Un nuovo mondo

di stefy_81
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'approdo ***
Capitolo 2: *** Un nuovo nemico ***
Capitolo 3: *** Isobel ***
Capitolo 4: *** Il potere dei draghi ***
Capitolo 5: *** Complicazioni ***
Capitolo 6: *** La fuga (prima parte) ***
Capitolo 7: *** La fuga (seconda parte) ***
Capitolo 8: *** Un uovo si schiude! ***
Capitolo 9: *** Il drago dorato ***
Capitolo 10: *** Stammi vicino! ***
Capitolo 11: *** Figli ***
Capitolo 12: *** Un nuovo cavaliere ***
Capitolo 13: *** Eleonor ***
Capitolo 14: *** Una nave nella nebbia ***
Capitolo 15: *** Risvegli ***
Capitolo 16: *** Rebekha ***
Capitolo 17: *** Legami spezzati ***
Capitolo 18: *** Una scelta difficile ***
Capitolo 19: *** Squame ghiaccio e squame zaffiro ***
Capitolo 20: *** Un'insolita lezione ***
Capitolo 21: *** Decisioni, Viaggi e Speranze ***
Capitolo 22: *** Al servizio della corte ***
Capitolo 23: *** Un bacio ***
Capitolo 24: *** Lo Spettro ***
Capitolo 25: *** La cerimonia ***
Capitolo 26: *** Eragon Ammazzaspettri ***
Capitolo 27: *** Nella tana di Verschna ***
Capitolo 28: *** Il sogno di Arya ***
Capitolo 29: *** Due volontà a confronto ***
Capitolo 30: *** Le arpie e la battaglia delle uova ***
Capitolo 31: *** Perdonare e dimenticare ***
Capitolo 32: *** Roran Fortemartello ***
Capitolo 33: *** La quiete prima della tempesta ***
Capitolo 34: *** Specchi incantati e barche magiche ***
Capitolo 35: *** Una inaspettata richiesta di aiuto ***
Capitolo 36: *** Il vero potere dei Draghi ***
Capitolo 37: *** Eldunarì ***
Capitolo 38: *** Rinascita ***
Capitolo 39: *** Isobel è sola ***
Capitolo 40: *** Per Amore ***
Capitolo 41: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** L'approdo ***


 

Era l’alba di un nuovo giorno quando tre piccole imbarcazioni raggiunsero la spiaggia dorata sotto il promontorio dove si trovava il giovane Reafly. Era un ragazzo di appena tredici anni, i capelli rossi incorniciavano un volto delicato sostenuto da penetranti occhi verdi e uno sguardo vivace di chi è in cerca di rivalsa. Era di carattere irrequieto e impulsivo. Quella notte, come era solito fare quando la madre gli proibiva qualcosa, era sgattaiolato fuori dalla sua stanza e, superate le porte cittadine, aveva preso la strada per raggiungere la costa. Doveva osservare la stella cometa che da qualche giorno era apparsa nei cieli e, secondo il suo parere, il promontorio era il punto migliore dove poterla ammirare in pace e tranquillità. L’evento aveva suscitato paura e timore trai grandi ma Reafly non era dello stesso parere.

Nella tiepida notte stellata aveva atteso fino alla comparsa dei primi raggi di sole, quando la cometa iniziò a sbiadire. Solo allora si rese conto che non sarebbe mai riuscito a tornare a casa prima che la madre si svegliasse. A quel punto soffermarsi un po' di più e vedere i passeggeri di quelle imbarcazioni non poteva fargli fare più tardi di quanto lo fosse.

Le vele raccolte sugli alberi erano state messe a riposo e gli scafi, sospinti delicatamente dal mare, solcarono la sabbia bagnata e si arrestarono nel fragore delle onde che continuavano ad abbattersi sul bagnasciuga.

Il legno con cui erano state costruite era di un bianco brillante che non apparteneva a nessun albero conosciuto, osservò il ragazzo mentre la luce del mattino ne rivelava la superficie liscia e priva di difetti.  

Per i primi minuti tutto tacque, nessun cenno di vita sembrava provenire da quelle imbarcazioni; era come se fossero state abbandonate a se stesse e portate lì solo dalla forza del mare.

La curiosità di Reafly si trasformò presto in stupore quando le due sagome, che inizialmente gli erano sembrati due uccelli, apparvero sfrecciando lungo la spiaggia in tutta la loro grandezza. Erano due grandi esseri volanti, simili in tutto a lucertole e coperti da scaglie imbricate. Uno di loro era rosso cremisi, l’altro era di un inteso blu zaffiro.  Anche se Reafly non ne aveva mai visto uno, sapeva con certezza che quelle creature erano Draghi.

Il ragazzo ne aveva sentito parlare centinaia di volte. Erano leggende raccontate ai bambini, storie a cui crescendo nessun prestava più attenzione e anche Reafly da tempo aveva smesso di crederci. Almeno fino a qual momento.

Ancora pieno di eccitazione lo sguardo del ragazzo tornò ancora una volta alle barche. L’arrivo delle due creature aveva chiamato fuori i suoi passeggeri. Erano sei in tutto ma i loro volti erano celati dai cappucci. Al di sotto dei mantelli Reafly poté solo intravedere lo svolazzare di vesti preziose. Dovevano essere di nobile origine, immaginò nella sua mente di fanciullo, e il loro portamento era altero ed elegante.

Una cosa però non tornava, le storie raccontavano dei draghi come di bestie feroci, senza alcun controllo, indomiti esseri mostruosi che distruggevano e devastavano ogni cosa al loro passaggio. Ciò che stava vedendo non corrispondeva affatto a quelle storie e gli uomini sembravano stare in armonia con i due animali.

Si fermò ancora a guardare quelle creature e rimase affascinato dai loro colori brillanti che risplendevano alla pallida luce del mattino, la grazia del loro volo era quasi ipnotico.

Reafly scosse la testa con risolutezza. Doveva ritornare in città a dare la notizia.

Raccolse lo zaino che aveva portato con sé e iniziò la discesa del promontorio ma a metà strada si fermò. Un pensiero gli si insinuò all’improvviso: nessuno avrebbe creduto alla sua storia. Neanche lui lo avrebbe fatto, se non fosse che aveva visto i due draghi con i propri occhi.

Non poteva andare in città così. Doveva scendere alla spiaggia e una volta lì doveva convincere quelle persone a seguirlo.

Ma come? L’idea gli sarebbe venuta durante il tragitto e, con quel pensiero, deviò la strada a destra per prendere il sentiero che lo avrebbe riportato giù alla spiaggia.

Per tutto il tempo Reafly continuò a pensare a ciò che aveva appena visto. Nella sua testa ripeteva la stessa tiritera: Io Colleman Reafly ho avvistato dei draghi! Io Colleman Reafly ho avvistato dei draghi!

Più lo ripeteva e più l’intensità della sua affermazione aumentava.

Io Colleman Reafly ho avvistato dei draghi!

Giunto finalmente in prossimità della spiaggia tornò a guardare verso le imbarcazioni. Si intravedevano appena gli alberi da dietro alcune dune ricoperte di giunchi.

Era tutto vero. Si disse con un sospiro. In un momento di titubanza, infatti, il ragazzo aveva aumentato il passo, fino a correre, spinto dal timore crescente di scoprire che era stato tutto frutto della sua immaginazione.

Si rimise ad osservare ma si accorse subito che le navi attraccate non erano più tre. Una di loro si era allontanata a vele spiegate e sulla spiaggia erano rimaste solo due persone e i due draghi.

Il suo sguardo si concentrò sulla riva, gli stranieri stavano scaricando alcune casse. Una in particolare, osservò Reafly, aveva l’aspetto d’essere molto preziosa. Gli uomini la stavano maneggiando con molta cura prima di adagiarla al suolo, Reafly non riusciva a capire cosa contenesse.

Percorse a carponi la distanza che lo separava dalla spiaggia e stette in attesa di un’occasione per farsi avanti. Quando ecco che gli si para davanti l’enorme testa cremisi di uno dei due draghi. La creatura era planata proprio davanti al ragazzo, mentre quello dalle scaglie blu, appena dietro di lui, lo guardò con i suoi penetranti occhi zaffiro.

Il cuore gli si fermò mentre il suo sguardo passavano dall’uno all’altro drago. Era immobilizzato dalla paura. Poi qualcosa di sottile s’insinuò nella sua mente, e una voce rimbombò in testa:

Chi sei?” chiese una voce bassa e gutturale

Castigo così lo spaventi!” intervenne una seconda voce, diversa dalla prima, decisamente femminile.

Il mio nome è Saphira e lui, come avrai capito è Castigo. Qual è il tuo?”

Reafly non poteva credere alle proprie orecchie

-Voi due parlate? - riuscì solo a dire con un filo di voce. Aveva a mala pena sentito la domanda della dragonessa e i suoi occhi non riuscivano a staccarsi dalle due creature.

Certo che parliamo!” rispose la dragonessa con una certa irritazione nella voce mentre Castigo avvertiva il suo cavaliere che la presenza che avevano avvertito era solo quella di un ragazzo. E non dei soldati che avevano avvistato qualche minuto fa.

Fatelo avvicinare, parleremo noi con lui

***

Il drago annuì mentalmente quindi fece un passo di lato mostrando al ragazzo la spiaggia e invitandolo a uscire dal suo nascondiglio. Reafly guardò titubante il sentiero di fronte a lui, poi con un colpo di spalla si sistemò meglio lo zaino sulla schiena e facendosi coraggio si avviò verso la spiaggia. I due stranieri gli vennero incontro e Reafly si rese conto che quelli che aveva creduto degli uomini erano dei ragazzi poco più grandi di lui. Uno era moro e l’atro biondo, dovevano essere dei guerrieri di alto rango perché alle cinture pendevano delle spade e incastonate sull’elsa c’erano delle pietre preziose.

- Vediamo cosa abbiamo qu i- disse il moro con voce gioviale.

- Io sono Murtagh e lui è Eragon – non appena il biondo si avvicinò gli occhi di Reafly si allargarono di paura e timore. Le orecchie del ragazzo finivano con una live punta e il profilo del volto era delineato da due zigomi appena pronunciati che non dava adito a dubbi: lo straniero era di razza elfica ma non sembrava dimostrare la stessa ferocia e perfidia con cui tutti gli adulti descrivevano quella popolazione di barbari. Reafly indietreggiò di un passo. Eragon si accorse della reazione e guardò accigliato Murtagh che gli fece cenno di fermarsi.

- Qual è il tuo nome ragazzo e come si chiama questa terra? - continuò Murtagh, questa volta senza troppi preamboli. Reafly fu lieto di rivolgere lo sguardo all’altro straniero.

- Mi chiamo Reafly Colleman- disse con fierezza - e voi vi trovate sul suolo di Zàkhara- 

- Ora faccio una domanda io, perché fingi di non conoscerci? – chiese, la voce ora carica di emozioni che si accavallavano indistinte. Reafly rivolse quella domanda guardando solo Eragon.    

Sulle prime i due ragazzi sorrisero appena a quell’accusa e si scambiarono uno sguardo divertito. Quella situazione non aveva alcun senso per loro ma l’espressione seria del ragazzo li fece capire che la sua paura era reale. Dovevano capire il motivo di tanta rabbia. Dopo uno sguardo di intesa Murtagh lasciò parlare Eragon.

- Non sto fingendo, non ho mai sentito parlare di questa terra prima d’ora. – Eragon aveva parlato con calma scandendo bene ogni parola – Perché dovrei conoscervi? – chiese alla fine. Reafly vide il suo volto sincero e rimase interdetto.

- Tu sei uno di loro, sei identico a un Elfo oscuro. Quelli come te sono capaci solo di uccidere e distruggere. - rispose con enfasi ma questa volta con meno convinzione di prima. Era ancora indeciso se fidarsi delle parole dello straniero.

- Io ed Eragon siamo fratelli e non sappiamo chi siano questi Elfi Oscuri. Devi crederci Reafly – intervenne Murtagh.

- Davvero? siete fratelli? – chiese Reafly aggrottando appena le sopracciglia, voleva credergli.

- Le vostre armi, sono molto belle. Siete dei principi? - chiese subito dopo. La rabbia e la paura avevano lasciato il posto alla curiosità.

Murtagh ed Eragon scossero la testa divertiti - No non siamo principi, Siamo Cavalieri dei Draghi -

Reafly sgranò gli occhi dallo stupore poi riprese a chiacchierare con più sicurezza. - Non ho mai visto le armi di un cavaliere. E quelle pietre. Il loro colore è quello dei vostri draghi, è così? - chiese con gli occhi che gli brillavano di curiosità.

- Proprio così. Qui abbiamo un ragazzo davvero sveglio Eragon - disse Murtagh con un sorriso, rivolgendosi al fratello. – Abbiamo una tregua? -  chiese porgendogli la mano in segno di pace. Reafly guardò la mano tesa del ragazzo per alcuni istanti prima di prendere la decisione di stringerla. 

In quello stesso momento Castigo e Saphira fecero un sonoro sbuffo e si alzarono in volo.

I soldati che hanno avvistato Arya e Jill sono vicini” dissero entrando nella mente dei loro cavalieri. Mentre stavano parlando una fila di soldati si era avvicinata al campo a passo sostenuto.

Sono una dozzina e sono armati” continuarono i due draghi.

A quanto distano?” Chiese Murtagh.

Vi raggiungeranno a momenti

Reafly guardò i ragazzi fermarsi per alcuni secondi. Avevano entrambi gli occhi socchiusi, come se stessero ascoltando qualcosa. Quando li aprirono nuovamente Murtagh posò pronto una mano sull’elsa della sua spada ma Eragon scosse deciso la testa e indicando con lo sguardo in direzione di Reafly e fece capire al fratello che non voleva usare subito le armi.

Sulle prime Murtagh lo guardò contrariato, il suo primo istinto era quello di difendersi. Poi anche lui si convinse che era meglio provare a parlare con loro prima e levò la mano da Zar’roc.

I soldati li circondarono con rapidità mentre i due cavalieri non mossero un dito, limitandosi a sondarne le menti per capirne intenzioni.

- Fermi siete circondati - tuonò la voce di un uomo corpulento che doveva essere il loro capitano

- I nostri migliori arcieri stanno puntando le loro frecce su di voi. – Il volto dell’uomo era pieno di cicatrice che il tempo aveva mischiato in una maschera dura e impassibile. Reafly da dietro Murtagh lo riconobbe subito.

- Capitano! - Gridò e si parò davanti ai due cavalieri come a volergli proteggerli.

La sorpresa negli occhi dell’uomo era evidente ma il resto del corpo rimase immobile. Alzò solo un braccio per comunicare agli uomini della retroguardia di abbassare gli archi.

- Ragazzo non dovresti essere qui ma a casa con tua madre - disse torvo – vieni qui, prima che qualcuno si faccia male - Reafly sospirò e corse da lui. 

Intanto Eragon e Murtagh avevano sondato le menti di quei soldati e avevano percepito in loro molta paura. Ma, andando più in profondità, trovarono che c’era anche una sorta di timore che potessero rappresentare una minaccia. Avevano paura che fossero degli alleati del loro nemico. Il nome degli Elfi Oscuri risuonò ancora una volta nelle loro menti senza riuscire a percepire qualcosa su chi erano o cosa avevano fatto per essere tanto odiati.

Eragon si rivolse direttamente al capitano - Non abbiamo intenzioni di fare del male a nessuno, hai la nostra parola - disse con le braccia e le mani aperte in segno di pace.

- Capitano, ascoltali… - iniziò a parlare Reafly ma l’uomo lo ammonì con lo sguardo, gli passò una mano sulla guancia e gli arruffò i capelli sulla testa - Sei stato molto coraggioso ma ora lascia che siano i grandi a parlare - lo rassicurò il capitano con un sorriso forzato. Uno sguardo più attento agli stranieri gli fece notare che dovevano avere solo qualche anno più anni di Reafly. Nonostante la giovane età, era evidente che le armi che portavano non erano d’ornamento e l’uomo intuì che erano avvezzi ad usarle.

-Ci seguirete a palazzo. La nostra signora ha chiesto di parlare con voi. Sarà lei ad ascoltare cosa avete da dire. Siete arrivati in un momento poco propizio stranieri. Il vostro arrivo è stato accompagnato dalla comparsa di una stella cometa, un presagio di sventura per il nostro popolo -

A quelle parole i due draghi ruggirono minacciosi. Il capitano li guardò titubante ma, nonostante il timore che balenava nei suoi occhi, rimase fermo nella sua posizione.

Non fate nulla disse Eragon a Saphira. Non ci faranno del male, a meno che non gli diamo motivo. Faremo quello che ci chiedono per ora disse rivolgendosi mentalmente a Murtagh

Va bene Eragon, per il momento faremo a modo tuo acconsentì suo malgrado.

- Vi seguiremo, ma lasciateci qualche minuto per preparaci -

Sollevato dalla risposta dei cavalieri il capitano rilassò i muscoli del viso e fece cenno di sì con testa. Iniziò a dare poche e concisi ordini ai suoi uomini poi la sua attenzione si rivolse tutta sul giovane Reafly. – Hai di nuovo violato il coprifuoco – lo ammonì con uno sguardo serio. Reafly era cresciuto solo con la madre e la sorella. Il capitano, un vecchio amico di famiglia era ciò che di più vicino poteva considerare un padre.

- Lo so capitano - rispose Reafly abbassando lo sguardo e incrociando le dite dietro la schiena

- Lasciami indovinare, dovevi guardare la cometa - lo anticipò l’uomo addolcendo per la prima volta la voce – tua madre sarà su tutte le furie, spero che questa avventura ne sia valsa la pena -

Il pensiero della ramanzina che avrebbe ricevuto una volta tornati in città lo fece appena sobbalzare ma, alzando lo sguardo verso gli stranieri, accennò comunque a un sorriso.

- Ho conosciuto dei Cavalieri dei Draghi - disse con un tono orgoglioso.

- Sono stati loro a dirtelo? - chiese il capitano tornano a guardare gli stranieri.

- Sì signore. Hanno detto di essere fratelli. Mi fido di loro - disse infine con voce risoluta. Il capitano sorrise a quelle parole piene di innocenza e annuì.

- Questo dovrà deciderlo la Regina - aggiunse. I due stranieri erano stati fin troppo inclini ad accettare le loro richieste. La calma che stavano mostrando dava all’uomo l’impressione che, nonostante fosse lui al comando, non aveva tutto il controllo che credeva.

Murtagh ed Eragon utilizzarono il tempo che li era stato concesso per raggiungere mentalmente gli altri due membri della compagnia che si erano allontanati per una perlustrazione della zona.

Murtagh spiegò loro brevemente la situazione.

Ritornate il prima possibile al campo. Qualcuno deve proteggere le uova

Non mi piace questa storia, mi sembrano molto spaventati e la paura può far fare cose stupide disse Jill. Fate molta attenzione concluse.

Anche l’altra, come i cavalieri, aveva sondato le menti di quei soldati. Non ci faranno del male ma nel loro cuore regna la superstizione, una parola detta in maniera sbagliata potrebbe toccare la loro sensibilità. Come ha detto Jill dovete stare molto attenti. I due cavalieri si limitarono ad annuirono alle due donne.

Staremo attente Arya, Saphira e Castigo saranno con noi. Disse Eragon accennando un lieve sorriso. Poi i due cavalieri fecero segno al capitano di essere pronti a seguirli.

I soldati già pronti si schierarono in posizione compatta dietro di loro mentre i due draghi seguivano la fila dell’alto.

Dopo un paio di ore di cammino raggiunsero infine una grande città. L’abitato era circondato da piccoli appezzamenti di terra, il coloro diverso della colture scandivano il paesaggio con lotti regolari. La città era protetta da alte mura al cui centro si ergeva una piccola cittadella cinta a sua volta da un altro cerchio di mura turrite. Un piccolo gruppo di curiosi si era riversato sulla strada principale per assistere al rientro dei soldati. Grida di stupore si levarono al passaggio in cielo dei due draghi costretti ad ampie planate per restare al passo con gli uomini a terra.

– Reafly! Reafly! – gridò una donna da dietro una fila di astanti. Alcuni di loro si scansarono per farla passare. Il capitano riconobbe la donna e prese per mano il ragazzo che già si era preparato al rimprovero della madre. Reafly rimase immobile con il capo chino mentre la donna lo fulminava lo sguardo

- Cosa ti è saltato in mente di rimanere fuori tutta la notte. Mi farai venire i capelli bianchi! – disse infine con i pugni puntati ai fianchi e lo sguardo accigliato.

- Mamma oramai ho quasi quattordici anni, so badare a me stesso- rispose con orgoglio il ragazzo.

- Serena non c’è motivo di preoccuparsi oltre. Tuo figlio è stato molto coraggioso - lo difese il capitano strizzandogli l’occhio in segno di intesa. – devi essere fiera di lui. - Serena li guardò sospirando rassegnata.

- Coraggioso o no, ora torniamo a casa. Tua sorella ci sta aspettando - Reafly lanciò di sfuggita un’occhiata ai due stranieri. – Ma mamma, io voglio rimanere- supplicò rivolto verso il capitano ma l’uomo scosse la testa.

- Mi dispiace Reafly. Queste sono questioni da grandi. Va con tua madre -

Reafly guardò con deluso l’uomo e la madre in breve successione poi abbassò lo sguardo rassegnato.

Il capitano di ritorno dai suoi uomini fece cenno al gruppo di proseguire. Attraversarono una serie di strade larghe popolate qua e là di persone che iniziavano adesso i loro affari in città. Presto raggiusero le mura della cittadella. Il piazzale antistate al portale di ingresso era abbastanza ampio da permettere ai due draghi di atterrare.

- Loro dovranno aspettare qui – disse il capitano guardando in direzione dei due draghi.

Saphira e Castigo acconsentirono a malincuore a rimanere. Ma che sia l’ultima volta. Non hanno idea di chi hanno di fronte. Quella gente stava trattando i due draghi alla stregua di qualsiasi altro animale. Eragon e Murtagh riuscirono a malapena a frenare la collera che traspariva dal loro legame ed anche a loro non piaceva l’idea di lasciarli indietro. Lo sappiamo, ma non possiamo fare altro per ora. Aggiunsero i due cavalieri prima di sparire dietro le porte del palazzo.

***

Intorno ai due draghi, intanto, si era iniziata a creare una piccola folla di curiosi. Due soldati della pattuglia che li aveva scortati erano stati lasciati a guardia anche se era evidente a tutti che non avrebbero potuto fare molto contro le due creature se solo avessero voluto attaccare.
La paura era il sentimento più forte che i due draghi riuscivano a percepire. Nonostante tutto la gente continuava a riversarsi curiosa. Spazientiti dalla confusione della gente si andava accalcando sempre più stretta, dalle loro narici iniziarono ad uscire leggere nuvole di fumo bianco e caldo. L’evento suscitò improvvise grida di stupore e il cerchio intorno ai due draghi si allargò quel tanto da permettere loro di far oscillare almeno le code.

***

Nel frattempo, Murtagh ed Eragon vennero condotti all’interno del palazzo. Dalla grande sala d’ingresso due ampie scale laterali convergevano al piano superiore e ad un lungo corridoio. Salirono le scale e percorsero tutto il vano. In fondo si ergeva un grande portale sormontato da un arco ad ogiva e sorretto da colonne trilobate su entrambi i lati. Il soffitto ligneo era riccamente decorato da motivi geometrici e floreali in rilievo.

- La nostra regina vi attende - annunciò il capitano una volta raggiunto il portale bronzeo.

Fa parlare me, sembra che assomigliare ad un elfo qui non sia di moda. gli disse mentalmente Murtagh con un tono tra il canzonatorio e il preoccupato. Eragon fece una leggera smorfia La scena è tutta tua… rispose tradendo una certa tensione nella voce.

Quando le porte di bronzo furono aperte davanti ai loro occhi si presentò una sala riccamente decorata da marmi colorati. Un’alta pedana ospitava una corte di personaggi riuniti intorno al trono dove era la loro Regia. Una lunga scalinata centrale dava l’accesso alla pedana. Il capitano salì per primo e raggiunta la cima fece un profondo inchino alla figura assisa sul trono. La donna indossava un abito semplice e leggero dai colori pastello chiaro. I lunghi capelli biondi erano sciolti e due ciocche le ricadevano sul petto raccolte in morbide trecce. La donna attese alcuni istati prima di invitarlo rialzarsi poi l’uomo avvicinò il volto al suo orecchio riferendole qualcosa a bassa voce come a non voler far sentire al resto degli astanti. La donna ascoltò con attenzione le sue parole e allo stesso tempo lanciava fugaci occhiate nella direzione di Murtagh ed Eragon.

- Fate venire avanti gli stranieri - disse con voce ferma. Sotto lo sguardo di tutti salirono la scalinata. Eragon si fermò qualche passo dietro rispetto Murtagh poi entrambi si inchinarono di fronte alla regina in segno di rispetto.

La regina posò il suo sguardo prima su uno e poi sull’altro cavaliere compiaciuta. – Io sono la Regina Isobel di Zàkhara- disse con voce ferma - La vostra affinità con gli Elfi Oscuri è evidente- continuò scandendo lentamente le sue parole - ma allo stesso tempo sembrate umani. Perciò ditemi chi siete e quali sono le vostre intenzioni –

- Maestà io sono Murtagh e lui è mio fratello Eragon. Siamo Cavalieri dei Draghi di Alagaësia. Siamo partiti dalla nostra terra, e abbiamo viaggiato mesi prima di approdare qui –

La regina guardò i due giovani con sguardo impassibile mentre un lieve brusio si alzò tra gli astanti. – Cavalieri dei draghi avete detto? Sono draghi quindi le bestie che sono fuori? – chiese alzando una mano per far tacere tutte le altre voci.

– Sono i nostri compagni di mente e di cuore, Maestà - puntualizzò Murtagh cercando di non risultare scortese – I loro nomi sono Castigo e Saphira. Sono creature intelligenti e non amano essere ignorate –

Isobel alzò un sopracciglio mentre un cenno di curiosità sembrò accendersi nei suoi occhi chiari. - Ciò che mi dite è nuovo. Le nostre storie riguardo ai draghi parlano di creature selvagge e prive di controllo, non di esseri senzienti. Mi scuso con loro e mi riservo di dargli la dovuta attenzione il prima possibile -

- Lo apprezzeranno molto - le disse Murtagh guardando dalla parte di Eragon che ne frattempo aveva aperto la sua mente a Saphira permettendole di ascoltare la conversazione.

- Ed ora credo che vorrete sapere qualcosa sugli Elfi Oscuri e perché li temiamo così tanto- disse infine Isobel indovinato i loro pensiero. Murtagh ed Eragon annuirono ed Isobel sembrò impaziente di continuare il suo racconto.

- Trecento anni fa, prima che prendessero l’appellativo di Oscuri, gli Elfi erano un popolo che sapeva usare la magia e noi uomini vivevano con loro in armonia e pace.

Un giorno, non si sa bene quando, iniziarono a perdere i loro poteri. La loro razza un tempo luminosa e pacifica divenne l’ombra di sé stessa. Un numero esiguo di sopravvissuti andò a stanziarsi sulla vicina isola di Artea e per molto tempo non si seppe più nulla di loro.

Quando iniziarono i primi attacchi nessuno di noi si rese di quello che stava accadendo. Si trattava per lo più di scorribande sparse qua e là. Poi la terra iniziò ad ammalarsi portando con sé carestie ed epidemie tra la nostra gente.

Quando giovanissima venni eletta regina, il nostro regno era diventato ormai l’ombra di stesso. Con grandi sforzi e fatica riuscii a strappare loro una tregua ed ottenere la pace. -

Da anni non ci sono stati più attacchi, ma quando abbiamo avvistato le vostre navi, abbiamo temuto il peggio - la Regia rimase in un silenzio carico di tensione e dolore prima di riprendere a parlare.

- Ora che ogni cosa è stata chiarita vorrei che foste nostri ospiti. Potremo parlare ancora e conoscere meglio la vostra storia -

- Vi ringraziamo per la generosità – disse Murtagh – Ma abbiamo lasciato due dei nostri compagni e ciò che abbiamo portato dalla nostra terra alla spiaggia e abbiamo il desiderio di ritornarci –

- A questo possiamo subito rimediare Cavalieri – con un rapido gesto Isobel fece entrare altre guardie.

- Che siano scortati alla spiaggia e i loro bagagli trasportati a Palazzo. Saranno i ben venuti anche i vostri compagni. Purtroppo per i draghi non abbiamo strutture tanto grandi da poterli ospitare, ma diteci cosa possiamo fare per rendere gradito il loro soggiorno e se è in nostro potere sarà fatto –

La Regina non vi ha dato molta scelta che accettare il suo invito. intervenne mentalmente Castigo.

Che prepari delle ottime scuse gli fece eco Saphira di rimando.

***

L’ultimo comandi della Regina avevano sancito la fine dell’udienza e congedati Eragon e Murtagh vennero nuovamente scortati dalle guardie della Regina e dal capitano.  

Nel momento in cui lasciarono la sala del trono l’atteggiamento dell’uomo cambiò radicalmente. Si avvicinò ai due cavalieri e con un sorriso più disteso disse loro  - Mi dispiace per l’accoglienza che vi abbiamo riservato poco fa, ma dovevamo essere cauti - disse con semplicità - io sono Xavier capitano della guardia reale, è un piacere conoscervi Cavalieri dei Draghi - disse avvicinandosi a gradi passi al cancello uscita.

- Il piacere è nostro capitano- risposero entrambi i cavalieri con fare distratto, le loro menti e pensieri, infatti, erano tutti rivolti ai loro draghi. Agitazione e trambusto trapelava attraverso il loro legame. I ragazzi ne compresero il motivo una volta raggiunto l’esterno.

Il piazzale in cui li avevano lasciati era gremito da un numero considerevole di persona - Che cosa succede qui? - fece eco Xavier facendosi spazio a spallate. Un muro di persona li separava dal punto dove si trovavano Saphira e Castigo. I due soldati che stavano cerando di gestire al meglio la situazione furono più che lieti di vedere i Cavalieri ritorno e aprirono subito loro la strada - Abbiamo cercato di tenere la gente a bada ma senza alcun risultato capitano-

- Li facciamo subito allontanare - disse capitano dando l’ordine ai soldati al seguito.

Intanto una bambina dai capelli color del miele era riuscita a sgattaiolare tra tutte quelle persone e avvicinarsi ad Eragon. Le sue piccole manine gli strattonarono la veste con delicatezza richiamando la sua attenzione. La mamma che era rimasta qualche passo indietro si fece largo superando la prima fila di persone – Perdonate mia figlia, ha insistito tanto - intervenne la donna che aveva ormai raggiunto la bambina. I capelli erano raccolti in una morbida treccia e il viso era sottile. - Vorrebbe accarezzarlo - aggiunse indicando con lo sguardo Saphira. - Le ho detto che non poteva, naturalmente, ma non sono riuscita a trattenerla Signore. -

Murtagh che era accanto a Xavier rivolse a Eragon uno sguardo interrogativo ed Eragon lo rassicurò con un cenno del capo. Attraverso il legame con Saphira aveva percepito qualcosa in quella bambina che non poteva ignorare.

Saphira cosa ne pensi? le chiese mentalmente il ragazzo Va bene piccolo mio portala pure qui fu la riposta dolce di Saphira.

- Non è un disturbo - disse Eragon rivolto alla donna e con un sorriso issò la bambina in alto tra le braccia.

- Lei si chiama Saphira. Sei pronta a fare la sua conoscenza? - chiese rivolgendosi alla piccola. Lei annuì e tese la sua mano verso la dragonessa. Saphira gorgogliò qualcosa che doveva essere un sì e avvicinando il suo muso la sfiorò appena con la punta del naso.

In quel momento avvenne qualcosa di inaspettato. Una luce proruppe da quel breve tocco e nella mente di Eragon scaturì l’immagine di un piccolo drago ai piedi della bambina. Poi come era apparsa la luce sparì e tutto intorno tornò normale tranne che per un luccichio argentato sul palmo della mano della piccola.

- Succedono sempre cose strane intorno ai draghi, cose che vanno oltre le nostre stesse comprensione - sussurrò Eragon guardando Saphira con rinnovato stupore.

Lo hai visto anche tu? Murtagh lo aveva raggiunto mentalmente. Aveva condiviso con Eragon la visione del piccolo di drago.

Sì l’ho visto e questo può significare una sola cosa. Eragon non finì la frase – come ti chiami piccola? - chiese invece rivolto alla bambina.

- Eleonor - rispose lei guardandosi il palmo della mano.

- Eleonora, sai cosa è successo poco fa, quando hai sfiorato Saphira? -

- ho visto un cucciolo e … - la bambina guardò in direzione della madre.

- …voglio andare a casa - piagnucolò nascondendo il viso sul petto del cavaliere.

Lasciala andare piccolo mio, sarà lei a tornare quando sarà pronta le disse mentalmente Saphira tranquillizzandolo il Gedwey ignasia la guiderà.

Eragon annuì con la testa e lasciò scivolare la bambina a terra. Eleanor stette un attimo a dondolare poi senza preavviso strinse con le braccia alle gambe di Eragon, per salutarlo. Sorpreso dal gesto Eragon le posò le mani sulle spalle fino a quando la bambina non si staccò e corse tra le braccia della madre. La donna non aveva idea di quello che era successo e ringraziò Eragon con lo sguardo.

Quando Eragon raggiunse Murtagh i due cavalieri si scambiarono uno sguardo di intesa consci del peso di quanto era accaduto. La comparsa del marchio portava con sé tutte una serie conseguenze, tra cui il compito di addestrare una uova generazione di Cavalieri di cui Eleonora sarebbe stata la prima. I due fratelli non erano certi di esserne all’altezza.

Sarete degli ottimi insegnanti, piccolo mio. Io e Castigo ne siamo certi. disse la dragonessa, avvertendo l’incertezza del giovane attraverso il loro legame. Anche Castigo aveva sentito lo stesso sentimento da parte di Murtagh.

Non sarte soli nel compito tigre. Aggiunse il drago cremisi sbuffando con il naso e facendo uscire un po’ di fumo dalle narici. 

-E’ ora di andare Cavalieri – intervenne Xavier interrompendo quel momento. Nel frattempo lui e i suoi soldati aveva fatto disperdere la folla. La loro ferrea disciplina era ammirevole. La loro regina gli aveva affidato il compito di scortali dal loro campo al palazzo e il loro capitano lo avrebbe lo portato a termini.

Concordando con il capitano Saphira e Castigo mossero le loro ali impazienti di alzarsi in volo. Anche Eragon e Murtagh lo erano e con un agile movimento salirono suoi loro dorsi   

- Noi andiamo avanti con loro. Vi seguiremo dall’alto-  I due draghi che non aspettavano altro, avevano già spiegato le ali e le ultime parole di Murtagh si persero nel rumore provocato dal loro battito. Una folata di vento investì i soldati che rimasero a guardare le due creature librarsi in aria e virare eleganti nel cielo.  

 

 

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Capitolo 2
*** Un nuovo nemico ***


Una volta congedati i cavalieri la regina mandò via anche il resto dei cortigiani e rimase da sola nella stanza del trono. I suoi lineamenti di solito belli e solari si contrassero in una smorfia di fastidio mentre ripensava agli ultimi eventi. Dalla comparsa della cometa il suo sonno era diventato frammentato e agitato ed ora l’arrivo di questi Cavalieri dei Draghi dava a Isobel altri pensieri.

Una figura esile emerse alle sue spalle dall’ombra - Hai chiamato mia signora? – chiese con una voce fredda e tagliente.

- Sì Oliviana. Il momento è arrivato. Non esitare, vai e fa quello che devi - disse solo e nell’ombra la donna si dileguò così come era comparsa.

Isobel si alzò dal trono e uscì per ritirarsi nei suoi appartamenti privati. Le sue stanze erano un’area riservata solo a pochi addetti del palazzo, ognuno i loro era stato scelto personalmente dalla regina per una sua dote peculiare. Le piaceva pensare che protetti da quelle mura potessero coltivare quelle loro doti lontano dalle superstizioni del popolo. Al resto degli abitanti della cittadella non era permesso entrarvi. Chi non era nella cerchia stretta degli adepti sapeva solo che al loro interno avvenivano i misteri. Così venivano chiamati i riti si svolgevano all’interno di quelle stanze. Chi ne era a conoscenza era tenuto a mantenere il segreto. Le conseguenze se si fosse violato questa regola sarebbero state terribili. Era credenza, infatti, che la pace fosse mantenuta proprio grazie ai misteri. Isobel sorrise a quelle dicerie che nonostante tutto avevano un fondo di verità; quindi, chiamò a sé alcuni attendenti che si trovano nella stanza. I due uomini si affrettarono a raggiungerla salutandola con un inchino - Chiamate il mio consiglio privato – ordinò loro - Ho dei compiti precisi de affidarvi per l’arrivo dei nostri ospiti. -

***

Jill era seduta sulla sabbia bagnata osservando un punto nero che da qualche minuto era comparso sulla linea dell’orizzonte. La sua corporatura era esile e il profilo delicato si delineava sotto il tessuto morbide delle sue vesti. La sua apparente fragilità non doveva trarre in inganno, Jill era infatti un’abile spadaccina e con un coltello poteva fare centro a diverse iarde di distanza. Aveva servito a lungo sotto Galbatorix come suo sicario personale e la sua lama si era rivelata letale per molti incauti che avevano sottovalutato le sue abilità. Ma quel capitolo della sua vita faceva orami parte del passato. Molte cose erano cambiate da allora. Aveva conosciuto Murtagh, si era innamorata di lui e per amore lo aveva seguito fino agli estremi angoli del mondo. Jill non avrebbe voluto essere da nessun’altra parte.

Aveva anche trovato degli amici. Durante quei mesi di navigazione si era molto affezionata all’Elfa dal portamento altero ed algido. Ora riposava appena dietro di lei. Era caduta in uno stato di profonda quiete. Dopo molte insistenze Jill era riuscita a convincerla a stendersi e riposarsi. Non c’era motivo di essere in due a preoccuparsi per i due cavalieri pensò la giovane passandosi una mano sulla fronte.

Si alzò per sgranchirsi le gambe indolenzite per essere stata a lungo nella stessa posizione e tornò di nuovo a guardare il punto nero.

Questo si era trasformato nella sagoma scura di una nave che si stava avvicinandosi a loro ad una velocità impressionante.

La ragazza sobbalzò dalla sorpresa e corse subito da Arya. Chinandosi su di lei la scosse energicamente da un braccio.

- Arya presto guarda! - chiamò. L’Elfa aprì gli occhi.

- Cosa succede, sono tornati? - chiese e dopo un primo momento di torpore L’Elfa sentì tutti i sensi del suo corpo di nuovo all’erta.

- No, ma credo che sia meglio che tu guardi con i tuoi occhi -

Arya guardò nel punto indicatole da Jill dove un veliero nero come la pece avanzava inesorabile. Un vento di ponente che non aveva nulla di naturale gonfiava le sue vele.

Arya aprì la sua mente e cercò di stabilire subito un contatto con Eragon. Quando alla fine riuscì a trovalo cercò di trasmettere tutta l’urgenza del momento.

Eragon venite al più presto. Una nave si sta avvicinando e non sembrano amichevole.

Eragon e Murtagh erano da poco ripartita dal palazzo reale. La risposta del cavaliere arrivò subito Stiamo arrivando.

***

Eragon aveva comunicato il messaggio di Arya e in risposta Saphira e Castigo aumentarono la loro velocità con colpi di ali più decisi. Sotto di loro i soldati guidati da Xavier, che fino a quel momento li aveva seguiti, cercarono invano di tenere il passo ma rimasero inesorabilmente indietro. Eragon vide gli uomini fermarsi e dal basso guardarli andare via, ma non c’era tempo per poterli avvertire. I soldati non potevano correre più veloce di così, li avrebbe solo rallentati. L’unica cosa che premeva ai due cavalieri era raggiungere le loro compagne, in seguito ci sarebbe stato tutto il tempo per spiegare.

Eragon si strinse più forte alla dragonessa, sotto di lui poteva sentire i potenti muscoli tendersi allo spasimo per lo sforzo. Dal momento in cui aveva chiuso il breve collegamento mentale con Arya un presentimento si era insinuato nella sua mente. Sentiva come se qualcosa di terribile stesse per accadere. Quel pensiero non riusciva ad abbandonarlo mentre il vento gli sferzava i capelli. Cercò di mandarlo via ma il disagio raggiunse presto anche la mente di Saphira. La dragonessa allora gli sfiorò delicatamente la mente.

Stiamo correndo il più possibile piccolo mio cercò di rassicurarlo.

Lo so Saphira, ma sento che qualcosa non va

Spinta anche lei dalla stessa sensazione di pericolo Saphira superò Castigo.

Eragon cosa succede? Chiese Murtagh che con Castigo si erano resi conto della loro accelerazione.

Ho un brutto presentimento spero sia solo una sensazione lo informò brevemente Eragon.

Quando Saphira e Castigo piombarono sulla spiaggia Eragon e Murtagh si trovarono davanti il campo completamente vuoto e messo sotto sopra. Era come se una bufera vi si fosse abbattuta sopra.

Scesero dal dorso dei draghi con un salto ed entrambi i cavalieri aprirono subito la loro mente in cerca della presenza delle due donne. Sentirono un lieve segnale di vita provenire alla loro destra. Eragon e Murtagh corsero in fretta in quella direzione. Nascosta dietro dei giunchi e riversa in una risacca d’acqua c’era Jill. Murtagh si chinò immediatamente su di lei. Il suo corpo era immobile e pieno di tagli, graffi e contusioni.

- Jill svegliati, ti prego – la chiamò Murtagh mentre la tirava su dalle spalle. Il petto della ragazza si alzava e abbassava in un respiro fievole.

Cono cautela Murtagh prese in braccio il corpo ancora incosciente di Jill. Un leggera smorfia di dolore increspò gli angoli della bocca mentre il cavaliere la tirava su.

- Vieni portala qui - lo chiamò Eragon che nel frattempo aveva sistemato una coperta su cui far adagiare la ragazza. Una volta assicurati che fosse coperta e all’asciutto i due cavalieri continuarono a perlustrare il campo. Seguirono le tracce da dove avevano scoperto Jill e non ci misero molto a trovare i segni di una colluttazione. Le tracce continuavano verso il mare. Sulla sabbia erano ben visibili i solchi lasciati da uno scafo insieme alle orme di almeno di una decina di piedi. Con molta probabilità Arya era stata portata via sull’imbarcazioni.

Eragon fremette di rabbia poi si guardò intorno. Un rapido sguardo alle casse scaricate dalle navi e si rese conto che ne mancava una. La disperazione del ragazzo crebbe ancora di più.

Saphira le uova, hanno preso anche loro. Disse tramite il loro legame. Accanto a lei Castigo proruppe in un lamento.

Rivolto verso il mare anche Murtagh guardava disperato le onde infrangersi sulla spiaggia. Guardando più in là notò qualcosa che veniva sospinto dalla corrente. Si avvicinò al punto e gli stivali del ragazzo vennero lambiti dall’acqua e dalla schiuma mentre si piegava per raccogliere quello che a tutti gli effetti era un lembo di stoffa bagnato.

- Eragon viene, guada cosa ho trovato - disse chiamano immediatamente il fratello che si affrettò a raggiungerlo. Anche i draghi si avvicinarono. Castigo annusò la stoffa dalla mano del suo cavaliere e arricciò le labbra.

Odora di inganno. Non mi piace Murtagh lo guardò accigliato mentre tastava la stoffa con le dita. - Deve essere appartenuto a uno degli assalitori. Anche se piccolo abbiamo un indizio da cui partire - disse porgendola ad Eragon. Il ragazzo prese il lembo tra le mani e ne osservò la trama

- Una stoffa nera - aggiunse con voce asciutta. La situazione era rapidamente precipitata ed Eragon non era in grado di fermare il vortice di emozioni che sentiva, amplificate da quelle provenienti dal suo legame con Saphira.

I lamenti di Jill riportarono i due cavalieri alla realtà. La ragazza aveva iniziato ad agitarsi afferrando e strattonando la coperta su cui l’avevano avvolta. I due Cavalieri la raggiunsero in un attimo e cercarono di tenendola ferma. Con sicurezza Eragon posò una mano sopra il viso della ragazza e chiudendo gli occhi pronunciò alcune parole nell’antica lingua per calmarne gli spasmi. Nel farlo si accorse di un particolare che prima gli era sfuggito. Chiunque aveva ridotto Jill in quello stato aveva anche usato la magia su di lei; un incantesimo la teneva costretta in un sonno senza sogni. Eragon vide anche un’altra terribile verità, l’incantesimo era stato creato per portarla una lenta e inesorabile morte. Se non fosse intervenuto subito l’avrebbero persa per sempre. Passata la sorpresa iniziale il cavaliere si mise in fretta a formulare una serie parole che gli permisero di svelare la struttura dell’incantesimo, dopo di che ne creò un secondo per scioglierlo; una volta lanciato Eragon sentì il sangue delle vene gelarsi mentre la magia riscuoteva il suo prezzo. La quantità di energia che abbonò il suo corpo lo lasciò spossato. Chi lo aveva ordito era molto abile nell’uso dell’antica lingua ed il suo scopo era di infliggere il più possibile dolore.

Piccolo mio sono qui intervenne Saphira sostenendolo attraverso il loro legame.

Eragon lasciò che Saphira gli infondesse forza e attese che il mondo smettesse di girargli intorno prima di aprire gli occhi. Accanto a lui Murtagh lo osservò preoccupato. – Che cosa è successo? -

– Dopo te lo spiego, ora occupiamoci delle sue ferite - si limitò a dire Eragon sistemandosi meglio accanto alla ragazza. Non voleva preoccupare il fratello fino a quando Jill non si fosse stabilizzata e in silenzio iniziò ad esaminare il corpo. Alcuni tagli erano profondi, altri più superficiali, tutti erano stati inflitti dalla stessa arma. Le ferite le avevano anche provocato una leggera febbriciattola che le imperlava la fronte di sudore. Eragon prese un respiro e iniziò con il processo di guarigione.

Fu un lavoro lungo e meticoloso. Eragon si immerse nel compito senza risparmiarsi. Occupare la mente con qualcosa di utile lo aiutò ad allontanare il pensiero di Arya che minacciava di sopraffarlo. Murtagh aveva compreso il suo bisogno e lo aveva lasciato lavorare vegliando di tanto in tanto su di lui.

***

Il ragazzo aveva quasi finito quando Xavier li raggiunse con il drappello di soldati. Saphira emise un basso ruggito di avvertimento quando l’uomo si avvicinò troppo al suo cavaliere ancora chino su Jill.

- Credevo ci avreste seguito. Che cosa è successo qui? - chiese avvertendo la tensione nell’aria.

Murtagh andò incontro all’uomo - Saphira tranquilla, ci sono io – disse volgendo lo sguardo al Capitano – C’è stata un’irruzione al campo. Una nave è arrivata portandosi via una dei nostri e lasciando l’altra ferita - disse il ragazzo senza riuscire a mascherare l’angoscia che stava provando. - Non siamo riusciti ad arrivare in tempo per fermarli –

- Le sue condizioni? – chiese rivolto a div era Jill.

- Eragon se ne sta occupando -

Il capitano guardò verso il cavaliere. Sapeva che si trattava di magia ma quell’ argomento era un tabù per volere della stessa Isobel e non gli era permesso parlarne.

- Quando abbiamo perlustrato il capo, al nostro arrivo, abbiamo trovato questo - continuò Murtagh porgendo al capitano la stoffa trovata sulla spiaggia - Vi dice qualcosa? -

Il capitano Xavier osservò il lembo del tessuto e il suo volto si fece torvo. Ne aveva riconosciuto immediatamente la provenienza - Questa trama non può che essere dalle uniformi degli Elfi Oscuri. Non ho dubbi - disse con voce asciutta

- Ne sei certo? - chiese Murtagh.

Il volto di Xavier si contrasse in una smorfia - Ho combattuto contro quelle belve abbastanza a lungo da esserne certo Cavaliere. Questo attacco porta la loro firma - Disse Xavier sospirano - Non pensavo sarebbe successo di nuovo. Mi spiace sia capitato proprio a voi – disse sinceramente dispiaciuto - Con il vostro permesso i miei uomini ed io vorremmo iniziare a portare via le vostre cose. Non è più un posto sicuro questo –

Murtagh si limitò ad annuire quindi andò da Eragon che nel frattempo si era alzato in piedi e stava prendendo un sorso di idromele dalla bisaccia dalla sua cintura. Era visibilmente stanco e si appoggiò al fianco di Saphira.

- Vuoi spiegarmi ora cose succede? – chiese impaziente Murtagh. Il Cavaliere aveva notato un lieve tremore nella mano del fratello e iniziava a preoccuparsi.

Eragon non poteva più indugiare oltre, Murtgh doveva sapere la verità. Riallacciò la bisaccia alla cintura e cercò con cura le parole – Jill è stata avvelenata da un incantesimo. Chiunque abbia affrontato la giù era qualcuno esperto di magia. Ho fatto tutto quello che era in mio potere per scioglierlo. Ora dobbiamo solo aspettare che si svegli - Murtagh si girò di scatto a guardò il volto di Jill, per la prima volta da quando l’avevano trovata era di nuovo rilassato e aveva assunto il suo colorito roseo. Eragon aveva deliberatamente evitato di entrare nei particolari dell’incantesimo, ma Murtagh immaginò che dovesse esser stato potente. Se quello che gli aveva detto il capitano Xavier era vero allora l’aggressore di Jill aveva anche un nome

- Eragon il capitano ha riconosciuto la stoffa. Appartiene agli Elfi Oscuri - gli disse di getto.

Eragon non rispose subito. Soppesò le parole del fratello per alcuni istanti prima di scuotere la testa - Tutto questo non ha senso, la magia non appartiene più a quel popolo. Così ci hanno detto – Murtagh annuì meditabondo

-L’ho pensato anche io, ma Xavier ne è sicuro-

-Ti fidi così tanto di lui? - Murtagh percepì la diffidenza di Eragon. Non era la prima volta che si trovavano in disaccordo su qualcosa, ma Eragon gli stava nascondendo qualcosa o per lo meno non gli stava dicendo tutto e questo li stava allontanando.

- Sì Eragon, penso che mi stia dicendo il vero - rispose asciutto Murtagh. - Che mi fidi o no del capitano, non possiamo rimanere qui a lungo. Per cui, a meno che tu non abbia qualche prova del contrario, dovrai fidarti anche tu. - Eragon scosse la testa, non aveva prove a suo favore ma solo sensazioni. Murtagh annuì soddisfatto. - Dobbiamo prepararla Jill per il viaggio. Mi dai una mano? - gli chiese, questa volta usando con tono più conciliante.

***

Castigo lasciò che i due Cavalieri lavorassero sulla sua sella. Eragon sistemò delle coperte per fare in modo che la ragazza potesse viaggiare più comodamente possibile. Mentre Murtagh adagiò il corpo di Jill e l’assicurò alla sella con dei legacci, poi il ragazzo sussurrò alcune parole nell’antica lingua a rinforzo delle cinture.

Da una certa distanza il Capitano li stava osservando. I suoi uomini avevano quasi finito di caricare le casse e lui aveva degli ordini precisi a cui attenersi. Si avvicinò ai Cavalieri e salutò Eragon con un cenno.

- Mi dispiace interrompervi Cavalieri, ma sarà meglio rientrare –

I due ragazzi annuirono e il capitano ne fu sollevato.

- Sono contento che vi vogliate affidare alla protezione della nostra regina Isobel- disse - ma soprattutto che non abbiate agito da soli- aggiunse pensando alla delicata situazione in cui si trovavano.

- Capitano vi seguiremo e accettiamo l’invito della vostra regina, ma quando sarà il momento agiremo come meglio riterremo opportuno – fisse Eragon rivolgendo quelle parole più che altro a Murtagh che al capitano.

- Naturalmente siete liberi. Ma dovete capire che senza il nostro supporto la situazione della vostra amica potrebbe peggiorare. -

Quel riferimento ad Arya colpì Eragon in un modo particolare. Il ragazzo sentì un misto di rabbia e irritazione montarli dentro.

- E’ forse una minaccia? - disse guardando il capitano negli occhi.

- Eragon, calmati - intervenne immediatamente Murtagh, preoccupato per la reazione del fratello. – Il capitano Xavier, vuole solo aiutarci – gli disse poggiando la mano sulla sua spalla. Non era da lui rispondere con quei toni bruschi.

Ma Eragon non aveva intenzione di calmarsi. Strattonò la mano del fratello per liberarsi e si allontanò a grandi passi da loro. Murtagh si girò verso il capitano e poi verso Saphira alzando le mani impotente.

La dragonessa si mosse nella direzione presa dal suo cavaliere.

Eragon, piccolo mio. Cosa stai facendo?

Per favore, non dirmi anche tu di calmarmi. I suoi occhi erano lucidi mentre si girava a guardare la dragonessa. Nel farlo Eragon lesse la stessa angoscia e preoccupazione. La sua rabbia scemò appena.

Scusami Saphira, anche tu oggi hai perso qualcosa di importante. le disse profondamente dispiaciuto.

Sto bene piccolo mio. Rispose attraverso il legame. Ma ora sarà meglio andare. Eragon trattenne una nuova ondata di rabbia e si voltò dall’altra parte prendendo un altro profondo respiro.

Non mi piace questa situazione. La sensazione di pericolo che ho sentito in volo non è ancora andata via. Saphira gorgogliò preoccupata.

Anche a me il capitano Xavier mi sembra sincero. Lo incalzo la dragonessa con dolcezza sostenendo la scelta di Murtagh. Il suo muso si scontrò delicatamente contro la spalla del cavaliere invitandolo voltarsi.

Ora più che mai abbiamo bisogno i aiuto, di qualcuno che conosca questa terra e soprattutto che conosca gli Elfi Oscuri. Sensazioni di pericolo o no.

Le argomentazioni di Saphira erano inoppugnabili ed Eragon non trovò argomenti con cui ribattere.

Non abbiamo scelta, vero? le chiese con un sospiro.

Sembra proprio di no.

Murtagh e Xavier videro Eragon tornare verso di loro seguito da Saphira.

- Va bene possiamo andare - disse secco ai due uomini.

- Hai fatto la scelta giusta- disse Xavier. Murtagh non aveva perso di vista il fratello.

- Vi seguiremo in volo con Saphira e Castigo. Potete andare avanti - disse. Xavier annuì quindi fece cenno ai suoi uomini di mettersi in marcia verso il palazzo.

Quando furono di nuovo soli Murtagh guardò il fratello di traverso.

- Eragon noi due dobbiamo parlare. Adesso. Se vogliamo riprenderci ciò che ci è stato portato via sarà meglio non inimicarsi le uniche persone in grado di aiutarci. Non pensi? -

La risposta di Eragon non tardò ad arrivare - Proprio tu mi parli di collaborare? -Rispose stupito. - Il capitano ci ha fatto capire che il loro aiuto dipenderà da come ci comportiamo. Ha minacciato Arya -

Murtagh prese un respiro profondo - Eragon non fidarsi è un conto. Ma questo è intestardirsi, ed è una cosa completamente diversa -

Eragon era sempre più esasperato. - Bene ora mi sto intestardendo?! -

- Tu stravolgi ogni mia parola. Ti sto solo pregando di essere più ragionevole -

- Murtagh… - Eragon non poteva dirgli che sentiva ancora la sensazione di imminente pericolo, né del male che aveva avvertito quando aveva curato Jill ma rimase di fronte al fratello con le braccia lungo i fianchi e le mani stretta a pugno.

La discussione fu interrotta da un colpo di coda di Saphira e Castigo. I due draghi avevano ascolto il loro battibecco senza intervenire ma ora era arrivato il momento di interromperli

Ricordate cosa è successo l’ultima volta che avete litigato? gli ammonì la dragonessa con voce brusca.

- Va bene Saphira la smettiamo - gli rispose Eragon ed anche Murtagh dall’altra parte annuì.

Siamo tutti stanchi. E voi due avete bisogno di riposare. Non siete indistruttibili.

Saphira aveva parlato ad entrambi i cavalieri che non poterono fare altro che riconoscere la verità delle sue parole.

In silenzio, immerso ognuno nei propri pensieri salirono sul dorso dei draghi.

A volte è veramente esasperante e cocciuto si lamentò Murtagh attraverso il suo legame con Castigo. Beh siete fratelli. Fu la risposta secca del drago rosso.

Senza dargli il tempo di replicare il drago aprì le sue ali e abbassandosi con le zampe posteriori spiccò un potente salto. Le ali si chiusero subito dopo a dare una seconda spinta che gli permise di portarsi ancora più in alto. Dietro di loro la sagoma di Saphira li seguì a una certa distanza.

Il sole stava scendendo verso l’orizzonte e il cielo, tinto dei colori del tramonto, mostrava già il profilo di una luna pallida. Una leggera brezza soffiava dal mare e sul dorso di Castigo Murtagh si abbandonò al dolce cullare del suo volo.

***

Jill si mosse piano, la prima cosa che avvertì fu la sensazione di essere sospesa nell’aria. Non riusciva ancora ad aprire gli occhi e questo le permise di focalizzarsi sugli ultimi avvenimenti. L’ultima cosa ricordava era di trovarsi immersa nel buio più totale. Ma non era solo addormentata, qualcosa la tratteneva in quel buio. Delle mura fatte di oscurità, disperazione e solitudine. Le si erano chiuse intorno soffocandola e togliendole ad ogni minuto che passava speranza e voglia di vivere. Jill ebbe la netta sensazione di stare morendo, cercò di ribellarsi ma l’oscurità era più forte. Stava quasi per arrendersi al suo destino quando sentì qualcosa battere contro le pareti della sua prigione. Sentì quelle mura alte tremare sotto dei colpi potenti. Qualcuno stava lottando per liberarla. Un filo di luce si insinuò nella sua coscienza. La speranza si trasformò in gioia quando sentì l’oscurità che la stava opprimendo sgretolarsi in mille pezzi. Raggi di luce penetrarono nelle fessure per poi entrare dirompente con tutta la sua forza riscaldando il suo cuore. Era di nuovo libera ma non era ancora cosciente. Lentamente scivolò verso un ambiente caldo e confortevole.

A poco a poco Jill riacquistò i propri sensi. Aprì lentamente gli occhi ma quando riuscì a mettere a fuoco desiderò di non averlo fatto. Si trovava sospesa nel vuoto contro qualcosa di duro e squamoso. Lanciò un urlo e un ragazzo si voltò verso di lei. Aveva i capelli mori e lo sguardo che le rivolse fu intenso. Non capiva perché ma gli ispirò subito fiducia.

Poi il ragazzo parlò

-Jill, ti sei svegliata! -

La ragazza lo guardò con aria smarrita, come faceva a sapere il suo nome? Improvvisamente si rese conto di non ricordare nulla del proprio passato, solo qualche sprazzo della sua infanzia. Una fattoria nei pressi di una città chiamata Uru’ben, suo padre che le insegnava a combattere e poi il vuoto.

Sentì il suo stomaco fare le capriole mentre la creatura dalle squame di fuoco si abbassava improvvisamente di quota per assecondare una corrente. Nella sua mente confusa un barlume di conoscenza si accese. Stava volando sopra un Drago e il ragazzo davanti a lei non poteva che essere un Cavaliere dei Draghi. Jill non aveva idea del perché sapesse tutte quelle cose ma sapeva che era così. Non riuscendo a venire a capo in tutta quella confusione che aveva in testa decise di accantonare i suoi problemi per un attimo e di cercare una sistemazione più comoda; saggiò la resistenza delle corde che le premevano contro il corpo, erano strette ma non così forti da impedirle un certo movimento. Girando il collo da un lato notò con stupore che c‘era anche un secondo drago, volava a pochi metri di distanza da loro e il colore delle sue squame era di un blu intenso.

Una brusca virata la costrinse a girare di nuovo la testa. Qualsiasi fosse stata la loro destinazione Jill intuì che erano quasi arrivati.

Sotto i draghi il capitano Xavier ordinò ai suoi uomini di entrare dentro il maschio del palazzo e prima di sparire anche lui al suo interno fece un segno ai cavalieri di avanzare oltre le mura. Castigo e Saphira sorvolarono una parte della città castello per poi iniziare la loro lenta discesa all’interno di un cortile circondato da un porticato che gli girava tutto intorno.

Una volta atterrato Murtagh scese dal dorso di Castigo e si affrettò a raggiungere Jill ancore ancorata alla sella. La slegò dalle corde e la fece scendere adagio.

- Jill come ti senti? - chiese alla ragazza lasciando il suo braccio.

- Non lo so …- rispose Jill un po’ spaesata ma grata di riuscire a stare in piedi con le sue gambe. Quel ragazzo era veramente preoccupato per lei, pensò mentre la sua frustrazione aumentava. Se solo fosse riuscita a ricordare il suo nome! Intanto anche l’altro drago e il suo cavaliere erano atterrati e si stavano avvicinando a loro.

- Voi chi siete? Come fate a conoscere il mio nome? -

Murtagh la guardò accigliato – Jill cosa dici, sono io Murtagh – le parole di Jill ebbero l’effetto di uno schiaffo sul giovane che indietreggiò di un passo. - Non ricordi chi sono? -

-No, non ricordo nulla. So solo che mi chiamo Jill e che…- Jill vacillò sulle gambe e indietreggiò di qualche passo cercando di guadagnare tempo per dipanare la confusione che regnava nella sua mente. Eragon riuscì a prenderla in tempo prima che cadesse a terra.

Jill guardò nei suoi occhi, erano di un nocciola inteso e la scrutarono con attenzione mentre la sorreggeva tra le braccia. Anche lui mostrava una sincera preoccupazione per lei, ma allo stesso tempo c’era qualcosa che lo rendeva familiare.

- L’oscurità non ti tiene più prigioniera Jill, che cosa ti trattiene ancora? - le chiese sondando la sua mente e a quel punto Jill capì. Era stato lui a liberarla. Jill si sentì ancora più confusa.

-Lasciami, ti prego – gli chiesi cercando di liberarsi dalla sua presa. – Ho bisogno di spazio -

Eragon annuì e la lasciò andare. Murtagh lo guadò smarrito, ora i due fratelli erano lontani più che mai. Eragon avrebbe voluto parlare con lui e cercare il sanare il divario che si era appena creato ma l’arrivo di Isobel glielo impedì. La regina era seguita da una giovane donna, una delle ancelle che le era stata accanto nel loro primo incontro; portava degli abiti diversi da quelli indossati la mattina, questo era rosso e stretto, avvolto in vita da una cintura dalla banda larga dello stesso colore della veste; i capelli erano raccolti in una acconciatura che ne rivelava il collo affusolato adornato da una collana.

- Il capitano Xavier mi ha appena informato di quello che è accaduto all’accampamento - il suo sguardo passò da un Cavaliere all’altro, le mani giunte in grembo - Gli Elfi oscuri hanno violato la tregua per qualche motivo. Vorrei capire il perché. Vi hanno forse preso qualcosa di importante? - chiese ponendo la domanda in modo innocente.

- Non è stato preso nulla di valore maestà - le mentì Eragon anticipando qualsiasi risposta di Murtagh. Il Cavaliere cercò il fratello con la coda dell’occhio per vedere la sua reazione ma Murtagh lo evitò. Se Isobel si accorse della tensione tra loro non lo diede a vedere, invece rimase a guardare Eragon per un lungo istante prima di tornare a parlare – Bene - aggiunse con voce asciutta. Quando il suo sguardo si posò su Jill il volto della regina ebbe una leggera contrazione che disturbò per un attimo l’imperturbabilità del suo volto.

- Vedo che la vostra amica si è svegliata- disse riuscendo a stento a nascondere una certa sorpresa.

- Sai dirci qualcosa del tuo aggressore mia cara? – chiese Isobel rivolgendosi direttamente alla ragazza. Jill raddrizzò la schiena come sentì la voce della donna e un brivido le attraversò la spina dorsale. Scosse la testa con vigore.

- E’ ancora molto provata, Maestà- intervenne Murtagh rispondendo al suo posto per proteggerla.

Isobel annuì poi voltò lo sguardo verso Murtagh

- Ti prego, non usare Maestà, chiamami Isobel- disse piegando le labbra in un sorriso privo di allegria. Quindi proseguì - Ma noi stiamo parlando quando voi siete molti stanchi. Le vostre stanze sono già pronte e i vostri bagagli sono stati sistemati al loro interno. Potete lavarvi e cambiarvi e domani mattina sarete ospiti di banchetto in vostro onore.

- Dove andranno Saphira e Castigo? - chiese allora Eragon.

- Per ora abbiamo allestito due tendoni all’interno dei giardini del palazzo, se si alzano in volo potranno scorgere i falò che li circondano-

Non ti preoccupate per noi, ce la caveremo piccolo mio Disse Saphira.

Manterremo il nostro contatto, non vi lasciamo soli aggiunse Castigo. Poi i due draghi volarono via.

La notte era ormai scesa e in aria si potevano udire a una certa distanza le grida dei pipistrelli a caccia di qualche succulenti insetti. Uno di loro si era intrufolato tra le colonne del chiostro. Eragon udì distintamente il rumore delle sue ali che batteva contro le colonne. Anche la regina si girò verso quel suono.

- Vi lascio alle cure di Aglaia. – disse prendendo per mano la ragazza che era venuta con lei e portandola di fronte ai cavalieri.

- Vi aspetto domani -

***

Solo nelle sue stanze Eragon si stese sul letto, il materasso era morbido e soffice e il ragazzo vi sprofondò sopra con tutto il suo peso. Era sfinito sia mentalmente che fisicamente Gli eventi della giornata lo avevano lasciato completamente svuotato. Solo con i suoi pensieri il ricordo di Arya e del suo rapimento lo travolse con tutta la sua forza.

La sua voce che gli chiedeva aiuto risuonò nelle orecchie. Eragon non riusciva a perdonarsi il fatto di essere arrivato tardi e di non aver potuto far di più.

Sentendosi sopraffatto da quel turbinio di emozioni nascose il volto tra le mani e si costrinse a allontanare quel pensiero.

Prese un respiro profondo, il suo sguardo cadde sulla brocca d’acqua sul tavolo accanto al letto e gli venne in mente che avrebbe potuto divinarla con facilità. Probabilmente l’avrebbe vista avvolta in un alone scuro, dato che non poteva conoscere il posto dove la tenevano, ma gli avrebbe permesso di conoscere le sue condizioni. Spronato da quel pensiero si alzò, versò il liquido della brocca in una bacinella e con un sussurro pronunciò le antiche parole:

-Drum-koapa-

Il volto di Arya comparve qualche istante dopo. Era avvolta da un alone di luce azzurrina e sembrava distesa. Doveva essere addormenta pensò Eragon. Guardò l’immagine riflessa nello specchio d’acqua per alcuni minuti poi lasciò che svanisse da sola. I suoi occhi si riempirono di lacrime ma le cacciò via passandosi una mano sul volto. Arya non avrebbe voluto vederlo così.

L’Elfa si sarebbe concentrata sul presente. Eragon sapeva che doveva prepararsi all’incontro con Isobel. Non aveva idea di come stesse Murtagh in quel momento. Dal loro litigio giù alla spiaggia non avevano avuto più modo di chiarirsi e non averlo al suo fianco lo fece sentire improvvisamente solo. Anche Saphira era stranamente silenziosa.

Accantonando per il momento quei pensieri Eragon si lasciò il letto alle spalle ed entrò nella sala da bagno. Non poteva certo addormentarsi in quelle condizioni. Gli abiti e il corpo erano sudici e impolveratati. Si spogliò con e usò un catino per lavare via terra e sporcizia con l’aiuto di una spugna. Finite le abluzioni andò ad immergersi nell’acqua tiepida della vasca.

Il calore lo aiutò a rilassarsi e i muscoli intorpiditi si sciolsero abbandonando tutte le tensioni accumulate. Eragon si lasciò cullare da quella sensazione piacevole ancora per un po’ di tempo poi uscì e avvolgendo il corpo con un telo fece ritorno nella stanza da letto.

Cercò nel proprio baule delle vesti puliti e nel prenderle notò un debole luccichio provenire dal fondo. Andando a rovistare con la mano Eragon scoprì con stupore che si trattava della collana amuleto donatagli da Gannel durante il suo soggiorno a Celbedeil. Fece scivolare lentamente la collana tra le dita, era da quando aveva sconfitto Galbatorix che non la portava più. Non poteva essere un caso che l’avesse ritrovata proprio adesso. Decise che sarebbe stato prudente indossarla di nuovo. Così se la fece passare sopra la testa sistemandola sul petto; la sensazione dell’argento freddo contro la pelle nuda lo fece sussultare. Eragon si sentì subito più sicuro nel percepire di nuovo l’incantesimo del nano scorrere all’interno del piccolo ciondolo d’argento. Ora se i loro nemici avessero cercato di divinarlo, chiunque fossero, avrebbe avvertito. Ma chi erano questi nemici? Si chiese sdraiandosi nel letto. Murtagh sembrava averli trovati negli Elfi Oscuri, ma Eragon non era dello stesso parere. Mentre scivolava lentamente nel sonno sperò con tutto se stesso di sbagliarsi.

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Capitolo 3
*** Isobel ***


 

Jill sentiva di stare andando lentamente alla deriva. Era stata sballottata qua e là senza che nessuno le avesse chiesto cosa lei avrebbe voluto fare. Dopo essersi separata dai Cavalieri aveva seguito una giovane ancella in una serie infinta di corridoi e stanze fino a giungere di fronte ad una grande porta di legno laccata di rosso e intarsiata con elementi florali. Varcato il portone percorsero un’altra serie di corridoi e stanze simili alle precedenti fino ad arrivare a un piccolo studiolo dalle pareti completamente affrescate e arredata con poltrone e tappeti. Al contrario dei Cavalieri la ragazza non le rivolse una parola ma a Jill non dispiacque stare in silenzio. Quando infine fu lasciata sola prese un profondo respiro e si rilassò per la prima volta da quando si era svegliata.

Senza nulla da fare iniziò a girare per la stanza e gli affreschi sulle pareti attirarono presto la sua attenzione. Occupavano la superficie dal pavimento fin sopra al soffitto Su ognuna di loro vi era riportata una carta geografica. Una in particolare le parve molto familiare. Si avvicinò alla parete e scorrendo sui nomi delle città riconobbe tra tutti quello di Uru’ben, l’unico posto che ricordava del suo passato. Jill notò con un certo stupore che l’effige sopra il nome era un drago nero avvolto su mura turrite. Fece scorrere rapidamente gli occhi in basso, sul cartiglio al centro della cornice, dove era posta la scritta Alagaësia. Jill emise un sospiro carico di rabbia, tutto il resto dei nomi continuavano a non dirle nulla. Si girò allora ad osservare il resto dei dipinti sulle altre pareti. Si soffermò sui tanti nomi segnati e il suo sguardo indugiò sulla dovizia di particolari usati dal disegnatore per caratterizzare ognuno di quei luoghi. Dopo quello che a Jill sembrò un’infinità di tempo la porta si aprì e un’ancella, diversa dalla precedente, entrò con un vassoio su cui erano stati poggiato biscotti e un qualche tipo di infuso caldo.

Jill non trovò nient’altro da fare che mangiare ciò che le era stato offerto. Si sedette su una delle poltrone e iniziò a sorseggiare la bevanda. Prese anche dei biscotti accorgendosi, nel mangiarlo, di essere affamata. Improvvisamente sentì le membra del corpo farsi pesanti. Senza che se ne accorgesse la tazza le scivolò tra le dita e cadde in sonno profondo.

Non passò molto tempo che nella stanza entrò la regina Isobel. La donna si avvicinò lentamente a lei e la scrutò dalla testa ai piedi come se fosse stata un insetto sotto una lente di ingrandimento.  

Quella ragazza non sarebbe dovuta sopravvivere eppure era lì di fronte a lei. Contro le sue aspettative il più giovane dei Cavalieri era riuscito a salvarla dalla morte a cui l’aveva condannata. Anche la perdita di memoria dovuta a gli ultimi residui del suo incantesimo sarebbe svanita molto presto ma Isobel aveva con sé altre frecce alla sua faretra e avrebbe trasformato in un vantaggio anche questa loro piccola vittoria

 

***

Arya venne destata da due mani ruvide che la scuotevano delicatamente per un braccio. Aprì gli occhi si trovò davanti il sorriso sereno di un vecchio elfo, il suo viso imbrunito dal sole era attraversato profonde rughe.

- Siamo quasi arrivati mia Signora -

Arya scansò via la coperta che le era stata data per coprirsi e uscì fuori all’aria fresca.
Il cielo sopra la sua testa era ancora avvolto dalla coltre scura della notte mentre all’orizzonte già si intravedevano i primi raggi del sole inibiti da una fitta nebbiolina che girava tutta intorno alla nave. Arya fece un breve giro del ponte e tornata alla prua guardò di fronte a lei. Il vento le aveva scompigliato i capelli e con un gesto distratto scansò via una ciocca che le si era appiccicata sulla fronte. Fu allora che scorse le luci tremolanti provenienti dal porto. Dall’alto udì la voce del capitano della nave che dava ordini a un gruppo di marinai per la esecuzione della manovra di attracco. L’elfo aveva notato la sua presenza e alzando una mano in segno di saluto scese il ponte per raggiungerla.

- Spero la traversata sia stata di vostro gradimento e che siate riuscita a riposare- le chiese l’Elfo nella tradizionale cortesia del loro popolo

- La ringrazio capitano, il viaggio è stato gradevole -

La nave su cui stava viaggiando era stata sulle loro tracce da giorni. Il capitano li avrebbero già intercettati prima se non li avessero persi di vista durante una delle burrasche che aveva colpito lo stretto tra le due terre di Zàkhara e Anthera. Quando riuscirono a scorgerli nuovamente avevano già attraccato sulle coste dei loro nemici. Una volta appreso che i due cavalieri e i loro draghi erano oramai dalla regina il capitano aveva insistito affinché almeno lei fosse messa in salvo. Ad un elfo sorpreso sul suolo di Zàkhara, infatti, aspettava la condanna a morte. Arya non avrebbe mai accettato di lasciare tutti indietro, ma Jill l’aveva convinta ad accettare il loro aiuto. Avrebbe avvisato lei Eragon e Murtagh e con Saphira e Castigo l’avrebbero raggiunto entro la sera. Ma i suoi amici non si erano fatti vivi ed ora sentiva un incolmabile vuoto.

Dalla vedetta, in alto, venne lanciato il segnale di arrivo, il suono del corno vibrò nell’aria seguito da un secondo, proveniente dalla costa.

- Tra poco sul ponte ci sarà un bel da fare, le consiglio di ritornare alla sua cabina, Arya Svit-kona. Quando sarà tutto finito verremo a chiamarla - la informò il capitano.

Arya annuì ed entrò di nuovo nella plancia della nave.

Quando le navi entrarono nell’area del porto, furono gettate le ancore. Sul ponte era un tirare di corde nodi e manovre, tutto si concluse nel giro di mezz’ora poi gli Elfi si preparano a scendere.

Ad attenderli a terra era il re Aron e il suo seguito di dignitari. La sua postura era curvata dal peso degli anni. L’Elfo si reggeva su un bastone di legno e i suoi occhi un tempo vigili e fieri guardavano con malinconia la giovane che le stava di fronte. Arya si inchinò ma il re la fece subito alzare prendendole la mano con il braccio libero.

- È una gioia per me e un onore incontrarvi Arya Svit-kona. Attendavamo da secoli il ritorno dei discendenti di coloro che patirono per le terre al di la del mare- Gli occhi indugiarono alle sue spalle ma non c’era stato nessun altro a parte lei il suo volto si rabbuiò.

- I nostri esploratori avevano avvistato tre navi. Dove sono i tuoi compagni e i due draghi che erano con voi? -             

Il volto di Arya si contrasse in una smorfia - Sono rimasti su Zàkhara, Maestà, sono preoccupata per quello che potrebbe succedergli -

- Lo so, la tua compassione è degna di lode. Ma prima ci sono delle cose che devi sapere riguardo al nostro popolo. Poi penseremo a come aiutare i tuoi amici. Non temere abbiamo i nostri informatori nel cuore della capitale, non sono soli. – lo rassicurò il vecchio Elfo.

- Seguimi e lascia che ti mostri prima come abbiamo riscoperto i nostri poteri –

Arya guardò gli occhi enigmatici del sovrano valutando la bontà delle sue parole. Non c’era traccia di inganno o di menzogna. Malgrado l’urgenza di sapere cosa era successo ai suoi amici l’Elfia lo seguì.    

***

Murtagh si svegliò alle prime luce alba, aveva dormito si e no qualche ora e il suo sonno era stato costellata da incubi. Andò a sciacquarsi il viso con dell’acqua fredda in cerca di sollievo ma non servì a molto. Si vestì e uscì dalle sue stanze. Indugiò solo un attimo di fronte alla porta delle camere dove era alloggiata Eragon prima di passare oltre. Nonostante desiderasse più di ogni altra cosa riappacificarsi con il fratello non era ancora disposto a scendere a compromessi con lui.  Il suo scopo in quel momento era trovare Jill e assicurarsi che stesse bene. Chiuse gli occhi e si concentrò sul suo viso. La mente del Cavaliere cominciò a vagare tra la miriade di coscienze che era presenti nel palazzo e si sorprese nello scoprire che fosse popolato da così tante persone. Quando infine percepì la sua presenza, qualche minuto dopo, aprì gli occhi e si diresse in direzione della ragazza.

Nel suo vagare apparentemente senza meta tra i corridoi del palazzo Murtagh incrociò diversi abitanti che lo osservarono incuriosito. Alcuni di loro lo avevano riconosciuto come lo straniero arrivato il giorno precedente, altri lo ignorarono completamente, intenti nei loro doveri giornalieri. Quando le persone iniziarono ad essere più rade improvvisamente percepì un cambiamento nell’aria. Si guardò intorno e la sua attenzione venne catturata da una grande porta laccata di legno rosso finemente intarsiato. Sembrava che tutti se ne tenessero a debita distanza, ma Jill si trovava da qualche parte dietro quella porta. Murtagh si avvicinò alla porta con cautela ma appena la sua mano toccò la maniglia la ritrasse come scottato da qualcosa.

- Magia- sussurrò appena.

L’aveva sentita chiara e limpida come ora vedeva il rosso della lacca. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato in tutto questo e in quel momento si pentì di non aver chiamato il fratello.  

Cercò di raggiungere Castigo, ma la mente del drago era stranamente chiusa. Stava per tornare da Eragon per informarlo di quanto aveva scoperto quando la porta si aprì e comparve Aglaia. Era l’ancella della regina che li aveva serviti la sera precedente. Era una ragazza alta dal corpo flessuoso. I capelli lunghi erano raccolti in una coda alta ad eccezione di due ciocche che le incorniciavano il volto. Aveva il naso aquilino e due grandi occhi chiari e sopracciglia fine e arcuate. La ragazza non sembrò sorpresa nel vederlo. Si chiuse la porta alle spalle e prendendolo sotto braccio lo fece allontanare. 

- Gli ordini di Isobel erano di aspettarmi nelle vostre camere insieme a tuo fratello, non è prudente girare nel palazzo solo. - disse con un tono di rimprovero. Murtagh ebbe la netta impressione che lo stesse trattando come bambini e si liberò dalla sua presa.

- Qualcosa non va? – chiese Aglaia nel notare il suo sguardo infastidito. Murtagh rimase interdetto di fronte alla sua calma.  

- Vorrei solo sapere – chiese con tono innocente – che tipo di magia viene praticata dietro questa porta – questa volta Murtagh lesse un guizzo di sorpresa negli occhi dell’ancella che portandosi l’indice alle labbra gli fece segno di tacere.

- Queste sono le stanze private della regina, a nessuno è permesso entrarvi o conoscere suoi segreti, a meno che non si è stati invitati. –

- Non hai risposto alla mia domanda - la incalzò Murtagh. Punta sul vivo Aglaia lo fulminò con uno sguardo.

- Questo non è né il luogo né il momento adatto per questo genere di conversazione- disse irritata da qualcosa che Murtagh non seppe dire. - Non mi è permesso parlarne liberamente, lo capisci? – riprese con voce più intensa- a quello parole Murtagh sentì lo stomaco serrarsi in una dolorosa morsa.

- Ti ha fatto giurare nell’antica lingua, non è così? - disse guardandola ora come se la vedesse per la prima volta. La sua non era stata una domanda ma una affermazione. Aglaia annuì comunque.

- Io e mio fratello dobbiamo andarcene via da qui il prima possibile- disse rivolgendosi più che altro a sé stesso.

- Lo farete ed io vi aiuterò, ma adesso devi continuare a fingere di non sapere. -

- Perché dovrei fidarmi? –

- Non posso darti il perché ma ti fiderai comunque, non hai scelta. - Murtagh sapeva che aveva ragione.

Tornarono ai loro alloggi e trovarono Eragon ad attenderli fuori dalla stanza. Man non era solo. Xavier stava affabilmente chiacchierando con lui. - Finalmente eccoti Murtagh, tu ed Eragon dovete seguirmi. La regina vi attende. -

Aglaia lo guardò interdetta, apprendeva quella notizia solo adesso. – Perché non sono stata informata? – chiese al capitano. Xavier non le prestò molta attenzione - Ordini di Isobel - rispose - Inoltre vuole che tu ti occupi dei nuovi arrivati al reparto dei rifornimenti - Aglaia incassò il colpo e annuì trattenendo a stento la sua delusione - Comunica alla regina che sarà fatto Xavier. -

Era un compito che anche le più semplici ancelle avrebbero potuto fare. Questo poteva solo significato che Isobel non la voleva coinvolta. Guardò un’ultima volta i cavalieri e si congedò.

Xavier si rivolse ai due cavalieri – Andiamo, vi accompagno –

Mentre camminavano Murtagh cercò lo sguardo del fratello. Eragon aveva notato il suo disagio gli si affiancò Cosa c’è Murtagh? chiese attraverso il legame mentale.  

Avevi ragione tu Eragon…  Murtagh esitò un attimo, ora che doveva parlare gli era difficile ammettere i suoi errori.

Cosa vuoi dire?.

Su Isobel. È in grado di usare la magia e chissà su cos’altro ci ha mentito

Questa volta Eragon si girò a guardarlo rallentando appena il passo per la sorpresa.     - Che cosa facciamo? - gli chiese solo. Murtagh gli fu grato per non aver detto nulla riguardo alla loro discussione.

Per ora andremo a questo banchetto. Poi escogiteremo qualcosa.     

Murtagh sentì che Eragon voleva fargli altre domande a riguardo ma Xavier interruppe la loro conversazione.

- Siamo arrivati -

I fratelli venero introdotti all’interno di una sontuosa aula ovale. Il centro era occupato da una tavola riccamente apparecchiata e ai suoi lati gli altri invitati al banchetto stavano già chiacchierando. Per un attimo tutti si fermarono a guardarli, poi uno di loro si staccò dal gruppo e andò incontro a Xavier

- Capitano avete portato i Cavalieri - a quel punto gli altri ripresero a chiacchierare.

- È un piacere conoscervi! – li salutò l’uomo corpulento e gioviale.

Un po’ imbarazzati i due ragazzi gli strinsero la mano. L’uomo continuava a guardarli con crescente interesse - Sembra che la regina vi farà un grande onore oggi -

- Può bastare adesso Bale - lo fermò Xavier cercando di contenere il suo entusiasmo.     

- Benvenuti a tutti miei graditi ospiti - La voce di Isobel arrivò alle orecchie di tutti in maniera chiara grazie alla particolare acustica della sala. - Potete prendere posto, Cavalieri per cortesia sedetevi pure accanto a me - I ragazzi si guadarono negli occhi e andarono a sedersi.  

Al lato della sua sedia vi era un campanello. La regina lo prese e lo fece suonare, dalle porte laterali tre file di camerieri entrarono e servirono le prime pietanze. Venne anche portato del vino e i camerieri avevano il compito di riempirli in modo che non fossero mai vuoti. Isobel era una eccellente oratrice e intrattenne tutti con storie e aneddoti della corte. Si incuriosì molto quando Eragon declinò con gentilezza i piatti contenti carne e coinvolgendo tutti volle sapere il perché di questa scelta.

Durante tutto il pranzo Murtagh lanciò sguardi preoccupati di verso Eragon. Tutte quelle chiacchiere e il vino stavano avendo un effetto stordente su di lui e lo stesso stava accadendo ad Eragon.

Il banchetto terminò nel primissimo pomeriggio. Ad un cenno di Isobel uno ad uno tutti gli invitati si congedarono e i due cavalieri si trovarono da soli con la regina.

Improvvisamente come un lampo a ciel sereno un ruggito di rabbia risuonò nella testa di Murtagh. Il ragazzo non ci misero molto capire che provenivano da Castigo. Si alzò di scatto dalla sedia ma il vino doveva aver abbassato i suoi riflessi perché sentiva mente intorpidita.

Questo torpore non può essere causato solo dal vino pensò Murtagh allarmato. Era stato anche drogato. Un sorriso affiorò sulle labbra di Isobel.

- Qualcosa non va mio giovane Cavaliere? - Murtagh guardò allarmato verso Eragon. Il fratello non si era mosso dalla sua sedia, a differenza sua sembrava essersi completamente bloccato e lo sguardo era sofferente. Murtagh si costrinse ad accantonare per il momento le sue preoccupazioni per Castigo, il suo compagno se la sarebbe cavata e si concentrò con tutte le sue energie per rimanere vigile.

- Rimettiti seduto - ordinò con voce aspra. Murtagh crollo di uovo sulla sedia.

- Che cosa significa tutto questo Isobel - disse Murtagh pronunciando il suo nome con disprezzo. Isobel sostenne il suo sguardo e alzandosi in piedi si mise accanto a lui. Gli passò la mano affusolata sul viso e lo costrinse ad alzare il volto verso di lei. – Ancora non lo hai capito? Credevo che come servo di Galbatorix tu fossi più in gamba - al nome del tiranno anche Eragon si girò verso il fratello. Murtagh sentì il suo sguardo che lo cercava e si costrinse a guardare verso Isobel.

- Galbatorix è stato sconfitto ed io sono ormai libero da ogni legame con lui - disse rigettando con tutto sé stesso la sua vita passata.

- Si lo so, sono venuta a conoscenza della tua ribellione. Voi due siete la causa per cui ho perso un grande maestro e alleato -

- Ti illudi se pensi che Galbatorix ti considerasse un alleato. Lui aveva solo servi -

Isobel rise - Tu ti riferisci ai rinnegati guidati da tuo padre. Sei tu che ti illudi se pensi che mi possa paragonare a loro. -

Nel mentre Eragon era riuscito a radunare un po’ di forze. - Che cosa hai fatto a Saphira! – disse con voce tremante.

Isobel si girò verso di lui, infastidita – Starà bene se non farai mosse azzardate - gli rispose con un ghigno maligno.

- Questo comprende ogni forma di magia, anche quella che non fa uso dell’antica lingua - disse anticipando le intenzioni del giovane. Eragon serrò i denti quando venne raggiunto da una nuova ondata di dolore – Non la userò ma falli smettere! -   Isobel alzò una mano e i volto di Eragon si rilassò appena.  

- Ora che ho la vostra attenzione mie giovani cavalieri vi darò un consiglio. La magia non è una conoscenza da condividere con tutti –

- Questo è certo - rispose Murtagh. Isobel ignorò il suo commento carico di odio e continuò a parlare

- Quando ieri vi ho visto per la prima volta non avevo compreso a pieni il vostro valore. Per questo ho inviato uno dei mie a fare visita al vostro campo. Non potevo permettere che ve ne andaste liberi sulle mie terre. Il suo compito doveva essere quello di uccidere le due donne facendo ricadere la colpo sugli elfi oscuri -

- Non c‘è mai stata un’incursione, non è così? Sei sempre stata tu fin dall’inizio - l’accusò Murtagh. La regina lo guardò con accondiscendenza.

- Vorrei potermi prendere il merito di tutto, ma non posso. Una nave elfica è stata avvistata sulle nostre coste, la vostra principessa è con loro adesso. - disse con una vena disappunto nella voce. – ma nella loro miopia hanno deciso di salvare solo quelli della loro razza lasciandomi qualcosa di molto più importante, le vostre preziose uova. È stato sciocco mentirmi sulla loro presenza - disse rivolta direttamente ad Eragon.

- Ti avrei perdonato la somiglianza con gli Elfi, ma tenermi nascosto questo è inaccettabile. -

Mentre la regina parlava una decina di soldati fecero irruzione nella sala con le armi sguainate. 

- C’è un elfo qui, ha cercato di attentare alla mia vita - disse indicando Eragon.  

Come se lo vedessero per la pria volta le guardie puntarono le armi contro il cavaliere disarmato. Con la punta di una spada puntata al collo Eragon fu costretto ad alzarsi dalla sedia mentre altri due guardie lo presero per le braccia. Lottò contro di loro strattonando per liberarsi ma un terzo lo colpì alle tempie con l’impugnatura della spada tramortendolo. Le guardie lo afferrano prima che cadesse a terra.

- Portatelo via – ordinò alle guardie Isobel.

Accanto a lui Murtagh serrò i denti impotente. Aveva le braccia e le caviglie bloccate saldamente alla sedia da legacci invisibili.

– Cosa vuoi da noi? –

- Cosa voglio da te, vorrai dire? –

- Non capisco – lo guardò cupo il ragazzo.

- Murtagh, Murtagh. Galbatorix mi ha parlato molto di te, al contrario sembra proprio che tu non sappia nulla di me. – il silenzio del cavaliere era eloquente e la regina sorrise sodisfatta.

- Seguimi, ti mostrerò qualcosa di interessante. –

Murtagh sentì la pressione intorno alle gambe allentarsi quel tanto da permettergli di alzarsi e seguì Isobel in completa balia degli eventi. Attraversarono la porta che accedeva alle sue stanze private e Isobel lo portò nella sala dove la sera prima c’era stata Jill. Murtagh trasalì nel vedere la mappa di Alagaësia disegnata nei minimi particolari. La regina sorrise trionfante.

- Questo è il mondo disegnato dai miei cartografi. Quando raggiunsero la vostra terra Galbatorix rimase molto sorpreso nell’apprendere della nostra esistenza. Venne qui diverse volte quando erano ancora in vita i rinnegati. Mi insegnò tutto quello che sapeva sulle arti magiche e lasciò alcuni dei suoi maghi a seguire la mia istruzione. Fu in una delle sue ultime visite che mi promise un cucciolo di drago con il quale con il quale avrei sconfitto i miei nemici. -

Un drago, Murtagh scosse la testa a quella possibilità - Galbatorix non faceva nulla senza un tornaconto personale, cosa ha chiesto in cambio? – Chiese. Isobel gli sorrise

- Hai ragione. Avevo qualcosa di molto prezioso per lui. Due giovani Ra’zac. –

Isobel vide lo sguardo impietrito di Murtagh e soddisfatta continuò il suo racconto.

- Li salvai ancora cuccioli sui monti ai confini delle terre selvagge e da allora mi considerano la loro madre. Galbatorix ne era rimasto affascinato ma sapeva meglio di me che dovevano passare ancora alcuni anni prima che la loro trasformazione fosse completa e insieme decidemmo di attendere. Con la sua morte improvvisa, come ben sai, il nostro accordo sfumò. –

Murtagh registrò le parole di Isobel nella sua mente cercando di dargli un senso. Sapeva che Galbatorix gli aveva tenuto nascoste delle cose ma non avrebbe mai immaginato un segreto del genere.

- Puoi immaginare la mia sorpresa quando ho scoperto cosa avevate. Le stesse persone che mi avevano tolto tutto mi portavano su un piatto d’argento ben quattro uova. Molto più di quanto mi era stato promesso! –

La regina fece una breve pausa prima di riprendere a parlare - Presto avrò una nuova generazione di draghi al mio servizio e tu mi aiuterai a crearla - aveva alzato la voce fino a diventare un selvaggio grido di trionfo.   

Murtagh ascoltava le sue parole mentre il cuore gli batteva forte nel petto.

- Se accetto di servirti che cosa succederà? -

La domanda di Murtagh spiazzò Isobel che lo guardò sorpresa.

- Che cosa vuoi dire? Devi essere più specifico –

- Se accetto di servirti lascerai libero Eragon? –

Isobel girò intorno al Cavaliere e si fermò dietro alle sue spalle

- Se lo vuoi la sua vita sarà salva. Ma liberarlo…- Isobel aveva avvicinato la bocca al suo orecchio

- Non sono una sciocca. Mi ricordo che Saphira era importante per Galbatorix è lo sarà anche per me. –

Murtagh respirò piano la mente cominciò a girare vorticosamente. Era appena uscito dalla schiavitù di Galbatorix ma la sua influenza ancora lo perseguitava. Se voleva avere qualche possibilità di liberare il fratello avrebbe dovuto giocare con le sue stesse carte e sarebbe stato costretto a servire un tiranno.

- Rispondi ora a una mia domanda. Perché continui a difendere qualcuno che non ha fatto altro che portarti miseria e sofferenze? –

- Eragon è mio fratello. –

- Certo, lo so. La famiglia non si sceglie ma possiamo prendere le distanze da loro se minano alla nostra felicità. Lascia che ti mostri le conseguenze del suo ultimo gesto –  

Batté le mani e poco dopo Jill comparve nella stanza. Il suo sguardo si posò su Murtagh e il ragazzo ebbe un moto di gioia quando vide un segno di riconoscimento nei suoi occhi poi lei si inchinò di fronte a loro.

-Sì Maestà, desiderate? -

-Jill, ti ricordi di Murtagh, il Cavaliere del Draghi di cui eri innamorata. Devi sapere che ha accettato di aiutarci nella battaglia contro gli Elfi oscuri -

- Certo mia Signora -

- Vorrei che tornassi ad essere la sua compagna e compiacere ogni suo desiderio, merita tutta la nostra gratitudine –

- Farò tutto il possibile. – sussurrò lei ancora con la testa china.

Murtagh prese Isobel sotto il braccio e la portò da una parte. Lei lo lasciò fare senza scomporsi. – Lei devi lasciare fuori da questo – Allora Isobel lo guardò con compassione – Tuo fratello ha eseguito un incantesimo maldestro. La sua mente era troppo sconvolta per tornare come prima. – Murtagh strinse i pugni, non credeva minimante alle sue parole ma non poteva negare il fatto che al suo risveglio Jill ricordasse a malapena il suo nome.

- Tu hai cercato di ucciderla –

- Sì, e sono stata io stessa a confessartelo. Ma questo prima di capire quanto fosse importante per te questa donna -

Murtagh non disse nulla e Isobel continuò - So che c’era qualcosa tra voi. L’ho visto quando ho indagato nella sua mente. Non posso cancellare quello che le ha fatto Eragon. Posso solo fare in modo che torni a provare quei sentimenti. –

Murtagh guardò Jill, il terreno sotto i suoi piedi stava lentamente scivolando via come sabbie mobile. In quel momento era la sua ancora di salvezza e l’afferrò con tutte le sue forze. – Va bene Isobel accetto -

Le andò vicino e prese con delicatezza le mani per farla alzare.

Isobel sorrise nel guardarli l’uno accanto all’altra – Hai fatto la scelta giusta Murtagh - 

* * *

Eragon venne condotto lungo una scala che girava intorno al perimetro di una delle torri della cittadella. Era ancora stordito dal colpo ricevuto in testa e a malapena si rese conto di dove lo stavano portando. Raggiunta la cima della torre i due soldati che lo tenevano per le braccia lo spinsero dentro una cella e, senza alcun preavviso, gli assestarono un calcio alle ginocchia. Lui crollò a terra boccheggiante. - Questo è per tutti i compagni caduti nella vostra guerra sporco elfo - sibilò il soldato piegandosi su di lui e sputandogli in faccia. La porta di ferro venne chiusa alle sue spalle con una serie di chiavistelli; i mandanti emisero un cigolio sinistro mentre la porta veniva serrata. Eragon si pulì il volto con la manica e si rimise lentamente in piedi. Con un breve sguardo analizzò l’ambiente in cui si trovava. Le pareti erano di un bianco sporco, un pagliericcio rivestito di tela era stato sistemato ad un angolo affiancato da un tavolino su cui era poggiato un catino.

L’unico affaccio all’esterno era una finestra incassata profondamente nel muro e munita di sbarre da cui riusciva a penetrare la luce del giorno. Avvicinandosi Eragon vi poté scorgere uno spicchio di cielo azzurro. Nuvole bianche lo attraversavano veloci. Il suo pensiero andò a Saphira. Con un brivido ricordò di aver sentito il suo grido di dolore attraverso il loro legame e come quel dolore lo avesse paralizzato. Doveva uscire di lì al più presto. Ma come! Sentiva le braccia e la testa pesanti e faceva fatica a concentrarsi. Si passò una mano sulla tempia dove era stato colpita dal soldato, era gonfio e caldo al tatto, presto si sarebbe formato un ematoma. In quelle condizioni non sarebbe andato molto lontano. Si trascinò verso pagliericcio crollandovi esausto, senza alcun motivo.  Si girò un paio di volte colto dal un’inquietudine improvvisa. Murtagh era rimasto solo con la regina ed Eragon era preoccupato per lui, Isobel conosceva Galbatorix e lo aveva chiamato suo servo. Che cosa voleva dal fratello? Prima di chiudere gli occhi il suo ultimo pensiero andò ad Arya, almeno lei era al sicuro tra la sua gente.     

* * *

Arya attraversò la città accanto al re, un budello di case che si inerpicavano in alto fino a una grande fortezza in cima all’altura che sovrastava il porto. Le case erano basse, di uno o massimo due piani e costruite di mattoni. Al loro passaggio alcune finestre si aprirono e si intravidero i volti dei loro abitanti.

Guardandosi intorno tutto le sembrava nuovo ma allo stesso tempo familiare; era difficile pensare agli Elfi come a dei costruttori ma soprattutto non si era mai resa conto di quanto la magia dei draghi avesse trasformato e forgiato la loro razza. Guardando ora quel popolo poteva leggervi ancora la loro fierezza ma le mancavano quelle caratteristiche che le erano valse la fama di stirpe leggendaria.

Il re accanto a lei vide tutto questo riflesso nei suoi occhi.

- Ho visto tante volte quello sguardo negli occhi degli umani. Non giudicarci per questo -

- Non era mia intenzione offendervi Maestà. Solo mi riesce difficile pensare agli elfi come creature mortali -  

Il re annuì mesto, erano infine arrivati ai cancelli della fortezza e presto ne raggiunsero il suo cuore. Arya non aveva mai visto un insieme di volte e porticati e una ricchezza di decorazioni prima d’ora.  
- Questo Arya svit-kona, è il nostro quartier generale. Da quando abbiamo scoperto che la magia esisteva ancora, abbiamo messo insieme tutti i nostri studiosi per cercare di recuperare l’uso dell’antica lingua. Qualche progresso lo abbiamo ottenuto, ma il lavoro è l’ungo e costellato di insuccessi. -
Guardò Arya con occhi pieni di speranza.
- Ma se tu ci insegnerai, forse avremo qualche possibilità in più per sconfiggere Isobel -
Arya incominciò a girare lenta fra le scrivanie, si fermò davanti ad un giovane intento a scrivere qualcosa.
- Posso? - gli fece con gentilezza. L’elfo si alzò dal suo lavoro e gli porse il libro. Arya iniziò a leggere alcune righe. Lo studio era incentrato sulla parola ramo, e il modo in cui poteva esser utilizzato.
- Dimmi tu sai usare la magia? -
- Sì - gli fece subito il ragazzo.
- Ed hai sperimentato tu tutto quello che hai scritto? -
- Certamente…-
Arya gli sorrise con dolcezza.
- Hai fatto un buon lavoro. - L’Elfa era veramente impressionata e ritornò dal re che la stava aspettando alla porta.
- Sarà un onore per me istruirli, e se ci raggiungeranno anche Eragon e Murtagh, potremo prepararli per ogni tipo d’attacco. -
Il re sembrò soddisfatto. Poi una giovane si avvicinò a loro.
- Arya svit-kona Alicia ti mostrerà i tuoi alloggi. Chiedile pure tutto ciò che desideri. -
La ragazza le sorrise - Sono a vostra completa disposizione, mia signora - gli fece subito la giovane.
- Ti ringrazio per l’ospitalità, Maestà. Spero di riuscire a vedervi più tardi. –

Alicia l’accompagnò nella sua stanza. Nonostante le sue insistenze Arya ottenne di rimanere sola. Apparentemente al sicuro, in quel momento Arya si sentì più che mai vulnerabile.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Il potere dei draghi ***


Xavier camminava per le strade della città di Abalon. Quella mattina era libero da impegno ufficiali e ne approfittò per fare visita alla famiglia Colleman.

La madre, Serena, contava molto su di lui per tante piccole cose. Nonostante fosse un’eccellente sarta e i suoi merletti non avessero uguali in tutta Zàkhara, in tempi di guerra il suo lavoro non le permetteva di sostenere la famiglia. Dalla morte del marito la loro entrata principale era il sussidio che la regina aveva messo a disposizione delle famiglie dei caduti. Quei soldi bastavano a mala pena a sostenere le spese della casa e il capitano era ben lieto di aiutarli con quello che poteva. L’unico modo per onorare la memoria del suo amico Phill.

Ad aprirgli la porta di casa fu una ragazza dai capelli bruni. Era Rebekha la sorella di Reafly. Era di qualche anno più grande del fratello ma i lineamenti delicati e la sua corporatura minuta la facevano sembrare una ragazzina.

Non appena lo riconobbe gli saltò al collo

- Mamma, mamma, indovina chi è venuto a trovarci? -

Serena si affacciò dalla cucina e venne incontro al capitano con un largo sorriso.

- Questo sono le provviste per una settimana – disse porgendo alla donna un involto con dentro i viveri.

- Che gli spirti ti benedicano Xavier - lo ringraziò Serena abbracciandolo con forza. Xavier ricambiò il gesto poi guardò la donna negli occhi.

- Come sta Reafly – nel nominarlo lo sguardo di Serena si rabbuiò

- Sempre agitato. Ieri sera non riusciva ad addormentarsi e stamattina ancora raccontava di come aveva parlato con i due draghi, quello con le squame blu zaffiro e l’altro rosse –

Erano passati sette giorni ormai dagli eventi legati all’arrivo della cometa. Aveva attraversato i loro cielo e se ne era andata via lasciando dietro di sé un senso di inquietudine e di incertezza. Tutti sapevano dell’arrivo del cavaliere dei draghi Murtagh e del suo drago Castigo, che era ospite della regina e che si era offerto di aiutarli nella guerra contro gli elfi oscuri.

- Rebekha per favore va in cucina e sistema nella dispensa quello che ci ha portato il capitano – chiese alla figlia. Serena voleva parlargli sola. Rebekha intuì le intenzioni della madre e sbuffò.

- Va bene madre. -

La donna seguì la figlia con lo sguardo fino alla porta poi si rivolse all’uomo.

- Dimmi sinceramente Xavier, cosa ne pensi di questo Cavaliere?- la donna usava il suo nome solo quando voleva da lui un parere spassionato. - Ci si può fidare? Reafly ne sembra così affascinato! –

- Come lo sono tutti i ragazzini della sua età. – rispose Xavier soppesando bene le sue parole prima di continuare.

- Non ho potuto conoscere bene il cavaliere in questi giorni, la regina lo tiene sempre occupato ma che io sappia non ce ne sono altri come lui. -

- Se è così, allora chi sono Eragon e Saphira? Dove può averli conosciuti? -

- Non lo so Serena - disse il capitano pensieroso.

- Ho paura che tenti di andare a cercarli. Non è la prima volta che scappa inseguendo quello gli passi per la testa. E gli elfi oscuri sono tornati a navigare il mare – disse riferendosi alle navi nere avvistate qualche giorno fa.

- Ho già perso un marito a causa loro, nono voglio perdere anche un figlio.-

- Abbiamo raddoppiato i turni di guardia alle porte dalla città.                                                                         

Di una cosa sono certo. La nostra regina sa quel che fa, con un cavaliere al nostro fianco tutto sarà diverso –

Serena non ne era convinta.

- Tutto quello che so è che eravamo appena usciti a ristabilire una certa normalità nelle nostre vite ed ora una nuova guerra incombe su tutto quello che abbiamo faticosamente ricostruito. –

Xavier poteva capire le preoccupazioni della donna ma lui era pur sempre un militare. Come tale aveva giurato fedeltà alla sua regina e alla sua patria. Il sacrificio faceva parte della sua vita, come lo era stato per il marito.

- Il popolo è stanco, Xavier e non vuole altri martiri da sacrificare. -

In quel momento entrò Rebekha, guardandosi negli occhi entrambi tacquero di comune accordo.

- Ho pensato potessi gradire - disse la giovane reggendo tra le mani un vassoio con sopra tè e biscotti.

Xavier sorrise e si andò a sedere al tavolo mentre la madre gli avvicinò la tazza per versargli il tè.

Con la presenza di Rebekha la loro conversazione si alleggerì. Xavier raccontò alle due donne di alcuni avvenimenti accaduti in caserma, mentre Rebekha intrattenne il capitano con episodi che le erano successi a scuola. Tra una risata e l‘altra il tempo voltò via in fretta.

- Devi ascoltare questa Capitano - stava dicendo Rebekha mentre si preparava ad imitare la voce della sua insegnante.

- Temo dovrai raccontarmi questa storia un’altra volta, si è fatto tardo devo rientrare - disse alzandosi dalla sedia.

- Di già?! - esclamò la ragazza delusa. Xavier la guardò aggrottando appena la fronte, prese uno degli ultimi biscotti dal piatto e se lo mise in bocca assaporandolo con gusto.

- Non posso resistere ai tuoi biscotti - la lusingò con un sorriso. – la prossima volta cercherò di rimanere più a lungo. -

***

Reafly era di ritorno dalla scuola. Aveva deviato di proposito il percorso allungano il tragitto fino a casa per un motivo ben preciso. Da qualche giorno, a dispetto dei consigli della madre e del capitano, si era messo a fare domande sul cavaliere dei Draghi. A chiunque avesse chiesto, la risposta che riceveva era sempre la stessa, come una litania. Il cavaliere era una benedizione e sarebbe stato a loro fianco se ci fosse stato un nuovo attacco.

Ma Reafly aveva un ricordo ben diverso di quel giorno. A sbarcare non era stato solo Murtagh ma anche suo fratello Eragon. Lui non si era subito fidato di loro ma la loro gentilezza e la presenza dei draghi gli aveva fatto abbassare quasi subito la guardia. I draghi poi gli avevano parlato. Le loro voci risuonavano ancora limpide nella sua testa, quella cristallina si Saphira e quella più rude di Castigo, non era qualcosa che si poteva dimenticare così facilmente.

Reafly sembrava l’unico che lo ricordasse. Ed ora era diretto a palazzo deciso ad andare in fondo a l’enigma.

Non era la prima volta che andava a trovare il capitano. Le guardie lo lasciarono passare e lui si recò direttamente verso il campo d’addestramento dove sapeva che lo avrebbe trovato.

Al centro Xavier stava combattendo con un cadetto. Parò con facilità una sera di fendenti poi, con un colpo fulmineo, fece ruotare la sua spada e disarmò l’avversario che cadde a terra di schiena con un sonoro tonfo; la lama del capitano calò fermandosi a qualche centimetro dalla testa del ragazzo.

- Morto - disse l’uomo madido di sudore e con il respiro affannato. – Sei migliorato Ivan ma sei ancora troppo lento nei movimenti. Riprenderai gli allenamenti domani - diede una pacca paterna al giovane e gli tese una mano per aiutarlo ad alzarsi, quindi si avviò a grandi passi verso Reafly che lo stava osservando dal limite del campo.

- Ragazzo cosa ti porta da queste parti, vuoi allenarti anche tu? - Reafly scosse la testa con un sorriso.

- Ero venuto a chiederti una cosa - Xavier si stava asciugando il sudore con un panno e si fermò a guardarlo intensamente.    

 - Cosa? -

- Riguardo ancora al il Cavaliere dei Draghi Murtagh - Xavier che sapeva dove il giovane sarebbe andato a parare lo guardò accigliato

- Tua madre sa che sei qui? - gli chiese. Reafly abbassò lo sguardo smuovendo il terreno sotto i piedi. Xavier sospirò.

- È molto preoccupata per te. Avevamo già parlato riguardo a questa tua fantasia -

- Non è una fantasia – ribatté con decisione Reafly - Se solo mi permettessi di parlare con lui! Non chiedo altro- Xavier rimase impassibile. Era pericoloso alimentare questo suo capriccio. Doveva essere duro con lui per il suo bene.

- Il Cavaliere non può essere disturbato da una cosa così sciocca - usò quella parola con l’intento preciso di dissuaderlo ma il risultato che ottenne fu il contrario.

- Non è sciocco. Ti dico che c’erano due cavalieri e due draghi - Reafly era offeso e il sorriso bonario che gli rivolse Xavier lo fece ancora più infuriare.

- Suvvia vieni dentro ragazzo, torna a casa prima che tua madre si preoccupi davvero -

Reafly sapeva che il capitano parlava per il suo bene, non riusciva mai a rimanere arrabbiato con lui troppo a lungo. L’uomo gli passò una mano sulla testa scompigliandogli i capelli come faceva sempre e lui annuì seguendolo, deciso, però, a defilarsi non appena la situazione glielo avesse permesso.

**

Murtagh accarezzò il caschetto nero di Jill e le baciò la nuca. La ragazza aveva la testa appoggiata sul suo petto ma si tirò su quando lui si alzò scostandola gentilmente. Era diventata una abitudine stare con lei dopo le lunghe riunioni con Isobel e la sua corte.  

- Sei turbato – affermò lei osservandolo in volto preoccupata.

- È così evidente? – le rispose Murtagh alzando un sopracciglio. In quel momento gli sembrò che Jill fosse tornata ad essere sé stessa. 

- Se è qualcosa che ho fatto io ti chiedo perdono. – si affrettò a giustificarsi la ragazza arrossendo. Murtagh cacciò indietro un sospiro di frustrazione.

- No Jill, non sei tu – Le disse scansandole con dolcezza una ciocca di capelli che le era caduta sul volto. Jill aveva riacquistato la sua memoria ma tutto quello che lo aveva fatto innamorare di lei, la sua forza il suo coraggio e la sua intelligenza era offuscato da un unico scopo: quello di compiacerlo. La sua personalità era stata annullata asservita a Isobel a cui lei riferiva ogni cosa.

- Allora cos’è? –  

Il volto di Jill si rabbuiò nel sentire il suo sospiro frustrato.

- È ancora per tuo fratello Eragon? Io non so dove lo hanno portato e Isobel dice è meglio che tu non lo sappia, per il tuo bene – Murtagh scosse la testa

- So bene quello che dice Isobel. Ma non è questo che ora mi preoccupa adesso -  

- Se non è tuo fratello allora cos’è? Lo sai che puoi dirmi tutto – Murtagh soppesò bene le sue parole.

- Sì tratta di Eleonor – Ad aggiungersi alle persone che Isobel aveva in pugno, infatti, si era aggiunta anche la bambina incontrata il giorno del loro arrivo ad Abalon e a cui Saphira aveva donato il gadwey-ignasia. Era arrivata a palazzo qualche girono fa a chiedere la protezione dei cavalieri. Il simbolo dei draghi che brillava sul suo palmo aveva attirato non poche attenzioni e la gente, superstiziosa, aveva iniziato a fare congetture sul suo significato. Non potendosi dare risposte qualcuno aveva iniziato ad avere paura della bambina; il seme del sospetto si era insinuato nelle loro mente tanto da accusare la sua famiglia di avere legami con gli elfi oscuri.

- Vedi come l’influenza di Eragon ha rovinato anche l’esistenza di questa bambina? - Gli aveva detto Isobel una volta in più. – Cos’altro ti serve per capire che devi prendere le distanze da lui?

Murtagh cacciò via dalla sua testa quelle parole e tornò a guardare Jill che stava in attesa che proseguisse a raccontare.

– Isobel mi ha chiesto di portarla di fronte alle uova. Ma nessuna di loro si è schiusa. –

- E non sai darti un perché - aggiunse Jill dando voce ai suoi pensieri. Murtagh i limitò ad annuire

-  Le ho interrogate attraverso la magia. Ho usato diversi incantesimi cercando di essere il più delicato possibile con loro. – Murtagh era rimasto colpito della forza delle giovani vite che pulsavano al loro interno. Era stata un’esperienza elettrizzante, le loro menti erano malleabili come creta e delicate come il cristallo. - Hanno subito mostrato entusiasmo e curiosità quando le ho toccate con la mano, riconoscendomi come cavaliere. La mano di Eleonor l’hanno sentita a stento –

- Ti sei dato una spiegazione? -

- È qualcosa di molto insolito, a meno che in futuro Saphira e Castigo non generino altre uova oltre a quelle che già abbiamo –

- Devi parlarne con la regina. Credo sia una cosa importante –

- Lo farò. Ora vorrei uscire a fare un giro da solo desso, ci vediamo domani? – disse e la lasciò con un bacio sulla fronte.

Orami fuori Murtagh si lasciò andare a un respiro più profondo. Tante cose erano successe in quei sette giorni che aveva dovuto nascondere a Jill. Isobel parlava giornalmente con lei e se fosse venuta a conoscenza delle sue attività sarebbe stata la fine per tutti loro. Aveva scoperto che Aglaia, una delle sue ancelle più vicine, era in realtà le orecchie e gli occhi degli elfi nella capitale. Grazie a lei era riuscito a sapere che Arya era stata portata al sicuro e che stavano organizzando una spedizione per portare tutti loro via, lontani dall’influenza di Isobel. Una nave li avrebbe attesi nella baia del fiume Striamone a nord di Abalon

Murtagh stava ragionando su quante cosa ancora dovevano fare quando si trovò di fronte il capitano Xavier.

Il suo sguardo andò subito al giovane dai capelli rossi accanto al capitano. Murtagh vi riconobbe il ragazzo che aveva incontrato con Eragon alla spiaggia. Gli sembrava fossero passati secoli da allora

- Capitano - disse rivolgendosi all’uomo. Il capitano mise le mani sulle spalle di Reafly e se lo portò davanti.

- Cavaliere ti ricordi di Reafly? -

- Ma certo, come stai ragazzo? - gli fece Murtagh rivolgendogli un sorriso distratto

- Bene Signore - Reafly guardò Murtagh con occhi pieni di ammirazione ma il caliere lo stava considerando a male pena.

- Ora se mi scusate devo andare - disse con una certa fretta.

- Mi ha fatto piacere divederti Reafly - Il ragazzo arrossì appena, si era ricordato di lui e questo era già tanto.

Quando rimasero soli, Xavier gli rivolse uno sguardo eloquente - Hai visto? Come ti ho detto è molto occupato. -  

Il ragazzo si limitò ad annuire seguendolo in silenzio. Arrivati in prossimità dei cancelli stava già disperando di dover tornare a casa senza aver ottenuto nessuna riposta, quando il capitano lo fermò ponendogli una mano sulla spalla. - Aspettami qui e non ti muovere - gli disse e andò incontro a due soldati. Con il capitano distratto dalla conversazione Reafly ne approfittò per sgattaiolare di nuovo dentro. Fece un cenno alle due guardie che sorvegliavano le porte di essersi dimenticato qualcosa e chiese loro il permesso di ritornare indietro. Le guardie lo lasciarono andare.

Xavier si sarebbe arrabbiato parecchio per questa sua fuga, ma a questo ci avrebbe pensato più tardi. Ripercorse a ritroso il sentiero appena fatto e si diresse verso la porta dove aveva visto entrare Murtagh. Varcata la soglia si ritrovò davanti un lungo corridoi, una fila di colonne correva su entrambi i lati. Il rumore di passi lo costrinse a nascondersi dietro ad una di esse. Erano due cameriere che stavano camminando fianco a fianco chiacchierando.

- Devo portare queste cose nelle stanze del Cavaliere, ti raggiungo tra poco - Reafly non poteva credere di aver avuto un colpo di fortuna. Prestando attenzione ad ogni passo seguì la ragazza.

Una volta dentro Reafly impiegò diversi minuti ad abituarsi all’oscurità che vi regnava. Si acquietò ad un lato e si mise ad attendere. I minuti scorrevano lenti e si trovò a studiare le ombre della stanza illuminata da un filo di luce proveniente dallo spiraglio di una finestra. Dal punto dove si trovava notò la spada del cavaliere poggiata al muro e il debole bagliore rosse del rubino incastonato nell’impugnatura; una serie di carte geografiche radunate sopra un tavolo sporgevano dai bordi. Il cavaliere sembrava stesse progettando qualcosa.
Poi finalmente la porta si aprì e vi entrò Murtagh, non era solo. Aglaia chiuse la porta dietro alle spalle. Il cavaliere si buttò sul letto con un tonfo sordo ma si accorse subito di una presenza nella stanza. Si rialzò di scatto.
- Chi c’è? -
Reafly, che aveva trattenuto il respiro fino a quel momento, si alzò dal suo nascondiglio, e si fece avanti un poco titubante.
- Sono io signore…-
- Reafly? Come hai fatto ad entrare? -
- Signore…io…volevo parlare con te di…di quello che è successo da quando tu e tuo fratello Eragon siete arrivati…-
Se non ci fosse stato l’oscurità Reafly avrebbe visto un’espressione di stupore e di speranza accendersi negli occhi del Cavaliere.
- Ti prego non chiamare nessuno…- chiese supplichevole il ragazzo. Aglaia intanto era andata ad aprire la finestra lasciando entrare la luce nella stanza.
Murtagh non poteva credere alle proprie orecchie. Si avvicinò al bambino ed inginocchiandosi davanti a lui lo prese per le spalle:
- Stai dicendo che ti ricordi di Eragon e Saphira?- il ragazzo annuì timidamente.
- Eragon è tuo fratello e Saphira è il suo drago. Dovevo parlarti di loro, così ho ingannato il capitano Xavier e mi sono intrufolato qui - Reafly disse quelle ultime parole con un certo orgoglio per l’imprese compiuta, facendo scappare a Murtagh una risata benevola.
- Sei molto coraggioso ragazzo, anche se il capitano non ci metterà molto a scoprire dove sei –

- Ma ora so che quello che ho visto alla spiaggia non era solo frutto della mia immaginazione… –

- No, non lo è - gli disse Murtagh a conferma le sue parole.

Il ragazzo era eccitato. Quella risposta lo portò al quesito successivo.

- Ma se Eragon e Saphira erano con voi, ora dove sono? – il sorriso di Murtagh si trasformò in una leggera smorfia.

- Mio fratello è nel palazzo ma non mi è permesso vederlo. Saphira, invece, l’hanno portata qui, da qualche parte tra queste montagne – disse prendendo una mappa e facendo scorrere l’indice su una zona montuosa.

- Perché la Regina gli sta facendo questo!? Non hanno fatto niente di male – Gli occhi di Reafly si accesero di sincero stupore. Non capiva. Murtagh sospirò e chiuse la mano a pugno mentre ricordava come la donna li avesse ingannati tutti.

- Lei vuole quello che abbiamo io ed Eragon. Il potere che deriva dal nostro legame con i draghi. –

- Se state progettando di andarvene – quella di Reafly non era una domanda ma una semplice constatazione. - Avrete bisogno di tutto l’aiuto possibile-

Murtagh lo guardò con affetto. - Reafly non posso chiederti di rischiare tanto, è già pericoloso che tu sia qui adesso… - ma Reafly lo interruppe subito.

- No, non sto parlando di me, ma del capitano Xavier. Lui vi aiuterebbe, se solo sapesse la verità! -

- Reafly posso? - gli chiese Aglaia che fino ad ora era rimasta in disparte. Il ragazzo conosceva bene chi fosse Aglaia ne era intimorito. Cercando di mantenere i nervi saldi annuì semplicemente non volendo provare la fermezza della voce. La ragazza gli prese delicatamente il viso tra le mani e appoggiando i pollici sulle palpebre per tenerle alzate osservò i suoi occhi per alcuni istanti. L’iride era limpida.

- La tua mente non è offuscata dalla magia – disse lasciandolo di nuovo andare. - Forse parlare con i draghi ti ha permesso di resistere, non posso dirlo con certezza – Reafly batté gli occhi e scosse la testa con decisione

- Ma ci hanno sempre detto che la pratica della magia è proibita! -

- Isobel vi ha mentito. Usa da anni la magia per tenervi tutti sotto il suo potere, alimentando il vostro odio nei confronti degli elfi oscuri -

Reafly non seppe dire il perché ma sapeva che la ragazza gli stava dicendo la verità.

- Xavier è sotto il suo incantesimo come tutti a Abalon. Posso provare a spezzarlo, ma non posso garantire che ci aiuterà -

                                        ***   

Xavier era arrabbiato con sé stesso per essersi fatto raggirare dal ragazzo in quella maniera. Fino a qualche attimo prima Reafly era al suo fianco e in quello successivo era scomparso. Quando si metteva in mente qualcosa non c’era modo di tenerlo lontano dal suo obiettivo. Xavier temeva solo che la sua bravata potesse arrivare alle orecchie della regina. Allora non sarebbe stato più in gradi di proteggerlo.   

- Cavaliere, apri la porta per favore, so che Reafly è li con te –

Dall’altra parte della porta Murtagh fece cenno agli altri di tacere quindi andò ad aprire.

- Capitano Xavier entrate - disse stendendo il braccio e facendogli cenno di entrare.

L’uomo lo superò con poche falcate e fece scorrere rapidamente lo sguardo nella stanza. Era in cerca del ragazzo ma la sua attenzione fu attirata dalle presenza di Aglaia, una delle ancelle più intime della regina, e dalle molte carte sparse su un tavolo il cui accesso era riservato a pochi. 

- Fatemi parlare con Reafly. Questo posto non adatto a un ragazzo, se la regina lo sapesse passerebbe dei guai – disse fremendo impaziente.

- Sono qui Capitano-  si fece avanti Reafly a capo chino. - Ti prego ascolta Murtagh – Il capitano guardò uno ad uno i presenti. Reafly gli aveva già chiesto una volta di farlo, quando erano alla spiaggia ma quella volta aveva rifiutato di farlo. Ora gli sembrò di non avere più un motivo valido. Molte cose gli sembravano confuse adesso

- Perché non ti siedi - lo invitò il cavaliere porgendogli una sedia. L’uomo accettò l’invito di buon grado.

- Non saremo noi a parlare alla regina del ragazzo, se è questo che temi Capitano e questa stanza è da tempo schermata dalla magia - gli rispose Murtagh. Più di una volta Xavier gli aveva dimostrato di avere poca dimestichezza con tutto ciò che era magico ma era anche un uomo d’armi e aveva un animo pratico, la chiarezza poteva essere la chiave giusta per avere il suo appoggio.

Murtagh si andò ad poggiare con la spalla alla pare opposta e guardandolo da quella distanza incrociò le braccia.

- So che Reafly ti ha parlato di mio fratello, Eragon. Mi ha detto ci avresti aiutato se ti avessimo spiegato la verità su di lui e sul suo drago, Saphira–

- Per cui non sono frutto della sua immaginazione? - Xavier sentì improvvisamente la sua mente leggera e fu grato di aver accetto di sedersi. Aglaia aveva iniziato a pronunciare le parole necessarie per spezzare l’incantesimo che teneva la sua mente offuscata.

- Sono reali come lo siamo noi. Ed Isobel, la donna che hai giurato di servire, non è quello che vuol far credere di essere. -

Xavier batté le palpebre come destato da un sonno lungo cent’anni

- Ti ascolto -

* * *

Eragon aveva completamente perso la cognizione del tempo. Non aveva idea di quanti giorni fosse rimasto confinato nella sua cella. Al suo risveglio, il giorno seguente il suo arresto, aveva trovato una fascia sottile di metallo che gli cingeva il collo.

Non ci mise molto a collegare la presenza del collare al fatto di non poter più usare la magia. Prima d’ora non si era reso conto di quante volte al giorno si affidava a lei anche per compiere i più piccoli gesti, ad ogni accenno di usarla poteva sentire il metallo sfrigolare dolorosamente contro la sua pelle mentre attingeva alle sue energie lasciandolo spossato e con un senso di vuoto. Eragon iniziò a porre attenzione a quello che faceva per non scatenare il dolore ma non era solo quello lo scopo del collare. Eragon scoprì presto che attraverso esso chiunque in gradi di usare la magia potevano infliggergli dolore. Isobel gli aveva mostrato ciò che era in grado di fare solo qualche giorno prima quando aveva usato Eleonor come pretesto per punirlo. Quando lo lasciò riverso a terra con tutti i muscoli del corpo tesi e doloranti la sola consapevolezza fu che non si sarebbe potuto difendere da lei se fosse tornata.  

Quell’isolamento forzata lo stava facendo impazzire ed ogni giorno cercava di rompere la monotonia delle sue giornate eseguendo degli esercizi fisici e meditando per calmarsi e trovare pace quando i dubbi e le paure lo assalivano.
Quando quel pomeriggio sentì i chiavistelli scorrere di nuovo Eragon si mise lentamente in piedi mentre sentiva un miscuglio d’emozioni affollarsi nell’anima. In quei giorni si era posto così tante domando, su Isobel, sul collare connesso con la sua magia e su Eleonor. Tante volte aveva formulato delle risposte senza riuscire a giungere mai ad una conclusione. Quando vide nuovamente la donna in piedi sulla porta le parole gli morirono in bocca.
Isobel lo squadrò da capo a piedi, soddisfatta nel vedere il turbamento sul suo volto.

- Seguimi- gli ordinò con voce tagliente.
Bastò una leggera scossa dal collare ed Eragon si affrettò ad obbedire. Fuori c’era una ragazza ad attenderli. - Questa è Oliviana il mio braccio destro. È un formidabile sicario e una potente maga - lo informò Isobel con voce secca. Era appoggiata allo stipite della porta d’ingresso e stringeva tra le mani una cinghia di cuoio che terminava con una catenella. Ad un cenno della regina si staccò dalla porta e gli andò incontro. Eragon serrò la mascella quando lei assicurò la catenella all’anello sul suo collare e usò la cinghia come un guinzaglio. I loro sguardi si incrociarono. - Finalmente conosco chi ha spezzare il mio incantesimo. Sei un mezz’elfo – constatò lei con freddezza scrutando con attenzione i suoi lineamenti.  Eragon sussultò a quelle parole – l’avresti lasciata morire togliendole ogni speranza. Che razza di persona ha il coraggio di fare questo? – gli disse sostenendo il suo sguardo.

- Qualcuno che ora ha il controllo di un Cavaliere. – gli rispose Oliviana strattonando il guinzaglio e ponendo fine alla loro breve conversazione.

Guidati da Isobel camminarono per una serie infinita di cunicoli sotterranei per quelle che ad Eragon parvero ore. Uscire fuori dalle mura della città in un tratto che si affacciava in aperta campagna. Fuori c’erano tre cavalli. Eragon assaporò alcuni attimi di libertà mentre tornava a respirare l’aria fresca poi Oliviana lo strattonò dirigendolo verso il più giovane dei destrieri. Il cavallo scalpitò nervoso non appena gli furono vicino.

- Sali – gli ordinò fredda. Sotto lo sguardo vigile di Oliviana Eragon si accostò al cavallo che nitrì e agitò la testa seguito a distanza dagli altri due, erano tutti e tre spaventati. Istintivamente poggiò la mano sul suo collo e iniziò ad accarezzarlo per fargli sentire la sua presenza. Quando infine riuscì a tranquillizzarlo, gli salì in groppa Oliviana lo assicurò alla sella legandogli i polsi con l’estremità libera del guinzaglio.

Anche le due donne montarono sui loro cavalli ed Eragon capì il perché di tanta agitazione e provò compassione per loro, entrambe le donne avevano in mano un frustino che non esitavano a usare per impartirli ogni comando. Oliviana fece trottare il suo destriero intorno a quello di Eragon un paio di volte per poi accostarsi e prendere le sue redini, quindi i cavalli vennero spronati al galoppo, diretti verso l’entroterra.
Per Eragon non fu un viaggio piacevole, nel legarlo Oliviana aveva lasciato poco gioco al guinzaglio e ad ogni sobbalzo sentiva il collare sferzarlo dolorosamente.

Presto il paesaggio di prati e le colline lasciarono il posto a una serie di affioramenti rocciosi. I cavalli vennero spronati in quella direzione. Quando furono abbastanza vicini Eragon notò che sulle sue pareti di roccia che si ergevano tutte intorno a loro si aprivano delle caverne. Trepidò mentre iniziava a comprendere chi potevano ospitare.
- Sì Eragon, stiamo andando a trovare Saphira - lo raggiunse la voce di Isobel mentre Oliviana lo liberava dalla sella. Il viaggio sarebbe proseguito a piedi.  

Ignorarono le prime aperture dalle grandi entrate e si diressero, invece, verso quelle più piccole che si aprivano su una serie di insenatura nella roccia. Isobel scelse l’imbocco di una galleria stretta e angusta e ne percorse la lunghezza per alcune iarde poi il corridoio si aprì su una grotta dalla grande capienza. In fondo alla sala c’era Saphira. La luce nella grotta proveniva da una grande apertura sul soffitto. La dragonessa aveva le zampe posteriori incatenata al muro, altre catene le bloccavano le ali e la coda e il suo muso era serrato da un museruola. Saphira non si mosse al loro arrivo. Sembrava dormire.
A quella vista, Eragon camminò dritto verso di lei fino a tendere il guinzaglio ma Oliviana tenne la posizione con fermezza.
- Che cosa le avete fatto?! – chiese, le dita intorno al collare mentre premeva facendo resistenza.
-La dragonessa è ostinata quasi quanto il suo cavaliere. Ma non così tanto. – rispose Isobel con voce melliflua
Il basso ruggito di Saphira scosse le pareti della sala. Aveva udito la voce di Eragon e lanciò alla regina uno sguardo eloquente.
- Oliviana lascia che Eragon la raggiunga -
La donna lasciò cadere il guinzaglio dalle mani permettendogli di muoversi liberamente. Eragon non se lo fece ripetere due volte e in pochi passi percorse la distanza che lo separava dalla sua compagna. Saphira teneva ancora la sua mente serrata. - Saphira ti prego parla. Di qualcosa. - gli disse ad alta voce. Ma la sua unica risposta fu un basso ringhio. La dragonessa esitava, aveva riconosciuto il suo cavaliere ma allo stesso tempo non capiva perché non l’avesse già raggiunta con la mente.
Eragon allungò una mano per sfiorarle il muso e gli occhi di Saphira lampeggiarono di rabbia quando caddero sull’oggetto intorno al suo collo. Rimasero così fermi per alcuni lunghissimi minuti  poi qualcosa sfiorò la mente di Eragon.
Piccolo mio, come stai? Il cavaliere piegò gli angoli della bocca in un sorriso triste.

- Sono stato meglio, tu invece? - Saphira gorgogliò appena.
Non ti preoccupare per me, sono più forte di quello credono. Eragon annuì, fiero di lei, ma iniziò a percepire un misto di ansia e di trepidazione provenire dalla sua compagna. Da tempo aveva imparato a conoscere il suo modo di agire e di pensare. Saphira aveva già messo in atto qualcosa di cui ancora non era a corrente ed ora stava cercando il momento giusto per parlagli.

- Saphira so di Eleonor e del suo fallimento - disse tenendo gli occhi fissi in un punto di fronte sé mentre ricordava come Isobel lo avesse punito poi li rialzò lentamente - Puoi dirmi il motivo per cui siamo qui? – Incalzata dalla sua domanda Saphira rispose
La bipede è ossessionata. Non si fermerà finché non avrà capito perché nessuna delle mie uova si è schiusa per lei. Eragon notò lo sdegno nella voce della sua compagna ma anche qualcos’altro. Lei sapeva la verità. Eragon lo percepì chiaramente. Le ho consentito di condividere questa conoscenza con lei a patto di mostrarlo prima a te disse Saphira anticipando la sua domanda. Sei pronto? Chiese. Eragon annuì e prendendo un profondo respiro allargò il torace e chiuse gli occhi. Le immagini lo investirono con tutta la loro potenza. Lo stupore per ciò che rivelarono gli fece dimenticare per un attimo la presenza dei loro carcerieri. Eragon aprì gli occhi e poggiò la fronte al suo muso, ora che si erano ritrovata era dolorosa anche solo l’idea di lasciarsi.

Dall’altra parte della grotta la regina seguì la scena fremendo di impazienza. Batté lentamente le mani tre volte. Eragon vide con la coda dell’occhio Oliviana che si avvicinava a lui poi le ginocchia cedettero sotto il suo peso e cadde a terra colpito da un dolore acuto che gli strappò un gemito. Quando riaprì gli occhi un attimo dopo Oliviana troneggiava su di lui, la vide piegarsi per raccogliere il guinzaglio che giaceva a terra e senza troppe cerimonie lo fece alzare da terra e lo trascinò via.

Saphira al suo fianco riuscì ad emettere solo un basso ruggito. La regina sentì la mente della dragonessa toccare la sua. Rabbia e odio sprigionavano dalla possente creatura.
Ti dirò ciò che vuoi, ma non abusare del tuo potere. La intimò la dragonessa.
Ti ascolto.
Saphira chiuse gli occhi e mostrò nuovamente la visione a favore della regina. Era come essere in volo sul dorso di un drago. Isobel riconobbe la sua terra, la costa e la città di Abalon. Poi il paesaggio sotto di lei iniziò a cambiare, si erano addentrati dove nessuno aveva mai osato, oltre le Terre Selvagge. Li, in mezzo a un paesaggio roccioso, Eleonor faceva schiudere un uovo di drago. Un drago femmina. Il suo colore era di un bianco iridescente e non apparteneva a nessuna di quelle in suo possesso. Era un uovo nato in quella terra. Isobel non poteva dire perché ma sapeva che era così poi la visione svanì
- Questo va oltre ogni mia immaginazione. – disse con un sorriso.

                                        

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Capitolo 5
*** Complicazioni ***


Era primo pomeriggio quando Castigo rientrò nella cittadella dopo aver volato sulle campagne intorno ad Abalon. Nuvoloni neri si stava ammassando all’orizzonte minacciando l’arrivo di un temporale. Sulle montagne, verso nord, erano già visibili il bagliore dei lampi in lontananza.
Murtagh aspettò l’arrivo di Castigo nel cortile del palazzo mentre un venticello frizzante face svolazzare il mantello.
Ho sorvolato il posto dove tengono Saphira. Lo informò il drago attraverso il loro legame mentale.

Ci sono enormi voragini che squarciato la roccia, alcune di queste sono abbastanza grandi da permettere a un drago di passare... Aggiunse mandando una serie di immagini di quello che aveva visto …Mi sarebbe bastato poco per distruggerle e liberarla.

Murtagh sentì tutta la rabbia e la trepidazione trapelare dalla voce del suo compagno.

Lo so Castigo ma dobbiamo avere pazienza. Quando sarà il momento lo farai.
Che cos’altro hai scoperto? Domandò invece mentre lo osservava battere le ali e scendere verso terra in verticale.

C’è una radura tra le rocce. È un buon nascondiglio da cui possiamo volare via una volta che saremo tutti fuori. Castigo poggiò le possenti zampe posteriori a terra, chiuse le ali con eleganza quindi allungò il muso verso il suo cavaliere. Murtagh accorciò la distanza tra loro. Quando gli fu accanto face scorrere lo sguardo sulle squame cremisi del mento e con le dita lo accarezzò con dolcezza.

Te la senti di volare un altro po’ con me? Gli chiese passandogli la mano su un fianco. Sotto la pelle i muscoli del drago erano ancora caldi e tesi per lo sforzo. Castigo sbuffò orgoglioso. Sono sempre pronto, Tigre.

Il ragazzo gli sorrise quindi andò a prendere la sella e iniziò a sistemarla con cura sul suo dorso. Mentre si muoveva stringendo le cinghie con sicurezza i suoi pensieri correvano rapidi Manca un giorno all’arrivo della nave promessa da Arya poi questo in cubo finirà. Disse mentre finiva di tirare l’ultimo laccio della sella.

Se Castigo era preoccupato per Saphira, Murtagh lo era per Eragon.

Non lo avrebbe mai ammesso a sé stesso ma da quando avevano lasciato Alagaësia era divento molto protettivo nei confronti del fratello minore. Il pensiero che Isobel potesse fagli del male gli era insopportabile. Conosceva bene quella sensazione di impotenza mista a rabbia e sconforto, l’aveva provata lui stesso sulla sua pelle quando era stato catturato da gemelli.  

Stai proiettando le tue paure su di lui. Eragon è forte abbastanza da sopportare tutto questo, come hai fatto tu. Ti stai preoccupando troppo per lui Lo rimproverò bonariamente Castigo percependo i suoi pensieri. Come potrei non farlo, sono il fratello maggiore. Disse e montò con agilità sul suo dorso.

