stanza adibita alle riunioni
- Vieni pure avanti Murtagh. - lo invitò Isobel. Il
cavaliere la raggiunse ma
non si inchinò. Erano soli e senza i dignitari ad osservare
ogni suo movimento Murtagh
non aveva nessuna intenzione di portare rispetto alla donna.
La regina sorrise divertita e tamburellò le unghie sul mento.
- Per questa volta lascerò correre sul protocollo. Ho alcune
cose urgenti di
cui voglio parlarti – fece una piccola pausa prima di
continuare.
– Sai
già
che il luogo in cui i troviamo si chiama sala dei misteri.
Quello che forse
non sai è che contrariamente a quanto si crede, al loro
interno non si svolge
alcun rito ma vi lavorano le menti più alte del mio regno.
I maghi inviati
qui da Galbatorix ne sono entrati a fare parte e hanno insegnato
l’uso
dell’antica lingua sia a chi aveva il dono come arte magica
sia a semplici
studiosi, come arte alchemica. -
-
Cos’è
l’arte Alchemica? – domandò Murtagh
interrompendola.
Isobel gli
sorrise, Murtagh ebbe la sensazione che la regina stesse esattamente
aspettando
che le facesse quella domanda.
- È
l’arte
di trasformare le sostanze con la sola conoscenza della materia
– disse con un
certo orgoglio. - Anche Galbatorix ne era rimasto molto affascinato
– aggiunse.
- Fu lui a
suggerirmi
di non divulgare quanto veniva svolto qui e di proteggere il segreto
con la
magia.
Ed è
proprio
agli alchimisti che tempo fa, quando appresi della morte di Galbatorix
e persi
la speranza di avere un drago, diedi loro il compito di mettere a punto
un’arma
capace simulare le loro capacità in battaglia.
Ora
l’arma è
stata ultimata e vorrei che mi dessi una tua opinione –
Murtagh
corrugò la fronte, scettico. - Ho partecipato a diverse
battaglie ed ho visto già
macchine da guerra costruite con questo intento Isobel. Nessuna di loro
si è
mai lontanamente avvicinata alla potenza di fuoco delle fauci di
Castigo. -
- Non hai
ascoltato
bene la storia che ti ho raccontato. Queste nuove armi non hanno nulla
a che vedere
con le pesanti e antiquate macchine da guerra ideate dai vostri
militari.
Credimi Murtagh, la fantasia degli alchimisti ti
sorprenderà, non hai mai visto
nulla di simile – un guizzo di curiosità si accese
negli occhi del cavaliere
facendo sorridere Isobel.
- Tra non
molto sarà pronto anche il tuo giuramento –
Murtagh cercò di non far trapelare
nessuna emozione mentre lasciava che il legame con Castigo permettesse
al suo
drago di ascoltare tutto quello che stavano dicendo - Non mi sembri
molto sorpreso
– Murtagh ricambiò lo sguardo della regina. Era
riuscito a sorprenderla e
voleva mantenere quel vantaggio.
- Lo sarei
del contrario, Galbatorix lo avrebbe già preteso da tempo
– disse sprezzante.
Gli occhi di
Isobel scintillarono di orgoglio - Galbatorix non aveva con
sé le giuste leve per
tenerti ancorato a lui – rispose con un ghigno divertito,
Murtagh serrò la
mascella riconoscendo la verità delle sue parole.
La sua
reazione soddisfò la regina che continuò a
parlare.
- I tuoi
affetti sono la tua debolezza Murtagh. Se solo ti lasciassi andare
all’incantesimo dell’oblio come tutti gli altri non
ci sarebbe bisogno di
nessun giuramento! Immagina di abbandonare tutta questa sofferenza e
tutti i tuoi
dubbi alle spalle. – la sua voce divenne suadente e Murtagh
dovette alzare le
sue difese per non rimanerne ammaliato. Nel farlo chiuse gli occhi.
Quado li
riaprì Isobel era di fronte a lui.
- Cosa ci
sarebbe di male ad essere felice al mio fianco? – gli chiese.
Murtagh scosse la
testa con decisione.
- E diventare
una marionetta come il resto dei tuoi sudditi? Preferisco di no
– Isobel sostenne
il suo sguardo e scosse la testa.
- Non
saresti uno schiavo al contrario saresti il solo davvero libero. Le
deboli
facoltà di un semplice umano non possono competere con
quelle di un Cavaliere. Jill
ha pagato questo prezzo ma tu, sapresti sopportare il peso di questo
incantesimo
senza subire alcuna interferenza sul tuo libero arbitro. –
lasciò che le sue
parole facessero il loro effetto senza mai lasciare con lo sguardo il
cavaliere.
- Pensa a
come ti sei sentito poco fa, quando hai cavalcato con Castigo
– gli occhi di
Murtagh scintillarono dalla sorpresa. Come fa a sapere!
- Non ti
piacerebbe sentirti sempre così? – Murtagh sapeva
bene che Isobel stava
mentendo, le sue bugie erano lì, evidenti come la luce del
sole, ma aveva delle
ottime argomentazioni; quando alla fine riprese il controllo delle
proprie
emozioni si accorse di stringere i pugni così forte da
sentire le unghie
penetrare la carne.
- Cosa mi
dici di mio fratello Eragon? Anche lui godrà dei miei stessi
privilegi? – Isobel
sbuffò infastidita.
-
Per lui ho altri progetti. La sua visione del mondo è
diversa dalla nostra. Per questo su di lui sto usando un altro metodo.
Sai c’è
un oggetto messo a punto dai miei alchimisti, un collare, composto da
una lega
in grado di controllare la magia senza l’antica lingua.
–
-
Come è possibile una cosa del genere? -
-
Attraverso il dolore naturalmente – spiegò lei con
voce
asciutta. Murtagh digrignò i denti ma si trattenne dal
rispondere - il solo
contatto ha degli effetti sorprendenti su chi cerca di usarla. Eragon
ha
compreso subito che è inutile combattere. Potrei permetterti
di vederlo una volta che ti
sarai votato completamente
alla mia causa. –
- Sarebbe
più facile per te se lo facessi! - Isobel rimase ad
osservarlo per alcuni
istanti in attesa che la sua ira scemasse prima di riprendere a parlare
- Non te ne
accorgi nemmno ma lo stai già facendo Murtagh. Mi sei stato
di grande aiuto l’altro
giorno con la tua intuizione su Eleonor. - disse cambiando
così argomento.
- Contrariamente
a ciò che pensavi Saphira non dovrò deporre altre
uova. Il motivo per cui non
si sono ancora schiuse è semplicemente che questa terra ne
nasconde altre – Murtagh
sentì la sorpresa e la meraviglia di Castigo attraverso il
loro legame. È
come se lo avessi sempre saputo gli disse. Isobel stava
dicendo il vero, il
drago poteva sentirlo fin dentro le ossa.
Castigo,
questo non è qualcosa che Isobel può aver
scoperto da sola. Murtagh
tornò a guardare la regina.
- Mi sembri
molto sicura di questo – un presentimento si
insinuò nelle sua mente confermato
subito dopo dalle parole di Isobel.
- La visione
che Saphira ha condiviso con me non lascia adito a dubbi. Domani quado
il sole
sarà al suo apice vorrei che venissi con il tuo drago nel
luogo dove tengo
Saphira. Quello visitato stamattina da Castigo - Murtagh sgrano gli
occhi,
sgomento. Isobel sorrise.
- Pensavi
non sapessi dei vostri movimenti? – aggiunse.
- Siete
prevedibili. Ma le vostre resistenze sono inutili. Stare dalla mia
parte o soccombere,
non ci sono alternative - Senza badare alle proteste di Murtagh Isobel
lo
congedò. Al ragazzo non rimase altro che annuire e uscire.
***
La mente di
Murtagh vorticava velocemente mentre faceva ritorno nelle sue stanze
dove Aglaia
e Xavier lo stavano attendendo. Le parole di Isobel ancora risuonavano
nella
sua testa.
Quando lo
vide entrare Aglaia gli andò subito incontro e gli prese il
volto tra le mani -
Isobel può dire ciò che vuole. Noi crediamo in te
- gli disse con un sorriso.
Murtagh guardò il suo volto e poi quello che Xavier dietro
di lei.
- Grazie
–
disse profondamente commosso e poggiando una mano al petto.
- Io e Xavier
vogliamo dirti qualcosa di più su l’arma di cui ti
ha parlato la regina, così
da essere preparato per domani-
Il capitano
si era alzato dalla sedia con sguardo grave.
- È
da prima
che voi cavalieri arrivaste che la regina lavora su
quest’arma. Carichi di
zolfo e carbone vengono regolarmente inviati ad Abalon da diverse
provincie di
Zàkhara al fine di creare la miscela. L’ho vista
con i miei occhi esplode in
tante piccole fiammelle di fuochi fatui quando viene messa a contatto
con una
fiamma. Ma le armi alimentate da questa polvere sono state sempre
inaffidabili,
fino ad ora. - Xavier descrisse con precisione come erano fatte e il
loro funzionamento
– Non siamo mai stai in grado di provarne
l’efficacia. Le canne esplodevano, quando
venivano a contatto con il fuoco, provocavano ustioni talmente gravi da
uccidere chi malauguratamente veniva colpito –
Mentre
l’uomo parlava Murtagh comprese che non di trattava di un
semplice capriccio
della regina come aveva pensato inizialmente. Non dovevano affatto
sottovalutarla.
- Nel nostro
ultimo incontro - intervenne Aglaia - Isobel ha parlato di aver risolto
questo
problemi – Xavier si grattò il mento meditando.
- Questo
vuol dire che ha trovato il modo di creare una canna di metallo
abbastanza
resistente da incanalare l’esplosione. –
- Domani
osserverò quest’arma per capire quanto
può essere pericolosa. – disse Murtagh
tenendo conto di tutto quello avevano appena detto ma avendo in mente
il loro
principale obbiettivo. Ora che aveva la certezza che Isobel stava
torturando il
fratello non voleva lasciarlo nelle sue mani un minuto di
più - Purtroppo non
abbiamo tempo per fare altro a riguardo. Domani sera dovrà
essere tutto pronto
per la fuga–
–
Xavier pensi
che Reafly sia pronto a venire con noi? - l’uomo rimase in
silenzio profondamente
combattuto. Se la decisione fosse dipesa da lui, naturalmente non
avrebbe mai
acconsentito a coinvolgere il ragazzo, ma le circostanze avevano deciso
altrimenti. Lasciarlo indietro adesso significava metterlo ancora
più in
pericolo - Il ragazzo è proto e determinato a seguirci. Gli
ho spiegato cosa
dovrà fare domani. Non vi deluderà –
gli altri annuirono poi Aglaia prese di
nuovo la parola – Tu Murtagh sei il più vicino a
Jill. Che cosa pensi di fare
con lei? –
Murtagh
serrò
le labbra prima di parlare soppesando bene le parole –
E’ meglio che rimanga ancora
all’oscuro di tutto. Isobel me l’ha affidata per
potermi sorveglire. Deve continuare
a credere che sia così se non vogliamo che sospetti qualcosa
- Vederla ogni
giorno ritornare al suo fianco era una sofferenza constante ma
l’aveva
accettato per poterle stare vicino
- Eragon?
–
chiese infine Murtagh ponendo la domanda che più lo
spaventava. Gli occhi di Aglaia
lampeggiarono quando riprese la parola.
- Lui
è
tenuto in una delle torri più esterne delle mura della
cittadella. Si tratta di
un’area isolata del resto degli edifici. –
- Cosa mi dici del collare? –
-
L’ho già visto usare da Isobel su un elfo caduto
prigioniero. Un ammonimento per tutti coloro che avessero cercato di
ribellarsi.
C’è un altro particolare, però, che ho
scoperto e non ti piacerà. –
Murtagh
sospirò - Quale? -
- Da ieri i Ra’zac si sono insediati nella
torre a
guardia della sua entrata. A nessuno è più
permesso entrare. -
- Ra’zac,
che cosa sono? – chiese Xavier
guardando il volto sconvolto del cavaliere nell’apprendere la
notizia.
- Incubi
nati da un’aberrazione della magia. Augurati non di non
doverli mai incontrare
nella tua vita – gli rispose Murtagh in tono grave.
– Come riusciremo a farlo
uscire? -
-
Userò
l’effetto sorpresa, le creature mi conoscono, sanno che sono
tra la cerchia
intima di Isobel. Quando si accorgeranno dell’inganno noi
saremo già lontani. –
I tre
continuarono
a discutere per stabilire come avrebbe recuperare le uova di drago. Per
ciò che
riguardava Eleonor, invece, Aglaia avrebbe fatto in modo che la piccola
fosse portata
con la madre in segreto da alcuni suoi parenti, lontano dalla capitale.
Era quasi
sera quando ogni cosa fu stabilita.
Fuori la
tempesta
infuriava e la pioggia aveva iniziato a battere contro le finestre.
***
Sdraiato sul pagliericcio Eragon chiuse gli occhi e deglutì
a vuoto. Da quando Oliviana
lo aveva riportato nella sua cella qualcosa era cambiato. Si era
sentito come
avvolto da uno strano torpore e ancora adesso delle presenze vagamente
familiari aleggiavano in un angolo recondito della sua mente senza che
riuscisse ad individuarne l’identità. Sapeva solo
che erano presenti,
appestando l’aria con un odore nauseabondo che lo
disorientava lasciandolo con un
senso di inquietudine. Si rese anche conto che da tempo non gli veniva
più portato
né da mangia né da bere. Fame e sete
contribuirono ad aumentare il suo
malessere
L’incubo
si
insinuò lentamente senza che lui se ne rendesse conto.
Iniziò con la sensazione
opprimente delle mura della cella che si stringevano su di lui. Era una
paura
irrazionale ma abbastanza reale da fagli accelerare il battito del
cuore. Poi i
demoni iniziarono a emergere. Uno ad uno le sue paure più
recondite lo assalirlo
colpendolo in successione senza dargli tregua.
L’intensità di quelle emozioni fu
tale da lascarlo senza fiato. Con il respiro affannato si costrinse a
fare
lunghe bucate d’aria per calmare il cuore che gli batteva
forte nel petto. Con
le dita si tastò una guancia e si accorse, con stupore, che
erano bagnate dalle
lacrime.
Dietro la porta della cella, in un angolo buio, alcune figure celate da
un
mantello osservava la scena emettendo sibili di trepidazione.
Gli ordini della loro madre erano stati molto chiari: il prigioniero
non poteva
essere toccato e le creature si accontentarono di vederlo logorare
lentamente
nelle sue paure.
***
La pioggia
batteva forte sopra i vetri della finestra formando continui rivoli
d’acqua che
cadevano giù rapidi lungo le pareti. Ogni tanto veniva
illuminate da un lampo.
La luce esplodeva nel cielo seguita subito dopo dal tuono che
squarciava l’aria
con il suo rombo.
Un tuono più forte degli altri fece sobbalzare Arya, seduta
su una poltrona a
contemplando placida il fuoco di un camino.
Era passati
dieci giorni da quando era giunta in quella nuova terra e aveva
conosciuto il
popolo che vi abitava. Nelle loro vene scorreva lo stesso sangue dei
loro
progenitori, prima che gli Elfi acquistassero
l’immortalità attraverso il patto
di sangue stipulato alla fine della guerra con i draghi.
Il loro re, Arold, l’aveva accolta come una figlia In quella terra si stava
svolgendo una guerra
centenaria, ed Arya aveva accettato di insegnare loro
l’antica lingua per
contrastare la forza della regina Isobel che voleva tenere per
sé quel potere.
I suoi amici su Zàkhara, invece, si erano cacciati senza
saperlo in una
trappola; attraverso la loro spia a corte, Aglaia, Arya era venuta a
sapere che
solo Murtagh e Castigo erano apparentemente liberi di muoversi. E in
tutto
questo la popolazione sembrava non accorgersi di nulla, annebbiata da
un
qualche incantesimo lanciato dalla stessa Isobel. Arya si
domandò che tipo di magia
avesse usato e dove avesse trovato l’energia necessaria per
mantenere un simile
sforzo.
Consapevoli che il sostegno dei Cavalieri dei Draghi rappresentava
l’ago della
bilancia nella guerra Arold aveva acconsentito a organizzare una
spedizione di
salvataggio per i suoi amici. Con il cambio di venti più
favorevoli una nave
con a bordo un manipolo di soldati si stava preparando a salpare ed
Arya aveva
tutte le intenzioni di partecipare a quella missione. Re Arold si era
fermamente
opposto alla sua decisione ma lei era stata altrettanto inamovibile.
Quando anni
fa aveva accettare l’incarico di diventare la portatrice
dell’uovo era arrivata
a sfidare tutto il suo popolo e l’autorità della
madre per tenere fede alla sua
decisione. Non sarebbero stato di certo Arold a farle cambiare idea,
soprattutto quando ad essere in pericolo erano le persone a cui teneva
di più
al mondo.
Un altro tuono scoppiò nell’aria facendo vibrare
le pareti della stanza e
destando Arya dai suoi pensieri.
L’Elfa prese allora la decisione di divinare Eragon. Nessuna
delle informazioni
fornite da Aglaia lo riguardavano in particolare. Doveva sapere come
stava. Andò
alla finestra, e con alcune parole dell’antica lingua, fece
in modo che un po’
d’acqua dal vetro si raccogliesse nel palmo della mano, poi
evocò l’immagine
del Cavaliere.
Il volto di Eragon comparve lucente sul piccolo specchio
d’acqua, teneva gli
occhi chiusi e i suoi lineamenti, di solito dolci, erano ora tirati.
Sembrava
molto stanco e spaventato; gli occhi di Arya si riempirono di lacrime a
quella
vista e l'Elfa fece scivolare via subito l’immagine.
***
Eragon ebbe
l’immediata sensazione di due occhi che lo stavano
osservando, si tirò su di
scatto tastandosi il petto in cerca dell’amuleto donatogli da
Gannel. Quando al
suo posto le dita toccarono il collare di metallo si ricordò
di non averla più
con sé. Mi è stata tolta quando sono
stato portato qui pensò realizzando
amaramente dov’era il qui.
La cella era
avvolta nella semi oscurità e fuori pioveva. Dalla feritoia
poteva sentire il
rumore della pioggia che cadeva copiosa mentre intravedeva il bagliore
dei
lampi riflettersi nell’incasso della finestra. Un tuono
più vicino degli altri
fece vibrare le spesse pareti della torre.
Gli incubi con il loro carico di dolore erano sempre lì ai
margini della sua
mente pronti a prendersi gioco di lui. Presto o tardi sarebbero tornati
all’attacco ma in quel momento Eragon non voleva pensarci.
Con cautela provò a
mettersi in piedi ma un capogiro lo costrinse ad appoggiarsi alla
parete.
Quando il mondo smise di girargli intono il suo sguardo andò
verso la porta.
Solo allora notò che la finestrella da cui solitamente gli
veniva passato il
cibo era stata lasciata aperta lasciando uno spiraglio sulla sala
antistante. Incuriosito
Eragon barcollò in quella direzione e si mise ad osservare
nell’oscurità. Delle
ombre gli passarono davanti e udì un fruscio di vesti
accompagnato da sibili
indistinti.
Eragon indietreggiò incespicando di un passo. Il terrore gli
serrò lo stomaco.
Conosceva fin troppo bene quei suoni. Erano Ra’zac.
La sua mente
stanca cercò disperatamente di ricordare quello che aveva
appreso sulla loro
storia, quando era ancora allievo di Oromis.
I Ra’zac erano stati, con
molta
probabilità, la causa per cui il re Palancar aveva deciso di
emigrare dalla sua
terra natale. Era fuggito lontano, raggiungendo la terra di
Alagaësia ma quegli
esseri, proprio come dei segugi che fiutano la preda, lo avevano
seguito.
A suo tempo i Cavalieri avevano dato loro la caccia, uccidendoli uno ad
uno. No
aspetta, non tutti, ricordò
alla fine. Due di loro riuscirono a sopravvivere
e strinsero un patto con Galbatorix, servendolo in cambio della sua
protezione
e della possibilità di cibarsi di carne umana.
Era un incubo che ora si ripeteva con Isobel. Eragon si
domandò quali promesse
avesse fatto la regina per averli assoldati.
Si allontanò rapidamente dalla porta e tornò a
sedersi sul suo giaciglio. Ora
sapeva da dove venivano gli incubi e la cosa non lo fece sentire
meglio. Piegò
le ginocchia al petto e iniziò a porre attenzione ad ogni
rumore sperando di
non aver attirato troppo la loro attenzione.
***
l giorno
seguente il sole salutò un cielo limpido e sereno. La
pioggia si era dissolta
in una sottile patina d’acqua che ricopriva tutto lasciando
alla vista un
piacevole senso di pulito; la pace e la tranquillità avevano
preso il posto del
frastuono e il temporale era diventato solo un lontano ricordo.
A mezzogiorno Murtagh era in sella su Castigo. Il drago
compì diversi giri
intorno allo sperone roccioso mentre osservava i grandi macigni che si
trovavano dove il giorno prima c’erano fenditure, crepacci e
gole. È come
fosse passato un terremoto Qualcuno o qualcosa lo aveva
provocato.
Da sotto
videro Isobel che li osservava. La donna indossava
un’armatura leggera che le
copriva il petto e le spalle ed era a comando di una dozzina di uomini
armati.
Poi le videro. Le armi erano proprio come gliela aveva descritta
Xavier. Una
lunga canna di metallo cilindrica lunga poco più di quattro
iarde posta sopra
una pedana fornita di due ruote. Quando Castigo poggiò le
sue zampe a terra Murtagh
saltò giù dalla sella si guardò
intorno circospetto.
- Benvenuto
Murtagh
e salve a te Castigo -
Gli uomini non
avevano i colori della divisa della guardia reale e al comando non
c’era Xavier
ma una ragazza che Murtagh non aveva mai visto.
- Oliviana la
squadra è pronta? -
- Sì,
mia Signora
- disse la ragazza piegando il capo in segno di rispetto. Gli uomini al
suo
seguito erano posizionati in fila ed ognuno di loro aveva in mano una
lunga
canna di metallo fornita di manico con in alto una leva e una sorta di
grilletto al di sotto di essa.
- Mi
permetti? – chiese Isobel tendendo le braccia verso
l’arma nelle sue mani. Oliviana
gliela consegnò. Isobel impugnò il manico sotto
il braccio e guardò Murtagh.
- Adesso osserva
bene -
Puntò
con
non curanza l’arma prima verso i suoi uomini poi verso
Castigo e infine verso
la parete rocciosa alle sue spalle. Dopo avergli rivolto uno sorriso
ferino si
girò e premette una levetta due volte, in successione,
puntando la canna contro
dei bersagli invisibile.
Due schioppi fortissimi partirono da quell’oggetto, ne
uscì subito del fumo e
un forte odore di zolfo investì le narici di Murtagh.
Due fori delle dimensioni di una noce si erano aperti nei punti dove
aveva
puntato l’arma mentre a terra delle rocce infiammate
crepitavano debolmente.
-
Quest’arma
è in grado di uccidere un uomo con la stessa
velocità dell’antica lingua - gli
disse Isobel tornando a guardarlo per osservate la sua reazione.
- Non ha
certo la sua eleganza e il suo fascino ma non puoi negarne
l’efficacia. –
proseguì Isobel – vuoi provarla? - Castigo
ringhiò e
Murtagh la fissò per alcuni istanti prima di scuotere la
tasta in segno di
diniego.
- Non si
tratta di fascino o eleganza Isobel. La tua arma è
più che efficace, lo vedo,
ma non può essere lontanamente paragonata alla magia. -
Nonostante Xavier gli
avesse parlato del loro funzionamento, nel vedere l’arma in
azione Murtagh
realizzò qualcosa di allarmante.
- Anche il
più giovane dei maghi sa che usarla ha prezzo. Pronunciare
un incantesimo chiede
sempre un costo, La sua pratica necessita di un costante studio al fine
di bilanciare
le proprie energie. Se non impari questa lezione in fretta rischi di
rimanere
ucciso. La tua arma, ha la sua stessa capacità di uccidere e
cosa richiede? Solo
di premere un grilletto - disse rivolgendole uno sguardo severo.
- Come vuoi,
per adesso posso capire la tua riluttanza. Ma non to ho ancora
presentato Oliviana
– la regina richiamò a sé la ragazza e
Murtagh se la ritrovò di fronte. Poteva sentire
il suo sguardo che lo ispezionava da capo a piedi indugiando sul volto
– Cosa
c’è? – le chiese innervosito da quella
sua insistenza. Oliviana non aspettava
altro che la sua domanda – Qualche giorno fa ho portato qui
il mezz’elfo,
Eragon, non sembrate affatto fratelli – Murtagh
scattò e le afferrò il braccio
guardandola a denti stretti. – La cosa non ti deve riguardare
- Oliviana sorrise
calma e levò lentamente la mano di Murtagh dal suo braccio
– la mi era una
semplice curiosità, non c’è bisogno di
alterarsi tanto –
Prima che
potesse rispondere Isobel intervenne a sedare gli animi
- Oliviana, per
piacere, Murtagh è qui in veste di nostro alleato. Lasciamo
fuori qualsiasi
dissapore. Rispondimi invece, i cannoni sono tutti in posizione -
- Sì
Maestà
– le rispose proto il sicario.
- Come credo
avrai notato al tuo arrivo – continuò Isobel
rivolgendosi ora a Murtagh - molte
delle entrate alle grotte sono state fatte crollare. –
Murtagh fece un cenno di
si con la tesa – Ho notato ma non ne comprendo il senso.
– rispose fremendo di
apprensione per Saphira.
- Lo vedrai
presto. Ieri ti ho promesso un’arma capace di competere con
il fuoco di un drago.
Cos’altro potrebbe distruggere quei massi? - Olivina diede
l’ordine di accendere
tre torce che vennero avvicinate alle altrettante micce poste
all’estremità
opposta delle canne.
Un boato
ancora più grande di prima esplose nell’aria. Una
nuvola di fumo e detriti
grandi quanto piccoli ciottoli si espanse nel punto in cui le palle dei
cannoni
centrarono il loro obiettivi. Quando il fumo si dileguò le
rocce che ostruivano
il passaggio erano state frantumate e l’interno delle caverne
era nuovamente visibile.
Il riflesso blu delle scaglie di Saphira brillò alla luce de
sole e Murtagh poté
infine vederla. Era incatenata al muro ma era viva. A quella vista
Castigo
emise un basso ringhio minaccioso verso Isobel.
- Di al tuo compagno di calmarsi -
Gli fece lei con voce gelida.
Castigo…come sta? Chiese mentalmente al
drago
Passarono alcuni istanti, poi udì la voce del compagno che
gli disse:
Sta bene ma vuole parlare con te
Murtagh rivolse nuovamente lo sguardo verso Isobel . La donna gli
porgeva delle
chiavi – Do a te l’onore di liberarla –
Murtagh
raggiunse
la dragonessa e la osservò con attenzione valutando le sue
condizioni prima di
fare qualsiasi cosa. Non sembrava ferita in maniera grave
così con cautela iniziò
a toglierle la museruola. Saphira gli porse il muso docilmente mentre
con
delicatezza sfilava il ferro intorno a mascella e mandibola.
Grazie lo raggiunse
improvvisamente la sua
voce. Murtagh le annuì con un sorriso mesto Castigo
ha detto che vuoi
parlarmi…
La
bipede-senza-cuore è qui per quello che le ho rivelato
l’altro giorno. L’ho
fatto perché non facesse del male a Eragon ma Castigo mi ha
parlato di torri e Ra’zac.
Devi aiutarlo! Murtagh
ascoltò le sue parole in silenzio
Lo stiamo
già facendo Saphira ma adesso lascia che sia io ad aiutare
te
Murtagh non
aveva modo di spiegare alla dragonessa il loro piano di fuga, non con
Isobel
che li osservava da dietro, così si mise al lavoro sulle
catene e una per una
le aprì sfilando via gli anelli stretti intorno alla coda e
alle zampe.
Una volta
libera la dragonessa si avvicinò a Isobel, le labbra del
muso fremettero e si
alzarono a mostrare le zanne. Saphira alzò lentamente la sua
zampa anteriore e
con l’unghia la toccò al petto, a sinistra,
premendo appena contro l’armatura.
Tu disse incidendo
quell’unica parola nella mente della
Isobel come se fossero scolpite nella roccia.
- Ho dovuto
colpirti
al cuore, dove fa più male o non ti avrei mai avuta al mio
fianco – le disse
Isobel abbassando lo sguardo dove l’unghia aveva lasciato un
segno. Con una
mano face cenno di fermarsi alle guardie che a un comando di Oliviana
si erano
messe in posizione, puntandole contro le armi. Rimasero a guardarsi
così per
alcuni interminabili istanti poi Saphira ritirò il suo
artiglio e agitando le
ali con un balzo superò i detriti e raggiunse Castigo appena
fuori dalla
grotta.
- Dopo tante
incomprensioni alla fine abbiamo trovato un obbiettivo comune trovare
le uova
di drago. Vorrei che tu, Murtagh, partissi con Saphira alla loro
ricerca. Ho
già informato Xavier che ti fornirà e carte per
raggiugere le terre selvagge e
il supporto logistico per il viaggio.
…E
lasciare a lei i nostri compagni?... intervenne
Saphira con un ringhio mentale. Murtagh abbassò lo sguardo
serrò la mascella.
Glielo
lasceremo solo credere Saphira…
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** La fuga (prima parte) ***
Murtagh
camminava con l’animo in tumulto. Isobel era sempre un passo
davanti a lui. Quel
nuovo incarico e l’attività degli alchimisti con
la minaccia delle loro armi
aveva completamente offuscando la gioia di aver liberato Saphira.
Si diresse nelle
sue stanze dove trovò Aglaia assopita sul suo letto. La
ragazza l’aspettava
ormai da ore, le sue vesti leggere
le cadevano sul corpo disegnandone il profilo flessuoso. Il suo respiro
placido
ipnotizzò per un attimo il cavaliere che rimase a guardarla;
non sapendo come
chiamarla emise un leggero colpo di tosse che la fece destare:
- Cosa è successo all’incontro? - gli fece lei
tirandosi su e accorgendosi del
suo sguardo agitato.
Murtagh le raccontò cosa era accaduto, esprimendo insieme
anche i suoi timori e
le sue impressioni sulle armi. L’esasperazione di Murtagh si
acquetò un poco
quando la vide sorridergli mesta.
- Non
c’è
momento migliore per fuggire – gli disse poggiandogli una
mano sulla spalla per
infondergli coraggio ma Murtagh era ancora restio a lasciare andare le
sue
paure - Sapeva dei nostri movimenti per cercare Saphira –
disse ma Aglaia gli strinse
ancor di più la mano sulla spalla.
- E adesso
è
sicura di sé, ha fatto la sua mossa e crede di essere
invincibile. Questa sua sicurezza
ci darà un ampio margine di movimento – rispose
rivolgendogli allo stesso tempo
uno sguardo fiducioso.
- Hai
ragione – Murtagh la guardò grato. Il momento di
sconforto era passato ora
dovevano agire. Una volta usciti dalla stanza Murtagh si diresse prima
alle
stanze di Eragon. Vi entrò di slancio seguito da Aglaia.
La stanza
era stata messa tutta sotto sopra – Che cosa è
successo qui? - chiese lei dando
voce allo sconcerto di entrambi. Murtagh non seppe rispondere subito e
tacque. Ancora
una volta Isobel aveva agito tirando a distanza i fili dei suoi servi
come
fossero marionette e maledisse se stesso per non aver agito prima. Non
aveva
mai condiviso con Eragon il suo attaccamento alla cultura elfica ma ne
riconosceva l’importanza ed ora importanti informazioni si
trovavano nelle mani
del loro nemico. – Con molta probabilità Isobel
cercava i papiri in possesso di
Eragon – disse infine osservando alcune carte strappate
sparpagliate sul
pavimento su cui si erano disegnati eleganti glifi. Anche le scatole di
legno che
le contenevano era state spaccate e gettate a terra in cerca di
nascondigli
segreti. – Che cosa contenevano? –
Murtagh
sospirò
- Per lo più poemi e racconti ma anche cronache e
incantesimi frutto della
lunga arte elfica - Aglaia si piegò a raccogliere alcuni
frammenti a terra cercando
di leggere qualche stralcio. Murtagh si diresse verso una piccola
cassetta riversa
a terra. Il suo contenuto, due tavolette dipinte, non era stato
risparmiate dal
saccheggio ma aerano rimaste intatte. Murtagh le raccolse da terra e
con
cautela le avvolse in un panno.
- Che cosa
sono? – Chiese Aglaia indicando le tavole nelle sue mani.
Murtagh le rivolse un
sorriso - Sì chiamano fairth.-
-
dipinti…creati con la magia? – disse
lei traducendo titubante la parola nell’antica lingua
- Esattamente -
rispose lui. –
Non posso recuperare altro ma Eragon sarà contento di
riaverli - aggiunse
Murtagh, ricordando il volto del fratello quando glieli aveva mostrati.
- Hai
recuperato quello che potevi, andiamo Cavaliere. -
Murtagh annuì e insieme si diressero a grandi
passi verso il corpo di guardia per incontrare Xavier. Vennero fermati
all’entrata da un giovane zelante che li annunciò
al capitano.
- Puoi lasciarli entrare – disse l’uomo chino su un
tavolo, il ragazzo si mise
sull’attenti per il saluto e lasciò la stanza.
Il capitano era intento a controllare alcune carte geografiche, al loro
lato erano
degli appunti in rosso scritti in codice. Non appena i passi del
giovane si
furono dileguati, Xavier guardò Murtagh - Mi è
stato detto di lavora con te per
cercare una via verso le terre selvagge. Cos’è
questa novità? -
Murtagh guardò Aglaia quindi sospirò - Alcune
cose sono cambiate – con l’aiuto
della ragazza gli raccontò a grandi linee cosa era successo
al suo incontro, cercando
di colmare il più possibile le sue lacune - Non
c’è più bisogno di liberare
Saphira, ma il resto del piano rimane invariato – aggiunse
alla fine.
Aglaia prese
parola rivolgendosi al capitano:
- Come avevamo stabilito, tu andrai da Reafly, tu Murtagh da Jill, io,
invece,
mi occuperò di liberare Eragon e recuperare le uova ma tutti
e tre dovremmo fare
a meno di Saphira e Castigo per raggiungere la spiaggia o attireremmo
troppo
l’attenzione. –
Xavier
intervenne - Ho dovuto intensificato i turni di guardia per volere di
Isobel ma
stamattina ho fatto in modo che ci fossero dei buchi nel cambio dei
soldati qui,
qui e qui – disse, indicando i punti sulle mura dove
sarebbero potuti passare.
- Ci
rivediamo alla spiaggia. Che la fortuna ci assista – disse
Aglaia guardandolo
uno a uno prima di divedersi.
***
Mancava ancora un’ora al tramonto e nonostante la luce del sole
riuscisse ancora
penetrare all’interno delle finestre Aglaia si
fermò ad accendere la lanterna
che teneva in mano per percorrere l’ultimo tratto di scale
che portava in cima
alla torre. In quell’area l’oscurità
aveva inghiottito tutto intono a lei,
comprese le pietre.
Arrivata
all’ultima rampa delle scale aveva le gambe tese e i nervi a
fior di pelle. I Ra’zac
erano creature notturne che amavano muoversi
nell’oscurità. Aglaia non riuscì
ad avvertire la loro presenza fino a quando non la sorpresero alle
spalle con i
loro sibili; si girò di scatto accorgendosi che
l’avevano stretta ad un angolo.
-Dove crrrrrredi d’andarrrrre?- gli fece una delle due
creature in tono bieco.
Il loro alito pestilenziale arrivò di colpo alle narici di
Aglaia,
immobilizzandola.
Il suo istinto iniziale fu di fuggire e dovette aggrapparsi a tutta la
sua
forza di volontà per rimanere al suo posto. Improvvisamente
si ricordò della
lanterna che aveva in mano, la alzò frapponendola tra lei e
le creature che
sibilarono infastidite indietreggiando di un passo per uscire fuori dal
cono di
luce.
-De..devo – incespicò all’inizio prima
di riacquistare la sua solita sicurezza.
– Devo vedere il prigioniero per ordine della regina, sono la
sua ancella-
Le due creature annusarono l’aria e si scambiarono qualche
verso. Avevano riconosciuto
il suo odore e i due Ra’zac non avevano
motivo di dubitare della sua
parola. L’accompagnarono fino a un’anticamera che
dava su una porta ferro
chiusa.
Una delle due creature estrasse delle chiavi da sotto il mantello e
dopo aver
maneggiato con le serrature sparirono nascondendosi di nuovo nel buio.
Aglaia aprì lentamente la porta ed entrò nella
cella chiudendosela alle spalle.
Nel momento
in cui udì il suono dei chiavistelli Eragon
scattò seduto in posizione
guardinga. Ebbe un leggero sussulto quando i suoi muscoli protestarono
per lo
sforzo ma mantenne lo sguardo fisso sulla porta di ferro. Ebbe un tuffo
al
cuore quando riconobbe Aglaia, l’ancella della regina. La
lotta contro i demoni
della sua mente lo aveva lasciato esausto. Non avrebbe resistito a
lungo se la
ragazza lo avesse attaccato con la magia e adesso più che
mai sentì il peso del
collare.
Aglaia
lasciò
la lanterna alle sue spalle, appesa a un gancio sul muro e si
avvicinò lentamente
al cavaliere.
- Devi alzarti
e venire con me - gli disse fermandosi a un passo da lui osservandolo
per
alcuni istanti: i suoi occhi erano quelli di un animale in trappola,
aveva il respiro
irregolare e il corpo teso era attraversato qua e là da
piccoli tremiti. Con
cautela sganciò una chiave sottile dalla cintura in vita e
colmando la distanza
tra loro avvicinò le mani al collare.
Eragon la
guardò confuso quando fece scattare il meccanismo di
chiusura liberandolo.
-
Che…che cosa
significa…- le chiese rilassando improvvisamente i muscoli e
massaggiandosi con
cautela il collo. La voce gli grattò la gola tanto da fargli
male.
- Sono venuta a liberarti. Murtagh, Jill, Castigo e Saphira ti
aspettano -
Nel sentire
i loro nomi gli occhi Eragon ebbero un guizzo di stupore e si mise in
piedi.
Sentire di nuovo la magia scorrere nelle sue vene gli aveva dato nuova
forza ma
non così tanta. Aglaia non ebbe alcuna difficoltà
a spingerlo indietro per
farlo nuovamente sedere. Con orgoglio si accorse di riuscire a mala
pena a fare
resistenza.
–
Prima devi
mangia qualcosa -
gli disse mettendogli in mano un pezzo di pane con del formaggio.
Aglaia sapeva
che i Ra’zac erano soliti indebolire le
loro vittime privandole di tutto.
Dopo due giorni nelle loro mani doveva essere affamato.
L’odore
fragrante
del pane raggiunse le narici di Eragon che lo addentò con
desiderio ma senza
foga
-
C’è anche
dell’acqua – gli disse porgendogli una borraccia.
Eragon accettò anche quella
di buon grado. Il liquido fresco scese lungo la gola secca alleviando
la sete.
Sotto gli occhi vigili di Aglaia, Eragon finì
l’ultimo boccone di pane poi la
ragazza si affacciò sullo sportellino della porta e
guardò sulla stanza
antistante.
I Ra’zac attendevano da qualche parte
nascosti nell’ombra. Aglaia non
poteva vederli ma sentiva i loro sibili.
- Sono ancora lì fuori vero? - gli fece eco Eragon da dietro
le spalle.
- Sì - fu la risposta secca della ragazza.
- Che hai intenzione di fare? -
- Lo scoprirai presto. Spera solo che il gioco regga ancora –
**
Aglaia
uscì
dalla cella seguita subita da Eragon. Aveva legato i polsi del
cavaliere con l’estremità
di una corda e stingeva l’altra con la mano.
I Ra’zac allargarono i loro mantelli
minacciosi quando videro il
prigioniero fuori dalla stanza.
- Dove Inttttendi porrtarrrlo – le dissero indicando il
prigioniero in maniera
malevole.
- La regina
Isobel
vuole vederlo - mentì Aglaia.
- Non abbiamo avuto nesssun orrrrdine -
- È una questione molto urgente non c’è
stato tempo di avvertire. Potreste far
chiamare qualcuno per accertare le mie parole ma quando questa
confermerà ciò
che ho detto, e lo farà, avremmo solo perso tempo preziose -
Aglaia stava rischiato tutto. I
Ra’zac
fecero un attimo di silenzio. Passarono due interminabili attimi, in
cui Eragon
tenne la testa bassa trattenendo il respiro.
Poi le due creature si fecero da parte, facendoli passare. La minaccia
aveva
sortito il suo effetto e i due scesero dalla torre indisturbati.
***
Era
già da
ore che Reafly si teneva pronto per partire con lo zaino poggiato su un
lato del
letto. Negli ultimi due giorni aveva messo da parte tutto quello che
pensava potesse
servire ma, al momento di infilarle nella sacca, aveva scartato quasi
tutto
portandosi dietro solo una porzione di gallette, la sua fionda e una
coperta.
Reafly scese i gradini delle scale a due a due per dirigersi in cucina.
Il
ragazzo lanciò uno sguardo verso la madre e la sorella
intente a impastare il
pane per il giorno dopo.
- Reafly che
fai ancora sveglio, non riesci a dormire? – gli disse la
madre scorgendolo
dalla porta
- È
tutto
giorno che traffica nella sua camera – lo colse sul vivo
Rebekha a cui non erano
sfuggiti i suoi movimenti.
- Tu non ti
impiccare Bekh! – rispose lui lanciandole uno sguardo
furioso. La sorella
sollevò le spalle – La prossima volta impara ad
essere più silenzioso! -
- La
prossima volta… - iniziò a dire il ragazzo ma non
riuscì a finire la frase
perché la madre li rimproverò - Voi due
smettetela subito di litigate – Reafly chiuse
la bocca cacciando indietro il suo commento e guardò
contrito la madre. Non
voleva che i suoi ultimi ricordi con loro fossero legati a un bisticcio
e
abbassando il volto disse.
-Scusami
mamma, e scusa anche a te Bekh -
La donna si
era passata la mano sulla guancia e l’aveva imbiancata con un
po’ di farina. Reafly
si ritrovò a sorridere. L’aveva vista tante volte
compiere quel gesto e cercò
di imprimerli il più forte possibile
quell’immagine nella sua mente.
Era tutto il
giorno che ci pensava, da quando aveva memoria si divertiva a
sgattaiolava
fuori dalla finestra ogni volta che voleva. Era diventato il suo modo
di
evadere da una realtà che gli stava troppo stretta ma alla
fine, per quando
andasse lontano, era sempre tornato a casa.
Ora che
sapeva che il distacco sarebbe durato più a lungo il ragazzo
si rese conto che passare
il confine, quella sera, non sarebbe stato facile.
La madre aggrottò le sopracciglia.
- Non è meglio adesso? Dai ora vieni qui a prendere un
morso. Anche tu Rebecka –
gli disse porgendo a ciascun figlio un pezzo di pasta. Reafly se la
mise in
bocca. Quel sapore era il più buono che avesse mai gustato,
pensò il ragazzo
mentre inghiottita il boccone. In quel momento bussarono alla porta. La
madre
guardò i figli.
- Chi può essere a quest’ora? Rebecca puoi andare
tu? – la ragazza annuì,
ancora con la bocca piena e andò di corsa alla porta
- È
il
Capitano mamma! – gridò la ragazza poco dopo
dall’ingresso.
Reafly vide la
madre pulirsi le mani in fretta per poi guardarlo attentamente
- Se ti
conosco bene Reafly Coleman, tu sapevi del suo arrivo. -
Reafly alzò le spalle e strinse le dita dietro la schiena
mentre Xavier entrava
nella stanza seguito dalla sorella.
- Mi
dispiace disturbare a quest’ora tarda, vedo che Reafly ancora
non te ne ha
parlato – disse il capitano sentendo gli occhi della donna e
di Rebekha su di
lui.
-
…Io… non
volevano preoccuparti fino a quando non fossi stato sicuro –
si giustificò
Reafly rivolgendosi alla madre.
- Di cosa si
tratta? – chiese la donna guardano invece il capitano.
Xavier prese
allora la parola. – Alla fine ho ottenuto quel permesso
Serena. La regina ha
acconsentito a Reafly di passare una notte in caserma per mostrargli
dove
alloggiava Phill… –
- Se
riguarda nostro padre voglio esserci anche io –
protestò subito Rebekha
sentendo il suo nome.
- È
una cosa
solo tra me e il capitano – rispose Reafly con prontezza.
Serena
guardò i suoi figli in successione, erano entrambi
così orgogliosi e testardi; quella
loro indole non faceva che alimentava la competizione tra loro.
Rebekha, era abbastanza
grande da serbare dei ricordi del padre, Reafly no e questo fatto era
spesso
motivo di lite tra fratelli. Proprio per questo motivo, tempo fa, aveva
chiesto
al capitano di fargli visitare i luoghi dove aveva vissuto,
così da farlo
sentire vicino a lui ma fino ad ora Xavier aveva sempre detto che non
era
possibile.
- Rebekha
lascia spazio a tuo fratello. Vedrai che verrà anche il tuo
momento. Non è vero
Capitano? - l’uomo annui poi disse
- Certo ma
Reafly
non ha ancora ricevuto il tuo consenso. Serena mi permetti di portarlo
con me?
-
- Ti prego
mamma posso? –
Da quando
Reafly aveva smesso di parlare di draghi e cavalieri Serena era
diventata meno
apprensiva nei suoi confronti ma non così tanto da abbassare
del tutto la
guardia. Sospirò, qualcosa non le
tornava ma la presenza del capitano la
tranquillizzò.
- Va bene
puoi andare – disse infine sciogliendo i suoi timori.
- Grazie! - Reafly corse ad abbracciarla.
- Calma, non ce n’è bisogno, così mi
stritoli! - gli
rispose ridendo.
- Così va meglio - disse infine mentre Reafly allentava la
presa. Il ragazzo
nascose, per un attimo il viso sul suo petto. La madre allora lo
allontanò un
poco da sé, prendendolo per le spalle per poterlo guardare
in viso e gli
sorrise.
- Dai ora vai a prendere il tuo zaino, sappiamo già che lo
hai pronto da
stamattina, vero Bekha? –
Il ragazzo annuì arrossendo quindi si diresse a grandi passi
verso la sua
stanza seguito dalla sorella.
Prima di
prendere il suo zaino da viaggio, Reafly diede un ultimo sguardo alla
stanza. Probabilmente
non l’avrebbe vista per molto tempo e si prese tutto il tempo
necessario per
posare il suo sguardo su ogni singolo oggetto, ognuno legato ad un
momento particolare
della sua infanzia.
Rebekha lo
sorprese da dietro dandogli un forte abbraccio. – Lo sapevo
che stavi
nascondendo qualcosa. Sono invidiosa ma…diverti e raccontami
tutto quando torni
- gli disse
confessando i suoi
sentimenti. Reafly annuì.
Al piano di
sotto Xavier era rimasto in compagnia di Serena.
- Grazie per
aver accetto. So che sei preoccupata per lui ma sappi che gli
starò sempre
accanto - Xavier le aveva parlato con il cuore in mano. Non avrebbe mai
voluto
mentirle in quella maniera ma meno la donna era a conoscenza dei loro
movimenti,
meno opportunità avrebbero avuto di manovrarla.
- So che lo
farai capitano –
Reafly e
Rebekha scesero in quel momento mano nella mano
- Sono
pronto - disse Reafly, quindi abbracciò un’ultima
volta a madre ed uscì dietro
a Xavier senza guardarsi indietro.
Una volta in
strada il capitano si girò verso di lui – Da
adesso fino a quando non saremo
fuori dalle mura la velocità e il silenzio sono fondamentali
– Reafly annuì con
sguardo deciso. Xavier gli sorrise, addolcendo appena i lineamenti duri
del suo
volto, quindi alzò il cappuccio della sua mantella sulla
testa e guidò Reafly
verso la periferia della città. Il ragazzo gli stette dietro
senza dire nulla,
come gli era stato detto, anche se Xavier poteva sentirlo fremere di
impazienza
ad ogni passo.
- Non attendiamo
più i cavalieri? – chiese infine quando ormai
fuori dalla città si rese conto
che si stavano allontanavano da soli.
- Ci
incontreremo con loro alla spiaggia -
***
- Quindi
è
vero che stai per partire? – chiese Jill aggrappandosi al
braccio di Murtagh mentre
camminavano in direzione delle sue stanze. Le notizie, pensò
Murtagh,
viaggiavano veloci nella cittadella.
- Sì
è così,
ma adesso non pensarci - le disse passando oltre la porta della sua
camera ed
entrando nella stanza accanto. Al suo interno una cameriera stava
finendo di sistemare
dei fiori su una tavola imbandita. Murtagh aveva chieste ad Isobel di
passare
una serata solo con Jill. Lei era stata più che contenta di
concedergli quel
momento. Come aveva previsto Aglaia era sicura di tenerlo in pugno.
- Ti piace?
– le chiese da dietro, facendole scivolare lo scialle sulle
braccia e accarezzandole
con delicatezza la pelle nude.
- Molto, ma
perché
hai fatto preparare tutto questo? –
Murtagh le
sorride. - Ho pensato che da quando siamo qui che non abbiano passato
un vero
momento solo per noi. – gli occhi di Jill si illuminarono di
gioia e le sue
guance arrossirono. Nel guardarla Murtagh riuscì solo a
pensare a quanto fosse
bella.
- Credevo
non me lo avresti mai chiesto. Che mi odiassi perché sono
accanto a Isobel e
non a tuo fratell…-
-
Shhh… ora
non ne parliamo – Murtagh le sigillò delicatamente
le labbra con un bacio. Jill
aveva chiuso gli occhi e Murtagh la strinse a sé sentendola
tremare sotto le
sue braccia. Rimasero così per un po’ e quando
Murtagh sciolse l’abbraccio Jill
non aggiunse altro. Nel frattempo la cameriera era uscita dalla camera
e li
aveva lasciati soli.
- Adesso
accomodati
– le disse Murtagh prendendo una sedia e porgendola alla
ragazza. Jill accettò
di buon grado e rimase a guardare Murtagh affascinata mentre le serviva
il
piatto e versava del vino in due calici. Senza farsi notare il ragazzo
vi
introdusse rapidamente il sonnifero e glielo porse – Ho fatto
preparare il tuo
piatto preferito le focacce farcite – le disse sedendosi
anche lui in tavolo e
prendendo l’altro calice di vino.
Jill prese
il vino e lo portò alle labbra e iniziò a
mangiare con gusto tutto quello che
le offriva Murtagh. Senza nessun preavviso la ragazza perse
l’equilibrio e cadde
con il busto in avanti. Murtagh non l’aveva persa di vista
nemmeno un momento, le
sollevò il volto dal mento e la sorresse per le braccia -
Cosa mi succede? – gli
chiese lei guardandolo spaesata. Murtagh cercò di
tranquillizzarla. - Non
temere ci sono qui io – le disse con dolcezza. Poi la ragazza
perse del tutto i
sensi e si accasciò.
* * *
Eragon
respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera e
poggiò la schiena contro una
parete in attesa del ritorno di Aglaia. Usciti dalla torre lo aveva
condotto
ancora per una serie di corridoi e passaggi, cambiando spesso direzione
per
evitare di imbattersi in qualche cortigiano o peggio ancora in una
guardia.
Erano usciti dalle mura della cittadella e avevano superato appena due
isolati
quando lei lo sospinse sotto gli archi di un porticato - Devo
ancora fare
una cosa, aspettami qui – gli disse senza
aggiungere altro.
Il miagolio di
un gatto ruppe il silenzio della notte attirando l’attenzione
di Eragon. L’animale
era piombato nella piazzola accostandosi alle colonne e girandole
intorno
intorcinando la coda. L’improvviso scalpitio di zoccoli
disturbò l’animale che fuggì
via. Sentendo che si avvicinava nella sua direzione Eragon si
ritirò in fretta dietro
una delle colonne e si nascose nell’ombra.
Una figura con
un mantello appartenente alle guardie reali emerse dalle vie laterali.
Eragon
trattenne il respiro seguendo i suoi movimenti, pronto a combattere se
necessario. Trasse un sospiro di sollievo quado riconobbe Aglaia.
– Sono
qui –
le disse uscendo da dietro una colonna. Lei si girò e gli
venne incontro. – Una
guardia mi doveva un favore - disse porgendogli un secondo mantello.
Eragon lo indossò
subito. Solo allora notò il telo avvolto intorno alle spalle
e al busto di
Aglaia da cui si intravedevano delle sporgenze tondeggiati.
– Sono
quello che penso? -
Aglaia
annuì
– purtroppo sono stata trattenuta – disse tradendo
una certa tensione nella
voce.
–
Quando Isobel
verrà informata che non sei più nella tua cella
partirà l’allarme. Dobbiamo
esser fuori dalle mura prima di allora o sarà molto
difficile fuggire – gli
disse passandogli le redini di uno dei due cavalli e salendo in sella
all’altro.
– Se
non
impossibile – sussurrò cupo Eragon. I cavalli
scalcinarono innervositi. I loro
nitriti riecheggiarono nel portico allarmando Aglaia che,
evidentemente, non
voleva attirare troppo l’attenzione.
Eragon posò una mano sul collo del cavallo che reggeva. -
Questi animali sono
abituati con la minaccia del frustino – aggiunse ricordando
come erano stati
trattati da Isobel e Oliviana. – Se vogliamo essere
silenziosi e veloci
dobbiamo fargli comprendere le nostre necessità ma
soprattutto che non gli faremo
del male. – disse passando una mano sul collo.
- Come intendi
farlo? – gli domandò lei scettica. Eragon non si
scompose, semplicemente chiuse
gli occhi e pronunciò alcune parole nell’antica
lingua. Sussultò quando la
magia pretese il suo prezzo attingendo alle esigue energie che gli
rimanevano. In
risposta due destrieri mossero la testa in su e giù, smisero
di nitrire e
pestarono gli zoccoli a terra silenziosamente. Per Eragon ne era valsa
la pena.
Aglaia aveva riconosciuto la radice delle parole che aveva usato ma non
la loro
declinazione – Una volta che saremo al sicuro dovrai
insegnarmelo – gli disse rivolgendogli
uno sguardo di ammirazione.
In sella ai
due destrieri Aglaia e Eragon raggiunsero una delle porte indicate da
Xavier.
Come previsto dal capitano nessuno era di guardia a fermarli. Aglaia
attivò il
meccanismo di apertura della porta con la magia e la lasciò
chiudersi alle loro
spalle
Solo fuori
dalle mura della città spronarono i cavalli al galoppo
lasciandosi velocemente
Abalon alle spalle.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** La fuga (seconda parte) ***
Castigo e
Saphira
furono i primi a raggiungere la spiaggia. I due draghi avevano
aspettato il
crepuscolo per innalzarsi dalle rocce e lasciare lo sperone roccioso.
Liberi da
qualsiasi vincolo poterono volare e cacciare allo stesso tempo. Un
gruppo di
cervi che si stava muovendo nella notte si trovò sul loro
percorso. Ne afferrarono
due a testa con le loro fauci e artigli e ne fecero la loro cena.
Castigo insistette perché Saphira si fermasse a spolpare gli
ultimi brandelli
di carne prima di ripartire per permetterle di riprendere le forze
perdute
durante la cattività.
Fu lui che
per primo vide due cavalli avvicinarsi in lontananza.
Xavier e
Reafly raggiunsero i draghi al galoppo fin sotto la spiaggio poi Xavier
scese
di sella seguito a ruota dal ragazzo.
- Credo
proprio che siamo i primi – disse avvicinandosi ai draghi con
referenza. Era la
prima volta che si trovavano in loro presenza senza i cavalieri. Al
contrario.
Reafly sembrava completamente a suo agio e prima che avesse la
possibilità di fermarlo
era già sotto di loro ammirando le due possenti creature dal
basso in alto.
Xavier trattenne
il respiro nel vedere il muso di Saphira avvicinarsi alla testa del
ragazzo. La
dragonessa arricciò le sue labbra ed emise un leggerissimo
sbuffo che gli
scompigliò i capelli. Reafly rise di gusto riportando
indietro i ciuffi
scomposti.
–
Anche per
me è bello rivederti, Saphira – disse e a Xavier
scappò un sorriso. In quel
momento due voci provenienti da un punto lontano lo raggiunsero:
Grazie
per quello che hai fatto per i nostri compagni di anima e cuore Riecheggiarono
le voci dei due
draghi.
Gli occhi
dell’uomo
scintillarono per lo stupore.
- Dovere
– rispose
semplicemente.
- Quando
arriveranno gli altri? – gli domandò Reafly poco
dopo. Xavier guardò la strada
da cui erano arrivati – Dobbiamo avere pazienza Reafly,
L’unica cosa che
possiamo fare adesso è aspettare e controllare che nessuno
li stia seguendo – l’uomo
aveva studiato le carte di quella costa e sapeva benissimo dove andare
- Vieni
con me – disse e sotto lo sguardo vigile dei due draghi si
avvicinò alla
scogliera alle loro spalle che dal mare si innalzavano per una certa
altezza. Xavier
mise un piede su una pietra e usando le mani per poggiarsi
iniziò a salire
- Sorveglieremo
la strada dall’alto? - chiese Reafly seguendolo da dietro.
- È
il punto
ideale per avvistare chiunque si avvicini. – disse il
capitano mentre
raggiungeva la cima. Sopra si estendeva un picco pianoro ricoperto da
arbusti
dal tronco basso e tozzo.
Il capitano
venne raggiunto ancora una volta dalla voce di Saphira
Più
avanti Capitano gli
suggerì la sua voce. Xavier vide l’ombra della
dragonessa passargli bassa sopra
la testa per planare su una sporgenza rocciosa
Xavier
corrugò
la fronte e avanzò come gli era stato suggerito. Nascosta
dalla vegetazione
c’era una grotta. L’uomo vi si affacciò
e vide che era abbastanza ampia da
poterli ospitare tutti e cinque.
E’
visibile
solo dall’alto aggiunse
Saphira rispondendo alla sua domanda inespressa.
- Questo ci
darà modo di riposare con più
tranquillità – disse rivolgendo il suo sguardo a
Reafly
che lo aveva raggiunto in quel momento.
- Puoi
occuparti della cena ? –
- Sì
signore!
– rispose subito il ragazzo contento finalmente di essere
utile e senza esitare
si mise all’opera.
***
La luna si
era alzata dalla linea dell’orizzonte quando il cavallo di
Murtagh raggiunse
anche lui il rifugio. Xavier sentì l’ombra di
Castigo passargli sopra mentre
avanzava sulla spiaggia; il drago si mantenne a mezz’aria e
lo vide prendere
tra i suoi artigli il corpo ancora addormentato di Jill per portarlo
sul
promontorio.
–
Castigo mi
sta dicendo che avete trovato un rifugio per passare la notte
– gli disse
mentre andava ad impastoiare il proprio cavallo accanto agli altri.
- Sì,
proprio sul promontorio sopra di noi. –
- Aglaia ed
Eragon, non sono ancora arrivati – aggiunse. A quelle parole
Murtagh chinò appena
la testa in avanti e chiuse gli occhi.
***
Eragon
percepì
la presenza di qualcuno nella sua mente. Cercò
freneticamente di alzare le sue
difese ma si mosse troppo tardi. La stanchezza e il trambusto dovuto
alla fuga
gli aveva fatto abbassare la guardia abbandonando ogni cautela.
Eragon
sono io, Murtagh. Dove sei?
Nell’udire
la voce familiare del fratello si rilassò. Davanti a lui
poteva vedere la linea
del mare dietro a un muro di giunchi.
Stiamo
arrivando. rispose.
Murtagh
aspettò che Aglaia scendesse dalla sella per accostarsi a
lei e Xavier. Eragon
era rimasto volutamente indietro.
–
Andate
pure avanti, noi vi raggiungiamo – disse parlando ad entrambi
ma rivolgendo lo sguardo
verso il fratello.
Fermandosi di
fronte a lui allargò le braccia e lo strinse in un
abbraccio. Dall’altra parte
Eragon rimase per un istante immobile prima abbandonare la tensione
nascondere
il viso contro la sua spalla.
Murtagh lo
sentì crollare sia fisicamente che mentalmente e
lasciò che si appoggiasse a
lui - È tutta colpa mia – si rimproverò
allontanandolo da sé e tenendolo con i
palmi dalle mani sul collo - Mi dispiace. – Eragon che aveva
ripreso la propria
fermezza scosse la testa.
- Non devi
dirlo Murtagh. Abbiamo fatto entrambi degli errori, cerchiamo solo di
non
commetterli di nuovo. – gli disse.
Murtagh
annuì lanciandogli un sorriso beffardo.
- Siamo
diventati più saggi? - chiese facendo sfuggire
all’altro un sorriso.
Eragon, se
non ti decidi a salire tu, sarò io a venirti a prendere Lo raggiunse la
voce ruggente di
Saphira. Sto vendendo rispose il ragazzo.
- Immagino
che qualcuno lì su sia ansiosa di vederti – disse
guardando la sua espressione assente.
Una volta
raggiunta la cima Eragon corse incontro alla dragonessa e sotto gli
occhi di
tutti le accarezzò la punta del muso e
l’avvicinò al suo viso.
Mi sei mancata… gli sussurrò
nella mente.
Anche tu piccolo mio.
Rimasero così per alcuni istanti poi Eragon
salutò anche Castigo e scambiò con
Xavier e Reafly uno sguardo riconoscente. Entrambi erano rimasti in
disparte ad
assistere alla scena. Murtagh, nel frattempo, si era allontanato per
ritornate con
in mano il fodero blu della sua spada.
- Per questa
devi ringraziare Xavier – disse mentre Eragon se
l’allacciava alla cintura. Sentire
di nuovo il peso della lama al suo fianco lo rassicurò.
Quando Murtagh tirò
fuori anche un panno con i due fairth Eragon
riconobbe il loro contenuto
senza la necessità di scoprirli e rivolse al fratello uno
sguardo pieno di
gratitudine. – Tutto il resto è stato trafugate da
Isobel, sono le sole cose
che sono riuscito a recuperare – lo informò
Murtagh. Eragon si limitò ad annuire.
Solo allora si accorse che tra i presenti non c’era Jill.
Ricordò come le fosse
apparsa confusa dopo averla guarita e si girò verso il
fratello in apprensione
- Murtagh, non
ho visto Jill, lei…. – Murtagh non lo
lasciò finire ma gli mise una mano sulla
spalla per interromperlo.
- È
qui
Eragon e sta bene. Isobel ha usato la magia per plagiarla. Sta
riposando adesso,
cosa che dovresti cercare di fare anche tu, ne avrai bisogno, domani
dovremmo
viaggiare tutto il giorno –
Eragon avrebbe
voluto fargli altre domande ma venne trattenuto da Saphira.
Murtagh ha ragione Eragon. Anche io sono
molto confusa ma avremo presto delle risposte.
Gli fece subito la dragonessa avvertendo nel suo compagno
la stessa confusione che provava lei.
**
Eragon
seguì
il consiglio di Murtagh e si adagiò al fianco di Saphira
lasciando che gli
altri si occupassero del resto. Bastò poco perché
iniziassero a rendere
partecipi l’uno all’altro di quello che avevano
vissuto. Il loro pensieri iniziarono
a correre sullo stesso filo fino a quando non si fusero in
un’unica coscienza.
Era passata
la mezzanotte quando finito di consumare un pasto veloce si ritrovarono
tutti seduti
per discutere il passo successivo. Eragon venne finalmente messo al
corrente di
quello che era accaduto durante il tempo che aveva trascorse chiuso
nella torre.
Ascoltò in silenzio il racconto di tutti senza mai lasciare
il contatto mentale
con Saphira. La presenza costante della dragonessa continuava a
sostenerlo, con
lei condivise impressioni e pensieri mentre apprendeva come Isobel
avesse
manovrato tutti secondo i suoi piani. Il suo sguardo si
fermò sorpreso su
Xavier e Aglaia nell’apprendere il ruolo che ognuno di loro
aveva ricoperto nell’aiutarli
a fuggire provando per loro una profonda riconoscenza e ammirazione per
il
coraggio dimostrato. Sentì anche il trasporto particolare di
Saphira verso
Reafly. Dopo la sorpresa iniziale Eragon dovette ammettere che non
accadeva
spesso che la dragonessa provasse una simpatia così
istintiva verso qualcuno. E’
diverso da quello che ho percepito con Eleonor, non so darmi una
spiegazione. Gli aveva
confessato percependo sentimenti
contrastanti da parte di Eragon. Gli umori di uno influenzavano quelle
dell’altra
e viceversa ma quel ragazzo aveva qualcosa di speciale, era evidente,
presto o
tardi avrebbero scoperto il perché.
Alla fine anche
per Eragon arrivò il suo turno di parlare. Il giovane non fu
di molte parole, restio
a rivelare ciò che aveva vissuto a qualcuno che non fosse
Saphira, si limitò a
raccontare loro solo le parti essenziali della sua prigionia.
Mentre
parlava poté sentire lo sguardo di Murtagh su di lui. Sapeva
di stare omettendo
molte cose, quando alla fine si alzò per uscire della grotta
il fratello lo seguì.
Eragon si
fermò a qualche passo dall’uscita.
- Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria fresca
– disse avvertendo la sua
presenza alla spalle. Quando si girò Murtagh lo stava
guardando preoccupato.
- Isobel mi ha
parlato del collare Eragon – disse senza girare troppo
intorno al problema, la
sua voce era velata da una certa trepidazione - non hai detto nulla a
riguardo.
Perché? - Eragon piegò gli angoli della bocca in
una smorfia prima di
rispondere con un’altra domanda.
- Ti è mai capitato di svegliarti nella notte e non riuscire
ad aprire gli
occhi o muoverti? – Murtagh si accigliò, conosceva
quella sensazione ma lasciò che
Eragon proseguisse.
- È
la
stessa sensazione che si prova nel sentire la magia ma non poterla
usare.
Riuscivo a sentirla ai margini della mia coscienza ma ogni volta che
provavo ad
usarla qualcosa si attivava nel collare. Era come se assorbisse la
magia e con
lei anche le mie energie. E c’è
qualcos’altro – Eragon fece una breve pausa
prima di continuare a descrivere al fratello il modo un cui Isobel
aveva usato il
collare per torturarlo. Murtagh rimase in silenzio ad ascoltare fino
alla fine prima
di intervenire anche lui.
- Isobel mi disse che la lega di cui è fatto è
opera degli alchimisti, gli
stessi che hanno creato le armi di cui vi ho parlato –
Eragon
annuì
sommesso - Tra i papiri di Oromis, ricordo aver letto qualcosa a
riguardo. Era
una cronaca risalente molto tempo prima della venuta dei cavalieri e
del patto stretto
con i draghi. Parlava dell’esistenza di una terra dove erano
state sviluppate
delle nuove tecnologie -
- Credo che i nostri due mondi non siano poi tanto lontani tra loro.
Più tempo
passa, più scopriamo di avere molte più cose in
comune – rispose Murtagh
pensando al patto stretto da Isobel con Galbatorix.
Anche i due draghi si unirono presto alla conversazione attraverso il
legame
mentale con i loro cavalieri.
Questi luoghi non ci sono indifferenti. Le
nostre memorie ci dicono che i draghi hanno vissuto per molti eoni in
questi
luoghi. Intervenne Castigo.
La nostra presenza non è stata
dimenticata.
Aggiunse Saphira a conclusione.
Parlarono
ancora un altro po’ poi Eragon iniziò a sentirsi
molto stanco e non riuscì a
trattenere uno sbadiglio. Murtagh se ne accorse e gli mise una mano
sulla
spalla – Credo che sia ora che tu vada a dormire fratello,
starò io di guardia
– gli disse aspettando che rientrasse. Eragon non si oppose e
trovato posto tra
gli altri compagni si addormentò quasi subito.
***
l mattino
seguente la città di Abalon fu svegliata dal suono di tromba
dalla torre della
prigione che dava l’allarme.
La regina era stata subito messa al corrente della fuga di Eragon in
successione scoprì l’assenza di Murtagh, Jill,
Aglaia e Xavier.
Oliviana venne chiamata subito della regina nelle sue stanze private.
Il tradimento
di due persone della sua cerchia più stratta
l’aveva colpita nell’orgoglio e
non ne avrebbe tollerato altri.
- Trovali e portami i fuggitivi indietro -
- Sì, mia signora - rispose Oliviana mentre un sorriso
maligno si dipingeva sul
volto.
Isobel voleva vendetta, entro quella notte gli avrebbe ripresi tutti.
Avevano
osato sottrargli le uova di drago, la sua eredità, la sua
speranza per la
vittoria e il suo dominio.
I suoi cupi pensieri furono arrestati dall’arrivo di una
guardia.
- Mia signora, la madre e la piccola non ci sono più. Sono
sparite -
- Come sparite? – rispose digrignando i denti –
Cercatele, le persone non
spariscono, si nascondono. Va e non tornare senza avere in mano qualche
cosa! -
***
Ignari della caccia messa in moto da Isobel il piccolo gruppo si
svegliò di
buonora e si preparò per mettersi in viaggio diretti verso
le coste settentrionali.
Anche Jill
si era svegliata e i suoi occhi blu cobalto brillarono nel cercare
Murtagh.
Accanto a lei Aglaia le sorrise.
- Lontano
dal palazzo l’influenza di Isobel si è dissolta
– disse lei semplicemente, quasi
sorpresa della semplicità con cui si era liberata. Murtagh
le andò subito
accanto e preso il mento tra il pollice e l’indice le fece
alzare il volto.
- Ho temuto
di non riaverti mai più – Jill annuì
cosciente per la prima volta delle manovre
di Isobel.
- E’
stato
come vivere un’altra vita. Ricordo esattamente quello che ho
fatto e detto ma
era come se a farlo fosse qualcun’altro –
- Lo so
– le
rispose prima di darle un bacio sulla guancia.
- Devo
parlare con tuo fratello – gli disse.
Jill
lasciò
Murtagh e si avvicinò quindi a Eragon che in quel momento
stava riponendo la
coperta dentro una sacca. La ragazza lo aiutò a chiudere le
cinghie quindi
prese coraggio e parlò per prima.
–
Grazie mi
hai riportato indietro quando avevo perso ogni speranza. Isobel ti ha
incolpato
di tutto ma è stata lei a farmi questo. Mi dispiace per
quello che hai dovuto
passare – disse abbracciando il ragazzo con affetto.
Eragon
ricambiò il gesto e le sorrise – E’
tutto passato Jill –
- Dobbiamo
andare adesso – li richiamò Xavier. Il capitano
aiutato da Reafly aveva già
raccolto ogni cosa e ripulito il campo dalle loro tracce.
In poche ore
si lasciarono alle spalle il fiume Striamone mentre davanti a loro si
ergevano
le impervie vette del Gran Massiccio.
Avrebbero raggiunto la baia entro sera, li aveva assicurati il capitano
ed Aglaia.
I due draghi volarono bassi accanto al gruppo che avanzava compatto tra
le
insenature della roccia; Reafly dovette viaggiare su Saphira ogni qual
volta
che il terreno diventava troppo ripido per le sue forze e a
metà giornata tutti
si fermarono esausti e provati dal ritmo serrato di quella marcia.
**
Oliviana si
trovava ancora vicino al fiume. Le orme dei fuggiaschi appena visibili
sul
terreno. Sapeva che da sola non sarebbe riuscita a tenere testa ai due
draghi e
i loro cavalieri ma poteva fare in modo di rallentare la loro marcia e
permettere ai soldati, che sicuramente Isobel le avrebbe mandato, di
raggiungerli con facilità.
Si concentrò, e trasmise le informazioni alla regina.
**
Contrariamente
quanto credeva Oliviana, Isobel non aveva intenzione di mandare i
propri
soldati.
Il capitano Xavier era tra loro, e la fame dell’uomo trai i
suoi uomini poteva
far sorgere dubbi e timori nell’animi dei militari.
Chiamò invece a sé i Ra’zac.
- Vi siete lasciati scappare il Cavaliere da sotto il naso una volta.
Vi do un’altra
opportunità per rimediare al vostro errore. -
I Ra’zac, chinarono la testa in segno di
gratitudine. Sapevano già cosa
dovevano fare. E la regina si limitò a guardarli uno per uno
poi annuì:
- Trovate Oliviana, lei vi dirà dove trovarli. Potete
cibarvi degli altri
traditori, ma portatemi vivi i Cavalieri, voglio vederli strisciare
davanti ai
miei piedi -
I due Ra’zac sibilarono di piacere,
presto avrebbero saziato la loro
fame.
***
Nell’isola
di Artara i preparativi per la missione erano giunti a termini. Quella
mattina
con l’alta marea avrebbero preso il largo e raggiunto le
coste di Zàkhara.
Una ventina di mariani scelti tra i migliori erano stati chiamati a
formare
l’equipaggio guidati dal capitano Daco e nella
città non si parlava d’altro che
della missione.
Nessuno dei suoi abitanti avevano visto un drago e ora la
possibilità di
vederne due era qualcosa che andava ben oltre la loro immaginazione.
Arya aveva passato una tutta la notte in agitazione, le sue paure
avevano preso
forma nella sua mente non permettendole di riposare. Ma quella mattina
il sole
sembrò aver spazzato via tutta l’angoscia e
l’inquietudine di quella notte.
Una volta uscita dalla sua stanza, Arya chiese immediata udienza al re
che
l’accolse nella sala da pranzo.
La tavola era stata apparecchiata con una modesta colazione, e il re
invitò
Arya a unirsi a lui per mangiare.
L’elfa accettò.
- Di cosa mi volevi parlare Arya svit-kona -
- Maestà, vi ho già parlato della mia intenzione
di partire per la missione su Zàkhara
-
Arold rimase un attimo interdetto da quella frase e guardò
Arya come se la
vedesse per la prima volta.
Il re si rese conto di avere davanti a lui non una giovane e ingenua
ragazza ma
una principessa avvezza al comando che non avrebbe di certo accettato
un no
come risposta.
- Credo sia inutile dirvi di no – le disse non senza mostrare
il suo disappunto.
- Ma ribadisco il mio disaccordo con la vostra scelta -
- Mi spiace Maestà ma non posso stare in disparte quando
sono in pericolo le
persone che amo e ritornerò qui per finire ciò
che ho iniziato con i vostri
maghi. Al nostro ritorno, con me, ci saranno anche i due Cavalieri e,
con il
loro aiuto, la loro preparazione sarà completa –
- Lo spero con
tutto me stesso Arya –
In quel momento nella sala entrò uno dei maggiordomi.
L’uomo si avvicinò al re
e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio. Arold
abbassò gli occhi come a celare i
suoi pensieri e asciugandosi la bocca con un tovagliolo si
alzò garbatamente
dal tavolo.
- Mi deve perdonare Arya, ma il dovere mi chiama.
Disporrò che sulla nave sia preparata una cabina. -
- Non ce ne è sarà bisogno Maestà. Non
voglio privilegi ma ti ringrazio. -
- Come vuoi - gli disse il re con un sorriso allontanandosi poi con il
maggiordomo.
**
Il porto era
gremito di gente che voleva assistere alla partenza della nave.
Arya si fece largo tra la folla. Le persone che la riconosceva si
scansava per
lasciarla passare ma più si avvicinava ai moli e
più era difficile districarsi
tra il marasma di gente. A
un certo
punto fermò un giovane marinaio.
- Scusa dove posso trovare il capitano Daco? -
Il ragazzo si guardò intorno, e rivolgendosi di nuovo
all’elfa, gli disse
- Credo si trovi… - ma si bloccò di colpo
riconoscendo chi aveva di fronte. Arya
lo fissò con i suoi penetranti occhi verdi in attesa.
- La porterò io dal capitano. Mi segua Arya svit-kona
- Il ragazzo stava
trasportando in mano una grossa fune, così la
posò a terra e fece cenno ad Arya
di seguirlo.
- Quale è il tuo nome? – gli fece lei
camminandogli accanto.
- Mi chiamo Daniel – rispose il giovane prontamente.
- Fai parte anche tu dell’equipaggio della nave Daniel?
– gli chiese Arya.
- O no signora! Io sono qui solo per come mezzo mozzo -
- Ma conosci il capitano? -
- Vuoi dire se conosco il capitano Daco. Chi è che non lo
conosce! – Arya sorrise
di fronte al suo entusiasmo e seguì il ragazzo senza
commentare. Daniel salì
sul ponte della nave, seguito a ruota da Arya. Si diresse deciso verso
una
porta che dava a una cabina. Bussò forte. Ad aprirgli fu un
uomo, alto, i
capelli che gli cadevano sulle spalle in folti ricci biondi, il viso
beffardo
esibiva un sorriso smaliziato.
- Chi mi cerca? -
- Signore, c’è qui Arya…-
Daco guardò prima Daniel, poi alzando lo sguardo
incrociò quello di Arya.
- Ah, bene… l’elfa d’oltre mare. Entra -
Arya sostenne il suo sguardo. Nessuno gli aveva mai parlato a quel
modo. Per un
istante i suoi occhi verdi lampeggiarono di indignazione e colpirono il
capitano dritto al cuore.
Arya decise in ogni modo di mantenere un contegno neutrale, non poteva
pretendere che tutti conoscessero le loro usanze.
- Capitano sono venuta qui per chiedere il permesso di salire a bordo e
unirmi
a voi -
Daco annuì divertito mentre i suoi occhi la squadravano a
testarne la forza e
la determinazione poi le sorrise beffardo e con un gesto un
po’ goffo fece un inchino.
- Ai suoi
servigi mia signora - Non ricevendo alcuna risposta da parte sua si
tirò su
rapido, e tornato di nuovo serio gli rispose
- Stavo attendendo solo te per partire. Con il tuo permesso, possiamo
toglier
gli ormeggi. -
Daco uscì quindi sul ponte, quell’elfa aveva
davvero un bel caratterino ma le
sfide lo divertiva e non sarebbe stato certo lui a tirarsi indietro.
Una strana luce brillava nei suoi occhi, e il capitano ne era
già ammaliato.
**
La nave
prese così il largo e prossimi alla costa la
seguì per un breve tratto per poi
deviare e dirigersi verso una piccola baia poco più a nord.
La baia era nascosta dagli scogli che si ergevano alti dalla costa e la
rendevano
un ottimo nascondiglio.
Daco ordinò di gettare l’ancora, poi due scialuppe
furono fatte calere in mare
con metà della ciurma sopra. Anche Arya scese con loro.
Daco si trovò ad osservarla dal retro della barca mentre
remava con energia.
- Aglaia, la nostra informatrice, sarà già in
viaggio con i tuoi compagni. Se
tutto andrà bene, domani, prima dello zenit, staremo in
viaggio verso casa -
Arya era tutta volta verso la riva, e ora guardava l’alto
promontorio, mentre
una leggera brezza marina gli sferzava i capelli corvini in tutte le
direzioni.
Ascoltò le parole del capitano senza proferire parola. Lo
sperava nel profondo
del suo cuore.
**
Il sole aveva ormai quasi compiuto il suo declino, quando giunsero
finalmente
alla spiaggia, e i marinai scesi dalle scialuppe si apprestarono subito
a
preparare il campo dove avrebbero passato la notte e organizzarono i
turni di
guardia.
Daco andò accanto ad Arya, l’elfa stava seduta sul
suo giaciglio, assorta nei
suoi pensieri. Lui trovò che era bellissima, ma lo sguardo
severo nascondeva
pensieri a lui ignoti. Lei si accorse della sua presenza e lo
guardò dal basso.
- Non
riposate capitano, è stata una lunga giornata, e domani non
sarà da meno. -
- Potrei dire la stessa cosa di te - gli rispose con il suo solito
sorriso
beffardo.
Arya non aveva energie per rispondere e in silenzio accettò
l’osservazione.
Daco allora capì che non avrebbe ottenuto nulla da lei
quella sera e così si
allontanò con un strano trambusto nel cuore. Era geloso di
chiunque stesse
pensando l’elfa perché aveva
l’attenzione di quella donna eccezionale.
Arya lo
osservò mentre andava a sedersi dall’altra parte
del campo. Aveva percepito i
suoi pensieri ma il suo cuore era tutto volto ad Eragon. E con la
promessa di
poterlo riabbracciare presto si abbandonò ad una leggera
veglia.
***
Ad un centinaio di iarde dalla costa dove Arya e Daco erano sbarcati,
Eragon e Murtagh
insieme ai loro nuovi compagni erano ormai certi che sarebbe bastato
girare
l’ultimo sperone roccioso per riuscire ad intravedere la
costa e, confortati da
questo pensiero, marciarono con più decisione.
Oliviana
poco lontano li stava osservando, e celata dalle ombre della notte
ritornò indietro
dai Ra’zac, per informarli che i
fuggiaschi erano a portata di mano
Al sicario non piacevano quei mostri, ed era addolorata che la sua
regina si
facesse servire proprio da loro quando poteva avere solo i suoi
servigi. Ma gli
ordini erano ordini, e Oliviana si apprestò a passare le
informazioni alle due
creature che con una gioia tutta loro si prepararono ad assalire il
piccolo
gruppo, ignaro del pericolo.
Ma la loro sicurezza li tradì, Murtagh dalle retroguardie
percepì un fruscio
veloce da dietro la vegetazione che gli fece aguzzare la vista.
Avvertì Castigo
che allarmato gli confermò i suoi sospetti:
I Ra’zac erano alle loro spalle.
Si portò rapido in testa alla fila, dove c’erano
Aglaia ed Eragon, ma fece
appena in tempo ad avvertirli del pericolo che il loro
l’attacco ebbe inizio.
Un ringhio rauco provenne dalle fauci di Castigo e Saphira.
Poi fu un attimo, e i due draghi presero sui loro dorsi Jill, Aglaia e
Reafly e
si diressero rapidi verso la baia. Si alzarono alti in cielo, senza
più
preoccuparsi di essere scoperti e lasciando Murtagh, Eragon e Xavier ad
affrontare i due mostri.
Torneremo il più presto possibile, resistete.
Gli dissero i due draghi
al loro Cavalieri.
I Ra’zac sibilarono d’odio
vedendo i due draghi allontanarsi, ma
Oliviana passò loro accanto e scattò rapida verso
quella direzione.
Giunta al limite della sporgenza, il sicario si trovò
davanti qualcosa che non
si era aspettata. Una nave era ormeggiata a poche leghe di distanza
dalla
costa, e sulla spiaggia un manipolo d’uomini era accampato.
Imprecò contro la
sua ingenuità, si sarebbe dovuta aspettare
l’appoggio degli elfi, e ormai
impotente vide i draghi dirigersi verso quella direzione.
**
Quello che
intravidero i marinai furono due grandi creature venire verso di loro.
Arya si levò dal suo giaciglio, e con un sorriso disse ad
alta voce.
- Sono loro… -
I due draghi planarono loro davanti, e con un ruggito Saphira gli disse
solo:
Dobbiamo ritornare indietro, i Ra’zac ci hanno
attaccato.
La gioia appena provata si trasformò subito in
preoccupazione, ed Arya fece per
salire sul suo dorso. Voleva solo raggiungere Eragon ma venne fermata
dalla mano
di Aglaia che la fece voltare:
- Lasciali andare da soli. Noi dobbiamo occuparci di loro. -
Aglaia le indicò Jill e Reafly che erano ora scesi dai
draghi.
Arya pose la sua attenzione sul ragazzo che Jill teneva per le spalle e
che
aveva in grembo un panno contenente qualcosa di molto pesante. Erano le
preziose uova di drago. Arya allora annuì in silenzio.
State attenti disse solo in un sussurro alla
dragonessa prima che spiccassero
di nuovo il volo.
- Che succede, dove vanno i due draghi! - esclamò Daco, che
non avendo sentito
cosa si erano detti guardava ora le due donne senza capire.
- Ci hanno attaccati i Cavalieri e il capitano della guardia reale,
Xavier,
sono rimasti ad affrontarli per permetterci di fuggire - gli disse Aglaia, che ora si
era avvicinata a Daco.
- Dobbiamo riprendere al più presto il largo con la vostra
nave. -
Daco seppe allora cosa fare, e radunati i suoi uomini ordinò
la ritirata.
**
Con pochi e potenti battiti d’ali i Draghi si ritrovarono
presto al di sopra
del promontorio. Presero quota per poi eseguire un’impennata,
ridiscendere
all’interno di una radura.
Individuarono subito i tre compagni e le due figure incappucciate con
cui si
stavano battendosi.
I Ra’zac si erano divisi, e stavano
mettendo in serie difficoltà i due
cavalieri mentre Xavier si trovava a terra, stordito.
I due mostri si muovevano rapidi nell’oscurità a
loro congeniale e avevano
tutta l’intenzione di mantenere quel vantaggio su di loro.
Ma quando si videro piombare addosso i due draghi, indietreggiarono in
un
sibilo e rapidi si dileguarono nelle tenebre celandosi dietro la
vegetazione.
Eragon corse subito incontro a Xavier, seguito da Murtagh.
Il capitano aveva un profondo taglio lungo il sopracciglio e non
sembrava avere
altre ferite gravi. –
Ce la faccio a
camminare… - disse loro con un certo orgoglio nella voce.
– ma dobbiamo
muoverci… loro sono ancora qui … -
- Lo
sappiamo – gli risposero i cavalieri. Lo fecero muovere con
cautela sul dorso
di Saphira ma nel farlo perse i sensi. Quando anche Eragon e Murtagh
furono
saliti i draghi volarono via.
***
Nella
spiaggia, le due barche erano state portate di nuovo in acqua pronte a
riprendere il largo. Ad uno ad uno, salirono tutti sopra le scialuppe;
per
primi furono fatti salire Jill e Reafly, poi fu il turno dei marinai e
di Aglaia,
mancavano solo Daco e Arya, che erano ritornata indietro per recuperare
i remi.
Saphira e Castigo erano appena ritornati sulla spiaggia e avrebbero
seguito in
volo le barche fino alla neve.
Dalla rocce, come emersi da un incubo, sbucarono i terribili Ra-zac
che
con rapidità si avventarono su Arya e Daco ancora a
metà della strada.
Arya sentì il loro fiato raggiungerli minaccioso e si mise a
correre più forte,
anche Daco accelerò la sua andatura ma i remi rallentavano i
loro movimenti e
sarebbero stati di certo raggiunti se un muro d’acqua non si
fosse frapposto
tra loro e quei mostri.
Dalla sella di Saphira Eragon si era reso conto che sarebbe mai
riuscito a
raggiungere Arya in tempo e ricordandosi il terrore dei Ra’zac
per
l’acqua aveva evocato la barriera prelevandola dal mare e
usato l’energia
necessaria per mantenerla, sfruttando quella delle piante che si
trovavano
tutte intorno a lui.
Ad ogni tentativo dei Ra’zac di avanzava
il muro d’acqua veniva mosso prontamente
da Eragon che gli impediva ogni movimento.
Daco e Arya erano riusciti ormai a mettere una buona distanza dai due
mostri,
quando qualcosa interferì con la magia che manteneva alto il
muro. Eragon
vacillò, colpito da un’entità nascosta.
Gli ci volle tutta la sua forza di
volontà e il sostegno di Saphira per resistere alla potenza
di quell’attacco e
ristabilire il controllo sulla magia ma nel breve momento di
distrazione uno
dei Ra’zac era riuscito a superare la
barriera.
E’ qualcuno, dall’alto della rupe
disse rapido Castigo a Murtagh.
Il ragazzo scorse in alto la figura di Oliviana, e raccolta a
sé la magia,
impegnò il sicario con un potente attacco mentale,
permettendo al fratello di rialzare
il muro sulla creatura. Questa aveva quasi raggiunto Arya.
Arya e Daco percorsero così indisturbati lo spazio che
ancora li separava dalle
barche e immersi i remi in acqua si allontanarono rapidi dalla costa.
Ormai al sicuro Eragon lasciò l’incantesimo, il
muro si disciolse in una
cascata d’acqua assorbito subito dalla sabbia asciutta della
spiaggia. I due Ra’zac
sibilarono furenti mentre Oliviana, dall’alto del
promontorio, guardava
impotente le due barche allontanarsi.
Ora sarebbe dovuta rientrare a palazzo a mani vuote. Pensò
amara la ragazza.
Il sicario rabbrividì sotto la raffica del vento che
proveniente dal mare; non
aveva idea di come Isobel avrebbe reagito alla notizia del loro
fallimento. Sapeva
che l’imprevisto della nave non sarebbe di certo servito a
diminuire le loro
colpe.
Oliviana non aspettò neppure il ritorno dei Ra’zac,
e accigliata si allontanò
via composta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Un uovo si schiude! ***
I
marinai sulla nave a largo della baia udirono dalla
costa il trambusto indistinto e videro la corsa dei loro compagni alle
barche.
L’ammiraglio che sostituiva Daco al comando aveva
già ordinato agli elfi sotto
di lui di prepararsi a difendersi quando
dall’oscurità emersero due enormi masse
scure dirette verso di loro. Gli elfi rimasero inizialmente impietriti
ma quando
capirono che erano draghi la loro paura si trasformò subito
in stupore e meraviglia.
Li videro eseguire una serie di manovre intorno alla nave per poi
vorticare in
circolo sopra le loro teste.
Dal
dorso di Saphira Eragon prese un profondo respiro e cercò
di mettere da parte il frastuono proveniente dai pensieri e le emozioni
dei
marinai e cercare Arya. Assicurò una migliore presa su
Xavier e aguzzò la vista.
La trovò intenta ad afferrare le funi che erano state calate
per issare le
barche a bordo. Notò che anche Jill e Reafly erano con lei.
Ce
l’abbiamo fatta piccolo mio.
Lo
raggiunse dolcemente la voce di Saphira. Eragon le annuì
mentalmente sollevato.
Anche
per noi è ora di scendere.
Le
disse lanciando un segnale anche a Murtagh e Castigo vicino a loro.
Con
poche manovre i draghi si adagiarono sulla
superficie del mare, permettendo ai loro cavalieri di scendere.
Le squame dei loro manti luccicarono di rosso e d’azzurro
sotto la pallida luce
della luna mentre seguivano i loro compagni di cuore farsi strada sul
ponte. In
quel momento vennero raggiunti da Arya che aveva superato tutti con
ampie ed
elefanti falcate. Eragon ebbe un fremito di pura gioia nel rivederla.
L’elfa
salutò Murtagh con un cenno del capo ma la sua
attenzione era tutta per lui e quando gli fu abbastanza vicino gli tese
le
braccia al collo e lo strinse forte a sé rimanendo
così per alcuni istanti.
–
Sei stato tu a innalzare quel muro d’acqua – la
sentì sussurrare
emozionata al suo orecchio.
Eragon
non l’aveva mai sentita così tesa.
-
Non c’era tempo per fare altro o i Ra’zac
vi
avrebbero raggiunti – le rispose lui di rimando scostandola
appena. Nel farlo notò
lo sguardo di Arya preoccupato. Eragon era appena consapevole del suo
stato
esausto ed emaciato.
-
È stata un’imprudenza – lo
rimproverò lei e i suoi
occhi verdi scintillarono per l’intensità delle
emozioni che stava provando. Eragon
annuì senza riuscire a risponderle subito. Le era
così vicino che poteva sentire
la fragranza di pino che emanavano dai suoi capelli; le
accarezzò la nuca e la
strinse a sé.
- Ora è tutto finito – aggiunse dolcemente.
Conscio degli occhi puntati su di
loro Eragon riportò lentamente la sua attenzione alle
persone che gli stavano intorno.
Riconobbe
immediatamente l’elfo che era fuggito dalla
spiaggia con Arya. Con un solo gesto della mano lo vide portarsi i
ricci biondi
indietro con disinvoltura mentre si avvicinò a loro.
- Siate i ben venuti sulla mia nave Cavalieri. Io sono il capitano Daco
– si
presentò rivolgendosi prima a Murtagh e a Jill, che nel
frattempo li avevano
raggiunti. L’elfo diede a Murtagh una cordiale stretta di
mano, quindi si voltò
verso Eragon. A Daco non era sfuggito come Arya non lo avesse lasciato
un istante
e il suo sguardo indugiò alcuni istanti su di loro prima di
tendergli la mano.
Eragon
gliela prese ma al momento di lasciarla la stretta
del capitano si fece più forte. Daco lo stava sfidando ad un
sorta di braccio
di ferro. Eragon non aveva né la forza né la
voglia di accettare lo scontro. Dissimulò
il disagio dovuto alla estrema stanchezza e gli rivolse un sorriso teso
ma cordiale.
Tutto finì pochi minuti dopo ed Eragon si massaggio lentamente la mano.
-
Immagino devo ringraziare voi per quel muro d’acqua.
–
aggiunse il capitano evidentemente soddisfatto.
-
Provvidenziale, direi. – continuò - Senza il
vostro
intervento quelle creature ci avrebbero di certo raggiunti e allora ci
sarebbe
stato un capitano Daco in meno –
Al
tono goliardico del loro comandate i marinai intorno
a loro esultarono di gioia felici per aver scongiurato un tale evento.
-
Non avevate mai incontrato un Ra’zac prima d’ora,
vero?
– chiese Eragon mantenendo un tono serio, restio a lasciarsi
andare alla
leggerezza con cui il capitano aveva pronunciato quelle parole.
–
No, non ho mai avuto il piacere fino ad ora – rispose
con un sorriso beffardo per poi mostrare un espressione più
seria - Non fraintendetemi,
non sto minimizzando il pericolo che abbiamo corso -
disse cercando Arya con lo sguardo. - Ho
sentito un brivido lungo la schiena quando quelle creature mi hanno
quasi sfiorato.
– Eragon annuì mesto.
-
È così che quei predatori cacciano,
l’oscurità è il
loro mezzo. La sola cosa in grado di fermarli è
l’acqua, la detestano anche il
solo contatto. – aggiunse.
-
Da quello che mi avete detto, ad occhio e croce direi
che abbiamo messo una bel divario tra noi e quei
…Ra’zac, giusto? – concluse il
capitano. Ad Eragon scappò un sorriso condividendo suo
malgrado la gioia del capitano.
-
Lo penso anche io, capitano Daco –
-
Avete sentito? – chiese l’elfo, questa volta
rivolto
ai suoi uomini. – Ciurma, adesso mettiamoci al lavoro e
torniamo a casa! –
Ai
comandi del giovane elfo Eragon constatò come tutti
si mossero all’unisono. Fu allora che venne raggiunto dalla
voce di Murtagh che
chiedeva la sua attenzione.
-
Eragon, vieni subito. Xavier non sta bene –
Il
giovane seguito da Arya e Daco vide Reafly chino sul
corpo del capitano. Il ragazzo si voltò verso di loro
– Perché non si sveglia? –
Eragon
sussultò appena a quella vista non riuscì a
fermare l’ondata di ricordi che riemersero con forza
riempendolo ancora di
orrore: le macerie della fattoria orami distrutta e il corpo bruciato e
privo
di vita dello zio Garrow.
Sentì
la presenza di Saphira avvolgerlo protettiva per
condividere con lui quei ricordi. Stammi vicino Saphira.
L’uomo
non si era ancora ripreso. A parte lo squarcio
lungo la fronte non aveva altre ferite visibili ma notò
preoccupato il volto
corrugato e sofferente dell’uomo. I Ra’zac avevano
la capacità di insinuarsi e
manipolare la mente degli uomini usando le loro paure come arma per
disorientare e rendere le loro prede inermi e incapaci di difendersi da
soli.
In quel momento l’uomo stava combattendo una battaglia contro
i suoi demoni e
la stava perdendo.
–
Una delle loro cavalcature, un Letbrakha lo ha
sorpreso di spalle, Xavier non ha potuto nemmeno difendersi –
disse Eragon corrucciando
la fronte e stringendo i pugni lungo i fianchi. Le sue forze esigue non
gli
avrebbero permesso di guarire nemmeno un piccolo graffio. Anche Murtagh
sembrava risentire dello sforzo compiuto per rispondere
all’attacco di Olivina. Arya sembrò
capire il
loro disagio e chinandosi accanto al capitano delle guardie prese in
mano la
situazione. Allungò la sua mano appena sopra la fronte
dell’uomo e mosse le
labbra proferendo alcune parole dell’antica lingua. Un
bagliore verde sprigionò
dalle sue dita.
Reafly guardò ammaliato l’elfa. Era la prima volta
che vedeva la magia all’opera.
Sotto alla sua mano la fronte del capitano si distese e
l’espressione del suo
volto venne liberato dal dolore che lo attanagliava. Anche la ferita
tornò integra
senza alcuna cicatrice. Era diverso da una semplice guarigione, come se
la ferita
non fosse mai esistita. Arya ricambiò lo sguardo
sorridendogli dolcemente.
- Il tuo amico si riprenderà presto, non temere –
disse dando voce ai suoi
timori inespressi.
Reafly stava ancora tenendo strette a sé il telo con le
dentro le uova di
drago. Allora l’elfa gliele prese dalle mani con gentilezza.
- Cosa ne pensi Reafly se le sistemiamo in luogo sicuro? – il
giovane annuì lasciando
la presa
***
La
nave rientrò nel porto di Artea nel pomeriggio del
giorno dopo.
Re Arold non li accolse nella sala del trono, dove i draghi non
sarebbero
potuti entrare ma nei giardini esterni, abbastanza ampi da ospitare
tutti.
Xavier si era ripreso del tutto, ed ora avanzava con gli altri al
cospetto del
re degli elfi oscuri. Il re fece segno ad Aglaia di venire avanti.
- Sono passati ormai dieci anni da quando sei partita per infiltrarti
alla
corte di Isobel. Dieci lunghi anni in cui hai rischiato la vita per
fornirci preziose
informazioni sulle sue mosse. E ora siamo onorati di riaverti tra noi
–
Aglaia
chinò la testa e lo sguardo del re si posò su un
uomo alla sua destra che a un suo cenno andò da lei.
L’uomo le prese una mano e la fece alzare il volto, Aglaia
vacillò a quella
vista.
- Anche per me è un onore e una gioia rivederti –
ripeté l’uomo prima di
sorriderle e stringerla forte a sé.
- Faramir – sussurrò lei stringendolo a
sé.
Poi il re, compiaciuto, si rivolse agli altri presenti.
- Arya svit-kona, sono loro i tuoi compagni di
viaggio? -
L’Elfa guardò il re e annuì
- Sì, sire, sono loro Eragon e Murtagh, e loro sono Saphira
e Castigo. -
- Venite pure avanti, Cavalieri dei draghi. Vi do il ben venuto a Artea
e saluto
anche voi, potenti creature -
Eragon e Murtagh chinarono appena la testa.
Ditegli che siamo addolorati per la sorte
del loro popolo e che le nostre zanne e i nostri artigli sono pronti a combattere
Isobel dissero Castigo e Saphira ai loro
cavalieri, ed Eragon e Murtagh riferirono al sovrano le parole dei
draghi. Arold
annuì. Il suo viso si fece grave nel guardare i due
cavalieri:
- Avete già avuto modo di costatare la crudeltà
della regina sulla vostra pelle
e avete pagato un alto prezzo. Anche voi amici di Zàkhara. -
Il re spostò il
suo sguardo sul capitano Xavier e il giovane Reafly che fino ad ora
erano rimasti
in disparte.
- Deve essere stato difficile per voi abbandonare la vostra terra
–
Xavier
posò una mano sulla spalla di Reafly dandogli un
breve sguardo prima di rispondere al sovrano.
-
Da anni Isobel piega il mio popolo a una servitù
forzata e fino all'altro giorno ero uno di loro. Ora che sono stato
liberato non
ho intenzione di abbandonare la mia gente. Voglio liberarla e spero nel
vostro
aiuto. –
Xavier
aveva parlato con fermezza e Arold lo ascoltò in silenzio.
Tutti si voltarono verso l’anziano sovrano per sentire come
avrebbe risposto.
-
Le tue parole ti fanno onore capitano Xavier. Non
temere perché le tue speranze sono ben risposte. Abbiamo un
obiettivo comune:
la pace e la convivenza tra i nostri popoli. - Xavier si
girò dando uno sguardo
fugace gli astanti
- Che avete Xavier avete qualcosa da chiedere? – chiese il re
notando la sua
titubanza.
- Sire… - tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di
lui.
- Avanti capitano, qui puoi parlare liberamente -
- Ecco, vorrei conoscere quale sarà il mio ruolo.
– Arold aggrottò la fronte senza
capire e Xavier si affrettò a continuare.
-
Arrivo subito al punto, Sire. Ho accettato di aiutare
Aglaia e i due cavalieri perché so che non ci
sarà una vera pace finché Isobel
sarà al potere. A Zàkhara ero capitano delle
guardie reali e con molta probabilità
ho affrontato in battaglia molti dei soldati qui preseti. Temo che
questo dato
di fatto si possa essere un problema per la mia permanenza qui. -
Il re ascoltò il capitano in silenzio, poi guardandolo con
compassione gli
disse:
- Comprendo i tuoi timori Capitano. I nostri popoli si sono battuti per
così
tanto tempo che non c’è più memoria di
quando eravamo in pace e temo dovrà
passare ancora del tempo perché quegli orrori possano
passare.
Ma la vostra presenza qui è il segno che il potere della
Regina non è
infallibile.
La guerra avrà irrigidito i nostri animi ma non ci ha fatto
dimenticare la
sacralità dell’ospite. Tu e Reafly siete i ben
venuti tra noi. Fino a quando
sarò il sovrano vi garantisco che non sarete soggetti a
nessuna rappresaglia. E
perché questo sia chiaro a tutti ti consegno questo anello
con il mio sigillo personale
segno della mia fiducia. –
Eragon
osservò con attenzione Xavier farsi avanti per
ricevere l’anello dal sovrano sotto lo sguardo di tutti. Un
gesto coraggioso
da parte di re Arold. Gli fece notare Saphira. Eragon era
d’accordo con la
dragonessa. Poté avvertire i sentimenti contrastanti
provenire dagli elfi
intoro a loro ma l’autorità del re era abbastanza
forte da far tacere ogni
palese contestazione. Xavier infilò l’anello al
suo dito e chinò la testa in
segno di gratitudine.
- Vi ringrazio, Sire. Le vostre parole mi confortano -
Arold annuì soddisfatto, quindi si rivolse a Saphira e
Castigo.
- Ed ora, se mi è concesso è mio desiderio vedere
le uova di drago. -
I due draghi mossero le loro testa in segno di approvazione. Arya si
girò verso
il capitano Daco e un suo cenno uno dei marinai si fece avanti per
consegnare all’elfa
un panno con all’interno il prezioso carico.
Il telo fu svelato da Arya davanti agli occhi del re che meravigliato
poté così
ammirare il prodigio che si svelava di fronte ai suoi occhi.
- Ditemi come voleva utilizzarle Isobel? – chiese senza
distogliere il suo
sguardo dalla superficie luccicante delle uova.
Il loro popolo conosceva poco della natura dei draghi e del legame con
la loro
razza e quella degli uomini ma era vivido in tutti loro l’eco
delle loro gesta
leggendarie.
Allora Arya, con l'aiuto di Eragon e Murtagh, raccontò al re
parte della storia
dei draghi.
Narrarono di Eragon, il primo Cavaliere, della guerra tra elfi e
draghi, che
culminò con il patto di sangue, che legava elfi umani e
draghi ad un unico
destino.
- Ma i draghi non hanno vissuto solo ad Alagaësia. Saphira ha
scoperto che
altre uova si trovano nella terra di Zàkhara. Una di loro
è già predestinata a
una bambina di Abalon - disse infine Eragon.
- E loro? - domandò
il re riferendosi
alle uova di Saphira.
- Di solito, erano gli stessi draghi a dare almeno una delle loro uova
per
destinarla a un cavaliere. Queste uova e solo loro erano poste davanti
a ogni
bambino umano o elfo che fosse; ma i vostri popoli non fanno parte al
patto di
sangue. Noi non sappiamo cosa potrebbe succedere. - era stato ancora
Eragon a
parlare.
Noi e i nostri cavalieri siamo partiti
alla ricerca di un luogo dove poter far rivivere una nuova stirpe di
draghi. Non
eravamo al corrente della guerra fra i vostri popoli. La magia del
patto
vincola alcuni piccoli a nascere solo quando sentono che il loro
momento è giunto e
aspetteranno anche anni per
nascere nell’attesa di trovarsi davanti al proprio cavaliere.
Eragon riferì le parole di Saphira al re che la
guardò corrucciato.
- Dove si trova ora quella bambina? -
- È al sicuro, mio Sire, da dei miei parenti a Blow, una
città a nord di Abalon
– intervenne Aglaia - Io e Murtagh abbiamo avvertito la madre
del pericolo appena
due giorni prima della nostra fuga. La regina aveva già
intenzione di portarla
al palazzo e tenerla al suo fianco come sua alleata, ma ora le
sarà impossibile
trovarla. –
- La bambina ha solo quattro anni, e finché l’uovo
a lei destinato non sarà
trovato, non è necessario farle correre rischi inutili -
Assicurò infine Murtagh.
Re Arold rivolse a tutti loro uno sguardo grave. Molte questioni erano
state
aperte che chiedevano una risposta ma non era certo quello il momento e
il
luogo per cercarle.
-
Potete tutti andate ora -
***
Fu stabilito di portare le uova nella sala delle udienze, il luogo
più sicuro del
palazzo.
La stanza, infatti, era sigillata ogni volta che il re lasciava la sala
e
nessuno poteva introdursi senza rompere il sigillo.
La
notte era ormai calato su Antara, e in tutto il
palazzo regnava ormai il silenzio.
Nella sua stanza Reafly si svegliò di colpo, qualcosa lo
aveva destato dal
sonno. Scrutò nel buio ma l’oscurità
non gli permise di vedere nulla. Si mise
allora sedere mentre quella sensazione iniziava a scemare. Per un
attimo gli
sembrò che lo avesse abbandonato del tutto ma questa
tornò a colpirlo subito
dopo in maniera più forte.
Cercò
di calmarsi e infilandosi ancora sotto le coperte
provò a riprendere sonno ma senza risultati.
Poi lo sentì, distinto nella sua mente, qualcuno lo
chiamava. Non era una vera e
propria voce, più che altro una sensazione, come di qualcuno
che lo stesse
cercando. Si alzò dal letto, accese un piccolo lume e
uscì fuori della stanza
spinto dalla curiosità di capire se era stato qualcuno
dentro il palazzo.
Percorse il corridoio su cui si affacciavano le stanze degli altri. Le
superò presto
dirigendosi invece verso le scale che portavano al piano inferiore dove
era
l’ala pubblica del palazzo
Una volta sceso, un rumore, questa volta reale, iniziò a
diffondersi nei
corridoi. Un rumore di qualcosa che grattava e si muoveva. Reafly
cercò di
avvicinarsi alla fonte. Dopo pochi passi scoprì con stupore
che proveniva dalla
stanza delle udienze.
Dove sono state portate le uova di drago si
fermò a pensare.
Si avvicinò alla porta e la trovò aperta.
La stanza sarebbe dovuta rimanere chiusa sigillata dai marchi magici ma
in quel
momento Reafly non si mise a pensare a quel particolare e vi
entrò, guidato
solo dall’istinto.
Nel preciso momento in cui varcò quella soglia, Reafly fu
certo che quel rumore
proveniva proprio dalle uova
Queste
erano ancora avvolte dal telo di stoffa, poggiate
su tavolino. Gli si avvicinò e le scoprì: le
quattro uova splendettero alla
luce della luna che filtrava dalle finestre della sala delle udienze.
La loro
superficie era perfettamente liscia e il loro colore brillante era
striato da
lievi sfumature irregolari. Il ragazzo non poté fare a meno
di rimanere
affascinato dalla loro vista.
Il rumore intanto sembrava essere cessato del tutto ma,
nell’osservarle bene,
Reafly si accorse allarmato che una di loro aveva una crepa.
Pese in mano l’uovo danneggiato per poterlo esaminare da
vicino. Lo posò a
terra e in quel momento un tintinnio metallico si propagò
rimbombando per tutta
la sala.
Poi avvenne qualcosa d’inaspettato. Dall’uovo
incominciarono a emergere una
serie di squittii sempre più forti.
Reafly si guardò intorno per vedere se qualcuno, svegliato
da quei rumori, stesse
accorrendo nella stanza ma, con suo sollievo, nelle altre ali del
palazzo il
silenzio doveva regnare sovrano.
Reafly ritornò a guardare in basso. L’uovo aveva
incominciato a muoversi
freneticamente mentre da una piccola fessura iniziale presero a
moltiplicarsi
una serie di minuscole crepature che in poco tempo coprirono
l’intera
superficie, formando una ragnatela che avvolse l’intera
superficie dell’uovo.
Reafly non sapeva più che fare per fermare
quell’escalation di eventi e osservò
impotente il primo frammento di guscio cadere, poi il secondo e il
terzo. Alla
fine, ne emerse un piccolo cucciolo di drago.
La
creatura si leccò via dal corpo l’ultima membrana
del
guscio che lo aveva coperto fino a pochi minuti prima e alzò gli occhi
per fissarli in quelli del
ragazzo.
Il cucciolo di drago si fece istintivamente avanti, sbarellando sulle
zampette,
ancora instabile; contemporaneamente schiuse le sue ali nel tentativo
di
riprendere l’equilibrio. Riuscì a rimanere fermo
un attimo poi crollò a terra
emettendo una serie di pigolii di protesta.
Reafly non riuscì a trattenere un sorriso di tenerezza nel
guardare quel
piccolo essere alle prese con le prime difficoltà della vita.
Quando il drago cercò ancora una volta di alzarsi Reafly si
affrettò ad affiancarlo
per sorreggerlo. Lo aveva appena afferrato quando la mano destra
iniziò a bruciargli;
il sangue gli ribollì nelle vene mentre un senso di torpore
lo invase per tutto
il corpo.
Reafly cadde a terra appena cosciente. Sentì il piccolo
drago venirgli accanto
e la propria anima come staccarsi da sé e unirsi a quella
della piccola
creatura. Il legame che si stava creando tra loro era qualcosa di molto
intimo
e profondo, provocandogli delle sensazioni che non aveva avuto mai
provato con
nessuno.
Lo stupore iniziale si trasformò in terrore quando si
accorse all’improvviso
che quel contatto stava annullando la sua stessa entità.
D’istinto il ragazzo si ritrasse immediatamente rifiutando
quella intmità ma un
lamento del drago lo trattene a metà strada. Reafly poteva
sentire la sua
apprensione come fosse la sua. Le loro coscienze si sfiorarono di nuovo
ma
questa volta in maniera più controllata. Reafly
poté apprezzare la profondità
della sua personalità nonostante la sua giovane
età. Sentì la memoria del
piccolo drago scendere in profondità ma questa volta non
ebbe paura e il
cucciolo lo portò nei lati più reconditi della
sua coscienza.
Lo
stesso fece Reafly con lui. Il piccolo era curioso di
ogni cosa e provò una strana sensazione di sollievo a
condividere con lui le
sue sensazioni. Era qualcosa che non aveva mai fatto con nessuno.
Quando il contatto andò scemando Reafly poté
aprire piano gli occhi e si trovò
quelli del cucciolo fissi che lo scrutavano con le profonde pupille
gialle.
La sensazione lampante di un bruciore alla mano lo fece sussultare.
Alzò il
braccio e volgendogli lo sguardo vide suo palmo una cicatrice che
riluceva di
argento.
Reafly lo aveva visto sui palmi dei due Cavalieri, era il gedwye ignavia, il palmo lucente simbolo
dei Cavalieri dei draghi.
Reafly si scrutò ancora la mano, il cucciolo allora gli
avvicinò e strusciò il
suo muso sul palmo dove c’era la cicatrice. La
leccò con la sua lingua ruvida
facendogli un leggero solletico.
Il ragazzo non poteva crederci, quello che aveva sentito raccontare
quella sera
come una leggenda si era appena realizzata davanti ai suoi occhi.
Reafly fu raggiunto
da un dubbio.
Il patto tra gli elfi e i draghi, patto cui si aggiunsero solo in un
secondo
tempo gli esseri umani, non aveva compreso il suo popolo. Eragon era
stato
chiaro. Come poteva lui essere stato designato come cavaliere? Come
poteva,
lui, essere diventato un cavaliere dei draghi. Non sarebbe dovuto
accadere.
Reafly
guardò fuori della finestra. In quel momento il
cielo cominciò a schiarirsi, segnando l’inizio di
nuovo giorno, e presto il
palazzo si sarebbe risvegliato. Reafly si chiese come avrebbe spiegato
tutto
questo agli altri. Doveva uscire immediatamente da li.
Scostò con delicatezza
il cucciolo dal suo petto. Il piccolo fece una serie di saltelli
scomposti
quando Reafly si tirò in piedi.
Lo prese in braccio e si diresse verso la porta ma con sua sorpresa la
trovò
serrata, chiusa di nuovo dalla magia del sigillo. Reafly non capiva
come poteva
essere possibile, un minuto prima era aperta e gli aveva permesso di
entrare.
Reafly prese allora a forzare la maniglia ma senza alcun risultato. La
porta
era di nuovo sigillata. Il draghetto ai suoi piedi emise una serie di
pigolii,
e guardando il ragazzo aprì la bocca e preso un memo dei
pantaloni e lo
allontanò da lì. Reafly si stupì della
sua forza, anche da cuccioli i draghi
erano pur sempre dei predatori formidabili e il ragazzo
pensò che non se lo
sarebbe mai dovuto dimenticare. Si lasciò quindi guidare dal
suo piccolo
compagno; in ogni caso non sarebbe mai riuscito ad uscire da quella
stanza,
almeno fino a quando la sala delle udienze non fosse stata riaperta e
questo
non poteva accadere prima di qualche ora.
Ritornati
dove erano le altre uova il cucciolo allentò
la presa e a Reafly non rimase che sedersi per terra mentre il piccolo
drago si
sistemava sulle sue gambe.
Reafly si ritrovò ad osservare il cucciolo, aveva chiuso gli
occhi e il suo piccolo
ventre si gonfiava ad intervalli regolari. Le piccole squame dorate
erano
disposte regolarmente su tutti il suo dorso, lasciando un piccolo
incavo tra la
spalla e il collo. Altri bassi pigolii uscirono dalla sua gola.
Ora
sono un cavaliere dei draghi.
Pensò con un certo turbamento, Murtagh ed Eragon lo
avrebbero istruito e
preparato a…
Non riuscì a finire il pensiero.
All’idea di combattere contro il suo stesso popolo Reafly
fremette
d’agitazione, non
lo avrebbe mai fatto. Sentì il piccolo
drago destato
dall’improvvisa forza delle sue emozioni.
Lo so che Isobel
è il male e bisogna distruggerlo. Ma non posso farlo, non
poso combattere.
Il
draghetto gli rispose con una serie di bassi pigolii,
che suo malgrado lo fece sorridere. Si lasciò
così cadere all’indietro, chiuse
un attimo gli occhi, e senza nemmeno accorgersene si
addormentò.
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Il drago dorato ***
ALLERT
Ringrazio prima di tutto Tawariell per aver recensito in maniera fino
ad ora positiva la storia! Spero continuarai a farlo
Ho pubblicato un bel po' di capitoli in più (dal
4° all'8° ) in modo da dare una svolta agli eventi.
Vorrei davvero conoscere l'opinione di chi mi sta leggendo,
perciò non fate i timidi e lasciantemi un commento !!
Vi aspetto e alla prossima !!!
Il
mattino seguente un sole tiepido illuminò un cielo limpido
e senza nuvole. La luce penetrò attraverso le tende della
camera dove Eragon riposava.
Il ragazzo aprì gli occhi e si voltò a guardare
in direzione di Arya. L’elfa
era sdraiata al suo fianco e lui si sistemò di lato con le
braccia incrociate
dietro la testa per poterla osservare. Stette così ad
ammirarla per alcuni minuti
fino a quando Arya non mosse la testa verso di lui. Le palpebre le
tremolarono
appena prima di aprire gli occhi e sorridergli non appena si rese conto
del suo
sguardo.
–
Buongiorno amore mio – la salutò lui facendo
scorrere lo
sguardo lungo i suoi lineamenti delicati –
älfr
erst svo fallegur *[come
sei bella] -
A
quelle parole Arya arrossì appena. L’uso
dell’antica
lingua vincola chiunque la usa a esprimere solo ciò che
rappresenta il vero ed Eragon
non perdeva mai occasione di utilizzarla per esprimere quello che
provava per
Arya.
-
Erlun ono *[grazie] se
continui a dirmelo, potrei finire per crederci… -
-
Lo sai che non mi stancherò mai di dirtelo –
Arya
si puntellò su un gomito e gli scoccò un bacio
sulle labbra pieno di promesse e desiderio. In quel momento, qualcuno
li interruppe
bussando alla porta. – Tu rimani qui – lo
fermò lei puntandogli un dito sul
petto. Poi sistemandosi un telo intorno al torace andò ad
aprire la porta.
Eragon
riconobbe la voce di Alicia. Era venuta ad
avvertirli che il re li attendeva nella sala del trono. Il tono della
sua voce
tradiva una certa urgenza.
-
Grazie Alicia, so la strada puoi aspettarmi li –
La
sentì chiudere la porta e tornare a letto per abbracciarsi
ancora una volta a lui. Il ragazzo la strinse a sé poi con
un sospiro disse
solo.
-
Dobbiamo andare, vero? – chiese sapendo già la
risposta.
-
Temo di sì - gli disse lei appoggiando la testa al suo
petto.
-
Che cosa potrebbe essere di tanto urgente? – chiese
l’elfa mentre Eragon le accarezzava i capelli corvino in
tutta la loro
lunghezza. – Non lo so ma anche Saphira… mi sta
dicendo di andare –
Arya
rivolse ad Eragon uno sguardo corrucciato. – Non
intendo toglierti gli occhi di dosso questo volta. Ti ho lasciato per
un attimo
e ho rischiato di perderti, non lo farò una seconda volta.
–
Eragon
ebbe un brivido prima di baciarla ancora una
volta.
-
Non vado da nessuna parte. -
Con
queste parole si alzarono dal letto e dopo essersi
vestiti si diressero verso la sala del trono.
Dalla
porta poterono scorgere le figure di
Murtagh e Jill e subito dopo quelle di Arold e Xavier. Tutte si
trovavano in
semicerchio intorno a qualcosa che Eragon non riusciva ancora a
individuare. Che
cos’è questo mistero Saphira, avanti puoi dirmelo?
Pazienta
e lo vedrai fu
la sola risposta
della dragonessa.
-
Sire, Arya ed Eragon sono qui – annunciò uno
degli intendenti.
I
due avanzarono e poterono infine scoprire
cosa aveva causato tanto trambusto. Al suolo c’era il giovane
Reafly che giaceva
a terra dormiente con un cucciolo di drago appoggiato sul petto.
-
Li hanno trovati così i maghi che ogni mattina
vengono a togliere il sigillo alla stanza – disse il re
mettendoli al corrente
della situazione.
Saphira
tu lo sapevi?
Se
non fossi stato impegnato a fare altro,
ti avrei avvertito prima… Eragon
divenne rosso e si concentrò sul draghetto mentre
sentiva Saphira sogghignare.
Murtagh
si girò a guardare il fratello con
una espressione sorpresa sul volto. Abbiamo un nuovo cavaliere
Gli
disse mentalmente. Eragon lo ricambiò felice
di cabiare discorso. Già…
Nonostante
tutto non mi sembri affatto
stupito
Hai
ragione, ma neanche tu …
No
fratello anche se qualche domanda me la
sto ponendo. Eragon
gli annuì mentalmente entrambi consapevoli che qualcosa non
tornava.
Arya
nel frattempo si era chinata sul
piccolo e posandogli una mano sulla fronte disse rivolgendosi a tutti:
-
Il piccolo deve essere crollato esausto. Troppe
emozioni tutte insieme –
-
Ma come ha fatto ad entrare se la sala era
sigillata? – Chiese il Re Arold,
Fu
Arya a intervenire ancora una volta.
-
Per rompere una magia c’è bisogno di
un’altra uguale o più forte – rispose
Arya in tono pacato. – e i draghi più di
tutti ne sono legati in un modo che nemmeno noi elfi comprendiamo
appieno. Non
bisogna stupirsi di quello che accade in loro presenza. –
In
quel momento Reafly si mosse e tutti si girarono
a guadarlo.
Reafly
batté gli occhi un paio di volte e si
stiracchiò emettendo un sonoro sbadiglio prima di rendersi
conto di tutti gli
occhi puntati su di lui.
-
Alla buon’ora ragazzo! – lo rimproverò
bonariamente Xavier con più entusiasmo del dovuto. Era
evidente il sollievo
dell’uomo nel vedere che stava bene.
Reafly
si tirò subito su stringendo di
istinto il cucciolo di drago a sé. Il drago svegliato anche
lui dai movimenti
del ragazzo iniziò a pigolare.
-
Stanotte non riuscivo a dormire – iniziò a
biascicare non sapendo come iniziare a raccontare quello che era
successo
quella notte. Passò il suo sguardo da l’uno
all’altro viso – Qualcuno mi
chiamava – concluse quindi finì con il guardare il
drago.
-
ho trovato la porta della stanza aperta e
sono entrato –
-
Non devi darci altre spiegazioni Reafly.
Quello che successo stanotte è a dir poco eccezionale
–
Era
stata Arya a parlare. Realfy guardò prima
l’elfa poi cercò con lo sguardo Murtagh ed Eragon.
I due cavalieri erano dietro
di lei e gli sorridevano.
-
Arya ha ragione, non devi preoccuparti.
Piuttosto come ti senti? – gli disse Murtagh posandogli una
mano sulla spalla.
-
Io non lo so… sono un po’ stordito – il
cucciolo emise in risposta una serie di pigolii. Reafly gli sorrise
debolmente poteva
sentire la sua suggestione di fronte ai due cavalieri. Si
passò il dorso della
mano destra sulla fronte. A quel movimento il Gedwey-ignasia
sul suo
palmo brillò. Reafly scostò la mano ancora
dolorante e rivolgendo il palmo in alto
la girò.
-
Sarà bene che vada a riposare nella tua
camera – gli disse Arya. – Ti
accompagnerò io se non vi dispiace – disse
l’elfa
aiutandolo ad alzarsi. Reafly si lasciò guidare
Re
Arold guardò il ragazzo mentre si
allontanava con Arya per poi girarsi versi i due cavalieri.
-
Ed ora cosa avete intenzione di fare? –
disse il re affascinato e allo stesso tempo turbato – So
molto bene che questa
guerra non vi appartiene ma Reafly ne è coinvolto. Lo
addestrerete come
cavaliere dei draghi? –
Eragon
e Murtagh si guardarono negli occhi
ma prima che potessero parlare vennero interrotti da Xavier che si
inserì nel
discorso
-
Non è una decisione che può essere presa
adesso – disse con tono protettivo. – Realfy
è ancora un bambino. Non
combatterà a meno che non sia astrattamente necessario e lo
dovrà solo per
difendersi –
Arold
sostenne lo sguardo duro di Xavier.
-
Capisco perfettamente le tue
preoccupazioni capitano. Ma sai bene che quello che proponi non
è realistica. La
regina non si farà il minimo scrupolo per annientarlo non
appena capirà che il
ragazzo è una minaccia. Che lo voglia o no Reafly deve
essere pronto a
affrontarla. – fece una breve pausa prima di proseguire
scegliendo bene le
parole.
-
Reafly è un bambino, è vero, ma in questo
momento su di lui che pesano le sorti dei nostri popoli. –
Murtagh
ed Eragon guardano prima il re poi
il capitano. In quel breve frangente aveva stabilito che avrebbero
preparato il
ragazzo e il suo drago a ciò che li aspettava. Gli avrebbero
insegnato il significato
del loro legame che aveva radici profonde legate alla notte dei tempi.
Ma lasciare
che combattesse, era tutt’altra cosa e in ogni caso sarebbe
dovuto passare
almeno un anno primo che i due compagni fossero in grado di affrontare
una
battaglia.
Se
non sbaglio eri solo qualche anno più grande
di lui quando ti ho conosciuto. Lo
raggiunse mentalmente Murtagh. Alle
parole del fratello Eragon ripensò a tutte le
difficoltà passate prima di raggiungere
gli elfi e ricevere un’adeguata istruzione. A come aveva
cresciuto Saphira da
solo nella sua fattoria di nascosto dal cugino Roran e lo zio Garrow.
Di come
avesse appreso i rudimenti della magia durante il suo viaggio con Brom
quando
aveva deciso di fuggire da Carvahall per inseguire i Ra’zac e
vendicarsi della
morte dello zio. Tutto il suo cammino era stato stata sempre in salita.
Non
aveva avuto il tempo di guardarsi indietro o pensare a quello che era
giusto
per lui e Saphira.
Non
sei stato poi così male intervenne
Saphira.
Tu
Saphira sei di parte.
rispose di getto
anche se non poteva negare di essere lusingato dalle sue parole.
-
Faremo quello che in nostro potere con i
mezzi che ci sono concessi – disse sapendo che
c’erano tante cose ancora da
stabilire. Murtagh annuì il proprio consenso.
-Xavier
non ti devi preoccupare per il
ragazzo perché ora non è più solo,
avrà sempre il suo drago al fianco e avrà
anche noi, se lo vorrà. -
-
Non può sottrarsi alle sue responsabilità
– finì di dire Murtagh. Il cavaliere sapeva bene
che fuggire non avrebbe fatto
altro che rimandare l’inevitabile. Lui aveva fatto
quell’errore molti anni fa,
rifiutando di accettare il suo retaggio come figlio di Morzan. Farlo
gli aveva
portato solo guai e altra sofferenza. Avrebbe fatto di tutto per
evitare a
Reafly di ripetere il suo stesso errore.
Arold
si andò a sedere sul trono – Ora
potete andare. Pensate con libertà a quello che intendete
fare. Conferirò con
il consiglio reale uno di voi sarà chiamato a parlare
–
Una
volta uscita dalla sala Xavier si voltò
verso i due cavalieri – Spero sappiate quello che fate. Io
adesso vado dal
ragazzo - scoccò ad entrambi uno sguardo eloquente.
-
Aspettate, Comandante – Murtagh lo afferrò
per un braccio e gli si parò davanti prima che potesse
allontanarsi.
