LA SCUOLA DI CARTA

di Feisty Pants
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 11 ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO 12 ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO 13 ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO 14 ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO 15 ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO 16 ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO 17 ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO 18 ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO 19 ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO 20 ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO 21 ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO 22 ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO 23 ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO 24 ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO 25 ***
Capitolo 27: *** CAPITOLO 26 ***
Capitolo 28: *** CAPITOLO 27 ***
Capitolo 29: *** CAPITOLO 28 ***
Capitolo 30: *** CAPITOLO 29 ***
Capitolo 31: *** CAPITOLO 30 ***
Capitolo 32: *** CAPITOLO 31 ***
Capitolo 33: *** CAPITOLO 31 ***
Capitolo 34: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


 AVVERTIMENTO:
Ciao a tutti! Prima di leggere questa storia vi invito a prendere in considerazione alcuni aspetti della trama che ho variato. Prima di tutto voglio dirvi che questo è un ipotetico finale di 2 stagione, quindi i Dalì hanno rapinato la Zecca ma non hanno fatto nulla all'interno della Banca di Spagna. Nonostante questo ho voluto inserire Bogotà e Palermo, anche se non presenti nelle prime due stagioni. Altro aspetto fondamentale: in questa storia i rapinatori utilizzano i loro veri nomi, questo perché sarebbe stato un casino inventare nuove identità per tutti. Per questo vi chiedo di immaginare un velo di mistero sulla vicenda dei Dalì. Le loro identità non sono mai state svelate e il mondo li conosce solo con i loro nomi di città. Spero di aver detto tutto e, proprio per queste scelte un po' estreme, ci tengo a dirvi che la storia è OOC.
Buona permanenza e lettura!

“Buongiorno bella addormentata, è ora di svegliarsi! Il primo giorno di scuola ti attende!” sussurra un uomo dai capelli castani, avvicinandosi all’orecchio di una bambina assopita nel proprio letto. La piccola, con le mani nascoste sotto il cuscino e sdraiata a pancia in giù, storce leggermente la bocca per poi strofinarsi gli occhi e accettare il risveglio.

“Ok papà, ora mi alzo!” sbuffa la bambina di circa 10 anni, mettendosi subito a sedere sul letto stiracchiandosi gli arti intorpiditi dalle ore di immobilità.

“Brava la mia Leya…” si complimenta l’uomo dai profondi occhi marroni, mostrando un sorriso particolarmente definito che gli esalta le guance, sistemandosi poi la camicia e dirigendosi fuori dalla camera della figlia.

“La scuola!” urla una voce proveniente dal bagno. L’accento è sicuro, appartenente a una donna magra intenta a sistemarsi i corti capelli castani.

“Ma perché ci devo andare mamma?!” si lamenta un’altra voce femminile, riconducibile a una classica teenager nel bel mezzo di una crisi ormonale.

“Perché è importante!” risponde a tono la donna dal caschetto castano.

“Si vede! Infatti tu manco l’hai finita!” ribatte la giovane di 16 anni, finendo per sbattere la porta e dirigersi al piano di sotto della propria abitazione.

L’uomo, abituato ai bisticci tra madre e figlia, si limita ad alzare gli occhi al cielo per poi uscire dalla stanza e incrociare lo sguardo della moglie alle prese con il mascara.

“Non…dirmi…nulla!” previene la donna puntandogli contro il dito, sapendo di poter ricevere qualche dritta o ammonizione dal marito molto più caldo e affettuoso di lei.

“Ok Silene… non dico nulla!” sorride lui divertito mettendo avanti le mani in segno di resa, per poi raggiungere la cucina.

Anìbal si versa il caffè bollente nella propria tazza, per poi assaporarlo con gusto guardando, senza particolare impegno, le fotografie appese alle pareti. L’ex Rio rapinatore aveva abbandonato i panni di Dalì e, come tutti gli altri membri della banda, si era costruito una vita normale lontano dalla Spagna e da tutte le notizie riguardanti il suo conto.
Tutta la squadra, trasferitasi in una ricca isola americana, viveva e lavorava regolarmente custodendo i segreti del proprio passato.

Lui e Tokyo, per meglio dire Silene, avevano comprato una villetta vicina alla spiaggia dove si erano sposati in compagnia dei cari amici.

“Torni per pranzo?” chiede Anìbal alla primogenita occupata nella preparazione di un toast.

“Nope… vado fuori con Ceci” risponde la ragazza facendo di no con i capelli castani che le spazzolano le spalle, mentre continua a spalmare maionese sul panino.

“Ninì, oggi pomeriggio mi aiuti con il power point di geografia? Non sono capace!” si aggiunge la piccola Leya, giunta in cucina con la cartella sulle spalle.

“Va bene nana, non preoccuparti. Sto buttando via la mia vita a studiare informatica proprio per imparare a fare i power point” ride la maggiore, facendosi immediatamente ironica di fronte alla sorellina che amava con tutto il cuore.

Nieves, sedicenne scatenata ed energica, era arrivata inaspettatamente nella famiglia di ex ladri e la stessa Silene, ancora giovane e ribelle, fece particolarmente fatica a calarsi nei panni di mamma così precocemente. Nieves aveva dei capelli lisci castani che le arrivavano pari alle spalle, gli occhi color Nutella e un neo caratteristico sopra il labbro sinistro. Frequentava un istituto tecnico informatico, nel quale eccelleva in tutte le materie, tranne nel comportamento. Nieves, infatti, era un vero e proprio genio dell’informatica alla quale la iniziò per gioco Anibal. Rio non avrebbe mai immaginato di vedere la figlia di soli tre anni capace di riaggiornare un tablet ormai vecchio e usurato. Nieves aveva così ereditato l’amore per la tecnologia dal padre e il pungente caratterino dalla madre. Tokyo e Nieves, così simili eppure così diverse, facevano fatica ad andare d’accordo. L’unico argomento capace di unificarle riguardava le moto da corsa che adoravano commentare e valutare insieme.

“Amore, non torno nemmeno io per pranzo. Devo mangiare con dei clienti intenzionati a farsi un viaggio in Africa. Prendi tu Leya a scuola?” chiede Silene entrando in cucina, sistemandosi la giacchetta di pelle nera e bevendo il caffè tutto d’un fiato.

“Potete smetterla con amore di qua e amore di là?!” si inserisce Nieves con una smorfia, in imbarazzo per il rapporto dei genitori.

“Ti dà fastidio anche se faccio così?” la istiga Silene avvicinandosi a Rio e leccandogli scherzosamente la guancia.

“Mamma che schifo!” si lamenta Nieves alquanto disgustata, caricandosi in spalla la cartella e salutando gli strambi familiari.

Nieves percorre il lungo vialetto brandendo tra le mani il proprio smartphone dove, in pochi secondi, digita un sms diretto alla migliore amica.

Una giovane di 16 anni dai lunghi capelli neri come la pece e gli occhi più scuri del carbone è impegnata ad apporsi un po’ di trucco sugli occhi quando avverte il telefono squillare.

“Sono uscita prima perché i miei a momenti limonavano davanti a me. Mi raggiungete?” recita il testo inviato da Nieves, in grado di farla sorridere.

“Perché ridi?” chiede una donna gitana, avvicinandosi al lavandino per prendere il deodorante.

“Niente mamma… la solita povera Nieves che assiste alle smancerie dei suoi genitori. Da un certo punto di vista anche io la capisco. Tu e papà non vi togliete gli occhi di dosso!” spiega Cecilia facendo spazio alla madre davanti allo specchio.

“Ringrazia il cielo che hai due genitori così fighi! Non tutti si amano come noi…” la punzecchia l’adulta, prendendo in prestito la matita della figlia e chinandosi in avanti per applicarla.

La ex Nairobi guarda il riflesso nel vetro, felice di aver realizzato tutti i propri sogni. Lei e Santiago si erano sposati sul lungo mare e avevano fin da subito cercato un figlio. Il fato fu così clemente da donargli due gemelli che riempirono le loro vite d’amore e gioia. L’unico rimpianto di Nairobi riguardava il figlio Axel che, nonostante i suoi costanti tentativi di ricerca, non era riuscita a rintracciare.

“Ramòn, sbrigati! Nieves è già in strada che ci aspetta!” urla Cecilia, mentre riordina i cosmetici.

“Arrivo giuro, dammi un secondo!” risponde il gemello in tono frenetico, indaffarato di fronte a un grande raccoglitore.

“Ramòn, mai fare aspettare una donna! Se sono due poi, anche peggio!” lo ammonisce Bogotà entrando nella stanza del figlio. L’adulto dalla folta barba e il corpo muscoloso indossava una tuta di pelle logora e rovinata, simbolo del suo appassionato lavoro di saldatore.

“Papà, il denaro è molto più importante di una donna!” risponde Ramòn intento a strofinare qualcosa.

L’affermazione gela il sangue a Santiago che, improvvisamente, pensa di avere di fronte un piccolo ladro che, come lui molto tempo prima, sognava soldi e ricchezze.
Santiago si avvicina al figlio deglutendo molte volte per la tensione, appoggiando poi una mano sulla sua spalla, sperando di non dover intrattenere quel genere di discorso.

“Guarda la moneta commemorativa del Lussemburgo! Non è meravigliosa?!” chiede Ramòn estasiato, tenendo tra le dita una moneta luccicante con incise figure e scritte caratterizzanti della nazione.

“Sì è meravigliosa!” risponde Santiago tirando un sospiro di sollievo, notando la grande collezione di monete che il figlio acquistava e custodiva con amore.

“Ma vuoi smetterla di fare il nerd?!” lo schernisce la gemella entrando in camera con decisione, afferrando un braccio di Ramòn e trascinandolo via dalla collezione.

“Io nerd?! Un nerd è qualcuno che legge un sacco di libri di storia, come Andrés per esempio! Lui sì che è un nerd, io sono un collezionista che è diverso!” si difende il giovane dai folti capelli neri e la pelle leggermente scura.

“Non a caso Andrés è il tuo migliore amico e siete entrambi nerd, monete o libri che siano! Ora andiamo, sono stanca di arrivare sempre in ritardo” conclude la gemella con fare impositorio, continuando a tirare il fratello che si infila una felpa azzurra a fatica.

“Ciao mamma, ciao papà!” saluta Ramòn in modo frettoloso, prima di uscire dalla casa sbattendo violentemente la porta.

Bogotà e Nairobi, soli dopo il trambusto, rimangono attoniti di fronte al portone dell’abitazione. È Agata a rompere il ghiaccio con una risata strozzata, divertita dall’accaduto.

“Fanno sempre le comiche quei due!” commenta lei scuotendo la testa.

“Ramòn prima mi ha spaventato. Ha detto che nella vita sono importanti solo i soldi. Aveva un grosso raccoglitore tra le mani e per un attimo temevo avesse scoperto tutto” si apre Bogotà, mostrando i propri fantasmi e mostri interiori.

“Amore, devi smetterla di preoccuparti! Non puoi stare in allerta per ogni parola che esce dalla bocca dei nostri figli!” prova a tranquillizzarlo Agata, appoggiando le mani sulle sue possenti spalle.

“E se invece dovessero scoprire tutto?! I ragazzi sono furbi! Hanno messo su un bel gruppo: Ramòn, Cecilia, Nieves, Andrés e Dimitri… tutti figli di ladri che hanno rapinato la Zecca di Stato! Se lo dovessero venire a sapere?!” si sfoga Santiago cominciando a sudare freddo mostrando come, dietro a un uomo muscoloso e focoso, si celasse in realtà la fragilità di un padre.

“Ce l’abbiamo fatta fino ad ora. Tutto è nascosto e Sergio ha pensato a tutto. Sono stati i 20 anni migliori della nostra vita e questa paura ci ha attraversato tante volte. Non diamole modo di terrorizzarci ancora ok?” taglia corto Agata, avvicinando la bocca a quella del marito per poi donargli un dolce bacio.

Bogotà annuisce, inebriato dalla carica emozionale trasmessa dal contatto con la donna della sua vita e, risollevato, si prepara per vivere una normale giornata lavorativa, non a conoscenza del fatto che, però, le cose da lì a poco sarebbero cambiate.

 

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1

 
Un giovane dai capelli color biondo cenere e degli spessi occhiali neri era seduto su una poltrona di pelle, con in mano un grosso tomo ingiallito. Andrés adorava cibarsi di nozioni storiche, motivo per cui divorava manuali e svaligiava biblioteche, alla ricerca di elementi aggiuntivi. Media scolastica eccellente, liceo classico e preiscrizione a una delle più prestigiose università, quoziente intellettivo superiore alla norma e amore per l’abbigliamento e le buone maniere. Il figlio di Raquel e Sergio era un vero e proprio stratega con grandi ambizioni ma dotato di un carattere particolare. Andrés, infatti, era a tratti cupo e misterioso, silenzioso e inquietante, all’apparenza introverso e severo, ma con un animo da bambino che riusciva a mostrare a poche persone.

“Che cosa leggi?” chiede Sergio entrando nella stanza del giovane, già vestito e pronto per andare a scuola.

“Antica Roma. Meraviglioso” commenta Andrés scuotendo la testa, innamorato della propria lettura.

“Direi che hai preso da me questa passione per la conoscenza” si gratifica il professore, avvicinandosi al figlio e sbirciando tra quelle righe storiche che anche lui aveva apprezzato.

“Lo so… lo dici sempre. Amo lo studio come te e quello zio di cui porto il nome e del quale non so praticamente niente” rivela Andrés con tono pacato, tirando comunque una frecciatina al padre.

Andrés De fonollosa, alias Berlino, era conosciuto dal ragazzo come il fratello maggiore del padre, morto prematuramente in un incidente d’auto. Andrés aveva notato parecchie volte il padre intento a piangere sulla fotografia di questo uomo mai conosciuto che, da come ne raccontava, doveva essere stato una grandissima persona.

Andrés, però, in quanto amante della verità, sapeva di non avere ancora ricevuto tutte le informazioni sul misterioso zio e si limitava a mandare frecciatine ai genitori. In realtà per Andrés il continuo paragone ricevuto in infanzia lo aveva stancato e stressato: vedersi associato costantemente a un defunto che manco aveva conosciuto lo irritava e in parte lo aveva reso la persona chiusa che si dimostrava.

“Andrés, i ragazzi sono qui per andare a scuola” urla Raquel raggiungendo i due uomini della sua vita, con in mano una cartolina.

“Che cos’è?” chiede Sergio indicando l’oggetto nelle mani della moglie.

“Saluti da parte di Paula. Spera di rivederci presto!” dice Raquel emozionata, orgogliosa della figlia intenta a girare il mondo per lavoro.

“Ah già…a volte dimentico di avere una sorella. Salutatemela cordialmente” si intromette Andrés apatico, mettendosi lo zaino in spalla e dirigendosi fuori.

“Pensi che sia l’adolescenza a renderlo così acido?” domanda Raquel una volta accertatasi di essere rimasta sola con il marito.

“Credo proprio di sì. Alla fine è molto maturo, ma dobbiamo ricordarci dei suoi 16 anni” risponde il Marquina aggiustandosi gli occhiali, per poi leggere il contenuto della cartolina di Paula.
 
“Ciao Andrés, guarda che moneta ho trovato prima!” saluta subito Ramòn, mostrando al migliore amico l’immagine sul cellulare.

“Ma voi non dovreste pensare un po’ di più alle ragazze e non alle monete?” si aggiunge Nieves, tirando i laccetti dello zaino e cominciando a camminare all’indietro per guardare gli amici negli occhi.

“Non sono interessato alle relazioni al momento” risponde con tranquillità Andrés, aiutando l’amico Ramòn che cercava di mascherare il volto rosso imbarazzato nel collo della felpa.

“Ah quindi sei più per una botta e via?” continua imperterrita Nieves, dimostrando di avere la stessa istintività della madre.

“Wo, placa gli ormoni! Che cosa hai mangiato sta mattina?!” la spintona divertita Cecilia, cercando di ristabilire l’ordine.

“Assolutamente sì, ma al momento sono a posto grazie” taglia corto Andrés, tornando a guardare le fotografie dell’amico e a parlare da nerd.

“Da quando ti metti a fare queste domande?” chiede Cecilia all’orecchio della migliore amica, non comprendendo il motivo di quelle affermazioni. Nieves scoppia in una fragorosa risata e, dopo aver alzato gli occhi al cielo, accelera il passo per raggiungere prima la scuola.

L’istituto di scuola superiore dei piccoli Dalì era particolarmente variegato. Tra quelle mura si insegnavano diverse discipline, si praticavano sport di tutti i tipi e veniva frequentato da persone appartenenti a culture e stati differenti.

“Che palle questa cazzo di divisa!” si lamenta Cecilia, allargandosi la cravatta rossa che le faceva avvertire una sensazione di soffocamento.

“Perché ti sta così tanto a cuore questa cosa della divisa?” le domanda Nieves aprendo il proprio armadietto dal quale, approfittando della pausa, estrae un circuito informatico su cui lavorava da tempo per divertirsi.

“Non lo so in realtà… dover indossare la gonna, la cravatta, avere una divisa… mi sembrano tutti obblighi senza senso che cancellano la nostra identità! Alla fine qui ci sono anche persone di altre culture e devono sottostare a regole senza senso!” si lamenta Cecilia, infastidita dall’ingiustizia sociale.

“Beh, la divisa almeno ci rende tutti uguali e previene eventuale bullismo fatto sui vestiti e i modi di apparire di ognuno” ragiona Nieves, girando una vite con un cacciavite.

“E tu pensi di risolvere il bullismo uniformando tutti e rendendoli uguali così da evitare il problema? Per fare bullismo si trovano sempre delle motivazioni, con o senza vestiti” ribatte Cecilia chiudendo l’armadietto con forza.

“Hai ragione scusami…e a te cosa dà fastidio di questa divisa?” chiede Nieves riponendo nell’armadietto il circuito.

“Non lo so… so solo che vestita così mi sento strana e non a mio agio” risponde la piccola di Nairobi confusa dalla domanda, consapevole di non riuscire ancora a chiarire quell’aspetto. La campanella interrompe la seria condivisione delle due amiche che, presi i libri per i prossimi corsi, chiudono gli armadietti per poi dirigersi verso le classi.

“Penso che tu abbia ragione. Ognuno dovrebbe sentirsi espresso a scuola. Bisognerebbe fare una rivoluzione!” aggiunge Nieves, supportando la migliore amica.

“Già… peccato che dei semplici sfigati di 16 anni come noi non abbiano voce in capitolo… va beh…” risponde inerme l’amica, senza credere in sé stessa.

“Stasera ci sei a casa mia? Per il nostro momento di musica?” invita allora Nieves, cambiando argomento con un tema che stava particolarmente a cuore a entrambe.

“Certo che sì! Non vedo l’ora! Verrà anche Dimitri?” si informa Cecilia, riferendosi a un altro amico della combriccola avente due anni in più di loro.

“Se non è impegnato in cose losche penso proprio di sì” conclude la figlia di Tokyo facendo spallucce per la disinformazione sul caso.

“E comunque… calmati con Andrés, si vede lontano un miglio che vorresti saltargli addosso!” la ammonisce Cecilia guardandola torva in viso.

“Ma stai scherzando?! Gli voglio bene per carità, ma c’è qualcosa in lui che mi infastidisce. Non starei mai con uno come lui!” ribatte Nieves mostrando una smorfia.

“Meno male, mi stavo preoccupando!” tira un sospiro di sollievo Cecilia, ormai giunta di fronte alla propria classe e pronta a salutare l’amica.

“Rimane comunque un figo e qualcosa con lui la farei volentieri…” aggiunge successivamente Nieves, fermatasi a ragionare sul tema di discussione.

“Se mamma fosse qui direbbe che sei proprio identica a Silene” alza gli occhi al cielo Cecilia, palesandosi la scena delle rispettive madri che parlano apertamente senza peli sulla lingua.

“Già… credo che sia l’unica cosa positiva che ho imparato da mia madre. So che Daniel la chiamava Maserati… quella però mi pare sia passata di moda. Io mi sento più una Tesla!” conclude Nieves fiera di sé, per poi fare l’occhiolino all’amica ed entrare nella propria aula.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2


Silene Oliveira era cambiata molto durante gli anni. Matura e con la testa sulle spalle, era riuscita a placare l’eccessivo nervosismo e quell’energia esagerata che spesso le faceva compiere gesti pericolosi. La donna era riuscita a costruirsi una famiglia, con una casa sul mare, dei figli e un lavoro stabile anche se, grazie a tutti i soldi che avevano prelevato alla Zecca, non avevano problemi economici. Tutti i membri dei Dalì, infatti, conoscevano le regole per una buona convivenza e per condurre una vita serena e tra queste c’era anche il lavoro. Silene guarda e riguarda le mete illustrate sui libri della sua Agenzia di Viaggi e, proprio quando i suoi occhi si posano su una barca, i ricordi le affiorano alla memoria.

18 anni prima…

Il colpo alla Zecca era riuscito e il Prof contemplava il mare con un sorriso sulle labbra. Sergio ripensava a quel colpo studiato nei dettagli che, nonostante gli imprevisti, era andato a buon fine. Il professore aveva programmato tutto nei minimi particolari, ma mai si sarebbe aspettato di costruirsi una famiglia, quella famiglia che prima identificava solo con Berlino. Berlino era morto e un profondo vuoto si faceva largo nel suo cuore, motivo per cui sapeva che avrebbe dovuto affrontare quella perdita in modo più consapevole, cercando di non soffrirvi in eterno. Berlino si era sacrificato per lui e per la riuscita della rapina. Berlino, Mosca e Oslo, avevano dato la vita per proteggere quel branco di ladri scapestrati che ora viaggiavano verso la libertà. Il prof aveva progettato tutto: ma non aveva messo in conto che avrebbe ritrovato una famiglia, difficile da sciogliere.

“Ragazzi, prima di lasciarvi ai festeggiamenti, ho qui diverse cartellette contenenti i documenti e tutti i riferimenti per il da farsi” spiega il professore raggiungendo il gruppo per dare loro le ultime importanti raccomandazioni.

“Suvvia prof, non dirci che dobbiamo cambiare nome e vivere come eremiti!” borbotta Tokyo, appoggiata a un legno dell’imbarcazione.

“Durante la rapina nessuno è riuscito a risalire alle nostre identità, motivo per cui i nomi rimarranno invariati. Anche l’aspetto non lo dovremo modificare in toto, avendo sempre tenuto la maschera. Il mondo, però, farà fatica a dimenticarsi di noi… e dei nostri nomi di città, motivo per cui vi comunico che la prima regola riguarda proprio questo: abolizione dei nostri soprannomi” afferma il prof, aggiustandosi gli occhiali.

“So che è difficile perché ognuno di voi si è identificato con la città, ma è di vitale importanza non usarli più. Rio, Tokyo, Palermo, Bogotà, Nairobi, Denver, ecc… rimarranno per sempre impressi nella mente di tutte le popolazioni. Esercitatevi a chiamarvi con i vostri veri nomi” conclude il prof, per poi passare al prossimo punto.

“Per i primi anni dovremo dividerci e vivere in luoghi isolati. Potremo ovviamente condurre la nostra vita con serenità e tranquillità, ma prima di ricongiungerci dovremo far passare del tempo” continua Sergio con serietà.

“Ahia, professore… qui c’è qualcuno che ha una voglia immensa di figliare! Che si fa?” si aggiunge Denver divertito, riferendosi a Bogotà e Nairobi che, dopo essersi rivolti uno sguardo imbarazzato, scoppiano in una fragorosa risata.

“Se loro hanno questo desiderio chi sono io per ostacolarli? Tornando al fulcro della questione: ci ritroveremo a vivere insieme nella stessa nazione tra due anni, quando le acque si saranno calmate. Nella cartella trovate le destinazioni future. Andrete in coppia e, una volta terminati i due anni, vi comunicherò il da farsi” aggiunge il professore, pronto a una nuova interruzione da parte di Palermo.

“Io con Helsinki, Nairobi e Bogotà, Tokyo e Rio, Denver e Stoccolma…e tu? Vai da solo?” chiede l’amico di Sergio, intimorito dall’idea di abbandonarlo.

“Io…attenderò l’arrivo di una persona che a tempo debito vi presenterò” risponde lui ambiguamente, pensando a Raquel e nutrendosi della speranza di rivederla.

“Sergio… visto che ormai ti dobbiamo chiamare così” annuncia Nairobi, facendosi spazio e avvicinandosi alla mente della banda.

La donna non continua il discorso e, mossa dall’empatia, abbraccia uno dei suoi migliori amici. Un abbraccio che scalda il cuore di entrambi e che, in parte, viene condiviso invisibilmente da tutti i membri che assistono silenziosamente al momento. In quel gesto stavano stipulando un nuovo patto: quello di non lasciarsi mai e di vivere con rispetto e responsabilità per fare in modo di rincontrarsi al termine dei due anni indicati.

“Piano Vivir?” propone poi Nairobi staccandosi dall’abbraccio e rivolgendosi a tutta la banda.

“Piano Vivir!” esclamano tutti in coro, alzando un braccio al cielo in segno di esultanza, consci dell’inizio della loro nuova vita.

Presente…

Martin e Mirko aspettavano ospiti per trascorrere insieme la serata e, come loro solito, avevano preparato diversi dolci e amari sul grande tavolo di legno del soggiorno. Martin, in modo particolare, aveva coltivato la passione per la cucina, preparando prelibatezze per il palato di famiglia e amici. Helsinki, invece, oltre leggere costantemente libri di medicina, si cimentava nella produzione di sigari e alcolici caserecci, finendo per pagare con diverse sbronze, il prezzo delle sue invenzioni.

“Dici che possono bastare?” chiede Mirko, mettendo sul tavolo altre due bottiglie.

“Grassone, siamo ormai delle famiglie con figli! Non abbiamo più il fegato di 20 anni fa, quindi direi che una sola bottiglia di Vodka sia sufficiente” risponde Martin, rimuovendo una bottiglia trasparente dalla tavola.

In quel preciso istante, dalle scale in legno dell’abitazione, scende un ragazzo alto sui 17 anni. Il giovane era muscoloso, con un enorme serpente tatuato sulla schiena, in attesa di riempirsi di inchiostro ogni altro lembo di pelle. Il ragazzo aveva la carnagione chiara, occhi di un azzurro perlaceo e dei capelli rasati di un biondo acceso.

“Oh ciao! Stai uscendo o resti qui con noi stasera?” domanda Martin, vedendo il figlio dirigersi in cucina per bere un bicchiere d’acqua.

“Non è che se voi fate una serata da vecchi sfigati io non possa fare altrettanto. Ve ne siete dimenticati? È la mia serata musica con i ragazzi! Ce ne staremo beatamente in soffitta” risponde il giovane, afferrando poi una bottiglia dal contenuto trasparente.

“Fermo Dimitri, questa essere vodka, non fare furbo” lo blocca immediatamente l’ex Helsinki, afferrandogli il braccio con presa sicura per poi invitare il figlio a rimettere tutto a posto.

“Hey, vi devo ricordare che sono russo? Lasciatemi ricordare degnamente la mia patria!” si lamenta Dimitri aprendo le braccia.

“Vero, ma finché non avrai l’età per bere, neanche la tua grande patria potrà aiutarti” aggiunge Martin, porgendo al ragazzo una torta da appoggiare sulla tavola.

Dimitri era il figlio adottivo di Martin e Mirko, arrivato nella loro famiglia con una grinta e un’energia fuori dal comune. La coppia, una volta ricevuta la proposta di abbinamento, si era spostata in Russia, per conoscere le origini di quel bimbo di quattro mesi, lasciato in un orfanotrofio. L’adozione andò a buon fine solo grazie al professore che aveva costruito dei curriculum eccellenti per i due genitori e li aveva istuiti adeguatamente per far fronte alle domande psicologiche richieste dai servizi adottivi. Non era stata un’impresa semplice, ma quel piccolo fu la loro più grande conquista. Dimitri, fin dai primi passi, si era dimostrato una furia scatenata, dispettoso e furbetto, sveglio e ribelle come i genitori. Ora Dimitri, avente un anno in più di tutti gli altri amici, frequentava il liceo scientifico dimostrando una grande passione per le materie storiche, scientifiche e logiche. Anche lui, proprio come Mirko, aveva il sogno di diventare un medico e curare i malati delle guerre. Il suo problema principale riguardava la scuola dove non si comportava benissimo e cercava di infrangere costantemente le regole. Oltre alle materie preferite, il ragazzo non studiava, collezionando così brutti voti nelle materie letterarie. Al colloquio con i professori, i genitori si sentivano dire che il ragazzo non studiava e come dar loro torto: i più grandi passatempi del ragazzo consistevano nel giocare ai videogiochi di guerra e ascoltare musica classica.

Dimitri, dopo aver roteato gli occhi azzurri a seguito del rimprovero paterno, si diresse verso la porta, il cui bussare annunciava l’arrivo degli ospiti.

“Buonasera a tutti!” esclama Monica entrando nella dimora, invitando un bambino di circa 11 anni ad accomodarsi nella stanza.

“Noah, hai visto chi c’è?!” gli dice Daniel, indicando Lea, la figlia di Silene e Anibal, giunta poco dopo. Il piccolo dai capelli castani e gli occhi marroni accenna un sorriso alla coetanea e, dopo aver salutato i padroni di casa, si dirige con lei in salotto per giocare insieme.

“Wow, si beve stasera?” afferma Agata spogliandosi la giacca e porgendola a Santiago, osservando la tavola imbandita e ricordando, silenziosamente nella sua mente, le belle bevute di Toledo.

“Scommetto che non ne hai più il fisico…” la punzecchia Silene, colpendole leggermente il sedere in segno provocatorio, come era solita fare.

“Ah sentila lei! La donna vissuta! Non è che se ora hai due figlie devi tirartela e vivere da boomer!” risponde la Jimenez, tirando fuori la lingua e assumendo una posa da rockstar.

“Che cosa significa boomer?” chiede Raquel, giunta anche lei sul luogo insieme al marito e al figlio Andrés.

“Sono in sostanza gli adulti inesperti che si approcciano al web, a pagine diciamo più giovanili, sentendosi ringiovaniti di qualche anno” risponde prontamente Anibal, servitosi un bel calice di vino rosso.

“Vacci piano con il vino, sei ancora piccolo” lo scherza Santiago, sedendogli accanto e dandogli una gomitata in amicizia.

“Agata, ma dimmi un po’, per caso scopate ancora te e Santiago? No perché non vi facevo così rompi palle!” risponde a tono Anibal, riprendendosi il proprio calice e godendosi le risate della combriccola.

Risate, allegria, battute e bevute rendono la serata degli adulti particolarmente piacevole e lo stesso accade agli adolescenti della banda, chiusi a chiave nella soffitta di Dimitri.

“Prova questo Andrés, mio padre l’ha appena fatto! Ha un gusto pazzesco!” afferma Dimitri, seduto su una poltrona, invitando l’amico ad avvicinarsi a fumare un sigaro con lui. Il figlio di Sergio e Raquel non se lo fa ripetere due volte e, dopo poco tempo, si trova seduto accanto al padrone di casa fumando come due adulti in carriera.

“Ramon, vieni a provarlo anche tu!” invita Dimitri, rivolto al ragazzo dai folti capelli neri come la pece che, titubante, cerca di non cadere nella solita trappola.

“Non mi va, dai lo sapete!” risponde il giovane, sdraiato su un materassino e intento a lanciare una palla da baseball sul soffitto.

“Dai non fare il bambino! Solo un tiro!” lo cantilena Andres, cercando sempre di risvegliare la timidezza del coetaneo. È così che Ramon si avvicina ai due e, dopo neanche aver messo il sigaro in bocca, comincia a tossire con foga. I ragazzi scoppiano in una fragorosa risata, dando delle pacche sulla schiena al povero intossicato, mentre le due fanciulle sfogliano dei vinili in una cesta.

“Bellissimo questo! Concerti brandeburghesi di Bach!” commenta Cecilia con occhi brillanti, ammaliata da tutti i dischi di Dimitri.

“No basta Bach, o Andres continua a tirarsela su quanto egli sia il miglior compositore esistente!” risponde Nieves, appoggiata alla parete con le braccia incrociate.

“Danze ungheresi di Brahms!” decide immediatamente Cecilia, scoccando le dita e scegliendo un vinile dalla copertina rossa. Una volta raggiunti i ragazzi, la giovane consegna il disco a Dimitri per permetterne la riproduzione e si siede su alcuni cuscini, posti di fronte a un tavolino.

“Giochiamo a Cluedo?” domanda Andres prendendo la scatola del gioco e scuotendola leggermente.

“Musica classica e Cluedo direi che sono l’accoppiata perfetta!” sussurra Ramon con voce roca, ancora disturbato dal residuo di fumo.

“Ramon, ma non ti si è ancora sistemata la voce?!” afferma stupita Cecilia, scuotendo la testa e sollevando il coperchio del gioco.

“Tranquilla, vado giù a prendere dell’acqua così magari gli passa” propone Nieves, inteneritasi di fronte all’amico diventato rosso per tutte le prese in giro. È così che la giovane, saltellando, scende le scale della casa di Dimitri che conosceva ormai a menadito, quando delle voci familiari la fanno bloccare di colpo.

“Perché continui a ricevere chiamate da quel numero? Sono i tuoi genitori vero?” chiede Silene a bassa voce, rivolta al marito alzatosi dalla tavola.

“Non so chi sia! Ma se anche fossero i miei genitori perché non potremmo rivederli? Loro non sanno nulla! Non correremmo nessun rischio!” continua a sussurrare Anibal, con il cuore in mano.

“Ah ora hai i sensi di colpa per i tuoi? Dopo tutto quello che hanno detto sul tuo conto?” rimbecca Silene, scossa da quell’ennesima conversazione.

“Te lo dico ancora una volta: noi siamo realmente cambiati, facciamo un bel lavoro, abbiamo una bella famiglia e il nostro passato non esiste più! Cazzo Tokyo, perché litighiamo sempre su questo!?” si altera subito Rio, accorgendosi all’istante di aver appena infranto una regola essenziale per la loro sopravvivenza: l’utilizzo dei soprannomi di città.

“Shhhh, sei pazzo?!” sbotta subito Silene, tappando la bocca al marito guardandosi intorno, nella speranza di essere stata l’unica ad aver ascoltato quel nome.

“Hai ragione scusami. Torniamo di là… ne parleremo un’altra volta, questo non è il luogo né il momento adatto. Ora spengo il telefono e vedremo che cosa fare sui miei genitori” conclude Anibal, dirigendosi con la moglie verso il soggiorno degli ospiti, ignari del fatto che, da quel momento, il nome “Tokyo” riecheggerà nelle orecchie della loro primogenita, rimasta in ascolto per tutto il tempo.
 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


CAPITOLO 3


“Tokyo? L’ha chiamata Tokyo?” chiede Cecilia confusa, guardando negli occhi la migliore amica.

“Perché te ne preoccupi tanto Ni? Potrebbe essere un soprannome che si davano da giovani no?” propone Dimitri calciando un sasso sulla strada. Eravamo infatti al giorno seguente e, durante il tragitto verso la scuola, Nieves aveva raccontato agli amici il discorso dei suoi genitori.

“Improbabile. Da quel che dice Nieves i suoi erano arrabbiati e una volta nominato il nome, Silene ha zittito Anibal. Se fosse un soprannome perché gli diresti di stare zitto? C’è qualcos’altro sotto!” aggiunge Andres, sistemandosi gli occhiali con lo stesso identico tic del padre.

“Quindi che cosa facciamo? Hai cercato su internet?” propone Ramon, inserendosi nella discussione.

“Nieves è un genio dell’informatica, vuoi che non abbia cercato?” lo scherza Dimitri, dandogli una pacca sulla nuca e ricevendo lo sguardo scocciato del ragazzo dai capelli neri, che si massaggia il punto colpito.

“Ho cercato anche nel dark web… Tokyo è solo la capitale del Giappone” conferma Nieves, mettendosi le mani in tasca ed estraendo delle sigarette.

“Oh ma che cazzo fai?!” la sgrida immediatamente Cecilia, strappandole l’accendino dalla mano.

“Stai calma! Non sei mica mia madre!” risponde a tono Nieves, parlando male a causa della sigaretta tra i denti.

“Lo sai che non ti fa bene! Chi te le ha comprate?!” la rimprovera ancora Cecilia, provando a strapparle la sigaretta dalla bocca, finendo per lottare con l’amica oppositiva.

“Gliele ho prese io, che male può farle?” domanda Dimitri, alzando le spalle e stupendosi della reazione esagerata.

“Calmati Ceci, non succede niente se anche se ne fuma una! Perché siete entrambe così acide oggi? Avete il ciclo?” chiede Andres disturbato dal bisticcio, visto che stava ancora ragionando sulla vicenda “Tokyo”.

“Il ciclo non c’entra Andres, forse meglio evitare questi stereotipi da antichità” gli sussurra Ramon all’orecchio, mostrando la sua solita serenità nonostante il fastidio per l’affermazione sconvenevole.

“Nini, ascolta…” le dice poi Cecilia, con il cuore in mano.

“So che senti qualcosa di strano in tutta questa faccenda e il discorso dei tuoi ti ha preoccupata, ma sai benissimo del tuo problema al polmone e la scelta spetta a te. Io ti consiglio solo di non rischiare per queste stronzate” conclude poi la figlia di Agata, specchiandosi negli occhi color nocciola della migliore amica.

Nieves si ammutolisce e impallidisce all’istante, ricordando una condizione fisica che l’aveva colpita da piccola spaventando molto tutti i suoi parenti. La ragazza comprende di non aver usato la testa e, ascoltando il consiglio dell’altra, ripone la sigaretta nel pacchetto e glielo consegna.

“Bene, brave… ora che avete fatto pace vi propongo una cosa: ci troviamo alle 15.00 a casa mia. Oggi pomeriggio i miei genitori saranno fuori per lavoro e noi potremmo metterci a cercare meglio degli indizi sulla storia di “Tokyo” e su cosa sia successo” propone Andres, mostrandosi leader e capo della combriccola.

“Forse ho già un’idea di dove cercare” pensa tra sé e sé il figlio di Sergio, consapevole di essere, al pari dei suoi amici, non a conoscenza di molti segreti familiari.

La mattinata trascorre lentamente e, all’intervallo, Cecilia e Nieves si ritrovano davanti alle macchinette, chiacchierando del più e del meno con altre compagne di classe.

“Comunque quel ragazzo di quinta superiore è veramente stupendo. Peccato che i nostri 16 anni non vengano mai considerati…quando potremo diventare grandi abbastanza?” chiede una giovane dai ricci capelli biondi, truccata con un leggero ombretto azzurro.

“Forse ci credono piccole e sante, ma in realtà abbiamo molta più esperienza di loro. Io settimana scorsa l’ho fatto con German tutta la notte!” si inserisce una ragazza magrissima, vestita in gonna, stivaletti e camicetta scollata, nota per le sue doti da adulatrice.

“Davvero?! Ma è incredibile!” le risponde la coetanea dai riccioli d’oro, guardandola come un eroe.

“Voi due invece? L’avete mai fatto?” domanda ancora Gerta, intenzionata a ricevere gli scoop delle due compagne in modo da sperperarli in giro per la scuola.

Nieves, mostratasi apparentemente attenta al discorso per tutto il tempo, aveva in realtà passato il momento a osservare il grande quantitativo di denaro che veniva inserito nei distributori automatici.

“Vi siete mai chieste quanti soldi si possono fare ogni giorno nelle macchinette?” risponde Nieves fuori tema, lasciando le compagne ammutolite e incapaci di ribattere. Cecilia, trattenendosi dalle risate, saluta le due ragazze per poi allontanarsi con la migliore amica.

“Ma così ti crederanno pazza!” ridacchia la figlia di Bogotà, portandosi una mano sulla bocca.

“Perché? Ho solo risposto in modo intelligente visto che non ho intenzione di dire i cazzi miei a due oche” commenta Nieves aprendo il proprio armadietto per prendere i libri.

“Oltre al fatto che stanno dicendo tantissime cavolate. German è venuto due settimane fa al corso di educazione sessuale e ha confidato di soffrire di eiaculazione ritardata. Mi spiace che sia finito nelle grinfie di quell’arpia che sicuramente lo sfrutterà senza rendersi conto delle sue difficoltà” spiega Cecilia, appoggiandosi con la schiena agli armadietti.

“Mi sembrava irreale quel tutta la notte in effetti…” aggiunge Nieves continuando a cercare libri e quaderni nell’armadietto, girando molte volte il viso sul lato destro per osservare un gruppo di ragazzi che parlava animatamente. Tra tutti questi spiccava la figura di Andres che, innamorato dello studio come sempre, dava consigli ai compagni facendosi pagare per le ripetizioni. Nieves ammirava il ragazzo alto dai capelli castani e gli occhiali neri, intento a usare la sua bella parlantina di fronte alla gente.

“Ora quelle due là non ci sono, quindi i cazzi tuoi puoi anche dirmeli… come va con Andres?” la punzecchia Cecilia, accortasi della distrazione dell’amica.

“Che? Cosa? Tra me e lui non c’è niente!” taglia corto Nieves, chiudendo con un tonfo l’armadietto e cercando di darsela a gambe, trovandosi però inchiodata dall’amica che la mette con le spalle al muro.

“E va bene… cosa vuoi che ti dica? Mi piace un casino ok?” confessa finalmente Nieves, facendo roteare gli occhi e confidando la verità.

“E quando penserai di dirglielo?” aggiunge Cecilia, intenzionata a sbloccare l’amica.

“Sei pazza? Lui a momenti manco si accorge che esisto. Non è ancora arrivato il momento delle ragazze a quanto pare. Pensa solo allo studio. In più scommetto ciò che vuoi che avrà già avuto un sacco di amiche con cui intraprendere delle belle avventure… non gli servo io” conclude Nieves, scostandosi dall’amica per poi dirigersi verso la classe, avendo sentito il richiamo della campanella.

 
Nel pomeriggio, nonostante l’ora indicata per l’incontro, Andres decide di cominciare a cercare gli indizi per conto suo. Una volta appurata l’assenza dei genitori, il giovane inizia a sgattaiolare silenziosamente per casa ragionando sui vari punti nascosti di essa. Andres era sicuro di non conoscere tutta la verità. Nieves aveva scoperto l’esistenza di questa “Tokyo” e se anche lui c’entrasse qualcosa a causa di quello zio di cui portava il nome? Suo padre lo aveva spesso paragonato a questo zio Andres, conosciuto per le sue grandi imprese ma, ogni volta che desiderava sapere altro di lui, riceveva delle risposte disordinate e agitate da Sergio che cambiava velocemente argomento.

Andres controlla sotto i letti, nella camera dei genitori, negli armadi, in un’asse scricchiolante della soffitta, in una mattonella posta sotto la lavatrice, ma nulla pare palesarsi come nascondiglio. Giunto ormai in un piccolo soggiorno, nel quale lui e suo padre tendevano a rintanarsi per leggere libri di storia, l’attenzione si concentra su un vecchio pianoforte a coda. Il povero pianoforte in legno marrone, antico e lavorato sugli angoli, chiuso dal coperchio non era mai stato utilizzato.
Andres sapeva che suo padre sapeva suonare il pianoforte ma, in tutti quegli anni, non gli aveva mai sentito produrre una nota. Il cuore del giovane comincia a battere all’impazzata sentendo di avere ormai la verità in pugno: perché tenere un pianoforte chiuso, se non lo si utilizza?

Con foga intraprende la disperata ricerca della chiave per aprire la tastiera del pianoforte, muovendo qualsiasi libro, contenitore o armadietto. Andres sposta una grande quantità di libri per poi soffermarsi su un quaderno di educazione pianistica di livello base. Il ragazzo apre lentamente il libro accorgendosi, con immenso piacere, della presenza di una chiave attaccata alla copertina interna con dello scotch.

Andres appoggia velocemente il quaderno su una poltrona, dirigendosi con agilità verso il pianoforte. Una volta di fronte a esso, sempre più convinto della propria idea, Andres inserisce la chiave nella serratura girandola più volte.

“Click”

Quel suono celestiale fa battere tremendamente il cuore del ragazzo che, colmo di curiosità, solleva con un solo gesto il coperchio, pronto a scovare i segreti celati dal pianoforte.
Andres si aspetta di trovare dei soldi, una busta, un foglio, un oggetto… insomma, qualsiasi cosa di piccolo da poter nascondere nello strumento ma, con grande rammarico, non può far altro che contemplare in silenzio gli 88 tasti ingialliti.

Il ragazzo, sconsolato, è pronto a richiudere il coperchio e cercare altrove gli indizi quando una presenza improvvisa nella stanza lo fa sobbalzare.

“Andres, perché hai aperto il pianoforte?” chiede Raquel, di ritorno dal lavoro avendo dimenticato un documento importante.

Il ragazzo, preso ovviamente alla sprovvista, riesce comunque a difendersi egregiamente inventando prontamente una scusa.

“Da appassionato di musica quale sono mi piacerebbe provare a suonare qualche nota. Per questo ho preso il libro di didattica musicale e, trovandovi la chiave, ho appena aperto il pianoforte. Perché, non ti fa piacere?” chiede Andres con molta calma, ponendo il quaderno di musica sul pianoforte e sedendosi sullo sgabello.

Raquel, sbiancata alla visione del figlio di fronte al pianoforte, comprende le sue buone intenzioni e cerca in tutti i modi di mascherare il panico provato.

“Ma certo che puoi! Ero solo molto stupita nel trovarti qua. Magari stasera papà può insegnarti qualcosa, almeno riprende la mano. Io ora vado al lavoro, avevo dimenticato questo” taglia corto Raquel, mostrando un fascicolo al figlio, per poi sorridergli forzatamente e allontanarsi.

Andres, una volta sentito il motore della macchina allontanarsi, sorride ampiamente contento di aver ricevuto la conferma desiderata. Il volto di sua madre, nel vederlo lì, aveva mostrato delle rughe insolite simbolo di tensione, volte a significare la presenza di qualcosa di misterioso proprio nel pianoforte.

Andres comincia a guardare i componenti di legno del piano, smontandone i pezzi senza però alcun risultato. Sempre più avvolto nell’indagine, il ragazzo comincia così a suonare uno a uno i tasti del pianoforte cominciando dai più acuti, ascoltandone attentamente il suono.

Circa 79 tasti vengono pigiati lentamente. DO, SI, LA, SOL, FA#...FA#...

Quel fa# basso non convince Andres, che finisce per suonarlo ripetutamente. Il suono emesso, infatti, risulta ovattato e come attutito da qualcosa. La curiosità del giovane lo spinge ad aprire ulteriormente il pianoforte soffermando la propria attenzione, questa volta, sulle corde metalliche e spesse. Andres passa con un dito tutte le corde fino a raggiungere quella del fatidico FA#. Il volto del giovane risplende di gioia nel constatare che, avvolto attorno alla corda, c’era un ulteriore filo di metallo con incise le seguenti cifre quasi illeggibili:

“60mqx2,1hx4b”

Andres si appunta sul cellulare il codice, per poi sistemare accuratamente il pianoforte lasciandolo comunque aperto, in modo da far capire alla madre di essersi esercitato. Per togliersi qualsiasi altro dubbio, Andres prende dell’igienizzante inodore e pulisce attentamente il filo di metallo inciso attorno alla corda e qualsiasi altro punto del pianoforte toccato in precedenza, in modo da nascondere le impronte digitali. Non sapeva perché ma, per un nascondiglio così ben studiato, i suoi genitori dovevano essere molto furbi e non voleva farsi scoprire.

Trascorrono altri 30 minuti prima che Andres, concentrato sul cellulare, arrivi alla soluzione. Il giovane, infatti, dopo aver scarabocchiato su diversi fogli, giunge alla conclusione di avere tra le mani le coordinate di un nascondiglio.

“60 mq” dice lui a bassa voce, disegnando un enorme rettangolo su un foglio bianco.

“2,1 h” continua poi Andres, tirando una linea verticale.

“4b” conclude infine, tracciando un’altra linea orizzontale. La lampadina finalmente si accende e il genio della matematica risolve il problema: “angolo della casa di 60 mq, ad altezza 2,1 e base 4 metri. È in zona garage, ad altezza 2,1 e base 4! Ma certo!”

Dopo l’esclamazione di gioia, Andres corre nel punto indicato trovandosi davanti a un muro bianco senza imperfezioni. Grazie a un righello e a una matita, il giovane disegna un puntino nero nel luogo indicato dalle coordinate per poi, con il cuore in gola e carico di adrenalina, comporre un numero telefonico.

“Dimitri! Tu mica hai fatto il muratore e il pittore come lavori estivi? Vieni qui subito con un trapano e tutto l’occorrente per rompere un pezzo di muro e rifarlo come nuovo entro stasera!” gli dice con energia Andres.

“Ma tu non stai bene! Che cazzo vuoi fare oggi pomeriggio?! Giocare a Bob aggiustatutto?!” gli risponde sconvolto Dimitri dall’altra parte della cornetta.

“Fidati, entro stasera sapremo tutto. I nostri genitori ci hanno sempre mentito Dimitri, dietro a un piccolo pezzo di muro di casa mia deve esserci nascosta la verità… e non credo riguardi solo Tokyo ma tutti noi”

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Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 ***


CAPITOLO 4


L’arrivo di Dimitri si dimostra tempestivo e il suo intervento di distruzione del muro riesce perfettamente. È necessario un solo colpo di martello per creare un buco della dimensione di una mano, nel quale il ragazzo si insinua estraendo un plico di fogli avvolti in un tessuto impermeabile.

“Lo sapevo che ci nascondevano qualcosa” esclama Andres, rimuovendo polvere e ragnatele e rompendo l’involucro per scoprirne il contenuto.

“Magari sono solo dei conti bancari o dei risparmi non credi?” si intromette Dimitri, cominciando già a mescolare un impasto di cemento per riparare il buco.

“No credimi, qui c’è molto di più” continua imperterrito Andres, fissando famelico i fogli con bramosia.

“Tu inizia ad andare, io preparo la mistura per il buco” conclude poi Dimitri mettendosi subito al lavoro, invitando l’amico ad accomodarsi in soggiorno.

Nel giro di 10 minuti, Nieves, Ramon e Cecilia raggiungono l’abitazione e vengono messi al corrente dello strano nascondiglio trovato da Andres.

“Li hai già aperti quei fogli?” chiede Cecilia incuriosita dalla vicenda, sentendosi in un’atmosfera da film giallo.

“No… volevo farlo insieme a voi” risponde Andres deglutendo con foga, per poi sistemarsi gli occhiali con il solito tic nervoso. Il giovane ripone il fascicolo sul tavolino della sala, invitando gli amici a posizionarglisi accanto, rendendo così possibile la visione simultanea. La concentrazione dei presenti è alle stelle e tale anche il silenzio che invade la stanza. L’arrivo di Dimitri si dimostra un’ulteriore occasione per muoversi nella vicenda, motivo per cui Andres, con un colpo secco, apre il plico di fogli.

La situazione si fa agghiacciante. I ragazzi non parlano più e, per qualche istante, pare che ogni battito o sospiro si sia fermato in loro. Gli occhi spalancati e i visi pallidi sono il segno di uno shock surreale. Rimangono paralizzati, leggendo le piccole scritte sui fogli ingialliti e ammuffiti, confusi e scombussolati. La prima a muoversi è Cecilia che, sentendosi improvvisamente accaldata, si alza in piedi facendosi aria sulle guance e sbuffando animatamente. Ramon, incredulo, non sbatte le palpebre per più di un minuto, intento a rileggere più volte il contenuto. Dimitri si lascia cadere sul divano, abbozzando una risata ironica e stressante che rompe il silenzio e aiuta gli amici a reagire.

“I-i nostri sono…sono” balbetta Andres senza parole, con la bocca ancora aperta e gli occhiali leggermente inclinati.

“Dei ladri” lo completa Nieves, voltando pagina e leggendo i famosi nomi di città.

“Dei ladri con i fiocchi per di più… tieni, questi riguardano Mirko e Martin alias Helsinki e Palermo” continua poi Nieves con sangue freddo porgendo, con mani tremanti, le pagine riguardanti i genitori di Dimitri.

In poco tempo ogni ragazzo conosce la verità sui propri genitori, venendo a sapere della famosa rapina alla Zecca di Stato di Spagna, dei nomi di Città e anche della vera identità di Berlino, aka Andres De Fonollosa: lo zio ignoto del figlio di Sergio.

Andres si ammutolisce nuovamente leggendo dell’intelligenza di suo padre, capo della rapina e dell’identità di sua madre, ispettrice del caso. Da un certo punto di vista leggere tutte quelle informazioni su Sergio e Raquel, o meglio Professore e Lisbona, lo riempiono di adrenalina e stupore. Il giovane, infatti, si commuove nel pensare alla strana relazione che ha portato due acerrimi nemici a innamorarsi e mettere su famiglia. La sua attenzione si sofferma poi sulla pagina di Berlino grazie al quale Andres può finalmente scoprire la verità.

Nieves, dal canto suo, prova delle emozioni contrastanti. La pagina di suo padre le racconta di un ragazzo all’apparenza pacato che, in realtà, aveva hackerato moltissimi sistemi di sicurezza, finendo per ingaggiarsi nella più grande rapina mondiale. Il fascicolo di sua madre, invece, la sconvolge particolarmente. La famosa Tokyo, che aveva sentito nominare, era una ragazza ribelle e scapestrata, in parte anche pazza e impulsiva che aveva rapinato molte volte e compiuto brutte azioni. All’interno della rapina aveva rischiato più volte di mandare all’aria il piano per i suoi colpi di testa. Ciò che la spaventa, però, è una piccola fotografia della madre posta in alto al foglio. Silene appariva leggermente più giovane, con i capelli corti, gli occhi truccati di nero e uno sguardo penetrante. Nieves non sa perché ma più osserva la fotografia e più si rivede in quella piccola delinquente alla quale non sentiva ancora di appartenere. Lei e sua madre erano due gocce d’acqua, anche se aveva sempre creduto di non assomigliarle affatto.

“Santiago Lopez, alias Bogotà… Agata Jimenez, aka Nairobi” legge priva di voce Cecilia, analizzando con il fratello le vicende familiari.

“Guarda questa immagine… che bella la mamma!” commenta Ramon commosso, sorridendo alla fotografia della madre 18 anni prima.

“Mamma era una falsaria! Amava il denaro, carta, monete e il loro studio! Mamma era come me!” sussurra ancora Ramon, accarezzando la foto della madre sentendosi felice e supportato. A differenza degli altri presenti, infatti, Ramon risulta l’unico non rancoroso e arrabbiato per tutti quei segreti nascosti.

“Hey leggi qui!” lo interrompe poi Cecilia, indicando un paragrafo che trattava la storia di Axel.

“Axel è vivo?!” sussulta la gemella, di fronte alla verità.

“Chi è Axel?” si intromette Andres, rivolto all’estraneo.

“Il figlio di nostra madre. A noi ha sempre detto di averlo perso in un incidente stradale, motivo per cui non riesce a rassegnarsi. In realtà qui c’è scritto che Axel è vivo e le era stato sottratto ingiustamente dopo aver scoperto la vendita di droga con la quale mamma si pagava l’affitto e le spese. Anche dopo aver scontato la pena non le hanno concesso di rivedere il figlio, allontanato per sempre da lei” spiega dettagliatamente Cecilia, raddrizzando la pagina ingiallita.

“Ok, bene abbiamo scoperto tutte queste cose, ma cosa significano i fogli?! Perché li aveva solo tuo padre?!” si intromette Dimitri, ora irrequieto a causa delle novità.

“Mio padre si faceva chiamare il Professore e aveva ingaggiato i vostri genitori in questa rapina storica all’interno della Zecca. La rapina è andata a buon fine, nonostante la perdita di tre membri della banda: Oslo, fratello di tuo padre Mirko. Mosca, papà di Daniel e Berlino… mio zio: Andres De Fonollosa” spiega attentamente Andres, facendo una pausa sul nome dello zio che ancora lo scuoteva nel profondo.

“Probabilmente questi erano una sorta di identikit che mio padre usava per inquadrare i suoi rapinatori. Non ci devono essere altre documentazioni a riguardo…” continua ancora Andres, rispondendo a Dimitri.

“Allora perché, se si cerca su internet o in giro della rapina alla Zecca, non risulta nulla?” si intromette Ramon, interessato alla discussione.

“A quanto pare erano davvero forti in tutto. Devono aver cancellato ogni singola briciola di prova. Su internet devono avere creato un virus, un’applicazione, un sistema o un bot che cazzo ne so… capace di bloccare qualsiasi ricerca sulla rapina” dichiara Nieves, con una certa apatia, visto il forte battito cardiaco che ancora le rimbombava nelle orecchie.

“E ora che cosa facciamo?” chiede Cecilia, cercando di andare al sodo della questione.

“Mi sembra chiaro no? Ora abbiamo una risposta al nostro piccolo sentore ribelle che ci contraddistingue” comunica ancora Andres, facendosi misterioso. Ora, al posto della paura e della confusione, era comparso un sorriso.

“Siamo figli di alcuni rapinatori, mi sembra ovvio di dover continuare la loro strada!”

“Ladri? E di cosa?! Tu sei pazzo!” lo rimprovera Cecilia, riluttante alla proposta.

“E perché no? Cosa abbiamo da perdere?” prende le difese Dimitri, convinto dall’idea di Andres.

“Io ci sto… qual è la prima mossa?!” domanda Nieves con foga, seppur dispiaciuta dalla preoccupazione dell’amica.

“Sistemare immediatamente tutto. Dimitri ha preparato il necessario per aggiustare il buco, per cui dategli i fogli. In seguito ci conviene salutarci perché i miei saranno qui a breve e io devo provare a fare due note al piano, o la scusa della didattica musicale non mi reggerà mai. Da domani inizieremo a organizzare la nostra vita come ladri!” conclude Andres, invitando Dimitri a procedere con il lavoro.

“Ci serviranno dei nomi in codice… e ho già una proposta!” si propone Cecilia, ora d’accordo con l’attività, rispondendo al proprio senso e desiderio di avventura.

La sera, dopo aver nascosto tutte le prove, Sergio e Andres provano a strimpellare il pianoforte. Andres risponde ai consigli con apparente interessamento, distratto dalla nuova visione paterna.
Era difficile immaginare Sergio, uomo tranquillo ed equilibrato, a capo di una banda di criminali.

Andres termina di suonare e, dopo aver comunicato la propria stanchezza al padre, si congeda nella propria camera. I genitori attendono il rumore della porta che si chiude e della luce che si spegne, per poi correre vicino al pianoforte e analizzare la corda del FA#.

“Come la trovi?!” chiede Raquel preoccupata, aspettando la fine dell’analisi del prof.

Sergio tocca molte componenti del pianoforte, accarezza la corda metallica e si guarda attorno in segno di qualsiasi indizio.

“È tutto in ordine… il filo è al suo posto. Andres voleva solo suonare il piano” comunica Sergio, sorridendo e tirando un sospiro di sollievo, andando a letto più rilassato.

O forse, questo, era ciò che credeva lui. 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 ***


CAPITOLO 5

 
Quella notte Nieves non riuscì a prendere sonno. Nella sua mente rimbalzavano le fotografie e le sconvolgenti notizie sui propri genitori. In parte ammirava i loro gesti eroici ma, dall’altra, si sentiva di vivere in una menzogna, presa in giro dalle persone a lei più care.

La ragazza si gira e rigira nel letto cercando una posizione che le conciliasse il sonno ma invano. Nieves, presa da un raptus di rabbia, decide così di sedersi sul letto e accendere il computer. La tecnologia e l’informatica erano le uniche cose capaci di tenerle occupata la testa, trasportandola in un mondo fatto di codici binari, cavi, segnali, software e invenzioni che l’aiutavano ad accrescere la propria autostima. In informatica, infatti, Nieves era un vero e proprio genio come suo padre consapevole, dopo le recenti scoperte, di volerlo addirittura superare. È così che la ragazza si cimenta nella distruzione di quella parete protettiva che non le permette di accedere alle informazioni sulla rapina alla Zecca. Nieves digita numeri, apre programmi, scarica applicazioni, entra nei meandri del proprio device per poi buttare la testa all’indietro, riversando i capelli castani sul cuscino.

“Sono stati troppo furbi, è impossibile!” si arrende allora lei, chiudendo di botto il computer e mettendolo sul comodino. La fatica provata nel tentativo di hackeraggio la fa sentire improvvisamente stanca e, finalmente, la ragazza riesce a cedere alle braccia di Morfeo, seppur scossa da incubi che la vedono protagonista di una rapina dalla quale scappa con una motocicletta.

Il mattino seguente Nieves si alza più presto del solito, aspetto molto inusuale, cercando di non incrociare i genitori. La ragazza, infatti, aveva paura di esplodere e insultarli. Nieves si cambia velocemente, si concede qualche minuto allo specchio per applicarsi matita e mascara, per poi scendere le scale e sgattaiolare in cucina. Nieves è intenta a scaldarsi una tazza di latte quando, improvvisamente, avverte un sospiro proveniente dal divano. La ragazza si avvicina furtivamente al sofà per poi trovarvi la sorellina in dormiveglia.