Castigo si diresse verso la costa per evitare pericolose correnti temporalesche che avrebbero potuto sbatterli a terra. Volarono a lungo sfruttando i venti provenienti dal mare. Quando rientrarono nel cortile Aglaia era lì ad attenderli. La ragazza aspettò che Murtagh scendesse prima di avvicinarsi; in alto l’aria carica di poggia e umidità avevano imperlato gli abiti e i capelli di Murtagh di tante piccole goccioline d’acqua. Nel venirle incontro il ragazzo se le sgrullò di dosso con non curanza e sul viso aveva uno sguardo limpido e pieno di vita, per alcune ore aveva dimenticato i loro problemi lasciando che vi fosse solo il legame con il suo drago.

Il volto teso che gli rivolse Aglaia lo riportò rapidamente alla realtà.
- Dobbiamo rimandare la nostra riunione. La regina ti vuole nella sala del trono. Subito. Non so cosa abbia in mente. – le disse la ragazza.

Murtagh corrugò la fronte - Pensi sospetti qualcosa? – chiese.

Aglaia valutò per un attimo a quella possibilità poi scosse la testa
- No, se così fosse, non saremmo qui a parlarne ma stai comunque molto attento- Murtagh annuì. Non aveva altra scelta che andare ma non era necessario rimandare la loro riunione. Si rivolse mentalmente a Castigo.
Manteniamo il nostro contatto mentale così potrai riferire agli altri ciò che mi dirò con la regina.

Poi rivolgendosi alla ragazza - Se manterrò il mio contatto con Castigo sarò in grado di comunicarti le informazioni più importanti e Isobel non sospetterà nulla se parlo con il mio drago -

Aglaia annuì - Potrebbe funzionare. Ora va però, la regina ti aspetta -

Una volta entrato a palazzo Murtagh venne raggiunto da due intendenti incaricati di accompagnarlo da Isobel. Non lo portarono alla sala del trono ma nei suoi appartamenti privati, nella stanza adibita alle riunioni
- Vieni pure avanti Murtagh. - lo invitò Isobel. Il cavaliere la raggiunse ma non si inchinò. Erano soli e senza i dignitari ad osservare ogni suo movimento Murtagh non aveva nessuna intenzione di portare rispetto alla donna.
La regina sorrise divertita e tamburellò le unghie sul mento.
- Per questa volta lascerò correre sul protocollo. Ho alcune cose urgenti di cui voglio parlarti – fece una piccola pausa prima di continuare.

– Sai già che il luogo in cui i troviamo si chiama sala dei misteri. Quello che forse non sai è che contrariamente a quanto si crede, al loro interno non si svolge alcun rito ma vi lavorano le menti più alte del mio regno.

I maghi inviati qui da Galbatorix ne sono entrati a fare parte e hanno insegnato l’uso dell’antica lingua sia a chi aveva il dono come arte magica sia a semplici studiosi, come arte alchemica. -  

- Cos’è l’arte Alchemica? – domandò Murtagh interrompendola.

Isobel gli sorrise, Murtagh ebbe la sensazione che la regina stesse esattamente aspettando che le facesse quella domanda.

- È l’arte di trasformare le sostanze con la sola conoscenza della materia – disse con un certo orgoglio. - Anche Galbatorix ne era rimasto molto affascinato – aggiunse.

- Fu lui a suggerirmi di non divulgare quanto veniva svolto qui e di proteggere il segreto con la magia.  

Ed è proprio agli alchimisti che tempo fa, quando appresi della morte di Galbatorix e persi la speranza di avere un drago, diedi loro il compito di mettere a punto un’arma capace simulare le loro capacità in battaglia.

Ora l’arma è stata ultimata e vorrei che mi dessi una tua opinione –

Murtagh corrugò la fronte, scettico. - Ho partecipato a diverse battaglie ed ho visto già macchine da guerra costruite con questo intento Isobel. Nessuna di loro si è mai lontanamente avvicinata alla potenza di fuoco delle fauci di Castigo. -

- Non hai ascoltato bene la storia che ti ho raccontato. Queste nuove armi non hanno nulla a che vedere con le pesanti e antiquate macchine da guerra ideate dai vostri militari. Credimi Murtagh, la fantasia degli alchimisti ti sorprenderà, non hai mai visto nulla di simile – un guizzo di curiosità si accese negli occhi del cavaliere facendo sorridere Isobel.  

- Tra non molto sarà pronto anche il tuo giuramento – Murtagh cercò di non far trapelare nessuna emozione mentre lasciava che il legame con Castigo permettesse al suo drago di ascoltare tutto quello che stavano dicendo - Non mi sembri molto sorpreso – Murtagh ricambiò lo sguardo della regina. Era riuscito a sorprenderla e voleva mantenere quel vantaggio.

- Lo sarei del contrario, Galbatorix lo avrebbe già preteso da tempo – disse sprezzante.                                                                                                                                                                                                                                                                                                              

Gli occhi di Isobel scintillarono di orgoglio - Galbatorix non aveva con sé le giuste leve per tenerti ancorato a lui – rispose con un ghigno divertito, Murtagh serrò la mascella riconoscendo la verità delle sue parole.

La sua reazione soddisfò la regina che continuò a parlare.

- I tuoi affetti sono la tua debolezza Murtagh. Se solo ti lasciassi andare all’incantesimo dell’oblio come tutti gli altri non ci sarebbe bisogno di nessun giuramento! Immagina di abbandonare tutta questa sofferenza e tutti i tuoi dubbi alle spalle. – la sua voce divenne suadente e Murtagh dovette alzare le sue difese per non rimanerne ammaliato. Nel farlo chiuse gli occhi. Quado li riaprì Isobel era di fronte a lui.

- Cosa ci sarebbe di male ad essere felice al mio fianco? – gli chiese. Murtagh scosse la testa con decisione.

- E diventare una marionetta come il resto dei tuoi sudditi? Preferisco di no – Isobel sostenne il suo sguardo e scosse la testa.

- Non saresti uno schiavo al contrario saresti il solo davvero libero. Le deboli facoltà di un semplice umano non possono competere con quelle di un Cavaliere. Jill ha pagato questo prezzo ma tu, sapresti sopportare il peso di questo incantesimo senza subire alcuna interferenza sul tuo libero arbitro. – lasciò che le sue parole facessero il loro effetto senza mai lasciare con lo sguardo il cavaliere.

- Pensa a come ti sei sentito poco fa, quando hai cavalcato con Castigo – gli occhi di Murtagh scintillarono dalla sorpresa. Come fa a sapere!

- Non ti piacerebbe sentirti sempre così? – Murtagh sapeva bene che Isobel stava mentendo, le sue bugie erano lì, evidenti come la luce del sole, ma aveva delle ottime argomentazioni; quando alla fine riprese il controllo delle proprie emozioni si accorse di stringere i pugni così forte da sentire le unghie penetrare la carne.

- Cosa mi dici di mio fratello Eragon? Anche lui godrà dei miei stessi privilegi? – Isobel sbuffò infastidita.

- Per lui ho altri progetti. La sua visione del mondo è diversa dalla nostra. Per questo su di lui sto usando un altro metodo. Sai c’è un oggetto messo a punto dai miei alchimisti, un collare, composto da una lega in grado di controllare la magia senza l’antica lingua. –

- Come è possibile una cosa del genere? -  

- Attraverso il dolore naturalmente – spiegò lei con voce asciutta. Murtagh digrignò i denti ma si trattenne dal rispondere - il solo contatto ha degli effetti sorprendenti su chi cerca di usarla. Eragon ha compreso subito che è inutile combattere. Potrei permetterti di vederlo una volta che ti sarai votato completamente alla mia causa. –

- Sarebbe più facile per te se lo facessi! - Isobel rimase ad osservarlo per alcuni istanti in attesa che la sua ira scemasse prima di riprendere a parlare

- Non te ne accorgi nemmno ma lo stai già facendo Murtagh. Mi sei stato di grande aiuto l’altro giorno con la tua intuizione su Eleonor. - disse cambiando così argomento.

- Contrariamente a ciò che pensavi Saphira non dovrò deporre altre uova. Il motivo per cui non si sono ancora schiuse è semplicemente che questa terra ne nasconde altre – Murtagh sentì la sorpresa e la meraviglia di Castigo attraverso il loro legame. È come se lo avessi sempre saputo gli disse. Isobel stava dicendo il vero, il drago poteva sentirlo fin dentro le ossa.

Castigo, questo non è qualcosa che Isobel può aver scoperto da sola. Murtagh tornò a guardare la regina.

- Mi sembri molto sicura di questo – un presentimento si insinuò nelle sua mente confermato subito dopo dalle parole di Isobel.

- La visione che Saphira ha condiviso con me non lascia adito a dubbi. Domani quado il sole sarà al suo apice vorrei che venissi con il tuo drago nel luogo dove tengo Saphira. Quello visitato stamattina da Castigo - Murtagh sgrano gli occhi, sgomento. Isobel sorrise.

- Pensavi non sapessi dei vostri movimenti? – aggiunse.

- Siete prevedibili. Ma le vostre resistenze sono inutili. Stare dalla mia parte o soccombere, non ci sono alternative - Senza badare alle proteste di Murtagh Isobel lo congedò. Al ragazzo non rimase altro che annuire e uscire.

                                   ***

La mente di Murtagh vorticava velocemente mentre faceva ritorno nelle sue stanze dove Aglaia e Xavier lo stavano attendendo. Le parole di Isobel ancora risuonavano nella sua testa.

Quando lo vide entrare Aglaia gli andò subito incontro e gli prese il volto tra le mani - Isobel può dire ciò che vuole. Noi crediamo in te - gli disse con un sorriso. Murtagh guardò il suo volto e poi quello che Xavier dietro di lei.

- Grazie – disse profondamente commosso e poggiando una mano al petto.  

- Io e Xavier vogliamo dirti qualcosa di più su l’arma di cui ti ha parlato la regina, così da essere preparato per domani-  

Il capitano si era alzato dalla sedia con sguardo grave.

- È da prima che voi cavalieri arrivaste che la regina lavora su quest’arma. Carichi di zolfo e carbone vengono regolarmente inviati ad Abalon da diverse provincie di Zàkhara al fine di creare la miscela. L’ho vista con i miei occhi esplode in tante piccole fiammelle di fuochi fatui quando viene messa a contatto con una fiamma. Ma le armi alimentate da questa polvere sono state sempre inaffidabili, fino ad ora. - Xavier descrisse con precisione come erano fatte e il loro funzionamento – Non siamo mai stai in grado di provarne l’efficacia. Le canne esplodevano, quando venivano a contatto con il fuoco, provocavano ustioni talmente gravi da uccidere chi malauguratamente veniva colpito –

Mentre l’uomo parlava Murtagh comprese che non di trattava di un semplice capriccio della regina come aveva pensato inizialmente. Non dovevano affatto sottovalutarla.

- Nel nostro ultimo incontro - intervenne Aglaia - Isobel ha parlato di aver risolto questo problemi – Xavier si grattò il mento meditando.

- Questo vuol dire che ha trovato il modo di creare una canna di metallo abbastanza resistente da incanalare l’esplosione. –

- Domani osserverò quest’arma per capire quanto può essere pericolosa. – disse Murtagh tenendo conto di tutto quello avevano appena detto ma avendo in mente il loro principale obbiettivo. Ora che aveva la certezza che Isobel stava torturando il fratello non voleva lasciarlo nelle sue mani un minuto di più - Purtroppo non abbiamo tempo per fare altro a riguardo. Domani sera dovrà essere tutto pronto per la fuga–

– Xavier pensi che Reafly sia pronto a venire con noi? - l’uomo rimase in silenzio profondamente combattuto. Se la decisione fosse dipesa da lui, naturalmente non avrebbe mai acconsentito a coinvolgere il ragazzo, ma le circostanze avevano deciso altrimenti. Lasciarlo indietro adesso significava metterlo ancora più in pericolo - Il ragazzo è proto e determinato a seguirci. Gli ho spiegato cosa dovrà fare domani. Non vi deluderà – gli altri annuirono poi Aglaia prese di nuovo la parola – Tu Murtagh sei il più vicino a Jill. Che cosa pensi di fare con lei? –

Murtagh serrò le labbra prima di parlare soppesando bene le parole – E’ meglio che rimanga ancora all’oscuro di tutto. Isobel me l’ha affidata per potermi sorveglire. Deve continuare a credere che sia così se non vogliamo che sospetti qualcosa - Vederla ogni giorno ritornare al suo fianco era una sofferenza constante ma l’aveva accettato per poterle stare vicino  

- Eragon? – chiese infine Murtagh ponendo la domanda che più lo spaventava. Gli occhi di Aglaia lampeggiarono quando riprese la parola.   

- Lui è tenuto in una delle torri più esterne delle mura della cittadella. Si tratta di un’area isolata del resto degli edifici. –

- Cosa mi dici del collare? –

- L’ho già visto usare da Isobel su un elfo caduto prigioniero. Un ammonimento per tutti coloro che avessero cercato di ribellarsi. C’è un altro particolare, però, che ho scoperto e non ti piacerà. –

Murtagh sospirò - Quale? -  

- Da ieri i Ra’zac si sono insediati nella torre a guardia della sua entrata. A nessuno è più permesso entrare. -

- Ra’zac, che cosa sono? – chiese Xavier guardando il volto sconvolto del cavaliere nell’apprendere la notizia.

- Incubi nati da un’aberrazione della magia. Augurati non di non doverli mai incontrare nella tua vita – gli rispose Murtagh in tono grave. – Come riusciremo a farlo uscire? -

- Userò l’effetto sorpresa, le creature mi conoscono, sanno che sono tra la cerchia intima di Isobel. Quando si accorgeranno dell’inganno noi saremo già lontani. –

I tre continuarono a discutere per stabilire come avrebbe recuperare le uova di drago. Per ciò che riguardava Eleonor, invece, Aglaia avrebbe fatto in modo che la piccola fosse portata con la madre in segreto da alcuni suoi parenti, lontano dalla capitale. Era quasi sera quando ogni cosa fu stabilita.

Fuori la tempesta infuriava e la pioggia aveva iniziato a battere contro le finestre. 

                                   ***
Sdraiato sul pagliericcio Eragon chiuse gli occhi e deglutì a vuoto. Da quando Oliviana lo aveva riportato nella sua cella qualcosa era cambiato. Si era sentito come avvolto da uno strano torpore e ancora adesso delle presenze vagamente familiari aleggiavano in un angolo recondito della sua mente senza che riuscisse ad individuarne l’identità. Sapeva solo che erano presenti, appestando l’aria con un odore nauseabondo che lo disorientava lasciandolo con un senso di inquietudine. Si rese anche conto che da tempo non gli veniva più portato né da mangia né da bere. Fame e sete contribuirono ad aumentare il suo malessere

L’incubo si insinuò lentamente senza che lui se ne rendesse conto. Iniziò con la sensazione opprimente delle mura della cella che si stringevano su di lui. Era una paura irrazionale ma abbastanza reale da fagli accelerare il battito del cuore. Poi i demoni iniziarono a emergere. Uno ad uno le sue paure più recondite lo assalirlo colpendolo in successione senza dargli tregua. L’intensità di quelle emozioni fu tale da lascarlo senza fiato. Con il respiro affannato si costrinse a fare lunghe bucate d’aria per calmare il cuore che gli batteva forte nel petto. Con le dita si tastò una guancia e si accorse, con stupore, che erano bagnate dalle lacrime.

Dietro la porta della cella, in un angolo buio, alcune figure celate da un mantello osservava la scena emettendo sibili di trepidazione.
Gli ordini della loro madre erano stati molto chiari: il prigioniero non poteva essere toccato e le creature si accontentarono di vederlo logorare lentamente nelle sue paure.

***

La pioggia batteva forte sopra i vetri della finestra formando continui rivoli d’acqua che cadevano giù rapidi lungo le pareti. Ogni tanto veniva illuminate da un lampo. La luce esplodeva nel cielo seguita subito dopo dal tuono che squarciava l’aria con il suo rombo.
Un tuono più forte degli altri fece sobbalzare Arya, seduta su una poltrona a contemplando placida il fuoco di un camino.

Era passati dieci giorni da quando era giunta in quella nuova terra e aveva conosciuto il popolo che vi abitava. Nelle loro vene scorreva lo stesso sangue dei loro progenitori, prima che gli Elfi acquistassero l’immortalità attraverso il patto di sangue stipulato alla fine della guerra con i draghi.
Il loro re, Arold, l’aveva accolta come una figlia  In quella terra si stava svolgendo una guerra centenaria, ed Arya aveva accettato di insegnare loro l’antica lingua per contrastare la forza della regina Isobel che voleva tenere per sé quel potere.
I suoi amici su Zàkhara, invece, si erano cacciati senza saperlo in una trappola; attraverso la loro spia a corte, Aglaia, Arya era venuta a sapere che solo Murtagh e Castigo erano apparentemente liberi di muoversi. E in tutto questo la popolazione sembrava non accorgersi di nulla, annebbiata da un qualche incantesimo lanciato dalla stessa Isobel. Arya si domandò che tipo di magia avesse usato e dove avesse trovato l’energia necessaria per mantenere un simile sforzo.

Consapevoli che il sostegno dei Cavalieri dei Draghi rappresentava l’ago della bilancia nella guerra Arold aveva acconsentito a organizzare una spedizione di salvataggio per i suoi amici. Con il cambio di venti più favorevoli una nave con a bordo un manipolo di soldati si stava preparando a salpare ed Arya aveva tutte le intenzioni di partecipare a quella missione. Re Arold si era fermamente opposto alla sua decisione ma lei era stata altrettanto inamovibile. Quando anni fa aveva accettare l’incarico di diventare la portatrice dell’uovo era arrivata a sfidare tutto il suo popolo e l’autorità della madre per tenere fede alla sua decisione. Non sarebbero stato di certo Arold a farle cambiare idea, soprattutto quando ad essere in pericolo erano le persone a cui teneva di più al mondo.
Un altro tuono scoppiò nell’aria facendo vibrare le pareti della stanza e destando Arya dai suoi pensieri.
L’Elfa prese allora la decisione di divinare Eragon. Nessuna delle informazioni fornite da Aglaia lo riguardavano in particolare. Doveva sapere come stava. Andò alla finestra, e con alcune parole dell’antica lingua, fece in modo che un po’ d’acqua dal vetro si raccogliesse nel palmo della mano, poi evocò l’immagine del Cavaliere.
Il volto di Eragon comparve lucente sul piccolo specchio d’acqua, teneva gli occhi chiusi e i suoi lineamenti, di solito dolci, erano ora tirati. Sembrava molto stanco e spaventato; gli occhi di Arya si riempirono di lacrime a quella vista e l'Elfa fece scivolare via subito l’immagine.

                                   ***

Eragon ebbe l’immediata sensazione di due occhi che lo stavano osservando, si tirò su di scatto tastandosi il petto in cerca dell’amuleto donatogli da Gannel. Quando al suo posto le dita toccarono il collare di metallo si ricordò di non averla più con sé. Mi è stata tolta quando sono stato portato qui pensò realizzando amaramente dov’era il qui.  

La cella era avvolta nella semi oscurità e fuori pioveva. Dalla feritoia poteva sentire il rumore della pioggia che cadeva copiosa mentre intravedeva il bagliore dei lampi riflettersi nell’incasso della finestra. Un tuono più vicino degli altri fece vibrare le spesse pareti della torre.
Gli incubi con il loro carico di dolore erano sempre lì ai margini della sua mente pronti a prendersi gioco di lui. Presto o tardi sarebbero tornati all’attacco ma in quel momento Eragon non voleva pensarci. Con cautela provò a mettersi in piedi ma un capogiro lo costrinse ad appoggiarsi alla parete. Quando il mondo smise di girargli intono il suo sguardo andò verso la porta. Solo allora notò che la finestrella da cui solitamente gli veniva passato il cibo era stata lasciata aperta lasciando uno spiraglio sulla sala antistante. Incuriosito Eragon barcollò in quella direzione e si mise ad osservare nell’oscurità. Delle ombre gli passarono davanti e udì un fruscio di vesti accompagnato da sibili indistinti.
Eragon indietreggiò incespicando di un passo. Il terrore gli serrò lo stomaco. Conosceva fin troppo bene quei suoni. Erano Ra’zac.

La sua mente stanca cercò disperatamente di ricordare quello che aveva appreso sulla loro storia, quando era ancora allievo di Oromis.
I Ra’zac erano stati, con molta probabilità, la causa per cui il re Palancar aveva deciso di emigrare dalla sua terra natale. Era fuggito lontano, raggiungendo la terra di Alagaësia ma quegli esseri, proprio come dei segugi che fiutano la preda, lo avevano seguito.
A suo tempo i Cavalieri avevano dato loro la caccia, uccidendoli uno ad uno. No aspetta, non tutti, ricordò alla fine. Due di loro riuscirono a sopravvivere e strinsero un patto con Galbatorix, servendolo in cambio della sua protezione e della possibilità di cibarsi di carne umana.
Era un incubo che ora si ripeteva con Isobel. Eragon si domandò quali promesse avesse fatto la regina per averli assoldati.
Si allontanò rapidamente dalla porta e tornò a sedersi sul suo giaciglio. Ora sapeva da dove venivano gli incubi e la cosa non lo fece sentire meglio. Piegò le ginocchia al petto e iniziò a porre attenzione ad ogni rumore sperando di non aver attirato troppo la loro attenzione.

***

l giorno seguente il sole salutò un cielo limpido e sereno. La pioggia si era dissolta in una sottile patina d’acqua che ricopriva tutto lasciando alla vista un piacevole senso di pulito; la pace e la tranquillità avevano preso il posto del frastuono e il temporale era diventato solo un lontano ricordo.


A mezzogiorno Murtagh era in sella su Castigo. Il drago compì diversi giri intorno allo sperone roccioso mentre osservava i grandi macigni che si trovavano dove il giorno prima c’erano fenditure, crepacci e gole. È come fosse passato un terremoto Qualcuno o qualcosa lo aveva provocato.

Da sotto videro Isobel che li osservava. La donna indossava un’armatura leggera che le copriva il petto e le spalle ed era a comando di una dozzina di uomini armati. Poi le videro. Le armi erano proprio come gliela aveva descritta Xavier. Una lunga canna di metallo cilindrica lunga poco più di quattro iarde posta sopra una pedana fornita di due ruote. Quando Castigo poggiò le sue zampe a terra Murtagh saltò giù dalla sella si guardò intorno circospetto.

- Benvenuto Murtagh e salve a te Castigo -   

Gli uomini non avevano i colori della divisa della guardia reale e al comando non c’era Xavier ma una ragazza che Murtagh non aveva mai visto.  

- Oliviana la squadra è pronta? -

- Sì, mia Signora - disse la ragazza piegando il capo in segno di rispetto. Gli uomini al suo seguito erano posizionati in fila ed ognuno di loro aveva in mano una lunga canna di metallo fornita di manico con in alto una leva e una sorta di grilletto al di sotto di essa.

- Mi permetti? – chiese Isobel tendendo le braccia verso l’arma nelle sue mani. Oliviana gliela consegnò. Isobel impugnò il manico sotto il braccio e guardò Murtagh.

- Adesso osserva bene -

Puntò con non curanza l’arma prima verso i suoi uomini poi verso Castigo e infine verso la parete rocciosa alle sue spalle. Dopo avergli rivolto uno sorriso ferino si girò e premette una levetta due volte, in successione, puntando la canna contro dei bersagli invisibile.
Due schioppi fortissimi partirono da quell’oggetto, ne uscì subito del fumo e un forte odore di zolfo investì le narici di Murtagh.
Due fori delle dimensioni di una noce si erano aperti nei punti dove aveva puntato l’arma mentre a terra delle rocce infiammate crepitavano debolmente.

- Quest’arma è in grado di uccidere un uomo con la stessa velocità dell’antica lingua - gli disse Isobel tornando a guardarlo per osservate la sua reazione.

- Non ha certo la sua eleganza e il suo fascino ma non puoi negarne l’efficacia. – proseguì Isobel – vuoi provarla? - Castigo ringhiò e
Murtagh la fissò per alcuni istanti prima di scuotere la tasta in segno di diniego.

- Non si tratta di fascino o eleganza Isobel. La tua arma è più che efficace, lo vedo, ma non può essere lontanamente paragonata alla magia. - Nonostante Xavier gli avesse parlato del loro funzionamento, nel vedere l’arma in azione Murtagh realizzò qualcosa di allarmante.

- Anche il più giovane dei maghi sa che usarla ha prezzo. Pronunciare un incantesimo chiede sempre un costo, La sua pratica necessita di un costante studio al fine di bilanciare le proprie energie. Se non impari questa lezione in fretta rischi di rimanere ucciso. La tua arma, ha la sua stessa capacità di uccidere e cosa richiede? Solo di premere un grilletto - disse rivolgendole uno sguardo severo.  

- Come vuoi, per adesso posso capire la tua riluttanza. Ma non to ho ancora presentato Oliviana – la regina richiamò a sé la ragazza e Murtagh se la ritrovò di fronte. Poteva sentire il suo sguardo che lo ispezionava da capo a piedi indugiando sul volto – Cosa c’è? – le chiese innervosito da quella sua insistenza. Oliviana non aspettava altro che la sua domanda – Qualche giorno fa ho portato qui il mezz’elfo, Eragon, non sembrate affatto fratelli – Murtagh scattò e le afferrò il braccio guardandola a denti stretti. – La cosa non ti deve riguardare - Oliviana sorrise calma e levò lentamente la mano di Murtagh dal suo braccio – la mi era una semplice curiosità, non c’è bisogno di alterarsi tanto –

Prima che potesse rispondere Isobel intervenne a sedare gli animi

- Oliviana, per piacere, Murtagh è qui in veste di nostro alleato. Lasciamo fuori qualsiasi dissapore. Rispondimi invece, i cannoni sono tutti in posizione -   

- Sì Maestà – le rispose proto il sicario. 

- Come credo avrai notato al tuo arrivo – continuò Isobel rivolgendosi ora a Murtagh - molte delle entrate alle grotte sono state fatte crollare. – Murtagh fece un cenno di si con la tesa – Ho notato ma non ne comprendo il senso. – rispose fremendo di apprensione per Saphira.    

- Lo vedrai presto. Ieri ti ho promesso un’arma capace di competere con il fuoco di un drago. Cos’altro potrebbe distruggere quei massi? - Olivina diede l’ordine di accendere tre torce che vennero avvicinate alle altrettante micce poste all’estremità opposta delle canne.

Un boato ancora più grande di prima esplose nell’aria. Una nuvola di fumo e detriti grandi quanto piccoli ciottoli si espanse nel punto in cui le palle dei cannoni centrarono il loro obiettivi. Quando il fumo si dileguò le rocce che ostruivano il passaggio erano state frantumate e l’interno delle caverne era nuovamente visibile. Il riflesso blu delle scaglie di Saphira brillò alla luce de sole e Murtagh poté infine vederla. Era incatenata al muro ma era viva. A quella vista Castigo emise un basso ringhio minaccioso verso Isobel.
- Di al tuo compagno di calmarsi -
Gli fece lei con voce gelida.
Castigo…come sta? Chiese mentalmente al drago
Passarono alcuni istanti, poi udì la voce del compagno che gli disse:
Sta bene ma vuole parlare con te
Murtagh rivolse nuovamente lo sguardo verso Isobel . La donna gli porgeva delle chiavi – Do a te l’onore di liberarla –  

Murtagh raggiunse la dragonessa e la osservò con attenzione valutando le sue condizioni prima di fare qualsiasi cosa. Non sembrava ferita in maniera grave così con cautela iniziò a toglierle la museruola. Saphira gli porse il muso docilmente mentre con delicatezza sfilava il ferro intorno a mascella e mandibola.

Grazie lo raggiunse improvvisamente la sua voce. Murtagh le annuì con un sorriso mesto Castigo ha detto che vuoi parlarmi…

La bipede-senza-cuore è qui per quello che le ho rivelato l’altro giorno. L’ho fatto perché non facesse del male a Eragon ma Castigo mi ha parlato di torri e Ra’zac. Devi aiutarlo! Murtagh ascoltò le sue parole in silenzio

Lo stiamo già facendo Saphira ma adesso lascia che sia io ad aiutare te

Murtagh non aveva modo di spiegare alla dragonessa il loro piano di fuga, non con Isobel che li osservava da dietro, così si mise al lavoro sulle catene e una per una le aprì sfilando via gli anelli stretti intorno alla coda e alle zampe.

Una volta libera la dragonessa si avvicinò a Isobel, le labbra del muso fremettero e si alzarono a mostrare le zanne. Saphira alzò lentamente la sua zampa anteriore e con l’unghia la toccò al petto, a sinistra, premendo appena contro l’armatura.

Tu disse incidendo quell’unica parola nella mente della Isobel come se fossero scolpite nella roccia.

- Ho dovuto colpirti al cuore, dove fa più male o non ti avrei mai avuta al mio fianco – le disse Isobel abbassando lo sguardo dove l’unghia aveva lasciato un segno. Con una mano face cenno di fermarsi alle guardie che a un comando di Oliviana si erano messe in posizione, puntandole contro le armi. Rimasero a guardarsi così per alcuni interminabili istanti poi Saphira ritirò il suo artiglio e agitando le ali con un balzo superò i detriti e raggiunse Castigo appena fuori dalla grotta.

- Dopo tante incomprensioni alla fine abbiamo trovato un obbiettivo comune trovare le uova di drago. Vorrei che tu, Murtagh, partissi con Saphira alla loro ricerca. Ho già informato Xavier che ti fornirà e carte per raggiugere le terre selvagge e il supporto logistico per il viaggio.

…E lasciare a lei i nostri compagni?... intervenne Saphira con un ringhio mentale. Murtagh abbassò lo sguardo serrò la mascella.

Glielo lasceremo solo credere Saphira…

 

***

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Capitolo 6
*** La fuga (prima parte) ***


Murtagh camminava con l’animo in tumulto. Isobel era sempre un passo davanti a lui. Quel nuovo incarico e l’attività degli alchimisti con la minaccia delle loro armi aveva completamente offuscando la gioia di aver liberato Saphira.

Si diresse nelle sue stanze dove trovò Aglaia assopita sul suo letto. La ragazza  l’aspettava ormai da ore, le sue vesti leggere le cadevano sul corpo disegnandone il profilo flessuoso. Il suo respiro placido ipnotizzò per un attimo il cavaliere che rimase a guardarla; non sapendo come chiamarla emise un leggero colpo di tosse che la fece destare:
- Cosa è successo all’incontro? - gli fece lei tirandosi su e accorgendosi del suo sguardo agitato.
Murtagh le raccontò cosa era accaduto, esprimendo insieme anche i suoi timori e le sue impressioni sulle armi. L’esasperazione di Murtagh si acquetò un poco quando la vide sorridergli mesta.

- Non c’è momento migliore per fuggire – gli disse poggiandogli una mano sulla spalla per infondergli coraggio ma Murtagh era ancora restio a lasciare andare le sue paure - Sapeva dei nostri movimenti per cercare Saphira – disse ma Aglaia gli strinse ancor di più la mano sulla spalla.

- E adesso è sicura di sé, ha fatto la sua mossa e crede di essere invincibile. Questa sua sicurezza ci darà un ampio margine di movimento – rispose rivolgendogli allo stesso tempo uno sguardo fiducioso.

- Hai ragione – Murtagh la guardò grato. Il momento di sconforto era passato ora dovevano agire. Una volta usciti dalla stanza Murtagh si diresse prima alle stanze di Eragon. Vi entrò di slancio seguito da Aglaia.

La stanza era stata messa tutta sotto sopra – Che cosa è successo qui? - chiese lei dando voce allo sconcerto di entrambi. Murtagh non seppe rispondere subito e tacque. Ancora una volta Isobel aveva agito tirando a distanza i fili dei suoi servi come fossero marionette e maledisse se stesso per non aver agito prima. Non aveva mai condiviso con Eragon il suo attaccamento alla cultura elfica ma ne riconosceva l’importanza ed ora importanti informazioni si trovavano nelle mani del loro nemico. – Con molta probabilità Isobel cercava i papiri in possesso di Eragon – disse infine osservando alcune carte strappate sparpagliate sul pavimento su cui si erano disegnati eleganti glifi. Anche le scatole di legno che le contenevano era state spaccate e gettate a terra in cerca di nascondigli segreti. – Che cosa contenevano? –

Murtagh sospirò - Per lo più poemi e racconti ma anche cronache e incantesimi frutto della lunga arte elfica - Aglaia si piegò a raccogliere alcuni frammenti a terra cercando di leggere qualche stralcio. Murtagh si diresse verso una piccola cassetta riversa a terra. Il suo contenuto, due tavolette dipinte, non era stato risparmiate dal saccheggio ma aerano rimaste intatte. Murtagh le raccolse da terra e con cautela le avvolse in un panno.

- Che cosa sono? – Chiese Aglaia indicando le tavole nelle sue mani. Murtagh le rivolse un sorriso - Sì chiamano fairth.-

- dipinti…creati con la magia? – disse lei traducendo titubante la parola nell’antica lingua

- Esattamente - rispose lui. – Non posso recuperare altro ma Eragon sarà contento di riaverli - aggiunse Murtagh, ricordando il volto del fratello quando glieli aveva mostrati.

- Hai recuperato quello che potevi, andiamo Cavaliere. -  Murtagh annuì e insieme si diressero a grandi passi verso il corpo di guardia per incontrare Xavier. Vennero fermati all’entrata da un giovane zelante che li annunciò al capitano.
- Puoi lasciarli entrare – disse l’uomo chino su un tavolo, il ragazzo si mise sull’attenti per il saluto e lasciò la stanza.
Il capitano era intento a controllare alcune carte geografiche, al loro lato erano degli appunti in rosso scritti in codice. Non appena i passi del giovane si furono dileguati, Xavier guardò Murtagh - Mi è stato detto di lavora con te per cercare una via verso le terre selvagge. Cos’è questa novità? -
Murtagh guardò Aglaia quindi sospirò - Alcune cose sono cambiate – con l’aiuto della ragazza gli raccontò a grandi linee cosa era successo al suo incontro, cercando di colmare il più possibile le sue lacune - Non c’è più bisogno di liberare Saphira, ma il resto del piano rimane invariato – aggiunse alla fine.

Aglaia prese parola rivolgendosi al capitano:
- Come avevamo stabilito, tu andrai da Reafly, tu Murtagh da Jill, io, invece, mi occuperò di liberare Eragon e recuperare le uova ma tutti e tre dovremmo fare a meno di Saphira e Castigo per raggiungere la spiaggia o attireremmo troppo l’attenzione. –

Xavier intervenne - Ho dovuto intensificato i turni di guardia per volere di Isobel ma stamattina ho fatto in modo che ci fossero dei buchi nel cambio dei soldati qui, qui e qui – disse, indicando i punti sulle mura dove sarebbero potuti passare.

- Ci rivediamo alla spiaggia. Che la fortuna ci assista – disse Aglaia guardandolo uno a uno prima di divedersi.

***

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        Mancava ancora un’ora al tramonto e nonostante la luce del sole riuscisse ancora penetrare all’interno delle finestre Aglaia si fermò ad accendere la lanterna che teneva in mano per percorrere l’ultimo tratto di scale che portava in cima alla torre. In quell’area l’oscurità aveva inghiottito tutto intono a lei, comprese le pietre.  

Arrivata all’ultima rampa delle scale aveva le gambe tese e i nervi a fior di pelle. I Ra’zac erano creature notturne che amavano muoversi nell’oscurità. Aglaia non riuscì ad avvertire la loro presenza fino a quando non la sorpresero alle spalle con i loro sibili; si girò di scatto accorgendosi che l’avevano stretta ad un angolo.
-Dove crrrrrredi d’andarrrrre?- gli fece una delle due creature in tono bieco.
Il loro alito pestilenziale arrivò di colpo alle narici di Aglaia, immobilizzandola.
Il suo istinto iniziale fu di fuggire e dovette aggrapparsi a tutta la sua forza di volontà per rimanere al suo posto. Improvvisamente si ricordò della lanterna che aveva in mano, la alzò frapponendola tra lei e le creature che sibilarono infastidite indietreggiando di un passo per uscire fuori dal cono di luce.
-De..devo – incespicò all’inizio prima di riacquistare la sua solita sicurezza. – Devo vedere il prigioniero per ordine della regina, sono la sua ancella-
Le due creature annusarono l’aria e si scambiarono qualche verso. Avevano riconosciuto il suo odore e i due Ra’zac non avevano motivo di dubitare della sua parola. L’accompagnarono fino a un’anticamera che dava su una porta ferro chiusa.
Una delle due creature estrasse delle chiavi da sotto il mantello e dopo aver maneggiato con le serrature sparirono nascondendosi di nuovo nel buio.
Aglaia aprì lentamente la porta ed entrò nella cella chiudendosela alle spalle.

Nel momento in cui udì il suono dei chiavistelli Eragon scattò seduto in posizione guardinga. Ebbe un leggero sussulto quando i suoi muscoli protestarono per lo sforzo ma mantenne lo sguardo fisso sulla porta di ferro. Ebbe un tuffo al cuore quando riconobbe Aglaia, l’ancella della regina. La lotta contro i demoni della sua mente lo aveva lasciato esausto. Non avrebbe resistito a lungo se la ragazza lo avesse attaccato con la magia e adesso più che mai sentì il peso del collare.

Aglaia lasciò la lanterna alle sue spalle, appesa a un gancio sul muro e si avvicinò lentamente al cavaliere.

- Devi alzarti e venire con me - gli disse fermandosi a un passo da lui osservandolo per alcuni istanti: i suoi occhi erano quelli di un animale in trappola, aveva il respiro irregolare e il corpo teso era attraversato qua e là da piccoli tremiti. Con cautela sganciò una chiave sottile dalla cintura in vita e colmando la distanza tra loro avvicinò le mani al collare.

Eragon la guardò confuso quando fece scattare il meccanismo di chiusura liberandolo.

- Che…che cosa significa…- le chiese rilassando improvvisamente i muscoli e massaggiandosi con cautela il collo. La voce gli grattò la gola tanto da fargli male.
- Sono venuta a liberarti. Murtagh, Jill, Castigo e Saphira ti aspettano -

Nel sentire i loro nomi gli occhi Eragon ebbero un guizzo di stupore e si mise in piedi. Sentire di nuovo la magia scorrere nelle sue vene gli aveva dato nuova forza ma non così tanta. Aglaia non ebbe alcuna difficoltà a spingerlo indietro per farlo nuovamente sedere. Con orgoglio si accorse di riuscire a mala pena a fare resistenza.

– Prima devi mangia qualcosa -
gli disse mettendogli in mano un pezzo di pane con del formaggio. Aglaia sapeva che i Ra’zac erano soliti indebolire le loro vittime privandole di tutto. Dopo due giorni nelle loro mani doveva essere affamato.

L’odore fragrante del pane raggiunse le narici di Eragon che lo addentò con desiderio ma senza foga

- C’è anche dell’acqua – gli disse porgendogli una borraccia. Eragon accettò anche quella di buon grado. Il liquido fresco scese lungo la gola secca alleviando la sete.
Sotto gli occhi vigili di Aglaia, Eragon finì l’ultimo boccone di pane poi la ragazza si affacciò sullo sportellino della porta e guardò sulla stanza antistante.
I Ra’zac attendevano da qualche parte nascosti nell’ombra. Aglaia non poteva vederli ma sentiva i loro sibili.
- Sono ancora lì fuori vero? - gli fece eco Eragon da dietro le spalle.
- Sì - fu la risposta secca della ragazza.
- Che hai intenzione di fare? -
- Lo scoprirai presto. Spera solo che il gioco regga ancora –


                                   **

Aglaia uscì dalla cella seguita subita da Eragon. Aveva legato i polsi del cavaliere con l’estremità di una corda e stingeva l’altra con la mano.
I Ra’zac allargarono i loro mantelli minacciosi quando videro il prigioniero fuori dalla stanza.
- Dove Inttttendi porrtarrrlo – le dissero indicando il prigioniero in maniera malevole.

- La regina Isobel vuole vederlo - mentì Aglaia.
- Non abbiamo avuto nesssun orrrrdine -
- È una questione molto urgente non c’è stato tempo di avvertire. Potreste far chiamare qualcuno per accertare le mie parole ma quando questa confermerà ciò che ho detto, e lo farà, avremmo solo perso tempo preziose -
Aglaia stava rischiato tutto. I Ra’zac fecero un attimo di silenzio. Passarono due interminabili attimi, in cui Eragon tenne la testa bassa trattenendo il respiro.
Poi le due creature si fecero da parte, facendoli passare. La minaccia aveva sortito il suo effetto e i due scesero dalla torre indisturbati.

                                   ***

Era già da ore che Reafly si teneva pronto per partire con lo zaino poggiato su un lato del letto. Negli ultimi due giorni aveva messo da parte tutto quello che pensava potesse servire ma, al momento di infilarle nella sacca, aveva scartato quasi tutto portandosi dietro solo una porzione di gallette, la sua fionda e una coperta.
Reafly scese i gradini delle scale a due a due per dirigersi in cucina. Il ragazzo lanciò uno sguardo verso la madre e la sorella intente a impastare il pane per il giorno dopo.

- Reafly che fai ancora sveglio, non riesci a dormire? – gli disse la madre scorgendolo dalla porta

- È tutto giorno che traffica nella sua camera – lo colse sul vivo Rebekha a cui non erano sfuggiti i suoi movimenti.

- Tu non ti impiccare Bekh! – rispose lui lanciandole uno sguardo furioso. La sorella sollevò le spalle – La prossima volta impara ad essere più silenzioso! -  

- La prossima volta… - iniziò a dire il ragazzo ma non riuscì a finire la frase perché la madre li rimproverò - Voi due smettetela subito di litigate – Reafly chiuse la bocca cacciando indietro il suo commento e guardò contrito la madre. Non voleva che i suoi ultimi ricordi con loro fossero legati a un bisticcio e abbassando il volto disse.

-Scusami mamma, e scusa anche a te Bekh -

La donna si era passata la mano sulla guancia e l’aveva imbiancata con un po’ di farina. Reafly si ritrovò a sorridere. L’aveva vista tante volte compiere quel gesto e cercò di imprimerli il più forte possibile quell’immagine nella sua mente.

Era tutto il giorno che ci pensava, da quando aveva memoria si divertiva a sgattaiolava fuori dalla finestra ogni volta che voleva. Era diventato il suo modo di evadere da una realtà che gli stava troppo stretta ma alla fine, per quando andasse lontano, era sempre tornato a casa.

Ora che sapeva che il distacco sarebbe durato più a lungo il ragazzo si rese conto che passare il confine, quella sera, non sarebbe stato facile.
La madre aggrottò le sopracciglia.
- Non è meglio adesso? Dai ora vieni qui a prendere un morso. Anche tu Rebecka – gli disse porgendo a ciascun figlio un pezzo di pasta. Reafly se la mise in bocca. Quel sapore era il più buono che avesse mai gustato, pensò il ragazzo mentre inghiottita il boccone. In quel momento bussarono alla porta. La madre guardò i figli.
- Chi può essere a quest’ora? Rebecca puoi andare tu? – la ragazza annuì, ancora con la bocca piena e andò di corsa alla porta

- È il Capitano mamma! – gridò la ragazza poco dopo dall’ingresso.

Reafly vide la madre pulirsi le mani in fretta per poi guardarlo attentamente

- Se ti conosco bene Reafly Coleman, tu sapevi del suo arrivo. -
Reafly alzò le spalle e strinse le dita dietro la schiena mentre Xavier entrava nella stanza seguito dalla sorella.

- Mi dispiace disturbare a quest’ora tarda, vedo che Reafly ancora non te ne ha parlato – disse il capitano sentendo gli occhi della donna e di Rebekha su di lui.

- …Io… non volevano preoccuparti fino a quando non fossi stato sicuro – si giustificò Reafly rivolgendosi alla madre.

- Di cosa si tratta? – chiese la donna guardano invece il capitano.

Xavier prese allora la parola. – Alla fine ho ottenuto quel permesso Serena. La regina ha acconsentito a Reafly di passare una notte in caserma per mostrargli dove alloggiava Phill… –

- Se riguarda nostro padre voglio esserci anche io – protestò subito Rebekha sentendo il suo nome.

- È una cosa solo tra me e il capitano – rispose Reafly con prontezza.   

Serena guardò i suoi figli in successione, erano entrambi così orgogliosi e testardi; quella loro indole non faceva che alimentava la competizione tra loro. Rebekha, era abbastanza grande da serbare dei ricordi del padre, Reafly no e questo fatto era spesso motivo di lite tra fratelli. Proprio per questo motivo, tempo fa, aveva chiesto al capitano di fargli visitare i luoghi dove aveva vissuto, così da farlo sentire vicino a lui ma fino ad ora Xavier aveva sempre detto che non era possibile.   

- Rebekha lascia spazio a tuo fratello. Vedrai che verrà anche il tuo momento. Non è vero Capitano? - l’uomo annui poi disse

- Certo ma Reafly non ha ancora ricevuto il tuo consenso. Serena mi permetti di portarlo con me? -   

- Ti prego mamma posso? –

Da quando Reafly aveva smesso di parlare di draghi e cavalieri Serena era diventata meno apprensiva nei suoi confronti ma non così tanto da abbassare del tutto la guardia. Sospirò, qualcosa non le  tornava ma la presenza del capitano la tranquillizzò.

- Va bene puoi andare – disse infine sciogliendo i suoi timori.
- Grazie! - Reafly corse ad abbracciarla.
- Calma, non ce n’è bisogno, così mi stritoli! -  gli rispose ridendo.
- Così va meglio - disse infine mentre Reafly allentava la presa. Il ragazzo nascose, per un attimo il viso sul suo petto. La madre allora lo allontanò un poco da sé, prendendolo per le spalle per poterlo guardare in viso e gli sorrise.
- Dai ora vai a prendere il tuo zaino, sappiamo già che lo hai pronto da stamattina, vero Bekha? –
Il ragazzo annuì arrossendo quindi si diresse a grandi passi verso la sua stanza seguito dalla sorella.

Prima di prendere il suo zaino da viaggio, Reafly diede un ultimo sguardo alla stanza. Probabilmente non l’avrebbe vista per molto tempo e si prese tutto il tempo necessario per posare il suo sguardo su ogni singolo oggetto, ognuno legato ad un momento particolare della sua infanzia.

Rebekha lo sorprese da dietro dandogli un forte abbraccio. – Lo sapevo che stavi nascondendo qualcosa. Sono invidiosa ma…diverti e raccontami tutto quando torni -  gli disse confessando i suoi sentimenti. Reafly annuì.

Al piano di sotto Xavier era rimasto in compagnia di Serena.

- Grazie per aver accetto. So che sei preoccupata per lui ma sappi che gli starò sempre accanto - Xavier le aveva parlato con il cuore in mano. Non avrebbe mai voluto mentirle in quella maniera ma meno la donna era a conoscenza dei loro movimenti, meno opportunità avrebbero avuto di manovrarla.

- So che lo farai capitano –

Reafly e Rebekha scesero in quel momento mano nella mano

- Sono pronto - disse Reafly, quindi abbracciò un’ultima volta a madre ed uscì dietro a Xavier senza guardarsi indietro.

Una volta in strada il capitano si girò verso di lui – Da adesso fino a quando non saremo fuori dalle mura la velocità e il silenzio sono fondamentali – Reafly annuì con sguardo deciso. Xavier gli sorrise, addolcendo appena i lineamenti duri del suo volto, quindi alzò il cappuccio della sua mantella sulla testa e guidò Reafly verso la periferia della città. Il ragazzo gli stette dietro senza dire nulla, come gli era stato detto, anche se Xavier poteva sentirlo fremere di impazienza ad ogni passo.

- Non attendiamo più i cavalieri? – chiese infine quando ormai fuori dalla città si rese conto che si stavano allontanavano da soli.

- Ci incontreremo con loro alla spiaggia -   

 

***   

- Quindi è vero che stai per partire? – chiese Jill aggrappandosi al braccio di Murtagh mentre camminavano in direzione delle sue stanze. Le notizie, pensò Murtagh, viaggiavano veloci nella cittadella.

- Sì è così, ma adesso non pensarci - le disse passando oltre la porta della sua camera ed entrando nella stanza accanto. Al suo interno una cameriera stava finendo di sistemare dei fiori su una tavola imbandita. Murtagh aveva chieste ad Isobel di passare una serata solo con Jill. Lei era stata più che contenta di concedergli quel momento. Come aveva previsto Aglaia era sicura di tenerlo in pugno.    

- Ti piace? – le chiese da dietro, facendole scivolare lo scialle sulle braccia e accarezzandole con delicatezza la pelle nude.

- Molto, ma perché hai fatto preparare tutto questo? –

Murtagh le sorride. - Ho pensato che da quando siamo qui che non abbiano passato un vero momento solo per noi. – gli occhi di Jill si illuminarono di gioia e le sue guance arrossirono. Nel guardarla Murtagh riuscì solo a pensare a quanto fosse bella.  

- Credevo non me lo avresti mai chiesto. Che mi odiassi perché sono accanto a Isobel e non a tuo fratell…-

- Shhh… ora non ne parliamo – Murtagh le sigillò delicatamente le labbra con un bacio. Jill aveva chiuso gli occhi e Murtagh la strinse a sé sentendola tremare sotto le sue braccia. Rimasero così per un po’ e quando Murtagh sciolse l’abbraccio Jill non aggiunse altro. Nel frattempo la cameriera era uscita dalla camera e li aveva lasciati soli.

- Adesso accomodati – le disse Murtagh prendendo una sedia e porgendola alla ragazza. Jill accettò di buon grado e rimase a guardare Murtagh affascinata mentre le serviva il piatto e versava del vino in due calici. Senza farsi notare il ragazzo vi introdusse rapidamente il sonnifero e glielo porse – Ho fatto preparare il tuo piatto preferito le focacce farcite – le disse sedendosi anche lui in tavolo e prendendo l’altro calice di vino.  

Jill prese il vino e lo portò alle labbra e iniziò a mangiare con gusto tutto quello che le offriva Murtagh. Senza nessun preavviso la ragazza perse l’equilibrio e cadde con il busto in avanti. Murtagh non l’aveva persa di vista nemmeno un momento, le sollevò il volto dal mento e la sorresse per le braccia - Cosa mi succede? – gli chiese lei guardandolo spaesata. Murtagh cercò di tranquillizzarla. - Non temere ci sono qui io – le disse con dolcezza. Poi la ragazza perse del tutto i sensi e si accasciò.    

* * *

Eragon respirò a pieni polmoni l’aria fresca della sera e poggiò la schiena contro una parete in attesa del ritorno di Aglaia. Usciti dalla torre lo aveva condotto ancora per una serie di corridoi e passaggi, cambiando spesso direzione per evitare di imbattersi in qualche cortigiano o peggio ancora in una guardia. Erano usciti dalle mura della cittadella e avevano superato appena due isolati quando lei lo sospinse sotto gli archi di un porticato - Devo ancora fare una cosa, aspettami qui – gli disse senza aggiungere altro.

Il miagolio di un gatto ruppe il silenzio della notte attirando l’attenzione di Eragon. L’animale era piombato nella piazzola accostandosi alle colonne e girandole intorno intorcinando la coda. L’improvviso scalpitio di zoccoli disturbò l’animale che fuggì via. Sentendo che si avvicinava nella sua direzione Eragon si ritirò in fretta dietro una delle colonne e si nascose nell’ombra.

Una figura con un mantello appartenente alle guardie reali emerse dalle vie laterali. Eragon trattenne il respiro seguendo i suoi movimenti, pronto a combattere se necessario. Trasse un sospiro di sollievo quado riconobbe Aglaia.

– Sono qui – le disse uscendo da dietro una colonna. Lei si girò e gli venne incontro. – Una guardia mi doveva un favore - disse porgendogli un secondo mantello. Eragon lo indossò subito. Solo allora notò il telo avvolto intorno alle spalle e al busto di Aglaia da cui si intravedevano delle sporgenze tondeggiati.  

– Sono quello che penso? -

Aglaia annuì – purtroppo sono stata trattenuta – disse tradendo una certa tensione nella voce.

– Quando Isobel verrà informata che non sei più nella tua cella partirà l’allarme. Dobbiamo esser fuori dalle mura prima di allora o sarà molto difficile fuggire – gli disse passandogli le redini di uno dei due cavalli e salendo in sella all’altro.

– Se non impossibile – sussurrò cupo Eragon. I cavalli scalcinarono innervositi. I loro nitriti riecheggiarono nel portico allarmando Aglaia che, evidentemente, non voleva attirare troppo l’attenzione.
Eragon posò una mano sul collo del cavallo che reggeva. - Questi animali sono abituati con la minaccia del frustino – aggiunse ricordando come erano stati trattati da Isobel e Oliviana. – Se vogliamo essere silenziosi e veloci dobbiamo fargli comprendere le nostre necessità ma soprattutto che non gli faremo del male. – disse passando una mano sul collo.

- Come intendi farlo? – gli domandò lei scettica. Eragon non si scompose, semplicemente chiuse gli occhi e pronunciò alcune parole nell’antica lingua. Sussultò quando la magia pretese il suo prezzo attingendo alle esigue energie che gli rimanevano. In risposta due destrieri mossero la testa in su e giù, smisero di nitrire e pestarono gli zoccoli a terra silenziosamente. Per Eragon ne era valsa la pena. Aglaia aveva riconosciuto la radice delle parole che aveva usato ma non la loro declinazione – Una volta che saremo al sicuro dovrai insegnarmelo – gli disse rivolgendogli uno sguardo di ammirazione.

In sella ai due destrieri Aglaia e Eragon raggiunsero una delle porte indicate da Xavier. Come previsto dal capitano nessuno era di guardia a fermarli. Aglaia attivò il meccanismo di apertura della porta con la magia e la lasciò chiudersi alle loro spalle  

Solo fuori dalle mura della città spronarono i cavalli al galoppo lasciandosi velocemente Abalon alle spalle.

 

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Capitolo 7
*** La fuga (seconda parte) ***


Castigo e Saphira furono i primi a raggiungere la spiaggia. I due draghi avevano aspettato il crepuscolo per innalzarsi dalle rocce e lasciare lo sperone roccioso.  

Liberi da qualsiasi vincolo poterono volare e cacciare allo stesso tempo. Un gruppo di cervi che si stava muovendo nella notte si trovò sul loro percorso. Ne afferrarono due a testa con le loro fauci e artigli e ne fecero la loro cena.
Castigo insistette perché Saphira si fermasse a spolpare gli ultimi brandelli di carne prima di ripartire per permetterle di riprendere le forze perdute durante la cattività.  

Fu lui che per primo vide due cavalli avvicinarsi in lontananza.

Xavier e Reafly raggiunsero i draghi al galoppo fin sotto la spiaggio poi Xavier scese di sella seguito a ruota dal ragazzo.

- Credo proprio che siamo i primi – disse avvicinandosi ai draghi con referenza. Era la prima volta che si trovavano in loro presenza senza i cavalieri. Al contrario. Reafly sembrava completamente a suo agio e prima che avesse la possibilità di fermarlo era già sotto di loro ammirando le due possenti creature dal basso in alto.

Xavier trattenne il respiro nel vedere il muso di Saphira avvicinarsi alla testa del ragazzo. La dragonessa arricciò le sue labbra ed emise un leggerissimo sbuffo che gli scompigliò i capelli. Reafly rise di gusto riportando indietro i ciuffi scomposti.

– Anche per me è bello rivederti, Saphira – disse e a Xavier scappò un sorriso. In quel momento due voci provenienti da un punto lontano lo raggiunsero:

Grazie per quello che hai fatto per i nostri compagni di anima e cuore Riecheggiarono le voci dei due draghi.

Gli occhi dell’uomo scintillarono per lo stupore.

- Dovere – rispose semplicemente. 

- Quando arriveranno gli altri? – gli domandò Reafly poco dopo. Xavier guardò la strada da cui erano arrivati – Dobbiamo avere pazienza Reafly, L’unica cosa che possiamo fare adesso è aspettare e controllare che nessuno li stia seguendo – l’uomo aveva studiato le carte di quella costa e sapeva benissimo dove andare - Vieni con me – disse e sotto lo sguardo vigile dei due draghi si avvicinò alla scogliera alle loro spalle che dal mare si innalzavano per una certa altezza. Xavier mise un piede su una pietra e usando le mani per poggiarsi iniziò a salire

- Sorveglieremo la strada dall’alto? - chiese Reafly seguendolo da dietro.

- È il punto ideale per avvistare chiunque si avvicini. – disse il capitano mentre raggiungeva la cima. Sopra si estendeva un picco pianoro ricoperto da arbusti dal tronco basso e tozzo.

Il capitano venne raggiunto ancora una volta dalla voce di Saphira

Più avanti Capitano gli suggerì la sua voce. Xavier vide l’ombra della dragonessa passargli bassa sopra la testa per planare su una sporgenza rocciosa

Xavier corrugò la fronte e avanzò come gli era stato suggerito. Nascosta dalla vegetazione c’era una grotta. L’uomo vi si affacciò e vide che era abbastanza ampia da poterli ospitare tutti e cinque.

E’ visibile solo dall’alto aggiunse Saphira rispondendo alla sua domanda inespressa.

- Questo ci darà modo di riposare con più tranquillità – disse rivolgendo il suo sguardo a Reafly che lo aveva raggiunto in quel momento.

- Puoi occuparti della cena ? –

- Sì signore! – rispose subito il ragazzo contento finalmente di essere utile e senza esitare si mise all’opera.

                                    ***

La luna si era alzata dalla linea dell’orizzonte quando il cavallo di Murtagh raggiunse anche lui il rifugio. Xavier sentì l’ombra di Castigo passargli sopra mentre avanzava sulla spiaggia; il drago si mantenne a mezz’aria e lo vide prendere tra i suoi artigli il corpo ancora addormentato di Jill per portarlo sul promontorio.  

– Castigo mi sta dicendo che avete trovato un rifugio per passare la notte – gli disse mentre andava ad impastoiare il proprio cavallo accanto agli altri.

- Sì, proprio sul promontorio sopra di noi. –

- Aglaia ed Eragon, non sono ancora arrivati – aggiunse. A quelle parole Murtagh chinò appena la testa in avanti e chiuse gli occhi.

                                   ***

Eragon percepì la presenza di qualcuno nella sua mente. Cercò freneticamente di alzare le sue difese ma si mosse troppo tardi. La stanchezza e il trambusto dovuto alla fuga gli aveva fatto abbassare la guardia abbandonando ogni cautela.

Eragon sono io, Murtagh. Dove sei?

Nell’udire la voce familiare del fratello si rilassò. Davanti a lui poteva vedere la linea del mare dietro a un muro di giunchi.  

Stiamo arrivando. rispose.   

Murtagh aspettò che Aglaia scendesse dalla sella per accostarsi a lei e Xavier. Eragon era rimasto volutamente indietro.

– Andate pure avanti, noi vi raggiungiamo – disse parlando ad entrambi ma rivolgendo lo sguardo verso il fratello.

Fermandosi di fronte a lui allargò le braccia e lo strinse in un abbraccio. Dall’altra parte Eragon rimase per un istante immobile prima abbandonare la tensione nascondere il viso contro la sua spalla.

Murtagh lo sentì crollare sia fisicamente che mentalmente e lasciò che si appoggiasse a lui - È tutta colpa mia – si rimproverò allontanandolo da sé e tenendolo con i palmi dalle mani sul collo - Mi dispiace. – Eragon che aveva ripreso la propria fermezza scosse la testa.

- Non devi dirlo Murtagh. Abbiamo fatto entrambi degli errori, cerchiamo solo di non commetterli di nuovo. – gli disse.

Murtagh annuì lanciandogli un sorriso beffardo.

- Siamo diventati più saggi? - chiese facendo sfuggire all’altro un sorriso.

Eragon, se non ti decidi a salire tu, sarò io a venirti a prendere Lo raggiunse la voce ruggente di Saphira. Sto vendendo rispose il ragazzo.

- Immagino che qualcuno lì su sia ansiosa di vederti – disse guardando la sua espressione assente.

Una volta raggiunta la cima Eragon corse incontro alla dragonessa e sotto gli occhi di tutti le accarezzò la punta del muso e l’avvicinò al suo viso.
Mi sei mancata… gli sussurrò nella mente.
Anche tu piccolo mio.
Rimasero così per alcuni istanti poi Eragon salutò anche Castigo e scambiò con Xavier e Reafly uno sguardo riconoscente. Entrambi erano rimasti in disparte ad assistere alla scena. Murtagh, nel frattempo, si era allontanato per ritornate con in mano il fodero blu della sua spada.

- Per questa devi ringraziare Xavier – disse mentre Eragon se l’allacciava alla cintura. Sentire di nuovo il peso della lama al suo fianco lo rassicurò. Quando Murtagh tirò fuori anche un panno con i due fairth Eragon riconobbe il loro contenuto senza la necessità di scoprirli e rivolse al fratello uno sguardo pieno di gratitudine. – Tutto il resto è stato trafugate da Isobel, sono le sole cose che sono riuscito a recuperare – lo informò Murtagh. Eragon si limitò ad annuire. Solo allora si accorse che tra i presenti non c’era Jill. Ricordò come le fosse apparsa confusa dopo averla guarita e si girò verso il fratello in apprensione

- Murtagh, non ho visto Jill, lei…. – Murtagh non lo lasciò finire ma gli mise una mano sulla spalla per interromperlo.

- È qui Eragon e sta bene. Isobel ha usato la magia per plagiarla. Sta riposando adesso, cosa che dovresti cercare di fare anche tu, ne avrai bisogno, domani dovremmo viaggiare tutto il giorno –

Eragon avrebbe voluto fargli altre domande ma venne trattenuto da Saphira.
Murtagh ha ragione Eragon. Anche io sono molto confusa ma avremo presto delle risposte. Gli fece subito la dragonessa avvertendo nel suo compagno la stessa confusione che provava lei.

                                   **

Eragon seguì il consiglio di Murtagh e si adagiò al fianco di Saphira lasciando che gli altri si occupassero del resto. Bastò poco perché iniziassero a rendere partecipi l’uno all’altro di quello che avevano vissuto. Il loro pensieri iniziarono a correre sullo stesso filo fino a quando non si fusero in un’unica coscienza.

Era passata la mezzanotte quando finito di consumare un pasto veloce si ritrovarono tutti seduti per discutere il passo successivo. Eragon venne finalmente messo al corrente di quello che era accaduto durante il tempo che aveva trascorse chiuso nella torre.
Ascoltò in silenzio il racconto di tutti senza mai lasciare il contatto mentale con Saphira. La presenza costante della dragonessa continuava a sostenerlo, con lei condivise impressioni e pensieri mentre apprendeva come Isobel avesse manovrato tutti secondo i suoi piani. Il suo sguardo si fermò sorpreso su Xavier e Aglaia nell’apprendere il ruolo che ognuno di loro aveva ricoperto nell’aiutarli a fuggire provando per loro una profonda riconoscenza e ammirazione per il coraggio dimostrato. Sentì anche il trasporto particolare di Saphira verso Reafly. Dopo la sorpresa iniziale Eragon dovette ammettere che non accadeva spesso che la dragonessa provasse una simpatia così istintiva verso qualcuno. E’ diverso da quello che ho percepito con Eleonor, non so darmi una spiegazione. Gli aveva confessato percependo sentimenti contrastanti da parte di Eragon. Gli umori di uno influenzavano quelle dell’altra e viceversa ma quel ragazzo aveva qualcosa di speciale, era evidente, presto o tardi avrebbero scoperto il perché.

Alla fine anche per Eragon arrivò il suo turno di parlare. Il giovane non fu di molte parole, restio a rivelare ciò che aveva vissuto a qualcuno che non fosse Saphira, si limitò a raccontare loro solo le parti essenziali della sua prigionia. 

Mentre parlava poté sentire lo sguardo di Murtagh su di lui. Sapeva di stare omettendo molte cose, quando alla fine si alzò per uscire della grotta il fratello lo seguì.  

Eragon si fermò a qualche passo dall’uscita.
- Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria fresca – disse avvertendo la sua presenza alla spalle. Quando si girò Murtagh lo stava guardando preoccupato.

- Isobel mi ha parlato del collare Eragon – disse senza girare troppo intorno al problema, la sua voce era velata da una certa trepidazione - non hai detto nulla a riguardo. Perché? - Eragon piegò gli angoli della bocca in una smorfia prima di rispondere con un’altra domanda.
- Ti è mai capitato di svegliarti nella notte e non riuscire ad aprire gli occhi o muoverti? – Murtagh si accigliò, conosceva quella sensazione ma lasciò che Eragon proseguisse.

- È la stessa sensazione che si prova nel sentire la magia ma non poterla usare. Riuscivo a sentirla ai margini della mia coscienza ma ogni volta che provavo ad usarla qualcosa si attivava nel collare. Era come se assorbisse la magia e con lei anche le mie energie. E c’è qualcos’altro – Eragon fece una breve pausa prima di continuare a descrivere al fratello il modo un cui Isobel aveva usato il collare per torturarlo. Murtagh rimase in silenzio ad ascoltare fino alla fine prima di intervenire anche lui.
- Isobel mi disse che la lega di cui è fatto è opera degli alchimisti, gli stessi che hanno creato le armi di cui vi ho parlato –

Eragon annuì sommesso - Tra i papiri di Oromis, ricordo aver letto qualcosa a riguardo. Era una cronaca risalente molto tempo prima della venuta dei cavalieri e del patto stretto con i draghi. Parlava dell’esistenza di una terra dove erano state sviluppate delle nuove tecnologie -
- Credo che i nostri due mondi non siano poi tanto lontani tra loro. Più tempo passa, più scopriamo di avere molte più cose in comune – rispose Murtagh pensando al patto stretto da Isobel con Galbatorix.
Anche i due draghi si unirono presto alla conversazione attraverso il legame mentale con i loro cavalieri.
Questi luoghi non ci sono indifferenti. Le nostre memorie ci dicono che i draghi hanno vissuto per molti eoni in questi luoghi. Intervenne Castigo.
La nostra presenza non è stata dimenticata.
Aggiunse Saphira a conclusione.

Parlarono ancora un altro po’ poi Eragon iniziò a sentirsi molto stanco e non riuscì a trattenere uno sbadiglio. Murtagh se ne accorse e gli mise una mano sulla spalla – Credo che sia ora che tu vada a dormire fratello, starò io di guardia – gli disse aspettando che rientrasse. Eragon non si oppose e trovato posto tra gli altri compagni si addormentò quasi subito.

                                    ***

l mattino seguente la città di Abalon fu svegliata dal suono di tromba dalla torre della prigione che dava l’allarme.
La regina era stata subito messa al corrente della fuga di Eragon in successione scoprì l’assenza di Murtagh, Jill, Aglaia e Xavier.
Oliviana venne chiamata subito della regina nelle sue stanze private. Il tradimento di due persone della sua cerchia più stratta l’aveva colpita nell’orgoglio e non ne avrebbe tollerato altri.
- Trovali e portami i fuggitivi indietro -
- Sì, mia signora - rispose Oliviana mentre un sorriso maligno si dipingeva sul volto.
Isobel voleva vendetta, entro quella notte gli avrebbe ripresi tutti.

Avevano osato sottrargli le uova di drago, la sua eredità, la sua speranza per la vittoria e il suo dominio.
I suoi cupi pensieri furono arrestati dall’arrivo di una guardia.
- Mia signora, la madre e la piccola non ci sono più. Sono sparite -
- Come sparite? – rispose digrignando i denti – Cercatele, le persone non spariscono, si nascondono. Va e non tornare senza avere in mano qualche cosa! -

                                    ***

Ignari della caccia messa in moto da Isobel il piccolo gruppo si svegliò di buonora e si preparò per mettersi in viaggio diretti verso le coste settentrionali.

Anche Jill si era svegliata e i suoi occhi blu cobalto brillarono nel cercare Murtagh. Accanto a lei Aglaia le sorrise. 

- Lontano dal palazzo l’influenza di Isobel si è dissolta – disse lei semplicemente, quasi sorpresa della semplicità con cui si era liberata. Murtagh le andò subito accanto e preso il mento tra il pollice e l’indice le fece alzare il volto.

- Ho temuto di non riaverti mai più – Jill annuì cosciente per la prima volta delle manovre di Isobel.

- E’ stato come vivere un’altra vita. Ricordo esattamente quello che ho fatto e detto ma era come se a farlo fosse qualcun’altro –

- Lo so – le rispose prima di darle un bacio sulla guancia.

- Devo parlare con tuo fratello – gli disse.

Jill lasciò Murtagh e si avvicinò quindi a Eragon che in quel momento stava riponendo la coperta dentro una sacca. La ragazza lo aiutò a chiudere le cinghie quindi prese coraggio e parlò per prima.

– Grazie mi hai riportato indietro quando avevo perso ogni speranza. Isobel ti ha incolpato di tutto ma è stata lei a farmi questo. Mi dispiace per quello che hai dovuto passare – disse abbracciando il ragazzo con affetto.

Eragon ricambiò il gesto e le sorrise – E’ tutto passato Jill –

- Dobbiamo andare adesso – li richiamò Xavier. Il capitano aiutato da Reafly aveva già raccolto ogni cosa e ripulito il campo dalle loro tracce.

In poche ore si lasciarono alle spalle il fiume Striamone mentre davanti a loro si ergevano le impervie vette del Gran Massiccio.
Avrebbero raggiunto la baia entro sera, li aveva assicurati il capitano ed Aglaia.
I due draghi volarono bassi accanto al gruppo che avanzava compatto tra le insenature della roccia; Reafly dovette viaggiare su Saphira ogni qual volta che il terreno diventava troppo ripido per le sue forze e a metà giornata tutti si fermarono esausti e provati dal ritmo serrato di quella marcia.

                                   **

Oliviana si trovava ancora vicino al fiume. Le orme dei fuggiaschi appena visibili sul terreno. Sapeva che da sola non sarebbe riuscita a tenere testa ai due draghi e i loro cavalieri ma poteva fare in modo di rallentare la loro marcia e permettere ai soldati, che sicuramente Isobel le avrebbe mandato, di raggiungerli con facilità.
Si concentrò, e trasmise le informazioni alla regina.
                             

                                         **

Contrariamente quanto credeva Oliviana, Isobel non aveva intenzione di mandare i propri soldati.
Il capitano Xavier era tra loro, e la fame dell’uomo trai i suoi uomini poteva far sorgere dubbi e timori nell’animi dei militari.
Chiamò invece a sé i Ra’zac.
- Vi siete lasciati scappare il Cavaliere da sotto il naso una volta. Vi do un’altra opportunità per rimediare al vostro errore. -
I Ra’zac, chinarono la testa in segno di gratitudine. Sapevano già cosa dovevano fare. E la regina si limitò a guardarli uno per uno poi annuì:
- Trovate Oliviana, lei vi dirà dove trovarli. Potete cibarvi degli altri traditori, ma portatemi vivi i Cavalieri, voglio vederli strisciare davanti ai miei piedi -
I due Ra’zac sibilarono di piacere, presto avrebbero saziato la loro fame.

                                   ***

Nell’isola di Artara i preparativi per la missione erano giunti a termini. Quella mattina con l’alta marea avrebbero preso il largo e raggiunto le coste di Zàkhara.
Una ventina di mariani scelti tra i migliori erano stati chiamati a formare l’equipaggio guidati dal capitano Daco e nella città non si parlava d’altro che della missione.
Nessuno dei suoi abitanti avevano visto un drago e ora la possibilità di vederne due era qualcosa che andava ben oltre la loro immaginazione.

Arya aveva passato una tutta la notte in agitazione, le sue paure avevano preso forma nella sua mente non permettendole di riposare. Ma quella mattina il sole sembrò aver spazzato via tutta l’angoscia e l’inquietudine di quella notte.
Una volta uscita dalla sua stanza, Arya chiese immediata udienza al re che l’accolse nella sala da pranzo.
La tavola era stata apparecchiata con una modesta colazione, e il re invitò Arya a unirsi a lui per mangiare.
L’elfa accettò.
- Di cosa mi volevi parlare Arya svit-kona -
- Maestà, vi ho già parlato della mia intenzione di partire per la missione su Zàkhara -
Arold rimase un attimo interdetto da quella frase e guardò Arya come se la vedesse per la prima volta.
Il re si rese conto di avere davanti a lui non una giovane e ingenua ragazza ma una principessa avvezza al comando che non avrebbe di certo accettato un no come risposta.
- Credo sia inutile dirvi di no – le disse non senza mostrare il suo disappunto.
- Ma ribadisco il mio disaccordo con la vostra scelta -
- Mi spiace Maestà ma non posso stare in disparte quando sono in pericolo le persone che amo e ritornerò qui per finire ciò che ho iniziato con i vostri maghi. Al nostro ritorno, con me, ci saranno anche i due Cavalieri e, con il loro aiuto, la loro preparazione sarà completa –

- Lo spero con tutto me stesso Arya –
In quel momento nella sala entrò uno dei maggiordomi. L’uomo si avvicinò al re e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio. Arold abbassò gli occhi come a celare i suoi pensieri e asciugandosi la bocca con un tovagliolo si alzò garbatamente dal tavolo.
- Mi deve perdonare Arya, ma il dovere mi chiama.
Disporrò che sulla nave sia preparata una cabina. -
- Non ce ne è sarà bisogno Maestà. Non voglio privilegi ma ti ringrazio. -
- Come vuoi - gli disse il re con un sorriso allontanandosi poi con il maggiordomo.

                                   **

Il porto era gremito di gente che voleva assistere alla partenza della nave.
Arya si fece largo tra la folla. Le persone che la riconosceva si scansava per lasciarla passare ma più si avvicinava ai moli e più era difficile districarsi tra il marasma di gente.  A un certo punto fermò un giovane marinaio.
- Scusa dove posso trovare il capitano Daco? -
Il ragazzo si guardò intorno, e rivolgendosi di nuovo all’elfa, gli disse
- Credo si trovi… - ma si bloccò di colpo riconoscendo chi aveva di fronte. Arya lo fissò con i suoi penetranti occhi verdi in attesa.
- La porterò io dal capitano. Mi segua Arya svit-kona - Il ragazzo stava trasportando in mano una grossa fune, così la posò a terra e fece cenno ad Arya di seguirlo.
- Quale è il tuo nome? – gli fece lei camminandogli accanto.
- Mi chiamo Daniel – rispose il giovane prontamente.
- Fai parte anche tu dell’equipaggio della nave Daniel? – gli chiese Arya.
- O no signora! Io sono qui solo per come mezzo mozzo -
- Ma conosci il capitano? -
- Vuoi dire se conosco il capitano Daco. Chi è che non lo conosce! – Arya sorrise di fronte al suo entusiasmo e seguì il ragazzo senza commentare. Daniel salì sul ponte della nave, seguito a ruota da Arya. Si diresse deciso verso una porta che dava a una cabina. Bussò forte. Ad aprirgli fu un uomo, alto, i capelli che gli cadevano sulle spalle in folti ricci biondi, il viso beffardo esibiva un sorriso smaliziato.
- Chi mi cerca? -
- Signore, c’è qui Arya…-
Daco guardò prima Daniel, poi alzando lo sguardo incrociò quello di Arya.
- Ah, bene… l’elfa d’oltre mare. Entra -
Arya sostenne il suo sguardo. Nessuno gli aveva mai parlato a quel modo. Per un istante i suoi occhi verdi lampeggiarono di indignazione e colpirono il capitano dritto al cuore.
Arya decise in ogni modo di mantenere un contegno neutrale, non poteva pretendere che tutti conoscessero le loro usanze.
- Capitano sono venuta qui per chiedere il permesso di salire a bordo e unirmi a voi -
Daco annuì divertito mentre i suoi occhi la squadravano a testarne la forza e la determinazione poi le sorrise beffardo e con un gesto un po’ goffo fece un inchino.

- Ai suoi servigi mia signora - Non ricevendo alcuna risposta da parte sua si tirò su rapido, e tornato di nuovo serio gli rispose
- Stavo attendendo solo te per partire. Con il tuo permesso, possiamo toglier gli ormeggi. -
Daco uscì quindi sul ponte, quell’elfa aveva davvero un bel caratterino ma le sfide lo divertiva e non sarebbe stato certo lui a tirarsi indietro.
Una strana luce brillava nei suoi occhi, e il capitano ne era già ammaliato.

                                   **

La nave prese così il largo e prossimi alla costa la seguì per un breve tratto per poi deviare e dirigersi verso una piccola baia poco più a nord.
La baia era nascosta dagli scogli che si ergevano alti dalla costa e la rendevano un ottimo nascondiglio.
Daco ordinò di gettare l’ancora, poi due scialuppe furono fatte calere in mare con metà della ciurma sopra. Anche Arya scese con loro.
Daco si trovò ad osservarla dal retro della barca mentre remava con energia.
- Aglaia, la nostra informatrice, sarà già in viaggio con i tuoi compagni. Se tutto andrà bene, domani, prima dello zenit, staremo in viaggio verso casa -
Arya era tutta volta verso la riva, e ora guardava l’alto promontorio, mentre una leggera brezza marina gli sferzava i capelli corvini in tutte le direzioni.
Ascoltò le parole del capitano senza proferire parola. Lo sperava nel profondo del suo cuore.
                                          **
Il sole aveva ormai quasi compiuto il suo declino, quando giunsero finalmente alla spiaggia, e i marinai scesi dalle scialuppe si apprestarono subito a preparare il campo dove avrebbero passato la notte e organizzarono i turni di guardia.
Daco andò accanto ad Arya, l’elfa stava seduta sul suo giaciglio, assorta nei suoi pensieri. Lui trovò che era bellissima, ma lo sguardo severo nascondeva pensieri a lui ignoti. Lei si accorse della sua presenza e lo guardò dal basso.

- Non riposate capitano, è stata una lunga giornata, e domani non sarà da meno. -
- Potrei dire la stessa cosa di te - gli rispose con il suo solito sorriso beffardo.
Arya non aveva energie per rispondere e in silenzio accettò l’osservazione.
Daco allora capì che non avrebbe ottenuto nulla da lei quella sera e così si allontanò con un strano trambusto nel cuore. Era geloso di chiunque stesse pensando l’elfa perché aveva l’attenzione di quella donna eccezionale.

Arya lo osservò mentre andava a sedersi dall’altra parte del campo. Aveva percepito i suoi pensieri ma il suo cuore era tutto volto ad Eragon. E con la promessa di poterlo riabbracciare presto si abbandonò ad una leggera veglia.

                                   ***


Ad un centinaio di iarde dalla costa dove Arya e Daco erano sbarcati, Eragon e Murtagh insieme ai loro nuovi compagni erano ormai certi che sarebbe bastato girare l’ultimo sperone roccioso per riuscire ad intravedere la costa e, confortati da questo pensiero, marciarono con più decisione.

Oliviana poco lontano li stava osservando, e celata dalle ombre della notte ritornò indietro dai Ra’zac, per informarli che i fuggiaschi erano a portata di mano
Al sicario non piacevano quei mostri, ed era addolorata che la sua regina si facesse servire proprio da loro quando poteva avere solo i suoi servigi. Ma gli ordini erano ordini, e Oliviana si apprestò a passare le informazioni alle due creature che con una gioia tutta loro si prepararono ad assalire il piccolo gruppo, ignaro del pericolo.
Ma la loro sicurezza li tradì, Murtagh dalle retroguardie percepì un fruscio veloce da dietro la vegetazione che gli fece aguzzare la vista. Avvertì Castigo che allarmato gli confermò i suoi sospetti:
I Ra’zac erano alle loro spalle.
Si portò rapido in testa alla fila, dove c’erano Aglaia ed Eragon, ma fece appena in tempo ad avvertirli del pericolo che il loro l’attacco ebbe inizio.
Un ringhio rauco provenne dalle fauci di Castigo e Saphira.
Poi fu un attimo, e i due draghi presero sui loro dorsi Jill, Aglaia e Reafly e si diressero rapidi verso la baia. Si alzarono alti in cielo, senza più preoccuparsi di essere scoperti e lasciando Murtagh, Eragon e Xavier ad affrontare i due mostri.
Torneremo il più presto possibile, resistete. Gli dissero i due draghi al loro Cavalieri.
I Ra’zac sibilarono d’odio vedendo i due draghi allontanarsi, ma Oliviana passò loro accanto e scattò rapida verso quella direzione.

Giunta al limite della sporgenza, il sicario si trovò davanti qualcosa che non si era aspettata. Una nave era ormeggiata a poche leghe di distanza dalla costa, e sulla spiaggia un manipolo d’uomini era accampato. Imprecò contro la sua ingenuità, si sarebbe dovuta aspettare l’appoggio degli elfi, e ormai impotente vide i draghi dirigersi verso quella direzione.

                                   **

Quello che intravidero i marinai furono due grandi creature venire verso di loro.
Arya si levò dal suo giaciglio, e con un sorriso disse ad alta voce.
- Sono loro… -
I due draghi planarono loro davanti, e con un ruggito Saphira gli disse solo:
Dobbiamo ritornare indietro, i Ra’zac ci hanno attaccato.
La gioia appena provata si trasformò subito in preoccupazione, ed Arya fece per salire sul suo dorso. Voleva solo raggiungere Eragon ma venne fermata dalla mano di Aglaia che la fece voltare:
- Lasciali andare da soli. Noi dobbiamo occuparci di loro. -
Aglaia le indicò Jill e Reafly che erano ora scesi dai draghi.
Arya pose la sua attenzione sul ragazzo che Jill teneva per le spalle e che aveva in grembo un panno contenente qualcosa di molto pesante. Erano le preziose uova di drago. Arya allora annuì in silenzio.
State attenti disse solo in un sussurro alla dragonessa prima che spiccassero di nuovo il volo.
- Che succede, dove vanno i due draghi! - esclamò Daco, che non avendo sentito cosa si erano detti guardava ora le due donne senza capire.
- Ci hanno attaccati i Cavalieri e il capitano della guardia reale, Xavier, sono rimasti ad affrontarli per permetterci di fuggire -  gli disse Aglaia, che ora si era avvicinata a Daco.
- Dobbiamo riprendere al più presto il largo con la vostra nave. -
Daco seppe allora cosa fare, e radunati i suoi uomini ordinò la ritirata.
                             

**


Con pochi e potenti battiti d’ali i Draghi si ritrovarono presto al di sopra del promontorio. Presero quota per poi eseguire un’impennata, ridiscendere all’interno di una radura.
Individuarono subito i tre compagni e le due figure incappucciate con cui si stavano battendosi.
I Ra’zac si erano divisi, e stavano mettendo in serie difficoltà i due cavalieri mentre Xavier si trovava a terra, stordito.
I due mostri si muovevano rapidi nell’oscurità a loro congeniale e avevano tutta l’intenzione di mantenere quel vantaggio su di loro.
Ma quando si videro piombare addosso i due draghi, indietreggiarono in un sibilo e rapidi si dileguarono nelle tenebre celandosi dietro la vegetazione.
Eragon corse subito incontro a Xavier, seguito da Murtagh.
Il capitano aveva un profondo taglio lungo il sopracciglio e non sembrava avere altre ferite gravi.  – Ce la faccio a camminare… - disse loro con un certo orgoglio nella voce. – ma dobbiamo muoverci… loro sono ancora qui … - 

- Lo sappiamo – gli risposero i cavalieri. Lo fecero muovere con cautela sul dorso di Saphira ma nel farlo perse i sensi. Quando anche Eragon e Murtagh furono saliti i draghi volarono via.

                                   ***

Nella spiaggia, le due barche erano state portate di nuovo in acqua pronte a riprendere il largo. Ad uno ad uno, salirono tutti sopra le scialuppe; per primi furono fatti salire Jill e Reafly, poi fu il turno dei marinai e di Aglaia, mancavano solo Daco e Arya, che erano ritornata indietro per recuperare i remi.
Saphira e Castigo erano appena ritornati sulla spiaggia e avrebbero seguito in volo le barche fino alla neve.
Dalla rocce, come emersi da un incubo, sbucarono i terribili Ra-zac che con rapidità si avventarono su Arya e Daco ancora a metà della strada.
Arya sentì il loro fiato raggiungerli minaccioso e si mise a correre più forte, anche Daco accelerò la sua andatura ma i remi rallentavano i loro movimenti e sarebbero stati di certo raggiunti se un muro d’acqua non si fosse frapposto tra loro e quei mostri.
Dalla sella di Saphira Eragon si era reso conto che sarebbe mai riuscito a raggiungere Arya in tempo e ricordandosi il terrore dei Ra’zac per l’acqua aveva evocato la barriera prelevandola dal mare e usato l’energia necessaria per mantenerla, sfruttando quella delle piante che si trovavano tutte intorno a lui.
Ad ogni tentativo dei Ra’zac di avanzava il muro d’acqua veniva mosso prontamente da Eragon che gli impediva ogni movimento.
Daco e Arya erano riusciti ormai a mettere una buona distanza dai due mostri, quando qualcosa interferì con la magia che manteneva alto il muro. Eragon vacillò, colpito da un’entità nascosta. Gli ci volle tutta la sua forza di volontà e il sostegno di Saphira per resistere alla potenza di quell’attacco e ristabilire il controllo sulla magia ma nel breve momento di distrazione uno dei Ra’zac era riuscito a superare la barriera.
E’ qualcuno, dall’alto della rupe disse rapido Castigo a Murtagh.
Il ragazzo scorse in alto la figura di Oliviana, e raccolta a sé la magia, impegnò il sicario con un potente attacco mentale, permettendo al fratello di rialzare il muro sulla creatura. Questa aveva quasi raggiunto Arya.
Arya e Daco percorsero così indisturbati lo spazio che ancora li separava dalle barche e immersi i remi in acqua si allontanarono rapidi dalla costa.
Ormai al sicuro Eragon lasciò l’incantesimo, il muro si disciolse in una cascata d’acqua assorbito subito dalla sabbia asciutta della spiaggia. I due Ra’zac sibilarono furenti mentre Oliviana, dall’alto del promontorio, guardava impotente le due barche allontanarsi.

Ora sarebbe dovuta rientrare a palazzo a mani vuote. Pensò amara la ragazza.
Il sicario rabbrividì sotto la raffica del vento che proveniente dal mare; non aveva idea di come Isobel avrebbe reagito alla notizia del loro fallimento. Sapeva che l’imprevisto della nave non sarebbe di certo servito a diminuire le loro colpe.
Oliviana non aspettò neppure il ritorno dei Ra’zac, e accigliata si allontanò via composta.

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Capitolo 8
*** Un uovo si schiude! ***


I marinai sulla nave a largo della baia udirono dalla costa il trambusto indistinto e videro la corsa dei loro compagni alle barche.
L’ammiraglio che sostituiva Daco al comando aveva già ordinato agli elfi sotto di lui di prepararsi a difendersi quando dall’oscurità emersero due enormi masse scure dirette verso di loro. Gli elfi rimasero inizialmente impietriti ma quando capirono che erano draghi la loro paura si trasformò subito in stupore e meraviglia. Li videro eseguire una serie di manovre intorno alla nave per poi vorticare in circolo sopra le loro teste.

Dal dorso di Saphira Eragon prese un profondo respiro e cercò di mettere da parte il frastuono proveniente dai pensieri e le emozioni dei marinai e cercare Arya. Assicurò una migliore presa su Xavier e aguzzò la vista. La trovò intenta ad afferrare le funi che erano state calate per issare le barche a bordo. Notò che anche Jill e Reafly erano con lei.   

Ce l’abbiamo fatta piccolo mio. Lo raggiunse dolcemente la voce di Saphira. Eragon le annuì mentalmente sollevato.

Anche per noi è ora di scendere. Le disse lanciando un segnale anche a Murtagh e Castigo vicino a loro.

Con poche manovre i draghi si adagiarono sulla superficie del mare, permettendo ai loro cavalieri di scendere.
Le squame dei loro manti luccicarono di rosso e d’azzurro sotto la pallida luce della luna mentre seguivano i loro compagni di cuore farsi strada sul ponte. In quel momento vennero raggiunti da Arya che aveva superato tutti con ampie ed elefanti falcate. Eragon ebbe un fremito di pura gioia nel rivederla.

L’elfa salutò Murtagh con un cenno del capo ma la sua attenzione era tutta per lui e quando gli fu abbastanza vicino gli tese le braccia al collo e lo strinse forte a sé rimanendo così per alcuni istanti.

– Sei stato tu a innalzare quel muro d’acqua – la sentì sussurrare emozionata al suo orecchio.

Eragon non l’aveva mai sentita così tesa.

- Non c’era tempo per fare altro o i Ra’zac vi avrebbero raggiunti – le rispose lui di rimando scostandola appena. Nel farlo notò lo sguardo di Arya preoccupato. Eragon era appena consapevole del suo stato esausto ed emaciato.

- È stata un’imprudenza – lo rimproverò lei e i suoi occhi verdi scintillarono per l’intensità delle emozioni che stava provando. Eragon annuì senza riuscire a risponderle subito. Le era così vicino che poteva sentire la fragranza di pino che emanavano dai suoi capelli; le accarezzò la nuca e la strinse a sé.
- Ora è tutto finito – aggiunse dolcemente. Conscio degli occhi puntati su di loro Eragon riportò lentamente la sua attenzione alle persone che gli stavano intorno.

Riconobbe immediatamente l’elfo che era fuggito dalla spiaggia con Arya. Con un solo gesto della mano lo vide portarsi i ricci biondi indietro con disinvoltura mentre si avvicinò a loro.
- Siate i ben venuti sulla mia nave Cavalieri. Io sono il capitano Daco – si presentò rivolgendosi prima a Murtagh e a Jill, che nel frattempo li avevano raggiunti. L’elfo diede a Murtagh una cordiale stretta di mano, quindi si voltò verso Eragon. A Daco non era sfuggito come Arya non lo avesse lasciato un istante e il suo sguardo indugiò alcuni istanti su di loro prima di tendergli la mano.

Eragon gliela prese ma al momento di lasciarla la stretta del capitano si fece più forte. Daco lo stava sfidando ad un sorta di braccio di ferro. Eragon non aveva né la forza né la voglia di accettare lo scontro. Dissimulò il disagio dovuto alla estrema stanchezza e gli rivolse un sorriso teso ma cordiale. Tutto finì pochi minuti dopo ed Eragon si massaggio  lentamente la mano.

- Immagino devo ringraziare voi per quel muro d’acqua. – aggiunse il capitano evidentemente soddisfatto.

- Provvidenziale, direi. – continuò - Senza il vostro intervento quelle creature ci avrebbero di certo raggiunti e allora ci sarebbe stato un capitano Daco in meno –

Al tono goliardico del loro comandate i marinai intorno a loro esultarono di gioia felici per aver scongiurato un tale evento.

- Non avevate mai incontrato un Ra’zac prima d’ora, vero? – chiese Eragon mantenendo un tono serio, restio a lasciarsi andare alla leggerezza con cui il capitano aveva pronunciato quelle parole.

– No, non ho mai avuto il piacere fino ad ora – rispose con un sorriso beffardo per poi mostrare un espressione più seria - Non fraintendetemi, non sto minimizzando il pericolo che abbiamo corso -  disse cercando Arya con lo sguardo. - Ho sentito un brivido lungo la schiena quando quelle creature mi hanno quasi sfiorato. – Eragon annuì mesto.

- È così che quei predatori cacciano, l’oscurità è il loro mezzo. La sola cosa in grado di fermarli è l’acqua, la detestano anche il solo contatto. – aggiunse.

- Da quello che mi avete detto, ad occhio e croce direi che abbiamo messo una bel divario tra noi e quei …Ra’zac, giusto? – concluse il capitano. Ad Eragon scappò un sorriso condividendo suo malgrado la gioia del capitano.

- Lo penso anche io, capitano Daco –

- Avete sentito? – chiese l’elfo, questa volta rivolto ai suoi uomini. – Ciurma, adesso mettiamoci al lavoro e torniamo a casa! –

Ai comandi del giovane elfo Eragon constatò come tutti si mossero all’unisono. Fu allora che venne raggiunto dalla voce di Murtagh che chiedeva la sua attenzione.

- Eragon, vieni subito. Xavier non sta bene –  

Il giovane seguito da Arya e Daco vide Reafly chino sul corpo del capitano. Il ragazzo si voltò verso di loro – Perché non si sveglia? –

Eragon sussultò appena a quella vista non riuscì a fermare l’ondata di ricordi che riemersero con forza riempendolo ancora di orrore: le macerie della fattoria orami distrutta e il corpo bruciato e privo di vita dello zio Garrow.

Sentì la presenza di Saphira avvolgerlo protettiva per condividere con lui quei ricordi. Stammi vicino Saphira.

L’uomo non si era ancora ripreso. A parte lo squarcio lungo la fronte non aveva altre ferite visibili ma notò preoccupato il volto corrugato e sofferente dell’uomo. I Ra’zac avevano la capacità di insinuarsi e manipolare la mente degli uomini usando le loro paure come arma per disorientare e rendere le loro prede inermi e incapaci di difendersi da soli. In quel momento l’uomo stava combattendo una battaglia contro i suoi demoni e la stava perdendo.

– Una delle loro cavalcature, un Letbrakha lo ha sorpreso di spalle, Xavier non ha potuto nemmeno difendersi – disse Eragon corrucciando la fronte e stringendo i pugni lungo i fianchi. Le sue forze esigue non gli avrebbero permesso di guarire nemmeno un piccolo graffio. Anche Murtagh sembrava risentire dello sforzo compiuto per rispondere  all’attacco di Olivina. Arya sembrò capire il loro disagio e chinandosi accanto al capitano delle guardie prese in mano la situazione. Allungò la sua mano appena sopra la fronte dell’uomo e mosse le labbra proferendo alcune parole dell’antica lingua. Un bagliore verde sprigionò dalle sue dita.
Reafly guardò ammaliato l’elfa. Era la prima volta che vedeva la magia all’opera. Sotto alla sua mano la fronte del capitano si distese e l’espressione del suo volto venne liberato dal dolore che lo attanagliava. Anche la ferita tornò integra senza alcuna cicatrice. Era diverso da una semplice guarigione, come se la ferita non fosse mai esistita. Arya ricambiò lo sguardo sorridendogli dolcemente.
- Il tuo amico si riprenderà presto, non temere – disse dando voce ai suoi timori inespressi.
Reafly stava ancora tenendo strette a sé il telo con le dentro le uova di drago. Allora l’elfa gliele prese dalle mani con gentilezza.
- Cosa ne pensi Reafly se le sistemiamo in luogo sicuro? – il giovane annuì lasciando la presa

***

La nave rientrò nel porto di Artea nel pomeriggio del giorno dopo.
Re Arold non li accolse nella sala del trono, dove i draghi non sarebbero potuti entrare ma nei giardini esterni, abbastanza ampi da ospitare tutti.
Xavier si era ripreso del tutto, ed ora avanzava con gli altri al cospetto del re degli elfi oscuri. Il re fece segno ad Aglaia di venire avanti.
- Sono passati ormai dieci anni da quando sei partita per infiltrarti alla corte di Isobel. Dieci lunghi anni in cui hai rischiato la vita per fornirci preziose informazioni sulle sue mosse. E ora siamo onorati di riaverti tra noi –

Aglaia chinò la testa e lo sguardo del re si posò su un uomo alla sua destra che a un suo cenno andò da lei.
L’uomo le prese una mano e la fece alzare il volto, Aglaia vacillò a quella vista.
- Anche per me è un onore e una gioia rivederti – ripeté l’uomo prima di sorriderle e stringerla forte a sé.
- Faramir – sussurrò lei stringendolo a sé.
Poi il re, compiaciuto, si rivolse agli altri presenti.
- Arya svit-kona, sono loro i tuoi compagni di viaggio? -
L’Elfa guardò il re e annuì
- Sì, sire, sono loro Eragon e Murtagh, e loro sono Saphira e Castigo. -
- Venite pure avanti, Cavalieri dei draghi. Vi do il ben venuto a Artea e saluto anche voi, potenti creature -
Eragon e Murtagh chinarono appena la testa.
Ditegli che siamo addolorati per la sorte del loro popolo e che le nostre zanne e i nostri artigli sono pronti a combattere Isobel dissero Castigo e Saphira ai loro cavalieri, ed Eragon e Murtagh riferirono al sovrano le parole dei draghi. Arold annuì. Il suo viso si fece grave nel guardare i due cavalieri:
- Avete già avuto modo di costatare la crudeltà della regina sulla vostra pelle e avete pagato un alto prezzo. Anche voi amici di Zàkhara. - Il re spostò il suo sguardo sul capitano Xavier e il giovane Reafly che fino ad ora erano rimasti in disparte.
- Deve essere stato difficile per voi abbandonare la vostra terra –

Xavier posò una mano sulla spalla di Reafly dandogli un breve sguardo prima di rispondere al sovrano.

- Da anni Isobel piega il mio popolo a una servitù forzata e fino all'altro giorno ero uno di loro. Ora che sono stato liberato non ho intenzione di abbandonare la mia gente. Voglio liberarla e spero nel vostro aiuto. –

Xavier aveva parlato con fermezza e Arold lo ascoltò in silenzio. Tutti si voltarono verso l’anziano sovrano per sentire come avrebbe risposto.

- Le tue parole ti fanno onore capitano Xavier. Non temere perché le tue speranze sono ben risposte. Abbiamo un obiettivo comune: la pace e la convivenza tra i nostri popoli. - Xavier si girò dando uno sguardo fugace gli astanti
- Che avete Xavier avete qualcosa da chiedere? – chiese il re notando la sua titubanza.
- Sire… - tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di lui.
- Avanti capitano, qui puoi parlare liberamente -
- Ecco, vorrei conoscere quale sarà il mio ruolo. – Arold aggrottò la fronte senza capire e Xavier si affrettò a continuare.

- Arrivo subito al punto, Sire. Ho accettato di aiutare Aglaia e i due cavalieri perché so che non ci sarà una vera pace finché Isobel sarà al potere. A Zàkhara ero capitano delle guardie reali e con molta probabilità ho affrontato in battaglia molti dei soldati qui preseti. Temo che questo dato di fatto si possa essere un problema per la mia permanenza qui. -
Il re ascoltò il capitano in silenzio, poi guardandolo con compassione gli disse:
- Comprendo i tuoi timori Capitano. I nostri popoli si sono battuti per così tanto tempo che non c’è più memoria di quando eravamo in pace e temo dovrà passare ancora del tempo perché quegli orrori possano passare.
Ma la vostra presenza qui è il segno che il potere della Regina non è infallibile.
La guerra avrà irrigidito i nostri animi ma non ci ha fatto dimenticare la sacralità dell’ospite. Tu e Reafly siete i ben venuti tra noi. Fino a quando sarò il sovrano vi garantisco che non sarete soggetti a nessuna rappresaglia. E perché questo sia chiaro a tutti ti consegno questo anello con il mio sigillo personale segno della mia fiducia. –

Eragon osservò con attenzione Xavier farsi avanti per ricevere l’anello dal sovrano sotto lo sguardo di tutti. Un gesto coraggioso da parte di re Arold. Gli fece notare Saphira. Eragon era d’accordo con la dragonessa. Poté avvertire i sentimenti contrastanti provenire dagli elfi intoro a loro ma l’autorità del re era abbastanza forte da far tacere ogni palese contestazione. Xavier infilò l’anello al suo dito e chinò la testa in segno di gratitudine.
- Vi ringrazio, Sire. Le vostre parole mi confortano -
Arold annuì soddisfatto, quindi si rivolse a Saphira e Castigo.
- Ed ora, se mi è concesso è mio desiderio vedere le uova di drago. -
I due draghi mossero le loro testa in segno di approvazione. Arya si girò verso il capitano Daco e un suo cenno uno dei marinai si fece avanti per consegnare all’elfa un panno con all’interno il prezioso carico.
Il telo fu svelato da Arya davanti agli occhi del re che meravigliato poté così ammirare il prodigio che si svelava di fronte ai suoi occhi.
- Ditemi come voleva utilizzarle Isobel? – chiese senza distogliere il suo sguardo dalla superficie luccicante delle uova.
Il loro popolo conosceva poco della natura dei draghi e del legame con la loro razza e quella degli uomini ma era vivido in tutti loro l’eco delle loro gesta leggendarie.
Allora Arya, con l'aiuto di Eragon e Murtagh, raccontò al re parte della storia dei draghi.
Narrarono di Eragon, il primo Cavaliere, della guerra tra elfi e draghi, che culminò con il patto di sangue, che legava elfi umani e draghi ad un unico destino.
- Ma i draghi non hanno vissuto solo ad Alagaësia. Saphira ha scoperto che altre uova si trovano nella terra di Zàkhara. Una di loro è già predestinata a una bambina di Abalon - disse infine Eragon.
- E loro? -  domandò il re riferendosi alle uova di Saphira.
- Di solito, erano gli stessi draghi a dare almeno una delle loro uova per destinarla a un cavaliere. Queste uova e solo loro erano poste davanti a ogni bambino umano o elfo che fosse; ma i vostri popoli non fanno parte al patto di sangue. Noi non sappiamo cosa potrebbe succedere. - era stato ancora Eragon a parlare.
Noi e i nostri cavalieri siamo partiti alla ricerca di un luogo dove poter far rivivere una nuova stirpe di draghi. Non eravamo al corrente della guerra fra i vostri popoli. La magia del patto vincola alcuni piccoli a nascere solo quando sentono che il loro momento è giunto e aspetteranno anche anni per nascere nell’attesa di trovarsi davanti al proprio cavaliere.
Eragon riferì le parole di Saphira al re che la guardò corrucciato.
- Dove si trova ora quella bambina? -
- È al sicuro, mio Sire, da dei miei parenti a Blow, una città a nord di Abalon – intervenne Aglaia - Io e Murtagh abbiamo avvertito la madre del pericolo appena due giorni prima della nostra fuga. La regina aveva già intenzione di portarla al palazzo e tenerla al suo fianco come sua alleata, ma ora le sarà impossibile trovarla. –
- La bambina ha solo quattro anni, e finché l’uovo a lei destinato non sarà trovato, non è necessario farle correre rischi inutili - Assicurò infine Murtagh.
Re Arold rivolse a tutti loro uno sguardo grave. Molte questioni erano state aperte che chiedevano una risposta ma non era certo quello il momento e il luogo per cercarle.

- Potete tutti andate ora -

                                ***
Fu stabilito di portare le uova nella sala delle udienze, il luogo più sicuro del palazzo.
La stanza, infatti, era sigillata ogni volta che il re lasciava la sala e nessuno poteva introdursi senza rompere il sigillo.

La notte era ormai calato su Antara, e in tutto il palazzo regnava ormai il silenzio.
Nella sua stanza Reafly si svegliò di colpo, qualcosa lo aveva destato dal sonno. Scrutò nel buio ma l’oscurità non gli permise di vedere nulla. Si mise allora sedere mentre quella sensazione iniziava a scemare. Per un attimo gli sembrò che lo avesse abbandonato del tutto ma questa tornò a colpirlo subito dopo in maniera più forte.

Cercò di calmarsi e infilandosi ancora sotto le coperte provò a riprendere sonno ma senza risultati.
Poi lo sentì, distinto nella sua mente, qualcuno lo chiamava. Non era una vera e propria voce, più che altro una sensazione, come di qualcuno che lo stesse cercando. Si alzò dal letto, accese un piccolo lume e uscì fuori della stanza spinto dalla curiosità di capire se era stato qualcuno dentro il palazzo.
Percorse il corridoio su cui si affacciavano le stanze degli altri. Le superò presto dirigendosi invece verso le scale che portavano al piano inferiore dove era l’ala pubblica del palazzo
Una volta sceso, un rumore, questa volta reale, iniziò a diffondersi nei corridoi. Un rumore di qualcosa che grattava e si muoveva. Reafly cercò di avvicinarsi alla fonte. Dopo pochi passi scoprì con stupore che proveniva dalla stanza delle udienze.
Dove sono state portate le uova di drago si fermò a pensare.
Si avvicinò alla porta e la trovò aperta.
La stanza sarebbe dovuta rimanere chiusa sigillata dai marchi magici ma in quel momento Reafly non si mise a pensare a quel particolare e vi entrò, guidato solo dall’istinto.
Nel preciso momento in cui varcò quella soglia, Reafly fu certo che quel rumore proveniva proprio dalle uova

Queste erano ancora avvolte dal telo di stoffa, poggiate su tavolino. Gli si avvicinò e le scoprì: le quattro uova splendettero alla luce della luna che filtrava dalle finestre della sala delle udienze. La loro superficie era perfettamente liscia e il loro colore brillante era striato da lievi sfumature irregolari. Il ragazzo non poté fare a meno di rimanere affascinato dalla loro vista.
Il rumore intanto sembrava essere cessato del tutto ma, nell’osservarle bene, Reafly si accorse allarmato che una di loro aveva una crepa.
Pese in mano l’uovo danneggiato per poterlo esaminare da vicino. Lo posò a terra e in quel momento un tintinnio metallico si propagò rimbombando per tutta la sala.
Poi avvenne qualcosa d’inaspettato. Dall’uovo incominciarono a emergere una serie di squittii sempre più forti.
Reafly si guardò intorno per vedere se qualcuno, svegliato da quei rumori, stesse accorrendo nella stanza ma, con suo sollievo, nelle altre ali del palazzo il silenzio doveva regnare sovrano.
Reafly ritornò a guardare in basso. L’uovo aveva incominciato a muoversi freneticamente mentre da una piccola fessura iniziale presero a moltiplicarsi una serie di minuscole crepature che in poco tempo coprirono l’intera superficie, formando una ragnatela che avvolse l’intera superficie dell’uovo. Reafly non sapeva più che fare per fermare quell’escalation di eventi e osservò impotente il primo frammento di guscio cadere, poi il secondo e il terzo. Alla fine, ne emerse un piccolo cucciolo di drago.

La creatura si leccò via dal corpo l’ultima membrana del guscio che lo aveva coperto fino a pochi minuti prima e  alzò gli occhi per fissarli in quelli del ragazzo.
Il cucciolo di drago si fece istintivamente avanti, sbarellando sulle zampette, ancora instabile; contemporaneamente schiuse le sue ali nel tentativo di riprendere l’equilibrio. Riuscì a rimanere fermo un attimo poi crollò a terra emettendo una serie di pigolii di protesta.
Reafly non riuscì a trattenere un sorriso di tenerezza nel guardare quel piccolo essere alle prese con le prime difficoltà della vita.
Quando il drago cercò ancora una volta di alzarsi Reafly si affrettò ad affiancarlo per sorreggerlo. Lo aveva appena afferrato quando la mano destra iniziò a bruciargli; il sangue gli ribollì nelle vene mentre un senso di torpore lo invase per tutto il corpo.
Reafly cadde a terra appena cosciente. Sentì il piccolo drago venirgli accanto e la propria anima come staccarsi da sé e unirsi a quella della piccola creatura. Il legame che si stava creando tra loro era qualcosa di molto intimo e profondo, provocandogli delle sensazioni che non aveva avuto mai provato con nessuno.
Lo stupore iniziale si trasformò in terrore quando si accorse all’improvviso che quel contatto stava annullando la sua stessa entità.
D’istinto il ragazzo si ritrasse immediatamente rifiutando quella intmità ma un lamento del drago lo trattene a metà strada. Reafly poteva sentire la sua apprensione come fosse la sua. Le loro coscienze si sfiorarono di nuovo ma questa volta in maniera più controllata. Reafly poté apprezzare la profondità della sua personalità nonostante la sua giovane età. Sentì la memoria del piccolo drago scendere in profondità ma questa volta non ebbe paura e il cucciolo lo portò nei lati più reconditi della sua coscienza.

Lo stesso fece Reafly con lui. Il piccolo era curioso di ogni cosa e provò una strana sensazione di sollievo a condividere con lui le sue sensazioni. Era qualcosa che non aveva mai fatto con nessuno.
Quando il contatto andò scemando Reafly poté aprire piano gli occhi e si trovò quelli del cucciolo fissi che lo scrutavano con le profonde pupille gialle.
La sensazione lampante di un bruciore alla mano lo fece sussultare. Alzò il braccio e volgendogli lo sguardo vide suo palmo una cicatrice che riluceva di argento.
Reafly lo aveva visto sui palmi dei due Cavalieri, era il gedwye ignavia, il palmo lucente simbolo dei Cavalieri dei draghi.
Reafly si scrutò ancora la mano, il cucciolo allora gli avvicinò e strusciò il suo muso sul palmo dove c’era la cicatrice. La leccò con la sua lingua ruvida facendogli un leggero solletico.
Il ragazzo non poteva crederci, quello che aveva sentito raccontare quella sera come una leggenda si era appena realizzata davanti ai suoi occhi. Reafly fu raggiunto da un dubbio.
Il patto tra gli elfi e i draghi, patto cui si aggiunsero solo in un secondo tempo gli esseri umani, non aveva compreso il suo popolo. Eragon era stato chiaro. Come poteva lui essere stato designato come cavaliere? Come poteva, lui, essere diventato un cavaliere dei draghi. Non sarebbe dovuto accadere.

Reafly guardò fuori della finestra. In quel momento il cielo cominciò a schiarirsi, segnando l’inizio di nuovo giorno, e presto il palazzo si sarebbe risvegliato. Reafly si chiese come avrebbe spiegato tutto questo agli altri. Doveva uscire immediatamente da li. Scostò con delicatezza il cucciolo dal suo petto. Il piccolo fece una serie di saltelli scomposti quando Reafly si tirò in piedi.
Lo prese in braccio e si diresse verso la porta ma con sua sorpresa la trovò serrata, chiusa di nuovo dalla magia del sigillo. Reafly non capiva come poteva essere possibile, un minuto prima era aperta e gli aveva permesso di entrare.
Reafly prese allora a forzare la maniglia ma senza alcun risultato. La porta era di nuovo sigillata. Il draghetto ai suoi piedi emise una serie di pigolii, e guardando il ragazzo aprì la bocca e preso un memo dei pantaloni e lo allontanò da lì. Reafly si stupì della sua forza, anche da cuccioli i draghi erano pur sempre dei predatori formidabili e il ragazzo pensò che non se lo sarebbe mai dovuto dimenticare. Si lasciò quindi guidare dal suo piccolo compagno; in ogni caso non sarebbe mai riuscito ad uscire da quella stanza, almeno fino a quando la sala delle udienze non fosse stata riaperta e questo non poteva accadere prima di qualche ora.

Ritornati dove erano le altre uova il cucciolo allentò la presa e a Reafly non rimase che sedersi per terra mentre il piccolo drago si sistemava sulle sue gambe.
Reafly si ritrovò ad osservare il cucciolo, aveva chiuso gli occhi e il suo piccolo ventre si gonfiava ad intervalli regolari. Le piccole squame dorate erano disposte regolarmente su tutti il suo dorso, lasciando un piccolo incavo tra la spalla e il collo. Altri bassi pigolii uscirono dalla sua gola.

Ora sono un cavaliere dei draghi. Pensò con un certo turbamento, Murtagh ed Eragon lo avrebbero istruito e preparato a…
Non riuscì a finire il pensiero.
All’idea di combattere contro il suo stesso popolo Reafly fremette d’agitazione, non lo avrebbe mai fatto. Sentì il piccolo drago destato dall’improvvisa forza delle sue emozioni.
Lo so che Isobel è il male e bisogna distruggerlo. Ma non posso farlo, non poso combattere.

Il draghetto gli rispose con una serie di bassi pigolii, che suo malgrado lo fece sorridere. Si lasciò così cadere all’indietro, chiuse un attimo gli occhi, e senza nemmeno accorgersene si addormentò.

 

                              ***

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Capitolo 9
*** Il drago dorato ***


ALLERT
Ringrazio prima di tutto Tawariell per aver recensito in maniera fino ad ora positiva la storia! Spero continuarai a farlo
Ho pubblicato un bel po' di  capitoli in più (dal 4° all'8° ) in modo da dare una svolta agli eventi. Vorrei davvero conoscere l'opinione di chi mi sta leggendo, perciò non fate i timidi e lasciantemi un commento !!
Vi aspetto e alla prossima !!!


Il mattino seguente un sole tiepido illuminò un cielo limpido e senza nuvole. La luce penetrò attraverso le tende della camera dove Eragon riposava. Il ragazzo aprì gli occhi e si voltò a guardare in direzione di Arya. L’elfa era sdraiata al suo fianco e lui si sistemò di lato con le braccia incrociate dietro la testa per poterla osservare. Stette così ad ammirarla per alcuni minuti fino a quando Arya non mosse la testa verso di lui. Le palpebre le tremolarono appena prima di aprire gli occhi e sorridergli non appena si rese conto del suo sguardo.

– Buongiorno amore mio – la salutò lui facendo scorrere lo sguardo lungo i suoi lineamenti delicati – älfr erst svo fallegur *[come sei bella] -  

A quelle parole Arya arrossì appena. L’uso dell’antica lingua vincola chiunque la usa a esprimere solo ciò che rappresenta il vero ed Eragon non perdeva mai occasione di utilizzarla per esprimere quello che provava per Arya.

- Erlun ono *[grazie] se continui a dirmelo, potrei finire per crederci… -

- Lo sai che non mi stancherò mai di dirtelo –

Arya si puntellò su un gomito e gli scoccò un bacio sulle labbra pieno di promesse e desiderio. In quel momento, qualcuno li interruppe bussando alla porta. – Tu rimani qui – lo fermò lei puntandogli un dito sul petto. Poi sistemandosi un telo intorno al torace andò ad aprire la porta.

Eragon riconobbe la voce di Alicia. Era venuta ad avvertirli che il re li attendeva nella sala del trono. Il tono della sua voce tradiva una certa urgenza.  

- Grazie Alicia, so la strada puoi aspettarmi li –

La sentì chiudere la porta e tornare a letto per abbracciarsi ancora una volta a lui. Il ragazzo la strinse a sé poi con un sospiro disse solo.  

- Dobbiamo andare, vero? – chiese sapendo già la risposta.

- Temo di sì - gli disse lei appoggiando la testa al suo petto.  

- Che cosa potrebbe essere di tanto urgente? – chiese l’elfa mentre Eragon le accarezzava i capelli corvino in tutta la loro lunghezza. – Non lo so ma anche Saphira… mi sta dicendo di andare –

Arya rivolse ad Eragon uno sguardo corrucciato. – Non intendo toglierti gli occhi di dosso questo volta. Ti ho lasciato per un attimo e ho rischiato di perderti, non lo farò una seconda volta. –

Eragon ebbe un brivido prima di baciarla ancora una volta.

- Non vado da nessuna parte. - 

Con queste parole si alzarono dal letto e dopo essersi vestiti si diressero verso la sala del trono.

Dalla porta poterono scorgere le figure di Murtagh e Jill e subito dopo quelle di Arold e Xavier. Tutte si trovavano in semicerchio intorno a qualcosa che Eragon non riusciva ancora a individuare. Che cos’è questo mistero Saphira, avanti puoi dirmelo?

Pazienta e lo vedrai fu la sola risposta della dragonessa.

- Sire, Arya ed Eragon sono qui – annunciò uno degli intendenti.

I due avanzarono e poterono infine scoprire cosa aveva causato tanto trambusto. Al suolo c’era il giovane Reafly che giaceva a terra dormiente con un cucciolo di drago appoggiato sul petto.

- Li hanno trovati così i maghi che ogni mattina vengono a togliere il sigillo alla stanza – disse il re mettendoli al corrente della situazione.

Saphira tu lo sapevi?

Se non fossi stato impegnato a fare altro, ti avrei avvertito prima… Eragon divenne rosso e si concentrò sul draghetto mentre sentiva Saphira sogghignare.   

Murtagh si girò a guardare il fratello con una espressione sorpresa sul volto. Abbiamo un nuovo cavaliere

Gli disse mentalmente. Eragon lo ricambiò felice di cabiare discorso. Già…

Nonostante tutto non mi sembri affatto stupito

Hai ragione, ma neanche tu …

No fratello anche se qualche domanda me la sto ponendo. Eragon gli annuì mentalmente entrambi consapevoli che qualcosa non tornava.

Arya nel frattempo si era chinata sul piccolo e posandogli una mano sulla fronte disse rivolgendosi a tutti:

- Il piccolo deve essere crollato esausto. Troppe emozioni tutte insieme –

- Ma come ha fatto ad entrare se la sala era sigillata? – Chiese il Re Arold,

Fu Arya a intervenire ancora una volta.

- Per rompere una magia c’è bisogno di un’altra uguale o più forte – rispose Arya in tono pacato. – e i draghi più di tutti ne sono legati in un modo che nemmeno noi elfi comprendiamo appieno. Non bisogna stupirsi di quello che accade in loro presenza. –

In quel momento Reafly si mosse e tutti si girarono a guadarlo.

Reafly batté gli occhi un paio di volte e si stiracchiò emettendo un sonoro sbadiglio prima di rendersi conto di tutti gli occhi puntati su di lui.

- Alla buon’ora ragazzo! – lo rimproverò bonariamente Xavier con più entusiasmo del dovuto. Era evidente il sollievo dell’uomo nel vedere che stava bene.

Reafly si tirò subito su stringendo di istinto il cucciolo di drago a sé. Il drago svegliato anche lui dai movimenti del ragazzo iniziò a pigolare.

- Stanotte non riuscivo a dormire – iniziò a biascicare non sapendo come iniziare a raccontare quello che era successo quella notte. Passò il suo sguardo da l’uno all’altro viso – Qualcuno mi chiamava – concluse quindi finì con il guardare il drago.

- ho trovato la porta della stanza aperta e sono entrato –

- Non devi darci altre spiegazioni Reafly. Quello che successo stanotte è a dir poco eccezionale –

Era stata Arya a parlare. Realfy guardò prima l’elfa poi cercò con lo sguardo Murtagh ed Eragon. I due cavalieri erano dietro di lei e gli sorridevano.

- Arya ha ragione, non devi preoccuparti. Piuttosto come ti senti? – gli disse Murtagh posandogli una mano sulla spalla.

- Io non lo so… sono un po’ stordito – il cucciolo emise in risposta una serie di pigolii. Reafly gli sorrise debolmente poteva sentire la sua suggestione di fronte ai due cavalieri. Si passò il dorso della mano destra sulla fronte. A quel movimento il Gedwey-ignasia sul suo palmo brillò. Reafly scostò la mano ancora dolorante e rivolgendo il palmo in alto la girò.

- Sarà bene che vada a riposare nella tua camera – gli disse Arya. – Ti accompagnerò io se non vi dispiace – disse l’elfa aiutandolo ad alzarsi. Reafly si lasciò guidare

Re Arold guardò il ragazzo mentre si allontanava con Arya per poi girarsi versi i due cavalieri.

- Ed ora cosa avete intenzione di fare? – disse il re affascinato e allo stesso tempo turbato – So molto bene che questa guerra non vi appartiene ma Reafly ne è coinvolto. Lo addestrerete come cavaliere dei draghi? –

Eragon e Murtagh si guardarono negli occhi ma prima che potessero parlare vennero interrotti da Xavier che si inserì nel discorso

- Non è una decisione che può essere presa adesso – disse con tono protettivo. – Realfy è ancora un bambino. Non combatterà a meno che non sia astrattamente necessario e lo dovrà solo per difendersi –

Arold sostenne lo sguardo duro di Xavier.

- Capisco perfettamente le tue preoccupazioni capitano. Ma sai bene che quello che proponi non è realistica. La regina non si farà il minimo scrupolo per annientarlo non appena capirà che il ragazzo è una minaccia. Che lo voglia o no Reafly deve essere pronto a affrontarla. – fece una breve pausa prima di proseguire scegliendo bene le parole.

- Reafly è un bambino, è vero, ma in questo momento su di lui che pesano le sorti dei nostri popoli. –

Murtagh ed Eragon guardano prima il re poi il capitano. In quel breve frangente aveva stabilito che avrebbero preparato il ragazzo e il suo drago a ciò che li aspettava. Gli avrebbero insegnato il significato del loro legame che aveva radici profonde legate alla notte dei tempi. Ma lasciare che combattesse, era tutt’altra cosa e in ogni caso sarebbe dovuto passare almeno un anno primo che i due compagni fossero in grado di affrontare una battaglia.

Se non sbaglio eri solo qualche anno più grande di lui quando ti ho conosciuto. Lo raggiunse mentalmente Murtagh. Alle parole del fratello Eragon ripensò a tutte le difficoltà passate prima di raggiungere gli elfi e ricevere un’adeguata istruzione. A come aveva cresciuto Saphira da solo nella sua fattoria di nascosto dal cugino Roran e lo zio Garrow. Di come avesse appreso i rudimenti della magia durante il suo viaggio con Brom quando aveva deciso di fuggire da Carvahall per inseguire i Ra’zac e vendicarsi della morte dello zio. Tutto il suo cammino era stato stata sempre in salita. Non aveva avuto il tempo di guardarsi indietro o pensare a quello che era giusto per lui e Saphira.

Non sei stato poi così male intervenne Saphira.

Tu Saphira sei di parte. rispose di getto anche se non poteva negare di essere lusingato dalle sue parole.

- Faremo quello che in nostro potere con i mezzi che ci sono concessi – disse sapendo che c’erano tante cose ancora da stabilire. Murtagh annuì il proprio consenso.

-Xavier non ti devi preoccupare per il ragazzo perché ora non è più solo, avrà sempre il suo drago al fianco e avrà anche noi, se lo vorrà. -

- Non può sottrarsi alle sue responsabilità – finì di dire Murtagh. Il cavaliere sapeva bene che fuggire non avrebbe fatto altro che rimandare l’inevitabile. Lui aveva fatto quell’errore molti anni fa, rifiutando di accettare il suo retaggio come figlio di Morzan. Farlo gli aveva portato solo guai e altra sofferenza. Avrebbe fatto di tutto per evitare a Reafly di ripetere il suo stesso errore.

Arold si andò a sedere sul trono – Ora potete andare. Pensate con libertà a quello che intendete fare. Conferirò con il consiglio reale uno di voi sarà chiamato a parlare –

Una volta uscita dalla sala Xavier si voltò verso i due cavalieri – Spero sappiate quello che fate. Io adesso vado dal ragazzo - scoccò ad entrambi uno sguardo eloquente.

- Aspettate, Comandante – Murtagh lo afferrò per un braccio e gli si parò davanti prima che potesse allontanarsi.

- Sappiamo come ti puoi sentire in questo momento –

- No, cavalieri voi non lo potete sapere. –

Xavier allora scrollò le spalle – Non è questo il punto, i genitori di Reafly… ma forse è meglio che vi racconti tutto dal principio. – si fermò restio per un attimo a proseguire.

- Venti anni, poco prima di essere promosso capitano delle guardie ero un semplice tenente a capo di una squadra di esploratori. Fu allora che conobbi Phill, il padre di Reafly.

A quell’epoca la regina orinò il primo dei tanti viaggi in direzione di Alagaësia. Io e Phill facevamo parte della stesso equipaggio – guardò in viso i due cavalieri che lo stavano seguendo con attenzione.

- Nel corso di quelle prime esplorazione Phill conobbe una donna. Serena. Si innamorarono e al momento di ripartire per Zàkhara, lei lo seguì abbandonando la sua famiglia e la sua terra. Quella donna è la madre di Reafly. – lasciò che le sue parole sortissero il loro effetto prima di proseguire.

- Ora capite, se la regina venisse a conoscenza di questo, la sua famiglia sarebbe in grave pericolo. –

- Reafly ha fratelli o sorelle? - gli chiese Eragon preoccupato.

- Sì ha una sorella, Rebekha. Ha un paio di anni in più di Reafley. Perché lo chiedi? –

Eragon sospirò quindi guardò Murtagh. – Perché ci sono alte possibilità che una delle altre tre uova si schiuda proprio per lei. –

- Eragon non è detto. – gli rispose Murtagh scuotendo la testa.

- Ma è molto probabile, non lo puoi negare. Guada noi. –  Murtagh ci pensò un attimo poi annuì. Tutto tornava a girare intorno ai legami di sangue.

- Ora devo andare dal ragazzo- disse Xavier che intanto si era liberato dalla presa, lasciando i due cavalieri a riflettere sulle sue rivelazioni.    

                          ***

Arya era appena uscita dalla stanza di Reafly quando scorse il capitano.

- Si è appena addormentato, era ancora molto agitato e il piccolo drago con lui. –

- Non doveva accadere –

Arya lo guardò con compassione - Non siamo noia decidere. Ma stai certo che insieme possono farcela -

- È quello che mi hanno detto anche Eragon e Murtagh – Xavier esitò un attimo indeciso se proseguire o meno.

- Puoi fidarti di loro – gli disse Arya intuendo quello che provava l’uomo in quel momento. Xavier si chiese se gli avesse letto nel pensiero o semplicemente i suoi sentimenti erano ben stampati sul suo volto.

- Ho promesso alla madre di Reafly di proteggere il figlio da qualsiasi pericolo e intendo mantenere questa promessa.-

- Anche noi vogliamo la stessa cosa per Reafly, il figlio di Serena ci è caro quanto lo è per voi –

- Ma come fai a sapere di… -

Arya lo scrutò per un attimo prima di parlare - Ho impiegato un po' ad arrivarci. Continuavo a chiedermi cosa poteva aver permesso all’uovo di schiudersi. Poi mi sono ricordata della vostra venuta Capitano, quasi venti anni fa. Non ho conosciuto personalmente Serena ma so per certo che deve essere una donna eccezionale. Ricorda quello che ti sto dicendo. Tu hai molta ascendenza sul ragazzo. Potresti ostacolarlo come dargli la giusta direzione – Arya gli scoccò uno sguardo eloquente.

- Lo terrò a mente. –

                          ***



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Capitolo 10
*** Stammi vicino! ***


 

Salve.Voglio ringrziare Tawariell per le meravigliosi recensioni. ALLERT ho ripostato il capitolo già precedentemente inserito aggiungendo un paragrafo finale. Per il resto è rimasto invariarto. Se volete farmi sapere cosa ne pensate lasciatemi pure un commento.

Buona lettura !

a presto Stef.

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I giorni che seguirono l’arrivo ad Antara furono molto impegnativi per Eragon e Murtagh, divisi da una parte nel difficile compito di guidare i primi passi di Reafly con il suo drago e dall’altra chiamati a seguire la formazione dei maghi che avrebbero contrastato Isobel.

Così il silenzio che aveva sempre contraddistinto la sala del quartier generale, all’interno del quale gli studiosi erano soliti trascrivere i termini recuperati dell’antica lingua, era adesso ravvivato dalla voce dei maghi che la praticavano e ne esploravano i suoi effetti sotto la guida attenta dei cavalieri.

Era pomeriggio inoltrato quando Reafly entrò nella sala del quartier generale alla ricerca dei due cavalieri. Li aveva a malapena intravisti nel corso della mattinata poi aveva passato l’intera giornata in compagni del capitano Xavier e del suo drago.

Il ragazzo fece capolino dalla porta e non gli fu difficile individuare tra le tante teste i ricci mori di Murtgah. Il cavaliere stava insegnano ad un gruppo di tre ragazzi i diversi modi per manipolare l’acqua, mentre, poco più in là, Eragon seguiva i progressi di una giovane nel controllo di un sasso sospeso a mezz’aria.

Erano tutti troppo impegnati per fare caso a lui, così il ragazzo ne approfittò per passeggiare indisturbato tra una serie dei lunghi tavoli dove altri elfi erano intenti a scrivere su pergamene di carta. Al suo passaggio le loro teste si alzarono a guardarlo sorridendogli per poi tornare nuovamente al loro lavoro. In quei giorni si erano abituati alla sua presenza e a quella del suo drago e se all’inizio ne erano stati infastiditi ora era diventato una presenza quasi familiare. Reafly era passato già intono a diversi tavoli quando la sua attenzione venne attirato da una postazione vuota, si guardò intorno con circospezione prima di dirigersi verso la sedia. Nessuno orami badava più a lui, quindi si mise ad ammirare l’attrezzatura e il foglio pieno di glifi scritti nell’antica lingua. Dalla prima volta che aveva vista quella scrittura tra i fogli nelle stanze di Murtagh, a Zàkhara, ne era rimasto affascinato. Allora il cavaliere gli aveva detto che si trattava dell’antica lingua degli elfi con la quale si poteva controllare la magia. Solo pochi giorni fa aveva scoperto che il suo studio sarebbe stata una parte fondamentale del suo addestramento come cavaliere. Guardando quei segni si sentì eccitato per quella nuova sfida. Aveva appena finito di sfiorare con un dito il filo di piume del pennino quando una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare.

 – Attento, ci ho messo tutta la mattina per scriverlo –

Reafly fece un passo indietro e andò a scontrarsi con giovane elfo poco più alto di lui che lo guardò serafico prima di scansarlo e andare a sedersi al suo posto e riprendere il suo lavoro di scrittura.

- Scu…scusami – si affrettò a dire Reafly. L’altro lo guardò a lungo senza dire nulla. Non era tra gli elfi che conosceva.

- Non è successo niente. Tu sei il nuovo cavaliere. – gli disse come se fosse la cosa più normale del modno - ma il tuo drago non è con te – constatò questo con una punta di delusione nella voce.

- Lui… sta dormendo – disse ma lo sguardo del giovane ara già da un’altra parte, lo aveva ascoltato a mala pena. Sul suo giovane volto si era stampato un sorriso.

- Credo che la tua presenza abbia attirato l’attenzione di qualcuno. Ci sarà da divertirsi, guarda… –

Reafly si voltò nella direzione indicata dal giovane. Uno dei ragazzi seguiti da Murtagh si era voltato nella sua direzione ma nel farlo aveva persa la sua presa sulla sfera d’acqua che aveva appena creato.

La sfera sarebbe sicuramente caduta a terra se Murtagh non fosse intervento in tempo. Il cavaliere Pronunciò a fior di labbra alcune brevi parole che riportarono il liquido in aria, all’altezza dei suoi occhi.

– Mai perdere il controllo, Teodor. La prossima volta fai più attenzione - gli disse in tono secco. Il ragazzo abbassò lo sguardo. – Sì Ebrithil - Accanto a lui i suoi due compagni si spalleggiarono ridacchiando. Murtagh alzò un sopracciglio e sussurrando altre parole. – Thtysta vindr un Gànga fram -  disse e un piccolo vortice d’aria che passò tra loro. Colti di sorpresa i due lasciarono cadere a terra le loro sfere con un sobbalzo. Lo sguardo serio di Murtagh lì immobilizzò sul posto.

- Letta, flauga – con quelle parole la sua magia si era allargata anche alle loro sfere impedendole di finire a terra.

- In battaglia le distrazioni possono arrivare da qualsiasi parte. E vi assicuro che ce ne saranno molte. Tenete sempre a mente questa lezione, non basta sapere usare la magia e conoscere a memoria le regole dell’antica lingua ma è altrettanto essenziale saperla controllare in ogni momento – disse rivolgendosi agli altri due giovani. Il sorriso sui loro volti era sparito e lo guardarono con aria contrita. A dimostrazione di quello che aveva detto fece roteare le sfere una sull’altra prima di lasciare l’incantesimo che le teneva in aria. Con guizzo l’acqua si sparse sul pavimento in tre piccole pozzanghere

– Ora raccogliete di nuovo le vostre sfere. –

I tre ragazzi annuirono. Guidata dalla forza dell’antica lingua l’acqua a terra iniziò a muoversi addensandosi e assumendo nuovamente una forma sferica. Senza preavviso Murtagh pronunciò ancora delle parole per tornare a distrarli ma questa volta i tre ragazzi resistettero – Molto bene. Per oggi può bastare, potete andare - Sul volto di Teodor e dei suoi due compagni si dipinse di nuovo un sorriso.

Solo ora Murtagh si avvicinò a Reafly che era rimasto a guardare la scena a bocca aperta, sbalordito.  

Un’ottima presa, maestro, non c’è che dire lo raggiunse mentalmente Eragon che dalla postazione aveva osservato tutta la scena. A Murtagh non sfuggì il tono canzonatorio del fratello.

Forse il gande Eragon è invidioso? Lo punzecchiò lui.

Eragon roteò gli occhi al cielo mentre raggiungeva Reafly.

- Reafly, cosa ci fai qui, oggi avevi la giornata libera –

Disse invece rivolgendosi al ragazzo. Reafly guardò i due cavalieri.

- Lo so ma ho una cosa urgente da chiedervi e non potevo aspettare domani – Murtagh lo guardò accigliato notando solo adesso che non era in compagnia del suo drago.

- Che cosa succede?  – Reafly sospirò e si guardò i piedi imbarazzato prima di rispondere.

- Vorrei dargli un nome ma nessuno di quelli che conoscono mi sembra, ehm, adatto – Murtagh sorrise e si rivolse a Eragon. Naturalmente stava parlando del suo drago.

– Che ne dici fratello possiamo dargli una mano in questo? – Eragon annuì. Così insieme gli proposero una serie di nomi di draghi leggendari ma nessuno di essi sembrava soddisfare le aspettative del ragazzo.

- Conoscete il nome di qualche drago che aveva le scaglie dorate? – chiese infine Reafly, non trovando nessun nome, tra quelli menzionati fino a quel momento, adatto al suo drago. Alla domanda Reafly vide passare su entrambi i volti dei cavalieri un'ombra di tristezza.  

- ho detto qualcosa che non dovevo? – chiese accorgendosi dello scambio rapido di sguardi.

Eragon aveva da tempo perdonato Murtagh per il ruolo avuto nella morte dei suoi maestri. Non era stato un processo facile ed il ragazzo aveva rivolto al fratello parole dure, di cui poi si era pentito. Nel ricordarlo Eragon strinse una mano sulla sa spalla come a scusarsi ancora. L’altro sussultò in risposta.

Per Murtagh, quello era forse il ricordo più bui della sua schiavitù sotto Galbatorix. Ma si era lasciato tutto quello spalle e il dolore sul volto si attenuò appena mentre stringeva a sua volta la mano del fratello.

- No Reafly, non hai detto nulla di sbagliato. Uno ne conosciamo – si affrettò a dire Eragon - Il suo nome era Gleadr.. –

- Gleadr - ripeté il ragazzo con un sorriso mesto - Me ne avete detti così tanti. Non saprei quale decidere -

- Non avere fretta. Quando sarà il momento sarà lui stesso a indicarti il nome – intervenne quindi Murtagh.

- È stato così anche per Castigo e Saphira? – i cavalieri annuirono entrambi.

- Ma lui ancora non parla! – insistette lui per nulla soddisfatto delle risposte troppo vaghe da parte dei due ragazzi. Quell’esclamazione fece scappare ad entrambi un sorriso.

- Anche per questo non preoccuparti. Lo farà presto. Dipende da quanto sarai bravo ad insegnargli. – gli rispose Eragon riconoscendo l’impazienza della sua voce. Comprendeva il suo desiderio di capire quello che gli stava accadendo intorno, non era passato troppo tempo da quando anche lui si era trovato alla ricerca di quelle stesse risposte. Brom aveva fatto lo stessi con lui così tante volte. Si era sempre ripromesso che non si sarebbe mai comportato nella stessa maniera ed ora si trovava a dare le stesse risposte enigmatiche. Dovette riconoscere che non c’era altro modo per imparare.

– Grazie al vostro legame lui può comprende già molte cose e lo stesso vale per te. Non dimenticarlo, ora le vostre menti sono legate e lui può sentire i tuoi pensieri. Persino in questo momento – finì di dire ricordando quello che Oromis e Gleard gli ripetevano spesso.

Dall’altra parte Reafly ripensò alla sensazione di vuoto che aveva provato dopo aver toccato il cucciolo e alla percezione di staccarsi dal proprio corpo e perdersi in quella del drago. Come gli aveva detto Eragon, riusciva a sentire la presenza del suo drago anche in quel momento ma, da allora, non era più riuscito a raggiungere quel grado di intimità che aveva avuto la notte in cui si erano sfiorati la prima volta. Reafly avrebbe voluto fare altre domande ma le risposte che aveva ricevuto gli avevano dato tanto da pensare e decise  che avrebbe aspettato.

- Ho capito, non lo dimenticherò. – rispose solo poi quindi rimase un attimo in silenzio - Ora sento che si è svegliato e credo che mi sta chiamando – Murtagh si mise dietro di lui e gli strinse le spalle.

- Che cosa aspettiamo allora, andiamo a raggiungerlo, qui abbiamo finito -  ma il ragazzo lo fermò voltandosi indietro.

- Non vieni anche tu, Eragon? – gli chiese accorgendosi che il giovane non li stava seguendo.

- Voi andate pure avanti Io ho un lavoro da iniziare – Anche Murtagh si era girato sapendo a cosa si stava riferendo il fratello.

La perdita dei papiri caduti nelle mani di Isobel e dei suoi alchimisti non aveva allarmato solo re Arold. Se il re temeva che i loro sforzi di recuperare le antiche conoscenze del loro popolo non fossero sufficienti, ora che la regina aveva tra le mani incantesimi come le sette parole di morte, Eragon era preoccupato per altre ragioni.