-
Sappiamo come ti puoi sentire in questo
momento –
-
No, cavalieri voi non lo potete sapere. –
Xavier
allora scrollò le spalle – Non è
questo il punto, i genitori di Reafly… ma forse è
meglio che vi racconti tutto
dal principio. – si fermò restio per un attimo a
proseguire.
-
Venti anni, poco prima di essere promosso
capitano delle guardie ero un semplice tenente a capo di una squadra di
esploratori. Fu allora che conobbi Phill, il padre di Reafly.
A
quell’epoca la regina orinò il primo dei tanti
viaggi in direzione di Alagaësia. Io e Phill facevamo parte
della stesso
equipaggio – guardò in viso i due cavalieri che lo
stavano seguendo con
attenzione.
-
Nel corso di quelle prime esplorazione
Phill conobbe una donna. Serena. Si innamorarono e al momento di
ripartire per
Zàkhara, lei lo seguì abbandonando la sua
famiglia e la sua terra. Quella donna
è la madre di Reafly. – lasciò che le
sue parole sortissero il loro effetto
prima di proseguire.
-
Ora capite, se la regina venisse a
conoscenza di questo, la sua famiglia sarebbe in grave pericolo.
–
-
Reafly ha fratelli o sorelle? - gli chiese
Eragon preoccupato.
-
Sì ha una sorella, Rebekha. Ha un paio di
anni in più di Reafley. Perché lo chiedi?
–
Eragon
sospirò quindi guardò Murtagh. –
Perché ci sono alte possibilità che una delle
altre tre uova si schiuda proprio
per lei. –
-
Eragon non è detto. – gli rispose Murtagh
scuotendo la testa.
-
Ma è molto probabile, non lo puoi negare.
Guada noi. – Murtagh
ci pensò un attimo
poi annuì. Tutto tornava a girare intorno ai legami di
sangue.
-
Ora devo andare dal ragazzo- disse Xavier
che intanto si era liberato dalla presa, lasciando i due cavalieri a
riflettere
sulle sue rivelazioni.
***
Arya
era appena uscita dalla stanza di Reafly
quando scorse il capitano.
-
Si è appena addormentato, era ancora molto
agitato e il piccolo drago con lui. –
-
Non doveva accadere –
Arya
lo guardò con compassione - Non siamo
noia decidere. Ma stai certo che insieme possono farcela -
-
È quello che mi hanno detto anche Eragon e
Murtagh – Xavier esitò un attimo indeciso se
proseguire o meno.
-
Puoi fidarti di loro – gli disse Arya intuendo
quello che provava l’uomo in quel momento. Xavier si chiese
se gli avesse letto
nel pensiero o semplicemente i suoi sentimenti erano ben stampati sul
suo
volto.
-
Ho promesso alla madre di Reafly di
proteggere il figlio da qualsiasi pericolo e intendo mantenere questa
promessa.-
-
Anche noi vogliamo la stessa cosa per
Reafly, il figlio di Serena ci è caro quanto lo è
per voi –
-
Ma come fai a sapere di… -
Arya
lo scrutò per un attimo prima di
parlare - Ho impiegato un po' ad arrivarci. Continuavo a chiedermi cosa
poteva
aver permesso all’uovo di schiudersi. Poi mi sono ricordata
della vostra venuta
Capitano, quasi venti anni fa. Non ho conosciuto personalmente Serena
ma so per
certo che deve essere una donna eccezionale. Ricorda quello che ti sto
dicendo.
Tu hai molta ascendenza sul ragazzo. Potresti ostacolarlo come dargli
la giusta
direzione – Arya gli scoccò uno sguardo eloquente.
-
Lo terrò a mente. –
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Stammi vicino! ***
Salve.Voglio
ringrziare Tawariell per le
meravigliosi recensioni. ALLERT ho ripostato il capitolo
già precedentemente inserito aggiungendo un
paragrafo
finale. Per il resto è rimasto invariarto. Se volete farmi
sapere cosa ne pensate lasciatemi pure un commento.
Buona
lettura !
a
presto Stef.
-----------------------------------------------------------------
I
giorni che seguirono l’arrivo ad Antara furono molto
impegnativi
per Eragon e Murtagh, divisi da una parte nel difficile compito di
guidare i
primi passi di Reafly con il suo drago e dall’altra chiamati
a seguire la formazione
dei maghi che avrebbero contrastato Isobel.
Così
il silenzio che aveva sempre contraddistinto la
sala del quartier generale, all’interno del quale gli
studiosi erano soliti trascrivere
i termini recuperati dell’antica lingua, era adesso ravvivato
dalla voce dei
maghi che la praticavano e ne esploravano i suoi effetti sotto la guida
attenta
dei cavalieri.
Era
pomeriggio inoltrato quando Reafly entrò nella sala
del quartier generale alla ricerca dei due cavalieri. Li aveva a
malapena
intravisti nel corso della mattinata poi aveva passato
l’intera giornata in
compagni del capitano Xavier e del suo drago.
Il
ragazzo fece capolino dalla porta e non gli fu
difficile individuare tra le tante teste i ricci mori di Murtgah. Il
cavaliere stava
insegnano ad un gruppo di tre ragazzi i diversi modi per manipolare
l’acqua,
mentre, poco più in là, Eragon seguiva i
progressi di una giovane nel controllo
di un sasso sospeso a mezz’aria.
Erano
tutti troppo impegnati per fare caso a lui, così il
ragazzo ne approfittò per passeggiare indisturbato tra una
serie dei lunghi tavoli
dove altri elfi erano intenti a scrivere su pergamene di carta. Al suo
passaggio le loro teste si alzarono a guardarlo sorridendogli per poi
tornare
nuovamente al loro lavoro. In quei giorni si erano abituati alla sua
presenza e
a quella del suo drago e se all’inizio ne erano stati
infastiditi ora era
diventato una presenza quasi familiare. Reafly era passato
già intono a diversi
tavoli quando la sua attenzione venne attirato da una postazione vuota,
si guardò
intorno con circospezione prima di dirigersi verso la sedia. Nessuno
orami badava
più a lui, quindi si mise ad ammirare
l’attrezzatura e il foglio pieno di glifi
scritti nell’antica lingua. Dalla prima volta che aveva vista
quella scrittura
tra i fogli nelle stanze di Murtagh, a Zàkhara, ne era
rimasto affascinato.
Allora il cavaliere gli aveva detto che si trattava
dell’antica lingua degli
elfi con la quale si poteva controllare la magia. Solo pochi giorni fa
aveva
scoperto che il suo studio sarebbe stata una parte fondamentale del suo
addestramento come cavaliere. Guardando quei segni si sentì
eccitato per quella
nuova sfida. Aveva appena finito di sfiorare con un dito il filo di
piume del pennino
quando una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.
– Attento, ci ho
messo tutta la mattina per scriverlo –
Reafly
fece un passo indietro e andò a scontrarsi con
giovane elfo poco più alto di lui che lo guardò
serafico prima di scansarlo e
andare a sedersi al suo posto e riprendere il suo lavoro di scrittura.
-
Scu…scusami – si affrettò a dire
Reafly. L’altro lo
guardò a lungo senza dire nulla. Non era tra gli elfi che
conosceva.
-
Non è successo niente. Tu sei il nuovo cavaliere.
– gli
disse come se fosse la cosa più normale del modno - ma il
tuo drago non è con
te – constatò questo con una punta di delusione
nella voce.
-
Lui… sta dormendo – disse ma lo sguardo del
giovane
ara già da un’altra parte, lo aveva ascoltato a
mala pena. Sul suo giovane volto
si era stampato un sorriso.
-
Credo che la tua presenza abbia attirato l’attenzione
di qualcuno. Ci sarà da divertirsi, guarda…
–
Reafly
si voltò nella direzione indicata dal giovane. Uno
dei ragazzi seguiti da Murtagh si era voltato nella sua direzione ma
nel farlo aveva
persa la sua presa sulla sfera d’acqua che aveva appena
creato.
La
sfera sarebbe sicuramente caduta a terra se Murtagh
non fosse intervento in tempo. Il cavaliere Pronunciò a fior
di labbra alcune
brevi parole che riportarono il liquido in aria, all’altezza
dei suoi occhi.
–
Mai perdere il controllo, Teodor. La prossima volta fai
più attenzione - gli disse in tono secco. Il ragazzo
abbassò lo sguardo. – Sì Ebrithil
- Accanto a lui i suoi due compagni si spalleggiarono ridacchiando.
Murtagh alzò
un sopracciglio e sussurrando altre parole. – Thtysta
vindr un Gànga fram -
disse e un piccolo
vortice d’aria che passò
tra loro. Colti di sorpresa i due lasciarono cadere a terra le loro
sfere con
un sobbalzo. Lo sguardo serio di Murtagh lì
immobilizzò sul posto.
-
Letta, flauga – con quelle parole la sua
magia
si era allargata anche alle loro sfere impedendole di finire a terra.
-
In battaglia le distrazioni possono arrivare da
qualsiasi parte. E vi assicuro che ce ne saranno molte. Tenete sempre a
mente
questa lezione, non basta sapere usare la magia e conoscere a memoria
le regole
dell’antica lingua ma è altrettanto essenziale
saperla controllare in ogni
momento – disse rivolgendosi agli altri due giovani. Il
sorriso sui loro volti
era sparito e lo guardarono con aria contrita. A dimostrazione di
quello che
aveva detto fece roteare le sfere una sull’altra prima di
lasciare
l’incantesimo che le teneva in aria. Con guizzo
l’acqua si sparse sul pavimento
in tre piccole pozzanghere
–
Ora raccogliete di nuovo le vostre sfere. –
I
tre ragazzi annuirono. Guidata dalla forza dell’antica
lingua l’acqua a terra iniziò a muoversi
addensandosi e assumendo nuovamente una
forma sferica. Senza preavviso Murtagh pronunciò ancora
delle parole per tornare
a distrarli ma questa volta i tre ragazzi resistettero –
Molto bene. Per oggi
può bastare, potete andare - Sul volto di Teodor e dei suoi
due compagni si
dipinse di nuovo un sorriso.
Solo
ora Murtagh si avvicinò a Reafly che era rimasto a
guardare la scena a bocca aperta, sbalordito.
Un’ottima
presa, maestro, non c’è che
dire lo
raggiunse mentalmente Eragon che dalla postazione
aveva osservato tutta la scena. A Murtagh non sfuggì il tono
canzonatorio del
fratello.
Forse
il gande
Eragon è invidioso? Lo
punzecchiò lui.
Eragon
roteò gli occhi al cielo mentre raggiungeva Reafly.
-
Reafly, cosa ci fai qui, oggi avevi la giornata libera
–
Disse
invece rivolgendosi al ragazzo. Reafly guardò i
due cavalieri.
-
Lo so ma ho una cosa urgente da chiedervi e non potevo
aspettare domani – Murtagh lo guardò accigliato
notando solo adesso che non era
in compagnia del suo drago.
-
Che cosa succede? –
Reafly sospirò e si guardò i piedi imbarazzato
prima di rispondere.
-
Vorrei dargli un nome ma nessuno di quelli che
conoscono mi sembra, ehm, adatto – Murtagh sorrise e si
rivolse a Eragon. Naturalmente
stava parlando del suo drago.
–
Che ne dici fratello possiamo dargli una mano in
questo? – Eragon annuì. Così insieme
gli proposero una serie di nomi di draghi
leggendari ma nessuno di essi sembrava soddisfare le aspettative del
ragazzo.
-
Conoscete il nome di qualche drago che aveva le scaglie
dorate? – chiese infine Reafly, non trovando nessun nome, tra
quelli menzionati
fino a quel momento, adatto al suo drago. Alla domanda Reafly vide
passare su
entrambi i volti dei cavalieri un'ombra di tristezza.
-
ho detto qualcosa che non dovevo? – chiese accorgendosi
dello scambio rapido di sguardi.
Eragon
aveva da tempo perdonato Murtagh per il ruolo avuto
nella morte dei suoi maestri. Non era stato un processo facile ed il
ragazzo aveva
rivolto al fratello parole dure, di cui poi si era pentito. Nel
ricordarlo Eragon
strinse una mano sulla sa spalla come a scusarsi ancora.
L’altro sussultò in
risposta.
Per
Murtagh, quello era forse il ricordo più bui della
sua schiavitù sotto Galbatorix. Ma si era lasciato tutto
quello spalle e il
dolore sul volto si attenuò appena mentre stringeva a sua
volta la mano del
fratello.
-
No Reafly, non hai detto nulla di sbagliato. Uno ne
conosciamo – si affrettò a dire Eragon - Il suo
nome era Gleadr.. –
-
Gleadr - ripeté il ragazzo con un sorriso mesto - Me
ne avete detti così tanti. Non saprei quale decidere -
-
Non avere fretta. Quando sarà il momento sarà lui
stesso
a indicarti il nome – intervenne quindi Murtagh.
-
È stato così anche per Castigo e Saphira?
– i cavalieri
annuirono entrambi.
-
Ma lui ancora non parla! – insistette lui per nulla
soddisfatto
delle risposte troppo vaghe da parte dei due ragazzi.
Quell’esclamazione fece
scappare ad entrambi un sorriso.
-
Anche per questo non preoccuparti. Lo farà presto. Dipende
da quanto sarai bravo ad insegnargli. – gli rispose Eragon
riconoscendo
l’impazienza della sua voce. Comprendeva il suo desiderio di
capire quello che gli
stava accadendo intorno, non era passato troppo tempo da quando anche
lui si
era trovato alla ricerca di quelle stesse risposte. Brom aveva fatto lo
stessi
con lui così tante volte. Si era sempre ripromesso che non
si sarebbe mai
comportato nella stessa maniera ed ora si trovava a dare le stesse
risposte
enigmatiche. Dovette riconoscere che non c’era altro modo per
imparare.
–
Grazie al vostro legame lui può comprende già
molte
cose e lo stesso vale per te. Non dimenticarlo, ora le vostre menti
sono legate
e lui può sentire i tuoi pensieri. Persino in questo momento
– finì di dire ricordando
quello che Oromis e Gleard gli ripetevano spesso.
Dall’altra
parte Reafly ripensò alla sensazione di vuoto
che aveva provato dopo aver toccato il cucciolo e alla percezione di
staccarsi
dal proprio corpo e perdersi in quella del drago. Come gli aveva detto
Eragon,
riusciva a sentire la presenza del suo drago anche in quel momento ma,
da
allora, non era più riuscito a raggiungere quel grado di
intimità che aveva avuto
la notte in cui si erano sfiorati la prima volta. Reafly avrebbe voluto
fare
altre domande ma le risposte che aveva ricevuto gli avevano dato tanto
da
pensare e decise che
avrebbe aspettato.
-
Ho capito, non lo dimenticherò. – rispose solo poi
quindi rimase un attimo in silenzio - Ora sento che si è
svegliato e credo che
mi sta chiamando – Murtagh si mise dietro di lui e gli
strinse le spalle.
-
Che cosa aspettiamo allora, andiamo a raggiungerlo,
qui abbiamo finito - ma
il ragazzo lo
fermò voltandosi indietro.
-
Non vieni anche tu, Eragon? – gli chiese accorgendosi
che il giovane non li stava seguendo.
-
Voi andate pure avanti Io ho un lavoro da iniziare – Anche
Murtagh si era girato sapendo a cosa si stava riferendo il fratello.
La
perdita dei papiri caduti nelle mani di Isobel e dei
suoi alchimisti non aveva allarmato solo re Arold. Se il re temeva che
i loro
sforzi di recuperare le antiche conoscenze del loro popolo non fossero
sufficienti, ora che la regina aveva tra le mani incantesimi come le
sette parole
di morte, Eragon era preoccupato per altre ragioni.
Isobel
aveva già dimostrato di avere una fervida
immaginazione e lui temeva i tanti modi in cui avrebbe potute
utilizzare quelle
conoscenze. Arya era riuscita a placare in parte le sue paure
ricordandogli come
entrambi conoscessero perfettamente il contenuto di quegli incantesimi,
lei
perché faceva parte della preparazione di
ogni persona di alto rango del suo popolo, lui perché ne
aveva memorizzato i
lunghi brani nei mesi di addestramento ad Ellèsmera. Li
avrebbero insegnati
anche agli elfi di Antara.
Eragon
aveva deciso allora di trascrivere nuovamente quelle
formule per poterle consegnare a Arold e ritrovare così un
po’ di serenità.
-
Se devi iniziare quel lavoro, rimango a darti una mano.
– gli
disse subito Murtagh con un
trasporto che gli scaldò il cuore. Eragon sollevò
il viso verso di lui, stava
per accettare ma in quel momento vide l’espressione di
delusione sul volto di Reafly
che si vedeva di nuovo messo da parte.
-
Me la posso cavare anche da solo Murtagh – mentì,
in
quel momento Reafly aveva molto più bisogno del fratello che
lui.
-
E non sarò solo, Saphira starà con me –
Eragon aveva
parlato a lungo del suo progetto anche con Saphira. La dragonessa non
poteva
aiutarlo, i draghi avevano un legame tutto loro con la magia,
indipendente
dall’uso dell’antica lingua, ma aveva approvato.
Murtagh lo squadrò per alcuni
istanti valutando le sue parole, poi sconfitto accettò a
malincuore il suo
rifiuto. – D’accordo Eragon. Come vuoi tu. Andiamo
Reafly –
Eragon
li guardò uscire in silenzio senza dire altro quindi,
preso un respiro, andò a prendere delle pergamene vuote e
andò a sedere su una
delle sedie libere tra i pochi elfi rimasti. Nell’impugnare
il calamaio la sua
mente andò ai suoi maestri e un sorriso nostalgico si
dipinse sul volto. Sia Brom
che Oromis gli avevano sempre attribuito un grande capacità
di plasmare
l’antica lingua. Per lui era sempre stato naturale combinate
tra loro le parole
e legarle l’intenzione. Ricordare quelle formule gli
risultò quasi naturale. Con
quel pensiero a spronarlo attinse la punta del calamaio
nell’inchiostro e
poggiandola sul foglio iniziò a farla scivolare sul foglio.
***
Era
sera quando Eragon alzò di nuovo testa. Il rumore
del pennino che poggiava sul tavolo echeggiò nel silenzio
che regnava nella sala
completamente vuota.
Il
giovane cavaliere guardò fuori dalla finestra con una
smorfia. Gli spessi vetri colorati erano diventati scuri, senza la luce
del
sole a schiarirgli con i suoi raggi. Eragon piegò le braccia
dietro la testa e inarcò
la schiena per stirarla, era tutta indolenzita per essere rimasto a
lungo nella
stessa posizione. Si era talmente immerso nella scrittura da non
accorgersi che
anche gli ultimi elfi se ne erano andati via.
Fuori
è già buio e tu, piccolo mio, dovresti
andare a mangiare qualcosa
lo richiamò Saphira sentendo il suo
cavaliere muoversi.
Non
ho fame Saphira protestò
Eragon di getto, buttando completamente fuori l’aria dai
polmoni con un sonoro
sbuffo. In quel momento percepì il dissenso della dragonessa
attraverso il loro
legame mentale.
Eragon
io più di tutti posso capire l’urgenza
di fermare Isobel ma non è necessario farlo a stomaco vuoto
Eragon
non poté fare a meno di sorriderle, grato. Le
attenzioni di Saphira erano quello che più si avvicinava
all’affetto di una
madre.
Come
in risposta a suoi rimproveri in quello stesso
momento il suo stomaco brontolò in protesta.
Va
bene Saphira, non dire altro, hai vinto
tu, sto andando
le
rispose prima che la dragonessa potesse replicare con
un te lo avevo detto.
Eragon
aveva iniziato a mettere a posto la sua
postazione quando sentì la familiare la fragranza di pino
invadergli le narici
e si fermò.
-
Arya - sussurrò con dolcezza.
Eragon
si girò, l’elfa era a pochi passi da lui e lo
stava guardando con un’espressione enigmatico sul volto.
Improvvisamente ebbe
un déjà-vu. Era ad Ellèsmera, alla
fine una lunga giornata di allenamenti con
Oromis, quel giorno aveva subito ben due attacchi alla schiena e il suo
umore
era a terra; Arya era ancora un enigma per lui, bellissima ed
irraggiungibile e
fece una cosa del tutto inaspettata, che lo spiazzò. Lo
invitò a uscire fuori per
distrarsi e vedere ciò che di bello poteva offrire la
capitale elfica.
Adesso
come allora il suo sguardo gli provocò un
miscuglio di sensazioni contrastanti che lo lasciavano disorientato.
-
Murtagh mi ha detto che ti avrei trovato qui. Quando
non ti ha visto a cena si è preoccupato –
Eragon
incrociò le braccia sul petto – Ed anche tu lo
sei? -
-
Non so cosa pensare a riguardo Eragon. So solo che sei
preoccupato dai poteri di Isobel e da quando sei qui non mi hai mai
parlato di
quello che è successo quando eri suo prigioniero –
gli disse passandogli una
mano tra i capelli.
Eragon
sospirò, le sue dita erano fresche e morbide e
lui gliele prese tra le mani per baciarle.
-
Lo so, mi dispiace – le avrebbe voluto dire altro ma
le parole gli morirono sulle labbra. Arya allora prese una delle
pergamene su
cui aveva lavorato e iniziò a far scorrere lo sguardo sui
glifi. Il suoi occhi
brillarono di stupore. Eragon non si era limitato a trascrivere le
antiche
formule ma ne aveva create di nuove. Una di queste, appuntate in fondo
alla
pagina, attirò la sua attenzione, era dedicato a un collare
di metallo. Accanto
a lei Eragon si irrigidì appena ma aspettò che
Arya finisse di leggere.
-
E’ questo quello che ti spaventa? – gli chiese
indicando con ma mano il disegno del collare che aveva tratteggiato con
il
pennino. Eragon serrò la mascella sapendo che il disegno non
sarebbe passato
inosservato.
–
Eragon, parlami – a quell’ultima richiesta il
ragazzo
cedette.
-
Va bene ti dirò perché lo temo – al
cenno di assenso
da parte di Arya Eragon sospirò, quindi iniziò a
raccontare quello che aveva
vissuto da quando glielo avevano fatto indossare. Non le nascose nulla.
Alcuni
fatti li conosceva solo Saphira. Quando arrivò a raccontare
del suo incontro
con Oliviana il suo cuore palpitò più forte nel
ricordare l’umiliazione e il
senso di impotenza che aveva provato nell’essere portato al
guinzaglio. Arya
ascoltò in silenzio mentre i suoi occhi si riempivano di
lacrime. Non disse
nulla. In quel momento qualsiasi parole sarebbe stata inutile. Quindi
fece
l’unica cosa possibile, lo abbracciò.
Eragon
lasciò che lo stringesse forte a lui ricambiando
debolmente l’abbraccio. Rievocare quei momenti lo aveva
completamente svuotato
e sentiva di avere appena la forza di reagire. Ora più che
mai la sentì vicina.
-
Grazie – le sussurrò all’orecchio.
Rimasero
così per un tempo indefinito poi Arya ruppe il
silenzio - Eragon – lo chiamò lei. Lui si
scostò appena.
–
Sono qui –
Il
senso di smarrimenti era sparito e si sentiva più
leggero. Il peso di quello che aveva vissuto aveva iniziato a gravare
di meno
sulla sua anima Non si vergognava di essere apparso fragile agli occhi
di Arya.
Nonostante il suo aspetto fosse più simile a quello degli
elfi, dentro rimaneva
sempre un essere umano con tutte le sue fragilità. Era
consapevole di aver
superato una prova molto dura e di esserne uscito più o meno
indenne. Questo lo
aveva portato ad una nuova consapevolezza di sé e dei suoi
limiti.
-
Re Arold convocherà il suo consiglio domani e noi
saremo chiamati a parlare della nostra posizione nella guerra contro
Isobel –
le disse Arya cercando il suo sguardo. Lui aggrottò la
fronte.
-
Già domani? Pensavo avessimo più tempo
– rispose ed
Arya scosse la testa.
-
Temo che il re ce ne abbia già concesso abbastanza. Se
domani mostrerai questi fogli ti esporrai in primo piano –
Eragon ci pensò un
attimo. Ne aveva parlato a lungo con Saphira delle possibili
conseguenze di una
loro presa di posizione. Senza il minimo di esitazione la
guardò negli occhi
sorridendo.
-
Arya se ci sarà da esporsi, non mi tirerò
indietro –
-
Ed io sarò al tuo fianco – gli disse Arya con
amore.
Anche
io ci sarò. Si
inserì
Saphira Sempre
***
Arya
rientrò nelle sue stanze sola. Si era lasciata da
poco con Eragon ma la sua presenza già gli mancava. Essere
riuscita a vedere
così tanto della sua anima quella sera le aveva dato prova
ancora una volta di quanto
fossero affini e quanto il suo essere si fosse legata a lui in maniera
così
intima da farle mancare il fiato. In quel momento doveva essere
già con Saphira
che aveva insistito che mangiasse ma l’avrebbe raggiunta a
breve.
Quando
andò per rilassarsi sul divano notò qualcuno
seduto
nella penombra. Arya non lo riconobbe subito. La figura si mosse e
andò ad
accendere un lume che ne illuminò i riccioli biondi
rivelando i lineamenti del
capitano Daco.
Arya
non lo vedeva dal loro ritorno in città. Dell’elfo
ricordava
i suoi modi teatrali che sfociavano spesso nella tracotanza ma non
poteva
negare che aveva mostrato coraggio e determinazione nel condurre la
nave e gli
elfi dell’equipaggio per soccorrere i suoi compagni.
-
Speravo di incontrarti da sola per darti questi, li ho
colti io stesso questa mattina –
L’elfo
aveva in mamo un mazzo di fiori che le porse con
un sorriso. Erano bellissimi e colorati, Arya prese il mazzo in mano.
Sul volto
di Daco si accese subito una luce di gioia nel seguire i suoi gesti
mentre
quello di Arya si rattristò. I pensieri dell’elfa
erano altri. Per il solo piacere
della loro vista quei fiori erano stati strappati alla terra a cui
appartenevo,
condannati ad appassire e morire il giorno dopo. Arya chiuse gli occhi
e
abbassò lo sguardo.
-
Capitano Daco. Non avresti dovuto… –
-
Shhh, non dire altro, è stato un piacere principessa
–
rispose lui senza lasciarle il tempo di terminare la frase. Il sorriso
si
allargò ancora di più, smagliante; in quel
momento Arya seppe che non avrebbe
mai potuto fargli capire il suo dispiacere per quei fiori nemmeno fra
un
centinaio di anni. L’elfa sospirò e quella
esitazione diede a Daco lo spazio
per continuare il suo discorso.
-
Arya Svit-kona, non sono venuto solo per darti questo
dono – aggiunse assumendo un contegno più neutro.
-
Come suo membro il consiglio mi ha scelto per fare il portavoce.
– Arya immaginò che non dovesse aver avuto molti
problemi a farsi dare quel
ruolo dato la sua influenza sugli altri. Alle sue parole si
limitò ad annuire
lasciando che continuasse. Non aveva idea dove volessero portare le sue
chiacchiere.
- Re Arold e
tutti noi apprezziamo quello che stai facendo per il nostro popolo ma
abbiamo
bisogno di sapere che i cavalieri non ci abbandoneranno quando avranno
trovato gli
altri draghi –
-
Capitano Daco non sappiamo neanche noi se esistono – Daco
alzò una mano – Ma lo credete possibile. Aglaia ci
ha riferito le intenzioni di
Isobel, quello che sanno i tuoi cavalieri lo sappiamo anche noi
–
-
Cosa vuoi dire? – Arya corrugò le sopracciglia in
un’espressione stupita.
-
Arold non vuole trovarsi ancora una volta indietro e
contrattaccherà
ora che ne ha la possibilità. Sta preparando una missione
per andare alla
ricerca delle uova di drago come voleva fare Isobel.
C’è spazio solo per uno
dei due cavalieri, all’altro chiederemo di rimanere per
seguire l’allenamento
di Reafly –
-
Assicura il consiglio che faremo la nostra parte, Daco
- Sentirono una voce alle loro spalle.
-
Eragon – Arya sussultò nel pronunciare il sui
nome. Il
capitano sorrise.
-
Sono contento che la pensi così, il consiglio mi
ascolta se vuoi posso fare il tuo nome perché sia tu a
partire – aggiunse lasciando
che quella possibilità alleggiasse nell’aria.
Eragon sentì lo stomaco serrarsi.
Il capitano lo stava sfidando una seconda volta. Eragon non si era
affatto
scordato il loro primo incontro sul ponte della nave ma solo ora capiva
il
motivo di tanto astio nei suoi confronti. Ora poteva vederli con
chiarezza i
forti sentimenti del capitano verso Arya e si chiese se anche lei se
fosse resa
conto o era solo nella sua immaginazione.
Eragon
stai attento a quello che dici, non
mi piace quello che ha insinuato. Se continua così lo
carbonizzo con il mio
fuoco! Intervenne
Saphira che aveva ascoltato ogni parola
attraverso il loro legame. Eragon non riuscì a trattenersi e
le sue labbra si
piegarono appena in un sorriso prima di riuscire a riprendersi.
-
Non vorrei scavalcare il volere del consiglio Capitano
Daco. Inoltre mio fratello Murtagh non è stato ancora
contemplato. Ne converrai
che sarà più opportuno aspettare domani per
qualsiasi decisione – Eragon
vide i lineamenti sul volto di Daco
contrarsi appena in una smorfia poi si passò le dita tra i
capelli in un gesto
di noncuranza e annuì.
-
Hai ragione cavaliere -
-
Ci hai fornito tante informazioni preziose a cui
dovremmo pensare, capitano. Ti auguriamo una buona serata –
intervenne Arya
congedando l’elfo con estrema cortesia. Daco si
votò verso di lei indeciso sul
da farsi, ma lo sguardo serio di Arya gli fece capire che non poteva
fare
altro.
-
A domani. Cavaliere Eragon, Arya –
Non
appena il capitano uscì Arya corse ad abbracciare
Eragon. Eragon la sentì stringersi a lui con forza.
-
Hai intenzione davvero di partire? – gli chiese
premendo la guancia sopra la sua spalla. Eragon le accarezzò
la testa prima di
rispondere
-
Arya appena Daco lo ha proposto ho sentito il terreno
franare sotto i miei piedi ma ora più ci penso e
più sono dell’dea che a
partire dovremmo essere io e Saphira – Arya si
scostò da lui per guardarlo
negli occhi – Eragon cosa dici? – Eragon le sorrise
anche Saphira era
d’accordo con
lui dopo un breve scambio
di pensieri.
-
Pensaci Arya, Reafly si è molto affezionato a Murtagh.
Chi meglio di lui potrebbe fargli da insegnante? -
-
Murtagh, non sarà facile convincerlo.
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Figli ***
Sciolto il
consiglio tutti i presenti vollero
avvicinarsi ai due cavalieri e rivolgere loro una parola. Eragon
rispondeva ai
saluti e alle domande con garbo ma il suo sguardo era alla ricerca di
Par. Scandagliando
i presenti era riuscito a scorgerlo accanto a un sedile, in fondo alla
sala. Lo
aveva seguito per un tratto mentre si allontanava dal resto dei
presenti, per
perderlo subito dopo, quando un’elfa, con una stretta di mano
più calorosa delle
altre, lo aveva distratto. Eragon aveva passando ancora una volta in
rassegna l’intera
sala ma l’elfo sembrava essersi ormai dileguato. Fu allora
che Murtagh gli si accostò
parlandogli ad un orecchio.
- Se
è Par che cerchi, l’ho visto un
attimo fa scambiare una parola con Arold e poi uscire da quella porta -
gli disse
indicandogli dall’altra parte della sala, nella direzione
presa dall’elfo.
Eragon sospirò osservando il re e chiedendosi quanto di
quello che era stato
raccontato loro quella mattina gli fosse stato omesso.
- Cosa ne pensi
di Par, fratello? – gli
chiese Eragon approfittando di un momento di quiete, Murtagh ci
pensò un attimo.
- Non saprei
spiegarti il perché Eragon, ma
credo che possiamo fidarci di lui -
- Dici sul
serio? – chiese Eragon incredulo
corrugando appena la fonte, Murtagh gli sorrise appena –
Sapevo che ti avrei
stupito – a quelle parole Eragon scosse la testa per
ricambiarlo subito dopo
con lo stesso sorriso quindi Murtagh proseguì - quando ha
imposto in quel modo la
sua richiesta ho avuto i miei dubbi su di lui ma la bambina
è coinvolta quanto
noi nella ricerca e portarla con voi non potrà metterla in
percolo più di
quanto non lo sia già, inoltre è
l’unico che abbia viaggiato in quei luoghi –
– Sai,
lo pensa anche Saphira. –
Poco dopo tutti
uscirono via via dalla
sala, si attardarono solo Aglaia e Faramir che insieme si avvicinarono
ad
Eragon, sempre affiancato da Arya, Murtagh e da Jill. La prima ad
accorgersi di
loro fu Arya. L’elfa non disse nulla e senza muoversi dal
fianco di Eragon li osservò
con i suoi grandi e penetranti occhi verdi. Il suo sguardo
andò a incrociare
quelli nocciola di Aglaia, l’elfa non aveva mai avuto
l’occasione di ringraziare
la donna per quello che aveva fatto per Eragon a Zàkhara, ma
quel tacito scambio
di sguardi valse più di mille parole.
- La sola cosa
che veramente mi serve per
affrontare il viaggio è una nuova sella. La mia, purtroppo,
è in mano di Isobel
- stava ricordando Eragon senza nascondere una nota di rammarico nella
voce.
- Non ne abbiamo
di così grandi che si
possano adattare a Saphira – si inserì Aglaia.
Tutti a quel punto si girarono verso
di lei e Faramir.
- Se avessi
delle fasce di cuoio potrei
costruirne una – Rispose Eragon. Aglaia alzò un
sopracciglio meditando per un
attimo sulle sue parole - Faramir ed io potremmo portati dai conciatori
da cui
si servono qui al palazzo anche adesso – disse la ragazza
rivolgendo uno
sguardo al compagno – in questo modo potrai scegliere tu
stesso i pezzi che ti
servono -
Eragon
guardò gli altri con trepidazione,
non voleva lasciare la loro compagnia così presto ma non
poteva evitarlo,
doveva occuparsi della sella e con la partenza così vicina
non poteva rimandare
– Devo andare con Aglaia e Faramir e poi
raggiungerò Saphira - disse rivolgendosi
a tutti - ci vediamo dopo? – chiese loro e guardò
per ultima Arya. Lei gli
rivolse il suo sguardo più fermo e deciso possibile e lui le
sorrise a sua
volta ma quando l’elfa gli strinse forte la mano per un
ultimo saluto Eragon sentì
in quella stretta tutta l’apprensione che non aveva mostrato
prima. - A dopo - gli
disse lui con tutta la tenerezza possibile. Eragon salutò
anche Murtagh e Jill
quindi uscì seguendo Aglaia e Faramir.
L’officina
dei conciatori si trovava appena
fuori città in un’altura in prossimità
di un torrente che scorreva lì vicino. Eragon
iniziò a udire il rumore dell’acqua già
da alcune iarde di distanza, ancor
prima di giungere nelle sue vicinanze. Subito dopo arrivarono gli odori
delle
pelli e dei prodotti usati per la concia. Tutti insieme assalirono i
suoi sensi
una volta entrati in una piccola radura dove erano diversi tavoli
disposti uno
dietro l’altro e su cui erano stese le pelli in varie fasi di
lavorazione. Impastoiati
i cavalli Eragon si guardò intorno osservando
l’ambiente intorno a lui. Dietro
i tavoli si trovavano una serie di vasche in pietra, anche queste erano
disposte in file, ognuna contenenti olii e tannini di diversa natura.
Eragon riuscì
a riconoscere l’odore di alcune particolari sostanze,
sorprendendosi di come anche
a distanze enormi i metodi usati per eliminare il grasso e tutto
ciò che
potesse portare in putrefazione le pelli fossero essenzialmente gli
stessi.
Molti elfi erano
al lavoro, ognuno
intento in qualche attività che richiedevano un intenso
lavoro fisico, chi
tirando e buttando giù le pelli nelle vasche, chi passando
una spatola di
metallo sulla superficie ammorbidite per eliminare grasso e peli, chi
stendendo
le pelli ormai finite per lasciarle essiccare al sole. Nessuno di loro
rimaneva
con le mani in mano per più di qualche minuto
perché c’era sempre qualcosa da
fare.
- Qualcuno
verrà a servirci a momenti – annunciò
Faramir che sembrava conoscere il posto meglio di tutti mentre Eragon e
Aglaia continuavano
a guardarsi intorno.
Poco dopo una
voce giovanile alle loro
spalle gli fece voltare tutti e tre - Spero non ti abbiano fatto
attendere
troppo, Faramir, cosa posso fare per te? – Eragon vide
emergere da dietro una
delle vasche un elfo su per giù della sua stessa
età che si toglieva dei guanti
e veniva loro in contro.
- Sono qui con
un amico, Eragon – rispose
Faramir e lo sguardo dell’elfo si posò su di lui
per alcuni istanti.
- Eragon il
cavaliere dei draghi? – chiese
con un guizzo vivace negli occhi.
- Sì,
sono io – rispose Eragon un po’ a
disagio nell’essere riconosciuto mentre lui non sapeva nulla
dell’altro.
Probabilmente non si sarebbe mai abituato alla notorietà.
- Deve costruire
una sella per la sua
dragonessa e ha bisogno del miglior cuoio per poterla realizzare -
intervenne
Aglaia con voce bassa.
- Se
è il cuoio migliore che stai
cercando questo è il posto giusto per te Cavaliere. Seguimi
– rispose l’elfo con
orgoglio. – A proposito io sono Gregor – Eragon
strinse la mano tesa dell’elfo,
grato per quel gesto; quindi, lo seguì oltre la zona in cui
di trovavano fino
al retrobottega.
Se tra tavoli e
vasche c’era un continuo
via vai di lavoratori, rumori e odori di ogni genere, il retrobottega,
invece, si
distingueva per calma e tranquillità. Qui pochi elfi si
muovevano per selezionare
le pelli da loro conciate dividendole per spessore grandezza e
qualità.
Eragon fece a
Gregor solo qualche domanda
sulla provenienza delle pelli poi senza dire altro si aggirò
tra i vari bachi e
prese di volta in volta i pezzi e i tagli che più si
adattavano alle sue
necessità. Gregor lo osservò con
curiosità e quando alla fine ritornò al banco
con tutte le fasce che gli occorrevano gliele prese osservandole con
interesse –
Sarei curioso di vederti all’opera – disse alzando
il volto e rivolgendogli
di nuovo quello sguardo vivace
di prima - Potrei assisterti mentre la costruisci e, se ti occorrono,
posso anche
fornirti gli arnesi per cucirla -
Eragon
guardò Faramir e Aglaia che allargarono
le braccia come a dire che per loro non c’erano problemi -
Apprezzerei
tantissimo il tuo aiuto Gregor ma lavorare qui non sarà un
disturbo? – l’elfo
scosse la testa divertito.
- Nessun
disturbo. E poi realizzare selle
per draghi sento che potrebbe diventare
un’attività molto richiesta in un
futuro prossimo -
Faramir scosse
la testa divertito – L’ho
sempre detto che il tuo senso degli affari ti avrebbe portato a strambe
idee
Gregor - quindi prese dalle mani di Aglaia un sacchetto che la compagna
aveva
tirato fuori da sotto il mantello - Per ora il re può
offrirti questo – Gregor fece
un fischio di stupore nel riconoscere il conio delle monete. Eragon
guardò la
punzonatura riconoscendo nell’immagine una costruzione che
poteva essere un
porto e una figura alata al centro che reggeva una fiamma.
- Sono monete
per il porto franco di
Gratignàc, un avamposto dove anche gli elfi possono
commerciare con altri regni
che non sono alleati con Isobel – lo informò
Aglaia anticipando la domanda che le
stava per fare.
- Dunque, ci
sono altri regni oltre ai
vostri – aggiunse in una riflessione rivolta più
che altro a sé stesso.
Aglaia
annuì – Esattamente, sono per lo
più piccole realtà autonome che si sono mantenute
indipendenti, le più grandi,
purtroppo, hanno tutte aderito all’alleanza che Isobel ha
creato e che le rende
di fatto dei veri e proprio protettorati di Zàkhara
–
- Hai ragione
Aglaia- intervenne Faramir
- Ma non dimenticare di dire al nostro amico che anche se ci permettono
di
commerciare, questo non lo deve trarre in inganno, la mostra presenza
non è
sempre accettata di buon grado. Noi elfi siamo tollerati solo fino a
quando
portiamo moneta sonante ad arricchire le casse dei loro commercianti
– aggiunse
con un tono di amarezza nella voce che non sfuggì
né a Eragon né ad Aglaia. Il
cavaliere la vide andargli vicino e stringerlo a sé mentre
lui si limitò ad annuire
registrando in silenzio quelle informazioni. Il fatto che Faramir fosse
un elfo
e Aglaia un’umana non doveva aver reso la loro relazione
facile. Lui stesso
aveva vissuto sulla pelle i pregiudizi degli abitati di
Zàkhara nei loro confronti.
Una volta
sistemate le pelli su un banco
libero Eragon si mise subito a lavoro insieme Gregor. Dato che avrebbe
viaggiato
con un passeggero in più doveva includere nel progetto anche
la presenza di Par.
Eragon
spiegò a gradi linee a Gregor i
passaggi che avrebbe eseguito. Gregor ascoltò attentamente
suggerendogli qua e
là soluzioni più semplici che Eragon accolse di
buon grado.
Una volta
stabilito cosa c’era da fare gli
ci vollero tutto il resto della mattina e parte del pomeriggio per
terminare
l’opera. Eragon mangiò a malapena qualcosa che gli
venne offerto dagli elfi ma
per il resto del tempo si concentrò nel suo lavoro con
costanza e caparbietà.
Il sole aveva
raggiuto il suo apice e
iniziato a
discendere lentamente quando
Eragon alzò la testa posando sul tavolo l’ago e il
filo con cui aveva cucito
l’ultimo lembo di cuoio.
- Ed ora come
farai a trasportarla? – gli
chiese Gregor che non aveva visto nessun tipo di trasportino con le
loro
cavalcature - Eragon gli sorrise e gli mostrò come gli
inserti e tutte le
pieghe che avevano creato gli permettesse di ripiegare la sella
riducendone il
volume e poterla caricare sul proprio cavallo. – Sei stato tu
a inventare
questo metodo? – Eragon scosse la testa – No, non
sono stato io, me lo ha
insegnato uno dei miei maestri, anche lui era un cavaliere –
gli disse con una
nota di nostalgia nella voce nel ricordare il padre.
–
Della gente davvero sorprendente questi
cavalieri – gli fece Gregor facendo scappare a Eragon un
mezzo sorriso. – Sì lo
sono stati davvero. Spero un giorno di essere almeno la metà
della loro
grandezza –
Aglaia e Faramir
apparvero poco dopo, mano
nella mano. Avevano passeggiato per un tratto lungo il torrente prima
di risalirlo
e tornare alla conceria.
Una volta
caricata la sella i tre salutarono
Gregor per riprendere la strada per la città. Quando furono
abbastanza vicini Eragon
allargò la sua mente verso Saphira. Non avevano mai chiuso
del tutto il loro legame
ed Eragon l’aveva costantemente tenuta aggiornata mandandole
qua e là delle
immagini mentali di quello che stava facendo ma ora sentiva che la
dragonessa
era curiosa di sapere di più – Non vi dispiace,
vero, se ora proseguo da solo? Devo
raggiungere Saphira – disse rivolgendosi ad Aglaia e Faramir
dietro di lui – Anche
lei vi ringrazia per l’aiuto che ci avete dato –
aggiunse Eragon e, con estrema
naturalezza, pronunciò le parole del saluto elfico posando
una mano sulla
fronte e poi sul cuore- Atra
esterní ono thelduin. Mon'ranr lifa unin hjarta onr. Un
du evarínya ono varda (*) – disse per poi
girarsi e spronare il suo
destriero a un passo più veloce.
Saphira lo
attendeva in una piccola
radura all’interno del boschetto del parco
all’interno del palazzo.
Eragon aveva
lasciato il cavalo alle
scuderie quindi si era caricato la sella sulla spalla e aveva
proseguito a
piedi. Trovò Saphira acciambellata da un lato mentre gli
ultimi raggi di sole
si rispecchiavano sulle sue squame zaffiro in tanti riflessi
arcobaleno. Gli
occhi di Eragon si riempirono di meraviglia di fronte a quello
spettacolo.
Saphira
alzò il collo e lo allungò verso
il suo cavaliere. Cosa aspetti piccolo mio, vuoi farmi
provare o no questa sella?
Eragon le sorrise Certo! Mentre la
montava le raccontò altro del
lavoro fatto con Gregor e dopo aver stretto gli ultimi legacci
indietreggiò di
qualche passo per osservare il risultato finale.
Come la senti,
ti stringe troppo?
Saphira
aprì le sue ali e fece qualche movimento
per saggiarne la resistenza e la tenuta poi inarcò il collo
in segno di
soddisfazione.
È
perfetta piccolo
mio, Brom non avrebbe saputo fare meglio gli disse
dandogli un piccolo buffetto sulla spalla. Eragon le sorrise
e le accarezzò la punta del naso. Grazie Saphira
allora socchiuse gli
occhi e quando li riaprì il suo sguardo guizzò
subito alle spalle del cavaliere
Abbiamo visite
Eragon. Il ragazzo si
girò subito nella direzione
indicata dalla dragonessa e vide un vecchio elfo farsi avanti con aria
deferente
- Cavaliere
Eragon, il re vuole parlati -
L'elfo fece un
inchino e da dietro avanzò
re Arold.
Il vecchio
sovrano guardò Cavaliere e
Drago con aria di approvazione quindi rivolgendosi direttamente a
Eragon disse:
- Aglaia mi ha
informata del vostro
problema con la sella ma che avete provveduto –
- Sì
è così Maestà –
- Molto bene. Le
provviste per il viaggio
sono state preparate. Par vi aspetta domani ai Grandi Cancelli per
partire –
Perché
tante riserve intorno a questo confine e a
Par gli fece Saphira
mentalmente
Non lo so,
potremmo chiederglielo
Va bene, ma stai
attendo a come poni la domanda gli fece lei in
ammonimento.
Arold si era
fermato ad osservare i due
compagni, aveva compreso che stavano parlando tra loro e il suo sguardo
si era
riempito di stupore e di curiosità.
- Io e
Saphira ci stavamo domandando cosa abbia potuto vedere Par nelle terre
selvagge
da farle temere così tanto – chiese infine Eragon.
La risposta del
sovrano venne quasi spontanea. – È una domanda che
si sono posti in tanti ma, aimè,
nessuno fino ad ora è mai riuscito a dare una risposta.
Confidiamo tutti nella vostra
impresa perché possiate gettare luce su questo. Non sono in
grado di dire altro
–
È una
grande responsabilità quella che ci sta dando. Gli fece eco
Saphira. Come a leggere
nei loro pensieri Arold continuò
- La mia
risposta non vi soddisfa affatto e sicuramente starete pensando che vi
stia
dando una responsabilità che nessuno dovrebbe darvi a cuor
leggero – Eragon
fece per protestare ma il re lo fermò subito. –
non essere dispiaciuto, l’ho
letto chiaramente negli occhi di Saphira e ha pienamente ragione.
Come suo re
potrei imporre a Par di raccontarmi quello che vide allora, e lui
sarebbe
obbligato a farlo, ma credetemi quando vi dico non posso. Sarei un
mostro se lo
facessi.
Dovete
sapere che dal giorno del suo ritorno da quella maledetta missione,
undici anni
fa, Par non parlò per quasi cinque anni e quando tornammo a
udire la sua voce quello
che usciva dalle sue labbra erano per lo più frasi
sconnesse.
Tutto
è
cambiato con l’arrivo della stella cometa, il Par che avete
visto questa
mattina non esisteva da tempo per molti di noi. Vederlo uscire dal
guscio di
solitudine in cui si era rintanato e riprendere a parlare è
stata una vera e
propria sorpresa - il re trasse un profondo respiro. –
credetemi quando vi dico
che abbiamo potere su di lui non più di quanto ne avremmo
sulle onde del mare -
È
sincero gli
sussurrò
Saphira di rimando.
- E noi
apprezziamo la tua sincerità Sire
- disse Eragon chinando il capo in segno di gratitudine.
Dopo quella
breve conversazione il re si congedò ed Eragon tolse la
sella dal dorso di Saphira
per poi sedersi contro il suo fianco. Cullato dal calore del suo ventre
Eragon
lasciò che tutta la tensione che lo aveva tenuto in piedi da
quella mattina
scivolasse via.
Dovresti
cercare Arya lo sai? gli
disse improvvisamente Saphira destando Eragon che si era quasi del
tutto
assopito. Il ragazzo si stiracchiò un poco e
guardò pigramente la dragonessa dal
basso Io farò. Le rispose per nulla
intenzionato a muoversi.
Io non la
farei aspettare. Domani non ci sarà molto tempo con la
nostra imminente partenza
insistette lei,
Eragon era del tutto sveglio adesso e si alzò in piedi. D’accordo
Saphira,
sto andando. Le rispose subito. Saphira sbuffò e
dandogli un colpetto con
il muso sulla spalla lo spinse delicatamente lontano da lei. Tu
sai qualcosa
che io non so… disse improvvisamente incuriosito
e divertito da quella insistenza.
Non sarebbe
la prima volta che accadeva. Saphira aveva mantenuto molti segreti con
lui nel
corso della loro battaglia contro Galbatorix. Prima con Brom e poi con
Oromis e
la stessa Arya avevano scelto Saphira e non lui, per condividere certe
informazioni che lo riguardavano e che la dragonessa gli aveva rivelato
solo quando
aveva ritenuto opportuno. Questa volta, però Eragon
intuì che si trattava di
qualcosa di diverso. Percepì una sorta di apprensione e di
felicità nelle
sensazioni della sua compagna di cuore e di mente, emozioni che la
coinvolgeva
come non le era mai capitato prima.
Eragon fece
un altro tentativo per farle dire qualcosa ma la dragonessa fu
inamovibile;
quindi, sconfitto andò alla ricerca di Arya. La
trovò che riposava nel piccolo
salottino antistante la loro camera. Quando Arya lo vide varcare la
soglia
della porta lo raggiunse e lo abbracciò con tale forza da
lasciarlo spiazzato.
Eragon dopo un attimo di smarrimento la strinse a sua volta sentendola
tremare
– Arya… – mormorò iniziando a
preoccuparsi. A quel punto l’elfa si distaccò
appena da lui e lo guardò negli occhi sorridendo, il suo
volto emanava una luce
particolare che Eragon non seppe riconoscere subito.
- Per anni sono
stata ambasciatrice del mio popolo tra i Varden mediando ogni genere di
messaggio
tra elfi e umani – esordì l’elfa
guidando le mani di Eragon sui suoi fianchi.
Il ragazzo la lasciò fare abbassando lo sguardo e riuscendo
solo a pensare a
quanto fossero piccole e delicate le sue mani sopra le sue. Arya allora
gli prese
il mento tra le dita facendogli alzare il volto - ed ora, di fronte a
te, non trovo
le parole per dirti quello che ci sta succedendo. – Eragon
era sempre più
confuso, ma cercò di non mostrarlo – Non temere
per quello che devi dire, fallo
e basta, qualsiasi cosa l’affronteremo insieme – le
disse tutto di un fiato, senza
pensarci. Arya sospirò mentre un velo di tristezza le
passava sul volto.
- Tu e
Saphira state per partire. Se lo facessi ti darei un onere troppo
grande da
portare – Eragon cercò le parole giuste per
proseguire, aveva imparato da tempo
che nelle discussioni con Arya era una questione di logica.
- Tu lo stai
portando in questo momento, se è un onore che riguarda noi
due è giusto che anche
io sappia e che lo condividiamo insieme – Eragon la vide
tornare a sorridere
ancora come se quel peso si fosse appena fatto più leggero.
-
D’accordo Eragon,
volevo essere certa che tu lo volessi davvero – gli disse
prendendogli le mani
e posandole sue sul ventre.
- Quello che
ho scoperto questo pomeriggio è che qui dentro sta iniziando
a crescere una
nuova vita, Eragon, si tratta di nostro figlio –
Eragon
batté
più volte le palpebre prima di trovare di novo la voce -
Vuol dire che, che sarò…
padre? – le sussurrò Eragon senza voler togliere
la sua mano dalla pancia di
Arya che ancora non mostrava alcun cambiamento evidente ma a breve
sarebbe iniziata
a crescere per fare posto al bambino.
- Sì
Eragon,
sarai padre, ma non pensare che te lo abbia detto per chiederti di
rimanere e rimandare
la missione per stare al mio fianco – le disse riportando la
sua attenzione alla
loro imminente separazione.
- Lo avrei
fatto se me lo avessi chiesto, ma so anche che sei forte abbastanza per
affrontare tutto questo anche in mia assenza – disse
rendendosi conto di non
sapere quanto tempo la missione gli avrebbe chiesto e improvvisamente
ebbe
paura. Paura di tornare troppo tardi e perdere i primi passi della
giovane vita
che stava per venire al mondo o peggio ancora di non tornare affatto e
lasciare
così il bambino senza un padre. Come a leggergli nel
pensiero Arya lo prese per
mano e lo guidò verso uno dei divani su cui era stata seduta
fino a poco tempo
fa - Vieni qui – gli disse facendolo sedere e andandosi a
poggiare anche lei con
la testa sul petto del cavaliere. Eragon sentì che
l’amore che da sempre provava
per lei si era come dilatato per andare ad avvolgere quella vita che
avevano
creato insieme ma che ancora non conosceva. Con quella nuova
consapevolezza la
voce di Arya lo colse quasi di sorpresa - Lo sai che mi mancherai come
non mi è
mancato nessun’altro, perché ti ho scelto come mio
compagno di vita e perché sarai
il padre del nostro bambino. Non vorrei mai che ci separassimo ma posso
farcela
a sopportare questa distanza sapendo che ti impegnerai per tornare da
me e vedere
tuo figlio crescere. – gli disse lei facendo ruotare la testa
per poterlo
guardare. Eragon fece un profondo respiro, anche se la paura era ancora
lì, non
poteva permetterle di offuscare il suo giudizio.
- Fino a pochi
minuti fa il mio pensiero era tutto rivolto alla partenza di domani,
ora il
viaggio mi sembra qualcosa di così lontano e la sola cosa a
cui riesco a
pensare è stringerti a me il più forte possibile.
- esordì Eragon con un
sorriso messo - Ma non posso ignorare l’impegno che ho preso
come cavaliere e non
posso farti alcuna promessa o vincolare la mia parola
all’antica lingua perché non
so fino a dove mi porterà questo viaggio. –
continuò mettendo a nudo la propria
anima. – ma qualsiasi cosa accada, farò di tutto
per tornare da te, da voi. –
Eragon le baciò la mano e avvicinando il suo viso le
sussurrò - Vel Einradhin
iet ai Shur’tugal (La mia parola di cavaliere) -
finì di dire in antica
lingua.
***
Rebekha si
era appena addormenta quando Serena si chiuse la porta della loro
stanza alle spalle.
La ragazza era crollata presto dalla stanchezza dopo le forti emozioni
della
giornata, la donna, invece, non riusciva a prendere sonno. Il suo
pensiero
andava continuamente al figlio, Reafly. Secondo le parole di Oliviana,
era lui
il motivo per cui erano trattenute a palazzo ma, da quando erano
arrivate, non
era stata fatta a loro nessuna domanda a riguardo. Rebekha, come era
giusto che
fosse per una giovane della sua età, si era subito adattata
alla nuova situazione
accogliendo con entusiasmo tutte le attenzioni che le erano state
riservate nel
corso della giornata. Serena invece non si fidava ancora e senza
lasciare la
sicurezza di quelle stanze e si andò a sedere su una delle
sedie del salottino
che faceva da anticamera alle loro camere da letto.
Non era
riuscita a tenere al sicuro Reafly ed ora il pensiero di perdere anche
Rebekha
la spaventava paralizzandola. La donna si coprì il volto con
le mani e si piegò
in avanti dondolandosi
- Phill
cosa
dovrei fare? –
chiese in un sussurrò al marito che non cera
più da tempo. In quel momento la porta della stanza si
aprì ed Isobel entrò
nella stanza con grandi falcate. Serena si asciugò in fretta
il viso e si
sistemò il lembo della gonna mentre si alzava in piedi in
presenza della donna.
Se la regina si era accorta del suo disagio non lo diede a vedere.
- Stai pure
comoda mia cara – le disse in tono mellifluo. –
Spero che tu e tua figlia stiate
trovando la sistemazione qui a palazzo di vostro gradimento.
–
- Certamente,
è tutto di nostro gradimento Maestà –
Serena esitò un attimo prima di
continuare - ma non vorrei abusare della vostra generosità.
State cercando
informazioni su mio figlio Reafly ma io o non posso darvele. Non so
dove dive
si trovi in questo momento né con chi è
– Serena arrossì di sdegno quando Isobel
scosse la testa divertita da quella affermazione e si
avvicinò di un passo
verso di lei sorridendo di gusto.
- Ma non ho
alcun
bisogno di sapere dove si trova tuo figlio. So esattamente
dov’è e con chi si
trova, ma, cosa più importante, so cosa è
diventato Serena da Alagaësia – si
affrettò a informarla Isobel che con quest’ultima
allusione lasciò la donna in
totale confusione.
- È
con gli elfi
oscuri ad Ardéa, è diventato un cavaliere dei
draghi – a quelle parole Serena crollò
sulla sedia mentre l’ombra di Galbatorix e dei suoi
rinnegati, con tutta la loro
scia di follia e sofferenze tornava a incombere sulla sua vita.
- La mia
intenzione
è quella di riportarlo qui, naturalmente, ma non posso farlo
da sola. Se il
sangue non mente anche Rebekha può diventare un cavaliere
come il fratello. Ed
è del suo aiuto di cui avrò bisogno. –
nell’udire il nome della figlia, Serena
tornò a guardare la regina con nuovo interesse.
- Voglio
introdurla
allo studio dell’antica lingua per prepararla al compito che
le attende – Nel
vedere la sua interlocutrice irrigidirsi Isobel sorriso.
- Venendo da
Alagaësia sai cosa voglio dire -
Serena
annuì.
Anni fa Phill le aveva confidato i suoi sospetti sul coinvolgimento
della magia
nel conflitto con gli elfi. Serena aveva creduto che stesse esagerando
ma la sua
morte improvvisa gli aveva aperto gli occhi su ciò che stava
realmente accadendo
nel regno. Isobel non era poi tanto diversa da Galbatorix. Da allora la
sua
unica preoccupazione era stata quella di proteggere i suoi figli. Si
era adeguata
al resto della popolazione seguendo in maniera passiva tutto quello che
veniva loro
raccontate dalla propaganda della regina. Aveva continuato a farlo
anche dopo l’arrivo
dei draghi e dei loro cavalieri. Dentro di sé Serena non si
era stupita che
Reafly ne fosse rimasto subito affascinato ma la donna aveva continuato
a
mantenere comunque quella farsa solo per tenerlo lontano dai guai
confidando in
Xavier.
-
Perciò
quale è la tua risposta? – chiese infine Isobel.
Serena non
aveva molte scelte di fronte a quella richiesta. Rifiutarsi le avrebbe
precluso
di stare vicino alla figlia.
-. Puoi
addestrarla come tuo cavaliere
***
La mattina della
partenza di Eragon
Saphira, Reafly si svegliò molto presto. Era
all’alba e il giovane si andò a sciacquare
in gran fretta andò a sciacquarsi di buono ora il viso con
l’acqua fresca e indossò
dei pantaloni e una casacca comodi; quindi, prese tra le braccia il
cucciolo dorato
ancora addormentato ai piedi del suo letto facendo attenzione a non
ferirsi con
le squame appuntite del suo dorso. Il piccolo drago protestò
appena mentre lo
tirava su per poi addormentarsi l’attimo dopo contro il suo
petto una volta usciti
dalla stanza.
Quella mattina
avrebbero celebrato Arya e
il bambino in arrivo con un piccolo cerimonia, ma Reafly doveva prima
fare una
cosa di estrema importanza. Ma Reafly aveva una cosa importante da fare
prima La
sera precedente Saphira si era rivolta direttamente a lui parlandogli
nella
mente e chiedendogli di poterle concedere un po’ di tempo con
il suo cucciolo.
Reafly era stato
più che contento di
assecondare la sua richiesta, lo avevano fatto sentire di nuovo
importante dopo
aver appreso da Xavier delle decisioni prese alla riunione del giorno
precedente a cui non gli era stato chiesto di partecipare.
Reafly raggiunse
i giardini esterni dove
lo stavano attendendo Saphira e Castigo. Grazie Reafly per
essere venuto. Rimbombò
la voce delicata di Saphira. Non devi. Eragon e Murtagh sanno
che sono qui? Chiese
titubante rendendosi conto solo ora di non averne fatto parola con
nessuno. Reafly
sentì la dragonessa gorgogliare in una risata. Certo
cucciolo. Lo abbiamo
deciso insieme di rompere le vecchie regole dell’ordine.
A voi draghi non
era permesso incontrare i vostri genitori? Chiese il
ragazzo stupito abbassando lo sguardo sul cucciolo.
La risposta della dragonessa lo raggiunse subito dopo.
Noi draghi
percepiamo molte cosa da dentro i nostri gusci. È difficile
da spiegare ma in
qualche modo noi conosciamo i nostri genitori nei nostri cuori.
Fu
l’ordine dei
cavalieri a stabilire che si potesse creare un legame solo con il
proprio
cavaliere.
Sono felice che
non dobbiamo seguire più queste regole commentò
Reafly con semplicità
Ancora
addormentato tra le braccia di
Reafly, Saphira sfiorò piano le tenere squame dorate del
cucciolo. Il piccolo
si destò piano e fu grande la sua sorpresa quando vide i
grandi occhi zaffiro
della dragonessa. Una domanda inespressa emerse dalla mente di Reafly.
Il
ragazzo non ci mise molto a capire che proveniente dal piccolo drago. Sì,
piccolo, questa è la tua mamma
gli
disse emozionato.
Il cucciolo come
ad aver capito si avvicinò
timidamente alla dragonessa e Reafly ne approfittò per
allontanarsi, facendo più
piano possibile. Sfortunatamente nel metter un piede a terra
pestò accidentalmente
un rametto facendo girare il cucciolo di drago che si guardò
freneticamente
intorno prima volgendo i suoi occhi verso Reafly, poi verso Saphira e
Castigo
ed emettendo una serie di pigolii confusi. Reafly allora gli
mandò una serie di
immagini rassicuranti e imprimendo più forte che
poté il suo ritorno.
Mentre il
piccolo drago si acquietava Reafly
si accorse degli sguardi di Eragon e Murtagh poco distanti da loro che
lo
attendevano. Si allontanò per raggiungerli quando avvenne
una cosa inaspettata,
nella sua mente si stamparono due nomi Reafly… Gleadr era stato il piccolo
a inviarglieli continuando a ripeterli
fino a quando il loro contatto non si affievolì per poi
sparire del tutto.
Con il nome del
suo drago nella testa Reafly
seguì i due cavalieri per raggiungere Arya, Jill, Xavier con
Aglaia e il compagno
Faramir.
Fu una
celebrazione parca. Aglaia, Faramir
e Xavier erano consapevoli di star partecipando a un evento
estremamente
riservato. Tutti si felicitarono con Arya ed Eragon lasciando fuori dai
loro
discorsi ogni riferimento a ciò che sarebbe accaduto
nell’imminente futuro. In
quel momento si celebrava solamente la vita come era stata la
volontà di Arya.
Terminata la
celebrazione i tre cavaliere
si separarono dagli altri che non gli avrebbero seguiti ai Grandi
Cancelli e
ognuno di loro salutò Eragon.
Per ultima Arya
lo strinse forte a sé.
Eragon cercò di imprimere il più possibile il suo
ricordo in quell’abbraccio
quindi la lasciò andare.
Nel tragitto i
due fratelli caddero in un
insolito silenzio. Eragon guardava a terra come assorto nei suoi
pensieri
mentre Murtagh aveva lo sguardo puntato in avanti, anche lui in qualche
maniera
assente.
Improvvisamente
parlarono all’unisono.
–
Volevo dirti… – dissero entrami.
Sotto lo sguardo
interrogativo di Reafly i
due fratelli si guardarono negli occhi e risero, quindi Eragon
parlò di nuovo -
Ti prego, inizia tu – Murtagh annuì.
- So che nessuno
di noi due ha voglia di
aprire questo argomento ma dobbiamo stabilire a chi poter diffondere la
notizia,
soprattutto adesso che stai per partire. Se questa informazione cadesse
nelle
mani sbagliate renderebbe la tua posizione oltremodo pericolosa
–
- Lo so Murtagh,
possiamo fidarci sono di
noi per il momento – rispose Eragon riferendosi alle altre
persone presenti
alla cerimonia oltre a loro tre - Non dovremmo dirlo nemmeno al re per
il
momento –
- Da me non
sapranno nulla, avete la mia
parola di Cavaliere – intervenne Reafly che fino ad ora aveva
seguito la loro
conversazione in silenzio. Eragon lo guardò con gratitudine.
- Grazie Reafly
- gli disse per poi
scompigliandogli i capelli con la mano.
Poi venne
raggiunto dalla mente di
Saphira stava sorvolando i Gradi Cancelli con Castigo e Gleadr. Eragon
sorrise
dentro di sé nello scoprire il nome scelto dal drago senza
rivelarlo ad alta
voce.
- È
il momento di andare –
Una piccola
folla si era già riunita ai Grandi
Cancelli a osservare la delegazione alla cui testa vi era re Arold
insieme a
una parte del consiglio. L’atterraggio dei draghi venne
accolto con alcune esclamazioni
di stupore. Saphira si accucciò a terra e abbassò
il busto per mostrare Gleadr accoccolato
sull’incavo della sella. Il cucciolo si era addormentato da
poco sul dorso della
madre. Reafly si avvicinò e lo prese in braccio osservando
il piccolo ventre
che si gonfiava al ritmo regolare del suo respiro.
Saphira
li guardò entrambi con tenerezza ed Eragon
avvertì delle sensazioni contrastanti provenire dalla
dragonessa. Doveva essere
difficile per lei staccarsi ora dal suo cucciolo. I suoi pensieri erano
forti e
investirono Eragon che d’istinto si avvicinò a
Saphira, e le accarezzò il muso,
in silenzio.
Non
ti devi preoccupare per me piccolo mio le disse la
dragonessa inarcando lievemente il
collo in segno di gratitudine poi, strofinando la punta del suo naso
sul palmo
del ragazzo, concluse; Ma tu stammi vicino.
Eragon
allora posò la fronte sulle squame del suo
muso e rimase così per alcuni minuti.
Poco
dopo comparve anche Par. Arrivò quasi in
sordina uscendo dal nulla e causando un attimo di silenzio.
- Sono pronto
Eragon. Ho tracciato il percorso su queste mappe. La prima tappa a Blow
e poi alla
volta del varco, come nei nostri accordi – disse mentre
alzava una sacca con
una pergamena arrotolata al suo interno. Il suo volto era stanco
notò Eragon.
L’elfo doveva aver passato tutta la notte su quelle carte per
mantenere fede
alla sua parola.
- Come nei
nostri accordi – ripeté Eragon
per poi invitarlo con la mano a raggiungere Saphira. Aveva percepito in
un
breve sondaggio della sua mente che l’elfo era in apprensione
per il volo. Il
suo stupore fu grande quando vide la sella su cui avrebbe viaggiato.
- Grazie Eragon,
hai fatto una cosa molto
bella per me –disse sincero, Eragon contento delle parole
lo aiutò a
salire per poi issarsi a sua volta sul dorso della dragonessa e
posizionarsi di
fronte a lui.
In quello stesso
momento Saphira aprì le
sue ali.
Vogliamo andare
dolcezza? la
invitò con affetto Eragon.
Saphira emise un
lento ruggito di assenso,
poi spiccò un potente balzo e, richiudendo le sue ali, prese
rapidamente quota.
Il terreno sotto
di loro si fece sempre
più piccolo. Dietro di lui Eragon poté sentire
Par stringere i denti. L’elfo
aveva stretto le sue mani alle maniglie tanto forte da sbiancare le
nocche mentre
l’aria scompigliava con violenza i capelli dei due
passeggeri. Una volta
raggiunta quota Saphira aumentò la sua andatura
stabilizzando la rotta.
Eragon
continuò più volte a voltarsi in
direzione della costa, fino a quando non divenne una sottile linea
sull’orizzonte, per poi sparire alla loro vista.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Un nuovo cavaliere ***
- Ne
devo dedurre che sarete voi a partirete per questa
missione che è a tutti gli effetti un suicidio! - fu la
risposta esterrefatta
di Murtagh non appena Eragon ebbe finito di esporgli la sua idea di
accettare la
missione proposta dal capitano Daco.
Eragon
sapeva, fin dall’inizio, che avrebbe incontrato le
resistenze del fratello. Facendo appello a tutta la sua calma
cercò di placare le
proprie paure.
-
Non dico che dobbiamo accettare ogni cosa che ci
proporranno ma non possiamo negare che la ricerca ci riguarda da vicino
- Murtagh
lo guardò disarmato e scosse la testa.
- Sei così ansioso di frequentare nuovamente le prigioni di
Isobel? –
gli chiese in tono provocatorio. Eragon
tacque per alcuni secondi. Quella possibilità gli aveva
sfiorato la mente più
di una volta ma aveva cercato sempre di allontanare quel pensiero.
Murtagh non
accennava a smorzare i toni e stavano lentamente minando la sua
determinazione.
Eragon,
Murtagh ti vuole bene ma non devi permettergli di
farti dubitare di te stesso o di noi. Le parole della
dragonessa arrivarono
in tempo a sostenerlo quando stava iniziando a cedere.
Vorrei
solo che avesse più fiducia in me. Le rispose
cercando
il sostegno nella sua presenza. La replica della dragonessa non
tardò ad
arrivare Ce l’ha, ha solo paura per te
Eragon
le annuì mentalmente - Temo il suo potere più di
quanto immagini Murtagh ma abbiamo imparato tanto da allora. - Rispose al fratello con
voce mesta, gli occhi
appena socchiusi
- Se
parli così non lo temi abbastanza - fu la risposta secca
dell’altro. Eragon sospirò riaprendo gli occhi
- D’accordo, che
cosa
proponi di fare? -
rispose esasperato
dall’ennesimo rifiuto del fratello.
- Se
fossimo io e Castigo a partire e tu ti occupassi
dell’allenamento di Reafly? – rispose Murtagh a sua
volta con una domanda.
Eragon aveva valutato anche quella possibilità e
lanciò al fratello un sorriso
sconsolato.
-
Potreste ma sarebbe pericoloso lo stesso, se non peggio –
a quelle parole Murtagh alzò un sopracciglio guardandolo
intensamente in attesa
che continuasse. Eragon si affrettò a rispondere.
-
Pensaci Murtagh, Isobel ci ha involontariamente dato un
vantaggio. Ha obliato il ricordo della nostra presenza dalle menti
della
popolazione. Se seguiremo un percorso lontano dalle città mi
basteranno
incantesimi semplici per riuscire a mantenerci nascosti -
Murtagh
rimase in silenzio mentre Castigo entrava lentamente
nella mente del suo cavaliere. Tigre, perché ti
ostini a trattarlo come un cucciolo.
Non potrai proteggerlo per sempre
La risposta di Murtagh arrivò triste. Ti sbagli.
Non sono riuscito a fare
neanche quello.
Castigo
si avvicinò di nuovo ma Murtagh cercò di ritrarsi
Se
continuerai ad opporti otterrai solo di allontanarlo da
te. L’osservazione
del drago lo colse di sorpresa. Castigo aveva ragione.
- Va bene, ammettiamo
che sia tu a partire. Cosa vuoi che ti dica? -
Ammise alla fine mentre sentiva il gorgoglio soddisfatti
di Castigo.
-
Potresti iniziare facendomi sapere che mi dai il tuo appoggio
-
-
Eragon questo… -
-
Aspetta fammi finire. So che questa missione è piena di
insidie e pericoli, ma non l’avrei mai voluta affrontata da
solo. Se non
avessimo avuto delle responsabilità nei confronti di Reafly
ti avrei voluti al
mio fianco in questo viaggio. - fece una piccola pausa come ad
accertarsi che
il fratello fosse ancora lì ad ascoltarlo
-
Puoi accettare questo? -
- Ho
alternative? - disse ed Eragon era già pronto a
rispondere quando Murtagh alzò una mano per fermarlo. -
Perdona Eragon, hai
ragione è solo che non vorrei che fossi sempre tu sia il
solo a rischiare così
tanto -
-
Avrò Saphira al mio fianco a proteggermi e rischieremo il
minimo possibile - appena finì la frase Eragon seppe che non
avrebbe mai potuto
mantenere quella promessa. Dall’altra parte Murtagh si fece
bastare quelle
parole, nessuno dei due aveva voglia di discutere ancora.
- Ti
voglio solo dire un’ultima cosa - La voce del fratello
arrivò all’improvviso e un sorriso amaro gli
increspò le labbra mentre Eragon
alzava la testa per ascoltare - La regina è molto astuta ed
è forse più
pericolosa dello stesso Galbatorix. Trova presto quello che stiamo
cercando e
ritorna indietro. – La sua voce era diventata una supplica.
Eragon non lo aveva
mai visto così preoccupato.
- Te
lo prometto -
***
Il
consiglio era già riunito nella sala delle udienze. Daco
sedeva tra gli altri membri in attesa, come tutti,
dell’arrivo dei cavalieri e del
re. Si era messo a parlare con alcuni di loro, la sua voce era bassa e
suadente
mentre chiacchierava con disinvoltura, solo il suo sguardo, ogni tato,
si
spostava dal proprio interlocutore nella speranza di intercettare
quello di Arya
che sedeva dalla parte opposta a loro, accanto a Jill.
L’elfa,
dall’altra parte, aveva notato da tempo le sue
occhiate ma aveva abilmente evitato ogni contatto diretto con lui. Era
tornata
a indossato la sua vecchia maschera di impassibilità che le
aveva permesso
tante volte di isolarsi e osservare ciò che la circondava
con il giusto distacco
e obiettività. Dopo la morte del suo primo amore, Faolin,
per mano dello spettro
Durza era stata a lungo la sua unica espressione. Non c’era
stato nemmeno il
tempo di piangerlo, la guerra contro Galbatorix non glielo aveva
permesso, esigendo
la sua presenza senza se e senza ma. Solo accanto ad Eragon, con il
tempo, aveva
trovato il coraggio di abbassare nuovamente quelle difese e far
riemergere a
poco a poco la vera Arya. Guardando indietro, l’elfa sapeva
che non avrebbe potuto
dare il suo cuore a nessun’altro che a lui e quando vide
entrare accanto a
Murtagh, i suoi occhi si illuminarono di pura di gioia.
Entrando
nella sala delle udienze Eragon si distaccò dal
fratello e andò dritto verso Arya. L’aveva cercata
con gli occhi e quando
riuscì a incrociare il suo
sguardo le
sorrise subito con lo stesso entusiasmo dell’elfa. In quel
momento era come se
ci fossero solo loro nella stanza.
Incrociarono
le loro dita sfiorando il palmo delle mani per
poi stringerle, salire alle braccia e fermarsi continuando a guardarsi
negli
occhi. Quel breve attimo sembrò ad entrambi senza fine. Fu
la voce di Murtagh a
destare Eragon da quel momento. - Il re è arrivato
– lo sentì mormorare e le
voci intorno a loro scemare in brusio appena sommesso. Ancora con la
mano di
Arya nella sua si voltò verso la porta.
Arold
entrò portando sotto braccio un grosso rotolo di carta
affiancato da Aglaia e Xavier ma non era stata la loro presenza a
suscitare
tanto stupore. Appena dietro di loro un elfo li stava seguendo
mantenendosi a
debita distanza. Quest’ultimo era di statura più
bassa rispetto agli altri, Eragon
non avrebbe saputo dire la sua età ma camminava curvo da una
parte trascinandosi
sulla gamba destra che muoveva con una certa rigidità. I
suoi capelli erano
neri corvino ad eccezione di un’unica ciocca canuta che
brillava con sfumature argentee
sulla fronte dandogli un aspetto fanciullesco. Era vestito con abiti
morbidi,
casacca e pantaloni ma aveva i piedi scalzi.
L’elfo
scambiò due parole con Aglaia la quale, si
distaccò
da Xavier ed Arold e accompagnò l’elfo verso i
banchi dove si trovavano Eragon
e Murtagh. Lo sguardo dell’elfo passò rapidamente
da l’uno a all’atro cavaliere
mentre Aglaia lo presentò a loro - Cavalieri, questo
è Par -
-
Chi di voi due è Eragon? – chiese lui senza
riuscire a
nascondere una nota di apprensione nella voce. I due fratelli si
guardarono per
un attimo poi Eragon fece un passo avanti.
-
Sono io - nell’udire la risposta un brivido sembrò
attraversare il piccolo elfo facendolo tremare per un istante - Io sono
Par e
posso guidarti nelle Terre Selvagge -
Eragon
guardò gli astanti che avevano iniziato a scambiarsi
sguardi e parole a mezza bocca. Non c’erano dubbi che era
stata la sua presenza
a creare tanta agitazione.
-
Non si era mai parlato di un guida – disse rivolto ad
Aglaia accanto a loro. In cuor suo Eragon aveva immaginato di essere
solo con
Saphira. Viaggiare con una terza persona avrebbe cambiato molte cose.
Anche
io avrei preferito stare solo noi due ma ascoltiamo
prima quello che hanno da dire intervenne pronta la voce di
Saphira. Eragon
percepì tutta la curiosità della dragonessa nei
confronti di Par.
Intervenne
il re che nel frattempo aveva spiegato la carta
sul tavolo - Non vi è stato detto nulla perché
Par ha fatto richiesta di unirsi
alla missione solo ieri sera ma ha posto delle condizioni che vorrei
ascoltaste.
Lascio ad Aglaia il compito di spiegare -
Arold
indietreggiò di un passo in favore della ragazza. - Grazie
Arold - mormorò Aglaia prima di andare al tavolo dove era
stata distesa la carta
geografica. Andò a puntare il dito su una grande area verde
oltre i confini di
Zàkhara. – Come molti di voi sanno queste sono le
Terre Selvagge. – disse
facendo una piccola pausa perché tutti prestassero
attenzione.
- È un territorio
per
la maggior parte inesplorato di cui si conosce poco e niente. I suoi
confini
sono protetti dalla catena montuose del Gran Massiccio e il solo varco
fino ad
ora conosciuto si trova qui, nei territori controllati da Isobel.
Aggirare il
blocco, che avrà sicuramente organizzato,
richiederà molti giorni di viaggio
con il rischio costate di essere avvistati e catturati dalle
guarnigioni di
soldati la cui presenza è stata confermata anche dal
capitano Xavier qui
presente. Anche se si compie il viaggio sul dorso di un drago -
continuò
lanciando uno sguardo in direzione dei due cavalieri - Fino ad ora
pensavamo
che fosse l’unico passaggio sicuro nell’entroterra,
ma non è così. Par, qui al
mio fianco, ne è a conoscenza di un altro –
concluse lasciando spazio all’elfo.
Par prese un profondo respiro e si fece avanti salendo su uno sgabello
che
aveva trascinato dai banchi alle sue spalle. Si issò e
grazie all’aiuto di
Aglaia si mise in piedi in modo che tutti potessero vederlo
- Lo
rivelerò a patto che venga con noi Eleonor, la bambina con
il marchio dei cavalieri di cui avete parlato l vostro arrivo. Anche
lei deve partecipare
alla missione. Non è una condizione trattabile. -
finì di dire Par con voce
pacata ma decisa.
Il
volto di Eragon si contrasse in una leggera smorfia nel
sentire il basso ringhio della sua dragonessa rimbombargli nella mente
- Io e
Saphira ci chiediamo per quale motivo dovremmo accettare le tue
condizioni e
mettere a rischio le nostre vite e quella della piccola - chiese Eragon
con
voce asciutta. Aveva parlato con altrettanta calma e Par
reagì alla domanda con
un sorriso laconico, senza scomporsi - È tutta questione di
fiducia. È di
questo che si tratta vero? -
-
Puoi biasimarli? -
intervenne allora Murtagh sostenendo il punto del fratello.
- No
- rispose Par - non mi conoscete neppure ma non posso darvi
una risposta - Eragon si morse un labbro per trattenersi dal rispondere
e posò
una mano anche sul braccio di Murtagh chiedendogli di fare altrettanto.
– Posso
dirvi perché non ho simpatia per Isobel e perché
Anche io come tutti voi voglio
che il suo regno cada se questo vi aiuterà a prendere la
decisione giusta -
- Ti
ascoltiamo – si limitò a dire Eragon facendo un
cenno a
Par di continuare
- Quasi undici anni
fa Arold mi chiese di organizzare una spedizione nelle Terre Selvagge,
un
ultimo disperato tentativo cercare possibili alleati nella guerra
contro
Zàkhara.
Quella
spedizione fu un totale fallimento. Le Terre Selvagge
sono un territorio aspro e impervio ci ha risucchiato e buttato fuori
distruggendoci. Uno ad uno vidi i mei compagni cadere nel tentativo di
tornare
a casa. Solo io riuscii a varcare la frontiera vivo ma completamente
solo. Risalendo
lungo il confine per raggiungere un porto sicuro per tornare a casa
venni
catturato dal nemico. Appresi che anche Isobel da tempo desiderava
esplorare
quelle terre. Mi torturò per estorcermi tutto quello che
avevo visto e appreso.
Cercai di resisterle ma alla fine cedetti rivelandole molte cose tra
cui l’ubicazione
di uno dei due varchi che ora controlla. Sono riuscito a tenere segreto
il
secondo solo riuscendo a fuggire. Non vado fiero per aver parlato e
porto
ancora i segni della mia debolezza come un’onta -
Il
volto di Eragon era livido. Non c’è menzogna nelle
sue
parole ma le condizioni che poneva costringeva lui e Saphira a una
tappa molto
pericolosa.
Se
non accettiamo saremmo comunque costretti a viaggiare
a lungo per trovare un punto di accesso alle montagne. Par è
anche l’unico che
abbia viaggiato nelle Terre Selvagge. Non possiamo permetterci di
rifiutare.
Era stata Saphira a parlare.
-
Qual è la strada più sicura per raggiungere
Eleonor –
chiese alla fine Eragon accettando implicitamente le condizioni di Par.
Aglaia
trasse un sospiro di sollievo nel guardare Arold e
prese di nuovo la parola - Ho fatto in modo che lei e la madre fossero
accolti
da dei miei patenti a Blow. È un piccolo villaggio a nord
nei pressi del fiume Striamone
–
Eragon
e Murtagh si avvicinarono ad osservare le distanze
segnate sulla carta - Passando per queste campagne e tagliando qui su
queste
alture si raggiunge il villaggio in sei settimane, che cosa ne pensate?
– chiese
Aglaia.
- A
dorso di drago ne impiegheremo la metà – si
affrettò a
dire Eragon guardando Murtagh che annuì.
- Mi
sarà permesso di salire su un drago? – chiese Par
facendo voltare i due fratelli. L’espressione sul volto
dell’elfo aveva perso
quella determinazione che l’aveva contraddistinto fino ad ora
per lasciare il
posto a una scintilla di puro stupore.
-
Anche Saphira è d’accordo che più
rapidamente
attraverserete il territorio nemica minori saranno le
possibilità di essere
intercettati. – rispose
Eragon che aveva
sempre lasciato una finestra di dialogo con la dragonessa.
- Se
non c’è altro potete partire domani. È
un tempo
sufficiente per te e il tuo drago? - chiese Arold con un tremito nella
voce.
Eragon
guardò uno ad uno i suoi amici. Jill, Murtagh e infine
Arya. Avrebbe voluto avere più tempo ma sapeva bene che non
c’era motivo di
aspettare oltre. Lo sguardo fiero che le rivolse Arya gli diceva lo
stesso. Si
voltò verso Arold - È sufficiente -
***
Dall’altra
parte del mare, nella città Abalon, Rebekha sedeva
immobile nella stanza di Reafly. Dal giorno della sua scomparsa si era
ritrovata a trascorrere molto tempo in quella camera, passando in
rassegna gli
oggetti che il fratello aveva collezionato, alla ricerca di qualsiasi
segno
l’aiutasse a capire cosa lo avesse spinto ad andarsene.
A
farle ancora più male era stata la decisione sua e del
capitano
Xavier di tenerla all’oscuro di tutto. Nei giorni successivi
la fuga del
cavaliere dei draghi, infatti, il palazzo era stato sottoposto a
stretta
sorveglianza da parte delle guardie reali, senza dire nulla alla madre,
Rebekha
si era presentata davanti ai cancelli chiedendo di poter entrare e
parlare con
il fratello o con il capitano. Nella sua ingenuità aveva
comunicando loro quello
che Xavier aveva raccontato la sera precedente sull’invito
della regina. Rebekha
era diventata rossa dalla vergogna quando le guardie quasi le risero in
faccia
per l’assurdità delle sue parole. La congedarono
con alcuni commenti derisori sulla
fantasia delle donne e, piena di vergogna, si rese conto che non
c’era mai stato
alcun invito da parte della regina e che il fratello era probabilmente
coinvolto in quella faccenda più di quanto avesse pensato in
precedenza.
Tornata
a casa Rebekha non parlò con la madre
dell’accaduto,
non c’era motivo di farla preoccupare ulteriormente ma,
nonostante i suoi
tentativi di proteggerla, la sentiva piangere ogni notte tra le mura
della sua
camera mentre di giorno la vedeva sobbalzando ad ogni rumore che
proveniente da
fuori. Come la madre anche Rebekha sperava di rivederlo Reafly
rientrare da
quella porta coma aveva sempre fatto ma i giorni passavano e le
probabilità di
rivederlo si assottigliavano sempre di più, fino a diventare
solo una flebile
speranza.
Non lo avrebbe mai ammesso a sé tessa ma era
arrivata a odiare il
fratello per quello che stava facendo alla loro famiglia. Rebekha si
asciugò il
viso rigato dalle lacrime. Non voleva più piangere per lui.
Dovevano andare
avanti e smetterla di illudersi che potesse cambiare e pensare per una
volta al
loro prima che a sé stesso. In un moto di rabbia diede un
calcio al pupazzo di
stoffa sul letto e lasciandolo a terra batté la porta dalla
stanza alle sue
spalle. In quel momento sentì qualcuno bussare e la madre
andare ad aprire
parlare con qualcuno. Reafly!
Rebekha corse giù dalle scale con
il cuore in gola dimenticando tutto quello che aveva pensato del
fratello fino
a un attimo fa.
-
Reafly se sei tu io ti giuro che… - disse mentre girava
l’angolo dell’ingresso ma le parole le morirono in
bocca quando accanto alla
madre non vide Reafly ma una donna. Era più grande di lei
dal corpo flessuoso e
agile, aveva dei capelli ricci, corvini, raccolti in una coda alta con
due riccioli
che le ricadevano ai lati del volto. Indossava una divisa militare
diversa da
quella ordinari delle giardie reali e lo sguardo era freddo e tagliente
tanti
da colpirla come uno schiaffo.
-
È lei? - chiese
la
donna con voce fredda e asciutta rivolta a qualcuno che si trovava alle
sue spalle.
Rebekha seguì lo sguardo della donna e vide quattro guardie
che la ragazza riconobbe
subito come quelle che l’avevano derisa qualche giorno fa che
le annuirono.
-
Sì Oliviana, è lei -
-
Rebekha perché non mi hai detto che eri andata a cercare
tuo fratello? – le chiese la madre. La sua voce fu un faro
nella nebbia che le offuscò
per un attimo la vista. Non c’era rimprovero nella sua voce
solo rassegnazione davanti
al fatto che entrambi i suoi figli fossero così propensi ad
agire di impulso.
Rebekha avrebbe tanto voluto che fosse arrabbiata.
- Non volevo che ti
preoccupassi – le rispose senza badare alla presenza degli
altri.
Serena
le sorrise debolmente ma non riuscì ad aggiungere
altro perché la donna dai capelli corvino parlò
di nuovo.
-
Per ordine della regina sarete scortate a palazzo per regolarizzare
la situazione di Reafly Coleman – due guardie le si
affiancarono e a Rebekha
sembrò a tutti gli effetti un arresto. Spinta in avanti si
aggrappò alla mano
della madre stringendola forte, la
donna
attirandola a sé le posò l’altra mano
sulla spalla.
-
Non temere Rebekha si stempera tutto -
***
Dalla
sala delle carte Isobel contemplava la terra di
Alagaësia con sguardo meditabondo.
L’incantesimo
lanciato alle uova, prima che Aglaia gliele sottraesse
con l’inganno, gli aveva rivelato che uno di loro si era
infine schiuso. Non
c’era modo di sapere per chi ma quando Oliviana le fece
notare il nome accanto
a quello di Xavier in uno dei rapporti compilato dai soldati a guardia
dell’entrata a palazzo, Isobel iniziò a nutrite
dei sospetti.
Coleman.
Quel cognome continuava a ricorrere nei suoi affari.
Phill
Coleman era uno dei soldati che si era fatto notare di
ritorno a Zàkhara recando con sé una donna di
Alagaësia. La regina aveva subito
fatto cecare negli archivi anagrafici il nome della donna, Serena.
Phill l’aveva
fatta sua sposa non appena sbarcati e aveva avuto da lei due figli che
ora
avevano sedici e tredici anni. Rebekha e Reafly Coleman.
Per
tutti Phill era un eroe di guerra, era stato insignito delle
piu alte onorificenze dopo aver perso la vita durante
un’imboscata da parte
degli elfi oscuri.
Quello
che solo lei sapeva è che l’uomo era stato
giustiziato per suo ordino, ed era morto da traditore. Aveva aiutato a
fuggire un
elfo che era stato catturato ai confini con le terre selvagge. Le stava
rivelando
informazioni preziose su certi varchi e sulla natura di quei territori.
Phil
non cercò nemmeno di difendersi quando uno dei suoi
sottoposti lo aveva
accusato portando le prove del suo coinvolgimento. Isobel lo aveva
fatto
condannare a morte senza esitare.
Una
vita per un’altra vita. Una semplice e crudele regola
che aveva imparato sulla sua pelle già in tenera
età.
-Cosa
c’è Oliviana? - chiese la donna sentendo i passi
felpati
del sicario alle sue spalle
-
Serena e Rebekha Coleman sono qui a palazzo maestà -
-
Hai comunicato loro il motivo della loro presenza qui come
ti ho detto? - chiese
senza guardarla.
-
Certamente Maestà. Sanno che sono qui per Reafly-
-Le
hai portate nelle stanze blu? –
-
Sì maestà. Come mi è stato ordinato.
-
Ottimo lavoro Oliviana, puoi andare adesso - la giovane
donna annuì e con un inchino si congedò senza
ulteriori cerimonie.
Di
nuovo sola Isobel pronunciò alcune parole per attivare
l’incantesimo che le avrebbe permesso di ascoltare la
conversazione delle due
donne. Subito udì due voci femminili che parlavano in
maniera concitata. Erano
Serena e Rebekha che discutevano sulla loro situazione.
Questa
stanza è meravigliosa mamma! Guarda
queste tende
le lenzuola e c’è una stanza solo per il bagno
grande quanto la nostra cucina!
Quando
tuo padre è morto non c’è stato nessun
invito a palazzo.
Solo la visita di un messo che ci consegnò il primo dei
sussidi che vengono
dati ai familiari dei caduti e le sentite condoglianze della regina.
Mi
dispiace Mamma non volevo di attirare l’attenzione su
di noi ma la regina sembra aver preso a cure la nostra situazione
Non
lasciarti ingannare da questi lustri, non mi fido di
lei Rebekha
Perché?!
Non
so dirtelo. Chiamalo intuito ma vorrei che tu ti
tenessi ancorata alla realtà
Mamma
la realtà è che Reafly e capitano Xavier sono
andati via lasciandoci indietro
Isobel
lasciò che le voci delle due donne sfumassero nella sua
testa. Quello che aveva sentito le era bastato. Ora sapeva come
conquistare la
fiducia della ragazza. Era in lei, infatti, che la regina voleva
riporre le sue
energie. Perché quella ragazza sarebbe stata il prossimo
cavaliere.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Eleonor ***
Rebekha era
seduta al tavolo, china su un foglio di carta, intenta a tracciare dei
segni;
dietro di lei, la regina attendeva che la sua allieva finisse il
compito che le
aveva assegnato.
Era una
ragazza sveglia e intelligente, Isobel
non aveva avuto nessuna difficoltà nell’introdurla
allo studio dell’antica
lingua; da parte sua Rebekha si era subito lasciata guidare da quella
donna,
così severa e rigida, ma che, in quei giorni, aveva scoperto
molto ansiosa di
conoscerla e di insegnargli.
Aveva
appena finito la pagina quando nella stanza
irruppe Oliviana. Isobel guardò il sicario con uno sguardo
severo.
- Mia signora
– rispose.
-
Oliviana, dimmi pure -
-
E’ una questione delicata, Mia Signora – si
giustificò Oliviana lanciando uno sguardo di fastidio verso
Rebekha. Isobel sorrise
non appena capì il suo dilemma.
-
Rebekha, ci puoi scusare? - la ragazza, uscì in
silenzio, un poco contrariata, ma lieta di non essere più
nella stanza con
quella donna.
Una
volta uscita, l’assassina si girò verso la
regina.
-
Cos’è tutta questa fretta Oliviana, spero sia
una cosa urgente! – Altri avrebbero tremato di fronte
all’ira della donna ma il
sicario non si scompose minimamente.
- Un dei
draghi è in viaggio sulle nostre terre,
si dirigeva verso nord -
Il viso
di Isobel si fece rigido per un attimo - Ne sei
fermamente sicura? – la paura che aveva iniziato a
serpeggiare
tra la popolazione dopo la fuga di Murtagh aveva fatto moltiplicare a
dismisura
gli avvistamenti di draghi ed elfi, rendendo difficile per le sue
guardie individuare
eventuali piste giuste.
- Il mio
informatore è più che fidato, mia signora
-
- Di che
colore sono le squame del drago? -
Sul
volto di Oliviana si dipinse un sorriso
maligno - Si tratta della dragonessa e del suo cavaliere -
- Se
è così, seguili e portali da me -
- Con
piacere mia signora. Quando vuoi che parta? -
- Con
calma Oliviana, con calma – disse con un
ghigno.
-
Chiamami i Ra-zac -
Oliviana
trattenne un moto di stizza nell’udire
il nome di quei mostri, ma annuì all’ordine e,
celando il suo malcontento, si
dileguò per ritornare poco dopo con le due creature.
- Cosssa
desssiderate, Mia sssignora? - sibilarono
all’unisono i due mostri.
L’assassina
si stava allontanando ma la regia la
fermò.
-
Oliviana, rimani, mi servite tutti - poi
rivolgendosi ai due Ra-zac.
- Voi
due avete un’ultima passibilità: hanno
avvistato la dragonessa che vi è sfuggita, insieme al suo
cavaliere - gli disse
con voce melliflua.
-
Seguite gli ordini di Oliviana e portateli da
me affinché che non possano più nuocermi. -
***
Il villaggio di
Blow era un piccolo
centro abitato costruito vicino all'alto corso del fiume Strimone; era
abitato
da una cinquantina di famiglie, per lo più contadini e
fabbricanti di vasi a
cui si aggiungevano i numerosi mercati che frequentavano il mercato
allestito
periodicamente per la vendita delle loro merci. Qui Eleonor e la madre,
Lidia, erano
state presentate come delle lontane parenti di Miriam e Jerod Bedford,
una coppia
di coniugi molto apprezzati e stimati nel villaggio per cui madre e
figlia erano
state accolte con lo stesso rispetto.
Come
ogni sera Eleonor si trovava nella
sua stanza, al piano di sopra della casa dove erano ospito, a giocare
con le sue
bambole di pezza; Lidia era in cucina, al piano di sotto, a parlare con
Miriam.
Quest’ultima era una donna sulla sessantina
dall’aspetto corpulento e cordiale,
sempre pronta al pettegolezzo, ma dal cuore grande e generoso. I
coniugi
avevano accolto la donna e la bambina senza fare domande, nonostante
Aglaia gli
avesse spiegato la situazione.
Lidia aveva
ammirato molto il loro
coraggio e presto tra lei e la donna era nata una sincera amicizia.
Le conversazioni
attorno al focolare
erano diventate un’abitudine piacevole per entrambe le donne.
-
Oggi parlavo con il macellaio - le
stava confidando Miriam girando lentamente la minestra con il mestolo - corrono voci,
al mercato, che la regina stia per mettere le mani su dei
fuggitivi – Lidia saltò dalla sedia su cui era
seduta - Pensi stiano parlando di
Eleonor? – chiese sbiancando in viso – Miriam
lasciò il mestolo, prese un
braccio della donna con delicatezza e sorridendo la
tranquillizzò.
- Lidia,
da quando siete qui ci sono state anche una
decina di avvistamenti di draghi tra la Stonewood e le pendici del Gran
Massiccio, ma non significa che dobbiamo prendere per vero tutto quello
che viene
dalla bocca dei mercanti che passano da qui - Miriam fece una breve
pausa, riprendendo
a mescolare. La sua voce era piena di comprensione:
- Tu ed
Eleonor non dovete preoccuparvi. Aglaia è
per noi come una figlia, e se ci ha chiesto di proteggervi, noi lo
faremo con
tutti i mezzi a nostra disposizione -
Lidia
guardò la donna con affetto. Aglaia non
avrebbe potuto scegliere persone migliori a cui affidare Eleonor.
- Grazie
– aggiunse solamente.
Proprio in quel
momento qualcuno bussò
alla porta. Le due donne trasalirono.
Non aspettavano
nessuno quella sera. Il
marito di Miriam, Jerod, stava lavorando al forno e non sarebbe tornato
prima
dell’alba.
Miriam
nonostante le parole rassicuranti
di poco prima rivolse uno sguardo di intesa a Lidia che si
alzò per andare
nell’altra stanza.
- Chi
è? - fece
la donna.
- Miriam
sono io, Jerod. Aprimi è una cosa
urgente. -
Miriam
corrugò la fronte e fece un cenno a Lidia
di tornare prima di andare ad aprire al marito.
Jerod
entrò grondante d’acqua, fuori pioveva a
dirotto.
- Entra
e sistemati davanti al fuoco. Ecco vieni.
- Miriam prese il
mantello zuppo dell’uomo
e lo fece accomodare su una sedia.
- Grazie
Miriam - i suoi occhi si posarono
intensi sulla donna:
- Fuori
ci sono due persone che stanno facendo
domande sulla nostra famiglia -
Lo sguardo di
Lidia divenne ancora più bianco
mentre quello di Miriam era teso e determinato - Dove si trovano?
– chiese con
voce asciutta.
- Sono
entrati da poco nella locanda. Me lo hanno
riferito due ragazzi che hanno attaccato adesso il turno di lavoro e mi
sono
subito precipitato a casa. Le porterò io al rifugio -
affermò
l’uomo mentre Miriam annuiva per poi
rivolgersi a Lidia e spiegarle il loro piano.
-
Ascoltami bene Lidia, ora io e andrò alla
locanda - la donna si tirò su guardandola colpevole, ma
Miriam la zittì con un
gesto. - Non
c’è tempo per discutere. Tu vai
dalla bambina e stai pronta a scappare con Jerod nel caso fossero gli
uomini
della regina. Lui sa un percorso sicuro tra le montagne che vi
permetterà di nascondervi
fino a quando sarà necessario. - Lidia combatté
solo un attimo
nell’indecisione, poi non poté far altro che
accettare.
Così
Miriam si recò alla locanda, tutti i
presenti si voltarono dalla sua parte per distogliere subito lo sguardo
non
appena riconobbero la donna. Tutti tranne due uomini.
Miriam
aveva individuato i due forestieri e il
suo volto trasalì nel riconoscere uno di loro.
Più
di dieci anni fa la donna aveva aiutato
Par a fuggire dalle prigioni della regina. Era stata una vita fa, prima
di conoscere
Jerod, sposarlo e ritirarsi a Blow; era stato quando risiedeva ancora a
palazzo
e credeva che la giustizia fosse di questo mondo. Miriam sapeva che
accettare
l’incarico di Aglaia avrebbe smosso i fantasmi del suo
passato, ma non si era
aspettata così tanto.
L’elfo
era molto diverso
da come lo ricordava, ma non lo avrebbe potuto confondere con
nessun’altro.
- Miriam
tutto bene? sembra che tu abbia visto
uno spirito. - le chiese Trevor, il locandiere. L’uomo
vedendola entrare le era
venuto incontro per salutarla.
-
È probabile - fece lei elusiva – Sono loro i
forestieri che stanno chiedendo di me e Jerod? - L’uomo si
asciugò le mani con
un panno e le annuì con un borbottio –
Sì sono loro, è da un po’ che sono
seduti li, per lo meno hanno pagato – aggiunse con un tono
sostenuto della voce.
- Grazie
Trevor - Disse la donna prima di avvicinarsi
lentamente al tavolo.
Par,
osservò Miriam, erano seduti davanti
ad un boccale di birra, insieme a lui c’era un giovane uomo
dai capelli castano
chiari, quest’ultimo sembrava profondamente turbato e
agitato. Dall’altra parte
Par, notò ancora Miriam, mostrava una insolita calma
guardando il giovane con
aria serafica.
- Non ti
preoccupare – lo sentì mormoragli
- vedrai
che verranno loro da noi -
I due
sembravano proprio non averla notata.
Il
ragazzo stava per rispondere, quando Miriam
s’intromise nel loro discorso.
- Par,
Par, Par. Dopo quello che abbiamo passato più
di dieci anni fa non credevo di rivederti di nuovo -
A quelle
parole il volto dell’Elfo cambiò improvvisamente
espressione, e si volse sorridendo verso il ragazzo che gli sedeva
davanti:
- Hai
visto? -
Gli
occhi del giovane uomo si ridussero a due
piccole fessure, mentre scuoteva esasperato la testa; Par lo
ignorò, e
girandosi verso la donna le disse
-
Miriam. Non lo pensavo nemmeno io, ma eccomi
qua -
- Per
tutti gli spiriti, che cosa ci fai qui?! -
tagliò corto lei.
A quel
punto il ragazzo di fronte a Par si alzò
dalla sedia e le si avvicinò, la sua voce era velata
d’apprensione
- Siamo
entrambi qui per Eleonor. Dobbiamo parlargli.
È una cosa urgente. Aglaia ci ha detto che madre e figlia
sono da voi -
Miriam
fissò un attimo negli occhi il ragazzo.
Questi erano di un nocciola chiaro, limpidi.
- Non so
di quale Eleonor tu stia parlando – gli
disse la donna come a voler saggiare la sua reazione.
Eragon
non aveva tempo per lunghe spiegazioni, quindi
prese la donna per un braccio e la invitò a chinarsi, poi
girò il suo palmo
destro e si sfilò il guanto che lo copriva, rivelando
così il gedwey ignasia.
Gli
occhi della donna s’illuminarono sotto il
bagliore del marchio dei cavalieri. Eragon ricoprì subito il
palmo.
- Dille
del marchio, e capirà! –
Miriam
guardò ancora una volta quel
ragazzo e solo ora notò i suoi lineamenti, non era umano, ma
nemmeno un elfo
come Par; la donna aveva riconosciuto il simbolo sul suo palmo e questo
le
bastò per credergli. Miriam distolse lo sguardo dal ragazzo
per rivolgersi ad
entrambi.
-
Aspettatemi qui, torno tra poco -
-
Perché non possiamo venire con te? -
Gli fece
Eragon bloccandola ancora per un
braccio. - Non temere Cavaliere. In questo piccolo villaggio non ci
sono guardie
della regina, a meno che non le abbiano portate voi. –
aggiunse alzandogli
delicatamente il braccio per liberarsi. Eragon la lasciò
andare ricadendo
indietro sulla sedia mentre la donna uscì dalla locanda.
Ora
dovevano solo aspettare.
Rimasti di nuovo
soli Eragon cercò subito
con la mente Saphira
La
dragonessa li aspettava lontano dal villaggio.
Fuori la pioggia continuava a cadere in abbondanza ed Eragon
iniziò a percepire
dalla sua compagna una serie di sensazioni sull’ambiente
circostante: l’umidità
sotto le zampe, il fango che si infila dentro gli artigli e le gocce
d’acqua
che scivolano lungo le squame.
Abbiamo
incontrato Miriam e se tutto va bene tra
poco incontreremo Eleonor – le
disse Eragon
non ancora convinto del piano di Par. - Tu come te la stai
cavando?
Sto bene piccolo
mio, due gocce d’acqua non sono nulla per noi draghi.
Eragon sorrise
per rivolgersi di nuovo
verso Par, ma, in quel breve frangente l’elfo aveva avuto
tutto il tempo di
alzarsi e dirigersi al bancone ordinando un’altra birra. Non
si era nemmeno
accorto delle occhiate furtive che gli venivano rivolte.
Il
giovane cavaliere gli si avvicinò di corsa e
lo trascinò via.
- Par,
io non attirerei troppo l’attenzione -
L’Elfo
stava per rispondere a tono, ma vide in
viso il cavaliere che lo stava fissando livido, e ricacciò
indietro una risposta
mordace, limitandosi ad annuire.
Si
andarono a sedere ad un tavolo appartato. Una
volta seduti Eragon fissò a lungo l’elfo prima di
parlare.
- Ora che siamo
arrivati qui, credo che io
e Saphira ci siamo guadagnati il diritto di sapere il motivo per cui
hai voluto
Eleonor con noi –.
Alla sua domanda
Par aveva iniziato a far
roteare il boccale di birra tra le mani e alzando appena lo sguardo dal
tavolo guardò
Eragon di sott’echio
- Va bene, te lo
dirò. Ma vorrei che non giudicassi
la mia scelta in maniera frettolosa –
- Non sono
abituato a farlo – gli rispose
semplicemente.
Par
guadò Eragon per alcuni istanti prima
di parlare, come a voler saggiare la verità delle sue parole.
- Bene, tutto ha
avuto inizio con la
comparsa della cometa e con il sogno che mi è stato inviato.
- Eragon si
avvicinò verso il suo interlocutore per sentire meglio.
–
Inviato? Spiegati meglio -
- Come sai
già, ero perso nel mio mondo ormai
da anni, incurante di tutto ciò che mi circondava, quando un
sogno non mi ha riportato
nelle terre selvagge. Era come essere di nuovo li, non come negli
incubi che
spesso hanno tormentato i miei sogni. Era come… -
- una
premonizioni – finì di dire Eragon.
Par annuì contento di essere stato compreso.
-
C’erano una bambina e una dragonessa, io
potevo vedere loro ma loro non potevano vedere me –
- E pensi che
quella bambina sia Eleonor?
– chiese Eragon.
Par si
limitò solo ad annuire. – Quando
mi sono svegliato il mattino seguente ero come rinato. Non so spiegarti
come ma
tornai a parlare con la gente, così ho potuto sentire di
voi, il resto della storia
lo conosci – Eragon annuì con la testa poi chiese
ancora.
- La dragonessa
del tuo sogno, aveva le squame
bianche? – alla sua domanda Par rimase in silenzio, restio a
continuare.
- Par,
rispondimi – lo incalzò ancora una
volta Eragon. Par sospirò
- No, la
dragonessa non era bianca, ma
Zaffiro, si trattava senza dubbio di Saphira – disse
– non c’era nessun’altro.
Eragon
alzò un sopracciglio e rimase a
pensare alle sue parole senza giudicarle, come gli aveva chiesto di
fare, ma, da
qualsiasi parte guardasse il suo racconto, questo continuava a non
avere alcun senso
per lui.
– Ho
abbastanza espertizza con questo
genere di sogni da sapere che è impossibile conoscerne il
significato se non
nel momento in cui si avverano. Quando accadrà, ti assicuro,
sarò come un rompicapo
che magicamente si ricompone.
Se è
la tua visione che vai cercando,
spero solo che tu non abbia troppe aspettative a riguardo
perché in ogni caso ti
deluderà. – disse scuotendo la testa nel ripensare
a quello che aveva vissuto
lui.
- Davvero non
hai domande o obiezioni a riguardo?
– chiese Par stupito. Evidentemente l’elfo si
aspettava una reazione diversa.
- Una domanda
l’avrei – disse infine
Eragon. Par alzò lo sguardo – Dimmi –
- Riguarda
Miriam. Come fai a conoscerla?
– gli domandò Eragon. Par abbassò di
nuovo lo sguardo.
- Lei mi ha
aiutato a fuggire quando ero
prigioniero della regina a palazzo. Se non fosse per lei e per Phill,
non sarei
qui ora a raccontarti questa storia… -
Eragon avrebbe
voluto fare all’elfo altre
domande ma in quel momento nella taverna rientrò Miriam. La
donna non si era
nemmeno tolta la mantella dalla testa ma fece semplicemente loro cenno
con la
mano di uscire.
Par e
Eragon si alzarono di all’unisono e poggiando
anche loro i cappucci sulle loro teste e la seguirono fino ad una casa
appena
fuori dal centro del villaggio. Ad aprire loro la porta fu la madre di
Eleonor
Lidia. Eragon non la vedeva dal loro primo incontro ad Abalon.
- Le
circostanze della scorsa volta non ci hanno
permesso di presentarci a dovere, io sono Eragon –
- Ed io sono
Lidia. So che volete vedere Eleonor
- disse la donna senza troppi preamboli per poi condurli ai piani
superiori
della casa mostrando loro la stanza della bambina.
Non appena
Eleonor riconobbe il cavaliere
gli corse incontro con un sorriso di pura gioia dipinto sul piccolo
volto.
-
Eragon! – quasi gridò aggrappandosi alle sue
gambe.
- Anche
io sono contento di rivederti Eleonor –
le sorrise il ragazzo accarezzandole la testolina bionda. Eleonor lo
strinse
per un altro po’, poi si scostò appena per
guardare l’elfo dietro al ragazzo.
- Ciao Eleonor,
io son Par –
- Tu sei un vero
elfo? - chiese facendo
sorridere Par che le annuì, la bambina si
distaccò da Eragon e si avvicinò
all’elfo
per toccargli la punta delle orecchie. – Sei buffo
– disse con una semplicità disarmante,
Par si accigliò appena.
- Vuoi vedere
una cosa ancora più buffa?
– le chiese, la bambina annuì con la testa. Quindi
l’elfo si coprì il volto con
le mani e quando le riaprì aveva storto la bocca in
un’espressione divertente.
Eleonor scoppiò a ridere mettendogli le mani sul volto per
farlo tornare come
era prima. Anche Par toccò le sue mani e fu allora che
avvenne una cosa del
tutto inaspettata, gli occhi della bambina e di Par divennero
completamente
neri e i loro corpi si bloccarono per alcuni minuti
Quando
tutto tornò alla normalità la madre corse
immediatamente
da lei. Eragon non aveva assolutamente idea di cosa fosse accaduto tra
i due,
ma sentiva che non c’era stato alcun pericolo.
Lidia,
invece, preoccupata prese la bambina in
braccio passandole le mani sul viso le scrutò gli occhi.
- Stai bene?
–
- Sì,
sto bene mamma. Ho visto un posto
bellissimo, sai? Devo andarci con Par – Par ed Eragon si
guardarono senza
sapere come dire alla donna che la bambina aveva ragiona e che avevano
intenzione di portarla con loro per un viaggio oltre il confine delle
terre
selvagge.
Miriam, come a
intuire la situazione
difficile, intervenne
-
Perché non rimanete qui da noi questa
notte. Domani, una volta riposati, potremmo parlare di ciò
per cui siete
venuti. –
Sembra
che non abbiamo alternative, e accettare
il loro invito e date le circostanze mi sembra la cosa più
saggia. Gli fece
mentalmente Saphira, non appena il
cavaliere gli ebbe spiegato la situazione
Tu te la caverai
da sola?
Non temere. Voi
tre
riposate, ma domani mattina dovremo subito ripartire, dovessi
trascinare Par ed
Eleonor con i miei artigli! gli rispose la
dragonessa facendo scoccare mentalmente la lingua tra i denti,
strappando così
un sorriso al suo cavaliere.
D’accordo,
dolcezza, ma stai attenta.
Ad Eragon e Par
vennero mostrati due giacigli
di fortuna sistemati ad un angolo della cucina
- Questo
è il massimo che possiamo offrirvi – si
giustificò Miriam prima di lasciarli per andare ai piani di
sopra.
-
È il miglior letto in cui ho dormito nelle
ultime settimane. Vi ringrazio. - gli
fece Eragon con un sorriso sincero. Una volta soli, il cavaliere si
slacciò
prima il fodero della spada per poggiarlo vicino al letto, poi si
sfilò la
giacca. Rimasto solo con la camicia e i pantaloni si stese sul letto e
chiuso
gli occhi cercando di rilassarsi. Par accanto a lui aveva fatto
altrettanto, al
contrario di Eragon l’elfo riuscì quasi subito a
prendere sonno. Eragon rimase
ad ascoltare il suo respiro regolare fino a quando anche lui, esausto,
non
scivolò nel sonno.
Era quasi
l’alba nel villaggio di Blow, la
pioggia aveva smesso di cadere già da alcune ore e sul
terreno battuto, qua e
là, si erano aperte alcune pozzanghere d’acqua su
cui si riflettevano i profili
grigi degli edifici intorno alla strada. Oliviana
avanzava
lentamente davanti ai due Ra-zac su quella che
doveva essere la strada
principale.
La pista che
aveva seguito fino a quel
momento era stato un clamoroso buco nell’acqua. Invano aveva
fatto girare la voce
di un imminente arresto così da invogliare qualche lingua a
sciogliersi, ma il
cavaliere si era come dileguato e l’ultima pista utile che
aveva individuato
era vecchia di settimane. Stava per tornare ad Abalon con un pugno di
mosche in
mano quando avvertì qualcuno usare la magia. Si
stupì di quanto fosse vicina la
fonte. Avvertiti i Ra-zac, il sicario avevano
seguito la scia fino
a Blow. Un piccolo villaggio di contadino e artigiani.
Oliviana
tirò indietro il cappuccio
scoprendosi viso e in quel momento una follata di vento
arrivò leggera a
scompigliargli i capelli. Incurante dell’acqua che inzuppava
i suoi stivali
avanzò lentamente sul terreno battuto, lungo la strada non
c’era anima viva ad eccezione
di un cane randagio che gironzolava in cerca di qualche osso; Oliviana
chiuse
gli occhi ed espanse la sua mente come le aveva insegnato tempo
addietro Isobel.
La donna poteva avvertire le coscienze d’ogni singolo
abitante farsi largo
nella sua mente, ognuna con i suoi problemi e le sue preoccupazioni.
Pigramente
si aggirò tra loro fino quando la su attenzione non fu
attirata da una mente in
particolare, vi si avvicinò piano, ma subito potenti
barriere la bloccarono.
Oliviana aprì i suoi occhi grigi con un ghigno sul viso, la
fortuna stava dalla
sua parte. Chiamò a sé i due Ra-zac:
- State
pronti ad attaccare. -
Dalla
posizione supina Eragon avvertì un fastidioso
formicolio alla mano che gli fece spalancare gli occhi allertando tutti
suoi
sensi. D’istinto alzò le sue barriere mentali, non
prima di lanciare a Saphira
un grido di allarme. Prese con sé Speranza e se
l’allacciò rapido alla cintura.
Nel villaggio
era arrivato qualcuno in
grado di usare la magia, lo aveva appena sfiorato ma gli era
bastò per capire
che non era un amico.
Andò
per svegliare Par. La camera era ancora avvolta
dall’oscurità, ma il cavaliere non ebbe alcuna
difficoltà a individuare l’elfo e
scuoterlo con decisione lo svegliò.
- Par ci
hanno trovato, dobbiamo subito andare via
– l’elfo ancora confuso e assonnato rispose con un
mezzo grugnito.
-. Par devi
alzarti! Qualcuno ci ha
scoperto – Par era del tutto sveglio adesso e
guardò Eragon spaventato
Subito
dopo la porta della casa fu battuta con
violenza. Eragon digrignò i denti e fece cenno a Par di
saliere le scale – Vai
da Eleonor e Lidia e portale via! Io li terrò occupati
– Par non se lo fece
ripetere due volte e sparì al piano di sopra.
Eragon rimase ad
osservare l’entrata con entrambe
le mani chiuse sull’elsa della spada. La porta venne aperta
con un calcio. Il cavaliere
si trovò a fronteggiare Oliviana e i due Ra-zac.
Erano tre contro
uno pensò allarmato.
- Ci si
rivede Cavaliere - gli fece sorridendo la
donna.
Con un
segnale silenzioso i due mostri
scivolarono nell’ombra sparendo alle spalle di Eragon.
Eragon
non poté impedirglielo, occupato a badare
ad Oliviana che avanzava verso di lui. I suoi occhi grigi incrociarono
per un
attimo quelli nocciola di Eragon.
- Dove
si trova il tuo drago, e cosa vi ha
portato in questo villaggio? – gli chiese alla ricerca di un
punto debole nelle
sue barriere mentali.
Eragon
continuava a fissarla senza parlare.
Anche il
cavaliere saggiò le difese mentali della
donna e, trovandole protette da potenti barriere, passò
subito all’attacco.
Incominciarono
così a scambiarsi una
serie di fendenti molto veloci. Oliviana era agile per essere
un’umana, ma ben
presto Eragon riuscì ad avere la meglio su di lei. La
disarmò con un agile
colpo, mandò la sua spada lontano e le impedì di
riprenderla. La donna cadde in
ginocchio, e fissò il cavaliere. Aveva il respiro affannato.
Eragon le puntò la
lama sul suo collo, ormai indifesa
-
Alzati! - le ordinò secco
Oliviana
obbedì, ma non sembrava per nulla
turbata. Si alzò riprendendo fiato, mentre con un sorriso
maligno, lanciò il
suo sguardo alle spalle del suo avversario. Eragon si girò
di scatto, e dalla
porta ne emersero i due Ra-zac.
Il
cavaliere osservò con orrore che uno di loro teneva
tra le sue grinfie Par ed Eleonor, mentre l’altro stava
trascinando con sé
Lidia e Miriam.
Eragon
abbassò lentamente Speranza, mentre
Oliviana, riprese la sua spada e la puntò trionfante contro
di lui.
- Ora
abbassa le tue difese, e dimmi cosa stavate
cercando e dove eravate diretti. - le
disse osservando divertita il suo sguardo allarmato. Intanto i Ra-zac
avevano oltrepassato Eragon, e spinti a terra Par e Eleonor. Il volto
di
Oliviana si allargò dallo stupore quando riconobbe chi aveva
davanti.
- Non vi
credevo così sciocchi da condurmi la
bambina su un piatto d’argento. Vi ho sopravalutato a quanto
pare! - disse
guardando ora il cavaliere, poi si avvicinò piano alla
bambina.
Lidia
cercò subito di liberarsi dalla presa del Ra-zac,
che non cedette di un millimetro.
-
Eleonor! - Gridò disperata. Oliviana infastidita
dalle urla si girò di scatto dalla sua parte e la
guardò con freddezza, dietro
di lei Miriam lottava per conquistare una posizione comoda tra le
grinfie di
quei mostri.
- Voi non mi
siete di alcuna utilità - e
a un suo cenno i due Ra-zac le
trafissero
al cuore con i loro artigli. Tutto avvenne nel giro di un battito di
ciglia. Le
due donne non ebbero nemmeno il tempo di rendersene conto, con gli
occhi
spalancati fissarono il vuoto mentre i loro i loro corpi crollavano a
terra
come delle bambole di pezza. Eragon rimase immobilizzato sul posto.
- No!
– gridò mentre cadeva in ginocchio sotto il
suo stesso peso. Cercò con lo sguardo Par, l’Elfo
aveva avuto l’accortezza di
coprire il volto della bambina con una mano per impedirle di guardare
la scena.
In quel momento soltanto un intervento di Saphira poteva ribaltare la
loro
situazione, ma il cavaliere non osava aprire la propria mente per non
rivelare
il piano ad Oliviana.
Sperò
ardentemente che la dragonessa
stesse già sopra la casa.
La sua attesa
non durò a lungo, presto
vennero raggiunti da dei rumori sopra il tetto, come di una folata di
vento.
- Che
cosa succede? - disse Oliviana guardando al
soffitto.
Eragon
approfittò di quel momento di distrazione
per cercare di raggiungere Eleonor e Par, ma la lama
dell’assassina lo
raggiunse in un lampo, impedendogli di avanzare.
- Che
credi di fare Cavaliere? - gli
disse, premendo la lama sul suo petto.
Eragon indietreggiò lasciandosi scappare un gemito quando la
lama penetrò nella
carne, ferendolo. Eleonor, ancora tenuta stretta da Par
cercò con lo sguardo il
cavaliere. Era spaventata a morte. I loro sguardi si incrociarono per
un
attimo, ed Eragon ebbe la chiara l’impressione che stesse per
mettersi a
piangere, ma non lo fece. Un guizzo passò tra i due, la
frazione di un attimo.
Poi l’iride dei suoi occhi divenne bianca ed Eragon
avvertì una forte energia
sprigionarsi dalla piccina.
La casa,
intanto, aveva cominciato a tremare
sotto i colpi di qualcosa che le stava sopra. Era Saphira, che
avvertito il
dolore del proprio cavaliere, si era abbattuta a capofitto sulla casa;
una
crepa si aprì sul soffitto, uno dei Ra-zac
si appiattì ad una parete,
nel tentativo di evitare un calcinaccio.
Oliviana
si apprestò a dare un colpo che avrebbe
tramortito Eragon, ma in quel momento avvenne l’inaspettato.
Dal petto della
bambina proruppe una luce accecante, che squarciò
l’aria, e che avvolse i
presenti, allargandosi, fino a raggiungere anche la dragonessa. Poi una
dolce
quiete avvolse tutti loro, mentre la luce si affievoliva per poi
spegnersi del
tutto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Una nave nella nebbia ***
Quella mattina
al porto di Antàra la nebbia si abbassò a formare
una fitta
cortina che avvolse ogni cosa come in un manto vellutato.
Per la giovane
sentinella non era nulla di strano in quella stagione
dell’anno, quello che lo stava irritando particolarmente era
il ritardo di
Stew, il suo compagno d’armi che doveva dargli il cambio.
Dopo una monotona
nottata di guardia, il pensiero di un comodo giaciglio e di un buon
sonno era l’unica
cosa a cui il giovane elfo riusciva a pensare.
Maledizione
Stew, dove sei finito! Si
lamentò mentalmente William mentre distendeva la schiena
intorpidita per le
lunghe ore fermo a scrutare un mare sempre uguale.
Lui, come
metà dei suoi compagni di squadra, era troppo giovane
ricordare
gli anni della guerra, la tregua tra i loro popoli aveva dato a tutti
una
parvenza di normalità che l’arrivo dei quattro
stranieri aveva portato via,
aprendo a tutti loro gli occhi sulla fragilità di quella
pace.
Da quando i turni
di guardia si erano intensificati, tra molti era iniziata a
serpeggiare
la voce che le ostilità sarebbero riprese presto.
Passata la prima
settimana, però, nulla era accaduto e la paura aveva
lasciato il posto alla nuova convinzione che le cose non sarebbero
cambiate
così in fretta e molti, compreso Wiliam, avevano ripreso a
vivere la loro routine
di tutti i giorni con meno tensione.
Forse, fu
proprio questo senso di sicurezza o, forse, perché vide
l’albero della nave maestro solo quando se la
trovò che a poche miglia dalla
costa, che William quasi non cadde dalla sua postazione quado vide
avvicinarsi la
grande nave con le insegne di Zàkhara.
Lanciato
l’allarme non passò molto tempo che il capitano
Daco si
precipitò nella stanza di guardia dove poté
vedere con i propri occhi l’immensa
nave. Era una nave ambasciata come indicava anche la bandiera bianca
affianco a
quella blu e rossa di Zàkhara.
- Con
l’andatura che sta tenendo raggiungerà la costa
nel giro di
qualche ora – disse passandosi la mano tra i riccioli biondi
prima di
rivolgersi a William, In quel momento arrivò anche Stew.
Dietro a Daco i due
ragazzi erano spaventati a morte.
- Non
c’è tempo da perdere, questa notizia deve essere
trasmessa
immediatamente a palazzo. Lei, William, si prepari ad accompagnarmi dal
re. Mentre
lei Stew – disse rivolgendosi al cadetto appena giunto al
posto di guardia con
i lembi della giacca sbottonati e gli stivali appena infialati sopra i
pantaloni – si renda presentabile perché
avrà lei il comito di accogliere l’ambasciatore
al porto – I due amici ebbero solo il tempo di darsi un
fugace sguardo prima di
dirigersi ai loro alloggi. Per tutto il tempo che impiegarono a
prepararsi non dissero
una parola, entrambi consapevoli di stare per entrare nel vivo del
conflitto.
***
Jill era di
fronte a Murtagh e lo stava
aiutando ad allacciare i bottoni della casacca. Le sue dita sottili
seguirono
la striscia dell’asola fino a raggiungere il colletto per poi
accarezzare il
volto del cavaliere e baciarlo con tenerezza.
Murtagh strinse
le mani della compagna tra
le sue e ricambiò il suo bacio, poi la prese sui fianchi e
la tirò su. Il corpo
di Jill era snello e agile e, con le gambe, la ragazza si
avvinghiò alla vita
del cavaliere. I loro volti era uno di fronte a l’altra,
adesso, e Murtagh notò
una luce balenare dai suoi occhi cobalto
- Oggi vuoi
davvero iniziare a combatta
con il ragazzo con le spade? – chiese lei mentre gli
accarezzava i riccioli
scuri. Murtagh aveva chiesto a Jill di partecipare a una delle sessioni
di
allenamenti di Reafly mentre ancora si stavano allenando con i bastoni.
La
giovane donna non era solo un eccellente spadaccina ma anche
terribilmente letale
con i coltelli. Il suo vecchio maestro, Cadoc, aveva spesso fatto
rimanere a
corte diversi maestri d’armi per permettere al giovane
Murtagh di cimentarsi
con tecniche di combattimento diverse e così voleva che
Reafly imparasse anche
da lei.