“Cosa fai qui?” le chiede la maggiore sedendole accanto.

“Non mi andava di dormire a letto” mente la dodicenne, mettendosi seduta e coprendosi con una coperta.

“E andare sul divano ti aiuterebbe a dormire meglio?!” la ammonisce Nieves, facendole intuire di non accettare la scusa.

“Eh va bene…” sospira la più piccola sbattendo le braccia.

“Di notte non dormo e mi viene una paura improvvisa che non so gestire. Non ho voglia di svegliare mamma e papà, perché non sono più una bambina!” le motiva Leya, imbarazzata dal possibile giudizio della sorella.

“Leya, il tuo è un problema di ansia che non puoi sorvolare! Non è che se chiedi aiuto allora ti consideriamo una bambina! Se hai bisogno di loro devi dirglielo!” la rimprovera Nieves, guardandola intensamente negli occhi.

“A te non capita mai di avere paura di parlare con mamma e papà?” le chiede poi Leya a bruciapelo, facendo diventare rosse le gote della maggiore.

Nieves attende un attimo a rispondere, mossa da quella domanda che la scuote nel profondo. Al momento, infatti, Nieves non aveva la più pallida idea di come affrontare i suoi genitori e desiderava intensamente di poter scomparire.

“Sì è normale, ma tu devi dirglielo. Ora fila a dormire a letto e se ti chiedono qualcosa di me digli che sono uscita prima per ripassare con un compagno e che probabilmente rientro nel tardo pomeriggio” taglia corto Nieves, accarezzando il braccio della sorellina e invitandola a raggiungere la propria camera da letto.

Nieves finisce per rilassarsi qualche minuto sul divano, seppur sentendo divampare la rabbia, per poi afferrare la cartella e correre fuori sbattendo la porta.

Nieves decide di raggiungere a piedi l’abitazione della migliore amica, attendendola fuori casa.

“Nini, cosa ci fai qui?” le domanda Ramon sorpreso, spostandosi un ciuffo nero dagli occhi e avvicinandosi alla figlia di Tokyo.

“Non riuscivo a dormire” spiega Nieves, giocando con i laccetti dello zaino.

“A chi lo dici… comunque Cecilia arriva” risponde l’amico abbassando lo sguardo, ancora scosso dalla scoperta del giorno prima.

“Ciao Nieves, come mai già qui?” la saluta Cecilia, una volta chiusasi la porta alle spalle.

“Meno sto a casa e meglio è” risponde Nieves alterata, iniziando a incamminarsi.

“Perché sei arrabbiata?” le domanda Ramon, sempre con garbo ed educazione, in modo da non infastidirla.

“Mi vorresti dire che non sei incazzato?! Abbiamo vissuto 16 anni della nostra vita nella menzogna, con dei genitori delinquenti!” sbotta allora Nieves, alzando le braccia in segno di protesta e calciando un sassolino sulla strada.

“E noi alla fine che cosa siamo? Sbaglio o sei stata la prima ieri ad aderire all’idea di creare una banda tutta nostra?!” la stuzzica Cecilia, unica in grado di placare le sue fiamme di rabbia.

“Io sono sempre stata diversa! Ora capisco perché io ho sempre amato hackerare, perché Andres è un genio, perché Ramon adora le monete! Dico solo che l’avrei voluto sapere! Mia madre fa tanto la santa e pura dirigente di un’agenzia di viaggi, quando in realtà ha fatto rapine e infranto leggi su leggi” si sfoga ancora Nieves, in piena collera.

“Ascoltami Nieves, si può dire tutto dei nostri genitori, ma probabilmente questi segreti li hanno aiutati a costruire la vita di adesso! Proprio per questo ora creeremo dei nuovi Dalì! Per onorare ciò che loro hanno fatto!” si intromette Ramon, eccitato per la costruzione della squadra di piccoli rapinatori.

“Vuoi fare parte di questo gioco sì o no?” le domanda poi Cecilia, porgendole la mano.

Nieves comprende solo in quel momento le parole espresse dagli amici e si convince della loro esaustività. In effetti i loro genitori stavano vivendo la vita che si erano guadagnati. Ora toccava a loro, piccoli Dalì, proseguire l’operato. Per questo Nieves riesce a mettere in disparte il rancore per qualche momento, per rispondere a quella spinta di delinquenza che in parte ha sempre sentito dentro di sé.

“Ok, ma tienimi d’occhio… sai che se mi incazzo do fuori di matto” conclude Nieves stringendo la mano dell’amica in segno di alleanza, promettendo di non mandare all’aria nulla.

Nel pomeriggio, come d’accordo, i ragazzi si ritrovano nella soffitta di Dimitri, sempre pronta ad accoglierli e adibita per ogni loro esigenza. La combriccola, come suo solito, sistema i cuscini per terra, posiziona bevande, sigari, carte e fogli di carta sul tavolino, per poi scegliere un vinile di musica classica da riprodurre durante l’incontro.

Andres, dopo aver passato tutta la notte a studiare strategie in modo da ricoprire il ruolo di suo padre, è il primo a prendere parola.

“Bene, eccoci qui. Prima di tutto ci tengo a dirvi che quello che faremo andrà contro regole, avrà dei rischi  e potrebbe metterci nei casini. Per questo vi invito a ragionare sulla scelta di partecipare al clan. I fifoni si facciano avanti ora o tacciano per sempre” esordisce Andres per poi, una volta constatato il silenzio, continuare il discorso.

“I nostri genitori non conducevano delle belle vite. Ognuno di loro ha scelto il crimine per dare una svolta alla sfiga in cui vivevano. Agata aka Nairobi, per esempio, aveva il sogno di poter ritrovare suo figlio che le avevano ingiustamente tolto a seguito di uno spaccio di droga che lei portava avanti per guadagnarsi il pane. Silene, alias Tokyo, invece, ha perso moltissime persone care per colpa della polizia. Mio padre…” si ferma un attimo Andres, per poi riprendere fiato e proseguire: “si faceva chiamare il Professore e progettava rapine per riscattare la morte di mio nonno. Ognuno di loro ha aderito alla rapina perché non aveva nulla da perdere e molto da guadagnarci. Ho provato a immaginare il colpo che loro hanno fatto e deve essere stato qualcosa di sensazionale. Per questo eccoci qui, oggi, a ripercorrere quei passi che li hanno resi miliardari” conclude poi Andres, prendendo in mano dei fogli e cominciando a scarabocchiarci sopra.

“Prima di tutto dobbiamo trovare anche noi un tema e dei nomi. I nostri genitori avevano maschere da Dalì e nomi di città… sfogate la fantasia e scegliamo anche noi qualcosa del genere!” propone poi Andres, sistemandosi gli occhiali e preparandosi a prendere appunti.

Seguono alcuni istanti imbarazzanti di silenzio per poi, grazie alla simpatia di Dimitri, iniziare a proporre idee.

“Usiamo nomi di militari!” rompe il ghiaccio il russo, prendendo un sigaro e accendendoselo.

“I nostri erano rapinatori, non usavano armi per fare la guerra. Avere dei nomi di militari mi inquieterebbe” risponde Cecilia, facendo una smorfia e bocciando la proposta.

Nomi di letterati? Personaggi dei cartoni animati? Calciatori? Presidenti? Fiori?... queste solo alcune delle tante proposte che lasciano i ragazzi con un pugno di mosche. I giovani, ancora intenti a spremersi le meningi dopo circa un’ora, finiscono per non parlare e lasciar sviluppare i propri pensieri. In quel momento di silenzio nelle loro orecchie rimbomba solo il suono di un concerto per violino e orchestra che genera, in ognuno di loro, la medesima idea.

“Ragazzi…” comincia a dire Nieves, sicura di avere avuto la stessa illuminazione dei coetanei.

“Quello che abbiamo in comune è la musica classica giusto? Possiamo avere nomi di compositori!” esclama felice Ramon, con gli occhi neri lucenti ed emozionati.

“Geniale! Geniale!” afferma Andres, puntando le dita a pinza proprio come suo padre. Consegnato poi un foglio e una penna ciascuno, tutti i ragazzi si rintanano nel proprio silenzio scrivendo una sorta di identikit da esporre poi alla squadra. Trascorrono dieci minuti intensi in cui i ragazzi mettono su carta i propri alter ego, pronti a presentarli alla combriccola. La prima a iniziare è ovviamente Cecilia che, con il suo intuito e organizzazione, si alza in piedi sicura di sé.

“Da oggi mi chiamerete Dvorak, compositore ceco di fine 1800 che ha dedicato la sua vita all’unione tra arte e musica. Proprio come Dvorak anche io adoro i quadri, la pittura e, in onore della sua opera intitolata “Sinfonia dal nuovo mondo”, ho scelto di portare avanti la sua sete di conoscenza per permettere parità di diritti e accettare le diversità”

Cecilia, come descritto dalla sua scelta, era una ragazza dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri come la pece. Magra, ricca di anelli e con gli stessi tratti gitani della madre, voleva diventare un’esperta d’arte. La sua più grande lotta, però, riguardava il femminismo: sua fede intramontabile. Da sua madre Nairobi aveva ereditato la capacità di leadership ed era l’unica, proprio come accadeva per Agata e Silene, che riusciva a placare Nieves.

“Io ho deciso di chiamarmi Bartok. Come tutti sapete Bartok era un etnomusicologo, lavoro che vorrei fare anche io! Mi piacerebbe viaggiare e scoprire la musica del mondo, delle popolazioni, delle tradizioni e lui è il mio spirito Guida. Da oggi, chiamatemi Bartok”

Questa la presentazione di Ramon che, seppur molto somigliante fisicamente alla sorella gemella Cecilia, si dimostra introverso e silenzioso. Ramon, giovane da un folte cespuglio di capelli color ebano e dagli occhi neri come la pece, aveva ereditato la stessa indole paziente del padre, oltre all’amore per le monete che lo accumunava a Nairobi.

“Io, invece, sono Prokofiev. Non c’è molto da dire sulla mia scelta. Sapete dell’amore per la mia terra natia e ritengo, non per orgoglio personale ma a livello oggettivo, che la musica russa sia tra le migliori”

Annuncia poi Dimitri, il figlio adottivo di Helsinki e Palermo. Ragazzo sicuro e in parte tenebroso, aveva un certo fascino grazie agli occhi celesti, ai muscoli, ai capelli biondissimi e ai tatuaggi. Il suo sogno più grande riguardava la medicina: proprio come il padre, anche Dimitri aveva l’ambizione di curare i malati di guerra e, se possibile, combattere con armi e pugni. Per questo motivo il giovane passava le sue giornate ad allenarsi… e fumare illegalmente sigari e bere alcolici di nascosto.

“Io sarò a capo di tutte le nostre avventure e potrete chiamarmi Bach. Perché Bach? Beh, ovvio! È il padre della musica! Dalle sue invenzioni musicali dipendono tutte le opere successive e le sue composizioni hanno dietro una logica e una continua strategia”

Andres, dopo essersi presentato, scosta il ciuffo castano dalla fronte per poi sistemarsi gli occhiali neri. Il sedicenne, proprio come suo padre, aveva ereditato il desiderio di successo e grandezza, oltre a una mente particolarmente geniale. È quindi palese vederlo a capo dell’operazione.

“E tu Nieves?” chiede poi Ramon, notando il silenzio della ragazza che aveva tirato molte righe sul proprio foglio.

“Io ho scelto Mozart” comunica Nieves, accartocciando il foglio e parlando a braccio.

“Perché? Beh… perché lui era un genio! Proprio come sono io nei computer. Mozart era un genio sì, ma anche un pazzo con disturbi psichiatrici e difficoltà… oltre a una grande disperazione. Io sono proprio come lui. Spesso sento una rabbia forte dentro di me che non so come controllare e sapete che faccio fatica a gestire le mie emozioni. Per questo vi chiedo di aiutarmi a frenare il Mozart che c’è in me”

Le parole di Nieves colpiscono tutti i presenti che rimangono in silenzio di fronte alla sua confessione sincera. È Cecilia la prima, come suo solito, a reagire alla situazione. Una volta in piedi, l’amica si avvicina a Nieves, per poi stringerla tra le proprie braccia.

“Vedrai che questo Mozart lo saprai domare… e tirerai fuori il meglio di te!”

Dopo la scelta dei nomi, gli amici finiscono per brindare alle loro nuove identità, ipotizzando i primi esaltanti colpi di scena.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 ***


CAPITOLO 6

Passano diverse settimane e i nuovi piccoli Dalì continuano a incontrarsi periodicamente nelle rispettive case. Visto la grande unione e amicizia dei ragazzi, per i genitori è impossibile dubitare delle loro intenzioni motivo per cui non si soffermano troppo sui continui incontri dei propri figli. L’unica a sospettare qualcosa è Silene che vede peggiorare il proprio rapporto con Nieves.

“Come mai sei tornata così tardi?” domanda Silene, intenta a mescolare il risotto per la cena.

Nieves, noncurante della preoccupazione materna, lascia cadere la cartella per terra, appoggiandosi poi al tavolo della cucina rispondendo con un semplice: “Studiavo”

“Studiare? Ma se sono settimane che ripeti di dover studiare, vi stanno caricando così tanto di verifiche?” si intromette Anibal, distogliendo lo sguardo dal cellulare, per posarlo sulla figlia e squadrarla per bene. Anibal, seppur ancora molto giovane e libertino, presta spesso attenzione ai comportamenti e agli abiti della primogenita, temendo con tutto il cuore che qualcuno gliela porti via.

“Da quando vi importa di come vado a scuola? Mica siete stati voi i primi a non prendervi il diploma? Boh… forse chi nasconde qualcosa qui siete proprio voi e non io come si crede sempre” li accusa Nieves, versandosi un bicchiere d’acqua. In un primo momento i genitori si immobilizzano di fronte all’affermazione, avvertendo un pugno nello stomaco a causa del rimando al loro passato. Nieves aveva ragione: loro le stavano nascondendo qualcosa di grosso ma, pure lei, non era da meno.

Silene è la prima, però, nel cercare di ammorbidire la figlia e ristabilire una serena condivisione di idee. Per questo motivo l’adulta, dopo essersi pulita le mani in uno strofinaccio, si avvicina a Nieves abbracciandola da dietro e appoggiando il proprio mento sulla spalla di lei.

Quel gesto così tenero e materno fa rabbrividire Nieves che tutto si aspettava tranne il calore di Silene. Molte sono le sensazioni che prendono vita dentro di lei: rabbia, amore, serenità, confusione e di nuovo rabbia per tutte le menzogne e per quel trascorso da ladri che non volevano ammettere.

Perché non le avevano detto di chiamarsi Tokyo e Rio? Perché le avevano fatto credere di essere due persone qualunque quando, invece, avevano effettuato la più grande rapina di tutti i secoli?

Nieves era convinta di aver potuto sopportare e tutelare la verità, magari serbandola e assaporandola nel proprio cuore cibandosi delle avventure dei suoi genitori che, in fin dei conti, erano stati dei grandi.

Per questo motivo Nieves mette da parte l’ammirazione e la stima per i parenti, staccandosi bruscamente dalle braccia di Tokyo e aggredendola verbalmente.

“Che cazzo fai?! Ma ti sembra il caso di abbracciarmi così?” sbotta Nieves inalberandosi e alzando il tono di voce.

“Ma che reazioni sono Nieves?!” si stupisce Anibal, accigliandosi e guardando torvo la figlia in segno di rimprovero.

“Scusa se a volte cerco di fare la madre!” le risponde a tono Silene, incapace di gestire i litigi con Nieves mantenendo la superiorità. Gli screzi tra loro sono sempre stati problematici per colpa dei loro caratteri identici. Silene, eterna ragazzina con gli ormoni a palla, impulsiva e volgare, non riusciva a rispondere da adulto a quelle situazioni, motivo per cui si poneva sullo stesso identico livello della primogenita.

“Esatto, sottolineiamo quell’ A volte!” puntualizza Nieves, facendo per andarsene dopo aver lanciato l’ennesima stoccata che ammutolisce completamente Tokyo, colpita in pieno petto da parole taglienti.

Nieves è ormai pronta a imboccare il corridoio quando si trova davanti la sorellina che, avendo ascoltato tutto, ansima con affanno appoggiandosi al muro.

“Leya tutto ok?!” si preoccupa immediatamente Nieves andandole incontro, ma ricevendo un suo rifiuto.

“Perché non puoi stare tranquilla per una volta?! Sempre ad arrabbiarti e urlare!”

Queste le parole della dodicenne, agitata dall’ennesima litigata che le ha innescato un attacco di panico. Nieves, ancora più arrabbiata e pentita, comincia a correre verso la propria camera finendo per chiudersi dentro.

Leya, nel frattempo, viene raggiunta da Silene e abbracciata calorosamente.

“Respira Leya, sai che passa tutto!” le sussurra Tokyo, facendo accoccolare la bambina al proprio petto, accarezzandole dolcemente la guancia.

In seguito al consiglio della stessa Nieves, Leya aveva descritto ai genitori le proprie preoccupazioni e aveva iniziato una terapia. Silene e Anibal avevano reagito tempestivamente al problema, conoscendo molto bene l’effetto del panico e dell’ansia vissuta precedentemente sulla propria pelle.

“Proprio lei mi ha consigliato di parlare con voi di questi momenti che vivo, ma è la prima che non vi parla! Perché vi nasconde le cose che vive?” si lamenta ancora Leya, dispiaciuta dal litigio a cui ha assistito, sognando una famiglia serena e tranquilla.

Anibal e Silene rimangono attorno alla dodicenne per altri minuti finché, una volta cessato l’attacco di panico, non la vedono allontanarsi per recarsi in bagno.

“Che cazzo ci sta nascondendo Nieves?! Perché abbiamo questo rapporto di merda?!” si sfoga allora Tokyo, guardando Rio con il fuoco negli occhi.

“Non deve per forza nasconderci qualcosa. È un’adolescente! Sono stato così io, sei stata così tu e purtroppo avete lo stesso carattere forte e determinato. Magari c’è anche in giro un ragazzo che le piace…che ne sappiamo…” le risponde Rio, aprendole le braccia per accoglierla al proprio petto.

“Hai paura che te la portino via eh papino?” lo prende in giro Tokyo, rilassandosi in quelle braccia che profumano di casa.

“Se tu venissi a sapere che se la fa con uno dei ragazzi della compagnia?” la fa riflettere Rio, rigirando la frittata.

“Li prendo a botte tutti… inclusi i genitori” termina Tokyo ponendosi sulla difensiva ristabilendo, con quelle spensierate affermazioni, il pacato clima domestico.

Il pomeriggio seguente i ragazzi, rintanati nella soffitta di Dimitri, sono pronti ad ascoltare il piano elaborato da Andres in modo da dare il via al loro primo intervento da delinquenti.

“Siamo ancora inesperti e abbiamo molto da imparare. Per questo motivo, come primo attacco, voglio indirizzarmi a un sistema meccanico ed elettronico della scuola. Noi sappiamo quanto siano capienti le macchinette vero? Ho valutato ogni cosa. Le macchinette vengono svuotate ogni venerdì dal personale, grazie a un’apposita chiavetta. Forzare la serratura e rubarne il contenuto desterebbe sospetti, motivo per cui bisogna installare un apparecchio annesso capace di estrarre le monete” inizia a spiegare Andres, servendosi di una piccola lavagna sulla quale disegna la figura di un distributore automatico.

“Secondo i miei calcoli, nelle macchinette ci finiscono circa sui 150 euro al giorno grazie all’acquisto di almeno 20 bottigliette d’acqua, 15 bibite e più di 30 snack. Questo significa che ogni settimana si raggiungono almeno 900 euro. Ora…” continua Andres, cerchiando la cifra con un pennarello rosso, per poi rivolgere lo sguardo a Ramon.

“900 euro fanno già venire l’acquolina in bocca non è vero? Eppure non finisce qui. Dovete sapere che le monete valgono molto di più di quanto crediamo. Ramon mi ha spiegato, da ottimo intenditore, che esistono miliardi di monete celebrative di ogni stato in circolazione che, se non studiate adeguatamente, vengono spese con il loro prezzo apparente. Per questo motivo molto spesso abbiamo tra le mani una moneta da 2 euro che, inconsapevolmente, ne vale almeno 20. Il distributore si nutre prevalentemente di monete, quindi chissà quanti di quei 900 euro sono in realtà monete con un valore superiore?” spiega nel dettaglio Andres consapevole di aver stregato i compagni grazie all’ultimo fondamentale assunto.

“Che figo!” si lascia scappare Nieves, innamorata della spiegazione e, forse, anche del capo banda dai capelli biondo cenere e gli occhiali neri.

“E come facciamo a realizzare tutto questo?” chiede Cecilia, interessata concretamente alla realizzazione del piano.

“Ci ho pensato molto. In sostanza dovremo creare un diversivo per installare un tubo nella macchinetta che riverserà il vero denaro da un’altra parte. Le macchinette non vengono mai spostate, o meglio: sollevate! Per questo motivo, sotto alla macchinetta inseriremo una sacca metallica appositamente saldata, che raccoglierà il vero denaro, trasportato dal tubo collegato. La sacca metallica avrà anche un altro buco nel quale metteremo delle monete sostitutive, studiate nel dettaglio da Ramon e di poco valore, in modo da non destare sospetti quando il personale tecnico svuoterà la macchinetta” conclude poi Andres, dando il via alle domande.

“E come cavolo pensi di farlo? La scuola è sempre in movimento! Passa qualcuno ogni secondo lungo i corridoi e figuriamoci se dei ragazzi intenti a saldare dei pezzi di ferro passeranno inosservati!” fa presente Cecilia, credendo nell’impossibilità del piano.

“Ho pensato a tutto. Dovremo creare tanti diversivi. Dimitri si occuperà della macchinetta. Per una buona saldatura gli occorrono pochi minuti e tutti gli oggetti li avremo già costruiti noi, quindi lui dovrà solo incidere il ferro e apporvi le modifiche. Nieves, grazie alla sua furbizia e alla tecnologia, manderà in tilt il sistema anti-incendio e disattiverà le telecamere, obbligando ognuno a evacuare. Grazie all’evacuazione ricaviamo almeno 20 minuti che risultano più che sufficienti per permettere a Dimitri di lavorare. Noi entreremo in scena il venerdì sera, quando dovremo svuotare la sacca. Opereremo verso le 18.30, dopo aver studiato tutto il pomeriggio a scuola. Dopo aver visto i tecnici svuotare la cassa ricca di monete di poco valore, con una semplice chiave prenderemo il vero bottino e riforniremo di monete finte la macchinetta” aggiunge Andres spiegando il ruolo di ciascuno nella prima rapina.

“Ok, avremo modo di studiarlo nel dettaglio giusto?” si intromette Ramon, spostandosi il ciuffo moro dall’occhio sinistro.

“Ovviamente Bartok!” gli risponde Andres, sorridendogli ampiamente.

“Per me ci sta. Iniziamo a lavorarci!” esclama Nieves stringendo il pugno con energia.

“Ecco la mia donna! Brava!” la carica Andres, donando frasi motivazionali a ogni componente della banda.

Tale affermazione smuove Nieves nel profondo che, colta da una vampata di calore, si gira di scatto per nascondere le gote arrossate. Solo Ramon e Cecilia si accorgono della sua reazione ed è la migliore amica a sorridere per la presunta cotta della piccola hacker.
 

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Capitolo 8
*** CAPITOLO 7 ***


CAPITOLO 7

 
Trascorrono altre settimane dalla realizzazione del piano e i ragazzi si concentrano nella costruzione del materiale necessario. Dimitri e Andres avevano prodotto il tubo e l’impianto necessario a contenere il denaro; Ramon, grazie all’aiuto delle proprie conoscenze, insegnava a produrre monete false con una precisione allarmante; Nieves e Cecilia, invece, si allenavano con i sistemi informatici e studiavano piani di fuga in caso di fallimento.

Un pomeriggio, qualche giorno prima dell’installazione del marchingegno pronto a estrapolare le ricchezze dei distributori automatici, Nieves si reca a casa di Cecilia e Ramon, intenzionata a condividere un pomeriggio di studio e gioco in compagnia.

“Che palle la matematica! Ma chi l’ha inventata?!” chiede Cecilia scocciata, girando annoiata le pagine del libro di algebra.

“Beh, senza quella però non potremmo fare un sacco di cose!” le risponde Nieves, concentrata sul suo esercizio, dondolando la matita gialla tra le dita.

“Tutto serve, sono d’accordo, ma ha anche il diritto di non piacere! Tu, per esempio, odi le lingue… cosa che io adoro” ragiona Cecilia chiudendo il tomo algebrico e versandosi un bicchiere d’acqua.

“Mi sono sempre chiesta come fai a sapere così tante lingue! Io faccio fatica con la nostra grammatica e quella di italiano e spagnolo, figuriamoci conoscere e saper parlare fluidamente anche tedesco e francese!” si complimenta Nieves, affascinata dalla capacità dell’amica.

“Non pensi che sia strano?” domanda allora Cecilia, facendosi improvvisamente più dubbiosa e seria.

“Che cosa?” ribatte Nieves, continuando a roteare la matita.

“Da un certo punto di vista è come se ognuno di noi avesse ereditato una dote dai nostri genitori. Insomma… tu sei brava in informatica come tuo padre, Andres è un genio come Sergio, Ramon un falsario come mia mamma, io aperta ai viaggi e sicura di sé come papà! Anche Dimitri, nonostante l’adozione, è bravissimo nei lavori manuali e nella medicina! Pensi che i nostri siano stati dei geni? O che in parte ci volessero vedere ladri un giorno?” rivela perplessa Cecilia, mandando in confusione l’amica che, irrigidita dall’argomento, lascia cadere la matita sul tavolo.

“Avranno pure tante doti ma il fatto di averci nascosto la verità mi porta a pensare che non ci volessero vedere a rubare. Anche se questo richiamo io l’ho sempre sentito…” si limita a rispondere Nieves, toccata dall’argomento famiglia.

“Già. Io avrei davvero voluto che mamma mi parlasse di Axel. A volte fatico ad addormentarmi da quanto ci penso. Lei spacciava per vivere, le hanno tolto il figlio solo perché lui si è messo a imitare Spiderman. Ha pagato la sua pena e una volta uscita non le hanno ridato il bambino, quando invece ne aveva tutto il diritto. Spesso penso a cosa possa sentire mamma… nel sapere di avere un figlio in giro per il mondo che forse manco si ricorda più di lei” parla Cecilia a cuore aperto, con occhi inumiditi.

“Tutti i nostri hanno avuto un brutto passato. Anche io vorrei tanto conoscere il motivo per cui mio padre non riallaccia i rapporti con i suoi genitori o che cazzo abbia vissuto mia madre per essere la grande stronza che è” aggiunge Nieves incrociando le braccia sul tavolo e appoggiandovisi sopra la testa.

“Non devi volerne così a male per Silene. Alla fine è anche la mia seconda mamma, così come Agata è la tua. Siamo cresciute insieme grazie all’unione delle nostre mamme e devo dire che hanno fatto un buon lavoro. Silene ti ama con tutta sé stessa, soprattutto dopo quello che ti è successo” la ammonisce Cecilia, guardandola negli occhi con rimprovero. Non le piaceva che si parlasse male di Silene, perché quella donna c’era sempre stata. L’aveva vista consolare la mamma, litigare con papà, ci aveva dormito insieme, si era fatta curare tagli, cicatrici e asciugare le lacrime. Silene era una presenza costante e odiava il modo in cui Nieves la disprezzava.

“Vado un attimo in bagno” cambia argomento Nieves, alzandosi dal tavolo del soggiorno per dirigersi al piano di sopra. La ragazza è immersa nei suoi pensieri quando sente Ramon borbottare tra sé e sé nella propria camera. Nieves si accosta alla porta notando l’amico dai folti capelli neri sdraiato sul letto, intento a studiare accuratamente una moneta.

“Le stai facendo una confessione d’amore?” lo interrompe Nieves entrando nella stanza azzurra dell’amico. Ramon, preso alla sprovvista, interrompe il contatto con la moneta mettendosela d’istinto in tasca e sedendosi di scatto.

“Nieves, mi hai spaventato!” risponde lui ponendosi una mano sul cuore e riprendendo il respiro, per poi sdraiarsi nuovamente.

“Non volevo disturbarti in realtà… sono solo rimasta colpita dalla tua concentrazione” si scusa Nieves, per poi sdraiarsi accanto all’amico sul suo letto. Ramon, a causa della propria timidezza, non riesce a nascondere l’imbarazzo che gli tinge di rosso le gote. Il ragazzo sapeva di avere questo problema fisiologico ma non se ne vergognava mai. Tutti, infatti, sapevano della sua particolare sensibilità e riservatezza, abituandosi alle trasformazioni del suo corpo.

“La moneta che stavo guardando è una delle mie preferite” prende parola Ramon, togliendosi dalla tasca una meravigliosa moneta da due euro, pulita e luccicante.

“Devi sapere che tutti gli anni, ogni stato produce delle monete commemorative. Sulla moneta viene inciso il simbolo caratterizzante di quell’anno. La mia preferita è questa” spiega Ramon, porgendo all’amica il cimelio. Nieves tiene tra le mani la moneta da due euro sulla quale vede disegnato un omino stilizzato che tiene per mano il simbolo dell’euro. Sotto all’immagine è presente la scritta UEM 1999-2009.

“Questa è la moneta commemorativa spagnola del 2009, anno in cui ricorrevano i 10 anni di Unione Economica Monetaria detta UEM” inizia a descrivere Ramon, per poi stringersi maggiormente a Nieves in modo da indicarle le particolarità della moneta.

“Il disegno del primitivo rappresenta l’evoluzione dell’economia, fino al raggiungimento della moneta unica. Qui troviamo la scritta Espana e attorno le 12 stelle caratteristiche degli stati europei”.

Ramon interrompe un momento la descrizione per poi puntare il dito verso una minuscola incisione mostrante una M maiuscola con in testa una corona.

“Questa M coronata è il simbolo della Zecca di Madrid...” afferma lui malinconico, senza aggiungere altro. I ragazzi rimangono in silenzio contemplando quella semplice M che ormai li accumunava.

“Ricordo benissimo l’anno in cui mamma mi regalò questa moneta. Mi arrivò per Natale, ero piccolo e all’inizio non ne compresi il significato…” comincia a spiegare Ramon, per poi permettere alla propria mente di rivivere il ricordo.

8 anni prima…

Due bambini di circa otto anni erano intenti a giocare con un trenino di legno, davanti al camino acceso di casa. Il crepitio della legna, il calore emanato dal fuoco, l’albero di Natale illuminato e le calze appese alle pareti rendevano l’atmosfera gioiosa e serena. Seduti sul divano erano presenti due adulti, abbracciati l’uno all’altra con un bicchiere di spumante in mano.

“Quando gli diamo i regali?” sussurra Santiago, nascondendo la propria bocca con la mano.

“Quando ce li chiedono direi!” risponde divertita Agata, respirando a pieni polmoni quella serenità che aveva sempre sognato. La donna osserva innamorata i propri bambini: la vivace Cecilia dai codini neri e lo sguardo furbo e il tranquillo Ramon, con i suoi folti capelli neri che doveva tagliargli in continuazione. I gemelli erano stati una vera e propria sorpresa, ma anche la ricompensa al suo desiderio di maternità che con Axel le era stato strappato via. Ogni Natale, infatti, un macigno le pesava sul cuore contenente il ricordo di quel figlio scomparso che non aveva potuto ritrovare. Il suo bambino aveva all’incirca diciotto anni ormai, ma nel cuore non passava secondo senza pensare a lui.

“Mamma, mamma! I regali?!” chiede una piccola Cecilia, saltellando sul posto emozionata.

“Che ti avevo detto?” ride divertita la ex Nairobi, sorridendo al marito posandogli un dolce bacio a stampo, per poi invitarlo ad alzarsi per consegnare due grossi pacchi identici ai gemelli.

I bambini, felici per la novità, si accingono a scartare la carta scoprendo due monopattini nuovi che desideravano da tempo. Il monopattino di Ramon era azzurro e quello di Cecilia rosa. La suddivisione dei colori, considerati più appropriati per maschi o per femmine, pare sconvolgere la piccola Cecilia che, nonostante la propria ingenuità, si mostra triste e rassegnata.

“Ma…il mio colore preferito è l’azzurro… il rosa proprio non mi piace!” sussurra la piccola a bassa voce, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime. Tali parole vengono colte solo da Ramon che, toccato dalla delusione della compagna di avventure, compie un gesto che lascia tutti senza parole.

“Tieni il mio. A me va bene anche quello rosa. È un bel colore comunque!” la tranquillizza Ramon, porgendole il proprio regalo. Tutta la famiglia rimane stupita da quel gesto di estrema maturità.

Vedere una bambina dal monopattino azzurro non desta commenti, ma un bambino con il monopattino rosa poteva subire critiche e prese in giro! Bogotà e Nairobi rimangono attoniti di fronte alla scena, lasciando liberi i propri piccoli di effettuare lo scambio. È Nairobi la prima a rivolgere uno sguardo orgoglioso al marito, per poi mettersi una mano sulla bocca in modo da contenere l’emozione.

Agata, mossa da una profonda felicità, si allontana pochi secondi per poi tornare con qualcosa in mano.

“Ramon, vieni un attimo con me?” le chiede Agata, invitando il figlio a seguirla in cucina. Una volta soli è la mamma a inginocchiarsi e mostrare l’oggetto custodito nelle mani.

Ramon osserva attentamente i gesti dell’adulta per poi scrutare attentamente una moneta comparsa sul palmo della mano colma di anelli della madre.

Il luccichio e il disegno della moneta colpiscono immediatamente Ramon che si scosta il ciuffo dalla fronte e spalanca gli enormi occhi neri, mangiando voracemente la sua nuova passione.

“Potrà sembrarti una moneta e basta ma per me è molto di più. Io ho sempre amato i soldi non solo per il loro valore, ma per il significato che portano in sé. Questa moneta da due euro festeggia un anniversario e racconta la storia dell’uomo che, anche se stilizzato e disegnato male, ha lottato tutta la vita per creare qualcosa di buono per tutti. In questo caso parliamo dell’euro, ma le monete possono anche parlare di noi” spiega Nairobi, facendo sedere il bambino sulle proprie gambe e descrivendogli punto per punto i dettagli della moneta.

“Questa moneta rappresenta il bellissimo gesto che hai compiuto stasera: hai sacrificato qualcosa di tuo per vedere il sorriso di tua sorella. Te la regalo… promettimi che ne avrai cura” conclude poi Nairobi, ponendo la moneta nella mano del figlio e facendogliela chiudere.

Ramon rimane ancora esterrefatto e, preso dalla curiosità, apre immediatamente la mano finendo per incrociare gli occhi dalla continua analisi della moneta.

“Mamma, è il più bel regalo di Natale di sempre! Ti prego, mi permetti di fare una collezione di monete? Così me le puoi spiegare tu!” conclude il piccolo Ramon, cingendo il collo della madre in un abbraccio e godendosi il calore del gesto. Da quel giorno nacque la sua passione per il collezionismo.

 
Ramon guarda attentamente la moneta e continua il discorso a Nieves.

“Questa moneta è sempre stata tutto per me. La cosa che mi sconvolge è che, senza saperlo, questa moneta parla anche della Zecca di Stato… il luogo dove i nostri hanno effettuato la rapina” taglia corto Ramon, per poi riprendere coraggio e continuare il discorso.

“Rubare non è sbagliato! Queste sono il frutto della fatica dell’uomo e non è giusto che i governi se ne arricchiscano. La cosa che la gente non capisce è che alla fine questo è solo metallo… ma se usato correttamente può far del bene a tutti” spiega Ramon, consapevole di aver parlato in modo ambiguo.

“Wow… questa storia mi ha colpita tantissimo” riesce a biascicare Nieves non trovando le parole giuste. La storia di Ramon l’ha emozionata e le ha permesso di conoscere un po’ quell’amico che, fin da piccoli, non rivelava mai nulla di sé.

“Sei una persona fortissima Ramon… è una fortuna per me essere tua amica” aggiunge ancora Nieves, rigirandosi la moneta tra le dita. È allora che Ramon compie un gesto inaspettato. Il ragazzo si alza in piedi velocemente per poi estrarre, da una scatolina sul comodino, un’altra moneta. Ramon si sdraia nuovamente sul letto per poi consegnare la moneta a Nieves.

“Ma sono uguali…” denota lei ponendo le monete a confronto.

“Sì… ne ho comprata un’altra nel caso in cui perdessi l’originale che mi ha dato mamma. Tienila, è tua” aggiunge Ramon, invitando Nieves ad accettare il dono.

“Sei impazzito? Perché? Non devi!” si stupisce Nieves, colpita dal regalo che apprezza con tutto il cuore.

“Invece sì, te la do per due motivi. Prima di tutto per ringraziarti di avermi ascoltato e aver condiviso con me una parte del mio passato. Come seconda cosa…spero che questa moneta possa aiutarti a capire l’importanza delle tue radici, proprio come ha fatto con me” spiega Ramon con estrema maturità, abbozzando un sorriso.

Nieves si ammutolisce di fronte al discorso dell’amico e, ricambiando il sorriso, lo ringrazia per l’impegno di lui e sua sorella nel placare il suo carattere giudicante e difficile che la stava allontanando dalla famiglia.

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Capitolo 9
*** CAPITOLO 8 ***


CAPITOLO 8


Siamo ormai agli inizi di marzo e i giovani hanno terminato la costruzione di tutto l’occorrente per effettuare il furto. Dimitri e Andres avevano realizzato una sacca di metallo con porte annesse da aprire per permetterne carico e scarico, un tubo per convergere il contenuto nella sacca e varie valvole, bulloni, e colle. Si erano anche allenati nella saldatura, mentre Ramon aveva costruito una miriade di monete false di tutti i valori, oltre ad aver inserito anche monete di scarto delle sue collezioni. Il giorno dell’applicazione del marchingegno era ormai alle porte e i giovani, seppur coraggiosi ed emozionati, avevano lo stomaco chiuso e tremavano di paura.

“Che cazzo sono quelle facce?! Se vi fate vedere agitati la gente nutrirà dei sospetti!” li rimprovera Andres, scuotendo leggermente Ramon che appare assorto nei suoi pensieri.

“Si chiama adrenalina Andres” lo stuzzica Nieves, giocando con i laccetti della cartella, guardando con un ghigno l’ingresso dell’istituto scolastico.

“Quindi ci siamo” denota Cecilia annuendo energicamente e scrutando, con i profondi occhi neri, il muro incrostato e vecchio di quella scuola che a breve avrebbero conquistato.

“Ora ricordate come ci siamo organizzati ok? Nieves fai partire l’allarme e corri fuori con Cecilia, prendendo più tempo possibile. Noi maschi ci occuperemo della macchinetta” ricorda attentamente Andres, incoraggiando gli amici. Il giovane dai capelli castani si avvicina poi a Nieves e, accostando la bocca al suo orecchio, le sussurra:

“Confido in te, sei fortissima! Spacca tutto piccola!”

Quel “piccola” pronunciato con parole così fini e in parte eccitanti, smuovono Nieves nel profondo. La vicinanza del ragazzo, il tono della sua voce calda e sensuale, il profumo e il ritmo del suo respiro le fanno venire la pelle d’oca su tutto il corpo. Il gesto viene captato da Dimitri e Ramon che distolgono lo sguardo imbarazzati, grattandosi impulsivamente la fronte e mostrandosi vagamente interessati a un cestino colmo di fazzoletti di carta.

Ore 10.00

Nieves tamburella la matita sul banco, portandosela alla bocca e muovendola tra le dita senza sapere che, molti anni prima, anche sua madre compieva gli stessi tic. Silene e Nieves, madre e figlia talmente diverse da denigrare la somiglianza intrinseca. Arroganti, testarde, indipendenti, infantili e tremendamente coraggiose. Così coraggiose da non sapere di essere sulla stessa strada e che, di madre in figlia, il dono del tranello e del furto si stava ripercorrendo.

Nieves fissa attentamente l’orologio, ricordando il minuto preciso nel quale le era stato chiesto di agire. Il suo piano era stato avviato un’ora prima quando, per colpa di un piccolo virus, era riuscita a intaccare il sistema elettronico della segreteria scolastica, aspettando che qualcuno la venisse a chiamare per risolvere l’intoppo. Nieves è in attesa e il suo cervello elabora un conto alla rovescia che si spegne con l’arrivo del suono di alcune nocche che battono sulla porta.

“Mi scusi professoressa, sono stata incaricata dal signor Ornister di chiamare Nieves Cortes per un problema tecnico”

Queste le parole di Cecilia che danno inizio al piano, mostrando le due ragazze intente a recitare una parte ben programmata.

“Certo! Nieves vai pure!” risponde la docente, riprendendo immediatamente la lezione senza particolari sospetti. Nieves, infatti, grazie alle proprie doti informatiche, veniva chiamata spesso per risolvere gli errori tecnologici della scuola.

Le due amiche camminano spedite lungo il corridoio, dirette verso la sala di controllo, senza scambiarsi una parola. Si muovono in silenzio per non destare sospetti e, una volta nei pressi della porta, le due si salutano interagendo esclusivamente con gli occhi.

“Eccomi signor Ornister!” saluta Nieves, contenta di trovarsi davanti al professore di informatica, decisamente incompetente rispetto a lei. Toccare il sistema informatico scolastico era un gioco da ragazzi per Nieves, visto l’incapacità del professore che manco era in grado di installare gli aggiornamenti. Nieves era la sua ancora di salvezza, motivo per cui era anche la sua preferita.

Preferenza che cade a pennello alla situazione permettendo a Nieves di lavorare senza intoppi, grazie a un professore che si fida ciecamente di lei.

“Oh Nieves! Meno male che sei qui! Non riesco a togliere questo malware che non permette di accedere ai registri dei professori. Vedi un po’ che cosa puoi fare. Io ti lascio lavorare, ho un’ora con le prime dopo. Resta pure tutto il tempo necessario, ho già avvisato della tua presenza qui”

Le parole del professore servono la vittoria su un piatto d’argento e Nieves, una volta avvertita la chiusura della porta, sorride maliziosamente dando via al piano.

In men che non si dica il virus viene eliminato, in modo da coprirsi le spalle in seguito. La ragazza schiaccia i tasti del computer convulsivamente, a una velocità impressionante e ripete a bassa voce dei caratteri alfanumerici. La concentrazione è alle stelle e nemmeno un’ipotetica tempesta o un terremoto avrebbero potuto schiodarla da lì. Dieci minuti di lavoro e tutte le telecamere della scuola vengono disattivate, riproponendo sul monitor delle immagini statiche preregistrate. Toccava ora alla parte più entusiasmante: l’innesto dell’allarme antincendio. Nessuno avrebbe osato colpevolizzare Nieves, non solo perché considerata salvatrice dei problemi tecnologici della scuola, ma anche perché risulta impossibile immaginare di far partire un allarme attraverso un computer. Nieves inspira profondamente e, dopo aver ascoltato la campanella dell’intervallo, fa un semplice doppio click che porta l’intera scuola a rimbombare di suoni.

Nieves si prende qualche minuto per sistemare la situazione sul computer, in modo da non destare sospetti, per poi correre fuori e unirsi alla folla con lo stesso identico sguardo spaesato e preoccupato.

In men che non si dica la scuola viene evacuata, tranne Ramon, Andres e Dimitri che, chiusi in un bagno, attendono il momento proficuo per uscire.

“Ci siamo! Produttivi e veloci…” afferma Andres aprendo le danze e aiutando gli amici a trasportare i materiali fino alle macchinette. La procedura appare lineare e senza imprevisti. In pochi minuti, grazie all’allarme martellante nelle orecchie e ai corridoi completamente vuoti, i ragazzi riescono a sollevare la macchinetta con un apposito crick, insinuandosi al di sotto di essa.

Ramon, esaltato dall’attività ma anche terrorizzato, passa tremante gli attrezzi richiesti a Dimitri che, senza neanche una parola, striscia al di sotto della macchinetta lavorando con il volto immerso nella polvere.

“Come procede?” chiede Andres, intento a installare la serratura dietro alla macchinetta che permetterà l’estrazione del denaro.

“Il tubo è stato messo, ora manca la sacca” risponde affaticato Dimitri, stranutendo di tanto in tanto per l’accumulo di sporcizia.

Ramon, intanto, tiene monitorato il cellulare in modo da ricevere informazioni sulla situazione esterna da parte dalle ragazze.

Fuori dall’edificio, infatti, gruppi di giovani e professori occupavano ordinatamente alcuni angoli dei cortili e dei giardini. Nieves e Cecilia, organizzate in modo da finire con la preside che insegnava loro italiano, tendono le orecchie in attesa di avvertimenti.

“Professoressa, l’allarme indicava la palestra ma non vi abbiamo trovato nulla. Deve essere stato un cortocircuito!” spiega un tecnico rivolto alla preside che, molto più serena, dà ordine di compilare i registri e rientrare nell’edificio.

Il piano sembra andare in frantumi in pochi istanti, motivo per cui le due ragazze si squadrano da cima a fondo deglutendo con forza.

“Che cosa facciamo?” chiede Nieves senza idee, non riuscendo a ragionare.

“Io farò finta di svenire! Tu corri dentro con la scusa di prendermi del ghiaccio e vai a riattivare l’allarme collocandolo in un nuovo punto dell’edificio! Sempre lontano dal piano delle macchinette!” la coordina Cecilia mantenendo il sangue freddo.

Nieves, consapevole di dovercela fare per non mandare tutto in frantumi, si limita ad annuire e ad assistere al finto svenimento dell’amica.

Cecilia, infatti, comincia a tossire con voga attirando l’attenzione di tutti i presenti. La ragazza trattiene spesso il respiro, in modo da tingere le guance di rosso e far credere di essere entrata in contatto con del fumo.

“Lopez tutto ok?” domanda la preside avvicinandosi alla ragazza che, dopo l’ennesimo colpo di tosse, alza gli occhi al cielo e cade a terra priva di sensi.

Il panico torna sovrano e molti alunni e docenti si stringono attorno alla finta svenuta che, grazie a un’ottima recitazione, riesce a mostrare un respiro irregolare.

“Oh no! Lei era in palestra! In effetti mi diceva di aver sentito puzza di fumo! Ne avrà forse respirato un po’?!” si preoccupa una compagna di classe consegnando inconsapevolmente un punto a vantaggio dei piccoli ladri.

“Non credo, le capita spesso! È la mia migliore amica! Ha solo bisogno di un po’ di ghiaccio e di un bicchiere d’acqua! Ci penso io!” si fa avanti Nieves, agendo con tranquillità e facendo intuire ai docenti di sapere come gestire la situazione.

“Muovetevi! Farò ripartire l’allarme ma non se la berranno a lungo!” scrive velocemente Nieves a Ramon che, spaventato, fa segno ai compagni di sbrigarsi.

“Ci servono ancora 5 minuti” risponde Dimitri, intento a saldare la sacca, lasciando ad Andres il compito di riempire il contenitore di monete finte.

Nieves riceve l’indicazione degli amici e corre ancora in sala di controllo dove, a causa dell’agitazione e della stanchezza, fatica a ricordare la procedura per l’allarme. La ragazza si stringe le tempie con le dita, ricominciando a parlare da sola una lingua informatica che solo lei conosceva.

“Non posso averla dimenticata proprio ora!” afferma tra sé e sé, dandosi una pacca sulla fronte come a voler chiedere al cervello di risvegliarsi. Nieves comincia a sudare freddo e sente le dita impotenti e congelate, come se il sangue si fosse rifiutato di percorrerle. Nieves si sente fragile, vulnerabile ma, ancora una volta, dimentica di avere lo stesso identico carattere di sua madre. In poco tempo, infatti, Nieves ricomincia a scrivere sulla tastiera bofonchiando e permettendo alle gocce di sudore di scenderle lungo l’esterno delle guance.

“Sono una figa da paura!” urla a gran voce Nieves, asciugandosi il sudore dalla fronte per poi premere invio e sentire, con grande piacere, il suono dell’allarme.

Soddisfatta e felice come non mai, la ragazza corre all’esterno con ghiaccio e acqua facendo finta di non aver visto nulla, ma con il cuore a palla per le emozioni provate.

“Raga! Ci siamo! Ci siamo!” afferma Andres, dichiarando il termine dell’opera e riordinando gli attrezzi, lasciando a Ramon l’onore di appurarne la funzionalità.

Il ragazzo dai capelli neri si guarda attorno ansimante, per poi prendere una moneta e inserirla nel distributore. Dopo alcuni attimi di suspense ecco il piccolo oggettino ruzzolare giù dal nuovo tubo e finire nella sacca appositamente saldata.

I ragazzi rispondono all’avvento del piano riuscito con salti di gioia, finendo per abbracciarsi calorosamente con dei grandi sorrisi sul volto.

Il rientro nella scuola si svolge con tranquillità, senza sospetti o preoccupazioni. Dopo aver constatato, da parte dei docenti, di un difetto nel sistema dall’allarme, Nieves e i compagni si dirigono verso le rispettive classi. Cecilia, dopo aver bevuto e finto un abbassamento di pressione, accetta di andare in infermeria per poi calmare i professori e rasserenarli. Nieves, durante il tragitto, passa davanti alla macchinetta truccata meravigliandosi della sua bellezza e della bravura dei ragazzi nel rimetterla nello stesso identico posto di prima.

In fondo al corridoio, uscendo dal bagno, Andres si guarda intorno fiero per poi scorgere Nieves e correrle incontro.

Tra i due non ci sono parole, non ci sono sguardi, ma c’è solo il gesto inaspettato e fermo di Andres che si fionda sulle labbra di Nieves, stringendole il viso tra le mani e sancendo con un energico bacio la riuscita della loro prima grande avventura.

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Capitolo 10
*** CAPITOLO 9 ***


CAPITOLO 9


La notte del colpo nessuno riuscì a dormire. Ramon, sdraiato nel suo letto dalle lenzuola azzurre, pensa e ripensa alla giornata, rivivendo i gesti compiuti. I suoi occhi scrutano il soffitto buio e le mani, nascoste dietro alla nuca, contribuiscono alla sua aria sognante.

Cecilia, nella camera accanto, preferisce sfogare la tensione leggendo un libro sotto le coperte. Il colpo l’ha particolarmente scossa e, dopo aver inscenato lo svenimento e aver tranquillizzato i genitori di stare bene, spera di riuscire a prendere sonno leggendo un libro.

Nieves, dal canto suo, non riesce a prendere sonno per un altro motivo: il bacio con Andres. La sedicenne avverte ancora le proprie labbra in fiamme e, incredula, se le sfiora con le dita cercando di memorizzare il sapore del ragazzo di cui era cotta. Quello non era il suo primo bacio perché il suo istinto, ereditato dalla madre, l’aveva fatta ubriacare più volte incontrando le bocce di varie persone. Il bacio di Andres, però, le fa battere forte il cuore e le suscita sensazioni mai provate prima. È come se il ragazzo l’avesse stregata e in parte indebolita, mostrando un lato tenero e innamorato che nemmeno lei conosceva.

Ma cosa significava esattamente quel bacio? Andres era innamorato di lei oppure quello era solo un simbolo di gioia?

Da vera adolescente la povera Nieves si gira e rigira nel letto, disturbata da tutte quelle paranoie che le mandano il cervello in confusione. Nieves avrebbe voluto alzarsi, correre a casa di Andres, chiedergli le sue intenzioni per poi ribaciarlo con foga. Sì…perché Nieves non vedeva l’ora di fiondarsi nuovamente su quelle labbra morbide e inebrianti.

La ragazza si muove disordinatamente i capelli bruni, scostandoli dalla faccia, prendendo poi il cellulare per scrivere un messaggio alla migliore amica.

“Sei sveglia?” recita il messaggio di Nieves, al quale non tarda la risposta di Cecilia, che ha accantonato la sua lettura.

“E chi dorme dopo una giornata come questa?”

“Già… a chi lo dici!” risponde Nieves spalancando gli occhi e mangiandosi le labbra, desiderosa di confidarsi con l’amica, ma al contempo titubante.

“Quando metti i tre puntini è perché ti è successo qualcosa” digita Cecilia inarcando le sopracciglia, a dir poco convinta.

Nieves attende a rispondere e, dopo aver cancellato mille volte il messaggio, si limita a scrivere:

“Andres mi ha baciata”

La reazione di Cecilia non tarda ad arrivare, visto che la stessa si porta una mano sulla bocca e scatta in avanti seduta sul letto.

“Cosa?! Ma quando?! E adesso!?” scrive Cecilia, non riuscendo a contenere l’entusiasmo.

“E adesso non so un cazzo. Andres è strano, sai che non gli interessano le relazioni serie e in parte anche a me. Eppure mi ha completamente stordita! Non so il significato del bacio…” risponde Nieves, mostrando le proprie preoccupazioni.

“Domani gli dovrai parlare… e vedi di tenere la testa sulle spalle!” la ammonisce subito Cecilia, per poi sbadigliare e augurare la buonanotte alla migliore amica che cede anch’essa alle braccia di Morfeo.

Il giorno seguente per tutti i giovani risulta difficoltoso alzarsi dal letto, atteggiamento che suscita l’interesse delle famiglie impegnate a sollecitare la sveglia dei figli.

“Nieves? Oh?” la scuote dolcemente Leya, già pronta con la cartella sulle spalle.

Nieves, dopo qualche brontolio e smorfia, spalanca gli occhi per poi saltare in piedi e prepararsi forsennatamente.

“Hai dormito con il cellulare addosso? Sai che papà ha detto di non farlo che passano le radiazioni!” la sgrida la dodicenne, pienamente convinta dell’avvertimento paterno.

“Oh insomma Leya! Non rompere il cazzo ok?!” sbotta Nieves agitata, buttando un quaderno dentro la cartella per poi uscire dalla stanza senza rendersi conto di aver trattato male la sorellina.

Leya, infatti, rimane turbata dal comportamento strano della maggiore e, incuriosita, si ripromette di indagare sulla faccenda.

I ragazzi, visto il ritardo, percorrono la strada velocemente senza scambiarsi una parola. Nieves, particolarmente imbarazzata, cerca lo sguardo di Andres accorgendosi, però, di una totale apatia nei suoi confronti. La ragazza getta uno sguardo a Cecilia leggendo nei suoi occhi l’invito di affrontare il ragazzo, per comprendere le sue reali intenzioni. È così che Nieves, coraggiosa e impavida, decide di rompere il ghiaccio spiazzando tutti i presenti:

“Comunque, se vi interessa saperlo, ieri Andres mi ha baciata”

La rivelazione pietrifica completamente i presenti, in particolar modo Ramon e Dimitri che si fermano sulla strada come se stessero giocando a “un due tre stella”.

L’uscita di Nieves fa scoppiare a ridere Cecilia e, al contempo, permette ad Andres di ragionare sulle proprie azioni. Il capo della piccola banda, infatti, sente il calore divampare nelle guance e, intimorito e goffo come il padre, si limita a stringere i pugni per poi sistemare freneticamente gli occhiali neri.

“Ognuno ha i suoi modi di festeggiare!” commenta Andres, facendo l’occhiolino a Nieves che, seppur imperterrita nella propria decisione, cede a un dolce sorriso.

“Quindi, anche io per festeggiare potrei mettermi a limonare qualcuno? Cecilia, possiamo?” ironizza Dimitri, ricevendo l’occhiataccia della figlia di Nairobi, per nulla contenta della proposta.

“Direi che hanno bisogno di stare da soli…” si intromette Ramon completamente paonazzo, cominciando a spingere Cecilia e Dimitri in modo da isolare i nuovi piccioncini.

Nieves e Andres si fermano e si siedono su un piccolo muretto logoro e in pessimo stato, trovando il coraggio per affrontarsi.

“Mi hai baciata per divertimento? O te ne frega qualcosa di me?” sbotta subito la bimba di Tokyo, incrociando le braccia e affrontando i propri demoni.

Andres, agitato e spaesato dalla situazione, si limita a camminare avanti e indietro cercando di aprirsi per la prima volta nella propria vita.

“Io tengo tantissimo a te! Non so perché ma ho sempre provato attrazione per te, anche se non sono bravo a dimostrarlo!” comincia a spiegare il sedicenne, spostandosi un ciuffo castano chiaro dall’occhio destro.

“Non ho mai avuto storie serie Nieves! Ieri ero su di giri e ti ho baciata, perché sentivo di farlo! …ma non posso negare quanto mi sia piaciuto e come mi abbia fatto battere il cuore” continua lui, per poi prendere una nuova pausa.

“Ma…?” lo aiuta Nieves, intuendo una parte negativa del discorso.

“Ma ho paura di rovinare tutto! Non ho mai avuto delle storie, ma solo avventure di divertimento! Io tengo talmente tanto a te che avrei paura di perderti. Se ci dovessimo mettere insieme seriamente, potremmo rischiare di distruggere la nostra amicizia… e io questo non posso permetterlo” si libera Andres, parlando con il cuore in mano e mostrando una problematica vera e sentita per dei sedicenni.

Anche Nieves aveva pensato a quell’aspetto. Alla fine avevano solo sedici anni e la probabilità di amarsi veramente e di durare come coppia era bassa. Non potevano distruggere tutto! Eppure Nieves sente di provare una forte attrazione verso di lui, motivo per cui esprime sinceramente i propri desideri:

“Non ho dormito tutta notte. Avevo solo il sogno di tornare da te… e di baciarti di nuovo”

Queste le parole che risvegliano l’animo freddo di Andres, colpito in pieno petto da una dichiarazione che mai nessuna gli aveva rivolto. Emozionato e felice dell’apprezzamento, si avvicina di nuovo alla ragazza e, dopo averle sfiorato il volto con le dita, congiunge le proprie labbra alle sue.

Gli occhi dei ragazzi si chiudono immediatamente, mentre le labbra inumidite cercano il perfetto incastro. Un bacio più dolce e sensuale di quello del giorno prima, profondo e gustato a pieno, tanto da prendersi anche la confidenza di far conoscere le proprie lingue.

“Quindi stiamo insieme?” si stacca improvvisamente Nieves, desiderando delle risposte.

“Sì… non posso fare a meno di te” risponde Andres, togliendosi gli occhiali per poi riprendere il bacio.

“Noi vediamo come va, ma promettiamoci di non rompere nulla. Divertiamoci anche un po’, che ci fa bene” lo tranquillizza Nieves, per poi sancire di nuovo l’unione con un bacio più movimentato e appassionato.

In lontananza, proprio nei pressi della scuola, qualcuno pare osservarli e quel qualcuno, addolorato, si limita ad abbassare la testa e ad andarsene.


Nel pomeriggio…

La piccola Leya, dopo aver terminato i compiti, era solita utilizzare il computer per giocare a qualcosa o per scriversi con amiche e conoscenti. La sua era un’attività illecita che le era stata proibita ma i suoi genitori non sapevano che, se Nieves era brava in informatica, Leya era particolarmente abile nel mentire e nascondere la verità.

Leya era considerata troppo piccola per i social networks, motivo per cui i genitori controllavano repentinamente i suoi apparecchi elettronici. La ragazzina, però, si era impossessata di un altro piccolo dispositivo tecnologico regalatogli dall’amichetto Noah, figlio di Denver e Stoccolma. Noah aveva affermato di non utilizzarlo più, donandolo all’amica in cambio di qualche pacchetto di figurine.

Leya, quindi, trascorreva un po’ di tempo su Facebook, Instagram e su un altro social poco noto dove poteva scrivere a persone di tutto il mondo. Nell’ultimo periodo aveva iniziato a conoscere un ragazzo di 14 anni, proveniente dal Portogallo, al quale raccontava tutte le proprie vicende.

“Com’è andata oggi a scuola?” scrive Leya al giovane di nome Leroy.

“Una palla…abbiamo fatto delle noiosissime equazioni. A te invece? Com’è andata la giornata?” risponde lui.

“Tutto bene, a parte mia sorella che mi è sembrata molto strana. Stamattina si è svegliata tardi, ha dormito con il telefono addosso, era agitata e mi ha risposto male. Non lo ha mai fatto! Ma forse so perché fa così…” digita velocemente Leya, aprendosi con lo sconosciuto.

“E perché?” risponde la nuvoletta azzurra di Leroy.

“Secondo me perché ha un ragazzo. Oppure non lo so…spesso nasconde davvero dei misteri!” afferma Leya in modo vago.

“Beh, tutti noi nascondiamo dei misteri” risponde Leroy, allegando al messaggio l’emoji di una maschera bianca.. con due lunghi baffi neri.

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Capitolo 11
*** CAPITOLO 10 ***


CAPITOLO 10

Quella settimana colma di avvenimenti sembra volare, portando i ragazzi a organizzare il proprio piano di estrazione dell’oro dalle macchinette. A differenza dal momento dell’installazione, rimuovere le monete vere grazie a una semplice chiave non sembra spaventarli.

“Oggi pomeriggio dobbiamo prendere i soldi e rifornire la macchinetta di denaro falso. Ramon, hai portato tutto?” chiede Andres, rivolto all’amico che risponde agitando uno zaino colmo di monete.