Isobel aveva già dimostrato di avere una fervida immaginazione e lui temeva i tanti modi in cui avrebbe potute utilizzare quelle conoscenze. Arya era riuscita a placare in parte le sue paure ricordandogli come entrambi conoscessero perfettamente il contenuto di quegli incantesimi,  lei perché faceva parte della preparazione di ogni persona di alto rango del suo popolo, lui perché ne aveva memorizzato i lunghi brani nei mesi di addestramento ad Ellèsmera. Li avrebbero insegnati anche agli elfi di Antara.

Eragon aveva deciso allora di trascrivere nuovamente quelle formule per poterle consegnare a Arold e ritrovare così un po’ di serenità. 

- Se devi iniziare quel lavoro, rimango a darti una mano.  – gli disse subito Murtagh con un trasporto che gli scaldò il cuore. Eragon sollevò il viso verso di lui, stava per accettare ma in quel momento vide l’espressione di delusione sul volto di Reafly che si vedeva di nuovo messo da parte.

- Me la posso cavare anche da solo Murtagh – mentì, in quel momento Reafly aveva molto più bisogno del fratello che lui.

- E non sarò solo, Saphira starà con me – Eragon aveva parlato a lungo del suo progetto anche con Saphira. La dragonessa non poteva aiutarlo, i draghi avevano un legame tutto loro con la magia, indipendente dall’uso dell’antica lingua, ma aveva approvato. Murtagh lo squadrò per alcuni istanti valutando le sue parole, poi sconfitto accettò a malincuore il suo rifiuto. – D’accordo Eragon. Come vuoi tu. Andiamo Reafly –

Eragon li guardò uscire in silenzio senza dire altro quindi, preso un respiro, andò a prendere delle pergamene vuote e andò a sedere su una delle sedie libere tra i pochi elfi rimasti. Nell’impugnare il calamaio la sua mente andò ai suoi maestri e un sorriso nostalgico si dipinse sul volto. Sia Brom che Oromis gli avevano sempre attribuito un grande capacità di plasmare l’antica lingua. Per lui era sempre stato naturale combinate tra loro le parole e legarle l’intenzione. Ricordare quelle formule gli risultò quasi naturale. Con quel pensiero a spronarlo attinse la punta del calamaio nell’inchiostro e poggiandola sul foglio iniziò a farla scivolare sul foglio.

***

Era sera quando Eragon alzò di nuovo testa. Il rumore del pennino che poggiava sul tavolo echeggiò nel silenzio che regnava nella sala completamente vuota.

Il giovane cavaliere guardò fuori dalla finestra con una smorfia. Gli spessi vetri colorati erano diventati scuri, senza la luce del sole a schiarirgli con i suoi raggi. Eragon piegò le braccia dietro la testa e inarcò la schiena per stirarla, era tutta indolenzita per essere rimasto a lungo nella stessa posizione. Si era talmente immerso nella scrittura da non accorgersi che anche gli ultimi elfi se ne erano andati via.

Fuori è già buio e tu, piccolo mio, dovresti andare a mangiare qualcosa lo richiamò Saphira sentendo il suo cavaliere muoversi.

Non ho fame Saphira protestò Eragon di getto, buttando completamente fuori l’aria dai polmoni con un sonoro sbuffo. In quel momento percepì il dissenso della dragonessa attraverso il loro legame mentale.

Eragon io più di tutti posso capire l’urgenza di fermare Isobel ma non è necessario farlo a stomaco vuoto

Eragon non poté fare a meno di sorriderle, grato. Le attenzioni di Saphira erano quello che più si avvicinava all’affetto di una madre.

Come in risposta a suoi rimproveri in quello stesso momento il suo stomaco brontolò in protesta.

Va bene Saphira, non dire altro, hai vinto tu, sto andando

le rispose prima che la dragonessa potesse replicare con un te lo avevo detto.

Eragon aveva iniziato a mettere a posto la sua postazione quando sentì la familiare la fragranza di pino invadergli le narici e si fermò.  

- Arya - sussurrò con dolcezza.

Eragon si girò, l’elfa era a pochi passi da lui e lo stava guardando con un’espressione enigmatico sul volto. Improvvisamente ebbe un déjà-vu. Era ad Ellèsmera, alla fine una lunga giornata di allenamenti con Oromis, quel giorno aveva subito ben due attacchi alla schiena e il suo umore era a terra; Arya era ancora un enigma per lui, bellissima ed irraggiungibile e fece una cosa del tutto inaspettata, che lo spiazzò. Lo invitò a uscire fuori per distrarsi e vedere ciò che di bello poteva offrire la capitale elfica.

Adesso come allora il suo sguardo gli provocò un miscuglio di sensazioni contrastanti che lo lasciavano disorientato. 

- Murtagh mi ha detto che ti avrei trovato qui. Quando non ti ha visto a cena si è preoccupato –

Eragon incrociò le braccia sul petto – Ed anche tu lo sei? -  

- Non so cosa pensare a riguardo Eragon. So solo che sei preoccupato dai poteri di Isobel e da quando sei qui non mi hai mai parlato di quello che è successo quando eri suo prigioniero – gli disse passandogli una mano tra i capelli.

Eragon sospirò, le sue dita erano fresche e morbide e lui gliele prese tra le mani per baciarle.

- Lo so, mi dispiace – le avrebbe voluto dire altro ma le parole gli morirono sulle labbra. Arya allora prese una delle pergamene su cui aveva lavorato e iniziò a far scorrere lo sguardo sui glifi. Il suoi occhi brillarono di stupore. Eragon non si era limitato a trascrivere le antiche formule ma ne aveva create di nuove. Una di queste, appuntate in fondo alla pagina, attirò la sua attenzione, era dedicato a un collare di metallo. Accanto a lei Eragon si irrigidì appena ma aspettò che Arya finisse di leggere.

- E’ questo quello che ti spaventa? – gli chiese indicando con ma mano il disegno del collare che aveva tratteggiato con il pennino. Eragon serrò la mascella sapendo che il disegno non sarebbe passato inosservato.

– Eragon, parlami – a quell’ultima richiesta il ragazzo cedette.

- Va bene ti dirò perché lo temo – al cenno di assenso da parte di Arya Eragon sospirò, quindi iniziò a raccontare quello che aveva vissuto da quando glielo avevano fatto indossare. Non le nascose nulla. Alcuni fatti li conosceva solo Saphira. Quando arrivò a raccontare del suo incontro con Oliviana il suo cuore palpitò più forte nel ricordare l’umiliazione e il senso di impotenza che aveva provato nell’essere portato al guinzaglio. Arya ascoltò in silenzio mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. Non disse nulla. In quel momento qualsiasi parole sarebbe stata inutile. Quindi fece l’unica cosa possibile, lo abbracciò.

Eragon lasciò che lo stringesse forte a lui ricambiando debolmente l’abbraccio. Rievocare quei momenti lo aveva completamente svuotato e sentiva di avere appena la forza di reagire. Ora più che mai la sentì vicina.

- Grazie – le sussurrò all’orecchio.

Rimasero così per un tempo indefinito poi Arya ruppe il silenzio - Eragon – lo chiamò lei. Lui si scostò appena.

– Sono qui –

Il senso di smarrimenti era sparito e si sentiva più leggero. Il peso di quello che aveva vissuto aveva iniziato a gravare di meno sulla sua anima Non si vergognava di essere apparso fragile agli occhi di Arya. Nonostante il suo aspetto fosse più simile a quello degli elfi, dentro rimaneva sempre un essere umano con tutte le sue fragilità. Era consapevole di aver superato una prova molto dura e di esserne uscito più o meno indenne. Questo lo aveva portato ad una nuova consapevolezza di sé e dei suoi limiti.

- Re Arold convocherà il suo consiglio domani e noi saremo chiamati a parlare della nostra posizione nella guerra contro Isobel – le disse Arya cercando il suo sguardo. Lui aggrottò la fronte.

- Già domani? Pensavo avessimo più tempo – rispose ed Arya scosse la testa.

- Temo che il re ce ne abbia già concesso abbastanza. Se domani mostrerai questi fogli ti esporrai in primo piano – Eragon ci pensò un attimo. Ne aveva parlato a lungo con Saphira delle possibili conseguenze di una loro presa di posizione. Senza il minimo di esitazione la guardò negli occhi sorridendo.

- Arya se ci sarà da esporsi, non mi tirerò indietro –  

- Ed io sarò al tuo fianco – gli disse Arya con amore.

Anche io ci sarò. Si inserì Saphira Sempre

***

Arya rientrò nelle sue stanze sola. Si era lasciata da poco con Eragon ma la sua presenza già gli mancava. Essere riuscita a vedere così tanto della sua anima quella sera le aveva dato prova ancora una volta di quanto fossero affini e quanto il suo essere si fosse legata a lui in maniera così intima da farle mancare il fiato. In quel momento doveva essere già con Saphira che aveva insistito che mangiasse ma l’avrebbe raggiunta a breve.

Quando andò per rilassarsi sul divano notò qualcuno seduto nella penombra. Arya non lo riconobbe subito. La figura si mosse e andò ad accendere un lume che ne illuminò i riccioli biondi rivelando i lineamenti del capitano Daco.

Arya non lo vedeva dal loro ritorno in città. Dell’elfo ricordava i suoi modi teatrali che sfociavano spesso nella tracotanza ma non poteva negare che aveva mostrato coraggio e determinazione nel condurre la nave e gli elfi dell’equipaggio per soccorrere i suoi compagni.

- Speravo di incontrarti da sola per darti questi, li ho colti io stesso questa mattina –

L’elfo aveva in mamo un mazzo di fiori che le porse con un sorriso. Erano bellissimi e colorati, Arya prese il mazzo in mano. Sul volto di Daco si accese subito una luce di gioia nel seguire i suoi gesti mentre quello di Arya si rattristò. I pensieri dell’elfa erano altri. Per il solo piacere della loro vista quei fiori erano stati strappati alla terra a cui appartenevo, condannati ad appassire e morire il giorno dopo. Arya chiuse gli occhi e abbassò lo sguardo.

- Capitano Daco. Non avresti dovuto… –

- Shhh, non dire altro, è stato un piacere principessa – rispose lui senza lasciarle il tempo di terminare la frase. Il sorriso si allargò ancora di più, smagliante; in quel momento Arya seppe che non avrebbe mai potuto fargli capire il suo dispiacere per quei fiori nemmeno fra un centinaio di anni. L’elfa sospirò e quella esitazione diede a Daco lo spazio per continuare il suo discorso.

- Arya Svit-kona, non sono venuto solo per darti questo dono – aggiunse assumendo un contegno più neutro.

- Come suo membro il consiglio mi ha scelto per fare il portavoce. – Arya immaginò che non dovesse aver avuto molti problemi a farsi dare quel ruolo dato la sua influenza sugli altri. Alle sue parole si limitò ad annuire lasciando che continuasse. Non aveva idea dove volessero portare le sue chiacchiere.

 - Re Arold e tutti noi apprezziamo quello che stai facendo per il nostro popolo ma abbiamo bisogno di sapere che i cavalieri non ci abbandoneranno quando avranno trovato gli altri draghi –

- Capitano Daco non sappiamo neanche noi se esistono – Daco alzò una mano – Ma lo credete possibile. Aglaia ci ha riferito le intenzioni di Isobel, quello che sanno i tuoi cavalieri lo sappiamo anche noi –

- Cosa vuoi dire? – Arya corrugò le sopracciglia in un’espressione stupita.

- Arold non vuole trovarsi ancora una volta indietro e contrattaccherà ora che ne ha la possibilità. Sta preparando una missione per andare alla ricerca delle uova di drago come voleva fare Isobel. C’è spazio solo per uno dei due cavalieri, all’altro chiederemo di rimanere per seguire l’allenamento di Reafly –

- Assicura il consiglio che faremo la nostra parte, Daco - Sentirono una voce alle loro spalle.

- Eragon – Arya sussultò nel pronunciare il sui nome. Il capitano sorrise.

- Sono contento che la pensi così, il consiglio mi ascolta se vuoi posso fare il tuo nome perché sia tu a partire – aggiunse lasciando che quella possibilità alleggiasse nell’aria. Eragon sentì lo stomaco serrarsi. Il capitano lo stava sfidando una seconda volta. Eragon non si era affatto scordato il loro primo incontro sul ponte della nave ma solo ora capiva il motivo di tanto astio nei suoi confronti. Ora poteva vederli con chiarezza i forti sentimenti del capitano verso Arya e si chiese se anche lei se fosse resa conto o era solo nella sua immaginazione.

Eragon stai attento a quello che dici, non mi piace quello che ha insinuato. Se continua così lo carbonizzo con il mio fuoco! Intervenne Saphira che aveva ascoltato ogni parola attraverso il loro legame. Eragon non riuscì a trattenersi e le sue labbra si piegarono appena in un sorriso prima di riuscire a riprendersi.

- Non vorrei scavalcare il volere del consiglio Capitano Daco. Inoltre mio fratello Murtagh non è stato ancora contemplato. Ne converrai che sarà più opportuno aspettare domani per qualsiasi decisione –  Eragon vide i lineamenti sul volto di Daco contrarsi appena in una smorfia poi si passò le dita tra i capelli in un gesto di noncuranza e annuì.

- Hai ragione cavaliere - 

- Ci hai fornito tante informazioni preziose a cui dovremmo pensare, capitano. Ti auguriamo una buona serata – intervenne Arya congedando l’elfo con estrema cortesia. Daco si votò verso di lei indeciso sul da farsi, ma lo sguardo serio di Arya gli fece capire che non poteva fare altro.

- A domani. Cavaliere Eragon, Arya –

Non appena il capitano uscì Arya corse ad abbracciare Eragon. Eragon la sentì stringersi a lui con forza.

- Hai intenzione davvero di partire? – gli chiese premendo la guancia sopra la sua spalla. Eragon le accarezzò la testa prima di rispondere  

- Arya appena Daco lo ha proposto ho sentito il terreno franare sotto i miei piedi ma ora più ci penso e più sono dell’dea che a partire dovremmo essere io e Saphira – Arya si scostò da lui per guardarlo negli occhi – Eragon cosa dici? – Eragon le sorrise anche Saphira era d’accordo  con lui dopo un breve scambio di pensieri.

- Pensaci Arya, Reafly si è molto affezionato a Murtagh. Chi meglio di lui potrebbe fargli da insegnante? -    

- Murtagh, non sarà facile convincerlo.

***

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Capitolo 11
*** Figli ***


Sciolto il consiglio tutti i presenti vollero avvicinarsi ai due cavalieri e rivolgere loro una parola. Eragon rispondeva ai saluti e alle domande con garbo ma il suo sguardo era alla ricerca di Par. Scandagliando i presenti era riuscito a scorgerlo accanto a un sedile, in fondo alla sala. Lo aveva seguito per un tratto mentre si allontanava dal resto dei presenti, per perderlo subito dopo, quando un’elfa, con una stretta di mano più calorosa delle altre, lo aveva distratto. Eragon aveva passando ancora una volta in rassegna l’intera sala ma l’elfo sembrava essersi ormai dileguato. Fu allora che Murtagh gli si accostò parlandogli ad un orecchio.

- Se è Par che cerchi, l’ho visto un attimo fa scambiare una parola con Arold e poi uscire da quella porta - gli disse indicandogli dall’altra parte della sala, nella direzione presa dall’elfo. Eragon sospirò osservando il re e chiedendosi quanto di quello che era stato raccontato loro quella mattina gli fosse stato omesso.

- Cosa ne pensi di Par, fratello? – gli chiese Eragon approfittando di un momento di quiete, Murtagh ci pensò un attimo.

- Non saprei spiegarti il perché Eragon, ma credo che possiamo fidarci di lui -

- Dici sul serio? – chiese Eragon incredulo corrugando appena la fonte, Murtagh gli sorrise appena – Sapevo che ti avrei stupito – a quelle parole Eragon scosse la testa per ricambiarlo subito dopo con lo stesso sorriso quindi Murtagh proseguì - quando ha imposto in quel modo la sua richiesta ho avuto i miei dubbi su di lui ma la bambina è coinvolta quanto noi nella ricerca e portarla con voi non potrà metterla in percolo più di quanto non lo sia già, inoltre è l’unico che abbia viaggiato in quei luoghi –

– Sai, lo pensa anche Saphira. –

Poco dopo tutti uscirono via via dalla sala, si attardarono solo Aglaia e Faramir che insieme si avvicinarono ad Eragon, sempre affiancato da Arya, Murtagh e da Jill. La prima ad accorgersi di loro fu Arya. L’elfa non disse nulla e senza muoversi dal fianco di Eragon li osservò con i suoi grandi e penetranti occhi verdi. Il suo sguardo andò a incrociare quelli nocciola di Aglaia, l’elfa non aveva mai avuto l’occasione di ringraziare la donna per quello che aveva fatto per Eragon a Zàkhara, ma quel tacito scambio di sguardi valse più di mille parole.

- La sola cosa che veramente mi serve per affrontare il viaggio è una nuova sella. La mia, purtroppo, è in mano di Isobel - stava ricordando Eragon senza nascondere una nota di rammarico nella voce.

- Non ne abbiamo di così grandi che si possano adattare a Saphira – si inserì Aglaia. Tutti a quel punto si girarono verso di lei e Faramir.

- Se avessi delle fasce di cuoio potrei costruirne una – Rispose Eragon. Aglaia alzò un sopracciglio meditando per un attimo sulle sue parole - Faramir ed io potremmo portati dai conciatori da cui si servono qui al palazzo anche adesso – disse la ragazza rivolgendo uno sguardo al compagno – in questo modo potrai scegliere tu stesso i pezzi che ti servono -  

Eragon guardò gli altri con trepidazione, non voleva lasciare la loro compagnia così presto ma non poteva evitarlo, doveva occuparsi della sella e con la partenza così vicina non poteva rimandare – Devo andare con Aglaia e Faramir e poi raggiungerò Saphira - disse rivolgendosi a tutti - ci vediamo dopo? – chiese loro e guardò per ultima Arya. Lei gli rivolse il suo sguardo più fermo e deciso possibile e lui le sorrise a sua volta ma quando l’elfa gli strinse forte la mano per un ultimo saluto Eragon sentì in quella stretta tutta l’apprensione che non aveva mostrato prima. - A dopo - gli disse lui con tutta la tenerezza possibile. Eragon salutò anche Murtagh e Jill quindi uscì seguendo Aglaia e Faramir.

L’officina dei conciatori si trovava appena fuori città in un’altura in prossimità di un torrente che scorreva lì vicino. Eragon iniziò a udire il rumore dell’acqua già da alcune iarde di distanza, ancor prima di giungere nelle sue vicinanze. Subito dopo arrivarono gli odori delle pelli e dei prodotti usati per la concia. Tutti insieme assalirono i suoi sensi una volta entrati in una piccola radura dove erano diversi tavoli disposti uno dietro l’altro e su cui erano stese le pelli in varie fasi di lavorazione. Impastoiati i cavalli Eragon si guardò intorno osservando l’ambiente intorno a lui. Dietro i tavoli si trovavano una serie di vasche in pietra, anche queste erano disposte in file, ognuna contenenti olii e tannini di diversa natura. Eragon riuscì a riconoscere l’odore di alcune particolari sostanze, sorprendendosi di come anche a distanze enormi i metodi usati per eliminare il grasso e tutto ciò che potesse portare in putrefazione le pelli fossero essenzialmente gli stessi.

Molti elfi erano al lavoro, ognuno intento in qualche attività che richiedevano un intenso lavoro fisico, chi tirando e buttando giù le pelli nelle vasche, chi passando una spatola di metallo sulla superficie ammorbidite per eliminare grasso e peli, chi stendendo le pelli ormai finite per lasciarle essiccare al sole. Nessuno di loro rimaneva con le mani in mano per più di qualche minuto perché c’era sempre qualcosa da fare.

- Qualcuno verrà a servirci a momenti – annunciò Faramir che sembrava conoscere il posto meglio di tutti mentre Eragon e Aglaia continuavano a guardarsi intorno.

Poco dopo una voce giovanile alle loro spalle gli fece voltare tutti e tre - Spero non ti abbiano fatto attendere troppo, Faramir, cosa posso fare per te? – Eragon vide emergere da dietro una delle vasche un elfo su per giù della sua stessa età che si toglieva dei guanti e veniva loro in contro.

- Sono qui con un amico, Eragon – rispose Faramir e lo sguardo dell’elfo si posò su di lui per alcuni istanti.

- Eragon il cavaliere dei draghi? – chiese con un guizzo vivace negli occhi.

- Sì, sono io – rispose Eragon un po’ a disagio nell’essere riconosciuto mentre lui non sapeva nulla dell’altro. Probabilmente non si sarebbe mai abituato alla notorietà.

- Deve costruire una sella per la sua dragonessa e ha bisogno del miglior cuoio per poterla realizzare - intervenne Aglaia con voce bassa.

- Se è il cuoio migliore che stai cercando questo è il posto giusto per te Cavaliere. Seguimi – rispose l’elfo con orgoglio. – A proposito io sono Gregor – Eragon strinse la mano tesa dell’elfo, grato per quel gesto; quindi, lo seguì oltre la zona in cui di trovavano fino al retrobottega.

Se tra tavoli e vasche c’era un continuo via vai di lavoratori, rumori e odori di ogni genere, il retrobottega, invece, si distingueva per calma e tranquillità. Qui pochi elfi si muovevano per selezionare le pelli da loro conciate dividendole per spessore grandezza e qualità.

Eragon fece a Gregor solo qualche domanda sulla provenienza delle pelli poi senza dire altro si aggirò tra i vari bachi e prese di volta in volta i pezzi e i tagli che più si adattavano alle sue necessità. Gregor lo osservò con curiosità e quando alla fine ritornò al banco con tutte le fasce che gli occorrevano gliele prese osservandole con interesse – Sarei curioso di vederti all’opera – disse alzando il volto e  rivolgendogli di nuovo quello sguardo vivace di prima - Potrei assisterti mentre la costruisci e, se ti occorrono, posso anche fornirti gli arnesi per cucirla -

Eragon guardò Faramir e Aglaia che allargarono le braccia come a dire che per loro non c’erano problemi - Apprezzerei tantissimo il tuo aiuto Gregor ma lavorare qui non sarà un disturbo? – l’elfo scosse la testa divertito.

- Nessun disturbo. E poi realizzare selle per draghi sento che potrebbe diventare un’attività molto richiesta in un futuro prossimo -

Faramir scosse la testa divertito – L’ho sempre detto che il tuo senso degli affari ti avrebbe portato a strambe idee Gregor - quindi prese dalle mani di Aglaia un sacchetto che la compagna aveva tirato fuori da sotto il mantello - Per ora il re può offrirti questo – Gregor fece un fischio di stupore nel riconoscere il conio delle monete. Eragon guardò la punzonatura riconoscendo nell’immagine una costruzione che poteva essere un porto e una figura alata al centro che reggeva una fiamma.  

- Sono monete per il porto franco di Gratignàc, un avamposto dove anche gli elfi possono commerciare con altri regni che non sono alleati con Isobel – lo informò Aglaia anticipando la domanda che le stava per fare.

- Dunque, ci sono altri regni oltre ai vostri – aggiunse in una riflessione rivolta più che altro a sé stesso.

Aglaia annuì – Esattamente, sono per lo più piccole realtà autonome che si sono mantenute indipendenti, le più grandi, purtroppo, hanno tutte aderito all’alleanza che Isobel ha creato e che le rende di fatto dei veri e proprio protettorati di Zàkhara –  

- Hai ragione Aglaia- intervenne Faramir - Ma non dimenticare di dire al nostro amico che anche se ci permettono di commerciare, questo non lo deve trarre in inganno, la mostra presenza non è sempre accettata di buon grado. Noi elfi siamo tollerati solo fino a quando portiamo moneta sonante ad arricchire le casse dei loro commercianti – aggiunse con un tono di amarezza nella voce che non sfuggì né a Eragon né ad Aglaia. Il cavaliere la vide andargli vicino e stringerlo a sé mentre lui si limitò ad annuire registrando in silenzio quelle informazioni. Il fatto che Faramir fosse un elfo e Aglaia un’umana non doveva aver reso la loro relazione facile. Lui stesso aveva vissuto sulla pelle i pregiudizi degli abitati di Zàkhara nei loro confronti.            

Una volta sistemate le pelli su un banco libero Eragon si mise subito a lavoro insieme Gregor. Dato che avrebbe viaggiato con un passeggero in più doveva includere nel progetto anche la presenza di Par.

Eragon spiegò a gradi linee a Gregor i passaggi che avrebbe eseguito. Gregor ascoltò attentamente suggerendogli qua e là soluzioni più semplici che Eragon accolse di buon grado.

Una volta stabilito cosa c’era da fare gli ci vollero tutto il resto della mattina e parte del pomeriggio per terminare l’opera. Eragon mangiò a malapena qualcosa che gli venne offerto dagli elfi ma per il resto del tempo si concentrò nel suo lavoro con costanza e caparbietà.

Il sole aveva raggiuto il suo apice e iniziato  a discendere lentamente quando Eragon alzò la testa posando sul tavolo l’ago e il filo con cui aveva cucito l’ultimo lembo di cuoio.

- Ed ora come farai a trasportarla? – gli chiese Gregor che non aveva visto nessun tipo di trasportino con le loro cavalcature - Eragon gli sorrise e gli mostrò come gli inserti e tutte le pieghe che avevano creato gli permettesse di ripiegare la sella riducendone il volume e poterla caricare sul proprio cavallo. – Sei stato tu a inventare questo metodo? – Eragon scosse la testa – No, non sono stato io, me lo ha insegnato uno dei miei maestri, anche lui era un cavaliere – gli disse con una nota di nostalgia nella voce nel ricordare il padre.

– Della gente davvero sorprendente questi cavalieri – gli fece Gregor facendo scappare a Eragon un mezzo sorriso. – Sì lo sono stati davvero. Spero un giorno di essere almeno la metà della loro grandezza –

Aglaia e Faramir apparvero poco dopo, mano nella mano. Avevano passeggiato per un tratto lungo il torrente prima di risalirlo e tornare alla conceria.

Una volta caricata la sella i tre salutarono Gregor per riprendere la strada per la città. Quando furono abbastanza vicini Eragon allargò la sua mente verso Saphira. Non avevano mai chiuso del tutto il loro legame ed Eragon l’aveva costantemente tenuta aggiornata mandandole qua e là delle immagini mentali di quello che stava facendo ma ora sentiva che la dragonessa era curiosa di sapere di più – Non vi dispiace, vero, se ora proseguo da solo? Devo raggiungere Saphira – disse rivolgendosi ad Aglaia e Faramir dietro di lui – Anche lei vi ringrazia per l’aiuto che ci avete dato – aggiunse Eragon e, con estrema naturalezza, pronunciò le parole del saluto elfico posando una mano sulla fronte e poi sul cuore- Atra esterní ono thelduin. Mon'ranr lifa unin hjarta onr. Un du evarínya ono varda (*) disse per poi girarsi e spronare il suo destriero a un passo più veloce.

Saphira lo attendeva in una piccola radura all’interno del boschetto del parco all’interno del palazzo.

Eragon aveva lasciato il cavalo alle scuderie quindi si era caricato la sella sulla spalla e aveva proseguito a piedi. Trovò Saphira acciambellata da un lato mentre gli ultimi raggi di sole si rispecchiavano sulle sue squame zaffiro in tanti riflessi arcobaleno. Gli occhi di Eragon si riempirono di meraviglia di fronte a quello spettacolo.

Saphira alzò il collo e lo allungò verso il suo cavaliere. Cosa aspetti piccolo mio, vuoi farmi provare o no questa sella? Eragon le sorrise Certo! Mentre la montava le raccontò altro del lavoro fatto con Gregor e dopo aver stretto gli ultimi legacci indietreggiò di qualche passo per osservare il risultato finale.

Come la senti, ti stringe troppo?

Saphira aprì le sue ali e fece qualche movimento per saggiarne la resistenza e la tenuta poi inarcò il collo in segno di soddisfazione.

È perfetta piccolo mio, Brom non avrebbe saputo fare meglio gli disse dandogli un piccolo buffetto sulla spalla. Eragon le sorrise e le accarezzò la punta del naso. Grazie Saphira allora socchiuse gli occhi e quando li riaprì il suo sguardo guizzò subito alle spalle del cavaliere

Abbiamo visite Eragon. Il ragazzo si girò subito nella direzione indicata dalla dragonessa e vide un vecchio elfo farsi avanti con aria deferente

- Cavaliere Eragon, il re vuole parlati -

L'elfo fece un inchino e da dietro avanzò re Arold.

Il vecchio sovrano guardò Cavaliere e Drago con aria di approvazione quindi rivolgendosi direttamente a Eragon disse:

- Aglaia mi ha informata del vostro problema con la sella ma che avete provveduto –

- Sì è così Maestà –  

- Molto bene. Le provviste per il viaggio sono state preparate. Par vi aspetta domani ai Grandi Cancelli per partire –

Perché tante riserve intorno a questo confine e a Par gli fece Saphira mentalmente

Non lo so, potremmo chiederglielo

Va bene, ma stai attendo a come poni la domanda gli fece lei in ammonimento.

Arold si era fermato ad osservare i due compagni, aveva compreso che stavano parlando tra loro e il suo sguardo si era riempito di stupore e di curiosità.

- Io e Saphira ci stavamo domandando cosa abbia potuto vedere Par nelle terre selvagge da farle temere così tanto – chiese infine Eragon.     

La risposta del sovrano venne quasi spontanea. – È una domanda che si sono posti in tanti ma, aimè, nessuno fino ad ora è mai riuscito a dare una risposta. Confidiamo tutti nella vostra impresa perché possiate gettare luce su questo. Non sono in grado di dire altro –

È una grande responsabilità quella che ci sta dando. Gli fece eco Saphira. Come a leggere nei loro pensieri Arold continuò

- La mia risposta non vi soddisfa affatto e sicuramente starete pensando che vi stia dando una responsabilità che nessuno dovrebbe darvi a cuor leggero – Eragon fece per protestare ma il re lo fermò subito. – non essere dispiaciuto, l’ho letto chiaramente negli occhi di Saphira e ha pienamente ragione.

Come suo re potrei imporre a Par di raccontarmi quello che vide allora, e lui sarebbe obbligato a farlo, ma credetemi quando vi dico non posso. Sarei un mostro se lo facessi.

Dovete sapere che dal giorno del suo ritorno da quella maledetta missione, undici anni fa, Par non parlò per quasi cinque anni e quando tornammo a udire la sua voce quello che usciva dalle sue labbra erano per lo più frasi sconnesse.  

Tutto è cambiato con l’arrivo della stella cometa, il Par che avete visto questa mattina non esisteva da tempo per molti di noi. Vederlo uscire dal guscio di solitudine in cui si era rintanato e riprendere a parlare è stata una vera e propria sorpresa - il re trasse un profondo respiro. – credetemi quando vi dico che abbiamo potere su di lui non più di quanto ne avremmo sulle onde del mare -  

È sincero gli sussurrò Saphira di rimando.

- E noi apprezziamo la tua sincerità Sire - disse Eragon chinando il capo in segno di gratitudine.

Dopo quella breve conversazione il re si congedò ed Eragon tolse la sella dal dorso di Saphira per poi sedersi contro il suo fianco. Cullato dal calore del suo ventre Eragon lasciò che tutta la tensione che lo aveva tenuto in piedi da quella mattina scivolasse via.

Dovresti cercare Arya lo sai? gli disse improvvisamente Saphira destando Eragon che si era quasi del tutto assopito. Il ragazzo si stiracchiò un poco e guardò pigramente la dragonessa dal basso Io farò. Le rispose per nulla intenzionato a muoversi.

Io non la farei aspettare. Domani non ci sarà molto tempo con la nostra imminente partenza insistette lei, Eragon era del tutto sveglio adesso e si alzò in piedi. D’accordo Saphira, sto andando. Le rispose subito. Saphira sbuffò e dandogli un colpetto con il muso sulla spalla lo spinse delicatamente lontano da lei. Tu sai qualcosa che io non so… disse improvvisamente incuriosito e divertito da quella insistenza.

Non sarebbe la prima volta che accadeva. Saphira aveva mantenuto molti segreti con lui nel corso della loro battaglia contro Galbatorix. Prima con Brom e poi con Oromis e la stessa Arya avevano scelto Saphira e non lui, per condividere certe informazioni che lo riguardavano e che la dragonessa gli aveva rivelato solo quando aveva ritenuto opportuno. Questa volta, però Eragon intuì che si trattava di qualcosa di diverso. Percepì una sorta di apprensione e di felicità nelle sensazioni della sua compagna di cuore e di mente, emozioni che la coinvolgeva come non le era mai capitato prima.

Eragon fece un altro tentativo per farle dire qualcosa ma la dragonessa fu inamovibile; quindi, sconfitto andò alla ricerca di Arya. La trovò che riposava nel piccolo salottino antistante la loro camera. Quando Arya lo vide varcare la soglia della porta lo raggiunse e lo abbracciò con tale forza da lasciarlo spiazzato. Eragon dopo un attimo di smarrimento la strinse a sua volta sentendola tremare – Arya… – mormorò iniziando a preoccuparsi. A quel punto l’elfa si distaccò appena da lui e lo guardò negli occhi sorridendo, il suo volto emanava una luce particolare che Eragon non seppe riconoscere subito.

- Per anni sono stata ambasciatrice del mio popolo tra i Varden mediando ogni genere di messaggio tra elfi e umani – esordì l’elfa guidando le mani di Eragon sui suoi fianchi. Il ragazzo la lasciò fare abbassando lo sguardo e riuscendo solo a pensare a quanto fossero piccole e delicate le sue mani sopra le sue. Arya allora gli prese il mento tra le dita facendogli alzare il volto - ed ora, di fronte a te, non trovo le parole per dirti quello che ci sta succedendo. – Eragon era sempre più confuso, ma cercò di non mostrarlo – Non temere per quello che devi dire, fallo e basta, qualsiasi cosa l’affronteremo insieme – le disse tutto di un fiato, senza pensarci. Arya sospirò mentre un velo di tristezza le passava sul volto.

- Tu e Saphira state per partire. Se lo facessi ti darei un onere troppo grande da portare – Eragon cercò le parole giuste per proseguire, aveva imparato da tempo che nelle discussioni con Arya era una questione di logica.

- Tu lo stai portando in questo momento, se è un onore che riguarda noi due è giusto che anche io sappia e che lo condividiamo insieme – Eragon la vide tornare a sorridere ancora come se quel peso si fosse appena fatto più leggero.   

- D’accordo Eragon, volevo essere certa che tu lo volessi davvero – gli disse prendendogli le mani e posandole sue sul ventre.

- Quello che ho scoperto questo pomeriggio è che qui dentro sta iniziando a crescere una nuova vita, Eragon, si tratta di nostro figlio –

Eragon batté più volte le palpebre prima di trovare di novo la voce - Vuol dire che, che sarò… padre? – le sussurrò Eragon senza voler togliere la sua mano dalla pancia di Arya che ancora non mostrava alcun cambiamento evidente ma a breve sarebbe iniziata a crescere per fare posto al bambino.

- Sì Eragon, sarai padre, ma non pensare che te lo abbia detto per chiederti di rimanere e rimandare la missione per stare al mio fianco – le disse riportando la sua attenzione alla loro imminente separazione.

- Lo avrei fatto se me lo avessi chiesto, ma so anche che sei forte abbastanza per affrontare tutto questo anche in mia assenza – disse rendendosi conto di non sapere quanto tempo la missione gli avrebbe chiesto e improvvisamente ebbe paura. Paura di tornare troppo tardi e perdere i primi passi della giovane vita che stava per venire al mondo o peggio ancora di non tornare affatto e lasciare così il bambino senza un padre. Come a leggergli nel pensiero Arya lo prese per mano e lo guidò verso uno dei divani su cui era stata seduta fino a poco tempo fa - Vieni qui – gli disse facendolo sedere e andandosi a poggiare anche lei con la testa sul petto del cavaliere. Eragon sentì che l’amore che da sempre provava per lei si era come dilatato per andare ad avvolgere quella vita che avevano creato insieme ma che ancora non conosceva. Con quella nuova consapevolezza la voce di Arya lo colse quasi di sorpresa - Lo sai che mi mancherai come non mi è mancato nessun’altro, perché ti ho scelto come mio compagno di vita e perché sarai il padre del nostro bambino. Non vorrei mai che ci separassimo ma posso farcela a sopportare questa distanza sapendo che ti impegnerai per tornare da me e vedere tuo figlio crescere. – gli disse lei facendo ruotare la testa per poterlo guardare. Eragon fece un profondo respiro, anche se la paura era ancora lì, non poteva permetterle di offuscare il suo giudizio.

- Fino a pochi minuti fa il mio pensiero era tutto rivolto alla partenza di domani, ora il viaggio mi sembra qualcosa di così lontano e la sola cosa a cui riesco a pensare è stringerti a me il più forte possibile. - esordì Eragon con un sorriso messo - Ma non posso ignorare l’impegno che ho preso come cavaliere e non posso farti alcuna promessa o vincolare la mia parola all’antica lingua perché non so fino a dove mi porterà questo viaggio. – continuò mettendo a nudo la propria anima. – ma qualsiasi cosa accada, farò di tutto per tornare da te, da voi. – Eragon le baciò la mano e avvicinando il suo viso le sussurrò - Vel Einradhin iet ai Shur’tugal (La mia parola di cavaliere) - finì di dire in antica lingua.

 

***

Rebekha si era appena addormenta quando Serena si chiuse la porta della loro stanza alle spalle. La ragazza era crollata presto dalla stanchezza dopo le forti emozioni della giornata, la donna, invece, non riusciva a prendere sonno. Il suo pensiero andava continuamente al figlio, Reafly. Secondo le parole di Oliviana, era lui il motivo per cui erano trattenute a palazzo ma, da quando erano arrivate, non era stata fatta a loro nessuna domanda a riguardo. Rebekha, come era giusto che fosse per una giovane della sua età, si era subito adattata alla nuova situazione accogliendo con entusiasmo tutte le attenzioni che le erano state riservate nel corso della giornata. Serena invece non si fidava ancora e senza lasciare la sicurezza di quelle stanze e si andò a sedere su una delle sedie del salottino che faceva da anticamera alle loro camere da letto.

Non era riuscita a tenere al sicuro Reafly ed ora il pensiero di perdere anche Rebekha la spaventava paralizzandola. La donna si coprì il volto con le mani e si piegò in avanti dondolandosi

- Phill cosa dovrei fare? – chiese in un sussurrò al marito che non cera più da tempo. In quel momento la porta della stanza si aprì ed Isobel entrò nella stanza con grandi falcate. Serena si asciugò in fretta il viso e si sistemò il lembo della gonna mentre si alzava in piedi in presenza della donna. Se la regina si era accorta del suo disagio non lo diede a vedere.

- Stai pure comoda mia cara – le disse in tono mellifluo. – Spero che tu e tua figlia stiate trovando la sistemazione qui a palazzo di vostro gradimento. –  

- Certamente, è tutto di nostro gradimento Maestà – Serena esitò un attimo prima di continuare - ma non vorrei abusare della vostra generosità. State cercando informazioni su mio figlio Reafly ma io o non posso darvele. Non so dove dive si trovi in questo momento né con chi è – Serena arrossì di sdegno quando Isobel scosse la testa divertita da quella affermazione e si avvicinò di un passo verso di lei sorridendo di gusto.

- Ma non ho alcun bisogno di sapere dove si trova tuo figlio. So esattamente dov’è e con chi si trova, ma, cosa più importante, so cosa è diventato Serena da Alagaësia – si affrettò a informarla Isobel che con quest’ultima allusione lasciò la donna in totale confusione.

- È con gli elfi oscuri ad Ardéa, è diventato un cavaliere dei draghi – a quelle parole Serena crollò sulla sedia mentre l’ombra di Galbatorix e dei suoi rinnegati, con tutta la loro scia di follia e sofferenze tornava a incombere sulla sua vita.  

- La mia intenzione è quella di riportarlo qui, naturalmente, ma non posso farlo da sola. Se il sangue non mente anche Rebekha può diventare un cavaliere come il fratello. Ed è del suo aiuto di cui avrò bisogno. – nell’udire il nome della figlia, Serena tornò a guardare la regina con nuovo interesse.

- Voglio introdurla allo studio dell’antica lingua per prepararla al compito che le attende – Nel vedere la sua interlocutrice irrigidirsi Isobel sorriso.

- Venendo da Alagaësia sai cosa voglio dire -   

Serena annuì. Anni fa Phill le aveva confidato i suoi sospetti sul coinvolgimento della magia nel conflitto con gli elfi. Serena aveva creduto che stesse esagerando ma la sua morte improvvisa gli aveva aperto gli occhi su ciò che stava realmente accadendo nel regno. Isobel non era poi tanto diversa da Galbatorix. Da allora la sua unica preoccupazione era stata quella di proteggere i suoi figli. Si era adeguata al resto della popolazione seguendo in maniera passiva tutto quello che veniva loro raccontate dalla propaganda della regina. Aveva continuato a farlo anche dopo l’arrivo dei draghi e dei loro cavalieri. Dentro di sé Serena non si era stupita che Reafly ne fosse rimasto subito affascinato ma la donna aveva continuato a mantenere comunque quella farsa solo per tenerlo lontano dai guai confidando in Xavier.

- Perciò quale è la tua risposta? – chiese infine Isobel.

Serena non aveva molte scelte di fronte a quella richiesta. Rifiutarsi le avrebbe precluso di stare vicino alla figlia.

-. Puoi addestrarla come tuo cavaliere


***

La mattina della partenza di Eragon Saphira, Reafly si svegliò molto presto. Era all’alba e il giovane si andò a sciacquare in gran fretta andò a sciacquarsi di buono ora il viso con l’acqua fresca e indossò dei pantaloni e una casacca comodi; quindi, prese tra le braccia il cucciolo dorato ancora addormentato ai piedi del suo letto facendo attenzione a non ferirsi con le squame appuntite del suo dorso. Il piccolo drago protestò appena mentre lo tirava su per poi addormentarsi l’attimo dopo contro il suo petto una volta usciti dalla stanza.

Quella mattina avrebbero celebrato Arya e il bambino in arrivo con un piccolo cerimonia, ma Reafly doveva prima fare una cosa di estrema importanza. Ma Reafly aveva una cosa importante da fare prima La sera precedente Saphira si era rivolta direttamente a lui parlandogli nella mente e chiedendogli di poterle concedere un po’ di tempo con il suo cucciolo.

Reafly era stato più che contento di assecondare la sua richiesta, lo avevano fatto sentire di nuovo importante dopo aver appreso da Xavier delle decisioni prese alla riunione del giorno precedente a cui non gli era stato chiesto di partecipare.

Reafly raggiunse i giardini esterni dove lo stavano attendendo Saphira e Castigo. Grazie Reafly per essere venuto. Rimbombò la voce delicata di Saphira. Non devi. Eragon e Murtagh sanno che sono qui? Chiese titubante rendendosi conto solo ora di non averne fatto parola con nessuno. Reafly sentì la dragonessa gorgogliare in una risata. Certo cucciolo. Lo abbiamo deciso insieme di rompere le vecchie regole dell’ordine.

A voi draghi non era permesso incontrare i vostri genitori? Chiese il ragazzo stupito abbassando lo sguardo sul cucciolo. La risposta della dragonessa lo raggiunse subito dopo.

Noi draghi percepiamo molte cosa da dentro i nostri gusci. È difficile da spiegare ma in qualche modo noi conosciamo i nostri genitori nei nostri cuori.

Fu l’ordine dei cavalieri a stabilire che si potesse creare un legame solo con il proprio cavaliere.

Sono felice che non dobbiamo seguire più queste regole commentò Reafly con semplicità

Ancora addormentato tra le braccia di Reafly, Saphira sfiorò piano le tenere squame dorate del cucciolo. Il piccolo si destò piano e fu grande la sua sorpresa quando vide i grandi occhi zaffiro della dragonessa. Una domanda inespressa emerse dalla mente di Reafly. Il ragazzo non ci mise molto a capire che proveniente dal piccolo drago. Sì, piccolo, questa è la tua mamma gli disse emozionato.

Il cucciolo come ad aver capito si avvicinò timidamente alla dragonessa e Reafly ne approfittò per allontanarsi, facendo più piano possibile. Sfortunatamente nel metter un piede a terra pestò accidentalmente un rametto facendo girare il cucciolo di drago che si guardò freneticamente intorno prima volgendo i suoi occhi verso Reafly, poi verso Saphira e Castigo ed emettendo una serie di pigolii confusi. Reafly allora gli mandò una serie di immagini rassicuranti e imprimendo più forte che poté il suo ritorno.

Mentre il piccolo drago si acquietava Reafly si accorse degli sguardi di Eragon e Murtagh poco distanti da loro che lo attendevano. Si allontanò per raggiungerli quando avvenne una cosa inaspettata, nella sua mente si stamparono due nomi Reafly… Gleadr era stato il piccolo a inviarglieli continuando a ripeterli fino a quando il loro contatto non si affievolì per poi sparire del tutto.

Con il nome del suo drago nella testa Reafly seguì i due cavalieri per raggiungere Arya, Jill, Xavier con Aglaia e il compagno Faramir.

Fu una celebrazione parca. Aglaia, Faramir e Xavier erano consapevoli di star partecipando a un evento estremamente riservato. Tutti si felicitarono con Arya ed Eragon lasciando fuori dai loro discorsi ogni riferimento a ciò che sarebbe accaduto nell’imminente futuro. In quel momento si celebrava solamente la vita come era stata la volontà di Arya.

Terminata la celebrazione i tre cavaliere si separarono dagli altri che non gli avrebbero seguiti ai Grandi Cancelli e ognuno di loro salutò Eragon.

Per ultima Arya lo strinse forte a sé. Eragon cercò di imprimere il più possibile il suo ricordo in quell’abbraccio quindi la lasciò andare.  

Nel tragitto i due fratelli caddero in un insolito silenzio. Eragon guardava a terra come assorto nei suoi pensieri mentre Murtagh aveva lo sguardo puntato in avanti, anche lui in qualche maniera assente.   

Improvvisamente parlarono all’unisono.

– Volevo dirti… – dissero entrami.

Sotto lo sguardo interrogativo di Reafly i due fratelli si guardarono negli occhi e risero, quindi Eragon parlò di nuovo - Ti prego, inizia tu – Murtagh annuì.

- So che nessuno di noi due ha voglia di aprire questo argomento ma dobbiamo stabilire a chi poter diffondere la notizia, soprattutto adesso che stai per partire. Se questa informazione cadesse nelle mani sbagliate renderebbe la tua posizione oltremodo pericolosa –

- Lo so Murtagh, possiamo fidarci sono di noi per il momento – rispose Eragon riferendosi alle altre persone presenti alla cerimonia oltre a loro tre - Non dovremmo dirlo nemmeno al re per il momento –

- Da me non sapranno nulla, avete la mia parola di Cavaliere – intervenne Reafly che fino ad ora aveva seguito la loro conversazione in silenzio. Eragon lo guardò con gratitudine.

- Grazie Reafly - gli disse per poi scompigliandogli i capelli con la mano.

Poi venne raggiunto dalla mente di Saphira stava sorvolando i Gradi Cancelli con Castigo e Gleadr. Eragon sorrise dentro di sé nello scoprire il nome scelto dal drago senza rivelarlo ad alta voce.

- È il momento di andare –

Una piccola folla si era già riunita ai Grandi Cancelli a osservare la delegazione alla cui testa vi era re Arold insieme a una parte del consiglio. L’atterraggio dei draghi venne accolto con alcune esclamazioni di stupore. Saphira si accucciò a terra e abbassò il busto per mostrare Gleadr accoccolato sull’incavo della sella. Il cucciolo si era addormentato da poco sul dorso della madre. Reafly si avvicinò e lo prese in braccio osservando il piccolo ventre che si gonfiava al ritmo regolare del suo respiro.
Saphira li guardò entrambi con tenerezza ed Eragon avvertì delle sensazioni contrastanti provenire dalla dragonessa. Doveva essere difficile per lei staccarsi ora dal suo cucciolo. I suoi pensieri erano forti e investirono Eragon che d’istinto si avvicinò a Saphira, e le accarezzò il muso, in silenzio.
Non ti devi preoccupare per me piccolo mio le disse la dragonessa inarcando lievemente il collo in segno di gratitudine poi, strofinando la punta del suo naso sul palmo del ragazzo, concluse; Ma tu stammi vicino.
Eragon allora posò la fronte sulle squame del suo muso e rimase così per alcuni minuti.
Poco dopo comparve anche Par. Arrivò quasi in sordina uscendo dal nulla e causando un attimo di silenzio.

- Sono pronto Eragon. Ho tracciato il percorso su queste mappe. La prima tappa a Blow e poi alla volta del varco, come nei nostri accordi – disse mentre alzava una sacca con una pergamena arrotolata al suo interno. Il suo volto era stanco notò Eragon. L’elfo doveva aver passato tutta la notte su quelle carte per mantenere fede alla sua parola.

- Come nei nostri accordi – ripeté Eragon per poi invitarlo con la mano a raggiungere Saphira. Aveva percepito in un breve sondaggio della sua mente che l’elfo era in apprensione per il volo. Il suo stupore fu grande quando vide la sella su cui avrebbe viaggiato.

- Grazie Eragon, hai fatto una cosa molto bella per me –disse sincero, Eragon contento delle parole lo aiutò a salire per poi issarsi a sua volta sul dorso della dragonessa e posizionarsi di fronte a lui.

In quello stesso momento Saphira aprì le sue ali.

Vogliamo andare dolcezza?  la invitò con affetto Eragon.

Saphira emise un lento ruggito di assenso, poi spiccò un potente balzo e, richiudendo le sue ali, prese rapidamente quota.

Il terreno sotto di loro si fece sempre più piccolo. Dietro di lui Eragon poté sentire Par stringere i denti. L’elfo aveva stretto le sue mani alle maniglie tanto forte da sbiancare le nocche mentre l’aria scompigliava con violenza i capelli dei due passeggeri. Una volta raggiunta quota Saphira aumentò la sua andatura stabilizzando la rotta.

Eragon continuò più volte a voltarsi in direzione della costa, fino a quando non divenne una sottile linea sull’orizzonte, per poi sparire alla loro vista.  

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Capitolo 12
*** Un nuovo cavaliere ***


- Ne devo dedurre che sarete voi a partirete per questa missione che è a tutti gli effetti un suicidio! - fu la risposta esterrefatta di Murtagh non appena Eragon ebbe finito di esporgli la sua idea di accettare la missione proposta dal capitano Daco.

Eragon sapeva, fin dall’inizio, che avrebbe incontrato le resistenze del fratello. Facendo appello a tutta la sua calma cercò di placare le proprie paure.

- Non dico che dobbiamo accettare ogni cosa che ci proporranno ma non possiamo negare che la ricerca ci riguarda da vicino - Murtagh lo guardò disarmato e scosse la testa.
- Sei così ansioso di frequentare nuovamente le prigioni di Isobel?  – gli chiese in tono provocatorio. Eragon tacque per alcuni secondi. Quella possibilità gli aveva sfiorato la mente più di una volta ma aveva cercato sempre di allontanare quel pensiero. Murtagh non accennava a smorzare i toni e stavano lentamente minando la sua determinazione.

Eragon, Murtagh ti vuole bene ma non devi permettergli di farti dubitare di te stesso o di noi. Le parole della dragonessa arrivarono in tempo a sostenerlo quando stava iniziando a cedere.

Vorrei solo che avesse più fiducia in me. Le rispose cercando il sostegno nella sua presenza. La replica della dragonessa non tardò ad arrivare Ce l’ha, ha solo paura per te

Eragon le annuì mentalmente - Temo il suo potere più di quanto immagini Murtagh ma abbiamo imparato tanto da allora. -  Rispose al fratello con voce mesta, gli occhi appena socchiusi

- Se parli così non lo temi abbastanza - fu la risposta secca dell’altro. Eragon sospirò riaprendo gli occhi

-  D’accordo, che cosa proponi di fare?  - rispose esasperato dall’ennesimo rifiuto del fratello.

- Se fossimo io e Castigo a partire e tu ti occupassi dell’allenamento di Reafly? – rispose Murtagh a sua volta con una domanda. Eragon aveva valutato anche quella possibilità e lanciò al fratello un sorriso sconsolato.

- Potreste ma sarebbe pericoloso lo stesso, se non peggio – a quelle parole Murtagh alzò un sopracciglio guardandolo intensamente in attesa che continuasse. Eragon si affrettò a rispondere.

- Pensaci Murtagh, Isobel ci ha involontariamente dato un vantaggio. Ha obliato il ricordo della nostra presenza dalle menti della popolazione. Se seguiremo un percorso lontano dalle città mi basteranno incantesimi semplici per riuscire a mantenerci nascosti -

Murtagh rimase in silenzio mentre Castigo entrava lentamente nella mente del suo cavaliere. Tigre, perché ti ostini a trattarlo come un cucciolo. Non potrai proteggerlo per sempre
La risposta di Murtagh arrivò triste. Ti sbagli. Non sono riuscito a fare neanche quello.

Castigo si avvicinò di nuovo ma Murtagh cercò di ritrarsi Se continuerai ad opporti otterrai solo di allontanarlo da te. L’osservazione del drago lo colse di sorpresa. Castigo aveva ragione.

-  Va bene, ammettiamo che sia tu a partire. Cosa vuoi che ti dica? -  Ammise alla fine mentre sentiva il gorgoglio soddisfatti di Castigo.

- Potresti iniziare facendomi sapere che mi dai il tuo appoggio -

- Eragon questo… -

- Aspetta fammi finire. So che questa missione è piena di insidie e pericoli, ma non l’avrei mai voluta affrontata da solo. Se non avessimo avuto delle responsabilità nei confronti di Reafly ti avrei voluti al mio fianco in questo viaggio. - fece una piccola pausa come ad accertarsi che il fratello fosse ancora lì ad ascoltarlo

- Puoi accettare questo?   -

- Ho alternative? - disse ed Eragon era già pronto a rispondere quando Murtagh alzò una mano per fermarlo. - Perdona Eragon, hai ragione è solo che non vorrei che fossi sempre tu sia il solo a rischiare così tanto -

- Avrò Saphira al mio fianco a proteggermi e rischieremo il minimo possibile - appena finì la frase Eragon seppe che non avrebbe mai potuto mantenere quella promessa. Dall’altra parte Murtagh si fece bastare quelle parole, nessuno dei due aveva voglia di discutere ancora.  

- Ti voglio solo dire un’ultima cosa - La voce del fratello arrivò all’improvviso e un sorriso amaro gli increspò le labbra mentre Eragon alzava la testa per ascoltare - La regina è molto astuta ed è forse più pericolosa dello stesso Galbatorix. Trova presto quello che stiamo cercando e ritorna indietro. – La sua voce era diventata una supplica. Eragon non lo aveva mai visto così preoccupato.

- Te lo prometto -  

***

Il consiglio era già riunito nella sala delle udienze. Daco sedeva tra gli altri membri in attesa, come tutti, dell’arrivo dei cavalieri e del re. Si era messo a parlare con alcuni di loro, la sua voce era bassa e suadente mentre chiacchierava con disinvoltura, solo il suo sguardo, ogni tato, si spostava dal proprio interlocutore nella speranza di intercettare quello di Arya che sedeva dalla parte opposta a loro, accanto a Jill.

L’elfa, dall’altra parte, aveva notato da tempo le sue occhiate ma aveva abilmente evitato ogni contatto diretto con lui. Era tornata a indossato la sua vecchia maschera di impassibilità che le aveva permesso tante volte di isolarsi e osservare ciò che la circondava con il giusto distacco e obiettività. Dopo la morte del suo primo amore, Faolin, per mano dello spettro Durza era stata a lungo la sua unica espressione. Non c’era stato nemmeno il tempo di piangerlo, la guerra contro Galbatorix non glielo aveva permesso, esigendo la sua presenza senza se e senza ma. Solo accanto ad Eragon, con il tempo, aveva trovato il coraggio di abbassare nuovamente quelle difese e far riemergere a poco a poco la vera Arya. Guardando indietro, l’elfa sapeva che non avrebbe potuto dare il suo cuore a nessun’altro che a lui e quando vide entrare accanto a Murtagh, i suoi occhi si illuminarono di pura di gioia.

Entrando nella sala delle udienze Eragon si distaccò dal fratello e andò dritto verso Arya. L’aveva cercata con gli occhi e quando riuscì a incrociare il suo  sguardo le sorrise subito con lo stesso entusiasmo dell’elfa. In quel momento era come se ci fossero solo loro nella stanza.

Incrociarono le loro dita sfiorando il palmo delle mani per poi stringerle, salire alle braccia e fermarsi continuando a guardarsi negli occhi. Quel breve attimo sembrò ad entrambi senza fine. Fu la voce di Murtagh a destare Eragon da quel momento. - Il re è arrivato – lo sentì mormorare e le voci intorno a loro scemare in brusio appena sommesso. Ancora con la mano di Arya nella sua si voltò verso la porta.

Arold entrò portando sotto braccio un grosso rotolo di carta affiancato da Aglaia e Xavier ma non era stata la loro presenza a suscitare tanto stupore. Appena dietro di loro un elfo li stava seguendo mantenendosi a debita distanza. Quest’ultimo era di statura più bassa rispetto agli altri, Eragon non avrebbe saputo dire la sua età ma camminava curvo da una parte trascinandosi sulla gamba destra che muoveva con una certa rigidità. I suoi capelli erano neri corvino ad eccezione di un’unica ciocca canuta che brillava con sfumature argentee sulla fronte dandogli un aspetto fanciullesco. Era vestito con abiti morbidi, casacca e pantaloni ma aveva i piedi scalzi.  

L’elfo scambiò due parole con Aglaia la quale, si distaccò da Xavier ed Arold e accompagnò l’elfo verso i banchi dove si trovavano Eragon e Murtagh. Lo sguardo dell’elfo passò rapidamente da l’uno a all’atro cavaliere mentre Aglaia lo presentò a loro - Cavalieri, questo è Par -

- Chi di voi due è Eragon? – chiese lui senza riuscire a nascondere una nota di apprensione nella voce. I due fratelli si guardarono per un attimo poi Eragon fece un passo avanti.  

- Sono io - nell’udire la risposta un brivido sembrò attraversare il piccolo elfo facendolo tremare per un istante - Io sono Par e posso guidarti nelle Terre Selvagge -

Eragon guardò gli astanti che avevano iniziato a scambiarsi sguardi e parole a mezza bocca. Non c’erano dubbi che era stata la sua presenza a creare tanta agitazione.

- Non si era mai parlato di un guida – disse rivolto ad Aglaia accanto a loro. In cuor suo Eragon aveva immaginato di essere solo con Saphira. Viaggiare con una terza persona avrebbe cambiato molte cose.

Anche io avrei preferito stare solo noi due ma ascoltiamo prima quello che hanno da dire intervenne pronta la voce di Saphira. Eragon percepì tutta la curiosità della dragonessa nei confronti di Par.  

Intervenne il re che nel frattempo aveva spiegato la carta sul tavolo - Non vi è stato detto nulla perché Par ha fatto richiesta di unirsi alla missione solo ieri sera ma ha posto delle condizioni che vorrei ascoltaste. Lascio ad Aglaia il compito di spiegare -

Arold indietreggiò di un passo in favore della ragazza. - Grazie Arold - mormorò Aglaia prima di andare al tavolo dove era stata distesa la carta geografica. Andò a puntare il dito su una grande area verde oltre i confini di Zàkhara. – Come molti di voi sanno queste sono le Terre Selvagge. – disse facendo una piccola pausa perché tutti prestassero attenzione.

-  È un territorio per la maggior parte inesplorato di cui si conosce poco e niente. I suoi confini sono protetti dalla catena montuose del Gran Massiccio e il solo varco fino ad ora conosciuto si trova qui, nei territori controllati da Isobel. Aggirare il blocco, che avrà sicuramente organizzato, richiederà molti giorni di viaggio con il rischio costate di essere avvistati e catturati dalle guarnigioni di soldati la cui presenza è stata confermata anche dal capitano Xavier qui presente. Anche se si compie il viaggio sul dorso di un drago - continuò lanciando uno sguardo in direzione dei due cavalieri - Fino ad ora pensavamo che fosse l’unico passaggio sicuro nell’entroterra, ma non è così. Par, qui al mio fianco, ne è a conoscenza di un altro – concluse lasciando spazio all’elfo. Par prese un profondo respiro e si fece avanti salendo su uno sgabello che aveva trascinato dai banchi alle sue spalle. Si issò e grazie all’aiuto di Aglaia si mise in piedi in modo che tutti potessero vederlo

- Lo rivelerò a patto che venga con noi Eleonor, la bambina con il marchio dei cavalieri di cui avete parlato l vostro arrivo. Anche lei deve partecipare alla missione. Non è una condizione trattabile. - finì di dire Par con voce pacata ma decisa.  

Il volto di Eragon si contrasse in una leggera smorfia nel sentire il basso ringhio della sua dragonessa rimbombargli nella mente - Io e Saphira ci chiediamo per quale motivo dovremmo accettare le tue condizioni e mettere a rischio le nostre vite e quella della piccola - chiese Eragon con voce asciutta. Aveva parlato con altrettanta calma e Par reagì alla domanda con un sorriso laconico, senza scomporsi - È tutta questione di fiducia. È di questo che si tratta vero? -

- Puoi biasimarli?  - intervenne allora Murtagh sostenendo il punto del fratello.

- No - rispose Par - non mi conoscete neppure ma non posso darvi una risposta - Eragon si morse un labbro per trattenersi dal rispondere e posò una mano anche sul braccio di Murtagh chiedendogli di fare altrettanto. – Posso dirvi perché non ho simpatia per Isobel e perché Anche io come tutti voi voglio che il suo regno cada se questo vi aiuterà a prendere la decisione giusta -

- Ti ascoltiamo – si limitò a dire Eragon facendo un cenno a Par di continuare

 - Quasi undici anni fa Arold mi chiese di organizzare una spedizione nelle Terre Selvagge, un ultimo disperato tentativo cercare possibili alleati nella guerra contro Zàkhara.

Quella spedizione fu un totale fallimento. Le Terre Selvagge sono un territorio aspro e impervio ci ha risucchiato e buttato fuori distruggendoci. Uno ad uno vidi i mei compagni cadere nel tentativo di tornare a casa. Solo io riuscii a varcare la frontiera vivo ma completamente solo. Risalendo lungo il confine per raggiungere un porto sicuro per tornare a casa venni catturato dal nemico. Appresi che anche Isobel da tempo desiderava esplorare quelle terre. Mi torturò per estorcermi tutto quello che avevo visto e appreso. Cercai di resisterle ma alla fine cedetti rivelandole molte cose tra cui l’ubicazione di uno dei due varchi che ora controlla. Sono riuscito a tenere segreto il secondo solo riuscendo a fuggire. Non vado fiero per aver parlato e porto ancora i segni della mia debolezza come un’onta -  

Il volto di Eragon era livido. Non c’è menzogna nelle sue parole ma le condizioni che poneva costringeva lui e Saphira a una tappa molto pericolosa.

Se non accettiamo saremmo comunque costretti a viaggiare a lungo per trovare un punto di accesso alle montagne. Par è anche l’unico che abbia viaggiato nelle Terre Selvagge. Non possiamo permetterci di rifiutare. Era stata Saphira a parlare.

- Qual è la strada più sicura per raggiungere Eleonor – chiese alla fine Eragon accettando implicitamente le condizioni di Par.

Aglaia trasse un sospiro di sollievo nel guardare Arold e prese di nuovo la parola - Ho fatto in modo che lei e la madre fossero accolti da dei miei patenti a Blow. È un piccolo villaggio a nord nei pressi del fiume Striamone –

Eragon e Murtagh si avvicinarono ad osservare le distanze segnate sulla carta - Passando per queste campagne e tagliando qui su queste alture si raggiunge il villaggio in sei settimane, che cosa ne pensate? – chiese Aglaia.

- A dorso di drago ne impiegheremo la metà – si affrettò a dire Eragon guardando Murtagh che annuì.

- Mi sarà permesso di salire su un drago? – chiese Par facendo voltare i due fratelli. L’espressione sul volto dell’elfo aveva perso quella determinazione che l’aveva contraddistinto fino ad ora per lasciare il posto a una scintilla di puro stupore.

- Anche Saphira è d’accordo che più rapidamente attraverserete il territorio nemica minori saranno le possibilità di essere intercettati. –  rispose Eragon che aveva sempre lasciato una finestra di dialogo con la dragonessa.

- Se non c’è altro potete partire domani. È un tempo sufficiente per te e il tuo drago? - chiese Arold con un tremito nella voce.

Eragon guardò uno ad uno i suoi amici. Jill, Murtagh e infine Arya. Avrebbe voluto avere più tempo ma sapeva bene che non c’era motivo di aspettare oltre. Lo sguardo fiero che le rivolse Arya gli diceva lo stesso. Si voltò verso Arold - È sufficiente -

                                                                                              ***

Dall’altra parte del mare, nella città Abalon, Rebekha sedeva immobile nella stanza di Reafly. Dal giorno della sua scomparsa si era ritrovata a trascorrere molto tempo in quella camera, passando in rassegna gli oggetti che il fratello aveva collezionato, alla ricerca di qualsiasi segno l’aiutasse a capire cosa lo avesse spinto ad andarsene.

A farle ancora più male era stata la decisione sua e del capitano Xavier di tenerla all’oscuro di tutto. Nei giorni successivi la fuga del cavaliere dei draghi, infatti, il palazzo era stato sottoposto a stretta sorveglianza da parte delle guardie reali, senza dire nulla alla madre, Rebekha si era presentata davanti ai cancelli chiedendo di poter entrare e parlare con il fratello o con il capitano. Nella sua ingenuità aveva comunicando loro quello che Xavier aveva raccontato la sera precedente sull’invito della regina. Rebekha era diventata rossa dalla vergogna quando le guardie quasi le risero in faccia per l’assurdità delle sue parole. La congedarono con alcuni commenti derisori sulla fantasia delle donne e, piena di vergogna, si rese conto che non c’era mai stato alcun invito da parte della regina e che il fratello era probabilmente coinvolto in quella faccenda più di quanto avesse pensato in precedenza.   

Tornata a casa Rebekha non parlò con la madre dell’accaduto, non c’era motivo di farla preoccupare ulteriormente ma, nonostante i suoi tentativi di proteggerla, la sentiva piangere ogni notte tra le mura della sua camera mentre di giorno la vedeva sobbalzando ad ogni rumore che proveniente da fuori. Come la madre anche Rebekha sperava di rivederlo Reafly rientrare da quella porta coma aveva sempre fatto ma i giorni passavano e le probabilità di rivederlo si assottigliavano sempre di più, fino a diventare solo una flebile speranza.

                                                                                                                                                                                                                                                    Non lo avrebbe mai ammesso a sé tessa ma era arrivata a odiare il fratello per quello che stava facendo alla loro famiglia. Rebekha si asciugò il viso rigato dalle lacrime. Non voleva più piangere per lui. Dovevano andare avanti e smetterla di illudersi che potesse cambiare e pensare per una volta al loro prima che a sé stesso. In un moto di rabbia diede un calcio al pupazzo di stoffa sul letto e lasciandolo a terra batté la porta dalla stanza alle sue spalle. In quel momento sentì qualcuno bussare e la madre andare ad aprire parlare con qualcuno. Reafly! Rebekha corse giù dalle scale con il cuore in gola dimenticando tutto quello che aveva pensato del fratello fino a un attimo fa.

- Reafly se sei tu io ti giuro che… - disse mentre girava l’angolo dell’ingresso ma le parole le morirono in bocca quando accanto alla madre non vide Reafly ma una donna. Era più grande di lei dal corpo flessuoso e agile, aveva dei capelli ricci, corvini, raccolti in una coda alta con due riccioli che le ricadevano ai lati del volto. Indossava una divisa militare diversa da quella ordinari delle giardie reali e lo sguardo era freddo e tagliente tanti da colpirla come uno schiaffo.

- È lei? -  chiese la donna con voce fredda e asciutta rivolta a qualcuno che si trovava alle sue spalle. Rebekha seguì lo sguardo della donna e vide quattro guardie che la ragazza riconobbe subito come quelle che l’avevano derisa qualche giorno fa che le annuirono.

- Sì Oliviana, è lei -

- Rebekha perché non mi hai detto che eri andata a cercare tuo fratello? – le chiese la madre. La sua voce fu un faro nella nebbia che le offuscò per un attimo la vista. Non c’era rimprovero nella sua voce solo rassegnazione davanti al fatto che entrambi i suoi figli fossero così propensi ad agire di impulso. Rebekha avrebbe tanto voluto che fosse arrabbiata.

-  Non volevo che ti preoccupassi – le rispose senza badare alla presenza degli altri.

Serena le sorrise debolmente ma non riuscì ad aggiungere altro perché la donna dai capelli corvino parlò di nuovo.

- Per ordine della regina sarete scortate a palazzo per regolarizzare la situazione di Reafly Coleman – due guardie le si affiancarono e a Rebekha sembrò a tutti gli effetti un arresto. Spinta in avanti si aggrappò alla mano della madre stringendola forte,  la donna attirandola a sé le posò l’altra mano sulla spalla.

- Non temere Rebekha si stempera tutto -

                                                                                              ***

Dalla sala delle carte Isobel contemplava la terra di Alagaësia con sguardo meditabondo.

L’incantesimo lanciato alle uova, prima che Aglaia gliele sottraesse con l’inganno, gli aveva rivelato che uno di loro si era infine schiuso. Non c’era modo di sapere per chi ma quando Oliviana le fece notare il nome accanto a quello di Xavier in uno dei rapporti compilato dai soldati a guardia dell’entrata a palazzo, Isobel iniziò a nutrite dei sospetti.  

Coleman. Quel cognome continuava a ricorrere nei suoi affari.

Phill Coleman era uno dei soldati che si era fatto notare di ritorno a Zàkhara recando con sé una donna di Alagaësia. La regina aveva subito fatto cecare negli archivi anagrafici il nome della donna, Serena. Phill l’aveva fatta sua sposa non appena sbarcati e aveva avuto da lei due figli che ora avevano sedici e tredici anni. Rebekha e Reafly Coleman.

Per tutti Phill era un eroe di guerra, era stato insignito delle piu alte onorificenze dopo aver perso la vita durante un’imboscata da parte degli elfi oscuri.

Quello che solo lei sapeva è che l’uomo era stato giustiziato per suo ordino, ed era morto da traditore. Aveva aiutato a fuggire un elfo che era stato catturato ai confini con le terre selvagge. Le stava rivelando informazioni preziose su certi varchi e sulla natura di quei territori. Phil non cercò nemmeno di difendersi quando uno dei suoi sottoposti lo aveva accusato portando le prove del suo coinvolgimento. Isobel lo aveva fatto condannare a morte senza esitare.  

Una vita per un’altra vita. Una semplice e crudele regola che aveva imparato sulla sua pelle già in tenera età.

-Cosa c’è Oliviana? - chiese la donna sentendo i passi felpati del sicario alle sue spalle

- Serena e Rebekha Coleman sono qui a palazzo maestà -

- Hai comunicato loro il motivo della loro presenza qui come ti ho detto? -  chiese senza guardarla.

- Certamente Maestà. Sanno che sono qui per Reafly-

-Le hai portate nelle stanze blu? –

- Sì maestà. Come mi è stato ordinato.

- Ottimo lavoro Oliviana, puoi andare adesso - la giovane donna annuì e con un inchino si congedò senza ulteriori cerimonie.

Di nuovo sola Isobel pronunciò alcune parole per attivare l’incantesimo che le avrebbe permesso di ascoltare la conversazione delle due donne. Subito udì due voci femminili che parlavano in maniera concitata. Erano Serena e Rebekha che discutevano sulla loro situazione.

Questa stanza è meravigliosa mamma! Guarda queste tende le lenzuola e c’è una stanza solo per il bagno grande quanto la nostra cucina!

Quando tuo padre è morto non c’è stato nessun invito a palazzo. Solo la visita di un messo che ci consegnò il primo dei sussidi che vengono dati ai familiari dei caduti e le sentite condoglianze della regina.

Mi dispiace Mamma non volevo di attirare l’attenzione su di noi ma la regina sembra aver preso a cure la nostra situazione

Non lasciarti ingannare da questi lustri, non mi fido di lei Rebekha

Perché?!

Non so dirtelo. Chiamalo intuito ma vorrei che tu ti tenessi ancorata alla realtà

Mamma la realtà è che Reafly e capitano Xavier sono andati via lasciandoci indietro

Isobel lasciò che le voci delle due donne sfumassero nella sua testa. Quello che aveva sentito le era bastato. Ora sapeva come conquistare la fiducia della ragazza. Era in lei, infatti, che la regina voleva riporre le sue energie. Perché quella ragazza sarebbe stata il prossimo cavaliere.

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Capitolo 13
*** Eleonor ***


                                  

Rebekha era seduta al tavolo, china su un foglio di carta, intenta a tracciare dei segni; dietro di lei, la regina attendeva che la sua allieva finisse il compito che le aveva assegnato.
Era una ragazza sveglia e intelligente, Isobel non aveva avuto nessuna difficoltà nell’introdurla allo studio dell’antica lingua; da parte sua Rebekha si era subito lasciata guidare da quella donna, così severa e rigida, ma che, in quei giorni, aveva scoperto molto ansiosa di conoscerla e di insegnargli.
Aveva appena finito la pagina quando nella stanza irruppe Oliviana. Isobel guardò il sicario con uno sguardo severo.  

 - Mia signora – rispose.
- Oliviana, dimmi pure -
- E’ una questione delicata, Mia Signora – si giustificò Oliviana lanciando uno sguardo di fastidio verso Rebekha. Isobel sorrise non appena capì il suo dilemma.
- Rebekha, ci puoi scusare? - la ragazza, uscì in silenzio, un poco contrariata, ma lieta di non essere più nella stanza con quella donna.
Una volta uscita, l’assassina si girò verso la regina.
- Cos’è tutta questa fretta Oliviana, spero sia una cosa urgente! – Altri avrebbero tremato di fronte all’ira della donna ma il sicario non si scompose minimamente.  
- Un dei draghi è in viaggio sulle nostre terre, si dirigeva verso nord -
Il viso di Isobel si fece rigido per un attimo - Ne sei fermamente sicura? – la paura che aveva iniziato a serpeggiare tra la popolazione dopo la fuga di Murtagh aveva fatto moltiplicare a dismisura gli avvistamenti di draghi ed elfi, rendendo difficile per le sue guardie individuare eventuali piste giuste.
- Il mio informatore è più che fidato, mia signora -
- Di che colore sono le squame del drago? -
Sul volto di Oliviana si dipinse un sorriso maligno - Si tratta della dragonessa e del suo cavaliere -
- Se è così, seguili e portali da me -
 - Con piacere mia signora. Quando vuoi che parta? -
- Con calma Oliviana, con calma – disse con un ghigno.
- Chiamami i Ra-zac -
Oliviana trattenne un moto di stizza nell’udire il nome di quei mostri, ma annuì all’ordine e, celando il suo malcontento, si dileguò per ritornare poco dopo con le due creature.
- Cosssa desssiderate, Mia sssignora? -  sibilarono all’unisono i due mostri.
L’assassina si stava allontanando ma la regia la fermò.
- Oliviana, rimani, mi servite tutti - poi rivolgendosi ai due Ra-zac.
- Voi due avete un’ultima passibilità: hanno avvistato la dragonessa che vi è sfuggita, insieme al suo cavaliere - gli disse con voce melliflua.
- Seguite gli ordini di Oliviana e portateli da me affinché che non possano più nuocermi. -

                                   ***

Il villaggio di Blow era un piccolo centro abitato costruito vicino all'alto corso del fiume Strimone; era abitato da una cinquantina di famiglie, per lo più contadini e fabbricanti di vasi a cui si aggiungevano i numerosi mercati che frequentavano il mercato allestito periodicamente per la vendita delle loro merci. Qui Eleonor e la madre, Lidia, erano state presentate come delle lontane parenti di Miriam e Jerod Bedford, una coppia di coniugi molto apprezzati e stimati nel villaggio per cui madre e figlia erano state accolte con lo stesso rispetto.
Come ogni sera Eleonor si trovava nella sua stanza, al piano di sopra della casa dove erano ospito, a giocare con le sue bambole di pezza; Lidia era in cucina, al piano di sotto, a parlare con Miriam. Quest’ultima era una donna sulla sessantina dall’aspetto corpulento e cordiale, sempre pronta al pettegolezzo, ma dal cuore grande e generoso. I coniugi avevano accolto la donna e la bambina senza fare domande, nonostante Aglaia gli avesse spiegato la situazione.

Lidia aveva ammirato molto il loro coraggio e presto tra lei e la donna era nata una sincera amicizia.

Le conversazioni attorno al focolare erano diventate un’abitudine piacevole per entrambe le donne.
- Oggi parlavo con il macellaio - le stava confidando Miriam girando lentamente la minestra con il mestolo - corrono voci, al mercato, che la regina stia per mettere le mani su dei fuggitivi – Lidia saltò dalla sedia su cui era seduta - Pensi stiano parlando di Eleonor? – chiese sbiancando in viso – Miriam lasciò il mestolo, prese un braccio della donna con delicatezza e sorridendo la tranquillizzò.
- Lidia, da quando siete qui ci sono state anche una decina di avvistamenti di draghi tra la Stonewood e le pendici del Gran Massiccio, ma non significa che dobbiamo prendere per vero tutto quello che viene dalla bocca dei mercanti che passano da qui - Miriam fece una breve pausa, riprendendo a mescolare. La sua voce era piena di comprensione:
- Tu ed Eleonor non dovete preoccuparvi. Aglaia è per noi come una figlia, e se ci ha chiesto di proteggervi, noi lo faremo con tutti i mezzi a nostra disposizione -
Lidia guardò la donna con affetto. Aglaia non avrebbe potuto scegliere persone migliori a cui affidare Eleonor.

- Grazie – aggiunse solamente.

Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta. Le due donne trasalirono.

Non aspettavano nessuno quella sera. Il marito di Miriam, Jerod, stava lavorando al forno e non sarebbe tornato prima dell’alba.

Miriam nonostante le parole rassicuranti di poco prima rivolse uno sguardo di intesa a Lidia che si alzò per andare nell’altra stanza.
- Chi è? -  fece la donna.
- Miriam sono io, Jerod. Aprimi è una cosa urgente. -
Miriam corrugò la fronte e fece un cenno a Lidia di tornare prima di andare ad aprire al marito.
Jerod entrò grondante d’acqua, fuori pioveva a dirotto.
- Entra e sistemati davanti al fuoco. Ecco vieni. -  Miriam prese il mantello zuppo dell’uomo e lo fece accomodare su una sedia.
- Grazie Miriam - i suoi occhi si posarono intensi sulla donna:
- Fuori ci sono due persone che stanno facendo domande sulla nostra famiglia -

Lo sguardo di Lidia divenne ancora più bianco mentre quello di Miriam era teso e determinato - Dove si trovano? – chiese con voce asciutta.
- Sono entrati da poco nella locanda. Me lo hanno riferito due ragazzi che hanno attaccato adesso il turno di lavoro e mi sono subito precipitato a casa. Le porterò io al rifugio -
affermò l’uomo mentre Miriam annuiva per poi rivolgersi a Lidia e spiegarle il loro piano.
- Ascoltami bene Lidia, ora io e andrò alla locanda - la donna si tirò su guardandola colpevole, ma Miriam la zittì con un gesto. - Non c’è tempo per discutere. Tu vai dalla bambina e stai pronta a scappare con Jerod nel caso fossero gli uomini della regina. Lui sa un percorso sicuro tra le montagne che vi permetterà di nascondervi fino a quando sarà necessario. - Lidia combatté solo un attimo nell’indecisione, poi non poté far altro che accettare.
Così Miriam si recò alla locanda, tutti i presenti si voltarono dalla sua parte per distogliere subito lo sguardo non appena riconobbero la donna. Tutti tranne due uomini.
Miriam aveva individuato i due forestieri e il suo volto trasalì nel riconoscere uno di loro.

Più di dieci anni fa la donna aveva aiutato Par a fuggire dalle prigioni della regina. Era stata una vita fa, prima di conoscere Jerod, sposarlo e ritirarsi a Blow; era stato quando risiedeva ancora a palazzo e credeva che la giustizia fosse di questo mondo. Miriam sapeva che accettare l’incarico di Aglaia avrebbe smosso i fantasmi del suo passato, ma non si era aspettata così tanto.  

L’elfo era molto diverso da come lo ricordava, ma non lo avrebbe potuto confondere con nessun’altro.
- Miriam tutto bene? sembra che tu abbia visto uno spirito. - le chiese Trevor, il locandiere. L’uomo vedendola entrare le era venuto incontro per salutarla.
- È probabile - fece lei elusiva – Sono loro i forestieri che stanno chiedendo di me e Jerod? - L’uomo si asciugò le mani con un panno e le annuì con un borbottio – Sì sono loro, è da un po’ che sono seduti li, per lo meno hanno pagato – aggiunse con un tono sostenuto della voce.
- Grazie Trevor - Disse la donna prima di avvicinarsi lentamente al tavolo.

Par, osservò Miriam, erano seduti davanti ad un boccale di birra, insieme a lui c’era un giovane uomo dai capelli castano chiari, quest’ultimo sembrava profondamente turbato e agitato. Dall’altra parte Par, notò ancora Miriam, mostrava una insolita calma guardando il giovane con aria serafica.
- Non ti preoccupare – lo sentì mormoragli
- vedrai che verranno loro da noi -
I due sembravano proprio non averla notata.
Il ragazzo stava per rispondere, quando Miriam s’intromise nel loro discorso.
- Par, Par, Par. Dopo quello che abbiamo passato più di dieci anni fa non credevo di rivederti di nuovo -
A quelle parole il volto dell’Elfo cambiò improvvisamente espressione, e si volse sorridendo verso il ragazzo che gli sedeva davanti:
- Hai visto? -
Gli occhi del giovane uomo si ridussero a due piccole fessure, mentre scuoteva esasperato la testa; Par lo ignorò, e girandosi verso la donna le disse
- Miriam. Non lo pensavo nemmeno io, ma eccomi qua -
- Per tutti gli spiriti, che cosa ci fai qui?! - tagliò corto lei.
A quel punto il ragazzo di fronte a Par si alzò dalla sedia e le si avvicinò, la sua voce era velata d’apprensione
- Siamo entrambi qui per Eleonor. Dobbiamo parlargli. È una cosa urgente. Aglaia ci ha detto che madre e figlia sono da voi -
Miriam fissò un attimo negli occhi il ragazzo. Questi erano di un nocciola chiaro, limpidi.
- Non so di quale Eleonor tu stia parlando – gli disse la donna come a voler saggiare la sua reazione.
Eragon non aveva tempo per lunghe spiegazioni, quindi prese la donna per un braccio e la invitò a chinarsi, poi girò il suo palmo destro e si sfilò il guanto che lo copriva, rivelando così il gedwey ignasia.
Gli occhi della donna s’illuminarono sotto il bagliore del marchio dei cavalieri. Eragon ricoprì subito il palmo.
- Dille del marchio, e capirà! –

Miriam guardò ancora una volta quel ragazzo e solo ora notò i suoi lineamenti, non era umano, ma nemmeno un elfo come Par; la donna aveva riconosciuto il simbolo sul suo palmo e questo le bastò per credergli. Miriam distolse lo sguardo dal ragazzo per rivolgersi ad entrambi.
- Aspettatemi qui, torno tra poco -
- Perché non possiamo venire con te? -
Gli fece Eragon bloccandola ancora per un braccio. - Non temere Cavaliere. In questo piccolo villaggio non ci sono guardie della regina, a meno che non le abbiano portate voi. – aggiunse alzandogli delicatamente il braccio per liberarsi. Eragon la lasciò andare ricadendo indietro sulla sedia mentre la donna uscì dalla locanda.
Ora dovevano solo aspettare.

Rimasti di nuovo soli Eragon cercò subito con la mente Saphira
La dragonessa li aspettava lontano dal villaggio. Fuori la pioggia continuava a cadere in abbondanza ed Eragon iniziò a percepire dalla sua compagna una serie di sensazioni sull’ambiente circostante: l’umidità sotto le zampe, il fango che si infila dentro gli artigli e le gocce d’acqua che scivolano lungo le squame.
Abbiamo incontrato Miriam e se tutto va bene tra poco incontreremo Eleonor – le disse Eragon non ancora convinto del piano di Par. - Tu come te la stai cavando?

Sto bene piccolo mio, due gocce d’acqua non sono nulla per noi draghi.

Eragon sorrise per rivolgersi di nuovo verso Par, ma, in quel breve frangente l’elfo aveva avuto tutto il tempo di alzarsi e dirigersi al bancone ordinando un’altra birra. Non si era nemmeno accorto delle occhiate furtive che gli venivano rivolte.
Il giovane cavaliere gli si avvicinò di corsa e lo trascinò via.
- Par, io non attirerei troppo l’attenzione -
L’Elfo stava per rispondere a tono, ma vide in viso il cavaliere che lo stava fissando livido, e ricacciò indietro una risposta mordace, limitandosi ad annuire.
Si andarono a sedere ad un tavolo appartato. Una volta seduti Eragon fissò a lungo l’elfo prima di parlare.

- Ora che siamo arrivati qui, credo che io e Saphira ci siamo guadagnati il diritto di sapere il motivo per cui hai voluto Eleonor con noi –.

Alla sua domanda Par aveva iniziato a far roteare il boccale di birra tra le mani e alzando appena lo sguardo dal tavolo guardò Eragon di sott’echio

- Va bene, te lo dirò. Ma vorrei che non giudicassi la mia scelta in maniera frettolosa –

- Non sono abituato a farlo – gli rispose semplicemente.

Par guadò Eragon per alcuni istanti prima di parlare, come a voler saggiare la verità delle sue parole.

- Bene, tutto ha avuto inizio con la comparsa della cometa e con il sogno che mi è stato inviato. - Eragon si avvicinò verso il suo interlocutore per sentire meglio.

– Inviato? Spiegati meglio -

- Come sai già, ero perso nel mio mondo ormai da anni, incurante di tutto ciò che mi circondava, quando un sogno non mi ha riportato nelle terre selvagge. Era come essere di nuovo li, non come negli incubi che spesso hanno tormentato i miei sogni. Era come… -

- una premonizioni – finì di dire Eragon. Par annuì contento di essere stato compreso.

- C’erano una bambina e una dragonessa, io potevo vedere loro ma loro non potevano vedere me –

- E pensi che quella bambina sia Eleonor? – chiese Eragon.

Par si limitò solo ad annuire. – Quando mi sono svegliato il mattino seguente ero come rinato. Non so spiegarti come ma tornai a parlare con la gente, così ho potuto sentire di voi, il resto della storia lo conosci – Eragon annuì con la testa poi chiese ancora.

- La dragonessa del tuo sogno, aveva le squame bianche? – alla sua domanda Par rimase in silenzio, restio a continuare.

- Par, rispondimi – lo incalzò ancora una volta Eragon. Par sospirò

- No, la dragonessa non era bianca, ma Zaffiro, si trattava senza dubbio di Saphira – disse – non c’era nessun’altro.

Eragon alzò un sopracciglio e rimase a pensare alle sue parole senza giudicarle, come gli aveva chiesto di fare, ma, da qualsiasi parte guardasse il suo racconto, questo continuava a non avere alcun senso per lui.  

– Ho abbastanza espertizza con questo genere di sogni da sapere che è impossibile conoscerne il significato se non nel momento in cui si avverano. Quando accadrà, ti assicuro, sarò come un rompicapo che magicamente si ricompone.

Se è la tua visione che vai cercando, spero solo che tu non abbia troppe aspettative a riguardo perché in ogni caso ti deluderà. – disse scuotendo la testa nel ripensare a quello che aveva vissuto lui.

- Davvero non hai domande o obiezioni a riguardo? – chiese Par stupito. Evidentemente l’elfo si aspettava una reazione diversa.

- Una domanda l’avrei – disse infine Eragon. Par alzò lo sguardo – Dimmi –

- Riguarda Miriam. Come fai a conoscerla? – gli domandò Eragon. Par abbassò di nuovo lo sguardo.

- Lei mi ha aiutato a fuggire quando ero prigioniero della regina a palazzo. Se non fosse per lei e per Phill, non sarei qui ora a raccontarti questa storia… -     

Eragon avrebbe voluto fare all’elfo altre domande ma in quel momento nella taverna rientrò Miriam. La donna non si era nemmeno tolta la mantella dalla testa ma fece semplicemente loro cenno con la mano di uscire.
Par e Eragon si alzarono di all’unisono e poggiando anche loro i cappucci sulle loro teste e la seguirono fino ad una casa appena fuori dal centro del villaggio. Ad aprire loro la porta fu la madre di Eleonor Lidia. Eragon non la vedeva dal loro primo incontro ad Abalon.
- Le circostanze della scorsa volta non ci hanno permesso di presentarci a dovere, io sono Eragon –

- Ed io sono Lidia. So che volete vedere Eleonor - disse la donna senza troppi preamboli per poi condurli ai piani superiori della casa mostrando loro la stanza della bambina.  

Non appena Eleonor riconobbe il cavaliere gli corse incontro con un sorriso di pura gioia dipinto sul piccolo volto.
- Eragon! – quasi gridò aggrappandosi alle sue gambe.
- Anche io sono contento di rivederti Eleonor – le sorrise il ragazzo accarezzandole la testolina bionda. Eleonor lo strinse per un altro po’, poi si scostò appena per guardare l’elfo dietro al ragazzo.

- Ciao Eleonor, io son Par –

- Tu sei un vero elfo? - chiese facendo sorridere Par che le annuì, la bambina si distaccò da Eragon e si avvicinò all’elfo per toccargli la punta delle orecchie. – Sei buffo – disse con una semplicità disarmante, Par si accigliò appena.

- Vuoi vedere una cosa ancora più buffa? – le chiese, la bambina annuì con la testa. Quindi l’elfo si coprì il volto con le mani e quando le riaprì aveva storto la bocca in un’espressione divertente. Eleonor scoppiò a ridere mettendogli le mani sul volto per farlo tornare come era prima. Anche Par toccò le sue mani e fu allora che avvenne una cosa del tutto inaspettata, gli occhi della bambina e di Par divennero completamente neri e i loro corpi si bloccarono per alcuni minuti
Quando tutto tornò alla normalità la madre corse immediatamente da lei. Eragon non aveva assolutamente idea di cosa fosse accaduto tra i due, ma sentiva che non c’era stato alcun pericolo.
Lidia, invece, preoccupata prese la bambina in braccio passandole le mani sul viso le scrutò gli occhi.

- Stai bene? –

- Sì, sto bene mamma. Ho visto un posto bellissimo, sai? Devo andarci con Par – Par ed Eragon si guardarono senza sapere come dire alla donna che la bambina aveva ragiona e che avevano intenzione di portarla con loro per un viaggio oltre il confine delle terre selvagge.

Miriam, come a intuire la situazione difficile, intervenne

- Perché non rimanete qui da noi questa notte. Domani, una volta riposati, potremmo parlare di ciò per cui siete venuti. –


Sembra che non abbiamo alternative, e accettare il loro invito e date le circostanze mi sembra la cosa più saggia. Gli fece mentalmente Saphira, non appena il cavaliere gli ebbe spiegato la situazione

Tu te la caverai da sola?

Non temere. Voi tre riposate, ma domani mattina dovremo subito ripartire, dovessi trascinare Par ed Eleonor con i miei artigli! gli rispose la dragonessa facendo scoccare mentalmente la lingua tra i denti, strappando così un sorriso al suo cavaliere.
D’accordo, dolcezza, ma stai attenta.

Ad Eragon e Par vennero mostrati due giacigli di fortuna sistemati ad un angolo della cucina
- Questo è il massimo che possiamo offrirvi – si giustificò Miriam prima di lasciarli per andare ai piani di sopra.
- È il miglior letto in cui ho dormito nelle ultime settimane. Vi ringrazio. -  gli fece Eragon con un sorriso sincero. Una volta soli, il cavaliere si slacciò prima il fodero della spada per poggiarlo vicino al letto, poi si sfilò la giacca. Rimasto solo con la camicia e i pantaloni si stese sul letto e chiuso gli occhi cercando di rilassarsi. Par accanto a lui aveva fatto altrettanto, al contrario di Eragon l’elfo riuscì quasi subito a prendere sonno. Eragon rimase ad ascoltare il suo respiro regolare fino a quando anche lui, esausto, non scivolò nel sonno. 

Era quasi l’alba nel villaggio di Blow, la pioggia aveva smesso di cadere già da alcune ore e sul terreno battuto, qua e là, si erano aperte alcune pozzanghere d’acqua su cui si riflettevano i profili grigi degli edifici intorno alla strada. Oliviana avanzava lentamente davanti ai due Ra-zac su quella che doveva essere la strada principale.

La pista che aveva seguito fino a quel momento era stato un clamoroso buco nell’acqua. Invano aveva fatto girare la voce di un imminente arresto così da invogliare qualche lingua a sciogliersi, ma il cavaliere si era come dileguato e l’ultima pista utile che aveva individuato era vecchia di settimane. Stava per tornare ad Abalon con un pugno di mosche in mano quando avvertì qualcuno usare la magia. Si stupì di quanto fosse vicina la fonte. Avvertiti i Ra-zac, il sicario avevano seguito la scia fino a Blow. Un piccolo villaggio di contadino e artigiani.

Oliviana tirò indietro il cappuccio scoprendosi viso e in quel momento una follata di vento arrivò leggera a scompigliargli i capelli. Incurante dell’acqua che inzuppava i suoi stivali avanzò lentamente sul terreno battuto, lungo la strada non c’era anima viva ad eccezione di un cane randagio che gironzolava in cerca di qualche osso; Oliviana chiuse gli occhi ed espanse la sua mente come le aveva insegnato tempo addietro Isobel. La donna poteva avvertire le coscienze d’ogni singolo abitante farsi largo nella sua mente, ognuna con i suoi problemi e le sue preoccupazioni. Pigramente si aggirò tra loro fino quando la su attenzione non fu attirata da una mente in particolare, vi si avvicinò piano, ma subito potenti barriere la bloccarono. Oliviana aprì i suoi occhi grigi con un ghigno sul viso, la fortuna stava dalla sua parte. Chiamò a sé i due Ra-zac:
- State pronti ad attaccare. -

Dalla posizione supina Eragon avvertì un fastidioso formicolio alla mano che gli fece spalancare gli occhi allertando tutti suoi sensi. D’istinto alzò le sue barriere mentali, non prima di lanciare a Saphira un grido di allarme. Prese con sé Speranza e se l’allacciò rapido alla cintura.

Nel villaggio era arrivato qualcuno in grado di usare la magia, lo aveva appena sfiorato ma gli era bastò per capire che non era un amico.
Andò per svegliare Par. La camera era ancora avvolta dall’oscurità, ma il cavaliere non ebbe alcuna difficoltà a individuare l’elfo e scuoterlo con decisione lo svegliò.
- Par ci hanno trovato, dobbiamo subito andare via – l’elfo ancora confuso e assonnato rispose con un mezzo grugnito.

-. Par devi alzarti! Qualcuno ci ha scoperto – Par era del tutto sveglio adesso e guardò Eragon spaventato
Subito dopo la porta della casa fu battuta con violenza. Eragon digrignò i denti e fece cenno a Par di saliere le scale – Vai da Eleonor e Lidia e portale via! Io li terrò occupati – Par non se lo fece ripetere due volte e sparì al piano di sopra.

Eragon rimase ad osservare l’entrata con entrambe le mani chiuse sull’elsa della spada. La porta venne aperta con un calcio. Il cavaliere si trovò a fronteggiare Oliviana e i due Ra-zac.

Erano tre contro uno pensò allarmato.
- Ci si rivede Cavaliere - gli fece sorridendo la donna.
Con un segnale silenzioso i due mostri scivolarono nell’ombra sparendo alle spalle di Eragon.
Eragon non poté impedirglielo, occupato a badare ad Oliviana che avanzava verso di lui. I suoi occhi grigi incrociarono per un attimo quelli nocciola di Eragon.
- Dove si trova il tuo drago, e cosa vi ha portato in questo villaggio? – gli chiese alla ricerca di un punto debole nelle sue barriere mentali.
Eragon continuava a fissarla senza parlare.
Anche il cavaliere saggiò le difese mentali della donna e, trovandole protette da potenti barriere, passò subito all’attacco.

Incominciarono così a scambiarsi una serie di fendenti molto veloci. Oliviana era agile per essere un’umana, ma ben presto Eragon riuscì ad avere la meglio su di lei. La disarmò con un agile colpo, mandò la sua spada lontano e le impedì di riprenderla. La donna cadde in ginocchio, e fissò il cavaliere. Aveva il respiro affannato. Eragon le puntò la lama sul suo collo, ormai indifesa
- Alzati! - le ordinò secco
Oliviana obbedì, ma non sembrava per nulla turbata. Si alzò riprendendo fiato, mentre con un sorriso maligno, lanciò il suo sguardo alle spalle del suo avversario. Eragon si girò di scatto, e dalla porta ne emersero i due Ra-zac.
Il cavaliere osservò con orrore che uno di loro teneva tra le sue grinfie Par ed Eleonor, mentre l’altro stava trascinando con sé Lidia e Miriam.
Eragon abbassò lentamente Speranza, mentre Oliviana, riprese la sua spada e la puntò trionfante contro di lui.
- Ora abbassa le tue difese, e dimmi cosa stavate cercando e dove eravate diretti. -  le disse osservando divertita il suo sguardo allarmato. Intanto i Ra-zac avevano oltrepassato Eragon, e spinti a terra Par e Eleonor. Il volto di Oliviana si allargò dallo stupore quando riconobbe chi aveva davanti.
- Non vi credevo così sciocchi da condurmi la bambina su un piatto d’argento. Vi ho sopravalutato a quanto pare! - disse guardando ora il cavaliere, poi si avvicinò piano alla bambina.
Lidia cercò subito di liberarsi dalla presa del Ra-zac, che non cedette di un millimetro.
- Eleonor! - Gridò disperata. Oliviana infastidita dalle urla si girò di scatto dalla sua parte e la guardò con freddezza, dietro di lei Miriam lottava per conquistare una posizione comoda tra le grinfie di quei mostri.

- Voi non mi siete di alcuna utilità - e a un suo cenno i due Ra-zac le trafissero al cuore con i loro artigli. Tutto avvenne nel giro di un battito di ciglia. Le due donne non ebbero nemmeno il tempo di rendersene conto, con gli occhi spalancati fissarono il vuoto mentre i loro i loro corpi crollavano a terra come delle bambole di pezza. Eragon rimase immobilizzato sul posto.
- No! – gridò mentre cadeva in ginocchio sotto il suo stesso peso. Cercò con lo sguardo Par, l’Elfo aveva avuto l’accortezza di coprire il volto della bambina con una mano per impedirle di guardare la scena. In quel momento soltanto un intervento di Saphira poteva ribaltare la loro situazione, ma il cavaliere non osava aprire la propria mente per non rivelare il piano ad Oliviana.

Sperò ardentemente che la dragonessa stesse già sopra la casa.

La sua attesa non durò a lungo, presto vennero raggiunti da dei rumori sopra il tetto, come di una folata di vento.
- Che cosa succede? - disse Oliviana guardando al soffitto.
Eragon approfittò di quel momento di distrazione per cercare di raggiungere Eleonor e Par, ma la lama dell’assassina lo raggiunse in un lampo, impedendogli di avanzare.
- Che credi di fare Cavaliere? -  gli disse, premendo la lama sul suo petto. Eragon indietreggiò lasciandosi scappare un gemito quando la lama penetrò nella carne, ferendolo. Eleonor, ancora tenuta stretta da Par cercò con lo sguardo il cavaliere. Era spaventata a morte. I loro sguardi si incrociarono per un attimo, ed Eragon ebbe la chiara l’impressione che stesse per mettersi a piangere, ma non lo fece. Un guizzo passò tra i due, la frazione di un attimo. Poi l’iride dei suoi occhi divenne bianca ed Eragon avvertì una forte energia sprigionarsi dalla piccina.
La casa, intanto, aveva cominciato a tremare sotto i colpi di qualcosa che le stava sopra. Era Saphira, che avvertito il dolore del proprio cavaliere, si era abbattuta a capofitto sulla casa; una crepa si aprì sul soffitto, uno dei Ra-zac si appiattì ad una parete, nel tentativo di evitare un calcinaccio.
Oliviana si apprestò a dare un colpo che avrebbe tramortito Eragon, ma in quel momento avvenne l’inaspettato. Dal petto della bambina proruppe una luce accecante, che squarciò l’aria, e che avvolse i presenti, allargandosi, fino a raggiungere anche la dragonessa. Poi una dolce quiete avvolse tutti loro, mentre la luce si affievoliva per poi spegnersi del tutto.

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Capitolo 14
*** Una nave nella nebbia ***


Quella mattina al porto di Antàra la nebbia si abbassò a formare una fitta cortina che avvolse ogni cosa come in un manto vellutato.

Per la giovane sentinella non era nulla di strano in quella stagione dell’anno, quello che lo stava irritando particolarmente era il ritardo di Stew, il suo compagno d’armi che doveva dargli il cambio. Dopo una monotona nottata di guardia, il pensiero di un comodo giaciglio e di un buon sonno era l’unica cosa a cui il giovane elfo riusciva a pensare.

Maledizione Stew, dove sei finito! Si lamentò mentalmente William mentre distendeva la schiena intorpidita per le lunghe ore fermo a scrutare un mare sempre uguale.

Lui, come metà dei suoi compagni di squadra, era troppo giovane ricordare gli anni della guerra, la tregua tra i loro popoli aveva dato a tutti una parvenza di normalità che l’arrivo dei quattro stranieri aveva portato via, aprendo a tutti loro gli occhi sulla fragilità di quella pace.

Da quando i turni di guardia si erano intensificati, tra molti era iniziata a serpeggiare la voce che le ostilità sarebbero riprese presto.

Passata la prima settimana, però, nulla era accaduto e la paura aveva lasciato il posto alla nuova convinzione che le cose non sarebbero cambiate così in fretta e molti, compreso Wiliam, avevano ripreso a vivere la loro routine di tutti i giorni con meno tensione.

Forse, fu proprio questo senso di sicurezza o, forse, perché vide l’albero della nave maestro solo quando se la trovò che a poche miglia dalla costa, che William quasi non cadde dalla sua postazione quado vide avvicinarsi la grande nave con le insegne di Zàkhara.

Lanciato l’allarme non passò molto tempo che il capitano Daco si precipitò nella stanza di guardia dove poté vedere con i propri occhi l’immensa nave. Era una nave ambasciata come indicava anche la bandiera bianca affianco a quella blu e rossa di Zàkhara.

- Con l’andatura che sta tenendo raggiungerà la costa nel giro di qualche ora – disse passandosi la mano tra i riccioli biondi prima di rivolgersi a William, In quel momento arrivò anche Stew. Dietro a Daco i due ragazzi erano spaventati a morte.

- Non c’è tempo da perdere, questa notizia deve essere trasmessa immediatamente a palazzo. Lei, William, si prepari ad accompagnarmi dal re. Mentre lei Stew – disse rivolgendosi al cadetto appena giunto al posto di guardia con i lembi della giacca sbottonati e gli stivali appena infialati sopra i pantaloni – si renda presentabile perché avrà lei il comito di accogliere l’ambasciatore al porto – I due amici ebbero solo il tempo di darsi un fugace sguardo prima di dirigersi ai loro alloggi. Per tutto il tempo che impiegarono a prepararsi non dissero una parola, entrambi consapevoli di stare per entrare nel vivo del conflitto.  

 

***

Jill era di fronte a Murtagh e lo stava aiutando ad allacciare i bottoni della casacca. Le sue dita sottili seguirono la striscia dell’asola fino a raggiungere il colletto per poi accarezzare il volto del cavaliere e baciarlo con tenerezza.

Murtagh strinse le mani della compagna tra le sue e ricambiò il suo bacio, poi la prese sui fianchi e la tirò su. Il corpo di Jill era snello e agile e, con le gambe, la ragazza si avvinghiò alla vita del cavaliere. I loro volti era uno di fronte a l’altra, adesso, e Murtagh notò una luce balenare dai suoi occhi cobalto    

- Oggi vuoi davvero iniziare a combatta con il ragazzo con le spade? – chiese lei mentre gli accarezzava i riccioli scuri. Murtagh aveva chiesto a Jill di partecipare a una delle sessioni di allenamenti di Reafly mentre ancora si stavano allenando con i bastoni. La giovane donna non era solo un eccellente spadaccina ma anche terribilmente letale con i coltelli. Il suo vecchio maestro, Cadoc, aveva spesso fatto rimanere a corte diversi maestri d’armi per permettere al giovane Murtagh di cimentarsi con tecniche di combattimento diverse e così voleva che Reafly imparasse anche da lei.

- Sarà un combattimento controllato. – le disse - Ho intenzione di porre un incantesimo sulle armi che useremo. Non cambierà nulla ma impedirà alle lame di arrivare a ferire mortalmente – Jill lo guardò curiosa di quella novità, negli anni di servizio sotto Galbatorix non aveva mai visto in atto una tale magia

- Per cui non vi ferirete ma potreste comunque procurarvi dei bei lividi – aggiunse lei per poi scivolare piano a terra.  

- Giusto – rispose Murtagh sorridendo tra sé. Ricordava come era stato Eragon a mostrargli per la prima volta quell’incantesimo. Già allora era evidente che venivano da due mondi diversi. All’epoca del loro viaggio verso i Varden aveva osservato a lungo il fratello con ammirazione, mentre già con precisione imitava i gesti di del suo maestro Brom; la sua mente non aveva fatto altro che pensare a come in tutti gli anni vissuti all’ombra di Morzan, certe accortezze non erano state mai usate con lui, come proteggere le lame durante gli allenamenti. Nascosto dietro le sue barriere fatte di paura e di rabbia non riusciva a capacitarsi come Eragon riuscisse a mostrare una così candida fiducia verso coloro che, secondo la sua esperienza lo avrebbero dato volentieri in pasto a Galbatorix solo per salvarsi la pelle.

A distanza di anni, oggi Reafly non era molto diverso da come era Eragon allora, non aveva certamente il suo intuito con la magia e incespicava spesso nella pronuncia dell’antica lingua, ma aveva un cuore puro e Murtagh avrebbe fatto di tutto per mantenerlo tale il più a lungo possibile.

- Murtagh tutto bene? – gli chiese Jill scuotendolo per un braccio. La ragazza si era già allacciata i suoi coltelli alla cintura. Murtagh si limitò ad annuire quindi prese Za’roc e se la assicurò alla vita.

- Solo un pensiero fugace. Andiamo – le disse prima di uscire prendendola per mano.

Ma aperta la porta si trovarono difronte Xavier. L’uomo era scuro in volto

– Un’ambasciata di Zàkhara sta per raggiungere il nostro porto. Isobel ha sferrato il suo primo attacco usando la diplomazia – disse loro con voce roca.  

- L’ambasciatore ha espressamente richiesto la nostra presenza. Reafly e Aglaia sono stati già avvertiti – continuò. Involontariamente Murtagh strinse ancora più forte la mano di Jill.

- Ha detto proprio il nome di Reafly? – il volto di Xavier si fece ancora più cupo

- A quanto pare sì. Il protocollo prevede che all’ambasciatore che porta con sé una bandiera bianca sia concesso di parlare di fronte al re e che sia trattato con tutto il rispetto riservato a un ospite –

- Si può parlare ma non si può agire – commentò Murtagh con una smorfia dipinta sul volto, i sotterfugi della diplomazia non gli erano mai piaciuti.

 

***

La maestosa nave attraccò al porto qualche ora dopo il suo avvistamento. Tutto il veliero era fatto per ostentare la potenza e la forza di Zàkhara e un senso di timore accompagnò la discesa del suo equipaggio che fu accolto da Stew e condotto a palazzo.

Il nome dell’ambasciatore, Asha, aveva già iniziò a passare di bocca in bocca. Era un uomo in apparenza insignificante, pensò Murtagh mentre lo osservò da lontano entrare nella sala del consiglio; di statura piccola, capelli scuri e radi, il volto sottile, incorniciato da una barbetta fine che finiva con un pizzetto, unico accento stravagante del suo aspetto ordinario. Anche le vesti erano semplici e prive di fronzoli, solo quando gli passò vicino poté notare il suo sguardo impassibile di chi sa di avere potere. La sua mente era ben protetta, come era da immaginarsi, e in quel momento Murtagh seppe che le apparenze non dovevano ingannarlo e che l’uomo doveva essere mol mito più pericoloso di quanto apparisse.  

Murtagh si girò verso Arya. Anche l’elfa stava osservando l’ambasciatore con attenzione e rivolse al cavaliere uno sguardo di intesa.

Dalla partenza di Eragon, l’atteggiamento dell’elfa nei suoi confronti si era molto ammorbidita. Murtagh doveva ancora abituarsi a questa nuova versione dell’elfa, molto più aperta a condividere i suoi pensieri e le suo intenzioni su quanto stava avvenendo intorno a loro; l’altro giorno Arya lo aveva invitato a partecipare a una conversazione con sua cugina Elodie, attraverso la cristallomanzia. Riuniti interno allo specchio di un catino d’acqua Arya aveva pronunciato le parole magiche, draumr kòpa e e sulla superficie liscia d era apparsa l’immagine dell’elfa. Dopo un iniziale scambio di convenevoli riguardo lo stato del loro popolo sulla loro salute e sulla gravidanza di Arya, i toni della loro conversazione cambiò rapidamente. Elodie si era dimostrata molto sensibile al conflitto in atto con Isobel e ascoltò con attenzione ciò che Murtagh le raccontò riguardo alla regina. Al contrario di Arya non si dimostrò altrettanto generosa nel parlare dei suoi intenti, l’ombra della sua servitù a Galbatorix era difficile da cancellare. Solo a fine conversazione Arya gli accennò alla possibilità di un loro intervento oltre mare.

Ora, con quell’unico sguardo, Arya stava suggerendo al cavaliere che era arrivato il momento di agire, doveva solo fidarsi di lei. Murtagh le annuì in un tacito assenso poi entrambi furono richiamati di nuovo a porre l’attenzione a ciò che stava accadendo intorno a loro.

Asha era infine giunto di fronte al re e, in presenza dell’intero consiglio, aveva chiesto il permesso di comunicare l’ambasciata della regina.

L’uomo passò il suo sguardo sui presenti fino a fermarsi su Aglaia e su Xavier.

- La regina Isobel chiede l’immediato rientro a Zàkhara della sua ancella Aglaia e del capitano delle guardie reali Xavier. – disse con voce fredda. - Dovrete consegnarvi entrambi alla nostra autorità per essere portati di fronte alla giustizia e rispondere delle accuse di altro tradimento. -  continuò senza mai togliere lo sguardo dai diretti interessato. Solo l’immunità diplomatica gli consentiva di avanzare certe richieste. Dopo una lunga pausa il suo sguardo riprese a cercare tra i presenti; ignorò Arya e Jill per fermarsi infine su Murtagh e su Reafly seduto al suo fianco.

- Anche i cavalieri qui presenti e i loro draghi sono invitati a seguirci. Isobel vi concederà la possibilità di cancellare le vostre colpe prestando un giuramento di fedeltà – disse rivolgendosi, come aveva fatto in precedenza direttamente a coloro che aveva nominato.

Seduto in mezzo ai membri Reafly si congelò sul posto quando lo sguardo dell’ambasciatore si posò proprio su di lui. Possibile che la regina lo sapesse? Come una doccia gelata, quella verità lo lasciò senza fiato impedendogli di pensare ad altro. Accanto a lui Murtagh lo strinse a sé con fare protettivo trattenendosi a stento dal rispondere all’uomo costretto, come tutti loro, solo ad ascoltare in virtù del protocollo.    

- Qualsiasi risposta negativa – riprese tornando a guardare il re - anche ad una sola delle richieste, sarà considerata una rottura della tregua e la ripresa delle ostilità. Isobel vi chiede, a ragione, solo ciò che le è stato sottratto con l’inganno. Quattro vite in cambio della pace di un intero popolo – finì di dire l’uomo massaggiandosi il pizzetto mentre si godeva con soddisfazione all’agitazione che le sue parole avevano provocato.     

Asha aveva finito il suo messaggio e attese la risposta obbligata del re che doveva congedarlo per lasciare il consiglio decidere.

Senza indugio Arold prese la parola - Abbiamo ascoltato le richieste di Isobel, ambasciatore. Ora concedici il tempo di valutarle. Nel frattempo, come è consuetudine, sarete nostro ospite e trattato come tale – disse facendo uscire quelle ultime parole con grande fatica.

Murtagh osservò il re chiudere gli occhi sulla sala mentre Asha usciva sorridente. Quando li riaprì il suo sguardo vagò tra i volti attoniti dei suoi consiglierei.

- Questa ambasciata è una farsa, è evidente. La regina vuole provocarci - esordì il re placando il brusio che si era venuto a creare ora che i vincoli che li avevano trattenuti fino ad ora non c’erano più. Non c’era stato bisogno di sondare la sua menti per capire che l’intenzione dell’ambasciatore era quello di diffondere il panico

- Isobel ci sta chiedendo di sottometterci alla sua volontà, dimenticando il valore della lealtà e della solidarietà – continuò Arold senza indolire le parole.

Tra il consiglio si alzò la voce di Daco. – Questo significa scatenare una guerra aperta. Tutti noi, compresi Aglaia e Xavier, sappiamo di essere inferiori alle forze di Zàkhara per numero e forze –

- Lo so Capitano – lo interruppe il re con tono brusco, anche se riconosceva la verità nelle sue parole. Non avevano una flotta con cui difendersi e i loro maghi avevano appena iniziato a studiare l’antica lingua.

Fu allora che Arya prese parola. Non appena l’elfa si fece avanti, il brusio cessò e in quello stesso momento Murtagh seppe cosa voleva dire.

- Sire, la scelta di resistere è coraggiosa e se la intraprenderete sappiate che gli elfi di Alagaësia saranno al vostro fianco. Il nostro popolo possiede una considerevole flotta navale di quasi duecento unità. È preservata dalla magia e conservate nei recessi più interni del fiume Anora - Arya fece una breve pausa per saggiare l’effetto delle sue parole. Aveva su di sé l’attenzione di tutti

 - Per il legame di sangue che ci unisce e per la nostra avversione alla tirannide, mia cugina, non ci negherà il suo aiuto. Lo stesso faranno gli altri popoli liberi di Alagaësia. -

Anche Murtagh davanti a lei stava osservava le varie reazioni. Fino a qualche giorno fa nemmeno il cavaliere era a conoscenza della presenza di un arsenale elfico. Sapeva solo che quel popolo venivano dal mare e che sapeva mantenere con gelosia loro segreti. Il filo dei suoi pensieri venne interrotto dalla voce del re.

 - Quello che dici ci riempiono di speranza Arya svit-kona, ma la distanza tra i nostri paesi è grande. Quanto tempo credi ci impiegherà la vostra flotta a raggiungerci? –

- Il nostro viaggio è durato tre mesi – disse Arya e rivolgendo un fugace sguardo a Murtagh. - Ammettendo che servirà altrettanto tempo per i preparativi stimerei un loro arrivo non meno di sei –

- In questo modo potremmo essere tutti servi della regina! – si alzò una voce allarmata

- Signori del consiglio vi prego! - Dovette gridare il re per placare gli animi

- Sei mesi sono tanti ma, data la nostra situazione, non possiamo sperare di più –

Poi una voce si alzò tra tutte.

- Se qualcuno indicasse loro una rotta il viaggio sarebbe più breve – Arold alzò una mano per far tacere tutti. Era stato Xavier a parlare. L’uomo fece ruotare l’anello che aveva al dito prima di alzare la mano e mostrare il sigillo del re.

– Tempo addietro mi avete consegnato questo anello come segno di stima e di protezione. Ora è arrivato il momento per me di ricambiare la fiducia concessa, ma non ho né un equipaggio né una nave per poter viaggiare –

- La mia nave è pronta ed equipaggiata – si fece avanti Daco. Arold annuì e si fermò a guardare il resto della platea

- Il consiglio acconsente la partenza di Xavier con la nave del capitano Daco? Si metta ai voti -  

Uno ad uno i consiglieri si alzarono per dare il loro consenso.

- Allora è deciso. – disse infine il re con una certa soddisfazione nella voce. Non si sarebbe aspettato di meno da parte del consiglio.

La situazione era mutata a loro favore c’erano ancora alcuni punti in sospeso. Il re prese un po’ di tempo per scegliere bene le parole, poi rivolgendosi a tutti presenti.

- Amici miei. Non dimentichiamo che Eragon Par e Saphira sono ancora in missione nelle terre selvagge; ed ora che anche Xavier e Daco partiranno, qui dobbiamo resistere agli attacchi che la regina sicuramente sferrerà.  

Cavalieri – disse rivolgendosi a Murtagh e Reafly. – la nostra offerta di asilo sarà sempre libera da vincoli. Non vi imporremo nessun giuramento di fedeltà come chiede Isobel, ma date le circostanze dobbiamo sapere se in questa battaglia sarete al nostro fianco. –

Murtagh e Reafly si alzarono in piedi. Fino a quel momento non si erano pronunciati limitandosi ad ascoltare, in silenzio. Ora era arrivato il momento di esprimere le loro volontà. Era importante che ciò venisse reso pubblico davanti al re al suo consiglio.

Fu Murtagh a parlare per primo. Il moro aveva soppesato da tempo questa possibilità insieme a Castigo. Per la prima volta, da quando aveva memoria, era stata data loro una possibilità di scelta. Per i due compagni la strada da percorrere era chiara e non fu difficile decidere con chi schierarsi.

- La mia spada sarà sempre in indifesa della libertà maestà, così come anche gli artigli di Castigo – affermò senza esitazione.   

– Qual è invece la rua risposta Reafly? – chiese il re.

Il ragazzo avvertì la presenza di Gleadr ai confini della sua mente. Il piccolo drago stava sgomitando per farsi sentire, chiamandolo a gran voce. Reafly si rimproverò per quella mancaza e si affrettò ad aprirgli la mente

Gleadr scusami disse mortificato. Il drago sentì subito che la mente del compagno era confusa. Murtagh, il suo maestra, aveva appena dato la parola che si sarebbe schierato con il popolo di Antàra ed ora il re stava chiedendo loro la stessa cosa.

Sarà bene che anche noi diamo una risposta. Coraggio… lo invitò con dolcezza quando non sentì alcuna risposta da parte del suo cavaliere.

Gleadr lo so che combattere la regina è la cosa giusta da fare. Arrivato a questo punto non temo per la mia vita ma per quella di mia madre e di mia sorella. Ho paura che possa fare loro del male o che lo abbia già fatto!

Reafly avvertì l’apprensione e il dolore provenire dal cucciolo di drago. Non solo Gleadr poteva capirlo fino in fondo, ma attraverso il loro legame era in grado di percepire le sue sensazioni. Il cucciolo si era assentato nel tentativo di trovare le parole giuste per rispondere 

Allora Reafly combatteremo anche per la loro libertà. Non possiamo permetterci che la paura ci fermi gli disse. Reafly percepì un’andata di calore e di affetto che gli infuse coraggio.

Si rese conto che per tutta la sua vita si era sentito fuori posto; nonostante fosse circondato dagli affetti più cari, nonostante l’amore sconfinato della madre e quello sincero della sorella una parte di lui era stata sempre alla costante ricerca di qualcos’altro. Ora a miglia di distanza da casa, accanto a persone che conosceva appena, sentì di averlo trovato. Per la prima volta nella sua vita non provava più la sensazione di essere perso.

Hai ragione Gleadr, sono pronto disse se lo sei anche tu

Lo sono…

Come destato da un sogno Reafly si accorse come gli occhi di tutti i presenti lo stessero osservando. Il ragazzo riuscì a stento a nascondere un certo rossore, ma, grazie a Gleadr, aveva preso finalmente la sua decisione.

- Anche io e Gleadr combatteremo al vostro fianco. -

 

  

 

 

 

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Capitolo 15
*** Risvegli ***


Shurtugal…….……

L’eco del suo vero nome rimbombò ancora e ancora nella sua testa lasciandolo in un dolce stordimento. Poi il buio avvolse nuovamente tutto ed Eragon si svegliò con l’odore di terra umida nelle narici e la sensazione di freddo là dove il muschio bagnato dalla rugiada mattutina aveva inumidito i vestiti.

Ancora immobile allargò la sua mente e chiamò Saphira. La risposta della dragonessa non tardò ad arrivare.

Sono sopra di te piccolo mio

Al suono della sua voce Eragon aprì gli occhi e sorrise, in quel momento la sua grande ombra passò sopra la radura oscurando per un secondo la luce filtrata dalle alte chiome degli alberi.

Il ragazzo fece per alzarsi, era ancora un poco stordito, quando l’improvvisa fitta al petto gli ricordò il taglio provocato dalla spada di Oliviana. Come un torrente in piena, gli tornarono in mente tutti gli avvenimenti della notte passata. L’irruzione del sicario, la morte terribile di Miriam e Lidia per mano dei Ra-zac, l’arrivo di Saphira e alla fine, proprio quando tutto sembrava perduto, lo scoppio di quella luce bianca e il candore che li aveva avvolti e portati via.

Saphira atterrò leggera sul terreno umido e guardò Eragon. Un cavaliere come te non dovrebbe lamentarsi per un graffio così piccolo Lo rimproverò bonariamente facendo ondeggiare la coda a destra e a sinistra.

Eragon aggrottò appena la fronte. Un piccolo graffio dici?... sbuffò lui fingendosi per un attimo offeso. Saphira schioccò le labbra divertita.

Hai per caso idea di dove ci troviamo? Le chiese lui cambiando argomento e andando incontro alla sua compagna di “di cuore e di mente”.

Gli occhi di Saphira scintillarono. Data l’estensione della foresta non possiamo che trovarci nella Stonewood. Ma non è tanto il dove a sorprendermi, ma come ci siamo arrivati.

Eleonor mi stava guardando quasi in lacrime. Iniziò a ricordare Eragon.

Poi ha sprigionato quella luce. È stato come… ritornare alla Volta delle Anime! Si rese conto in un attimo. Eragon alzò lo sguardo su Saphira che lo stava ancora guardando con i suoi grandi occhi zaffiro.

E’ stato il potere dei nostri veri nomi a portaci qui, anche se non credo che Eleonor ne fosse pienamente cosciente. Concluse lui alla fine.

Lo penso anche io. gorgogliò Saphira. Ma lei non è qui…

A quelle parole Eragon si guardò intorno. Non ci mise molto a capire che non erano soli nella radura. Nascosto dai lunghi fili d’erba, riconobbe per primo Par e più in la, scoprì con stupore che con loro c’era anche Oliviana.

È ancora addormentata. L’ho tenuta d’occhio fino ad ora. Si affrettò ad informarlo Saphira. Eragon aveva già lanciato una breve sonda mentale verso il sicario. La donna era completamente incosciente. Il giovane le si accostò e con cautela le tolse le armi che aveva con sé e le scrutò con attenzione il viso. Era pallido e teso. – Qualcosa non va in lei… - iniziò a dire ma la sua attenzione venne ancora una volta richiamata dalla voce Saphira.

Eragon anche Par si sta svegliando. Presto vieni!

Eragon corse subito accanto all’elfo e prima che potesse muoversi gli posò una mano sulla spalla e gliela strinse con decisione:

- Non ti alzare subito, aspetta un attimo. Non capita tutti i giorni di udire il proprio nome nell’antica lingua – gli disse sentendolo tremare come una foglia.

- Eleonor?! – chiese l’elfo con un filo di voce.

– Lei non c’è Par – Par scansò subito la mano del cavaliere e ignorando le sue raccomandazioni si mise in piedi continuando a tremare.

- Cosa vuoi dire non c’è? – chiese barcollando sulle gambe. Eragon non poteva aiutarlo e scosse la testa, desolato, mentre veniva investito da tutto il dolore e la sofferenza di Par.

- Era nostro dovere proteggerle. Lidia e Miriam…non…non si meritavano una fine così - disse senza riuscire a finire la frase e crollando miseramente sulle ginocchia. Eragon scambiò un breve sguardo con Saphira, entrambi erano consapevoli del grande debito nei confronti delle due donne e di Eleonor. 

- Tutto quello che so è che dobbiamo ringraziare lei se ora non siamo tutti nelle mani di Isobel – a quelle parole il volto di Par si fece ancora più scuro, poi l’elfo incespicò verso Saphira, sganciò il suo zaino appeso alla sella e tirate fuori le carte iniziò ad osservarle con sguardo febbrile. Le sue piccole dita iniziarono a muoversi sulla carta ripercorrendo il percorso che lui stesso aveva tracciato. – Dove siamo adesso? – bofonchiò più che altre a sé stesso.

Eragon gli si avvicinò guardandolo con apprensione. Abbassò con una mano il bordo della cartina e cercò il suo sguardo.

- Par ti avevo messo in guardia sul fatto che i sogni premonitori non si rivelano mai per quello che sembrano –  

Par annuì, continuando a guardare la carta. – Lo so, me lo avevi detto, ed ora dovrò convivere con il peso della loro morte per il resto della mia vita –

- Anche io sento un enorme peso nel cuore, ma so che devo andare avanti e che non posso addossarmi tutta la colpa di quello che è successo - 

- Infatti è stata tutta colpa mia Eragon –

- Non è stata neanche tutta tua Par.-

- Non è quello che continua a gridare la mia coscienza –

Eragon sospirò - Le nostre azioni hanno delle conseguenze Par. La sola cosa che possiamo fare è convivere con le scelte facendo del nostro meglio con i mezzi che ci vengono dati. Oggi il fato ci sta mettendo di fronte a percorso difficile, ma questa volta possiamo fare la scelta giusta –

Par lo guardò interrogativo – Cosa vuoi dire con questo? – chiese. 

Eragon allora rivolse il suo sguardo verso Oliviana. Alla vista del sicario Par sgranò gli occhi pieno di orrore - È la donna ha fatto uccidere Miriam e Lidia! – l’elfo tremò dalla rabbia.  

– Perché è qui? –

- A quanto pare anche lei è stata risucchiata dalla magia di Eleonor – Disse.

Senza alcun preavviso Eragon vide Par tirare fuori dalla sua cintura uno stiletto – Questa donna merita di morire - disse facendo un passo in avanti con l’arma bianca stretta a pugno tra le mani.

- No Par! Non possiamo farlo – Eragon fermò la sua mano con fermezza ma senza usare la forza. Par lasciò la presa sulla lama e voltandosi verso Eragon lo guardò furente.

- Perché mi hai fermato? Hai detto tu che dobbiamo agire con i mezzi che ci vengono dati. Sai meglio di me che meriterebbe di essere lasciata qui alla mercé delle belve feroci – gli urlò Par esprimendo tutto il suo disprezzo.

Eragon sostenne lo sguardo dell’elfo – È completamente indifesa Par non ha la possibilità di difendersi –

Par scosse la testa. - Come puoi mostrarti tanto comprensivo dopo aver visto quello che ha fatto? -

- Tu mi stai chiedendo di porre fine a una vita. Nessuno dovrebbe arrogarsi pe sè un tale diritto - 

- Allora cosa vuoi fare con lei? – rispose arrendendosi alle sue parole.

- Per adesso la porteremo con noi. Decideremo cosa fare strada facendo – Par sgranò gli occhi ma non replicò.

Eragon sei certo di quello che fai? Gli domandò Saphira poco dopo.

Sì Saphira rispose Eragon avvicinandosi a lei per smontare la sella dal suo dorso.

- Ci accamperemo qui in attesa del suo risveglio –

**

A metà pomeriggio l’assassina cominciò a muoversi e ad agitarsi. Eragon le posò preoccupato la mano sulla fronte. Scottava.

- Per favore Par portami una scodella d’acqua e degli stracci. Par eseguì quello che gli era stato detto e si accoccolò ai piedi di un albero ad osservare i gesti del cavaliere.

Eragon si ricordò di quado in fuga fa Gil’ead aveva sondato la mente di Arya per scoprire il motivo del suo lungo sonno e come lei stessa lo avesse informato del veleno che la stava uccidendo e di come creare il suo antidoto. Ora aveva intenzione di fare con stesso con la mente del sicario.

Informò Saphira della sua idea.

Che cosa ne pensi? Le chiese una volta esposto il piano nei dettagli.

Va bene provaci, ma stai attento! Questa donna conosce le arti magiche. Anche se è debole e disperata potrebbe decidere di fare gesti estremi pur di ritornare libera.

Starò attento. Le fece Eragon con un lieve sorrise.

Eragon guardò Oliviana intensamente prima di inginocchiarsi al suo fianco. Chiuse gli occhi e rompendo le barriere della mente entrò in quella del sicario.

Come doveva aspettarsi era ben protetta. Eragon ne saggiò prima la forza. Era molto resistete. Ogni barriera, però, aveva un suo punto debole e questa non faceva eccezioni. Così si mise ad esplorare ogni centimetro della sua superficie fino a quando non incontrò una piccolissima falla. Era quasi invisibile ma c’era.

Dopo una serie di tentativi andati a vuoto la barriera incominciò a cedere. Lentamente iniziò a sgretolarsi e quando alla fine si sgretolò del tutto Eragon esultò per il successo. La sua felicità durò poco. Non appena varcata la soglia, infatti, la barriera si rialzò con una rapidità sorprendete. Era una trappola!

Eragon non fece in tempo a rendersi conte di cosa stava accadendo che una forza lo afferrò per la gola e cominciò a stritolarlo.

No…non ti vo… voglio fa... fare male, sono venuta per aiutarti. Riuscì a dire nell’antica lingua.

Oliviana fermò l’attacco ma le barriere erano ancora alte.

Perché lo fai? Gli chiese mentalmente.

Eragon sapeva che la sincerità era l’unica arma capace di far breccia nella mente del sicario.

So cosa significa la sofferenza che provi. Anche io mi sono trovato di fronte a me stesso. È difficile sopportare il peso della verità.

A quelle parole Oliviana si ritrasse d’istinto. Tutto il suo essere fu di nuovo scosso da potenti tremiti. Fu costretta a lasciare la sua presa sul cavaliere che di nuovo libero, però, non accennò allontanarsi.

Scaccia via la paura. Devi reagire! La incitò lui mettendoci tutto se stesso nelle sue parole.

Il tuo corpo è rimasto incosciente per tutto il pomeriggio e hai la febbre alta.

E tu hai pensato di entrare nella mia mente per vedere cosa stava accadendo?

Sì, più o meno era quella l’intenzione.

Eragon continuava a starle accanto. Una nuova ondata di pensieri e ricordi prese a balenargli davanti agli occhi. Aveva sempre creduto di meritare di essere sola. Per tutta la sua vita aveva ricevuto solo disprezzo dagli altri, tranne da Isobel.

Così, almeno, aveva creduta fino a quel momento. Perché ora quegli stessi ricordi le apparvero sotto la luce adamantina della verità dell’antica lingua. Senza trucchi o sotterfugi vide come era stata lei stessa a crearsi quel guscio protettivo fatto di odio rancore che non aveva permesso a niente e a nessuno di avvicinarla rendendola insensibile al mondo esterno. Un mondo che, se solo lo avesse voluto, le avrebbe aperto le sue porte.

Grazie al sostegno di Eragon Oliviano non si lasciò travolgere di nuovo da quei ricordi e la seconda volta che guardò la verità negli occhi si aggrappò a lui con tutte le sue forze. Nell’oscurità della sua disperazione le era stata tesa una mano e Oliviana aveva scelto di afferrarla.   

Lentamente, ad una ad una, le barriere intorno alla mente del sicario iniziarono a dissolversi. Eragon l'aiutò ad emergere dall’angolo buio della sua coscienza in cui si era rifugiata.

Era passata un’ora da quando finalmente Eragon aprì gli occhi.

Il suo voto era contratto come tutti i muscoli del suo corpo. Accanto a lui anche Oliviana stava riprendendo lentamente i sensi. Par da lontano li stava osservando a debita distanza, era profondamente colpito.


Ci sei riuscito piccolo mio! Gli fece subito Saphira.
Eragon ricambiò il commento con un sorriso, era ancora parecchio scosso.
Oliviana, intanto, aveva aperto gli occhi, e si stava tirando su. La testa gli faceva male. Eragon fece per aiutarla, ma la donna lo scansò via con violenza. Con una velocità sorprendente il sicario prese un piccolo coltello da dentro il suo stivale sinistro, unico oggetto sfuggito alla perquisizione e lo puntò fulminea contro il collo del cavaliere

Saphira le ringhiò minacciosa. Ma la sua lama era troppo vicina al collo di Eragon perché la dragonessa potesse fare qualcosa.
- Che cosa stai facendo! Oliviana? - gli chiese Eragon, guardandola con stupore.
- Illuso! Ti ho permesso di aiutarmi, solo per riuscire a svegliarmi! - Gli disse con disprezzo. Gli occhi di Oliviana si chiusero a fessura, ed Eragon ebbe l’impressione che stesse per affondare la sua lama. Chiuse gli occhi pronto a ricevere il colpo fatale, ma proprio in quel momento, la donna ebbe uno svenimento.

Indebolita dalla febbre, gli cadde il coltello dalle mani, e si accasciò su un ginocchio.
- Maledetto! - sibilò a denti stretti
Eragon colpì il coltello con un calcio e lo lanciò lontano. Poi prese la donna per i polsi, e la fece alzare.
- Che ti avevo detto, sarebbe stato meglio lasciarla li, dove era, e andarcene via – fu il solo commento di Par alle sue spalle.
Ma Eragon non voleva arrendersi, anche se i fatti gli diceva il contrario.
Eragon, sono fiera di te, ma spero tu sappia cosa stai facendo. Non mi fido di lei. Per ora non può nuocerci, ma quando avrà ripreso le forze non sarà così.

Forse dovresti tenere in considerazione l’idea di Par…non è del tutto sbagliata.
Lo so. le rispose deciso Eragon, lo sguardo teso, che si rilassò non appena si girò dalla sua parte:

Per questo dovremo tenere gli occhi vigili, Tu ed io.
Eragon… Ma il ragazzo le aveva già voltato le spalle per concentrarsi su Oliviana che continuava a guardarlo con odio.
- Beh, che tu lo voglia o no, ora verrai con noi – gli disse con tono di voce duro.
- E chi vi dice che io sia d’accordo! -
Oliviana, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di mostrarsi indifesa di fronte a lui. Ma in quel momento lo era. Il cavaliere gli aveva salvato la vita, quando avrebbe potuto lasciarla morire…Perché lo aveva fatto?
- So che sai usare la magia, ma non credo ti convenga scappare, questi luoghi sono pericolosi anche per una come te. Inoltre, con Saphira, non sarebbe difficile riprenderti. –
Gli occhi dell’assassina si spalancarono nel vedere Saphira avvicinarsi con uno dei suoi occhi azzurri, e scocciarle con la lingua un sonoro ammonimento.
- Molto bene, ci rimetteremo in viaggio domani mattina –
- Perché non ora? - gli fece eco Par da dietro.
- Molto presto farà buio e sotto la boscaglia l’oscurità ci raggiungerà anche prima. Io e Saphira potremmo orientarci anche senza luce, ma tu e Oliviana no -
- Cosa facciamo con lei? – gli chiese Par guardando la donna.
- Le legheremo le mani, per ora, e organizzeremo dei turni di guardia -
Oliviana guardò prima Par poi Eragon, con occhi di fuoco. Si lasciò legare le mani, ma prima che Eragon potesse scostarsi da lei, gli si avvicinò ad un orecchio, e gli sussurrò con un ghigno

- Stai attento Cavaliere, perché tornerò presto libera e quando lo farò colpirò te o la tua dragonessa con tale forza che ti pentirai di avermi aiutata. Nulla è più importante della mia vita -
Poi si accasciò su un fianco, sfinita. Eragon non le rispose neanche, ma sentì un brivido dietro la schiena mentre si allontanava da lei.
Cosa ti ha detto? Non potevo sentirvi. Gli chiese Saphira, una volta che si fu allontanato da lei. Probabilmente era stata la stessa Oliviana a schermare la loro conversazione, Eragon si girò un attimo a guardarla
Niente d’importante Saphira…

- Ora dobbiamo mangiare qualcosa e andare a riposare – finì di dire rivolgendosi a Par.
Saphira conosceva troppo bene Eragon per capire quando qualcosa lo turbava. La dragonessa emise un sonoro sbuffo di protesta, non gli piaceva che ci fossero segreti tra loro.

Senza staccargli gli occhi da dosso Saphira si accoccolò accanto a uno degli alberi che circondavano la raduna, mentre Eragon si adoperava a preparare la cena.

Finito di sistemare una pentola sul fuoco il ragazzo la raggiunse e, appoggiandosi con la schiena al ventre della dragonessa, si abbandonò al suo calore.