-
Sarà un combattimento controllato. – le
disse - Ho intenzione di porre un incantesimo sulle armi che useremo.
Non
cambierà nulla ma impedirà alle lame di arrivare
a ferire mortalmente – Jill lo
guardò curiosa di quella novità, negli anni di
servizio sotto Galbatorix non
aveva mai visto in atto una tale magia
- Per cui non vi
ferirete ma potreste
comunque procurarvi dei bei lividi – aggiunse lei per poi
scivolare piano a
terra.
- Giusto
– rispose Murtagh sorridendo tra
sé. Ricordava come era stato Eragon a mostrargli per la
prima volta quell’incantesimo.
Già allora era evidente che venivano da due mondi diversi.
All’epoca del loro
viaggio verso i Varden aveva osservato a lungo il fratello con
ammirazione, mentre
già con precisione imitava i gesti di del suo maestro Brom;
la sua mente non
aveva fatto altro che pensare a come in tutti gli anni vissuti
all’ombra di
Morzan, certe accortezze non erano state mai usate con lui, come
proteggere le
lame durante gli allenamenti. Nascosto dietro le sue barriere fatte di
paura e
di rabbia non riusciva a capacitarsi come Eragon riuscisse a mostrare
una così
candida fiducia verso coloro che, secondo la sua esperienza lo
avrebbero dato
volentieri in pasto a Galbatorix solo per salvarsi la pelle.
A distanza di
anni, oggi Reafly non era
molto diverso da come era Eragon allora, non aveva certamente il suo
intuito
con la magia e incespicava spesso nella pronuncia dell’antica
lingua, ma aveva
un cuore puro e Murtagh avrebbe fatto di tutto per mantenerlo tale il
più a
lungo possibile.
- Murtagh tutto
bene? – gli chiese Jill
scuotendolo per un braccio. La ragazza si era già allacciata
i suoi coltelli
alla cintura. Murtagh si limitò ad annuire quindi prese Za’roc
e se la
assicurò alla vita.
- Solo un
pensiero fugace. Andiamo – le disse
prima di uscire prendendola per mano.
Ma aperta la
porta si trovarono difronte
Xavier. L’uomo era scuro in volto
–
Un’ambasciata di Zàkhara sta per raggiungere
il nostro porto. Isobel ha sferrato il suo primo attacco usando la
diplomazia –
disse loro con voce roca.
-
L’ambasciatore ha espressamente
richiesto la nostra presenza. Reafly e Aglaia sono stati già
avvertiti – continuò.
Involontariamente Murtagh strinse ancora più forte la mano
di Jill.
- Ha detto
proprio il nome di Reafly? – il
volto di Xavier si fece ancora più cupo
- A quanto pare
sì. Il protocollo prevede
che all’ambasciatore che porta con sé una bandiera
bianca sia concesso di
parlare di fronte al re e che sia trattato con tutto il rispetto
riservato a un
ospite –
- Si
può parlare ma non si può agire –
commentò
Murtagh con una smorfia dipinta sul volto, i sotterfugi della
diplomazia non gli
erano mai piaciuti.
***
La maestosa nave
attraccò al porto
qualche ora dopo il suo avvistamento. Tutto il veliero era fatto per
ostentare
la potenza e la forza di Zàkhara e un senso di timore
accompagnò la discesa del
suo equipaggio che fu accolto da Stew e condotto a palazzo.
Il nome
dell’ambasciatore, Asha, aveva
già iniziò a passare di bocca in bocca. Era un
uomo in apparenza
insignificante, pensò Murtagh mentre lo osservò
da lontano entrare nella sala
del consiglio; di statura piccola, capelli scuri e radi, il volto
sottile, incorniciato
da una barbetta fine che finiva con un pizzetto, unico accento
stravagante del
suo aspetto ordinario. Anche le vesti erano semplici e prive di
fronzoli, solo
quando gli passò vicino poté notare il suo
sguardo impassibile di chi sa di
avere potere. La sua mente era ben protetta, come era da immaginarsi, e
in quel
momento Murtagh seppe che le apparenze non dovevano ingannarlo e che
l’uomo
doveva essere mol mito più pericoloso di quanto apparisse.
Murtagh si
girò verso Arya. Anche l’elfa
stava osservando l’ambasciatore con attenzione e rivolse al
cavaliere uno sguardo
di intesa.
Dalla partenza
di Eragon, l’atteggiamento
dell’elfa nei suoi confronti si era molto ammorbidita.
Murtagh doveva ancora
abituarsi a questa nuova versione dell’elfa, molto
più aperta a condividere i
suoi pensieri e le suo intenzioni su quanto stava avvenendo intorno a
loro; l’altro
giorno Arya lo aveva invitato a partecipare a una conversazione con sua
cugina
Elodie, attraverso la cristallomanzia. Riuniti interno allo specchio di
un
catino d’acqua Arya aveva pronunciato le parole magiche,
draumr kòpa e e sulla
superficie liscia d era apparsa l’immagine
dell’elfa. Dopo un iniziale scambio
di convenevoli riguardo lo stato del loro popolo sulla loro salute e
sulla
gravidanza di Arya, i toni della loro conversazione cambiò
rapidamente. Elodie si
era dimostrata molto sensibile al conflitto in atto con Isobel e
ascoltò con
attenzione ciò che Murtagh le raccontò riguardo
alla regina. Al contrario di
Arya non si dimostrò altrettanto generosa nel parlare dei
suoi intenti, l’ombra
della sua servitù a Galbatorix era difficile da cancellare.
Solo a fine
conversazione Arya gli accennò alla possibilità
di un loro intervento oltre
mare.
Ora, con
quell’unico sguardo, Arya stava
suggerendo al cavaliere che era arrivato il momento di agire, doveva
solo fidarsi
di lei. Murtagh le annuì in un tacito assenso poi entrambi
furono richiamati di
nuovo a porre l’attenzione a ciò che stava
accadendo intorno a loro.
Asha era infine
giunto di fronte al re e,
in presenza dell’intero consiglio, aveva chiesto il permesso
di comunicare
l’ambasciata della regina.
L’uomo
passò il suo sguardo sui presenti fino
a fermarsi su Aglaia e su Xavier.
- La regina
Isobel chiede l’immediato
rientro a Zàkhara della sua ancella Aglaia e del capitano
delle guardie reali Xavier.
– disse con voce fredda. - Dovrete consegnarvi entrambi alla
nostra autorità per
essere portati di fronte alla giustizia e rispondere delle accuse di
altro
tradimento. - continuò
senza mai
togliere lo sguardo dai diretti interessato. Solo
l’immunità diplomatica gli consentiva
di avanzare certe richieste. Dopo una lunga pausa il suo sguardo
riprese a
cercare tra i presenti; ignorò Arya e Jill per fermarsi
infine su Murtagh e su
Reafly seduto al suo fianco.
- Anche i
cavalieri qui presenti e i loro
draghi sono invitati a seguirci. Isobel vi concederà la
possibilità di cancellare
le vostre colpe prestando un giuramento di fedeltà
– disse rivolgendosi, come
aveva fatto in precedenza direttamente a coloro che aveva nominato.
Seduto in mezzo
ai membri Reafly si congelò
sul posto quando lo sguardo dell’ambasciatore si
posò proprio su di lui. Possibile
che la regina lo sapesse? Come una doccia gelata, quella
verità lo lasciò senza
fiato impedendogli di pensare ad altro. Accanto a lui Murtagh lo
strinse a sé
con fare protettivo trattenendosi a stento dal rispondere
all’uomo costretto, come
tutti loro, solo ad ascoltare in virtù del protocollo.
- Qualsiasi
risposta negativa – riprese tornando
a guardare il re - anche ad una sola delle richieste, sarà
considerata una
rottura della tregua e la ripresa delle ostilità. Isobel vi
chiede, a ragione,
solo ciò che le è stato sottratto con
l’inganno. Quattro vite in cambio della
pace di un intero popolo – finì di dire
l’uomo massaggiandosi il pizzetto
mentre si godeva con soddisfazione all’agitazione che le sue
parole avevano
provocato.
Asha aveva
finito il suo messaggio e
attese la risposta obbligata del re che doveva congedarlo per lasciare
il consiglio
decidere.
Senza indugio
Arold prese la parola -
Abbiamo ascoltato le richieste di Isobel, ambasciatore. Ora concedici
il tempo
di valutarle. Nel frattempo, come è consuetudine, sarete
nostro ospite e
trattato come tale – disse facendo uscire quelle ultime
parole con grande
fatica.
Murtagh
osservò il re chiudere gli occhi
sulla sala mentre Asha usciva sorridente. Quando li riaprì
il suo sguardo vagò
tra i volti attoniti dei suoi consiglierei.
- Questa
ambasciata è una farsa, è
evidente. La regina vuole provocarci - esordì il re placando
il brusio che si
era venuto a creare ora che i vincoli che li avevano trattenuti fino ad
ora non
c’erano più. Non c’era stato bisogno di
sondare la sua menti per capire che
l’intenzione dell’ambasciatore era quello di
diffondere il panico
- Isobel ci sta
chiedendo di sottometterci
alla sua volontà, dimenticando il valore della
lealtà e della solidarietà –
continuò
Arold senza indolire le parole.
Tra il consiglio
si alzò la voce di Daco.
– Questo significa scatenare una guerra aperta. Tutti noi,
compresi Aglaia e
Xavier, sappiamo di essere inferiori alle forze di Zàkhara
per numero e forze –
- Lo so Capitano
– lo interruppe il re con
tono brusco, anche se riconosceva la verità nelle sue
parole. Non avevano una flotta
con cui difendersi e i loro maghi avevano appena iniziato a studiare
l’antica lingua.
Fu allora che
Arya prese parola. Non
appena l’elfa si fece avanti, il brusio cessò e in
quello stesso momento
Murtagh seppe cosa voleva dire.
- Sire, la
scelta di resistere è
coraggiosa e se la intraprenderete sappiate che gli elfi di
Alagaësia saranno
al vostro fianco. Il nostro popolo possiede una considerevole flotta
navale di
quasi duecento unità. È preservata dalla magia e
conservate nei recessi più interni
del fiume Anora - Arya fece una breve pausa per saggiare
l’effetto delle sue
parole. Aveva su di sé l’attenzione di tutti
-
Per
il legame di sangue che ci unisce e per la nostra avversione alla
tirannide, mia
cugina, non ci negherà il suo aiuto. Lo stesso faranno gli
altri popoli liberi
di Alagaësia. -
Anche Murtagh
davanti a lei stava
osservava le varie reazioni. Fino a qualche giorno fa nemmeno il
cavaliere era
a conoscenza della presenza di un arsenale elfico. Sapeva solo che quel
popolo
venivano dal mare e che sapeva mantenere con gelosia loro segreti. Il
filo dei
suoi pensieri venne interrotto dalla voce del re.
-
Quello che dici ci riempiono di speranza Arya svit-kona,
ma la distanza tra i nostri paesi è grande. Quanto tempo
credi ci impiegherà la vostra flotta a raggiungerci?
–
- Il nostro
viaggio è durato tre mesi –
disse Arya e rivolgendo un fugace sguardo a Murtagh. - Ammettendo che
servirà
altrettanto tempo per i preparativi stimerei un loro arrivo non meno di
sei –
- In questo modo
potremmo essere tutti
servi della regina! – si alzò una voce allarmata
- Signori del
consiglio vi prego! -
Dovette gridare il re per placare gli animi
- Sei mesi sono
tanti ma, data la nostra situazione,
non possiamo sperare di più –
Poi una voce si
alzò tra tutte.
- Se qualcuno
indicasse loro una rotta il
viaggio sarebbe più breve – Arold alzò
una mano per far tacere tutti. Era stato
Xavier a parlare. L’uomo fece ruotare l’anello che
aveva al dito prima di alzare
la mano e mostrare il sigillo del re.
–
Tempo addietro mi avete consegnato
questo anello come segno di stima e di protezione. Ora è
arrivato il momento
per me di ricambiare la fiducia concessa, ma non ho né un
equipaggio né una
nave per poter viaggiare –
- La mia nave
è pronta ed equipaggiata –
si fece avanti Daco. Arold annuì e si fermò a
guardare il resto della platea
- Il consiglio
acconsente la partenza di
Xavier con la nave del capitano Daco? Si metta ai voti -
Uno ad uno i
consiglieri si alzarono per
dare il loro consenso.
- Allora
è deciso. – disse infine il re
con una certa soddisfazione nella voce. Non si sarebbe aspettato di
meno da
parte del consiglio.
La situazione
era mutata a loro favore
c’erano ancora alcuni punti in sospeso. Il re prese un
po’ di tempo per
scegliere bene le parole, poi rivolgendosi a tutti presenti.
- Amici miei.
Non dimentichiamo che Eragon
Par e Saphira sono ancora in missione nelle terre selvagge; ed ora che
anche
Xavier e Daco partiranno, qui dobbiamo resistere agli attacchi che la
regina sicuramente
sferrerà.
Cavalieri
– disse rivolgendosi a Murtagh
e Reafly. – la nostra offerta di asilo sarà sempre
libera da vincoli. Non vi
imporremo nessun giuramento di fedeltà come chiede Isobel,
ma date le
circostanze dobbiamo sapere se in questa battaglia sarete al nostro
fianco. –
Murtagh e Reafly
si alzarono in piedi.
Fino a quel momento non si erano pronunciati limitandosi ad ascoltare,
in
silenzio. Ora era arrivato il momento di esprimere le loro
volontà. Era
importante che ciò venisse reso pubblico davanti al re al
suo consiglio.
Fu Murtagh a
parlare per primo. Il moro
aveva soppesato da tempo questa possibilità insieme a
Castigo. Per la prima
volta, da quando aveva memoria, era stata data loro una
possibilità di scelta.
Per i due compagni la strada da percorrere era chiara e non fu
difficile
decidere con chi schierarsi.
- La mia spada
sarà sempre in indifesa della
libertà maestà, così come anche gli
artigli di Castigo – affermò senza
esitazione.
– Qual
è invece la rua risposta Reafly? –
chiese il re.
Il ragazzo
avvertì la presenza di Gleadr
ai confini della sua mente. Il piccolo drago stava sgomitando per farsi
sentire, chiamandolo a gran voce. Reafly si rimproverò per
quella mancaza e si affrettò
ad aprirgli la mente
Gleadr scusami disse
mortificato. Il drago sentì subito che la
mente del compagno era confusa. Murtagh, il suo maestra, aveva appena
dato la
parola che si sarebbe schierato con il popolo di Antàra ed
ora il re stava
chiedendo loro la stessa cosa.
Sarà
bene che
anche noi diamo una risposta. Coraggio… lo
invitò con dolcezza quando non sentì alcuna
risposta da parte del
suo cavaliere.
Gleadr lo so che
combattere la regina è la cosa giusta da fare. Arrivato a
questo punto non temo
per la mia vita ma per quella di mia madre e di mia sorella. Ho paura
che possa
fare loro del male o che lo abbia già fatto!
Reafly
avvertì l’apprensione e il dolore
provenire dal cucciolo di drago. Non solo Gleadr poteva capirlo fino in
fondo,
ma attraverso il loro legame era in grado di percepire le sue
sensazioni. Il
cucciolo si era assentato nel tentativo di trovare le parole giuste per
rispondere
Allora Reafly
combatteremo anche per la loro libertà. Non possiamo
permetterci che la paura ci
fermi gli disse.
Reafly percepì un’andata di
calore e di affetto che gli infuse coraggio.
Si rese conto
che per tutta la sua vita
si era sentito fuori posto; nonostante fosse circondato dagli affetti
più cari,
nonostante l’amore sconfinato della madre e quello sincero
della sorella una
parte di lui era stata sempre alla costante ricerca di
qualcos’altro. Ora a
miglia di distanza da casa, accanto a persone che conosceva appena,
sentì di averlo
trovato. Per la prima volta nella sua vita non provava più
la sensazione di
essere perso.
Hai ragione
Gleadr, sono pronto disse se
lo
sei anche tu
Lo
sono…
Come destato da
un sogno Reafly si
accorse come gli occhi di tutti i presenti lo stessero osservando. Il
ragazzo
riuscì a stento a nascondere un certo rossore, ma, grazie a
Gleadr, aveva preso
finalmente la sua decisione.
- Anche io e
Gleadr combatteremo al
vostro fianco. -
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Risvegli ***
Shurtugal…….……
L’eco
del suo vero nome rimbombò ancora
e ancora nella sua testa lasciandolo in un dolce stordimento. Poi il
buio
avvolse nuovamente tutto ed Eragon si svegliò con
l’odore di terra umida nelle narici
e la sensazione di freddo là dove il muschio bagnato dalla
rugiada mattutina aveva
inumidito i vestiti.
Ancora immobile
allargò la sua mente e
chiamò Saphira. La risposta della dragonessa non
tardò ad arrivare.
Sono sopra di
te piccolo mio
Al suono della
sua voce Eragon aprì gli
occhi e sorrise, in quel momento la sua grande ombra passò
sopra la radura
oscurando per un secondo la luce filtrata dalle alte chiome degli
alberi.
Il ragazzo fece
per alzarsi, era ancora
un poco stordito, quando l’improvvisa fitta al petto gli
ricordò il taglio
provocato dalla spada di Oliviana. Come un torrente in piena, gli
tornarono in
mente tutti gli avvenimenti della notte passata. L’irruzione
del sicario, la
morte terribile di Miriam e Lidia per mano dei Ra-zac,
l’arrivo di
Saphira e alla fine, proprio quando tutto sembrava perduto, lo scoppio
di quella
luce bianca e il candore che li aveva avvolti e portati via.
Saphira
atterrò leggera sul terreno
umido e guardò Eragon. Un cavaliere come te non
dovrebbe lamentarsi per un
graffio così piccolo Lo rimproverò
bonariamente facendo ondeggiare la coda a
destra e a sinistra.
Eragon
aggrottò appena la fronte. Un
piccolo graffio dici?... sbuffò lui fingendosi
per un attimo offeso. Saphira
schioccò le labbra divertita.
Hai per caso
idea
di dove ci troviamo? Le chiese lui
cambiando
argomento e andando incontro alla sua compagna di “di cuore e
di mente”.
Gli occhi di
Saphira scintillarono. Data
l’estensione della foresta non possiamo che trovarci nella
Stonewood. Ma non è
tanto il dove a sorprendermi, ma come ci siamo
arrivati.
Eleonor mi
stava guardando quasi in lacrime. Iniziò
a ricordare
Eragon.
Poi ha
sprigionato quella luce. È stato come… ritornare
alla Volta delle Anime! Si rese conto in
un attimo. Eragon alzò
lo sguardo su Saphira che lo stava ancora guardando con i suoi grandi
occhi
zaffiro.
E’
stato il potere dei nostri veri nomi a
portaci qui, anche se non credo che Eleonor ne fosse pienamente
cosciente. Concluse lui
alla fine.
Lo penso anche
io. gorgogliò
Saphira. Ma lei non è qui…
A quelle parole
Eragon si guardò
intorno. Non ci mise molto a capire che non erano soli nella radura.
Nascosto dai
lunghi fili d’erba, riconobbe per primo Par e più
in la, scoprì con stupore che
con loro c’era anche Oliviana.
È
ancora
addormentata. L’ho tenuta d’occhio fino ad ora. Si
affrettò ad informarlo Saphira. Eragon aveva
già lanciato una breve sonda mentale verso il sicario. La
donna era completamente
incosciente. Il giovane le si accostò e con cautela le tolse
le armi che aveva
con sé e le scrutò con attenzione il viso. Era
pallido e teso. – Qualcosa non
va in lei… - iniziò a dire ma la sua attenzione
venne ancora una volta richiamata
dalla voce Saphira.
Eragon anche Par
si sta svegliando. Presto vieni!
Eragon corse
subito accanto all’elfo e
prima che potesse muoversi gli posò una mano sulla spalla e
gliela strinse con
decisione:
- Non ti alzare
subito, aspetta un
attimo. Non capita tutti i giorni di udire il proprio nome
nell’antica lingua –
gli disse sentendolo tremare come una foglia.
- Eleonor?!
– chiese l’elfo con un filo
di voce.
– Lei
non c’è Par – Par scansò
subito
la mano del cavaliere e ignorando le sue raccomandazioni si mise in
piedi
continuando a tremare.
- Cosa vuoi dire
non c’è? – chiese
barcollando sulle gambe. Eragon non poteva aiutarlo e scosse la testa,
desolato,
mentre veniva investito da tutto il dolore e la sofferenza di Par.
- Era nostro
dovere proteggerle. Lidia
e Miriam…non…non si meritavano una fine
così - disse senza riuscire a finire la
frase e crollando miseramente sulle ginocchia. Eragon
scambiò un breve sguardo
con Saphira, entrambi erano consapevoli del grande debito nei confronti
delle
due donne e di Eleonor.
- Tutto quello
che so è che dobbiamo
ringraziare lei se ora non siamo tutti nelle mani di Isobel –
a quelle parole
il volto di Par si fece ancora più scuro, poi
l’elfo incespicò verso Saphira, sganciò
il suo zaino appeso alla sella e tirate fuori le carte
iniziò ad osservarle con
sguardo febbrile. Le sue piccole dita iniziarono a muoversi sulla carta
ripercorrendo
il percorso che lui stesso aveva tracciato. – Dove siamo
adesso? – bofonchiò più
che altre a sé stesso.
Eragon gli si
avvicinò guardandolo con apprensione.
Abbassò con una mano il bordo della cartina e
cercò il suo sguardo.
- Par ti avevo
messo in guardia sul
fatto che i sogni premonitori non si rivelano mai per quello che
sembrano –
Par
annuì, continuando a guardare la
carta. – Lo so, me lo avevi detto, ed ora dovrò
convivere con il peso della loro
morte per il resto della mia vita –
- Anche io sento
un enorme peso nel
cuore, ma so che devo andare avanti e che non posso addossarmi tutta la
colpa di
quello che è successo -
- Infatti
è stata tutta colpa mia
Eragon –
- Non
è stata neanche tutta tua Par.-
- Non
è quello che continua a gridare
la mia coscienza –
Eragon
sospirò - Le nostre azioni hanno
delle conseguenze Par. La sola cosa che possiamo fare è
convivere con le scelte
facendo del nostro meglio con i mezzi che ci vengono dati. Oggi il fato
ci sta
mettendo di fronte a percorso difficile, ma questa volta possiamo fare
la
scelta giusta –
Par lo
guardò interrogativo – Cosa vuoi
dire con questo? – chiese.
Eragon allora
rivolse il suo sguardo
verso Oliviana. Alla vista del sicario Par sgranò gli occhi
pieno di orrore - È
la donna ha fatto uccidere Miriam e Lidia! – l’elfo
tremò dalla rabbia.
–
Perché è qui? –
- A quanto pare
anche lei è stata
risucchiata dalla magia di Eleonor – Disse.
Senza alcun
preavviso Eragon vide Par
tirare fuori dalla sua cintura uno stiletto – Questa donna
merita di morire -
disse facendo un passo in avanti con l’arma bianca stretta a
pugno tra le mani.
- No Par! Non
possiamo farlo – Eragon
fermò la sua mano con fermezza ma senza usare la forza. Par
lasciò la presa
sulla lama e voltandosi verso Eragon lo guardò furente.
-
Perché mi hai fermato? Hai detto tu
che dobbiamo agire con i mezzi che ci vengono dati. Sai meglio di me
che
meriterebbe di essere lasciata qui alla mercé delle belve
feroci – gli urlò Par
esprimendo tutto il suo disprezzo.
Eragon sostenne
lo sguardo dell’elfo – È
completamente indifesa Par non ha la possibilità di
difendersi –
Par scosse la
testa. - Come puoi mostrarti
tanto comprensivo dopo aver visto quello che ha fatto? -
- Tu mi stai
chiedendo di porre fine a
una vita. Nessuno dovrebbe arrogarsi pe sè un tale diritto -
- Allora cosa
vuoi fare con lei? – rispose
arrendendosi alle sue parole.
- Per adesso la
porteremo con noi.
Decideremo cosa fare strada facendo – Par sgranò
gli occhi ma non replicò.
Eragon sei
certo di quello che fai? Gli
domandò
Saphira poco dopo.
Sì
Saphira rispose Eragon
avvicinandosi a lei per smontare la
sella dal suo dorso.
- Ci accamperemo
qui in attesa del suo
risveglio –
**
A
metà pomeriggio l’assassina cominciò
a muoversi e ad agitarsi. Eragon le posò preoccupato la mano
sulla fronte.
Scottava.
- Per favore Par
portami una scodella
d’acqua e degli stracci. Par eseguì quello che gli
era stato detto e si
accoccolò ai piedi di un albero ad osservare i gesti del
cavaliere.
Eragon si
ricordò di quado in fuga fa Gil’ead
aveva sondato la mente di Arya per scoprire il motivo del suo lungo
sonno e
come lei stessa lo avesse informato del veleno che la stava uccidendo e
di come
creare il suo antidoto. Ora aveva intenzione di fare con stesso con la
mente
del sicario.
Informò
Saphira della sua idea.
Che cosa ne
pensi? Le chiese una
volta esposto il piano
nei dettagli.
Va bene
provaci, ma stai attento! Questa donna conosce le arti magiche. Anche
se è
debole e disperata potrebbe decidere di fare gesti estremi pur di
ritornare
libera.
Starò
attento. Le fece Eragon
con un lieve sorrise.
Eragon
guardò Oliviana intensamente
prima di inginocchiarsi al suo fianco. Chiuse gli occhi e rompendo le
barriere
della mente entrò in quella del sicario.
Come doveva
aspettarsi era ben protetta.
Eragon ne saggiò prima la forza. Era molto resistete. Ogni
barriera, però,
aveva un suo punto debole e questa non faceva eccezioni.
Così si mise ad esplorare
ogni centimetro della sua superficie fino a quando non
incontrò una
piccolissima falla. Era quasi invisibile ma c’era.
Dopo una serie
di tentativi andati a vuoto
la barriera incominciò a cedere. Lentamente
iniziò a sgretolarsi e quando alla
fine si sgretolò del tutto Eragon esultò per il
successo. La sua felicità durò
poco. Non appena varcata la soglia, infatti, la barriera si
rialzò con una
rapidità sorprendete. Era una trappola!
Eragon non fece
in tempo a rendersi
conte di cosa stava accadendo che una forza lo afferrò per
la gola e cominciò a
stritolarlo.
No…non
ti vo… voglio
fa... fare male, sono venuta per aiutarti. Riuscì
a dire nell’antica lingua.
Oliviana
fermò l’attacco ma le barriere
erano ancora alte.
Perché
lo fai? Gli chiese
mentalmente.
Eragon sapeva
che la sincerità era
l’unica arma capace di far breccia nella mente del sicario.
So cosa
significa la sofferenza che provi. Anche io mi sono trovato di fronte a
me
stesso. È difficile sopportare il peso della
verità.
A quelle parole
Oliviana si ritrasse
d’istinto. Tutto il suo essere fu di nuovo scosso da potenti
tremiti. Fu
costretta a lasciare la sua presa sul cavaliere che di nuovo libero,
però, non
accennò allontanarsi.
Scaccia via la
paura. Devi reagire! La
incitò lui
mettendoci tutto se stesso nelle sue parole.
Il tuo corpo
è
rimasto incosciente per tutto il pomeriggio e hai la febbre alta.
E tu hai
pensato di entrare nella mia mente per vedere cosa stava accadendo?
Sì,
più o meno
era quella l’intenzione.
Eragon
continuava a starle accanto. Una
nuova ondata di pensieri e ricordi prese a balenargli davanti agli
occhi. Aveva
sempre creduto di meritare di essere sola. Per tutta la sua vita aveva
ricevuto
solo disprezzo dagli altri, tranne da Isobel.
Così,
almeno, aveva creduta fino a quel
momento. Perché ora quegli stessi ricordi le apparvero sotto
la luce adamantina
della verità dell’antica lingua. Senza trucchi o
sotterfugi vide come era stata
lei stessa a crearsi quel guscio protettivo fatto di odio rancore che
non aveva
permesso a niente e a nessuno di avvicinarla rendendola insensibile al
mondo
esterno. Un mondo che, se solo lo avesse voluto, le avrebbe aperto le
sue
porte.
Grazie al
sostegno di Eragon Oliviano non
si lasciò travolgere di nuovo da quei ricordi e la seconda
volta che guardò la
verità negli occhi si aggrappò a lui con tutte le
sue forze. Nell’oscurità della
sua disperazione le era stata tesa una mano e Oliviana aveva scelto di
afferrarla.
Lentamente, ad
una ad una, le barriere
intorno alla mente del sicario iniziarono a dissolversi. Eragon
l'aiutò ad
emergere dall’angolo buio della sua coscienza in cui si era
rifugiata.
Era passata
un’ora da quando finalmente
Eragon aprì gli occhi.
Il suo voto era
contratto come tutti i
muscoli del suo corpo. Accanto a lui anche Oliviana stava riprendendo
lentamente
i sensi. Par da lontano li stava osservando a debita distanza, era
profondamente
colpito.
Ci
sei riuscito piccolo mio! Gli fece
subito Saphira.
Eragon
ricambiò il commento con un sorriso, era
ancora parecchio scosso.
Oliviana,
intanto, aveva aperto gli occhi, e si
stava tirando su. La testa gli faceva male. Eragon fece per aiutarla,
ma la
donna lo scansò via con violenza. Con una
velocità sorprendente il sicario
prese un piccolo coltello da dentro il suo stivale sinistro, unico
oggetto
sfuggito alla perquisizione e lo puntò fulminea contro il
collo del cavaliere
Saphira le
ringhiò minacciosa. Ma la
sua lama era troppo vicina al collo di Eragon perché la
dragonessa potesse fare
qualcosa.
- Che
cosa stai facendo! Oliviana? - gli chiese
Eragon, guardandola con stupore.
-
Illuso! Ti ho permesso di aiutarmi, solo per
riuscire a svegliarmi! - Gli disse con disprezzo. Gli occhi di Oliviana
si
chiusero a fessura, ed Eragon ebbe l’impressione che stesse
per affondare la
sua lama. Chiuse gli occhi pronto a ricevere il colpo fatale, ma
proprio in
quel momento, la donna ebbe uno svenimento.
Indebolita dalla
febbre, gli cadde il
coltello dalle mani, e si accasciò su un ginocchio.
-
Maledetto! - sibilò a denti stretti
Eragon
colpì il coltello con un calcio e lo lanciò
lontano. Poi prese la donna per i polsi, e la fece alzare.
- Che ti
avevo detto, sarebbe stato meglio
lasciarla li, dove era, e andarcene via – fu il solo commento
di Par alle sue spalle.
Ma
Eragon non voleva arrendersi, anche se i
fatti gli diceva il contrario.
Eragon,
sono fiera di te, ma spero tu sappia
cosa stai facendo. Non mi fido di lei. Per ora non può
nuocerci, ma quando avrà
ripreso le forze non sarà così.
Forse dovresti
tenere in considerazione l’idea di Par…non
è del tutto sbagliata.
Lo
so. le
rispose deciso Eragon, lo sguardo teso, che si rilassò non
appena si girò dalla
sua parte:
Per
questo dovremo tenere gli occhi
vigili, Tu ed io.
Eragon… Ma
il
ragazzo le aveva già voltato le spalle per concentrarsi su
Oliviana che continuava
a guardarlo con odio.
- Beh,
che tu lo voglia o no, ora verrai con noi
– gli disse con tono di voce duro.
- E chi
vi dice che io sia d’accordo! -
Oliviana,
non gli avrebbe mai dato la soddisfazione
di mostrarsi indifesa di fronte a lui. Ma in quel momento lo era. Il
cavaliere
gli aveva salvato la vita, quando avrebbe potuto lasciarla
morire…Perché
lo aveva fatto?
- So che
sai usare la magia, ma non credo ti
convenga scappare, questi luoghi sono pericolosi anche per una come te.
Inoltre, con Saphira, non sarebbe difficile riprenderti. –
Gli
occhi dell’assassina si spalancarono nel
vedere Saphira avvicinarsi con uno dei suoi occhi azzurri, e scocciarle
con la
lingua un sonoro ammonimento.
- Molto
bene, ci rimetteremo in viaggio domani
mattina –
-
Perché non ora? - gli fece eco Par da dietro.
- Molto
presto farà buio e sotto la boscaglia
l’oscurità ci raggiungerà anche prima.
Io e Saphira potremmo orientarci anche
senza luce, ma tu e Oliviana no -
- Cosa
facciamo con lei? – gli chiese Par
guardando la donna.
- Le
legheremo le mani, per ora, e organizzeremo
dei turni di guardia -
Oliviana
guardò prima Par poi Eragon, con occhi
di fuoco. Si lasciò legare le mani, ma prima che Eragon
potesse scostarsi da
lei, gli si avvicinò ad un orecchio, e gli
sussurrò con un ghigno
- Stai attento
Cavaliere, perché
tornerò presto libera e quando lo farò
colpirò te o la tua dragonessa con tale
forza che ti pentirai di avermi aiutata. Nulla è
più importante della mia vita -
Poi si
accasciò su un fianco, sfinita. Eragon
non le rispose neanche, ma sentì un brivido dietro la
schiena mentre si allontanava
da lei.
Cosa
ti ha detto? Non potevo sentirvi. Gli chiese
Saphira, una volta che si fu allontanato
da lei. Probabilmente era stata la stessa Oliviana a schermare la loro
conversazione, Eragon si girò un attimo a guardarla
Niente
d’importante Saphira…
- Ora dobbiamo
mangiare qualcosa e andare a riposare
– finì di dire rivolgendosi a Par.
Saphira
conosceva troppo bene Eragon per capire
quando qualcosa lo turbava. La dragonessa emise un sonoro sbuffo di
protesta,
non gli piaceva che ci fossero segreti tra loro.
Senza staccargli
gli occhi da dosso
Saphira si accoccolò accanto a uno degli alberi che
circondavano la raduna,
mentre Eragon si adoperava a preparare la cena.
Finito di
sistemare una pentola sul
fuoco il ragazzo la raggiunse e, appoggiandosi con la schiena al ventre
della
dragonessa, si abbandonò al suo calore.
Saphira era
abbastanza dentro i
pensieri del suo cavaliere da sentire il suo animo in subbuglio. Con la
punta
della lingua gli sfiorò delicatamente una mano, Eragon la
ricambiò con un
flebile sorriso.
Eragon se non
conosco chi abbiamo di fronte, non posso proteggerti.
Eragon rimase un
attimo in silenzio,
sapeva perfettamente a cosa si stesse riferendo Saphira.
Sentì il respiro caldo
della dragonessa soffiargli sul collo mentre aspettava una risposta. E
così
Eragon le raccontò tutto: cosa aveva visto entrando nella
mente del sicario, di
come la magia di Eleonor l’avesse costretta a mettersi di
fronte alla verità
sulla sua vita, e di come lui aveva cercato di restarle vicino. Gli
descrisse
le sue sensazioni, di come le era sembrata una creatura indifesa in
quel
momento; e infine di come era cambiata al suo risveglio, quando
l’aveva
aggredito, e poi gli aveva parlato.
Deve
aver schermato la conversazione…nonostante
fosse molto debole
È
molto forte. Non
credo sia prudente da parte nostra ignorare
quella
minaccia.
Intanto
dall’altra parte del fuoco Par
era intento a osservare la carta del territorio. l’Elfo si
era ormai abituato
alle silenziose chiacchierate tra Eragon e Saphira e lo scambio di
sguardi durante
i quali sembrava trascorrere un’eternità non lo
stupivano più come prima. Ma
quel giorno i due compagni, avevano un nuovo spettatore.
Par, vide
chiaramente Oliviana,
dall’altra parte del fuoco, che gli osservava con troppo
interesse; sguardo che
distolse subito, quando si accorse che l’elfo la stava
osservando.
Quella
sera consumarono un pasto leggero,
attingendo alle loro ultime provviste.
Finita
la cena, discussero sul tragitto da
percorrere il giorno seguente:
Nella
sua perlustrazione, Saphira aveva
stabilito che si trovavano nel margine occidentale della foresta.
Avrebbero
avanzato verso nord-est, attraversato il fiume Adamante che passava nel
mezzo
della foresta tagliandola in due, e poi dritti a nord fin nel cuore
della Stonewood.
Più
volte lo sguardo di Par si rivolse a
Oliviana, la donna non smetteva di osservarli rendendo l’Elfo
sempre più
nervoso.
Prima di
coricarsi stabilirono i turni di
Guardia. Eragon insistette per fare il primo turno, poi sarebbe stata
la volta
di Par.
Giunse
la notte, e con lei il silenzio calò
nella piccola raduna, interrotto solo dallo scalpitio del fuoco che
ardeva vivace
ad un lato e dal respiro sonoro di Saphira.
Eragon
era appoggiato al tronco di un albero,
osservava vigile la raduna intorno.
Ogni
tanto, il suo sguardo andava nella
direzione di Oliviana.
L’assassina
era di spalle, e il
cavaliere non poteva vederle il viso, ma, dall’altra parte
del fuoco, Oliviana
non dormiva e sotto il caldo della coperta sentiva lo sguardo del
cavaliere.
Un
sentimento di odio cominciò a crescere in
lei. Ma non era solo quello. Qualcosa di più forte, si stava
facendo spazio nel
suo cuore, qualcosa, che la giovane donna non sapeva se sarebbe stata
in grado
di gestire. Era quella stessa sensazione che aveva provato guardandolo
negli occhi.
Oliviana
cercò in tutti i modi di distogliere la
mente da quel pensiero.
Da che
parte la si guardava, la sua situazione era
disperata. Isobel doveva essere furiosa con lei per aver
così miseramente
fallito: la bambina era fuggita, i Ra-zac dispersi, e il cavaliere e il
suo
drago ancora in libertà.
Messo da parte
il suo orgoglio, dovette
ammettere che solo i quei mostri, ora, potevano tirarla fuori di quella
situazione,
ma, da quando si era svegliata, non era riuscita a percepire la loro
presenza
da nessuna parte.
Esausta,
si lasciò cullare ancora un poco dal
calore del fuoco. La coperta, notò con un brivido, le era
scivolata via
lasciandole le spalle scoperte. Fece un vano tentativo di rimetterla a
posto,
ma le corde che gli legavano i polsi glielo impoedrono. Venne scossa da
un
altro brivido poi li sonno prese il sopravvento e la giovane donna
scivolò nell’oblio.
Un
momento prima di addormentarsi, però, ebbe la
netta sensazione di una mano che le sistemava delicatamente la coperta
sulle
spalle. Si girò appena in tempo per intravedere una sagoma
scura che andava a
sedersi dall’altra parte del fuoco, poi solo il buio.
***
Arold
convocò l’ambasciatore quello
stesso pomeriggio per comunicargli la decisione del consiglio e
rifiutare il
compromesso della regina.
Asha non
batté ciglio mentre il re gli
esponeva il verdetto.
- Siete
consapevoli delle conseguenze
del vostro gesto? - si limitò a dire con voce melliflua. Ad
assistere alla
convocazione erano che pochi rappresentanti del consiglio e
nessun’altro.
- Più
che consapevole – rispose il re.
- La vostra ambasciata ha tempo fino a questa sera per lasciare
l’isola. –
Il volto di Asha
si contrasse in un lieve
spasmo agli angoli della bocca mentre faceva dietro front dalla sala
del trono
ed usciva. Una volta al suo esterno si guardò intorno con
sguardo furtivo ed
aprì con cautela la sua mente
Abbiamo poco
tempo
per agire. Ci stanno mandando via, dovrai agire subito.
È
tutto sotto
controllo ambasciatore Asha. L’ho già con me. Gli rispose una
voce femminile piena di
entusiasmo.
Molto mene. Noi
vi attenderemo al largo come da piano.
***
Arrivata la sera
Reafly stava
rientrando nella sua stanza completamente esausto e dolorante dopo il
suo secondo
giorno di allenamento con le spade. Stava percorrendo un lungo
colonnato quando
sentì una mano afferrarlo alle spalle e trascinarlo dietro
uno di pilastri e mettergli
una mano sopra la bocca.
Reafly
lottò inutilmente contro la
presa ferrai del suo aggressore poi due labbra si avvicinarono al suo
orecchio
per sussurrargli qualcosa.
- Reafly sono io
non urlare ti prego – Reafly
si immobilizzò, avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.
- Rebekha?!-
chiese incredulo. La sorella
allentò la sua presa e lo fece girare per abbracciarlo con
forza. Ma dall’altra
parte Reafly non ricambiò il gesto.
-
T…Tu cosa ci fai qui? - chiese invece.
- Sono qui per
te, ovvio sciocchino!
Ed anche per questo – disse mostrandogli una escrescenza
tondeggiante da sotto
una sacca che teneva in spalla.
Quella forma
saltò subito all’occhio
del ragazzo che non ci mise molto a capire. - Hai rubato un uovo di
drago? – chiese
Reafly che ancora non riusciva a capacitarsi di avere di fronte a lei
la
sorella in carne ed ossa.
- Ho solo preso
ciò che è nostro
per diritto di sangue – gli rispose lei. Reafly non
riuscì a riconoscere la
sorella in quelle parole così altisonanti, molto
più adatte a qualcuno come l’ambasciatore
che a lei.
Improvvisamente
guardò allamato Rebekha,
si era appena reso conto della rete tessuta tutto intorno a loro che
gli
impediva di avvertire la presenza di Gleadr e di chiunque altro. Non
poteva
credere che fosse opera della sorella ma a parte lei Reafly non vedeva
nessun
altro e l’ambasciata aveva lasciato il porto da tempo. Stava
per chiederle come
avesse fatto quando la sua attenzione venne attirata da una serie di
scricchioli.
I due fratelli
abbassarono insieme lo
sguardo. L’uovo dentro al sacco si stava schiudendo.
Reafly
guardò la sorella con crescente
stupore. Rebekha, invece, non era per nulla turbata da ciò
che le stava
accadendo. Era come se lo stese aspettando pensò il ragazzo.
A quel punto
Rebekha abbassò la sacca
per svelare l’uovo dalle sfumature violacee. La sua
superficie aveva appena
iniziato a creparsi e a muoversi sotto i colpi insistenti del cucciolo,
desideroso di uscire alla luce.
Con
caparbietà un piccolo drago emerse
dall’involucro coriaceo con le sue squame di un viola
perlato. Insieme i due
fratelli attesero pazienti che il cucciolo si disfacesse anche
dell’ultimo
frammento di guscio incollato alla pelle, poi, con estrema delicatezza,
come se
lo avesse fatto da sempre, Rebekha lo prese tra le braccia. Un lampo le
pervase
il braccio e il gedwey-ignasia si formò
lentamente sotto i loro occhi.
Reafly si stupì nel constatare che la comparsa del marchio
non avesse provocato
nessun effetto sulla sorella. Quando la luce si dissolse la ragazza
strinse a sé
il drago viola e si voltò risoluta verso il fratello.
- Questo
attirerà parecchia attenzione.
Presto fratellino chiama il tuo drago e seguimi. Ritorniamo insieme a
Zàkhara! –
- Seguirti? Io
non vengo con te. Il mio
posto è qui – A quelle parole il volto di Rebekha
si fece scuro.
- Andiamo Reafly
non è l’ora di fare il
bambino – gli rispose la sorella con tono autoritario.
– Nostra madre ci sta
aspettando. Sai che è molto in pensiero per te? –
Al nominare la madre Reafly ebbe
un tuffo al cuore.
- Mamma?!
Co…come sta? – Reafly sentì i
suoi occhi gonfiarsi di lacrime ma le ricacciò
coraggiosamente indietro.
Rebekha sospirò e gli posò una mano sulla spalla
- Sta bene
adesso, grazie all’aiuto
della regina. E sai cosa la farebbe sentire ancora meglio? Vederci
entrambi
accanto a lei, sani e salvi – concluse sperando di averlo
convinto. Reafly
provò un breve attimo di sollievo a quella notizia ma quando
il suo sguardo
tornò a guardare la sorella un nodo gli attagliò
la bocca dello stomaco.
Scostò
lentamente la sua mano dalla sua
spalla e la guardò con determinazione - Ti ho già
detto che non posso venire - disse
iniziando a sentirsi a disagio in quella situazione. Rebekha rimase un
attimo interdetta
prima di capire che diceva sul serio.
- Che menzogne
ti sono state raccontate?
Ti sei dimenticato così in fretta chi è stato ad
assassinare nostro padre? – gli
domandò con durezza.
- Non
l’ho dimenticato! –
rispose di botto Reafly - Ma la verità non è
quella che ci hanno sempre
raccontato –
Rebekha scosse
la testa. - Lo so
fratello. La regina mi ha detto molte cose sulle nostre origini,
svelandomi
particolari che nostra madre ha confermato e che spiegano
perché entrambi siamo
stati scelti come cavalieri –
Reafly scosse la
testa senza capire. –
Il capitano Xavier e i tuoi nuovi amici non ti hanno detto nulla
– continuò Rebekha
vendendo la confusione sul viso del fratello – la regina
aveva previsto anche
questo -
- Di quali
origini stai parlando? E
cosa c’entra Xavier in tutto questo? -
- Reafly, nostra
madre non è nata come
noi e nostro padre a Zàkhara, ma in Alagaësia la
terra da cui provengono le
uova dei nostri draghi. Ecco perché tu ed io siamo gli unici
in grado di farle
schiudere a parte nostra madre –
Reafly
sentì come se stesse sull’orlo
di un precipizio pronto a cadere nel vuoto. Tutte le sue domande e i
dubbi che
aveva nutrito da quando Gleadr lo aveva scelto come suo compagno
trovarono
finalmente una risposta.
- I nostri
genitori si sono conosciuti
durante una missione di nostro padre per conto della regina. Xavier lo
sapeva
bene perché era con lui in quel viaggio –
continuò la ragazza vendendo che il
fratello non rispondeva.
- Che cosa ci
faceva nostro padre e
Xavier in una terra così lontana. Perché la
regina avrebbe mandato lì le sue
navi? -.
- Isobel aveva
stretto un’alleanza con
il cavaliere dei draghi che allora la governava. Galbatorix –
- Un cavaliere
re? – chiese Reafly
incredulo. Rebekha annuì.
- Che fine ha
fatto Galbatorix? –
- Assassinato
dagli stessi cavalieri
che hai deciso di seguire ciecamente -
–
Quello che mi stai dicendo cambia
molte cose, ma non cancella tutte le bugie di Isobel -
Reafly scosse la
testa e indietreggiò
di fronte alla sorella. Rebekha chiuse gli occhi per un attimo e
strinse
qualcosa di luminescente che pendeva alla cintura e che Reafly
notò solo adesso
– Così questa è la tua decisione?
– gli chiese con voce priva di qualsiasi colore.
Il volto di
Reafly era più risoluto che
mai - Sì lo è –
- Mi dispiace
fratello, ma non mi lasci
altra scelta. Se non vuoi venire di tua spontanea volontà
allora dovrò portati
con me con la forza. –
Detto questo
alzò la mana destra e il
suo marchio iniziò a emanare una pallida luce violacea. Dal
suo braccio il
cucciolo lo guardò ed emise una serie di pigolii.
Reafley
indietreggiò ancora di qualche
passo e fissò quella luce espandersi per diventare sempre
più intensa. Rebekha
stava per lanciare un incantesimo che avrebbe immobilizzato il fratello
quando venne
colpita a sua volta da una forza invisibile.
- Rebekha
noooo! - gridò Reafly
sorpreso quanto lei. La sorella cadde a terra con un tonfo sordo,
stordita. Traballando
sulle gambe si rimise faticosamente in piedi con il cucciolo ancora tra
le
braccia e scrollò con un colpo di spalla il mantello che si
era attorcigliato
sul braccio. Guardò solo un attimo il fratello poi il suo
sguardo si posò
allarmato alle sue spalle. Murtagh stava correndo verso di loro.
Rebekha emise
solo un basso sibilo di rabbia. Poi le sue labbra pronunciarono alcune
parole.
- Addio fratello – riuscì a dire prima di essere
avvolta da un lampo di luce viola
e sparire.
Quando Murtagh
raggiunse Reafly trovò
il ragazzo che fissava il vuoto davanti a sé l’a
dove prima c’era Rebekha.
- Reafly stai
bene? – gli chiese
scuotendolo dalle spalle.
L’aggressore
era stato abbastanza
accorto da schermare la loro conversazione, ma non lo era stato
abbastanza da nascondersi
del tutto. Sprazzi di magia avevano messo in allarme i sensi di Murtagh
che era
subito corso in suo aiuto.
Gli occhi di
Reafly erano pieni di
lacrime – Murtagh, mia sorella Rebekha. Lei…
– non riuscì a finire la frase
mentre i suoi occhi fissavano i resti sparsi a terra del guscio ancora
caldi. Murtagh
non poté fare altro che avvicinare il ragazzo a
sé e abbracciarlo con forza
accarezzandogli la testa. – Lo so Reafly, lo so. -
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Rebekha ***
Murtagh
stava ancora tenendo il ragazzo
stretto a sé quando Arya li raggiunse seguendo i residui di
magia che ancora
aleggiavano nell’aria frizzante. I suoi grandi occhi a
mandorla caddero immediatamente
sui resti del guscio tutti sparsi a terra per poi passare preoccupati
su Reafly
ancora singhiozzante.
-
Avanti ragazzo adesso tirati su. – lo incitò
Murtagh. Reafly annuì mettendosi ritto e asciugandosi il
viso con la manica
della camicia. Nella sua mente ancora gli risuonavano le parole
così sicure e
decise della sorella. La sua fede nella regina sembrava davvero forte e
incrollabile quanto la sua nei suoi nuovi amici e in Gleadr. Era
confuso e
stordito da quella dimostrazione delle sue nuove capacità.
Rebekha era sempre
stata piu in gamba e forte di lui, gli era bastato poco
perché tutte le sue vecchie
insicurezze venissero a galla.
–
Rebekha, mia sorella è arrivata qui con
l’ambasciata. Era questo il loro scopo, fin
dall’inizio – disse prendendo
coraggio e facendo cenno ai resti del guscio sul terreno.
-
Vi siete parlati, te lo ha detto lei? – chiese
Arya. Reafly annuì senza riuscire a decifrare i sentimenti
dell’elfa. Era
preoccupata? Si fidava ancora di lui? Si chiese il ragazzo.
–
L’uovo si è schiuso davanti ai nostri occhi.
Rebekha si aspettava esattamente quello che è successo, di
diventare cavaliere,
intendo. Isobel se lo aspettava, ed era molto, molto forte,
praticamente in
tutto. Ha schermato la nostra conversazione, non potevo sentire Gleadr
– continuò
Reafly iniziando a parlare più velocemente - Rebekha voleva
che scappassi
insieme a lei con la nave dell’ambasciata e tornare a
Zàkhara. Non si sarebbe arresa.
Se non fossi arrivato tu…io… – non
riuscì a finire la frase e si limitò a guardare
Murtagh. In quello stesso momento sentì il suo drago
raggiungerlo nella mente.
Reafly!
…
Gleadr! Gridarono insieme il ragazzo e il piccolo
drago.
Sto
bene Reafly! Sto
tornando indietro. Continuò
il cucciolo mentre
condivideva con lui ciò che vedeva con i suoi occhi.
Tornando
indietro? Chiese
sorpreso. Il ragazzo udì prima il sottofondo ritmico del
battito d’ali poi la sua mente venne risucchiata da quella di
Gleadr. Per
alcuni istanti Reafly si trovò a volare con lui, si sorprese
nel notare come fosse
facile distinguere ogni cosa anche con la pallida luce della luna.
L’ombra di Castigo
al suo fianco era una presenza rassicurante.
Non
sei il solo ad
essere stato contattato dal suo compagno di cova. Riprese
a parlare il cucciolo di drago. Ero molto spaventato,
pensavo che lei ti avesse portato via. Castigo mi ha raggiunto in
tempo, prima
che raggiungessi la nave. Quando mi ha detto che eri sano e salvo a
palazzo … non
volevo quasi crederci. Continuò il cucciolo. A
quelle parole la vista di
Reafly si focalizzò sulla nave dell’ambasciata in
lontananza. Il cuore del
ragazzo iniziò a battere forte.
Che
cosa volevi fare Gleadr?
Proteggerti.
***
Sul
ponte della nave l’ambasciatore aspettava
paziente. Il suo sguardo scrutava con attenzione la riva, ad una decina
di
miglia da loro, in cerca del più piccolo segnale della
giovane Rebekha, poi un
lampo viola squarciò l’aria. Asha si
buttò a terra e con le mani sopra la testa,
nel timore di un attacco nemico, segnalò ai soldati presenti
di mettersi in
posizione di difesa. Quando il bagliore scomparve con grande stupore di
tutti c’era
Rebekha. La ragazza era in ginocchio sul ponte e rivolse
all’ambasciatore solo un
labile sguardo prima di voltarsi verso le rive da cui era partita la
nave. Il
cuore della ragazza prese a battere forte. Due macchie in lontananza,
una rossa
più grande e una più piccola, dorata, si stavano
dirigendo verso di loro a
grande velocità. Anche Asha strabuzzò gli occhi
nel notarle, poi Rebekha si
rese conto che viravano di nuovo verso la terra ferma per poi
scomparire tra le
nuvole scure. La speranza che almeno il drago del fratello potesse
seguirli a
casa svanì e, di fronte a quella ennesima sconfitta, Rebekha
si accasciò al
suolo sfinita. La magia stava rapidamente consumando le sue forze. La
distanza
tra la terra e la nave si era dimostrata troppo grande per il suo
fisico, anche
se per farlo aveva chiesto aiuto al cuore dei cuori che ancora pulsava
nella
sacca appesa al suo fianco.
Asha
le passò una mano intorno alla spalla in
un gesto che non aveva nulla di gentile
–
Alzati ti prego. Non davanti agli uomini –
la rimproverò con estrema freddezza. Anche Isobel le aveva
detto spesso di non mostrare
la propria debolezza di fronte ai propri sottoposti, ma in quel momento
non le importava
molto come apparisse a quegli uomini. Guardò il cucciolo
ancora tra le sue braccia
poi il mondo prese a vorticale intorno e svenne.
Il
cucciolo si aggrappò alla veste del suo
cavaliere ed emise una serie di pigolii preoccupati mentre entrambi
venivano
portati sottocoperta. Il marinaio che aveva preso in custodia Rebekha
adagiò il
corpo della ragazza sul letto. Con estremo disagio e senza quasi badare
alle
sue condizioni uscì fuori desideroso di allontanarsi da lei
il prima possibile.
Rimasti soli il cucciolo iniziò ad emettere una serie di
pigolii preoccupati.
Girò più volte intorno al corpo immobile della
sua compagna in cerca di un
segno di vita; le leccò con dolcezza la mano poi
timidamente. aiutandosi con le
zampe. si arrampicò fin sul suo petto della ragazza. Il
cucciolo emise un
brontolio acuto prima di accoccolarsi in maniera protettiva su di lei e
chiudere gli occhi.
***
Quando
riprese coscienza Rebekha sentì un peso
caldo suo petto. Il cucciolo si mosse appena pigolando. I suoi grandi
occhi
screziati di viola e giallo la stavano fissando con gioia. O almeno era
quello
che la ragazza immaginò stesse provando il cucciolo in quel
momento.
Sollevandolo dal suo petto Rebekha si mise a sedere. Un lume era stato
lasciato
acceso a rischiarare il piccolo ambiente che la ospitava. Con un rapido
sguardo
intorno alla stanza vide che le era stato portato un vassoio con del
cibo. Rebekha
lo prese e cominciò a mangiarne il contenuto con appetito.
Aveva una fame
terribile come se non mangiasse da settimane. Il piccolo drago nel
frattempo
era andato a sedersi sul bordo del letto e Rebekha si fermò
ad osservarlo con
attenzione per la prima volta. Le squame che coprivano il suo corpo
erano di un
viola iridescente, due corna spuntavano tra le tenere squame della
testa mentre
le zampe erano munite di artigli piccoli, ma robusti. Nonostante fosse
così piccolo
il suo aspetto infondeva comunque forza e potenza.
Si
era preparata alla sua venuta da settimana,
ma quello che doveva essere un momento di gioia era stato oscurato
dalle parole
dure del fratello. La regina l’aveva avvertita che Reafly era
ormai completamente
plagiato dagli elfi, ma Rebekha non le aveva creduto, ed ora
rimpiangeva di non
averlo fatto.
Finì
di mangiare, ma non si sentì meglio, la
sensazione di vuota non accennava a diminuire nonostante le forze
stessero
ritornando. Era un vuoto che non poteva essere colmato con il cibo,
pensò con
amarezza. Dentro di lei continuava a sentire la mancanza del fratello,
era qualcosa
di profondo che continuava a dirle che non avrebbe dovuto abbandonarlo.
Rebekha
si stese sul letto, con un tonfo, e i suoi pensieri andarono
istintivamente alla
madre. Come le avrebbe spiegato tutto questo? Lei non sapeva nulla
della
missione, la regia le aveva ordinato il più riservato
silenzio.
Tutto
sarebbe stato più
facile se solo Reafly mi avesse seguita!
Pensò. Perché non lo hai fatto? Il
rimpianto per non essere riuscita a
portarlo con sé iniziò a trasformarsi in rabbia.
Ma non era solo sua la colpa del
quel fallimento. L’arrivo di quel cavaliere, Murtagh, gli
aveva impedito di completare
l’incantesimo.
La
regina li aveva categoricamente vietato di
affrontarlo: non sei ancora abbastanza forte per poterti
battere con avversario
del suo calibro l’aveva ammonita e la ragazza
dovette ammettere che era riuscita
a deviare il suo colpo per pura fortuna. Aveva percepito immediatamente
la
potenza del cavaliere e d’istinto si era trasportata il
più lontano possibile
da lui anche se questo aveva significato lasciare il fratello.
Che
tipo di persona sono
diventata?
Si chiese pensando a come le era risultato
così facile pesare a sé stessa.
Quella
domanda continuò a girarle in testa per
il resto del viaggio verso Zàkhara durante il quale
riuscì a riprendere del
tutto le forze. Non lasciò mai la sua cabina neppure per una
breve boccata
d’aria. Il cucciolo le rimase sempre accanto senza mai
lasciarla un attimo. Quella
della creatura non era solo una presenza fisica, ma anche mentale.
Poteva continuamente
sentire la sua presenza, in un angolo della sua coscienza, che le
diceva che
non era sola. L’unica ragione che impedì alla sua
mente di andare alla deriva.
**
Arrivati
al porto l’ambasciatore e tutto il
suo seguito vennero direttamente chiamati ad apparire di fronte alla
regina.
Rebekha li seguì continuando a rimanere in silenzio. Senza
dire una parola
affiancò Asha, tutta concentrata al momento di rivedere la
regina.
Ed
ecco la donna che le aveva reso possibile
tutto questo. Isobel era seduta sul suo trono. Vestita di un abito nero
molto
accollato decorato da lunghe piume nere e circondata dai suoi
dignitari.
-
Raccontami ambasciatore, quale è la risposta
di re Arold? – chiese rivolgendosi ad Asha inginocchiato di
fronte a lei.
L’uomo alzò il volto e con la mano destra stretta
a pugno e poggiata sopra il
ginocchio sinistro alzò il volto verso al donna
-
La risposta del re degli elfi e del suo
consiglio è negativa maestà. – a quella
risposta Isobel non si scompose - Come era
previsto – disse in tono pacato. I suoi occhi puntarono su
Rebekha e con voce
suadente le disse:
-
Vedo almeno che siete riusciti a conquistare
una cosa. Vieni avanti ragazza – Asha si alzò
anche lui e Rebekha avanzò di un
passo seguita a ruota dal cucciolo dietro di lei. Il rumore dei piccoli
artigli
contro il duro marmo echeggiò nella sala. – Quindi
è nato –
-
Come avevate previsto maestà, compreso il
rifiuto di mio fratello – rispose Rebekha con voce ferma.
Aveva temuto quel momento
ma ora che aveva ammesso il suo errore di fronte alla donna si
sentì più
leggera, come un peso che le veniva tolto dalle spalle. Isobel la
guardò con compassione.
- Avrei voluto sbagliarmi in questo. So quanto ci tenevi Rebekha
–
La
regina era davvero dispiaciuta? Si chiese
la ragazza mentre la ringraziava chinando la testa - Grazie
Maestà – le rispose.
Isobel
sorrise soddisfatta - Molto bene mia
giovane apprendista è il momento di prendere il tuo posto
alla mia destra -
Isobel alzò il suo volto sugli astanti e con fare solenne
annunciò:
–
Miei sudditi ecco a voi il Primo Cavaliere
di Zàkhara.
Inginocchiatevi!
–
A
quell’ordine perentorio e inaspettato Rebekha
sentì le gambe tremare. Con la coda dell’occhio
vide tutti i presenti
inginocchiarsi e chinare il volto verso di lei, compreso Asha. Con un
altro gesto
Isobel chiese che le venisse passata una spada. Anche il drago dovette
sentire l’importanza
dell’evento, perché il cucciolo le si
arrampicò su una spalla e reggendosi con
le zampe anteriori si affiancò con il muso a quello del suo
cavaliere. La
regina li guardò entrambi con solennità, poi
impugnò la spada con entrambe le
mani. Posò con la superficie piatta della lama sulla spalla
libera di Rebekha e
le diede un colpo leggero. – Con questo, ti lego a me con un
patto di
sudditanza. D’ora in avanti tu mi servirai come mio vassallo
e io sarò
responsabile delle tue azioni. Ora alzati Primo Cavaliere di
Zàkhara – Rebekha
si alzò, poi la regina fece qualcosa di inaspettato.
L’attirò a sé
l’abbracciò
in un gesto di grande rispetto e stima.
Fu
allora che Rebekha vide la madre. Per un
attimo sul suo viso vi lesse la stessa espressione sconvolta del
fratello. La
ragazza avrebbe voluto correrle incontro ma fu trascinata indietro dal
turbine
dei dignitari che volevano congratularsi con lei. Dopo un po’
Isobel riuscì a sottrarla
alle loro attenzioni e a portarla in disparte non lontano dal trono
– Ora
verrai nel mio studio e mi racconterai per filo e per segno quello che
è
accaduto da quando l’uovo si è schiuso –
le disse in sorta di un ordine
sottointeso
–
Certamente maestà – rispose subito Rebekha.
-
Non prima però di salutare tua madre –
continuò
la regina con un tono più gentile. Il drago le si
accoccolò sulle spalle
curioso. Mentre la regina annunciava a tutti i dignitari che la
riunione era
finita, e chiedeva loro di lasciare la sala, la ragazza poté
infine rivedere la
madre affiancata da due guardie.
-
Vai da lei, coraggio. So che il tuo cuore lo
desidera – le sussurrò Isobel
all’orecchio per poi sospingerla. Rebekha fece
esattamente quello che le aveva chiesto la regina. Rebekha voleva solo
lasciare
tutta la tensione alle sue spalle e rifugiarsi nel conforto
dell’abbraccio
della madre. Era stanca e quasi si trascinò sulle gambe
certa di essere accolta
dalla madre, ma, nel momento in cui la raggiunse, la donna la
guardò con lo
stesso sguardo che riservava a Reafly quando era contrariata con lui.
-
Che cosa hai mamma? – chiese lei sentendo gli
artigli del cucciolo che le stringevano una spalla. La ragazza
concentrò tutta
la sua attenzione su quella sensazione per non crollare.
-
Rebekha che cosa hai fatto? – quella domanda
fu come un pugno allo stomaco. Rebekha si bloccò di colpo,
pietrificata.
-
Sono diventata ciò che dovevo essere –
riuscì infine a dire con voce tremante.
-
Sono un cavaliere, come lo è Reafly per
diritto di sangue. Del tuo sangue, madre. Perché non puoi solo essere felice per me? -
-
Ma io lo sono, figlia mia. - le disse la
donna avvicinandosi a lei e accarezzandole una guancia. Rebekha
sussultò. Quel
contatto che fino a pochi minuti fa aveva desiderati così
ardentemente,
all’improvviso aveva perso tutto il suo significato. Serena
sembrò accorgersi del
disagio della figlia perché scostò la sua mano.
Nel farlo i suoi occhi caddero per
la prima volta sul suo drago. La donna spostò la mano verso
cucciolo che l’annusò
con curiosità. – Non lo sei…Tu stai
pensando a Reafly vero? Te lo leggo negli
occhi –
Serena
alzò lo sguardo sulla figlia con
sconcerto
-
Certo che sto pensando anche a lui. Penso
sempre a voi. Sempre. È tuo fratello e voi siete i miei
figli - disse con una chiara
nota di dolore nel tono della voce.
Rebekha
voleva solo urlare. - Ora è un traditore,
ha deciso di passare dalla parte degli elfi. Io ho cercato di parlagli
ma non
c’è stato verso di farlo ragionare –
-
Tu gli hai parlato? – chiese la madre. Rebekha
annuì. Poi guardando il volto preoccupato della madre a
quelle parole aggiunse
– Sta bene. È cresciuto e sembra più
maturo. Ma mamma, ha deciso di allearsi
dalla parte sbagliata – aggiunse. - Ha tradito il nostro
popolo unendosi agli
assassini di nostro padre –
Al
nome del suo amato Phil, al padre dei suoi
figli, Serena stette per un attimo in silenzio. - Perché ora
difendi con tanta
forza quella donna? – riuscì solo a dire.
Quella
domanda a brucia pelo colse la ragazza del
tutto impreparata. Guardò la madre e in quel momento
capì che la donna
appoggiava la scelta del fratello, non la sua. La regina aveva previsto
anche
questo. Ed ora anche l’ultimo baluardo rimasto a frenarla ad
accettare l’aiuto
della regina cadde in frantumi di fronte a quell’ennesima
delusione. Abbassò
gli occhi e con un groppo alla gola li rialzò colmi di
lacrime.
–
Ora devo andare madre. Ci vediamo più tardi
–
-
Rebekha – la implorò la donna, ma la ragazza
non si voltò nemmeno. Il cucciolo tentò di
scuoterla ed emise una serie di
pigolii.
-
Non ora piccola - le disse sentendo la sua mente
confusa. Da quando si erano toccati la prima volta Rebekha percepiva le
emozioni dell’altra come se fossero le proprie. Bastava un
attimo perché le loro
menti si fondessero e potesse perdersi l’uno
nell’altra. Quella mattina Rebekha
aveva anche fatto un’altra importante scoperta. Il cucciolo
era una lei.
La
piccola dragonessa non era ancora capace di
parlare, ma poteva iniziare ad apprezzare alcune
particolarità del suo
carattere che trasparivano dai suoi pensieri, la sua grande pazienza e
la
profonda quiete nei confronti di tutto quello che le accadeva intorno.
Quando
capì che Rebekha non aveva intenzioni di tornare indietro,
le si acciambellò su
una spalla e leccandole uno zigomo si acquetò a un lato
della sua mente mantenendo
in labile contatto.
***
Era
l’alba quando Reafly aprì gli occhi. In silenzio
rimase ad osservare il soffitto per alcuni istanti prima di muoversi.
Sentì
Gleadr ai piedi del letto che si muoveva, a sua volta svegliato dai
suoi pensieri
confusi e agitati.
Il
suo compagno stava crescendo a vista
d’occhio ed era arrivato a muoversi con difficoltà
dentro la sua camera. A
trattenerlo dal raggiungere il padre negli
alloggi costruiti appositamente per i draghi era stata solo la
preoccupazione della
creatura per lo stato d’animo del compagno.
L’atteggiamento
di molti maghi, compresa
quella di re Arold, era cambiato dopo che
l’identità del nuovo cavaliere era
stata svelata e il loro costante giudizio iniziava a minare quel poco
di
fiducia che aveva acquisito da quando l’uovo di Gleadr si era
schiuso per lui.
Bongiorno
lo
raggiunse la voce di Gleadr.
È
un altro giorno? … rispose
Reafly
Avanti
cucciolo,
dobbiamo andare.
Reafly
emise un sordo grugnito di protesta. Come
ti senti?
Non
lo so rispose
il ragazzo. Ancora confuso, direi.
Reafly
si fece forza, si alzò, si vestì e
uscì
dalla sua stanza. L’allenamento con Murtagh e poi
l’ora di meditazione con Arya
permisero al ragazzo di cacciare via la tristezza e trovare un
po’ di serenità
nel turbine di emozioni che ogni giorno rischiava di sopraffarlo.
Arrivata metà
giornata si fermarono per mangiare qualcosa, poi Gleadr si
alzò nuovamente in
volo per seguire Castigo.
Il
ragazzo vide padre e figlio allontanarsi
nel cielo per continuare le loro lezioni e si girò verso
Murtagh. Il cavaliere non
accennava né a muoversi né a palare e rimase
seduto a guardare il giardino
davanti a loro per quelle che a Reafly parvero ore. Se si fosse
soffermato
meglio ad osservare si sarebbe accorto che il suo volto era teso e
combattuto. Ma
Reafly era troppo agitato adesso per riuscire a cogliere
l’umore del suo
maestro
-
Non andiamo anche noi Murtagh-elda? –
si azzardò a domandare, orami al limite della sopportazione.
-
Non ancora Reafly-von – rispose
Murtagh con un mezzo sorriso. Nonostante la trepidazione, Reafly si era
rivolto
a lui nell’appellativo elfico che gli aveva insegnato Arya.
-
Eragon ti avrebbe sicuramente detto di attendere
ancora e imparare il valore della pazienza –
continuò Murtagh non riuscendo a
mantenere a lungo il silenzio – ma io non ho avuto modo di
imparare dagli elfi come
ha fatto lui.
Il
solo motivo della mia attesa è che stiamo
aspettando qualcuno…- disse corrugando le sopracciglia e
incrociando le braccia
al petto.
Finalmente
la porta di aprì e gli occhi di
Reafly si illuminarono di gioia nel riconocere la persona che stava
entrando.
-
Xavier! – gridò andandogli in contro –
Non ti
vedo da una vita! –
-
Lo so ragazzo, lo so. Ma i preparativi per
la partenza stanno risucchiando tutto il mio tempo – la fonte
di Reafly si
corrugò - Quando arriverà il giorno, ti
ricorderai di venirmi a salutarmi,
vero? –
-
Ma certo ragazzo, come potrei non farlo? –
gli rispose Xavier arruffandogli la chioma fulva
con la mano. Reafly sorrise debolmente e abbassò la testa
lasciandolo fare. Solo
allora si accorse anche della presenza di Arya. Passò lo
sguardo sui ognuno dei
presenti, uno ad uno. – Non siete tutti qui per caso, non
è così? – chiese esitante.
-
No, Reafly – rispose Murtagh con una leggera
smorfia. Reafly chiuse gli occhi e distolse lo sguardo.
-
È stata Gleadr a chiedervi di farlo? Mi
aveva promesso che avrebbe aspettato - iniziò a protestare
il giovane.
-
Gleadr non centra Reafly. Non ci abbiamo
messo molto a capire che qualcosa ti sta turbando – gli
rispose gentilmente
Arya.
-
Sembra che tu sia un libro aperto per chi ti
sta accanto e ti vuole bene – aggiunse con un sorriso appena
accennato Xavier.
-
La storia ha la brutta abitudine di
ripetersi. Per questo abbiamo pensato che fosse arrivato il momento di
raccontarti qualcosa della tua terra di origine. –
Reafly
prese un profondo respiro mentre sentiva
il sangue pulsare nelle vene. – Che cosa sai del cavaliere
dei draghi che
arrivò a governare Alagaësia…?
– gli domandò quindi il cavaliere.
-
Intendi dire Galbatorix? – chiese Reafly non
riuscendo a trattenersi dalla trepidazione. La sorella lo aveva
nominato nel perorare
la sua causa, accusando coloro che aveva imparato a chiamare amici di
avergli
nascosto più di una verità sul loro conto. Reafly
sospirò e si schiarì la voce
prima di parlare.
-
So da quelli che mi ha detto Rebekha che era
un cavaliere come te ed Eragon, e che voi lo avete ucciso. –
-
Perché era un tiranno, un pazzo e doveva
essere fermato – proseguì Murtagh senza mostrare
alcuna esitazione nella voce.
Arya si avvicinò al cavaliere cremisi e mettendogli una mano
sulla spalla prese
la parola
-
Nonostante fosse stato uno tra i più
promettenti cavaliere, la sua mente era debole e presto venne corrotta
dalle
parole velenose di uno spettro di nome Durza.
Perse
il suo drago in una missione che non avrebbe
mai dovuto intraprendere e incolpò della sua morte
l’intero ordine dei
cavalieri. Con l’aiuto di un altro ambizioso cavaliere di
nome Morzan, rubò un
cucciolo di drago, Skruikan, e lo piegò alla sua
volontà, grazie alla magia
oscura. Per molto tempo non si seppe più di loro. I due,
nascosti in un angolo
recondito di Alagaësia radunarono intorno a loro altri undici
cavalieri
disposti a tradire il loro ordine in cambio di potere e ricchezze, i
Rinnegati.
Corrotto dalla magia oscura, Galbatorix divenne che una pallida
immagine del
cavaliere che era stato e Skruikan privato della sua libertà
impazzì con lui. Grazie
al suo legame con i draghi la sua vita era pressoché
illimitata, avrebbe
governato Alagaësia per un tempo indefinito –
-.
Murtagh, prima hai parato della storia che
si sta ripetendo. Cosa intendevi dire con quelle parole? –
-
E poiché hanno seminato vento
raccoglieranno tempesta. – recitò
Murtagh citando un brano delle cronache di
Vrael, l’ultimo grande cavaliere del vecchio ordine, quindi
fece una piccola
pausa, come a cercare il coraggio per parlare.
-
Galbatorix credeva nel principio del
dividere e comandare e così sta facendo Isobel. Ma
è il momento di spezzare
questa catena. Ti abbiamo parlato di come Galbatorix sia stato aiutato
da un
altro cavaliere. –
-
Morzan – rispose Reafly
-
Si, il primo e il più spietato dei Rinnegati.
Quel cavaliere era mio padre – Reafly ebbe un sussulto
nell’udire quelle
parole.
-
Come suo figlio per tutta la vita portai le sue
colpe sulle mie spalle, fino a quando non conobbi Eragon e Saphira -
Reafly
scosse la testa e corrugò la fronte
senza capire. Qualcosa di quel racconto non tornava – Ma, tu
ed Eragon siete
fratelli, Morzan dovrebbe essere anche suo padre! –
Gli
occhi di Murtagh scintillarono per
qualcosa che Reafly non afferrò subito – Morzan
era mio padre, ma non era il
padre di Eragon. – disse con voce carica di vecchie emozioni,
ma ancora
abbastanza forti da far fremere l’animo del cavaliere.
-
Nostra madre. Selena ha conosciuto il padre
di Eragon dopo essere fuggita dal mio. Per proteggerlo dalle sue mire e
da
quelle del re lo affidò alle cure di suo fratello in un
villaggio anonimo ai
confini dei regni del nord.
Io
ed Eragon siamo cresciuto in due mondi completamente
diversi, ma il destino ci ha riuniti nel momento di maggior bisogno -
Murtagh
raccontò a Reafly le circostanze del loro incontro di come
tra loro fosse nata subito
una profonda amicizia, prima di conoscere il loro legame di sangue, e
come
questa avesse dovuto passare attraverso la diffidenza di tutti.
-
All’epoca non ero ancora cavaliere, ma come
tua sorella lo divenni sotto la cattiva stella del tiranno che
detestavo. -
Murtagh
passò allora a raccontare la dolorosa
storia della sua cattura al Farthen-Dur, alle circostanze che portarono
alla
nascita di Castigo e come Galbatorix lo avesse costretto a giurargli
fedeltà dopo
aver scoperto i loro veri nomi. Non nascose nulla dei delitti commessi
in nome
del tiranno e come lui lo avesse usato come una marionetta nelle sue
mani
pronto ad essere comandato a bacchetta.
Non
nascose neppure come fosse riuscito a
darsi sempre un margine di azione e, grazie all’aiuto di
Castigo, ad eludere
più di una volta il giuramento anche se con molte
sofferenze.
All’improvviso
un pensiero colse Reafly facendogli
ghiacciare il sudore sulla pelle.
–
Murtagh, tu ed Arya avete parlato
dell’immenso potere che si ottiene nel conoscere il proprio
nome nell’antica
lingua. Credete che Isobel conosca questo potere? Potrebbe averlo
già usato su
Rebekha? -
Murtagh
ci pensò un attimo – Mi dispiace
Reafly, questo non lo so. Ma il breve tempo trascorso ad Abalon mi ha
fatto
capire che Isobel aveva stretto con Galbatorix una profonda amicizia.
Non so
dirti fino a che punto abbia rivelato i suoi segreti. -
-
La ricerca del vero nome è qualcosa che ogni
cavaliere è tenuto a intraprendere prima o poi nel suo
cammino. – intervenne Arya.
- Nei tempi passati faceva parte integrante della sua formazione ed era
ritenuto
un segreto. Nessuno al di fuori dell’ordine e naturalmente
degli elfi era a
conoscenza dell’enorme potere del vero nome –
-
Dovrò trovarlo anche io? – Reafly non era
sicuro di volerlo fare ma non voleva nemmeno deludere i suoi due
maestri.
-
Come e quando dipende solo da te Reafly – gli
rispose Arya. –
Oggi non ti diremo altro.
Hai già molto su cui meditare – disse.
-
Il solo pensiero di Rebekha nelle mani di
quella folle mi fa bollire il sangue nelle vene. Se dovesse succederle
qualcosa…
io …non me lo perdonerei mai – imprecò
Xavier che fino a quel momento aveva
taciuto - Mi spiace tanto Reafly, avrei dovuto proteggervi entrambi, e
invece vi
ho deluso. –
-
Non dirlo neppure Xavier! Quando abbiamo
deciso di aiutare Murtagh, nessuno di noi due poteva immaginarsi quello
che
sarebbe successo – gli rispose subito il ragazzo cercando con
lo sguardo l’uomo
che li aveva visto crescere e che li conosceva nel profondo del suo
cuore come
un padre.
-
Se ti dicessi che io ero presente al primo
incontro dei tuoi genitori e che sapevo molto bene quando ti ho
permesso di
seguirmi che tua madre non era di queste terre ma veniva da
Alagaësia? –
-
Non cambierebbe nulla Xavier. Sei stato tu ad
insegnarmi tutto quello che su come tenere in mano una spada o come
usare la
posizione delle costellazioni nel cielo per orientarmi.
C’eri
tu al mio fianco quando mi cacciavo nei
guai e dovevo nascondermi da mia madre e sei sempre stato tu anche
accanto a ma
e a Rebekha, consolarci quando piangevamo perché ci mancava
papà. Per cui non
c’è nulla che possa dire Rebekha o Isobel che
metterebbe in dubbio la tua
lealtà. –
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** Legami spezzati ***
La
mattina successiva Eragon fu svegliato dalla mano
leggera di Par. L’Elfo aveva finito il turno di guardia, e
aveva preparato già
tutto per la partenza.
Buon giorno piccolo mio!
Gli fece Saphira da sopra una
spalla.
Buon giorno Saphira. Che cosa
succede? Il ragazzo annusa l’aria
e le sue narici vennero inondate del profumo di focaccia calda.
È stato Par. Mi ha pregato di non svegliarti prima.
Su
avanti alzati
Eragon si tirò su, stirandosi le membra intorpidite.
Poco più in
là c’è una piccola
fonte d’acqua. la
informò
la dragonessa. Eragon la raggiunse e si spruzzò un
po’ d’acqua sul viso e sulle
braccia. Rinvigorito si diresse di nuovo alla raduna
- Dormito bene Cavaliere? - gli fece subito Par vedendolo arrivare, e
porgendogli una scodella piena di frutti selvatici.
- Spero ti piacciano, li ho raccolti qui intorno-
Eragon esaminò un attimo il contenuto, e con un breve
incantesimo controllo che
tutti fossero commestibili.
- Grazie - gli disse, sedendosi vicino a Saphira.
- Di nulla - gli fece Par sedendogli a sua vota accanto. Poi
l’Elfo prese a
giocare con una foglia sul terreno. Eragon aveva appena iniziato a
mangiare,
quando l’elfo si sporse avanti e gli domandò:
- Oliviana sta ancora dormendo, ma prima di svegliarla volevo parlarti-
Eragon posò la scodella per terra, n’aveva
mangiato appena qualche chicco
- Dimmi pure Par -
L’Elfo rimase un attimo in silenzio, cercando le parole
adatte da usare:
- Ecco…si tratta di lei Eragon, Ci ho
pensato tutta la notte: sembra che
tu nutra un particolare interesse per lei, di cui ignoro il motivo.-
L’Elfo
aspettò un attimo prima di continuare, mentre Eragon aveva
assunto
un’espressione impassibile
- Chi ci assicura che non userà la magia per ucciderci
tutti. Lei… -
- Non lo farà Par - lo interruppe Eragon con dolcezza. Par
lo guardò incredulo,
il cavaliere continuò a parlare.
- Ti svelo qualcosa sull’uso della magia. Ci sono delle
regole ferree per il
suo utilizzo, e Oliviana le deve conosce abbastanza bene per sapere che
tentare
un qualsiasi attacco senza conquistare la mente del tuo avversario, ti
rende
altrettanto vulnerabile. Questo mi rende quasi certo che non
azzarderà nulla di
così folle, per ora.
Naturalmente,
potrebbe essere abbastanza disperata da provare
lo stesso. E la disperazione rende sempre pericolosi…-
Eragon fece una breve
pausa, riluttante a continuare.
-
Ma ci sarebbe un modo, per far si che non possa nuocere
– aggiunse risvegliando l’attenzione di Par
- E quale sarebbe? –
- Con delle particolari sostanze, delle droghe, potremmo assopire i
suoi
poteri. Non è il modo più onorevole per
neutralizzare un avversario, ma temo
sia l’unico modo che abbiamo. -
Eragon
ricordava come si era sentito quando si era trovato
a subite lui stesso quel trattamento. Non gli piaceva l’idea
di trattare così un’altra
persona; ma Par aveva ragione su una cosa. Essere venuto a conoscere i
ricordi
di Oliviana lo aveva avvicinato stranamente alla donna. Come aveva
detto un
giorno Oromis, la comprensione genera simpatia.
- So a cosa ti riferisci, c’è una pianta qui nella
Stonewood che potrebbe fare
al caso nostro - gli disse concitato l’Elfo - e peso di
averla incontrata
stamattina. Aspettami qu. -
Quando Par fu lontano la dragonessa gli parlò:
Eragon, stai facendo la cosa giusta.
Lo so Saphira, ma questo
non mi da alcun sollievo…
Eragon
e Saphira aspettarono alcuni minuti, poi Par
riemerse dalla boscaglia, con in mano un’intera pianta,
foglie, busto e uno
strano bulbo.
- Questa la utilizziamo per addormentare i cavalli. Bisogna sradicarla
dalle
radici, perché è il bulbo che fornisce il siero -
disse loro con calma.
- Se adoperate in piccole dosi, può esser e adoperata anche
per gli esseri
umani. Credo che sia questo cui ti riferivi - Eragon non disse nulla ma
esaminò
la pianta con la mente e annuì, poteva andare bene.
Par impiegò un poco a preparare l’infuso. Poi
misero la droga nei frutti che
erano rimasti.
- Ne basteranno poche gocce. E l’effetto durerà
per tutta una giornata. -
Oliviana doveva essere ancora indebolita per la crisi, ed Eragon
ritenne di
mettere solo una goccia.
Le andò accanto, Oliviana era sdraiata da un lato. La scosse
piano, e lei
socchiuse gli occhi sotto il suo sguardo. Eragon le posò
allora una mano sulla
fronte per vedere se aveva ancora la febbre. Oliviana
sussultò
- Che fai? - rispose brusca.
- La febbre è passata. Tieni mangia, avrai fame - le disse
porgendole la
scodella coni frutti.
Oliviana li guardò con disgusto, ma aveva fame, e li
divorò in un attimo.
-Ora alzati, stiamo partendo- gli disse soltanto.
Oliviana ubbidì, senza controbattere. Sentiva lo sguardo di
Saphira vigile su
di lei.
Eragon ci mise poco tempo per caricare gli ultimi bagagli. Poi la
dragonessa
spiccò il volo per innalzarsi sopra la Stonewood.
Ci rincontriamo questa sera gli fece Eragon
mentalmente.
Non mi piace che viaggiate soli per troppo tempo!
Gli rispose
allora Saphira.
Non abbiamo alternative Saphira, ma tu ci potrai sempre
controllare
dall’alto
Lo farò piccolo mio, ma tu stai attento.
Avanzarono
tra la boscaglia per tutta la giornata.
Oliviana aveva dei problemi a camminare con le mani legate,
così Eragon gliele
liberò, e la fecero mettere in mezzo. Avanzarono per il
resto della giornata
così: Par in testa guidava la fila, poi veniva Oliviana,
mentre dietro di lei,
Eragon chiudeva il gruppo.
Ci misero cinque giorni per raggiungere il fiume Adamante.
Arrivato vicino alle sue rive, Par si fermò guardingo:
- Raggiunto il fiume, più ad est c’è il
lago di Fargor, e lì vi un piccolo
villaggio, si chiama Gratignac, è l’ultimo
avamposto civile sulla terra di Zàkhara
che incontreremo, prima di inoltrarci nel cuore della Stonewood.
E’ una città
di confine, isolata dal resto del paese, e un covo di briganti e
fuorilegge.
Non sarà difficile passare inosservati. Di solito la gente
si fa i fatti suoi,
e le poche guardie della regina possono essere comprate con un
po’ di soldi.
Ma la cosa che a noi interessa di più è che
è una cittadella fiorente e ricca
di commerci, perché è dal suo porto fluviale che
partono le navi per le isole
Stige e Crithia, che sono ricche del prezioso ferro…-
Oliviana eruppe in un sorriso amaro.
- Sei un folle Elfo. Entrare a Gratignac e sperare di uscirne da uomo
libero -
Par
si voltò di scatto verso Oliviana, e fissò
l’assassina con uno sguardo che non ammetteva altre repliche,
poi disse:
- A noi interesserà solo per rifornirci di viveri - Poi si
voltò a guardare di
nuovo Eragon e Saphira: - In ogni caso siamo obbligati a rifornirci li,
nella
sua parte più interna la Stonewood non ci
permetterà né di cacciare né di
cogliere erbe o frutti. Lì la foresta è sovrana -
Un brivido attraversò la
schiena dell’elfo, al ricordo del suo primo viaggio in quella
terra.
- Da come ne parli, sembra un essere pensante - gli disse Eragon
incuriosito da
tanta apprensione.
- Perché lo è, Cavaliere. - tagliò
corto Par. L’Elfo era diventato all’improvviso
irascibile, ed Eragon preferì non stuzzicarlo oltre.
Smontarono i bagagli, e accesero un piccolo falò da campo.
Dopo che ebbero consumato un pasto leggero con ciò che gli
rimaneva delle
provviste Eragon si avvicinò a Par e gli disse
- Domani andrò in città da solo - Par socchiuse
gli occhi contrariato, ma lo
lasciò continuare:
- Lo so avevamo detto che saremmo entrati insieme, ma ho ragionato.
Oliviana non
può venire con noi e per te è troppo pericoloso,
sei sempre un Elfo e dopo la
nostra fuga da Blow il livello di guardia sarà
più alto. Io invece con un po’
di fortuna passerò inosservato -
Par era rosso in viso e ci mise un attimo prima di accennare ad un
sì.
- Va bene, in questo caso è meglio che queste le tenga tu
– disse l’elfo
porgendogli frettolosamente un sacchetto. – Si tratta delle
nostre ultime monete,
non sono molte- aggiunse poi con un tono triste - ma la borsa con il
resto dei denari
è rimasta a Blow. Quindi dovrai cercare di fartele bastare
– Eragon soppesò il
sacchetto e lo ringraziò con un sorriso.
Par scosse la testa, quindi iniziò a riferirli una serie
d’indicazioni pratiche
su come comportarsi e a chi avrebbe potuto rivolgersi. poi entrambi
stanchi si
misero a dormire, alternandosi per i turni di guardia.
**
Il mattino dopo, di buon’ora, Eragon si mise in cammino per
la cittadella di
Gratignac. Ci mise poco a raggiungere il fiume. Lo costeggiò
fino raggiungere
la città.
Gratignac
era un’ampia distesa di case e complessi di
edifici priva di una propria cinta muraria. Lungo la strada, Eragon
poté notare
che il via vai di gente che come un fiume s’intensificava man
mano che si
avvicinava al centro abitato.
Par gli aveva dato una serie d’indicazioni per trovare il
quartiere dei
commercianti, ma in quel marasma fu molto difficile orientarsi. La
gente andava
e veniva con un ritmo impressionante. Eragon più di una
volta si trovò ad
essere strattonato e trascinato via dalla folla. Un’ondata
più forte lo aveva
quasi fatto cadere ma stringendosi ancora di più al
cappuccio si buttò nuovamente
nella calca di quelle strade e riprese a camminare.
Era ormai da qualche tempo che non poteva più sentire
Saphira e la cosa lo
rendeva nervoso, perché se fosse successo qualcosa non
avrebbe potuto
comunicare con lei. Finalmente riuscì a trovare il quartiere
dei commercianti.
Le
botteghe si susseguivano come un nastro colorato con
tante merci esposte con ogni genere di articoli. Eragon
accelerò il passo fino
a quando non riconobbe una delle insegne che gli aveva raccomandato Par
ed
entrò dentro.
All’interno
della sala la luce era molto bassa. Eragon esitò
solo un attimo, in quell’ambiente non avrebbe potuto tenere
il cappuccio a
lungo senza destare sospetti.
Così si affrettò a formulare un incantesimo che
potesse nascondere i lineamenti
elfici. L’energia per mantenerlo non era molta, ma avrebbe
fatto bene a
sbrigarsi.
Prese tutto ciò che gli occorreva, quindi pagò
spendendo più della metà dei
soldi che aveva e tornò a mischiato tra la folla.
Ripeté la compravendita con
altre due botteghe. Aveva terminato i suoi acquisti ma già
da tempo sentiva che
qualcuno lo stava seguendo.
Anche
nell’aria qualcosa era cambiato. All’uscita
dall’ultima bottega la gente che fino a poco tempo fa aveva
reso le strade
impraticabili era stranamente diminuita e la sensazione che qualcuno lo
stesse
seguendo iniziò a farsi strada dentro di lui. Prese a
camminare a zig zag tra
la folla cambiando rapidamente direzione con l’intento di
depistare il suo possibile
inseguitore che però continuava a stargli dietro. Non si
voltò un solo attimo
dall’altra parte, anche quando sentì una serie di
urla di qualche donna che
protestava e dei rumori di armi. Costringendosi a mantenere
un’andatura
costante, aspettò di girare al primo angolo e fermarsi a
formula nella mente un
incantesimo che gli avrebbe fatto guadagnare del tempo.
Il cuore gli batteva a mille mentre cercava il modo di uscire dalla
città in
più fretta possibile. Stava valutando che strada prendere
quando una mano le si
posò sulla spalla.
- Non così in fretta ragazzo – gli disse una voce
squillante. Eragon non fece
un tempo a voltarsi che ricevette un colpo lancinante a una tempia, poi
li buio
Quando
finalmente riprese coscienza, Eragon si rese conto
di stare all’interno di un casa. Aveva le mani legate dietro
la schiena, ed era
stato imbavagliato. Cercò di muoversi ma le corde erano
talmente strette da
impedirgli qualsiasi movimento.
- Ti sei svegliato finalmente. Lo avevano detto quelle creature. Non so
cosa, o
chi siano, ma sono felice di non essere nei loro interessi. Sono
terrificanti e
non vorrei essere al posto tuo quando verranno a riprenderti.
–
Eragon si tirò a sedere con una smorfia guardandosi intorno
spaesato. Di quali
creature stava parlando l’uomo? Si chiese trattando le corde
nel tentativo di
liberarsi ma senza successo.
- È inutile che ti agiti. Sono partiti da ore oramai. Sono
andati in cerca dei
tuoi amici. Così almeno mi sembra di aver capito tra un
sibilo e l’altro. - gli
disse severo l’uomo mentre si alzava dirigendosi verso un
angolo buio della
stanza.
- Mentre eri incosciente mi sono permesso di frugare tra la tua roba.
Mi sembri
una persona importante. A cosa servivano tutti questi viveri? -
L’uomo era ritornato davanti a Eragon con in mano la sua
borsa.
- Sei i tuoi parenti pagano bene potrei decidere di aiutarti, sai?
Quanto mi
darebbero in cambio per la tua liberazione? -
L’uomo lo aveva scambiato per un nobile che era stato rapito
e stava cercando
di capire se poteva guadagnare qualcosa da quella situazione. In tutta
risposta
Eragon diede altri due strattoni di protesta alle corde mentre fissava
l'uomo
in tralice.
- Non è la risposta che mi sarei aspettato. Va bene, se
è questo che vuoi ti
lascerò al tuo destino - disse nella speranza di spaventare
il suo ospite.
- Questa potrebbe essere la tua ultima possibilità di
liberarti. Vuoi
collaborare o no? -
Eragon guardò fuori dal capannone, era ormai buio, il suo
pensiero andò subito
a Saphira. La dragonessa doveva essere in pensiero per lui,
dilatò la mente
alla sua ricerca, ma non ottenne alcuna risposta, deluso
abbassò la testa.
Ne aveva ormai abbastanza di quell’uomo e delle sue minacce.
Ma così legato non
aveva modo di avere la meglio su di lui. A meno che non usava la magia
senza
usare l’antica lingua come gli aveva insegnato Oromis.
Raccolse tutte le sue Energie, e attingendo alla fonte del duo potere
sprigionò
la magia. Si concentrò sulle funi che gli legavano i polsi,
e le recise in due.
Liberate le mani, con uno scatto fulmineo, prese la sua spada e la
puntò contro
l'uomo.
- No… non vorrai uccidermi spero…io ...io ..non
volevo farti alcun
male…M…Mettiti nei miei panni... Io…-
Eragon si tolse allora il bavaglio dalla bocca. Vacillò un
attimo, quando la
magia assorbì le sue energie.
- Non voglio farti del male. Voglio solo uscire dalla città
e raggiungere i
miei amici. -
Senza pensarci due volte, Eragon prese le corde con cui era stato
legato. L’uomo
vide il taglio netto e guardò Eragon con rinnovato stupore.
- Come hai fatto. Che razza di trucco hai usato!? -
- Ora voltati -
- Hai uno strano accento, non sei di qui. A pensarci bene non sembri
neppure
appartenere alla gente si Zàkhara –
continuò l’uomo sempre più spaventato.
L’uomo si voltò un poco e i suoi occhi cadde sulle
orecchie di Eragon. Alla
vista della punta, il suo terrore fu palese…
- Aspetta. Aiuto! Che cosa hai intenzione di fare. Aiuto!-
- Shhh…non urlare!- gli fece Eragon posandogli una mano
sulla bocca.
Pronunciò una serie di parole, l’uomo si
accasciò tra le sue braccia,
addormentato.
Eragon alzò di istinto lo sguardo, rumori di passi
provenivano da sopra il
soffitto, diretti verso il basso. Allargando la mente poté
percepire, distinte,
quattro persone avvicinarsi, Erano sodati della regina attirati dalle
urla. Doveva
fuggire e alla svelta!
Prese la sua borsa, e si guardò intorno con occhi frenetici.
La porta del
capannone era semichiusa, Eragon vi si fiondò. Fuori,
l’aria fresca della notte
gli riempì i polmoni.
Alcune persone passeggiavano tranquille. Per fortuna le urla
dell’uomo non
aveva raggiunto l’esterno, non avendo più la
protezione del mantello si affidò
alle tenebre per nascondersi.
**
La
notte era calata nel piccolo accampamento ai limiti
della Stonewood.
Saphira frustava la coda fendendo il terreno con i suoi cunei, nervosa.
Eragon sarebbe dovuto ritornare già da molto tempo,
Che cosa può essere successo? La voce
della dragonessa riecheggiò nella
mente dell’Elfo.
- Non lo so …- rispose passandosi le dita tra i capelli.
Anche lui era preoccupato.
- D’accordo, ora vado in città e vedo cosa
è successo. -
Ma Saphira gli sbarrò la strada con la sua possente coda:
Eragon non voleva che tu entrassi per un motivo.
Aspettiamo…
Oliviana osservava la scena da un angolo. Aveva ancora la mente
intorpidita, e
non riusciva a concentrarsi per più di qualche minuto. Ma
era da un po’ di
tempo che sentiva una presenza conosciuta che le circondava la mente.
Saphira e
Par erano troppo preoccupati per pensare a lei, e il sicario era
riuscita a
eludere il cibo che l’Elfo gli aveva portato.
Sentiva distinta la presenza dei Ra-zac, ma non erano più
loro. Qualcosa era
cambiato, erano più potenti.
**
Quelli
che un tempo erano stati Ra-zac, ora
volavano spediti, sorvolando sul tratto di mare che li
divideva dalle coste di Zàkhara, sotto di loro
l’acqua si increspava in mille
onde ad ogni soffio di vento.
Le due bestie avevano solo un vago sentore di ciò che un
tempo erano stati.
L’esoscheletro, in cui i loro corpi erano stati imprigionati
per venti lunghi
anni, era ormai un ricordo lontano. Ma non avevano scordato al loro
missione.
Risvegliati sull’isola di Crithia, dove che la magia di
Eleonor gli aveva trasportati,
avevano iniziato la lenta trasformazione; ma perché
ciò avvenisse, avevano
bisogno di carne, così, Non lontano da dove erano atterrati,
una piccola
famigliola di contadini, aveva sfamato le loro viscere. Ma quando altri
umani
erano venuti alla fattoria, e avevano scoperto lo scempio compiuto, si
erano
dovuti nascondere. In quella fase erano infatti vulnerabili a qualsiasi
attacco.
Dal loro nascondiglio, videro agitarsi le fiamme delle torce degli
uomini, alla
loro ricerca, e potevano sentire la paura sprigionarsi dalla loro pelle.
Si nascosero all’interno di una grotta naturale, al riparo da
occhi indiscreti,
l’alone malsano, sprigionato dai loro corpi, tenne alla larga
qualsiasi
intruso, ma chi si fosse avvicinato abbastanza, avrebbe potuto udito il
raccapricciante rumore delle ossa delle carcasse dei contadini, che
lentamente
venivano divorati, e un rumore di fondo, dato
dall’esoscheletro, che ormai
secco, veniva spaccato, per lasciare uscire i loro nuovi corpi.
Occorsero tre
giorni. Poi la femmina depose le uova, da cui dopo due giorni nacquero
due Ra
’zac.
Così era stato per loro, e così sarebbe stato per
i loro figli.
Arrivati
alla cittadina di Gratignac, avevano individuato
subito il quartier generale delle guardie reali. La paura si
impossessò di loro
quando le due bestie planarono nel cortile interno, dove i soldati
tenevano i
cavalli.
Subito i Ra ’zac scesero dalle bestie. Guardando i fedeli
servi della regina, i
soldati rimasero pietrificati dal terrore, e impedendogli di muovere un
solo muscolo.
- Siamo qui per ordine della regina, raduna i tuoi uomini e scegli tra
loro una
decina che ci segua nella Stonewood- aveva detto loro con voce
gutturale.
Il capitano si fece avanti. Aveva la stessa espressione di terrore di
tutti gli
altri, ma era un uomo fedele alla corona. Lottando contro
l’istinto di fuggire
fece ciò che gli era stato ordinato.
Anche se debole i Lethrblaka avevano sentito la presenza di Oliviana,
durante la
giornata il loro legame era aumentato. Avevano appreso dal sicario che
il giovane
cavaliere era entrato in città. Così avevano
fatto mettere delle guardie in
tutti gli empori. La piccola magia di Eragon al negozio, sarebbe
passato
inosservato se fosse stato un altro giorno. Il caos della gente per le
strade
aveva permesso al soldato di avvicinarsi abbastanza a Eragon senza
essere
visto.
Neutralizzato il cavaliere, i Lethrblaka ordinarono che la sua custodia
fosse
affidata al commerciante.
La trappola era scattata.
Solo quando l’ultimo raggio di sole scomparve dietro
l’orizzonte, e le tenebre calarono
indisturbate i Lethrblaka diedero il segnale di partenza.
Si alzarono in volo con due potenti battiti delle loro ali, insieme a
loro i Ra’zac.
A terra i soldati li seguivano a cavallo, lieti di non essere
più a contatto
con quelle orrende creature.
Cavalcarono per un’ora, e arrivati nella
prossimità della foresta, i soldati
lasciarono i cavalli, seguendo i Ra’zac e si inoltrarono
nella boscaglia, i
Lethrblaka invece, dopo poco tempo scomparvero nel buio.
**
La dragonessa girò il suo collo verso Oliviana, e
fissò il sicario con i suoi
grandi occhi blu. La donna continuava a ridere, ma Saphira era convinta
di aver
udito qualcos’altro strisciare. Allargando le sue narici
inarcò il collo, e
tendendo la coda come pronta a scattare, si mise in attesa:
Par le si affiancò – Che cosa succede-
Ho sentito qualcosa
la sentì parlare nella mente.
Improvvisamente dall’oscurità della foresta emerse
un enorme essere nero, che
si abbatté contro il fianco di Saphira, seguito subito dopo
da un secondo.
Par venne scaraventato da un lato del campo, batté a testa
contro un tronco e
perse i senesi.
Saphira non ebbe più dubbi, erano Lethrblaka. Non ebbe
nemmeno il tempo di
chiedersi come avessero fatto a trovarli, perché i due
mostri la strinsero
subito in un feroce duello. Lottò a lungo, cercando il
più possibile di mettere
spazio tra loro, ma ogni suo tentativo veniva vanificato dalla loro
azione
congiunta. La sua coda balzava da una parte e dall’altra, e
le sue fauci
colpivano con ferocia. Ma qualsiasi danno Saphira riusciva infliggere
sul corpo
di quelle bestie, lei ne subiva il doppio. Se uno colpiva,
l’altro gli impediva
qualsiasi contromossa. I loro lunghi becchi, erano veloci e precisi, e
Saphira
iniziava a perdere agilità e forza; fino a quando, uno di
loro riuscì a
superare le sue difese, e artigliandole il collo, la ferì
mortalmente. La
dragonesse urlò di dolore.
Saphira indietreggiò e sferrò un potente colpo di
coda al Lethrblaka che le era
più vicino, ma indebolita dalla ferita, cadde da un lato.
Gli occhi crudeli del Lethrblaka la guardavano trionfante, mentre la
dragonessa
cercava di alzarsi, ma senza successo. Da dietro la bestia, Saphira
poté vedere
con rabbia Oliviana alzarsi da terra, libera. Emise un lento ringhio
mentre la
donna avanzava verso di lei affiancata da due Ra ’zac. Questi
erano più piccoli
di quelli che avevano incontrato le altre volte.
Saphira socchiuse gli occhi. Eragon!
Un’espressione di orrore si dipinse sul suo volto di Oliviana
alla vista della
profonda ferita al collo.
- Gli ordini della regina erano…-
- Errrannno di prrrrrendere il cavalierrrre vivo …il drrrago
sarrrebbe stato
solo di fassssstidio - fu il commento di uno dei Ra ’ zac.
Era la prima volta
che parlavano, Oliviana li guardò con un misto di rabbia
disgusto. La regina
aveva affidato a lei quella missione.
- Dove si trova ora il cavaliere Eragon…- chiese con finta
calma.
- Sssta arrivando…! - se ci fosse stato in modo per capire
le emozioni di
quegli esseri, Oliviana avrebbe detto che stavano gioendo.
- Ora che abbiamo eliminato il ssssuo drago, non potrrrà
farrrre molto-
Oliviana non poté fare altro che constatare
l’efficacia del loro piano. Avevano
fatto un ottimo lavoro. Il malumore di poco prima era passato, mentre
un debole
sorriso gli affiorava sul viso: ora si sarebbe vendicata
dell’umiliazione
subita. I suoi pensieri furono interrotti dal capitano delle guardie
reali che
si avvicinò titubante :
- Che dobbiamo farne di lui…Signora - gli chiese, lieto di
poter parlare di
nuovo un essere umano. Dietro di lei due guardie stavano portando il
corpo
privo di sensi di Par.
- Lasciatelo qui…Ora ordina ai tuoi uomini di nascondersi
fino all’arrivo del
Cavaliere…-
A centinaia di iarde di distanza Eragon sfrecciava tra gli alberi come
un
dannato.
Aveva sentito l’urlo di dolore della sua dragonessa, seguito
da una fitta al
collo che lo aveva fatto barcollare lasciandolo intontito. Eragon aveva
cercato
subito un contatto, ma Saphira aveva chiuso qualsiasi comunicazione.
Ormai mancavano poche iarde all’accampamento, ed Eragon
sguainò la spada
guardingo, ignaro di ciò che lo attendeva. Il campo era
completamente al buio
ma più avanti poté scorgere Saphira, riversa a
terra sanguinante. A quella
vista tutte le sue cautele caddero, ed Eragon le andò di
corsa vicino. Non era
possibile, questo doveva essere un incubo:
- Saphira …che cosa…? - non riuscì a
finire la frase che da dietro udì la
risata soddisfatta di Oliviana.
- Mi sembri sorpreso, Cavaliere. -
Eragon si voltò appena, e con la coda dell’occhio
poté scorgere il sicario attorniato
da una decina di soldati reali.
Eragon respirò a fondo. Sarebbe stato facile per lui
disarmare i soldati, ma
qualcosa nascosto dietro la vegetazione lo trattenne dal farlo. Delle
ombre si
aggiravano tra il buio della boscaglia. Poi uscirono per rivelarsi alla
luce di
una mezza luna. Eragon non credette ai suoi occhi, erano due Lethrblaka!
Con una breve sondaggio mentale scoprì che i mostri erano
protetti da Oliviana,
qualunque mossa avesse fatto, non avrebbe avuto possibilità
di vincere.
La sua attenzione ritornò su Saphira. Con una fitta al
cuore, notò che il suo
respiro si era ridotto a un alito leggero. Non poteva vederla in quello
stato.
Si chinò su di lei posando tremante una mano sul fianco.
Dietro di lui poteva
sentire i soldati che inarcavano i loro archi contro di lui, nervosi, e
Oliviana che alzava la su amano segnando loro di aspettare.
Ignorandoli accarezzò con delicatezze le squame azzurre ora
macchiate di
sangue. Saphira si mosse appena, mentre i suoi occhi incrociarono
quelli del
suo cavaliere.
Mi dispiace, non sono riuscita…
riuscì a dire, mentre a stento
trattenne un gemito.
Eragon sentì impotente la vita abbandonare il corpo di
Saphira. Se lei moriva,
per lui non avrebbe avuto più senso vivere.
Ti vendicherò,
anche se sarà l’ultima cosa che faccio
Eragon…. Ti prego, n…non farlo
…ora…d devi pensa a Arya e
il tuo bambino…tu devi vivere per
loro…Promettimelo!
Saphira non parlare, conserva
le forze.
Sei un grande cavaliere, s..so
che puoi farcela
No! Ho ancora
bisogno di
te!…Saphira!…non puoi lasciarmi…-
Ma qualunque supplica lui avesse pronunciato, Eragon sapeva
che la sua fine
era vicina.
Ti voglio bene Piccolo mio…e te ne
vorrò
sempre…
Anche io Saphira…-
Addio Eragon…-
Con le ultime forze che gli rimanevano Saphira recise il legame mentale
con il
suo cavaliere. Poi abbandonandosi sul terreno la Dragonessa chiuse gli
occhi.
Un’improvvisa vertigine, colse il giovane cavaliere, mentre
la sensazione che
una voragine si fosse appena aperta nel suo animo, lo lasciò
senza fiato,
minacciando di inghiottirlo nella sua oscurità
-Saphira….SAPHIRA!!!- Eragon gridò il suo nome
con tutta le sue forze.
La vista gli si appannò, a causa dalle lacrime che gli
riempivano gli occhi, e
copiose scendevano sul suo volto. Poi ricadde in avanti sopraffatto.
Sentì la mente di Oliviana andargli vicino, le sue difese
erano completamente
abbassate, avrebbe potuto fare di lui ciò che voleva, e
ormai non gliene
importava nulla.
Appena le loro menti si toccarono, un brivido percorse la schiena del
sicario,
che barcollò, come colpita. Per un solo e interminabile
istante, sentì il
dolore straziante del cavaliere come fosse il suo.
Ci mise alcuni minuti per riprendersi, gli occhi di tutti puntati in
attesa di
suo ordine. Oliviana respirò adagio, rimproverandosi per
quella debolezza.
Puntò il suo sguardo freddo su Eragon,
l’esitazione di un attimo prima era scomparsa.
Davanti a Saphira il giovane cavaliere poté udire il rumore
degli stivali dei
soldato che lo accerchiavano.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Una scelta difficile ***
Mancavano
pochi minuti all’alba, e tra non molto l’aria si
sarebbe riempita dall’incessante cinguettio degli uccellini
che annunciavano a
tutti la nascita di un nuovo giorno. Ma prima che ciò
potesse avvenire, per un
unico breve istante, tutto avrebbe taciuto. E fu allora, che nel
piccolo campo
ai margini della Stonewood, calò un silenzio spettrale.
In
quel momento, una giovane donna, si avventurò lasciando il
suo nascondiglio sicuro
e si avvicinò un po’ esitante al corpo inerme di
Saphira, che giaceva immobile
sul terreno. I suoi occhi neri brillarono di puro stupore mentre
scopriva con
sollievo che il grande cuore della dragonessa batteva ancora. Era un
battito
molto lieve, quasi impercettibile, ma che gridava con tutte le sue
forze, la
voglia di continuare a battere.
Più
in là, la ragazza scorse il corpo ancora privo di sensi di
Par, la misteriosa
ragazza si affrettò a frugare nella sua borsa, tirando
fuori, subito dopo, una
boccetta contenente uno strano liquido rosso. Accoccolandosi al suo
fianco aprì
il tappo e, con un piccolo gesto rotatorio, gli passò
più volte il flacone
sotto il naso.
Un
odore acre e pungente penetrò improvvisamente nelle narici
dell’elfo, che
tirandosi su un gomito iniziò a tossire. La giovane gli
passò una mano sulle
spalle, e con un sorriso gli disse:
-
Tutto bene? -
-
Sì, mi pare di sì- gli rispose Par, mentre
riprendeva controllo sui propri
polmoni.
-
Co… cosa è successo? -
-
Cosa non è successo, vorrai dire! - sbottò la
giovane, con una confidenza che
sorprese Par. Chi era quella ragazza? Si chiese improvvisamente
l’elfo
realizzano solo ora di non conoscere la ragazza. Par dovette guardare
la
giovane con una strana espressione sul volto, perché lei si
affrettò ad
aggiungere
-
Avete provocato un bel frastuono con quella lotta. –
Saphira!
Le ultime immagini balzarono immediatamente alla mente
dell’elfo
Par
cercò di alzarsi per piombare di nuovo a terra ancora
stordito.
Fu
quindi sorpreso quando la ragazza gli passò un braccio
dietro la spalla per
aiutarlo a sorreggersi.
Solo
in quel momento Par poté vedere Saphira.
La
ragazza lo osservò avvicinarsi a lei con cautela e tremante:
-
Stavo giusto per avvertirti. Le sue condizioni sono critiche. Dobbiamo
fare
subito qualcosa a quelle ferite, altrimenti morirà. -
-
Tu…tu puoi fare qualcosa? -
-
Certamente, sono una maga e una guaritrice. Ma mi servirà
tutto l’aiuto
possibile. Te la senti di aiutarmi? -
Par
non se lo fece ripetere due volte e con una espressione determinata sul
volto
disse solo - Mettiamoci al lavoro -
-
Molto bene - gli rispose la giovane con un sorriso. – Ad ogni
modo, Io sono
Morgana – le fece lei porgendogli una mano. Dopo un attimo di
esitazione l’elfo
gliela strinse a sua volta. - Par – rispose lui ricambiando
il sorriso con un
po’ meno convinzione.
–
Se dobbiamo lavorare insieme è bene sapere almeno i
nostri nomi, non trovi? – il suo volto, notò Par,
non aveva ombre, era sincera
e l’elfo si trovò di nuovo disarmato di fronte
alla schiettezza della ragazza –
Giusto – aggiunse - da dove cominciamo? – chiese
quindi alla ragazza. Morgana
si fece scivolare il mantello dalle spalle e lo posò sul
terreno prima di sfregarsi
le mani e guardarsi intorno – Avremo bisogno di un fuoco e
dell’acqua per
applicare gli impacchi alle sue ferite. Iniziamo da questo. –
disse
Lavorarono
tutta la mattina e tutto il pomeriggio. La ragazza si muoveva con
sicurezza ed
esperienza sulle ferite della dragonessa, e scoprì con
stupore le conoscenze di
Par riguardo alle funzioni di diverse erbe e pozioni guaritrici.
Era
ormai pomeriggio inoltrato quando la maga si sedette con un lieve
sussulto. - Ora
dobbiamo aspettare che passi la notte. Se riesce a superarla, possiamo
sperare.
- lasciò quelle ultime parole spegnersi in un sussurro.
Doveva essere molto
stanca, e anche Par lo era.
Senza
dire una parola, come in mutuo accordo, i due restarono seduti intorno
al
fuoco, mentre l’oscurità calava inesorabilmente
intorno a loro.
-
Come hai fatto a trovarci? -
Chiese
dopo un tempo che gli parve un’eternità
La
giovane maga sorrise stanca, e la sua risposta arrivò
altrettanto remota:
-
Io abito ad un miglio da qui. Ero in giro da due giorni, alla ricerca
di alcune
piante che crescono solo di notte, e mi stavo preparando alla mia
seconda
battuta di caccia, quando ho sentito i rumori dello scontro. Quando
sono giunta
nei pressi del vostro accampamento. Il mio istinto mi disse di
rallentare.
Stava per succedere qualcosa di terribile o era già
successo, non lo sapevo.
Avanzai ancora con cautela quado il terrore
s’impossessò dei miei arti. Rimasi
completamente immobilizzata, non mi era mai successo di provare una
sensazione
del genere prima d’ora - gli occhi della maga, guizzarono
accesi verso Saphira.
-
Riuscii appena in tempo a nascondermi per non esser vista da una
squadra di
dieci soldati reali accompagnati di due figure incappucciate. Erano
loro la
causa del mio terrore -
I
Raz-zac!
La mente di Par prese a girare
freneticamente.
Dovevano
avergli preparato un ‘imboscata. Ma
come avevano fatto a trovarli.?
Era
stata
Oliviana!
concluse l’elfo. Il sicario doveva essere
riuscito in qualche modo a trasmettere a quei mostri la loro posizione.
Par non
sapeva spiegarsi come. Molte cose del quadro ancora non gli tornavano.
La
ragazza proseguì con il racconto.
-
Mi appiattii contro un albero e attesi. Dalla mia posizione, la visuale
mi
permetteva di vedere bene la sagoma della dragonessa, immobile, ma non
quello
che le accadeva intorno. Poi riuscii a scorgere una donna che le si
avvicinò.
Doveva essere il capo, perché ad un suo ordine tutto tacque.
Non so dirti
quanto tempo passò prima dell’arrivo di quel
ragazzo dalle sembianze elfiche -
-
Eragon! - Questa volta Par diede voce ai suoi
pensieri, interrompendo il
discorso della maga. Era stato così intento a sanare le
ferite della
dragonessa, che aveva completamente dimenticato l’assenza del
cavaliere.
La
ragazza annuì grave e così Par apprese con orrore
i particolari della sua
cattura.
-
Ho aspettato il tempo necessario per essere certa che nessuno di loro
tornasse
indietro, poi sono uscita allo scoperto - disse infine la ragazza
concludendo
il suo racconto.
-
Ti dobbiamo la vita - le disse infine Par
-
Ora tocca a te. -
-
Toccarmi cosa? -
-
Che ci facevano un elfo un drago e il suo cavaliere agli estremi della
Stonewood, e con le guardie imperiali alle calcagna? -
Par
la fissò dritta negli occhi per alcuni istanti. Che ne
sapeva quella ragazza di
draghi e cavalieri. Dietro di lui poteva sentire il lento respiro di
Saphira,
ritornato regolare. Non sapeva ancora se fidarsi di lei. Quello che
aveva fatto
quel giorno per Saphira era stato grandioso. Ma si era guadagnata il
diritto a
delle risposte?
-
Dovevamo raggiungere l’altro capo della foresta. - disse
enigmatico
-
Un’impresa alquanto insolita. -
-
Ci eravamo fermati per procurarci dei viveri e continuare il viaggio,
ma siamo
stati intercettati. Il seguito della storia la conosci già. -
Lo
sguardo della giovane si fece accigliato:
-
D’accordo. È giusto che tu voglia mantenere i tuoi
segreti - Morgana gli
sorrise stanca, il lavoro era stato lungo ed estenuante, e lei non
voleva
spendere altre energie preziose.
-
Domani sarà una giornata altrettanto dura. Sarà
meglio che riposiamo. E se
allora avrò conquistato la tua fiducia, e vorrai dirmi la
verità, sarò ben
lieta d’ascoltarla -
Sotto
gli occhi di un attonito Par Morgana si sistemò le coperte
per la notte, e si
addormentò quasi subito.
Par
rimase solo qualche minuto a pensare alle sue parole. Poi la stanchezza
prese
il sopravvento e in un attimo anche lui si abbandonò ad un
profondo sonno.
**
Al
suo risvegliò, il mattino seguente, Par trovò
Morgana
già alzata, china su Saphira, e i sospetti della sera prima,
che credeva
assopiti, lo investirono con nuova forza, prima di rendersi conto che
la maga
le stava solo cambiando alcune medicazioni.
- Buongiorno, come stai? - la sua voce argentina risuonò in
tutto il capo,
aveva oramai perso ogni traccia di stanchezza.
- Molto meglio. Ti ringrazio. -
Morgana sembrò aver intuire i suoi sforzi, ma, prima che
entrambi potessero
dire o fare qualcosa, la loro attenzione fu attirata da un movimento
alle loro
spalle.
Con loro grande gioia Saphira aveva lentamente aperto gli occhi. I loro
sforzi
erano stati finalmente ricompensati.
La dragonessa cercò istintivamente di alzarsi, ma lo sforzo
era ancora troppo
grande per lei.
- Non ti muoverti, non ancora. - le disse Morgana posandole una mano
sul collo.
Alla vista della maga, Saphira emise un lungo ringhio
d’avvertimento.
Par la raggiunse all’istante.
- Tranquilla Saphira, è un’amica-
Saphira sembrò sollevata nel vedere l’elfo, ma un
basso ringhio, questa volta
rivolto a Par, seguì immediatamente il primo, facendo
sobbalzare entrambi.
La dragonessa aveva provato a mettersi in contatto con il suo
cavaliere, ma non
aveva ricevuto alcuna risposta.
Dove si trova Eragon?
La domanda rimbombò nella mente di Par con tanta forza da
farlo sobbalzare una
seconda volta.
- Che cosa succede? - chiese confusa la maga.
Par assunse un’espressione contrita, e abbassò lo
sguardo.
Fu allora che Morgana comprese, e prendendo coraggio, si intromise fra
loro,
raccontando lei cosa era accaduto.
Quando ebbe terminato Saphira distolse lo sguardo da entrambi
E’ così chiese in
conferma all’Elfo
Sì, Saphira…
Un lungo ululato di lamento, uscì allora dalla sua gola.
Morgana sembrò terribilmente impressionata, da quella
reazione.
- Non dovrebbe agitarsi, ha bisogno di riposo - disse rivolgendosi
preoccupata
a Par
Quello di cui avrei bisogno ora, è sapere che
Eragon sta bene!
La dragonessa aveva parlato direttamente nella mente della maga, lei
sostenne
il suo sguardo per qualche secondo, poi le disse in un sussurro:
- Mi dispiace, ma per questo non posso fare nulla –
**
Nei
giorni seguenti Saphira cercò più volte di
alzarsi,
ma lo sforzo risultò sempre superiore alle sue forze, e
Morgana cambiava
giornalmente gli impacchi sulle ferite.
Dopo
i primi due giorni, in cui sembrava non esserci miglioramenti, il
recupero di
Saphira divenne più rapido. Nel giro di una settimana,
riuscì ad alzarsi e dopo
due giorni era in già grado di volare anche se solo per
piccoli tratti.
Potendosi
di nuovo muovere, Morgana ritenne più opportuno, per tutti e
tre, stabilirsi a
casa sua.
La
sua posizione isolata, aveva spiegato, avrebbe offerto loro meno
possibilità di
essere visti da qualcuno. Inoltre lì aveva tutti i suoi
libri e pozioni, e
avrebbe seguito al meglio la degenza di Saphira.
Morgana
dovette andare in città un paio di volte.
-
La gente non parla d’altro che dell’arrivo dei due
mostri al servizio della
regina - aveva detto al ritorno dopo una mattinata intera passata fuori.
-
Ma ha timore a parlare apertamente di cosa è successo.
L’unica cosa positiva
che sono riuscita a scoprire, è che i soldati hanno avuto
l’ordine di non far
avvicinare nessuno alla foresta, neanche gli stessi soldati possono:
evidentemente non vogliono che nessuno veda Saphira. Quando
mi hanno vista arrivare dalla foresta, mi hanno fatto un sacco di
domande -
aggiunse con fare malizioso - ma sono riuscita a cavarmela. -
-
Grazie- gli fece alla fine Par.
In
un mutuo accordo, l’elfo continuava a tenere i propri
segreti e Morgana continuava a non indagare.
-
Come sta Saphira? - chiese infine, tirando fuori alcuni oggetti dalla
sua
borsa.
-
Riposa –
Morgana
si limitò ad annuire quindi uscì sul retro.
Trovò Saphira accucciata al lato di
un albero. La dragonessa alzò lentamente la testa quando si
accorse della sua
presenza. La ragazza si bloccò solo un attimo prima di
avvicinarsi a lei con in
mano l’occorrente per altri medicamenti. Posando gli oggetti
a terra iniziò ad
esaminare le ultime cicatrici che ancora segnavano al sua corazza
squamosa. Le
sue sottili dite si mossero sulle squame con sapienza, poi, sempre in
silenzio
scelse alcune erbe tra quelle che aveva portato con lei e le
iniziò a pestare
nel mortaio.
Era
passata circa mezz’ora, quando Morgana sentì una
voce risuonargli nella testa.
Perché
lo stai facendo?
Morgana ci mise un poco a capire che si
trattava di Saphira. La dragonessa le aveva parlato di nuovo nella
mente, come
aveva fatto il primo giorno.
-
Fare cosa? -
Perché
ci stai aiutando? Hai detto di non conoscerci, ma stai lo stesso
rischiando molto per noi. -.
Morgana
posò la ciotola del mortaio e guardò la
dragonessa in uno dei suoi grandi occhi
azzurri.
-
Mi crederesti, se ti dicessi che lo faccio semplicemente per darvi una
mano? -
-
No, non prendermi per una stupida, sento che sai molto di
più di quel
che vuoi far credere -
- Anche
tu come Par non ti fidi di me? -
-
No, io mi fido di te Morgana, altrimenti non ti avrei mai permesso di
avvicinarti a noi, ma ora ho bisogno di sapere perché. Morgana
deglutì a vuoto rendendosi conto che se la dragonessa avesse
avuto anche il
minimo dubbio su di lei ora quella conversazione si sarebbe svolta in
bel altre
condizioni. La maga era anche grata della profonda stima che le stava
concedendo fece.
- E
va bene. Sapevo del vostro arrivo – disse decisa a
raccontarle tutto. - o
meglio, lo avevo
previsto. Ma non sapevo chi foste veramente fino a quando non ti ho
visto
combattere con quei mostri, quei Lethrblaka, come li hai chiamati tu.
È per
questo che stavo in giro quella notte.
So
anche, che tu e il tuo cavaliere venite da Alagaësia -
Morgana
sentì la dragonessa flettere il suo collo per avvicinarsi.
Avvertì la curiosità
sprigionare dai confini della sua coscienza.
-
Prima della pace, quando la regina era ancora in rapporti con il vostro
re
Galbatorix, dei suoi maghi erano venuti qua, ed avevano parlato con me.
Il
vostro re sapeva di ciò che c’era
dall’altra parte della foresta e voleva
impadronirsene. Ma doveva risolvere
prima alcuni problemi all’interno del suo paese.
Quei
maghi non mi diedero
una buon’impressione e capii
subito che non era prudente
ignoragli. Mi dissero che non molto tardi sarebbe dovuto arrivare un
cavaliere
e il suo drago, e anche che la regina non avrebbe dovuto sapere nulla
fino al
loro arrivo.
Da
allora sono passati molti anni, e per mio sollievo nessuno si
è fatto più
vedere.
Poi
i mercanti che provenienti dalla capitale hanno iniziato a parlare di
voi, ma
la segretezza intorno alla vostra venuta mi ha fatto pensare che doveva
essere
successo qualcosa.
E’
per questo che vi sto aiutando, vorrei saperne di più -
E
così Galbatorix era a conoscenza di questo luogo. Morgana
devi allora
sapere che Galbatorix è stato distrutto.
Saphira
gli raccontò allora in breve cosa era accaduto nel loro
paese, della loro
partenza da Alagaësia fino al loro arrivo a
Zàkhara, e di com’erano venuti a
conoscenza di queste terre.
Adesso
capisco tutto l’interesse del re per
raggiungere le terre selvagge!
E
a quanto pare la regina deve essere tuttora
all’oscuro dell’importanza di questo luogo.
**
Dopo
due settimane, Saphira aveva recuperato tutte le sue
capacità motorie, e presto si sentì abbastanza in
forze, da poter alzarsi in
volo e procurarsi il cibo da sola.
Par
e Morgana la videro alzarsi in volo e volteggiare con grazie sopra la
foresta,
per sparire subito dopo dietro la cima degli alberi.
-
E’ bello rivederla di nuovo in forma…- sorrise
Par. - Credi si sia ripresa del
tutto?- chiese cercando con lo sguardo gli occhi della maga
-
Le ferite esteriori sono guarite. Quelle del suo animo, non credo
possano
andarsene così facilmente - ammise seria.
Il
volto di Par si fece all’improvviso scuro: da quando Saphira
si era svegliata, l’elfo
aveva temuto ogni giorno l’arrivo di questo momento; sapeva
che per loro non
c’era situazione migliore di questa per proseguire la
missione, ma non era
certo che la dragonessa sarebbe stata disposta a farlo.