“Ma i tuoi non ti chiedono niente per tutte le monete che crei?” chiede incuriosito Dimitri, schiacciando con un piede la sigaretta che ha appena buttato a terra.

“Vedi di raccoglierla e gettarla nel posto giusto la prossima volta!” lo rimprovera subito Cecilia, raccogliendo il mozzicone dall’asfalto.

“Stiamo parlando di rapine, abbiamo compiuto atti illegali e tu ti arrabbi per una sigaretta?” si arrabbia Andres, guardando torvo la gemella che rimane imperterrita.

“I soldi sono delle creazioni umane, il pianeta è solo uno e non ci ha fatto nulla” ribatte semplicemente la mora, ricevendo l’occhiolino di Nieves che spalanca la bocca in segno di sorpresa per la stoccata semplice ed efficace della migliore amica.

“Comunque mamma e papà non se ne accorgono. O meglio… non si fanno domande. La macchina per creare le monete l’abbiamo da quando sono piccolo e spesso ci divertiamo a costruirle insieme. Ovviamente non sanno della grande quantità di produzione” si intromette Ramon, infastidito dalla situazione creatasi nei confronti della gemella.

“Ok, come sono i piani di oggi?” chiede curiosa Nieves, mettendosi le mani nelle tasche della felpa verde che la ripara dal fresco di inizio primavera.

“I tecnici verranno a svuotare le macchinette verso le 18, orario in cui anche la segreteria inizia a chiudere tutto. Noi resteremo nelle aule studio, impegnati nei nostri impegni, per poi avvicinarci alle macchinette e mostrarci interessati a comprare qualche snack verso le 17.55. Una volta allontanati i tecnici, sarà molto semplice: qualcuno farà la guardia e qualcun altro toglierà il vero bottino” spiega Andres, sistemandosi gli occhiali con il solito tic.

“E le videocamere? Come facciamo con quelle?” fa notare con serietà Cecilia.

“Ci ho già pensato io quando sono entrata lunedì nella sala di controllo. Ho impostato un sistema che mi permette di disattivarle e mostrare delle immagini preselezionate direttamente dal mio telefono” risponde tempestivamente la piccola di Rio, che mostra convinta il proprio smartphone.

“Sei troppo brava!” si esalta subito Andres, non avendo pensato a quel dettaglio fondamentale. Il ragazzo, mosso dall’euforia per la soluzione che gli permette la riuscita del piano, si sporge verso Nieves baciandola sulla bocca.

“Potreste evitare?” commenta schifato Ramon, che gira la testa di scatto con una smorfia.

“Scusatelo, probabilmente a lui gli ormoni non funzionano!” lo deride Dimitri dandogli una gomitata per gioco, destabilizzandolo vista la esile corporatura.

“Chi e dove studieremo oggi pomeriggio?” cambia argomento Ramon, cercando di non dare peso alle frecciatine degli amici.

“C’è un’aula studio come ogni venerdì, potremmo trovarci tutti lì!” propone Andres, desideroso di unire la banda per la riuscita del piano.

“Io vi raggiungo per l’orario indicato. Ho l’incontro LGBT indetto dalla scuola ed essendoci anche degli stranieri sono molto curiosa” si giustifica Cecilia, abituata a prendere parte alla maggior parte delle iniziative scolastiche.

“D’accordo, ci vediamo alle 17.55 alle macchinette!” conclude poi Andres, sciogliendo l’assemblea, non prima di aver invitato Nieves a fermarsi con lui.

“Domani ti andrebbe di venire a casa mia? I miei non dovrebbero esserci!” le propone lui, facendole venire la pelle d’oca. L’invito emoziona particolarmente Nieves che, seppur intimorita, non esita ad annuire e accettare l’offerta.

La mattinata trascorre lenta, come una qualsiasi giornata di scuola, ma per Nieves il tempo pare congelarsi. La sua testa è attraversata da dubbi, interrogativi, sogni e preoccupazioni. Che cosa voleva fare Andres? Possibile che, dopo neanche 5 giorni di relazione, lui la stesse invitando a casa da soli? Quelle domande la logorano nel profondo e, da una parte, la eccitano particolarmente.

Mossa dalla confusione, decide di concentrarsi sulla lezione ed esporre le proprie perplessità alla migliore amica durante l’intervallo.

“Ti ha invitata a casa sua per stare soli?” domanda Cecilia senza dare in escandescenze.

“Sì hai capito bene, ma non ha detto per fare cosa!” risponde Nieves, mangiandosi un’unghia.

“Se i ragazzi vogliono scopare mica te lo dicono!” cerca di farla ragionare Cecilia, non capendo le reazioni dell’amica.

“Ma io non ho mai fatto sesso!” le ricorda Nieves, pronunciando quelle parole tra i denti, come se la facessero vergognare.

“Perché digrigni i denti così? È una cosa normalissima che fanno due persone, Nieves! Guarda i nostri genitori quanto ci danno dentro…” dice Cecilia in piena tranquillità.

“Potresti evitare di ricordarmelo grazie?!” la ammonisce Nieves, facendo una smorfia schifata.

“Abbiamo sedici anni, è normale non avere ancora avuto esperienze. Per me è ovvio che Andres voglia arrivare a quello, ma sta a te capire se sei pronta o meno” continua convinta Cecilia, abituata al proprio ruolo di consigliere.

“E io che cazzo ne so se sono pronta o meno! Quando sto con lui vibra qualsiasi cosa del mio corpo!” si lamenta Nieves, sbuffando di fronte a quelle sensazioni amorose mai provate prima.

“Sensazione più che lecita, infatti sta a te capirlo! A mio parere è fin troppo presto per finire a letto con Andres… ma è la tua storia non la mia! Ricordati solo che non devi essere obbligata, scegli tu e non perdere la tua identità. Usa la testa Nini!” taglia corto la migliore amica, rivolgendole quel soprannome intimo e affettuoso che aveva creato Tokyo.

Il pomeriggio pare non passare mai e i ragazzi, agitati per la prima prova di estrazione delle monete, finiscono per guardare continuamente l’orologio aspettando con ansia le 17.55. Andres, convinto nella riuscita del piano, pare l’unico in grado di separare i settori e riuscire a concentrarsi sul libro di algebra che pare risucchiarlo in un universo fatto di numeri e frazioni. Dimitri, non riuscendo a concentrarsi, finisce per aprire una rivista di videogiochi, nascondendo il tutto sotto al tavolo ogni volta che passava un docente nei pressi del gruppo. Ramon, silente e intimidito, faceva avanti e indietro dal bagno e preferiva non parlare con nessuno, se non con la propria moneta portafortuna che rigirava tra le dita. Nieves, invece, squadrava costantemente gli amici soffermandosi soprattutto su Andres. La ragazza ammirava i suoi capelli biondo cenere lucenti che ricadevano in un ciuffo ordinato sulla fronte, gli occhiali neri che incorniciavano due occhi castani con sfumature ambrate grazie alla luce del sole e quelle labbra rosee che aveva avuto la fortuna di assaggiare. Studiare con Andres di fronte risultava troppo difficile per una giovane che stava cedendo totalmente alle emozioni della sua prima relazione.

Alle 17.50 il gruppo inizia a scaldarsi per l’avvicinamento dell’orario di ritrovo e, dopo aver sistemato i libri negli zaini, si dirigono fuori salutando i professori che si stavano preparando a lasciare l’istituto. La scuola appariva deserta, le luci erano già tutte spente anche se il sole del tramonto che penetrava dalle finestre permetteva di vederci ancora chiaramente. All’orario stabilito ecco comparire anche Cecilia nei pressi delle macchinette. In modo da non destare sospetti, la ragazza si appresta a prendersi un caffè, per poi appoggiarsi al muro e cominciare una fitta discussione con gli amici. I giovani sono presi a recitare il proprio copione quando giungono i tecnici delle macchinette che si mettono subito all’opera, senza interessarsi troppo del piccolo gruppo. I ragazzi, senza destare sospetti, osservano le azioni degli esperti sudando freddo per il timore di una ipotetica scoperta del marchingegno truccato. Nieves, la più ferma e pacata di tutti, prende in mano il proprio telefono e, per rendere il tutto più veritiero, comunica:

“Vado un attimo in bagno, mi aspettate qui così torniamo tutti insieme a casa?”

La frase della ragazza viene captata anche dal personale che, senza dubbi o presentimenti, continua il proprio lavoro svuotando in alcuni contenitori i soldi finti posizionati da Ramon.

Nel vedere la piena tranquillità degli operai, i ragazzi si scambiano qualche sguardo d’intesa, felici della riuscita del piano. Le loro reazioni sono caute e nascoste, consapevoli di essere ancora osservabili dalle videocamere che a breve Nieves avrebbe modificato.

La ragazza, infatti, approfitta del tempo ai servizi per prepararsi a modificare il contenuto dei filmati, prestando particolarmente attenzione alla presenza dei due tecnici il cui operato doveva assolutamente essere registrato per permettere di non suscitare sospetti.

“Prima di andare mi prendo una bottiglia d’acqua” afferma Dimitri, mentre i tecnici sistemano i propri utensili nelle varie valigette, pronti a lasciare l’edificio. In men che non si dica, infatti, i due uomini salutano i ragazzi e se ne vanno senza fare ulteriori domande.

I giovani, avvolti dal silenzio e dal poco tempo a disposizione prima che anche il personale non docente lasciasse la scuola, si mettono immediatamente al lavoro ognuno nella propria postazione.
Nieves, una volta manomesse le videocamere, torna sulla scena aiutando Ramon a preparare il nuovo carico di monete di poco valore. Dimitri e Andres si apprestano ad aprire il contenitore del vero denaro, mentre Cecilia si mobilita per fare la guardia.

Il lavoro dei ragazzi appare perfettamente organizzato e, in men che non si dica, eccoli riempire un intero zaino di monete e ripristinare la condizione originaria della macchinetta.

“Siamo dei fighi!” esclama Dimitri, con lo zaino di monete in spalla.

“Posso tenerli io?” chiede Ramon, facendo segno all’amico di dargli il bottino.

“No! Perché?!” si altera subito Dimitri, camminando velocemente fuori dalla scuola.

“Mica intende tenersele per sempre! Dalle a Ramon, è lui l’esperto nel valutare le monete e la nostra entrata effettiva!” lo difende subito Nieves, mettendo una mano sulla spalla del gemello che le rivolge un sorriso di ringraziamento.

“Bene ragazzi, questa prima avventura è fatta! Ogni venerdì architetteremo un nuovo modo per effettuare questa operazione! E ora…” prende parola il piccolo leader Andres, fiero del proprio operato.

“Ora dobbiamo pensare a un nuovo piano!” si intromette Cecilia, eccitata dall’adrenalina e dalle emozioni provate per quel nuovo orizzonte lavorativo.

“Esattamente. Per ora riposiamoci… e godiamoci la vittoria! Bravi, compositori!” li saluta infine Andres, stringendo il pugno e portandolo verso l’alto.

L’intero gruppo si scioglie e, nel viale ormai buio, rimangono solo Nieves e Andres.

“Sei stata fortissima!” si complimenta lui, accorciando le distanze con lei senza averle dato nemmeno il tempo per andare in brodo di giuggiole.

“Non fare il lecchino!” ride Nieves, accettando l’abbraccio del giovane che pone le mani sui suoi fianchi. Il solo contatto con il calore di lui, le risveglia sensazioni particolari e le fa avvertire le farfalle nello stomaco.

Andres si sporge poi verso di lei, baciandola dolcemente per due minuti capaci di trasportare i giovani in una nuova dimensione, fatta di fantasia, profumi ed euforia.

“Sei pronta per domani?” domanda poi lui, staccandosi dal bacio, mangiandosi le labbra.

Nieves, però, si irrigidisce improvvisamente in quanto preoccupata dalla proposta e, grazie al carattere forte e tenace, esclama:

“Senti…vuoi già fare sesso?”

La domanda ottiene la risata di Andres che, disarmato, non si aspettava una tale uscita.

“Sei preoccupata per questo? È proprio vero che voi ragazze vi fate un sacco di film mentali!” se ne esce lui, ricevendo l’occhiataccia dell’altra che sente la voce femminista di Cecilia rimbombarle nelle orecchie.

“Stai tranquilla, se non te la senti mica ti forzo! In realtà…per domani avevo un altro intento, oltre a quello di passare il pomeriggio insieme” le risponde seriamente Andres, mostrandole la vera motivazione.

“E per cosa allora?” chiede Nieves, incrociando le braccia.

“Non voglio girarci troppo intorno, ma io e te siamo simili e ho capito una cosa: ad entrambi la vicenda dei nostri genitori non è andata giù. Tu vuoi scoprire di più sul passato dei tuoi… e io voglio riuscire a racimolare materiale su mio zio: non voglio essere il suo fantasma!”
 

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Capitolo 12
*** CAPITOLO 11 ***


CAPITOLO 11

L’euforia delle monete raccolte aveva ammaliato tutti i giovani che, soddisfatti dei risultati raggiunti, non vedevano l’ora di progettare il nuovo piano.

Nieves, il giorno successivo, si preparava al grande incontro con Andres preoccupata e in parte eccitata per la missione che le aveva chiesto di compiere. La ragazza dai capelli scuri, dopo essersi applicata il consueto mascara, esce con calma dal bagno per poi soffermarsi davanti alla camera della sorella che sente ridere in modo soffocato. Nieves, incuriosita dall’insolito comportamento, apre lentamente la porta in modo da spiare senza farsi scoprire. La dodicenne era seduta sul pavimento, con la schiena appoggiata alle sbarre del letto e teneva tra le mani un piccolo pc del quale nessuno era a conoscenza.

“Che cosa fai?” domanda Nieves sospetta, preoccupata per le faccende losche della sorellina. La piccola sosia di Rio, dai soffici capelli di un castano chiaro e le guance paffute, si appresta velocemente a chiudere il dispositivo, nascondendolo sotto al letto.

“Non si usa bussare?” risponde Leya infastidita, incrociando le braccia e cercando di nascondere le proprie emozioni.

“Da dove arriva quel computer?” va al sodo Nieves, facendo segno con la testa al device che era stato inutilmente celato al di sotto del soffice materasso.

“Perché dovrei dirtelo?! Tu non mi dici più nulla, quindi perché non dovrei fare altrettanto?” si altera Leya, mostrando i segni di un mancato contatto fraterno che la stava facendo soffrire. La stoccata della sorellina arriva diretta al petto della maggiore che non può fare altro che reprimere la rabbia e assumersi le proprie colpe.

“Hai ragione e non ti biasimo. La tecnologia, però, è pericolosa… sai, magari quel computer non è sicuro! Ci potrebbero essere contenuti tracciabili o altro…” cerca di cadere in piedi Nieves, non sapendo come convincere la sorella.

“E allora? Chi mai dovrebbe accorgersi di noi? Mica siamo dei ricercati!” sbotta Leya storcendo la bocca, ignara della propria ascendenza familiare criminosa.

Nieves spalanca gli occhi di fronte a tale affermazione, sapendo di non poter rivelare alla sorella il grande segreto nascosto dalla famiglia. La maggiore non ha la minima idea di come uscire da tale situazione ma risulta proprio Lea quella disposta a cercare un compromesso.

“Facciamo così. Ora sai del computer… se vuoi te lo lascio controllare e ti darò anche la password. Tu, in cambio, mi dici qualcosa in più su di te. Me ne sono accorta sai? Ho visto che vai sempre dai tuoi amici, ma non penso sia solo per amicizia” propone il patto la sorellina, intenzionata a rientrare nella vita della maggiore che, spaesata, fatica ad accettare.

Per Nieves parlare di sé non è mai risultato facile, non a caso aveva un costante conflitto con i genitori! Nieves, forse anche a causa di una brutta esperienza ospedaliera vissuta da piccola, aveva imparato a tenersi tutto dentro con il desiderio di cavarsela da sola, senza dipendere da nessuno. Non sapeva perché, ma l’idea di raccontare le proprie emozioni e preoccupazioni la facevano sentire vulnerabile e scoperta. L’unica persona a cui riusciva a dire tutto era la sua migliore amica Cecilia e, forse, anche Andres sarebbe presto entrato nel cerchio ristretto.

D’altro canto, però, la sedicenne sapeva di potersi fidare della sorellina che aveva giocato astutamente le sue carte e rivelarle i suoi segreti di cuore in cambio della password per controllarla le sembrava uno scambio più che conveniente.

“D’accordo… ma guai a te se lo dici alla mamma…” accetta Nieves, puntando il dito verso la sorellina in segno di avvertimento. Seguiti alcuni secondi di silenzio, la maggiore si appresta a rivelare in un soffio la sua relazione:

“Mi sono messa insieme ad Andres”

Leya, di fronte all’affermazione, stringe il pugno in segno di vittoria e sorride festosamente.

“Perché tutta questa gioia?” chiede Nieves, in parte schifata dall’euforia che la imbarazza nel profondo.

“Perché lo sapevo! Avevo il giusto presentimento!” risponde esaltata Leya, battendo le mani velocemente.

“Ora, però, fammi dare un occhio al tuo computer per capire se è tutto ok!” taglia corto Nieves, prendendo il piccolo pc della sorellina. Nieves collega poi il proprio telefono al dispositivo, trasferendovi un programma in grado di analizzarlo nel profondo. Il computer appare pulito e sicuro, a parte un’applicazione social che cattura la sua attenzione.

“Per cosa usi questa? Ti scrivi con qualcuno?” chiede Nieves preoccupata, aprendo senza permesso l’icona dell’app.

“Solo con i miei compagni di classe e con qualche amico” risponde Leya tranquilla, lasciando libera la sorella di indagare al meglio.

“E questo tipo chi è?” chiede Nieves strizzando gli occhi per analizzare al meglio la fotografia del ragazzo con cui Leya si scriveva segretamente.

“Si chiama Leroy, ha 14 anni ed è mio amico. Vuoi leggermi anche la chat adesso? Io non sono entrata nei dettagli della storia tra te e Andres!” si lamenta giustamente Leya, senza però opporre resistenza. Nieves, infatti, aveva aperto la chat e analizzato velocemente lo scambio di messaggi con lo sconosciuto appurandone la normalità. Leya, prima di evitare un’insorgenza del genere, aveva cancellato dalla chat tutti i messaggi personali con quello che stava diventando a tutti gli effetti un amico virtuale.

Nieves finisce poi per staccare il telefono dal dispositivo e riconsegnarlo alla sorellina, intenzionata a chiudere il discorso.

“Ok, ora siamo pari… tu sai di me e io so di te, ma ti raccomando: stai attenta con la tecnologia! Saremo pure in una casa di geni dell’informatica ma non sai quanti fantasmi possano nascondersi dietro!” l’avverte premurosamente Nieves, per poi rialzarsi e continuare le proprie faccende in attesa del pomeriggio.

Pomeriggio che, visti i compiti e le cose da fare, non tarda ad arrivare. Alle 14.00, come concordato con il proprio ragazzo, Nieves si dirige a piedi verso l’abitazione di Andres. Il cuore le batte all’impazzata nel petto e un forte senso di eccitazione si fa strada dentro di lei. L’idea di trascorrere un pomeriggio con il suo ragazzo, nonostante i buoni propositi della ricerca a tema Dalì, la agita particolarmente.

“Ciao, eccoti finalmente!” la saluta Andres, baciandola immediatamente sulla bocca in segno di saluto e trascinandola dentro.

La ragazza non ha tempo di parlare perché l’irruenza del sedicenne la costringe ad appoggiare la schiena al muro per supportare quel bacio focoso che li avvolgeva. Andres la baciava con energia, continuando a custodire il suo volto tra le mani ed inclinando il viso più volte per approfondire quello scambio di emozioni che stava prendendo forma nelle loro bocche. Le lingue si intrecciavano, le guance si tingevano di rosso ed entrambi i corpi parevano infuocati di un calore ardente.

“Subito?! Così?!” chiede Nieves, staccandosi ansimante, inebriata da quelle sensazioni che sembrano spingerla ad andare fino in fondo.

“Cazzo…è vero scusami, ho esagerato!” si rammenta Andres staccandosi immediatamente, per poi nascondere le mani nelle tasche con un senso di imbarazzo.

“No! Mi piaceva!” ribatte Nieves, sperando di poter continuare l’incontro seppur consapevole della ormai avvenuta rottura della magia momentanea.

“Non è il modo giusto… abbiamo altro a cui pensare” taglia corto Andres facendosi serio e turbato, allontanandosi per accogliere Nieves nella postazione computer che aveva allestito.

“Okaaay… che cosa dobbiamo fare?” chiede Nieves ricomponendosi e imponendosi di non fare ulteriori domande. La ragazza, dopo essersi strofinata le mani sudate sui jeans, prende posto sul divano vicino ad Andres.

“Quando abbiamo scoperto i codici e i documenti nascosti nel pianoforte, ho trovato alcuni accenni riguardanti mio zio Andres. Pare fosse un grande rapinatore con manie di grandezza… ma vorrei saperne di più! Io porto il suo nome, il suo ricordo! Cosa c’è di lui in me?!” si sfoga Andres mostrando la propria agitazione nei confronti di una situazione che vuole approfondire.

Nieves non risponde verbalmente, lasciando parlare l’azione. In pochi secondi, infatti, la ragazza si scrocchia le dita e comincia a cercare nel web in qualsiasi punto. La ricerca disperata sulla vicenda della Zecca di Stato e sui loro familiari l’aveva già intrapresa senza successo ma, questa volta, la presenza di Andres pare motivarla maggiormente.

“Non è che devi…” prova a dire Andres, dopo almeno 20 minuti di silenzio conditi dal suono frenetico delle dita che premono sui tasti.

“Sssshhhh…mai parlare quando lavoro” lo zittisce subito Nieves collerica, quasi ipnotizzata dal visore del dispositivo che pare risucchiarla in un vortice di numeri e informazioni.

Trascorrono ancora 30 intensi minuti di ricerca nei quali Nieves prova ad approdare in software, dark web e pagine illegali senza però ottenere nulla.

“Basta…” sbotta lei all’improvviso, abbandonando il tutto e lasciandosi sprofondare sul divano.

“Sapevo che sarebbe stato tutto inutile! Come cavolo sono riusciti a nascondere qualsiasi notizia a riguardo?” chiede Andres sconvolto, picchiando un pugno furente sul tavolo e digrignando i denti.

“Faccio un’ultima ricerca, intanto attacco il telefono al computer così si carica” prende di nuovo posizione Nieves, collegando il telefonino al dispositivo e rimettendosi al lavoro.

Bicchieri d’acqua fresca, una caramella alla menta, una corsa veloce al bagno ed ecco scorrere altri 20 minuti prima di imbattersi in qualcosa di particolare.

“Non ci credo! Eccoci!” esclama sbalordita la sedicenne dagli occhi ormai piccoli come fessure, visto il la prolungata esposizione alla luminosità.

“Stampiamo tutto, presto! Prima di non trovare più questo documento!” afferma Nieves, invitando Andres ad accendere la stampante ed eseguire i suoi ordini.

“Che cosa hai trovato?!” chiede Andres con il fiato sospeso, deglutendo rumorosamente per colpa della tensione.

“Tutto quello che cercavi su tuo zio. È una sorta di piccola biografia utilizzata dagli investigatori per scovarne nascondigli e vicende. Parla di tutto ciò che vuoi!” risponde Nieves mostrandosi affaccendata.

“Sei fantastica davvero!” urla lui non riuscendo a contenere la gioia, sporgendosi poi verso di lei per baciarla nuovamente.

“Fermo, fermo! Abbiamo poco tempo. Devo scollegare tutto, cancellare le prove sia dalla stampante che dal computer e tu devi cercare un degno nascondiglio ai documenti che abbiamo trovato. Nessuno li dovrà scoprire è chiaro?!” lo avverte lei austera, staccandosi dal bacio per continuare il lavoro.

“Giuro che la prossima volta ti faccio sognare!” riesce a dire Andres con il morale alle stelle, per poi lasciar libera l’amica di compiere il proprio piano.


In serata, al termine dell’intenso pomeriggio, Nieves è occupata a messaggiare con Cecilia senza sapere che, in uno stato non troppo lontano, qualcuno è intento a monitorare la sua famiglia.

“Quindi? Ce l’hai fatta?” chiede un uomo misterioso, rivolto a un’altra persona impegnata nel gustarsi un panino in tranquillità.

“Assolutamente sì… le abbiamo adescate entrambe!” risponde lui, dando un altro morso alla cena.

“Come ci sei riuscito?” domanda ancora quello che pare essere il suo capo.

“Semplice. La cara piccola Leya non sa che, accedendo a un link che le inviai contenente un simpatico cagnolino, le ho installato un sistema di spionaggio impossibile da trovare. È bastata la falsa genietta Nieves che, collegando il telefono per quella sua applicazione di protezione, mi ha permesso di trasmettere i file anche sul suo dispositivo” spiega il grande hacker masticando senza ritegno.

“Quindi quando lei ha ricollegato il telefono…” inizia a confabulare il maggiore dei due, interrotto dalla spiegazione.

“Io le ho fatto comparire proprio quel link web contenente le informazioni su Andres De Fonollosa. Lei si sentirà bravissima ma non sa che quelle pagine le ha potute leggere perché noi abbiamo desiderato questo!”

“Complimenti! Sei un genio! Un vero genio!” si congratula il più grande dei due.

“Ora li abbiamo in pugno… attendo le tue direttive e, al momento opportuno, invierò alla piccola Leya qualcosa che la sconvolgerà per sempre” spiega l’hacker bevendo una sorsata d’acqua.

“Dobbiamo farlo il prima possibile! Prima gli tocchiamo i figli e prima arriviamo ai Dalì!” dice con foga il capo, battendo le mani e invitando l’altro ad agire.

“Con calma, non possiamo fare esplodere subito la bomba. La piccola Leya crede di parlare con il caro Leroy, un ragazzo del quale si sta palesemente innamorando. Lasciamole un po’ di tempo per vivere serenamente questo momento! Devo ancora conquistarmi pienamente la sua fiducia!” taglia corto l’hacker scrocchiandosi il collo per poi rimettersi alla propria postazione.

“A forza di parlare dei Dalì e delle loro false identità ti stai divertendo anche tu adesso eh?” scherza il maggiore, appoggiandogli una mano sulla spalla.

“Leroy è il nome di una città del Texas, oltre a essere un nome comune… quindi perché non giocare il loro stesso gioco? Ora mi prenderò la fiducia della ragazzina… per poi colpire Nieves… e arrivare a tutti i Dalì!” conclude Leroy rimettendosi al lavoro.

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Capitolo 13
*** CAPITOLO 12 ***


CAPITOLO 12

Andres trascorre la notte a leggere i documenti stampati da Nieves. Gli occhi sgranati intenti a divorare le parole, il collo irrigidito per la posizione, il cuore a palla e il cervello occupato a macinare informazioni.

Andres si era sempre sentito il fantasma di uno zio mai conosciuto, del quale gli avevano raccontato nient’altro che bugie. Un uomo grande, coraggioso e responsabile morto troppo presto in un incidente. Andres De fonollosa, in realtà, era il fratello maggiore di suo padre che ha sempre avuto un debole per lui. Figli di un ladro, entrambi avevano portato avanti la tradizione di famiglia dimostrando di avere un’intelligenza sopraffina. Andres, però, era molto diverso dal fratellino. Innamorato dell’oro, del lusso e della bella vita, cercava di riempirsi di soldi e di donne. I documenti parlavano di costanti incontri notturni e, addirittura, di una storia d’amore forzata con un ostaggio all’interno della Zecca di Stato. De Fonollosa aveva anche un figlio del quale non si sapeva nulla, visto il poco interesse di quest’ultimo per i bambini e per le donne.

Il ragazzo legge la biografia dello zio vivendo dentro di sé emozioni contrastanti che andavano dall’ammirazione per le strategie, al ribrezzo per la poca umanità che dimostrava.

“Perché papà gli voleva così bene?” si domanda sottovoce Andres, non riuscendo a trovare una quadra a tutte quelle informazioni.

La risposta al suo dubbio non tarda ad arrivare perché il giovane si imbatte nelle ultime righe. Andres De Fonollosa aveva una malattia che lo avrebbe progressivamente condotto alla morte.

L’uomo non ne aveva parlato con molte persone e non se ne lamentava perché la sua condizione gli permetteva, in realtà, di vivere la vita al 100% sapendo di non perdere niente. La malattia lo faceva soffrire, ma non gli fece mai perdere il senno. La rapina alla Zecca di Stato, infatti, ebbe successo proprio grazie al suo sacrificio. Andres De Fonollosa non era morto in un incidente ma si era immolato per permettere ai Dalì di fuggire con i soldi. Sergio aveva cercato di convincere il fratello a salvarsi e abbandonare la missione, ma Andres diede ordine di far esplodere il tunnel di fuga, finendo mitragliato dai poliziotti.

Quest’ultimo elemento destabilizzò parecchio Andres che comprese, finalmente, il vero motivo che si celava dietro al proprio nome. Andres De Fonollosa: uomo avaro, megalomane, egocentrico e maschilista, ma con un grande senso etico e un particolare affetto per il fratello minore.

Andres si lascia sprofondare nel letto, portandosi una mano tra i capelli castani, ripensando a quanto appreso. Le tempie gli pulsavano per la confusione e si sentiva la febbre. Scoprire in così poco tempo le proprie radici non è semplice per un ragazzo di sedici anni. Andres, però, si avverte soddisfatto e finalmente degno del nome che porta, sentendosi un po’ più simile a quello zio mai conosciuto.

In effetti anche Andres amava il successo, la bella vita, le avventure e il rischio. Da piccolo, quando combinava delle marachelle, preferiva risolvere le situazioni al posto delle scuse. Ora, dopo la lettura, sapeva di aver ereditato quella parte di carattere da un grande uomo.

Andres si appresta a distruggere le prove di quei fogli il cui contenuto era ormai stampato nella sua mente, quando un piccolo elemento pare risvegliare la sua attenzione.

“Un indirizzo?” sussurra Andres accigliandosi e incurvandosi su una nota a pie di pagina che non aveva visto.

“I Dalì sono ora scomparsi e le indagini si sono chiuse molti anni fa. Nonostante questo è possibile visitare il casale di Toledo e un ulteriore edificio allestito con tutti gli oggetti e gli studi ritrovati del loro colpo alla Zecca di Stato. Le indicazioni per raggiungere il luogo sono riportate qualche riga più in basso”

Andres corruga la fronte e un forte senso di curiosità lo pervade da capo a piedi. Esisteva un museo? Un luogo nel quale poter imparare i trucchi del mestiere dei loro genitori? Sicuramente quella sarebbe stata l’occasione perfetta per accrescere le proprie capacità di ladri e, magari, arrivare a superare per coraggio e astuzia le proprie famiglie.

Il giorno seguente, terminata la scuola, il gruppo si siede sulle panchine di un parco nel quale stavano giocando alcuni bambini supervisionati dai genitori. L’aria fresca di primavera muoveva i capelli dei giovani che, sereni e contenti, godevano ancora della riuscita del piano delle macchinette.

“Ora che cosa si fa?” domanda Dimitri curioso, accendendosi una sigaretta.

“Ho scoperto molte cose riguardanti i nostri genitori. Ho saputo che mio zio li salvò tutti, offrendo la sua vita in cambio della libertà” afferma Andres, estraendo anch’egli una sigaretta dalle tasche e ponendosela sull’orecchio sinistro.

“E come fai a saperlo?” chiede confuso Ramon, non seguendo l’amico.

“Grazie all’aiuto della ragazza migliore del mondo” aggiunge Andres, guardando Nieves con occhi colmi di passione e riconoscenza.

“Abbiamo trovato dei documenti inediti e, la cosa più interessante, riguarda questo posto” continua Andres, mostrando poi l’immagine di un casale.

“Hanno costruito un museo molto simile al casale di Toledo nel quale i nostri genitori studiarono il piano alla perfezione. Questo museo si trova in Portogallo e racchiude tutti i segreti e gli artefatti usati dalle nostre famiglie” spiega Andres incuriosito.

“Mi sembra strano… il web intero non parla della vicenda della Zecca e qui ti dice dell’esistenza di un museo? Non pensi che i nostri genitori abbiano evitato in qualsiasi modo la costruzione di un posto del genere?” chiede Cecilia dubbiosa, gesticolando.

“Perché scusa? La fama è comunque qualcosa di importante! Alla fine loro stessi rivelarono l’intero piano lasciandolo esposto nel casale di Toledo e, vi ricordo, che nessuno conosce le vere identità dei nostri genitori. L’unica persona della quale si sa il vero nome è mio zio Andres De Fonollosa… tutti gli altri sono ricordati nel mondo come Nairobi, Tokyo, Bogotà, Professore, Helsinki, Palermo, Rio, ecc…” le risponde pacato Andres, giocando le proprie carte.

“Ok, esiste questo posto e quindi? Cosa vorresti fare?” si aggiunge anche Ramon, titubante di fronte ai fatti.

“Andarci! Possiamo conoscere la verità e imparare di tutto e di più!” si esalta Andres spalancando le braccia.

“E come facciamo ad andarci? Non abbiamo mai fatto viaggi così lontani!” si intromette ancora Cecilia, la più ragionevole e concreta del gruppo.

“Diremo che andiamo a farci una vacanza! Falsifichiamo tutti i biglietti, mostriamo delle destinazioni diverse e i nostri genitori ci cascheranno!” continua convinto il capo del gruppo, incitando il gruppo a seguire il suo desiderio.

“Ci sto, andiamo!” prende posizione Nieves, avvicinandosi al suo ragazzo e tirandolo a sé per baciarlo.

“Nini, pensaci su! Ok, abbiamo rubato a delle macchinette ma come facciamo a organizzare un viaggio del genere?!” razionalizza Cecilia, aggrottando le sopracciglia di fronte all’estrema irruenza della migliore amica.

“Io ho voglia di vivere Ceci! Ho voglia di costruirmi un futuro come lo voglio io e un viaggio non può che farci bene! Dove sta il problema?!” risponde Nieves con forza, fissando negli occhi bruni l’amica del cuore.

“Anche io ci sto. Voglio continuare questa strada e penso sarà una bella esperienza!” si esprime Ramon, per poi ricevere anche l’appoggio di Dimitri.

“Grandi! Andremo in Portogallo, vedremo il museo e, chissà, magari ipotizzeremo lì il nostro prossimo colpo da ladri!” continua convinto Andres, prendendosi poi la sigaretta dall’orecchio e portandosela alla bocca.

“Festeggia anche tu tesoro, tieni!” aggiunge poi lui, offrendo un’altra sigaretta a Nieves che rimane titubante di fronte alla richiesta.

“E Portogallo sia!” urla lei felice, afferrando l’oggetto e portandoselo alla bocca.

“Vogliamo andare a fare un viaggio, diventare ladri, ma non dobbiamo fare stronzate… toglitela Nini” la rimprovera di nuovo Cecilia, stufa di dover gestire di nuovo i colpi di testa dell’amica.

“Ceci, una che cosa potrà mai farmi?!” si lamenta Nieves, tenendosela stretta tra le labbra.

“Hai rotto il cazzo Ninì… quando giochi con la vita non sei figa per niente” sbotta alterato Ramon, per poi afferrare il proprio zaino e allontanarsi dal gruppo.

I ragazzi rimangono attoniti di fronte alla scena inaspettata, abituati a un Ramon calmo e pacato che, per la prima volta, mostra un lato sconosciuto di sé.

“Non la volevo accendere! Stavo scherzando! Ma che cosa ha?” riesce a parlare Nieves, dispiaciuta dal comportamento dell’amico.

“Non farci caso, gli passerà” si limita a rispondere Andres, ignorando la situazione e invitando il gruppo a continuare la discussione.

Una settimana dopo…

Ormai passò del tempo dall’installazione dell’estrattore di monete e il loro business cresceva, permettendo ai ragazzi di coprire completamente i costi per il viaggio furtivo in Portogallo.
Ramon, dopo aver sbottato per la scena della sigaretta di Nieves, era tornato in sé tranquillo e pacato come sempre. Il ragazzo, infatti, si era semplicemente preoccupato per la salute dell’amica e, una volta venuto a conoscenza dello scherzo, voltò completamente pagina.

“Uhhhh! Stasera danno una festa in discoteca! Che ne dite… andiamo?!” propone Dimitri, ricevendo un invito da facebook.

“Perché no?! È da tanto che non ci divertiamo!” risponde convinta Cecilia aspettando la reazione degli altri.

“A che ora ci troviamo là?” si intromette subito Dimitri abbassandosi gli occhiali da sole.

“Direi per le 22.00!” conclude Cecilia felice, pronta a scatenarsi con il bizzarro gruppo di amici.

La serata in discoteca si dimostra la solita occasione per fare casino, aspetto che dei ragazzi di sedici anni apprezzano in modo particolare. Cecilia, dopo aver sorseggiato il suo cocktail, si appresta a ballare insieme a Nieves muovendo il proprio corpo con ritmo e disinvoltura. Dimitri, dopo qualche shot, si estrania dal gruppo per raggiungere altri amici più grandi con i quali si dirige nell’area fumatori. Andres, inizialmente in disparte davanti a una birra, si decide a buttarsi in pista raggiungendo le ragazze e inserendosi nei loro balli folli e scatenati. L’unico che pare non gradire il trambusto rimane Ramon, seduto al bancone degli alcolici, intento a sorseggiare consapevolmente il proprio drink. Al ragazzo l’atmosfera pare non piacere e, a quanto pare, neppure la compagnia dei migliori amici può fargli cambiare idea.

“Che schifo” commenta lui, guardando dei ragazzi intenti a toccare il corpo di due giovani che si strusciano consenzienti addosso ai loro corteggiatori.

Il luogo pullulava di gente ubriaca, urlante e iperattiva. Nelle orecchie rimbombava il frastuono di strumenti elettronici e remix di qualsiasi genere, mentre nell’aria l’odore acre di sudore si mischiava alla puzza di alcol.

“Non mi sembra che ti piaccia la serata eh?” afferma un ragazzo sconosciuto, sedutosi accanto a Ramon. Il giovane di sedici anni cerca di inquadrare la figura che gli si pone davanti, senza trarne vantaggio. Le luci lampeggianti e disturbanti del locale, infatti, gli mostrano la figura di un giovane adulto, magro e dai capelli neri, rendendogli impossibile un altro tipo di screening.

“Non so nemmeno perché io sia venuto fin qui…” risponde subito Ramon, sentendosi a proprio agio con una persona che, finalmente, si accorge di lui.

“Sei venuto con degli amici?” chiede il ragazzo, facendo segno al barista di preparargli un drink.

“Sì…” risponde Ramon osservando Nieves occupata a sbaciucchiarsi con Andres senza contegno.

“Sai, anche io ero come te alla tua età. Seguivo un gruppo di amici che, però, non mi ha mai del tutto compreso. Mi sentivo fuori posto, addirittura inutile a volte!” inizia ad aprirsi il ragazzo moro, donandogli la propria esperienza.

“Finché non capii di essere diverso e di amarmi proprio per quella diversità. Non sentirti obbligato a seguire la strada dei tuoi amici se non ti appartiene… ricorda che, se sono veri amici, ti apprezzeranno proprio per le tue diversità!” conclude poi lo sconosciuto, porgendo al ragazzo una banconota e qualche moneta.

“Questi tienili tu, paga il mio drink e offriti un altro giro. Hai bisogno di stare solo e meditare” aggiunge poi lui, mettendosi le mani in tasca e sorridendo ampiamente a Ramon.

“No, ti prego non darmi soldi! Dovrei essere io a offrirti da bere per i consigli che mi hai dato!” scuote il capo Ramon, afferrando la banconota e riporgendola al proprietario.

“Ma figurati! Devo correre fuori perché la mia ragazza mi aspetta! Mi ha fatto piacere parlare con te! Buona serata ragazzo” ride elegantemente il giovane, finendo poi per rimettersi la giacca ed uscire dal locale.

Ramon rimane impietrito di fronte alla situazione, continuando a bere il proprio drink con una consapevolezza dentro di sé. Aveva come l’impressione di aver incontrato una sorta di angelo custode, come di aver intrapreso uno di quegli incontri inaspettati capaci di cambiarti la vita in qualche modo.

Ramon era intento a ragionare su quanto assimilato quando Cecilia gli si avvicina barcollante.

“Hai visto Nieves e Andres?” gli urla lei, obbligando il gemello ad allontanare l’orecchio per non spaccarsi un timpano.

“No, poco fa erano in mezzo alla pista!” risponde Ramon guardandosi intorno senza riuscire a riconoscere gli amici.

Andres e Nieves, infatti, si erano allontanati da qualche minuto. Entrambi ubriachi ed euforici, si erano indirizzati nel bagno della discoteca senza riuscire a staccarsi le labbra di dosso. I due, spingendosi e spogliandosi velocemente i vestiti, si erano chiusi a chiave nel gabinetto non del tutto consci di ciò che stavano per fare.

“Ho stra voglia Nieves!” biascica Andres levandosi la maglietta sudata, per poi sollevare la ragazza e farla sedere, a gambe aperte, sul lavandino.

Nieves, inebriata dall’alcol e dagli ormoni, accetta il tutto continuando a ridere. L’unica parte razionale rimasta aveva completamente compreso il momento che si stava per realizzare, senza opporre resistenza. In pochi minuti i due corpi si uniscono in un rapporto sessuale istintivo, infantile e a dir poco igienico.

Andres, eccitato e arrossato, effettua spinte regolari con una certa energia, continuando a baciare Nieves e staccandosi da essa solo per ansimare. La ragazza, d’altro canto, risponde passivamente stringendo i denti per il dolore, per poi cominciare a provare piacere anche grazie all’effetto analgesico dell’alcol che le circolava velocemente in corpo. È così che, tra giramenti di testa, sudore e respiri pesanti, Nieves perde la propria verginità. Un atto che richiederebbe ragione, calma e scelta consapevole.

Un’ora trascorre velocemente e, grazie a qualche bottiglia d’acqua e snack, Cecilia si risveglia dalla sbornia tornando in sé. La gemella prova a ballare con il fratello, senza preoccuparsi di Nieves e Andres quando, improvvisamente, è proprio quest’ultima a cingerle le spalle e rivolgerle la parola.

“L’abbiamo fatto! L’abbiamo fatto!” esclama Nieves non riuscendo a contenere la gioia, portandosi poi le mani sulla bocca e saltellando sul posto.

“Che cosa?! Chi?!” alza la voce Cecilia, non riuscendo a comprendere le parole dell’altra per colpa della musica troppo rumorosa.

“Io e Andres! Abbiamo fatto sesso!” declara nuovamente Nieves, fiera del proprio gesto che rifarebbe in continuazione.

Quelle parole colpiscono in pieno petto i gemelli, lasciandoli privi di respiro e parole. Cecilia non riesce a credere alla scelta dell’amica, non condividendola ma, Ramon, avverte un pugnale affondargli nel petto costringendolo ad allontanarsi e uscire dal locale.

Ramon corre fuori dalla discoteca per poi appoggiare le mani sulle ginocchia e chinare il capo. I suoi occhi scrutano l’erba bagnata con paura e disperazione, cominciando a riempirsi di lacrime. Le dita tremano sui suoi jeans finendo per stringerli con forza, cercando di sfogare la rabbia. Il respiro pare morirgli in gola, incapace di ossigenargli il cervello. Ramon, in preda a una profonda delusione, finisce per sedersi con un tonfo sul prato per poi nascondere il proprio viso nelle ginocchia e dare vita a un pianto soffocato.

“Fratellino…” dice una dolce voce alle sue spalle, sedendogli accanto.

“Che cosa ti succede?” chiede Cecilia con il cuore in mano, triste e impotente di fronte alla sofferenza del gemello.

“Non può andare avanti così!” riesce a dire lui tra un singhiozzo e l’altro, lasciando che il folto ciuffo moro gli copra l’occhio.

“Riguarda Nieves vero?” domanda allora Cecilia, sicura di aver toccato un tasto dolente. Ramon, infatti, non riesce a ribattere continuando a piangere rannicchiato su sé stesso.

“Mon…” sussurra lei, chiamandolo con il nomignolo di quando erano piccini, “ti sei innamorato di lei?” sbotta poi Cecilia, sentendo già il cuore pesante per la presunta risposta.

Ramon non risponde ancora, dandosi il tempo di gestire le emozioni ed estraniare una verità che aveva sempre celato.

“L’ho sempre amata Ceci! Sempre! … e Andres…” riesce a rispondere lui, faticando a cadenzare le parole.

“…e Andres la sta distruggendo!” sbotta poi, con un filo di rabbia nei confronti di quello che credeva essere il suo migliore amico.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO 13 ***


CAPITOLO 13


Per qualche giorno Ramon preferì non incontrare gli amici, fingendo di non sentirsi troppo bene. L’unica persona con cui riusciva ad aprirsi era Cecilia e, stranamente, anche suo padre.

Un pomeriggio, infatti, Cecilia saluta la famiglia e si dirige fuori, lasciando il ragazzo in camera sua.

“Perché Ramon non esce?” domanda Agata stranita, rivolta al marito seduto in soggiorno.

“Non ne ho la più pallida idea” commenta Santiago, occupato a leggere il giornale davanti a una tazza di caffè.

“Sicuro di non averne proprio idea?!” lo stuzzica la gitana, avvicinandosi lentamente a lui e sedendogli accanto.

Santiago alza lo sguardo dalla rivista per specchiarlo negli occhi profondi della moglie, attendendo in silenzio la rivelazione.

“Ramon cerca di mascherarlo con il malessere fisico ma è evidente che c’è di mezzo l’amore” afferma la ex Nairobi, calma e aperta all’argomento.

“Ramon non è ancora interessato all’amore! È fissato con le monete e il commercio, non sicuramente ai problemi di cuore!” ride Santiago, dando una scossa alle pagine del giornale che si erano afflosciate.

“Qualcuno qui è preoccupato per il suo bambino?” lo schernisce Agata, facendo camminare le dita sul petto di lui fino a raggiungere il collo.

“Io? Ma neanche per sogno!” mente Santiago, cercando di rimanere lucido di fronte alle provocazioni eccitanti della moglie.

“Amore, sta soffrendo. Ha bisogno di parlare con qualcuno e quel qualcuno sei tu. Se è una delusione amorosa lo potrai sicuramente sostenere!” torna seria Nairobi, invitando il marito a prendersi le proprie responsabilità.

Quella frase risveglia un giovane Bogotà motivo per cui, dopo qualche attimo di esitazione, abbandona la lettura e si dirige verso la camera del figlio.

“Posso?” chiede permesso il padre, dopo aver bussato alla porta di legno del ragazzo.

“Certo papà, hai bisogno di qualcosa?” chiede Ramon, sempre cordiale e rispettoso nei confronti dei propri genitori. Il ragazzo era seduto sul letto e fissava il soffitto che aveva pitturato proprio con il padre qualche anno prima.

“Non perché voglio farmi i cazzi tuoi… ma ti vedo triste” inizia subito Santiago, prendendo posto vicino a Ramon che si scosta il ciuffo moro dagli occhi prima di ricominciare a girare la propria moneta preferita tra le dita.

“Papà… a te è mai capitato di vivere una situazione in cui…” comincia ad aprirsi Ramon, prendendo fiato più volte.

“… in cui delle persone a cui vuoi bene fanno delle cazzate e tu non riesci a fare nulla per evitarlo?” continua la frase Ramon, consapevole di averla formulata male vista la fatica di spiegare il suo trambusto interiore.

“Chi sta facendo delle cazzate? Che tipo di cazzate intendi?” chiede dubbioso Bogotà, sperando di non avere di fronte un adolescente obbligato a seguire le idee strampalate dei compagni.

“Cazzate…d’amore” confessa completamente Ramon, abbassando il capo e chiudendo gli occhi.

Quell’affermazione permette a Santiago di capirci di più e, dopo aver alzato gli occhi al cielo, ride in modo soffocato confermando l’ipotesi della moglie.

“Perché ridi?” domanda Ramon, sentendosi preso in giro.

“Non sto ridendo, non scherzerei mai di fronte a tutto questo! Molto semplicemente vedo in te una sofferenza che ho provato anche io” si apre Bogotà, sapendo di dover raccontare le proprie esperienze.

“Sai Ramon, quando ami qualcuno devi chiederti fino a che punto sei disposto a spingerti e, soprattutto, devi essere capace di reagire anche di fronte a un rifiuto. Amare una persona non significa, per forza, sposarla e vivere per sempre felici e contenti. Spesso può capitare di innamorarsi di qualcuno che non ricambia ancora quel tipo di amore…” inizia a spiegare Bogotà, gesticolando e massaggiandosi le mani callose da saldatore.

“Io non sono molto bravo a parlare, per questo ti dirò la mia esperienza così evito di usare tutte quelle frasi fatte del cazzo” sbotta poi lui, trovandosi a disagio nel discorso.

“Molti anni fa mi innamorai di tua madre. Il mio fu un vero e proprio colpo di fulmine. Come sai, prima di lei, intrapresi tantissime relazioni, addirittura con 7 donne diverse senza mai innamorarmi. Agata, dal primo sguardo, cambiò completamente qualcosa dentro di me. All’inizio, però, io ero l’ultimo dei suoi pensieri. Si accorse dei miei sguardi, delle mie silenziose attenzioni e sai cosa mi disse? …di starle alla larga perché non mi avrebbe toccato nemmeno con un palo!” racconta Bogotà, rivivendo attimi passati che ancora gli facevano sanguinare il cuore.

“Come si reagisce davanti a una frase del genere? Si continua ad amare! Capii che non dovevo correre, non dovevo corteggiarla, non dovevo obbligarla e non dovevo nemmeno provare a dimenticarla. Mi ripromisi di esserci! Esserci, esistere, vivere! ...e basta! L’amore per lei fece da cornice a ogni mio gesto, senza mai invadere la sua privacy e avendo rispetto. Il tempo con Agata arrivò poi a farmi comprendere che lei non poteva ancora amarmi per colpa di alcune ferite che si portava dentro, come quella riguardante la perdita di suo figlio. In silenzio continuai a starle accanto, dimostrando di volerle veramente bene. Un giorno, dopo mesi e mesi di fatiche, le nostre strade d’amore si incontrarono e fu lei ad appoggiarsi a me” conclude Bogotà con le lacrime agli occhi, felice di quel percorso doloroso che aveva avuto un lieto fine.

Ramon rimase senza parole di fronte alla storia del genitore che, da quanto detto, era più simile a lui di quanto pensasse.

“Io posso immaginare di chi tu ti sia innamorato. Non voglio che tu me lo dica, ma ascolta i miei consigli. Cerca di trasformare l’amore per quella persona senza aver paura di farle del bene! Se sta facendo delle cazzate, sarà la vita a riportarla sulla strada giusta! Non devi metterti da parte tu! Per questo mi dispiace vederti chiuso qui, lontano dai tuoi amici. Prendi del tempo per riprenderti ma poi torna in pista e tira fuori le palle! Se lei sta facendo delle cazzate, non scappare! Resta lì, in silenzio e lascia che lei sbatta violentemente la testa contro il muro! Quando si sveglierà e si renderà conto di ciò che avrà fatto, si guarderà indietro: accorgendosi di quella persona che, nonostante tutto, non l’ha mai lasciata sola” termina Santiago, sapendo di aver colpito nel segno. Dopo qualche sorriso e una pacca sulla spalla, il genitore si appresta a uscire tornando in soggiorno dalla moglie.

“Allora?” chiede lei a bassa voce per non creare sospetti.

“Avevi ragione tu… è completamente cotto!” conferma Bogotà annuendo e sbuffando.

“Di chi? L’ha rifiutato?” domanda Nairobi incuriosita dal gossip tra uomini.

“Non mi ha detto di chi, ma è evidente. Mi ha solo detto che lei sta facendo delle cazzate d’amore e chi è qui la migliore a fare colpi di testa?!” sbotta Bogotà, in parte preoccupato anche per la persona coinvolta.

“Nieves? Che cazzo sta facendo?” si stupisce immediatamente Nairobi, agitata per la figlioccia.

“Temo proprio di sì! Non so cosa stia facendo ma è la degna figlia di Silene e forse è il caso che la si tenga d’occhio” ammonisce Santiago, alzando il dito minaccioso.

“La vedo dura. Silene e Nieves a stento riescono a parlarsi!” sbuffa Agata portandosi le mani colme di anelli sui fianchi.

“Tu che cosa hai detto a Ramon?” domanda poi lei tornando sul discorso cardine.

“La mia esperienza e la verità… ovvero di non gettare la spugna perché, prima o poi, la donna che inizialmente non ti toccherebbe manco con un palo, si accorgerà di te” risponde pacatamente Santiago, stringendo la moglie in un abbraccio e guardandola con occhi innamorati.

“Amore… così mi ecciti però!” riesce a rispondere Agata, per poi baciare le labbra di quell’uomo che aveva fatto di tutto per lei.

Da quel giorno Ramon ricominciò ad uscire con gli amici, abituandosi alle scenate di Andres e Nieves, cercando di mettere in pratica gli insegnamenti di Santiago.


Un altro mese passò e i giovani, dopo aver svuotato costantemente le macchinette, erano pronti a parlare alle famiglie del viaggio che avrebbero voluto intraprendere durante le vacanze di Pasqua.

I piccoli Dalì avevano preparato tutto usufruendo, ancora una volta, dell’opportunità scolastica.

“Ho qui tutte le brochures per il viaggio. I nostri genitori crederanno che andremo con qualche professore a conoscere degli studenti stranieri e visitare luoghi di culto con loro” spiega Cecilia, incaricata del progetto, consegnando ai compagni dei volantini.

“Ok, ma se loro cercheranno di informarsi di più?” chiede Ramon squadrando il foglio particolarmente dettagliato.

“Probabile che lo facciano ma non sarà un problema. Come potete vedere il progetto è proposto dall’associazione studentesca di cui faccio parte e, essendo la portavoce e rappresentante degli studenti, si fideranno ciecamente di me. Inoltre è ovvio che, essendo una proposta extra scolastica, non saranno in molti a partecipare, motivo per cui la scuola non pare troppo interessata nel pubblicizzare l’evento” continua motivata Cecilia, inscrivendo un cerchio attorno al logo della sua associazione.

“Se si vorranno informare maggiormente, potranno andare su questo link creato appositamente da Nieves. Il tutto aprirà una pagina con le indicazioni della gita, i documenti firmati dalla scuola, l’inserimento della segnatura dei docenti e, visto che i nostri genitori romperanno molto le palle, sarà possibile parlare al telefono con la professoressa Fredi” prosegue prontamente Cecilia, fiera della propria creazione.

“Questa è bella! Come si fa a parlare al telefono con la prof?!” si intromette Dimitri, sempre con un sigaro o una sigaretta in bocca.

“Abbiamo o non abbiamo un genio dell’informatica qui? Nieves risponderà al telefono e, grazie a un’applicazione, cambierà la propria voce facendola molto somigliante a quella della professoressa Fredi. Questo è il passaggio più semplice di tutti credetemi!” sottolinea Cecilia, sperando di convincere il gruppo.

“E per quanto riguarda il vero viaggio?” domanda Ramon, rivolgendo lo sguardo ad Andres.

“Per quello ho già provveduto io. Biglietti per il volo prenotati, appartamento prenotato, insomma… tutto pronto! Bisogna solo far scoppiare la bomba! Stasera, tutti noi parleremo ai genitori del progetto… intesi?!” taglia corto Andres, ponendo la propria mano al centro del gruppo in attesa di ricevere un urlo di squadra.

La sera arrivò velocemente e, proprio come d’accordo, tutti i ragazzi spiegarono ai genitori della gita scolastica. Titubanti e preoccupati per la sicurezza dei figli, i genitori decisero di ritrovarsi e valutare insieme la situazione.

“C’è da fidarsi secondo voi?” chiede subito Raquel, invitando gli amici a prendere posto nel proprio salotto. La donna offre a tutti dell’acqua anche se i Dalì preferiscono analizzare attentamente le brochures ricevute dai figli.

“Beh, a parte nostro figlio i vostri sono sempre andati bene a scuola! Dimitri essere un po’ ribelle, ma vostri ragazzi bravi e responsabili!” apre le danze Helsinki, ricevendo il supporto di Palermo che annuisce animatamente.

“E se ci fosse dietro altro?! Da quando in qua propongono gite di questo tipo?!” domanda Silene, la più titubante di tutti sull’argomento.

“C’è sempre una prima volta! Ho sentito dire che sono le nuove idee integrative del cazzo…” sbotta Bogotà, completamente fiducioso della figlia.

“Controlliamo no? C’è un sito web!” propone Anibal accendendo il computer e verificando il tutto. Come volevasi dimostrare, il link indicato conduceva a una pagina parallela a quella della scuola, molto ben organizzata e colma di informazioni di qualsiasi tipo.

Anibal si prende qualche minuto per ispezionare il tutto, dimenticandosi di essere stato proprio lui ad insegnare alla figlia come creare una pagina web sicura e protetta. L’informatico, infatti, non dubita e risulta tranquillo e sereno nel leggere un lavoro così ben strutturato.

“Mi sembra una bella esperienza per loro! Visiteranno dei musei, parleranno con dei ragazzi dell’exchange, dormiranno in un albergo e verranno ben controllati” se ne esce Anibal arricciando le labbra e spalancando le braccia, guardando in modo particolare la moglie che, però, non vuole saperne della fatidica gita.

“E se qualcuno dovesse scoprire di noi?!” continua a dire Silene, cercando appigli per motivare le proprie preoccupazioni.

“Devono vivere Silene! Sono passati 18 e più anni ormai! Non possiamo tenerli sotto una campana di vetro! Dov’è finita la Silene coraggiosa che ricordavamo? Prima infrangevi ogni regola e da quando sei mammina ti agiti per tutto! Calmati!” si intromette Palermo riluttante e infastidito dalle paranoie dell’amica, per poi mangiarsi le parole dette ricevendo la sfuriata dell’altra.

“Ti vuoi fare i cazzi tuoi?! Hai un figlio anche tu, forse invece di farti crescere la pancia alcolica potresti preoccuparti maggiormente per la tua prole e non criticare le scelte degli altri!” lo assale subito Silene, cercando di liberare il proprio istinto animalesco avvicinandosi velocemente a lui.

“C’è un numero di telefono Silene! Prova a chiamarlo e vedi cosa ti rispondono. Così saremo tutti più tranquilli” si intromette allora il professore, rivolgendo uno sguardo di rimprovero a Martin per le parole aspre che bisognava evitare di riversare su Tokyo.

Silene si allontana dalla propria preda e, dopo aver strappato dalle mani il cellulare al marito, si chiude in una stanza e compone immediatamente il numero segnalato.

A casa di Dimitri, intanto, i giovani erano occupati a giocare e divertirsi quando, improvvisamente, ecco squillare il telefono di Nieves che aveva inserito una nuova sim.

“Oh cazzo…” constata lei notando la provenienza del numero.

“Sarà sicuramente qualcuno dei nostri genitori. Fate tutti silenzio e predisponi il programma Nieves!” ordina Cecilia, guardando profondamente l’amica negli occhi e invitandola ad agire mantenendo il sangue freddo.

Nieves lascia squillare ancora qualche secondo, preparando il tutto per simulare la voce della professoressa poi, dopo un profondo respiro, accetta la telefonata.

“Buonasera, con chi parlo?” chiede subito Nieves incrociando le dita, sperando di riuscire nell’intento.

“Buonasera! Sono Silene Oliveira, madre di Nieves Cortes! Ho trovato il suo numero sul link indicato, posso farle qualche domanda?” risponde Silene.

Sentire la voce della madre fa esplodere il cuore di Nieves che, cercando forza nello sguardo degli amici, fatica a continuare la discussione.

“Certo, mi chieda pure!” riesce finalmente a dire, deglutendo silenziosamente una grande quantità di saliva.

“Volevo sapere, in modo particolare, con cosa vi recherete sul luogo e se riuscirete a controllare adeguatamente tutti i ragazzi. Avranno dei momenti in cui resteranno soli?” chiede Silene, non riuscendo a rivelare ancora la propria vera agitazione.

“Abbiamo predisposto un pullman che ci seguirà in tutti gli spostamenti. I ragazzi, dovendo studiare e parlare diverse lingue, avranno bisogno di riposo e concentrazione, motivo per cui li controlleremo soprattutto la sera. Ci saranno degli orari stabiliti entro i quali dovranno recarsi nelle proprie stanze e dormire” prova a rispondere Nieves, usando anche termini educati e sofisticati per dare più credibilità al tutto.

“La ringrazio molto è che vede…” prova a dire Silene, fermandosi per ansimare, portandosi una mano tremante sulla fronte.

“Sono un po’ preoccupata per mia figlia. Sa…” continua ancora la madre, facendo salire ansia e tensione in Nieves.

“Mia figlia ha un problema piuttosto serio al polmone, per colpa di una grave patologia che la colpì da piccola e… e io ho paura che possa sentirsi male” svuota il sacco Silene, mostrando tutta la propria fragilità.