Saphira era abbastanza dentro i pensieri del suo cavaliere da sentire il suo animo in subbuglio. Con la punta della lingua gli sfiorò delicatamente una mano, Eragon la ricambiò con un flebile sorriso.

Eragon se non conosco chi abbiamo di fronte, non posso proteggerti.

Eragon rimase un attimo in silenzio, sapeva perfettamente a cosa si stesse riferendo Saphira. Sentì il respiro caldo della dragonessa soffiargli sul collo mentre aspettava una risposta. E così Eragon le raccontò tutto: cosa aveva visto entrando nella mente del sicario, di come la magia di Eleonor l’avesse costretta a mettersi di fronte alla verità sulla sua vita, e di come lui aveva cercato di restarle vicino. Gli descrisse le sue sensazioni, di come le era sembrata una creatura indifesa in quel momento; e infine di come era cambiata al suo risveglio, quando l’aveva aggredito, e poi gli aveva parlato.
Deve aver schermato la conversazione…nonostante fosse molto debole
È molto forte. Non credo sia prudente da parte nostra ignorare
quella minaccia.

Intanto dall’altra parte del fuoco Par era intento a osservare la carta del territorio. l’Elfo si era ormai abituato alle silenziose chiacchierate tra Eragon e Saphira e lo scambio di sguardi durante i quali sembrava trascorrere un’eternità non lo stupivano più come prima. Ma quel giorno i due compagni, avevano un nuovo spettatore.

Par, vide chiaramente Oliviana, dall’altra parte del fuoco, che gli osservava con troppo interesse; sguardo che distolse subito, quando si accorse che l’elfo la stava osservando.
Quella sera consumarono un pasto leggero, attingendo alle loro ultime provviste.
Finita la cena, discussero sul tragitto da percorrere il giorno seguente:
Nella sua perlustrazione, Saphira aveva stabilito che si trovavano nel margine occidentale della foresta. Avrebbero avanzato verso nord-est, attraversato il fiume Adamante che passava nel mezzo della foresta tagliandola in due, e poi dritti a nord fin nel cuore della Stonewood.
Più volte lo sguardo di Par si rivolse a Oliviana, la donna non smetteva di osservarli rendendo l’Elfo sempre più nervoso.
Prima di coricarsi stabilirono i turni di Guardia. Eragon insistette per fare il primo turno, poi sarebbe stata la volta di Par.
Giunse la notte, e con lei il silenzio calò nella piccola raduna, interrotto solo dallo scalpitio del fuoco che ardeva vivace ad un lato e dal respiro sonoro di Saphira.
Eragon era appoggiato al tronco di un albero, osservava vigile la raduna intorno.
Ogni tanto, il suo sguardo andava nella direzione di Oliviana.

L’assassina era di spalle, e il cavaliere non poteva vederle il viso, ma, dall’altra parte del fuoco, Oliviana non dormiva e sotto il caldo della coperta sentiva lo sguardo del cavaliere.
Un sentimento di odio cominciò a crescere in lei. Ma non era solo quello. Qualcosa di più forte, si stava facendo spazio nel suo cuore, qualcosa, che la giovane donna non sapeva se sarebbe stata in grado di gestire. Era quella stessa sensazione che aveva provato guardandolo negli occhi.
Oliviana cercò in tutti i modi di distogliere la mente da quel pensiero.
Da che parte la si guardava, la sua situazione era disperata. Isobel doveva essere furiosa con lei per aver così miseramente fallito: la bambina era fuggita, i Ra-zac dispersi, e il cavaliere e il suo drago ancora in libertà.

Messo da parte il suo orgoglio, dovette ammettere che solo i quei mostri, ora, potevano tirarla fuori di quella situazione, ma, da quando si era svegliata, non era riuscita a percepire la loro presenza da nessuna parte.
Esausta, si lasciò cullare ancora un poco dal calore del fuoco. La coperta, notò con un brivido, le era scivolata via lasciandole le spalle scoperte. Fece un vano tentativo di rimetterla a posto, ma le corde che gli legavano i polsi glielo impoedrono. Venne scossa da un altro brivido poi li sonno prese il sopravvento e la giovane donna scivolò nell’oblio.
Un momento prima di addormentarsi, però, ebbe la netta sensazione di una mano che le sistemava delicatamente la coperta sulle spalle. Si girò appena in tempo per intravedere una sagoma scura che andava a sedersi dall’altra parte del fuoco, poi solo il buio.

 

***

 

Arold convocò l’ambasciatore quello stesso pomeriggio per comunicargli la decisione del consiglio e rifiutare il compromesso della regina.

Asha non batté ciglio mentre il re gli esponeva il verdetto.

- Siete consapevoli delle conseguenze del vostro gesto? - si limitò a dire con voce melliflua. Ad assistere alla convocazione erano che pochi rappresentanti del consiglio e nessun’altro.

- Più che consapevole – rispose il re. - La vostra ambasciata ha tempo fino a questa sera per lasciare l’isola. –

Il volto di Asha si contrasse in un lieve spasmo agli angoli della bocca mentre faceva dietro front dalla sala del trono ed usciva. Una volta al suo esterno si guardò intorno con sguardo furtivo ed aprì con cautela la sua mente  

Abbiamo poco tempo per agire. Ci stanno mandando via, dovrai agire subito.

È tutto sotto controllo ambasciatore Asha. L’ho già con me. Gli rispose una voce femminile piena di entusiasmo.

Molto mene. Noi vi attenderemo al largo come da piano.

                                         ***

Arrivata la sera Reafly stava rientrando nella sua stanza completamente esausto e dolorante dopo il suo secondo giorno di allenamento con le spade. Stava percorrendo un lungo colonnato quando sentì una mano afferrarlo alle spalle e trascinarlo dietro uno di pilastri e mettergli una mano sopra la bocca.

Reafly lottò inutilmente contro la presa ferrai del suo aggressore poi due labbra si avvicinarono al suo orecchio per sussurrargli qualcosa.

- Reafly sono io non urlare ti prego – Reafly si immobilizzò, avrebbe riconosciuto quella voce ovunque.

- Rebekha?!- chiese incredulo. La sorella allentò la sua presa e lo fece girare per abbracciarlo con forza. Ma dall’altra parte Reafly non ricambiò il gesto.  

- T…Tu cosa ci fai qui? - chiese invece.

- Sono qui per te, ovvio sciocchino! Ed anche per questo – disse mostrandogli una escrescenza tondeggiante da sotto una sacca che teneva in spalla.

Quella forma saltò subito all’occhio del ragazzo che non ci mise molto a capire. - Hai rubato un uovo di drago? – chiese Reafly che ancora non riusciva a capacitarsi di avere di fronte a lei la sorella in carne ed ossa.

- Ho solo preso ciò che è nostro per diritto di sangue – gli rispose lei. Reafly non riuscì a riconoscere la sorella in quelle parole così altisonanti, molto più adatte a qualcuno come l’ambasciatore che a lei.

Improvvisamente guardò allamato Rebekha, si era appena reso conto della rete tessuta tutto intorno a loro che gli impediva di avvertire la presenza di Gleadr e di chiunque altro. Non poteva credere che fosse opera della sorella ma a parte lei Reafly non vedeva nessun altro e l’ambasciata aveva lasciato il porto da tempo. Stava per chiederle come avesse fatto quando la sua attenzione venne attirata da una serie di scricchioli.

I due fratelli abbassarono insieme lo sguardo. L’uovo dentro al sacco si stava schiudendo.

Reafly guardò la sorella con crescente stupore. Rebekha, invece, non era per nulla turbata da ciò che le stava accadendo. Era come se lo stese aspettando pensò il ragazzo.

A quel punto Rebekha abbassò la sacca per svelare l’uovo dalle sfumature violacee. La sua superficie aveva appena iniziato a creparsi e a muoversi sotto i colpi insistenti del cucciolo, desideroso di uscire alla luce.

Con caparbietà un piccolo drago emerse dall’involucro coriaceo con le sue squame di un viola perlato. Insieme i due fratelli attesero pazienti che il cucciolo si disfacesse anche dell’ultimo frammento di guscio incollato alla pelle, poi, con estrema delicatezza, come se lo avesse fatto da sempre, Rebekha lo prese tra le braccia. Un lampo le pervase il braccio e il gedwey-ignasia si formò lentamente sotto i loro occhi. Reafly si stupì nel constatare che la comparsa del marchio non avesse provocato nessun effetto sulla sorella. Quando la luce si dissolse la ragazza strinse a sé il drago viola e si voltò risoluta verso il fratello.

- Questo attirerà parecchia attenzione. Presto fratellino chiama il tuo drago e seguimi. Ritorniamo insieme a Zàkhara! –

- Seguirti? Io non vengo con te. Il mio posto è qui – A quelle parole il volto di Rebekha si fece scuro.

- Andiamo Reafly non è l’ora di fare il bambino – gli rispose la sorella con tono autoritario. – Nostra madre ci sta aspettando. Sai che è molto in pensiero per te? – Al nominare la madre Reafly ebbe un tuffo al cuore.

- Mamma?! Co…come sta? – Reafly sentì i suoi occhi gonfiarsi di lacrime ma le ricacciò coraggiosamente indietro. Rebekha sospirò e gli posò una mano sulla spalla

- Sta bene adesso, grazie all’aiuto della regina. E sai cosa la farebbe sentire ancora meglio? Vederci entrambi accanto a lei, sani e salvi – concluse sperando di averlo convinto. Reafly provò un breve attimo di sollievo a quella notizia ma quando il suo sguardo tornò a guardare la sorella un nodo gli attagliò la bocca dello stomaco.

Scostò lentamente la sua mano dalla sua spalla e la guardò con determinazione - Ti ho già detto che non posso venire - disse iniziando a sentirsi a disagio in quella situazione. Rebekha rimase un attimo interdetta prima di capire che diceva sul serio.

- Che menzogne ti sono state raccontate? Ti sei dimenticato così in fretta chi è stato ad assassinare nostro padre? – gli domandò con durezza.

- Non l’ho dimenticato! – rispose di botto Reafly - Ma la verità non è quella che ci hanno sempre raccontato –

Rebekha scosse la testa. - Lo so fratello. La regina mi ha detto molte cose sulle nostre origini, svelandomi particolari che nostra madre ha confermato e che spiegano perché entrambi siamo stati scelti come cavalieri –

Reafly scosse la testa senza capire. – Il capitano Xavier e i tuoi nuovi amici non ti hanno detto nulla – continuò Rebekha vendendo la confusione sul viso del fratello – la regina aveva previsto anche questo -

- Di quali origini stai parlando? E cosa c’entra Xavier in tutto questo? -

- Reafly, nostra madre non è nata come noi e nostro padre a Zàkhara, ma in Alagaësia la terra da cui provengono le uova dei nostri draghi. Ecco perché tu ed io siamo gli unici in grado di farle schiudere a parte nostra madre –

Reafly sentì come se stesse sull’orlo di un precipizio pronto a cadere nel vuoto. Tutte le sue domande e i dubbi che aveva nutrito da quando Gleadr lo aveva scelto come suo compagno trovarono finalmente una risposta. 

- I nostri genitori si sono conosciuti durante una missione di nostro padre per conto della regina. Xavier lo sapeva bene perché era con lui in quel viaggio – continuò la ragazza vendendo che il fratello non rispondeva.

- Che cosa ci faceva nostro padre e Xavier in una terra così lontana. Perché la regina avrebbe mandato lì le sue navi? -.

- Isobel aveva stretto un’alleanza con il cavaliere dei draghi che allora la governava. Galbatorix –

- Un cavaliere re? – chiese Reafly incredulo. Rebekha annuì.

- Che fine ha fatto Galbatorix? –

- Assassinato dagli stessi cavalieri che hai deciso di seguire ciecamente -

– Quello che mi stai dicendo cambia molte cose, ma non cancella tutte le bugie di Isobel -

Reafly scosse la testa e indietreggiò di fronte alla sorella. Rebekha chiuse gli occhi per un attimo e strinse qualcosa di luminescente che pendeva alla cintura e che Reafly notò solo adesso – Così questa è la tua decisione? – gli chiese con voce priva di qualsiasi colore.

Il volto di Reafly era più risoluto che mai - Sì lo è –

- Mi dispiace fratello, ma non mi lasci altra scelta. Se non vuoi venire di tua spontanea volontà allora dovrò portati con me con la forza. –

Detto questo alzò la mana destra e il suo marchio iniziò a emanare una pallida luce violacea. Dal suo braccio il cucciolo lo guardò ed emise una serie di pigolii.

Reafley indietreggiò ancora di qualche passo e fissò quella luce espandersi per diventare sempre più intensa. Rebekha stava per lanciare un incantesimo che avrebbe immobilizzato il fratello quando venne colpita a sua volta da una forza invisibile.

- Rebekha noooo! - gridò Reafly sorpreso quanto lei. La sorella cadde a terra con un tonfo sordo, stordita. Traballando sulle gambe si rimise faticosamente in piedi con il cucciolo ancora tra le braccia e scrollò con un colpo di spalla il mantello che si era attorcigliato sul braccio. Guardò solo un attimo il fratello poi il suo sguardo si posò allarmato alle sue spalle. Murtagh stava correndo verso di loro. Rebekha emise solo un basso sibilo di rabbia. Poi le sue labbra pronunciarono alcune parole. - Addio fratello – riuscì a dire prima di essere avvolta da un lampo di luce viola e sparire.

Quando Murtagh raggiunse Reafly trovò il ragazzo che fissava il vuoto davanti a sé l’a dove prima c’era Rebekha.

- Reafly stai bene? – gli chiese scuotendolo dalle spalle.

L’aggressore era stato abbastanza accorto da schermare la loro conversazione, ma non lo era stato abbastanza da nascondersi del tutto. Sprazzi di magia avevano messo in allarme i sensi di Murtagh che era subito corso in suo aiuto.

Gli occhi di Reafly erano pieni di lacrime – Murtagh, mia sorella Rebekha. Lei… – non riuscì a finire la frase mentre i suoi occhi fissavano i resti sparsi a terra del guscio ancora caldi. Murtagh non poté fare altro che avvicinare il ragazzo a sé e abbracciarlo con forza accarezzandogli la testa. – Lo so Reafly, lo so. -

 

 

 

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Capitolo 16
*** Rebekha ***


Murtagh stava ancora tenendo il ragazzo stretto a sé quando Arya li raggiunse seguendo i residui di magia che ancora aleggiavano nell’aria frizzante. I suoi grandi occhi a mandorla caddero immediatamente sui resti del guscio tutti sparsi a terra per poi passare preoccupati su Reafly ancora singhiozzante.

- Avanti ragazzo adesso tirati su. – lo incitò Murtagh. Reafly annuì mettendosi ritto e asciugandosi il viso con la manica della camicia. Nella sua mente ancora gli risuonavano le parole così sicure e decise della sorella. La sua fede nella regina sembrava davvero forte e incrollabile quanto la sua nei suoi nuovi amici e in Gleadr. Era confuso e stordito da quella dimostrazione delle sue nuove capacità. Rebekha era sempre stata piu in gamba e forte di lui, gli era bastato poco perché tutte le sue vecchie insicurezze venissero a galla.  

– Rebekha, mia sorella è arrivata qui con l’ambasciata. Era questo il loro scopo, fin dall’inizio – disse prendendo coraggio e facendo cenno ai resti del guscio sul terreno.

- Vi siete parlati, te lo ha detto lei? – chiese Arya. Reafly annuì senza riuscire a decifrare i sentimenti dell’elfa. Era preoccupata? Si fidava ancora di lui? Si chiese il ragazzo.

– L’uovo si è schiuso davanti ai nostri occhi. Rebekha si aspettava esattamente quello che è successo, di diventare cavaliere, intendo. Isobel se lo aspettava, ed era molto, molto forte, praticamente in tutto. Ha schermato la nostra conversazione, non potevo sentire Gleadr – continuò Reafly iniziando a parlare più velocemente - Rebekha voleva che scappassi insieme a lei con la nave dell’ambasciata e tornare a Zàkhara. Non si sarebbe arresa. Se non fossi arrivato tu…io… – non riuscì a finire la frase e si limitò a guardare Murtagh. In quello stesso momento sentì il suo drago raggiungerlo nella mente.

Reafly! … Gleadr! Gridarono insieme il ragazzo e il piccolo drago.

Sto bene Reafly! Sto tornando indietro. Continuò il cucciolo mentre condivideva con lui ciò che vedeva con i suoi occhi.

Tornando indietro? Chiese sorpreso. Il ragazzo udì prima il sottofondo ritmico del battito d’ali poi la sua mente venne risucchiata da quella di Gleadr. Per alcuni istanti Reafly si trovò a volare con lui, si sorprese nel notare come fosse facile distinguere ogni cosa anche con la pallida luce della luna. L’ombra di Castigo al suo fianco era una presenza rassicurante.  

Non sei il solo ad essere stato contattato dal suo compagno di cova. Riprese a parlare il cucciolo di drago. Ero molto spaventato, pensavo che lei ti avesse portato via. Castigo mi ha raggiunto in tempo, prima che raggiungessi la nave. Quando mi ha detto che eri sano e salvo a palazzo … non volevo quasi crederci. Continuò il cucciolo. A quelle parole la vista di Reafly si focalizzò sulla nave dell’ambasciata in lontananza. Il cuore del ragazzo iniziò a battere forte.

Che cosa volevi fare Gleadr? 

Proteggerti.

                                   ***

Sul ponte della nave l’ambasciatore aspettava paziente. Il suo sguardo scrutava con attenzione la riva, ad una decina di miglia da loro, in cerca del più piccolo segnale della giovane Rebekha, poi un lampo viola squarciò l’aria. Asha si buttò a terra e con le mani sopra la testa, nel timore di un attacco nemico, segnalò ai soldati presenti di mettersi in posizione di difesa. Quando il bagliore scomparve con grande stupore di tutti c’era Rebekha. La ragazza era in ginocchio sul ponte e rivolse all’ambasciatore solo un labile sguardo prima di voltarsi verso le rive da cui era partita la nave. Il cuore della ragazza prese a battere forte. Due macchie in lontananza, una rossa più grande e una più piccola, dorata, si stavano dirigendo verso di loro a grande velocità. Anche Asha strabuzzò gli occhi nel notarle, poi Rebekha si rese conto che viravano di nuovo verso la terra ferma per poi scomparire tra le nuvole scure. La speranza che almeno il drago del fratello potesse seguirli a casa svanì e, di fronte a quella ennesima sconfitta, Rebekha si accasciò al suolo sfinita. La magia stava rapidamente consumando le sue forze. La distanza tra la terra e la nave si era dimostrata troppo grande per il suo fisico, anche se per farlo aveva chiesto aiuto al cuore dei cuori che ancora pulsava nella sacca appesa al suo fianco.  

Asha le passò una mano intorno alla spalla in un gesto che non aveva nulla di gentile

– Alzati ti prego. Non davanti agli uomini – la rimproverò con estrema freddezza. Anche Isobel le aveva detto spesso di non mostrare la propria debolezza di fronte ai propri sottoposti, ma in quel momento non le importava molto come apparisse a quegli uomini. Guardò il cucciolo ancora tra le sue braccia poi il mondo prese a vorticale intorno e svenne.

Il cucciolo si aggrappò alla veste del suo cavaliere ed emise una serie di pigolii preoccupati mentre entrambi venivano portati sottocoperta. Il marinaio che aveva preso in custodia Rebekha adagiò il corpo della ragazza sul letto. Con estremo disagio e senza quasi badare alle sue condizioni uscì fuori desideroso di allontanarsi da lei il prima possibile. Rimasti soli il cucciolo iniziò ad emettere una serie di pigolii preoccupati. Girò più volte intorno al corpo immobile della sua compagna in cerca di un segno di vita; le leccò con dolcezza la mano poi timidamente. aiutandosi con le zampe. si arrampicò fin sul suo petto della ragazza. Il cucciolo emise un brontolio acuto prima di accoccolarsi in maniera protettiva su di lei e chiudere gli occhi.    

***

Quando riprese coscienza Rebekha sentì un peso caldo suo petto. Il cucciolo si mosse appena pigolando. I suoi grandi occhi screziati di viola e giallo la stavano fissando con gioia. O almeno era quello che la ragazza immaginò stesse provando il cucciolo in quel momento. Sollevandolo dal suo petto Rebekha si mise a sedere. Un lume era stato lasciato acceso a rischiarare il piccolo ambiente che la ospitava. Con un rapido sguardo intorno alla stanza vide che le era stato portato un vassoio con del cibo. Rebekha lo prese e cominciò a mangiarne il contenuto con appetito. Aveva una fame terribile come se non mangiasse da settimane. Il piccolo drago nel frattempo era andato a sedersi sul bordo del letto e Rebekha si fermò ad osservarlo con attenzione per la prima volta. Le squame che coprivano il suo corpo erano di un viola iridescente, due corna spuntavano tra le tenere squame della testa mentre le zampe erano munite di artigli piccoli, ma robusti. Nonostante fosse così piccolo il suo aspetto infondeva comunque forza e potenza.

Si era preparata alla sua venuta da settimana, ma quello che doveva essere un momento di gioia era stato oscurato dalle parole dure del fratello. La regina l’aveva avvertita che Reafly era ormai completamente plagiato dagli elfi, ma Rebekha non le aveva creduto, ed ora rimpiangeva di non averlo fatto.

Finì di mangiare, ma non si sentì meglio, la sensazione di vuota non accennava a diminuire nonostante le forze stessero ritornando. Era un vuoto che non poteva essere colmato con il cibo, pensò con amarezza. Dentro di lei continuava a sentire la mancanza del fratello, era qualcosa di profondo che continuava a dirle che non avrebbe dovuto abbandonarlo. Rebekha si stese sul letto, con un tonfo, e i suoi pensieri andarono istintivamente alla madre. Come le avrebbe spiegato tutto questo? Lei non sapeva nulla della missione, la regia le aveva ordinato il più riservato silenzio.

Tutto sarebbe stato più facile se solo Reafly mi avesse seguita! Pensò. Perché non lo hai fatto? Il rimpianto per non essere riuscita a portarlo con sé iniziò a trasformarsi in rabbia. Ma non era solo sua la colpa del quel fallimento. L’arrivo di quel cavaliere, Murtagh, gli aveva impedito di completare l’incantesimo.

La regina li aveva categoricamente vietato di affrontarlo: non sei ancora abbastanza forte per poterti battere con avversario del suo calibro l’aveva ammonita e la ragazza dovette ammettere che era riuscita a deviare il suo colpo per pura fortuna. Aveva percepito immediatamente la potenza del cavaliere e d’istinto si era trasportata il più lontano possibile da lui anche se questo aveva significato lasciare il fratello.

Che tipo di persona sono diventata? Si chiese pensando a come le era risultato così facile pesare a sé stessa.

Quella domanda continuò a girarle in testa per il resto del viaggio verso Zàkhara durante il quale riuscì a riprendere del tutto le forze. Non lasciò mai la sua cabina neppure per una breve boccata d’aria. Il cucciolo le rimase sempre accanto senza mai lasciarla un attimo. Quella della creatura non era solo una presenza fisica, ma anche mentale. Poteva continuamente sentire la sua presenza, in un angolo della sua coscienza, che le diceva che non era sola. L’unica ragione che impedì alla sua mente di andare alla deriva.   

**

Arrivati al porto l’ambasciatore e tutto il suo seguito vennero direttamente chiamati ad apparire di fronte alla regina. Rebekha li seguì continuando a rimanere in silenzio. Senza dire una parola affiancò Asha, tutta concentrata al momento di rivedere la regina.

Ed ecco la donna che le aveva reso possibile tutto questo. Isobel era seduta sul suo trono. Vestita di un abito nero molto accollato decorato da lunghe piume nere e circondata dai suoi dignitari.

- Raccontami ambasciatore, quale è la risposta di re Arold? – chiese rivolgendosi ad Asha inginocchiato di fronte a lei. L’uomo alzò il volto e con la mano destra stretta a pugno e poggiata sopra il ginocchio sinistro alzò il volto verso al donna

- La risposta del re degli elfi e del suo consiglio è negativa maestà. – a quella risposta Isobel non si scompose - Come era previsto – disse in tono pacato. I suoi occhi puntarono su Rebekha e con voce suadente le disse:

- Vedo almeno che siete riusciti a conquistare una cosa. Vieni avanti ragazza – Asha si alzò anche lui e Rebekha avanzò di un passo seguita a ruota dal cucciolo dietro di lei. Il rumore dei piccoli artigli contro il duro marmo echeggiò nella sala. – Quindi è nato –

- Come avevate previsto maestà, compreso il rifiuto di mio fratello – rispose Rebekha con voce ferma. Aveva temuto quel momento ma ora che aveva ammesso il suo errore di fronte alla donna si sentì più leggera, come un peso che le veniva tolto dalle spalle. Isobel la guardò con compassione. - Avrei voluto sbagliarmi in questo. So quanto ci tenevi Rebekha –

La regina era davvero dispiaciuta? Si chiese la ragazza mentre la ringraziava chinando la testa - Grazie Maestà – le rispose.

Isobel sorrise soddisfatta - Molto bene mia giovane apprendista è il momento di prendere il tuo posto alla mia destra - Isobel alzò il suo volto sugli astanti e con fare solenne annunciò:

– Miei sudditi ecco a voi il Primo Cavaliere di Zàkhara.

Inginocchiatevi! –

A quell’ordine perentorio e inaspettato Rebekha sentì le gambe tremare. Con la coda dell’occhio vide tutti i presenti inginocchiarsi e chinare il volto verso di lei, compreso Asha. Con un altro gesto Isobel chiese che le venisse passata una spada. Anche il drago dovette sentire l’importanza dell’evento, perché il cucciolo le si arrampicò su una spalla e reggendosi con le zampe anteriori si affiancò con il muso a quello del suo cavaliere. La regina li guardò entrambi con solennità, poi impugnò la spada con entrambe le mani. Posò con la superficie piatta della lama sulla spalla libera di Rebekha e le diede un colpo leggero. – Con questo, ti lego a me con un patto di sudditanza. D’ora in avanti tu mi servirai come mio vassallo e io sarò responsabile delle tue azioni. Ora alzati Primo Cavaliere di Zàkhara – Rebekha si alzò, poi la regina fece qualcosa di inaspettato. L’attirò a sé l’abbracciò in un gesto di grande rispetto e stima.

Fu allora che Rebekha vide la madre. Per un attimo sul suo viso vi lesse la stessa espressione sconvolta del fratello. La ragazza avrebbe voluto correrle incontro ma fu trascinata indietro dal turbine dei dignitari che volevano congratularsi con lei. Dopo un po’ Isobel riuscì a sottrarla alle loro attenzioni e a portarla in disparte non lontano dal trono – Ora verrai nel mio studio e mi racconterai per filo e per segno quello che è accaduto da quando l’uovo si è schiuso – le disse in sorta di un ordine sottointeso

– Certamente maestà – rispose subito Rebekha.

- Non prima però di salutare tua madre – continuò la regina con un tono più gentile. Il drago le si accoccolò sulle spalle curioso. Mentre la regina annunciava a tutti i dignitari che la riunione era finita, e chiedeva loro di lasciare la sala, la ragazza poté infine rivedere la madre affiancata da due guardie.

- Vai da lei, coraggio. So che il tuo cuore lo desidera – le sussurrò Isobel all’orecchio per poi sospingerla. Rebekha fece esattamente quello che le aveva chiesto la regina. Rebekha voleva solo lasciare tutta la tensione alle sue spalle e rifugiarsi nel conforto dell’abbraccio della madre. Era stanca e quasi si trascinò sulle gambe certa di essere accolta dalla madre, ma, nel momento in cui la raggiunse, la donna la guardò con lo stesso sguardo che riservava a Reafly quando era contrariata con lui.

- Che cosa hai mamma? – chiese lei sentendo gli artigli del cucciolo che le stringevano una spalla. La ragazza concentrò tutta la sua attenzione su quella sensazione per non crollare.

- Rebekha che cosa hai fatto? – quella domanda fu come un pugno allo stomaco. Rebekha si bloccò di colpo, pietrificata.

- Sono diventata ciò che dovevo essere – riuscì infine a dire con voce tremante.

- Sono un cavaliere, come lo è Reafly per diritto di sangue. Del tuo sangue, madre. Perché non puoi solo essere felice per me? -

- Ma io lo sono, figlia mia. - le disse la donna avvicinandosi a lei e accarezzandole una guancia. Rebekha sussultò. Quel contatto che fino a pochi minuti fa aveva desiderati così ardentemente, all’improvviso aveva perso tutto il suo significato. Serena sembrò accorgersi del disagio della figlia perché scostò la sua mano. Nel farlo i suoi occhi caddero per la prima volta sul suo drago. La donna spostò la mano verso cucciolo che l’annusò con curiosità. – Non lo sei…Tu stai pensando a Reafly vero? Te lo leggo negli occhi –

Serena alzò lo sguardo sulla figlia con sconcerto

- Certo che sto pensando anche a lui. Penso sempre a voi. Sempre. È tuo fratello e voi siete i miei figli - disse con una chiara nota di dolore nel tono della voce.

Rebekha voleva solo urlare. - Ora è un traditore, ha deciso di passare dalla parte degli elfi. Io ho cercato di parlagli ma non c’è stato verso di farlo ragionare –  

- Tu gli hai parlato? – chiese la madre. Rebekha annuì. Poi guardando il volto preoccupato della madre a quelle parole aggiunse – Sta bene. È cresciuto e sembra più maturo. Ma mamma, ha deciso di allearsi dalla parte sbagliata – aggiunse. - Ha tradito il nostro popolo unendosi agli assassini di nostro padre –

Al nome del suo amato Phil, al padre dei suoi figli, Serena stette per un attimo in silenzio. - Perché ora difendi con tanta forza quella donna? – riuscì solo a dire.

Quella domanda a brucia pelo colse la ragazza del tutto impreparata. Guardò la madre e in quel momento capì che la donna appoggiava la scelta del fratello, non la sua. La regina aveva previsto anche questo. Ed ora anche l’ultimo baluardo rimasto a frenarla ad accettare l’aiuto della regina cadde in frantumi di fronte a quell’ennesima delusione. Abbassò gli occhi e con un groppo alla gola li rialzò colmi di lacrime.

– Ora devo andare madre. Ci vediamo più tardi –

- Rebekha – la implorò la donna, ma la ragazza non si voltò nemmeno. Il cucciolo tentò di scuoterla ed emise una serie di pigolii.

- Non ora piccola - le disse sentendo la sua mente confusa. Da quando si erano toccati la prima volta Rebekha percepiva le emozioni dell’altra come se fossero le proprie. Bastava un attimo perché le loro menti si fondessero e potesse perdersi l’uno nell’altra. Quella mattina Rebekha aveva anche fatto un’altra importante scoperta. Il cucciolo era una lei.

La piccola dragonessa non era ancora capace di parlare, ma poteva iniziare ad apprezzare alcune particolarità del suo carattere che trasparivano dai suoi pensieri, la sua grande pazienza e la profonda quiete nei confronti di tutto quello che le accadeva intorno. Quando capì che Rebekha non aveva intenzioni di tornare indietro, le si acciambellò su una spalla e leccandole uno zigomo si acquetò a un lato della sua mente mantenendo in labile contatto.

***

Era l’alba quando Reafly aprì gli occhi. In silenzio rimase ad osservare il soffitto per alcuni istanti prima di muoversi. Sentì Gleadr ai piedi del letto che si muoveva, a sua volta svegliato dai suoi pensieri confusi e agitati.

Il suo compagno stava crescendo a vista d’occhio ed era arrivato a muoversi con difficoltà dentro la sua camera.  A trattenerlo dal raggiungere il padre negli alloggi costruiti appositamente per i draghi era stata solo la preoccupazione della creatura per lo stato d’animo del compagno.

L’atteggiamento di molti maghi, compresa quella di re Arold, era cambiato dopo che l’identità del nuovo cavaliere era stata svelata e il loro costante giudizio iniziava a minare quel poco di fiducia che aveva acquisito da quando l’uovo di Gleadr si era schiuso per lui.  

Bongiorno lo raggiunse la voce di Gleadr.

È un altro giorno? … rispose Reafly

Avanti cucciolo, dobbiamo andare.

Reafly emise un sordo grugnito di protesta. Come ti senti?

Non lo so rispose il ragazzo. Ancora confuso, direi.

Reafly si fece forza, si alzò, si vestì e uscì dalla sua stanza. L’allenamento con Murtagh e poi l’ora di meditazione con Arya permisero al ragazzo di cacciare via la tristezza e trovare un po’ di serenità nel turbine di emozioni che ogni giorno rischiava di sopraffarlo. Arrivata metà giornata si fermarono per mangiare qualcosa, poi Gleadr si alzò nuovamente in volo per seguire Castigo.

Il ragazzo vide padre e figlio allontanarsi nel cielo per continuare le loro lezioni e si girò verso Murtagh. Il cavaliere non accennava né a muoversi né a palare e rimase seduto a guardare il giardino davanti a loro per quelle che a Reafly parvero ore. Se si fosse soffermato meglio ad osservare si sarebbe accorto che il suo volto era teso e combattuto. Ma Reafly era troppo agitato adesso per riuscire a cogliere l’umore del suo maestro

- Non andiamo anche noi Murtagh-elda? – si azzardò a domandare, orami al limite della sopportazione.

- Non ancora Reafly-von – rispose Murtagh con un mezzo sorriso. Nonostante la trepidazione, Reafly si era rivolto a lui nell’appellativo elfico che gli aveva insegnato Arya.

- Eragon ti avrebbe sicuramente detto di attendere ancora e imparare il valore della pazienza – continuò Murtagh non riuscendo a mantenere a lungo il silenzio – ma io non ho avuto modo di imparare dagli elfi come ha fatto lui.

Il solo motivo della mia attesa è che stiamo aspettando qualcuno…- disse corrugando le sopracciglia e incrociando le braccia al petto.  

Finalmente la porta di aprì e gli occhi di Reafly si illuminarono di gioia nel riconocere la persona che stava entrando.

- Xavier! – gridò andandogli in contro – Non ti vedo da una vita! –

- Lo so ragazzo, lo so. Ma i preparativi per la partenza stanno risucchiando tutto il mio tempo – la fonte di Reafly si corrugò - Quando arriverà il giorno, ti ricorderai di venirmi a salutarmi, vero? –

- Ma certo ragazzo, come potrei non farlo?  – gli rispose Xavier arruffandogli la chioma fulva con la mano. Reafly sorrise debolmente e abbassò la testa lasciandolo fare. Solo allora si accorse anche della presenza di Arya. Passò lo sguardo sui ognuno dei presenti, uno ad uno. – Non siete tutti qui per caso, non è così? – chiese esitante.    

- No, Reafly – rispose Murtagh con una leggera smorfia. Reafly chiuse gli occhi e distolse lo sguardo.

- È stata Gleadr a chiedervi di farlo? Mi aveva promesso che avrebbe aspettato - iniziò a protestare il giovane.

- Gleadr non centra Reafly. Non ci abbiamo messo molto a capire che qualcosa ti sta turbando – gli rispose gentilmente Arya.

- Sembra che tu sia un libro aperto per chi ti sta accanto e ti vuole bene – aggiunse con un sorriso appena accennato Xavier.

- La storia ha la brutta abitudine di ripetersi. Per questo abbiamo pensato che fosse arrivato il momento di raccontarti qualcosa della tua terra di origine. –

Reafly prese un profondo respiro mentre sentiva il sangue pulsare nelle vene. – Che cosa sai del cavaliere dei draghi che arrivò a governare Alagaësia…? – gli domandò quindi il cavaliere.

- Intendi dire Galbatorix? – chiese Reafly non riuscendo a trattenersi dalla trepidazione. La sorella lo aveva nominato nel perorare la sua causa, accusando coloro che aveva imparato a chiamare amici di avergli nascosto più di una verità sul loro conto. Reafly sospirò e si schiarì la voce prima di parlare.

- So da quelli che mi ha detto Rebekha che era un cavaliere come te ed Eragon, e che voi lo avete ucciso. –

- Perché era un tiranno, un pazzo e doveva essere fermato – proseguì Murtagh senza mostrare alcuna esitazione nella voce. Arya si avvicinò al cavaliere cremisi e mettendogli una mano sulla spalla prese la parola

- Nonostante fosse stato uno tra i più promettenti cavaliere, la sua mente era debole e presto venne corrotta dalle parole velenose di uno spettro di nome Durza.

Perse il suo drago in una missione che non avrebbe mai dovuto intraprendere e incolpò della sua morte l’intero ordine dei cavalieri. Con l’aiuto di un altro ambizioso cavaliere di nome Morzan, rubò un cucciolo di drago, Skruikan, e lo piegò alla sua volontà, grazie alla magia oscura. Per molto tempo non si seppe più di loro. I due, nascosti in un angolo recondito di Alagaësia radunarono intorno a loro altri undici cavalieri disposti a tradire il loro ordine in cambio di potere e ricchezze, i Rinnegati. Corrotto dalla magia oscura, Galbatorix divenne che una pallida immagine del cavaliere che era stato e Skruikan privato della sua libertà impazzì con lui. Grazie al suo legame con i draghi la sua vita era pressoché illimitata, avrebbe governato Alagaësia per un tempo indefinito –

-. Murtagh, prima hai parato della storia che si sta ripetendo. Cosa intendevi dire con quelle parole? –

- E poiché hanno seminato vento raccoglieranno tempesta. – recitò Murtagh citando un brano delle cronache di Vrael, l’ultimo grande cavaliere del vecchio ordine, quindi fece una piccola pausa, come a cercare il coraggio per parlare.

- Galbatorix credeva nel principio del dividere e comandare e così sta facendo Isobel. Ma è il momento di spezzare questa catena. Ti abbiamo parlato di come Galbatorix sia stato aiutato da un altro cavaliere. –

- Morzan – rispose Reafly

- Si, il primo e il più spietato dei Rinnegati. Quel cavaliere era mio padre – Reafly ebbe un sussulto nell’udire quelle parole.

- Come suo figlio per tutta la vita portai le sue colpe sulle mie spalle, fino a quando non conobbi Eragon e Saphira -  

Reafly scosse la testa e corrugò la fronte senza capire. Qualcosa di quel racconto non tornava – Ma, tu ed Eragon siete fratelli, Morzan dovrebbe essere anche suo padre! –

Gli occhi di Murtagh scintillarono per qualcosa che Reafly non afferrò subito – Morzan era mio padre, ma non era il padre di Eragon. – disse con voce carica di vecchie emozioni, ma ancora abbastanza forti da far fremere l’animo del cavaliere.

- Nostra madre. Selena ha conosciuto il padre di Eragon dopo essere fuggita dal mio. Per proteggerlo dalle sue mire e da quelle del re lo affidò alle cure di suo fratello in un villaggio anonimo ai confini dei regni del nord.

Io ed Eragon siamo cresciuto in due mondi completamente diversi, ma il destino ci ha riuniti nel momento di maggior bisogno - Murtagh raccontò a Reafly le circostanze del loro incontro di come tra loro fosse nata subito una profonda amicizia, prima di conoscere il loro legame di sangue, e come questa avesse dovuto passare attraverso la diffidenza di tutti.

- All’epoca non ero ancora cavaliere, ma come tua sorella lo divenni sotto la cattiva stella del tiranno che detestavo. -

Murtagh passò allora a raccontare la dolorosa storia della sua cattura al Farthen-Dur, alle circostanze che portarono alla nascita di Castigo e come Galbatorix lo avesse costretto a giurargli fedeltà dopo aver scoperto i loro veri nomi. Non nascose nulla dei delitti commessi in nome del tiranno e come lui lo avesse usato come una marionetta nelle sue mani pronto ad essere comandato a bacchetta.

Non nascose neppure come fosse riuscito a darsi sempre un margine di azione e, grazie all’aiuto di Castigo, ad eludere più di una volta il giuramento anche se con molte sofferenze.

All’improvviso un pensiero colse Reafly facendogli ghiacciare il sudore sulla pelle.

– Murtagh, tu ed Arya avete parlato dell’immenso potere che si ottiene nel conoscere il proprio nome nell’antica lingua. Credete che Isobel conosca questo potere? Potrebbe averlo già usato su Rebekha? -

Murtagh ci pensò un attimo – Mi dispiace Reafly, questo non lo so. Ma il breve tempo trascorso ad Abalon mi ha fatto capire che Isobel aveva stretto con Galbatorix una profonda amicizia. Non so dirti fino a che punto abbia rivelato i suoi segreti. -   

- La ricerca del vero nome è qualcosa che ogni cavaliere è tenuto a intraprendere prima o poi nel suo cammino. – intervenne Arya. - Nei tempi passati faceva parte integrante della sua formazione ed era ritenuto un segreto. Nessuno al di fuori dell’ordine e naturalmente degli elfi era a conoscenza dell’enorme potere del vero nome –

- Dovrò trovarlo anche io? – Reafly non era sicuro di volerlo fare ma non voleva nemmeno deludere i suoi due maestri.

- Come e quando dipende solo da te Reafly – gli rispose Arya.  – Oggi non ti diremo altro. Hai già molto su cui meditare – disse.

- Il solo pensiero di Rebekha nelle mani di quella folle mi fa bollire il sangue nelle vene. Se dovesse succederle qualcosa… io …non me lo perdonerei mai – imprecò Xavier che fino a quel momento aveva taciuto - Mi spiace tanto Reafly, avrei dovuto proteggervi entrambi, e invece vi ho deluso. –

- Non dirlo neppure Xavier! Quando abbiamo deciso di aiutare Murtagh, nessuno di noi due poteva immaginarsi quello che sarebbe successo – gli rispose subito il ragazzo cercando con lo sguardo l’uomo che li aveva visto crescere e che li conosceva nel profondo del suo cuore come un padre.

- Se ti dicessi che io ero presente al primo incontro dei tuoi genitori e che sapevo molto bene quando ti ho permesso di seguirmi che tua madre non era di queste terre ma veniva da Alagaësia? –

- Non cambierebbe nulla Xavier. Sei stato tu ad insegnarmi tutto quello che su come tenere in mano una spada o come usare la posizione delle costellazioni nel cielo per orientarmi.

C’eri tu al mio fianco quando mi cacciavo nei guai e dovevo nascondermi da mia madre e sei sempre stato tu anche accanto a ma e a Rebekha, consolarci quando piangevamo perché ci mancava papà. Per cui non c’è nulla che possa dire Rebekha o Isobel che metterebbe in dubbio la tua lealtà. –

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Capitolo 17
*** Legami spezzati ***


La mattina successiva Eragon fu svegliato dalla mano leggera di Par. L’Elfo aveva finito il turno di guardia, e aveva preparato già tutto per la partenza.
Buon giorno piccolo mio! Gli fece Saphira da sopra una spalla.
Buon giorno Saphira. Che cosa succede? Il ragazzo annusa l’aria e le sue narici vennero inondate del profumo di focaccia calda.
È stato Par. Mi ha pregato di non svegliarti prima.

Su avanti alzati
Eragon si tirò su, stirandosi le membra intorpidite.
Poco più in là c’è una piccola fonte d’acqua. la informò la dragonessa. Eragon la raggiunse e si spruzzò un po’ d’acqua sul viso e sulle braccia. Rinvigorito si diresse di nuovo alla raduna
- Dormito bene Cavaliere? - gli fece subito Par vedendolo arrivare, e porgendogli una scodella piena di frutti selvatici.
- Spero ti piacciano, li ho raccolti qui intorno-
Eragon esaminò un attimo il contenuto, e con un breve incantesimo controllo che tutti fossero commestibili.
- Grazie - gli disse, sedendosi vicino a Saphira.
- Di nulla - gli fece Par sedendogli a sua vota accanto. Poi l’Elfo prese a giocare con una foglia sul terreno. Eragon aveva appena iniziato a mangiare, quando l’elfo si sporse avanti e gli domandò:
- Oliviana sta ancora dormendo, ma prima di svegliarla volevo parlarti-
Eragon posò la scodella per terra, n’aveva mangiato appena qualche chicco
- Dimmi pure Par -
L’Elfo rimase un attimo in silenzio, cercando le parole adatte da usare:
- Ecco…si tratta di lei Eragon, Ci ho pensato tutta la notte: sembra che tu nutra un particolare interesse per lei, di cui ignoro il motivo.- L’Elfo aspettò un attimo prima di continuare, mentre Eragon aveva assunto un’espressione impassibile
- Chi ci assicura che non userà la magia per ucciderci tutti. Lei… -
- Non lo farà Par - lo interruppe Eragon con dolcezza. Par lo guardò incredulo, il cavaliere continuò a parlare.
- Ti svelo qualcosa sull’uso della magia. Ci sono delle regole ferree per il suo utilizzo, e Oliviana le deve conosce abbastanza bene per sapere che tentare un qualsiasi attacco senza conquistare la mente del tuo avversario, ti rende altrettanto vulnerabile. Questo mi rende quasi certo che non azzarderà nulla di così folle, per ora.

Naturalmente, potrebbe essere abbastanza disperata da provare lo stesso. E la disperazione rende sempre pericolosi…- Eragon fece una breve pausa, riluttante a continuare.

- Ma ci sarebbe un modo, per far si che non possa nuocere – aggiunse risvegliando l’attenzione di Par
- E quale sarebbe? –
- Con delle particolari sostanze, delle droghe, potremmo assopire i suoi poteri. Non è il modo più onorevole per neutralizzare un avversario, ma temo sia l’unico modo che abbiamo. -

Eragon ricordava come si era sentito quando si era trovato a subite lui stesso quel trattamento. Non gli piaceva l’idea di trattare così un’altra persona; ma Par aveva ragione su una cosa. Essere venuto a conoscere i ricordi di Oliviana lo aveva avvicinato stranamente alla donna. Come aveva detto un giorno Oromis, la comprensione genera simpatia.
- So a cosa ti riferisci, c’è una pianta qui nella Stonewood che potrebbe fare al caso nostro - gli disse concitato l’Elfo - e peso di averla incontrata stamattina. Aspettami qu. -
Quando Par fu lontano la dragonessa gli parlò:
Eragon, stai facendo la cosa giusta.
Lo so Saphira, ma questo non mi da alcun sollievo

Eragon e Saphira aspettarono alcuni minuti, poi Par riemerse dalla boscaglia, con in mano un’intera pianta, foglie, busto e uno strano bulbo.
- Questa la utilizziamo per addormentare i cavalli. Bisogna sradicarla dalle radici, perché è il bulbo che fornisce il siero - disse loro con calma.
- Se adoperate in piccole dosi, può esser e adoperata anche per gli esseri umani. Credo che sia questo cui ti riferivi - Eragon non disse nulla ma esaminò la pianta con la mente e annuì, poteva andare bene.
Par impiegò un poco a preparare l’infuso. Poi misero la droga nei frutti che erano rimasti.
- Ne basteranno poche gocce. E l’effetto durerà per tutta una giornata. -
Oliviana doveva essere ancora indebolita per la crisi, ed Eragon ritenne di mettere solo una goccia.
Le andò accanto, Oliviana era sdraiata da un lato. La scosse piano, e lei socchiuse gli occhi sotto il suo sguardo. Eragon le posò allora una mano sulla fronte per vedere se aveva ancora la febbre. Oliviana sussultò
- Che fai? - rispose brusca.
- La febbre è passata. Tieni mangia, avrai fame - le disse porgendole la scodella coni frutti.
Oliviana li guardò con disgusto, ma aveva fame, e li divorò in un attimo.
-Ora alzati, stiamo partendo- gli disse soltanto.
Oliviana ubbidì, senza controbattere. Sentiva lo sguardo di Saphira vigile su di lei.
Eragon ci mise poco tempo per caricare gli ultimi bagagli. Poi la dragonessa spiccò il volo per innalzarsi sopra la Stonewood.
Ci rincontriamo questa sera gli fece Eragon mentalmente.
Non mi piace che viaggiate soli per troppo tempo!  Gli rispose allora Saphira.
Non abbiamo alternative Saphira, ma tu ci potrai sempre controllare dall’alto
Lo farò piccolo mio, ma tu stai attento
.

 
Avanzarono tra la boscaglia per tutta la giornata.
Oliviana aveva dei problemi a camminare con le mani legate, così Eragon gliele liberò, e la fecero mettere in mezzo. Avanzarono per il resto della giornata così: Par in testa guidava la fila, poi veniva Oliviana, mentre dietro di lei, Eragon chiudeva il gruppo.
Ci misero cinque giorni per raggiungere il fiume Adamante.
Arrivato vicino alle sue rive, Par si fermò guardingo:
- Raggiunto il fiume, più ad est c’è il lago di Fargor, e lì vi un piccolo villaggio, si chiama Gratignac, è l’ultimo avamposto civile sulla terra di Zàkhara che incontreremo, prima di inoltrarci nel cuore della Stonewood. E’ una città di confine, isolata dal resto del paese, e un covo di briganti e fuorilegge. Non sarà difficile passare inosservati. Di solito la gente si fa i fatti suoi, e le poche guardie della regina possono essere comprate con un po’ di soldi.
Ma la cosa che a noi interessa di più è che è una cittadella fiorente e ricca di commerci, perché è dal suo porto fluviale che partono le navi per le isole Stige e Crithia, che sono ricche del prezioso ferro…-
Oliviana eruppe in un sorriso amaro.
- Sei un folle Elfo. Entrare a Gratignac e sperare di uscirne da uomo libero -

Par si voltò di scatto verso Oliviana, e fissò l’assassina con uno sguardo che non ammetteva altre repliche, poi disse:
- A noi interesserà solo per rifornirci di viveri - Poi si voltò a guardare di nuovo Eragon e Saphira: - In ogni caso siamo obbligati a rifornirci li, nella sua parte più interna la Stonewood non ci permetterà né di cacciare né di cogliere erbe o frutti. Lì la foresta è sovrana - Un brivido attraversò la schiena dell’elfo, al ricordo del suo primo viaggio in quella terra.
- Da come ne parli, sembra un essere pensante - gli disse Eragon incuriosito da tanta apprensione.
- Perché lo è, Cavaliere. - tagliò corto Par. L’Elfo era diventato all’improvviso irascibile, ed Eragon preferì non stuzzicarlo oltre.
Smontarono i bagagli, e accesero un piccolo falò da campo.
Dopo che ebbero consumato un pasto leggero con ciò che gli rimaneva delle provviste Eragon si avvicinò a Par e gli disse
- Domani andrò in città da solo - Par socchiuse gli occhi contrariato, ma lo lasciò continuare:
- Lo so avevamo detto che saremmo entrati insieme, ma ho ragionato. Oliviana non può venire con noi e per te è troppo pericoloso, sei sempre un Elfo e dopo la nostra fuga da Blow il livello di guardia sarà più alto. Io invece con un po’ di fortuna passerò inosservato -
Par era rosso in viso e ci mise un attimo prima di accennare ad un sì.
- Va bene, in questo caso è meglio che queste le tenga tu – disse l’elfo porgendogli frettolosamente un sacchetto. – Si tratta delle nostre ultime monete, non sono molte- aggiunse poi con un tono triste - ma la borsa con il resto dei denari è rimasta a Blow. Quindi dovrai cercare di fartele bastare – Eragon soppesò il sacchetto e lo ringraziò con un sorriso.
Par scosse la testa, quindi iniziò a riferirli una serie d’indicazioni pratiche su come comportarsi e a chi avrebbe potuto rivolgersi. poi entrambi stanchi si misero a dormire, alternandosi per i turni di guardia.

                                   **
Il mattino dopo, di buon’ora, Eragon si mise in cammino per la cittadella di Gratignac. Ci mise poco a raggiungere il fiume. Lo costeggiò fino raggiungere la città.

Gratignac era un’ampia distesa di case e complessi di edifici priva di una propria cinta muraria. Lungo la strada, Eragon poté notare che il via vai di gente che come un fiume s’intensificava man mano che si avvicinava al centro abitato.
Par gli aveva dato una serie d’indicazioni per trovare il quartiere dei commercianti, ma in quel marasma fu molto difficile orientarsi. La gente andava e veniva con un ritmo impressionante. Eragon più di una volta si trovò ad essere strattonato e trascinato via dalla folla. Un’ondata più forte lo aveva quasi fatto cadere ma stringendosi ancora di più al cappuccio si buttò nuovamente nella calca di quelle strade e riprese a camminare.
Era ormai da qualche tempo che non poteva più sentire Saphira e la cosa lo rendeva nervoso, perché se fosse successo qualcosa non avrebbe potuto comunicare con lei. Finalmente riuscì a trovare il quartiere dei commercianti.  

Le botteghe si susseguivano come un nastro colorato con tante merci esposte con ogni genere di articoli. Eragon accelerò il passo fino a quando non riconobbe una delle insegne che gli aveva raccomandato Par ed entrò dentro.

All’interno della sala la luce era molto bassa. Eragon esitò solo un attimo, in quell’ambiente non avrebbe potuto tenere il cappuccio a lungo senza destare sospetti.
Così si affrettò a formulare un incantesimo che potesse nascondere i lineamenti elfici. L’energia per mantenerlo non era molta, ma avrebbe fatto bene a sbrigarsi.
Prese tutto ciò che gli occorreva, quindi pagò spendendo più della metà dei soldi che aveva e tornò a mischiato tra la folla. Ripeté la compravendita con altre due botteghe. Aveva terminato i suoi acquisti ma già da tempo sentiva che qualcuno lo stava seguendo.

Anche nell’aria qualcosa era cambiato. All’uscita dall’ultima bottega la gente che fino a poco tempo fa aveva reso le strade impraticabili era stranamente diminuita e la sensazione che qualcuno lo stesse seguendo iniziò a farsi strada dentro di lui. Prese a camminare a zig zag tra la folla cambiando rapidamente direzione con l’intento di depistare il suo possibile inseguitore che però continuava a stargli dietro. Non si voltò un solo attimo dall’altra parte, anche quando sentì una serie di urla di qualche donna che protestava e dei rumori di armi. Costringendosi a mantenere un’andatura costante, aspettò di girare al primo angolo e fermarsi a formula nella mente un incantesimo che gli avrebbe fatto guadagnare del tempo.
Il cuore gli batteva a mille mentre cercava il modo di uscire dalla città in più fretta possibile. Stava valutando che strada prendere quando una mano le si posò sulla spalla.
- Non così in fretta ragazzo – gli disse una voce squillante. Eragon non fece un tempo a voltarsi che ricevette un colpo lancinante a una tempia, poi li buio

 

Quando finalmente riprese coscienza, Eragon si rese conto di stare all’interno di un casa. Aveva le mani legate dietro la schiena, ed era stato imbavagliato. Cercò di muoversi ma le corde erano talmente strette da impedirgli qualsiasi movimento.
- Ti sei svegliato finalmente. Lo avevano detto quelle creature. Non so cosa, o chi siano, ma sono felice di non essere nei loro interessi. Sono terrificanti e non vorrei essere al posto tuo quando verranno a riprenderti. –
Eragon si tirò a sedere con una smorfia guardandosi intorno spaesato. Di quali creature stava parlando l’uomo? Si chiese trattando le corde nel tentativo di liberarsi ma senza successo.
- È inutile che ti agiti. Sono partiti da ore oramai. Sono andati in cerca dei tuoi amici. Così almeno mi sembra di aver capito tra un sibilo e l’altro. - gli disse severo l’uomo mentre si alzava dirigendosi verso un angolo buio della stanza.
- Mentre eri incosciente mi sono permesso di frugare tra la tua roba. Mi sembri una persona importante. A cosa servivano tutti questi viveri? -
L’uomo era ritornato davanti a Eragon con in mano la sua borsa.
- Sei i tuoi parenti pagano bene potrei decidere di aiutarti, sai? Quanto mi darebbero in cambio per la tua liberazione? -
L’uomo lo aveva scambiato per un nobile che era stato rapito e stava cercando di capire se poteva guadagnare qualcosa da quella situazione. In tutta risposta Eragon diede altri due strattoni di protesta alle corde mentre fissava l'uomo in tralice.
- Non è la risposta che mi sarei aspettato. Va bene, se è questo che vuoi ti lascerò al tuo destino - disse nella speranza di spaventare il suo ospite.
- Questa potrebbe essere la tua ultima possibilità di liberarti. Vuoi collaborare o no? -
Eragon guardò fuori dal capannone, era ormai buio, il suo pensiero andò subito a Saphira. La dragonessa doveva essere in pensiero per lui, dilatò la mente alla sua ricerca, ma non ottenne alcuna risposta, deluso abbassò la testa.
Ne aveva ormai abbastanza di quell’uomo e delle sue minacce. Ma così legato non aveva modo di avere la meglio su di lui. A meno che non usava la magia senza usare l’antica lingua come gli aveva insegnato Oromis.
Raccolse tutte le sue Energie, e attingendo alla fonte del duo potere sprigionò la magia. Si concentrò sulle funi che gli legavano i polsi, e le recise in due.
Liberate le mani, con uno scatto fulmineo, prese la sua spada e la puntò contro l'uomo.
- No… non vorrai uccidermi spero…io ...io ..non volevo farti alcun male…M…Mettiti nei miei panni... Io…-
Eragon si tolse allora il bavaglio dalla bocca. Vacillò un attimo, quando la magia assorbì le sue energie.
- Non voglio farti del male. Voglio solo uscire dalla città e raggiungere i miei amici. -
Senza pensarci due volte, Eragon prese le corde con cui era stato legato. L’uomo vide il taglio netto e guardò Eragon con rinnovato stupore.
- Come hai fatto. Che razza di trucco hai usato!? -
- Ora voltati -
- Hai uno strano accento, non sei di qui. A pensarci bene non sembri neppure appartenere alla gente si Zàkhara – continuò l’uomo sempre più spaventato.
L’uomo si voltò un poco e i suoi occhi cadde sulle orecchie di Eragon. Alla vista della punta, il suo terrore fu palese…
- Aspetta. Aiuto! Che cosa hai intenzione di fare. Aiuto!-
- Shhh…non urlare!- gli fece Eragon posandogli una mano sulla bocca.
Pronunciò una serie di parole, l’uomo si accasciò tra le sue braccia, addormentato.
Eragon alzò di istinto lo sguardo, rumori di passi provenivano da sopra il soffitto, diretti verso il basso. Allargando la mente poté percepire, distinte, quattro persone avvicinarsi, Erano sodati della regina attirati dalle urla. Doveva fuggire e alla svelta!
Prese la sua borsa, e si guardò intorno con occhi frenetici. La porta del capannone era semichiusa, Eragon vi si fiondò. Fuori, l’aria fresca della notte gli riempì i polmoni.
Alcune persone passeggiavano tranquille. Per fortuna le urla dell’uomo non aveva raggiunto l’esterno, non avendo più la protezione del mantello si affidò alle tenebre per nascondersi.

                                         **

La notte era calata nel piccolo accampamento ai limiti della Stonewood.
Saphira frustava la coda fendendo il terreno con i suoi cunei, nervosa.
Eragon sarebbe dovuto ritornare già da molto tempo,
Che cosa può essere successo? La voce della dragonessa riecheggiò nella mente dell’Elfo.
- Non lo so …- rispose passandosi le dita tra i capelli. Anche lui era preoccupato.
- D’accordo, ora vado in città e vedo cosa è successo. -
Ma Saphira gli sbarrò la strada con la sua possente coda:
Eragon non voleva che tu entrassi per un motivo. Aspettiamo…
Oliviana osservava la scena da un angolo. Aveva ancora la mente intorpidita, e non riusciva a concentrarsi per più di qualche minuto. Ma era da un po’ di tempo che sentiva una presenza conosciuta che le circondava la mente. Saphira e Par erano troppo preoccupati per pensare a lei, e il sicario era riuscita a eludere il cibo che l’Elfo gli aveva portato.
Sentiva distinta la presenza dei Ra-zac, ma non erano più loro. Qualcosa era cambiato, erano più potenti.

                                         **

Quelli che un tempo erano stati Ra-zac, ora volavano spediti, sorvolando sul tratto di mare che li divideva dalle coste di Zàkhara, sotto di loro l’acqua si increspava in mille onde ad ogni soffio di vento.
Le due bestie avevano solo un vago sentore di ciò che un tempo erano stati. L’esoscheletro, in cui i loro corpi erano stati imprigionati per venti lunghi anni, era ormai un ricordo lontano. Ma non avevano scordato al loro missione.
Risvegliati sull’isola di Crithia, dove che la magia di Eleonor gli aveva trasportati, avevano iniziato la lenta trasformazione; ma perché ciò avvenisse, avevano bisogno di carne, così, Non lontano da dove erano atterrati, una piccola famigliola di contadini, aveva sfamato le loro viscere. Ma quando altri umani erano venuti alla fattoria, e avevano scoperto lo scempio compiuto, si erano dovuti nascondere. In quella fase erano infatti vulnerabili a qualsiasi attacco.
Dal loro nascondiglio, videro agitarsi le fiamme delle torce degli uomini, alla loro ricerca, e potevano sentire la paura sprigionarsi dalla loro pelle.
Si nascosero all’interno di una grotta naturale, al riparo da occhi indiscreti, l’alone malsano, sprigionato dai loro corpi, tenne alla larga qualsiasi intruso, ma chi si fosse avvicinato abbastanza, avrebbe potuto udito il raccapricciante rumore delle ossa delle carcasse dei contadini, che lentamente venivano divorati, e un rumore di fondo, dato dall’esoscheletro, che ormai secco, veniva spaccato, per lasciare uscire i loro nuovi corpi. Occorsero tre giorni. Poi la femmina depose le uova, da cui dopo due giorni nacquero due Ra ’zac.
Così era stato per loro, e così sarebbe stato per i loro figli.

Arrivati alla cittadina di Gratignac, avevano individuato subito il quartier generale delle guardie reali. La paura si impossessò di loro quando le due bestie planarono nel cortile interno, dove i soldati tenevano i cavalli.
Subito i Ra ’zac scesero dalle bestie. Guardando i fedeli servi della regina, i soldati rimasero pietrificati dal terrore, e impedendogli di muovere un solo muscolo.
- Siamo qui per ordine della regina, raduna i tuoi uomini e scegli tra loro una decina che ci segua nella Stonewood- aveva detto loro con voce gutturale.
Il capitano si fece avanti. Aveva la stessa espressione di terrore di tutti gli altri, ma era un uomo fedele alla corona. Lottando contro l’istinto di fuggire fece ciò che gli era stato ordinato.
Anche se debole i Lethrblaka avevano sentito la presenza di Oliviana, durante la giornata il loro legame era aumentato. Avevano appreso dal sicario che il giovane cavaliere era entrato in città. Così avevano fatto mettere delle guardie in tutti gli empori. La piccola magia di Eragon al negozio, sarebbe passato inosservato se fosse stato un altro giorno. Il caos della gente per le strade aveva permesso al soldato di avvicinarsi abbastanza a Eragon senza essere visto.
Neutralizzato il cavaliere, i Lethrblaka ordinarono che la sua custodia fosse affidata al commerciante.
La trappola era scattata.
Solo quando l’ultimo raggio di sole scomparve dietro l’orizzonte, e le tenebre calarono indisturbate i Lethrblaka diedero il segnale di partenza.
Si alzarono in volo con due potenti battiti delle loro ali, insieme a loro i Ra’zac. A terra i soldati li seguivano a cavallo, lieti di non essere più a contatto con quelle orrende creature.
Cavalcarono per un’ora, e arrivati nella prossimità della foresta, i soldati lasciarono i cavalli, seguendo i Ra’zac e si inoltrarono nella boscaglia, i Lethrblaka invece, dopo poco tempo scomparvero nel buio.

                                   **


La dragonessa girò il suo collo verso Oliviana, e fissò il sicario con i suoi grandi occhi blu. La donna continuava a ridere, ma Saphira era convinta di aver udito qualcos’altro strisciare. Allargando le sue narici inarcò il collo, e tendendo la coda come pronta a scattare, si mise in attesa:
Par le si affiancò – Che cosa succede-
Ho sentito qualcosa la sentì parlare nella mente.
Improvvisamente dall’oscurità della foresta emerse un enorme essere nero, che si abbatté contro il fianco di Saphira, seguito subito dopo da un secondo.
Par venne scaraventato da un lato del campo, batté a testa contro un tronco e perse i senesi.
Saphira non ebbe più dubbi, erano Lethrblaka. Non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi come avessero fatto a trovarli, perché i due mostri la strinsero subito in un feroce duello. Lottò a lungo, cercando il più possibile di mettere spazio tra loro, ma ogni suo tentativo veniva vanificato dalla loro azione congiunta. La sua coda balzava da una parte e dall’altra, e le sue fauci colpivano con ferocia. Ma qualsiasi danno Saphira riusciva infliggere sul corpo di quelle bestie, lei ne subiva il doppio. Se uno colpiva, l’altro gli impediva qualsiasi contromossa. I loro lunghi becchi, erano veloci e precisi, e Saphira iniziava a perdere agilità e forza; fino a quando, uno di loro riuscì a superare le sue difese, e artigliandole il collo, la ferì mortalmente. La dragonesse urlò di dolore.
Saphira indietreggiò e sferrò un potente colpo di coda al Lethrblaka che le era più vicino, ma indebolita dalla ferita, cadde da un lato.
Gli occhi crudeli del Lethrblaka la guardavano trionfante, mentre la dragonessa cercava di alzarsi, ma senza successo. Da dietro la bestia, Saphira poté vedere con rabbia Oliviana alzarsi da terra, libera. Emise un lento ringhio mentre la donna avanzava verso di lei affiancata da due Ra ’zac. Questi erano più piccoli di quelli che avevano incontrato le altre volte.
Saphira socchiuse gli occhi. Eragon!
Un’espressione di orrore si dipinse sul suo volto di Oliviana alla vista della profonda ferita al collo.
- Gli ordini della regina erano…-
- Errrannno di prrrrrendere il cavalierrrre vivo …il drrrago sarrrebbe stato solo di fassssstidio - fu il commento di uno dei Ra ’ zac. Era la prima volta che parlavano, Oliviana li guardò con un misto di rabbia disgusto. La regina aveva affidato a lei quella missione.
- Dove si trova ora il cavaliere Eragon…- chiese con finta calma.
- Sssta arrivando…! - se ci fosse stato in modo per capire le emozioni di quegli esseri, Oliviana avrebbe detto che stavano gioendo.
- Ora che abbiamo eliminato il ssssuo drago, non potrrrà farrrre molto-
Oliviana non poté fare altro che constatare l’efficacia del loro piano. Avevano fatto un ottimo lavoro. Il malumore di poco prima era passato, mentre un debole sorriso gli affiorava sul viso: ora si sarebbe vendicata dell’umiliazione subita. I suoi pensieri furono interrotti dal capitano delle guardie reali che si avvicinò titubante :
- Che dobbiamo farne di lui…Signora - gli chiese, lieto di poter parlare di nuovo un essere umano. Dietro di lei due guardie stavano portando il corpo privo di sensi di Par.
- Lasciatelo qui…Ora ordina ai tuoi uomini di nascondersi fino all’arrivo del Cavaliere…-

A centinaia di iarde di distanza Eragon sfrecciava tra gli alberi come un dannato.
Aveva sentito l’urlo di dolore della sua dragonessa, seguito da una fitta al collo che lo aveva fatto barcollare lasciandolo intontito. Eragon aveva cercato subito un contatto, ma Saphira aveva chiuso qualsiasi comunicazione.
Ormai mancavano poche iarde all’accampamento, ed Eragon sguainò la spada guardingo, ignaro di ciò che lo attendeva. Il campo era completamente al buio ma più avanti poté scorgere Saphira, riversa a terra sanguinante. A quella vista tutte le sue cautele caddero, ed Eragon le andò di corsa vicino. Non era possibile, questo doveva essere un incubo:
- Saphira …che cosa…? - non riuscì a finire la frase che da dietro udì la risata soddisfatta di Oliviana.
- Mi sembri sorpreso, Cavaliere. -
Eragon si voltò appena, e con la coda dell’occhio poté scorgere il sicario attorniato da una decina di soldati reali.
Eragon respirò a fondo. Sarebbe stato facile per lui disarmare i soldati, ma qualcosa nascosto dietro la vegetazione lo trattenne dal farlo. Delle ombre si aggiravano tra il buio della boscaglia. Poi uscirono per rivelarsi alla luce di una mezza luna. Eragon non credette ai suoi occhi, erano due Lethrblaka!
Con una breve sondaggio mentale scoprì che i mostri erano protetti da Oliviana, qualunque mossa avesse fatto, non avrebbe avuto possibilità di vincere.
La sua attenzione ritornò su Saphira. Con una fitta al cuore, notò che il suo respiro si era ridotto a un alito leggero. Non poteva vederla in quello stato. Si chinò su di lei posando tremante una mano sul fianco. Dietro di lui poteva sentire i soldati che inarcavano i loro archi contro di lui, nervosi, e Oliviana che alzava la su amano segnando loro di aspettare.
Ignorandoli accarezzò con delicatezze le squame azzurre ora macchiate di sangue. Saphira si mosse appena, mentre i suoi occhi incrociarono quelli del suo cavaliere.
Mi dispiace, non sono riuscita riuscì a dire, mentre a stento trattenne un gemito.
Eragon sentì impotente la vita abbandonare il corpo di Saphira. Se lei moriva, per lui non avrebbe avuto più senso vivere.
Ti vendicherò, anche se sarà l’ultima cosa che faccio
Eragon…. Ti prego, n…non farlo …ora…d devi pensa a Arya e il tuo bambino…tu devi vivere per loro…Promettimelo!
Saphira non parlare, conserva le forze.
Sei
un grande cavaliere, s..so che puoi farcela
No! Ho ancora bisogno di te!…Saphira!…non puoi lasciarmi…-
Ma qualunque supplica lui avesse pronunciato, Eragon sapeva che la sua fine era vicina.
Ti voglio bene Piccolo mio…e te ne vorrò sempre
Anche io Saphira…-
Addio Eragon…-

Con le ultime forze che gli rimanevano Saphira recise il legame mentale con il suo cavaliere. Poi abbandonandosi sul terreno la Dragonessa chiuse gli occhi.
Un’improvvisa vertigine, colse il giovane cavaliere, mentre la sensazione che una voragine si fosse appena aperta nel suo animo, lo lasciò senza fiato, minacciando di inghiottirlo nella sua oscurità
-Saphira….SAPHIRA!!!- Eragon gridò il suo nome con tutta le sue forze.
La vista gli si appannò, a causa dalle lacrime che gli riempivano gli occhi, e copiose scendevano sul suo volto. Poi ricadde in avanti sopraffatto.
Sentì la mente di Oliviana andargli vicino, le sue difese erano completamente abbassate, avrebbe potuto fare di lui ciò che voleva, e ormai non gliene importava nulla.
Appena le loro menti si toccarono, un brivido percorse la schiena del sicario, che barcollò, come colpita. Per un solo e interminabile istante, sentì il dolore straziante del cavaliere come fosse il suo.
Ci mise alcuni minuti per riprendersi, gli occhi di tutti puntati in attesa di suo ordine. Oliviana respirò adagio, rimproverandosi per quella debolezza.
Puntò il suo sguardo freddo su Eragon, l’esitazione di un attimo prima era scomparsa.
Davanti a Saphira il giovane cavaliere poté udire il rumore degli stivali dei soldato che lo accerchiavano.

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Capitolo 18
*** Una scelta difficile ***


Mancavano pochi minuti all’alba, e tra non molto l’aria si sarebbe riempita dall’incessante cinguettio degli uccellini che annunciavano a tutti la nascita di un nuovo giorno. Ma prima che ciò potesse avvenire, per un unico breve istante, tutto avrebbe taciuto. E fu allora, che nel piccolo campo ai margini della Stonewood, calò un silenzio spettrale.
In quel momento, una giovane donna, si avventurò lasciando il suo nascondiglio sicuro e si avvicinò un po’ esitante al corpo inerme di Saphira, che giaceva immobile sul terreno. I suoi occhi neri brillarono di puro stupore mentre scopriva con sollievo che il grande cuore della dragonessa batteva ancora. Era un battito molto lieve, quasi impercettibile, ma che gridava con tutte le sue forze, la voglia di continuare a battere.
Più in là, la ragazza scorse il corpo ancora privo di sensi di Par, la misteriosa ragazza si affrettò a frugare nella sua borsa, tirando fuori, subito dopo, una boccetta contenente uno strano liquido rosso. Accoccolandosi al suo fianco aprì il tappo e, con un piccolo gesto rotatorio, gli passò più volte il flacone sotto il naso.
Un odore acre e pungente penetrò improvvisamente nelle narici dell’elfo, che tirandosi su un gomito iniziò a tossire. La giovane gli passò una mano sulle spalle, e con un sorriso gli disse:
- Tutto bene? -
- Sì, mi pare di sì- gli rispose Par, mentre riprendeva controllo sui propri polmoni.
- Co… cosa è successo? -
- Cosa non è successo, vorrai dire! - sbottò la giovane, con una confidenza che sorprese Par. Chi era quella ragazza? Si chiese improvvisamente l’elfo realizzano solo ora di non conoscere la ragazza. Par dovette guardare la giovane con una strana espressione sul volto, perché lei si affrettò ad aggiungere
- Avete provocato un bel frastuono con quella lotta. –
Saphira! Le ultime immagini balzarono immediatamente alla mente dell’elfo
Par cercò di alzarsi per piombare di nuovo a terra ancora stordito.
Fu quindi sorpreso quando la ragazza gli passò un braccio dietro la spalla per aiutarlo a sorreggersi.
Solo in quel momento Par poté vedere Saphira.
La ragazza lo osservò avvicinarsi a lei con cautela e tremante:
- Stavo giusto per avvertirti. Le sue condizioni sono critiche. Dobbiamo fare subito qualcosa a quelle ferite, altrimenti morirà. -
- Tu…tu puoi fare qualcosa? -
- Certamente, sono una maga e una guaritrice. Ma mi servirà tutto l’aiuto possibile. Te la senti di aiutarmi? -
Par non se lo fece ripetere due volte e con una espressione determinata sul volto disse solo - Mettiamoci al lavoro -
- Molto bene - gli rispose la giovane con un sorriso. – Ad ogni modo, Io sono Morgana – le fece lei porgendogli una mano. Dopo un attimo di esitazione l’elfo gliela strinse a sua volta. - Par – rispose lui ricambiando il sorriso con un po’ meno convinzione.

– Se dobbiamo lavorare insieme è bene sapere almeno i nostri nomi, non trovi? – il suo volto, notò Par, non aveva ombre, era sincera e l’elfo si trovò di nuovo disarmato di fronte alla schiettezza della ragazza – Giusto – aggiunse - da dove cominciamo? – chiese quindi alla ragazza. Morgana si fece scivolare il mantello dalle spalle e lo posò sul terreno prima di sfregarsi le mani e guardarsi intorno – Avremo bisogno di un fuoco e dell’acqua per applicare gli impacchi alle sue ferite. Iniziamo da questo. –  disse  
Lavorarono tutta la mattina e tutto il pomeriggio. La ragazza si muoveva con sicurezza ed esperienza sulle ferite della dragonessa, e scoprì con stupore le conoscenze di Par riguardo alle funzioni di diverse erbe e pozioni guaritrici.
Era ormai pomeriggio inoltrato quando la maga si sedette con un lieve sussulto. - Ora dobbiamo aspettare che passi la notte. Se riesce a superarla, possiamo sperare. - lasciò quelle ultime parole spegnersi in un sussurro. Doveva essere molto stanca, e anche Par lo era.
Senza dire una parola, come in mutuo accordo, i due restarono seduti intorno al fuoco, mentre l’oscurità calava inesorabilmente intorno a loro.
- Come hai fatto a trovarci? -
Chiese dopo un tempo che gli parve un’eternità
La giovane maga sorrise stanca, e la sua risposta arrivò altrettanto remota:
- Io abito ad un miglio da qui. Ero in giro da due giorni, alla ricerca di alcune piante che crescono solo di notte, e mi stavo preparando alla mia seconda battuta di caccia, quando ho sentito i rumori dello scontro. Quando sono giunta nei pressi del vostro accampamento. Il mio istinto mi disse di rallentare. Stava per succedere qualcosa di terribile o era già successo, non lo sapevo. Avanzai ancora con cautela quado il terrore s’impossessò dei miei arti. Rimasi completamente immobilizzata, non mi era mai successo di provare una sensazione del genere prima d’ora - gli occhi della maga, guizzarono accesi verso Saphira.
- Riuscii appena in tempo a nascondermi per non esser vista da una squadra di dieci soldati reali accompagnati di due figure incappucciate. Erano loro la causa del mio terrore -
I Raz-zac! La mente di Par prese a girare freneticamente.
Dovevano avergli preparato un ‘imboscata. Ma come avevano fatto a trovarli.?

Era stata Oliviana! concluse l’elfo. Il sicario doveva essere riuscito in qualche modo a trasmettere a quei mostri la loro posizione. Par non sapeva spiegarsi come. Molte cose del quadro ancora non gli tornavano.
La ragazza proseguì con il racconto.
- Mi appiattii contro un albero e attesi. Dalla mia posizione, la visuale mi permetteva di vedere bene la sagoma della dragonessa, immobile, ma non quello che le accadeva intorno. Poi riuscii a scorgere una donna che le si avvicinò. Doveva essere il capo, perché ad un suo ordine tutto tacque. Non so dirti quanto tempo passò prima dell’arrivo di quel ragazzo dalle sembianze elfiche -
- Eragon! - Questa volta Par diede voce ai suoi pensieri, interrompendo il discorso della maga. Era stato così intento a sanare le ferite della dragonessa, che aveva completamente dimenticato l’assenza del cavaliere.
La ragazza annuì grave e così Par apprese con orrore i particolari della sua cattura.
- Ho aspettato il tempo necessario per essere certa che nessuno di loro tornasse indietro, poi sono uscita allo scoperto - disse infine la ragazza concludendo il suo racconto.
- Ti dobbiamo la vita - le disse infine Par
- Ora tocca a te. -
- Toccarmi cosa? -
- Che ci facevano un elfo un drago e il suo cavaliere agli estremi della Stonewood, e con le guardie imperiali alle calcagna? -
Par la fissò dritta negli occhi per alcuni istanti. Che ne sapeva quella ragazza di draghi e cavalieri. Dietro di lui poteva sentire il lento respiro di Saphira, ritornato regolare. Non sapeva ancora se fidarsi di lei. Quello che aveva fatto quel giorno per Saphira era stato grandioso. Ma si era guadagnata il diritto a delle risposte?
- Dovevamo raggiungere l’altro capo della foresta. - disse enigmatico
- Un’impresa alquanto insolita. -
- Ci eravamo fermati per procurarci dei viveri e continuare il viaggio, ma siamo stati intercettati. Il seguito della storia la conosci già. -
Lo sguardo della giovane si fece accigliato:
- D’accordo. È giusto che tu voglia mantenere i tuoi segreti - Morgana gli sorrise stanca, il lavoro era stato lungo ed estenuante, e lei non voleva spendere altre energie preziose.
- Domani sarà una giornata altrettanto dura. Sarà meglio che riposiamo. E se allora avrò conquistato la tua fiducia, e vorrai dirmi la verità, sarò ben lieta d’ascoltarla -
Sotto gli occhi di un attonito Par Morgana si sistemò le coperte per la notte, e si addormentò quasi subito.
Par rimase solo qualche minuto a pensare alle sue parole. Poi la stanchezza prese il sopravvento e in un attimo anche lui si abbandonò ad un profondo sonno.

                                   **

Al suo risvegliò, il mattino seguente, Par trovò Morgana già alzata, china su Saphira, e i sospetti della sera prima, che credeva assopiti, lo investirono con nuova forza, prima di rendersi conto che la maga le stava solo cambiando alcune medicazioni.
- Buongiorno, come stai? - la sua voce argentina risuonò in tutto il capo, aveva oramai perso ogni traccia di stanchezza.
- Molto meglio. Ti ringrazio. -
Morgana sembrò aver intuire i suoi sforzi, ma, prima che entrambi potessero dire o fare qualcosa, la loro attenzione fu attirata da un movimento alle loro spalle.
Con loro grande gioia Saphira aveva lentamente aperto gli occhi. I loro sforzi erano stati finalmente ricompensati.
La dragonessa cercò istintivamente di alzarsi, ma lo sforzo era ancora troppo grande per lei.
- Non ti muoverti, non ancora. - le disse Morgana posandole una mano sul collo.
Alla vista della maga, Saphira emise un lungo ringhio d’avvertimento.
Par la raggiunse all’istante.
- Tranquilla Saphira, è un’amica-
Saphira sembrò sollevata nel vedere l’elfo, ma un basso ringhio, questa volta rivolto a Par, seguì immediatamente il primo, facendo sobbalzare entrambi.
La dragonessa aveva provato a mettersi in contatto con il suo cavaliere, ma non aveva ricevuto alcuna risposta.
Dove si trova Eragon?
La domanda rimbombò nella mente di Par con tanta forza da farlo sobbalzare una seconda volta.
- Che cosa succede? - chiese confusa la maga.
Par assunse un’espressione contrita, e abbassò lo sguardo.
Fu allora che Morgana comprese, e prendendo coraggio, si intromise fra loro, raccontando lei cosa era accaduto.
Quando ebbe terminato Saphira distolse lo sguardo da entrambi
E’ così chiese in conferma all’Elfo
Sì, Saphira
Un lungo ululato di lamento, uscì allora dalla sua gola.
Morgana sembrò terribilmente impressionata, da quella reazione.
- Non dovrebbe agitarsi, ha bisogno di riposo - disse rivolgendosi preoccupata a Par
Quello di cui avrei bisogno ora, è sapere che Eragon sta bene!
La dragonessa aveva parlato direttamente nella mente della maga, lei sostenne il suo sguardo per qualche secondo, poi le disse in un sussurro:
- Mi dispiace, ma per questo non posso fare nulla –

                                   **

Nei giorni seguenti Saphira cercò più volte di alzarsi, ma lo sforzo risultò sempre superiore alle sue forze, e Morgana cambiava giornalmente gli impacchi sulle ferite.
Dopo i primi due giorni, in cui sembrava non esserci miglioramenti, il recupero di Saphira divenne più rapido. Nel giro di una settimana, riuscì ad alzarsi e dopo due giorni era in già grado di volare anche se solo per piccoli tratti.
Potendosi di nuovo muovere, Morgana ritenne più opportuno, per tutti e tre, stabilirsi a casa sua.
La sua posizione isolata, aveva spiegato, avrebbe offerto loro meno possibilità di essere visti da qualcuno. Inoltre lì aveva tutti i suoi libri e pozioni, e avrebbe seguito al meglio la degenza di Saphira.
Morgana dovette andare in città un paio di volte.
- La gente non parla d’altro che dell’arrivo dei due mostri al servizio della regina - aveva detto al ritorno dopo una mattinata intera passata fuori.
- Ma ha timore a parlare apertamente di cosa è successo. L’unica cosa positiva che sono riuscita a scoprire, è che i soldati hanno avuto l’ordine di non far avvicinare nessuno alla foresta, neanche gli stessi soldati possono: evidentemente non vogliono che nessuno veda Saphira. Quando mi hanno vista arrivare dalla foresta, mi hanno fatto un sacco di domande - aggiunse con fare malizioso - ma sono riuscita a cavarmela. -
- Grazie- gli fece alla fine Par.

In un mutuo accordo, l’elfo continuava a tenere i propri segreti e Morgana continuava a non indagare.
- Come sta Saphira? - chiese infine, tirando fuori alcuni oggetti dalla sua borsa.
- Riposa –
Morgana si limitò ad annuire quindi uscì sul retro. Trovò Saphira accucciata al lato di un albero. La dragonessa alzò lentamente la testa quando si accorse della sua presenza. La ragazza si bloccò solo un attimo prima di avvicinarsi a lei con in mano l’occorrente per altri medicamenti. Posando gli oggetti a terra iniziò ad esaminare le ultime cicatrici che ancora segnavano al sua corazza squamosa. Le sue sottili dite si mossero sulle squame con sapienza, poi, sempre in silenzio scelse alcune erbe tra quelle che aveva portato con lei e le iniziò a pestare nel mortaio.
Era passata circa mezz’ora, quando Morgana sentì una voce risuonargli nella testa.
Perché lo stai facendo? Morgana ci mise un poco a capire che si trattava di Saphira. La dragonessa le aveva parlato di nuovo nella mente, come aveva fatto il primo giorno.
- Fare cosa? -
Perché ci stai aiutando? Hai detto di non conoscerci, ma stai lo stesso rischiando molto per noi. -.
Morgana posò la ciotola del mortaio e guardò la dragonessa in uno dei suoi grandi occhi azzurri.
- Mi crederesti, se ti dicessi che lo faccio semplicemente per darvi una mano? -
- No, non prendermi per una stupida, sento che sai molto di più di quel che vuoi far credere -
- Anche tu come Par non ti fidi di me? -
- No, io mi fido di te Morgana, altrimenti non ti avrei mai permesso di avvicinarti a noi, ma ora ho bisogno di sapere perché. Morgana deglutì a vuoto rendendosi conto che se la dragonessa avesse avuto anche il minimo dubbio su di lei ora quella conversazione si sarebbe svolta in bel altre condizioni. La maga era anche grata della profonda stima che le stava concedendo fece.
- E va bene. Sapevo del vostro arrivo – disse decisa a raccontarle tutto. -  o meglio, lo avevo previsto. Ma non sapevo chi foste veramente fino a quando non ti ho visto combattere con quei mostri, quei Lethrblaka, come li hai chiamati tu. È per questo che stavo in giro quella notte.
So anche, che tu e il tuo cavaliere venite da Alagaësia -
Morgana sentì la dragonessa flettere il suo collo per avvicinarsi. Avvertì la curiosità sprigionare dai confini della sua coscienza.
- Prima della pace, quando la regina era ancora in rapporti con il vostro re Galbatorix, dei suoi maghi erano venuti qua, ed avevano parlato con me. Il vostro re sapeva di ciò che c’era dall’altra parte della foresta e voleva impadronirsene. Ma doveva risolvere prima alcuni problemi all’interno del suo paese.

Quei maghi non mi diedero una buon’impressione e capii subito che non era prudente ignoragli. Mi dissero che non molto tardi sarebbe dovuto arrivare un cavaliere e il suo drago, e anche che la regina non avrebbe dovuto sapere nulla fino al loro arrivo.
Da allora sono passati molti anni, e per mio sollievo nessuno si è fatto più vedere.
Poi i mercanti che provenienti dalla capitale hanno iniziato a parlare di voi, ma la segretezza intorno alla vostra venuta mi ha fatto pensare che doveva essere successo qualcosa.
E’ per questo che vi sto aiutando, vorrei saperne di più -
E così Galbatorix era a conoscenza di questo luogo. Morgana devi allora sapere che Galbatorix è stato distrutto.
Saphira gli raccontò allora in breve cosa era accaduto nel loro paese, della loro partenza da Alagaësia fino al loro arrivo a Zàkhara, e di com’erano venuti a conoscenza di queste terre.
Adesso capisco tutto l’interesse del re per raggiungere le terre selvagge!
E a quanto pare la regina deve essere tuttora all’oscuro dell’importanza di questo luogo.

**

Dopo due settimane, Saphira aveva recuperato tutte le sue capacità motorie, e presto si sentì abbastanza in forze, da poter alzarsi in volo e procurarsi il cibo da sola.
Par e Morgana la videro alzarsi in volo e volteggiare con grazie sopra la foresta, per sparire subito dopo dietro la cima degli alberi.
- E’ bello rivederla di nuovo in forma…- sorrise Par. - Credi si sia ripresa del tutto?- chiese cercando con lo sguardo gli occhi della maga
- Le ferite esteriori sono guarite. Quelle del suo animo, non credo possano andarsene così facilmente - ammise seria.
Il volto di Par si fece all’improvviso scuro: da quando Saphira si era svegliata, l’elfo aveva temuto ogni giorno l’arrivo di questo momento; sapeva che per loro non c’era situazione migliore di questa per proseguire la missione, ma non era certo che la dragonessa sarebbe stata disposta a farlo.
- Che cosa intendete fare adesso?- chiese Morgana, intuendo i pensieri dell’elfo.
- Non lo so, ne dovrò parlare prima con Saphira, suppongo. Spero solo che possa essere ragionevole. –

                                         **

 

Quella sera stessa Par uscì fuori deciso a parlare con Saphira del loro futuro, ma non la trovò in nessuno dei posti dove era solita riposare per la notte. Stava per entrare a chiedere spiegazioni a Morgana quando fu raggiunto dalla voce della dragonessa.
Saphira dove sei? chiese con un senso di sollievo nel sentire la sua voce.
Sono poco distante dal capanno. So che volevi parlarmi, ma non tornerò subito Par Allarmato da quest’affermazione Par si affrettò chiedergli
Che storia è questa Saphira? Che intendo fare? La voce di Saphira si espanse nella mente di Par per diventare più calda e rassicurante.
Non ti preoccupare, ho solo bisogno di un po’ di tempo per pensare. Ho già parlato con Morgana e lei è d’accordo
Saphira! protestò l’elfo, ma la dragonessa aveva oramai tagliato la comunicazione e Par non poté fare nulla. Dopo un attimo Morgana uscì, e gli andò incontro.
- Saphira mi ha detto che ha parlato anche a te. È volta via. Perché gli hai detto che andava bene? -
- Non avevo alcun diritto di fermarla, ora che è guarita non ne vedo il pericolo -
Par la guardò disarmato, ma non aggiunse nulla.
Quando il giorno dopo Saphira atterrò davanti alla casa di Morgana, il sole era già sceso dietro gli alberi, e la foresta stava per essere avvolta dalla coltre scura della sera:
- Ho pensato a lungo a quello che è successo da quando siamo partiti per questa missione. - gli disse senza preamboli
- Ho sentito i tuoi timori ieri mattina, Il mio più grande desiderio era infatti di raggiungere Eragon, e lo è tutt’ora.
Par fece un cenno di protesta, ma Saphira lo interruppe prima che potesse dire qualcosa.
Ma è anche vero che abbiamo un compito importante da portare a termine.
Sono stata a lungo combattuta tra questi due obblighi. Poi ho capito che non potevamo farcela da soli, ed è per questo che ho chiesto a Morgana di aiutarci.
Ma non possiamo chiedergli tanto! fece allora Par, esprimendo tutti i suoi dubbi. Ma una voce alle sue spalle lo fece subito girare.
Morgana gli aveva infatti raggiunti:
- Non ti devi preoccupare Par, sono io che ve lo chiedo.
Devo dire che ho dovuto parlare a lungo con Saphira prima di convincerla, ma alla fine abbiamo raggiunto un accordo.
Voi proseguirete verso le terre selvagge. Io mi occuperò del modo di liberare Eragon-
- È già tutto deciso quindi!? -
- Sì Par. Era quello che desideravi, no? -
- Certo, ma…-
- Niente ma. Domani andrò in città per procurarvi i viveri che necessitate. Poi tu Saphira potrete ripartire.

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Capitolo 19
*** Squame ghiaccio e squame zaffiro ***


Saphira e Par stavano sorvolando la Stonewood da ormai due settimane, davanti al loro l’immensa distesa verde si stagliava senza fine tanto da fargli dubitare che avesse una fine.
Fu al quindicesimo giorno di volo che la dragonessa riuscì finalmente a intravedere i primi picchi dei monti delle terre selvagge che si stagliavano, ora, come miraggi tra le cime degli alberi.
Guarda Par, riesco a intravedere i picchi. Ancora qualche giorno e potremmo raggiungere le loro pendici!
Par gli rispose con un flebile sorriso, accoccolandosi intorno al suo collo, mentre stringeva i denti nel tentativo di frenare i fremiti alle gambe che iniziavano a dolergli terribilmente a causa del loro sfregamento prolungato contro il corpo della dragonessa durante interi giorni di volo forzato.
Anche Saphira era altrettanto stanca. Più di una volta, la dragonessa aveva volato oltre i propri limiti per permettere a Par di riposare in un luogo sicuro. La dragonessa non gli aveva permesso di replicare dopo che per due volte di seguito si erano imbattuti in un branco di pericolosissime bestie, simili a lupi, fornite di un paio di lunghe zanne affilate.
Quei lupi, aveva osservato, si muovevano e attaccavano in branco e, anche se non avrebbero potuto fare molto contro un drago, Saphira aveva temuto spesso per la vita di Par.

**


Era l’alba del sedicesimo giorno di viaggio, appena un giorno da quando avevano effettuato l’avvistamento del branco di lupi dai denti a sciabola, quando gli alberi iniziarono a diradarsi sotto  e alzandosi in volo Saphira e Par riuscirono a scorgere da lontano la fine della foresta.
C’impiegarono altri quattro giorni per raggiungere le pendici delle montagne, oramai non sentivano più quella fretta che gli aveva spinti fin a qual momento e Saphira si permise di fare delle pause più lunghe.
La sera del diciassettesimo giorno, Par sedeva davanti a un fuoco. Era stato un piacere per L’elfo poggiare ii piedi sul terreno solido per più di una manciata di ore, e per la prima volta poté godersial piacere di un pasto tiepido. A rovinare il momento di sollievo arrivarono grandi nuvoloni dalle montagne che  si addensarono sopra di loro portando con sé una fitta pioggia che li accompagnò nei giorni seguenti
Per Saphira non era un grosso problema, ma Par, iniziò seriamente a pregare che smettesse. Al quarto giorno di pioggia incessante, infatti, gelo era penetrato fin dentro le ossa dell’elfo che non aveva più un indumento asciutto:
- Maledetta pioggia! - imprecò l’elfo ad alta voce, mentre cercava di accendere un piccolo fuoco da campo con un paio di rametti e una pietra focaia. La pioggia aveva irrimediabilmente bagnato ogni cosa che li circondava, compresa la legna, che ora non si decidevano ad accendersi.
Erano già una ventina di minuti che stava tentando, ma fino ad ora era riuscito solo a rimediato un fastidioso graffio alla mano destra, nono era grave e sarebbe guarita in pochi giorni, ma aveva reso Par molto nervoso.
Mi permetti di darti una mano? gli chiese la dragonessa, che stava osservando Par con divertimento. Accortosi dell’ironia, con un aspro sguardo, l’elfo gli fece segno di farsi avanti.
Saphira allungò il suo collo sopra ai legnetti, poi vi ci soffiò semplicemente sopra.
Una sola piccola scia di fuoco, ma che fu sufficienti ad ardere immediatamente la legna che Par aveva raccolto.
L’espressione sul volto di Par mutò immediatamente:
- Grazie! - gli disse Par riconoscente.
Da solo ci avrei impiegato tutta la serata, quei rami erano davvero fin troppo fradici. Ammise sfregandosi le mani ancora gelate davanti al tepore delle fiamme.
Diciamo anche tutta la notte. Gli fece la dragonessa di rimando gorgogliando divertita.
Già … gli rispose Par con un sorriso.
In tutte quelle settimane di viaggio i due compagni non si erano scambiati molte parole. Era stata una decisione presa in tacito accordo, e nessuno dei due aveva avuto intenzione di toccare l’argomento, almeno fino a quel momento.
Morgana avrà raggiunto Murtagh e Arya? chiese Saphira dopo alcuni minuti di silenzio. Dalla sua voce traspariva un’incertezza che finora Par non aveva mai avvertito.
Non lo so Saphira.  gli disse onestamente.
Ma lo spero tanto e noi non dobbiamo dubitare della sua parola. Vedrai che ce l’avrà fatta, riusciranno a liberare Eragon, e il tuo cavaliere sarà presto al sicuro con Murtagh e Arya
La nostra unica speranza è di trovare l’uovo destinato a Eleonor. Solo così avremmo una possibilità di sconfiggere Isobel e il suo esercito Ma ti ringrazio. Da sola non avrei avuto la forza di continuare. Ora Par è meglio che riposi.
Ma l’elfo scosse la testa con decisione.
No Saphira, farò io il primo turno di guardia. Così mi potrò asciugare gli indumenti davanti al fuoco aggiunse per bloccare le proteste della dragonessa. Saphira alla fine acconsentì e facendo rotolare la sua coda intorno al corpo chiuse i sui occhi e si addormentò

                                   **

Al quinto giorno la pioggia aveva finalmente cessato di cadere, e durante il pomeriggio anche il cielo andò rasserenandosi e il sole fece timidamente capolino dietro gli ultimi sprazzi di nuvole.
Il temporale si era lentamente spostato a est ma nonostante il sole fosse riapparso, non aveva impedito che la pioggia lasciasse dietro di se una scia di aria gelida.
Par si racchiuse ancora più dentro il suo mantello, mentre si preparava di nuovo a salire sul dorso di Saphira. Erano passate solo due ore quando i due compagni si accorsero che avevano raggiunto le pendici dei picchi che adocchiavano orami da quasi una settimana
- Ci siamo, ora sapremo se il viaggio ne è valso il sacrificio - disse Par guardando con emozione davanti a se i monti che molti anni fa aveva solo raggiunto e mai varcato.
Andiamo! Aggiunse usando il collegamento mentale.


Avevano appena passato una serie di piccole colline e superato un piccolo promontorio roccioso, quando ecco che da lontano comparvero cinque puntini neri. Presto fu evidente che si trattava di un qualche genere di volatile. I puntini divennero presto delle grandi macchie che stavano puntarono dritto verso di loro. Saphira non avrebbe potuto nascondersi oramai, così continuò spedita nella sua direzione incontro alle cinque creature alate.
Questi si stavano avvicinando con estrema velocità, e Saphira non impiegò molto per riconoscere le loro sagome come quelle di cinque draghi!


Erano un arcobaleno di colori. Una volta a portata d’ala, il più grande tra loro, un robusto drago nero, si portò immediatamente aventi agli altri, e iniziò a girare intorno a Saphira. La dragonessa sentì immediatamente qualcuno sfiorare la sua mente.
Al timore iniziale, seguì subito la curiosità. Quei draghi, si rese conto Saphira, comunicavano con uno strano linguaggio fatto di gorgoglii e ruggito. Poi, come in una starna alchimia, quei gorgoglii divennero dei suoni che presto si trasformarono nella sua testa in parole. Una forte curiosità emanava da loro e in poco tempo Saphira si accorse di comprendere tutto ciò che dicevano attraverso le loro menti. Era qualcosa d’ancestrale che Saphira seppe fare parte della sua conoscenza ancora prima di nascere.
A un loro cenno, Saphira seguì i cinque draghi senza batter ciglio.
Saphira che cosa sta succedendo?.
Gli chiese ad alta voce Par, che dal suo dorso aveva sentito solo una serie di ringhi, e visto sguardi d’intesa tra i vari draghi.
Ci stanno portando dal loro capo. le disse semplicemente la dragonessa, che si rese conto solo ora di essersi quasi dimenticata della presenza di Par. Lo sentì stringersi forte al suo collo, mentre lei si girava a destra e a sinistra, impaziente di scoprire tutto di questo nuovo mondo.
I cinque draghi guidarono Saphira nel mezzo d’alcuni picchi frastagliati.
La loro presenza in quei luoghi era ben visibile a occhio nudo. Peofondi squarci che si aprivano numerosi nella tenera roccia, la dove le enormi creature dovevano essere atterrate e decollate più e più volte.
Una serie di grotte e affioramenti d’arenaria erano visibili ora dall’alto. I draghi ignorarono questi per dirigersi sicuri verso un ampio varco, oltre il quale, davanti a loro si aprì un’immensa vallata sovrastato da alti monti innevati.
Dalla loro visione privilegiata, Par e Saphira poterono notare, come la valle fosse attraversata da un gran fiume, che serpeggiava nel suo mezzo, e che proseguiva oltre quei monti, e come, sui suoi due lati, una rigogliosa foreste ne ricoprivano a macchie la superficie.
I cinque draghi attraversarono la valle, e Saphira non poté fare a meno di provare un’intensa sensazione di libertà. Quelle stesse emozioni, che ricordò di aver provato solo nel deserto di Hardarac molti anni fa, quando con Eragon erano in fuga dall’impero di Galbatorix.
La memoria del suo cavaliere, la riportò improvvisamente al presente, alla missione che dovevano compiere, e a Par che stava sul suo dorso. L’elfo, notò Saphira, girando leggermente il collo verso la sua direzione era ora catturato da ciò che si presentava davanti agli occhi. Un numero indefinito di draghi si erano in poco tempo radunato intorno ai nuovi arrivati.
Benvenuta tra noi parlò una voce che aveva raggiunto la mente di Saphira
Quale è il vostro nome e da dove provenite?
Io sono Saphira, e lui è un elfo, sta viaggiando con me e si chiama Par.
Disse Saphira girandosi rapidamente intorno a sé in cerca del drago che gli stava parlando.
Io provengo dalla lontana terra di Alagaësia
A quel nome, tutti i draghi si guardarono tra loro, mentre colui che aveva parlato, probabilmente il loro capo, un possente drago bianco come il ghiaccio, avanzò deciso verso di lei.
Il drago aveva un portamento regale, le sue dimensioni, che superavano notevolmente quelle di un qualsiasi altro drago Saphira avesse mai visto, erano maestose. Anche Gleadr a suo confronto sarebbe risultato piccolo. Le sue scaglie erano di un colore bianco ghiaccio, che brillavano di un argento vivido alla luce del sole.
In contrasto con la luce delle sue scaglie, il drago sfoggiava lunghi spuntoni, di un nero ebano, che sporgevano lungo tutta la spina dorsale, mentre sulla sommità e i lati della testa, due paia di corna completavano quella magnifica corazza.
Il mio nome è Sigmar tuonò il drago
Sono a capo di queste terre, e dei draghi che vi abitano da oramai oltre mille anni.
Hai detto di venire da Alagaësia. Ero presente quando molti di noi partirono per quella terra lontana. All’epoca ero ancora un cucciolo, ma ricordo bene i motivi che ci hanno costretti a quel gesto.
La terra era in tumulto, e il clima era cambiato, non avevamo possibilità di dare il cibo a tutta la comunità. Così Il mio bis nonno, e il consiglio degli anziani che egli dirigeva, optò per la partenza di parte di molti valenti draghi del nostro clan in cerca di nuove terre. Fu una grande pena per tutti noi vederli partire. A quella prima ondata, avrebbero dovuto far seguito altre. Ma nel frattempo avvenne qualcosa di epocale. Dopo quasi cento anni, il clima, si ristabilì. La fauna e la flora tornarono abbondanti e noi draghi come tutti, riprendendo a proliferare, protetti dal resto del mondo da questi monti, continuammo a vivere indisturbati. Fino ad ora.

Par fu informato da Saphira di ciò che Sigmar si stava dicendo.
Alla fine del suo discorso il drago dalle squame di ghiaccio allungò il suo muso verso Par, accorgendosi della sua presenza per la prima volta:
Non abbiamo avuto contatti con altri esseri viventi che non abitassero già queste terre fino alla venuta di una creatura simile in tutto a questo bipede, che tu hai chiamato elfo.
Disse senza distogliere il suo sguardo da Par che si sentì un po’ a disagio. Quando Saphira gli ebbe tradotto ciò che aveva detto la mente di entrambi venne attraversata da un unico pensiero.

Eleonor doveva aver raggiunto quelle terre prima di loro. Sigmar colse quello scambio di sguardi e chiese senza indugio: Sapete di chi si tratta?

Fu Saphira a parlare Sì Sigmar la conosciamo, il suo nome è Eleonor. Il drago corvino rimase in silenzio per alcuni istanti prima di rivolgere a Saphira un’altra domanda.
È lei che ti ha ricondotto nella tua terra natale?

Per lei e per tenere fede a una promessa fatta al mio compagno di mente e di cuore Rispose Saphira
Curioso che esseri tanto piccoli e così indifesi possano influenzare le scelte di una creatura come la nostra.
Saphira, colpita nell’orgoglio emise un ringhio di protesta.

Non sono stata influenzata da nessuno.  

Perdonami Saphira, non posso parlare di ciò che non conosco. Parlaci dunque di Alagaësia, e come i nostri fratelli stanno vivendo.
Sigmar, ciò che chiedete, potrebbe andare ben oltre la vostra stessa immaginazione e ci vorrà del tempo per essere raccontata.
Tutti noi non abbiamo fretta. Avanti, ti ascoltiamo.
gli fece allora Sigmar, mentre gli altri draghi avevano preso a stringersi tutti intorno alla dragonessa dalle squame zaffiro. Così Saphira iniziò il raccontare della storia di Alagaësia, partendo dalla venuta dei primi draghi. Proiettò alcune immagini nelle loro menti, al fine di far comprendere ciò che era stata la sanguinosa guerra tra elfi e draghi. Dell’amicizia tra il giovane Elfo, Eragon, e un piccolo cucciolo di drago; di come insieme entrambi, diedero vita a quella che poi si sarebbe trasformata in una lunga alleanza tra il popolo dei Draghi e quello degli Elfi, e in seguito anche degli uomini, che sarebbero stati poi chiamati Cavalieri dei Draghi.
Tutti i draghi espressero tutto il loro dolore e rammarico per l’enorme errore che si era creato intorno all’uccisione del primo drago, e guardarono Saphira ora con rinnovato stupore quando vennero a conoscenza del patto di sangue che sigillò per sempre la pace tra le due razze, e che aveva legare lei, e molti altri loro simili a un elfo o a un essere umano.
Saphira non comprese a pieno il significato dei numerosi sguardi che di sfuggita Sigmar si scambiò con altri anziani, se erano di preoccupazione, paura o sospetto.
Ciò che ci hai appena narrato è sorprendente. Noi tutti siamo addolorati per ciò che è accaduto. Che questo sia un ammonimento a tutti noi per il futuro. disse allora Sigmar prima di lasciare nuovamente la parola a Saphira, e calmando così tutti gli animi.
Il racconto proseguì con la storia di Galbatorix. Di come il giovane e promettente cavaliere perse il suo drago. Di come questo lo portò, in seguito, a distruggere l’ordine dei Cavalieri, ed estinguere quasi completamente la loro razza, ad accezione dei rinnegati e i loro draghi. Di come aveva legato a sé Skruikan con un oscuro incantesimo, e di come divenne l’indiscusso re di tutta Alagaësia.
Gli raccontò infine del suo cavaliere, Eragon, e delle loro imprese, di Castigo e Murtagh, e di come insieme hanno sconfitto Galbatorix, grazie anche al sacrificio di Skruikan.
E in fine del motivo per cui hanno dovuto lasciare Alagaësia, e giunti nella loro terra si siano imbattuti in quel nuovo conflitto.
Tutti i draghi meditarono a lungo sulle parole di Saphira. La loro responsabilità verso il mantenimento degli equilibri della terra era molto forte e non poteva lasciargli indifferenti.
Ma Sigmar seppe ricomporre gli animi di tutti con parole di conforto.
Nel frattempo Saphira si accorse che Par si era addormentato al suo fianco, mentre il sole aveva fatto un giro completo del suo ciclo. Non si era resa conto di aver parlato così a lungo, e non era ancora arrivata a spiegare il motivo per cui erano lì, per lei le erano parse passare solo poche ore. Saphira rimase sconcerta da quella dilatazione del tempo, e chiese subito spiegazione a Sigmar.
Il drago pensò alcuni secondi prima di darle una risposta.
Dal nostro punto di vista, non è cambiato nulla. Non è il nostro tempo che è più largo, ma al contrario. Sei tu Saphira che entrata a contatto con gli umani, ti sei ormai adeguata a un diverso scorrere del tempo. Gli disse l’anziano drago mentre un profondo suono gutturale scosse tutto il suo corpo, facendo capire a Saphira che la cosa doveva averlo divertito molto.
Poi Sigmar la lasciò, per andare a occuparsi di altre faccende. Saphira rimase in compagnia dei draghi più giovani che la invitarono a visitare la loro valle.
Saphira declinò l’invito esprimendo la volontà di rimanere accanto a Par. Avrebbe vegliato sull’elfo almeno fino a quando non si fosse svegliato. Ma Saphira sapeva che la vera ragione per cui non era andata, era che quella nuova realtà la spaventava: e in quel momento, più che mai, sentiva la mancanza di Eragon. Aveva la sensazione di stare perdendo sé stessa. Tutto quello che aveva rappresentato il suo mondo fino a quel momento stava perdendo significato, un baratro si era aperto davanti a lei. Un baratro che quei draghi stavano invitandola a superare, e quello che l’attendeva dall’altra parte, lo percepiva nel profondo, non doveva essere poi tanto sbagliato.
Par si ridestò dopo alcune ore.

- Avete concluso? - chiese con la voce ancora impastata.
Sì, mi dispiace se hai dovuto aspettare tanto. Saphira spiegò brevemente a Par ciò che gli aveva riferito Sigmar riguardo al tempo.
- Non c’è bisogno che ti scusi, non dipende da te Saphira.
Ma dobbiamo chiedere immediatamente al loro capo, a questo Sigmar, il premesso di avvicinarci alle loro uova. -
Saphira era d’accordo con l'elfo, ma durante la giornata entrambi scoprirono che era quasi impossibile avvicinarsi a Sigmar.
Saphira sentì che c’era qualcosa che non andava, e notava come guardavano Par con sospetto.
Passarono così due giorni, e la risposta che ricevevano dagli altri draghi era sempre la stessa. Saphira capì che avrebbe dovuto fare assolutamente qualcosa, ma l’avrebbe dovuto fare da sola.
Al terzo giorno, Saphira aspettò che Par si addormentasse, per spiccare il volo decisa a incontrare Sigmar ad ogni costo.
Saphira andò subito alla ricerca di Sigmar, ma venne presto a conoscenza che l’anziano drago si era allontanato per una perlustrazione ai confini del loro regno e non sarebbe tornato prima di due ore.
Fu allora che la dragonessa venne del tutta trascinata dagli altri draghi, che la invitarono a seguirla presso un piccolo laghetto. Saphira, questa volta, non riuscì a dire loro di no.
Così le altre dragonesse la portarono nelle profondità del mare, dove le mostrarono le meraviglie dei suoi fondali, per poi riemergere e giocare insieme con gli schizzi l’acqua.
Fu forse il profumo della salsedine che inebriò le sue narici procurandogli una piacevole e rilassante sensazione, o fu la compagnia di altri draghi, ma i loro versi si fusero presto nella mente di Saphira riempiendola di stimoli e di ricordi, che dentro di se, sapeva essere legati a prima della sua nascita. Ricordi che aveva immagazzinato nei recessi della sua mente, e che aveva riprovato solo nei sogni.
Immersa completamente nella sua coscienza, Saphira si dimenticò completamente di quello che si era proposta di fare lasciando Par, e si abbandonò completamente a quel suo nuovo stato di benessere che il contatto con gli altri draghi le dava.
Era qualcosa di diverso da quello che provava quando era con Eragon, o quando stava con Castigo. Saphira non avrebbe potuto esprimerlo con le semplici parole, era solo cosciente che qualcosa di profondamente ancestrale in quel nuovo legame la faceva sentire bene.
La giornata passò e Par attese l’arrivo di Saphira per tutto il pomeriggio. Qualcosa doveva essergli accaduto, ma dalla sua posizione non poteva fare molto se non aspettare. Arrivata la sera si addormentò riparandosi sotto un albero dalle enormi foglie a stella, Par non si accorse degli artigli che lo avevano sollevato, e avvolto e trasportato poco lontano, verso una serie di piccole caverne che si aprivano nella roccia.
Quando si svegliò, il mattino seguente, Par si ritrovò circondato da una decina di piccolo draghi.
Il vecchio Elfo si guardò freneticamente attorno, in cerca di Saphira, ma la dragonessa non c’era.
Sedendosi su una roccia, Par si massaggio piano le tempie nel tentativo di calmarsi e cercare un modo per uscire da quella situazione. Poi udì qualcosa, il suono di un lamento che a Par apparve subito appartenere a un essere umano. L’elfo avanzò lungo l’entrata della grotta, e il suo sguardo si posò su qualcosa che non si sarebbe mai aspettato: una bambina dormiva, raggomitolata su sé stessa, sopra il ventre di un piccolo drago. Con sua grande sorpresa di Par, la bambina era Eleonor!

Il suo respiro, notò subito con sollievo, era regolare e sembrava stesse dormendo pacificamente.

Par si chinò adagio su di lei, scansandole con delicatezza dal viso i riccioli biondi. La sua pelle chiara era qua e là sporca di terra e polvere, ma suoi lineamenti paffuti mostravano chiaramente che la bimba era stata nutrita regolarmente.

Proprio in quel momento Eleonor si mosse, e i suoi occhi si spalancarono per incrociare quelli di Par. Le sue palpebre si aprirono e chiusero più volte, con sguardo sollevato, mentre Par la ricambiava con un largo sorriso.

- Siete arrivati! - le disse dopo essersi lanciandosi con le sue esili braccai al collo di Par e abbracciandolo forte. Nonostante l’apparente tranquillità della sua voce, Par sentì la bambina tremare sotto le sue braccia.

- Ora è tutto a posto. - l’assicurò lui con un sussurro. Ma nel suo profondo Par non aveva idea di come sarebbero usciti da li. Saphira non si era fatta ancora vedere, e più le ore passavano più si assottigliava la sua speranza di rivederla.

Il giorno scivolò troppo presto cedendo nuovamente il passo alla notte, di Saphira non vi erano ancore tracce, e i giorni presero a susseguirsi uguali.

- Quando pensi ritornerà Saphira? - stava chiedendo una volta in più Eleonor, mentre mangiavano in silenzi il pasto che i draghi portavano loro giornalmente.

- Non lo so. - gli rispose sconsolato Par. L’elfo si alzò per andare a prendere da bere, quando fu affiancato da una sagoma scura.

Par la riconobbe subito, era uno dei cuccioli di drago di cui ora lui ed Eleonor facevano parte. Tra tutte loro era decisamente la più grande, e sicuramente la più autorevole all’interno della gerarchia che Par ed Eleonor avevano imparato a conoscere e a rispettare.

Con un sorriso Par si voltò verso di lei, da ormai tre giorni, era evidente, la piccola lo seguiva e osservava in tutto quello che faceva, e la sua presenza gli divenne presto familiare.

Ma non era stata solo quello ad attirare la curiosità dell’elfo, la mente dei piccoli draghi come di tutti i cuccioli, era di gran lunga più malleabile di quella degli adulti, e Par aveva avvertito fin subito, da parte della piccola dragonessa, la volontà di comunicare con lui.
Era così iniziata tra loro una strana corrispondenza, fatta di immagini e sensazioni.
Anche se non era sicuro di essere compreso, Par aveva cominciato a raccontarle della sua vita. L’elfo si era sentito uno stupido inizialmente, ma quando percepì l’interesse da parte del cucciolo, mise da parte le sue incertezze, e le aprì completamente la sua mente e il suo cuore.

Gli parlò così della sua gente, di Isobel, e della guerra che da troppo tempo metteva in contro elfi e uomini gli uni contro gli altri, per il solo desiderio di una regina di dominare sulla terra Zàkhara e della possibilità di pace per tutti, nel caso in cui la piccola Eleonor fosse riuscita a trovare l’uovo destinato a lei.

Passarono due settimane, e la sua amicizia con la piccola dragonessa crebbe ogni giorno di più, e Anche il cucciolo iniziò a parlargli della sua vita, Par apprese anche il suo nome, Vespriana. Era il nome della sua bis, bis, nonna e ne andava molto fiera.

Fu allo scadere del mese che Vespriana gli annunciò il loro ritorno alla valle, gli fece capire che se la sua Saphira c’era ancora quel giorno l’avrebbe di certo incontrata di nuovo.
Per tutta la mattina Par le domandò se era sicura di questo, poi, nel pomeriggio, arrivò una grande dragonessa, che finalmente portò tutti loro nuovamente alla valle.

- Stammi sempre vicina Eleonor, e non lasciarmi la mano per alcun motivo.- disse Par ad Eleonor stringendola forte a se, mentre entrambi venivano innalzati sopra le rocce. In poco tempo raggiunsero la valle, per atterrare alla riva di un piccolo ruscello.

Tutte le femmine volarono verso i piccoli, e tra loro Par ed Eleonor riconobbero Saphira. La dragonessa piombò nella radura, ma sembrò non riconoscere entrambi. Si rivolse invece ai piccoli, come tutte le altre femmine del branco.

Par cercò di comunicare con lei, ma non ebbe alcuna risposta. Non vi era nessuna barriera a impedire loro la comunicazione. Saphira semplicemente non lo sentiva.
Dall’altra parte Saphira, provò una strana sensazione, sentì qualcosa di estraneo entrare nella sua mente, e la dragonessa lo scaccio come un brusio fastidioso.
Allora intervenne Vespriana, riconoscendo la dragonessa, cercò in tutti i modi di attirata la sua attenzione, per poi far focalizzare il suo interesse su Par. Una volta raggiunto l’obbiettivo, la voce di Par penetrò con forza dentro la sua testa con un maglio, Saphira non aveva alzato alcuna barriera per proteggere la sua mente, e non fu difficile per Par poter penetrare nel suo profondo, attingendo così ai suoi ricordi più recenti.
Lo sguardo di Saphira si illuminò improvvisamente, ci fu un flebile bagliore di riconoscimento, ma ci vollero diversi minuti perché riuscisse nuovamente a parlargli.
Par. Mi dispiace fu la prima cosa che disse
Mi sono ritrovata in mezzo a loro, e non sono più riuscita a uscirne.
Lo so. Ma avremmo tempo per le scuse. Ora devi conoscere le ultime novità Saphira … guarda.
Saphira vide farsi aventi tra i cuccioli la piccola Eleonor.
- Sono contenta di rivederti Saphira. - le fece timidamente la piccola
Eleonor!

Saphira annuì con aria grave, mentre osservava più attentamente la piccola per vedere se era tutto a posto.
Sono felice anche io di rivederti piccola gli disse infine avvicinandosi, e permettendole di accarezzargli il muso squamoso, mentre si rivolgeva mentalmente a Par
Par che cosa pensi significhi tutto questo? Voglio dire, perché Sigmar mi avrebbe voluto separarmi da voi?
Non lo so ma è già passato un mese dal nostro arrivo qui
Da quando siamo arrivati, ho sempre avuto la sensazione che non era la prima volta che ti vedevano
Non mi piace Saphira, ma credo deve esserci un motivo più profondo nel loro comportamento di cui noi non siamo stati ancora messi a corrente
C’è solo un modo per saperlo.

Saphira prese Par ed Eleonor sul suo dorso:
D’ora in poi, voi due starete con me. Non posso permettermi di perdervi un’altra volta.
Poi Saphira si diresse, dritta, in direzione del luogo dove sapeva trovarsi Sigmar.
E lì lo trovò, sdraiato, in riva a un ruscello.
Devo parlarti d’urgenza Sigmar!
Dimmi pure Saphira… ma
le parole gli morirono in bocca quando vide Par dietro di lei…
Ancora lui, e avete portato anche il piccolo cucciolo d’uomo
Sigmar devi ascoltarci … è molto importante.

Sigmar ascoltò allora le loro richieste in silenzio.
Partendo dalla premonizione avuta da Eleonor arrivarono alla loro richiesta, permettere alla piccola di dare inizio con loro a un nuovo patto tra i draghi e gli abitanti di Zàkhara.
Sapevo che prima o poi questo momento saprebbe arrivato, nonostante tutti i miei sforzi per evitarlo.
Avrete già sospettato che quello che vi dissi il primo giorno non era del tutto vero. Ebbene vi ho mentito nel rivelarvi che noi Draghi non eravamo a conoscenza della guerra che affligge le razze di Zàkhara, dall’altra parte della foresta.
Quando molti anni fa, voi Par, siete giunto a chiedere aiuto, già allora sapevamo: le montagne ci permettono di vivere isolati, ma non ci hanno certo reso sordi alle sofferenza della terra
Sigmar fece allora una piccola pausa
“Nonostante questo, e con l’unanimità del il consiglio degli anziano, all’epoca decidemmo ugualmente di non partecipare al vostro conflitto; facemmo in modo che non potessi vederci, e in seguito ci assicurammo che tu ritornasti nel tuo paese, sano e salvo.
Ma poi è arrivata questa piccola, e subito dopo voi, e questa volta sul dorso di un drago. Non potevamo fare più finta di nulla. Vi abbiamo accolto e ascoltato.
E il vostro racconto, Saphira, ha confermato i timori che da sempre noi anziani temevamo.
Il resto dei draghi che anche in passato si erano opposti alla nostra decisione ha dovuto ricredersi, e alla fine la prudenza ha prevalso sulle spinte a intervenire.
La nostra risposta è nuovamente negativa. Non abbiamo intenzione di intervenire per nessuna delle due parti.
I draghi si asterranno da qualsiasi tipo di partecipazione, e non stipuleremo mai nessun tipo di alleanza con Elfi né Umani.
I draghi rimarranno indipendenti, premonizione o no
.
Ma se non lo farete, la guerra giungerà anche qui. Non è solo un problema degli Elfi. Isobel non si fermerà certo solo a dominare Zàkhara. Galbatorix aveva in mente già di arrivare qua, e la regina ha mostrato in più di una occasione di voler emulare la sua opera.
Quel giorno potrebbe non tardare troppo.

Quando arriverà il momento, sapremmo difenderci. Affronteremo la regina a testa alta. Non siamo certo inferiori a loro.
Ma non ci hai ancora detto il perché non volete almeno dare la possibilità a Eleonor di toccare una delle vostre uova. So che il mio sogno era reale Nono potete ignorarlo
Questa volta era stato Par a parlare per voce Saphira, la quale condividendo a pieno la sua obiezione. Sigmar sembrò profondamente alterato da quella insistenza.
Non possiamo. Come vi ho già detto il consiglio ha ormai preso la sua decisione.
Non ci fidiamo degli né degli elfi, né tanto meno degli esseri umani. E la storia di Alagaësia, che tu stessa ci hai raccontato, ci ha mostra chiaramente come la nostra razza ha solo tratto svantaggi dal Patto di Sangue. Siamo stati utilizzati come mere bestie da trasporto, mentre i vostri cavalieri si fanno la guerra per avere solo maggior potere. La loro natura non può essere cambiare, e noi non abbiamo intenzione di commettere lo stesso errore dei nostri antenati.
Ma se vorrai sarai sempre la benvenuta

No, reclino la tua offerta Sigmar. Non abbandonerò mai il mio cavaliere, né Par né chiunque altro crede in me. Non condivido il vostro disprezzo per i Cavalieri.
Voi non potete capire se non lo avete provato, e vi assicuro non siamo mai stati soltanto delle cavalcature per loro.
Allora farete bene ad andarvene, qui non potete trovare ciò che siete venuti a cercare.

Addio Sigmar. Mi avete profondamente deluso. Non credevo che la nostra specie potesse arrivare a essere così egoista.

Andiamo Par, Eleonor, qui abbiamo già perso troppo tempo.

E con questo la dragonessa voltò le spalle a Sigmar, che osservò con disappunto la dragonessa volare via, fino a quando non scomparve all'orizzonte.

*

Quando se ne furono andati il grande drago percepì una piccola presenza farsi accanto.
Era Vespriana, che si avvicinò piano al suo nonno strusciandosi affettuosa contro il suo caldo ventre.
La piccola aveva ascoltato tutta la conversazione con Saphira, decisa ad aiutare i suoi nuovi amici, utilizzando tutte le carte che aveva a suo favore.
Vespriana … nipote mia. Che cosa ci fai qui?
Nonno che cosa sta accadendo. Il consiglio ha il diritto di sapere della premonizione.
Perché non gliene hai parlato
Non dovresti stare a giocare con gli altri cuccioli?
gli fece l’anziano drago con un tono di rimprovero nella voce.
L’ho fatto, e ho avuto modo di fare la conoscenza di Par e Eleonor e siamo diventati amici.
Sigmar si girò di scatto, e si mise a fissare corrucciato la nipote con i suoi grandi occhi neri.
La piccola sostenne coraggiosamente il suo sguardo, e continuò:
So che cosa ti turba. In lui, come in Eleonor, non ho visto nulla di così sbagliato da poter minacciare una razza millenaria come la nostra
Piccola mia tu non sai di cosa stai parlando”
Io so che in loro ho visto solo sincerità. E il cuore di Saphira l’ho trovato integro e i suoi sentimenti sono puri

Non è certo di Saphira che dubitiamo … ma lo saranno anche quelli del suo cavaliere?” La piccola sapeva bene a cosa il nonno si stesse riferendo:
Nonno non puoi esserne certo nonno. Dategli una possibilità. Per me
chiese semplicemente la piccola dragonessa.
Sigmar si prese alcuni attimi per pensare, prima di rispondere:
Se fosse stato un altro drago a propormelo, gli avrei sicuramente detto di no … ma a te sai che non posso negarti nulla. D’accordo piccola mia.
Ne parlerò con gli anziani

Naturalmente Nonno. Ma dovrai farlo in fretta … Saphira Par ed Eleonor hanno deciso di partire fra due giorni.
D’accordo. Farò tutto quel che sarà in mio potere.
Grazie nonno!

Il giorno della partenza era arrivato. Saphira vide molti dei giovani draghi che aveva conosciuto durante la loro permanenza, insieme a tutti i cuccioli, pronti a salutarli, Vespriana in testa.
La piccola dragonessa sembrava nervosa, e cercò in tutti i modi di attardare la loro partenza, come se fosse in attesa dell’arrivo di qualcuno. Si stavano così preparando a partire, quando un forte ruggito attraversò la valle, e Sigmar planò maestosamente tra loro.
Vespriana sembrò essere soddisfatta e Par la guadò con curiosità e sospetto.
Alla luce alle nuove rivelazioni abbiamo appena concluso una difficile riunione, durante la quale abbiano tenuto conto delle opinioni di un numero consistente di altri i draghi. E nonostante la sentenza da noi precedentemente emessa, il consiglio ha deciso altrimenti di darvi una possibilità disse loro con voce solenne
Ma, alla condizione che ci dimostriate la purezza del legame tra il drago e il suo Cavaliere.
Se riuscirete in questo, allora. potremmo permettere al cucciolo di uomo di toccare una delle nostre uova, e potersi legare così a un nostro cucciolo.
Cosa dobbiamo fare, perché voi crediate nel rapporto tra drago e cavaliere?
chiese subito Saphira.
Hai già visto gli effetti della tua permanenza tra noi, di come tu ti sia potuta dimenticare in poco tempo tutti i tuoi precedenti affetti. Tutti i draghi fanno parte di una grande e unica famiglia, e come tale non hai potuto resistere agli istinti che sono propri della tua specie.

Ma se il legame con il tuo cavaliere è veramente puro, allora quando lo rincontrerai, non avrai alcun problema a riconoscerlo

Sigmar vide Vespriana farsi avanti.

Ma nonno!
Nono ora nipote.
Vespriana è la nipote di Sigmar?! Saphira riferì immediatamente la notizia a Par che si voltò di scatto verso la piccola dragonessa. Ma Vespriana era completamente rivolta a suo nonno, che ora aveva ripreso a parlare:
Queste sono le nostre condizioni e non transigeremo su questo. La nostra libertà è preziosa, e non possiamo perderla per qualcosa che può portarci alla rovina … Ma se supererete la prova, cosa di cui noi tutti anziani dubitiamo fortemente, metteremo da parte tutte le nostre riserve, e vi aiuteremo nella lotta contro la regina Isobel.
Saphira guardò Sigmar con rabbia.
Il mio legame con Eragon è forte, e non ha bisogno di nessuna conferma. Accetterò la vostra sfida, ma sappiate, che lo faccio solo perché il vostro intervento ci è indispensabile per vincere.
Molto bene. Non avete molto tempo prima che arrivi il periodo della schiusa. I nevai hanno già iniziato a sciogliersi.
Se entro questo tempo il tuo cavaliere non ti avrà raggiunto, la prova verrà considerata come non superata, ed Eleonor non avrà nessun’altra possibilità.
Uno dei nostri Draghi accompagnerà Par fino ai margini della foresta. Una volta raggiunta Zàkhara, sarà suo compito portare qui Eragon
.
- Saphira non puoi accettare! - Gridò Par non appena seppe ebbe compreso delle condizioni. 
Ricordo fin troppo bene bene quanto ho impiegato per ristabilire un legame con te giorni fa. Se non fosse stato per Vespriana forse nono sarei mai riuscito a parlarti di nuovo ed erano passati solo alcuni giorni. Inoltre sarà difficile portare qui Eragon in così poco tempo. E se è ancora tra le grinfie della regina? Saphira non possiamo permetterci di perdere anche te.
Nono accadrà. Ho piena fiducia in te e nel mio legame con Eragon … ”
E sia
dichiarò allora Sigmar.
Giuma, sarai tu ad accompagnare l’elfo.
Nulla valsero le proteste di Par. La decisione era stata presa ormai.
E fu così che drago e Elfo raggiunsero l’estremità opposta della foresta, là dove mesi addietro Par era partito con Saphira.
Quando Giuma riprese il volo, Par decise subito di dirigersi verso Gratignàc.
Era di nuovo in viaggio, ed era di nuovo da solo. L’idea lo inebriava. Poteva di nuovo disporre della piena libertà di decidere una strada senza per questo dover rendere a qualcuno delle proprie scelte. Ma era davvero quella la libertà? In viaggio con Saphira ed Eragon, Par aveva scoperto qualcosa che anni di viaggi in solitario non avevano mai potuto insegnargli. E cioè che un compagno può essere non soltanto qualcuno che ti può guardare le spalle, ma anche un amico che ti assiste e protegge, che questo era qualcosa di reciproco, e che una volta provato, non lo avresti cambiato cambieresti per nessun prezzo al mondo, nemmeno per la propria indipendenza.
Con un sospiro Par si guardò lentamente intorno e, assicurato per benne il proprio sacco alla schiena, proseguì il viaggio in silenzio.
Stava giusto iniziando a elaborare un piano, per riuscire a prendere un naviglio che lo traghettasse verso sud, quando dietro di se percepì una presenza familiare.
Non può essere lei!
Poi Vespriana sbucò da un basso cespuglio.
Vespriana!
Nono potevo lasciarti andare da solo. Hai bisogno di qualcuno al tuo fianco che ti guardi le spalle.
Ma se tuo nonno ti scopre!
gli fece preoccupato Par.
Non ritornerò di certo indietro ora! Ho intenzione di andare fino in fondo. Mio nonno capirà
Fu solo allora che il volto di Par si aprì a un largo sorriso
Sono felice che tu sia qui.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Un'insolita lezione ***


Eragon sedeva su di una branda nella stanza in cui era stato rinchiuso da quando aveva fatto ritorno nella capitale di Zàkhara. Era passato più di un mese dagli avvenimenti che avevano portato alla sua cattura.

Le sue dita andarono a sfiorare la sottile fascia metallica che gli cingeva ancora una volta il collo. Il dolore provocato dalla magia del collare era sempre li a ricordargli come fosse ancorato alla realtà nonostante avesse completamente perso interesse per il mondo che lo circondava.
La sua Saphira non c’era più: La carne, le ossa e le scaglie che costituivano il suo involucro mortale si sarebbero presto dissolte e così anche il suo èldunarì. Nessuna luce si era accesa nel petto della sua compagna mentre inginocchiato di fronte a lei aveva sentito la sua vita scivolare via, e con la morte Eragon aveva perso anche la voglia o il desiderio di lottare.

La cosa più straziante di tutte, però, era che trascorsi i primi giorni in cui aveva creduto di impazzire, il dolore per la sua perdita si era lentamente attenuato. Il vuoto lasciato dalla sua assenza, che all’inizio aveva creduto insopportabile, era diventato accettabile.

Al di fuori di quelle quattro mura la vita continuava ad andare avanti anche se Saphira non era più al suo fianco.
Nonostante il ricordo della sua morte era un’immagine indelebile nella sua mente, nel suo cuore era come se non se ne fosse mai andata, come se una parte di lei gli fosse ancora vicina e potesse ancora sentirlo.
Era forse questa la pazzia? Eragon non lo sapeva, né gliene importava.
Ogni tanto gli tornava nella mente ciò che Saphira gli aveva chiesto prima di recidere il loro legame mentale: vivi per Arya e per tuo figlio. Quando riaffioravano, quelle parole, Eragon le cacciava subito indietro. Era consapevole di non star nemmeno provando a mantenere quella promessa, i giorni trascorsi in isolamento lo avevano logorato mettendo a dura prova la sua tempra e la sua sanità mentale.

Non arrendersi era sempre stato innato nel suo carattere, ma dalla morte di Saphira qualcosa dentro di lui si era come spezzato. Da tempo aveva anche abbandonata la speranza che qualcuno potesse venire a salvarlo, assopendo quel sentimento e relegandolo in un angolo della sua mente.

Con sua grande sorpresa, a impedirgli di arrendersi del tutto, era stata Isobel. I suoi frequenti tentativi di entrare nella sua mente lo avevano costretto a tenere alte le sue difese mentali ricordandogli che, nonostante tutto, ancora teneva a qualcosa. Anche se si era arreso a lottare per sé stesso non significava che avrebbe lasciato alla regina la libertà di appropriarsi anche dei suoi ricordi. Non avrebbe mai tradito i suoi amici e tutto quello per cui avevano lottato e sofferto. Non deliberatamente, almeno.

Fu con questa nuova consapevolezza nel cuore che Eragon affrontò l’arrivo di Oliviana.

La giovane donna ebbe un lieve sussulto nell’osservare il notevole cambiamento nell’aspetto del cavaliere: i suoi occhi, un tempo di un nocciola vivido, erano diventati cupi, mentre una fitta barbetta ne incorniciava il suo viso conferendogli un‘aria stanca e affranta.
- La regina ritiene che il tuo isolamento debba terminare oggi – gli disse agganciando il collare alla cinghia che stringeva nelle mani e invitandolo a seguirla.

* *

Raggiunsero una porta che dava su un grande cortile, poi, con una smorfia di profondo disappunto, Oliviana sganciò il guinzaglio e, girandosi sull’uscio, rivolse a Eragon uno sguardo di ammonimento.

– Dovrai proseguire da solo adesso – gli disse facendosi da parte.- la regina ti aspetta -    

Eragon alzò istintivamente un braccio a schermare gli occhi mentre la vista venne invasa da una miriade di piccoli puntini bianchi e rossi; dopo tanti giorni passati nella penombra gli ci volle del tempo per riabituarsi alla luce diretta del sole.

Mentre avanzava e la vista tornava a schiarirsi udì alla sua destra la voce distinta di Isobel.
- Questo è Eragon da Alagaësia – disse con voce affabile rivolta a qualcuno che Eragon non riuscì ancora a vedere.

- Eragon ti presento Rebekha Coleman – continuò la donna.

Raddrizzando le spalle Eragon si trovò di fronte a una fanciulla dai lunghi capelli bruni e dagli occhi grandi e penetranti che lo fissavano con curiosità.

Coleman! Nel momento in cui udì quel nome, non ebbe alcun dubbio che si trattava della sorella di Reafly. Ma, prima che potesse dire o fare qualcosa, la sua attenzione venne attirata da un rumore assordante proveniente dall’alto. Eragon alzò lo sguardo, ed ecco con stupore, vide planare vicino a loro un drago; le sue dimensioni superavano di gran lunga quelle di un albero, e le sue squame rilucevano di un intenso viola cobalto.
Accortasi del suo stupore sul volto di Rebekha si allargò un sorriso.
- Avvicinati pure, non temere. Lei è Kima, la mia dragonessa – disse con tono che rasentava la spavalderia.
Per un attimo Eragon credette di rivedere la sua Saphira, ma fu solo un momento, il suo sguardo andò subito alla regina che riprese a parlare.

- Da oggi Rebekha e Kima saranno le tue allieve – lo informò Isobel inviandogli al contempo una leggera sferzata attraverso il collare che si riverberò lungo la spiana dorsale. Eragon si massaggiò il collo con una smorfia - Che cosa dovrei insegnargli? – chiese camuffando con orgoglio che la voce gracchiante. Anche Rebekha aveva reagito alla notizio con stupore mostrando uno sguardo basito.
- Ad essere un drago e un cavaliere. Dovrai completare il loro addestramento - continuò Isobel con voce calma passando il suo sguardo dall’uno all’atra - ho introdotto Rebekha alle arti magiche. Ma ciò che non posso insegnargli e che tu solo possiedi, è il significato profondo del legame tra un cavaliere ed il suo drago. -
- Tu sei un cavaliere!? – esclamò Rebekha con autentico candore; la sua, più che una domanda, era una esclamazione di stupore. D’istinto la ragazza girò il polso in modo da mostrare il palmo lucente. In tutta risposta Eragon girò appena il suo e abbassò lo sguardo.

Improvvisamente si rese conto di quanto era stato sciocco da parte sua pensare di potersi estraniare così dalla realtà senza aspettarsi delle conseguenze. Si era così concentrato sul proprio dolore da avere perso di vista l’insieme e, mentre nel suo cuore piangeva Saphira, Isobel tesseva la sua trama.

Dall’altra parte, Cavaliere e Drago si scambiarono brevi sguardi carichi di dubbi e domande. Se è un cavaliere, dov’è il suo drago? Le fece notare Kima attraverso il loro legame mentale. Rebekha realizzò solo ora che il giovane uomo era solo. Non lo so Kima, ma hai visto anche tu il suo marchio. Kima annusò l’aria in direzione del cavaliere. Rebekha la sentì come gelarsi sul posto. C’è molta sofferenza in lui. Disse con tono di profondo cordoglio.