-
Che cosa intendete fare adesso?- chiese Morgana, intuendo i pensieri
dell’elfo.
-
Non lo so, ne dovrò parlare prima con Saphira, suppongo.
Spero solo che possa
essere ragionevole. –
**
Quella sera
stessa Par uscì fuori deciso a parlare con Saphira del
loro futuro, ma non la trovò in nessuno dei posti dove era
solita riposare per
la notte. Stava per entrare a chiedere spiegazioni a Morgana quando fu
raggiunto dalla voce della dragonessa.
Saphira dove
sei? chiese con un
senso di sollievo nel sentire la sua
voce.
Sono poco
distante dal capanno. So che volevi
parlarmi, ma non
tornerò subito Par Allarmato
da quest’affermazione Par si affrettò chiedergli
Che
storia è questa Saphira? Che intendo fare?
La voce di
Saphira si espanse
nella mente di Par per diventare più calda e rassicurante.
Non ti
preoccupare, ho solo bisogno di un po’ di
tempo per pensare. Ho già parlato con Morgana e lei
è d’accordo
Saphira!
protestò
l’elfo, ma la dragonessa aveva oramai
tagliato la
comunicazione e Par non poté fare nulla. Dopo un attimo
Morgana uscì, e gli
andò incontro.
-
Saphira
mi ha detto che ha parlato anche a te. È volta via.
Perché gli hai detto che
andava bene? -
- Non
avevo alcun diritto di fermarla, ora che è guarita non ne
vedo il pericolo -
Par
la guardò disarmato, ma non aggiunse nulla.
Quando
il giorno dopo Saphira atterrò davanti alla casa di Morgana,
il sole era già
sceso dietro gli alberi, e la foresta stava per essere avvolta dalla
coltre
scura della sera:
- Ho pensato a lungo a quello che è
successo
da quando siamo partiti per questa missione. - gli disse
senza preamboli
- Ho sentito i tuoi timori ieri mattina, Il
mio più grande desiderio era infatti di raggiungere Eragon,
e lo è tutt’ora.
Par
fece un cenno di protesta, ma Saphira lo interruppe prima che potesse
dire
qualcosa.
Ma
è anche vero che abbiamo un compito importante
da portare a termine.
Sono stata a
lungo combattuta tra questi due
obblighi. Poi ho capito che non potevamo farcela da soli, ed
è per questo che
ho chiesto a Morgana di aiutarci.
Ma non possiamo
chiedergli tanto! fece allora
Par,
esprimendo tutti i suoi dubbi. Ma una voce alle sue spalle lo fece
subito
girare.
Morgana
gli aveva infatti raggiunti:
- Non
ti devi preoccupare Par, sono io che ve lo chiedo.
Devo
dire che ho dovuto parlare a lungo con Saphira prima di convincerla, ma
alla
fine abbiamo raggiunto un accordo.
Voi
proseguirete verso le terre selvagge. Io mi occuperò del
modo di liberare
Eragon-
-
È
già tutto deciso quindi!? -
-
Sì
Par. Era quello che desideravi, no? -
- Certo,
ma…-
- Niente
ma. Domani andrò in città per procurarvi i viveri
che necessitate. Poi tu
Saphira potrete ripartire.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Squame ghiaccio e squame zaffiro ***
Saphira
e
Par stavano sorvolando la Stonewood da ormai due settimane, davanti al
loro
l’immensa distesa verde si stagliava senza fine tanto da
fargli dubitare che
avesse una fine.
Fu al quindicesimo giorno di volo che la dragonessa riuscì
finalmente a
intravedere i primi picchi dei monti delle terre selvagge che si
stagliavano,
ora, come miraggi tra le cime degli alberi.
Guarda Par, riesco a intravedere i picchi.
Ancora qualche giorno e potremmo raggiungere le loro pendici!
Par gli rispose con un flebile sorriso, accoccolandosi intorno al suo
collo,
mentre stringeva i denti nel tentativo di frenare i fremiti alle gambe
che
iniziavano a dolergli terribilmente a causa del loro sfregamento
prolungato
contro il corpo della dragonessa durante interi giorni di volo forzato.
Anche Saphira era altrettanto stanca. Più di una volta, la
dragonessa aveva
volato oltre i propri limiti per permettere a Par di riposare in un
luogo
sicuro. La dragonessa non gli aveva permesso di replicare dopo che per
due
volte di seguito si erano imbattuti in un branco di pericolosissime
bestie,
simili a lupi, fornite di un paio di lunghe zanne affilate.
Quei lupi, aveva osservato, si muovevano e attaccavano in branco e,
anche se
non avrebbero potuto fare molto contro un drago, Saphira aveva temuto
spesso
per la vita di Par.
**
Era l’alba del sedicesimo giorno di viaggio, appena un giorno
da quando avevano
effettuato l’avvistamento del branco di lupi dai denti a
sciabola, quando gli
alberi iniziarono a diradarsi sotto
e
alzandosi in volo Saphira e Par riuscirono a scorgere da lontano la
fine della
foresta.
C’impiegarono altri quattro giorni per raggiungere le pendici
delle montagne,
oramai non sentivano più quella fretta che gli aveva spinti
fin a qual momento
e Saphira si permise di fare delle pause più lunghe.
La sera del diciassettesimo giorno, Par sedeva davanti a un fuoco. Era
stato un
piacere per L’elfo poggiare ii piedi sul terreno solido per
più di una manciata
di ore, e per la prima volta poté godersial piacere di un
pasto tiepido. A rovinare
il momento di sollievo arrivarono grandi nuvoloni dalle montagne che si addensarono sopra di
loro portando con sé una
fitta pioggia che li accompagnò nei giorni seguenti
Per Saphira non era un grosso problema, ma Par, iniziò
seriamente a pregare che
smettesse. Al quarto giorno di pioggia incessante, infatti, gelo era
penetrato
fin dentro le ossa dell’elfo che non aveva più un
indumento asciutto:
- Maledetta pioggia! - imprecò l’elfo ad alta
voce, mentre cercava di accendere
un piccolo fuoco da campo con un paio di rametti e una pietra focaia.
La
pioggia aveva irrimediabilmente bagnato ogni cosa che li circondava,
compresa
la legna, che ora non si decidevano ad accendersi.
Erano già una ventina di minuti che stava tentando, ma fino
ad ora era riuscito
solo a rimediato un fastidioso graffio alla mano destra, nono era grave
e
sarebbe guarita in pochi giorni, ma aveva reso Par molto nervoso.
Mi permetti di darti una mano? gli
chiese
la dragonessa, che stava osservando Par con divertimento. Accortosi
dell’ironia, con un aspro sguardo, l’elfo gli fece
segno di farsi avanti.
Saphira allungò il suo collo sopra ai legnetti, poi vi ci
soffiò semplicemente
sopra.
Una sola piccola scia di fuoco, ma che fu sufficienti ad ardere
immediatamente
la legna che Par aveva raccolto.
L’espressione sul volto di Par mutò immediatamente:
- Grazie! - gli disse Par riconoscente.
Da solo ci avrei impiegato tutta la
serata, quei rami erano davvero fin troppo fradici. Ammise
sfregandosi le
mani ancora gelate davanti al tepore delle fiamme.
Diciamo anche tutta la notte. Gli
fece la dragonessa di rimando gorgogliando divertita.
Già … gli
rispose Par con un sorriso.
In tutte quelle settimane di viaggio i due compagni non si erano
scambiati
molte parole. Era stata una decisione presa in tacito accordo, e
nessuno dei
due aveva avuto intenzione di toccare l’argomento, almeno
fino a quel momento.
Morgana avrà raggiunto Murtagh
e
Arya? chiese Saphira dopo alcuni minuti di silenzio. Dalla sua voce
traspariva
un’incertezza che finora Par non aveva mai avvertito.
Non lo so Saphira. gli
disse onestamente.
Ma lo spero tanto e noi non dobbiamo
dubitare della sua parola. Vedrai che ce l’avrà
fatta, riusciranno a liberare
Eragon, e il tuo cavaliere sarà presto al sicuro con Murtagh
e Arya
La nostra unica speranza è di trovare l’uovo
destinato a Eleonor. Solo così
avremmo una possibilità di sconfiggere Isobel e il suo
esercito Ma ti
ringrazio. Da sola non avrei avuto la forza di continuare. Ora Par
è meglio che
riposi. Ma l’elfo scosse la testa con decisione.
No Saphira, farò io il primo turno
di guardia.
Così mi potrò asciugare gli indumenti davanti al
fuoco aggiunse per
bloccare le proteste della dragonessa. Saphira alla fine
acconsentì e facendo rotolare
la sua coda intorno al corpo chiuse i sui occhi e si
addormentò
**
Al
quinto giorno
la pioggia aveva finalmente cessato di cadere, e durante il pomeriggio
anche il
cielo andò rasserenandosi e il sole fece timidamente
capolino dietro gli ultimi
sprazzi di nuvole.
Il
temporale si era lentamente spostato a est ma
nonostante il sole fosse riapparso, non aveva impedito che la pioggia
lasciasse
dietro di se una scia di aria gelida.
Par
si racchiuse ancora più dentro il suo
mantello, mentre si preparava di nuovo a salire sul dorso di Saphira.
Erano
passate solo due ore quando i due compagni si accorsero che avevano
raggiunto
le pendici dei picchi che adocchiavano orami da quasi una settimana
-
Ci siamo, ora sapremo se il viaggio ne è valso
il sacrificio - disse Par guardando con emozione davanti a se i monti
che molti
anni fa aveva solo raggiunto e mai varcato.
Andiamo!
Aggiunse usando il collegamento mentale.
Avevano
appena passato una serie di piccole
colline e superato un piccolo promontorio roccioso, quando ecco che da
lontano
comparvero cinque puntini neri. Presto fu evidente che si trattava di
un
qualche genere di volatile. I puntini divennero presto delle grandi
macchie che
stavano puntarono dritto verso di loro. Saphira non avrebbe potuto
nascondersi
oramai, così continuò spedita nella sua direzione
incontro alle cinque creature
alate.
Questi
si stavano avvicinando con estrema
velocità, e Saphira non impiegò molto per
riconoscere le loro sagome come
quelle di cinque draghi!
Erano
un arcobaleno di colori. Una volta a
portata d’ala, il più grande tra loro, un robusto
drago nero, si portò
immediatamente aventi agli altri, e iniziò a girare intorno
a Saphira. La
dragonessa sentì immediatamente qualcuno sfiorare la sua
mente.
Al
timore iniziale, seguì subito la curiosità.
Quei draghi, si rese conto Saphira, comunicavano con uno strano
linguaggio
fatto di gorgoglii e ruggito. Poi, come in una starna alchimia, quei
gorgoglii
divennero dei suoni che presto si trasformarono nella sua testa in
parole. Una
forte curiosità emanava da loro e in poco tempo Saphira si
accorse di
comprendere tutto ciò che dicevano attraverso le loro menti.
Era qualcosa
d’ancestrale che Saphira seppe fare parte della sua
conoscenza ancora prima di
nascere.
A
un loro cenno, Saphira seguì i cinque draghi
senza batter ciglio.
Saphira
che cosa sta succedendo?.
Gli
chiese ad alta voce Par, che dal suo
dorso aveva sentito solo una serie di ringhi, e visto sguardi
d’intesa tra i
vari draghi.
Ci
stanno
portando dal loro capo. le
disse
semplicemente la dragonessa, che si rese conto solo ora di essersi
quasi
dimenticata della presenza di Par. Lo sentì stringersi forte
al suo collo,
mentre lei si girava a destra e a sinistra, impaziente di scoprire
tutto di
questo nuovo mondo.
I
cinque draghi guidarono Saphira nel mezzo
d’alcuni picchi frastagliati.
La
loro presenza in quei luoghi era ben visibile
a occhio nudo. Peofondi squarci che si aprivano numerosi nella tenera
roccia,
la dove le enormi creature dovevano essere atterrate e decollate
più e più
volte.
Una
serie di grotte e affioramenti d’arenaria
erano visibili ora dall’alto. I draghi ignorarono questi per
dirigersi sicuri
verso un ampio varco, oltre il quale, davanti a loro si aprì
un’immensa vallata
sovrastato da alti monti innevati.
Dalla
loro visione privilegiata, Par e Saphira
poterono notare, come la valle fosse attraversata da un gran fiume, che
serpeggiava nel suo mezzo, e che proseguiva oltre quei monti, e come,
sui suoi
due lati, una rigogliosa foreste ne ricoprivano a macchie la superficie.
I
cinque draghi attraversarono la valle, e
Saphira non poté fare a meno di provare un’intensa
sensazione di libertà. Quelle
stesse emozioni, che ricordò di aver provato solo nel
deserto di Hardarac molti
anni fa, quando con Eragon erano in fuga dall’impero di
Galbatorix.
La
memoria del suo cavaliere, la riportò
improvvisamente al presente, alla missione che dovevano compiere, e a
Par che
stava sul suo dorso. L’elfo, notò Saphira, girando
leggermente il collo verso
la sua direzione era ora catturato da ciò che si presentava
davanti agli occhi.
Un
numero indefinito di draghi si erano in poco
tempo radunato intorno ai nuovi arrivati.
Benvenuta
tra noi parlò
una voce che aveva
raggiunto la mente di Saphira
Quale
è il
vostro nome e da dove provenite?
Io
sono
Saphira, e lui è un elfo, sta viaggiando con me e si chiama
Par.
Disse
Saphira girandosi rapidamente intorno a sé
in cerca del drago che gli stava parlando.
Io
provengo dalla lontana terra di Alagaësia
A
quel nome, tutti i draghi si guardarono tra
loro, mentre colui che aveva parlato, probabilmente il loro capo, un
possente
drago bianco come il ghiaccio, avanzò deciso verso di lei.
Il
drago aveva un portamento regale, le sue
dimensioni, che superavano notevolmente quelle di un qualsiasi altro
drago
Saphira avesse mai visto, erano maestose. Anche Gleadr a suo confronto
sarebbe
risultato piccolo. Le sue scaglie erano di un colore bianco ghiaccio,
che
brillavano di un argento vivido alla luce del sole.
In
contrasto con la luce delle sue scaglie, il
drago sfoggiava lunghi spuntoni, di un nero ebano, che sporgevano lungo
tutta
la spina dorsale, mentre sulla sommità e i lati della testa,
due paia di corna
completavano quella magnifica corazza.
Il
mio
nome è Sigmar
tuonò il drago
Sono a
capo di queste terre, e dei draghi che vi abitano da oramai oltre mille
anni.
Hai
detto di venire da Alagaësia. Ero presente
quando molti di noi partirono per quella terra lontana.
All’epoca ero ancora un
cucciolo, ma ricordo bene i motivi che ci hanno costretti a quel gesto.
La
terra era in tumulto, e il clima era
cambiato, non avevamo possibilità di dare il cibo a tutta la
comunità. Così Il
mio bis nonno, e il consiglio degli anziani che egli dirigeva,
optò per la
partenza di parte di molti valenti draghi del nostro clan in cerca di
nuove
terre. Fu una grande pena per tutti noi vederli partire. A quella prima
ondata,
avrebbero dovuto far seguito altre. Ma nel frattempo avvenne qualcosa
di
epocale. Dopo quasi cento anni, il clima, si ristabilì. La
fauna e la flora
tornarono abbondanti e noi draghi come tutti, riprendendo a
proliferare,
protetti dal resto del mondo da questi monti, continuammo a vivere
indisturbati.
Fino ad ora.
Par
fu informato da Saphira di ciò che Sigmar si
stava dicendo.
Alla
fine del suo discorso il drago dalle squame
di ghiaccio allungò il suo muso verso Par, accorgendosi
della sua presenza per
la prima volta:
Non
abbiamo avuto contatti con altri esseri viventi che non abitassero
già queste
terre fino alla venuta di una creatura simile in tutto a questo bipede,
che tu
hai chiamato elfo.
Disse
senza distogliere il suo sguardo da Par che
si sentì un po’ a disagio. Quando Saphira gli ebbe
tradotto ciò che aveva detto
la mente di entrambi venne attraversata da un unico pensiero.
Eleonor
doveva
aver raggiunto quelle terre prima di loro. Sigmar colse quello scambio
di
sguardi e chiese senza indugio: Sapete
di chi si tratta?
Fu
Saphira
a parlare Sì Sigmar la conosciamo, il suo nome
è Eleonor.
Il drago corvino rimase in
silenzio per alcuni istanti prima di rivolgere a Saphira
un’altra domanda.
È
lei che
ti ha ricondotto nella tua terra natale?
Per
lei e per tenere fede a
una promessa fatta al mio compagno di mente e di cuore Rispose
Saphira
Curioso
che esseri tanto piccoli e così indifesi
possano influenzare le scelte di una
creatura come la nostra. Saphira,
colpita nell’orgoglio emise un
ringhio di protesta.
Non
sono stata influenzata
da nessuno.
Perdonami
Saphira, non posso
parlare di ciò che non conosco. Parlaci dunque di
Alagaësia, e come i nostri fratelli
stanno vivendo.
Sigmar,
ciò che chiedete, potrebbe andare ben
oltre la vostra stessa immaginazione e ci vorrà del tempo
per essere
raccontata.
Tutti
noi non abbiamo fretta.
Avanti, ti ascoltiamo.
gli
fece
allora Sigmar, mentre gli altri draghi avevano preso a stringersi tutti
intorno
alla dragonessa dalle squame zaffiro. Così Saphira
iniziò il raccontare della
storia di Alagaësia, partendo dalla venuta dei primi draghi.
Proiettò alcune
immagini nelle loro menti, al fine di far comprendere ciò
che era stata la
sanguinosa guerra tra elfi e draghi. Dell’amicizia tra il
giovane Elfo, Eragon,
e un piccolo cucciolo di drago; di come insieme entrambi, diedero vita
a quella
che poi si sarebbe trasformata in una lunga alleanza tra il popolo dei
Draghi e
quello degli Elfi, e in seguito anche degli uomini, che sarebbero stati
poi
chiamati Cavalieri dei Draghi.
Tutti
i draghi espressero tutto il loro dolore e
rammarico per l’enorme errore che si era creato intorno
all’uccisione del primo
drago, e guardarono Saphira ora con rinnovato stupore quando vennero a
conoscenza del patto di sangue che sigillò per sempre la
pace tra le due razze,
e che aveva legare lei, e molti altri loro simili a un elfo o a un
essere
umano.
Saphira
non comprese a pieno il significato dei
numerosi sguardi che di sfuggita Sigmar si scambiò con altri
anziani, se erano
di preoccupazione, paura o sospetto.
Ciò
che ci
hai appena narrato è sorprendente. Noi tutti siamo
addolorati per ciò che è
accaduto. Che questo sia un ammonimento a tutti noi per il futuro.
disse allora Sigmar prima di lasciare nuovamente la
parola a Saphira, e calmando così tutti gli animi.
Il
racconto proseguì con la storia di
Galbatorix. Di come il giovane e promettente cavaliere perse il suo
drago. Di
come questo lo portò, in seguito, a distruggere
l’ordine dei Cavalieri, ed
estinguere quasi completamente la loro razza, ad accezione dei
rinnegati e i
loro draghi. Di come aveva legato a sé Skruikan con un
oscuro incantesimo, e di
come divenne l’indiscusso re di tutta Alagaësia.
Gli
raccontò infine del suo cavaliere, Eragon, e
delle loro imprese, di Castigo e Murtagh, e di come insieme hanno
sconfitto
Galbatorix, grazie anche al sacrificio di Skruikan.
E
in fine del motivo per cui hanno dovuto
lasciare Alagaësia, e giunti nella loro terra si siano
imbattuti in quel nuovo conflitto.
Tutti
i draghi meditarono a lungo sulle parole
di Saphira. La loro responsabilità verso il mantenimento
degli equilibri della
terra era molto forte e non poteva lasciargli indifferenti.
Ma
Sigmar seppe ricomporre gli animi di tutti
con parole di conforto.
Nel
frattempo Saphira si accorse che Par si era
addormentato al suo fianco, mentre il sole aveva fatto un giro completo
del suo
ciclo. Non si era resa conto di aver parlato così a lungo, e
non era ancora
arrivata a spiegare il motivo per cui erano lì, per lei le
erano parse passare
solo poche ore. Saphira rimase sconcerta da quella dilatazione del
tempo, e
chiese subito spiegazione a Sigmar.
Il
drago pensò alcuni secondi prima di darle una
risposta.
Dal
nostro
punto di vista, non è cambiato nulla. Non
è il nostro tempo che è più largo, ma
al contrario. Sei
tu Saphira che entrata a contatto con gli umani,
ti sei ormai adeguata a un diverso scorrere del tempo.
Gli disse l’anziano drago mentre un profondo suono
gutturale scosse tutto il suo corpo, facendo capire a Saphira che la
cosa
doveva averlo divertito molto.
Poi
Sigmar la lasciò, per andare a occuparsi di
altre faccende. Saphira rimase in compagnia dei draghi più
giovani che la
invitarono a visitare la loro valle.
Saphira
declinò l’invito esprimendo la volontà
di rimanere accanto a Par. Avrebbe vegliato sull’elfo almeno
fino a quando non
si fosse svegliato. Ma Saphira sapeva che la vera ragione per cui non
era
andata, era che quella nuova realtà la spaventava: e in quel
momento, più che
mai, sentiva la mancanza di Eragon. Aveva la sensazione di stare
perdendo sé
stessa. Tutto quello che aveva rappresentato il suo mondo fino a quel
momento
stava perdendo significato, un baratro si era aperto davanti a lei. Un
baratro
che quei draghi stavano invitandola a superare, e quello che
l’attendeva
dall’altra parte, lo percepiva nel profondo, non doveva
essere poi tanto
sbagliato.
Par
si ridestò dopo alcune ore.
-
Avete
concluso? - chiese con la voce ancora impastata.
Sì,
mi
dispiace se hai dovuto aspettare tanto.
Saphira spiegò brevemente a Par ciò che gli aveva
riferito Sigmar riguardo al
tempo.
-
Non c’è bisogno che ti scusi, non dipende da
te Saphira.
Ma
dobbiamo chiedere immediatamente al loro
capo, a questo Sigmar, il premesso di avvicinarci alle loro uova. -
Saphira
era d’accordo con l'elfo, ma durante la
giornata entrambi scoprirono che era quasi impossibile avvicinarsi a
Sigmar.
Saphira
sentì che c’era qualcosa che non andava,
e notava come guardavano Par con sospetto.
Passarono
così due giorni, e la risposta che
ricevevano dagli altri draghi era sempre la stessa. Saphira
capì che avrebbe
dovuto fare assolutamente qualcosa, ma l’avrebbe dovuto fare
da sola.
Al
terzo giorno, Saphira aspettò che Par si
addormentasse, per spiccare il volo decisa a incontrare Sigmar ad ogni
costo.
Saphira
andò subito alla ricerca di Sigmar, ma
venne presto a conoscenza che l’anziano drago si era
allontanato per una
perlustrazione ai confini del loro regno e non sarebbe tornato prima di
due
ore.
Fu
allora che la dragonessa venne del tutta
trascinata dagli altri draghi, che la invitarono a seguirla presso un
piccolo
laghetto. Saphira, questa volta, non riuscì a dire loro di
no.
Così
le altre dragonesse la portarono nelle
profondità del mare, dove le mostrarono le meraviglie dei
suoi fondali, per poi
riemergere e giocare insieme con gli schizzi l’acqua.
Fu
forse il profumo della salsedine che inebriò
le sue narici procurandogli una piacevole e rilassante sensazione, o fu
la
compagnia di altri draghi, ma i loro versi si fusero presto nella mente
di
Saphira riempiendola di stimoli e di ricordi, che dentro di se, sapeva
essere
legati a prima della sua nascita. Ricordi che aveva immagazzinato nei
recessi
della sua mente, e che aveva riprovato solo nei sogni.
Immersa
completamente nella sua coscienza,
Saphira si dimenticò completamente di quello che si era
proposta di fare
lasciando Par, e si abbandonò completamente a quel suo nuovo
stato di benessere
che il contatto con gli altri draghi le dava.
Era
qualcosa di diverso da quello che provava
quando era con Eragon, o quando stava con Castigo. Saphira non avrebbe
potuto
esprimerlo con le semplici parole, era solo cosciente che qualcosa di
profondamente ancestrale in quel nuovo legame la faceva sentire bene.
La
giornata passò e Par attese l’arrivo di
Saphira per tutto il pomeriggio. Qualcosa doveva essergli accaduto, ma
dalla
sua posizione non poteva fare molto se non aspettare. Arrivata la sera
si
addormentò riparandosi sotto un albero dalle enormi foglie a
stella, Par non si
accorse degli artigli che lo avevano sollevato, e avvolto e trasportato
poco
lontano, verso una serie di piccole caverne che si aprivano nella
roccia.
Quando
si svegliò, il mattino seguente, Par si
ritrovò circondato da una decina di piccolo draghi.
Il
vecchio Elfo si guardò freneticamente
attorno, in cerca di Saphira, ma la dragonessa non c’era.
Sedendosi
su una roccia, Par si massaggio piano
le tempie nel tentativo di calmarsi e cercare un modo per uscire da
quella
situazione. Poi udì qualcosa, il suono di un lamento che a
Par apparve subito
appartenere a un essere umano. L’elfo avanzò lungo
l’entrata della grotta, e il
suo sguardo si posò su qualcosa che non si sarebbe mai
aspettato: una bambina
dormiva, raggomitolata su sé stessa, sopra il ventre di un
piccolo drago. Con
sua grande sorpresa di Par, la bambina era Eleonor!
Il
suo respiro, notò subito
con sollievo, era regolare e sembrava stesse dormendo pacificamente.
Par
si chinò adagio su di
lei, scansandole con delicatezza dal viso i riccioli biondi. La sua
pelle chiara
era qua e là sporca di terra e polvere, ma suoi lineamenti
paffuti mostravano
chiaramente che la bimba era stata nutrita regolarmente.
Proprio
in quel momento
Eleonor si mosse, e i suoi occhi si spalancarono per incrociare quelli
di Par.
Le sue palpebre si aprirono e chiusero più volte, con
sguardo sollevato, mentre
Par la ricambiava con un largo sorriso.
-
Siete arrivati! - le
disse dopo essersi lanciandosi con le sue esili braccai al collo di Par
e
abbracciandolo forte. Nonostante l’apparente
tranquillità della sua voce, Par
sentì la bambina tremare sotto le sue braccia.
-
Ora è tutto a posto. -
l’assicurò lui con un sussurro. Ma nel suo
profondo Par non aveva idea di come
sarebbero usciti da li. Saphira non si era fatta ancora vedere, e
più le ore passavano
più si assottigliava la sua speranza di rivederla.
Il
giorno scivolò troppo
presto cedendo nuovamente il passo alla notte, di Saphira non vi erano
ancore
tracce, e i giorni presero a susseguirsi uguali.
-
Quando pensi ritornerà
Saphira? - stava chiedendo una volta in più Eleonor, mentre
mangiavano in
silenzi il pasto che i draghi portavano loro giornalmente.
-
Non lo so. - gli rispose
sconsolato Par. L’elfo si alzò per andare a
prendere da bere, quando fu
affiancato da una sagoma scura.
Par
la riconobbe subito,
era uno dei cuccioli di drago di cui ora lui ed Eleonor facevano parte.
Tra
tutte loro era decisamente la più grande, e sicuramente la
più autorevole
all’interno della gerarchia che Par ed Eleonor avevano
imparato a conoscere e a
rispettare.
Con un sorriso Par si voltò verso di lei, da ormai tre
giorni, era evidente, la
piccola lo seguiva e osservava in tutto quello che faceva, e la sua
presenza
gli divenne presto familiare.
Ma
non era stata solo
quello ad attirare la curiosità dell’elfo, la
mente dei piccoli draghi come di
tutti i cuccioli, era di gran lunga più malleabile di quella
degli adulti, e
Par aveva avvertito fin subito, da parte della piccola dragonessa, la
volontà
di comunicare con lui.
Era così iniziata tra loro una strana corrispondenza, fatta
di immagini e
sensazioni.
Anche se non era sicuro di essere compreso, Par aveva cominciato a
raccontarle
della sua vita. L’elfo si era sentito uno stupido
inizialmente, ma quando
percepì l’interesse da parte del cucciolo, mise da
parte le sue incertezze, e
le aprì completamente la sua mente e il suo cuore.
Gli parlò così della sua gente, di Isobel, e
della guerra che da troppo tempo
metteva in contro elfi e uomini gli uni contro gli altri, per il solo
desiderio
di una regina di dominare sulla terra Zàkhara e della
possibilità di pace per
tutti, nel caso in cui la piccola Eleonor fosse riuscita a trovare
l’uovo
destinato a lei.
Passarono due settimane, e la sua amicizia con la piccola dragonessa
crebbe
ogni giorno di più, e Anche il cucciolo iniziò a
parlargli della sua vita, Par
apprese anche il suo nome, Vespriana. Era il nome della sua bis, bis,
nonna e
ne andava molto fiera.
Fu allo scadere del mese che Vespriana gli annunciò il loro
ritorno alla valle,
gli fece capire che se la sua Saphira c’era ancora quel
giorno l’avrebbe di
certo incontrata di nuovo.
Per tutta la mattina Par le domandò se era sicura di questo,
poi, nel
pomeriggio, arrivò una grande dragonessa, che finalmente
portò tutti loro nuovamente
alla valle.
- Stammi sempre vicina Eleonor, e non lasciarmi la mano per alcun
motivo.- disse
Par ad Eleonor stringendola forte a se, mentre entrambi venivano
innalzati
sopra le rocce. In poco tempo raggiunsero la valle, per atterrare alla
riva di
un piccolo ruscello.
Tutte
le femmine volarono
verso i piccoli, e tra loro Par ed Eleonor riconobbero Saphira. La
dragonessa
piombò nella radura, ma sembrò non riconoscere
entrambi. Si rivolse invece ai piccoli,
come tutte le altre femmine del branco.
Par
cercò
di comunicare con lei, ma non ebbe alcuna risposta. Non vi era nessuna
barriera
a impedire loro la comunicazione. Saphira semplicemente non lo sentiva.
Dall’altra
parte Saphira, provò una strana sensazione,
sentì qualcosa di estraneo entrare nella sua mente, e la
dragonessa lo scaccio
come un brusio fastidioso.
Allora
intervenne Vespriana, riconoscendo la
dragonessa, cercò in tutti i modi di attirata la sua
attenzione, per poi far
focalizzare il suo interesse su Par. Una volta raggiunto
l’obbiettivo, la voce
di Par penetrò con forza dentro la sua testa con un maglio,
Saphira non aveva
alzato alcuna barriera per proteggere la sua mente, e non fu difficile
per Par
poter penetrare nel suo profondo, attingendo così ai suoi
ricordi più recenti.
Lo
sguardo di Saphira si illuminò
improvvisamente, ci fu un flebile bagliore di riconoscimento, ma ci
vollero
diversi minuti perché riuscisse nuovamente a parlargli.
Par.
Mi
dispiace fu
la prima cosa che disse
Mi
sono
ritrovata in mezzo a loro, e non sono più riuscita a uscirne.
Lo
so. Ma avremmo tempo per le scuse. Ora devi
conoscere le ultime novità Saphira … guarda.
Saphira
vide farsi aventi tra i cuccioli la
piccola Eleonor.
-
Sono contenta di rivederti Saphira. - le fece
timidamente la piccola
Eleonor!
Saphira
annuì con aria grave, mentre osservava più
attentamente la piccola per vedere
se era tutto a posto.
Sono felice
anche io di rivederti piccola gli disse infine avvicinandosi,
e
permettendole di accarezzargli il muso squamoso, mentre si rivolgeva
mentalmente a Par
Par
che
cosa pensi significhi tutto questo? Voglio dire, perché
Sigmar mi avrebbe
voluto separarmi da voi?
Non
lo so
ma è già passato un mese dal nostro arrivo qui
Da
quando
siamo arrivati, ho sempre avuto la sensazione che non era la prima
volta che ti
vedevano
Non mi
piace Saphira, ma credo deve esserci un motivo più profondo
nel loro
comportamento di cui noi non siamo stati ancora messi a corrente
C’è
solo un modo per saperlo.
Saphira
prese Par ed Eleonor sul suo dorso:
D’ora
in
poi, voi due starete con me. Non posso permettermi di perdervi
un’altra volta.
Poi
Saphira si diresse, dritta, in direzione
del luogo dove sapeva trovarsi Sigmar.
E
lì lo trovò, sdraiato, in riva a un ruscello.
Devo
parlarti d’urgenza Sigmar!
Dimmi
pure Saphira… ma
le parole gli morirono in bocca quando vide Par
dietro di lei…
Ancora
lui,
e avete portato anche il piccolo cucciolo d’uomo
Sigmar
devi ascoltarci … è molto importante.
Sigmar
ascoltò allora le loro richieste in
silenzio.
Partendo
dalla premonizione avuta da Eleonor
arrivarono alla loro richiesta, permettere alla piccola di dare inizio
con loro
a un nuovo patto tra i draghi e gli abitanti di Zàkhara.
Sapevo
che
prima o poi questo momento saprebbe arrivato, nonostante tutti i miei
sforzi
per evitarlo.
Avrete
già
sospettato che quello che vi dissi il primo giorno non era del tutto
vero.
Ebbene vi ho mentito nel rivelarvi che noi Draghi non eravamo a
conoscenza
della guerra che affligge le razze di Zàkhara,
dall’altra parte della foresta.
Quando
molti anni fa, voi Par, siete giunto a
chiedere aiuto, già allora sapevamo: le montagne ci
permettono di vivere
isolati, ma non ci hanno certo reso sordi alle sofferenza della terra
Sigmar
fece allora una piccola pausa
“Nonostante
questo, e con l’unanimità del il
consiglio degli anziano, all’epoca decidemmo ugualmente di
non partecipare al
vostro conflitto; facemmo in modo che non potessi vederci, e in seguito
ci
assicurammo che tu ritornasti nel tuo paese, sano e salvo.
“Ma poi è
arrivata questa piccola, e subito dopo voi, e questa volta sul dorso di
un
drago. Non potevamo fare più finta di nulla. Vi abbiamo
accolto e ascoltato.
E
il vostro racconto, Saphira, ha confermato i timori
che da sempre noi anziani temevamo.
Il
resto dei draghi che anche in passato si
erano opposti alla nostra decisione ha dovuto ricredersi, e alla fine
la
prudenza ha prevalso sulle spinte a intervenire.
La
nostra risposta è nuovamente negativa. Non abbiamo
intenzione di intervenire per nessuna delle due parti.
I
draghi si asterranno da qualsiasi tipo di
partecipazione, e non stipuleremo mai nessun tipo di alleanza con Elfi
né
Umani.
I
draghi rimarranno indipendenti, premonizione o
no.
Ma
se non
lo farete, la guerra giungerà anche qui. Non è
solo un problema degli Elfi. Isobel
non si fermerà certo solo a dominare Zàkhara.
Galbatorix aveva in mente già di
arrivare qua, e la regina ha mostrato in più di una
occasione di voler emulare
la sua opera.
Quel
giorno potrebbe non tardare troppo.
Quando
arriverà il momento, sapremmo difenderci. Affronteremo la
regina a testa alta.
Non siamo certo inferiori a loro.
Ma
non ci
hai ancora detto il perché non volete almeno dare la
possibilità a Eleonor di
toccare una delle vostre uova. So che il mio sogno era reale Nono
potete ignorarlo
Questa
volta era stato Par a parlare per voce
Saphira, la quale condividendo a pieno la sua obiezione. Sigmar
sembrò
profondamente alterato da quella insistenza.
Non
possiamo. Come vi ho già detto il consiglio ha ormai preso
la sua decisione.
Non
ci fidiamo degli né degli elfi, né tanto
meno degli esseri umani. E la storia di Alagaësia, che tu
stessa ci hai
raccontato, ci ha mostra chiaramente come la nostra razza ha solo
tratto
svantaggi dal Patto di Sangue. Siamo stati utilizzati come mere bestie
da
trasporto, mentre i vostri cavalieri si fanno la guerra per avere solo
maggior
potere. La loro natura non può essere cambiare, e noi non
abbiamo intenzione di
commettere lo stesso errore dei nostri antenati.
Ma
se vorrai sarai sempre la benvenuta
No,
reclino la tua offerta Sigmar. Non
abbandonerò mai il mio cavaliere, né Par
né chiunque altro crede in me. Non
condivido il vostro disprezzo per i Cavalieri.
Voi
non potete capire se non lo avete provato, e
vi assicuro non siamo mai stati soltanto delle cavalcature per loro.
Allora
farete bene ad andarvene, qui non potete
trovare ciò che siete venuti a cercare.
Addio
Sigmar. Mi avete profondamente deluso. Non credevo che la nostra specie
potesse
arrivare a essere così egoista.
Andiamo
Par, Eleonor, qui
abbiamo già perso troppo tempo.
E
con
questo la dragonessa voltò le spalle a Sigmar, che
osservò con disappunto la
dragonessa volare via, fino a quando non scomparve all'orizzonte.
*
Quando
se
ne furono andati il grande drago percepì una piccola
presenza farsi accanto.
Era
Vespriana, che si avvicinò piano al suo
nonno strusciandosi affettuosa contro il suo caldo ventre.
La
piccola aveva ascoltato tutta la
conversazione con Saphira, decisa ad aiutare i suoi nuovi amici,
utilizzando
tutte le carte che aveva a suo favore.
Vespriana
… nipote mia. Che cosa ci fai qui?
Nonno
che cosa sta accadendo. Il consiglio ha il
diritto di sapere della premonizione.
Perché
non gliene hai parlato
Non
dovresti stare a giocare con gli altri cuccioli?
gli
fece l’anziano drago con un tono
di rimprovero nella voce.
L’ho
fatto, e ho avuto modo di fare la
conoscenza di Par e Eleonor e siamo diventati amici.
Sigmar
si girò di scatto, e si mise a
fissare corrucciato la nipote con i suoi grandi occhi neri.
La
piccola sostenne coraggiosamente il suo
sguardo, e continuò:
So che
cosa ti turba. In lui, come in Eleonor, non ho visto nulla di
così sbagliato da
poter minacciare una razza millenaria come la nostra
Piccola
mia tu non sai di cosa stai parlando”
Io
so che in loro ho visto solo sincerità. E il
cuore di Saphira l’ho trovato integro e i suoi sentimenti
sono puri
Non
è
certo di Saphira che dubitiamo … ma lo saranno anche quelli
del suo cavaliere?”
La piccola sapeva bene a cosa il nonno si stesse riferendo:
Nonno
non puoi esserne certo nonno. Dategli una
possibilità. Per me
chiese
semplicemente la piccola dragonessa.
Sigmar
si prese alcuni attimi per pensare, prima
di rispondere:
Se
fosse
stato un altro drago a propormelo, gli avrei sicuramente detto di no
… ma a te
sai che non posso negarti nulla. D’accordo piccola mia.
Ne
parlerò con gli anziani
Naturalmente
Nonno. Ma dovrai farlo in fretta … Saphira Par ed Eleonor
hanno deciso di
partire fra due giorni.
D’accordo.
Farò tutto quel che sarà in mio potere.
Grazie
nonno!
Il
giorno della partenza era arrivato. Saphira
vide molti dei giovani draghi che aveva conosciuto durante la loro
permanenza,
insieme a tutti i cuccioli, pronti a salutarli, Vespriana in testa.
La
piccola dragonessa sembrava nervosa, e cercò
in tutti i modi di attardare la loro partenza, come se fosse in attesa
dell’arrivo di qualcuno. Si stavano così
preparando a partire, quando un forte
ruggito attraversò la valle, e Sigmar planò
maestosamente tra loro.
Vespriana
sembrò essere soddisfatta e Par la
guadò con curiosità e sospetto.
Alla
luce
alle nuove rivelazioni abbiamo appena concluso una difficile riunione,
durante
la quale abbiano tenuto conto delle opinioni di un numero consistente
di altri
i draghi. E nonostante la sentenza da noi precedentemente emessa, il
consiglio
ha deciso altrimenti di darvi una possibilità disse
loro con voce solenne
Ma,
alla
condizione che ci dimostriate la purezza del legame tra il drago e il
suo
Cavaliere.
Se
riuscirete in questo, allora. potremmo
permettere al cucciolo di uomo di toccare una delle nostre uova, e
potersi
legare così a un nostro cucciolo.
Cosa
dobbiamo fare, perché voi crediate nel
rapporto tra drago e cavaliere? chiese
subito Saphira.
Hai già visto gli effetti della tua permanenza tra noi, di
come tu ti sia
potuta dimenticare in poco tempo tutti i tuoi precedenti affetti. Tutti
i
draghi fanno parte di una grande e unica famiglia, e come tale non hai
potuto
resistere agli istinti che sono propri della tua specie.
Ma
se il legame con il tuo cavaliere è veramente
puro, allora quando lo rincontrerai, non avrai alcun problema a
riconoscerlo
Sigmar
vide Vespriana farsi avanti.
Ma
nonno!
Nono
ora
nipote.
Vespriana
è la nipote di Sigmar?! Saphira
riferì immediatamente la notizia a Par che si
voltò di scatto verso la piccola
dragonessa. Ma Vespriana era completamente rivolta a suo nonno, che ora
aveva
ripreso a parlare:
Queste
sono le nostre condizioni e non transigeremo su questo. La nostra
libertà è
preziosa, e non possiamo perderla per qualcosa che può
portarci alla rovina …
Ma se supererete la prova, cosa di cui noi tutti anziani dubitiamo
fortemente,
metteremo da parte tutte le nostre riserve, e vi aiuteremo nella lotta
contro
la regina Isobel.
Saphira
guardò Sigmar con rabbia.
Il
mio legame con
Eragon è forte, e non ha bisogno di nessuna conferma.
Accetterò la vostra
sfida, ma sappiate, che lo faccio solo perché il vostro
intervento ci è
indispensabile per vincere.
Molto
bene. Non avete molto tempo prima che
arrivi il periodo della schiusa. I nevai hanno già iniziato
a sciogliersi.
Se
entro questo tempo il tuo cavaliere non ti
avrà raggiunto, la prova verrà considerata come
non superata, ed Eleonor non
avrà nessun’altra possibilità.
Uno
dei nostri Draghi accompagnerà Par fino ai
margini della foresta. Una volta raggiunta Zàkhara,
sarà suo compito portare
qui Eragon.
-
Saphira non puoi accettare! - Gridò Par non
appena seppe ebbe compreso delle condizioni.
Ricordo
fin troppo bene bene quanto ho impiegato per ristabilire un legame con
te
giorni fa. Se non fosse stato per Vespriana forse nono sarei mai
riuscito a
parlarti di nuovo ed erano passati solo alcuni giorni. Inoltre
sarà difficile
portare qui Eragon in così poco tempo. E se è
ancora tra le grinfie della
regina? Saphira non possiamo permetterci di perdere anche te.
Nono
accadrà. Ho piena fiducia in te e nel mio
legame con Eragon … ”
E
sia
dichiarò allora Sigmar.
Giuma,
sarai tu ad accompagnare l’elfo.
Nulla
valsero le proteste di Par. La decisione
era stata presa ormai.
E
fu così che drago e Elfo raggiunsero
l’estremità opposta della foresta, là
dove mesi addietro Par era partito con
Saphira.
Quando
Giuma riprese il volo, Par decise subito
di dirigersi verso Gratignàc.
Era
di nuovo in viaggio, ed era di nuovo da
solo. L’idea lo inebriava. Poteva di nuovo disporre della
piena libertà di
decidere una strada senza per questo dover rendere a qualcuno delle
proprie
scelte. Ma era davvero quella la libertà? In viaggio con
Saphira ed Eragon, Par
aveva scoperto qualcosa che anni di viaggi in solitario non avevano mai
potuto
insegnargli. E cioè che un compagno può essere
non soltanto qualcuno che ti può
guardare le spalle, ma anche un amico che ti assiste e protegge, che
questo era
qualcosa di reciproco, e che una volta provato, non lo avresti cambiato
cambieresti per nessun prezzo al mondo, nemmeno per la propria
indipendenza.
Con
un sospiro Par si guardò lentamente intorno
e, assicurato per benne il proprio sacco alla schiena,
proseguì il viaggio in
silenzio.
Stava
giusto iniziando a elaborare un piano, per
riuscire a prendere un naviglio che lo traghettasse verso sud, quando
dietro di
se percepì una presenza familiare.
Non
può essere lei!
Poi
Vespriana sbucò da un basso cespuglio.
Vespriana!
Nono
potevo lasciarti andare da solo. Hai bisogno di qualcuno al
tuo fianco che ti
guardi le spalle.
Ma
se tuo nonno ti scopre!
gli fece preoccupato Par.
Non
ritornerò di certo indietro ora! Ho intenzione di andare
fino in fondo. Mio
nonno capirà
Fu
solo allora che il volto di Par si aprì a un
largo sorriso
Sono
felice che tu sia qui.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Un'insolita lezione ***
Eragon
sedeva
su di una branda nella stanza in cui era stato rinchiuso da quando
aveva fatto
ritorno nella capitale di Zàkhara. Era passato
più di un mese dagli avvenimenti
che avevano portato alla sua cattura.
Le
sue dita
andarono a sfiorare la sottile fascia metallica che gli cingeva ancora
una
volta il collo. Il dolore provocato dalla magia del collare era sempre
li a
ricordargli come fosse ancorato alla realtà nonostante
avesse completamente
perso interesse per il mondo che lo circondava.
La sua Saphira non c’era più: La carne, le ossa e
le scaglie che costituivano
il suo involucro mortale si sarebbero presto dissolte e così
anche il suo
èldunarì. Nessuna luce si era accesa nel petto
della sua compagna mentre inginocchiato
di fronte a lei aveva sentito la sua vita scivolare via, e con la morte
Eragon aveva
perso anche la voglia o il desiderio di lottare.
La
cosa
più straziante di tutte, però, era che trascorsi
i primi giorni in cui aveva
creduto di impazzire, il dolore per la sua perdita si era lentamente
attenuato.
Il vuoto lasciato dalla sua assenza, che all’inizio aveva
creduto insopportabile,
era diventato accettabile.
Al
di
fuori di quelle quattro mura la vita continuava ad andare avanti anche
se Saphira
non era più al suo fianco.
Nonostante il ricordo della sua morte era un’immagine
indelebile nella sua
mente, nel suo cuore era come se non se ne fosse mai andata, come se
una parte
di lei gli fosse ancora vicina e potesse ancora sentirlo.
Era forse questa la pazzia? Eragon
non lo sapeva, né gliene importava.
Ogni tanto gli tornava nella mente ciò che Saphira gli aveva
chiesto prima di
recidere il loro legame mentale: vivi per
Arya e per tuo figlio. Quando riaffioravano, quelle parole,
Eragon le cacciava
subito indietro. Era consapevole di non star nemmeno provando a
mantenere quella
promessa, i giorni trascorsi in isolamento lo avevano logorato mettendo
a dura
prova la sua tempra e la sua sanità mentale.
Non
arrendersi era sempre stato innato nel suo carattere, ma dalla morte di
Saphira
qualcosa dentro di lui si era come spezzato. Da tempo aveva anche
abbandonata
la speranza che qualcuno potesse venire a salvarlo, assopendo quel
sentimento e
relegandolo in un angolo della sua mente.
Con
sua grande
sorpresa, a impedirgli di arrendersi del tutto, era stata Isobel. I
suoi
frequenti tentativi di entrare nella sua mente lo avevano costretto a
tenere alte
le sue difese mentali ricordandogli che, nonostante tutto, ancora
teneva a
qualcosa. Anche se si era arreso a lottare per sé stesso non
significava che
avrebbe lasciato alla regina la libertà di appropriarsi
anche dei suoi ricordi.
Non avrebbe mai tradito i suoi amici e tutto quello per cui avevano
lottato e
sofferto. Non deliberatamente, almeno.
Fu
con
questa nuova consapevolezza nel cuore che Eragon affrontò
l’arrivo di Oliviana.
La
giovane
donna ebbe un lieve sussulto nell’osservare il notevole
cambiamento
nell’aspetto del cavaliere: i suoi occhi, un tempo di un
nocciola vivido, erano
diventati cupi, mentre una fitta barbetta ne incorniciava il suo viso
conferendogli
un‘aria stanca e affranta.
- La regina ritiene che il tuo isolamento debba terminare oggi
– gli disse
agganciando il collare alla cinghia che stringeva nelle mani e
invitandolo a seguirla.
*
*
Raggiunsero
una porta che dava su un grande cortile, poi, con una smorfia di
profondo disappunto,
Oliviana sganciò il guinzaglio e, girandosi
sull’uscio, rivolse a Eragon uno sguardo
di ammonimento.
–
Dovrai
proseguire da solo adesso – gli disse facendosi da parte.- la
regina ti aspetta
-
Eragon
alzò
istintivamente un braccio a schermare gli occhi mentre la vista venne
invasa da
una miriade di piccoli puntini bianchi e rossi; dopo tanti giorni
passati nella
penombra gli ci volle del tempo per riabituarsi alla luce diretta del
sole.
Mentre
avanzava e la vista tornava a schiarirsi udì alla sua destra
la voce distinta
di Isobel.
- Questo è Eragon da Alagaësia – disse
con voce affabile rivolta a qualcuno che
Eragon non riuscì ancora a vedere.
-
Eragon
ti presento Rebekha Coleman – continuò la donna.
Raddrizzando
le spalle Eragon si trovò di fronte a una fanciulla dai
lunghi capelli bruni e
dagli occhi grandi e penetranti che lo fissavano con
curiosità.
Coleman!
Nel
momento in cui udì quel
nome, non ebbe alcun dubbio che si trattava della sorella di Reafly.
Ma, prima
che potesse dire o fare qualcosa, la sua attenzione venne attirata da
un rumore
assordante proveniente dall’alto. Eragon alzò lo
sguardo, ed ecco con stupore,
vide planare vicino a loro un drago; le sue dimensioni superavano di
gran lunga
quelle di un albero, e le sue squame rilucevano di un intenso viola
cobalto.
Accortasi
del suo stupore sul volto di Rebekha
si allargò un sorriso.
-
Avvicinati pure, non temere. Lei è Kima, la
mia dragonessa – disse con tono che rasentava la spavalderia.
Per
un attimo Eragon credette di rivedere la sua
Saphira, ma fu solo un momento, il suo sguardo andò subito
alla regina che
riprese a parlare.
-
Da oggi
Rebekha e Kima saranno le tue allieve – lo informò
Isobel inviandogli al
contempo una leggera sferzata attraverso il collare che si
riverberò lungo la
spiana dorsale. Eragon
si massaggiò il collo con una smorfia - Che
cosa dovrei insegnargli? – chiese camuffando con orgoglio che
la voce
gracchiante. Anche Rebekha aveva reagito alla notizio con stupore
mostrando uno
sguardo basito.
-
Ad essere un drago e un cavaliere. Dovrai
completare il loro addestramento - continuò Isobel con voce
calma passando il
suo sguardo dall’uno all’atra - ho introdotto
Rebekha alle arti magiche. Ma ciò
che non posso insegnargli e che tu solo possiedi, è il
significato profondo del
legame tra un cavaliere ed il suo drago. -
-
Tu sei un cavaliere!? – esclamò Rebekha con
autentico
candore; la sua, più che una domanda, era una esclamazione
di stupore. D’istinto
la ragazza girò il polso in modo da mostrare il palmo
lucente. In tutta
risposta Eragon girò appena il suo e abbassò lo
sguardo.
Improvvisamente
si rese conto di quanto era stato sciocco da parte sua pensare di
potersi estraniare
così dalla realtà senza aspettarsi delle
conseguenze. Si era così concentrato
sul proprio dolore da avere perso di vista l’insieme e,
mentre nel suo cuore piangeva
Saphira, Isobel tesseva la sua trama.
Dall’altra
parte, Cavaliere e Drago si scambiarono brevi sguardi carichi di dubbi
e
domande. Se è un cavaliere,
dov’è il suo
drago? Le fece notare Kima attraverso il loro legame
mentale. Rebekha
realizzò solo ora che il giovane uomo era solo. Non lo so Kima, ma hai visto anche tu il suo
marchio. Kima annusò
l’aria in direzione del cavaliere. Rebekha la
sentì come gelarsi sul posto. C’è
molta sofferenza in lui. Disse con
tono di profondo cordoglio.
Rebekha
si
limitò ad annuire. Era la prima volta che la sentiva
mostrare rispetto nei
confronti di qualcuno. Kima era stata sempre molto parca nei giudizi,
non si
era mai pronunciata apertamente nemmeno nei confronti di Isobel. I suoi
occhi
indugiarono sull’aspetto di quel giovane uomo che non
corrispondeva affatto all’idea
che si era fatta di un cavaliere dei draghi. Sembrava si fosse appena
azzuffato
con una tigre e ne portava evidenti i segni. Cosa avrebbe potuto
insegnarli se
non riusciva nemmeno a badare sé stesso?
Il
cavaliere ci sta
guardando, rimanda a dopo i tuoi dubbi Beck.
La
rimproverò Kima. Rebekha
si morse un
labbro e si trovò ad arrossire quando andò a
incrociare lo sguardo di Eragon. Fu
allora che anche lei, nel breve attimo di un battito di ciglia, vide
qualcosa,
una scintilla nascosta dietro quell’aspetto trascurato.
Mentre
osservava la giovane dragonessa e la ragazza Eragon prese un profondo
respiro. -
Se dovrò allenarvi
vorrò prima
valutare le vostre capacità. – disse avanzando
verso di loro.
-
Ma certo
Cavaliere. È una richiesta più che legittima.
– intervenne Isobel dandogli il
consenso di agire.
Eragon
iniziò con il chiedere alla giovane una
serie di semplici incantesimi che Rebekha eseguì senza alcun
problema per poi
passare ad altri più complessi.
-
Ho anche
fatto in modo di trasportare me e Kima da un luogo ad un altro
– si affrettò a
rivelargli Rebekha, una volta rotto l’imbarazzo iniziale la
ragazza aveva preso
una maggiore confidenza. Eragon sgranò gli occhi con
sgomento, non era
possibile che fosse sopravvissuta a un tale incantesimo. Si costrinse a
calmare
i propri pensieri e propri sensi e incrociando le braccia dietro la
schiena le
fece cenno con la testa di proseguire – raccontami come hai
fatto -
Rebekha
sembrava
non aspettasse altro. E sorridendogli iniziò a descrivere
con dovizia di
particolari ciò che era accaduto quando l’uovo di
Kima si era schiuso per lei,
compreso il momento in cui la strana pietra datagli da Isobel si era
illuminata
fornendogli le energie necessarie per eseguire fino in fondo
l’incantesimo.
Lo
sguardo
divertito che la regina rivolse ad Eragon fece capire a cavaliere che
lo scopo
di quell’incontro era proprio arrivare a quel punto.
Eragon
deglutì
a vuoto mentre realizzava che era dai suoi papiri e non da Galbatorix
che avevano
appreso la combinazione di quelle parole. Ma la cosa più
sconvolgente era aver
scoperto che Isobel possedeva un èldunarì.
Lasciare
che un cavaliere così giovane come Rebekha maneggiasse quel
genere di energie era
semplicemente sbagliato; ricordava fin troppo bene gli ammonimenti di
Oromis a riguardo.
-
Ho detto qualcosa di
sbagliato? – chiese allora Rebekha interrompendo il filo dei
suoi pensieri. Eragon
scosse la testa le sorrise mesto.
-
No, Rebekha. Sei stato in
gamba, date le circostanze.
Ora
vediamo come te la cavi
con una spada.
Prima
di
iniziare, però – aggiunse -
smusserai entrambe le lame, non vorrei che ci
ferissimo per colpa di una distrazione – Eragon le
mostrò le parole da
pronunciare. Come era successo per i primi incantesimi, eseguire quelle
semplici parole non fu un problema per Rebekha che già si
vedeva vincitrice in
uno scontro fisico con il giovane uomo.
Nel
momento i cui le loro lame si incrociarono Rebekha capì
immediatamente di aver
sottovalutato le capacità del suo avversario. Sotto a
quell’aspetto malandato,
infatti, si nascondeva una corporatura estremamente agile d forte.
La
consapevolezza di essergli inferiore non le impedì lo stesso
di tentare di
vincere.
Da
parte sua Eragon non si volle mai impegnare
fino in fondo. Questo indispettì ancora di più
Rebekha, che si tuffò in una
serie d’affondi particolarmente feroci, che fecero
indietreggiare il suo
avversario solo apparentemente in difficoltà. E proprio
quando la giovane credette
di portare la battuta finale, Eragon fece scivolare la lama con un
rapido movimento
del polso disarmandola con precisione ed eleganza.
Tremante
di collera, Rebekha andò a riprendere
la sua lama andata a finire a qualche iarda di distanza rimettendosi in
guardia
disse con rabbia:
-
Riprendiamo! -
Fu
allora che Eragon prese a darli una serie di
consigli su come muoversi e colpire. Rebekha eseguì le
indicazioni del
cavaliere, e i due iniziarono a volteggiare in mezzo al campo. Dopo una
buona
mezz’ora d’affondi e parate dall’una e
l’altra parte, Rebekha si bloccò
ansimante. Fu solo allora che Eragon le concesse il riposo.
-
Ti sei battuta bene, ma hai ancora molto da
imparare. Ora è il turno di Kima. – In risposta la
giovane dragonessa inarcò il
collo, ed emise un basso verso gutturale.
Eragon
osservò attentamente la dragonessa,
esaminandole la corporatura robusta e muscolosa. Rebekha si
stupì nel percepire
imbarazzo e vergogna da parte della sua compagna.
-
Quanto tempo ha? – chiese Eragon distrattamente.
-
Ha poco più di un mese - rispose pronta Rebekha.
-
Cosa?... - Eragon allora si girò di scatto
verso Isobel. Doveva capirlo fin da quando era planata su di loro. Kima
era
stata fatta crescere più in fretta del normale sviluppo di
un drago con la stessa
magia che in passato aveva alimentato i corpi di Skruikan e Castigo.
Eragon stava
per protestare ma una sferzata proveniente dal collare gli
ricordò quale fosse
il suo posto.
Costretto
a mettere da parte i suoi dubbi si rivolse direttamente a Rebekha per
chiedere
a Kima di eseguire une serie d’evoluzioni. La magia poteva
aver forgiato il suo
corpo con una muscolatura forte e potente, ma questa non valeva molto
senza l’agilità
e la maestria nel volo. Eragon avrebbe valutato quelle
qualità.
Fin
dai
primi volteggi Kima dimostrò di possedere
un’innata abilità al volo proprio, proprio
come l’aveva la madre prima di lei. Eragon le chiese di
eseguire una serie di
manovre, alcune anche molo difficile, Kima le superò tutte
con uno
straordinario istinto che sopperì alle numerose carenze
tecniche.
Quando
Eragon si ritenne soddisfatto, chiese alla
ragazza di richiamarla.
Kima
atterò di nuovo in mezzo a loro. Le
acrobazie avevano messo a dura prova la sua resistenza, e la dragonessa
si
ritrovò ad ansimare, per lo sforzo.
Sei
stata
molto brava! Gli
sussurrò con
dolcezza Rebekha nella mente.
Isobel
si
avvicinò a i due cavalieri, lo sguardo fisso solo su Eragon.
-
Ho bisogno di parlare con il cavaliere da sola
- disse la regina senza distogliere i suoi occhi dal giovane uomo
– tu puoi
ritirarti, Rebekha -
La
ragazza annuì, sollevata di lasciare il campo
d’addestramento. Aveva visto tante volte quello sguardo
severo dipinto sul
volto della sovrana e riconosceva quando la donna era determinata ad
ottenere
qualcosa. In quei casi Isobel sapeva essere inesorabile e spietata come
nessun’altra. Rebekha non avrebbe voluto essere al posto del
cavaliere. Anche
Kima percepite le sensazioni del suo cavaliere puntò i suoi
grandi occhi cobalto
su Eragon e con un sonoro sbuffo prese il volo.
–
Impressionante
come hai saputo tirare fuori le abilità dalla ragazza e dal
suo drago - Parlò
Isobel una volta rimasti soli - le mie
aspettative su di te sono state ben riposte. –
-
Aspettative
per cosa? – Chiese Eragon corrugando la fronte. Isobel rise
in modo
sommesso.
-
Tu non
puoi saperlo. La tregua che garantiva la pace tra noi e gli elfi oscuri
è stara
rotta mesi fa. Da allora, con l’aiuto di tuo fratello, re
Arold sta armando il
suo popolo. Perciò se voglio vincere questa guerra,
avrò bisogno di tutti i
miei alleati. Per questo sei qui. –
-
Non sarò mai tuo alleato –
rispose Eragon, ma si pentì subito di quella riposta quando
una nuova sferzata
del collare lo colpì.
-
Tu sarai quello che io voglio che
tu sia – sibilò a denti
stretti Isobel. Eragon
digrignò i denti
mentre il dolore si propagava per tutte le ossa.
-
Galbatorix prima di te ha
tentato la tua stessa strada. Mettere due fratelli l’uno
contro l’altra, ma ha
fallito -
Isobel
alzò le sopracciglia
riservandogli uno sguardo sdegnato – in ogni caso tu
addestrerai Rebekha, per me. Lo
farai perché te l’ho letto
negli occhi, perché temi quello che potrebbe accadere se
Rebekha usasse le
magie che le ho insegnato,
E
perché vuoi scoprire come
sono entrata in possesso di un èldunarì
– Eragon serrò le mascelle. Isobel aveva centrato
il colpo. Rebekha
non aveva né la preparazione né la forza
sufficiente per poter controllare quegli incantesimi senza recare danno
a sé stessa
o agli altri. Il successo dell’ambasciata era stata una
combinazione fortunata di
ingenuità e audacia e non si sarebbe ripetuto ancora.
Insegnargli la disciplina
e il controllo era il solo modo per salvarla.
Con
un
gesto vittorioso Isobel chiamò nuovamente a sé
Oliviana.
-
Oliviana
ti mostrerà i tuoi nuovi alloggi qui nella caserma. Sarai
libero di muoverti al
suo interno, ma ti avverto, se proverai a scappare i Ra-zac ti
riprenderanno e
allora ti verrà negata qualsiasi libertà.
D’altronde non credo potrai andare
tanto lontano senza la tua dragonessa -
Le
spalle di Eragon fletterono in un brivido mentre
sbarrava i suoi occhi in uno sguardo di puro dolore.
-
Lascia Saphira fuori dai tuoi giochi Isobel! -
sibilò a denti stretti tremando di rabbia.
La
regina
non disse nulla mentre un violento spasmo mise Eragon in ginocchio,
lasciandolo
ansimante. Questa volta il dolore era stato tanto forte da mozzargli il
fiato. Incurante
di tutto Isobel oltrepassò il cavaliere per poi bloccarsi a
metà strada
-
Devi rivolgerti a me con rispetto. Non provare
a sfidarmi nuovamente cavaliere -
*
* *
Era
sera
al palazzo di Antàra quando Murtagh rientrò nelle
sue stanze. Era stata una
giornata sfiancante, sia fisicamente che mentalmente. Le partenze di
Eragon e
Saphira prima e di Xavier e Daco dopo, avevano messo in moto la grande
macchina
difensiva degli elfi e di cui Murtagh era diventato una parte
integrante. Il
compito di allenare Reafly e l’esercito di maghi continuava a
ritmo costante e
lo impegnava quotidianamente. Ogni tanto il re lo convocava per
affidargli
alcuni incarichi o anche solo per avere un parere. Arold aveva imparato
presto
ad apprezzare il suo modo di ragionare fuori dagli schemi e li teneva
spesso in
gran considerazione nonostante andassero a contrastavano con quelli del
Consiglio.
“Quale modo migliore per tenere la mente dei suoi membri
sempre all’erta…” gli
aveva confessato un giorno il re dopo che Murtagh gli aveva chiesto il
motivo del
suo interesse alle opinioni del cavaliere.
Quella
sera Arold lo aveva nuovamente convocato, questa volta non per un mero
consiglio ma per un incarico di una certa importanza. Quello che aveva
ora in mano,
infatti, erano dei rapporti estremamente confidenziali. Le informazioni
che
contenevano venivano direttamente dal palazzo di Abalon.
Si
trattava delle prime informazioni che ricevevano dalle sue spie da
mesi.
Dopo
la
notizia dell’incidente avvenuto nella città di
Gratignàc, per cui era stato
necessari l’intervento dei Ra’zac, la capitale era
diventata una fortezza
inespugnabile per le spie del re. Questo rendeva quelle informazioni
altamente
preziose ma allo stesso tempo poco decifrabili ad un occhio poco
avvezzo a
maneggiare questo genere di documenti.
Murtagh
sperava nell’aiuto di Jill, non lo avrebbe mai ammesso a
sé stesso, ma una parte
di lui temeva che contenessero notizie su Eragon e Saphira.
Soppesò per un
attimo il plico quindi lo posò sul tavolo; quei documenti
sarebbero stati li
anche l’indomani. Se vi fossero state brutte notizie le
avrebbe affrontate
meglio a mente fresca e riposata. Inoltre, pensò a come le
occasioni di stare
solo con Jill si fossero ridotte così tanto da potersi
contare sulla punta
delle dita.
Si
sfilò
gli stivali e si spogliò degli abiti per stendersi accanto
alla giovane donna.
Jill
era
stesa di spalle, nel corso delle ultime settimane il caschetto nero dei
suoi
capelli era cresciuto fin sotto alle scapole, Murtagh le
scansò alcune ciocche
e le accarezzò la schiena nuda, con dolcezza. Lei si
girò piano, gli sorrise e
in quel momento Murtagh sentì tutta la tensione della
giornata scivolare via
come acqua fresca di un torrente.
-
Sei tu,
finalmente. – gli sussurrò lei, ma mentre gli
accarezzava una guancia la giovane
si accigliò.
-
Conosco
troppo bene quella ruga in mezzi alla fronte - continuò lei
– Che cosa ti
preoccupa? – Murtagh sospirò rumorosamente, Jill
lo conosceva troppo bene.
-
Proprio
stasera ci sono arrivate notizie da Abalon. –
Jill
scattò
in su con il busto puntellandosi con il gomito. – Dici sul
serio? È quello che aspettavamo
da mesi! Si tratta
di quei fogli che hai
posato sul tavolo? – gli chiese facendo cenno con gli occhi
alle sue spalle. Murtagh
le annuì pensando a come difficile nasconderle qualcosa.
-
Vuoi che
gli diamo un’occhiata adesso? - Jill stava per alzarsi ma
Murtagh la bloccò trattenendola
da un polso.
-
No Jill.
Stasera non voglio palare né di Isobel né di
Arold - Jill lo guardò negli occhi
e comprese ciò che albergava nel cuore del cavaliere. Lo
baciò sulle labbra con
tenerezza. – d’accordo per oggi può
bastare. Vieni qui – Jill lo prese e girandosi
nel letto lo trascinò con lei tra le lenzuola. La ragazza
emise una risata
limpida e cristallina quando sentì le mani e le gambe di lui
che la cingevano
con ardore e desiderio.
Quella
sera
si amarono fino a notte fonda.
-.
Ti amo
Jill – gli sussurrò lui sfiorandole un orecchio
con le labbra, quindi la strinse
a sé, con forza, prima di ricadere indietro, la testa contro
il cuscino. Jill
le si accostò accanto posando la mano sul largo petto
rimanendo in silenzio. Il
giovane chiuse gli occhi con un sorriso stampato sulle labbra cadde in
un
profondo sonno.
**
Quando
Murtagh
si svegliò si girò nel letto e allungando un
braccio verso il posto accanto a
lui, vuoto. Le lenzuola erano fredde al tatto. Jill doveva essersi
alzata da
parecchio. Sgomento si girò dall’altra parte e
infine la intravide in piedi
intenta in qualcosa.
– Da quanto tempo
sei in piedi? – le chiese
lui con la voce ancora impastata dal sonno. Fuori dalla finestra stava
albeggiando.
-
Da un
po' – rispose lei - Non ho potuto farne a meno, sto
esaminando i documenti – Murtagh
sopirò e si alzò dal letto per avvicinarsi a Jill
e cingerle i fianchi da dietro.
-
D’accordo,
hai vinto tu. Che cosa dicono? – Iniziò lui
stringendolo a sé.
-
Non ci
sono notizie su avvistamenti di draghi. – gli disse lei con
un sorriso mesto - So
che è questo che temevi di sapere ieri sere –
Murtagh
la
guardò sollevato. – Evidentemente Par ha mantenuto
la sua parola. – sussurrò lui
di rimando.
-
A quanto
pare sì, e con un po' di fortuna Eragon e Saphira potrebbero
aver già raggiunto
le terre selvagge – entrambi lasciarono che quella
possibilità alleggiasse un altro
po’ nell’aria poi Jill riprese un foglio.
-
Qui dice
che la regina ha assoldato un maestro per allenare la sorella di
Reafly, Rebekha.
– continuò lei porgendogli un paio di fogli tra i
tanti sparsi. Murtagh alzò un
sopracciglio e iniziò a leggerli sommariamente. –
Una mossa prevedibile. Non ci
vedo nulla di strano – ammise lui. In tutta risposta Jill
scosse la testa e
corrugò la fronte.
-
Leggili
con più attenzione – Murtagh fece quello che le
aveva chiesto Jill rimanendo in
silenzio. - Non noti che le informazioni sono frammentate e spesso
discordanti?
– insistette lei. - Alcune affermano che sia un uomo molto
giovane, dalle fattezze
delicate e dai modi gentili, altre che possiede capacità di
combattimento di un
veterano, un mastro di spade che sta attirando l’attenzione
di molti con movenze
mai viste Tutte, in ogni caso, concordano nel dire che sia come
comparso dal
nulla circa due mesi fa –
-
Nessuno
compare dal nulla e nel periodo in cui sono stato ad Abalon non ho
avuto sentore
di un ospite di tale calibro – commentò Murtagh
meditabondi - Qualcuna di queste
informazioni potrebbe essere falsa? – chiese infine cercando
di seguire il
ragionamento di Jill.
-
E se
fossero tutte vere? – incalzò lei lasciando
Murtagh spiazzato. - Che cosa vuoi
dire? -
-
Non lo
so, ma non c’è motivo di mentire in questi
rapporti. Per cui la mia domanda è chi
mai potrebbe essere questo individuo con tutte queste
qualità ma soprattutto è
qualcuno che dovremmo temere? -
-
Nonostante
venga nominato spesso non c’è molto su di lui.
Temo che per rispondere alle tue
domande dovremo avere informazioni più dettagliate. Nel
frattempo, dobbiamo
accontentarci di quello che siamo riusciti a sapere – ammise
Murtagh
accarezzandole lentamente la testa. Jill annuì poi riprese
altri fogli.
-
Non è
finita qui. Per ultimo, ma non per questo meno importante, Isobel sta
richiamando
attorno a sé i suoi alleati. Ci sono state reazioni diverse
da parte dei
diversi regni. Il periodo di pace deve aver cambiato alcuni accordi. Ma
Isobel sembra
aver messo a tacere ogni protesta. –
-
Le sue nuove
armi – finì di dire Murtagh con un sospiro.
-
Esatto. Qui
parla di diverse dimostrazioni fatte a beneficio dei vecchi alleati.
Una ostentazione
della sua forza – disse guardando il volto di Murtagh farsi
pensieroso.
-
Trascriverò
tutti i nomi presenti in una lista che potrai consegnare ad Arold
– aggiunse
alla fine. Murtagh le sorrise senza gioia
-
Il re e
il consiglio lo apprezzeranno molto. – rispose solo. Jill
guardò il compagno intuendo
che in quel momento la sua testa era da qualche altra parte.
-
Continui
a pensare che se non fosse stato per le richieste del consiglio Eragon
non
sarebbe partito? – chiese lei nel guardare il volto scuro del
cavaliere.
-
Non è
solo questo il punto Jill. Semplicemente mi manca. Mi ero
così abituato ad averlo
accanto a me ed ora avrei solo bisogno della sua presenza. Nella mia
mente avremo
affrontato insieme Isobel, e non c’era dubbio che
l’avremmo sconfitta. Ma
adesso tutto questo sembra sfumare via. E non posso fargliele una colpa
perché è
lui che sta correndo il rischio maggiore –
-
È tuo
fratello, è normale che tu sia preoccupato per lui e che ti
manchi – Murtagh le
rivolse uno sguardo riconoscente. La strinse a sé le
baciò teneramente la
testa.
-
Sono
anche il maggiore tra di noi, e per quanto Eragon protesti, ho delle
responsabilità nei suoi confronti. – Fu il turno
di Jill a protestare
-
Sei
troppo severo con te stesso, siete entrambi adulti non puoi pretendere
di sopportare
un tale peso sulle tue spalle – Murtagh rimase alcuni minuti
in silenzio prima
di parlare.
-
Pensi anche
tu, come Castigo che io stia esagerando? – gli chiese poco
dopo. Jill gli
rivolse uno sguardo di profondo affetto prima di rispondere.
-
Credo
che tra te e Saphira Eragon abbia due genitori iperprotettivi.
– disse lei sorprendendo
Murtagh che sorrise nel pensare a come la dragonessa si prendeva cura
del
fratello. Anche lui credeva che Saphira avesse atteggiamenti molto
materni, ma
immaginare lui come un padre era tutt’altra cosa. –
ho afferrato il concetto
Jill -
-
Non sto
dicendo che sbagli – continuò lei - ma tuo
fratello sa badare a sé stesso meglio
di chiunque altro. -
-
lo so
anche se a volte ho bisogno che qualcuno me lo ricordi sai? -
-
sono qui
per questo. Ora Che ne dici andiamo a vedere cosa
c’è nelle cucine. Ho fame. Poi
andrò da Arya, anche lei vorrà sapere che cosa
abbiamo scoperto. –
*
* *
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** Decisioni, Viaggi e Speranze ***
Per
il terzo
giorno consecutivo la stessa visione si insinuò tra i sogni
di Murtagh: si
trovava all’interno di una stanza e ad un tratto una figura
dai lineamenti celati
sotti un cappuccio gli fa cenno di avvicinarsi. La figura non emette
alcun
suono, ma Murtagh sa che deve guardare nello specchio d’acqua
che gli sta mostrando.
Un’immagine si forma lentamente sulla superficie del liquido. È quella
del palazzo
di Abàlon. Improvvisamente, senza rendersene conto, Murtagh
viene catapultato
all’interno della visione. Si ritrova a percorrere delle
stanze come un automa,
quando la sua attenzione viene attirata da una figura. È di
spalle, ma sente
che è stranamente familiare. Murtagh la segue e, quando la
figura finalmente si
gira, si rende conto che si tratta di Eragon. È quasi
irriconoscibile con la
barba e i capelli lunghi e sembra parlare con una persona che
però non riesce a
riconoscere. Murtagh cerca di chiamarlo, di attirare la sua attenzione,
ma Il fratello
non si accorge della sua presenza. Ha il viso teso e
un’espressione tormentata.
Lentamente l’immagine sbiadisce e Murtagh si rende conto di
essere tornato
nella stanza. La figura, allora, avanza verso di lui e gli dice che
Eragon ha
bisogno di lui e che se vuole aiutarlo devono incontrarsi al porto di
Gratignàc.
Gli dice che anche Arya ha ricevuto lo stesso sogno. La figura non si
aspetta
una risposta ma inizia semplicemente a mostrare a una serie di immagini
che gli
indicano il percorso per raggiungerla. Solo
allora il sogno termina e
Murtagh si sveglia.
***
Era
passata una settimana da quando Jill aveva consegnato la lista redatta
con i
nomi dei governatori richiamati da Isobel. La regina aveva dovuto
semplicemente
fare appello al precedente patto di alleanza, mentre il re e il
consiglio
stavano ancora valutando un modo per far pendere verso di loro uno
sparuto
numero di indecisi. A far aderire ancora molti regni alla causa Isobel
c’era la
minaccia reale delle sue nuove armi da fuoco. La regina si era molto
impegnata
perché arrivasse chiaro il messaggio che, a un mancato
appoggio, quelle armi
sarebbero state usate sulla popolazione inerme.
Pochi
tra
loro erano riusciti a mantenersi neutrali e di questi solo due avevano
acconsentito ad ascoltare le loro ragioni. Frederick Kallen del regno
di Nihel
e Paul Von Mack dei territori di Geliko. I due giovani uomini avevano
molto in
comune. Oltre ad essere entrambi molto giovani e di nobili origini,
avevano
idee liberali e programmi molto simili che prevedevano il ritorno al
commercio con
gli Elfi. Non condividevano l’odio di Isobel nei confronti di
un intero popolo e
l’influenza della sua magia era troppo debole oltre i confini
di Zàkhara per
influenzare le loro menti.
-
Le
risposte dei governatori di Geliko e di Nihel sono arrivate in questi
giorni e ci
lasciano sperare in un margine di trattativa –
annunciò con voce piena di
speranza di un giovane del consiglio.
-
Questo
significa che si spettano che rispondiamo in maniera concreta e con
delle prove
a sostegno della nostra lotta – aggiunse il re con meno
entusiasmo nell’apprendere
anche lui la notizia. Al sui fianco intervenne un’elfa dai
lunghi capelli
bianchi che con autorità prese la parola. Era tra i membri
più anziani e con l’appoggio
molto spesso del re formava il fronte più
conservatore
del consiglio.
-
La
regina si muoverà presto per circuirli e attirarli tra le
sue spire velenose. Mette
in atto sempre la stessa tattica. Inizia con un invito a palazzo
attritandoli
con speranze di accordi commerciali vantaggiosi per il loro regno, per
poi influenzali
con la magia e indurli ad acconsentire a tutte le sue richieste.
– disse con
voce carica di rammarico.
-
Isobel fa
sempre in modo da fargli credere che tutte le loro decisioni vengono
prese in autonomia
e non si rendono conto di essere delle marionette nelle sue mani
– concluse.
-
Per
questo motivo è necessario agire il prima possibile. Il
consiglio pensa che la
presenza di Murtagh e di Reafly possa essere decisiva a sostenere la
nostra
causa – continuò l’elfo che aveva
parlato prima.
-
Cavalieri
Murtagh e Reafly, siete disposti a compiere questo viaggio per noi?
– chiese il
re rivolgendosi direttamente ai due cavalieri. Murtagh sapeva che la
domanda
del re era solo una semplice formalità Era evidente a tutti
l’importanza di conquistare
la fiducia di quei due uomini, entrambi non avrebbero potuto rifiutarsi
se non
con delle conseguenze sull’esito delle trattative.
Questa
è un’altra intromissione del consiglio alla nostra
libertà. Commentò
aspro
Castigo.
Libertà
o no siamo coinvolti in questa guerra amico mio e con
noi anche Reafly e Gleadr. Quello che il re non sa è che noi
stavamo cercando
una occasione simile per poter lasciare Antàra. Castigo
sbuffò di rimando e
si ritirò in un angolo della sua
coscienza. Il grande drago cremisi non
era mai piaciuto agire di nascosto ma in quel caso non c’era
stato altro modo.
Lo sapevano sia Murtagh che Castigo. Il cavaliere alzò lo
sguardo sui presenti che
lo stavano guardando, quindi, schiarendosi la voce prese parola.
-
Ho
promesso che avrei fatto tutto quello che era in mio potere per
aiutarvi nella
lotta contro Isobel. Io e Reafly faremo questo viaggio. Ma vi chiedo di
non mandarci
soli. – Murtagh si girò allora verso Arya, anche
lei chiamata a partecipare a
quella riunione insieme a Jill ed Aglaia.
-
chiede a
voi la possibilità di lasciare partire anche Arya Dröttningu
– un brusio di voci si alzò
tra gli astanti. Arya, che si aspettava una reazione di questo genere,
alzò una
mano per chiedere silenzio. Murtagh la vide ergersi in piedi tra gli
astanti
con la sua postura altera, le spalle dritte e la testa alta e fiera. Il
ventre
aveva iniziato da poco ad arrotondarsi ed era appena visibile da sotto
la
tunica di lino finemente ricamato che l’elfa indossava sopra
a dei pantaloni e un
paio di stivaletti leggeri. Non aveva mai considerato belli i suoi
lineamenti spigolosi ma, nel guardarla adesso, Murtagh non
poté fare a meno di
notare quanto la maternità ne avesse addolcito i tratti: i
suoi lunghi capelli
corvini le ricadevano morbidi sulle spalle e il suo viso esprimeva
dolcezza e
un senso di pace e di serenità. Solo i suoi occhi tradivano
una certa
inquietudine nel rivolgersi verso di lui. Anche Murtagh condivideva con
lei quello
stesso sentimento.
Nei
due
giorni precedenti Murtagh e Arya avevano più volte divinato
sia Eragon che
Saphira, ma, mentre l’immagine del fratello era sempre un
riflesso sbiadito
simile in tutto a quella della loro visione, l’immagine di
Saphira era sempre avvolta
da una nebbiolina indistinta. Accanto a lei compariva sempre e solo
Par. C’era una
sola spiegazione plausibile a quello che avevano visto e
l’urgenza di partire
era diventata oramai un’esigenza.
–
Vi prego
di rispettare il silenzio. Lasciate che anche Arya svit-kona
parli – intervenne
il re Arold calmando gli animi. Ringraziandolo con un cenno del capo
Arya iniziò
a parlare.
-
So che
la mia presenza è importante per l’addestramento
dei maghi e so che avete
rischiato tutto per tenermi al sicuro il primo giorno che io e i miei
compagni
approdammo sulle coste di Zàkhara –
proseguì esaltando così il loro valore - ma
so anche che Aglaia e Jill sono addestrate altrettanto bene nella magia
e nel
combattimento e che saranno delle eccellenti insegnanti mentre io e
Murtagh
staremo via.
Sono
grata
della vostra protezione e so che fuori da Antàra non
avrò la stessa sicurezza
che ho ora qui, con voi, ma sono anche consapevole di essere in gradi
di
difendermi. Anche nelle mie attuali condizioni sono più
forte di un qualsiasi altro
soldato. Inoltre, come già sapete, ho ricoperto il ruolo di
ambasciatrice sotto
il regno di mia madre, la mia presenza all’incontro con i
governatori non potrà
che giovare al sostegno della nostra causa – Arya si
fermò guardare Arold
perché sapeva che spettava a lui l’ultima
decisione al riguardo. In più occasioni
il re aveva dimostrato di avere un’alta considerazione di
ciò che Arya e Murtagh
gli proponevano ed anche questa volta il sovrano degli elfi si
trovò a soppesare
con attenzione le loro parole.
Sapeva
che
ad Arold dispiaceva allontanarsi da entrambi, glielo aveva confessato
lo stesso
re solo qualche giorno fa, ma fortunatamente, prima di ogni cosa al
mondo, aveva
a cuore la sua gente ed Arya aveva avanzato delle argomentazioni che
non
potevano lasciarlo indifferente.
–
Alla
luce dei fatti non vedo alcun motivo per cui Arya svit-kona non debba
partire
con i due Cavalieri. Se nessuno avanza delle obiezioni valide a
riguardo
dichiaro la decisione presa. -
Nessun
si
fece avanti anche se Murtagh e Arya, nel sondare rapidamente le loro
menti, poterono
sentire chiaramente il disappunto di alcuni dei membri. Da tempo era
iniziato a
serpeggiare un generale malcontento riguardo all’influenza
che i due stranieri
esercitavano sul loro re. Anche Arold era a conoscenza i queste voci ma
non se
ne preoccupava, certo che le decisioni prese fino a quel momento
fossero le
migliori per il suo popolo.
**
La
partenza venne organizzata per la mattina seguente. Di fronte a una
delegazione
del consiglio Arold consegnò nelle mani di Murtagh e Reafly
i rotoli che doveva
essere dati nelle mani dei principi di Geliko e Nihel.
-
Questi documenti contengono informazioni di
vitale importanza – li informò il re
con
un’espressione grave sul volto.
-
Saranno
tenuti con estrema cura - gli rispose Murtagh scambiando con il ragazzo
uno
sguardo di intesa.
Sia
lui che Gleadr erano in trepida attesa per
la partenza. Murtagh poté sentire chiaramente
l’eccitazione dei due compagni per
la missione che gli era stata appena affidata.
Il
cucciolo d’uomo è entusiasta.
Commentò con voce sostenuta
il drago cremisi.
Non
lo biasimo, si tratta del suo
primo vero incarico come cavaliere. Finì
di dire il ragazzo
sorridendo.
Murtagh
aspettò
che Arya salisse sul dorso di Castigo prima di infilare un piede
sull’asola della
staffa e issarsi anche lui sul posto di fronte all’elfa. Per
l’occasione
Murtagh aveva conosciuto Gregor. La sua conceria aveva preparato una
sella appositamente
per Castigo in modo da poter ospitare due persone e l’elfo
aveva voluto
sottolineare il fatto che era stata eseguita con il metodo insegnatogli
da
Eragon mesi prima, Murtagh ne riconobbe subito la fattura. Castigo
aveva
sbuffato un po’ mentre gliela sistemava ma il giovane non
aveva detto nulla a
riguardo. Sapeva che il nervosismo del compagno era dovuto alla
presenza di
Arya, ma il suo orgoglio gli impediva ancora di ammetterlo. Nonostante
le
innumerevoli dimostrazioni di fiducia, anche lui ogni tanto faceva
fatica a
vedersi al fianco di coloro che un tempo l’antica lingua li
aveva vincolati a
combattere. Ed anche se lo avevano fatto sotto la costrizione di un
giuramento,
Murtagh ricordava ancora la sofferenza che aveva provato sotto la
schiavitù del tiranno. Così preferì
non
sfrugugliare troppo il compagno e aspettare che fosse lui stesso a
voler aprire
l’argomento.
Dandogli
una pacca leggera sulle squame più morbide e tenere del
collo il cavaliere guardò
uno ad uno i presenti che li stavano osservando dal basso, fino a
quando il suo
sguardo si posò su Jill. Nel preciso momento in cui gli
occhi della ragazza incrociarono
i suoi lei gli sorrise e Murtagh cercò di imprimere
quell’immagine nella sua
mente più forte che poté.
Solo
la
sera prima lui le aveva confessato i suoi timori riguardo al fratello e
ai sogni
che aveva ricevuto, lei lo aveva ascoltato e senza giudicare lo aveva
abbracciato forte, quindi tenendolo stretto a sé lo
cullò dolcemente fino a
quando non si era addormentato fra le sue braccia.
Anche
se a
malincuore la ragazza aveva acconsentito a rimanere indietro per
permettere a
lui e ad Arya di indagare con liberà su quello che poteva
essere accaduto al
fratello. Murtagh l’amava profondamente anche per questo e
già sentiva la sua
mancanza.
Pronto
tigre? Gli
chiese Castigo interrompendo così il flusso dei suoi
pensieri.
Pronto
amico mio. Fu
il suo commento laconico prima che il compagno di cuore e
di mente si librasse in aria ricalcando la stessa rotta che mesi dietro
avevano
percorso Saphira e Eragon in compagnia di Par.
**
A
centinaia
di miglia di distanza da dove erano decollati e a molti piedi di
altitudine dal
livello del mare, Murtagh chiuse gli occhi mentre sentiva il vento che
gli
passava tra i riccioli scuri, scompigliandoglieli. Quando li
riaprì senti Castigo
eseguire una leggera virata verso nord-ovest. Dietro di lui Gleadr lo
seguiva passo
per passo.
Ci
siamo amico mio. Sentì
il drago che lo richiamava. Murtagh allora espanse la
sua mente fino a compenetrare quella di Castigo e la sua vista
iniziò a vedere
ciò che lui vedeva. Le loro menti erano fuse insieme adesso.
Era ben chiaro ad
entrambi Il tragitto prestabilito dai consiglieri e dal re. Si
sarebbero fermati
prima a Geliko e poi a Nihel.
I
due
regni erano le terre più a Ovest oltre i confini di
Zàkhara e avevano previsto
di impiegare non più di quattro giorni di volo.
Prima,
però, avrebbero fatto una breve sosta.
Vedi
quelle costruzioni in lontananza, lungo la costa? Chiese
Castigo che aguzzò la
sua vista per mostrare al suo cavaliere quello che vedeva.
Sì
le vedo. Deve essere il porto di Gratignàc. Castigo dobbiamo
fermarci senza avvicinarsi troppo o rischiamo di essere visti.
Lo
so. Quella radura farà al caso nostro. Rispose
prontamente il drago.
Ne
sei sicuro? gli
chiese Murtagh. Con il tempo aveva imparato a riconoscere
i venti, e sapeva quando erano da considerarsi favorevoli e quando
pericolosi.
La particolare brezza che batteva su quelle coste veniva dal mare e non
era tra
quelle che i draghi avrebbero considerato amica.
Più
che certo, il posto ideale per dare un’ultima lezione a
Gleadr su come affrontare i venti.
Murtagh
sbatté
le palpebre un paio di volte per aggiustare nuovamente la vista che
iniziava a tornare
normale. Nuovamente cosciente del mondo intorno a lui fece appena in
tempo ad
avvertire Arya di reggersi a lui quando il drago cremisi
eseguì un’abile
manovra sfruttando alcune corrente e atterrò in una radura
ricoperta da un
tappeto di piante arbustive.
In
quel
punto il vento era particolarmente forte. Più intenso di
quelli che solitamente
battevano sulle coste di Antàra.
Dal
dorso
del giovane drago Reafly notò che Gleadr non si era
scomposto per l’improvviso
cambio di rotta, ma seguì semplicemente il padre.
Che
cosa stiamo facendo Gleadr?!
cercò di raggiungerlo
mentalmente Reafly, ma Gleadr interruppe bruscamente la conversazione Non
ora Reafly! Reggiti forte, invece. gli
rispose con un piccolo ruggito
prima di chiudergli la mente. Le ali del giovane drago si erano
gonfiando in
maniera incontrollata, iniziando a sballottarlo di qua e di
là come se fosse
una marionetta. Dal suo dorso Reafly intravide la sottile membrana di
pelle delle
sue ali tendersi e diventare traslucida attraverso i raggi del sole ma
il
ragazzo era troppo impegnato a seguire il consiglio del suo drago per
rendersi
davvero conto di quello che stava accadendo.
Nel
frattempo, a terra, Arya e Murtagh con la testa rivolta verso
l’alto seguivano
le manovre del giovane drago. Anche Castigo con sguardo vigile
osservava il
figlio. Di tanto in tato gli impartiva brevi consigli. Tutti e tre
videro Gleadr
riuscire con uno sforzo immane a chiudere le proprie ali e cambiare
posizione. In
quella maniera poté sfruttare la forza del vento senza
combatterlo.
Quando
il
giovane drago aprì nuovamente le sue ali queste non si
gonfiarono più in
maniera scomposta, ma fendettero l’aria aiutandolo a trovare
stabilità. La
manovra durò ancora altri minuti. Reafly da sopra il suo
dorso poté sentire i
muscoli del drago sotto di lui che gradualmente si rilassavano. Aveva
lo
stomaco in subbuglio e un senso di vertigine che gli fece girare la
testa È
la prima volta che affronto questo genere di vento ammise il
giovane drago quando
tornò a parlare al cavaliere Tu stai bene?
Credo…credo
di sì. Rispose
il ragazzo incespicando malfermo una volta toccato a
terra. Arya lo raggiunse per sorreggerlo e i sui penetranti occhi verdi
lo
scrutarono per alcuni istanti – Mi spiace Reafly ma adesso
è necessario che tu
dorma - aggiunse all’ultimo l’elfa prima di
sussurrargli poche parole
all’orecchio. Reafly non riuscì nemmeno a
replicare, sentì improvvisamente le
membra stanche e tutto intorno a lui divenne buio. Reggendolo dalle
braccia
Arya fece adagiare il ragazzo a terra. Gleadr allungò il suo
collo annusandolo
preoccupato. Gli occhi gialli brillarono nel guardare l’elfa
che gli
posizionava delle coperte sotto la testa. Arya prese un profondo
respiro
sentendo tutta l’apprensione del drago. Allora decise di
parlagli con cuore
aperto.
Non
ho ingannato il tuo cavaliere a cuor leggero Gleadr, ma
conosci anche tu il motivo per cui l’ho fatto.
Sì,
lo so. Lo
sentì ammettere dai
recessi reconditi della sua mente. Era la prima volta che
l’elfa parlava alla
creatura dorata e la sua giovane voce risuonò come acqua
cristallina nella sua
coscienza
Se
la pista che stiamo seguendo non è un inganno o una
trappola Reafley dovrà portare avanti da solo la missione
che re Arold gli ha
affidato anche senza Murtagh.
Quanto
dovrà rimanere incosciente?
Solo
il tempo necessario perché noi ci allontaniamo.
Andate
allora, io e Gleadr baderemo a lui. Intervenne
Castigo.
In
quello
stesso momento Arya sentì la mano di Murtagh stringerle una
spalla. L’elfa si
girò per vedere il suo volto che le sorrideva mesto e le
porgeva quella stessa
mano per aiutarla ad alzarsi. Accettando l’aiuto che le
veniva offerto Arya si
alzò in piedi rivolgendo a Reafly un ultimo sguardo prima di
seguirlo.
***
Lasciato
Reafly
alle cure di Castigo e di Gleadr Murtagh ed Arya impiegarono un paio di
ore per
raggiungere Gratignàc. Era pomeriggio inoltrato quando
entrarono nel centro
cittadino ancora brulicante di vita. Si diressero direttamente alla
zona del
porto ed Arya si sistemò bene su il cappuccio per nascondere
le orecchie. Nonostante
l’elfa cercasse di dare meno all’occhio Murtagh
notò come molti si girassero al
suo passaggio. Il suo portamento era naturalmente elegante, il corpo si
muoveva
leggero e i piedi quasi non toccavano terra mentre era concentrata nel
farsi strada
tra le persone che erano in giro stanche dopo una giornata di lavoro.
D’istinto
Murtagh le si accostò. - Cosa succede? – gli
chiese lei sorpresa quando sentì
la sua mano che le si appoggiava dietro la schiena. Murtagh le sorrise
con fare
beffardo e a rischio di ricevere un severo rimprovero disse.
–
il tuo
passaggio sta provocando troppo interesse. So che non ti
piacerà sentirlo ma una
donna in compagnia di un uomo attira meno sguardi su di sé
– Arya avvampò una
volta compreso ciò che intendeva dire, ma un breve sguardo
intorno a lei le
fece notare i molti occhi furtivi. Senza aggiungere altro
accettò l’aiuto del
cavaliere camminando insieme come una coppia.
Guidati
dalle
immagini condivise del sogno percorsero ancora una serie di vie
affollate prima
di arrivare nella zona del porto. Lontano dalla folla poterono tornare
a
camminare l’uno vicino l’altro, il sentiero era
diventato sterrato e a cadenza
regolare si aprivano dei bugigattoli che servivano da magazzino alle
merci.
I
loro
ricordi li portarono di fronte a un edificio a un solo piano. Era il
posto indicato
dal sogno.
Si
guardarono per un attimo negli occhi poi Murtagh fece in passo avanti e
diede
un colpo deciso alla porta che si aprì senza alcuna
difficoltà.
-
La porta
è stata lasciata aperta – constatò
entrando per primo. Un piccolo ambiente
faceva da anticamera alla stanza principale, più ampia,
fornita di finestre e
di una porta che dava l’accesso al retrobottega.
-
Chiunque
abiti qui non credo voglia stare via a lungo – gli fece Arya
indicando con lo
sguardo un alambicco posto sopra una piccola fiamma. Al suo interno un
liquido
viola borbottava lentamente. Un altro rapido sguardo alla stanza fece a
entrambi notare la serie di tavoli disposti lungo le pareti che
esponevano
contenitori di erbe e sostanze di vario genere. L’odore che
sprigionavano era
potente.
-
Magia,
questo non mi sorprende affatto – commentò Murtagh
alzando un sopracciglio
verso l’elfa. Entrambi vennero richiamati da un rumore
esterno che li fece
girare entrambi.
***
Morgana
stava attraversando il porto Gratignàc con passo svelto,
dopo essere stata in
giro a fare provviste, era impaziente di ritornare al suo alloggio dove
aveva
ricreato un piccolo angolo della sua casa nella foresta. Da quando
aveva
lasciato Par e Saphira questo era il primo grande passo in avanti fatto
per
tenere fede alla promessa fatta alla dragonessa.
Anche
se
era apparentemente tornata al punto di partenza, Morgana non poteva
dire che
era stata con le mani in mano. La prima cosa che aveva fatto era stata
accertarsi su dove quei mostri, i Ra’zac, come li aveva
chiamati Saphira,
avevano portato Eragon. Era stato facile per lei, grazie alle sue arti
magiche,
far riemergere le vecchie tracce del passaggio di quelle creature. Come
se
fossero state lasciate lì da poche ore, le aveva seguite e,
come aveva temuto,
l’avevano portata ad Abalon.
Nella
capitale Morgana aveva indagato ancora, spingendosi fin dove aveva
potuto
all’interno della cittadella. Si era subito imbattuta negli
alchimisti che
proteggevano l’ala del palazzo chiamata dei Misteri.
Morgana era ben a
conoscenza della loro esistenza. Nel suo passata stava per entrare a
farne
parte ma i suoi principi e la sua indole libera le aveva fatto
rifiutare
l’offerta. Ci vollero tutte le sue abilità per
eludere la loro sorveglianza, ma
Morgana non era una persona facile da sorprendere. Nel corso degli anni
passati
con i maghi di Galbatorix aveva imparato da loro diversi trucchi per
rendersi
invisibile e il fatto che nessuno era sulle sue tracce le avevano
permesso di
avere un notevole vantaggio. Le cose si fecero più difficili
quando si imbatté
in colei che si faceva chiamare il
sicario. La donna, di nome Oliviana, era la stessa che aveva
guidato la
cattura di Eragon e sapeva manipolare la magia in maniera
più intima e profonda
del resto degli alchimisti che aveva incontrato fino a quel momento.
Non c’era
da stupirsi che fosse riuscita a mettere la giovane maga in
difficoltà.
La
mattina
in cui Eragon lasciò l’ala dei Misteri al
guinzaglio di Olivina, Morgana ebbe
solo il tempo per vederlo
uscire dalla sua cella in compagnia della donna. Per la seconda volta
in meno
di due mesi se lo era visto passare accanto e per la seconda volta non
era
riuscita a fare o dire nulla per aiutarlo.
Per
Morgana non c’era stato alcun dubbio sul fatto che il nuovo
maestro d’armi di
Rebekha Coleman fosse Eragon. La giovane maga non aveva mai creduto
alle
coincidenze, ma non poteva più continuare la sua missione da
sola. Per liberare
il cavaliera di Saphira aveva bisogno dell’aiuto dei suoi
amici. La dragonessa
le aveva parlato dell’altro cavaliere dei draghi, Murtagh,
fratello di Eragon e
della sua compagna, Arya.
Con
questo
scopo era tornata a Gratignàc. Ma al suo arrivo aveva
scoperto che la ripresa
ufficiale delle ostilità con gli elfi oscuri aveva reso le
comunicazioni con il
porto di Antàra più difficili. Morgana non aveva
tutto quel tempo per attendere
la partenza di un carico.
Decise
di
usare l’antica arte delle premonizioni. Era una pratica
antica che affondava le
sue radici alle origini della magia stessa; una particolare
combinazione di
parole e intenzioni che Morgana formulò per creare un
messaggio indirizzato a
coloro che erano più vicino al cavaliere. Secondo quanto
Saphira aveva
raccontato su Murtagh ed Arya, entrambi avevano le capacità
di cogliere la
natura magica del sogno e interpretarlo nella giusta maniera.
Arrivata
alla porta del suo alloggio Morgana la trovò accostata,
qualcuno era entrato.
Con un colpo della mano l’aprì e superò
il piccolo ingresso per entrare con
cautela all’interno della stanza. Le tende accostate avevano
creato una zona di
penombra in fondo alla stanza. Morgana sorrise nello scorgervi due
figure.
**
Dall’altra
parte Murtagh vide entrare una giovane donna dai lunghi capelli castani
che le cadevano
sulle spalle.
-
Tu devi essere Murtagh – parlò la giovane con
voce carica di emozione – e tu Arya – aggiunse per
poi guardare entrambi con una
espressione di divertita curiosità.
Nel
lanciare rapidamente un maglio verso la sua mente il cavaliere la
protetta da alte
barriere, allo stesso tempo, qualcosa gli diceva che non rappresentava
un pericolo
per loro.
-
Tu sai chi
siamo ma noi non sappiamo nulla di te – intervenne pronta
Arya. L’elfa aveva fatto
un passo in avanti ed era entrare nel cono di luce mostrandosi
così al loro
misterioso ospite. La donna a sua volta avanzò e incrociando
le dite in grembo
disse solo: -
Mi presento: sono Morgana. Sono io che vi ho inviato i sogni
–
***
Murtagh
lanciò subito uno sguardo interrogativo ad Arya.
-
Se sei
tu ad averci inviato quei sogni, allora devi conoscere Eragon.
E’… - Murtagh esitò
un attimo, non era convinto di voler davvero conoscere la
verità, ma doveva farlo.
-
È lui
che ti ha chiesto di contattarci? – chiese infine.
Morgana
scosse la testa e sospirò. - Non esattamente. - disse e il
cuore di Murtagh si
strinse dolorosamente mentre Morgana si continuava – Lasciate
che vi spighi. Non
ho avuto modo di conoscere Eragon ma le nostre strade si sono
incrociate
attraverso Saphira – disse accendendo loro la
curiosità.
-
Ti
ascoltiamo – disse Murtagh aggrottando le sopracciglia.
Morgana
annuì
quindi iniziò a raccontare loro tutto quello che le era
successo da quando
aveva incontrato la dragonessa zaffiro. Murtagh e Arya appresero
così della
cattura di Eragon da parte di Oliviana e di come si fosse separato da
Saphira
con la certezza di averla persa per sempre. Di come Morgana avesse
guarito Saphira
dalle ferite mortali inferte dai Ra’zac e della decisione
presa con Par di
portare a termine il viaggio nelle terre selvagge.
Il
racconto proseguì quindi con il viaggio di Morgana alla
capitale di Zàkhara per
mantenere la promessa fatta a Saphira. Murtagh rimase colpito delle
enormi
capacità della Morgana. Dietro un’apparente
disinvoltura aveva ingannato la
maggior parte degli alchimisti.
-
Non
sarei arrivata a chiedere il vostro aiuto se non fosse necessario.
– ammise
mostrando una candida modestia – Tutto lascia pensare che il
vostro amico si sia
alleato con Isobel. –
-
No! – la
interruppe Arya con decisione - Conosco Eragon, non si schiererebbe mai
dalla
parte di quella donna –
-
Sono
d’accordo. Ci deve essere un’altra spiegazione
– la sostenne Murtagh serrando
la mascella. Il cavaliere stava cercando di mettere ordine nel tumulto
di emozioni
che rischiava di travolgerlo, quando sentì la voce di
Castigo ruggire nella sua
mente Smettila di darti la colpa per quello che è
accaduto a tuo fratello. Devi
essere lieto che lui e Saphira siano entrambi vivi, invece, e che siamo
in
grado di aiutarli.
Il
rimprovero severo del drago ebbe l’effetto di dissolvere la
paura e la rabbia che
stava provando e riportare l’attenzione a ciò che
stava dicendo Morgana.
La
giovane
donna, che stava osservando con attenzione la reazione di entrambi, non
si
scompose ma prese un respiro più profondo. - Penso anche io
la stessa cosa. –
ammise - Non sono solita fermarmi alle prime apparenze. Per questo
motivo vi ho
chiesto di venire qui. Uno di voi deve venire con me ad
Abàlon e forse insieme potremo
rivelare l’inganno che Isobel ha tessuto intorno ad Eragon
– concluse in tono
pacato.
Murtagh
ed
Arya si guardarono negli occhi spiazzati dalla richiesta
così diretta della
donna. - Chi di noi deve andare? – chiese Arya rompendo quel
breve silenzio che
si era venuto a creare.
Murtagh
non
ebbe alcun dubbio a riguardo. Anche se non doveva addossarsi tutte le
colpe,
come gli aveva ricordato Castigo, non si sarebbe tirato indietro di
fronte alle
proprie responsabilità. Chiuse gli occhi per chiamare il sui
compagno di cuore
e di mente. Arya ha già rischiato più
del necessario venendo qui. Non posso
lasciarle fare anche questo.
Lo
so Tigre. Fai quello che devi fare. Murtagh
rimase in silenzio
per alcuni secondo. Con quelle parole Castigo non solo lo stava
lasciando
andare, ma accoglieva temporaneamente Arya come sua compagna, o
così sarebbe
apparsa agli occhi dei due principi a cui si sarebbero presentati. Il
volto di
Murtagh assunse un’espressione determinata mentre rispondeva.
-
Arya, tutto
quello che potevi fare per Eragon lo hai fatto, ora, se davvero vuoi
aiutarlo,
devi pensare alla vita che porti dentro di te. Lascia che sia io ad
andare. – Arya
sussultò, Murtagh aveva scelto accuratamente le sue parole,
inoltre gli elfi
non erano graditi a Zàkhara e se Arya avesse continuato a
viaggiare nei territori
di Isobel sarebbe stato un enorme faro puntato su di loro. Se volevano
avere
una possibilità di liberare Eragon dovevano giocare
d’astuzia e rimanere invisibili.
Si
passò
una mano sul ventre con un’espressione improvvisamente molto
stanca e abbassò
la testa. Quando la rialzò il suo volto tornò ad
indossare lo sguardo indecifrabile
di sempre.
-
D’accordo
Murtagh. Proseguirò io il viaggio con Reafly. –
disse. Era evidente il suo
disappunto nell’essere messa da parte e per un attimo gli
occhi scintillarono di
orgoglio.
-
Castigo
è d’accordo? – chiese facendo sfuggire a
Murtagh una smorfia divertita. Nonostante
non ne avessero mai parlato l’elfa aveva notato qualcosa
riguardo al
comportamento schivo del suo drago.
–
Non lo
era al principio, ma è un lucertolone ragionevole che sa
quando deve mettere da
parte il suo orgoglio per il bene più grande. –
Arya annuì con la testa e
Murtagh non vide alcuna traccia di sdegno o di biasimo del suo volto ma
solo un
profondo rispetto.
–
I draghi
sono creature straordinarie e non farei nulla per offenderle. Se lo
vuole, sarà
per me un onore viaggiare con lui -
***
Quando
Morgana
e Murtagh lasciarono Arya il sole aveva iniziato a infuocare il cielo
tingendolo
di tinte rosse, arancioni e gialle.
-
Tra non
molto la città si svuoterà –
commentò Morgana. Ora che erano rimasti soli il
cavaliere si chiese quali fossero le motivazioni della donna. Murtagh
si strinse
ancora di più dentro al suo mantello mentre una leggera
brezza gli colpiva il volto.
- Qual è la nostra prossima mossa? - chiese ma Morgana
sembrò a mala pena
ascoltarlo continuando a camminare. La maga si fermò solo un
attimo in mezzo
alla strada. Si girò prima a destra e poi a sinistra,
farfugliando qualcosa
riguardo alla sua memoria, poi esclamò – Ah ecco,
ora ricordo. Vieni -
Murtagh
stette
dietro alla giovane donna, poi girarono sulla destra e si
trovò di fronte a una
porta di legno sormontata da una insegna sbiadita.
-
Il
puledro impennato… – lesse Murtagh corrugando la
fronte - …cosa cerchiamo? –
-
Quello
che si cerca in ogni locanda, un boccale di birra e del cibo
– gli rispose Morgana
con un lieve sorriso. All’interno del locale c’era
un piacevole tepore e
Murtagh si sfilò il mantello continuando a seguirla verso un
tavolo che si era
appena liberato al lato della sala.
Era
evidente
l’impazienza del cavaliere, nonostante questo Morgana non era
ancora disposta a
parlare. Prima dovevano mangiare e bere qualcosa e, alla fine, anche
Murtagh
dovette ammettere di sentirsi molto meglio con lo stomaco pieno.
-
Grazie,
Morgana – disse prendendo un lungo sorso di birra. Morgana lo
guardò accigliata
– Per cosa? – gli chiese lei piluccando in maniera
distratta un pezzo di pane
dal piatto.
-
Per questo
– gli rispose indicando con gli occhi il tavolo - ma
soprattutto per quello che
stai facendo per mio fratello – Morgana allora
arrossì appena arricciando il
naso in una maniera buffa.
-
Vorrei
aver potuto fare di più. – gli disse lei seria. -
Di una cosa possiamo essere
certi, fino a quando Eragon servirà ai suoi scopi Isobel lo
terrà stretto a sé –
continuò meditabonda. Murtagh si permise di pensare dopo
tanto tempo a Isobel,
non lo aveva fatto da quando si era unito agli elfi oscuri. Il modo in
cui lo
aveva fatto sentire impotente e incapace di reagire o resistere durante
tutto
il periodo in cui era stato al castello bruciava ancora. Ed ora Eragon
era
nelle sue mani.
-
Dobbiamo
preoccuparci quando deciderà che non avrà
più bisogno di lui. – aggiunse alla
fine in tono cupo.
-
Lo porteremo
fuori prima che accada – lo rassicurò Morgana.
Murtagh la guardò pieno di gratitudine.
Aveva rischiato così tanto e meritva la sua fiducia. Concluse.
-
Sono già
stato ad Abàlon. Il castello è una piccola
cittadella fortificata – continuò
Murtagh mettendo Morgana al corrente di quello che anche lui
conosceva riguardo alla cittadella – quando fuggimmo la prima volta avevamo
l’appoggio di Xavier, il
capitano delle guardie reali. Ci ha permesso di passare tra le maglie
della
guardia. Questa volta non possiamo contare su di lui -
-
Prima
ancora è necessario arrivare ad Eragon. Ora che è
il mastro di Rebekha Coleman
la sorveglianza intorno a lui sarà ancora più
stretta –
Murtagh
sospirò.
- È quello che più mi spaventa. –
Continuarono
a parlare così ancora un po', ognuno riportando le proprie
opinioni, poi Morgana
si alzò e si allontanò per sistemare qualcosa con
il locandiere e Murtagh si
trovò ad ascoltare in maniera distratta brandelli di una
conversazione tra due
avventurieri alla sua destra.
-
Si
vocifera che ci sia qualcuno in città che pratica quella
vera. –
-
Ho
sentito. La regina ha sguinzagliato i soldati per arrestarlo.
– Murtagh affino
l’udito. L’uomo si era avvicinato ancora di
più al suo interlocutore nel
continuare a parlare, come a volergli confidare un segreto.
-
Promettono
ricompense per chi fornirà anche solo delle informazioni
– disse sfregando il
pollice e l’indice tra di loro per far intendere la
possibilità di una lauta paga.
Murtagh era sempre più preoccupato che stessero parlando
proprio di Morgana. Ma
le sue parure vennero presto allontanate.
-
quel
ragazzo che sta facendo spettacolo, è alquanto sospetto. Mi
domando da dove
venga. Non mi piace e inoltre sembra un elfo. –
-
Dici
lui? – disse l’altro indicando una parte troppo
affollata perché Murtagh
riuscisse a scorgere di chi stessero parlando. L’altro doveva
avergli detto di
sì perché il suo interlocutore si mise a ridere
-
Quale
elfo! Sono saltimbanchi venuti in
città
quattro giorni fa. Avranno sicuramente orecchie posticce. li ho visti
mentre se
le sfilavano, era sicuramente lui o qualcuno altro dei suoi –
continuò il secondo.
Sentendo che non parlavano di altro Murtagh perse interesse e smise di
ascoltare. Lasciò sul tavolo monete sufficienti per pagare
il servizio prima di
raggiungere Morgana verso l’uscita, fu allora che vide di chi
stavano
discutevano i due uomini. Alcuni clienti della locanda si erano riunita
intorno
a un personaggio vestito con colori sgargianti che stava improvvisando
un
piccolo spettacolo. O così parve a prima vista.
Quando
infatti lo sguardo di Murtagh incrociò
per un attimo quello dell’attore ci fu un momento di
smarrimento da entrambe le
parti.
L’attore
era Par. L’elfo non si scompose ma continuò con il
suo numero
-
Ed
eccolo qui! -
esclamò facendo riapparire
dalla tasca dell’uomo. L'urlo di gioia del bambino si
rivelò contagioso e fece
scappare un sorriso a tutti.
-
Ora devo
andare, ma io e la Compagnia di cui faccio parte, L’Orsa,
siamo diretti ad Abàlon
per la settima di festeggiamenti indetti dalla regina. Chi sta andando
è invitati
al nostro spettacolo! -
Murtagh
scosse la testa incredulo.
–
Sembra
che abbiamo una conoscenza in comune – gli suggerì
sottovoce Morgana. Anche Par
li stava guardando adesso. Con un cenno degli occhi facendo lori segno
di
tacere e seguirlo, poi sgattaiolò verso l’uscita.
Morgana e Murtagh non se lo fecero
ripetere e lo seguirono all’esterno.
-
Per
tutti gli dei che cosa ci fate qui voi due insieme?! –
esclamò con un sorriso
raggiunte una volta trovati all’esterno.
-
Par, queste
sono le due persone di cui ci hai parlato? – intervenne una
ragazza dai capelli
corvino raccolti in una lunga treccia.
-
Se
ricordo bene hai detto che si chiamavano Morgana ed Eragon? –
aggiunse una
seconda voce alle loro spalle. Morgana e Murtagh si voltarono e si
trovarono a
faccia a faccia con una ragazza dai fulgidi capelli ricci.
Par
era
irriconoscibile nelle vesti di saltimbanco. I suoi nuovi compagni di
viaggio avevano
portato un grande carro dai colori accesi fermandolo di fronte alla
locanda.
In
quel momento una pallina rossa rotolò da
sopra il caro andando a sbattendo contro uno stivale di Murtagh che la
raccolse
porgendole gentilmente alla ragazza con la treccia.
-
Sono
amici miei, ma lui non è Eragon. - rispose Par indicando
Murtagh.
-
Se siete amici di Par, allora siete anche
amici nostri. –
La
mente
di Morgana iniziò a vorticare velocemente. - È
vero quello che Par ha detto
alla locanda? Che siete diretti ad Abàlon? –
chiese.
-
Sì. È
questa la nostra meta, ma lo scafo della nave su cui viaggiavamo ha
subito un danno
e siamo stati costretti a fermarci qui – la
informò la ragazza dai capelli
corvino.
-
Anche
voi siete diretti alla capitale, spero – era stato Par a
parlare. La sua era
stata più una constatazione che una domanda ma Murtagh e
Morgana annuirono lo stesso
guardando entrambi verso Par.
-
Se è
cosi perché non vi unite a noi? – propose di
slancio la ragazza con la treccia.
-
Feha non essere invadente. - parlò
ancora una volta l’altra donna.
-
E tu non essere la solita scontrosa Adalia,
non ti si addice. In più con loro due raggiungeremmo il
numero di sette. Il
numero perfetto per chi viaggia. –
-
Secondo
quale credo? –
-
Quello
della numerologia Copta. A proposito il mio nome come avrete capito
è Feha, e
lei è Adalia. – Altri due ragazzi si affacciarono
da sopra il carro con facce
sorridenti
-
E qui
abbiamo i due gemelli Roana e Jael. E l’ultimo ad unirsi al
gruppo è il vostro
amico Par –
-
Verrete
con noi allora? - chiese Par. L’elfo non poteva sperare un
incontro più
fortuito di quello. E quando i due amici dissero di sì Feha
gli scompigliò i capelli
anche lei entusiasta. A quel punto Adalia si mise alla guida del carro
e prendendo
il comando della situazione si rivolse a tutti i presenti
-
Se la fortuna ci assiste a quest’ora il
comandante Briana avrà riparato lo scafo. Allora ascolteremo
volentieri la
vostra storia una volta sistemati in sottocoperta -
disse facendo cenno a tutti di prendere
posto all’interno del carro.
Par
venne
aiutato da Feha a salire sul carro e mantenendo il telo alzato fece
cenno di
salire anche a Murtagh e Morgana.
Chi
sono loro? fece
improvvisamente una voce nella mente dell'elfo.
Par
si girò di scatto verso il fondo del carro
dove Vespriana, ben nascosta aveva fatto capolino con la testolina, in
cerca di
un poco d'aria.
Sono
Morgana, e Murtagh. Morgana ci ha salvati
quando Saphira è stata ferita mortalmente dagli agenti della
regina. Mentre lui
è il fratello di Eragon. Anche lui è un cavaliere
dei draghi. Ma non ho idea
per quale motivo siano qui, insieme, e perché Castigo il suo
drago non sia con
loro. Ho paura che possa significare solo guai.
Dobbiamo
saperlo al più presto! Non abbiamo molto tempo per
trovare Eragon e portarlo a Saphira. Ricordati che più tempo
passa, più sarà
difficile per loro ritornare uniti!
Hai
ragione Vespriana. Cercherò di parlargli stasera
Perché
non ora?
Attirerei
troppo l'attenzione. Stai giù adesso.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Al servizio della corte ***
Seduti
tutti vicini l'uno accanto all’altro, Par non ebbe molte
possibilità di parlare
con Murtagh o Morgana durante il tragitto che li portò al
porto fluviale. Arrivati
al molo vennero subito accolti dal capitano Briana.
Era
un uomo alto e robusto, sulla sessantina, barba e capelli corti neri
appena
sfumati di bianco. Gli venne in contro sul pontile a braccia conserte,
i suoi occhi
si posarono subito su Morgana e Murtagh – Altri due
passeggeri Adalia? Pensavo
che Feha non dicesse sul serio quando affermava che sareste stati sette
prima di
arrivare ad Abàlon – Adalia avanzò
verso l’uomo con un mezzo sorriso che le increspò
gli angoli della bocca – lo sai che quando si tratta di
numeri Feha non sbaglia
mai, ma soprattutto siamo in grado di pagarti. Ecco qquii soldi.
– gli disse
porgendo all’uomo un consistete sacchetto di cuoio.
L'uomo
afferrò
il sacchetto che risuonò tintinnante e con un grugnito fece
loro cenno di
salire. Contrariamente a quello che Murtagh e Morgana avevano
immaginato non si
sarebbero imbarcati per mare, ma avrebbero raggiunto la capitale
risalendo il fiume.
Cinque uomini
che componevano l’equipaggio scesero
dall’imbarcazione e iniziarono le manovre
per caricare il carro sul battello; questo aveva un lungo scafo con la
prua
alzata e due vele alte quanto l’imbarcazione. Mentre i suoi
uomini lavoravano
Briana fece loro cenno di seguirli all’interno. Solo Par si
attardò a guardare
il carro con aria preoccupata. Murtagh si chiese il perché
ma non poté indagare
oltre perché venne sospinto alle sue spalle da Adalia.
Passarono lungo un ampio
corridoio su cui si affacciavano le loro cabine, mentre, dalla parte
opposta, delle
scalette portavano al ponte superiore. Prima di entrare nella sua
camera
Murtagh vide con la coda dell’occhio Briana e Adalia
ritirarsi dentro gli
alloggi del capitano parlando animatamente riguardo al ritardo nella
tabella si
marcia e ai soldi che la compagnia aveva gia anticipato.
-
Non ti devi preoccupare. Fanno sempre così quei due.
Discutono ma alla fine
arrivano sempre a una soluzione – lo raggiunse la voce di
Feha da dietro le
spalle. Murtagh si girò verso di lei e alzò un
sopracciglio. – Da quanto tempo
vi conoscete? –
-
Quei due sono conoscenti di vecchia data - continuò la
ragazza - Io e Adalia
invece ci conosciamo solo da tre anni. Insieme abbiamo fondato la
compagnia
dell’Orsa e da allora viaggiamo per tutto il paese tra fiere
e feste cittadine.
È una bella vita in libertà. – disse
con occhi trasognanti. - Cosa vi tiene
uniti voi tre, invece? – la domanda colse Murtagh di sorpresa
e il cavaliere ci
pensò un attimo prima di rispondere:
-
È soprattutto per via mio fratello Eragon. È per
lui che stiamo viaggiando
verso la capitale. – Feha si fermò a scrutarlo per
un lungo attimo ma non
rispose. Invece, si limitò a sorridergli mesta prima di
salutarlo ed entrare
anche lei nella sua stanza.
Sistemata a
terra l’unica sacca che si era portato con sé,
Murtagh si sdraiò sulla cuccetta:
un materasso di stoffa imbottito sotto una finestrella che si apriva
sopra la
testa, da cui si intravedeva il cielo notturno.
Il materasso
si affossò subito sotto il duo peso e un leggero puzzicchio
si diffuse dalla
spalla destra al resto del corpo. Con
una mezza smorfia di fastidio ricordò in motivo per cui
odiava viaggiare su
qualsiasi tipo di mezzo galleggiante e si chiese quanto tempo ci
avrebbero
impiegato a raggiungere la capitale.
Ora che era
solo si permise per la prima volta di pensare alla situazione.
Da tempo ormai non poteva più
sentire la presenza di Castigo. Si era venuto a creare un piccolo vuoto
nell’angolo
della sua mente in cui era solito trovarlo quando aveva bisogno di lui.
Murtagh
sapeva benissimo che il suo compagno di cuore-e-di-mente stava bene, e
che si
trovava in volo, da qualche parte, con Arya, ma non riuscì
ad evitare lo stesso
di provare una piccola stretta al cuore per non averlo accanto a
sé. Il
pensiero successivo del cavaliere andò al fratello. La
possibilità che Eragon avesse
ceduto ai ricatti di Isobel era più reale che mai nonostante
lo avesse negato con
forza di fronte ad Arya e Morgana. C’era stato un tempo in
cui avrebbe
considerato tutto questo giusto. Sarebbe stata la prova che anche
Eragon, il
figlio e il cavaliere perfetti, poteva commettere errori. Lui stesso
avrebbe
sfruttato la morte di Saphira per avere un vantaggio su di lui. Ma
quello era
il vecchio Murtagh. Ora il solo pensiero che la regina potesse usare un
simile
espediente per ferirlo gli procurava un profondo dolore. Chiuse gli
occhi e una
lacrima scese lungo la sua guancia. Se l’asciugò
in fretta con un gesto di rabbia.
Se solo avesse avuto modo di parlargli, se fosse riuscito a dirgli che
Saphira
era ancora viva e che c’era ancora speranza. Allora tutto
sarebbero tornato al
suo posto. Cullandosi con quel pensiero Murtagh si girò un
paio di volte nella
cuccetta e alla fine riuscì ad addormentarsi.
*
Navigarono tutto
il giorno seguente e per un tratto le grandi vele sospinsero da sole
l’imbarcazione
risalendo coraggiosamente la corrente del fiume. Quando queste non
bastarono
più, delle robuste funi attaccate a dei buoi contribuirono a
farli avanzare per
una buona parte del tragitto.
Arrivata la
notte l’imbarcazione si fermò.
L’equipaggio cucinò per tutti e dopo aver
consumato il pasto sul ponte Roana
e
Jael tirarono fuori degli strumenti musicali e improvvisarono canti e
balli coinvolgendo
tutti con il loro ritmo. Anche Feha e Adalia si unirono a loro e, per
il
divertimento degli uomini di Briana, iniziarono a eseguire parti del
loro
spettacolo chiamando a partecipare anche a Par. Murtagh e Morgana si
erano
seduti volutamente in disparte osservando la scena da lontano sorpresi
delle
doti nascoste dell’elfo.
I loro
sguardi riflettevano la stessa impazienza. Ben presto, però,
la compagnia
coinvolse anche loro e i problemi che li tormentavano vennero per un
po’ messi
da parte. Morgana venne presa per mano da Jael e trascinata nel gruppo
per
ballare. La maga tentò qualche inutile resistenza prima di
trovarsi a muoversi
in mezzo al ponte; anche Murtagh tirato da Feha si trovò nel
cerchio a battere
le mani e a sorridere e cantare un allegro ritornello.
Alla
fine Adalia intonò una melodia lenta che segnò la
fine fella serata. I primi ad
andarsene furono gli uomini dell’equipaggio i quali ripresero
a lavorare sull’imbarcazione,
seguiti a ruota dagli altri della compagnia.
Ancora
inebriato dalla musica Murtagh salutò tutti con un sorriso
beato sulle labbra. Nel
passare davanti alla cabina di Par però si accorse che
l’elfo non era rientrato
con gli altri, ma si era allontanato senza che nessuno lo notasse. Il
cavaliere
si affacciò da Morgana facendole segno di seguirlo.
I
due lo trovarono che si allontanava dall’imbarcazione
guardingo. Murtagh stava
per dirgli qualcosa ma Morgana gli strinse l’avambraccio per
frenarlo.
- Par ti
dobbiamo
parlare – disse Morgana superandolo di un passo.
- Ti
immaginavo ancora nel mezzo delle Terre Selvagge con Saphira.
–
Nel sentire
la voce della maga Par si bloccò sul posto per alcuni
secondi, quindi si voltò
verso di lei con un sospiro.
- Ed così abbiamo fatto. Io e Saphira abbiamo viaggiato per
settimane sorvolando
la Stonewood. Alla fine ce l’abbiamo fatta. Abbiamo superato
i confini di
Zàkhara e ci siamo inoltrato nel cuore delle Terre Selvagge.
-
- Dove si trova Saphira adesso? – lo interruppe bruscamente
Murtagh. Non gli
era mai piaciuto l’elfo e quella situazione stava diventando
sempre più ambigua.
- È stata costretta a rimanere nelle Terre Selvagge -
rispose lui abbassando il
volto. C’era stata una profonda tristezza nella sua voce.
Nonostante la sua
reticenza Murtagh percepì che era sincero. – Chi
la costringe? – incalzò celando
a malapena la sua impazienza.
Par si
girò per
guardarlo alcuni istanti poi si face coraggio – Inoltrandoci
nelle terre
selvagge abbiamo scoperto che ci sono altri suoi simili. Draghi liberi,
senza
legami magici. – disse infine. Quella rivelazione
lasciò Murtagh basito. Il
ragazzo fece involontariamente un passo indietro, corrugò la
fronte e lo guardò.
La sua mente andò alle antiche storie sulla Du
Firn Skulblaka la
sanguinosa guerra tra i draghi e gli elfi che aveva portato quasi
all’estinzione delle due razze. Fu l’amicizia tra
un giovane elfo, il Primo
Eragon e un drago bianco che lui chiamò Bid’Daum a
porre fine alla guerra.