La dichiarazione sconvolge completamente Nieves che si sente pesante e indifesa. Il corpo le si irrigidisce, il respiro le si blocca in gola e la bocca pare rifiutarsi di rispondere. Trascorrono degli interminabili secondi di silenzio e terrore in cui tutti i presenti, scioccati da quanto richiesto, non sanno come reagire alla situazione. È proprio Ramon il primo ad intervenire. Il ragazzo, mosso da una forza interiore, scatta in piedi e si dirige silenziosamente verso l’amica, guardandola intensamente negli occhi.

“Vai avanti, vai avanti! Tranquilla!” le dice senza voce, invitandola a leggere il labiale. Il coraggio di Ramon riesce a dare consapevolezza a Nieves la quale, finalmente, apre bocca per dire:

“Non si preoccupi signora. Nieves sarà in buone mani e, per qualsiasi cosa, la chiameremo. Non andiamo in un posto estremamente lontano”

“La ringrazio molto. Buona serata” conclude poi Silene, tirando un sospiro di sollievo e abbassando il telefono.

Entrambe le donne rimangono in silenzio, senza saperlo. Silene attende qualche minuto prima di uscire e dare risposta agli altri genitori proprio perché, lei lo sapeva, il grande ostacolo da superare era sé stessa.

Nieves, invece, avvolta dal silenzio, si immobilizza ansimando con forza. Un dolore pungente si fa strada proprio in quel polmone ferito motivo per cui, agitata da quella reazione psicosomatica, si porta una mano sotto al seno sinistro graffiandosi la pelle. Nessuno osa parlare e intervenire perché, la verità, è che nessuno sapeva come agire. L’unico a non aver cambiato atteggiamento resta Ramon, ancora tranquillo ed eretto di fronte all’amica. Il ragazzo non dice nulla, non si mostra spaventato e continua a guardare la ragazza anche se, quest’ultima, rivolge i propri occhi castani al pavimento.

Attimi di silenzio interminabili finché, improvvisamente, Nieves scoppia a piangere gettandosi tra le braccia di Ramon che non fa altro che sostenerla in quel difficile fardello, perché consapevole e in parte testimone di quella storia passata indimenticabile.

Silene, dopo la telefonata, esce dalla stanza pronta a dare l’annuncio. Agitata e triste, la donna si avvicina agli amici consapevole della propria decisione, maturata in quegli attimi di silenzio.

“Allora?” chiede curiosa Nairobi, aprendo le mani.

“Tutto ok. Sono ben organizzati e pare davvero una bella gita” spiega Silene, permettendo al gruppo di tirare un sospiro di sollievo e sorridere.

“I vostri figli quindi potranno andare, ma io ho deciso” prende parola ancora lei, senza riuscire a guardare nessuno in faccia.

“I vostri figli possono andare, ma Nieves no. Nieves non andrà”

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Capitolo 15
*** CAPITOLO 14 ***


CAPITOLO 14

Una settimana dopo…

“Allora io vado a preparare le valigie!” afferma Nieves, felice per l’avvento del viaggio che si stava avvicinando.

“Nieves…aspetta…” la chiama Silene con il cuore che le esplode nel petto. Nieves retrocede, preoccupata per quello che avrebbe potuto dirle la madre. Magari si era accorta del tranello? Aveva compreso che dietro alla presunta professoressa Fredi c’era lei? Voleva dirle tutta la verità?

“Io e papà ne abbiamo parlato tanto e, non vogliamo farti andare” svuota il sacco Silene, cercando di mostrarsi austera e sicura della propria decisione.

“Cosa?! Perché?!” sbotta immediatamente Nieves sporgendosi in avanti e sentendo il cuore sussultare violentemente nel petto.

“Non è sicuro! Tra qualche mese hai anche la visita per il polmone e non è il caso di partire proprio adesso! Potrebbe…” comincia a spiegare Silene, girandosi freneticamente le mani.

“Potrebbe cosa?! COSA?! POTREI MORIRE!?!” urla allora Nieves, sputando la verità di una situazione che era un tabù in quella famiglia.

Silene, a causa di quell’esclamazione, riceve una vera e propria coltellata che la portano a mettersi una mano sulla pancia, avvertendo lo stomaco chiuso.

Anibal, rimasto in disparte fino a quel momento, decide poi di inserirsi correndo a sostenere la moglie.

“Che cosa succede qui? Calmiamoci!” si intromette lui, provando a fare da mediatore.

Nieves, però, non aveva la minima intenzione di tranquillizzarsi. La negazione della madre, infatti, rappresenta un vero e proprio affronto che avrebbe sostenuto ad ogni costo. Nieves si avvicina alla madre con i pugni chiusi, guardandola in volto con sguardo rovente di rabbia.

“Non scherzare con la tua salute Nieves!” le risponde Tokyo sentendo il sangue ribollirle nelle vene. Era come se si stesse scontrando con sé stessa, provocando una collisione di fulmini difficile da domare.

“Io faccio quel cazzo che voglio! Te ne vuoi rendere conto?! Ho passato l’infanzia a seguire le tue regole e ora basta! Cosa te ne frega della morte se manco ti vivi la vita?! l’aggredisce Nieves, sputandole in faccia una verità bruciante.

“Piantala di urlare! Ho deciso che non andrai e basta!” risponde la madre collerica, spintonando la figlia che risponde con la stessa moneta.

“La verità è che muori di paura! E non ti accorgi che questa paura mi ha già logorata abbastanza!” incara la dose Nieves, digrignando i denti e spintonando la madre con forza.

“BASTA! BASTA!” prova a dividerle Anibal inutilmente, non sapendo più come comportarsi.

Un gesto violento ripristina l’equilibrio. Un gesto che spesso si utilizza in situazioni disperate. Un gesto che a volte si effettua perché non si sa cosa dire. Uno schiaffo, forte e veloce che colpisce la guancia sinistra di Nieves che barcolla portandosi istintivamente una mano sulla parte lesa.

“NON TI È SERVITO A NIENTE IL CANCRO?! NON HAI CAPITO COSA HAI RISCHIATO?!” grida furente Tokyo, divincolandosi dalla presa del marito che l’aveva bloccata subito dopo la sberla.

“Silene, no basta!” le sussurra Rio sempre più impotente, sentendo il proprio corpo inerme e distrutto.

La parola “cancro” scuote Nieves nel profondo e una valanga di lacrime si presentano automaticamente nei suoi occhi. Eccome se Nieves aveva paura del cancro, eccome se aveva paura di morire, ma aveva altrettanta paura di vivere e voleva superarla! Nieves avrebbe voluto dire alla madre dei suoi progetti, voleva dirle che sapeva la verità e, in particolar modo, desiderava chiederle dove cazzo avesse nascosto la Tokyo forte e coraggiosa di cui aveva letto nella Zecca di Stato. Avrebbe voluto, avrebbe voluto, avrebbe voluto! Ma l’unica cosa che riuscì ad urlare fu…

“TI ODIO!”

Due parole dannate, distruttive che nessuna persona desidererebbe sentire. Tokyo e Rio non riescono più a ribattere, osservando la figlia nervosa correre in camera sua continuando ad urlare e singhiozzare.

Tutta la discussione devasta Silene che, disintegrata come un vaso di porcellana, non è in grado di razionalizzare il tutto. Se solo Nieves sapesse del suo passato, se solo Nieves sapesse di René, di sua madre e di tutte le persone che aveva perduto… se solo sapesse… se solo sapesse…

Tokyo non poteva parlare e la cosa la rendeva completamente pazza. Presa da un raptus di rabbia, Silene si reca in cucina e comincia a scagliare i piatti contro le pareti frantumandoli in mille pezzi.

Anibal, sempre più sconvolto, capisce di dover chiedere aiuto all’unica persona capace di far ragionare la moglie. L’uomo estrae il telefono dalla tasca, digita un numero di telefono e, una volta ricevuta risposta, esclama:

“Agata, ti prego vieni qui! È successo un casino!”

Trascorrono circa due ore dall’accaduto. Due ore lente e dolorose nelle quali Tokyo si rintana nella camera matrimoniale e Nieves, ancora arrabbiata, esce di casa per raggiungere gli amici.
Anibal, sapendo dell’imminente arrivo di Agata, decide di lasciare l’abitazione e ritirare Leya dalla casa di Denver e Stoccolma. La sorellina, per fortuna, era rimasta al di fuori di quello sfogo brutale.

Anibal indossa la giacca di pelle, afferra le chiavi della macchina e si appresta ad aprire la porta dove già l’attende Agata.

“Ho fatto il prima possibile, che cosa è successo?” chiede la gitana preoccupata, parlando a bassa voce.

Rio le riassume velocemente l’accaduto e la stessa Agata comincia a tremare di fronte ai fantasmi di un passato che sembrano bussare alla loro porta.

Alcuni anni prima…

La famiglia Oliveira-Cortes vive serenamente nella propria casa, grati alla vita per quella fortuna e per due bambine che rallegravano ogni giornata.

Una piccola Nieves di soli 6 anni, con i capelli raccolti in due simpatici codini castani, porta sulle spalle un grande zaino arancione, pronta per il primo giorno di scuola.

“Che bella che sei!” commenta Anibal orgoglioso della propria bimba sempre più grande.

“Tesoro, sei sicura di stare bene?” si aggiunge Tokyo, con in braccio la piccola Leya di soli due anni appena svegliata. Da qualche tempo, infatti, Nieves appare pallida e stanca ma il pediatra aveva tranquillizzato più volte i genitori incolpando l’agitazione per l’inizio della scuola primaria.

“Sì! Voglio andare a scuola! Anche Ramon e Ceci saranno in classe con me vero?! Vero?!” chiede Nieves sempre più energica rispetto alle proprie reali condizioni, ancora inconsapevole della problematica fisica che sarebbe scaturita a breve.

“Certo! Zia Agata sarà qui a momenti” risponde ancora Anibal, non potendo fare a meno di notare il pallore della bambina e due occhiaie accentuate che lo mettono in allerta.

Il padre si avvicina alla piccola per tastarle il polso quando qualcuno apre con forza la porta attirando l’attenzione dei presenti.

“Eccoci! Pronti per la scuola?!” esclama una bambina della stessa età, leggermente più alta di Nieves e con i capelli neri come la pece avvolti in un fiocco.

In quel momento, però, nessuno risponde. A parlare sono i fatti e l’improvviso svenimento di Nieves mette tutti in allerta.

“Te l’avevo detto che non la vedevo bene!” urla Silene spaventata, lasciando Leya tra le braccia di Bogotà che la porta in un’altra stanza per distrarla dall’accaduto.

“Nieves? Nieves? Svegliati!” la smuove delicatamente Agata, accorsa ai piedi della piccola. Trascorre un minuto e la bambina pare non riprendere conoscenza, nonostante gli interventi degli adulti che adoperano diverse strategie.

“Non si sveglia! Chiama qualcuno!” grida ancora Silene, con la testa della figlia sulle proprie gambe.

Anibal lascia la figlia nelle mani attente delle donne e, tremante, afferra il telefono pronto a chiamare i soccorsi. Il tutto avviene davanti agli occhi di due gemelli che, inermi e preoccupati, vedono la migliore amica completamente incosciente.

Circa un’ora più tardi Anibal, Silene e Agata attendono sconvolti fuori da una sala operatoria, sperando di poter ricevere notizie quanto prima. Nieves, infatti, non aveva ripreso conoscenza ed era stata visitata immediatamente dai migliori specialisti. Silene, in modo particolare, non riesce a contenere il proprio terrore continuando a camminare avanti e indietro iperattiva e mangiarsi le unghie arrivando addirittura a farle sanguinare.

“Famiglia Cortes?” li chiama un chirurgo, correndo fuori dalle porte scorrevoli della sala operatoria con una cartella clinica in mano. L’agitazione dell’uomo è palpabile e non tranquillizza la famiglia che si appresta così a conoscere la verità.

“Come sta?!” dice subito Silene, trattenuta da Agata che la invita a lasciar parlare il dottore.

“La situazione è grave. La bambina ha un tumore maligno al polmone sinistro” annuncia il medico mantenendo la propria professionalità, pur sapendo di dare una vera e propria coltellata a dei giovani genitori.

La parola tumore destabilizza i presenti che mai si sarebbero immaginati un male così grande. Silene, in modo particolare, sente una pallottola perforarle il cuore e le gambe cedere sotto il peso di una rivelazione troppo grande di lei.

Tumore e bambina di soli sei anni potevano stare nella stessa frase? Era un incubo vero? Quella che stava male era davvero la sua piccola?

“Co-co-cosa?” sussurra Silene non riuscendo a trovare le parole.

“Lo so che la cosa vi sconvolge ma ho bisogno della vostra risposta immediatamente. Solo una strada è ora possibile e consiste nel tentativo di rimuovere il tumore. Il cancro le ha intaccato la parte inferiore del polmone che si può quindi asportare. È un’operazione veramente complessa, ma è l’unica strada percorribile” spiega il dottore mantenendo la calma.

La testa dei genitori inizia a ronzare e tutto pare girare come per effetto di allucinazioni. Silene si avverte ubriaca, confusa e non pienamente cosciente di sé. Anche Anibal, stravolto, risponde alla notizia appoggiandosi al muro con un tonfo e portandosi una mano sul viso, improvvisamente infastidito dalla luce dell’ospedale.

Silene e Anibal si guardano terrorizzati sentendosi una responsabilità che mai avrebbero voluto assumersi. Dalla loro risposta dipendeva il destino della figlia. Un destino che avrebbe dovuto contenere sorrisi, allegria e serenità e non la lotta tra la vita e la morte.

“Che cosa comporta l’operazione?” chiede allora Agata, l’unica in grado di parlare e ragionare in quel momento.

“La parte di polmone con il tumore verrà asportata. Questo è l’unico modo per salvarla, ma non ne abbiamo la certezza. Nel caso in cui l’operazione dovesse andare a buon fine, bisogna lavorare su una giusta riabilitazione e ossigenazione per permettere al polmone leso di riprendersi. Dovremo poi sottoporla a dei cicli di chemioterapia ma in quel caso la situazione sarà molto più controllabile e gestibile” delucida nuovamente il medico, affidandosi alla ragione di quella che deve essere la sorella o la cara amica della madre.

“E se non la volessimo operare?!” riesce a chiedere con un filo di voce Silene, sempre più tremante per tutte quelle condizioni.

“La bambina soffrirà e morirebbe in pochi mesi” risponde sinceramente il medico, addolorato dalla cruda realtà.

Silene si ammutolisce di nuovo, sprofondando contro la parete e abbandonandosi al suolo. Un male si stava completamente mangiando la sua bambina e tutto era avvenuto in qualche ora! Quel giorno Nieves avrebbe dovuto cominciare la scuola e viversi la sua età con spensieratezza. Ora, invece, Silene rischiava di non rivederla mai più.

“Per questo vi dicevo dell’operazione. È davvero l’unica occasione! È un intervento rischioso ma è l’unica soluzione. Se vogliamo agire, però, dobbiamo farlo ora che il tumore è localizzabile e circoscritto in una specifica area” aggiunge ancora il primario, osservando l’orologio sapendo di non poter sprecare minuti preziosi.

“Va bene, diamo il consenso” sbotta all’improvviso Anibal, tirandosi in piedi a fatica.

“Che cosa?! No, non l’ho nemmeno salutata! Voglio vederla!” grida arrabbiata Silene, cercando di correre dentro al reparto ma finendo braccata dalle braccia del marito che riesce a gestire la situazione.

“Non abbiamo tempo amore! Bisogna agire subito, o la perderemo per sempre!” la scuote profondamente Anibal, alzando la voce come se cercasse di autoconvincersi.

“Potrebbe morire anche da questo intervento! Come facciamo… perché?!” si dispera Silene non trovando le parole per descrivere il dolore che prova. La donna appoggia la fronte al petto del marito, iniziando a piangere e battere pugni colmi di rabbia sulle sue spalle.

“Essere genitori vuol dire anche questo. Dobbiamo affidarci ai medici e dare la miglior opportunità di guarigione a Nieves, accettando tutte le conseguenze. Andrà tutto bene vedrai!” prova a tranquillizzarla Rio, stringendosi la moglie in un abbraccio confortante.

Silene si affida a quelle braccia sapendo di non poter scappare. Rassegnata al destino e all’incidenza dei fatti, finisce per annuire e, con uno scarabocchio tremante, firmare il consenso per l’intervento.

Il dottore posa una mano sulla spalla della madre, sapendo di non dover aggiunger parole nient’altro che effimere in un momento come quello e corre dentro alla sala operatoria per dare via al tutto.

Silene, ormai sola con i propri timori, si getta a terra scossa da brividi e nervosismo. La donna non riesce ad accettare la situazione e, completamente fuori di sé, si rialza di scatto prendendo a calci sedie e riviste non interessandosi agli sguardi curiosi delle persone. Anibal si allontana con una mano sulla bocca, avvertendo ogni muscolo inerte e Agata, rimasta in disparte fino a quel momento, corre verso l’amica bloccandola con le braccia come a trattenerla in una camicia di forza.

Silene scalcia e si ribella, mostrando tanto di quella Tokyo incapace di controllare le proprie emozioni. In questo caso, però, come era possibile non biasimare il comportamento di una madre che da un momento all’altro rischia di veder perire la propria figlia?

Agata non dice nulla, si limita a non lasciar andare la presa e tenere legata a sé la migliore amica con quella morsa violenta. Una vera e propria lotta che avrebbe potuto farle uscire coperte di contusioni ed ematomi ma Agata non riusciva ad allentare la presa: il solo gesto di essere lì e premere, le sembrava la miglior testimonianza per dimostrare all’amica di accompagnarla in ogni situazione.

Silene continua a divincolarsi, riempiendo di pugni e spintoni la povera Nairobi finché, esausta, non si arrende utilizzando tutta la propria energia per urlare a squarciagola la frustrazione.

“Sono qui” riesce a dire Nairobi, una volta terminato quel grido di dolore che le lacera l’anima. Calmate le acque la gitana si appresta ad accogliere Tokyo tra le proprie braccia: la sua piccola grande Tokyo che stava vivendo un momento che chiunque desidererebbe cancellare.

Le ore scorrono interminabili, come bloccate in una clessidra ossidata e corrosa dal tempo e dall’umidità. Anibal entra ed esce dall’ospedale, cercando di tenere la mente occupata continuando a far visita alla figlia di due anni e parlando con Santiago che riesce, nonostante la situazione, a non allarmare i bambini.

Silene, invece, non vuole saperne di andare a casa per farsi una doccia o mangiare. La sua vita si è fermata nel momento stesso in cui ha visto la propria bambina entrare in una stanza dalla quale non sa se uscirà. Anche Nairobi non si muove, offrendo il proprio silente conforto.

“Mi sembra quasi di essere tornati dentro la Zecca” sussurra Silene, ancora seduta a terra, con le mani a penzoloni sopra le ginocchia.

“Il tempo non passa e noi siamo qui ad aspettare un verdetto orrendo, con il sudore addosso e lo stomaco chiuso” aggiunge ancora la Oliveira, accettando una bottiglietta d’acqua dalla gitana.

Quell’acqua non la disseta per nulla, ma il gesto automatizzato l’aiuta a tenersi occupata.

“Se potessi in questo momento darei tutto l’oro del mondo. Tutti i miei soldi, la mia stessa vita. Darei tutto…per Nieves” continua Tokyo con gli occhi fissi verso la finestra.

“Quando hai dei figli è così tesoro… diventano la tua unica ricchezza” si limita a delineare Agata, seduta accanto alla migliore amica.

“Come cazzo hai fatto?” chiede poi Tokyo, riuscendo a spostare lo sguardo vitreo e assonnato sull’amica.

Agata la guarda aggrottando le sopracciglia, aspettando la fine della domanda.

“Come cazzo hai fatto e come cazzo fai… a vivere senza Axel?!” le domanda Silene scuotendo la testa, sentendosi in simbiosi con una donna che aveva perso molto.

Agata non riesce a rispondere. In quel momento i suoi occhi si riempiono di lacrime che cerca di ricacciare indietro, appoggiando la nuca contro il muro e mangiandosi il labbro inferiore. Eppure a parlare rimane sempre Tokyo, che sembra intenzionata a rivangare un evento del passato.

“Non li ho mai voluti dei bambini. Non ho mai sentito di poter essere madre, perché non avrei mai voluto passare quello che io ho fatto vivere a mia mamma. Poi lo sai anche tu come sono andate le cose… siamo rimaste incinte praticamente insieme e Nieves mi ha cambiato la vita. Mi ha fatto assaporare la felicità e la vera responsabilità…” si apre Silene, deglutendo saliva nella gola secca e irritata a causa delle grida.

“Tu, invece, dei figli li hai sempre desiderati e cazzo… non sai quanto ho esultato quando ci hai detto sconvolta di aspettarne addirittura due! Solo ora, però, comprendo il fatto che Ramon e Cecilia non sostituiranno mai Axel. Lui è una parte di te che non potrai mai cancellare” fa una pausa Silene, per poi sentire la propria voce spezzarsi in gola.

“E solo ora… solo ora che sta merda di cosa si sta mangiando la mia bambina… solo ora mi rendo conto di essere stata una stronza con te! Perché solo ora, solo ora che vivo la tua stessa situazione mi accorgo di averti detto delle cose orribili” si scusa Silene, ricominciando a piangere e asciugandosi le lacrime con la manica della felpa.

“Di che cosa stai parlando?” domanda Agata, non ricordando liti sull’argomento.

“Quel giorno… il giorno della roulette russa a Berlino. Tu cercavi di fermarmi e io ti ho sputato addosso delle parole orrende. Ti dissi che non avresti mai ritrovato il tuo bambino perché manco si sarebbe ricordato di te! Che pugnalata che ti ho dato! Perché è la stessa pugnalata che sento io ora… scu-scus..a-mi…” confessa Tokyo tornando a piangere trovando immediatamente le braccia di Nairobi che, senza pensarci due volte, la riavvolge in un abbraccio.

“Non mi servono le tue scuse, perché ora come dici tu comprendi il mio dolore. L’unica cosa che posso dirti è che qualcosa ci lega ai nostri figli per l’eternità. Io non so più dove sia Axel, ma nulla mi vieterà di essere la sua mamma… per sempre! Lo stesso avviene per te e Nieves… qualsiasi cosa succederà, tu avrai sempre la tua bambina tatuata nel cuore” riesce a dire Nairobi, avvolgendo ancora l’amica tra le braccia e nascondendo una lacrima che, furtiva, le scappa dall’occhio.

Presente…

Quel brutto ricordo torna vivido nella mente di Agata che, proprio come allora, avverte di nuovo quel gelo. La donna si dirige verso la camera della migliore amica che, passiva, è sdraiata sul letto con un braccio sul volto. Silene sente il rumore della porta che si apre ma non proferisce parola, si limita a restare immobile schermata dal proprio corpo.

“Stai giocando a nascondino? Chissà dove si è nascosta Silene…” scherza Nairobi, sapendo di potersi permettere qualsiasi tipo di atteggiamento con l’amica.

“Ti ha chiamata Anibal… non avevo dubbi” risponde Silene, senza degnare l’altra di uno sguardo.

“Già…” conferma Nairobi, sdraiandosi accanto alla donna che, finalmente, apre gli occhi e la guarda.

“So cosa mi vorrai dire… che non l’ho ancora superata e devo farmi curare” si autocommisera Tokyo, pronta all’ennesima ramanzina.

“Veramente no” le risponde Nairobi con serenità.

“Cosa?” chiede Silene colpita dalla risposta, alzando un po’ la testa per guardarla meglio.

“Non te lo dirò mai, perché questa è una storia che non puoi superare e che non devi superare” le dice con serietà Agata, rivolgendole gli occhi truccati con mascara e matita nera.

“La storia di tua figlia non potrai mai dimenticarla e quella paura che ti assale sarà con te per sempre! Il punto è… quanto vuoi farti mangiare da essa? Vuoi imparare a conviverci o vuoi farti distruggere?” le rivolge una domanda a trabocchetto, lasciando Tokyo senza parole.

“Tesoro, ascoltami” aggiunge ancora Nairobi, prendendo le mani di Silene tra le proprie.

“Tu non la supererai mai, ma Nieves deve superarla. Ora tua figlia è qui, sta bene e ha passato quell’incubo! Non può continuare a vivere nella paura, altrimenti quell’operazione a cosa sarebbe servita?!” la fa ragionare Nairobi, sapendo di aprire ferite.

“E se le succede qualcosa?!” chiede spaventata Tokyo, facendo intuire all’amica di non poter sopportare nuovamente una tensione del genere.

“Tesoro, ma questa domanda ce la faremo sempre con i nostri figli! Potrebbero essere sani, uscire di casa e finire investiti! Così come potrebbe caderci in testa qualcosa da un momento all’altro! Io e te sappiamo quanto sia importante la vita, a causa di tutte le pallottole che abbiamo visto e sparato! Ne basta una e tutto finisce!” risponde Agata mostrando i denti bianchi e un sorriso smagliante, riuscendo a parlare della morte con una certa disinvoltura.

“Ho paura” rivela Silene, con la pelle d’oca e i brividi di freddo. Il discorso di quella che è come una sorella la muove nel profondo, non riuscendo però a trasformare in azione quella consapevolezza.

“Lo so… lo so… ma devi lasciarla andare” la convince Nairobi, stringendola di nuovo a sé e accarezzandole i capelli castani.

“Lasciala andare, lasciala vivere” le sussurra poi con un filo di voce e un sorriso di incoraggiamento.
 
Nieves corre sconvolta per la strada fino a non avere più fiato. Nemmeno lei sa che cosa stia effettivamente facendo, ma una sorta di autolesionismo si fa vivo in lei. La ragazza urla e trattiene il respiro, come a voler sfidare quel polmone che le aveva impedito di compiere qualsiasi gesto.

Nessun viaggio in aereo prolungato, nessuna montagna russa, diete controllate, visite su visite e cicatrici sul petto e sotto le ascelle che la mettevano in imbarazzo ogni estate.

“Ora basta!” grida lei con rabbia, come a volersi strappare quella parte di sé che ancora non aveva accettato. La giovane si dirige a casa di Andres dove sa di trovarlo solo. Suona al campanello ininterrottamente, sicura di ciò che vuole ottenere.

“Nieves che succede, che cosa?!” chiede subito Andres, trovandosi di fronte una ragazza cadaverica con gli occhi affossati e le guance irritate dalle lacrime.

La ragazza non risponde: si fionda sulle labbra del fidanzatino e si richiude la porta alle spalle.

“Voglio scopare, voglio fumare, voglio partire! Immediatamente!” grida la giovane staccandosi un attimo da quelle labbra che hanno risposto positivamente all’assalto improvviso.

Andres non risponde, non sa cosa sia successo, ma quella grinta gli basta per sorridere e decidersi ad assecondare le richieste nocive della compagna.

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Capitolo 16
*** CAPITOLO 15 ***


CAPITOLO 15

Andres, insaziabile, gode delle attenzioni di Nieves accoppiandosi in modo animalesco pronto a soddisfare i propri istinti. Nieves non sembra volersi fermare. Gli attimi di piacere intenso le consentono di esternare il dolore finché entrambi non finiscono esausti e sudati sul letto.

Trascorrono alcuni minuti in cui i due cercano di riprendere fiato ed è Andres il primo a rivestirsi per poi accendersi istintivamente una sigaretta.

“Dammene una” dice convinta Nieves, facendogli cenno con la testa.

“Ti fa male” risponde Andres, espirando una grande quantità di fumo grigio.

“Mi fa più male il fumo passivo che qualche tiro. Oggi faccio quel cazzo che voglio, ti ho detto di darmela” si mostra determinata Nieves, porgendo la mano al ragazzo che, dopo qualche attimo d’esitazione, acconsente.

Nieves si risistema il reggiseno, si sposta i capelli spettinati dalla fronte e si accende la sigaretta senza esitazioni. La piccola brace comincia a lampeggiare e Nieves, libera di vivere come vuole, inspira profondamente avvertendo il fumo pungente percorrerle la gola e bruciarle le narici.

Qualche colpo di tosse, qualche inspiro azzardato ed ecco la giovane soddisfatta nell’aver mandato a quel paese il proprio polmone.

“Gli farà bene no? Tutto questo fumo al mio polmone!” ride lei, togliendosi la sigaretta dalla bocca e guardandola con ammirazione e rabbia. Andres, consapevole della salute della ragazza, non approva quella rivolta estrema e, mosso dall’unico barlume di lucidità e umanità rimastogli, si spinge verso Nieves strappandole il fumo dalle mani.

“Hey! Cosa fai?! Ridammela!” si lamenta subito Nieves, scattando in piedi alterata.

“Adesso basta. Hai provato, ora basta” si limita a rispondere lui, rimettendosi gli occhiali e sistemando la stanza. Il giovane, per la prima volta, si sente debole e fragile motivo per cui preferisce non rivolgerle lo sguardo.

“Mi hai sentito?!” grida Nieves alterata, avvicinandosi al compagno.

“Sì! E ora è meglio che tu te ne vada. Non faremo più una cosa del genere Nieves, vai a casa!” l’allontana lui, provando un certo senso di colpa nell’essersi approfittato di lei in quel modo. Non sapeva perché ma è come se una nuova parte di lui, quella più malsana e orrenda, cercasse di risucchiarlo in un vortice di comportamenti sbagliati.

Nieves, delusa dalla reazione di Andres, afferra la borsa e corre fuori dalla casa andando a sbattere contro Ramon che, proprio in quel momento, stava citofonando a casa dei Marquina.

“Nieves! Fermati! Ma che?” prova a bloccarla lui, osservandola poi scomparire dietro a un angolo della strada.

“Che cosa è successo?” domanda sconvolto Ramon, giunto sul luogo proprio per avvertire l’amico del litigio avvenuto tra madre e figlia.

Andres, in quel preciso istante, rindossa la maschera che lo rendeva somigliante allo zio e risponde aspramente all’amico. Andres, infatti, aveva capito che lui e Ramon erano innamorati della stessa donna motivo per cui, come spiega ogni legge della natura, era pronto a combattere per lei.

“Ci siamo goduti la vita” risponde altezzoso Andres, alludendo alle performance sessuali intrattenute con la giovane.

“Non mi interessa cosa ci fai insieme, ero solo venuto fin qui per dirti che Nieves è sconvolta. Ha litigato con sua madre per la propria salute e ha bisogno di controllo e supporto” rivela Ramon nascondendo il proprio ribrezzo per l’immagine dei due amici in atteggiamenti intimi.

Andres sente un macigno pesargli sul cuore e, improvvisamente, si rende conto dello squallore nel quale era caduto. Nieves aveva cercato lui, Nieves era agitata e lui, al posto di un “raccontami che cosa è accaduto” aveva pensato al proprio vantaggio.

“Puzzi di fumo da far schifo! Spero tu non abbia fumato troppo vicino a lei e…” comincia a lamentarsi Ramon con una smorfia di disgusto, interrompendo il discorso a causa di una raccapricciante ipotesi.

“Hai fatto fumare anche lei?!” chiede Ramon con occhi furenti, stringendo i pugni per contenere la rabbia.

“E se anche fosse?! Smettetela tu e tua sorella con questa apprensione del cazzo! Mi pare che Nieves abbia già due genitori rompi coglioni, non le servite anche voi!” cerca di difendersi Andres, ringhiando verso l’amico che, nero di rabbia, si scaglia contro di lui.

Ramon non aveva mai spinto o aggredito nessuno. Ramon era sempre rimasto pacato ed equilibrato, ma toccare Nieves significava anche incidere su una parte dolorosa del proprio passato.

“Lasciami andare! Cosa fai?! Lo so che ti piace, ma lei ha scelto me! È venuta da me perché io la lascio libera di vivere! Voi cosa fate per lei, a parte dirle sempre no di qua e no di là?!” gli sputa in faccia Andres, divincolandosi dalla presa dell’amico che gli aveva afferrato il colletto della maglietta.

Quelle parole scuotono Ramon nel profondo e il giovane, accecato dall’odio, carica il pugno destro colpendo in pieno volto Andres che si accovaccia a terra con la mano intenta a premere sul labbro spaccato.

“Dov’eri tu eh?! Dov’eri tu quando Nieves è svenuta e ha rischiato di morire davanti ai nostri occhi?! Dov’eri tu quando lei faceva la chemioterapia e io le portavo gli animali di plastica per giocare?! Dov’eri tu quando la vedevi vomitare anche solo dell’acqua?! Dov’eri, me lo dici?!” urla Ramon collerico, con le vene del collo ben in evidenza, ingrossate e arrossate per lo sforzo.

“Fatti un esame di coscienza Andres… e chiediti se la ami davvero! Io sicuramente non ti riconosco più… prima eri il mio migliore amico” conclude poi il moro, sapendo di non avere più parole per una persona che l’ha profondamente deluso. Arrabbiato e amareggiato, Ramon si allontana dal ragazzo, lasciandolo lì sull’erba con la mano sul labbro.

Circa dieci minuti più tardi a rientrare in casa sono proprio i genitori di Andres, usciti per andare a fare la spesa. Raquel e Sergio arrivano in cucina carichi di borse di verdura, spegnendo immediatamente i propri sorrisi trovandosi Andres con un panetto di ghiaccio sulla bocca.

“Andres, che cosa ti è successo?!” chiede Raquel spaventata, avvicinandosi al figlio e cercando di guardargli la ferita. Andres, però, ha lo sguardo accigliato e ancora furente motivo per cui, con uno strattone, si scosta dalle cure materne.

“Fammi vedere signorino, senza storie!” si intromette allora Sergio, non tollerando quel comportamento.

Andres, dopo aver alzato gli occhi al cielo, toglie il ghiaccio dalla ferita mostrando la bocca viola e il labbro inferiore tagliato e pieno di sangue rappreso.

“Che cosa è successo?” domanda allora Sergio, constatando l’esito di una rissa.

“Non sono affari tuoi!” dice Andres collerico, non volendo parlare dell’accaduto sapendo di essere nel torto.

“Pensi che non ce ne accorgiamo vero? Che siamo ciechi? Lo sappiamo che hai una ragazza, lo sappiamo che fumi tantissime sigarette, sappiamo tutto! Sappiamo anche che hai iniziato ad atteggiarti in modo diverso, riluttante e sgradevole” si pronuncia Raquel, esternando le supposizioni maturate segretamente con il marito.

“Non intromettetevi nella mia vita! Vi pare che vengo a raccontarvi delle tipe o di queste cose?!” si lamenta Andres abbozzando un sorriso spavaldo, imbarazzato da quella ramanzina da bambino.

“Non ti chiederò nulla, infatti! Semplicemente ti invito a prestare più attenzione e a chiederti se ne vale la pena di perdere un labbro e un buon amico per dei colpi di testa. Conoscevo una persona che si comportava così…” continua il padre con la paternale, alludendo ancora una volta al fratello defunto.

“Una persona che stimavo tantissimo ma che sapevo non essere moralmente affidabile. Quella persona è riuscita a riscattarsi solo alla fine della propria vita… prima trattava la gente, in modo particolare le donne, così come si trattano i panni per pulire il pavimento…” continua Sergio, con austerità.

“Io non so che cosa ti stesse dicendo Ramon…” aggiunge poi lui, facendo capire al figlio di aver assistito alla vicenda con l’amico.

“Ma se quel pugno ti è stato dato per impedirti di trasformarti nella brutta persona di cui ti parlavo… beh… allora gliene sarò grato per tutta la vita” conclude poi Sergio, lasciando il figlio da solo con i propri pensieri e i propri sensi di colpa.

Nieves trova conforto proprio a casa di Nairobi dove la donna, amandola come una zia, la invita a dormire con Cecilia. La ragazza riesce a sfogarsi con la migliore amica, raccontandole anche degli sbagli appena compiuti con Andres, spiegandole la preoccupazione che le rode dentro.

“Ora cosa intendi fare con tua mamma?” chiede Cecilia, capendo la posizione di entrambe le parti.

“Lei deve superare la paura per la mia situazione. Per questo partiremo tutti quel giorno! Non me lo può impedire!” le motiva Nieves, finalmente rifocillata grazie a una doccia calda e a qualche boccone di cibo.

“Ok Ninì, ma non farle del male. Scrivile un messaggio anche ora, per dirle di stare tranquilla!” prova a farla ragionare Cecilia, dispiaciuta per il dolore di Silene.

“Lo scrivo a mio papà perché con lei non voglio parlare” acconsente Nieves afferrando il cellulare e dicendo al padre di non preoccuparsi che stava bene e che avrebbe dormito dagli amici. Rio, già avvertito da Nairobi sulla situazione, sorride per l’interessamento della figlia e si reca nella propria camera da letto.

In un’altra stanza, però, Leya è intenta a scrivere con il suo caro amico Leroy che, quella sera, era pronto a giocarsi tutte le carte.

“Come stai? Oggi tutto bene a scuola?” chiede lo sconosciuto di apparentemente 14 anni.

“Sì, anche se mia mamma e mia sorella hanno litigato. Papà ha detto che i ragazzi vogliono partire per un viaggio e non lasciano andare Nieves” spiega la ragazzina, digitando velocemente sulla tastiera.

L’uomo dall’altra parte del computer abbozza un sorriso malvagio, felice della riuscita del piano e del fatto che, sicuramente, nulla avrebbe impedito a Nieves di rinunciare al viaggio.

“Senti ma… ti andrebbe di incontrarci?” domanda poi il giovane, consapevole di aver ormai ottenuto la fiducia della ragazzina che non dubita di lui.

Leya, emozionata all’idea di conoscere quel coetaneo dai capelli castani e il volto sorridente, attende qualche secondo prima di rispondere con un sicuro:

“Certo! Quando?”

“Sarò dalle tue parti tra due giorni. I miei vengono in città per lavoro, se vuoi puoi mostrarmi dove vivi e le cose belle che ci sono! Chissà… magari potremmo anche mangiarci un gelato!” risponde convinto Leroy, sapendo di aver adescato la propria preda.

Leya si mostra felice di quell’incontro, non sapendo cosa l’aspettasse.

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Capitolo 17
*** CAPITOLO 16 ***


CAPITOLO 16

Per due giorni interi i giovani preferiscono non vedersi, in modo da far placare le acque. Nieves, dopo aver chiesto ospitalità ai gemelli, decide di tornare a casa giurando di non parlare con la madre. La ragazza, infatti, esce e rientra proprio nei momenti in cui la Oliveira si trova al lavoro o fuori dall’abitazione. L’unico con cui cerca una mediazione è Rio, chiedendogli cortesemente di darle del tempo.

Le vacanze di Pasqua si avvicinavano e con loro anche il viaggio segreto in Portogallo. Nieves, nonostante il divieto dei genitori, stava già architettando un piano per imbrogliarli e imbarcarsi con gli amici.

Il clima del gruppo, però, si era incrinato a causa degli ultimi avvenimenti riguardanti il triangolo Nieves, Andres e Ramon. La voglia di partire, infatti, era sfumata per alcuni di loro.

“Ok, ancora un giorno e si parte!” esclama convinta Cecilia, rivolgendosi a Nieves e Dimitri.

“Ma dove cavolo sono quei due?!” domanda Dimitri confuso, guardando verso la porta in attesa dell’arrivo dei ritardatari.

Ritardatari che stavano dialogando proprio fuori dal luogo dell’incontro.

“Ramon, aspetta!” lo chiama una voce qualche minuto prima, obbligando il ragazzo a fermarsi prima di aprire la porta.

“Che vuoi?!” chiede Ramon con voce cupa, non riuscendo a fare a meno di guardare il labbro ancora gonfio e malato di Andres.

“Voglio chiederti scusa” lo spiazza Andres, abbassando il capo e facendo notare all’amico di sentirsi realmente pentito.

Ramon, però, non pare convinto e attende ulteriori chiarimenti, motivo per cui si appoggia con le spalle alla parete mettendosi in posizione di ascolto.

“Ho sbagliato tutto e a te la verità la posso dire. Ho passato la mia vita a credere di assomigliare a questo zio defunto del quale porto il nome. Sono l’unico figlio dei miei genitori, unico perché mio padre ha visto fin da subito suo fratello in me e non sarebbe riuscito ad amare nello stesso modo altri bambini. Una scelta del cazzo, se posso dirlo, come è stata una scelta del cazzo quella di farmi vivere ricordando costantemente quest’uomo che manco conosco” si apre Andres, portandosi le mani in tasca e mostrandosi serio.

“Quando ho scoperto la vera storia delle nostre famiglie, mi sono sentito da una parte preso in giro e dall’altra finalmente ascoltato e capito. Quello zio di cui mi parlavano ha salvato la vita ai miei genitori e, secondo i racconti, risulto più simile a lui di quanto potessi immaginare. La gloria e l’adrenalina per quello che stavamo facendo, mi hanno spinto a trasformarmi completamente in lui: in un uomo sciupafemmine, avaro e arrogante” si ferma per un attimo Andres, sapendo di dover trattare la parte più complessa di tutte.

“Per questo ho deciso che non partirò con voi. Io resterò qui, perché ho già scoperto troppo di questo passato burrascoso e ho capito che non voglio averne a che fare. Per voi, invece, è giusto andare fino in fondo e scoprire cosa si celi dietro alla storia della Zecca. Io vi prometto di coprirvi in ogni modo e di proteggervi da lontano” confessa poi Andres, convinto del proprio pensiero.

“Cosa? Ti stai tirando indietro?” se ne esce sbigottito Ramon, non immaginando una rinuncia di quel calibro.

“Sì… mi tiro indietro per me, per voi e per Nieves” aggiunge ancora il giovane, rivelando anche i dettagli sulla vicenda amorosa.

“Nieves ha bisogno di cambiare, di trovare sé stessa, di crescere! … e questo con me non potrà mai succedere. L’altro giorno mi hai chiesto se l’amassi e la verità è che io voglio davvero bene a Nieves, ma non posso dimostrarglielo se continuo a comportarmi così. Ci siamo divertiti, abbiamo esagerato, l’ho fatta addirittura fumare! Il suo bene non sono io… il suo bene sei tu” confessa poi Andres, triste per quella rinuncia che gli costava cara ma che sentiva vera e profonda dentro di sé.

“Ma che cazzo stai dicendo? La vuoi lasciare?” si intromette Ramon, stupito da quella scelta. Il ragazzo non mette al primo posto i propri sentimenti e la felicità nell’avere ancora una chance con la migliore amica, ma pensa al coetaneo e al cambiamento che stava dimostrando.

“Nieves in questo momento non ha bisogno dell’amore, ha bisogno di ritrovare sé stessa! Tu sei riuscito a far ragionare me, anche se con un pugno” si ferma un attimo Andres, abbozzando un sorriso e indicandosi il labbro ferito.

“Per questo sono certo che tu sia l’unico capace di accompagnarla e aiutarla a crescere. In più, permettimelo, ma io non sono per niente il suo tipo…” conclude Andres, sorridendo serenamente all’amico e mostrandosi il giovane responsabile e dolce che tutti conoscevano.

“Facciamo pace?” propone poi il piccolo Marquina, porgendo la mano verso Ramon. Ramon esita qualche secondo, meditando quelle parole e osservando gli occhi veri e sinceri del compagno.

Andres ci aveva pensato su, ed era riuscito a rompere l’incantesimo che lo incatenava allo spettro dello zio. Per questo motivo Ramon, certo del cambiamento dell’altro, si sporge in avanti e lo abbraccia, stipulando il ritorno della loro amicizia.

“Oh finalmente siete arrivati!” esclama Cecilia convinta, vedendo i due ritardatari. Tutti rimangono colpiti dalla ferita di Andres ma preferiscono non fare domande, in modo particolare Nieves che si accorge di non ricevere nemmeno uno sguardo dal ragazzo.

“Stavamo giusto parlando del viaggio” spiega Dimitri con in mano i biglietti per il volo.

“Nieves, vorrei dirti due cose in privato… se a te non dispiace” richiede Andres, riuscendo solo in quel momento a rivolgerle il saluto. Nieves, intimorita da quello che avrebbe potuto ascoltare, si appresta ad uscire dalla stanza per recarsi in giardino con il compagno.

“Che cosa succede?” chiede lei tranquilla, a braccia conserte. Andres stringe i pugni nelle tasche dei jeans e dondola su sé stesso per riuscire a gestire l’ansia, poi si esprime.

“Ti chiedo scusa per l’altra sera. Ho approfittato della situazione trasformandomi in un uomo orribile” esordisce lui, continuando a ciondolare.

“Sono stata io a farti quelle richieste” lo corregge Nieves non capendo il nocciolo della questione.

“Avevi bisogno di tutto, ma non di mandare a puttane la tua vita in qualche ora. Eri sconvolta e io non ti ho saputa gestire” afferma Andres facendo ammutolire la ragazza che, in cuor suo, sa di aver appena ascoltato la verità.

“Ci stiamo lasciando vero?” domanda lei sicura, senza rabbia o rancore.

“La nostra non è mai stata una vera relazione Nieves e io ho capito che posso volerti davvero bene, ma non trattandoti in questo modo” spiega lui confermando l’ipotesi della ragazza.

Nieves non riesce a rispondere, finisce per mordersi il labbro e lasciare che qualche lacrima le scivolasse lungo la guancia. In parte lei sapeva di aver avuto solo una forte cotta per Andres, ma di non potersi definire innamorata. In effetti che cosa avevano condiviso insieme? Entrambi erano ammaliati dal successo dell’estrattore delle macchinette, dalla vicenda dei Dalì, dal desiderio folle di inventare altri piani da ladri. Una storia incentrata sulle pulsioni, sul sesso, sulla voracità e mai sul dialogo, sul rispetto e sull’interessamento reciproco.

“Ti prego non piangere. Vedrai che questa scelta ci farà crescere entrambi e, chissà, forse diventeremo grandi amici” la consola Andres, asciugandole una lacrima con la mano attuando il primo vero gesto delicato.

“Annulliamo il viaggio, annulliamo tutto…” dichiara Nieves, pulendosi gli occhi con un fazzoletto di carta macchiato di trucco.

“No… io ho trovato la risposta alle mie domande, ma tu devi ancora cercare le tue! Se resti qui e vivi ignorando tua madre, non ti darai mai pace. Devi partire Nieves!” la invita a ragionare Andres, sorridendole dolcemente.

“E tu che cosa farai? Resterai qui e cosa dirai?” domanda Nieves dubbiosa, preoccupata per le sorti dell’amico.

“Non temere! Vi coprirò in ogni modo e vi aspetterò a braccia aperte per conoscere ciò che avrete scoperto” la rincuora Andres, intenerito da quell’interessamento.

“E io come farò? Chi ci guiderà?” chiede Nieves sentendosi smarrita, guardando l’ex negli occhi.

“Non sono mai stato un leader. Siamo una squadra di amici e ognuno sa esattamente come comportarsi. In più ti invito a non avere paura: ci sarà una persona che veglierà su di te… e questo penso che tu già lo sappia” conclude Andres alludendo al membro forse più focale dell’intero gruppo.

Nieves si ammutolisce, ragionando su quelle parole che in realtà non comprende a pieno, per poi sorridere all’amico e accettare quanto deciso.
 
Leya cammina spedita sul marciapiedi, pronta a conoscere quel ragazzo che tanto stava aspettando di incontrare. Chissà com’era bello Leroy! Con quei riccioli castani e gli occhi color smeraldo! Insieme si sarebbero mangiati un gelato, parlando delle proprie passioni e, chissà, magari si sarebbero innamorati e baciati.

La fantasia della bambina viaggia in mondi immaginari e irreali finché la voce dei genitori non le rimbomba nelle orecchie.

“Non fidarti degli sconosciuti!”

Questi gli avvertimenti di Silene e Anibal che l’avvertivano sulla pericolosità del mondo.

Una strana sensazione comincia a farsi strada nel cuore della piccola che sente di aver fatto una pessima scelta.

La ragazzina attende nel luogo dell’incontro per qualche minuto finché, spaventata dal ritardo, si convince ad abbandonare il tutto e darsela a gambe. Qualche passo, l’intenzione di scappare ed ecco un numero telefonico sconosciuto che la chiama al telefono.

“Dove credi di andare?” chiede la voce dall’altra parte dell’apparecchio.

“Chi sei?!” domanda Leya deglutendo una piccola dose di paura che si rigenera come un fungo dentro di lei.

“Il tuo caro amico Leroy” comunica il ragazzo misterioso, sogghignando e facendo intuire alla bambina di essere in trappola.

“Che cosa vuoi da me?! Leroy, ti credevo mio amico!” rivela la piccina con le lacrime agli occhi e il cuore in fibrillazione. Leya comincia a girare su sé stessa, a guardarsi intorno sentendosi scoperta e soggetta a possibili attacchi indesiderati. Alcune persone le passano accanto e lei avrebbe tanto desiderato chiedere aiuto.

“Ora ascoltami bene: non voglio farti del male! Vogliamo solo metterti al corrente della verità” rivela Leroy, con una voce metallica modificata.

“Quale verità?” chiede Leya confusa, avvertendo il proprio capo girare.

“Quella che riguarda la tua famiglia ovviamente. Lo sai che i primi a mentirti sono stati loro? Lo sai che non sono delle belle persone e che per anni sono stati ricercati?” dice Leroy, informando la bambina a piccole dosi facendola così preoccupare maggiormente.

“Non è vero! I miei genitori sono brave persone!” si arrabbia Leya, tirando fuori gli artigli.

“Ah sì? E dimmi: ti hanno mai raccontato del loro passato? Hai mai conosciuto i tuoi nonni? Hai mai lasciato questo paese?” domande il giovane, sapendo di non ottenere risposta. Leya, infatti, non può che confermare quelle parole e non reagire.

“Ora tu ascolterai le mie indicazioni: correrai a casa, aprirai il tuo computer e leggerai i documenti che ti invierò. Non dovrai parlarne con nessuno! Quando l’avrai fatto mi scriverai e ti dirò la mossa successiva” aggiunge ancora Leroy, consapevole di averla in pugno.

“Io chiamo la polizia, non ti ascolto più!” si altera Leya terrorizzata, facendo per riattaccare e darsela a gambe levate.

“Non ti conviene Leya. Sappiamo dove sei, dove abiti, quando e come respiri. Una mossa falsa e te ne pentirai!” l’ammonisce Leroy, alzando la voce e spaventandola ulteriormente.

Destabilizzata dall’avvenimento, Leya ricade in un violento attacco di panico e, riprese le forze, corre alla propria abitazione desiderosa di parlare e comunicare tutto ai genitori.

Un nodo in gola, però, le impedisce di parlare ed emettere suoni. Leya prova ad urlare, ma le sue labbra si incollano ribellandosi alla psiche. Leya spalanca gli occhi ancora più impanicata, non riuscendo a comprendere i comportamenti del suo corpo. L’unica azione che riesce a compiere è quella di ascoltare l’ipotesi del suo assalitore, senza ribellarsi.

La voce che non torna, neanche a volerlo, è solo uno dei tanti sintomi di un mutismo selettivo che la paralizza, causato da una condizione di stress troppo elevata da sopportare per una bambina della sua età.
 

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Capitolo 18
*** CAPITOLO 17 ***


CAPITOLO 17

Il giorno seguente i giovani preparano i propri bagagli, salutano i familiari e sono pronti ad andare in gita con la scuola. Cecilia e Ramon, felici e sorridenti, ringraziano i genitori per le premure e si allontanano dall’abitazione, in attesa dei compagni.

Nieves si era preparata un piano ben adeguato per camuffare la propria sparizione. Grazie all’aiuto di Andres, infatti, la giovane avrebbe comunicato ai parenti di essersi fidanzata e di non avere più interesse per il viaggio. Nieves si sarebbe sottoposta all’interrogatorio, raccontando ad Anibal e Silene le proprie preoccupazioni in amore, facendo quindi intuire di dover trascorrere del tempo dal ragazzo per comprendere i propri sentimenti. Un’uscita del genere avrebbe suscitato l’interesse dei genitori che, visto il coraggio della figlia nell’aprirsi a un tema così delicato, si sarebbero cancellati la questione del viaggio dalla mente.

Tutto quel piano, però, pare saltare a causa di Leya. La bambina, infatti, non parlava da circa un giorno. Leya tremava, aveva costanti attacchi di panico, non si esprimeva e appariva smunta e cadaverica.

“Tesoro, che cosa ti succede?!” chiede Anibal preoccupato, rivolgendo uno sguardo a Silene che non sa come comportarsi.

Leya, infatti, si chiude dietro la porta e non rivolge lo sguardo ai genitori. La dodicenne sembra spaventata di loro, come se si trovasse davanti a degli estranei.

“Che cosa facciamo?! Chiamiamo il dottore?” continua Anibal preoccupato, provando ad avvicinarsi alla bambina che schiva i suoi atteggiamenti.

“Sarà un attacco di panico” afferma Silene, conoscendo bene i problemi d’ansia della secondogenita, ma non avendone mai vissuto uno di quel calibro. La sera prima, dopo aver ricevuto il ricatto di Leroy, la piccola aveva letto i documenti inviati venendo a conoscenza di tutta la storia della Zecca. Articoli di giornale, immagini di sangue e spari, le maschere dei Dalì e una pagina contenente tutte le foto della sua famiglia e degli amici. La ragazza non riusciva a connettere tutte le informazioni ma aveva paura ad avvicinarsi ai genitori, non sapendo più chi fossero.

Nieves, dopo aver afferrato la borsa, si appresta a ripetere il proprio copione ai genitori ma li trova impegnati nella camera di Leya. Nieves sbircia la scena da una fessura della porta e respira la stessa tensione dei parenti. Leya, infatti, era pallida e muta come mai prima e nessuno era in grado di tranquillizzarla. Presa da un lampo improvviso, Nieves vede in quell’imprevisto l’occasione perfetta per andarsene. I genitori erano impegnati e non avrebbero badato a lei.

Nieves si rimette la borsa in spalla, si allontana dalla stanza della sorella e comincia a muoversi velocemente. È ormai prossima alla porta quando il rimorso si fa strada in lei. Se ne stava veramente andando così? Approfittando del momento di tensione per scappare con codardia?

Nieves ripensa alla sorellina e all’aiuto che, magari, avrebbe potuto darle. La voglia di partire si dimostra più accentuata e una strana calamità porta la sua mano a stringersi sul pomello e correre fuori, senza più preoccuparsi di nulla.

Una volta all’esterno Nieves comincia a correre, inalando quell’aria fresca che sa di libertà e raggiunge i gemelli e Dimitri sul punto d’incontro.

“Tutto ok? Ti hanno lasciata andare?” chiede Ramon, sapendo del piano riguardante Andres.

Nieves non se la sente di raccontare di Leya. Un brutto presentimento le dice che, di fronte alla sua vigliaccheria, pure gli amici le avrebbero consigliato di non partire. Nieves, però, voleva affrontare il viaggio e viversi pienamente la vita per la prima volta. Per questo motivo, mascherando la titubanza, annuisce dicendo:

“Sìsì, ora andiamo!”

L’imbarco procede senza problemi e, mentre i Cortes sono alle prese con le telefonate ai medici, gli stalker pianificano la prossima mossa.

“Hai sbagliato a terrorizzare così la bambina!” ringhia un uomo incappucciato, rivolto a Leroy seduto alla propria postazione informatica.

“Sei stato tu a dirmi di agire in questo modo! Forse dovevi informarti sulla sua condizione psichica!” si lamenta Leroy, cercando di mantenere la calma non capendo la reale problematica delle proprie azioni.

“In questo modo la bambina rischia di spifferare tutto! Oltre al fatto che i genitori terranno sotto sorveglianza i figli e i loro dispositivi!” continua il capo furioso, sbattendo un pugno sul tavolo.

“Tranquillo! È tutto sotto controllo e il piano funziona bene. Nieves e gli amichetti sono in aeroporto, arriveranno qui e tutto potrà iniziare. Se la bambina è un problema direi che ho l’opzione migliore per togliercela di torno” sussurra Leroy mostrando la propria soluzione.

“E sarebbe?” domanda la mente della situazione incuriosito dalle proposte del sottoposto.

“Facciamo passare un po’ di tempo, io proverò a tranquillizzare la bambina e lei placherà gli animi. Tra qualche giorno i Dalì scopriranno della menzogna dei figli e, solo allora, rapiremo la ragazzina. La useremo per richiamarli tutti nel luogo stabilito e avremo tutti i loro piccoletti in gabbia” conclude Leroy, accendendo una particolare applicazione che gli permette di seguire il telefono di Nieves. Il capo si limita a non rispondere. Convinto dall’idea del collega, si limita a dargli una pacca sulla spalla per poi allontanarsi.

Nel frattempo, a casa Oliveira-Cortes, la situazione pare stabilizzarsi. Giunti sul luogo anche gli altri amici dei genitori, Leya pare tranquillizzarsi e tornare in sé. Seduta sul divano con in mano una limonata ricca di zuccheri, gode delle attenzioni materne arrivando a credere di aver vissuto una vera e propria allucinazione.

“Tesoro, come ti senti?” domanda Silene, accarezzando la guancia della figlia che ora mostra degli occhi normali e non più ipnotizzati.

“Sto meglio, grazie!” risponde Leya soddisfatta, riuscendo a gestire la propria voce.

Silene preferisce non chiederle che cosa fosse successo per paura di spaventarla nuovamente, ma la paura torna sovrana in lei. Possibile che la sua vita fosse così sfortunata? Che cosa avevano sbagliato lei e Rio da vivere nell’agitazione e nella paura costante?

È proprio in quel momento che Silene collega la sparizione della figlia maggiore, rivolgendo uno sguardo furente al marito.

“Nieves?! Dov’è?!” alza la voce Tokyo, attirando anche l’attenzione di Agata che si gira a guardarla.

Rio corre in camera della maggiore appurandone l’assenza e la mancanza di beni personali annessi.

“Credo sia sgattaiolata fuori per andare alla gita” constata Rio, ritornato in soggiorno e comunicando la notizia a tutti i presenti.

“Che cosa? Avrà sicuramente preso il posto di Andres che ha preferito rimanere a casa perché non si sente molto bene!” spiega Raquel intromettendosi nel discorso.

“Chiama la scuola! Andiamo a prenderla e…” inizia a ordinare Silene alzandosi in piedi, interrotta immediatamente da Nairobi.

“Lasciala andare! Ormai è andata, ora devi occuparti di Leya” le sussurra con tono di rimprovero, invitando l’amica a calmarsi in modo da non dare preoccupazioni inutili alla bambina.

“Qualcosa non mi torna” disse a bassa voce il prof, notando troppe avversità in quegli avvenimenti. Silenziosamente e per non spaventare i compagni già alterati, Sergio preferisce ritornare a casa e meditare sul da farsi.

Qualche ora dopo…

“Benvenuti in Portogallo!” esclama Ramon felice spalancando le braccia una volta fuori dall’aeroporto.

I giovani respirano a pieni polmoni, felici e soddisfatti di quel viaggio inaspettato e surreale che mai avrebbero immaginato di riuscire a intraprendere.

Nieves osserva le case, la città e i movimenti di quella nuova realtà che li accoglie con musica, freschezza e novità.

“Come ci organizziamo ora?” domanda Dimitri, prendendosi una sigaretta come suo solito.

“Direi di cominciare subito! Sono le 15.00, se non siete troppo stanchi io proporrei di visitare immediatamente il museo. Mal che vada ci torniamo anche domani!” propone Cecilia, trascinando la propria valigia e ricevendo l’istantaneo consenso del gruppo che non vede l’ora di conoscere la verità.
 
“Ci siamo… stanno arrivando al museo!” sogghigna felice Leroy, contento della riuscita di quel piano.

“Li prendiamo subito stasera?” chiede il capo estasiato, sfregandosi le mani come se si trovasse di fronte a una leccornia.

“No… facciamoli ambientare, vedrai che torneranno più volte al museo: non basta una sola visita per scoprire i misteri di una vita” conclude poi Leroy, osservando il puntino del cellulare di Nieves intento a spostarsi per le strade del Portogallo.
 

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Capitolo 19
*** CAPITOLO 18 ***


CAPITOLO 18

“Ok ci siamo, il navigatore indica di entrare in questa strada” spiega Cecilia, puntando il dito su un percorso costeggiato da alberi e prati incontaminati.

Ma è normale che sia tutto così… abbandonato?” chiede Ramon guardandosi intorno, notando distese erbose, foreste e colline abitate solo da qualche pecora.

“Un museo su dei delinquenti mica lo potevano fare in città no?” prova a farlo ragionare Dimitri, mettendosi gli occhiali da sole per ripararsi dal calore del pomeriggio.

“Che cosa diciamo se ci chiedono qualcosa?” si intromette Nieves, dopo cinque minuti di camminata su sassi e rami scricchiolanti.

“Perché mai dovrebbero farlo? Le nostre identità non sono da camuffare! Alla fine nessuno sa i veri nomi dei nostri genitori” afferma Cecilia perfettamente a suo agio intravedendo, tra i cespugli, la figura di una grande casa in mattoni rossi dall’aspetto trasandato.

“E questo dovrebbe essere un museo?” critica Dimitri facendo una smorfia nei confronti della catapecchia.

“Ricordi quanto detto da Andres? Il luogo è stato costruito per similare il casale di Toledo dove i nostri hanno studiato tutto” risponde Ramon facendo un passo avanti per squadrare dei cartelli visibili in lontananza.