Rebekha si limitò ad annuire. Era la prima volta che la sentiva mostrare rispetto nei confronti di qualcuno. Kima era stata sempre molto parca nei giudizi, non si era mai pronunciata apertamente nemmeno nei confronti di Isobel. I suoi occhi indugiarono sull’aspetto di quel giovane uomo che non corrispondeva affatto all’idea che si era fatta di un cavaliere dei draghi. Sembrava si fosse appena azzuffato con una tigre e ne portava evidenti i segni. Cosa avrebbe potuto insegnarli se non riusciva nemmeno a badare sé stesso?

Il cavaliere ci sta guardando, rimanda a dopo i tuoi dubbi Beck. La rimproverò Kima. Rebekha si morse un labbro e si trovò ad arrossire quando andò a incrociare lo sguardo di Eragon. Fu allora che anche lei, nel breve attimo di un battito di ciglia, vide qualcosa, una scintilla nascosta dietro quell’aspetto trascurato.  

Mentre osservava la giovane dragonessa e la ragazza Eragon prese un profondo respiro. - Se dovrò allenarvi vorrò prima valutare le vostre capacità. – disse avanzando verso di loro.

- Ma certo Cavaliere. È una richiesta più che legittima. – intervenne Isobel dandogli il consenso di agire.
Eragon iniziò con il chiedere alla giovane una serie di semplici incantesimi che Rebekha eseguì senza alcun problema per poi passare ad altri più complessi.

- Ho anche fatto in modo di trasportare me e Kima da un luogo ad un altro – si affrettò a rivelargli Rebekha, una volta rotto l’imbarazzo iniziale la ragazza aveva preso una maggiore confidenza. Eragon sgranò gli occhi con sgomento, non era possibile che fosse sopravvissuta a un tale incantesimo. Si costrinse a calmare i propri pensieri e propri sensi e incrociando le braccia dietro la schiena le fece cenno con la testa di proseguire – raccontami come hai fatto -

Rebekha sembrava non aspettasse altro. E sorridendogli iniziò a descrivere con dovizia di particolari ciò che era accaduto quando l’uovo di Kima si era schiuso per lei, compreso il momento in cui la strana pietra datagli da Isobel si era illuminata fornendogli le energie necessarie per eseguire fino in fondo l’incantesimo.

Lo sguardo divertito che la regina rivolse ad Eragon fece capire a cavaliere che lo scopo di quell’incontro era proprio arrivare a quel punto.

Eragon deglutì a vuoto mentre realizzava che era dai suoi papiri e non da Galbatorix che avevano appreso la combinazione di quelle parole. Ma la cosa più sconvolgente era aver scoperto che Isobel possedeva un èldunarì.

Lasciare che un cavaliere così giovane come Rebekha maneggiasse quel genere di energie era semplicemente sbagliato; ricordava fin troppo bene gli ammonimenti di Oromis a riguardo.

- Ho detto qualcosa di sbagliato? – chiese allora Rebekha interrompendo il filo dei suoi pensieri. Eragon scosse la testa le sorrise mesto.

- No, Rebekha. Sei stato in gamba, date le circostanze.

Ora vediamo come te la cavi con una spada.

Prima di iniziare, però – aggiunse - smusserai entrambe le lame, non vorrei che ci ferissimo per colpa di una distrazione – Eragon le mostrò le parole da pronunciare. Come era successo per i primi incantesimi, eseguire quelle semplici parole non fu un problema per Rebekha che già si vedeva vincitrice in uno scontro fisico con il giovane uomo.

Nel momento i cui le loro lame si incrociarono Rebekha capì immediatamente di aver sottovalutato le capacità del suo avversario. Sotto a quell’aspetto malandato, infatti, si nascondeva una corporatura estremamente agile d forte.

La consapevolezza di essergli inferiore non le impedì lo stesso di tentare di vincere.
Da parte sua Eragon non si volle mai impegnare fino in fondo. Questo indispettì ancora di più Rebekha, che si tuffò in una serie d’affondi particolarmente feroci, che fecero indietreggiare il suo avversario solo apparentemente in difficoltà. E proprio quando la giovane credette di portare la battuta finale, Eragon fece scivolare la lama con un rapido movimento del polso disarmandola con precisione ed eleganza.
Tremante di collera, Rebekha andò a riprendere la sua lama andata a finire a qualche iarda di distanza rimettendosi in guardia disse con rabbia:
- Riprendiamo! -
Fu allora che Eragon prese a darli una serie di consigli su come muoversi e colpire. Rebekha eseguì le indicazioni del cavaliere, e i due iniziarono a volteggiare in mezzo al campo. Dopo una buona mezz’ora d’affondi e parate dall’una e l’altra parte, Rebekha si bloccò ansimante. Fu solo allora che Eragon le concesse il riposo.
- Ti sei battuta bene, ma hai ancora molto da imparare. Ora è il turno di Kima. – In risposta la giovane dragonessa inarcò il collo, ed emise un basso verso gutturale.
Eragon osservò attentamente la dragonessa, esaminandole la corporatura robusta e muscolosa. Rebekha si stupì nel percepire imbarazzo e vergogna da parte della sua compagna.
- Quanto tempo ha? – chiese Eragon distrattamente.
- Ha poco più di un mese - rispose pronta Rebekha.
- Cosa?... - Eragon allora si girò di scatto verso Isobel. Doveva capirlo fin da quando era planata su di loro. Kima era stata fatta crescere più in fretta del normale sviluppo di un drago con la stessa magia che in passato aveva alimentato i corpi di Skruikan e Castigo. Eragon stava per protestare ma una sferzata proveniente dal collare gli ricordò quale fosse il suo posto.

Costretto a mettere da parte i suoi dubbi si rivolse direttamente a Rebekha per chiedere a Kima di eseguire une serie d’evoluzioni. La magia poteva aver forgiato il suo corpo con una muscolatura forte e potente, ma questa non valeva molto senza l’agilità e la maestria nel volo. Eragon avrebbe valutato quelle qualità.

Fin dai primi volteggi Kima dimostrò di possedere un’innata abilità al volo proprio, proprio come l’aveva la madre prima di lei. Eragon le chiese di eseguire una serie di manovre, alcune anche molo difficile, Kima le superò tutte con uno straordinario istinto che sopperì alle numerose carenze tecniche.
Quando Eragon si ritenne soddisfatto, chiese alla ragazza di richiamarla.
Kima atterò di nuovo in mezzo a loro. Le acrobazie avevano messo a dura prova la sua resistenza, e la dragonessa si ritrovò ad ansimare, per lo sforzo.
Sei stata molto brava! Gli sussurrò con dolcezza Rebekha nella mente.

Isobel si avvicinò a i due cavalieri, lo sguardo fisso solo su Eragon.
- Ho bisogno di parlare con il cavaliere da sola - disse la regina senza distogliere i suoi occhi dal giovane uomo – tu puoi ritirarti, Rebekha -
La ragazza annuì, sollevata di lasciare il campo d’addestramento. Aveva visto tante volte quello sguardo severo dipinto sul volto della sovrana e riconosceva quando la donna era determinata ad ottenere qualcosa. In quei casi Isobel sapeva essere inesorabile e spietata come nessun’altra. Rebekha non avrebbe voluto essere al posto del cavaliere. Anche Kima percepite le sensazioni del suo cavaliere puntò i suoi grandi occhi cobalto su Eragon e con un sonoro sbuffo prese il volo.

– Impressionante come hai saputo tirare fuori le abilità dalla ragazza e dal suo drago -   Parlò Isobel una volta rimasti soli - le mie aspettative su di te sono state ben riposte. –

- Aspettative per cosa? – Chiese Eragon corrugando la fronte. Isobel rise in modo sommesso.    

- Tu non puoi saperlo. La tregua che garantiva la pace tra noi e gli elfi oscuri è stara rotta mesi fa. Da allora, con l’aiuto di tuo fratello, re Arold sta armando il suo popolo. Perciò se voglio vincere questa guerra, avrò bisogno di tutti i miei alleati. Per questo sei qui. –

- Non sarò mai tuo alleato – rispose Eragon, ma si pentì subito di quella riposta quando una nuova sferzata del collare lo colpì.

- Tu sarai quello che io voglio che tu sia – sibilò a denti stretti Isobel.  Eragon digrignò i denti mentre il dolore si propagava per tutte le ossa.

- Galbatorix prima di te ha tentato la tua stessa strada. Mettere due fratelli l’uno contro l’altra, ma ha fallito -

Isobel alzò le sopracciglia riservandogli uno sguardo sdegnato – in ogni caso tu addestrerai Rebekha, per me. Lo farai perché te l’ho letto negli occhi, perché temi quello che potrebbe accadere se Rebekha usasse le magie che le ho insegnato,

E perché vuoi scoprire come sono entrata in possesso di un èldunarì – Eragon serrò le mascelle. Isobel aveva centrato il colpo. Rebekha non aveva né la preparazione né la forza sufficiente per poter controllare quegli incantesimi senza recare danno a sé stessa o agli altri. Il successo dell’ambasciata era stata una combinazione fortunata di ingenuità e audacia e non si sarebbe ripetuto ancora. Insegnargli la disciplina e il controllo era il solo modo per salvarla.

Con un gesto vittorioso Isobel chiamò nuovamente a sé Oliviana.

- Oliviana ti mostrerà i tuoi nuovi alloggi qui nella caserma. Sarai libero di muoverti al suo interno, ma ti avverto, se proverai a scappare i Ra-zac ti riprenderanno e allora ti verrà negata qualsiasi libertà. D’altronde non credo potrai andare tanto lontano senza la tua dragonessa -
Le spalle di Eragon fletterono in un brivido mentre sbarrava i suoi occhi in uno sguardo di puro dolore.
- Lascia Saphira fuori dai tuoi giochi Isobel! - sibilò a denti stretti tremando di rabbia.

La regina non disse nulla mentre un violento spasmo mise Eragon in ginocchio, lasciandolo ansimante. Questa volta il dolore era stato tanto forte da mozzargli il fiato. Incurante di tutto Isobel oltrepassò il cavaliere per poi bloccarsi a metà strada
- Devi rivolgerti a me con rispetto. Non provare a sfidarmi nuovamente cavaliere -


* * *

Era sera al palazzo di Antàra quando Murtagh rientrò nelle sue stanze. Era stata una giornata sfiancante, sia fisicamente che mentalmente. Le partenze di Eragon e Saphira prima e di Xavier e Daco dopo, avevano messo in moto la grande macchina difensiva degli elfi e di cui Murtagh era diventato una parte integrante. Il compito di allenare Reafly e l’esercito di maghi continuava a ritmo costante e lo impegnava quotidianamente. Ogni tanto il re lo convocava per affidargli alcuni incarichi o anche solo per avere un parere. Arold aveva imparato presto ad apprezzare il suo modo di ragionare fuori dagli schemi e li teneva spesso in gran considerazione nonostante andassero a contrastavano con quelli del Consiglio. “Quale modo migliore per tenere la mente dei suoi membri sempre all’erta…” gli aveva confessato un giorno il re dopo che Murtagh gli aveva chiesto il motivo del suo interesse alle opinioni del cavaliere.

Quella sera Arold lo aveva nuovamente convocato, questa volta non per un mero consiglio ma per un incarico di una certa importanza. Quello che aveva ora in mano, infatti, erano dei rapporti estremamente confidenziali. Le informazioni che contenevano venivano direttamente dal palazzo di Abalon.

Si trattava delle prime informazioni che ricevevano dalle sue spie da mesi.

Dopo la notizia dell’incidente avvenuto nella città di Gratignàc, per cui era stato necessari l’intervento dei Ra’zac, la capitale era diventata una fortezza inespugnabile per le spie del re. Questo rendeva quelle informazioni altamente preziose ma allo stesso tempo poco decifrabili ad un occhio poco avvezzo a maneggiare questo genere di documenti.

Murtagh sperava nell’aiuto di Jill, non lo avrebbe mai ammesso a sé stesso, ma una parte di lui temeva che contenessero notizie su Eragon e Saphira. Soppesò per un attimo il plico quindi lo posò sul tavolo; quei documenti sarebbero stati li anche l’indomani. Se vi fossero state brutte notizie le avrebbe affrontate meglio a mente fresca e riposata. Inoltre, pensò a come le occasioni di stare solo con Jill si fossero ridotte così tanto da potersi contare sulla punta delle dita.

Si sfilò gli stivali e si spogliò degli abiti per stendersi accanto alla giovane donna.

Jill era stesa di spalle, nel corso delle ultime settimane il caschetto nero dei suoi capelli era cresciuto fin sotto alle scapole, Murtagh le scansò alcune ciocche e le accarezzò la schiena nuda, con dolcezza. Lei si girò piano, gli sorrise e in quel momento Murtagh sentì tutta la tensione della giornata scivolare via come acqua fresca di un torrente.

- Sei tu, finalmente. – gli sussurrò lei, ma mentre gli accarezzava una guancia la giovane si accigliò.

- Conosco troppo bene quella ruga in mezzi alla fronte - continuò lei – Che cosa ti preoccupa? – Murtagh sospirò rumorosamente, Jill lo conosceva troppo bene.

- Proprio stasera ci sono arrivate notizie da Abalon. –

Jill scattò in su con il busto puntellandosi con il gomito. – Dici sul serio? È quello che aspettavamo da mesi!  Si tratta di quei fogli che hai posato sul tavolo? – gli chiese facendo cenno con gli occhi alle sue spalle. Murtagh le annuì pensando a come difficile nasconderle qualcosa.

- Vuoi che gli diamo un’occhiata adesso? - Jill stava per alzarsi ma Murtagh la bloccò trattenendola da un polso.

- No Jill. Stasera non voglio palare né di Isobel né di Arold - Jill lo guardò negli occhi e comprese ciò che albergava nel cuore del cavaliere. Lo baciò sulle labbra con tenerezza. – d’accordo per oggi può bastare. Vieni qui – Jill lo prese e girandosi nel letto lo trascinò con lei tra le lenzuola. La ragazza emise una risata limpida e cristallina quando sentì le mani e le gambe di lui che la cingevano con ardore e desiderio.

Quella sera si amarono fino a notte fonda.

-. Ti amo Jill – gli sussurrò lui sfiorandole un orecchio con le labbra, quindi la strinse a sé, con forza, prima di ricadere indietro, la testa contro il cuscino. Jill le si accostò accanto posando la mano sul largo petto rimanendo in silenzio. Il giovane chiuse gli occhi con un sorriso stampato sulle labbra cadde in un profondo sonno.

**

Quando Murtagh si svegliò si girò nel letto e allungando un braccio verso il posto accanto a lui, vuoto. Le lenzuola erano fredde al tatto. Jill doveva essersi alzata da parecchio. Sgomento si girò dall’altra parte e infine la intravide in piedi intenta in qualcosa.

 – Da quanto tempo sei in piedi? – le chiese lui con la voce ancora impastata dal sonno. Fuori dalla finestra stava albeggiando.

- Da un po' – rispose lei - Non ho potuto farne a meno, sto esaminando i documenti – Murtagh sopirò e si alzò dal letto per avvicinarsi a Jill e cingerle i fianchi da dietro.

- D’accordo, hai vinto tu. Che cosa dicono? – Iniziò lui stringendolo a sé.

- Non ci sono notizie su avvistamenti di draghi. – gli disse lei con un sorriso mesto - So che è questo che temevi di sapere ieri sere –

Murtagh la guardò sollevato. – Evidentemente Par ha mantenuto la sua parola. – sussurrò lui di rimando.

- A quanto pare sì, e con un po' di fortuna Eragon e Saphira potrebbero aver già raggiunto le terre selvagge – entrambi lasciarono che quella possibilità alleggiasse un altro po’ nell’aria poi Jill riprese un foglio.

- Qui dice che la regina ha assoldato un maestro per allenare la sorella di Reafly, Rebekha. – continuò lei porgendogli un paio di fogli tra i tanti sparsi. Murtagh alzò un sopracciglio e iniziò a leggerli sommariamente. – Una mossa prevedibile. Non ci vedo nulla di strano – ammise lui. In tutta risposta Jill scosse la testa e corrugò la fronte.

- Leggili con più attenzione – Murtagh fece quello che le aveva chiesto Jill rimanendo in silenzio. - Non noti che le informazioni sono frammentate e spesso discordanti? – insistette lei. - Alcune affermano che sia un uomo molto giovane, dalle fattezze delicate e dai modi gentili, altre che possiede capacità di combattimento di un veterano, un mastro di spade che sta attirando l’attenzione di molti con movenze mai viste Tutte, in ogni caso, concordano nel dire che sia come comparso dal nulla circa due mesi fa –

- Nessuno compare dal nulla e nel periodo in cui sono stato ad Abalon non ho avuto sentore di un ospite di tale calibro – commentò Murtagh meditabondi - Qualcuna di queste informazioni potrebbe essere falsa? – chiese infine cercando di seguire il ragionamento di Jill.

- E se fossero tutte vere? – incalzò lei lasciando Murtagh spiazzato. - Che cosa vuoi dire? -

- Non lo so, ma non c’è motivo di mentire in questi rapporti. Per cui la mia domanda è chi mai potrebbe essere questo individuo con tutte queste qualità ma soprattutto è qualcuno che dovremmo temere? -

- Nonostante venga nominato spesso non c’è molto su di lui. Temo che per rispondere alle tue domande dovremo avere informazioni più dettagliate. Nel frattempo, dobbiamo accontentarci di quello che siamo riusciti a sapere – ammise Murtagh accarezzandole lentamente la testa. Jill annuì poi riprese altri fogli.

- Non è finita qui. Per ultimo, ma non per questo meno importante, Isobel sta richiamando attorno a sé i suoi alleati. Ci sono state reazioni diverse da parte dei diversi regni. Il periodo di pace deve aver cambiato alcuni accordi. Ma Isobel sembra aver messo a tacere ogni protesta. –

- Le sue nuove armi – finì di dire Murtagh con un sospiro.

- Esatto. Qui parla di diverse dimostrazioni fatte a beneficio dei vecchi alleati. Una ostentazione della sua forza – disse guardando il volto di Murtagh farsi pensieroso.

- Trascriverò tutti i nomi presenti in una lista che potrai consegnare ad Arold – aggiunse alla fine. Murtagh le sorrise senza gioia

- Il re e il consiglio lo apprezzeranno molto. – rispose solo. Jill guardò il compagno intuendo che in quel momento la sua testa era da qualche altra parte.  

- Continui a pensare che se non fosse stato per le richieste del consiglio Eragon non sarebbe partito? – chiese lei nel guardare il volto scuro del cavaliere.

- Non è solo questo il punto Jill. Semplicemente mi manca. Mi ero così abituato ad averlo accanto a me ed ora avrei solo bisogno della sua presenza. Nella mia mente avremo affrontato insieme Isobel, e non c’era dubbio che l’avremmo sconfitta. Ma adesso tutto questo sembra sfumare via. E non posso fargliele una colpa perché è lui che sta correndo il rischio maggiore –

- È tuo fratello, è normale che tu sia preoccupato per lui e che ti manchi – Murtagh le rivolse uno sguardo riconoscente. La strinse a sé le baciò teneramente la testa.

- Sono anche il maggiore tra di noi, e per quanto Eragon protesti, ho delle responsabilità nei suoi confronti. – Fu il turno di Jill a protestare

- Sei troppo severo con te stesso, siete entrambi adulti non puoi pretendere di sopportare un tale peso sulle tue spalle – Murtagh rimase alcuni minuti in silenzio prima di parlare.

- Pensi anche tu, come Castigo che io stia esagerando? – gli chiese poco dopo. Jill gli rivolse uno sguardo di profondo affetto prima di rispondere.

- Credo che tra te e Saphira Eragon abbia due genitori iperprotettivi. – disse lei sorprendendo Murtagh che sorrise nel pensare a come la dragonessa si prendeva cura del fratello. Anche lui credeva che Saphira avesse atteggiamenti molto materni, ma immaginare lui come un padre era tutt’altra cosa. – ho afferrato il concetto Jill -

- Non sto dicendo che sbagli – continuò lei - ma tuo fratello sa badare a sé stesso meglio di chiunque altro. - 

- lo so anche se a volte ho bisogno che qualcuno me lo ricordi sai? -

- sono qui per questo. Ora Che ne dici andiamo a vedere cosa c’è nelle cucine. Ho fame. Poi andrò da Arya, anche lei vorrà sapere che cosa abbiamo scoperto. –

 

* * *

 

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Capitolo 21
*** Decisioni, Viaggi e Speranze ***


Per il terzo giorno consecutivo la stessa visione si insinuò tra i sogni di Murtagh: si trovava all’interno di una stanza e ad un tratto una figura dai lineamenti celati sotti un cappuccio gli fa cenno di avvicinarsi. La figura non emette alcun suono, ma Murtagh sa che deve guardare nello specchio d’acqua che gli sta mostrando. Un’immagine si forma lentamente sulla superficie del liquido. È quella del palazzo di Abàlon. Improvvisamente, senza rendersene conto, Murtagh viene catapultato all’interno della visione. Si ritrova a percorrere delle stanze come un automa, quando la sua attenzione viene attirata da una figura. È di spalle, ma sente che è stranamente familiare. Murtagh la segue e, quando la figura finalmente si gira, si rende conto che si tratta di Eragon. È quasi irriconoscibile con la barba e i capelli lunghi e sembra parlare con una persona che però non riesce a riconoscere. Murtagh cerca di chiamarlo, di attirare la sua attenzione, ma Il fratello non si accorge della sua presenza. Ha il viso teso e un’espressione tormentata. Lentamente l’immagine sbiadisce e Murtagh si rende conto di essere tornato nella stanza. La figura, allora, avanza verso di lui e gli dice che Eragon ha bisogno di lui e che se vuole aiutarlo devono incontrarsi al porto di Gratignàc. Gli dice che anche Arya ha ricevuto lo stesso sogno. La figura non si aspetta una risposta ma inizia semplicemente a mostrare a una serie di immagini che gli indicano il percorso per raggiungerla. Solo allora il sogno termina e Murtagh si sveglia.

***

Era passata una settimana da quando Jill aveva consegnato la lista redatta con i nomi dei governatori richiamati da Isobel. La regina aveva dovuto semplicemente fare appello al precedente patto di alleanza, mentre il re e il consiglio stavano ancora valutando un modo per far pendere verso di loro uno sparuto numero di indecisi. A far aderire ancora molti regni alla causa Isobel c’era la minaccia reale delle sue nuove armi da fuoco. La regina si era molto impegnata perché arrivasse chiaro il messaggio che, a un mancato appoggio, quelle armi sarebbero state usate sulla popolazione inerme.

Pochi tra loro erano riusciti a mantenersi neutrali e di questi solo due avevano acconsentito ad ascoltare le loro ragioni. Frederick Kallen del regno di Nihel e Paul Von Mack dei territori di Geliko. I due giovani uomini avevano molto in comune. Oltre ad essere entrambi molto giovani e di nobili origini, avevano idee liberali e programmi molto simili che prevedevano il ritorno al commercio con gli Elfi. Non condividevano l’odio di Isobel nei confronti di un intero popolo e l’influenza della sua magia era troppo debole oltre i confini di Zàkhara per influenzare le loro menti.   

- Le risposte dei governatori di Geliko e di Nihel sono arrivate in questi giorni e ci lasciano sperare in un margine di trattativa – annunciò con voce piena di speranza di un giovane del consiglio. 

- Questo significa che si spettano che rispondiamo in maniera concreta e con delle prove a sostegno della nostra lotta – aggiunse il re con meno entusiasmo nell’apprendere anche lui la notizia. Al sui fianco intervenne un’elfa dai lunghi capelli bianchi che con autorità prese la parola. Era tra i membri più anziani e con l’appoggio  molto spesso del re formava il fronte più conservatore del consiglio.

- La regina si muoverà presto per circuirli e attirarli tra le sue spire velenose. Mette in atto sempre la stessa tattica. Inizia con un invito a palazzo attritandoli con speranze di accordi commerciali vantaggiosi per il loro regno, per poi influenzali con la magia e indurli ad acconsentire a tutte le sue richieste. – disse con voce carica di rammarico.

- Isobel fa sempre in modo da fargli credere che tutte le loro decisioni vengono prese in autonomia e non si rendono conto di essere delle marionette nelle sue mani – concluse.

- Per questo motivo è necessario agire il prima possibile. Il consiglio pensa che la presenza di Murtagh e di Reafly possa essere decisiva a sostenere la nostra causa – continuò l’elfo che aveva parlato prima.

- Cavalieri Murtagh e Reafly, siete disposti a compiere questo viaggio per noi? – chiese il re rivolgendosi direttamente ai due cavalieri. Murtagh sapeva che la domanda del re era solo una semplice formalità Era evidente a tutti l’importanza di conquistare la fiducia di quei due uomini, entrambi non avrebbero potuto rifiutarsi se non con delle conseguenze sull’esito delle trattative.

Questa è un’altra intromissione del consiglio alla nostra libertà. Commentò aspro Castigo. 

Libertà o no siamo coinvolti in questa guerra amico mio e con noi anche Reafly e Gleadr. Quello che il re non sa è che noi stavamo cercando una occasione simile per poter lasciare Antàra. Castigo sbuffò di rimando e si ritirò in un angolo della sua coscienza. Il grande drago cremisi non era mai piaciuto agire di nascosto ma in quel caso non c’era stato altro modo. Lo sapevano sia Murtagh che Castigo. Il cavaliere alzò lo sguardo sui presenti che lo stavano guardando, quindi, schiarendosi la voce prese parola.

- Ho promesso che avrei fatto tutto quello che era in mio potere per aiutarvi nella lotta contro Isobel. Io e Reafly faremo questo viaggio. Ma vi chiedo di non mandarci soli. – Murtagh si girò allora verso Arya, anche lei chiamata a partecipare a quella riunione insieme a Jill ed Aglaia.

- chiede a voi la possibilità di lasciare partire anche Arya Dröttningu – un brusio di voci si alzò tra gli astanti. Arya, che si aspettava una reazione di questo genere, alzò una mano per chiedere silenzio. Murtagh la vide ergersi in piedi tra gli astanti con la sua postura altera, le spalle dritte e la testa alta e fiera. Il ventre aveva iniziato da poco ad arrotondarsi ed era appena visibile da sotto la tunica di lino finemente ricamato che l’elfa indossava sopra a dei pantaloni e un paio di stivaletti leggeri. Non aveva mai considerato belli i suoi lineamenti spigolosi ma, nel guardarla adesso, Murtagh non poté fare a meno di notare quanto la maternità ne avesse addolcito i tratti: i suoi lunghi capelli corvini le ricadevano morbidi sulle spalle e il suo viso esprimeva dolcezza e un senso di pace e di serenità. Solo i suoi occhi tradivano una certa inquietudine nel rivolgersi verso di lui. Anche Murtagh condivideva con lei quello stesso sentimento.

Nei due giorni precedenti Murtagh e Arya avevano più volte divinato sia Eragon che Saphira, ma, mentre l’immagine del fratello era sempre un riflesso sbiadito simile in tutto a quella della loro visione, l’immagine di Saphira era sempre avvolta da una nebbiolina indistinta. Accanto a lei compariva sempre e solo Par. C’era una sola spiegazione plausibile a quello che avevano visto e l’urgenza di partire era diventata oramai un’esigenza.   

– Vi prego di rispettare il silenzio. Lasciate che anche Arya svit-kona parli – intervenne il re Arold calmando gli animi. Ringraziandolo con un cenno del capo Arya iniziò a parlare.

- So che la mia presenza è importante per l’addestramento dei maghi e so che avete rischiato tutto per tenermi al sicuro il primo giorno che io e i miei compagni approdammo sulle coste di Zàkhara – proseguì esaltando così il loro valore - ma so anche che Aglaia e Jill sono addestrate altrettanto bene nella magia e nel combattimento e che saranno delle eccellenti insegnanti mentre io e Murtagh staremo via.

Sono grata della vostra protezione e so che fuori da Antàra non avrò la stessa sicurezza che ho ora qui, con voi, ma sono anche consapevole di essere in gradi di difendermi. Anche nelle mie attuali condizioni sono più forte di un qualsiasi altro soldato. Inoltre, come già sapete, ho ricoperto il ruolo di ambasciatrice sotto il regno di mia madre, la mia presenza all’incontro con i governatori non potrà che giovare al sostegno della nostra causa – Arya si fermò guardare Arold perché sapeva che spettava a lui l’ultima decisione al riguardo. In più occasioni il re aveva dimostrato di avere un’alta considerazione di ciò che Arya e Murtagh gli proponevano ed anche questa volta il sovrano degli elfi si trovò a soppesare con attenzione le loro parole.

Sapeva che ad Arold dispiaceva allontanarsi da entrambi, glielo aveva confessato lo stesso re solo qualche giorno fa, ma fortunatamente, prima di ogni cosa al mondo, aveva a cuore la sua gente ed Arya aveva avanzato delle argomentazioni che non potevano lasciarlo indifferente.

– Alla luce dei fatti non vedo alcun motivo per cui Arya svit-kona non debba partire con i due Cavalieri. Se nessuno avanza delle obiezioni valide a riguardo dichiaro la decisione presa. - 

Nessun si fece avanti anche se Murtagh e Arya, nel sondare rapidamente le loro menti, poterono sentire chiaramente il disappunto di alcuni dei membri. Da tempo era iniziato a serpeggiare un generale malcontento riguardo all’influenza che i due stranieri esercitavano sul loro re. Anche Arold era a conoscenza i queste voci ma non se ne preoccupava, certo che le decisioni prese fino a quel momento fossero le migliori per il suo popolo.  

**

La partenza venne organizzata per la mattina seguente. Di fronte a una delegazione del consiglio Arold consegnò nelle mani di Murtagh e Reafly i rotoli che doveva essere dati nelle mani dei principi di Geliko e Nihel.
- Questi documenti contengono informazioni di vitale importanza – li informò il re
con un’espressione grave sul volto.

- Saranno tenuti con estrema cura - gli rispose Murtagh scambiando con il ragazzo uno sguardo di intesa.
Sia lui che Gleadr erano in trepida attesa per la partenza. Murtagh poté sentire chiaramente l’eccitazione dei due compagni per la missione che gli era stata appena affidata.

Il cucciolo d’uomo è entusiasta. Commentò con voce sostenuta il drago cremisi.

Non lo biasimo, si tratta del suo primo vero incarico come cavaliere. Finì di dire il ragazzo sorridendo.

Murtagh aspettò che Arya salisse sul dorso di Castigo prima di infilare un piede sull’asola della staffa e issarsi anche lui sul posto di fronte all’elfa. Per l’occasione Murtagh aveva conosciuto Gregor. La sua conceria aveva preparato una sella appositamente per Castigo in modo da poter ospitare due persone e l’elfo aveva voluto sottolineare il fatto che era stata eseguita con il metodo insegnatogli da Eragon mesi prima, Murtagh ne riconobbe subito la fattura. Castigo aveva sbuffato un po’ mentre gliela sistemava ma il giovane non aveva detto nulla a riguardo. Sapeva che il nervosismo del compagno era dovuto alla presenza di Arya, ma il suo orgoglio gli impediva ancora di ammetterlo. Nonostante le innumerevoli dimostrazioni di fiducia, anche lui ogni tanto faceva fatica a vedersi al fianco di coloro che un tempo l’antica lingua li aveva vincolati a combattere. Ed anche se lo avevano fatto sotto la costrizione di un giuramento, Murtagh ricordava ancora la sofferenza che aveva provato  sotto la schiavitù del tiranno. Così preferì non sfrugugliare troppo il compagno e aspettare che fosse lui stesso a voler aprire l’argomento.

Dandogli una pacca leggera sulle squame più morbide e tenere del collo il cavaliere guardò uno ad uno i presenti che li stavano osservando dal basso, fino a quando il suo sguardo si posò su Jill. Nel preciso momento in cui gli occhi della ragazza incrociarono i suoi lei gli sorrise e Murtagh cercò di imprimere quell’immagine nella sua mente più forte che poté.

Solo la sera prima lui le aveva confessato i suoi timori riguardo al fratello e ai sogni che aveva ricevuto, lei lo aveva ascoltato e senza giudicare lo aveva abbracciato forte, quindi tenendolo stretto a sé lo cullò dolcemente fino a quando non si era addormentato fra le sue braccia.

Anche se a malincuore la ragazza aveva acconsentito a rimanere indietro per permettere a lui e ad Arya di indagare con liberà su quello che poteva essere accaduto al fratello. Murtagh l’amava profondamente anche per questo e già sentiva la sua mancanza.  

Pronto tigre? Gli chiese Castigo interrompendo così il flusso dei suoi pensieri.

Pronto amico mio. Fu il suo commento laconico prima che il compagno di cuore e di mente si librasse in aria ricalcando la stessa rotta che mesi dietro avevano percorso Saphira e Eragon in compagnia di Par.

**

A centinaia di miglia di distanza da dove erano decollati e a molti piedi di altitudine dal livello del mare, Murtagh chiuse gli occhi mentre sentiva il vento che gli passava tra i riccioli scuri, scompigliandoglieli. Quando li riaprì senti Castigo eseguire una leggera virata verso nord-ovest. Dietro di lui Gleadr lo seguiva passo per passo.

Ci siamo amico mio. Sentì il drago che lo richiamava. Murtagh allora espanse la sua mente fino a compenetrare quella di Castigo e la sua vista iniziò a vedere ciò che lui vedeva. Le loro menti erano fuse insieme adesso. Era ben chiaro ad entrambi Il tragitto prestabilito dai consiglieri e dal re. Si sarebbero fermati prima a Geliko e poi a Nihel.

I due regni erano le terre più a Ovest oltre i confini di Zàkhara e avevano previsto di impiegare non più di quattro giorni di volo.

Prima, però, avrebbero fatto una breve sosta.

Vedi quelle costruzioni in lontananza, lungo la costa? Chiese Castigo che aguzzò la sua vista per mostrare al suo cavaliere quello che vedeva.  

Sì le vedo. Deve essere il porto di Gratignàc. Castigo dobbiamo fermarci senza avvicinarsi troppo o rischiamo di essere visti.

Lo so. Quella radura farà al caso nostro. Rispose prontamente il drago.

Ne sei sicuro? gli chiese Murtagh. Con il tempo aveva imparato a riconoscere i venti, e sapeva quando erano da considerarsi favorevoli e quando pericolosi. La particolare brezza che batteva su quelle coste veniva dal mare e non era tra quelle che i draghi avrebbero considerato amica.

Più che certo, il posto ideale per dare un’ultima lezione a Gleadr su come affrontare i venti.

Murtagh sbatté le palpebre un paio di volte per aggiustare nuovamente la vista che iniziava a tornare normale. Nuovamente cosciente del mondo intorno a lui fece appena in tempo ad avvertire Arya di reggersi a lui quando il drago cremisi eseguì un’abile manovra sfruttando alcune corrente e atterrò in una radura ricoperta da un tappeto di piante arbustive.

In quel punto il vento era particolarmente forte. Più intenso di quelli che solitamente battevano sulle coste di Antàra.

Dal dorso del giovane drago Reafly notò che Gleadr non si era scomposto per l’improvviso cambio di rotta, ma seguì semplicemente il padre.

Che cosa stiamo facendo Gleadr?! cercò di raggiungerlo mentalmente Reafly, ma Gleadr interruppe bruscamente la conversazione Non ora Reafly! Reggiti forte, invece. gli rispose con un piccolo ruggito prima di chiudergli la mente. Le ali del giovane drago si erano gonfiando in maniera incontrollata, iniziando a sballottarlo di qua e di là come se fosse una marionetta. Dal suo dorso Reafly intravide la sottile membrana di pelle delle sue ali tendersi e diventare traslucida attraverso i raggi del sole ma il ragazzo era troppo impegnato a seguire il consiglio del suo drago per rendersi davvero conto di quello che stava accadendo.

Nel frattempo, a terra, Arya e Murtagh con la testa rivolta verso l’alto seguivano le manovre del giovane drago. Anche Castigo con sguardo vigile osservava il figlio. Di tanto in tato gli impartiva brevi consigli. Tutti e tre videro Gleadr riuscire con uno sforzo immane a chiudere le proprie ali e cambiare posizione. In quella maniera poté sfruttare la forza del vento senza combatterlo.

Quando il giovane drago aprì nuovamente le sue ali queste non si gonfiarono più in maniera scomposta, ma fendettero l’aria aiutandolo a trovare stabilità. La manovra durò ancora altri minuti. Reafly da sopra il suo dorso poté sentire i muscoli del drago sotto di lui che gradualmente si rilassavano. Aveva lo stomaco in subbuglio e un senso di vertigine che gli fece girare la testa È la prima volta che affronto questo genere di vento ammise il giovane drago quando tornò a parlare al cavaliere Tu stai bene?

Credo…credo di sì. Rispose il ragazzo incespicando malfermo una volta toccato a terra. Arya lo raggiunse per sorreggerlo e i sui penetranti occhi verdi lo scrutarono per alcuni istanti – Mi spiace Reafly ma adesso è necessario che tu dorma - aggiunse all’ultimo l’elfa prima di sussurrargli poche parole all’orecchio. Reafly non riuscì nemmeno a replicare, sentì improvvisamente le membra stanche e tutto intorno a lui divenne buio. Reggendolo dalle braccia Arya fece adagiare il ragazzo a terra. Gleadr allungò il suo collo annusandolo preoccupato. Gli occhi gialli brillarono nel guardare l’elfa che gli posizionava delle coperte sotto la testa. Arya prese un profondo respiro sentendo tutta l’apprensione del drago. Allora decise di parlagli con cuore aperto.

Non ho ingannato il tuo cavaliere a cuor leggero Gleadr, ma conosci anche tu il motivo per cui l’ho fatto.

Sì, lo so.  Lo sentì ammettere dai recessi reconditi della sua mente. Era la prima volta che l’elfa parlava alla creatura dorata e la sua giovane voce risuonò come acqua cristallina nella sua coscienza

Se la pista che stiamo seguendo non è un inganno o una trappola Reafley dovrà portare avanti da solo la missione che re Arold gli ha affidato anche senza Murtagh. 

Quanto dovrà rimanere incosciente?

Solo il tempo necessario perché noi ci allontaniamo.

Andate allora, io e Gleadr baderemo a lui. Intervenne Castigo.

In quello stesso momento Arya sentì la mano di Murtagh stringerle una spalla. L’elfa si girò per vedere il suo volto che le sorrideva mesto e le porgeva quella stessa mano per aiutarla ad alzarsi. Accettando l’aiuto che le veniva offerto Arya si alzò in piedi rivolgendo a Reafly un ultimo sguardo prima di seguirlo.  

***

Lasciato Reafly alle cure di Castigo e di Gleadr Murtagh ed Arya impiegarono un paio di ore per raggiungere Gratignàc. Era pomeriggio inoltrato quando entrarono nel centro cittadino ancora brulicante di vita. Si diressero direttamente alla zona del porto ed Arya si sistemò bene su il cappuccio per nascondere le orecchie. Nonostante l’elfa cercasse di dare meno all’occhio Murtagh notò come molti si girassero al suo passaggio. Il suo portamento era naturalmente elegante, il corpo si muoveva leggero e i piedi quasi non toccavano terra mentre era concentrata nel farsi strada tra le persone che erano in giro stanche dopo una giornata di lavoro. D’istinto Murtagh le si accostò. - Cosa succede? – gli chiese lei sorpresa quando sentì la sua mano che le si appoggiava dietro la schiena. Murtagh le sorrise con fare beffardo e a rischio di ricevere un severo rimprovero disse.

– il tuo passaggio sta provocando troppo interesse. So che non ti piacerà sentirlo ma una donna in compagnia di un uomo attira meno sguardi su di sé – Arya avvampò una volta compreso ciò che intendeva dire, ma un breve sguardo intorno a lei le fece notare i molti occhi furtivi. Senza aggiungere altro accettò l’aiuto del cavaliere camminando insieme come una coppia.

Guidati dalle immagini condivise del sogno percorsero ancora una serie di vie affollate prima di arrivare nella zona del porto. Lontano dalla folla poterono tornare a camminare l’uno vicino l’altro, il sentiero era diventato sterrato e a cadenza regolare si aprivano dei bugigattoli che servivano da magazzino alle merci.

I loro ricordi li portarono di fronte a un edificio a un solo piano. Era il posto indicato dal sogno.  

Si guardarono per un attimo negli occhi poi Murtagh fece in passo avanti e diede un colpo deciso alla porta che si aprì senza alcuna difficoltà.

- La porta è stata lasciata aperta – constatò entrando per primo. Un piccolo ambiente faceva da anticamera alla stanza principale, più ampia, fornita di finestre e di una porta che dava l’accesso al retrobottega.

- Chiunque abiti qui non credo voglia stare via a lungo – gli fece Arya indicando con lo sguardo un alambicco posto sopra una piccola fiamma. Al suo interno un liquido viola borbottava lentamente. Un altro rapido sguardo alla stanza fece a entrambi notare la serie di tavoli disposti lungo le pareti che esponevano contenitori di erbe e sostanze di vario genere. L’odore che sprigionavano era potente.

- Magia, questo non mi sorprende affatto – commentò Murtagh alzando un sopracciglio verso l’elfa. Entrambi vennero richiamati da un rumore esterno che li fece girare entrambi.
 

***

Morgana stava attraversando il porto Gratignàc con passo svelto, dopo essere stata in giro a fare provviste, era impaziente di ritornare al suo alloggio dove aveva ricreato un piccolo angolo della sua casa nella foresta. Da quando aveva lasciato Par e Saphira questo era il primo grande passo in avanti fatto per tenere fede alla promessa fatta alla dragonessa.

Anche se era apparentemente tornata al punto di partenza, Morgana non poteva dire che era stata con le mani in mano. La prima cosa che aveva fatto era stata accertarsi su dove quei mostri, i Ra’zac, come li aveva chiamati Saphira, avevano portato Eragon. Era stato facile per lei, grazie alle sue arti magiche, far riemergere le vecchie tracce del passaggio di quelle creature. Come se fossero state lasciate lì da poche ore, le aveva seguite e, come aveva temuto, l’avevano portata ad Abalon.

Nella capitale Morgana aveva indagato ancora, spingendosi fin dove aveva potuto all’interno della cittadella. Si era subito imbattuta negli alchimisti che proteggevano l’ala del palazzo chiamata dei Misteri. Morgana era ben a conoscenza della loro esistenza. Nel suo passata stava per entrare a farne parte ma i suoi principi e la sua indole libera le aveva fatto rifiutare l’offerta. Ci vollero tutte le sue abilità per eludere la loro sorveglianza, ma Morgana non era una persona facile da sorprendere. Nel corso degli anni passati con i maghi di Galbatorix aveva imparato da loro diversi trucchi per rendersi invisibile e il fatto che nessuno era sulle sue tracce le avevano permesso di avere un notevole vantaggio. Le cose si fecero più difficili quando si imbatté in colei che si faceva chiamare il sicario. La donna, di nome Oliviana, era la stessa che aveva guidato la cattura di Eragon e sapeva manipolare la magia in maniera più intima e profonda del resto degli alchimisti che aveva incontrato fino a quel momento. Non c’era da stupirsi che fosse riuscita a mettere la giovane maga in difficoltà.

La mattina in cui Eragon lasciò l’ala dei Misteri al guinzaglio di Olivina, Morgana ebbe solo il tempo per vederlo uscire dalla sua cella in compagnia della donna. Per la seconda volta in meno di due mesi se lo era visto passare accanto e per la seconda volta non era riuscita a fare o dire nulla per aiutarlo.

Per Morgana non c’era stato alcun dubbio sul fatto che il nuovo maestro d’armi di Rebekha Coleman fosse Eragon. La giovane maga non aveva mai creduto alle coincidenze, ma non poteva più continuare la sua missione da sola. Per liberare il cavaliera di Saphira aveva bisogno dell’aiuto dei suoi amici. La dragonessa le aveva parlato dell’altro cavaliere dei draghi, Murtagh, fratello di Eragon e della sua compagna, Arya.

Con questo scopo era tornata a Gratignàc. Ma al suo arrivo aveva scoperto che la ripresa ufficiale delle ostilità con gli elfi oscuri aveva reso le comunicazioni con il porto di Antàra più difficili. Morgana non aveva tutto quel tempo per attendere la partenza di un carico.

Decise di usare l’antica arte delle premonizioni. Era una pratica antica che affondava le sue radici alle origini della magia stessa; una particolare combinazione di parole e intenzioni che Morgana formulò per creare un messaggio indirizzato a coloro che erano più vicino al cavaliere. Secondo quanto Saphira aveva raccontato su Murtagh ed Arya, entrambi avevano le capacità di cogliere la natura magica del sogno e interpretarlo nella giusta maniera.

Arrivata alla porta del suo alloggio Morgana la trovò accostata, qualcuno era entrato. Con un colpo della mano l’aprì e superò il piccolo ingresso per entrare con cautela all’interno della stanza. Le tende accostate avevano creato una zona di penombra in fondo alla stanza. Morgana sorrise nello scorgervi due figure.

                                   **

Dall’altra parte Murtagh vide entrare una giovane donna dai lunghi capelli castani che le cadevano sulle spalle.
- Tu devi essere Murtagh – parlò la giovane con voce carica di emozione – e tu Arya – aggiunse per poi guardare entrambi con una espressione di divertita curiosità.

Nel lanciare rapidamente un maglio verso la sua mente il cavaliere la protetta da alte barriere, allo stesso tempo, qualcosa gli diceva che non rappresentava un pericolo per loro.

- Tu sai chi siamo ma noi non sappiamo nulla di te – intervenne pronta Arya. L’elfa aveva fatto un passo in avanti ed era entrare nel cono di luce mostrandosi così al loro misterioso ospite. La donna a sua volta avanzò e incrociando le dite in grembo disse solo: - Mi presento: sono Morgana. Sono io che vi ho inviato i sogni –

***

Murtagh lanciò subito uno sguardo interrogativo ad Arya.

- Se sei tu ad averci inviato quei sogni, allora devi conoscere Eragon. E’… - Murtagh esitò un attimo, non era convinto di voler davvero conoscere la verità, ma doveva farlo.

- È lui che ti ha chiesto di contattarci? – chiese infine.

Morgana scosse la testa e sospirò. - Non esattamente. - disse e il cuore di Murtagh si strinse dolorosamente mentre Morgana si continuava – Lasciate che vi spighi. Non ho avuto modo di conoscere Eragon ma le nostre strade si sono incrociate attraverso Saphira – disse accendendo loro la curiosità.

- Ti ascoltiamo – disse Murtagh aggrottando le sopracciglia. 
Morgana annuì quindi iniziò a raccontare loro tutto quello che le era successo da quando aveva incontrato la dragonessa zaffiro. Murtagh e Arya appresero così della cattura di Eragon da parte di Oliviana e di come si fosse separato da Saphira con la certezza di averla persa per sempre. Di come Morgana avesse guarito Saphira dalle ferite mortali inferte dai Ra’zac e della decisione presa con Par di portare a termine il viaggio nelle terre selvagge.

Il racconto proseguì quindi con il viaggio di Morgana alla capitale di Zàkhara per mantenere la promessa fatta a Saphira. Murtagh rimase colpito delle enormi capacità della Morgana. Dietro un’apparente disinvoltura aveva ingannato la maggior parte degli alchimisti.  

- Non sarei arrivata a chiedere il vostro aiuto se non fosse necessario. – ammise mostrando una candida modestia – Tutto lascia pensare che il vostro amico si sia alleato con Isobel. –

- No! – la interruppe Arya con decisione - Conosco Eragon, non si schiererebbe mai dalla parte di quella donna –

- Sono d’accordo. Ci deve essere un’altra spiegazione – la sostenne Murtagh serrando la mascella. Il cavaliere stava cercando di mettere ordine nel tumulto di emozioni che rischiava di travolgerlo, quando sentì la voce di Castigo ruggire nella sua mente Smettila di darti la colpa per quello che è accaduto a tuo fratello. Devi essere lieto che lui e Saphira siano entrambi vivi, invece, e che siamo in grado di aiutarli.

Il rimprovero severo del drago ebbe l’effetto di dissolvere la paura e la rabbia che stava provando e riportare l’attenzione a ciò che stava dicendo Morgana.  

La giovane donna, che stava osservando con attenzione la reazione di entrambi, non si scompose ma prese un respiro più profondo. - Penso anche io la stessa cosa. – ammise - Non sono solita fermarmi alle prime apparenze. Per questo motivo vi ho chiesto di venire qui. Uno di voi deve venire con me ad Abàlon e forse insieme potremo rivelare l’inganno che Isobel ha tessuto intorno ad Eragon – concluse in tono pacato.

Murtagh ed Arya si guardarono negli occhi spiazzati dalla richiesta così diretta della donna. - Chi di noi deve andare? – chiese Arya rompendo quel breve silenzio che si era venuto a creare.

Murtagh non ebbe alcun dubbio a riguardo. Anche se non doveva addossarsi tutte le colpe, come gli aveva ricordato Castigo, non si sarebbe tirato indietro di fronte alle proprie responsabilità. Chiuse gli occhi per chiamare il sui compagno di cuore e di mente. Arya ha già rischiato più del necessario venendo qui. Non posso lasciarle fare anche questo.

Lo so Tigre. Fai quello che devi fare. Murtagh rimase in silenzio per alcuni secondo. Con quelle parole Castigo non solo lo stava lasciando andare, ma accoglieva temporaneamente Arya come sua compagna, o così sarebbe apparsa agli occhi dei due principi a cui si sarebbero presentati. Il volto di Murtagh assunse un’espressione determinata mentre rispondeva.    

- Arya, tutto quello che potevi fare per Eragon lo hai fatto, ora, se davvero vuoi aiutarlo, devi pensare alla vita che porti dentro di te. Lascia che sia io ad andare. – Arya sussultò, Murtagh aveva scelto accuratamente le sue parole, inoltre gli elfi non erano graditi a Zàkhara e se Arya avesse continuato a viaggiare nei territori di Isobel sarebbe stato un enorme faro puntato su di loro. Se volevano avere una possibilità di liberare Eragon dovevano giocare d’astuzia e rimanere invisibili.

Si passò una mano sul ventre con un’espressione improvvisamente molto stanca e abbassò la testa. Quando la rialzò il suo volto tornò ad indossare lo sguardo indecifrabile di sempre.

- D’accordo Murtagh. Proseguirò io il viaggio con Reafly. – disse. Era evidente il suo disappunto nell’essere messa da parte e per un attimo gli occhi scintillarono di orgoglio.

- Castigo è d’accordo? – chiese facendo sfuggire a Murtagh una smorfia divertita. Nonostante non ne avessero mai parlato l’elfa aveva notato qualcosa riguardo al comportamento schivo del suo drago.

– Non lo era al principio, ma è un lucertolone ragionevole che sa quando deve mettere da parte il suo orgoglio per il bene più grande. – Arya annuì con la testa e Murtagh non vide alcuna traccia di sdegno o di biasimo del suo volto ma solo un profondo rispetto.

– I draghi sono creature straordinarie e non farei nulla per offenderle. Se lo vuole, sarà per me un onore viaggiare con lui - 

***

Quando Morgana e Murtagh lasciarono Arya il sole aveva iniziato a infuocare il cielo tingendolo di tinte rosse, arancioni e gialle.

- Tra non molto la città si svuoterà – commentò Morgana. Ora che erano rimasti soli il cavaliere si chiese quali fossero le motivazioni della donna. Murtagh si strinse ancora di più dentro al suo mantello mentre una leggera brezza gli colpiva il volto. - Qual è la nostra prossima mossa? - chiese ma Morgana sembrò a mala pena ascoltarlo continuando a camminare. La maga si fermò solo un attimo in mezzo alla strada. Si girò prima a destra e poi a sinistra, farfugliando qualcosa riguardo alla sua memoria, poi esclamò – Ah ecco, ora ricordo. Vieni -

Murtagh stette dietro alla giovane donna, poi girarono sulla destra e si trovò di fronte a una porta di legno sormontata da una insegna sbiadita.

- Il puledro impennato… – lesse Murtagh corrugando la fronte - …cosa cerchiamo? –

- Quello che si cerca in ogni locanda, un boccale di birra e del cibo – gli rispose Morgana con un lieve sorriso. All’interno del locale c’era un piacevole tepore e Murtagh si sfilò il mantello continuando a seguirla verso un tavolo che si era appena liberato al lato della sala.

Era evidente l’impazienza del cavaliere, nonostante questo Morgana non era ancora disposta a parlare. Prima dovevano mangiare e bere qualcosa e, alla fine, anche Murtagh dovette ammettere di sentirsi molto meglio con lo stomaco pieno.

- Grazie, Morgana – disse prendendo un lungo sorso di birra. Morgana lo guardò accigliata – Per cosa? – gli chiese lei piluccando in maniera distratta un pezzo di pane dal piatto.

- Per questo – gli rispose indicando con gli occhi il tavolo - ma soprattutto per quello che stai facendo per mio fratello – Morgana allora arrossì appena arricciando il naso in una maniera buffa.

- Vorrei aver potuto fare di più. – gli disse lei seria. - Di una cosa possiamo essere certi, fino a quando Eragon servirà ai suoi scopi Isobel lo terrà stretto a sé – continuò meditabonda. Murtagh si permise di pensare dopo tanto tempo a Isobel, non lo aveva fatto da quando si era unito agli elfi oscuri. Il modo in cui lo aveva fatto sentire impotente e incapace di reagire o resistere durante tutto il periodo in cui era stato al castello bruciava ancora. Ed ora Eragon era nelle sue mani.   

- Dobbiamo preoccuparci quando deciderà che non avrà più bisogno di lui. – aggiunse alla fine in tono cupo.

- Lo porteremo fuori prima che accada – lo rassicurò Morgana. Murtagh la guardò pieno di gratitudine. Aveva rischiato così tanto e meritva la sua fiducia. Concluse.

- Sono già stato ad Abàlon. Il castello è una piccola cittadella fortificata – continuò Murtagh mettendo Morgana al corrente di quello che anche lui conosceva riguardo alla cittadella – quando fuggimmo la prima volta avevamo l’appoggio di Xavier, il capitano delle guardie reali. Ci ha permesso di passare tra le maglie della guardia. Questa volta non possiamo contare su di lui -

- Prima ancora è necessario arrivare ad Eragon. Ora che è il mastro di Rebekha Coleman la sorveglianza intorno a lui sarà ancora più stretta –

Murtagh sospirò. - È quello che più mi spaventa. –

Continuarono a parlare così ancora un po', ognuno riportando le proprie opinioni, poi Morgana si alzò e si allontanò per sistemare qualcosa con il locandiere e Murtagh si trovò ad ascoltare in maniera distratta brandelli di una conversazione tra due avventurieri alla sua destra.

- Si vocifera che ci sia qualcuno in città che pratica quella vera.

- Ho sentito. La regina ha sguinzagliato i soldati per arrestarlo. – Murtagh affino l’udito. L’uomo si era avvicinato ancora di più al suo interlocutore nel continuare a parlare, come a volergli confidare un segreto.   

- Promettono ricompense per chi fornirà anche solo delle informazioni – disse sfregando il pollice e l’indice tra di loro per far intendere la possibilità di una lauta paga. Murtagh era sempre più preoccupato che stessero parlando proprio di Morgana. Ma le sue parure vennero presto allontanate.

- quel ragazzo che sta facendo spettacolo, è alquanto sospetto. Mi domando da dove venga. Non mi piace e inoltre sembra un elfo. –

- Dici lui? – disse l’altro indicando una parte troppo affollata perché Murtagh riuscisse a scorgere di chi stessero parlando. L’altro doveva avergli detto di sì perché il suo interlocutore si mise a ridere

- Quale elfo! Sono saltimbanchi venuti  in città quattro giorni fa. Avranno sicuramente orecchie posticce. li ho visti mentre se le sfilavano, era sicuramente lui o qualcuno altro dei suoi – continuò il secondo. Sentendo che non parlavano di altro Murtagh perse interesse e smise di ascoltare. Lasciò sul tavolo monete sufficienti per pagare il servizio prima di raggiungere Morgana verso l’uscita, fu allora che vide di chi stavano discutevano i due uomini. Alcuni clienti della locanda si erano riunita intorno a un personaggio vestito con colori sgargianti che stava improvvisando un piccolo spettacolo. O così parve a prima vista.
Quando infatti lo sguardo di Murtagh incrociò per un attimo quello dell’attore ci fu un momento di smarrimento da entrambe le parti.

L’attore era Par. L’elfo non si scompose ma continuò con il suo numero

- Ed eccolo qui!  - esclamò facendo riapparire dalla tasca dell’uomo. L'urlo di gioia del bambino si rivelò contagioso e fece scappare un sorriso a tutti.

- Ora devo andare, ma io e la Compagnia di cui faccio parte, L’Orsa, siamo diretti ad Abàlon per la settima di festeggiamenti indetti dalla regina. Chi sta andando è invitati al nostro spettacolo! -
Murtagh scosse la testa incredulo.

– Sembra che abbiamo una conoscenza in comune – gli suggerì sottovoce Morgana. Anche Par li stava guardando adesso. Con un cenno degli occhi facendo lori segno di tacere e seguirlo, poi sgattaiolò verso l’uscita. Morgana e Murtagh non se lo fecero ripetere e lo seguirono all’esterno.

- Per tutti gli dei che cosa ci fate qui voi due insieme?! – esclamò con un sorriso raggiunte una volta trovati all’esterno.

- Par, queste sono le due persone di cui ci hai parlato? – intervenne una ragazza dai capelli corvino raccolti in una lunga treccia.

- Se ricordo bene hai detto che si chiamavano Morgana ed Eragon? – aggiunse una seconda voce alle loro spalle. Morgana e Murtagh si voltarono e si trovarono a faccia a faccia con una ragazza dai fulgidi capelli ricci.

Par era irriconoscibile nelle vesti di saltimbanco. I suoi nuovi compagni di viaggio avevano portato un grande carro dai colori accesi fermandolo di fronte alla locanda.
In quel momento una pallina rossa rotolò da sopra il caro andando a sbattendo contro uno stivale di Murtagh che la raccolse porgendole gentilmente alla ragazza con la treccia.

- Sono amici miei, ma lui non è Eragon. - rispose Par indicando Murtagh.
- Se siete amici di Par, allora siete anche amici nostri. –

La mente di Morgana iniziò a vorticare velocemente. - È vero quello che Par ha detto alla locanda? Che siete diretti ad Abàlon? – chiese.

- Sì. È questa la nostra meta, ma lo scafo della nave su cui viaggiavamo ha subito un danno e siamo stati costretti a fermarci qui – la informò la ragazza dai capelli corvino.

- Anche voi siete diretti alla capitale, spero – era stato Par a parlare. La sua era stata più una constatazione che una domanda ma Murtagh e Morgana annuirono lo stesso guardando entrambi verso Par.

- Se è cosi perché non vi unite a noi? – propose di slancio la ragazza con la treccia.
- Feha non essere invadente. -  parlò ancora una volta l’altra donna.  
- E tu non essere la solita scontrosa Adalia, non ti si addice. In più con loro due raggiungeremmo il numero di sette. Il numero perfetto per chi viaggia. –

- Secondo quale credo? –

- Quello della numerologia Copta. A proposito il mio nome come avrete capito è Feha, e lei è Adalia. – Altri due ragazzi si affacciarono da sopra il carro con facce sorridenti

- E qui abbiamo i due gemelli Roana e Jael. E l’ultimo ad unirsi al gruppo è il vostro amico Par –

- Verrete con noi allora? - chiese Par. L’elfo non poteva sperare un incontro più fortuito di quello. E quando i due amici dissero di sì Feha gli scompigliò i capelli anche lei entusiasta. A quel punto Adalia si mise alla guida del carro e prendendo il comando della situazione si rivolse a tutti i presenti
- Se la fortuna ci assiste a quest’ora il comandante Briana avrà riparato lo scafo. Allora ascolteremo volentieri la vostra storia una volta sistemati in sottocoperta  - disse facendo cenno a tutti di prendere posto all’interno del carro.

Par venne aiutato da Feha a salire sul carro e mantenendo il telo alzato fece cenno di salire anche a Murtagh e Morgana.
Chi sono loro? fece improvvisamente una voce nella mente dell'elfo.
Par si girò di scatto verso il fondo del carro dove Vespriana, ben nascosta aveva fatto capolino con la testolina, in cerca di un poco d'aria.
Sono Morgana, e Murtagh. Morgana ci ha salvati quando Saphira è stata ferita mortalmente dagli agenti della regina. Mentre lui è il fratello di Eragon. Anche lui è un cavaliere dei draghi. Ma non ho idea per quale motivo siano qui, insieme, e perché Castigo il suo drago non sia con loro. Ho paura che possa significare solo guai.

Dobbiamo saperlo al più presto! Non abbiamo molto tempo per trovare Eragon e portarlo a Saphira. Ricordati che più tempo passa, più sarà difficile per loro ritornare uniti!

Hai ragione Vespriana. Cercherò di parlargli stasera

Perché non ora?

Attirerei troppo l'attenzione. Stai giù adesso.

 

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Capitolo 22
*** Al servizio della corte ***


Seduti tutti vicini l'uno accanto all’altro, Par non ebbe molte possibilità di parlare con Murtagh o Morgana durante il tragitto che li portò al porto fluviale. Arrivati al molo vennero subito accolti dal capitano Briana.

Era un uomo alto e robusto, sulla sessantina, barba e capelli corti neri appena sfumati di bianco. Gli venne in contro sul pontile a braccia conserte, i suoi occhi si posarono subito su Morgana e Murtagh – Altri due passeggeri Adalia? Pensavo che Feha non dicesse sul serio quando affermava che sareste stati sette prima di arrivare ad Abàlon – Adalia avanzò verso l’uomo con un mezzo sorriso che le increspò gli angoli della bocca – lo sai che quando si tratta di numeri Feha non sbaglia mai, ma soprattutto siamo in grado di pagarti. Ecco qquii soldi. – gli disse porgendo all’uomo un consistete sacchetto di cuoio.

L'uomo afferrò il sacchetto che risuonò tintinnante e con un grugnito fece loro cenno di salire. Contrariamente a quello che Murtagh e Morgana avevano immaginato non si sarebbero imbarcati per mare, ma avrebbero raggiunto la capitale risalendo il fiume.

Cinque uomini che componevano l’equipaggio scesero dall’imbarcazione e iniziarono le manovre per caricare il carro sul battello; questo aveva un lungo scafo con la prua alzata e due vele alte quanto l’imbarcazione. Mentre i suoi uomini lavoravano Briana fece loro cenno di seguirli all’interno. Solo Par si attardò a guardare il carro con aria preoccupata. Murtagh si chiese il perché ma non poté indagare oltre perché venne sospinto alle sue spalle da Adalia. Passarono lungo un ampio corridoio su cui si affacciavano le loro cabine, mentre, dalla parte opposta, delle scalette portavano al ponte superiore. Prima di entrare nella sua camera Murtagh vide con la coda dell’occhio Briana e Adalia ritirarsi dentro gli alloggi del capitano parlando animatamente riguardo al ritardo nella tabella si marcia e ai soldi che la compagnia aveva gia anticipato.

- Non ti devi preoccupare. Fanno sempre così quei due. Discutono ma alla fine arrivano sempre a una soluzione – lo raggiunse la voce di Feha da dietro le spalle. Murtagh si girò verso di lei e alzò un sopracciglio. – Da quanto tempo vi conoscete? –

- Quei due sono conoscenti di vecchia data - continuò la ragazza - Io e Adalia invece ci conosciamo solo da tre anni. Insieme abbiamo fondato la compagnia dell’Orsa e da allora viaggiamo per tutto il paese tra fiere e feste cittadine. È una bella vita in libertà. – disse con occhi trasognanti. - Cosa vi tiene uniti voi tre, invece? – la domanda colse Murtagh di sorpresa e il cavaliere ci pensò un attimo prima di rispondere:

- È soprattutto per via mio fratello Eragon. È per lui che stiamo viaggiando verso la capitale. – Feha si fermò a scrutarlo per un lungo attimo ma non rispose. Invece, si limitò a sorridergli mesta prima di salutarlo ed entrare anche lei nella sua stanza.

Sistemata a terra l’unica sacca che si era portato con sé, Murtagh si sdraiò sulla cuccetta: un materasso di stoffa imbottito sotto una finestrella che si apriva sopra la testa, da cui si intravedeva il cielo notturno.

Il materasso si affossò subito sotto il duo peso e un leggero puzzicchio si diffuse dalla spalla destra al resto del corpo.  Con una mezza smorfia di fastidio ricordò in motivo per cui odiava viaggiare su qualsiasi tipo di mezzo galleggiante e si chiese quanto tempo ci avrebbero impiegato a raggiungere la capitale.

Ora che era solo si permise per la prima volta di pensare alla  situazione. Da tempo ormai non poteva più sentire la presenza di Castigo. Si era venuto a creare un piccolo vuoto nell’angolo della sua mente in cui era solito trovarlo quando aveva bisogno di lui. Murtagh sapeva benissimo che il suo compagno di cuore-e-di-mente stava bene, e che si trovava in volo, da qualche parte, con Arya, ma non riuscì ad evitare lo stesso di provare una piccola stretta al cuore per non averlo accanto a sé. Il pensiero successivo del cavaliere andò al fratello. La possibilità che Eragon avesse ceduto ai ricatti di Isobel era più reale che mai nonostante lo avesse negato con forza di fronte ad Arya e Morgana. C’era stato un tempo in cui avrebbe considerato tutto questo giusto. Sarebbe stata la prova che anche Eragon, il figlio e il cavaliere perfetti, poteva commettere errori. Lui stesso avrebbe sfruttato la morte di Saphira per avere un vantaggio su di lui. Ma quello era il vecchio Murtagh. Ora il solo pensiero che la regina potesse usare un simile espediente per ferirlo gli procurava un profondo dolore. Chiuse gli occhi e una lacrima scese lungo la sua guancia. Se l’asciugò in fretta con un gesto di rabbia. Se solo avesse avuto modo di parlargli, se fosse riuscito a dirgli che Saphira era ancora viva e che c’era ancora speranza. Allora tutto sarebbero tornato al suo posto. Cullandosi con quel pensiero Murtagh si girò un paio di volte nella cuccetta e alla fine riuscì ad addormentarsi.

*

Navigarono tutto il giorno seguente e per un tratto le grandi vele sospinsero da sole l’imbarcazione risalendo coraggiosamente la corrente del fiume. Quando queste non bastarono più, delle robuste funi attaccate a dei buoi contribuirono a farli avanzare per una buona parte del tragitto.

Arrivata la notte l’imbarcazione si fermò. L’equipaggio cucinò per tutti e dopo aver consumato il pasto sul ponte  Roana e Jael tirarono fuori degli strumenti musicali e improvvisarono canti e balli coinvolgendo tutti con il loro ritmo. Anche Feha e Adalia si unirono a loro e, per il divertimento degli uomini di Briana, iniziarono a eseguire parti del loro spettacolo chiamando a partecipare anche a Par. Murtagh e Morgana si erano seduti volutamente in disparte osservando la scena da lontano sorpresi delle doti nascoste  dell’elfo.

I loro sguardi riflettevano la stessa impazienza. Ben presto, però, la compagnia coinvolse anche loro e i problemi che li tormentavano vennero per un po’ messi da parte. Morgana venne presa per mano da Jael e trascinata nel gruppo per ballare. La maga tentò qualche inutile resistenza prima di trovarsi a muoversi in mezzo al ponte; anche Murtagh tirato da Feha si trovò nel cerchio a battere le mani e a sorridere e cantare un allegro ritornello.

Alla fine Adalia intonò una melodia lenta che segnò la fine fella serata. I primi ad andarsene furono gli uomini dell’equipaggio i quali ripresero a lavorare sull’imbarcazione, seguiti a ruota dagli altri della compagnia.

Ancora inebriato dalla musica Murtagh salutò tutti con un sorriso beato sulle labbra. Nel passare davanti alla cabina di Par però si accorse che l’elfo non era rientrato con gli altri, ma si era allontanato senza che nessuno lo notasse. Il cavaliere si affacciò da Morgana facendole segno di seguirlo.

I due lo trovarono che si allontanava dall’imbarcazione guardingo. Murtagh stava per dirgli qualcosa ma Morgana gli strinse l’avambraccio per frenarlo.

- Par ti dobbiamo parlare – disse Morgana superandolo di un passo.

- Ti immaginavo ancora nel mezzo delle Terre Selvagge con Saphira. –

Nel sentire la voce della maga Par si bloccò sul posto per alcuni secondi, quindi si voltò verso di lei con un sospiro.
- Ed così abbiamo fatto. Io e Saphira abbiamo viaggiato per settimane sorvolando la Stonewood. Alla fine ce l’abbiamo fatta. Abbiamo superato i confini di Zàkhara e ci siamo inoltrato nel cuore delle Terre Selvagge. -  
- Dove si trova Saphira adesso? – lo interruppe bruscamente Murtagh. Non gli era mai piaciuto l’elfo e quella situazione stava diventando sempre più ambigua.
- È stata costretta a rimanere nelle Terre Selvagge - rispose lui abbassando il volto. C’era stata una profonda tristezza nella sua voce. Nonostante la sua reticenza Murtagh percepì che era sincero. – Chi la costringe? – incalzò celando a malapena la sua impazienza.

Par si girò per guardarlo alcuni istanti poi si face coraggio – Inoltrandoci nelle terre selvagge abbiamo scoperto che ci sono altri suoi simili. Draghi liberi, senza legami magici. – disse infine. Quella rivelazione lasciò Murtagh basito. Il ragazzo fece involontariamente un passo indietro, corrugò la fronte e lo guardò. La sua mente andò alle antiche storie sulla Du Firn Skulblaka la sanguinosa guerra tra i draghi e gli elfi che aveva portato quasi all’estinzione delle due razze. Fu l’amicizia tra un giovane elfo, il Primo Eragon e un drago bianco che lui chiamò Bid’Daum a porre fine alla guerra.

- Sono loro che la trattengono? - intervenne Morgana. Par serrò le labbra prima di rispondere - In un certo senso sì. - Allora Par raccontò il loro incontro con Sigmar, il capo di quel branco e come Saphira avesse stretto un patto con lui per poter ottenere l'uovo di drago destinato a Eleonor.

– Per questo mi sono unito a questi saltimbanchi per raggiungere Eragon e riportarlo da Saphira. –

Murtagh accolse quell’ultima osservazione con un certo scetticismo e alzò un sopracciglio rivolto a Par. - Ammettendo che fossi riuscito a raggiunge Eragon e a liberarlo. Come pensavi di tornare nelle terre selvagge tutto solo? -   

Par lo guardò dritto negli occhi, arrivato a quel punto non poteva più tenere nascosta la sua presenza, doveva rivelare l’identità di Vespriana. – Hai ragione, io non sono arrivato solo. Nemmeno quelli della compagnia sanno della sua presenza. Loro pensano che sia un semplice vagabondo, ma questo non ha importanza adesso… – consapevole di non essere ancora compreso Par fece una breve pausa quindi indicò un punto di fronte a sé.

- …vi presento Vespriana. -
Vieni pure fuori, non ti faranno del male. Aggiunse mentalmente rivolto verso un interlocutore ancora invisibile. Improvvisamente qualcosa si mosse tra le ombre.

Murtagh non poté credere ai suoi occhi. Un cucciolo di drago avanzava da dietro dei cespugli, per ergersi di fronte a loro in tutta la sua maestosità.

- Lei è uno dei draghi selvaggi che hai incontrato con Saphira? – mormorò Morgana.

- Tu puoi parlare con lei? – chiese invece Murtagh rivolgendosi direttamente a Par ma una voce nella sua testa entrò con prontezza. Murtagh percepì subito una certa dose di rabbia e sdegno.

Certo che parlo! Il fatto che non abbia un cavaliere non significa che non ho le capacità per farlo.

Perdonami. Io non immaginavo si scusò subito Murtagh che si rese conto a sue spese che il cucciolo di drago aveva un carattere complesso e già ben formato nonostante le dimensioni gli suggerissero che non avesse più di un anno di vita.

Scuse accettate cavaliere rispose con voce orgogliosa.

Murtagh si trovò a sorridere increspando appena un angolo della bocca Chiamami solo Murtagh. È un vero onore conoscerti Vespriana.

Il sentimento è reciproco. Rispose subito la dragonessa.

Par la guardò con affetto e le si avvicinò per accarezzarle le tenere squame sotto il collo.

- Sì, lei è uno dei draghi selvatici. E sì, riesco a parlarle. Le stavo giusto spiegando che non può nascondersi per sempre nel carro. –

Dovrai precederci volando a distanza. Il fiume attraversa un folto bosco dove potrai  cacciare oltre che trovare riparo. – Vespriana abbassò la testa strofinando il muso contro il palmo di Par. Aveva capito perfettamente cosa fare ma non le piaceva separarsi dal suo amico. Emise un piccolo ruggito di protesta poi aprì le sue ali e si allontanò a bassa quota fino a scomparire definitivamente dalla loro vista.

- Ora sarà meglio ritornare all’imbarcazione – suggerì Morgana posandogli dolcemente una mano sulla spalla - altrimenti i nostri compagni di viaggio inizieranno a farsi delle domande. –

Par annuì poi tutti e tre tornarono lunga la strada di ritorno alla barca.

**

All’alba il tempo cambiò in maniera repentina. Per tre giorni consecutivo piovve senza sosta. Le acque del fiume si ingrossarono e tutti i membri della compagnia ebbero poche possibilità di lasciare la propria cabina.

Solo all’inizio del quarto giorno di viaggio il tempo migliorò. Arrivata la sera gli uomini di Briana si organizzarono per preparare un campo sulla terra ferma. Tutti volvano distendersi con il ritorno del bel tempo e il suono della chitarra di Jael già aveva iniziato a suonare facendo vibrare di allegria l’aria.

A raffreddare l’atmosfera gioiosa fu l’arrivo di una decina di uomini. Piombarono all’improvviso nel campo con le armi in mano. Murtagh notò subito le loro armature che luccicarono mentre entravano nel cerchio di luce formato dai fuochi accesi.

– Devo parlare con il vostro capitano. Il comandante Briana – annunciò uno di loro, un uomo alto dalla corporatura esile ma dall’espressione del volto fiera. Indossava un’armatura più leggera rispetto agli altri uomini e il mantello era di un colore rosso porpora.

Nel sentire il suo nome Briana si fece avanti - Chi mi desidera? – chiese. Gli occhi del comandate si posarono sulle insegne che portava. Erano soldati della regina di stanza a Gratignàc.   

- Sono il generale Phanamash. Al porto di Gratignàc il tuo nome è famoso Briana. Tutti affermano che sei un abile trasportatore che non ha mai sgarrato o fatto un torto a nessuno. -

- Faccio del mio meglio, Signore – rispose Briana con un mezzo sorriso.

- Sì, ne sono certo. Ma io, personalmente non credo nell’onestà di voi marinai. – rispose con un leggero ghigno, guardandolo negli occhi. – Tutti voi, prima o poi, cadete in qualche affare losco. È solo questione di tempo. Tu, hai appena commesso un grande sbaglio. Ho qui un informatore che afferma che avete preso a bordo un elfo. E’ pericoloso ed è accusato di essere una spia degli elfi oscuri. –

Ad un cenno di Panamash un uomo dal volto sofferente e spaurito venne spinto in avanti e con mano tremante indicò tra tutti Par.

– È… è lui! – disse balbettando. Nel guardarlo Murtagh si rese conto che l’uomo gli era in qualche maniera familiare. Ci mise un po’ a focalizzare dove l’avesse già visto. Poi ricordò. Era stato alla locanda, si trattava dell’uomo che voleva riscuotere la taglia promessa per chi avesse fornito informazioni sulla presenza di maghi in città.

Il capo strinse la spella del mal capitato tanto forte da farlo gemere. L’uomo doveva essere andato a denunciare i saltimbanchi, ma non aveva messo in conto che lo avrebbero costretto a seguirli. Disagio e paura erano evidenti sul volto stanco, ma Murtagh non provò alcuna compassione per quell’uomo la cui cupidigia li aveva messi tutti in pericolo.

- Bene. Consegnatecelo e potrete proseguire il vostro viaggio indisturbati. – minacciò spingendo l’uomo da una parte e facendo cenno ai suoi uomini di tirare fuori le armi.

- Impeditecelo e faremo in modo che il vostro ritorno a Gratignàc non sia più così gradito –

Tutti guadarono verso Briana. Passato la sorpresa iniziale l’uomo aveva radunato i suoi uomini  massaggiandosi lentamente il viso  rivolse all’uomo un sorriso beffardo.

- Hai detto di aver fatto ricerche su di me. Allora dovresti sapere che non sono abituato a ricevere degli ultimati e non amo che mi siano dati ordini così stretti – disse lasciando intendere che non poteva esserci margine di trattativa.

Nel frattempo Murtagh era riuscito ad avvicinarsi di soppiatto a Morgana.

- Il loro capitano, Panamash, è un mago e ha lanciato su ogni soldati un incantesimo di protezione. – le disse. Morgana gli rivolse uno sguardo allarmato.    

– Pensi che sappia anche di noi? -.

– No, non credo ma quei soldati ci massacreranno se usiamo adesso la magia – affermò cupo.

– Che cosa hai in mente di fare? Non possiamo lasciare che prendano Par – Murtagh annuì grave, nella sua mente si stava delineando un piano  

– Sei in grado di lanciare anche tu un incantesimo di protezione su tutti noi? – chiese alla maga. Morgana lo guardò con finto sdegno – Certo che lo posso fare. Ma cosa hai in mente? –

- Fino a quando crederanno che solo uno di noi è in grado di usare la magia – disse con una leggera smorfia. – il mago penserà di averci in pugno. Dobbiamo indurlo ad abbassare la sua guardia quel tanto da poterlo sovrastare. – Morgana sembrò intuire quello che intendeva fare il cavaliere, e i suoi occhi scintillarono mentre gli diceva sì.

Intanto Briana e il resto dell’equipaggio avevano estratto le proprie armi. Lo sguardo beffardo di Briana non era sparito e continuava a sfidare il mago - Le aggressioni lungo queste tratte sono all’ordine del giorno. Non saremo soldati ma sappiamo difenderci all'occorrenza – disse con orgoglio.

- Sciocco! Se questa è la tua risposta non mi lasci altro da fare che distruggervi –

A un cenno del mago i soldati iniziarono ad attaccare. Tutto avvenne con estrema rapidità e ferocia. Nonostante il loro coraggio gli uomini dell’equipaggio si trovarono presto in svantaggio.

Solo Murtagh era in gradi di fronteggiare i loro colpi e presto venne circondato da quattro soldati insieme. L’attaccarono contemporaneamente e Za’roc roteò sopra la sua testa più volte per andare a parare i colpi che venivano da tutti i lati.

Con la coda dell’occhio Murtagh vide la situazione intorno a lui stava precipitando rapidamente. Par, stretto da due soldati, era stato disarmato mentre due colpi alla nuca lo fecero accasciare a terra; anche il resto dell’equipaggio stava per essere neutralizzato. Protetti da Morgana gli uomini non potevano essere feriti mortalmente ma vennero sistematicamente immobilizzato o tramortito riportando diverse ferite. Morgana, anche lei attaccata da più lati, dovette arrendersi poco dopo, prosciugata oltremodo delle sue energie dagli incantesimi di protezione. Il mago, accorgendosi che era stata lei l’artefice di tutto quello, alzò una mano per fermare i suoi uomini e avanzò lentamente verso di lei. Due soldati dietro di lui trascinarono il corpo di Par per le braccia facendolo cadere rovinosamente a terra. Aveva il volto rigato dal sangue che gli colava da una ferita sulla fronte. La giovane maga sussultò di rabbia.

- Ti devo chiedere scusa. Il nostro uomo ci aveva assicurato che il mago fosse questo elfo, ma da quello che percepisco sei tu a possedere il dono. Vero? – chiese passandole il dorso della mano lungo una guancia con fare mellifluo. Morgana si ritrasse e trattenne il fiato. – E questo guerriero dalla spada rossa è il tuo protettore? – chiese il mago lanciando a Murtagh un breve sguardo. L’uomo non aveva riconosciuto la spada ne il marchio sul suo palmo e aveva stupidamente ignorato i suoi poteri certo di avere la vittoria in pugno.

Nello stesso momento delle urla e il suono di spade provenne dall’imbarcazione dove i membri della compagnia si erano rifugiati. Dopo un po’ anche loro vennero trascinati di fronte a Panamash con le mani legate dietro la schiena.

- Quando non saranno più protetti dalla tua magia verranno giustiziati, quindi ti porterò dalla nostra regina. -

Per Murtagh non c’era bisogno di aggiungere altro. A un cenno della testa Morgana fece finta di cadere nella provocazione e si mosse lanciando un maglio magico con le ultime forze che le rimanevano. Il mago sorrise soddisfatto mentre la respingeva con facilità. Non aveva idea che così facendo aveva dato a Murtagh la possibilità di agire. La magia seguiva delle regole ben precise. Panamash aveva abbassato le sue difese e il cavaliere ne approfittò per radunare a sé l’energia immagazzinata nel rubino della spada e attaccarlo. Dal suo palmo eruppe una luce rossa che si trasformò in tante saette che colpirono al petto, prima il mago, poi uno ad uno il resto dei soldati. L’attacco fu rapidissimo e il mago ebbe solo il tempo di accorgersi del suo errore prima di accasciarsi al suolo. Il volto di Murtagh venne attraversato da una leggera smorfia di dolore quando di rese conto che era tutto finito.

Appena cosciente di quello che era accaduto Feha cadde in avanti sulle ginocchia, i polsi erano ancora legate dietro la schiena. – co…come hai fatto? – chiese incredula guardando Murtagh come se lo vedesse per la prima volta.

– Tu stai bene? – chiese il cavaliere piegandosi sulle ginocchia per liberarla dalle corde.

– State tutti bene? – chiese rivolgendosi a coloro che ancora erano coscienti. Non erano molti ma abbastanza da ritenere che il loro segreto fosse ormai scoperto.

- Voi tre siete in combutta con i cavalieri di cui tutti parlano. – disse Feha massaggiandosi lentamente i polsi. Morgana che stava liberando gli altri membri della compagnia si fermò e si girò a guardare Murtagh – Può darsi. Avete intenzione di denunciarci una volta arrivati ad Abàlon? – Chiese con voce roca.

Tutti si guardarono negli occhi. Fu Briana a parlare. L’uomo con una vistosa ferita al braccio si era messo faticosamente in piedi e avanzò verso il cavaliere con una mano penzolante - Dopo quello che abbiamo visto sarebbe sciocco dire di sì. Ma credo di parlare per tutti se dico che non lo avremmo fatto comunque. Nessuno di noi, come hai visto, ha molte simpatie per il regno di Isobel. –  

- Grazie. Ed ora chiunque è in grado di muoversi, aiutateci raduni i feriti. Dobbiamo lasciare il campo il più in fretta possibile. –  disse loro Murtagh cercando di mantenere un certo distacco.

– Lo faremo ma prima dobbiamo risolvere un ultimo problema. Che cosa intendi fare con lui? – chiese Briana facendo cenno verso l’uomo della taverna che due uomini dell’equipaggio stavano tenendo per la calotta.

- Lasciatemi andare! Vi prego, non parlerò! - stava supplicando in ginocchio con le mani giunte davanti alla testa. Il cavaliere si avvicinò all’uomo e ci pensò un attimo. Lo avrebbe costretto a mantenere il segreto legandolo a un giuramento in antica lingua.

– Non lo farai. Le parole che sto per farti dire ti vincoleranno a mantenere ciò che hai promesso. - così dicendo formulò mentalmente il giuramento quindi gli chiese di pronunciarlo ad alta voce. Nessuno tranne Morgana e Par compresero a pieno quello che aveva fatto.

- Ora potete lasciarlo andare. – disse ma Briana lo trattenne per un braccio. – Sei cero che basti? – chiese per nulla convito di ciò che aveva visto e sentito. Murtagh gli strinse la mano e con un sorriso stanco rispose – Più che sicuro, ha giurato nell’antica lingua. -

**

Dopo due settimane di viaggio la compagnia era finalmente giunta alle porte di Abàlon. Lasciata alle spalle l’aggressione subita Murtagh si sentì sollevato nell’intravedere in lontananza le mura della capitale.
Vespriana, che dal giorno dell’aggressione aveva continuato a protestare alle richieste di Par di tenersi nascosta, arrivata nelle vicinanze della citta turrita sentì che qualcosa era cambiato nell’aria. La natura e gli esseri viventi che vi abitavano avevano una loro voce e le sussurrarono che doveva stare più accorta eseguì docile Par quando le trovò una radura, nascosta da un boschetto, abbastanza distanti dalle mura della città. La piccola dragonessa era cresciuta il doppio della sua taglia durante le due settimane di viaggio. E ora solo con il corpo, superava di tre spanne l’altezza di Par.

**

Quella sera si trovarono per l’ultima volta tutti insieme prima che le loro strade di dividessero. Il porto aveva dato vita a un piccolo avamposto da cui partiva una strada che attraversava le campagne agricole e arrivava fino alle mura della città. Il cavaliere era tranquillamente seduto in coperta lucidando con cura Za’roc quando Feha gli si sedette accanto ammirando per un attimo i riflessi rubino della lama.

– Avete per caso idea di dove alloggerete una volta entrati in città? – chiese in maniera distratta. Murtagh alzò gli occhi dalla spada e scosse la testa – No, non abbiamo nessun posto – le rispose. Alle sue parole il volto di Feha si illuminò tutto.

- Io ho uno zio in città. Si chiama Trevor e possiede una taverna con delle camere. Voi ci avete salvato la vita, il minimo che posso fare è ricambiare il favore ospitandovi da lui. Cosa ne pensi? – Murtagh scansò la spada da un lato per guardare Feha negli occhi.

- Non credo sia una buona idea coinvolgervi ancora. Noi dobbiamo… –

- …entrare nella cittadella – disse Feha, concludendo per lui la frase. Murtagh la guardò stupito. Feha sostenne il suo sguardo con determinazione.

- Non sono mica nati ieri! Ho pensato a lungo quello che mi hai detto il primo giorno, riguardo al motivo che vi teneva uniti. Hai risposto che viaggiavate insieme per trovare tuo fratello Eragon. Se è per lui che stai rischiando tutto questo, allora vogliamo aiutarvi - a quelle parole Murtagh la guardò per alcuni istanti, valutando la sua determinazione – D’accordo, se volessi entrare nella cittadella e sottolineo se – ammise in via ipotetica – Conosci un modo per farlo senza farci notare? - 

- Non aspettavo mi chiedessi altro! -

**

Dopo aver esposto anche a Morgana il suo piano Feha li precedette alla locanda dove vennero accolti dallo zio Trevor. L’uomo non mostrò molto entusiasmo quando la nipote si presentò alla porta con due ospiti. Al contrario, la moglie, Grace, una signora dalla corporatura fragile e dai modi gentile, li invitò con un sorriso sincero a occupare una delle quattro stanze di cui disponevano alla locanda. Murtagh osservò l’andamento claudicante della donna che zoppicava vistosamente da una gamba. Il suo volto, deturpato da una lunga cicatrice violacea che le attraversava la metà destra del viso, dal sopracciglio fino al mento, doveva essere stato molto bello un tempo, ma ora era appesantito dagli anni e dalle preoccupazioni. Li guardò per un attimo e dopo che si fu assicurata che il marito non fosse nelle vicinanze lanciò loro uno sguardo pieno di accondiscendenza.

- Feha mi ha detto che state cercando qualcuno tenuto a palazzo. – Murtagh si fece avanti e annuì.

- Sì, mio fratello si trova al suo interno, ma non per sua volontà -–

- Ed è per questo che tu, mia cara, stai cercando un posto come cameriera a palazzo. – disse la donna prendendo per mano Morgana e invitandola a girare su se stessa per permetterle di osservare il profilo. Morgana guardò Grace.

– Sì è così. – rispose alla donna allora intervenne Feha. - Zia Grace, ho raccontato ai mei amici che quando eri a servizio a corte sapevi più indiscrezioni di palazzo di qualsiasi altro abitante della cittadella. –

- Quello che gli hai detto è vero, ma devono sapere che è anche un mondo pieno di invidie e meschinità – dise guardando la nipote negli occhi come se improvvisamente ci fine solo lei nella stanza.

- So come farmi rispettare, Signora – intervenne Morgana. Come risvegliata dalla sua vocde Grace le sorrise – Lo vedo nei tuoi occhi, cara. -  aggiunse facendo l’occhiolino a Morgana. – Se seguirai le mei indicazione in poco tempo troverai chiunque tu stia cercando. –

Murtagh che era stato in silenzio guardò Morgana in attesa. Quello di Feha era il miglior piano che avessero mai potuto ideare ma era lei che avrebbe rischiato di più. A lei andava l’ultima parola.

– Va bene – disse la maga con sguardo determinato - che cosa devo fare? –

***

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Capitolo 23
*** Un bacio ***


Il giorno seguente Morgana si recò alle porte della cittadella; picchiettando impaziente il tacco degli stivali sul terreno aspettò che qualcuno la ricevesse, le vie ufficiali, pensò con sufficienza, erano più lunghe e farraginose rispetto ai risultati immediati che avrebbe ottenuto introducendosi con la magia. Alla fine, qualcuno venne ad ascoltarla, di fronte a lei si presentò un uomo alto in uniforme scura, che la portò dentro un ufficio. Morgana decise allora di fare il nome di Liliana Solimar.

 – Chi è che mi cerca? – chiese una donna ben vestita e dallo sguardo arcigno che si era fatta avanti da dietro una scrivania. – Sono Morgana, Signora Solimar. Grace mi ha personalmente detto di riferirle che ancora tiene da parte quella tazza sbeccata. – a quelle parole l’espressione della donna mutò e sul suo volto comparve una mezza smorfia – Nessuno, a parte Grace, sa di quella tazza - sussurrò guardando Morgana per alcuni secondi, poi il suo volto tornò severo e ad un cenno della donna l’addetto al personale si fece da parte e le seguì a un passo di distanza da loro.

– Dato che è Grace a mandarti, seguirò personalmente il tuo inserimento. Sarai assegnata al mio settore. – Liliana proseguì con una serie di spiegazioni mentre camminava - Devi sapere che Grace è stata una preziosa risorsa fino a quando quell’incidente nelle cucine non l’ha quasi uccisa - commentò con una nota di sincero dolore per ciò che era accaduto all’amica. - Anche tu come lei sei di aspetto grazioso. La regina desidera solo il meglio per sé e per coloro che la circondano. – dopo ulteriori precisazioni sull’importanza di essere sempre pronte e impeccabili, la donna diede a Morgana la sua uniforme quindi le mostrò le stanze di cui si sarebbe occupata e iniziò spiegarle quello che avrebbe dovuto fare ed eseguì le mansioni per lei passo per passo. Liliana era stata molto puntigliosa nelle dimostrazioni su come doveva muoversi per sistemare e pulire le stanze, ma quando Morgana provò a interromperla per chiederle di ripetere un particolare passaggio Liliana scuoteva una mano e con non curanza andava oltre – Imparerai i dettagli con calma, ora seguimi – le diceva passandole accanto. Alla fine della giornata la testa di Morgana era così piena di informazioni che quasi le scoppiava.

La prima settimana di lavoro non fu diversa da quella primo giorno, ma i sacrifici di Morgana vennero presto ricompensati. Come gli aveva annunciato Grace, dalla sua nuova posizione fu presto in grado di seguire anche gli altri dipartimenti della servitù. Dopo qualche giorno, venne a sapere che ne esisteva uno assegnato alla sezione della caserma. Tra loro una signora di nome Polonia, era l’unica addetta a riordinare la stanza di colui che chiamavano “il maestro”.
Con discrezione, una sera, Morgana si avvicinò alla donna. Aveva preparato una pozione di erbe che casualmente fece scivolare dentro la sua tisana della sera. Quell’erba, se ingerita in quantità moderate, le avrebbe causato un leggera intossicazione che sarebbe durato dalle due alle tre settimane.
Impossibilitata a lavorare, qualcuno sarebbe stata chiamata a sostituirla. Morgana aveva fatto in modo farsi conoscere tra le altre donne che lavoravano con Polonia iniziando a fornire loro pozioni d’amore e piccoli oggetti porta fortuna. Rimedi banali alle afflizioni della vita che non avrebbero attirato l’attenzione de maghi ma abbastanza appetibile a persone semplici. In cambio Morgana aveva chiesto loro solo di essere proposta come loro sostituta. Nessuno le aveva avanzato dimostranze o aveva sospettato della sua onestà, Morgana era stata molto brava nel premere i tasti giusti sfruttando a suo piacimento le loro debolezze e i loro piccoli vizi. Alla fine, tutte erano state ben liete di accettare la sua richiesta pur di ottenere i suoi rimedi miracolosi.
Il giorno seguente Morgana venne chiamata d’urgenza dal comandante della caserma del palazzo.
- Una della servitù assegnata alla caserma, si è improvvisamente ammalate e tutte hanno fatto il tuo nome. Non è mia abitudine prendere persone che non conosco, ma date le tue ottime referenze, farò un’eccezione.
Dovrai prestare servizio da subito. – Morgana annuì poi il comandante si alzò con sguardo serio. – Dovrai seguire due regole fondamentarli. Prima regola: non possono essere introdotti né fatti uscire oggetti di nessun genere. A tale scopo verrai perquisita quando entri e quado esci da uno dei nostri soldati. Seconda regola: è molto importante la discrezione. L’ospite che stai servendo è molto riservato e non gli piace che gli si rivolga la parola. -
- Non si preoccupi Signore. Parlerò solo se necessario. -
- Lo spero bene. Anche una sola infrazione sarà severamente punita. E non ti basterà l’appoggio della padrona Liliana. – l’ammonì alla fine l’uomo.
Morgana sapeva di doversi mostrare remissiva di fronte all’uomo e chino la testa come richiesto. - Certo, Signore -

**

Era pomeriggio inoltrato quando Eragon rientrò nelle sue stanze con un senso di inquietudine addosso. Aveva terminato da poco un intenso duello con Romualdo, una recluta con cui si era trovato spesso a incrociare le spade, ma non era stato il duello a agitare il suo animo; per tutto il giorno il ragazzo non aveva fatto altro che parlare della grande cerimonia che si sarebbe tenuta tra breve a palazzo.

Isobel stava per radunare nella capitale tutti gli alleati contro gli Elfi Oscuri. Era la prima volta che avveniva un evento di tale portata. Per l’occasione ogni soldato, dalla giovane recluta al veterano, era stato chiamato a partecipare alla sicurezza del palazzo e dei suoi ospiti. Ognuno farà la sua parte. Gli aveva detto Romualdo con orgoglio, fiero di fare parte della grande macchina da guerra organizzata da Isobel.

Eragon non poteva certo biasimare la passione e l’entusiasmo del giovane, ai suoi occhi anche lui doveva apparirgli come parte integrante di quella macchina.

Spogliandosi della tunica umida e sporca di sudore e polvere Eragon passò di fronte a un lungo specchio soffermandosi ad osservarne l’immagine riflessa. Quello che poteva vedere era un fedele alleato della regina che, in cambio dei suoi servigi, usufruiva di una delle sontuose stanze del palazzo. Nessun abitante di Zàkhara poteva sospettare che quell’immagine non lo rappresentava affatto.

Non c’era specchio, infatti, che potesse mostrare l’inferno che viveva ogni giorno. Con le mani raggiunse il sottile collare che gli cingeva il collo e con le dita ne percorse lentamente il profilo. Se solo avesse trovato un’incrinatura in quella sua superficie liscia e perfetta, avrebbe potuto forzarla e liberarsi, ma nel momento in cui lo pensò un doloroso sfrigolio lo costrinse a lasciare la presa.  

Eragon lasciò cadere pesantemente le braccia lungo i fianchi e si fissò ancora una volta allo specchio. Doveva smetterla di illudersi, si disse prima di dare le spalle alla sua immagine e dirigersi nella stanza del bagno. Cercando di scrollarsi di dosso i cattivi pensieri riempì il catino con acqua calda e iniziò con gesti lenti a lavare via dalla pelle sudore e sporcizia. L’acqua colò giù dal collo e andò a bagnate le spalle come argento vivo, rinvigorendo i suoi muscoli indolenziti.

Mentre l’acqua scorreva lenta l’umore del giovane cavaliere non migliorò. La sua mente non riusciva a liberarsi da pensieri negativi. Se Isobel stava mobilitando i suoi alleati la guerra era più vicina di quanto immaginasse. Quante altre cose stavano accadendo in quel momento fuori dalla sua prigione dorata. Di quante cose non era a conoscenza? Eragon si permise allora di pensare a coloro che si era lasciato alle spalle.

Che cosa penserebbero di lui Arya e Murtagh se lo vedessero ora. Cosa direbbero delle sue scelte?

Chiudendo gli occhi Eragon vide il volto preoccupato di Murtagh mentre gli chiedeva di non partire. Negli ultimi tempi si era ritrovato spesso a pensare a cosa sarebbe successo se avesse dato retta ai consigli del fratello.

Saphira sarebbe ancora viva. Pensò con una fitta al cuore. Di certo al suo posto Murtagh non si sarebbe lasciato travolgere così dagli eventi e avrebbe dominato la situazione.

Ripercorrendo a ritroso le tappe si quella missione disastrosa, Eragon si rese conte di aver intrapreso una strada di cui non conosceva né lo scopo né la fine

La sola cosa che sapeva era gli mancava terribilmente Saphira. La sua morte aveva segnato la sua vita per sempre. Solo ora poteva comprendere a pieno il dolore di Brom, gli sguardi furtivi che il suo vecchio mentore lanciava spesso alla sua Saphira, gli stessi sguardi che ora lui si trovava a dare a Kima.

Tornò nella sua stanza da letto e si diresse verso l’armadio per indossare una camicia. Mentre finì di infilare l’ultimo bottone nell’asola si rese conto di non essere più solo.

- Stasera sono molto stanco Oliviana, vorrei riposare – disse rivolgendosi alla donna poggiata allo stipite della porta; Oliviana indossava la sua divisa ufficiale segno evidente che si trovava li per compiere un incarico in nome della regina.

Con un movimento fluido Oliviana si raddrizzò e gli venne in contro fermandosi al bordo del letto. Eragon ebbe la sensazione che stesse girando come una falena intorno alla luce di una torcia, con la paura costante di bruciarsi.

- Non ci vorrà molto. La regina vuole semplicemente che tu partecipi alla cerimonia con tutti gli alleati. –

La risposta del sicario lasciò Eragon confuso ed Oliviana sorrise - Non avrai mica pensato che la loquacità di Romualdo sia stata casuale? – gli chiese – Era un preciso volere di Isobel che tu venissi a conoscenza della sua prossima mossa. Ormai sei qui da diverso tempo e stanno iniziando a girare troppe voci intorno al tuo ruolo. Voci non ufficiali, nella maggior parte dei casi. –

- E la regina vuole mostrare a tutti che non hanno nulla temere dalla mia presenza – concluse Eragon con voce il più possibile calma e controllata.

- Hai afferrato il concetto – gli rispose Oliviana. Eragon sentì lo sguardo della donna indugiare su di lui.

- Che cosa dovrei fare esattamente? –

Oliviana sorrise ancora. - Tu non dovrai fare nulla. Una sarta verrà da te domani per prendere le tue misure e cucire su misura il modello che la regina ha scelto appositamente per te. – Eragon distolse lo sguardo e serrò la mascella. - Immagino non mi possa rifiutare. -

- Ti risulta così terribile? – gli chiese Oliviana quasi in un sussurro. La sua postura rigida si sciolse improvvisamente e con pochi passi superò il letto per avvicinarsi sempre di più ad Eragon. - Credevo saresti stato contento. Avrai la possibilità di uscire fuori da queste quattro mura e incontrare altre persone –

Eragon la fermò con lo sguardo - Non sono uno dei tanti cortigiani della regina. Non ho ancora dimenticato chi sono e da dove vengo. Come non ho dimenticato il motivo per cui sono trattenuto qui. –

- Sai io non la vedrai sotto questo aspetto. Potresti diventare un pezzo importante della corte di Isobel se solo lo volessi. - gli disse Oliviana guardandolo dritto negli occhi.

La risposta fredda di Eragon non tardò ad arrivare. - Avete fatto uccide la mia dragonessa e mi tenete prigioniero privandomi della magia. Credimi mi riesce difficile vederla in un altro modo! –

- Le alleanze, a volte, si possono raggiungere attraverso strade inaspettate Eragon. - lo invitò a ragionare Oliviana. – Dovresti iniziare a guardarti intorno e cogliere al volo quello che di bello e piacevole ti viene offerto –
Senza esitazioni Oliviana fece la sua mossa. Superando la distanza che la separava da lui avvicinò le sue labbra a quelle su Eragon toccandogli il viso con le mani.

Eragon, dopo la sorpresa iniziale serrò le labbra e prendendole le mani dai i polsi la scansò da un lato.  – Oliviana, no! - Ma la donna non si arrese e ruotando gli avanbracci trascinò entrambi sul il letto. Rotolarono sulla coperta un paio di volte ognuno di loro lottando per avere il sopravvento sull’altro; i cuscini che erano sul letto caddero a terra e la coperta si stropicciò sotto di loro, arricciandosi in tante pieghe.   

Fu allora che Oliviana usò la magia, inviando un sottile maglio che penetrò nella mente di Eragon per avvolgerlo con una insolita delicatezza. Eragon si fermò cadendo con la schiena sul materasso. Oliviana gli stava semplicemente mostrando i suoi veri sentimenti per lui. Eragon chiuse gli occhi con forza sopraffatto dalla loro intensità.

A quel punto Oliviana avrebbe potuto rubargli quel bacio tanto agognato, ma sul punto di farlo si fermò ritirandosi subito dopo, come scottata.
La donna era stata punta sul vivo dalla gelosia.
- Stai ancora pensando a lei, vero? – sibilò tra i denti stretti.

Eragon aprì gli occhi, la mente di novo libera. Si mise in piedi e voltò le spalle a Oliviana per ristabilire una certa distanza – Perciò le tue erano tutte menzogne – continuò lei. A quell’ultima domanda Eragon si rigirò verso la donna. - Di quali menzogne stai parlando? –

Oliviana lo guardò negli occhi e parlò lentamente.

- Che tu fossi l’unico a capirmi – rispose - Ti dirò io adesso una grande verità. Non c'è modo che tu possa rivederla. Anche lei alla fine soccomberà, come tutti i tuoi amici. – aggiunse, la sua voce era carica di una rabbia che non le apparteneva. Oliviana tornò a invadergli la mente. Questa volta, ci mise più forza, violando la sue difese. Gli mostrò una sequenza di immagini di un possibile futuro in cui Isobel vinceva uccidendo Arya e Murtagh di fronte ai suoi occhi.

- Basta! – sibilò Eragon mentre il cuore gli batteva forte nel petto. Una volta certa di aver raggiunto il suo scopo Oliviana ritirò le immagini e il suo volto si fece improvvisamente triste:
- I miei sentimenti per te sono sinceri, so che lo hai visto - la mano di Oliviana si posò titubante sulla sua spalla.
- Non capisci. Io sono qui. Ora. Mentre lei è chissà dove… - Olivina si bloccò di colpo, sentendo Eragon flettere le spalle.
- Oliviana, così stai ingannando solo te stessa -
Eragon si era voltato di nuovo verso di lei adesso. – Ero sincero quando ti ho detto che comprendevo il tuo dolore. Ma questo non ha nulla a che vedere con l’amore. Il mio cuore appartiene e apparterrà sempre ad Arya. E per quanti scenari disastrosi mi mostrerai nulla di questo potrà cambiare. -

Arya! Gli occhi della donna erano colmi d'odio ora. A quel netto rifiuto, Oliviana sentì il suo cuore spezzarsi, e un leggero dolore prese a diffondersi dal petto in tutto il suo corpo.

Ti ha ferito. Ci ha ferito. Deve pagare per questo. Delle voci iniziarono a gridare dentro la sua testa, ed Eragon poté vederla improvvisamente afferrarsi la sua testa tra le mani e stringerla forte.
Oliviana respirò lentamente, aveva riconosciuto in quelle voci. Erano gli stessi spiriti che aveva spesso richiamato a sé per eseguire i suoi incantesimi. Erano entrati con prepotenza dentro di lei, si erano fusi con lei, diventando parte della sua anima. Olivina non conosceva bene le loro intenzioni, ma sentiva chiaramente il loro odio verso Eragon. Lottò per cacciarli via, ma ogni suo sforzo sembrò rivelarsi vano.
Nel momento in cui si era sentita rifiutata, qualcosa dentro di lei si era irrimediabilmente spezzato, lo sentiva, e non era più in grado di mantenere il controllo dei suoi sentimenti.
Gli spiriti approfittarono di questa sua debolezza e attaccarono un'altra volta, e con un grido Oliviana fu costretta a soccombere.
- Questo è quello che tu credi - sussurrò improvvisamente tra i denti.
A rispondere non era stata più Olivina. Il sicario si rivolse nuovamente ad Eragon, ma il volto non aveva più nulla di umano in quel momento, i suoi occhi era diventati di un rosso fuoco, e la sua voce aveva assunto un deciso timbro metallico.
Poi Eragon sentì una forza stringersi intorno al suo collo, che iniziò lentamente a soffocarlo.
Strinse sempre di più, ed Eragon lanciò un grido strizzato cadendo sulle ginocchia. Oliviana o chi la controllava ripeté quella tortura più e più volte asciando la presa per poi riafferrarlo con sempre più cattiveria.
- Ti...ti... pre… go sme....smettila ...- la supplicò Eragon ormai allo stremo delle forze.
Eragon tese la sua mano verso di lei e fu allora che Oliviana riuscì a riemergere. Realizzando cosa stava accadendo, con un gesto estremo richiamò gli spiriti a sé, allentando la sua presa su Eragon.
Il cavaliere giacque a terra boccheggiante, e con gli occhi serrati, nel tentativo di riprendere il controllo sul proprio respiro sotto sguardo sconvolto di Oliviana
- Che cosa mi succede. io devo andarmene - aveva gli occhi pieni di lacrime.
- O... Olivina no aspetta! - Eragon fece un debole gesto per fermarla, stava ancora cercando di riprendere il controllo sui propri polmoni e non avrebbe potuto fare un passo in più. Di una cosa era certo: per tutto il tempo i cui lo aveva torturato Oliviana era stata sotto il controllo di alcuni spiriti maligni, e solo un sottile linea di confine l'aveva separata dal diventare uno spettro. Eragon temeva che questo sarebbe successo molto presto se no si agiva subito.
- Non andartene Oliviana. Hai bisogno di aiuto - tentò ancora con un ultimo appello.
Oliviana si fermò a metà strada, come in attesa che Eragon continuasse, o almeno così il cavaliere aveva sperato.
- No Eragon, non dire altro. Ti prego. Ti devo stare lontano. – poi la donna uscì definitivamente dalla sua stanza.

Non passò molto tempo che Eragon sentì i passi di qualcuno che entrava nei suoi appartamenti. Dolorante, si trascinò sul letto, sperando fosse Oliviana. Rimase deluso nel vedere che era solo una giovane serva, una ragazza sui venticinque anni, venuta per riassettare le camere.
Morgana entrò titubante, non sapendo cosa aspettarsi.

- Permesso, Signore? – Mormorò fermandosi su Eragon per alcuni istanti prima di abbassare lo sguardo. Si trattava dello stesso ragazzo che aveva visto nella foresta della Stonewood, o il traditore di cui parlavano le voci di palazzo?

- Non sei Polonia - constatò Eragon con voce rauca e dolorante.

- Polonia ha avuto un leggero malore ed hanno incaricato me di sostituire – rispose la ragazza con prontezza
- Spero niente di grave. –
- No. Solo una leggera intossicazione. Se la caverà nel giro di poche settimane. - Le rispose Morgana con un enigmatico sorriso. Una persona che si preoccupa per la salute di una semplice serva non poteva essere cattiva pensò Morgana cercando di capire chi avesse davanti.
- Come ti chiami? - chiese allora Eragon. Doveva occupare la sua mente con qualcosa che non fosse Oliviana, e quella donna lo incuriosiva.
- Io Signore? Ma certo, chi altri è nella stanza – si corresse fingendosi ingenua. - Morgana, Signore. Il mio nome è Morgana -
- Per favore chiamami solo Eragon. – le rispose lui con un sorriso stanco.

- D’accordo. Eragon. Ora mi metto subito a lavorare – disse e iniziò a guardarsi intorno rendendosi conto solo ora delle condizioni in cui verteva la stanza. I rumori e le grida che aveva sentito poco fa prendevano una forma.

– Mi spiace per il disordine – si affrettò a giustificarsi Eragon accorgendosi del suo sguardo. Poi il cavaliere si chinò per raccogliendo un cuscino da terra
- Fermati, ti prego. Mi vuoi forse rubare il lavoro? - gli fece Morgana prendendogli il cuscino dalle mani. Eragon non rispose ma quando fece per alzarsi, un improvviso giramento di testa lo fece sbarellare. Morgana lo raggiunse in tempo per sorreggerlo.
- Siediti qui, ora ti porto un bicchiere d'acqua. -
- Sto bene - gli disse Eragon sulle difensive, accorgendosi con orgoglio di essersi appoggiato con tutto il peso sulla donna.

- No, non lo sei. Si vede – lo rimproverò con severità la donna. Eragon arrossì, rivelarsi così fragile davanti a qualcuno lo metteva a disagio. Dalla morte di Saphira si era sentito ogni giorno sempre più fragile sia psicologicamente che fisicamente. E non potendo attingere alla sua magia, il giovane si accorse di essere privo di qualsiasi difesa.
Si distese a letto con un profondo respiro, aspettò l'arrivo di Morgana con il bicchiere d'acqua, provando la sensazione di potersi fidare di quella persona, nonostante la conoscesse appena. Quando Morgana tornò Eragon sorseggiò il liquido che aveva uno strano retrogusto amaro e, prima di accorgersene, si era addormentano già.

Morgana si trovò allora a fissare i lineamenti delicati del suo giovane viso ancora contratti da un leggero dolore. Morgana non poté fare a meno di notare come apparisse più come un elfo che umano, nonostante mantenesse quel tocco di virilità proprio della loro razza. Morgana non avrebbe mai detto che i due cavalieri erano fratelli, se non avesse avuto da Murtagh la conferma della loro parentela.
I suoi pensieri però vennero interrotti da un movimento del giovane, che scosso da un brivido, si era ora girato da un lato.
Morgana lo coprì con una coperta, e nel farlo, notò per la prima volta la sottile e fascia di metallo intorno al collo. Murtagh gliene aveva parlato, non assomigliava a nessun tipo di metallo conosciuto, ma rifletteva la luce attraverso strani bagliori cangianti. Con un sospiro inizio a riassettare la stanza. Era sera quando uscì dalle stanze dopo essere stata perquisita dalle guardie. Morgana doveva parlare con Murtagh.

Più tardi, sulla strada della locanda, Morgana non riuscì a non pensare ancora al suo viso, così bello e così triste. Avrebbe voluto potergli dire tutto su Saphira, e sul fratello. Che erano arrivati per liberarlo, ma si era attenuta al piano. Sarebbe stato Murtagh a parlargli.

**

Quella sera Murtagh sedeva a tavola piluccando distrattamente qualcosa da mangiare. Quella immobilità forzata lo stava rendendo ogni giorno sempre più nervoso. A peggiorare il suo umore si era aggiunto da giorni il silenzio di Morgana. Mentre alla locanda i giorni passavano tutti uguali la maga non gli aveva ancora fatto arrivare notizie sui suoi progressi a palazzo.

Alzando lo sguardo sulla sala, il cavaliere si accorse che Grace si trascinava stanca per i tavoli della locanda. Destandosi dal proprio torpore Murtagh scansò il piatto da cui stava mangiando e andò subito ad aiutare la donna. Se non altro si sarebbe reso utile a qualcuno.

Non era solo Grace ad apprezzare ogni giorno di più il suo aiuto, ma anche Trevor, l’uomo che a mala pena lo aveva tollerato, aveva finito per rivalutare la sua presenza alla locanda.

Anche Murtagh aveva rivisto i suoi giudizi sulla coppia, in particolar modi su Trevor. Si era reso conto che dietro i suoi modi burberi l’uomo amava la moglie più di ogni altra cosa al mondo e che soffriva immensamente ogni volta che la vedeva in difficoltà. L’incendio alle cucine, così era chiamato l’incidente nei loro discorsi, non le aveva portato via solo la sua bellezza fisica ma una piccola parte della sua libertà era andata persa in quelle fiamme.

Murtagh non osava immaginare cosa avrebbe fatto lui al posto dell’uomo con i mezzi a sua disposizione. Nulla di buono concluse tra sé mentre finiva di alzare una serie di sedie sopra il tavolo. In quel momento la porta della locanda si aprì e Morgana entrò abbassandosi il cappuccio sulle spalle per farsi vedere. Sia il Cavaliere che Grace alzarono in contemporanea lo sguardo su di lei.

- Vai ragazzo. Hai fatto abbastanza stasera. – lo invitò Grace con un cenno della teta, vedendo che esitava a lasciarla - Posso finire anche da sola, non preoccuparti – insistete lei. Murtagh ci pensò solo un attimo poi con un silenzioso grazie si diresse spedito verso la maga.  

Murtagh non fece in tempo a raggiungerla che Morgana le tese le braccia al collo e lo abbracciò. - Murtagh ce l’ho fatta! L’ho visto! – gli disse con trasporto. Il cavaliere si ritrovò a ricambiare il gesto con altrettanta forza, poi si staccò da lei e si passò una mano tra i riccioli mori lasciandosi scivolare su uno sgabello accanto.

- Lui come sta? – le chiese una volta seduto. Il volto della donna si rabbuiò. – Non si trova li per sua volontà. Ne sono certa – gli rispose lei per poi poggiare una mano sul collo – Indossa quell’arnese di cui mi hai parlato. – continuò aggrottando la fronte – come è possibile che qualcosa di così piccolo possa bloccare la magia di un cavaliere? -   

- Sono gli alchimisti che hanno creato quell’oggetto, come hanno ideato tanti altri costrutti, tra cui le armi da fuoco - rispose Murtagh corrugando la fronte.

- Sei ancora certo di voler organizzare la fuga il giorno della cerimonia? – Murtagh annuì con la testa. - Tutti gli alleati della regina saranno presenti all’evento. Questo significa che ci sarà un grande dispendio di guardie dentro il palazzo ma non fuori. L'attenzione di tutti sarà puntata sugli ospiti. Quale momento migliore per fuggire? –

- È un piano azzardato Murtagh. Ma potrebbe funzionare. –

Il cavaliere annuì serio - Ne ho già parlato con Feha che mi farà entrare a palazzo con Par e il resto della compagnia.

***

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Capitolo 24
*** Lo Spettro ***


Oliviana aveva ancora addosso quella sensazione di uscire fuori da sé stessa e perdere il controllo.

Entrò nelle sue stanze senza che nessuno la vedesse. Che cosa mi sta succedendo? Ho quasi ucciso Eragon. Pensò chiudendosi la porta dietro le spalle, il respiro ancora frammezzato da singulti incontrollati.

Oliviana aveva riconosciuto negli spiriti che l’avevano posseduta quelli che aveva evocato per eseguire i suoi incantesimi. La regina stessa gli aveva insegnato come farlo. Con una smorfia ricordò anche che Isobel l’aveva sempre ammonita ad utilizzare quegli incantesimi troppo a lungo, perché difficili da controllare, ma lei non aveva mai dato troppo peso a quelle parole. Almeno fino a quel momento.

Cadde di peso sopra il materasso e rimase in quella posizione fino a quando nono sentì il respiro tornate di nuovo regolare. Si tirò su a sedere e si slacciò il corsetto della divisa che la stava opprimendo e lo tirò sopra una sedia. Oliviana prese un respiro profondo a pieni polmoni e si passò una mano sul viso.  

Quegli spiriti avevano pericolosamente oltrepassato la linea di confine che separava mondo delle anime da quello dei vivi. Avevano già cercato di farlo molte volte in passato ma fino a quel momento Oliviana era riuscire a gestire la situazione da sola riuscendo a tenerli a bada. Ma con quella crisi, sentiva che la situazione le era sfuggita completamente di mano.
Cospì prendendo un profondo respiro Oliviana decise che l'indomani avrebbe chiesto aiuto a Isobel. La regina, si sarebbe arrabbiata. Tacendole tutto le aveva disobbedito e aveva agito contro alle sue precisa indicazione, ma la donna era l’unica in grado di impedire che quegli spiriti ritornassero a tormentarla. Quell'improvviso risveglio era legato in qualche maniera ad Eragon; gli spiriti provavano un profondo astio nei suoi confronti, di cui non conosceva l'origine. Astio che aveva alimentato una rabbia ingiustificata per quel bacio rifiutato.
Olivina socchiuse leggermente le palpebre. Era terribilmente stanca e la lotta gli avevano lasciato uno strano vuoto dentro l'anima. Si sfilò gli abiti e si mise la camicia da notte.

Quella notte il sicario si abbandonò a un sonno inquieto. Era l’alba quando improvvisamente un doloro alla testa la colpì con violenza. Oliviana si svegliò improvvisamente, era in un bagno di sudore, la camera intorno a lei che girava vorticosamente dandole un senso di nausea
- Fermatevi!- stava urlando disperata nel sogno. In risposta ricevette le crudeli risate di scherno degli spiriti.
- Chi siete e che cosa volete? -
Quello che successe dopo avvenne tutto in modo troppo rapido perché Oliviana avesse il modo di reagire. La sensazione di poche ore fa che ritornò con più forza di prima.
Un urlo profondi esplose dalla sua bocca.
Poi il corpo di Oliviana cadde di nuovo sul letto, priva di sensi, mentre la sua anima si trovava in bilico sul mondo degli spiriti.

**

Il grido emesso da Oliviana echeggiò come un eco lontano nella mente di Eragon. Connesso in qualche modo al suo spirito, anche lui di risvegliò nel suo letto.
La sensazione che qualcosa di terribile fosse appena successo lo colse come un fulmine a ciel sereno. Tirandosi in fretta a sedere fece scivolare a terra la coperta che Morgana gli aveva adagiato sopra e il freddo del mattino lo investì facendolo rabbrividire.
Ancora frastornato, la sua mente confuse ancora frammenti della sua conversazione con Morgana con quella di Oliviana in un insieme di flash senza una logica.
Lentamente i ricordi tornarono a loro posto. Oliviana! Quella voce apparteneva a Oliviana, e quel grido disperato poteva significare che gli spiriti l'avevano nuovamente attaccata. In cuor suo Eragon sperò ardentemente di sbagliarsi. Andò immediatamente alla porta, percorrendo in parte il corridoi antistante ma sì fermo a metà strada quando il collare sfrigolò dolorosamente. Non c'era modo per lui di allontanarsi da quelle stanze senza essere fermato.
Frustrato tornò nei suoi alloggi. Un raggio di sole stava penetrando adesso dalla finestra.
Dopotutto non avrebbe dovuto aspettare tanto.
Tra non molto si sarebbe recato al campo dall’allenamento per la lezione giornaliera a Rebekha e Oliviana sarebbe stata presente come ogni volta.

Nel vestirsi Eragon si sorprese a pensare a Morgana, la cameriera con cui ieri aveva avuto quella breve conversazione. Doveva essere stata lei a coprirlo, dopo essere crollato sul letto la sera prima ed era stata sempre lei ad averlo aiutato ad addormentarsi con quell’infuso. La sua attenzione si fermò sulla sensazione di morbido che aveva provato quando, sorreggendosi a lei, il cavaliere aveva involontariamente sfiorato le sue mani. Quel particolare lo aveva sorpreso. Ma perché? La risposta gli sovvenne subito dopo. Mani così lisce non potevano appartenere a qualcuno che lavorava tutti i giorni.
Allora chi poteva essere quella donna? Quali potevano essere i suoi interessi a sostituirsi a Polonia?
I due maghi che vennero a scortarlo come ogni mattina nella caserma misero fine si suoi pensieri, un’altra giornata di lavoro stava per iniziare.

**


Oliviana era in piedi davanti al suo letto, o meglio esternamente era ancora Oliviana ma dentro di lei gli spiriti avevano preso il sopravvento sulla sua anima.
La sua vera essenza, però, non era stata del tutto cancellata, e questo faceva in modo che fosse solo un mezzo-spettro.
La conseguenza più visibile di questo semi stato, era che la donna manteneva pienamente le sue parvenza di umanità, rendendo possibile solo a pochi capire il cambiamento avvenuto nella sua persona. Un'altra conseguenza, non così visibili, ma non per questo meno importante, era che il processo lasciato così a metà era reversibile.
Naturalmente non c'era mai stato un caso, in tutto il l'universo conosciuto, in cui questo fatto si fosse avverato. Una volta iniziata la trasformazione, questa si era sempre concluso con la completa conversione, non c'erano alternative. Ma il pericolo rimaneva insito nella natura stessa del mezzo-spettro il quale tendeva ed essere sempre sospettoso e guardingo.
Isobel non doveva sapere della loro presenza così, quella mattina, il mezzo-spettro non volle passare per le stanze della regina, come Oliviana era solita fare, ma si diresse immediatamente alle cucine e poi dritto al campo degli allenamenti
Lì trovò Eragon e Rebekha che duellavano con le spade già da un decina di minuti. Senza interromperli, il mezzo-spettro si mise seduto a un angolo, a osservarli.
Con la coda dell'occhio Eragon aveva notato l'arrivo del sicario, e il suo sguardo si rilassò un po’ nel notare nessun cambiamento. La speranza di essersi sbagliato si fece strada nella sua mente lui e Rebekha continuarono a duellare per un’ora intera. Poi entrambi crollarono esausti.
Piccole goccioline di sudore imperlavano la fronte di Rebekha, che con un sorriso si rese conto per la prima volta di essere riuscita a reggere fino alla fine il confronto con il suo maestro. Dall'altra parte, anche Eragon aveva iniziato a sentire la fatica del duello, anche se non era visibile dal suoi volto apparentemente impassibile alla fatica fisica.
Un applauso proveniente dall'angolo dove si trovava Oliviana fece voltare entrambi.
- Avete già finito? Avevo appena iniziata a divertirmi. - disse loro con un sorriso.
- Avanti duellate ancora. -
- Rebekha è esausta. Non è necessario che continui oltre. - le disse allora Eragon, guardando in viso Olivina.
- Se lei non riesce a duellare allora lo farò io. Avanti cavaliere fatti avanti! -
Sfoderata la sua spada si portò quindi al centro del campo, e invitò a Eragon a raggiungerla.
Ad Eragon bastò solo uno sguardo per capire che purtroppo non si era ingannato quella mattina.
Rebekha accanto a lui ebbe un brivido appena incrociò il suo sguardo, e guardò preoccupata il suo maestro che raggiungeva la donna accogliendo il suo invito.
Appena le loro lame si incrociarono, ebbe subito inizio un duello senza tregua.
Eragon si abbatté contro il suo avversario con tutte le due forze.
I suoi movimenti erano morbidi e fluidi, come sempre, ma nonostante la sua tecnica impeccabile Eragon non riusciva ad avere la meglio. Il mezzo-spettro si rivelò molto più scattante e veloce di Olivina, e i suoi colpi rivaleggiavano con i suoi in precisione e tecnica.
- Chi siete e dove si trova ora Oliviana? – chiese in un momento di pausa.
- La mente di voi esseri umani è così fragile, Ammazza-spettri. -
Eragon ebbe un brivido nel sentire pronunciare quell'epiteto dalla bocca di Olivina.
- Sapete chi sono ? -
- Non sono stati molti gli individui al mondo capaci di uccidere uno spettro. Tre sole a mia memoria. I primi due sono stati un Elfo e un cavaliere, ma ora non sono più tra i vivi, e ultimo in ordine di tempo è stato un altro giovane cavaliere. - il suo sorriso, rivelò una fila di denti leggermente acuminati, ma non ancora affilati come quelli di uno spettro.
- Il mondo i cui hai ucciso Durza brucia ancora in tutto il mondo degli spiriti. Non saresti dovuto sopravvivere a quello scontro. Durza è stato sciocco a farsi sorprendere in quel modo. Ma il suo sbaglio verrà presto ratificato. I vostri sentimenti sono la vostra debolezza. E' stato molto facile sopraffare l'anima di questa donna. Sfortunatamente per lei si era innamorata della persona sbagliata. -
- Ma non avete ancora il controllo completo su di lei. Non siete riusciti del tutto annullare la sua essenza. -
- E' vero quello che dici Ammazzaspettri, non abbiamo ancora il controllo completo. Ma in questo modo tu non potrai eliminarci, a meno che tu non voglia ucciderla definitivamente -
Il mezzo-spettro rise, portando avanti un affondo particolarmente potente.
Eragon lo parò all'ultimo momento, scansandosi di lato. Lo spettro aveva ragione
Continuarono a battersi ancora per alcuni minuti, senza che nessuno dei due potesse avere la meglio sull'altro. Eragon tentò di prendere più tempo possibile, per pensare a un modo di sfuggire a quella situazione. Ma il mezzo-spetro decise che era arrivato il momento di smetterla di giocare, e con un guizzo della mano, fece saltare via l'arma dalle mani di Eragon, costringendolo a piegarsi in ginocchio. Rebecca emise un urlo di terrore:
- Sei stata sleale! Hai usato la magia! - le urlò contro la ragazza. Ma venne gelata da uno suo sguardo.
- Tu non ti impicciare mocciosa. -
Il mezzo-spettro stava per calare la sua arma ma Eragon approfittò di quella piccola distrazione per scivolare da un lato, e sottrarsi così alla lama mortale. Non fu abbastanza veloce, ed Oliviana lo ferì a un braccio.
Il mezzo–spettro rise soddisfatta facendosi passare la lingua tra i denti alla vista del sangue.
- Tutta qui la tua bravura? - Gli fece allora puntandogli la punta della sua lama alla gola. Eragon deglutì a vuoto, mentre il suo sguardo si fissò ora in quello del mezzo-spettro.
- Questa è tua fine Ammazzaspettri. Di pure le tue ultime preghiere. -
- Basta così! – la interruppe una voce dietro di loro.
Il mezzo-spettro si voltò di scatto, irato per quella nuova interruzione.
Era stata Isobel a parlare. La regina si era già messa in allarme non avendo visto il sicario durante la colazione. I suoi dubbi divennero certezza quando due soldati vennero ad avvertirla del duello in corso.

Isobel era corsa subito a controllare la situazione.
Quello che temeva da tempo era accaduto. Non le era sfuggito il piccolo segreto della giovane donna riguardo alla perdita di controllo sugli spiriti. Da tempo si era preparata a intervenire per ripristinare lo squarcio, ma adeso, guardando Olivina negli occhi, si rese conto che il sicario era andato ben oltre il limite consentito. Non c'era più nulla che potesse fare per lei. Le informazioni sulle pergamene rubate ad Eragon riguardanti la possessione le tornarono utili e l’èldunarì nella sua mano sinistra si accese mentre la sosteneva con la sua energia per uno degli incantesimi in essa custoditi.

Il mezzo-spettro ebbe un fremito quando la regina riuscì a intrappolare gli spiriti e interrogarli brevemente. La regina fu sorpresa nel sentire il nome di Durza, poi il corpo di Oliviana cadde in uno stato di trans e come un automa la donna raggiunse il fianco di Isobel.
- Per oggi l'allenamento è finito. Rebekha riprenderai le tue lezioni con Eragon domani.
Ora rientra. Io devo parlare con il tuo il maestro da sola. -
- Ma io ... -
- Ho detto di andare! - il tono della regina non ammise ulteriori replica, e Rebekha si trovò costretta ad obbedire.


**

- Avete molte cose da spiegarmi, Non è così Eragon Ammazzaspettri? -
Eragon rise con amarezza. La mano stretto intorno al braccio ferito che iniziava a pulsare in maniera insopportabile.

– Continuate a usare magie rubate alla tradizione elfica e usufruite dell’energia degli èldunarì senza alcun ritegno. Non sono io a dover dare spiegazioni – rispose sprezzante.
Isobel sgranò gli occhi irata.

- Impertinente, come sempre. Dovrei punirti per questo ma credo che tu lo stia già facendo da solo. Sei consapevole di essere il responsabile di questa trasformazione? -

Eragon riconobbe la verità nelle sue parole ma non volle arrendersi.
- Olivina non è ancora del tutto uno spettro. - continuò - Se interveniamo subito potremmo aiutarla a ricacciare via gli spiriti, e farla tornare ad essere quella di prima. -  Isobel lo fermò con movimento della mano.
- Se interveniamo? Cosa ti fa credere che io voglia farlo? Uno spettro potrebbe tornarmi molto più utile di una maga – proseguì con un’espressione che ghiacciò Eragon sul posto.
- Non posso credere che abbandonerai colei che hai cresciuto come fosse una figlia –

Eragon sperò con quelle parole di colpire Isobel abbastanza forte da farle cambiare la sua decisione. La donna rimase a guardarlo per alcuni istanti.

- Oliviana mi aveva detto che conoscevi molte cose su di lei. Che tu mi creda o no Eragon, le ho voluto bene e mi sono comportata come avrebbe fatto una madre, fino a quando è stato necessario. Ma ieri ha deliberatamente disobbedito a un mio preciso ordine, e lo ha fatto spinta da una sciocca infatuazione per te. Ora ne pagherà le conseguenze. -
Eragon rimase attonito. Isobel non aveva intenzione di salvare Oliviana. La sua anima sarebbe rimasta intrappolata per sempre tra quelle degli spiriti che la possedevano e avrebbe smarrito se stessa; non poteva immaginare una sorte peggiore e tutto questo era in parte colpa sua. Improvvisamente sentì la testa farsi leggera, e la vista gli si appannò, la ferita al braccio aveva completamente intriso di sangue la manica. A un cenno di Isobel due maghi lo affiancarono per sostenerlo  – Nessuna guarigione con la magia per lui – disse rivolta ai due uomini. – che Il dolore che provi ti sia da monito per il futuro Eragon. – disse prima di mandarlo via.

Nelle sue stanze Eragon si trascinò subito a lavarsi la ferita. Alzando lo sguardo allo specchio si sorprese nello scorgere Morgana ferma ad osservarlo.

- Solitamente lavoro mentre tu alleni. – si affrettò a giustificarsi la donna. Eragon la vide mentre indugiava, indecisa se aiutarlo o no. Alla fine fece un passo avanti verso di lui.

- Quella ferita non può essere medicata solo con dell’acqua. Per tua fortuna sono un'ottima guaritrice. Vieni siediti sullo sgabello dello scrittoio mentre vado a prendere l’occorrente -
Nonostante le sue riserve Eragon sapeva che sarebbe stato sciocco rifiutare il suo aiuto. Sfilò con cautela la camicia e andò a sedersi come gli era stato chiesto.
- Come te lo sei procurata questa ferita? - gli chiese Morgana mentre puliva con cura il taglio aiutandosi con un panno. Eragon sussultò a quel contatto - In un duello con le spade, questa mattina. - rispose con una smorfia.
- Rebekha, la ragazza che alleni. E' stata lei a farti questo? -
- Sei sempre piena di domande? - fece lui accigliato, mentre i suoi sospetto sull’identità della donna e sulle sue vere intenzioni riaffioravano con forza suggerendogli la prudenza.
- Semplice curiosità. La ferita è molto profonda, e ha bisogno di più punti di sutura. Non sono un soldato o un guerriero, ma immagino che in un semplice allenamento non sia previsto che si arrivi a ferirsi. – la sua logica era corretta ed Eragon chiuse gli occhi mentre Morgana infilava il primo punto infilando l’ago nella pelle.

- Non era un semplice allenamento. Ad ogni modo la risposta è no, non è stata lei. – rispose prendendo un profondo respiro per sopprimere il dolore.
Morgana annui poi chinò la testa, tutta concentrata nell’accostare i due lembi con i punti e per un po’ nella camera ci fu solo il silenzio.  

- Sei stato fortunato, il colpo ti ha preso solo di striscio. – mormorò mentre con i denti tagliava il filo – a giudicare dalla forza con cui è stato dato avrebbe potuto quasi tagliare un braccio. -
- Lo so – ammise lui ripensando con un brivido a quanto il mezzo-spettro ci fosse andata vicino. Senza commentare oltre Morgana iniziò a astringente una fascia intorno al braccio.

- Per non essere un soldato o un guerriero sembra tu ne sappia abbastanza di duelli – aggiunse poco dopo. Morgana non rispose subito mentre serrava bene la fasciatura, fermandola successivamente con una grappetta di ferro.

- Stai sopravvalutato le mie capacità Signore. Non sono che una semplice serva. -

La donna mentiva in maniera evidente, ma nonostante i suoi sospetti Eragon continuava a sentire di potersi fidare di lei.

Si alzò dalla sedia, e sottraendosi al suo sguardo, andò a rimettersi la camicia.
- Ti ringrazio per la medicazione. Ora vorrei restare da solo. - Morgana lo guardò solo un attimo, poi annuì.
- Se la ferita dovesse riprendere a sanguinare, non esitare a chiamarmi. -
- Lo farò. –

**

Una volta solo Eragon si stese sul letto lasciandosi cadere in uno strano stato di dormiveglia fino al pomeriggio, quando la sarta di corte venne per la prova del vestito.
Fu un'esperienza nuova e strana per Eragon. La sarta, una donna di una sessantina d'anni, era entrata tutta trafelata con una serie di stoffe e delle carte tra le mani. E per ben cinque ore, lo fece girare e rigirare, in mezzo a stoffe e carte da modello, appuntando con gli spilli la stoffa che dopo le due ore aveva iniziato a prendere forma:
- Abbiate pazienza, solo un'altro paio di minuti e avremmo finito. - Eragon annuì, riportando al sua attenzione sulla mano della sarta che stava appuntato l'ultimo tratto di stoffa alla manica del braccio ferito.
- La regina ha scelto un abito veramente magnifico per voi. Degno di un principe. - aggiunse la donna con una certa solennità nella voce. A quella improvvisa affermazione Eragon alzò un sopracciglio scettico, aveva visto bene la moda di palazzo, e non gli piaceva la sua sontuosità piena di decori e fronzoli. Avrebbe preferito di gran lunga la semplicità delle vesti elfiche.
Ma questo era di certo l'ultimo dei suoi problemi.
- Ecco abbiamo finito - disse infine la signora, trascinando davanti allo specchio e mostrando al cavaliere l'abito imbastito.
Eragon poté così ammirare il lavoro che era costato ben cinque ore di lavoro. Non era stato affatto malvagio e, al contrario di quanto aveva temuto, il suo taglio era abbastanza semplice. I ritocchi aggiunti dalla sarta al modello originale lo avevano migliorato.
L'espressione di stupore di sul suo volto fu sufficiente per ripagare la sarta del lungo lavoro.
- Sono contenta che alla fine ti sia piaciuto. - gli disse, prima di iniziare a smontare di nuovo tutti i pezzi da cucire.
- Domani sarò pronto e confezionato per essere indossato per la grande serata -
Il giorno della cerimonia era alle porte, ed Eragon non riusciva a togliersi la sensazione che stesse per succedere qualcosa.

***

 

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Capitolo 25
*** La cerimonia ***


Il giorno della cerimonia era arrivato. La cittadella era gremita di personalità e di soldati presenti per il grande evento.

Per l’occasione era starà ingaggiata un’orchestra per suonare e la compagnia dell’Orsa, dei mastri Adalia e Feha. Arrivate appositamente in città, approfittando semplicemente dell’evento era stata chiamata a presentarsi a palazzo per alleviare l’animo gli ospiti con uno spettacolo.
Tutti i regni alleanti, erano stati richiamati nella lotta contro il popolo degli Elfi Oscuri
A suo tempo, Isobel, si era fatta forte della sua superiorità al Consiglio dei Regni Uniti, per porre il veto nei confronti di Artea e del suo te Arold. Aveva fatto in modo che il suo sovrano rimanesse isolato contro una coalizione compatta, composta dai più ricchi regni conosciuti. Ora che la coalizione aveva iniziato a sfoltirsi di alcune frange occidentali per Isobel era arrivato il momento di ritirare le redini dopo aver fatto nuovo pressione attraverso l’arma persuasiva della paura.
Assisa sul suo trono, stava ora ricevendo le diverse delegazione. Era molto importante che in quel giorno venisse data loto un'immagine del suo governo di massima solidità e forza. A tale proposito Isobel aveva apprezzato il nuovo aspetto di Oliviana.
Mentre il banditore annunciava i nomi dei vari ospiti, che al loro ingresso le sfilavano avanti per porgerle il loro saluto, tutti gli occhi andavano alla nuova figura che quella sera la affiancava.
Più dei tatuaggi e del pallore del suo volto, era il rosso ardente dell'iride a colpire gli ospiti. Sembravano scavare infondo alle loro anime, come a carpire i loro pensieri più intimi, le loro intenzioni più recondite.
Nessuno aveva idea da dove venisse quella donna, ma presto in tutta la sala non si parlò d'altro che del suo sguardo.