- Sono loro
che la trattengono? - intervenne Morgana. Par serrò le
labbra prima di
rispondere - In un certo senso sì. - Allora Par
raccontò il loro incontro con
Sigmar, il capo di quel branco e come Saphira avesse stretto un patto
con lui per
poter ottenere l'uovo di drago destinato a Eleonor.
– Per
questo
mi sono unito a questi saltimbanchi per raggiungere Eragon e riportarlo
da
Saphira. –
Murtagh
accolse quell’ultima osservazione con un certo scetticismo e
alzò un
sopracciglio rivolto a Par. - Ammettendo che fossi riuscito a raggiunge
Eragon
e a liberarlo. Come pensavi di tornare nelle terre selvagge tutto solo?
-
Par lo
guardò
dritto negli occhi, arrivato a quel punto non poteva più
tenere nascosta la sua
presenza, doveva rivelare l’identità di
Vespriana. – Hai ragione, io non
sono arrivato solo. Nemmeno quelli della compagnia sanno della sua
presenza.
Loro pensano che sia un semplice vagabondo, ma questo non ha importanza
adesso…
– consapevole di non essere ancora compreso Par fece una
breve pausa quindi indicò
un punto di fronte a sé.
- …vi
presento
Vespriana. -
Vieni pure fuori, non ti faranno del male.
Aggiunse mentalmente rivolto verso un interlocutore ancora invisibile.
Improvvisamente
qualcosa si mosse tra le ombre.
Murtagh non
poté
credere ai suoi occhi. Un cucciolo di drago avanzava da dietro dei
cespugli, per
ergersi di fronte a loro in tutta la sua maestosità.
-
Lei è uno dei draghi selvaggi che hai incontrato con
Saphira? – mormorò Morgana.
-
Tu puoi parlare con lei? – chiese invece Murtagh rivolgendosi
direttamente a
Par ma una voce nella sua testa entrò con prontezza. Murtagh
percepì subito una
certa dose di rabbia e sdegno.
Certo che
parlo! Il fatto che non abbia un cavaliere non significa che non ho le
capacità
per farlo.
Perdonami.
Io non immaginavo si
scusò subito Murtagh che si rese conto a sue spese che il
cucciolo di drago
aveva un carattere complesso e già ben formato nonostante le
dimensioni gli suggerissero
che non avesse più di un anno di vita.
Scuse
accettate cavaliere rispose
con voce orgogliosa.
Murtagh si
trovò a sorridere increspando appena un angolo della bocca Chiamami
solo Murtagh.
È un vero onore conoscerti Vespriana.
Il
sentimento è reciproco. Rispose
subito la dragonessa.
Par
la guardò con affetto e le si avvicinò per
accarezzarle le tenere squame sotto
il collo.
-
Sì, lei è uno dei draghi selvatici. E
sì, riesco a parlarle. Le stavo giusto
spiegando che non può nascondersi per sempre nel carro.
–
Dovrai
precederci volando a distanza. Il fiume attraversa un folto bosco dove
potrai cacciare
oltre che trovare riparo. –
Vespriana abbassò la testa strofinando
il muso contro il palmo di Par. Aveva capito perfettamente cosa fare ma
non le
piaceva separarsi dal suo amico. Emise un piccolo ruggito di protesta
poi aprì
le sue ali e si allontanò a bassa quota fino a scomparire
definitivamente dalla
loro vista.
-
Ora sarà meglio ritornare all’imbarcazione
– suggerì Morgana posandogli dolcemente
una mano sulla spalla - altrimenti i nostri compagni di viaggio
inizieranno a
farsi delle domande. –
Par
annuì poi tutti e tre tornarono lunga la strada di ritorno
alla barca.
**
All’alba
il tempo
cambiò in maniera repentina. Per tre giorni consecutivo
piovve senza sosta. Le
acque del fiume si ingrossarono e tutti i membri della compagnia ebbero
poche
possibilità di lasciare la propria cabina.
Solo
all’inizio
del quarto giorno di viaggio il tempo migliorò. Arrivata la
sera gli uomini di
Briana si organizzarono per preparare un campo sulla terra ferma. Tutti
volvano
distendersi con il ritorno del bel tempo e il suono della chitarra di
Jael già aveva
iniziato a suonare facendo vibrare di allegria l’aria.
A
raffreddare l’atmosfera gioiosa fu l’arrivo di una
decina di uomini. Piombarono
all’improvviso nel campo con le armi in mano. Murtagh
notò subito le loro armature
che luccicarono mentre entravano nel cerchio di luce formato dai fuochi
accesi.
– Devo
parlare
con il vostro capitano. Il comandante Briana –
annunciò uno di loro, un uomo
alto dalla corporatura esile ma dall’espressione del volto
fiera. Indossava
un’armatura più leggera rispetto agli altri uomini
e il mantello era di un
colore rosso porpora.
Nel sentire
il suo nome Briana si fece avanti - Chi mi desidera? –
chiese. Gli occhi del
comandate si posarono sulle insegne che portava. Erano soldati della
regina di
stanza a Gratignàc.
- Sono il
generale Phanamash. Al porto di Gratignàc il tuo nome
è famoso Briana. Tutti
affermano che sei un abile trasportatore che non ha mai sgarrato o
fatto un torto
a nessuno. -
- Faccio del
mio meglio, Signore – rispose Briana con un mezzo sorriso.
- Sì,
ne sono
certo. Ma io, personalmente non credo nell’onestà
di voi marinai. – rispose con
un leggero ghigno, guardandolo negli occhi. – Tutti voi,
prima o poi, cadete in
qualche affare losco. È solo questione di tempo. Tu, hai
appena commesso un
grande sbaglio. Ho qui un informatore che afferma che avete preso a
bordo un
elfo. E’ pericoloso ed è accusato di essere una
spia degli elfi oscuri. –
Ad un cenno
di Panamash un uomo dal volto sofferente e spaurito venne spinto in
avanti e
con mano tremante indicò tra tutti Par.
–
È… è lui!
– disse balbettando. Nel guardarlo Murtagh si rese conto che
l’uomo gli era in
qualche maniera familiare. Ci mise un po’ a focalizzare dove
l’avesse già
visto. Poi ricordò. Era stato alla locanda, si trattava
dell’uomo che voleva
riscuotere la taglia promessa per chi avesse fornito informazioni sulla
presenza di maghi in città.
Il capo
strinse la spella del mal capitato tanto forte da farlo gemere.
L’uomo doveva
essere andato a denunciare i saltimbanchi, ma non aveva messo in conto
che lo
avrebbero costretto a seguirli. Disagio e paura erano evidenti sul
volto
stanco, ma Murtagh non provò alcuna compassione per
quell’uomo la cui cupidigia
li aveva messi tutti in pericolo.
- Bene.
Consegnatecelo
e potrete proseguire il vostro viaggio indisturbati. –
minacciò spingendo
l’uomo da una parte e facendo cenno ai suoi uomini di tirare
fuori le armi.
-
Impeditecelo e faremo in modo che il vostro ritorno a
Gratignàc non sia più
così gradito –
Tutti
guadarono verso Briana. Passato la sorpresa iniziale l’uomo
aveva radunato i
suoi uomini massaggiandosi
lentamente il
viso rivolse
all’uomo un sorriso
beffardo.
- Hai detto
di aver fatto ricerche su di me. Allora dovresti sapere che non sono
abituato a
ricevere degli ultimati e non amo che mi siano dati ordini
così stretti – disse
lasciando intendere che non poteva esserci margine di trattativa.
Nel
frattempo Murtagh era riuscito ad avvicinarsi di soppiatto a Morgana.
- Il loro
capitano,
Panamash, è un mago e ha lanciato su ogni soldati un
incantesimo di protezione.
– le disse. Morgana gli rivolse uno sguardo allarmato.
–
Pensi che
sappia anche di noi? -.
– No,
non
credo ma quei soldati ci massacreranno se usiamo adesso la magia
– affermò cupo.
– Che
cosa
hai in mente di fare? Non possiamo lasciare che prendano Par
– Murtagh annuì
grave, nella sua mente si stava delineando un piano
– Sei
in
grado di lanciare anche tu un incantesimo di protezione su tutti noi?
– chiese alla
maga. Morgana lo guardò con finto sdegno – Certo
che lo posso fare. Ma cosa hai
in mente? –
- Fino a quando
crederanno che solo uno di noi è in grado di usare la magia
– disse con una leggera
smorfia. – il mago penserà di averci in pugno.
Dobbiamo indurlo ad abbassare la
sua guardia quel tanto da poterlo sovrastare. – Morgana
sembrò intuire quello
che intendeva fare il cavaliere, e i suoi occhi scintillarono mentre
gli diceva
sì.
Intanto
Briana e il resto dell’equipaggio avevano estratto le proprie
armi. Lo sguardo
beffardo di Briana non era sparito e continuava a sfidare il mago - Le
aggressioni lungo queste tratte sono all’ordine del giorno.
Non saremo soldati
ma sappiamo difenderci all'occorrenza – disse con orgoglio.
-
Sciocco! Se questa è la tua risposta non mi lasci altro da
fare che
distruggervi –
A
un cenno del mago i soldati iniziarono ad attaccare. Tutto avvenne con
estrema
rapidità e ferocia. Nonostante il loro coraggio gli uomini
dell’equipaggio si
trovarono presto in svantaggio.
Solo Murtagh
era in gradi di fronteggiare i loro colpi e presto venne circondato da
quattro
soldati insieme. L’attaccarono contemporaneamente e
Za’roc roteò sopra la sua
testa più volte per andare a parare i colpi che venivano da
tutti i lati.
Con la coda
dell’occhio Murtagh vide la situazione intorno a lui stava
precipitando
rapidamente. Par, stretto da due soldati, era stato disarmato mentre
due colpi
alla nuca lo fecero accasciare a terra; anche il resto
dell’equipaggio stava
per essere neutralizzato. Protetti da Morgana gli uomini non potevano
essere
feriti mortalmente ma vennero sistematicamente immobilizzato o
tramortito
riportando diverse ferite. Morgana, anche lei attaccata da
più lati, dovette
arrendersi poco dopo, prosciugata oltremodo delle sue energie dagli
incantesimi
di protezione. Il mago, accorgendosi che era stata lei
l’artefice di tutto
quello, alzò una mano per fermare i suoi uomini e
avanzò lentamente verso di
lei. Due soldati dietro di lui trascinarono il corpo di Par per le
braccia
facendolo cadere rovinosamente a terra. Aveva il volto rigato dal
sangue che
gli colava da una ferita sulla fronte. La giovane maga
sussultò di rabbia.
- Ti devo
chiedere scusa. Il nostro uomo ci aveva assicurato che il mago fosse
questo
elfo, ma da quello che percepisco sei tu a possedere il dono. Vero?
– chiese passandole
il dorso della mano lungo una guancia con fare mellifluo. Morgana si
ritrasse e
trattenne il fiato. – E questo guerriero dalla spada rossa
è il tuo protettore?
– chiese il mago lanciando a Murtagh un breve sguardo.
L’uomo non aveva riconosciuto
la spada ne il marchio sul suo palmo e aveva stupidamente ignorato i
suoi poteri
certo di avere la vittoria in pugno.
Nello stesso
momento delle urla e il suono di spade provenne
dall’imbarcazione dove i membri
della compagnia si erano rifugiati. Dopo un po’ anche loro
vennero trascinati di
fronte a Panamash con le mani legate dietro la schiena.
-
Quando non saranno più protetti dalla tua magia verranno
giustiziati, quindi ti
porterò dalla nostra regina. -
Per Murtagh
non c’era bisogno di aggiungere altro. A un cenno della testa
Morgana fece
finta di cadere nella provocazione e si mosse lanciando un maglio
magico con le
ultime forze che le rimanevano. Il mago sorrise soddisfatto mentre la
respingeva
con facilità. Non aveva idea che così facendo
aveva dato a Murtagh la
possibilità di agire. La magia seguiva delle regole ben
precise. Panamash aveva
abbassato le sue difese e il cavaliere ne approfittò per
radunare a sé
l’energia immagazzinata nel rubino della spada e attaccarlo.
Dal suo palmo
eruppe una luce rossa che si trasformò in tante saette che
colpirono al petto, prima
il mago, poi uno ad uno il resto dei soldati. L’attacco fu
rapidissimo e il
mago ebbe solo il tempo di accorgersi del suo errore prima di
accasciarsi al suolo.
Il volto di Murtagh venne attraversato da una leggera smorfia di dolore
quando
di rese conto che era tutto finito.
Appena
cosciente di quello che era accaduto Feha cadde in avanti sulle
ginocchia, i
polsi erano ancora legate dietro la schiena. –
co…come hai fatto? – chiese
incredula guardando Murtagh come se lo vedesse per la prima volta.
–
Tu stai bene? – chiese il cavaliere piegandosi sulle
ginocchia per liberarla
dalle corde.
–
State tutti bene? – chiese rivolgendosi a coloro che ancora
erano coscienti.
Non erano molti ma abbastanza da ritenere che il loro segreto fosse
ormai
scoperto.
-
Voi tre siete in combutta con i cavalieri di cui tutti parlano.
– disse Feha massaggiandosi
lentamente i polsi. Morgana che stava liberando gli altri membri della
compagnia si fermò e si girò a guardare Murtagh
– Può darsi. Avete intenzione
di denunciarci una volta arrivati ad Abàlon? –
Chiese con voce roca.
Tutti
si guardarono negli occhi. Fu Briana a parlare. L’uomo con
una vistosa ferita
al braccio si era messo faticosamente in piedi e avanzò
verso il cavaliere con
una mano penzolante - Dopo quello che abbiamo visto sarebbe sciocco
dire di sì.
Ma credo di parlare per tutti se dico che non lo avremmo fatto
comunque.
Nessuno di noi, come hai visto, ha molte simpatie per il regno di
Isobel. –
-
Grazie. Ed ora chiunque è in grado di muoversi, aiutateci
raduni i feriti. Dobbiamo
lasciare il campo il più in fretta possibile. – disse loro Murtagh cercando
di mantenere un
certo distacco.
–
Lo faremo ma prima dobbiamo risolvere un ultimo problema. Che cosa
intendi fare
con lui? – chiese Briana facendo cenno verso l’uomo
della taverna che due
uomini dell’equipaggio stavano tenendo per la calotta.
-
Lasciatemi andare! Vi prego, non parlerò!
- stava supplicando in ginocchio
con le mani giunte davanti alla testa. Il cavaliere si
avvicinò all’uomo e ci
pensò un attimo. Lo avrebbe costretto a mantenere il segreto
legandolo a un
giuramento in antica lingua.
–
Non lo farai. Le parole che sto per farti dire ti vincoleranno a
mantenere ciò
che hai promesso. - così dicendo formulò
mentalmente il giuramento quindi gli
chiese di pronunciarlo ad alta voce. Nessuno tranne Morgana e Par
compresero a
pieno quello che aveva fatto.
-
Ora potete lasciarlo andare. – disse ma Briana lo trattenne
per un braccio. –
Sei cero che basti? – chiese per nulla convito di
ciò che aveva visto e sentito.
Murtagh gli strinse la mano e con un sorriso stanco rispose –
Più che sicuro,
ha giurato nell’antica lingua. -
**
Dopo due
settimane di viaggio la compagnia era finalmente giunta alle porte di
Abàlon. Lasciata
alle spalle l’aggressione subita Murtagh si sentì
sollevato nell’intravedere in
lontananza le mura della capitale.
Vespriana, che dal giorno dell’aggressione aveva continuato a
protestare alle
richieste di Par di tenersi nascosta, arrivata nelle vicinanze della
citta
turrita sentì che qualcosa era cambiato nell’aria.
La natura e gli esseri
viventi che vi abitavano avevano una loro voce e le sussurrarono che
doveva
stare più accorta eseguì docile Par quando le
trovò una radura, nascosta da un
boschetto, abbastanza distanti dalle mura della città. La
piccola dragonessa
era cresciuta il doppio della sua taglia durante le due settimane di
viaggio. E
ora solo con il corpo, superava di tre spanne l’altezza di
Par.
**
Quella
sera si trovarono per l’ultima volta tutti insieme prima che
le loro strade di
dividessero. Il porto aveva dato vita a un piccolo avamposto da cui
partiva una
strada che attraversava le campagne agricole e arrivava fino alle mura
della
città. Il cavaliere era tranquillamente seduto in coperta
lucidando con cura
Za’roc quando Feha gli si sedette accanto ammirando per un
attimo i riflessi
rubino della lama.
–
Avete per caso idea di dove alloggerete una volta entrati in
città? – chiese in
maniera distratta. Murtagh alzò gli occhi dalla spada e
scosse la testa – No,
non abbiamo nessun posto – le rispose. Alle sue parole il
volto di Feha si
illuminò tutto.
-
Io ho uno zio in città. Si chiama Trevor e possiede una
taverna con delle
camere. Voi ci avete salvato la vita, il minimo che posso fare
è ricambiare il
favore ospitandovi da lui. Cosa ne pensi? – Murtagh
scansò la spada da un lato
per guardare Feha negli occhi.
-
Non credo sia una buona idea coinvolgervi ancora. Noi
dobbiamo… –
-
…entrare nella cittadella – disse Feha,
concludendo per lui la frase. Murtagh
la guardò stupito. Feha sostenne il suo sguardo con
determinazione.
-
Non sono mica nati ieri! Ho pensato a lungo quello che mi hai detto il
primo
giorno, riguardo al motivo che vi teneva uniti. Hai risposto che
viaggiavate
insieme per trovare tuo fratello Eragon. Se è per lui che
stai rischiando tutto
questo, allora vogliamo aiutarvi - a quelle parole Murtagh la
guardò per alcuni
istanti, valutando la sua determinazione –
D’accordo, se volessi entrare
nella cittadella e sottolineo se – ammise
in via ipotetica – Conosci un
modo per farlo senza farci notare? -
-
Non aspettavo mi chiedessi altro! -
**
Dopo
aver esposto anche a Morgana il suo piano Feha li precedette alla
locanda dove vennero
accolti dallo zio Trevor. L’uomo non mostrò molto
entusiasmo quando la nipote
si presentò alla porta con due ospiti. Al contrario, la
moglie, Grace, una signora
dalla corporatura fragile e dai modi gentile, li invitò con
un sorriso sincero a
occupare una delle quattro stanze di cui disponevano alla locanda.
Murtagh
osservò l’andamento claudicante della donna che
zoppicava vistosamente da una
gamba. Il suo volto, deturpato da una lunga cicatrice violacea che le
attraversava
la metà destra del viso, dal sopracciglio fino al mento,
doveva essere stato
molto bello un tempo, ma ora era appesantito dagli anni e dalle
preoccupazioni.
Li guardò per un attimo e dopo che si fu assicurata che il
marito non fosse
nelle vicinanze lanciò loro uno sguardo pieno di
accondiscendenza.
-
Feha mi ha detto che state cercando qualcuno tenuto a palazzo.
– Murtagh si
fece avanti e annuì.
-
Sì, mio fratello si trova al suo interno, ma non per sua
volontà -–
-
Ed è per questo che tu, mia cara, stai cercando un posto
come cameriera a
palazzo. – disse la donna prendendo per mano Morgana e
invitandola a girare su se
stessa per permetterle di osservare il profilo. Morgana
guardò Grace.
–
Sì è così. – rispose alla
donna allora intervenne Feha. - Zia Grace, ho
raccontato ai mei amici che quando eri a servizio a corte sapevi
più
indiscrezioni di palazzo di qualsiasi altro abitante della cittadella.
–
-
Quello che gli hai detto è vero, ma devono sapere che
è anche un mondo pieno di
invidie e meschinità – dise guardando la nipote
negli occhi come se
improvvisamente ci fine solo lei nella stanza.
-
So come farmi rispettare, Signora – intervenne Morgana. Come
risvegliata dalla
sua vocde Grace le sorrise – Lo vedo nei tuoi occhi, cara. - aggiunse facendo
l’occhiolino a Morgana. – Se
seguirai le mei indicazione in poco tempo troverai chiunque tu stia
cercando. –
Murtagh
che era stato in silenzio guardò Morgana in attesa. Quello
di Feha era il
miglior piano che avessero mai potuto ideare ma era lei che avrebbe
rischiato
di più. A lei andava l’ultima parola.
–
Va bene – disse la maga con sguardo determinato - che cosa
devo fare? –
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Un bacio ***
Il
giorno seguente Morgana si recò alle porte della cittadella;
picchiettando
impaziente il tacco degli stivali sul terreno aspettò che
qualcuno la ricevesse,
le vie ufficiali, pensò con sufficienza, erano
più lunghe e farraginose
rispetto ai risultati immediati che avrebbe ottenuto introducendosi con
la
magia. Alla fine, qualcuno venne ad ascoltarla, di fronte a lei si
presentò un
uomo alto in uniforme scura, che la portò dentro un ufficio.
Morgana decise
allora di fare il nome di Liliana Solimar.
–
Chi è che mi cerca? – chiese una donna ben
vestita e dallo sguardo arcigno che si era fatta avanti da dietro una
scrivania.
– Sono Morgana, Signora Solimar. Grace mi ha personalmente
detto di riferirle che
ancora tiene da parte quella tazza sbeccata. – a quelle
parole l’espressione
della donna mutò e sul suo volto comparve una mezza smorfia
– Nessuno, a parte
Grace, sa di quella tazza - sussurrò guardando Morgana per
alcuni secondi, poi
il suo volto tornò severo e ad un cenno della donna
l’addetto al personale si fece
da parte e le seguì a un passo di distanza da loro.
–
Dato che è Grace a mandarti, seguirò
personalmente il tuo inserimento. Sarai
assegnata al mio settore. – Liliana proseguì con
una serie di spiegazioni
mentre camminava - Devi sapere che Grace è stata una
preziosa risorsa fino a
quando quell’incidente nelle cucine non l’ha quasi
uccisa - commentò con una
nota di sincero dolore per ciò che era accaduto
all’amica. - Anche tu come lei sei
di aspetto grazioso. La regina desidera solo il meglio per
sé e per coloro che
la circondano. – dopo ulteriori precisazioni
sull’importanza di essere sempre
pronte e impeccabili, la donna diede a Morgana la sua uniforme quindi
le mostrò
le stanze di cui si sarebbe occupata e iniziò spiegarle
quello che avrebbe
dovuto fare ed eseguì le mansioni per lei passo per passo.
Liliana era stata
molto puntigliosa nelle dimostrazioni su come doveva muoversi per
sistemare e
pulire le stanze, ma quando Morgana provò a interromperla
per chiederle di
ripetere un particolare passaggio Liliana scuoteva una mano e con non
curanza
andava oltre – Imparerai i dettagli con calma, ora seguimi
– le diceva passandole
accanto. Alla fine della giornata la testa di Morgana era
così piena di
informazioni che quasi le scoppiava.
La
prima settimana di lavoro non fu diversa da quella primo giorno, ma i
sacrifici
di Morgana vennero presto ricompensati. Come gli aveva annunciato
Grace, dalla
sua nuova posizione fu presto in grado di seguire anche gli altri
dipartimenti
della servitù. Dopo qualche giorno, venne a sapere che ne
esisteva uno assegnato
alla sezione della caserma. Tra loro una signora di nome Polonia, era
l’unica addetta
a riordinare la stanza di colui che chiamavano “il
maestro”.
Con
discrezione, una sera,
Morgana si avvicinò alla donna. Aveva preparato una pozione
di erbe che
casualmente fece scivolare dentro la sua tisana della sera.
Quell’erba, se
ingerita in quantità moderate, le avrebbe causato un leggera
intossicazione che
sarebbe durato dalle due alle tre settimane.
Impossibilitata
a lavorare, qualcuno
sarebbe stata chiamata a sostituirla. Morgana aveva fatto in modo farsi
conoscere
tra le altre donne che lavoravano con Polonia iniziando a fornire loro
pozioni
d’amore e piccoli oggetti porta fortuna. Rimedi banali alle
afflizioni della
vita che non avrebbero attirato l’attenzione de maghi ma
abbastanza appetibile a
persone semplici. In cambio Morgana aveva chiesto loro solo di essere
proposta
come loro sostituta. Nessuno le aveva avanzato dimostranze o aveva
sospettato della
sua onestà, Morgana era stata molto brava nel premere i
tasti giusti sfruttando
a suo piacimento le loro debolezze e i loro piccoli vizi. Alla fine,
tutte erano
state ben liete di accettare la sua richiesta pur di ottenere i suoi
rimedi
miracolosi.
Il
giorno seguente Morgana
venne chiamata d’urgenza dal comandante della caserma del
palazzo.
- Una
della servitù assegnata alla
caserma, si è improvvisamente ammalate e tutte hanno fatto
il tuo nome. Non è
mia abitudine prendere persone che non conosco, ma date le tue ottime
referenze,
farò un’eccezione.
Dovrai
prestare servizio da subito.
– Morgana annuì poi il comandante si
alzò con sguardo serio. – Dovrai seguire due
regole fondamentarli. Prima regola: non possono essere introdotti
né fatti
uscire oggetti di nessun genere. A tale scopo verrai perquisita quando
entri e
quado esci da uno dei nostri soldati. Seconda regola: è
molto importante la discrezione.
L’ospite che stai servendo è molto riservato e non
gli piace che gli si rivolga
la parola. -
- Non si
preoccupi Signore.
Parlerò solo se necessario. -
- Lo
spero bene. Anche una sola
infrazione sarà severamente punita. E non ti
basterà l’appoggio della padrona
Liliana. – l’ammonì alla fine
l’uomo.
Morgana
sapeva di doversi mostrare
remissiva di fronte all’uomo e chino la testa come richiesto.
- Certo, Signore -
**
Era
pomeriggio inoltrato quando Eragon
rientrò nelle sue stanze con un senso di inquietudine
addosso. Aveva terminato
da poco un intenso duello con Romualdo, una recluta con cui si era
trovato
spesso a incrociare le spade, ma non era stato il duello a agitare il
suo animo;
per tutto il giorno il ragazzo non aveva fatto altro che parlare della
grande
cerimonia che si sarebbe tenuta tra breve a palazzo.
Isobel
stava per radunare nella capitale tutti
gli alleati contro gli Elfi Oscuri. Era la prima volta che avveniva un
evento
di tale portata. Per l’occasione ogni soldato, dalla giovane
recluta al
veterano, era stato chiamato a partecipare alla sicurezza del palazzo e
dei
suoi ospiti. Ognuno farà la sua parte. Gli
aveva detto Romualdo con orgoglio,
fiero di fare parte della grande macchina da guerra organizzata da
Isobel.
Eragon
non poteva certo biasimare la passione
e l’entusiasmo del giovane, ai suoi occhi anche lui doveva
apparirgli come
parte integrante di quella macchina.
Spogliandosi
della tunica umida e sporca di
sudore e polvere Eragon passò di fronte a un lungo specchio
soffermandosi ad osservarne
l’immagine riflessa. Quello che poteva vedere era un fedele
alleato della
regina che, in cambio dei suoi servigi, usufruiva di una delle sontuose
stanze
del palazzo. Nessun abitante di Zàkhara poteva sospettare
che quell’immagine non
lo rappresentava affatto.
Non
c’era specchio, infatti, che potesse
mostrare l’inferno che viveva ogni giorno. Con le mani
raggiunse il sottile collare
che gli cingeva il collo e con le dita ne percorse lentamente il
profilo. Se
solo avesse trovato un’incrinatura in quella sua superficie
liscia e perfetta,
avrebbe potuto forzarla e liberarsi, ma nel momento in cui lo
pensò un doloroso
sfrigolio lo costrinse a lasciare la presa.
Eragon
lasciò cadere pesantemente le braccia
lungo i fianchi e si fissò ancora una volta allo specchio.
Doveva smetterla di illudersi,
si disse prima di dare le spalle alla sua immagine e dirigersi nella
stanza del
bagno. Cercando di scrollarsi di dosso i cattivi pensieri
riempì il catino con
acqua calda e iniziò con gesti lenti a lavare via dalla
pelle sudore e
sporcizia. L’acqua colò giù dal collo e
andò a bagnate le spalle come argento
vivo, rinvigorendo i suoi muscoli indolenziti.
Mentre
l’acqua scorreva lenta l’umore del
giovane cavaliere non migliorò. La sua mente non riusciva a
liberarsi da
pensieri negativi. Se Isobel stava mobilitando i suoi alleati la guerra
era più
vicina di quanto immaginasse. Quante altre cose stavano accadendo in
quel
momento fuori dalla sua prigione dorata. Di quante cose non era a
conoscenza? Eragon
si permise allora di pensare a coloro che si era lasciato alle spalle.
Che
cosa penserebbero di lui Arya e Murtagh se
lo vedessero ora. Cosa direbbero delle sue scelte?
Chiudendo
gli occhi Eragon vide il volto
preoccupato di Murtagh mentre gli chiedeva di non partire. Negli ultimi
tempi
si era ritrovato spesso a pensare a cosa sarebbe successo se avesse
dato retta
ai consigli del fratello.
Saphira
sarebbe ancora viva. Pensò con una
fitta al cuore. Di certo al suo posto Murtagh non si sarebbe lasciato
travolgere così dagli eventi e avrebbe dominato la
situazione.
Ripercorrendo
a ritroso le tappe si quella
missione disastrosa, Eragon si rese conte di aver intrapreso una strada
di cui
non conosceva né lo scopo né la fine
La
sola cosa che sapeva era gli mancava
terribilmente Saphira. La sua morte aveva segnato la sua vita per
sempre. Solo
ora poteva comprendere a pieno il dolore di Brom, gli sguardi furtivi
che il
suo vecchio mentore lanciava spesso alla sua Saphira, gli stessi
sguardi che
ora lui si trovava a dare a Kima.
Tornò
nella sua stanza da letto e si diresse
verso l’armadio per indossare una camicia. Mentre
finì di infilare l’ultimo
bottone nell’asola si rese conto di non essere più
solo.
-
Stasera sono molto stanco Oliviana, vorrei
riposare – disse rivolgendosi alla donna poggiata allo
stipite della porta; Oliviana
indossava la sua divisa ufficiale segno evidente che si trovava li per
compiere
un incarico in nome della regina.
Con
un movimento fluido Oliviana si raddrizzò
e gli venne in contro fermandosi al bordo del letto. Eragon ebbe la
sensazione
che stesse girando come una falena intorno alla luce di una torcia, con
la
paura costante di bruciarsi.
-
Non ci vorrà molto. La regina vuole semplicemente
che tu partecipi alla cerimonia con tutti gli alleati. –
La
risposta del sicario lasciò Eragon confuso
ed Oliviana sorrise - Non avrai mica pensato che la
loquacità di Romualdo sia
stata casuale? – gli chiese – Era un preciso volere
di Isobel che tu venissi a
conoscenza della sua prossima mossa. Ormai sei qui da diverso tempo e
stanno
iniziando a girare troppe voci intorno al tuo ruolo. Voci non
ufficiali, nella
maggior parte dei casi. –
-
E la regina vuole mostrare a tutti che non
hanno nulla temere dalla mia presenza – concluse Eragon con
voce il più
possibile calma e controllata.
-
Hai afferrato il concetto – gli rispose
Oliviana. Eragon sentì lo sguardo della donna indugiare su
di lui.
-
Che cosa dovrei fare esattamente? –
Oliviana
sorrise ancora. - Tu non dovrai fare
nulla. Una sarta verrà da te domani per prendere le tue
misure e cucire su misura
il modello che la regina ha scelto appositamente per te. –
Eragon distolse lo
sguardo e serrò la mascella. - Immagino non mi possa
rifiutare. -
-
Ti risulta così terribile? – gli chiese Oliviana
quasi in un sussurro. La sua postura rigida si sciolse improvvisamente
e con
pochi passi superò il letto per avvicinarsi sempre di
più ad Eragon. - Credevo
saresti stato contento. Avrai la possibilità di uscire fuori
da queste quattro
mura e incontrare altre persone –
Eragon
la fermò con lo sguardo - Non sono uno
dei tanti cortigiani della regina. Non ho ancora dimenticato chi sono e
da dove
vengo. Come non ho dimenticato il motivo per cui sono trattenuto qui.
–
-
Sai io non la vedrai sotto questo aspetto.
Potresti diventare un pezzo importante della corte di Isobel se solo lo
volessi. - gli disse Oliviana guardandolo dritto negli occhi.
La
risposta fredda di Eragon non tardò ad
arrivare. - Avete fatto uccide la mia dragonessa e mi tenete
prigioniero
privandomi della magia. Credimi mi riesce difficile vederla in un altro
modo! –
-
Le alleanze, a volte, si possono raggiungere attraverso
strade inaspettate Eragon. - lo invitò a ragionare Oliviana.
– Dovresti
iniziare a guardarti intorno e cogliere al volo quello che di bello e
piacevole
ti viene offerto –
Senza
esitazioni
Oliviana fece la sua mossa. Superando la distanza che la separava da
lui
avvicinò le sue labbra a quelle su Eragon toccandogli il
viso con le mani.
Eragon, dopo
la sorpresa iniziale serrò le labbra e prendendole le mani
dai i polsi la scansò
da un lato. –
Oliviana, no! - Ma la
donna non si arrese e ruotando gli avanbracci trascinò
entrambi sul il letto.
Rotolarono sulla coperta un paio di volte ognuno di loro lottando per
avere il
sopravvento sull’altro; i cuscini che erano sul letto caddero
a terra e la
coperta si stropicciò sotto di loro, arricciandosi in tante
pieghe.
Fu allora
che Oliviana usò la magia, inviando un sottile maglio che
penetrò nella mente
di Eragon per avvolgerlo con una insolita delicatezza. Eragon si
fermò cadendo
con la schiena sul materasso. Oliviana gli stava semplicemente
mostrando i suoi
veri sentimenti per lui. Eragon chiuse gli occhi con forza sopraffatto
dalla
loro intensità.
A quel punto
Oliviana avrebbe potuto rubargli quel bacio tanto agognato, ma sul
punto di
farlo si fermò ritirandosi subito dopo, come scottata.
La donna
era stata punta sul
vivo dalla gelosia.
- Stai
ancora pensando a lei,
vero? – sibilò tra i denti stretti.
Eragon
aprì
gli occhi, la mente di novo libera. Si mise in piedi e voltò
le spalle a
Oliviana per ristabilire una certa distanza –
Perciò le tue erano tutte menzogne
– continuò lei. A quell’ultima domanda
Eragon si rigirò verso la donna. - Di quali
menzogne stai parlando? –
Oliviana lo
guardò negli occhi e parlò lentamente.
- Che tu fossi
l’unico a capirmi – rispose - Ti dirò io
adesso una grande verità. Non c'è modo
che tu possa rivederla. Anche lei alla fine soccomberà, come
tutti i tuoi
amici. – aggiunse, la sua voce era carica di una rabbia che
non le apparteneva.
Oliviana tornò a invadergli la mente. Questa volta, ci mise
più forza, violando
la sue difese. Gli mostrò una sequenza di immagini di un
possibile futuro in
cui Isobel vinceva uccidendo Arya e Murtagh di fronte ai suoi occhi.
- Basta!
–
sibilò Eragon mentre il cuore gli batteva forte nel petto.
Una volta certa di
aver raggiunto il suo scopo Oliviana ritirò le immagini e il
suo volto si fece
improvvisamente triste:
- I miei sentimenti per te sono sinceri, so che lo hai visto - la mano
di
Oliviana si posò titubante sulla sua spalla.
- Non capisci. Io sono qui. Ora. Mentre lei è
chissà dove… - Olivina si bloccò
di colpo, sentendo Eragon flettere le spalle.
- Oliviana, così stai ingannando solo te stessa -
Eragon si era voltato di nuovo verso di lei adesso. – Ero
sincero quando ti ho
detto che comprendevo il tuo dolore. Ma questo non ha nulla a che
vedere con
l’amore. Il mio cuore appartiene e apparterrà
sempre ad Arya. E per quanti
scenari disastrosi mi mostrerai nulla di questo potrà
cambiare. -
Arya! Gli occhi della
donna erano colmi
d'odio ora. A quel netto rifiuto, Oliviana sentì il suo
cuore spezzarsi, e un
leggero dolore prese a diffondersi dal petto in tutto il suo corpo.
Ti ha
ferito. Ci ha ferito. Deve pagare per questo. Delle voci
iniziarono a gridare
dentro la sua testa, ed Eragon poté vederla improvvisamente
afferrarsi la sua
testa tra le mani e stringerla forte.
Oliviana
respirò lentamente,
aveva riconosciuto in quelle voci. Erano gli stessi spiriti che aveva
spesso
richiamato a sé per eseguire i suoi incantesimi. Erano
entrati con prepotenza
dentro di lei, si erano fusi con lei, diventando parte della sua anima.
Olivina
non conosceva bene le loro intenzioni, ma sentiva chiaramente il loro
odio
verso Eragon. Lottò per cacciarli via, ma ogni suo sforzo
sembrò rivelarsi
vano.
Nel
momento in cui si era
sentita rifiutata, qualcosa dentro di lei si era irrimediabilmente
spezzato, lo
sentiva, e non era più in grado di mantenere il controllo
dei suoi sentimenti.
Gli
spiriti approfittarono di
questa sua debolezza e attaccarono un'altra volta, e con un grido
Oliviana fu
costretta a soccombere.
- Questo
è quello che tu credi
- sussurrò improvvisamente tra i denti.
A
rispondere non era stata più
Olivina. Il sicario si rivolse nuovamente ad Eragon, ma il volto non
aveva più
nulla di umano in quel momento, i suoi occhi era diventati di un rosso
fuoco, e
la sua voce aveva assunto un deciso timbro metallico.
Poi
Eragon sentì una forza stringersi
intorno al suo collo, che iniziò lentamente a soffocarlo.
Strinse
sempre di più, ed
Eragon lanciò un grido strizzato cadendo sulle ginocchia.
Oliviana o chi la
controllava ripeté quella tortura più e
più volte asciando la presa per poi
riafferrarlo con sempre più cattiveria.
-
Ti...ti... pre… go
sme....smettila ...- la supplicò Eragon ormai allo stremo
delle forze.
Eragon
tese la sua mano verso
di lei e fu allora che Oliviana riuscì a riemergere.
Realizzando cosa stava
accadendo, con un gesto estremo richiamò gli spiriti a
sé, allentando la sua
presa su Eragon.
Il
cavaliere giacque a terra boccheggiante,
e con gli occhi serrati, nel tentativo di riprendere il controllo sul
proprio
respiro sotto sguardo sconvolto di Oliviana
- Che
cosa mi succede. io devo
andarmene - aveva gli occhi pieni di lacrime.
- O...
Olivina no aspetta! -
Eragon fece un debole gesto per fermarla, stava ancora cercando di
riprendere
il controllo sui propri polmoni e non avrebbe potuto fare un passo in
più. Di
una cosa era certo: per tutto il tempo i cui lo aveva torturato
Oliviana era
stata sotto il controllo di alcuni spiriti maligni, e solo un sottile
linea di
confine l'aveva separata dal diventare uno spettro. Eragon temeva che
questo
sarebbe successo molto presto se no si agiva subito.
- Non
andartene Oliviana. Hai
bisogno di aiuto - tentò ancora con un ultimo appello.
Oliviana
si fermò a metà
strada, come in attesa che Eragon continuasse, o almeno così
il cavaliere aveva
sperato.
- No
Eragon, non dire altro. Ti
prego. Ti devo stare lontano. – poi la donna uscì
definitivamente dalla sua
stanza.
Non
passò
molto tempo che Eragon sentì i passi di qualcuno che entrava
nei suoi
appartamenti. Dolorante, si trascinò sul letto, sperando
fosse Oliviana. Rimase
deluso nel vedere che era solo una giovane serva, una ragazza sui
venticinque
anni, venuta per riassettare le camere.
Morgana entrò titubante, non sapendo cosa aspettarsi.
- Permesso,
Signore? – Mormorò fermandosi su Eragon per alcuni
istanti prima di abbassare
lo sguardo. Si trattava dello stesso ragazzo che aveva visto nella
foresta
della Stonewood, o il traditore di cui parlavano le voci di palazzo?
- Non sei
Polonia - constatò Eragon con voce rauca e dolorante.
- Polonia ha
avuto un leggero malore ed hanno incaricato me di sostituire
– rispose la
ragazza con prontezza
- Spero niente di grave. –
- No. Solo una leggera intossicazione. Se la caverà nel giro
di poche
settimane. - Le rispose Morgana con un enigmatico sorriso. Una persona
che si
preoccupa per la salute di una semplice serva non poteva essere cattiva
pensò
Morgana cercando di capire chi avesse davanti.
- Come ti chiami? - chiese allora Eragon. Doveva occupare la sua mente
con
qualcosa che non fosse Oliviana, e quella donna lo incuriosiva.
- Io Signore? Ma certo, chi altri è nella stanza –
si corresse fingendosi
ingenua. - Morgana, Signore. Il mio nome è Morgana -
- Per favore chiamami solo Eragon. – le rispose lui con un
sorriso stanco.
-
D’accordo.
Eragon. Ora mi metto subito a lavorare – disse e
iniziò a guardarsi intorno
rendendosi conto solo ora delle condizioni in cui verteva la stanza. I
rumori e
le grida che aveva sentito poco fa prendevano una forma.
– Mi
spiace
per il disordine – si affrettò a giustificarsi
Eragon accorgendosi del suo
sguardo. Poi il cavaliere si chinò per raccogliendo un
cuscino da terra
- Fermati, ti prego. Mi vuoi forse rubare il lavoro? - gli fece Morgana
prendendogli il cuscino dalle mani. Eragon non rispose ma quando fece
per
alzarsi, un improvviso giramento di testa lo fece sbarellare. Morgana
lo
raggiunse in tempo per sorreggerlo.
- Siediti qui, ora ti porto un bicchiere d'acqua. -
- Sto bene - gli disse Eragon sulle difensive, accorgendosi con
orgoglio di
essersi appoggiato con tutto il peso sulla donna.
- No, non lo
sei. Si vede – lo rimproverò con
severità la donna. Eragon arrossì, rivelarsi
così fragile davanti a qualcuno lo metteva a disagio. Dalla
morte di Saphira si
era sentito ogni giorno sempre più fragile sia
psicologicamente che
fisicamente. E non potendo attingere alla sua magia, il giovane si
accorse di
essere privo di qualsiasi difesa.
Si
distese a letto con un
profondo respiro, aspettò l'arrivo di Morgana con il
bicchiere d'acqua,
provando la sensazione di potersi fidare di quella persona, nonostante
la
conoscesse appena. Quando Morgana tornò Eragon
sorseggiò il liquido che aveva
uno strano retrogusto amaro e, prima di accorgersene, si era
addormentano già.
Morgana si
trovò allora a fissare i lineamenti delicati del suo giovane
viso ancora
contratti da un leggero dolore. Morgana non
poté fare a meno di notare
come apparisse più come un elfo che umano, nonostante
mantenesse quel tocco di virilità
proprio della loro razza. Morgana non avrebbe mai detto che i due
cavalieri
erano fratelli, se non avesse avuto da Murtagh la conferma della loro
parentela.
I suoi
pensieri però vennero
interrotti da un movimento del giovane, che scosso da un brivido, si
era ora
girato da un lato.
Morgana
lo coprì con una
coperta, e nel farlo, notò per la prima volta la sottile e
fascia di metallo
intorno al collo. Murtagh gliene aveva parlato, non assomigliava a
nessun tipo
di metallo conosciuto, ma rifletteva la luce attraverso strani bagliori
cangianti. Con un sospiro inizio a riassettare la stanza. Era sera
quando uscì dalle
stanze dopo essere stata perquisita dalle guardie. Morgana doveva
parlare con
Murtagh.
Più
tardi,
sulla strada della locanda, Morgana non riuscì a non pensare
ancora al suo
viso, così bello e così triste. Avrebbe voluto
potergli dire tutto su Saphira,
e sul fratello. Che erano arrivati per liberarlo, ma si era attenuta al
piano.
Sarebbe stato Murtagh a parlargli.
**
Quella sera
Murtagh
sedeva a tavola piluccando distrattamente qualcosa da mangiare. Quella
immobilità forzata lo stava rendendo ogni giorno sempre
più nervoso. A
peggiorare il suo umore si era aggiunto da giorni il silenzio di
Morgana. Mentre
alla locanda i giorni passavano tutti uguali la maga non gli aveva
ancora fatto
arrivare notizie sui suoi progressi a palazzo.
Alzando lo
sguardo sulla sala, il cavaliere si accorse che Grace si trascinava
stanca per
i tavoli della locanda. Destandosi dal proprio torpore Murtagh
scansò il piatto
da cui stava mangiando e andò subito ad aiutare la donna. Se
non altro si
sarebbe reso utile a qualcuno.
Non era solo
Grace ad apprezzare ogni giorno di più il suo aiuto, ma
anche Trevor, l’uomo che
a mala pena lo aveva tollerato, aveva finito per rivalutare la sua
presenza
alla locanda.
Anche Murtagh
aveva rivisto i suoi giudizi sulla coppia, in particolar modi su
Trevor. Si era
reso conto che dietro i suoi modi burberi l’uomo amava la
moglie più di ogni
altra cosa al mondo e che soffriva immensamente ogni volta che la
vedeva in
difficoltà. L’incendio alle cucine,
così era chiamato l’incidente nei loro
discorsi, non le aveva portato via solo la sua bellezza fisica ma una
piccola
parte della sua libertà era andata persa in quelle fiamme.
Murtagh non
osava immaginare cosa avrebbe fatto lui al posto dell’uomo
con i mezzi a sua
disposizione. Nulla di buono concluse tra sé mentre finiva
di alzare una serie
di sedie sopra il tavolo. In quel momento la porta della locanda si
aprì e
Morgana entrò abbassandosi il cappuccio sulle spalle per
farsi vedere. Sia il Cavaliere
che Grace alzarono in contemporanea lo sguardo su di lei.
- Vai
ragazzo. Hai fatto abbastanza stasera. – lo invitò
Grace con un cenno della teta,
vedendo che esitava a lasciarla - Posso finire anche da sola, non
preoccuparti –
insistete lei. Murtagh ci pensò solo un attimo poi con un
silenzioso grazie si
diresse spedito verso la maga.
Murtagh non
fece in tempo a raggiungerla che Morgana le tese le braccia al collo e
lo
abbracciò. - Murtagh ce l’ho fatta! L’ho
visto! – gli disse con trasporto. Il
cavaliere si ritrovò a ricambiare il gesto con altrettanta
forza, poi si staccò
da lei e si passò una mano tra i riccioli mori lasciandosi
scivolare su uno
sgabello accanto.
- Lui come
sta? – le chiese una volta seduto. Il volto della donna si
rabbuiò. – Non si
trova li per sua volontà. Ne sono certa – gli
rispose lei per poi poggiare una
mano sul collo – Indossa quell’arnese di cui mi hai
parlato. – continuò
aggrottando la fronte – come è possibile che
qualcosa di così piccolo possa
bloccare la magia di un cavaliere? -
- Sono gli
alchimisti che hanno creato quell’oggetto, come hanno ideato
tanti altri costrutti,
tra cui le armi da fuoco - rispose Murtagh corrugando la fronte.
- Sei ancora
certo di voler organizzare la fuga il giorno della cerimonia?
– Murtagh annuì
con la testa. - Tutti gli alleati della regina saranno presenti
all’evento.
Questo significa che ci sarà un grande dispendio di guardie
dentro il palazzo
ma non fuori. L'attenzione di tutti sarà puntata sugli
ospiti. Quale momento
migliore per fuggire? –
- È
un piano
azzardato Murtagh. Ma potrebbe funzionare. –
Il cavaliere
annuì serio - Ne ho già parlato con Feha che mi
farà entrare a palazzo con Par
e il resto della compagnia.
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** Lo Spettro ***
Oliviana aveva
ancora addosso quella sensazione di uscire fuori da sé
stessa e perdere il
controllo.
Entrò
nelle
sue stanze senza che nessuno la vedesse. Che cosa mi sta
succedendo? Ho
quasi ucciso Eragon. Pensò chiudendosi la porta
dietro le spalle, il
respiro ancora frammezzato da singulti incontrollati.
Oliviana aveva
riconosciuto negli spiriti che l’avevano posseduta quelli che
aveva evocato per
eseguire i suoi incantesimi. La regina stessa gli aveva insegnato come
farlo. Con
una smorfia ricordò anche che Isobel l’aveva
sempre ammonita ad utilizzare
quegli incantesimi troppo a lungo, perché difficili da
controllare, ma lei non
aveva mai dato troppo peso a quelle parole. Almeno fino a quel momento.
Cadde di
peso sopra il materasso e rimase in quella posizione fino a quando nono
sentì
il respiro tornate di nuovo regolare. Si tirò su a sedere e
si slacciò il
corsetto della divisa che la stava opprimendo e lo tirò
sopra una sedia. Oliviana
prese un respiro profondo a pieni polmoni e si passò una
mano sul viso.
Quegli
spiriti avevano pericolosamente oltrepassato la linea di confine che
separava
mondo delle anime da quello dei vivi. Avevano già cercato di
farlo molte volte
in passato ma fino a quel momento Oliviana era riuscire a gestire la
situazione
da sola riuscendo a tenerli a bada. Ma con quella crisi, sentiva che la
situazione le era sfuggita completamente di mano.
Cospì prendendo un profondo respiro Oliviana decise che
l'indomani avrebbe chiesto
aiuto a Isobel. La regina, si sarebbe arrabbiata. Tacendole tutto le
aveva disobbedito
e aveva agito contro alle sue precisa indicazione, ma la donna era
l’unica in
grado di impedire che quegli spiriti ritornassero a tormentarla.
Quell'improvviso
risveglio era legato in qualche maniera ad Eragon; gli spiriti
provavano un profondo
astio nei suoi confronti, di cui non conosceva l'origine. Astio che
aveva
alimentato una rabbia ingiustificata per quel bacio rifiutato.
Olivina socchiuse leggermente le palpebre. Era terribilmente stanca e
la lotta
gli avevano lasciato uno strano vuoto dentro l'anima. Si
sfilò gli abiti e si
mise la camicia da notte.
Quella notte
il sicario si abbandonò a un sonno inquieto. Era
l’alba quando improvvisamente
un doloro alla testa la colpì con violenza. Oliviana si
svegliò improvvisamente,
era in un bagno di sudore, la camera intorno a lei che girava
vorticosamente
dandole un senso di nausea
- Fermatevi!- stava urlando disperata nel sogno. In
risposta ricevette
le crudeli risate di scherno degli spiriti.
- Chi siete e che cosa volete? -
Quello che successe dopo avvenne tutto in modo troppo rapido
perché Oliviana avesse
il modo di reagire. La sensazione di poche ore fa che
ritornò con più forza di
prima.
Un urlo profondi esplose dalla sua bocca.
Poi il corpo di Oliviana cadde di nuovo sul letto, priva di sensi,
mentre la sua
anima si trovava in bilico sul mondo degli spiriti.
**
Il grido
emesso da Oliviana echeggiò come un eco lontano nella mente
di Eragon. Connesso
in qualche modo al suo spirito, anche lui di risvegliò nel
suo letto.
La sensazione che qualcosa di terribile fosse appena successo lo colse
come un fulmine
a ciel sereno. Tirandosi in fretta a sedere fece scivolare a terra la
coperta
che Morgana gli aveva adagiato sopra e il freddo del mattino lo
investì facendolo
rabbrividire.
Ancora frastornato, la sua mente confuse ancora frammenti della sua
conversazione con Morgana con quella di Oliviana in un insieme di flash
senza una
logica.
Lentamente i ricordi tornarono a loro posto. Oliviana! Quella voce
apparteneva
a Oliviana, e quel grido disperato poteva significare che gli spiriti
l'avevano
nuovamente attaccata. In cuor suo Eragon sperò ardentemente
di sbagliarsi. Andò
immediatamente alla porta, percorrendo in parte il corridoi antistante
ma sì
fermo a metà strada quando il collare sfrigolò
dolorosamente. Non c'era modo
per lui di allontanarsi da quelle stanze senza essere fermato.
Frustrato tornò nei suoi alloggi. Un raggio di sole stava
penetrando adesso dalla
finestra.
Dopotutto non avrebbe dovuto aspettare tanto.
Tra non molto si sarebbe recato al campo dall’allenamento per
la lezione
giornaliera a Rebekha e Oliviana sarebbe stata presente come ogni volta.
Nel vestirsi
Eragon si sorprese a pensare a Morgana, la cameriera con cui ieri aveva
avuto
quella breve conversazione. Doveva essere stata lei a coprirlo, dopo
essere
crollato sul letto la sera prima ed era stata sempre lei ad averlo
aiutato ad addormentarsi
con quell’infuso. La sua attenzione si fermò sulla
sensazione di morbido che aveva
provato quando, sorreggendosi a lei, il cavaliere aveva
involontariamente
sfiorato le sue mani. Quel particolare lo aveva sorpreso. Ma
perché? La
risposta gli sovvenne subito dopo. Mani così lisce non
potevano appartenere a
qualcuno che lavorava tutti i giorni.
Allora chi poteva essere quella donna? Quali potevano essere i suoi
interessi a
sostituirsi a Polonia?
I due maghi che vennero a scortarlo come ogni mattina nella caserma
misero fine
si suoi pensieri, un’altra giornata di lavoro stava per
iniziare.
**
Oliviana era in piedi davanti al suo letto, o meglio esternamente era
ancora Oliviana
ma dentro di lei gli spiriti avevano preso il sopravvento sulla sua
anima.
La sua vera essenza, però, non era stata del tutto
cancellata, e questo faceva
in modo che fosse solo un mezzo-spettro.
La conseguenza più visibile di questo semi stato, era che la
donna manteneva
pienamente le sue parvenza di umanità, rendendo possibile
solo a pochi capire il
cambiamento avvenuto nella sua persona. Un'altra conseguenza, non
così
visibili, ma non per questo meno importante, era che il processo
lasciato così
a metà era reversibile.
Naturalmente non c'era mai stato un caso, in tutto il l'universo
conosciuto, in
cui questo fatto si fosse avverato. Una volta iniziata la
trasformazione,
questa si era sempre concluso con la completa conversione, non c'erano
alternative. Ma il pericolo rimaneva insito nella natura stessa del
mezzo-spettro il quale tendeva ed essere sempre sospettoso e guardingo.
Isobel non doveva sapere della loro presenza così, quella
mattina, il mezzo-spettro
non volle passare per le stanze della regina, come Oliviana era solita
fare, ma
si diresse immediatamente alle cucine e poi dritto al campo degli
allenamenti
Lì trovò Eragon e Rebekha che duellavano con le
spade già da un decina di
minuti. Senza interromperli, il mezzo-spettro si mise seduto a un
angolo, a osservarli.
Con la coda dell'occhio Eragon aveva notato l'arrivo del sicario, e il
suo
sguardo si rilassò un po’ nel notare nessun
cambiamento. La speranza di essersi
sbagliato si fece strada nella sua mente lui e Rebekha continuarono a
duellare
per un’ora intera. Poi entrambi crollarono esausti.
Piccole goccioline di sudore imperlavano la fronte di Rebekha, che con
un
sorriso si rese conto per la prima volta di essere riuscita a reggere
fino alla
fine il confronto con il suo maestro. Dall'altra parte, anche Eragon
aveva iniziato
a sentire la fatica del duello, anche se non era visibile dal suoi
volto
apparentemente impassibile alla fatica fisica.
Un applauso proveniente dall'angolo dove si trovava Oliviana fece
voltare
entrambi.
- Avete già finito? Avevo appena iniziata a divertirmi. -
disse loro con un
sorriso.
- Avanti duellate ancora. -
- Rebekha è esausta. Non è necessario che
continui oltre. - le disse allora
Eragon, guardando in viso Olivina.
- Se lei non riesce a duellare allora lo farò io. Avanti
cavaliere fatti avanti!
-
Sfoderata la sua spada si portò quindi al centro del campo,
e invitò a Eragon a
raggiungerla.
Ad Eragon bastò solo uno sguardo per capire che purtroppo
non si era ingannato
quella mattina.
Rebekha accanto a lui ebbe un brivido appena incrociò il suo
sguardo, e guardò
preoccupata il suo maestro che raggiungeva la donna accogliendo il suo
invito.
Appena le loro lame si incrociarono, ebbe subito inizio un duello senza
tregua.
Eragon si abbatté contro il suo avversario con tutte le due
forze.
I suoi movimenti erano morbidi e fluidi, come sempre, ma nonostante la
sua
tecnica impeccabile Eragon non riusciva ad avere la meglio. Il
mezzo-spettro si
rivelò molto più scattante e veloce di Olivina, e
i suoi colpi rivaleggiavano
con i suoi in precisione e tecnica.
- Chi siete e dove si trova ora Oliviana? – chiese in un
momento di pausa.
- La mente di voi esseri umani è così fragile,
Ammazza-spettri. -
Eragon ebbe un brivido nel sentire pronunciare quell'epiteto dalla
bocca di
Olivina.
- Sapete chi sono ? -
- Non sono stati molti gli individui al mondo capaci di
uccidere uno spettro. Tre sole a mia memoria. I primi due sono stati un
Elfo e
un cavaliere, ma ora non sono più tra i vivi, e ultimo in
ordine di tempo è
stato un altro giovane cavaliere. - il suo sorriso, rivelò
una fila di denti
leggermente acuminati, ma non ancora affilati come quelli di uno
spettro.
- Il mondo i cui hai ucciso Durza brucia ancora in tutto il mondo degli
spiriti. Non saresti dovuto sopravvivere a quello scontro. Durza
è stato
sciocco a farsi sorprendere in quel modo. Ma il suo sbaglio
verrà presto
ratificato. I vostri sentimenti sono la vostra debolezza. E' stato
molto facile
sopraffare l'anima di questa donna. Sfortunatamente per lei si era
innamorata
della persona sbagliata. -
- Ma non avete ancora il controllo completo su di lei. Non siete
riusciti del
tutto annullare la sua essenza. -
- E' vero quello che dici Ammazzaspettri, non abbiamo ancora il
controllo
completo. Ma in questo modo tu non potrai eliminarci, a meno che tu non
voglia
ucciderla definitivamente -
Il mezzo-spettro rise, portando avanti un affondo particolarmente
potente.
Eragon lo parò all'ultimo momento, scansandosi di lato. Lo spettro aveva ragione
Continuarono a battersi ancora per alcuni minuti, senza che nessuno dei
due
potesse avere la meglio sull'altro. Eragon tentò di prendere
più tempo
possibile, per pensare a un modo di sfuggire a quella situazione. Ma il
mezzo-spetro decise che era arrivato il momento di smetterla di
giocare, e con
un guizzo della mano, fece saltare via l'arma dalle mani di Eragon,
costringendolo a piegarsi in ginocchio. Rebecca emise un urlo di
terrore:
- Sei stata sleale! Hai usato la magia! - le urlò contro la
ragazza. Ma venne
gelata da uno suo sguardo.
- Tu non ti impicciare mocciosa. -
Il mezzo-spettro stava per calare la sua arma ma Eragon
approfittò di quella
piccola distrazione per scivolare da un lato, e sottrarsi
così alla lama
mortale. Non fu abbastanza veloce, ed Oliviana lo ferì a un
braccio.
Il mezzo–spettro rise soddisfatta facendosi passare la lingua
tra i denti alla
vista del sangue.
- Tutta qui la tua bravura? - Gli fece allora puntandogli la punta
della sua
lama alla gola. Eragon deglutì a vuoto, mentre il suo
sguardo si fissò ora in
quello del mezzo-spettro.
- Questa è tua fine Ammazzaspettri. Di pure le tue ultime
preghiere. -
- Basta così! – la interruppe una voce dietro di
loro.
Il mezzo-spettro si voltò di scatto, irato per quella nuova
interruzione.
Era stata Isobel a parlare. La regina si era già messa in
allarme non avendo
visto il sicario durante la colazione. I suoi dubbi divennero certezza
quando due
soldati vennero ad avvertirla del duello in corso.
Isobel era
corsa subito a controllare la situazione.
Quello che temeva da tempo era accaduto. Non le era sfuggito il piccolo
segreto
della giovane donna riguardo alla perdita di controllo sugli spiriti.
Da tempo
si era preparata a intervenire per ripristinare lo squarcio, ma adeso,
guardando
Olivina negli occhi, si rese conto che il sicario era andato ben oltre
il
limite consentito. Non c'era più nulla che potesse fare per
lei. Le
informazioni sulle pergamene rubate ad Eragon riguardanti la
possessione le
tornarono utili e l’èldunarì
nella sua mano sinistra si accese mentre la
sosteneva con la sua energia per uno degli incantesimi in essa
custoditi.
Il mezzo-spettro
ebbe un fremito quando la regina riuscì a intrappolare gli
spiriti e
interrogarli brevemente. La regina fu sorpresa nel sentire il nome di
Durza,
poi il corpo di Oliviana cadde in uno stato di trans e come un automa
la donna
raggiunse il fianco di Isobel.
- Per oggi l'allenamento è finito. Rebekha riprenderai le
tue lezioni con
Eragon domani.
Ora rientra. Io devo parlare con il tuo il maestro da sola. -
- Ma io ... -
- Ho detto di andare! - il tono della regina non ammise ulteriori
replica, e
Rebekha si trovò costretta ad obbedire.
**
- Avete
molte cose da spiegarmi, Non è così Eragon
Ammazzaspettri? -
Eragon rise con amarezza. La mano stretto intorno al braccio ferito che
iniziava a pulsare in maniera insopportabile.
–
Continuate
a usare magie rubate alla tradizione elfica e usufruite
dell’energia degli èldunarì
senza alcun ritegno. Non sono io a dover dare spiegazioni –
rispose sprezzante.
Isobel sgranò gli occhi irata.
- Impertinente,
come sempre. Dovrei punirti per questo ma credo che tu lo stia
già facendo da
solo. Sei consapevole di essere il responsabile di questa
trasformazione? -
Eragon
riconobbe la verità nelle sue parole ma non volle arrendersi.
- Olivina non è ancora del tutto uno spettro. -
continuò - Se interveniamo
subito potremmo aiutarla a ricacciare via gli spiriti, e farla tornare
ad
essere quella di prima. - Isobel
lo
fermò con movimento della mano.
- Se interveniamo? Cosa ti fa credere che io voglia
farlo? Uno spettro
potrebbe tornarmi molto più utile di una maga –
proseguì con un’espressione che
ghiacciò Eragon sul posto.
- Non posso credere che abbandonerai colei che hai cresciuto come fosse
una
figlia –
Eragon
sperò
con quelle parole di colpire Isobel abbastanza forte da farle cambiare
la sua decisione.
La donna rimase a guardarlo per alcuni istanti.
- Oliviana
mi aveva detto che conoscevi molte cose su di lei. Che tu mi creda o no
Eragon,
le ho voluto bene e mi sono comportata come avrebbe fatto una madre,
fino a
quando è stato necessario. Ma ieri ha deliberatamente
disobbedito a un mio
preciso ordine, e lo ha fatto spinta da una sciocca infatuazione per
te. Ora ne
pagherà le conseguenze. -
Eragon rimase attonito. Isobel non aveva intenzione di salvare
Oliviana. La sua
anima sarebbe rimasta intrappolata per sempre tra quelle degli spiriti
che la
possedevano e avrebbe smarrito se stessa; non poteva immaginare una
sorte
peggiore e tutto questo era in parte colpa sua. Improvvisamente
sentì la testa
farsi leggera, e la vista gli si appannò, la ferita al
braccio aveva
completamente intriso di sangue la manica. A un cenno di Isobel due
maghi lo
affiancarono per sostenerlo –
Nessuna guarigione
con la magia per lui – disse rivolta ai due uomini.
– che Il dolore che provi
ti sia da monito per il futuro Eragon. – disse prima di
mandarlo via.
Nelle sue
stanze Eragon si trascinò subito a lavarsi la ferita.
Alzando lo sguardo allo specchio
si sorprese nello scorgere Morgana ferma ad osservarlo.
-
Solitamente lavoro mentre tu alleni. – si affrettò
a giustificarsi la donna. Eragon
la vide mentre indugiava, indecisa se aiutarlo o no. Alla fine fece un
passo
avanti verso di lui.
- Quella
ferita non può essere medicata solo con
dell’acqua. Per tua fortuna sono
un'ottima guaritrice. Vieni siediti sullo sgabello dello scrittoio
mentre vado
a prendere l’occorrente -
Nonostante le sue riserve Eragon sapeva che sarebbe stato sciocco
rifiutare il
suo aiuto. Sfilò con cautela la camicia e andò a
sedersi come gli era stato
chiesto.
- Come te lo sei procurata questa ferita? - gli chiese Morgana mentre
puliva
con cura il taglio aiutandosi con un panno. Eragon sussultò
a quel contatto -
In un duello con le spade, questa mattina. - rispose con una smorfia.
- Rebekha, la ragazza che alleni. E' stata lei a farti questo? -
- Sei sempre piena di domande? - fece lui accigliato, mentre i suoi
sospetto sull’identità
della donna e sulle sue vere intenzioni riaffioravano con forza
suggerendogli
la prudenza.
- Semplice curiosità. La ferita è molto profonda,
e ha bisogno di più punti di
sutura. Non sono un soldato o un guerriero, ma immagino che in un
semplice
allenamento non sia previsto che si arrivi a ferirsi. – la
sua logica era
corretta ed Eragon chiuse gli occhi mentre Morgana infilava il primo
punto infilando
l’ago nella pelle.
- Non era un
semplice allenamento. Ad ogni modo la risposta è no, non
è stata lei. – rispose
prendendo un profondo respiro per sopprimere il dolore.
Morgana annui poi chinò la testa, tutta concentrata
nell’accostare i due lembi
con i punti e per un po’ nella camera ci fu solo il silenzio.
- Sei stato
fortunato,
il colpo ti ha preso solo di striscio. – mormorò
mentre con i denti tagliava il
filo – a giudicare dalla forza con cui è stato
dato avrebbe potuto quasi
tagliare un braccio. -
- Lo so – ammise lui ripensando con un brivido a quanto il
mezzo-spettro ci
fosse andata vicino. Senza commentare oltre Morgana iniziò a
astringente una
fascia intorno al braccio.
- Per non
essere un soldato o un guerriero sembra tu ne sappia abbastanza di
duelli – aggiunse
poco dopo. Morgana non rispose subito mentre serrava bene la
fasciatura,
fermandola successivamente con una grappetta di ferro.
- Stai
sopravvalutato le mie capacità Signore. Non sono che una
semplice serva. -
La donna
mentiva in maniera evidente, ma nonostante i suoi sospetti Eragon
continuava a
sentire di potersi fidare di lei.
Si
alzò
dalla sedia, e sottraendosi al suo sguardo, andò a
rimettersi la camicia.
- Ti ringrazio per la medicazione. Ora vorrei restare da solo. -
Morgana lo
guardò solo un attimo, poi annuì.
- Se la ferita dovesse riprendere a sanguinare, non esitare a
chiamarmi. -
- Lo farò. –
**
Una volta
solo Eragon si stese sul letto lasciandosi cadere in uno strano stato
di
dormiveglia fino al pomeriggio, quando la sarta di corte venne per la
prova del
vestito.
Fu un'esperienza nuova e strana per Eragon. La sarta, una donna di una
sessantina d'anni, era entrata tutta trafelata con una serie di stoffe
e delle
carte tra le mani. E per ben cinque ore, lo fece girare e rigirare, in
mezzo a
stoffe e carte da modello, appuntando con gli spilli la stoffa che dopo
le due
ore aveva iniziato a prendere forma:
- Abbiate pazienza, solo un'altro paio di minuti e avremmo finito. -
Eragon
annuì, riportando al sua attenzione sulla mano della sarta
che stava appuntato
l'ultimo tratto di stoffa alla manica del braccio ferito.
- La regina ha scelto un abito veramente magnifico per voi. Degno di un
principe. - aggiunse la donna con una certa solennità nella
voce. A quella
improvvisa affermazione Eragon alzò un sopracciglio
scettico, aveva visto bene
la moda di palazzo, e non gli piaceva la sua sontuosità
piena di decori e
fronzoli. Avrebbe preferito di gran lunga la semplicità
delle vesti elfiche.
Ma questo era di certo l'ultimo dei suoi problemi.
- Ecco abbiamo finito - disse infine la signora, trascinando davanti
allo
specchio e mostrando al cavaliere l'abito imbastito.
Eragon poté così ammirare il lavoro che era
costato ben cinque ore di lavoro. Non
era stato affatto malvagio e, al contrario di quanto aveva temuto, il
suo
taglio era abbastanza semplice. I ritocchi aggiunti dalla sarta al
modello
originale lo avevano migliorato.
L'espressione di stupore di sul suo volto fu sufficiente per ripagare
la sarta
del lungo lavoro.
- Sono contenta che alla fine ti sia piaciuto. - gli disse, prima di
iniziare a
smontare di nuovo tutti i pezzi da cucire.
- Domani sarò pronto e confezionato per essere indossato per
la grande serata -
Il giorno della cerimonia era alle porte, ed Eragon non riusciva a
togliersi la
sensazione che stesse per succedere qualcosa.
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** La cerimonia ***
Il giorno
della cerimonia era arrivato. La cittadella era gremita di
personalità e di
soldati presenti per il grande evento.
Per
l’occasione
era starà ingaggiata un’orchestra per suonare e la
compagnia dell’Orsa, dei
mastri Adalia e Feha. Arrivate appositamente in città,
approfittando
semplicemente dell’evento era stata chiamata a presentarsi a
palazzo per
alleviare l’animo gli ospiti con uno spettacolo.
Tutti i regni alleanti, erano stati richiamati nella lotta contro il
popolo
degli Elfi Oscuri
A suo tempo, Isobel, si era fatta forte della sua
superiorità al Consiglio dei Regni
Uniti, per porre il veto nei confronti di Artea e del suo te Arold.
Aveva fatto
in modo che il suo sovrano rimanesse isolato contro una coalizione
compatta,
composta dai più ricchi regni conosciuti. Ora che la
coalizione aveva iniziato
a sfoltirsi di alcune frange occidentali per Isobel era arrivato il
momento di
ritirare le redini dopo aver fatto nuovo pressione attraverso
l’arma persuasiva
della paura.
Assisa sul suo trono, stava ora ricevendo le diverse delegazione. Era
molto
importante che in quel giorno venisse data loto un'immagine del suo
governo di
massima solidità e forza. A tale proposito Isobel aveva
apprezzato il nuovo
aspetto di Oliviana.
Mentre il banditore annunciava i nomi dei vari ospiti, che al loro
ingresso le
sfilavano avanti per porgerle il loro saluto, tutti gli occhi andavano
alla
nuova figura che quella sera la affiancava.
Più dei tatuaggi e del pallore del suo volto, era il rosso
ardente dell'iride a
colpire gli ospiti. Sembravano scavare infondo alle loro anime, come a
carpire
i loro pensieri più intimi, le loro intenzioni
più recondite.
Nessuno aveva idea da dove venisse quella donna, ma presto in tutta la
sala non
si parlò d'altro che del suo sguardo.
**
Eragon era
di fronte allo specchio, allacciandosi la giacca sopra una candida
camicia
bianca. Con cura saggiò la fasciatura che Morgana gli aveva
cambiato da poche
ore. Continuava a dolergli ma era in via di guarigione. Una delle
guardie gli
annunciò l'arrivo di Rebekha.
Eragon diede
in ultimo sguardo allo specchio. Le tre serve che quel giorno lo
avevano
aiutato nel vestirsi se ne erano andate molto contrariate. Eragon si
era
rifiutato di radersi la barba e, a loro dire, la sua scelta stava
rovinando
tutto il vestito, dandogli un aspetto trasandato. Per Eragon, il suo
rifiuto
voleva essere un messaggio chiaro sul fatto che fosse un prigioniero in
quella
reggia.
- Ebrithil, io sono pronta. - gli fece eco Rebekha,
Eragon si lasciò
scappare un sorriso nel notare come la ragazza fosse impaziente per
l'evento.
- Arrivo. - risposto il cavaliere. Eragon si allacciò
l'ultimo bottone e si
avviò verso la porta.
Varcata la soglia il Cavaliere rimase a bocca aperta di fronte alla sua
allieva.
Rebekha era semplicemente splendida.
Abbandonati i comodi abiti degli allenamenti che la rendevano goffa, la
ragazza
aveva indosso un candito vestito color perla. Lo stretto corpetto, che
le
sottolineava i seni ancora acerbi, era completato da una gonna molto
ampia,
impreziosita da un morbido pizzo. Delle scarpette di stoffa, dello
stesso
colore del vestito, per finire, delineavano i piccoli e delicati piedi
della
ragazza.
Rebekha dovette accorgersi del suo sguardo, perché divenne
subito rossa e
istintivamente si sistemò una ciocca di capelli dietro
l’occhio.
- Stai molto
bene stasera. – si complimentò lui. La ragazza lo
guardo sottecchi.
- Anche tu Ebrithil.
– rispose.
- Come sta il tuo braccio? – chiese subito dopo per togliersi
da
quell’imbarazzo. - Dopo il duello con Olivina avrei voluto
venire a trovarti, ma
Isobel non ha voluto. -
Quelle sue premure fecero scappare un sorriso ad Eragon, che alzato un
sopracciglio, mosse con cautela il braccio fasciato.
- Sta molto
meglio come vedi - ma Rebekha non sembrò dello stesso parere
– Non ha permesso
che ti guarissero con la magia? – chiese incredula e delusa -
Perché? – il suo
sguardo si era incupito. Era la prima volta che Eragon sentiva la
ragazza
esprimere un dubbio sull’operato della regina.
-
Permetterà
a Oliviana di farti ancora del male? – gli chiese allora
spaventata. Tra lei e
il sicario c’era stata sempre una certa rivalità.
Isobel aveva riversato su
entrambe grandi responsabilità ed ognuna di loro ambiva a
primeggiare
sull’altra. Nella mente di Rebekha si era creata la certezza
che fosse proprio per
la loro rivalità che l’altro giorno il sicario lo
aveva attaccato in quella
maniera così violenta. Eragon cercò di
tranquillizzarla.
- So badare
a me stesso Bekha, il tuo addestramento non è ancora
terminato. Isobel non
permetterà che io vada da nessuna parte.
Mi è
difficile ammetterlo, ma la regina sa quello che è meglio
per te. – Eragon era
consapevole che quello che le aveva appena detto era solo in parte la
verità. Non
era necessario che sapesse tutto, non ora.
Dall’altra
parte Rebekha rimase colpita quando con gentilezza le posò
il braccio sano
sulla spalla per placare i suoi dubbi.
- E per te?
Qualcuno
si occupa di quello che è meglio per te? – chiese
alla fine. Eragon le sorrise
accondiscendente.
- Io non
sono così importante. Andiamo adesso o faremo tardi
–
Incapace di
ribattere
Rebekha annuì solo e insieme percorsero i corridoi che della
caserma conducevano
agli edifici della reggia.
Girato l'ultimo corridoio, prima di introdursi nell'anticamera,
l’attenzione di
Eragon venne attratta da una testa che scivolò furtiva
dietro una delle
colonne. Non era riuscito ad osservarlo bene in viso, ma Eragon avrebbe
giurato
di aver riconosciuto Murtagh.
- Cosa c'è? - gli fece Rebekha, vedendolo esitare per un
attimo.
- Credevo di avere visto… qualcuno. - le rispose, accigliato.
Eragon diede solo un ultimo fugace sguardo a quella direzione, poi
raggiunse
nuovamente Rebekha.
Da dietro la
colonna Murtagh e Par trassero un profondo respiro.
- C'è mancato molto poco. Maledizione, anche Eragon
parteciperà alla festa. Ora
sarà più difficile avvicinarci a lui. -
Affacciandosi nuovamente da dietro una colonna, Murtagh
seguì con lo sguardo le
due figure che entravano insieme nella grande sala gremita di gente.
- Io devo raggiungere gli altri della compagnia per lo spettacolo
– lo informò
Par – tu te la caverai da solo? –
Dei nuovi
rumori costrinsero i due a nascondersi, appiattendosi contro una parete.
- Stai giù - gli sussurrò Murtagh, mentre due
paggi apparvero improvvisamente
nel corridoio, per sparire subito dopo dietro una porta di servizio.
- Credo di potercela fare. Continueremo ad attenerci al piano. -
**
Intanto, dentro
alla sala alla vista dei nuovi arrivati la musica si attenuò
appena e le voci
si placarono fino a diventare un impercettibile brusio.
Eragon sentì tutti gli occhi puntati su di loro. E
stringendo una mano sulla
spalla di Rebekha la invitò ad andare avanti.
Come avevano fatto tutti gli altri invitati prima di loro, anche Eragon
e
Rebekha si avvicinarono alla regina per rivolgerle il saluto ufficiale.
Dietro di lei lo spettro lo fissò con sguardo ardente.
Sgomento Eragon constatò
come la sua trasformazione fosse completata adesso.
Oliviana non c'era più. Il suo volto aveva assunto un
aspetto pallido e bianco,
oltre ogni dire.
E la sua pelle, un tempo olivastra era ora diafana, e aveva lungo il
profilo,
sul mento e sugli zigomi, degli strani disegni neri che le marchiavano
la pelle
come tatuaggi. I suoi occhi, infine, erano diventati di un rosso
ardente, come
pure i suoi capelli, che ora le cadevano liberi sulle spalle.
- Potete alzavi Eragon di Alagaësia e Rebekha Coleman - fece
loro Isobel
porgendo la mano a entrambi.
- Vorrei presentarvi a qualcuno – disse prima di girarsi
verso l'ombra alle sue
spalle.
- Olivina? - fece Rebekha riconoscendo a malapena le sue sembianze.
- Non più. Adesso il mio nome è Verschna. - gli
rispose lo spettro con un
sibilo finale. Lo sguardo di Eragon, lo sapeva, non l'aveva mai
abbandonata, e
così quando la regina diede finalmente loro le spalle, lo
spettro gli si
affiancò, rapida e sinuosa come un serpente.
- Non mi sembri sorpreso nel vedermi. -
- Sono sorpreso che tu abbia deciso di servire una regina. - fece
Eragon di
rimando. Lo spettro rise sommesso.
- Le apparenze a volte ingannano, Ammazzaspettri. -
- Verschna? - gli fece eco la regina.
- Vi raggiungo, maestà. -
- Ora se me lo permetti Eragon devo andare. -
Eragon scrutò lo spettro con preoccupazione. Più
esile di quanto la ricordasse,
lo vide muoversi con disinvoltura tra gli sguardi della gente, e non
poté fare
a meno di notare la soddisfazione sul volto di Isobel, nell'osservare
le loro
reazione. Anche Rebekha osservava lo spettro con sguardo pieno di
orrore e ribrezzo
ma cercava di nascondere i suoi veri sentimenti ogni qual volta la
regina le rivolgeva
la parola. La ragazza non avrebbe mai fatto nulla che potesse arrecarle
dispiacere alla sua regina ma Eragon sapeva che quella sera qualcosa
nella sua
fiducia aveva iniziato a incrinarsi.
La serata
proseguì
ed Eragon si trovò a parlare con diversi alleati desiderosi
di scambiare una
parola con lui. Molte più persone di quanto credesse avevano
sentito parlare di
Alagaësia e tutte erano desiderose di farsi conoscere. Eragon
ascoltava
soprattutto, ma divenne presto evidente come, la costante presenza di
Isobel, impediva
a tutti potersi esprimere con libertà. Le poche informazioni
che riuscì a
carpire gli fecero capire che esisteva un generale malcontento tra
tutti gli
alleati. Una diffusa paura di essere i soli a non condividere le sue
idee. Solo
la paura teneva uniti tutti.
La regina
dovette
accorgersi del pericolo rappresentato dalla presenza di Eragon,
così iniziò monopolizzare
le varie conversazioni indirizzandole con maestria verso argomenti
più futili. Vennero
serviti anche cibo e bevande, e a metà serata venne
finalmente annunciato il
tanto atteso discorso.
Tutti gli ospiti si adunarono nella sala dove avrebbe avuto luogo il
discorso
di Isobel.
La regina salì sulla pedana che ospitava il trono, visibile
a tutti
- Amici e Allenati di Zàkhara. - pronunciò con
voce solenne.
- Ho il gravoso compito di interrompere questo momento di festa per
riferirvi
della nostra attuale situazione.
In questi
ultimi mesi si sono verificati degli avvenimenti straordinari. Il fato
ha
voluto che al nostro fianco comparissero due importante alleati. I
cavalieri Eragon
da Alagaësia e Rebekha Coleman, figlia dell’eroe di
guerra Phil Coleman. –
Accompagnati
dallo sguardo della regina, Eragon e Rebekha salirono gli scalini della
pedana,
dove presero posto al suo lato.
- Ma non può esserci trionfo senza qualche sacrificio.
Eragon ha perso la sua
dragonessa ma si è offerto di istruire il nostro campione
Rebekha. Lei e il suo
drago hanno grandi responsabilità sulle loro spalle, ma
è giunto il momento che
anche voi alleati, teniate fede alle promesse fatte e scendete al mio
fianco,
al fianco dei popoli liberi, contro il nostro comune nemico. - Il
discorso,
continuò con pomposi riferimenti alla magnificenza e potenza
del loro esercito equipaggiato
con le nuove armi da guerra.
Sul finale uno scroscio di applausi accompagnò il passaggio
della regina e dei cavalieri.
Lo spettacolo
della compagnia dell’Orso stava per essere inscenato sul
palco della sala
accanto.
Eragon rimase un poco indietro rispetto a tutti gli altri. Dalla sua
posizione
arretrata vide chiaramente Isobel e Rebekha, prendere poste tra le
prime file,
mentre non riuscì a scorgere da nessuna parte lo spettro.
Improvvisamente nella confusione che regnava, una mano lo
afferrò per il
braccio, trascinandolo lontano in una piccola stanza adiacente alla
sala.
- Chi è che…- iniziò a protestate ma
dovette interrompersi quando girando il viso
intravede un ricciolo scuro.
- Shhh, non gridare così forte, o finirai per farci scoprire
- Eragon riconobbe
immediatamente quella voce - Vedo che ti sei fatto crescere la barba
fratellino. Ti dona sai? – continuò il maggiore
girandosi verso il fratello.
- Murtagh. Come hai fatto a sapere che mi trovavo qui, e come sei
riuscito a
entrare? Il palazzo è gremito di soldati e Isobel
è qui! -
Il moro gli sorrise con affetto - Sono venuto per tirarti fuori da qui.
Per la seconda
volta. – puntualizzò - Sono con Par e con una
maga, hai già avuto modo di conoscerla.
-
- Morgana? – Eragon si accorse di non essere affatto sorpreso
di quella
scoperta.
- È
una
storia lunga, che ti racconterò volentieri una volta che
saremo usciti. Avanti
vieni via con me. Dobbiamo essere rapidi lo spettacolo non
durerà in eterno Par
ha preparato un finale a sorpresa offrendoci un diversivo. -
- Ma io non posso venire con te Murtagh. - lo fermò Eragon,
svincolandosi con
delicatezza dalla presa del fratello - Non posso andarmene
così e lasciare
l'allenamento di Rebekha. -
- Che cosa dici Eragon? Hai sentito cosa ho appena detto? - fece lui,
afferrandogli di nuovo il suo braccio.
- Murtagh quella ragazza ha bisogno di una guida. -
- Eragon - lo interruppe con vigore Murtagh
- Anche Saphira ha bisogno di te ed anche Arya. -
Gli occhi di Eragon si allargarono per un breve attimo, per poi
abbassarsi
rapidamente:
- Murtagh Saphira è morta! -
- No Eragon. Lei è ancora viva. -
- Che cosa dici? – chiese mentre sentì un groppo
salirgli dallo stomaco e
bloccarsi alla gola. Un rumore di passi dietro di lui
riportò Eragon alla
realtà, ricordandogli dove si trovava.
- Nasconditi. Presto - disse, spingendo Murtagh dietro la tenda.
Il più giovane dei fratelli si girò lentamente
verso l'ingresso, per trovarsi
come aveva temuto, di fronte a Verschna.
- Chi c'è lì con te? - chiese lei fredda.
- Nessuno. Sono venuto qui per prendermi una pausa da tutto il
trambusto. -
Dietro alla tenda dove era nascosto, Murtagh non poteva vedere il volto
della
persona che era entrata, perché il pesante tessuto del
drappeggio glielo
impediva, ma avvertì distintamente la sua
malvagità. Lentamente il cavaliere
estrasse un corto pugnale, pronto a reagire.
- Vedo - gli
ripose lo spettro di rimando. Passò lentamente intorno ad
Eragon poi fece un leggero
piegamento con la testa in direzione del nascondiglio di Murtagh prima
di
allontanarsi.
- Sei ben sorvegliato fratellino. - disse Murtagh uscendo dal
nascondiglio, il
tono ironico, nel tentativo di alleggerire la tensione che si era
creata.
- Chi era? Mi sembrava… -
- Era Oliviana. - Murtagh fu sorpreso nel notare una nota di
apprensione nella
voce del fratello.
- Oliviana? Non è possibile. L’avrei riconosciuta.
-
- Non avresti potuto Murtagh Olivina è uno spettro ora. Il
suo nome è Verschna adesso
e temo ti abbia visto. Non tarderà a ritornare con delle
guardie. Devi andare
via, subito, prima che ti scoprano qui. Io non posso venire con te per
ora. -
gli rispose abbassando la voce, e spingendolo nuovamente con forza
verso la
finestra. Il gesto gli costò più fatica del
previsto.
La stanza si
affacciava su un piccolo parco, attraverso cui Murtagh sarebbe potuto
fuggire.
Il maggiore non poté far altro accettare la
verità dei fatti: e cioè che
avevano perso un'occasione di fuga. Ma mai e poi mai avrebbe
abbandonato il
fratello, per nessuna ragione.
- Eragon, quello che ti ho detto su Saphira è vero. Cerca
nel tuo cuore. Tu lo
sai che è ancora viva. Mi metterò presto in
contatto con te attraverso Morgana
-
- Devi andare adesso Murtagh - fu la sola risposta di Eragon.
Murtagh guardò ancora un attimo il fratello. C'era stato
qualcosa di
tremendamente sbagliato in lui. Per tutto il tempo che avevano parlato,
Eragon
non lo aveva mai guardato negli occhi per più di qualche
secondo. Sopprimendo
la propria delusione, Murtagh si dileguò tra la vegetazione
sotto lo sguardo
vigile di Eragon, che rimase a seguire la sua ombra fino a quando
scomparve.
Poco dopo
delle guardie entrarono nella piccola anticamera, le spade in mano.
- Capitano, non c'è nessuno qui. - gli dissero dopo aver
frugato in tutti gli
angoli
- Ispezionate il giardino - fece loro lo spettro in tono secco, posando
i suoi
occhi su Eragon.
- Dimmi chi è stato qui con te. -
- Ti ho già detto, che non c'era nessuno - le rispose Eragon
facendo cenno di
voler tornare nella sala. Ma lo spetro gli si parò davanti
con un sorriso
- Non ti permetterò di sfuggirmi. - gli disse posando le
esili dita sulla sua
guancia. Poi passando ad accarezzargli una ciocca dei capelli, aggiunse
con un
sussurro:
- Isobel ti ha consegnato a me, Ammazzaspettri, e prima che questa
guerra abbia
fine, io avrò la mia vendetta. E' una promessa. -
Eragon serrò la mascella con trepidazione, le parole dello
spettro lo avevano
gettato un profondo sconforto.
- Non riferirò questo episodio alla regina, sarà
il nostro piccolo segreto. - continuò
melliflua. Poi ritirando la mano lo spettro lo lasciò andare.
Rientrato
nella sala, Eragon attese che lo spettacolo finisse. Nessuno fece caso
a lui, mentre
il gran finale aveva luogo, spettacolare come gli aveva promesso
Murtagh. Erano
tutti presi dalla rappresentazione e la sala era piena delle loro
risate. Lo
spettro, notò Eragon, era ritornato silenziosamente accanto
alla regina, come
se nulla fosse successo,
mentre veniva raggiunto da Rebekha.
- Ebrithil,
finalmente! - gli disse lei con voce squillante. La ragazza
era entusiasta.
Il suo malumore di prima era stato già dimenticato. Nel
guardarlo la ragazza si
fermò subito - C'è qualcosa che non va? Hai una
faccia. - gli disse allora Rebekha.
- Gli spettacoli comici non mi sono mai piaciuti molto. -
mentì lui, cercando
di fare un sorriso. –
- Sarà - gli disse circospetta - ma poco fa mi sembravi
felice di essere qui -
- Sono solo stanco, credo mi ritirerò. -
- Così presto? Volevo farti conoscere mia madre - Gli
rispose lei guardandosi
intorno, evidentemente in cerca della donna. –
…aspetta, era accanto a me fino
a un attimo fa. -
disse imbronciata.
- Sono
davvero stanco Rebekha, sarà per un’altra volta -
fece allora lui, baciandole
la fronte con fare protettivo. Delusa la ragazza rimase a guardalo
mentre si avvicinava
a Isobel che lo congedò. Stranamente la festa non le pareva
più tanto
eccezionale adesso.
**
Rientrato
dentro l'edificio della caserma, Eragon venne accompagnato fino alle
sue stanze
dai soliti maghi che non lo lasciavano mai solo.
Nella stanza
da letto si tolse adagio il prezioso abito per indossare delle vesti
più
comode. Poi si stese sul letto, nel tentativo di sbrigliare la matassa
di dubbi
e domande che affollavano al sua mente.
Non aveva idea di come Murtagh avesse saputo della sua presenza a
Abàlon, ne
perché Par non lo avesse informato di quello che era
successo a lui e Saphira a
Gratignàc.
Di una cosa era certo il Murtagh non gli avrebbe mai mentito su una
cosa così
importante come Saphira. Non ne avrebbe avuto motivo. A meno che non
fosse
stato ingannato.
Saphira. La sua Saphira era davvero viva? Il pensiero lo inebriava e
terrorizzava allo stesso tempo, e uno strano senso di nostalgia e
rabbia si
erano venuti a formare dentro al suo animo, impedendogli di ragionare
lucidamente.
Improvvisamente, a pugni chiusi, Eragon colpì con forza il
materasso sotto di
se, crollando poi su se stesso. Perché in tutto quel tempo
Saphira non era
venuto a cercarlo, o non aveva tentato di raggiungerlo? Respirando
adagio
Eragon si rivoltò nel letto, mentre un sonno agitato lo
accompagnò per tutta la
notte.
***
L’invito
a
partecipare attivamente alla guerra, aveva scosso gli animi degli
alleati, e la
regina venne impegnata in molti consigli di guerra con i vari delegati
per
discutere sulle linee di azione e strategie da mettere in atto, da
riferire poi
ai loro sovrani.
Verschna era stata sempre accanto alla regina, consigliandola o
trattando lei
stessa con alcuni alleati più tenaci.
Nelle giornate che seguirono Eragon non ebbe più modo di
rivedere lo spettro, e
fu nello stesso tempo un sollievo e una pena.
Le sue lezioni con Rebekha erano riprese con la solita
regolarità ma l'atteggiamento
della ragazza nei suoi confronti era radicalmente cambiato.
Anche se Isobel aveva attenuato molto i sospetti della giovane nei
riguardi
dello spettro, Rebekha si era fatta particolarmente curiosa nei
confronti del
maestro.
Non aveva
mai abbandonato l’idea di farlo conoscere alla madre. Nei
pensieri della
giovane, infatti, si era piantato il seme della curiosità e
la ragazza aveva
iniziato ad indagare per conto suo.
Eragon si
era trovato a rispondere a domande sulla sua vita, sulla terra da dove
veniva.
Rebekha sapeva che Alagaësia era anche la patria della madre e
aveva iniziato
fargli domande anche su Saphira.
– Se
sei un
nostro alleato perché non ti vedo mai al di fuori della
caserma? – le aveva
chiesto un giorno dopo una lunga sessione di allenamento.
- Tu sei il
solo motivo che mi lega a Abàlon, Bekha – le
rispose scherzosamente Eragon, sapendo
che a quella domanda ne sarebbero seguite altre. Rebekha
alzò un
sopracciglio scettica. Era solito farlo sempre anche con Xavier quando
si
accorgeva che il capitano le mentiva.
- Quando
crescerai
capirai che non è sempre possibile fare ciò che
si vuole. – aggiunse alla fine nel
guardare l’espressione insoddisfatta del suo volto.
- Anche per
un cavaliere come te? – lo incalzò la ragazza per
nulla intenzionata ad
abbandonare il discorso.
- A maggior
ragione per un cavaliere. – le rispose Eragon incrociando le
mani al petto
- Mi sembra
di sentir parlare mia madre. - protestò Rebekha.
- Tua madre deve
essere una persona molto saggia. – rispose con un sorriso.
- Avrei
voluto fartela conoscere alla cerimonia, ma tu te ne sei andato via.
Lei mi
ascolta sempre volentieri quando le parlo di te, sai? Anche lei dice
sempre che
è necessario rinunciare a qualcosa per ottenere un bene
più grande. –
Rebekha
proseguì a parlare un altro po’ della madre poi si
congedò.
Rientrando
nelle sue camere Eragon rimase sorpreso di trovare Morgana ad
attenderlo; non
aveva più pensato all’incontro con il fratello dal
giorno della cerimonia. Polonia
aveva ripreso il suo servizio e la presenza della donna non era stata
più necessaria.
Eragon scattò subito sull’attenti nel vederla. Se
l’avessero scoperta sarebbe
stata arrestata immediatamente.
La donna
dall’altra
parte non sembrava affatto preoccupata di questo e lo guardò
con le mani
incrociate sul grembo e un sorriso serafico sul volto.
Eragon la
squadrò
da capo a piedi - Così sei qui con mio fratello. - gli fece
in un tono quasi
accusatorio.
- Mi dispiace non averti potuto dire nulla prima. Ma Murtagh mi ha
chiesto di
non farlo. Voleva essere lui a raccontarti tutto. -
- Lo so. -
- Eragon. Io, Par e tuo fratello non possiamo rimanere oltre in
città. Ogni
giorno sta diventando sempre più pericoloso per noi. - non
vedendo nessuna
reazione da parte di Eragon Morgana proseguì.
- Abbiamo parlato a lungo. Non c'è modo di farti riuscire
senza che tutta la
guarnigione della caserma ci salti addosso. Così
l’unica maniera che ci rimane,
è che sia tu a venire da noi. Chiedi il permesso di poter
allenare Rebekha fuori
dalle mura. Una volta usciti, passeranno ore prima che la regina scopra
che sei
fuggito, e a quel punto noi saremo già lontani e fuori dalla
sua portata. -
Eragon rimase per un po' in silenzio, riflettendo sulle parole di
Morgana.
- Io non posso andare via Morgana. Non posso lasciare Rebekha
– si giustificò.
- Eragon devi capire, Saphira ha bisogno di te. – Eragon
questa volta reagì – No
– disse con estrema durezza. - Ho sentito il nostro
legame spezzarsi, e il
suo corpo cadere a terra senza vita! Lei è morta
Morgana! Perché mi
tormentate in questo modo! –
Morgana
stette attonita di fronte a quella risposta. Era dunque questo che lo
bloccava?
Morgana poteva solo immaginare il dolore del cavaliere ma si
sforzò di comprenderlo.
- Eragon,
quello che hai sentito, è stata Saphira, che spezzava il
vostro legame, ma il
suo spirito non ha mai abbandonato il suo corpo. – Morgana
doveva scuotere il
suo animo, o lo avrebbero perso per sempre. La maga tornò a
parlargli con voce
calma. - Il mattino dopo che tu sei stato portato via da Oliviana, io e
Par
siamo rimasti al suo fianco, e sanato le sue ferite. Con molta
lentezza,
Saphira ha recuperato le forze, ed è ritornata a volare.
Eragon guardami negli
occhi. Sai che sto dicendo il vero. - Morgana lo scosse con forza,
costringendolo ad alzare gli occhi.
Una sola lacrima scese lungo il volto. Eragon serrò la
mascella la fissò con
sfida. Solo la rabbia gli permetteva di non crollare, adesso. Morgana
continuò
il suo racconto:
- E' stato allora che Lei e Per hanno deciso di proseguire il loro
viaggio. Li hanno
trovati Eragon, hanno incontrato gli altri draghi che vivono al di
là della Stonewood.
Con loro c'era anche Eleonor. Ma perché cedano una delle
loro uova a noi, c'è
bisogno che tu e Saphira dimostriate la forza del vostro legame. - ci
fu attimo
di silenzio mentre sentiva la ferita per la perdita di Saphira
ritornare a
fargli male più di prima. Poi Eragon parlò.
- Ammettendo che quello che dici è vero. – disse
con fatica - abbiamo più di un
problema. C'è un nuovo spettro, al fianco della regina ed
anche se riuscissi a
uscire dalle mura, Isobel non mi permetterà di certo di
allontanarmi senza
un'adeguata sorveglianza. -
- Eragon quello che ti abbiamo detto io e Murtagh è vero.
Saphira è viva.
Per quanto riguarda la sorveglianza, non saranno un problema per tuo
fratello
renderli innocui. Mentre per lo spettro, so per certo che non
è in città. Se
c'è un momento migliore per fuggire è adesso. -
Eragon era rimasto in silenzio, lo sguardo ancora una volta basso.
- Saphira non mi avrebbe mai lasciato solo. - disse infine con voce
rotta, e
lasciando uscire tutto quello che si era tenuto dentro dal suo incontro
con il
fratello.
- Eragon, la sua è stata una scelta molto difficile. Siamo
stati io e Par a
convincerla della necessità di partire. Prima di lasciarci
mi ha fatto
promettere che sarei tornata indietro per liberarti. Ed eccomi qui. -
Il volto di
Eragon era tornato ad essere una maschera di impassibilità,
solo le sue labbra,
trasformate in una sottile linea, tradivano il suo tentativo di
reprimere il
proprio dolore.
- Parlerò alla regina. - disse infine alzando il volto verso
di lei
- Le chiederò di poter allenare Rebekha e Kima fuori dalle
mura. -
- Credimi Eragon. Saphira vi ama più della sua stessa via. -
- Domani vi farò sapere. - fu la sua unica risposta.
***
Ci incontreremo
al limite esterno della foresta a sud-ovest delle mura. Attenderemo di
vedervi
volare fuori dalla caserma, per raggiungervi più tardi. Eragon
ripercorreva
mentalmente le parole di Morgana, mentre Kima e Rebecca volavano sopra
di lui.
C'è uno spiazzo, poco più avanti.
gli riferì mentalmente Rebekha grazie
alla sua visione privilegiata dall'alto.
Vide Kima planare leggera sulla piccola radura, ed Eragon
spronò il suo cavallo
ad avanzare più veloce nella sterpaglia. Dietro al suo
destriero, quattro soldati
e un mago lo seguivano senza perdere le sue mosse. Isobel gli aveva
risparmiato
il guinzaglio ma al suo posto il mago non mancava di ricordargli la sua
presenza usando il collare ogni qual volta lo riteneva opportuno.
- Ripetimi ancora una volta il motivo per cui siamo venuti qui maestro.
- gli
chiese un'altra volta Rebekha una volta scesa dal dorso di Kima.
- Meditazione Rebekha. - rispose Eragon con un mezzo sorriso.
- Trova un luogo qui vicino, che sia abbastanza appartato e siediti.
Poi apri
la tua mente, come ti ho insegnato, e quando avrai sentito la
totalità della
vita che ti circonda, ritorna qui da me. Io intanto
insegnerò a Kima alcune
manovre particolari, da eseguire in volo. -
Rebekha si immerse ubbidiente nel mezzo del bosco, guardando
attentamente
intorno a lei come gli aveva suggerito Eragon, fino a quando non
trovò il luogo
che poteva soddisfare le sue esigenze. Si trattava di un piccolo
spiazzo
avvallato, che le permetteva di essere isolata dal resto della foresta.
Raggiunto il centro della radura, Rebekha si sedette comodamente, poi
chiuse
gli occhi e aprì la sua coscienza. Improvvisamente una
miriade di emozioni e
sensazioni invase la sua mente, lasciandola senza fiato. La sua prima
reazione
fu di chiusura, ma qualcosa la trattenne dal fuggire. Pian piano con
l'aiuto
della calma, e rilassandosi, la ragazza riuscì presto a
controllare il flusso
delle immagini che gli venivano dalla natura che la circondava. Aveva
appena
iniziato ad analizzare le prime forme di vita, accanto a lei, quando
nell'aria
avvertì che qualcosa di sbagliato. L'istante successivo la
ragazza intravvide
Kima planare con un sordo tonfo poco lontano dalla piccola conca. La
dragonessa
la invitò a salire sul suo dorso, e di volata, ritornarono
alla radura.
Eragon era seduto con la schiena contro ad un albero. Non aveva
ricevuto ancora
nessun segnale da parte di Murtagh, e stava iniziando a credere che
quel
tentativo di fuga fosse un atto completamente folle. Non sarebbero mai
riusciti
ad allontanarsi abbastanza in fretta, e poi c'era sempre l'ombra di
Verschna,
Eragon non poteva levarsi la sensazione che lo stesse osservando anche
in quel
momento.
Rebekha e Kima avrebbero avuto da fare ancora per molto, con i compiti
che
aveva assegnato loro, quindi sistemandosi più comodamente,
socchiuse appena gli
occhi e si rilassò.
Eragon non
aveva idea di quanto tempo era passato da quando si era assopito, ma
quando aprì
nuovamente gli occhi seppe che qualcosa intorno a lui era cambiato. Si
rese conto
che il mago aveva smesso di pungolarlo da tempo. Con la coda
dell'occhio il
cavaliere vide i soldati dietro di lui, riunite in un semicerchio che
ridevano
e giocavano a dadi.
L’attacco
avvenne in pochi secondo. Eragon percepì un suono alla sua
destra, non fece in
tempo ad alzarsi che intravide un luccichio nella boscaglia. Una
freccia gli
sibilò accanto, attraversando tutta la radura, per andare al
colpire uno dei
quattro soldati che erano seduti. L'uomo cadde a terra, morto e i
cavalli
corsero via imbizzarriti. I tre superstiti si accorsero con terrore che
il mago
era già morto da tempo, colpito da due frecce alla gola e al
petto.
Non ebbero nemmeno il tempo di reagire. Con le mani ancora sull'elsa
delle loro
spade e gli scudi appena alzati, vennero raggiunti a brevi intervalli
da altre
tre frecce che li centrarono alla gola.
Come il
primo attacco sembrò terminare, Eragon corse in fretta al
fianco di uno dei
soldati, e prese loro una spada e uno scudo. In quel preciso momento
Kima
piombò nella radura, ponendosi di fronte a Eragon, a
difenderlo, proprio quando
una nuova freccia lo stava per raggiungere.
- Rebekha Kima che cosa fate qui. Dovete andare via, subito! -
Gridò Eragon
mentre altre frecce iniziarono a colpire la dragonessa. Le sue squame
protessero il corpo, che avvertì solo un leggero fastidio.
Rebekha pose subito degli schermi di protezione tutto intorno a loro,
ma nel
momento in cui lo fece, dagli alberi partì un nugolo di
dardi, guidati da una
qualche sorta di incantesimo, che li colpì con una potenza
che superava di
molto le forze della giovane. Uno dei dardi riuscì a passare
la barriera
perforando un'ala di Kima.
Il dolore improvviso, profuso dal loro legame mentale, fece barcollare
Rebekha.
Accanto a lei Eragon gli lanciò uno sguardo preoccupato.
- Chi ci sta attaccando? - chiese la ragazza, mentre una nuova ondata
di frecce
in seguito alla prima, venne lanciata dalla parte opposta.
- Vola via Rebekha. - gli rispose Eragon a denti stretti - Se restate
qui, verrete
tutti e due massacrate -
- E' Verschna, non è così? - la sua non era stata
una domanda, ma Eragon si
girò lo stesso per risponderle:
- Sì, ed è per questo che devi andare. Lei vuole
solo me. -
- Non posso lasciarti Ebrithil -
- Rebekha dovete tornare ad Abàlon! – Eragon, con
scatti fulmini, cercava di
deviare e parare le frecce, che passavano la barriera ormai indebolita
di Rebekha.
La ragazza dovette ammettere che Eragon aveva ragione. Lei e Kima non
avrebbero
retto a lungo in quelle condizioni.
La dragonessa cercava di proteggerli come meglio poteva, facendo scudo
con il
proprio corpo, ma le sue ali arano state già ferite in
più punti. Ad ogni suo
movimento, il suo sangue, caldo scendeva lento, macchiando il terreno
sotto di
lei.
Rebecca annuì grave:
- E va bene.
–
Protetta
dalla spada di Eragon, con uno scatto veloce Rebekha salì in
sella a Kima, e approfittando
dell'attimo di tregua, e ignorando il dolore, la dragonessa
spiccò un potente
balzo per virare in alto. Un'ultima freccia tentò di
raggiungerle, ma venne
fermata in tempo da Rebekha.
Ormai solo, Eragon iniziò a guardarsi intorno.
Una sola freccia sibilò vicino a un suo polpaccio. Eragon
fulmineo abbassò la
sua spada per intercettarla ma subito dopo sentì una forte
fitta al braccio sinistro.
Il primo colpo era un diversivo. Pensò allarmato e girando
il suo sguardo, il
cavaliere vide un piccolo dardo conficcato nella sua spalla.
Estraendolo con
una smorfia, Eragon lo esaminò in fretta: era stata
avvelenata!
Eragon sentì subito le forze iniziare ad abbandonarlo. Le
gambe cedettero sotto
il proprio peso e il cavaliere cadde in ginocchio. In quel momento una
figura
incappucciata avanzò verso di lui.
- Povero Cavaliere, senti le tue forze abbandonarti? - disse una voce
familiare. Lentamente la figura abbassò il cappuccio
rivelando così il proprio
volto, mentre i lunghi capelli rosso fuoco le ricaddero sulle spalle.
- Verschna - mormorò Eragon con voce sprezzante.
- Dormi Ammazzaspettri. - Eragon lottò invano contro l'oblio
che lo stava
soverchiando. Poteva chiaramente sentire, la droga in circolo nel suo
corpo,
eseguire in suo dovere. Ormai del tutto intorpidito, il cavaliere non
poté far
altro che chiudere gli occhi per abbandonarsi al buio che lo attendeva.
Prima
che il suo corpo potesse toccare terra, lo spettro lo prese tra le
braccia, e
caricato sul dorso del suo destriero, si allontanò dalla
foresta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** Eragon Ammazzaspettri ***
Un grande saluto a tutti
quelli che mi seguono. Ho postato due capitoli "Nella tana di Vershna "
e "Eragon Ammazzaspettri"
Un saluto
particolare a Tawariell che mi segue con passione nonostante
non abbia dimestichezza con la saga. Questo ha per me un grande
valore!! Grazie sempre !
***
Isobel
uscì
fuori dalle mura di Abàlon in testa alla squadra dei
tiratori scelti sotto gli
occhi di tutta la popolazione.
Nel varcare la porta cittadina il suo pensiero andò a
Xavier. Il comandante aveva
seguito insieme a lei ogni passo per la creazione di quella squadra,
l’unico
insieme a lei a conoscere ogni particolare di quelle armi. La sua
perdita era
stata per lei un vero shock, oltre che un grande danno per il morale
dei
soldati.
Dopo il suo tradimento si era promessa di non affidare più a
nessuno il comando
se non a sé stessa.
Isobel doveva
agire in fretta se voleva impedire ai due fratelli di riunirsi di
nuovo. In
questo Verschna avrebbe giocato un importato ruolo. Il suo odio, per il
più
giovane dei due cavalieri, poteva tornare a suo vantaggio.
Stavano seguendo le numerose tracce lasciate dagli zoccoli dei loro
cavalli,
quando alzando per un attimo gli occhi al cielo notò una
macchia che si muoveva
veloce nel cielo. A un occhio non esperto sarebbe potuta apparire come
la
semplice sagoma di un rapace, ma Isobel capì subito che si
trattava di Kima. La
dragonessa si stava dirigendo a grande velocità verso la
catena del Gran
Massiccio. Con un ordine perentorio la regina fece cambiare la marcia
nella
direzione opposta.
Allargando la sua mente la regina scoprì che Rebekha non era
con la dragonessa
e che la sua mente ere protetta da barriere che Isobel non seppe
superare. Cosa
stai facendo Rebekha? pensò accigliata la regina.
Con un colpo deciso alle
redini spronò il proprio cavallo al galoppo. I soldati
dietro di lei la
seguirono a ruota, domandandosi a cosa stessero andando incontro.
Vespriana
era in attesa del ritorno di Rebekha ormai da diversi minuti; la
ragazza non
tornava ancora e lei stava iniziando seriamente a preoccuparsi.
Non avrei dovuto lasciarla andare da sola! Pensò con una
certa ansia. Per
quanto il tunnel potesse essere lungo la giovane sarebbe già
dovuta tornare.
Distogliendo lo sguardo da un'altra parte cercò di distrarsi
ma la sua
attenzione ritornò subito alla grotta. Non era
possibile tutto quel tempo.
Doveva esserle successo qualcosa.
Vespriana
provò quindi a mettersi in contatto con Murtagh, ma in
quello stesso istante un
fruscio improvvise la fece scattare di lato, la coda alzata pronta allo
scatto.
Prima che potesse fare qualcosa, una voce nella sua testa la raggiunse
rassicurante.
Vespriana siamo noi
Era stato Par a parlare, sbucando da dietro una delle rocce
che affioravano
qua e là nel terreno intorno, seguito da Morgana. Anche Kima
li raggiunse
subito dopo atterrando con grazia. Una volta rilassata, Vespriana emise
un
sottile filo di fumo dalle narici.
Non fatelo mai più!! avrei potuto colpirvi e
ferirvi Par non l'aveva mai
vista così tesa.
Hai
ragione. gli disse
subito per calmarla. Con loro sorpresa però la dragonessa
blu era sola.
Intuendo i loro pensieri Vespriana rivolse subito a Kima uno sguardo
preoccupato.
Rebekha è dentro quella grotta ormai da un
po’. La
dragonessa si precipitò verso la grotta.
Kima ruggì frustrata quando scoprì che era troppo
piccola perché lei potesse
attraversarla. Provò allora a raggiungere la sua compagna
con la mente, ma
scoprì che era impossibile persino percepirla.
- Dove si trova Murtagh. Perché non è con voi? -
chiese Morgana, dopo essere
stata informata di ciò che fino a quel momento si erano
detti mentalmente.
Stavo
tentando di chiamarlo, quando siete arrivati voi. la
informò Vespriana attraverso Par
- Allora non indugiare oltre. Chiamalo - la invitò Morgana
senza troppe
cerimonie.
Annuendo con la testa Vespriana, chiuse gli occhi e cercò il
contatto con il
cavaliere.
Quando li riaprì, alcuni minuti dopo, Vespriana si rivolse
nuovamente a Par:
Sono riuscita a raggiungerlo, è a poche miglia da
qui. Gli ho spiegato la
situazione, ci ha ordinato di aspettarlo, e ha poi aggiunto che nessuno
di voi
tenti di entrare prima del suo arrivo.
Par riferì a sua volta le parole del cavaliere a tutti gli
altri
**
A qualche
miglio di distanza Murtagh si stava già avviando a passo
sostenuto, ma dopo il
richiamo di Vespriana, si mise a correre ancora più veloce.
Le sue gambe
sfrecciavano come il vento, schivando abilmente le pietre che
costellavano il
sentiero.
Solo dopo che avvertì la presenza della dragonessa nelle
vicinanze, si permise
di proseguire più adagio, guidato dalle immagini mentali di
Vespriana.
La prima stella della sera era apparse alte nel cielo, quando la
dragonessa gli
venne incontro, seguita da Morgana Par e Kima.
Dové che è entrata? chiese senza
quasi guardare gli latri, Vespriana gli indicò subito la
piccola insenatura.
Murtagh dovette avvicinarsi per poterla scorgere: nascosta dalle
tenebre,
quell'entrata sarebbe stato arduo per chiunque individuare.
Da quanto tempo è dentro? disse
preoccupato
il sole era ancora visibile nel cielo. Mi dispiace, io non
avrei dovuto lasciarla
andare.
Non avresti potuto impedirglielo Vespriana
- Gli ordini non cambieranno. Cercherò di uscire nel
più breve tempo possibile.
- Poi volgendosi solo a Kima, le disse alla mente
Saremo di ritorno tutti e tre insieme. Te lo prometto.
E senza aggiungere altro, si immerse nell'oscurità del
tunnel.
***
Eragon
avanzò cauto all'interno del cerchio di luce; la sua spada
rifletté di bagliori
azzurri che si infransero sulle pareti della grotta in mille riflessi.
Di
fronte a lui Verschna abbassò leggermente la sua esile
spada. poi con uno
scatto in avanti attaccò per prima.
Una serie di colpi molto potenti si susseguirono a velocità
sorprendente, e
rosse scintille iniziarono a volare tra di loro.
- Dovrai fare molto di più per riuscire a colpirci
Ammazzaspettri. La vita
della tua allieva dipende da te e dal tuo impegno -
gli disse dirigendo un fendente contro il suo fianco, che Eragon
parò senza
difficoltà. La magia fluiva lungo le sue membra, ma mancava
qualcosa, Saphira
non era accanto a lui.
Il pensiero di lei riempì la sua mente, e per alcune battute
i suoi colpi
divennero più deboli.
Verschna gli sorrise, mentre un nuovo attacco questa volta mentale lo
colpì con
violenza; Eragon dovette riportare la sua attenzione completamente al
duello.
A qualche metro di distanza, Rebekha si stava destando dal suo torpore,
svegliata con molta probabilità dal rumore provocato delle
due lame.
Passandosi una mano sulla fronte, con un lamento aprì piano
gli occhi, per
voltarsi subito in direzione di quel rumore assordante. Per primo i
suoi occhi
vennero catturati dai due fuochi, che la colpirono con in loro bagliore
accecante; poi la ragazza iniziò a mettere a fuoco le due
figure che con
agilità gli ruotavano intorno, allontanandosi e
avvicinandosi con velocità
sorprendente.
Una risata di Verschna le fece gelare il sangue nelle vene. Lo spettro
era
riuscito a superare le difese del suo avversario, e a colpirlo alla
spalla.
- Eragon! -
Senza distogliere l'attenzione dal combattimento con la coda
dell'occhio il
cavaliere rivolse a Rebekha un fugace sguardo. Eragon
constatò con sollievo che
Rebekha stava bene.
Ma le sue energie stavano rapidamente esaurendosi; come gli aveva
insegnato una
volta il suo vecchio maestro Oromis, il giovane cavaliere
cercò di attingere
energia da ciò che lo circondava.
La grotta era piena di minuscole forme di vita, e ad Eragon
bastò un attimo ad
allargare la sua mente, e percepirle. Un lieve spostamento delle sue
labbra, e
in battito di ciglia sentì quelle stesse vite spegnersi e
permettergli di poter
resistere ancora agli attacchi dello spettro.
Ritrovato nuovo vigore Eragon portò una serie di affondi
molto potenti; la sua
lama guizzò rapida, e prima che Verschna potesse fermarla,
raggiunse il suo
volto graffiandolo
Lo spettro non si era spettata un recupero tanto rapido. Con il dorso
della
mano si asciugò il sangue colato dalla ferita, e fermandosi
ad osservare il
rosso che macchiava la sua mano, sorrise maligna.
- Bene vedo che hai ritrovato la tua grinta, ma questo non
cambierà nulla. -
- Cosa ti fa essere così fiduciosa Spettro. - chiese allora
Eragon.
Verschna sorrise ancora, qualunque fosse stato l'esito del duello lei
avrebbe
comunque vinto, eliminando colui che con la sua esistenza era la
testimonianza
della loro sconfitta.
- Non hai ancora compreso quello che abbiamo fatto? Avremmo creduto che
te ne
saresti immediatamente accorto. -
Eragon
rimase per un attimo interdetto, mentre lo spettro lo lasciò
sondare con la
mente il perimetro della grotta. Come aveva già constatato
al suo risveglio, vi
aveva stata costruito tutta intorno una fitta rete di magia, che
diligentemente
la occultava al mondo esterno proprio come un'edera cresce intorno al
tronco di
un albero avviluppandola nei suoi tentacoli. Improvvisamente, la
risposta alla sua
domanda lo raggiunse lampante.
L'incantesimo che relegava la grotta nel mondo dell'invisibile era
indissolubilmente legata all'essenza dello spettro, e alla sua
scomparsa essa
sarebbe crollata, seppellendo così tutti coloro che fossero
rimasti al suo
interno.
Dall'angolo dove si trovava, Rebekha vide il volto di Eragon farsi
bianco e
voltarsi verso di lei.
Che cosa stava succedendo? Poi la voce di Eragon la raggiunse
Bekha devi uscire di qui al più presto!
Anche Verschna ora era rivolta verso di lei, il volto contrariato,
sorpresa di
trovarla già sveglia.
Gli spiriti che controllavano il suo corpo ebbero un piccolo guizzo e
lo
spettro fu attraversata da un fremito; un sorriso increspò
allora i lati della
bocca, prima di rivolgersi di nuovo verso Eragon.
- Lei rimane qui. - sussurrò, e a un cenno della sua mano la
ragazza venne
sollevata da terra e scaraventata contro il muro.
Nell'impatto la visione di Rebekha si appannò per un attimo,
poi la ragazza
cadde a terra con un tonfo. Tentò subito di rimettersi in
piedi, ma ricadde in
avanti ancora stordita per il colpo subito.
- Tu non toccarla! - gli disse Eragon con rabbia, prima di lanciarsi in
un
nuovo attacco, mentre con la mente andò ad attingere ancora
alle energie della
caverna.
**
Murtagh
avanzava sempre di più all'interno della grotta, aveva
percepito chiaramente l'incantesimo
che la circondava ne avrebbe potuto percorrerei confini ad occhi
chiusi.
Accelerando il passo si inoltrò ancora di più
fino a raggiungerla. A poca
distanza dal confine che lo separava dall'entrata Murtagh vide
provenivano dal
suo interno dei tremoli bagliori.
Murtagh attraversò l'esile barriera di magia per essere
immediatamente
aggredito da una presenza che iniziò a prendere la sua
energia. Il giovane
cercò di erigere subito delle barriere, ma l'attacco si
fermò prima.
Dentro la grotta Eragon aveva avvertito la presenza del fratello, e si
ritrasse
sorpreso.
Fece un passo indietro, scoprendosi quel tanto che permise a Verschna
di
colpirlo di striscio. Stringendo i denti attaccò di nuovo,
facendo
indietreggiare l'avversario, e prendendo del tempo.
Murtagh, presto vieni devi portare Rebekha via di qui.
Poi riprese di
nuovo l'offensiva.
Verschna riuscì a stento a fermare gli attacchi di Eragon,
che sembrava aver
trovato un nuovo motivo per combattere. Troppo tardi si accorse della
sagoma di
Murtagh che da dietro di loro si avvicinava a Rebekha e l'aiutava a
tirarsi in
piedi.
Murtagh vide con orrore Eragon e Verschna combattere senza tregua. Ma i
colpi
di Eragon non erano gli stessi. Murtagh conosceva fin troppo bene il
suo modo
di combattere, e quello non era certo il suo meglio. Eragon sembrava
non avere
intenzione di vincere.
- Ce la fai a camminare? - chiese a Rebekha mentre gli passava il
braccio sulle
spalle.
- Credo di sì - gli rispose la ragazza con un filo di voce.
- Allora appena saremo nel corridoio cammina fino all'uscita e non
voltarti indietro.
-
- Ma… -
- Niente ma. Fai come ti ho detto e andrà tutto bene. -
Stavano per mettersi a
camminare quando una voce li raggelò.
- Non andrete da nessuna parte voi due. - gli
fece Verschna di rimando. Stava per
pronunciare alcune parole contro di loro, quando con sua sorpresa
Eragon la
attaccò con la magia.
- Era negli
accordi
spettro. Se fossi riuscito a colpiti anche solo una volta,
l’avresti
risparmiata! -
Consapevole che il dispendio di energie non gli avrebbe permesso in
seguito di
continuare a combattere a lungo, Eragon sperò che questo
bastasse almeno per
permettere a Murtagh e Rebekha di mettersi in salvo.
Verschna ringhiò di rabbia, e si abbatté su
Eragon con tutta la sua foga, ma il
cavaliere era pronto a riceverla, e questa volta non avrebbe permesso
allo
spettro di avere alcun vantaggio.
Murtagh e Rebekha si erano avviati ormai indisturbati verso l'uscita, e
presto
non furono più visibili alla loro vista: erano entrambi in
salvo.
Attingendo alle sue ultime fonti di energia pose la sua concentrazione
al
massimo. La sua spada sfavillò di luce blu: aveva una sola
possibilità per
colpire lo spettro dritto al cuore. Se non ci fosse riuscito, Verschna
sarebbe
solo svanita per ricomparire da un'altra parte più potente
di prima.
- E' finita Verschna ...Brisingr! - Urlò.
Il volto dello spettro rimase impietrito nel vedere la lama passargli
il petto.
Il dolore esplose improvviso, e un rantolo strozzato uscì
dalla sua bocca,
mentre con tutte e due le mani afferrava la lama in un ultimo tentativo
di
reagire.
- Che tu sia maledetto - gli disse mentre una macabra smorfia si
dipinse sul
suo volto pallido. Poi il suo corpo iniziò a dissolversi,
mentre le urla degli
spiriti che si contorcevano, gli mandarono le loro imprecazioni e
maledizione
nella loro lingua abbietta.
Eragon aveva vinto guadagnandosi per una seconda volta il titolo di
Ammazzaspettri. La sua gioia però, poté durare
poco; crollando sulle ginocchia
esausto, vide le pareti della roccia iniziare a staccarsi e crollare
sbriciolandosi sul pavimento con assordante rumore.
I detriti stavano iniziando a ostruire l'uscita. Non
può finire così. Pensò
Eragon, mentre aiutandosi con la sua spada si rimetteva faticosamente
in piedi,
ma un nuovo scossone lo ributtò a terra.
Eragon resisti. Sto arrivando. sentì la
voce di Murtagh.
Nel mezzo del tunnel il cavaliere rosso raggiunse con la sua mente il
cuore
della grotta, riuscendo per il momento a fermare il collasso. L'energia
necessaria era molta, e il ragazzo vacillò non appena il suo
incantesimo iniziò
ad attingere alle sue energie.
Non sarebbe riuscito a impedire la sua distruzione per molto tempo, e
preso un
sospiro, si affrettò a cercare Eragon.
**
Il piccolo
contingente guidato dalla regina era ormai in prossimità
dello sperone
roccioso.
Isobel vedeva già la sua vittoria in pugno. Fece fermare i
soldati, e chiamò a sé
il generale. La luce delle torce accese illuminava i loro volti dal
basso proiettando
le loro ombre tutte intorno a loro.
- Ci divideremo in due squadre, io comanderò l'ala destra e
voi la sinistra. - Il
comandante annuì.
- Gli aggireremo
passando da quella insenatura. - e gli indicò uno stretto
passaggio alla loro
sinistra.
- Ci darete il segnale con uno scoppio appena sarete arrivati. Quello
sarà il
segnale per attaccare. Tutto chiaro? -
- Si mia regina -
- Bene, allora andate E muovetevi con precauzione. -
Il capitano annuì con un leggero inchino, e presi quattro
dei soldati, iniziò
la manovra di aggiramento. La regina, invece, con gli latri cinque, si
portò il
più possibile sotto di loro.
Perché le armi potessero essere efficaci, infatti, era
necessario che il loro
bersaglio fosse vicino.
Solo quando Isobel scorse la sagoma viola di Kima, ordinò
loro l'arresto.
Una serie di rocce che scendevano giù a strapiombo gli
separava da loro
nascondendoli alla loro vista. Isobel stava appena ordinando ai soldati
di
serrarsi in posizione di attacco, quando forti rumori provenienti dal
tunnel fecero
tremare la terra sotto di loro. Con stupore Isobel si rese conto che la
scossa
proveniva dall’interno.
**
All’interno
della montagna, nel frattempo Murtagh trovò Eragon non
lontano dall'entrata
della grotta.
Il fratello giaceva a terra immobile con la spada blu zaffiro ancora
stretta
tra le mani.
Murtagh corse in fretta al suo fianco, ed Eragon aprì stanco
gli occhi
- Lo spettro? - gli fece guardando la lama ancora sporca di sangue.
- Lo hai trafitto al cuore? - Eragon fece un lieve cenno con la testa
per poi
richiudere gli occhi.
Solo quando li riaprì, il più giovane dei due
cavalieri si accorse che intorno
a loro tutto aveva smesso di tremare.
- Lo hai fermato tu? - gli chiese il fratello indicando le pareti della
grotta
crollate,
- Si, ma non potrò farlo molto. Devi alzarti - gli disse,
passandogli il
braccio intorno al suo collo e aiutandolo a rimettersi in piedi.
Dall'entrata della grotta la figura zoppicante di Rebekha emerse dalle
sue
profondità
La giovane era visibilmente provata; aveva il viso pallido e tirato, i
suoi
lunghi capelli erano scompigliati, e la sua veste riportava un lungo
strappo
sulla manica destra.
Kima corse in fretta al suo fianco, appena in tempo per offrirle il suo
fianco
come appoggio per non crollare. Morgana e Par la guardarono preoccupati
- Sei sola? - chiese Par, mentre scrutava invano il tunnel dietro di lei
- Murtagh e Eragon sono ancora dentro con lo spettro - rispose Rebekha
con voce
rotta, mentre calde lacrime presero a scendere sul suo volto. Poi
dall'interno
della grotta provennero altri rumori, e dal tunnel prese a fuoriuscire
della
polvere.
Rebekha ebbe un sussulto, i detriti e il fumo impedivano loro di
inoltrarsi al
suo interno. Solo quando la nuvola prese a diradarsi, e il tunnel
divenne di
nuovo visibile, poterono scorgere con sollievo due figure zoppicanti
emergere
dal suo interno.
Murtagh che sosteneva ancora il fratello, crollò esausto tra
le braccai di
Morgana. Lo sforzo per impedire che la grotta crollasse su di loro era
stato
enorme. Eragon non era in condizioni migliori: diversi tagli
ricoprivano il suo
corpo, e i lineamenti del suo volto erano contratti dal dolore.