“Dai andiamo, seguiamo la fila” comunica Cecilia, invitando gli amici a mettersi in coda di alcune persone che attendevano fuori dal portone d’ingresso.

Il luogo, anche se all’esterno logoro, si dimostrava ben organizzato. All’ingresso erano presenti delle guide turistiche vestite elegantemente, degli uomini della sicurezza, igienizzanti, biglietti, brochures, gadget, metal detector e nastri per far scorrere e controllare le borse. Una classica atmosfera da museo che permette ai giovani di abbandonare le preoccupazioni e fiondarsi nel proprio passato.

“Tutto ok! Buona permanenza ragazzi! Al primo piano potrete trovare tutti i documenti riguardanti la strategia del professore. Al secondo le testimonianze degli ostaggi, le indagini della polizia e qualche informazione riguardante ciò che si conosce dei Dalì. Sempre al secondo piano troverete una zona al momento inagibile perché in fase di miglioramento” inizia a spiegare la donna che riconsegna zaini ed effetti personali ai giovani.

“Mi dispiace che sia chiusa proprio quella sezione riguardante le supposizioni che sono state fatte sulla vera identità dei Dalì. Come sapete nessuno conosce i loro veri nomi! Pare, però, che siano stati trovati documenti e testimonianze che gli esperti stanno ancora valutando” aggiunge la guida, mettendo così la pulce nell’orecchio a quei piccoli ribelli che avrebbero cercato di accedere ugualmente all’area riservata.

Da un certo punto di vista, l’idea riguardante la vera identità dei Dalì spaventa i giovani. Se il mondo collegasse i nomi di città a dei volti, le loro famiglie sarebbero state costrette a scappare.

Senza farsi ulteriori domande, i ragazzi ringraziano cordialmente e cominciano a setacciare il museo. Dimitri e Ramon si fermano immediatamente al primo piano, dando un’occhiata ai disegni e alle strategie utilizzate dal professore. L’ingegno del papà di Andres sconvolge i due ragazzi che, entusiasti, commentano insieme tutti i reperti ricevendo spesso le occhiatacce degli altri visitatori presenti. Cecilia e Nieves, invece, salgono le scale intenzionate a raggiungere il secondo piano. Una grande sala con un vecchio tavolo, bottiglie vuote e moltissimi articoli di giornale appesi alle pareti, si palesa agli occhi delle due fanciulle. Nella sala erano presenti solo altri tre ospiti che, incuriositi dalle vicende, leggevano le inscrizioni silenziosamente.

Cecilia si sofferma davanti alla fotografia di una donna alta con qualche ciocca di capelli neri visibile attraverso la maschera di Dalì. Nessuno avrebbe potuto riconoscerla, se non il sangue del suo sangue. Cecilia, infatti, si appresta a leggere le dichiarazioni degli ostaggi, dopo aver sorriso alla figura mascherata della madre.

“Lì dentro ci trattavano bene. Ci portavano cibo, acqua, medicinali e ci accompagnavano in bagno quando necessario. Non hanno ucciso ma il terrore era alle stelle”

“La migliore di tutti era sicuramente la signorina Nairobi. Era una donna carismatica, forte e coraggiosa che ci incitava a stampare quante più banconote possibili. Lei non si limitava a stare lì e guardare, era una grande lavoratrice e si sporcava le mani quanto noi. Quella donna doveva avere qualcosa di geniale perché riusciva a valutare qualsiasi tipologia di soldi e non commetteva errori!”

Questa alcune delle dichiarazioni riportate dagli ostaggi e Cecilia, frastornata da quanto appreso, distoglie lo sguardo dall’immagine di sua madre vedendo, anche dai racconti riportati, una persona con tempra solida a seguito di una vita infelice e sofferente.

“Avrei voluto che me ne parlasse sai… di tutti i suoi dolori, di quel figlio di cui non ha saputo più nulla e…” comincia a dire Cecilia, convinta di avere vicino la migliore amica che, invece, scompare alla sua vista.

Cecilia si guarda attorno spaventata ma di Nieves neanche l’ombra.

“Nieves?” la chiama Cecilia a bassa voce, sperando di non attirare l’attenzione dei presenti che stavano tornando al primo piano. Ancora qualche secondo di silenzio ed ecco una figura incappucciata correre fuori dal corridoio vietato.

Cecilia sobbalza dallo spavento per poi identificare Nieves nello sconosciuto.

“Ma sei matta? Che cosa stai facendo?” sussurra Cecilia stringendo i denti per non farsi sentire.

“Ho trovato un faldone con le vere storie dei nostri genitori. Lo dobbiamo portare via di qui!” spiega Nieves guardandosi intorno, confermando la non presenza di telecamere e tirando un sospiro di sollievo. La mancanza di videocamere, però, le fa corrugare la fronte e una domanda le inizia a ronzare nella testa:

“Possibile che in un piano ricco di contenuti sensibili come questi non ci siano telecamere?”

La domanda era più che lecita e, forse, se Nieves ci avesse ragionato sopra maggiormente, avrebbe potuto comprendere la trappola senza via di uscita nella quale si erano cacciati. La priorità di Nieves, però, si concentra sul fascicolo nascosto nello zaino con il solo desiderio di leggerne il contenuto al più presto.

Chiamati a sé gli altri due compagni, il gruppo si appresta a lasciare il luogo con fare calmo, in modo da non destare sospetti. L’attenzione e l’interesse di tutti ora era focalizzato sui dati personali dei genitori.

Felici di aver passato il metal detector senza particolari intoppi, i ragazzi iniziano a correre il più velocemente possibile diretti all’appartamento dove, da lì a qualche ora, avrebbero conosciuto la storia dei propri genitori.

L’appartamento appare grande e spazioso ma nessuno dei presenti sembra interessato a valutarne la comodità. Dimitri butta la propria borsa per terra, chiude a chiave la casa e controlla dalle finestre di non essere osservati. Cecilia, che lamentava il bisogno di andare in bagno, sembra dimenticarsi del fastidio e concentrare l’attenzione sul faldone nello zaino di Nieves.
La piccola Cortes, infatti, si inginocchia davanti alla borsa ed estrae un grande fascicolo disordinato contenente fotografie, ritagli di giornale e molti altri documenti.

“Dovremo pensare a che cavolo fare poi… si accorgeranno che manca il contenuto più importante per dare visibilità al loro museo!” afferma Cecilia preoccupata, sentendosi il fiato sul collo.

“Ora direi di leggere… poi vedremo” le risponde Ramon con gli occhi fissi sui fogli che Nieves stava staccando e porgendo loro. La ragazza, infatti, aveva trovato una sorta di curriculum dedicato a ogni membro della banda e aveva appena posto la storia di Nairobi e Bogotà tra le mani dei gemelli. Anche Dimitri riceve dei documenti riguardanti Palermo, Helsinki e un uomo sconosciuto chiamato Oslo che era cugino di suo padre.

Nieves, dopo aver diviso equamente il materiale, si chiude in una piccola stanza dell’appartamento e si appresta a leggere tutto. Il cuore le batteva all’impazzata e un forte desiderio di vendetta e rivalsa sulla propria famiglia la agitava profondamente.

Gli occhi di Nieves scorrono sui dati sensibili dei suoi genitori ma un forte senso di tristezza pare prevalere dentro di lei. Già dalle prime righe, la ragazza entra a conoscenza dei genitori di suo padre, di tutta la vicenda “Rayo”, del ricatto avvenuto alla televisione e molto altro ancora. Nieves vede alcune fotografie riguardanti il suo papà molto più giovane, obbligato a imbracciare un fucile per salvare la vita ai propri compagni.

La vicenda che la smuove in particolare, però, appartiene a Silene. I documenti di Tokyo sembrano pugnalarle l’anima, motivo per cui la ragazza porta una mano sulla bocca, scioccata da alcune scritte e immagini che le si palesano di fronte.

Nieves vede la fotografia di un ragazzo morto, mitragliato e grondante di sangue abbandonato per terra e di sua madre sdraiata piangente su quel corpo inerme. È così che Nieves scopre l’identità di René: quell’uomo che sua madre aveva amato con tutta l’anima e per il quale si era fatta chiamare Tokyo.

Nieves viene così a conoscenza del fatto che la sua famiglia e gli amici erano semplicemente dei ladri e che i veri assassini erano stati poliziotti e Stato. La polizia aveva ucciso il nonno di Andres, il fratello di Sergio e il fidanzato di sua madre.

Nieves legge poi di un’altra tragedia riguardante la mamma di Silene. La mamma di Tokyo era stata minacciata dalla polizia, tenuta sotto stretta sorveglianza e la donna, per salvarsi, cercava di convincere la figlia a tornare a casa e consegnarsi. Silene era disposta ad ascoltare la madre, quando il professore le salvò la vita invitandola a salire su una macchina e unirsi al suo piano.

Un po’ di tempo dopo giunge la notizia della morte di sua madre, una donna che le voleva molto bene e che Tokyo aveva creduto corrotta. La donna, in realtà, non aveva mai smesso di coprire la figlia e Silene non aveva nemmeno potuto salutarla.

Nieves legge poi dell’amore che la madre nutriva per i compagni, in modo particolare per Nairobi alla quale aveva effettuato anche un intervento chirurgico molto pericoloso. Tokyo era considerata una scapestrata, ribelle e irregolare, ma con un grande senso etico e un desiderio irrefrenabile di vivere.

Nieves lascia scorrere le lacrime, mentre legge l’ultimo documento ritraente la fotografia di una porta bianca disegnata in un bagno. Una porta magica che sua madre le aveva invitato di aprire una sola volta nella vita, quando avrebbe creduto che la paura fosse stata troppo grande da sopportare. Una porta che Tokyo aveva regalato a Rio, una porta che non aveva mai aperto perché sempre più coraggiosa e forte delle avversità.

Nieves lascia cadere a terra i documenti, portandosi le mani tra i capelli e singhiozzando amaramente. Mai si sarebbe immaginata di entrare in contatto con una storia simile e, soprattutto, di essere la figlia di due ragazzi che avevano veramente perso tutto: le famiglie, l’amore, la vita. Nieves si batte il petto in segno di pentimento, triste nell’aver sempre giudicato sua madre e per averla profondamente odiata quando, invece, lei aveva fatto di tutto per risollevarla.

Nieves lascia correre la propria mente che, frenetica e irrefrenabile, comincia a viaggiare nei ricordi mostrandole tutti i momenti in cui la madre era stata presente per lei. Un flashback particolare, però, pare attirare la sua attenzione e rivelarle un dettaglio del suo passato che aveva dimenticato.

Alcuni anni prima…

“Signori Cortes” li chiama un dottore uscendo dalla sala operatoria. Anibal, Silene e Agata sono ancora fuori nel corridoio, in attesa di conoscere le sorti della loro bambina. Il viso di Silene, in modo particolare, appare invecchiato di molti anni, colmo di occhiaie, rughe e gonfiori che incorniciano il terrore vivente di una madre che teme di perdere il proprio gioiello più grande.

“L’operazione è riuscita! La bambina sta bene!” annuncia immediatamente il chirurgo con le lacrime agli occhi, emozionato per il risultato e per il sollievo che può donare ai familiari.

Silene, finalmente, riesce a eliminare una piccola parte di tensione sprofondando tra le braccia di Rio che la stringe a sé in un abbraccio d’amore meraviglioso.

“Hai visto amore mio? È tutto ok, è tutto ok!” commenta il ragazzo piangendo, baciando sulla guancia la moglie che si copre gli occhi colmi di lacrime.

Agata osserva la scena commossa, felice nel vedere così uniti due cari amici che, di fronte a una sofferenza tale, riescono a sopportare insieme le avversità.

“Devo proprio dirvelo: quella bambina è una forza della natura. C’è stato un momento in cui abbiamo dovuto rianimarla, stava perdendo sangue e pareva non esserci più niente da fare. Non sappiamo come, ma lei è come se avesse utilizzato tutte le proprie forze per restare viva e permetterci di continuare l’operazione. Avete una figlia meravigliosa… tenetevela stretta!” si congratula il primario sorridente, stringendo la cuffietta per capelli utilizzata durante l’intervento.

“Sa, dottore, quella bambina è il simbolo della resilienza… proprio come i suoi genitori. È la degna cugina di un bambino che conosco bene” si aggiunge Nairobi, con un peso in meno sul cuore.

La frase dell’amica colpisce particolarmente Tokyo che, ancora emozionata, rivolge le braccia anche ad Agata.

“Non so cosa farei senza di te” le sussurra Silene all’orecchio, stringendola forte a sé.

“Ce lo siamo promesse per sempre… Jarana Hermana!” risponde Agata con un filo di voce, accarezzando i capelli scuri della ribelle e asciugandole le guance dalle lacrime.

Il momento seguente vede Silene dentro la sala operatoria, pronta a palesarsi non appena vede gli occhi della figlia riprendersi. Nieves, frastornata e completamente fasciata, fatica ad alzare le palpebre appesantite e cerca di guardarsi intorno contestualizzando il luogo.

Una profonda sensazione di panico prende vita dentro di lei. Nieves sente il corpo inerme, debole e un forte dolore al petto pare pugnalarla costantemente.

“Mamma…mamma” piagnucola preoccupata la piccina, spaventata anche dal suono delle macchine che indicano l’accelerazione del suo cuore.

“Shhh, amore sono qui! Tranquilla!” le sussurra subito Tokyo, sedendole accanto e accarezzandole la guancia.

La mano di Nieves prende istintivamente quella della madre e se la preme con forza sul volto, come a volerla implorare di non andarsene.

“Sono qui! Sono qui!” continua a dire Tokyo con una tranquillità e uno sguardo d’amore capaci di placare lo spavento della bambina.

“Che cosa mi è successo?” si esprime a fatica Nieves, sperando di poter ricevere dell’acqua per lenire la secchezza della gola.

Silene risponde alla domanda con una risata soffocata, cercando di dare pace alla piccola.

“Hai avuto una malattia e ti hanno fatto un intervento. Ora ti sentirai strana perché una parte di te è stata tolta per permetterti di stare bene” sospira Silene, accarezzando anche la mano attraversata da flebo della figlia.

Ad aiutarla in quella difficile rivelazione giunge anche Anibal, seduto subito dall’altra parte del letto.

“Ciao papà” saluta Nieves, rivolgendo lo sguardo al suo grande compagno di giochi.

“Ma ora sono guarita, vero?” chiede ancora la bambina, avvertendo il petto bruciare a causa degli innumerevoli punti.

I genitori si guardano titubanti sapendo di doverle la verità.

“Sai… i medici hanno detto che sei stata fortissima! Avevi una malattia davvero brutta che ti stava portando via da noi. Tu hai lottato per restare aggrappata alla vita e il peggio è passato!” comunica Anibal rompendo il ghiaccio.

“Ora, però, dovrai combattere ancora per fare in modo che quel brutto cattivo non torni più. Magari non ti sentirai molto bene e farai fatica, ma poi passerà tutto!” lo completa Silene, cercando la coesione con il marito.

Nieves prova a deglutire comprendendo, anche se a sei anni, di dover superare qualcosa di più grande di lei. Il cuore della bambina torna ad accelerare e la poca saliva a disposizione non riesce a idratarle la gola in fiamme. La testa le gira, il dolore al petto la blocca nel letto e l’intorpidimento dovuto all’anestesia la intontiscono. Una cosa riesce a capire alla perfezione: il fatto di trovarsi lontana da casa, dagli amici, dai giocattoli e dai sorrisi era qualcosa di anormale per una della sua età.

“Io ho tanta paura…” dice la piccina con labbro tremante, segno di un pianto incombente.

È allora che Tokyo compie un gesto indelebile. Afferrato un pennarello che in genere i dottori usavano per scrivere sulle provette, disegna sul muro l’immagine di una porta.

Nieves si stupisce di quel gesto così trasgressivo e si chiede anche il perché del sorriso di papà.

“Mamma, non andrà più via dal muro!” la rimprovera la bambina stessa, eticamente corretta.

“Meglio… così potrà aiutare tutte le persone che entreranno in questa stanza” risponde Silene chiudendo il pennarello e facendo spallucce, mostrando alla bambina una piccola parte di quella Tokyo ancora nascosta.

“Questa porta ti permetterà di scappare. Quando la paura sarà troppo grande, potrai aprirla e tutto finirà. Presta attenzione però… perché questa porta magica può aprirsi solo una volta. Se sbagli non potrai più tornare indietro” le spiega Silene, facendo venire le lacrime agli occhi al marito che ricorda il medesimo gesto vissuto all’interno della Zecca.

Nieves, da quel giorno, cominciò la sua battaglia per annientare il cancro e, nonostante tutto, la porta non l’aprì mai perché sua madre non la lasciò sola nemmeno per un istante.

Il ricordo della porta scuote Nieves nel profondo la quale comprende la sofferenza della madre e di come, proprio quella porta, fosse stata aperta da Silene una volta conosciuto il destino della figlia.

Nieves capisce di essere tutto per sua madre e che lei non avrebbe mai tollerato di perderla. Tokyo aveva perso sua madre, l’amore della sua vita e con Rio era riuscita a ricucire il proprio cuore.

Quel cuore che, una volta guarito, si strappò completamente a causa della malattia della figlia.

Nieves improvvisamente si sente uno schifo e una morsa allo stomaco le fa desiderare di correre a casa e fiondarsi tra le braccia della madre.

“Non ti ho aiutata ad affrontare la paura… scusami Mamma!” sussurra lei a bassa voce, per poi sfogarsi nuovamente in un pianto disperato.

Nieves trascorre in solitudine i successivi minuti finché Cecilia non si siede accanto a lei.

Silenziosamente la figlia della gitana apre i fogli di Rio e Tokyo, conoscendo anche le loro identità, senza però sconvolgersi.

“Tutto ok?” le domanda poi, capendo la ragione del malessere di Nieves.

“Ora sì. Ho scoperto tutto! Mia mamma ha davvero sofferto e io l’ho lasciata sola” spiega Nieves, asciugandosi gli occhi con le maniche della felpa.

“E ora che cosa vuoi fare?” le chiede Cecilia, all’apparenza triste e amareggiata.

“Voglio tornare a casa. Dirle tutto! Domani porteremo il faldone al suo posto e partiremo… io sicuramente lo desidero, ma se voi volete restare qui va benissimo” ragiona Nieves, guardando di profilo l’amica intenta a rimuoversi nervosamente una pellicina dall’unghia.

“Che c’è? Stai male?” afferma poi Nieves, invitando l’amica a rivolgerle lo sguardo.

“Il passato di mamma è bruttissimo. Io e Ramon abbiamo scoperto della sua famiglia impegnata in attività illecite, del suo padrigno che riempiva di liquori suo figlio per farlo smettere di piangere, del traffico di droga…” si apre finalmente Cecilia, deglutendo per riuscire ad andare oltre.

“Questo bambino… questo Axel… le è stato tolto ingiustamente! Dopo aver scontato il carcere l’hanno fatto sparire e nessuna giurisdizione al mondo può separare in questo modo un figlio dalla madre! Mi sento così arrabbiata! Arrabbiata contro il sistema!” continua Cecilia digrignando i denti e stringendo i pugni.

“Quale sistema?” chiede Nieves confusa, sapendo di conoscere a breve le sofferenze della migliore amica.

“Con la cultura, con gli stati, con la razionalità, con i pregiudizi! I nostri genitori volevano solo libertà, riscatto e degli inutili pezzi di carta! Sì, perché alla fine i soldi sono degli schifosi pezzi di carta che hanno da sempre lacerato l’uomo! Le guerre nascono per motivi economici, da desideri di potere e di sovrastarsi uni gli altri! A me tutto questo sta stretto… perché non mi sento rappresentata…” dichiara Cecilia, pronta a sganciare la bomba.

“Ti sei mai chiesta il perché dei corsi che seguivo a scuola? Il perché dei pomeriggi in cui mi isolavo? Il perché della mia lotta per i diritti e per la tutela dell’ambiente? Ecco… io sono diversa Nieves e la mia diversità non tutti ancora l’accettano” conclude la figlia della gitana, rimanendo sul vago.

“E di quale diversità stai parlando?” la interroga Nieves aggrottando le sopracciglia per il dubbio.

La risposta non tarda ad arrivare perché Cecilia, improvvisamente, si getta in avanti verso la migliore amica e la bacia sulla bocca. Nieves inizialmente rimane impietrita, con gli occhi spalancati, sentendo la morbidezza delle labbra di Cecilia che la invitano ad approfondire. Le bocche si aprono di più e anche le lingue si accarezzano per qualche istante, finché Nieves non si stacca dal bacio pulendosi la bocca con il dorso della mano.

“Aspetta, ma che cazzo fai?!” chiede Nieves confusa, scuotendo la testa per il gesto compiuto.

Cecilia, di fronte alla reazione, scoppia a ridere senza vergogna.

“Ora hai capito una delle mie diversità? Io sono lesbica Ninì…” dichiara Cecilia, guardando l’altra in volto.

“Ti giuro che ora l’ho capito!” scherza Nieves, finendo per scoppiare entrambe in una fragorosa risata.

“Perché hai baciato me?” domanda poi Nieves, sperando di non essere la fiamma della migliore amica.

“Per provare e per farti capire che siamo solo immersi in stereotipi. Sia chiaro Ninì, io non sono innamorata di te. Resterai per sempre la mia migliore amica e mia sorella, ma volevo farti vivere sulla pelle quello che sento io” chiarisce Cecilia, convinta e orgogliosa del proprio atto di libertà che fa meditare Nieves.

“Sei una donna forte Ceci… vedo tanto di tua mamma in te! Io ti accetto, ti rispetto e per me non cambia nulla. Sono anche sicura, con tutto il mio cuore, che la tua famiglia ti accoglierà a braccia aperte perché non sei diversa! Sei Cecilia!” la rassicura Nieves, felice di quel momento così intenso che aveva permesso a entrambe di conoscere la propria identità.

Le amiche sanciscono il dialogo con un abbraccio stretto e significativo. Le due trascorrono qualche minuto in silenzio, riconoscendosi ancora una volta compagne di viaggio, finché Nieves non balza in piedi con un sorriso smagliante.

“Che cosa fai ora?” le dice Cecilia titubante.

“Devo andare a fare una cosa. Mi accompagni? Ci metteremo poco” propone Nieves offrendole una mano per alzarsi.

“Basta che non mi chiedi di andare di nuovo al museo o fare qualcosa di illegale” mette le mani avanti Cecilia, preoccupata dai colpi di testa dell’altra.

“No… voglio fare una cosa super legale e super bella” le risponde Nieves con serietà, facendo capire all’altra di essere finalmente cambiata.

Cecilia afferra la mano dell’altra e si mette in piedi, disposta a seguirla in quel mistero.

“E comunque ora ho capito… ma evitiamo di limonarci ancora, ok?” cambia discorso Nieves, intenzionata ad alleggerire la situazione. Le due scoppiano nuovamente a ridere e si dirigono fuori, a respirare aria di una momentanea libertà.

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Capitolo 20
*** CAPITOLO 19 ***


CAPITOLO 19

Nieves e Cecilia rientrano nell’appartamento qualche ora dopo. I loro visi sono raggianti e il sorriso smagliante costringe i due ragazzi a rivolgere loro diverse domande.

“Ma dove siete state?” chiede Dimitri stupito, vedendo tornare le amiche inaspettatamente.

“Ceci mi ha accompagnata a fare una cosa. Hai preparato da mangiare?” risponde Nieves, lasciando cadere la borsa e dirigendosi verso la cucina dell’appartamento dalla quale proviene un certo profumino.

I ragazzi finiscono per consumare la cena in allegria, raccontandosi le rispettive scoperte e organizzando la giornata successiva.

“Che cosa ne facciamo del fascicolo?” chiede Ramon facendosi improvvisamente scuro in volto.

“Lo riportiamo indietro… sperando che non ci becchi nessuno” risponde Cecilia, avendone già discusso con Nieves.

“Ma così scopriranno i nomi dei nostri genitori!” si lamenta Dimitri, servendosi della birra.

“Non importa…” sbotta subito Nieves, ormai fiera delle proprie origini.

“Torneremo immediatamente a casa e racconteremo tutto alle nostre famiglie. Se ci sarà da scappare o cambiare identità, io sono disposta a farlo!” dichiara orgogliosa la piccola Cortes, ricevendo lo sguardo carico d’approvazione dei due gemelli per poi proseguire la cena in tranquillità.

La notte cala velocemente sul Portogallo e i giovani si dirigono nelle rispettive stanze per cercare di riposarsi. Dimitri e Cecilia crollano subito in un sonno profondo, mentre Nieves si siede sul proprio letto non riuscendo ad appisolarsi. Le rivelazioni scoperte poco prima la agitano e anche quel gesto, compiuto segretamente con Cecilia, la porta a sorridere eccitata dall’idea di ritornare a casa.

“Non riesci a dormire?” domanda Ramon, affacciandosi alla porta della camera con discrezione e rispetto.

“Direi proprio di no… vieni qui, almeno ci facciamo compagnia” propone Nieves, facendo posto al giovane che le si siede accanto.

I due, a pochi centimetri uno dall’altra, rimangono in silenzio per qualche minuto godendosi l’atmosfera.

“Non avevo mai sentito una pace simile dentro di me” rompe il ghiaccio Nieves, aprendosi completamente al migliore amico.

“Cecilia mi ha detto di tua madre e di quello che siete andate a fare in città” risponde Ramon annuendo, facendo capire di conoscere già la storia.

“Quella ti dice proprio tutto eh!” ridacchia Nieves divertita, constatando la poca riservatezza della migliore amica.

“Beh… alla fine ogni tua conquista è in parte anche nostra” commenta Ramon, stringendosi le gambe al petto e appoggiando il proprio mento sulle ginocchia.

“Sai… oggi ho scoperto tanto di me. Ho voluto ripercorrere il percorso della malattia, il rapporto con mamma, le coccole di mia sorella… e mi sono convinta del fatto che, se non ci foste stati voi due, io non sarei mai guarita” afferma Nieves in pace con sé stessa, accogliendo ogni minima parte della propria persona.

“Ma che cosa dici?” domanda Ramon con le lacrime agli occhi, nettamente sensibile all’argomento.

“Ricordi quando eravamo a metà del mio percorso di chemioterapia?” lo invita a riflettere Nieves, lasciando che le menti si sincronizzassero su quel ricordo.

Dieci anni prima…

Una bambina di sei anni era seduta in soggiorno. Il braccio sinistro adagiato su un cuscinetto e un grosso ago che lo penetrava nel mezzo. Le vene erano gonfie e violacee, la carnagione estremamente pallida, il fisico magro e le occhiaie bene in vista. La bambina stava lottando contro quel mostro per il quale era già stata operata, sperando di distruggerlo definitivamente e non farlo mai più tornare. Una bambina coraggiosa che aveva già pagato caro il prezzo della vita, non potendo vivere con spensieratezza la propria età. Fortunatamente, però, Nieves veniva assistita dai suoi due migliori amici e quelle interminabili ore passavano più in fretta.

“Guarda oggi cosa ti ho portato!” la saluta Ramon, scostandosi il caratteristico ciuffo dagli occhi, mostrandole un libro e qualche animale di plastica.

Nieves, troppo debole per rispondere, lascia che sia l’altro a parlare. Ramon, infatti, era abituato a fare dei lunghi monologhi proprio perché cosciente della fatica di Nieves.

“Questo è il libro delle cronache di Narnia e questo è Aslan il leone!” li presenta lui, per poi raccontarle la storia di questo leone che, coraggioso, si immola per i suoi amici per poi risplendere e tornare più forte che mai pronto a sconfiggere la malvagia strega bianca.

Ramon legge, anche se a fatica, qualche pezzo del libro illustrato abituato alle continue pause dovute ai conati di vomito di Nieves. Nieves non si lamentava mai della chemioterapia ma, quel giorno, pare soffrirla in modo maggiore.

“Nini, perché piangi?” si intromette Cecilia, guardando l’amica portarsi una mano sulla nuca.

“Oggi mi fa tanto male… e guarda!” spiega Nieves tra le lacrime, mostrando agli amici una ciocca di capelli castani staccatasi dalla testa.

Tokyo osserva la situazione e, con il cuore a metà, cerca di intervenire per tranquillizzare la figlia ma pare proprio Nairobi a frenarla, invitandola a guardare la reazione dei bambini.

Ramon, infatti, era rimasto calmo e stava ragionando su un’ipotetica risposta.

“Ma certo Nini!” esclama lui colmo di gioia improvvisa.

“Tu sei come Aslan capisci? Ora stai perdendo la criniera, ma poi ti crescerà ancora più folta e bella!” comunica il bambino, facendo intenerire tutti i presenti.

“Ho un’idea! Dovremmo tagliarli tutti, che dici? Così faranno prima a ricrescere!” continua convinto il bambino, correndo verso la madre e invitandola ad armarsi di una macchinetta per tagliare i capelli.

“Davvero poi ricresceranno?” chiede titubante Nieves, lasciandosi radere dalla mamma che appare fiduciosa.

“Ma certo! E saranno ancora più belli!” la sostiene nuovamente Ramon, stringendole forte la manina.

“Ramon, tagliamoceli anche noi!” propone allora Cecilia, già con il proprio spirito attivista e sociale.

“Dai che è la volta buona che facciamo sparire quel ciuffo che ti cade sull’occhio Ramon!” si intromette Nairobi, puntando la macchinetta anche verso di lui.

Il piccolo si mostra improvvisamente spaventato e, con un gesto istintivo, si stringe il proprio ciuffo tra le dita. L’affetto che nutre verso Nieves, però, lo porta ad andare oltre l’esteriorità e compiere un gesto significativo per un bambino di soli sei anni.

Convinto della propria azione, Ramon accetta di farsi tagliare gli amati capelli conquistandosi l’ammirazione di tutte le donne presenti.

“Siete bellissimi, uguali e diventerete tutti come Aschlan” commenta Nairobi felice, mostrando l’immagine dei tre bambini coraggiosi allo specchio.

“Aslan mamma!” l’ammonisce Ramon, abbracciandola per poi mostrare alla piccola Nieves che l’ultima goccia di chemio era stata erogata.

Presente…

“Certo che me lo ricordo… il giorno in cui accettai di farmi tagliare il ciuffo” risponde Ramon, sorridendo al flashback appena rivissuto.

“Quante storie e modi inventavi per tirarmi su. Non ti ho mai ringraziato Ramon, quindi mi sembra giusto farlo ora” si scusa Nieves, per poi accoccolarsi al suo petto e respirarne l’essenza di casa.

Il contatto con la ragazza emoziona profondamente Ramon che non riesce a celare il proprio battito accelerato. Quel gesto, però, lo colma di gioia e mai avrebbe voluto che finisse.

“Ti chiedo scusa anche per tutta la storia con Andres. Con lui ho fatto la stupida… pensavo mi piacesse, ma mi è servito solo per allontanarmi e scappare. Quello non era amore” aggiunge poi Nieves, con il senso di colpa per le proprie azioni.

Il momento potrebbe scaturire in altro ed è proprio Nieves a creare un contatto visivo silenzioso tra i due.

“Questo ciuffo… ti va sempre negli occhi!” ridacchia lei, spostandogli il cespuglio moro dall’occhio sinistro per fissarlo dietro l’orecchio. I loro volti sono ancora più vicini e uno di fronte all’altra riescono a vedersi veramente, con un altro sguardo, per la prima volta. I loro cuori si sincronizzano, intenzionati ad unirsi come calamite e una strana propulsione li porta ad avvicinare le proprie labbra. Ramon e Nieves chiudono gli occhi, ormai a qualche centimetro di distanza. I volti si inclinano e le bocche si preparano a toccarsi e conoscersi per la prima volta. Ancora qualche distanza accorciata al rallentatore e nel momento in cui le labbra si sfiorano, ecco la porta spalancarsi di scatto.

“Ah ma siete qui!” dice Dimitri grattandosi gli occhi assonnato, ignaro di aver impedito la realizzazione di un momento magico.

“Ehm… sì, arrivo” taglia corto Ramon, alzandosi dal letto imbarazzato, provando a mascherare le guance rosse.

“C-ci vediamo domani!” la saluta Ramon, strofinandosi le mani e rivolgendo uno sguardo lampo a Nieves che, ancora con il cuore a mille, affonda la testa nel cuscino macinando anche quella nuova sensazione.

 
La mattina seguente…

Sergio Marquina si sveglia con il piede sbagliato, complice una notte insonne nella quale l’ex professore aveva ragionato sulle coincidenze e sugli avvenimenti della giornata precedente.

L’uomo si appresta a mettersi i calzini mentre nella mente gli frulla il ricordo di quei momenti. L’atteggiamento di Leya, il viaggio dei ragazzi, l’esclusione di Andres e molti altri fattori lo fanno sentire disarmato e non al sicuro. A confermargli l’ipotesi ecco giungere una telefonata da parte della scuola.

“Signor Marquina? Buongiorno, siamo la scuola di suo figlio Andres! Abbiamo trovato delle attività anomale e una manomissione di un distributore automatico del quale vorremmo parlarle. Sono stati trovati dei file delle videocamere dove abbiamo identificato suo figlio”

Colmo di rabbia e di frustrazione, Sergio si sistema gli occhiali neri irrompendo in camera del figlio che, ancora nel mondo dei sogni, sobbalza spaventato.

“Papà che fai?!” chiede il figlio guardando a fatica il padre a causa della luminosità.

“Ora tu mi dirai tutto! Hanno trovato delle macchinette manomesse, video dove siete apparsi voi, ora la storia del viaggio! Scommetto che è tutta una farsa! Dimmi la verità!” urla furente Sergio, puntando il dito verso il ragazzo che si trova disarmato.

“Ma cosa stai dicendo?” cerca di prendere tempo Andres, alquanto irato per quella reazione.

“Che cazzo state facendo Andres?! Possibile che dovete sempre avere delle idee ribelli e pericolose voi ragazzini?! Ora basta bugie!” lo critica Sergio, con un tono di voce talmente alto da far svegliare anche Raquel.

“Basta bugie?! Parli tu che ci hai sempre nascosto tutto, PROFESSORE?!” sbraita Andres, sentendosi come una pentola a pressione.

Il nomignolo spiazza Sergio che barcolla di fronte alla rivelazione. L’uomo guarda negli occhi la moglie, altrettanto scossa e si tocca gli occhiali costantemente, deglutendo molte volte.

“Voi sapete?” chiede Raquel notando la fatica del marito nell’esprimersi.

“Sì! Abbiamo scoperto tutto qualche mese fa e volevamo solo provare ad essere come voi! I ragazzi sono andati in Portogallo, al vostro museo, così potranno sapere ogni minimo dettaglio sul vostro conto e…”

“Aspetta, aspetta, quale museo?!” lo interrompe subito Sergio, mettendo la mano avanti titubante.

“Un museo con tutte le vostre informazioni! Possibile che non ne sappiate niente?!” si stupisce Andres che inizia a insospettirsi su quella storia.

“No, no, no! Sapevo che stava andando male qualcosa! Andres, stai fermo qui e mi dovrai raccontare tutto!” si agita subito Sergio, finendo di vestirsi velocemente e afferrando alcuni oggetti.

“Andare male cosa? Che intendi?” si intromette la moglie spaventata, cercando di rendersi utile.

“Raquel, prepara tutto l’occorrente per la fuga, tu sai che cosa prevede! Devo chiamare subito Silene, ho paura che la bambina possa essere in pericolo! Andres, preparati e vedi di ricordare ogni singolo passaggio dei vostri piani!” ordina il professore, tornando operativo.

L’uomo, afferrato il telefono e le chiavi della macchina, compone il numero di Tokyo sperando in un’imminente risposta.

“Rispondete cazzo, rispondete!” prega Sergio a denti stretti, preoccupato per la sorte degli amici.

“Pronto, Sergio?” risponde Anibal, facendo notare all’amico di essere ancora a letto.

“Anibal! Controlla Leya, tienila d’occhio e non farla uscire di casa per nessuna ragione!” rivela il prof, dando il maggior numero di informazioni in poco tempo.

“Cosa? Perché? Che cosa succede?” domanda Rio spaventato, correndo verso la camera della dodicenne.

“Saremo lì tra poco, tu fai come ti dico! La bambina è tracciata, l’hanno ricattata qualche giorno fa! Per questo ha avuto quella crisi e non vi può parlare!” aggiunge il prof allacciandosi la cintura in macchina, dopo aver constatato la presenza degli altri due membri della famiglia.

Rio riattacca la telefonata con il cuore in gola e, in men che non si dica, si precipita nella stanza della bambina.

“Leya, non preoccuparti tesoro! Devi dirmi dove tieni la tecnologia, subito!” le dice Anibal provando a non spaventarla.

Leya, senza proferire parola, corre ai vari comodini consegnando al padre computer e cellulare.

“Leya, è tutto qui?! Non mi stai nascondendo nulla?! Guardami! È importante! La tua e nostra sicurezza dipende da questo! Sappiamo che qualcuno di cattivo si è messo in contatto con te ma non ti succederà nulla!” prova a tranquillizzarla Anibal, invitandola a dire la verità.

Dopo qualche attimo di esitazione, Leya apre un cassetto segreto e consegna al padre il piccolo computerino.

“Scusami papà! Io non volevo fare nulla di male! Mi hanno scritto con questo!” confessa la bambina con le lacrime agli occhi, sollevata nel potersi liberare di un peso opprimente.

Anibal afferra i vari dispositivi e, con la bambina accanto, comincia ad analizzarli.

In quello stesso momento…

“Cazzo… Leroy rispondi! Dove sei?!” urla il capo del giovane informatico, non presente in postazione.

“Sì capo, che c’è?” risponde Leroy dall’altra parte del telefono, nel bel mezzo di una camminata nel centro della città.

“Quei bastardi hanno scoperto tutto! Hanno appena distrutto il segnale che ci legava al cellulare e al computer della bambina! Non possiamo più prenderla! In poco tempo arriveranno qui!” gli comunica il capo con voce agghiacciante.

“Calma, è tutto ok no? Noi abbiamo i ragazzi!” cerca di tranquillizzarlo Leroy, non vedendo tutta quella pericolosità.

“Sì, ma li dobbiamo prendere prima che venga loro qualche strana idea. La ragazzina ieri ha preso il faldone, ma abbiamo poco tempo!” spiega il capo, attaccato alla cornetta e parlando con foga.

“Cosa vuoi che faccia?” domanda Leroy incupendosi, alterato nel non poter continuare la propria scampagnata.

Qualche indicazione ed ecco l’inizio di quel piano malvagio.

Nel frattempo, davanti al museo…

“Eccoci arrivati. Adesso entriamo e rimettiamo tutto a posto, poi diamo un’occhiata e ce ne andiamo ok?” propone Nieves una volta fuori dal luogo.

“Ho lo stomaco che brontola però!” si lamenta Cecilia, nervosa per essersi alzati presto e non aver fatto colazione.

“Non preoccuparti, vado un attimo in città e vi prendo delle brioches ok?” si immola Ramon, invitando le ragazze ad entrare e agire nel frattempo.

Ricevute le ordinazioni degli amici, Ramon si appresta a imboccare la strada in mezzo al bosco che univa un piccolo borgo della città alla vasta pianura del Museo.

Ramon, fischietta tra sé e sé, cercando di far funzionare il cellulare che non ne vuole sapere di collegarsi a internet e alla rete telefonica.
Immerso nella risoluzione del problema informatico, Ramon non guarda dove mette i piedi e, per sbaglio, va a sbattere contro un giovane uomo dai capelli mori.

“Mi scusi, non l’ho vista!” chiede perdono Ramon, rivolgendo allo sconosciuto un fugace sguardo per poi ricominciare a camminare.

Quel volto, però, pare ricordargli qualcuno. Ramon si gira ma dello sconosciuto neanche l’ombra. Il ragazzo, aggrottando le sopracciglia, cerca di visionarsi nuovamente quel viso con la convinzione di averlo già visto da qualche parte.

Corporatura esile, capelli scuri, lineamenti accentuati e sorriso smagliante poi, un flashback, gli si palesa di fronte. Mosso da curiosità e preoccupazione, il giovane estrae alcune monete e una banconota dal portafogli esaminandole per bene.

“Questi tienili tu, paga il mio drink e offriti un altro giro. Hai bisogno di stare solo e meditare”

Le parole gli rimbalzano da una parte all’altra della mente riuscendo a collegare i punti. L’uomo che aveva appena incontrato era lo stesso che gli aveva offerto consigli e drink il giorno della discoteca. Che cosa ci faceva lì?

La domanda inizia a logorare Ramon che, con mani tremanti, analizza velocemente le monete e la banconota.

“Le monete della Zecca di Stato e la banconota stampata nell’anno della rapina!” constata Ramon spalancando gli occhi neri, sconvolto dalla rivelazione.

In un attimo il giovane si accorge del pericolo e, preso in mano il telefono, si appresta a chiamare Nieves immobilizzato prima da un messaggio di Andres.

“SCAPPATE! È UNA TRAPPOLA! Andate via di lì! Leya è quasi stata rapita da uno stalker chiamato Leroy, è lui che ha sempre seguito le nostre mosse! VOGLIONO RICCATTARE I NOSTRI GENITORI! SCAPPATE!”

Ramon, traumatizzato dal testo inviato dall’amico, compone con dita tremanti il numero di Nieves cominciando a correre per tornare al museo. Il numero appare inattivo e il ragazzo, spaventato, si affida alla segreteria telefonica lasciando un messaggio:

“Nieves sto arrivando! Dovete uscire di lì, subito! È tutta una trappola, ci hanno sempre controllati! Lo stalker di Leya, si chiama Leroy ha i capelli neri, gli occhi scuri e…” prova ad avvertirla lui, finendo per sentirsi assuefatto da un odore pungente. La vista di Ramon si offusca velocemente e il giovane perde i sensi in pochi secondi, a causa di un fazzoletto ben piazzato sulle sue vie respiratorie.

“E uomo di un certo fascino… vi ringrazio” completa la frase Leroy, sogghignando e sollevando il corpo inerme del giovane che aveva appena fatto svenire.

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Capitolo 21
*** CAPITOLO 20 ***


CAPITOLO 20


I ragazzi si risvegliano da uno strano intorpidimento, provano a mettere a fuoco la zona circostante ma tutto appare ancora offuscato.

“Dove siamo?” biascica Cecilia provando a mettersi in piedi, per poi accorgersi di avere le mani legate a causa delle manette.

“Ragazzi, che cazzo succede?” domanda Dimitri strattonando i polsi nel tentativo di liberarsi.

Nessuno di loro ricordava che cosa fosse successo. Molto semplicemente si erano salutati con Ramon per poi entrare nel museo. Da quel momento ogni ricordo è buio e confuso.

Nieves cerca di guardarsi attorno, constatando di essere in una stanza buia e umida. La ragazza, con un martellante mal di testa, fatica a mettersi in piedi per poi accorgersi di un particolare nei loro corpi.

Tutti i ragazzi, infatti, indossavano delle tute rosse che non avevano scelto personalmente.

“Cosa sta succedendo?!” si chiede ancora Cecilia intimorita, correndo alla porta per poi trovarla chiusa.

Nieves, nonostante l’emicrania, spreme le proprie meningi per cercare di pensare al passato ma nulla pale rivelarsi alla sua memoria.

La sua mente riesce a rivivere solo il momento di saluto a Ramon, invitato a prendere la colazione in città ed è proprio il pensiero di Ramon a sconvolgerla. La ragazza si guarda freneticamente attorno, muovendo gli occhi a una velocità tale da farsi girare il capo. Il cuore le si appesantisce nel confermare la mancanza di chi temeva.

“Dov’è Ramon?!” riesce a urlare la giovane, facendo scendere il panico nell’ambiente e ammutolire gli altri due presenti che non trovano risposta.

Ramon si trovava nella sala operativa dei due boss e, proprio come i compagni, vive il medesimo brutto risveglio.

“Ti sei svegliato eh?” lo beffeggia un uomo incappucciato, chinandosi su di lui e tirandogli immediatamente il ciuffo.

Ramon, afferrato dai capelli con tale foga e cattiveria, strizza gli occhi per il dolore sentendo intorpidito e addormentato ancora tutto il resto del corpo.

“Che cosa vuoi? Chi sei?!” domanda Ramon con un filo di voce, provando a scovare qualche tratto distintivo dell’uomo dalla maschera nera.

“Siamo solo i veri cervelli dell’operazione. Ora tu sei la nostra carta vincente!” sogghigna il cattivo sfregandosi le mani, dando il benvenuto a Leroy che entra silenziosamente nella stanza.

“Siete della polizia?” chiede con serietà Ramon, lottando per rimanere lucido mentre, con estrema difficoltà, prova a liberarsi le mani dalle manette che lo tengono inchiodato alla sedia.

“La polizia lavora per noi. Siamo vecchie conoscenze dei tuoi e non vediamo l’ora di poterli rivedere!” risponde ancora l’uomo identificabile.

“E che cosa volete da me? Dove sono i miei amici?” li minaccia Ramon con coraggio, continuando a strattonarsi per mostrare la propria spavalderia.

“I tuoi amici stanno bene… per ora… noi vogliamo solo farvi soffrire un po’, così voi piccole canaglie imparerete a non seguire la strada malfamata dei vostri genitori!” sussurra a denti stretti la figura incappucciata, tirando ancora un po’ l’amato ciuffo moro di Ramon.

“Noi non tradiremo mai i nostri genitori! In più stanno arrivando, vi troveranno e per voi sarà la fine!” si difende Ramon, credendo nell’intervento miracoloso dei familiari.

Il capo scoppia a ridere in una fredda risata, sperando di ricevere il supporto di Leroy che, però, appare cupo e rabbuiato.

“Caro ragazzo, noi desideriamo proprio questo! Vogliamo usarti per benino per capire come valutare i soldi che i tuoi genitori hanno creato inutilmente e poi vi ammazzeremo tutti… così i vostri amati genitori capiranno quali sono i veri tesori della vita!” ridacchia sicuro il capo, convinto e orgoglioso delle proprie parole. Ramon non sapeva perché ma quel signore dalla maschera nera gli dava l’impressione di essere pazzo, o comunque estremamente adirato.

“E cosa ci guadagnereste voi uccidendoci? Vi sporchereste le mani inutilmente!” spiega Ramon razionalmente, provando a dialogare da vero adulto con qualcuno che appariva molto più infantile di lui.

“Ci guadagniamo la vita vera, la fama e la rivincita!” digrigna i denti il capo, per poi consegnare una siringa a Leroy e invitarlo ad agire.

Leroy, però, non sembra intenzionato a procedere. Il genio informatico era rimasto in un angolo della stanza a braccia conserte, con il volto pallido e un’espressione triste in volto.

“Col cazzo che lo faccio! Non erano questi gli accordi!” si ribella Leroy, spingendo il braccio del capo e rifiutando di prendere la siringa.

“Tu qui fai quel cazzo che ti dico io, o potrai dire addio ai tuoi soldi, alla tua casa e alla tua cara ragazza…so anche che è incinta sai?!” lo ricatta il capo, riuscendo a toccare le corde di un uomo che non pare convinto delle proprie azioni. Rassegnato da quelle minacce, Leroy afferra il dispositivo e si avvicina a Ramon, provando a tenerlo fermo.

Ramon, infatti, inizia a dimenarsi spaventato, continuando a chiedere che liquido ci fosse all’interno.

“Non rendere le cose più difficili ti prego…” lo ammonisce Leroy, per poi approfittare della lontananza del capo per sussurrare dolcemente:

“Ti prometto che non vi farò accadere nulla di male!”

Le parole di Leroy frullano vertiginosamente nella mente di Ramon che, confuso, non capisce l’identità dell’adulto che si trova di fronte. Ramon prova a memorizzare e a leggere le espressioni del rapitore quando la testa comincia a girare e si ritrova di nuovo catapultato nel mondo dei sogni.

Intanto dai Dalì…

Tutti i Dalì si erano ritrovati a casa di Tokyo e Rio per organizzarsi sul da farsi. Ad aiutare era presente anche Andres, profondamente preoccupato per la sorte dei migliori amici.

“Leya ci ha raccontato tutto” esordisce Rio, spiegando le dinamiche della vicenda approfittando della momentanea assenza della ragazzina, impegnata nella visione di un film con il coetaneo Noah.

“Noah le ha regalato questo computer che afferma di aver trovato a scuola, incustodito e negli oggetti di seconda mano che si potevano portare a casa. Noah lo ha regalato a Leya che, per sentirsi grande, si è iscritta a un social network grazie al quale ha cominciato a scriversi con questo Leroy” prosegue Rio, cercando di contenere l’ansia.

“Leroy si era presentato come un ragazzo di 14 anni e i due si erano ripromessi di incontrarsi. Al momento dell’incontro, però, Leroy ha minacciato Leya inviandole dei documenti riguardanti le nostre vere identità. La cosa più grave sta accadendo ai nostri figli” si ferma un attimo Rio, deglutendo e riprendendo fiato.

“Leya mi ha confidato di aver parlato con Nieves del computer e di averle permesso di controllarlo. Nieves sapeva già di noi e non voleva che la sorella finisse nei guai. Ho analizzato il computer e questo Leroy, attraverso delle applicazioni e delle immagini inviate a Leya, è riuscita a prendere possesso del computer e del cellulare di Nieves. Da quel momento Nieves è sempre stata seguita” conclude Rio, abbassando lo sguardo e strofinandosi le mani nervosamente.

“Io vorrei solo capire, che cazzo vi sia saltato in mente! Avete sabotato una macchinetta, le videocamere, cercato informazioni su di noi e organizzato questo viaggio andando nella tana del lupo! Perché?!” inizia a sbraitare Raquel, riferendosi al figlio che, già alquanto scosso, trema a causa delle urla materne.

“Raquel basta! Andres ha capito di aver sbagliato e noi non siamo stati un buon esempio per loro…” la interrompe Sergio con fare serioso, dispiaciuto per il malessere del figlio ed empatico nei confronti della sua confusione.

“Chiariremo il tutto dopo. Ora bisogna risolvere il problema. Era chiaro che ci stessero cercando da tempo” continua il prof, aggiustandosi gli occhiali con il consueto tic.

“Sì, ma chi cerca noi? Polizia?” chiede Helsinki dubbioso.

“No… la polizia ha chiuso la causa nei nostri confronti ormai parecchi anni fa. Nessuno si ricorda di noi se non a livello storico potremmo dire. Lo stato non permetterebbe mai alla polizia di compiere reati di stalking, rapimento di minori e diffusione di dati sensibili” risponde Raquel, ricordando delle proprie mansioni da ispettrice.

“Esatto, ma è pur sempre vero che dietro a tutto questo qualcuno della polizia c’è… ovviamente una parte corrotta di essa, che del protocollo se ne infischia. Dietro a tutto questo c’è qualcuno che ci conosce, che ha fascicoli e dati sul nostro conto e che prova un odio tale da volerci incarcerare tutti” aggiunge il prof con ulteriori delucidazioni.

“Tamayo e compagnia bella?” domanda Denver accorso in soccorso.

“Potrebbe essere. Non potremo mai sapere chi ci sta dietro, ma l’unica cosa da fare è muoverci e andare a prendere i ragazzi” afferma Sergio, pronto a mostrare il piano.

“Ho deciso di riunire la banda e farmi aiutare da quante più persone possibile: dai nostri alleati serbi e molte altre persone ancora. Loro usano la carta della polizia corrotta? Bene, la useremo anche noi!” spiega Sergio, con il dito a pinza e una mano nella tasca dei pantaloni, tornando ai vecchi tempi.

“Andres, Leya e Noah resteranno qui con Daniel e Monica: dobbiamo proteggere i ragazzi e voi siete gli unici in grado di farlo!” riferisce il prof, rivolgendo uno sguardo ai colleghi.

“Noi andremo nel luogo ma non entreremo mai nel museo. Loro si aspetteranno che piombiamo lì con il desiderio di riprenderci i figli ma in realtà chiederemo a poliziotti e agenti sotto copertura di entrare e recepire quante più informazioni possibili. Anibal, tu mi aiuterai con la tecnologia. Utilizzeremo il computer di Leya e sono sicura che loro non siano bravi quanto te in informatica” comunica il professore, frenato da una ribelle Nairobi che balza in piedi collerica.

“Ci stai dicendo che noi ce ne staremo fuori a guardare? Che non agiremo? Che lasceremo ai tuoi cagnolini la responsabilità di salvare la vita dei nostri figli?” si arrabbia lei guardando torva il professore.

“Agata, non possiamo rischiare di entrare lì! Potrebbero ricattarci il doppio! Loro vogliono solo ucciderci o sbatterci in prigione! Se entriamo facciamo solo il loro gioco!” prova a farla ragionare il prof, congiungendo le mani e rivolgendole lo sguardo.

“E allora?! Possono anche spararmi un colpo in testa, torturarmi, imprigionarmi, ma i nostri figli non li devono sfiorare! Siamo stati noi a sbagliare e a non avvertirli sul nostro passato, io non permetterò loro di pagare le conseguenze delle nostre azioni!” lo rimprovera Nairobi, con la solita determinazione.

“Cosa vorresti fare eh?! Entrare lì dentro e morire come martire?!” alza la voce Sergio, non capendo il suo punto di vista.

“Se è necessario sì! Sì perché io ho già perso un bambino una volta e non posso perderne altri due!” risponde a tono Nairobi, per poi mostrare la voce spezzata da un irrefrenabile desiderio di piangere.

“Ce la faremo amore, vedrai!” la accarezza delicatamente Bogotà, accortosi del suo dolore e condividendolo a pieno.

“Anche io voglio entrare e combattere! Proveremo il tuo piano professore, ma se ci sarà bisogno di aprire il fuoco, io per Dimitri e i ragazzi sono disposto a far saltare la testa a tutti!” si inserisce anche Palermo, stranamente concorde con il pensiero della collega.

“Siete veramente disposti ad entrare lì, rischiare le peggio torture, la morte e la pazzia di questi uomini?” chiede Sergio, comprendendo finalmente il loro punto di vista.

“Se lo fanno i nostri figli… possiamo farlo anche noi” si intromette Tokyo apparentemente calma, desiderosa di correre in quel falso museo e riprendersi la sua Nieves.

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Capitolo 22
*** CAPITOLO 21 ***


CAPITOLO 21

“Noi andiamo…” comunica Bogotà, stringendo la guancia alla piccola Leya che saluta tristemente la propria famiglia.

“Torneremo presto vedrai! Riporteremo a casa tua sorella e i cuginetti, capito?” prova a tranquillizzarla Nairobi, notando la dodicenne particolarmente preoccupata.
Tokyo rivolge un sorriso alla migliore amica, per poi apprestarsi a salutare la propria bambina insieme a Rio.
Tutto quello le sembra assurdo: in pochi giorni le fatiche di anni e anni si erano riversate come un fiume in piena, su sponde che reputavano solide e sicure e che, invece, si stavano inondando facilmente.

Tornare ad imbracciare un fucile non era ciò che Silene desiderava. La nascita delle sue bambine l’aveva resa una persona completamente diversa, donandole un genere di ricompensa e amore a cui non avrebbe rinunciato nemmeno per tutto l’oro del mondo.

In qualche giorno la serenità era svanita e con loro tutte le menzogne e i sacrifici. Leya aveva rischiato un rapimento, Nieves era sequestrata da chissà chi e i Dalì si erano riuniti per riconquistare i propri tesori a costo della vita.

L’idea di salutare la figlia minore pugnala Rio e Tokyo nel cuore, non riuscendo a darsi pace per quel lieto fine così drasticamente modificato.

“Non devi avere paura… capito?” rompe il ghiaccio Silene, accarezzando la guancia rosea di Leya appena stuzzicata dallo zio Bogotà.

“E se hai paura, ti viene un attacco di panico o altro, lo devi dire a Daniel e Monica… capito?!” la mette in guardia Rio, non sottovalutando le preoccupazioni della minore.

“Ce lo prometti Leya? Che dirai tutto a loro?” rincara la dose Tokyo, rivolgendo uno sguardo a Monica che le annuisce prontamente, cercando di donarle quel poco di serenità che potevano garantirle.

“Sì, ma… mi promettete che non sgriderete Nieves?” cambia discorso Leya, dimostrandosi nostalgica e malinconica a causa della sorella maggiore.

“Certo, perché pensi a una cosa del genere?” domanda Rio confuso, guardando anche Tokyo.

“Perché anche io e Nieves abbiamo bisticciato… lei aveva il ragazzo e finché non me l’ha confidato mi teneva lontana. Lei sapeva tutta la vostra storia, ma vi voleva comunque proteggere! Lei aveva provato a controllarmi il computer dicendomi di stare attenta perché sapeva di questi rischi. Non siate cattivi con lei, perché ha sempre cercato di farmi del bene” comunica la bambina aprendo completamente il proprio cuore e dimostrando lo stesso identico animo d’oro del suo papà.

“Ti assicuro… che l’ultima cosa che vorrei fare con Nieves è alzare la voce” risponde subito Tokyo, inginocchiandosi e guardando negli occhi la figlia per dimostrarle di dire la verità.

“La riporteremo qui e la nostra famiglia sarà ancora più bella di prima. Non litigheremo più e ci diremo sempre tutto… ok?” si aggiunge Rio, per poi dare vita a un abbraccio familiare dove l’assenza di Nieves pesa come un macigno.

Un altro struggente saluto si intrattiene in una stanza vicina e vede come attori Raquel, Sergio e Andres.

“Io so di aver sbagliato, ma non voglio chiedervi del tutto scusa” se ne esce Andres con fare serioso, attirando l’attenzione dei genitori che vedono, in quell’atteggiamento, una nuova alzata di testa.

“Io ho sbagliato perché ho infranto leggi, mi sono comportato male, ho pensato alla fama e mi sono dimostrato anche un ragazzo orribile in amore. Vi ho mentito, ma io dovevo sapere di più!” si apre il giovane mettendosi una mano sul cuore, angosciato da quel peso che lo occultava fin da bambino.

“Mi avete cresciuto con il continuo riferimento a uno zio defunto. Sono stato figlio unico proprio per ricordare quanto fosse unico lui! Assomigli a zio Andres di qui e a zio Andres di là… quando sono venuto a sapere della sua storia, inizialmente non ho visto la grande persona che idolatrava papà e ho voluto imitare quei tratti negativi della sua persona! Tu stesso me lo dissi… quando ricevetti il pugno da Ramon…” continua Andres affranto, esternando un dolore dovuto a un errore educativo.

“La verità è che su questo non mi va di chiedervi scusa, perché io sono andato a cercarmi qualcosa che avrei dovuto sapere! Non mi va di chiedervi scusa, perché io rimango comunque Andres Marquina! Io mi chiamo Andres, io SONO Andres… e non sono mio zio” conclude Andres con le lacrime agli occhi e i pugni chiusi, segno di uno sfogo che attendeva il momento giusto per irrompere.

Raquel e Sergio rimangono attoniti da quella spiegazione, senza parole e impotenti non potendo fare a meno di confermare quanto esplicitato. La prima a parlare, però, è proprio Raquel che rivede nel figlio la stessa sofferenza vissuta personalmente.

“Non devi chiederci scusa perché hai ragione su tutto. Sai… io non volevo chiamarti Andres, per il semplice motivo che non incontrai personalmente Berlino, ma avevo studiato i suoi fascicoli e il pregiudizio nei suoi confronti fu davvero notevole” spiega Raquel, guardando negli occhi Sergio sapendo di dover trattare un tema già affrontato privatamente.

“Quello di tuo padre, però, non è una ossessione! È un gesto d’amore… Andres è stato come un padre per lui e ha anche dato la vita per permettere la buona riuscita del piano di papà. Andres è stato per Sergio un padre: lo stesso padre che lui ha cercato di essere per te” afferma Raquel sorridendo, mostrando un tratto favorevole a quel nome che stava ormai stretto.

“Io ho sempre fatto fatica a parlare di mio fratello, soprattutto dopo la sua morte. Come dice tua madre, tu mi ricordi il buono che c’era in lui, ma stiamo parlando di ricordi! Qualcosa che non c’è più e che semplicemente tu mi aiuti a non dimenticare. Guardo te e ricordo tuo zio, ma tu non sei mio fratello e questo lo so bene! Grazie a te vivo il ricordo, ma ho imparato anche a vivere in quanto padre di un ragazzo che è esclusivamente mio, nato dal mio amore! Per me sei sempre stato unico Andres e ti chiedo scusa per non avertelo mai dimostrato” si confida finalmente il prof, riuscendo a rivolgere lo sguardo al figlio che ascolta attentamente ogni parola.

La situazione sembra finalmente risolversi e quella famiglia si ricongiunge in un abbraccio, superando le difficoltà appena scovate. Terminato il momento dei saluti, i Dalì si apprestano a partire con un aereo privato, valutando e correggendo il piano.

In men che non si dica il piano del professore viene architettato e una miriade di persone, appartenenti a varie regioni del mondo, si mobilitano per rispondere ai suoi comandi.

“Rio e altri tecnici stanno cercando di accedere al sistema informatico utilizzato dai rapitori. Dovrebbero riuscire ad agganciarsi al dispositivo che ha chiamato Leya al telefonino” afferma il professore seduto in aereo accanto a Rio, occupato a fissare il monitor.