**

Eragon era di fronte allo specchio, allacciandosi la giacca sopra una candida camicia bianca. Con cura saggiò la fasciatura che Morgana gli aveva cambiato da poche ore. Continuava a dolergli ma era in via di guarigione. Una delle guardie gli annunciò l'arrivo di Rebekha.

Eragon diede in ultimo sguardo allo specchio. Le tre serve che quel giorno lo avevano aiutato nel vestirsi se ne erano andate molto contrariate. Eragon si era rifiutato di radersi la barba e, a loro dire, la sua scelta stava rovinando tutto il vestito, dandogli un aspetto trasandato. Per Eragon, il suo rifiuto voleva essere un messaggio chiaro sul fatto che fosse un prigioniero in quella reggia.
- Ebrithil, io sono pronta. - gli fece eco Rebekha, Eragon si lasciò scappare un sorriso nel notare come la ragazza fosse impaziente per l'evento.
- Arrivo. - risposto il cavaliere. Eragon si allacciò l'ultimo bottone e si avviò verso la porta.
Varcata la soglia il Cavaliere rimase a bocca aperta di fronte alla sua allieva. Rebekha era semplicemente splendida.
Abbandonati i comodi abiti degli allenamenti che la rendevano goffa, la ragazza aveva indosso un candito vestito color perla. Lo stretto corpetto, che le sottolineava i seni ancora acerbi, era completato da una gonna molto ampia, impreziosita da un morbido pizzo. Delle scarpette di stoffa, dello stesso colore del vestito, per finire, delineavano i piccoli e delicati piedi della ragazza.
Rebekha dovette accorgersi del suo sguardo, perché divenne subito rossa e istintivamente si sistemò una ciocca di capelli dietro l’occhio.

- Stai molto bene stasera. – si complimentò lui. La ragazza lo guardo sottecchi.

- Anche tu Ebrithil. – rispose.
- Come sta il tuo braccio? – chiese subito dopo per togliersi da quell’imbarazzo. - Dopo il duello con Olivina avrei voluto venire a trovarti, ma Isobel non ha voluto. -
Quelle sue premure fecero scappare un sorriso ad Eragon, che alzato un sopracciglio, mosse con cautela il braccio fasciato.

- Sta molto meglio come vedi - ma Rebekha non sembrò dello stesso parere – Non ha permesso che ti guarissero con la magia? – chiese incredula e delusa - Perché? – il suo sguardo si era incupito. Era la prima volta che Eragon sentiva la ragazza esprimere un dubbio sull’operato della regina.

- Permetterà a Oliviana di farti ancora del male? – gli chiese allora spaventata. Tra lei e il sicario c’era stata sempre una certa rivalità. Isobel aveva riversato su entrambe grandi responsabilità ed ognuna di loro ambiva a primeggiare sull’altra. Nella mente di Rebekha si era creata la certezza che fosse proprio per la loro rivalità che l’altro giorno il sicario lo aveva attaccato in quella maniera così violenta. Eragon cercò di tranquillizzarla.

- So badare a me stesso Bekha, il tuo addestramento non è ancora terminato. Isobel non permetterà che io vada da nessuna parte.

Mi è difficile ammetterlo, ma la regina sa quello che è meglio per te. – Eragon era consapevole che quello che le aveva appena detto era solo in parte la verità. Non era necessario che sapesse tutto, non ora.

Dall’altra parte Rebekha rimase colpita quando con gentilezza le posò il braccio sano sulla spalla per placare i suoi dubbi.

- E per te? Qualcuno si occupa di quello che è meglio per te? – chiese alla fine. Eragon le sorrise accondiscendente.

- Io non sono così importante. Andiamo adesso o faremo tardi –

Incapace di ribattere Rebekha annuì solo e insieme percorsero i corridoi che della caserma conducevano agli edifici della reggia.
Girato l'ultimo corridoio, prima di introdursi nell'anticamera, l’attenzione di Eragon venne attratta da una testa che scivolò furtiva dietro una delle colonne. Non era riuscito ad osservarlo bene in viso, ma Eragon avrebbe giurato di aver riconosciuto Murtagh.
- Cosa c'è? - gli fece Rebekha, vedendolo esitare per un attimo.
- Credevo di avere visto… qualcuno. - le rispose, accigliato.
Eragon diede solo un ultimo fugace sguardo a quella direzione, poi raggiunse nuovamente Rebekha.

Da dietro la colonna Murtagh e Par trassero un profondo respiro.
- C'è mancato molto poco. Maledizione, anche Eragon parteciperà alla festa. Ora sarà più difficile avvicinarci a lui. -
Affacciandosi nuovamente da dietro una colonna, Murtagh seguì con lo sguardo le due figure che entravano insieme nella grande sala gremita di gente.
- Io devo raggiungere gli altri della compagnia per lo spettacolo – lo informò Par – tu te la caverai da solo? –

Dei nuovi rumori costrinsero i due a nascondersi, appiattendosi contro una parete.
- Stai giù - gli sussurrò Murtagh, mentre due paggi apparvero improvvisamente nel corridoio, per sparire subito dopo dietro una porta di servizio.
- Credo di potercela fare. Continueremo ad attenerci al piano. -

**

Intanto, dentro alla sala alla vista dei nuovi arrivati la musica si attenuò appena e le voci si placarono fino a diventare un impercettibile brusio.
Eragon sentì tutti gli occhi puntati su di loro. E stringendo una mano sulla spalla di Rebekha la invitò ad andare avanti.
Come avevano fatto tutti gli altri invitati prima di loro, anche Eragon e Rebekha si avvicinarono alla regina per rivolgerle il saluto ufficiale.
Dietro di lei lo spettro lo fissò con sguardo ardente. Sgomento Eragon constatò come la sua trasformazione fosse completata adesso.
Oliviana non c'era più. Il suo volto aveva assunto un aspetto pallido e bianco, oltre ogni dire.
E la sua pelle, un tempo olivastra era ora diafana, e aveva lungo il profilo, sul mento e sugli zigomi, degli strani disegni neri che le marchiavano la pelle come tatuaggi. I suoi occhi, infine, erano diventati di un rosso ardente, come pure i suoi capelli, che ora le cadevano liberi sulle spalle.
- Potete alzavi Eragon di Alagaësia e Rebekha Coleman - fece loro Isobel porgendo la mano a entrambi.
- Vorrei presentarvi a qualcuno – disse prima di girarsi verso l'ombra alle sue spalle.
- Olivina? - fece Rebekha riconoscendo a malapena le sue sembianze.
- Non più. Adesso il mio nome è Verschna. - gli rispose lo spettro con un sibilo finale. Lo sguardo di Eragon, lo sapeva, non l'aveva mai abbandonata, e così quando la regina diede finalmente loro le spalle, lo spettro gli si affiancò, rapida e sinuosa come un serpente.
- Non mi sembri sorpreso nel vedermi. -
- Sono sorpreso che tu abbia deciso di servire una regina. - fece Eragon di rimando. Lo spettro rise sommesso.
- Le apparenze a volte ingannano, Ammazzaspettri. -
- Verschna? - gli fece eco la regina.
- Vi raggiungo, maestà. -
- Ora se me lo permetti Eragon devo andare. -
Eragon scrutò lo spettro con preoccupazione. Più esile di quanto la ricordasse, lo vide muoversi con disinvoltura tra gli sguardi della gente, e non poté fare a meno di notare la soddisfazione sul volto di Isobel, nell'osservare le loro reazione. Anche Rebekha osservava lo spettro con sguardo pieno di orrore e ribrezzo ma cercava di nascondere i suoi veri sentimenti ogni qual volta la regina le rivolgeva la parola. La ragazza non avrebbe mai fatto nulla che potesse arrecarle dispiacere alla sua regina ma Eragon sapeva che quella sera qualcosa nella sua fiducia aveva iniziato a incrinarsi.

La serata proseguì ed Eragon si trovò a parlare con diversi alleati desiderosi di scambiare una parola con lui. Molte più persone di quanto credesse avevano sentito parlare di Alagaësia e tutte erano desiderose di farsi conoscere. Eragon ascoltava soprattutto, ma divenne presto evidente come, la costante presenza di Isobel, impediva a tutti potersi esprimere con libertà. Le poche informazioni che riuscì a carpire gli fecero capire che esisteva un generale malcontento tra tutti gli alleati. Una diffusa paura di essere i soli a non condividere le sue idee. Solo la paura teneva uniti tutti.

La regina dovette accorgersi del pericolo rappresentato dalla presenza di Eragon, così iniziò monopolizzare le varie conversazioni indirizzandole con maestria verso argomenti più futili. Vennero serviti anche cibo e bevande, e a metà serata venne finalmente annunciato il tanto atteso discorso.
Tutti gli ospiti si adunarono nella sala dove avrebbe avuto luogo il discorso di Isobel.
La regina salì sulla pedana che ospitava il trono, visibile a tutti
- Amici e Allenati di Zàkhara. - pronunciò con voce solenne.
- Ho il gravoso compito di interrompere questo momento di festa per riferirvi della nostra attuale situazione.

In questi ultimi mesi si sono verificati degli avvenimenti straordinari. Il fato ha voluto che al nostro fianco comparissero due importante alleati. I cavalieri Eragon da Alagaësia e Rebekha Coleman, figlia dell’eroe di guerra Phil Coleman. –

Accompagnati dallo sguardo della regina, Eragon e Rebekha salirono gli scalini della pedana, dove presero posto al suo lato.
- Ma non può esserci trionfo senza qualche sacrificio. Eragon ha perso la sua dragonessa ma si è offerto di istruire il nostro campione Rebekha. Lei e il suo drago hanno grandi responsabilità sulle loro spalle, ma è giunto il momento che anche voi alleati, teniate fede alle promesse fatte e scendete al mio fianco, al fianco dei popoli liberi, contro il nostro comune nemico. - Il discorso, continuò con pomposi riferimenti alla magnificenza e potenza del loro esercito equipaggiato con le nuove armi da guerra.
Sul finale uno scroscio di applausi accompagnò il passaggio della regina e dei cavalieri.

Lo spettacolo della compagnia dell’Orso stava per essere inscenato sul palco della sala accanto.
Eragon rimase un poco indietro rispetto a tutti gli altri. Dalla sua posizione arretrata vide chiaramente Isobel e Rebekha, prendere poste tra le prime file, mentre non riuscì a scorgere da nessuna parte lo spettro.
Improvvisamente nella confusione che regnava, una mano lo afferrò per il braccio, trascinandolo lontano in una piccola stanza adiacente alla sala.
- Chi è che…- iniziò a protestate ma dovette interrompersi quando girando il viso intravede un ricciolo scuro.
- Shhh, non gridare così forte, o finirai per farci scoprire - Eragon riconobbe immediatamente quella voce - Vedo che ti sei fatto crescere la barba fratellino. Ti dona sai? – continuò il maggiore girandosi verso il fratello.
- Murtagh. Come hai fatto a sapere che mi trovavo qui, e come sei riuscito a entrare? Il palazzo è gremito di soldati e Isobel è qui! -
Il moro gli sorrise con affetto - Sono venuto per tirarti fuori da qui. Per la seconda volta. – puntualizzò - Sono con Par e con una maga, hai già avuto modo di conoscerla. -
- Morgana? – Eragon si accorse di non essere affatto sorpreso di quella scoperta.

- È una storia lunga, che ti racconterò volentieri una volta che saremo usciti. Avanti vieni via con me. Dobbiamo essere rapidi lo spettacolo non durerà in eterno Par ha preparato un finale a sorpresa offrendoci un diversivo. -
- Ma io non posso venire con te Murtagh. - lo fermò Eragon, svincolandosi con delicatezza dalla presa del fratello - Non posso andarmene così e lasciare l'allenamento di Rebekha. -
- Che cosa dici Eragon? Hai sentito cosa ho appena detto? - fece lui, afferrandogli di nuovo il suo braccio.
- Murtagh quella ragazza ha bisogno di una guida. -
- Eragon - lo interruppe con vigore Murtagh
- Anche Saphira ha bisogno di te ed anche Arya. -
Gli occhi di Eragon si allargarono per un breve attimo, per poi abbassarsi rapidamente:
- Murtagh Saphira è morta! -
- No Eragon. Lei è ancora viva. -
- Che cosa dici? – chiese mentre sentì un groppo salirgli dallo stomaco e bloccarsi alla gola. Un rumore di passi dietro di lui riportò Eragon alla realtà, ricordandogli dove si trovava.
- Nasconditi. Presto - disse, spingendo Murtagh dietro la tenda.
Il più giovane dei fratelli si girò lentamente verso l'ingresso, per trovarsi come aveva temuto, di fronte a Verschna.
- Chi c'è lì con te? - chiese lei fredda.
- Nessuno. Sono venuto qui per prendermi una pausa da tutto il trambusto. -
Dietro alla tenda dove era nascosto, Murtagh non poteva vedere il volto della persona che era entrata, perché il pesante tessuto del drappeggio glielo impediva, ma avvertì distintamente la sua malvagità. Lentamente il cavaliere estrasse un corto pugnale, pronto a reagire.

- Vedo - gli ripose lo spettro di rimando. Passò lentamente intorno ad Eragon poi fece un leggero piegamento con la testa in direzione del nascondiglio di Murtagh prima di allontanarsi.
- Sei ben sorvegliato fratellino. - disse Murtagh uscendo dal nascondiglio, il tono ironico, nel tentativo di alleggerire la tensione che si era creata.
- Chi era? Mi sembrava… -
- Era Oliviana. - Murtagh fu sorpreso nel notare una nota di apprensione nella voce del fratello.
- Oliviana? Non è possibile. L’avrei riconosciuta. -
- Non avresti potuto Murtagh Olivina è uno spettro ora. Il suo nome è Verschna adesso e temo ti abbia visto. Non tarderà a ritornare con delle guardie. Devi andare via, subito, prima che ti scoprano qui. Io non posso venire con te per ora. - gli rispose abbassando la voce, e spingendolo nuovamente con forza verso la finestra. Il gesto gli costò più fatica del previsto.

La stanza si affacciava su un piccolo parco, attraverso cui Murtagh sarebbe potuto fuggire.
Il maggiore non poté far altro accettare la verità dei fatti: e cioè che avevano perso un'occasione di fuga. Ma mai e poi mai avrebbe abbandonato il fratello, per nessuna ragione.
- Eragon, quello che ti ho detto su Saphira è vero. Cerca nel tuo cuore. Tu lo sai che è ancora viva. Mi metterò presto in contatto con te attraverso Morgana -
- Devi andare adesso Murtagh - fu la sola risposta di Eragon.
Murtagh guardò ancora un attimo il fratello. C'era stato qualcosa di tremendamente sbagliato in lui. Per tutto il tempo che avevano parlato, Eragon non lo aveva mai guardato negli occhi per più di qualche secondo. Sopprimendo la propria delusione, Murtagh si dileguò tra la vegetazione sotto lo sguardo vigile di Eragon, che rimase a seguire la sua ombra fino a quando scomparve.

Poco dopo delle guardie entrarono nella piccola anticamera, le spade in mano.
- Capitano, non c'è nessuno qui. - gli dissero dopo aver frugato in tutti gli angoli
- Ispezionate il giardino - fece loro lo spettro in tono secco, posando i suoi occhi su Eragon.
- Dimmi chi è stato qui con te. -
- Ti ho già detto, che non c'era nessuno - le rispose Eragon facendo cenno di voler tornare nella sala. Ma lo spetro gli si parò davanti con un sorriso
- Non ti permetterò di sfuggirmi. - gli disse posando le esili dita sulla sua guancia. Poi passando ad accarezzargli una ciocca dei capelli, aggiunse con un sussurro:
- Isobel ti ha consegnato a me, Ammazzaspettri, e prima che questa guerra abbia fine, io avrò la mia vendetta. E' una promessa. -
Eragon serrò la mascella con trepidazione, le parole dello spettro lo avevano gettato un profondo sconforto.
- Non riferirò questo episodio alla regina, sarà il nostro piccolo segreto. - continuò melliflua. Poi ritirando la mano lo spettro lo lasciò andare.

Rientrato nella sala, Eragon attese che lo spettacolo finisse. Nessuno fece caso a lui, mentre il gran finale aveva luogo, spettacolare come gli aveva promesso Murtagh. Erano tutti presi dalla rappresentazione e la sala era piena delle loro risate. Lo spettro, notò Eragon, era ritornato silenziosamente accanto alla regina, come se nulla fosse successo,
mentre veniva raggiunto da Rebekha.

- Ebrithil, finalmente! - gli disse lei con voce squillante. La ragazza era entusiasta. Il suo malumore di prima era stato già dimenticato. Nel guardarlo la ragazza si fermò subito - C'è qualcosa che non va? Hai una faccia. - gli disse allora Rebekha.
- Gli spettacoli comici non mi sono mai piaciuti molto. - mentì lui, cercando di fare un sorriso. –
- Sarà - gli disse circospetta - ma poco fa mi sembravi felice di essere qui -
- Sono solo stanco, credo mi ritirerò. -
- Così presto? Volevo farti conoscere mia madre - Gli rispose lei guardandosi intorno, evidentemente in cerca della donna. – …aspetta, era accanto a me fino a un attimo fa. -
disse imbronciata.

- Sono davvero stanco Rebekha, sarà per un’altra volta - fece allora lui, baciandole la fronte con fare protettivo. Delusa la ragazza rimase a guardalo mentre si avvicinava a Isobel che lo congedò. Stranamente la festa non le pareva più tanto eccezionale adesso.

**

Rientrato dentro l'edificio della caserma, Eragon venne accompagnato fino alle sue stanze dai soliti maghi che non lo lasciavano mai solo.

Nella stanza da letto si tolse adagio il prezioso abito per indossare delle vesti più comode. Poi si stese sul letto, nel tentativo di sbrigliare la matassa di dubbi e domande che affollavano al sua mente.
Non aveva idea di come Murtagh avesse saputo della sua presenza a Abàlon, ne perché Par non lo avesse informato di quello che era successo a lui e Saphira a Gratignàc.
Di una cosa era certo il Murtagh non gli avrebbe mai mentito su una cosa così importante come Saphira. Non ne avrebbe avuto motivo. A meno che non fosse stato ingannato.
Saphira. La sua Saphira era davvero viva? Il pensiero lo inebriava e terrorizzava allo stesso tempo, e uno strano senso di nostalgia e rabbia si erano venuti a formare dentro al suo animo, impedendogli di ragionare lucidamente.
Improvvisamente, a pugni chiusi, Eragon colpì con forza il materasso sotto di se, crollando poi su se stesso. Perché in tutto quel tempo Saphira non era venuto a cercarlo, o non aveva tentato di raggiungerlo? Respirando adagio Eragon si rivoltò nel letto, mentre un sonno agitato lo accompagnò per tutta la notte.


***

L’invito a partecipare attivamente alla guerra, aveva scosso gli animi degli alleati, e la regina venne impegnata in molti consigli di guerra con i vari delegati per discutere sulle linee di azione e strategie da mettere in atto, da riferire poi ai loro sovrani.
Verschna era stata sempre accanto alla regina, consigliandola o trattando lei stessa con alcuni alleati più tenaci.
Nelle giornate che seguirono Eragon non ebbe più modo di rivedere lo spettro, e fu nello stesso tempo un sollievo e una pena.
Le sue lezioni con Rebekha erano riprese con la solita regolarità ma l'atteggiamento della ragazza nei suoi confronti era radicalmente cambiato.
Anche se Isobel aveva attenuato molto i sospetti della giovane nei riguardi dello spettro, Rebekha si era fatta particolarmente curiosa nei confronti del maestro.

Non aveva mai abbandonato l’idea di farlo conoscere alla madre. Nei pensieri della giovane, infatti, si era piantato il seme della curiosità e la ragazza aveva iniziato ad indagare per conto suo.

Eragon si era trovato a rispondere a domande sulla sua vita, sulla terra da dove veniva. Rebekha sapeva che Alagaësia era anche la patria della madre e aveva iniziato fargli domande anche su Saphira.

– Se sei un nostro alleato perché non ti vedo mai al di fuori della caserma? – le aveva chiesto un giorno dopo una lunga sessione di allenamento.

- Tu sei il solo motivo che mi lega a Abàlon, Bekha – le rispose scherzosamente Eragon, sapendo che a quella domanda ne sarebbero seguite altre. Rebekha alzò un sopracciglio scettica. Era solito farlo sempre anche con Xavier quando si accorgeva che il capitano le mentiva.

- Quando crescerai capirai che non è sempre possibile fare ciò che si vuole. – aggiunse alla fine nel guardare l’espressione insoddisfatta del suo volto.

- Anche per un cavaliere come te? – lo incalzò la ragazza per nulla intenzionata ad abbandonare il discorso.

- A maggior ragione per un cavaliere. – le rispose Eragon incrociando le mani al petto

- Mi sembra di sentir parlare mia madre. - protestò Rebekha.

- Tua madre deve essere una persona molto saggia. – rispose con un sorriso.

- Avrei voluto fartela conoscere alla cerimonia, ma tu te ne sei andato via. Lei mi ascolta sempre volentieri quando le parlo di te, sai? Anche lei dice sempre che è necessario rinunciare a qualcosa per ottenere un bene più grande. –

Rebekha proseguì a parlare un altro po’ della madre poi si congedò.

Rientrando nelle sue camere Eragon rimase sorpreso di trovare Morgana ad attenderlo; non aveva più pensato all’incontro con il fratello dal giorno della cerimonia. Polonia aveva ripreso il suo servizio e la presenza della donna non era stata più necessaria. Eragon scattò subito sull’attenti nel vederla. Se l’avessero scoperta sarebbe stata arrestata immediatamente.  

La donna dall’altra parte non sembrava affatto preoccupata di questo e lo guardò con le mani incrociate sul grembo e un sorriso serafico sul volto.

Eragon la squadrò da capo a piedi - Così sei qui con mio fratello. - gli fece in un tono quasi accusatorio.
- Mi dispiace non averti potuto dire nulla prima. Ma Murtagh mi ha chiesto di non farlo. Voleva essere lui a raccontarti tutto. -
- Lo so. -
- Eragon. Io, Par e tuo fratello non possiamo rimanere oltre in città. Ogni giorno sta diventando sempre più pericoloso per noi. - non vedendo nessuna reazione da parte di Eragon Morgana proseguì.
- Abbiamo parlato a lungo. Non c'è modo di farti riuscire senza che tutta la guarnigione della caserma ci salti addosso. Così l’unica maniera che ci rimane, è che sia tu a venire da noi. Chiedi il permesso di poter allenare Rebekha fuori dalle mura. Una volta usciti, passeranno ore prima che la regina scopra che sei fuggito, e a quel punto noi saremo già lontani e fuori dalla sua portata. -
Eragon rimase per un po' in silenzio, riflettendo sulle parole di Morgana.
- Io non posso andare via Morgana. Non posso lasciare Rebekha – si giustificò.
- Eragon devi capire, Saphira ha bisogno di te. – Eragon questa volta reagì – No – disse con estrema durezza. - Ho sentito il nostro legame spezzarsi, e il suo corpo cadere a terra senza vita! Lei è morta Morgana! Perché mi tormentate in questo modo! –

Morgana stette attonita di fronte a quella risposta. Era dunque questo che lo bloccava? Morgana poteva solo immaginare il dolore del cavaliere ma si sforzò di comprenderlo.

- Eragon, quello che hai sentito, è stata Saphira, che spezzava il vostro legame, ma il suo spirito non ha mai abbandonato il suo corpo. – Morgana doveva scuotere il suo animo, o lo avrebbero perso per sempre. La maga tornò a parlargli con voce calma. - Il mattino dopo che tu sei stato portato via da Oliviana, io e Par siamo rimasti al suo fianco, e sanato le sue ferite. Con molta lentezza, Saphira ha recuperato le forze, ed è ritornata a volare. Eragon guardami negli occhi. Sai che sto dicendo il vero. - Morgana lo scosse con forza, costringendolo ad alzare gli occhi.
Una sola lacrima scese lungo il volto. Eragon serrò la mascella la fissò con sfida. Solo la rabbia gli permetteva di non crollare, adesso. Morgana continuò il suo racconto:
- E' stato allora che Lei e Per hanno deciso di proseguire il loro viaggio. Li hanno trovati Eragon, hanno incontrato gli altri draghi che vivono al di là della Stonewood. Con loro c'era anche Eleonor. Ma perché cedano una delle loro uova a noi, c'è bisogno che tu e Saphira dimostriate la forza del vostro legame. - ci fu attimo di silenzio mentre sentiva la ferita per la perdita di Saphira ritornare a fargli male più di prima. Poi Eragon parlò.
- Ammettendo che quello che dici è vero. – disse con fatica - abbiamo più di un problema. C'è un nuovo spettro, al fianco della regina ed anche se riuscissi a uscire dalle mura, Isobel non mi permetterà di certo di allontanarmi senza un'adeguata sorveglianza. -
- Eragon quello che ti abbiamo detto io e Murtagh è vero. Saphira è viva.
Per quanto riguarda la sorveglianza, non saranno un problema per tuo fratello renderli innocui. Mentre per lo spettro, so per certo che non è in città. Se c'è un momento migliore per fuggire è adesso. -
Eragon era rimasto in silenzio, lo sguardo ancora una volta basso.
- Saphira non mi avrebbe mai lasciato solo. - disse infine con voce rotta, e lasciando uscire tutto quello che si era tenuto dentro dal suo incontro con il fratello.
- Eragon, la sua è stata una scelta molto difficile. Siamo stati io e Par a convincerla della necessità di partire. Prima di lasciarci mi ha fatto promettere che sarei tornata indietro per liberarti. Ed eccomi qui. - Il volto di Eragon era tornato ad essere una maschera di impassibilità, solo le sue labbra, trasformate in una sottile linea, tradivano il suo tentativo di reprimere il proprio dolore.
- Parlerò alla regina. - disse infine alzando il volto verso di lei
- Le chiederò di poter allenare Rebekha e Kima fuori dalle mura. -
- Credimi Eragon. Saphira vi ama più della sua stessa via. -
- Domani vi farò sapere. - fu la sua unica risposta.

***

Ci incontreremo al limite esterno della foresta a sud-ovest delle mura. Attenderemo di vedervi volare fuori dalla caserma, per raggiungervi più tardi. Eragon ripercorreva mentalmente le parole di Morgana, mentre Kima e Rebecca volavano sopra di lui.
C'è uno spiazzo, poco più avanti. gli riferì mentalmente Rebekha grazie alla sua visione privilegiata dall'alto.
Vide Kima planare leggera sulla piccola radura, ed Eragon spronò il suo cavallo ad avanzare più veloce nella sterpaglia. Dietro al suo destriero, quattro soldati e un mago lo seguivano senza perdere le sue mosse. Isobel gli aveva risparmiato il guinzaglio ma al suo posto il mago non mancava di ricordargli la sua presenza usando il collare ogni qual volta lo riteneva opportuno.
- Ripetimi ancora una volta il motivo per cui siamo venuti qui maestro. - gli chiese un'altra volta Rebekha una volta scesa dal dorso di Kima.
- Meditazione Rebekha. - rispose Eragon con un mezzo sorriso.
- Trova un luogo qui vicino, che sia abbastanza appartato e siediti. Poi apri la tua mente, come ti ho insegnato, e quando avrai sentito la totalità della vita che ti circonda, ritorna qui da me. Io intanto insegnerò a Kima alcune manovre particolari, da eseguire in volo. -
Rebekha si immerse ubbidiente nel mezzo del bosco, guardando attentamente intorno a lei come gli aveva suggerito Eragon, fino a quando non trovò il luogo che poteva soddisfare le sue esigenze. Si trattava di un piccolo spiazzo avvallato, che le permetteva di essere isolata dal resto della foresta. Raggiunto il centro della radura, Rebekha si sedette comodamente, poi chiuse gli occhi e aprì la sua coscienza. Improvvisamente una miriade di emozioni e sensazioni invase la sua mente, lasciandola senza fiato. La sua prima reazione fu di chiusura, ma qualcosa la trattenne dal fuggire. Pian piano con l'aiuto della calma, e rilassandosi, la ragazza riuscì presto a controllare il flusso delle immagini che gli venivano dalla natura che la circondava. Aveva appena iniziato ad analizzare le prime forme di vita, accanto a lei, quando nell'aria avvertì che qualcosa di sbagliato. L'istante successivo la ragazza intravvide Kima planare con un sordo tonfo poco lontano dalla piccola conca. La dragonessa la invitò a salire sul suo dorso, e di volata, ritornarono alla radura.

Eragon era seduto con la schiena contro ad un albero. Non aveva ricevuto ancora nessun segnale da parte di Murtagh, e stava iniziando a credere che quel tentativo di fuga fosse un atto completamente folle. Non sarebbero mai riusciti ad allontanarsi abbastanza in fretta, e poi c'era sempre l'ombra di Verschna, Eragon non poteva levarsi la sensazione che lo stesse osservando anche in quel momento.
Rebekha e Kima avrebbero avuto da fare ancora per molto, con i compiti che aveva assegnato loro, quindi sistemandosi più comodamente, socchiuse appena gli occhi e si rilassò.

Eragon non aveva idea di quanto tempo era passato da quando si era assopito, ma quando aprì nuovamente gli occhi seppe che qualcosa intorno a lui era cambiato. Si rese conto che il mago aveva smesso di pungolarlo da tempo. Con la coda dell'occhio il cavaliere vide i soldati dietro di lui, riunite in un semicerchio che ridevano e giocavano a dadi.  

L’attacco avvenne in pochi secondo. Eragon percepì un suono alla sua destra, non fece in tempo ad alzarsi che intravide un luccichio nella boscaglia. Una freccia gli sibilò accanto, attraversando tutta la radura, per andare al colpire uno dei quattro soldati che erano seduti. L'uomo cadde a terra, morto e i cavalli corsero via imbizzarriti. I tre superstiti si accorsero con terrore che il mago era già morto da tempo, colpito da due frecce alla gola e al petto.
Non ebbero nemmeno il tempo di reagire. Con le mani ancora sull'elsa delle loro spade e gli scudi appena alzati, vennero raggiunti a brevi intervalli da altre tre frecce che li centrarono alla gola.

Come il primo attacco sembrò terminare, Eragon corse in fretta al fianco di uno dei soldati, e prese loro una spada e uno scudo. In quel preciso momento Kima piombò nella radura, ponendosi di fronte a Eragon, a difenderlo, proprio quando una nuova freccia lo stava per raggiungere.
- Rebekha Kima che cosa fate qui. Dovete andare via, subito! - Gridò Eragon mentre altre frecce iniziarono a colpire la dragonessa. Le sue squame protessero il corpo, che avvertì solo un leggero fastidio.
Rebekha pose subito degli schermi di protezione tutto intorno a loro, ma nel momento in cui lo fece, dagli alberi partì un nugolo di dardi, guidati da una qualche sorta di incantesimo, che li colpì con una potenza che superava di molto le forze della giovane. Uno dei dardi riuscì a passare la barriera perforando un'ala di Kima.
Il dolore improvviso, profuso dal loro legame mentale, fece barcollare Rebekha.
Accanto a lei Eragon gli lanciò uno sguardo preoccupato.
- Chi ci sta attaccando? - chiese la ragazza, mentre una nuova ondata di frecce in seguito alla prima, venne lanciata dalla parte opposta.
- Vola via Rebekha. - gli rispose Eragon a denti stretti - Se restate qui, verrete tutti e due massacrate -
- E' Verschna, non è così? - la sua non era stata una domanda, ma Eragon si girò lo stesso per risponderle:
- Sì, ed è per questo che devi andare. Lei vuole solo me. -
- Non posso lasciarti Ebrithil -
- Rebekha dovete tornare ad Abàlon! – Eragon, con scatti fulmini, cercava di deviare e parare le frecce, che passavano la barriera ormai indebolita di Rebekha.
La ragazza dovette ammettere che Eragon aveva ragione. Lei e Kima non avrebbero retto a lungo in quelle condizioni.
La dragonessa cercava di proteggerli come meglio poteva, facendo scudo con il proprio corpo, ma le sue ali arano state già ferite in più punti. Ad ogni suo movimento, il suo sangue, caldo scendeva lento, macchiando il terreno sotto di lei.
Rebecca annuì grave:

- E va bene. –

Protetta dalla spada di Eragon, con uno scatto veloce Rebekha salì in sella a Kima, e approfittando dell'attimo di tregua, e ignorando il dolore, la dragonessa spiccò un potente balzo per virare in alto. Un'ultima freccia tentò di raggiungerle, ma venne fermata in tempo da Rebekha.
Ormai solo, Eragon iniziò a guardarsi intorno.
Una sola freccia sibilò vicino a un suo polpaccio. Eragon fulmineo abbassò la sua spada per intercettarla ma subito dopo sentì una forte fitta al braccio sinistro. Il primo colpo era un diversivo. Pensò allarmato e girando il suo sguardo, il cavaliere vide un piccolo dardo conficcato nella sua spalla. Estraendolo con una smorfia, Eragon lo esaminò in fretta: era stata avvelenata!
Eragon sentì subito le forze iniziare ad abbandonarlo. Le gambe cedettero sotto il proprio peso e il cavaliere cadde in ginocchio. In quel momento una figura incappucciata avanzò verso di lui.
- Povero Cavaliere, senti le tue forze abbandonarti? - disse una voce familiare. Lentamente la figura abbassò il cappuccio rivelando così il proprio volto, mentre i lunghi capelli rosso fuoco le ricaddero sulle spalle.
- Verschna - mormorò Eragon con voce sprezzante.
- Dormi Ammazzaspettri. - Eragon lottò invano contro l'oblio che lo stava soverchiando. Poteva chiaramente sentire, la droga in circolo nel suo corpo, eseguire in suo dovere. Ormai del tutto intorpidito, il cavaliere non poté far altro che chiudere gli occhi per abbandonarsi al buio che lo attendeva. Prima che il suo corpo potesse toccare terra, lo spettro lo prese tra le braccia, e caricato sul dorso del suo destriero, si allontanò dalla foresta.

 

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Capitolo 26
*** Eragon Ammazzaspettri ***


Un grande saluto a tutti quelli che mi seguono. Ho postato due capitoli "Nella tana di Vershna " e "Eragon Ammazzaspettri"
Un saluto particolare a  Tawariell che mi segue con passione nonostante non abbia dimestichezza con la saga. Questo ha per me un grande valore!! Grazie sempre !



***

Isobel uscì fuori dalle mura di Abàlon in testa alla squadra dei tiratori scelti sotto gli occhi di tutta la popolazione.
Nel varcare la porta cittadina il suo pensiero andò a Xavier. Il comandante aveva seguito insieme a lei ogni passo per la creazione di quella squadra, l’unico insieme a lei a conoscere ogni particolare di quelle armi. La sua perdita era stata per lei un vero shock, oltre che un grande danno per il morale dei soldati.
Dopo il suo tradimento si era promessa di non affidare più a nessuno il comando se non a sé stessa.

Isobel doveva agire in fretta se voleva impedire ai due fratelli di riunirsi di nuovo. In questo Verschna avrebbe giocato un importato ruolo. Il suo odio, per il più giovane dei due cavalieri, poteva tornare a suo vantaggio.
Stavano seguendo le numerose tracce lasciate dagli zoccoli dei loro cavalli, quando alzando per un attimo gli occhi al cielo notò una macchia che si muoveva veloce nel cielo. A un occhio non esperto sarebbe potuta apparire come la semplice sagoma di un rapace, ma Isobel capì subito che si trattava di Kima. La dragonessa si stava dirigendo a grande velocità verso la catena del Gran Massiccio. Con un ordine perentorio la regina fece cambiare la marcia nella direzione opposta.
Allargando la sua mente la regina scoprì che Rebekha non era con la dragonessa e che la sua mente ere protetta da barriere che Isobel non seppe superare. Cosa stai facendo Rebekha? pensò accigliata la regina. Con un colpo deciso alle redini spronò il proprio cavallo al galoppo. I soldati dietro di lei la seguirono a ruota, domandandosi a cosa stessero andando incontro.

Vespriana era in attesa del ritorno di Rebekha ormai da diversi minuti; la ragazza non tornava ancora e lei stava iniziando seriamente a preoccuparsi.
Non avrei dovuto lasciarla andare da sola! Pensò con una certa ansia. Per quanto il tunnel potesse essere lungo la giovane sarebbe già dovuta tornare. Distogliendo lo sguardo da un'altra parte cercò di distrarsi ma la sua attenzione ritornò subito alla grotta. Non era possibile tutto quel tempo. Doveva esserle successo qualcosa.  Vespriana provò quindi a mettersi in contatto con Murtagh, ma in quello stesso istante un fruscio improvvise la fece scattare di lato, la coda alzata pronta allo scatto.
Prima che potesse fare qualcosa, una voce nella sua testa la raggiunse rassicurante.
Vespriana siamo noi
Era stato Par a parlare, sbucando da dietro una delle rocce che affioravano qua e là nel terreno intorno, seguito da Morgana. Anche Kima li raggiunse subito dopo atterrando con grazia. Una volta rilassata, Vespriana emise un sottile filo di fumo dalle narici.
Non fatelo mai più!! avrei potuto colpirvi e ferirvi Par non l'aveva mai vista così tesa.

Hai ragione. gli disse subito per calmarla. Con loro sorpresa però la dragonessa blu era sola.
Intuendo i loro pensieri Vespriana rivolse subito a Kima uno sguardo preoccupato.
Rebekha è dentro quella grotta ormai da un po’.  La dragonessa si precipitò verso la grotta.
Kima ruggì frustrata quando scoprì che era troppo piccola perché lei potesse attraversarla. Provò allora a raggiungere la sua compagna con la mente, ma scoprì che era impossibile persino percepirla.
- Dove si trova Murtagh. Perché non è con voi? - chiese Morgana, dopo essere stata informata di ciò che fino a quel momento si erano detti mentalmente.

Stavo tentando di chiamarlo, quando siete arrivati voi. la informò Vespriana attraverso Par
- Allora non indugiare oltre. Chiamalo - la invitò Morgana senza troppe cerimonie.
Annuendo con la testa Vespriana, chiuse gli occhi e cercò il contatto con il cavaliere.
Quando li riaprì, alcuni minuti dopo, Vespriana si rivolse nuovamente a Par:
Sono riuscita a raggiungerlo, è a poche miglia da qui. Gli ho spiegato la situazione, ci ha ordinato di aspettarlo, e ha poi aggiunto che nessuno di voi tenti di entrare prima del suo arrivo.
Par riferì a sua volta le parole del cavaliere a tutti gli altri

**

A qualche miglio di distanza Murtagh si stava già avviando a passo sostenuto, ma dopo il richiamo di Vespriana, si mise a correre ancora più veloce. Le sue gambe sfrecciavano come il vento, schivando abilmente le pietre che costellavano il sentiero.
Solo dopo che avvertì la presenza della dragonessa nelle vicinanze, si permise di proseguire più adagio, guidato dalle immagini mentali di Vespriana.
La prima stella della sera era apparse alte nel cielo, quando la dragonessa gli venne incontro, seguita da Morgana Par e Kima.
Dové che è entrata?  chiese senza quasi guardare gli latri, Vespriana gli indicò subito la piccola insenatura.
Murtagh dovette avvicinarsi per poterla scorgere: nascosta dalle tenebre, quell'entrata sarebbe stato arduo per chiunque individuare.
Da quanto tempo è dentro? disse preoccupato
il sole era ancora visibile nel cielo. Mi dispiace, io non avrei dovuto lasciarla andare.
Non avresti potuto impedirglielo Vespriana
- Gli ordini non cambieranno. Cercherò di uscire nel più breve tempo possibile. - Poi volgendosi solo a Kima, le disse alla mente
Saremo di ritorno tutti e tre insieme. Te lo prometto.
E senza aggiungere altro, si immerse nell'oscurità del tunnel.


***

Eragon avanzò cauto all'interno del cerchio di luce; la sua spada rifletté di bagliori azzurri che si infransero sulle pareti della grotta in mille riflessi. Di fronte a lui Verschna abbassò leggermente la sua esile spada. poi con uno scatto in avanti attaccò per prima.
Una serie di colpi molto potenti si susseguirono a velocità sorprendente, e rosse scintille iniziarono a volare tra di loro.
- Dovrai fare molto di più per riuscire a colpirci Ammazzaspettri. La vita della tua allieva dipende da te e dal tuo impegno -
gli disse dirigendo un fendente contro il suo fianco, che Eragon parò senza difficoltà. La magia fluiva lungo le sue membra, ma mancava qualcosa, Saphira non era accanto a lui.
Il pensiero di lei riempì la sua mente, e per alcune battute i suoi colpi divennero più deboli.
Verschna gli sorrise, mentre un nuovo attacco questa volta mentale lo colpì con violenza; Eragon dovette riportare la sua attenzione completamente al duello.
A qualche metro di distanza, Rebekha si stava destando dal suo torpore, svegliata con molta probabilità dal rumore provocato delle due lame.
Passandosi una mano sulla fronte, con un lamento aprì piano gli occhi, per voltarsi subito in direzione di quel rumore assordante. Per primo i suoi occhi vennero catturati dai due fuochi, che la colpirono con in loro bagliore accecante; poi la ragazza iniziò a mettere a fuoco le due figure che con agilità gli ruotavano intorno, allontanandosi e avvicinandosi con velocità sorprendente.
Una risata di Verschna le fece gelare il sangue nelle vene. Lo spettro era riuscito a superare le difese del suo avversario, e a colpirlo alla spalla.
- Eragon! -
Senza distogliere l'attenzione dal combattimento con la coda dell'occhio il cavaliere rivolse a Rebekha un fugace sguardo. Eragon constatò con sollievo che Rebekha stava bene.
Ma le sue energie stavano rapidamente esaurendosi; come gli aveva insegnato una volta il suo vecchio maestro Oromis, il giovane cavaliere cercò di attingere energia da ciò che lo circondava.
La grotta era piena di minuscole forme di vita, e ad Eragon bastò un attimo ad allargare la sua mente, e percepirle. Un lieve spostamento delle sue labbra, e in battito di ciglia sentì quelle stesse vite spegnersi e permettergli di poter resistere ancora agli attacchi dello spettro.
Ritrovato nuovo vigore Eragon portò una serie di affondi molto potenti; la sua lama guizzò rapida, e prima che Verschna potesse fermarla, raggiunse il suo volto graffiandolo
Lo spettro non si era spettata un recupero tanto rapido. Con il dorso della mano si asciugò il sangue colato dalla ferita, e fermandosi ad osservare il rosso che macchiava la sua mano, sorrise maligna.
- Bene vedo che hai ritrovato la tua grinta, ma questo non cambierà nulla. -
- Cosa ti fa essere così fiduciosa Spettro. - chiese allora Eragon.
Verschna sorrise ancora, qualunque fosse stato l'esito del duello lei avrebbe comunque vinto, eliminando colui che con la sua esistenza era la testimonianza della loro sconfitta.
- Non hai ancora compreso quello che abbiamo fatto? Avremmo creduto che te ne saresti immediatamente accorto. -

Eragon rimase per un attimo interdetto, mentre lo spettro lo lasciò sondare con la mente il perimetro della grotta. Come aveva già constatato al suo risveglio, vi aveva stata costruito tutta intorno una fitta rete di magia, che diligentemente la occultava al mondo esterno proprio come un'edera cresce intorno al tronco di un albero avviluppandola nei suoi tentacoli. Improvvisamente, la risposta alla sua domanda lo raggiunse lampante.
L'incantesimo che relegava la grotta nel mondo dell'invisibile era indissolubilmente legata all'essenza dello spettro, e alla sua scomparsa essa sarebbe crollata, seppellendo così tutti coloro che fossero rimasti al suo interno.
Dall'angolo dove si trovava, Rebekha vide il volto di Eragon farsi bianco e voltarsi verso di lei.
Che cosa stava succedendo? Poi la voce di Eragon la raggiunse
Bekha devi uscire di qui al più presto!
Anche Verschna ora era rivolta verso di lei, il volto contrariato, sorpresa di trovarla già sveglia.
Gli spiriti che controllavano il suo corpo ebbero un piccolo guizzo e lo spettro fu attraversata da un fremito; un sorriso increspò allora i lati della bocca, prima di rivolgersi di nuovo verso Eragon.
- Lei rimane qui. - sussurrò, e a un cenno della sua mano la ragazza venne sollevata da terra e scaraventata contro il muro.
Nell'impatto la visione di Rebekha si appannò per un attimo, poi la ragazza cadde a terra con un tonfo. Tentò subito di rimettersi in piedi, ma ricadde in avanti ancora stordita per il colpo subito.
- Tu non toccarla! - gli disse Eragon con rabbia, prima di lanciarsi in un nuovo attacco, mentre con la mente andò ad attingere ancora alle energie della caverna.

**

Murtagh avanzava sempre di più all'interno della grotta, aveva percepito chiaramente l'incantesimo che la circondava ne avrebbe potuto percorrerei confini ad occhi chiusi. Accelerando il passo si inoltrò ancora di più fino a raggiungerla. A poca distanza dal confine che lo separava dall'entrata Murtagh vide provenivano dal suo interno dei tremoli bagliori.
Murtagh attraversò l'esile barriera di magia per essere immediatamente aggredito da una presenza che iniziò a prendere la sua energia. Il giovane cercò di erigere subito delle barriere, ma l'attacco si fermò prima.
Dentro la grotta Eragon aveva avvertito la presenza del fratello, e si ritrasse sorpreso.
Fece un passo indietro, scoprendosi quel tanto che permise a Verschna di colpirlo di striscio. Stringendo i denti attaccò di nuovo, facendo indietreggiare l'avversario, e prendendo del tempo.
Murtagh, presto vieni devi portare Rebekha via di qui. Poi riprese di nuovo l'offensiva.
Verschna riuscì a stento a fermare gli attacchi di Eragon, che sembrava aver trovato un nuovo motivo per combattere. Troppo tardi si accorse della sagoma di Murtagh che da dietro di loro si avvicinava a Rebekha e l'aiutava a tirarsi in piedi.
Murtagh vide con orrore Eragon e Verschna combattere senza tregua. Ma i colpi di Eragon non erano gli stessi. Murtagh conosceva fin troppo bene il suo modo di combattere, e quello non era certo il suo meglio. Eragon sembrava non avere intenzione di vincere.
- Ce la fai a camminare? - chiese a Rebekha mentre gli passava il braccio sulle spalle.
- Credo di sì - gli rispose la ragazza con un filo di voce.
- Allora appena saremo nel corridoio cammina fino all'uscita e non voltarti indietro. -
- Ma… -
- Niente ma. Fai come ti ho detto e andrà tutto bene. - Stavano per mettersi a camminare quando una voce li raggelò.
- Non andrete da nessuna parte voi due. -  gli fece Verschna di rimando. Stava per pronunciare alcune parole contro di loro, quando con sua sorpresa Eragon la attaccò con la magia.

- Era negli accordi spettro. Se fossi riuscito a colpiti anche solo una volta, l’avresti risparmiata! -
Consapevole che il dispendio di energie non gli avrebbe permesso in seguito di continuare a combattere a lungo, Eragon sperò che questo bastasse almeno per permettere a Murtagh e Rebekha di mettersi in salvo.
Verschna ringhiò di rabbia, e si abbatté su Eragon con tutta la sua foga, ma il cavaliere era pronto a riceverla, e questa volta non avrebbe permesso allo spettro di avere alcun vantaggio.
Murtagh e Rebekha si erano avviati ormai indisturbati verso l'uscita, e presto non furono più visibili alla loro vista: erano entrambi in salvo.
Attingendo alle sue ultime fonti di energia pose la sua concentrazione al massimo. La sua spada sfavillò di luce blu: aveva una sola possibilità per colpire lo spettro dritto al cuore. Se non ci fosse riuscito, Verschna sarebbe solo svanita per ricomparire da un'altra parte più potente di prima.
- E' finita Verschna ...Brisingr! - Urlò.
Il volto dello spettro rimase impietrito nel vedere la lama passargli il petto. Il dolore esplose improvviso, e un rantolo strozzato uscì dalla sua bocca, mentre con tutte e due le mani afferrava la lama in un ultimo tentativo di reagire.
- Che tu sia maledetto - gli disse mentre una macabra smorfia si dipinse sul suo volto pallido. Poi il suo corpo iniziò a dissolversi, mentre le urla degli spiriti che si contorcevano, gli mandarono le loro imprecazioni e maledizione nella loro lingua abbietta.
Eragon aveva vinto guadagnandosi per una seconda volta il titolo di Ammazzaspettri. La sua gioia però, poté durare poco; crollando sulle ginocchia esausto, vide le pareti della roccia iniziare a staccarsi e crollare sbriciolandosi sul pavimento con assordante rumore.
I detriti stavano iniziando a ostruire l'uscita. Non può finire così. Pensò Eragon, mentre aiutandosi con la sua spada si rimetteva faticosamente in piedi, ma un nuovo scossone lo ributtò a terra.
Eragon resisti. Sto arrivando. sentì la voce di Murtagh.

Nel mezzo del tunnel il cavaliere rosso raggiunse con la sua mente il cuore della grotta, riuscendo per il momento a fermare il collasso. L'energia necessaria era molta, e il ragazzo vacillò non appena il suo incantesimo iniziò ad attingere alle sue energie.
Non sarebbe riuscito a impedire la sua distruzione per molto tempo, e preso un sospiro, si affrettò a cercare Eragon.

**

Il piccolo contingente guidato dalla regina era ormai in prossimità dello sperone roccioso.
Isobel vedeva già la sua vittoria in pugno. Fece fermare i soldati, e chiamò a sé il generale. La luce delle torce accese illuminava i loro volti dal basso proiettando le loro ombre tutte intorno a loro.
- Ci divideremo in due squadre, io comanderò l'ala destra e voi la sinistra. - Il comandante annuì.

- Gli aggireremo passando da quella insenatura. - e gli indicò uno stretto passaggio alla loro sinistra.
- Ci darete il segnale con uno scoppio appena sarete arrivati. Quello sarà il segnale per attaccare. Tutto chiaro? -
- Si mia regina -
- Bene, allora andate E muovetevi con precauzione. -
Il capitano annuì con un leggero inchino, e presi quattro dei soldati, iniziò la manovra di aggiramento. La regina, invece, con gli latri cinque, si portò il più possibile sotto di loro.
Perché le armi potessero essere efficaci, infatti, era necessario che il loro bersaglio fosse vicino.
Solo quando Isobel scorse la sagoma viola di Kima, ordinò loro l'arresto.
Una serie di rocce che scendevano giù a strapiombo gli separava da loro nascondendoli alla loro vista. Isobel stava appena ordinando ai soldati di serrarsi in posizione di attacco, quando forti rumori provenienti dal tunnel fecero tremare la terra sotto di loro. Con stupore Isobel si rese conto che la scossa proveniva dall’interno.

**

All’interno della montagna, nel frattempo Murtagh trovò Eragon non lontano dall'entrata della grotta.
Il fratello giaceva a terra immobile con la spada blu zaffiro ancora stretta tra le mani.
Murtagh corse in fretta al suo fianco, ed Eragon aprì stanco gli occhi
- Lo spettro? - gli fece guardando la lama ancora sporca di sangue.
- Lo hai trafitto al cuore? - Eragon fece un lieve cenno con la testa per poi richiudere gli occhi.
Solo quando li riaprì, il più giovane dei due cavalieri si accorse che intorno a loro tutto aveva smesso di tremare.
- Lo hai fermato tu? - gli chiese il fratello indicando le pareti della grotta crollate,
- Si, ma non potrò farlo molto. Devi alzarti - gli disse, passandogli il braccio intorno al suo collo e aiutandolo a rimettersi in piedi.

Dall'entrata della grotta la figura zoppicante di Rebekha emerse dalle sue profondità
La giovane era visibilmente provata; aveva il viso pallido e tirato, i suoi lunghi capelli erano scompigliati, e la sua veste riportava un lungo strappo sulla manica destra.
Kima corse in fretta al suo fianco, appena in tempo per offrirle il suo fianco come appoggio per non crollare. Morgana e Par la guardarono preoccupati
- Sei sola? - chiese Par, mentre scrutava invano il tunnel dietro di lei
- Murtagh e Eragon sono ancora dentro con lo spettro - rispose Rebekha con voce rotta, mentre calde lacrime presero a scendere sul suo volto. Poi dall'interno della grotta provennero altri rumori, e dal tunnel prese a fuoriuscire della polvere.
Rebekha ebbe un sussulto, i detriti e il fumo impedivano loro di inoltrarsi al suo interno. Solo quando la nuvola prese a diradarsi, e il tunnel divenne di nuovo visibile, poterono scorgere con sollievo due figure zoppicanti emergere dal suo interno.
Murtagh che sosteneva ancora il fratello, crollò esausto tra le braccai di Morgana. Lo sforzo per impedire che la grotta crollasse su di loro era stato enorme. Eragon non era in condizioni migliori: diversi tagli ricoprivano il suo corpo, e i lineamenti del suo volto erano contratti dal dolore.
L'aria fresca della notte rinvigorì un poco il loro spirito.
Da dove si trovava Rebekha rimase a guardarli appoggiata al fianco di Kima.
Nella mente della giovane rimbombò una voce familiare che la chiamò
Maestà, siete voi?  chiese lei sorpresa
Naturalmente Rebekha. Sei stata brava a portarmi da entrambi i fratelli, come pure quel giovane drago. Avrai due maestri se farai quello che to dirò
Rebekha, fece in tempo solo a rivolgendo uno sguardo preoccupato a Kima, poi un scoppio squarciò l'aria mentre del fumo salì in cielo alla loro sinistra.
Il segnale per l'attacco era partito, e Isobel diede l'ordine di avanzare. Le guardie in posizione di attacco puntarono le loro baionette contro il gruppo di fronte alla grotta.
Le membra dei soldati vacillarono un poco quando udirono Vespriana ringhiare loro minacciosa, ma rimasero fermi ai loro posti, mentre Par e Morgana con le spade in mano, si piantarono di fronte ai due fratelli per proteggerli.
- Rebekha Kima, allontanatevi. È un ordine! - tuonò perentoria la voce di Isobel, che da dietro i soldati avanzò trionfante. Rebekha indietreggiò di qualche passo, lo sguardo rivolto verso i quattro compagni.
- Mi dispiace. - sussurrò loro in tono addolorato, mentre la mano tesa di Isobel la invitava a riunirsi a lei.
- Murtagh Eragon, che piacere rivedervi insieme! - fece allora la regina scorgendo i due fratelli, che all'udire la sua voce si erano fatti avanti, superando i loro compagni.
- Il piacere è tutto vostro - le rispose Murtagh con disprezzo
- Venite con me senza opporre resistenza, e ai vostri amici verrà risparmiata la vita - sentenziò Isobel. La sua era la voce di chi aveva la situazione sotto controllo, e Murtagh lo sapeva.
- Mai Isobel. - tuonò lo stesso il cavaliere.
- Come desiderate. Guardie, in posizione. Pronti -
- Maestà! - la voce di Rebekha risuonò nella notte.
- Cosa c'è Rebekha? - gli rispose spazientita la regina.
- in alto guardate! - appena ebbe finito la frase, ecco che due enormi ombre più scure della notte passarono sopra di loro, oscurando al loro passaggio la luna, per piombare su di loro in un boato assordante.
Due enormi draghi, uno verde l'altro arancione, erano planati dinanzi a loro.
Madre Padre. Ma che cosa ci fate qui?” gridò Vespriana, mentre il suo sguardo si posava sui soldati.
Piccola mia, quando abbiamo scoperto che eri fuggita per seguire le orme di quell'elfo, abbiamo discusso a lungo con tuo nonno, su quello che era giusto fare. gli disse il padre
Ci abbiamo messo un po’ per convincere lui e il consiglio a farci intervenire, ma alla fine siamo riusciti a raggiungere un accordo: ed eccoci qui.
Mi sembra che stiate in difficoltà. I due draghi si guardarono indietro, e rivolsero i loro sguardo penetrante ai quattro umani e all'elfo, che ora li guardavano senza parole.
Chi è di voi Eragon? Chiesero rivolgendosi direttamente alle loro menti.
Eragon si fece avanti zoppicante Saphira ti sta aspettando. Dovete venire con noi, questo posto non è sicuro per nessuno di voi.
Detto questo si abbassarono per permettere loro di salire sui loro dorsi.
Dall'altra parte, Isobel ordinò ai soldati di sparare, ma gli uomini impietriti di fronte alle due creature, non ebbero il coraggio di obbedire, le loro mani tremavano, mentre abbassavano le loro armi di fronte a tanta possanza. Isobel irata strappò di mano la baionetta a uno dei soldati e sparò lei in colpo, poi un altro e un altro ancora.
I proiettili lanciati andarono a colpire le squame dei due draghi senza scalfirle. Intanto Eragon e Murtagh erano saliti sui due draghi, seguiti da Par e da una riluttante Morgana.
Isobel guardò i due fratelli piegarsi sul collo dei due animali e impugnata di nuovo l'arma, si preparava a caricarla per sparare di nuovo, ma le ali dei due draghi si aprirono improvvisamente, e spiccato il volo, salirono presto di quota, allontanandosi dalla portata della baionetta.
La piccola Vespriana li seguiva ancorata alla coda della madre con i denti, chiudendo il gruppo in fuga.
Rebekha sempre al fianco di Kima, sorrise rivolta al cielo.
Non preoccuparti piccina, presto o tardi li rincontreremo.
Sì, ma la prossima volta lo faremo da nemici.

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Capitolo 27
*** Nella tana di Verschna ***


Kima volava bassa, sotto di lei gli alberi della foresta sfrecciavano veloci, in una macchia verde indistinta. Le ferite l'avevano indebolita, e ad ogni colpo di ali sentiva le forze venirgli meno, ma non si sarebbe arresa, e stringendo i denti continuò il suo volo verso Abàlon.
Sopra il suo dorso Rebekha era immersa in pensieri oscuri. La ragazza non riusciva a non pensare che avevano fatto un grosso errore a lasciare Eragon solo, contro lo spettro, nonostante fosse stato lui a insistere. Con lucido raziocinio si rese conto che anche se fosse riuscita a ritornare indietro e avvertire la regina non sarebbe state mai abbastanza veloci per poterlo salvare. Perché allora l'aveva mandata via?
Una fitta di dolore proveniente dal suo drago la riportò improvvisamente alla realtà.
Non possiamo continuare così. Dobbiamo fermarci Kima. disse improvvisamente.
Troppo stanca per opporsi Kima planò sul terreno. Erano ancora ai margini della foresta, e le mura di Abàlon erano lontane.
Non possiamo continuare così, devo curarti le ferite 
Eragon ci ha mandato via non certo perché aveva bisogno di aiuto. Quindi, ora, ti curerò. Non c'è motivo che tu debba soffra senza motivo. Detto questo Rebekha saltò agile dal suo dorso, e con occhio attento prese a esaminare le sue ferite. L'esile membrana che ricopriva le sue ali era ricoperta di graffi ed escoriazioni, ma più gravi erano state le lesioni provocate dal passaggio dei dardi. Rebekha le accarezzò il muso, rassicurandola con pensieri e parole. Eragon le aveva insegnato diverse formule di guarigione a seconda della profondità delle ferite e quali tipi di tessuto erano lesionati.
Concentrandosi, Rebekha raggiunse il centro del suo potere, ma posto lentamente la sua mano sul primo foro di freccia dovette fermarsi. Qualcosa di appuntito e freddo si era poggiato sulla sua nuca.
- Non ti muovere. - la intimò una voce calda e profonda. Il respiro di Rebekha si fermò di colpo.
- E ora girati, lentamente. - proseguì la voce sconosciuta, senza mai diminuire la pressione. Rebekha sentì il basso ringhio di Kima che agitava la sua coda minacciosa, ma la lama alla sua nuca era troppo vicina perché la sua compagna potesse fare qualcosa.
La mente del suo avversario era potente e schermata da barriere. Ma questo non impedì a Rebekha di provare lo stesso ad assaltarla.
- Se fossi in te non ci proverei, Cavaliere. Anche se sei potente, io sono più esperto di te nelle arti magiche. - gli disse con un sorriso. Era stato più un consiglio che una minaccia, e quando Rebekha girò il volto, lentamente, si trovò di fronte allo stesso ragazzo che mesi addietro aveva affrontato a Antàra. I suoi occhi blu, come il mare, la fissavano tra il curioso e il preoccupato:
- Come ha fatto il vostro drago a procurarsi quelle ferite? E dove si trova ora Eragon? Vi abbiamo visti arrivare insieme. – le chiese abbassando leggermente la spada.
Rebekha trattenne il respiro.
Kima che facciamo! chiese mentalmente alla sua dragonessa
Non mi sembra abbia intenzioni cattive, ma ci sono altri con lui e si stanno avvicinando
La dragonessa non fece in tempo a finire la frase, che dalla boscaglia emerse un drago, di qualche spanna più grande di lei. Le sue squame erano state di un blu cupo e, nell'uscire, avevano catturato alcune foglie che ora le cadevano dai lati. Aveva un non so che di selvaggio e spaventoso allo stesso tempo, al cui fascino Kima non seppe sottrarsi.
Kima hanno un altro drago!
Lo so, ma non mi ricordavo ci fosse un'altra dragonessa, oltre a quella di Eragon
. Rebekha stai attenta Rebekha arretrò istintivamente verso il proprio drago, quando vide un elfo e una ragazza sbucare dal fianco della dragonessa.
- Murtagh? - chiamò la ragazza.
Gli occhi di Rebekha si ridussero a due fessuro all'udire quel nome. Murtagh era stato il fratello di Eragon, colui che si era sottratto alla volontà della regina, e che Isobel avrebbe voluto avere al suo fianco. Probabilmente erano stati lì per poterlo portare con loro. Con un pizzico di delusione realizzò che era questo probabilmente il motivo della loro uscita. Non poteva veramente credere che sarebbe rimasto sotto il controllo della regina solo per lei. Questa consapevolezza non gli impedì di provare tristezza.
- Chi è lei? - chiese subito l'elfo. Murtagh si voltò, e con scatto fulmineo, la ragazza approfittò della piccola distrazione, per prendere la sua spada e sottrarsi così alla lama di Za'roc.
- Sono Rebekha, cavaliere dei draghi della Regina di Zàkhara Isobel, e lei è Kima, la mia dragonessa. Ora ditemi chi siete voi. - disse con gli occhi in fiamme.
- Non vogliamo farvi del male. -  gli fece allora Murtagh, per nulla intimorito. Eragon le aveva insegnato bene, ma aveva ancora molto da imparare. Nel sollevare la spada, Rebekha aveva incautamente lasciato scoperto il fianco destro, come faceva sempre anche Reafly, e Murtagh ne approfittò per disarmarla, facendole saltare la lama, che cadde ad alcune iarde di distanza da lei. Rebekha emise un lamento quando sentì il polso cedere sotto la pressione del suo avversario. Murtagh la fissò con un leggero ghigno divertito:
- Ed ora puoi dirmi cosa vi è successo? -
Ti sei fatta sorprendere, di nuovo fu il commento di Kima nella sua mente.
I tuoi commenti non mi aiuteranno gli rispose la ragazza con voce irritata.
Murtagh era rimasto fermo a guardarla, e a Rebekha non trovò altra soluzione che rispondergli con la semplice verità
- Siamo stati attaccati da uno spettro. Eragon mi ha permesso di fuggire per andare a cercare aiuto. Probabilmente si stava riferiva a voi. Dovevate vedervi, Non è così? -
- Si Rebekha. Era questo il piano - le rispose Morgana.
- Dove è successo? - gli chiese Murtagh, per la prima volta davvero preoccupato.
- Non molto lontano se si procede a dorso a un drago. Molto di più se si è a piedi. Che cosa hai intenzione di fare? -
- Arrivare prima che sia troppo tardi. - il volto di Murtagh era teso.
- Se il tuo intento è di aiutare Eragon devi fidarti di me. Come io mi fiderò di te. Posso affrontare lo spettro, ma tu Rebekha mi dovrai guiderai nel posto dell'agguato. -
- D’accordo Cavaliere, voglio fidarmi. -
- Morgana tu puoi rimanere qui con Kima e Par - poi si rivolse solo a Vespriana con la mente
Mentre tu Vespriana, tu ci seguirai dall'alto. Qualunque cosa succeda devi assolutamente proteggerla dallo spettro, con tutti i mezzi. Vespriana annui in segno di assenso. Poi il ragazzo si rivolse nuovamente a Rebekha, che lanciò un significativo sguardo a Kima:
- Kima sarà al sicuro con Morgana, non devi temere per lei - le disse Murtagh di rimando.
Vai pure Bekha.
Rebekha le sorrise, poi rivolgendosi a Murtagh gli fece cenno di seguirlo.
Inoltrati nel fitto della foresta presero entrambi a correre, con Rebekha in testa, seguito da Murtagh che la seguiva, cercando di non perdere il passo.
Era molto veloce ed agile, pensò il ragazzo, e sembrava essere completamente a suo agio in quell'ambiente.
Raggiunsero la radura una ventina di minuti dopo. Ma come avevano temuto di Eragon o di Verschna non vi era più traccia.
I corpi dei quattro soldati e del mago giacevano al suolo, trafitti dalle frecce dello spettro. Murtagh analizzò attentamente il terreno, e la sua attenzione cadde subito su un dardo nero isolato dagli altri. Gli si avvicinò, e piegandosi sul terreno vi trovò le orme di due persone distinte. Vi era stato di certo un piccolo scontro, ma solo una di loro si era allontanata dalla radura con i propri piedi, l'altra, a giudicare dalla profondità delle altre, era stata portata di peso. Murtagh digrignò i denti. I suoi sospetti si stavano realizzando. Eragon deve essere stato portato via dallo spettro. Le sue orme finivano non troppo lontano, per proseguire con quelle di un cavallo che si inoltravano nel profondo della foresta, ma non erano in direzione di Abàlon.
Riferita subito la sua scoperta a Rebekha, la ragazza prese a ragionare su dove lo spettro avrebbe potuto dirigersi.
- Verschna non può averlo riportato ad Abàlon - Murtagh assentì di rimando:
- Deve essere un luogo dove possa agire nascosta da occhi indiscreti. -
- L'unico in grado di offrire protezione, e che si trova nelle vicinanze è il Gran Massiccio. -  fece allora Rebekha dopo un attimo di silenzio, poi aggiunse
- Murtagh, chi è Durza, e perché Verschna ha chiamato Eragon, Ammazzaspettri? -
- Durza? Come conosci il suo nome? -
- Lo spettro lo ha nominato. E ha detto qualcosa anche riguardo a un conto in sospeso. -
Lo sguardo di Murtagh si rabbuiò ancora di più.
- Deduco che tu non sappia neppure che cosa è realmente uno spettro. -
La ragazza fece un cenno di no con la testa
- Gli spettri sono per lo più dei maghi, che praticando la magia nera, ed evocando spiriti per eseguire i loro ordini, ma sono stati da questi sopraffatti, cadendo sotto il loro controllo. Sono più forti di qualsiasi essere umano. Con la spada sono veloci come un serpente e agili come un felino, e lo stesso con la magia. Ma soprattutto, non possono essere uccisi, o almeno non con un i semplice mezzi che si conoscono. L'unica possibilità che si ha per eliminare uno spettro è quello di trafiggerlo con un colpo dritto al cuore. Solo tre persone, in Alagaësia, sono state in grado di compiere questa impresa. Uno di queste è Eragon. - Murtagh alzò la testa in direzione delle orme del cavallo
- Dobbiamo trovarlo, prima che lo spettro compi la sua vendetta. -
Con un messaggio mentale, Murtagh informò a Vespriana delle loro scoperte, e della loro prossima meta.
Quando usciremo dalla foresta dovrai volare molto in alto, non possiamo rischiare che qualcuno ti scorga proprio adesso.
La dragonessa fece qualche giro sopra di loro poi puntò verso l'alto fino a diventare un piccolo puntino nel cielo.
- Ora andiamo. -

***

Isobel sentiva nell’aria che qualcosa stava per accadere

Verschna era partita da Abàlon da due giorni senza dare sue notizie. Isobel sapeva che il tradimento era insito negli spettri. Per questo la regina l’aveva fatto accompagnare da un gruppo dei suoi soldati più esperti con il compito di sorvegliarla, e di riferirgli qualsiasi particolare sospetto riguardo alla sua condotta.
Quando la porta della stanza venne aperta di colpo, e un soldato le venne incontro con il fiato in gola Isobel non si fece illusioni a riguardo.
- Maestà ... le...le guardie che erano con Lady Verschna. Sono state uccise, e i loro corpi trovati dilaniati vicino alla torre nord, ma di Verschna non c'è traccia -
Il volto della regina divenne una maschera di rabbia, e il soldato abbassò il volto tremante.
- Radunate la squadra speciale dei tiratori scelti, e mandateli da me subito. Che i corpi dei soldati siano portati via, e che alle loro famiglie gli venga subito retribuito un vitalizio. Ogni voce sull'episodio deve essere messa a tacere. Ora andate. -
Isobel tentò di mettersi subito in contato con Rebekha. Ma la mente della ragazza era serrata da potenti barriere. C'era stato qualcun'altra con lui.
Il sorriso sul volto di Isobel si allargò quando capì che si trattava di Murtagh. La fortuna, dopo tutto, continuava ad arriderle.
La regina non avrebbe mai sperato di poter rincontrare il maggiore dei due fratelli prima della battaglia.
Se solo fosse riuscita a farlo tornare al suo fianco la sua vittoria sarebbe stata schiacciante. Con i due cavalieri e con Rebekha, re Arold non avrebbero avuto modo di opporsi a lei.
La regina andò dritta nei quartieri della caserma, verso l'armeria.
Aveva impiegato molti mesi, per addestrare una squadra capace di assemblare e maneggiare le dieci baionette che aveva difronte. Quella sarebbe stata un'ottima occasione per collaudare la loro efficacia in una vera battaglia. –

- Maestà, i soldati sono pronti -
- Molto bene. Prendete le vostre armi e le munizioni. Oggi scriveremo la storia di questa guerra. -

***

l complesso roccioso del gran massiccio si ergeva di fronte a Murtagh e Rebekha in tutta la sua maestosità. Le orme di zoccoli del cavallo di Verschna si fermavano proprio alle sue pendici, segno che lo spettro si era andata a nascondere da qualche parte nel suo interno.
Si erano appena inoltrati tra le rocce quando Murtagh si fermò.
- Dobbiamo separarci, in questo modo avremo più possibilità di trovarli. Vespriana starà al tuo fianco.

- Non tentare di affrontare Verschna da sola. Aspetta che io vi raggiunga, poi voi due allontanatevi. -
- D'accordo. - gli fece Rebekha, senza troppa convinzione, e dopo altre raccomandazioni rivolte a Vespriana, si separarono: Rebekha e la dragonessa si diressero a nord, Murtagh a sud.
Il cavaliere cremisi vagò a lungo senza trovare alcuna traccia, fino a quando, vicino al tramonto, non si ritrovò a dall'altra parte della catena montuosa. Le rocce, che finivano a strapiombo su una spiaggia molto stretta, riflettevano ora i raggi rossi del sole che scendeva lento alle loro spalle. Murtagh sospirò, non aveva trovato nulla che potesse portarlo al fratello, ed anche Rebekha non si era ancora fatta sentire.
La giornata era giunta al termine, e nulla di quello che aveva programmato era andato a buon fine. Rebekha ed Eragon sarebbero dovuti già rientrare al castello, e non vedendoli arrivare avrebbe di certo messo in allarme Isobel. Tutto sarebbe diventato più difficile ora.

***

Dalla parte opposta Rebekha era a fianco di Vespriana. Il sole stava calando e la ragazza aveva ripreso il cammino del ritorno, quando la luce radente le rivelò una piccola entrata, su un lato di un grande sperone che prima non aveva notato.
Vedo a vedere che cos’è. Tu rimani qui. Disse alla giovane dragonessa blu. L'entrata era stata troppo piccola per la creatura, che riluttante acconsentì alla ragazza di indagare.
Stai attenta
Ritornerò subito.

Rebekha venne presto inghiottita dall'oscurità della grotta. Il buio nella galleria era stato totale, e Rebecca decise si utilizzare un piccolo incantesimo per creare un po’ di luce.
- Garjzla. - mormorò piano. La piccola fiamma prese forma davanti alla ragazza e illuminò l'ambiente. Rebekha si ritrovò in uno stretto corridoio che proseguiva in avanti senza che ne potesse vedere la fine. Decise allora di estendere la propria mente e sondare il tunnel. Era stato apparentemente senza vita, a parte le minuscole forme di vite dei licheni e delle muffe che crescevano lungo le pareti umide della roccia, e proseguendo in profondità il risultato della sua indagine non cambiava. Stava appena pensando di abbandonare l'ispezione, e tornare indietro da Vespriana, quando venne colpita da un piccolo particolare. C'era stata un’interferenza, nelle sue percezioni o, meglio, un vuoto in essa, che non aveva nulla di naturale. Il segnale veniva da qualche parte imprecisa alla fine del tunnel. Rebekha non aveva dubbi doveva trattarsi del covo dello spettro. Il primo istinto della ragazza fu quello di proseguire all'interno, in direzione del vuoto che aveva avvertito, ma si bloccò di colpo, ricordando le raccomandazioni di Murtagh. Fece immediatamente dietro front e cercò di avvertire Vespriana, ma prima che potesse dire o fare altro, qualcosa la colpì dietro la nuca. Poi intorno a lei tutto divenne nero.

***

Quando Eragon rinvenne, dopo ore, si ritrovò disteso sul terreno umido di una grotta. La sua visione era offuscata e impiegò alcuni minuti perché ritornasse chiara.
Non ricordava affatto come poteva essere finito lì, ma qualcosa non gli tornava. Poi capì: non c'erano state montagne dove era stato attaccato. Gli unici monti, nelle vicinanze, si trovavano dall'altra parte della foresta. L’affioramento del Gran Massiccio, e questo poteva significare solo che lo spettro doveva aver viaggiato un bel tratto per poterlo portare fin li. Ma dove era il ?

Dandosi uno sguardo intorno, Eragon poté scorgere due fuochi ardere ai due lati della grotta, ma allarmato notò che non vi erano state uscite. La stanza sembrava essere completamente chiusa e circondata dalla fredda roccia.
Eragon si girò lentamente da un lato, la testa gli doleva terribilmente, con molta probabilità a causa del sonnifero che gli era stato dato. Ma qualcosa era cambiato in lui. Di scatto Eragon si tirò su a sedere elettrizzato. Poteva sentire la magia nuovamente ai margini della sua coscienza. Istintivamente il suo sguardo andò al suo palmo destro, e al Gedwey-ignasia impresso sopra. Il marchio brillava nuovamente di luce argentea, il collo era libero dal collare che bloccavano l’accesso al nucleo della su magia. Perché Verschna lo aveva liberato?
Eragon non riusciva a trovare una spiegazione.

Tentò allora di contattare con la mente Murtagh. Avrebbe dovuto incontrarlo ormai da tempo e probabilmente lo stava cercando. Eragon si rese conto subito che una barriera bloccava ogni cosa al di fuori della grotta. Nulla poteva penetrare al suo interno, ne poteva uscirne.
I suoi poteri erano ritornati, ma la sua capacità di usarli erano ancora basse, e non era ancora in grado di contrastare il potere dello spettro.
Che cosa aveva in mente di fare? Eragon respirò adagio, e appoggiandosi alla roccia, si tirò in piedi. In quel momento da un angolo buio della grotta una figura ammantata avanzò lentamente verso di lui.
- Finalmente ti sei svegliato, Ammazza-spettri. - Eragon fissò la figura con occhi stanchi.
- Verschna. Che cosa vuoi esattamente da me? -
- Prendermi la mia vendetta, naturalmente. - gli rispose lo spettro con ilarità.
- in un duello alla pari. Solo tu ed io. E quando ti avrò battuto, sarà per me un piacere eliminare questa terra della tua presenza. -
- Perché combattermi, quando avresti potuto eliminarmi facilmente molto tempo prima? - chiese Eragon, staccandosi lentamente dal muro.
Lo spettro gli rise sommesso
- Il primo giorno ti ho battuto con troppa facilità. Non c'è gloria nell'affrontare un avversario debole. Non lo pensi anche tu? - Eragon la guardò senza rispondere. Lo spettro proseguì:
- Così ti abbiamo portato qui, e liberato da quel ridicolo collare, ridandovi la facoltà di usare la magia. -
- Un gesto molto gentile da parte tua - rispose Eragon con una smorfia.
Il pensiero, del suo recente fallimento non lo confortava. Come a leggergli nel pensiero Verschna gli rispose pronta:
- Oh, la barriera che ho tessuto intorno a noi è solo una precauzione Eragon. Non posso rischiare che tuo fratello Murtagh possa raggiungerci e aiutarti. -  Il volto di Eragon sbiancò all'udire il suo nome.
- Oh, si ero a conoscenza del vostro piano fin dall'inizio. Non ho detto nulla a Isobel, non preoccuparti. Come ti ho già detto, non voglio interferenze da parte di nessuno. Tanto meno di un una folle regina con la mania del controllo. Siamo noi due. -
- Ma io non ho intensione di combattervi; puoi fare di me quello che vuoi Verschna. Uccidimi pure, ma non mi abbasserò mai a soddisfare un vostro inutile piacere. -
Sul volto dello spettro comparve un’ombra d'ira, che scomparve l'attimo successivo, quando dando un fugace sguardo alle sue spalle, gli sorrise malignamente.
- immaginavo che avreste fatto un'obiezione del genere. Il nobile Eragon Ammazzaspettri si batte solo per cause giuste, vero? E così mi costringi a fare ciò che non avrei voluto. - aggiunse infine, in un tono di falso dispiacere.
Poi a un cenno della sua mano, la sagoma di una persona venne illuminata da un cono di luce. Era Rebekha.

- L’ho sorpresa che curiosava nel posto sbagliato – Eragon si girò di scatto verso lo spettro.

- Lei non c’entra con noi due. lasciala andare! -
- Vedo con piacere che ti sta a cuore la sua sorte. Voglio fare una piccola scommesse con te allora. Per rendere più interessante il nostro incontro. Se ti rifiuti di batterti lei morirà, ma se combatterai con il massimo delle tue forze e riuscirai a colpirmi anche solo una volta, durante il duello, allora potrà salvarsi. -
Era stato un gioco crudele, ma Eragon non aveva scelta, avrebbe accettato la sfida.
- Che cosa mi rispondi adesso Cavaliere? -
Eragon digrignò i denti, e lo spettro gli sorrise divertito
- Dimenticavo – aggiunse - per l'occasione ci siamo permessi di prendere la vostra spada. Spero lo apprezzerai.
L’abbiamo trovata tra gli oggetti che la regina conserva nell'armeria reale. -
Eragon vide improvvisamente Speranza, brillare alla luce dei due fuochi, tra le esili mani dello spettro. La spada venne poi lanciata nella sua direzione.
Eragon prese la lama al volo, e stringendola tra le mani, acquisì l'energia immagazzinata nella pietra incastonata all'estremo della sua impugnatura. Quella poteva essere la sua unica possibilità di resistere allo spettro.
Verschna gli sorrise melliflua:
- Molto bene. Sei pronto Ammazzaspettri? -
In risposta Eragon alzò la sua lama e, mettendosi in posizione di attacco, avanzò verso il centro dei due fuochi, dove Verschna lo attendeva, pronta per la sfida.

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Capitolo 28
*** Il sogno di Arya ***





Il tiepido sole di primavera stava cedendo lentamente il passo all’estate. Presto il caldo avrebbe indorato i campi con la sua torrida afa. Nonostante la popolazione fosse consapevole che presto la guerra si sarebbe nuovamente abbattuta su di loro, ognuno di loro faceva di tutto per tenere lontana la sua ombra cercando si mantenere una parvenza di normalità.
Tipico della città di Antàra erano state le grandi tende, tese dalle pareti di un palazzo a l'altro, che coprivano con le sue vele le grandi vie, offrendo ombra e frescura ai passanti.
Dal terrazzo della sua camera Jill stava ammirando l'arcobaleno di colori che la città iniziava a mostrare con orgoglio; ma se i suoi occhi erano stati rapiti da quello spettacolo, il suo cuore come la sua mente erano rivolti verso il mare; lì da qualche parte oltre la linea dell'orizzonte Murtagh stava lottando per liberare il fratello.

L’eco della grande adunanza che si era tenuta ad Abàlon per volere di Isobel aveva raggiunto le orecchie di re Arold e del consiglio degli elfi. Il nome di Eragon da Alagaësia si era presto affiancato a quello di Rebekha Coleman. Solo il ritorno di Arya e Reafly con Castigo e Gleadr era riuscito a mettere a tacere in parte le voci che volevano il minore dei fratelli al servizio della regina. Arold avrebbe preferito che Murtagh lo avesse informato delle sue intenzioni ma continuava ad avere fiducia in lui e nelle sue decisioni. Dopotutto Castigo era tornato dalla missione diplomatica riportando Arya e confermando il loro impegno a stare a loro fianco. Se c’era qualcosa che il re aveva imparato in quei mesi passati con loro era che un drago e il suo cavaliere mal volentieri si dividevano. Murtagh avrebbe fatto di tutto per tornare dal suo compagno.

E poi c’era Jill ad attenderlo. La giovane donna si destò dai suoi pensieri quando uno stormo di rondini passò di fronte alla sua finestra, il loro cinguettio riempì per un attimo l'aria rendendola satura del loro suono. Stanca di rimuginare decise di uscire all'aperto a prendere una boccata d'aria.
Scivolò silenziosa attraverso la porta di ingresso e si diresse verso i giardini del palazzo.
Passeggiò per un tratto poi vide Castigo volare sopra di lei, disegnando gradi cerchi nell'aria. Le sue squame rubino riflettevano la luce del sole in bagliori vermigli, che estasiarono Jill a tal punto da farle scappare un sorriso.
Dopo altre piccole evoluzioni il drago rosso le atterrò di fronte maestoso e terribile.
Salve Jill. Tuonò nella mente della giovane.
Come ogni abitante di Antàra, Jill aveva visto il ritorno del drago rosso e di quello dorato tra moti di gioia, ma era stato solo suo il tuffo al cuore provato quando dal dorso di Castigo vide scendere Arya e non Murtagh. 

Era passato un giorno da allora e questa era la prima volta che la ragazza rivedeva il drago rosso.   
La voce della ragazza risuonò piena tristezza.
Murtagh ti deve mancare terribilmente gli disse la ragazza attraverso le loro legame.
Castigo chiuse con un movimento fluido le sue ali, per chinarsi con il suo muso verso la ragazza.
Ogni singolo giorno, ma dobbiamo avere fiducia in lui.

A quelle parole la ragazza lo accarezzò con affetto; le sue dita sottili lo stuzzicarono sotto il mento, e Castigo inarcò il collo per il piacere.
Quando infine si ritrasse indietro, un senso di gratitudine sprigionò dalla mente del drago.
Non ti ho cercato per avere consolazione. Sali sul mio dorso. Facciamo un giro. Ti voglio mostrare qualcosa gli disse mirando con lo sguardo al cielo.
I raggi del sole erano ancora tiepidi e nemmeno una nuvola adombrava il cielo limpido.
La ragazza lo guardò nei suoi grandi occhi rubino poi si issò con agilità sul suo dorso. Quando ebbe preso posto Castigo si alzò in tutta la sua altezza, e aprendo le ali, salì in volo. Sotto di lei Jill sentiva solo il calore del suo corpo. La sua potenza si esprimeva attraverso ogni battito di ali, e per un momento, la ragazza sentì di essere vicina al drago rubino più di quanto non lo fosse mai stata.
Se il loro amore verso Murtagh li avesse sempre uniti, quel contatto più intimo sarebbe stato qualcosa di diverso. In quel momento il drago rubino si stava offrendo a lei come non aveva mai fatto prima. Castigo le stata mostrando una parte dei suoi ricordi e delle sue sensazioni.
Come mio cavaliere Murtagh ha sempre condiviso tutto con me. Come sua compagna è arrivato il momento che anche tu conosca la parte di lui che risiede in me. Jill non ebbe il coraggio di dire nulla ma si limitò a rilassarsi e aprire la sua mente a quello che il drago le stava offrendo.
Prese una boccata d'aria, quando avvertì la mente di Castigo espandersi nella sua con delicatezza.
Quello che lei percepì fu un’esplosione di colori e profumi e un’infinità di sensazioni, poi ad un altro sussulto del drago la ragazza rinvenne. Jill sorrise, stavano volando sopra una vasta pianura; sotto di loro gli steli del grano si piegarono sotto la folata improvvisa di vento provocato dal loro passaggio. Rientrarono provando entrambi una grande gioia nel cuore. Da parte di Jill c’era la consapevolezza di avere condiviso un'esperienza unica.
Grazie Castigo. Gli disse con sincera gratitudine.

Le giornate continuarono a susseguirsi frenetiche per Jill e per tutti i suoi compagni. Le risposte positive dei due principi di cui Arya e Reafly erano stati latori avevano dato a tutti grandi speranze ma anche molto su cui lavorare. Sia i Kallen che i Von Mack avevano confermato le loro intenzioni di appoggiare gli elfi. L’unica clausola che entrambi i principi avevano posto era di non coinvolgere direttamente i loro regni. Non avrebbero sottovalutare le minacce di Isobel nei confronti dell’impegno di non belligeranza firmato da tutti loro. Nessun soldo proveniente dalle casse pubbliche di Gelko e Nihel sarebbe stato toccato. Frederick e … avrebbero usato le risorse finanziarie private delle loro casate. Queste, infatti, erano tali da poter sostenere da sole l’aiuto promesso agli elfi ed Isobel non avrebbe potuto presentare le sue dimostranze al consiglio.

Una sera Jill, Arya e Reafly ricevettero tutti e tre un invito da parte di Aglaia e Faramir. La famiglia di quest’ultimo possedeva una villetta appena fuori dalla città. Appena arrivati i tre ospiti respirarono una piacevole aria famigliare molto diversa da quella formale di palazzo.
- Vi ringraziamo per aver accettato l’invito – li avevano ringraziati i genitori di Faramir - gli attimi di tregua sono talmente pochi, che ogni occasione che possiamo passare con mio figlio e i suoi amici diventa preziosa – conclusero i due anziani elfi.
Grazie alla presenza del vino, e dall'idromele, l'atmosfera della serata si fece subito allegra. Reafly fu contento di poter raccontare molti aneddoti divertenti del loro viaggio cosa che non gli era stato possibile fare alle lunghe riunioni con il re.
Un altro argomento della serata fu il suo aspetto fisico. A tutti era stato evidente l’enorme cambiato dal giorno della partenza; Reafly era nella piena età della crescita, ma se parte di queste trasformazioni erano imputabili a quello, altri non potevano che essere legati al fatto di essere un cavaliere. I suoi lineamenti si erano affinati in maniera sorprendente, e anche le orecchie avevano assunto ora una forma più allungata vicina a una punta.
Reafly con un po’ di imbarazzo raccontò loro la sorpresa nello scoprire questi cambiamenti solo al suo ritorno, e confessando con aria contrita di avere trovato poco tempo per specchiarsi durante il viaggio. Ci fu una risata generale, poi le domande continuarono sul viaggio. Reafly si mise allora a raccontare in particolar modo del regno di
Nihel e dell’accoglienza del suo principe, il giovane e aitante Frederick. La capitale del piccolo regno era una cittadina dell'interno, arroccata su un basso pendio roccioso. Le case a un solo piano, o massimo due erano state costruite su terrazze, e le strade sfruttavano i pendii naturali del monte. Dei terrapieni frutto dell’antica ingegneria degli elfi ancora oggi connettevano i diversi livelli su cui si sviluppava la cittadella.
- Non avevo visto nulla del genere fino ad ora - ammise infine Reafly, mostrando a tutti di  una intensa passione per l'edilizia.
- Il principe
Frederick è stato molto generoso nel spiegandomi ogni cosa - disse infine, quasi per giustificarsi.
Rimasero ancora a parlare, e i loro discorsi iniziarono a saltare da un argomento all'altro.
La luna, immersa nel suo pallido bagliore era ancora alta nel cielo, quando uno alla volta, ognuno di loro iniziò a congedarsi per ritornare alle loro camere.
Reafly e Gleadr furono i primi a lasciare la compagnia, seguiti subito dopo da Jill ed Arya.

Jill accompagnò Arya nella sua stanza. La ragazza non poteva fare a meno di pensare come fosse stata taciturna l'alfa. Durante tutta la serata l'aveva sorpresa spesso a guardare la luna con occhi languidi, per poi rivolgersi nuovamente ai presenti, sorridendo, come se non fosse successo nulla.
Jill non riusciva a immaginare cosa stesse turbando il suo animo, e si ripromise di andarle a parlarle nei giorni seguenti.

 

Passò un’altra settimana prima che Jill riuscisse a trovare il tempo e il modo di tenere fede alla sua promessa. Nel frattempo, Arya era entrata in quei giorni nel quinto mese di gravidanza, la pancia continuava a crescere. Cinque mesi durante i quali molto era cambiato dentro e intorno a lei.
Gli elfi di Antàra erano stati molto gentili e premurosi nei suoi confronti. Le premure erano aumentate anche da parte di Arold. Il re era stato particolarmente attento affinché dal suo rientro l’elfa non si affaticasse o preoccupasse per ciò che stava accadendo fuori dall’isola. Anche fin troppo, era il pensiero costante di Arya.
Lei era pur sempre una principessa elfica, non sarebbe stata capace di rimanere in disparte per troppo tempo.
Delle voci all'estero e il picchiare alla sua porta che seguì subito dopo, destò Arya dai propri pensieri.
- Chi è? - chiese
- Sono Alicia mia signora. -
- Entra pure Alicia. - la donna fece il suo ingresso nella stanza con passo titubante.
- Arya Svit-kona. C'è qui fuori Lady Jill che chiede di poter parlare con te. -
- Falla entrare. Cosa aspetti? - le chiese mentre alzandosi si sistemava la veste.
- Ma il re… - ci fu un attimo di esitazione nella sua voce.
- Il re cosa? – la incalzò Arya
Alicia si fece piccola, piccola poi rispose
- Si è personalmente raccomandato di non farvi stancare troppo. - aggiunse infine come a trovare le parole adatte.
Arya scrutò a lungo il volto di Alicia, che d'istinto abbasso il capo.
- Il re non ha alcun motivo di preoccuparsi per la mia salute Alicia. Jill può entrare. Parlerò io con re Arold. -
Quelle ultime parole furono un sollievo per Alicia, che come liberata da un pesante fardello, prese un respiro per andare in seguito a chiamare Jill, che si trovava ancora fuori dalla porta.
- Jill ti prego entra pure. Alicia, puoi andare, grazie. -
- Sempre a suo servizio signora. - disse Alicia facendo un frettoloso inchino.
Jill attese che la dona uscisse dalla camera, prima di far scorrere rapido il volto su quello di Arya.
- Ti è molto affezionata. Ma se si ostinava a tenermi fuori ancora un'altra volta, giuro che non avrei risposto delle mie azioni - quella sua improvvisa manifestazione d'impeto fece scappare ad Arya una sonora risata
- Lo terrò presente - aggiunse seriamente appena si ebbe ripresa.
- Dicevo sul serio Arya, l'avrei fatto veramente. È tutta la settimana che quella donna inventa scuse su scuse. -
- Non è colpa sua. - Jill si fermò, e corrucciando la fronte aggiunse
- È Arold - gli disse indovinando quello che l'elfa non voleva dire ad alta voce.
Arya si limitò ad annuire.
- Come puoi permettere che ti ordini cosa fare o chi devi incontrare? -
- Jill, noi Elfi abbiamo avuto secoli per affinare le nostre capacitò diplomatiche, posso sopportarlo. Sono convinta che Arold sta agendo così perché pressato dal consiglio. Bisogna essere pazienti con lui. -
- Io non ho la pazienza leggendaria di voi elfi, non chiedermi di seguirti in questo. – Le rispose Jill con sentimento.
- Lo capisco - le rispose Arya con altrettanta enfasi, poi l’elfa fece qualcosa di completamente inaspettato per Jill, le andò vicino, e le strinse delicatamente le mani
- Ascoltami bene, anche se molto diversi, questa gente rimane sempre il mio popolo. La guerra contro Galbatorix è abbastanza vicina da ricordarci come eravamo noi. - Jill la guardò per un istante, colpevole, poi il suo viso si addolcì, e anche se senza troppa convinzione le fece un cenno con la testa, che Arya ricambiò con un sorriso.

- Ma adesso raccontami un po’ di te. Tu e Castigo avete passato molto tempo insieme. -
Presa alla sprovvista, con quella domanda improvvisa, Jill si divincolò dalla sua presa per dirigersi alla finestra, dandogli le spalle. Era stato così inatteso la scoperta di quel nuovo legame, che fino a quel momento non ci si era mai soffermata a ragionarci.
- È un drago eccezionale - disse dopo un poco, mentre i suoi occhi si posavano su un albero di pesco in fiore.
Arya le sorrise, e non poté fare a meno di pensare al suo rapporto con Saphira. Lei e la dragonessa erano state sempre molto unite; e se inizialmente lo furono soprattutto in virtù del fatto che lei era stata per molti anni la portatrice dell'uovo; era stato solo in seguito, grazie al tramite con Eragon, che la loro unione si è evoluta divenendo, se possibile anche più profonda.
Continuarono a parlare ancora fino a quando Arya non interruppe la loro conversazione. I giovani maghi la attendeva per la sua lezione. Jill insistette per accompagnarla.

- Ricordati quello che ti ho detto, e fai saper a Castigo e a Gleadr che gli andrò a trovarli presto. – le disse l’elfa prima di salutarlo.
Jill le annuì, ed Arya sospirò nel vederla allontanarsi; era giovane e impulsiva, ma sapere che Castigo le era a fianco la tranquillizzò. Scrollandosi quei pensieri da dosso, Arya aprì la porta dell'aula ed entrò dai suoi alunni.

Quella notte Arya andò a letto con una strana sensazione. Sentiva le membra pesanti e senza accorgersene cadde sulle lenzuola in un sonno profondo.
Il suo campo visivo fu improvvisamente invaso da una luce accecante, che si dissolse piano piano per lasciare il posto all'immagine di Eragon.
Lo vide chiaramente piegato sopra il dorso di un drago dalle scaglie color ambra, i capelli scompigliati dal vento, come se stesse volando a grande velocità, una corta barbetta gli incorniciava ancora il viso, che era tirati. Il cuore di Arya si fermò. L'immagine era stata talmente reale, che poteva sentire quasi il suo respiro, ed Arya lo si sentì improvvisamente vicino e lei. Arya sentì il desiderio ardente di stabilire un contatto. Senza rendersene conto aveva già allungato la mano verso la sua guancia, per sfiorarla con la punta delle dita. A quel contatto Arya venne scossa da un leggero brivido, e per un brevissimo istante credette di sentire il suo volto flettersi sotto il suo tocco. Poi la visione iniziò ad affievolirsi e l'Elfa si ritrovò nel suo letto con il cuore che le batteva fortissimo.
Arya stava riprendendo a respirare adagio, cercando di calmare il tumulto di emozioni che la stavano scuotendo, quando dentro di lei sentì lo scalcinare del bambino.
Allarmata si tirò a sedere e posando istintivamente una mano sul suo ventre scoprì qualcosa di sconvolgente; per la prima volta Arya poté sentire distintamente che si trattavano non di uno ma di ben due cuori che battevano all’unisono e che si trattavano di due bambine. Arya sentì anche la loro paura. Quindi si affrettò a concentrarsi e raggiunte le loro giovani menti, e iniziò a cantare una antica nenia elfica. Le parole nell'antica lingua iniziarono subito a creare una calda coltre di magia che le avvolsero e tranquillizzò.
Arya cantò a lungo, anche molto tempo dopo che le gemelle si furono acquietati; l'elfa continuò a intonare quella melodia, sempre più piano fino a quando il suo suono non si confuse con il battito dei loro cuori. Fu allora che Arya si immerse completamente in loro per essere certa che stessero bene, quindi si ritirò. Quando rinvenne si portò stupita le mani al viso per trovarle bagnate dalle lacrime.
Quello che aveva visto non poteva essere stata una premonizione, ma un tipo di divinazione, come e quando Eragon l'aveva sognata nelle prigioni di Gil'ead.
Se in quel caso il loro tramite era stata Saphira, ora dovevano essere state le loro figlie ad aver permesso quel nuovo contatto.
Eragon. Arya avrebbe tanto voluto divinare e assicurarsi che stesse bene, mai non osava eseguire ora quella magia, anche se solo per un breve istante, per paura di mettere a repentaglio la vita delle loro bambine. Un solo errore, e per loro sarebbe stato fatale. No, non poteva farlo anche se si trattava si Eragon.
Guardò fuori dalla finestra, stava albeggiando, c'era ancora tempo prima che il palazzo iniziasse a svegliarsi, ed Arya si prese la libertà di ragionare ancora su un particolare della sua visione che prima aveva trascurato, ma che potevano rivelarsi di grande importanza. Eragon sembrava stesse volando su un drago, ma le sue scagli e non erano blu zaffiro. In qualche modo Eragon aveva incontrato un altro drago. Ma se questo fosse al servizio della regina Isobel o no, non era stato possibile attestarlo.
Arya sapeva che la notizia non poteva essere celata a lungo alle orecchie del re, ma temeva conseguenze drastiche se fosse stata interpretata in modo sbagliato.

***

La notte era appena passata, e il sole stava sorgendo pigro dalle pendici dei monti imbiancati, che andavano colorandosi di tenui tinte rosa. I due possenti draghi avevano volato per l’intera notte e un nuovo giorno stava sorgendo sopra il massiccio roccioso. Le verdi fronde della Stonewood comparvero davanti a loro. Alla vista della foresta, Keiron e Guiltar ritennero di aver messo abbastanza distanza tra loro e il nemico e atterrarono su un morbido manto erboso per una sosta più lunga. Scelsero una radura nei pressi di un piccolo lago circondato da basse colline.
Non appena toccarono il suolo i loro artigli ferirono il terreno con solchi profondi e sentirono i loro piccoli passeggeri scendere con cautela dai loro dorsi. Murtagh aveva spesso dato degli sguardi preoccupati verso il fratello che per tutti la tumultuosa fuga a aveva alternato pochi momenti di veglia a momenti di totale incoscienza.
I due draghi si girarono preoccupati verso il ragazzo, che nel frattempo era stato fatto adagiare sul terreno sopra delle morbide coperte.
Le sue condizioni sono  gravi? chiese Keiron a sua figlia, mentre Murtagh si allontanava dal campo in direzione del lago.
Vespriana scosse loro la testa.
Non lo so.
Gravi o no, dovremmo riprendere presto a muoverci. Non siamo ancora nei nostri territori. disse Guiltar in tono grave.
Murtagh ritornò qualche minuto più tardi con dell'acqua; sotto lo sguardo incuriosito dei due draghi il cavaliere pronunciò alcune parole e l'acqua prese a bollire. Continuando a ignorare gli sguardi che gli altri gli rivolgevano Murtagh si avvicinò adagio al fratello e si accoccolò al suo lato. Il viso e gli abiti del giovane erano sporchi di terra e sangue, con cautela Murtagh gli sfilò la tunica per poter lavare e medicare la ferita alla spalla e al braccio. Al tocco del panno umido il suo volto venne attraversato da una smorfia,
- Scusami - gli sussurrò mentre Eragon socchiuse piano gli occhi in segno di protesta. Il dolore in tutto il corpo fu lancinante mentre cercò di mettersi a sedere, ed Eragon chiuse nuovamente gli occhi in attesa che il modo smettesse di girargli intorno. Aveva la gola gonfia e secca, e sentiva la testa leggera.
- Non devi fare movimenti bruschi - udì una voce accanto lui.
- Murtagh? – lo chiamò piano.
- Sono qui fratellino. Come ti senti? -
- Come se mi fosse passato sopra un carro. - gli rispose Eragon cercando di sorridergli, ma senza molti risultati. Murtagh lo guardò accigliato. Poi iniziò il processo di guarigione. Durò diverso tempo durante il quale Murtagh dovette fare diverse pause per recuperare le forze già esigue.
- Devi mangiare qualcosa anche tu. Vedrai che dopo ti sentirai meglio. Intanto bevi quest’acqua - aggiunse mentre gli porgeva una piccola otre di pelle. Eragon l’afferrò e ne bevve alcuni sorsi.
Morgana e Par intanto avevano tirato fuori dai loro zaini le provviste.
Eragon notò i loro sguardi timorosi mentre consumavano il loro pasto. Le parole del drago continuavano a ronzargli intesta Saphira ti sta aspettando. Eragon sentiva un grande peso nel cuore per non aver creduto subito alle parole del fratello e della maga pentendosi per essersi comportato in maniera così egoista. Tutti avevano rischiato la loro vita per liberarlo e lui si era comportato come uno sciocco. Consumò in fretta il proprio cibo quindi si alzò in piedi.
- Dove vai? - gli chiese accigliato Murtagh posando a terra il suo.
- Ho bisogno si stare un po’ da solo. Vorrei raggiungere il lago. Ho udito il rumore di una sorgente, potrei rifornire le borracce - gli rispose Eragon con fare evasivo.
– lasciatemi fare qualcosa di utile – aggiunse. Murtagh ci pesò un attimo poi lo lasciò andare.

Seguendo il rumore dell’acqua Eragon raggiunse il ruscello per riempire l’otre, poi scese un lieve crinale fino ad arrivare al lago. Nonostante le ferite erano state guarite, quando raggiunse il lago Eragon si sentì esausto, e fu grato di potersi sedere sul terreno, dove si accoccolò di fronte alla riva. La superficie del lago era increspata da piccole onde ed Eragon si perse per un po’ nell'osservarle. Improvvisamente avvertì qualcuno avvicinarsi. Eragon chiuse gli occhi.
Cavaliere? La voce antica risuonò nella mente del giovane. Eragon rabbrividì, ma non ne fu sorpreso.
Di fronte a lui era planata Keiron.
La dragonessa piegò il suo collo verso di lui, rimanendo ad osservarlo con curiosità.
Con sommo stupore, Keiron percepì distintamente lo spirito dei draghi nell'anima di quel ragazzo.
Ripetilo ti prego. Gli chiese improvvisamente Eragon.
Cosa? Keiron rimasta colpita dall'intensità di quella voce. Vide le spalle del cavaliere piegarsi cercando di controllare le proprie emozioni.
In quel momento davanti agli occhi di Eragon c'era solo Saphira; il ragazzo stava afferrando uno ad uno i tanti ricordi della sua compagna senza che questi si perdessero nei contorni indefiniti della sua mente; quella visione lo fece rabbrividire e una lacrima scivolò lungo il suo viso. Keiron era rimasta ferma. Le sensazioni del giovane erano esplosero in maniera così inaspettata, che la dragonessa ne rimase spaventata; mai avrebbe pensato potesse esserci un legame così forte fra un drago un essere tanto piccolo.
Il consiglio degli anziani e Sigmar si erano sempre vantati della  superiorità dei draghi, rispetto a tutti gli altri esseri viventi, ma solo ora, davanti alla sofferenza di quel giovane umano, la dragonessa capì quanto potessero essere stati in errore.
Saphira è viva Eragon e ti sta aspettando le sussurrò Keiron con tenerezza.
Eragon le sorrise grato, e la dragonessa  poté sentire il suo cuore stringersi.
Istintivamente si avvicinò di più al cavaliere, tanto che il suo respiro caldo andò a scompigliare alcuni ciuffi dei suoi capelli, facendolo sorridere, per la prima volta.
- Grazie – le sussurrò.
Keiron sbatté più volte le palpebre prima di emettere uno strano verso che Eragon interpretò come una risata. Sono io che ringrazio te cavaliere dei draghi. Aggiunse poco dopo.
Poi la dragonessa si issò sulle sue zampe posteriori e allungò il muso verso il cielo.
Guiltar la stava chiamando, dovevano al più presto riprendere il viaggio.
Come a capire le sue intenzioni anche Eragon si alzò in piedi e insieme ritornarono dal gruppo.


**

Al campo, nel frattempo, Murtagh aveva costruito due selle di fortuna con una serie di pelli scuoiate nel minor tempo possibile, aiutandosi con la magia là dove il tempo non permetteva di poter aspettare.
Quando Eragon e Keiron ritornarono, vennero collaudate sopra il dorso dei due draghi.
Questo ci permetterà a noi di stare più a lungo in volo disse loro  mentre stringeva una delle cinghie al ventre di Guiltar, la cosa non fu di molto gradimento al drago che emise un piccolo ruggito di protesta non appena sentì la cinghia aderire con troppa insistenza contro i fianchi.
Neanche a Castigo era piaciuta la prima volta. Ridacchiò Murtagh osservando il muso del grande drago verde arricciarsi alla strana sensazione che la sella gli procurava.
Poco lontano anche Eragon stava montando la sella per Keiron. Il volto di Murtagh ritornò nuovamente serio nel vedere il fratello in difficoltà nel fissare una delle cinghie. Murtagh lasciò Guiltar e gli si avvicinò per aiutarlo.
- Aspetta. Ti faccio vedere, è semplice, ma bisogna sapere dove far passare i legacci. Ecco. -
Eragon lo lasciò fare. Volersi scusare e aveva appositamente fatto finta di sbagliare per avere un minuto da solo con lui. Eragon aspettò con pazienza che finisse, poi a volto basso gli si avvicinò.

- Mi potrai mai perdonare per essermi comportato come uno sciocco? Per non averti creduto quando mi hai detto di Saphira? - Il volto di Murtagh si illuminò con un sorriso. Prendendolo per le spalle scosse con delicatezza il fratello, così da spingerlo ad alzare il viso.

- Guardami Eragon, non hai nulla da farti perdonare. Capito? Ora la cosa che più conta è raggiungere presto questa terra dei draghi. -
- D’accordo - gli rispose Eragon sollevato dalle sue parole.
Raggiunsero Par e Morgana che stavano caricando i pochi bagagli che possedevano e tutti e quattro montarono sulle nuove selle.
Di intesa Keiron e Guiltar si diedero un tacito segnale per partire.
Siamo pronti dissero all'unisono la voce dri due cavalieri
Bene perché ora ci fermeremo solo per brevi soste. Disse loro Guiltar, spiccando un potente balzo. I loro artigli graffiarono il terreno, lasciando profondi solchi. I due draghi piegarono le ali e presero quota.
Dietro Murtagh, Morgana si strinse forte al busto del cavaliere; quel primo volo, senza protezioni non era stato dei più piacevoli, e sperò di cuore che il secondo potesse andare meglio. Par, invece, salito dietro ad Eragon con disinvoltura, si accomodò sul dorso di Keiron, volgendo di quanto in quanto il suo sguardo a Vespriana, che da dietro la coda della madre li seguiva a una certa distanza.

***

Era ormai da un giorno e una notte che volavano senza sosta, e Keiron e Guiltar non davano alcun cenno di stanchezza, solo un leggero fastidio dovuto alle selle; Vespriana, nonostante la sua giovane età, si era dimostrata presto, al pari dei suoi genitori, una dragonessa tenace e alquanto orgogliosa; solo un paio di volte durante la notte si concesse di appoggiarsi al loro fianco per riposare un po’.


In una delle brevi pause concesse dai due draghi Eragon si era appoggiato al ventre di Keiron per riposarsi, ara da tempo che ormai sentiva di aver riacquistato quasi tutte le energie.
Accanto a lui il cavaliere poté sentire Par masticare con parsimonia la sua galletta di riso e mele. Non c’erano state molte occasioni fino a quel momento di comunicare con l'elfo. Eragon sapeva che Par aveva viaggiato a lungo solo con Saphira e nella sua mente c’erano così tante domande, sia su di lei che sulle Terre Selvagge, ma non aveva idea da dove cominciare.

- Sai avevi ragione riguardo a Oliviana. – disse infine per rompere il ghiaccio. Nel sentire la voce di Eragon Par abbassò la galletta che stava per addentare e lo guardò accigliato. Eragon proseguì.

- Averla aiutata a guarire ha influenzato il mio giudizio e ho sottovalutato molti particolari di cui avrei dovuto tenere conto. Ho capito quello che volevi dirmi quella mattina solo quando Oliviana non si è persa per sempre in Verschna. Gli spiriti che la possedevano hanno detto di aver approfittato di quella sua debolezza per soggiogarla. – Ammettere le sue responsabilità lo aveva alleggerito di un gran peso. Par sembrò meditare un attimo sulle sue parole.

- Era lo spettro quello che hai sconfitto alla grotta, non era più Oliviana e, per quanto possa esserti di aiuto cavaliere, penso che anche tu avessi ragione – fu il turno di Eragon ad accigliarsi.

- Riguardo a cosa? - 

- Non era un nostro diritto decidere della sua vita. –

- Ti ringrazio Par. Anche per essere stato accanto  a Saphira quando ne ha avuto bisogno. –

- Per la guarigione devi ringraziare Morgana, io non ho fatto altro che aiutarla. Se devo essere sincero, per la maggior parte del tempo non avevo idea di quello che la maga stava facendo! -  

Alle sue parole Eragon scoppiò in una calda risata che contagiò anche Par - Apprezzo la tua sincerità. – disse continuando a ridacchiare per poi tornare di nuovo serio.

– Par ho bisogno che tu mi dica cosa importante. Cosa intendono tutti quando dicono che devo dimostrare la forza del mio legame con Saphira? –

Par si era aspettato quella domanda - Non è facile da spiegare. – disse - ma forse si può riassumere tutto con un nome Sigmar. È il loro capo ed è ostile a chiunque non sia un drago. – concluse Par per poi addentare la sua galletta. - Quando lo incontrerai – proseguì continuando a sgranocchiare - ti renderai conto che è lui che per primo di tutto dovrai convincere. –

- Ho come la sensazione di non avere questa grande fretta di trovarmi di fronte a Sigmar – borbottò Eragon in tutta risposta.         

Passarono altri quattro giorni, e il paesaggio si trasformò lentamente. Dopo avere passato una serie di grandi affioramenti rocciosi si aprì sotto di loro una grande vallata ricoperta da una vegetazione rigogliosa.
Benvenuti nella nostra terra cavalieri dei draghi annunciarono Keiron e Guiltar ai loro passeggeri.
Per la prima volta, da quando erano partiti da Alagaësia, i due fratelli sentirono come di essere tornati a casa. Qualcosa nell'aria fece loro fremere il sangue nelle vene, mentre Guiltar e Keiron passavano come due frecce sopra il grande lago, e dirigendosi direttamente verso una formazione rocciosa.
Atterrano su una piattaforma naturale.
Saremo lieti di mostrarvi le meraviglie della nostra terra più tardi. Disse Keiron una volta che tutti e quattro i passeggeri scesero dai loro dorsi.
Ma prima c'è una questione urgente che devi al più presto risolvere Eragon il suo sguardo si rivolse allora in direzione dell'alto promontori, che troneggiava su quella altura.
Eragon seguì lo sguardo della dragonessa per intravedere la sagoma di un drago dalle squame di ghiaccio che ora li guardava dall'alto.
Per Eragon non c'erano state bisogno di parole per capire che si trattava Sigmar.
Sigmar ti sta attendendo sulla cima, Cavaliere.
Disse improvvisamente la voce di un drago, che nel frattempo era comparso silenziosamente al fianco di Guiltar e Keiron. Il loro arrivo era stato avvertito già da tempo nella valle e il giovane messaggero aveva ricevuto il compito di condurre il Cavaliere Del Drago chiamato Eragon di fronte al loro capo.
Adesso? Fece Eragon sgomento.
Il giovane sentì i muscoli e le ossa del corpo intorpidite per il lungo volo protestare con vigore quando fece per muoversi verso il messaggero che, incurante della sua obiezione, lo spinse con il muso lungo il cammino che portava verso la cima. Degli attoniti Murtagh Par e Morgana lo videro sparire dietro le rocce senza avere il tempo di poter dire o fare nulla.  

 

 

 

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Capitolo 29
*** Due volontà a confronto ***


Il sentiero, sviluppato a spirale tutto intorno al picchio, era stato ripido e tortuoso; solchi profondi provocati dagli artigli dei draghi squarciavano il terreno, costringendo più di una volta Eragon a dover aggirare o scavalcare dei veri e propri fossati. Ad ogni passo la meta sembrava sempre più irraggiungibile, poi dopo un tempo che gli parve infinito Eragon intravide la cima e, saliti due bassi gradoni, si trovò infine faccia a faccia con Sigmar.
Il drago argentato si eresse in tutta la sua imponenza dinanzi al cavaliere, osservandolo con sguardo altero e mal celando fin da subito il suo disprezzo. L'aspetto esile e delicato tipico degli elfi, molto evidenti agli occhi del drago, non fece altro che avvallare il suo precedente giudizio su di loro.
A quel pensiero Sigmar schioccò i suoi denti con una certa soddisfazione, per poi rivolgere lo suo sguardo al messaggero arrivato insieme al cavaliere:
È lui Eragon, il cavaliere di Saphira? Il drago assentì con la testa mentre Eragon divampò di fronte alla scarsa considerazione che il drago gli stava dimostrando. Si fece quindi avanti, deciso a non rimanere in disparte.
Si può parlare direttamente a me Sigmar disse in tono fermo e conciso.
Gli occhi del drago guizzarono veloci dal messo verso Eragon. Il drago nascose subito la sorpresa dietro uno sguardo di sufficienza.
Chiedo dunque venia, giovane umano. Non avevo idea riusciste a comprenderci disse scusandosi, ma senza mostrare il minimo rimorso.
Il legame che unisce un cavaliere al suo drago ci permette di essere più simili di quello che si pensa fu la risposta asciutta di Eragon.
Sentì lo sguardo ostile di Sigmar penetrargli l'anima come per schiacciarla, e si costrinse a rimanere calmo. Par lo aveva avvertito del suo astio ma Eragon non aveva idea che fosse così acceso.

Sigmar sorrise divertito
Non negò di esserne sorpreso umano. Disse con tono asciutto.
E dato che si è risolto il primo problema, direi che possiamo passare direttamente alla seconda e più importate questione. Il motivo per cui ti trovi qui. Senza aspettare la sua risposta Sigmar si diresse verso il bordo opposto della sporgenza in direzione nord. Una distesa coperta di boschi e vegetazione dove un grande branco di Draghi pascolava indisturbato.
Dovrai rendere onore al patto che Saphira ha stretto con noi draghi liberi. La tua dragonessa è una di noi adesso. Priva del lazzo del vostro legame che la rendeva schiava di voi bipedi, vive i suoi giorni libera in mezzo ai suoi simili. Se riuscirai riconoscerla tra i tanti draghi della valle e connettere nuovamente le vostre menti, allora sarà la provo che il vostro legame è forte e puro. Sigmar sottolineò la parola purezza, con tale fastidio che Eragon non poté fare a meno di incalzarlo con altrettanta forza.
Tu non lo approvi affatto, vero? E non ci sarà prova che potrà farti cambiare idea sul legame tra draghi e cavalieri. La sua era stata una semplice constatazione.
Sigmar lo squadrò con durezza, ed Eragon deglutì appena sotto il suo sguardo severo. Avrebbe dovuto soppesare bene le sue parole in futuro, se non voleva provocare ancora di più la sua ira o il suo rancore.
No infatti. Non credo si possibile un legame vero e profondo tra due esseri tanti diversi. Che siate umani, o elfi, voi avete tratto solo vantaggi dalla nostra unione. No Eragon, non vi credo, e il vostro fallimento tra breve lo dimostrerà.
Ti consiglio, per non avere delle brutte sorprese, di non sperare in un'impresa facile.

Staremo a vedere Sigmar.  

Rispose Eragon con un sorriso tirato.
Eragon aveva già da tempo aperto la sua mente alla ricerca di Saphira, ma non era riuscito ancora ad avvertirla in nessuna delle menti che abitavano la vallata.
Un'espressione di sconcerto si dipende sul suo volto.
Davvero Saphira poteva essere cambiata tanto da non riuscire a riconoscerla? Una fitta di panico lo colse improvvisamente alla possibilità di poter fallire, e perderla per sempre.
Sigmar dall'alto della sua postazione sorrideva di fronte alla difficoltà del giovane Eragon strinse forte i suoi pugni lungo i fianchi.
Hai già provato a contattarla ma hai fallito. Non sei più tanto sicuro, vero ragazzo?.
Eragon digrignò i suoi denti frustrato.
Non contare che mi arrenda così presto.
Sigmar scosse la grande testa per poi avvicinarsi al volto di Eragon.
La prova no potrà durare in eterno. Con il consiglio abbiamo preposto la sua fine per domani. Se al tramonto non vi sarete ricongiunti, tu e i tuoi amici sarete costretti ad andarvene via da queste terre per non ritornarvi mai più.
Nel caso contrario, ma ne dubito, otterrete ciò per cui siete venuti, ma nulla di più, Gli accordi sono questi umano. 
Eragon guardò giù nella valle e prese un profondo respiro.
Accetto disse infine con tono risoluto.
Non deluderò le aspettative di Saphira.

Sigmar rise sotto i baffi.
Molto bene. La tua testardaggine renderà il tuo fallimento ancora più grande.
Eragon cercò di ignorarlo, e rivolse il suo sguardo al paesaggio che aveva di fronte: un vasto territorio che si perdeva a dismisura davanti ai suoi occhi; e mentre il suo sguardo iniziò a perdersi in quell'immenso, una domanda gli affiorò alle mente.
Quali sono i confini delle terre che abitate?
Sigmar gli diede un fugace sguardo prima di rispondere:
La Stonewood alle nostre spalle, e poi i picchi montuosi, che puoi vedere proprio giù in fondo, sulla linea dell'orizzonte.
Eragon percorse lo spazio cercando di calcolarne mentalmente la distanza, e ne rimase basito, doveva essere enorme
Ed oltre a loro cosa si trova?
Noi draghi preferiamo non avventurarci, e mantenerci all'interno dei nostri confini, ormai consolidati
.
Perché? Avete forse dei nemici? chiese Eragon incalzandolo.
Questo non è assunto vostro umano. Gli rispose freddamente Sigmar, ma per un secondo i suoi occhi tradirono un immenso dolore. Eragon doveva aver toccato un nervo dolente per i draghi e il cavaliere si trattenne dal porre altre domande. Fu invece Sigmar a parlare
Dal momento che hai accettato le nostre condizioni, sei vincolato dalla tua parola a rispettare i suoi termini umano.
Eragon serrò le mascelle con trepidazione. Nessuno poteva mettere in dubbio la sua parola di cavaliere e i continui tentativi del drago di provocarlo non lo avrebbero fermato.
Rispetterò i termini posti Sigmar. Gli rispose con calma Eragon.
In tutta risposta Sigmar fece schioccare i suoi denti verso di lui. Il ragazzo fece finta di non badarvi.
Vorrei chiedere un solo un favore. Gli occhi di Sigmar si accesero di curiosità

Di pure umano.

Eragon guardò nella direzione da cui era venuto

Ho bisogno di compiere questa prova solo. Se ora scenderò di nuovo giù dal sentire da cui sono venuto, mio fratello e tutti gli altri insisteranno per accompagnarmi. Vorrei evitarlo.
Afferrando quelle che Eragon voleva dirgli Sigmar volse il suo capo dalla parte opposta.
Puoi scendere da quest’altro lato ragazzo, ma ti avverto le pareti sono ripide. Non sono adatte per essere praticate da un essere umano.

Non per me.  borbottò Eragon in risposta, e Sigmar arriccio il muso in una smorfia di disapprovazione
Quale dei due lati conduce alla valle? Chiese Eragon ignorando il drago.

Quella a nord, ma ti sfracellerai e in più non è prudente che tu ti aggiri da solo nel nostro territorio.

Perché?

Non è adatto per esseri tanto fragili come voi.

Ho la magia con me, so come difendermi. Fu la risposta sicura di Eragon
Fai come vuoi allora. Cercherò di non far avvicinare gli altri come mi hai chiesto.
Ti ringrazio Sigmar

Il drago non rispose, ed Eragon si apprestò a iniziare la sua discesa.
Quando la sua figura scomparve giù dal pianoro Sigmar emise un potente sbuffo. Avrebbe potuto insistere di più per non lasciargli percorrere quel sentiero, ma il piacere di vederlo fallire superò tutti i suoi timori al riguardo.

Dall'altra parte del promontorio, alle sue pendici Par, Morgana, Murtagh e i tre draghi attendevano impazienti che il colloquio tra i due finisse. Era ormai passata quasi un'ora, quando videro l'ombra di Sigmar apparire lungo il sentiero che girava il promontorio. Ma il drago era solo.
Murtagh andò quindi incontro al possente drago.
Dove si trova Eragon e perché non è con te? chiese senza troppi preamboli.
Ma Sigmar lo ignorò, e si diresse invece verso il sentiero che portava fuori.
Il cavaliere dei draghi Murtagh ha fatto una domanda Padre. Tutti noi vorremmo udire la risposta. Lo fermò con tono di rimprovero Guiltar. Profondamente infastidito Sigmar grugnì, ma poi rispose al figlio
Sorvolerò su tuo tono figliolo. Come da me previsto il contatto del cavaliere con Saphira è debole e non è stato in grado di contattarla. Esordì con una certa soddisfazione nella voce. Poi con tono più pacato aggiunse
Ma dato che ha tempo fino a domani al tramonto. L’umano ha insistito per scendere nella valle.
E tu gli hai permesso di andare da solo? intervenne allora Vespriana. Il tono della voce velato da profondo dissenso.
Non sono certo il suo protettore nipote, né la sua guardia del corpo. si difese il drago.
Ma come capo sei responsabile dell'incolumità di chi ne calpesta il suolo. E' quello che insegni sempre a tutti noi! Intervenne Guiltar.
Sigmar ringhiò.
Di a tua figlia che è una pessima idea affezionarsi troppo a questi umani, una pessima idea per entrambi. Presto se ne andranno e noi potremmo riprendere le nostre vite.

Guiltar non riuscì a capacitarmi delle parole del padre.
C'è una guerra in atto dall'altra parte dei nostri confini Padre. Non possiamo fare finta di nulla ancora per molto. La regina Isobel potrebbe già sapere della nostra esistenza. Gli occhi si Sigmar guizzarono d’ira.
Vi siete mostrati a quei selvaggi, non è così? Abbiamo già tanti problemi senza aggiungere le guerre che affliggono gli altri!

Padre so che continui a tormentarti per Lui. Se non è stato più ritrovato, sarà stato sicuramente…
Non osare dirlo Guiltar. Non osare pronunciare quella parola! gli ringhiò furente Sigmar, il grande drago mostrò i denti al figlio, per poi distogliere lo sguardo e girarsi dall'altra parte.
Ora basta voi due!

Intervenne Keiron.

State spaventando Vespriana, e i nostri ospiti non sono tenuti ad assistere alle vostre beghe.

Sigmar oscillò nervosamente la sua coda.
È stato l'umano a insistere per andare da solo. Questo è tutto. Il consiglio dovrà sapere della vostra escursione fuori dai confini. Perciò tenetevi pronti per essere convocati.
Detto questo il drago volò via senza aggiungere altro.
Murtagh e gli altri erano rimasti a guardare la scena senza poter capire nulla; infatti, i draghi avevano parlato tra le loro menti tagliato fuori tutti gli altri compresa Vespriana.
Keiron andò vicino al suo compagno e gli strofinò il muso sul collo.
Pensi che la vita di Eragon sia in pericolo?
Non lo so ma dobbiamo rispettare la sua decisione. L’unica cosa che possiamo fare è chiedere alle sentinelle di raddoppiare la sorveglianza.

Keiron scosse la resta
Non è mai accaduto che delle Arpie attaccassero gli uomini.
No, ma neppure che degli esseri umani ne abbiano mai incontrata una. Dobbiamo dirgli qualcosa comunque.
Concluse Keiron indicando gli altri. Guiltar le annuì
Parlerò io a Murtagh, tu invece parla a Vespriana. Lei più di tutti mi preoccupa, perché sa quello che affligge suo nonno.
Guiltar e si avvicinò con il muso al cavaliere rosso.
Eragon ha accettato la sfida di mio padre Sigmar e ha voluto affrontare la prova sa solo. Per non coinvolgervi ha scelto di scendere dall’altro versante.

Murtagh
Non ci ha voluto accanto. È il solito testardo!

Mentre Murtagh spiegava la situazione a Par e Morgana Keiron chiedeva a Vespriana di mantenere il loro segreto.
Madre! Non puoi chiedermi questo!
Figliola dobbiamo, tuo nonno ha ordinato e lui è l'autorità qui.
È il capo ma non è infallibile. Non era d'accordo nemmeno a che noi li aiutassimo, ma lo abbiamo fatto lo stesso.
Vespriana questa volta è diverso. Promettimelo.
Te lo prometto madre, ma non sono affatto d'accordo.

 

***

La discesa era stata più ardue del previsto ed Eragon dovette fermarsi più volte per ricercare un appiglio adatto dove appoggiare ogni volta i piedi e le mani.
Passandosi un braccio sulla fronte madida di sudore, Eragon riprese fiato guardando il tratto che ancora gli mancava.
Sono solo a metà tragitto, sospirò, e il sole era già alto nel cielo. Eragon serrò la mascella, e ignorando il dolore ai muscoli delle spalle, tese per lo sforzo, riprese imperterrito la discesa; non posso permettermi di spendere tutto il giorno appeso a questa parete, pensò aggrottando al fronte, e stringendo i denti accelerò il ritmo.
Era appena mezzogiorno quando Eragon poté finalmente toccare terra.
Nell'ultimo tratto aveva fatto ricorso anche del supporto magia e lievitando in aria poggiò finalmente i piedi sulla terra ferma. Il cavaliere rimase fermo alcuni minuti per poter riprendere fiato. Con movimenti lenti prese quindi a massaggiarsi i muscoli indolenziti, poi quando si sentì meglio iniziò a sondare con lo sguardo l’ambiente intorno a lui. Quella stessa foresta che prima aveva osservato d'alto si sviluppava tutta dinanzi a lui.
Tenendo lo sperone da cui era disceso, come punto di riferimento si in inoltrò al suo interno.
Durante la discesa aveva formulato la sua strategia. Cercare un posto adatto per meditare, e una volta unito con il tutto il macrocosmo rappresentato della valle, allora avrebbe potuto trovare anche Saphira. Questa era stata l'unica soluzione che era riuscito a trovare, fattibile nel poco tempo che gli era stato messo a disposizione dal consiglio. Ed Eragon sperò con tutto il suo cuore che il suo piano funzionasse.
Erano passati solo alcuni minuti da quando il cavaliere aveva iniziato a camminare, quando si rese conto di essere seguito. Inizialmente era stata solo una sensazione, poi due occhi rossi spuntarono veloci dal fondo della boscaglia, per poi sparire con altrettanta velocità.
Poco dopo i due occhi divennero quattro, e poi sei. I peli del collo si alzarono in allarme, lo avevano rapidamente circondato pronti a scattare verso di lui.
Eragon si fermò guardandosi intorno con circospezione, estrasse con rapidità la sua spada, mentre rompendo la familiare barriere magica, si preparò per accogliere i suoi aggressori.
Eragon aprì la sua mente per individuare la loro posizione; e trovò le loro menti ben protette da solide barriere. Non aveva mai sentito che altre creature oltre i draghi potessero farlo. Cercò allora di circuirle ma, al suo tentativo di avvicinarsi a loro, queste si ritirarono immediatamente. Quel breve contatto bastò per cambiare il loro atteggiamento. Improvvisamente le creature non volevano più attaccarlo ma presero ad osservarlo con un misto di timore e curiosità. Percepita la sua magia, avevano presto realizzato che poteva rappresentare un avversario per loro, e allentarono presto la presa del loro assedio. Rimasto interdetto per alcuni minuti Eragon ripose infine la sua spada nel fodero, lieto di non essersi dovuto battere con quelle creature, e si rimise nuovamente in marcia per la sua strada.
Rimasti ai margini del sentiero, poté sentire le creature continuare a seguirlo a una certa distanza.
Ma non se ne curò più di tanto, il suo principale bisogno ora, era di trovare al più presto Saphira.
Continuò ad avanzare nel sottobosco, aveva percorso solo alcuni metri, quando si imbatté in un grande albero cavo. Uno squarcio divideva il tronco a metà. Eragon percepì la sua linfa vitale scorre in maniera vibrante all’interno. Le sue radici nodose spuntavano dal terreno come tante braccia piantate nel terreno, mentre tutto intorno a lui, la natura sembrava circuirlo con rispetto. Attirato dalla potenza magnetica di quel luogo, Eragon lo giudicò perfetto per la meditazione.
Scegliendo una delle robuste radici a ridosso dell'albero, Eragon vi si sedette sopra, e preso un profondo respiro, chiuse gli occhi e si immerse nella natura.
Allargando la mente, ebbe prima la percezione dell'ambiente più prossimo, che circondandolo, lo avvolse immediatamente, risucchiandolo nelle mille e minuscole forme di vita che abitavano l'interno dell'albero cavo; poi le sue sensazioni si allargarono a la foresta intera, per espandersi infine a tutta valle, fino a spingersi ai suoi limiti, ancora per diverse miglia.
Eragon non si fermò su nessuno particolare, ma assaporò l'essenza di ogni singola vita che incontrava, percependola sia come singolo, sia come parte di una totalità.
Ben presto si rese conto che una grande forza teneva unita la valle, formata da una miriade di menti, che Eragon poté riconoscere come quella dei draghi. Legati tra di loro da un forte vincolo, impedivano a qualsiasi altra creatura al di fuori di loro di prenderne parte.
Eragon immagazzinò la notizia: questo, pensò, spiegava il perché non era riuscito subito a percepire Saphira quella mattina. Sigmar era stato molto astuto a non rivelarglielo, e reprimendo il proprio orgoglio dovette ammettere che il drago aveva avuto ragione quando lo aveva avvertito che non sarebbe stata una impresa facile.
Rilassandosi ancora di più Eragon iniziò a sondare il terreno. Iniziò a richiamare in superficie tutti i suoi ricordi più belli di Saphira, e si mise a cercarla.
Si aggirò a lungo tra le diverse menti che popolavano la valle, ma quando si imbatté in quattro dragonesse, Eragon non ebbe dubbi di essere di fronte alla presenza di Saphira.
Saphira! Le gridò attraverso la mente.
Rispondimi ti prego!

**

Saphira se ne stava appollaiata vicino a un laghetto, il suo collo aderiva per tutta la sua lunghezza al lato del corpo, mentre la testa era adagiata da un lato. Le sue compagne stavano giocando tra di loro stuzzicandosi a vicende, e lanciando in aria delle urla di gioia ogni volta che una di loro riusciva a sorprendere l'altra, mordendole la coda.
Il gioco stava andando andava avanti ormai da un po’ di tempo, stava pensando Saphira quieta, e quando i loro versi cessarono di colpo la dragonessa alzò la testa sospettosa. Troppo tardi si rese conto della loro coalizzarono per coinvolgerla nel gioco, avvicinandosi a lei di soppiatto. Saphira proruppe in un ringhio infastidito, per cedere subito dopo alle loro moine, e si lanciò quindi al loro inseguimento. Il gioco durò ancora diversi minuti, poi Saphira sbatté le proprie ali un po’ più forte, portandosi sopra le sue compagne:
Basta adesso. Sono accaldata, andrò a tuffarmi in acqua. disse loro con in fiato corto per la corsa.
Vuoi che ti accompagniamo? chiesero loro, sapevano bene la sua tendenza a rimanere spesso sola. E al suo silenzio, le altre tre fecero per andarsene. Ma quando Saphira iniziò a percepire le menti delle tre dragonesse allontanarsi, e lasciarla sola, per la prima volta da quando si trovava lì, si rese conto che la loro presenza iniziava a mancargli, e si sentì improvvisamente persa.
Dove c'era due o più draghi, la legge della valle ordinava di creare tra di loro un legame di reciproca protezione. Ma non si trattava solo di quello, attraverso di esso i draghi si univano mentalmente facendosi uno, e condividendo con gli altri qualsiasi cosa.
Inizialmente Saphira si era rifiutato di fondere così la sua mente, con altri draghi, e Sigmar non aveva insistito perché lei lo facesse subito. Saphira aveva poco tempo dopo quindi ceduto alle loro richieste, e a distanza di tempo aveva iniziato ad apprezzarne il sostegno e i vantaggi nel vivere così in simbiosi con gli altri draghi.
In cambio di questa concessione verso le usanze dei draghi Saphira chiese in cambio a Sigmar e al consiglio di poter restare fuori dalla protezione, quando e quanto tempo volesse. Ma con il passare dei giorni il tempo che passava sola divenne sempre di meno. Le sue visite a Eleonor, rimasta nella valle alla partenza di Par, si fecero più rare, mentre il pensiero del suo cavaliere, Eragon, si andò confondendo tra i mille ricordi di una vita che iniziava per lei ad essere quasi un sogno. Sapeva di aver vissuto tutte quelle cose ma era come se fosse stata un’altra Saphira ad averlo fatto.
Fu così che senza nemmeno pensarci, Saphira richiamò con un cenno le altre tre compagne che con gioia si unirono a lei in picchiata verso lo specchio azzurro del lago. L'acqua si infranse in una miriade di onde all'impatto dei loro corpi con la sua superficie, schizzò da tutte le parti, ricadendo indietro sotto forma di pesanti gocce.
Saphira stava riemergendo spensierata dalle profondità del lago, quando un tocco risuonò nella sua testa. Qualcuno stava cercando di penetrare nelle difese della sua mente, forzandole.
Subito, il legame che univa lei alle altre dragonesse, si eresse a protezione opponendo spesse mura di difesa contro il suo aggressore. L'intruso non sembrò desistere.
Puntando solo Saphira rinnovò il suo attacco con nuova forza.
Saphira uscì completamente dall'acqua e rimase ferma sopra lo specchio del lago, con il respiro affannato, subito affiancata dalle altre tre dragonesse.
Chi può essere? chiesero in coro.
Ma Saphira era stata troppo concentrata per rispondere e le altre non poterono fare altro che starle vicino. Poi un nuovo assalto, più potente degli altri, la lasciò stranamente confusa. Non era stato un attacco vero e proprio Saphira vi riconobbe una richiesta di aiuto a cui non poté rimanere indifferente.
Vi prego allontanatevi disse soltanto. Le altre tre dragonesse si guardarono tra loro con sconcerto. La sua voce non ammetteva repliche e, obbedienti alla sua richiesta, si ritirarono lentamente. Lasciarono così Saphira sola di fronte al suo aggressore, ma comunque abbastanza vicine per poter intervenire in caso di pericolo.
Di nuovo sola Saphira poté sentire quella presenza rimanere ferma e attonita di fronte a lei.

Eragon stava tentando di forzare il blocco con ogni mezzo da diverso  tempo, ma quando capì che con la forza non sarebbe mai riuscito a superare le barriere di quattro draghi uniti insieme, tentò l'unica carta a sua disposizione: quella di parlare direttamente al cuore di Saphira.
Era appena riuscito a individuare il blu immenso della sua anima, in mezzo a tutte le altre, pronto per chiederle di poter essere ascoltato, quando si rese conto che qualcosa era cambiato. Le sue difese si erano indebolite, ed Eragon non ci mise molto a capirne la causa: le altre dragonesse, si erano ritirate volontariamente, e prima che cambiassero idea Eragon ne approfittò:
Saphira, rispondimi ti prego! le gridò mentalmente, con quanta più forza aveva.

Saphira ebbe come un fremito. Quella che aveva creduto essere solo un sogno era invece reale.