L'aria fresca della notte rinvigorì un poco il loro spirito.
Da dove si trovava Rebekha rimase a guardarli appoggiata al fianco di
Kima.
Nella mente della giovane rimbombò una voce familiare che la
chiamò
Maestà, siete voi? chiese
lei
sorpresa
Naturalmente Rebekha. Sei stata brava a portarmi da entrambi i
fratelli,
come pure quel giovane drago. Avrai due maestri se farai quello che to
dirò
Rebekha, fece in tempo solo a rivolgendo uno sguardo preoccupato a
Kima, poi un
scoppio squarciò l'aria mentre del fumo salì in
cielo alla loro sinistra.
Il segnale per l'attacco era partito, e Isobel diede l'ordine di
avanzare. Le
guardie in posizione di attacco puntarono le loro baionette contro il
gruppo di
fronte alla grotta.
Le membra dei soldati vacillarono un poco quando udirono Vespriana
ringhiare
loro minacciosa, ma rimasero fermi ai loro posti, mentre Par e Morgana
con le
spade in mano, si piantarono di fronte ai due fratelli per proteggerli.
- Rebekha Kima, allontanatevi. È un ordine! -
tuonò perentoria la voce di Isobel,
che da dietro i soldati avanzò trionfante. Rebekha
indietreggiò di qualche
passo, lo sguardo rivolto verso i quattro compagni.
- Mi dispiace. - sussurrò loro in tono addolorato, mentre la
mano tesa di Isobel
la invitava a riunirsi a lei.
- Murtagh Eragon, che piacere rivedervi insieme! - fece allora la
regina
scorgendo i due fratelli, che all'udire la sua voce si erano fatti
avanti,
superando i loro compagni.
- Il piacere è tutto vostro - le rispose Murtagh con
disprezzo
- Venite con me senza opporre resistenza, e ai vostri amici
verrà risparmiata
la vita - sentenziò Isobel. La sua era la voce di chi aveva
la situazione sotto
controllo, e Murtagh lo sapeva.
- Mai Isobel. - tuonò lo stesso il cavaliere.
- Come desiderate. Guardie, in posizione. Pronti -
- Maestà! - la voce di Rebekha risuonò nella
notte.
- Cosa c'è Rebekha? - gli rispose spazientita la regina.
- in alto guardate! - appena ebbe finito la frase, ecco che due enormi
ombre più
scure della notte passarono sopra di loro, oscurando al loro passaggio
la luna,
per piombare su di loro in un boato assordante.
Due enormi draghi, uno verde l'altro arancione, erano planati dinanzi a
loro.
Madre Padre. Ma che cosa ci fate qui?”
gridò Vespriana, mentre il suo
sguardo si posava sui soldati.
Piccola mia, quando abbiamo scoperto che eri fuggita per
seguire le orme di
quell'elfo, abbiamo discusso a lungo con tuo nonno, su quello che era
giusto
fare. gli disse il padre
Ci abbiamo messo un po’ per convincere lui e il
consiglio a farci
intervenire, ma alla fine siamo riusciti a raggiungere un accordo: ed
eccoci
qui.
Mi sembra che stiate in difficoltà. I due
draghi si guardarono indietro,
e rivolsero i loro sguardo penetrante ai quattro umani e all'elfo, che
ora li
guardavano senza parole.
Chi è di voi Eragon? Chiesero
rivolgendosi direttamente alle loro menti.
Eragon si fece avanti zoppicante Saphira ti sta aspettando.
Dovete venire con
noi, questo posto non è sicuro per nessuno di voi.
Detto questo si abbassarono per permettere loro di salire sui loro
dorsi.
Dall'altra parte, Isobel ordinò ai soldati di sparare, ma
gli uomini impietriti
di fronte alle due creature, non ebbero il coraggio di obbedire, le
loro mani
tremavano, mentre abbassavano le loro armi di fronte a tanta possanza.
Isobel
irata strappò di mano la baionetta a uno dei soldati e
sparò lei in colpo, poi un
altro e un altro ancora.
I proiettili lanciati andarono a colpire le squame dei due draghi senza
scalfirle. Intanto Eragon e Murtagh erano saliti sui due draghi,
seguiti da Par
e da una riluttante Morgana.
Isobel guardò i due fratelli piegarsi sul collo dei due
animali e impugnata di
nuovo l'arma, si preparava a caricarla per sparare di nuovo, ma le ali
dei due
draghi si aprirono improvvisamente, e spiccato il volo, salirono presto
di
quota, allontanandosi dalla portata della baionetta.
La piccola Vespriana li seguiva ancorata alla coda della madre con i
denti, chiudendo
il gruppo in fuga.
Rebekha sempre al fianco di Kima, sorrise rivolta al cielo.
Non preoccuparti piccina, presto o tardi li rincontreremo.
Sì, ma la prossima volta lo faremo da nemici.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Nella tana di Verschna ***
Kima volava
bassa, sotto di lei gli alberi della foresta sfrecciavano veloci, in
una
macchia verde indistinta. Le ferite l'avevano indebolita, e ad ogni
colpo di
ali sentiva le forze venirgli meno, ma non si sarebbe arresa, e
stringendo i
denti continuò il suo volo verso Abàlon.
Sopra il suo dorso Rebekha era immersa in pensieri oscuri. La
ragazza non
riusciva a non pensare che avevano fatto un grosso errore a lasciare
Eragon
solo, contro lo spettro, nonostante fosse stato lui a insistere. Con
lucido
raziocinio si rese conto che anche se fosse riuscita a ritornare
indietro e avvertire
la regina non sarebbe state mai abbastanza veloci per poterlo salvare.
Perché
allora l'aveva mandata via?
Una fitta di dolore proveniente dal suo drago la riportò
improvvisamente alla
realtà.
Non possiamo continuare così. Dobbiamo fermarci
Kima. disse
improvvisamente.
Troppo stanca per opporsi Kima planò sul terreno. Erano
ancora ai margini della
foresta, e le mura di Abàlon erano lontane.
Non possiamo continuare così, devo curarti le
ferite
Eragon ci ha mandato via non certo perché aveva
bisogno di aiuto. Quindi,
ora, ti curerò. Non c'è motivo che tu debba
soffra senza motivo. Detto
questo Rebekha saltò agile dal suo dorso, e con occhio
attento prese a
esaminare le sue ferite. L'esile membrana che ricopriva le sue ali era
ricoperta di graffi ed escoriazioni, ma più gravi erano
state le lesioni
provocate dal passaggio dei dardi. Rebekha le accarezzò il
muso, rassicurandola
con pensieri e parole. Eragon le aveva insegnato diverse formule di
guarigione
a seconda della profondità delle ferite e quali tipi di
tessuto erano
lesionati.
Concentrandosi, Rebekha raggiunse il centro del suo potere, ma posto
lentamente
la sua mano sul primo foro di freccia dovette fermarsi. Qualcosa di
appuntito e
freddo si era poggiato sulla sua nuca.
- Non ti muovere. - la intimò una voce calda e profonda. Il
respiro di Rebekha
si fermò di colpo.
- E ora girati, lentamente. - proseguì la voce sconosciuta,
senza mai diminuire
la pressione. Rebekha sentì il basso ringhio di Kima che
agitava la sua coda minacciosa,
ma la lama alla sua nuca era troppo vicina perché la sua
compagna potesse fare
qualcosa.
La mente del suo avversario era potente e schermata da barriere. Ma
questo non
impedì a Rebekha di provare lo stesso ad assaltarla.
- Se fossi in te non ci proverei, Cavaliere. Anche se sei potente, io
sono più
esperto di te nelle arti magiche. - gli disse con un sorriso. Era stato
più un
consiglio che una minaccia, e quando Rebekha girò il volto,
lentamente, si trovò
di fronte allo stesso ragazzo che mesi addietro aveva affrontato a
Antàra. I
suoi occhi blu, come il mare, la fissavano tra il curioso e il
preoccupato:
- Come ha fatto il vostro drago a procurarsi quelle ferite? E dove si
trova ora
Eragon? Vi abbiamo visti arrivare insieme. – le chiese
abbassando leggermente
la spada.
Rebekha trattenne il respiro.
Kima che facciamo! chiese mentalmente alla sua
dragonessa
Non mi sembra abbia intenzioni cattive, ma ci sono altri con
lui e si stanno
avvicinando
La dragonessa non fece in tempo a finire la frase, che dalla boscaglia
emerse
un drago, di qualche spanna più grande di lei. Le sue squame
erano state di un
blu cupo e, nell'uscire, avevano catturato alcune foglie che ora le
cadevano
dai lati. Aveva un non so che di selvaggio e spaventoso allo stesso
tempo, al
cui fascino Kima non seppe sottrarsi.
Kima hanno un altro drago!
Lo so, ma non mi ricordavo ci fosse un'altra dragonessa, oltre a quella
di
Eragon. Rebekha stai attenta Rebekha
arretrò istintivamente verso il
proprio drago, quando vide un elfo e una ragazza sbucare dal fianco
della dragonessa.
- Murtagh? - chiamò la ragazza.
Gli occhi di Rebekha si ridussero a due fessuro all'udire quel nome.
Murtagh
era stato il fratello di Eragon, colui che si era sottratto alla
volontà della
regina, e che Isobel avrebbe voluto avere al suo fianco. Probabilmente
erano
stati lì per poterlo portare con loro. Con un pizzico di
delusione realizzò che
era questo probabilmente il motivo della loro uscita. Non poteva
veramente
credere che sarebbe rimasto sotto il controllo della regina solo per
lei. Questa
consapevolezza non gli impedì di provare tristezza.
- Chi è lei? - chiese subito l'elfo. Murtagh si
voltò, e con scatto fulmineo,
la ragazza approfittò della piccola distrazione, per
prendere la sua spada e
sottrarsi così alla lama di Za'roc.
- Sono Rebekha, cavaliere dei draghi della Regina di Zàkhara
Isobel, e lei è
Kima, la mia dragonessa. Ora ditemi chi siete voi. - disse con gli
occhi in
fiamme.
- Non vogliamo farvi del male. - gli
fece allora Murtagh, per nulla intimorito. Eragon le aveva insegnato
bene, ma
aveva ancora molto da imparare. Nel sollevare la spada, Rebekha aveva
incautamente
lasciato scoperto il fianco destro, come faceva sempre anche Reafly, e
Murtagh
ne approfittò per disarmarla, facendole saltare la lama, che
cadde ad alcune
iarde di distanza da lei. Rebekha emise un lamento quando
sentì il polso cedere
sotto la pressione del suo avversario. Murtagh la fissò con
un leggero ghigno
divertito:
- Ed ora puoi dirmi cosa vi è successo? -
Ti sei fatta sorprendere, di nuovo fu il commento
di Kima nella sua
mente.
I tuoi commenti non mi aiuteranno gli rispose la
ragazza con voce
irritata.
Murtagh era rimasto fermo a guardarla, e a Rebekha non trovò
altra soluzione
che rispondergli con la semplice verità
- Siamo stati attaccati da uno spettro. Eragon mi ha permesso di
fuggire per
andare a cercare aiuto. Probabilmente si stava riferiva a voi. Dovevate
vedervi,
Non è così? -
- Si Rebekha. Era questo il piano - le rispose Morgana.
- Dove è successo? - gli chiese Murtagh, per la prima volta
davvero
preoccupato.
- Non molto lontano se si procede a dorso a un drago. Molto di
più se si è a
piedi. Che cosa hai intenzione di fare? -
- Arrivare prima che sia troppo tardi. - il volto di Murtagh era teso.
- Se il tuo intento è di aiutare Eragon devi fidarti di me.
Come io mi fiderò
di te. Posso affrontare lo spettro, ma tu Rebekha mi dovrai guiderai
nel posto
dell'agguato. -
- D’accordo Cavaliere, voglio fidarmi. -
- Morgana tu puoi rimanere qui con Kima e Par - poi si rivolse solo a
Vespriana
con la mente
Mentre tu Vespriana, tu ci seguirai dall'alto. Qualunque cosa
succeda devi
assolutamente proteggerla dallo spettro, con tutti i mezzi.
Vespriana annui
in segno di assenso. Poi il ragazzo si rivolse nuovamente a Rebekha,
che lanciò
un significativo sguardo a Kima:
- Kima sarà al sicuro con Morgana, non devi temere per lei -
le disse Murtagh
di rimando.
Vai pure Bekha.
Rebekha le sorrise, poi rivolgendosi a Murtagh gli fece cenno di
seguirlo.
Inoltrati nel fitto della foresta presero entrambi a correre, con
Rebekha in
testa, seguito da Murtagh che la seguiva, cercando di non perdere il
passo.
Era molto veloce ed agile, pensò il ragazzo, e sembrava
essere completamente a
suo agio in quell'ambiente.
Raggiunsero la radura una ventina di minuti dopo. Ma come avevano
temuto di
Eragon o di Verschna non vi era più traccia.
I corpi dei quattro soldati e del mago giacevano al suolo, trafitti
dalle
frecce dello spettro. Murtagh analizzò attentamente il
terreno, e la sua
attenzione cadde subito su un dardo nero isolato dagli altri. Gli si
avvicinò,
e piegandosi sul terreno vi trovò le orme di due persone
distinte. Vi era stato
di certo un piccolo scontro, ma solo una di loro si era allontanata
dalla
radura con i propri piedi, l'altra, a giudicare dalla
profondità delle altre,
era stata portata di peso. Murtagh digrignò i denti. I suoi
sospetti si stavano
realizzando. Eragon deve essere stato portato via dallo spettro. Le sue
orme
finivano non troppo lontano, per proseguire con quelle di un cavallo
che si
inoltravano nel profondo della foresta, ma non erano in direzione di
Abàlon.
Riferita subito la sua scoperta a Rebekha, la ragazza prese a ragionare
su dove
lo spettro avrebbe potuto dirigersi.
- Verschna non può averlo riportato ad Abàlon -
Murtagh assentì di rimando:
- Deve essere un luogo dove possa agire nascosta da occhi indiscreti. -
- L'unico in grado di offrire protezione, e che si trova nelle
vicinanze è il
Gran Massiccio. - fece
allora Rebekha
dopo un attimo di silenzio, poi aggiunse
- Murtagh, chi è Durza, e perché Verschna ha
chiamato Eragon, Ammazzaspettri? -
- Durza? Come conosci il suo nome? -
- Lo spettro lo ha nominato. E ha detto qualcosa anche riguardo a un
conto in
sospeso. -
Lo sguardo di Murtagh si rabbuiò ancora di più.
- Deduco che tu non sappia neppure che cosa è realmente uno
spettro. -
La ragazza fece un cenno di no con la testa
- Gli spettri sono per lo più dei maghi, che praticando la
magia nera, ed
evocando spiriti per eseguire i loro ordini, ma sono stati da questi
sopraffatti, cadendo sotto il loro controllo. Sono più forti
di qualsiasi
essere umano. Con la spada sono veloci come un serpente e agili come un
felino,
e lo stesso con la magia. Ma soprattutto, non possono essere uccisi, o
almeno
non con un i semplice mezzi che si conoscono. L'unica
possibilità che si ha per
eliminare uno spettro è quello di trafiggerlo con un colpo
dritto al cuore.
Solo tre persone, in Alagaësia, sono state in grado di
compiere questa impresa.
Uno di queste è Eragon. - Murtagh alzò la testa
in direzione delle orme del
cavallo
- Dobbiamo trovarlo, prima che lo spettro compi la sua vendetta. -
Con un messaggio mentale, Murtagh informò a Vespriana delle
loro scoperte, e
della loro prossima meta.
Quando usciremo dalla foresta dovrai volare molto in alto, non
possiamo
rischiare che qualcuno ti scorga proprio adesso.
La dragonessa fece qualche giro sopra di loro poi puntò
verso l'alto fino a
diventare un piccolo puntino nel cielo.
- Ora andiamo. -
***
Isobel sentiva
nell’aria che qualcosa stava per accadere
Verschna era
partita da Abàlon da due giorni senza dare sue notizie.
Isobel sapeva che il
tradimento era insito negli spettri. Per questo la regina
l’aveva fatto
accompagnare da un gruppo dei suoi soldati più esperti con
il compito di
sorvegliarla, e di riferirgli qualsiasi particolare sospetto riguardo
alla sua
condotta.
Quando la porta della stanza venne aperta di colpo, e un soldato le
venne
incontro con il fiato in gola Isobel non si fece illusioni a riguardo.
- Maestà ... le...le guardie che erano con Lady Verschna.
Sono state uccise, e
i loro corpi trovati dilaniati vicino alla torre nord, ma di Verschna
non c'è
traccia -
Il volto della regina divenne una maschera di rabbia, e il soldato
abbassò il
volto tremante.
- Radunate la squadra speciale dei tiratori scelti, e mandateli da me
subito.
Che i corpi dei soldati siano portati via, e che alle loro famiglie gli
venga
subito retribuito un vitalizio. Ogni voce sull'episodio deve essere
messa a
tacere. Ora andate. -
Isobel tentò di mettersi subito in contato con Rebekha. Ma
la mente della
ragazza era serrata da potenti barriere. C'era stato qualcun'altra con
lui.
Il sorriso sul volto di Isobel si allargò quando
capì che si trattava di
Murtagh. La fortuna, dopo tutto, continuava ad arriderle.
La regina non avrebbe mai sperato di poter rincontrare il maggiore dei
due
fratelli prima della battaglia.
Se solo fosse riuscita a farlo tornare al suo fianco la sua vittoria
sarebbe
stata schiacciante. Con i due cavalieri e con Rebekha, re Arold non
avrebbero
avuto modo di opporsi a lei.
La regina andò dritta nei quartieri della caserma, verso
l'armeria.
Aveva impiegato molti mesi, per addestrare una squadra capace di
assemblare e
maneggiare le dieci baionette che aveva difronte. Quella sarebbe stata
un'ottima occasione per collaudare la loro efficacia in una vera
battaglia. –
-
Maestà, i
soldati sono pronti -
- Molto bene. Prendete le vostre armi e le munizioni. Oggi scriveremo
la storia
di questa guerra. -
***
l complesso
roccioso del gran massiccio si ergeva di fronte a Murtagh e Rebekha in
tutta la
sua maestosità. Le orme di zoccoli del cavallo di Verschna
si fermavano proprio
alle sue pendici, segno che lo spettro si era andata a nascondere da
qualche
parte nel suo interno.
Si erano appena inoltrati tra le rocce quando Murtagh si
fermò.
- Dobbiamo separarci, in questo modo avremo più
possibilità di trovarli.
Vespriana starà al tuo fianco.
- Non
tentare di affrontare Verschna da sola. Aspetta che io vi raggiunga,
poi voi
due allontanatevi. -
- D'accordo. - gli fece Rebekha, senza troppa convinzione, e dopo altre
raccomandazioni rivolte a Vespriana, si separarono: Rebekha e la
dragonessa si
diressero a nord, Murtagh a sud.
Il cavaliere cremisi vagò a lungo senza trovare alcuna
traccia, fino a quando,
vicino al tramonto, non si ritrovò a dall'altra parte della
catena montuosa. Le
rocce, che finivano a strapiombo su una spiaggia molto stretta,
riflettevano
ora i raggi rossi del sole che scendeva lento alle loro spalle. Murtagh
sospirò, non aveva trovato nulla che potesse portarlo al
fratello, ed anche
Rebekha non si era ancora fatta sentire.
La giornata era giunta al termine, e nulla di quello che aveva
programmato era
andato a buon fine. Rebekha ed Eragon sarebbero dovuti già
rientrare al
castello, e non vedendoli arrivare avrebbe di certo messo in allarme
Isobel.
Tutto sarebbe diventato più difficile ora.
***
Dalla parte
opposta Rebekha era a fianco di Vespriana. Il sole stava calando e la
ragazza
aveva ripreso il cammino del ritorno, quando la luce radente le
rivelò una
piccola entrata, su un lato di un grande sperone che prima non aveva
notato.
Vedo a vedere che cos’è. Tu rimani qui. Disse
alla giovane dragonessa
blu. L'entrata era stata troppo piccola per la creatura, che riluttante
acconsentì alla ragazza di indagare.
Stai attenta
Ritornerò subito.
Rebekha venne presto inghiottita dall'oscurità della grotta.
Il buio nella
galleria era stato totale, e Rebecca decise si utilizzare un piccolo
incantesimo per creare un po’ di luce.
- Garjzla. - mormorò piano. La piccola
fiamma prese forma davanti alla
ragazza e illuminò l'ambiente. Rebekha si ritrovò
in uno stretto corridoio che
proseguiva in avanti senza che ne potesse vedere la fine. Decise allora
di
estendere la propria mente e sondare il tunnel. Era stato
apparentemente senza
vita, a parte le minuscole forme di vite dei licheni e delle muffe che
crescevano
lungo le pareti umide della roccia, e proseguendo in
profondità il risultato
della sua indagine non cambiava. Stava appena pensando di abbandonare
l'ispezione, e tornare indietro da Vespriana, quando venne colpita da
un
piccolo particolare. C'era stata un’interferenza, nelle sue
percezioni o,
meglio, un vuoto in essa, che non aveva nulla di naturale. Il segnale
veniva da
qualche parte imprecisa alla fine del tunnel. Rebekha non aveva dubbi
doveva
trattarsi del covo dello spettro. Il primo istinto della ragazza fu
quello di proseguire
all'interno, in direzione del vuoto che aveva avvertito, ma si
bloccò di colpo,
ricordando le raccomandazioni di Murtagh. Fece immediatamente dietro
front e
cercò di avvertire Vespriana, ma prima che potesse dire o
fare altro, qualcosa
la colpì dietro la nuca. Poi intorno a lei tutto divenne
nero.
***
Quando
Eragon rinvenne, dopo ore, si ritrovò disteso sul terreno
umido di una grotta.
La sua visione era offuscata e impiegò alcuni minuti
perché ritornasse chiara.
Non ricordava affatto come poteva essere finito lì, ma
qualcosa non gli
tornava. Poi capì: non c'erano state montagne dove era stato
attaccato. Gli
unici monti, nelle vicinanze, si trovavano dall'altra parte della
foresta. L’affioramento
del Gran Massiccio, e questo poteva significare solo che lo spettro
doveva aver
viaggiato un bel tratto per poterlo portare fin li. Ma dove era il lì?
Dandosi uno
sguardo intorno, Eragon poté scorgere due fuochi ardere ai
due lati della
grotta, ma allarmato notò che non vi erano state uscite. La
stanza sembrava
essere completamente chiusa e circondata dalla fredda roccia.
Eragon si girò lentamente da un lato, la testa gli doleva
terribilmente, con
molta probabilità a causa del sonnifero che gli era stato
dato. Ma qualcosa era
cambiato in lui. Di scatto Eragon si tirò su a sedere
elettrizzato. Poteva
sentire la magia nuovamente ai margini della sua coscienza.
Istintivamente il
suo sguardo andò al suo palmo destro, e al Gedwey-ignasia
impresso
sopra. Il marchio brillava nuovamente di luce argentea, il collo era
libero dal
collare che bloccavano l’accesso al nucleo della su magia.
Perché Verschna lo aveva
liberato?
Eragon non riusciva a trovare una spiegazione.
Tentò allora di contattare con la mente Murtagh. Avrebbe
dovuto incontrarlo
ormai da tempo e probabilmente lo stava cercando. Eragon si rese conto
subito
che una barriera bloccava ogni cosa al di fuori della grotta. Nulla
poteva
penetrare al suo interno, ne poteva uscirne.
I suoi poteri erano ritornati, ma la sua capacità di usarli
erano ancora basse,
e non era ancora in grado di contrastare il potere dello spettro.
Che cosa aveva in mente di fare? Eragon respirò adagio, e
appoggiandosi alla
roccia, si tirò in piedi. In quel momento da un angolo buio
della grotta una
figura ammantata avanzò lentamente verso di lui.
- Finalmente ti sei svegliato, Ammazza-spettri. - Eragon
fissò la figura con
occhi stanchi.
- Verschna. Che cosa vuoi esattamente da me? -
- Prendermi la mia vendetta, naturalmente. - gli rispose lo spettro con
ilarità.
- in un duello alla pari. Solo tu ed io. E quando ti avrò
battuto, sarà per me
un piacere eliminare questa terra della tua presenza. -
- Perché combattermi, quando avresti potuto eliminarmi
facilmente molto tempo
prima? - chiese Eragon, staccandosi lentamente dal muro.
Lo spettro gli rise sommesso
- Il primo giorno ti ho battuto con troppa facilità. Non
c'è gloria
nell'affrontare un avversario debole. Non lo pensi anche tu? - Eragon
la guardò
senza rispondere. Lo spettro proseguì:
- Così ti abbiamo portato qui, e liberato da quel ridicolo
collare, ridandovi
la facoltà di usare la magia. -
- Un gesto molto gentile da parte tua - rispose Eragon con una smorfia.
Il pensiero, del suo recente fallimento non lo confortava. Come a
leggergli nel
pensiero Verschna gli rispose pronta:
- Oh, la barriera che ho tessuto intorno a noi è solo una
precauzione Eragon. Non
posso rischiare che tuo fratello Murtagh possa raggiungerci e aiutarti.
- Il volto di
Eragon sbiancò all'udire il suo
nome.
- Oh, si ero a conoscenza del vostro piano fin dall'inizio. Non ho
detto nulla
a Isobel, non preoccuparti. Come ti ho già detto, non voglio
interferenze da
parte di nessuno. Tanto meno di un una folle regina con la mania del
controllo.
Siamo noi due. -
- Ma io non ho intensione di combattervi; puoi fare di me quello che
vuoi
Verschna. Uccidimi pure, ma non mi abbasserò mai a
soddisfare un vostro inutile
piacere. -
Sul volto dello spettro comparve un’ombra d'ira, che
scomparve l'attimo
successivo, quando dando un fugace sguardo alle sue spalle, gli sorrise
malignamente.
- immaginavo che avreste fatto un'obiezione del genere. Il nobile
Eragon
Ammazzaspettri si batte solo per cause giuste, vero? E così
mi costringi a fare
ciò che non avrei voluto. - aggiunse infine, in un tono di
falso dispiacere.
Poi a un cenno della sua mano, la sagoma di una persona venne
illuminata da un cono
di luce. Era Rebekha.
- L’ho
sorpresa
che curiosava nel posto sbagliato – Eragon si girò
di scatto verso lo spettro.
- Lei non
c’entra
con noi due. lasciala andare! -
- Vedo con piacere che ti sta a cuore la sua sorte. Voglio fare una
piccola
scommesse con te allora. Per rendere più interessante il
nostro incontro. Se ti
rifiuti di batterti lei morirà, ma se combatterai con il
massimo delle tue
forze e riuscirai a colpirmi anche solo una volta, durante il duello,
allora potrà
salvarsi. -
Era stato un gioco crudele, ma Eragon non aveva scelta, avrebbe
accettato la
sfida.
- Che cosa mi rispondi adesso Cavaliere? -
Eragon digrignò i denti, e lo spettro gli sorrise divertito
- Dimenticavo – aggiunse - per l'occasione ci siamo permessi
di prendere la
vostra spada. Spero lo apprezzerai.
L’abbiamo trovata tra gli oggetti che la regina conserva
nell'armeria reale. -
Eragon vide improvvisamente Speranza, brillare alla luce dei due
fuochi, tra le
esili mani dello spettro. La spada venne poi lanciata nella sua
direzione.
Eragon prese la lama al volo, e stringendola tra le mani,
acquisì l'energia
immagazzinata nella pietra incastonata all'estremo della sua
impugnatura.
Quella poteva essere la sua unica possibilità di resistere
allo spettro.
Verschna gli sorrise melliflua:
- Molto bene. Sei pronto Ammazzaspettri? -
In risposta Eragon alzò la sua lama e, mettendosi in
posizione di attacco,
avanzò verso il centro dei due fuochi, dove Verschna lo
attendeva, pronta per
la sfida.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** Il sogno di Arya ***
Il tiepido
sole di primavera stava cedendo lentamente il passo
all’estate. Presto il caldo
avrebbe indorato i campi con la sua torrida afa. Nonostante la
popolazione
fosse consapevole che presto la guerra si sarebbe nuovamente abbattuta
su di
loro, ognuno di loro faceva di tutto per tenere lontana la sua ombra
cercando
si mantenere una parvenza di normalità.
Tipico della città di Antàra erano state le
grandi tende, tese dalle pareti di
un palazzo a l'altro, che coprivano con le sue vele le grandi vie,
offrendo
ombra e frescura ai passanti.
Dal terrazzo della sua camera Jill stava ammirando l'arcobaleno di
colori che
la città iniziava a mostrare con orgoglio; ma se i suoi
occhi erano stati
rapiti da quello spettacolo, il suo cuore come la sua mente erano
rivolti verso
il mare; lì da qualche parte oltre la linea dell'orizzonte
Murtagh stava
lottando per liberare il fratello.
L’eco
della
grande adunanza che si era tenuta ad Abàlon per volere di
Isobel aveva
raggiunto le orecchie di re Arold e del consiglio degli elfi. Il nome
di Eragon
da Alagaësia si era presto affiancato a quello di Rebekha
Coleman. Solo il
ritorno di Arya e Reafly con Castigo e Gleadr era riuscito a mettere a
tacere
in parte le voci che volevano il minore dei fratelli al servizio della
regina.
Arold avrebbe preferito che Murtagh lo avesse informato delle sue
intenzioni ma
continuava ad avere fiducia in lui e nelle sue decisioni. Dopotutto
Castigo era
tornato dalla missione diplomatica riportando Arya e confermando il
loro
impegno a stare a loro fianco. Se c’era qualcosa che il re
aveva imparato in
quei mesi passati con loro era che un drago e il suo cavaliere mal
volentieri
si dividevano. Murtagh avrebbe fatto di tutto per tornare dal suo
compagno.
E poi
c’era
Jill ad attenderlo. La giovane donna si destò dai suoi
pensieri quando uno
stormo di rondini passò di fronte alla sua finestra, il loro
cinguettio riempì
per un attimo l'aria rendendola satura del loro suono. Stanca di
rimuginare decise
di uscire all'aperto a prendere una boccata d'aria.
Scivolò silenziosa attraverso la porta di ingresso e si
diresse verso i giardini
del palazzo.
Passeggiò per un tratto poi vide Castigo volare sopra di
lei, disegnando gradi
cerchi nell'aria. Le sue squame rubino riflettevano la luce del sole in
bagliori vermigli, che estasiarono Jill a tal punto da farle scappare
un
sorriso.
Dopo altre piccole evoluzioni il drago rosso le atterrò di
fronte maestoso e
terribile.
Salve Jill. Tuonò nella mente
della giovane.
Come ogni abitante di Antàra, Jill aveva visto il ritorno
del drago rosso e di
quello dorato tra moti di gioia, ma era stato solo suo il tuffo al
cuore provato
quando dal dorso di Castigo vide scendere Arya e non Murtagh.
Era passato
un giorno da allora e questa era la prima volta che la ragazza rivedeva
il
drago rosso.
La voce della ragazza risuonò piena tristezza.
Murtagh ti deve mancare terribilmente gli disse la
ragazza attraverso le
loro legame.
Castigo chiuse con un movimento fluido le sue ali, per chinarsi con il
suo muso
verso la ragazza.
Ogni singolo giorno, ma dobbiamo avere fiducia in lui.
A quelle
parole la ragazza lo accarezzò con affetto; le sue dita
sottili lo stuzzicarono
sotto il mento, e Castigo inarcò il collo per il piacere.
Quando infine si ritrasse indietro, un senso di gratitudine
sprigionò dalla
mente del drago.
Non ti ho cercato per avere consolazione. Sali sul mio dorso.
Facciamo un
giro. Ti voglio mostrare qualcosa gli disse mirando
con lo sguardo al
cielo.
I raggi del sole erano ancora tiepidi e nemmeno una nuvola adombrava il
cielo
limpido.
La ragazza lo guardò nei suoi grandi occhi rubino poi si
issò con agilità sul
suo dorso. Quando ebbe preso posto Castigo si alzò in tutta
la sua altezza, e
aprendo le ali, salì in volo. Sotto di lei Jill sentiva solo
il calore del suo
corpo. La sua potenza si esprimeva attraverso ogni battito di ali, e
per un
momento, la ragazza sentì di essere vicina al drago rubino
più di quanto non lo
fosse mai stata.
Se il loro amore verso Murtagh li avesse sempre uniti, quel contatto
più intimo
sarebbe stato qualcosa di diverso. In quel momento il drago rubino si
stava
offrendo a lei come non aveva mai fatto prima. Castigo le stata
mostrando una parte
dei suoi ricordi e delle sue sensazioni.
Come mio cavaliere Murtagh ha sempre condiviso tutto con me.
Come sua
compagna è arrivato il momento che anche tu conosca la parte
di lui che risiede
in me. Jill non ebbe il coraggio di dire nulla ma si
limitò a
rilassarsi e aprire la sua mente a quello che il drago le stava
offrendo.
Prese una boccata d'aria, quando avvertì la mente di Castigo
espandersi nella
sua con delicatezza.
Quello che lei percepì fu un’esplosione di colori
e profumi e un’infinità di
sensazioni, poi ad un altro sussulto del drago la ragazza rinvenne.
Jill
sorrise, stavano volando sopra una vasta pianura; sotto di loro gli
steli del
grano si piegarono sotto la folata improvvisa di vento provocato dal
loro
passaggio. Rientrarono provando entrambi una grande gioia nel cuore. Da
parte
di Jill c’era la consapevolezza di avere condiviso
un'esperienza unica.
Grazie Castigo. Gli disse con sincera gratitudine.
Le giornate
continuarono a susseguirsi frenetiche per Jill e per tutti i suoi
compagni. Le
risposte positive dei due principi di cui Arya e Reafly erano stati
latori avevano
dato a tutti grandi speranze ma anche molto su cui lavorare. Sia i
Kallen che i
Von Mack avevano confermato le loro intenzioni di appoggiare gli elfi.
L’unica clausola
che entrambi i principi avevano posto era di non coinvolgere
direttamente i
loro regni. Non avrebbero sottovalutare le minacce di Isobel nei
confronti
dell’impegno di non belligeranza firmato da tutti loro.
Nessun soldo
proveniente dalle casse pubbliche di Gelko e Nihel sarebbe stato
toccato. Frederick
e … avrebbero usato le risorse finanziarie private delle
loro casate. Queste,
infatti, erano tali da poter sostenere da sole l’aiuto
promesso agli elfi ed
Isobel non avrebbe potuto presentare le sue dimostranze al consiglio.
Una sera
Jill, Arya e Reafly ricevettero tutti e tre un invito da parte di
Aglaia e
Faramir. La famiglia di quest’ultimo possedeva una villetta
appena fuori dalla
città. Appena arrivati i tre ospiti respirarono una
piacevole aria famigliare molto
diversa da quella formale di palazzo.
- Vi ringraziamo per aver accettato l’invito – li
avevano ringraziati i genitori
di Faramir - gli attimi di tregua sono talmente pochi, che ogni
occasione che
possiamo passare con mio figlio e i suoi amici diventa preziosa
– conclusero i
due anziani elfi.
Grazie alla presenza del vino, e dall'idromele, l'atmosfera della
serata si
fece subito allegra. Reafly fu contento di poter raccontare molti
aneddoti
divertenti del loro viaggio cosa che non gli era stato possibile fare
alle
lunghe riunioni con il re.
Un altro argomento della serata fu il suo aspetto fisico. A tutti era
stato
evidente l’enorme cambiato dal giorno della partenza; Reafly
era nella piena età
della crescita, ma se parte di queste trasformazioni erano imputabili a
quello,
altri non potevano che essere legati al fatto di essere un cavaliere. I
suoi
lineamenti si erano affinati in maniera sorprendente, e anche le
orecchie
avevano assunto ora una forma più allungata vicina a una
punta.
Reafly con un po’ di imbarazzo raccontò loro la
sorpresa nello scoprire questi
cambiamenti solo al suo ritorno, e confessando con aria contrita di
avere
trovato poco tempo per specchiarsi durante il viaggio. Ci fu una risata
generale,
poi le domande continuarono sul viaggio. Reafly si mise allora a
raccontare in
particolar modo del regno di Nihel
e
dell’accoglienza del suo principe, il giovane e aitante
Frederick. La capitale
del piccolo regno era una
cittadina dell'interno, arroccata su un basso pendio roccioso. Le case
a un
solo piano, o massimo due erano state costruite su terrazze, e le
strade
sfruttavano i pendii naturali del monte. Dei terrapieni frutto
dell’antica
ingegneria degli elfi ancora oggi connettevano i diversi livelli su cui
si
sviluppava la cittadella.
- Non avevo visto nulla del genere fino ad ora - ammise infine Reafly,
mostrando
a tutti di una
intensa passione per l'edilizia.
- Il principe Frederick è
stato molto generoso nel
spiegandomi ogni cosa - disse infine, quasi per giustificarsi.
Rimasero ancora a parlare, e i loro discorsi iniziarono a saltare da un
argomento all'altro.
La luna, immersa nel suo pallido bagliore era ancora alta nel cielo,
quando uno
alla volta, ognuno di loro iniziò a congedarsi per ritornare
alle loro camere.
Reafly e Gleadr furono i primi a lasciare la compagnia, seguiti subito
dopo da
Jill ed Arya.
Jill accompagnò Arya nella sua stanza. La ragazza non poteva
fare a meno di
pensare come fosse stata taciturna l'alfa. Durante tutta la serata
l'aveva
sorpresa spesso a guardare la luna con occhi languidi, per poi
rivolgersi
nuovamente ai presenti, sorridendo, come se non fosse successo nulla.
Jill non riusciva a immaginare cosa stesse turbando il suo animo, e si
ripromise di andarle a parlarle nei giorni seguenti.
Passò
un’altra settimana prima che Jill riuscisse a trovare il
tempo e il modo di
tenere fede alla sua promessa. Nel frattempo, Arya era entrata in quei
giorni
nel quinto mese di gravidanza, la pancia continuava a crescere. Cinque
mesi
durante i quali molto era cambiato dentro e intorno a lei.
Gli elfi di Antàra erano stati molto gentili e premurosi nei
suoi confronti. Le
premure erano aumentate anche da parte di Arold. Il re era stato
particolarmente attento affinché dal suo rientro
l’elfa non si affaticasse o
preoccupasse per ciò che stava accadendo fuori
dall’isola. Anche fin
troppo, era il pensiero costante di Arya.
Lei era pur sempre una principessa elfica, non sarebbe stata capace di
rimanere
in disparte per troppo tempo.
Delle voci all'estero e il picchiare alla sua porta che
seguì subito dopo,
destò Arya dai propri pensieri.
- Chi è? - chiese
- Sono Alicia mia signora. -
- Entra pure Alicia. - la donna fece il suo ingresso nella stanza con
passo
titubante.
- Arya Svit-kona. C'è qui fuori Lady Jill che chiede di
poter parlare con te. -
- Falla entrare. Cosa aspetti? - le chiese mentre alzandosi si
sistemava la
veste.
- Ma il re… - ci fu un attimo di esitazione nella sua voce.
- Il re cosa? – la incalzò Arya
Alicia si fece piccola, piccola poi rispose
- Si è personalmente raccomandato di non farvi stancare
troppo. - aggiunse
infine come a trovare le parole adatte.
Arya scrutò a lungo il volto di Alicia, che d'istinto
abbasso il capo.
- Il re non ha alcun motivo di preoccuparsi per la mia salute Alicia.
Jill può
entrare. Parlerò io con re Arold. -
Quelle ultime parole furono un sollievo per Alicia, che come liberata
da un
pesante fardello, prese un respiro per andare in seguito a chiamare
Jill, che
si trovava ancora fuori dalla porta.
- Jill ti prego entra pure. Alicia, puoi andare, grazie. -
- Sempre a suo servizio signora. - disse Alicia facendo un frettoloso
inchino.
Jill attese che la dona uscisse dalla camera, prima di far scorrere
rapido il
volto su quello di Arya.
- Ti è molto affezionata. Ma se si ostinava a tenermi fuori
ancora un'altra
volta, giuro che non avrei risposto delle mie azioni - quella sua
improvvisa
manifestazione d'impeto fece scappare ad Arya una sonora risata
- Lo terrò presente - aggiunse seriamente appena si ebbe
ripresa.
- Dicevo sul serio Arya, l'avrei fatto veramente. È tutta la
settimana che
quella donna inventa scuse su scuse. -
- Non è colpa sua. - Jill si fermò, e
corrucciando la fronte aggiunse
- È Arold - gli disse indovinando quello che l'elfa non
voleva dire ad alta
voce.
Arya si limitò ad annuire.
- Come puoi permettere che ti ordini cosa fare o chi devi incontrare? -
- Jill, noi Elfi abbiamo avuto secoli per affinare le nostre
capacitò
diplomatiche, posso sopportarlo. Sono convinta che Arold sta agendo
così perché
pressato dal consiglio. Bisogna essere pazienti con lui. -
- Io non ho la pazienza leggendaria di voi elfi, non chiedermi di
seguirti in
questo. – Le rispose Jill con sentimento.
- Lo capisco - le rispose Arya con altrettanta enfasi, poi
l’elfa fece qualcosa
di completamente inaspettato per Jill, le andò vicino, e le
strinse
delicatamente le mani
- Ascoltami bene, anche se molto diversi, questa gente rimane sempre il
mio popolo.
La guerra contro Galbatorix è abbastanza vicina da
ricordarci come eravamo noi.
- Jill la guardò per un istante, colpevole, poi il suo viso
si addolcì, e anche
se senza troppa convinzione le fece un cenno con la testa, che Arya
ricambiò
con un sorriso.
- Ma adesso
raccontami un po’ di te. Tu e Castigo avete passato molto
tempo insieme. -
Presa
alla sprovvista, con
quella domanda improvvisa, Jill si divincolò dalla sua presa
per dirigersi alla
finestra, dandogli le spalle. Era stato così inatteso la
scoperta di quel nuovo
legame, che fino a quel momento non ci si era mai soffermata a
ragionarci.
-
È un drago eccezionale -
disse dopo un poco, mentre i suoi occhi si posavano su un albero di
pesco in
fiore.
Arya le
sorrise, e non poté
fare a meno di pensare al suo rapporto con Saphira. Lei e la dragonessa
erano
state sempre molto unite; e se inizialmente lo furono soprattutto in
virtù del
fatto che lei era stata per molti anni la portatrice dell'uovo; era
stato solo
in seguito, grazie al tramite con Eragon, che la loro unione si
è evoluta
divenendo, se possibile anche più profonda.
Continuarono
a parlare ancora fino
a quando Arya non interruppe la loro conversazione. I giovani maghi la
attendeva per la sua lezione. Jill insistette per accompagnarla.
- Ricordati
quello che ti ho detto, e fai saper a Castigo e a Gleadr che gli
andrò a
trovarli presto. – le disse l’elfa prima di
salutarlo.
Jill le
annuì, ed Arya sospirò
nel vederla allontanarsi; era giovane e impulsiva, ma sapere che
Castigo le era
a fianco la tranquillizzò. Scrollandosi quei pensieri da
dosso, Arya aprì la
porta dell'aula ed entrò dai suoi alunni.
Quella
notte Arya andò a letto
con una strana sensazione. Sentiva le membra pesanti e senza
accorgersene cadde
sulle lenzuola in un sonno profondo.
Il suo
campo visivo fu
improvvisamente invaso da una luce accecante, che si dissolse piano
piano per
lasciare il posto all'immagine di Eragon.
Lo vide
chiaramente piegato
sopra il dorso di un drago dalle scaglie color ambra, i capelli
scompigliati dal
vento, come se stesse volando a grande velocità, una corta
barbetta gli
incorniciava ancora il viso, che era tirati. Il cuore di Arya si
fermò.
L'immagine era stata talmente reale, che poteva sentire quasi il suo
respiro,
ed Arya lo si sentì improvvisamente vicino e lei. Arya
sentì il desiderio
ardente di stabilire un contatto. Senza rendersene conto aveva
già allungato la
mano verso la sua guancia, per sfiorarla con la punta delle dita. A
quel
contatto Arya venne scossa da un leggero brivido, e per un brevissimo
istante
credette di sentire il suo volto flettersi sotto il suo
tocco. Poi la
visione iniziò ad affievolirsi e l'Elfa si
ritrovò nel suo letto con il cuore
che le batteva fortissimo.
Arya
stava riprendendo a
respirare adagio, cercando di calmare il tumulto di emozioni che la
stavano
scuotendo, quando dentro di lei sentì lo scalcinare del
bambino.
Allarmata
si tirò a sedere e posando
istintivamente una mano sul suo ventre scoprì qualcosa di
sconvolgente; per la
prima volta Arya poté sentire distintamente che si
trattavano non di uno ma di
ben due cuori che battevano all’unisono e che si trattavano
di due bambine.
Arya sentì anche la loro paura. Quindi si
affrettò a concentrarsi e raggiunte
le loro giovani menti, e iniziò a cantare una antica nenia
elfica. Le parole
nell'antica lingua iniziarono subito a creare una calda coltre di magia
che le
avvolsero e tranquillizzò.
Arya
cantò a lungo, anche molto
tempo dopo che le gemelle si furono acquietati; l'elfa
continuò a intonare
quella melodia, sempre più piano fino a quando il suo suono
non si confuse con
il battito dei loro cuori. Fu allora che Arya si immerse completamente
in loro
per essere certa che stessero bene, quindi si ritirò. Quando
rinvenne si portò
stupita le mani al viso per trovarle bagnate dalle lacrime.
Quello
che aveva visto non
poteva essere stata una premonizione, ma un tipo di divinazione, come e
quando
Eragon l'aveva sognata nelle prigioni di Gil'ead.
Se in
quel caso il loro tramite
era stata Saphira, ora dovevano essere state le loro figlie ad aver
permesso
quel nuovo contatto.
Eragon. Arya avrebbe
tanto voluto divinare
e assicurarsi che stesse bene, mai non osava eseguire ora quella magia,
anche
se solo per un breve istante, per paura di mettere a repentaglio la
vita delle
loro bambine. Un solo errore, e per loro sarebbe stato fatale. No, non
poteva
farlo anche se si trattava si Eragon.
Guardò
fuori dalla finestra,
stava albeggiando, c'era ancora tempo prima che il palazzo iniziasse a
svegliarsi, ed Arya si prese la libertà di ragionare ancora
su un particolare della
sua visione che prima aveva trascurato, ma che potevano rivelarsi di
grande
importanza. Eragon sembrava stesse volando su un drago, ma le sue
scagli e non
erano blu zaffiro. In qualche modo Eragon aveva incontrato un altro
drago. Ma
se questo fosse al servizio della regina Isobel o no, non era stato
possibile
attestarlo.
Arya
sapeva che la notizia non
poteva essere celata a lungo alle orecchie del re, ma temeva
conseguenze
drastiche se fosse stata interpretata in modo sbagliato.
***
La
notte era appena passata, e il sole stava sorgendo pigro
dalle pendici dei monti imbiancati, che andavano colorandosi di tenui
tinte
rosa. I due possenti draghi avevano volato per l’intera notte
e un nuovo giorno
stava sorgendo sopra il massiccio roccioso. Le verdi fronde della
Stonewood
comparvero davanti a loro. Alla vista della foresta, Keiron e Guiltar
ritennero
di aver messo abbastanza distanza tra loro e il nemico e atterrarono su
un morbido
manto erboso per una sosta più lunga. Scelsero una radura
nei pressi di un piccolo
lago circondato da basse colline.
Non
appena toccarono il suolo i loro artigli ferirono il
terreno con solchi profondi e sentirono i loro piccoli passeggeri
scendere con
cautela dai loro dorsi. Murtagh aveva spesso dato degli sguardi
preoccupati
verso il fratello che per tutti la tumultuosa fuga a aveva alternato
pochi
momenti di veglia a momenti di totale incoscienza.
I
due draghi si girarono preoccupati verso il ragazzo, che
nel frattempo era stato fatto adagiare sul terreno sopra delle morbide
coperte.
Le
sue condizioni sono gravi? chiese
Keiron a sua figlia, mentre Murtagh si allontanava dal campo in
direzione del lago.
Vespriana
scosse loro la testa.
Non
lo so.
Gravi
o no, dovremmo riprendere presto
a muoverci. Non siamo ancora nei nostri territori. disse
Guiltar in tono grave.
Murtagh
ritornò qualche minuto più tardi con dell'acqua;
sotto lo sguardo incuriosito dei due draghi il cavaliere
pronunciò alcune
parole e l'acqua prese a bollire. Continuando a ignorare gli sguardi
che gli
altri gli rivolgevano Murtagh si avvicinò adagio al fratello
e si accoccolò al
suo lato. Il viso e gli abiti del giovane erano sporchi di terra e
sangue, con
cautela Murtagh gli sfilò la tunica per poter lavare e
medicare la ferita alla
spalla e al braccio. Al tocco del panno umido il suo volto venne
attraversato
da una smorfia,
-
Scusami - gli sussurrò mentre Eragon socchiuse piano gli
occhi in segno di protesta. Il dolore in tutto il corpo fu lancinante
mentre
cercò di mettersi a sedere, ed Eragon chiuse nuovamente gli
occhi in attesa che
il modo smettesse di girargli intorno. Aveva la gola gonfia e secca, e
sentiva
la testa leggera.
-
Non devi fare movimenti bruschi - udì una voce accanto lui.
-
Murtagh? – lo chiamò piano.
-
Sono qui fratellino. Come ti senti? -
-
Come se mi fosse passato sopra un carro. - gli rispose
Eragon cercando di sorridergli, ma senza molti risultati. Murtagh lo
guardò
accigliato. Poi iniziò il processo di guarigione.
Durò diverso tempo durante il
quale Murtagh dovette fare diverse pause per recuperare le forze
già esigue.
-
Devi mangiare qualcosa anche tu. Vedrai che dopo ti
sentirai meglio. Intanto bevi quest’acqua - aggiunse mentre
gli porgeva una
piccola otre di pelle. Eragon l’afferrò e ne bevve
alcuni sorsi.
Morgana
e Par intanto avevano tirato fuori dai loro zaini le provviste.
Eragon
notò i loro sguardi timorosi mentre consumavano il
loro pasto. Le parole del drago continuavano a ronzargli intesta Saphira ti sta aspettando. Eragon sentiva
un grande peso nel cuore per non aver creduto subito alle parole del
fratello e
della maga pentendosi per essersi comportato in maniera così
egoista. Tutti
avevano rischiato la loro vita per liberarlo e lui si era comportato
come uno
sciocco. Consumò in fretta il proprio cibo quindi si
alzò in piedi.
-
Dove vai? - gli chiese accigliato Murtagh posando a terra
il suo.
-
Ho bisogno si stare un po’ da solo. Vorrei raggiungere il
lago.
Ho udito il rumore di una sorgente, potrei rifornire le borracce - gli
rispose
Eragon con fare evasivo.
–
lasciatemi fare qualcosa di utile – aggiunse. Murtagh ci
pesò un attimo poi lo lasciò andare.
Seguendo
il rumore dell’acqua Eragon raggiunse il ruscello per
riempire l’otre, poi scese un lieve crinale fino ad arrivare
al lago. Nonostante
le ferite erano state guarite, quando raggiunse il lago Eragon si
sentì
esausto, e fu grato di potersi sedere sul terreno, dove si
accoccolò di fronte
alla riva. La superficie del lago era increspata da piccole onde ed
Eragon si
perse per un po’ nell'osservarle. Improvvisamente
avvertì qualcuno avvicinarsi.
Eragon chiuse gli occhi.
Cavaliere? La
voce antica risuonò nella mente del giovane. Eragon
rabbrividì, ma
non ne fu sorpreso.
Di
fronte a lui era planata Keiron.
La
dragonessa piegò il suo collo verso di lui, rimanendo ad
osservarlo con curiosità.
Con
sommo stupore, Keiron percepì distintamente lo spirito
dei draghi nell'anima di quel ragazzo.
Ripetilo
ti prego. Gli
chiese improvvisamente Eragon.
Cosa? Keiron
rimasta colpita dall'intensità di quella voce. Vide le
spalle del
cavaliere piegarsi cercando di controllare le proprie emozioni.
In
quel momento davanti agli occhi di Eragon c'era solo
Saphira; il ragazzo stava afferrando uno ad uno i tanti ricordi della
sua
compagna senza che questi si perdessero nei contorni indefiniti della
sua
mente; quella visione lo fece rabbrividire e una lacrima
scivolò lungo il suo
viso. Keiron era rimasta ferma. Le sensazioni del giovane erano
esplosero in
maniera così inaspettata, che la dragonessa ne rimase
spaventata; mai avrebbe
pensato potesse esserci un legame così forte fra un drago un
essere tanto
piccolo.
Il
consiglio degli anziani e Sigmar si erano sempre vantati
della superiorità
dei draghi, rispetto a
tutti gli altri esseri viventi, ma solo ora, davanti alla sofferenza di
quel
giovane umano, la dragonessa capì quanto potessero essere
stati in errore.
Saphira
è viva Eragon e ti sta
aspettando
le sussurrò Keiron con tenerezza.
Eragon
le sorrise grato, e la dragonessa
poté sentire il suo cuore stringersi.
Istintivamente
si avvicinò di più al cavaliere, tanto che il
suo respiro caldo andò a scompigliare alcuni ciuffi dei suoi
capelli, facendolo
sorridere, per la prima volta.
-
Grazie – le sussurrò.
Keiron
sbatté più volte le palpebre prima di emettere
uno
strano verso che Eragon interpretò come una risata. Sono io che ringrazio te cavaliere dei draghi.
Aggiunse poco dopo.
Poi
la dragonessa si issò sulle sue zampe posteriori e
allungò il muso verso il cielo.
Guiltar
la stava chiamando, dovevano al più presto riprendere
il viaggio.
Come
a capire le sue intenzioni anche Eragon si alzò in piedi
e insieme ritornarono dal gruppo.
**
Al
campo, nel frattempo, Murtagh aveva costruito due selle di
fortuna con una serie di pelli scuoiate nel minor tempo possibile,
aiutandosi
con la magia là dove il tempo non permetteva di poter
aspettare.
Quando
Eragon e Keiron ritornarono, vennero collaudate sopra
il dorso dei due draghi.
Questo
ci permetterà a noi di stare
più a lungo in volo disse
loro mentre
stringeva una delle cinghie al ventre
di Guiltar, la cosa non fu di molto gradimento al drago che emise un
piccolo
ruggito di protesta non appena sentì la cinghia aderire con
troppa insistenza
contro i fianchi.
Neanche
a Castigo era piaciuta la
prima volta. Ridacchiò
Murtagh osservando
il muso del grande drago verde arricciarsi alla strana sensazione che
la sella
gli procurava.
Poco
lontano anche Eragon stava montando la sella per Keiron.
Il volto di Murtagh ritornò nuovamente serio nel vedere il
fratello in difficoltà
nel fissare una delle cinghie. Murtagh lasciò Guiltar e gli
si avvicinò per
aiutarlo.
-
Aspetta. Ti faccio vedere, è semplice, ma bisogna sapere
dove far passare i legacci. Ecco. -
Eragon
lo lasciò fare. Volersi scusare e aveva appositamente fatto
finta di sbagliare per avere un minuto da solo con lui. Eragon
aspettò con
pazienza che finisse, poi a volto basso gli si avvicinò.
-
Mi potrai mai perdonare per essermi comportato come uno
sciocco? Per non averti creduto quando mi hai detto di Saphira? - Il
volto di
Murtagh si illuminò con un sorriso. Prendendolo per le
spalle scosse con
delicatezza il fratello, così da spingerlo ad alzare il viso.
-
Guardami Eragon, non hai nulla da farti perdonare. Capito? Ora
la cosa che più conta è raggiungere presto questa
terra dei draghi. -
-
D’accordo - gli rispose Eragon sollevato dalle sue parole.
Raggiunsero
Par e Morgana che stavano caricando i pochi
bagagli che possedevano e tutti e quattro montarono sulle nuove selle.
Di
intesa Keiron e Guiltar si diedero un tacito segnale per
partire.
Siamo
pronti dissero
all'unisono la voce dri due cavalieri
Bene
perché ora ci fermeremo solo per
brevi soste. Disse
loro Guiltar, spiccando un
potente balzo. I loro artigli graffiarono il terreno, lasciando
profondi solchi.
I due draghi piegarono le ali e presero quota.
Dietro
Murtagh, Morgana si strinse forte al busto del
cavaliere; quel primo volo, senza protezioni non era stato dei
più piacevoli, e
sperò di cuore che il secondo potesse andare meglio. Par,
invece, salito dietro
ad Eragon con disinvoltura, si accomodò sul dorso di Keiron,
volgendo di quanto
in quanto il suo sguardo a Vespriana, che da dietro la coda della madre
li
seguiva a una certa distanza.
***
Era
ormai da un giorno e una notte che volavano senza sosta,
e Keiron e Guiltar non davano alcun cenno di stanchezza, solo un
leggero
fastidio dovuto alle selle; Vespriana, nonostante la sua giovane
età, si era dimostrata
presto, al pari dei suoi genitori, una dragonessa tenace e alquanto
orgogliosa;
solo un paio di volte durante la notte si concesse di appoggiarsi al
loro
fianco per riposare un po’.
In
una delle brevi pause concesse dai due draghi Eragon si era
appoggiato al ventre di Keiron per riposarsi, ara da tempo che ormai
sentiva di
aver riacquistato quasi tutte le energie.
Accanto
a lui il cavaliere poté sentire Par masticare con
parsimonia la sua galletta di riso e mele. Non c’erano state
molte occasioni fino
a quel momento di comunicare con l'elfo. Eragon sapeva che Par aveva
viaggiato a
lungo solo con Saphira e nella sua mente c’erano
così tante domande, sia su
di lei che sulle Terre Selvagge,
ma non aveva idea da dove cominciare.
- Sai avevi
ragione riguardo a
Oliviana. – disse infine per rompere il ghiaccio. Nel sentire
la voce di Eragon
Par abbassò la galletta che stava per addentare e lo
guardò accigliato. Eragon
proseguì.
- Averla aiutata
a guarire ha influenzato
il mio giudizio e ho sottovalutato molti particolari di cui avrei
dovuto tenere
conto. Ho capito quello che volevi dirmi quella mattina solo quando
Oliviana non
si è persa per sempre in Verschna. Gli spiriti che la
possedevano hanno detto
di aver approfittato di quella sua debolezza per soggiogarla.
– Ammettere le
sue responsabilità lo aveva alleggerito di un gran peso. Par
sembrò meditare un
attimo sulle sue parole.
- Era lo spettro
quello che hai
sconfitto alla grotta, non era più Oliviana e, per quanto
possa esserti di
aiuto cavaliere, penso che anche tu avessi ragione – fu il
turno di Eragon ad
accigliarsi.
- Riguardo a
cosa? -
- Non era un
nostro diritto decidere
della sua vita. –
- Ti ringrazio
Par. Anche per essere
stato accanto a
Saphira quando ne ha avuto
bisogno. –
- Per la
guarigione devi ringraziare
Morgana, io non ho fatto altro che aiutarla. Se devo essere sincero,
per la
maggior parte del tempo non avevo idea di quello che la maga stava
facendo! -
Alle sue parole
Eragon scoppiò in una
calda risata che contagiò anche Par - Apprezzo la tua
sincerità. – disse
continuando a ridacchiare per poi tornare di nuovo serio.
– Par
ho bisogno che tu mi dica cosa
importante. Cosa intendono tutti quando dicono che devo dimostrare la
forza del
mio legame con Saphira? –
Par si era
aspettato quella domanda - Non
è facile da spiegare. – disse - ma forse si
può riassumere tutto con un nome
Sigmar. È il loro capo ed è ostile a chiunque non
sia un drago. – concluse Par
per poi addentare la sua galletta. - Quando lo incontrerai –
proseguì
continuando a sgranocchiare - ti renderai conto che è lui
che per primo di
tutto dovrai convincere. –
- Ho come la
sensazione di non avere
questa grande fretta di trovarmi di fronte a Sigmar –
borbottò Eragon in tutta
risposta.
Passarono
altri quattro giorni, e il paesaggio si trasformò
lentamente. Dopo avere passato una serie di grandi affioramenti
rocciosi si aprì
sotto di loro una grande vallata ricoperta da una vegetazione
rigogliosa.
Benvenuti
nella nostra terra
cavalieri dei draghi annunciarono
Keiron e Guiltar
ai loro passeggeri.
Per
la prima volta, da quando erano partiti da Alagaësia, i
due fratelli sentirono come di essere tornati a casa. Qualcosa
nell'aria fece
loro fremere il sangue nelle vene, mentre Guiltar e Keiron passavano
come due
frecce sopra il grande lago, e dirigendosi direttamente verso una
formazione
rocciosa.
Atterrano
su una piattaforma naturale.
Saremo
lieti di mostrarvi le
meraviglie della nostra terra più tardi.
Disse Keiron
una volta che tutti e quattro i passeggeri scesero dai loro dorsi.
Ma
prima c'è una questione urgente
che devi al più presto risolvere Eragon il
suo sguardo
si rivolse allora in direzione dell'alto promontori, che troneggiava su
quella
altura.
Eragon
seguì lo sguardo della dragonessa per intravedere la
sagoma di un drago dalle squame di ghiaccio che ora li guardava
dall'alto.
Per
Eragon non c'erano state bisogno di parole per capire che
si trattava Sigmar.
Sigmar
ti sta attendendo sulla cima,
Cavaliere.
Disse
improvvisamente la voce di un drago, che nel frattempo
era comparso silenziosamente al fianco di Guiltar e Keiron. Il loro
arrivo era
stato avvertito già da tempo nella valle e il giovane
messaggero aveva ricevuto
il compito di condurre il Cavaliere Del Drago chiamato Eragon di fronte
al loro
capo.
Adesso?
Fece
Eragon sgomento.
Il
giovane sentì i muscoli e le ossa del corpo intorpidite
per il lungo volo protestare con vigore quando fece per muoversi verso
il
messaggero che, incurante della sua obiezione, lo spinse con il muso
lungo il
cammino che portava verso la cima. Degli attoniti Murtagh Par e Morgana
lo
videro sparire dietro le rocce senza avere il tempo di poter dire o
fare nulla.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 29 *** Due volontà a confronto ***
Il
sentiero, sviluppato a spirale tutto intorno al picchio, era stato
ripido e
tortuoso; solchi profondi provocati dagli artigli dei draghi
squarciavano il
terreno, costringendo più di una volta Eragon a dover
aggirare o scavalcare dei
veri e propri fossati. Ad ogni passo la meta sembrava sempre
più irraggiungibile,
poi dopo un tempo che gli parve infinito Eragon intravide la cima e,
saliti due
bassi gradoni, si trovò infine faccia a faccia con Sigmar.
Il drago argentato si eresse in tutta la sua imponenza dinanzi al
cavaliere,
osservandolo con sguardo altero e mal celando fin da subito il suo
disprezzo.
L'aspetto esile e delicato tipico degli elfi, molto evidenti agli occhi
del
drago, non fece altro che avvallare il suo precedente giudizio su di
loro.
A quel pensiero Sigmar schioccò i suoi denti con una certa
soddisfazione, per
poi rivolgere lo suo sguardo al messaggero arrivato insieme al
cavaliere:
È lui Eragon, il cavaliere di
Saphira? Il
drago assentì con la testa mentre Eragon divampò
di fronte alla scarsa
considerazione che il drago gli stava dimostrando. Si fece quindi
avanti,
deciso a non rimanere in disparte.
Si può parlare direttamente a me
Sigmar
disse in tono fermo e conciso.
Gli occhi del drago guizzarono veloci dal messo verso Eragon. Il drago
nascose subito
la sorpresa dietro uno sguardo di sufficienza.
Chiedo dunque venia, giovane umano. Non
avevo idea riusciste a comprenderci disse scusandosi, ma
senza mostrare il
minimo rimorso.
Il legame che unisce un cavaliere al suo
drago ci permette di essere più simili di quello che si
pensa fu la
risposta asciutta di Eragon.
Sentì lo sguardo ostile di Sigmar penetrargli l'anima come
per schiacciarla, e
si costrinse a rimanere calmo. Par lo aveva avvertito del suo astio ma
Eragon
non aveva idea che fosse così acceso.
Sigmar
sorrise divertito
Non negò di esserne sorpreso umano.
Disse
con tono asciutto.
E dato che si è risolto il primo
problema, direi che possiamo passare direttamente alla seconda e
più importate
questione. Il motivo per cui ti trovi qui. Senza aspettare la
sua risposta
Sigmar si diresse verso il bordo opposto della sporgenza in direzione
nord. Una
distesa coperta di boschi e vegetazione dove un grande branco di Draghi
pascolava
indisturbato.
Dovrai rendere onore al patto che Saphira
ha stretto con noi draghi liberi. La tua dragonessa è una di
noi adesso. Priva del
lazzo del vostro legame che la rendeva schiava di voi bipedi, vive i
suoi
giorni libera in mezzo ai suoi simili. Se riuscirai riconoscerla tra i
tanti
draghi della valle e connettere nuovamente le vostre menti, allora
sarà la
provo che il vostro legame è forte e puro. Sigmar
sottolineò la parola
purezza, con tale fastidio che Eragon non poté fare a meno
di incalzarlo con altrettanta
forza.
Tu non lo approvi affatto, vero? E non ci
sarà prova che potrà farti cambiare idea sul
legame tra draghi e cavalieri. La
sua era stata una semplice constatazione.
Sigmar lo squadrò con durezza, ed Eragon deglutì
appena sotto il suo sguardo
severo. Avrebbe dovuto soppesare bene le sue parole in futuro, se non
voleva
provocare ancora di più la sua ira o il suo rancore.
No infatti. Non credo si possibile un
legame vero e profondo tra due esseri tanti diversi. Che siate umani, o
elfi,
voi avete tratto solo vantaggi dalla nostra unione. No Eragon, non vi
credo, e
il vostro fallimento tra breve lo dimostrerà.
Ti consiglio, per non avere delle brutte sorprese, di non sperare in
un'impresa
facile.
Staremo
a vedere Sigmar.
Rispose
Eragon
con un sorriso tirato.
Eragon aveva già da tempo aperto la sua mente alla ricerca
di Saphira, ma non
era riuscito ancora ad avvertirla in nessuna delle menti che abitavano
la
vallata.
Un'espressione di sconcerto si dipende sul suo volto.
Davvero Saphira poteva essere cambiata tanto da non riuscire a
riconoscerla?
Una fitta di panico lo colse improvvisamente alla
possibilità di poter fallire,
e perderla per sempre.
Sigmar dall'alto della sua postazione sorrideva di fronte alla
difficoltà del
giovane Eragon strinse forte i suoi pugni lungo i fianchi.
Hai già provato a contattarla ma
hai
fallito. Non sei più tanto sicuro, vero ragazzo?.
Eragon digrignò i suoi denti frustrato.
Non contare che mi arrenda così
presto.
Sigmar scosse la grande testa per poi avvicinarsi al volto di Eragon.
La prova no potrà durare in eterno.
Con
il consiglio abbiamo preposto la sua fine per domani. Se al tramonto
non vi
sarete ricongiunti, tu e i tuoi amici sarete costretti ad andarvene via
da
queste terre per non ritornarvi mai più.
Nel caso contrario, ma ne dubito, otterrete ciò per cui
siete venuti, ma nulla
di più, Gli accordi sono questi umano. Eragon
guardò giù nella valle e
prese un profondo respiro.
Accetto disse infine con tono
risoluto.
Non deluderò le aspettative di
Saphira.
Sigmar
rise sotto i baffi.
Molto
bene.
La tua testardaggine renderà il tuo fallimento ancora
più grande.
Eragon
cercò di ignorarlo, e rivolse
il suo sguardo al paesaggio che aveva di fronte: un vasto territorio
che si
perdeva a dismisura davanti ai suoi occhi; e mentre il suo sguardo
iniziò a
perdersi in quell'immenso, una domanda gli affiorò alle
mente.
Quali
sono
i confini delle terre che abitate?
Sigmar
gli diede un fugace sguardo prima di
rispondere:
La
Stonewood
alle nostre spalle, e poi i picchi montuosi, che puoi vedere proprio
giù in
fondo, sulla linea dell'orizzonte.
Eragon
percorse lo spazio cercando di calcolarne
mentalmente la distanza, e ne rimase basito, doveva essere enorme
Ed
oltre a
loro cosa si trova?
Noi draghi preferiamo non avventurarci, e mantenerci all'interno dei
nostri
confini, ormai consolidati.
Perché?
Avete forse dei nemici?
chiese Eragon
incalzandolo.
Questo
non
è assunto vostro umano. Gli
rispose freddamente Sigmar, ma per un secondo i suoi occhi tradirono un
immenso
dolore. Eragon doveva aver toccato un nervo dolente per i draghi e il
cavaliere
si trattenne dal porre altre domande. Fu invece Sigmar a parlare
Dal
momento che hai accettato le nostre condizioni, sei vincolato dalla tua
parola
a rispettare i suoi termini umano.
Eragon
serrò le mascelle con trepidazione.
Nessuno poteva mettere in dubbio la sua parola di cavaliere e i
continui
tentativi del drago di provocarlo non lo avrebbero fermato.
Rispetterò
i termini posti Sigmar. Gli
rispose
con calma Eragon.
In
tutta risposta Sigmar fece schioccare i suoi
denti verso di lui. Il ragazzo fece finta di non badarvi.
Vorrei
chiedere un solo un favore. Gli
occhi
di Sigmar si accesero di curiosità
Di
pure umano.
Eragon
guardò nella direzione da cui era venuto
Ho
bisogno di compiere
questa prova solo. Se ora scenderò di nuovo giù dal sentire da cui sono venuto, mio
fratello e tutti gli altri insisteranno
per accompagnarmi.
Vorrei evitarlo.
Afferrando
quelle che Eragon voleva dirgli
Sigmar volse il suo capo dalla parte opposta.
Puoi
scendere da quest’altro lato ragazzo, ma ti avverto le pareti
sono ripide. Non
sono adatte per essere praticate da un essere umano.
Non
per me. borbottò
Eragon in risposta,
e Sigmar arriccio il muso in una smorfia di disapprovazione
Quale
dei due
lati conduce alla valle? Chiese
Eragon ignorando
il drago.
Quella
a nord, ma ti sfracellerai
e in più non è prudente che tu ti aggiri da solo
nel nostro territorio.
Perché?
Non
è adatto per esseri
tanto fragili come voi.
Ho
la magia con me, so come
difendermi.
Fu la risposta sicura di Eragon
Fai
come
vuoi allora. Cercherò di non far avvicinare gli altri come
mi hai chiesto.
Ti ringrazio Sigmar
Il
drago non rispose, ed Eragon si apprestò a
iniziare la sua discesa.
Quando
la sua figura scomparve giù dal pianoro
Sigmar emise un potente sbuffo. Avrebbe potuto insistere di
più per non
lasciargli percorrere quel sentiero, ma il piacere di vederlo fallire
superò
tutti i suoi timori al riguardo.
Dall'altra
parte del promontorio, alle sue pendici Par, Morgana, Murtagh e i tre
draghi
attendevano impazienti che il colloquio tra i due finisse. Era ormai
passata
quasi un'ora, quando videro l'ombra di Sigmar apparire lungo il
sentiero che
girava il promontorio. Ma il drago era solo.
Murtagh
andò quindi incontro al possente drago.
Dove
si trova
Eragon e perché non è con te?
chiese
senza troppi preamboli.
Ma
Sigmar lo ignorò, e si diresse invece verso
il sentiero che portava fuori.
Il
cavaliere dei draghi Murtagh ha fatto una domanda Padre. Tutti noi
vorremmo
udire la risposta. Lo
fermò con tono
di rimprovero Guiltar. Profondamente infastidito Sigmar
grugnì, ma poi rispose
al figlio
Sorvolerò
su
tuo tono figliolo. Come da me previsto il contatto del cavaliere con
Saphira è
debole e non è stato in grado di contattarla.
Esordì con una certa soddisfazione nella voce. Poi con tono
più pacato
aggiunse
Ma
dato
che ha tempo fino a domani al tramonto. L’umano ha insistito
per scendere nella
valle.
E
tu gli
hai permesso di andare da solo? intervenne
allora Vespriana. Il tono della voce velato da profondo dissenso.
Non
sono
certo il suo protettore nipote, né la sua guardia del corpo.
si difese il drago.
Ma
come
capo sei responsabile dell'incolumità di chi ne calpesta il
suolo. E' quello
che insegni sempre a tutti noi!
Intervenne
Guiltar.
Sigmar
ringhiò.
Di
a tua
figlia che è una pessima idea affezionarsi troppo a questi
umani, una pessima
idea per entrambi. Presto se ne andranno e noi potremmo riprendere le
nostre vite.
Guiltar
non riuscì a capacitarmi delle parole del padre.
C'è
una
guerra in atto dall'altra parte dei nostri confini Padre. Non possiamo
fare
finta di nulla ancora per molto. La regina Isobel potrebbe
già sapere della
nostra esistenza. Gli
occhi si Sigmar guizzarono d’ira.
Vi
siete
mostrati a quei selvaggi, non è
così?
Abbiamo già tanti problemi senza aggiungere le guerre che
affliggono gli altri!
Padre
so che continui a tormentarti per Lui.
Se non è stato più ritrovato, sarà
stato sicuramente…
Non
osare
dirlo Guiltar. Non osare pronunciare quella parola! gli
ringhiò furente Sigmar, il grande drago mostrò i
denti al figlio, per poi distogliere lo sguardo e girarsi dall'altra
parte.
Ora
basta
voi due!
Intervenne
Keiron.
State spaventando Vespriana, e i nostri
ospiti non sono tenuti ad assistere alle vostre beghe.
Sigmar
oscillò nervosamente la sua coda.
È
stato l'umano
a insistere per andare da solo. Questo è tutto. Il consiglio
dovrà sapere della
vostra escursione fuori dai confini. Perciò tenetevi pronti
per essere
convocati.
Detto
questo il drago volò via senza aggiungere
altro.
Murtagh
e gli altri erano rimasti a guardare la
scena senza poter capire nulla; infatti, i draghi avevano parlato tra
le loro
menti tagliato fuori tutti gli altri compresa Vespriana.
Keiron
andò vicino al suo compagno e gli
strofinò il muso sul collo.
Pensi
che la
vita di Eragon sia in pericolo?
Non
lo so
ma dobbiamo rispettare la sua decisione. L’unica cosa che
possiamo fare è
chiedere alle sentinelle di raddoppiare la sorveglianza.
Keiron
scosse
la resta
Non
è mai
accaduto che delle Arpie attaccassero gli uomini.
No,
ma neppure che degli esseri umani ne abbiano
mai incontrata una. Dobbiamo dirgli qualcosa comunque. Concluse
Keiron indicando gli altri. Guiltar le annuì
Parlerò
io
a Murtagh, tu invece parla a Vespriana. Lei più di tutti mi
preoccupa, perché
sa quello che affligge suo nonno.
Guiltar
e si avvicinò con il muso al cavaliere
rosso.
Eragon
ha
accettato la sfida di mio padre Sigmar e ha voluto affrontare la prova
sa solo.
Per non coinvolgervi ha scelto di scendere dall’altro
versante.
Murtagh
Non
ci ha voluto accanto. È il solito testardo!
Mentre
Murtagh spiegava la situazione a Par e Morgana
Keiron chiedeva a Vespriana di mantenere il loro segreto.
Madre!
Non
puoi chiedermi questo!
Figliola
dobbiamo, tuo nonno ha ordinato e lui è
l'autorità qui.
È
il capo
ma non è infallibile. Non era d'accordo nemmeno a che noi li
aiutassimo, ma lo
abbiamo fatto lo stesso.
Vespriana
questa
volta è diverso. Promettimelo.
Te
lo prometto madre, ma non sono affatto
d'accordo.
***
La
discesa
era stata più ardue del previsto ed Eragon dovette fermarsi
più volte per
ricercare un appiglio adatto dove appoggiare ogni volta i piedi e le
mani.
Passandosi
un braccio sulla fronte madida di
sudore, Eragon riprese fiato guardando il tratto che ancora gli mancava.
Sono
solo a metà tragitto, sospirò, e il sole
era già alto nel cielo. Eragon serrò la mascella,
e ignorando il dolore ai
muscoli delle spalle, tese per lo sforzo, riprese imperterrito la
discesa; non
posso permettermi di spendere tutto il giorno appeso a questa parete,
pensò
aggrottando al fronte, e stringendo i denti accelerò il
ritmo.
Era
appena mezzogiorno quando Eragon poté
finalmente toccare terra.
Nell'ultimo
tratto aveva fatto ricorso anche del
supporto magia e lievitando in aria poggiò finalmente i
piedi sulla terra
ferma. Il cavaliere rimase fermo alcuni minuti per poter riprendere
fiato. Con
movimenti lenti prese quindi a massaggiarsi i muscoli indolenziti, poi
quando
si sentì meglio iniziò a sondare con lo sguardo
l’ambiente intorno a lui. Quella
stessa foresta che prima aveva osservato d'alto si sviluppava tutta
dinanzi a
lui.
Tenendo
lo sperone da cui era disceso, come
punto di riferimento si in inoltrò al suo interno.
Durante
la discesa aveva formulato la sua
strategia. Cercare un posto adatto per meditare, e una volta unito con
il tutto
il macrocosmo rappresentato della valle, allora avrebbe potuto trovare
anche
Saphira. Questa era stata l'unica soluzione che era riuscito a trovare,
fattibile nel poco tempo che gli era stato messo a disposizione dal
consiglio.
Ed Eragon sperò con tutto il suo cuore che il suo piano
funzionasse.
Erano
passati solo alcuni minuti da quando il
cavaliere aveva iniziato a camminare, quando si rese conto di essere
seguito.
Inizialmente era stata solo una sensazione, poi due occhi rossi
spuntarono
veloci dal fondo della boscaglia, per poi sparire con altrettanta
velocità.
Poco
dopo i due occhi divennero quattro, e poi
sei. I peli del collo si alzarono in allarme, lo avevano rapidamente
circondato
pronti a scattare verso di lui.
Eragon
si fermò guardandosi intorno con
circospezione, estrasse con rapidità la sua spada, mentre
rompendo la familiare
barriere magica, si preparò per accogliere i suoi aggressori.
Eragon
aprì la sua mente per individuare la loro
posizione; e trovò le loro menti ben protette da solide
barriere. Non aveva mai
sentito che altre creature oltre i draghi potessero farlo.
Cercò allora di
circuirle ma, al suo tentativo di avvicinarsi a loro, queste si
ritirarono
immediatamente. Quel breve contatto bastò per cambiare il
loro atteggiamento. Improvvisamente
le creature non volevano più attaccarlo ma presero ad
osservarlo con un misto
di timore e curiosità. Percepita la sua magia, avevano
presto realizzato che
poteva rappresentare un avversario per loro, e allentarono presto la
presa del
loro assedio. Rimasto interdetto per alcuni minuti Eragon ripose infine
la sua
spada nel fodero, lieto di non essersi dovuto battere con quelle
creature, e si
rimise nuovamente in marcia per la sua strada.
Rimasti
ai margini del sentiero, poté sentire le
creature continuare a seguirlo a una certa distanza.
Ma
non se ne curò più di tanto, il suo
principale bisogno ora, era di trovare al più presto Saphira.
Continuò
ad avanzare nel sottobosco, aveva
percorso solo alcuni metri, quando si imbatté in un grande
albero cavo. Uno
squarcio divideva il tronco a metà. Eragon
percepì la sua linfa vitale scorre in
maniera vibrante all’interno. Le sue radici nodose spuntavano
dal terreno come tante
braccia piantate nel terreno, mentre tutto intorno a lui, la natura
sembrava
circuirlo con rispetto. Attirato dalla potenza magnetica di quel luogo,
Eragon
lo giudicò perfetto per la meditazione.
Scegliendo
una delle robuste radici a ridosso
dell'albero, Eragon vi si sedette sopra, e preso un profondo respiro,
chiuse
gli occhi e si immerse nella natura.
Allargando
la mente, ebbe prima la percezione
dell'ambiente più prossimo, che circondandolo, lo avvolse
immediatamente,
risucchiandolo nelle mille e minuscole forme di vita che abitavano
l'interno
dell'albero cavo; poi le sue sensazioni si allargarono a la foresta
intera, per
espandersi infine a tutta valle, fino a spingersi ai suoi limiti,
ancora per
diverse miglia.
Eragon
non si fermò su nessuno particolare, ma
assaporò l'essenza di ogni singola vita che incontrava,
percependola sia come
singolo, sia come parte di una totalità.
Ben
presto si rese conto che una grande forza
teneva unita la valle, formata da una miriade di menti, che Eragon
poté
riconoscere come quella dei draghi. Legati tra di loro da un forte
vincolo,
impedivano a qualsiasi altra creatura al di fuori di loro di prenderne
parte.
Eragon
immagazzinò la notizia: questo, pensò, spiegava
il perché non era riuscito subito a percepire Saphira quella
mattina. Sigmar
era stato molto astuto a non rivelarglielo, e reprimendo il proprio
orgoglio
dovette ammettere che il drago aveva avuto ragione quando lo aveva
avvertito
che non sarebbe stata una impresa facile.
Rilassandosi
ancora di più Eragon iniziò a
sondare il terreno. Iniziò a richiamare in superficie tutti
i suoi ricordi più
belli di Saphira, e si mise a cercarla.
Si
aggirò a lungo tra le diverse menti che
popolavano la valle, ma quando si imbatté in quattro
dragonesse, Eragon non
ebbe dubbi di essere di fronte alla presenza di Saphira.
Saphira! Le
gridò attraverso la mente.
Rispondimi
ti prego!
**
Saphira
se
ne stava appollaiata vicino a un laghetto, il suo collo aderiva per
tutta la
sua lunghezza al lato del corpo, mentre la testa era adagiata da un
lato. Le sue
compagne stavano giocando tra di loro stuzzicandosi a vicende, e
lanciando in
aria delle urla di gioia ogni volta che una di loro riusciva a
sorprendere
l'altra, mordendole la coda.
Il
gioco stava andando andava avanti ormai da un
po’ di tempo, stava pensando Saphira quieta, e quando i loro
versi cessarono di
colpo la dragonessa alzò la testa sospettosa. Troppo tardi
si rese conto della
loro coalizzarono per coinvolgerla nel gioco, avvicinandosi a lei di
soppiatto.
Saphira proruppe in un ringhio infastidito, per cedere subito dopo alle
loro
moine, e si lanciò quindi al loro inseguimento. Il gioco
durò ancora diversi
minuti, poi Saphira sbatté le proprie ali un po’
più forte, portandosi sopra le
sue compagne:
Basta
adesso. Sono accaldata, andrò a tuffarmi in acqua.
disse loro con in fiato corto per la corsa.
Vuoi
che
ti accompagniamo?
chiesero loro,
sapevano bene la sua tendenza a rimanere spesso sola. E al suo
silenzio, le
altre tre fecero per andarsene. Ma quando Saphira iniziò a
percepire le menti
delle tre dragonesse allontanarsi, e lasciarla sola, per la prima volta
da
quando si trovava lì, si rese conto che la loro presenza
iniziava a mancargli,
e si sentì improvvisamente persa.
Dove
c'era due o più draghi, la legge della
valle ordinava di creare tra di loro un legame di reciproca protezione.
Ma non
si trattava solo di quello, attraverso di esso i draghi si univano
mentalmente
facendosi uno, e condividendo con gli altri qualsiasi cosa.
Inizialmente
Saphira si era rifiutato di fondere
così la sua mente, con altri draghi, e Sigmar non aveva
insistito perché lei lo
facesse subito. Saphira aveva poco tempo dopo quindi ceduto alle loro
richieste, e a distanza di tempo aveva iniziato ad apprezzarne il
sostegno e i
vantaggi nel vivere così in simbiosi con gli altri draghi.
In
cambio di questa concessione verso le usanze
dei draghi Saphira chiese in cambio a Sigmar e al consiglio di poter
restare
fuori dalla protezione, quando e quanto tempo volesse. Ma con il
passare dei
giorni il tempo che passava sola divenne sempre di meno. Le sue visite
a
Eleonor, rimasta nella valle alla partenza di Par, si fecero
più rare, mentre il
pensiero del suo cavaliere, Eragon, si andò confondendo tra
i mille ricordi di
una vita che iniziava per lei ad essere quasi un sogno. Sapeva di aver
vissuto
tutte quelle cose ma era come se fosse stata un’altra Saphira
ad averlo fatto.
Fu
così che senza nemmeno pensarci, Saphira
richiamò con un cenno le altre tre compagne che con gioia si
unirono a lei in
picchiata verso lo specchio azzurro del lago. L'acqua si infranse in
una
miriade di onde all'impatto dei loro corpi con la sua superficie,
schizzò da
tutte le parti, ricadendo indietro sotto forma di pesanti gocce.
Saphira
stava riemergendo spensierata dalle
profondità del lago, quando un tocco risuonò
nella sua testa. Qualcuno stava
cercando di penetrare nelle difese della sua mente, forzandole.
Subito,
il legame che univa lei alle altre
dragonesse, si eresse a protezione opponendo spesse mura di difesa
contro il
suo aggressore. L'intruso non sembrò desistere.
Puntando
solo Saphira rinnovò il suo attacco con
nuova forza.
Saphira
uscì completamente dall'acqua e rimase
ferma sopra lo specchio del lago, con il respiro affannato, subito
affiancata
dalle altre tre dragonesse.
Chi può
essere? chiesero in coro.
Ma
Saphira era stata troppo concentrata per
rispondere e le altre non poterono fare altro che starle vicino. Poi un
nuovo
assalto, più potente degli altri, la lasciò
stranamente confusa. Non era stato
un attacco vero e proprio Saphira vi riconobbe una richiesta di aiuto a
cui non
poté rimanere indifferente.
Vi
prego
allontanatevi disse
soltanto. Le
altre tre dragonesse si guardarono tra loro con sconcerto. La sua voce
non
ammetteva repliche e, obbedienti alla sua richiesta, si ritirarono
lentamente.
Lasciarono così Saphira sola di fronte al suo aggressore, ma
comunque
abbastanza vicine per poter intervenire in caso di pericolo.
Di
nuovo sola Saphira poté sentire quella
presenza rimanere ferma e attonita di fronte a lei.
Eragon
stava tentando di forzare il blocco con
ogni mezzo da diverso tempo,
ma quando
capì che con la forza non sarebbe mai riuscito a superare le
barriere di
quattro draghi uniti insieme, tentò l'unica carta a sua
disposizione: quella di
parlare direttamente al cuore di Saphira.
Era
appena riuscito a individuare il blu immenso
della sua anima, in mezzo a tutte le altre, pronto per chiederle di
poter
essere ascoltato, quando si rese conto che qualcosa era cambiato. Le
sue difese
si erano indebolite, ed Eragon non ci mise molto a capirne la causa: le
altre
dragonesse, si erano ritirate volontariamente, e prima che cambiassero
idea
Eragon ne approfittò:
Saphira, rispondimi ti prego!
le gridò mentalmente, con quanta più forza aveva.
Saphira
ebbe come un fremito. Quella che aveva creduto essere solo un sogno era
invece
reale.
Eragon? Le
barriere intorno alla mente di Saphira si
dissolsero, ed Eragon riuscì a percepire la dragonessa nella
sua interezza.
Sei
veramente tu? chiese
ancora dopo
alcuni minuti di silenzio dove entrambi erano rimasti fermi a
osservarsi.
Sì
Saphira, sono io, in
carne ed ossa.
Le disse, mentre un sorriso affiorò debolmente dalle
sue labbra.
Mi
sei mancata da morire aggiunse
poi con voce tremante.
Anche
tu piccolo
mio.
le rispose Saphira, mentre tutto il suo corpo vibrava
dall'emozione.
Saphira
avrebbe voluto chiedergli tante altre
cose, ma gli disse solo
Dove
sei
ora? Senza
riuscire a smettere di sorridere Eragon gli
mandò le immagini mentali dell'albero cavo dove ora si
trovava, per ricevere
subito la risposta eccitata di Saphira.
Sarò
da te
in un attimo, non muoverti!
Tagliato
momentaneamente il contatto Eragon
riemerse pian piano dal suo stato di trance, con mani tremanti si
toccò il
volto per scoprirlo rigato dalle lacrime, che calde avevano inzuppato
anche la
sua tunica. Asciugandosi le gote con il dorso della mano, si
affrettò a
sgranchirsi le articolazioni intorpidite dalla posizione assunta, per
mettersi
subito a scrutare il cielo.
Non
passò molto che un'ombra azzurra passò sopra
di lui, per essere raggiunto nuovamente dalla voce di Saphira.
Non
posso
scendere, gli alberi sono troppo fitti in quel punto per me...
più avanti la
foresta si dirada, puoi venire tu?
Certamente
Saphira, quale direzione devo prendere?
Chiese Eragon che già si era messo in piedi mentre le
cime degli alberi con i loro rami filtravano la luce del sole
pomeridiano,
lasciando in una fresca penombra il sottobosco.
Dirigiti
più a sud, ma come
hai fatto a
liberarti da Isobel. È
stato
Par è quindi riuscito a raggiungerti?
Il
ricordo della sua prigionia fece sparire
per un attimo il sorriso ad Eragon offuscandogli il volto, ma fu solo
un
attimo, poi con rinnovata serenità rispose
In
parte è
stato lui. Ma è stato aiutato da Murtagh e Morgana.
Al
nome di Murtagh Saphira si illuminò
Castigo
è
con loro?
No,
mi dispiace Saphira
gli rispose
Eragon Castigo è dovuto rimanere ad Artara
Eragon
percepì subito la delusione, sprigionare
dalla sua compagna, e per il alcuni minuti nessuno dei due
parlò, anche se le
loro menti rimasero sempre in contatto, nutrendosi in silenzio ognuna
della
presenza dell'altra.
Eragon
stava inoltrandosi sempre più all'interno
della foresta, ormai a più di metà tragitto che
lo separava da Saphira, quando
improvvisamente la terra gli mancò sotto i suoi piedi,
facendolo precipitare in
basso. Superato lo shock iniziale, Eragon ebbe appena il tempo di
guardare in
basso per accorgersi delle rocce appuntite appena sotto di lui, e con
prontezza
di riflessi, riuscì ad evitarle in tempo, pronunciando poche
ma efficaci
parole. Evitate le rocce, Eragon e cadendo su un fianco rotolando per
qualche
metro fino a sbattere con un grugnito contro la parete di fondo di un
vasto
ambiante.
Eragon
rimase immobile per un lungo istante
prima di tentare qualsiasi movimento. Un crescente senso di disagio lo
pervase,
mentre il forte odore che emanava la grotta aggredì con
forza le sue narici.
Eragon rabbrividì, nel percepirvi un alone di morte. A
qualunque cosa fosse
servita quella grotta era ancora satura della malvagità di
colui e coloro che
l'avevano utilizzata.
Lottando
contro il disgusto che minacciava di
sopraffarlo, Eragon si costrinse a mettersi in piedi, il buio regnava
dentro
quella caverna, e l'apertura sul terreno da dove era caduto, sembrava
essere
stata l'unica fonte di luce.
Eragon
tutto bene?
Sentì
Saphira chiamarlo con una certa
preoccupazione nella voce
Si
Saphira
sto bene. Solo un
po’
frastornato.
Cosa
è
successo?
Sono
caduto in una fossa, credo che
sia stata la tana di
qualche animale, ma sembra
essere stata abbandonata da poco.
Esci
subito di lì, non
piace affatto
Neanche
a me.
Gli rispose con un
brivido il giovane.
Eragon
stava dirigendosi verso l'apertura,
quando un lieve bagliore sul fondo attirò la sua attenzione.
Aspetto
ho
vista qualcosa. Voglio andare
a
controllare di cosa si tratta.
Eragon!
Poi
prometto che uscirò
Eragon
no, via vai subito di
lì!
E
una
questione di poco Saphira.
la dragonessa sbuffò
D'accordo
ma sii prudente. Annuendole
mentalmente Eragon si avvicinò quindi al
fondo.
E
quello che gli era apparso inizialmente solo
un flebile luccichio si rivelò presto ai suoi occhi per
quello che era
veramente. Eragon sgranò i suoi occhi dallo stupore a quella
vista: una pietra,
dalla superficie interamente levigata e lucente, giaceva sola nel mezzo
di una
conca. Quel tipo di pietra che si rivelò subito molto
familiare alla mente del
cavaliere.
La
pietra era un uovo di drago!
Eragon
gridò subito la sua scoperta a Saphira.
Ma la sua reazione non fu altrettanto entusiasta.
Allarmata
la dragonessa gli ripeté ancor una
volta di uscire al più presto di lì.
D'accordo, d'accordo, ora esco,
ma cosa ti prende?
Perché sei così agitata?
Chiese preoccupato. Saphira non si sarebbe adirata senza un valido
motivo. La risposta raggiunse il giovane qualche secondo dopo. Mentre
era
intento ad avvolgere l'uovo intono al suo mantello Eragon
posò gli occhi
all'ambiente che lo circondava.
Il
sangue gli si gelò nelle vene, mentre con
orrore riconobbe sul terreno una serie di gusci frantumati, ma
macchiati di
sangue.
Saphira, è terribile.
Lo
so, ma ora esci di li in fretta. Sento qualcuno avvicinarsi.
Li
sento anche io, esco subito. Le
disse Eragon dirigendosi velocemente sotto l'apertura del soffitto.
Era l’unica via di fuga sicura per lui per poter uscire da
quella grotta.
Tagliò la comunicazione con Saphira per rompere in seguito
le familiari
barriere della magia. Stava quindi per pronunciare le parole
nell'antica
lingua, che gli avrebbero permesso di lievitare fino in superficie,
quando un
improvviso fruscio, proveniente dal fondo della grotta, lo fece
trasalire.
Con
una velocità sorprendente, tre creature, che
Eragon riconobbe subito come quelle incontrate all'entrata della
foresta, lo
circondarono, posando all'unisono i loro sguardi famelici sul prezioso
uovo che
Eragon teneva strettamente avvolto nel suo mantello.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 30 *** Le arpie e la battaglia delle uova ***
Eragon
strinse a sé il prezioso uovo che teneva in mano e, alzando
la sua mano destra,
fece sfavillare il suo gedwey-ignasia sulle tenebre
che lo circondavano.
Le creature fecero un solo passo indietro, ringhiando, ma intente a non
cedere
il campo.
Se nella foresta le loro intenzioni erano state solo quelle di
osservarlo,
attirate dalla sua magia, ora la situazione era completamente
ribaltata.
Invadendo il loro territorio Eragon si era trasformato ai loro occhi in
un
nemico, che stava sottraendo loro il prelibato cibo rubato con tanta
fatica ai
draghi.
Non sarebbe bastato mostrargli il suo potere per poterle mandare via,
ora era
una questione di sopravvivenza. Si sarebbero battute fino alla fine per
difendere il loro onore e quello del loro branco.
Avanzando
nuovamente
minacciose, le tre arpie entrarono nel tenue cono di luce, permettendo
ad
Eragon di poter vedere come erano fatte.
Molto
simili ai draghi, ma in
miniatura, avevano un muso allungato, come quello di enorme lucertola,
con due
occhi piccoli e crudeli che si muovevano frenetici privi di palpebre e
una
potente fila di denti acuminati da cui fuoriusciva una sottile lingua
che
sembrava anche lei poter ferire. Le creature poggiavano sulle loro
gambe
posteriori, muscolose e robuste, mentre quelle anteriori,
più corte e piccole,
ma fornite di tre artigli ricurvi, erano pronte a ferire e dilaniare
tutto
quello che gli si paravano di fronte. La loro lunga coda a lancia, dava
loro
l'equilibrio, permettendogli di sbilanciare tutto il corpo in avanti, e
trasformandosi in una perfetta macchina di morte.
Eragon allargò la sua mente, per sondare quella delle tre
creature, come nella
tecnica adottata dai draghi anche le tre arpie avevano legato le loro
menti in
una sola, formando così una formidabile barriera.
Saphira aiutami!
Sono qui Eragon gli rispose pronta Saphira, che
unì così la sua mente a
quella del suo cavaliere, ma in quel momento le creature attaccarono
all'unisono, Eragon riuscì a schivare con uno scatto gli
artigli di una, e
fermare con la magia quelli la seconda, ma la terza riuscì a
colpirlo alla
coscia destra. Eragon vacillò appena, mantenendo intatta la
sua presa
sull'uovo, e facendo sibilare frustrate le bestie che si misero
così a giragli
intorno con rapidità.
La ferita alla coscia gli pulsava terribilmente, e poteva sentire il
sangue
caldo, colare giù lungo la gamba.
Eragon! Non puoi combattere così, ti distruggeranno!
Lo so, ma non posso lasciare l'uovo. Lasciarlo a terra sarebbe troppo rischioso.
A meno che…
Cosa hai intenzione di fare?
Ora vedrai. Tieniti pronta Saphira.
Prima che potessero attaccarlo di nuovo, Eragon
alzò in aria l'uovo.
Il mantello che lo ricopriva scivolò sopra la superficie
liscia, facendolo brillare
alla tenue luce proveniente dal soffitto.
Le tre bestie guardarono l'uovo, pronte a scattare per afferrarlo dalle
sue
mani, ma Eragon pronunciò rapido alcune parole e una luce
accecante esplose
dalla sua mano, facendole stridere di dolore.
Quando la luce si dissolse l'uovo era sparito.
Saphira
poté sentire le energie di Eragon abbandonare rapidamente il
suo corpo, poi
nello stesso istante, una luce scoppiare a poche iarde da lei, per far
ricadere
sull'erba morbida un oggetto. Saphira si voltò all'erta con
la coda alzata, per
trovarsi di fronte all'uovo di drago tanto agognato dalle arpie. Poco
lontano
le altre tre dragonesse videro la scena e avvertita la presenza del
loro
nemico, si precipitarono senza nemmeno pensarci, ad avvertire subito
Sigmar
dell'accaduto.
Eragon
respirava con affanno, barcollando sulle
gambe si guardò intorno con aria guardinga.
Le
bestie erano state più inferocite che mai
adesso, alla ricerca con i loro occhi della loro preda, soffiarono a
Eragon
minacciose.
Ma
adesso Eragon era pronto. Estratta
rapidamente la spada dalla mano sinistra, si mise in posizione di
difesa e
attese.
Sei
stato imprudente a non avvertirmi prima!
lo rimproverò Saphira nella sua mente, preoccupata
nel sentire l'ondata di dolore, da parte di Eragon, dove le arpie lo
avevano
ferito.
L'uovo
sta bene? E' con te?
chiese rapido Eragon
Si
è qui.
Bene.
Ed ora Saphira dovrai sostenermi, non
posso farcela da solo. Trasportare l'uovo mi ha privato di molte
energie. La
risposta di Saphira non arrivò mai all'orecchio di
Eragon, perché le tre arpie attaccarono di nuovo, tutte
insieme. Ma la sua
presenza accanto alla sua mente bastò al cavaliere per
capire che la dragonessa
lo avrebbe sostenuto fino alla fine.
Scattando
di lato per schivare un loro artiglio.
-
Skolir!
- gridò e la grotta venne di nuovo illuminata
dalla luce
della magia, e uno scudo rotondo, circondato di ardenti fiamme blu,
comparve
dal nulla ricoprendo il suo avambraccio.
La
perdita di energia per mantenere lo scudo
era molta, e di sua
spontanea volontà
Saphira intensificò il suo legame.
Con
lo scudo Eragon riuscì a pararsi dai loro
attacchi, e avvicinarsi a una di loro tanto da arrivare a ferirla al
ventre, il
sangue zampillò e la bestia si accasciò a terra,
morente; le altre due arpie
indietreggiarono subito, abbassando le loro difese, atterrite. Eragon
ne
approfittò per immobilizzarle.
-
Letta - latrò.
Sentì
le loro menti ormai prese dal panico,
abbassare ogni difesa, Eragon non ebbe difficoltà a
prenderne il controllo.
Un
flusso
improvviso di immagine travolse la mente del cavaliere come un fiume in
piena,
ed Eragon venne sommerso di i ricordi delle due arpie: la
loro vita da
cuccioli all'interno del branco, poi l'emarginazione dal gruppo, il
vagabondaggio per terre desolate, sole e senza cibo, la fame che le
attanagliava; loro così orgogliose e fiere, ridotte a
cacciare piccoli ratti e
insetti. Poi l'arrivo nella terra dei draghi, a loro interdetta da
molto tempo
ormai. La paura di essere sorprese in un territorio proibito. Poi la
scoperta
della uova, la decisione del loro furto, e lo scontro con i draghi. La
fuga
disperata dentro la boscaglia dove per i loro inseguitori sarebbe stato
impossibile scovarli.
Un interrotto vagare nel sottobosco, aspettando il momento opportuno
per poter
uscire dalla valle inosservate. Il tempo che passava, poi le immagini
delle
uova rotte e dei piccoli che ne uscivano divorati all'istante
riempirono di
orrore gli occhi di Eragon. Nessun rimorso si poteva leggere nelle loro
menti
per il loro gesto afferrato, anzi Eragon poté sentire una
certa soddisfazione
nell'essersi procacciati del cibo prelibato in modo così
facile.
Saphira
è terribile!
Davanti
a lui le due creature si dimenavano
dalla rabbia, per finire in un ululato di puro dolore, quando
uscì infine dalle
loro menti.
Nuovamente
in sé Eragon si apprestò senza esitare a
pronunciare una delle sette
parole di morte.
Ma
il colpo finale non arrivò. Nonostante fosse consapevole
che una condanna a morte fosse una sentenza giusta, Eragon rimase fermo
dinanzi ai due
animali bloccati e inermi, incapaci ormai di difendersi,
colpito improvvisamente dalla cruda verità.
Cosa
c'è Eragon? Cos'è che non va?
Domandò Saphira, che aveva percepito il suo
sconcerto.
Non
possono più farmi nulla ormai. Se le
uccidessi ora, diventerei come loro.
Sono
delle assassine Eragon, non puoi
cambiare la loro natura. Uccidendole impedirai solo che facciano del
male ad
altri esseri viventi.
Quello
che dici è vero Saphira, secondo i
criteri umani il loro gesto meriterebbe la morte.
disse Eragon a denti stretti, Saphira lasciò sfuggire
un ringhio di approvazione.
Ma
è nostro diritto giudicare le loro azioni?
Sono state spinte dalla fame. È stato il loro istinto a
guidarle, un istinto
che a noi appare crudele, ma che per loro rientra nella
normalità. Come hai
detto tu stessa è la loro natura. Aggiunse,
infine, osservando la paura che ora traspariva dai loro occhi.
Perdonami
Saphira, ma non posso farlo. C'è
solo un'altra strada ed è quella di lasciare la decisione
della loro sorte al
consiglio dei draghi. Le
disse Eragon.
Saphira
rimase in silenzio per una serie di
minuti, mentre la rabbia per ciò che aveva visto fare alle
uova, scemava,
stemperata dalla verità delle parole appena pronunciate dal
suo cavaliere.
Il
consiglio dei draghi li condannerebbe
senza appello Eragon.
disse soltanto,
improvvisamente consapevole di quello che era giusto fare.
Ne
sei certa Saphira?
mormorò lui di rimando. La dragonessa prese un lungo
respiro.
Si
Piccolo mio, più che sicura.
E
così, con sguardo serio e deciso, Eragon si
rivolse alle due arpie, per parlargli un'ultima volta alle loro menti.
Saphira
era al suo fianco.
Potrei
uccidervi all'istante, se solo lo
volessi.
Iniziò a parlargli con voce
ferma e decisa. Eragon strinse con la magia sulle loro gole, quasi a
soffocarle, e le bestie smisero di dimenarsi e stettero a sentirlo.
Ma
vi darò la possibilità di andarvene, se
accetterete di non fare più ritorno in queste terre!
Comprendendo
che gli stava venendo risparmiata
la vita, una delle due arpie assentì, seguita subito dopo
dall'altra, che
sibilando furenti per la sconfitta appena subita, la imitò
riluttante.
Poi
fu un attimo. Eragon aveva appena rilasciò
la magia sulla seconda arpia, quando questa gli si rivoltò
improvvisamente
contro. Eragon ebbe appena il tempo di alzare la spada, ma era stato
troppo lento, e
non poté far altro che osservare impotente l'artiglio della
bestia calare
inesorabilmente su di lui. Il corpo dell'altra arpia fece
inaspettatamente da
scudo, mentre l'artiglio andò a colpire fatalmente la gola
dell'animale, che
cadde a terra con un lamento.
Eragon!
Ripresosi
rapidamente dalla velocità degli
eventi, Eragon non esitò a rompere le barriere della magia,
per usarla contro
la creatura, che ora stava per attaccarlo di nuovo. Ma prima che
potesse anche
solo muovere un muscolo verso di lui, stramazzò a terra,
morta.
Quando
la grotta ritornò di nuovo silenziosa,
Eragon rilasciò un sospiro. Una fitta alla gamba gli
ricordò della ferita. Era
profonda e bruciava terribilmente.
Stai
bene?
Sentì pronta la voce di Saphira.
Credo
di sì.
Le rispose lui solo dopo qualche secondo, osservando
i corpi delle tre arpie che giacevano a terra, una di loro si mosse.
Era
l'arpia che aveva tentato di difenderlo dal suo compagno.
Eragon
le si avvicinò piano, e gli si chinò
accanto. Respirava ancora, ma le sue forze vitali erano molto deboli.
Con un
solo sguardo Eragon seppe che non c'era nulla che avrebbe potuto fare
per lei
ora; ma non avrebbe lasciato che soffrisse inutilmente, e raggiungendo
il suo
cuore con la propria mente, ne prese possesso e lo aiutò a
fermarsi.
La
creatura spirò e rimase immobile sul terreno.
Nessuno
di noi è mai del tutto buono o del
tutto cattivo.
No
Eragon, ma l'errore di queste tre arpie
poteva condannare la loro intera razza. Se è vero che sono
state solo loro a rubare
le uova, allora i draghi devono sapere la verità.
Se
vorranno accettarla da me. Sigmar non ha
molta simpatia nei miei confronti.
Lo
dovranno fare, dopo aver visto l'uovo.
Le rispose subito Saphira
Ma
Eragon alzò il volto per guardare l'apertura
sul soffitto. Non aveva le energie sufficienti per potersi curare e
uscire da lì
insieme; quindi, strappò con una smorfia la manica della sua
tunica, e
improvvisando una fasciatura di fortuna, fermò la ferita
alla gamba. Poi
riportò la sua attenzione in alto.
Ce
la puoi fare piccolo mio. lo
incoraggiò allora Saphira.
Grazie.
le sorrise Eragon, dopodiché le parole nell'antica lingua
affiorarono alle sue
labbra, e il cavaliere sentì i propri piedi staccarsi dal
terreno e con lo
sguardo rivolto in alto, vide l'uscita farsi sempre più
vicina.
La
tiepida luce del pomeriggio, filtrata dalle
fronde degli alberi, accolse il suo ritorno in superficie.
Una
volta fuori, incurante della stanchezza,
riprese faticosamente la sua strada verso l'uscita.
Ogni
passo era un'ondata di dolore, ma il
pensiero di avvicinarsi a Saphira lo fece resistere, e andare avanti.
Dopo un
tempo che gli parve eterno, Eragon intravide infine una luce
più forte
proveniente dal fondo, e seppe che era arrivato. Spinto dal desiderio
di rivedere
la sua dragonessa, il cavaliere accelerò il passo
più che poté, fino a quando
la luce del sole non lo investì in pieno volto ed Eragon
poté scorgere una
sagoma zaffiro accucciata a terra.
Eragon
le andò incontro correndo, per arrivare a
pochi passi da lei e bloccarsi di colpo.
-
Saphira! -
I
loro sguardi si ritrovarono l'uno nell'altra
un'altra volta, dopo tanto tempo. Il loro cuori esplosero di gioia,
fino a
quando Eragon non ruppe quel silenzio, e si gettò addosso al
suo collo,
stringendola a sé, accarezzando le squame e strofinando il
suo viso sul muso
della dragonessa. Rimasero fermi in quella posizione per minuti interi,
mentre
calde lacrime di gioia sgorgavano dai suoi occhi
-
Mi sei mancata così tanto Saphira! - sussurrò
piano.
Anche
a me piccolo mio.
Scostandosi
appena Eragon inclinò di poco la
testa, poi incrociando i suoi grande occhi, Eragon di staccò
del tutto.
Sono
fiera di te Eragon, per il modo in cui
ti sei comportato poco fa con le arpie.
Eragon
scrollò le spalle.
Non
è servito a salvarle.
Sono
state loro a scegliere il destino loro
destino non tu.
Eragon
assentì debolmente, per dirigersi verso
l'uovo, seguito da Saphira, che da dietro allungò il collo
per osservarlo anche
lei.
Sigmar
è in grande debito con te ora Eragon, come
tutti i draghi di questa valle.
Sai
a chi appartiene?
Si
Eragon, è l'ultimo uovo che la compagna di
Sigmar aveva deposto prima di morire.
Eragon
rimase a guardare l'uovo senza dire
nient'altro. Poi salì sul dorso di Saphira adagio, senza una
sella, strinse
l'uovo con un braccio, e con l'altro si aggrappò a una delle
squame alla base
del suo collo.
Sono
pronto
dolcezza gli disse con gioia.
Senti i muscoli della dragonesse gonfiarsi sotto di lui, il ventre
vibrò di eccitazione, poi le ali si aprirono e Saphira
spiccò un potente balzo
per librarsi in aria con eleganza.
Giunsero
in tempo alle rupi, per vedere un
nutrito gruppo di draghi prepararsi per partire.
Appena
scorsero Saphira, ruggiti di sorpresa
accolsero il suo atterraggio.
Sigmar
in mezzo a loro si fece vanti, e grande
fu il suo stupore nel vedere Eragon sul suo dorso.
In
qualche maniera quel ragazzo era riuscito a
penetrare le loro barriere protettive, pensò irritato, e
contro tutti i suoi
presagi aveva stabilito il suo contatto con Saphira.
In
un moto di orgoglio Sigmar si rifiutò di
incrociare il suo sguardo, e ignorandolo apertamente si rivolse
direttamente a
Saphira
Flora, Serenity e Gea, mi hanno
riferito che
sei stata attacca, e di una luce che è esplosa. Cosa
è successo? chiese con tono
autorevole.
La
risposta di Saphira arrivò fredda e velata di
ostilità
Tutto
a
suo tempo Sigmar e non prima che il mio cavaliere possa scendere e
riprendere
fiato.
Gli rispose sottolineando a
tutti loro la presenza di Eragon.
Ignorando
il grugnito proveniente da Sigmar,
Saphira si voltò quindi verso Eragon.
Il
cavaliere si lasciò scappare un sorriso,
Saphira che non era mai stata tanto protettiva con lui come in quel
momento, e
questo pensiero li procurò un piacevole calore che lo fece
sentire meglio.
Attenta
a non tirare troppo la corda con lui
Saphira, o rischi di farlo arrabbiare sul serio. La
stuzzicò Eragon bonariamente.
Deve
portarti più rispetto Eragon, o dovrà
presto pentirsi per averti trattato in questo modo. Gli
rispose Saphira più seria che mai, lasciandolo
stupito.
Te
ne sono grata, ma spero che non sarà
necessario.
Anche
io piccolo mio, ma nessuno deve più
dubitare di noi due.
Abbassandosi
sulle sue gambe posteriori e
stendendo il collo lungo il terreno Saphira permise a Eragon di
scendere
comodamente da lei, sotto l'occhio curioso di tutti i draghi.
Il
cavaliere fece una leggera smorfia quando
poggiò a terra la gamba ferita, e le sue membra tremarono un
poco, ma la presa
sull'oggetto avvolto nel mantello rimase ferma.
Sigma,
notò contrariato la reazione del
cavaliere, e chiese con fastidio:
Cosa
ha fatto l'umano alla gamba? e cosa è
quello che porta con tanta cura?
Saphira
si voltò verso di lui, furente.
Sigmar
stava per replicare quando Eragon si fece
inaspettatamente avanti, ponendosi tra lui e Saphira:
Saphira,
lascia pure che si a io a rispondere.
disse con voce deciso, ma senza essere scortese.
Sono
stato ferito dagli artigli di una arpie,
e che mi hanno attaccato dopo aver sottratto a loro questa.
Disse mentre rivelava l'oggetto celato sotto il
mantello.
La
vista
dell'uovo lasciò tutti senza parole per alcuni secondi. Poi
Sigmar fece due
passi in avanti, avvicinandosi a Eragon, e piegando il collo
andò a toccare con
il muso l'uovo che il cavaliere teneva in mano. Le labbra arricciate di
Sigmar
sfiorarono la superficie liscia dell'uovo, il suo respiro caldo
investì Eragon
che rimase immobile sul posto senza indietreggire; dietro di lui
sentì Saphira farsi
più vicina non fidandosi ancora delle intenzioni del drago
argentato.
Credo
che tu sappia già cosa esso sia. Vero?
chiese Sigmar con tono velato da profonda emozione.
La sua non era stata una domanda ma Eragon annuì lo stesso
con la testa. Sigmar
assentì a sua volta.
Non
andare oltre Sigmar.
Tuonò una
voce nelle menti di tutti, mentre tra i ranghi dei draghi emergeva una
anziana
dragonessa bruna. Le sue vecchie squame erano state testimoni di molte
albe, e
un silenzio reverenziale calò tra gli latri draghi, mentre
si affiancava con
sicurezza a Sigmar.
Senza
alcuna traccia di arroganza, rivolse ad
Eragon e Saphira il suo sguardo profondo.
Eragon
rimase colpito nel vedere Saphira
ricambiarlo con un sordo mormorio.
È
palese agli occhi di tutti che il giovane
umano è riuscito a superare la sua prova Sigmar. Non
c'è alcun motivo per
continuare a dubitare di lui. Metti da parte i tuoi timori, e lascia
che
racconti cosa è accaduto, e come è arrivato a
trovare il luogo deve
le arpie tenevano l'uovo. Forse saremo in grado di conoscere quale
è stata la
sorte del resto della nostra cova.
Le
parole della dragonessa trovarono il
consenso di tutti i draghi, e Sigmar non poté fare atro che
annuire.
Eragon,
è questo il tuo nome? Ti prego parla
pure. Ti ascoltiamo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 31 *** Perdonare e dimenticare ***
Alla
richiesta della dragonessa bruna Eragon si girò verso
Saphira.
Aventi piccolo mio gli disse
spostando la sua coda intorno a lui a protezione e porgendo il fianco
come
sostegno.
Parlerò disse Eragon
rivolto a tutti
i draghi.
Così Eragon raccontò loro quello che gli era
accaduto da quando si era lasciato
con Sigmar. Raccontò della discesa dalla rupe; e quando
arrivò a dire delle
arpie Saphira lo aiutò mandando loro le immagini che il
cavaliere avevano
condiviso con lei. Raccontò loro tutto, compresa la sua
offerta di liberale,
dopo averle immobilizzate e costrette alla resa.
“Questo è inammissibile.
Con che autorità
voi due... Si era
intromesso Sigmar gonfio di rabbia ma venne subito ammonito dal drago
bruno
Lasciali
finire la loro
storia Sigmar. Anche
in mezzo ai draghi
iniziarono ad alzarsi le voci di coloro che voleva intervenire, e che
avevano
creato una vera e propria rottura. Sigmar a quel punto fu costretto a
placare
gli animi di chi lo sosteneva, permettendo così ad Eragon
seguitò a raccontare
dal punto in cui lo aveva fermato. Eragon attese il silenzio poi
riprese il suo
racconto descrivendo così con il tradimento, il colpo
mortale diretto a lui, e
la morte dell'ultima delle tre arpie. Seguì il faticoso
cammino fuori dalla
foresta e infine il ritorno rassicurante tra le squame di Saphira, con
il
prezioso uovo.
Così abbiamo
fatto ritorno da voi
Eragon si appoggio al fianco di Saphira, che gonfio il ventre
gorgogliando
in segno di approvazione.
La dragonessa bruna le annuì loro con sguardo grave, e con
aria solenne
annunciò forte:
Il vostro si è dimostrato essere un
legame molto forte. Ha saputo rompere le barriere della nostra rete
protettiva.
Questo è un fatto che neanche tu Sigmar, ne voi tutti draghi
e dragonesse
presenti, potete negare.
No, non possiamo, ma tu non puoi negare
il fatto che con i loro atti. Hanno entrambi cercato di scavalcare la
mia
autorità e quella del consiglio.
Non hai forse ascoltato tutto il resto
Sigmar? Chi erano quelle arpie e cosa rappresentavano?
E hai anche dimenticato quello che Guiltar e Keiron hanno detto
nell'ultimo
consiglio riguardo a ciò che sta avvenendo al di
là dei nostri confini?
Noi draghi siamo da sempre neutrali, questa decisione di non
intrometterci
nelle contese degli esseri umani, è stata già
presa molto tempo fa, cosa
potrebbe farci cambiare idea adesso?
Non sono venuti a chiederci aiuto dei semplici esseri
umani Sigmar, ma dei cavalieri
dei draghi.
Possiamo non accettare la nascita
dell’ordine, ma non possiamo negare il loro
legame con i nostri antenati.
Sigmar ascoltava e allo stesso tempo fissava l'uovo bianco che brillava
di
lievi bagliori argentati; era stato davvero un miracolo quel
salvataggio.
Gli era difficile ammetterlo, ma doveva tutto alla testardaggine di
quel
ragazzo. Sigmar provò qualcosa di diverso per lui.; un
profondo senso di
riconoscenza nei confronti di quel ragazzo, un sentimento che partiva
dal fondo
del suo cuore, superando la sua stessa volontà.
In fede non avrebbe potuto continuare a rimanergli ostile, ma i suoi
timori
riguardo a una alleanza tra umani e draghi rimanevano forti, quel nuovo
sentimento li aveva appena smorzati.
Che gli sia dato ciò che era stato
pattuito dal nostro accordo.
Disse infine, con uno sbuffo, ammettendo quel tanto da mettere in pace
la sua
coscienza. Ma La dragonessa Bruna non sembrava essere ancora soddisfatta
E per la guerra? Cosa faremo? Guardando la schiera dei
draghi
di fronte a lui Sigmar prese un profondo respiro prima si pronunciarsi.
Mi rimetterò alla
volontà dell'intera
comunità. Saremo
tutti insieme
a decidere. Non ho la pretesa di prendere da solo questa importante
decisione e
nonostante io sia contrario, se la maggioranza di noi avrà
la sciocca
intenzione di entrare in guerra allora lo faremo. Ora però
avrei bisogno di
andare a ritirarmi.
Sigmar passò davanti a Eragon e Saphira, facendo loro un
inchino con il suo
collo.
Era stato il gesto più vicino per lui a un ringraziamento e
i due compagni
ricambiarono con gratitudine.
Appena Sigmar si fu allontanato, la dragonessa bruna si fece avanti.
E' molto più di quanto avrei
creduto
potesse concedere.
Sigmar non è malvagio. Aggiunse.
Ha solo molta paura, dovete capirlo. Ma
vorrei presentarmi, io conosco chi siete voi, ma voi non sapete chi io
sia. In
tutto il tempo che sei stata con noi Saphira ti ho seguito
attentamente, mentre
per te cavaliere non ho avuto ancora modo di conoscerti più
a fondo, ma posso
apprezzare i diversi cambiamenti avvenuti in Saphira a partire dal tuo
arrivo. La
dragonessa passò lo sguardo
da l'uno all'altra dei due compagni che attendevano ora che lei
parlasse.
Mi presento io sono Telluria. E senza
peccare di presunzione sono il drago più anziano che abbia
solcato queste
terre, e che è ancora in vita per poterlo raccontare.
È un onore per
noi conoscerti
Telluria. Dissero
Saphira e
Eragon all'unisono La dragonessa gorgogliò soddisfatta.
Siete davvero qualcosa di straordinario
per me. Non avrei mai detto che nella mia esistenza sarei arrivata a
vedere
questo.
Non siamo gli unici, anche mio fratello
che è qui, è un cavaliere dei draghi come me, ma
il suo drago e compagno di
Saphira è rimasto nell'isola di Antàra.
Questo è un altro motivo che ci spinge ad affrettarci a
ritornare.
Posso capire la vostra fretta. Ma anche
noi draghi abbiamo bisogno di tempo. Non sarà cosa facile
convincere dei draghi
che sono sempre rimasti chiusi nei confini sicuri della Stonewood a uscire allo scoperto. E
credo che molti ancora non
saranno mai disposti a farlo.
Tu hai detto di essere la più anziana di tutti i draghi.
Cosa ti spinge a darci
fiducia.
Chiese allora Eragon di getto, non riuscendo a trattenersi
dal porre quella
domanda.
La tua domanda è giusta. E la
risposta è
semplice io sono nata ad Alagaësia.
Sono una dei pochi draghi salvati alla grande guerra tra gli elfi e i
draghi.
Mia madre mi affidò ai flutti del mare quando ancora ero
dentro il mio guscio.
I nostri piccoli non nascono
se
non in condizioni esterne favorevoli e per molti mesi sono stata in
balia delle
onde in attesa, prima di toccare terra.
Telluria prese solo una breve pausa prima di continuare
È per questo che non sono come
tutti gli
altri draghi. Ho dentro di me sempre un po’
di nostalgia del mare che è stata la mia casa per molto
tempo. Ogni tanto esco
fuori dai nostri confini ed esploro le coste del nord, che sono molto
più
fredde, e dove non ci sono esseri umani che possano vedermi e rimango
in riva al
mare per ammirare le onde che si infrangono sugli scogli. Ma ho paura
di
essermi dilungata troppo. Quando si è grandi si inizia a
raccontare dei tempi
che non ci sono più. Non sono in molti che sanno questo, ma
venendo voi da Alagaësia
mi è sembrato giusto che veniste
a conoscenza di questo.
Telluria inarcò la schiena e stava per spiegare le ali,
quando aggiunse.
L'uovo sarà affidato a voi per ora
e
sarete presto messi a conoscenza della prossima riunione.
Avete
delle visite.
Disse infine la dragonessa
voltandosi verso le loro spalle dove Keiron si stava preparando a
planare.
La giovane dragonessa gli aveva raggiunti come un fulmine e non era
sola: con
lei c'era stato anche Murtagh.
-
Eragon,
Saphira! - gridò loro il cavaliere ancora sul dorso della
dragonessa. Poi
appena Keiron toccò terra il ragazzo balzò dal
suo dorso, ma l'espressione del
suo volto all'inizio sollevato si alterò subito dopo,
attraversato da
un'espressione corrucciata
- Hai di nuovo voluto fare di testa tua Eragon. - Lo
rimproverò Murtagh,
abbassando lo sguardo alla gamba ferita, per poi rialzarla scuotendo la
testa.
- Il fatto che stavi rischiando la tua vita non ti ha fatto desistere
dall'inoltrarti da solo in un territorio sconosciuto e senza chiedere
aiuto! -
Eragon fece un timido passo in avanti, consapevole che il fratello era
furioso,
e cercando le parole per potersi giustificare.
- Mi dispiace - riuscì solo a dire.
- Non hai ancora capito che Tu Saphira Castigo e Jill siete la mia
famiglia adesso.
Farei di tutto per proteggervi -
Poi Eragon sentì Saphira sfiorargli la mente.
Lascia che gli parli io
e
senza aspettare la risposa di Eragon Saphira si rivolse a Murtagh.
Se c'è qualcuno da rimproverare
Murtagh,
questa sono io. É per una mia debolezza che tutto questo
è stato causato e ti
sarò per sempre debitrice per essere corso in soccorso del mio cavaliere con Isobel. Per essere corso in soccorso
di entrambi. Senza questo
piccolo azzardo non avremo ottenuto questo. Disse
infine scostandosi da una parte a
rivelare a Murtagh l'uovo ora sotto la loro custodia.
A quella vista Murtagh si bloccò e passandosi una mano tra i
capelli si
avvicinò all'uovo circospetto.
- È davvero lui? L'uovo della visione? -
- Non possiamo esserne certi. - Ammise
cauto Eragon, Murtagh allora alzò un sopracciglio, ancora
scettico.
- Quante uova bianche credi possano esistere? -
- Lo so. Ma l'esperienza ci ha insegnato che non dobbiamo fidarci delle
apparenze. Prima di arrivare qui non sapevamo nemmeno dell'esistenza di
altri
draghi, eppure eccoci qui - Murtagh si lasciò andare a un
sorriso e alzate le
sopracciglia sospirò
- Sagge parole. E così sia fratellino. Ritorneremo da
Eleonor con l'uovo, e
proveremo se è quello della nostra visione. -
Appoggiandosi a Saphira Eragon gli sorrise a sua volta, ma non si
accennò a
muoversi.
- Ti fa male? - gli chiese Murtagh, inginocchiandosi subito di fronte a
lui per
esaminare più da vicino la ferita. Murtagh la
sfiorò appena che Eragon
sobbalzò, ritraendo la gamba con una smorfia.
- Si sta infettando dobbiamo prima guarirla se non vogliamo che ti
salga la
febbre. -
Keiron aveva nel frattempo fatto allontanare gli altri draghi che erano
rimasti
a guardare, incuriositi.
Il volto di Eragon si contorse ancora in una smorfia quando il fratello
sfilò
via la fascia di fortuna che lui stesso si era assicurato intorno alla
coscia.
Ci vollero alcuni minuti per guarirla. Appena Murtagh ebbe finito
Keiron e
Guiltar si fecero avanti, verso i due fratelli. Saphira era stata a
pochi passi
da loro.
Abbiamo avuto il compito di scortarvi
nuovamente dai vostri compagni. Eragon credo tu debba salutare Saphira
ora. La
rivedrai domani quando incontrerete il consiglio.
Dissero a entrambi facendo segno in direzione dei monti.
- La grotta è confortevole. - aggiunse Murtagh muovendosi
già verso Keiron, ma
Eragon rimase al suo posto, stringendosi vicino a Saphira.
- Io non la lascio - disse loro accarezzando il collo della dragonessa.
In
risposta Saphira alzò la testa e ruggì
Ed Io non lascerò Eragon
confermò
anche lei.
I due draghi non si scomposero, ma dopo un breve scambio di sguardi
annuirono.
Guiltar prese quindi la parola.
Va bene. Saprete già che Sigmar
avrà da
ridire molto su questo, ma se Saphira vorrà potrà
dormire di fronte alle grotte, è
un po’ scomodo ma se è quello che volete.