“Dovremmo riuscirci senza problemi perché non sembrano esserci chissà quali sistemi di sicurezza!” afferma Rio, continuando a schiacciare tasti e decifrare numeri.

“Questa è ulteriore conferma che non essere polizia, giusto professore?” domanda Helsinki, preparandosi e riempiendosi di armi da vero militare.

“Giusto… proprio come ci eravamo detti. Rimane il fatto che non ho la più pallida idea di chi possiamo trovarci di fronte e l’imprevedibilità di questo può rendere il tutto molto più complicato” risponde il professore aggiustandosi gli occhiali.

“Quindi come ci muoviamo… professore?” domanda Tokyo, caricando una pistola in segno di motivazione.

“Spieremo la situazione in borghese, grazie a degli alleati, in modo da comprendere il posto e lo stile organizzativo. È molto probabile che lì dentro siano in molti, motivo per cui bisogna agire attentamente. Seguiremo poi con l’inviare dei veri poliziotti sul posto e farli entrare chiedendo informazioni e i permessi per il museo in questione. Una volta dentro non ci attende che irrompere con tutte le forze che abbiamo a disposizione e liberare i ragazzi” comunica il professore, titubante di fronte al piano.

“E chi mai ci aiuterebbe nella polizia? Da quando tu conosci delle persone disposte a stare dalla nostra parte?” chiede Bogotà, seduto accanto a Nairobi che non aveva ancora detto una parola, segnata da un dolore profondo che non riusciva ancora a metabolizzare.

“Raquel diciamo che ha le sue conoscenze… abbiamo Angel dalla nostra parte e con lui una squadra in incognito” risponde il professore con un largo sorriso, contento di quel rapporto d’amicizia mantenuto per anni.

“Perfetto professore ma sia chiaro: al primo rischio noi irrompiamo!” lo mette in allerta Tokyo, per poi ricevere l’approvazione di tutto il gruppo.

“Siamo dentro!” urla improvvisamente Rio, felice della propria riuscita di hackeraggio, mostrando il computer al gruppo.

“Che cosa hai trovato?” domanda il prof correndogli incontro, scrutando attentamente il monitor del piccolo dispositivo.

“Sono riuscito ad accedere a uno dei tanti computer e a una telecamera annessa che sto cercando di abilitare” spiega Anibal con le pupille piccole a causa del contatto con la luminosità.

Ancora qualche momento di attesa ed ecco una piccola immagine comparire davanti ai loro occhi. La telecamera inquadrava una stanza che pareva di controllo, con tanti computer e postazioni informatiche attive. Rio cerca di zoomare sugli altri dispositivi per scoprire preziosi dettagli, ma un movimento umano pare distrarlo. In un angolo della stanza, infatti, una figura era intenta a contorcersi su sé stessa. Rio non vedeva bene, ma la persona sembrava soffrire molto e stringersi la pancia.

“Chi diavolo è? Prova ad avvicinarti!” chiede il professore non riuscendo a mettere a fuoco la situazione. Rio fa tutto il possibile per migliorare la qualità dell’immagine, nonostante i pixel e le sfumature bianche e nere che non permettevano di comprendere nitidamente.

Un particolare, però, pare aiutarli a identificare l’individuo lasciando tutti senza parole.

“No, non posso crederci! Quello è Ramon! Lo riconosco dal ciuffo!” esclama sconvolto Rio, indicando il ragazzo sul monitor.

Nairobi, nel sentire quel nome, balza in piedi barcollando a causa delle turbolenze dell’aereo, per poi avvicinarsi al computer e spingere il professore per poter guardare con i propri occhi.

Ciò che le si palesa davanti riapre una ferita sanguinante e ne crea una nuova nel vedere il proprio figlio in certe condizioni.

“Non sta bene! Che cosa gli succede?!” ruggisce Nairobi portandosi una mano sul petto, raggiunta da Bogotà che reagisce nell’identico modo.

“Dobbiamo fare il più veloce possibile! Chiamo e pago altre persone per aiutarci perché i ragazzi sono in grave pericolo!” commenta Sergio alzandosi in piedi di scatto e mobilitandosi per il rinforzo.

“Amore mio, cosa ti hanno fatto?!” sussulta Agata con il desiderio di piangere, sentendo gli occhi sanguinare nel vedere il figlio così sofferente. Tokyo accorre in suo aiuto, accarezzandole dolcemente la schiena, ma anche per lei la visione pare un duro colpo da accettare.

“Lo stanno drogando o avvelenando…” spiega il professore con risentimento, amareggiato nel dover comunicare una notizia del genere.

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Capitolo 23
*** CAPITOLO 22 ***


CAPITOLO 22

“Non ne posso più di starmene qui ferma a fare nulla!” urla Nieves in preda a un attacco di rabbia.

“Hai qualcosa in mente?” chiede Cecilia, agitata e preoccupata per quella situazione. Ormai erano rinchiusi da diverse ore, senza acqua o cibo e lontani da Ramon.

“Ssssshhh…” sussurra Dimitri cercando di concentrarsi. Le ragazze gli rivolgono uno sguardo dubbiose, vedendo l’amico intento a muovere lentamente le mani ammanettate.

“Che cosa stai facendo?” domanda Nieves corrugando la fronte.

“Sto provando a togliere la mano dalle manette. Grazie ai miei studi medici e di guerra l’ho visto fare una volta: uno si è slogato il polso riuscendo a liberarselo. Voglio provarci anche io, ma nel momento giusto” risponde lui, oscillando leggermente il polso destro.

Le ragazze stavano per ribattere quando, finalmente, il rumore della chiave all’interno di una serratura li obbliga a fare silenzio.

“Ah ecco i nostri ragazzi!” commenta un uomo calvo, entrando nella stanza con poca acqua e una pistola per proteggersi.

“Chi sei? Che cosa vuoi da noi?” domanda Nieves senza paura, affrontando immediatamente l’estraneo.

“Siamo il vostro peggiore incubo!” la sbeffeggia l’uomo, dando vita a una risata malvagia per prenderla in giro. La guardia si appresta poi ad avvicinarsi, porgendo una minima quantità d’acqua alle labbra dei prigionieri.

“Vi siete proprio sforzati eh” afferma coraggiosa Nieves, facendo una smorfia di fronte a quel misero sorso d’acqua.

“Volete farci morire di sete? Siete i peggiori sequestratori di sempre!” si aggiunge Cecilia, ridacchiando per quell’imbarazzante gesto disumanizzante.

“Sentite, ora avete rotto il cazzo!” si altera l’uomo calvo, inginocchiandosi davanti a Nieves e portandosi a pochi centimetri dal suo volto.

“Come sei irascibile!” lo schernisce Nieves, dimostrando la medesima forza della madre.

“Vedi di rigare diritto e non intralciare il mio operato!” ringhia l’uomo avvicinando il bicchiere alle labbra di Nieves che accetta le poche gocce senza ribattere.

“Ti sei dissetata ora? Simpaticona del cazzo?” continua l’uomo, spostando il bicchiere.

L’epiteto non piace a Nieves che, colma di rabbia, sputa in faccia alla guardia senza paure. Una Nieves con gli artigli e la stessa tempra di Tokyo, utile per sopravvivere emotivamente e psicologicamente a situazioni come quelle.

“Tu, brutta…” inizia a ringhiare l’uomo cingendo la mano attorno al collo della ragazza con l’intenzione di darle una lezione, ma l’arrivo di un collega pare interromperlo.

“Parigi, smettila!” lo blocca Leroy, giunto nel luogo appena in tempo.

La guardia, sentito il messaggio del capo, si allontana immediatamente dopo aver rivolto uno sguardo irato alla ragazza.

“Nomi di città anche voi?” domanda Cecilia, scrutando attentamente l’adulto dai capelli scuri.

“Ci si adegua alle missioni date” risponde Leroy, versando di nascosto un altro bicchiere d’acqua per tutti e tre i ragazzi.

“Perché ci dai da bere? Come facciamo a fidarci di te?” chiede Dimitri, guardando torvo l’uomo che gli stava porgendo un bicchiere.

“Io non ho mai accettato di volervi fare del male” risponde Leroy, tenendo d’occhio la porta e invitando Dimitri a bere.

“Accettato? Non è tuo questo piano?” domanda Cecilia dubbiosa, non capendo il motivo che si celava dietro a quel comportamento cordiale.

“Non posso dirvi nulla. Sappiate solo che non durerà molto questa storia!” si fa vago Leroy, offrendo il bicchiere anche a Cecilia e Nieves.

“Dov’è Ramon? Perché non è con noi?!” lo interroga Nieves, in pena per il ragazzo del quale non si avevano notizie.

“Il capo ha deciso così per lui. È in un’altra stanza” afferma Leroy facendosi vago, sapendo di rischiare molto con quelle informazioni.

“Ti prego… fa che non gli succeda nulla di male” lo supplica Cecilia, lasciando scorrere una lacrima lungo il viso. Quella situazione stressante li stava logorando e mettendo in mostra le più profonde fragilità.

“L’ho promesso a me stesso” prova a tranquillizzarla Leroy, guardandola negli occhi con tenerezza.

“Balle… perché dovremmo crederti?! Tu mi hai monitorata, mi hai seguita, mi hai fatta arrivare fino a qua, mi hai fatto scoprire la storia della nostra famiglia e ci hai rapiti. Perché ora cerchi di essere gentile?” sbotta Nieves alzando il mento, non fidandosi dell’estraneo.

Leroy attende qualche secondo prima di rispondere, dopo aver controllato nuovamente la porta sperando di non essere spiato.

“L’ho dovuto fare a causa di un ricatto che ancora ora mi vincola. Inizialmente mi erano state date delle mansioni informatiche che ho accettato… ma adesso hanno cambiato tutto e sto prendendo le distanze” prova a spiegare Leroy, con gli occhi sempre fissi alla porta.

“Provacelo allora… che sei dalla nostra parte” continua determinata Nieves, non cedendo.

Leroy sospira per poi compiere un gesto che gli sarebbe costato molto. L’uomo si avvicina a Nieves e, con fare svelto, la sgancia dalle manette.

“Ora sai che faccio sul serio. Vi chiedo solo di reggermi il gioco e liberarvi quando sarà il momento giusto” conclude Leroy, per poi uscire dalla stanza senza aggiungere altro.

L’aereo dei Dalì comincia la discesa per l’atterraggio e tutti appaiono ancora più motivati di prima. L’unica a non parlare più è Nairobi, vestita da militare e seduta silenziosamente in un angolo.
Bogotà, dopo averla lasciata sola per qualche minuto, decide di avvicinarsi alla moglie pur conoscendo il suo carattere.

“Amore…” prova a parlare Bogotà, una volta a due passi da lei.

“Non osare dirmi che andrà tutto bene, perché questo è un fottuto schema che si ripete” lo blocca immediatamente lei, evitando di guardarlo in volto. L’uomo, che conosce a menadito la compagna di vita, si appresta così a sederle accanto, dimostrandole la propria vicinanza anche senza esprimersi a parole.

Tra i due trascorrono altri minuti di silenzio, finché non è proprio Nairobi a parlare.

“Vedere Ramon così mi ha completamente distrutta. Non so cosa gli stiano dando, ma per un attimo ho rivisto Axel…” sussurra la donna, lasciando scorrere lacrime amare.

“Ho rivisto Axel contorcersi e piangere a causa di quel dannato liquore all’anice che gli dava il compagno di mia madre. Ho dovuto disintossicarlo e ci sono voluti mesi per aiutarlo a fidarsi di qualsiasi cosa gli si porgesse da bere” spiega Nairobi, ripercorrendo nella memoria quei disastrosi momenti.

“Ora Ramon è nella medesima situazione e io non posso evitarlo! Me lo stanno portando via, così come mi hanno fatto sparire Cecilia e io non ho potere! Io vorrei correre dentro quel cazzo di museo, raderlo al suolo e portarmi fuori i ragazzi… ma proprio come è avvenuto con Axel, sono altri che stanno scegliendo la sorte dei miei figli e io rimango qui, inerme, a guardare da delle sbarre!” si dispera Nairobi, coprendosi gli occhi con il palmo delle mani per cercare di ricacciare indietro quelle lacrime che si era ripromessa di non versare più.

Santiago prova la stessa sofferenza della moglie ma comprende, in quel momento, di essere molto più fragile di lei. La vera guerriera era sempre stata lei! Lui si era considerato indegno dei propri figli, mentre Nairobi non aveva avuto scelta. Rimasta incinta inaspettatamente ha tenuto quel bambino contro tutti e contro tutto, ma gliel’hanno portato via. Quella ferita si stava riaprendo troppo velocemente e sgorgava sangue scuro incessantemente.

“Non so dirti se andrà tutto bene, ma posso dirti che questa volta è diverso” spiega Bogotà, prendendole una mano con cautela e rigirandole gli anelli, indicandone poi uno in particolare: la fede nuziale che si erano donati 18 anni prima.

“Questa volta non sei da sola… siamo insieme e affronteremo tutto insieme! Non permetterò mai di farti rivivere ciò che è successo con Axel” promette Bogotà, stringendo la mano alla gitana che, però, la ritrae velocemente.

Agata sorride all’uomo per la gentilezza, consapevole di avere di fianco il padre dei suoi due gioielli, custode del suo medesimo dolore, ma in un momento come quello preferisce restare sola.

Nella vita era sempre stata sola e quella ferita le faceva uscire i medesimi artigli affilati che le avevano permesso di sopravvivere. Affidarsi e lasciarsi andare l’avrebbero distrutta… e lei, Nairobi, la pantera nera della banda, non poteva permettersi di mollare.

Bogotà vorrebbe ribattere, ma viene invitato da Sergio a scendere dall’aereo. La banda mette piede in un campo deserto, a qualche chilometro di distanza dal sito del museo.

Il gruppo viene immediatamente raggiunto da alcuni militari e alleati del professore che indicano loro l’accampamento.

“Abbiamo già perlustrato la zona. Nonostante il sequestro dei ragazzi, loro continuano l’attività artistica. Il museo è ancora aperto e molte persone si recano sul luogo per visitarlo. Non siamo ancora entrati, quindi non sappiamo effettivamente cosa sia esposto, ma possiamo confermarvi il proseguo dell’attività” risponde una vecchia conoscenza della banda.

Marsiglia, infatti, era giunto sul campo quanto prima e aveva già condotto alcune indagini per il suo amato professore.

“Grazie Marsiglia… avrei preferito rivederti in altre circostanze” risponde il prof, stringendogli il gomito e ringraziandolo per l’aiuto.

“La famiglia non si abbandona, professore!” aggiunge Marsiglia sorridendo sotto i baffi, per poi ascoltare il resoconto del proprio capo.

“Quindi non ci resta che attuare il piano: entrare con i poliziotti e chiedere i vari permessi per l’attività museale” afferma Sergio, aggiustandosi gli occhiali e guardando una casetta nel bosco che Marsiglia e gli alleati avevano allestito per la missione.

“I poliziotti sono già pronti professore… aspettano solo il segnale” aggiunge Marsiglia, indicando Angel e un altro gruppo di agenti in divisa davanti alla casetta.

“Perfetto, non c’è tempo da perdere! Rio, collegati con i tecnici all’interno dell’accampamento: dobbiamo cercare di osservare e capire il più possibile dalle telecamere della polizia” ordina il prof, aprendo la porta della casetta e facendo accomodare la squadra.

“Voi altri entrare, sistematevi e riempitevi di armi… la prudenza non è mai troppa” li avverte Sergio, guardando da lontano il gruppo di poliziotti allontanarsi.

“Ce la faremo?” domanda Raquel, unica rimasta all’esterno con il professore, dopo aver salutato ed essersi accordata con il collega di una vita Angel.

Sergio osserva l’ambiente circostante con una strana sensazione in corpo. L’adrenalina e il desiderio di vittoria rinascono dentro di lui ma, a differenza delle altre rapine, ora la posta in palio e il rischio di perdere qualcuno di caro è estremamente alto. Ora Sergio aveva un figlio, una moglie e tantissimi amici che considerava fratelli e sorelle, oltre al fatto che la sua mente non si era più allenata in strategia e pianificazione per più di 18 anni.

“Lo spero tanto” si limita a ribattere Sergio, sapendo di poter mostrare la propria titubanza alla moglie che, fiduciosa, gli accarezza la schiena per poi accompagnarlo all’interno della casetta.

L’accampamento in legno, in realtà, all’interno era stato fatto in cemento e materiale adatto per schermare i messaggi informatici e tecnologici. L’ambiente si strutturava in due spaziosi piani: uno adibito alla zona informatica con postazioni computer e uno con materassi, sacchi a pelo, provviste e rifornimenti.

Rio si mette subito all’opera, incoraggiato anche dal sostegno di Silene che gli si siede accanto nella speranza di poter vedere il più possibile dalle telecamere dei poliziotti.

Helsinki e Palermo si rivestono completamente di armi, trattenendosi poi a parlare con Sergio del da farsi e di come potersi comportare in caso di un “aprite il fuoco”.

Bogotà, dopo la reazione di Nairobi, segue le indicazioni del proprio comandante rivolgendo anche qualche parola all’amico Marsiglia. L’uomo, una volta riacquistata la razionalità, girovaga per la casetta alla ricerca di Nairobi, non trovandola.

“Qualcuno ha visto Nairobi?” chiede l’uomo dal piano superiore, rivolto ai tecnici in postazione. Tutti si guardando a destra e a sinistra, ma di Agata nemmeno l’ombra.

Silene e Santiago finiscono per rivolgersi il medesimo sguardo di terrore e, preoccupati, corrono all’esterno nella speranza di trovarla lì. Come volevasi dimostrare, però, il bosco appare vuoto e solo il canto di uccellini e il rumore di rami cadenti dagli alberi pare avvolgerli.

“Che cosa succede?” domanda Sergio raggiungendoli, avendoli visti correre fuori spaventati.

“Nairobi non c’è!” esclama alterato Bogotà, sapendo già che cosa fosse successo.

“Che cosa?! Dov’è?!” chiede Sergio impanicato e deluso nel trovarsi di fronte a un primo imprevisto.

“La motivazione mi pare ovvia: Nairobi è una leonessa e se le si toccano i cuccioli, lei si mette a cacciare” risponde Tokyo portandosi una mano alla fronte e scuotendo il capo, pentendosi di non averla tenuta d’occhio.

“Non parlare per metafore, che cosa intendi?!” la interroga Sergio, aprendo le mani con foga.

“Si sarà vestita da poliziotta e mimetizzata con il gruppo. Non è ovvio, professore? Nairobi è nella tana del lupo!”

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Capitolo 24
*** CAPITOLO 23 ***


CAPITOLO 23

“Perché cazzo è andata con loro?!” afferma Raquel all’interno della postazione di controllo, grattandosi la fronte nervosamente e rimuovendosi dei brufoli per lo stress.

“Che cosa facciamo ora?!” chiede Helsinki in panico per la migliore amica, scuotendo la testa di fronte alla sua testardaggine.

“Dobbiamo solo sperare che non si faccia scoprire e non si metta in testa di farcela da sola” risponde il professore appoggiandosi a una parete, pulendosi poi gli occhi per la stanchezza.
Tokyo se ne stava in un angolo e non riusciva a replicare. Sapeva che la migliore amica aveva agito d’istinto compromettendo il lavoro di tutti ma, da un certo punto di vista, la ringraziava per quel gesto di coraggio.

“Da quando Nairobi se ne esce con queste alzate di testa?! In genere era Tokyo quella che ne combinava di tutti i colori, non lei!” si sfoga Palermo non riuscendo a trattenere la rabbia.

Quella frase di cattivo gusto mobilita senza ombra di dubbio Silene che, inalberata, prova a raggiungere Martin con il tentativo di riempirlo di botte. Intercettata da Bogotà, la donna viene fermata e trattenuta fisicamente, ma la sua voce trema e difende la migliore amica con tutta la propria energia.

“Nairobi non fa alzate di testa! Nairobi è la più intelligente qui dentro! Se non fosse per lei la metà di noi sarebbe già morta!” urla Silene, digrignando i denti e provando a liberarsi dalla presa di Santiago.

“Non mi sembra proprio sai? Lei ci ha scaricati! Ha solo voglia di prendersi i suoi gemelli e darsela a gambe! In quel cazzo di museo, ci sono anche i nostri figli! Non solo i suoi! Te lo sei dimenticata questo?!” si sfoga Palermo, mostrando una preoccupazione lecita in quanto padre.

Tokyo, con le lacrime agli occhi, incassa il colpo ma, dentro di sé, sa di potersi fidare ciecamente della sua Hermana che mai avrebbe pensato esclusivamente al proprio orticello.

“Nairobi non vuole darsela a gambe. Nairobi è una madre! La madre più forte che io conosca! E…” cerca di parlare Silene, scossa improvvisamente da uno sfogo di pianto che la costringe a cedere tra le braccia di Bogotà, che la stringe forte a sé.

“E come ogni madre lei sta lottando per tutti i nostri figli. Per noi questa è la prima maledetta volta che ci troviamo i figli sequestrati… per Nairobi no! Il suo primo bambino le è stato strappato così e ve lo posso giurare sulla mia vita: Nairobi non permetterebbe MAI ad altri genitori di patire la stessa sofferenza che ha vissuto lei” conclude Silene, riuscendo a zittire l’intera banda che punta gli occhi sul professore, in attesa della prossima richiesta.

Silene si asciuga le lacrime velocemente, ringraziando Bogotà dell’abbraccio e trovando anche le braccia di Rio a sostenerla. Il marito le bacia delicatamente la guancia, invitandola a stare tranquilla, per poi rimettersi in postazione e conoscere la ripresa delle telecamere della polizia.

Tutti si affaccendano freneticamente, dimenticando la discussione appena trascorsa, ma Silene e Bogotà restano bloccati sul posto, segnati più degli altri dalla vicenda.

“Mi sento inutile Tokyo… è strano che io chieda aiuto, ma so che sei l’unica capace di prendere Nairobi” si confida Santiago abbassando il capo, mostrando un uomo dolce e sensibile dietro la corazza della sua muscolatura.

“Inutile? E perché mai?” domanda Tokyo confusa, non capendo tale affermazione.

“Ricordi quando sono nati i nostri figli? Io non sapevo come prenderla… e ora mi pare di essere tornati nella stessa situazione” spiega Bogotà, lasciando spazio a un flashback del proprio passato.

Sedici anni prima…

Il professore aveva chiesto due anni di tempo. Due anni nei quali i Dalì avrebbero dovuto seguire le sue direttive, dimenticato il nome di città e promesso di vivere con cautela per non rischiare la propria incolumità. Due anni che sanciscono la fine di un incubo e l’inizio della libertà, di quella libertà che desideravano ancora di più di tutti i soldi rubati all’interno della Zecca.

Tokyo e Rio avevano appena avuto la piccola Nieves, Raquel e Sergio festeggiavano il sesto mese di Andres e Nairobi girovagava con un enorme pancione, ormai oltre il termine della data presunta del parto.

Tokyo e Rio si svegliano in piena notte, disturbati da una piccolissima Nieves che urla e piange segnalando la propria fame.

“D’accordo, d’accordo ti do la tetta…” biascica Silene alzandosi in piedi assonnata e raggiungendo la culla posta a qualche passo dal letto. La donna sbadiglia e solleva la piccina di soli due mesi che stringe i pugni e si tinge di rosso porpora per il pianto.

“Ti aiuto” comunica uno stanco Rio, svegliato dal richiamo della bambina e desideroso di aiutare la moglie. L’uomo libera il letto matrimoniale, posiziona qualche cuscino e aiuta Silene a sedersi così da appoggiare la schiena comodamente.

“Dormi, domani so che hai quel colloquio importante!” lo ammonisce Silene, stringendo i denti a causa della piccola che succhia con irruenza dal suo seno.

“Sai che non mi piace che sia solo tu a vivere le notti insonni” risponde Rio tranquillamente, mostrando il suo largo e caratteristico sorriso, per poi accarezzare il viso di Silene che si appoggia serenamente alla sua mano.

“Già sono una testa di cazzo di mio, spero che lei possa cominciare a dormire un po’ di più altrimenti mi sa che esco pazza” comunica Silene, dimostrando la propria fatica da neomamma.

Il momento prosegue tranquillamente e, proprio quando la piccola Nieves si addormenta, il telefono di Silene comincia a squillare. La donna passa la bambina a Rio per poi scattare in piedi e rispondere alla chiamata nella speranza di non svegliare la figlia.

“Santiago! Che succede? Ci siamo?” chiede subito Silene una volta accortasi del nome sullo schermo.

“Silene ti prego vieni qui. So che ti sto chiedendo tanto ma Agata straparla! Il travaglio sta risultando più complesso del previsto, ma lei continua a piangere e non riesco a calmarla! Mi ha detto che vuole te…” afferma un disperato Bogotà, alle prese con l’ottavo parto della sua vita.

“Ha chiesto di me? Ehm… ok, arrivo subito!” risponde confusa Silene, preoccupata per quel comportamento insolito della gitana.

“Agata sta per partorire ma c’è qualcosa che non va… è troppo agitata e Santiago chiede di me, come…” inizia a spiegarsi Silene, vestendosi velocemente e provando a organizzarsi per lasciare la bambina da sola al marito.

“Non preoccuparti, c’è il latte che hai tirato ieri e nel caso le do quello. Tu vai, fammi sapere!” la interrompe subito Rio, cullando dolcemente la piccina che dormiva beatamente tra le sue braccia.

“Ti amo” gli sussurra Silene, sporgendosi verso di lui per donargli un bacio a stampo, per poi correre fuori dall’abitazione.

Silene raggiunge l’ospedale il più velocemente possibile, riuscendo ad entrare in sala parto dove Nairobi si trova sdraiata e accerchiata da diversi infermieri.

“Che cosa succede?” chiede Tokyo vedendo tutto quel trambusto.

“Le contrazioni sono particolarmente forti e ravvicinate. È stato un travaglio dolorosissimo ma ora ci siamo! Il problema è che non riesce a spingere e rischiano di doverla sottoporre a un nuovo cesareo” spiega Santiago, supportato da un’ostetrica che gli aveva appena espresso il quadro clinico.

“Lei ha già avuto un cesareo, può fare il parto naturale?” domanda Silene confusa, non conoscendo quegli aspetti medici.

“Assolutamente sì, i bambini sono anche già incanalati perfettamente ma lei continua a piangere e nessuno riesce a consolarla. Ancora qualche minuto e la sediamo, proseguendo con il cesareo” risponde l’ostetrica, controllando l’orologio e il monitor collegato a Nairobi.

“Io so perché fa così” si limita a dire Tokyo, facendosi largo tra la folla e sedendosi accanto alla migliore amica.

“Hermana…” sussurra Nairobi tra le lacrime. Il respiro affannato, il petto che si gonfia in continuazione, il sudore che le gocciola lungo la fronte, le occhiaie livide e gonfie e le vene in risalto sono il simbolo di una sofferenza e stanchezza fisica.

“Hey, la smetti di piangere?” le sorride subito Silene, parlandole a bassa voce e stringendole forte la mano.

“Mi vuoi dire che cazzo stai facendo?” continua Tokyo determinata, già conoscendo dentro sé la risposta.

“Non posso farlo! Non è giusto…” inizia a spiegarsi Nairobi, sentendo di nuovo le lacrime irrompere.

“Non posso avere dei figli! Che razza di madre sono?! Non posso dimenticare Axel così e avere due gemelli ai quali offrirò la vita che a lui non ho dato!” si sfoga la gitana, singhiozzando amaramente.

“Non permetterti di pensare una cosa simile! Sei scema? Dove cazzo è finita la Jarana che conosco io?! Questi bambini non sostituiranno mai Axel! Mai! Tu di figli nei hai tre e ne avrai sempre tre! Nessuno prende il posto di nessuno!” la rimprovera Silene, cercando di scuotere l’amica che non poteva lasciarsi andare.

“E se… se mi portano via anche loro due? Almeno dentro la pancia li posso proteggere, fuori no! Io non lo sopporterei mai!” aggiunge la gitana ancora più scossa, fiacca, sderenata e preda agli ormoni incontrollabili.

“La cosa più bella che possiamo fare per i nostri figli è dar loro la vita. Io posso giurarti che nessuno ti porterà via i bambini. Quell’incubo è finito Jarana! Ora hai me, Santiago e un’intera famiglia. Fidati di me… nessuno te li porterà via!” la tranquillizza Silene, accarezzandole la guancia con delicatezza, invitando anche Bogotà a stringere l’altra mano della gitana.

“Ora vedi di spingere fuori i bambini, perché la Agata che conosco io non è mai stata così molle! Muoviti e spingi!” urla poi Tokyo motivata, con il desiderio di riscaldare l’animo della gitana.

È così che, grazie all’aiuto delle sue due persone più care, Nairobi riesce a mettere al mondo le sue due creature, senza però sapere che in futuro gliele avrebbero veramente portate via.

Fine del flashback…

“Bogotà…” sussurra Tokyo dopo il ricordo del parto di Nairobi, consapevole dell’impotenza di Santiago di fronte a quella situazione.

“Sai com’è iniziata l’amicizia tra me e Agata?... Tirandoci calci e dandoci delle “lecca figa” spiega Tokyo, ricordando la famosa lezione di anatomia nella quale apprese della cicatrice da cesareo di Nairobi.

“Nairobi è sempre stata molto chiusa sulla questione Axel. Ha vissuto con il desiderio di essere madre, di Axel e di altri bambini, ma quando li ha effettivamente avuti si è sentita in colpa per quello che aveva perso. Su Axel non le si può dire nulla perché è talmente distrutta che qualsiasi consiglio è vano. Non la biasimo ora… nell’aver scelto di buttarsi nel fuoco per salvare i vostri due figli. Di una cosa, però, sono certa…” continua Silene, per poi fermarsi e appoggiare una mano sulla spalla di Bogotà.

“Nairobi era disposta a fare un figlio a caso, con del seme qualunque pur di non finire fregata in relazioni d’amore che le ricordassero il rapporto disastroso avuto con il padre di Axel. In amore lei non si è mai sbilanciata, troppo ferita e delusa dalla propria storia. Su questo io e lei ci siamo sempre capite molto: io per la morte di René e lei per il due di picche del suo ex. Se lei ha scelto te, Bogotà, è perché ti ama veramente e ti ha desiderato come padre dei suoi figli… tu per lei sei l’unico e lo sarai sempre” afferma Tokyo sorridendo all’uomo, felice di avergli potuto donare una rassicurazione in un momento simile.

Incoraggiati dal discorso intrattenuto, i due tornano al lavoro più motivati che mai e desiderosi di portare tutti fuori dal dannato museo.

All’interno del museo i poliziotti fermano le guide, i tecnici e qualsiasi dipendente per controllare il giusto utilizzo del luogo.

“Potreste mostrarci i documenti e le informazioni su questo museo?” domanda Angel mostrando il distintivo, squadrando il luogo da cima a fondo.

I poliziotti, intanto, guardano attentamente le pareti ma dei Dalì neanche l’ombra. Il museo appare a norma e sui muri compaiono tabelloni, carte, dipinti, quadri e oggetti di ogni tipo riconducibili ad artisti famosi del 1800.

Anche i documenti sono a norma e l’aspetto mette a soqquadro tutta la situazione. I poliziotti, infatti, non si sarebbero mai aspettati di trovare tutto in regola, senza avere così un pretesto per fermare e bloccare qualcuno.

“Cazzo, hanno cambiato tutti i quadri!” denota il professore, guardando attraverso le videocamere trasportate dai poliziotti.

“Che cosa significa?” chiede Palermo confuso.

“Significa che sono molto furbi e hanno creato un museo ad hoc solo per i ragazzi… così loro sono in regola e non possiamo dirgli nulla” conclude poi Sergio, togliendosi gli occhiali e spremendo le meningi per pensare a come muoversi.

“Nairobi dov’è?!” domanda subito Bogotà, strizzando gli occhi castani per riconoscere la donna tra i poliziotti, ma di Nairobi neanche l’ombra.

La gitana, infatti, si era creata istantaneamente un proprio piano a sé. Imboscata in un bagno del primo piano, aspettò l’arrivo di un tecnico della sicurezza del museo, per poi tramortirlo, nasconderlo e prendere le sue vesti. Dei gesti fin troppo semplici per una ex esperta del crimine, esperta su qualsiasi mossa fisica per far svenire le persone. Nairobi sapeva di rischiare con tale atteggiamento, ma aveva bisogno di entrare in tutte le stanze del museo e trovare i ragazzi il prima possibile.

È così che, mentre Nairobi girovaga attentamente nella struttura, Ramon si risveglia dall’ennesima sofferenza e apre faticosamente gli occhi, percependo le palpebre pesanti come macigni. Il ragazzo si sforza di mettere a fuoco la stanza, riconoscendo la medesima postazione nella quale si era trovato al precedente risveglio.

I computer erano accesi, la camera era priva di illuminazione e lui era adagiato a terra, arricciato su sé stesso. I capelli di Ramon sono completamente fradici di sudore, tanto da incollarsi alla sua testa e gocciolargli sulle spalle. La pancia è scossa da dolorosi crampi che gli fanno venire il riflesso del vomito e gli arti tremano di freddo e di spasmi incontrollabili. Ramon comprende immediatamente di essere stato avvelenato o sedato e non capisce il motivo di quel particolare trattamento nei suoi confronti. Ramon cerca di rimettersi in piedi, nonostante le manette, quando il signore dalla maschera scura entra di corsa nella stanza sbattendo la porta.

“Abbiamo poco tempo, so che i tuoi genitori cercheranno un modo per fregarci, ma questa volta li incastro io! Leggimi questa banconota… guarda il numero di serie, può andare bene?! Ne stiamo creando a migliaia ma devo sapere se sono giuste!” afferma l’uomo incappucciato, mostrando una banconota a Ramon.

“Non, non lo so…” biascica Ramon, faticando a tenere aperti gli occhi, vedendo una decina di numeri in più rispetto a quelli segnati sul pezzo di carta.

“Esatto! Così drogato non sei capace di fare nulla! E io inibirò le stesse identiche caratteristiche che ti rendono uguale a tua madre! Sei un genio della truffa anche tu vero?! Ti farò venire così tanta nausea per le banconote che non ne vorrai mai più vedere!” lo schernisce l’uomo malvagio, tirandogli i capelli per poi uscire dal luogo con un ghigno divertito sul volto.

Ramon non reagisce e non comprende quanto accaduto. Il dolore percepito è talmente elevato da farlo tornare a contorcersi e sperare di addormentarsi, in modo da percepire meno quella pungente sofferenza. I suoi occhi stanno per cedere quando, improvvisamente, un’altra figura entra nella stanza.

Ramon teme di incontrare Leroy o il capo di quella pazzia, ma lo sconosciuto compie un gesto insolito: una volta identificato Ramon, gli corre incontro abbracciandolo forte.

Nessun veleno avrebbe potuto offuscare quella sensazione di calore, protezione e amore che solo quelle braccia possono dare. Niente può far dimenticare a una persona il contatto con le braccia della propria madre.

“Mamma…” sussurra Ramon abbozzando un sorriso, non riconoscendo il volto della madre ma percependone la presenza.

“Amore mio cosa ti hanno fatto?! Ora sono qui… sono qui” afferma sconvolta Nairobi, stringendo al petto il ragazzo e coprendolo con la giacca del tecnico della sicurezza. La donna lo accarezza e bacia costantemente, provando a dargli più sostegno possibile e la sua testa comincia a ragionare diverse vie per poterlo portare fuori da quell’orribile posto.

Tutto pare andare per il verso giusto quando una voce pugnala i presenti e i piani di Nairobi vanno in frantumi.

“Che cosa ci fai tu qui?” chiede Leroy, pensando di avere di fronte il tecnico della sicurezza, intento ad abbracciare l’ostaggio per chissà quale motivo.

Nairobi alza lo sguardo e non riesce a credere ai propri occhi. Un giovane di circa venticinque anni, alto, magro e di bell’aspetto era posizionato davanti a lei. Inutile non riconoscerlo, anche se a distanza di innumerevoli anni. Alcune persone, anche se incontrate poche volte, rimangono indelebili e immodificabili nel nostro cuore. Occhi neri penetranti, pelle leggermente scura, capelli mori e labbra carnose. A Nairobi basta uno sguardo per riconoscere quella persona che non aveva mai dimenticato: quella mancanza a cui non riusciva a dare riempimento.

Il cuore della gitana affonda in un tuffo e pare quasi fermarsi, per poi ripartire a una velocità immisurabile. La voce le si rompe in gola, ma i suoi occhi non riescono a staccarsi da ciò che crede essere una visione, un angelo o un fantasma.

Riprese le forze, con un filo di voce, Nairobi riesce a sussurrare incredula solo una parola… o per meglio dire un nome tatuato nella sua anima per l’eternità:

“Axel?!”

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Capitolo 25
*** CAPITOLO 24 ***


CAPITOLO 24

Nairobi rimane senza respiro e avverte una pressione risucchiarle i polmoni. Lo shock più estremo della sua vita le si palesa davanti agli occhi, con le vesti di quel bambino che aveva potuto viversi solo per pochi anni.

Axel abbassa immediatamente l’arma che tiene tra le mani e il suo petto comincia a gonfiarsi e sgonfiarsi velocemente. Il ragazzo, agitato e impallidito per la sorpresa, non riesce a gestire le proprie emozioni. Un miscuglio di rabbia, felicità, tristezza, amarezza e dolore viene miscelato all’interno di quel cuore che aveva sempre avvertito una parte mancante: quella appartenente alla donna che gli aveva donato la vita.

“Come hai fatto ad entrare?! Come hai fatto a riconoscermi?!” riesce a chiedere lui, non trovando le parole, mostrandosi restio e istintivo dal primo momento.

“Ho visto Ramon in questo stato e mi sono infiltrata… e, e, io… ti riconosco perché non si dimentica un figlio” balbetta Nairobi con voce tremante, riuscendo a stento a mettersi in piedi, mantenendo comunque le distanze dal ragazzo.

“Non si dimentica?! E allora perché hai fatto passare così tanti anni, senza mai cercarmi?!” la accusa subito Axel, mostrando la propria rabbia per quella vita trascorsa lontano da lei.

“Ci ho provato in ogni modo! Ma sono ricercata, in tutto il mondo! È stata la giustizia a portarmi via da te! Tu dovevi tornare mio dal primo momento in cui sono uscita dal carcere; invece, sei stato affidato ad altre famiglie e io non ho più avuto notizie” prova a spiegare Agata, percependo la gola sempre più secca e logorata anche dal battito cardiaco che l’annienta a ogni colpo.

“Sai cosa significa vivere scoprendo di avere una madre ladra?! Una madre che ti usava per vendere pasticche?! Una madre dalla quale devi cercare di non avere nulla a che fare, perché altrimenti tutti ti assoceranno alle sue cattive azioni?!” si sgola Axel, esternando quella frustrazione e confusione che l’avevano attanagliato in tutti quegli anni.

“Hai ragione su tutto, ma ora come posso giustificarmi?! Ti ho cercato, ti ho voluto, ho lottato per riaverti e mi sei stato tolto! Cosa dovevo fare Axel?! Cosa?!” urla Nairobi, lasciando finalmente spazio a quelle lacrime colme di stress e dolore che sentiva il bisogno di liberare da molto tempo.

Axel si ammutolisce improvvisamente e abbassa il capo, sapendo di aver appena parlato di aria fritta. Lui sapeva che sua madre aveva fatto di tutto, ma dentro di sé non accettava ancora quella separazione forzata mai del tutto compresa.

“Io non ho mai voluto essere una cattiva persona Axel… e so di non esserlo! Sono una ladra, ma non sono cattiva. Ho sempre puntato ai soldi, ma per riaverti! Tu, piuttosto, perché hai organizzato tutto questo?! Perché Ramon sta così male?! Che cosa sta succedendo?!” si sfoga Agata non trattenendo più il pianto, indicando Ramon addormentato a terra ancora fradicio di sudore.

Axel si guarda improvvisamente alle spalle, fremente di paura per una possibile scoperta e quello sguardo di terrore viene subito compreso da Nairobi che intuisce un ipotetico ricatto.

“Non ho organizzato io tutto questo. Io non l’ho mai voluto! Ma… non posso dirti nulla!” sussurra Axel, sentendo gli occhi gonfiarsi di lacrime, non sapendo se lasciarsi andare o trattenersi dal piangere di fronte a quella donna che desiderava in parte abbracciare e dall’altra respingere.

“Ti prego dimmi solo una cosa: tu non vuoi fare del male ai ragazzi vero? Non ti stai vendicando per il fatto che io abbia avuto altri due figli?” domanda Nairobi congiungendo le mani in segno di preghiera, mostrandogli la sua piena sincerità.

“No, ovvio che no!” scuote la testa Axel, guardando teneramente il povero Ramon sdraiato per terra.

“Sono… sono felice per i due gemelli e da quando li ho conosciuti mi sento meno solo; anche se loro mi credono il cattivo” aggiunge Axel con un groppo in gola, palesando la propria solitudine affettiva.

“E allora perché sei qui?! Che cosa ti ha portato a comportarti così, a incastrarci, a mandare i ragazzi in questo posto?” chiede ancora Nairobi, confusa per quei comportamenti contraddittori.

“Gli accordi erano altri e io ora sono vittima quanto voi!” esclama a denti stretti Axel, liberandosi di un fardello che non sapeva più come gestire.

“Mi hanno minacciato… e le due persone più care che ho stanno rischiando la vita…” si apre definitivamente Axel, chinandosi su sé stesso e dando vita a un pianto disperato e al racconto della propria storia: quel racconto che Nairobi voleva sentire con tutta sé stessa.

Qualche mese prima…

Un giovane alto dai capelli mori, gli occhi neri e i tratti tipicamente gitani, raggiunge un edificio che gli era stato indicato per effettuare un colloquio di lavoro. Pantaloni eleganti, camicia e giacca di un azzurro brillante ed ecco Axel pronto a intraprendere un’altra strada, sperando di riuscire a trovare lavoro come cuoco in uno dei migliori ristoranti del Portogallo.

Il ragazzo viveva ormai da solo o, per meglio dire, con la propria fidanzata di soli ventidue anni ed entrambi non avevano più rapporti con le rispettive famiglie d’origine. Lei adottata e orfana di entrambi i genitori, si era immedesimata in Axel che, dopo gli innumerevoli passaggi da una famiglia affidataria a un’altra, lo hanno visto costretto a muoversi autonomamente una volta raggiunta la maggiore età. I due ragazzi si arrangiavano con quel che potevano: lei, la dolce Victoria dai capelli biondi splendenti e gli occhi azzurri, lavorava in un bar come cameriera portando a casa un misero stipendio, mentre Axel, nonostante gli studi di alta cucina, veniva sballottato da un ristorante all’altro dove nessuno valorizzava il suo genio e lo adibiva a pelare verdure.

Una vita piena di fatiche e sofferenze, sacrifici per pagare l’affitto della casa, l’assicurazione della macchina e mettere da parte i soldi per l’università che Vicky aveva sempre desiderato frequentare. Due giovani responsabili, purtroppo sfortunati, che vedevano quella nuova proposta di lavoro per Axel come una rinascita.

Axel viene accolto da un uomo calvo e viene fatto accomodare a una scrivania dove, di spalle e irriconoscibile, stava seduto un uomo dal volto coperto.

Axel corruga la fronte e, di primo acchito, sente il proprio cuore battere all’impazzata pensando di trovarsi davanti, magari, a uno di quei critici gastronomici che non possono mostrare la propria identità, ma la percezione pare svanire subito.

“Axel… benvenuto” lo saluta la voce dell’uomo che, sempre dandogli la schiena, gli fa cenno con il dorso della mano di accomodarsi.

“So che stavi cercando lavoro e io ho da offrirtene uno meraviglioso” esordisce l’uomo dalla voce scura, girandosi finalmente verso Axel senza celare il proprio volto, ancora nascosto sotto una maschera nera.

“Non spaventarti per la maschera, un giorno conoscerai anche tu il mio nome ma non è questo il momento. Ti ho chiamato qui per offrirti una possibilità lavorativa. Che cosa ne sai di questa vicenda?” domanda lo sconosciuto, spingendo vari fogli verso Axel che si appresta a leggere.

“La rapina alla Zecca di Stato di circa 18 anni fa? Certo che la conosco, perché?” domanda Axel titubante, non capendo il motivo di tale quesito.

“So per certo che la conosci bene… perché tra quei rapitori c’era una certa Nairobi” sussurra l’uomo con la maschera, scroccandosi le dita.

Axel impallidisce all’istante al solo ascolto di quel nome che conosceva bene, ma che cercava di tenere per sé.

“Questo cosa c’entra con il lavoro? Mi scusi ma non sono qui per fare conversazione su vicende personali. Arrivederci” taglia corto Axel arrabbiato, facendo per alzarsi e allontanarsi.

“Non credo proprio che ti convenga uscire da quella porta… quando sentirai cosa ho da offrirti” lo frena lo sconosciuto, sapendo di averlo in pugno e poter cominciare il suo discorso.

“So bene la tua situazione Axel. Le tue famiglie affidatarie sono state le uniche a conoscenza della vera identità di Nairobi e sai perché? Perché sono stato io ad offrire tutte le informazioni per la tua sicurezza! So che tu hai quindi studiato la storia della tua madre biologica, che sei stato in cura da diversi psicologici e che non hai mai superato questo trauma” esordisce l’uomo dalla maschera nera, dimostrandosi un ottimo stalker.

“Lei come fa a sapere tutto questo?! Io ora chiamo la polizia!” si spaventa Axel, agitato all’idea di dover scappare ancora per conto di una vicenda che non aveva scelto.

“La polizia sta con me ed è per questo che cercavamo proprio te” risponde seccamente l’uomo, scroccandosi il collo prima di continuare a parlare.

“Sappiamo che sei molto bravo in due cose: a cucinare e nell’informatica. La prima al momento non ci serve, ma per la seconda possiamo pagarti profumatamente. Ciò che ti proponiamo è un’azione di ricerca. La banda dei Dalì, inclusa tua madre, è ormai dispersa da più di 18 anni e pare che il mondo intero si sia dimenticato di lei. Noi, però, no” spiega l’uomo, girandosi vari anelli che portava sulle dita.

“Noi non dimentichiamo chi ci ha fatto del male e ci ha fatto subire varie ingiustizie. Noi li vogliamo ritrovare e, proprio ora che li abbiamo finalmente intercettati, chiediamo il tuo supporto. Ciò che ti proponiamo consiste nell’ingannare la banda in modo da condurla in uno specifico luogo, dove noi li potremo arrestare e regolarizzare i conti economici dopo il bottino che si sono creati” conclude l’uomo, picchiettando i polpastrelli ritmicamente sulla scrivania.

“Ma è legale questa cosa? Io non voglio casini!” domanda Axel mettendo le mani avanti, cercando sicurezza vista una vita di continui inganni.

“Certo che è legale! Come ti dicevo la polizia lavora con noi! Quello che desideriamo è giustizia… la stessa giustizia che offriamo anche a te, dandoti l’opportunità di conoscere tua madre e poterle dire in faccia tutto il disprezzo che nutri per lei” aggiunge l’uomo con voce graffiante, cercando di smuovere quella frustrazione che Axel serbava dentro di sé da troppo tempo.

Axel pensa silenziosamente alla proposta, meditandola nel proprio cuore. L’immagine di sua madre gli si palesa nella mente, così come il flebile ricordo di quelle gocce di liquore che l’avevano fatto soffrire e quell’orsetto azzurro che conteneva la droga da rivendere. Axel, come ogni bambino, aveva sempre atteso il ritorno della propria mamma naturale, aspettandola alla finestra ogni sera e pregando ogni Santo del Paradiso. Quella madre, però, non era mai arrivata e, una volta scoperta la sua identità di ladra della Zecca, la stima e l’attesa diminuirono drasticamente. Per un po’ Axel attese l’arrivo della madre, soprattutto una volta ottenuti i soldi della Zecca, ma di lei nemmeno l’ombra. Axel si percepiva dimenticato, allontanato, un bambino solo e comprato. La rabbia nei confronti di quella Nairobi era talmente elevata che l’opzione dell’uomo mascherato si dimostrò un vero miraggio.

“Accetto. Mi garantite, però, che il mio unico lavoro consisterà nel cercare di convincere i Dalì a raggiungere questo luogo d’incontro attraverso la tecnologia? Io non voglio alzare le mani, usare armi o fare del male” pone le proprie condizioni Axel, porgendo la mano al futuro capo che, entusiasta, risponde:

“Assolutamente!”

Prima dello stalking a Leya…

Axel si sveglia prima del previsto, disturbato da alcuni rumori che sembrano provenire dal bagno. Il ragazzo si stiracchia nel letto, allungando il braccio verso la parte opposta del materasso per constatare la presenza della fidanzata. Le lenzuola spostate, la postazione fredda e le coperte stropicciate fanno intuire al giovane l’assenza della ragazza che, visti i rumori, probabilmente era andata in bagno.

Con la fronte corrugata e gli occhi sensibili per la luce, Axel si alza dal letto diretto verso i servizi per assicurarsi che Victoria stesse bene.

“Amore? Tutto ok?” chiede lui bussando alla porta, senza ricevere risposta. Il suono di un singhiozzo e di alcuni lunghi sospiri fanno da allarme per una situazione preoccupante e Axel, con sicurezza, apre la porta.

Victoria era seduta sul bordo della vasca. Il volto arrossato, la mano sulla bocca e le lacrime che scendevano copiose erano sicuramente il segnale di una sofferenza interiore.

“Che cosa è successo? Non stai bene?” domanda Axel con premura, sedendole accanto e cingendole le spalle con un abbraccio.

“No, non sto bene!” risponde lei tra un singhiozzo e l’altro, mostrando al compagno un test di gravidanza.

Axel scruta quelle due lineette con attenzione, per poi sentire un vero e proprio tuffo al cuore.

“Sono incinta Axel e non va bene!” dichiara lei tremante, sicuramente sconvolta di fronte alla gravidanza indesiderata.

“Ma come è possibile?! Prendiamo tutte le precauzioni del caso!” si interroga Axel senza parole, ripercorrendo con la memoria i precedenti rapporti sessuali. I due erano sempre stati molto responsabili, soprattutto durante le effusioni amorose, perché consapevoli dell’impossibilità di crescere un figlio viste le difficoltà economiche.

I due rimangono impietriti e pallidi, senza riuscire ad esprimersi. Le tempie pulsavano e un senso di responsabilità e di terrore opprimenti si facevano largo dentro di loro.

“Non abbiamo scelta, non possiamo tenerlo!” esordisce Vicky, scuotendo la testa e provando a scostarsi da Axel.

Axel sente rimbombare quelle parole nel cervello, avvertendole improvvisamente pesanti e distruttive. Nel momento in cui si scopre di diventare genitori, il primo pensiero va alla propria esperienza e alle due persone che ti hanno dato la vita. Axel, infatti, ripensa ad Agata e riassapora quei pochi ricordi che custodiva di lei. Sua madre lo aveva avuto in giovane età, proprio come Vicky in quel momento, e non lo desiderava. Rimasta incinta da un uomo meschino, Agata aveva lottato contro tutto e contro tutti per tenere in vita quel bambino e Axel questo lo sapeva. Ecco che, quindi, l’esperienza di Nairobi gli fa comprendere la potenza di una scelta e la presenza di svariate possibilità.

“Tesoro, non dobbiamo bruciarci così! È il nostro bambino, ci amiamo e abbiamo la testa sulle spalle! Certo che lo teniamo!” prova a convincerla Axel, ricingendola con le braccia come a volerle dimostrare il proprio supporto.

“E come facciamo a crescerlo Axel?! Non arriviamo neanche a fine mese! Io ho solo 22 anni, tu 25 e se scoprono che stiamo per diventare genitori ci licenziano in tronco!” spiega Vicky ragionando sul da farsi.

Vedere la propria ragazza così distrugge Axel e, in parte, lo motiva a dare il massimo per permetterle di vivere una vita dignitosa. Lui sentiva la responsabilità di offrirle il meglio e supportarla economicamente. Ecco perché il giovane, motivato più che mai, decide di uscire e affrontare il proprio superiore. Non gli importava più la missione Dalì, avrebbe rinunciato all’incontro con sua madre pur di portare a casa quei soldi che avrebbero tranquillizzato Victoria. Axel bacia dolcemente la ragazza sulla guancia e, con convinzione, si prepara ad uscire.

“Ho convinto i ragazzi a venire nel posto che avete scelto, ora basta. Il mio lavoro finisce qui! Ho bisogno dei miei soldi!” afferma determinato Axel, entrando nello studio del misterioso capo con fare furioso.

“Perché tutta questa ira? Proprio ora che siamo vicini alla meta poi!” risponde pacatamente la mente del piano diabolico, temperandosi una matita.

“Perché i piani erano esattamente questi: io avrei dovuto convincere la banda a muoversi e lo stanno per fare! Mi rifiuto di mettere paura a una povera ragazzina di dodici anni! Così come mi rifiuto di vedere i ragazzi, perché mi avete garantito che il mio lavoro era totalmente informatico!” motiva Axel adirato, desideroso di chiudere quel brutto capitolo e offrire al nascituro un futuro degno di essere vissuto.

“Quindi, rinunceresti a conoscere tua madre?” chiede l’uomo misterioso, sapendo di colpire nel segno.

Axel annuisce prontamente, capendo proprio in quel momento di aver sempre fatto la scelta sbagliata. Si era fidato di loro consegnando sua madre nelle mani della polizia e questo non riusciva a perdonarselo.

“Ascoltami Axel… tu sai che ti daremo tantissimi soldi, ma prima i Dalì dovranno arrivare a destinazione!” aggiunge l’uomo con voce più pungente, mostrando i propri trabocchetti.

“Che cosa? No! Gli accordi non erano questi! Io avrei solo usato la tecnologia!” protesta collerico Axel, sbattendo un pugno sul tavolo.

“Ascoltami… tu ora fai quello che ti dico io!” si altera il capo sporgendosi in avanti e afferrando Axel per il bavero.

“Tu non riceverai quei soldi finché non te lo deciderò io. Tu adesso verrai con noi al museo e diventerai il capo della missione. Farai ciò che ti dico, ogni singola cosa, è chiaro?!” ringhia l’uomo dalla maschera nera, facendosi tenebroso.

“No! Denuncerò questa cosa! Non state rispettando le clausole!” mostra gli artigli Axel, dimostrandosi tagliente come quell’ascia a cui lo associava sua madre.

“Senti un po’… se ti dicessi che la tua ragazza è in pericolo? Oh sì… perché noi sappiamo dove si trova ora, cosa fa e con chi. Ci basta un piccolo gesto e lei finisce catturata o morta per il nostro volere… è chiaro?!” domanda l’uomo con un ghigno impercettibile, nascosto dietro quell’orrenda maschera nera.

“Co-cosa volete fare?! Lasciatela stare, lei non c’entra nulla!” balbetta Axel destabilizzato dal ricatto che gli accoltella il cuore.

“Oh sì che c’entra… c’entra dal momento in cui hai cercato di ribellarti! Ora, vedi di tornare all’opera o i soldi, la tua cara Victoria… e il bambino che porta in grembo non li vedrai mai più” lo minaccia nuovamente l’incappucciato, ancora più inquietante di prima.

Questa è la storia che ha portato Axel ad agire contro la sua stessa famiglia per cercare di impedire un ricatto che gli sarebbe costato troppo caro.

Presente…

Nairobi rimane impietrita dal discorso. Tante nozioni, tante avventure, tante novità, tante emozioni e anche tanto dolore nel sapere le sofferenze che il figlio ha dovuto patire. Il suo Axel era finito nella tana del lupo per colpa di soldi: quegli stessi soldi che Nairobi non sapeva dove mettere e che, spesso, aveva cercato di inviargli senza mai riuscire a rintracciarlo.

Nairobi non sa cosa dire, come consolarlo! Vorrebbe compiere un gesto forse stupido e infantile, ma forse l’unico davvero significativo: correre dal figlio, abbracciarlo e promettergli che tutto si risolverà. Axel, però, aveva sempre imparato a vivere da solo e ora stava agendo in quel modo per salvare la vita di suo figlio, proprio come le azioni che aveva messo in atto Agata per offrire un futuro al suo piccolo.

“Axel… non voglio dirti nulla di sdolcinato, ma ti prego. Non fidarti di loro! Ti prometteranno di tutto ma non ti lasceranno mai andare! Anche dopo questa faccenda ti arruoleranno per altri sporchi fini e non sarai mai libero!” prova a consigliargli Nairobi, avanzando di qualche passo verso di lui, felice nel non vederlo retrocedere.

“Hanno Victoria, sanno del bambino! Io non posso perderle, lo capisci… Mamma?!” si sfoga lui, ricominciando a piangere e utilizzando anche quel nome che, nel silenzio, le aveva sempre rivolto nell’immaginario.

La parola “mamma” pronunciata da Axel fa venire la pelle d’oca a Nairobi che, in sovrabbondanza di emozioni, si morde le labbra per contenere le lacrime, nonostante risultasse impossibile.

Da circa 16 anni il suono mamma, la parola più sublime e ambita dalla sua anima, aveva ricominciato a echeggiarle nelle orecchie grazie alle voci dei gemelli, ma una parte di quella mamma rimaneva sempre incompleta. Per quanto la si nominasse Nairobi avvertiva sempre una mancanza: quel mamma pronunciato dal suo Axel.

Nairobi non sa cosa dire e, come altre volte nella propria vita, capisce di dover agire. Con uno slancio fulmineo la donna scatta verso Axel, tirandoselo al petto e abbracciandolo con forza. I corpi inizialmente cozzano e non si riconoscono, complice la resistenza di Axel che ancora non riesce ad accettare la madre, ma la forza dell’amore materno lenisce la situazione.

Axel cede e, proprio come aveva sempre sognato, si lascia custodire da quelle braccia che gli mancavano come l’aria. L’abbraccio tra Axel e Nairobi si fa sempre più intenso e stretto, le lacrime sgorgano a fiumi e il respiro si fa irregolare, incapace di gestire l’emozione.

“Ti prometto che insieme ne usciremo ancora più forti. Alleati con me Axel e presto sarà tutto finito!” prova a convincerlo Nairobi, accarezzandogli una guancia con incredulità, chiedendosi se si trovasse in un sogno.

Axel guarda in volto la madre, riconoscendo una profonda somiglianza e, per la prima volta nella sua vita, avverte un senso di protezione e di fiducia. Il giovane espira lentamente per poi sorridere e dire alla madre:

“D’accordo. Cerchiamo di parlare con gli altri Dalì e uscire di qui”

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Capitolo 26
*** CAPITOLO 25 ***


CAPITOLO 25

Axel e Nairobi, finalmente insieme anche se in una situazione non ottimale, si accordano cautamente sul da farsi. Axel, per prima cosa, dona dei vestiti da agente della sicurezza a Nairobi, andando a rivestire l’uomo che lei aveva aggredito nel bagno.

“Ti posso assicurare Leroy! Qualcuno mi ha aggredito e rinchiuso nel bagno! Mi fa ancora male la testa!” comunica l’uomo massaggiandosi la nuca, indicando il punto in cui Nairobi l’aveva afferrato.

“Guarda, è tutto bagnato e c’è anche il segno della tua scarpa strisciata. Devi essere scivolato e di conseguenza aver picchiato la testa. Vai a riposarti, ti assicuro che è tutto sotto controllo!” lo rassicura Axel, mentendo sull’accaduto. Il giovane, infatti, aveva somministrato una dose di sonnifero all’uomo in modo da avere il tempo di rivestirlo, allagare il pavimento e lasciare l’impronta della scarpa sulla superficie bagnata in modo da creare un vero e proprio alibi.

Questo comportamento dimostra a Nairobi la fragilità del figlio e la sua necessità di mettersi in salvo per tornare dalla donna amata e dal futuro neonato.

“Ok, allora” inizia Nairobi intenzionata nello spiegare ad Axel la posizione del casolare dei Dalì nascosto nel bosco. Axel, infatti, aveva deciso di uscire e avvertire la banda in modo da non destare sospetti nel continuo andirivieni di Nairobi.

“Come fai a fidarti di me?” domanda Axel stranito dall’estrema fiducia ripostagli dalla madre. La donna si limita a sorridergli e, con delicatezza, ad accarezzarle quella guancia morbida che aveva sognato per troppo tempo.

“Perché sei mio figlio. Come posso non fidarmi di te? Sono io quella che deve conquistare la tua fiducia” risponde Agata commossa, specchiandosi in quegli occhi neri come la pece ma estremamente brillanti e lucenti.

“Promettimi…” esordisce Axel, stringendo le mani della madre nelle proprie in gesto di preghiera.

“Promettimi che quando questo sarà tutto finito noi non ci perderemo mai più” aggiunge il venticinquenne turbato, segnato da un passato che lo ha traumatizzato.

“Ti ho già perso una volta. Sei il mio cuore Axel! Usciremo di qui e vedrai che cambierà tutto” giura Nairobi stringendosi la sua mano al petto dimostrandogli, grazie alla vicinanza al cuore, di non potersi mai più separare da lui.