Eragon? Le barriere intorno alla mente di Saphira si dissolsero, ed Eragon riuscì a percepire la dragonessa nella sua interezza.
Sei veramente tu? chiese ancora dopo alcuni minuti di silenzio dove entrambi erano rimasti fermi a osservarsi.
Saphira, sono io, in carne ed ossa. Le disse, mentre un sorriso affiorò debolmente dalle sue labbra.
Mi sei mancata da morire aggiunse poi con voce tremante.
Anche tu piccolo mio. le rispose Saphira, mentre tutto il suo corpo vibrava dall'emozione.
Saphira avrebbe voluto chiedergli tante altre cose, ma gli disse solo
Dove sei ora? Senza riuscire a smettere di sorridere Eragon gli mandò le immagini mentali dell'albero cavo dove ora si trovava, per ricevere subito la risposta eccitata di Saphira.
Sarò da te in un attimo, non muoverti!
Tagliato momentaneamente il contatto Eragon riemerse pian piano dal suo stato di trance, con mani tremanti si toccò il volto per scoprirlo rigato dalle lacrime, che calde avevano inzuppato anche la sua tunica. Asciugandosi le gote con il dorso della mano, si affrettò a sgranchirsi le articolazioni intorpidite dalla posizione assunta, per mettersi subito a scrutare il cielo.
Non passò molto che un'ombra azzurra passò sopra di lui, per essere raggiunto nuovamente dalla voce di Saphira.
Non posso scendere, gli alberi sono troppo fitti in quel punto per me... più avanti la foresta si dirada, puoi venire tu?
Certamente Saphira, quale direzione devo prendere? Chiese Eragon che già si era messo in piedi mentre le cime degli alberi con i loro rami filtravano la luce del sole pomeridiano, lasciando in una fresca penombra il sottobosco.
Dirigiti più a sud, ma come hai fatto a liberarti da Isobel. È stato Par è quindi riuscito a raggiungerti?
Il ricordo della sua prigionia fece sparire per un attimo il sorriso ad Eragon offuscandogli il volto, ma fu solo un attimo, poi con rinnovata serenità rispose
In parte è stato lui. Ma è stato aiutato da Murtagh e Morgana.
Al nome di Murtagh Saphira si illuminò
Castigo è con loro?
No, mi dispiace Saphira
gli rispose Eragon Castigo è dovuto rimanere ad Artara
Eragon percepì subito la delusione, sprigionare dalla sua compagna, e per il alcuni minuti nessuno dei due parlò, anche se le loro menti rimasero sempre in contatto, nutrendosi in silenzio ognuna della presenza dell'altra.
Eragon stava inoltrandosi sempre più all'interno della foresta, ormai a più di metà tragitto che lo separava da Saphira, quando improvvisamente la terra gli mancò sotto i suoi piedi, facendolo precipitare in basso. Superato lo shock iniziale, Eragon ebbe appena il tempo di guardare in basso per accorgersi delle rocce appuntite appena sotto di lui, e con prontezza di riflessi, riuscì ad evitarle in tempo, pronunciando poche ma efficaci parole. Evitate le rocce, Eragon e cadendo su un fianco rotolando per qualche metro fino a sbattere con un grugnito contro la parete di fondo di un vasto ambiante.
Eragon rimase immobile per un lungo istante prima di tentare qualsiasi movimento. Un crescente senso di disagio lo pervase, mentre il forte odore che emanava la grotta aggredì con forza le sue narici. Eragon rabbrividì, nel percepirvi un alone di morte. A qualunque cosa fosse servita quella grotta era ancora satura della malvagità di colui e coloro che l'avevano utilizzata.
Lottando contro il disgusto che minacciava di sopraffarlo, Eragon si costrinse a mettersi in piedi, il buio regnava dentro quella caverna, e l'apertura sul terreno da dove era caduto, sembrava essere stata l'unica fonte di luce.
Eragon tutto bene?
Sentì Saphira chiamarlo con una certa preoccupazione nella voce
Si Saphira sto bene. Solo un po’ frastornato.
Cosa è successo?
Sono caduto in una fossa, credo che sia stata la tana di qualche animale, ma sembra essere stata abbandonata da poco.
Esci subito di lì, non piace affatto
Neanche a me.
Gli rispose con un brivido il giovane.
Eragon stava dirigendosi verso l'apertura, quando un lieve bagliore sul fondo attirò la sua attenzione.
Aspetto ho vista qualcosa. Voglio andare a controllare di cosa si tratta.
Eragon!
Poi prometto che uscirò
Eragon no, via vai subito di lì!

E una questione di poco Saphira. la dragonessa sbuffò
D'accordo ma sii prudente. Annuendole mentalmente Eragon si avvicinò quindi al fondo.
E quello che gli era apparso inizialmente solo un flebile luccichio si rivelò presto ai suoi occhi per quello che era veramente. Eragon sgranò i suoi occhi dallo stupore a quella vista: una pietra, dalla superficie interamente levigata e lucente, giaceva sola nel mezzo di una conca. Quel tipo di pietra che si rivelò subito molto familiare alla mente del cavaliere.
La pietra era un uovo di drago!
Eragon gridò subito la sua scoperta a Saphira. Ma la sua reazione non fu altrettanto entusiasta.
Allarmata la dragonessa gli ripeté ancor una volta di uscire al più presto di lì.
D'accordo, d'accordo, ora esco, ma cosa ti prende? Perché sei così agitata? Chiese preoccupato. Saphira non si sarebbe adirata senza un valido motivo. La risposta raggiunse il giovane qualche secondo dopo. Mentre era intento ad avvolgere l'uovo intono al suo mantello Eragon posò gli occhi all'ambiente che lo circondava.
Il sangue gli si gelò nelle vene, mentre con orrore riconobbe sul terreno una serie di gusci frantumati, ma macchiati di sangue.
Saphira, è terribile.
Lo so, ma ora esci di li in fretta. Sento qualcuno avvicinarsi.
Li sento anche io, esco subito.
Le disse Eragon dirigendosi velocemente sotto l'apertura del soffitto. Era l’unica via di fuga sicura per lui per poter uscire da quella grotta. Tagliò la comunicazione con Saphira per rompere in seguito le familiari barriere della magia. Stava quindi per pronunciare le parole nell'antica lingua, che gli avrebbero permesso di lievitare fino in superficie, quando un improvviso fruscio, proveniente dal fondo della grotta, lo fece trasalire.
Con una velocità sorprendente, tre creature, che Eragon riconobbe subito come quelle incontrate all'entrata della foresta, lo circondarono, posando all'unisono i loro sguardi famelici sul prezioso uovo che Eragon teneva strettamente avvolto nel suo mantello.

 

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Capitolo 30
*** Le arpie e la battaglia delle uova ***


Eragon strinse a sé il prezioso uovo che teneva in mano e, alzando la sua mano destra, fece sfavillare il suo gedwey-ignasia sulle tenebre che lo circondavano. Le creature fecero un solo passo indietro, ringhiando, ma intente a non cedere il campo.
Se nella foresta le loro intenzioni erano state solo quelle di osservarlo, attirate dalla sua magia, ora la situazione era completamente ribaltata. Invadendo il loro territorio Eragon si era trasformato ai loro occhi in un nemico, che stava sottraendo loro il prelibato cibo rubato con tanta fatica ai draghi.
Non sarebbe bastato mostrargli il suo potere per poterle mandare via, ora era una questione di sopravvivenza. Si sarebbero battute fino alla fine per difendere il loro onore e quello del loro branco. 

Avanzando nuovamente minacciose, le tre arpie entrarono nel tenue cono di luce, permettendo ad Eragon di poter vedere come erano fatte. 

Molto simili ai draghi, ma in miniatura, avevano un muso allungato, come quello di enorme lucertola, con due occhi piccoli e crudeli che si muovevano frenetici privi di palpebre e una potente fila di denti acuminati da cui fuoriusciva una sottile lingua che sembrava anche lei poter ferire. Le creature poggiavano sulle loro gambe posteriori, muscolose e robuste, mentre quelle anteriori, più corte e piccole, ma fornite di tre artigli ricurvi, erano pronte a ferire e dilaniare tutto quello che gli si paravano di fronte. La loro lunga coda a lancia, dava loro l'equilibrio, permettendogli di sbilanciare tutto il corpo in avanti, e trasformandosi in una perfetta macchina di morte.
Eragon allargò la sua mente, per sondare quella delle tre creature, come nella tecnica adottata dai draghi anche le tre arpie avevano legato le loro menti in una sola, formando così una formidabile barriera.
Saphira aiutami!
Sono qui Eragon gli rispose pronta Saphira, che unì così la sua mente a quella del suo cavaliere, ma in quel momento le creature attaccarono all'unisono, Eragon riuscì a schivare con uno scatto gli artigli di una, e fermare con la magia quelli la seconda, ma la terza riuscì a colpirlo alla coscia destra. Eragon vacillò appena, mantenendo intatta la sua presa sull'uovo, e facendo sibilare frustrate le bestie che si misero così a giragli intorno con rapidità.
La ferita alla coscia gli pulsava terribilmente, e poteva sentire il sangue caldo, colare giù lungo la gamba.
Eragon! Non puoi combattere così, ti distruggeranno!
Lo so, ma non posso lasciare l'uovo. Lasciarlo a terra sarebbe troppo rischioso. A meno che…
Cosa hai intenzione di fare?
Ora vedrai. Tieniti pronta Saphira.
Prima che potessero attaccarlo di nuovo, Eragon alzò in aria l'uovo. Il mantello che lo ricopriva scivolò sopra la superficie liscia, facendolo brillare alla tenue luce proveniente dal soffitto.
Le tre bestie guardarono l'uovo, pronte a scattare per afferrarlo dalle sue mani, ma Eragon pronunciò rapido alcune parole e una luce accecante esplose dalla sua mano, facendole stridere di dolore.
Quando la luce si dissolse l'uovo era sparito.

Saphira poté sentire le energie di Eragon abbandonare rapidamente il suo corpo, poi nello stesso istante, una luce scoppiare a poche iarde da lei, per far ricadere sull'erba morbida un oggetto. Saphira si voltò all'erta con la coda alzata, per trovarsi di fronte all'uovo di drago tanto agognato dalle arpie. Poco lontano le altre tre dragonesse videro la scena e avvertita la presenza del loro nemico, si precipitarono senza nemmeno pensarci, ad avvertire subito Sigmar dell'accaduto.

Eragon respirava con affanno, barcollando sulle gambe si guardò intorno con aria guardinga.
Le bestie erano state più inferocite che mai adesso, alla ricerca con i loro occhi della loro preda, soffiarono a Eragon minacciose.
Ma adesso Eragon era pronto. Estratta rapidamente la spada dalla mano sinistra, si mise in posizione di difesa e attese.
Sei stato imprudente a non avvertirmi prima! lo rimproverò Saphira nella sua mente, preoccupata nel sentire l'ondata di dolore, da parte di Eragon, dove le arpie lo avevano ferito.
L'uovo sta bene? E' con te? chiese rapido Eragon
Si è qui.
Bene. Ed ora Saphira dovrai sostenermi, non posso farcela da solo. Trasportare l'uovo mi ha privato di molte energie.
La risposta di Saphira non arrivò mai all'orecchio di Eragon, perché le tre arpie attaccarono di nuovo, tutte insieme. Ma la sua presenza accanto alla sua mente bastò al cavaliere per capire che la dragonessa lo avrebbe sostenuto fino alla fine.
Scattando di lato per schivare un loro artiglio.

- Skolir! -  gridò e la grotta venne di nuovo illuminata dalla luce della magia, e uno scudo rotondo, circondato di ardenti fiamme blu, comparve dal nulla ricoprendo il suo avambraccio.
La perdita di energia per mantenere lo scudo era  molta, e di sua spontanea volontà Saphira intensificò il suo legame.
Con lo scudo Eragon riuscì a pararsi dai loro attacchi, e avvicinarsi a una di loro tanto da arrivare a ferirla al ventre, il sangue zampillò e la bestia si accasciò a terra, morente; le altre due arpie indietreggiarono subito, abbassando le loro difese, atterrite. Eragon ne approfittò per immobilizzarle.
- Letta - latrò.
Sentì le loro menti ormai prese dal panico, abbassare ogni difesa, Eragon non ebbe difficoltà a prenderne il controllo.

Un flusso improvviso di immagine travolse la mente del cavaliere come un fiume in piena, ed Eragon venne sommerso di i ricordi delle due arpie: la loro vita da cuccioli all'interno del branco, poi l'emarginazione dal gruppo, il vagabondaggio per terre desolate, sole e senza cibo, la fame che le attanagliava; loro così orgogliose e fiere, ridotte a cacciare piccoli ratti e insetti. Poi l'arrivo nella terra dei draghi, a loro interdetta da molto tempo ormai. La paura di essere sorprese in un territorio proibito. Poi la scoperta della uova, la decisione del loro furto, e lo scontro con i draghi. La fuga disperata dentro la boscaglia dove per i loro inseguitori sarebbe stato impossibile scovarli.
Un interrotto vagare nel sottobosco, aspettando il momento opportuno per poter uscire dalla valle inosservate. Il tempo che passava, poi le immagini delle uova rotte e dei piccoli che ne uscivano divorati all'istante riempirono di orrore gli occhi di Eragon. Nessun rimorso si poteva leggere nelle loro menti per il loro gesto afferrato, anzi Eragon poté sentire una certa soddisfazione nell'essersi procacciati del cibo prelibato in modo così facile. 

Saphira è terribile!
Davanti a lui le due creature si dimenavano dalla rabbia, per finire in un ululato di puro dolore, quando uscì infine dalle loro menti. 

Nuovamente in sé Eragon si apprestò senza esitare a pronunciare una delle sette parole di morte.
Ma il colpo finale non arrivò. Nonostante fosse consapevole che una condanna a morte fosse una sentenza giusta, Eragon rimase fermo dinanzi ai due animali bloccati e inermi, incapaci ormai di difendersi, colpito improvvisamente dalla cruda verità.
Cosa c'è Eragon? Cos'è che non va? Domandò Saphira, che aveva percepito il suo sconcerto.
Non possono più farmi nulla ormai. Se le uccidessi ora, diventerei come loro.
Sono delle assassine Eragon, non puoi cambiare la loro natura. Uccidendole impedirai solo che facciano del male ad altri esseri viventi.
Quello che dici è vero Saphira, secondo i criteri umani il loro gesto meriterebbe la morte.
disse Eragon a denti stretti, Saphira lasciò sfuggire un ringhio di approvazione.
Ma è nostro diritto giudicare le loro azioni? Sono state spinte dalla fame. È stato il loro istinto a guidarle, un istinto che a noi appare crudele, ma che per loro rientra nella normalità. Come hai detto tu stessa è la loro natura. Aggiunse, infine, osservando la paura che ora traspariva dai loro occhi.
Perdonami Saphira, ma non posso farlo. C'è solo un'altra strada ed è quella di lasciare la decisione della loro sorte al consiglio dei draghi. Le disse Eragon.
Saphira rimase in silenzio per una serie di minuti, mentre la rabbia per ciò che aveva visto fare alle uova, scemava, stemperata dalla verità delle parole appena pronunciate dal suo cavaliere.
Il consiglio dei draghi li condannerebbe senza appello Eragon. disse soltanto, improvvisamente consapevole di quello che era giusto fare.
Ne sei certa Saphira? mormorò lui di rimando. La dragonessa prese un lungo respiro.
Si Piccolo mio, più che sicura.
E così, con sguardo serio e deciso, Eragon si rivolse alle due arpie, per parlargli un'ultima volta alle loro menti. Saphira era al suo fianco.
Potrei uccidervi all'istante, se solo lo volessi. Iniziò a parlargli con voce ferma e decisa. Eragon strinse con la magia sulle loro gole, quasi a soffocarle, e le bestie smisero di dimenarsi e stettero a sentirlo. Ma vi darò la possibilità di andarvene, se accetterete di non fare più ritorno in queste terre!
Comprendendo che gli stava venendo risparmiata la vita, una delle due arpie assentì, seguita subito dopo dall'altra, che sibilando furenti per la sconfitta appena subita, la imitò riluttante.
Poi fu un attimo. Eragon aveva appena rilasciò la magia sulla seconda arpia, quando questa gli si rivoltò improvvisamente contro. Eragon ebbe appena il tempo di alzare la spada, ma era stato troppo lento, e non poté far altro che osservare impotente l'artiglio della bestia calare inesorabilmente su di lui. Il corpo dell'altra arpia fece inaspettatamente da scudo, mentre l'artiglio andò a colpire fatalmente la gola dell'animale, che cadde a terra con un lamento.
Eragon!
Ripresosi rapidamente dalla velocità degli eventi, Eragon non esitò a rompere le barriere della magia, per usarla contro la creatura, che ora stava per attaccarlo di nuovo. Ma prima che potesse anche solo muovere un muscolo verso di lui, stramazzò a terra, morta.
Quando la grotta ritornò di nuovo silenziosa, Eragon rilasciò un sospiro. Una fitta alla gamba gli ricordò della ferita. Era profonda e bruciava terribilmente.
Stai bene? Sentì pronta la voce di Saphira.
Credo di sì. Le rispose lui solo dopo qualche secondo, osservando i corpi delle tre arpie che giacevano a terra, una di loro si mosse. Era l'arpia che aveva tentato di difenderlo dal suo compagno.
Eragon le si avvicinò piano, e gli si chinò accanto. Respirava ancora, ma le sue forze vitali erano molto deboli. Con un solo sguardo Eragon seppe che non c'era nulla che avrebbe potuto fare per lei ora; ma non avrebbe lasciato che soffrisse inutilmente, e raggiungendo il suo cuore con la propria mente, ne prese possesso e lo aiutò a fermarsi.
La creatura spirò e rimase immobile sul terreno.
Nessuno di noi è mai del tutto buono o del tutto cattivo.
No Eragon, ma l'errore di queste tre arpie poteva condannare la loro intera razza. Se è vero che sono state solo loro a rubare le uova, allora i draghi devono sapere la verità.
Se vorranno accettarla da me. Sigmar non ha molta simpatia nei miei confronti.
Lo dovranno fare, dopo aver visto l'uovo.
Le rispose subito Saphira
Ma Eragon alzò il volto per guardare l'apertura sul soffitto. Non aveva le energie sufficienti per potersi curare e uscire da lì insieme; quindi, strappò con una smorfia la manica della sua tunica, e improvvisando una fasciatura di fortuna, fermò la ferita alla gamba. Poi riportò la sua attenzione in alto.
Ce la puoi fare piccolo mio. lo incoraggiò allora Saphira.
Grazie.
le sorrise Eragon, dopodiché le parole nell'antica lingua affiorarono alle sue labbra, e il cavaliere sentì i propri piedi staccarsi dal terreno e con lo sguardo rivolto in alto, vide l'uscita farsi sempre più vicina.
La tiepida luce del pomeriggio, filtrata dalle fronde degli alberi, accolse il suo ritorno in superficie.
Una volta fuori, incurante della stanchezza, riprese faticosamente la sua strada verso l'uscita.
Ogni passo era un'ondata di dolore, ma il pensiero di avvicinarsi a Saphira lo fece resistere, e andare avanti. Dopo un tempo che gli parve eterno, Eragon intravide infine una luce più forte proveniente dal fondo, e seppe che era arrivato. Spinto dal desiderio di rivedere la sua dragonessa, il cavaliere accelerò il passo più che poté, fino a quando la luce del sole non lo investì in pieno volto ed Eragon poté scorgere una sagoma zaffiro accucciata a terra.
Eragon le andò incontro correndo, per arrivare a pochi passi da lei e bloccarsi di colpo.
- Saphira! -
I loro sguardi si ritrovarono l'uno nell'altra un'altra volta, dopo tanto tempo. Il loro cuori esplosero di gioia, fino a quando Eragon non ruppe quel silenzio, e si gettò addosso al suo collo, stringendola a sé, accarezzando le squame e strofinando il suo viso sul muso della dragonessa. Rimasero fermi in quella posizione per minuti interi, mentre calde lacrime di gioia sgorgavano dai suoi occhi
- Mi sei mancata così tanto Saphira! - sussurrò piano.
Anche a me piccolo mio.
Scostandosi appena Eragon inclinò di poco la testa, poi incrociando i suoi grande occhi, Eragon di staccò del tutto.
Sono fiera di te Eragon, per il modo in cui ti sei comportato poco fa con le arpie.
Eragon scrollò le spalle.
Non è servito a salvarle.
Sono state loro a scegliere il destino loro destino non tu.
Eragon assentì debolmente, per dirigersi verso l'uovo, seguito da Saphira, che da dietro allungò il collo per osservarlo anche lei.
Sigmar è in grande debito con te ora Eragon, come tutti i draghi di questa valle.
Sai a chi appartiene?
Si Eragon, è l'ultimo uovo che la compagna di Sigmar aveva deposto prima di morir
e.
Eragon rimase a guardare l'uovo senza dire nient'altro. Poi salì sul dorso di Saphira adagio, senza una sella, strinse l'uovo con un braccio, e con l'altro si aggrappò a una delle squame alla base del suo collo.
Sono pronto dolcezza gli disse con gioia. Senti i muscoli della dragonesse gonfiarsi sotto di lui, il ventre vibrò di eccitazione, poi le ali si aprirono e Saphira spiccò un potente balzo per librarsi in aria con eleganza.
Giunsero in tempo alle rupi, per vedere un nutrito gruppo di draghi prepararsi per partire.
Appena scorsero Saphira, ruggiti di sorpresa accolsero il suo atterraggio.
Sigmar in mezzo a loro si fece vanti, e grande fu il suo stupore nel vedere Eragon sul suo dorso.
In qualche maniera quel ragazzo era riuscito a penetrare le loro barriere protettive, pensò irritato, e contro tutti i suoi presagi aveva stabilito il suo contatto con Saphira.
In un moto di orgoglio Sigmar si rifiutò di incrociare il suo sguardo, e ignorandolo apertamente si rivolse direttamente a Saphira
Flora, Serenity e Gea, mi hanno riferito che sei stata attacca, e di una luce che è esplosa. Cosa è successo? chiese con tono autorevole.
La risposta di Saphira arrivò fredda e velata di ostilità
Tutto a suo tempo Sigmar e non prima che il mio cavaliere possa scendere e riprendere fiato. Gli rispose sottolineando a tutti loro la presenza di Eragon.
Ignorando il grugnito proveniente da Sigmar, Saphira si voltò quindi verso Eragon.
Il cavaliere si lasciò scappare un sorriso, Saphira che non era mai stata tanto protettiva con lui come in quel momento, e questo pensiero li procurò un piacevole calore che lo fece sentire meglio.
Attenta a non tirare troppo la corda con lui Saphira, o rischi di farlo arrabbiare sul serio. La stuzzicò Eragon bonariamente.
Deve portarti più rispetto Eragon, o dovrà presto pentirsi per averti trattato in questo modo. Gli rispose Saphira più seria che mai, lasciandolo stupito.
Te ne sono grata, ma spero che non sarà necessario.
Anche io piccolo mio, ma nessuno deve più dubitare di noi due.
Abbassandosi sulle sue gambe posteriori e stendendo il collo lungo il terreno Saphira permise a Eragon di scendere comodamente da lei, sotto l'occhio curioso di tutti i draghi.
Il cavaliere fece una leggera smorfia quando poggiò a terra la gamba ferita, e le sue membra tremarono un poco, ma la presa sull'oggetto avvolto nel mantello rimase ferma.
Sigma, notò contrariato la reazione del cavaliere, e chiese con fastidio:
Cosa ha fatto l'umano alla gamba? e cosa è quello che porta con tanta cura?
Saphira si voltò verso di lui, furente.
Sigmar stava per replicare quando Eragon si fece inaspettatamente avanti, ponendosi tra lui e Saphira:
Saphira, lascia pure che si a io a rispondere. disse con voce deciso, ma senza essere scortese.
Sono stato ferito dagli artigli di una arpie, e che mi hanno attaccato dopo aver sottratto a loro questa. Disse mentre rivelava l'oggetto celato sotto il mantello.

 

La vista dell'uovo lasciò tutti senza parole per alcuni secondi. Poi Sigmar fece due passi in avanti, avvicinandosi a Eragon, e piegando il collo andò a toccare con il muso l'uovo che il cavaliere teneva in mano. Le labbra arricciate di Sigmar sfiorarono la superficie liscia dell'uovo, il suo respiro caldo investì Eragon che rimase immobile sul posto senza indietreggire; dietro di lui sentì Saphira farsi più vicina non fidandosi ancora delle intenzioni del drago argentato.
Credo che tu sappia già cosa esso sia. Vero? chiese Sigmar con tono velato da profonda emozione. La sua non era stata una domanda ma Eragon annuì lo stesso con la testa. Sigmar assentì a sua volta.
Non andare oltre Sigmar. Tuonò una voce nelle menti di tutti, mentre tra i ranghi dei draghi emergeva una anziana dragonessa bruna. Le sue vecchie squame erano state testimoni di molte albe, e un silenzio reverenziale calò tra gli latri draghi, mentre si affiancava con sicurezza a Sigmar.
Senza alcuna traccia di arroganza, rivolse ad Eragon e Saphira il suo sguardo profondo.
Eragon rimase colpito nel vedere Saphira ricambiarlo con un sordo mormorio.
È palese agli occhi di tutti che il giovane umano è riuscito a superare la sua prova Sigmar. Non c'è alcun motivo per continuare a dubitare di lui. Metti da parte i tuoi timori, e lascia che racconti cosa è accaduto, e come è arrivato a trovare il luogo deve le arpie tenevano l'uovo. Forse saremo in grado di conoscere quale è stata la sorte del resto della nostra cova.
Le parole della dragonessa trovarono il consenso di tutti i draghi, e Sigmar non poté fare atro che annuire.
Eragon, è questo il tuo nome? Ti prego parla pure. Ti ascoltiamo.

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Capitolo 31
*** Perdonare e dimenticare ***


Alla richiesta della dragonessa bruna Eragon si girò verso Saphira.
Aventi piccolo mio gli disse spostando la sua coda intorno a lui a protezione e porgendo il fianco come sostegno.
Parlerò disse Eragon rivolto a tutti i draghi.
Così Eragon raccontò loro quello che gli era accaduto da quando si era lasciato con Sigmar. Raccontò della discesa dalla rupe; e quando arrivò a dire delle arpie Saphira lo aiutò mandando loro le immagini che il cavaliere avevano condiviso con lei. Raccontò loro tutto, compresa la sua offerta di liberale, dopo averle immobilizzate e costrette alla resa.
“Questo è inammissibile. Con che autorità voi due... Si era intromesso Sigmar gonfio di rabbia ma venne subito ammonito dal drago bruno

Lasciali finire la loro storia Sigmar. Anche in mezzo ai draghi iniziarono ad alzarsi le voci di coloro che voleva intervenire, e che avevano creato una vera e propria rottura. Sigmar a quel punto fu costretto a placare gli animi di chi lo sosteneva, permettendo così ad Eragon seguitò a raccontare dal punto in cui lo aveva fermato. Eragon attese il silenzio poi riprese il suo racconto descrivendo così con il tradimento, il colpo mortale diretto a lui, e la morte dell'ultima delle tre arpie. Seguì il faticoso cammino fuori dalla foresta e infine il ritorno rassicurante tra le squame di Saphira, con il prezioso uovo.
Così abbiamo fatto ritorno da voi Eragon si appoggio al fianco di Saphira, che gonfio il ventre gorgogliando in segno di approvazione.
La dragonessa bruna le annuì loro con sguardo grave, e con aria solenne annunciò forte:
Il vostro si è dimostrato essere un legame molto forte. Ha saputo rompere le barriere della nostra rete protettiva. Questo è un fatto che neanche tu Sigmar, ne voi tutti draghi e dragonesse presenti, potete negare.
No, non possiamo, ma tu non puoi negare il fatto che con i loro atti. Hanno entrambi cercato di scavalcare la mia autorità e quella del consiglio.
Non hai forse ascoltato tutto il resto Sigmar? Chi erano quelle arpie e cosa rappresentavano?
E hai anche dimenticato quello che Guiltar e Keiron hanno detto nell'ultimo consiglio riguardo a ciò che sta avvenendo al di là dei nostri confini?
Noi draghi siamo da sempre neutrali, questa decisione di non intrometterci nelle contese degli esseri umani, è stata già presa molto tempo fa, cosa potrebbe farci cambiare idea adesso?
Non sono venuti a chiederci aiuto dei semplici esseri umani Sigmar, ma dei cavalieri dei draghi. Possiamo non accettare la nascita dell’ordine, ma non possiamo negare il loro legame con i nostri antenati.

Sigmar ascoltava e allo stesso tempo fissava l'uovo bianco che brillava di lievi bagliori argentati; era stato davvero un miracolo quel salvataggio.
Gli era difficile ammetterlo, ma doveva tutto alla testardaggine di quel ragazzo. Sigmar provò qualcosa di diverso per lui.; un profondo senso di riconoscenza nei confronti di quel ragazzo, un sentimento che partiva dal fondo del suo cuore, superando la sua stessa volontà.
In fede non avrebbe potuto continuare a rimanergli ostile, ma i suoi timori riguardo a una alleanza tra umani e draghi rimanevano forti, quel nuovo sentimento li aveva appena smorzati.
Che gli sia dato ciò che era stato pattuito dal nostro accordo. Disse infine, con uno sbuffo, ammettendo quel tanto da mettere in pace la sua coscienza. Ma La dragonessa Bruna non sembrava essere ancora soddisfatta
E per la guerra? Cosa faremo? Guardando la schiera dei draghi di fronte a lui Sigmar prese un profondo respiro prima si pronunciarsi.
Mi rimetterò alla volontà dell'intera comunità. Saremo tutti insieme a decidere. Non ho la pretesa di prendere da solo questa importante decisione e nonostante io sia contrario, se la maggioranza di noi avrà la sciocca intenzione di entrare in guerra allora lo faremo. Ora però avrei bisogno di andare a ritirarmi.
Sigmar passò davanti a Eragon e Saphira, facendo loro un inchino con il suo collo.
Era stato il gesto più vicino per lui a un ringraziamento e i due compagni ricambiarono con gratitudine.
Appena Sigmar si fu allontanato, la dragonessa bruna si fece avanti.
E' molto più di quanto avrei creduto potesse concedere.
Sigmar non è malvagio.
Aggiunse.
Ha solo molta paura, dovete capirlo. Ma vorrei presentarmi, io conosco chi siete voi, ma voi non sapete chi io sia. In tutto il tempo che sei stata con noi Saphira ti ho seguito attentamente, mentre per te cavaliere non ho avuto ancora modo di conoscerti più a fondo, ma posso apprezzare i diversi cambiamenti avvenuti in Saphira a partire dal tuo arrivo. La dragonessa passò lo sguardo da l'uno all'altra dei due compagni che attendevano ora che lei parlasse.
Mi presento io sono Telluria. E senza peccare di presunzione sono il drago più anziano che abbia solcato queste terre, e che è ancora in vita per poterlo raccontare.
È un onore per noi conoscerti Telluria. Dissero Saphira e Eragon all'unisono La dragonessa gorgogliò soddisfatta.
Siete davvero qualcosa di straordinario per me. Non avrei mai detto che nella mia esistenza sarei arrivata a vedere questo.
Non siamo gli unici, anche mio fratello che è qui, è un cavaliere dei draghi come me, ma il suo drago e compagno di Saphira è rimasto nell'isola di Antàra.
Questo è un altro motivo che ci spinge ad affrettarci a ritornare
.
Posso capire la vostra fretta. Ma anche noi draghi abbiamo bisogno di tempo. Non sarà cosa facile convincere dei draghi che sono sempre rimasti chiusi nei confini sicuri della Stonewood a uscire allo scoperto. E credo che molti ancora non saranno mai disposti a farlo.
Tu hai detto di essere la più anziana di tutti i draghi. Cosa ti spinge a darci fiducia.
Chiese allora Eragon di getto, non riuscendo a trattenersi dal porre quella domanda.
La tua domanda è giusta. E la risposta è semplice io sono nata ad Alagaësia. Sono una dei pochi draghi salvati alla grande guerra tra gli elfi e i draghi. Mia madre mi affidò ai flutti del mare quando ancora ero dentro il mio guscio. I nostri piccoli non nascono se non in condizioni esterne favorevoli e per molti mesi sono stata in balia delle onde in attesa, prima di toccare terra.
Telluria prese solo una breve pausa prima di continuare
È per questo che non sono come tutti gli altri draghi. Ho dentro di me sempre un po’ di nostalgia del mare che è stata la mia casa per molto tempo. Ogni tanto esco fuori dai nostri confini ed esploro le coste del nord, che sono molto più fredde, e dove non ci sono esseri umani che possano vedermi e rimango in riva al mare per ammirare le onde che si infrangono sugli scogli. Ma ho paura di essermi dilungata troppo. Quando si è grandi si inizia a raccontare dei tempi che non ci sono più. Non sono in molti che sanno questo, ma venendo voi da Alagaësia mi è sembrato giusto che veniste a conoscenza di questo.
Telluria inarcò la schiena e stava per spiegare le ali, quando aggiunse.
L'uovo sarà affidato a voi per ora e sarete presto messi a conoscenza della prossima riunione.

Avete delle visite. Disse infine la dragonessa voltandosi verso le loro spalle dove Keiron si stava preparando a planare.
La giovane dragonessa gli aveva raggiunti come un fulmine e non era sola: con lei c'era stato anche Murtagh.

- Eragon, Saphira! - gridò loro il cavaliere ancora sul dorso della dragonessa. Poi appena Keiron toccò terra il ragazzo balzò dal suo dorso, ma l'espressione del suo volto all'inizio sollevato si alterò subito dopo, attraversato da un'espressione corrucciata
- Hai di nuovo voluto fare di testa tua Eragon. - Lo rimproverò Murtagh, abbassando lo sguardo alla gamba ferita, per poi rialzarla scuotendo la testa.
- Il fatto che stavi rischiando la tua vita non ti ha fatto desistere dall'inoltrarti da solo in un territorio sconosciuto e senza chiedere aiuto! -
Eragon fece un timido passo in avanti, consapevole che il fratello era furioso, e cercando le parole per potersi giustificare.
- Mi dispiace - riuscì solo a dire.
- Non hai ancora capito che Tu Saphira Castigo e Jill siete la mia famiglia adesso. Farei di tutto per proteggervi -
Poi Eragon sentì Saphira sfiorargli la mente.
Lascia che gli parli io e senza aspettare la risposa di Eragon Saphira si rivolse a Murtagh.
Se c'è qualcuno da rimproverare Murtagh, questa sono io. É per una mia debolezza che tutto questo è stato causato e ti sarò per sempre debitrice per essere corso in soccorso del mio cavaliere con Isobel. Per essere corso in soccorso di entrambi. Senza questo piccolo azzardo non avremo ottenuto questo.  Disse infine scostandosi da una parte a rivelare a Murtagh l'uovo ora sotto la loro custodia.
A quella vista Murtagh si bloccò e passandosi una mano tra i capelli si avvicinò all'uovo circospetto.
- È davvero lui? L'uovo della visione? -  
- Non possiamo esserne certi. -  Ammise cauto Eragon, Murtagh allora alzò un sopracciglio, ancora scettico.
- Quante uova bianche credi possano esistere? -
- Lo so. Ma l'esperienza ci ha insegnato che non dobbiamo fidarci delle apparenze. Prima di arrivare qui non sapevamo nemmeno dell'esistenza di altri draghi, eppure eccoci qui - Murtagh si lasciò andare a un sorriso e alzate le sopracciglia sospirò
- Sagge parole. E così sia fratellino. Ritorneremo da Eleonor con l'uovo, e proveremo se è quello della nostra visione. -
Appoggiandosi a Saphira Eragon gli sorrise a sua volta, ma non si accennò a muoversi.
- Ti fa male? - gli chiese Murtagh, inginocchiandosi subito di fronte a lui per esaminare più da vicino la ferita. Murtagh la sfiorò appena che Eragon sobbalzò, ritraendo la gamba con una smorfia.
- Si sta infettando dobbiamo prima guarirla se non vogliamo che ti salga la febbre. -
Keiron aveva nel frattempo fatto allontanare gli altri draghi che erano rimasti a guardare, incuriositi.
Il volto di Eragon si contorse ancora in una smorfia quando il fratello sfilò via la fascia di fortuna che lui stesso si era assicurato intorno alla coscia. Ci vollero alcuni minuti per guarirla. Appena Murtagh ebbe finito Keiron e Guiltar si fecero avanti, verso i due fratelli. Saphira era stata a pochi passi da loro.
Abbiamo avuto il compito di scortarvi nuovamente dai vostri compagni. Eragon credo tu debba salutare Saphira ora. La rivedrai domani quando incontrerete il consiglio. Dissero a entrambi facendo segno in direzione dei monti.
- La grotta è confortevole. - aggiunse Murtagh muovendosi già verso Keiron, ma Eragon rimase al suo posto, stringendosi vicino a Saphira.
- Io non la lascio - disse loro accarezzando il collo della dragonessa. In risposta Saphira alzò la testa e ruggì
Ed Io non lascerò Eragon confermò anche lei.
I due draghi non si scomposero, ma dopo un breve scambio di sguardi annuirono. Guiltar prese quindi la parola.
Va bene. Saprete già che Sigmar avrà da ridire molto su questo, ma se Saphira vorrà potrà dormire di fronte alle grotte, è un po’ scomodo ma se è quello che volete. Saphira non mostrò esitazione quando rispose
Tutto pur di stare accanto al mio cavaliere Keiron e Guiltar si scambiarono un'altra occhiata.
Seguiteci allora.


***

Appoggiandosi alla parete della grotta Murtagh inspirò profondamente. Eragon si andò a sedere dalla parte opposta. I bagliori del fuoco che ardeva poco lontano riflettevano sopra la parete ruvida della grotta, giocando con le sue ombre. Sul fondo Par, Morgana ed Eleonor dormivano già.
Il consiglio si era riunito quel giorno, e sarebbe proseguito a oltranza. Eragon Murtagh e Saphira erano stati invitati a partecipare, ma dei tre solo Saphira era rimasta. I ritmi dei draghi erano stati troppo pesanti per la resistenza dei due cavalieri, che erano stati mandati via a riposare. - Non dormi? - chiese Murtagh al fratello dopo alcuni minuti, volgendo lo sguardo nella sua direzione.
- Sono stanco, ma non riesco a prendere sonno. - ammise lui con uno sbadiglio
- Chiudi gli occhi, e vedrai che il sonno verrà da sé - gli disse allora Murtagh, incrociando le braccia davanti al petto e sistemandosi meglio con la schiena. Il maggiore dei due fratelli aveva ormai chiuso entrambi gli occhi, quando Eragon aggiunse:
- Mentre tornavamo ho pensato alla nostra attuale posizione. - Murtagh aprì un solo occhio, puntandolo verso Eragon.
- E? -
- Isobel avrà allarmato tutto il regno per trovarci, quando rientreremo nel territorio di Zàkhara, stai certo che avrà già preparato il suo esercito ad aspettarci.
Quindi per poter ritornare a Antàra non abbiamo alternative che attaccare per primi. – Murtagh aveva entrambi gli occhi aperti adesso - Non ti seguo Eragon. Vuoi attaccare. Come? E cosa soprattutto? -
- La città di Gratignàc.
Pensa se riuscissimo ad ottenerne il controllo Murtagh! Dal suo porto provengono tutti i rifornimenti di merci diretti ad Abàlon. In questo modo indeboliremo in maniera considerevole le forze di Isobel. -
- Una mossa audace, non c'è dubbio. C'è solo un particolare non irrilevante Eragon. La regina non rimarrà di certo con le mani in mano, e mentre noi gli chiudiamo la fonte dei suoi guadagni, lei farà in modo di chiuderci la strada per Antàra, chiedendo semplicemente aiuto ai suoi alleati. -
A quella risposta il volto di Eragon si aperse in un sorriso soddisfatto
- Ed è qui che entra in gioco il piano. – lo informò il più piccolo. Facendo una piccola pausa Eragon si avvicinò di più al fratello, come a confidargli un segreto.
- Quando Isobel mi ha presentato a tutti come suo alleato, molti dei nobili e dignitari sono venuti a parlarmi lamentarsi della sua condotta nei loro confronti. Isobel non ha il controllo totale dei suoi alleati come vuole far credere. Questo potrebbe giocare a nostro vantaggio. Farli passare nella resistenza potrebbe essere più facile del previsto. -
Murtagh ci pensò su alcuni secondi, si strinse il mento con una mano, e corrucciò la fronte
- Se quello che dici sugli alleanti corrisponde a vero, forse potremmo farcela. Certo un aiuto da parte dei draghi renderebbe tutto molto più semplice. Saphira non sarebbe l’unica dragonessa da opporre a Kima. Castigo e Gleadr sono troppo distanti per essere chiamati in causa. -
- Allora dovremmo fare di tutto perché Sigmar accetti di aiutarci. -

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Capitolo 32
*** Roran Fortemartello ***


Una nave solcava con velocità i flutti del mare tagliando a metà le onde con la sua chiglia; il veliero era seguito da una decina di scafi candidi e bianchi, tutti delle stesse dimensioni che avanzavano dietro di lui.

Xavier se ne stava in piedi, sul ponte, con in mano il timone, scrutando il mare, la mente completamente assorta nel dirigere il veliero assecondando i venti che soffiano in quel momento.

Poi avvenne: sulla linea dell'orizzonte, dove il cielo e il mare si incontrano gli apparve una sottile striscia di terra.

- Terra! Terra! - Gridarono gli elfi di vedetta dall'albero maestro. Era la sua amata Zàkhara.

Xavier avvertì la familiare presenza di Dako al suo fianco e si girò verso di lui.

- Finalmente a casa! - disse l’elfo con entusiasmo.

- Finalmente a casa – ripeté l’uomo con un sorriso tirato.

- Ti vedo preoccupato Xavier. Qualcosa ti turba? – Chiese Dako. Dopo mesi passati in sua compagnia, l’elfo aveva imparato a riconoscere quale fosse lo stato d’animo dell’uomo da pochi particolari della sua espressione. Xavier si massaggiò lentamente la mascella prima di rispondere. - Il pensiero che i nostri sforzi stiano arrivando troppo tardi e che Isobel abbia già attaccato Antàra non mi abbandona da giorni ormai. – l’elfo annuì, capiva fin troppo bene i suoi sentimenti perché erano anche i suoi.

- Abbiamo fatto del nostro meglio. Non possiamo rimproverarci di nulla. – disse più che altro per convincere sé stesso.

Il capitano si limitò ad annuire, qualcuno alle loro spalle stava attendo paziente di essere ascoltato. Xavier e Dako ebbero solo un attimo di smarrimento prima di riconoscere nel ragazzo il giovane messaggero degli elfi di Alagaësia. Doveva venire direttamente dalla nave ammiraglia; i suoi capelli erano bagnati d’acqua, segno che aveva nuotato per raggiungerli, ma il suo volto non aveva più nulla di elfico. Il naso, quasi inesistente, era ridotto a due orifizi, la pelle aveva assunto una velata sfumatura verde ed era così liscia che l’acqua le gocciolava sopra come fosse argento vivo. Strati di squame imbracate tra loro coprivano qua e là il suo corpo tanto da permettergli di non indossare alcun abito e dietro alle orecchie due branchie si aprivano per permettergli lunghe traversate sott’acqua.  

- Un messaggio da Roran Fortemartello - annunciò il ragazzo mentre si portava indice e medio alla bocca in segno di rispetto. Nessuno dei due si era ancora abituati all’idea che la magia permettesse a quegli elfi di poter mutare il loro aspetto secondo le proprie velleità.

- Riferisci pure il messaggio, ti ascoltiamo - gli rispose subito Xavier.

- Il capitano chiede istruzioni per le manovre di avvicinamento. – si affrettò a rispondere il ragazzo.

Da lì a poco, lo stesso Xavier avrebbe mandato un messaggio per informarlo, ma Fortemartello sembrava sempre anticipare le sue mosse. I due compagni si scambiarono un breve sguardo di intesa, quindi, si girarono all'unisono in direzione della nave del loro alleato dove un grande drago verde volava al suo lato.

- Cosa devo riferirgli? - chiese ancora una volta il ragazzo, richiamando l'attenzione dei due capitani.

- Digli pure di mantenersi il più possibile vicino alla nostra nave. Non possiamo avvicinarci troppo alla costa di Zàkhara. Dobbiamo circumnavigarla, in modo da non essere avvistati dalle vedette della regina. Raggiungeremo Antàra domani nel pomeriggio. -

- È tutto Signore? -

- No. Riferisci al capitano Fortemartello, di abbassare le vele e di affidare la nave ai soli rematori, almeno fino a quando non avremo passato il Capo dei Giganti all'estremità sud. Le stesse raccomandazioni valgano per Validor. Che si tenga il più possibile a bassa quota. È tutto. -

- Sì, Signore. - disse con entusiasmo. Il ragazzo si allontanò per prendere la rincorsa e gettarsi nuovamente in acqua superando con un tuffo la ringhiera del ponte.

Dako e Xavier si affacciarono per osservarlo mentre risaliva sull’altra nave, poi entrambi tornarono a guardare l’orizzonte di fronte a loro.

Fu ancora una volta Dako a rompere il silenzio tra loro. Appoggiato alla ringhiera che sovrastava il ponte della nave, il suo sguardo si era fermato ad osservare un gruppo di delfini che seguiva lo scafo della nave. Come a ragionare con sé stesso disse:

- La risposta della gente di Alagaësia è stata immediata e totale. I due cavalieri hanno lasciato una vera fortuna nella loro terra. Non mi spiego ancora il motivo che li ha spinti a lasciare la sicurezza e la gloria, per avventurarsi in un posto sconosciuto senza sapere a cosa andassero incontro. - il tono di voce di Dako era profondamente perplesso. - Di tutti coloro che li hanno conosciuti, nessuno è riuscito a spiegare il vero motivo della loro partenza. Non lo trovi un fatto strano Xavier? Ho cercato di parlare anche con Roran, dirigendo più volte il discorso sull’argomento, ma appeno l'ho fatto lui è riuscito sempre a evitare di parlarne -

- È il cugino di entrambi i cavalieri, forse è un argomento che ancora scotta. – rispose Xavier che sapeva già dove voleva andare a parare l’elfo.

- Cosa nascondono? - chiese ancora Dako; questa volta con più insistenza. Xavier scosse piano la testa, ma aspettò qualche attimo prima di rispondere, come a cercare le parole giuste per non ferire il suo orgoglio.

- Lascia da parte la tua gelosia per i più giovane dei cavalieri Dako, e pensa alla cosa davvero importa. Siamo riusciti ad arrivare con i soccorsi, ora abbiamo una flotta da opporre a Isobel - gli disse lasciando Dako visibilmente in imbarazzo.

- Ma tu, tu sapevi di... - Xavier gli sorrise dandogli una pacca leggera sulla spalla.

- Fa quello che ti ho suggerito, lasciala perdere. Non è per te - aggiunse prima di dirigersi in sottocoperta lasciando un attonito Dako a meditare sulle sue ultime parole.

**

Il giorno seguente, come previsto da Xavier, le navi giunsero al porto di Antàra.

Lo spettacolo che si presentò agli abitanti della città fu senza precedenti. Passato lo stretto e senza più timore di essere sorpresi, ogni nave aveva spiegato le proprie vele, ed ora una immensa macchia di colore stava dirigendosi verso il porto.

A poche leghe di distanza dalla costa, la nave di Fortemartello si affiancò a quella del capitano Dako, per giungere al porto insieme, davanti a tutte le altre.

Parte della flotta venne dirottata nei tre porti minori lungo la costa, ma il loro numero rimase lo stesso impressionante.

Castigo Gleadr affiancati da Jill e Reafly, erano accanto al re e parte del consiglio per accogliere il loro arrivo.

Tutti videro il drago verde staccarsi con eleganza dalle una delle due navi di punta e dirigersi verso di loro mentre le due navi eseguivano le manovre di sbarco.

La creatura planò di fronte a Castigo e i due draghi, incuranti degli sguardi attoniti di tutti, si scambiarono alcune effusioni, poi Jill si avvicinò al drago smeraldo.

- Lui è Validor Maestà. Validor, il re degli elfi Arold – disse Jill.

Il drago smeraldo si girò verso l’anziano elfo e avvicinando il muso al suo lo salutò con rispetto. L’attimo fu carico di tensione che si sciolse quando dalle due navi ammiraglie scesero i capitani Xavier e Dako insieme a due stranieri: un uomo e una donna molto giovani e una bambina al seguito.  

Re Arold salutò per primi i capitani Dako e Xavier. A ognuno strinse la mano e avvicinandoli a sé gliela batté sulla spalla, segno di rispetto e gratitudine; quindi, il re passò ai due giovani dietro di loro.

- Tu devi essere Roran Fortemartello. Cugino dei cavalieri Eragon e Murtagh. – disse rivolgendosi prima all’uomo.

- Sì, maestà, e sono anche membro del consiglio delle razze e comandante di questa flotta. – Re Arold scrutò per un istante i lineamenti forti del giovane e i suoi occhi andarono al martello che spuntava da dietro la testa. Era agganciato a una imbracatura che fasciava il petto e indossata con una certa disinvoltura. - Dei compiti alquanto gravosi per un uomo così giovane. – aggiunse. Alle sue parole Roran non si scompose, solo una leggera smorfia andò a piegare gli angoli della bocca.

- La guerra non guarda in faccia a nessuno Maestà. Giovane o vecchio, quando vieni colpito o reagisci o perisci - rispose cercando di essere il più possibile diplomatico. Alle sue parole re Arold annuì con un sorriso triste. Anche quando conobbe Eragon e Murtagh ebbe l'impressione che fossero troppo giovani per il ruolo che ricoprivano. Poi il sovrano si rivolse alla donna che gli era a fianco.

- E tu devi essere il cavaliere dei draghi Katrina, figlia di Ismira. È un onore per me incontrare un altro cavaliere. –

- L’onore è mio Maestà – rispose Katrina e i suoi lunghi capelli ramati ondeggiarono morbidi sulla schiena e sulle spalle attirando lo sguardo di molti. Con estrema naturalezza si girò da un lato e prese in braccio la bambina che le stava tirando con insistenza la veste per attirare la sua attenzione. La bambina aveva gli occhi e i capelli di Katrina e la stessa espressione seria e determinata di Roran.

- Chi è questo splendido fiore? – chiese allora Arold.

- Lei è Ismira, nostra figlia – la piccola si era aggrappata con forza al collo della madre guardando re Arold con due grandi occhi spaesati.

- Mamma chi sono? – chiese biascicando.

- Io mi chiamo Arold piccina e ti voglio presentare un altro cavaliere, come la mamma. Si chiama Reafly. -

Reafly si fece avanti con una leggera spinta da parte di Jill. Fece un saluto alls piccola ma i suoi occhi tornarono a Katrina  - Katrina Svint-kona. Atra Esternì ono theulduin – disse rivolgendosi con rispetto alla giovane donna.

- Mon'ranr lìfa unin Hjarta onr – rispose Katrina.

- Un du evarìnya ono varda. - concluse Reafly concludendo il saluto elfico. Ismira che aveva intuito l’importanza del momento rimase a guardare affascinata quel giovane che si era rivolto alla madre nella lingua con cui erano soliti parlare con gli elfi.

- Vedo che Arya ti ha insegnato bene giovane Shur'tugal - gli disse Katrina attenuando la tensione con un sorriso, per poi rivolgere il proprio sguardo a Roran. A entrambi non erano passate inosservate due grandi assenze. Quelle di Murtagh e di Arya.

- Già sapevamo dalla regina Arwen riguardo la minaccia di Isobel e delle sue armi. Sono passati altri tre mesi dalla nostra partenza. Cosa è cambiato? - intervenne Roran con voce affabile, mantenendo allo stesso tempo un tono deciso. Katrina al suo fianco annuì sostenendo la posizione del compagno mentre faceva scendere a terra Ismira.

Re Arold sospirò. - Molte cose, come potete immaginare. Ma non parliamone qui. -

A un battito di mani del re, ognuno dei presenti ruppero le righe per muoversi in direzione del castello. Fu solo allora che Jill poté salutare con più libertà Roran e Katrina, mentre Ismira si era già avvicinato con curiosità a Reafly che subito le aveva presentato Gleadr.

I tre si scambiarono un caloroso abbraccio. - Katrina, Roran. Non sapete che sollievo avervi qui. – disse la ragazza. Allora Arold intervenne con voce bonaria.

- Se lo vorrà, Jill potrà iniziare a ragguardarvi su tutto ciò che desiderate sapere – disse l’elfo dimostrando così una grande fiducia nei confronti della giovane donna.

- Vi ringraziamo Sire. –

**

Erano passati tre giorni da quando la flotta alleata aveva raggiunto Antàra. Roran e Katrina stavano percorrendo i corridoi del palazzo per andare a far visita ad Arya. Quel pomeriggio avevano lasciato Ismira alle cure di Jill e di Reafly a cui la piccola si era molto affezionata.

Alicia non mancò di accoglierli fuori dalla porta con le raccomandazioni che oramai dava a tutti.

- Arya vi attende nella sua stanza. È molto felice di vedervi, ma devo chiedervi di non trattenervi a lungo. Non deve affaticarsi troppo. - Roran e Katrina annuirono, senza troppa convinzione; avevano un ricordo ben preciso dell’elfa come una donna forte e libera che non coincideva affatto con quello che tutti  stavano mostrando loro.

Secondo quanto aveva detto re Arold, da alcuni giorni non usciva dai suoi appartamenti ed anche se Jill aveva confermato, Roran e Katrina avevano comunque espresso il desiderio di farle visita.

- Roran, Katrina – li chiamò l’elfa. L'ovale perfetto della sua pancia era ben visibile da sotto le vesti di tessuto leggero.

- Arya svit-kona - salutarono la coppia mentre Katrina chinando la testa e iniziò il saluto elfico. Arya con un sorriso completò il rito.

- Ci hanno detto che non devi affaticati, non ci tratterremo molto. –  

Contrariamente a quello che si sarebbero aspettati, l’elfa non negò le sue difficoltà - La gravidanza per gli elfi è sempre un momento molto delicato. Per noi si tratta di un evento raro e lo è ancora più quando il compagno è un giovane umano come lo è il padre. –

Arya fece una breve pausa, abbassando il volto sulla pancia per sfiorarla con la mano.

- Non l’ho ancora detto a nessuno, lo sto confidando a voi adesso, ma ho scoperto che aspetteremo delle gemelle. –

Nell’udire la notizia Roran e Katrina si guardarono pieni di stupore. – Gemelle! – dissero insieme.

- Questo vuole dire… - aggiunse Katrina senza riuscire a finire la frase. La ragazza realizzò in quel momento cosa poteva comportate un parto gemellare. Ricordava fin molto bene quello della moglie di Horst. La donna aveva rischiato di morire proprio durante il parto. 

- Questo significa più energie necessarie per gestirla. Per questo devo essere più prudente di quanto sarei normalmente – aggiunse Arya come a leggerle il pensiero.

Nel notare i loro volti preoccupati Arya si alzò dalla sedia su cui era seduta e avvicinandosi prese ciascuno per mano e li scosse con delicatezza.

- Una gravidanza dovrebbe essere qualcosa bello, un periodo di allegria e gioia. Non fonte di dispiacere e preoccupazioni. Dovete essere felici per me e per Eragon! - Arya rivolse loro il suo sorriso più smagliante.

- Certo che lo siamo. - disse Katrina stingendole a sua volta la mano. – Vero Roran? – il ragazzo si limitò ad annuire. 

- So che il tuo pensiero, Fortemartello, è rivolto a tuo cugino - disse Arya, mentre il sorriso si affievoliva – Non pensare che non sia anche il mio. Le bambine sono legate a loro padre da un legame più profondo di quello di sangue. È un legame magico che mi dice che si sta avvicinando sempre di più a noi – Arya lasciò che le sue parole sortissero il loro effetto, quindi, continuò - Ora ditemi di voi – disse con un sorriso. - So che con voi c’è anche vostra figlia Ismira. La prossima volta che venite a trovarmi dovete portarmela. Mi farebbe un immenso piacere conoscerla. –

- Lo farò Arya. – le rispose Katrina.

Arya passo il sguardo da l’uno a l’altra poi disse cambiando argomento.

- Avete parlato con re Arold. Che impressione vi siete fatti di lui? -

Roran incrociò le braccia al petto e prese un profondo respiro. Questo era un argomento a lui più congeniale e pesò bene le sue parole prima di esprimere il suo giudizio.

- Il re sa che noi siamo la loro unica speranza contro Isobel. Abbiamo passato tre giorni ad organizzare al meglio la dislocazione delle navi, il loro approvvigionamento da terra, ed altri particolari, ma non l’ho mai sentito parlare di Eragon o Murtagh. Ho l’impressione che data l’assenza di informazioni su di loro stia evitando l’argomento -

- Katrina? - chiese Arya rivolgendosi alla giovane

- È un re giusto. - disse girando il volto verso Roran.

- Ma sembra spaventato. La paura può far commettere cose molto stupide. -

- È vero, tutto quello che avete detto - annuì Arya, guardando prima l'uno poi l'altra.

- Per lui la cosa più importante in questo momento è sconfiggere Isobel. Non ne conosciamo il motivo ma la regina vuole la distruzione degli elfi. –

**

Roran e Katrina rimasero sorpresi dei grandi cambiamenti avvenuti nell’elfa. - Ha tessuto una rete magica tutta intorno a lei e alle bambine. – stava spigando Katrina al marito - Alla DuWaldenvarden ho letto di questa pratica in uso nella casa reale elfica – concluse mentre entravano nelle loro camere.

Roran annuì stringendole i fianchi con le braccia con fare protettivo.

- La lontananza di Eragon e Murtagh rende tutto più complicato. - fece di getto la ragazza mente Roran le baciava teneramente il collo. Conosceva il valore della moglie e non gli piaceva quando si abbatteva in quella maniera.

- Quando abbiamo accettato il comando della missione sapevamo che non sarebbe stato facile. Sarai all'altezza del compito, amore mio. Non ne dubitare mai. -

 

***

Dal dorso di Saphira, Eragon e Murtagh avevano una chiara visuale di Gratignàc.

Erano state solo le prime ore della mattina, ma il mercato e il porto della città brulicavano già di una fervente attività.

Allargando le loro menti Eragon e Murtagh iniziarono a aggirarsi tra le i mercanti e i marinai della città le cui coscienze erano tutte intente ai problemi e alle mille faccende della vita quotidiana.  

Dobbiamo individuare al più presto la casa del governatore. Disse mentalmente Eragon. Il moro assentì immergendosi ancora di più in quella calca, lo stesso fece Eragon.

Continuarono a sondare le mente delle persone ancora a lungo passando con facilità tra una e l’altra; erano uomini, donne, bambini, tutti privi di qualsiasi difesa mentale. Per Murtagh fu facile capire di essere di fronte al governatore e il suo entourage, quando improvvisamente incontrò un blocco magico. Non troppo lontano da lui Eragon aveva appena lasciato la coscienza di una giovane serva, quando anche  lui avvertì la presenza una dozzina di menti tutte ben protette. Aveva trovato qualcosa. Stava per richiamare l’attenzione di Murtagh quando sentì un brivido lungo la schiena che lo congelò sul posto. Murtagh, che doveva aver avvertito la stessa cosa gli fu subito accanto.

Quei maghi non stavano proteggendo solo il governatore. Nel palazzo c’erano anche i Ra’zac.

Eragon provò un moto di rabbia che minacciò di travolgerlo. Le immagini del corpo esanime di Saphira tornarono vivide alla sua mente e il senso di vuoto che aveva provato allora fu per un attimo nuovamente reale.

Calma Eragon. Non sono un problema per noi due. Li hai già sconfitti una volta, ricordi? Possiamo farlo ancora. Questa volta insieme. Si affrettò a dirgli Murtagh.

Va bene. rispose flebile Eragon mentre lasciò che il fratello lo sorreggesse mentalmente. Ritornando in sé Murtagh socchiuse gli occhi e, sollevandosi su dal dorso di Keiron, si rivolse ancora una volta verso Eragon.

Anche il fratello stava alzando la testa, ma stava tremando visibilmente attraverso tutto il corpo.

Ci sarà il tempo per la vendetta, piccolo mio. gli stava sussurrando Saphira nella mente, emettendo insieme un basso ringhio gutturale.

La pagheranno per quello che ti hanno fatto aggiunse lui accarezzandogli debolmente le squame del collo.

Tutto bene? Gli chiese Murtagh.

Riprendendosi rapidamente Eragon rimase per un attimo in silenzio Sì, Murtagh. Non preoccuparti.

Bene gli rispose con sollievo il moro. Ora che sappiamo chi è il nostro bersaglio, qual è la nostra prossima mossa?

Eragon rivolse ancora una volta il suo sguardo su Gratignàc. Par e Morgana conoscono la città meglio di noi, loro sapranno consigliaci cosa fare.

Bene, allora sbrighiamo a ritornare. Fece eco Saphira.

**

Par e Morgana passarono buona parte del giorno a preparare e illustrare il loro piano a Murtagh, Eragon e Saphira e alla presenza dei quattro draghi che si erano uniti a loro per l’attacco alle forze di Isobel.

Telluria, Keiron, Guiltar e Sigmar stesso si erano tutti offerti nell’affiancarli in quella impresa. Non un drago di più avrebbe varcato i confini delle loro terre. Questa era stata la sentenza finale di Sigmar che aveva insistito per far parte anche lui della compagnia, nonostante continuasse a ritenerlo un gesto folle.

Telluria come Keiron e Guiltar avevano già varcato i confini delle terre selvagge, mentre Sigmar avrebbe soprinteso a tutti loro, in modo che nessuno rischiasse la sua vita oltre il necessario. Anche Vespriana aveva chiesto insistentemente di venire, ma la dragonessa non poté nulla contro il veto posto dal nonno e dai genitori che la ritennero troppo giovane per partecipare a qualcosa di così grande come una battaglia. Avrebbe comunque avuto un compito ugualmente importante, gli avevano assicurato Par, Eragon e Murtagh, quello di vegliare sulla piccola Eleonor e al cucciolo di drago bianco nato dall’uovo che le era stato consegnato.

Eragon stava guardando a terra lì dove Par aveva disegnato sul terreno uno schema della città di Gratignàc per aiutarlo a illustrare il piano.   

- Prenderemo di sorpresa le guardie della cittadella. – stava spiegando l’elfo indicando con un bastoncino di legno il corpo di guardia - La città non possiede molte difese. Il palazzo è guarnito di una solo cinta di mura, facilmente superabile se si è a dorso di un drago. - Alzando la testa Eragon vide il muso di Sigmar sbuffare lasciando un filo di fumo nero salire dalle sue narici. Telluria socchiuse i suoi occhi nocciola e gorgogliò un basso verso gutturale.

Faremo la nostra parte mormorò poi nelle loro menti mentre Keiron e Guiltar annuirono con la testa.

Fu allora che Morgana prese parola – Il corpo di guardia si trova poco distante dalla casa del governatore. Se li prendiamo entrambi conquisteremo la cittadella. Eragon, Murtagh e Saphira si occuperanno dei Ra'zac e delle loro bestie mentre Guiltar, Telluria e Sigmar e Keiron neutralizzerete la guarnigione di soldati che verranno sicuramente inviati a loro difesa una volta dato l’allarme. Il compito mio e di Par sarà quello di prendere il governatore prima che venga portato in salvo. Sotto la città c’è una reta di cunicoli che portano all’estero. -

Eragon annuì con la testa, il piano era semplice, ma non privo di insidie. Prime fra tutte la presenza di un numero consistente di maghi che avrebbe potuto mettere lui e il fratello in difficoltà. Era cosciente del fatto che la presenza dei quattro draghi era l’elemento fondamentale per la riuscita di quell’assalto.

Anche Sigmar lo sapeva e forte della sua posizione fu il primo a rompere le righe. Telluria lo seguì subito dopo, poi si mossero Guiltar e Keiron; tutte e quattro le possenti creature si allontanarono unite per andare alla ricerca di un posto dove riposare per la notte.

Io vado con loro piccolo mio. Gli disse Saphira mentre si univa agli altri draghi. Mi assicurerò che domani tornino in tempo per l’assalto.

A domani Saphira. La salutò Eragon. Il ragazzo la seguì con lo sguardo per poi tornare subito dopo a guardare i suoi compagni di viaggio. Era stata sua l’idea di attaccare da soli le forze di Isobel ed ora sentiva tutto il peso di quella responsabilità.

- Se qualcuno di voi vuole tirarsi indietro può ancora farlo – disse guardandoli uno ad uno.

- Vuoi scherzare? Siamo con te fino alla fine Eragon – gli rispose Par mentre stava stendendo il suo giaciglio sul terrendo.

- Lo stesso vale per me. Posso dire di aver passato la mia vita a prepararmi a fare parte di questa impresa – concluse Morgana con solennità. Eragon alzò lo sguardo verso entrambi con gratitudine.

- Grazie – disse.

Pochi minuti dopo sia Morgana che Par si erano messi a terra addormentandosi quasi subito. Erano rimasti svegli solo lui e Murtagh.

Il maggiore dei due stava stuzzicando il fuoco con un bastoncino di legno, mentre Eragon con il piede si era messo distrattamente a scostare la terra dove poco prima Par aveva disegnato.

Avevano entrambi passato il viaggio a immagazzinare più energia possibile nelle pietre delle loro spade, in vista di uno scontro magico. Il giorno seguente avrebbero colpito la regina con tale forza da farle sentire il loro fiato sul collo. La presenza dei Ra'zac e dei Lethrblaka era segno che Isobel non aveva più alcuna remora a servirsi di creature immonde come loro per raggiungere i suoi scopi. Proprio come era stato per Galbatoix doveva essere fermata.  

Per due volte Isobel aveva messo sotto scacco i due fratelli. In entrambi i casi avevano sottovalutato la reale forza della regina, ma ora non avrebbero più commesso lo stesso errore.

- Preoccupato per domani? - chiese Eragon, tradendo una certa tensione nella voce.

- Eccitato direi. - rispose Murtagh con un ghigno che si contrasse in una leggera smorfia. Eragon lo guardò alzando il sopracciglio.

- Stai pensando a Castigo vero? - Chiese. A quelle parole Murtagh sentì un brivido attraversagli la schiena.

- Sento come un forte vuote dentro di me. È la prima volta che mi trovo lontano da lui così a lungo. Non avrei mai immaginato di provare qualcosa di simile. - ammise Murtagh dopo un attimo di silenzio.

- Lo so e non c'è nulla che tu possa fare per colmarlo. - gli rispose Eragon con voce sottile che nascondeva dietro una valanga di emozioni. Distogliendo rapidamente lo sguardo, Eragon rimase in silenzio.

Murtagh guardò il fratello rendendosi conto che quella frase era stata una piccola finestra aperta su ciò che aveva passato in quegli ultimi mesi, ed era stato molto più di quanto avesse potuto sperare che il fratello gli rivelasse.

- Scusami, io non ho pensato che tu… - esitò un attimo. - Posso solo immaginare quanto deve essere stato duro per te credere di aver perso per sempre Saphira -

- Ora è tutto passato Murtagh. Perdonami non sono ancora pronto per poterne parlare. Non ancora e no stasera. -

- Va bene Eragon. Non ti chiederò altro - gli disse lui guardandolo con un sorriso rassicurante.

- Grazie – rispose debolmente poi avvertì la presenza di Saphira avvolgerlo protettiva. Allarmata dal tumulto di sentimenti che avevano preso a vorticare nell'animo del suo cavaliere, la dragonessa era corsa al suo fianco.

Con la certezza della sua presenza Eragon riportò la sua attenzione verso Murtagh che stirando le braccia sopra la testa si era lasciato andare a un lungo sbadiglio.

- Si è fatto tardi. Sarà meglio andare a dormire - gli disse dirigendosi verso il suo giaciglio. - Tu non vieni? –

Eragon si strofinò gli occhi – Sì, arrivo – rispose andando anche lui a stendersi accanto al fratello.

Prima di cadere nel sonno poté sentire il grande cuore della dragonessa battere, e la sua voce raggiungerlo piena di tenerezza.

Buona notte piccolo. Riposa adesso. Eragon le sorrise

Buonanotte anche a te Saphira.

 

 

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Capitolo 33
*** La quiete prima della tempesta ***


Un grazie a tutti i lettori che sono arrivati a leggere la storia fino a qui. 

AVVISO: da oggi pubblicherò un capitolo al giorno fino alla fine della storia.

All'indomani della conquista di Gratignàc Murtagh e Eragon avevano iniziato subito a lavorare sulla linea difensiva; se Isobel avesse deciso di reagire non volevano trovarsi impreparati.
Stavano camminando per le vie della città, l'aria che si respirava era di fiducia e una insolita calma regnava sui volti della gente che incontravano.
- Il governatore e il nuovo capitano della guardia, pensano che la nostra azione e il timore suscitato dalla presenza di quattro draghi, terranno Isobel lontana per un po’. Nessuno di loro crede in un suo immediato attacco – disse Eragon mentre insieme al fratello si dirigevano verso la caserma distrutta dai draghi per supervisionare la sua ricostruzione.

- Tu credi davvero che la regina se ne starà così senza reagire? – chiese Murtagh. In risposta Eragon scosse la testa.

- No, non lo credo e per questo sarà meglio non far sapere che i draghi sono partiti. - fece subito Eragon con tono di voce il più basso.
Dopo la conquista, infatti, Sigmar aveva ordinato ai draghi la loro immediata partenza. Non servirono a nulla le parole di Saphira e poi quelle di Telluria per convincerlo del contrario. La dragonessa bruna si era dovuta arrendere davanti alla sua ostinazione e con Keiron e Guiltar furono costretti a seguire il loro capo.

Saphira aveva potuto solo comunicare ad Eragon la loro decisione. I draghi avevano preso il volo verso le Terre Selvagge quella stessa mattina. Fortunatamente il loro comportamento schivo nei confronti degli umani aveva rese la loro dipartita meno rumorosa dell’arrivo.

I fratelli avevano appena raggiunto le macerie dove Saphira era accucciata ad attenderli, quando vennero raggiunti da una giovane guardia con il cuore in gola per la corsa.
Proveniva dal faro.
- Cavalieri, per fortuna vi ho trovato! -
- Che cosa è successo? – chiese Murtagh posandogli una mano sulla spalla.
- Sono state avvistate cinque navi e un drago – con un ringhio Saphira alzò la coda in allerta.

- Ne sei certo? - chiesero tutti e due i cavalieri, senza riuscire a nascondere la loro preoccupazione.
- Sicuro come il sole sorge a est. -
- Pensi siano Rebekha e Kima? - chiese Murtagh, pronunciando il nome in un sussurro, Eragon digrigno i denti. Nonostante non credesse alle previsioni rosee del governatore non si era aspettato una reazione così immediata.

- Non lo so. Dobbiamo andare a controllare –

Così i due fratelli montarono sul dorso di Saphira.
- Quale è il tuo nome soldato? - chiese Eragon al ragazzo, che era arretrato di alcuni passi per evitare le ali di Saphira
- Gregor Signore. – urlò per farsi sentire.
- Gregor, devi andate a palazzo e allertare i comandanti Morgana e Par. Di loro di aspettare nostre notizie -
- Agli ordini Signore - gli rispose il ragazzo.
Poi con un balzo Saphira si alzò in volo. La polvere delle macerie si alzò in un piccolo turbine, tenendola sospeso, a mezz'aria, mentre la sagoma azzurra della dragonessa si allontanava in direzione del porto.

Arrivati alle banchine ai due fratelli furono raggiunti da altre guardie altrettanto agitate. Le sagome delle navi erano sempre più vicine ed erano affiancate dall’ombra scura di un drago. Aguzzata la loro vista, i due fratelli si resero conto con sollievo che non si trattava delle navi della regina. I loro scafi erano bianchi e le squame del drago erano di un intenso rosso rubino.
- Dimmi che non mi sto ingannando Murtagh! - disse Eragon, con occhi colmi di stupore e il cuore in tumulto.
- No Eragon, sono proprio loro - gli fece Murtagh, quasi sussurrando le ultime parole. La sua mente aperta verso Castigo. Quanto tempo volevi far aspettare prima di venirmi a chiamare? Se no fosse stato per Roran fece il drago con un pizzico di ferocia nella voce
Mi sei mancato Castigo! aggiunse Murtagh, riuscendo a infilarsi in tempo nel breve momento di pausa della tirata del compagno. A quelle due parole il drago si bloccò
Anche a me sei mancato Murtagh.
Passarono così alcuni minuti di assoluto silenzio, durante i quali drago e cavaliere ritrovarono la loro unione, consapevoli che dopo quella prova il loro legame ne era uscito rafforzato.
Poi il cavaliere sentì il drago spandere una parte della sua mente in cerca di qualcun'altro.

Murtagh sorrise di sottecchi, intuendo chi poteva essere l’altro e lasciò ai due draghi il loro spazio.

Quando Murtagh riaprì gli occhi per incrociare quelli del fratello, entrambi aveva lo stesso sorrisetto stampato sul volto.
- Anche Castigo ti ha chiuso la sua mente vero? - gli chiese il più giovane. La sua era stata più una affermazione che una domanda ma il maggiore fece lo stesso un cenno di sì con la testa.
- E non puoi immaginare chi sta alla testa dell’ammiraglia. - Eragon alzò un sopracciglio incuriosito. Murtagh piegò l'angola destro della bocca in una piccola smorfia
- Roran - fece infine mantenendo il sorriso per una piccola pausa d'effetto. Eragon distolse lo sguardo dal fratello per puntarlo verso le navi che si stavano avvicinando.

- Cosa dobbiamo riferire al governatore? -

Chiese una delle guardie corse ad accogliere i cavalieri e Saphira.

- Di ritirate l’allarme. Non si tratta di un attacco da parte di Isobel. Riferisci pure al governatore che sono navi amiche. –

Intorno a loro la gente di Gratignàc aveva iniziato a radunarsi per assistere allo sbarco delle meravigliose imbarcazioni bianche.
Quando la nave ammiraglia finalmente attraccò. Eragon e Murtagh videro Roran scendere, mentre sul ponte elfi e uomini insieme erano ancora indaffarati a eseguire le ultime manovre per l'ancoraggio.
I due fratelli gli andarono in contro con passo sostenuto e, una volta raggiunti, Eragon riuscì a malapena a contenere la sua emozione, sciogliendosi in un abbraccio che Roran ricambiò con altrettanto affetto. Quando fu il turno di Murtagh, il giovane uomo si limitò a dare al cugino una calorosa stretta di mano.
- Non posso ancora credere che tu sia qui! - gli fece Eragon stringendolo forte per una spalla.
- Anche io sono felice di vederti cugino. - gli rispose Roran guardandolo negli occhi, Eragon abbassò il suo sguardo per un attimo, per poi sorridergli, sollevato.

- Le nostre missive hanno raggiunto re Arold più in fretta del previsto - fece loro Murtagh.
Con un leggero ghigno che gli increspò i lati della bocca, Roran si voltò subito verso di lui, divertito. Con poche e concise parole spiegò loro l’incontro con Elijah, Frederick e Paul e come grazie al loro intervento e quello di Katrina re Arold stessero organizzando una controffensiva.

- Da Antàra aspettano vostre notizie. Il giovane Reafly è pronto per eseguire la cristallomanzia appena Katrina ci darà un segnale da Feria. E poi c’è il capitano Xavier. -
Eragon e Murtagh osservarono l’uomo scendere anche lui dall’ammiraglia per venirgli in contro.

- Eragon Murtagh, sono lieto di potervi incontrare di nuovo - li salutò l’uomo.
Dopo aver dato direttive ai cadetti delle navi, tutti e quattro si avviarono alla casa del governatore dove li attendeva il resto del nuovo direttivo a capo della città.

Quella stessa sera Roran e Xavier vennero messi al corrente dai fratelli della situazione in città. Anche loro convennero che la partenza dei draghi dovesse essere tenuta segreta il più a lungo possibile. Poi il discorsi conversero sulla linea offensiva da prendere e Xavier ne approfittò per iniziare a spiegare ciò per cui il re lo aveva mandato da loro.
Eragon e Murtagh ascoltarono attentamente ogni parola dell’uomo poi si scambiarono uno sguardo.
- Per creare queste armature sarà utile la magia degli elfi da affiancare alle maestri locali –

- Dobbiamo parlare con la gilda dei mercanti. Sono loro a controllare il traffico con le isole di Crithia e Stigie. –

- Il governatore saprà indirizzarci verso le persone giuste. -


**

Il giorno seguente fu organizzato un banchetto a cui parteciparono oltre alla gilda dei mercanti anche altre corporazioni cittadine. Tutte erano interessate a parlare con i cavalieri per assicurarsi un fetta di guadagno da quella nuova situazione.  

Xavier aveva appena finito di parlare con una delle due corporazioni che controllavano il traffico dell’isola di Crithia dove veniva estratto l’alluminio e parte del rame.

- L’incontro ha avuto successo! – disse Xavier entusiasta rivolgendosi ai due fratelli.

- Abbiamo stabilito un incontro con i capitani delle navi domani mattina al porto. Servirà qualcuno che faccia da garante. Potete esserci? –

- Certamente Capitano – risposero entrambi i fratelli poi Murtagh venne contattato mentalmente da Castigo. Il drago rubino si trovava in compagnia di Saphira non lontano dai resti del corpo di guardia e lo aspettava.

- Se non c’è altro che dobbiamo fare stasera io mi ritiro. – disse il moro che con la mente era già con il suo drago.

Eragon venne raggiunto subito da Saphira. Murtagh sta raggiungendo Castigo. Se lo meritano un momento solo per loro. la voce della dragonessa appena velata di emozione nel guardare la sagoma di Castigo allontanarsi.

- Naturalmente fratello. Vai pure. -

Anche Xavier salutò Murtagh. Quando furono solo loro due Eragon sentì la presa robusta del capitano che lo spinse con decisione da una parte.

- Cosa c'è? - gli chiese notando che la sua mente era particolarmente agitata mentre gli stringeva il braccio. Eragon si sarebbe potuto liberare con facilità ma per il momento lo lasciò fare.
- Eragon, ho bisogno di parlarti subito – esordì Xavier senza allentare la presa – e non riguarda l’incontro di domani. Riguarda Isobel – Eragon sempre più disorientato corrugò la fronte ma non disse ancora nulla.

- Ha voluto che facessi da maestro a Rebekha e al suo drago -
- Si, è così – gli rispose infine Eragon che stava iniziando ad irritarsi per quella insistenza. Poi Xavier abbassò di colpo lo sguardo. - Dimmi che mentre eri ad Abàlon, oltre alla ragazza hai visto anche Serena, sua madre? -
Eragon ci pensò solo un attimo poi scosse la testa.
- Mi dispiace Xavier. La maggior parte del tempo ero confinato dentro la caserma. Non sono in grado di rispondere alla tua domanda. – a quelle parole Xavier lasciò il braccio di Eragon sconsolato - Dovevo comunque provare a chiedertelo - 

Eragon, noi abbiamo visto Serena. Ricordi la donna che venne in contro a Xavier al nostro arrivo? Gli suggerì Saphira che non aveva mai abbandonato il suo cavaliere. Eragon annuì nel ricordare il viso della donna tra la gente che li aveva accolto quel primo giorno.

Rebekha è tutta sua madre. Le rispose riconoscendone adesso i lineamenti.

So che ti costerà molto ma potresti fare qualcosa per lui piccolo mio.

Eragon sussultò. Sapeva cosa gli stava chiedendo la compagna. D’accordo Saphira lo farò.

Con Saphira sempre ai margini della sua coscienza Eragon tornò a guardare Xavier.

- Aspetta Capitano. Non posso rispondere alla tua domanda, ma posso fare questo. Avvicinati e dammi la tua mano - Xavier rimase per un attimo interdetto, poi fece quello che gli aveva chiesto. Con la mano su cui era impresso il Gedwey-ignasia Eragon prese quella dell’uomo e il marchio dei cavalieri si illuminò. In quello stesso momento la vista di Xavier sparì e su uno sfondo nero, come in una tela, iniziarono a scorrere i ricordi su quell’ultima settimana di allenamento in cui Rebekha si era avvicinata al cavaliere rendendolo partecipe in parte della sua vita.

Solo quando il flusso di immagini cessò Xavier aprì gli nuovamente gli occhi sul mondo reale.
- Rebekha ti ha parlato di lei. Voleva fartela conoscere. Questo significa che Isobel l’ha risparmiata! -
- Sì Xavier. Anche se non riesco a togliermi dalla mente l’idea che, se avessi avuto più tempo, sarei riuscito a portarle entrambe con noi - Xavier lo fermò con un gesto della mano
- Avevi problemi ben più grandi a cui pensare cavaliere – gli rispose con delicatezza.
Eragon avvampò, rendendosi conto che, oltre alle immagini, l’uomo aveva percepito anche le sue emozioni e i suoi pensieri confluiti insieme con i ricordi.
- Ti devo ringraziare Eragon. Ora so di avere qualcuno da cui tornare. –

Eragon mise da parte il suo imbarazzo e lo guardò incuriosito.

- Una volta ci hai detto che avresti fatto di tutto per proteggere lei e la sua famiglia. Tra voi deve esserci molto di più che una semplice amicizia. – Xavier annuì. - Io credo di averla sempre amata, Cavaliere, ma le circostanze e il tempo non mi hanno mai permesso di dimostrarglielo. -

Xavier non avrebbe mai pensato di potersi confidare così tanto con Eragon.

Non vergognarti dei tuoi sentimenti. Ti fanno onore. Intervenne Saphira parlando direttamente nella mente dell’uomo. La sua voce gli infuse subito un senso di tranquillità e di fiducia.
Ho visto Serena una sola volta, ma il mio istinto di drago mi suggerisce che il suo cuore è puro. Qualunque cosa Isobel ha in mente non potrà mai cancellarlo.
una luce di speranza si diffuse nell'animo tormentato del capitano, facendo affiorare su suo volto un mezzo sorriso.

- Grazie Saphira -

Quella sera la luna era stata una sottile falce nel cielo, e le stelle erano le sole a rischiarare le tenebre. Un brivido percorse la spina dorsale di Saphira facendola vibrare per tutta la coda.
Vuoi che ti raggiunga? Le chiese Eragon.
Non preoccuparti per me. Credo che tuo cugino ti stia aspettando. Vai piccolo mio, io starò bene.

Eragon sorrise.
Grazie.
Il cavaliere si diresse verso il fondo della tavola, dove Roran si era messo a giocherellare con i resti delle molliche di pane.
- Tutto bene con il capitano Xavier? - gli chiese Roran alzando il volto verso di lui. Xavier era stato l’ultimo ad aver lasciato la sala che ora era attraversata qua e la dai servi occupati a riassettarla.   
- Sì, tutto bene. Aveva solo bisogno di essere rassicurato su alcune persone. – gli rispose elusivo Eragon. Roran annuì abbassando ancora una volta la testa sulla tavola e sulle molliche di pane. Eragon allora riprese a parlare.

- Con Saphira abbiamo concordato che questa sera non poso davvero perdermi la compagnia del valoroso Roran Fortemartello. -
A quelle parole Roran scoppiò in una breve risata.
- L'onore è mio Eragon Ammazzaspettri. -
Si scambiarono un altro sguardo divertiti e per entrambi fu come se il tempo non fosse mai passato; le parole allora uscirono fuori con estrema semplicità e i due cugini si trovarono a parlare nelle ore successive, raccontandosi tutto quello che era successo loro da quando si erano lasciati.
Eragon si trovò a confidargli molte cose che fino a quel momento non aveva raccontato a nessuno. Roran lo ascoltò in silenzio, soffrendo e piangendo con lui per quello che aveva subito per mano di Isobel e di Verschna. Anche Roran lo aggiornò su tutto. Gli raccontò di come Carvahall, il loro paese natale, non fosse cambiato; gli descrisse i mille impegni che ogni giorno era chiamato a ricoprire come capo del consiglio delle razze e di come se la stava cavando Nasuada alle prese con un intero paese da ricostruire. – Quella donna ti nomina più spesso di quanto vorrebbe. Gli manchi sai? – Eragon abbassò appena la testa annuendo.

- Anche a me Roran. Come stanno Katrina e mia nipote? –

Il volto di Roran si illuminò al pensiero della figlia. Era stata lasciata alle cure di Jill e Arya.

- È cresciuto molto dalla tua partenza ed una vera forza della natura. Katrina ha creato un fairth con la sua immagine. Ecco lo porto sempre con me. - disse tirando da sotto la casacca un ciondolo d’argento ovale appeso a una catenina. Lo aprì per mostrargli con orgoglio una piccola immagine.

- È una bambina stupenda Roran! – disse Eragon guardando il cugino con un sorrisetto.

- È stato fortunato, ha ripreso tutto dalla madre. – Roran scosse la testa fingendosi offeso ma si mise a ridacchiare anche lui mentre richiudeva il ciondolo per poi tornare serio.

- Farei di tutto per il nostro angelo. È un sentimento che non si può spiega. – Roran si fermò un attimo a scrutarlo. - Ma questo non devo certo dirtelo, perché la devi provare anche tu. –

Eragon alzò lo sguardo sul cugino – hai parlare con Arya? – chiese Eragon. Roran fece un cenno di sì con testa stringendo il medaglione nel pugno.  Eragon serrò forte le labbra  
- Saperla al sicuro è l’unica cosa che conta adesso, ma mi manca molto e detesto il pensiero si averla lasciata sola proprio ora. -
- Arya è forte. Quando siamo andato a trovarla con Katrina ci ha confidato qualcosa. Mi imbarazza dover essere io dirtelo – ammise Roran con pudore.

- Roran so già che sono due gemelle – il cugino lo guardò sorpreso ed Eragon gli sorrise. - Le ho sentite sai? Quando Murtagh mi ha potato via dalla grotta in cui mi aveva portato Verschna. All’inizio è stata una sensazione quasi impercettibile. Poi la loro presenza si è fatta sempre più reale. –

- Arya ci ha detto anche questo – rispose il cugino poi Roran emise un lungo e sonoro sbadiglio e stiracchiando le membra intorpidite guardò fuori dalla finestra.
Nel cielo la stella del mattino stava splendendo su tutte le altre che iniziavano a sbiadire mentre un lieve bagliore a est si alzava per portare via il crepuscolo.
- Non posso credere che abbiamo parlato tutta la notte. Sarà meglio che mi stenda un poco. -
Con movimenti lenti si diresse barcollando alla porta.
- Non vieni anche tu? - gli chiese Roran.

- Vai pure avanti, io ti raggiungo. -
Eragon sgattaiolò fuori dal giardino, dove la mole enorme di Saphira era rannicchiata. Eragon le sorrise con tenerezza per poi andarle in contro.
Saphira la chiamò
La dragonessa, scossa dal suo sonno e ancora con gli occhi chiusi, emise solo un basso gorgoglio prima di esporre il suo ventre caldo al proprio cavaliere che ci si accoccolò sopra come un cucciolo con la sua mamma.
Avete fatto tardi, è stata una imprudenza. Lo rimproverò lei bonariamente.
Lo so.
Saphira non aggiunse altro, ma aprendo la sua mente lasciò che Eragon condividesse con lei quello di cui lui Roran avevano parlato.
Cosa è che ancora ti turba piccolo mio?  Le chiese Saphira percependo il turbine di emozioni che travolgeva Eragon anche in quel momento.
Arya e le bambine. Che tipo di futuro le sto offrendo. Anche se riusciremo a battere Isobel, quale tipo di vita posso offrire loro? A Carvahall un uomo che possedeva un pezzo di terra e una casa, era in grado di costruire il suo futuro. Io ho perso questo diritto già da molto. Non lo rimpiango non fraintendermi, ma da allora non ho più un posto dove possa davvero dirmi a casa. Un luogo dove stabilire le mie radici.
Il mondo è nostro. noi possiamo stare dove desideriamo Eragon
.
Lo so, e fino a quando eravamo noi due soli e poi con Arya non mi ponevo il problema, ma ora le cose sono diverse. Diverrò padre. Capisci? Due vite dipenderanno da noi, saremo responsabili del loro futuro.
In tutta risposta Saphira mosse la sua coda lungo il fianco per poi avvolgerla intono alla sua vita con delicatezza, scuotendolo.
Gli occhi di Saphira lo guardarono con un misto di tristezza e compassione.
Non era in grado di alleviare le preoccupazioni di Eragon, e questo la fece infuriare.
Ritroveremo la strada di casa piccolo mio. Te lo prometto. Gli disse con fermezza.
Posando le sue mani lungo le squame della sua coda, Eragon si lasciò cullare dalla dragonessa.

***

 

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Capitolo 34
*** Specchi incantati e barche magiche ***


I capelli di Rebekha svolazzavano al vento mentre volava sul dorso di Kima, sotto di loro una landa sconosciuta si estendeva a perdita d’occhio. Uno strano senso di libertà si era impadronita di lei mentre guardava di fronte a sé, poi il paesaggio iniziò a trasformarsi, diventando più impervio, la roccia prese il posto della terra e dell’erba. Con Kima si ritrovò a volare sopra una catena montuosa. Una montagna spiccava tra le altre.
Non era né più alta né più grande delle altre, ma qualcosa in essa attirò l’attenzione della ragazza. Anche Kima doveva aver provato al stessa cosa perché senza che lei le dicesse nulla volò verso di essa.
Rebekha socchiuse gli occhi nel vedere una luce calda uscire da una fessura della roccia. La ragazza scese dalla sua dragonessa e camminò verso quella luce.
La fessura si rivelò essere l’ingresso di una grotta. Rebecca si fermò all’entrata. L’immagine che gli si parò davanti la lasciò senza fiato: dentro alla grotta vi era stata un’altra montagna, più piccola, fatta di piccole pietre tondeggiante come ciottoli.
Si voltò in cerca di Kima ma la dragonessa non era più accanto a lei attirata dall’aura emanata da quel luogo mentre il suo petto irradiava quella stessa luce. Improvvisamente era sola, poi tutto iniziò a sbiadire.


Rebekha si svegliò lentamente per trovarsi su un letto a lei sconosciuto. Una coperta ruvida la copriva fino a metà busto; confusa, si mise a sedere massaggiandosi le tempie quando la stanza prese a ondeggiare a destra e sinistra costringendola ad aggrapparsi ai bordi del letto.
Come in puzzle dove tutti i tasselli vengono messi in tutti al loro posto, la ragazza si ricordò immediatamente dove fosse.
Era nella pancia di una delle navi da guerra, insieme a tante altre che la regina aveva armato per assediare e mettere in ginocchio le citta che si erano ribellate.

Le immagini del sogno erano ancora vivide nella sua mente addormentata, quando un altro movimento della nave la sballottò nuovamente da una parte a l’altra.
- Sono sveglia! - mormorò irritata. Poi Rebekha avvertì altri movimenti, questa volta provenienti dal ponte. Avvolgendo la coperta intorno alle spalle come un mantello, la ragazza si affrettò ad affacciarsi alla piccola finestrella aperta sulla pancia della nave: in lontananza una linea sottile di terra era appena visibile tra il costante oscillare delle onde.

Antàra!
Rebekha strinse con forza i bordi della coperta, il cuore improvvisamente in trepidazione; prese un profondo respiro, ricacciando indietro tutti i suoi timori e le sue paure. La voce di Kima la raggiunse un attimo dopo.
Sei sempre convinta della tua scelta? Le chiese la dragonessa, per quella che doveva essere la centesima volta da quando avevano lasciato Abàlon.
Certo che lo sono. Le rispose esasperata la ragazza, mandando via con rabbia l’ultima traccia delle sue incertezze. In risposta, Kima emise un basso e lento ringhio di disapprovazione, ma Rebekha non si lasciò intimorire.
Mi sembra ne avessimo già parlato Kima. Sono in gradi di gestire la situazione.

Sei gelosa perché Eragon ha scelto di andare via invece di rimanere al tuo fianco. La rimproverò la dragonessa. Rebekha divenne rossa.

Il trattamento che la regina ha riservato a Eragon non era giusto, ma lui aveva scelto lo stesso di istruirci.

La regina ti sta chiedendo di mettere lo stesso collare al collo di tuo fratello.

Lo so. Mi ha rimproverato dicendomi che il mio dovere sarebbe stato quello di convincerli a rimanere, non di assecondarli nella loro ribellione. Isobel gli aveva fatto un lungo discorso sull’importanza del suo ruolo in quella guerra e quanto lei confidasse in lei.

Loro non hanno conosciuto la regina come l’abbiamo conosciuta noi.

Rebekha!
Niente ma. Tagliò corto la giovane.

Eragon è stato un ottimo maestro, questo lo so bene, ma lo è stata anche Isobel.

Questo significa che eseguirai i suoi ordini?

Non lo so Kima. Forse sì Rispose esasperata la ragazza, ma non era per nulla convinta e l’incertezza  tornò ad attanagliarle lo stomaco.
Con suo sollievo Kima non ribatté, ritirandosi lentamente dai suoi pensieri. Rebekha si infilò gli stivali e si ravvivò i capelli per uscire fuori dalla sua cabina e salire sul ponte della nave. Lì incrociò due marinai che la salutarono con un inchino.
La rispettavano, lei e Kima rappresentavano per loro una speranza e in cuor suo non avrebbe mai voluto tradire la loro fiducia.
Perché Kima non riusciva a vedere tutto questo? Perché non condivideva con lei la gioia di essere parte di qualcosa di più grande?

Consapevole che quella incomprensione avesse aperto come una crepa nel loro rapporto, minacciando di dividerle sempre di più, decise di raggiungerla.

Rebekha la trovò accucciata sulla prua della nave. Le sue dimensioni erano aumentate a vista d’occhio, ma era ancora in grado di posarsi sul ponte senza provocare danni. Lei si avvicinò chiamandola anche con la mente, ma l’unica risposta che ricevette fu solo un sonoro sbuffo che le scompigliò tutti i capelli.
Bene! Le gridò con forza attraverso il loro legame.
Bene. Rispose la dragonessa con calma, cosa che la fece innervosire ancora di più. Rimasero entrambe così per alcuni interminabili istanti, l’una di fronte l’altra; anche se indaffarati in alcune manovre, alcuni dei marinai si fermarono a osservare la strana scena. Rebekha ne approfittò per chiamare a sé un giovane dai capelli corvino:
- Vorrei parlare con il capitano cadetto. Adesso – il ragazzo si mise subito sull’attenti.

- La porto subito da lui. – 

Ne parliamo più tardi? Chiese Rebekha alla dragonessa viola. La risposta asciutta di Kima lasciò Rebekha piu sola che mai mentre seguiva il ragazzo.

Nella cabina di comando il capitano accolse Rebekha con un certo compiacimento nei modi come nella voce.
- Entra Lady Rebekha. Volevi parlarmi? -
Il capitano della nave era un generale della vecchia leva. Aveva combattuto con il padre in molte battaglie e la ragazza lo ricordava come un assiduo frequentatore della loro casa quando il padre era ancora in vita; dopo la sua prematura morte, come molti altri, anche lui era improvvisamente sparito. L’ultima volta che Rebekha ricordava di averlo visto era stato durante le sue ossequia.
- Capitano mi può aggiornare sullo stato della missione? - il suo tono diretto spiazzò l’uomo che si affrettò a rispondere. Mal celava il suo disappunto. Gli ordini della sua regina erano quelli di assecondare in tutto e per tutto le richieste della giovane.

- In questo momento le altre navi hanno raggiunto le due città di Gratignàc e Feria e mandato il messaggio della regina Isobel come abbiamo fatto anche noi con Antàra. L’ordine per tutti è quello di attendere i tre giorni per la resa. -

L’uomo guardò quindi la giovane negli occhi aspettandosi una reazione che non arrivò. Rebekha era infatti rimasta in silenzio, concentrata su quello che la regina le aveva chiesto di fare, poi, come risvegliandosi dai propri pensieri, chiese laconica.
- Capitano dovresti avere qualcosa per me. Un bagaglio speciale che è stato portato sulla nave con il resto del carico. – l’uomo le annuì.

- Certamente Lady Rebekha. Devo consegnartelo adesso? – chiese con falsa cortesia.

Rebekha annuì. - Per favore – si affrettò ad aggiungere ricordando anche gli insegnamenti della madre di potare sempre rispetto di fronte a qualcuno più grande di lei. L’uomo la guardò e gli sfuggì un lieve sorriso che assomigliava più a ghigno, in realtà, che Rebekha non seppe decifrare. Poi si alzò dalla sua sedia e andò a prendere una valigetta chiusa. Con un leggero indugio la consegnò nelle mani della giovane.

- Ecco – disse senza toglierle gli occhi di dosso. Rebekha la prese, quindi poggiando sull’avambraccio sinistro la aprì stando attenta a mantenere il contenuto nascosto allo sguardo dell’uomo, gesto che aumentò la sua curiosità.

La scatola era rivestita con del velluto chiaro e sopra era adagiata una banda metallica, la stessa che aveva visto al collo di Eragon per tutti il tempo in cui era stato il suo insegnante. Solo ora ne conosceva gli effetti . Isobel le aveva spiegato con molti dettagli quello che poteva fare. Rebekha serrò gli occhi a quel ricordo con disgusto e chiuse in fretta il coperchio.

- Da questo momento la prendo in consegna io – disse.

Quando uscì, Rebekha non ebbe il coraggio di ritornare sul ponte da Kima. Rientrando nella propria cabina lasciò cadere la valigetta in un posto sicuro e non usci per il resto della giornata.

***

Reafly era di fronte al catino d’acqua dove da lì a poco sarebbero apparse le immagini delle persone che doveva divinare. I presenti nella sala erano tutti spariti, nella sua testa c’erano solo lui e Gleadr. Al suono dell’antica lingua l’aria vibrò e la superficie dell’acqua si increspò in tante onde che iniziarono a catturare la luce. La luce si trasformò in colori che si composero a formare i volti di Eragon e Murtagh, Roran e Xavier da Gratignàc e quelle di Elijah e Katrina da Feria.

L’energia richiesta era tale per cui non gli era possibile trasmettere anche la propria voce. Il giovane avrebbe solo assistito.

Dopo le dovute presentazioni del caso la riunione ebbe inizio.

Il re ascoltò tutti con preoccupazione mentre ognuno di loro descriveva con le stesse espressioni il blocco navale al largo delle loro coste. Erano passati dieci giorni dall’assedio di Gratignàc e questo era il primo atto offensivo da parte di Zàkhara affiancato dal solo regno di Bridgestone guidato da Rufus, unico, tra quelli che avevano abbandonato la riunione, ad essere rimasto al suo fianco.

Le loro forze, dopo il definitivo scioglimento dell’alleanza, erano ancora sufficienti a creare il triplice blocco congiunto.

- Le ambasciate chiedono tutte la stessa cosa. La nostra immediata resa entro tre giorni. In caso contrario verremo attaccati da mare e da terra. -

- Se lo scopo di Isobel è quello di creare disordine e incertezza lo sta ottenendo – stava dicendo Frederick con una certa tensione nella voce.

- Questa sua sicurezza può diventare la nostra forza – intervenne Roran in risposta a Frederick. Arold guardò allora verso il giovane uomo.

- Isobel non conosce la vera portata della flotta di Alagaësia. L’ammiraglio Vanol sta riunendo i comandati non lontana dalla baia di Antàra. – continuò Roran. – A un nostro ordine è pronto ad entrare in azione.

- Le armature? - chiese Arold rivolto a Xavier.

- Abbiamo fornito l’equipaggiamento già una parte dell’esercito che è stato istruito su come deve utilizzarlo. – rispose pronto Xavier.

Dalla sua posizione privilegiata accanto al re Reafly si fermò a guardare con preoccupazione  l’amico. Il suo viso  profondamente segnato dalla stanchezza era provato dall’impegno febbrile di quei giorni.

E mentre Reafly guardava Xavier improvvisamente qualcuno nominò Rebekha. Era stato Eragon, forse, oppure re Arold. A Reafly non importava, da un po’ aveva smesso di ascoltare attivamente e le loro voci che erano diventate un leggero brusio di sottofondo, il suo pensiero era solo per la sorella.

Gleadr ho come la sensazione che Bekha sia qui vicino. Si rivolse infine al compagno.

Lo sento anche io amico mio. Gli rispose prontamente il drago dorato che non lo aveva mai lasciato solo.

Poi una mano gentile si posò sul suo braccio.

- Reafly puoi lasciare l’incantesimo – gli disse Jill. La riunione era giunta al termine e Reafly sospirò. Tutti stavano lasciando la sala ma lui aveva ancora qualcosa da dire. Si guardò intorno.

Arya potrebbe ascoltarti.

Gli suggerì Gleadr. Reafly annuì e la cercò con lo sguardo. Arya stava avvicinando la testa ad Alicia. - Vorrei rientrare in camera, sono stanca. Mi accompagni? -
Preoccupata per la sua salute, Alicia le mise un braccio intorno alla vita e la aiutò a camminare. Il viso dell’elfa era diventato lievemente pallido.
- Certamente – rispose la ragazza. Arya le rivolse un lieve sorriso per dissipare le sue preoccupazioni.
Reafly la seguì con lo sguardo da lontano.
Devi Parlare almeno a lei! Lo raggiunse la voce preoccupata di Gleadr.
Lo farò.
Ora Reafly! Lo rimproverò il drago
Va bene, va bene.
Il ragazzo prese un respiro e corse dall'alfa.
- Arya svit-kona. - La chiamò raggiungendola con una breve corsa.
- Reafly - Arya si chinò su di lui e gli passò una mano sulla testa.
- Dovrei parlarti. -
Alicia alzò un sopracciglio e scosse la testa seria.

– No, non ora Reafly. Arya è… - ma venne interrotta da Arya che alzò una mano a fermare la sua ancella.
- Non ti preoccupare Alicia, può venire con noi. In camera potremo parlare più comodi. -
- Va bene mia signore. - Rispose Alicia, Arya sorrise a Reafly che seguì le due donne.
- Di cosa volevi parlarmi? -  gli chiese Arya una volta che furono entrati nella sua camera e Alicia aveva loro portato delle tazze con un infuso ai fiori di gelso. Posando la tazza sopra le gambe Reafly prese un respiro e guardò l'elfa
- Riguarda la flotta di Zàkhara -
Arya corrugò la fronte.
- Gleadr ed io abbiamo sentito qualcosa. - Reafly fece una breve pausa – Siamo certi della presenza di un altro drago. Non è ostile a noi. Io credo si tratti di quello di mia sorella Rebekha. È confusa e piena di dubbi. -
Arya annuì, si alzò dal letto dove era seduta e posata la tazza sulla scrivania si accostò alla finestra della camera.
L'ambasciata era appena uscita dalle porte del castello per dirigersi alla spiaggia e da lì, alle loro navi. Arya sorrise e si voltò verso Reafly.
- Tu dici che tra loro c'è tua sorella. E desideri parlargli – Reafly arrossì e chinò la testa. L’Elga gli aveva letti nel pensiero.

- Se è così c’è un solo modo per farlo – continuò. Allora Arya prese un foglio di carta e iniziò a piegarlo. Con abili gesti fece uscire fuori una piccola gondola che posò sul palmo della sua mano.
Arya pronunciò su di essa alcune parole in antica lingua e la barchetta prese a illuminarsi di una lieve luce pallida ma che splendeva costante.
Quando l'elfa vi soffiò sopra la barchetta volò dalla sua mano per rimanere sospesa a mezz'aria.
- Ganga - sussurrò e questa schizzò fuori dalla finestra nella direzione presa dell'ambasciata.
- Cosa hai fatto? -  gli chiese Reafly scambiandosi con Alicia uno sguardo curioso.
- La barca li seguirà, ma loro non se ne accorgeranno nemmeno, e se tra loro ci sono Rebekha e Kima, lo scopriremo - Reafly annuì poi chiese
- Ma come farà a muoversi? Sei tu che la stai guidando fino a loro? -
- No, ho fatto in modo che sia autonoma, prendono energia da ciò che la circonda; in più gli ho dato un ordine preciso e finché non lo avrà compiuto, continuerà a girare, per mesi se necessario. In effetti, se non trova ciò per cui è stata mandate, potrebbe continuare a volare per sempre. -

**

Kima era raggomitolata sul ponte della nave e stava quasi per addormentarsi. Il rumore delle barche di ritorno dall'ambasciata rimase di sottofondo mentre cercava di addormentarsi. Quando, ecco, una piccola luce sull'acqua non la fece destare dal suo torpore.
Inizialmente le era sembrata il riflesso dei raggi lunari o di qualche fiaccola proveniente dalle navi. Poi la luce si mosse in avanti e Kima si accorse che non si tratta va di una semplice luce, ma che era una minuscola barca.
Alzò il muso e con il collo si allungò verso di essa.
La piccola gondola vibrò un attimo sopra l'acqua poi si avvicinò alla dragonessa viola, fermandosi davanti ai suoi occhi.
Per alcuni istanti rimase ferma, per aria, poi esplose di una luce intensa per cadere, l'istante successivo, sulla superficie morbida del mare.
Kima sbatté le palpebre più di una volta, incerta su quello che aveva appena visto e sentito e allungò il muso a sfiorare la piccola imbarcazione di carta.
Impregnata d'acqua, però, questa iniziò a immergersi, scendendo giù negli abissi profondi.
Con uno sbuffo Kima alzò il muso e si ritrovò di fronte Rebekha. Si chiese se anche lei avesse visto la piccola barca di carta.

L’ambasciatore ha confermato la presenza di Reafly. le disse asciutta la ragazza.

Kima ringhiò. No, la sua compagna non aveva visto come lei quegli occhi né sentito quella voce che le chiamava a raggiungerla sulle rive di Antàra. Gli occhi di Kima scintillarono nel notare l’abbigliamento semplice di Rebekha e il suo sguardo si posò collare che stringeva nelle mani.

Non ce la posso fare Kima. Le confessò infine, dolorante.  

Era una richiesta disperata di aiuto. Allora Kima fece la sola cosa possibile in quel momento. Avvicinò il suo muso alla sua compagna e prendendo il collare di metallo tra le fauci con delicatezza lo allontanò da lei prima di gettarlo in mare. Rebekha lasciò le braccia a penzoloni lungo i fianchi, le mani inerte dove prima teneva in mano quell’oggetto orribile, non fece nulla per fermarla.

Lo osservò colpire l’acqua e scendere giù e in quel momento si sentì sollevata, come se un grosso peso le fosse stato tolto dalle spalle.

E ora cosa facciamo? Kima ci pensò un attimo poi il suo pensiero andò alla richiesta che aveva  accompagnato l’apparizione della barca.

Ti fidi di me Bekha?

Rebekha si appoggiò al suo fianco e annuì. Certo, sempre.

Allora sali sul mio dorso.

Dove vuoi andare

Lontano da qui. A incontrare qualcuno che potrebbe aiutarci.   

**

Con la complicità dalle tenebre Kima passò leggera e inosservata sopra la flotta di Zàkhara, per poi intensificare il ritmo del battito dalle proprie ali una volta superata. Quando fu che a poche iarde di distanza dalla riva, Kima effettuò una leggera virata e si diresse ad est, dove raggiunse una piccola baia naturale.
Vi atterrò; il mare si infrangeva sugli scogli riflettendo il viola delle sue squame.
Kima si acquietò e rimase in attesa, come quegli occhi smeraldo gli avevano chiesto di fare.
È questo il posto? Le chiese Rebekha scendendo dal suo dorso.

Sì. Lei verrà all’alba ma non avevo intenzione di lasciarti un minuto di più in un posto che non ci appartiene.  

Rebekha le sorrise e le accarezzo il muso poi si stese al suo fianco; nessuna di loro aveva voglia di parlare, né tanto meno di discutere sul loro futuro e in poco tempo entrambe si addormentarono.

Il mattino seguente il rumore delle onde contro gli scogli fu il primo suono che accompagnò il risveglio di Kima. Spruzzi d'acqua le bagnarono le squame facendole solletico.
Si scrollò e stirò i muscoli intorpiditi del collo. Rebekha stava ancora dormendo, si guardò intorno e quando alzò lo sguardo al cielo  intravede un bagliore dorato.
Kima socchiuse gli occhi  mentre Gleadr volava verso di lei.
Quando il drago dorato atterrò a poca distanza da dove si trovava, Kima era incerta sul quello che doveva fare.
Dall'altra parte, seduto sul dorso di Gleadr, Reafly era rimasto fermo, ad osservare la dragonessa e Rebekha. Il ragazzino si sentì travolgere da una forte emozione: quella creatura maestosa era una parte di Rebekha adesso, come Gleadr era una parte lui e il ragazzo non paté fare a meno di pensare a come in così poco tempo, entrambi, fossero andati tanto lontani.
Il ragazzo prese un respiro e scese dalla sella.
Kima posò gli occhi su di lui e poi su Gleadr allo stesso tempo proteggendo il suo cavaliere, ondeggiando la sua coda avanti e indietro di fronte a sé.

Bekha alzati. La incitò nella mente la compagna. La ragazza iniziò a svegliarsi.

Reafly aspettò che la sorella si mettesse in piedi prima di avvicinarsi.

Kima cosa c’è? Stava chiedendo la ragazza raccogliendo i capelli che le si erano arruffati da una parte prima di bloccarsi di fronte al fratello.

Rebekha esitò. – Reafly? – disse sorpresa. – L’ultima volta che ci siamo visto ero sicura di tante cose, ora non lo sono più – disse con un sorriso timido.

- Ma ora sei qui Bekha. Questo vale per me più di mille parole - le rispose Reafly che, rompendo le distanze, le andò incontro e l'abbracciò.

Rebekha rimase rigida inizialmente poi anche lei si sciolse ricambiando l'abbraccio.
In quel momento vennero raggiunti da Arya in sella a un nero destriero.

Il cavallo si abbassò sulle quattro zampe per permettere all'elfa si scendere.
Kima riconobbe subito Arya come la creatura che l'aveva chiamata attraverso l’espediente della gondola. Posò i suoi occhi sulla sua figura, per finire al grembo gonfio.
Perché ci hai chiamate? Chiese Kima alla mente di Arya.
Per potervi conoscere e capire. Rispose con semplicità l'elfa.
Kima rimase in guardia, a quel punto Arya prese un respiro e le parlò ancora attraverso la mente.
Tu e il tuo cavaliere siete state allieve di Eragon.
Arya poté leggere la curiosità da parte della dragonessa crescere attraverso il loro legame ed Arya lasciò a Kima la possibilità di guardare alcuni suoi ricordi. La dragonessa viola chiuse gli occhi e li riaprì appena si ritirò dall'elfa.
Tu sei la sua compagna disse infine Kima, riferendosi a Eragon. Arya annuì

Le due creature che porti dentro di te sono…
Le sue figlie. Concluse l'elfa. Istintivamente Arya abbassò lo sguardo, passandosi una mano sul ventre con dolcezza, per rialzarlo subito dopo e riportare nuovamente la sua attenzione su Kima, che non aveva smesso di guardarla.
Perché mi stai raccontando questo? Chiese allora la dragonessa.
A quella domanda Arya non esitò a risponderle.
Per darvi la prova che mi fido di voi e che non siamo vostri nemici.

Kima grugnì appena, annusando l'aria salmastra del mattino. Questo io lo so, ma la mente della mia compagna ha bisogno di tempo. È rimasta troppo a lungo offuscata dalle parole della regina.

L’elfa annuì. La mente del tuo cavaliere deve guarire da molte cose Continuò Arya. Accettate di rimanere neutrali fino a quando non avrete chiare le vostre intenzioni riguardo a Isobel. 

Intanto Rebekha le stava osservando con la mano stretta in quella di Reafly. Devo parlarne con la mia compagna prima di darti una risposta.

Arya le sorrise. Certo, ne hai tutto il diritto.

Così Kima mise Rebekha al corrente di quello che aveva scoperto dall’elfa. La ragazza non aveva mai lasciato la mano Reafly ma rivolse ad Arya uno sguardo di ammirazione e reverenza.
Io e il mio cavaliere accettiamo. Le disse alla fine la giovane dragonessa esprimendo il pensiero di entrambe.
Arya le sorrise, sollevata.
Kima si volse allora verso Reafly accanto a Rebekha.
Sono felice di conoscere il compagno di cova del mio cavaliere. Disse rivolta al giovane.

Spero che possiamo conoscerci molto presto. Le rispose Reafly con entusiasmo. Poi la dragonessa viola si volse a Gleadr e per alcuni istanti i loro sguardi si fusero nel condividere i loro ricordi prima della schiusa.
Arya si strinse nel mantello, improvvisamente esausta. Il destriero si era nuovamente abbassato per permetterle di salirgli sopra. Rebekha allora trovò il coraggio di staccarsi dal fratello per correre ad aiutarla.

- Non stare li impalato Reafly! – lo rimproverò la ragazza. - Hai bisogno di appoggiarti? – chiese all’elfa.

- Grazie Rebekha – le rispose Arya poggiandole una mano sulla sua spalla per issarsi.

Rebekha la seguì con lo sguardo mentre si sistemava. Consapevole dello sforzo che aveva compiuto per parlare con loro e non poté che esserle grata.

- Vai pure con tuo fratello adesso. Rientriamo insieme ad Antàra -

***

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Capitolo 35
*** Una inaspettata richiesta di aiuto ***


La prese di Gratignàc si risolse con una conquista rapida, con pochissimi danni per la maggior parte della popolazione. Da ogni punto della città si vide distinto una colonna di fumo salire dal corpo di guardia, seguito dall'assordante frastuono dell'edificio che crollava di schianto sotto il peso congiunto di Guiltar e Sigmar, mentre Telluria Keiron tenevano a bada i soldati. Poco poterono contro le loro code e i loro artigli che, dannatamente veloci, scattarono di qua e di là a impedirgli qualsiasi tipo di resistenza.

- Il corpo di guardia è caduto – lo informò Murtagh mentre si apprestavano a passare un altro corridoio del palazzo del governatore. Morgana e Par si era già da tempo allontanati. Entrambi avevano posto loro un incantesimo di protezione contro qualsiasi colpo volto a ferirli.

Da quel corridoi, potevano ora sentire distintamente la presenza dei maghi dietro la porta chiusa nel fondo, ma non quella dei Ra'zac o dei Lethrblaka.

- Potrebbero aver occultando la loro presenza. -

- Questo può significare solo che ci stanno preparando una trappola. -

Saphira non vedi nulla da fuori?

No, Eragon. Né la presenza dei Ra'zac né dei Lethrblaka.

Eragon fece un cenno di no con la testa a Murtagh, che di fronte a lui si girò per entrare.

- Tu stammi dietro Eragon. Se riusciamo a neutralizzare i maghi, i Ra'zac non saranno più un problema. - Eragon annuì e Murtagh avanzò fino alla porta. All'unisono utilizzarono la magia per aprire la serratura. All'interno della stanza trovarono i dodici maghi, di cui avevano avvertito la presenza il giorno prima, tutti in cerchio, intorno a una colonna.

Quando i due fratelli misero piede nella sala, i maghi non fecero una mossa ma delle frecce partirono dai due lati della parete, nella loro direzione.

- Maledetti! - imprecò Murtagh a denti stretti, mentre alzava una barriera protettiva intorno a entrambi. Anche Eragon gli venne in soccorso con la magia, parando un'altra ondata di frecce.

Finita la pioggia mortale, i maghi non si aspettarono di vederli ancora in piedi e molti di loro vennero assaliti dal panico.

Le loro emozioni confuse raggiunsero i due giovani che non ci misero molto a sopraffarli e metterli fuori combattimento.

- Sarà meglio non dimostrare clemenza con loro Eragon - Gli disse secco Murtagh, mentre uno dei maghi si accasciava a terra privo di vita.

Eragon stava per rispondere, quando altri maghi li attaccarono con le spade e la magia. Murtagh si affrettò a parare un colpo e uccidere due di loro, Eragon fece altrettanto con un altro mago che lo aveva attaccato al fianco.

L'ultimo dei maghi iniziò a indietreggiare di qualche passo. Aveva visto tutti i suoi compagni cadere a terra per mano dei due cavalieri e capì di essere ormai condannato:

- Sei rimasto solo tu - gli fece Murtagh alzando un sopracciglio, mentre piccole goccioline di sudore gli imperlavano appena la fronte, Eragon assentì solo con la testa

- Arrenditi e dicci dove si trovano i Ra'zac. – Ma il mago continuando a tremare indietreggiò di un altro passo e tirò fuori una piccola fiala dalla tunica che infilò in bocca in un movimento rapido.

L'effetto del veleno fu fulmineo uccidendo l'uomo all'istante. Nulla poterono Eragon e Murtagh per rallentare il suo effetto. Con gli occhi spalancati l'uomo rantolò soffocando.

- È stato uno sciocco. La paura di una punizione forse lo ha spinto a un gesto così drastico. - Eragon si chinò sul corpo e con la mano chiuse i suoi occhi.

- Cerchiamo Par e Morgana - disse alzandosi in piedi. - I Ra'zac potrebbero essere ovunque in questo momento -

Murtagh annuì e insieme si precipitarono nel corridoio dove si misero subito con la mente alla ricerca dei due compagni.

Il governatore era con loro. L’uomo non aveva apposto alcuna resistenza al suo arresto e aveva accettato di dichiarare la caduta di Gratignàc.

Interrogato a fondo dai due fratelli, l’uomo rivelò loro che i due Ra'zac erano fuggiti allo squillare dei primi allarmi, e che avevano lasciato i maghi a difesa della città, per andare ad avvertire la regina.

Resa pubblica la resa del governatore, il popolo venne raggiunto con la mente dai de cavalieri, che spiegarono loro cosa stava accadendo. Dopo alcuni episodi di panico e paura da parte di alcune corporazioni fedeli alla regina, le tensioni nella città si attenuarono. La maggior parte degli abitanti di Gratignàc erano abituati a viverre in piena libertà, svincolati da qualsiasi tipo di controllo; una volta constatato che i draghi e i cavalieri non rappresentavano per loro una minaccia, accettarono di buon grado la loro presenza continuando indisturbati con le loro faccende quotidiane.

Eragon e Murtagh realizzarono una bandiera attraverso la magia, come se fosse una sorta di fairth, creando le effigi di due draghi, uno rosso e l’altro zaffiro, intrecciati insieme al di sopra di un giglio bianco aperto su un campo azzurro con una luna e il sole. Sotto gli occhi di tutta la cittadinanza, che li acclamarono come loro nuovi signori, la affissero in cima al palazzo della cittadella.

Quella stessa sera partirono da Gratignàc tre messi. Due erano diretti ai regni di Nihel e Gelko che già avevano stretto alleanza con gli elfi. Murtagh si era lui stesso incaricato di redigere i messaggi per i loro governatori Frederick e Paul. Il terzo era diretto alla città stato di Feria. Il suo governatore, Elijah, aveva più volte cercato di avvicinare Eragon durante la cerimonia facendogli intendere che qualcosa non andava. Nonostante i continui interventi di Isobel Elijah era riuscito a stabilire un contatto con Eragon che si era interrotto bruscamente solo con la sua fuga. Ora era il momento di verificare se quelle di Elijah erano solo parole o avrebbe fatto seguito ai fatti.

 

***

Roran e Katrina erano stati entrambi convocati con urgenza dal re. Entrati nella sala del consiglio videro Arold in compagnia di tre uomini che stavano parlando intorno a un tavolo. Gli abiti dei tre ospiti, notarono entrambi, erano eleganti e raffinati, segno che dovevano essere personaggi di una certa importanza.

- Venite vi stavamo aspettando. Le novità di cui i nostri ospiti sono latori vi riguardano da vicino. –

Roran strinse con dolcezza la mano e Katrina. La ragazza ricambiò la stretta e appoggiandosi appena con la spalla a quella del compagno avanzarono insieme verso di loro.

- Elijah De Rubens, Frederick Kallen e Paul Von Mack vi presento il capitano della flotta di Alagaësia Roran Fortemartello e il cavaliere dei draghi Katrina figlia di Ismira – li presentò il re per poi rivolgendosi ancora una volta alla coppia.

- Frederick e Paul avevano già espresso il loro desiderio di appoggiare la nostra causa molti mesi fa, mentre Elijah si è unito a noi solo da poco. Le sue rivelazioni sulla corte di Isobel hanno sciolto, a me e a tutto il consiglio, molte questioni rimaste in sospeso - disse Arold appoggiandosi al tavolo. Roran sentì Katrina al suo fianco dargli una spinta al braccio.

– Guarda il tavolo, amore – gli sussurrò la ragazza per fargli notare la grande carta su cui vi erano rappresentata Zàkhara ed altri regni confederati.

- Le voci riguardo alla presa di Gratignàc sono vere. – Era stato Elijah a parlare, indicando la piccola città portuale sulla carta con l'indice della mano.

- Cosa significa che una città è stata presa? Credevo che le ostilità non fossero ancora iniziate. Chi può aver avuto il coraggio di un’azione simile? - chiese Roran accigliato. Questa volta fu Frederick Kallen a farsi avanti. La voce dell’uomo era carica di emozione.  

- Si parla dell’attacco di cinque draghi guidati da due giovani cavalieri. - Gli occhi di Roran e quelli di Katrina si allargarono per lo stupore. - Eragon, Murtagh - mormorò Roran a fior labbra. Frederick e tutti gli altri annuirono.

- Sì, sono proprio questi i nomi dei cavalieri che sono giunti fino a noi. – aggiunsero Paul che fino a quel momento non avevano parlato.

Arold prese un profondo respiro prima di parlare, scegliendo con cura le proprie parole.

- Eragon aveva lasciato Antàra alla fine dello scorso inverno per una missione che doveva portarlo nel cuore delle terre selvagge, oltre la Stonewood. Qui - il sovrano indicò un punto sulla carta poco più in alto, dove si estendeva una grande zona verde sulla quale non era segnato nulla.

– Non sappiamo come sia caduto nelle mani di Isobel ma il suo nome è iniziato ad apparire come suo nuovo alleato. Non nego che la mia fiducia in lui abbia vacillato ma suo fratello Murtagh non lo ha mai fatto. – disse Arold. Elijah chiese parola.

- Sire io sono stato uno di quelli che ha parlato con Eragon durante la grande cerimonia tenuta ad Abàlon. Da tempo il suo nome, insieme a quello di Murtagh, era diventato un tabù e quando Isobel ce lo presentò nuovamente nelle vesti di istruttore del suo cavaliere Rebekha Coleman per tutti gli alleati era evidente che agisse sotto coercizione. Il messaggio era chiaro. Nessuno, neppure un cavaliere era in grado di opporsi al suo potere. -

- Ma i fatti di Gratignàc hanno cambiato tutti gli vecchi equilibri. – intervenne allora Frederick

- Quali equilibri? - chiesero insieme marito e moglie. Entrambi erano già a conoscenza dei rapporti segreti tra la regina e Galbatorix, ma non sapevano nulla sulle dinamiche all’interno dell’alleanza. Venne raccontato a loro beneficio come Isobel fosse riuscita a ottenere il controllo grazie alla magia. Come questa fosse custodita gelosamente all’interno delle mura del palazzo e alle minacce delle nuove armi da guerra ideate dalla sua squadra di maghi che tutti chiamavano gli alchimisti.

- Ora è solo questione di tempo ma con le leve giuste potremmo spingere più velocemente altri regni a unirsi alla resistenza. –

- Che cosa pensate di me e Validor come leva? – era stata Katrina a parlare in concerto con il suo drago con cui non aveva mai smesso di comunicare. Roran alzò semplicemente il volto sui quattro uomini. Conosceva le capacità diplomatiche della moglie. Quante volte l’aveva vista tenere testa alle ottuse rivendicazioni del padre, Sloan, dimostrando allo stesso tempo coraggio e determinazione. Anche se in quel momento le persone e le circostanze erano diverse Roran era certo che la moglie si sarebbe fatta ugualmente valere.     

Arold con le mani serrate dietro la schiena guardò la coppia.

- Non mi sarei mai permesso di chiedervi tanto, ma se siete voi due a proporvi –  

- Può essere fatto? – incalzò la ragazza. A quel punto fu Paul a parlare

- Io e Frederick siamo compromessi di fronte agli alleati ma Elijah riveste ancora un ruolo di rilievo. – l’uomo annuì - Posso farlo. Datemi solo qualche girono per poter organizzare l’incontro, Lady Katrina, e potrai parlare tu stessa agli alleati –

Katrina si strinse a Roran che fino a quel momento aveva ascoltato senza parlare. Il ragazzo si massaggiò lentamente la mascella e guardò meditabondo la carta.

- Cosa c’è? - gli chiese piano Katrina spingendolo appena con la spalla. Roran la guardò con un mezzo sorriso.

– Permettimi, amore mio, di aiutarti. – rispose dandole davanti a tutti un bacio sulle labbra. Quindi con nuovo piglio aggiunse, rivolgendosi agli altri.

- Se la guerra contro Galbatorix mi ha insegnato qualcosa è battere il chiodo quando il ferro è caldo. Non permettiamo che l’attacco di Eragon e Murtagh rimanga un fatto isolato. Fatemi raggiungere i miei cugini a Gratignàc con Castigo e parte della flotta. Con mia moglie e Validor a Feria – disse indicandola sulla carta così da sottolineare la vicinanza tra le due città – e con Reafly e Gleadr qui ad Antèa, possiamo fare un fronte comune contro Abàlon - tutti guardarono Roran con gravità.  

- Roran, c’è un motivo per cui nessuno si è mai spinto tanto. Isobel possiede delle armi. Non dobbiamo sottovalutare il suo reparto speciale. I tuo cugini lo hanno già incontrato -
parlò Arold, le mani intrecciate dietro la schiena e una espressione meditabonda dipinta sul viso.
- Che cosa è questo reparto speciale, qualcuno ce lo vuole spiegare più nel dettaglio? – chiese improvvisamente Roran. Lui e Katrina ne aveva sentito parlato continuamente anche da Elijah, Frederick e Paul, ma nessuno fino ad ora si era fermato a spiegare loro cosa fosse realmente.
- Credo che sia mio dovere farlo. – disse Xavier sorprendendo tutti. L’uomo era appena arrivato e aveva assistito a quelle ultime battute chiamato appositamente dal re a partecipare alla riunione.

- Xavier come ex capitano della guardia reale, era a capo della squadra che doveva maneggiare quelle armi ed è sempre lui ad aver addestrato quegli uomini ideando anche diverse tattiche di attacco. – lo presentò brevemente Arold.

Xavier annuì. - Conosco ogni centimetro di quelle armi. – disse il capitano continuando la descrizione.  Roran guardò Katrina brevemente.

- Come descrivete queste armi sembrano draghi che sputano fuoco - fece loro con una risatina nervosa.

- Questa è esattamente l’idea di Isobel. Possedere un’arma che rivaleggiare con loro – gli rispose serio Elijah.

- Ci deve essere pure un modo per neutralizzarle! - fece eco Katrina.
- Un modo ci sarebbe. – era stato Arold a parlare. Tutti si voltarono verso di lui.

- Ho fatto venire il capitano Xavier apposta per parlarne. Lascio a lui la parola –

Xavier  si schiarì la voce prima di iniziare - È un’idea che ho avuto quando sono partito da Alagaësia. Armature che proteggano i nostri uomini senza intralciare loro i movimenti. –

- Può essere davvero fatto? – chiese Elijah che aveva visto lui stesso la potenza di quelle armi durante le molte dimostrazioni di Isobel.

- Ne ho costruito anche dei prototipi che ho portato – disse tirando fuori da un involto di stoffa quelle che sembravano a prima vista semplici elementi di una armatura. A una osservazione più attenta, però, nascondevano tanti elementi distintivi. - Quello di cui ho bisogno sono fabbri esperti che sappiano lavorare questa lega di acciaio e rame, ma soprattutto dobbiamo procurarci la materia prima per produrre queste armature su larga scala. -
Arold prese nuovamente la parola.
- E qui entri in gioco tu Roran Fortemartello con la tua iniziativa. Il miglio metallo di tutte le terre emerse arriva a Gratignàc dalle due isole di Crithia e Stigie. Voglio che il capitano Xavier venga con te e, insieme ai tuoi cugini, trovaste un modo per costruire queste armi.

***

- Isobel non deve più avere potere su di noi. Le sue azioni, vi dico, hanno superato ogni limite. – Elijah aveva esordito di fronte a un'assemblea sbigottita composta da tutti i capi della lega, con parole molto dure nei confronti di Isobel. - Ma non possiamo certo combatterla come singoli regni. - Aggiunse poi con estrema enfasi.

Chiamato per quell'anno a presiedere alla cancelleria della lega, era stato lui il fautore di quel piccolo inganno. Era la prima volta, da quando la lega era stata fondata, che una delle sue principali leggi venisse deliberatamente ignorata. La riunione organizzata clandestinamente nella sala del consiglio della sua città, Feria, stava violando una delle sue prime e imprescindibili regole: la presenza alle riunioni di tutte le città, sempre e comunque, pena l'annullamento delle decisioni prese all'interno di quel consiglio.

Invero, quella era stata una clausola imposta dalla stessa Isobel, ma all'epoca era stata accettata da tutti diventando legge.

Elijah aveva così fatto in modo che la sola città di Abàlon non ricevesse l'invito a partecipare, all'insaputa degli altri membri. Anche per questo motivo l'aria era carica di tensione. Elijah, sapeva che stavano rischiando molto. Sapeva anche che, se non l'avesse fatto lo avrebbe rimpianto per tutta la sua esistenza.

- So che siete spaventati, ma se riusciremo a uniremo le nostre forze, allora avremmo una possibilità contro Isobel. - Elijah si alzò dalla sedia per girare accanto ai sedili di ognuno dei presenti.

- Ci ha ingannati; ci ha volutamente tenuti all'oscuro dei suoi piani sui cavalieri e i loro draghi; ci ha usato, come fossimo burattini nelle sue mani.

Chi ha parlato con Eragon da Alagaësia sa di cosa sto parlando. Già in passato, facendo leva sulle nostre paure, ha fatto sì che dichiarassimo tutti guerra al popolo degli elfi, per poi confinarli nell'isola di Antàra. Sapeva bene che le loro forze non potevano nulla contro le nostre congiunte e unite allo scopo di annientarli. Non contenta ha continuato a tenerci in pugno con l'illusione di una libertà e un'uguaglianza fasulle, rappresentate da questa lega. -

- Ci ha assicurato ricchezza e pace, ed è quello che abbiamo ottenuto. - intervenne allora uno dei membri più anziani della lega, Rufus. Elijah si voltò di scatto verso la sua direzione, per nulla stupito di sentirlo, era stato certo di trovare in lui un tenace oppositore,

- Non ho intenzione di chiedere andare contro a Isobel per le lamentele di un principe viziato come te Elijah – aggiunse Rufus come frecciatina finale. Il tono della sua voce era stato particolarmente aspro e sprezzante nei suoi confronti, tanto da stupire tutti i presenti, poi il suo volto assunse un'espressione beffarda. Attirata l'attenzione di tutti, Rufus si rivolse agli altri partecipanti:

- Mi domando invece Elijah, cos'è ora tutto questo interesse per il popolo degli elfi. Cosa si nasconde dietro? Non fu vostro padre, forse, tra i primi ad appoggiare la proposta di Isobel? E il vostro distretto non fu tra quelli che più di tutti godette dei proventi dei bottini di guerra?

La tua casa si è arricchita molto da allora, e questo solo grazie alla regina. E ora le volti faccia. Cosa dovremmo pensare noi tutti della tua lealtà? -

A quell'insulto uno di compagni che affiancavano Elijah scattò in avanti, la mano stretta intorno all'elsa della sua spada, ma venne fermato in fretta dallo stesso Elijah.

- No, Gregory, non c'è problema, ci penso io - disse posandogli una mano sulla spalla.

- Quello che dici è vero Rufus: mio padre appoggiò la regina. Ma io non sono mio padre e nel momento in cui sono salito al comando della mia famiglia, dopo la sua morte, non ho più accettato un solo soldo dal tesoro della lega. Di questo ne siete tutti testimoni. -

La risposta di Elijah arrivò calma e asciutta, mettendo a tacere il suo interlocutore, che si sedette cadendo pesantemente indietro, il volto nero. Ignorando l’uomo Elijah proseguì il suo discorso, gli occhi scintillanti di emozione:

- Quello che dirò adesso, spezzerà per sempre gli equilibro di questa lega, quindi ascoltatemi con attenzione, poi potrete fare la vostra scelta. - molti degli uomini si irrigidirono a quelle parole, solo Rufus si guardò intorno e scoppiò in una breve risata.

- Vuoi forse intimorirci? - Elijah scosse la testa con calma. - Non ci saranno ritorsioni di nessun genere, avrete tutto tempo che vorrete per decidere se accettare o no la mia proposta e potrete lasciare la sala quando volete. -
- Allora posso dire subito di volermi avvalere di questa opportunità. - disse con disprezzo Rufus, alzandosi dalla sedia.
- E consiglio a tutti voi di seguire il mio esempio. Questa riunione ha superato da tempo i confini della legalità. - detto questo i presenti iniziarono a guardarsi tra loro per far cadere alla fine il loro sguardi su Elijah:
- Avete forse paura di ascoltare la verità? - li provocò lui.
- Quello che è accaduto a Gratignàc non ha suscitato il dubbio anche in voi? -
- Non venirci a dire che ora crederai a quella notizia sulla presenza dei draghi?
Elijah, non puoi davvero chiederci di mettere a repentaglio la sicurezza delle nostre città per una voce. - disse uno di loro, le mani strette a pugno. Elijah li affrontò a viso aperto:
- Organizzando questa riunione ho messo per primo a repentaglio la sicurezza del mio regno. Non è il primo, ne sarà l'ultimo degli atti che farò contro la regina, ma non lo avrò fatto invano se questo servirà a far aprire a voi gli occhi su cosa sta realmente accadendo sotto i nostri occhi. Isobel è a conoscenza di segreti inimmaginabili, credetemi, che non è intenzionata a condividere con nessuno di noi. Ha risvegliato antichi poteri, ci ha stregato, e ci ha fatto suoi schiavi. - A quelle parole il volto di Rufus si deformò in una smorfia:
- Le tue sono tutte menzogne! -
- Tu credi? Cosa dite allora dei suoi ripugnanti servi, coloro che si fanno chiamare Ra'zac? - Tutti conoscevano quelle bestie terrificanti e il solo nominarle, creò tra i presenti una sorta di diffuso timore.

- Senza parlare del suo corpo di guardia o della misteriosa comparsa di Rebekha e Kima. Anche tutti loro sono un'illusione e una menzogna Rufus? - finì quasi urlando, per poi riprendere nuovamente il controllo su di sé.
- La regina ci ha richiamato alle armi e che cosa decideremo di fare noi? La seguiremo ancora, come abbiamo sempre fatto, da bravi servi? Se così sarà, temo che gli abitanti di Antàra e il loro re abbiano più libertà di noi, perché almeno loro hanno una scelta! –  disse infine con voce piena di trasporto. Un altro consigliere si fece avanti a parlare.
- Le tue sono belle parole Elijah. Non riesco a vedere qual è questo enorme potere di cui parli, che la regina ci tiene nascosto e come hai fatto tu a venire a conoscenza di tutto questo? -
- Centri al pieno il problema Timòteo, e ti ringrazio per la domanda. La risposta è una sola, e sotto i nostri occhi già da molti mesi. È Il potere dei draghi e della magia, che risiede in loro, ma a questo punto forse è bene che ve ne parli qualcuno che ne sa più di me. -  Elijah fece un cenno con la mano, e la porta della sala si aprì per farvi entrare una ragazza. Non doveva avere più una ventina di anni. La sua carnagione era chiare, il viso dai lineamenti dolci e regolari, era incorniciato da lunghi e ricci capelli ramati.
- Vi presento Katrina, figlia di Ismira, e Cavaliere dei draghi di Alagaësia. -
Un brusio generale attraversò i vari alleati, mentre il volto di Rufus si dipinse improvvisamente di bianco. - Non è possibile - sibilò a denti stretti.
- Quando la regina verrà a sapere di questo non impiegherà molto a punirvi tutti! - gridò ad alta voce, gli occhi spalancati.
- Rufus, se non sei con noi sono costretto a chiederti di allontanarti. Potrai tornare alla tua casa, e avvertire la regina, nessuno te lo impedirà. -
- State certi che lo farò, io non vi temo. - disse guardano in viso ognuno dei presenti, poi voltandosi uscì, sbattendo al porta dietro di se. L'intera sala rimase attonita di fronte alla calma di Elijah.
- Non puoi lasciarlo davvero andare! - si alzò allora una voce, ma Elijah alzò una mano a calmare gli animi.
- Ormai non ha importanza che la regina lo venga sapere. Perché fra poco non sarà più un mistero per nessuno. Ora devo però chiedervi quanti tra voi è d'accordo con lui - chiese.
Due uomini alla destra e alla sinistra di Elijah si alzarono, con lo sconcerto di tutti.
- Ci dispiace Elijah. - dissero con voce mesta
- Siamo davvero onorati della vostra presenza tra noi Cavaliere, ma alla luce dei tutti i vostri discorsi, la sola realtà è che i nostri due regni sono troppo piccoli, il nostro esercito è impreparato per una guerra e siamo troppo vicini a Zàkhara. A una qualsiasi offensiva, saremo i primi a subirne le conseguenze e saremmo un facile bersaglio per la regina. -  l'uomo parlò con semplicità.
- Non saremo certo noi ad andare dalla regina a riferirgli della riunione e saremo felici da fare da cuscinetto fino a quando la situazione ce lo permetterà. -
Elijah guardò all’uomo con riconoscenza
- Accettiamo la vostra scelta, e vi ringraziamo per il vostro appoggio
Ma a questo punto dobbiamo chiedervi di lasciare la sala, al fine di non incorrere in ulteriori guai con Isobel quando vi chiederà cosa ci saremo detti. Meno sapete meglio è per voi. -
- Vi ringraziamo. Addio. -
Dissero rivolti a tutti. Lasciarono la sala passando accanto a Katrina, che li vide andare via senza avere la possibilità di potergli parlare. Altri senza parlare fecero altrettanto con grande compostezza.