Saphira non mostrò esitazione quando
rispose
Tutto pur di stare accanto al mio
cavaliere Keiron e Guiltar si scambiarono un'altra occhiata.
Seguiteci allora.
***
Appoggiandosi
alla parete della grotta Murtagh inspirò profondamente.
Eragon si andò a sedere
dalla parte opposta. I bagliori del fuoco che ardeva poco lontano
riflettevano
sopra la parete ruvida della grotta, giocando con le sue ombre. Sul
fondo Par,
Morgana ed Eleonor dormivano già.
Il consiglio si era riunito quel giorno, e sarebbe proseguito a
oltranza.
Eragon Murtagh e Saphira erano stati invitati a partecipare, ma dei tre
solo
Saphira era rimasta. I ritmi dei draghi erano stati troppo pesanti per
la resistenza
dei due cavalieri, che erano stati mandati via a riposare. - Non dormi?
-
chiese Murtagh al fratello dopo alcuni minuti, volgendo lo sguardo
nella sua
direzione.
- Sono stanco, ma non riesco a prendere sonno. - ammise lui con uno
sbadiglio
- Chiudi gli occhi, e vedrai che il sonno verrà da
sé - gli disse allora
Murtagh, incrociando le braccia davanti al petto e sistemandosi meglio
con la
schiena. Il maggiore dei due fratelli aveva ormai chiuso entrambi gli
occhi,
quando Eragon aggiunse:
- Mentre tornavamo ho pensato alla nostra attuale posizione. - Murtagh
aprì un
solo occhio, puntandolo verso Eragon.
- E? -
- Isobel avrà allarmato tutto il regno per trovarci, quando
rientreremo nel
territorio di Zàkhara, stai certo che avrà
già preparato il suo esercito ad
aspettarci.
Quindi per poter ritornare a Antàra non abbiamo alternative
che attaccare per
primi. – Murtagh aveva entrambi gli occhi aperti adesso - Non
ti seguo Eragon.
Vuoi attaccare. Come? E cosa soprattutto? -
- La città di Gratignàc.
Pensa se riuscissimo ad ottenerne il controllo Murtagh! Dal suo porto
provengono tutti i rifornimenti di merci diretti ad Abàlon.
In questo modo
indeboliremo in maniera considerevole le forze di Isobel. -
- Una mossa audace, non c'è dubbio. C'è solo un
particolare non irrilevante
Eragon. La regina non rimarrà di certo con le mani in mano,
e mentre noi gli
chiudiamo la fonte dei suoi guadagni, lei farà in modo di
chiuderci la strada
per Antàra, chiedendo semplicemente aiuto ai suoi alleati. -
A quella risposta il volto di Eragon si aperse in un sorriso soddisfatto
- Ed è qui che entra in gioco il piano. – lo
informò il più piccolo. Facendo
una piccola pausa Eragon si avvicinò di più al
fratello, come a confidargli un
segreto.
- Quando Isobel mi ha presentato a tutti come suo alleato, molti dei
nobili e
dignitari sono venuti a parlarmi lamentarsi della sua condotta nei loro
confronti. Isobel non ha il controllo totale dei suoi alleati come
vuole far
credere. Questo potrebbe giocare a nostro vantaggio. Farli passare
nella
resistenza potrebbe essere più facile del previsto. -
Murtagh ci pensò su alcuni secondi, si strinse il mento con
una mano, e
corrucciò la fronte
- Se quello che dici sugli alleanti corrisponde a vero, forse potremmo
farcela.
Certo un aiuto da parte dei draghi renderebbe tutto molto
più semplice. Saphira
non sarebbe l’unica dragonessa da opporre a Kima. Castigo e
Gleadr sono troppo
distanti per essere chiamati in causa. -
- Allora dovremmo fare di tutto perché Sigmar accetti di
aiutarci. -
|
Ritorna all'indice
Capitolo 32 *** Roran Fortemartello ***
Una nave
solcava con velocità i flutti del mare tagliando a
metà le onde con la sua
chiglia; il veliero era seguito da una decina di scafi candidi e
bianchi, tutti
delle stesse dimensioni che avanzavano dietro di lui.
Xavier se ne
stava in piedi, sul ponte, con in mano il timone, scrutando il mare, la
mente
completamente assorta nel dirigere il veliero assecondando i venti che
soffiano
in quel momento.
Poi avvenne:
sulla linea dell'orizzonte, dove il cielo e il mare si incontrano gli
apparve
una sottile striscia di terra.
- Terra! Terra!
- Gridarono gli elfi di vedetta dall'albero maestro. Era la sua amata
Zàkhara.
Xavier
avvertì la familiare presenza di Dako al suo fianco e si
girò verso di lui.
- Finalmente
a casa! - disse l’elfo con entusiasmo.
- Finalmente
a casa – ripeté l’uomo con un sorriso
tirato.
- Ti vedo
preoccupato Xavier. Qualcosa ti turba? – Chiese Dako. Dopo
mesi passati in sua compagnia,
l’elfo aveva imparato a riconoscere quale fosse lo stato
d’animo dell’uomo da
pochi particolari della sua espressione. Xavier si massaggiò
lentamente la
mascella prima di rispondere. - Il pensiero che i nostri sforzi stiano
arrivando
troppo tardi e che Isobel abbia già attaccato
Antàra non mi abbandona da giorni
ormai. – l’elfo annuì, capiva fin troppo
bene i suoi sentimenti perché erano
anche i suoi.
- Abbiamo
fatto del nostro meglio. Non possiamo rimproverarci di nulla.
– disse più che
altro per convincere sé stesso.
Il capitano
si limitò ad annuire, qualcuno alle loro spalle stava
attendo paziente di
essere ascoltato. Xavier e Dako ebbero solo un attimo di smarrimento
prima di
riconoscere nel ragazzo il giovane messaggero degli elfi di
Alagaësia. Doveva venire
direttamente dalla nave ammiraglia; i suoi capelli erano bagnati
d’acqua, segno
che aveva nuotato per raggiungerli, ma il suo volto non aveva
più nulla di elfico.
Il naso, quasi inesistente, era ridotto a due orifizi, la pelle aveva
assunto una
velata sfumatura verde ed era così liscia che
l’acqua le gocciolava sopra come fosse
argento vivo. Strati di squame imbracate tra loro coprivano qua e
là il suo
corpo tanto da permettergli di non indossare alcun abito e dietro alle
orecchie
due branchie si aprivano per permettergli lunghe traversate
sott’acqua.
- Un
messaggio da Roran Fortemartello - annunciò il ragazzo
mentre si portava indice
e medio alla bocca in segno di rispetto. Nessuno dei due si era ancora
abituati
all’idea che la magia permettesse a quegli elfi di poter
mutare il loro aspetto
secondo le proprie velleità.
- Riferisci
pure il messaggio, ti ascoltiamo - gli rispose subito Xavier.
- Il
capitano chiede istruzioni per le manovre di avvicinamento. –
si affrettò a
rispondere il ragazzo.
Da lì
a poco,
lo stesso Xavier avrebbe mandato un messaggio per informarlo, ma
Fortemartello
sembrava sempre anticipare le sue mosse. I due compagni si scambiarono
un breve
sguardo di intesa, quindi, si girarono all'unisono in direzione della
nave del
loro alleato dove un grande drago verde volava al suo lato.
- Cosa devo
riferirgli? - chiese ancora una volta il ragazzo, richiamando
l'attenzione dei
due capitani.
- Digli pure
di mantenersi il più possibile vicino alla nostra nave. Non
possiamo
avvicinarci troppo alla costa di Zàkhara. Dobbiamo
circumnavigarla, in modo da
non essere avvistati dalle vedette della regina. Raggiungeremo
Antàra domani
nel pomeriggio. -
- È
tutto
Signore? -
- No.
Riferisci al capitano Fortemartello, di abbassare le vele e di affidare
la nave
ai soli rematori, almeno fino a quando non avremo passato il Capo dei
Giganti
all'estremità sud. Le stesse raccomandazioni valgano per
Validor. Che si tenga
il più possibile a bassa quota. È tutto. -
- Sì,
Signore. - disse con entusiasmo. Il ragazzo si allontanò per
prendere la
rincorsa e gettarsi nuovamente in acqua superando con un tuffo la
ringhiera del
ponte.
Dako e
Xavier si affacciarono per osservarlo mentre risaliva
sull’altra nave, poi entrambi
tornarono a guardare l’orizzonte di fronte a loro.
Fu ancora una
volta Dako a rompere il silenzio tra loro. Appoggiato alla ringhiera
che
sovrastava il ponte della nave, il suo sguardo si era fermato ad
osservare un
gruppo di delfini che seguiva lo scafo della nave. Come a ragionare con
sé
stesso disse:
- La
risposta della gente di Alagaësia è stata immediata
e totale. I due cavalieri
hanno lasciato una vera fortuna nella loro terra. Non mi spiego ancora
il
motivo che li ha spinti a lasciare la sicurezza e la gloria, per
avventurarsi
in un posto sconosciuto senza sapere a cosa andassero incontro. - il
tono di
voce di Dako era profondamente perplesso. - Di tutti coloro che li
hanno
conosciuti, nessuno è riuscito a spiegare il vero motivo
della loro partenza.
Non lo trovi un fatto strano Xavier? Ho cercato di parlare anche con
Roran,
dirigendo più volte il discorso sull’argomento, ma
appeno l'ho fatto lui è
riuscito sempre a evitare di parlarne -
- È
il
cugino di entrambi i cavalieri, forse è un argomento che
ancora scotta. –
rispose Xavier che sapeva già dove voleva andare a parare
l’elfo.
- Cosa
nascondono? - chiese ancora Dako; questa volta con più
insistenza. Xavier
scosse piano la testa, ma aspettò qualche attimo prima di
rispondere, come a
cercare le parole giuste per non ferire il suo orgoglio.
- Lascia da
parte la tua gelosia per i più giovane dei cavalieri Dako, e
pensa alla cosa
davvero importa. Siamo riusciti ad arrivare con i soccorsi, ora abbiamo
una
flotta da opporre a Isobel - gli disse lasciando Dako visibilmente in
imbarazzo.
- Ma tu, tu
sapevi di... - Xavier gli sorrise dandogli una pacca leggera sulla
spalla.
- Fa quello
che ti ho suggerito, lasciala perdere. Non è per te -
aggiunse prima di dirigersi
in sottocoperta lasciando un attonito Dako a meditare sulle sue ultime
parole.
**
Il giorno
seguente, come previsto da Xavier, le navi giunsero al porto di
Antàra.
Lo
spettacolo che si presentò agli abitanti della
città fu senza precedenti. Passato
lo stretto e senza più timore di essere sorpresi, ogni nave
aveva spiegato le proprie
vele, ed ora una immensa macchia di colore stava dirigendosi verso il
porto.
A poche
leghe di distanza dalla costa, la nave di Fortemartello si
affiancò a quella del
capitano Dako, per giungere al porto insieme, davanti a tutte le altre.
Parte della
flotta venne dirottata nei tre porti minori lungo la costa, ma il loro
numero
rimase lo stesso impressionante.
Castigo Gleadr
affiancati da Jill e Reafly, erano accanto al re e parte del consiglio
per
accogliere il loro arrivo.
Tutti videro
il drago verde staccarsi con eleganza dalle una delle due navi di punta
e
dirigersi verso di loro mentre le due navi eseguivano le manovre di
sbarco.
La creatura
planò
di fronte a Castigo e i due draghi, incuranti degli sguardi attoniti di
tutti,
si scambiarono alcune effusioni, poi Jill si avvicinò al
drago smeraldo.
- Lui
è
Validor Maestà. Validor, il re degli elfi Arold –
disse Jill.
Il drago
smeraldo si girò verso l’anziano elfo e
avvicinando il muso al suo lo salutò con
rispetto. L’attimo fu carico di tensione che si sciolse
quando dalle due navi ammiraglie
scesero i capitani Xavier e Dako insieme a due stranieri: un uomo e una
donna molto
giovani e una bambina al seguito.
Re Arold
salutò per primi i capitani Dako e Xavier. A ognuno strinse
la mano e
avvicinandoli a sé gliela batté sulla spalla,
segno di rispetto e gratitudine;
quindi, il re passò ai due giovani dietro di loro.
- Tu devi
essere Roran Fortemartello. Cugino dei cavalieri Eragon e Murtagh.
– disse
rivolgendosi prima all’uomo.
- Sì,
maestà,
e sono anche membro del consiglio delle razze e comandante di questa
flotta. – Re
Arold scrutò per un istante i lineamenti forti del giovane e
i suoi occhi
andarono al martello che spuntava da dietro la testa. Era agganciato a
una
imbracatura che fasciava il petto e indossata con una certa
disinvoltura. - Dei
compiti alquanto gravosi per un uomo così giovane.
– aggiunse. Alle sue parole Roran
non si scompose, solo una leggera smorfia andò a piegare gli
angoli della
bocca.
- La guerra
non guarda in faccia a nessuno Maestà. Giovane o vecchio,
quando vieni colpito
o reagisci o perisci - rispose cercando di essere il più
possibile diplomatico.
Alle sue parole re Arold annuì con un sorriso triste. Anche
quando conobbe
Eragon e Murtagh ebbe l'impressione che fossero troppo giovani per il
ruolo che
ricoprivano. Poi il sovrano si rivolse alla donna che gli era a fianco.
- E tu devi
essere
il cavaliere dei draghi Katrina, figlia di Ismira. È un
onore per me incontrare
un altro cavaliere. –
-
L’onore è
mio Maestà – rispose Katrina e i suoi lunghi
capelli ramati ondeggiarono morbidi
sulla schiena e sulle spalle attirando lo sguardo di molti. Con estrema
naturalezza
si girò da un lato e prese in braccio la bambina che le
stava tirando con
insistenza la veste per attirare la sua attenzione. La bambina aveva
gli occhi
e i capelli di Katrina e la stessa espressione seria e determinata di
Roran.
- Chi
è questo
splendido fiore? – chiese allora Arold.
- Lei
è
Ismira, nostra figlia – la piccola si era aggrappata con
forza al collo della
madre guardando re Arold con due grandi occhi spaesati.
- Mamma chi
sono? – chiese biascicando.
- Io mi
chiamo Arold piccina e ti voglio presentare un altro cavaliere, come la
mamma.
Si chiama Reafly. -
Reafly si
fece avanti con una leggera spinta da parte di Jill. Fece un saluto
alls
piccola ma i suoi occhi tornarono a Katrina -
Katrina Svint-kona. Atra Esternì ono
theulduin – disse rivolgendosi con rispetto alla
giovane donna.
- Mon'ranr
lìfa unin Hjarta onr
– rispose Katrina.
- Un
du
evarìnya ono varda. - concluse Reafly concludendo
il saluto elfico. Ismira che
aveva intuito l’importanza del momento rimase a guardare
affascinata quel
giovane che si era rivolto alla madre nella lingua con cui erano soliti
parlare
con gli elfi.
- Vedo che
Arya ti ha insegnato bene giovane Shur'tugal - gli
disse Katrina attenuando
la tensione con un sorriso, per poi rivolgere il proprio sguardo a
Roran. A
entrambi non erano passate inosservate due grandi assenze. Quelle di
Murtagh e
di Arya.
- Già
sapevamo
dalla regina Arwen riguardo la minaccia di Isobel e delle sue armi.
Sono
passati altri tre mesi dalla nostra partenza. Cosa è
cambiato? - intervenne Roran
con voce affabile, mantenendo allo stesso tempo un tono deciso. Katrina
al suo
fianco annuì sostenendo la posizione del compagno mentre
faceva scendere a
terra Ismira.
Re Arold
sospirò. - Molte cose, come potete immaginare. Ma non
parliamone qui. -
A un battito
di mani del re, ognuno dei presenti ruppero le righe per muoversi in
direzione
del castello. Fu solo allora che Jill poté salutare con
più libertà Roran e Katrina,
mentre Ismira si era già avvicinato con curiosità
a Reafly che subito le aveva presentato
Gleadr.
I tre si
scambiarono un caloroso abbraccio. - Katrina, Roran. Non sapete che
sollievo
avervi qui. – disse la ragazza. Allora Arold intervenne con
voce bonaria.
- Se lo
vorrà, Jill potrà iniziare a ragguardarvi su
tutto ciò che desiderate sapere – disse
l’elfo dimostrando così una grande fiducia nei
confronti della giovane donna.
- Vi ringraziamo
Sire. –
**
Erano passati
tre giorni da quando la flotta alleata aveva raggiunto
Antàra. Roran e Katrina
stavano percorrendo i corridoi del palazzo per andare a far visita ad
Arya. Quel
pomeriggio avevano lasciato Ismira alle cure di Jill e di Reafly a cui
la
piccola si era molto affezionata.
Alicia non
mancò di accoglierli fuori dalla porta con le
raccomandazioni che oramai dava a
tutti.
- Arya vi
attende nella sua stanza. È molto felice di vedervi, ma devo
chiedervi di non
trattenervi a lungo. Non deve affaticarsi troppo. - Roran e Katrina
annuirono, senza
troppa convinzione; avevano un ricordo ben preciso dell’elfa
come una donna forte
e libera che non coincideva affatto con quello che tutti stavano mostrando loro.
Secondo
quanto aveva detto re Arold, da alcuni giorni non usciva dai suoi
appartamenti
ed anche se Jill aveva confermato, Roran e Katrina avevano comunque
espresso il
desiderio di farle visita.
- Roran,
Katrina – li chiamò l’elfa. L'ovale
perfetto della sua pancia era ben visibile
da sotto le vesti di tessuto leggero.
- Arya svit-kona
- salutarono la coppia mentre Katrina chinando la testa e
iniziò il saluto
elfico. Arya con un sorriso completò il rito.
- Ci hanno
detto che non devi affaticati, non ci tratterremo molto. –
Contrariamente
a quello che si sarebbero aspettati, l’elfa non
negò le sue difficoltà - La
gravidanza per gli elfi è sempre un momento molto delicato.
Per noi si tratta
di un evento raro e lo è ancora più quando il
compagno è un giovane umano come lo
è il padre. –
Arya fece
una breve pausa, abbassando il volto sulla pancia per sfiorarla con la
mano.
- Non
l’ho ancora
detto a nessuno, lo sto confidando a voi adesso, ma ho scoperto che
aspetteremo
delle gemelle. –
Nell’udire
la notizia Roran e Katrina si guardarono pieni di stupore. –
Gemelle! – dissero
insieme.
- Questo
vuole dire… - aggiunse Katrina senza riuscire a finire la
frase. La ragazza realizzò
in quel momento cosa poteva comportate un parto gemellare. Ricordava
fin molto bene
quello della moglie di Horst. La donna aveva rischiato di morire
proprio
durante il parto.
- Questo
significa più energie necessarie per gestirla. Per questo
devo essere più
prudente di quanto sarei normalmente – aggiunse Arya come a
leggerle il
pensiero.
Nel notare i
loro volti preoccupati Arya si alzò dalla sedia su cui era
seduta e
avvicinandosi prese ciascuno per mano e li scosse con delicatezza.
- Una
gravidanza dovrebbe essere qualcosa bello, un periodo di allegria e
gioia. Non
fonte di dispiacere e preoccupazioni. Dovete essere felici per me e per
Eragon!
- Arya rivolse loro il suo sorriso più smagliante.
- Certo che lo
siamo. - disse Katrina stingendole a sua volta la mano. –
Vero Roran? – il
ragazzo si limitò ad annuire.
- So che il
tuo pensiero, Fortemartello, è rivolto a tuo cugino - disse
Arya, mentre il
sorriso si affievoliva – Non pensare che non sia anche il
mio. Le bambine sono
legate a loro padre da un legame più profondo di quello di
sangue. È un legame
magico che mi dice che si sta avvicinando sempre di più a
noi – Arya lasciò che
le sue parole sortissero il loro effetto, quindi, continuò -
Ora ditemi di voi
– disse con un sorriso. - So che con voi
c’è anche vostra figlia Ismira. La prossima
volta che venite a trovarmi dovete portarmela. Mi farebbe un immenso
piacere
conoscerla. –
- Lo
farò
Arya. – le rispose Katrina.
Arya passo
il sguardo da l’uno a l’altra poi disse cambiando
argomento.
- Avete
parlato con re Arold. Che impressione vi siete fatti di lui? -
Roran
incrociò le braccia al petto e prese un profondo respiro.
Questo era un
argomento a lui più congeniale e pesò bene le sue
parole prima di esprimere il
suo giudizio.
- Il re sa
che noi siamo la loro unica speranza contro Isobel. Abbiamo passato tre
giorni
ad organizzare al meglio la dislocazione delle navi, il loro
approvvigionamento
da terra, ed altri particolari, ma non l’ho mai sentito
parlare di Eragon o
Murtagh. Ho l’impressione che data l’assenza di
informazioni su di loro stia
evitando l’argomento -
- Katrina? -
chiese Arya rivolgendosi alla giovane
- È
un re
giusto. - disse girando il volto verso Roran.
- Ma sembra
spaventato. La paura può far commettere cose molto stupide. -
- È
vero,
tutto quello che avete detto - annuì Arya, guardando prima
l'uno poi l'altra.
- Per lui la
cosa più importante in questo momento è
sconfiggere Isobel. Non ne conosciamo
il motivo ma la regina vuole la distruzione degli elfi. –
**
Roran e
Katrina rimasero sorpresi dei grandi cambiamenti avvenuti
nell’elfa. - Ha
tessuto una rete magica tutta intorno a lei e alle bambine. –
stava spigando
Katrina al marito - Alla DuWaldenvarden ho letto di questa pratica in
uso nella
casa reale elfica – concluse mentre entravano nelle loro
camere.
Roran
annuì
stringendole i fianchi con le braccia con fare protettivo.
- La
lontananza di Eragon e Murtagh rende tutto più complicato. -
fece di getto la
ragazza mente Roran le baciava teneramente il collo. Conosceva il
valore della
moglie e non gli piaceva quando si abbatteva in quella maniera.
- Quando
abbiamo accettato il comando della missione sapevamo che non sarebbe
stato
facile. Sarai all'altezza del compito, amore mio. Non ne dubitare mai. -
***
Dal dorso di
Saphira, Eragon e Murtagh avevano una chiara visuale di
Gratignàc.
Erano state
solo le prime ore della mattina, ma il mercato e il porto della
città
brulicavano già di una fervente attività.
Allargando
le loro menti Eragon e Murtagh iniziarono a aggirarsi tra le i mercanti
e i
marinai della città le cui coscienze erano tutte intente ai
problemi e alle
mille faccende della vita quotidiana.
Dobbiamo
individuare al più presto la casa del governatore. Disse
mentalmente Eragon. Il moro
assentì immergendosi ancora di più in quella
calca, lo stesso fece Eragon.
Continuarono
a sondare le mente delle persone ancora a lungo passando con
facilità tra una e
l’altra; erano uomini, donne, bambini, tutti privi di
qualsiasi difesa mentale.
Per Murtagh fu facile capire di essere di fronte al governatore e il
suo
entourage, quando improvvisamente incontrò un blocco magico.
Non troppo lontano
da lui Eragon aveva appena lasciato la coscienza di una giovane serva,
quando
anche lui
avvertì la presenza una
dozzina di menti tutte ben protette. Aveva trovato qualcosa. Stava per
richiamare
l’attenzione di Murtagh quando sentì un brivido
lungo la schiena che lo congelò
sul posto. Murtagh, che doveva aver avvertito la stessa cosa gli fu
subito
accanto.
Quei maghi non
stavano proteggendo solo il governatore. Nel palazzo c’erano
anche i Ra’zac.
Eragon
provò
un moto di rabbia che minacciò di travolgerlo. Le immagini
del corpo esanime di
Saphira tornarono vivide alla sua mente e il senso di vuoto che aveva
provato allora
fu per un attimo nuovamente reale.
Calma
Eragon. Non sono un problema per noi due. Li hai già
sconfitti una volta,
ricordi? Possiamo farlo ancora. Questa volta insieme. Si
affrettò a dirgli Murtagh.
Va bene. rispose
flebile Eragon mentre
lasciò che il fratello lo sorreggesse mentalmente.
Ritornando in sé Murtagh socchiuse
gli occhi e, sollevandosi su dal dorso di Keiron, si rivolse ancora una
volta verso
Eragon.
Anche il
fratello stava alzando la testa, ma stava tremando visibilmente
attraverso
tutto il corpo.
Ci
sarà
il tempo per la vendetta, piccolo mio.
gli stava sussurrando Saphira nella mente, emettendo insieme un basso
ringhio
gutturale.
La
pagheranno per quello che ti hanno fatto aggiunse lui
accarezzandogli debolmente le squame del
collo.
Tutto
bene? Gli chiese
Murtagh.
Riprendendosi
rapidamente Eragon rimase per un attimo in silenzio Sì,
Murtagh. Non
preoccuparti.
Bene gli rispose con
sollievo il moro. Ora che
sappiamo chi è il nostro bersaglio, qual
è la nostra prossima mossa?
Eragon
rivolse ancora una volta il suo sguardo su Gratignàc. Par e Morgana conoscono la città meglio
di noi, loro sapranno consigliaci cosa
fare.
Bene,
allora sbrighiamo a ritornare. Fece eco
Saphira.
**
Par e
Morgana passarono buona parte del giorno a preparare e illustrare il
loro piano
a Murtagh, Eragon e Saphira e alla presenza dei quattro draghi che si
erano uniti
a loro per l’attacco alle forze di Isobel.
Telluria,
Keiron, Guiltar e Sigmar stesso si erano tutti offerti
nell’affiancarli in
quella impresa. Non un drago di più avrebbe varcato i
confini delle loro terre.
Questa era stata la sentenza finale di Sigmar che aveva insistito per
far parte
anche lui della compagnia, nonostante continuasse a ritenerlo un gesto
folle.
Telluria
come Keiron e Guiltar avevano già varcato i confini delle
terre selvagge, mentre
Sigmar avrebbe soprinteso a tutti loro, in modo che nessuno rischiasse
la sua
vita oltre il necessario. Anche Vespriana aveva chiesto insistentemente
di venire,
ma la dragonessa non poté nulla contro il veto posto dal
nonno e dai genitori
che la ritennero troppo giovane per partecipare a qualcosa di
così grande come
una battaglia. Avrebbe comunque avuto un compito ugualmente importante,
gli
avevano assicurato Par, Eragon e Murtagh, quello di vegliare sulla
piccola
Eleonor e al cucciolo di drago bianco nato dall’uovo che le
era stato
consegnato.
Eragon stava
guardando a terra lì dove Par aveva disegnato sul terreno
uno schema della città
di Gratignàc per aiutarlo a illustrare il piano.
- Prenderemo
di sorpresa le guardie della cittadella. – stava spiegando
l’elfo indicando con
un bastoncino di legno il corpo di guardia - La città non
possiede molte difese.
Il palazzo è guarnito di una solo cinta di mura, facilmente
superabile se si è
a dorso di un drago. - Alzando la testa Eragon vide il muso di Sigmar
sbuffare
lasciando un filo di fumo nero salire dalle sue narici. Telluria
socchiuse i
suoi occhi nocciola e gorgogliò un basso verso gutturale.
Faremo la
nostra parte
mormorò
poi nelle loro menti mentre Keiron e Guiltar annuirono con la testa.
Fu allora
che Morgana prese parola – Il corpo di guardia si trova poco
distante dalla
casa del governatore. Se li prendiamo entrambi conquisteremo la
cittadella. Eragon,
Murtagh e Saphira si occuperanno dei Ra'zac e delle
loro bestie mentre Guiltar,
Telluria e Sigmar e Keiron neutralizzerete la guarnigione di soldati
che
verranno sicuramente inviati a loro difesa una volta dato
l’allarme. Il compito
mio e di Par sarà quello di prendere il governatore prima
che venga portato in
salvo. Sotto la città c’è una reta di
cunicoli che portano all’estero. -
Eragon
annuì
con la testa, il piano era semplice, ma non privo di insidie. Prime fra
tutte
la presenza di un numero consistente di maghi che avrebbe potuto
mettere lui e
il fratello in difficoltà. Era cosciente del fatto che la
presenza dei quattro
draghi era l’elemento fondamentale per la riuscita di
quell’assalto.
Anche Sigmar
lo sapeva e forte della sua posizione fu il primo a rompere le righe.
Telluria
lo seguì subito dopo, poi si mossero Guiltar e Keiron; tutte
e quattro le possenti
creature si allontanarono unite per andare alla ricerca di un posto
dove
riposare per la notte.
Io vado
con loro piccolo mio. Gli
disse Saphira mentre si univa agli altri draghi. Mi
assicurerò che domani tornino
in tempo per l’assalto.
A domani
Saphira. La
salutò Eragon.
Il ragazzo la seguì con lo sguardo per poi tornare subito
dopo a guardare i
suoi compagni di viaggio. Era stata sua l’idea di attaccare
da soli le forze di
Isobel ed ora sentiva tutto il peso di quella responsabilità.
- Se
qualcuno di voi vuole tirarsi indietro può ancora farlo
– disse guardandoli uno
ad uno.
- Vuoi
scherzare? Siamo con te fino alla fine Eragon – gli rispose
Par mentre stava
stendendo il suo giaciglio sul terrendo.
- Lo stesso
vale per me. Posso dire di aver passato la mia vita a prepararmi a fare
parte
di questa impresa – concluse Morgana con
solennità. Eragon alzò lo sguardo verso
entrambi con gratitudine.
- Grazie
–
disse.
Pochi minuti
dopo sia Morgana che Par si erano messi a terra addormentandosi quasi
subito. Erano
rimasti svegli solo lui e Murtagh.
Il maggiore
dei due stava stuzzicando il fuoco con un bastoncino di legno, mentre
Eragon
con il piede si era messo distrattamente a scostare la terra dove poco
prima
Par aveva disegnato.
Avevano
entrambi passato il viaggio a immagazzinare più energia
possibile nelle pietre
delle loro spade, in vista di uno scontro magico. Il giorno seguente
avrebbero
colpito la regina con tale forza da farle sentire il loro fiato sul
collo. La
presenza dei Ra'zac e dei Lethrblaka era
segno che Isobel non
aveva più alcuna remora a servirsi di creature immonde come
loro per
raggiungere i suoi scopi. Proprio come era stato per Galbatoix doveva
essere
fermata.
Per due
volte Isobel aveva messo sotto scacco i due fratelli. In entrambi i
casi
avevano sottovalutato la reale forza della regina, ma ora non avrebbero
più commesso
lo stesso errore.
- Preoccupato
per domani? - chiese Eragon, tradendo una certa tensione nella voce.
- Eccitato
direi. - rispose Murtagh con un ghigno che si contrasse in una leggera
smorfia.
Eragon lo guardò alzando il sopracciglio.
- Stai
pensando a Castigo vero? - Chiese. A quelle parole Murtagh
sentì un brivido
attraversagli la schiena.
- Sento come
un forte vuote dentro di me. È la prima volta che mi trovo
lontano da lui così a
lungo. Non avrei mai immaginato di provare qualcosa di simile. - ammise
Murtagh
dopo un attimo di silenzio.
- Lo so e non
c'è nulla che tu possa fare per colmarlo. - gli rispose
Eragon con voce sottile
che nascondeva dietro una valanga di emozioni. Distogliendo rapidamente
lo
sguardo, Eragon rimase in silenzio.
Murtagh
guardò
il fratello rendendosi conto che quella frase era stata una piccola
finestra
aperta su ciò che aveva passato in quegli ultimi mesi, ed
era stato molto più
di quanto avesse potuto sperare che il fratello gli rivelasse.
- Scusami,
io non ho pensato che tu… - esitò un attimo. -
Posso solo immaginare quanto
deve essere stato duro per te credere di aver perso per sempre Saphira -
- Ora
è
tutto passato Murtagh. Perdonami non sono ancora pronto per poterne
parlare.
Non ancora e no stasera. -
- Va bene
Eragon. Non ti chiederò altro - gli disse lui guardandolo
con un sorriso
rassicurante.
- Grazie
– rispose
debolmente poi avvertì la presenza di Saphira avvolgerlo
protettiva. Allarmata
dal tumulto di sentimenti che avevano preso a vorticare nell'animo del
suo
cavaliere, la dragonessa era corsa al suo fianco.
Con la
certezza della sua presenza Eragon riportò la sua attenzione
verso Murtagh che
stirando le braccia sopra la testa si era lasciato andare a un lungo
sbadiglio.
- Si
è fatto
tardi. Sarà meglio andare a dormire - gli disse dirigendosi
verso il suo giaciglio.
- Tu non vieni? –
Eragon si
strofinò gli occhi – Sì, arrivo
– rispose andando anche lui a stendersi accanto
al fratello.
Prima di cadere
nel sonno poté sentire il grande cuore della dragonessa
battere, e la sua voce
raggiungerlo piena di tenerezza.
Buona
notte piccolo. Riposa adesso. Eragon
le sorrise
Buonanotte
anche a te Saphira.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 33 *** La quiete prima della tempesta ***
Un
grazie a tutti i lettori che sono arrivati a leggere la storia fino a
qui.
AVVISO:
da oggi pubblicherò un capitolo al giorno fino alla fine
della storia.
All'indomani
della conquista di Gratignàc Murtagh e Eragon avevano
iniziato subito a
lavorare sulla linea difensiva; se Isobel avesse deciso di reagire non
volevano
trovarsi impreparati.
Stavano camminando per le vie della città, l'aria che si
respirava era di fiducia
e una insolita calma regnava sui volti della gente che incontravano.
- Il governatore e il nuovo capitano della guardia, pensano che la
nostra
azione e il timore suscitato dalla presenza di quattro draghi, terranno
Isobel lontana
per un po’. Nessuno di loro crede in un suo immediato attacco
– disse Eragon
mentre insieme al fratello si dirigevano verso la caserma distrutta dai
draghi
per supervisionare la sua ricostruzione.
-
Tu credi
davvero che la regina se ne starà così senza
reagire? – chiese Murtagh. In
risposta Eragon scosse la testa.
-
No, non
lo credo e per questo sarà meglio non far sapere che i
draghi sono partiti. -
fece subito Eragon con tono di voce il più basso.
Dopo la conquista, infatti, Sigmar aveva ordinato ai draghi la loro
immediata
partenza. Non servirono a nulla le parole di Saphira e poi quelle di
Telluria per
convincerlo del contrario. La dragonessa bruna si era dovuta arrendere
davanti
alla sua ostinazione e con Keiron e Guiltar furono costretti a seguire
il loro
capo.
Saphira
aveva potuto solo comunicare ad Eragon la loro decisione. I draghi
avevano
preso il volo verso le Terre Selvagge quella stessa mattina.
Fortunatamente il
loro comportamento schivo nei confronti degli umani aveva rese la loro
dipartita
meno rumorosa dell’arrivo.
I fratelli avevano appena raggiunto le macerie dove Saphira era
accucciata ad attenderli,
quando vennero raggiunti da una giovane guardia con il cuore in gola
per la
corsa.
Proveniva dal faro.
- Cavalieri, per fortuna vi ho trovato! -
- Che cosa è successo? – chiese Murtagh posandogli
una mano sulla spalla.
- Sono state avvistate cinque navi e un drago – con un
ringhio Saphira alzò la
coda in allerta.
-
Ne sei certo?
- chiesero tutti e due i cavalieri, senza riuscire a nascondere la loro
preoccupazione.
- Sicuro come il sole sorge a est. -
- Pensi siano Rebekha e Kima? - chiese Murtagh, pronunciando il nome in
un
sussurro, Eragon digrigno i denti. Nonostante non credesse alle
previsioni
rosee del governatore non si era aspettato una reazione così
immediata.
-
Non lo
so. Dobbiamo andare a controllare –
Così
i due
fratelli montarono sul dorso di Saphira.
- Quale è il tuo nome soldato? - chiese Eragon al ragazzo,
che era arretrato di
alcuni passi per evitare le ali di Saphira
- Gregor Signore. – urlò per farsi sentire.
- Gregor, devi andate a palazzo e allertare i comandanti Morgana e Par.
Di loro
di aspettare nostre notizie -
- Agli ordini Signore - gli rispose il ragazzo.
Poi con un balzo Saphira si alzò in volo. La polvere delle
macerie si alzò in
un piccolo turbine, tenendola sospeso, a mezz'aria, mentre la sagoma
azzurra
della dragonessa si allontanava in direzione del porto.
Arrivati
alle
banchine ai due fratelli furono raggiunti da altre guardie altrettanto
agitate.
Le sagome delle navi erano sempre più vicine ed erano
affiancate dall’ombra
scura di un drago.
Aguzzata
la loro vista, i due fratelli si resero conto
con sollievo che non si trattava delle navi della regina. I loro scafi
erano bianchi
e le squame del drago erano di un intenso rosso rubino.
-
Dimmi che non mi sto ingannando Murtagh! -
disse Eragon, con occhi colmi di stupore e il cuore in tumulto.
-
No Eragon, sono proprio loro - gli fece
Murtagh, quasi sussurrando le ultime parole. La sua mente aperta verso
Castigo.
Quanto tempo volevi far aspettare prima di venirmi a chiamare?
Se no fosse
stato per Roran fece il drago con un pizzico di ferocia nella
voce
Mi
sei mancato Castigo!
aggiunse Murtagh, riuscendo a infilarsi in tempo nel
breve momento di pausa della tirata del compagno. A quelle due parole
il drago
si bloccò
Anche
a me sei mancato Murtagh.
Passarono
così alcuni minuti di assoluto
silenzio, durante i quali drago e cavaliere ritrovarono la loro unione,
consapevoli che dopo quella prova il loro legame ne era uscito
rafforzato.
Poi
il cavaliere sentì il drago spandere una
parte della sua mente in cerca di qualcun'altro.
Murtagh
sorrise di sottecchi, intuendo chi poteva essere l’altro e
lasciò ai due draghi
il loro spazio.
Quando
Murtagh
riaprì gli occhi per incrociare quelli del fratello,
entrambi aveva lo stesso
sorrisetto stampato sul volto.
-
Anche Castigo ti ha chiuso la sua mente vero?
- gli chiese il più giovane. La sua era stata più
una affermazione che una
domanda ma il maggiore fece lo stesso un cenno di sì con la
testa.
-
E non puoi immaginare chi sta alla testa dell’ammiraglia.
- Eragon alzò un sopracciglio incuriosito. Murtagh
piegò l'angola destro della
bocca in una piccola smorfia
-
Roran - fece infine mantenendo il sorriso per
una piccola pausa d'effetto. Eragon distolse lo sguardo dal fratello
per puntarlo
verso le navi che si stavano avvicinando.
-
Cosa dobbiamo riferire al
governatore? -
Chiese
una delle guardie
corse ad accogliere i cavalieri e Saphira.
-
Di ritirate l’allarme. Non
si tratta di un attacco da parte di Isobel. Riferisci pure al
governatore che
sono navi amiche. –
Intorno
a
loro la gente di Gratignàc aveva iniziato a radunarsi per
assistere allo sbarco
delle meravigliose imbarcazioni bianche.
Quando
la nave ammiraglia finalmente attraccò.
Eragon e Murtagh videro Roran scendere, mentre sul ponte elfi e uomini
insieme erano
ancora indaffarati a eseguire le ultime manovre per l'ancoraggio.
I
due fratelli gli andarono in contro con passo sostenuto
e, una volta raggiunti, Eragon riuscì a malapena a contenere
la sua emozione,
sciogliendosi in un abbraccio che Roran ricambiò con
altrettanto affetto.
Quando fu il turno di Murtagh, il giovane uomo si limitò a
dare al cugino una
calorosa stretta di mano.
-
Non posso ancora credere che tu sia qui! - gli
fece Eragon stringendolo forte per una spalla.
-
Anche io sono felice di vederti cugino. - gli
rispose Roran guardandolo negli occhi, Eragon abbassò il suo
sguardo per un
attimo, per poi sorridergli, sollevato.
-
Le nostre
missive hanno raggiunto re Arold più in fretta del previsto
- fece loro Murtagh.
Con
un leggero ghigno che gli increspò i lati
della bocca, Roran si voltò subito verso di lui, divertito.
Con poche e concise
parole spiegò loro l’incontro con Elijah,
Frederick e Paul e come grazie al
loro intervento e quello di Katrina re Arold stessero organizzando una
controffensiva.
-
Da Antàra aspettano
vostre notizie. Il giovane Reafly è pronto per eseguire la
cristallomanzia appena
Katrina ci darà un segnale da Feria. E poi
c’è il capitano Xavier. -
Eragon
e Murtagh osservarono l’uomo scendere anche
lui dall’ammiraglia per venirgli in contro.
-
Eragon
Murtagh, sono lieto di potervi incontrare di nuovo - li
salutò
l’uomo.
Dopo
aver dato direttive ai cadetti delle navi,
tutti e quattro si avviarono alla casa del governatore dove li
attendeva il resto
del nuovo direttivo a capo della città.
Quella
stessa sera Roran e Xavier vennero messi al corrente dai fratelli della
situazione in città. Anche loro convennero che la partenza
dei draghi dovesse
essere tenuta segreta il più a lungo possibile. Poi il
discorsi conversero
sulla linea offensiva da prendere e Xavier ne approfittò per
iniziare a
spiegare ciò per cui il re lo aveva mandato da loro.
Eragon
e Murtagh ascoltarono attentamente ogni
parola dell’uomo poi si scambiarono uno sguardo.
-
Per creare queste armature sarà utile la magia
degli elfi da affiancare alle maestri locali –
-
Dobbiamo
parlare con la gilda dei mercanti. Sono loro a controllare il traffico
con le
isole di Crithia e Stigie. –
-
Il governatore
saprà indirizzarci verso le persone giuste. -
**
Il
giorno
seguente fu organizzato un banchetto a cui parteciparono oltre alla
gilda dei
mercanti anche altre corporazioni cittadine. Tutte erano interessate a
parlare
con i cavalieri per assicurarsi un fetta di guadagno da quella nuova
situazione.
Xavier
aveva
appena finito di parlare con una delle due corporazioni che
controllavano il
traffico dell’isola di Crithia dove veniva estratto
l’alluminio e parte del
rame.
-
L’incontro
ha avuto successo! – disse Xavier entusiasta rivolgendosi ai
due fratelli.
-
Abbiamo stabilito
un incontro con i capitani delle navi domani mattina al porto.
Servirà qualcuno
che faccia da garante. Potete esserci? –
-
Certamente
Capitano – risposero entrambi i fratelli poi Murtagh venne
contattato
mentalmente da Castigo. Il drago rubino si trovava in compagnia di
Saphira non
lontano dai resti del corpo di guardia e lo aspettava.
-
Se non
c’è altro che dobbiamo fare stasera io mi ritiro.
– disse il moro che con la
mente era già
con il suo drago.
Eragon
venne raggiunto subito
da Saphira. Murtagh
sta raggiungendo Castigo.
Se lo meritano un momento solo
per loro.
la
voce della dragonessa
appena velata di emozione nel guardare la sagoma di Castigo
allontanarsi.
-
Naturalmente
fratello. Vai pure. -
Anche
Xavier salutò Murtagh. Quando furono solo loro due Eragon
sentì la presa
robusta del capitano che lo spinse con decisione da una parte.
-
Cosa
c'è? - gli chiese notando che la sua mente era
particolarmente agitata mentre
gli stringeva il braccio. Eragon si sarebbe potuto liberare con
facilità ma per
il momento lo lasciò fare.
-
Eragon, ho bisogno di parlarti subito – esordì
Xavier senza allentare la presa – e non riguarda
l’incontro di domani. Riguarda
Isobel – Eragon sempre più disorientato
corrugò la fronte ma non disse ancora nulla.
-
Ha
voluto che facessi da maestro a Rebekha e al suo drago -
-
Si, è così – gli rispose infine Eragon
che
stava iniziando ad irritarsi per quella insistenza. Poi Xavier
abbassò di colpo
lo sguardo. - Dimmi che mentre eri ad Abàlon, oltre alla
ragazza hai visto
anche Serena, sua madre? -
Eragon
ci pensò solo un attimo poi scosse la
testa.
-
Mi dispiace Xavier. La maggior parte del tempo
ero confinato dentro la caserma. Non sono in grado di rispondere alla
tua
domanda. – a quelle parole Xavier lasciò il
braccio di Eragon sconsolato -
Dovevo comunque provare a chiedertelo -
Eragon,
noi abbiamo visto Serena. Ricordi la donna che venne
in contro a Xavier al nostro arrivo? Gli
suggerì Saphira che non aveva mai abbandonato il suo
cavaliere. Eragon annuì nel ricordare il viso della donna
tra la gente che li
aveva accolto quel primo giorno.
Rebekha
è tutta sua madre. Le
rispose riconoscendone adesso i
lineamenti.
So
che ti costerà molto ma potresti fare qualcosa per lui
piccolo mio.
Eragon
sussultò.
Sapeva cosa gli stava chiedendo la compagna. D’accordo
Saphira lo farò.
Con
Saphira sempre ai margini della sua coscienza Eragon tornò a
guardare Xavier.
- Aspetta
Capitano. Non posso rispondere alla tua domanda, ma posso fare
questo. Avvicinati e dammi la tua mano - Xavier rimase per un attimo
interdetto, poi fece quello che gli aveva chiesto. Con la mano su cui
era
impresso il Gedwey-ignasia
Eragon prese quella dell’uomo e il marchio dei
cavalieri si illuminò. In quello stesso momento la vista di
Xavier sparì e su
uno sfondo nero, come in una tela, iniziarono a scorrere i ricordi su
quell’ultima settimana di allenamento in cui Rebekha si era
avvicinata al
cavaliere rendendolo partecipe in parte della sua vita.
Solo
quando il flusso di immagini cessò Xavier aprì
gli nuovamente gli occhi sul
mondo reale.
-
Rebekha ti ha parlato di lei. Voleva fartela
conoscere. Questo significa che Isobel l’ha risparmiata! -
-
Sì Xavier. Anche se non riesco a togliermi
dalla mente l’idea che, se avessi avuto più tempo,
sarei riuscito a portarle
entrambe con noi - Xavier lo fermò con un gesto della mano
-
Avevi problemi ben più grandi a cui pensare
cavaliere – gli rispose con delicatezza.
Eragon
avvampò, rendendosi conto che, oltre alle
immagini, l’uomo aveva percepito anche le sue emozioni e i
suoi pensieri
confluiti insieme con i ricordi.
-
Ti devo ringraziare Eragon. Ora so di avere
qualcuno da cui tornare. –
Eragon
mise da parte il suo imbarazzo e lo guardò
incuriosito.
-
Una
volta ci hai detto che avresti fatto di tutto per proteggere lei e la
sua
famiglia. Tra voi deve esserci molto di più che una semplice
amicizia. – Xavier
annuì. -
Io credo di averla sempre amata, Cavaliere, ma le circostanze e il
tempo non mi hanno mai permesso di dimostrarglielo. -
Xavier
non
avrebbe mai pensato di potersi confidare così tanto con
Eragon.
Non
vergognarti dei tuoi sentimenti.
Ti fanno onore.
Intervenne Saphira
parlando direttamente nella mente dell’uomo. La sua voce gli
infuse subito un
senso di tranquillità e di fiducia.
Ho
visto Serena una sola volta, ma il mio
istinto di drago mi suggerisce che il suo cuore è puro.
Qualunque cosa Isobel
ha in mente non potrà mai cancellarlo.
una
luce di speranza si diffuse nell'animo
tormentato del capitano, facendo affiorare su suo volto un mezzo
sorriso.
-
Grazie
Saphira -
Quella
sera la luna era stata una sottile falce nel cielo, e le stelle erano
le sole a
rischiarare le tenebre. Un brivido percorse la spina dorsale di Saphira
facendola
vibrare per tutta la coda.
Vuoi
che ti raggiunga?
Le chiese Eragon.
Non
preoccuparti per me. Credo che tuo cugino
ti stia aspettando. Vai piccolo
mio, io starò bene.
Eragon
sorrise.
Grazie.
Il
cavaliere si diresse verso il fondo della
tavola, dove Roran si era messo a giocherellare con i resti delle
molliche di
pane.
-
Tutto bene con il capitano Xavier? - gli
chiese Roran alzando il volto verso di lui. Xavier era stato
l’ultimo ad aver
lasciato la sala che ora era attraversata qua e la dai servi occupati a
riassettarla.
-
Sì, tutto bene. Aveva solo bisogno di essere
rassicurato su alcune persone. – gli rispose elusivo Eragon.
Roran annuì
abbassando ancora una volta la testa sulla tavola e sulle molliche di
pane.
Eragon allora riprese a parlare.
-
Con
Saphira abbiamo concordato che questa sera non poso davvero perdermi la
compagnia del valoroso Roran Fortemartello. -
A
quelle parole Roran scoppiò in una breve
risata.
-
L'onore è mio Eragon Ammazzaspettri. -
Si
scambiarono un altro sguardo divertiti e per
entrambi fu come se il tempo non fosse mai passato; le parole allora
uscirono
fuori con estrema semplicità e i due cugini si trovarono a
parlare nelle ore
successive, raccontandosi tutto quello che era successo loro da quando
si erano
lasciati.
Eragon
si trovò a confidargli molte cose che
fino a quel momento non aveva raccontato a nessuno. Roran lo
ascoltò in
silenzio, soffrendo e piangendo con lui per quello che aveva subito per
mano di
Isobel e di Verschna. Anche Roran lo aggiornò su tutto. Gli
raccontò di come Carvahall,
il loro paese natale, non fosse cambiato; gli descrisse i mille impegni
che ogni
giorno era chiamato a ricoprire come capo del consiglio delle razze e
di come
se la stava cavando Nasuada alle prese con un intero paese da
ricostruire. –
Quella donna ti nomina più spesso di quanto vorrebbe. Gli
manchi sai? – Eragon
abbassò appena la testa annuendo.
-
Anche a
me Roran. Come stanno Katrina e mia nipote? –
Il
volto
di Roran si illuminò al pensiero della figlia. Era stata
lasciata alle cure di Jill
e Arya.
-
È cresciuto
molto dalla tua partenza ed una vera forza della natura. Katrina ha
creato un fairth
con la sua immagine. Ecco lo porto sempre con me. - disse tirando da
sotto la
casacca un ciondolo d’argento ovale appeso a una catenina. Lo
aprì per
mostrargli con orgoglio una piccola immagine.
-
È una bambina
stupenda Roran! – disse Eragon guardando il cugino con un
sorrisetto.
-
È stato fortunato,
ha ripreso tutto dalla madre. – Roran scosse la testa
fingendosi offeso ma si
mise a ridacchiare anche lui mentre richiudeva il ciondolo per poi
tornare
serio.
-
Farei di
tutto per il nostro angelo. È un sentimento che non si
può spiega. – Roran si
fermò un attimo a scrutarlo. - Ma questo non devo certo
dirtelo, perché la devi
provare anche tu. –
Eragon
alzò lo sguardo sul cugino –
hai parlare con Arya? – chiese Eragon. Roran fece un
cenno di sì con testa stringendo il medaglione nel pugno. Eragon serrò
forte le labbra
-
Saperla al sicuro è l’unica cosa che conta
adesso, ma mi manca molto e detesto il pensiero si averla lasciata sola
proprio
ora. -
-
Arya è forte. Quando siamo andato a trovarla con
Katrina ci ha confidato qualcosa. Mi imbarazza dover essere io dirtelo
– ammise
Roran con pudore.
-
Roran so già che sono due
gemelle – il cugino lo guardò sorpreso ed Eragon
gli sorrise. - Le ho sentite
sai? Quando Murtagh mi ha potato via dalla grotta in cui mi aveva
portato
Verschna. All’inizio è stata una sensazione quasi
impercettibile. Poi la loro
presenza si è fatta sempre più reale. –
-
Arya ci ha detto anche questo
– rispose il cugino poi Roran
emise un lungo e
sonoro sbadiglio e stiracchiando le membra intorpidite
guardò fuori dalla
finestra.
Nel
cielo la stella del mattino stava splendendo
su tutte le altre che iniziavano a sbiadire mentre un lieve bagliore a
est si
alzava per portare via il crepuscolo.
-
Non posso credere che abbiamo parlato tutta la
notte. Sarà meglio che mi stenda un poco. -
Con
movimenti lenti si diresse barcollando alla
porta.
-
Non vieni anche tu? - gli chiese Roran.
- Vai
pure avanti, io ti raggiungo. -
Eragon
sgattaiolò fuori dal giardino, dove la
mole enorme di Saphira era rannicchiata. Eragon le sorrise con
tenerezza per
poi andarle in contro.
Saphira la
chiamò
La
dragonessa, scossa dal suo sonno e ancora con
gli occhi chiusi, emise solo un basso gorgoglio prima di esporre il suo
ventre
caldo al proprio cavaliere che ci si accoccolò sopra come un
cucciolo con la
sua mamma.
Avete
fatto tardi, è stata una imprudenza. Lo
rimproverò lei bonariamente.
Lo
so.
Saphira
non aggiunse altro, ma aprendo la sua
mente lasciò che Eragon condividesse con lei quello di cui
lui Roran avevano
parlato.
Cosa
è che ancora ti turba piccolo mio?
Le chiese Saphira percependo il turbine di
emozioni che travolgeva Eragon anche in quel momento.
Arya
e le bambine. Che tipo di futuro le sto
offrendo. Anche se riusciremo a battere Isobel, quale tipo di vita
posso
offrire loro? A Carvahall un uomo che possedeva un pezzo di terra e una
casa,
era in grado di costruire il suo futuro. Io ho perso questo diritto
già da
molto. Non lo rimpiango non fraintendermi, ma da allora non ho
più un posto
dove possa davvero dirmi a casa. Un luogo dove stabilire le mie radici.
Il mondo è nostro. noi possiamo stare dove desideriamo Eragon.
Lo
so, e fino a quando eravamo noi due soli e
poi con Arya non mi ponevo il problema, ma ora le cose sono diverse.
Diverrò
padre. Capisci? Due vite dipenderanno da noi, saremo responsabili del
loro futuro.
In
tutta risposta Saphira mosse la sua coda
lungo il fianco per poi avvolgerla intono alla sua vita con
delicatezza,
scuotendolo.
Gli
occhi di Saphira lo guardarono con un misto
di tristezza e compassione.
Non
era in grado di alleviare le preoccupazioni
di Eragon, e questo la fece infuriare.
Ritroveremo
la strada di casa piccolo mio. Te
lo prometto. Gli
disse con fermezza.
Posando
le sue mani lungo le squame della sua
coda, Eragon si lasciò cullare dalla dragonessa.
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 34 *** Specchi incantati e barche magiche ***
I
capelli di Rebekha svolazzavano al vento mentre volava sul
dorso di Kima, sotto di loro una landa sconosciuta si estendeva a
perdita
d’occhio. Uno strano senso di libertà si era
impadronita di lei mentre guardava
di fronte a sé, poi il paesaggio iniziò a
trasformarsi, diventando più
impervio, la roccia prese il posto della terra e dell’erba.
Con Kima si ritrovò
a volare sopra una catena montuosa. Una montagna spiccava tra le altre.
Non era né più alta né più
grande delle altre, ma qualcosa in essa attirò
l’attenzione della ragazza. Anche Kima doveva aver provato al
stessa cosa perché
senza che lei le dicesse nulla volò verso di essa.
Rebekha socchiuse gli occhi nel vedere una luce calda uscire da una
fessura
della roccia. La ragazza scese dalla sua dragonessa e
camminò verso quella
luce.
La fessura si rivelò essere l’ingresso di una
grotta. Rebecca si fermò
all’entrata. L’immagine che gli si parò
davanti la lasciò senza fiato: dentro
alla grotta vi era stata un’altra montagna, più
piccola, fatta di piccole
pietre tondeggiante come ciottoli.
Si voltò in cerca di Kima ma la dragonessa non era
più accanto a lei attirata
dall’aura emanata da quel luogo mentre il suo petto irradiava
quella stessa
luce. Improvvisamente era sola, poi tutto iniziò a sbiadire.
Rebekha si svegliò lentamente per trovarsi su un letto a lei
sconosciuto. Una
coperta ruvida la copriva fino a metà busto; confusa, si
mise a sedere
massaggiandosi le tempie quando la stanza prese a ondeggiare a destra e
sinistra costringendola ad aggrapparsi ai bordi del letto.
Come in puzzle dove tutti i tasselli vengono messi in tutti al loro
posto, la
ragazza si ricordò immediatamente dove fosse.
Era nella pancia di una delle navi da guerra, insieme a tante altre che
la
regina aveva armato per assediare e mettere in ginocchio le citta che
si erano
ribellate.
Le
immagini
del sogno erano ancora vivide nella sua mente addormentata, quando un
altro
movimento della nave la sballottò nuovamente da una parte a
l’altra.
-
Sono
sveglia! - mormorò irritata. Poi Rebekha avvertì
altri movimenti, questa volta provenienti
dal ponte. Avvolgendo la coperta intorno alle spalle come un mantello,
la
ragazza si affrettò ad affacciarsi alla piccola finestrella
aperta sulla pancia
della nave: in lontananza una linea sottile di terra era appena
visibile tra il
costante oscillare delle onde.
Antàra!
Rebekha
strinse con forza i bordi della coperta, il cuore improvvisamente in
trepidazione; prese un profondo respiro, ricacciando indietro tutti i
suoi
timori e le sue paure. La voce di Kima la raggiunse un attimo dopo.
Sei
sempre
convinta della tua scelta?
Le chiese la dragonessa, per quella che doveva
essere la centesima volta da quando avevano lasciato Abàlon.
Certo
che lo sono.
Le rispose esasperata la ragazza, mandando via con rabbia
l’ultima traccia delle sue incertezze. In risposta, Kima
emise un basso e lento
ringhio di disapprovazione, ma Rebekha non si lasciò
intimorire.
Mi
sembra ne avessimo già parlato Kima. Sono in gradi di
gestire la situazione.
Sei
gelosa perché Eragon ha scelto di andare via invece di
rimanere al tuo fianco. La
rimproverò la dragonessa. Rebekha divenne rossa.
Il
trattamento che la regina ha riservato a Eragon non era giusto,
ma lui aveva scelto lo stesso di istruirci.
La
regina ti sta chiedendo di mettere lo stesso collare al
collo di tuo fratello.
Lo
so. Mi ha rimproverato dicendomi che il mio dovere sarebbe
stato quello di convincerli a rimanere, non di assecondarli nella loro
ribellione. Isobel
gli aveva fatto un lungo discorso sull’importanza del
suo ruolo in quella guerra e quanto lei confidasse in lei.
Loro
non hanno conosciuto la regina come l’abbiamo conosciuta
noi.
Rebekha!
Niente
ma.
Tagliò corto la
giovane.
Eragon
è stato un ottimo maestro, questo lo so bene, ma lo
è
stata anche Isobel.
Questo
significa che eseguirai i suoi ordini?
Non
lo so Kima. Forse sì Rispose
esasperata la ragazza, ma non
era per nulla convinta e l’incertezza
tornò ad attanagliarle lo stomaco.
Con
suo
sollievo Kima non ribatté, ritirandosi lentamente dai suoi
pensieri. Rebekha si
infilò gli stivali e si ravvivò i capelli per
uscire fuori dalla sua cabina e
salire sul ponte della nave. Lì incrociò due
marinai che la salutarono con un
inchino.
La
rispettavano, lei e Kima rappresentavano per loro una speranza e in
cuor suo
non avrebbe mai voluto tradire la loro fiducia.
Perché
Kima
non riusciva a vedere tutto questo? Perché non condivideva
con lei la gioia di
essere parte di qualcosa di più grande?
Consapevole
che quella incomprensione avesse aperto come una crepa nel loro
rapporto, minacciando
di dividerle sempre di più, decise di raggiungerla.
Rebekha
la trovò accucciata sulla prua della nave. Le sue dimensioni
erano aumentate a
vista d’occhio, ma era ancora in grado di posarsi sul ponte
senza provocare
danni. Lei si avvicinò chiamandola anche con la mente, ma
l’unica risposta che
ricevette fu solo un sonoro sbuffo che le scompigliò tutti i
capelli.
Bene!
Le gridò con
forza attraverso il loro legame.
Bene.
Rispose
la
dragonessa con calma, cosa che la fece innervosire ancora di
più. Rimasero
entrambe così per alcuni interminabili istanti,
l’una di fronte l’altra; anche
se indaffarati in alcune manovre, alcuni dei marinai si fermarono a
osservare
la strana scena. Rebekha ne approfittò per chiamare a
sé un giovane dai capelli
corvino:
-
Vorrei
parlare con il capitano cadetto. Adesso – il ragazzo si mise
subito
sull’attenti.
-
La
porto subito da lui. –
Ne
parliamo più tardi?
Chiese Rebekha alla dragonessa
viola. La risposta asciutta di Kima lasciò Rebekha piu sola
che mai mentre seguiva
il ragazzo.
Nella
cabina di comando il capitano accolse Rebekha con un certo
compiacimento nei
modi come nella voce.
-
Entra Lady
Rebekha. Volevi parlarmi? -
Il
capitano
della nave era un generale della vecchia leva. Aveva
combattuto con il padre in
molte battaglie e la ragazza lo ricordava come un assiduo frequentatore
della
loro casa quando il padre era ancora in vita; dopo la sua prematura
morte, come
molti altri, anche lui era improvvisamente sparito. L’ultima
volta
che Rebekha ricordava di averlo visto era stato durante le sue ossequia.
-
Capitano
mi può aggiornare sullo stato della missione? - il suo tono
diretto spiazzò
l’uomo che si affrettò a rispondere. Mal celava il
suo disappunto. Gli ordini
della sua regina erano quelli di assecondare in tutto e per tutto le
richieste
della giovane.
-
In
questo momento le altre navi hanno raggiunto le due città di
Gratignàc e Feria
e mandato il messaggio della regina Isobel come abbiamo fatto anche noi
con
Antàra. L’ordine per tutti è quello di
attendere i tre giorni per la resa. -
L’uomo
guardò quindi la giovane negli occhi aspettandosi una
reazione che non arrivò.
Rebekha era infatti rimasta in silenzio, concentrata su quello che la
regina le
aveva chiesto di fare, poi, come risvegliandosi dai propri pensieri,
chiese
laconica.
-
Capitano
dovresti avere qualcosa per me. Un bagaglio speciale che è
stato portato sulla
nave con il resto del carico. – l’uomo le
annuì.
-
Certamente
Lady Rebekha. Devo consegnartelo adesso? – chiese con falsa
cortesia.
Rebekha
annuì. - Per favore – si affrettò ad
aggiungere ricordando anche gli insegnamenti
della madre di potare sempre rispetto di fronte a qualcuno
più grande di lei.
L’uomo
la
guardò e gli sfuggì un lieve sorriso che
assomigliava più a ghigno, in realtà,
che Rebekha non seppe decifrare. Poi si alzò dalla sua sedia
e andò a prendere una
valigetta chiusa. Con un leggero indugio la consegnò nelle
mani della giovane.
-
Ecco
– disse senza toglierle gli occhi di dosso. Rebekha la prese,
quindi poggiando sull’avambraccio
sinistro la aprì stando attenta a mantenere il contenuto
nascosto allo sguardo
dell’uomo, gesto che
aumentò la sua curiosità.
La scatola era
rivestita con del velluto chiaro e sopra era
adagiata una banda metallica, la stessa che aveva visto al collo di
Eragon per
tutti il tempo in cui era stato il suo insegnante. Solo ora ne
conosceva gli
effetti . Isobel le aveva spiegato con molti dettagli quello che poteva
fare. Rebekha
serrò gli occhi a quel ricordo con disgusto e chiuse in
fretta il coperchio.
-
Da
questo momento la prendo in consegna io – disse.
Quando
uscì, Rebekha non ebbe il coraggio di ritornare sul ponte da
Kima. Rientrando
nella propria cabina lasciò cadere la valigetta in un posto
sicuro e non usci per
il resto della giornata.
***
Reafly
era di fronte al catino d’acqua dove da lì a poco
sarebbero apparse le immagini
delle persone che doveva divinare. I presenti nella sala erano tutti
spariti, nella
sua testa c’erano solo lui e Gleadr. Al suono
dell’antica lingua l’aria vibrò e
la superficie dell’acqua si increspò in tante onde
che iniziarono a catturare
la luce. La luce si trasformò in colori che si composero a
formare i volti di
Eragon e Murtagh, Roran e Xavier da Gratignàc e quelle di
Elijah e Katrina da
Feria.
L’energia
richiesta era tale per cui non gli era possibile trasmettere anche la
propria
voce. Il giovane avrebbe solo assistito.
Dopo
le dovute presentazioni del caso la riunione ebbe inizio.
Il
re ascoltò
tutti con preoccupazione mentre ognuno di loro descriveva con le stesse
espressioni il blocco navale al largo delle loro coste. Erano passati
dieci
giorni dall’assedio di Gratignàc e questo era il
primo atto offensivo da parte
di Zàkhara affiancato dal solo regno di Bridgestone guidato
da Rufus, unico, tra
quelli che avevano abbandonato la riunione, ad essere rimasto al suo
fianco.
Le
loro forze, dopo il definitivo scioglimento dell’alleanza,
erano ancora
sufficienti a creare il triplice blocco congiunto.
-
Le
ambasciate chiedono tutte la stessa cosa. La nostra immediata resa
entro tre
giorni. In caso contrario verremo attaccati da mare e da terra. -
-
Se
lo scopo di Isobel è quello di creare disordine e incertezza
lo sta ottenendo –
stava dicendo Frederick con una certa tensione nella voce.
-
Questa
sua sicurezza può diventare la nostra forza –
intervenne Roran in risposta a
Frederick. Arold guardò allora verso il giovane uomo.
-
Isobel
non conosce la vera portata della flotta di Alagaësia.
L’ammiraglio Vanol sta riunendo
i comandati non lontana dalla baia di Antàra. –
continuò Roran. – A un nostro
ordine è pronto ad entrare in azione.
-
Le
armature? - chiese Arold rivolto a Xavier.
-
Abbiamo
fornito l’equipaggiamento già una parte
dell’esercito che è stato istruito su
come deve utilizzarlo. – rispose pronto Xavier.
Dalla
sua posizione privilegiata accanto al re Reafly si fermò a
guardare con
preoccupazione l’amico.
Il suo viso profondamente
segnato dalla stanchezza era provato
dall’impegno febbrile di quei giorni.
E
mentre Reafly guardava Xavier improvvisamente qualcuno
nominò Rebekha. Era
stato Eragon, forse, oppure re Arold. A Reafly non importava, da un
po’ aveva
smesso di ascoltare attivamente e le loro voci che erano diventate un
leggero
brusio di sottofondo, il suo pensiero era solo per la sorella.
Gleadr
ho come la sensazione che Bekha sia qui vicino. Si
rivolse infine al
compagno.
Lo
sento anche io amico mio. Gli
rispose prontamente
il drago dorato che non lo aveva mai lasciato solo.
Poi
una mano gentile si posò sul suo braccio.
-
Reafly puoi lasciare l’incantesimo – gli disse
Jill. La riunione era giunta al
termine e Reafly sospirò. Tutti stavano lasciando la sala ma
lui aveva ancora
qualcosa da dire. Si guardò intorno.
Arya
potrebbe ascoltarti.
Gli
suggerì
Gleadr. Reafly annuì e la cercò con
lo sguardo. Arya stava avvicinando la testa ad Alicia.
-
Vorrei
rientrare in camera, sono stanca. Mi accompagni? -
Preoccupata
per la sua salute, Alicia le mise un braccio intorno alla vita e la
aiutò a camminare.
Il viso dell’elfa era diventato lievemente pallido.
-
Certamente
– rispose la ragazza. Arya le rivolse un lieve sorriso per
dissipare le sue preoccupazioni.
Reafly
la
seguì con lo sguardo da lontano.
Devi
Parlare almeno a lei! Lo raggiunse la
voce preoccupata di Gleadr.
Lo
farò.
Ora
Reafly!
Lo rimproverò il drago
Va
bene,
va bene.
Il
ragazzo
prese un respiro e corse dall'alfa.
-
Arya svit-kona.
- La chiamò raggiungendola con una breve corsa.
-
Reafly -
Arya si chinò su di lui e gli passò una mano
sulla testa.
-
Dovrei parlarti.
-
Alicia
alzò
un sopracciglio e scosse la testa seria.
–
No, non
ora Reafly. Arya è… - ma venne interrotta da Arya
che alzò una mano a fermare
la sua ancella.
-
Non ti
preoccupare Alicia, può venire con noi. In
camera potremo parlare più
comodi. -
-
Va bene
mia signore. - Rispose Alicia, Arya sorrise a Reafly che
seguì le due donne.
-
Di cosa
volevi parlarmi? - gli
chiese Arya una
volta che furono entrati nella sua camera e Alicia aveva loro portato
delle
tazze con un infuso ai fiori di gelso. Posando la tazza sopra le gambe
Reafly
prese un respiro e guardò l'elfa
-
Riguarda
la flotta di Zàkhara -
Arya
corrugò la fronte.
-
Gleadr ed
io abbiamo sentito qualcosa. - Reafly fece una breve pausa
–
Siamo certi della
presenza di un altro drago. Non è ostile a noi. Io credo si
tratti di quello di
mia sorella Rebekha. È confusa e piena di dubbi. -
Arya
annuì,
si alzò dal letto dove era seduta e posata la tazza sulla
scrivania si accostò
alla finestra della camera.
L'ambasciata
era appena uscita dalle porte del castello per dirigersi alla spiaggia
e da lì,
alle loro navi. Arya sorrise e si voltò verso Reafly.
-
Tu dici
che tra loro c'è tua sorella. E desideri parlargli
– Reafly arrossì e chinò la
testa. L’Elga gli aveva letti nel pensiero.
-
Se è
così c’è un solo modo per farlo
– continuò. Allora Arya prese
un foglio di carta e
iniziò a piegarlo. Con abili gesti fece uscire fuori una
piccola gondola che
posò sul palmo della sua mano.
Arya
pronunciò su di essa alcune parole in antica lingua e la
barchetta prese a illuminarsi
di una lieve luce pallida ma che splendeva costante.
Quando
l'elfa vi soffiò sopra la barchetta volò dalla
sua mano per rimanere sospesa a
mezz'aria.
-
Ganga - sussurrò e questa
schizzò fuori
dalla finestra nella direzione presa dell'ambasciata.
-
Cosa hai
fatto? - gli chiese
Reafly scambiandosi
con Alicia uno sguardo curioso.
-
La barca
li seguirà, ma loro non se ne accorgeranno nemmeno, e se tra
loro ci sono Rebekha
e Kima, lo scopriremo - Reafly annuì poi chiese
-
Ma come
farà a muoversi? Sei tu che la stai guidando fino a loro? -
-
No, ho
fatto in modo che sia autonoma, prendono energia da ciò che
la circonda; in più
gli ho dato un ordine preciso e finché non lo
avrà compiuto, continuerà a
girare, per mesi se necessario. In effetti, se non trova ciò
per cui è stata
mandate, potrebbe continuare a volare per sempre. -
**
Kima
era raggomitolata sul ponte della nave e stava quasi per addormentarsi.
Il
rumore delle barche di ritorno dall'ambasciata rimase di sottofondo
mentre cercava
di addormentarsi. Quando, ecco, una piccola luce sull'acqua non la fece
destare
dal suo torpore.
Inizialmente
le era sembrata il riflesso dei raggi lunari o di qualche fiaccola
proveniente
dalle navi. Poi la luce si mosse in avanti e Kima si accorse che non si
tratta
va di una semplice luce, ma che era una minuscola barca.
Alzò
il
muso e con il collo si allungò verso di essa.
La
piccola
gondola vibrò un attimo sopra l'acqua poi si
avvicinò alla dragonessa viola,
fermandosi davanti ai suoi occhi.
Per
alcuni
istanti rimase ferma, per aria, poi esplose di una luce intensa per
cadere,
l'istante successivo, sulla superficie morbida del mare.
Kima
sbatté
le palpebre più di una volta, incerta su quello che aveva
appena visto e sentito
e allungò il muso a sfiorare la piccola imbarcazione di
carta.
Impregnata
d'acqua, però, questa iniziò a immergersi,
scendendo giù negli abissi profondi.
Con
uno
sbuffo Kima alzò il muso e si ritrovò di fronte
Rebekha. Si chiese se anche lei
avesse visto la piccola barca di carta.
L’ambasciatore
ha confermato la presenza di Reafly.
le disse asciutta la
ragazza.
Kima
ringhiò. No, la sua compagna non aveva visto come lei quegli
occhi né sentito
quella voce che le chiamava a raggiungerla sulle rive di
Antàra. Gli
occhi di Kima scintillarono nel notare l’abbigliamento
semplice di Rebekha e il
suo sguardo si posò collare che stringeva nelle mani.
Non
ce la posso fare Kima.
Le confessò infine, dolorante.
Era
una richiesta disperata di aiuto. Allora Kima fece la sola cosa
possibile in
quel momento. Avvicinò il suo muso alla sua compagna e
prendendo il collare di
metallo tra le fauci con delicatezza lo allontanò da lei
prima di gettarlo in
mare. Rebekha lasciò le braccia a penzoloni lungo i fianchi,
le mani inerte
dove prima teneva in mano quell’oggetto orribile, non fece
nulla per fermarla.
Lo
osservò colpire l’acqua e scendere giù
e in quel momento si sentì sollevata,
come se un grosso peso le fosse stato tolto dalle spalle.
E
ora cosa facciamo? Kima
ci pensò un attimo poi il suo
pensiero andò alla richiesta che aveva accompagnato
l’apparizione della barca.
Ti
fidi di me Bekha?
Rebekha
si appoggiò al suo fianco e annuì. Certo,
sempre.
Allora
sali sul mio dorso.
Dove
vuoi andare
Lontano
da qui. A incontrare qualcuno che potrebbe aiutarci.
**
Con
la
complicità dalle tenebre Kima passò leggera e
inosservata sopra la flotta di Zàkhara,
per poi intensificare il ritmo del battito dalle proprie ali una volta
superata. Quando fu che a poche iarde di distanza dalla riva, Kima
effettuò una
leggera virata e si diresse ad est, dove raggiunse una piccola baia
naturale.
Vi
atterrò;
il mare si infrangeva sugli scogli riflettendo il viola delle sue
squame.
Kima
si
acquietò e rimase in attesa, come quegli occhi smeraldo gli
avevano chiesto di
fare.
È questo il posto? Le chiese Rebekha
scendendo dal suo dorso.
Sì.
Lei verrà all’alba ma non avevo
intenzione di lasciarti un minuto di più in un posto che non
ci appartiene.
Rebekha le
sorrise e le accarezzo il muso poi si stese al
suo fianco; nessuna di loro aveva voglia di parlare, né
tanto meno di discutere
sul loro futuro e in poco tempo entrambe si addormentarono.
Il
mattino seguente il rumore delle onde contro gli scogli fu il primo
suono che
accompagnò il risveglio di Kima. Spruzzi d'acqua le
bagnarono le squame
facendole solletico.
Si
scrollò
e stirò i muscoli intorpiditi del collo. Rebekha stava
ancora dormendo, si
guardò intorno e quando alzò lo sguardo al cielo intravede un bagliore dorato.
Kima
socchiuse gli occhi mentre
Gleadr volava
verso di lei.
Quando
il drago
dorato atterrò a poca distanza da dove si trovava, Kima era
incerta sul quello
che doveva fare.
Dall'altra
parte, seduto sul dorso di Gleadr, Reafly era rimasto fermo, ad
osservare la
dragonessa e Rebekha. Il
ragazzino si sentì travolgere da una forte emozione: quella
creatura maestosa era una parte di Rebekha adesso, come Gleadr era una
parte
lui e il ragazzo non paté fare a meno di pensare a come in
così poco tempo,
entrambi, fossero andati tanto lontani.
Il
ragazzo
prese un respiro e scese dalla sella.
Kima
posò
gli occhi su di lui e poi su Gleadr allo stesso tempo proteggendo il
suo cavaliere,
ondeggiando la sua coda avanti e indietro di fronte a sé.
Bekha
alzati. La
incitò nella mente la compagna. La ragazza iniziò
a
svegliarsi.
Reafly
aspettò che la sorella si mettesse in piedi prima di
avvicinarsi.
Kima
cosa c’è? Stava
chiedendo la ragazza raccogliendo i capelli che le si
erano arruffati da una parte prima di bloccarsi di fronte al fratello.
Rebekha
esitò. –
Reafly? – disse sorpresa. – L’ultima
volta che ci siamo
visto ero sicura di tante cose, ora non lo sono più
– disse con un sorriso
timido.
- Ma ora sei qui
Bekha. Questo vale per me più di mille
parole - le rispose Reafly che, rompendo le distanze, le
andò incontro e l'abbracciò.
Rebekha rimase
rigida inizialmente poi anche lei si sciolse ricambiando
l'abbraccio.
In
quel
momento vennero raggiunti da Arya in sella a un nero destriero.
Il
cavallo si abbassò sulle quattro zampe per permettere
all'elfa si scendere.
Kima
riconobbe subito Arya come la creatura che l'aveva chiamata attraverso
l’espediente
della gondola. Posò i suoi occhi sulla sua figura, per
finire al grembo gonfio.
Perché
ci
hai chiamate? Chiese
Kima alla mente di Arya.
Per
potervi conoscere e capire.
Rispose con
semplicità l'elfa.
Kima
rimase
in guardia, a quel punto Arya prese un respiro e le parlò
ancora attraverso la
mente.
Tu
e il tuo cavaliere siete state allieve di
Eragon.
Arya
poté
leggere la curiosità da parte della dragonessa crescere
attraverso il loro
legame ed
Arya lasciò a Kima la possibilità di guardare
alcuni suoi ricordi. La
dragonessa viola chiuse gli occhi e li riaprì appena si
ritirò dall'elfa.
Tu
sei
la sua compagna
disse infine Kima, riferendosi a Eragon. Arya annuì
Le
due creature che porti dentro di te sono…
Le
sue figlie.
Concluse
l'elfa. Istintivamente Arya abbassò lo sguardo, passandosi
una mano sul ventre
con dolcezza, per rialzarlo subito dopo e riportare nuovamente la sua
attenzione su Kima, che non aveva smesso di guardarla.
Perché
mi stai raccontando questo?
Chiese allora la dragonessa.
A
quella
domanda Arya non esitò a risponderle.
Per
darvi la prova che mi fido di voi e che non siamo vostri nemici.
Kima
grugnì appena, annusando l'aria salmastra del mattino.
Questo io lo so, ma la
mente della mia compagna ha bisogno di tempo. È rimasta
troppo a lungo offuscata
dalle parole della regina.
L’elfa
annuì. La
mente del tuo cavaliere deve guarire da molte cose Continuò
Arya. Accettate
di rimanere neutrali fino a quando non avrete chiare le vostre
intenzioni riguardo
a Isobel.
Intanto
Rebekha le stava osservando con la mano stretta in quella di Reafly. Devo
parlarne con la mia compagna prima di darti una risposta.
Arya
le sorrise. Certo, ne hai tutto il diritto.
Così
Kima
mise Rebekha al corrente di quello che aveva scoperto
dall’elfa. La ragazza non
aveva mai lasciato la mano Reafly ma rivolse ad Arya uno sguardo di
ammirazione
e reverenza.
Io
e il
mio cavaliere accettiamo.
Le disse alla fine la giovane dragonessa esprimendo
il pensiero di entrambe.
Arya
le
sorrise, sollevata.
Kima
si
volse allora verso Reafly accanto a Rebekha.
Sono
felice di conoscere il compagno di cova del mio cavaliere.
Disse
rivolta al
giovane.
Spero
che possiamo conoscerci molto presto.
Le rispose Reafly con
entusiasmo. Poi la dragonessa viola si volse a Gleadr e per alcuni
istanti i
loro sguardi si fusero nel condividere i loro ricordi prima della
schiusa.
Arya
si
strinse nel mantello, improvvisamente esausta. Il destriero si era
nuovamente
abbassato per permetterle di salirgli sopra. Rebekha allora
trovò il coraggio
di staccarsi dal fratello per correre ad aiutarla.
-
Non
stare li impalato Reafly! – lo rimproverò la
ragazza. - Hai bisogno di appoggiarti?
– chiese all’elfa.
-
Grazie
Rebekha – le rispose Arya poggiandole una mano sulla sua
spalla per issarsi.
Rebekha
la seguì con lo sguardo mentre si sistemava. Consapevole
dello sforzo che aveva
compiuto per parlare con loro e non poté che esserle grata.
-
Vai
pure con tuo fratello adesso. Rientriamo insieme ad Antàra -
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 35 *** Una inaspettata richiesta di aiuto ***
La prese di
Gratignàc si risolse con una conquista rapida, con
pochissimi danni per la
maggior parte della popolazione. Da ogni punto della città
si vide distinto una
colonna di fumo salire dal corpo di guardia, seguito dall'assordante
frastuono
dell'edificio che crollava di schianto sotto il peso congiunto di
Guiltar e
Sigmar, mentre Telluria Keiron tenevano a bada i soldati. Poco poterono
contro
le loro code e i loro artigli che, dannatamente veloci, scattarono di
qua e di
là a impedirgli qualsiasi tipo di resistenza.
- Il corpo
di guardia è caduto – lo informò
Murtagh mentre si apprestavano a passare un altro
corridoio del palazzo del governatore. Morgana e Par si era
già da tempo
allontanati. Entrambi avevano posto loro un incantesimo di protezione
contro
qualsiasi colpo volto a ferirli.
Da quel
corridoi, potevano ora sentire distintamente la presenza dei maghi
dietro la
porta chiusa nel fondo, ma non quella dei Ra'zac o
dei Lethrblaka.
- Potrebbero
aver occultando la loro presenza. -
- Questo
può
significare solo che ci stanno preparando una trappola. -
Saphira
non vedi nulla da fuori?
No,
Eragon. Né la presenza dei Ra'zac né dei
Lethrblaka.
Eragon fece
un cenno di no con la testa a Murtagh, che di fronte a lui si
girò per entrare.
- Tu stammi
dietro Eragon. Se riusciamo a neutralizzare i maghi, i Ra'zac
non
saranno più un problema. - Eragon annuì e Murtagh
avanzò fino alla porta.
All'unisono utilizzarono la magia per aprire la serratura. All'interno
della
stanza trovarono i dodici maghi, di cui avevano avvertito la presenza
il giorno
prima, tutti in cerchio, intorno a una colonna.
Quando i due
fratelli misero piede nella sala, i maghi non fecero una mossa ma delle
frecce
partirono dai due lati della parete, nella loro direzione.
- Maledetti!
- imprecò Murtagh a denti stretti, mentre alzava una
barriera protettiva
intorno a entrambi. Anche Eragon gli venne in soccorso con la magia,
parando
un'altra ondata di frecce.
Finita la
pioggia mortale, i maghi non si aspettarono di vederli ancora in piedi
e molti
di loro vennero assaliti dal panico.
Le loro
emozioni confuse raggiunsero i due giovani che non ci misero molto a
sopraffarli e metterli fuori combattimento.
-
Sarà
meglio non dimostrare clemenza con loro Eragon - Gli disse secco
Murtagh,
mentre uno dei maghi si accasciava a terra privo di vita.
Eragon stava
per rispondere, quando altri maghi li attaccarono con le spade e la
magia. Murtagh
si affrettò a parare un colpo e uccidere due di loro, Eragon
fece altrettanto
con un altro mago che lo aveva attaccato al fianco.
L'ultimo dei
maghi iniziò a indietreggiare di qualche passo. Aveva visto
tutti i suoi
compagni cadere a terra per mano dei due cavalieri e capì di
essere ormai
condannato:
- Sei
rimasto solo tu - gli fece Murtagh alzando un sopracciglio, mentre
piccole
goccioline di sudore gli imperlavano appena la fronte, Eragon
assentì solo con
la testa
- Arrenditi
e dicci dove si trovano i Ra'zac. – Ma il
mago continuando a tremare
indietreggiò di un altro passo e tirò fuori una
piccola fiala dalla tunica che
infilò in bocca in un movimento rapido.
L'effetto
del veleno fu fulmineo uccidendo l'uomo all'istante. Nulla poterono
Eragon e
Murtagh per rallentare il suo effetto. Con gli occhi spalancati l'uomo
rantolò
soffocando.
- È
stato
uno sciocco. La paura di una punizione forse lo ha spinto a un gesto
così
drastico. - Eragon si chinò sul corpo e con la mano chiuse i
suoi occhi.
- Cerchiamo
Par e Morgana - disse alzandosi in piedi. - I Ra'zac
potrebbero essere ovunque in questo momento -
Murtagh
annuì e insieme si precipitarono nel corridoio dove si
misero subito con la
mente alla ricerca dei due compagni.
Il
governatore era con loro. L’uomo non aveva apposto alcuna
resistenza al suo
arresto e aveva accettato di dichiarare la caduta di
Gratignàc.
Interrogato
a fondo dai due fratelli, l’uomo rivelò loro che i
due Ra'zac erano
fuggiti allo squillare dei primi allarmi, e che avevano lasciato i
maghi a
difesa della città, per andare ad avvertire la regina.
Resa
pubblica la resa del governatore, il popolo venne raggiunto con la
mente dai de
cavalieri, che spiegarono loro cosa stava accadendo. Dopo alcuni
episodi di
panico e paura da parte di alcune corporazioni fedeli alla regina, le
tensioni
nella città si attenuarono. La maggior parte degli abitanti
di Gratignàc erano
abituati a viverre in piena libertà, svincolati da qualsiasi
tipo di controllo;
una volta constatato che i draghi e i cavalieri non rappresentavano per
loro
una minaccia, accettarono di buon grado la loro presenza continuando
indisturbati con le loro faccende quotidiane.
Eragon e
Murtagh realizzarono una bandiera attraverso la magia, come se fosse
una sorta di
fairth, creando le effigi di due draghi, uno rosso e l’altro
zaffiro,
intrecciati insieme al di sopra di un giglio bianco aperto su un campo
azzurro con
una luna e il sole. Sotto gli occhi di tutta la cittadinanza, che li
acclamarono come loro nuovi signori, la affissero in cima al palazzo
della cittadella.
Quella
stessa sera partirono da Gratignàc tre messi. Due erano
diretti ai regni di Nihel
e Gelko che già avevano stretto alleanza con gli elfi.
Murtagh si era lui
stesso incaricato di redigere i messaggi per i loro governatori
Frederick e
Paul. Il terzo era diretto alla città stato di Feria. Il suo
governatore, Elijah,
aveva più volte cercato di avvicinare Eragon durante la
cerimonia facendogli
intendere che qualcosa non andava. Nonostante i continui interventi di
Isobel Elijah
era riuscito a stabilire un contatto con Eragon che si era interrotto
bruscamente
solo con la sua fuga. Ora era il momento di verificare se quelle di
Elijah
erano solo parole o avrebbe fatto seguito ai fatti.
***
Roran e
Katrina erano stati entrambi convocati con urgenza dal re. Entrati
nella sala del
consiglio videro Arold in compagnia di tre uomini che stavano parlando
intorno
a un tavolo. Gli abiti dei tre ospiti, notarono entrambi, erano
eleganti e
raffinati, segno che dovevano essere personaggi di una certa
importanza.
- Venite vi
stavamo aspettando. Le novità di cui i nostri ospiti sono
latori vi riguardano da
vicino. –
Roran strinse
con dolcezza la mano e Katrina. La ragazza ricambiò la
stretta e appoggiandosi appena
con la spalla a quella del compagno avanzarono insieme verso di loro.
- Elijah De
Rubens,
Frederick Kallen e Paul Von Mack vi presento il capitano della flotta
di Alagaësia
Roran Fortemartello e il cavaliere dei draghi Katrina figlia di Ismira
– li
presentò il re per poi rivolgendosi ancora una volta alla
coppia.
- Frederick
e Paul avevano già espresso il loro desiderio di appoggiare
la nostra causa molti
mesi fa, mentre Elijah si è unito a noi solo da poco. Le sue
rivelazioni sulla
corte di Isobel hanno sciolto, a me e a tutto il consiglio, molte
questioni rimaste
in sospeso - disse Arold appoggiandosi al tavolo. Roran
sentì Katrina al suo
fianco dargli una spinta al braccio.
–
Guarda il
tavolo, amore – gli sussurrò la ragazza per fargli
notare la grande carta su
cui vi erano rappresentata Zàkhara ed altri regni
confederati.
- Le voci
riguardo
alla presa di Gratignàc sono vere. – Era stato
Elijah a parlare, indicando la
piccola città portuale sulla carta con l'indice della mano.
- Cosa
significa che una città è stata presa? Credevo
che le ostilità non fossero
ancora iniziate. Chi può aver avuto il coraggio di
un’azione simile? - chiese
Roran accigliato. Questa volta fu Frederick Kallen a farsi avanti. La
voce dell’uomo
era carica di emozione.
- Si parla
dell’attacco di cinque draghi guidati da due giovani
cavalieri. - Gli occhi di
Roran e quelli di Katrina si allargarono per lo stupore. - Eragon,
Murtagh -
mormorò Roran a fior labbra. Frederick e tutti gli altri
annuirono.
- Sì,
sono proprio
questi i nomi dei cavalieri che sono giunti fino a noi. –
aggiunsero Paul che
fino a quel momento non avevano parlato.
Arold prese
un profondo respiro prima di parlare, scegliendo con cura le proprie
parole.
- Eragon aveva
lasciato Antàra alla fine dello scorso inverno per una
missione che doveva portarlo
nel cuore delle terre selvagge, oltre la Stonewood. Qui - il sovrano
indicò un
punto sulla carta poco più in alto, dove si estendeva una
grande zona verde
sulla quale non era segnato nulla.
– Non
sappiamo
come sia caduto nelle mani di Isobel ma il suo nome è
iniziato ad apparire come
suo nuovo alleato. Non nego che la mia fiducia in lui abbia vacillato
ma suo
fratello Murtagh non lo ha mai fatto. – disse Arold. Elijah
chiese parola.
- Sire io
sono stato uno di quelli che ha parlato con Eragon durante la grande
cerimonia
tenuta ad Abàlon. Da tempo il suo nome, insieme a quello di
Murtagh, era
diventato un tabù e quando Isobel ce lo presentò
nuovamente nelle vesti di
istruttore del suo cavaliere Rebekha Coleman per tutti gli alleati era
evidente
che agisse sotto coercizione. Il messaggio era chiaro. Nessuno, neppure
un
cavaliere era in grado di opporsi al suo potere. -
- Ma i fatti
di Gratignàc hanno cambiato tutti gli vecchi equilibri.
– intervenne allora
Frederick
- Quali
equilibri? - chiesero insieme marito e moglie. Entrambi erano
già a conoscenza
dei rapporti segreti tra la regina e Galbatorix, ma non sapevano nulla
sulle
dinamiche all’interno dell’alleanza. Venne
raccontato a loro beneficio come
Isobel fosse riuscita a ottenere il controllo grazie alla magia. Come
questa
fosse custodita gelosamente all’interno delle mura del
palazzo e alle minacce delle
nuove armi da guerra ideate dalla sua squadra di maghi che tutti
chiamavano gli
alchimisti.
- Ora
è solo
questione di tempo ma con le leve giuste potremmo spingere
più velocemente
altri regni a unirsi alla resistenza. –
- Che cosa
pensate di me e Validor come leva? – era stata Katrina a
parlare in concerto con
il suo drago con cui non aveva mai smesso di comunicare. Roran
alzò semplicemente
il volto sui quattro uomini. Conosceva le capacità
diplomatiche della moglie.
Quante volte l’aveva vista tenere testa alle ottuse
rivendicazioni del padre,
Sloan, dimostrando allo stesso tempo coraggio e determinazione. Anche
se in
quel momento le persone e le circostanze erano diverse Roran era certo
che la
moglie si sarebbe fatta ugualmente valere.
Arold con le
mani serrate dietro la schiena guardò la coppia.
- Non mi
sarei mai permesso di chiedervi tanto, ma se siete voi due a proporvi
–
- Può
essere
fatto? – incalzò la ragazza. A quel punto fu Paul
a parlare
- Io e Frederick
siamo compromessi di fronte agli alleati ma Elijah riveste ancora un
ruolo di
rilievo. – l’uomo annuì - Posso farlo.
Datemi solo qualche girono per poter organizzare
l’incontro, Lady Katrina, e potrai parlare tu stessa agli
alleati –
Katrina si
strinse a Roran che fino a quel momento aveva ascoltato senza parlare.
Il
ragazzo si massaggiò lentamente la mascella e
guardò meditabondo la carta.
- Cosa
c’è? -
gli chiese piano Katrina spingendolo appena con la spalla. Roran la
guardò con un
mezzo sorriso.
–
Permettimi,
amore mio, di aiutarti. – rispose dandole davanti a tutti un
bacio sulle
labbra. Quindi con nuovo piglio aggiunse, rivolgendosi agli altri.
- Se la
guerra contro Galbatorix mi ha insegnato qualcosa è battere
il chiodo quando il
ferro è caldo. Non permettiamo che l’attacco di
Eragon e Murtagh rimanga un
fatto isolato. Fatemi raggiungere i miei cugini a Gratignàc
con Castigo e parte
della flotta. Con mia moglie e Validor a Feria – disse
indicandola sulla carta
così da sottolineare la vicinanza tra le due
città – e con Reafly
e Gleadr qui ad Antèa, possiamo fare un fronte comune contro
Abàlon - tutti guardarono Roran con gravità.
- Roran,
c’è
un motivo per cui nessuno si è mai spinto tanto. Isobel
possiede delle armi. Non
dobbiamo sottovalutare
il suo reparto speciale. I tuo cugini lo hanno già
incontrato -
parlò
Arold, le mani intrecciate dietro la
schiena e una espressione meditabonda dipinta sul viso.
-
Che cosa è questo reparto speciale, qualcuno ce
lo vuole spiegare più nel dettaglio? – chiese
improvvisamente Roran. Lui e
Katrina ne aveva sentito parlato continuamente anche da Elijah,
Frederick e
Paul, ma nessuno fino ad ora si era fermato a spiegare loro cosa fosse
realmente.
-
Credo che sia mio dovere farlo. – disse Xavier
sorprendendo tutti. L’uomo era appena arrivato e aveva
assistito a quelle ultime
battute chiamato appositamente dal re a partecipare alla riunione.
-
Xavier
come ex capitano della guardia reale, era a capo della squadra che
doveva
maneggiare quelle armi ed è sempre lui ad aver addestrato
quegli uomini ideando
anche diverse tattiche di attacco. – lo presentò
brevemente Arold.
Xavier
annuì. -
Conosco
ogni centimetro di quelle armi. – disse il capitano
continuando la descrizione.
Roran
guardò Katrina brevemente.
-
Come
descrivete queste armi sembrano draghi che sputano fuoco - fece loro
con una
risatina nervosa.
-
Questa è
esattamente l’idea di Isobel. Possedere un’arma che
rivaleggiare con loro – gli
rispose serio Elijah.
-
Ci deve
essere pure un modo per neutralizzarle! - fece eco Katrina.
-
Un modo ci sarebbe. – era stato Arold a
parlare. Tutti si voltarono verso di lui.
-
Ho fatto
venire il capitano Xavier apposta per parlarne. Lascio a lui la parola
–
Xavier si schiarì la
voce prima di iniziare - È
un’idea che ho avuto quando sono partito da
Alagaësia. Armature che proteggano
i nostri uomini senza intralciare loro i movimenti. –
-
Può
essere davvero fatto? – chiese Elijah che aveva visto lui
stesso la potenza di
quelle armi durante le molte dimostrazioni di Isobel.
-
Ne ho
costruito anche dei prototipi che ho portato – disse tirando
fuori da un
involto di stoffa quelle che sembravano a prima vista semplici elementi
di una
armatura. A una osservazione più attenta, però,
nascondevano tanti elementi distintivi.
- Quello di cui ho bisogno sono fabbri esperti che sappiano lavorare
questa
lega di acciaio e rame, ma soprattutto dobbiamo procurarci la materia
prima per
produrre queste armature su larga scala. -
Arold
prese nuovamente la parola.
-
E qui entri in gioco tu Roran Fortemartello
con la tua iniziativa. Il miglio metallo di tutte le terre emerse
arriva a Gratignàc
dalle due isole di Crithia e Stigie. Voglio che il capitano Xavier
venga con te
e, insieme ai tuoi cugini, trovaste un modo per costruire queste armi.
***
- Isobel non
deve più avere potere su di noi. Le sue azioni, vi dico,
hanno superato ogni
limite. – Elijah aveva esordito di fronte a un'assemblea
sbigottita composta da
tutti i capi della lega, con parole molto dure nei confronti di Isobel.
- Ma
non possiamo certo combatterla come singoli regni. - Aggiunse poi con
estrema
enfasi.
Chiamato per
quell'anno a presiedere alla cancelleria della lega, era stato lui il
fautore
di quel piccolo inganno. Era la prima volta, da quando la lega era
stata
fondata, che una delle sue principali leggi venisse deliberatamente
ignorata.
La riunione organizzata clandestinamente nella sala del consiglio della
sua
città, Feria, stava violando una delle sue prime e
imprescindibili regole: la
presenza alle riunioni di tutte le città, sempre e comunque,
pena
l'annullamento delle decisioni prese all'interno di quel consiglio.
Invero, quella
era stata una clausola imposta dalla stessa Isobel, ma all'epoca era
stata
accettata da tutti diventando legge.
Elijah aveva
così fatto in modo che la sola città di
Abàlon non ricevesse l'invito a
partecipare, all'insaputa degli altri membri. Anche per questo motivo
l'aria
era carica di tensione. Elijah, sapeva che stavano rischiando molto.
Sapeva
anche che, se non l'avesse fatto lo avrebbe rimpianto per tutta la sua
esistenza.
- So che
siete spaventati, ma se riusciremo a uniremo le nostre forze, allora
avremmo
una possibilità contro Isobel. - Elijah si alzò
dalla sedia per girare accanto
ai sedili di ognuno dei presenti.
- Ci ha
ingannati; ci ha volutamente tenuti all'oscuro dei suoi piani sui
cavalieri e i
loro draghi; ci ha usato, come fossimo burattini nelle sue mani.
Chi ha
parlato con Eragon da Alagaësia sa di cosa sto parlando.
Già in passato,
facendo leva sulle nostre paure, ha fatto sì che
dichiarassimo tutti guerra al
popolo degli elfi, per poi confinarli nell'isola di Antàra.
Sapeva bene che le
loro forze non potevano nulla contro le nostre congiunte e unite allo
scopo di
annientarli. Non contenta ha continuato a tenerci in pugno con
l'illusione di
una libertà e un'uguaglianza fasulle, rappresentate da
questa lega. -
- Ci ha
assicurato ricchezza e pace, ed è quello che abbiamo
ottenuto. - intervenne
allora uno dei membri più anziani della lega, Rufus. Elijah
si voltò di scatto
verso la sua direzione, per nulla stupito di sentirlo, era stato certo
di
trovare in lui un tenace oppositore,
- Non ho
intenzione di chiedere andare contro a Isobel per le lamentele di un
principe
viziato come te Elijah – aggiunse Rufus come frecciatina
finale. Il tono della
sua voce era stato particolarmente aspro e sprezzante nei suoi
confronti, tanto
da stupire tutti i presenti, poi il suo volto assunse un'espressione
beffarda. Attirata
l'attenzione di tutti, Rufus si rivolse agli altri partecipanti:
- Mi domando
invece Elijah, cos'è ora tutto questo interesse per il
popolo degli elfi. Cosa si
nasconde dietro? Non fu vostro padre, forse, tra i primi ad appoggiare
la
proposta di Isobel? E il vostro distretto non fu tra quelli che
più di tutti
godette dei proventi dei bottini di guerra?
La tua casa
si è arricchita molto da allora, e questo solo grazie alla
regina. E ora le
volti faccia. Cosa dovremmo pensare noi tutti della tua
lealtà? -
A
quell'insulto uno di compagni che affiancavano Elijah scattò
in avanti, la mano
stretta intorno all'elsa della sua spada, ma venne fermato in fretta
dallo stesso
Elijah.
- No, Gregory,
non c'è problema, ci penso io - disse posandogli una mano
sulla spalla.
- Quello che
dici è vero Rufus: mio padre appoggiò la regina.
Ma io non sono mio padre e nel
momento in cui sono salito al comando della mia famiglia, dopo la sua
morte,
non ho più accettato un solo soldo dal tesoro della lega. Di
questo ne siete
tutti testimoni. -
La risposta di
Elijah arrivò calma e asciutta, mettendo a tacere il suo
interlocutore, che si sedette
cadendo pesantemente indietro, il volto nero. Ignorando
l’uomo Elijah proseguì
il suo discorso, gli occhi scintillanti di emozione:
- Quello che
dirò adesso, spezzerà per sempre gli equilibro di
questa lega, quindi
ascoltatemi con attenzione, poi potrete fare la vostra scelta. - molti
degli
uomini si irrigidirono a quelle parole, solo Rufus si guardò
intorno e scoppiò
in una breve risata.
-
Vuoi
forse intimorirci? - Elijah scosse la testa con calma. - Non ci saranno
ritorsioni di nessun genere, avrete tutto tempo che vorrete per
decidere se
accettare o no la mia proposta e potrete lasciare la sala quando
volete. -
-
Allora posso dire subito di volermi avvalere
di questa opportunità. - disse con disprezzo Rufus,
alzandosi dalla sedia.
-
E consiglio a tutti voi di seguire il mio
esempio. Questa riunione ha superato da tempo i confini della
legalità. - detto
questo i presenti iniziarono a guardarsi tra loro per far cadere alla
fine il
loro sguardi su Elijah:
-
Avete forse paura di ascoltare la verità? - li
provocò lui.
-
Quello che è accaduto a Gratignàc non ha
suscitato il dubbio anche in voi? -
-
Non venirci a dire che ora crederai a quella
notizia sulla presenza dei draghi?
Elijah,
non puoi davvero chiederci di mettere a
repentaglio la sicurezza delle nostre città per una voce. -
disse uno di loro,
le mani strette a pugno. Elijah li affrontò a viso aperto:
-
Organizzando questa riunione ho messo per
primo a repentaglio la sicurezza del mio regno. Non è il
primo, ne sarà
l'ultimo degli atti che farò contro la regina, ma non lo
avrò fatto invano se
questo servirà a far aprire a voi gli occhi su cosa sta
realmente accadendo
sotto i nostri occhi. Isobel è a conoscenza di segreti
inimmaginabili,
credetemi, che non è intenzionata a condividere con nessuno
di noi. Ha
risvegliato antichi poteri, ci ha stregato, e ci ha fatto suoi schiavi.
- A
quelle parole il volto di Rufus si deformò in una smorfia:
-
Le tue sono tutte menzogne! -
-
Tu credi? Cosa dite allora dei suoi ripugnanti
servi, coloro che si fanno chiamare Ra'zac? - Tutti
conoscevano quelle
bestie terrificanti e il solo nominarle, creò tra i presenti
una sorta di
diffuso timore.
-
Senza
parlare del suo corpo di guardia o della misteriosa comparsa di Rebekha
e Kima.
Anche tutti loro sono un'illusione e una menzogna Rufus? -
finì quasi urlando,
per poi riprendere nuovamente il controllo su di sé.
-
La regina ci ha richiamato alle armi e che
cosa decideremo di fare noi? La seguiremo ancora, come abbiamo sempre
fatto, da
bravi servi? Se così sarà, temo che gli abitanti
di Antàra e il loro re abbiano
più libertà di noi, perché almeno loro
hanno una scelta! – disse
infine con voce piena di trasporto. Un
altro consigliere si fece avanti a parlare.
-
Le tue sono belle parole Elijah. Non riesco a
vedere qual è questo enorme potere di cui parli, che la
regina ci tiene
nascosto e come hai fatto tu a venire a conoscenza di tutto questo? -
-
Centri al pieno il problema Timòteo, e ti
ringrazio per la domanda. La
risposta è
una sola, e sotto i nostri occhi già da molti mesi.
È
Il potere dei draghi e della magia, che risiede in
loro, ma a questo punto forse è bene che ve ne parli
qualcuno che ne sa più di
me. - Elijah fece
un cenno con la mano,
e la porta della sala si aprì per farvi entrare una ragazza.
Non doveva avere più
una ventina di anni. La sua carnagione era chiare, il viso dai
lineamenti dolci
e regolari, era incorniciato da lunghi e ricci capelli ramati.
-
Vi presento Katrina, figlia di Ismira, e
Cavaliere dei draghi di Alagaësia. -
Un
brusio generale attraversò i vari alleati,
mentre il volto di Rufus si dipinse improvvisamente di bianco.
- Non
è possibile - sibilò a denti stretti.
-
Quando la regina verrà a sapere di questo non
impiegherà molto a punirvi tutti! - gridò ad alta
voce, gli occhi spalancati.
-
Rufus, se non sei con noi sono costretto a
chiederti di allontanarti. Potrai tornare alla tua casa, e avvertire la
regina,
nessuno te lo impedirà. -
-
State certi che lo farò, io non vi temo. -
disse guardano in viso ognuno dei presenti, poi voltandosi
uscì, sbattendo al
porta dietro di se. L'intera sala rimase attonita di fronte alla calma
di Elijah.
-
Non puoi lasciarlo davvero andare! - si alzò
allora una voce, ma Elijah alzò una mano a calmare gli animi.
-
Ormai non ha importanza che la regina lo venga
sapere. Perché fra poco non sarà più
un mistero per nessuno. Ora devo però
chiedervi quanti tra voi è d'accordo con lui - chiese.
Due
uomini alla destra e alla sinistra di Elijah
si alzarono, con lo sconcerto di tutti.
-
Ci dispiace Elijah. - dissero con voce mesta
-
Siamo davvero onorati della vostra presenza
tra noi Cavaliere, ma alla luce dei tutti i vostri discorsi, la sola
realtà è
che i nostri due regni sono troppo piccoli, il nostro esercito
è impreparato
per una guerra e siamo troppo vicini a Zàkhara. A una
qualsiasi offensiva,
saremo i primi a subirne le conseguenze e saremmo un facile bersaglio
per la
regina. - l'uomo
parlò con semplicità.
-
Non saremo certo noi ad andare dalla regina a
riferirgli della riunione e saremo felici da fare da cuscinetto fino a
quando
la situazione ce lo permetterà. -
Elijah
guardò all’uomo con riconoscenza
-
Accettiamo la vostra scelta, e vi ringraziamo
per il vostro appoggio
Ma
a questo punto dobbiamo chiedervi di lasciare
la sala, al fine di non incorrere in ulteriori guai con Isobel quando
vi
chiederà cosa ci saremo detti. Meno sapete meglio
è per voi. -
-
Vi ringraziamo. Addio. -
Dissero
rivolti a tutti. Lasciarono la sala
passando accanto a Katrina, che li vide andare via senza avere la
possibilità
di potergli parlare. Altri senza parlare fecero altrettanto con grande
compostezza.
Avrei
dovuto fermarli,
convincerli a rimanere.
pensò la fanciulla mentre nella sala era calato un profondo
silenzio
Avevano
già preso la loro decisione da tempo Katrina.
Non avresti potuto fare molto.
Il tuo compito qui è un altro.
A
malincuore Katrina annuì alle parole del suo
drago, concentrandosi ora su gli uomini in sala.
Meno
della metà delle personalità
che componevano la
lega, avevano accettato di
ascoltare le loro parole, sue e di Antàra, dichiarandosi di
fatto delle città
dissidenti.
Katrina
ripercorse rapidamente le parole di Elijah
su ciascuno di loro.
La
maggior parte non erano uomini avvezzi alla
guerra. Costretti ad adattarsi alle necessità del momento,
avevano dimostrato
un grande coraggio nello sfidare Isobel, pensò Katrina, e
questo poteva fargli
solo onore.
-
Bene, se nessun altro ha da obiettare, lascerò
la parola a Katrina -
Katrina
vide i volti di ognuno di loro voltarsi
verso di lei, alla ricerca di una risposta.
Che
parole
posso usare con loro perché possano avere speranza?
Rilassati
amica mia. Agitarti non ti servirà. Non posso parlare al
posto tuo, ma posso
dirti di essere sincera con loro, non promettergli nulla che non puoi
dare
loro, e ti seguiranno.
Grazie
Validor
Katrina alzò la testa,
decisa. Tutti avevano notato la sua aria assente e Katrina
capì che con molta
probabilità si stavano chiedendo cosa potesse esserle
successo. Raccogliendo a
sé tutto il suo coraggio iniziò a parlare.
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 36 *** Il vero potere dei Draghi ***
Il
cucciolo di drago bianco sgusciò via dalle mani di Eleonor e
con le ali aperte
sfarfallò poco più là.
La bambina rise, poi si mise alla rincorrere il cucciolo.
- Vediamo chi raggiunge prima quelle rocce - lo sfidò
Eleonor. Il piccolo non
se lo fece ripetere due volte.
Giunsero alla loro meta e si buttarono a terra, esausti entrambi
ansimanti ma
felici. Eleonor si tirò a sedere e osservò il
paesaggio che li circondava con
gli occhi curiosi di una bambina di cinque anni.
Quella era stata una parte della valle che non aveva mai visto. Ma la
sua mente
non si fermò a pensare a quel particolare. L'unico pensiero
che in quel momento
la occupava era stato che nessuno dei draghi fino ad allora li aveva
mai
portata lì, era quindi un posto completamente inesplorato
per loro. Un posto
che lei e il suo compagno erano ora liberi di scoprire.
Anche il cucciolo sembrò dello stesso parere della piccola,
perché guardò la
bambina con i suoi occhi celesti poi mordendole la manica del vestito
la invitò
a seguirla. C'erano state due grandi rocce ad attirare la loro
attenzione.
Erano come due grandi pilastri che uscivano dal terreno come se fossero
emersi
dalle sue profondità.
Eleonor e il cucciolo stavano per passarvi in mezzo quando un'ombra
passò sopra
di loro, e una presenza non si insinuò nelle loro menti
pregandoli di fermarsi.
Era Vespriana. La piccola dragonessa si parò di fronte a
loro e ruggì.
Qui non vi è permesso entrare. Tuonò.
I
tutta risposta il cucciolo pigolò incuriosito.
- Perché? - chiese subito Eleonor ad alta voce, l'esuberanza
dei suoi cinque
anni non gli permise di tacere davanti al fascino dell'ignoto.
Vespriana arricciò le labbra. E' un luogo sacro,
qui è dove vengono a
riposare i corpi e le anime dei nostri antenati. Rispose la
dragonessa con un
certo contegno solenne nel tono della voce. Nella mente ripercorse le
stesse
parole che il nonno aveva usato quando le aveva raccontato la storia di
quel
luogo e del profondo significato che rappresentava per la loro intera
razza:
Devi sapere mio tesoro, così la chiamava spesso il
nonno quando era ancora
un cucciolo. Che noi draghi non siamo solo dei semplici
guardiani; il
nostro compito non è solo proteggere queste terre con la
forza che ci deriva
dal nostro numero e dalle nostre dimensioni. Noi siamo parte di questa
terra,
come la terra stessa fa parte di noi. Questo profondo legame che ci
unisce ha
origine dello stesso potere che ogni drago custodisce nella parte
più intime di
noi stessi. Nel nostro cuore.
Cosa significa nonno? Io no capisco. Aveva chiesto
confusa.
Il nonno, allora, aveva scosso al sua testa, sorridendole con dolcezza
e
infondendole sicurezza come solo lui sapeva fare. Sei ancora
troppo piccola
per poter capire, cucciolo mio, ma un giorno tutto questo ti
sarà chiaro e
quando ciò avverrà, le mie parole assumeranno
tutto un altro significato.
Eleonor annuì poi si girò verso il cucciolo. Ma
il draghetto bianco era
sgattaiolato via mentre loro due stavano parlando ed era entrato dentro
alla
grotta indisturbato. Vespriana si voltò di scatto verso
l'entrata del santuario
e ringhiò.
Presto dobbiamo fermarlo, prima che mio nonno o altri draghi
lo scoprano!
A nessuno era permesso entrare e, ancora meno, a nessun drago era mai
saltato
in mente di volerlo fare.
Dall'altra parte c'era un lungo sentiero che si inerpicava tra le
rocce.
Vespriana fece alcuni passi e annusò l'aria. Vieni
è passato da questa parte.
Seguirono il sentiero per diverse iarde, ma il drago sembrava essersi
volatilizzato.
Poi lo videro, in lontananza, mentre entrava dentro una grotta.
Vespriana intensificò il suo passo, lasciando indietro
Eleonor.
Quando anche la bimba giunse all'entrata della caverna il suo cuore
prese a
battere fortissimo e un lampo di luce accecante le investì
con tutta la sua
potenza. Vespriana serrò i suoi occhi fino a quando il
dolore non scemò, poi
entrò anche lei dentro alla grotta.
Al suo interno c'era stato un monte, fatto di tanti ciottoli. Il drago
bianco
era proprio di fronte alla montagna. Il suo petto era illuminato di una
intensa
luce bianca. La luce che aveva visto sprigionarsi da fuori poteva
davvero
provenire dal piccolo? Vespriana non ebbe il tempo di rispondere alla
domanda,
perché il cucciolo spari in un lampo accecante. Quando
Vespriana aprì di nuovo
gli occhi di fronte alla montagna c'era stato solo un piccolo ciottolo,
uguale
a tutti gli altri, con la sola differenza che quello risplendeva di una
luce
piu intensa. Vespriana si avvicinò al ciottolo; emanava una
strana aurea.
La piccola dragonesse non sapeva dire il perché, ma sentiva
come se il cucciolo
la stesse chiamando da quella pietra, ed era spaventato. Si
guardò intorno e
poi realizzò che la voce proveniva proprio da quell'oggetto.
Vespriana gli si
avvicinò e lo toccò con la punta del naso.
La sua mente venne come risucchiata in un vortice. Si
ritrovò di fronte alla
sua casa trasformata in un grande campo di battaglia. Gli alberi
rigogliosi
erano bruciati, l'acqua del fiume tinta di rosso dal sangue di
centinaia di
draghi morti. Poi l'ambiente cambiò di colpo, si
trovò in cielo a volare a
accanto a un esercito di creature mostruose, anche loro alate, ma con
dei
grandi becchi ricurvi. Erano cavalcati da degli esseri incappucciati di
nero e
guidati da una donna, che Vespriana riconobbe subito come la regina di
Zàkhara,
Isobel.
In mano, la regina teneva quegli stessi ciottoli e anche quei mostri ne
possedevano uno e nelle loro mani questi brillavano, come aveva fatto
il
ciottolo che aveva toccato con il muso.
Poi la visione sbiadì e Vespriana si ritrovò
nuovamente dentro la grotta.
Vespriana sentì dei rumori dalle sue spalle e si
girò. Eleonor che l'aveva
raggiunta e i suoi occhi erano posati sull'oggetto luminose.
-
Lui se ne
è andato? - le domandò Eleonor.
Si
Eleonor. Le
rispose Vespriana.
Gli
occhi di Eleonor divennero umidi, ma il suo viso era fiero e deciso.
-
Lui mi ha
sempre detto che sarebbe andato via presto. - Le
confessò la bambina.
-
Mi ha
detto anche, che avrei dovuto vegliare sul suo cuore. -
Vespriana
guardò alla montagna e arriccio le labbra. Il
suo cuore hai detto?
Eleonor
annuì e Vespriana venne improvvisamente colpita dalla
verità delle sue parole.
Iniziò a sentire la montagna battere al ritmo del proprio
cuore che pulsava di
energia come non aveva mai fatto.
Spalancò
i
suoi occhi. Ora le parole del nonno le apparvero in tutto il loro
significato,
mentre il suo petto si illuminava. Il suo
èldunarì era stato risvegliato. Era
diventata una dragonessa adulta a tutti gli effetti.
Non
puoi
rimanere qui Eleonor. Le
disse Vespriana una volta ripresa. Quindi la spinse
via cono il muso verso l'uscita della grotta.
Lo
porteremo con noi insieme a questi cinque. Ho intenzione di fare
qualcosa che
farà arrabbiare molto mio nonno e tu dovrai aiutarmi.
La
sua casa
era in pericolo. Doveva assolutamente riferire ai cavalieri della sua
visione,
ma aveva bisogno di portare loro delle prove. Sapeva che il nonno non
gli
avrebbe mai dato il permesso di uscire di nuovo dai confini del loro
territorio, per cui decise di prendersi il permesso da sola.
Ritornerò
fra tre giorni. Le
disse la dragonessa una volta ritornate alla valle.
Se entro quel tempo non sarò tornata, significa che
mi è successo qualcosa.
Solo allora avvertirai i miei genitori. Puoi farlo?
Sì.
Rispose
la piccola poi Vespriana lasciò per seconda volta la sua
amata casa.
***
Vespriana
era appena uscita dalla Stonewood, la fascia ampia all'interno della
quale
aveva fatto mettere i cuori dei cuori era ancora salda al suo ventre.
Vespriana
aveva volato tutto il giorno per arrivare ai confini della foresta solo
a sera.
Avrebbe
raggiunto Gratignàc dove sapeva che il nonno e i suoi
genitori avevano portati
i due cavalieri con i loro draghi, Par e la maga.
Cercò
riparo accanto a un albero e si addormentò.
Era
ancora
notte quando venne svegliata da una strana sensazione.
La
foresta
era silenziosa, nessun animale notturno riempiva l'aria con i suoi
versi.
Vespriana si tirò in piedi e si guardò intorno
guardinga.
Un
fruscio
la fece scattare di lato ma qualcosa la colpì al fianco
facendola cadere a
terra. Degli artigli la graffiarono di nuovo.
Vespriana
cercò di difendersi ma fu tutto inutile perché
altre mani la afferrarono,
qualcosa di freddo si serrò intorno alle zampe posteriori.
La giovane
dragonessa ebbe appena il tempo di voltarsi a vedere il volto fornito
di un
lungo becco nero del suo aggressore prima di scivolare nel vuoto.
***
Erano
passati i tre giorni dalla partenza Vespriana. Eleonor attese che il
sole
iniziasse a calare da dietro i monti per andare da Keiron.
Trovò
la
dragonessa arancio non lontano dal fiume che attraversava la loro
valle. La
piccola le si avvicinò mesta, poi la chiamò con
la mente, come aveva imparato
da Par e Morgana.
Keiron
udita la voce si voltò piano.
Eleonor,
cosa c'è?
Eleonor
dondolò sui suoi piedi spostando il peso del corpo da una
gamba all'altra
mentre gli occhi di Keiron erano puntati su di lei in paziente attesa.
Poi
prese coraggio, le mostrò il cuore dei suo drago e le
raccontò quello che
Vespriana aveva detto di dire loro.
Non
appena
capì che la figlia era di nuovo ritornata a
Zàkhara, Keiron non le lasciò
finire il racconto, prese con se Eleonor e il piccolo drago bianco e
corse da
Sigmar.
Il
cuore di
Eleonor le saltò in gola nel vedere il vecchio drago
argentato su tutte le
furie.
Sigmar
ruggì con tale vigore da far tremare la terra.
Eleonor
si
fece allora avanti decisa a terminare il suo racconto.
Se
fosse
riuscita a dire loro l'intero piano di Vespriana forse potevano
perdonarla e
aiutarla
Sigmar
ascoltò la piccola fino alla fine, rivolgendo sguardi d'odio
a Keiron e
Guiltar, a cui dava la responsabilità per le azioni della
figlia.
Finito
il
racconto Sigmar chiuse gli occhi.
Il
grande
muso di Keiron si avvicinò alla bambina.
Grazie
per le informazioni che ci hai dato.
-
L'aiuterete?
- chiese Eleonor questa volta sia con la voce che con la mente.
Keiron
guardò Sigmar. Il grande drago era sceso in un silenzio
meditabondo, poi senza
dare nessun preavviso si scrollo e volò appena sopra le loro
teste. Mi vedo
costretto a agire. Raduna due dozzine di noi che sono in grado di
combattere.
Andremo a riprenderci Vespriana e finiremo ciò che abbiamo
lasciato a metà.
***
Il
terzo giorno dall’invio delle ambasciate, l'offensiva della
regina ebbe inizio
quasi in maniera simultanea su tutti e tre i fronti:
Gratignàc, Feria e Antàra.
Fu
un
attacco violento, Isobel aveva saputo tramite Rufus delle defezioni di
del
resto delle città della lega e di come si stessero
organizzando per appoggiare
gli elfi oscuri.
Ancora
certa, nonostante tutto, della sua vittoria, non aveva esitato ad
attaccare per
prima così da togliere ai suoi avversari ogni
possibilità di intervento.
Ciò
che non
sapeva era stata l'effettiva portata delle navi provenienti da
Alagaësia,
nonché, della presenza di potenti maghi oltre a un altro
cavaliere e il suo
drago.
L'effetto
sorpresa fu dirompente per le file di Zàkhara. La
superiorità degli elfi
nell’uso della magia era evidente e presto Isobel dovette
prenderne atto. Le
armi di cui disponevano i suoi reparti speciali rimanevano la sua
maggiore forza.
In più di una occasione le avevano permesso di guadagnare
terreno. Ma l’entrata
in scena delle armature protettive, di cui si erano forniti i suoi
avversari, avevano
segnato una battuta d’arresto.
Mentre
sulla terra ferma la linea della sua difesa si attestò entro
i confini naturali
del Grande Massiccio, le truppe che avevano posto in assedio l'isola di
Antàra,
trovandosi improvvisamente privi del loro cavaliere, tolsero l'assedio
e
attuarono una rapida ritirata.
Isobel
avrebbe fatto presto pagare a Rebekha la sua disobbedienza ma ora aveva
affari
più urgenti da sbrigare. Quella mattina i Ra’zac
le avevano portato una sorpresa
inaspettata. Una giovane dragonessa blu con un carico particolare. Non
appena
Isobel si rese conto di ciò che aveva di fronte sul suo
volto di dipinse in
sorriso.
-
Vi
siete guadagnati la mia riconoscenza miei fedeli servi. –
disse loro mentre
ammirava i cinque èldunarì ancora avvolti in
quella che doveva essere una sorta
di sacca fatta di foglie intrecciate.
Vespriana
giaceva ai vuoi piedi in catene.
-
Ci ssssiamo
assicurati la sssua collllaborrazione mia ssssigggnora. –
-
Lo vedo
e credo possa rispondere a molti dei miei quesiti.
Vespriana
mugolò indolenzita mentre affrontava la prova più
dura della sua esistenza.
***
-
Abbiamo segnato delle importanti vittorie in questi giorni. Isobel e
Rufus
hanno subito ingenti perdite ma sono ancora lontani dall’aver
perso la guerra -
disse Xavier al grande consiglio di guerra che si stava tenendo
attraverso gli
specchi magici.
C’era
stata
anche un'altra grande novità. Isobel aveva chiesto di poter
parlare da sola con
i due Cavalieri. Eragon e Murtagh avevano accettato con riluttanza,
mentre
Arold e tutti i capi della lega avevano accolto quella notizia con
giubilo. Secondo
loro quella mossa era solo un palliativo escogitato per rinviare una
resa ormai
inevitabile.
-
Accettate
di vederla – disse loro Arold con entusiasmo. - Ormai
è con l'acqua alla gola,
e mentre voi parlerete, domani vi raggiungeremo a Gratignàc.
Saremo tutti
presenti con i capi delle città della lega, Katrina e
Validor. Solo Reafly e
Gleadr rimarranno qui ad Antàra. -
-
Potrebbe
chiederci di Rebekha e Kima. Che cosa dobbiamo dire su di loro - chiese
alla
fine Eragon dando voce alla domanda che lo accompagnava da settimane.
Arold
annuì
- Non vuole più servire Isobel come cavaliere, ma non ha
intenzione di
combattere. – Arold sembrò pensare bene alle sue
parole prima di proseguire.
-
Abbiamo raggiunto con loro un accorto. Hanno accettato la nostra
protezione in
cambio della promessa di non lasciare l’isola. Ora la ragazza
e il drago passano
molto tempo con Arya e con Reafly. -
Eragon sorrise trovando conforto in quel pensiero. -
Grazie Sire per
aver accettato di accoglierle. Aspettiamo il vostro arrivo. –
disse infine
prima di lasciare andare l’incantesimo.
Quando
la
superficie dello specchio ritornò scura Eragon e Murtagh
rimasero per un attimo
un silenzio.
-
Hai
sentito Eragon? - disse alla fine Murtagh.
-
Sì, ho
sentito fratello. Vorrei poter nutrire lo stesso ottimismo di re Arold
riguardo
a domani -
Quella
notte Eragon fece un sogno:
C'era
un
campo di battaglia. Tutto era stato fermo e nel mezzo Isobel splendeva
di una
luce splendete ma che non veniva da lei ma da una decina di oggetti che
teneva
in mano.
Pe
Eragon
non c’erano dubbi si trattavano di
èldunarì. Poi qualcosa cambiò nel
sogno.
Tutto divenne impalpabile e indefinito. Eragon seppe spiegarne il
motivo. Il
volto di Arya gli apparve, rigato dalle lacrime. I suoi occhi, si rese
conto
Eragon erano pieni di un dolore troppo grande da sopportare. Eragon
cercò di
raggiungerla, ma più si avvicinava e più lei si
allontanava.
Eragon
si svegliò di colpo, ansimante. Si passò una mano
sulla fronte imperlata di
sudore. Che cosa era stato? Un sogno o una premonizione?
Fuori
era il
crepuscolo. Mancava ancora molto tempo all'ora dell'appuntamento.
Eragon decise
di fare una passeggiata per schiarirsi le idee.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 37 *** Eldunarì ***
Il
sole si era da tempo alzato dietro i monti del Grande Massiccio quando
Eragon decise
che era giunta l'ora per lui di ritornare al capo.
Camminare
nell'aria fresca del mattino lo aveva aiutato a rilassarsi e quella
sensazione
di disagio, che aveva provato al suo risveglio, era quasi del tutto
sparita; le
immagini del sogno avevano perso la loro consistenza e il viso in
lacrime di
Arya era sbiadito in un lontano ricordo.
Qualunque
cosa quell'immagine avesse significato, lo avrebbe scoperto solo quando
vi si
fosse trovato davanti. Eragon decise che sarebbe stato inutile far
preoccupare gli
altri per una cosa di cui non aveva il controllo.
Decise
quindi di tenere quelle informazioni per sé fino a quando
non avesse avuto
delle certezza sulla loro veridicità.