Axel esce dal museo in tutta tranquillità, sapendo di potersi muovere in piena autonomia senza destare sospetti. L’avere ritrovato la madre, però, gli provoca una certa ansia che lui spera di non mostrare con il conseguente rischio di mandare all’aria l’intero piano.

Per questo motivo il ragazzo si distrae al cellulare, saluta qualche collega guardia e finge di mandare un messaggio. Il cuore, però, gli batte all’impazzata e il respiro si fa più affannato a causa dell’incontro che a breve avrebbe intrattenuto. Giunto nei pressi del casolare, il ragazzo viene immediatamente bloccato da due alleati di Sergio che cercano di capire le intenzioni del forestiero.

“Meravigliosa questa foresta vero? Mi saprebbe indicare la strada più veloce per raggiungere il centro della città?” domanda uno degli uomini di Sergio, fingendosi un turista per capire le intenzioni di Axel.

“So chi siete e devo parlare con il professore immediatamente. Io sto con voi!” sussurra a bassa voce Axel, guardandosi intorno furtivo con il timore di occhi indiscreti.

Gli alleati del professore inviano subito un messaggio al proprio capo e, una volta ricevuto l’ok, ammanettano l’estraneo e gli coprono gli occhi con una fascia onde evitare di mostrargli il percorso per raggiungere il casolare.

“Chi ha detto di essere?!” chiede preoccupato Sergio, intimorito dall’idea di avere una spia dei rapinatori a pochi centimetri dal suo naso.

“Ha detto di voler parlare con te e di stare dalla nostra parte” risponde l’aiutante di Sergio, per poi togliere la benda ad Axel che può finalmente aprire gli occhi. Il ragazzo si guarda attorno emozionato, analizzando la meraviglia organizzativa di quella banda che aveva in parte odiato e amato.

“Cosa ti guardi in giro?! Chi sei?!” lo aggredisce subito Palermo, afferrandogli la mandibola e scrutandolo negli occhi neri come la pece.

“Non ho tempo di spiegare! Dobbiamo agire! Io e Nairobi abbiamo un piano…” apre bocca Axel, intenzionato a non perdere tempo, seppur interrotto da una miriade di domande.

“Nairobi?! E come sta?! Come fai a sapere di lei?!” lo interroga Bogotà avvicinandosi a lui con ansia.

“Aspettate…” lo ferma Tokyo spostando l’omone davanti a sé e indicando la targhetta attaccata alla tuta del ragazzo.

“Sei quello stronzo che ha cercato di rapire nostra figlia!” urla Tokyo furente, riconoscendo il nome Leroy.

La donna viene fermata da Raquel e dal professore che la invitano a calmarsi, seppur d’accordo con la sua esclamazione.

“Posso spiegare tutto! Io sono Leroy, ma non è il mio vero nome!” cerca di parlare Axel, impanicato dalla situazione e dal poco dialogo con i Dalì.

“Col cazzo che ascolterò quello che hai da dire! Ora ti farò andare all’inferno!” lo minaccia anche Rio, bloccato a sua volta da Helsinki.

“Insomma, io ho dovuto essere Leroy, ma sono Axel e voglio solo salvare la mamma e la mia famiglia!” sbotta il falso Leroy, lasciando tutti senza parole.

I presenti si ammutoliscono e anche i due adulti infervorati smettono di dimenarsi.

“Stai giocando con fuoco, non scherzare su Axel!” lo ammonisce Helsinki, avvertendo una ferita aprirsi in onore della migliore amica.

“Se hai intenzione di impressionarci con le vicende personali di Nairobi, sappi che non ci caschiamo!” si aggiunge il professore, leggendo in modo sbagliato quella sincera dichiarazione.

“No! State zitti e fermi!” sbotta Bogotà, facendosi strada di fronte al ragazzo, finendo per fissarlo intensamente negli occhi. Impossibile non riconoscere il medesimo colore nero e la profondità di sguardo della sua Agata. Nairobi aveva donato al figlio la parte più bella di sé e, nonostante la separazione, continuava a vivere in lui grazie a una somiglianza fisiognomica impressionante.

“Sei veramente tu… Axel!” si aggiunge anche Tokyo, inginocchiandosi e riconoscendo il medesimo dettaglio scrutato da Bogotà.

La donna, istintivamente, si getta sul giovane e l’abbraccia forte. La storia di Axel, il dolore di Nairobi e il ricordo di quel bambino strappato alle cure materne, l’avevano reso anche suo figlio.

“Come ti senti? Come sta Nairobi? Come stanno i ragazzi?” lo bombarda di domande Bogotà, liberandolo dalle manette e porgendogli un bicchiere d’acqua.

“Stanno tutti bene, per ora. Il capo non so quanto reggerà questa situazione. Vi sta aspettando per imprigionarvi tutti e il tempo è davvero poco” esordisce Axel, raccontando in poche parole la propria storia, il ricatto verso la sua famiglia e l’accordo con Nairobi. Il discorso convince immediatamente il gruppo che, però, non riesce a palesarsi il volto di quel folle che li odiava a tal punto da torturare i loro figli e creare un piano di quella portata.

“Che cosa consigli di fare?” chiede il professore, abbassando il cappello e permettendo al giovane più esperto nella situazione, di mostrargli la propria idea.

“Devo cercare di farvi entrare, in modo da poter attaccare dall’interno quando meno se l’aspettano” risponde Axel guardando negli occhi la sua nuova famiglia e provando una sensazione di calore mai avvertita prima.

“Una sorta di cavallo di troia insomma…” commenta il professore sistemandosi gli occhiali, per poi prendere carta e penna e scarabocchiare su un foglio.

“Esatto” risponde Axel sfoggiando un brillante sorriso, felice di avere degli alleati per liberarlo da quella condizione.

Il professore ipotizza il proprio piano consultandosi attentamente con Axel che, a conoscenza del luogo, permette alla banda di ricostruire ogni piccolo centimetro del falso museo. Il ragazzo aiuta a disegnare le stanze, le camere che tengono rinchiusi i ragazzi, i sotterranei e le cabine di comando dove si trovavano Ramon e Nairobi. Il ragazzo si prende dell’ulteriore tempo per illustrare al professore le varie sicurezze e gli stratagemmi messi in atto dal capo per poter classificare il luogo come museo vero e proprio. Spesso giungevano controlli e ispezioni ma, in vista di quelle occasioni, venivano nascosti tutti i documenti risalenti ai Dalì e il museo finiva per trasformarsi in una qualsiasi mostra d’arte.

“Tu dici che ce la faremo? Lui non sospetterà nulla?” domanda il professore dopo più di un’ora di lavoro, guardando una serie di scarabocchi dove pare trasparire la prossima mossa vincente.

“Assolutamente sì. Lui si fida troppo di me! Sono il suo braccio destro, mi ha in pugno e sa che non rischierei mai di perdere la mia famiglia per aiutarvi” lo tranquillizza Axel, squadrando convinto gli appunti.

“E Nairobi? Lui sa che è tua madre? Sa che tu potresti volerla salvare e incontrare?” si intromette Bogotà, dubbioso per quanto appena affermato.

“Lui ha cercato di farmi odiare Nairobi… e per un po’ di tempo devo ammettere di esserci cascato. È per questo motivo se ho portato i ragazzi nella tana del lupo e non smetterò mai di chiedervi perdono” risponde Axel addolorato, abbassando il capo in segno di pentimento per il proprio comportamento.

“Mi è bastata qualche parola con Nairobi, uno sguardo sincero e un abbraccio… per capire che in realtà non si può odiare la propria madre” conclude poi lui, ritrovando la forza per alzare il volto e sorridere ai presenti, ormai sicuro della propria posizione.

“Perfetto, ora ci spiegate il piano?” si intromette impaziente Palermo, mettendosi a braccia conserte dinanzi al professore in attesa di sue notizie.

Sergio, incoraggiato da Axel stesso e da Raquel sempre al suo fianco, si aggiusta gli occhiali da vista con il solito tic caratteristico e inizia la spiegazione.

“Tutti voi penso conosciate la storia del cavallo di Troia. Un inganno architettato da Ulisse per espugnare Troia dopo anni e anni di assedio. Noi, proprio come Ulisse, non faremo altro che riproporre la sua idea, con la differenza che non creeremo un vero e proprio cavallo, ma passeremo attraverso l’aiuto di Axel. Axel è il braccio destro del loro capo che mai si aspetterebbe un suo tradimento. Il piano sarà strutturato in due modi: inizialmente alcuni di noi cercheranno di entrare con qualche stratagemma, con l’intento di farci scoprire e catturare. Tutti, infatti, sanno che siamo qui e stiamo studiando un modo per entrare” si ferma un attimo Sergio sistemandosi nuovamente gli occhiali, per poi continuare.

“Una volta catturati, daremo loro varie informazioni e sarà lo stesso Axel a interrogarci minacciosamente. Si aprirà poi la seconda fase. Axel spiegherà al suo capo di un ennesimo controllo al museo che effettueranno alcuni nostri colleghi vestiti ovviamente da poliziotti e controllori. Sarà il capo stesso ad aprirci le porte e, fidandosi di Axel, non dubiterà mai di lui” conclude il professore lasciando la banda in un’aura di silenzio per permettere loro di elaborare le informazioni.

“Io ci sto… però sia chiaro: io voglio entrare e riprendermi i ragazzi!” si inserisce Tokyo, desiderosa di mettere piede il prima possibile in quel dannato museo.

“Alcuni di noi dovranno farsi “catturare”, ma non voglio mettere in mezzo troppa gente, quindi ascoltami bene Tokyo: segui il piano e non agitarti!” la placa immediatamente il professore, avendo letto un barlume di follia e iperattività negli occhi scuri della donna.

“Io voglio salvare mia figlia e mi prenderò tutte le responsabilità del caso! Non me ne frega nulla della mia vita, la rischierei anche subito!” ribatte lei inasprita da quell’avvertimento che le rende il sangue amaro.

“Quello che rischia di più in questo momento è Axel! Tutto quello che dobbiamo fare è per tutelare anche lui!” si inserisce Bogotà, dimostrandosi paterno e affettuoso nei confronti del figlio della moglie.

Il piano sembra ormai concordato e, mentre tutti si disperdono nell’abitazione, Axel si ferma a scrutare attentamente il marito di sua madre, colpito dalla premura appena rivoltagli.

“Perché mi fissi ragazzino?” chiede Bogotà accendendosi una sigaretta, intimidito da quello sguardo diretto che sente su di sé.

“Come fai a fidarti di me? Ho torturato tuo figlio, volevo catturarvi e ho odiato mia madre” spiega Axel abbassando il capo, non riuscendo ancora a deporre il senso di colpa che lo attanaglia.

“La tua ragazza è incinta vero?” domanda Bogotà cambiando argomento.

Axel non comprende la richiesta ma, fiducioso nel nuovo parente, risponde senza timore:

“Sì… e la vedo di rado, sempre più preoccupato per quella pancia che cresce e che rischia il proprio futuro”

“Hai visto? Ti sei già risposto. Nel momento in cui stai per diventare genitore fai di tutto per proteggere i tuoi figli. Io sono stato un coglione… ne ho fatti 7 prima di conoscere tua madre e mi limitavo a mandare assegni di mantenimento. Non sono mai stato un padre esemplare, ma li ho comunque amati e rispettati. Per questo mi fido di te: alla fine sei anche tu mio figlio” afferma con tranquillità Santiago, buttando via il mozzicone di sigaretta e portando le braccia conserte.

“Che cosa hai appena detto?” domanda Axel avvertendo un tuffo al cuore, non aspettandosi delle parole così intime e profonde.

“Mi hai sentito e te lo posso ripetere all’infinito. Non sempre serve la biologia. Io amo tua madre e lei non ha mai smesso di portarti nel cuore, a vivere con lei qualsiasi cosa. Mi ha parlato talmente tanto di te che potrei riconoscerti nei o cicatrici. So che non hai mai avuto una vera famiglia Axel… ma noi ti stavamo cercando da troppo tempo e ora che sei qui non rinunceremo a te” si ammorbidisce il capo famiglia, sorridendo al giovane che, commosso, gli si avvicina desideroso di un abbraccio.


L’uomo stringe Axel tra le braccia, facendogli assaporare un contatto paterno che non aveva mai conosciuto.

“Non preoccuparti Axel. Salveremo la mamma, i tuoi fratelli, Victoria e il tuo bambino” conclude Bogotà, per poi godersi quel momento che, in qualche modo, lo lega virtualmente ad Agata.

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Capitolo 27
*** CAPITOLO 26 ***


CAPITOLO 26

La banda si prepara alla prima fase del piano, ovvero quella consistente nel falso fallimento per farsi volontariamente catturare.

“Io voglio entrare e fare il culo a tutti!” afferma ancora Tokyo, una volta ritrovato l’argento vivo che le aveva permesso di affrontare la rapina alla Zecca. Sergio, però, su questo non transige e tra i due scoppia quasi una rivolta.

“Entreranno Palermo, Raquel, Bogotà e Rio” annuncia il professore, una volta preparatosi all’attacco.

“Vuoi ripetere?!” lo minaccia subito Tokyo, fermandosi a due centimetri dal suo volto.

“Mi vorresti dire che io me ne sto qui!? Solo io ed Helsinki?! Adesso stai giocando con il fuoco, professore!” si altera la donna, spintonando Sergio che traballa.

“Sì! Perdiamo già abbastanza membri così e tu mi servi qui!” taglia corto il prof, intimorito dalla donna che era sempre riuscita a mettergli i piedi in testa.

“Tu non mi mandi lì dentro perché temi che possa fare casini! Preferisci quindi tenermi a bada, come un cagnolino!” urla Silene, scaldandosi eccessivamente e serrando i denti.

“Amore, stai tranquilla!” interviene Rio, provando a stringere tra le braccia la moglie che si ribella dimenandosi. Una capoeira fin troppo conosciuta alla banda che termina con una resa della donna che finisce per accasciarsi tra le braccia dell’uomo.

“Non ce la faccio più! Non potete tenermi qui! Ho bisogno di vedere Nieves, questa cosa mi sta uccidendo!” si dispera la Oliveira, stringendosi il petto come a voler contenere quel dolore al cuore che la trafiggeva. Di fronte a tale dichiarazione tutti i presenti preferiscono tacere. In effetti li accanto a lei c’erano i padri dei ragazzi rapiti, ma una sola madre. Perfino Nairobi, sempre devota ai piani del professore, non era riuscita a fermarsi, buttandosi nella tana del lupo. Per una madre che ha instaurato un rapporto simbiotico con la creatura che ha portato in grembo, è difficile chiedere di sedersi e attendere. Per questo lo sforzo di Tokyo era comprensibile a tutti.

“Io non oso immaginare che cosa provi…” rompe il ghiaccio Axel, attirando su di sé lo sguardo dei presenti che mai si sarebbero aspettati tale dichiarazione.

“Dico solo che voglio essere un genitore come te, con la tua stessa forza e lo stesso coraggio. Sei la migliore amica di mia mamma, quindi posso immaginare la potenza che vi accomuna. È anche per colpa mia se i tuoi figli sono lì dentro e te lo prometto: li tireremo fuori. Fidati di noi” sussurra dolcemente il ragazzo, prendendo le mani della donna tra le sue, sentendole fredde e tremanti.

Tokyo, ancora avvolta dalle braccia di Rio, accetta quel gesto come una carezza al cuore, come una promessa del figlio maschio che non ha mai avuto.

“Noi andiamo ora. Vado a riprendere Nieves: dobbiamo ancora metterla in castigo per quello che ha combinato eh!” ironizza Rio, riuscendo a far sorridere la moglie.

“Stai attento, ti prego!” lo scongiura Tokyo, mostrandogli la sua targhetta che tiene appesa al collo come pegno del loro amore. I due finiscono per salutarsi con un bacio appassionato, nel quale si scambiano paure e affetto incondizionato.

Nel frattempo…

“Io non voglio restare qui per molto… in catene, a fare nulla!” afferma Cecilia, strattonandosi e scervellandosi nuovamente su un piano.

“Quel ragazzo ci ha liberati, ma dobbiamo trovare il momento opportuno per andarcene. Ora vi libero, ma tenete il gioco, vi prego” risponde Nieves, alzandosi e sganciando le manette anche ai due compagni, per poi tornare a sedersi fingendosi ancora prigioniera.

I ragazzi avvertono lo scricchiolio della porta e, proprio davanti a loro, ecco palesarsi un uomo mascherato. L’uomo, fortunatamente, non sospetta dell’azione appena compiuta dai ragazzi e, subito dopo aver chiamato altri due scagnozzi, si presenta al loro cospetto.

“Buongiorno miei cari, tutto bene la permanenza qui? Non preoccupatevi non durerà ancora per molto!” afferma l’uomo dalla maschera nera, capo misterioso di tutta l’operazione.

“Chi sei tu? Che cosa cazzo vuoi?” lo aggredisce subito Tokyo, mostrandosi coraggiosa e determinata.

“Uh cosa vedo qui… a quanto pare qualcuno ha ereditato il caratterino di sua madre eh!?” la schernisce l’uomo avvicinandosi alla ragazza che, impassibile, rimane seduta senza farsi prendere dal panico.

“Sai, dentro alla Zecca lei era una vera e propria troia. Si faceva quell’insipido di Rio ovunque e alcune voci dicono che si sia baciata con una ragazzina… mi stupisco di come abbia potuto mettere al mondo dei figli” la prende in giro l’uomo, ricevendo l’approvazione e la risata dei compagni.

“Non osare parlare così di mia madre! Almeno lei ci ha messo la faccia, tu non hai neanche il coraggio di mostrarla perché ti fai schifo da solo!” ringhia Nieves infervorata, stringendo i denti e rivolgendo uno sguardo feroce al capo dell’operazione.

L’uomo dalla maschera nera gli si avvicina maggiormente e, afferrandole il mento con una mano, squadra la ragazza da cima a fondo.

“Devo dire, però, che sei proprio bella… tua madre era una troia sì, ma me la sarei volentieri fatta anche io. Chissà… magari posso lasciare un segno sulla sua bella figlia…”

E, pronunciate queste deplorevoli parole, l’uomo si sbottona i pantaloni, per poi slacciare violentemente la felpa di Nieves cominciando a toccarle il seno senza ritegno.

“Porco! Che cosa stai facendo?!” urla Dimitri, ormai pronto a liberarsi dalle manette e lanciarsi sull’uomo che stava molestando l’amica.

“Nieves ribellati cazzo!” si aggiunge Cecilia, facendo per alzarsi in piedi e correre in soccorso, pur venendo bloccata immediatamente da due scagnozzi che guardano la scena divertiti.

Nieves, però, rimane ferma e sicura di sé, lasciandosi toccare senza timore, pronta a colpire con un pugno l’uomo nel suo momento più vulnerabile.

L’uomo è ormai prossimo ai jeans della ragazza, Nieves carica il pugno ma, al piano superiore, si avvertono degli spari che lasciano tutti di stucco.

“Che cosa succede?” domanda il capo preoccupato, non capendo la situazione.

“Signore! Ci sono i Dalì! Li abbiamo presi! Stavano cercando di entrare nella struttura fingendosi turisti ma li abbiamo sorpresi. Hanno aperto il fuoco, ma ora sono disarmati!” comunica l’uomo denominato Parigi, entrando velocemente nella stanza.

Gli occhi mascherati dell’uomo brillano di una strana follia e questi, dopo essersi sistemato, corre fuori seguito dai compagni senza rivolgere nemmeno uno sguardo ai tre ostaggi.

Rimasti soli e avvolti dal silenzio, i tre cercano di riprendersi dallo shock del momento. Nieves, con il cuore a palla e un forte senso di nausea, chiude gli occhi e sospira diverse volte.

“Perché cazzo gliel’hai lasciato fare?!” l’attacca Cecilia, sconvolta dalla situazione. Nieves, però, ancora scossa e tremante, riesce solo a pronunciare una richiesta:

“Puoi… abbracciarmi… per favore?!”

La domanda smuove l’altra nel profondo che, accortasi dell’enorme panico della migliore amica, le apre le braccia senza aggiungere altro. Cecilia stringe forte a sé l’amica, accarezzandole i capelli e baciandola più volte sulla guancia, donandole quell’affetto di cui necessitava.

“Mi spiace non essere riuscito a ribellarmi alla loro stretta ragazze… ma ora è il momento di agire” si inserisce Dimitri, dopo aver accarezzato dolcemente la testa di Nieves.
Il ragazzo, poi, apre le mani e mostra così un bottino inaspettato.

“Un accendino e una pistola? Sei riuscito a rubarle alla guardia?” chiede Nieves con un bagliore di speranza negli occhi.

“Sì… è il momento di dare fuoco a sto museo del cazzo!” afferma Dimitri con coraggio, dimostrando di avere finalmente un piano di fuga.

In una stanza completamente isolata al primo piano del museo, il capo dell’operazione scruta con attenzione i suoi nuovi ostaggi, gustandosi la visione e assaporando una prima vittoria.

“Rio…Palermo…Bogotà…oh, la cara ispettrice Murillo! Come si fa chiamare ora? Lisbona? Noi ci fidavamo di lei!” la aggredisce subito l’uomo, rivolgendole uno sguardo d’ira.

“Chi diavolo sei tu?” chiede Rio, non riuscendo ad immaginarsi il volto nascosto dalla maschera.

“Una persona che mai avreste pensato di poter rivedere! Ditemi… come ci si sente ad essere degli ostaggi? Ad avere il fiato sul collo e dei rapinatori che ti puntano dei mitra contro?!” ringhia l’uomo, mostrando un senso di rimorso e delusione per un passato che pian piano stava venendo a galla.

“Eri uno degli ostaggi?” domanda Palermo confuso, provando a scrutare l’uomo per riconoscerne qualsiasi elemento caratterizzante.

Il dialogo tra loro termina all’istante grazie all’arrivo di Axel che, come da accordi stabiliti, si mostra arrabbiato e al contempo spaventato per l’accaduto.

“Si può sapere che diavolo è successo?! Io me ne vado per qualche ora a sbrigare le commissioni che mi avevi richiesto e torno trovando il museo sottosopra?!” si lamenta il ragazzo, mostrandosi professionale e fedele al proprio ruolo.

“Calma ragazzo, hai visto chi abbiamo qui?! Forse i Dalì hanno perso la loro astuzia e si sono fatti catturare come niente. Risolveremo tutto e aggiusteremo l’edificio, ma tu ora goditi questa visione: la metà di loro l’abbiamo in pugno, manca solo la testa calda, il russo, il professore e la meticcia” comunica il capo, facendo la lista della spesa. Un appello che non piace a nessuno dei presenti a causa del razzismo e della discriminazione annessa a quegli epiteti. È Axel stesso a doversi contenere, finendo per stringere forte i pugni per non balzare al collo dell’uomo che aveva appena insultato sua madre. Il gioco, però, non prevedeva emozioni e istintività, motivo per cui il giovane procede imperterrito con il piano.

“Non possiamo gioire per niente capo. In molti hanno sentito gli spari ed è prevista una nuova ispezione del museo, questa volta ancora più attenta. Ho qui tutti i documenti delle forze dell’ordine e del comune. Verranno nei prossimi giorni. Come facciamo a nascondere tutto?! A rinchiudere questi furfanti senza farli scoprire, ad aggiustare il museo e molto altro?! In più come diavolo facciamo a prendere gli altri che mancano all’appello?!” domanda Axel, mostrandosi spaventato a tal punto da dimostrarsi fin troppo affezionato al proprio comandante, aspetto che riempie di orgoglio l’uomo mascherato.

“Hai ragione ragazzo mio. Dobbiamo metterci subito al lavoro” comunica il capo, deglutendo nervosamente per la tensione. I Dalì cercano di non palesare le proprie considerazioni ma, dentro di sé, una forte gioia esplode per la riuscita di quel primo tranello.

“Tranquilli, anche se ora devo andare, il nostro appuntamento di tortura è solo rimandato” bofonchia l’uomo, godurioso nella visione dei suoi nemici ammanettati.

“Tu hai detto che noi ti abbiamo fatto passare le pene dell’inferno e ora, giustamente, ti vuoi vendicare…” esordisce Rio, mostrandosi maturo e coraggioso.

“Ma su una cosa potresti dimostrarti migliore di noi: togliere la maschera e farci soffrire nel vedere chi diavolo è riuscito a batterci” continua il giovane informatico, esprimendo lo stesso concetto affermato dalla figlia poco prima.

La sfida colpisce in pieno petto l’uomo nemico che, orgoglioso, non può che cedere a tale provocazione. Quella era la sua occasione per dimostrarsi superiore, vincitore, potente e invincibile. Il mistero gli piaceva ma era pur sempre un uomo che viveva di notorietà motivo per cui, convinto della propria decisione, si leva la maschera in un colpo solo.

I Dalì si sarebbero aspettati chiunque: da Tamayo, al padre di Allison Parker… ma mai ciò che gli si prospettava davanti.

È così che, con un filo di voce, Raquel domanda sconvolta:

“Ar-arturo Roman?!”

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Capitolo 28
*** CAPITOLO 27 ***


CAPITOLO 27

Ricapitolando:

I figli dei Dalì sono ormai rinchiusi nel museo da giorni, ostaggi di certi membri di una banda ignota capitanata da un cattivo comandante e dal suo braccio destro Leroy: il ragazzo che aveva tratto in inganno i giovani facendoli partire per un viaggio alla scoperta delle origini ignote dei propri genitori. Leroy, però, si dimostra permissivo e contrario agli ordini del comandante, togliendo le manette a Nieves, Cecilia, Dimitri e smettendo di torturare Ramon, segregato in un luogo nascosto dal resto del gruppo. La banda, intanto, ipotizza un piano per riuscire a entrare nella struttura ma Nairobi, troppo in pena per i propri figli, riesce a mettere piede nel museo insieme a una squadra sotto copertura per poi trovare Ramon e cercare di liberarlo. A scoprirla è proprio Leroy che, però, dichiara di essere Axel e, deponendo l’ascia di guerra, si getta tra le braccia della madre confidandole di essere sotto ricatto del letale comandante mascherato che minaccia di uccidere la sua fidanzata incinta. Axel, unico autorizzato ad uscire dal museo senza problemi, trova il nascondiglio dei Dalì e, una volta comprovata la propria identità, si allea alla squadra del Professore per aiutarli ad entrare e salvare i presenti. Parte così una prima parte di piano consistente nel consegnare volontariamente alcuni Dalì al comandante, in modo da distrarlo e fargli credere di essere invincibile. È così che Rio, Bogotà, Lisbona e Palermo vengono catturati e portati al cospetto del capo mascherato. Il rivale, una volta scherniti e derisi, toglie la maschera rivelando di essere Arturo Roman che, accecato dalla vendetta e dalla sete di fama, aveva messo su una squadra di ex poliziotti e spie per farla pagare ai Dalì. I tre ragazzi ostaggi, intanto, decidono di entrare in azione a seguito di un tentativo di molestia sulla giovane Nieves e, liberandosi delle manette, meditano di intervenire.
 
 
Arturo Roman.

Arturo Roman era la mente di quel piano diabolico che aveva incastrato i Dalì. Arturo Roman era l’uomo spietato che torturava Ramon e che aveva provato a molestare Nieves.

I Dalì, però, non lo ricordavano affatto così. All’interno della Zecca, Arturo era sì un rivoluzionario ma anche un codardo, viscido e mollaccione. Un uomo che aveva provato a vivere di rendita e fama, parlando a tutti dei rapinatori finendo, però, nel dimenticatoio costretto a mangiare scatolette di tonno. Anche di fronte all’opinione pubblica Arturo Roman aveva perso credibilità, soprattutto a causa delle molestie denunciate da parte degli altri ostaggi, aspetto che gli procurò non poche grane.

Ora, però, vederlo lì a capo di un’operazione sconvolge e diverte allo stesso tempo i Dalì che non sanno a quale faccia della medaglia affidarsi.

“Arturo? Proprio quell’Arturo? Vedo che la pancia non è calata!” ironizza Palermo, coraggioso nel bofonchiare e sfidare il nemico.

“Non ve lo sareste mai aspettati eh?! Eppure eccomi qui, a farvi patire lo stesso squallore che avete provocato a me!” ringhia Arturo battendosi il petto, dimostrando di non aver ancora superato la rabbia per la rapina.

“Oh insomma quante storie! Ti davamo anche da mangiare, ti facevamo andare in bagno, ti davamo da bere e, soprattutto, non ti abbiamo sparato un colpo in fronte quando te lo saresti meritato… visto che stai sul cazzo a chiunque!” controbatte Bogotà sbuffando, annoiato da quel teatrino messo in atto da un uomo che considerava fragile e debole.

“Potete dirmi quello che volete ma oggi ho vinto io! I vostri figli sono miei prigionieri, la polizia vi identificherà e finalmente il mondo conoscerà il volto dei Dalì che molti anni fa se ne sono andati con una miriade di soldi per farsi una vita lontana dai riflettori!” gira la frittata ancora una volta, troppo orgoglioso della riuscita del piano.

“Come hai fatto a trovarci?” chiede allora Lisbona, realmente interessata allo sviluppo di quella missione e unica nel credere di avere di fronte un pazzo ormai pronto a tutto.

“Non tutti i tuoi colleghi erano buoni sai? Io, Gandia, Tamayo, Prieto, Alicia Sierra e molti altri ex ostaggi siamo riusciti a creare l’identikit di alcuni di voi, anche se non avete mai tolto quelle cazzo di maschere. Siamo stati attenti a tutto, finché non abbiamo trovato alcune tracce di sangue…” spiega Roman, appoggiandosi al muro massaggiandosi la grossa pancia.

“Sangue di alcuni di voi che ci hanno permesso di ricostruire il tutto. Sangue di Berlino che ci ha condotti all’identikit del Professore, della mia amata Stoccolma e, infine, di Nairobi… sì perché è stata proprio Nairobi la chiave di tutto” comunica ancora lui, sospirando profondamente con fierezza.

“Sierra ha studiato la sua storia venendo a conoscenza del piccolo Axel che… abbiamo proprio qui!” bofonchia Arturo, indicando Leroy che si sente attaccato ingiustamente.

“Non erano questi gli accordi! Non puoi dire la mia identità!” ringhia Axel, avvicinandosi all’orecchio del comandante. Anche se i Dalì sono dalla sua parte, sapere che Arturo spiattellava ai quattro venti il suo vero nome senza rispettare le clausole lo faceva arrabbiare.

“Sta di fatto che dal giovane Axel siamo riusciti a risalire all’identità di ognuno di voi, abbiamo trovato i vostri figli e li abbiamo intortati per convincerli a venire qui. Nascondere loro la verità sulla vostra vera natura… un colpo di genio sapete? Complimenti per l’insegnamento che gli avete dato!” schernisce Arturo, con occhi lucenti non riuscendo ancora a metabolizzare il fatto di tenere in pugno tutti i Dalì.

“Se non ti dispiace, io tornerei al lavoro… non dobbiamo abbassare la guardia nei confronti degli altri Dalì rimasti. In più, ti ricordo, la polizia verrà a indagare di nuovo sul museo” afferma Axel, non riuscendo più a gestire l’atmosfera e sentendosi sempre più desideroso di chiudere quella brutta faccenda.

“Certo, vai! Sai quanto sarà bello poter consegnare questi furfanti alle forze dell’ordine?” gioisce Arturo strofinandosi le mani, mentre la squadra rivolge un impercettibile sguardo al ragazzo che si appresta a uscire.

Axel percorre i corridoi sentendo il sangue ribollirgli nelle vene ma, stringendo i pugni e deglutendo saliva, prova a mandare giù l’ennesimo boccone amaro preparandosi per la buona riuscita del piano. Seduto nel proprio studio, Axel decide di cambiare le carte in gioco.

“Il comandante è stato stupido a comunicarmi il suo nome… al mondo nessuno conosce la vera identità dei Dalì, lui potrebbe quindi essersi inventato tutto!” afferma Axel, felice del proprio lampo di genio, mettendosi a cercare quante più informazioni possibili su Arturo Roman.

Trascorre una buona mezz’ora e il finto Leroy viene a conoscenza dei processi, della crisi economica, dello sperpero di denaro, della brutta reputazione, delle condanne per molestie sessuali, dell’utilizzo di alcool e di molti altri aspetti degeneri della figura di Arturo Roman.

Axel era intenzionato a cancellare da tutti i database ogni cartella informativa sulla vita dei Dalì ma, purtroppo, le sue capacità informatiche non erano così sviluppate da permettergli di lavorare al meglio senza correre rischi. Il ragazzo avrebbe potuto chiedere l’intervento di Rio, se quest’ultimo non fosse ormai ostaggio di Roman. Il cervello macina idee e proposte finché, finalmente, la lampadina si accende consigliandogli il nome di Nieves.

“Capo, come procede l’interrogatorio agli ostaggi?” domanda Axel, telefonando al comandante in una delle abituali chiamate di controllo.

“Molto bene, qua sono cominciate anche le torture! Frustate e sberle in abbondanza finché non si decideranno ad aprire bocca per dirci dove si trovano gli altri” risponde Roman, facendo sentire il suono di una frustata che colpisce in pieno volto il povero Bogotà, la cui guancia comincia a sanguinare copiosa.

Sentire la dichiarazione di Roman e quel rumore stridente fa rabbrividire il giovane che, strizzando gli occhi e respirando profondamente dal naso, cerca di non farsi influenzare da quella cattiveria che si stava abbattendo contro quella che aveva già iniziato a chiamare famiglia. I patti, però, Axel li conosceva bene e sapeva di dover stare al gioco assecondandolo.

“Molto bene capo, io sto cercando di capire quando verranno a fare il controllo. Pare che saranno molti di più delle scorse volte e sto già dando ordine di nascondere le prove. Abbiamo bisogno dei poliziotti alleati e non di questi ficcanaso” comunica Leroy, pronto a caparrarsi la fiducia del superiore.

“Bravo ragazzo! Bravo! Continua così e fai tutto ciò che ritieni opportuno!” risponde Roman, desideroso di picchiare ancora Palermo che non smette di ridere nonostante le frustate.

“Stavo anche pensando a un’altra cosa… potrei prendere Nieves e torturarla insieme a Ramon? Penso che questo gesto possa portare i Dalì a consegnarsi! Non credo che quella testa calda di Tokyo resista molto stando lontana dalla sua figlioletta” propone poi Axel, usando la carta del doppiogioco per fare il proprio interesse.

“Geniale! Geniale! Procedi pure ragazzo mio!” risponde euforico Arturo, battendo la mano contro alla coscia per la felicità.

Il lasciapassare di Roman, permette a Leroy di correre dagli ostaggi e comportarsi come desidera. Una volta nella stanza dei tre ragazzi, Axel chiude la porta alle proprie spalle e, appurata la sicurezza di poter esprimersi, si rivolge a loro a bassa voce.

“Ricordate che vi ho liberati? Ora ho bisogno del vostro aiuto!” sussurra Axel, guardando i tre giovani negli occhi.

“Cosa? Ok ci hai liberati ma chi ci dice che possiamo fidarci?” bofonchia Dimitri mettendosi sulla difensiva, facendo segno alle amiche di avvicinarsi al suo cospetto per ricevere protezione.

“Vi prego, non abbiamo molto tempo! Il comandante sta torturando i vostri genitori, il Professore attende risposte e io voglio portare fuori Ramon e la mamma il prima possibile!” li supplica Axel guardando l’orologio, sapendo di dover agire il prima possibile.

“La mamma? Ti riferisci alla mia?” domanda Cecilia confusa, altamente preoccupata per il gemello e i genitori, ma al contempo confusa da quell’affermazione del ragazzo che le fa sorgere una strana ipotesi in mente.

“Alla nostra… sono Axel” dichiara Leroy con un filo di voce, abbozzando un leggero sorriso a quella che avrebbe dovuto chiamare sorella.

La notizia lascia i ragazzi senza parole e Cecilia, scioccata dalla dichiarazione, si porta le mani alla bocca non potendo fare a meno di confermare quanto esclamato a causa di una netta somiglianza tra Axel e Nairobi. Emozionata e felice nell’aver ritrovato quel fratello maggiore che considerava morto, Cecilia gli corre incontro cingendogli il collo con le braccia. Un gesto che Axel non si sarebbe mai aspettato ma che accetta ben volentieri, rispondendo all’abbraccio con calore.

“Dicci come possiamo esserti utili!” prende parola Dimitri, ormai certo dell’identità dell’alleato.

“Il professore ha creato una squadra di poliziotti che a breve sarà qui per controllare il museo. In realtà loro sono informati sull’attività illecita del mio comandante, che ho scoperto chiamarsi Arturo Roman, e faranno di tutto per arrestarli. Il professore, però, non ha pensato al fatto che gli stessi poliziotti entreranno a conoscenza della vera storia dei nostri genitori e li dovranno arrestare per quanto hanno fatto alla Zecca di Stato” spiega Axel, serio in volto ma convinto del proprio messaggio.

“Sarebbe un grande problema perché nessuno al mondo è a conoscenza del vero volto dei nostri genitori!” rettifica Nieves titubante, muovendo gli occhi freneticamente in segno di ragionamento.

“Esatto! Come dici tu, però. Il mondo non sa e, quindi… chi gli dice che ciò che trovano potrebbe non essere vero?” risponde Axel cercando di toccare il cuore della questione.

“Non capisco, che intendi dire?” domanda dubbiosa Cecilia, non seguendo la spiegazione.

“Ho fatto delle ricerche su Arturo Roman e su tutte le persone che collaborano alla sua sporca causa. Alicia Sierra ha torturato dei prigionieri andando contro la legge, Prieto e Tamayo hanno compiuto degli illeciti e sono stati radiati, Gandia era un militare che ha ucciso senza ricevere il consenso e il caro Arturo, dopo aver passato i primi anni a vivere di rendita grazie ai suoi racconti da ex ostaggio della Zecca, è finito per sperperare i suoi soldi in prostitute e alcool finendo per ricevere denunce e processi di molestie sessuali e una diagnosi psichiatrica di pazzia dovuta all’alcool” delucida notevolmente Axel, facendo finalmente comprendere il suo piano.

“Quindi loro potrebbero credere che, a causa del disturbo mentale, Roman abbia inscenato tutto questo e abbia torturato delle persone innocenti indicandole come Dalì senza averne le prove!” afferma Nieves esaltata dalla proposta.

“Esatto! A quel punto sarà facile anche arrestare Sierra e compagnia bella per aver permesso questo piano malsano nel quale subentra anche il sequestro di minori. Di fronte alla pazzia di Roman e alla loro precedente presenza al caso Rapina di Stato, sarà semplice dichiarare che questi hanno seguito Arturo solo per un senso di ripicca e vendetta interiore non giustificata” aggiunge Axel delucidando ulteriormente.

“Quindi ora che cosa dobbiamo fare?” chiede Cecilia concentrata, pronta a dare una mano.

“Nieves verrà con me nello studio per aiutarmi a cancellare tutte le prove informatiche esistenti. Tu e Dimitri, invece, andrete negli archivi che vi indicherò e appiccherete incendi per bruciare tutte le prove sui Dalì. Vi raggiungeremo anche io e Nieves una volta finito” conclude poi Axel, felice del proprio piano seppur non dichiarato al professore.

“Andiamo… è ora di portare onore al nome dei nostri genitori” esulta determinato Dimitri, facendo guizzare la fiamma di quel piccolo accendino che avrebbe cambiato tutto.

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Capitolo 29
*** CAPITOLO 28 ***


CAPITOLO 28

“Il ragazzo ha fatto sapere qualcosa?” domanda Tokyo agitata, sistemandosi varie pistole nella cintura.

“Sì, ancora qualche ora ed entreremo in azione” risponde il professore, indossando il giubbotto anti proiettile, facendosi comunque silenzioso.

“Professore, cosa non mi stai dicendo?” chiede Tokyo notando il suo mutismo.

“Non so se ce la faremo questa volta…” afferma il professore, liberandosi di tutte le sue perplessità.

“Perché tu dire questo?” si intromette Helsinki, dopo aver appoggiato un mitra a un armadietto.

“Perché a differenza della prima rapina, dove le relazioni personali erano vietate, ora è la nostra famiglia a essere in pericolo” si libera il prof, particolarmente in pensiero per Lisbona, ceduta alle grinfie di un cattivo di cui non sanno ancora il nome, non potendo ricevere indicazioni dettagliate da Axel.

Tokyo, compreso il dolore di quell’uomo che considerava il suo angelo custode, gli si siede accanto, girandosi costantemente la fede che porta al dito.

“Non avrei mai voluto sposarmi…” se ne esce Tokyo, spiazzando i presenti che rimangono in ascolto.

“Voi c’eravate quel giorno e cazzo… ho avuto dubbi fino al secondo prima di pronunciare il sì” continua Silene, abbozzando un leggero sorriso che le gonfia leggermente il viso.

“Perché?” domanda Helsinki non capendo quelle perplessità riguardanti il matrimonio.

“Perché per me, prima della rapina, la vita non contava nulla. Avevo perso troppo e ingiustamente… mia madre e René… che mi manca come l’aria” inizia ad aprirsi Tokyo, mostrando una maturità che ha condiviso poche volte ai compagni.

“La famiglia Dalì mi ha riaperto gli occhi, mi ha insegnato ad amare! Tanto che penso di non aver mai avuto degli amici così belli come quelli ignoti con il nome di città!” ridacchia la Oliveira, suscitando il dolce ricordo di entrambi i componenti presenti all’ascolto.

“Rio all’inizio era un divertimento… un divertimento perché avevo paura di restarci fottuta! Non volevo innamorarmi perché più lo guardavo negli occhi e più credevo che l’avrei visto morire davanti a me, magari con un altro sparo in pieno petto proprio come avvenuto a René” spiega Silene, facendo fatica a trattenere le lacrime.

“Di una cosa sono certa, nonostante tutto. Sono certa di aver detto quel sì, fregandomene dei dubbi. L’ho detto e anche forte, perché sapevo di avere accanto un’intera famiglia che non mi avrebbe mai lasciata sola e che la vita… cazzo… la vita stava diventando bellissima!” conclude la Oliveira, facendo intuire al professore di avere un morale della favola anche per lui.

“Capisco, quindi, come ti senti… perché io in questo momento ho paura di perdere tutto: Rio e Nieves, chiusi lì dentro. Dio solo sa perché non vi ho ancora staccato la testa a morsi pur di lasciarmi entrare come una mina vagante in quel cazzo di museo ammazzando tutti! Ho paura, una paura fottuta di perdere qualsiasi cosa!... ma poi mi rendo conto che ho sempre sbagliato nell’avere paura” si ferma un attimo Tokyo, togliendosi e rimettendosi quell’anello d’oro con inciso il nome di Anibal.

“L’ultima volta che ho parlato con mia figlia abbiamo litigato e lei mi ha detto una frase terribile, ma profondamente vera: cosa te ne frega della morte se manco ti vivi la vita?” continua il monologo Silene, riaprendo una profonda ferita non ancora rimarginata.

“Lei, con quel suo polmone a metà, è stata molto più forte di me, dimostrando di avere voglia di vivere e di viaggiare per andare a scoprire il perché del mio carattere, della mia storia, del mio tutto… che io non le ho mai raccontato! Nairobi ha sempre detto che il suo Axel è un sopravvissuto… bene, alla lista aggiungo anche il nome di mia figlia, che mi sta insegnando a vivere!” dichiara determinata la Oliveira, sbattendo le mani sulle ginocchia e alzandosi in piedi.

“Quindi, professore, ora tiriamo fuori le palle perché qui non morirà nessuno! Siamo una famiglia e ci pariamo il culo a vicenda! Qualsiasi cosa succeda, qualsiasi sparo, qualsiasi dolore… dentro al nostro cuore sappiamo che non saremo mai più soli!” conclude Silene con grinta, porgendo la mano a Sergio che, rimasto senza parole dalla motivazione della propria pupilla, risponde all’invito abbracciandola calorosamente, per poi imbracciare un fucile e dare il via alla seconda fase del piano.  

Nel frattempo l’operazione dei figli dei Dalì aveva iniziato a dare i suoi frutti. Nessuno sospettava di loro, vista la frenetica preoccupazione delle finte guide turistiche nel sistemare tutto prima dell’arrivo dei poliziotti.

È così che Nieves e Axel si rintanano in una delle sale di controllo, pronti a cancellare qualsiasi documento riguardante la vera identità dei Dalì. I ragazzi operano in silenzio e Axel, sconvolto, osserva il prodigioso lavoro della giovane che si dimostra geniale. Nieves cancella qualsiasi dato, bruciandolo alla radice e, davanti ai suoi occhi, scorrono informazioni su Bogotà, Rio, Nairobi, Denver, Palermo, Helsinki… fino a toccare a Tokyo.

Nieves si ferma all’improvviso di fronte al testo riguardante la storia di sua madre che aveva conosciuto proprio qualche giorno prima.

“Tutto bene?” domanda Axel notando il volto rigido e triste della ragazza.

“Sì… scusami… ora lo cancello” comunica Nieves, asciugandosi preventivamente un occhio dal quale desidera scappare una lacrima.

“Aspetta… puoi guardarlo ancora un po’ se vuoi. Non sai quanto ti capisco in questo momento. Ho avuto la stessa reazione quando ho scoperto tutto di mia madre” la blocca Axel, prendendole la mano e staccandogliela dal mouse.

“L’ho sempre giudicata senza sapere. Non abbiamo mai avuto un buon rapporto e io l’ho sfidata, ho fatto delle stronzate e me ne pento amaramente. Noi ragazzi abbiamo messo su quella banda per gioco, sentendoci immortali per cosa? Per aver scassinato dei distributori automatici…” si apre finalmente Nieves, avvertendo la vicinanza di una persona che può comprenderla perfettamente.

“Ho lasciato tutto, pur di venire qui a conoscere la storia dei miei genitori, invece di chiederle anche solo un banale: “Come stai mamma?” sospira Nieves, per poi ricominciare.

“Poi ho saputo di lei. Ho letto di ciò che ha perso, del dolore provato dalla perdita di persone care! Dalla forza nel riuscire a salvare e mettersi in mezzo per chi ama! Tutti aspetti che non avevo mai visto in lei! E ora vorrei dirle che le voglio bene… che mi manca… che…” inizia a piangere la ragazza, tremando e liberandosi di qualsiasi tipo di scudo.

“che… anche io ho paura per la mia salute, per lei, per mia sorella, per il papà! Vorrei dirlo che la capisco e che mi piacerebbe condividere qualsiasi tipo di zavorra insieme, perché mi rendo conto che lei non può perdermi! Così come non può perdere Rio, mia sorella Leya e anche tua madre! Non se lo merita e io voglio uscire di qui il prima possibile per chiederle scusa…” singhiozza Nieves, accettando un fazzoletto da parte di Axel che, consapevole di quelle sensazioni, ascolta attivamente il resoconto.

“Vorrei tanto chiamarla Mamma e urlarglielo mille volte! Perché so che non potrei avere una mamma migliore di lei!” termina commossa Nieves, soffiandosi il naso e ripulendosi le guance dal residuo di pianto.

“Hai detto tutto tu cara… per questo, ora, penso che tu sia pronta a cancellare quel file perché non è il giudizio dei nostri genitori che importa, ma l’amore che ci hanno trasmesso. Mia madre usava me e il mio orsetto per nascondere la droga? Ok… ma è stata l’Unica persona della mia vita ad aver rischiato tutto per potermi amare sempre” la rincuora Axel, rimettendole la mano sul mouse per permetterle, così, di eliminare quel dato ormai effimero.

Una volta terminato il lavoro, i due ragazzi corrono al magazzino dove Dimitri e Cecilia sono intenti a bruciare i faldoni e tutte le informazioni dei Dalì. I giovani riescono a bruciare un grande quantitativo di informazioni, prestando sempre attenzione a non esagerare con fuoco e fumo.

“Come procede?” chiede Axel una volta entrato nella stanza, seguito da Nieves.

“Tutto perfetto! Abbiamo già praticamente finito!” afferma Cecilia entusiasta, indicando un mucchietto di cenere.

“Ok continuiamo! Prima, però, voglio darvi qualche appunto tecnico sul luogo nel quale ci troviamo. La polizia e gli altri Dalì saranno qui a momenti ma, per qualsiasi cosa, sappiate che la stanza in cui sono rinchiusi i vostri genitori si trova al primo piano, seconda porta a destra. L’ala di controllo con prigionieri Ramon e Nairobi, invece, è nel sotterraneo alla prima porta a sinistra, quella di metallo” comunica Axel mettendo in guardia i ragazzi pur sapendo, ormai, di essere quasi salvi.

“Che cosa state facendo qui?” chiede minaccioso Gandia, fidata guardia di Roman e in parte anche lui a capo dell’operazione contro i Dalì.

“Sfrutto i nostri ostaggi, perché?” cerca di ribattere Axel, mostrandosi tranquillo e per nulla preso alla sprovvista.

“E gli stai facendo bruciare i fascicoli sui Dalì?” continua sospettoso Gandia che, probabilmente, aveva anche provato a origliare dalla porta.

“Certo! Ho avvertito tutti sull’ispezione che a breve riceveremo! Il capo è al corrente di tutto questo e dovresti esserlo anche tu, quindi corri al lavoro!” lo invita bruscamente Axel, prendendo i panni del Leroy austero e sicuro che tutti conoscevano.

“Si mette male…” sussurra Dimitri all’orecchio di Nieves.

“Dobbiamo fare qualcosa! Non possiamo permettergli di rovinare il piano. Stiamo pronti a tutto” risponde la figlia di Tokyo sussurrando a denti stretti per non farsi sentire.

“Ah sì? Caro ragazzino, devi sapere che a me del capo non frega assolutamente niente! È un incompetente e il lavoro sporco l’abbiamo sempre dovuto fare noi… io ho scoperto chi sei veramente e ho intuito ciò che stai facendo” ridacchia Gandia con uno sguardo minaccioso che preoccupa tutti i presenti. La guardia, infatti, dà un calcio alla porta che, immediatamente, si apre mostrando Ramon e Nairobi immobilizzati da altri due ex militari.

“Li ho trovati nel tuo ufficio e mi sono fatto ben due domande: come mai il ragazzo sta così bene? Non era forse stato dato l’ordine di drogarlo? E lei? … beh ora è tutto chiaro no? Meticcia… proprio come il ragazzino, come quella fichetta lì dietro e, soprattutto, come te!” insulta Gandia, dimostrandosi razzista e disumano nei loro confronti.

“Lurido…” prova a ribellarsi Cecilia stringendo i pugni e provando ad avanzare, bloccata immediatamente da Nieves che, stranamente, agisce con cognizione di causa.

“Lasciali andare! Te lo ordino! La loro punizione è mia giurisdizione!” prova a ribattere Axel, inerme di fronte a quanto gli si era appena palesato dinnanzi.

“Tua giurisdizione eh? Cannes, tienimi ferma la meticcia e mettile la mano al muro!” grida Gandia, caricando la pistola e puntandola contro Nairobi che inizia a divincolarsi e urlare di rabbia.

I ragazzi non riescono a intervenire perché, in un millesimo di secondo, un proiettile viene scagliato verso Nairobi e le attraversa il palmo della mano da una parte all’altra.

La visione di una scena così raccapricciante sconvolge i presenti che, presi dal panico, gridano spaventati. Cecilia si porta una mano sulla bocca, avvertendo il cuore esploderle nel petto. Le orecchie di Nieves si tappano a causa di quello schioppo che non aveva mai sentito prima e gli altri, distrutti dalla situazione, osservano Nairobi piegarsi in due dal dolore con bocca aperta e la mano ferita preda di spasmi e di perdite di sangue.

“BASTARDO!” grida allora Axel, non riuscendo più a contenersi. Aveva perso sua madre già una volta e non avrebbe mai permesso che succedesse di nuovo. Il ragazzo, preso da un’adrenalina improvvisa, si slancia verso l’avversario scaraventandolo a terra e dando inizio a una vera e propria rissa. I due iniziano ad azzuffarsi e Nairobi, seppur accecata dalla sofferenza, riesce a sganciare vari calci alle guardie presenti guadagnandosi dei preziosi secondi di libertà che le permettono di dare respiro alla propria famiglia.

“Mamma!” urla Cecilia con le lacrime agli occhi, terrorizzata da quello che stava succedendo e a cui non avrebbe mai pensato di assistere.

“Ragazzi! Andate via di qui!” intima Nairobi, pensando alla sicurezza dei giovani più che a sé stessa e a quella mano che non rispondeva ai suoi comandi.

“Col cazzo che andiamo via… io corro a liberare i nostri genitori, voi date fuoco a tutto!” ordina Nieves dimostrandosi la nuova stratega.

In quell’esatto momento, infatti, i ragazzi avvertono il rumore di passi e ordini da parte di poliziotti e Dalì che, sfruttando il caos, erano riusciti a entrare e immobilizzare molte guardie e alleati di Roman.

“Dare fuoco?” chiede Cecilia non capendo la richiesta della migliore amica.

“Io so cosa fare!” risponde Dimitri sicuro di sé, girandosi verso il blocco di cenere e preparando il tutto.

“Moccioso! Sapevo che non ci saremmo mai dovuti fidare di te!” urla Gandia ricoperto di sangue a causa delle percosse ricevute da Axel che, però, accusa il prezzo di una scarsa preparazione militare e cade a terra ansante, con una mano sulle costole probabilmente rotte.

“A tua madre la mano, a te trapasso la testa!” digrigna i denti con aria maestosa il terribile Gandia, caricando la pistola e puntandola dritta alla fronte del giovane che prova a indietreggiare in tutti i modi. In quel momento i secondi per reagire sono pochi e tutti i presenti si slanciano verso il giovane nel tentativo di salvarlo dal colpo.

“Razzista di merda!” grida una voce non ancora ascoltata, appartenente al giovane Ramon che, con tutta la forza possibile, corre incontro a Gandia scansandolo. Il colpo viene sparato ma, fortunatamente, si rivolge al soffitto provocando solo un buco nel legno e un forte rumore che funge, così, da richiamo per le forze dell’ordine impegnate nell’analisi dell’edificio.

Una volta raccolta la pistola, è la stessa Nieves a intimare a una delle due guardie atterrate da Nairobi di fornirle delle manette. I due, intimoriti dalla vicenda e dall’essere ormai in trappola, offrono ciò che è stato loro richiesto e se la danno a gambe, provando a fuggire da una sconfitta che le avrebbe sbattute in gattabuia.

“Legalo a quel palo!” consiglia Nieves, facendo un cenno con la testa a Cecilia che, in poco tempo, ammanetta un frastornato Gandia.

“Andate! Io vado a salvare gli altri!” decide autonomamente Nieves, correndo fuori dalla porta veloce come un missile senza fermarsi di fronte agli avvertimenti dei presenti.

“No Nieves!” prova a fermarla Nairobi, non riuscendo più a parlare a causa della mano lesa.

“Mamma, dobbiamo portarvi fuori!” decide Cecilia, appurando le brutte condizioni di Nairobi e Axel che faticano a non cedere agli svenimenti.

“Portiamoli al sicuro! Dimitri, ci sei?” chiede Ramon, raccogliendo le forze necessarie a causa della debilitazione dovuta ai veleni iniettati e ingeriti nei giorni precedenti.

“Al mio tre… scappiamo di qui!” comunica il russo, fiero della propria creazione articolata in qualche minuto di tempo.

“Che cosa stai facendo?!” domanda Cecilia sentendo un forte odore di alcool che impregna il pavimento.

“Questo posto deve sparire. Bruciandolo riusciremo a scappare e nascondere le nostre tracce” taglia corto Dimitri avviando l’accendino che, in un millesimo di secondo, invade con la sua piccola fiamma un territorio cosparso di alcool.

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Capitolo 30
*** CAPITOLO 29 ***


CAPITOLO 29

“Forza, è il momento di avanzare!” urla il professore, incitando un’altra squadra di salvataggio pronta a intervenire. Tokyo, Helsinki, Sergio e altri cinque militari avanzano emozionati verso il museo in cui, da ormai un’ora, era scoppiata una vera e propria rivolta e i buoni stavano finalmente mettendo a tacere i cattivi.

La vittoria è ormai vicina ma, improvvisamente, un’esplosione seguita da una fiamma altissima scoperchia il tetto di una parte di museo e il gruppo è costretto a immobilizzarsi per lo spavento.

“Che cazzo succede?!” chiede Tokyo spaventata dal fuoco che pare divorarsi sempre più velocemente il legno della struttura.

“Non lo so, questo non era nei piani!” afferma Sergio, dimenticandosi di aggiustare gli occhiali a causa della preoccupazione per la sua Lisbona, ancora prigioniera tra le mura.

Tutti sono pronti a correre quando, inaspettatamente, alcune sagome compaiono dal fumo e si avvicinano a loro con fatica. Axel, Nairobi, Ramon, Dimitri e Cecilia avanzano verso la squadra amica facendo intuire la necessità di un tempestivo intervento medico.

“Nairo” sussurra Silene sollevata nel vedere la migliore amica, ma anche allarmata dalla quantità innumerevole di sangue che si trascinava appresso.

“Ha bisogno di cure!” grida Cecilia piangendo, non sapendo cosa fare di fronte alla madre che desiderava solo chiudere gli occhi e abbandonarsi al dolore.

In poco tempo tutta la squadra si prodiga per l’aiuto alla gitana, portando una barella, medicinali, flebo, siringhe, garze sterili e altri strumenti medici.

“Che cosa è successo?” chiede Sergio senza parole, vedendo la mano perforata di Nairobi.

“Le hanno sparato per divertimento, quegli schifosi! Vi prego fate qualcosa!” supplica Axel con un filo di voce, tenendosi ancora strette le braccia attorno alle costole rotte.

Helsinki, dopo un fugace abbraccio al figlio sano e salvo, si mette subito al lavoro per aiutare la migliore amica, mentre il professore ordina a dei militari chirurghi di intervenire sul posto.

“State tranquilli, ci pensiamo noi! Ora dovete riposarvi e farvi controllare” dice dolcemente Silene, abbracciando forte Cecilia. Il contatto con la ragazza le fa percepire maggiormente la vicinanza con Nieves che, però, non appare dalle fiamme insieme ai coetanei.

“Dov’è mia figlia?” domanda Tokyo divorando con gli occhi il territorio circostante.

“Lei sta salvando gli altri, o almeno è corsa a liberare i nostri genitori! Non l’ho più vista però e ho paura!” esclama Ramon terrorizzato, non riuscendo a distogliere gli occhi dalla casa in fiamme nella speranza di vedere uscire Nieves.

“Silene…”

La flebile voce di Agata richiama Tokyo alla realtà visto che, a causa della preoccupazione per la figlia, stava per dare fuori di matto e correre nel fuoco.

“Sono qui amica mia” dice Tokyo con dolcezza, stringendo la mano sana della migliore amica.

“Ho visto Nieves! Sta bene, quella ragazza è come te! È cazzuta come te! Vedrai che uscirà, non temere!” prova a rassicurarla Nairobi, stringendo i denti per resistere.

“Ora tu pensa solo alla salute, del resto ci pensiamo noi” taglia corto Silene con le lacrime agli occhi, non del tutto convinta delle parole della gitana.

“No! Tu non hai mai mollato e non mollerai neanche questa volta!” grida Agata, usando ogni briciolo della propria grinta per calmare il panico della testa calda. Nairobi non può infierire ancora perché l’anestesia iniettata nel braccio la fa addormentare per permettere ai medici di intervenire sulla ferita.

“Con quel fumo… come farà a respirare?!” si libera Tokyo con voce strozzata, mostrando il proprio dramma in solitudine, allontanandosi dall’amica per permettere agli altri di lavorare.

“Ho paura anche io…”  si intromette Ramon con occhi lucidi, altamente in pensiero per la ragazza che gli aveva rubato il cuore.

In un attimo la sofferenza di Tokyo viene smezzata. Alla donna, infatti, basta un piccolo sguardo al giovane per intuire il suo sentimento puro e dolce.

“Ramon… vieni qui” lo chiama a sé Tokyo, stringendolo forte in un abbraccio nel quale comprende di avere ormai un’eroina come figlia. Un’eroina di cui si era innamorato un ragazzo eccezionale.

Nieves corre per i corridoi barcollando. Il fumo le intacca le corde vocali e l’ossigeno pare diminuire a vista d’occhio. La ragazza urla il nome di suo padre in continuazione, alternando il suono gracchiante con svariati colpi di tosse che la costringono a stringersi una mano al petto, avvertendo affaticamento al polmone fragile.

“Papà… ti prego, papà!!” si sgola lei, spalancando porte e schivando le fiamme. Attorno a lei si muovono altre persone che controllano i luoghi freneticamente alla ricerca dei nemici.

“Ragazzina, dovremmo portarti fuori! Sei una degli ostaggi!” prova a dire uno degli alleati del professore, interrotto, però, dallo svenimento di un compagno vicino che lo costringe a non prestare attenzione alla giovane.