Avrei dovuto fermarli, convincerli a rimanere. pensò la fanciulla mentre nella sala era calato un profondo silenzio
Avevano già preso la loro decisione da tempo Katrina. Non avresti potuto fare molto. Il tuo compito qui è un altro.
A malincuore Katrina annuì alle parole del suo drago, concentrandosi ora su gli uomini in sala.
Meno della metà delle  personalità che  componevano la lega, avevano accettato di ascoltare le loro parole, sue e di Antàra, dichiarandosi di fatto delle città dissidenti.
Katrina ripercorse rapidamente le parole di Elijah su ciascuno di loro.
La maggior parte non erano uomini avvezzi alla guerra. Costretti ad adattarsi alle necessità del momento, avevano dimostrato un grande coraggio nello sfidare Isobel, pensò Katrina, e questo poteva fargli solo onore.
- Bene, se nessun altro ha da obiettare, lascerò la parola a Katrina -
Katrina vide i volti di ognuno di loro voltarsi verso di lei, alla ricerca di una risposta.
Che parole posso usare con loro perché possano avere speranza?
Rilassati amica mia. Agitarti non ti servirà. Non posso parlare al posto tuo, ma posso dirti di essere sincera con loro, non promettergli nulla che non puoi dare loro, e ti seguiranno.
Grazie Validor Katrina alzò la testa, decisa. Tutti avevano notato la sua aria assente e Katrina capì che con molta probabilità si stavano chiedendo cosa potesse esserle successo. Raccogliendo a sé tutto il suo coraggio iniziò a parlare.

***

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 36
*** Il vero potere dei Draghi ***


Il cucciolo di drago bianco sgusciò via dalle mani di Eleonor e con le ali aperte sfarfallò poco più là.
La bambina rise, poi si mise alla rincorrere il cucciolo.
- Vediamo chi raggiunge prima quelle rocce - lo sfidò Eleonor. Il piccolo non se lo fece ripetere due volte.
Giunsero alla loro meta e si buttarono a terra, esausti entrambi ansimanti ma felici. Eleonor si tirò a sedere e osservò il paesaggio che li circondava con gli occhi curiosi di una bambina di cinque anni.
Quella era stata una parte della valle che non aveva mai visto. Ma la sua mente non si fermò a pensare a quel particolare. L'unico pensiero che in quel momento la occupava era stato che nessuno dei draghi fino ad allora li aveva mai portata lì, era quindi un posto completamente inesplorato per loro. Un posto che lei e il suo compagno erano ora liberi di scoprire.
Anche il cucciolo sembrò dello stesso parere della piccola, perché guardò la bambina con i suoi occhi celesti poi mordendole la manica del vestito la invitò a seguirla. C'erano state due grandi rocce ad attirare la loro attenzione.
Erano come due grandi pilastri che uscivano dal terreno come se fossero emersi dalle sue profondità.
Eleonor e il cucciolo stavano per passarvi in mezzo quando un'ombra passò sopra di loro, e una presenza non si insinuò nelle loro menti pregandoli di fermarsi.
Era Vespriana. La piccola dragonessa si parò di fronte a loro e ruggì.
Qui non vi è permesso entrare. Tuonò.

I tutta risposta il cucciolo pigolò incuriosito.
- Perché? - chiese subito Eleonor ad alta voce, l'esuberanza dei suoi cinque anni non gli permise di tacere davanti al fascino dell'ignoto.
Vespriana arricciò le labbra. E' un luogo sacro, qui è dove vengono a riposare i corpi e le anime dei nostri antenati. Rispose la dragonessa con un certo contegno solenne nel tono della voce. Nella mente ripercorse le stesse parole che il nonno aveva usato quando le aveva raccontato la storia di quel luogo e del profondo significato che rappresentava per la loro intera razza:


Devi sapere mio tesoro, così la chiamava spesso il nonno quando era ancora un cucciolo. Che noi draghi non siamo solo dei semplici guardiani; il nostro compito non è solo proteggere queste terre con la forza che ci deriva dal nostro numero e dalle nostre dimensioni. Noi siamo parte di questa terra, come la terra stessa fa parte di noi. Questo profondo legame che ci unisce ha origine dello stesso potere che ogni drago custodisce nella parte più intime di noi stessi. Nel nostro cuore.
Cosa significa nonno? Io no capisco. Aveva chiesto confusa.
Il nonno, allora, aveva scosso al sua testa, sorridendole con dolcezza e infondendole sicurezza come solo lui sapeva fare.
Sei ancora troppo piccola per poter capire, cucciolo mio, ma un giorno tutto questo ti sarà chiaro e quando ciò avverrà, le mie parole assumeranno tutto un altro significato.


Eleonor annuì poi si girò verso il cucciolo. Ma il draghetto bianco era sgattaiolato via mentre loro due stavano parlando ed era entrato dentro alla grotta indisturbato. Vespriana si voltò di scatto verso l'entrata del santuario e ringhiò.
Presto dobbiamo fermarlo, prima che mio nonno o altri draghi lo scoprano! A nessuno era permesso entrare e, ancora meno, a nessun drago era mai saltato in mente di volerlo fare.
Dall'altra parte c'era un lungo sentiero che si inerpicava tra le rocce. Vespriana fece alcuni passi e annusò l'aria. Vieni è passato da questa parte.
Seguirono il sentiero per diverse iarde, ma il drago sembrava essersi volatilizzato.
Poi lo videro, in lontananza, mentre entrava dentro una grotta.
Vespriana intensificò il suo passo, lasciando indietro Eleonor.
Quando anche la bimba giunse all'entrata della caverna il suo cuore prese a battere fortissimo e un lampo di luce accecante le investì con tutta la sua potenza. Vespriana serrò i suoi occhi fino a quando il dolore non scemò, poi entrò anche lei dentro alla grotta.
Al suo interno c'era stato un monte, fatto di tanti ciottoli. Il drago bianco era proprio di fronte alla montagna. Il suo petto era illuminato di una intensa luce bianca. La luce che aveva visto sprigionarsi da fuori poteva davvero provenire dal piccolo? Vespriana non ebbe il tempo di rispondere alla domanda, perché il cucciolo spari in un lampo accecante. Quando Vespriana aprì di nuovo gli occhi di fronte alla montagna c'era stato solo un piccolo ciottolo, uguale a tutti gli altri, con la sola differenza che quello risplendeva di una luce piu intensa. Vespriana si avvicinò al ciottolo; emanava una strana aurea.
La piccola dragonesse non sapeva dire il perché, ma sentiva come se il cucciolo la stesse chiamando da quella pietra, ed era spaventato. Si guardò intorno e poi realizzò che la voce proveniva proprio da quell'oggetto. Vespriana gli si avvicinò e lo toccò con la punta del naso.
La sua mente venne come risucchiata in un vortice. Si ritrovò di fronte alla sua casa trasformata in un grande campo di battaglia. Gli alberi rigogliosi erano bruciati, l'acqua del fiume tinta di rosso dal sangue di centinaia di draghi morti. Poi l'ambiente cambiò di colpo, si trovò in cielo a volare a accanto a un esercito di creature mostruose, anche loro alate, ma con dei grandi becchi ricurvi. Erano cavalcati da degli esseri incappucciati di nero e guidati da una donna, che Vespriana riconobbe subito come la regina di Zàkhara, Isobel.
In mano, la regina teneva quegli stessi ciottoli e anche quei mostri ne possedevano uno e nelle loro mani questi brillavano, come aveva fatto il ciottolo che aveva toccato con il muso.

Poi la visione sbiadì e Vespriana si ritrovò nuovamente dentro la grotta.
Vespriana sentì dei rumori dalle sue spalle e si girò. Eleonor che l'aveva raggiunta e i suoi occhi erano posati sull'oggetto luminose.

- Lui se ne è andato? - le domandò Eleonor.
Si Eleonor. Le rispose Vespriana.

Gli occhi di Eleonor divennero umidi, ma il suo viso era fiero e deciso.
- Lui mi ha sempre detto che sarebbe andato via presto. - Le confessò la bambina.
- Mi ha detto anche, che avrei dovuto vegliare sul suo cuore. -
Vespriana guardò alla montagna e arriccio le labbra. Il suo cuore hai detto?
Eleonor annuì e Vespriana venne improvvisamente colpita dalla verità delle sue parole. Iniziò a sentire la montagna battere al ritmo del proprio cuore che pulsava di energia come non aveva mai fatto.
Spalancò i suoi occhi. Ora le parole del nonno le apparvero in tutto il loro significato, mentre il suo petto si illuminava. Il suo èldunarì era stato risvegliato. Era diventata una dragonessa adulta a tutti gli effetti.
Non puoi rimanere qui Eleonor. Le disse Vespriana una volta ripresa. Quindi la spinse via cono il muso verso l'uscita della grotta.
Lo porteremo con noi insieme a questi cinque. Ho intenzione di fare qualcosa che farà arrabbiare molto mio nonno e tu dovrai aiutarmi.
La sua casa era in pericolo. Doveva assolutamente riferire ai cavalieri della sua visione, ma aveva bisogno di portare loro delle prove. Sapeva che il nonno non gli avrebbe mai dato il permesso di uscire di nuovo dai confini del loro territorio, per cui decise di prendersi il permesso da sola.
Ritornerò fra tre giorni. Le disse la dragonessa una volta ritornate alla valle.
Se entro quel tempo non sarò tornata, significa che mi è successo qualcosa. Solo allora avvertirai i miei genitori. Puoi farlo?

Sì. Rispose la piccola poi Vespriana lasciò per seconda volta la sua amata casa.

***

 

Vespriana era appena uscita dalla Stonewood, la fascia ampia all'interno della quale aveva fatto mettere i cuori dei cuori era ancora salda al suo ventre.

Vespriana aveva volato tutto il giorno per arrivare ai confini della foresta solo a sera.
Avrebbe raggiunto Gratignàc dove sapeva che il nonno e i suoi genitori avevano portati i due cavalieri con i loro draghi, Par e la maga.
Cercò riparo accanto a un albero e si addormentò.
Era ancora notte quando venne svegliata da una strana sensazione.
La foresta era silenziosa, nessun animale notturno riempiva l'aria con i suoi versi. Vespriana si tirò in piedi e si guardò intorno guardinga.
Un fruscio la fece scattare di lato ma qualcosa la colpì al fianco facendola cadere a terra. Degli artigli la graffiarono di nuovo.
Vespriana cercò di difendersi ma fu tutto inutile perché altre mani la afferrarono, qualcosa di freddo si serrò intorno alle zampe posteriori. La giovane dragonessa ebbe appena il tempo di voltarsi a vedere il volto fornito di un lungo becco nero del suo aggressore prima di scivolare nel vuoto.

***

Erano passati i tre giorni dalla partenza Vespriana. Eleonor attese che il sole iniziasse a calare da dietro i monti per andare da Keiron.
Trovò la dragonessa arancio non lontano dal fiume che attraversava la loro valle. La piccola le si avvicinò mesta, poi la chiamò con la mente, come aveva imparato da Par e Morgana.
Keiron udita la voce si voltò piano.
Eleonor, cosa c'è?
Eleonor dondolò sui suoi piedi spostando il peso del corpo da una gamba all'altra mentre gli occhi di Keiron erano puntati su di lei in paziente attesa. Poi prese coraggio, le mostrò il cuore dei suo drago e le raccontò quello che Vespriana aveva detto di dire loro.
Non appena capì che la figlia era di nuovo ritornata a Zàkhara, Keiron non le lasciò finire il racconto, prese con se Eleonor e il piccolo drago bianco e corse da Sigmar.
Il cuore di Eleonor le saltò in gola nel vedere il vecchio drago argentato su tutte le furie.
Sigmar ruggì con tale vigore da far tremare la terra.
Eleonor si fece allora avanti decisa a terminare il suo racconto.
Se fosse riuscita a dire loro l'intero piano di Vespriana forse potevano perdonarla e aiutarla
Sigmar ascoltò la piccola fino alla fine, rivolgendo sguardi d'odio a Keiron e Guiltar, a cui dava la responsabilità per le azioni della figlia.
Finito il racconto Sigmar chiuse gli occhi.
Il grande muso di Keiron si avvicinò alla bambina.
Grazie per le informazioni che ci hai dato.
- L'aiuterete? - chiese Eleonor questa volta sia con la voce che con la mente.
Keiron guardò Sigmar. Il grande drago era sceso in un silenzio meditabondo, poi senza dare nessun preavviso si scrollo e volò appena sopra le loro teste. Mi vedo costretto a agire. Raduna due dozzine di noi che sono in grado di combattere. Andremo a riprenderci Vespriana e finiremo ciò che abbiamo lasciato a metà.

 

***

Il terzo giorno dall’invio delle ambasciate, l'offensiva della regina ebbe inizio quasi in maniera simultanea su tutti e tre i fronti: Gratignàc, Feria e Antàra.
Fu un attacco violento, Isobel aveva saputo tramite Rufus delle defezioni di del resto delle città della lega e di come si stessero organizzando per appoggiare gli elfi oscuri.

Ancora certa, nonostante tutto, della sua vittoria, non aveva esitato ad attaccare per prima così da togliere ai suoi avversari ogni possibilità di intervento.
Ciò che non sapeva era stata l'effettiva portata delle navi provenienti da Alagaësia, nonché, della presenza di potenti maghi oltre a un altro cavaliere e il suo drago.
L'effetto sorpresa fu dirompente per le file di Zàkhara. La superiorità degli elfi nell’uso della magia era evidente e presto Isobel dovette prenderne atto. Le armi di cui disponevano i suoi reparti speciali rimanevano la sua maggiore forza. In più di una occasione le avevano permesso di guadagnare terreno. Ma l’entrata in scena delle armature protettive, di cui si erano forniti i suoi avversari, avevano segnato una battuta d’arresto.  Mentre sulla terra ferma la linea della sua difesa si attestò entro i confini naturali del Grande Massiccio, le truppe che avevano posto in assedio l'isola di Antàra, trovandosi improvvisamente privi del loro cavaliere, tolsero l'assedio e attuarono una rapida ritirata.

Isobel avrebbe fatto presto pagare a Rebekha la sua disobbedienza ma ora aveva affari più urgenti da sbrigare. Quella mattina i Ra’zac le avevano portato una sorpresa inaspettata. Una giovane dragonessa blu con un carico particolare. Non appena Isobel si rese conto di ciò che aveva di fronte sul suo volto di dipinse in sorriso.

- Vi siete guadagnati la mia riconoscenza miei fedeli servi. – disse loro mentre ammirava i cinque èldunarì ancora avvolti in quella che doveva essere una sorta di sacca fatta di foglie intrecciate.

Vespriana giaceva ai vuoi piedi in catene.

- Ci ssssiamo assicurati la sssua collllaborrazione mia ssssigggnora. –

- Lo vedo e credo possa rispondere a molti dei miei quesiti.

Vespriana mugolò indolenzita mentre affrontava la prova più dura della sua esistenza.

 

***

 

- Abbiamo segnato delle importanti vittorie in questi giorni. Isobel e Rufus hanno subito ingenti perdite ma sono ancora lontani dall’aver perso la guerra - disse Xavier al grande consiglio di guerra che si stava tenendo attraverso gli specchi magici.
C’era stata anche un'altra grande novità. Isobel aveva chiesto di poter parlare da sola con i due Cavalieri. Eragon e Murtagh avevano accettato con riluttanza, mentre Arold e tutti i capi della lega avevano accolto quella notizia con giubilo. Secondo loro quella mossa era solo un palliativo escogitato per rinviare una resa ormai inevitabile.
- Accettate di vederla – disse loro Arold con entusiasmo. - Ormai è con l'acqua alla gola, e mentre voi parlerete, domani vi raggiungeremo a Gratignàc. Saremo tutti presenti con i capi delle città della lega, Katrina e Validor. Solo Reafly e Gleadr rimarranno qui ad Antàra. -
- Potrebbe chiederci di Rebekha e Kima. Che cosa dobbiamo dire su di loro - chiese alla fine Eragon dando voce alla domanda che lo accompagnava da settimane.

Arold annuì - Non vuole più servire Isobel come cavaliere, ma non ha intenzione di combattere. – Arold sembrò pensare bene alle sue parole prima di proseguire.

- Abbiamo raggiunto con loro un accorto. Hanno accettato la nostra protezione in cambio della promessa di non lasciare l’isola. Ora la ragazza e il drago passano molto tempo con Arya e con Reafly. -  Eragon sorrise trovando conforto in quel pensiero. - Grazie Sire per aver accettato di accoglierle. Aspettiamo il vostro arrivo. – disse infine prima di lasciare andare l’incantesimo. 
Quando la superficie dello specchio ritornò scura Eragon e Murtagh rimasero per un attimo un silenzio. 
- Hai sentito Eragon? - disse alla fine Murtagh.
- Sì, ho sentito fratello. Vorrei poter nutrire lo stesso ottimismo di re Arold riguardo a domani -

Quella notte Eragon fece un sogno:
C'era un campo di battaglia. Tutto era stato fermo e nel mezzo Isobel splendeva di una luce splendete ma che non veniva da lei ma da una decina di oggetti che teneva in mano.
Pe Eragon non c’erano dubbi si trattavano di èldunarì. Poi qualcosa cambiò nel sogno. Tutto divenne impalpabile e indefinito. Eragon seppe spiegarne il motivo. Il volto di Arya gli apparve, rigato dalle lacrime. I suoi occhi, si rese conto Eragon erano pieni di un dolore troppo grande da sopportare. Eragon cercò di raggiungerla, ma più si avvicinava e più lei si allontanava.
Eragon si svegliò di colpo, ansimante. Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore. Che cosa era stato? Un sogno o una premonizione?
Fuori era il crepuscolo. Mancava ancora molto tempo all'ora dell'appuntamento. Eragon decise di fare una passeggiata per schiarirsi le idee.

 

 

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Capitolo 37
*** Eldunarì ***


Il sole si era da tempo alzato dietro i monti del Grande Massiccio quando Eragon decise che era giunta l'ora per lui di ritornare al capo.
Camminare nell'aria fresca del mattino lo aveva aiutato a rilassarsi e quella sensazione di disagio, che aveva provato al suo risveglio, era quasi del tutto sparita; le immagini del sogno avevano perso la loro consistenza e il viso in lacrime di Arya era sbiadito in un lontano ricordo.
Qualunque cosa quell'immagine avesse significato, lo avrebbe scoperto solo quando vi si fosse trovato davanti. Eragon decise che sarebbe stato inutile far preoccupare gli altri per una cosa di cui non aveva il controllo.
Decise quindi di tenere quelle informazioni per sé fino a quando non avesse avuto delle certezza sulla loro veridicità.
Al suo ritorno al campo ne avrebbe parlato con Saphira naturalmente.
Eragon giunse così nei pressi della sua tenda con passo leggero e la mente sgombra e fu sorpreso nel trovare Murtagh e Roran ad attenderlo: i due ragazzi erano appoggiati ognuno a una delle aste di sostegno della tenda.
Roran fu il primo a scorgerlo; il cugino si riscosse dal suo torpore e sciolse le braccia che aveva incrociato sul petto
- Dove sei stato? - chiese con voce preoccupata. Eragon rallentò il suo passo e scosse appena le spalle
- Non riuscivo a riprendere sonno e ho deciso di fare un giro per sgranchirmi le gambe. - rispose entrando subito dopo dentro la tenda. Roran e Murtagh si guardarono negli occhi e lo seguirono al suo interno.
- E far così venire i capelli bianchi a tutti? -  lo rimproverò bonario il moro che alzando un sopracciglio fece nuovamente scivolare a terra il lembo della tenda.
- Sai Saphira mi ha svegliato di colpo stamattina. Era molto preoccupata. E non solo lei - aggiunse assumendo un tono più serio. In quello stesso momento la mente della dragonessa raggiunse quella del suo cavaliere: Quando non ti ho più sentito, ho avuto paura per te piccolo mio.

Mi dispiace di non averti avvertito. Gli disse Eragon mentre si infilava la cotta di maglia. Poi il giovane prese il fodero della spada e se l'allacciò alla vita.
Uscirono dalla tenda, richiamati dallo sfarfallio delle ali di Saphira e Castigo che erano atterrati nello spazio di fronte alla tenda.
Gli occhi della dragonessa puntarono il cavaliere. Eragon fece solo alcuni passi verso di lei quando Saphira alzò veloce la sua zampa e atterrò il giovane  sotto di lei.
Mi hai chiuso la tua mente Eragon! gridò con forza.
Eragon tentò inutilmente di scansare gli enormi artigli che lo inchiodavano al suolo. Ti ho chiesto scusa. Provò a dire in suo difesa, ma Saphira espose le sue fauci. Eragon chiuse gli occhi e sospirò.

E va bene Saphira. Senza aggiungere altro, il cavaliere abbassò le sue difese e lasciò che la dragonessa leggesse nei suoi ricordi.
Saphira poté allora vedere il sogno fatto da Eragon.
Lentamente alzò la zampa lasciando il suo cavaliere nuovamente libero di muoversi. Il ragazzo si tirò a sedere e con un grugnito si sgrullò la terra dalla tunica e dai pantaloni.
Perché non me ne hai voluto parlare. Ti avrei aiutato. lo incalzò Saphira, Eragon alzò appena la testa, prima di risponderle vago.
Avevo bisogno di riflettere prima da solo.
Pensi di parlarne a Murtagh e Roran?
No rispose in fretta. Fino a quando non sarò certo di quello che significano quelle immagini. Questa volta non è stato come tutte le altre volte in cui ho sognato di eventi futuri.
Saphira rimase in silenzio ponderando sulle possibile implicazioni di quella frase.
Va bene, per ora faremo come dici tu. Ammise lei con una strana riluttanza nella voce di cui Eragon non seppe decifrare la causa.
Grazie. Le rispose lui.
- Tutto a posto? - chiesero Murtagh e Roran, che ignari, erano rimasti fermi ad osservare la scena con un certo divertimento. Le loro voci riportarono improvvisamente Eragon alla realtà. - Ora sì. - rispose Eragon, dando allo stesso tempo uno sguardo di intesa a Saphira. Prese la mano tesa di Murtagh che lo aiutò a mettersi di nuovo in piedi. Nel cielo un corvo gracchiò, andandosi a posare sulla cima di uno stendardo, che si trovava a poca distanza; Eragon sentì un brivido percorrerlo lungo la schiena.
- È solo un corvo cugino. - lo rassicurò la voce di Roran, che da dietro lo afferrò con forza per le spalle.
In quel momento vennero raggiunti da Xavier che venne loro incontro con volto scuro.
- Finalmente vi ho trovato! - Disse il capitano una volta raggiunti.
- Abbiamo sentito levarsi strani segnali dal campo nemico. Credo che la regina stia scalpitando per anticipare il vostro incontro. Ora. -
Come a confermare le parole appena dette, il suono di una tromba che annunciava l'arrivo dell'araldo reale li raggiunse. Senza ulteriori indugi, Eragon e Murtagh salirono sul dorso dei loro draghi e volarono sopra l'accampamento.
Ecco l'araldo Eragon ma non vedo la regina. Lo avvertì mentalmente  Murtagh dal dorso di Castigo.
Eragon si sporse da un lato per vedere l'uomo che, con uno stendardo appeso alla punta di una lunga asta, galoppava in circolo sulla linea di confine del loro accampamento.
I due draghi atterrarono appena a qualche iarda di distanza dal confine.
In anticipo sull'uomo Murtagh ed Eragon coprirono a piedi la distanza che li separava, mentre Castigo e Saphira rimasero indietro affinché l'uomo non si sentisse minacciato dalla loro presenza, ma, abbastanza vicini da poter intervenire nel caso i loro cavalieri fossero stati in pericolo.

- La regina Isobel di Zàkhara vi attende Cavalieri ma dovrete lasciate le vostre armi e i vostri draghi dovranno rimanere qui. -
Le condizioni poste dalla regina erano irremovibile.
Eragon e Murtagh si guardarono per alcuni istanti senza parlare. Saphira e Castigo erano riluttanti ad accettare, ma alla fine acconsentirono anche loro.
Ricevuta la risposta, l'araldo annuì soddisfatto, poi fece loro cenno di seguirlo.


***

Sotto la tenda Isobel era di fronte a Vespriana, spessi anelli di ferro piantati dentro il terreno, serravano le zampe della giovane dragonessa.
La regina si avvicinò accarezzargli il muso con una mano; di fianco a lei, su un tavolo, il prezioso contenuto della sacca che la giovane dragonessa aveva portato con sé.
La sua resa non era ancora giunta, dopo tutto.
Vespriana si scansò, ringhiandole; dei lacci di cuoio, le serravano il muso le impedivano di aprire la bocca. È un bene che tu sia ben legata. Pensò la sovrana guardando la dragonessa divertita. O della mia mano ne sarebbe rimasto davvero poco.
Gli occhi di Vespriana fulminarono Isobel, che, per nulla intimorita, le sorrise, soddisfatta.

Gli occhi della giovane dragonessa erano un misto di rabbia e di dolore.

Per ore Isobel aveva pungolato di fronte ai suoi occhi uno degli èldunarì e sotto minaccia di continuare fino a distruggerlo era stata costretta a rivelare a lei e ai suoi immondi servi dove era ubicato il passaggio più sicuro alle Terre Selvagge.
- Sono desolata di doverti lasciare, mia giovane amica, ma qui fuori, ci sono delle persone a cui sono impaziente di mostrare il tuo dono. -
Vespriana le rispose con ringhio, segno che aveva capito le sue parole.
- I cavalieri avranno una grande sorpresa. -
Isobel aprì i lembi della teda che separava gli ambienti privati della regina da quello pubblico, adibito ai consigli di guerra.
I generali, ognuno a capo delle quattro ali del suo esercito la salutarono con volto serio.
- Mia regina, tutto è pronto per l'incontro con i Cavalieri. Qui abbiamo messo per iscritto i termini della resa -  
- Resa? Di quale resa stai parlando Generale. Con queste non è più necessaria. – Disse mostrando loro cinque pietre dai colori luminescenti.
Tutti rimasero senza parole. Fin dalle prime sconfitte, alcuni dei generali avevano seriamente temuto per la sanità mentale della sovrana. Ora, l'enfasi con cui la regina aveva pronunciato quelle parole, non lasciò loro alcun dubbio.
- Che cosa significa? Come intendete opporvi? Non vi è bastato perdere un quarto delle nostre forze? - chiese con accesa passione uno tra i più giovane dei generali. L'uomo dovette pentirsene quasi subito della sua uscita, perché la regina lo fulminò con lo sguardo.
- Non ammetto altre insinuazioni di questo genere nei miei consigli di guerra generale. -
- Non vi adirate mi a signora. - intervenne allora il più anziano dei presenti; da molti anni al servizio della regina l'uomo era abituati a tamponare le sue intemperanze.
- Ciò che Filota voleva farle notare, è che il morale delle truppe si è molto abbassato.
Non biasimarlo dunque se prova pudore nel comunicare loro che le ostilità continueranno, quando si è visto il nemico incenerire un intero battaglione con la forza di uno solo dei loro maghi. -  Il resto degli uomini annuì in accordo con le parole del loro collega.
La mimica della regina non sembrò mutare minimamente.
- La vostra mancanza di fiducia mi addolora. - disse puntando gli occhi in quelli del vecchio generale. Questi abbassò il suo sguardo e una smorfia attraversò il suo volto. Come trafitto da mille aghi, il suo corpo fu scosso da leggeri spasimi.
- Specie quando tutti i vostri uomini mi dimostrano piena devozione. - proseguì passando a posare il suo sguardo su ognuno di loro.
- Sono dunque questi gli uomini che comandano il mio esercito?! Non mi stupisce che siamo quasi arrivati sul punto di arrenderci. -
- Mia signora, come puoi dire questo? -
- Silenzio! - Sbraitò Isobel, per ricomporsi l'istante dopo.
- Riassettate le truppe e assegnate per ognuna di loro uno dei maghi giunti questa mattina da Abàlon. Poi attendente il ritorno dei Ra'zac. Da questo momento in poi è a loro che affidato il comando. Ritenetevi esonerati dai vostri gradi. Tutti. Voglio che il cambio d'ordine sia impartito alle truppe prima del mio ritorno. Intensi? – Gli uomini si guardarono tra loro e annuirono allibiti - Come desidera mia signora. -
Detto questo, Isobel uscì fuori dalla tenda, due magnifici destrieri, uno nero e l'altro bianco, erano pronti con tutti i loro finimenti e attaccati al suo veloce carro da guerra.
Vi salì sopra e attraversò il campo sotto lo sguardo dei soldati; come un'onda che avanza sul mare, increspando la sua superficie, al passaggio della loro regina, il campo si animò frenetico. All'udire le ruote del carro regio, ogni sezione aveva l’ordine di uscire fuori per porgere l'omaggio alla loro regina.
Nel suo tragitto Isobel concesse loro qualche saluto sporadico. Se si rese conto degli sguardi stanchi e scoraggiati che le venivano rivolti non lo diede a vedere o meglio, le era del tutto indifferente, il suo pensiero era rivolto solo al suo incontro con i due cavalieri e alla decisa rivalsa sulla loro, il resto non aveva alcuna importanza per lei.

L'araldo condusse Eragon e Murtagh fin sopra una bassa collina, a metà tra i due campi. La regina era sopra al suo carro ad attenderli.
- Cavalieri, sono lieta che abbiate accettato l'incontro. - disse loro con voce sicura.
- Il vostro esercito ha perso Isobel. Siamo qui nella speranza di un accordo pacifico - disse Eragon.

Isobel rise di gusto. - Devo ammettere che mi avete sorpreso. Non mi aspettavo che sareste riusciti a organizzare una difesa tanto efficace in così poco tempo. - socchiuse gli occhi, facendo una breve pausa
- Né che quegli stolti della lega decidessero di voltarmi le spalle. Fino a ieri notte il mio intento era in effetti quello di trattare la resa. Lo era anche quello dei miei generali. Ma li ho destituiti dai loro ruoli pochi minuti fa. -
- Non credo tu abbia scelta Isobel - disse Murtagh avanzando di un passo, ma la donna scosse la testa.
- Vi sbagliate, presto sarete voi a non averne. Ho ammirato i vostri sforzi e il vostro coraggio, ma nemmeno l'intero esercito di Alagaësia riunito potrà rivaleggiare contro il vero potere e questo lo devo a Vespriana. Senza di lei non ne sarei mai venuta in possesso. -  

L'espressione di sorpresa sul volto dei due Cavalieri era la risposta che la regina attendeva di ricevere; sorrise.

- Un fantastico esemplare di giovane drago dalle squame blu cobalto. L’ho sorpresa a viaggiare nei miei territori. Mi ha detto che doveva raggiungervi. I miei fedeli Ra'zac sono riusciti a intercettarla prima che potesse superare le alture del Gran Massiccio. Non potete immaginare la mia sorpresa quando ho scoperto che aveva con sé cinque èldunarì. – con un gesto mostro dietro al carro un sacco da cui sotto il telo brillava qualcosa. Eragon sgranò gli occhi e Murtagh serrò la mascella.

- Poveri ingenui, avevate raggiunto la terra dei draghi, ma non siete stati capaci di afferrare il loro potere. Non siete stati abbastanza forti per farlo. -
Isobel scoppiò a ridere, poi guardando i due fratelli continuò con soddisfazione.

- Cinque èldunarì, potenti e selvaggi come i draghi a cui appartenevano. –

Eragon non riusciva a credere alle sue parole e accanto lui anche Murtagh stava cercando di mettere in ordine i propri pensieri per poter reagire.

- Che cosa nei hai fatto di Vespriana. Dove si trova adesso? – chiese mettendo in chiaro le sue priorità .

- È di lei che ti stai preoccupato? – chiese con disprezzo per poi sbuffare infastidita.

- Dovreste pensare a voi, piuttosto – disse Isobel  sussurrando delle parole. Accanto a lui Murtagh si bloccò, sentì una pressione serrargli le gambe e le braccia. Sorpreso per la rapidità e la forza dell'attacco, il moro lottò contro l'incantesimo, ma le catene invisibili continuarono a stringere attingendo alla forza inesauribile degli èldunarì.
Il cavaliere cremisi ebbe un fremito, abbasso il volto. La fronte imperlata di piccole goccioline di sudore

- Murtagh! Isobel lascialo andare! – la supplico Eragon stringendo i pugni lungo i fianchi. Isobel rise.
Murtagh sentì le energie abbandonare il suo corpo con rapidità sorprendente, poi come era arrivata la pressione svanì e Murtagh si trovò di nuovo libero; barellò in avanti e sarebbe caduto se Eragon non gli fosse stato subito accanto, per sorreggerlo
- Ora che avete compreso chi è il più forte vi dirò che Vespriana è viva ma si trova sotto la mia attenta custodia. –

- Hai quello che volevi, gli èldunarì. Lasciala libera! – ringhiò Eragon ma Isobel lo fulminò con sguardo.

- Vi lascerò Vespriana quando voi mi riconsegnerete Rebekha e Kima -  

Eragon era livido in volto ma non rispose.

- Come immaginavo. Siete così legati alle vite dei vostri cari che non avete il coraggio di fare le scelte necessarie.

Arrendervi. Subito e un giorno, forse, potrò permettervi di condividere con me parte della mia nuova potenza. -

Murtagh ancora appoggiato al fratello minore gli strinse il braccio sotto lo sguardo divertito di Isobel.
- Se sarete intelligenti, domani mi darete la sola riposta che potrà salvare le vostre vite e quella delle persone a cui tenete. In caso contrario, affronterete un esercito che non ha eguali su tutte le terre emerse. Alla fine sarete voi a soccombere -
Disse con voce atona Isobel, poi strattonò le redini dei due cavalli facendoli partire con un colpo di frusta.

***

Con Murtagh poggiato sulle spalle, Eragon fece ritorno dai loro draghi.

In lontananza il giovane cavaliere vide le sagome di Saphira e Castigo. Ma i due draghi non erano soli: accanto a loro un terzo drago era in attesa.

Nei riflessi argentati delle sue squame Eragon vi riconobbe subito Sigmar.

- Avanti Murtagh, siamo quasi arrivati. - sussurrò al fratello.

Non appena Saphira e Castigo li intravidero dal fondo del sentiero, i due draghi gli volarono incontro.

Che cosa vi è successo? chiese Saphira mentre Eragon aiutava Murtagh a montare sul dorso di Castigo. I due fratelli si scambiarono una brevissima occhiata, poi Eragon disse: - Sarà bene allontanarci. –

Saphira e Castigo annuirono, poi la dragonessa comunicò a Sigmar di seguirli. Eragon salì su di lei, poi trasmettendole alcune immagini mentali, le chiese di dirigersi verso la piccola radura appena mostrata. L'aveva individuata quella mattina nella sua passeggiata in solitario.
Come ti senti Murtagh?  

Chiese mentalmente  al fratello una vota in volo.
Adesso molto meglio Eragon. Ma starò ancora meglio quando avrò capito come si sia procurata tutti quegli èldunarì. Eragon socchiuse gli occhi e annuì. Il resto del breve viaggio lo passarono in silenzio.

Ecco il posto! esclamò Eragon puntando il dito verso lo spiazzo che si era aperta davanti ai loro occhi. Si trovava appena più a destra di una spaccatura nella roccia da cui sgorgava una sorgente d'acqua. Per favore atterra lì Saphira  aggiunse mentalmente. Castigo e Sigmar la imitarono.

Eragon scese a terra con un agile balzo seguito da Murtagh che intanto si era del tutto ripreso grazie al sostegno di Castigo.

Il luogo emanava tranquillità e pace. Eragon si guardò intorno e con gli occhi chiusi spirò l'aria a pieni polmoni. Quando li riaprì un'ombra si posò su di lui. Eragon alzò lo sguardo al cielo e vide gli occhi di Sigmar, fissarlo, irati.
Sono qui per mia nipote, Vespriana.

Senza indietreggiare Eragon sospirò addolorato, Sigmar mostrò i suoi denti.

Se sai dove si trova Parla! Gridò mentalmente. Eragon stava per rispondere, ma prima che Saphira intervenisse a difendere il suo cavaliere, Murtagh gli andò accanto e gli strinse un braccio, prendendo lui la parola.

- L'ha presa Isobel e con lei la regina si è impadronita anche di qualcosa che vostra nipote voleva consegnare a noi. Alcuni dei vostri èldunarì. – Sigmar ringhiò forte

Vespriana non avrebbe dovuto portare via quei cuori dalla montagna sacra. Nessun al di fuori dei draghi dovrebbe conoscere il segreto che portiamo dentro di noi dall'inizio dei tempi.

Disse contrariato nel l’apprendere che i cavalieri conoscessero il loro segreto.

Ne va della salvezza della nostra razza.

Gli èldunarì! Mormorarono Saphira e Castigo. Il nome nell’antica lingua suonò potente alle orecchie di tutti.

Io e Saphira abbiamo iniziato a prendere coscienza della loro esistenza già da molto tempo, anche se in tempi e con maestri diversi: Io da Shruikan; Saphira da Gleadr. Iniziò Castigo parlando alla mente di tutti. Gli èldunarì sono il più grande dei segreti custoditi dai drago. Talmente grande, che ai tempi dei primi cavalieri, i draghi presero tutti insieme la decisione che ne avrebbero rivelato l'esistenza ai loro compagni solo alla fine della loro vita terrena.

È per questo che nessuna storia sui cavalieri parla mai degli èldunarì. La guerra contro Galbatorix ci ha costretto ad apprendere in parte la verità prima del previsto. Intervenne Eragon e i due draghi annuirono con la testa.

Saphira prese allora la parola. Se accidentalmente il cavaliere ne veniva a conoscenza prima del tempo, gli veniva chiesto di formulare un preciso giuramento: mantenere il segreto e non rivelarne l'esistenza a nessuno. Né di utilizzare i loro immenso potere.

Basta così! Ruggì Sigmar, sia Castigo che Saphira si voltarono sorpresi verso il drago argentato.
Brontolando e affondando i suoi artigli nel terreno, Sigmar abbassò la testa.

Ho capito che i due cuccioli d'uomo già conoscono in parte la verità. Disse riducendo gli occhi a due fessure. Ma non è tutta la storia. Voglio essere io a rivelarvi  i segreti della nostra razza. Come capo del consiglio dei draghi ed essendo io il più anziano tra voi ne ho l'obbligo e il dovere. Le sue narici fremettero potenti mentre posava i suoi occhi prima su Saphira poi su Castigo. I due giovani draghi inclinarono la testa rispettosi, invitando Eragon e Murtagh a fare altrettanto e lasciando la parola al drago argentato.

Èldunarì, come gli hanno chiamati i vostri compagni, nella lingua magica, significato letterale “il cuore dei cuori”. È la sede insieme al cervello della coscienza di ogni drago. Il cuore dei cuori risiede nel nostro petto; è un oggetto duro come una pietra e composto da un materiale molto simile a quello delle nostre squame. Quando un drago nasce il suo cuore dei cuori è bianco e opaco. Ogni drago ha la possibilità di trasferire la sua intera coscienza all'interno del suo èldunarì. Quando ciò avviene, questo acquisterà il colore delle sue squame e inizierà a pulsare di luce e energia, scaturita dalla presenza della coscienza del drago.

Durante la sua vita un drago può espellere il suo èldunarì dal proprio corpo anche durante la sua vita terrena. In questo modo le due parti, quella fisica e quella mentale, possono esistere separatamente e allo stesso tempo rimanere insieme. Tra i draghi selvatici non è consuetudine espellere il proprio èldunarì prima della propria morte. L'unica volta in cui questo avvenne fu quando i nostri compagni più valorosi partirono per la terra di Alagaësia. Allora i draghi più anziani, troppo grandi per poter sostenere un così lungo viaggio, decisero di consegnare loro i propri èldunarì, così che la loro saggezza potesse aiutarli dove il loro corpi non potevano arrivare.

Sigmar impresse quelle ultime parole con un certo orgoglio nella voce. Per un breve attimo il grande drago si inoltrò all'interno dello sconfinato spazio dei suoi ricordi ed Eragon e Murtagh dovettero aggrapparsi alle menti dei loro draghi per non perdersi al suo interno.

Quando Sigmar ritornò ai margini della sua coscienza, entrambi i cavalieri trassero un respiro di sollievo. Scusate.

Disse sentendo il turbamento delle loro menti. Poi la voce del drago argentato riprese a parlare.

Stavo dicendo, quando un drago selvatico viene a conoscenza del suo èldunarì, significa che ha raggiunto la piena maturità delle sue facoltà mentali e può essere considerato un adulto. Non c'è un'età precisa per questo passaggio, in parte dipende dall'indole del drago, in parte dalle circostanze della scoperta.

Comunque questo avvenga, dal momento in cui prendiamo coscienza piena della nostra esistenza, possiamo decidere se trasferire la nostra coscienza al suo interno oppure no. Se ciò non avviene, quando giungerà la morte della carne, anche l’èldunarì svanirà con il nostro corpo, e moriremo di vera morte. Ma se la nostra coscienza viene trasferita al suo interno, quel drago vivrà al suo interno per sempre, a meno che l'èldunarì non venga distrutto.


- Prima hai parlato di una montagna sacra. - lo interruppe improvvisamente Eragon. Sigmar sbuffò:

Stavo appunto per arrivarci. La risposta è sempre negli èldunarì.

Essi stessi sono la montagna sacra. Un drago, il cui corpo non esiste più, viene preso dagli anziani e portato nel luogo consacrato ai nostri antenati, ai confini delle nostre terre, che si trova all'interno di una immensa grotta per metà che scende dentro il terreno. Qui, insieme a tutti gli altri, gli èldunarì possono continuare la loro esistenza vita nella pace e nella meditazione.

Sigmar si fermò,

Ora ho una domanda io per voi. Fece Sigmar rivolgendosi ad entrambi le coppie Che cosa ne sono stati degli èldunarì, quando i draghi giunsero in Alagaësia?

A questa domanda dovremo rispondere noi. intervenne pronto Castigo. Sigmar annuì e lasciò al drago rubino spazio per parlare.

Prima del patto di sangue tenevamo i nostri cuori nelle Du Felles Nàngoröth, i monti al centro del deserto di Hardarac. Tuttora si trovano , protetti da una magia che gli stessi draghi, all'interno degli èldunarì, hanno evocato, ma con l'ordine dei cavalieri, tutto cambiò. Non sappiamo di preciso quando la decisione venne presa, da chi. Sappiamo solo che tutti i draghi con un cavaliere, nessuno escluso, rinunciarono deliberatamente a trasferire la propria coscienza all'interno del loro èldunarì, preferendo lasciare la loro coscienza morire insieme a quella dei loro cavalieri.

Questa è una follia! commentò Sigmar con un ringhio. Come hanno potuto gli anziani permettere una cosa del genere?

A quel punto Eragon e Murtagh sentirono la mente dei loro draghi reagire, agitandosi in un turbine di emozioni. Poi Saphira parlò per entrambi.

Non siamo tanto ingenui da non comprendere le potenzialità degli èldunarì. Sappiamo che venivano spesso interpellati per la loro enorme saggezza, ma rimanere confinati dentro il proprio èldunarì, non potersi muovere e riuscire a percepire il mondo solo attraverso la mente degli altri. Questo è una condizione che ne io ne Castigo potremmo sopportare a lungo. Nessun drago dovrebbe.

Sigmar guardò i due draghi per alcuni istanti, il suo sguardo severo passò da l'uno all'altro. Sbuffò. Non riuscite a comprenderlo perché siete ancora molto giovani. Rispose con voce posata. Ci sono altri livelli, che entrambi ancora non avete sperimentato, e in cui un drago può vivere. Quando vivi tanto a lungo arriva un momento, per qualsiasi essere vivente, in cui il mondo che ti circonda e la carne stessa, perdono la loro importanza. Allora si iniziano ad apprezzare tante altre piccole cose. Alcuni degli anziani arrivano a non muoversi più, tanto che il passaggio all'interno del proprio èldunarì diventa una questione formale. Non pretendo che voi mi prendiate per vere le mie parole, so che è difficile da accettare, anche io ero riluttante a crederlo quando ero giovane come voi. Vi chiedo solo di non rigettare a priori questa possibilità. Perché nel vostro futuro sarà una realtà che vi troverete ad affrontare, che lo vogliate o no.

Castigo e Saphira si guardarono per un attimo negli occhi. Nonostante la loro riluttanza, entrambi sapevano le parole di Sigmar dicevano il vero. Non aggiunsero altro alla risposta di Sigmar, ma annuirono solo.

- C'è un'ultima cosa che io e mio fratello vorremmo chiederti, Sigmar. -

Cos'altro volete sapere sui nostri cuori?

- Non riguarda loro. - disse Murtagh con viso meditabondo. - Vorremmo sapere che cosa è successo esattamente quando Vespriana ha preso gli èldunarì dalla montagna sacra -

- E come stanno Eleonor e il cucciolo di drago. - Aggiunse Eragon.

Sigmar emise un altro sonoro sbuffo, questa volta del fumo nero uscì dalle sue radici.

Sono due le domande. Puntualizzò, poi passarono alcuni secondi e sembrò che il drago non avesse intenzione di proseguire, quando la sua voce tornò a vibrare:

E va bene, risponderò a entrambe. Dopotutto, avete il diritti di sapere la verità. Siamo venuti qui anche per questo. Disse, poi raccontò loro i fatti come li aveva esposti Eleonor, di come il piccolo drago, suo figlio fosse sparito davanti agli occhi della bambina e il suo essere si fosse trasferito nel suo cuore dei cuori. Di come una volta scoperta la fuga della nipote avesse preso la decisione di portare fuori dai confini una ventina di loro per salvarla.

Non c’era stata nessuna accusa nelle sue parole. Sigmar sembrava aver accettato il coinvolgimento dei draghi.
Ciò che è accaduto non ha precedenti, ma dovevo prevederlo. Tra i draghi selvatici la nascita di un drago bianco è sempre stato segno di cambiamenti. Stando ai vostri racconti era bianco anche il drago che con il primo cavaliere diedero vita al vostro ordine

Neanche noi abbiamo risposte a quello che è accaduto. Ma Isobel non si accontenterà certo degli èldunarì che ha preso a Vespriana. Per assicurarsi la vittoria avrà di certo un piano per impossessarsi di tutti gli èldunarì. La vostra casa non è più al sicuro.

Non vi preoccupate per questo la nostra casa è ben difesa da qualsiasi attacco. Eleonor e gli èldunarì sono al sicuro. Entrambi, credo, abbiate notato la particolare aurea che avvolge le terre selvagge. Non era stata una vera e propria domanda, ma Murtagh e Eragon annuirono lo stesso. Nessuno può entrarvi senza essere visto. Concluse Sigmar.


***

Era primo pomeriggio quando i cinque ritornarono al campo. In vista delle tende, Sigmar accelerò il battito delle ali e portandosi al di sopra di Saphira e Castigo, attraversò tutto il campo per raggiungere il suo esercito di draghi selvaggi che si erano appostati sul margine nord.

I draghi di Sigmar non erano la sola novità. Re Arold, che nel frattempo gli aveva raggiunti a Gratignàc, li attendeva nella tenda di comando. Saphira e Castigo con i loro cavalieri si diressero al centro del campo, dove un sortito gruppo di soldati si era già radunato per accoglierli.
Scesi dal dorso dei draghi Eragon e Murtagh vennero raggiunti da Roran affiancato da Katrina.

- Katrina! Sono davvero felice di rivederti – la salutò Eragon dopo aver dato una calorosa pacca sulla spalla a Roran, Eragon rimase a scrutare Katrina per alcuni istanti per poi stringerla a sé in un caloroso abbraccio.

- Quando siete arrivati? - Chiese dopo che Murtagh finì di salutarli

- Con Re Arold, poco dopo la vostra partenza. - Rispose Roran prendendo la mano di Katrina e attirandola a se con dolcezza. I due giovani si guardarono negli occhi per un attimo, poi Katrina si voltò nuovamente verso i due fratelli.

- Dalle vostre espressioni ne deduco che non c’è stata una resa immediata da parte di Isobel. –

Eragon e Murtagh scossero la testa.
- L’incontro con la regina non è andato come aveva previsto il re. La situazione è molto delicata.  – disse Murtagh con estrema cautela.

- Immagino abbia a che fare con l’arrivo di tutti quei draghi – disse Roran guardando in direzione della radura dove si erano radunati.

- In parte cugino. – dissero all’unisono i due fratelli. -  - Isobel ha parlato di aver sollevato dal comando tutti suoi generali. –

- Come pensa di poterci attaccare senza un comando solido? – chiese accigliato Roran.

- Non ne ha bisogno. Vespriana la nipote di Sigmar è caduta nelle sue mani e con lei è venuta in possesso di una fonte di potere inimmaginabile – la paura nella voce del cavaliere fece gelare il sangue nelle vene di Roran.

- Non sarà facile spiegare tutto questo al re e al resto degli alleati. – disse stringendo a sé Katrina.

Prima di entrare e dare inizio all’importante riunione Eragon si accostò a Katrina.

Al cavaliere erano tornate in mente le immagini del suo sogno e si costrinse a cacciarle via. – Kath, pensi che Arya stia bene? -

Katrina lo guardò negli occhi e gli prese la mano.

- Arya e le bambine stanno bene, Ismira è rimasta con lei. Reafly e Rebekha non le lasciano mai sole e Antàra è molto distante da centro degli scontri. - Lo rassicurò la ragazza con un sorriso e stringendogli forte la mano. - Ma il giorno del parto si sta avvicinando. - Eragon prese un respiro profondo serrando la mascella.

– Lo so, ed io non sono con lei. –  

 

 

 

 

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Capitolo 38
*** Rinascita ***


I Ra'zac correvano veloci nella foresta, schivando con facilità i tronchi e le radici dei grandi alberi che popolavano la Stonewood. L'oscurità delle sue fronde gli fornivano la forza e la vitalità di cui avevano bisogno, mentre sopra di loro i Lethrblaka li seguivano in volo.

Al loro passaggio i piccoli animali fuggivano lontano o andavano a rifugiare nelle loro tane, mentre i grandi predatori, annusando nell'aria la loro presenza, li osservavano da lontano, aspettando che si allontanassero per rimarcare la loro supremazia sul territorio.

Era l'alba quando giunsero ai limiti della Stonewood, dall'altra parte si estendeva il vasto territorio delle terre selvagge, dominio incontrastato dei draghi.

Emersi dalla foresta attesero che le loro cavalcature li raggiungessero per poter proseguire più velocemente, la regina non avrebbe accettato un ritardo da parte loro; dall'alto le due bestie dischiusero le ali e i becchi ricurvi si aprirono lanciando un lungo grido. Facendo scendere il cappuccio dei mantelli sulla testa i Ra'zac saltarono sui loro dorsi

«Sssssi, ssssiamo vicini...» risposero eccitati i Ra'zac.


***

Eleonor era seduta sopra una roccia aveva le gambe incrociate e il cuore dei cuori del suo drago adagiato sulle sue ginocchia.
Si sentiva terribilmente sola. Nonostante potesse sentire la sua presenza attraverso le pulsazione che la pietra emanava, c'era come una barriera tra lei e la mente del drago, che la piccola non era in grado di scalfire.

Perché non ti sei nascosto! Ti prego fatti vedere! Gridò nella sua mente, poi Eleonor sospirò. Da quando Vespriana era partita, la piccola non aveva voluto toglierli gli occhi di dosso un solo istante; non voleva che il suo cucciolo non la trovasse accanto quando si fosse risvegliato.

All'imbrunire del giorno, due dragonesse, dalle squame grigie e violetto, planarono dal cielo di fronte a lei. Salve piccola. Oggi come ti senti? le chiese la prima.

Ti abbiamo portato del cibo. Aggiunsero facendo scivolare con il muso delle more appena raccolte verso la piccola - Non ho fame. - Farfugliò strofinandosi il naso.

Le due dragonesse si scambiarono delle occhiate, poi quella dalle squame grigie spinse il fagotto che avevano tra le fauci ai piedi della bambina.

Come vuoi, noi lasciamo tutto qui, nel caso cambiassi idea. Staremo nei paraggi durante tutta la notte se avrai bisogno di noi.

Eleonor si mosse appena stringendo le gambe al petto e guardando il cibo senza alcun interesse.

Nel cielo, ora di un blu scuro, la luna era già visibile nel suo pallore, mentre il sole ancora si attardava pigro a scendere dietro l'orizzonte. Le due scossero le loro teste e stavano per andarsene, quando improvvisamente avvertirono delle presenze avvicinarsi verso di loro con rapidità sorprendente.

Senza alcun preavviso due grandi uccelli neri piombarono loro addosso , travolgendole in pieno con la forza di un ariete. Rotolarono a terreno per diverse iarde e andando a sbattere contro un gruppo di rocce.

Eleonor gridò terrorizzata, strinse a se l'Èldunarì portandoselo al petto, e guardò le due dragonesse rialzarsi a fatica per affrontare i loro aggressori.

Un fruscio di vesti al suo lato attirò la sua attenzione. Si voltò e con orrore due ombre nere avanzare minacciose verso di lei. I draghi non potevano venire in suo aiuto. Se voleva salvarsi doveva cavarsela da sola e fuggire e alla svelta ma, proprio mentre pensava questo, Eleonor si rese conto che le sue gambe non avevano intenzione di muoversi, una forza oscura la teneva ancorata al terreno, una forza che proveniva da quelle creature: era in loro potere!
Ma quando oramai credette di non potercela fare, ecco che con suo sommo stupore, avvenne qualcosa, l'èldunarì tra le sue mano diede alcune pulsazioni più veloci delle altre; furono una serie di bagliori quasi impercettibile, ma che la liberarono da quello strano incantamento, permettendole nuovamente di muoversi. Oramai uno dei due Ra'zac l'aveva raggiunta. - Ci rivediamo mocciosssetta. - le sibilò con un certo tono di soddisfazione nella voce. Eleonor non ebbe il tempo di pensare, chiuse gli occhi e diede un calcio contro la creatura quindi si voltò e iniziò a correre il più veloce che poteva.

Presi alla sprovvista, i mostri sibilarono di rabbia, ma, ritrovata la lucidità, si divisero e la braccarono ognuno da un lato.

La notte era scesa silenziosa avvolgendo tutto nel suo scuro manto. In un attimo i Ra'zac le furono nuovamente sopra; la stavano afferrando per le spalle, quando qualcosa di potente li colpì entrambi e li fece rotolare lontano.

Il cuore di Eleonor batteva all'impazzata, ma trovò lo stesso il coraggio di alzare lo sguardo. Tre draghi, uno rosso, uno verde e uno arancio erano arrivati in suo soccorso.

I loro ruggiti riempirono l'aria.
I Ra'zac si alzarono quasi subito, il colpo ricevuto gli aveva appena storditi. Ancora accucciata a terra Eleonor sussultò quando li vide rialzarsi.

Il drago rosso e quello verde scattarono in avanti e placcarono i due mostri permettendo alla loro compagna arancione di prendere Eleonor e di portala in salvo.

Non ti preoccupare ci siamo noi a proteggerti. Gli disse la dragonessa, librandosi in cielo e allontanandosi in fretta dalla battaglia che stava per avere inizio. Eleonor si aggrappò con forza a uno degli artigli che la reggevano e chiuse gli occhi, troppo spaventata anche per piangere.

La dragonessa atterrò poco dopo, proprio di fronte alla montagna sacra. Tenendo alzata la zampa con cui teneva Eleonor, la dragonessa si piegò leggermente da un lato e toccando terra con la zampa libera frenò la sua discesa, fendendo il terreno e strusciando a terra per alcune iarde. Una volta arrestata la corsa la dragonessa apri con delicatezza i suoi artigli, permettendo a Eleonor di scendere.

Tutto bene? Ti fa male qualcosa?

- No cre...credo di no. Sto bene. - disse con voce rotta, mentre le lacrime iniziarono a sgorgare dagli occhi. La dragonessa ruggì lentamente e non sapendo cosa fare, avvicinò il suo muso alla piccola e con la punta della lingua le lecco via due grandi lacrime. Andrà tutto bene.

Eleonor annuì e si passò una mano sul viso, la dragonessa si allontanò di nuovo e alzò il collo al cielo: nel silenzio della notte i rumori della battaglia raggiunsero presto le loro orecchie. Si potevano sentire le grida stridule dei Ra'zac mischiarsi ai ruggiti dei quattro draghi.

Continuarono così per quelli che a Eleonor sembrarono ore, poi un strillo acuto le fece sussultare.

Nel luogo della battaglia la dragonessa dalle scaglie violetto era riuscita ad azzannare uno dei due Lethrblaka afferrandolo alla gola, là dove era più vulnerabile, e aveva iniziato a scuoterlo, sbattendolo a terra, fino a quando non aveva smesso di muoversi. In quel momento il tempo si fermò per un istante. L'altro Lethrblaka di voltò a guardare il compagno morto e lanciò un grido di dolore misto a rabbia. Sembrò impazzire, iniziò a colpire il suo avversario alla rinfusa, portando una serie di affondi con il suo becco ricurvo.

Sopraffatto dalla furia di quell'attacco, la dragonessa grigia, che lo stava affrontando venne ferita gravemente alla coscia e al ventre. La dragonessa violetto andò di corsa in suo aiuto e, sotto l'attacco congiunto dei due draghi, anche il secondo Lethrblaka cadde a terra. Ritrovandosi soli, i Ra'zac cercarono la fuga nella vegetazione che circondava la zona intorno alla montagna sacra, ma rallenti dalle ferite della battaglia, vennero presto raggiunti da tutti e quattro i draghi che non aspettarono ad attaccarli dall'alto.

Pur sapendo di non poter rivaleggiare con quattro draghi insieme, i Ra'zac decisero lo stesso di combattere fino alla fine, spinti dall'odio e dalla rabbia; la risposta dei draghi fu spietata. Il primo venne azzannato stramazzando a terra con un grido; il secondo, cadde poco dopo, sotto un colpo di coda che gli spezzò la schiena.

Vittoriosi i quattro draghi si avvicinarono ai corpi dei due mostri, come le loro cavalcature, i loro corpi sapevano di rancido. Cosa ne facciamo? chiese la dragonessa violetto, annusandoli disgustata.

Li bruceremo con le nostre fiamme rispose poco dopo la dragonessa grigia zoppicando visibilmente dalla zampa ferita.

Radunarono tutti i corpi e aprendo le loro fauci, sputarono fuori il loro fuoco.

Un'alta pira si levò, iniziando a consumare i corpi privi di vita dei Lethrblaka e dei Ra'zac e. Mentre i quattro draghi osservavano le fiamme che loro stessi avevano generato, ecco che improvvisamente un altro bagliore si levò in prossimità della montagna sacra.

Eleonor. Dissero all’unisono mostrando i denti. Qualcosa stava accadendo, sentirono attraverso il loro legame. Senza ulteriori indugi, i quattro draghi si alzarono in volo e si diressero verso la fonte luminosa, che continuava a rifulgere di un bagliore bianco.

Raggiunti il luogo, videro il drago arancione, accucciato a terra, di fronte all'entrata della grotta. Lo affiancarono.

Davanti a loro la piccola Eleonor era in piedi, come ipnotizzata e l’èldunarì stretto tra le mani, risplendeva come non mai. Era stato a lui a risplendere in quella maniera?

Accorta del loro arrivo Eleonor si girò verso si loro.

Eleonor! ritorna indietro è pericoloso! Le urlarono tutti insieme parlando alla sua mente. Ma un'altra voce si insinuò, superando tutte le altre.

Eleonor! la bambina abbassò stupita il volto, per la prima volta da quando la sua essenza si era trasferita all'interno del suo cuore dei cuori, il draghetto le aveva parlato. Eleonor devi andare fino in fondo è il nostro destino gli ordinò con decisione, ma senza essere brusco. Nonostante gli dispiacesse disubbidire ai draghi che l'avevano aiutata, Eleonor non poteva fare altro che seguire la voce del suo drago. Si lo farò. Gli rispose con coraggio. E così senza più badare alle voci che continuavano a chiamarla, Eleonor si concentrò sul cuore che aveva tra le mani e iniziò ad avanzare all'interno della grotta dove al suo interno il monte iniziò a rifulgere di tante luci colorate.

Non devi essere spaventata per quello che starà per succedere. Io conoscevo questa verità prima ancora di nascere...anche se non sapevo quando saremmo stati chiamati. Gli eventi sono precipitati e il tempo a nostra disposizione è poco. Dovrai apprendere ciò che ti serve in brevissimo tempo, quindi adesso ascoltami bene Eleonor. Non sarà facile per te accettarlo, ma devi provarci. Da te dipendono molte cose.

In quel momento la mente di Eleonor era completamente aperta e il suo cuore saldo. Il drago continuò. Raccontò a Eleonor del patto di Sangue che suggellò l'unione tra il popolo degli Elfi e i Draghi, e del perché i draghi avessero deciso di preservato l'integrità del loro segreto sui loro cuori.

Il potere dei cuori è immenso e i draghi, in forma di èldunarì sono troppo vulnerabili per difendersi da soli.

Le menti assopite dei draghi all'interno della grotta, ruggirono di rabbia per la sorte dei loro compagni in mano alla regina. Attraverso l'Èldunarì del suo drago, Eleonor poteva sentire il loro dolore fin dentro le ossa.

Suggellata la loro alleanza con gli elfi, attraverso l'evocazione del patto di sangue, i draghi decisero di eseguire un contro incantesimo, per cui, alla nascita di un drago bianco, questi avesse il potere di riportare l'ordine e l'armonia. Solo il primo Eragon venne messo al corrente della loro decisione, coinvolgendolo nell'incantesimo. Per questo motivo il drago avrebbe avuto bisogno di un compagno al suo fianco.


Perché hai scelto proprio me? Non sono che un'orfana.

Eleonor, per me tu non sarai mai una semplice orfana e questo vale per qualsiasi drago quando sceglie il suo compagno. Non ho una risposta sicura alla tua domanda. Quando decidiamo di nascere noi draghi seguiamo ciò che ci dicono i nostri cuori, ma quello che ha fatto si che noi due diventassimo compagni, è lo stesso motivo per cui anche il primo dei Cavalieri fu scelto da un drago dalle squame bianche, come lo sono le mie: riportare equilibrio tra gli esseri viventi, attraverso la nostra rinascita.

Improvvisamente la coscienza di Eleonor venne travolta nel flusso delle coscienze di tutti i draghi. In balia della corrente la piccola perse coscienza.

I cinque draghi la videro cadere a terra, sulle ginocchia, si aggrappò con tutta le forze al cuore dei cuori che aveva in mano, stringendolo tra le mani. Stava per essere travolta, quando il drago bianco riuscì a riportarla a galla, facendola risalire attraverso i ricordi che avevano condiviso insieme.

Rinascita? chiese la piccola, una volta rientrata entro i confini sicuri della sua mente. Aprì gli occhi e il piccolo drago bianco gli era di fronte a lei. Poterlo nuovamente vederlo le riempì il cuore di gioia anche se sapeva che oramai non era più in carne ed ossa. Sì piccola mia le disse, per poi illuminarsi di una luce più intensa così da poter mostrare a Eleonor ciò che avrebbero fatto insieme.

Devi lasciare la tua mente libera. Aggiunse mentre le saltellò accanto e strofinò il muso contro la mano della bambina. Eleonor ebbe la sensazione di poterlo toccare di nuovo, mosse la sua mano e lo accarezzò piano, come aveva fatte tante volte. Ma appena si toccarono la sua immagine si dissolse ed Eleonor lo sentì superare i limiti della sua mente.

Ripercorsero insieme i ricordi più recenti, poi il drago iniziò a penetrare sempre più in profondità.

Eleonor sentì la sua anima staccarsi e uscire fuori dal suo corpo e provò paura. Paura di non avere più il controllo su se stessa. Si aggrappò ai ricordi con tutte le forze, ma un improvviso dolore attraversò il cervello, come se mille aghi lo stessero trafiggendo, era terribilmente spaventata.

La mente del suo drago corse a tranquillizzarla. Devi lasciarti andare Eleonor, non combattermi. Non ti succederà nulla di male.

La parte di lei che continuava a rimanere ancorata a quella realtà resisteva, ama il drago bianco non demorse. Io starò sempre con te piccola mia. Non perderai te stessa, te lo prometto. Questo è il nostro destino.

Una luce calda avvolse Eleonor e la piccola vide la valle che le aveva dato rifugio, risplendere improvvisamente di vita. Un tiepido sole riscaldava l'aria ed Eleonor seppe che non ci sarebbe stata più fame o sete, né guerre o sofferenza a rompere quell'armonia. Ma l'avrebbe raggiunto solo abbracciando completamente quella nuova vita.

L'ultima parte di sé ancora legata al suo corpo cedette ed Eleonor ritornò a provare la strana sensazione di fluttuare in un luogo senza tempo e spazio, ma questa volta non era più spaventava.

Ora hai compreso. Le disse il drago con voce calma e la piccola si sentì risucchiata all'interno del cuore dei cuori e il potere dei draghi entrò dentro di lei. Come era accaduto al suo drago, anche il suo corpo iniziò a perdere forma per diventare anche lui di pura luce.

L'intera grotta si illuminò, ma Eleonor non poteva più vederla perché lei stessa era diventata parte di quella luce.

Quello che doveva fare era chiaro nella sua mente. Proteggere quella valle e ciò che conteneva. La magia dei draghi fece tutto il resto.

Le sue intenzioni si trasformarono in parole e le parole iniziarono a prendere forma; plasmandosi sopra la realtà secondo una volontà precisa, che non era più solo la sua, ma che era diventata quella di tutti i draghi.


***

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 39
*** Isobel è sola ***


Con il volto nascosto sotto il cappuccio del suo mantello Filota passò in mezzo ai soldati della resistenza senza prestare troppa attenzione alle occhiate di sospetto che gli venivano rivolte. Alle luci delle fiaccole ancora accese le insegne di Zàkhara scintillavano sul pettorale del giovane uomo il cui portamento non tradiva nessuna emozione nonostante fosse cresciuto con l’dea che il popolo degli elfi fosse il loro acerrimo nemico.

L'unico segno del suo stato d'animo erano state le sue mani che stringevano in maniera spasmodica il lembo del fazzoletto bianco che aveva sventolato prima di inoltrarsi nel campo nemico.
Per il giovane uomo non era stata una decisione facile quella di tradire la corona vendendo la loro regina al nemico; era stato qualcosa che andava contro tutti i suoi principi.

Ma non era stata proprio la regina la prima ad averli traditi, deponendoli dal comando delle sue truppe in favore dei Ra'zac? Per Filota quello di Isobel non era stato solo un atto di sfiducia nei confronti dei suoi uomini più fidati, ma un tradimento nei confronti di tutto quello in cui aveva creduto fino a quel momento.

Da generazioni la sua famiglia era legata alla corona da un vincolo di fedeltà e fin dalla tenera età il padre lo aveva cresciuto preparandolo a ricoprire questo ruolo. Per Filota non c'era stato altro scopo nella sua vita che servire la corona. Ma con il suo gesto sconsiderato Isobel aveva distrutto tutto questo costringendo Filota e gli altri a prendere la difficile decisione del tradimento.
Giunti alla tenda del re Arold venne introdotto al suo interno dal soldato: in prima fila accanto al re l'uomo individuò subito Murtagh e accanto a lui una giovane donna che il comandante delle truppe di Zàkhara non aveva mai visto, ma che intuì essere il terzo cavaliere venuto da Alagaësia, Katrina; Filota riconobbe anche i capi della lega che si erano alleati con gli elfi oscuri, alcuni di loro li aveva conosciuti ai tempi della sua leva, quando frequentava il campo di addestramento per generali ad Adamante. Il sopraggiungere della guerra e i suoi doveri verso Isobel, ogni giorno sempre più esigente verso i suoi vassalli, lo avevano costretto a trasferirsi nella capitale, e Filota non aveva avuto più modo di rivedere i suoi vecchi compagni. Loro non sembrava avessero serbato a lungo il suo ricordo perché non ci fu alcun segni di riconoscimento da parte loro. Poco male, pensò fra se Filota che aveva da tempo cancellato la parola amicizia dal suo vocabolario.

- Quest'uomo - lo presentò direttamente il soldato che lo aveva scortato fino alla tenda, - chiede il permesso di parlarvi. Dice di avere delle novità importanti da comunicare a voi, mio Sire, e ai cavalieri. –

Arold non disse nulla mentre tutti i presenti si voltarono a guardare nella sua direzione in attesa di una sua risposta. Filota non aspettò oltre e ne approfittò per prendere lui la parola
- Il mio nome è Filota conte di Adamante e generale del terzo battaglione di Zàkhara. - l'uomo chinò la testa e guardò i presenti uno ad uno, con aria grave, fino a fermarsi su Eragon. Il giovane cavaliere, che fino a quel momento era rimasto nascosto dietro alla figura di Murtagh, trattenne il respiro per un attimo mentre Filota continuava a fissarlo. - Ho un accordo da proporvi. - continuò a parlare l'uomo - che metterà fine una volta per tutte a questa guerra. -
Senza quasi sentire il brusio generale che aveva riempito la tenda, Eragon si fece avanti.
- Io ti ho già visto. Eri nel palazzo di Isobel. Ogni settimana venivi a supervisionare l'addestramento dei soldati. - I ricordi della sua permanenza nel palazzo della regina riaffiorarono alla sua mente. Eragon aveva visto molte volte l'uomo camminare a braccetto con la regina o in compagnia di altri generali nei giardini che costeggiavano la caserma dove era la sua prigione. Filota gli sorrise appena.

- E io ho visto te cavaliere. Ero spesso seduto ad osservarti mentre combattevi con i nostri uomini. Davvero impressionante la superiorità della tua tecnica. Ho sempre detto alla regina che un uomo come te sarebbe stato molto più utile fuori che dentro una prigione. E dopo aver visto te e tuo fratello combattere il campo aperto ne sono ancora più convinto. –

Il sangue nelle vene di Eragon bollì di rabbia e la mano strinse con forza l’elsa della spada assicurata al suo fianco. L'uomo non si scompose ma mantenendo un'espressione neutra continuò questa volta rivolgendosi a tutti. - Non voglio nascondere di aver servito la regina con fedeltà. Io come molti atri generali avremmo dato la vita per lei, ma ora ci siamo resi conto che Isobel si è volta folle: ieri ha dato ai Ra'zac, a quei mostri sanguinari, il comando delle truppe tradendo così la fiducia che da tempi immemorabili unisce la casa reale a quella delle famiglie nobili di Zàkhara.
Togliendoci dal nostro incarico, il vincolo che ci legava a Isobel si è spezzato. -
- Quale sarebbe la vostra proposta generale Filota? - intervenne per la prima volta Arold rivolgendo al comandante uno sguardo impaziente.
- Assassinare la regina prima che il suo potere aumenti. Ma perché il nostro piano possa funzionare abbiamo bisogno del vostro sostegno e dell'aiuto dei cavalieri. –

- Che cosa chiedete? - chiese Eragon facendosi portavoce di tutti
- E molto semplice, quando la regina e il suo corteo si presenterà di fronte a voi per chiedervi la resa, voi dovrete ascoltare quello che avrà da dirvi senza opporre obbiezioni e quando crederà di avere la vittoria in pugno, un comando guidato dai noi generali irromperà per assassinarla.
Qui entrate in gioco voi Cavalieri, quando la regina capirà cosa noi staremo per fare. State certi che Isobel lo capirà. Per lei sarò troppo tardi per potersi salvare. -
- Cosa vi fa credere che riuscirete ad avvicinarvi alla regina così vicini da poterla uccidere? - Chiese Murtagh con aria scettica.
- Perché lei si fida ancora di noi e perché nella sua arroganza è convinta che nessuno dei suoi servi abbia il coraggio di opporsi alla sua volontà, tanto meno farle del male. -
- La regina sarà arrogante, ma il suo potere è reale ed è davvero diventa potente, da soli neanche le nostre forze basteranno a fermarla. L'unica possibilità che abbiamo per poter contrastare il suo potere è avere l'appoggio dei draghi selvaggi. - intervenne Eragon
- Pensate che Sigmar accetterà di aiutarci? - chiese Katrina
- Gli parleremo io e Murtagh. -  Disse Eragon prima di prendere un respiro profondo - ma non abbiamo tenuto conto di una cosa. – tutti si voltarono a guardarlo. - La regina ha con sé in ostaggio sua nipote. È da poco diventata adulta, la regina l'ha catturata al confine tra i due accampamenti. Isobel potrebbe fargli del male prima che voi possiate riuscire anche solo a toccarla e Sigmar non muoverà una sola scaglia se questo potesse anche solo minacciare la sua vita. -
Filota scosse la testa accigliato - Nessuno di noi ha mai visto il cucciolo nel nostro accampamento. Siete certi di questo? -
- Sì, più che certi. Non c'è nessun luogo nel capo in cui la regina potrebbe aver portato il cucciolo nascondendolo alla vista di tutti? -
- Un luogo ci sarebbe. -  disse Filota dopo un attimo - è la sua tenda personale, non è permesso di entrare a nessuno ad eccezione di lei stessa e dei Ra'zac. -
- Saresti in grado di farmi arrivare li senza essere visti? -
- Cosa hai in mente di fare Eragon? - gli chiese Murtagh
- Ho intenzione di liberare Vespriana approfittando dell'assenza della regina durante l'incontro. -
Filota non era certo di quello che il cavaliere era intenzionato a fare, la sua missione era quella di assicurarsi il loro appoggio durante la congiura per uccidere il tiranno che gli aveva tradito, Isobel - Noi possiamo fare in modo di farti arrivare alla tenda, ma se la regina non ti vedrà durante l'incontro potrebbe sospettare qualcosa, e tutto il piano rischierebbe di andare in fumo. - Eragon guardò Filota dritto negli occhi e alzando un sopracciglio disse: - Non accadrà se faremo in modo che io rimanga sopra Saphira nel corso dell'incontro. Uno dei nostri maghi può tessere un incantesimo e creare un fantoccio che prenda il mio posto nel tempo in cui sono via. In alto nessuno si accorgerà dell'inganno.
Io cercherò di ritornerò prima del suo inizio. -

**

Il sole era sorto oramai da alcuni minuti quando Eragon aprì con cautela i lembi della tenda rossa della regina. Come gli aveva promesso Filota era stato portato fino alla tenda personale di Isobel senza che nessuno li fermasse. Il cavaliere entrò dentro il vasto spazio che il giovane immaginò essere l'ambiente principale dalla tenda. Altri teli a destra e a sinistra separava quello spazio dagli altri ambienti. Con cautela Eragon allargò la propria mente lanciando i suoi tentacoli per sondare il terreno intorno a lui; come aveva sospettato la regina aveva eretto delle barriere magiche che proteggevano quegli ingressi. Vespriana doveva essere dietro a una di loro.
Eragon saggiò la resistenza prima della barriera di destra. Non era eccessivamente potente, Eragon riuscì a allentare le sue maglie e a sbirciare all'interno, ma non c'era segno di vita, Vespriana non era dietro di essa. Con trepidazione Eragon passò al secondo ambiente, questa volta le barrire opposero una maggiore resistenza. Gli ci vollero alcuni minuti per riuscire a formulare le parole giuste per sciogliere i sigilli senza far scattare gli allarmi che sicuramente erano stati posti dalla regina. Quando infine riuscì a schiuderli aprì con cautela i lembi della tenda.
Al suo interno Eragon vi trovò Vespriana. La piccola era incatenata al suolo dimenandosi nel tentativo di togliersi il laccio di cuoio assicurato intorno al suo muso.
Eragon si affrettò a liberarla e controllando che non fosse ferita.
Eragon, grazie. Mi dispiace, pensavo di aiutarvi e invece ho solo dato maggior potere a Isobel.
Eragon le accarezzò il collo.
Non preoccuparti, grazie a un iaiuto inaspettato abbiamo escogitato un piano. Ora, però, dobbiamo portarti fuori di qui. Da questo momento in poi dobbiamo fare attenzione a non fare alcun rumore. Sei in grado di camminare?.
Sì, Credo di sì.

Bene. Stai sempre vicino a me e muoviti molto lentamente.
Eragon attese che la dragonessa gli desse una cenno che aveva compreso le sue parole quindi toccò il telo della tenda per tre volte ed attese. Dalla parte opposta qualcuno aprì la tenda e lo stesso soldato che aveva aiutato Eragon a entrare fece loro segno di seguirli in silenzio.
- Da questa parte. - Il soldato iniziò a girare per il campo in apparenza senza una direzione precisa. Ma Eragon sapeva che un senso però c'era, seguendo le direttive che lui stesso gli aveva impartito, il soldato li guidò attraverso il capo portandoli sempre dove c'era il minor numero di soldati. Era stato necessario affinché l'incantesimo che Eragon aveva tessuto intorno a lui e a Vespriana non subisse delle falle e qualche soldato riuscisse a scorgergli mentre sgattaiolavano fuori dal loro campo.
Eragon continuava a guardarsi intorno per poter indirizzare la formula la dove c'era maggior bisogno, la sua fronte gli si era imperlata di sudore per lo sforzo di sostenere l'incantesimo per così lungo tempo.
Fuori dal confine dell'accampamento trovarono Keiron e Guiltar ad attendergli. Nel vedere i due draghi, Eragon poté trarre un sospiro si sollievo e lasciare l'incantesimo. Vespriana corse incontro ai suoi genitori e iniziò a strusciare il suo muso contro il fianco della madre e quindi padre.
Eragon rimase in disparte a osservare la scena.
- Non ho mai visto una cosa del genere prima d'ora. - affermò il soldato stupefatto.
- E' stato solo un piccolo trucco. - rispose Eragon scrollando le spalle con indifferenza, ma il soldato continuò a guardarlo ancora con stupore
- Qualunque cosa fosse ci ha permesso di passare inosservati per il campo... è stato semplicemente sorprendete. -
- Immagino lo sia per la maggiorparte delle persone, ma rimane il fatto che senza la tua guida non sarei mai riuscito a trova la strada e contemporaneamente mantenere l'incantesimo in funzione. -
- È stato un onore cavaliere. - Eragon abbozzò a un sorriso e si girò verso i draghi. La piccola Vespriana era evidentemente stanca e affamata.
In quel momento il suono di una tromba risuonò nell'aria facendo rizzare i peli del collo ad Eragon. - Cosa è stato? - chiese Eragon rivolgendosi al soldato. Amche l''uomo rivolse il suo sguardo nella direzione in cui era venuto il suono e aggrottò la fronte contrariato. - Questo è il segnale che l'esercito di Zàkhara usa per segnalare la ritirata di una ambasciata. -
- L'incontro non può essere già concluso! - Eragon scattò in avanti allarmato. – È molto strano. - Gli fece eco il soldato, anche lui non riusciva a darsi una risposta a quello che poteva essere successo.
- Devo subito raggiungere gli altri - disse Eragon mentre Guiltar Keiron e Vespriana si avvicinarono al cavaliere e al soldato.
Monta sul mio dorso Eragon, viaggerai più veloce. Keiron ci seguirò con Vespriana.

Con Eragon e Vespriana sui loro dorsi Guiltar e Keiron volarono fino ai pressi del luogo preposto per l'incontro. I due draghi scesero al suolo per evitare di essere avvistati da coloro che si trovavano a valle. Sceso a terra Eragon iniziò a camminare a passo veloce. Le sue gambe presero a muoversi veloci ed era come se non toccassero il suolo. Arrivato a poca distanza da dove si trovavano i suoi amici il fiato gli si mozzò in gola. Di fronte ai suoi occhi vide una parte del suo sogno avverarsi. Un campo di battaglia, due eserciti schierati l'uno di fronte all'altra, come in attesa, poi tutto si fermò e nel mezzo del capo Isobel si alzò nel cielo splendendo di una luce intensa.
Quella la luce non proveniva dalla donna, ma era emanata da qualcosa che la regina teneva in mano.

Eragon corse a perdifiato fino per raggiungere i suoi compagni che erano schierati in semicerchio a circondare la regina, suoi loro volti era dipinto lo sconcerto e la rabbia per qualcosa che Eragon non conosceva.
Sopra di loro Isobel rideva. Ora che era più vicino a loro vide come gli uomini che avrebbero dovuto ucciderla si trovavano tutti a terra, ognuno di loro riportando ferite più o meno gravi. Nel mezzo Eragon riconobbe Filota, il capitano della contea di Adamante. Il viso dell'uomo era imbrattato di sangue che colava da un brutto taglio gli attraversava la fronte, anche lui era stato scaraventato al suolo insieme a tutti gli altri, ma incurante delle ferite stava tentando si tirarsi in piedi puntando i gomiti a terra.
Il resto dei presenti sembrava come paralizzato. Girando lo sguardo più in la Eragon vide Murtagh affianco a Castigo che digrignava i denti. Anche il volto di Katrina davanti a Validor esprimeva lo stesso stato d'animo del fratello.
Tutto intorno a loro Sigmar e gli altro draghi selvatici ringhiavano minacciosi, e avevano formato un semicerchio più largo tutto intorno ai ribelli, ma la sovrana di Zàkhara sembrava in qualche modo riuscire a tenere anche loro a distanza.
Deciso a intervenire Eragon estrasse la sua spada e rompendo le barriere della magia si preparò a combattere con entrambe le armi. Fu allora che la regina si accorse della sua presenza e si girò verso di lui. I suoi occhi cobalto brillarono di una strana gioia che fecero tremare le membra del cavaliere.
- Finalmente Eragon. Temevo che non saresti più arrivato. - disse senza mai distogliere il suo sguardo da quello del giovane.
Una voce forte provenne dalle file dei ribelli - Sei rimasta sola Isobel. Non hai più un esercito fedele che servi la tua causa. Tutti oramai sanno che razza di persona sei! - Stava gridando Murtagh. Il cavaliere rosso aveva fatto un passo in avanti minaccioso avanzando verso la regina dal punto in cui si trovava. Isobel riuscì a fermarlo con un solo gesto del polso.
Colto di sorpresa Murtagh si bloccò sul posto, incapace di fare un passo oltre mentre dalle sue labbra scappò un gemito di protesta.
Eragon si rivolse infuriato alla regina:
- Lascialo stare! - con volto soddisfatta Isobel lasciò la sua presa su Murtagh e ritornò a puntare la sua attenzione su Eragon. Un sorriso maligno le piegò i lati della bocca già deformate dalla rabbia.
- Vi consiglio di abbandonare al più presto questo tono minaccioso o ne pagherete presto le conseguenze. -
- Che cosa vuoi Isobel? -
- Prendermi la mia rivincita, naturalmente. Ho deciso che inizierò proprio da te Eragon e stai certo che la prossima volta che ci vedremo striscerai ai miei piedi chiedendomi di accordarti una grazia. - all'udire quelle parole un brivido corse lungo la spina dorsale di Eragon. Il giovane cavaliere serrò la mascella
- Non mi chinerò mai di fronte a te Isobel. Mai! -
- No? Non ti importa di quello che potrebbe succedere alla tua preziosa Arya. Cosa direbbe lei o le tue figlie sapendo che le hai abbandonate? - Eragon sorrise mostrando una certa sicurezza.
- Loro sono al sicuro ad Antàra, non puoi fargli del male da qui! -
- Ah! Questo non è del tutto esatto Cavaliere. Nella foga di sconfiggermi avete commesso un errore. Con il potere degli èldunarì ho l'energia necessaria a trasportarmi fino a Antàra, dove re Arold non ha lasciato che pochi maghi a difenderla. Sono tutti qui. - la regina alzò le braccia e un lampo di luce rossa esplose intorno a lei mentre formulava delle parole in antica lingua.
Eragon non perse tempo e percorse lo spezio che lo separava dalla regina per impedirgli di finire l'incantesimo.
- Non sprecare energie preziose Eragon, ti aspetterò a Antàra, ma ti avverto se vuoi rivedere Arya dovrai venire solo, senza il tuo drago. - quindi un lampo di luce investì tutti i presenti. Eragon fu costretto ad alzare le braccia e coprirsi il volto per non rimanere accecato dall'esplosione. Cadde a terra e quando riaprì gli occhi la regina era sparita. Poteva sentire il volto rigato dalle lacrime, Murtagh gli corse subito incontro per aiutarlo a rimettersi in piedi. Anche Keiron e Guiltar con Vespriana erano arrivati raggiunti subito da Sigmar, Telluria e gli altri draghi contenti di rivedere la piccola in salvo.

- Eragon. Come stai? - chiese Murtagh al fratello oramai del tutto ripreso dall'attacco subito.

- Io sto...sto bene.. - rispose Eragon con un filo di voce quindi si rivolse ad Arold.

- Isobel diceva il vero? Antàra è sguarnita di protezioni magiche? - Il re annuì con la testa. - Sì Eragon, quello che Isobel  ha detto è tutto vero. -
A quelle parole Eragon sentì improvvisamente il mondo crollargli addosso.
- Che cosa è successo qui? - chiese dopo un attimo. Murtagh sospirò
- La regina sapeva della congiura, non sappiamo come abbia fatto. Solo grazie all'aiuto di Sigmar e gli altri draghi siamo riusciti a contenere la sua furia. Ha scagliato in aria i soldati come fossero fuscelli secchi prima che potessero anche solo sfiorarla. Noi abbiamo cercato di bloccarla, ma la regina aveva previsto tutto e aveva preparato molti incantesimi di protezione.  E’ stato allora che ha scoperto di Arya e delle vostre figlie -
- Devo raggiungerla. Saphira! - La dragonessa lo raggiunse subito con la mente. Avvolse e fuse la sua coscienza con quella del suo cavaliere per proteggerlo e consolarlo. Eragon non riuscì a schermare in tempo il dolore e la preoccupazione che trapelavano dalla sua anima. I sentimenti del cavaliere travolsero Saphira come un fiume in piena e un lungo lamento uscì dalla gola della dragonessa.
Scusami Saphira. Si affrettò a dire Eragon non appena si accorse di quello che le stava facendo, ma Saphira abbassò il suo muso all'altezza del suo cavaliere e disse: Non stare a preoccuparti per me Eragon. Dobbiamo andare a salvare Arya. Questa è la sola cosa che conta adesso.
Eragon la annuì grato. Sapere che Saphira era al suo fianco era la sola cosa che gli permise di non crollare, stava per salire sul suo dorso quando Murtagh che gli mise una mano sulla spalla per bloccarlo.
- Non puoi farlo Eragon! È esattamente quello che la regina vuole! -
- Se non vado ucciderà Arya. -
Sigmar ruggì piano quindi protese il suo muso il più possibile vicino al volto di Eragon.
Ha ragione Murtagh, Eragon. Questo è quello che la regina si aspetta che tu faccia. Stai andando incontro a una trappola.
Io andrò lo stesso Sigmar.
Lo so, ma se sei tanto folle da voler rischiare tutto, allora avrai bisogno di una aiuto.
Che cosa intendi dire
? Chiese Eragon al drago argentato mentre Saphira
Se Isobel possiede gli èldunarì dei nostri antenati, anche tu dovrai averli. La combatterai ad armi pare.
In un attimo il giovane cavaliere comprese cosa Sigmar aveva intenzione di fare, scosse la sua testa in segno protesta
- Non posso chiederti questo Sigmar. - disse sussurrando. Sigmar alzò in alto la sua testa con uno sbuffo. Alle sue spalle il drago argentato poteva sentire come Vespriana avesse anche lei dato un accenno di protesta
Non sei tu a chiedercelo Eragon, sono io, come capo della mia razza, ad aver proposta di donare i nostri cuori a te. Più di una volta hai rischiato la tu avita per aiutarci. È arrivato il momento che anche noi facciamo la nostra parte.
Abbiamo già deciso coloro che doneranno il loro èldunarì. E per tutti loro, compreso me, sarà un onore poterlo fare. Rimane a te la scelta se accettare o no il nostro dono.
Eragon non sapeva come dimostrare la sua gratitudine per quel loro gesto che sapeva sarebbe costato molto a ognuno di loro nonostante le parole rassicuranti di Sigmar.  - Ne sarà onorato. - riuscì infine a dire con un inchino
Sigmar annuì solenne prima di voltarsi versi gli altri draghi che si mossero insieme fuori dal cerchio che alcuni dei soldati che aveva formato tutto intorno a loro. Lo sguardo del drago argentato passò da Keiron a Guiltar per poi posarsi su Vespriana che corse sotto al nonno e strusciando il suo muso contro di lui. Eragon assistette all'addio tra nonno e nipote con il cuore in gola. Nonostante avvertisse le sensazioni emanate da Saphira poté solo immaginare quello che passò tra il drago argentato e i sua nipote. Quando Vespriana si distaccò dal nonno Eragon credette di notare una lacrima scendere dagli occhi grigi del grande drago. Fu quindi il turno di Guiltar e quindi Keiron.
Fu Telluria a richiamare Sigmar per andare. Anche la dragonessa Bruna era tra coloro che stava per donare il suo èldunarì per sconfiggere Isobel.
Ci vollero del tempo perché tutti i draghi possero espellere il loro cuore dei cuori, quindi infondervi tutto il loro essere. Alla fine Vespriana tornò da Eragon e aperte le sue fauci fece scivolare sette pepite delle dimensioni di in pugno.
Eragon fissò le pietre per alcuni istanti con le lacrime agli occhi. Era difficile credere che quegli oggetti potessero davvero contenere l'essenza di creature come i draghi ognuno dei quali aveva vissuto più anni di quanti Eragon potesse immaginare.
E' necessario che entrambi prendiate confidenza prima di affrontare la regina.
Gli disse Vespriana con voce vibrante di emozione.
Che cosa vuoi dire?
Sigmar vuole che tu entri in contatto con loro attraverso la mente. Mi ha detto di dirti che è in attesa per poterti spiegare i passi che dovrai compiere per usare il loro potere.
Eragon girò il suo sguardo verso Saphira. In risposta la dragonessa zaffiro gli diede un piccolo buffetto contro la spalla.
Sono qui con te piccolo mio. Avanti.
Con mano tremante Eragon andò a sfiorare l'èldunarì argentato di Sigmar. Niente avrebbe potuto prepararlo a quello che provò in quel momento: una scossa simile a quella che aveva provato la prima volta che aveva toccato Saphira gli attraversò il braccio quindi venne letteralmente travolto dal tocco della coscienze di Sigmar nonostante Saphira lo stesse aiutando in parte a schermarla.
Non fuggire al contatto Eragon. Risuonò come un eco lontano la voce di Sigmar. Eragon si sforzò di rilassare i muscoli quindi iniziò a aprire la sua mente a quello del drago.
Sigmar gli spiegò molte cose ed Eragon lo interruppe molte volte per porgli le sue domande. Spesso il drago rimaneva in silenzio per brevi intervalli di tempo. In quei casi Eragon non diceva nulla, ma dentro sapeva che il drago stava lottando contro il sui istinti ancora legati al suo vecchio corpo di carne e squame.
Passò quasi un'ora prima che Eragon rinvenne dalla sua conversazione con Sigmar. Aprì gli occhi e vide come tutti intorno erano stati a guardarlo con sguardo preoccupato. Tutti tranne una; Eragon sentì il contatto mentale di Vespriana che trepidava in attesa di sapere come stava suo nonno. Eragon si girò verso la piccola dragonessa.
- Lui mi ha detto dirti che sta bene - le disse con la mente e la voce insieme. Eragon ripeté quindi il contatto con ognuno degli èldunarì.
Per gli altri la durata del contatto fu molto più breve rispetto a quello avuto con Sigmar, quindi il cavaliere si eresse in tutta la sua statura e espresse la sua volontà di partire subito.
- Non c'è motivo per cui debba spettare oltre. Mi trasporterò come ha fatto Isobel, e la terrò occupata in attesa che voi mi raggiungiate. - disse rivolgendosi prima a Saphira e poi a Murtagh e a Katrina che lo guardarono contrariati.
Se credi che ti lascerò andare da solo piccolo mio ti sbagli di grosso. Non te lo permetterò.
Saphira Isobel vuole che vada da solo. Gli darò ciò che vuole, ma non nel modo in cui lei si aspetterà. Saphira sbuffò d'ira, ma sapeva che il suo cavaliere aveva ragione. Nessun altro replicò ed Eragon iniziò a radunare gli èldunarì dentro a una sacca vuota che prese dalla sella di Saphira.
- Non mi piace l'idea che Saphira non stia con lui -  disse piano Murtagh rivolgendosi a Katrina. Si erano leggermente distaccati da Eragon e lo stavano osservando cercando un modo di fargli cambiare idea.
Con il suo udito fine però Eragon riuscì lo stesso a udire le parole del fratello:
- Non ho intenzione di mettere a repentaglio la vita di Arya o di chiunque si torvi al palazzo. - disse solo.
Murtagh e Katrina si girarono entrambi verso do lui ed Eragon continuò. - Inoltre ho il vantaggio della sorpresa. Isobel non si aspetterà che io possegga degli èldunarì -
- Non doveva nemmeno essere a conoscenza della congiura Eragon, eppure è riuscita a difendersi dai nostri attacchi. - fece Katrina triste.
Eragon hanno ragione su questo. La regina ha già dato prova di riuscire a scoprire le nostre mosse in anticipo. Devi tenere conto anche di questo.
Aggiunse Saphira poco dopo. Eragon emise un sospiro
- Aspetterò il vostro arrivo prima di attaccarla. Sempre che le circostanze lo permetteranno -
disse per poi andare ad accarezzò con tenerezza il muso di Saphira
Lo sai che non mi piace l'idea di dovermi separare da te.
Volerò il più veloce possibile per raggiungerti Eragon.
gli rispose Saphira. Eragon sorrise e strusciò la guancia contro il muso della dragonesse accarezzandola sotto il muso con le dita di entrambe le mani. Rimase così per alcuni secondi poi, assicurata la spada alla cintura insieme alla sacca degli èldunarì, sotto gli occhi di tutti, scomparve nella luce azzurra della magia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 40
*** Per Amore ***



Arya era stesa nel letto, Jill le era accanto tenendole una mano e le sorrideva.
- Devi respirare piano – le stava dicendo mentre piccole gocce di sudore imperlavano la sua fronte.
- Avrei voluto che Eragon fosse qui al momento del parto. -
- Non credo che le tue bambine possano aspettare tanto Arya. -
le rispose lei posando una mano sul pancione.
Accanto al loro l'ostetrica stava sistemando una bacinella d'acqua accanto al letto. Dei teli puliti erano stati già poggiati sul bordo.
- Come va? - chiese la donna facendo cenno a Jill di farsi da parte.
La giovane donna lasciò la mano di Arya con riluttanza. Arya sembrava così fragile, Jill decise che sarebbe stata forte per entrambe.
Dei rumori da fuori attirarono la sua attenzione. I rumori aumentarono di intensità e le tre donne si guardarono negli occhi.
- Che cosa è stato? - chiese Arya a denti stretti
- Non lo so. - Jill aggrottò la fonte e fece per andare alla porta quando questa si spalancò e di fronte a loro comparve una figura femminile ammantata. Gli occhi di Jill si spalancarono dallo stupore
- Tu? - Di fronte a loro c’era Isobel.
- Sorpresa di vedermi Jill? Per tua fortuna non sono qui per te. Per ora. -
Jill estrasse il suo corto pugnale e lanciò un fendente alla donna. Jill si trovò, senza neanche sapere come, scaraventata al muro della parete alle sue spalle. - Jill! - gridò Arya.

Jill ebbe solo la forza di emettere un sordo suono poi si accasciò al suolo senza dare più nessun cenno di movimento. Isobel si girò verso l'ostetrica che stava accanto a Arya
- Tu donna vai fuori prima di fare la sua stessa fine! - minacciò Isobel indicando con lo sguardo il corpo immobile di Jill.
L’ostetrica non si mosse dal capezzale di Arya, non poteva abbandonarla, andava contro tutti i suoi principi. Vedendo che la donna non si muoveva Arya disse:
- Vai, non preoccuparti per me. - l'elfa strinse con forza la mano della donna - Ma Signora! - protestò lei con vigore.

- Avverti Rebekha e Reafly che la regina è qui, loro sapranno come mettersi in contatto con Eragon o con Murtagh. - aggiunse sotto voce. A quelle parole l'ostetrica sembrò come riscuotersi e una luce di determinazione si acese nei suoi occhi, guardò Arya  quindi annuì e si avviò a passo svelto verso la porta per uscire e correre via di corsa.
Isobel sorrise soddisfatta
- Molto bene Arya, finalmente siamo riuscite a incontrarci. Non sai da quanto tempo ho desiderato che arrivasse questo momento. -
Arya non aveva la forza ne la voglia di replicare.
- Ma perché tutto sia perfetto manca ancora un elemento. - disse avvicinandosi al suo letto con passo sinuoso. - Per questo motivo devo chiederti di seguirmi per un tratto. Sarà questione di poco poi potrai di nuovo stendersi. -
La regina prese Arya per un polso e la trascinò fuori dalla stanza. Arya lottò contro la presa della regina, ma nelle sue condizioni non avrebbe potuto opporre resistenza alla donna neanche se lo avesse voluto. Strinse i denti e con la mano libera tenne la pancia a proteggere le due vite che portava dentro di se.
Come avesse abitato sempre dentro quel palazzo, Isobel la spinse senza alcuna esitazione fino alla sala del trono. Nel percorso Arya notò diverse guardie a terra, colpite dalla donna nel suo tragitto verso la sua stanza.
La regina aprì la porta e una volta entrate la sigillò con la magia, quindi lasciò libero il braccio di Arya.
L'elfa si ritrasse raggiungendo una sedia e sorreggendosi per non crollare a terra. - Ora nessuno potrà disturbarci. Le tue figlie nasceranno qui. -
Arya ebbe un moto di disgusto
- Se solo proverai a toccarle! -
- Che cosa farai allora? - Chiese la regina che nel frattempo stava togliendo il telo che celava le uova di drago che erano ancora conservate. Gli occhi della sovrana di Zàkhara vennero catturati dalla luce che emanava la superficie lucida dei loro gusci. Socchiuse gli occhi verso Arya.
- Sono delle gemelle. Due bambine. Il numero di uova rimaste da schiudersi tra quelle che avete portato con voi da Alagaësia. - Costatò la regina con voce asciutta. Il respiro di Arya si fece più inteso, quindi avvertì qualcosa di bagnato colargli in mezzo alle gambe bagnandole la veste. Dopo un attimo di smarrimento comprese che le dovevano essersi rotte le acque. Ora davvero nulla poteva impedire che le bambine potessero nascere. Fuori dalla sala scoppiarono alcuni rumori come di colpi di ariete. Le guardie del palazzo stavano attaccando la porta con ogni mezzo disponibile nel tentativo di aprila.
- Non ci daranno fastidio principessa, almeno fino a quando le tue bambine non saranno nate. - Isobel le si avvicinò lasciando che una delle due uova scivolasse di nuovo dentro la cassa. Anche Arya si stese sul pavimento e la regina si chinò su di lei e le posò una mano sul suo ventre. Le gemelle si agitarono.

- Non toccarmi! - ringhiò Arya con voce roca. Isobel non fece nemmeno caso alle sue minacce e sorrise - Le alleverò come se fossero mie. - La rabbia affiorò in lei come nona aveva mai provato prima nella sua vita. La sua rabbia era dettata dalla volontà di difendere le sue bambine.
- Finché sarò in vita tu non le toccherai. - sibilò Arya a denti stretti. L'elfa iniziava a sentire che il tempo era quasi arrivato al termine ed era troppo debole per riuscire a combattere la regina. Tutte le sue energie dovevano concentrarsi nel parto, ma qualcosa poteva ancora farla dopo tutto, qualcosa che solo un Elfo era in grado di fare. Puntò il su sguardo su Isobel che le sorrideva con disprezzo. Avrebbe atteso il momento opportuno.
- Spesso le donne non sopravvivono al loro primo parto. - la sentì dire.

- Se poi a nascere sono in due, per la madre le probabilità di una morte aumentano. -
Arya chiuse gli occhi mentre sentiva la pancia contrarsi una volta di più, aspettò che dolore scemasse, ma appena riprese fiato ecco arrivarne un'altra ondata e un'altra ancora, ognuna più dolorosa dalla prima.
Urlò per scacciare la via il dolore, poi iniziò ad aspirare e espirare con lentezza. Durante quei mesi il suo spirito e il suo corpo si erano preparati solo per quel momento. Poteva sentire perfettamente come le bambine premevano per uscire fuori; non poteva farle aspettare oltre senza mettere in pericolo le loro vite; non poteva aspettarsi che qualcuno arrivasse a salvarle.
Il dolore le impediva di pensare con lucidità, Arya doveva cercare di essere lucida se voleva avere una possibilità di poter neutralizzare la regina; doveva fare in modo di mantenere il dolore sotto controllo. Subito, si rese conto che l'impresa era più facile a dirsi che a farsi. Prese a respirare lentamente e in maniera regolare ma una nuova ondata di dolore più forte delle altre le mozzò il fiato in gola costringendola a ricominciare la respirazione da capo. Isobel le si avvicinò con un fazzoletto tamponandole la fronte imperlata di sudore.

Arya provò un brivido - Ora rilassati - le disse la sovrana con voce ferma. La regina la fece stendere a terra posizionandole delle coperte dietro la schiena. Senza che Arya se ne rendesse conto le aveva fatto divaricare le gambe. Il dolore era aumentato e tutta la sua attenzione si andò in un attimo a concentrare sulla respirazione e Isobel si posizionò davanti a lei.

- Sembra che tu sia arrivata alle doglie espulsive. Sei pronta per spingere? - le chiese ancora. Arya avrebbe voluto che la sua voce cessasse di parlare. Non le piaceva il suo timbro. Arya annuì con una smorfia quindi lasciò andare indietro la testa e spinse con tutte le sue forze.

***

Eragon sentì il suo corpo perdere lentamente peso, tutto intorno a lui si dissolse in una luce accecante e un forte calore gli infuocò le vene facendolo gridare. Era la prima volta che usava quella particolare magia e sperò che questa imprudenza non gli sesse costando la vita o peggio. Sentì la forza dei draghi che lo sorreggeva infondendogli la loro energia, quelle era stata l'unica cosa che lo trattenne dal non cadere nel panico che altrimenti minacciava di sopraffarlo. Passarono alcuni minuti che gli parvero eterni poi il mondo iniziò a ritornare a lui, Eragon percepì di nuovo il peso del suo corpo e lentamente aprì gli occhi.
Un manipolo di soldati lo circondò con le lance puntate prima di riconoscerlo e abbassarle.
- Cavaliere Eragon! - Eragon si alzò e guardò il capitano farsi largo tra la fila dei soldati.
- Non ho idea quale incantesimo voi abbiate usato per arrivare qui, ma siete arrivato nel momento giusto. - L'uomo si girò verso la grande porta che chiudeva la sala del trono del palazzo di Antàra. - Abbiamo sentito le urla provenire da dentro fino a poco tempo fa. Sono cessate solo da poco. Ogni uomo all'interno del castello ha usato ogni oncia della sua forza per poter forzare la porta, ma è stata sigillata con un incantesimo. Neanche I cavalieri Rebekha e Reafly sono riusciti a rompere il sigillo. -
- Dove sono loro? - Eragon si chiese corrucciando la fronte
- Eragon! - Rebekha gli corse incontro e lo abbracciò fino a quasi toglierli il fiato. Eragon rimase fermo completamente travolto dalla foga con cui la ragazza lo aveva abbracciato in lacrime. Dietro di lei Jill e Reafly attesero per poter salutare anche loro il cavaliere.
- Jill, cosa è successo. - Una fasciatura vistosa le cingeva la testa. - Isobel è comparsa nella camera di Arya e l'ha portata dentro la sala del trono. È accaduto alcune ore fa. Io ho tentato di fermarla Eragon, ma lei mi ha fermata scaraventandomi contro un muro prima ancora che potessi anche solo raggiungerla.

- Mi dispiace. Non abbiamo idea di cosa sia successo lì dentro, ma questo silenzio è più inquietante delle urla di Arya. - Eragon si trattenne dal mostrare la sua preoccupazione, serrò la mascella e annuì serio.
- Voi avete fatto del vostro meglio. Ora lasciate che me ne occupi io. - Nei suoi occhi brillò una luce di determinazione e di forza che lasciò tutti in silenzio. Jill Rebekha e Reafly si fecero da parte lasciando Eragon avanzare da solo verso la porta della sala. Eragon allargò la sua mente attinse alla magia degli èldunarì e saggiò la barriera. Un leggero sorriso affiorò sulle sue labbra: la regina aveva previsto che il suo blocco venisse forzato e aveva fatto in modo che reggesse alla forza di un cavaliere, ma non a quello di più draghi. Gli bastò pronunciare alcune parole in antica lingua e le porte si spalancarono.
Eragon corse subito al suo interno, seguito a ruota da Jill Rebekha e Reafly.
La scena che gli si presentò di fronte gli gelò il sangue nelle vene. Il corpo di Arya era riverso a terra al centro della sala. Il sangue macchiava il pavimento e le vesti e la pelle dell'elfa. Eragon corse da lei e le si inginocchiò accanto. Con delicatezza le mise una mano dietro la nuca e l'altra dietro la schiena la tirò su da terra - Arya!! Ti prego rispondimi! - il suo viso era pallido e sudato. Eragon temette il peggio, poi la sua testa fece un lieve movimento e gli occhi si socchiusero appena
- E...Eragon? - Eragon sorrise di gioia
- Sì amore mio. Sono io. - il cavaliere le accarezzò la guancia con il pollice e le baciò la fronte. Le lacrime scendevano dal suo viso bagnando quello di Arya.
- Sono riuscita a scoprire il suo vero nome Eragon, non può allontanarsi dal palazzo, ma non ho potuto impedirle di prendere le bambine. Ero troppo debole. -
Sul volto di Eragon si dipinse un'espressione di stupore. Nonostante il suo stato Arya era riuscita colpire la regina e a indebolirla. Eragon ripensò a quando nel Farthen Dùr Eragon aveva chiesto ad Arya di non partecipare alla battaglia e lei come lei lo avesse rimproverato dicendogli che le donne elfo erano molto più forti delle umane. Eragon non avrebbe mai più messo in dubbio quella frase, ma ora toccava a lui finire ciò che Arya aveva incominciato, guardò l'elfa negli occhi – Arya, rivelami il suo nome, in modo che possa raggiungerla. La costringerò a ridarci le nostre figlie. - Arya annuì quindi prese il volto di Eragon tra le mani e avvicinandolo alle sue labbra ma prima di rivelargli il nome lo avvertì:
- Un animale ferito è dieci volte più pericoloso perché è impaurito. Le sue azioni sono imprevedibili, stai attento! -
Poi Arya sussurrò alcune parole in antica lingua e lentamente lasciò andare la sua presa su di lui. Eragon socchiuse appena la bocca mentre gli occhi dell'elfa si chiusero lentamente. Il cavaliere rimase a fissare il suo volto per un attimo prima di riuscire a pronunciare il suo nome - - Arya! - la scosse piano ripetendo ancora il suo nome, ma il corpo dell'elfa rimase immobile.
- Arya, svegliati. Arya non lasciarmi! -
Con la vista annebbiata dalle lacrime Eragon osservò il corpo della sua amata quindi posò il palmo della sua mano sul suo ventre e trovato il punto dove era il danno iniziò a formulare le parole di guarigione per riparare i tessuti lacerati. Impiegò del tempo per riuscire a formulare perfettamente ogni singola parola dell'incantesimo. Alla fine del lavoro Eragon ritirò la sua mano tremante.
Arya era ancora priva di sensi ma il suo respiro era tornato regolare anche se debole. Eragon sperò di non essere intervenuto troppo tardi.
- Jill, Rebekha. - chiamò piano il cavaliere, la sua voce ridotta quasi a un sussurro. - Per favore vegliate voi su Arya e chiamate dei guaritori. -
- Tu cosa intendi fare? - gli chiese Jill. Eragon si alzò da terra e volse le spalle alla donna
- Devo cercare Isobel -
- Io verrò con te! Non intendo lasciare che tu combatta da solo - si intromise Rebekha.
Eragon si girò lentamente verso la ragazza stringendo la sacca con dentro gli èldunarì. - Non sarò solo Rebekha. -
La ragazza fissò i suoi occhi - Eragon, lo so che non sono forte quanto te o Murtagh, ma Zàkhara è la mia terra e in qualche modo è una mia responsabilità. Permettimi di venire con te. -  

Reafly guardò Eragon contrariato - Eragon non puoi permetterglielo. Dimmi che gli dirai di no. -
Eragon emise un sospiro e prese una decisione. - Non alcun diritto di vietarglielo. – Reafly lo guardò esterrefatto e anche sul volto di Jill di dipinse un'espressione sorpresa. - Ho detto che potrai venire. Ma non potrai intervenire fino a quando non te lo dirò io, e solo se strettamente necessario. Inoltre vorrei che tu tenessi questo dentro una delle tasche della tua cintura. Isobel te ne affidò la cura altre volte. – Detto questo Eragon gli porse uno degli èldunarì che aveva dentro la sua sacca. Nel prenderlo tra le su mani Rebekha ricevette subito una scossa di energia che le attraversò il braccio e lasciandole una sensazione di benessere. - Come le hai avute? - chiese la ragazza. Eragon strinse le sue mani intorno a l'èldunarì e la guardò negli occhi.

- Ora non c'è tempo per le spiegazioni; ma se ti dovessi contare con la regina e avessi bisogno di forza, sai già che potrai avere accesso a una fonte quasi inesauribile di energia. - aspettò che Rebekha gli desse un segno che aveva capito, quindi riprese a parlare.
- Grazie ad Arya abbiamo un piccolo vantaggio su di lei: conosciamo il suo vero nome, ma non sappiamo come e con quanta forza potrebbe reagire. Se sei davvero decisa a venire con me devi essere pronta a combattere, Murtagh e Katrina potrebbero non fare in tempo ad arrivare. - Rebekha deglutì a vuoto.
- Sono pronta. -
In quello stesso momento il capitano delle guardie raggiunse Eragon.

- Cavaliere Eragon, le nostre sentinelle hanno seguito la regina Isobel. E' stata avvistata mentre si aggirava lungo le mura che costeggiano il palazzo. Non sappiamo il motivo per cui non le abbia ancora supera ma nella sua ritirata ha portato con sé anche Ismira, la figlia di Roran Fortemartello e del cavaliere Katrina. –

Eragon strinse i pugni lungo i fianchi. Lui sapeva il motivo per cui la regina era ancora all'interno delle mura del palazzo. Arya aveva trovato il suo vero nome e con le ultime forze doveva aver vincolato la donna al castello. Prendendo Ismira Isobel cercava solo di guadagnare tempo. - Vi ringrazio capitano, me ne occuperò personalmente. Fate in modo che a nessuno si avvicini a noi mentre l'affronterò. -
il comandante annuì in silenzio batté un pugno sul petto e diede segno ai suoi soldati di indicare a Eragon il luogo in cui Isobel era stata avvistata.
Eragon si girò appena dietro di lui. – Rebekha, per favore, fino a quando Isobel non mi attaccherà vorrei che tu rimanessi nelle retrovie insieme alle altre guardie. - Mentre percorreva la strada che lo avrebbe portato da lei un piano si venne a creare nella mente di Eragon. Il giovane cavaliere sperò con tutto il cuore di riuscire a evitare uno scontro aperto.


***

Eragon trovò Isobel nel punto in cui il soldato gli aveva indicato.
L'ex sovrana di Zàkhara si trovava in ginocchio e il suo volto sembrava stravolto da un dolore tanto profondo da lacerarle l'anima. Eragon sapeva che il dolore derivava dall'essere venuta a conoscenza del suo vero io.
- Stai lontano da me Eragon! - la sua voce, come il suo volto era stravolta. Il suono era stridulo e non c'era stato più nulla del tono seducente che Eragon ricordava bene. Il giovane cavaliere si bloccò sul posto. Il suo sguardo andò a posarsi all'altezza delle petto dove Isobel teneva gli èldunarì rubati a Vespriana. Poco lontano da lei Eragon udì il pianto delle sue bambine che proveniva da una culla improvvisata e accanto a lori Ismira che cercava di accudirle.

La bambina riconobbe Eragon ma rimase in silenzio. Il suo volto si fece duro per non far trasparire la sua paura. Eragon tornò a guardare Isobel.
- Permettimi di prendere le bambine e di riportarle alla loro madri. Io ti prometto di non usare il tuo vero nome su di te. -
- Ah, e perché dovrei crederti Cavaliere? -
- Perché so il motivo del tuo terrore Isobel. So come ci si sente quando ti viene rivelata la parte più nascosta e intima del tuo essere, che cosa significa doversi confrontare con la conoscenza nuda e cruda di te stesso senza gli artefatti e le maschere che ci costruiamo sopra di noi nel corso degli anni. Tutti noi cerchiamo di nascondono la nostra vera natura, scoprirla lascia terrorizzato chiunque. Non devi vergognarti di questo. Accettarlo è il primo passo verso la vera comprensione di noi stessi. -
- Io no sono affatto terrorizzata Eragon Ammazzaspettri. - Tagliò corto la donna, ma nella sua voce c'era stata una leggera inclinazione. Eragon assunse un'espressione di dolore.

- Non puoi mentirmi Isobel. Non puoi farlo perché anche io come te ho dovuto affrontare gli stessi fantasmi. Quando mi misurai con Galbatorix, il re fece appello a un'antica magia e riuscì a scoprire il mio vero nome e il re lo usò al fine di piegare la mia volontà al suo volere. So esattamente come ti senti Isobel e per questo non vorrei dover usare quest'arma contro di te. Ma lo farò se tu non mi darai altra scelta. -
- Tu non oserai tanto! -
Eragon fece un passo in avanti. - Le lascerai andare? - le chiese Eragon facendo un cenno a Ismira. Una luce di follia attraversò lo sguardo della donna. - Mai! - Disse lei e dalla sua mano comparve uno degli èldunarì. La luce che scaturì dal cuore le illuminò il volto formando delle lunghe ombre sul suo viso. L'energia infusa del cuore passò attraverso il palmo alla sovrana e Isobel sembrò riprendere un po’ del suo vigore.
Eragon serrò la mascella quindi pronunciò il suo vero nome impartendole l'ordine. Scandì lentamente ogni sillaba in modo da infondervi dentro ogni briciola della sua volontà e, insieme alla sua, anche di quella dei draghi di cui aveva preso la forza. Fu una questione di attimi e la sovrana cadde a terra sulle ginocchia ed emise un urlo. Strabuzzò gli occhi incredula di quello che era appena successo. - Come ha fatto Arya a scoprirlo? - Chiese ancora esterrefatta dal potere che aveva percepito. Eragon decise di prendersi il lusso di sorridere appena. – sarebbe troppo complesso spiegarlo, ma ti consiglio di non sottovalutarci. Te lo chiederò solo una volta di più: lascia le bambine. - Isobel emise un singulto.
- Va, va bene. Le lascerò andare. –

Eragon annuì solo e tenendo gli occhi puntati sulla sovrana fece un cenno con una mano dietro le sue palle. Rebekha comparve camminando verso la regina.
- Lascerai le gemelle e Ismira a Rebekha. - la giovane iniziò ad avanzare con lentezza, ad ogni passo poteva sentire lo sguardo di quella donna penetrarle fin dentro l'anima e prosciugare le sue forze. Rebekha stava lottando contro il potere incantatrice della donna.
- Rebekha, figliola. Mi dispiace vedere che alla fine ti sei lasciata sedurre da questi stranieri. Ti avrei fatto diventare una principessa mia cara. - le disse la sovrana, i capelli della donna erano arruffati e i suoi occhi rossi dal pianto quasi supplicarono la ragazza che aveva di fronte. Rebekha strinse a se la pietra che Eragon le aveva dato. La sua superficie bruna pulsò dandole forza. La voce antica e rassicurate di Telluria le venne in aiuto e Rebekha poté di nuovo respirare.

Tieni duro Rebekha. Attingi alla mia forza.
Rebekha fece come le era stato detto, chiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì era di nuovo padrona di sé stessa.
- Non credo più alle tue bugie Isobel. - il volto della sovrana si contorse dalla rabbia, ma un monito di Eragon la fece allontanare da lei con un gemito.
Eragon vide Rebekha prendere la culla con le gemelle da un lato e dall’altro la mano di Ismira allontanandosi dalla donna con passi malfermi.

- Zio Eragon? – chiese Ismira con voce incredula nel riconoscere lo zio. Non lo aveva mia conosciuto ma ne aveva sentito tanto sentito parlare nelle storie e aneddoti sulla guerra contro il cavaliere tiranno.

- Sì piccola. - La bambina si staccò da Rebekha e andò ad abbracciarlo forte. Solo in quel momento si concesse di piangere. Eragon la strinse tra le sue braccia scuotendola con dolcezza.

- Sei stata bravissima Ismira. Ma devi continuare ad essere forte per la mamma e per il papà. Puoi farlo? – la piccola si asciugo il viso ed annuì. Poi Eragon si affacciò sulla culla e conoscere così le gemelle. Il palmo con il marchio si illuminò mentre le accarezzava le guance.  Il loro pianti si attenuò fino a smettere.

Rebekha lo guardò con stupore. Eragon le sorrise

- C’è l’hai fatta Bekha. – le disse sincero. – Ora vai con Ismira e porta le bambine lontano da qui. – Si guardò alle spalle nella speranza di vedere Saphira o Murtagh, ma non c’era traccia né della sua dragonessa né del fratello.

- D’accordo ma tornerò presto. Non ti lascio solo. – Lo rassicurò Rebekha come a leggergli il pensiero

Eragon annuì poi tornò subito a concentrarsi su Isobel.

- Hai tenuto la tua parola Isobel. Ed io mi atterrò alla mia. - disse Eragon all’ex sovrana di Zàkhara. Lei aveva ancora le uova di drago di Saphira e gli èldunarì dei draghi che aveva preso a Vespriana, non poteva lasciarla ancora andare.
- Ora sai che non scherzo Isobel. Mi ascolterai adesso? -
- Che cosa vuoi ancora Eragon? - Isobel si era alzata da terra e si stava sistemando le pieghe del vestito all'altezza della vita.
- Lascia che tu aiuti. -
- Ah, Non mi lascerò catturare da quei soldati in modo che possiate processarmi e mettermi a morte, non gli darò questa soddisfazione.
Ti ho fatto una promessa, striscerai ai miei piedi Eragon chiedendomi la grazia. - la voce di Isobel si abbassò fino ad assumere un tono di minaccia.
- Non costringermi a farti questo Isobel. - La donna scoppiò in una risata malvagia
- Facendomi lasciare le tue figlie, Eragon mi hai sciolto il giuramento che mi aveva imposto Arya. Ora non ho nessun impedimento a fare appello alle forze dei mie cuori. Vedo che anche tu ne possiedi alcuni. Ne avevo avuto il sospetto quando mi ha respinto la prima volta, ma ne ho avuto la conferma solo quando Rebekha è venuta a me. Quella ragazza ha usato un cuore dei cuori per contrastare il mio potere, non ci sono dubbi, potevo vedere il meraviglioso bagliore della loro luce! –

Isobel sembrava come estasiata. Estrasse la spada che aveva al fianco in un movimento fluido, nello stesso istante anche Eragon aveva tirato fuori la sua pronto a usarla. Isobel sapeva che non avrebbe potuto usare il suo nome nello stesso modo ancora una volta.
Iniziarono a duellare con ferocia. Dopo una serie di colpi Isobel parò un suo affondo e alzò la lama e incrociandola con quella di Eragon lo guardò negli occhi con un sorriso. - Sarà uno scontro interessante, Cavaliere. -
Con una leggera pressione sulla lama scaraventò Eragon lontano da lei mandandolo a sbattere contro una parete; la testa del cavaliere sbatté producendo un rumore sordo.
La visione di Eragon si riempì di tanti pallini rossi. Attingendo alla forza dei cuori Eragon si tirò in piedi e ripresero ad duellare.
Eragon sapeva che bene che il loro scontro non si sarebbe deciso con le spade ma solo con la magia. Ruppe le barriere della sua mente e saggiò le difese della regina percorrendo i suoi confini, sfiorando al sua mente senza mai forzare troppo o darle la possibilità di poterlo attaccare. Eragon sentiva che la Isobel si stava innervosendo, anche lei era cosciente del fatto che scoprendo il suo vero nome Arya aveva indebolito di molto le sue capacità di difesa, delle crepe erano visibili tutto intorno alla barriera che la donna aveva eretto intorno alla sua mente. Nonostante questo il potere dei cuori le permettevano di resistere, ma era solo un'illusione, Eragon era consapevole di poterle abbatterle anche subito e finire lo scontro, ma qualcosa dentro di lui gli implorava di non farlo.
- Non poterai reggere a lungo in questo stato Isobel. Ti prego, permettimi di aiutarti. Stai candendo a pezzi, lo sento. -
Eragon non puoi mostrarle pietà ora. Lei non lo farebbe per te, lo sai. Finisci l'incontro.
Dammi ancora un'ultima possibilità Sigmar. Se anche allora non dovessi farcela, allora attaccherò.
Eragon udì Sigmar emettere uno sbuffo.

Va bene Eragon.
Eragon attaccò con foga e fece arretrare la donna fino a farle toccare il muro con le spalle. Impegnò la lama della regina fino a bloccare entrambe le loro spade.

- Ora mi ascolterai. -

- Che cosa vuoi fare? -  Isobel stava tremando come una foglia. Con una mossa Eragon gli aveva impedito di contrattaccare. La spada del giovane cavaliere scivolò via dalla lama dell'altra, Isobel non provò neppure a resistere lasciò che le braccia cadessero lungo i fianchi e con esse anche la spada. Le mani di Eragon la afferrarono per le spalle e la costrinsero a guardarlo negli occhi
- Isobel guardami. Non ho intenzione di usare il tuo vero nome mentre sei indifesa, ma tu non devi lasciarti andare. Attingi alla forza degli èldunarì. –

- Finiscimi ora cavaliere. - Isobel lo gelò con lo sguardo, ma lasciò che il cavaliere la sorreggesse quando le sue ginocchia cedettero miseramente.


**

Saphira atterrò sul terreno selciato di fronte ai cancelli del palazzo di Antàra seguita da Castigo e Validor. Murtagh e Katrina balzarono dalle loro selle e corsero all'interno del palazzo.
Non impiegarono molto tempo a seguire le tracce lasciate dal passaggio della regina sui muri e le preziose decorazioni del palazzo, delle guardie corsero loro incontro. C'erano anche Rebekha con Ismira e le gemelle in braccio.

- Mamma! – la piccola Ismira corse in contro alla madre. Katrina le accarezzò il viso e i capelli.

- È stato orribile mamma!  Quella donna ci ha preso e voleva portarci via. Zio Eragon l’ha fermata. È rimasto con lei! –

- Ora è tutto passato amore mio. – la rassicurò la madre.
Murtagh le si affiancò.

- Katrina. Io, Castigo e Saphira andremo da Eragon, tu e Validor assicuratevi che anche Arya e tutti gli altri stiano bene -
- Va bene Murtagh. State attenti. – Murtagh si limitò ad annuire.
- Generale, portami dove si trovano Eragon e Isobel. -

Quando arrivarono Murtagh non riuscì a capire bene cosa stesse accadendo, vide solo le braccia di Isobel stringersi intorno al collo del fratello.
Gli occhi della regina incrociarono quelli del cavaliere rosso mentre stringeva forte a sé Eragon. Il fratello le stava dicendo di non aver paura. Improvvisamente un luccichio e una lama si materializzò sulla mano della donna; Murtagh ebbe solo un attimo per poter agire, alzò una mano e fece scaraventare la donna addosso al muro. Si udì il rumore sordo dell'osso che si spezzava. Murtagh si sorprese della facilità con cui era riuscito a rompere le sue difese ed ora la donna giaceva a terra mentre un sottile rivolo di sangue colava dall'angolo della bocca. Dietro di lui Saphira e Castigo ruggirono all'unisono concordi con quello che aveva fatto.
Eragon si girò di scatto verso Murtagh adirato.

- Murtagh che cosa hai fatto? -
Murtagh lo guardò confuso, se non fosse stato per lo sguardo serio del fratello si sarebbe messo a ridere, invece aggrottò le sopracciglia e fece un passo verso il fratello. - Ti ho salvato la vita. Isobel ti stava accoltellando. -
- La stavo aiutando, lei stava accettando il mio aiuto! -
Murtagh scosse la testa con vigore. 

- Eragon, aveva un coltello tra le sue mani! -
Eragon è la verità.
Eragon abbassò lo sguardo verso il corpo scomposto di Isobel. La donna si mosse appena, in mano ancora la lama.
Eragon si piegò su di lei e Isobel alzò la testa
- Perché lo hai fatto? -
- Te l'ho detto. Non mi prenderete mai. Non pu...puoi cambiare la mia na...natura. -
- Lo hai fatto apposta? Lo hai fatto per essere colpita? -
Isobel cercò di sorriso ma riuscì solo a far arricciare appena le labbra. - Ti rin...gra...zio, Eragon... per... averci provato. -
Gli occhi della donna si spalancarono in un ultimo disperato respiro. Eragon piegò la testa, le posò una mano sul volto e gli serrò gli occhi
- Eragon tutto bene? -
- Sì, Murtagh. -
- Isobel è morta? -
- Sì fratello. È finita. -
Non ancora. C'è un'ultima cosa. Eleonor ha spezzato il vecchio sigillo su cui era fondato il vostro  patto di sangue e ne ha imposto uno nuovo. Ora tutti noi draghi siamo chiamati a fare una scelta. Dovremo scegliere se mantenere la magia del patto o scioglierlo per sempre. Una volta presa la nostra deciso non si potrà più tornare indietro.


***

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Capitolo 41
*** Epilogo ***


Salve a  tutti! Siamo arrivati alla fine di questa avventura. Spero che sia piaciuta.
Ogni commento sarà ben accetto!








***

Eragon se ne stava disteso con la schiena contro l'erba fresca. Il cielo sopra di lui si era trasformato in poco tempo passando dai coloro accesi del tramonto a quelli cupi del crepuscolo.

Poteva sentire in lontananza le voci delle gemelle che facevano i capricci per andare a dormire.

- Mamma vogliamo andare a salutare il papà. -
La voce dolce e chiara di Arya lo raggiunse subito dopo
- E va bene, ma fate in fretta. -
Con un sorriso Eragon si alzò da terra e si preparò all'arrivo della valanga che da li a poco lo avrebbe sommerso con abbracci e baci.
- Papà, papa! -
- Con calma! – si affrettò a rimproverarle Arya
- Devi scusarle, sono così testarde! -
aveva iniziato a spiegare l’elfa ma Eragon era già impegnato a tenere una delle due gemelle con un braccio e la seconda con l'altro, lasciandole in sospendere in aria come due sacchi di patate
- Nooo Papà -
- Non è giusto! - risero di gusto le due bambine.
A quella vista Arya roteò i suoi occhi al cielo
- Sei peggio di loro. - Disse fingendo di mostrarsi arrabbiata.
Eragon fece scendere le bambine senza togliere il suo sguardo divertito da Arya. L’elfa scosse la testa e si rivolse direttamente alle bambine riassumendo uno sguardo il più possibile severo.
- Avanti, avevate promesso che una volta salutato vostro padre sareste andate a letto. -
- Va bene, mamma. - Brontolarono all'unisono le gemelle, non molto convinte. Allora Eragon sostenne Arya. - Avete sentito la mamma? - le rimproverò bonariamente il giovane. Al richiamo del padre le bambine scattarono in piedi, gli diedero entrambe un bacio sulla guancia e sgusciarono via come due saette.
- Sei sempre il solito! -
- Ti amo - le fece lui baciandola sulle labbra.
Arya non disse nulla, e lui le accarezzò il volto per baciarlo ancora. Rimasero così uniti ancora per alcuni istanti, poi due vocine giunsero da dentro la casa albero
- Mamma, papà. Siamo pronte! -
Eragon e Arya si guardarono negli occhi scambiandosi un sorriso, poi entrambi si avviarono nella camera da letto delle bambine, dirigendosi ognuno di loro a un letto. Imboccarono loro le coperte e le diedero il bacio della buona notte.
- Notte angeli miei. - Disse Eragon passando prima una mano sulla fronte di Selena e poi di Islanzadi
- Che le stelle possano donarvi un sonno tranquillo. - Aggiunse Arya in un sussurro, usando l’antica lingua.
- Notte mamma, notte papà. -
Poi Eragon abbassò la luce che si affievolì piano prima di spegnersi del tutto, mentre Arya usciva, lui le andò dietro, cingendole i fianchi con le mani.
Eragon posò le sue labbra sulla testa di Arya baciandola e chiuse i suoi occhi. I suoi capelli emanavano un intenso profumo di pino che lo inebriò; assaporò quel momento, ancora per un altro po’.

Quando riaprì gli occhi il suo sguardo cadde sui due fairth appesi alla parete che lui stesso aveva creato, immortalando nella dura superficie di ardesia due scene. In una, il momento in cui i draghi guidati da Guiltar e Keiron si erano librati in volo per fare ritorno nelle Terre Selvagge, nell’altro, lo stesso viaggio intrapreso mesi dopo da Kima Gleadr e Validor.

Erano trascorsi tre anni da quando con Arya avevano preso la decisione di andare a vivere sull’isola di Antàra, dopo che gli elfi l’avevano lasciate per riprendere il loro posto a Zàkhara; quattro anni dalla fine della sanguinosa guerra voluta da Isobel.
Il dolore e le atrocità compiute non sarebbero state dimenticate tanto presto dai suoi abitanti, né da l'una né dall'altra parte, in questo non c’era  nessuna distinzioni tra vinti o vincitori.
Eragon riaprì gli occhi.
Ora che la pace era stata ristabilita e che la terra dei draghi era tornata ad essere protetta della magia degli èldunarì, il segreto del cuore dei cuori sarebbe rimasto protetto per sempre.

Non ci sarebbe stato un nuovo ordine dei cavalieri.

Questa era stata l'ultima decisione dei draghi.

Il legame con il proprio cavaliere non sarebbe stato più legato alla vita dei due compagni ma solo fino a quando la volontà di entrambi non si fosse consumata.

Questo nuovo ordine aveva sostituito il vecchio patto di sangue e aveva fatto sì che Rebekha, Reafly e Katrina tornassero ad Alagaësia salutando per sempre i loro compagni che avevano fatto ritorno nelle Terre Selvagge.

Per lui era stato qualcosa di inimmaginabile che i legami con Gleadr, Kima e Validor potesse dissolversi. Ne aveva parla a lungo con Saphira della possibilità che anche per loro potesse arrivare quel giorno. ma aveva anche imparato da tempo che era inutile domandarsi sul perché della magia dei draghi. Essa agiva sempre nei modi e nelle maniere più imprevedibile.

Arya si sciolse lentamente dalle sue abbraccia, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Si girò prese le sue mani tra le sue lo trascinò fuori.
- Aspettami qui - gli sussurrò, mentre lo sospinse per farlo sedere sopra il tronco di un albero cavo e spariva dietro a uno degli alberi.
Quando ritornò, un sorriso le illuminava il volto
- Wìol ono - (per te) disse porgendogli un piccolo astuccio fatto di legno di cedro.
Alzando un sopracciglio Eragon ci pensò un attimo, poi gli venne in mente che oggi ricorreva l’anniversario del giorno della sua nascita.
- È stata Saphira ad avermi detto la data - ammise lei con un pizzico di malizia nella voce. Eragon corrucciò al fronte e le sorrise.
- Non avresti dovuto. -
Arya scosse la testa e appoggiandosi al suo braccio lo invitò a scoprire il regalo. Eragon si prese il suo tempo per aprire l’astuccio. Spiegò l’invito intorno a una scatola e dentro vi trovò una pietra fatta a ciondolo, lo prese in mano, con delicatezza. Sopra vi era un bassorilievo in miniatura, su una delle due facce, a guisa di effige, il su volto e quello Arya, sull’altro quello delle due gemelle.
Mentre nella fascia laterale, tra le due facce, tutto intorno, si sviluppava la sagoma elegante di Saphira.
Eragon fece scorrere le dita sulle figure e sorrise.
- Ti piace? - chiese Arya mettendogli un braccio intorno alla vita e stringendolo a sé.
- Molto! – Eragon prese il laccio e si infilò la collana, sistemando il ciondolo sopra la casacca. Poi si staccò dolcemente dall'elfa.
- Le sorprese non sono finite. - gli disse lei con dolcezza.

L’elfa lo fece girare e lo bendò con un fazzoletto prima di sospingerlo in avanti con le mani, una sul fianco e l’altra sulla schiena. Eragon si concentrò sul suo odore e si lasciò guidare completamente dalla sua voce. Arya dovette avvertirlo di qualche ostacolo mentre lo faceva avanzare con cautela.

- Scavalca questa radice e abbassa la testa – gli disse Arya imitandolo da dietro.  

- Ci siamo quasi. – detto questo Arya gli sfilò la benda ed Eragon si trovò davanti alla sua Saphira. La dragonessa era placidamente accucciata intenta ad osservare la luna che splendeva nel cielo

Mancava esattamente da sette mesi e dieci giorni. Eragon aveva tenuto il conto dal momento della sua partenza.

- Vi lascio soli – gli sussurrò lei. – Eragon si limitò ad annuire stringendole la mano. Arya gliele lasciò pian piano per poi allontanarsi da lui nell’ombra per tornare a casa.

Sei tornata!

Proruppe Eragon occupando in breve tempo lo spazio che lo separava dalla sua dragonessa. Saphira gorgogliò piano.

Avevi dubbi?

Eragon scosse la testa e la accarezzò sotto il mento

No. Il mio cuore mi dice che il nostro momento non è ancora arrivato.

È lo stesso per me piccolo mio. E fino a quando anche solo uno di noi proverà questo sentimento, Sigmar potrà chiedermi di tornare nelle Terre Selvagge ogni volta che vorrà, io tornerò sempre da te.

Cosa mi dici di Castigo?

Gli occhi di Saphira si velarono di una sottile malinconia. Saphira non avrebbe potuto concretizzare con semplici parole quello che aveva provato nel lasciarlo andare. Così la dragonessa preferì aprire la sua mente a quella del suo cavaliere come non faceva da tempo. Eragon chiuse gli occhi e lasciò che le immagini lo permeassero con la loro forza.

Non pensare nemmeno un minuto che potrei rimpiangere la mia scelta.

D’accordo Saphira non lo farò, ma ora toglimi una curiosità: hai aiutato tu Arya a creare il ciondolo?

Saphira gorgogliò come in una risata.

Arya ha avuto l'idea io gli ho dato solo una zampa alla fine.

Certo.

Eragon sorrise e si accoccolò alla dragonessa che oramai aveva raggiunto le dimensioni di un drago adulto.
Rimasero fermi così per un tempo indefiniti, poi accanto a lui Saphira piegò la testa da un lato e lo fissò con occhi divertite:
Ora che sei un padre responsabile e un compagno fedele ti posso chiamare ancora piccolo mio?
Eragon sorrise e allungò un braccio per accarezzarla sotto il mento.
Devo dire che è spesso mi ha messo in imbarazzo quel nome, ma ora non vorrei che mi chiamassi con nessun altro modo.
Saphira gorgogliò grata delle sue parole.
Come sei diventato saggio! Eragon rise di gusto.


***

La mezzanotte era già passata da tempo quando Eragon rientrò a casa, si chiuse la porta alle spalle e si andò a stendere sul letto. Nel silenzio della notte Arya gli si affiancò, muovendosi da sotto le lenzuola.
- Mi sei mancato - le sussurrò poggiando le labbra morbide sul suo orecchio. Sentì le sue piccole mani scivolare sul petto. Eragon sorrise.
Quello era stato il suo posto, accanto a Saphira, ad Arya e alle loro bambine. Il mondo, non era stato quel luogo perfetto che aveva creduto un tempo.
Quella pace che il popolo degli elfi aveva da sempre auspicato, sarebbe rimasta solo un sogno.
Gli uomini non avrebbero mai smesso di farsi la guerra gli uni con gli altri per il solo scopo di acquisire un maggiore potere; questa realtà sarebbe stata qualcosa con cui Eragon, suo malgrado, si sarebbe sempre dovuto confrontare.
Una guerra si era appena conclusa, ma un nuovo conflitto avrebbe primo o poi infiammato nuovamente quelle terre e, quando fosse successo, non si sarebbe più combattuta a dorso di drago.
L'incantesimo evocato dai draghi tramite Eleonor era stato un evento senza precedenti per il mondo magico. Con la dipartita dei draghi, anche la parte di magia che risiedeva in loro aveva lasciato questo mondo per sempre.
Tutti avrebbero primo o dopo risentito di questa perdita.
Eragon avrebbe ancora vissuto una vita lunga e piena di avventure, come aveva predetto Angela e Murtagh con lui. Attraverso di loro si sarebbe ancora parlato dei Cavalieri e dei loro draghi. Ma le loro storie si sarebbero perse prima nella nebbia della leggenda e poi in quella del mito.
Come ogni cosa c'era un inizio e una fine e dal crepuscolo del loro tempo sarebbe sorto un nuovo mondo.



***
Fine
***

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