Al
suo
ritorno al campo ne avrebbe parlato con Saphira naturalmente.
Eragon
giunse così nei pressi della sua tenda con passo leggero e
la mente sgombra e
fu sorpreso nel trovare Murtagh e Roran ad attenderlo: i due ragazzi
erano
appoggiati ognuno a una delle aste di sostegno della tenda.
Roran
fu il
primo a scorgerlo; il cugino si riscosse dal suo torpore e sciolse le
braccia
che aveva incrociato sul petto
-
Dove sei
stato? - chiese con voce preoccupata. Eragon rallentò il suo
passo e scosse
appena le spalle
-
Non
riuscivo a riprendere sonno e ho deciso di fare un giro per sgranchirmi
le
gambe. - rispose entrando subito dopo dentro la tenda. Roran e Murtagh
si
guardarono negli occhi e lo seguirono al suo interno.
-
E far
così venire i capelli bianchi a tutti? - lo
rimproverò bonario il moro che alzando un
sopracciglio fece nuovamente scivolare a terra il lembo della tenda.
-
Sai
Saphira mi ha svegliato di colpo stamattina. Era molto preoccupata. E
non solo
lei - aggiunse assumendo un tono più serio. In quello stesso
momento la mente
della dragonessa raggiunse quella del suo cavaliere: Quando
non ti ho più
sentito, ho avuto paura per te piccolo mio.
Mi
dispiace di non averti avvertito. Gli
disse Eragon mentre
si infilava la cotta di maglia. Poi il giovane prese il fodero della
spada e se
l'allacciò alla vita.
Uscirono
dalla tenda, richiamati dallo sfarfallio delle ali di Saphira e Castigo
che
erano atterrati nello spazio di fronte alla tenda.
Gli
occhi
della dragonessa puntarono il cavaliere. Eragon fece solo alcuni passi
verso di
lei quando Saphira alzò veloce la sua zampa e
atterrò il giovane sotto
di lei.
Mi
hai
chiuso la tua mente Eragon!
gridò con forza.
Eragon
tentò inutilmente di scansare gli enormi artigli che lo
inchiodavano al suolo. Ti
ho chiesto scusa. Provò a dire in suo difesa, ma
Saphira espose le sue
fauci. Eragon chiuse gli occhi e sospirò.
E
va bene Saphira.
Senza aggiungere altro, il cavaliere abbassò le sue difese e
lasciò che la dragonessa leggesse nei suoi ricordi.
Saphira
poté allora vedere il sogno fatto da Eragon.
Lentamente
alzò la zampa lasciando il suo cavaliere nuovamente libero
di muoversi. Il
ragazzo si tirò a sedere e con un grugnito si
sgrullò la terra dalla tunica e
dai pantaloni.
Perché
non me ne hai voluto parlare. Ti avrei aiutato.
lo incalzò
Saphira, Eragon alzò appena la testa, prima di risponderle
vago.
Avevo
bisogno di riflettere prima da solo.
Pensi
di
parlarne a Murtagh e Roran?
No
rispose in
fretta. Fino a quando non sarò certo di quello che
significano quelle
immagini. Questa volta non è stato come tutte le altre volte
in cui ho sognato
di eventi futuri.
Saphira
rimase in silenzio ponderando sulle possibile implicazioni di quella
frase.
Va
bene,
per ora faremo come dici tu.
Ammise lei con una strana riluttanza nella voce di
cui Eragon non seppe decifrare la causa.
Grazie.
Le rispose lui.
-
Tutto a
posto? - chiesero Murtagh e Roran, che ignari, erano rimasti fermi ad
osservare
la scena con un certo divertimento. Le loro voci riportarono
improvvisamente
Eragon alla realtà. - Ora sì. - rispose Eragon,
dando allo stesso tempo uno
sguardo di intesa a Saphira. Prese la mano tesa di Murtagh che lo
aiutò a
mettersi di nuovo in piedi. Nel cielo un corvo gracchiò,
andandosi a posare
sulla cima di uno stendardo, che si trovava a poca distanza; Eragon
sentì un
brivido percorrerlo lungo la schiena.
-
È solo un
corvo cugino. - lo rassicurò la voce di Roran, che da dietro
lo afferrò con
forza per le spalle.
In
quel
momento vennero raggiunti da Xavier che venne loro incontro con volto
scuro.
-
Finalmente
vi ho trovato! - Disse
il capitano una volta raggiunti.
-
Abbiamo
sentito levarsi strani segnali dal campo nemico. Credo che la regina
stia
scalpitando per anticipare il vostro incontro. Ora. -
Come
a
confermare le parole appena dette, il suono di una tromba che
annunciava
l'arrivo dell'araldo reale li raggiunse. Senza ulteriori indugi, Eragon
e
Murtagh salirono sul dorso dei loro draghi e volarono sopra
l'accampamento.
Ecco
l'araldo Eragon ma non vedo la regina.
Lo avvertì
mentalmente Murtagh
dal dorso di
Castigo.
Eragon
si
sporse da un lato per vedere l'uomo che, con uno stendardo appeso alla
punta di
una lunga asta, galoppava in circolo sulla linea di confine del loro
accampamento.
I
due
draghi atterrarono appena a qualche iarda di distanza dal confine.
In
anticipo
sull'uomo Murtagh ed Eragon coprirono a piedi la distanza che li
separava,
mentre Castigo e Saphira rimasero indietro affinché l'uomo
non si sentisse
minacciato dalla loro presenza, ma, abbastanza vicini da poter
intervenire nel
caso i loro cavalieri fossero stati in pericolo.
-
La
regina Isobel di Zàkhara vi attende Cavalieri ma dovrete
lasciate le vostre
armi e i vostri draghi dovranno rimanere qui. -
Le
condizioni poste dalla regina erano irremovibile.
Eragon
e
Murtagh si guardarono per alcuni istanti senza parlare. Saphira e
Castigo erano
riluttanti ad accettare, ma alla fine acconsentirono anche loro.
Ricevuta
la
risposta, l'araldo annuì soddisfatto, poi fece loro cenno di
seguirlo.
***
Sotto
la tenda Isobel era di fronte a Vespriana, spessi anelli di ferro
piantati
dentro il terreno, serravano le zampe della giovane dragonessa.
La
regina
si avvicinò accarezzargli il muso con una mano; di fianco a
lei, su un tavolo, il
prezioso contenuto della sacca che la giovane dragonessa aveva portato
con sé.
La
sua resa
non era ancora giunta, dopo tutto.
Vespriana
si scansò, ringhiandole; dei lacci di cuoio, le serravano il
muso le impedivano
di aprire la bocca. È
un bene che
tu sia ben legata. Pensò la sovrana guardando la
dragonessa divertita. O
della mia mano ne sarebbe rimasto davvero poco.
Gli
occhi
di Vespriana fulminarono Isobel, che, per nulla intimorita, le sorrise,
soddisfatta.
Gli
occhi della giovane dragonessa erano un misto di rabbia e di dolore.
Per
ore Isobel aveva pungolato di fronte ai suoi occhi uno degli
èldunarì e sotto
minaccia di continuare fino a distruggerlo era stata costretta a
rivelare a lei
e ai suoi immondi servi dove era ubicato il passaggio più
sicuro alle Terre
Selvagge.
-
Sono
desolata di doverti lasciare, mia giovane amica, ma qui fuori, ci sono
delle
persone a cui sono impaziente di mostrare il tuo dono. -
Vespriana
le rispose con ringhio, segno che aveva capito le sue parole.
-
I
cavalieri avranno una grande sorpresa. -
Isobel
aprì
i lembi della teda che separava gli ambienti privati della regina da
quello
pubblico, adibito ai consigli di guerra.
I
generali,
ognuno a capo delle quattro ali del suo esercito la salutarono con
volto serio.
-
Mia
regina, tutto è pronto per l'incontro con i Cavalieri. Qui
abbiamo messo per
iscritto i termini della resa -
-
Resa? Di
quale resa stai parlando Generale. Con queste non è
più necessaria. – Disse
mostrando loro cinque pietre dai colori luminescenti.
Tutti
rimasero senza parole. Fin dalle prime sconfitte, alcuni dei generali
avevano
seriamente temuto per la sanità mentale della sovrana. Ora,
l'enfasi con cui la
regina aveva pronunciato quelle parole, non lasciò loro
alcun dubbio.
-
Che cosa
significa? Come intendete opporvi? Non vi è bastato perdere
un quarto delle
nostre forze? - chiese con accesa passione uno tra i più
giovane dei generali.
L'uomo dovette pentirsene quasi subito della sua uscita,
perché la regina lo
fulminò con lo sguardo.
-
Non
ammetto altre insinuazioni di questo genere nei miei consigli di guerra
generale. -
-
Non vi
adirate mi a signora. - intervenne allora il più anziano dei
presenti; da molti
anni al servizio della regina l'uomo era abituati a tamponare le sue
intemperanze.
-
Ciò che
Filota voleva farle notare, è che il morale delle truppe si
è molto abbassato.
Non
biasimarlo dunque se prova pudore nel comunicare loro che le
ostilità
continueranno, quando si è visto il nemico incenerire un
intero battaglione con
la forza di uno solo dei loro maghi. - Il
resto degli uomini annuì in accordo con le
parole del loro collega.
La
mimica
della regina non sembrò mutare minimamente.
-
La vostra
mancanza di fiducia mi addolora. - disse puntando gli occhi in quelli
del
vecchio generale. Questi abbassò il suo sguardo e una
smorfia attraversò il suo
volto. Come trafitto da mille aghi, il suo corpo fu scosso da leggeri
spasimi.
-
Specie
quando tutti i vostri uomini mi dimostrano piena devozione. -
proseguì passando
a posare il suo sguardo su ognuno di loro.
-
Sono
dunque questi gli uomini che comandano il mio esercito?! Non
mi stupisce
che siamo quasi arrivati sul punto di arrenderci. -
-
Mia
signora, come puoi dire questo? -
-
Silenzio! - Sbraitò
Isobel, per
ricomporsi l'istante dopo.
-
Riassettate
le truppe e assegnate per ognuna di loro uno dei maghi giunti questa
mattina da
Abàlon. Poi attendente il ritorno dei Ra'zac.
Da questo momento in poi è
a loro che affidato il comando. Ritenetevi esonerati dai vostri gradi.
Tutti. Voglio
che il cambio d'ordine sia impartito alle truppe prima del mio ritorno.
Intensi?
– Gli uomini si guardarono tra loro e annuirono allibiti -
Come desidera mia
signora. -
Detto
questo, Isobel uscì fuori dalla tenda, due magnifici
destrieri, uno nero e
l'altro bianco, erano pronti con tutti i loro finimenti e attaccati al
suo
veloce carro da guerra.
Vi
salì
sopra e attraversò il campo sotto lo sguardo dei soldati;
come un'onda che
avanza sul mare, increspando la sua superficie, al passaggio della loro
regina,
il campo si animò frenetico. All'udire le ruote del carro
regio, ogni sezione aveva
l’ordine di uscire fuori per porgere l'omaggio alla loro
regina.
Nel
suo
tragitto Isobel concesse loro qualche saluto sporadico. Se si rese
conto degli
sguardi stanchi e scoraggiati che le venivano rivolti non lo diede a
vedere o
meglio, le era del tutto indifferente, il suo pensiero era rivolto solo
al suo
incontro con i due cavalieri e alla decisa rivalsa sulla loro, il resto
non
aveva alcuna importanza per lei.
L'araldo
condusse Eragon e Murtagh fin sopra una bassa collina, a
metà tra i due campi.
La regina era sopra al suo carro ad attenderli.
-
Cavalieri,
sono lieta che abbiate accettato l'incontro. - disse loro con voce
sicura.
-
Il vostro
esercito ha perso Isobel. Siamo qui nella speranza di un accordo
pacifico -
disse
Eragon.
Isobel
rise di gusto. -
Devo ammettere che mi avete sorpreso. Non mi aspettavo che
sareste riusciti a organizzare una difesa tanto efficace in
così poco tempo. - socchiuse
gli occhi, facendo una breve pausa
-
Né che
quegli stolti della lega decidessero di voltarmi le spalle. Fino a ieri
notte il
mio intento era in effetti quello di trattare la resa. Lo era anche
quello dei
miei generali. Ma li ho destituiti dai loro ruoli pochi minuti fa. -
-
Non credo
tu abbia scelta Isobel - disse
Murtagh avanzando di un passo, ma la donna scosse la
testa.
-
Vi
sbagliate, presto sarete voi a non averne. Ho ammirato i vostri sforzi
e il
vostro coraggio, ma nemmeno l'intero esercito di Alagaësia
riunito potrà rivaleggiare
contro il vero potere e questo lo devo a Vespriana. Senza di lei non ne
sarei
mai venuta in possesso. -
L'espressione
di sorpresa sul volto dei due Cavalieri era la risposta che la regina
attendeva
di ricevere; sorrise.
-
Un
fantastico esemplare di giovane drago dalle squame blu cobalto.
L’ho sorpresa a
viaggiare nei miei territori. Mi ha detto che doveva raggiungervi. I
miei
fedeli Ra'zac sono riusciti a intercettarla prima
che potesse superare le
alture del Gran Massiccio. Non potete immaginare la mia sorpresa quando
ho
scoperto che aveva con sé cinque
èldunarì. – con
un gesto mostro dietro al
carro un sacco da cui sotto il telo brillava qualcosa.
Eragon sgranò gli occhi e Murtagh
serrò la mascella.
- Poveri
ingenui, avevate raggiunto la terra dei draghi, ma non
siete stati capaci di afferrare il loro potere. Non siete stati
abbastanza
forti per farlo. -
Isobel
scoppiò
a ridere, poi guardando i due fratelli continuò con
soddisfazione.
-
Cinque
èldunarì, potenti e selvaggi come i draghi a cui
appartenevano. –
Eragon
non riusciva a credere alle sue parole e accanto lui anche Murtagh
stava
cercando di mettere in ordine i propri pensieri per poter reagire.
-
Che cosa
nei hai fatto di Vespriana. Dove si trova adesso? – chiese
mettendo in chiaro
le sue priorità .
-
È di
lei che ti stai preoccupato? – chiese con disprezzo per poi
sbuffare
infastidita.
-
Dovreste
pensare a voi, piuttosto – disse Isobel
sussurrando
delle parole. Accanto a lui Murtagh si bloccò,
sentì una pressione serrargli le
gambe e le braccia. Sorpreso per la rapidità e la forza
dell'attacco, il moro
lottò contro l'incantesimo, ma le catene invisibili
continuarono a stringere
attingendo alla forza inesauribile degli èldunarì.
Il
cavaliere cremisi ebbe un fremito, abbasso il volto. La fronte
imperlata di
piccole goccioline di sudore
-
Murtagh! Isobel lascialo andare! – la supplico Eragon
stringendo i pugni lungo
i fianchi. Isobel rise.
Murtagh
sentì le energie abbandonare il suo corpo con
rapidità sorprendente, poi come
era arrivata la pressione svanì e Murtagh si
trovò di nuovo libero; barellò in
avanti e sarebbe caduto se Eragon non gli fosse stato subito accanto,
per
sorreggerlo
-
Ora che
avete compreso chi è il più forte vi
dirò che Vespriana è viva ma si trova
sotto la mia attenta custodia. –
-
Hai
quello che volevi, gli èldunarì. Lasciala libera!
– ringhiò Eragon ma Isobel lo
fulminò con sguardo.
-
Vi
lascerò Vespriana quando voi mi riconsegnerete Rebekha e
Kima -
Eragon
era livido in volto ma non rispose.
-
Come
immaginavo. Siete così legati alle vite dei vostri cari che
non avete il
coraggio di fare le scelte necessarie.
Arrendervi.
Subito e un giorno, forse, potrò permettervi di condividere
con me parte della
mia nuova potenza. -
Murtagh
ancora appoggiato al fratello minore gli strinse il braccio sotto lo
sguardo divertito
di Isobel.
-
Se sarete
intelligenti, domani mi darete la sola riposta che potrà
salvare le vostre vite
e quella delle persone a cui tenete. In caso contrario, affronterete un
esercito che non ha eguali su tutte le terre emerse. Alla fine sarete
voi a
soccombere -
Disse
con
voce atona Isobel, poi strattonò le redini dei due cavalli
facendoli partire
con un colpo di frusta.
***
Con
Murtagh poggiato sulle spalle, Eragon fece ritorno dai loro draghi.
In
lontananza il giovane cavaliere vide le sagome di Saphira e Castigo. Ma
i due
draghi non erano soli: accanto a loro un terzo drago era in attesa.
Nei
riflessi argentati delle sue squame Eragon vi riconobbe subito Sigmar.
-
Avanti
Murtagh, siamo quasi arrivati. - sussurrò al fratello.
Non
appena
Saphira e Castigo li intravidero dal fondo del sentiero, i due draghi
gli
volarono incontro.
Che
cosa vi è successo?
chiese Saphira mentre Eragon aiutava Murtagh a montare sul
dorso di Castigo. I due fratelli si scambiarono una brevissima
occhiata, poi
Eragon disse: - Sarà bene allontanarci. –
Saphira
e Castigo annuirono, poi la dragonessa comunicò a Sigmar di
seguirli. Eragon
salì su di lei, poi trasmettendole alcune immagini mentali,
le chiese di
dirigersi verso la piccola radura appena mostrata. L'aveva individuata
quella
mattina nella sua passeggiata in solitario.
Come
ti senti Murtagh?
Chiese
mentalmente al
fratello una vota in
volo.
Adesso
molto meglio Eragon. Ma starò ancora meglio
quando avrò capito come si sia
procurata tutti quegli èldunarì.
Eragon socchiuse gli occhi e annuì.
Il resto del breve viaggio lo passarono in silenzio.
Ecco
il posto!
esclamò Eragon puntando il dito verso lo spiazzo che si era
aperta davanti ai loro occhi. Si trovava appena più a destra
di una spaccatura
nella roccia da cui sgorgava una sorgente d'acqua. Per favore
atterra lì Saphira aggiunse
mentalmente.
Castigo
e
Sigmar la imitarono.
Eragon
scese a terra con un agile balzo seguito da Murtagh che intanto si era
del
tutto ripreso grazie al sostegno di Castigo.
Il
luogo
emanava tranquillità e pace. Eragon si guardò
intorno e con gli occhi chiusi
spirò l'aria a pieni polmoni. Quando
li riaprì un'ombra si posò su di lui.
Eragon alzò lo sguardo al cielo e vide gli occhi di Sigmar,
fissarlo, irati.
Sono
qui
per mia nipote, Vespriana.
Senza
indietreggiare Eragon sospirò addolorato, Sigmar
mostrò i suoi denti.
Se
sai dove si trova Parla! Gridò
mentalmente. Eragon
stava per rispondere, ma prima che Saphira intervenisse a difendere il
suo
cavaliere, Murtagh gli andò accanto e gli strinse un
braccio, prendendo lui la
parola.
-
L'ha
presa Isobel e con lei la regina si è impadronita anche di
qualcosa che vostra
nipote voleva consegnare a noi. Alcuni dei vostri
èldunarì. – Sigmar ringhiò
forte
Vespriana
non avrebbe dovuto portare via quei cuori dalla
montagna sacra. Nessun
al di fuori dei
draghi dovrebbe conoscere il segreto che portiamo dentro di noi
dall'inizio dei
tempi.
Disse
contrariato nel l’apprendere che i cavalieri conoscessero
il loro segreto.
Ne
va della salvezza
della nostra razza.
Gli
èldunarì!
Mormorarono
Saphira e Castigo. Il
nome nell’antica lingua suonò potente alle
orecchie di
tutti.
Io
e Saphira abbiamo iniziato a prendere coscienza
della loro esistenza già da molto tempo, anche se in tempi e
con maestri
diversi: Io da Shruikan; Saphira da Gleadr.
Iniziò Castigo parlando alla mente di tutti. Gli
èldunarì sono il più grande dei
segreti
custoditi dai drago. Talmente grande, che ai tempi dei primi cavalieri,
i
draghi presero tutti insieme la decisione che ne avrebbero rivelato
l'esistenza
ai loro compagni solo alla fine della loro vita terrena.
È
per questo che nessuna storia sui cavalieri
parla mai degli èldunarì.
La guerra
contro Galbatorix ci ha costretto ad apprendere in parte la
verità prima del
previsto. Intervenne Eragon e i
due draghi annuirono con la testa.
Saphira
prese allora la parola. Se
accidentalmente il cavaliere ne veniva a conoscenza prima del tempo,
gli veniva
chiesto di formulare un preciso giuramento: mantenere il segreto e non
rivelarne l'esistenza a nessuno.
Né
di utilizzare i loro immenso potere.
Basta
così!
Ruggì Sigmar, sia
Castigo che Saphira si voltarono sorpresi verso il drago argentato.
Brontolando
e affondando i suoi artigli nel terreno, Sigmar abbassò la
testa.
Ho
capito che i due cuccioli d'uomo già conoscono in parte la
verità. Disse
riducendo gli occhi a due fessure. Ma non è tutta
la storia. Voglio essere io
a rivelarvi i
segreti della nostra
razza. Come capo del consiglio dei draghi ed essendo io il
più anziano tra voi
ne ho l'obbligo e il dovere. Le sue narici fremettero
potenti mentre posava
i suoi occhi prima su Saphira poi su Castigo. I due giovani draghi
inclinarono
la testa rispettosi, invitando Eragon e Murtagh a fare altrettanto e
lasciando
la parola al drago argentato.
Èldunarì,
come gli hanno chiamati i vostri compagni, nella lingua magica,
significato
letterale “il cuore dei cuori”. È la
sede insieme al cervello della coscienza
di ogni drago. Il cuore dei cuori risiede nel nostro petto;
è un oggetto duro
come una pietra e composto da un materiale molto simile a quello delle
nostre
squame. Quando un drago nasce il suo cuore dei cuori è
bianco e opaco. Ogni
drago ha la possibilità di trasferire la sua intera
coscienza all'interno del
suo èldunarì. Quando ciò avviene,
questo acquisterà il colore delle sue squame
e inizierà a pulsare di luce e energia, scaturita dalla
presenza della
coscienza del drago.
Durante
la sua vita un drago può espellere il suo
èldunarì dal proprio corpo anche
durante la sua vita terrena. In questo modo le due parti, quella fisica
e
quella mentale, possono esistere separatamente e allo stesso tempo
rimanere
insieme. Tra i draghi selvatici non è consuetudine espellere
il proprio èldunarì
prima della propria morte. L'unica volta in cui questo avvenne fu
quando i
nostri compagni più valorosi partirono per la terra di
Alagaësia. Allora i
draghi più anziani, troppo grandi per poter sostenere un
così lungo viaggio,
decisero di consegnare loro i propri èldunarì,
così che la loro saggezza
potesse aiutarli dove il loro corpi non potevano arrivare.
Sigmar
impresse quelle ultime parole con un certo orgoglio nella voce. Per un
breve
attimo il grande drago si inoltrò all'interno dello
sconfinato spazio dei suoi
ricordi ed Eragon e Murtagh dovettero aggrapparsi alle menti dei loro
draghi
per non perdersi al suo interno.
Quando
Sigmar ritornò ai margini della sua coscienza, entrambi i
cavalieri trassero un
respiro di sollievo. Scusate.
Disse
sentendo il turbamento delle loro menti. Poi la voce del drago
argentato
riprese a parlare.
Stavo
dicendo, quando un drago selvatico viene a conoscenza del suo
èldunarì,
significa che ha raggiunto la piena maturità delle sue
facoltà mentali e può
essere considerato un adulto. Non c'è un'età
precisa per questo passaggio, in
parte dipende dall'indole del drago, in parte dalle circostanze della
scoperta.
Comunque
questo avvenga, dal momento in cui prendiamo coscienza piena della
nostra
esistenza, possiamo decidere se trasferire la nostra coscienza al suo
interno
oppure no. Se ciò non avviene, quando giungerà la
morte della carne, anche l’èldunarì
svanirà con il nostro corpo, e moriremo di vera morte. Ma se
la nostra
coscienza viene trasferita al suo interno, quel drago vivrà
al suo interno per
sempre, a meno che l'èldunarì non venga distrutto.
-
Prima hai
parlato di una montagna sacra. - lo interruppe improvvisamente Eragon.
Sigmar
sbuffò:
Stavo
appunto per arrivarci. La risposta è sempre negli
èldunarì.
Essi
stessi sono la montagna sacra. Un drago, il cui corpo non esiste
più, viene
preso dagli anziani e portato nel luogo consacrato ai nostri antenati,
ai
confini delle nostre terre, che si trova all'interno di una immensa
grotta per
metà che scende dentro il terreno. Qui, insieme a tutti gli
altri, gli èldunarì
possono continuare la loro esistenza vita nella pace e nella
meditazione.
Sigmar
si
fermò,
Ora
ho una
domanda io per voi.
Fece Sigmar rivolgendosi ad entrambi le coppie Che
cosa ne sono stati degli èldunarì,
quando i draghi giunsero in Alagaësia?
A
questa domanda dovremo rispondere noi.
intervenne
pronto Castigo. Sigmar annuì e lasciò al drago
rubino spazio per parlare.
Prima
del patto di sangue tenevamo i nostri cuori
nelle Du
Felles Nàngoröth, i monti
al
centro del deserto di Hardarac.
Tuttora si trovano lì,
protetti
da una magia che gli stessi draghi, all'interno degli
èldunarì, hanno evocato, ma con l'ordine dei cavalieri,
tutto cambiò. Non sappiamo di
preciso quando la decisione venne presa, né
da chi. Sappiamo solo che tutti i draghi con un cavaliere, nessuno
escluso,
rinunciarono deliberatamente a trasferire la propria coscienza
all'interno del
loro èldunarì,
preferendo
lasciare la loro coscienza morire insieme a quella dei loro cavalieri.
Questa
è una follia!
commentò Sigmar
con un ringhio. Come hanno potuto gli
anziani permettere una cosa del genere?
A
quel
punto Eragon e Murtagh sentirono la mente dei loro draghi reagire,
agitandosi
in un turbine di emozioni. Poi Saphira parlò per entrambi.
Non
siamo tanto ingenui
da non comprendere le potenzialità degli
èldunarì. Sappiamo che venivano spesso
interpellati per la loro enorme saggezza, ma rimanere confinati dentro
il
proprio èldunarì, non potersi muovere e riuscire
a percepire il mondo solo
attraverso la mente degli altri. Questo è una condizione che
ne io ne Castigo
potremmo sopportare a lungo. Nessun drago dovrebbe.
Sigmar
guardò i due draghi per alcuni istanti, il suo sguardo
severo passò da l'uno
all'altro. Sbuffò. Non
riuscite a
comprenderlo perché siete ancora molto giovani.
Rispose con voce posata. Ci
sono altri livelli, che entrambi ancora non avete sperimentato, e in
cui un drago
può vivere. Quando vivi tanto a lungo arriva un momento, per
qualsiasi essere
vivente, in cui il mondo che ti circonda e la carne stessa, perdono la
loro
importanza. Allora si iniziano ad apprezzare tante altre piccole cose. Alcuni degli anziani arrivano a non
muoversi più, tanto che il passaggio all'interno del proprio èldunarì
diventa una questione formale. Non
pretendo che voi mi prendiate
per vere le mie parole, so
che
è difficile da accettare, anche io ero riluttante a crederlo
quando ero giovane
come voi. Vi chiedo solo di non rigettare a priori questa
possibilità. Perché
nel vostro futuro sarà una
realtà che vi troverete ad affrontare,
che lo vogliate o no.
Castigo
e
Saphira si guardarono per un attimo negli occhi. Nonostante la loro
riluttanza,
entrambi sapevano le parole di Sigmar dicevano il vero. Non aggiunsero
altro
alla risposta di Sigmar, ma annuirono solo.
-
C'è
un'ultima cosa che io e mio fratello vorremmo chiederti, Sigmar. -
Cos'altro
volete sapere sui nostri cuori?
-
Non
riguarda loro. - disse Murtagh con viso meditabondo. - Vorremmo
sapere
che cosa è successo esattamente quando Vespriana ha preso
gli èldunarì dalla
montagna sacra -
-
E come
stanno Eleonor e il cucciolo di drago. - Aggiunse Eragon.
Sigmar
emise un altro sonoro sbuffo, questa volta del fumo nero
uscì dalle sue radici.
Sono
due le domande.
Puntualizzò, poi passarono alcuni secondi e
sembrò che il
drago non avesse intenzione di proseguire, quando la sua voce
tornò a vibrare:
E
va
bene, risponderò a entrambe. Dopotutto, avete il diritti di
sapere la verità. Siamo
venuti qui anche per questo. Disse, poi raccontò
loro i fatti come li aveva
esposti Eleonor, di come il piccolo drago, suo figlio fosse sparito
davanti
agli occhi della bambina e il suo essere si fosse trasferito nel suo
cuore dei
cuori. Di come una volta scoperta la fuga della nipote avesse preso la
decisione di portare fuori dai confini una ventina di loro per salvarla.
Non
c’era stata nessuna accusa nelle sue parole. Sigmar sembrava
aver accettato il coinvolgimento dei draghi.
Ciò
che
è accaduto non ha precedenti, ma dovevo prevederlo. Tra i
draghi selvatici la
nascita di un drago bianco è sempre stato segno di
cambiamenti. Stando ai
vostri racconti era bianco anche il drago che con il primo cavaliere
diedero
vita al vostro ordine
Neanche
noi abbiamo risposte a quello che è accaduto. Ma Isobel non
si accontenterà
certo degli èldunarì che ha preso a Vespriana.
Per assicurarsi la vittoria avrà
di certo un piano per impossessarsi di tutti gli
èldunarì. La vostra casa non è
più al sicuro.
Non
vi
preoccupate per questo la nostra casa è ben difesa da
qualsiasi attacco.
Eleonor e gli èldunarì sono al sicuro.
Entrambi,
credo, abbiate notato la
particolare aurea che avvolge le terre selvagge. Non
era stata una
vera e propria domanda, ma Murtagh e Eragon annuirono lo stesso. Nessuno
può
entrarvi senza essere visto. Concluse Sigmar.
***
Era
primo pomeriggio quando i cinque ritornarono al campo. In vista delle
tende,
Sigmar accelerò il battito delle ali e portandosi al di
sopra di Saphira e
Castigo, attraversò tutto il campo per raggiungere il suo
esercito di draghi
selvaggi che si erano appostati sul margine nord.
I
draghi di
Sigmar non erano la sola novità. Re Arold, che nel frattempo
gli aveva raggiunti
a Gratignàc, li attendeva nella tenda di comando. Saphira e
Castigo con i loro
cavalieri si diressero al centro del campo, dove un sortito gruppo di
soldati
si era già radunato per accoglierli.
Scesi
dal
dorso dei draghi Eragon e Murtagh vennero raggiunti da Roran affiancato
da
Katrina.
-
Katrina!
Sono davvero felice di rivederti – la salutò
Eragon dopo aver dato una calorosa
pacca sulla spalla a Roran, Eragon rimase a scrutare Katrina per alcuni
istanti
per poi stringerla a sé in un caloroso abbraccio.
-
Quando
siete arrivati? - Chiese dopo che Murtagh finì di salutarli
-
Con Re
Arold, poco dopo la vostra partenza. - Rispose Roran prendendo la mano
di
Katrina e attirandola a se con dolcezza. I due giovani si guardarono
negli
occhi per un attimo, poi Katrina si voltò nuovamente verso i
due fratelli.
-
Dalle vostre espressioni ne deduco che non c’è
stata una resa immediata da
parte di Isobel. –
Eragon
e Murtagh scossero la testa.
- L’incontro con la regina non è andato come aveva
previsto il re. La
situazione è molto delicata. –
disse Murtagh
con estrema cautela.
-
Immagino
abbia a che fare con l’arrivo di tutti quei draghi
– disse Roran guardando in
direzione della radura dove si erano radunati.
-
In
parte cugino. – dissero all’unisono i due fratelli.
- - Isobel ha
parlato di aver sollevato dal
comando tutti suoi generali. –
-
Come
pensa di poterci attaccare senza un comando solido? – chiese
accigliato Roran.
-
Non
ne ha bisogno. Vespriana la nipote di Sigmar è caduta nelle
sue mani e con lei
è venuta in possesso di una fonte di potere inimmaginabile
– la paura nella voce
del cavaliere fece gelare il sangue nelle vene di Roran.
-
Non
sarà facile spiegare tutto questo al re e al resto degli
alleati. – disse stringendo
a sé Katrina.
Prima
di entrare e dare inizio all’importante riunione Eragon si
accostò a Katrina.
Al
cavaliere erano tornate in mente le immagini del suo sogno e si
costrinse a
cacciarle via. – Kath, pensi che Arya stia bene? -
Katrina
lo guardò negli occhi e gli prese la mano.
-
Arya
e le bambine stanno bene, Ismira è rimasta con lei. Reafly e
Rebekha non le
lasciano mai sole e Antàra è molto distante da
centro degli scontri. - Lo
rassicurò la ragazza con un sorriso e stringendogli forte la
mano.
-
Ma il
giorno del parto si sta avvicinando. - Eragon prese un respiro profondo
serrando la mascella.
–
Lo
so, ed io non sono con lei. –
|
Ritorna all'indice
Capitolo 38 *** Rinascita ***
I
Ra'zac
correvano veloci nella foresta, schivando con facilità i
tronchi e le radici
dei grandi alberi che popolavano la Stonewood. L'oscurità
delle sue fronde gli
fornivano la forza e la vitalità di cui avevano bisogno,
mentre sopra di loro i
Lethrblaka li seguivano in volo.
Al
loro
passaggio i piccoli animali fuggivano lontano o andavano a rifugiare
nelle loro
tane, mentre i grandi predatori, annusando nell'aria la loro presenza,
li
osservavano da lontano, aspettando che si allontanassero per rimarcare
la loro
supremazia sul territorio.
Era
l'alba
quando giunsero ai limiti della Stonewood, dall'altra parte si
estendeva il
vasto territorio delle terre selvagge, dominio incontrastato dei draghi.
Emersi
dalla foresta attesero che le loro cavalcature li raggiungessero per
poter
proseguire più velocemente, la regina non avrebbe accettato
un ritardo da parte
loro; dall'alto le due bestie dischiusero le ali e i becchi ricurvi si
aprirono
lanciando un lungo grido. Facendo scendere il cappuccio dei mantelli
sulla
testa i Ra'zac saltarono sui loro dorsi
«Sssssi,
ssssiamo vicini...» risposero eccitati i Ra'zac.
***
Eleonor
era seduta sopra una roccia aveva le gambe incrociate e il cuore dei
cuori del
suo drago adagiato sulle sue ginocchia.
Si
sentiva
terribilmente sola. Nonostante potesse sentire la sua presenza
attraverso le
pulsazione che la pietra emanava, c'era come una barriera tra lei e la
mente
del drago, che la piccola non era in grado di scalfire.
Perché
non ti sei nascosto! Ti prego fatti vedere! Gridò
nella sua
mente, poi Eleonor sospirò. Da quando Vespriana era partita,
la piccola non
aveva voluto toglierli gli occhi di dosso un solo istante; non voleva
che il
suo cucciolo non la trovasse accanto quando si fosse risvegliato.
All'imbrunire
del giorno, due dragonesse, dalle squame grigie e violetto, planarono
dal cielo
di fronte a lei. Salve piccola. Oggi come ti senti?
le chiese la prima.
Ti
abbiamo
portato del cibo. Aggiunsero facendo scivolare con il muso delle more
appena
raccolte verso la piccola - Non ho fame. - Farfugliò
strofinandosi il naso.
Le
due
dragonesse si scambiarono delle occhiate, poi quella dalle squame
grigie spinse
il fagotto che avevano tra le fauci ai piedi della bambina.
Come
vuoi, noi lasciamo tutto qui, nel caso cambiassi idea. Staremo nei
paraggi
durante tutta la notte se avrai bisogno di noi.
Eleonor
si
mosse appena stringendo le gambe al petto e guardando il cibo senza
alcun
interesse.
Nel
cielo,
ora di un blu scuro, la luna era già visibile nel suo
pallore, mentre il sole
ancora si attardava pigro a scendere dietro l'orizzonte. Le due
scossero le
loro teste e stavano per andarsene, quando improvvisamente avvertirono
delle
presenze avvicinarsi verso di loro con rapidità sorprendente.
Senza
alcun
preavviso due grandi uccelli neri piombarono loro addosso ,
travolgendole in
pieno con la forza di un ariete. Rotolarono a terreno per diverse iarde
e
andando a sbattere contro un gruppo di rocce.
Eleonor
gridò terrorizzata, strinse a se
l'Èldunarì portandoselo al petto, e
guardò le
due dragonesse rialzarsi a fatica per affrontare i loro aggressori.
Un
fruscio
di vesti al suo lato attirò la sua attenzione. Si
voltò e con orrore due ombre
nere avanzare minacciose verso di lei. I draghi non potevano venire in
suo
aiuto. Se voleva salvarsi doveva cavarsela da sola e fuggire e alla
svelta ma,
proprio mentre pensava questo, Eleonor si rese conto che le sue gambe
non
avevano intenzione di muoversi, una forza oscura la teneva ancorata al
terreno,
una forza che proveniva da quelle creature: era in loro potere!
Ma
quando
oramai credette di non potercela fare, ecco che con suo sommo stupore,
avvenne
qualcosa, l'èldunarì tra le sue mano diede alcune
pulsazioni più veloci delle
altre; furono una serie di bagliori quasi impercettibile, ma che la
liberarono
da quello strano incantamento, permettendole nuovamente di muoversi.
Oramai uno
dei due Ra'zac l'aveva raggiunta. - Ci rivediamo
mocciosssetta. - le
sibilò con un certo tono di soddisfazione nella voce.
Eleonor non ebbe il tempo
di pensare, chiuse gli occhi e diede un calcio contro la creatura
quindi si
voltò e iniziò a correre il più veloce
che poteva.
Presi
alla
sprovvista, i mostri sibilarono di rabbia, ma, ritrovata la
lucidità, si
divisero e la braccarono ognuno da un lato.
La
notte
era scesa silenziosa avvolgendo tutto nel suo scuro manto. In un attimo
i Ra'zac
le furono nuovamente sopra; la stavano afferrando per le spalle, quando
qualcosa di potente li colpì entrambi e li fece rotolare
lontano.
Il
cuore di
Eleonor batteva all'impazzata, ma trovò lo stesso il
coraggio di alzare lo sguardo.
Tre draghi, uno rosso, uno verde e uno arancio erano arrivati in suo
soccorso.
I
loro
ruggiti riempirono l'aria.
I
Ra'zac
si alzarono quasi subito, il colpo ricevuto gli aveva appena storditi.
Ancora
accucciata a terra Eleonor sussultò quando li vide rialzarsi.
Il
drago
rosso e quello verde scattarono in avanti e placcarono i due mostri
permettendo
alla loro compagna arancione di prendere Eleonor e di portala in salvo.
Non
ti preoccupare ci siamo noi a proteggerti. Gli
disse la dragonessa,
librandosi in cielo e allontanandosi in fretta dalla battaglia che
stava per
avere inizio. Eleonor si aggrappò con forza a uno degli
artigli che la
reggevano e chiuse gli occhi, troppo spaventata anche per piangere.
La
dragonessa atterrò poco dopo, proprio di fronte alla
montagna sacra. Tenendo
alzata la zampa con cui teneva Eleonor, la dragonessa si
piegò leggermente da
un lato e toccando terra con la zampa libera frenò la sua
discesa, fendendo il
terreno e strusciando a terra per alcune iarde. Una volta arrestata la
corsa la
dragonessa apri con delicatezza i suoi artigli, permettendo a Eleonor
di scendere.
Tutto
bene? Ti fa male qualcosa?
-
No
cre...credo di no. Sto bene. - disse con voce rotta, mentre le lacrime
iniziarono a sgorgare dagli occhi. La dragonessa ruggì
lentamente e non sapendo
cosa fare, avvicinò il suo muso alla piccola e con la punta
della lingua le
lecco via due grandi lacrime. Andrà tutto bene.
Eleonor
annuì e si passò una mano sul viso, la dragonessa
si allontanò di nuovo e alzò
il collo al cielo: nel silenzio della notte i rumori della battaglia
raggiunsero presto le loro orecchie. Si potevano sentire le grida
stridule dei Ra'zac
mischiarsi ai ruggiti dei quattro draghi.
Continuarono
così per quelli che a Eleonor sembrarono ore, poi un strillo
acuto le fece
sussultare.
Nel
luogo
della battaglia la dragonessa dalle scaglie violetto era riuscita ad
azzannare
uno dei due Lethrblaka afferrandolo alla gola,
là dove era più
vulnerabile, e aveva iniziato a scuoterlo, sbattendolo a terra, fino a
quando
non aveva smesso di muoversi. In quel momento il tempo si
fermò per un istante.
L'altro Lethrblaka di voltò a guardare
il compagno morto e lanciò un
grido di dolore misto a rabbia. Sembrò impazzire,
iniziò a colpire il suo
avversario alla rinfusa, portando una serie di affondi con il suo becco
ricurvo.
Sopraffatto
dalla furia di quell'attacco, la dragonessa grigia, che lo stava
affrontando
venne ferita gravemente alla coscia e al ventre. La dragonessa violetto
andò di
corsa in suo aiuto e, sotto l'attacco congiunto dei due draghi, anche
il
secondo Lethrblaka cadde a terra. Ritrovandosi
soli, i Ra'zac
cercarono la fuga nella vegetazione che circondava la zona intorno alla
montagna sacra, ma rallenti dalle ferite della battaglia, vennero
presto
raggiunti da tutti e quattro i draghi che non aspettarono ad attaccarli
dall'alto.
Pur
sapendo
di non poter rivaleggiare con quattro draghi insieme, i Ra'zac
decisero
lo stesso di combattere fino alla fine, spinti dall'odio e dalla
rabbia; la
risposta dei draghi fu spietata. Il primo venne azzannato stramazzando
a terra
con un grido; il secondo, cadde poco dopo, sotto un colpo di coda che
gli
spezzò la schiena.
Vittoriosi
i quattro draghi si avvicinarono ai corpi dei due mostri, come le loro
cavalcature, i loro corpi sapevano di rancido. Cosa ne
facciamo? chiese
la dragonessa violetto, annusandoli disgustata.
Li
bruceremo con le nostre fiamme rispose
poco dopo la dragonessa grigia zoppicando
visibilmente dalla zampa ferita.
Radunarono
tutti i corpi e aprendo le loro fauci, sputarono fuori il loro fuoco.
Un'alta
pira si levò, iniziando a consumare i corpi privi di vita
dei Lethrblaka
e dei Ra'zac e. Mentre i quattro draghi osservavano
le fiamme che loro
stessi avevano generato, ecco che improvvisamente un altro bagliore si
levò in
prossimità della montagna sacra.
Eleonor.
Dissero all’unisono
mostrando i denti. Qualcosa stava accadendo, sentirono attraverso il
loro
legame. Senza ulteriori indugi, i quattro draghi si alzarono in volo e
si
diressero verso la fonte luminosa, che continuava a rifulgere di un
bagliore
bianco.
Raggiunti
il luogo, videro il drago arancione, accucciato a terra, di fronte
all'entrata
della grotta. Lo
affiancarono.
Davanti
a loro la piccola Eleonor era in piedi, come ipnotizzata e
l’èldunarì stretto
tra le mani, risplendeva come non mai. Era stato a lui a risplendere in
quella
maniera?
Accorta
del
loro arrivo Eleonor si girò verso si loro.
Eleonor!
ritorna indietro è pericoloso! Le
urlarono tutti insieme parlando alla sua mente.
Ma un'altra voce si insinuò, superando tutte le altre.
Eleonor!
la bambina
abbassò stupita il volto, per la prima volta da quando la
sua essenza si era
trasferita all'interno del suo cuore dei cuori, il draghetto le aveva
parlato. Eleonor
devi andare fino in fondo è il nostro destino gli
ordinò con decisione, ma
senza essere brusco. Nonostante gli dispiacesse disubbidire ai draghi
che
l'avevano aiutata, Eleonor non poteva fare altro che seguire la voce
del suo
drago. Si lo farò. Gli rispose con
coraggio. E così senza più badare
alle voci che continuavano a chiamarla, Eleonor si concentrò
sul cuore che
aveva tra le mani e iniziò ad avanzare all'interno della
grotta dove al suo
interno il monte iniziò a rifulgere di tante luci colorate.
Non
devi essere spaventata per quello che starà per
succedere. Io conoscevo questa verità prima ancora di
nascere...anche se non
sapevo quando saremmo stati chiamati. Gli eventi sono precipitati e il
tempo a
nostra disposizione è poco. Dovrai apprendere ciò
che ti serve in brevissimo
tempo,
quindi
adesso ascoltami bene Eleonor. Non sarà facile per te
accettarlo, ma devi
provarci. Da te dipendono molte cose.
In
quel momento la mente di Eleonor era completamente aperta e il suo
cuore saldo.
Il drago continuò. Raccontò a Eleonor del patto
di Sangue che suggellò l'unione
tra il popolo degli Elfi e i Draghi, e del perché i draghi
avessero deciso di
preservato l'integrità del loro segreto sui loro cuori.
Il
potere dei cuori è immenso e i draghi, in forma di
èldunarì
sono troppo vulnerabili per difendersi da soli.
Le
menti
assopite dei draghi all'interno della grotta, ruggirono di rabbia per
la sorte
dei loro compagni in mano alla regina. Attraverso
l'Èldunarì del suo drago,
Eleonor poteva sentire il loro dolore fin dentro le ossa.
Suggellata
la loro alleanza con gli elfi, attraverso l'evocazione del patto di
sangue, i
draghi decisero di eseguire un contro incantesimo, per cui, alla
nascita di un
drago bianco, questi avesse il potere di riportare l'ordine e
l'armonia. Solo
il primo Eragon venne messo al corrente della loro decisione,
coinvolgendolo
nell'incantesimo. Per questo motivo il drago avrebbe avuto bisogno di
un
compagno al suo fianco.
Perché
hai scelto proprio me? Non sono che un'orfana.
Eleonor,
per me tu non sarai mai una semplice orfana e questo vale per qualsiasi
drago
quando sceglie il suo compagno. Non ho una risposta sicura alla tua
domanda. Quando
decidiamo di nascere noi draghi seguiamo ciò che ci dicono i
nostri cuori, ma
quello che ha fatto si che noi due diventassimo compagni, è
lo stesso motivo
per cui anche il primo dei Cavalieri fu scelto da un drago dalle squame
bianche, come lo sono le mie: riportare equilibrio tra gli esseri
viventi,
attraverso la nostra rinascita.
Improvvisamente
la coscienza di Eleonor venne travolta nel flusso delle coscienze di
tutti i
draghi. In balia della corrente la piccola perse coscienza.
I
cinque
draghi la videro cadere a terra, sulle ginocchia, si
aggrappò con tutta le
forze al cuore dei cuori che aveva in mano, stringendolo tra le mani.
Stava per
essere travolta, quando il drago bianco riuscì a riportarla
a galla, facendola
risalire attraverso i ricordi che avevano condiviso insieme.
Rinascita?
chiese la
piccola, una volta rientrata entro i confini sicuri della sua mente.
Aprì gli
occhi e il piccolo drago bianco gli era di fronte a lei. Poterlo
nuovamente
vederlo le riempì il cuore di gioia anche se sapeva che
oramai non era più in
carne ed ossa. Sì piccola mia le disse,
per poi illuminarsi di una luce
più intensa così da poter mostrare a Eleonor
ciò che avrebbero fatto insieme.
Devi
lasciare la tua mente libera.
Aggiunse mentre le
saltellò accanto e strofinò il muso contro la
mano della bambina. Eleonor ebbe
la sensazione di poterlo toccare di nuovo, mosse la sua mano e lo
accarezzò
piano, come aveva fatte tante volte. Ma appena si toccarono la sua
immagine si
dissolse ed Eleonor lo sentì superare i limiti della sua
mente.
Ripercorsero
insieme i ricordi più recenti, poi il drago
iniziò a penetrare sempre più in
profondità.
Eleonor
sentì la sua anima staccarsi e uscire fuori dal suo corpo e
provò paura. Paura
di non avere più il controllo su se stessa. Si
aggrappò ai ricordi con tutte le
forze, ma un improvviso dolore attraversò il cervello, come
se mille aghi lo
stessero trafiggendo, era terribilmente spaventata.
La
mente
del suo drago corse a tranquillizzarla. Devi lasciarti andare
Eleonor, non
combattermi. Non ti succederà nulla di male.
La
parte di lei che continuava a rimanere ancorata a quella
realtà resisteva, ama
il drago bianco non demorse. Io starò sempre con
te piccola mia. Non
perderai te stessa, te lo prometto. Questo
è il nostro destino.
Una
luce
calda avvolse Eleonor e la piccola vide la valle che le aveva dato
rifugio,
risplendere improvvisamente di vita. Un tiepido sole riscaldava l'aria
ed
Eleonor seppe che non ci sarebbe stata più fame o sete,
né guerre o sofferenza
a rompere quell'armonia. Ma l'avrebbe raggiunto solo abbracciando
completamente
quella nuova vita.
L'ultima
parte di sé ancora legata al suo corpo cedette ed Eleonor
ritornò a provare la
strana sensazione di fluttuare in un luogo senza tempo e spazio, ma
questa
volta non era più spaventava.
Ora
hai compreso. Le
disse il drago con voce calma e la piccola si sentì
risucchiata all'interno del cuore dei cuori e il potere dei draghi
entrò dentro
di lei. Come era accaduto al suo drago, anche il suo corpo
iniziò a perdere
forma per diventare anche lui di pura luce.
L'intera
grotta si illuminò, ma Eleonor non poteva più
vederla perché lei stessa era
diventata parte di quella luce.
Quello
che
doveva fare era chiaro nella sua mente. Proteggere quella valle e
ciò che
conteneva. La magia dei draghi fece tutto il resto.
Le
sue
intenzioni si trasformarono in parole e le parole iniziarono a prendere
forma;
plasmandosi sopra la realtà secondo una volontà
precisa, che non era più solo
la sua, ma che era diventata quella di tutti i draghi.
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 39 *** Isobel è sola ***
Con
il
volto nascosto sotto il cappuccio del suo mantello Filota
passò in mezzo ai
soldati della resistenza senza prestare troppa attenzione alle occhiate
di
sospetto che gli venivano rivolte. Alle luci delle fiaccole ancora
accese le
insegne di Zàkhara scintillavano sul pettorale del giovane
uomo il cui
portamento non tradiva nessuna emozione nonostante fosse cresciuto con
l’dea
che il popolo degli elfi fosse il loro acerrimo nemico.
L'unico
segno del suo stato d'animo erano state le sue mani che stringevano in
maniera
spasmodica il lembo del fazzoletto bianco che aveva sventolato prima di
inoltrarsi nel campo nemico.
Per
il
giovane uomo non era stata una decisione facile quella di tradire la
corona
vendendo la loro regina al nemico; era stato qualcosa che andava contro
tutti i
suoi principi.
Ma
non
era stata proprio la regina la prima ad averli traditi, deponendoli dal
comando
delle sue truppe in favore dei Ra'zac? Per Filota
quello di Isobel non
era stato solo un atto di sfiducia nei confronti dei suoi uomini
più fidati, ma
un tradimento nei confronti di tutto quello in cui aveva creduto fino a
quel
momento.
Da
generazioni la sua famiglia era legata alla corona da un vincolo di
fedeltà e
fin dalla tenera età il padre lo aveva cresciuto
preparandolo a ricoprire
questo ruolo. Per Filota non c'era stato altro scopo nella sua vita che
servire
la corona. Ma con il suo gesto sconsiderato Isobel aveva distrutto
tutto questo
costringendo Filota e gli altri a prendere la difficile decisione del
tradimento.
Giunti
alla
tenda del re Arold venne introdotto al suo interno dal soldato: in
prima fila
accanto al re l'uomo individuò subito Murtagh e accanto a
lui una giovane donna
che il comandante delle truppe di Zàkhara non aveva mai
visto, ma che intuì
essere il terzo cavaliere venuto da Alagaësia, Katrina; Filota
riconobbe anche
i capi della lega che si erano alleati con gli elfi oscuri, alcuni di
loro li
aveva conosciuti ai tempi della sua leva, quando frequentava il campo
di
addestramento per generali ad Adamante. Il sopraggiungere della guerra
e i suoi
doveri verso Isobel, ogni giorno sempre più esigente verso i
suoi vassalli, lo
avevano costretto a trasferirsi nella capitale, e Filota non aveva
avuto più
modo di rivedere i suoi vecchi compagni. Loro non sembrava avessero
serbato a
lungo il suo ricordo perché non ci fu alcun segni di
riconoscimento da parte
loro. Poco male, pensò
fra se Filota
che aveva da tempo cancellato la parola amicizia dal suo vocabolario.
-
Quest'uomo
- lo presentò direttamente il soldato che lo aveva scortato
fino alla tenda, -
chiede il permesso di parlarvi. Dice di avere delle novità
importanti da
comunicare a voi, mio Sire, e ai cavalieri. –
Arold
non disse nulla mentre tutti i presenti si voltarono a guardare nella
sua
direzione in attesa di una sua risposta. Filota non aspettò
oltre e ne
approfittò per prendere lui la parola
-
Il mio
nome è Filota conte di Adamante e generale del terzo
battaglione di Zàkhara. -
l'uomo
chinò la testa e guardò i presenti uno ad uno,
con aria grave, fino a fermarsi
su Eragon. Il giovane cavaliere, che fino a quel momento era rimasto
nascosto
dietro alla figura di Murtagh, trattenne il respiro per un attimo
mentre Filota
continuava a fissarlo. - Ho un accordo da proporvi. -
continuò a parlare l'uomo
- che metterà fine una volta per tutte a questa guerra. -
Senza
quasi
sentire il brusio generale che aveva riempito la tenda, Eragon si fece
avanti.
-
Io ti ho
già visto. Eri nel palazzo di Isobel. Ogni settimana venivi
a supervisionare
l'addestramento dei soldati. - I ricordi della sua permanenza nel
palazzo della
regina riaffiorarono alla sua mente. Eragon aveva visto molte volte
l'uomo
camminare a braccetto con la regina o in compagnia di altri generali
nei
giardini che costeggiavano la caserma dove era la sua prigione. Filota
gli
sorrise appena.
-
E io
ho visto te cavaliere. Ero spesso seduto ad osservarti mentre
combattevi con i
nostri uomini. Davvero impressionante la superiorità della
tua tecnica. Ho
sempre detto alla regina che un uomo come te sarebbe stato molto
più utile
fuori che dentro una prigione. E dopo aver visto te e tuo fratello
combattere
il campo aperto ne sono ancora più convinto. –
Il
sangue nelle vene di Eragon bollì di rabbia e la mano
strinse con forza l’elsa
della spada assicurata al suo fianco. L'uomo non si scompose ma
mantenendo
un'espressione neutra continuò questa volta rivolgendosi a
tutti. - Non voglio
nascondere di aver servito la regina con fedeltà. Io come
molti atri generali
avremmo dato la vita per lei, ma ora ci siamo resi conto che Isobel si
è volta
folle: ieri ha dato ai Ra'zac, a quei mostri
sanguinari, il comando
delle truppe tradendo così la fiducia che da tempi
immemorabili unisce la casa
reale a quella delle famiglie nobili di Zàkhara.
Togliendoci
dal nostro incarico, il vincolo che ci legava a Isobel si è
spezzato. -
-
Quale
sarebbe la vostra proposta generale Filota? - intervenne per la prima
volta Arold
rivolgendo al comandante uno sguardo impaziente.
-
Assassinare
la regina prima che il suo potere aumenti. Ma perché il
nostro piano possa
funzionare abbiamo bisogno del vostro sostegno e dell'aiuto dei
cavalieri. –
-
Che
cosa chiedete? - chiese Eragon facendosi portavoce di tutti
-
E molto
semplice, quando la regina e il suo corteo si presenterà di
fronte a voi per
chiedervi la resa, voi dovrete ascoltare quello che avrà da
dirvi senza opporre
obbiezioni e quando crederà di avere la vittoria in pugno,
un comando guidato
dai noi generali irromperà per assassinarla.
Qui
entrate
in gioco voi Cavalieri, quando la regina capirà cosa noi
staremo per fare.
State certi che Isobel lo capirà. Per lei sarò
troppo tardi per potersi salvare.
-
-
Cosa vi
fa credere che riuscirete ad avvicinarvi alla regina così
vicini da poterla
uccidere? - Chiese Murtagh con aria scettica.
-
Perché
lei si fida ancora di noi e perché nella sua arroganza
è convinta che nessuno
dei suoi servi abbia il coraggio di opporsi alla sua
volontà, tanto meno farle
del male. -
-
La regina
sarà arrogante, ma il suo potere è reale ed
è davvero diventa potente, da soli
neanche le nostre forze basteranno a fermarla. L'unica
possibilità che abbiamo
per poter contrastare il suo potere è avere l'appoggio dei
draghi selvaggi. -
intervenne Eragon
-
Pensate
che Sigmar accetterà di aiutarci? - chiese Katrina
-
Gli
parleremo io e Murtagh. - Disse
Eragon
prima di prendere un respiro profondo - ma non abbiamo tenuto conto di
una
cosa. – tutti si voltarono a guardarlo. - La regina ha con
sé in ostaggio sua
nipote. È da poco diventata adulta, la regina l'ha catturata
al confine tra i
due accampamenti. Isobel potrebbe fargli del male prima che voi
possiate
riuscire anche solo a toccarla e Sigmar non muoverà una sola
scaglia se questo
potesse anche solo minacciare la sua vita. -
Filota
scosse la testa accigliato - Nessuno di noi ha mai visto il cucciolo
nel nostro
accampamento. Siete certi di questo? -
-
Sì, più
che certi. Non c'è nessun luogo nel capo in cui la regina
potrebbe aver portato
il cucciolo nascondendolo alla vista di tutti? -
-
Un luogo
ci sarebbe. - disse
Filota dopo un
attimo - è la sua tenda personale, non è permesso
di entrare a nessuno ad
eccezione di lei stessa e dei Ra'zac. -
-
Saresti
in grado di farmi arrivare li senza essere visti? -
-
Cosa hai
in mente di fare Eragon? - gli chiese Murtagh
-
Ho
intenzione di liberare Vespriana approfittando dell'assenza della
regina
durante l'incontro. -
Filota
non
era certo di quello che il cavaliere era intenzionato a fare, la sua
missione
era quella di assicurarsi il loro appoggio durante la congiura per
uccidere il
tiranno che gli aveva tradito, Isobel - Noi possiamo fare in modo di
farti
arrivare alla tenda, ma se la regina non ti vedrà durante
l'incontro potrebbe
sospettare qualcosa, e tutto il piano rischierebbe di andare in fumo. -
Eragon
guardò Filota dritto negli occhi e alzando un sopracciglio
disse: - Non
accadrà se
faremo in modo che io rimanga sopra Saphira nel corso dell'incontro.
Uno dei nostri
maghi può tessere un incantesimo e creare un fantoccio che
prenda il mio posto
nel tempo in cui sono via. In alto nessuno si accorgerà
dell'inganno.
Io
cercherò
di ritornerò prima del suo inizio. -
**
Il
sole
era sorto oramai da alcuni minuti quando Eragon aprì con
cautela i lembi della
tenda rossa della regina. Come gli aveva promesso Filota era stato
portato fino
alla tenda personale di Isobel senza che nessuno li fermasse. Il
cavaliere
entrò dentro il vasto spazio che il giovane
immaginò essere l'ambiente
principale dalla tenda. Altri teli a destra e a sinistra separava
quello spazio
dagli altri ambienti. Con cautela Eragon allargò la propria
mente lanciando i
suoi tentacoli per sondare il terreno intorno a lui; come aveva
sospettato la
regina aveva eretto delle barriere magiche che proteggevano quegli
ingressi. Vespriana
doveva essere dietro a una di loro.
Eragon
saggiò la resistenza prima della barriera di destra. Non era
eccessivamente
potente, Eragon riuscì a allentare le sue maglie e a
sbirciare all'interno, ma
non c'era segno di vita, Vespriana non era dietro di essa. Con
trepidazione
Eragon passò al secondo ambiente, questa volta le barrire
opposero una maggiore
resistenza. Gli ci vollero alcuni minuti per riuscire a formulare le
parole
giuste per sciogliere i sigilli senza far scattare gli allarmi che
sicuramente
erano stati posti dalla regina. Quando infine riuscì a
schiuderli aprì con
cautela i lembi della tenda.
Al
suo
interno Eragon vi trovò Vespriana. La piccola era incatenata
al suolo
dimenandosi nel tentativo di togliersi il laccio di cuoio assicurato
intorno al
suo muso.
Eragon
si
affrettò a liberarla e controllando che non fosse ferita.
Eragon,
grazie. Mi dispiace, pensavo di aiutarvi e invece ho solo dato maggior
potere a
Isobel.
Eragon
le accarezzò il collo.
Non
preoccuparti, grazie a un iaiuto inaspettato abbiamo escogitato un
piano. Ora, però, dobbiamo portarti fuori di qui. Da questo momento in
poi dobbiamo fare
attenzione a non fare alcun rumore. Sei in grado di camminare?.
Sì,
Credo
di sì.
Bene.
Stai sempre vicino a me e muoviti molto lentamente.
Eragon
attese che la dragonessa gli desse una cenno che aveva compreso le sue
parole
quindi toccò il telo della tenda per tre volte ed attese.
Dalla parte opposta
qualcuno aprì la tenda e lo stesso soldato che aveva aiutato
Eragon a entrare
fece loro segno di seguirli in silenzio.
-
Da questa
parte. - Il soldato iniziò a girare per il campo in
apparenza senza una
direzione precisa. Ma Eragon sapeva che un senso però c'era,
seguendo le
direttive che lui stesso gli aveva impartito, il soldato li
guidò attraverso il
capo portandoli sempre dove c'era il minor numero di soldati. Era stato
necessario affinché l'incantesimo che Eragon aveva tessuto
intorno a lui e a
Vespriana non subisse delle falle e qualche soldato riuscisse a
scorgergli
mentre sgattaiolavano fuori dal loro campo.
Eragon
continuava a guardarsi intorno per poter indirizzare la formula la dove
c'era
maggior bisogno, la sua fronte gli si era imperlata di sudore per lo
sforzo di
sostenere l'incantesimo per così lungo tempo.
Fuori
dal
confine dell'accampamento trovarono Keiron e Guiltar ad attendergli.
Nel vedere
i due draghi, Eragon poté trarre un sospiro si sollievo e
lasciare
l'incantesimo. Vespriana corse incontro ai suoi genitori e
iniziò a strusciare
il suo muso contro il fianco della madre e quindi padre.
Eragon
rimase in disparte a osservare la scena.
-
Non ho
mai visto una cosa del genere prima d'ora. - affermò il
soldato stupefatto.
-
E' stato
solo un piccolo trucco. - rispose Eragon scrollando le spalle con
indifferenza,
ma il soldato continuò a guardarlo ancora con stupore
-
Qualunque
cosa fosse ci ha permesso di passare inosservati per il campo...
è stato semplicemente
sorprendete. -
-
Immagino lo sia per la maggiorparte delle persone, ma rimane il fatto che senza
la tua guida non sarei mai riuscito a trova la strada e
contemporaneamente
mantenere l'incantesimo in funzione. -
-
È stato
un onore cavaliere. - Eragon abbozzò a un sorriso e si
girò verso i draghi. La
piccola Vespriana era evidentemente stanca e affamata.
In
quel
momento il suono di una tromba risuonò nell'aria facendo
rizzare i peli del
collo ad Eragon. - Cosa è stato? - chiese Eragon
rivolgendosi al soldato.
Amche l''uomo rivolse il suo sguardo nella direzione in cui era venuto il
suono e
aggrottò la fronte contrariato. - Questo è il
segnale che l'esercito di Zàkhara
usa per segnalare la ritirata di una ambasciata. -
-
L'incontro
non può essere già concluso! - Eragon
scattò in avanti allarmato. – È molto
strano. - Gli fece eco il soldato, anche lui non riusciva a darsi una
risposta
a quello che poteva essere successo.
-
Devo
subito raggiungere gli altri - disse Eragon mentre Guiltar Keiron e
Vespriana si
avvicinarono al cavaliere e al soldato.
Monta
sul
mio dorso Eragon, viaggerai più veloce. Keiron ci
seguirò con Vespriana.
Con
Eragon
e Vespriana sui loro dorsi Guiltar e Keiron volarono fino ai pressi del
luogo
preposto per l'incontro. I due draghi scesero al suolo per evitare di
essere
avvistati da coloro che si trovavano a valle. Sceso a terra Eragon
iniziò a
camminare a passo veloce. Le sue gambe presero a muoversi veloci ed era
come se
non toccassero il suolo. Arrivato a poca distanza da dove si trovavano
i suoi
amici il fiato gli si mozzò in gola. Di fronte ai suoi occhi
vide una parte del
suo sogno avverarsi. Un campo di battaglia, due eserciti schierati
l'uno di
fronte all'altra, come in attesa, poi tutto si fermò e nel
mezzo del capo
Isobel si alzò nel cielo splendendo di una luce intensa.
Quella
la
luce non proveniva dalla donna, ma era emanata da qualcosa che la
regina teneva
in mano.
Eragon
corse a perdifiato fino per raggiungere i suoi compagni che erano
schierati in
semicerchio a circondare la regina, suoi loro volti era dipinto lo
sconcerto e
la rabbia per qualcosa che Eragon non conosceva.
Sopra
di
loro Isobel rideva. Ora che era più vicino a loro vide come
gli uomini che
avrebbero dovuto ucciderla si trovavano tutti a terra, ognuno di loro
riportando ferite più o meno gravi. Nel mezzo Eragon
riconobbe Filota, il
capitano della contea di Adamante. Il viso dell'uomo era imbrattato di
sangue
che colava da un brutto taglio gli attraversava la fronte, anche lui
era stato
scaraventato al suolo insieme a tutti gli altri, ma incurante delle
ferite
stava tentando si tirarsi in piedi puntando i gomiti a terra.
Il
resto
dei presenti sembrava come paralizzato. Girando lo sguardo
più in la Eragon
vide Murtagh affianco a Castigo che digrignava i denti. Anche il volto
di
Katrina davanti a Validor esprimeva lo stesso stato d'animo del
fratello.
Tutto
intorno a loro Sigmar e gli altro draghi selvatici ringhiavano
minacciosi, e
avevano formato un semicerchio più largo tutto intorno ai
ribelli, ma la
sovrana di Zàkhara sembrava in qualche modo riuscire a
tenere anche loro a
distanza.
Deciso
a
intervenire Eragon estrasse la sua spada e rompendo le barriere della
magia si
preparò a combattere con entrambe le armi. Fu allora che la
regina si accorse
della sua presenza e si girò verso di lui. I suoi occhi
cobalto brillarono di
una strana gioia che fecero tremare le membra del cavaliere.
-
Finalmente
Eragon. Temevo che non saresti più arrivato. - disse senza
mai distogliere il
suo sguardo da quello del giovane.
Una
voce
forte provenne dalle file dei ribelli - Sei rimasta sola Isobel. Non
hai più un
esercito fedele che servi la tua causa. Tutti oramai sanno che razza di
persona
sei! - Stava gridando Murtagh. Il cavaliere rosso aveva fatto un passo
in
avanti minaccioso avanzando verso la regina dal punto in cui si
trovava. Isobel
riuscì a fermarlo con un solo gesto del polso.
Colto
di
sorpresa Murtagh si bloccò sul posto, incapace di fare un
passo oltre mentre
dalle sue labbra scappò un gemito di protesta.
Eragon
si
rivolse infuriato alla regina:
-
Lascialo
stare! - con volto soddisfatta Isobel lasciò la sua presa su
Murtagh e ritornò
a puntare la sua attenzione su Eragon. Un sorriso maligno le
piegò i lati della
bocca già deformate dalla rabbia.
-
Vi
consiglio di abbandonare al più presto questo tono
minaccioso o ne pagherete
presto le conseguenze. -
-
Che cosa
vuoi Isobel? -
-
Prendermi
la mia rivincita, naturalmente. Ho deciso che inizierò
proprio da te Eragon e
stai certo che la prossima volta che ci vedremo striscerai ai miei
piedi
chiedendomi di accordarti una grazia. - all'udire quelle parole un
brivido
corse lungo la spina dorsale di Eragon. Il giovane cavaliere
serrò la mascella
-
Non mi
chinerò mai di fronte a te Isobel. Mai! -
-
No? Non
ti importa di quello che potrebbe succedere alla tua preziosa Arya.
Cosa
direbbe lei o le tue figlie sapendo che le hai abbandonate? - Eragon
sorrise
mostrando una certa sicurezza.
-
Loro sono
al sicuro ad Antàra, non puoi fargli del male da qui! -
-
Ah!
Questo non è del tutto esatto Cavaliere. Nella foga di
sconfiggermi avete
commesso un errore. Con il potere degli èldunarì
ho l'energia necessaria a
trasportarmi fino a Antàra, dove re Arold non ha lasciato
che pochi maghi a
difenderla. Sono tutti qui. - la regina alzò le braccia e un
lampo di luce
rossa esplose intorno a lei mentre formulava delle parole in antica
lingua.
Eragon
non
perse tempo e percorse lo spezio che lo separava dalla regina per
impedirgli di
finire l'incantesimo.
-
Non
sprecare energie preziose Eragon, ti aspetterò a
Antàra, ma ti avverto se vuoi
rivedere Arya dovrai venire solo, senza il tuo drago. - quindi un lampo
di luce
investì tutti i presenti. Eragon fu costretto ad alzare le
braccia e coprirsi
il volto per non rimanere accecato dall'esplosione. Cadde a terra e
quando
riaprì gli occhi la regina era sparita. Poteva sentire il
volto rigato dalle
lacrime, Murtagh gli corse subito incontro per aiutarlo a rimettersi in
piedi.
Anche Keiron e Guiltar con Vespriana erano arrivati raggiunti subito da
Sigmar,
Telluria e gli altri draghi contenti di rivedere la piccola in salvo.
-
Eragon.
Come stai? - chiese Murtagh al fratello oramai del tutto ripreso
dall'attacco
subito.
- Io
sto...sto bene.. - rispose Eragon con un filo di voce
quindi si rivolse ad Arold.
-
Isobel diceva il vero? Antàra è sguarnita di
protezioni magiche? - Il re annuì
con la testa. - Sì Eragon, quello che Isobel ha detto è tutto
vero. -
A
quelle
parole Eragon sentì improvvisamente il mondo crollargli
addosso.
-
Che cosa
è successo qui? - chiese dopo un attimo. Murtagh
sospirò
-
La regina
sapeva della congiura, non sappiamo come abbia fatto. Solo grazie
all'aiuto di
Sigmar e gli altri draghi siamo riusciti a contenere la sua furia. Ha
scagliato
in aria i soldati come fossero fuscelli secchi prima che potessero
anche solo
sfiorarla. Noi abbiamo cercato di bloccarla, ma la regina aveva
previsto tutto
e aveva preparato molti incantesimi di protezione.
E’ stato allora che ha scoperto di Arya e
delle vostre figlie -
-
Devo
raggiungerla. Saphira! - La dragonessa lo raggiunse subito con la
mente.
Avvolse e fuse la sua coscienza con quella del suo cavaliere per
proteggerlo e
consolarlo. Eragon non riuscì a schermare in tempo il dolore
e la
preoccupazione che trapelavano dalla sua anima. I sentimenti del
cavaliere
travolsero Saphira come un fiume in piena e un lungo lamento
uscì dalla gola
della dragonessa.
Scusami
Saphira.
Si affrettò a dire Eragon non appena si accorse di quello
che le stava facendo, ma Saphira abbassò il suo muso
all'altezza del suo
cavaliere e disse: Non stare a preoccuparti per me Eragon.
Dobbiamo andare a
salvare Arya. Questa è la sola cosa che conta adesso.
Eragon
la annuì grato. Sapere che Saphira era al suo fianco era la
sola cosa che gli
permise di non crollare, stava per salire sul suo dorso quando Murtagh
che gli
mise una mano sulla spalla per bloccarlo.
-
Non puoi
farlo Eragon! È esattamente quello che la regina vuole! -
-
Se non
vado ucciderà Arya. -
Sigmar
ruggì piano quindi protese il suo muso il più
possibile vicino al volto di
Eragon.
Ha
ragione Murtagh, Eragon. Questo è quello che la regina si
aspetta che tu
faccia. Stai andando incontro a una trappola.
Io
andrò lo stesso Sigmar.
Lo
so,
ma se sei tanto folle da voler rischiare tutto, allora avrai bisogno di
una
aiuto.
Che
cosa
intendi dire? Chiese
Eragon al drago argentato
mentre Saphira
Se
Isobel
possiede gli èldunarì dei nostri antenati, anche
tu dovrai averli. La
combatterai ad armi pare.
In
un
attimo il giovane cavaliere comprese cosa Sigmar aveva intenzione di
fare,
scosse la sua testa in segno protesta
-
Non posso
chiederti questo Sigmar. - disse sussurrando. Sigmar alzò in
alto la sua testa
con uno sbuffo. Alle sue spalle il drago argentato poteva sentire come
Vespriana avesse anche lei dato un accenno di protesta
Non
sei
tu a chiedercelo Eragon, sono io, come capo della mia razza, ad aver
proposta
di donare i nostri cuori a te. Più di una volta hai
rischiato la tu avita per aiutarci.
È arrivato il momento che anche noi facciamo la nostra parte.
Abbiamo
già
deciso coloro che doneranno il loro èldunarì. E
per tutti loro, compreso me,
sarà un onore poterlo fare. Rimane a te la scelta se
accettare o no il nostro
dono.
Eragon
non sapeva come dimostrare la sua gratitudine per quel loro gesto che
sapeva
sarebbe costato molto a ognuno di loro nonostante le parole
rassicuranti di
Sigmar. - Ne
sarà onorato. - riuscì
infine a dire con un inchino
Sigmar
annuì solenne prima di voltarsi versi gli altri draghi che
si mossero insieme
fuori dal cerchio che alcuni dei soldati che aveva formato tutto
intorno a
loro. Lo sguardo del drago argentato passò da Keiron a
Guiltar per poi posarsi
su Vespriana che corse sotto al nonno e strusciando il suo muso contro
di lui.
Eragon assistette all'addio tra nonno e nipote con il cuore in gola.
Nonostante
avvertisse le sensazioni emanate da Saphira poté solo
immaginare quello che
passò tra il drago argentato e i sua nipote. Quando
Vespriana si distaccò dal
nonno Eragon credette di notare una lacrima scendere dagli occhi grigi
del
grande drago. Fu quindi il turno di Guiltar e quindi Keiron.
Fu
Telluria
a richiamare Sigmar per andare. Anche la dragonessa Bruna era tra
coloro che
stava per donare il suo èldunarì per sconfiggere
Isobel.
Ci
vollero
del tempo perché tutti i draghi possero espellere il loro
cuore dei cuori,
quindi infondervi tutto il loro essere. Alla fine Vespriana
tornò da Eragon e
aperte le sue fauci fece scivolare sette pepite delle dimensioni di in
pugno.
Eragon
fissò le pietre per alcuni istanti con le lacrime agli
occhi. Era difficile
credere che quegli oggetti potessero davvero contenere l'essenza di
creature
come i draghi ognuno dei quali aveva vissuto più anni di
quanti Eragon potesse
immaginare.
E'
necessario
che entrambi prendiate confidenza prima di affrontare la regina.
Gli
disse Vespriana con voce vibrante di emozione.
Che
cosa
vuoi dire?
Sigmar
vuole che tu entri in contatto con loro attraverso la mente. Mi ha
detto di
dirti che è in attesa per poterti spiegare i passi che
dovrai compiere per
usare il loro potere.
Eragon
girò il suo sguardo verso Saphira. In risposta la dragonessa
zaffiro gli diede
un piccolo buffetto contro la spalla.
Sono
qui
con te piccolo mio. Avanti.
Con
mano
tremante Eragon andò a sfiorare
l'èldunarì argentato di Sigmar. Niente avrebbe
potuto prepararlo a quello che provò in quel momento: una
scossa simile a
quella che aveva provato la prima volta che aveva toccato Saphira gli
attraversò il braccio quindi venne letteralmente travolto
dal tocco della
coscienze di Sigmar nonostante Saphira lo stesse aiutando in parte a
schermarla.
Non
fuggire al contatto Eragon. Risuonò
come un eco lontano la voce di Sigmar.
Eragon si sforzò di rilassare i muscoli quindi
iniziò a aprire la sua mente a
quello del drago.
Sigmar
gli
spiegò molte cose ed Eragon lo interruppe molte volte per
porgli le sue
domande. Spesso il drago rimaneva in silenzio per brevi intervalli di
tempo. In
quei casi Eragon non diceva nulla, ma dentro sapeva che il drago stava
lottando
contro il sui istinti ancora legati al suo vecchio corpo di carne e
squame.
Passò
quasi
un'ora prima che Eragon rinvenne dalla sua conversazione con Sigmar.
Aprì gli
occhi e vide come tutti intorno erano stati a guardarlo con sguardo
preoccupato.
Tutti tranne una; Eragon sentì il contatto mentale di
Vespriana che trepidava
in attesa di sapere come stava suo nonno. Eragon si girò
verso la piccola
dragonessa.
-
Lui mi ha
detto dirti che sta bene - le disse con la mente e la voce insieme.
Eragon ripeté
quindi il contatto con ognuno degli èldunarì.
Per
gli
altri la durata del contatto fu molto più breve rispetto a
quello avuto con
Sigmar, quindi il cavaliere si eresse in tutta la sua statura e
espresse la sua
volontà di partire subito.
-
Non c'è
motivo per cui debba spettare oltre. Mi trasporterò come ha
fatto Isobel, e la
terrò occupata in attesa che voi mi raggiungiate. - disse
rivolgendosi prima a
Saphira e poi a Murtagh e a Katrina che lo guardarono contrariati.
Se
credi
che ti lascerò andare da solo piccolo mio ti sbagli di
grosso. Non te lo
permetterò.
Saphira
Isobel vuole che vada da solo. Gli darò ciò che
vuole, ma non nel modo in cui
lei si aspetterà.
Saphira sbuffò d'ira, ma sapeva che il suo cavaliere aveva
ragione. Nessun altro replicò ed Eragon iniziò a
radunare gli èldunarì dentro a
una sacca vuota che prese dalla sella di Saphira.
-
Non mi
piace l'idea che Saphira non stia con lui - disse
piano Murtagh rivolgendosi a Katrina. Si
erano leggermente distaccati da Eragon e lo stavano osservando cercando
un modo
di fargli cambiare idea.
Con
il suo
udito fine però Eragon riuscì lo stesso a udire
le parole del fratello:
-
Non ho
intenzione di mettere a repentaglio la vita di Arya o di chiunque si
torvi al
palazzo. - disse solo.
Murtagh
e
Katrina si girarono entrambi verso do lui ed Eragon
continuò. - Inoltre ho il
vantaggio della sorpresa. Isobel non si aspetterà che io
possegga degli èldunarì
-
-
Non
doveva nemmeno essere a conoscenza della congiura Eragon, eppure
è riuscita a difendersi
dai nostri attacchi. - fece Katrina triste.
Eragon
hanno ragione su questo. La regina ha già dato prova di
riuscire a scoprire le
nostre mosse in anticipo. Devi tenere conto anche di questo.
Aggiunse
Saphira poco dopo. Eragon emise un sospiro
-
Aspetterò
il vostro arrivo prima di attaccarla. Sempre che le circostanze lo
permetteranno -
disse
per
poi andare ad accarezzò con tenerezza il muso di Saphira
Lo
sai
che non mi piace l'idea di dovermi separare da te.
Volerò
il più veloce possibile per raggiungerti Eragon.
gli
rispose Saphira. Eragon sorrise e strusciò la guancia contro
il muso della
dragonesse accarezzandola sotto il muso con le dita di entrambe le
mani. Rimase
così per alcuni secondi poi, assicurata la spada alla
cintura insieme alla sacca
degli èldunarì, sotto gli occhi di tutti,
scomparve nella luce azzurra della
magia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 40 *** Per Amore ***
Arya
era
stesa nel letto, Jill le era accanto tenendole una mano e le sorrideva.
-
Devi
respirare piano – le stava dicendo mentre piccole gocce di
sudore imperlavano
la sua fronte.
-
Avrei
voluto che Eragon fosse qui al momento del parto. -
-
Non credo
che le tue bambine possano aspettare tanto Arya. -
le
rispose
lei posando una mano sul pancione.
Accanto
al
loro l'ostetrica stava sistemando una bacinella d'acqua accanto al
letto. Dei
teli puliti erano stati già poggiati sul bordo.
-
Come va?
- chiese la donna facendo cenno a Jill di farsi da parte.
La
giovane
donna lasciò la mano di Arya con riluttanza. Arya sembrava
così fragile, Jill
decise che sarebbe stata forte per entrambe.
Dei
rumori
da fuori attirarono la sua attenzione. I rumori aumentarono di
intensità e le
tre donne si guardarono negli occhi.
-
Che cosa
è stato? - chiese Arya a denti stretti
-
Non lo
so. - Jill aggrottò la fonte e fece per andare alla porta
quando questa si
spalancò e di fronte a loro comparve una figura femminile
ammantata. Gli occhi
di Jill si spalancarono dallo stupore
-
Tu? - Di
fronte a loro c’era Isobel.
-
Sorpresa
di vedermi Jill? Per tua fortuna non sono qui per te. Per ora. -
Jill
estrasse il suo corto pugnale e lanciò un fendente alla
donna. Jill si trovò,
senza neanche sapere come, scaraventata al muro della parete alle sue
spalle. -
Jill! - gridò Arya.
Jill
ebbe
solo la forza di emettere un sordo suono poi si accasciò al
suolo senza dare
più nessun cenno di movimento. Isobel si girò
verso l'ostetrica che stava
accanto a Arya
-
Tu donna
vai fuori prima di fare la sua stessa fine! - minacciò
Isobel indicando con lo
sguardo il corpo immobile di Jill.
L’ostetrica
non si mosse dal capezzale di Arya, non poteva abbandonarla, andava
contro
tutti i suoi principi. Vedendo che la donna non si muoveva Arya disse:
-
Vai, non
preoccuparti per me. - l'elfa strinse con forza la mano della donna -
Ma
Signora! - protestò lei con vigore.
-
Avverti
Rebekha e Reafly che la regina è qui, loro sapranno come
mettersi in contatto
con Eragon o con Murtagh. - aggiunse sotto voce. A quelle parole
l'ostetrica
sembrò come riscuotersi e una luce di determinazione si
acese nei suoi occhi,
guardò Arya quindi
annuì e si avviò a
passo svelto verso la porta per uscire e correre via di corsa.
Isobel
sorrise soddisfatta
-
Molto
bene Arya, finalmente siamo riuscite a incontrarci. Non sai da quanto
tempo ho
desiderato che arrivasse questo momento. -
Arya
non
aveva la forza ne la voglia di replicare.
-
Ma perché
tutto sia perfetto manca ancora un elemento. - disse avvicinandosi al
suo letto
con passo sinuoso. - Per questo motivo devo chiederti di seguirmi per
un
tratto. Sarà questione di poco poi potrai di nuovo
stendersi. -
La
regina
prese Arya per un polso e la trascinò fuori dalla stanza.
Arya lottò contro la
presa della regina, ma nelle sue condizioni non avrebbe potuto opporre
resistenza alla donna neanche se lo avesse voluto. Strinse i denti e
con la
mano libera tenne la pancia a proteggere le due vite che portava dentro
di se.
Come
avesse
abitato sempre dentro quel palazzo, Isobel la spinse senza alcuna
esitazione
fino alla sala del trono. Nel percorso Arya notò diverse
guardie a terra,
colpite dalla donna nel suo tragitto verso la sua stanza.
La
regina
aprì la porta e una volta entrate la sigillò con
la magia, quindi lasciò libero
il braccio di Arya.
L'elfa
si
ritrasse raggiungendo una sedia e sorreggendosi per non crollare a
terra. - Ora
nessuno potrà disturbarci. Le tue figlie nasceranno qui. -
Arya
ebbe
un moto di disgusto
-
Se solo
proverai a toccarle! -
-
Che cosa
farai allora? - Chiese la regina che nel frattempo stava togliendo il
telo che
celava le uova di drago che erano ancora conservate. Gli occhi della
sovrana di
Zàkhara vennero catturati dalla luce che emanava la
superficie lucida dei loro
gusci. Socchiuse gli occhi verso Arya.
-
Sono
delle gemelle. Due bambine. Il numero di uova rimaste da schiudersi tra
quelle
che avete portato con voi da Alagaësia. - Costatò
la regina con voce asciutta.
Il respiro di Arya si fece più inteso, quindi
avvertì qualcosa di bagnato
colargli in mezzo alle gambe bagnandole la veste. Dopo un attimo di
smarrimento
comprese che le dovevano essersi rotte le acque. Ora davvero nulla
poteva
impedire che le bambine potessero nascere. Fuori dalla sala scoppiarono
alcuni
rumori come di colpi di ariete. Le guardie del palazzo stavano
attaccando la
porta con ogni mezzo disponibile nel tentativo di aprila.
-
Non ci
daranno fastidio principessa, almeno fino a quando le tue bambine non
saranno
nate. - Isobel le si avvicinò lasciando che una delle due
uova scivolasse di
nuovo dentro la cassa. Anche Arya si stese sul pavimento e la regina si
chinò
su di lei e le posò una mano sul suo ventre. Le gemelle si
agitarono.
-
Non
toccarmi! - ringhiò Arya con voce roca. Isobel non fece
nemmeno caso alle sue
minacce e sorrise -
Le alleverò come se fossero mie. -
La rabbia affiorò in lei come nona aveva mai provato prima
nella sua vita. La
sua rabbia era dettata dalla volontà di difendere le sue
bambine.
-
Finché
sarò in vita tu non le toccherai. - sibilò Arya a
denti stretti. L'elfa
iniziava a sentire che il tempo era quasi arrivato al termine ed era
troppo
debole per riuscire a combattere la regina. Tutte le sue energie
dovevano
concentrarsi nel parto, ma qualcosa poteva ancora farla dopo tutto,
qualcosa
che solo un Elfo era in grado di fare. Puntò il su sguardo
su Isobel che le
sorrideva con disprezzo. Avrebbe atteso il momento opportuno.
-
Spesso le
donne non sopravvivono al loro primo parto. - la sentì dire.
-
Se
poi a nascere sono in due, per la madre le probabilità di
una morte aumentano.
-
Arya
chiuse
gli occhi mentre sentiva la pancia contrarsi una volta di
più, aspettò che
dolore scemasse, ma appena riprese fiato ecco arrivarne un'altra ondata
e
un'altra ancora, ognuna più dolorosa dalla prima.
Urlò
per
scacciare la via il dolore, poi iniziò ad aspirare e
espirare con lentezza.
Durante quei mesi il suo spirito e il suo corpo si erano preparati solo
per
quel momento. Poteva sentire perfettamente come le bambine premevano
per uscire
fuori; non poteva farle aspettare oltre senza mettere in pericolo le
loro vite;
non poteva aspettarsi che qualcuno arrivasse a salvarle.
Il
dolore
le impediva di pensare con lucidità, Arya doveva cercare di
essere lucida se
voleva avere una possibilità di poter neutralizzare la
regina; doveva fare in
modo di mantenere il dolore sotto controllo. Subito, si rese conto che
l'impresa era più facile a dirsi che a farsi. Prese a
respirare lentamente e in
maniera regolare ma una nuova ondata di dolore più forte
delle altre le mozzò
il fiato in gola costringendola a ricominciare la respirazione da capo.
Isobel
le si avvicinò con un fazzoletto tamponandole la fronte
imperlata di sudore.
Arya
provò un brivido - Ora rilassati - le disse la sovrana con
voce ferma. La
regina la fece stendere a terra posizionandole delle coperte dietro la
schiena.
Senza che Arya se ne rendesse conto le aveva fatto divaricare le gambe.
Il
dolore era aumentato e tutta la sua attenzione si andò in un
attimo a
concentrare sulla respirazione e Isobel si posizionò davanti
a lei.
-
Sembra
che tu sia arrivata alle doglie espulsive. Sei pronta per spingere? -
le chiese
ancora. Arya avrebbe voluto che la sua voce cessasse di parlare. Non le
piaceva
il suo timbro. Arya annuì con una smorfia quindi
lasciò andare indietro la
testa e spinse con tutte le sue forze.
***
Eragon
sentì il suo corpo perdere lentamente peso, tutto intorno a
lui si dissolse in
una luce accecante e un forte calore gli infuocò le vene
facendolo gridare. Era
la prima volta che usava quella particolare magia e sperò
che questa imprudenza
non gli sesse costando la vita o peggio. Sentì la forza dei
draghi che lo
sorreggeva infondendogli la loro energia, quelle era stata l'unica cosa
che lo
trattenne dal non cadere nel panico che altrimenti minacciava di
sopraffarlo.
Passarono alcuni minuti che gli parvero eterni poi il mondo
iniziò a ritornare
a lui, Eragon percepì di nuovo il peso del suo corpo e
lentamente aprì gli
occhi.
Un
manipolo
di soldati lo circondò con le lance puntate prima di
riconoscerlo e abbassarle.
-
Cavaliere
Eragon! - Eragon si alzò e guardò il capitano
farsi largo tra la fila dei
soldati.
-
Non ho
idea quale incantesimo voi abbiate usato per arrivare qui, ma siete
arrivato
nel momento giusto. - L'uomo si girò verso la grande porta
che chiudeva la sala
del trono del palazzo di Antàra. - Abbiamo
sentito le urla provenire da dentro fino a
poco tempo fa. Sono cessate solo da poco. Ogni uomo all'interno del
castello ha
usato ogni oncia della sua forza per poter forzare la porta, ma
è stata
sigillata con un incantesimo. Neanche I cavalieri Rebekha e Reafly sono
riusciti a rompere il sigillo. -
-
Dove sono
loro? - Eragon si chiese corrucciando la fronte
-
Eragon! -
Rebekha gli corse incontro e lo abbracciò fino a quasi
toglierli il fiato.
Eragon rimase fermo completamente travolto dalla foga con cui la
ragazza lo
aveva abbracciato in lacrime. Dietro di lei Jill e Reafly attesero per
poter
salutare anche loro il cavaliere.
-
Jill,
cosa è successo. - Una fasciatura vistosa le cingeva la
testa. - Isobel è
comparsa nella camera di Arya e l'ha portata dentro la sala del trono.
È
accaduto alcune ore fa. Io ho tentato di fermarla Eragon, ma lei mi ha
fermata
scaraventandomi contro un muro prima ancora che potessi anche solo
raggiungerla.
-
Mi
dispiace. Non abbiamo idea di cosa sia successo lì dentro,
ma questo silenzio è
più inquietante delle urla di Arya. - Eragon si trattenne
dal mostrare la sua
preoccupazione, serrò la mascella e annuì serio.
-
Voi avete
fatto del vostro meglio. Ora lasciate che me ne occupi io. - Nei suoi
occhi
brillò una luce di determinazione e di forza che
lasciò tutti in silenzio. Jill
Rebekha e Reafly si fecero da parte lasciando Eragon avanzare da solo
verso la
porta della sala. Eragon allargò la sua mente attinse alla
magia degli èldunarì
e saggiò la barriera. Un leggero sorriso affiorò
sulle sue labbra: la regina
aveva previsto che il suo blocco venisse forzato e aveva fatto in modo
che
reggesse alla forza di un cavaliere, ma non a quello di più
draghi. Gli bastò
pronunciare alcune parole in antica lingua e le porte si spalancarono.
Eragon
corse subito al suo interno, seguito a ruota da Jill Rebekha e Reafly.
La
scena
che gli si presentò di fronte gli gelò il sangue
nelle vene. Il corpo di Arya
era riverso a terra al centro della sala. Il sangue macchiava il
pavimento e le
vesti e la pelle dell'elfa. Eragon corse da lei e le si
inginocchiò accanto.
Con delicatezza le mise una mano dietro la nuca e l'altra dietro la
schiena la
tirò su da terra - Arya!! Ti prego rispondimi! - il suo viso
era pallido e
sudato. Eragon temette il peggio, poi la sua testa fece un lieve
movimento e
gli occhi si socchiusero appena
-
E...Eragon?
- Eragon sorrise di gioia
-
Sì amore
mio. Sono io. - il cavaliere le accarezzò la guancia con il
pollice e le baciò
la fronte. Le lacrime scendevano dal suo viso bagnando quello di Arya.
-
Sono
riuscita a scoprire il suo vero nome Eragon, non può
allontanarsi dal palazzo,
ma non ho potuto impedirle di prendere le bambine. Ero troppo debole. -
Sul
volto
di Eragon si dipinse un'espressione di stupore. Nonostante il suo stato
Arya
era riuscita colpire la regina e a indebolirla. Eragon
ripensò a quando nel Farthen
Dùr Eragon aveva chiesto
ad Arya di non partecipare alla battaglia e lei come lei lo avesse
rimproverato
dicendogli che le donne elfo erano molto più forti delle
umane. Eragon non
avrebbe mai più messo in dubbio quella frase, ma ora toccava
a lui finire ciò
che Arya aveva incominciato, guardò l'elfa negli occhi
– Arya, rivelami il suo
nome, in modo che possa raggiungerla. La costringerò a
ridarci le nostre figlie.
- Arya annuì quindi prese il volto di Eragon tra le mani e
avvicinandolo alle
sue labbra ma prima di rivelargli il nome lo avvertì:
-
Un
animale ferito è dieci volte più pericoloso
perché è impaurito. Le sue azioni
sono imprevedibili, stai attento! -
Poi
Arya
sussurrò alcune parole in antica lingua e lentamente
lasciò andare la sua presa
su di lui. Eragon socchiuse appena la bocca mentre gli occhi dell'elfa
si
chiusero lentamente. Il cavaliere rimase a fissare il suo volto per un
attimo
prima di riuscire a pronunciare il suo nome - - Arya! - la scosse piano
ripetendo ancora il suo nome, ma il corpo dell'elfa rimase immobile.
-
Arya,
svegliati. Arya non lasciarmi! -
Con
la
vista annebbiata dalle lacrime Eragon osservò il corpo della
sua amata quindi
posò il palmo della sua mano sul suo ventre e trovato il
punto dove era il
danno iniziò a formulare le parole di guarigione per
riparare i tessuti
lacerati. Impiegò del tempo per riuscire a formulare
perfettamente ogni singola
parola dell'incantesimo. Alla fine del lavoro Eragon ritirò
la sua mano
tremante.
Arya
era
ancora priva di sensi ma il suo respiro era tornato regolare anche se
debole.
Eragon sperò di non essere intervenuto troppo tardi.
-
Jill,
Rebekha. - chiamò piano il cavaliere, la sua voce ridotta
quasi a un sussurro. -
Per favore vegliate voi su Arya e chiamate dei guaritori. -
-
Tu cosa
intendi fare? - gli chiese Jill. Eragon si alzò da terra e
volse le spalle alla
donna
-
Devo
cercare Isobel -
-
Io verrò
con te! Non intendo lasciare che tu combatta da solo - si intromise
Rebekha.
Eragon
si
girò lentamente verso la ragazza stringendo la sacca con
dentro gli èldunarì. -
Non sarò solo Rebekha. -
La
ragazza
fissò i suoi occhi - Eragon, lo so che non sono forte quanto
te o Murtagh, ma Zàkhara
è la mia terra e in qualche modo è una mia
responsabilità. Permettimi di venire
con te. -
Reafly
guardò Eragon contrariato - Eragon non puoi permetterglielo.
Dimmi che gli
dirai di no. -
Eragon
emise un sospiro e prese una decisione. - Non alcun diritto di
vietarglielo. – Reafly
lo guardò esterrefatto e anche sul volto di Jill di dipinse
un'espressione
sorpresa. - Ho detto che potrai venire. Ma non potrai intervenire fino
a quando
non te lo dirò io, e solo se strettamente necessario.
Inoltre vorrei che tu
tenessi questo dentro una delle tasche della tua cintura. Isobel te ne
affidò
la cura altre volte. – Detto questo Eragon gli porse uno
degli èldunarì che
aveva dentro la sua sacca. Nel prenderlo tra le su mani Rebekha
ricevette
subito una scossa di energia che le attraversò il braccio e
lasciandole una
sensazione di benessere. - Come le hai avute? - chiese la ragazza.
Eragon
strinse le sue mani intorno a l'èldunarì e la
guardò negli occhi.
-
Ora
non c'è tempo per le spiegazioni; ma se ti dovessi contare
con la regina e
avessi bisogno di forza, sai già che potrai avere accesso a
una fonte quasi
inesauribile di energia. - aspettò che Rebekha gli desse un
segno che aveva
capito, quindi riprese a parlare.
-
Grazie ad
Arya abbiamo un piccolo vantaggio su di lei: conosciamo il suo vero
nome, ma
non sappiamo come e con quanta forza potrebbe reagire. Se sei davvero
decisa a
venire con me devi essere pronta a combattere, Murtagh e Katrina
potrebbero non
fare in tempo ad arrivare. - Rebekha deglutì a vuoto.
-
Sono
pronta. -
In
quello
stesso momento il capitano delle guardie raggiunse Eragon.
-
Cavaliere
Eragon, le nostre sentinelle hanno seguito la regina Isobel. E' stata
avvistata
mentre si aggirava lungo le mura che costeggiano il palazzo. Non
sappiamo il
motivo per cui non le abbia ancora supera ma nella sua ritirata ha
portato con
sé anche Ismira, la figlia di Roran Fortemartello e del
cavaliere Katrina. –
Eragon
strinse i pugni lungo i fianchi. Lui sapeva il motivo per cui la regina
era
ancora all'interno delle mura del palazzo. Arya aveva trovato il suo
vero nome
e con le ultime forze doveva aver vincolato la donna al castello.
Prendendo Ismira
Isobel cercava solo di guadagnare tempo. - Vi ringrazio capitano, me ne
occuperò personalmente. Fate in modo che a nessuno si
avvicini a noi mentre
l'affronterò. -
il
comandante annuì in silenzio batté un pugno sul
petto e diede segno ai suoi
soldati di indicare a Eragon il luogo in cui Isobel era stata avvistata.
Eragon
si
girò appena dietro di lui. – Rebekha, per favore,
fino a quando Isobel non mi
attaccherà vorrei che tu rimanessi nelle retrovie insieme
alle altre guardie. -
Mentre percorreva la strada che lo avrebbe portato da lei un piano si
venne a
creare nella mente di Eragon. Il giovane cavaliere sperò con
tutto il cuore di
riuscire a evitare uno scontro aperto.
***
Eragon
trovò Isobel nel punto in cui il soldato gli aveva indicato.
L'ex
sovrana di Zàkhara si trovava in ginocchio e il suo volto
sembrava stravolto da
un dolore tanto profondo da lacerarle l'anima. Eragon sapeva che il
dolore
derivava dall'essere venuta a conoscenza del suo vero io.
-
Stai
lontano da me Eragon! - la sua voce, come il suo volto era stravolta.
Il suono
era stridulo e non c'era stato più nulla del tono seducente
che Eragon
ricordava bene. Il giovane cavaliere si bloccò sul posto. Il
suo sguardo andò a
posarsi all'altezza delle petto dove Isobel teneva gli
èldunarì rubati a
Vespriana. Poco lontano da lei Eragon udì il pianto delle
sue bambine che
proveniva da una culla improvvisata e accanto a lori Ismira che cercava
di accudirle.
La
bambina riconobbe Eragon ma rimase in silenzio. Il suo volto si fece
duro per
non far trasparire la sua paura. Eragon tornò a guardare
Isobel.
-
Permettimi
di prendere le bambine e di riportarle alla loro madri. Io ti prometto
di non
usare il tuo vero nome su di te. -
-
Ah, e
perché dovrei crederti Cavaliere? -
-
Perché so
il motivo del tuo terrore Isobel. So come ci si sente quando ti viene
rivelata
la parte più nascosta e intima del tuo essere, che cosa
significa doversi
confrontare con la conoscenza nuda e cruda di te stesso senza gli
artefatti e
le maschere che ci costruiamo sopra di noi nel corso degli anni. Tutti
noi
cerchiamo di nascondono la nostra vera natura, scoprirla lascia
terrorizzato
chiunque. Non devi vergognarti di questo. Accettarlo è il
primo passo verso la
vera comprensione di noi stessi. -
-
Io no
sono affatto terrorizzata Eragon Ammazzaspettri. - Tagliò
corto la donna, ma
nella sua voce c'era stata una leggera inclinazione. Eragon assunse
un'espressione di dolore.
-
Non
puoi mentirmi Isobel. Non puoi farlo perché anche io come te
ho dovuto affrontare
gli stessi fantasmi. Quando mi misurai con Galbatorix, il re fece
appello a
un'antica magia e riuscì a scoprire il mio vero nome e il re
lo usò al fine di
piegare la mia volontà al suo volere. So esattamente come ti
senti Isobel e per
questo non vorrei dover usare quest'arma contro di te. Ma lo
farò se tu non mi
darai altra scelta. -
-
Tu non
oserai tanto! -
Eragon
fece
un passo in avanti. - Le lascerai andare? - le chiese Eragon facendo un
cenno a
Ismira. Una luce di follia attraversò lo sguardo della
donna. - Mai! - Disse
lei e dalla sua mano comparve uno degli èldunarì.
La luce che scaturì dal cuore
le illuminò il volto formando delle lunghe ombre sul suo
viso. L'energia infusa
del cuore passò attraverso il palmo alla sovrana e Isobel
sembrò riprendere un
po’ del suo vigore.
Eragon
serrò la mascella quindi pronunciò il suo vero
nome impartendole l'ordine.
Scandì lentamente ogni sillaba in modo da infondervi dentro
ogni briciola della
sua volontà e, insieme alla sua, anche di quella dei draghi
di cui aveva preso
la forza. Fu una questione di attimi e la sovrana cadde a terra sulle
ginocchia
ed emise un urlo. Strabuzzò gli occhi incredula di quello
che era appena
successo. - Come ha fatto Arya a scoprirlo? - Chiese ancora
esterrefatta dal
potere che aveva percepito. Eragon decise di prendersi il lusso di
sorridere
appena. – sarebbe troppo complesso spiegarlo, ma ti consiglio
di non
sottovalutarci. Te lo chiederò solo una volta di
più: lascia le bambine. -
Isobel emise un singulto.
-
Va, va
bene. Le lascerò andare. –
Eragon
annuì solo e tenendo gli occhi puntati sulla sovrana fece un
cenno con una mano
dietro le sue palle. Rebekha comparve camminando verso la regina.
-
Lascerai
le gemelle e Ismira a Rebekha. - la giovane iniziò ad
avanzare con lentezza, ad
ogni passo poteva sentire lo sguardo di quella donna penetrarle fin
dentro
l'anima e prosciugare le sue forze. Rebekha stava lottando contro il
potere
incantatrice della donna.
-
Rebekha,
figliola. Mi dispiace vedere che alla fine ti sei lasciata sedurre da
questi
stranieri. Ti avrei fatto diventare una principessa mia cara. - le
disse la
sovrana, i capelli della donna erano arruffati e i suoi occhi rossi dal
pianto
quasi supplicarono la ragazza che aveva di fronte. Rebekha strinse a se
la
pietra che Eragon le aveva dato. La sua superficie bruna
pulsò dandole forza.
La voce antica e rassicurate di Telluria le venne in aiuto e Rebekha
poté di
nuovo respirare.
Tieni
duro Rebekha. Attingi alla mia forza.
Rebekha
fece come le era stato detto, chiuse gli occhi per un attimo e quando
li riaprì
era di nuovo padrona di sé stessa.
-
Non credo
più alle tue bugie Isobel. - il volto della sovrana si
contorse dalla rabbia,
ma un monito di Eragon la fece allontanare da lei con un gemito.
Eragon
vide
Rebekha prendere la culla con le gemelle da un lato e
dall’altro la mano di
Ismira allontanandosi dalla donna con passi malfermi.
-
Zio
Eragon? – chiese Ismira con voce incredula nel riconoscere lo
zio. Non lo aveva
mia conosciuto ma ne aveva sentito tanto sentito parlare nelle storie e
aneddoti
sulla guerra contro il cavaliere tiranno.
-
Sì
piccola. - La bambina si staccò da Rebekha e andò
ad abbracciarlo forte. Solo
in quel momento si concesse di piangere. Eragon la strinse tra le sue
braccia
scuotendola con dolcezza.
-
Sei
stata bravissima Ismira. Ma devi continuare ad essere forte per la
mamma e per
il papà. Puoi farlo? – la piccola si asciugo il
viso ed annuì. Poi Eragon si
affacciò sulla culla e conoscere così le gemelle.
Il palmo con il marchio si
illuminò mentre le accarezzava le guance. Il
loro pianti si attenuò fino a smettere.
Rebekha
lo guardò con stupore. Eragon le sorrise
-
C’è
l’hai fatta Bekha. – le disse sincero. –
Ora vai con Ismira e porta le bambine lontano
da qui. – Si guardò alle spalle nella speranza di
vedere Saphira o Murtagh, ma
non c’era traccia né della sua dragonessa
né del fratello.
-
D’accordo
ma tornerò presto. Non ti
lascio solo. –
Lo rassicurò Rebekha come a
leggergli il pensiero
Eragon
annuì poi tornò subito a concentrarsi su Isobel.
-
Hai
tenuto la tua parola Isobel. Ed io mi atterrò alla mia. -
disse Eragon all’ex
sovrana di Zàkhara. Lei aveva ancora le uova di drago di
Saphira e gli èldunarì
dei draghi che aveva preso a Vespriana, non poteva lasciarla ancora
andare.
-
Ora sai
che non scherzo Isobel. Mi ascolterai adesso? -
-
Che cosa
vuoi ancora Eragon? - Isobel si era alzata da terra e si stava
sistemando le
pieghe del vestito all'altezza della vita.
-
Lascia
che tu aiuti. -
-
Ah, Non
mi lascerò catturare da quei soldati in modo che possiate
processarmi e
mettermi a morte, non gli darò questa soddisfazione.
Ti
ho fatto
una promessa, striscerai ai miei piedi Eragon chiedendomi la grazia. -
la voce
di Isobel si abbassò fino ad assumere un tono di minaccia.
-
Non
costringermi a farti questo Isobel. - La donna scoppiò in
una risata malvagia
-
Facendomi
lasciare le tue figlie, Eragon mi hai sciolto il giuramento che mi
aveva imposto
Arya. Ora non ho nessun impedimento a fare appello alle forze dei mie
cuori.
Vedo che anche tu ne possiedi alcuni. Ne avevo avuto il sospetto quando
mi ha
respinto la prima volta, ma ne ho avuto la conferma solo quando Rebekha
è
venuta a me. Quella ragazza ha usato un cuore dei cuori per contrastare
il mio
potere, non ci sono dubbi, potevo vedere il meraviglioso bagliore della
loro
luce! –
Isobel
sembrava come estasiata. Estrasse
la spada che aveva al
fianco in un movimento fluido, nello stesso istante anche Eragon aveva
tirato
fuori la sua pronto a usarla. Isobel sapeva che non avrebbe potuto
usare il suo
nome nello stesso modo ancora una volta.
Iniziarono
a duellare con ferocia. Dopo una serie di colpi Isobel parò
un suo affondo e
alzò la lama e incrociandola con quella di Eragon lo
guardò negli occhi con un
sorriso. - Sarà uno scontro interessante, Cavaliere. -
Con
una
leggera pressione sulla lama scaraventò Eragon lontano da
lei mandandolo a
sbattere contro una parete; la testa del cavaliere sbatté
producendo un rumore
sordo.
La
visione
di Eragon si riempì di tanti pallini rossi. Attingendo alla
forza dei cuori
Eragon si tirò in piedi e ripresero ad duellare.
Eragon
sapeva
che bene che il loro scontro non si sarebbe deciso con le spade ma solo
con la
magia. Ruppe le barriere della sua mente e saggiò le difese
della regina
percorrendo i suoi confini, sfiorando al sua mente senza mai forzare
troppo o
darle la possibilità di poterlo attaccare. Eragon sentiva
che la Isobel si
stava innervosendo, anche lei era cosciente del fatto che scoprendo il
suo vero
nome Arya aveva indebolito di molto le sue capacità di
difesa, delle crepe
erano visibili tutto intorno alla barriera che la donna aveva eretto
intorno
alla sua mente. Nonostante questo il potere dei cuori le permettevano
di
resistere, ma era solo un'illusione, Eragon era consapevole di poterle
abbatterle anche subito e finire lo scontro, ma qualcosa dentro di lui
gli
implorava di non farlo.
-
Non
poterai reggere a lungo in questo stato Isobel. Ti prego, permettimi di
aiutarti. Stai candendo a pezzi, lo sento. -
Eragon
non puoi mostrarle pietà ora. Lei non lo farebbe per te, lo
sai. Finisci
l'incontro.
Dammi
ancora un'ultima possibilità Sigmar. Se anche allora non
dovessi farcela,
allora attaccherò.
Eragon
udì Sigmar emettere uno sbuffo.
Va
bene Eragon.
Eragon
attaccò con foga e fece arretrare la donna fino a farle
toccare il muro con le
spalle. Impegnò la lama della regina fino a bloccare
entrambe le loro spade.
-
Ora
mi ascolterai. -
-
Che cosa
vuoi fare? - Isobel
stava tremando come
una foglia. Con una mossa Eragon gli aveva impedito di contrattaccare.
La spada
del giovane cavaliere scivolò via dalla lama dell'altra,
Isobel non provò
neppure a resistere lasciò che le braccia cadessero lungo i
fianchi e con esse
anche la spada. Le mani di Eragon la afferrarono per le spalle e la
costrinsero
a guardarlo negli occhi
-
Isobel
guardami. Non ho intenzione di usare il tuo vero nome mentre sei
indifesa, ma
tu non devi lasciarti andare. Attingi alla forza degli
èldunarì. –
-
Finiscimi
ora cavaliere. - Isobel lo gelò con lo sguardo, ma
lasciò che il cavaliere la
sorreggesse quando le sue ginocchia cedettero miseramente.
**
Saphira
atterrò sul terreno selciato di fronte ai cancelli del
palazzo di Antàra
seguita da Castigo e Validor. Murtagh e Katrina balzarono dalle loro
selle e
corsero all'interno del palazzo.
Non
impiegarono molto tempo a seguire le tracce lasciate dal passaggio
della regina
sui muri e le preziose decorazioni del palazzo, delle guardie corsero
loro incontro.
C'erano anche Rebekha con Ismira e le gemelle in braccio.
-
Mamma! – la piccola Ismira corse in contro alla madre.
Katrina le accarezzò il
viso e i capelli.
-
È
stato orribile mamma! Quella
donna ci ha
preso e voleva portarci via. Zio Eragon l’ha fermata.
È rimasto con lei! –
-
Ora
è tutto passato amore mio. – la
rassicurò la madre.
Murtagh
le
si affiancò.
-
Katrina.
Io, Castigo e Saphira andremo da Eragon, tu e Validor assicuratevi che
anche Arya
e tutti gli altri stiano bene -
-
Va bene
Murtagh. State attenti. – Murtagh si limitò ad
annuire.
-
Generale,
portami dove si trovano Eragon e Isobel. -
Quando
arrivarono Murtagh non riuscì a capire bene cosa stesse
accadendo, vide solo le
braccia di Isobel stringersi intorno al collo del fratello.
Gli
occhi
della regina incrociarono quelli del cavaliere rosso mentre stringeva
forte a sé
Eragon. Il fratello le stava dicendo di non aver paura. Improvvisamente
un
luccichio e una lama si materializzò sulla mano della donna;
Murtagh ebbe solo
un attimo per poter agire, alzò una mano e fece scaraventare
la donna addosso
al muro. Si udì il rumore sordo dell'osso che si spezzava.
Murtagh si sorprese
della facilità con cui era riuscito a rompere le sue difese
ed ora la donna
giaceva a terra mentre un sottile rivolo di sangue colava dall'angolo
della
bocca. Dietro di lui Saphira e Castigo ruggirono all'unisono concordi
con
quello che aveva fatto.
Eragon
si
girò di scatto verso Murtagh adirato.
-
Murtagh
che cosa hai fatto? -
Murtagh
lo
guardò confuso, se non fosse stato per lo sguardo serio del
fratello si sarebbe
messo a ridere, invece aggrottò le sopracciglia e fece un
passo verso il
fratello. - Ti ho salvato la vita. Isobel ti stava accoltellando. -
-
La stavo
aiutando, lei stava accettando il mio aiuto! -
Murtagh
scosse la testa con vigore.
-
Eragon,
aveva un coltello tra le sue mani! -
Eragon
è la verità.
Eragon
abbassò lo sguardo verso il corpo scomposto di Isobel. La
donna si mosse
appena, in mano ancora la lama.
Eragon
si
piegò su di lei e Isobel alzò la testa
-
Perché lo
hai fatto? -
-
Te l'ho
detto. Non mi prenderete mai. Non pu...puoi cambiare la mia
na...natura. -
-
Lo hai
fatto apposta? Lo hai fatto per essere colpita? -
Isobel
cercò di sorriso ma riuscì solo a far arricciare
appena le labbra. - Ti
rin...gra...zio, Eragon... per... averci provato. -
Gli
occhi
della donna si spalancarono in un ultimo disperato respiro. Eragon
piegò la
testa, le posò una mano sul volto e gli serrò gli
occhi
-
Eragon
tutto bene? -
-
Sì,
Murtagh. -
-
Isobel è
morta? -
-
Sì
fratello. È finita. -
Non
ancora. C'è un'ultima cosa. Eleonor
ha spezzato il vecchio sigillo su cui era fondato il vostro
patto di sangue e ne
ha imposto uno
nuovo. Ora tutti noi draghi siamo chiamati a fare una scelta.
Dovremo scegliere
se mantenere la magia del patto o scioglierlo per sempre. Una volta
presa la nostra
deciso non si potrà più tornare indietro.
***
|
Ritorna all'indice
Capitolo 41 *** Epilogo ***
Salve
a tutti! Siamo arrivati alla fine di questa avventura. Spero
che sia piaciuta.
Ogni commento sarà ben accetto!
***
Eragon
se ne stava disteso con la schiena contro l'erba fresca. Il cielo sopra
di lui
si era trasformato in poco tempo passando dai coloro accesi del
tramonto a
quelli cupi del crepuscolo.
Poteva
sentire in lontananza le voci delle gemelle che facevano i capricci per
andare
a dormire.
-
Mamma
vogliamo andare a salutare il papà. -
La
voce
dolce e chiara di Arya lo raggiunse subito dopo
-
E va bene,
ma fate in fretta. -
Con
un
sorriso Eragon si alzò da terra e si preparò
all'arrivo della valanga che da li
a poco lo avrebbe sommerso con abbracci e baci.
-
Papà, papa!
-
-
Con
calma! – si affrettò a rimproverarle Arya
-
Devi
scusarle, sono così testarde! -
aveva
iniziato
a spiegare l’elfa ma Eragon era già impegnato a
tenere una delle due gemelle
con un braccio e la seconda con l'altro, lasciandole in sospendere in
aria come
due sacchi di patate
-
Nooo Papà
-
-
Non è
giusto! - risero di gusto le due bambine.
A
quella
vista Arya roteò i suoi occhi al cielo
-
Sei
peggio di loro. - Disse fingendo di mostrarsi arrabbiata.
Eragon
fece
scendere le bambine senza togliere il suo sguardo divertito da Arya.
L’elfa scosse
la testa e si rivolse direttamente alle bambine riassumendo uno sguardo
il più
possibile severo.
-
Avanti,
avevate promesso che una volta salutato vostro padre sareste andate a
letto. -
-
Va bene,
mamma. - Brontolarono all'unisono le gemelle, non molto convinte.
Allora Eragon
sostenne Arya. -
Avete sentito la mamma? - le rimproverò bonariamente il
giovane. Al richiamo del padre le bambine scattarono in piedi, gli
diedero
entrambe un bacio sulla guancia e sgusciarono via come due saette.
-
Sei
sempre il solito! -
-
Ti amo - le
fece lui baciandola sulle labbra.
Arya
non
disse nulla, e lui le accarezzò il volto per baciarlo
ancora. Rimasero così
uniti ancora per alcuni istanti, poi due vocine giunsero da dentro la
casa
albero
-
Mamma, papà.
Siamo pronte! -
Eragon
e
Arya si guardarono negli occhi scambiandosi un sorriso, poi entrambi si
avviarono nella camera da letto delle bambine, dirigendosi ognuno di
loro a un
letto. Imboccarono loro le coperte e le diedero il bacio della buona
notte.
-
Notte
angeli miei. - Disse Eragon passando prima una mano sulla fronte di
Selena e
poi di Islanzadi
-
Che le
stelle possano donarvi un sonno tranquillo. - Aggiunse Arya
in un sussurro,
usando l’antica lingua.
-
Notte
mamma, notte papà. -
Poi
Eragon
abbassò la luce che si affievolì piano prima di
spegnersi del tutto, mentre
Arya usciva, lui le andò dietro, cingendole i fianchi con le
mani.
Eragon
posò
le sue labbra sulla testa di Arya baciandola e chiuse i suoi occhi. I
suoi
capelli emanavano un intenso profumo di pino che lo inebriò;
assaporò quel
momento, ancora per un altro po’.
Quando
riaprì gli occhi il suo sguardo cadde sui due fairth
appesi alla parete
che lui stesso aveva creato, immortalando nella dura superficie di
ardesia due
scene. In una, il momento in cui i draghi guidati da Guiltar e Keiron
si erano
librati in volo per fare ritorno nelle Terre Selvagge,
nell’altro, lo stesso
viaggio intrapreso mesi dopo da Kima Gleadr e Validor.
Erano
trascorsi tre anni da quando
con Arya avevano preso la decisione di andare a vivere
sull’isola di Antàra, dopo
che gli elfi l’avevano lasciate per riprendere il loro posto
a Zàkhara; quattro
anni dalla fine della sanguinosa guerra voluta da Isobel.
Il
dolore e le atrocità compiute non sarebbero
state dimenticate tanto presto dai suoi abitanti, né da
l'una né dall'altra
parte, in questo non c’era nessuna
distinzioni tra vinti o vincitori.
Eragon
riaprì gli occhi.
Ora
che la pace era stata ristabilita e che la
terra dei draghi era tornata ad essere protetta della magia degli
èldunarì, il
segreto del cuore dei cuori sarebbe
rimasto protetto per sempre.
Non
ci sarebbe stato un nuovo
ordine dei cavalieri.
Questa
era stata l'ultima
decisione dei draghi.
Il
legame con il proprio
cavaliere non sarebbe stato più legato alla vita dei due
compagni ma solo fino
a quando la volontà di entrambi non si fosse consumata.
Questo
nuovo ordine aveva
sostituito il vecchio patto di sangue e aveva fatto sì che
Rebekha, Reafly e Katrina
tornassero ad Alagaësia salutando per sempre i loro compagni
che avevano fatto
ritorno nelle Terre Selvagge.
Per
lui era stato qualcosa di
inimmaginabile che i legami con Gleadr, Kima e Validor potesse
dissolversi. Ne aveva
parla a lungo con Saphira della possibilità che anche per
loro potesse arrivare
quel giorno. ma aveva anche imparato da tempo che era inutile
domandarsi sul
perché della magia dei draghi. Essa agiva sempre nei modi e
nelle maniere più
imprevedibile.
Arya
si sciolse lentamente
dalle sue abbraccia, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Si
girò prese le
sue mani tra le sue lo trascinò fuori.
-
Aspettami qui - gli sussurrò, mentre lo sospinse
per farlo sedere sopra il tronco di un albero cavo e spariva dietro a
uno degli
alberi.
Quando
ritornò, un sorriso le illuminava il
volto
-
Wìol ono
- (per te) disse porgendogli un piccolo astuccio fatto di legno di
cedro.
Alzando
un sopracciglio Eragon ci pensò un
attimo, poi gli venne in mente che oggi ricorreva
l’anniversario del giorno
della sua nascita.
-
È stata Saphira ad avermi detto la data - ammise
lei con un pizzico di malizia nella voce. Eragon corrucciò
al fronte e le
sorrise.
-
Non avresti dovuto. -
Arya
scosse la testa e appoggiandosi al suo
braccio lo invitò a scoprire il regalo. Eragon si prese il
suo tempo per aprire
l’astuccio. Spiegò l’invito intorno a
una scatola e dentro vi trovò una pietra
fatta a ciondolo, lo prese in mano, con delicatezza. Sopra vi era un
bassorilievo
in miniatura, su una delle due facce, a guisa di effige, il su volto e
quello
Arya, sull’altro quello delle due gemelle.
Mentre
nella fascia laterale, tra le due facce, tutto
intorno, si sviluppava la sagoma elegante di Saphira.
Eragon
fece scorrere le dita sulle figure e
sorrise.
-
Ti piace? - chiese Arya mettendogli un braccio
intorno alla vita e stringendolo a sé.
-
Molto! – Eragon prese il laccio e si infilò la
collana, sistemando il ciondolo sopra la casacca. Poi si
staccò dolcemente
dall'elfa.
-
Le sorprese non sono finite. - gli disse lei
con dolcezza.
L’elfa
lo fece girare e lo
bendò con un fazzoletto prima di sospingerlo in avanti con
le mani, una sul
fianco e l’altra sulla schiena. Eragon si
concentrò sul suo odore e si lasciò
guidare completamente dalla sua voce. Arya dovette avvertirlo di
qualche
ostacolo mentre lo faceva avanzare con cautela.
-
Scavalca questa radice e
abbassa la testa – gli disse Arya imitandolo da dietro.
-
Ci siamo quasi. – detto
questo Arya gli sfilò la benda ed
Eragon
si trovò davanti alla sua Saphira. La
dragonessa era placidamente accucciata intenta ad osservare la luna che
splendeva nel cielo
Mancava
esattamente da sette mesi
e dieci giorni. Eragon aveva tenuto il conto dal momento della sua
partenza.
-
Vi lascio soli – gli
sussurrò lei. – Eragon si limitò ad
annuire stringendole la mano. Arya gliele
lasciò pian piano per poi allontanarsi da lui
nell’ombra per tornare a casa.
Sei
tornata!
Proruppe
Eragon occupando in breve tempo lo spazio che lo separava dalla sua
dragonessa.
Saphira
gorgogliò piano.
Avevi
dubbi?
Eragon
scosse la testa e la
accarezzò sotto il mento
No.
Il mio cuore mi dice che il nostro momento non è ancora
arrivato.
È
lo
stesso per me piccolo mio. E fino a quando anche solo uno di noi
proverà questo
sentimento, Sigmar potrà chiedermi di tornare nelle Terre
Selvagge ogni volta che
vorrà, io tornerò sempre da te.
Cosa
mi dici di Castigo?
Gli
occhi di Saphira si velarono di una
sottile malinconia. Saphira non avrebbe potuto concretizzare con
semplici parole
quello che aveva provato nel lasciarlo andare. Così la
dragonessa preferì
aprire la sua mente a quella del suo cavaliere come non faceva da
tempo. Eragon
chiuse gli occhi e lasciò che le immagini lo permeassero con
la loro forza.
Non
pensare nemmeno un
minuto che potrei rimpiangere la mia scelta.
D’accordo
Saphira non
lo farò, ma ora toglimi una curiosità: hai
aiutato tu Arya a creare il ciondolo?
Saphira
gorgogliò come in una risata.
Arya
ha avuto l'idea io gli ho dato solo una
zampa alla fine.
Certo.
Eragon
sorrise e si accoccolò
alla dragonessa che oramai aveva raggiunto le dimensioni di un drago
adulto.
Rimasero
fermi così per un tempo indefiniti, poi
accanto a lui Saphira piegò la testa da un lato e lo
fissò con occhi divertite:
Ora
che
sei un padre responsabile e un compagno fedele ti posso chiamare ancora
piccolo
mio?
Eragon
sorrise e allungò un braccio per
accarezzarla sotto il mento.
Devo
dire
che è spesso mi ha messo in imbarazzo quel nome, ma ora non
vorrei che mi chiamassi
con nessun altro modo.
Saphira
gorgogliò grata delle sue parole.
Come
sei
diventato saggio!
Eragon rise di
gusto.
***
La
mezzanotte era già passata
da tempo quando Eragon rientrò a casa, si chiuse la porta
alle spalle e si andò
a stendere sul letto. Nel silenzio della notte Arya gli si
affiancò, muovendosi
da sotto le lenzuola.
-
Mi sei mancato - le sussurrò poggiando le
labbra morbide sul suo orecchio. Sentì le sue piccole mani
scivolare sul petto.
Eragon sorrise.
Quello
era stato il suo posto, accanto a Saphira,
ad Arya e alle loro bambine. Il mondo, non era stato quel luogo
perfetto che
aveva creduto un tempo.
Quella
pace che il popolo degli elfi aveva da
sempre auspicato, sarebbe rimasta solo un sogno.
Gli
uomini non avrebbero mai smesso di farsi la
guerra gli uni con gli altri per il solo scopo di acquisire un maggiore
potere;
questa realtà sarebbe stata qualcosa con cui Eragon, suo
malgrado, si sarebbe
sempre dovuto confrontare.
Una
guerra si era appena conclusa, ma un nuovo
conflitto avrebbe primo o poi infiammato nuovamente quelle terre e,
quando
fosse successo, non si sarebbe più combattuta a dorso di
drago.
L'incantesimo
evocato dai draghi tramite Eleonor
era stato un evento senza precedenti per il mondo magico. Con la
dipartita dei
draghi, anche la parte di magia che risiedeva in loro aveva lasciato
questo
mondo per sempre.
Tutti
avrebbero primo o dopo risentito di questa
perdita.
Eragon
avrebbe ancora vissuto una vita lunga e
piena di avventure, come aveva predetto Angela e Murtagh con lui.
Attraverso di
loro si sarebbe ancora parlato dei Cavalieri e dei loro draghi. Ma le
loro
storie si sarebbero perse prima nella nebbia della leggenda e poi in
quella del
mito.
Come
ogni cosa c'era un inizio e una fine e dal
crepuscolo del loro tempo sarebbe sorto un nuovo mondo.
***
Fine
***
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=4025815
|