Nieves ricomincia a correre il più velocemente possibile raggiungendo, finalmente, un punto non ancora intaccato dal fuoco e dalle fiamme. È proprio in tal corridoio che, nel trambusto generale, riconosce una voce familiare. La ragazza apre con forza la porta riconoscendo, una volta nella stanza, le figure di Lisbona, Palermo e Bogotà. Lisbona, addormentata, era pallida e livida come chi ha subìto un’intossicazione alimentare o ha vomitato troppe volte. Palermo teneva una mano stretta su un occhio bendato dal quale era possibile notare la presenza di croste sanguinolente e Bogotà, nonostante la stazza e la muscolatura, era tramortito e ricoperto di ematomi sul volto e sulle braccia.

“Che cosa vi hanno fatto?!” sussurra Nieves portandosi le mani davanti alla bocca per contenere lo shock.

“Bravissima ragazza! Li hai trovati, ora dobbiamo uscire!” la interrompe immediatamente un’altra squadra di soccorso, afferrando la ragazzina e trascinandola fuori, senza darle il tempo di salutare gli ostaggi.

Le fiamme iniziano a divorare le pareti di quelle stanze e l’atmosfera si fa sempre più confusa a causa del fumo, della bassa visibilità e di qualche sparo effettuato da alcuni militari alleati. Nieves osserva gli uomini caricare Bogotà, Lisbona e Palermo su alcune barelle, per poi portarli all’esterno il prima possibile. La ragazza, però, non si da pace perché, silenziosamente, scruta ogni angolo dell’edificio nella speranza di vedere il padre.

“Dov’è mio papà?!” domanda lei a una delle guardie che le tiene stretto il braccio.

Il caos non le fa pervenire risposta e Nieves, sempre più agitata e ormai prossima all’uscita del museo, richiede con forza:

“Dov’è Anibal Cortes?!”

Nessuna risposta.

I poliziotti non riuscivano a sentirla in quanto occupati a captare e scambiarsi messaggi tra colleghi e intenti a guardarsi attorno, nella speranza di non incrociare qualche nemico armato. Il gesto di Nieves appare allora istintivo e naturale perché, mossa da una sicura determinazione, si libera dalla presa con un colpo secco per poi ributtarsi nelle fiamme.

“No! No, torna indietro!” grida un militare, facendo per correrle incontro impossibilitato, però, dalle fiamme troppo alte.

“Mia mamma ha perso già troppo, non le farò perdere anche papà!” si dice lei con un filo di voce per poi bloccarsi in una delle stanze adiacenti all’ingresso rendendosi conto di non sapere come orientarsi in mezzo all’incendio.

Un gesto coraggioso ed eroico se non fosse che, in quell’edificio, di persone vive ne erano rimaste ben poche e che Anibal Cortes era già stato salvato e trascinato fuori da una squadra di soccorso poco prima degli altri Dalì.

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Capitolo 31
*** CAPITOLO 30 ***


CAPITOLO 30

L’edificio sembra ormai completamente in fiamme e, all’esterno, una miriade di macchine della polizia e dei vigili del fuoco sono in azione.

“Avremmo bisogno di alcune immediate deposizioni” chiede un commissario rivolgendosi ai Dalì.

“Io, posso parlare io!” si intromette subito Axel, facendo segno al professore di avere tutto sotto controllo. Era arrivato il momento di spiegare tutto il piano e di dimostrare la pazzia di Arturo Roman, il quale aveva inventato la storia dei Dalì colpendo solo degli innocenti.

“In effetti la pazzia di Arturo Roman è stata comprovata da diversi psichiatri e i medici sono al lavoro proprio ora per recuperare i referti. Ci dispiace molto per la vostra causa e famiglia. Essere accusati di un evento avvenuto molti anni fa da parte di una banda di ladri ormai dimenticata è un vero trauma per voi” afferma il comandante, fidandosi del resoconto di Axel che aveva inscenato e raccontato alla perfezione ogni cosa.

Sergio, sconvolto dall’ingegno del giovane, non può che esserne fiero nel profondo, notando nel giovane la stessa determinazione di Nairobi.

“Capitano, pare che dalla struttura non siano ancora usciti tutti!” comunica un poliziotto indicando le fiamme.

“Che cosa?!” esclama Silene sconvolta, non vedendo l’amato Rio e la figlia nelle vicinanze.

In quello stesso momento, però, una barella viene portata nei pressi della squadra dei Dalì, pronta per essere caricata in ambulanza.

“Anibal…” sussurra Silene con voce spezzata, riconoscendo la figura del marito adagiata sul lettino. Rio presentava diverse abrasioni e ustioni, oltre a dei profondi tagli sulle braccia.

“Amore mio!” piange Tokyo accostandosi alla barella, mettendo istintivamente una mano sul volto del marito ferito.

“Shhh, è tutto ok! È tutto ok!” la tranquillizza Rio con un filo di voce, ricambiando la dolce carezza con estrema fatica.

“Ma che diavolo vi hanno fatto!?” commenta Silene con rabbia, notando anche le condizioni di Palermo, Bogotà, Nairobi e Lisbona che avevano già ricevuto il giusto intervento.

“Torture… torture e torture…” ribadisce Palermo che, a causa delle percosse, aveva perduto la vista da un occhio.

“Ora va tutto bene, dobbiamo pensare a Nieves. Pensaci tu Silene… sei la bomba esplosiva più forte del mondo! Riportala a casa” termina Rio per poi accettare le cure e allontanarsi dal gruppo.

“Chi è rimasto nell’edificio?!” domanda ancora la Oliveira, attorniata ora da Nairobi che riusciva a rimettersi in piedi, Bogotà e i ragazzi.

“Non lo sappiamo! Molti dei delinquenti sono già stati arrestati. Si conta la morte di Cesar Gandia e dell’ex colonnello Prieto. Tamayo e Sierra sono ricercati, in quanto non presenti nel museo e Arturo Roman non è ancora stato trovato. Potrebbe trovarsi lì tra le fiamme ed essere già morto” spiega il capitano ricevendo, però, una scioccante notizia all’orecchio.

“Che cosa c’è?” domanda Sergio avvicinandosi alla scena, notando lo sguardo spaventato del capitano.

“Uno dei ragazzi è rimasto intrappolato dentro. Pare la giovane Cortes” comunica il comandante, dando subito ordine di perlustrare il luogo per quanto possibile.

La notizia colpisce Tokyo in pieno petto, facendole avvertire un dolore tale da distruggerle il cuore. La Oliveira si piega in due, appoggiandosi alla spalla di Bogotà che comprende immediatamente la sofferenza dell’amica.

“Calma, calma! Respira!” le consiglia Bogotà, facendola sedere per terra e aiutando Nairobi ad avvicinarsi.

“NIEVES! NIEVES Lì DENTRO?! FATEMI ENTRARE!” urla improvvisamente Tokyo, prendendo tutti di sorpresa e mettendosi a correre all’impazzata verso le fiamme.

“Silene no!” la blocca subito Sergio, scaraventandosi su di lei e bloccandola al suolo.

“NON PUOI FERMARMI! LASCIAMI ANDARE STRONZO! IO DEVO SALVARE MIA FIGLIA!” ringhia Tokyo con tutta la forza che tiene in corpo. Le vene ingrossate, il volto gonfio, gli occhi fuori dalle orbite e quella potenza inaudita che Sergio non riesce a contenere, sono tutti i segnali di una pazienza portata al limite e di un istinto di sopravvivenza che spinge tutte le madri a cercare di sacrificarsi per i propri figli.

“Stanno entrando a prenderla, vedrai che uscirà sana e salva!” prova a convincerla il professore, trattenendola con il gomito attorno al collo.

Quella disperazione e il momento di trambusto sconvolgono Ramon che assiste inerme alla scena. In quel momento nessuno si stava preoccupando di lui e il cuore gli faceva troppo male per starsene lì a guardare. La ragazza che amava si trovava chiusa in delle mura infuocate, preda dell’asfissia e delle abrasioni. Aspettare sarebbe stato troppo difficile da sopportare.

Ramon non si è mai considerato tanto coraggioso eppure, in quel particolare momento, tutti i ricordi della propria vita gli trascorrono davanti agli occhi.

Ramon rivede Nieves svenire e stare male, la ricorda vomitare e soffrire con quelle vene gonfie e viola che mai avrebbe scordato. Alla memoria del giovane vengono presentati anche i momenti in cui le dona la sua moneta preferita, mentendole nel dirle che ne aveva una doppia, il pugno dato in faccia ad Andres e le torture che aveva subito negli ultimi giorni. Il tutto lo carica di un’adrenalina e una maturità mai sentita prima. È per questo motivo che, quando nessuno se l’aspetta, il giovane scatta in avanti correndo con coraggio verso le fiamme.

“Ramon? Ramon che cosa fai?!” grida Nairobi, accortasi del comportamento del figlio e facendo per alzarsi in piedi, pronta a fermarlo.

In molti provano ad ostacolare la corsa del ragazzo che, però, schiva gli intoppi con una velocità tale da renderne difficoltosa persino la vista. In men che non si dica il corpo di Ramon viene inghiottito dalle fiamme e l’ambiente circostante ricomincia a vivere in un limbo che non comprende.

“Che cazzo fa?! Fatemi andare!” si inserisce anche la gitana, accusando però il colpo delle anestesie appena vissute.

“Non riesci a stare in piedi! Lascia andare noi!” la rimprovera Helsinki bloccandola a terra per poi correre anche lui verso il museo.


Nieves si trova ormai rannicchiata a terra nell’unico punto non ancora mangiato dalle fiamme. La tosse è ormai insopportabile e il respiro è più pesante dell’aria insalubre stessa. La ragazza sente ormai la vista offuscarsi e la lucidità mentale venire meno. Davanti a lei corrono ricordi o allucinazioni che le fanno rivivere momenti felici che aveva dimenticato, proprio come se stesse ormai per morire e tirare le somme della propria esperienza terrena.

Fotografie di momenti che ritraggono lei sulle spalle di Rio, per permetterle di vedere meglio una scimmietta allo zoo, lei e la sua sorellina nascoste sotto al letto dei genitori per poi uscire all’improvviso scagliando cuscini, i giochi con Ramon e Cecilia, la delicatezza di Nairobi che le acconcia i capelli e gli abbracci con Tokyo.

Nieves aveva praticamente dimenticato quegli abbracci, vedendoli ora come una vera e propria ossessione.

“Mamma, ho paura!” questa la vocina che le rimbomba nella testa, catapultandola ai suoi 5 anni e a quell’abbraccio confortante di Tokyo che la stringe forte a sé dopo l’ennesimo incubo.

Un tuffo anche nella malattia e in quelle carezze che sua madre non le aveva fatto mai mancare.

“Nieves!” una voce pare risvegliarla dai sogni riportandola alla realtà. Una voce dolce che lei ben conosce e che le fa battere forte il cuore. Una voce, però, che crede provenire dalla fantasia.

“Nieves, dove sei?!” la chiama ancora la voce, dimostrando di farsi sempre più vicina.

“Nieves, andiamo! Riesci ad alzarti?!” comunica Ramon, ormai dinanzi a lei, provando a sollevarla e agganciarla alle sue spalle.

Nieves non riesce a rispondere per colpa della mancanza di ossigeno ma i suoi occhi rossi distinguono bene la figura di Ramon e un dolce sorriso si fa strada sul suo volto.

“Reggiti forte, ti porto fuori di qui!” dice il ragazzo sempre più determinato, sfidando le fiamme e raggiungendo finalmente l’uscita.
 
Nel mentre tutta la famiglia dei Dalì sembra vivere appesa a un filo, non sapendo per quanto tempo resistere. Tokyo e Nairobi si divincolavano ancora, riuscendo ogni tanto a guadagnare terreno e scappando dai medici che provavano in tutti i modi ad iniettare calmanti nelle loro vene.

“Non serve a un cazzo seguirci con delle siringhe!” schernisce Tokyo riempiendo Sergio di ematomi, insultandolo e mandandolo all’inferno continuamente per quella morsa che la immobilizza.

“Vi abbiamo già detto che la squadra è entrata a riprendere i ragazzi! Se continuate a dimenarvi vi dovranno sedare!” le rimprovera Palermo arrabbiato, inserendosi nella rissa per cessare la rivolta delle due donne e dello stesso Bogotà che, però, comprende l’impotenza delle proprie figure in un momento come quello.

“Amore, noi non possiamo fare nulla! Abbiamo fatto entrare delle persone molte più esperte in queste situazioni! Noi facendo così gli intralciamo solo la strada!” prova a calmarla Bogotà, accarezzando con delicatezza la testa della gitana che pare assecondare quanto appena espresso dal marito.

“Con che coraggio mi volete sedare?! Con quale cazzo di cuore volete calmare una madre che potrebbe aver perso la figlia?!” prende parola Tokyo, lasciata finalmente libera da Sergio che sente di poterla ormai contenere anche attraverso un dialogo.

“Dov’è finito il nostro spirito?! Un tempo ci saremmo buttati nel fuoco subito per salvarci la pelle! Ora abbiamo tutti qualcosa a cui teniamo e pararci il culo a vicenda pare molto più difficile, ma sapete perché non riuscite a capirmi?! Perché i vostri figli sono qui fuori!” spiega la Oliveira, battendosi il petto e dando vita a un pianto furibondo.

“Non ho mai voluto bambini e questo Agata lo sa! Quando sono rimasta incinta ho imprecato, imprecato e imprecato contro me stessa, contro Anibal, contro il cielo! Pensavo di non essere tagliata per fare la madre e in parte lo penso anche adesso… nonostante questo mi rendo conto che ciò di cui avevo veramente paura non era l’impegno nel diventare madre, ma era il terrore di dovermi sacrificare per un amore che mi avrebbe condizionata tutta la vita!” continua Silene sempre più scossa da quelle parole che ha bisogno di esternare.

“Eppure, ho capito dal primo momento che questo amore per una persona nata da me, mi avrebbe dato ossigeno per la vita. Ho capito fin da subito che nella mia esistenza mi sarei dovuta sacrificare per lei! E cazzo se mi sono sacrificata… mi sono sacrificata per Nieves quando mi ha spaccato la schiena in gravidanza, quando mi ha fatto provare le pene dell’inferno per partorirla, quando mi hanno comunicato la sua malattia, quando l’ho vista soffrire per le chemio, quando litigavamo, quando è scappata di casa e anche ora! Mi sono sacrificata per lei sempre, perché l’ho voluto io ed è questo che una madre e un padre fanno! Io voglio essere sua madre fino in fondo… quindi se anche dovessi morire nel correre in quelle dannate fiamme, voi non potete impedirmelo: perché io sono la mamma di Nieves e mi sacrificherò per lei ogni giorno” conclude Silene, dando una vera e propria stoccata al gruppo che, convinto di quanto affermato, capisce cosa fare.

“Andiamo” prende parola Sergio, porgendo la mano a Tokyo in modo da farle comprendere il suo punto di vista. È così che, i restanti dei Dalì, cominciano ad avanzare verso le fiamme, pronti a buttarsi in mezzo per salvare ciò che veramente conta.

Il gruppo cammina velocemente verso il museo quando, improvvisamente, ecco Ramon uscire con Nieves aggrappata alla propria spalla. I ragazzi sembravano svenire da un momento all’altro e la tosse dovuta al fumo li scuoteva nel profondo, obbligandoli a piegarsi su sé stessi.

“Mamma!” cerca di gridare Nieves, con voce roca e colma di polvere. Quella era la prima volta che rivedeva sua madre dopo tutto il disastro combinato e mai si sarebbe perdonata una nuova separazione, senza averle prima chiesto scusa.

“Ninì!” sussurra Silene senza fiato, correndo incontro alla figlia seguita dai genitori di Ramon. Gli occhi di Nieves sono già colmi di lacrime e le loro braccia si stanno per ricongiungere quando, inaspettatamente, la figura di un uomo emerge dalle fiamme catturando l’attenzione di tutti. L’uomo pare camminare come uno zombie, testimonianza vivente di non potersi sbarazzare di lui tanto facilmente.

Arturo Roman avanza tra le fiamme brandendo una pistola. I suoi occhi riflettono lo stesso bagliore infernale che divampa sulle sue gambe, talmente assetate di vendetta da non preoccuparsi delle abrasioni e continuare a camminare imperterrite incontro a loro.

“Non ve ne andrete tutti, almeno uno verrà all’inferno con me!” ringhia l’irrazionalità di un uomo che, a causa della pazzia, ha venduto la propria anima al diavolo pur di poter vivere di fama e riscatto.

La pistola punta sull’unica persona ancora immobile, rimasta paralizzata dal dolore ai muscoli che non gli permette in altro modo di allontanarsi.

Ramon capisce di essere la vittima e, con gli occhi spalancati, prova a spostarsi dalla traiettoria il più velocemente possibile sentendo, però, il proprio corpo impossibilitato a reagire. Il peso di Nieves, le torture, il fumo e le fiamme lo avevano completamente abbattuto.  

Ramon ansima disperato, avvertendo già il bacio della morte su quelle labbra colme di vitalità. Nairobi e Bogotà cercano di raggiungere il figlio con grandi falcate, desiderando delle ali ai piedi per poter spiccare il volo e schermare il colpo.

Tutto avviene in un millesimo di secondo. Un millesimo di secondo nel quale si sente il rimbombo soffocante di due proiettili e il corpo di due persone abbandonarsi a terra.

Arturo Roman viene colpito in piena fronte da un militare, causandogli una morte immediata che, però, non riesce a prevenire e frenare quello sparo che assale un eroe in pieno petto.

Il gruppo rimane immobile e senza fiato, constatando l’identità di quel secondo assassinio.

“NOOOOOOOOO” questo l’urlo strozzato di Ramon che, disperato, si lascia cadere sulle ginocchia riconoscendo il corpo di Nieves sanguinante a solo un metro da lui. Il corpo della ragazza giace a terra, colpito in pieno petto, esito di un gesto di coraggio e d’amore con il quale lei cercava di ricambiare la vita che Ramon le aveva donato.

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Capitolo 32
*** CAPITOLO 31 ***


CAPITOLO 31

Ramon stringe il viso di Nieves tra le mani, dando vita a un pianto disperato del quale non si vergogna.

“Amore mio, no, no, no!” grida Tokyo lasciandosi cedere sulle ginocchia e cominciando a cercare il punto in cui era stata colpita la figlia, con il desiderio di salvarla.

“No! La mia bambina no!” si aggiunge Rio, saltando giù dall’ambulanza e cercando di raggiungere a fatica la famiglia.

“Tranquillo cucciolo, andrà tutto bene! Vedrai che si salva!” consola Nairobi, dando un bacio sulla fronte del figlio che teneva ancora stretto il volto della sua Nieves.

Ramon piange tutte le lacrime, urlando e tremando come una foglia, osservando quel volto pallido della ragazza che aveva dato la vita per lui.

“Non può morire, non può!” urla lui spalancando la bocca e sfogando la propria frustrazione.

Tokyo, nel frattempo, continuava a effettuare massaggi cardiaci, tenendo una mano sul punto da cui sgorgava molto sangue.

“Nieves ti prego, sei tutta la mia vita! Sei ciò che mi ha reso una bella persona e senza di te non riesco ad immaginarmi! Non mollare!” impreca Tokyo, mischiando le lacrime al sangue e aumentando la velocità delle pressioni.

Una visione straziante che disarma tutti i presenti. Una pallottola al cuore è difficile da guarire e in molti credevano che le cure di Tokyo e Ramon risultassero inutili.

Nairobi prova ad abbracciare l’amica ma Tokyo la spinge via violentemente con una spallata, senza togliere gli occhi dalla propria figlia.

“Silene, lasciala stare, fai intervenire i medici!” prova a consigliarle il professore, facendo strada a molti medici e infermieri corsi sul posto. Tokyo, però, pare non voler smettere di dare energia al corpo della ragazza che non riprende conoscenza.

“Jarana, tienimi! Tienimi” cede finalmente Silene, aggrappandosi al collo della gitana e accettando ancora una volta quelle braccia forti in grado di sostenerla.

Per Tokyo e Rio si riapre una ferita, un trauma che li catapulta al giorno dell’intervento al polmone di Nieves, quel giorno in cui la vita della ragazza era sulla soglia tra la vita e la morte.

Agata stringe forte a sé la migliore amica, sapendo di non avere parole. Questa volta il dolore è diverso perché Nieves non c’è più e la povera Silene è obbligata a ricadere nell’oblio di un’altra pesante perdita.

“Amore, non possiamo mollare adesso hai capito!?” si inserisce Rio, scuotendo Tokyo per le spalle e guardandola negli occhi.

“Non è morta! Lei non può morire! È chiaro?!” continua con forza lui, pur sapendo delle limitate possibilità di sopravvivenza.

“Ha una pallottola nel cuore e mezzo polmone Anibal! Io non lo reggo questa volta!” piange Tokyo con il volto solcato dalle lacrime e gli occhi rossi.

“Invece devi pensare all’amore che le hai dato. Ti ricordi la prima volta che l’abbiamo vista?” cerca di calmarla Rio, portandole alla memoria i bei momenti.

“Avevo appena finito di mandarti a quel paese…” conferma Silene abbozzando un sorriso al ricordo di Rio seduto accanto a lei durante il parto.

“Sì e poi lei ha strillato così forte da spaventare anche le ostetriche. Dicevano che avrebbe avuto un bel caratterino” continua a parlare Rio, accarezzando la guancia della moglie con delicatezza.

“Proprio come me” dice Tokyo con un filo di voce, mentre rivede nei suoi occhi il momento in cui avverte il calore della propria bimba tra le braccia. Nieves era piccola e con la pelle arrossata dal pianto, aveva dei nerissimi capelli e una vocina potente: la perfetta fotocopia della madre.

“Ti bastò un momento per innamorartene. Me ne accorsi sai? Le nostre figlie sono il nostro capolavoro. Leya sensibile e dolce come me, Nieves testarda e forte come te. Dal primo istante ho capito che non sarebbe stata una bambina come tutte le altre! Si vedeva che aveva una marcia in più, una potenza interiore, un fuoco dentro che le bruciava in quel piccolo petto… e così è risultata” fa per concludere Rio, appoggiando la propria fronte a quella della moglie, per poi baciarle le labbra con dolcezza avvertendo il gusto acre del sudore, della polvere, del sangue e del calore che stavano vivendo.

“Nieves è tua figlia… abbatterti è impossibile, così come è impossibile abbattere Nieves” conclude Rio, per poi stringere a sé la moglie che si lascia avvolgere completamente.

Il corpo di Nieves si trova ancora a terra circondato da medici e infermieri che rendono difficile la visuale. Ramon tiene le mani sulle orecchie e, rannicchiato, ciondola su sé stesso per non ascoltare il suono sgradevole del defibrillatore.

“Quindi… è sempre stata lei la ragazza per cui avevi una cotta?” domanda Bogotà sedendoglisi accanto, facendo qualche smorfia di dolore a causa dei lividi.

Ramon, scosso dai brividi e dalle lacrime, non risponde e lascia che le sue azioni parlino per lui.

“Mon, lei è forte… non preoccuparti, qui noi siamo abituati a sopravvivere” tenta di rassicurarlo il padre, stringendoselo al petto per dargli forza. Ramon accoglie volentieri le braccia possenti del padre e, distrutto da tutta quella sofferenza, si lascia andare ai singhiozzi.

“Aspetta, fermatevi” avverte un dottore, afferrando le mani di un collega e invitandolo a guardare il petto della ragazza che si alzava e si abbassava, sintomo della presenza di respiro.

Gli adulti rimangono straniti dalla reazione e, nell’immobilità dei presenti, Rio, Tokyo, Bogotà, Nairobi e Ramon si rimettono ai piedi della giovane che aveva ripreso a respirare.

“Che cosa succede?” chiede Tokyo non capendo la situazione ma percependo un briciolo di speranza. Le mani si stringono attorno alla testa della ragazza, facendole così da cuscino senza sollevarla o spostarla dalla zona d’intervento.

“Smetti di tamponare la ferita, controllala un attimo” comunica il chirurgo, facendo segno a un altro dottore di togliere le garze dal petto di Nieves per guardarne la zona colpita dallo sparo.

Lì dove usciva una gran quantità di sangue era presente una moneta da due euro, allacciata al collo con un semplice ciondolo. La moneta era perforata e, nella sua seconda faccia, mostrava un buco contenente un proiettile insanguinato.

Ramon, commosso dal gesto, apre la bocca sconvolto riconoscendo quella moneta che lui stesso le aveva regalato qualche mese prima: la sua moneta preferita, raffigurante la Zecca di Stato. Un flashback, infatti, si fa strada nella propria mente:

“Questa moneta è sempre stata tutto per me. La cosa che mi sconvolge è che, senza saperlo, questa moneta parla anche della Zecca di Stato… il luogo dove i nostri hanno effettuato la rapina” taglia corto Ramon, per poi riprendere coraggio e continuare il discorso.

“Rubare non è sbagliato! Queste sono il frutto della fatica dell’uomo e non è giusto che i governi se ne arricchiscano. La cosa che la gente non capisce è che alla fine questo è solo metallo… ma se usato correttamente può far del bene a tutti” spiega Ramon, consapevole di aver parlato in modo ambiguo.

“Wow… questa storia mi ha colpita tantissimo” riesce a biascicare Nieves non trovando le parole giuste. La storia di Ramon l’ha emozionata e le ha permesso di conoscere un po’ quell’amico che, fin da piccoli, non rivelava mai nulla di sé.

“Sei una persona fortissima Ramon… è una fortuna per me essere tua amica” aggiunge ancora Nieves, rigirandosi la moneta tra le dita. È allora che Ramon compie un gesto inaspettato. Il ragazzo si alza in piedi velocemente per poi estrarre, da una scatolina sul comodino, un’altra moneta. Ramon si sdraia nuovamente sul letto per poi consegnare la moneta a Nieves.

“Ma sono uguali…” denota lei ponendo le monete a confronto.

“Sì… ne ho comprata un’altra nel caso in cui perdessi l’originale che mi ha dato mamma. Tienila, è tua” aggiunge Ramon, invitando Nieves ad accettare il dono.

“Sei impazzito? Perché? Non devi!” si stupisce Nieves, colpita dal regalo che apprezza con tutto il cuore.

“Invece sì, te la do per due motivi. Prima di tutto per ringraziarti di avermi ascoltato e aver condiviso con me una parte del mio passato. Come seconda cosa…spero che questa moneta possa aiutarti a capire l’importanza delle tue radici, proprio come ha fatto con me” spiega Ramon con estrema maturità, abbozzando un sorriso.

“Dobbiamo portarla in ospedale immediatamente! Il proiettile non l’ha colpita in profondità, è rimasto frenato da questa moneta che lei portava al collo!” spiega il chirurgo, analizzando estasiato quell’impercettibile oggetto che aveva funto da anti proiettile.

“La mia moneta… l’ha sempre tenuta con sé!” sospira emozionato Ramon, sentendo il cuore più leggero nel sapere di avere ancora la propria Nieves.

“Non so che cosa significhi, ma vi siete salvati la vita a vicenda” commenta Nairobi, accarezzando i capelli neri del ragazzo che, stressato da tutti gli eventi, si accoccola inaspettatamente al petto della madre stringendola forte a sé.

“Ti voglio bene mamma e scusami per tutto!” dichiara Ramon, godendo delle braccia di Agata che si riversano su di lui accarezzandolo con cura.

“Sei un uomo meraviglioso Ramon. Ti voglio bene anche io!” risponde Nairobi con le lacrime agli occhi, baciando la fronte bollente del figlio e accettando finalmente l’aiuto dei soccorsi.

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Capitolo 33
*** CAPITOLO 31 ***


CAPITOLO 31

La pace sembra finalmente tornata e i Dalì, dopo aver ricevuto le giuste cure mediche in ospedale, possono mettere un punto a ogni questione.

“Signor Marquina, è tutto risolto. I delinquenti sono stati arrestati, altri sono rimasti uccisi dalle fiamme e l’inchiesta si è ormai conclusa dando la piena colpa ad Arturo Roman che, a causa della sua pazzia, ha inscenato questo teatrino credendovi i Dalì. Vi auguriamo ogni bene e una buona ripresa” comunica il comandante delle operazioni di salvataggio, salutando Sergio, Raquel e Palermo presenti in sala d’attesa.

Il professore ringrazia e si limita poi ad abbozzare un sorriso ai due colleghi, non potendo dare troppo in escandescenze vista la buona riuscita del piano.

“Devo dire che a questo giro chi ha fatto davvero la differenza è stato il figlio di Nairobi” comunica il professore rivolto alla moglie.

“Ramon? Sì è stato veramente eroico!” condivide Raquel, ripresasi dal malessere e dal deperimento.

“No, parlo di Axel. È stato lui ad avere il colpo di genio riguardante l’instabilità mentale di Roman. È stato davvero geniale perché è riuscito a convincere tutti del suo pensiero ed è grazie a lui se non avremo ripercussioni in questa storia” dichiara il professore, piacevolmente colpito da quello che potrebbe essere il degno erede della sua mente.

Axel, in quel frangente, si trova in una stanza d’ospedale per un controllo alle costole.

“Come stai?” chiede Nairobi entrando nel luogo dopo aver ricevuto il permesso dai dottori. Anche la donna è ormai fuori pericolo, con la mano accuratamente fasciata e gli antidolorifici nelle vene per non sentire il dolore dovuto all’operazione alla mano bucata.

“Mi sento un po’ strano…” afferma Axel cupo in volto, con il capo chino rivolto al pavimento.

“Perché dici questo?” domanda Nairobi, avvicinandosi al figlio e godendosi con calma il loro vero e proprio ricongiungimento.

“Non riesco a capire che cosa sia successo. Prima ero nei cattivi, ti odiavo e ora sono dalla parte dei buoni, è tutto finito e la mia vita ricomincerà da capo. Sono partito con l’idea di colpirvi e ora me ne vado con il desiderio di… non separarmi più da te” si apre definitivamente il giovane, dimostrando il pieno attaccamento alla madre.

“Non ho mai superato la nostra divisione. Ti ho sognato ogni notte e pensato a te ogni giorno” comincia a parlare Nairobi, sentendo la voce spezzata e gli occhi inumiditi dalle lacrime.

“Ho festeggiato in silenzio ogni tuo compleanno, chiedendomi quando avrei riavuto l’onore di soffiare con te le candeline. Ti ho parlato ininterrottamente, immaginandoti come mio mentore sempre pronto a dirmi dove sbagliavo. Ti ho chiesto scusa in tutte le lingue del mondo, ti ho cercato in ogni luogo e non ti ho mai cancellato dal cuore… non possiamo restituirci a vicenda il tempo rubato, ma possiamo ricominciare da ora” conclude Nairobi ormai preda del pianto, sporgendosi verso il figlio che l’abbraccia calorosamente. Un abbraccio assaporato in ogni dettaglio, nel quale ogni lembo di pelle percepisce la rispettiva appartenenza negata per troppo tempo.

“Agata, puoi venire? Nieves dovrebbe svegliarsi a momenti ed è bene che tu sia vicino a Silene” li interrompe Rio entrando nella stanza. La gitana, dopo una carezza al volto del figlio ritrovato, segue l’amico lungo i corridoi e, dopo qualche secondo, gli chiede:

“Come stai tu?”

“Sto bene… frastornato ma bene” risponde lui, nascondendo la sua vera preoccupazione.

“Intendo per il resto… mi vuoi sempre vicino a Silene, ma chi sta vicino a te?” afferma Nairobi, rendendosi conto dello sguardo triste del più giovane dei Dalì.

“Sono venuto a sapere della morte dei miei genitori” se ne esce lui, liberandosi di un peso che non aveva ancora confidato a nessuno.

“Ricordi quando ricevevo quelle chiamate da parte loro?” porta alla memoria lui, deglutendo più volte per poi continuare il discorso.

“Non erano veramente loro. Cesar Gandia li aveva già assassinati, minacciandoli e chiedendo di rivelare la mia posizione che manco sapevano” conclude Anibal mangiandosi il labbro inferiore per non piangere.

“Anibal, mi dispiace!” sussurra Nairobi sconvolta dalla notizia, appoggiando una mano sulla spalla del giovane uomo.

“Sai cosa mi fa veramente male?” si apre allora lui, bloccandosi di colpo sul posto e stringendo i pugni per la rabbia.

“Il fatto che per me loro erano già morti e così io per loro! Mi hanno buttato fuori casa non vedendomi più come un figlio. È questo il motivo per cui le mie marachelle informatiche sono diventate rapine e illegalità. Io non voglio far vivere questo alle mie figlie!” afferma Anibal convinto.

“Non vedo l’ora che Nieves si svegli per abbracciarla forte e dirle che è tutto ok! Non mi importa se ha sbagliato, lei rimarrà sempre e comunque la carne della mia carne! Come si può rinnegare la persona che hai messo al mondo?!” si libera lui, lasciando scorrere le lacrime e desiderando per le figlie lo stesso affetto che gli era stato negato.

“Inutile dirti che sei un padre meraviglioso Anibal… l’avessi trovato io un compagno che accettasse la mia prima gravidanza restandomi accanto! Ora non dobbiamo più guardare al passato. Abbiamo i nostri figli e, rischiando di perderli, abbiamo capito quale sia il vero valore della vita”

La conversazione con Agata pare tranquillizzare Rio che, finalmente, riesce a concedersi un caffè in serenità insieme a Bogotà.

Nairobi, intanto, raggiunge la stanza di Nieves dove trova la ragazza sdraiata a letto in coma farmacologico. Accanto a lei Tokyo che non si era spostata di un millimetro. La madre le teneva la mano, le accarezzava il viso e la osservava continuamente.

“Perché non vai a riposare?” chiede Nairobi entrando nella camera, dopo aver indossato tutto l’occorrente per poter rimanere nel luogo.

“Non ci riesco. Voglio essere qui quando aprirà gli occhi” risponde Silene, felice e sollevata nonostante le due enormi occhiaie.

“Sei una madre stupenda Jarana…” le dice Nairobi, scostandole un ciuffo di capelli dal viso per metterglielo dietro all’orecchio.

“Ne ho sbagliate tante, troppe… ma ora non mi voglio perdere più nulla di lei. Litigheremo, ci insulteremo magari, ma la voglio ascoltare e voglio lasciarla libera di vivere. Voglio anche chiederle scusa per averla chiusa nella mia campana di vetro. Lei mi ha dimostrato che può benissimo farcela, anche con il suo problema fisico” rivela Tokyo convinta, appoggiando il volto alla mano di Nairobi che non si stanca mai di coccolarla.

Le due amiche si abbracciano dolcemente finché, attraverso le vetrate della stanza, non compare un agitato Ramon, intento a guardare costantemente in attesa del risveglio di Nieves.

“Ne è cotto lo sai?” dice Silene facendo cenno con la testa al giovane.

“Innamorato pazzo… sì, lo so” conferma Nairobi con un dolce sorriso.

“Dovremo parlarne allora! Dobbiamo mettere in chiaro qualche cosa se diventiamo anche con suocere! Per esempio il fatto che potrebbe portarsela a letto…” mette in guardia Tokyo, puntando il dito contro la migliore amica che risponde con una fragorosa risata.

“Guarda che cadi male tesoro! Ho sentito i ragazzi parlare l’altro giorno. Pare che Nieves se la sia già fatta con Andres” comunica Nairobi rigirando la frittata.

“Cosa?!” chiede senza parole la madre, spalancando la bocca per lo stupore.

“Di cosa ti stupisci? Hanno sedici anni, scommetto che tu alla sua età avevi già fatto sesso con un sacco di ragazzi!” ribatte Nairobi, spintonandola leggermente.

“Sì, in effetti è vero… è che il figlio di Sergio?! Mia figlia che si fa il figlio del prof… ok!” ride finalmente anche Tokyo, riuscendo a viversi con leggerezza quel momento.

“Possono fare tutto ciò che vogliono, basta che continuino a volersi bene come stanno facendo adesso!” conclude Nairobi tornando seria e guardando fiera il proprio figlio ancora timoroso di fronte agli specchi.

“Se Ramon sarà l’uomo della sua vita non posso che esserne contenta, perché hai tirato su un giovane per bene. Sarò in debito con lui per sempre” termina Silene sorridente, per poi prendere la mano di Nieves e accarezzarla con cura.

Qualcosa sul braccio della ragazza, però, pare attirare la sua attenzione. Proprio sul lato esterno del polso era presente una piccola scritta nera, un tatuaggio di cui Silene non era a conoscenza.

La madre, incuriosita, gira il braccio della figlia per poi mettersi istintivamente una mano sulla bocca.

In maiuscolo c’era scritto:

TOKYO

“Che cosa fai ora?” le dice Cecilia titubante.

“Devo andare a fare una cosa. Mi accompagni? Ci metteremo poco” propone Nieves offrendole una mano per alzarsi.

“Basta che non mi chiedi di andare di nuovo al museo o fare qualcosa di illegale” mette le mani avanti Cecilia, preoccupata dai colpi di testa dell’altra.

“No… voglio fare una cosa super legale e super bella” le risponde Nieves con serietà, facendo capire all’altra di essere finalmente cambiata.
Cecilia afferra la mano dell’altra e si mette in piedi, disposta a seguirla in quel mistero.

Questa era stata la misteriosa uscita delle due ragazze una volta giunte nel luogo del museo. Nieves, cambiata e toccata dalla vera storia della madre, aveva capito di volerla imitare per sempre e di essere, effettivamente, la sua goccia d’acqua. Un amore che non le aveva mai dimostrato ma che aveva iniziato a esploderle nel cuore, tanto da indurla a incidersi sulla pelle il nome di sua madre.

“Ninì… che stupida che sei…” afferma con dolcezza Tokyo, non riuscendo più a trattenere le lacrime di fronte a quella sorpresa. Sorpresa che ne segue successivamente un’altra perché, inaspettatamente, un filo di voce esce dalle labbra di Nieves.

“…mamma…” questa la parola della ragazza che, a poco a poco, riesce ad aprire gli occhi stanchi e affaticati dal coma.

Il cuore di Silene inizia a battere all’impazzata, tanto da farla scattare in piedi dalla sedia e sedersi sul letto della figlia.

Nieves spalanca gli occhi castani arrossati dalla condizione appena vissuta. La ragazza si sente strana e il battito accelerato fa intuire lo spavento e la preoccupazione per quella situazione. Un dolore lancinante al petto, inoltre, le provoca ulteriore disagio e ansia.

Tokyo, accortasi immediatamente, porta le mani sulle guance della ragazza, guardandola intensamente negli occhi non riuscendo a trattenere le lacrime.

Quel contatto, quelle mani, quel calore così familiare risanano immediatamente Nieves che, in men che non si dica, dimentica ogni sofferenza lasciando così il posto alla commozione nel rivedere la madre.

“Mamma…mamma…” riesce finalmente a dire lei, scoppiando a piangere all’istante e stringendo forte le mani di Tokyo ancora appoggiate alle sue guance.

“Sono qui amore mio, sono qui e non me ne vado” sussurra Tokyo sorridendo e piangendo allo stesso momento.

Nieves fa per sollevarsi, bloccata però dall’infermiera giunta sul posto.

“Devi restare ferma cara, tranquilla!” prova a convincerla la dottoressa.

“Devo abbracciare la mamma, per favore!” prega lei opponendosi alla decisione. Una richiesta genuina e troppo bella da non assecondare motivo per cui l’infermiera, sollevato il materasso, aiuta la giovane a piegare la schiena per sporgersi in avanti.

Basta un piccolo slancio per permettere alla giovane di gettarsi al collo della madre, al quale si attacca come una calamita. Tokyo la stringe dolcemente a sé, posandole anche una mano sul capo insaccato nella sua spalla.

“Scusami mamma, scusami! Ho sbagliato tutto scusa!” singhiozza scioccata Nieves, conficcando le unghie nella schiena della madre che non vuole più lasciare andare.

“Shhh… ho sbagliato anche io, ma ora siamo qui” taglia corto Tokyo, chiudendo gli occhi e dondolando leggermente proprio come faceva per cullarla dal pianto quando era piccola.

“Ti voglio bene mamma, ti voglio bene” conclude Nieves riuscendo finalmente a calmarsi, per poi abbandonarsi a quelle braccia in grado di curarla.

Il tutto viene osservato da Nairobi che, commossa ed emozionata, preferisce lasciare le due donne da sole per andare a chiamare Rio e Ramon ed avvertire anche gli altri della bella notizia.

Trascorrono alcune ore e i Dalì, entusiasti, festeggiano il risveglio della ragazza con del buon caffè. Una volta visitata e controllata, Nieves riallaccia il rapporto anche con il padre, piangendo anche per il suo ricongiungimento. L’unico ancora in attesa è Ramon, contento nel poter vedere la ragazza attraverso lo specchio.

“Direi che anche lui merita la tua attenzione…” si accorge Rio, notando il volto sereno del giovane osservatore.

“Usciamo” gli sussurra Tokyo all’orecchio, lasciando così la stanza ed invitando Ramon ad entrarvi.

La richiesta agita all’istante il giovane che, nonostante le guance arrossate per l’imbarazzo, si fa coraggio ed entra nel luogo.

“Ciao” saluta lui, sedendosi sulla sedia lasciata libera da Tokyo.

“Ciao” ricambia Nieves abbozzando un sorriso, guardandolo intensamente in volto.

“La… la mia moneta…” inizia a balbettare il timido Ramon.

“L’hai sempre tenuta con te?” conclude lui, riuscendo a reggere lo sguardo dell’amata.

“Sempre” risponde lei concisa, facendo cadere la conversazione in un lungo silenzio.

“Oh insomma” sbotta allora Nieves, dimostrando il ritorno del suo acceso carattere.

“Vuoi baciarmi o no?” dichiara infine lei, sbattendo le braccia contro il letto.

La richiesta prende Ramon alla sprovvista anche se, dentro al proprio cuore, desiderava ardentemente farlo. L’amore nutrito nei suoi confronti spinge il giovane ad avvicinarsi a Nieves lentamente, per poi sostare a pochi centimetri dal suo volto. Gli occhi dei due si chiudono contemporaneamente e le labbra, vogliose di incontro, tendono verso la reciproca unione. Un tocco lento e leggero che permette ai ragazzi di gustarsi la morbidezza e l’amore per troppo tempo celato.

“Sia chiaro: da oggi potrei farti il culo se lui le fa qualcosa” commenta Rio rivolto a Bogotà, mentre osservano il primo bacio dei figli.

“Pivello… con un pugno ti stendo” lo schernisce Santiago, sbuffando e avvolgendo le spalle dell’amico con un braccio.

“Potete smetterla di fissarli?! Un po’ di privacy!” si inserisce Cecilia, tirando la tendina del vetro in modo da celare l’interno della stanza ai quattro genitori.

Le risate dei presenti vengono interrotte da un arrivo improvviso di una persona sconosciuta che, chiamando un nome ormai noto, attira l’attenzione di tutti i presenti.

“Axel? Axel, dove sei?!” grida una giovane di circa ventidue anni. La ragazza aveva dei lunghi capelli biondi, gli occhi azzurri brillanti e si portava una mano sul grembo ormai pesante per l’arrivo degli ultimi mesi di gravidanza.

Nairobi osserva la ragazza ad occhi aperti, convinta di avere di fronte la fidanzata di suo figlio e madre del futuro nipote.

La voce della fanciulla risveglia Axel che, assopito in una camera d’ospedale, avverte la voce delicata dell’amata e corre dolente nella sua direzione.

“Vicky!” sussurra lui con un filo di voce, non credendo ai propri occhi. Segue un forte abbraccio tra i due, nel quale Victoria, preoccupata per l’accaduto, si aggrappa al corpo di lui come a dimostrare la sua effettiva presenza.

“Ho sentito i telegiornali, hanno parlato di te, hanno spiegato che era una truffa! Temevo ti avessero fatto del male e ora guardati, sei pieno di lividi!” comunica lei spaventata, accarezzando il volto del ragazzo dai capelli mori.

“Stai tranquilla, ora è tutto ok! È tutto finito!” prova a calmarla lui, abbracciandola di nuovo.

“E il lavoro che ti avevano dato?! La minaccia?! Cosa dobbiamo fare?!” chiede ancora lei, terrorizzata all’idea di poter perdere tutto a causa della loro eccessiva povertà.

“Ora possiamo vivere amore! Siamo liberi! Ripartiremo da zero, compreremo una casa, faremo i lavori che ci piacciono e cresceremo nostro figlio in tranquillità! Non siamo più soli questa volta…” spiega Axel, rivolgendo uno sguardo a Nairobi che si sente presa in considerazione.

“Ho ritrovato… mia madre” dichiara Axel, prendendo per mano Victoria e conducendola da Agata.

Le due si fissano negli occhi per qualche secondo finché, quasi automaticamente, le rispettive bocche si incurvano in un sorriso.

“Piacere di conoscerti Victoria” si presenta Nairobi, porgendo una mano alla ragazza che la stringe con educazione e rispetto.

“Non dovremo più correre da soli, sperando di arrivare a fine mese! Mi troverò il mio impiego da cuoco, tu concluderai gli studi e potremo sempre contare sulla nostra famiglia!” denota Axel, indicando tutti i presenti che ormai considera fratelli, zii e genitori.

“Nostro figlio crescerà avvolto dall’amore… quell’amore che purtroppo a tutti e due è stato negato” conclude lui, appoggiando una mano sulla pancia della fidanzata che, emozionata, sospira e rivela:

“…lei… è una femmina”

Il momento si chiude nell’allegria generale, in sorrisi, risate, abbracci e baci. Ai Dalì non importavano più i soldi, la fama, l’avventura o l’illegalità perché, finalmente, avevano trovato il tesoro più prezioso di tutti.

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Capitolo 34
*** EPILOGO ***


EPILOGO


Sei anni dopo…

La pace era tornata a risplendere nei cuori e nei corpi dei Dalì che, abituati alla propria routine, vivevano in modo più responsabile godendosi ogni attimo con le proprie famiglie.

I ragazzi, ormai ventiduenni, erano riusciti a spiccare il volo iniziando a costruire il proprio futuro in armonia.

Andres, vista la spiccata intelligenza, intraprendeva un viaggio nelle più rinomate università per laurearsi in quanti più corsi possibili. Dimitri, dopo aver ritrovato la passione per lo studio, coltivava il proprio sogno di diventare un medico militare, aiutato dai genitori esperti in materia.

Cecilia, battendosi per i diritti sociali soprattutto delle donne, partecipava a convegni internazionali di divulgazione e aiutava le associazioni.

Ramon e Nieves, invece, diventavano sempre più esperti nei rispettivi settori. Ramon veniva chiamato dalle banche e dalla polizia per riconoscere monete e banconote contraffatte mentre Nieves, terminati in anticipo gli studi informatici, iniziava a ricevere richieste di lavoro da ogni parte del mondo per risolvere i problemi su malware e hacking delle aziende.

I ragazzi erano l’orgoglio e i pupilli dei genitori, in quanto capaci di mettere da parte l’illegalità a fronte di una vita onesta spesa per il benessere degli altri.

Sei anni di crescita, di gioia e spensieratezza ma, soprattutto, di affetto dato dalla nascita della piccola Ivana, figlia di Axel e Victoria, dalla libertà dei giovani, dal coraggio nell’affrontare ogni difficoltà e dall’amore sempre in fioritura, specialmente per Nieves e Ramon.

Sono circa le tre di notte e i due giovani, distesi nudi in un letto matrimoniale, assaporano il reciproco contatto con serenità.

Nieves, sdraiata supina, accoglie il calore del capo di Ramon, adagiato sul suo ventre e ne accarezza i morbidi capelli, cullata dalla dolcezza dei suoi sospiri di profondo rilassamento.

I due si godono il silenzio nato a seguito di un rapporto d’amore consumato con delicatezza e cura, nel reciproco ascolto.

“Sei proprio sicuro… del gesto che compiremo?” chiede a un certo punto Nieves, improvvisamente eccitata e preoccupata da un avvenimento ormai alle porte.

Ramon aspetta a rispondere e, imperterrito, continua ad accarezzare con un dito il seno della giovane, disegnando piccoli e grandi cerchi su di esso. Un contatto di velluto che quasi concilia il sonno di Nieves, ammaliata da quei gesti intimi e ormai familiari.

“Che c’è, hai dei ripensamenti?” domanda lui senza distogliere l’attenzione dal petto di lei.

“No, guai sei matto?!” risponde di getto lei, fin troppo convinta di quel sì pronunciato il giorno in cui vide il proprio ragazzo con un anello in mano.

“Allora cosa ti turba? Forse il fatto che tua mamma non è d’accordo con la quantità di sesso che facciamo?” ipotizza lui, desideroso di alleggerire la tensione.

“Figurati! Le farà sempre impressione, ma vogliamo parlare forse di quanto ne ha sempre fatto lei? E alla fine non posso dire niente perché se quello è un ingrediente essenziale del cocktail che rende magnifico il matrimonio dei miei e dei tuoi, beh… allora ben venga seguirne l’esempio no?” ride lei portandosi una mano sul volto e facendo cenno di no con la testa, divertita da quell’apertura relazionale che condividevano.

“A parte gli scherzi… perché non dovrei essere sicuro? Penso di non essere mai stato così sicuro in tutta la mia vita! Sei sempre stata il mio sogno, ho sempre avuto un pallino per te! Io ti ho salvata da un edificio in fiamme e tu ti sei presa una pallottola nel cuore...” comincia a dichiarare lui, sollevandosi sui gomiti per guardarla in volto, in quei profondi occhi color cioccolato nei quali amava sciogliersi.

“Io e te facciamo così: ci teniamo in vita a vicenda e ce la miglioriamo anche. Io non riuscirei a immaginarmi in nessun altro posto se non qui, ora… con te” conclude lui, sorridendole con dolcezza e accarezzandole il volto.

“E tu? Sei sicura?” dice poi lui, pur certo della risposta di lei.

“Mi hai dato quell’ossigeno di cui il mio polmone necessitava. Sì Ramon… ti voglio sposare… e giuro che ti sposerò ogni giorno” afferma lei con emozione per poi sancire quel momento con un leggero bacio a stampo e tornare, senza aggiungere altro, a coccolarsi gustandosi il tocco reciproco dei loro corpi avvolti nel silenzio.

Una settimana dopo…

“Ivana fermati per l’amore del cielo! Vieni qui che ti allaccio meglio il fiocco” urla la dolce Leya, ormai cresciuta e meravigliosa.

“Hai visto quanti dolci?! Ne voglio uno!” continua la piccina di sei anni, fin troppo vispa e vivace per una situazione del genere.

“Meno male che non ho sorelle minori se no sarebbe la fine!” commenta Leya tenendo stretta a sé la bambina con un braccio, in modo da poterle sistemare il vestitino da damigella.

“Hai bisogno di aiuto?” si propone Cecilia, mano nella mano con una ragazza alta dai capelli rossi.

“Sì, anche perché è tua nipote non mia!” commenta Leya alzandosi in piedi e incamminandosi verso la camera della sorella maggiore.

“Cecilia, sei bellissima!” si intromette una donna alta, con dei setosi capelli mori, la carnagione leggermente scura e le mani colme di anelli.

“Ciao mamma, sei bellissima anche tu!” risponde Cecilia, leggermente imbarazzata, togliendo immediatamente la mano da quella che doveva essere la sua fidanzata.

Il comportamento viene colto all’istante da Nairobi che, intenzionata a gestire al meglio la nuova situazione, propone alla figlia di seguirla per raggiungere Tokyo, lasciando la nuova ragazza alle cure di Dimitri e Andres che la accompagnano subito a fare un tour della casa.

“Che cosa succede tesoro?” domanda Agata, incrociando le braccia e mostrandosi austera davanti alla figlia.

“Ormai l’hai visto vero?” accenna Cecilia, parlando con fatica del proprio coming out.

“Amore mio… io l’ho sempre saputo” risponde Nairobi con un immediato sorriso, non volendo preoccupare la figlia per questioni ulteriori.

“Che cosa? Hai sempre saputo che sono lesbica?” chiede sconvolta Cecilia, riuscendo finalmente a rivolgerle lo sguardo.

“Dal primo momento. Ti ho lasciata libera e non mi sono intromessa perché era un percorso tuo che dovevi comprendere da sola. Ho sempre saputo anche di Marina… per quanto tempo credi che ci saremmo bevuti la storia dell’amica dai capelli rossi che ti seguiva in ogni viaggio internazionale?” scherza Nairobi, mostrando gli splendenti denti bianchi adornati da qualche brillantino.

“Mi dispiace mamma, avrei voluto dirtelo subito ma avevo paura” si apre allora Cecilia, confermando le spiacevoli situazioni che spesso le persone non eterosessuali sono obbligate a vivere.

“Ceci, se c’è una cosa che non devi mai più fare è dubitare del mio grande amore. Stai combattendo per questi diritti e sono sempre stata fiera di te! Vuoi che io non sia orgogliosa di questa tua meravigliosa capacità di amare?! Io ti vorrò bene per sempre e così ne vorrò a Marina” termina Nairobi, aprendo le braccia alla sua bambina cresciuta per stringerla in un forte abbraccio.

Il momento viene interrotto da Tokyo che, senza tatto né preavviso, irrompe nella stanza fregandosene della conversazione tra le due perché troppo convinta di meritare attenzioni.

“Ok io non vengo, io non ce la faccio!” esordisce la scapestrata, facendosi aria sotto agli occhi umidi a causa delle lacrime.

“Jarana, che c’è?! Ma perché piangi?!” chiede Nairobi, staccandosi dalla figlia per avvicinarsi alla migliore amica e cercare di pulirle il disastroso trucco sbavato.

“Perché si sposa la mia bambina e non ce la faccio! Sarà bellissima, sarà meravigliosa e io mi commuovo cazzo!” continua Tokyo sbuffando e facendosi costantemente aria.

“Ti ricordo che anche a me si sposa un figlio eh! Stai calma che sarà una giornata stupenda!” prova a confortarla Agata, asciugandole le guance.

“Che palle! Piango come una ragazzina, che sarà la menopausa?!” domanda infastidita Tokyo, troppo contraria a quel lato debole che aveva mostrato troppe poche volte.

“Ma va menopausa cretina!” le dice Nairobi, schiaffeggiandola delicatamente per risvegliarla dalle paranoie.

“Questo tempo mi sembra corso troppo velocemente. Mi ricordo ancora Nieves piccola che salta, corre, scalcia, urla, ride, cade, mi abbraccia! Me la ricordo nelle sue fragilità, nella sua malattia, nel suo bisogno di me… ora è ormai una donna e sono veramente orgogliosa. Orgogliosa perché è autonoma, ha un futuro roseo davanti, si costruirà una famiglia meravigliosa e io devo essere pronta a dirle addio… a tagliare veramente il cordone ombelicale… devo lasciarla andare” spiega Tokyo, prendendo coscienza di quel sentimento puro che ogni genitore è chiamato a vivere il giorno del matrimonio del proprio figlio.

“Tu lo sai che non ti dirò mai addio…” si introduce una voce fuori campo, appena sopraggiunta nel luogo.

Le tre donne si girano di scatto, puntando gli occhi sulla sposa che aveva appena parlato. Nieves rifletteva tutta la bontà del proprio nome in leggiadria e purezza. Il vestito bianco con un lungo strascico, arricciato sul fianco snello e ondulato sul seno, i capelli corti ravvivati da qualche colpo di sole e acconciati in morbidi boccoli, il trucco dorato leggero e i tacchi alti rendevano la ragazza una meraviglia della natura.

“Amore, sei…bellissima” commenta Tokyo, faticando a trattenere le lacrime, continuando a vedere davanti a sé la sua bambina semplicemente vestita di bianco.

Nieves, commossa e toccata dalla situazione, solleva leggermente il vestito per permetterle di correre e gettarsi al collo della madre trattenendo le lacrime.

“Avrò sempre bisogno di te mamma, sempre” le sussurra all’orecchio, dimostrandole effettivamente di non potersi mai staccare da lei.

La giornata procede a gonfie vele e la Chiesa scelta per il rito si riempie di poche persone, amiche e amici cari e significativi. Tutta la grande famiglia dei Dalì era lì riunita per condividere quell’importante progetto di vita che due giovani volevano cominciare. Sergio, Raquel, Andres e la propria ragazza; Dimitri, Palermo ed Helsinki praticamente già in lacrime; Cecilia e Axel in veste di rispettivi testimoni degli sposi; Victoria con la bambina, Marina, Marsiglia, Denver e la propria famiglia; e poi Tokyo che stringeva forte la mano di Leya, come a chiederle di restare almeno lei la sua bambina ancora per un po’.

La cerimonia inizia con l’accompagnamento di Ramon all’altare, a braccetto con l’amata mamma che, orgogliosa e felice, non può che benedire l’unione di suo figlio con la primogenita della sua migliore amica.

Nairobi vive intensamente quella camminata senza neanche una parola, limitandosi a stringere forte il braccio del ragazzo che aveva messo al mondo e che ora lo stava anche migliorando. La gitana si guarda commossa intorno, notando la presenza di tutte le persone a lei più care e felice per non avere mai smesso di lottare per i propri sogni. Sogni che riguardavano una vita serena lontana dall’illegalità, dalla galera, dalla droga, dai soldi. Sogni che includevano il desiderio ardente di trovare un marito amorevole con cui avere dei figli. Sogni che abbracciavano la speranza di ritrovare il suo amato Axel e tanti altri sogni. Sogni in costruzione e sogni di poter sempre respirare l’aria pulita e familiare dei Dalì che erano riusciti a farla rinascere a una nuova dimensione.

In fondo alla chiesa sono ormai pronti a partire anche Rio e Nieves, anche loro a braccetto. Tra i due intercorre un lungo silenzio dovuto all’emozione, in particolar modo di Rio, che fa loro battere il cuore all’impazzata.

“Sei davvero una favola” sussurra lui, sollevando ampiamente le labbra in quel sorriso che Nieves amava con tutta sé stessa.

Nieves risponde al complimento abbozzando a sua volta un sorriso, per poi prendere un grande respiro e cominciare a percorrere la navata della chiesa.

La musica di una piccola orchestra di archi crea un’aurea magica attorno a lei, in grado di inglobarla in un’atmosfera sognante. Davanti a sé vede solo lui, Ramon: il ragazzo che le aveva cambiato la vita, l’aveva salvata, l’aveva fatta crescere e non l’aveva mai abbandonata. Il suo più grande amico che conosceva tutto di lei, con cui non vedeva l’ora di cominciare a vivere. Se la sua visione frontale le mostra il proprio futuro, la visione periferica la porta a girare il volto per appurare con gratitudine la presenza di tutte quelle persone a lei legate.

Nieves sorride a tutti: alla sorellina Leya, agli amici, ai Dalì, a sua madre, a Cecilia, ad Axel, a Marina, a Victoria… per poi soffermarsi su Rio che camminava saldo accanto a lei.

Aggrappata al braccio del suo papà, Nieves percepisce una sicurezza inaudita: la stessa stabilità che lui le aveva dimostrato quando le insegnò a camminare, a correre, a nuotare e ad andare in bici. Nieves comprende il dolore di Rio che era stato obbligato, fin dal primo momento, a darle la spinta per poi lasciarla viaggiare libera per il mondo. Ora, in quel momento, stava facendo esattamente la stessa cosa: incoraggiarla a pedalare da sola, donandole la propria energia per darle lo sprint iniziale.

La camminata termina dinnanzi all’altare e per lei e Rio la strada è ormai conclusa. Con un gesto simbolico, infatti, Rio avrebbe consegnato sua figlia alle cure di un altro uomo.

Presa da un momento di estrema nostalgia e sentendo un colpo al cuore, Nieves si aggrappa al collo del genitore, stringendolo forte a sé. In quel momento non esisteva più nessuno. C’erano solo lei e il suo papà.

“Ti voglio bene papà!” le sussurra lei all’orecchio, desiderosa di scandire bene quelle parole.

“Sarò sempre qui” le risponde Rio sorridente, per poi staccarsi dall’abbraccio, affidare la propria bambina a un giovane che stimava e dirigersi al proprio banco.

Rio torna al proprio posto dove Tokyo, fiera del gesto appena osservato, gli stringe immediatamente la mano.

Momenti indelebili per tutti i Dalì. Attimi impressi nella memoria e tatuati nel cuore con l’inchiostro dell’amore. Eventi magnifici e gioiosi che nessuno si sarebbe mai aspettato di poter vivere. Colpi fantastici ancora più entusiasmanti di una rapina in banca perché tutti erano ormai convinti che per rubare soldi e usare armi ci volesse sangue freddo… ma per amare e costruire una famiglia ci volessero risorse ben più preziose.


NDA:

Siamo giunti alla fine anche di questa fanfiction, forse un po' travagliata a causa delle pause e dei ritardi. Nonostante tutto, però, ho voluto donare un'idea di futuro a questi giovani Dalì che scoprono l'importanza della famiglia, ben superiore alle rapine. Ringrazio chi l'ha letta anche solo silenziosamente e, in modo particolare, la mia cara amica Ivy001: inutile ribadire la profonda stima e il bene che ti voglio. 


Beh, che dire... spero di avere nuove ispirazioni sulla casa di carta molto presto.

Alla prossima!

Toky, Anna, Jarana Hermana!

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